Etica e Concezione Materialistica Della Storia


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Etica e Concezione Materialistica Della Storia

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KARL . 'KAUTSKY · · ETICA E CONCEZIONE · MATERIALISTICA DELLA STORIA P.·efazione di Ernesto Ragionieri

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Etica e concezione materialistica della storia di

Karl Kautsky Prefazione di Ernesto Ragionieri

Feltrinelli Editore

Milano

T italo dell'opera originale Ethik und materialistische Geschichtsauffassung Traduzione dal tedesco di Mazzino Monlinari

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Prima edizione italiana: febbraio 1958 Seconda edizione: maggio 1975 Copyright by

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© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano

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Prefazione

Quando Franz Mehring scriveva nel 1908 che "la disputa intorno a Kant non avrebbe assunto una tale acutezza ed una tale ampiezza, se si fosse tra-ttato soltanto della importanza storica del filosofo di Konigsberg, che nessuno può contestare; ma che la famigerata richiesta di fare ritorno a Kant dalle strade sbagliate, nelle quali si affermava si fossero sviati dopo Kant i 'Begrifjsromantiker' Fichte e Hegel, doveva essere rigettata senza riserve e senza riguardi proprio per conservare al pensatore Marx la sua importanza storica," 1 egli coglieva senza dubbio ciò che era stato insieme il nucleo essenziale e la posta della discussione intorno a Kant, quale si era svolta all'interno e ai margini della socialdemocrazia tedesca negli anni a cavallo dei due secoli e: che, ora che il Mehring dettava queste righe, andava spegnendosi o comunque trasferendosi su altre basi. Il complesso dei problemi legati al nome di Kant era stato veramente in quegli anni, in un certo settore della cultura tedesca, uno di quei singolari nessi di valutazione e di interpretazione del passato, nel prendere posizione di fronte ai quali si definiscono, per il presente e per l'avvenire, forze, uomini e gruppi nel loro intreccio e nella loro reciproca lotta. Ma, appunto come suole accadere in simile genere di fenomeni, ben distinti si erano presentati, almeno all

"Die Neue Zeit;" XXVII (1908-1909), I, p. 310

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l'origine, gli elementi che dovevano sboccare in questa discussione ed alimentarla. Gli anni successivi al 1895 sono anni nei quali si pongono questioni di importanza decisiva per il movimento socialista internazionale, e in modo particolare per la sua punta pitt avanzata, che in questo momento è costituita, tanto sul piano della maturità teorica quanto sul piano della organizzazione e della estensione politica, dalla socialdemocrazia tedesca. La ,;_rrande vittoria elettorale del 20 febbraio 1890, che avevd' provocato la caduta di Bismarck e la fine del regime di leggi eccezionali, aveva conferito un enorme prestigio interno ed internazionale al partito tedesco: se negli anni immediatamente successivi aveva valso a fare pendere le sorti a favore del marxismo nelle discussioni in seno ai partiti operai dell'Europa continentale, all'interno della Germania aveva contribuito a presentare il partito dei lavoratori tedeschi come il partito della "democrazia sociale," per adoperare un termine che allora si impiegava in Italia per designare la socialdemocrazia tedesca e che ci sembra estremamente indicativo per porne in risalto quanto insieme di grandioso e di approssimativo, nelle aspettative e nelle aspirazioni, circondasse il movimento che aveva saputo uscire vittorioso, combattendo nel Parlamento e resistendo nel paese, a dodici anni di persecuzioni. Il fallimento della nuova proposta presentata da. Caprivi e da Eulenburg al Reichstag nel 1895 per limitare l'esercizio dei diritti politici da parte dei membri del partito socialdemocratico aveva valso, d'altra parte, a coronamento di tutto il movimento precedente, a sanzionare in modo definitivo quel prestigio e quei successi. Il partito della "democrazia sociale" acquistava una cittadi-- ~ nanza permanente nello Stato -tedesco: era il piu grande ," partito della Germania e la stessa demagogica politica·; "sòciale" di Guglielmo Il sembrava, agli qcchi di moltii

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legittimarne l'esistenza e giustificarne in qualche modo i grandiosi successi. Ma, proprio in questo momento che il partito socialdemocratico tedesco toccava il culmine della sua forza, si poneva di fronte ad esso il problema dell'impiego e dell'esercizio di questa forza stessa. Ed è appunto in questi anni che la discussione intorno a Kant si delinea nei suoi elementi essenziali, · presentata in due forme nettamente distinte, seppur confluenti, da intellettuali estranei al partito, e fino, a quel momento assai lontani dal movimento operaio, e da autorevoli esponenti del partito e da riconosciuti interpreti del mçirxismo. Se, infatti~ la voce di un "ritorno a Kant" si era levata fra filosofi e professori di filosofia tedeschi fino dagli anni '60, ben scarso era stato l'interesse per le sdenze. sociali dei neo-kantiani delle diverse tendenze, come pure. viceversa, ben limitato, per non dire quasi assolutamente nullo, si era rivelato l'interesse degli scrittori e dei pensatori sodalisti tedeschi per i problemi della filosofia kantiana. La prima generazione dei neo-kantiani si era composta per lo piu ài editori di testi, di studiosi del pensiero di Kant (K. Fischer, Zeller) oppure ,, di filosofi, che, provenienti da varie scuole e da diverse esperienze, erano confluiti in una rivalutazione kantiana della conoscenza, fortemente impregnata di "antisistematicità" e di scetticismo. La ripresa della dottrina morale kantiana con la "scuola di Marburgo" (Cohen, Natorp, Stadler, Stammler, Staudinger ecc.) aveva escluso, almeno in un primo tempo, un serio interessamento per le scienze sociali. La famosa affermazione del Cohen, essere Kant l'autentico fondatore del socia!ismo, è del 1896, cioè solo dopo decenni di attività filosofica del promotore della "scuola di Marburgo," e discendeva, a detta del suo stesso autore, dal "gigantesco progresso," ·che gli ultimi due decenni avevano segnato nel riconoscimento del diritto economico-giuridico del socialismo. Che, d'altra

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parte, non si trattasse di una semplice interpretazione storica avanzata a fine "rivendicativo," stava a dimostrarlo il fatto che il Cohen faceva seguire questa affermazione dall'elenco di una serie di condizioni a suo avviso indilazionabili per affrettare nel prese,1te la conciliazione fra Kant, e i moderni assertori del pensiero kantiano, e il socialismo nella sua forma politica organizzata. La eliminazione radicale del materialismo quale fondamento del socialismo, l'accettazione dell'idea di Dio quale coronamento teorico del socialismo, il rispetto delle idee del diritto e dello Stato in quanto idee autonome dai _rap-. porti sociali, la conciliazione delle idee di umanità e di popolo - tali erano appunto le condizioni poste per quella conciliazione 2 - indicavano abbastanza chiaramente gli obiettivi di direzione teorica del movimento opèraio, che questi intellettuali neo-kantiani avvicinantisi al socialismo si ripromettevano. L'avvicinamento al socialismo dei filosofi neo-kantiani,' insomma, costituiva senza dubbio una riprova del consolidamento della posizione della socialdemocrazia tedesca, una dimostrazione della forza di attrazione che il socialismo esercitava ancora in Germania sugli intellettuali (una riprova ed una dimostrazione di tanto piu significative in quanto si trattava, forse, dell'ultimo moto di simpatia di qualclie rilievo verso il .wcialismo, che, almeno fino alla prima guerra mondiale ed alla rivoluzione dt' Ottobre, si levasse dalla cultura tradizionale tedesca). Ma il carattere con mi questo moto si presentava, e che consisteva sostanzialmente nel fare derivare obiettivi e programmi del socialismo dalla dottrina morale kantiana e in modo particolare dalla seconda formulazione dell'imperativo categorico ("agisci in mo2 Per tutta la questione è prezioso il libro del" piì1 vicino al socialismo dei filosofi neo-kantiani: K. VoRLANDER, Kant und Marx. Ein Beitrag zur Philosophie des Sozialis_l!}us, Tiibingen, 191 I. 2• ed. ampliata, Tiibingen, 1926.

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do da trattare l'umanità, tanto nella tua persona. quanto nella persona di ogni altro uomo, sempre come fine e mai come semplice mezzo"), lo poneva ormai in termini di aspro antagonismo con l'orientamento marxista che il partito socialdemocratico era riuscito a conquist.1rsi negli anni delle leggi eccezionali e proprio sotto il fuoco incrociato della politica bismarckiana e degli allettamenti del· socialismo umanitario e piccolo-borghese (basti pensare, per osservare la concomitanza di queste due tendenze, alle discussioni sul "diritto al lavoro" e sulle colonie, che erano state caratteristiche della socialdemocrazia tedesca degli anni '80). Corrispondendo ad un modo caratteristico di accettare e di considerare il socialismo da parte dei ceti piccolo-borghesi, la conciliazione fra Kant e il socialismo, o, poiché almeno nei si1oi rappresentanti piu avvertiti non di una conciliazione fra il Kant storico e il socialismo si trattava, meglio dire1nmo la derivazione del socialismo dall'etica kantiana, si era diffusa anche fuori della Germania, in modi e forme diverse da paese a paese,3 ed anche in Italia aveva trovato una eco, assai informata ma non certo originale, nello scritto di un giovane studioso di filosofia simpatizzante per i/socialismo, Alfredo Poggi, l'attenzione del quale sugli scritti dei neokantiani tedeschi era stata richiamata da Antonio Labriola, per altro non sospetto di nùtrire eccessive simpatie in quella direzione.4 Questo movimento non avrebbe però assunto l'estensione e la rinomanza che gli furono propri, se non si fosse intrecciato, e non fosse stato alimentato, da una tendenza, da esso nettamente distinta, ma che si muoveva nella sua stessa direzione, e che proveniva da scritto-

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cit., p. 190 e sgg. 4 POGGI, Kant e il socialismo. La questione mor11le nel ~oçialismo, Palenno, 1904, · 3

K. A.

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ri marxisti e socialdemocratici, quali Conrad Schmidt, Ludwig Woltmann e, di gran lunga piu importante dei due precedenti tanto per il suo passato quanto per le vastissime implicazioni politiche con cui questo particolare '.'ritorno a Kant" era legato, Eduard Bernstein. Il Vorlander testimonia T)ella sua opera della esistenza di una lettera di Bernstein a lui diretta attestante l'influenza esercitata sul Bernstein dagli scritti dei neo-kantiani di _M"arburgo. 5 Pur tuttavia ci sembra necessario rilevare come il "ritorno a Kant" di Bemstein batta strade ben diverse e come il suo rapporto col Kant storico sia assai minore, e ben piu pretestuale, di quello di coloro che affermavano che la "Repubblica universale" di Kant era in realtà una società socialista, sia pure solo come visione di un pensatore cui mancavano le nozioni di economia politica per giustificarla. Può darsi che ci sbagliamo: ma quando Bernstein apriva l'ultima parte del suo scritto famoso con la invocazione "Kant contro Cant," qui Kant era assunto soltanto come sinonimÒ di "ragione" e di "metodo criticr/' in opposizione a "pregiudizio." La stessa richiesta per la socialdemocrazia "di un Kant che la finisca una buona volta con le teorie avvizzite, che dimostri come il suo materialismo apparente è al piu alto grado ideologia" stava a dimostrare che il nuovo Kant, annunciatore della nuova dottrina sociàlista, non era piu che un simbolo. Un simbolo, beninteso, tutt'altro che privo di un suo preciso contenuto e per di pitt mantenuto in stretta correlazione col termine di pa~~gone. Un Kant simbolo di un nucleo· scientifico marxista da salvare al di là della condanna delle superfetazioni metafisiche incrostatesi sul socialismo ("È possibile il socialismo come scienza?", intitolerà Bemstein

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una sua conferenza programmatica del 1901 riecheggiando il titolo di una famosissima opera di Kant), un Kant simbolo di un "metodo" marxista da isolare nel complesso del pensiero dei fondatori del socialismo scientifico da una influenza hegeliana che non li aveva vaccinati contro le pericolose costruzioni politiche (' Ciò che Marx ed Engels hanno prodotto di grande - scriveva Bernstein - essi l'hanno prodotto non grazie alla dialettica hegeliana, mc. malgrado essa. E se, d'altra parte, essi sono passati impassibili accanto agli errori piu gmssolani del blanquismo. la colpa ricade in primo luogo sulla presenza dell'elemento hegeliano nella loro teoria personale"6 ). Certo, la rivalutazione del Kant della "1·agion pratica" dei neo-kantiani filo-socialisti e, se cosi si può dire, la rivalutazione del Kant della "1·agion pura" compiuta dal Bernstein confluiranno l'una e l'altra nella posizione teorica che nei primi anni del nuovo secolo assumerà, nel la polemica degli "ortodossi" e dei "radicali," la denominazione, destinata a divenire definitiva, di "revisionismo.''7 Ma, con una funzio~e ben diversa. Ché, se il re- ,. visionismo, come ha ben visto Gramsci, consisteva principalmente, e in ciò assumeva forma e diffusione internazionali, nella riduzione del marxismo a un canone di interpretazione storica, era Bernstein che a questa posizione offriva il nocciolo teorico sostanziale, mentre i neo-kantiani alla Cohen e alla Vorliinder non facevano che dar corpo, tutto sommato con molta precisione di contorni ed anclie in un ambito abbastanza limitato, ad 6 E. BER:'pia ello . haha L le >rone. 1alJv1-

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corpo possedesse una sua particolare facoltà conoscitiva o se ogni senso che ci comunica la conoscenza del mondo esterno sviluppasse la sua particolare coscienza, ogni conoscenza di questo mondo e la collaborazione delle singole parti del corpo ne sarebbero assai ostacolate; i vantaggi della divisione del lavoro sarebbero tolti o mutati in svantaggi; l'appoggio che i sensi o gli organi del movimento si danno a vicenda finirebbe e al loro posto subentrerebbe un disturbarsi reciproco. Infine però la facoltà conoscitiva deve possedere anche la capacità di raccogliere e di confrontare delle esperienze. Per tornare ancora una volta al nostro uccellino, ci sono ,per esso due vie onde comprendere quale sia per lui il cibo migliore e piu facile a trovarsi, quali nemici siano per lui pericolosi e come si possa sfuggire ad essi. Da una parte, l'esperienza propria, dal!' altra l'osservazione della prassi di uccelli piu anziani, che hanno già delle esperienze. Si sa che nessuno riasce sapiente. Ogni individuo può affe'rmarsi nella sua lotta per l'esistenza tanto piu facilmente, quanto maggiori e meglio ordinate sono le sue esperienze; a ciò però è necessaria la dote della memori:i e la capacità di confrontare impressioni precedenti con impressioni posteriori e di ricavare da esse ciò che loro è comune, l'universale, di separare l'essenziale da ciò. che non è essenziale, vale a dire: pensare. Se l'osservazione per mezzo dei sensi ci comunica le differenze, il particolare, il pensare ci comunica il come, l'universale delle cose . "L'universale - dice Dietzgen - è il contenuto di tutti i concetti, di ogni col).oscenza, dj ogni scienza, di ogni atto di pensiero. Cosi dall'analisi della facoltà di pensare ri-

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suita che questa è la capacità di trarre dal particolare l'universale." Tutte queste caratteristiche della facoltà conoscitiva noi le troviamo già sviluppate nel mondo animale, anche se non in cosf alta misura come nell'uomo, e se piu spesso anche per noi è difficile riconoscerle; poi~hé non sempre è facile distinguere le azioni coscienti, dovute alla conoscenza, da quelle involontarie e incoscienti, dai puri movimenti di riflesso e istintivi, che anche nell'uomo harino ancora una grande funzione. Ma se noi troviamo queste caratteristiche della facoltà conoscitiva come necessari accessori del movimento autonomo già nel mondo animale, nelle stesse proprietà troviamo, d'altra parte, anche i limiti che persino l'intelletto piu vasto e piu profondo dell'uomo civile piu evoluto non può superare. Forze e capacità, che sono state. acquistate come armi nella lotta per l'esistenza, possono naturalmente essere rese utili anche per scopi diversi da quelli della garanzia della· esistenza, se l'organismo ha sviluppato in maniera abbastanza elevata il suo movimento autonomo e la sua facoltà conoscitiva, come pure la sua vita istintiva della quale parleremo subito. L'individuo può servirsi dei muscoli che in lui sono sviluppati per impadronirsi della preda e respingere il nemico, ma anc;he per il giuoco e la danza. Ma queste forze e capacità ricevono il loro carattere particolare soltanto attraverso la lotta per l'esistenza che le sviluppa. Il giuoco e la danza non creano dei muscoli particolari. Ciò vale anche per le energie e le capacità spirituali.

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Come necessario completamento del movimento autonomo nella lotta per l'esistenza ed essendo sviluppate per permettere all'organismo il movimento piu adatto possibile nel mondo circostante per la conservazione, esse possono essere utilizzate anche per altri scopi. Tra questi vi è il puro conoscere senza nessun secondo fine pratico, senza considerazione delle conseguenze pratiche che esso può portare con sé. Ma la nostra facoltà spirituale non è stata svi! u ppa ta attraverso la lotta per l'esistenza per essere un organo di pura conoscenza, bensi soltanto per essere un organo che con la conoscenza regoli finalisticamente i nostri movimenti. Cosi come essa serve perfettamente sotto quest'ultimo rapporto, serve imperfettamente sotto il primo rapporto. Collegata sin dall'inizio, nella maniera piu stretta, con il movimento autonomo, essa si perfeziona soltanto nella connessione con il movimento autonomo e può essere perfezionata soltanto in questa connessione. Anche il perfezionamento della facoltà conoscitiva umana e della conoscenza umana è legato, nella maniera piu stretta, al perfezionamento della prassi umana, come vedremo. La prassi è ancora ciò che ci garantisce la sicurezza delle nostre conoscenze. Non appena la mia conoscenza mi mette in grado di provocare con sicurezza determinati effetti, la cui produzione è in mio potere, il rapporto di causa ed effetto cessa per me di essere semplice caso o semplice apparenza, semplice forma della conoscenza, al quale essa può dare benissimo il carattere di pura intuizione e di puro pensiero. La conoscenza di questo rapporto viene

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elevata dalla prassi a conoscenza di qualche cosa di reale e a conoscenza sicura. I limiti della prassi attestano, certamente, anche i limiti della nostra conoscenza sicura. Il fatto che la teoria e la prassi siano reciprocamente legate e che il risultato migliore possa di volta in volt3 essCJre raggiunto soltanto dalla loro reciproca compenetrazione non è che la necessaria conseguenza della circostanza per cui movimento e facoltà conoscitiva hanno dovuto andare di pari passo sin dai loro primi inizi. Nel corso dello sviluppo della società umana, la divisione del lavoro ha determinato la rottura dell'unità naturale di questi due fattori, ha creato delle classi, cui spettava principalmente il movimento, e altre, cui spettava principalmente la conoscenza. Abbiamo già accennato che ciò si è rispecchiato nella filosofia con la creazione di due mondi, uno spirituale, superiore, e uno corporeo, inferiore. Natur.~mente, però, queste due funzioni non possono essere separate in nessun individuo e l'odierno movimento proletario agisce con grande forza onde por fine a questa divisione di classe, e con ciò stesso anche alla filosofia dualistica, alla filosofia del puro conoscere. Anche le conoscenze piu profonde e, piu astratte, che sono apparentemente le piu lontane dalla· prassi, influiscono su di essa e ne subiscono l'influenza, e portare alla nostra coscienza tale influenza appartiene ai compiti di una critica della conoscenza umana. Cosi la conoscenza rimane in ultima analisi sempre un mezzo nella lotta per l' esistenza, un mezzo per dare ai nostri movimenti le forme e le direzioni piu opportune, siano essi movimenti nella natura o nella società.

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"I filosofi si sono limitati ad interpretare il mondo in rnamera diversa - dice Marx - bisogna invece modificarlo."

3. Gli istinti di conservazione e di procreazione Le due facoltà del movimento autonomo e della conoscenza sono dunque inseparabili come armi nella lotta per l'esistenza. L'una si è sviluppata con l'altra, e nella misura in cui queste armi aumentano di importanza nell'organismo, diminuiscono altre, piu originarie, che adesso sono meno necessarie, per esempio la sua fecondità e la sua vitalità. D'altro canto, nella misura in cui queste diminuiscono deve aumentare l'importanza dei primi fattori per la lotta per l'esistenza, che deve favorirne il maggiore sviluppo. Ma movimento autonomo e conoscenza non formano di per se stessi una sufficiente arma nella lotta per l' esistenza. A che mi servono in questa lotta i muscoli piu forti, le membra piu agili, i sensi piu acuti, l'intelligenza piu grande, se non sento in me stesso l'impulso ad adoperarli per la mia conservazione, se la visione del cibo, la percezione del pericolo mi lasciano indifferente e non provocano in me nessun movimento? Movimento autonomo e facoltà conoscitiva diventano armi nella lotta per l' esistenza soltanto se con esse interviene in pari tempo un impulso alla conservazione dell'organismo il quale fa s1 che ogni conoscenza importante per la propria esistenza generi immediatamente la volontà di cçmpiere il movimen-

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to necessario per la propria esistenza e con ciò stesso lo provoca. Movimento autonomo e facoltà conoscitiva sono pnv1 di importanza per l'esistenza dell'individuo senza l'istinto di conservazione, come d'altra parte quest'ultimo è a sua volta privo di scopo senza quei due fattori. Tutti e tre sono legati nella maniera piu stretta, si condizionano reci- · procamente e crescono assieme. L'istinto di conservazione è il piu originario degli istinti animali ed anche il piu indispensabile. Senza di esso nessuna specie di animale, dotata in qualche modo di movimento autonomo e di fa_ coltà conoscitiva, potrebbe conservarsi anche solo per breve tempo. Esso domina l'intera vita dell'animale. La stessa evoluzione sociale che attribuisce la cura della facoltà conoscitiva a classi particolari e quella del movimento pratico ad altre e che nelle prime genera la presunzione del puro "spirito" sulla "materia" grossolana, va cosi lontano nell'isolamento della facoltà conoscitiva che questa passa dal disprezzo della prassi "banausica," che serve alla conservazione della vita, al disprezzo della vita stessa. Ma questo tipo di "conoscenza" non è mai stato capace di su-· perare l'istinto di conservazione e di rendere inattiva la prassi che serve alla conservazione della vita. Anche se qualche suicidio potrebbe essere motivato filosoficamente, in ogni atto pratico di rinnegamento della vita si incontrano sempre, come cause, la malattia o disperate situazioni sociali, mai una dottrina filosofica. L'istinto di conservazione non si può superare con il puro filosofare. Ma anche se questo è il piu originario e il piu diffuso di tutti gli istinti che la lotta per l'esistenza ha alimentato,

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JJOn è l'unico. Esso serve semplicemente alla conservazione dell'individuo. Ma per quanto a lungo l'individuo possa esistere, alla fine perisce senza lasciare tracce della propria individualità, se non si riproduce. Nella lotta per la esistenza si affermeranno soltanto quelle specie di organismi che lasciano una discendenza. Nelle piante e negli animali inferiori la procreazione è un procedimento· che non richiede nessuna specie di movimento autonomo e nessuna facoltà conoscitiva. Le cose cambiano negli animali, non appena la procreazione diventa procreazione sessuale, cui partecipano due individui che si debbono accoppiare per deporre uova e semi nello stesso luogo al di fuori del corpo o per inserire il seme nel corpo dell'individuo che porta l'uovo. Ciò richiede una volontà, un impulso a trovarsi e a unirsi. Senza questo non può compiersi la procreazione; quanto piu forte esso è, nei periodi favorevoli alla procreazione, tanto prima si compirà, tanto piu favorevoli saranno le prospettive di ottenere una discendenza, di conservare la specie. Invece tali prospettive sono cattive per individui e specie in cui l'istinto della procreazione è debolmente sviluppato. Da un dato grado di sviluppo, perciò, la selezione naturale, attraverso la lotta per l'esistenza, deve sviluppare un deciso istinto di riproduzione nel mondo animale e rafforzarlo sempre piu. Ma non sempre esso è sufficiente per ottenere una numerosa discendenza. Noi abbiamo già visto che, nella misura in cui crescono il movimento autonomo e la facoltà conoscitiva, il numero dei germi che 1: individuo produce come la sua vitalità hanno la tendenza a diminuire. D'al-

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tra parte, quanto maggiore è la divisione del lavoro, quanto piu complicato è l'organismo, tanto piu è lungo il periotlo necessario al suo sviluppo e alla sua maturazione. Anc;he se una parte di questo periodo si compie nel corpo materno, ciò avviene in maniera limitata. Se non altro per ragioni di spazio questo corpo non è in grado di portare in se stesso un organismo eguale a quello adulto. Esso deve espellere da sé l'organismo giovane assai prima che esso abbia raggiunto un tale stadio. Le capacità del movimento autonomo e della conoscenza sono raggiunte assai tardi dall'animale giovane e in generale sono ancora assai debolmente sviluppate quando esso abbandona il guscio dell'uovo che lo proteggeva o il corpo materno .. L'uovo espulso dalla madre è esso stesso completamente privo di movimento e di conoscenza, perciò la sollecitudine per la prole diventa una importante funzione della madre: nascondere e difendere le uova e i figli, nutrirli, ecc. Come l'istinto di procreazione anche l'amore per la prole è sviluppato nel mondo animale e specialmente l'amore materno come mezzo indispensabile per assicurare in una certa misura la conservazione della specie. Questi istinti non hanno niente a che fare con l'istinto di conservazione individuale; spesso entrano in conflitto con esso e possono diventare cosi forti da superarlo. È chiaro che, a parità di condizioni, hanno le migliori prospettive di riprodursi e di ereditare le loro caratteristiche ed istinti quegli individui e quelle specie nei quali l'istinto di conservazione non è in grado di nuocere agli istinti di riproduzione e di protezione dei discendenti.

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4. Gli istinti sociali Accanto a questi istinti, propri degli animali superiori, la lotta per l'esistenza sviluppa in singole specie animali anche altri particolari istinti, condizionati dalla peculiarità del loro modo di vita, per esempio l'istinto alla migrazione del quale non vogliamo occuparci qui. A noi qui interessa soltanto ancora una specie di istinti, che sono della massima importanza per il nostro argomento: gli istinti sociali. La convivenza di organismi uguali in masse piu grandi è un fenomeno che noi possiamo scoprire nei suoi minimi inizi già nei microbi. Esso si spiega per il solo fatto della riproduzione. Se gli organismi non hanno nessun movimento autonomo, naturalmente i discendenti si raccoglieranno attorno a chi li ha generati a meno che movimenti del mondo esterno, correnti d'acqua, venti e altre cose del genere, non ne portino lontano i semi. La mela, come è noto, non cade lontano dall'albero e, se non viene mangiata e cade su terreno fertile, dai suoi semi nasceranno degli alberelli che faranno compagnia al vecchio albero. Ma anche negli animali con movimento autonomo è evidente che i figli rimarranno presso i vecchi se circostanze esterne non diano un motivo perché essi si allontanino da loro. La convivenza di individui della stessa specie, che è la forma originaria della vita sociale, è anche la forma originaria della vita in generale. La separazione di organismi che hanno una origine comune è un atto posteriore. Questa separazione può avere le cause piu diverse. La prima e la piu efficace è la mancanza di nutrimento. Ogni

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località può dare soltanto una determinata quantità di alimenti. Se in essa una specie animale determinata si sviluppa oltre le sue possibilità di alimentazione, coloro che sono in soprappiu debbono o morire di fame o emigrare. La massa degli organismi della stessa specie conviventi in · una località determinata non può superare un certo numero. Ma vi sono certe specie animali per le quali l'isola- . mento, la separazione in coppie o in individui che vivono da soli offre un vantaggio nella lotta per l'esistenza. Cosi per esempio per quelle specie di felini che attendono la preda e la ghermiscono improvvisamente, con un salto. Questa maniera di ottenere il proprio sostentamento sarebbe per essi assai difficile, forse impossibile, se andassero attorno in grandi branchi. Il primo salto sulla preda farebbe fuggire la selvaggina per tutti gli altri. Per i lupi invece, che non aggrediscono improvvisamente la preda, ma la cacciano fip.o a farla morire, lo stare assieme in branchi può rappresentare un vantaggio; uno caccia la selvaggina per l'altro che le taglia la strada. Il felino invece caccia meglio da solo. D'altra parte vi sono degli animali che cercano l'isolamento perché in tal modo sono pochissimo riconoscibili, possono nascondersi piu facilmente e sfuggono meglio ai nemici. Gli appostamenti dell'uomo hanno fatto sf, ad · esempio, che alcuni animali, i quali prima vivevano Ì1Ì .. compagnia, adesso si possdno trovare soltanto isolati, comc,y il castoro in Europa. È questa per lui l'unica strada f>Cl',; rimanere inosservato. Inoltre però vi sono numerosi animali

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vita sociale traggono dei vantaggi. Raramente sono animali da rapina. Sopra abbiamo ricordato i lupi, ma anche essi cacciano in branchi soltanto quando la preda è rara, d'inverno. D'estate, quando è piu facile trovare da man. giare, essi vivono in coppie. La natura dell'animale da rapina è incline sempre alla lotta e all'azione violenta e perciò anche alla intolleranza verso i suoi pari. Piu pacifici, per il modo con cui si procurano il cibo, sono gli erbivori. Già questo fatto favorisce il loro radunarsi in branchi o piuttosto lo stare assieme della loro prole. Ciò li spinge anche a collaborare o a rimanere insieme perché sono inermi, ma in numero maggiore acquistano una nuova arma nella lotta per l'esistenza. La unione di piu forze deboli in una azione comune può produrre una nuova forza, maggiore. Ma allora nell'unione le energie preminenti dei singoli vanno a 'vantaggio di tutti. Se i piu forti combattono per sé, combattono anche per i piu deboli; se i piu esperti si preoccupano per la loro sicurezza, cercano per sé dei pascoli, lo fanno anche per gli inesperti. Adesso diventa possibile introdurre una divisione del lavoro tra gli individui associati, la quale, per quanto possa essere momentanea, aumenta le loro forze e la loro sicurezza. È impossibile osservarè con la piu grande attenzione i dintorni e nello stesso tetnpo pascolare in piena tranquillità. Durante il sonno naturalmente _termina qualsiasi specie di osservazione, ma per la osservazione basta una sentinella per dare agli altri la sicurezza durante il pascolo o durante il sonno. Con la divisione del lavoro, l'unione degli individui I~ diventa un corpo con diversi organi per una collaborazione

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conforme ad un fine: e questo fine è la conservazione del corpo nella sua totalità; l'unione diventa un organismo. Con ciò tuttavia non è detto che il nuovo organismo, la società, sia un corpo allo stesso modo che un animale o una pianta; esso è invece un organismo di tipo particolare, diverso da tutt'e due, assai piu di quanto l'animale sia diverso dalla pianta. L'animale e la pianta sono fatti di cellule senza movimento autonomo e senza coscienza propria; la società invece è fatta di individui con movimento proprio e con coscienza propria. Ma se l'organismo animale possiede, in quanto totalità, movimento autonomo e coscienza, alla società questi mancano come alla pianta. Ma gli individui, che formano la società, possono affi-. dare a singoli membri di essa delle funzioni per le quali essi sottomettono le forze sociali ad una volontà unitaria e provocano movimenti unitari della società. D'altra parte l'individuo e la società sono m un rapporto assai meno stretto che la cellula e l'organismo nel suo complesso nelle piante e negli animali. L'individuo può distaccarsi da una società e unirsi ad un'altra, come dimostra l'emigrazione. Ciò è impossibile per una cellula, pe_r essa il distaccarsi dalla totalità significa morire, se si eccettuano singole cellule di tipo particolare, come i semi e le uova nei processi di fecondazione. A sua volta la società può incorporare senz'altro nuovi individui senza nessun metabolismo, senza un qualsiasi mutamento di forma, il che, per un corpo animale, è assolutamente impossibile. Infine gli individui che formano la società possono in date circostanze mutare gli organi e l'organiz-

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zazione della società, mentre qualcosa del genere è escluso nell'organismo animale o vegetale. Se dunque la società è un organismo, non è un organismo animale; e il voler spiegare un qualsiasi fenomeno proprio della società, per esempio un fenomeno politico, partendo dalle leggi dell'organismo animale è non meno privo di senso che il voler derivare caratteristiche dell'organismo animale, come movimento autonomo e coscienza, dalle leggi dell'esistenza vegetale. Naturalmente ciò non vuol dire che non esista qualche cosa in comune tra i diversi tipi di organismo. Come l'organismo animale, anche quello sociale potrà resistere tanto meglio nella lotta per l'esistenza quanto piu i suoi movimenti- sono unitari, quanto piu solida è la sua coesione e quanto piu grande è l'armonia delle sue parti. Ma la società non ha uno scheletro che tenga assieme i tessuti, non ha una pelle che ricopra il tutto, non ha una circolazione del sangue che nutra tutte le parti, un cuore che la regoli, un cervello che renda unitari la sua conoscenza, la sua volontà, i suoi movimenti. La sua unitarietà e armonia, cosf come la sua coesione, possono nascere soltanto dalle azioni e dalle volontà dei suoi membri. Questa volontà unitaria sarà però tanto piu garantita quanto piu essa nasce da un forte istinto. In specie animali nelle quali la coesione sociale diventa un'arma efficace nella lotta per l'esistenza, tale coesione alimenta degli istinti associativi e sociali che in talune specie e in qualche individuo giungono,ad una forza cosi stupefacente da riuscire a superare persino gli istinti di

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conservazione e di riproduzione nel caso che entrino m conflitto con essi. Noi possiamo ben vedere l'inizio degli istinti sociali nell'interesse che la semplice convivenza sociale risveglia in un individuo per i suoi vicini, alla cui compagnia egli è abituato sin dalla giovinezza. Dall'altra parte la riproduzione e la sollecitudine per la discendenza determi- _ nano necessariamente dei rapporti piu stretti, che durano piu o meno a lungo tra diversi individui della stessa specie. E come questi rapporti potrebbero avere rappresentato i punti nodali per la formazione della società, cosi gli istinti ad essi corrispondenti possono aver dato i punti nodali per lo sviluppo degli istinti sociali.

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Questi istinti stessi possono essere diversi a seconda delle diverse condizioni di vita delle diverse speoe, ma una serie di istinti forma la condizione preliminare per la prosperità di qualsiasi tipo di società. Cosi innanzitutto, naturalmente, l'altruismo, la dedizione all'universalità. Quindi il coraggio nella difesa degli interessi comuni; la fedeltà verso la comunità; la sottomissione alla volontà della totalità e quindi l'obbedienza o disciplina; la sincerità verso la società, la cui sicurezza si mette in pericolo o le cui forze si sciupano se la si induce in errore, per esempio con dei falsi segnali. Infine l'orgoglio, la sensibilità per la lode e il biasimo della comunità, tutti questi · sono istinti sociali che troviamo già in maniera pronunciata nelle società animali e alcuni di essi, talvolta, in alta misura.. Questi istinti sociali però non sono niente altro che le virtu piu sublimi1 e la loro quintessenza è la legge morale. ·

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Tutt'al piu manca fra questi soltanto l'amore per la giustizia, vale a dire l'impulso all'eguaglianza; per il suo sviluppo certamente non vi è posto nelle società animali, poiché esse conoscono disparità sociali che sono soltanto naturali, individuali e non provocate dai rapporti sociali. La sublime legge morale per cui il compagno non deve mai essere un puro e semplice mezzo, che i nostri kantiani considerano come l'impresa piu possente del genio di Kant e come il "programma morale della nuova epoca e di tutto il futuro della storia universale," nelle società animali è una cosa ovvia. Soltanto lo sviluppo della società umana ha creato delle condizioni nelle quali un membro della società ha potuto diventare semplice strumento di altri. Ciò che ad un Kant appariva ancora come il prodotto di un superiore mondo degli spiriti è un prodotto del mondo animale. Quanto strettamente gli istinti sociali siano cresciuti assieme alla lotta per l'esistenza e quanto essi, originariamente, servissero soltanto alla conservazione della specie, lo si vede già dal fatto che la loro efficacia spesso si estende a individui la cui conservazione è vantaggiosa per la specie. Tutta una serie di animali che mettono in giuoco la loro vita per salvare dei compagni piu giovani o piu deboli uccidono senza scrupoli compagni malati o vecchi che sono diventati superflui per la conservazione della specie e sono un peso per la società. Il "senso morale," la "simpatia" non si estende a questi elementi. Anche molti selvaggi agiscopo cosi. La legge morale non è altro che un istinto animale. Di

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qui la sua natura misteriosa, questa voce in noi, che non è legata a nessun impulso esterno, a nessun interesse visibile, questo demone o dio che, da Socrate e Platone fino a Kant, hanno sentito dentro di sé quei filosofi che si rifiutavano di derivare l'etica dall'egoismo o dal piacere. Certamente essa è un impulso misterioso ma non piu misterioso dell'amore sessuale, dell'amore materno, dell'istinto di conservazione, dell'esistenza dell'organismo in generale e di molte altre cose che appartengono soltanto al mondo dei "fenomeni" e che nessuno considererà mai prodotti di un mondo superiore. Dal fatto che la legge morale è un istinto animale, come gli istinti di conservazione e di riproduzione, derivano la sua forza, il suo incalzare, cui noi obbediamo senza riflettere, la nostra rapida decisione in singoli casi se una azione sia buona o cattiva, virtuosa e viziosa; di qui derivano la decisione e l'energia del nostro giudizio morale ed anche la difficoltà di spiegarlo quando la ragione comincia ad analizzare le azioni e a chiederne i motivi. Cosi si trova infine che tutto comprendere significa tutto perdonare, che tutto è necessario e che niente è buono o cattivo. Assieme alla legge morale, anche il giudizio morale, come il sentimento del dovere e la coscienza, non deriva dalla nostra facoltà conoscitiva, bens1 d_alla nostra vita istintiva. In talune specie animali gli istinti sociali acquistano un vigore tale da diventare piu forti di tutti gli altri. Se quegli istinti entrano in conflitto con questi, essi .s1 1mpo11-

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gono come comandamenti del dovere. Ciò non toglie tuttavia che in tal caso un istinto particolare, per esempio quello di conservazione o di riproduzione, sia transitoriamente piu forte dell'istinto sociale e lo superi. Ma quando il pericolo è passato, la forza dell'istinto di conservazione diminuisce immediatamente, come quella dell'istinto di riproduzione una volta compiuto l'accoppiamento. L'istin. to sociale però conserva la sua antica forza e adesso chiede nuovamente il predominio nell'individuo e agisce su di esso come la voce della coscienza e del rimorso. Niente di piu sbagliato che il vedere nella coscienza il timore dei compagni, della loro opinione o, addirittura, della loro costrizione fisica. La coscienza agisce anche in rapporto ad azioni che nessuno è venuto a sapere, persino in rapporto ad azioni che sembrano molto lodevoli all'ambiente; anzi essa può agire anche éome orrore per .azioni che si siano compiute per paura dei compagni e della loro opinione ,, pubblica. L'opinione pubblica, la lode e il biasimo sono certamente dei fattori molto potenti. Ma la loro efficacia presuppone già un determinato istinto sociale, l'orgoglio; essi non possono generare gli istinti sociali. Non abbiamo alcun motivo di supporre che la coscienza si limiti all'uomo. Difficilmente potremmo scoprirla anche negli uomini, se ognuno non ne sentisse gli effetti in s~ stesso. La coscienza è anzi una forza che non interviene in maniera inequivocabile e manifesta, bensi agisce soltanto nelle pieghe piu intime dell'.essere. Tuttavia parecchi scienziati sono giunti à SU!Jporre una specie di coscien-

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za anche nelle bestie. Cosf Darwin dice nel suo libro sull'origine dell'uomo: "Gli animali dimostrano, oltre all'amore e alla simpatia, altre proprietà che sono in relazione con gli istinti sociali, che nell'uomo si chiamerebbero morali; ed io sono d'accordo con Agassiz sul fatto che i cani abbiano qualcosa di assai simile alla coscienza. I cani certamente possiedono qualche cosa come la forza di dominarsi e questa non sembra essere del tutto una conseguenza della paura. Come osserva Braubach, un cane si asterrà dal rubare il cibo in assenza del padrone." Se la coscienza e il sentimento del dovere in parecchie specie animali sono la conseguenza di un predominio durevole delle forze sociali, tali istinti sono quelli da cui gli individui di quelle specie vengono determinati in maniera piu uniforme e duratura, mentre la forza degli istinti sociali non è esente da qualsiasi oscillazione. Uno dei fenomeni piu caratteristici è quello per cui animali sociali, se sono uniti in masse piu grandi, sentono anche istinti sociali piu forti. È un fenomeno noto, per esempio, che in una assemblea con molti partecipanti spira una atmosfera del tutto diversa che in una assemblea con pochi partecipanti e che la piu grande massa, da sola, infiamma anche gli oratori. Gli uomini in massa non sono soltanto piu coraggiosi - ciò lo si potrebbe spiegare con il maggiore appoggio che ognuno crede di trovare nel compagno - essi sono anche piu altruisti, piu pronti al sacrificio, piu entusiasti. ·E, certamente, anche troppo spesso piu impauriti, piu vili, piu egoisti, se si

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