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Italian Pages 584 Year 2004
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La Cultura Storica 24 Collana di testi e studi diretta da Giuseppe Cacciatore e Fulvio Tessitore Segreteria di redazione Domenico Conte e Edoardo Massimilla
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Roberto Celada Ballanti
ERUDIZIONE E TEODICEA Saggio sulla concezione della storia di G. W. Leibniz
con una nota di Fulvio Tessitore
ISSN- 1972 - 0688
Liguori Editore
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Questo volume viene pubblicato con il contributo del MIUR, dell’Università degli Studi di Napoli ‘‘Federico II’’ e dell’Università degli Studi di Genova
Questa opera è protetta dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni. L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La duplicazione digitale dell’opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa Editrice Liguori è disponibile all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=legal Liguori Editore Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/ © 2004 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Novembre 2004 Celada Ballanti, Roberto : Erudizione e teodicea. Saggio sulla concezione della storia di G.W. Leibniz/Roberto Celada Ballanti La cultura storica Napoli : Liguori, 2004 ISBN-13 978 - 88 - 207 - 5028 - 2 ISSN- 1972 - 0688 1. Storia della storiografia 2. Teodicea filosofica I. Titolo. Aggiornamenti: ————————————————————————————————————— 12 11 10 09 08 07 06 05 04 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
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INDICE XI
Presentazione di Fulvio Tessitore
1
Prefazione
5
Avvertenza
7
Introduzione. La storia tra erudizione e “romanzo di Dio”
99
Capitolo primo “Unruhe”. Astrazione e fondo dell’anima. Il tempo e la sua relazione con la storia 1. – Premessa. “Pretiosissimum tempus” 99; 2. – Tra meccanica e infinito. Il labirinto del continuo e l’idealita` del tempo. Il tempo come principio tassonomico 110; 3. – Temporalita` e inquietudine: dal tempo astratto alla durata concreta. La “linea” e la “piega” come figure del tempo. Tra giusnaturalismo e storicismo 136; 4. – Precisazioni sulla durata dal punto di vista gnoseologico, ontologico e metafisico. Gli e´clats de la Divinite´ e la prova dell’esistenza di Dio. Durata “icnografica” e durata ‘‘scenografica’’ 156; 5. L’abisso e il decentramento del tempo. Universalizzazione del tempo religioso e teodicea del tempo 169; 6. – La teologia razionale e il tempo. L’eternita`, il principio di ragione e la dottrina della creazione continua 184; 7. – La temporalita` nella storiografia annalistica e nella metafisica della storia. Le “pressioni qualitative” delle monadi e il tempo nel De rerum originatione radicali 198; 8. – Tempo storico e legge di continuita`. La legge di continuita` come fondamento ontologico della storiografia annalistica e la sua eccedenza 220.
229
Appendice I. Il tempo e la sua “idealita`”. Riflessioni su Leibniz e Borges. Contributo alla storia delle “monadologie letterarie” del XX secolo 1. – La poetica dei mondi possibili e il tempo. Il possibile e l’ucronia 229; 2. – Il Libro, l’Universo e la Biblioteca di Babele 235; 3. – I paradossi di Zenone, il tempo e l’eternita`. L’ultimo nome di Dio 241.
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viii
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249
INDICE
Capitolo secondo Erudizione e storia. L’attivita` storiografica e l’epistemologia storica 1. – Leibniz e la storia: dalla formazione giovanile all’incarico storiografico (1646-1685) 249; 2. – “Ego diu per Bibliothecas et Monasteria vagus ...”: gli anni del viaggio per la storia guelfa (1687-1690) e i risultati conseguiti. Il progetto del Collegium Historicum Germanicum e il suo fallimento 270; 3. – Dal ritorno ad Hannover (1690) e dai piani di ricerca per la Welfengeschichte alla redazione degli Scriptores rerum Brunsvicensium (1707-1711) 278; 4. – La corrispondenza con Ludovico Antonio Muratori (1708-1716) e la redazione degli Annales Imperii Occidentis Brunsvicenses 297; 5. – La concezione generale della storia 310; 6. – Le fonti e la critica storica 336; 7. – La causalita` nella storiografia leibniziana. Due logiche della storia. Il legame tra erudizione storica e Caratteristica universale. Prospettivismo e storia: da Leibniz a Chladenius 368; 8. – Erudizione e filosofia. I fondamenti gnoseologici e ontologici della storiografia leibniziana: logica del probabile e legge di continuita`. Conclusioni circa i rapporti tra storiografia e sistema filosofico 384.
403
Capitolo terzo Metafisica, teodicea e storia. Il “romanzo di Dio” e il progresso del mondo 1. – Premessa. Leibniz tra secolarizzazione della storia universale e teodicea della storia 403; 2. – Iustitia Dei e storia. I presupposti e il significato fondamentale della teodicea della storia leibniziana. Dinamismo e progresso nelle idee di Gloria di Dio e di armonia universale 408; 3. – La storia universale come “romanzo di Dio”. Dalle Geschichten alla Geschichte 425; 4. – Leibniz: “filosofo della storia” oppure “tra due storicismi”? 438; 5. – Progresso, teodicea e principio di armonia. Il progresso come escatologia infinitamente differita. La monade e l’etica del progresso. Accelerazione e Neuzeit 450.
471
Appendice II. Questioni di teodicea. Il male e la sua Rechtfertigung nel migliore dei mondi possibili 1. – I battelli di Leibniz, la materia prima e il male metafisico 471; 2. – L’origine del male, Dio e il migliore dei mondi possibili. Il rapporto tra il male metafisico e il male morale e fisico 480; 3. – Vanificazione del male e irragionevole ottimismo? Alcune prospettive di ermeneutica leibniziana 483; 4. – Infinita` e incommensurabilita` del male. Il Nulla e i numeri irrazionali 490; 5. – Arcana armonia. Gli equivoci di Pangloss 495; 6. – Theoria cum praxi. Teodicea pratica ed etica del progresso 504.
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INDICE
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509
ix
Capitolo quarto Storia universale ed escatologia. Il frammento sull’Apokatastasis (1715) 1. – Le circostanze storiche 509; 2. – Origenismo ed eternita` dell’inferno nell’eta` della crisi della coscienza europea 519; 3. – La Biblioteca di Babele e l’eterno ritorno. La storiografia tra atomismo e combinatoria 528; 4. – Storia universale, petites perceptions e harmonia mundi 539; 5. – Apokatastasis, evoluzione e conoscenza 544; 6. – Conclusione. Tra Annali e armonia universale: la teoria leibniziana della storia alla luce del frammento sull’Apokatastasis 548.
557
Indice dei nomi
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PRESENTAZIONE
La presentazione di questo gran bel libro di Roberto Celada Ballanti non puo` iniziare che con alcuni – mi auguro sobri – riferimenti personali e a persone a me assai care ed importanti, non solo per me, nella cultura filosofica italiana della seconda meta` del Novecento. Per quanto mi tocca piu` da vicino devo risalire alla scoperta che per me studente di liceo fu la lettura, nella Biblioteca Nazionale di Napoli, del ponderoso libro di Louis Daville´, Leibniz historien (pubblicato nel 1909). Interessato alla cultura di eta` barocca, anche per suggestione della grande monografia crociana del 1929, mi avventuravo, inesperto, in letture difficili, pesanti, noiose e, tuttavia, per me utilissime. Da allora ho sempre cercato, piu` tardi sollecitando qualche giovane studioso della mia scuola, di favorire un ripensamento del tema della storia in Leibniz, per verificare e completare la pur imponente ricerca del Daville´. A cio` ero spinto anche dai miei studi meineckiani e sulla storia dello storicismo. Per ragioni molteplici, di cui qui e` inutile far cenno dettagliato (anche perche´ esse sono agevolmente intuibili), quel mio lontano interesse incrocio`, perfezionandosi e rafforzandosi, le interpretazioni vichiane di Pietro Piovani, nelle quali il problema del significato della storia in Vico ha un rilievo centrale e lo ha nell’avvertita esigenza di esaminarlo nel contesto della cultura napoletana previchiana e vichiana, scorgendo di questa il respiro europeo, il rapporto e il confronto con la coeva cultura europea. Il che implicava l’attenzione per Leibniz, funzionalmente avvicinato a Vico nel contesto della crisi della coscienza europea. Ne´ posso dimenticare la sollecitazione congiunta che Piovani ed io rivolgemmo ad un caro maestro, che gia` aveva studiato Leibniz con originalita`. Fu cosı` che Antonio Corsano scrisse il volumetto Bayle, Leibniz e la storia, edito nella collana di “Studi vichiani” del Centro napoletano del CNR dedicato a Vico. La convinzione che sia possibile (e fosse necessario, negli anni Sessanta) ricostruire la tradizione della filosofia e della cultura storicistica con
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xii
PRESENTAZIONE
piena consapevolezza delle linee spezzate, delle discrasie e perfino dei sentieri interrotti di questa tradizione, importo` per le mie ricerche storicistiche, suggerite da Pietro Piovani e ispirate a momenti importanti della teoresi piovaniana sulla conoscenza storica, una serie di incontri, apparentemente lontani da Leibniz e da Vico (che pure non considero due capitoli della storia dello storicismo se non per le interpretazioni che hanno ricevuto dentro la tradizione storicistica da grandi interpreti dello storicismo, da Dilthey a Troeltsch, da Croce a Meinecke, per far solo qualche nome). Cosı`, quando Giovanni Moretto invio` a Piovani e a me il dattiloscritto del suo importante lavoro su Etica e storia in Schleiermacher (poi pubblicato a Napoli in una collana ispirata e diretta, inizialmente, da Piovani), la necessita` di un rinnovato studio di Leibniz e della storia in Leibniz si impose per definire origini e ragioni di problemi, tra loro connessi, quali quelli della teologia della storia e della storia universale, dell’individualita` storica e religiosa e della sua genesi nella ripresa settecentesca del platonismo e nel pietismo, delle origini della critica della ragione storica. Fu per questo che Piovani suggerı` a Giovanni Moretto di studiare Leibniz, come Celada Ballanti ricorda nella sua Prefazione. Insomma, per farla breve, questa ricerca di Celada Ballanti sulla storia in Leibniz viene da lontano e consacra una koine´ storiografica e teoretica tra la scuola genovese di Alberto Caracciolo e quella napoletana di Pietro Piovani, che agisce per fili sottili e tuttavia resistenti, nonostante le diversita` e perfino le divergenze tra i due maestri e i loro allievi. Se, dunque, Celada Ballanti soddisfa un’antica esigenza, dandole forza argomentativa, mi pare indispensabile dire brevemente di questa sua importante ricerca, che va seguita nella sua ben costruita analiticita`, in grado di fondere l’acuta consapevolezza storiografica della questione, indagata nel confronto con la bibliografia sul tema, con la proposta di una originale e convincente linea interpretativa e ricostruttrice delle idee di Leibniz sulla storia, del Leibniz storico e filosofo della storia o, meglio, pensatore storico. La tesi di Celada Ballanti – che, in vero, non tollera semplificazioni contrastanti con la ricchezza analitica di fini e puntuali ricostruzioni – e` la dimostrazione che Leibniz precorra, tra nova et vetera, le filosofie della conoscenza storica illuministiche e storicistiche, pur senza riuscire a definire un tessuto unitario tra erudizione storica e sistema filosofico. Tra l’erudizione annalistica della prassi storiografica e la teodicea della storia si produce una «integrazione imperfetta», una «circolarita` difettosa» che non riescono a correlare il piano gnoseologico, «governato dalla logica del probabile», e il piano ontologico, retto dalla legge di continuita`. Il che non
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PRESENTAZIONE
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importa la sottovalutazione di una eccedenza categoriale di nozioni quali «infinita` dell’individuale», «forza interna e dinamismo monadico», «temporalita` come sviluppo non lineare di prospettive della durata», «ontologia dell’inesauribilita` dell’evento», «connessione e armonia contestuale» rispetto alla dimensione fattuale affidata al minuto andamento annalistico e al modello giudiziario di verificazione della fides historica affidato ai moduli giuridici della descrizione della fattispecie in cui i fatti si sistemano. Cio` consente a Celada Ballanti di condividere, sviluppandola ed arricchendola, la tesi di Meinecke che, pur riconoscendo il dualismo leibniziano tra il mondo delle «verita` di fatto» e quello delle «verita` di ragione» fondamentalmente non compenetrati, scorge «i leggeri rapporti» esistenti tra questi due mondi, che riportano ai motivi fondamentali della filosofia leibniziana: il principio di continuita`, «che richiama l’attenzione sulle piccole cause delle grandi cose», e la dottrina dell’individualita`, «che racchiude in se´ l’infinita`», cosı` da poter consentire il rapporto tra l’anima-sostanza e Dio, propria dello storicismo etico-religioso schleiermacheriano e non solo schleiermacheriano, secondo cui «solo chi e` in grado di comprendere l’infinito puo` possedere anche la conoscenza del principio di individuazione di questa o quella cosa, cio` che e` una conseguenza della reciproca relazione di tutte le cose dell’universo». Tuttavia, pur riconosciuta la sottile valenza dell’interpretazione proposta dal grande storico dello Historismus, Celada Ballanti appare convinto che i due poli della posizione di Leibniz restino divisi, come attesta la suprema testimonianza di un testo importante sull’Apokatastasis del 1715, documento di una filosofia metafisica della storia incompatibile con la sistemazione annalistica ed erudita dei fatti definiti nella loro particolarita`, nonostante le percezioni minime del continuum reale, che «nel loro brulicante tramare vite individuali ed eventi» (come dice elegantemente Celada Ballanti) finiscono per incrinare la cooperazione tra due diverse forme e modi di storicita` e temporalita`. Celada Ballanti mostra bene come l’interesse leibniziano per il metodo della giurisprudenza influenzi «l’orizzonte di una storiografia ricalcata sull’idea di indagine giudiziaria tesa ad accertare i fatti [...] entro un ordine descrittivo ed enumerativo rigido ed uniforme» quale e` quello annalistico. Si tratta di individuare i criteri di certezza della fides historica quale fondamento della conoscenza storica senza smarrire il carattere probabilistico di questa conoscenza. Varra`, pero`, osservare come la minuziosa attenzione per la res singularis, indotta dal metodo del diritto, e per la sistemazione razionale di queste infinite res non comporti necessariamente lo schiacciamento di queste nella mera fatticita`. Voglio dire che, anche al di la` di una esplicita consapevolezza, il piano
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xiv
PRESENTAZIONE
dell’erudizione e dell’andamento annalistico (se questo e` indizio di desta sensibilita` per il particolare non risolvibile) e` legato con filamenti esili ma robusti alla esigenza della concettualizzazione gnoseologica. E vorrei ricordare la tesi vichiana sul rapporto duale tra «storia ideale eterna» e «storie in tempo di tutte le nazioni», che e` un motivo storicistico rinnegabile soltanto dall’idealistico principio di identita`. In altre parole anche l’andamento storiografico tipicamente seicentesco, nell’indurre all’attenzione per la particolarita` e singolarita` dei fatti storici, esige il “salto” verso cio` che e` oltre il fatto, quello che Piovani ha chiamato la sollecita esigenza leibniziana e vichiana di trovare presto il fondamento universale dell’individuale. Esigenza che, tuttavia, si atteggia grazie ad un capovolgimento del tradizionale rapporto tra universale e particolare: dal particolare all’universale e non da questo a quello. Ecco perche´ Leibniz, e Vico, pur non essendo un capitolo dello storicismo, sono all’origine della riflessione moderna e contemporanea sulla conoscenza storica, consentendo di individuare i problemi di questa conoscenza, che sono, per tanti versi, anche gli oggetti della filosofia dello storicismo, quando di questa si puo` parlare con rigorosa determinazione concettuale. Ma qui non tocca andare oltre. Qui serve rilevare come, al di la` del consenso o del dissenso su questa o quella tesi specifica (come e` di tutte le ricerche serie e pensate), questo libro di Celada Ballanti colmi una lacuna della nostra storiografia filosofica e della nostra storia della storiografia. Lo fa con ricchezza di documentazione, ampiezza di riferimenti, rigore concettuale, finezza interpretativa. Per questo l’antico desiderio di veder ripreso, discusso e ripensato il Leibniz historien si puo` ritenere soddisfatto, con vantaggio grande dei nostri studi. Napoli, 28 marzo 2004 Fulvio Tessitore
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PREFAZIONE
Non si puo` certo dire che la ricerca sul “Leibniz storico” – il cui vero inizio e la cui pietra angolare puo` ben essere considerato il poderoso volume di Louis Daville´ Leibniz Historien pubblicato all’inizio del Novecento (Paris 1909) – abbia occupato nella letteratura critica leibniziana del secolo scorso, almeno per mole, un posto paragonabile a quello di altri ambiti tematici, quali la teoria della conoscenza e la logica, la filosofia del linguaggio, la matematica, l’ontologia, la metafisica e la teodicea, la scienza della natura, etc. E` sufficiente, del resto, una scorsa agli Atti del VII. Internationaler Leibniz-Kongreß (Nihil sine ratione. Mensch, Natur und Technik im Wirken von G.W. Leibniz) tenutosi a Berlino il 10-14 settembre 2001 – che resta il piu` recente e aggiornato specchio delle tendenze complessive della LeibnizForschung – per avvedersene. Ancora valide, dunque, suonano le parole con cui Antonio Corsano, diversi lustri or sono, lamentava l’emarginazione in cui il tema leibniziano della storia continuava a trovarsi, relegato, per lo piu`, dagli studiosi, com’ebbe a esprimersi, «nel limbo delle semidilettantistiche occupazioni del cortigiano, o servitore oltretutto non tanto fortunato di piccoli e grandi potentati», rivendicandone, all’opposto, la crucialita`. Nondimeno, pur nei limiti indicati, il Novecento, sulla scorta di Daville´, ha visto affermarsi all’interno della Leibniz-Forschung precise tendenze interpretative e autorevoli prese di posizione sul “Leibniz storico”: da quelle di B. Croce, E. Fueter, W. Dilthey, E. Troeltsch, F. Meinecke, E. Cassirer, F. Olgiati, fino agli studi di W. Conze, A. Corsano, A. Robinet, Y. Belaval, M. Fichant, G. Scheel, W. Voise´, per ricordare solo alcuni nomi. Questo lavoro, nell’intento di inserirsi in tale contesto critico, si struttura attorno ad alcune tesi di fondo che, dapprima, l’Introduzione si incarichera` di formulare nella loro architettura e, si spera, sinfonicita`, suggerendo anche i percorsi seguiti al fine del loro avvaloramento, e che poi, naturalmente, l’intera ricerca provvedera` a documentare con il massimo del rigore e della coerenza ottenuti.
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PREFAZIONE
Il presente studio si e` sviluppato all’interno del Dottorato di ricerca di “Storiografia e teoresi filosofica” attivato presso il Dipartimento di Filosofia dell’Universita` di Genova, ed e` stato successivamente oggetto di rielaborazione. Esso, tuttavia, ha trovato la sua piu` originaria ispirazione e il suo primario impulso nelle indicazioni offertemi da Giovanni Moretto, ordinario di Filosofia teoretica presso l’Universita` di Genova e mio maestro, il quale le aveva a sua volta ricevute, intorno al 1979, in occasione della pubblicazione del suo volume Etica e storia in Schleiermacher presso l’Editore Bibliopolis di Napoli, da Pietro Piovani, insieme all’esortazione a intraprendere un lavoro sul pensatore di Hannover. A Piovani, infatti, e ai numerosi spunti leibniziani presenti nella sue opere, oltre che a Meinecke e a Troeltsch – lo rammento lucidamente – si sono rivolti i primissimi consigli di Moretto, seguiti poi da tanti altri, sempre acuti e preziosi, relativi all’impostazione della ricerca. E`, dunque, gravato dalla responsabilita` di un simile lascito che mi sono messo all’opera, ormai diversi anni or sono, forte dell’unita` speculativa, maturata in me proprio grazie all’insegnamento di Moretto, tra lo spirito “critico-problematico” dello Historismus napoletano di Pietro Piovani e Fulvio Tessitore, e il magistero genovese di Alberto Caracciolo, della cui Liberalita¨t etico-religiosa e` altresı` permeato questo lavoro. E proprio al professor Giovanni Moretto vuole essere dedicata la mia ricerca, in occasione del suo sessantacinquesimo genetliaco, con la gratitudine di chi e` cosciente di avere ricevuto, in tanti anni di assidua frequentazione, non solo un solido metodo storico-teoretico di ricerca, ma anche la testimonianza di un Adel des Geistes – per riecheggiare il titolo di una celebre raccolta di scritti saggistici di Thomas Mann – che mi piace evocare con le parole con cui lo scrittore di Lubecca nel romanzo di Giuseppe descrive la figura biblica di Giacobbe, parole perfettamente idonee a delineare anche l’ethos filosofico: Ignorare la tranquillita`, chiedere, ascoltare, cercare, aspirare alla conoscenza di Dio, uno sforzo amaro e dubbioso verso il vero e il giusto, un voler sapere donde veniamo e dove andiamo, il nostro vero nome, la nostra vera natura, il vero concetto del Sommo ... irrequietezza e dignita`. E` ben questo il suggello dello spirito (Th. Mann, Le storie di Giacobbe, tr. it. di B. Arzeni, Milano 1980, p. 56).
Ma piu` vasta e` la koinonia in cui e` maturata la presente ricerca, cosı` come piu` ampi sono i debiti di riconoscenza accumulati in questi anni. Mi e` percio` cosa gradita ringraziare, insieme a tutti i docenti del Dipartimento di
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PREFAZIONE
3
Filosofia dell’Universita` di Genova, in modo assolutamente particolare il professor Domenico Venturelli, ordinario di Filosofia morale presso il suddetto Dipartimento, sotto la cui intelligente, esperta e amichevole tutela il lavoro e` cresciuto ed e` giunto al termine. Un ringraziamento va poi agli amici dottori di ricerca Francesco Ghia, Guido Ghia, Ivano Tonelli, Luca Basso, le discussioni coi quali, tra Genova e Berlino, hanno concorso alla messa a punto del libro. Un caro ricordo va anche ai professori Graziella Ballanti Laeng e Mauro Laeng, ai quali, oltre a legarmi una relazione di parentela, mi ha unito negli ultimi anni un fitto e per me prezioso rapporto epistolare, che non ha mancato di coinvolgere tematiche leibniziane. Una riconoscenza particolare esprimo al professor Fulvio Tessitore per avere incoraggiato la mia ricerca e per averla accolta all’interno della collana “La Cultura Storica”, da lui diretta insieme al prof. Giuseppe Cacciatore, che altrettanto ringrazio. Un ricordo affettuoso va, infine, a mia moglie Monica, che mi ha pazientemente e intelligentemente accompagnato nei lunghi anni di questo lavoro, e ai miei figli Jacopo e Samuele, nati entrambi nell’arco temporale in cui il libro prendeva corpo. Non nascondo che il mio amorevole auspicio di padre sia che ne abbiano a scrivere dei migliori. R. C. B.
I capitoli che compongono questo libro sono tutti inediti, a eccezione dell’Appendice al capitolo terzo apparsa in “Humanitas”, 3, 2002, pp. 385-417, con il titolo Il problema del male nel pensiero di Leibniz, e del capitolo quarto, pubblicato in G.W. Leibniz, Storia universale ed escatologia. Il frammento sull’Apokatastasis (1715), Genova 2001, pp. 31-100, con il titolo La storia universale tra eterno ritorno e “progressus infinitus”. Entrambi gli scritti vengono qui riproposti con talune modifiche e rielaborazioni. Si ringraziano editori e direttori di riviste per averne concesso la ripresa e la riproduzione nel presente volume.
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AVVERTENZA
Nel testo e nelle note le opere di Leibniz sono citate nelle seguenti edizioni e con le sigle qui elencate in ordine alfabetico: A Sa¨mtliche Schriften und Briefe, hrsg. von der Preußischen (spa¨ter Deutschen) Akademie der Wissenschaften zu Berlin, Reihe I-VIII, Darmstadt (spa¨ter: Leipzig, zuletzt: Berlin) 1923 ff. (la sigla e` seguita dal numero di serie, dal numero del volume e della pagina). CML Corrispondenza tra L.A. Muratori e G.G. Leibniz, conservata nella R. Biblioteca di Hannover ed in altri istituti, a cura di Matteo Campori, Modena 1892. Dutens Opera Omnia nunc primum collecta, in classes distributa, praefationibus et indicibus exornata, studio Ludovici Dutens, I-VI, Genevae 1768; Nachdruck: Hildesheim-Zu¨rich-New York 1989 (la sigla e` seguita dal numero del volume, da quello relativo alla suddivisione interna al volume, e dal numero della pagina). G Textes ine´dits d’apre`s les manuscrits de la Bibliothe`que Provinciale de Hanovre, publie´s et annote´s par G. Grua, Paris 1948, voll. I-II. GM Mathematische Schriften, hrsg. von C.I. Gerhardt, I-VII, Berlin-Halle 1849-1863; Nachdruck: Hildesheim 1962 (la sigla e` seguita dal numero del volume e della pagina). GP Die philosophischen Schriften von Gottfried Wilhelm Leibniz, hrsg. von C.I. Gerhardt, I-VII, Berlin, 1875-1890; Nachdruck: Hildesheim 1960-1961 (la sigla e` seguita dal numero del volume e della pagina).
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ERUDIZIONE E TEODICEA
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LC Correspondance Leibniz-Clarke, pre´sente´e d’apre`s les manuscrits originaux des Bibliothe`ques de Hanovre et de Londres par Andre´ Robinet, Paris 1957. LF De l’horizon de la doctrine humaine (1693) – Apokatastasis panton (La Restitution universelle) (1715). Textes ine´dits, traduits et annote´s par Michel Fichant, suivis d’une Postface: “Plus Ultra”, Paris 1991. P Gesammelte Werke. Aus den Handschriften der Ko¨niglichen Bibliothek zu Hannover, herausgegeben von G.H. Pertz, I, Geschichte, 4 voll., Hannover 1843-1847; Nachdruck: Hildesheim 1966 (la sigla e` seguita dal numero di serie, dal numero del volume e della pagina). SL Studia Leibnitiana. Con questa sigla indichiamo, oltre alla rivista, anche la serie dei Supplementa e dei Sonderhefte, seguita in questo caso dalla specificazione e dal numero della serie. ZhVN Zeitschrift des historischen Vereins fu¨r Niedersachsen, hrsg. von Doebner e Bodemann, Hannover 1881 sgg. (la sigla e` seguita dall’indicazione dell’anno e della pagina).
Le altre edizioni delle opere di Leibniz utilizzate e non comprese in quelle elencate sono citate in nota per esteso. Le opere principali di Borges sono citate nella seguente edizione: J.L. Borges, Tutte le opere, a cura di D. Porzio, Milano 2000, 2 voll. La sigla usata e` TO seguita dal numero del volume e da quello della pagina. I testi borgesiani non contenuti nei due volumi suddetti sono citati in nota con le dovute indicazioni.
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INTRODUZIONE LA STORIA TRA ERUDIZIONE E “ROMANZO DI DIO” Ogni entita` storica ... desidererebbe essere ancora qualcosa di diverso da quello che effettivamente e`. Quest’e` il dinamismo della vita storica; per esso i fatti storici traboccano l’uno entro l’altro, per esso noi scorgiamo sempre tra loro solo piu` o meno larghi margini e non precise linee di demarcazione, per esso il singolo fenomeno storico puo` in se´ apparire spesso tanto pieno di contraddizioni eppure, nel contempo, sommamente ricco di vita. (F. Meinecke) Il pluralismo moderno non fa in tempo a conoscersi quale e`, che gia` e` timoroso del suo stesso essere pluralistico, gia` nega fiducia alla capacita` dell’individuo di vivere e convivere: non ha ancora infranto il mondo unitario e gerarchico del Medio Evo e gia` paventa di essere obbligato a vivere in un universo perennemente frazionato: invece di esaltare i pregi d’una convivenza polimorfa, si lascia prendere da un vero incubo della «polverizzazione», disconoscendo cosı` la sua origine e la sua natura, alle quali tuttavia rimane legato, costretto com’e` a portarne a compimento, piu` o meno consapevolmente, piu` o meno contraddittoriamente, gli impliciti programmi. (P. Piovani)
I. – Leibniz, Candide e le genealogie. Storia erudita e fides historica. II. – La storia universale e la sua Rechtfertigung mediante la metafisica e la teodicea. Temporalita` e storia. Il concetto diltheyano-meineckeano di “epoca” come fondamento ermeneutico della presente ricerca. III. – La concezione leibniziana della storia come “ellisse” compresa tra i fuochi dell’“erudizione” e della “teodicea”. La razionalita` problematica del principio di ragione e gli spazi aperti per la cognizione storiografica dell’individuale. Leibniz “filosofo della storia”? Analogie tra Leibniz e Vico nel rapporto tra filologia e filosofia. IV. – Principio di individualita` ed erudizione
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INTRODUZIONE
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storica. Luci e ombre nella metodologia storiografica leibniziana. L’integrazione imperfetta tra storiografia e filosofia. V. – Il Novecento e il problema del “Leibniz storico”. Lineamenti di letteratura critica.
I. – Nella voce “Chaıˆne des e´ve´nements” del Dictionnaire philosophique di Voltaire si legge qualcosa che ha relazione non solo con la filosofia di Leibniz u¨berhaupt – vale a dire il richiamo al principio di ragione e alla legge di continuita` – ma altresı` con la scrittura storiografica eruditoannalistica, che il pensatore tedesco concepı` e pratico`: alludiamo al nesso instaurato da Voltaire tra catena degli eventi e linee genealogiche: Questo sistema della necessita` e della fatalita` e` stato inventato nei nostri tempi da Leibniz, a quanto egli dice, sotto il nome di ragion sufficiente. Nondimeno e` molto antico: non e` da oggi che non c’e` effetto senza causa e che spesso la piu` piccola causa produce i piu` grandi effetti ... Ma mi pare che si abusi fin troppo della verita` di questo principio, e se ne trae la conclusione che non c’e` atomo cosı` piccolo il cui moto non abbia influito sull’attuale ordinamento del mondo intero; che non v’e` accidente cosı` piccolo, sia tra gli uomini sia tra gli animali, che non sia un anello essenziale della grande catena del destino. Intendiamoci: ogni effetto ha evidentemente la sua causa, via via che si risale di causa in causa nell’abisso dell’eternita`; ma non tutte le cause hanno il loro effetto se si discende fino alla fine dei secoli. Ogni evento e` prodotto da un altro, lo ammetto; se il presente nasce dal passato, il futuro nascera` dal presente: tutte le cose hanno una paternita`, ma non sempre una discendenza. Accade qui precisamente come in un albero genealogico: ogni casata risale, come si sa, ad Adamo, ma in una famiglia ci sono molti che sono morti senza lasciare eredi ... Dunque, i fatti presenti non sono figli di tutti i fatti passati; essi hanno le loro linee dirette, ma mille piccole linee collaterali non servon loro a nulla. Ancora una volta: ogni essere ha un 1 padre, ma non tutti gli esseri hanno dei figli .
C’e` in questo testo, innanzitutto, come evidenzia Jean Starobinski2, l’essenziale della strategia logica e ontologica che si ritrova nel Candide opposta a Pangloss, il discepolo di Leibniz-Wolff: alla causalita` lunga della 1 Voltaire, Dizionario filosofico, tr. it. di R. Lo Re e L. Sosio, dal testo a cura di R. Naves, Milano 2000, pp. 134-135. Sui nessi tra Voltaire e Leibniz, rinviamo allo studio di R.A. Brooks, Voltaire and Leibniz, Gene`ve 1964. 2 J. Starobinski, Il rimedio nel male. Critica e legittimazione dell’artificio nell’eta` dei Lumi, tr. it. di A. Martinelli, Torino 1990, p. 124 sgg.
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INTRODUZIONE
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grande catena degli esseri e degli avvenimenti – in cui ogni fatto e` letto nell’orizzonte della series rerum che inanella l’universo, risolvendosi, con cio`, in una teo-ontodicea – Voltaire oppone la causalita` breve di accadimenti la cui logica si consuma nel paradossale e allucinato isolamento del loro esibirsi fenomenico. E` cosı` che nel celebre conte la concatenazione che lega gli eventi in sequenze collocate sotto una legge ultima di armonia, si tramuta in sfilata di miserie, di sofferenze, di brutalita`, di ingiustizie senza senso ne´ progresso – che non risparmiano, nel filosofo francese, neppure la storia biblica –, ciascuna lasciata nella piu` assoluta e sgomentante solitudine disteleologica. Il campo causale sembra rattrappirsi e rescindere i nessi armonico-universali tra gli eventi, non destinati necessariamente, quest’ultimi, a produrre effetti transitivi: se ogni effetto ha una causa, non per questo ogni causa produce effetti. Accade qui, osserva Voltaire, come nelle genealogie: all’interno di ogni famiglia c’e` chi muore senza lasciare discendenza. Gli alberi genealogici si estinguono, oppure procedono tra rami troncati o sterili. Non piu` anelli provvidenzialmente concepiti in funzione di un progresso del bene e di un incremento di valori da realizzare, illuminati e sorretti dal Satz vom Grund, ma atomi che si aggregano o si annullano in base a una casualita` cieca e ateleologica. La genealogia della sifilide tratteggiata nel capitolo IV del Candide, o le sequenze dei re assassinati tracciate nella Conclusione dello stesso conte, assomigliano piu` ai rizomi dalle diramazioni avventizie, imprevedibili e casuali di Gilles Deleuze e Felix Guattari, definiti infatti dai 3 filosofi francesi «un’antigenealogia»” , che a una successione ricomponibile in qualche ordito provvidenziale o, quanto meno, razionale. 3
G. Deleuze – F. Guattari, Rizoma, tr. it. di S. Di Riccio, Parma-Lucca 1978. Sul rapporto antitetico tra l’immagine dell’albero – anche genealogico – e quella del rizoma impiegata dai filosofi francesi, cfr. G. Barsanti, La Scala, la Mappa, l’Albero. Immagini e classificazioni della natura fra Sei e Ottocento, Firenze 1992, pp. 113-115. Ma forse, come suggerisce con finezza Italo Calvino, in modo non lontano da Voltaire, nonche´ da Deleuze e Guattari, l’autentico albero genealogico dovrebbe essere piu` simile a un vero albero dalle ramificazioni disarmoniche e contorte che a una linea retta o a un altro schema forzato: «Piu` che all’albero di Jesse, un albero genealogico che volesse rendere veramente quel processo di procreazioni e di morti che e` la sopravvivenza umana dovrebbe somigliare a un albero vero con le sue ramificazioni contorte e disarmoniche, i suoi moncherini, il suo secco e il suo verde, le potature del caso e della storia, il suo spreco di materia vivente. Anzi, dovrebbe somigliare proprio all’albero del Tule, dove non e` chiaro cos’e` radice e cos’e` tronco e cos’e` ramo. Ma gli alberi genealogici sono sempre semplificazioni a posteriori secondo una linea privilegiata, di solito la successione d’un titolo o d’un nome. In certi castelli francesi, al banco delle cartoline illustrate vendono degli alberi genealogici dei Re di Francia, perche´ i turisti possano orientarsi nelle complicate vicende di cui quei luoghi sono stati testimoni.
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INTRODUZIONE
Cosı`, in un certo modo, con lo spezzarsi della Grande Catena dell’Essere – il cui schianto, sotto le macerie del terremoto di Lisbona del 1755, avrebbe accelerato in modo decisivo la transizione verso la moderna idea di storia come progressivo dominio dell’uomo sulle forze della natura, ovvero il passaggio alla temporalizzazione di quella stessa Catena, lucidamente 4 precorso proprio da Leibniz – Voltaire annunciava anche la crisi dell’histoire savante, della storia erudita e annalistica seicentesca, della quale Leibniz e` stato un eminente rappresentante, fondata su genealogie e cronologie, la cui definitiva sentenza di morte saranno l’Illuminismo e l’Encyclope´die a pronunciare. Si legge, in questo senso, nelle voltairiane Nouvelles conside´rations sur l’histoire (1744), in attesa dell’Essai sur les moeurs (1756): En vain je lis les annales de France: nos historiens se taisent tous sur ces de´tails. Aucun n’a eu pour devise: Homo sum, humani nil a me alienum puto5. Dal comune ceppo dei Capeti si diramano i fusti dei Valois da una parte e dei Borboni dall’altra, con i vari Angouleˆme e Orle´ans come ramificazioni secondarie, in uno schema arboreo quanto mai asimmetrico e forzato. Un albero genealogico veritiero dovrebbe allargare le proprie ramificazioni tanto verso il presente quanto verso il passato, perche´ a ogni matrimonio dovrebbe figurare il saldarsi di due piante, e ne verrebbe un groviglio intricatissimo che s’espanderebbe da tutte le parti, per troncarsi nella irregolare frangia delle estinzioni. Un cespuglio le cui ramificazioni ora s’espandono ora si contraggono, perche´ in una data area geografica le famiglie tornano a mescolarsi a ogni sposalizio, sempre le stesse. La forma dell’albero sarebbe ripristinata risalendo verso le radici del genere umano, come per l’Adamo ed Eva dell’iconologia cristiana? Per l’antropologia contemporanea queste radici sono da ricercare sempre piu` lontano, a distanza di milioni d’anni, e sparse per i continenti. (Quella che sembra avvicinarsi e` la fine, il troncarsi di tutti i rami uno per uno o tutti insieme, l’incombere della catastrofe demografica, alimentare, tecnologica...)» (Il tempo e i rami, in Id., Collezione di sabbia, Milano 1994, p. 211). 4 Sul tema della Grande Catena dell’Essere, che trova in Leibniz uno dei maggiori teorici, si veda il classico volume di A.O. Lovejoy, La Grande Catena dell’Essere, tr. it. di L. Formigari, Milano 1981 (sulla temporalizzazione della Catena dell’Essere, cfr. cap. IX). Su Leibniz si vedano in part. p. 152 sgg.; p. 268 sgg. Cfr. anche G. Barsanti, La Scala, la Mappa, l’Albero, cit. (su Leibniz, cfr. p. 10 sgg.). 5 Voltaire, Nouvelles conside´rations sur l’histoire, in Id., Oeuvres historiques, a cura di R. Pomeau, Paris 1957, p. 48. Su Voltaire storico, cfr. la Pre´face di R. Pomeau a tale testo, pp. 7-24; Id., La religion de Voltaire, Paris 1969 (nuova ed. Paris 1995), p. 361 sgg. (in part. sulla storia delle religioni); F. Diaz, Voltaire storico, Torino 1958. Un’acuta disamina del problema del male in Voltaire e` contenuta nel volume di B. Baczko Giobbe amico mio. Promesse di felicita` e fatalita` del male, tr. it. di P. Virno, Roma 1999, in part. Prima parte. Cosı` l’autore commenta il mutamento voltairiano nel modo di concepire la storia rispetto alla tradizione erudita e annalistica: «Morti crudeli e assurde, dovute a futili motivi. Basta che un cultore di genealogie dimostri a un principe che egli discende in linea diretta da un conte i cui progenitori, tre o quattrocento anni fa, avevano fatto un patto di famiglia con una casata la cui memoria e` andata perduta, ed ecco che il principe trova “subito un gran numero di
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Non e` un caso che, nel primo come nel secondo episodio ricordato del Candide, sia Pangloss, il metafisico della causalita` “lunga” e della ragion sufficiente, a mettere in fila quelle sequenze genealogiche e successioni di sovrani fatte di paradossali traversie e di efferate violenze. Si badi: l’ottimismo panglossiano, nella sua intenzionale caricaturalita`, dimentica troppe cose per essere assimilabile al “vero” pensiero di Leibniz. Ma, certo, anche il pensatore della Teodicea, come il suo celebre alter ego illuminista, ha creduto alla Grande Catena degli esseri e degli avvenimenti, offrendone una rappresentazione teoretica tra le piu` elaborate dell’eta` classica, e, proprio in nome della concatenazione degli eventi storici, che egli vuole infinita e incircoscrivibile a parte hominis, ma anche sin dove possibile documentabile mediante le fonti, ha conferito alle linee genealogiche un posto di prim’ordine nella sua storiografia, sostenuta com’e` dalla legge di continuita`. In un promemoria del 1 luglio 1692, redatto per il duca Ernst August e contenente uno dei primi progetti degli Annales Imperii, elaborato a ridosso della Welfenforschungsreise (1687-1690) che lo aveva condotto dalla Germania e Austria fino in Italia, Leibniz assimila le genealogie e le cronologie nella rappresentazione storica rispettivamente a cio` che, in un corpo animale, sono i nervi, o tendini, e le ossa (cfr. ZhVN, 1885, 20-21). Per quanto la storia non debba ridursi ad esse, genealogie e cronologie costituiscono della storia stessa la nervatura e l’ossatura: le strutture costitutive, si potrebbe dire, della catena dell’essere storico. Proprio in Italia, al culmine del viaggio per archivi e biblioteche alla ricerca della prova della connessione tra la Casa guelfa e quella estense, Leibniz incontra la sua Cunegonda: non quella romanzesca, innocente, violata dall’umana brutalita` e perseguitata da paradossali disgrazie del Candide, cifra dei giri insensati del caso che toccano in sorte a chi e` piu` inerme e sventurato, ma quella reale, primo anello della catena genealogica guelfa, la cui esistenza e centralita` storica, insieme a quella di Azzo d’Este, il uomini che non hanno niente da perdere, li abbiglia con un grosso panno blu da centodieci soldi al metro, cinge i loro cappelli con un grande filo bianco, li fa girare a destra e a sinistra, in marcia per la sua gloria”. Interessi dinastici, ambizioni strampalate, smania di grandezza e brama di ricchezza: ecco le cause piu` frequenti delle guerre. Cause corroborate da una lunga tradizione storica che esalta virtu` e prodezze guerriere; si pensi, per esempio, allo spirito cavalleresco che Voltaire analizza attentamente. Ai valori e agli eroi tradizionali, oppone nuovi modelli: l’audacia degli esploratori di continenti sconosciuti, l’energia di imprenditori e commercianti, il genio dello scienziato e dell’artista, il talento dello scrittore. Donde anche il progetto di scrivere altrimenti la storia: non piu` solo storia dei principi e delle loro guerre, ma anche, anzi soprattutto, storia dei costumi, dei lenti progressi delle arti e delle scienze nonche´ della diffusione dei Lumi» (ivi, pp. 77-78).
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INTRODUZIONE
filosofo provo` definitivamente mediante le iscrizioni sulle pietre tombali e i documenti rinvenuti nel monastero della Vangadizza, nei pressi di Rovigo, nel febbraio del 1690. La Cunegonda di Leibniz come perno della storia guelfa e fonte autentica utile per la fides historica, contro Mademoiselle Cunegonda di Candide che, alla fine, dissipata e travolta dagli eventi si ritrae dalla storia coltivando il proprio giardino. E` il filosofo della Teodicea, in questo caso, piu` che l’autore dell’Essai sur les moeurs e del Sie`cle de Louis XIV, a insegnare che, come scrive Andre´ Robinet, «l’histoire est a` faire et qu’elle n’est pas 6 toute faite, puisque, qu’on le veuille ou non, il y faut prendre part» . E se al «coltivare l’orto in cui si e` collocati» allude anche un testo del Systema Theologicum («...ad instar primi hominis hortum in quo collocatus est, colat...») [A 7 VI, 4 C, 2358] , Leibniz definisce con tale atto l’antipode del gesto amaramente rinunciatario del Candide: curare il proprio hortus diffondendo, a imitazione divina, il bene attorno a se´, rispettando la giustizia, allargando il proprio «de´partement», universalizzandosi, in cio`, per propria interna vis, equivale da parte di ogni individuo ad assecondare quella «morale del 8 progresso», come Deleuze l’ha definita , in cui e` lecito, tra l’altro, rinvenire il germe di un rapporto tra etica e storia: il perfezionarsi infinito del singolo e della Citta` di Dio, di cui la comunita` umana e la sua storia e` un frammento, e` il fine ultimo a cui indirizzare ogni concreta azione. Si deve agire – «il faut agir» – scrive Leibniz nel Discours de Me´taphysique § 4, contro il sofisma della “ragione pigra”, il quietismo o il “fato maomettano”, facendo il proprio dovere, seguendo la volonta` presuntiva di Dio e cercando con tutte le forze il bene generale. Ma al di la` di un simile impegno cui ogni individuo e` per intima destinazione etica chiamato, fare la storia significa, per il Leibniz storiografo erudito che si oppone all’avanzata del pirronismo e alla messa in questione cartesiana del valore conoscitivo della storia, per il Leibniz che vive nel 6
A. Robinet, Les fondements me´taphysiques des travaux historiques de Leibniz, in Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, Symposion des Istituto di studi filosofici Enrico Castelli und der Leibniz-Gesellschaft, Ferrara, 12. bis 15. Juni 1980, hrsg. von A. Heinekamp, SL, Sonderhefte, 10, 1982, p. 67. 7 Recepiamo l’indicazione contenuta nel volume di A. Poma Impossibilita` e necessita` della teodicea. Gli Essais di Leibniz, Milano 1995, pp. 254-255. 8 G. Deleuze, La piega. Leibniz e il Barocco, tr. it. di V. Gianolio, Torino 1990, p. 111. E` possibile, peraltro, che la formula voltairiana del “coltivare il proprio giardino”, nella sua ambiguita`, alluda, in fondo, a una morale meno lontana da quella leibniziana indicata di quanto possa apparire. Per una interpretazione del celebre finale del Candide, cfr. B. Baczko, Giobbe amico mio, cit., pp. 57-61.
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«sie`cle de´licat» della diplomatica, di Mabillon, di Tillemont, di Papebroch, di Simon, di Spinoza, severa ricerca archiviaria delle fonti originali e attenta ricognizione, alla maniera del giurista e del giudice, della loro autenticita`. Genealogie e cronologie, da questo punto di vista, rappresentavano la componente della storia in cui i nessi di causa-effetto apparivano piu` controllabili, piu` empiricamente documentabili e capaci di elevare la storia stessa al massimo grado di scientificita` consentito. “De condenda historiarum Scientia”, e` in effetti il titolo del § V della De nummis Gratiani Augg. Aug. cum gloria novi saeculi Dissertatio (cfr. Dutens IV, 2, 252) dove Leibniz sosta sulle condizioni necessarie per istituire la storia come scienza, insistendo in particolare sui caratteri della verita` e sui gradi della fides historica da definirsi mediante un’Ars critica. Risalire “ad fontes”, ai documenti originali, secondo l’imperativo della nuova scienza diplomatica codificata da Jean Mabillon nel De Re Diplomatica (1681) che in realta` rinnova quello della filologia umanistica, partire “ab ovo” discendendo dalle “origines” con concatenazioni causali, accertare gli eventi attraverso le condizioni che li hanno prodotti, consentiva in questo senso di ripudiare cronologie e genealogie edificate su pure pretese di grandezza e su inverificabili congetture – come quella di Teodoro Damaideno riguardante i Guelfi, fatti risalire sino all’antica Roma, che Leibniz esemplarmente critico` nel 1685 – e di svolgere un processo “demitizzante”, “defabulizzante” e “secolarizzante” della rappresentazione storica contro quelle costruzioni mitiche, fantasiose o romanzesche che anche Voltaire schernisce con implacabile mordacia in questo brano de L’ingenu: Perche´ ogni altra nazione si e` attribuita origine favolosa? Gli antichi cronisti della storia di Francia, che non son poi molto antichi, fanno discendere i francesi da un Francus, figlio d’Ettore. I romani dicevano d’essere usciti da un frigio, per quanto nella loro lingua non una parola avesse a che fare con la lingua frigia. Gli de`i avevano abitato l’Egitto per diecimila anni, e il diavolo in Scizia, dove aveva ingenerati gli unni. Prima di Tucidide vedo soltanto romanzi simili all’“Amadigi”, ma molto meno divertenti, e pieni tutti ed ovunque di apparizioni, oracoli, prodigi, sortilegi, metamorfosi, spiegazioni di sogni dai quali dipende la sorte dei massimi imperi e degli stati minimi: qui parlan le bestie, la` bestie dorate, de`i fatti uomini e uomini fatti de`i. Ah! Se favole ci occorrono, siano queste se non altro emblema della verita`! Mi piacciono le favole dei filosofi, rido di quelle dei bambini, e odio quelle degli impostori9. 9 Voltaire, L’ingenuo, in Romanzi e racconti, tr. it. di R. Bacchelli, Milano 1981, pp. 266-267.
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E` sufficiente leggere le icastiche pagine che Paul Hazard dedica alla «bancarotta» della coscienza storica nell’eta` di Leibniz per avere un’idea di una simile leggerezza nell’uso delle fonti e fantasiosa imprecisione nella pratica storica. Qualche eloquente esempio, che sarebbe facile moltiplicare, puo` qui essere richiamato: Ci vengono riferiti in proposito – scrive Hazard – aneddoti tutt’altro che inverosimili: allorche´ il Vertot ebbe compiuto la narrazione dell’assedio di Malta, a chi gl’indico` nuovi documenti, rispose che ormai era troppo tardi, che il suo assedio era gia` terminato. Il padre Daniel si reco` a vedere i volumi della Biblioteca del Re, passo` un’ora tra essi e se ne dichiaro` soddisfatto. Uomo felice! Egli stesso dice che la citazione dei manoscritti fa molto onore agli scrittori; che ne ha veduto parecchi; ma che tale lettura gli ha procurato piu` pene che vantaggi. E lo crediamo senza difficolta`10.
Quale abisso metodologico separa il Leibniz che si consuma in biblioteche e archivi, compulsando sino allo sfinimento un’infinita` di libri e vecchi documenti, ciascuno dei quali certo componeva ai suoi occhi un frammento dell’inesauribile continuum storico, dal ricordato padre Daniel, per il quale un’ora passata in una biblioteca era sufficiente a soddisfare le esigenze della narrazione storica! Quale fragilita` possedeva un simile tipo di storia costruita su canoni retorici, poetici, romanzeschi, apologetici, di fronte al rigore del dubbio cartesiano e del metodo scientifico moderno! E che facile gioco poteva avere il pirronismo con essa! Con Leibniz, in consonanza con il filone storiografico erudito seicentesco, la storia si poneva sulla via del rigore documentario, assecondando l’indicazione che proveniva dalla nuova scienza delle fonti, i cui protagonisti il pensatore non manca di ricordare talvolta con devota gratitudine, come avviene ad esempio nella Denkschrift del 1 luglio 1692 (cfr. ZhVN, 1885, 21-22), nell’Introduzione agli Scriptores rerum Brunsvicensium (cfr. Dutens IV, 2, 3 sgg), oppure nella De Nummis Gratiani Augg. Aug. cum gloria novi saeculi Dissertatio (cfr. Dutens IV, 2, 255). In questo dominio, Leibniz ha certo attinto uno dei vertici scientifici della sua epoca, ed e` doloroso – sunt lacrimae rerum – per chi, come lui, ha partecipato come pochi alla conquista moderna dell’individualita` e alla rivoluzione storicistica ai suoi 10
P. Hazard, La crisi della coscienza europea, tr. it. di P. Serini, Torino 1983, p. 53. Si veda, sull’inattendibilita` di molte narrazioni storiche e genealogiche presenti nel suo tempo, quanto scrive Leibniz nei Nouveaux essais IV, 16, 10-11.
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INTRODUZIONE
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albori, che gli Annales Imperii Occidentis Brunsvicenses siano stati sottratti agli archivi hannoveresi e pubblicati solo dopo oltre un secolo dalla loro redazione – a partire dal 1843 ad opera di Georg Heinrich Pertz – quando il tempo della loro possibile incidenza sulla formazione della scienza storica tedesca era ampiamente scaduto. Dal solido edificio della fides historica costruito su documenti e monumenti, su antiquitates disseppellite e sottratte all’oblio, come legni salvati dal naufragio del tempo, secondo la celebre immagine baconiana del De Augmentis scientiarum, nonche´ vagliate alla luce di una attenta critica storica, discenderanno poi, come il consigliere e diplomatico hannoverese ben sapeva, rilevanti conseguenze nel presente per la politica, per il diritto, addirittura per la vera religione. L’erudizione non e` mai, in Leibniz, puro gusto antiquario fine a se stesso, ma appartiene a un piu` vasto progetto, a quel progetto politico-religioso che Leibniz porto` con se´ tutta la vita, e che Jean Baruzi nel suo classico Leibniz et l’organisation religieuse de la terre (Paris 1907) e, piu` di recente, Andre´ Robinet in G.W. Leibniz: Le meilleur des mondes par la balance de l’Europe (Paris 1994) hanno efficacemente delineato. Un progetto nel quale, naturalmente, le pretese e gli interessi politici della Casa hannoverese hanno giocato un ruolo centrale, senza che questo, tuttavia, sia mai andato a discapito del rigore documentario, trasfuso anche nel minore degli scritti storici occasionali. Tra archivi, storia e politica Leibniz sa rinvenire un legame essenziale – come attesta eloquentemente lo scritto Von nu¨zlicher Einrichtung eines Archivi (maggio-giugno 1680; cfr. A IV, 3, 332-340) – dal momento che i primi posseggono una forza probatoria di legittimazione che il pensatore di Hannover tento` sempre di sfruttare non solo per una vaga gloria del Casato al servizio del quale egli si adoperava, ma in appoggio alle sue concrete ambizioni e pretese di giurisdizione, di possesso territoriale e di prestigio materiale. Ecco perche´ Leibniz parlo` talora dei suoi lavori storici come di un compito che rientrava nel suo incarico di tutelare e promuovere i diritti della Casa guelfa, senza che essi comportassero la carica ufficiale di Haushistoriker. Cosı` annota il filosofo il 3 gennaio 1699 in una lettera alla principessa Eleonore von Celle: Premierement je n’ay jamais pris, et ne prendray pas la qualite´ d’Historiographe, ayant este´ charge´ de travailler comme j’ay fait avec assez d’application, a` ce qui regarde les droits de la Maison. Cependant ses droits et son Histoire ayant beaucoup de connexion, j’ay este´ souvent oblige´ d’e´plucher l’Histoire aussi, et comme je voyois que des sc¸avans revoquoient en doute la connexion ou origine commune masculine des Maisons de Bronsvic et
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d’Este, dont l’e´tablissement estoit d’importance pour la conservation des droits anciens de la Maison, j’entrepris un voyage en Italie pour cela par ordre de feu Monsgr. l’Electeur; ou` j’ay eu tout le succe`s qu’on en pouvoit attendre. Car j’ay trouve´ des anciens titres qui mettent la chose hors de doutes... [A I, 16, 69].
Attraverso le genealogie delle grandi Casate, le connessioni naturali tra gli uomini, la successione dinastica del potere e dell’autorita`, passa, del resto, privilegiatamente il corso degli eventi memorabili, degni di essere ricordati e conservati, dal momento che la storia, per Leibniz, mentre intende elevarsi, per quanto possibile, a scienza, serba il carattere di disciplina morale, tarda erede, in cio`, del topos ciceroniano della Historia testis temporum, lux veritatis, vita memoriae, magistra vitae, nuntia vetustatis (De oratore, II, 9).
Di la`, dalle connessioni tra famiglie illustri, vengono la guerra e la pace, le rivoluzioni, le unioni o le lotte tra i popoli, i trasferimenti di sovranita`, nascono e si inabissano le grandi dinastie, sorgono le pretese di un principe su un altro. Sulle genealogie e` dunque bene essere informati, scrive infatti Leibniz, non pas tant par ce que ces choses soyent bonnes en elles meˆmes, que parce qu’elles causent des grandes revolutions, qui nous enveloppent, et qui interessent les societe´s dont nous faisons partie [A IV, 4, 616].
Non a caso esse fanno parte del patrimonio di conoscenze che egli definisce l’«Education d’un Prince» (cfr. A IV, 3, 547; 551), in cio` assecondando la convinzione di Jacques-Be´nigne Bossuet quanto alla opportunita` della conoscenza storica da parte dei principi. E per quanto vi sia di vanita` nelle questioni genealogiche, ces vanite´s sont meˆle´es de realite´s, dans le cours des affaires du monde [A I, 9, 17]. Scilicet a paucis agitatur machina mundi,
scrive Leibniz in un’ode giovanile dedicata a Luigi XIV [A I, 1, 457]. Il movimento della storia e` il prodotto dell’azione di pochi. Ma ancor di piu`: dai consigli di famiglia, dai matrimoni tra Serenissime Case principesche passa la Iustitia Dei. Per il protestante Leibniz, che pure, irenico ed
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ecumenico com’e`, ha abbandonato la dottrina luterana dei due reggimenti, come quella agostiniana delle due Civitates, i disegni della Provvidenza si manifestano anzitutto nell’azione del sovrano e dei principi. Altrettanto, e` ricostruendo la series temporum, la successione degli eventi, stabilendone con esattezza le scansioni e i tempi, offrendo la certezza temporale secondo rigorose cronologie, sullo stile di Baronio, che e` possibile collocare le cose nella loro giusta luce: 11 Denn accurata temporum series giebt den Dingen das beste Licht... .
E cosa puo` essere, alla fine, tale «bestes Licht», se non la luce della Provvidenza, che sostanzia la religione razionale della teodicea, disposta a fare della storia universale del genere umano, come si legge negli Essais de The´odice´e (§ 149), un romanzo di Dio gia` interamente formato nell’intelletto divino, per quanto non del tutto esistentificato, ma al quale la Provvidenza 12 potra` aggiungere nell’avvenire altri tomi? . In questo senso, e in modo neppure troppo lontano da Cesare Baronio, i cui Annales Ecclesiastici Leibniz considerava non a caso un modello storiografico, l’annalistica assecondava una finalita` apologetica: mostrare, attraverso la successione cronologica degli eventi, il disegno di Dio nel mondo. Ma con questa differenza rispetto al campione della Controriforma: che la morale teologica della storia e` fondata, piu` che su dogmi religiosi, su una teodicea filosofica, e non approda alla legittimazione di una Chiesa confessionale a discapito di un’altra, ma alla gloria dell’intero universo creato. II. – Certo, per il filosofo della Teodicea, un “fato cristiano”, una Iustitia Dei, guida imperscrutabilmente gli eventi che sono, in cio`, «Divinae providentiae speculum» [A VI, 4 A, 468], per lo piu` all’insaputa dei soggetti agenti, secondo una prospettiva non lontana, come si evince da molti passi delle opere storiche leibniziane (ad esempio dalla Brevis synopsis historiae Guelficae; cfr. P I, 4, 227-239), dalla vichiana eterogenesi dei fini. Eppure, per quanto in questa visione – non priva di intenzioni apologetiche e significativamente opposta nei §§ 148-149 degli Essais al pessimismo storico e antropologico di Machiavelli e di Bayle – risuoni la potenza della teologia 11 Lettera a Daniel Ernst Jablonski del 31 marzo 1700, in A. Harnack, Geschichte der Ko¨niglich Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin, Berlin 1900, Band 2, pp. 82-83. 12 L’allusione, oltre che al passo indicato degli Essais de The´odice´e, e` alla lettera di Leibniz a Anton Ulrich del 26 aprile 1713 (cfr. ZhVN, 1888, pp. 233-234), su cui sostiamo in particolare nel capitolo terzo § 3.
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della storia agostiniana, che allunga la sua ombra fino al coevo Bossuet e al suo Discours sur l’histoire universelle (1681), quale distanza si coglie da tale tradizione di pensiero! Quale solco separa la teodicea filosofica della storia 13 leibniziana – l’espressione, che recepiamo, e` di Ernst Cassirer – dalla teologia della storia del vescovo di Meaux, per quanto neppure quest’ultima sia estranea, come e` stato osservato, ai processi di secolarizzazione moder14 ni! Difficile in effetti – per richiamare brevemente le linee della nostra interpretazione in merito a questo punto – non rilevare il soffio di novitas che si respira nell’impostazione leibniziana, per la quale la Rechtfertigung ultima della storia universale, pur restando nell’orizzonte del religioso, non appare piu` affidata alle Sacre Scritture, alla storia della salvezza quale locus revelationis raccolto attorno all’evento dell’Incarnazione e della storia della Chiesa, ma a una teo-ontodicea filosofica – vale a dire a una teodicea, a una difesa della Iustitia Dei, che reca in se´ un’ontodicea, una difesa dell’essere mondano (naturale e storico) contro le apparenti disteleologie che sembrano, a parte hominis, infirmarne le strutture costitutive – la quale, coerente con la ricerca leibniziana di un cristianesimo universale e razionale, mentre estende all’universo rivelazione, grazia e redenzione, fa di tutta la storia una storia religiosa, convocando nella Citta` di Dio l’intera societa` delle monadi spirituali. A presiedere a questa estensiva operazione e` la trasposizione del concetto dogmatico di Incarnazione in quelli speculativi di Universo e di Harmonia mundi, cosı` da sottrarre quel concetto all’abbraccio soffocante dei confessionalismi settari e da universalizzarlo grazie alla ragione, secondo quell’ermeneutica delle «universelles transpositions» che Jean Baruzi, all’ini15 zio del Novecento, aveva limpidamente additato in Leibniz . Ne´, in tale prospettiva, ha piu` ragion d’essere il tradizionale dualismo tra le Civitates 13
Cfr. E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, tr. it. di G.A. De Toni, Roma-Bari 1986, pp. 328 e 347. Ne La filosofia dell’illuminismo (tr. it. di E. Pocar, Firenze 1985), invece, l’espressione “teodicea della storia” ricorre essenzialmente in riferimento a Lessing (ivi, p. 270). Sul nesso tra teodicea e storia cfr. G. Moretto Teodicea, storia e jobismo, in Giustificazione e interrogazione. Giobbe nella filosofia, Napoli 1991, pp. 92-127. Di Cassirer, su Leibniz, occorre anche ricordare le pagine in Liberta` e forma. Studi sulla storia spirituale della Germania, tr. it. di G. Spada, Firenze 1999, capp. I e II. 14 Cfr. in questo senso l’interpretazione offerta da H.-I. Marrou in Philosophie critique de l’histoire et sens de l’histoire, in Actes di VI Congre`s des Socie´te´s de Philosophie de langue franc¸aise (Strasbourg 1952), Paris 1952, pp. 9-10. Di Marrou, sui temi qui trattati, cfr. anche Teologia della storia, tr. it. di R. Mazzarol, Milano 1979. 15 Ci riferiamo in particolare a J. Baruzi, Leibniz, Paris 1909, p. 134 sgg.
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agostiniane, che ritorna anche in Bossuet sotto forma di opposizione tra «la suite de la religion et les changements des empires», cosı` come quello, corrispondente, tra Historia sacra e Historia profana. Basterebbe osservare la posizione occupata dalla Historia sacra nel quadro della sistematica delle discipline storiche prospettata da Leibniz nella lettera a Joh. Andreas Bose del 26 settembre (6 ottobre) 1670 [A I, 1, 103], o nel Memoire pour des Personnes e´claire´es et de bonne intention (1692) [A IV, 4, 616], per accorgersi che essa, sotto forma di «Histoire des Religions, e sur tout celle de la veritable Religion revele´e, avec l’Histoire Ecclesiastique», rifluisce all’interno della Histoire humaine insieme alla «Histoire universelle des temps», alla «Geographie des lieux», alla «recherche des antiquite´s et des anciens monumens», alla «philologie», alla «Histoire Literaire» e alla «Histoire des coustumes et des loix positives». Altrettanto non e` difficile cogliere come nel finale del Discorso di Metafisica e della Monadologia sia rimasta un’unica Citta`, la Citta` di Dio, immagine dinamica della Gloria divina, locus theologicus della storia del genere umano e dell’universo intero, le cui mura si sono allargate al punto da convocare al suo interno tutti gli spiriti razionali, piuttosto che il limitato numero degli eletti. Una tale “metamorfosi” della Citta` di Dio, per riecheggiare un’espres16 sione di E´tienne Gilson , da` la misura di quanto, nel pensatore di Hannover, il processo di secolarizzazione della storia universale si fosse spinto audacemente avanti, anche oltre Francesco Bacone, come osserva Werner 17 Conze . E se, certo, occorre attendere Voltaire per vedere definitivamente liquidata con un colpo di spugna la Historia sacra, Leibniz, nell’assorbire quest’ultima nella Historia humana, sotto forma di Historia religionum, concorre a suo modo a preparare quell’audace gesto liquidatorio che il mentore delle Lumie`res seccamente compendiava in poche righe: La storia degli avvenimenti – scrive Voltaire nella voce Histoire dell’Encyclope´die – si divide in sacra e profana. La storia sacra e` un racconto delle operazioni divine e miracolose attraverso cui Dio si compiacque di guidare la nazione ebraica e ora guida la nostra fede. Non mi occupero` di un 18 argomento tanto rispettabile .
A un simile complesso di novita`, recato da Leibniz all’interno di una 16 Cfr. E´. Gilson, Les me´tamorphoses de la Cite´ de Dieu, Louvain-Paris 1952 (in part. su Leibniz pp. 228-247). 17 W. Conze, Leibniz als Historiker (Leibniz zu seinem 300. Geburtstag [1646-1946]. Lieferung 6), Berlin 1951, p. 39. 18 Voltaire, voce “Histoire” in Encyclope´die, Lucques 1758, VIII, p. 180.
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visione storico-universale che intendeva rimanere fermamente cristiana, per quanto affrancata dal settarismo confessionale, non e` certo estranea la condizione sociale, culturale e religiosa del pensatore tedesco: Leibniz non e` un vescovo, come Bossuet, e neppure appartiene a un ordine religioso, come Mabillon o Papebroch. Consigliere, storiografo e bibliotecario al servizio di principi com’e`, egli e` un laico, e per di piu` protestante, vicino alla Confessione Augustana, il testo preparato da Melantone e presentato come confessione di fede dei prı`ncipi evangelici tedeschi nel 1530, che puo` essere considerato, come osserva Robinet, l’espressione esteriore, istituzio19 nale, della religione naturale e filosofica leibniziana . Ed e` uno dei massimi rappresentanti di quell’erudizione storica destinata a emigrare, nell’eta` della crisi della coscienza europea, dai conventi in cui era nata alla Repubblica universale dei sapienti. Dipende, certo, anche da questi fattori sociali e culturali, tutt’altro che secondari, la liberta` con cui il pensatore di Hannover ha potuto, da un lato, sviluppare una teologia razionale indipendente dalle Chiese, nella quale i dogmi confessionali si traducono in concetti di ragione, dall’altro appropriarsi di quella riforma secolarizzante dell’Universalhistorie che – partita nel mondo tedesco dalla teologia di Lutero e Melantone, passata per Jean Bodin e Francesco Bacone, per le “sterminate antichita`” dischiuse da Isaac Lapeyre`re e per la critica biblica di Richard Simon – era venuta via via sgretolando la vecchia immagine biblico-escatologica della storia universale. La quale, privata ormai del suo tradizionale ubi consistam, attendeva un nuovo Grund, che sara` proprio Leibniz, con inedita operazione teoretica, a 20 suggerire, come scrive Adalbert Klempt , per il quale il pensatore tedesco inaugura una seconda fase del moderno processo di secolarizzazione della storia universale: quella che – propiziata dalla fine (das Ende, die Auflo¨sung) della visione biblico-escatologica e maturata sugli “inizi” (die Anfa¨nge) dell’immagine moderna, ma ancora pre-filosofici e incapaci di produrre una nuova concezione unitaria – ha saputo rinvenire nella filosofia lo strumento per assicurare unita` e Sinngebung al corso universale degli eventi. Stante la correttezza dell’analisi di Klempt, che su questo punto facciamo nostra, resta solo da vedere – cio` che discutiamo nel terzo capitolo – se invece che di “secolarizzazione” tout court non si debba piuttosto parlare, a proposito 19 Cfr. A. Robinet, G.W. Leibniz: Le meilleur des mondes par la balance de l’Europe, Paris 1994, p. 299. 20 A. Klempt, Die Sa¨kularisierung der universalhistorischen Auffassung. Zum Wandel des Geschichtsdenkens im 16. und 17. Jahrhundert, Go¨ttingen-Berlin-Frankfurt 1960, pp. 12-13, 128-129.
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della teodicea della storia leibniziana, di una estensione universalizzante ed ecumenica del religioso e della Provvidenza, cosı` abilitati a ricomprendere tutto il tempo e tutta la storia, in direzione di quel protestantesimo moderno o liberale che sara` di Lessing, di Kant e Schleiermacher, e che, per tanti versi, e` stato presagito dall’hannoverese. E` la teodicea, come si diceva, l’alveo tematico e concettuale che propizia la suddetta operazione teoretica leibniziana, la quale, per la prima volta nella storia del pensiero occidentale, consentiva l’applicazione alla storia universale di un sistema speculativo, metafisico-teleologico: in Leibniz, la Gloria, la Giustizia e la giustificazione di Dio, una volta sottratte all’immobile fissita` dei cieli della teologia tradizionale, si animano, si mettono in movimento, includendo in se´ l’evoluzione dell’universo e la storia del genere umano. Il legame tra storia e teologia razionale, o teodicea filosofica, avviene per questo tramite. Cio`, si badi, non autorizza a fare tout court di Leibniz un Geschichtsphilosoph secondo il modello idealistico che trova il suo compimento nella Weltgeschichte als Theodizee di Hegel. Svariate ragioni, che illustreremo, depongono a sfavore di una simile univoca linea di connessione genealogica. Sara` bene, qui, in proposito, nel rinviare all’esposizione del terzo capitolo, ricordare una preziosa pagina di Ernst Troeltsch, che, nel delineare il senso e la novitas della fondazione metafisica della storia leibniziana, fa risaltare in essa – fatto quanto mai rilevante – il valore centrale dell’individualita`. Nel tratteggiare lo spirito generale della filosofia leibniziana, capace di sostituire all’atomismo materialistico la teoria della forza vitale della monade, alla legge naturale l’armonia prestabilita, pervenendo, con cio`, a un sistema idealistico-teleologico che spiritualizzava l’intero universo e poneva le basi dell’intero pensiero tedesco, cosı` scriveva il teologo liberale e filosofo dello Historismus: Soprattutto, pero`, [Leibniz] riusciva a introdurre la storia umana in questa struttura idealistico-teologica, in quanto lo stesso esserci mondano e` solo il regno di centri spirituali attivi, al cui interno il mondo costituisce solo una parte omogenea dell’intera realta` effettiva ... Cosı` vedeva il regno delle monadi costituirsi in gradazioni continue, infinitamente piccole e vedeva all’interno di questo regno la vita umana sorgere dai gradi pre-umani e svilupparsi di qui gradualmente fino alla frattura del mondo sensoriale nella morte e alla costituzione di un regno spirituale ultraterreno, che pero` di per se´ era a sua volta solo una parte di innumerevoli regni spirituali. Con questo Leibniz raggiungeva cio` che era impossibile per i presupposti della scienza occidentale e che riuscı` solo a Comte e all’utilizzazione filosofica del darwinismo: l’inserimento della storia nel sistema della
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visione del mondo nella sua interezza e una valutazione della storia tranquilla e indulgente che puo` essere compresa solo e sempre in un relativo avvicinamento allo scopo ideale, ma si muove anche gradualmente in direzione di questo21.
Decisiva indicazione quella che viene dalla lettura troeltschiana di Leibniz: in effetti se il pensatore di Hannover, con la sua visione filosofica, schiude la storia a nuove possibilita` di comprensione non e` solo per un’idea teologica che liberava il cosmo e il corso degli eventi dagli schemi biblici e dalla visione confessionale, ma anche, entro di essa, per l’intuizione precoce – lasciata, all’insaputa del filosofo tedesco, alla logica individualizzante di un piu` maturo storicismo etico – che il senso dell’universo e della storia e` affidato a un pluriverso infinitamente de-centrato di singoli centri spirituali – le monadi –, vere individualita` contestuali di predicati (rapporti ed eventi), dinamicamente e spontaneamente attive, nonche´ orientate nell’agire morale ad ampliare il proprio spazio d’esperienza, attualizzando il fondo virtuale, inconscio, che recano in se´ e che le lega a un’universalita` mai esauribile. Un tale nuovo concetto di individualita` era in grado di mettere la storia al riparo sia dall’empirismo antiquario delle pure raccolte di fatti e documenti (cio` che, del resto, come diremo, nella effettiva metodologia storiografica leibniziana avviene solo in parte), sia dagli olismi onnivori di una Ragione che pretende la conoscenza a priori del corso del mondo. Non a caso, proprio in nome di esso, anche Wilhelm Dilthey e Friedrich Meinecke, insieme a Troeltsch, hanno potuto riconoscere in Leibniz il precur22 sore di una coscienza storica non totalisticamente connotata . La totalita`, in effetti, in Leibniz, almeno a parte hominis, non esiste ne´ appare contemplabile in se´, come Assoluto che risolve al suo interno le accidentali particolarita`, ma solo in quanto inclusa in ciascuna monade e da essa rispecchiata da un peculiare punto di vista. La sostanza individuale, anziche´ essere soggiogata dall’infinito, irretita pascalianamente nella doppia infinita`, si fa essa stessa latrice d’infinita`, che la ragione porta in se´ come vestigio del divino. E` proprio in questo fare della coscienza individuale non una parte, ma una cifra, o uno specchio, della totalita`, in questa soggettivita` non 21
E. Troeltsch, Leibniz e gli inizi del Pietismo, in W. Dilthey – E. Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, a cura di R. Bonito Oliva, Napoli 1989, pp. 183-184. 22 Cfr. in part. W. Dilthey, L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura. Dal Rinascimento al secolo XVIII, tr. it. di G. Sanna, Firenze 1974, vol. 2, pp. 273-275. Per F. Meinecke, naturalmente, il riferimento e` alle pagine dedicate a Leibniz ne Le origini dello storicismo, tr. it. di M. Biscione, C. Gundolf, G. Zamboni, Firenze 1973, in part. pp. 15-20.
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assorbita nell’universale ma che si universalizza in un agire etico mosso da un’intima vis activa tesa al bene, che la storia, come osserva Cassirer, poteva ricevere una nuova fondazione. 23 E il nuovo concetto del soggetto genera il nuovo concetto della storia .
E` all’interno di un sistema metafisico-teleologico in cui particolare e universale si relazionano trovando il punto di sintesi nell’idea di monade come “parte totale” (cfr. De rerum originatione radicali; GP VII, 307), come specchio e replica del mondo, che la Historia humana e` da Leibniz innestata, forte di una sua autonomia, come un frammento dell’universo, dal momento che quest’ultimo non e` costituito solo dalla mirabile macchina del regno della Natura, mossa da leggi meccaniche, ma anche dalla piu` perfetta Repubblica degli spiriti, retta dal migliore dei Monarchi, in cui l’illimitato moto di perfezionamento e` determinato dallo spontaneo conatus, dalla vis interna a ciascuna monade razionale e dove ognuno riceve la sua propria giustizia, fatta salva l’armonia del tutto, come si legge nel De rerum originatione radicali: Hac autem quod de parte diximus quae turbata esse possit salva harmonia in toto, non ita accipienda est, ac si nulla partium ratio habeatur, aut quasi sufficeret, totum Mundum suis numeris esse absolutum, etsi fieri possit ut genus humanum miserum sit, nullaque in universo justitiae cura sit aut nostri ratio habeatur, quemadmodum quidam non satis recte de rerum 23 E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., p. 348. Scrive significativamente anche F. Olgiati: «Una nuova interpretazione della storia allora si imponeva. Fin quando la storia e` concepita come un succedersi di fenomeni, causati gli uni dagli altri secondo leggi inesorabili e spiegati solo dalle cause efficienti, essa non ha diritto ad esistere. La materia bruta e l’uomo sarebbero in tal caso da porsi allo stesso livello. Ma quando l’ordine fenomenico, pur essendo ammesso nella sua realta` tutta propria, e` dimostrato insufficiente a dar ragione di se´ stesso; quando il fenomeno viene riguardato in funzione della sostanza, occorre un modo nuovo di concepire lo svolgimento storico. Leibniz si accinse a quest’opera; e volse il suo sguardo – non gia` alla ridda della successione fenomenica – ma piuttosto alle intime profondita` della monade. E si dedico` a questo compito, elaborando sempre meglio il concetto di unita`, ossia di individualita`, indagando le leggi che dominano la monade» (Id., Il significato storico di Leibniz, Milano 1929, p. 140). Peccato, pero`, che quanto afferma lo studioso a proposito del concetto leibniziano di individualita` e della sua ricchezza per la conoscenza storica – ricchezza ben documentata nel volume di Olgiati – trovi solo parzialmente espressione nella teoria e nella pratica storiografica dell’hannoverese, determinando quella imperfetta fusione tra il piano speculativo e quello del metodo storico che rileviamo nel corso del nostro lavoro. Sulla causalita` nella storiografia leibniziana ci soffermiamo in part. nel capitolo secondo § 7.
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summa judicantes opinantur. Nam sciendum est, uti in optime constituta republica curatur, ut singulis quapote bonum sit, ita nec universum satis perfectum fore nisi quantum, licet salva harmonia universali, singulis consulatur [GP VII, 307].
Essenziale, in questa nuova individualita`, e` quell’inclusione del regno della grazia nel regno della natura, quella naturalizzazione e universalizzazione del miracolo che, cosı` esteso schleiermacherianamente all’interezza dell’esistente24, liberava il singolo dal giogo di una grazia soprannaturalisticamente calata dall’alto, ampliando i confini della spontaneita` e della vita morale e religiosa. La religione liberale di Lessing, di Kant, di Schleiermacher, di Goethe, come gia` si diceva, non e`, grazie a questa ispirazione, ormai troppo lontana. La teologia razionale leibniziana, dunque, svincolando l’individualita` dalle soffocanti tutele dogmatiche di una grazia elargita dall’esterno, risolta in senso estensivo nella legalita` universale dell’harmonia rerum, propiziava l’incontro tra un’etica fondata sull’impulso della singola sostanza all’universale e un’idea di storia che, auspice quella stessa teologia razionale, si affrancava dai vecchi schemi biblici ed escatologici e si preparava, dopo Leibniz, una volta dissolta la griglia metafisica dell’armonia prestabilita, ad aprire porte e finestre alle monadi, ormai latrici di un’armonia non piu` preordinata ma da determinare. L’universalita` della storia, la sua stessa giustificazione, in questa prospettiva, in cui e` evidente, come ha osservato Hazard, che
24
Cfr. quanto di F.D.E. Schleiermacher si legge nella seconda Rede dei Discorsi sulla religione, ove cosı` si rivolge ai “detrattori” della religione: «“Miracolo” e` soltanto il nome religioso di un evento; ogni evento, anche il piu` naturale e il piu` abituale, appena si presenti in modo che la visione religiosa di esso possa essere quella dominante, e` un miracolo. Per me tutto e` miracolo, mentre, nel vostro significato, sarebbe per me un miracolo, cioe` qualcosa di inspiegabile e di strano, solo cio` che non e` tale nel mio significato. Quanto piu` foste religiosi, tanti piu` miracoli vedreste ovunque...» (Id., Sulla religione. Discorsi alle persone colte che la disprezzano, in Scritti filosofici di Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher, a cura di G. Moretto, Torino 1998, pp. 148-149). Acutamente P. Piovani, tracciando aus der Sache selbst un’ideale relazione tra Leibniz e Schleiermacher nel segno di uno storicismo criticoproblematico, poteva scrivere che il primo rappresenta «l’autore che con acutezza particolare rimedita, in novita` di spunti, sul principio d’individualita`, avvicinandosi forse piu` d’ogni pensatore del secolo suo alle posizioni che, nel Romanticismo, saranno caratteristiche di Schleiermacher, suggestivo suggeritore di temi sia elaborati sia traditi dall’idealismo meglio diffuso e ascoltato» (Id., Filosofia e storia delle idee, Bari 1965, p. 63). Sul tema della storia in Schleiermacher, cfr. G. Moretto, Etica e storia in Schleiermacher, Napoli 1979.
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il Leibniz cerca un accordo in cui l’universale sia rappresentato senza che il particolare perda i propri diritti25,
poteva venire attinta secondo un movimento di universalizzazione salente dalla rete infinita delle singole forze spirituali agenti. Leibniz, del resto, era politico e diplomatico troppo disincantato e conoscitore dei percorsi tormentati della storia per nascondersi che tra la Citta` di Dio su cui si congeda in gloria il poema metafisico della Monadologia e la realta` storica esisteva uno scarto sgomentante. Ma si trattava, per lui, di un contrasto apparente, legato al nostro angusto punto di vista che, come quello degli schiavi della caverna platonica, non puo` contemplare l’intero dell’armonia universale, ma al quale e` consentito, nondimeno, con un agire etico finalizzato al bene, elevarsi, pur secondo un processo infinito, all’universale, all’armonia, colmando almeno parzialmente quel limite di prospettiva. La teodicea dell’universo e della storia – viene da dire – in Leibniz non e` solo un ordine a priori in cui confidare, ma una prassi etica da eseguire, una perfezione da guadagnare e da realizzare nel mondo in un progresso morale infinito. Essa non e` solo questione di Dio, ma anche dell’uomo. Prima del Giobbe kantiano, cifra ormai matura di una teodicea consegnata allo spazio etico, gia` in Leibniz e` coglibile qualche indizio dell’orientamento pratico della teodicea stessa, cio` di cui del resto egli, come politico, come diplomatico impegnato per la pace, per la riunione delle Chiese, come ricercatore storico, diede operosa testimonianza nel suo tempo. «Il faut agir»: sapere a priori che Dio opera sempre nel modo piu` perfetto e che, pertanto, noi viviamo nella optima universi series, non esime affatto ne´ dall’azione tesa al bene comune, ne´ dall’accertamento empirico dei fatti. In questa direzione, certo non percorsa da Leibniz, ma solo allusa, la teodicea puo` autenticarsi in antropodicea e affidare la Sinngebung della storia all’agire etico e alla ricerca 26 del singolo individuo . Tutte queste fertili implicazioni del pensiero storico-filosofico di Leibniz, solo in parte, come diremo, messe a frutto dall’hannoverese sul versante della ricerca erudita e del metodo storiografico, sara` dunque necessario tenere presente e analizzare nel corso del lavoro. Senza dimenticare, del resto, quanto esse, mentre sporgono sul futuro per le ragioni indicate – in primis per una teologia filosofica che segna una liberazione dai soffocanti
25
P. Hazard, La crisi della coscienza europea, cit., p. 514. Sottolinea questa direzione pratica della teodicea leibniziana A. Poma in Impossibilita` e necessita` della teodicea, cit., pp. 254-255. 26
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dogmatismi confessionali ed entro cui si afferma un nuovo concetto di individualita` – siano avviluppate in pesanti limiti di ordine ontologicometafisico che ne circoscrivono in modo preciso i guadagni. Meinecke indica i due principali: da un lato, la persistenza del giusnaturalismo delle verita` necessarie, che fa dello sviluppo scoperto all’interno dell’individuo piu` un processo di perfezionamento che un puro processo di evoluzione storica27;
dall’altro, il solipsismo monadico e la conseguente necessita` di un aggiustamento esterno delle relazioni tra le monadi mediante il ricorso all’armonia prestabilita, cio` che, nonostante l’ampiezza e la comprensivita` della legge di armonia, che non mancheremo di sottolineare, limita e pone sotto precisa tutela la spontaneita` individuale, rischiando di fare, in fondo, dei dinamismi delle singole monadi una sorta di drammaturgia barocca, di balletto di automi, e della storia umana un copione gia` scritto ab origine da Dio, da svolgersi nel tempo. In cio`, pare del tutto confermarsi l’acuto giudizio di Pietro Piovani sulla filosofia leibniziana, e piu` in generale su quella moderna, la cui fondatezza verificheremo ampiamente e su diversi piani nel corso della disamina del pensiero storico di Leibniz: In cospetto della prevalente presenza della molteplicita` delle esistenze individuate, non il rapporto dei molteplici con l’uno, ma dell’uno con i molteplici, in mutata prospettiva, sembra specificamente problematico. Tutto il razionalismo filosofico moderno, con il suo inquieto acume, ne ha consapevolezza ... Non per niente in Leibniz la monadologia sembra essere inventata prevalentemente per controllare, disciplinare le entificate monadi, in una specie di contrapposizione allo sfuggente monadismo attivamente costruito dalle incontrollabili disarmonie del pensiero moderno28. 27
F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 21. P. Piovani, Oggettivazione etica e assenzialismo, a cura di F. Tessitore, Napoli 1981, pp. 106-107. E analogamente, per richiamare il passo posto in esergo a questa Introduzione, scrive il pensatore napoletano: «Il pluralismo moderno non fa in tempo a conoscersi quale e`, che gia` e` timoroso del suo stesso essere pluralistico, gia` nega la fiducia alla capacita` dell’individuo di vivere e convivere: non ha ancora infranto il mondo unitario e gerarchico del Medio Evo e gia` paventa di essere obbligato a vivere in un universo perennemente frazionato: invece di esaltare i pregi d’una convivenza polimorfa, si lascia prendere da un vero incubo della «polverizzazione», disconoscendo cosı` la sua origine e la sua natura, alle quali tuttavia rimane legato, costretto com’e` a portarne a compimento, piu` o meno 28
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Eppure, ad onta di cio`, dal genio teoretico leibniziano e` possibile ricavare, quanto alla metafisica della storia che Leibniz nei suoi scritti ha abbozzato, affidandola non piu` che a spunti e a frammenti, ulteriori aspetti fecondamente innovativi e precorritori. Si e` accennato in precedenza all’immagine, rinvenibile nei Saggi di Teodicea § 149, della storia universale come romanzo di Dio. C’e`, in questa immagine della storia come romanzo, dunque come sequenza di fatti forniti di unita` “narrativa”, che si ritrova anche nella Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbu¨rgerlicher Absicht (1784) di Kant, l’indizio di una novita` rispetto alla teoria e pratica dell’histoire savante, alla storia come raccolta di Historiae e di exempla edificanti, nonche´ a quel tempo lineare e naturale costituito dalla successione cronologicogenealogica di sovrani e di grandi famiglie principesche che governa la storiografia leibniziana: per tale immagine, in effetti, le Geschichten, le Historiae, le res gestae, che Leibniz ancora raccoglie negli Annales Imperii Occidentis Brunsvicenses nello stile dell’annalistica classica – nota al pensatore tedesco sin da quando, ancora fanciullo, si dilettava con Tito Livio e con altri storici antichi – tendono a coagularsi attorno a una Geschichte u¨berhaupt che presenta un’interna unita` e una connessione di senso, in una chiave, certo, ancora teologica e soteriologica, per quanto, ed e` punto capitale, offerta da una teologia razionale, com’e` quella che sorregge la teodicea, invece che chiesastica e dogmatica. Se, come si e` visto, nel pensiero leibniziano si assiste a una transizione dall’Historia sacra a una teo-ontodicea filosofica fondata sull’harmonia universalis, e se con tale operazione il filosofo di Hannover intendeva rispondere, in modo ancora teologico ma affrancato dagli ormai insostenibili schemi biblici difesi a oltranza dalle ortodossie confessionali e da pensatori come Bossuet o Malebranche, alla crisi di fiducia in un ordine provvidenziale che caratterizza l’epoca barocca, non e` difficile riconoscere in tutto cio` gli esordi di quel fenomeno di mutamento linguistico-categoriale che Reinhart Koselleck ha registrato nell’area culturale tedesca nel corso del Settecento come transizione dalle Historiae, o Geschichten (al plurale), alla 29 Geschichte (al singolare), cogliendolo ai suoi albori proprio in Leibniz . Al consapevolmente, piu` o meno contraddittoriamente, gli impliciti programmi» (Id., Giusnaturalismo ed etica moderna, Bari 1961, pp. 108-109). 29 Cfr. R. Koselleck, Futuro passato. Per una semantica dei tempi storici, tr. it. di A. Marietti Solmi, Genova 1986, p. 43. Sul tema del “romanzo di Dio” Koselleck si sofferma anche nella voce “Geschichte, Historie” contenuta in Geschichtliche Grundbegriffe. Historisches Lexicon zur politisch-sozialen Sprache in Deutschland, hrsg. von O. Brunner, W. Conze, R. Koselleck, Stuttgart 1992, Band 2, p. 663. Su Leibniz cfr. anche ivi, p. 655. Un’acuta disamina dell’ermeneutica della temporalita` storica koselleckiana e` contenuta in P. Ricoeur, Tempo e
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declino progressivo – spiega Koselleck negli studi raccolti in Vergangene Zukunft che delineano un’ermeneutica del tempo storico – della esemplarita` delle storie legato all’esperienza dell’accelerazione storica, produttiva di uno iato sempre maggiore tra passato e futuro, di un solco sempre piu` marcato tra spazio d’esperienza e orizzonte di aspettativa, fa da riscontro il suddetto processo di transizione concettuale. Dove non ci sia piu` stabilita` e ripetizione del traditum e dei tra`diti a garantire l’interna unita` di senso delle storie, ma disincanto del mondo e secolarizzazione, dove la temporalizzazione della storia sottragga evidenza archetipica e paradigmaticita` agli eventi, non piu` cosı` esemplari e ripetibili nella misura in cui il futuro si distingue dal passato, dove, dunque, il tempo si stacchi dalla natura e acquisti un tratto peculiarmente storico, la dominabilita` degli eventi esige il passaggio dalle Historiae, dalla simplex narratio gestarum, dal resoconto delle cose accadute in quanto accadute, rispetto alle quali l’ufficio della storico era di imparziale registrazione, al singolare collettivo di una “storia u¨berhaupt” dotata di un’interna connessione e di una contestuale unita` di senso. La filosofia della storia, naturalmente, e` dietro l’angolo, ma lo e` anche l’altra linea dello storicismo, ben distinta dagli onto-teologismi idealistici: 30 alludiamo a quello Historismus “critico-problematico” che prende le mosse racconto, tr. it. di G. Grampa, Milano 1988, vol. 3 (Il tempo raccontato), cap. 7 (Verso un’ermeneutica della coscienza storica), pp. 317-365. Inoltre, di Ricoeur su Koselleck, cfr. La memoria, la storia, l’oblio, a cura di D. Iannotta, Milano 2003, p. 425 sgg. Un’analisi di questo volume di Ricoeur e` contenuta nell’Introduzione a Ricoeur di D. Jervolino, Brescia 2003, cap. II (Memoria, storia, oblı`o nell’ultimo Ricoeur). 30 Sottolinea tale dualita` di sbocchi che il processo del singolarizzarsi della Geschichte ha avuto tra Sette e Ottocento F. Tessitore in Tra storicismi e storicita`, in Id., Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Roma 1995, vol. I, p. 22 sgg. La nozione accennata di “storicismo critico-problematico” rinviene negli scritti di P. Piovani il suo originario punto di riferimento. Cfr. in part. di questo autore: Conoscenza storica e coscienza morale, Napoli 1966; Id., Principi di una filosofia della morale, Napoli 1972; Id., Oggettivazione etica e assenzialismo, cit. Sullo storicismo di Piovani si veda F. Tessitore, Tra esistenzialismo e storicismo: la filosofia morale di Pietro Piovani, Napoli 1974. Di rilievo, per documentare la genesi e lo sviluppo dello storicismo critico-problematico e` il volume collettivo AA. VV., Lo storicismo e la sua storia. Temi, problemi, prospettive, a cura di G. Cacciatore, G. Cantillo, G. Lissa, Milano 1997. Sullo storicismo critico-problematico, ci permettiamo di rinviare anche al nostro studio Una interpretazione dello storicismo etico-religioso, pubblicato originariamente in “Atti dell’Accademia di Scienze Morali e Politiche”, vol. CVIII, anno 1997, Napoli 1998, pp. 211-243, ora in R. Celada Ballanti, Esistenza e destinazione etica. Studi sul pensiero contemporaneo, Alessandria 2001, pp. 101-135. Di W. von Humboldt si veda ora la fondamentale raccolta di scritti: W. von Humboldt, Scritti filosofici, a cura di G. Moretto e F. Tessitore, Torino 2004, e, in tale volume, in part. l’Introduzione di F. Tessitore, pp. 9-68 (sulla presenza di Leibniz in Humboldt, cfr. in part. le pp. 14 sgg. e 48 sgg.).
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dall’interdetto kantiano nei confronti della metafisica e, soprattutto, dal “kantismo eterodosso” di Wilhelm von Humboldt, per poi dipanarsi lungo 31 le linee additate da Meinecke nell’Entstehung des Historismus (1936) . Historismus individualizzante e problematico, quello a cui ci riferiamo, del quale converra` chiedersi, cio` che cerchiamo di fare nel corso del lavoro, se il filosofo di Hannover non abbia precocemente intuito – analogamente a Vico, indipendente alleato del pensatore tedesco «nello sforzo di dare un 32 nuovo fondamento all’individuale» – uno dei problemi cruciali, che Fulvio Tessitore cosı` formula: la ricerca del fondamento fuori delle assolutezze ontologiche della totalita` metafisica, e dentro l’universalizzazione della Universalgeschichte...33.
Non a caso, proprio Humboldt e` prontamente ricordato da Koselleck come colui che, introducendo nella comprensione storica le categorie (leibniziane!) di forza individuale e di direzione, ricuso` ogni concezione ingenua e contenutistica del carattere paradigmatico degli esempi passati, e trasse, per ogni genere di storiografia, la seguente conclusione generale: «Lo storico degno di questo nome deve presentare ogni evento come parte di un tutto, o, che e` lo stesso, mettere in luce, in ogni evento, la forma della storia (Geschichte) in generale»34.
Anche per questo versante, dunque, si conferma che Leibniz ricercatore e pensatore storico sta in uno scomodo quanto fecondo Zwischensein tra le Historiae o Geschichten, e il singolarizzarsi di una Geschichte attinta sulla base della metafisica dell’harmonia universalis e della religione della teodicea. Del resto, del legame di Leibniz con la problematica del “futuro passato” da` prova inequivocabile, se ce ne fosse bisogno, il testo – su cui sostiamo nel capitolo primo – della Prefazione ai Nouveaux essais (cfr. A VI, 6, 50-51) nel quale il filosofo, dopo aver sottolineato lo scarto conoscitivo tra le associazioni empiriche e le connessioni fondate su proposizioni necessarie, scrive che troppo poco si considera quanto il mondo cambia, e che l’attesa, 31
Sul concetto di “kantismo eterodosso” cfr. in part. F. Tessitore, Il senso della storia universale, Milano 1987, p. 258 sgg.; Id., Introduzione allo storicismo, Roma-Bari 1991. 32 P. Piovani, Linee di una filosofia del diritto, Padova 1968, p. 110. Cfr. anche ivi, pp. 190-191. 33 F. Tessitore, Presentazione a Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit., p. 9. 34 R. Koselleck, Futuro passato, cit., p. 43. Di Humboldt si veda in part. lo scritto Il compito dello storico, in W. von Humboldt, Scritti filosofici, cit., pp. 521-540.
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fondata sull’abitudine empirica, di un futuro simile al passato, e da esso confermato, appare fondata sull’ovvieta` di una verita` di fatto che puo` in ogni momento essere smentita, non essendo legittimata da altro che dalla consuetudine reiterata. Se e` vero che, di regola, la ragione consiglia di attenersi a quanto e` consolidato nella prassi, e` bene che l’uomo saggio sia attento agli scarti che impercettibilmente ma continuamente il tempo scava tra il passato e il futuro, tra l’identico e il diverso, non fidandosi troppo di quanto e` dovuto a consuetudine. La saggezza, la phronesis, pare dire Leibniz, non e` piu` classicamente fuori dal tempo, ma e` quella che sa leggere i “segni dei tempi”, sa vegliare sulle ragioni, misurando le novita` innestate nell’esperienza dalle variazioni impercettibili che conducono avanti il fondo della storia impedendo la ripetizione dell’identico. Ne discende, se non la caduta, quanto meno un indebolimento dell’idea di paradigmaticita` e archetipicita` delle esperienze passate, degli exempla, che andranno comunque vagliati alla luce della ragione e non assunti senza discernimento o sulla semplice base del principio di autorita`. Gli esempi del passato servono ancora, pare suggerire Leibniz, ma forse un po’ meno e con minore certezza, dal momento che la storia registra novita` e non ripetizioni. L’Historia magistra vitae, pur ancora saldamente operante nella visione leibniziana, da assioma indiscutibile si tramuta in verita` di fatto, probabile, ma non certa ne´ necessaria. Non si tratta, forse, di una transizione di poco conto. Era in realta` l’esperienza, di cui Leibniz fu acutamente cosciente, di un’accelerazione storica (abre´gement du temps) nel campo conoscitivo, di un progresso senza precedenti nella storia dell’umanita` che il suo secolo “illuminato” andava realizzando come una possibilita` fragile, che poteva sempre andare perduta, insieme al principio della legge di continuita`, a determinare nel filosofo tedesco l’idea di un futuro diverso dal passato, percio` di un progresso che Leibniz tende a configurare come universale e fondato sulla legge metafisica di armonia. Tanto che Arno Seifert, senza concedere piu` del dovuto alla coscienza leibniziana della Neuzeit, ha potuto parlare del pensatore di Hannover come di un 35
Programmatiker der Fortschrittsbeschleunigung .
Tutto cio` finisce per porre questioni interessanti riguardo alla tempora35 A. Seifert, Neuzeitbewußtsein und Fortschrittsgedanke bei Leibniz, in Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 179.
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lita` e al tempo storico, temi su cui abbiamo ampiamente sostato nel capitolo primo del presente lavoro. Del resto, la verifica della tesi koselleckiana della transizione dalle Geschichten alla Geschichte, l’avvaloramento di un “Leibniz storico” collocato nell’incerto metaxu che contamina nova et vetera, esigeva un’indagine accurata della concezione del tempo, e in modo particolare del tempo storico. Tanto piu` rilevante tale indagine appare entro una storiografia, quale e` quella leibniziana, che, nel mostrare di prediligere la forma annalistica della rappresentazione storica, fa delle cronologie, percio` del tempo e della sua certezza, la determinazione categoriale essenziale. Argomento, quello del tempo storico, sul quale scarsamente la critica 36 leibniziana ci pare abbia sostato . E` noto quanto rilievo Koselleck ascriva all’attingimento, nel corso del XVIII secolo, di un tempo dotato di una qualita` storica, in opposizione all’esperienza del tempo naturale, statico, e alle dottrine teologiche e mitiche dei quattro imperi o delle sei eta` del mondo. La temporalizzazione, l’esperienza del tempo storico, si puo` ben dire costituisca, per lo studioso tedesco, l’atto di nascita stesso del mondo moderno. E` un tempo, quello “denaturalizzato” cui alludiamo, che perde la sua connotazione spaziale, la determinazione di principio omogeneo e tassonomico, di “contenitore” degli accadimenti, e che diventa esso stesso evento interno agli eventi, dotato, dunque, di caratteri peculiari subordinati ai dinamismi delle diverse epoche. E`, questo, il tempo umano che Marc Bloch cosı` descrive nella sua Apologia della storia o Mestiere di storico: Il tempo umano, in conclusione, sara` sempre ribelle sia all’implacabile uniformita` che alla rigida ripartizione del tempo dell’orologio. Gli occorrono misure che siano adeguate alla variabilita` del suo ritmo e che accettino spesso di non riconoscere come limiti, poiche´ la realta` vuole cosı`, che zone marginali. Solo a prezzo di questa plasticita` la storia puo` sperare di adattare, secondo il detto di Bergson, le proprie classificazioni alle «linee stesse del reale»: il che e`, propriamente, il fine ultimo di ogni scienza37.
Ed e`, questo, il tempo che esplode nella Rivoluzione francese, l’evento che piu` macroscopicamente ha sviluppato un nuovo rapporto con la temporalita`: con esso, in effetti, avviene l’immissione, nella lenta marcia 36 Fa eccezione in questo, in particolare, W. Voise´ nel contributo intitolato On Historical Time in the Works of Leibniz, in Aa.Vv., The Study of Time II, a cura di J.T. Fraser and N. Lawrence, Berlin, Heidelberg, New York 1975, pp. 114-121. 37 M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, tr. it. di G. Gouthier, Torino 1998, p. 137.
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della storia, di un tempo breve, convulso, accelerato, produttivo di radicali mutamenti a lunga durata nel breve volgere di pochi anni. Ne´ e` un caso che il consaputo attingimento di un simile tempo, che presenta esso stesso una qualita` storica, maturi, per indicare due date ideali, tra l’Essai sur les moeurs di Voltaire (1756) e l’Esquisse d’un tableau historique des progre`s de l’esprit humain di Condorcet (1794), nell’epoca, cioe`, in cui il tempo-energia gia` incoativamente innescato dall’eta` della crisi della coscienza europea (1680-1715) era venuto travolgendo a sempre maggiore velocita` gli antichi immobilismi e preparava i fatti rivoluzionari. Entro questo processo, l’idea stessa di progresso si temporalizza, “de-spazializzandosi”, affrancandosi dai modelli e dalle metafore naturali, cio` che incoativamente avviene proprio in Leibniz. Ora, proprio questo tempo storico, prodotto dai dinamismi interni all’evento stesso, esigeva l’abbandono del primato delle genealogie e cronologie, espressione di una temporalita` statica, additiva, e di una rappresentazione storica, quale quella annalistica, che registra le novita` momento per momento, in una sorta di eterno presente, e che si fonda sulla testimonianza oculare: Come ebbe a dire Kant: finora la storia si e` modellata sulla cronologia; ora si tratta di far sı` che la cronologia si modelli sulla storia. Questo era il programma dell’Illuminismo: ordinare il tempo storico in base a criteri che potessero venir derivati dalla conoscenza della storia stessa38.
Solo quando la conquista illuminista del mondo storico prima, descritta 39 da Dilthey e da Cassirer , e lo storicismo maturo poi, sferrando un radicale attacco ai residui giusnaturalistici della Weltanschauung moderna sostituiranno, per dirla con Meinecke, «ad una considerazione generalizzante ed astrattiva delle forze storico-umane la considerazione del loro carattere 40 individuale» , sara` reso possibile il passaggio, nella visione storica, dall’idea 38
R. Koselleck, La storia sociale moderna e i tempi storici, in Aa.Vv., La teoria della storiografia oggi, a cura di P. Rossi, Milano 1983, p. 146. L’allusione di Koselleck va al § 36 dell’Antropologia pragmatica di Kant (tr. it. di G. Vidari e A. Guerra, Roma-Bari 1985, p. 75), testo che certo appartiene alla crisi della cronologia che caratterizza il secolo XVIII (cfr. su questo W. Lepenies, La fine della storia naturale. Le trasformazioni di forme di cultura nelle scienze del XVIII e XIX secolo, tr. it. di S. Kolb e A. Pasquali, Bologna 1991, cap. primo). 39 Cfr. W. Dilthey, Il secolo XVIII e il mondo storico, tr. it. di F. Tedeschi Negri, Milano 1977, e E. Cassirer, La filosofia dell’illuminismo, cit., cap. V, pp. 277-324. Cfr. F. Diaz, Une re´-e´valuation de l’histoire des Lumie`res, in “Storia della storiografia”, 10, 1986, pp. 91-106. 40 F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. X.
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di paradigmaticita`, esemplarita`, archetipicita`, a quella di unicita`, individualita` degli eventi, non piu` organizzati secondo il modulo della adequatio tra ordo rerum e ordo idearum, che riduce il tempo a cronologia, ma puntando piuttosto, come scrive Tessitore, su periodi storici che non scaturiscono dal flusso omogeneo del tempo, ma piuttosto, come configurazioni di eventi elaborano ciascuno un proprio tempo, sı` da determinare la conseguenza che il modo in cui un periodo sperimenta la propria temporalita` puo` non essere identico con l’esperienza di periodi cronologicamente precedenti o successivi41.
D’altronde, se tale e` il quadro di fondo della res de qua agitur, la disamina del primo capitolo non intende certo approdare al risultato interpretativo di ricavare dal pensiero di Leibniz un simile tempo storico. Lo stesso impiego leibniziano della forma annalistica della rappresentazione storica, e` del resto gia` eloquente del legame con la temporalita` naturale articolata in cicli uniformi, additiva, fondamentalmente statica, nonostante l’applicazione ad essa della legge di continuita` concorra a rinnovarla. Nondimeno, non manca di essere colto dalla nostra analisi un segnale di distacco dalla tirannide del tempo lineare e dal giogo di cronologie e genealogie. Intanto, la teoria relazionistica leibniziana della temporalita` impedisce di pensare il tempo come “cosa in se´” che, scorrendo sugli eventi, impone, sul modello newtoniano, il suo ritmo uniforme a tutto, e consente, al contrario, di concepirlo come flusso scaturente dalle profondita` della realta` individuale, fornita com’e`, quest’ultima, di una successione di stati e di una durata fluida in cui passato, presente futuro si avviluppano e si contaminano in una rete di prospettive incrociate in cui ogni istante ricapitola l’interezza del tempo: Et comme tout present e´tat d’une substance simple est naturellement une suite de son e´tat precedant, tellement que le present y est gros de l’avenir [GP VI, 610].
Ma, soprattutto, l’analisi del De rerum originatione radicali, che siamo andati svolgendo assecondando un fertile suggerimento di Robinet, ci sembra denunciare e annunciare, pur sul terreno metafisico, una diversa figura di temporalita`, fondata sul pluralismo delle monadi e sul principio 41 F. Tessitore, Tra storicismi e storicita`, in Id., Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, cit., vol. I, p. 19.
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del meglio, anziche´ sulle strutture del tempo naturale (avvicendamento delle stagioni o successione di sovrani e dinastie) o sulla linea retta spazializzata del tempo propria del razionalismo scientifico: si tratta di quella durata vissuta che sta al fondo della monade, di quel “tempo-piega” o “tempo-Unruhe” – che distinguiamo dal “tempo-linea” come astrazione dell’intelletto – composto di dinamismi oscillatori, di accelerazioni e arresti, di progressi e regressi, costituente il fondo interiore del tempo che, a un piu` alto livello di astrazione, l’intelletto spazializza in linea retta e articola in intervalli uguali, gli stessi, poi, che compongono le linee genealogiche e cronologiche dell’annalistica. L’idea leibniziana di progresso, cosı` come emerge nelle celebre chiusa del De rerum, partecipa a questo distacco dal tempo naturale, fondata com’e` sulla legge meta-fisica dell’armonia universale, sulla nozione morale di felicita` e sull’avvertimento di un’accelerazione nel campo della conoscenza e delle tecniche. Resta tuttavia che, nella prospettiva da noi indicata, l’ordo rerum della durata, nel suo disporsi come temporalita` plastica, dinamica, sensibile alle elastiche e plurali movenze della storicita` individuale, appare da Leibniz prontamente “irregimentato” e congelato nell’ordo idearum del tempo ideale, cosı` da ridurre il corso delle cose a flusso omogeneo e, sul terreno storiografico, a cronologia e genealogia. Leibniz, nella sua filosofia, come hanno mostrato acuti interpreti contemporanei come E. Bloch, M. Serres, G. Deleuze, annuncia un distacco dal tempo naturale, mostra, fa vedere, una temporalita` elastica, plurale, spiraliforme, sottratta all’omologazione cronometrica e quantitativa, ma poi troppo presto le volge le spalle, cede alla razionalistica urgenza di piegare il multiplo a ordini successivi di integrazione razionale, al giusnaturalismo della direzione lineare e continua delle idee dell’intelletto, fino ad ascendere ai vertici icnografici del “sie`ge de Dieu”, dove ogni prospettiva si dissolve nella visione dell’intero. Questo ampio spettro di temi e problemi affrontiamo nel primo capitolo della presente ricerca, mentre rinviamo al terzo l’analisi della nozione di progresso. C’e`, nelle linee suggerite, quanto basta per definire la prima polarita` della concezione leibniziana della storia, il primo centro focale di addensamento di temi e problemi su cui ci siamo in questo secondo paragrafo dell’Introduzione soffermati – quello che, concernendo i fondamenti metafisici e religiosi della storia, raccogliamo sotto il sintagma cassireriano di teodicea della storia – come un contesto frastagliato dove forze ideali vecchie e nuove lottano fecondamente generando punte eruttive che coesistono con residui di antico, dunque evidenziando contrasti, dislivelli. L’analisi della
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temporalita` conferma – come il capitolo primo intende documentare – le stesse ambivalenze. Le conferma anche, nel capitolo secondo, l’indagine condotta sull’opera storiografica leibniziana. Antiche tradizioni storicoteologiche provvidenzialistiche, ma anche processi di secolarizzazione ai quali Leibniz offre suggerimenti nuovi e decisivi; apriorismi, verita` necessarie ed eterne, armonie prestabilite, ma anche un pluriverso di individualita` in dinamico sviluppo; antiquati paradigmi storiografici legati alle res gestae e al vecchio canone dell’Historia magistra vitae, ma anche l’affiorare dell’unita` di una “Geschichte u¨berhaupt”; una temporalita` giusnaturalisticamente legata alle verita` di ragione e al tempo naturale delle cronologie e genealogie, ma anche la durata vissuta interna alla monade, sensibile alla storicita` individuale e all’accelerazione storica: tutto cio` genera un campo di forze confliggenti, di luci e ombre – la medesima contesa che rileveremo nella storiografia erudita, l’altro fuoco della “ellittica” concezione storica leibniziana – che avvalora l’idea diltheyana e meineckeana di epoca e di sviluppo storico come connessione dinamica che avviluppa in se´ tensioni e contrasti, la stessa che Meinecke applica a Leibniz ne Le origini dello storicismo, facendone uno dei “precursori” dello Historismus. Se, a parere del filosofo tedesco, il pensatore di Hannover e` attraversato da spinte confliggenti, da polarita` opposte che lottano «in un sol petto», e` perche´ il punto sorgivo, aurorale (Entstehung) di ogni connessione epocale esibisce simili fluttuazioni, nodi e circoli fecondi che sfidano e sospendono le semplificazioni storiografiche della “fila indiana” del prima e del poi: Costituisce la natura intima dell’evoluzione storica – scrive Meinecke in una pagina esemplare dell’Entstehung des Historismus – il fatto che essa si attui soltanto attraverso una polarizzazione, attraverso una tensione che mai cessa di opposte tendenze. Quando nascono i grandi movimenti intellettuali sostituendosi agli altri e dominando la vita, sembra spesso che assumano un carattere soggiogatore, almeno temporaneamente, ed assolutistico nei riguardi di tutto cio` che e` loro contrapposto. Ma, se si guarda bene, non di rado, gia` da principio si puo` avvertire in essi, accanto ad essi, al di sotto di essi, una forza di natura e di tendenze diversa, rivolta verso un futuro non immediato, la quale spesso e` in una stretta e vitale relazione col movimento che si va affermando, ma che un giorno dovra` dissolverlo, per poi scomparire essa stessa con le stesse vicende di vittoria e di decadenza. «Formazione, trasformazione, eterno giuoco dell’idea eterna». Dipende dal carattere di chi osserva questo processo se lo spettacolo appare pieno di significato o assurdo, se la storia diventa fonte di consolazione o di disperazione, se ne nasce un fiacco relativismo o la fede nell’idea, non ostante il suo imminente tramontare. Una tale fede puo` fare affidamento gia` sul fatto, che cio` che scompare in questa dialettica dello
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sviluppo non scompare mai completamente, ma continua ad avere la sua efficacia in una ulteriore forma di vita42.
E` in questa direzione ermeneutica che anche noi intendiamo leggere Leibniz. La temporalita` epocale in cui lo cogliamo ci appare intessuta di coordinate che avviluppano il presente al passato e al precorrimento del futuro, spezzando la piatta e deterministica linearita` dello sviluppo progressivo. Cosı`, Leibniz come storico ci appare un tipico esponente dell’erudizione seicentesca, uno studioso del diritto pubblico dell’Impero, nel quale la stessa erudizione assume un significato politico, ma anche piu` di tutto questo, vale a dire un anticipatore di concetti e categorie, sul terreno speculativo, e anche su quello della metafisica della storia, che poi non sa, o non puo`, mettere pienamente a frutto nel metodo storiografico, rimasto saldamente ancorato al vecchio “canovaccio” dell’annalistica e alle ricerche genealogiche. Altrettanto, ci si mostra come un teologo della storia e uno storico moralista, ma con quale potenza innovativa razionale e critica! Non si vuole, con cio`, concedere troppo alla categoria di “precursore” che Meinecke nel celebre libro del 1936 applica al pensatore della Monadologia, oltre che a Shaftesbury, Arnold e Vico, ma recepire, di tale interpretazione, un motivo che ci sembra fondamentale ancorche´ modernissimo: il principio, rinvenibile in W. von Humboldt, Ranke, Dilthey, e recepito da Meinecke, secondo cui, come spiega Tessitore, le idee emergono l’una dopo l’altra dalla fiumana lavica spazio-temporale della vita non nel senso di configurare un tendere ascensionale di grado in grado, bensı` in quello di una ideale contemporaneita` delle varie possibili manifestazioni, le quali, in tal modo, rendono storica la vita perche´, manifestandosi, danno coscienza di connessione strutturale alla indistinta magmaticita` dell’esistenza. Rispetto alla quale ciascun picco eruttivo (sia consentito proseguire nella metafora suggerita da Humboldt) e` come una di quelle improvvise apparizioni divine, come tale portante in se´ quel carattere dell’«immediata illuminazione», di cui parla Ranke43. 42
F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 197. F. Tessitore, Introduzione a Meinecke, Roma-Bari 1998, pp. 90-91. Cfr., sul concetto di epoca, sempre di Tessitore, il saggio intitolato Vico, Dilthey, Croce, Meinecke e la metodologia delle epoche storiche, in Id., Storicismo e pensiero politico, Milano-Napoli 1974, pp. 139-184, dove si oppongono “storiografia epocale” e “storiografia categoriale”. Sull’«idea di evenienza, che l’epoca moderna esemplarmente configura quale campo di forze contrastanti e interagenti in cui il nuovo innova e pero` non annulla il vecchio pur nella preparazione dell’avvenire», Tessitore ha sostato anche in Senso comune, teologia della storia e storicismo in Giambattista Vico, in Id., Nuovi contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, Roma 2002, p. 33. 43
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Gli “squilibri” che evidenziamo in Leibniz come storico nel corso della nostra ricerca rinvengono l’humus e la struttura categoriale teoretica in una simile idea di evento e di evoluzione storica come intreccio conflittuale e come contaminazione di forze ideali dove l’antico e il nuovo lottano fecondandosi reciprocamente. E` questo orizzonte che assumiamo come ideale fondamento ermeneutico del nostro lavoro. Avremo modo di sottolineare, tra l’altro, quanto nella teoresi leibniziana vi siano elementi che consentono di pensare l’evento e il processo storico come connessione dinamica e organica tra passato, presente e futuro, secondo una direzione non lontana da quella ora additata. Ma cio` che si vuole qui rilevare e` il tratto “drammatico”, solcato di contrasti, fecondamente chiaroscurale, a piu` piani, della lettura meineckeana di Leibniz, che intendiamo fare nostro, assecondando tra l’altro, in cio`, la tendenza invalsa nella piu` recente Leibniz-Forschung alla 44 rinuncia a letture monolitiche o eccessivamente armonizzatrici . Del resto, correre il rischio di evidenziare, nella coscienza leibniziana, l’incrociarsi dei grandi contrasti di un’epoca, la turbolenza delle forze spirituali in campo, il cozzare di spinte confliggenti, alcune legate al passato, altre anticipatrici del futuro, senza volerle ricondurre a unita` interna, a definizione sistematica, pare anche a noi, alla fine, ermeneuticamente piu` fecondo di letture forzosamente conciliatrici dei nodi irrisolti o unilateralmente semplificatrici. Il polemos, in effetti, non e` solo cifra dell’esistenza umana: lo e` anche di quell’esistenza particolare che e` dei concetti, che se il destino del singolo individuo riflettono e` perche´ dal bios individuale e storico traggono origine. Attraversati come sono, per questo Ursprung, da un flusso demonico, che torce e prolunga l’intenzione autorale in intenzionalita`, in moto inesausto che va sempre oltre il gesto prensile del cum-capere, del Be-greifen, i concetti, le idee, cosı` come i sistemi di idee, chiedono di essere sciolti da troppo circoscriventi e reificanti tutele interpretative, quelle che li congelano in -ismi, e di essere restituiti alla loro liberante indicativita`, alla loro reale plastica natura di direzione, di forza 44
Significativo specchio della odierna Leibniz-Forschung, oltre che documento eloquente dell’approccio plurale, multidisciplinare, prospettivistico, al pensiero di Leibniz sono gli Atti del convegno berlinese del 10-14 settembre 2001, Nihil sine ratione. Mensch, Natur und Technik im Wirken von G.W. Leibniz, VII. Internationaler Leibniz-Kongreß, hrsg. von H. Poser, 3 Ba¨nde, Berlin 2001. Ai tre volumi si e` aggiunto: Nachtragsband, Gottfried-WilhelmLeibniz Gesellschaft, Hannover 2002. Inoltre, per un sintetico panorama della medesima ricerca nei suoi sviluppi piu` recenti cfr. la nota di G. Varani, Leibniz: interminati orizzonti e inesauribili risorse del pensare. Un decennio di “Leibniz-Forschung” (1992-2002), in “Bollettino della Societa` Filosofica Italiana”, 177, 2002, pp. 41-52.
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creatrice, di realta` allusiva, sommamente ricca di vita e percio` di contraddizioni, tesa com’e` tra passato e futuro. In questa prospettiva, la stessa categoria meineckeana di “precursore”, una volta sottratta al suo possibile impiego antistorico, come suggerisce Tessitore nel passo citato, puo` ricevere nuova luce e nuova legittimazione. Cio` che vale, a nostro avviso, universalmente per la lettura di un autore, ci pare valga in particolare per Leibniz, il quale, tra l’altro, come storico della filosofia, come lettore e interprete di Platone, di Aristotele, degli Stoici, di Cartesio, di Malebranche, di Spinoza, e` un esempio significativo di una simile lettura ermeneuticamente creatrice di concetti e di sistemi di concetti. III. – Erudizione e teodicea: una ellisse – figura geometrica “barocca” come poche – costituita da una coppia di fuochi in tensione complementare, pur nella loro diversita`, in ciascuno dei quali si addensano e si contaminano nova et vetera, traditum et novitas, persistenza dell’antico e intravedimento del futuro. La visione leibniziana della storia, come la costruiamo nella presente ricerca, e` definita da un simile campo gravitazionale: compresa tra l’istanza di un rigore critico e filologico capace di vincere il pirronismo sul suo stesso terreno, con la forza cioe` di severe procedure critiche, e quella di una Rechtfertigung ultima, fondata su un’idea teologico-razionale di Iustitia Dei resa visibile da una legge di armonia che governa l’universo, in grado di rispondere alla crisi di fiducia in un ordine provvidenziale che segna l’eta` di Leibniz. Ne´, dunque, Leibniz e` un puro erudito annalista e giurista, collezionista ed editore di fonti storiche, come spesso si e` preteso, e neppure egli e` un semplice filosofo, metafisico o teologo razionale della storia. Solo l’intreccio di cultura filosofico-teologica e ricerca erudita, l’unione dunque di teodicea e analisi storico-critica, offre un’immagine esauriente di Leibniz come storico e restituisce l’originalita` e la novita`, quanto i limiti, della sua visione. Come l’ellisse, dotata com’e` di due fuochi, obbliga l’occhio a spostarsi continuamente in un moto bipolare, secondo una dinamica introdotta dalla cosmologia di Keplero ed esaltata artisticamente dall’estetica barocca, cosı` il nostro lavoro ambisce a costruirsi attorno a questi due nuclei generatori viaggiando dall’uno all’altro, guardando, anche, l’uno dalla prospettiva dell’altro, cogliendo in ciascuno resistenze di antico e precorrimenti del nuovo, scrutandone implicazioni, legami, ma anche conflitti, dislivelli, spesso non rilevati dalla critica per non aver tenuto in equilibrio e messo in relazione il coˆte´ filosofico e quello erudito-antiquario. Anche la monade, tra l’altro, e` riconducibile a un’ellisse, costituita com’e` di ombra e luce, di un
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lato oscuro e di uno illuminato, energia inquieta in movimento contro la 45 staticita` compiuta del cerchio . In effetti, il Leibniz erudito, lo storiografo genealogista e annalista, il collezionista ed editore di fonti rare rinvenute in monasteri, biblioteche e archivi, il giurista, diplomatico e consigliere di corte che usa la storia a vantaggio delle pretese e degli interessi politici della Casa hannoverese, non puo` far dimenticare il filosofo, o teologo razionale, che di fronte al corso storico-universale e` mosso da una domanda soteriologica e teleologica. Per confutare il pirronismo, d’altronde, era certo necessaria l’erudizione, sorretta da un metodo critico di valutazione delle fonti, tesa a fondare la fides historica sul terreno privilegiato dei libertins, quello dell’erudizione appunto, ma occorreva altresı` una teodicea su basi razionali e filosofiche. Il Seicento, 46 come ha osservato Hannah Arendt , e` l’epoca in cui la bonta` di Dio, e 45
Recepiamo l’opposizione tra l’ellisse e il cerchio dal celebre saggio di H. Wo¨lfflin, Rinascimento e Barocco, tr. it. di L. Filippi, Firenze 1928 (ed. cit. 1998), dove si legge: «Il Barocco non da` mai il finito e il soddisfatto, non la calma dell’essere, ma l’agitazione del divenire, la tensione di uno stato mutevole. E da cio` deriva, in altra maniera, di nuovo un senso di movimento. A questo appartiene il motivo della tensione nelle proporzioni. Il cerchio p. es. e` una forma del tutto calma, immutabile, l’ovale e` irrequieto e sembra tendere ad un continuo mutamento. Gli manca la necessita`. Il Barocco per principio crea queste proporzioni «libere». Il finito, il completo e` contrario alla sua indole» (ivi, p. 164). Anche Roberto Longhi riprende da Wo¨lfflin l’opposizione cerchio-ellisse: «E bene: il problema del Futurismo rispetto al Cubismo e` quello del Barocco di fronte al Rinascimento. Il Barocco non fa che porre in moto la massa del Rinascimento: la liscia facciata di chiesa, una tavola di pietra spessa e robusta si incurva pressa da una forza gigante. Al cerchio, succede l’ellisse. Cerchio e` staticita` abbandono riposo. Ellisse e` cerchio compresso, energia all’opera, movimento» (R. Longhi, I pittori futuristi, in Da Cimabue a Morandi, Milano 1993, pp. 152-153). Cfr., su Longhi e sui temi allusi E. Raimondi, Barocco moderno. Roberto Longhi e Carlo Emilio Gadda, Milano 2003 (in part. cap. 3, Il cerchio e l’ellisse). In modo non lontano, anche J. Rousset, a proposito delle forme architettoniche barocche osserva: «La pianta tipica del Rinascimento e` la pianta centrale, a forma di poligono o di cerchio, che nelle chiese da` luogo alla cupola sulla croce greca. In generale, il Rinascimento e` affascinato dal cerchio. Il Barocco dilata questo cerchio, lo strappa al centro unico, spezza l’uguaglianza dei raggi: al posto della pianta circolare, dove lo sguardo, in un unico istante, e nell’immobilita`, puo` assicurare la propria sovranita` sullo spazio intero, il Barocco inventa l’ovale, dove non si ha piu` centro, dove ce ne sono diversi, dove il punto di vista si sposta» (Id., La letteratura dell’eta` barocca in Francia. Circe e il pavone, tr. it. di L. Xella, Bologna 1985, p. 211). E con l’ellisse, si potrebbe osservare assecondando le indicazioni di Rousset, entra nell’arte barocca il tempo, la durata, che smuove la fissita` eterna e compiuta dell’arte rinascimentale. Sull’ellisse e il Barocco cfr. anche S. Sarduy, Barocco, tr. it. Milano 1980. 46 H. Arendt, Vita activa. La condizione umana, tr. it. di S. Finzi, Milano 1991, pp. 208-209. Cosı` C. Borghero, cui si deve un vasto e scrupoloso affresco sul problema della storia nel XVII secolo, delinea la crisi pirronista a cui ando` soggetta la coscienza storica in tale epoca: «Privata di dignita` teorica la conoscenza storica, anche il contenuto della tradizione veniva
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conseguentemente quella del corso storico, non appare piu` evidente e va quindi dimostrata mediante un procedimento razionale, che la teodicea speculativa interpreta alla stregua di un processo forense. Strategia originale, quella di Leibniz, dove le complesse architetture concettuali della teodicea, tese a ricomporre l’unita`, lacerata e messa in questione quanto mai nella coscienza barocca, tra essere, Dio e bene, si saldano alla ricerca delle fonti, all’istanza, che proveniva dalle piu` severe acquisizioni della scienza storica moderna, di severe metodologie di verificazione critica dei documenti. Su entrambi i versanti, si direbbe, Pierre Bayle e` il grande interlocutore. Ma, se contro l’autore del Dizionario storico-critico Leibniz si erge a difensore della Provvidenza, analogamente a quanto fara`, in occasione del terremoto di Lisbona, Rousseau contro Voltaire – e i §§ 146-149 dei Saggi di Teodicea sono le pagine in cui piu` palesemente, contro il pessimismo antropologico di Machiavelli e Bayle, Leibniz applica la sua visione armonicistica al mondo della storia – vicino al pensatore francese, invece, si mostra quanto al gusto incontentabile per le res singulares, alla cautela nell’accertamento dei fatti e alla rivalutazione generale del sapere storico. Due fuochi problematici, dunque, due plessi, quelli che compongono la coppia che ha ispirato il titolo stesso della presente ricerca – erudizione e teodicea – che, per quanto corrispondenti a tradizioni di pensiero distanti per visione, per logica, per metodo, e per quanto alla fine piu` giustapposti che armonizzati e compenetrati – a causa, come diremo, dell’imperfetta fusione polverizzato e alla fiducia nell’ordine provvidenziale si andava sostituendo una concezione della storia come insieme caotico di vicende meramente umane. Puo` essere difficile per il lettore di oggi, che spesso soltanto grazie alla mediazione colta arriva a ipotizzare un ordine nelle vicende storiche, riportarsi a un’eta` in cui la concezione ingenua vedeva nella storia una successione ordinata di fatti e si volgeva a essa come a un paradigma sicuro di comportamento. Eppure la rottura del vecchio quadro storiografico operata dal libertinismo erudito era soltanto un aspetto della piu` vasta crisi intellettuale che caratterizzo` il passaggio dal Sei al Settecento e che coinvolse anche la storia della terra. Sarebbe sufficiente scorrere le pagine di Rene´ Pintard o l’ampia raccolta di Fre´de´ric Lache`vre per avere una conferma della profondita` della rottura libertina. La critica razionalistica di Gabriel Naude´, il relativismo scettico di Franc¸ois La Mothe Le Vayer, l’analisi naturalistica dell’impostura religiosa condotta da Cyrano de Bergerac, il sereno “paganesimo” della morale laica di SaintEvremond, per tacere di tanti altri ancora, operarono tutti nel senso di favorire il passaggio da un mondo chiuso e ordinato – fondato sulla trascendenza dei valori e la provvidenzialita` del disegno divino che presiede allo sviluppo del corso storico e gli assegna un fine – al regno del caos, all’impossibilita` di riconoscere un qualsiasi senso nella storia e all’ammissione della parzialita` e relativita` di tutte le ricostruzioni del passato» (Id., La certezza e la storia. Cartesianesimo, pirronismo e conoscenza storica, Milano 1983, p. 4).
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tra scienza antiquaria e sistema filosofico – Leibniz ha cercato di saldare e conciliare in un disegno unitario, quello tratteggiato, tra ricerca erudita e Provvidenza, nelle pagine di apertura di questa Introduzione. In che modo tale saldatura e` potuta – pur con i limiti di coerenza e di integrazione che osserveremo – avvenire? Come una teodicea della storia poteva coesistere con una severa ricerca erudita, senza rendere inutile quest’ultima? Se e` vero, come scrive Robinet, che i diversi livelli del discorso storico leibniziano – dalla ricezione critica delle tradizioni storiche alla storia scientifica erudita fino alla logica della storia – poggiano ultimamente su fondamenti metafisi47 ci , e` interessante chiedersi come tali fondamenti includano, anziche´ rendere superflui, il piano cognitivo euristico-empirico del discorso storico. Inclusione che non significa, lo ribadiamo, coerenza e omogeneita`. Intanto, si e` gia` indicato un primo fattore di saldatura tra la descritta teodicea della storia e la storiografia: la concezione leibniziana, grandiosa e certo assai barocca, di un’unica Citta` di Dio, cosı` ecumenica da accogliere la totalita` degli spiriti razionali, secondo uno «sforzo intellettuale – come ha osservato R. J.W. Evans – per abbracciare cristiani e pagani in una sorta di 48 teodicea cattolica» , e` stata certo assecondata da quel processo di secolarizzazione nella visione storico-universale che, da Melantone a Bodin, da Lapeyre`re a Simon, era venuto sgretolando, sia sul piano temporale che su quello spaziale, le vecchie periodizzazioni teologiche e bibliche quali quella delle “sei eta` del mondo” o dei “quattro Imperi”, problematizzando sempre piu` l’idea che un unico popolo eletto, o un’unica storia ecclesiastica 49 potessero essere i depositari e i custodi esclusivi del senso della storia . Di qui l’esigenza di un nuovo fondamento che sostituisse i sempre piu` logori paradigmi biblico-teologici. Inoltre, ed e` un secondo fattore additato, si e` sottolineato quanto rilievo abbia il concetto di individualita` nell’orizzonte della teodicea (o metafisica) della storia leibniziana. Ma e` su un ulteriore elemento, che presiede direttamente alla compresenza dei due poli della visione storica leibniziana, percio` al formarsi della ellisse, che intendiamo qui richiamare l’attenzione per rispondere alla domanda posta: e` che appartenga alla natura stessa della teodicea della storia leibniziana, e del principio di ragione che la fonda, la possibilita` di lasciare spazi aperti, “zone franche” per la ricerca filologica ed erudita, per la 47 A. Robinet, Les fondements me´taphysiques des travaux historiques de Leibniz, in Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., pp. 49-67. 48 R.J.W. Evans, Felix Austria. L’ascesa della monarchia asburgica: 1550-1700, tr. it. di A. Prandi, Bologna 1981, p. 539. 49 Cfr. E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., p. 326.
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cognizione empirica dell’individuale. Avremo modo di riflettere nel corso del lavoro su quanto cio` finisca per revocare in dubbio la possibilita` di edificare su tali presupposti, cosı` come Leibniz autenticamente li concepı` e non secondo la loro ricezione illuminista e idealista, una organica e sistematica filosofia della storia che definisca le leggi universali del corso degli eventi. La cui assenza in Leibniz, anziche´ segno di acerba inizialita` che attendeva piu` solide e compiute sintesi, finisce per diventare cifra di superiore lungimiranza e modernita` rispetto al successivo storicismo idealistico che si allunga da Lessing a Hegel. In cio` Leibniz, da questo punto di vista, sta, a nostro avviso, almeno assiologicamente, non prima degli autori indicati, ma dopo di essi. Nella prospettiva leibniziana, in effetti, sono i documenti, faticosamente sottratti all’oblio mediante un autentico sforzo “venatorio”, che tendono la mano a quanto la teodicea filosofica ci dice a priori: sapere, grazie al concatenamento inviolabile delle verita`, che Dio, il Principio buono e saggio, ha scelto la migliore serie possibile di eventi, o che un’armonia universale lega tutte le singole cose, non elimina, anzi richiede, la ricerca empirica, la cognizione del dettaglio individuale, che nessuna verita` a priori ci svela, ma che possiamo «tirer des te´ne`bres» solo mediante un’indagine a posteriori. I §§ 8 e 13 del Discorso di Metafisica sono naturalmente un locus classicus di questa problematica. Nella figura che il classico problema del logon didonai assume in Leibniz, quello del principio di ragione, resta percio` spazio, sul piano storico, per la resistenza del dato, del Faktum, del tutto refrattario, come ha 50 sottolineato anche Antonio Corsano , a farsi assorbire in un’analisi che si volesse totalizzante, e bisognoso piuttosto di disciplinate procedure critiche volte alla acquisizione e alla ricognizione dei fatti: procedure su cui Leibniz ha spesso sostato e delle quali ha auspicato, anche per la conoscenza storica, l’instaurazione. Espressione com’e`, per dirla con Nicola Abbagnano, 51 di una «ragione problematica» e non onnivora che, come notava lo stesso filosofo esistenzialista italiano, avvicina in una comune ispirazione Leibniz e 52 Vico , il nihil sine ratione, mentre esclude, per sua stessa indole, una connessione a priori tra i dettagli empirici, la possibilita`, percio`, di “perducere ad finem” l’analisi dei predicati del soggetto storico, finisce per 50
Cfr. in part. A. Corsano, Bayle, Leibniz e la storia, Napoli 1971, p. 54 sgg. Cfr. N. Abbagnano, Storia della filosofia, vol. II, Torino, 1982, p. 293 sgg. Di Abbagnano si legga anche la voce “Fondamento” in Dizionario di filosofia, Torino 1980, (2 ed.), pp. 413-415. 52 Id., Storia della filosofia, cit., vol. II, p. 310. 51
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tradursi, nelle verita` di fatto, percio` sul piano della storia, in un metodo sperimentale finalizzato a circoscrivere sempre provvisoriamente, con regole, un campo d’azione, quello della contingenza, di per se´ infinito. La grande catena degli esseri e degli avvenimenti e` destinata, a parte hominis, a restare incompleta e sempre faticosamente da completarsi con nuovi anelli. Solo Dio vede con un colpo d’occhio la teleologia universale che sorregge gli eventi della storia. L’ellisse, il movimento inquieto tra i due fuochi che abbiamo proposto di impiegare come immagine per definire il pensiero storico leibniziano, e` dunque resa possibile dalla non-onnicomprensivita` del principio di ragione, che consente, nel campo delle verita` di fatto, percio` della storia, il generarsi di una dialettica tra apriorita` e ricerca empirica, sorretta dalla logica del probabile. E` questo, in Leibniz, che impedisce una radicale metafisicizzazione aprioristica della storicita`. E` quanto suggerisce, ci sembra, un lucido brano di Aldo Masullo: La ragion d’essere necessaria delle ‘‘verita` necessarie’’ e` raggiungibile con un discorso finito, e quindi e` umanamente conoscibile: si tratta di una necessita` puramente logica, la quale percio` appartiene in proprio alla competenza del pensiero. La ragion d’essere necessaria delle “verita` di fatto” invece e` raggiungibile solo con un discorso infinito, dunque non e` umanamente conoscibile: si tratta di una necessita` extra-logica, che riguarda la totalita` stessa dell’ente e la sua origine assoluta, Dio, e percio` non si fonda nel puro pensiero; ne´, d’altra parte, in quanto infinitamente lontana, rientra nella portata dell’esperienza. Il concetto matematico dell’infinito come limite di una serie infinita di operazioni, quale ad esempio la radice quadrata di un numero primo, allorche´ viene usato nel contesto di un discorso metafisico ne dissolve la metafisicita`. Per esso, l’impossibile conoscenza del termine finale di una serie operativa infinita viene praticamente surrogata dalla conoscenza della regola stessa dell’infinito operare, la quale, come regola e` finita ... Conoscere le “verita` di fatto” non e` l’impossibile scoperta della loro causa necessaria, ma il possesso di precise regole metodologiche, con cui ogni volta provvisoriamente circoscrivere campi di fatti ed esercitarvi ben disciplinate procedure analitiche, volte a isolare i nessi elementari onde l’esistenza di un fatto e` condizionata dall’esistenza di un altro, non meno “contingente”, che ne costituisce pertanto la “ragion sufficiente”53.
Nel senso indicato, dal principio di ragione ne´ sono ricavabili leggi
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A. Masullo, Metafisica, Milano 1980, p. 164.
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universali e necessarie che regolano, ciclicamente o meno, i fenomeni storici, ne´ sono riconducibili a un disegno totale perfettamente perspicuo i momenti del corso storico, siano essi le eta` o epoche di Gioacchino da Fiore, Bossuet, Lessing, Hegel, siano i dettagli dei singoli accadimenti. La causalita` nel dominio della ricerca storica, per Leibniz, riguarda essenzialmente soggetti individuali, salvo il legame ultimo della serie di cause nell’insondabile e mai perfettamente illuminabile ratio dell’harmonia universalis. Neppure quest’ultima, del resto, puo` essere identificata come fondamento metafisico di una filosofia della storia, come base di una teoria 54 generale della storia. Sono le illuminanti analisi di Michel Serres , in questo caso, sulla legge metafisico-cosmologica di armonia come spazio aperto, “trascendentale”, solcato da movimenti di variazioni, trasformazioni, in cui ogni legge storica puo` nascere e trovare la propria crisi, a orientare le considerazioni contenute nel capitolo terzo § 4: nel delineare la sua metafisica-teodicea della storia, Leibniz non traccia le coordinate di una filosofia della storia, ma allude alla regione in cui tutte le possibili filosofie della storia, tutte le possibili leggi storiche presuntivamente universali, si originano e muoiono, rivelandosi, nella trascendentalita` di quello spazio, niente piu` che relative concrezioni di senso. Piu` che un Grund, quel principio di armonia – come si evince dalla celebre lettera di Leibniz a Magnus Wedderkopf del maggio (?) 1671 (cfr. A II, 1, 117-118) – si rivela un Abgrund in cui sprofonda ogni pretesa assolutezza delle leggi storiche. Cosı`, il nihil sine ratione e un simile principio di armonia universale destinavano la teodicea della storia leibniziana a restare aperta, asistematica, non compiuta come organica e onnisciente filosofia della storia, imponendo, anziche´ renderlo superfluo, lo sforzo della ricerca empirica dei dati. Non a caso, ed e` un’altra differenza essenziale che separa la concezione storica di Leibniz da quella di Bossuet, mentre il filosofo hannoverese fa spazio all’erudizione, il vescovo francese poteva condannarla drasticamente in nome della “libido sciendi” (cfr. il trattato De la concupiscence, 1694 circa, ma pubblicato nel 1731). La teodicea della storia abbozzata da Leibniz non e` dunque identificabile con una filosofia della storia organica, sistematica, e neppure ne e` l’imperfetto precorrimento in attesa di perfezionamenti cate-
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Cfr. M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, Paris 1968, ed. cit. Paris 2001, pp. 282-284. Sul rapporto tra principio di ragione e armonia universale, assai fini e da noi condivise sono le osservazioni di R. Cristin, Heidegger e Leibniz. Il sentiero della ragione, Milano 1990, in part. p. 107 sgg.
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goriali: le e` necessario – ed e` questo un fondamentale elemento singolare e differenziante – l’apporto della ricerca empirica ed erudita. Ecco perche´, se Leibniz e` lontano da Bossuet, neppure la lessinghiana Erziehung des Menschengeschlechts – nella quale si evidenziano le precise fasi storiche evolutive della rivelazione divina come educazione dell’umanita`, fino alla “terza eta`” come tempo della perfezione segnato dal “nuovo Vangelo eterno” – puo` ambire a essere assimilata al pensiero dell’hannoverese. Del resto, sembra accomunare il vescovo di Meaux e il filosofo della religione dell’umanita`, naturalmente nella profondissima diversita` di vedute, la tesi che sia possibile gettare uno sguardo panoramico sulla storia, 55 articolandola in epoche o eta` . Invece, come scrive Corsano, che in cio` lega opportunamente Leibniz a Bayle, la rigorosa dicotomia ... di verita` di ragione e verita` di fatto ... costituisce appunto la piu` salutare prevenzione critica contro ogni sopraffazione di opposte prevaricazioni: di quella teologico-metafisica, come di quella che diremmo genericamente empirica56.
Cosı`, per Leibniz la storia universale non puo` dispiegarsi secondo leggi generali, ma va descritta risalendo da proposizioni singolari contingenti in direzione di un’universalita` e totalita` destinata a rimanere idea regolativa e, come tale, incompiuta. Meglio di altri, lo ha osservato Max Ettlinger, tracciando un significativo confronto con Leopold von Ranke: anche in senso puramente teoretico l’attenzione di Leibniz e` regolata soprattutto sulla storia universale (Universalgeschichte). In ogni ricerca particolare permane in lui, come in ogni grande storico, la cognizione della connessione storico-universale, come fine ultimo e supremo. L’e-
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Si legge infatti nell’Avvertenza preliminare dell’editore apposta all’Educazione del genere umano: «L’autore vi si e` posto su un’altura dalla quale crede di abbracciare con lo sguardo qualcosa di piu` del cammino prescrittogli dal presente di oggi. Ma egli non induce nessun frettoloso viandante, desideroso soltanto di raggiungere presto l’asilo notturno, ad abbandonare il suo sentiero. Ne´ pretende che il panorama che incanta lui, debba incantare pure ogni altro occhio» (G.E. Lessing, L’educazione del genere umano, in Id., La religione dell’umanita`, a cura di N. Merker, Roma-Bari 1991, p. 129-130). Nell’Avant-propos al Discours sur l’histoire universelle, appare un’idea affine dello spettacolo panoramico offerto dall’histoire universelle: «Un tel abre´ge´, Monseigneur, vous propose un grand spectacle. Vous voyez tous les sie`cles pre´ce´dents se de´velopper, pour ainsi dire, en peu d’heures devant vous» (J.-B. Bossuet, Discours sur l’histoire universelle, Paris, s.d., p. 7). 56 A. Corsano, Bayle, Leibniz e la storia, cit., p. 10.
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spressione di Ranke: «La storia e` per sua natura universale» rende pienamente il pensiero leibniziano57.
Alla prospettiva leibniziana, nel suo tendenziale volgersi a una Universalgeschichte ben diversa dalla Weltgeschichte, secondo la distinzione tra “storicismo degli storici” e “storicismo dei filosofi” lumeggiata da Tessito58 re , paiono dunque bene attagliarsi, assecondando il parallelo tracciato da Ettlinger, anche le seguenti parole di Ranke, la cui ispirazione poteva essere raccolta da Meinecke, nel chiudere la commemorazione del 23 gennaio 1936 tenuta all’Accademia prussiana delle scienze, nella formula ippocratica 59 cara a Leibniz di “sumpnoia panta” : Quanto piu` avanti procediamo – osserva Ranke –, tanto piu` difficile e` raggiungere veramente la totalita`; infatti anche in questo caso possiamo conseguire qualche risultato soltanto attraverso una ricerca precisa, un apprendimento graduale, un approfondimento documentato ... Quale infinita massa di cose! Quante tendenze differenti! Quale difficolta` a comprendere anche soltanto l’elemento singolo! Nel campo della storia universale inoltre non riusciamo a sapere molto anche quando vogliamo comprendere ovunque il solo nesso causale; per non parlare di quando vogliamo sondare l’essenza della totalita`. Credo che sia impossibile assolvere completamente questo compito. Solo Dio conosce la storia universale. Noi conosciamo le contraddizioni; «le armonie – come dice un poeta indiano – note agli dei, ma ignote agli uomini», possiamo soltanto presagirle, possiamo accostarci ad esse solo da lontano. E` pero` evidente per noi che c’e` un’unita`, un processo, uno sviluppo60.
Un tale moto storico di risalimento dal particolare all’universale – moto senza fine e senza possibile chiusura, dal momento che, lo ripete anche Ranke, l’armonia universale e` ultimamente destinata a restare arcana, le pieghe del continuum reale sono infinite, gli scarti dettati dalle piccole 57 M. Ettlinger, Leibniz als Geschichtsphilosoph. Mit Beigabe eines bisher unvero¨ffentlichen Leibnizfragmentes u¨ber “Die Wiederherstellung aller Dinge” (Apokatastasis panton), Mu¨nchen 1921, p. 6. 58 Cfr. sul tema in questione in part. di F. Tessitore i saggi raccolti in Il senso della storia universale, Milano 1987, e Weltgeschichte o Universalgeschichte? Lo storicismo dei filosofi e lo storicismo degli storici, in Id., Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, cit., vol. I, pp. 81-108. Sull’influsso, invece, di Leibniz sull’idealismo, cfr. G. Zingari, Leibniz, Hegel e l’idealismo tedesco, Milano 1991. Ricordiamo anche il denso volume di M. Ivaldo, Fichte e Leibniz. La comprensione trascendentale della monadologia, Milano 2000. 59 Cfr. F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 513. 60 L. von Ranke, Le epoche della storia moderna, tr. it. di G. Valera, Napoli 1984, p. 299.
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percezioni sono infiniti – si evince, ad esempio, da una lettera indirizzata a Otto Grote del giugno 1692, dove il pensatore, nel dichiarare di voler realizzare un’opera storica per il duca di Braunschweig qui ne soit pas tout a` fait indigne de luy, qui puisse avoir l’approbation du siecle, et qui puisse esperer encor un accueil favorable aupre´s de la posterite´,
scrive che cerchera` di arricchire tale opera par le Stile, par l’exactitude, a` l’egard des rapports et par quelques decouvertes Historiques peu communes que j’auray soin de faire entrer, et qui tireront sur l’universel, quoy qu’elles naissent de nostre Histoire particuliere [A I, 8, 12].
Quanto detto sembra bastare a tenere Leibniz al riparo da precorrimenti di idealismi storicistici piu` di quanto non si sia potuto pensare in base a frettolose genealogie. Gli sviluppi sistematici che l’idea di una Rechtfertigung speculativa della storia universale – idea certo presente in Leibniz – ricevera` nel corso della complessa Wirkungsgeschichte dell’opera leibniziana, appaiono non poco lontani dalla filosofia dell’hannoverese e soprattutto non ricavabili direttamente da una lettura del principio di ragione e della legge di armonia. A riflettere su cio`, in effetti, la tesi di un Leibniz “Geschichtsphilosoph” anticipatore delle organiche filosofie della 61 storia successive si fa, almeno nella sua univocita`, problematica . Cosı`, osserva anche Louis Daville´, sono in realta` irreperibili in Leibniz leggi e 62 concatenazioni universali del corso storico . Il filosofo tedesco, in realta`, pare addirittura meno disposto di Vico a rinvenire leggi e costanti nella storia. La visione leibniziana non ne necessita, dal momento che l’armonia universale – struttura metafisica certamente “ingombrante”, nel suo essere prestabilita, anziche´ da stabilirsi ad opera della liberta` dei soggetti agenti nella storia – agisce gia` come Rechtfertigung e come “collante” assicurato al reticolo di individualita`, in cio` non bisognose di ulteriore legislazione. Con tutto cio` non si vuole, tuttavia, negare che con Leibniz avvenga, 61
Si vedano in proposito le considerazioni di W. Hu¨bener contenute nell’intervento al Simposio ferrarese del giugno 1980, Leibniz – ein Geschichtsphilosoph?, in Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 41. Riprendiamo le osservazioni di Hu¨bener e affrontiamo il problema di Leibniz “filosofo della storia” nel capitolo terzo § 4. 62 L. Daville´, Leibniz Historien. Essai sur l’activite´ et la me´thode historiques de Leibniz, Paris 1909 (riproduz. dell’ed. originaria, Darmstadt 1986), p. 666.
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per la prima volta nel pensiero occidentale, una svolta decisiva che avrebbe assecondato e propiziato il sorgere idealistico delle filosofie della storia: svolta consistente nell’applicazione alla storia universale di un sistema metafisico-teleologico inclusivo di un’idea dinamica ed evolutiva di “Gloria di Dio” e di una teoria del progresso. Resta pero`, a nostro avviso – come argomentiamo nel capitolo terzo –, che nella teodicea della storia leibniziana risiedevano anche elementi diversi e allusivi ad altri possibili Denkwege, cosı` che la continuita` tra gli spunti presenti in Leibniz e le successive filosofie della storia risulta essere, a nostro avviso, tutt’altro che univoca ed esclusiva. Tra questi elementi, decisivi ci paiono quelli su cui si e` posto l’accento nelle pagine precedenti: il valore dell’individualita`, di un’universalita` che non e` totalita` e la saldatura tra metafisica della storia e ricerca empiricofilologica, tra teodicea ed erudizione. Ed e` singolare in questo senso osservare che Piovani, con felice intuito ermeneutico, coglieva in Vico un dinamismo d’integrazione tra la «teologia civile ragionata della provvedenza divina» e gli spazi lasciati aperti alla filologia dalle «scuciture» della Provvidenza stessa, analogo a quello da noi rilevato in Leibniz, sottolineando, in questa direzione, le affinita` tra il filosofo della Scienza nuova e quello della Monadologia: cio` che potrebbe rappresentare una solida base di partenza per un confronto sistematico, che resta a tutt’oggi un desideratum, tra i due pensatori: Le armonie della storia vichiana – scrive Piovani – hanno qualcosa di tradizionalmente meccanico come le armonie della metafisica, della fisica, della stessa storia, di Leibniz: per questa loro residua meccanicita` di tipo classico, sono entrambe, pur in diverso modo e in diversa misura, non stabilite, ma prestabilite; tuttavia, con l’omaggio reso alla tradizione, per la loro incompletezza teoretica, esse si liberano dai rischi di una meccanicita` piu` raffinata e piu` opprimente perche´ razionalizzata in una universalizzazione meno ingenuamente tradizionale e piu` astutamente accorta. Le armonie dei mondi vichiani e leibniziani consentono, cosı`, agli uomini disarmoniche liberta`, degne di autonoma analisi, non consentite alle regolarita` inevitabilmente rigide del ricostituito, futuro cosmo hegeliano, guidato da un sempre trionfale provvidenzialismo perfezionato, irrimediabilmente totale nel suo sicuro totalismo. Al di qua di un simile provvidenzialismo neo-razionalistico, Vico, come Leibniz, ha la possibilita` di conservare nella sua storia campi d’indagine riservati alla analisi delle attivita` individuali osservate per se stesse. Proprio per codesto suo limite, Vico, come Leibniz e meglio di Leibniz, grazie alla filologia, riesce a intravedere la conoscenza storica quale conoscere storico autenticamente individualiz-
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zante: scienza umana per se´ stante, fertile di «invidiose» novita`, preludio a una rinnovata sistemazione del sapere63.
D’altro canto, lo stesso Piovani coglieva tra Leibniz e Vico un’ulteriore analogia: non soltanto quella del fare spazio, da parte della metafisica, alla filologia e all’individualita` concreta, ma anche il bisogno di quest’ultima, in entrambi gli autori ancora troppo incerta e germinale per reggersi da se´, di trovare riparo e solidita` nelle maglie di una teologia civile ragionata della Provvidenza o di una teodicea filosofica. Ecco un altro limpido testo del filosofo napoletano che, nell’additare la comune preoccupazione dei due pensatori moderni per l’individualita`, sottolinea quanto in entrambi essa prontamente riceva un inquadramento entro un orizzonte armonicisticometafisico, non senza osservare, del resto, la fecondita` contenuta nelle stesse contraddizioni: E` una storia – scrive il filosofo napoletano a proposito di Vico – sollecitamente bisognosa di giustificarsi nell’armonizzante provvidenza allo stesso modo che la pluralistica vita delle esistenze individuate da Leibniz ha sollecito bisogno di spiegarsi nella provvidenzialita` della prestabilita armonia. Vico e Leibniz, ognuno a suo modo, anelano un ancoraggio per quell’individualita` cui pure hanno avuto il coraggio di affidarsi, spiegandola verso inesplorati lidi. Entrambi, in modi differenti, temono l’incapacita` dell’individualita` a spiegare l’armonica coesistenza sia dei pensieri sia delle azioni e sembrano segnalarne l’eteronomia nel momento stesso in cui ne illustrano l’autonomia: segno, anche questo, della ricerca di un fondamento nuovo dell’intravista autonomia, costretta a ripiegare su posizioni piu` sicure, piu` o meno legate a quelle tradizionali, solo per guadagnar tempo a conoscer meglio se stessa e i suoi veri problemi. Forse, se fosse possibile scrivere una storia parallela delle diverse incertezze e di Vico e di Leibniz, si troverebbe alla radice di esse la comune preoccupazione di trovar presto un fondamento universale all’individuale: quelle incertezze molto spesso nascono dall’ansia di trovarlo sollecitamente, anche a costo di smentire l’intuizione che regge la medesima ricerca e che vuole che quell’universale debba trovarsi non fuori, ma dentro l’individualita`, nell’intimita` della sua essenza profonda, da approfondire, dunque, radicalmente, senza esitazioni. Ma la genialita` filosofica si manifesta anche 63
P. Piovani, Vico senza Hegel, in Aa.Vv., Omaggio a Vico, Napoli 1968, pp. 584-585; ora in Id., La filosofia nuova di Vico, a cura di F. Tessitore, Napoli 1990, pp. 207-208. Sviluppa i rapporti tra Leibniz e Vico R. Bonito Oliva in Teleologia e Teodicea in Leibniz e Vico, in Aa.Vv., La filosofia pratica tra metafisica e antropologia nell’eta` di Wolff e Vico, Atti del Convegno Internazionale, Napoli, 2-5 aprile 1997, a cura di G. Cacciatore, V. GessaKurotschka, H. Poser, M. Sanna, Napoli 1999, pp. 225-249.
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nella potente attitudine sua a legare insieme certezze ed incertezze nell’unita` avvincente del sistema, latente od espresso. Tale potenza permette alle filosofie di Vico e di Leibniz di far fronte anche alle loro contraddizioni, tanto riuscendole a trasformare in suggestioni da alterarne la natura, divenuta subito irriconoscibile, o quasi, perche´ trasformata gia` in linfa delle meditazioni successive. In maniera simile ai nostri pensatori meridionali, Vico e Leibniz, ognuno per suo conto, vogliono cercare nella storia tutto l’avvertito valore dell’individualita`; ma presto allargano i confini della storia esaminata, universalizzandola in un ordine cosmico che facilmente coincide con la totalita` di quel valore. La forza teoretica naturalmente fornisce loro i mezzi, diretti ed indiretti, chiari e oscuri, prudenti ed imprudenti, per un simile ampliamento che, in buona parte, muta il problema, spostandolo64.
Resta, entro il contesto additato, che compone in entrambi i pensatori una dialettica tra filologia e filosofia, la resistenza del fatto, del dato individuale a una metafisicita` olistica, onnisciente, onnicomprensiva, restano le zone illuminabili attraverso il faticoso scavo filologico-erudito (pur con i limiti che gravano sulla stessa metodologia storiografica leibniziana, che evidenzieremo). Se, dunque, Vico puo` stare “senza Hegel”, per riecheggiare il titolo del saggio vichiano di Piovani citato, Leibniz puo` ben stare “senza Lessing” e la sua Erziehung des Menschengeschlechts (1780) la quale, sugli spunti leibniziani, mostrando di aver scavalcato, per la via storicoprocessuale, il “largo fossato” tra verita` storiche e verita` di ragione ritenuto invalicabile nel saggio U¨ber den Beweis des Geistes und der Kraft (1777), ha edificato la prima organica e sistematica filosofia della storia65. IV. – E` dunque per le vie indicate che Leibniz puo` a buon diritto inscriversi nella storia della faticosa conquista moderna dell’individualita`: sia, sul piano teoretico e della metafisica della storia, con l’idea di monade – come la tradizione dello storicismo che va da W. von Humboldt e Goethe a
64 Id., Il pensiero filosofico meridionale tra la nuova scienza e la «Scienza nuova», in “Atti dell’Accademia Nazionale di Scienze Morali e Politiche”, Napoli, LXX (1959), ora in Id., La filosofia nuova di Vico, cit., pp. 43-44. 65 Su Lessing e Leibniz, a proposito del saggio lessinghiano Leibniz von den ewigen Strafen (1773), ci soffermiano nel cap. quarto § 2. Sulle affinita`, invece, che legano il cristianesimo razionale ed ecumenico di Leibniz al cristianesimo filosofico e liberale di Lessing e di Kant, accennate anche nelle pagine precedenti, sostiamo in part. nel capitolo primo §§ 5 e 7 e nel capitolo 3 § 2.
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Dilthey, a Meinecke e a Troeltsch sa bene66 –, di una sostanza individuale, cioe`, storicamente ed esistenzialmente connotata e non deducibile dall’universale come suo accidente, ma recante in se´ un’universalita` inesauribile verso cui si muove; sia, a livello storiografico, con l’adesione, tra i modelli di ricerca storica disponibili nel suo tempo, all’histoire savante, sull’esempio delle scuole maurina e bollandista, ma anche di Baronio e dei Centuriatori, e non senza forti influssi baconiani, condividendo con la Re´publique des Lettres diffusa in Europa, quale principale rappresentante tedesco della linea storico-erudita, i meriti della fondazione della moderna nozione di fonte storica, e partecipando in particolare alla scoperta e alla definizione storiografica del Medioevo. I due piani suddetti – teoretico e storiografico – non sono del resto indipendenti: al grandioso lavoro di ricerca svolto dall’hannoverese nel solco della storia erudita, ricostruito con perizia mai piu` eguagliata da Louis Daville´ nella sua monografia del 1909 Leibniz Historien, e al gusto filologico per le res singulares, non e` certo estraneo quel valore ascritto alle nominalistiche rationes singularium sin dalla giovanile Dissertazione De Principio Individui (1663), ove e` contenuta la ben nota tesi, appunto nominalistica, «omne individuum sua tota Entitate individuatur». Non v’e` dubbio, in effetti, che la filologia umanistica s’inscriva nello stesso solco del nominalismo di Abelardo, Scoto, Ockham, nell’affermazione, che segna la “via moderna”, del principio di esistenza e di individualita` di ciascun ente contro l’essenzialismo gnoseologico e metafisico. In questo senso, il primato nominalistico dell’essere reale e individuale va di pari passo con il primato filologico del documento, del diploma, della fonte autentica, nella sua preziosa, insostituibile unicita` e irripetibile singolarita`, contro i commentari, le glosse, le chiose del metodo scolastico-aristotelico. Fino a riconoscere con Lorenzo Valla – l’iniziatore, con la dimostrazione della falsita` della donazione di Costantino verso la meta` del ’400, del metodo critico moderno – che la filologia e` l’autentica teologia, capace com’e` di
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Sulla Wirkungsgeschichte leibniziana nel solco dello storicismo critico-problematico si veda l’Introduzione di R. Bonito Oliva a Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit., pp. 11-71. Si legga inoltre quanto osserva a proposito del senso dell’individualita` storica entro la tradizione suddetta E. Troeltsch, nel proporre di ritornare all’idea leibniziana di monade: «Ma, soprattutto, soltanto in questo modo puo` essere compreso anche l’autentico senso dell’individualita`, come l’hanno afferrato i romantici e i poeti, i filosofi e gli storici, specialmente W. v. Humboldt, strappandolo all’intellettualismo leibniziano, ancor tutto chiuso in se stesso, per cosı` dire senza finestre» (Id., Lo storicismo e i suoi problemi, a cura di G. Cantillo e F. Tessitore, Napoli 1985, vol. 1, p. 235).
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non aggiungere nulla al senso della Scrittura, contro l’ingombrante fardello esegetico di sovraccarichi intellettualistici. Se poi al nominalismo si aggiunge, nella vicenda biografica leibniziana, la formazione giuridica precocemente trasfusa, con sorprendente erudizione, nella Nova Methodus discendae docendaeque Jurisprudentiae (1667), non e` difficile comprendere in che modo la teoria filosofica dell’individualita`, insieme alla scienza del diritto e alla iniziazione politico-diplomatica del periodo maguntino, destinassero il giovane Leibniz all’incontro con l’erudizione e con il suo peculiare metodo storico, che di filologia, giurisprudenza e politica e` costitutivamente imbevuto e sostanziato. 67 Si deve, in Italia, agli studi di A. Corsano l’aver richiamato l’attenzione, tra i primi, oltre che sul rilievo della Disputatio del 1663 e delle sue implicanze metafisiche, sulla crucialita` problematica dell’individualita` nell’economia complessiva del pensiero leibniziano: vera e propria pietra d’inciampo irriducibile a ogni clausura panlogistica, fatto resistente, nella sua ermetica e innominabile infinita`, a ogni Erstarrung nella ragione logica, 68 destinato, come ha osservato anche Piovani , a interrompere il sogno di una Scienza universale, di una Caratteristica universale, di una Enciclopedia universale, al quale, nel secolo del Barocco, il pensatore della Monadologia versa pesantemente il suo tributo. Per quanto – ed e` questione essenziale che rileveremo ampiamente – nell’erudizione storica non manchino precisi legami con la propensione enciclopedistica e combinatoria, percio` con la fissazione, riduzione e semplificazione delle realta` in tavole e classificazioni 69 ben definite , la storia, per Leibniz, e` innanzitutto e resta regno di verita` contingenti e conoscenza di individualita` empiriche, le cui azioni e movenze occorre documentare con procedure di accertamento prese a prestito dalla logica dei giuristi. E` una gloria di Leibniz e un suo grande aspetto di modernita` l’aver colto il carattere probabilistico della conoscenza storica. In essa – come sottolineato nelle pagine iniziali di questa Introduzione – e` 67
Di A. Corsano cfr. in part.: Leibniz, Napoli 1952; Id., Bayle, Leibniz e la storia, cit. Cfr. P. Piovani, Conoscenza storica e coscienza morale, cit., pp. 220-221. Sul punto concernente il contrasto di fondo in Leibniz tra tendenza panlogistica e tendenza esistenziale-esperienziale, cfr. l’interpretazione offerta da V. Mathieu, di cui si vedano in part.: Introduzione a Leibniz, Roma-Bari 1976; Leibniz e Des Bosses (1706-1716), Torino 1960; Il lato notturno della filosofia di Leibniz, in “aut aut”, 254-255, 1993 (Il soggetto di Leibniz), a cura di R. Cristin, pp. 73-76; Vico e Leibniz, in Aa.Vv., Omaggio a Vico, Napoli 1967, pp. 267-301. Cfr. anche, anteriormente a Mathieu, S. Del Boca, Finalismo e necessita` in Leibniz, Firenze 1936. 69 Sviluppiamo le relazioni tra erudizione moderna e logica combinatoria in part. nel capitolo secondo § 7. 68
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all’opera un’individualita` filologicamente accertata mediante fonti severamente vagliate e descritta con proposizioni singolari contingenti, quali sono le proposizioni storiche. Una tale individualita` poteva inoltre trovare, grazie alle basi filosofiche di cui il pensatore tedesco cerco` di dotare il proprio lavoro storico, una fondazione gnoseologica e ontologica nella logica del probabile e nella legge di continuita`, cosı` che, con i precisi limiti che specificheremo, si puo` dire che Leibniz abbia tentato una sintesi tra il sistema speculativo e la prassi storiografica, gettando ponti tra i due domini ed elevando con cio` la ricerca storica, pur senza uscire da una logica del puro accertamento dei fatti, al di sopra della grossolana empiria antiquaria. Nel suo inserirsi nel filone erudito, Leibniz mostra di partecipare alla piu` alta coscienza storica del suo tempo, nella quale l’acuirsi del problema delle fonti e della fides historica corrispondeva al secolarizzarsi progressivo dell’eredita` cristiana e all’allontanamento dai modelli umanistico-rinascimentali, e anche in questa direzione egli concorre a preparare le stagioni della storiografia illuminista e storicista. Tutto cio` pare indubitabile. Eppure, ogni troppo marcato entusiasmo nel sottolineare la modernita` e l’originalita` della storiografia leibniziana, nella forma in cui il pensatore di Hannover la pratico`, risulterebbe eccessivo, come a molti critici eccessivo e` parso il calore di Daville´ nel concludere che Leibniz e` uno dei massimi storici moderni e addirittura di tutti i tempi. Suona opportuna, intanto, da questo punto di vista, un’indicazione ermeneutica di Tessitore, che ancora una volta unisce i destini di Leibniz e Vico: Leibniz e Vico sono teorici della storia di un’eta` non storicistica ... [Essi] sono autori importanti per il costituirsi delle teorie moderne della storia (ed anche, se si vuole, dello storicismo) ma non sono parti della storia dello storicismo compiuto in teoria, per dir cosı`70.
E bene fa Conze a collocare Leibniz e la sua visione storica nel suo tempo: tempo di transizione, certo, quale e` l’eta` della crisi della coscienza europea, nel quale sarebbe pretesa antistorica voler rinvenire anticipazioni troppo marcate dei successivi storicismi: Leibniz si trova palesemente al centro di quella “crise de la conscience europe´enne” con cui Paul Hazard ha descritto la vita spirituale in Europa nel passaggio al diciottesimo secolo. In questo secolo si mescolano varia70 F. Tessitore, Per la religione dello storicismo, in “Rivista di storia della filosofia”, 4, 1994, pp. 733-734.
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mente, tra i pensatori del tempo, e in modo particolare in Leibniz, una coscienza storica della crisi che trae origine dalla visione della fine incombente della Cristianita` europea, e il sentimento ottimistico di una “Gloria novi saeculi”. Molto induce a pensare che gli uomini di questa eta`, per quanto avvertissero anche solo frammentariamente il capovolgimento che si preparava, avessero sviluppato una elevata sensibilita` per il corso della storia, che veniva colto in modo tanto piu` nuovo, quanto piu` impallidiva, o veniva rifiutata, la determinazione che fino ad allora era stata cristiana. In quel tempo di passaggio da un secolo all’altro, allorche´ la crescente secolarizzazione invadeva larghi settori della societa` europea che dominava spiritualmente e politicamente, si pongono le premesse dello Historismus, il cui pieno sviluppo sarebbe avvenuto successivamente71.
Non si tratta, dunque, di rintracciare forzosamente e antistoricamente in Leibniz la presenza di tematiche storicistiche, tanto meno di enucleare uno storicismo del pensatore di Hannover che non esiste: troppo diversi erano i problemi, l’orizzonte teorico, l’epoca e le sue sollecitazioni politiche e culturali, che muovevano il filosofo tedesco a pensare la res historica, rispetto agli storicismi che emergono tra la fine del Settecento e l’Ottocento: da quello idealistico a quello anti-metafisico segnato da W. von Humboldt e dai suoi prosecutori lungo tale linea. Peregrina sarebbe, da questo punto di vista, la pretesa di instaurare troppo sostanziali relazioni, di cogliere riscontri, di rilevare identita`, anche soltanto con l’Illuminismo, che pure Leibniz per tanti aspetti presagisce. Se Leibniz e`, analogamente a Vico – per valerci della formula che Tessitore usa a proposito del filosofo 72 italiano – “tra due storicismi” , e` perche´ in realta` egli, pur presentando motivi che alludono a entrambi, non appartiene alla storia di nessuno dei due. Le ragioni di interesse che egli possiede per la storia dello storicismo (meglio e` ribadire: degli storicismi) non autorizzano a pensarlo come partecipe di tale storia. Nondimeno, occorre dire che e` proprio del genio affrancarsi dal servaggio rispetto al proprio tempo evitandone, con l’energia dello spirito, l’Erstarrung e garantendo lo schiudersi di nuovi orizzonti. E in fondo i “precursori”, cosı` intesi, perdendo con cio` il loro tratto antistorico, non sono altro che l’incarnazione di quel moto demonico, sempre ulteriore, sempre futuro, di idee e concetti, sottolineato in precedenza. 71
W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., pp. 32-33. Cfr. F. Tessitore, Vico tra due storicismi, in Id., Dimensioni dello storicismo, Napoli 1971, pp. 9-31. Ora in Id., Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, cit., vol. I, pp. 231-246. Sviluppiamo questa idea, recependola da Tessitore e applicandola a Leibniz, nel capitolo terzo del presente volume. 72
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Ma poi, una volta collocato Leibniz in corretta relazione con le successive filosofie della conoscenza storica, come non avvedersi – per venire ai limiti della storiografia leibniziana nella rappresentazione dell’individualita` – della presenza di marcati dislivelli, dell’esistenza di un conflitto tra la straordinaria complessita` e geniale densita` con cui sul piano speculativo il filosofo tedesco ha pensato l’individuale e la sua storicita` – cio` che non manca di intravedersi, come si e` messo in luce, nonostante pesanti limitazioni, sul terreno della teodicea della storia – e le griglie procustee di quella peculiare forma, l’annalistica erudita, con cui l’ha tradotta sul piano storiografico? Poteva la monade – in quanto sorgente dinamica di forza, di vita, di impeto desiderante e agente, e latrice di una peculiare storicita` – nonostante i ponti gettati tra scienza erudito-antiquaria e sistema speculativo, muoversi a suo agio nelle strutture categoriali, spazio-temporali, di quella metodologia storica, che Leibniz recepisce dalla sua eta` ricalcandone gli schemi fondamentali senza apportarvi, nella sostanza, grosse innovazioni? Poteva – per riecheggiare il Dilthey de Il secolo XVIII e il mondo storico – la forza della soggettivita` intuita da Leibniz sul piano speculativo fare il suo 73 ingresso nel regno di Mabillon, di Tillemont e Muratori? Tra individualita` monadica, da un lato, e storiografia erudito-annalistica dall’altro, non resta, alla fine, nonostante gli sforzi connettivi di Leibniz, l’invincibile avvertimento di un contrasto, di un’imperfetta composizione, o di una mera giustapposizione, anziche´ quello di una compenetrazione e di una osmosi categoriale e linguistica, quasi le rigide strutture della suddetta forma di rappresentazione storica fossero un modo, alla fine, per soggiogare e “imbrigliare” l’irriducibile pluralismo delle res singulares e il movimento delle esistenze individuali? Certo, sia detto subito, non mancano di apparire nella storiografia leibniziana segni dell’incidenza del Satz vom Grund, della legge di continuita` e della teoria dell’individualita`, segni innovativi, dunque, e propri del respiro del grande pensatore: le res singulares sono colte nel loro espandersi verso le origines, geologiche e dei popoli, e in varie direzioni grazie alle scienze ausiliarie, che Leibniz pratico` con indiscussa competenza. Allo stesso modo, si avvertono operanti il principio di ragione e la legge di continuita` la` dove si tratta di capire gli eventi a partire dalle condizioni che li hanno preceduti e di legarli secondo concatenazioni causali, di cui genealogie e cronologie costituiscono l’asse portante e il modello per eccellenza, grazie alla loro controllabilita` e oggettivita`. Forte era dunque la 73
Cfr. W. Dilthey, Il secolo XVIII e il mondo storico, cit., p. 57.
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spinta causale-genetica a cogliere le origines dei popoli secondo provenienze e migrazioni, e delle lingue, nelle quali Leibniz vedeva “les plus anciens monumens du Genre humain” [Nouveaux essais, III, 9, 5; A VI, 6, 336] e le tracce decisive per ricostruire la storia delle genti. La Protogaea, poi, alla stregua della coeva Telluris theoria sacra (1680) di Th. Burnet, gettava luce sulla storia della terra, negando l’esistenza di un caos iniziale e di un paradiso originario, e nella quale sconvolgimenti e disordini avevano condotto, secondo un piano prestabilito da Dio ab origine, all’ordine e alla perfezione presente: Erdgeschichte come autentica “geodicea”, dunque, che Leibniz compendia nei §§ 244-245 degli Essais. In questa direzione, la connessione universale tra tutte le cose sembra quasi fungere da idea regolativa che estende con inesausta ulteriorita` i confini della ricerca orientando i dati particolari e le ricerche genealogiche verso un’universalita` mai chiusa: dalla Welfengeschichte alla storia dell’Occidente passando per la storia del Sacro Romano Impero, per la situazione geografica dei vari popoli, per le loro lingue, risalendo alle piu` remote antichita`, alle prime testimonianze, ai progenitori, alle migrazioni, in uno sforzo sovrumano di legare particolare e universale. Ed e` noto quanto la storia particolare dell’Occidente, nei disegni leibniziani, suddivisa com’era in Antichita`, Medioevo ed Eta` moderna, ambisse a estendersi all’Oriente, coinvolgendo Arabi e Cinesi. Inoltre, non v’e` dubbio che Leibniz, nonostante la nozione di sostanza, di monade, lo avesse condotto a gettare lo sguardo nell’abisso dell’individualita` – cio` che non manca di avere fondamentali conseguenze sulla visione della storia, come attesta il frammento sull’Apokatastasis (1715) – potesse trovare nella propria teoria della conoscenza ottime ragioni per edificare l’opera storica sul paradigma erudito-annalistico, fondandosi sulle fonti trasmesse da archivi e biblioteche anzitutto appartenenti alla Historia publica, tenuta ben distinta da quella arcana, privata o aneddotica, e assecondando in cio` uno dei postulati cruciali dell’erudizione moderna, che all’atto pubblico assegna un primato indiscusso. In tal senso, come rileva Corsano nel suo Leibniz e la storia, la ragione storica leibniziana, di fronte al rischio di uno sprofondamento nell’ineffabilita` dell’individuale, optava, alla fine, per la fattuale e positiva certezza dei documenti d’archivio, delle prove, delle testimonianze, accertabili con metodologie affini a quelle dei giuristi, secondo l’istanza fondamentale della fides historica e contro le (anteriori e coeve) «narrationes nullis documentis firmatae» [Dutens IV, 2, 3]. Il soggetto della scienza storica, in questo senso, non appare l’individualita` innervata di pieghe che vanno all’infinito, l’individuo, cioe`, latore di una
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infinita` che non e` totalita`, ma e` un soggetto “giuridicizzato”, l’ens concretum latore solo di quei tratti, di quei “predicati” sedimentati nell’atto scritto, certificati nel diploma. Un soggetto, si potrebbe dire, circoscritto, astrattamente “scorporato”, per esigenze metodiche, dalle variazioni minime e dall’infinita` che reca in se´. L’influsso della formazione giuridica, segnatamente giuspubblicistica, leibniziana sulla concezione storica e` qui fondamentale. Ed e` stato giustamente sottolineato quanto la scienza diplomatica di Mabillon poteva rinvenire nella teoresi leibniziana una adeguata base 74 epistemologica . Dopo tutto – conferma Corsano – Leibniz non cesso` mai di essere un giurista infaticabile nella ricerca di una buona documentazione al servizio dei suoi compiti di diplomatico, genealogista, annalista75.
La ragione storica e` in Leibniz, almeno in una sua componente strutturale, ragione giuridica, cosı` come la ricerca storica presenta fondamentali analogie con l’analisi giudiziaria. Dobbiamo agli studi di Carlo Ginzburg la tesi per cui e` nella Retorica di Aristotele, e segnatamente nella retorica giudiziaria, che occorre rinvenire il modello – passato al Rinascimento con la mediazione di Quintiliano e Valla, fino a pervenire alla congregazione di Saint-Maur e alla Diplomatica di Mabillon, dunque all’erudizione moderna – in base al quale le prove scaturiscono da una razionalita` fondata sulle 76 nozioni di probabile e di persuasivo . Ma era anche, in fondo, il nesso tra storia e politica a legare la ricerca storica all’indagine giuridica e archiviaria: se si pensa alle controversie ereditarie o giurisdizionali, alle rivendicazioni o conservazioni di privilegi all’interno di famiglie, casati o Stati territoriali, a cui Leibniz tanto si dedico`, e` evidente che simili questioni, tanto piu` nella situazione giuridicamente caotica dell’Impero, implicavano un nesso tra 74
Cfr. B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, Paris 1996, vol. 2, La de´faite de l’e´rudition, pp. 205-217. 75 A. Corsano, Bayle, Leibniz e la storia, cit., p. 58. Anche A. Robinet conferma: «Prima di tutto, per professione e vocazione, Leibniz e` ‘‘giurista’’», e dunque archivista, bibliotecario, storico etc. (cfr. Id., Leibniz et la racine de l’existence, Paris 1962, p. 93). 76 Di C. Ginzburg si vedano: Rapporti di forza. Storia, retorica, prova, Milano 2000 (in part. i saggi: Ancora su Aristotele e la storia; Lorenzo Valla sulla Donazione di Costantino); Il giudice e lo storico. Considerazioni in margine al processo Sofri, Torino 1991 (in part. pp. 8-14); Miti, emblemi, spie. Morfologia e storia, Torino 1986 (in part. Spie. Radici di un paradigma indiziario, pp. 158-209). Un’acuta critica dell’identita` tra storico e giudice, nonche´ del “paradigma indiziario” la cui storia Ginzburg traccia, si legge in P. Ricoeur, La memoria, la storia, l’oblio, cit., p. 242 sgg. e 455 sgg.
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diritto, politica, archivi e storia, e potevano essere risolte solo attraverso il ricorso ai documenti nei quali rinvenire un passato che giustificasse le pretese avanzate nel presente. La storia, con cio`, si incontrava naturaliter con la ricerca giudiziaria. Cosı`, in Leibniz, dal punto di vista gnoseologico, l’impossibilita` di esaurire, a parte hominis, la conoscenza delle verita` contingenti, non conduce alla skepsis, ma all’istanza pluralistica di attingere in ciascun dominio cognitivo il grado di certezza consentito, con l’ausilio di una logica del probabile, il cui modello principale e` offerto proprio dalla logica giudiziaria. E` ben noto, infatti, quanto Leibniz, in contrasto con il cartesiano “de omnibus dubitandum est”, abbia guardato con occhio positivo e in spirito di pluralismo epistemologico, alle apparenze sensibili, cio` che nel campo della ricerca storica si traduce nella rilevata fiducia accordata ai documenti, agli atti scritti, da trattarsi con metodologia desunta da quel principio della certezza morale (principium certitudinis moralis) con cui Leibniz si opponeva al pirronismo e che cosı` formulava: Omne quod multis indiciis confirmatur, quae vix concurrere possunt nisi in vero, est moraliter certum, seu incomparabiliter probabilius opposito [A VI, 4 A, 530].
Nello stesso testo si legge eloquentemente: Naturalis nobis data est propensio adhibendi fidem sensibus, et pro iisdem habendi in quibus discrimen non reperimus; et omnia apparentia credendi nisi sit ratio in contrarium, alioqui nihil unquam ageremus. In rebus facti illa satis vera sunt quae aeque certa sunt, ac meaemet ipsius cogitationes et perceptiones. Hic disputandum contra Scepticos [A VI, 4 A, 530].
Segni, dunque, del genio filosofico non mancano certo nell’opera storica leibniziana, insieme all’intuito rabdomantico di chi, come ha scritto 77 Meinecke , sapeva dominare la storia con sguardo d’aquila, fiutando i destini dei popoli e cogliendo nel suo tempo i presagi di una incipiente rivoluzione, secondo quanto si legge in un noto testo dei Nouveaux essais (cfr. IV, 16, 4). Ma, ad onta di quanto detto, restano i limiti strutturali di una forma storiografica angusta e rigida, quale quella annalistica, e di una ricerca storica, quale si presenta nel complesso quella leibniziana, in cui l’impulso antiquario, lo zelo per la raccolta, l’esibizione e la critica di fonti 77
F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 26.
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rare, il gusto dei repertori e delle catalogazioni d’archivio, l’ansia sconfinata per la scoperta di documenti, la vecchia cronologia legata alla natura e del tutto indifferente al contenuto delle singole vicende storiche, il rilievo centrale offerto alle genealogie, il problema del puro accertamento dei fatti, dominano incontrastati, com’era del resto tipico nel Seicento e nella tradizione erudita, insieme a una morale teologica della storia, ben sintetizzata, tra i tanti possibili, da questo testo delle Nouvelles ouvertures (aprileottobre 1686): L’Histoire seroit d’un grand usage, quand elle ne serviroit qu’a` entretenir les hommes dans le desir de la gloire, qui est le motif de la pluspart des belles actions; et il est seur que le respect que les souverains meˆmes ont pour le jugement de la posterite´, fait souvent un bon effect. Je veux que l’Histoire tienne quelques fois un peu du Roman, sur tout quand il s’agit des motifs qu’on prend soin de cacher, mais elle en dit tousjours assez pour nous faire faire nostre profit des evenemens; on y trouve par tout des lec¸ons excellentes, donne´es par les plus grands hommes qui ont eu des bons et des mauvais succe`s, et rien n’est plus commode que d’apprendre au depens d’autruy [A VI, 4 A, 687-688].
In un simile quadro storiografico dominato da fatticita`, descrittivismo classificatorio, uniti all’utilitarismo morale e allo stretto legame mai sciolto tra storia e interessi politici, la stessa teoria dei gradi di probabilita`, essenziale mezzo metodico da opporre alla skepsis pirronista, visibilmente praticata nella forma di una ars historica da Leibniz – il quale ben conosceva la distinzione tra la cecita` del puro dato filologico e la connessione razionale tra i fatti resa possibile dall’applicazione alle verita` contingenti del principio di ragione –, non modifica l’orizzonte di una storiografia ricalcata sull’idea di indagine giudiziaria tesa puramente ad accertare i fatti, nonche´ sui vecchi schemi annalistici della simplex narratio gestarum e dell’expositio rerum, ove il materiale storico e` allineato cronologicamente e tassonomicamente, quasi “schedato” nello sforzo di “rastrellare” ogni dettaglio, ove vigono il principio dell’imparzialita` dello storico-giudice, il primato della testimonianza oculare, l’assolutezza del documento riconosciuto autentico, tout court identificato con il fatto. Anzi, viene da osservare, tale logica rafforza l’impostazione empirico-seriale-classificatoria indicata, ne e` l’esecuzione, offrendo ad essa nuovi e piu` affinati strumenti euristici, rispetto al realismo ingenuo degli antichi cronisti, in grado di resistere alla scepsi pirronista. Nonostante, come si e` detto, costituisca una gloria di Leibniz l’aver intuito il carattere probabilistico della conoscenza storica, non si esce, tuttavia, neppure con cio`, da un metodo storiografico dominato dall’appiat-
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timento dei fatti entro un ordine descrittivo ed enumerativo rigido e uniforme, nel quale e` come se la res singularis, pur affermata come fondamento della conoscenza storica, non si imbevesse, se non in misura limitata, della ricchezza e fecondita` della teoresi, fosse schiacciata sulla fatticita`, fosse priva di rilievo plastico e di connessione contestuale, irretita nelle maglie circoscriventi delle convenzioni e degli a priori propri dell’erudizione e dell’annalistica. Scarsa eco, in particolare, in tale metodologia, sembra avvertirsi di quella «“rivoluzione storiografica” del secolo XVII» che Amos Funkenstein, rilevandola nella vichiana Scienza nuova, cosı` descrive: i fatti storici sono significativi solo nel loro contesto; questo contesto dev’essere ricostruito faticosamente, spesso spogliando parole o istituti delle loro attuali connotazioni o funzioni, per non cadere in anacronismi; il testimone oculare non e` affatto il migliore storico, perche´ – anche se soggettivamente sincero – e` prigioniero del suo punto di osservazione; ogni periodo storico reinterpreta la storia dal suo punto di vista e si rivolge al passato ponendogli una serie di domande ogni volta diverse, nate dai 78 suoi interessi attuali .
A una storia costruita su un criterio interpretativo e valutativo che organizzasse gli eventi entro un contesto capace di rivelarne il significato, puntera`, pochi decenni dopo la morte di Leibniz, lo stesso Voltaire, in polemica proprio con l’estrinseca imparzialita` della storiografia eruditoannalistica seicentesca. Ma cio` non emerge con nettezza nel metodo di Leibniz. Ci si puo`, in effetti, significativamente rendere conto dello scarto tra il filosofo della monade e lo storiografo degli Annales Imperii anche per questa via: appena si rifletta – lo facciamo nel corso del secondo capitolo – 78 A. Funkenstein, Teologia e immaginazione scientifica dal Medioevo al Seicento, tr. it. di A. Serafini, Torino 1996, p. 249. La “rivoluzione storiografica” qui allusa, costituita dalla scoperta del “compito dello storico” quale comprendere interpretante, sara` cosı` formulata in tempi ormai maturi per lo storicismo da W. von Humboldt: «Gli avvenimenti della storia ci si presentano molto meno evidenti dei fenomeni del mondo sensibile perche´ li possiamo leggere con facilita`; la loro comprensione e` unicamente il prodotto congiunto della loro natura e del senso che l’osservatore vi aggiunge ... Anche lo storico, come il disegnatore, produce soltanto figure deformate se si limita a elencare e registrare le varie circostanze degli avvenimenti, cosı` come apparentemente si succedono, senza rendersi rigorosamente conto del loro nesso interiore, senza giungere alla visione delle forze in questione, senza riconoscere la direzione che a un certo momento prendono e senza indagare il rapporto che due di esse intrattengono con la situazione presente e con i mutamenti precedenti» (Il compito dello storico, in W. von Humboldt, Scritti filosofici, cit., pp. 530-531).
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sul fatto che il prospettivismo, l’idea del punto di vista, elaborato proprio dal pensatore tedesco nel quadro della visione monadologica e lasciato in eredita`, sul piano del metodo storico-ermeneutico, a Johann Martin Chladenius (teoria del “Sehe-Punckt”) e a Johann Christoph Gatterer – i quali per primi a pochi lustri dalla morte di Leibniz ne faranno tesoro attingendolo proprio dalla Monadologia – non e` sostanzialmente operante nella pratica storiografica leibniziana, ferma ai principi sopra richiamati dell’imparzialita` estrinseca dello storico, dedito, alla stregua di un giudice, all’accertamento della pura e nuda verita` dei fatti empirici e alla loro schedatura: principio che, pur nello scarto dal realismo ingenuo degli antichi, e fattosi esperto di dubbi metodici, com’e` nello spirito dei Moderni, puo` ancora trovare nell’immagine della mente come “specchio” che riflette i fatti senza deformarli (cfr. Luciano di Samosata, Come si deve scrivere la storia § 51) – l’antipode percio` del “punto di vista”, dell’interpretazione – il suo ideale regolativo e la sua cifra piu` emblematica, cifra che non a caso si tramanda fino al secolo XVIII. Al prospettivismo si lega la nozione di armonia contestuale: se, come 79 osserva ancora Funkenstein , Vico gia` la impiega per esprimere il carattere armonico, organico, di un’epoca, l’intima connessione e corrispondenza tra tutte le cose entro un determinato periodo storico, nel grande filosofo dell’harmonia universalis, del rispecchiamento di tutti i punti metafisici, del tout se tient, essa pare non avere peso sostanziale quanto alla teoria e alla pratica storica. A cio` si deve aggiungere – a conferma del suddetto scarto – una ontologia dell’evento (storico) tutt’altro che consonante con i presupposti dell’erudizione e dell’annalistica, nonche´ coi principi che sanciscono l’accordo tra ricerca storica e procedimento giudiziario, e piuttosto precorritrice, per l’idea organicistica del reale che contiene, di un nuovo senso storico che sara` lo Historismus dei Dilthey e dei Troeltsch a portare a pieno sviluppo. Si tratta di un tema ben essenziale della teoresi leibniziana e non privo di risonanza sul problema storico, per quanto senza conseguenze metodico-storiografiche: esso emerge, ad esempio, nel § 36 della Monadologia, dove Leibniz spiega che la ragion sufficiente di un certo fatto – il mio scrivere attuale – implica un’analisi e una scomposizione dei dettagli che vanno all’infinito. Oppure, affiora nella lettera a Sophie del 13/23 ottobre 1691 (cfr. A I, 7, 35), dove il singolo accadimento e` avvolto in un reticolo 79 A. Funkenstein, Teologia e immaginazione scientifica dal Medioevo al Seicento, cit., pp. 340-343.
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inestricabile di nessi e microcause che configurano, attorno alla emergente fenomenicita` e visibilita` del dato, il tessuto connettivo invisibile e silenzioso di un “prima” (passato) che la prepara e di un “poi” (futuro) che ne riverbera in avanti gli effetti. O, ancora, si impone nel § 13 del Discorso di Metafisica, dove si dice che tra il soggetto “Cesare” e il predicato “passare il Rubicone” sta un’analisi infinita. Indicazioni, cenni, tutti questi, che, per quanto affermati sul terreno dell’ontologia, additano una direzione problematica per la stessa ricerca storica: direzione che, se fosse stata percorsa metodicamente, avrebbe condotto a relativizzare le preoccupazioni de fide historica, arricchendo teoreticamente, se non incrinando, i principi epistemologici dell’erudizione e dell’annalistica, principi recepiti invece senza sostanziale novita` da parte di Leibniz e ai quali, anzi, il pensatore presta soccorso proprio attraverso la sua filosofia. Epistemologia, alla fine, quella legata all’erudizione moderna e alla diplomatica, di cui occorre tenere presente quanto essa sia espressione, 80 come e` stato notato , di quel sistema generale di classificazione ed enumerazione, di quella tendenza enciclopedica alla tabulazione, alle tassonomie, alle catalogazioni, peculiari dell’episteme seicentesca, secondo la classica analisi di Michel Foucault contenuta in Les mots et les choses: aspetti che finiscono per assecondare, in fondo, piu` la propensione panlogistica del pensiero leibniziano – quella legata alla Caratteristica universale e al calcolo combinatorio – che l’affermazione di un pluriverso di individualita` esistenzialmente evolventi e irriducibili a ogni troppo rigida organizzazione categoriale. Leibniz, in definitiva – tale e` la nostra tesi –, non sembra declinare fino in fondo nel dominio della ricerca storiografica erudita la possente ricchezza categoriale proveniente dalla sua teoresi, soprattutto quella legata alla tendenza piu` esistenziale e organicistica, quasi l’avvertito valore sul piano speculativo – e che non manca di farsi sentire nella abbozzata metafisica della storia – dei principi di un’individualita` libera e spontanea, del pluralismo prospettivistico, dell’armonia contestuale, di una storicita`, dunque, piu` dinamica, rinunciasse ad affermarsi in una metodologia storiografica nuova: cio` che ha impedito, ci pare, tra l’altro, il formarsi di una storiografia recante un’impronta peculiarmente “leibniziana”, capace di far alitare il soffio irripetibile del genio di Hannover sui canoni dell’histoire savante elaborati dalle grandi scuole seicentesche, ai quali, invece, tutto sommato Leibniz si attiene senza troppa originalita`. Se, come si e` accennato, in quanto erudito 80
B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, vol. 2, cit., p. 202 sgg.
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partecipa da grande protagonista al grado di coscienza storica attinta dal suo tempo, gia` ampiamente secolarizzata rispetto al traditum e alla Weltanschauung cristiana, egli possiede altresı`, sul piano teoretico, categorie, concetti potenzialmente innovativi per la ricerca storica – tanto che, come rilevato, non molto tempo dopo la sua morte, attingendoli proprio dalla sua opera filosofica, altri sapranno trarne rilevanti conseguenze su quel terreno –, ma non sa o non puo` comporli in una originale sintesi metodologica, in un edificio storiografico nuovo, lasciandoli alla fine, ad onta degli sforzi profusi e delle aspirazioni, piu` giustapposti che compenetrati rispetto al lavoro erudito. Come ha scritto Friedrich Meinecke in questa direzione, egli aspiro` in fondo, senza tuttavia riuscire a determinarlo, ad un legame spirituale che potesse fondere la sua scienza antiquaria con la sua filosofia81.
Con il suo genio speculativo, Leibniz getta uno sguardo oltre l’erudizione annalistica, ma evidentemente i tempi non erano maturi – in lui, oltre che fuori di lui – perche´ le sue originali vedute sull’individualita` fecondassero una diversa e piu` moderna storiografia. “Lacci” endogeni ed esogeni ne costringono gli esiti entro il vecchio “canovaccio” annalistico, poi trasmesso a Muratori, ed entro il modello erudito, al quale anzi vengono offerte piu` sicure basi epistemologiche. Troppo intrisa e` la sua preoccupazione per le discussioni seicentesche sulla fides historica e per la finalita` morale della storia, nonche´ per il legame della storia con la politica e con gli interessi della Casa hannoverese, per porsi ulteriori problemi metodologici, e troppo pieno, anche, Leibniz e` del sentimento di superiorita` del suo “sie`cle e´claire´”, anche negli studi storici, per assecondare altri slanci in avanti e altre vedute nell’impostazione storiografica che pure – ed e` un paradosso solo apparente, stante la complessita` dell’idea di evoluzione storica assunta a fondamento del nostro lavoro – il suo genio filosofico, ricco com’e` di intuizioni e allusioni in tale direzione, suggerisce e addita. Viene da dire, in questo senso, assecondando e prolungando un felice e fecondo pensiero di Piovani, gia` sottolineato, che quell’azione di “controllo” e “sorveglianza” delle irripetibili esistenze svolta sul terreno metafisico dall’armonia prestabilita, trova il suo analogon sul piano del metodo storiografico nell’annalistica erudita: affine sembra l’opera di incardinamento e di
81 F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 24. Cfr. anche E. Fueter, Storia della storiografia moderna, tr. it. di A. Spinelli, Milano-Napoli 1970, pp. 406-407.
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aggiustamento estrinseco nei confronti dell’incontrollato, plurale e sfuggente – e percio` “pericoloso” – monadismo delle dinamiche individualita`. Troppo presto, sul piano della rappresentazione storica, l’accentuato gusto leibniziano per le res singulares, per l’empiria – di cui e` opportuno rivendicare la crucialita` nel pensiero dell’hannoverese piu` di quanto non sia stato fatto82 – viene irregimentato nel sistema classificatorio e tassonomico della suddetta forma storiografica, sorella siamese, sotto questo aspetto, come rilevato, dell’enciclopedia, della Caratteristica universale e del calcolo combinatorio. Suona, percio`, per noi, sostanzialmente giustificato il giudizio di Meinecke sull’opera storica leibniziana nel suo complesso e, in particolare, sulla sua massima realizzazione, gli Annales Imperii, apparendo la storiografia annalistica al filosofo storicista come un’ampia prigione, nella quale [Leibniz] poteva sı` collocare un poderoso sapere (in piu` di duemila pagine di stampa minuta), che pero` egli doveva distribuire assai estrinsecamente e rozzamente. In quanto storiografia ufficiale di uno stato, l’opera [gli Annales Imperii] accoglieva biografie, avvenimenti politici e militari, e perfino storia ecclesiastica; ma raramente tutto cio` aveva un interno legame, e per lo piu` tutto era cronologicamente allineato, una cosa dopo l’altra. Il grande pensatore si rivela, veramente, a lampi, in giudizi particolari di significato universale, nel mettere in evidenza problemi importanti e meritevoli di indagine, in numerosi sguardi panoramici sul passato e sul presente, nel rilievo particolare dato a cio` che poteva illuminare la civilta` dell’epoca, cosı` che un alito di autentico colorito medievale spira qua e la`. Ma in complesso l’opera rimane legata alle convenzioni della storiografia erudita, appartiene, e con onore, alla storia della scoperta del Medioevo, a quella del metodo storico-critico, ma 83 molto meno alla storia delle origini dello storicismo .
82
Cfr. l’Introduzione di M. Mugnai alla sua traduzione dei Nouveaux essais: G.W. Leibniz, Nuovi saggi sull’intelletto umano, Roma 1993 (2 ed.), pp. 9-11. Si veda anche, sul tema dell’esperienza nel pensiero leibniziano, A. Lamarra, Raison e expe´rience nei Nouveaux Essais di Leibniz, in Aa.Vv., Experientia, X Colloquio Internazionale, Roma 4-6 gennaio 2001, Atti a cura di M. Veneziani, Firenze 2002, pp. 315-331. Non e` da escludersi che esista una correlazione tra l’emarginazione che il tema dell’erudizione e della storia ha subito nella letteratura critica leibniziana e la disattenzione, sottolineata da Lamarra, per il tema dell’esperienza nella teoresi del filosofo di Hannover. 83 F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 27. Ed e` ancora Meinecke a sottolineare la «giustapposizione», invece che la «reciproca compenetrazione», che esiste tra il filosofo e lo storico, fra cui esistono non piu` che «leggeri rapporti» (ivi, p. 25).
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La storia, come Leibniz la pensa, e` – senza dimenticare lo strettissimo legame, gia` sottolineato, con la politica – esposizione di fatti degni di memoria, capaci di insegnare prudenza e virtu` con esempi e di far entrare chi li osservi nel segreto della Provvidenza. All’intento etico-religioso si aggiungono gli altri fini espressi nella Prefazione alla prima parte delle Accessiones Historicae, vale a dire la «voluptas noscendi res singulares» e la ricerca delle «origines praesentium» (cfr. Dutens IV, 2, 53). Confermano i Nouveaux essais: L’usage de l’histoire consiste principalement dans le plaisir qu’il y a de connoitre les origines, dans la justice qu’on rend aux hommes qui ont bien merite´ des autres hommes, dans l’etablissement de la Critique historique, et sur tout de l’histoire Sacre´e, qui [contient] les fondemens de la revelation, et (mettant encore a` part les genealogies et les droits des princes et puissances) dans les enseignemens utiles que les exemples nous fournissent [A VI, 6, 470].
Lo storico, in tale quadro, ha il compito di esporre gli eventi con “sobrieta`” e “severita`” (cfr. lettera a Johann Eisenhardt del febbraio (?) 1679; A I, 2, 427), proponendosi il fine di una verita`, sincerita` e imparzialita` fondate su documenti e testimonianze vagliati, esaminando le prove diplomatiche e narrative con ponderazione “giudiziaria”, bandendo favole, miti, abbellimenti romanzeschi, artifici retorici – gli stessi a cui Alessandro Manzoni nella celebre Introduzione dell’Anonimo lombardo ai Promessi sposi ha dato icastica espressione mediante la finzione del manoscritto seicentesco di cui il romanzo sarebbe la trascrizione –, attenendosi a quanto e` documentabile con un rilevante grado di certezza, nel rispetto, infine, di cronologie e genealogie debitamente accertate. Tale e` il senso fondamentale della critica storica che Leibniz coltivo` come preoccupazione primaria. Lo storico, in simile contesto, e` “istor”, testimone imparziale che offre il proprio apporto attraverso l’uso di atti scritti affinche´ i fatti di cui tratta siano resi noti e si tramandino alla posterita` (cfr. la citata lettera a J. Eisenhardt, A I, 2, 426): dove il piu` perfetto testimone e`, secondo un canone storiografico classico che Leibniz recepisce, quello oculare, contemporaneo agli eventi, e dove la migliore prova e` l’atto pubblico, scritto e gia` codificato, secondo un punto di vista che risente della formazione giuspubblicistica leibniziana, ma che e` del resto tipico della tradizione erudita da Flavio Biondo (1388-1463) in poi. Ed e`, insieme, giudice, che con i mezzi dell’Ars critica opera coscienziosamente su un sistema di prove fornite dai testi, secondo gradi di verosimiglianza desunti ex datis e nel modo meno
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opinabile possibile. Verita` e obiettivita`, che Leibniz aveva appreso da Tito Livio e dagli altri grandi storici dell’antichita`, e in seguito nel solco della tradizione erudita, ricevono una metodica rigorizzazione che porta la storia verso la sua determinazione scientifica, soprattutto grazie al modello giudiziario a cui ci si ispira e all’autorita` primaria accordata alla fonte scritta pubblica, cioe` all’identita` tra scrittura (pubblica) ed evento, tra Tabulae Actorum publicorum e facta, percio` alla “linguisticita`” degli eventi che giungono allo storico, come osserva Michel Fichant [LF, 171-172], gia` come protocolli d’archivio. E` questo tratto giudiziario e archiviario – assai barocco, e gia` appartenente alla tradizione dei Biondo, dei Calco, degli Aventin – di raccolta e collezione di testi gia` codificati, degni di essere tesaurizzati in un Diario del mondo, ospitati in una Biblioteca universale, catalogati in un Archivio mondiale, che connota densamente il lavoro storico di Leibniz. E` dunque in simile linguisticita` o carattere proposizionale dei dati storici – per tornare al problematico rapporto tra monade e storiografia erudita prima alluso – che gli infiniti predicati della sostanza, fattisi atomi di discorso, atomi di scrittura, dovevano tradursi, fissarsi, cristallizzarsi, selezionati e costretti nelle severe regole della critica, attente, nell’esame dell’atto, alla materia con cui e` stato redatto, alla scrittura, alle formule, allo stile, al modo di sottoscrivere, di apporre un sigillo, di indicare una data, etc., oltre che all’autenticita` del suo contenuto. Si e` gia` osservato, in questo senso, che il soggetto della storiografia leibniziana non e` l’individualita` monadica, con tutta la sua profondita` e complessita` di unione con l’universo, ma l’ens concretum fattuale che si “positivizza”, che si “giuridicizza” nei protocolli. Ma l’oggettivarsi del soggetto nel documento in forza del postulato giuridicoerudito dell’identita` tra acta e facta, che ha il pieno assenso di Leibniz, avviene al prezzo non solo di circoscrivere una serie finita di predicati dell’individuo o dell’evento (cio` che e` ovvio) ma, tra essi, quelli piu` “fattuali”, “ufficiali” (nel caso della storia pubblica), piu` empirici e immediati: “Rari nantes in gurgite vasto”, si potrebbe dire con Virgilio a proposito della “presa grossolana” – per valerci di un’espressione di Hans Blu84 menberg – degli attributi del soggetto o dell’evento da parte della storiografia, dove il gurges leibniziano e` l’oceano oscuro e brulicante delle 84 Cfr. H. Blumenberg, Cronaca universale o formula universale, in Id., La leggibilita` del mondo. Il libro come metafora della natura, tr. it. di B. Argenton, Bologna 1984, p. 140. Sul rilievo, dal punto di vista della visione storica, delle piccole percezioni, su cui insistiamo anche nelle prossime pagine, si sofferma opportunamente F. Olgiati in Il significato storico di Leibniz, cit., p. 154 (testo che riportiamo nel capitolo quarto § 6).
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perceptions insensibles. Ne risulta la rinuncia a una logica organicistica della storicita` e dell’individualita` che le percezioni minime annunciano, e che Leibniz pur mostra qua e la` nel suo pensiero, a favore di quella empiricoseriale-classificatoria propria dell’annalistica erudita, e uno squilibrio conseguente tra la rigida griglia dell’identificazione tra acta e facta, in appoggio alla fides historica, da una parte, e l’intima complessita` dell’individuomonade, dall’altra. Tra questi due poli, troppo poco “mediati”, il “Leibniz storico” appare lacerato e diviso, come supremamente il frammento sull’Apokatastasis del 1715 mette in luce. Da questo punto di vista, un aspetto peculiare del nostro lavoro intende essere quello di sottolineare, sulla scorta di alcune osservazioni di Blumenberg, il valore di questo tardo scritto anche sul piano della teoria della storiografia e della storia, vera e propria sintesi estrema, ci pare, del pensiero storico leibniziano nella sua complessita` e problematicita`. Limitazione cosı` strutturale, quella sottolineata nella scrittura storica leibniziana, che ha consentito proprio nel frammento sull’Apokatastasis di applicare alla teoria storiografica, appunto fondata sull’adequatio tra fatto e protocollo, il calcolo combinatorio che, in base al numero finito delle variazioni alfabetiche, sancisce matematicamente l’esaurirsi delle cronache e l’eterno ritorno dell’uguale. Ineludibile e cogente approdo se lo storico, con sopraggiunta attenzione metafisica o grazie all’apporto del filosofo, non udisse, ai margini dei poderosi in-folio che ospitano le Historiae annuae publicae et privatae, il sommesso mormorare, frusciare, gorgogliare delle «petites perceptions» che, per l’inesauribile novitas che immettono in ogni circostanza, dapprima insensibilmente, poi emergendo nel fenomeno, impedendo in cio` la ripetizione di qualsivoglia evento o individuo, e insieme rendendo illusoria ogni previsione normativa del corso degli eventi, conducono i destini della storia (e dell’universo) dal circolo stoico senza uscita, o dall’atomismo di Democrito (cfr. anche Nouveaux essais III, 3, 6), all’idea di un progresso infinito verso il meglio, ben piu` degno di Dio, alla cui armonia non e` conforme variare sempre sulla stessa corda. No, Leibniz non pensa, come Jorge Luis Borges, che le esperienze individuali siano limitate e, percio`, destinate alla fine a ripetersi, facendo assaporare nell’esperienza della ripetizione un Augenblick di eternita` senza Dio. L’eterno ritorno, nel pensatore tedesco, e` scongiurato dall’infinita varieta` delle percezioni minime, sia a livello individuale che cosmico, perche´ la monade non e` un atomo di materia ma un atomo di sostanza, un punto metafisico, come si legge nel Syste`me nouveau de la nature et de la communication des substances (1695). Blumenberg, nel saggio dedicato a
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Leibniz contenuto in Die Lesbarkeit der Welt, bene ha visto nel frammento sull’Apokatastasis il contrasto, linguistico e categoriale, tra una teoria della storiografia eretta su basi “fenomenalistiche” – vale a dire sulla suddetta identita` tra fatto e protocollo alla quale viene applicato il calcolo combinatorio – e una considerazione metafisica della storia fondata sull’harmonia rerum e sull’inesauribilita` dell’individuale, non rinserrabile, quest’ultimo, in nessun libro, per quanto vasto possa essere. Mai come nel frammento del 1715, in effetti, il filosofo della monade e lo storiografo erudito appaiono non concordare nei principi e nel linguaggio. Mai come in quel testo l’individuo-monade, coi suoi chiaroscuri, col suo fondo criptico, con le sue variazioni impercettibili, da una parte, e il soggetto della storiografia “giuridicizzato” nel protocollo, fissato negli Annali, “quadrettato”, schiacciato e atomizzato nel documento, dall’altra, sembrano giustapposti piuttosto che compenetrati, confliggenti sin nei linguaggi impiegati per definirli. Mai come qui, infine, una storia ridotta a logica combinatoria finita e una storia vista sul piano di una metafisica che non sia mera ripetizione della logica sono in disaccordo addirittura nelle conclusioni sul destino temporale del corso del mondo (eterno ritorno dell’uguale versus progresso infinito). Sono le variazioni impercettibili, e mediante esse una diversa soggettivita` rispetto a quella cristallizzata nell’atto scritto, a segnare il passaggio, troppo repentino per essere caratterizzato da omogeneita`, dagli Annali alla metafisica della storia. Cosı`, nella prospettiva dell’Apokatastasis-Fragment, le percezioni minime del continuum reale, nel loro brulicante tramare vite individuali ed eventi, finiscono per incrinare l’identita` inizialmente postulata tra Annali universali e Mondo, tra Libro e Universo, determinando una storicita` e una temporalita` diversa da quella, ripetitiva e ciclica, delle Historiae annuae: storicita` e temporalita` definite da un progresso infinito dell’universo, in cui viene tradotta l’escatologia origeniana dell’apokatastasis. Ma alla fine le due prospettive – quella del cronista annalista e quella del filosofo metafisico della storia – restano, come si diceva, nonostante la cooperazione auspicata da Leibniz, fondamentalmente giustapposte e non comunicanti. Con la scoperta che il libro, il documento, non coincidono con la realta` storica, che tra storia fenomenica e storia reale esiste uno scarto, siamo, in realta`, alle soglie del prospettivismo storico, che sara` Chladenius per primo a esplicitare, sulla scorta della Monadologia leibniziana. Leibniz, pero`, si ferma su quella soglia senza varcarla, si arresta di fronte all’abisso dell’individualita` intravisto e retrocede verso la fattualita` del documento, “fa quadrato” attorno alla certezza oggettiva dell’atto scritto. Con cio`, il pensatore tedesco sembra
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quasi voler mettere al riparo il modello erudito-annalistico da quelle inquietudini e scosse che pur il suo genio filosofico presagisce, con la stessa ansiosa trepidazione con cui intuiva l’incombente “rivoluzione generale” che minacciava l’Europa. Da questo punto di vista, nessun testo, forse, nella pur imponente opera leibniziana, come il frammento sull’Apokatastasis, scritto dall’autore quasi nell’atto di congedarsi dal mondo e nel pieno dell’elaborazione degli Annales Imperii – al quale dedichiamo il quarto capitolo del presente volume – rivela nel dominio della concezione storica oscillazioni, conflitti, a tal punto che il frammento leibniziano del 1715 puo` ben porsi come la piu` probante espressione delle tesi che sorreggono il nostro lavoro e il piu` adeguato approdo della nostra indagine. Infine, a ulteriore conferma dei limiti strutturali dell’annalistica erudita, crediamo di aver dimostrato nel primo capitolo della nostra ricerca che la temporalita` immanente a tale forma storiografica corrisponde a quel continuum omogeneo, a quel tempo-principio tassonomico, giusnaturalisticamente e razionalisticamente livellatore, che costituisce la negazione dell’autentico tempo storico come evento dinamicamente intrinseco ai fatti e alle epoche. Neppure in tale direzione, dunque, sono coglibili forti segnali di modernita` del Leibniz storiografo. Anche sul versante della storiografia erudita, dunque, come gia` sottolineato a proposito della teodicea della storia, nova et vetera compongono un panorama frastagliato e discontinuo, un incrocio di luci e di ombre. Resta, nonostante i limiti indicati, il fatto che Leibniz partecipa, per dirla con Piovani, alla «faticosa maieutica dell’individuale» che segna i secoli della modernita`, connotando col suo genio gli albori della rivoluzione storicisti85 ca , non in ultimo per aver tematizzato, come Vico, la cooperazione tra L’espressione di P. Piovani e` tratta da Conoscenza storica e coscienza morale, cit., p. 65. E` stato Ernst Troeltsch, meglio forse di ogni altro, a definire l’essenza del mondo moderno come processo di storicizzazione dell’immagine complessiva del mondo, come «storicizzazione di principio di tutto il nostro pensiero sull’uomo, sulla sua cultura e sui suoi valori» (Troeltsch, Lo storicismo e i suoi problemi, cit., 1, p. 141). In questo modo il pensatore dello Historismus precisava gli effetti di tale processo sulla coscienza dell’uomo dell’eta` nuova: «In primo luogo e` un senso di critica e diffidenza verso ogni tradizione che ogni volta deve giustificarsi dinanzi al tribunale della critica e percio`, di regola, dev’essere sostituita con una rappresentazione del presumibile processo reale ad essa corrispondente ... Ulteriori effetti sono l’enorme slargamento del nostro orizzonte, la nostra concezione di ogni evento storico come parte di un intero intimamente connesso, una nuova immagine dell’uomo che, all’interno di uno straordinario ampliamento del corso degli eventi, assume sempre nuove figure del tutto individuali, un individualismo straordinariamente raffinato che, distinguendosi da quello democratico, e` un individualismo estetico-aristocratico. Con l’ampiezza di 85
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erudizione e filosofia. E` riuscito Leibniz a instaurare adeguatamente tale legame? E` questo uno dei problemi che maggiormente hanno occupato il dibattito sul “Leibniz storico” nel corso del Novecento: ha ragione Dilthey, quando afferma che «Leibniz non cerco` mai di assumere nel suo sistema filosofico il mondo storico»? Oppure Eduard Fueter il quale, nella sua Storia della storiografia moderna, non lontano in questo da Benedetto Croce, riconduce Leibniz essenzialmente al filone erudito-annalistico moderno, facendo di lui un semplice riproduttore, in terra germanica, del metodo dei Maurini? O, ancora, e` nel giusto Meinecke quando, attenuando il dualismo affermato da Dilthey, sottolinea i «leggeri rapporti» tra il dominio della teoresi e quello della scienza antiquaria? O, infine, chi, come Conze, sulla scorta di Daville´, e` incline a una lettura unitaria e ultimamente armonizzante dei presupposti teoretici e di quelli propri dell’opera storica? Da parte nostra, si e` gia` risposto eloquentemente nelle pagine precedenti a tale nodo interpretativo, sottolineando, in una consonanza di fondo con il punto di vista di Meinecke, problematicita`, dislivelli e mere giustapposizioni nella soluzione di Leibniz. Cio`, certo, deve fare i conti con l’evidenza, per noi altrettanto indubitabile, che il pensatore tedesco ha sostenuto, auspicandola e praticandola, la collaborazione tra eruditi e filosofi, cosı` che il lume della figlia di Penia e di Poros potesse rischiarare la cecita` del puro dato di fatto filologico. Legame, quello ricercato da Leibniz tra storia e principi filosofici, che ci pare instaurarsi, come gia` osservato, essenzialmente su due piani: su quello gnoseologico, mediante una logica del probabile, tradotta in critica storica, capace di dotare della razionalita` propria delle verita` di fatto i dati storici; e su quello ontologico, attraverso la legge di continuita` concepita come base e orizzonte della storiografia erudito-
prospettiva, con l’abitudine a comparare e a porre in relazione, con la finezza della comprensione individualizzante e` connesso poi anche un illimitato relativismo, che presenta ogni creazione come una forma particolare del mondo umano, individuale e condizionata da concrete circostanze, e non lascia alcun posto per verita` ed ideali razionali assoluti e dappertutto uguali. Per questo aspetto, la storia, che con la sua critica e la sua fiducia nella capacita` di ricostruzione sembra accordarsi con il razionalismo e trasforma ogni dato soprannaturale in un evento storico, opera di nuovo in senso decisamente antirazionalistico. Essa e` il campo dell’infinitamente molteplice e del particolare, dell’illimitato fluire di formazioni sempre nuove, dove tutto e` gia` accaduto una volta e tuttavia nessuna cosa e` accaduta o accade allo stesso modo di un’altra”» (Id., L’essenza del mondo moderno, tr. it. di G. Cantillo, Napoli 1977, p. 149). Sull’interpretazione troeltschiana del mondo moderno, rinviamo a G. Cantillo, Luteranesimo e mondo moderno in Ernst Troeltsch, in Aa.Vv., Lutero e i linguaggi dell’Occidente, Brescia 2002, pp. 423-438. Di Cantillo, su Troeltsch, cfr. in part. Ernst Troeltsch, Napoli 1979, e la recentissima Introduzione a Troeltsch, Roma-Bari 2004.
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annalistica, delle sue cronologie, genealogie, e res gestae. In questo quadro, la logica del probabile, forte delle sue ascendenze giuridiche, assume un ruolo di particolare importanza – e ad essa non a caso Conze in Leibniz als Historiker ha offerto l’opportuno rilievo – tanto piu` se si pensa al vasto dibattito europeo sullo statuto gnoseologico della storia apertosi con le tesi 86 cartesiane, ricostruito con acribia in Italia soprattutto da Carlo Borghero . Sull’altro versante, la legge di continuita`, in quanto applicata al modello erudito-annalistico come suo tessuto connettivo ontologico, funge quasi, come si diceva, da idea regolativa, introducendo una tensione a dilatare senza posa i confini della ricerca, ampliando la storia regionale della Bassa Sassonia a quella dell’Impero germanico e all’intera storia occidentale, arricchendo le Historiae annuae delle piu` varie conoscenze provenienti dalle scienze ausiliarie quali la geologia, l’etnografia, la linguistica, la geografia, la paleografia, l’epigrafia: quasi, verrebbe da osservare, a voler portare quella forma storiografica ai limiti di se stessa, ai limiti della “capienza” consentita dalle sue strutture categoriali. Ma alla fine, la nostra tesi, proposta in queste pagine e che intendiamo documentare adeguatamente, e` che i fili tracciati da Leibniz tra erudizione storica e sistema filosofico non abbiano prodotto un tessuto omogeneo e unitario, e, di conseguenza, neppure l’abbiano prodotto tra storiografia erudita e teodicea della storia. Resta tra tali domini un’integrazione imperfetta, una circolarita` difettosa. Non basta dunque dire, come fa Hayden White in 87 Retorica e storia contro la tesi riduzionistica di Fueter, che la forma annalistica della storiografia viene da Leibniz dotata di una ricca base teoretica, quella offerta dalla Monadologia, la quale, con le sue nozioni di continuita`, di transizione per gradi, di armonia del tutto, bene si attagliava a quel modello storiografico: occorre aggiungere, e precisare, che quelle stesse nozioni affermate per fornire l’annalistica erudita di un Grund speculativo, erano tali da trascendere – per eccedenza categoriale, per sovrabbondanza – tale forma di rappresentazione storica, e che esse avrebbero legittimamente potuto propiziare ben altri originali arricchimenti e ripensamenti. L’ordine seriale annalistico, da questo punto di vista, se per un verso puo` apparire l’esecuzione del principio di ragione, per altro verso era ben lungi dall’esaurirne le implicazioni, e appare piuttosto, come si diceva, una forma di controllo, di rinserramento, di aggiustamento estrinseco del pluralismo e del dinamismo monadico. 86
C. Borghero, La certezza e la storia, cit. Dello stesso autore si veda anche l’antologia Conoscenza e metodo della storia da Cartesio a Voltaire, Torino 1990. 87 H. White, Retorica e storia, tr. it. di P. Vitulano, Napoli 1978, vol. I, pp. 80-82.
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Di piu`: Leibniz, come si diceva, sembra quasi voler mettere al riparo il modello erudito dalle sollecitazioni, e dalle possibili problematizzazioni, che potevano venire dalla sua stessa teoresi. Il grande pensatore tedesco sembra fare uso, als Historiker, dei propri principi filosofici finche´ e nei limiti in cui avallano la forma storiografica erudito-annalistica recepita dalle grandi scuole dell’epoca, mentre per altre novita` che avrebbero potuto arricchire – nella direzione di una piu` libera rappresentazione dell’individualita` e del prospettivismo –, ma anche problematizzare, quel modo di pensare e di scrivere la storia, egli viene troppo presto. Come ha scritto Yvon Belaval, gli e` mancato, per la storia, nel secolo di Luigi XIV nel quale essa, in attesa di Voltaire, Hume, Gibbon, si limitava a raccogliere documenti – come facevano i benedettini di Saint-Maur o gli eruditi dell’Acade´mie des Inscriptions et Belles-Lettres che stava nascendo – un modello che fosse per la storia cio` che i Saggi di Locke sono stati per la teoria della conoscenza88.
L’alta coscienza che Leibniz aveva del suo tempo, e della scienza storica del suo tempo, il suo partecipare alla rivoluzione storiografica erudita del Seicento, non toglie che nel pensiero leibniziano ci sia piu` del modello erudito, senza che cio`, tuttavia, giunga a declinarsi in compiuta teoria storiografica. L’aver avvertito, come attesta eloquentemente il frammento sull’Apokatastasis, l’al di la` del documento, l’ulteriorita` della storia reale rispetto alla storia empirica fissata nei protocolli, non basta a scalfire l’adorazione dell’erudito per l’atto d’archivio e per il “fatto”, assunti specularmente. L’al di la` del documento, in quel frammento del 1715, resta al di sotto della soglia di accertabilita` da parte dello storico, appare percio` relegato in uno spazio “noumenico” che non intacca il descrittivismo e l’obiettivismo storiografici fondati sull’identita` “giuridica” postulata tra “acta” e “facta”. In tal modo, la componente di eccedenza rispetto al modello “fattuale”, tassonomico, fondato sull’ossessione classificatoria e sulla quadrettatura dell’esperienza, che nozioni quali “infinita` dell’individuale”, “forza interna e dinamismo della monade”, “legge di continuita`”, “connessione e armonia contestuale”, “pluralismo e prospettivismo”, “temporalita` come rete di prospettive incrociate nella durata vissuta, come viluppo non lineare di passato, presente e futuro”, “ontologia dell’inesauribilita` dell’evento”, presentavano, 88
Cfr. Y. Belaval, Leibniz comme historien, in Aa.Vv. , Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p.
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rimasta inoperante nella storiografia leibniziana – quasi il pensatore di Hannover, come nota Troeltsch, fosse su questo punto incoerente con se 89 stesso – sara` lasciata in eredita` ad altri, secondo le parole che sigillano gli Annales Imperii e che suonano qui destinali: ... aliorum diligentiae relinquo [P I, 3, 878].
In cio` sta, a nostro avviso, il paradosso di Leibniz, la contesa tra nova et vetera che ha come campo d’azione la sua opera storica: egli precorre le filosofie della conoscenza storica illuministe e storiciste in forza di principi, concetti e categorie che appaiono per lo piu` non recepiti nella sua ricerca storica. Diverse, evidentemente, ed essenzialmente radicate nelle discussioni seicentesche sulla fides historica, nel problema, cioe`, delle condizioni atte a garantire la verita` del discorso storico, erano le sue preoccupazioni, e questo, del resto, la scienza storica della sua eta` richiedeva innanzitutto. Il vero progresso e la vera rivoluzione del suo tempo, quanto alla ricerca storiografica, restano per lui la conquista della fonte originale e la relativa critica ai documenti, acquisizione somma dell’erudizione seicentesca. Leibniz, come storiografo, in fondo, quasi non ha occhi che per questo, e altre indicazioni feconde desumibili dal suo pensiero filosofico, vengono da lui – proprio da lui – disattese. Non intendiamo, con cio`, rivolgere a Leibniz una critica antistorica: sarebbe certo errato rimproverargli l’assenza di cio` che soltanto dopo Kant sarebbe stato acquisito anche sul piano della conoscenza storica: il ruolo del soggetto, che elabora e seleziona i fatti storici, anziche´ credere, con ingenuo realismo, di trovarseli di fronte gia` pronti, il peso, dunque, dell’interpretazione entro la pretesa oggettivita` storica. Per superare con piena sicurezza, infatti, l’idea, alla base ancora dell’histoire savante, che lo storico sia un “operaio” intento a raccogliere, emendare, classificare, collazionare documenti e fatti, sia essenzialmente un artigiano della prova storica, insomma, e affinche´ la critica storica diventasse “trascendentale”, sarebbe stata necessaria la rivoluzione copernicana che il filosofo di Ko¨nigsberg ha descritto nella Prefazione alla seconda edizione della Critica della ragion pura a proposito di Galilei e Torricelli, i quali 89 Scrive significativamente E. Troeltsch, dopo aver lumeggiato il senso della metafisica e dell’individualita` leibniziane: «Per il resto la attivita` storiografica propria di Leibniz si muove nel solco dei metodi piu` antichi, specialmente dei Maurini, e per questo aspetto la sua propria dottrina non ha avuto effetti su lui stesso» (Id., Lo storicismo e i suoi problemi, cit., vol. II, p. 33 nota 10; corsivo nostro).
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compresero che la ragione vede solo cio` che lei stessa produce secondo il proprio disegno, e che, con principi de’ suoi giudizi secondo leggi immutabili, deve essa entrare innanzi e costringere la natura a rispondere alle sue domande90.
Il nostro intento, in realta`, e` solo di rilevare gli squilibri e i conflitti che il pensiero storico leibniziano evidenzia – cifra essi stessi, alla fine, del genio che incrina la determinazione specifica del suo tempo schiudendo spiragli sul futuro – sia che dipendano da condizionamenti epocali, sia che dipendano da limiti di coerenza e di compenetrazione interni al pensiero stesso. Leibniz, anche nel dominio della storia, intuisce il nuovo, avverte con rabdomantico impulso il futuro, ma alla fine “fa quadrato” attorno ai modelli e alle problematiche storiche peculiari del suo tempo, in primis a quella cruciale della fides historica. Nel corso del secondo capitolo ci soffermiamo a evidenziare simili squilibri e anche le strategie adottate da Leibniz quasi per salvaguardare il metodo storico-erudito dalle istanze divergenti e dalla prorompente novitas provenienti dal suo stesso sistema filosofico. Quando Fueter, nel trattare l’erudizione storica dei Maurini, osserva che il materiale era vagliato criticamente, le pietre erano pronte per la costruzione. Ma manco` il grande spirito che le riunisse in un edificio91,
non si puo` non pensare che forse solo Leibniz, nel suo tempo, avrebbe potuto incarnare quel “grande spirito”, capace di portare l’erudizione verso una nuova sintesi di rappresentazione storica. Ma la tesi di Fueter, che e`, in questo caso, anche la nostra, e` che il pensatore di Hannover non abbia offerto un apporto decisivo in questa direzione. Qui, davvero, come ha osservato Meinecke, si vede il cozzare del genio contro le barriere che v’erano in lui stesso e nei suoi tempi92: 90
I. Kant, Critica della ragion pura, tr. it. di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, Roma-Bari 1985, vol. I, p. 18. Sul ruolo di Kant nella nascita dello storicismo, cfr. F. Tessitore, Il senso della storia universale, cit., pp. 258-259. Anche F. Meinecke ha osservato: «Solo il pieno indirizzarsi degli spiriti verso l’individuale e la chiarificazione gnoseologico-teoretica, che la filosofia del Kant doveva introdurre, potevano dare al metodo critico quella interiore sicurezza che lo salvasse dalla arbitraria ingerenza del pragmatismo» (Id., Le origini dello storicismo, cit., p. 24). 91 E. Fueter, Storia della storiografia moderna, cit., p. 398. 92 F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 23.
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un “cozzare” bilanciato, del resto, da felicissime intuizioni e da slanci in avanti che segnano molti aspetti del pensiero storico leibniziano, facendone un intreccio di luci e ombre fecondo anche nelle contraddizioni e capace di aprire la via a un superamento di quelli che possono apparire i suoi stessi limiti. Tale e` il plesso di tesi che la nostra ricerca intende avvalorare. Ricerca indubbiamente mossa da interessi teoretici e non meramente historisch, nella quale, mentre e` all’opera la domanda circa l’apporto di Leibniz alle filosofie della conoscenza storica moderne e contemporanee, evidente appare il consenso di fondo, critico e non incondizionato, alla prospettiva ermeneutica sul “Leibniz storico” elaborata nel solco dello Historismus in particolare da Meinecke e da Troeltsch. Ricerca, ancora, che aveva preso le mosse, diversi anni or sono, dalla traduzione e dall’analisi del frammento 93 sull’Apokatastasis , e che si e` in seguito ampliata al complessivo pensiero storico leibniziano, non senza aver subito sul piano interpretativo l’influsso di quel peculiare cominciamento. Conclusivamente, ci preme sottolineare che le categorie ermeneutiche di fondo che guidano e sorreggono la nostra lettura del pensiero storico leibniziano – quali quelle di ellisse, di evoluzione storica come campo di forze ideali in lotta, di contrasto tra affermazione di individualita` e pluralismo ed esigenza di un loro teoretico controllo – nella rinuncia che comportano a linearita` sistematiche e progressive, ambiscono a strutturare la stessa articolazione della presente ricerca: in essa, i distinti capitoli intendono scandire un itinerario espositivo piu` spiraliforme che lineare, piu` sinfonico che successivo, quasi fossero, leibnizianamente, distinte prospettive che illuminano la medesima res, ciascuna documentandola dal proprio angolo visuale. Di qui, anche, la ripresa, talvolta, degli stessi temi nel corso dei diversi capitoli. Ed e` in forza delle tesi di fondo sin qui richiamate che il nostro lavoro intende inserirsi nel dibattito sul “Leibniz storico” che ha percorso il Novecento e che, a questo punto, occorre ricostruire nei suoi momenti fondamentali. V. – Non e` difficile identificare il reale punto di partenza della discussione critica attorno al “Leibniz storico”. Da quando, infatti, Louis Daville´ ha pubblicato, nel 1909, il suo Leibniz Historien, offrendo un contributo storiografico che non ha riscontri, a tutt’oggi, per mole e completezza, neppure 93 Cfr. G.W. Leibniz, Storia universale ed escatologia. Il frammento sull’Apokatastasis (1715), a cura di R. Celada Ballanti, Genova 2001.
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nella storiografia tedesca, il dibattito in merito si e` acceso per proseguire lungo tutto il XX secolo. Nel Vorwort al Symposion tenutosi a Ferrara nel giugno del 1980, sotto l’egida dell’Istituto di studi filosofici Enrico Castelli e della Leibniz-Gesellschaft, e dedicato a Leibniz als Geschichtsforscher, certo uno dei momenti piu` rilevanti dedicati nel corso del Novecento alla res in questione, Albert Heinekamp, nel richiamare i temi trattati nelle relazioni del convegno, identificava i due nodi problematici fondamentali attorno a cui si era agitato il dibattito storiografico su “Leibniz e la storia” dopo l’opera monumentale di Daville´. Si tratta del problema relativo al significato che compete alla storia all’interno del pensiero leibniziano, e di quello concernente il ruolo che Leibniz deve rivestire all’interno della storia della storiografia94.
In termini non troppo diversi si esprimeva anche Antonio Corsano nella nota apparsa sul “Giornale Critico della Filosofia Italiana” nel 1954 dedicata a Leibniz e la storia, nella quale lo studioso, dopo aver sintetizzato lo status quaestionis, indicava tre punti cruciali della discussione ancora da definire: 1˚ se il punto di vista logico-metafisico del Leibniz si prestasse ad una peculiare considerazione storiografica; 2˚ quale valore metodologico e criteriologico sia da attribuire alle numerose formule storiografiche di lui; 3˚ quale posto gli spetti in quella che seguendo l’insigne esempio dell’Hazard, chiameremo ancora crisi della coscienza europea al volgere del sec. XVII nel XVIII95.
Se l’Ottocento ha rimediato al grave ritardo nella conoscenza delle fonti primarie del Leibniz storico – da Pertz a Klopp, da Doebner e Bodemann a Foucher de Careil, opere che restano essenziali per lo studioso, dal momento che la Reihe V dell’Akademie-Ausgabe dedicata agli scritti storici (Historische und sprachwissenschaftliche Schriften) non ha a tutt’oggi ancora avuto corso – non si puo` dire che abbia prodotto una altrettanto adeguata riflessione critica in materia. Se si eccettuano i sintetici 96 97 e insufficienti lavori di H.-A. Erhard , di F.-G. Lange , e quello, piu` 94 95
Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. VIII. A. Corsano, Leibniz e la storia, in “Giornale critico della Filosofia Italiana”, 33, 1954, p.
359. 96
H.-A. Erhard, Leibnitz als Geschichtsforscher und als Befo¨rderer wissenschaftlicher Vereine, in “Zeitschrift fu¨r vaterla¨ndische Geschichte und Altertumskunde”, Westfalens, X, 1847, pp. 235-258. 97 F.-G. Lange, De Imperii historicis inde a saeculi XVIII initio usque ad Joh. Steph. Puetterum
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approfondito, di F.X. von Wegele, che nella Geschichte der deutschen Historio98 graphie seit dem Auftreten des Humanismus , utilizzando le fonti precedentemente ricordate, aveva classificato Leibniz tra gli storiografi tedeschi, per una adeguata tematizzazione del problema storico nel pensatore tedesco occorre attendere l’imponente lavoro di Daville´, che nella sua tesi di dottorato, frutto di uno scrupolosissimo lavoro di ricerca svolto negli archivi e nelle biblioteche europee – per quanto, come osserva Conze, «non 99 ovunque affidabile e piu` volte scorretto nelle citazioni» – offriva, per la prima volta, un denso e minuzioso quadro dell’opera e del pensiero storici di Leibniz. L’opera dello studioso francese, che all’aprirsi del XX secolo segnava una netta alternativa ermeneutica alle letture logicistiche di Bertrand Russell (A Critical Exposition of the Philosophy of Leibniz, 1900) e di Louis Couturat (La logique de Leibniz d’apre`s des documents ine´dits, 1901), appare scandita in due grandi sezioni: la prima, di carattere biografico, e la seconda, non meno rilevante, dedicata al metodo storico-critico e alla filosofia della storia. Il merito principale della prima parte, oltre alla raccolta di una documentazione minuziosa, e` quello di aver stornato l’equivoco, peraltro ritornante in tanta storiografia successiva, di un Leibniz dedito alla storia solo per obblighi cortigiani, ai margini, dunque, del suo reale impegno scientifico, filosofico, giuridico-politico. Nella ricostruzione di Daville´ l’interesse storico attraversa come un Leitfaden l’intera biografia leibniziana, dalla giovinezza fino all’estrema maturita`, non a lato, ma intrecciandosi variamente agli altri domini dello spirito a cui si dedico` il poliedrico pensatore di Hannover. Della considerazione della vasta, poderosa opera storiografica leibniziana, Daville´ non si limita a fornire l’accuratissima ricostruzione biografica ma passa a scandagliare la concezione della storia ad essa immanente, la sua logica, metodologia e filosofia. Della connessione tra storia e sistema conscriptis, quomodo percensendae sint et illustrandae. Dissertatio inauguralis historica quam ... in alma litterarum universitate Friderica Guilelma ... die XXIV M. Junii A. MDCCCLXIII ... publice defenderet auctor Fridericus Guilelmus Lange Guestphalus ... Berolini, s.d. (1863). Delle 53 pagine di questa dissertazione, dedicate anche a Mascov e a Bu¨nau, Leibniz occupa le pp. 30-51. 98 F. X. von Wegele, Geschichte der Deutschen Historiographie seit dem Auftreten des Humanismus, Munich und Leipzig 1885, pp. 603-606, 618-661. Va ricordato W. Wattenbach, Deutschlands Geschichtsquellen im Mittelalter bis zur Mitte des dreizehnten Jahrhunderts, Berlin 1885, vol. I, pp. 13-16. Ricordiamo inoltre A. Harnack, Geschichte der Ko¨niglich Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin, Band 1, 1, cit., pp. 1-69 (Introduzione dedicata a Leibniz). 99 W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 2.
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filosofico, Daville´ riconosce prontamente il filo piu` solido: la distinzione tra verita` di ragione e verita` di fatto, e l’appartenenza della storia a queste ultime. Dopo la delucidazione della generale immagine della storia (cap. I, parte seconda), tutto viene minuziosamente considerato: dai materiali storici e dalle scienze ausiliarie (cap. II) alla critica storica (cap. III) , dalla logica del probabile (cap. IV) alla ricostruzione storica (cap. V), fino al conclusivo capitolo VI dedicato alla filosofia della storia, collocata sotto il segno della legge di continuita` e delle sue conseguenze storico-speculative: determinismo, ottimismo e progresso. Leibniz – tale suona l’entusiastica conclusione di Daville´ destinata a suscitare non poche opposizioni tra gli studiosi – e` uno dei massimi storici dell’epoca moderna e di tutti i tempi. Egli si e` occupato di storia lungo tutta la sua vita, soprattutto nei suoi ultimi anni. Le sue ricerche lo hanno condotto a toccare pressoche´ tutti i punti della storia, tutti i periodi allora conosciuti e la maggior parte dei problemi che potevano essere posti al suo tempo ... E` nel contempo un erudito di prim’ordine e un rilevante storico in senso proprio, dal momento che egli non si e` preoccupato soltanto, come tanti altri nella sua epoca, soprattutto in Germania, di riunire e pubblicare documenti, ma ha saputo praticare un metodo insieme consapevole e completo ... In una parola, egli ha presentito, se non «inaugurato il vero metodo storico», principalmente nella critica: egli e` il precursore dei grandi storici del XIX secolo100.
Per la verita`, il secolo non si era aperto solo con la poderosa sintesi di Daville´. Essa era stata preceduta di alcuni anni da alcuni studi rilevanti per la tematica storica, che abbiamo gia` avuto occasione di ricordare nelle pagine precedenti: si tratta del saggio di Wilhelm Dilthey Leibniz und sein Zeitalter (1900) e di quello di Ernst Troeltsch Leibniz und die Anfa¨nge des Pietismus (1902). Ad essi occorre aggiungere le brevi, seppur illuminanti, pagine di Ernst Cassirer dedicate al problema della storia contenute in Leibniz’ System in seinen wissenschaftlichen Grundlagen (1902). Infine, tra le opere d’inizio secolo che interessano il nostro tema, non sara` fuori luogo ricordare anche il fondamentale lavoro di Jean Baruzi Leibniz et l’organisation religieuse de la terre (1907), che, nell’offrire un affresco del pensiero religioso leibniziano rimasto classico, non poteva eludere il versante concreto, percio` storico, del vasto disegno politico-religioso che il filosofo di 100
L. Daville´, Leibniz Historien, cit., pp. 743-744. Del medesimo autore si veda anche Le de´veloppement de la me´thode historique de Leibniz, I-II, in “Revue de sinthe`se historique”, 23, 1911, pp. 257-268; 24, 1912, pp. 1-31.
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Hannover coltivo` sin dalla giovinezza, e che perseguı` come diplomatico, come filosofo del diritto, come esperto di ecclesiologia impegnato nella riunione delle Chiese europee. Nel saggio ricordato del 1900, Dilthey offriva un vasto e lucido affresco della cultura seicentesca e, al suo interno, del pensiero leibniziano. Leibniz emerge come colui che, diviso tra teoresi e prassi, tra impegno scientifico e coinvolgimento nelle piu` acute problematiche politiche e religiose della sua travagliata eta`, recependo e riassumendo nel suo spirito universale tradizione rinascimentale, pensiero seicentesco, poesia tedesca, consegnava tale vastissimo legato in una nuova sintesi alla filosofia tedesca dell’eta` classica, diventandone il vero ispiratore: Una nuova visione metafisica dell’universo partı` da Leibniz e getto` la sua luce su ogni parte della nostra vita spirituale. E questa visione fu talmente profonda e di ampia portata che ci fu bisogno di quasi un secolo perche´ fosse del tutto compresa e fatta propria. Come Descartes diede la sua direzione allo spirito francese, come Locke ha determinato lo spirito inglese, cosı` Leibniz e` stato la guida della nostra cultura spirituale101.
Non e` questa la sede per analizzare gli altri luoghi dell’opera diltheyana dedicati a Leibniz. Per questo, e in generale per la Wirkungsgeschichte di Leibniz all’interno della tradizione critico-problematica dello Historismus – da Humboldt a Dilthey e a Troeltsch – si puo` rinviare anche qui, come gia` si e` fatto nelle pagine precedenti, all’Introduzione di Rossella Bonito Oliva alla traduzione italiana dei due saggi di Dilthey e Troeltsch di cui ci stiamo occupando. Occorrera`, tuttavia, almeno ricordare che nel saggio di Dilthey del 1900 e` contenuta una tesi che Werner Conze, nel suo Leibniz als Historiker (1951), sul quale torneremo ampiamente, avrebbe rintuzzato, facendone addirittura l’emblema di una posizione critica errata riguardo al Leibniz storico, caratterizzata da una cesura tra storia e sistema filosofico, e ponendosi, con cio`, in sintonia con l’opera di Daville´, che tra quei domini non sembra invece rilevare alcuna soluzione di continuita`. Cosı` suona la tesi diltheyana: die geschichtliche Welt in sein philosophisches System aufzunehmen, hat Leibniz nicht mehr versucht102. 101
W. Dilthey, Leibniz e il suo tempo, in Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit., p. 142. 102 Cfr. W. Dilthey, Gesammelte Schriften, 3 Bd., Leipzig und Berlin 1927, p. 36.
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Il saggio troeltschiano Leibniz e il Pietismo colloca il filosofo di Hannover accanto alla corrente spirituale protestante facendo di essi le due espressioni innovative del protestantesimo dopo la fase tragica delle guerre 103 di religione . Rispetto a Dilthey, Troeltsch, nel quadro di un’acuta analisi della religione filosofica leibniziana, palesemente inquadrata all’interno della storia della teologia liberale, quale punto di transizione verso il moderno protestantesimo di Lessing e di Kant, mostra maggiore interesse per la connessione tra storia e metafisica, che viene delineata – in un testo gia` menzionato – a partire dal valore dell’individualita`. Troeltsch, del resto, mostra analoga sensibilita` anche in altri luoghi della sua opera: ad esempio la` dove, nel saggio su L’idealismo tedesco, scrive che fu possibile a Leibniz inserire di principio la storia nella connessione del suo sistema, concependo la storia umana soltanto come una parte del complessivo, continuo dinamismo delle monadi e come una tappa nello sviluppo teleologico dell’universo104.
Oppure, nell’importante pagina contenuta in un lungo capitolo di Historismus und seine Probleme, nel quadro di una storia degli storicismi ottonovecenteschi costruita sul Leitfaden del concetto di sviluppo storico e di Universalgeschichte, dove nuovamente emerge la novita` dell’operazione teoretica leibniziana. Essa appare a Troeltsch caratterizzata da una fondazione metafisico-religiosa della storia che rinviene il suo focus nell’impulso dei singoli centri spirituali, le monadi, mentre l’attivita` storiografica, dal canto suo, sembra contrastare, o quanto meno non seguire, i principi della 105 teoresi . Nel suo Leibniz’ System in seinen wissenschaftlichen Grundlagen, Cassirer sottolinea le connessioni entro la filosofia leibniziana – nell’opera del 1902 peraltro fondamentalmente inquadrata nello sviluppo della scienza moderna – tra individuo, etica e problema della storia. Per il filosofo delle Forme simboliche, la questione di una fondazione della realta` storica entra nell’orizzonte dell’idealismo solo con Leibniz. Qui, come nella fisica, la critica del concetto cartesiano di sostanza e` costituita dalla monade. La monade 103 Cfr. E. Troeltsch, Leibniz e il Pietismo, in Leibniz e il suo tempo, in Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit., pp. 167-168. 104 E. Troeltsch, L’idealismo tedesco, in Id., L’essenza del mondo moderno, cit., p. 243. 105 Cfr. E. Troeltsch, Lo storicismo e i suoi problemi, cit., vol. II, pp. 32-33 (v. nota 10 p. 33). Riferiamo e commentiamo la pagina indicata nel capitolo terzo § 4.
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indica quella «metafisica dello spirito umano» che Vico esige come presupposto per ogni storia evolutiva delle idee106.
Questa nuova individualita` legata al concetto di armonia e` alla base di una “teodicea della storia” che costituisce chiaramente il tratto fondamentale di quella nuova concezione che trova il suo perfezionamento e la sua strutturazione nelle Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit107.
A Leibniz, Cassirer dedica anche un paragrafo nel capitolo relativo alla “conquista del mondo storico” della sua celebre Philosophie der Aufkla¨rung, dove, nel confermare Lessing e Herder come coloro che avrebbero recato a piena chiarezza le premesse leibniziane, ribadisce che la monade, in quanto pensiero fondamentale della metafisica leibniziana fu un nuovo e promettente appiglio per l’esplorazione e la conquista del mondo storico108.
La tesi diltheyana dell’estraneita` tra storia e sistema filosofico in Leibniz, si potrebbe dire, inaugura un solco interpretativo che sara` percorso, con differenti motivazioni e sfumature, da Eduard Fueter e da Benedetto Croce. A un sostanziale ridimensionamento dell’apporto leibniziano nel campo storico, rispetto alle conclusioni di Daville´, sono anzitutto ispirate le pagine di Fueter nella sua Storia della storiografia moderna (1911). Ad avviso dello storico, il pensatore tedesco, collocato nella corrente dell’annalistica erudita tedesca, seguı` in generale con precisione i principi storici dei Maurini, condividendone pregi e difetti. Come costoro, vuole anzitutto far parlare la buona tradizione. Gli importa piu` determinare cronologicamente e genealogicamente i fatti citati nelle fonti che spiegarli storicamente ... In complesso anche in lui la materia storica e` solo raccolta, ma non elaborata. L’ordinamento e` puramente annalistico; notizie sui piu` diversi oggetti si trovano messe le une accanto alle altre senza mediazione; narrazione e polemica non sono separate. E` data in modo quasi esclusivo una storia di persone (di principi). Sarebbe inesatto voler supporre che il Leibniz in contrapposizione ai Benedettini abbia concepito o analizzato filosoficamente la storia.
106 107 108
E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., p. 327. Ivi, p. 328. Id., La filosofia dell’illuminismo, cit., p. 319.
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Il suo modo di trattare la storia non ha nulla in comune colla storiografia dell’illuminismo109.
Croce, nonostante le diverse riserve espresse nei confronti dell’opera di Fueter, ne sottoscrive pienamente il giudizio su Leibniz, ribadendo che, anche solo come erudito, il filosofo tedesco non supero` il livello dei Maurini, e semmai aggravando, contra Meinecke, la propria valutazione con l’accusa di antistorico intellettualismo. A Leibniz, cosı`, non spetterebbe neppure il merito della scoperta dell’individualita`, dal momento che la monade, per Croce, e` il contrario dell’individualita` storica. In tal senso, ne La storia come pensiero e come azione (1938), all’interno del capitolo dedicato alla critica della ricostruzione meineckeana dello storicismo – momento importante dello Streit tra i due, sul finire degli anni trenta, cui seguira`, in risposta, il saggio di Meinecke Contributo alla storia delle origini dello storicismo e dell’idea di individualita` di Schleiermacher e la finale recensione crociana del volumetto del pensatore tedesco Senso storico e significato della storia110 – il filosofo italiano puo` scrivere: Perche´ mai ... il Leibniz, il quale considerava la storia nel modo tradizionale come mera materia di riflessioni e precetti morali e politici, e che nei suoi lavori storici si comporto` da semplice erudito, sarebbe “precursore” dello storicismo? Non certo (come crede, almeno per qualche rispetto, il Meinecke) per avere asserito l’originale valore dell’individualita` nella sua escogitazione delle monadi, perche´ la monade leibniziana e` proprio il contrario dell’individualita` storica, che e` individualita` degli atti e non gia` delle anime-sostanze, onde bisogna di continuo allontanare, e anzi annullare, l’idea della monade per pensare storicamente il processo d’individualizzamento e di disindividualizzamento, di vita e morte e nuova vita, che e` il corso della storia111.
Eppure, il Croce che mostra cosı` scarsa propensione per Leibniz, sia come storico che come filosofo, ha potuto essere accostato all’hannoverese da Federico Chabod quanto alla passione storico-erudita:
109
E. Fueter, Storia della storiografia moderna, cit., pp. 406-407. F. Meinecke, Senso storico e significato della storia, tr. it. di M.T. Mandalari, Napoli 1980. 111 B. Croce, La storia come pensiero e come azione, Bari 1938, nuova ed., 1966, p. 63. Croce d’altronde aveva gia` espresso il suo giudizio sul problema storico nel filosofo di Hannover in Teoria e storia della storiografia, Bari 1917, ed. cit., Milano 2001, in part. p. 282. Posizione non lontana da quella crociana e` quella di Adelchi Attisani in Storicismo e antistoricismo in Leibniz, in “Historica”, Reggio Calabria 1951, pp. 39-51. 110
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Datano da allora – scrive Chabod in riferimento agli anni giovanili del filosofo napoletano – le qualita` di ricerca, precisa e completa in tutti i suoi dati, il rigore filologico, e la passione erudita, viva nel Croce fino agli ultimi anni, che sono un singolare contrassegno della sua figura e, per questo lato, non consentono richiami se non ai grandi eruditi settecenteschi e, tra i filosofi, al solo Leibniz112.
Su posizioni diverse si pone Victor Delbos in La philosophie pratique de Kant (Paris 1926), che vede nel pensatore tedesco un indiretto anticipatore delle filosofie della storia che si sviluppano a partire dalla seconda meta` del XVIII secolo in Germania. Scrive Delbos: La nozione di filosofia della storia non tardera` a beneficiare dell’apporto della dottrina leibniziana. Nonostante Leibniz, malgrado le sue conoscenze e attitudini di storico, non abbia mai cercato di spiegare didatticamente il significato filosofico della storia, egli doveva ridestare, mediante il suo ottimismo, la sua concezione di uno sviluppo insieme spontaneo e regolare degli esseri, il suo principio degli indiscernibili, come mediante il principio di continuita`, almeno in modo indiretto, il senso dell’interesse e del valore di tutte le produzioni umane, l’idea di una sequenza razionale di tutti gli avvenimenti umani113.
Per venire a Friedrich Meinecke e alla nota tesi – contenuta nel “gran libro” del 1936 Le origini dello storicismo – di Leibniz “precursore” dello Historismus, va osservato che Meinecke, nel fare del filosofo della Monadologia il prosecutore diretto di Shaftesbury nella secolarizzazione della tradizione neoplatonica, nella revisione del giusnaturalismo e nell’istanza di affermare nella singolarita` del microcosmo il rispecchiarsi del divino e del cosmo, identifica la categoria centrale che abilita il pensiero leibniziano a porsi quale precorritore dello storicismo nella idea della individualita` singolare e spontanea, che agisce secondo leggi proprie, capace di uno sviluppo, e che tuttavia costituisce una variazione di una universale legalita`114.
In tale visione, che «scorgeva una infinita molteplicita` di forze efficienti e fluide incessantemente in rapporto tra di loro, originate da una prima e
112 113 114
F. Chabod, Croce storico, in Id., Lezioni di metodo storico, Roma-Bari 1978, p. 186. V. Delbos, La philosophie pratique de Kant, Paris 1926, pp. 264-265. F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 17.
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suprema fonte», palpita, secondo Meinecke, non solo il pensiero, di ascendenza protestante, dell’incondizionato e immediato rapporto dell’anima con Dio, ma anche l’idea, capitale per il successivo storicismo eticoreligioso, secondo cui la individualita` racchiude in se´ l’infinita`, e solo colui che e` in grado di comprendere l’infinito puo` possedere anche la conoscenza del principio di individuazione di questa o di quella cosa, cio` che e` una conseguenza della 115 reciproca relazione di tutte le cose dell’universo .
E` con questo pensiero fondamentale, capace di conciliare nella monade unita` e molteplicita`, identita` e differenza, stabilita` e moto, individualita` e infinita`, che Leibniz, per Meinecke, apre la strada a Mo¨ser, Herder, e soprattutto a Goethe, a cui lo storico dello Historismus dedica nell’Entstehung un celebre e fondamentale capitolo. Ma, accanto ai guadagni e all’apertura di nuovi orizzonti, Meinecke e` attento a lumeggiare, in Leibniz, le resistenze del passato, i residui dell’antica mentalita` giusnaturalistica sopravviventi nella fiducia nelle verita` eterne, necessarie, innate, nell’idea di armonia prestabilita e nel solipsismo delle monadi, incapaci di influssi trasformatori le une sulle altre tanto da apparire «un mostruoso mazzo di infiniti fili, i quali sono annodati insieme alle loro estremita` soltanto in Dio»116. L’apporto di Leibniz all’Illuminismo e allo storicismo tedeschi proviene dalla teoresi piu` che dalle opere storiche, non solo perche´ rimaste sepolte negli archivi hannoveresi fino all’Ottocento, ma anche in quanto segnate, per Meinecke, da limiti di coerenza e di fusione con i fecondi principi sottolineati che informano il sistema filosofico. Ne discende, per Meinecke, un sostanziale dualismo dei due mondi – quello delle verita` eterne e quello delle verita` di fatto o storiche –, fondamentalmente giustapposti e non compenetrati, tenuti insieme da tenui legami teoretici: mondi tra i quali non esistono che “leggeri rapporti”. All’affermazione di Daville´ secondo cui «Leibniz appare come uno dei piu` grandi storici di ogni tempo», Meinecke oppone la tesi di Dilthey («Leibniz non ha mai piu` cercato di accogliere nel suo sistema filosofico il mondo della storia»), con cui fondamentalmente concorda, solo attenuando la tesi della completa lontananza con quella indicata dei “leggeri rapporti” tra i due ordini di verita`: Il mondo delle «verita` eterne» sta per lui sempre ad un livello piu` elevato che quello delle «verita` di fatto». Non mancano del tutto, invero, leggeri 115 116
Ivi, p. 19. Ivi, p. 22.
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rapporti fra questi due mondi. Si e` riportati ad un motivo fondamentale della sua filosofia, al suo principio della continuita`, che richiama l’attenzione sulle piccole cause delle grandi cose, ed anche alla sua dottrina sulla individualita`, quando si vede dispiegarsi in tutte le direzioni la sua inclinazione verso tutto cio` che e` antico117.
Tra il Leibniz filosofo dell’individualita` monadica, capace di dinamismo e sviluppo, che racchiude in se´ l’infinita`, avviluppata nel reticolo delle piccole percezioni e della connessione universale, e il Leibniz storiografo annalista erudito esiste dunque, per Meinecke, una imperfetta fusione, una mancata compenetrazione, nonostante gli sforzi profusi. Un grande merito della lettura meineckeana e` quello di prendere in considerazione l’intero Leibniz, il filosofo e lo storico, piuttosto che soltanto l’uno o l’altro, come spesso e` avvenuto nella critica, tenendo in equilibrio i due aspetti, sia nelle relazioni sia nei contrasti che evidenziano. Ne discende un’immagine di Leibniz conflittuale, “eraclitea” e, per questo, ci sembra, quanto mai ermeneuticamente feconda. Di qualche anno precedente rispetto al testo meineckeano e` lo studio di Francesco Olgiati Il significato storico di Leibniz (1929). L’autore vi propugna una tesi che intende essere lo sviluppo maturo e il completamento dell’opera di Daville´: se lo studioso francese ha offerto un quadro unitario dell’attivita` storiografica leibniziana, in dissenso con le letture logicistiche coeve di Russell e Couturat, e` proprio nella storia che occorre rinvenire l’anima del Leibniz filosofo: Col suo saggio sull’attivita` e sul metodo storico leibniziano Louis Daville´, in una importantissima opera su Leibniz historien, ha offerto all’ammirazione ed alla meraviglia nostra uno spettacolo, che fa ammutolire. Io propugnero`, anzi, la tesi che e` da questo punto della storia, che bisogna partire, per poter penetrare nell’anima di Leibniz filosofo118.
Il limite strutturale del poderoso e pur meritorio lavoro di Daville´, cosı` come dell’interpretazione offerta da Fueter, resta, per Olgiati, quello di dedicare attenzione esclusivamente o quasi alla storiografia leibniziana trascurando il filosofo, e perdendo con cio` di vista l’autentica anima del leibnizianesimo. La tesi ora enunciata ha un importante corollario, o risvolto speculare: se l’anima della filosofia leibniziana va rinvenuta nella 117 118
Ivi, pp. 24-25. F. Olgiati, Il significato storico di Leibniz, cit., p. 10.
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storia, l’anima della storia andra` rinvenuta nel sistema filosofico, piuttosto che nel lavoro storiografico: Il Daville´ si e` limitato quasi alle opere storiche ed agli scritti storici del Leibniz. Quando nella seconda parte del suo lavoro – dopo l’attivita` storica del Leibniz – ha indagato il suo metodo storico, avrebbe dovuto cominciare a immergersi nella filosofı`a leibniziana ed a vivere in essa con lo stesso ardore con cui mirabilmente ha condotto le sue indagini negli archivi. Io non ho percepito nella sua opera questo affiatamento con la dottrina filosofica di Leibniz; solo vi ho trovato – e come potevano mancare? – accenni ripetuti; ma l’anima del Leibniz pensatore mi pare sia sfuggita al dotto ricercatore francese. Egli conosce a perfezione gli scritti inediti, ma non so se con eguale perfezione abbia meditato la filosofı`a di Leibniz. Eppure era da questo punto di vista che bisognava porsi; perche´ – fra l’altro – anche il Daville´ – nonostante la sua ammirazione per Leibniz historien – mi concedera` che se la fama del Leibniz fosse stata legata solo ai suoi opuscoli d’indole storica, o agli Annales Imperii occidentis Brunsvicenses, Leibniz non sarebbe oggi vivo come lo e` e non avrebbe influenzato tanto la cultura moderna. Ad eccezione di pochi topi di biblioteca, gli altri l’avrebbero quasi del tutto dimenticato. E` la sua filosofı`a, piu` che la sua attivita` od il suo metodo storico, che lo ha reso immortale. Anche il Fueter ha trascurato questo; anzi – cio` che e` peggio – sembra che per lui Leibniz filosofo non esista nemmeno. Ora, chi dice all’eminente storico della storiografia che l’importanza di Leibniz in quest’ultima non stia tanto nei suoi scritti – editi o inediti – di storia, quanto nelle sue tesi filosofiche? Chi assicura il Fueter che il Mabillon ed il Leibniz abbiano la stessa grandezza, quando si paragonino fra loro non l’erudito, che ha composto gli Annales Ordinis S. Benedicti e l’altro erudito che attendeva agli Annales Imperii, ma si confrontino piuttosto i principi ispiratori delle ricerche benedettine e la teoria della monade?119.
In questa direzione, il volume di Olgiati rappresenta, nella sua seconda parte, una esposizione preziosa per cogliere le implicazioni e le valenze “storiche” del concetto speculativo leibniziano di individualita`. Se lo studio di Olgiati si pone in aperto dissenso dalla lettura di Daville´, la via delineata dallo studioso francese e` invece, nella sostanza, ripresa con finezza e ricchezza di documentazione da Werner Conze nel suo Leibniz als Historiker (1951), certo uno dei migliori apporti della storiografia (non solo) tedesca sul tema. Cifra emblematica di questa linea critica potrebbe essere la seguente asserzione di Conze che, riprendendo una tesi centrale 119
Ivi, p. 120.
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della ricostruzione di Daville´, innesta la ricerca storica leibniziana nel centro nevralgico del sistema filosofico leibniziano, vale a dire nel dominio delle verita` di fatto: Noi fissiamo l’inquadramento logico della storia nella contingenza propria delle ve´rite´s de fait, ed e` lecito accorgersi, sin da questo, che non si tratta solo di una determinazione logica, ma altresı` ontologica, in quanto la storia appartiene all’esistenza o al mondo creato da Dio. Se, entro il grande contesto della creazione, separiamo la storia naturale, allora resta la storia autentica, la Historia humana, cioe` ci troviamo nel contesto proprio dell’uomo con la sua peculiare posizione nell’ordine dei gradi delle sostanze viventi. Ma, con cio`, abbiamo trovato nel sistema filosofico il luogo nel quale la storia umana riceve la sua posizione. Di conseguenza, il senso e il contenuto della storia devono essere colti nel problema centrale della liberta` voluta da Dio e partecipata all’uomo, come Leibniz ha sempre ribadito negli scritti e nelle lettere degli ultimi due decenni della 120 sua vita .
Scandito, come il poderoso saggio dello studioso francese, in una parte biografica e in una esposizione che ricostruisce l’opera storica leibniziana, seguite da un finale esame della Wirkungsgeschichte di “Leibniz storico”, lo studio di Conze, sintetico e pregnante, apre l’analisi richiamando la tesi diltheyana relativa alla dicotomia tra storia e sistema filosofico in Leibniz, allo scopo di confutarla121. Non solo, tuttavia, contro Dilthey, ma anche contro Meinecke, che corregge solo in parte il punto di vista diltheyano, si pone l’esposizione dello studioso tedesco. Momento eloquente di tale opposizione e` l’interpretazione offerta del brano di una lettera di Leibniz a Th. Burnett (2/13 febbraio 1700), ove si legge che les hommes qui se piquent de philosophie et de raisonnement ... ont coutume de mepriser les recherches de l’antiquite´, et les antiquaires a` leur tour se moquent de ce qu’ils appellent les reveries des Philosophes. Mais pour bien faire, il faut rendre justice au merite des uns et des autres [GP III, 270].
Se per Meinecke
120 121
W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., pp. 41-42. Ivi, p. 32 sgg.
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queste parole lasciano subito intendere che il Leibniz vede l’efficacia di questi due mondi nella giustapposizione, non ancora nella reciproca compenetrazione122,
per Conze la lettura meineckeana e` fuorviante, dal momento che il pensatore tedesco, nel testo epistolare, piu` che a due mondi contrapposti, allude a due metodi di ricerca distinti ma non estranei. Inoltre, osserva lo studioso tedesco, quello di “antiquario” (Antiquar) non esauriva per Leibniz il concetto di storico (Historiker), quale egli ha visto e ha aspirato a rappresentare. Leibniz parla qui dell’antiquario come del tipo di collezionista con “originario impulso antiquario” invalso nel suo tempo, non invece dello storico autentico, che, fondandosi sugli sforzi antiquari, doveva superare il pirronismo nella lotta per la “fides historica” e avanzare nella conoscenza storica. Ma in questo impegno dello storico effettivo si dovevano incontrare il collezionista di materiali e il pensatore ... In questo legame stava per Leibniz l’autentica richiesta rispetto alla scienza storica, il cui metodo egli ha tentato di approntare sulla base di una teoria della conoscenza storica adeguata con l’ausilio di una “logica del probabile”123.
Alla logica del probabile come logica storica capace di introdurre nell’esposizione dei fatti una razionalita` superiore alla mera empiria, Conze dedica particolare attenzione e annette grande rilievo, al punto da qualificarla una vera e propria «ermeneutica storica», desunta soprattutto dalla 124 logica dei giuristi : Connessione e giudizio dei fatti storici attraverso la ragione devono essere esigiti dallo storico. Solo, cio` non puo` aspirare alla certezza delle verita` di ragione, per le quali valgono le regole della logica tramandata. Cosı` Leibniz giungeva all’esigenza di una logica nell’ambito del probabile (probabilite´), gia` menzionata come principio metodologico dei suoi Annales125.
Mette conto ricordare, accanto al saggio di Conze, lo studio di Adal122
F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 24. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., pp. 33-34. Il nostro assenso di fondo su questo punto alla tesi meineckeana, nonostante la densita` e finezza dello studio di Conze, e` gia` emerso nelle pagine di questa Introduzione e sara` oggetto di approfondimento nel corso del lavoro. 124 Ivi, p. 53. 125 Ivi, p. 35. 123
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bert Klempt, gia` menzionato, Die Sa¨kularisierung der universalhistorischen Auffassung. Zum Wandel des Geschichtsdenkens im 16. und 17. Jahrhundert (1960). Per quanto Leibniz compaia in questo testo solo come terminus ad quem dell’indagine, la tesi di fondo del libro, richiamata nelle pagine precedenti, ci pare assai significativa. La presente ricerca – scrive Klempt – deve restare limitata all’intervallo tra l’inizio della cessazione della visione teologico-escatologica e gli inizi dell’interpretazione filosofico-storica dell’Universalhistorie, vale a dire deve prendere le mosse da Melantone e giungere fino a Leibniz ...126.
Nella traiettoria delineata, Leibniz sta dunque all’inizio della seconda fase («Die zweite Phase, die etwa mit Leibniz beginnt. ..»; ivi, p. 12), caratterizzata da una nuova problematica: offrire all’immagine ormai secolarizzata dell’Universalhistorie un nuovo fondamento unitario grazie a un sistema 127 filosofico . In cio` Leibniz anticipa Vico e Voltaire inaugurando cio` che K. Lo¨with ha descritto come trasposizione secolarizzata della visione storicouniversale biblica e teologica. Ricordiamo anche, di questi anni, sul problema della storia in Leibniz, il saggio di L.W. Spitz, The significance of Leibniz for historiography, in “Journal of the History of Ideas”, 3, 1952, pp. 333-248. Contributi di grande rilievo anche al problema della storia in Leibniz provengono dai lavori di Andre´ Robinet, primo fra tutti, per la nostra tematica, G.W. Leibniz. Iter italicum (Mars 1689 – Mars 1690). La dynamique de la Re´publique des Lettres. Nombreux textes ine´dits (Firenze 1988). Si tratta, come il titolo stesso suggerisce, della minuziosa ricostruzione della fase “italiana” della Welfenforschungsreise intrapresa da Leibniz tra il 1687 e il 1690 alla ricerca di documenti e di prove del legame tra la Casa di Braunschweig e quella d’Este. Dopo i periodi trascorsi nella Germania meridionale e in Austria, Leibniz giunge infatti in Italia dove avrebbe portato a termine con successo la missione affidatagli. Inutile qui richiamare i vari momenti del suddetto iter (cio` che facciamo nel secondo capitolo del presente lavoro, avvalendoci ampiamente del lavoro di Robinet). Da sottolineare sono piuttosto le conclusioni dello studioso francese, attento a cogliere, dell’esperienza del viaggio di ricerca leibniziano che si conclude con le scoperte avvenute presso il monastero della Vangadizza, i risvolti
126 127
A. Klempt, Die Sa¨kularisierung der universalhistorischen Auffassung, cit., p. 13. Ivi, pp. 128-129.
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metodologici e filosofici. Ecco un brano cruciale contenuto nella Conclusione dello studio suddetto: Le genealogie d’immaginazione sono abbandonate e criticate. La deductio biblica che fa discendere la Casa d’Este da Noe´, la deductio mythologica che ne coglie l’origine in Giove ed Ercole, la deductio troiana che le conferisce per antenati Antenore e Ateste, la deductio romana che fa derivare da Actius e da Atius, attraverso Cesare, tutti gli Azzo della storia d’Este, sono severamente fustigate. La deductio carolingiana non interessa di piu` lo storico. Occorrera` giungere a cio` che noi chiamiamo la deductio cunigondana dalla quale discendono i membri della famiglia guelfa. Cio` non era possibile che attraverso la ricerca dell’individuazione di Azzo, grazie al passaggio da un “ens imaginationis” a un “ens concretum”: la risalita dell’itinerario verso la Vangadizza si spiega in tale aspettativa di precisione, sulla quale l’opera posteriore restera` vigilante, esitando ancora su numerosi dettagli128.
Operazione demitizzatrice, quella descritta, vegliata dal principio di ragione, sotto il cui sigillo la storia, fattasi ormai conoscenza rigorosa e precisa di fonti, si pone con Leibniz: 129
La storia si inscriveva sotto il principio di ragion sufficiente .
Una marcata e intima compenetrazione tra principi filosofici e storiografia Robinet sembra vedere, senza che tra i due domini esistano fenditure o incoerenze: La visione leibniziana della storia riposa su questo legame tra le famiglie principesche e sull’armonia dei loro sviluppi. Il regno della giustizia divina passa attraverso questi consigli di famiglia dove si decidono alleanze, al di la` degli individui. Ma nello stesso tempo la capacita` di individuazione fa il suo corso, poiche´ occorre per ogni anello della catena fornire la definizione piu` precisa possibile. Perche´ la storia non e` altra cosa che la trama visibile che la metafisica traccia tra ogni soggetto concreto e il resto dell’universo. Che la storia entri sotto il concetto di armonia universale, e` gia` offrire una nozione razionale, che esige che tutti i dettagli vengano raccolti. La visione del mondo storico ne e` rivoluzionata: nulla restera` delle costruzioni degli storici precedenti130. 128
A. Robinet, G.W. Leibniz. Iter italicum (Mars 1689-Mars 1690). La dynamique de la Re´publique des Lettres. Nombreux textes ine´dits, Firenze 1988, pp. 452-453. 129 Ivi, p. 453. 130 Ivi, pp. 453-454.
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Gia` da solo, del resto, il titolo della relazione svolta nel quadro del Symposion ferrarese del giugno 1980 Leibniz als Geschichtsforscher e` eloquente. Esso, in effetti, suona: Les fondements me´taphysiques des travaux historiques de Leibniz. Qui, vengono distinte quattro direzioni principali della ricerca storica leibniziana: «Historite´» o «Geschichtheit»; «Histoire scientifique» o «wissenschaftliche Geschichte»; «Histoire proprement dite», o «Geschichte», e infine l’«Urgrund» dei fondamenti metafisici, che configurano una teologia razionale della storia fondata sulla Justitia Dei e sull’idea 131 di harmonia universalis . Del resto, gia` il piu` lontano Leibniz et la racine de l’existence (1962) poneva la visione del mondo leibniziana sotto il segno della storia, evocando in particolare il lavoro di F. Olgiati Il significato storico 132 di Leibniz, al quale lo studioso francese mostra di sentirsi vicino . Menzioniamo ancora, di Robinet, G.W. Leibniz: Le meilleur des mondes par la balance de l’Europe (1994), che, pur contenendo solo alcune pagine esplicitamente dedicate alla storia (cfr. pp. 283-284; 301 sgg.), espone con grande finezza il disegno politico-etico-religioso che fa da cornice e da fondamento all’impegno storiografico e filosofico-storico di Leibniz. Per proseguire la nostra rassegna delle piu` rilevanti posizioni interpretative circa Leibniz come storico, in Italia gli studi su tale problema sono riconducibili innanzitutto al nome di Antonio Corsano, gia` riecheggiato nelle pagine precedenti. A lui si deve un denso volume complessivo su Leibniz (1952) che, per quanto non specificamente gravitante attorno alla Sache storica, contiene l’indicazione della tesi fondamentale con cui lo studioso avrebbe affrontato successivamente in modo piu` preciso il problema storico, vale a dire l’avvertimento dell’individualita` come limite alla ricerca analitica, ad essa ultimamente irriducibile. Ma, se costanti, nell’analisi di Corsano, appaiono la tesi della resistenza dell’individualita` all’indagine analitica e al panlogismo universale, e quella del recupero di una razionalita` umanistica a sfondo estetico-teleologico, tra il volume del 1952 – a cui si deve aggiungere la nota su Leibniz e la storia (in “Giornale Critico della Filosofia Italiana”, 33, 1954, pp. 356-368) – e il breve studio del 1971 Bayle, Leibniz e la storia, occorre registrare un mutamento di prospettiva ermeneutica: se negli scritti del ’52 e del ’54 appaiono netti la distanza da Daville´ e il fondamentale assenso alle posizioni di Dilthey, di Meinecke e di Croce, nel lavoro del 1971 Corsano riabilita la posizione di Daville´, in 131
Id., Les fondements me´taphysiques des travaux historiques de Leibniz, in Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., pp. 49-67. 132 Id., Leibniz et la racine de l’existence, cit., p. 91.
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precedenza «alquanto frettolosamente svalutato», riconoscendo la validita` della sua impostazione. Cosı`, per Corsano, la ragione storica di Leibniz si afferma nell’assecondare, contro lo sprofondamento nel fondo oscuro della monade, i piu` semplici e positivi espedienti d’una ragione storica, poggiante sulla fattuale certezza delle testimonianze, ma anche sulla solida fiducia nella interazione giuridico-sociale133.
Di Corsano segnaliamo anche, per alcuni cenni sulla storia, la recensione a V. Mathieu, Introduzione a Leibniz, Laterza, Bari 1976, in “Giornale critico di filosofia italiana”, 2, 1978, pp. 258-260 (ad essa si e` fatto riferimento nella Prefazione al presente volume citandone alcune righe). Ma in Italia vanno ricordati altri studiosi che, piu` o meno direttamente, hanno offerto al tema della storia in Leibniz apporti rilevanti: a partire da Sergio Bertelli, che nel suo fondamentale Erudizione e storia in Ludovico Antonio Muratori (Napoli 1960) dedica al problema suddetto e al rapporto 134 Leibniz-Muratori accurate considerazioni . Vanno inoltre menzionati gli importanti studi di Carlo Borghero, La certezza e la storia. Cartesianesimo, pirronismo e conoscenza storica, cit.; Conoscenza e metodo della storia da Cartesio a Voltaire, cit.; Les philosophes face a` l’histoire. Quelques discussions sur la 135 connaissance historique aux XVII et XVIII sie`cle . A Leibniz dedica pagine cruciali anche P. Rossi ne I segni del tempo. Storia della Terra e storia delle 136 nazioni da Hooke a Vico (Milano 1979; nuova ed. Milano 2003) . In Italia, precisamente a Ferrara, si e` svolto nel giugno 1980 l’impor137 tante Simposio, gia` ricordato , dedicato a Leibniz als Geschichtsforscher, che raccogliendo voci autorevoli della Leibniz-Forschung mondiale – quali quelle di A. Robinet, Y. Belaval, W. Hu¨bener, W. Voise´, W. Schneiders, H. Asshoff, A. Heinekamp, N. Hammerstein, H. Me´choulan, A. Seifert – rappresenta certo uno dei principali punti di riferimento per lo studio del tema in questione. Non e` possibile, in questa sede, che sottolineare il 133
A. Corsano, Bayle, Leibniz e la storia, cit., p. 58. Cfr. in part. nell’opera indicata, sul metodo storico di Leibniz, p. 221 sgg. Di Bertelli occorre ricordare altresı` Ribelli, libertini e ortodossi nella storiografia barocca, Firenze 1973. 135 Cfr. Aa.Vv., Pratiques et concepts de l’histoire en Europe, XVI-XVIII sie`cles, a cura di Ch. Grell e J.-M. Dufays, Paris 1990, pp. 73-83. 136 Cfr. dell’opera indicata in part. le pp. 71-89. Dei fondamentali studi sull’eta` moderna di P. Rossi occorre qui almeno menzionare, per l’attenzione offerta a Leibniz in relazione all’idea di progresso, Naufragi senza spettatore. L’idea di progresso, Bologna 1995, p. 86 sgg. 137 Cfr. la nota 6 della presente Introduzione. 134
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grande rilievo del convegno, rinviando, per una sintesi, alla nota di M. V. Predaval Magrini, Leibniz e la storia nel convegno di Ferrara (in “Rivista critica di storia della filosofia”, 1981, pp. 56-63), nonche´ ai numerosi riferimenti alle relazioni che si trovano nel testo e nelle note del nostro lavoro. Un contributo di grande importanza al problema della storia in Leibniz proviene dall’ampio studio di Yvon Belaval – di cui ricordiamo anche la 138 relazione al menzionato Simposio ferrarese Leibniz comme historien – Leibniz critique de Descartes, nel quale il capitolo II della prima parte, dal 139 titolo Re´volution et tradition , e` dedicato al confronto tra i due pensatori sul problema della storia. La tesi finale sostenuta dallo studioso, nel quadro di un’analisi equilibrata e profonda del pensiero storico-filosofico leibniziano, e` che il sorgere della filosofia della storia presuppone la rivoluzione cartesiana, che ha consentito la nascita di una filosofia autonoma rispetto alla teologia e, dunque, il formarsi di una storia della filosofia. Poiche´, tuttavia, quest’ultima non si instaura prima del XVIII secolo, Leibniz ha precorso il sorgere della filosofia della storia grazie all’unica ispirazione possibile al suo tempo capace di dare un senso al corso degli eventi: quella teologica, operante ancora in Hegel. Per restare alla Francia, occorrera` menzionare, all’interno del fondamentale volume di Michel Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques (Paris 1968), il capitolo dedicato alla nozione di progresso. Nel sistema di Leibniz Serres coglie il primo esempio di un pluriverso comunicazionale in cui modelli e strutture transitano e si trasportano, autentico precorrimento della trasformazione contemporanea da una societa` prometeica, dominata dalla produzione, a una societa` che sta sotto il segno di Hermes, percio` della comunicazione e della trasmissione di messaggi. All’idea leibniziana di sistema come reticolo, o labirinto combinatorio, in cui ogni punto e` intrecciato a un’infinita` di altri mediante una molteplicita` di incroci e di transiti, ben lontana da quella cartesiana di un ordine concatenato unico e irreversibile, corrisponde un multiverso epistemologico, come il filosofo francese rileva e documenta anche a proposito dell’idea di progresso, declinata in una sequenza tutt’altro che univoca di schemi e ben diversa da cio` che saranno le filosofie della storia e del progresso sette-ottocentesche: 138
Cfr. Y. Belaval, Leibniz comme historien, in Aa.Vv. , Leibniz als Geschichtsforscher, cit., pp. 30-37. Il saggio e` stato ripreso in Id., Leibniz de l’aˆge classique aux Lumie`res. Lectures Leibniziennes, Paris 1995, pp. 179-191. 139 Id., Leibniz critique de Descartes, Paris 1960, pp. 84-129.
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INTRODUZIONE
Nello sviluppo di questo problema [la tesi del progresso] e` possibile rilevare la liberalita` pluralista del suo metodo, e, pertanto, spezzare la tradizionale decisione su cui facciamo assegnamento: Leibniz non e` un dogmatico perche´ e` un matematico, ed e` pluralista per la medesima ragione ... In Descartes il metodo aderisce a un unico modello di algebra (o di geometria algebrica) e, a sua volta, questa disciplina e` il polo dell’universo matematico. Leibniz scioglie questa adesione e sopprime tale preferenza. Egli fa proliferare a piacere i modelli matematici, tra i quali nessuno e` giudice degli altri, ma in cui ciascuno verifica gli altri garantendone l’efficacia. Di qui la flessibilita` della sua strategia metodica, la variazione incessante ... Da Descartes a Leibniz si passa dall’unicita` dell’adesione alla pluralita` delle corrispondenze140 .
Sul tema del progresso occorre ricordare inoltre la voce “Fortschritt”, curata da C. Meier e R. Koselleck, contenuta in Geschichtliche Grundbegriffe, 141 che a Leibniz fa diversi significativi riferimenti . Inoltre, va menzionato lo studio di J. Knoppik, Leibniz’ Fortschrittskriterium: Das U¨bergehen zu Neuem (in SL, XXIX/1, 1997, pp. 45-62). Koselleck richiama Leibniz a piu` riprese negli studi raccolti in Futuro passato, gia` ricordati nelle pagine di questa Introduzione, oltre che nella fondamentale voce “Geschichte, Historie” contenuta in Geschichtliche Grundbegriffe, cit., Band 2, pp. 593-717 (Leibniz vi e` citato in part. alle pp. 655 e 663). Qualche osservazione a se´ merita il frammento sull’Apokatastasis di Leibniz (1715), al quale dedichiamo il capitolo quarto del presente libro. Esso e` stato pubblicato originariamente da Max Ettlinger in Id., Leibniz als Geschichtsphilosoph. Mit Beigabe eines bisher unvero¨ffentlichen Leibnizfragmentes u¨ber “Die Wiederherstellung aller Dinge” (Apokatastasis panton), cit. (il frammento e` alle pp. 27-34). Il testo leibniziano e` stato piu` di recente ritrascritto dall’originale e tradotto in francese da Michel Fichant nel volume G. W. Leibniz, De l’horizon de la doctrine humaine – Apokatastasis panton (La Restitution Universelle). Textes ine´dits, traduits et annote´s par Michel Fichant suivis d’une Postface: “Plus ultra”, Paris 1991 (citato nel corso del lavoro con la sigla LF). Sul medesimo scritto leibniziano rinviamo anche alla traduzione italiana da noi curata G.W. Leibniz, Storia universale ed escatologia. Il frammento sull’Apokatastasis (1715), Genova 2001. Uno studio fondamentale sull’argomento resta quello, gia` ricordato, di Hans Blumenberg, Cronaca universale o formula universale, capitolo decimo de La 140
M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., p. 219. Cfr. Aa.Vv., Geschichtliche Grundbegriffe, cit., Band 2, pp. 351-423. Di tale testo esiste la traduzione italiana a cura di S. Mezzadra, Progresso, Venezia 1991. 141
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leggibilita` del mondo. Il libro come metafora della natura, cit., pp. 121-149. Sullo stesso tema mette conto leggere anche le pagine ad esso dedicate da Fabrizio Desideri in Quartetto per la fine del tempo. Una costellazione kantiana, Genova 1991, pp. 142-151. Sulla trasformazione dell’escatologia in eta` illuminista e su Leibniz ricordiamo l’analisi di Gerardo Cunico, Da Lessing a Kant. La storia in prospettiva escatologica, Genova 1992. Assai documentato si presenta il volume di Horst Eckert, Gottfried Wilhelm Leibniz’ Scriptores rerum Brunsvicensium. Entstehung und historiographische Bedeutung (Frankfurt am Main 1971), che contiene un’analisi dell’opera storica di Leibniz apparsa tra il 1707 e il 1711. Importanti sono i lavori che Gu¨nther Scheel ha dedicato all’opera storica leibniziana. Tra essi vanno ricordati: Leibniz als Historiker des Welfenhauses (in Aa.Vv., Leibniz. Sein Leben – sein Wirken – seine Welt, hrsg. von W. Totok und C. Haase, Hannover 1966, pp. 227-276); Leibniz und die deutsche Geschichtswissenschaft um 1700 (in Aa.Vv., Historische Forschung im 18. Jahrhundert, hrsg. von K. Hammer-J. Voss, Bonn 1976, pp. 82-101); Leibniz historien (in Aa.Vv., Leibniz 1646-1716. Aspects de l’homme et de l’oeuvre, Paris 1968, pp. 45-60); Leibniz’ Pla¨ne fu¨r das “Opus historicum” und ihre Ausfu¨hrung (in Akten des Internationalen Leibniz-Kongresses, Hannover, 14.-19. November 1966, Band 4, SL, Supplementa, 4, Wiesbaden 1969, pp. 134-155); Leibniz als Direktor der Bibliotheca Augusta in Wolfenbu¨ttel (in Akten des II. Internationalen Leibniz-Kongresses. Hannover, 17.-22. Juli 1972, SL, Supplementa, XII, Wiesbaden 1973, Band 1, pp. 71-83); Leibniz, die Alchimie und der absolute Staat (in Theoria cum praxi. Zum Verha¨ltnis von Theorie und Praxis im 17. und 18. Jahrhundert. Akten des III. Internationalen Leibniz-Kongresses, Hannover, 12. bis 17. November 1977, Wiesbaden 1980, SL, Supplementa, XIX, Band 1, pp. 267-282); Leibniz auf den Spuren von Alchemisten in Berlin zur Zeit Ko¨nig Friedrichs I. (in Aa.Vv., Leibniz in Berlin, hrsg. von H. Poser und A. Heinekamp, SL, Sonderhefte, 16, Stuttgart 1990, pp. 253-270). Anche Waldemar Voise´ ha dedicato particolare attenzione al problema della storia in Leibniz, inclinando per una una lettura conciliativa delle varie e diverse tradizioni di pensiero che nel filosofo tedesco convergono. Di lui ricordiamo: Gottfried Wilhelm Leibniz ou l’historiographie d’un conciliateur (in Aa.Vv., Discordia concors. Festgabe fu¨r Edgar Bonjour zu seinem siebzigsten Geburtstag am 21. August 1968, Band 1, Basel und Stuttgart 1968, pp. 121-130); On Historical Time in the Works of Leibniz (in Aa. Vv., The Study of Time II, a cura di J.T. Fraser and N. Lawrence, Berlin, Heidelberg, New York 1975, pp. 114-121); La modernite´ de la conception
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leibnizienne de l’histoire (in Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., pp. 68-78); La Mathe´matique politique et l’histoire raisonne´e dans le Specimen demonstrationum politicarum de Leibniz (in Aa.Vv., Leibniz 1646-1716. Aspects de l’homme et de l’oeuvre, cit., p. 61-68); Leibniz, Nizolius et le nominalisme moderne (in Aa. Vv., Leibniz et la Renaissance, Colloque du Centre National de la recherche scientifique [Paris], du Centre d’e´tudes supe´rieures de la Renaissance [Tours] et de la G.W. Leibniz Gesellschaft [Hannover], Domaine sur Seillac [France], 17-21 giugno 1981, publ. par A. Heinekamp, SL, Supplementa, XXIII, Wiesbaden 1983, pp. 151-156); Leibniz’ Modell des politischen Denkens (in Akten des Internationalen LeibnizKongresses, Hannover, 14.-19. November 1966, Band 4, SL, Supplementa, 4, cit., pp. 183-206); Leibniz und die Entwicklung des sozialen Denkens im 17. Jahrhundert (in Akten des II. Internationalen Leibniz-Kongresses. Hannover, 17.-22. Juli 1972, SL, Supplementa, XII, cit., Band 1, pp. 181-189). Mette conto ricordare anche le pagine che Hayden White, il noto filosofo americano che riduce la storia a retorica, dedica nel suo celebre 142 libro intitolato Metahistory alla concezione storica leibniziana . In esse viene sottolineata la coerenza di fondo tra monadologia e storiografia annalistica. Quando Eduard Fueter nella sua Storia della storiografia moderna distingueva quattro forme di storiografia pre-illuminista – ecclesiastica, etnografica, galante o romanzesca, erudito-antiquaria – inscrivendo in quest’ultima il lavoro storico leibniziano, lo studioso, ad avviso di White, non rendeva piena giustizia alla visione storica dell’hannoverese. Fueter affermava che Leibniz non fece altro che applicare alla storiografia il metodo dei Maurini limitandosi a costruire genealogie e cronologie di piccole Casate come quella dei Braunschweig. In realta`, scrive White, in Leibniz la forma annalistico-cronologica della rappresentazione storica e` implicitamente fornita di una solida base teoretica, coerente com’e` con le nozioni di continuita`, di transizione per gradi infinitesimali, di armonia del tutto di fronte alla dispersione nel tempo e nello spazio di elementi o parti. Leibniz, unico forse fra gli storici del suo tempo, aveva buoni motivi per credere che la storiografı`a annalistica fosse un modo fı`losofı`camente giustificato di rappresentazione storica. Cosı` la Monadologia, con la sua dottrina della continuita`, con la teoria dell’evoluzione per gradi e la concezione dell’evento individuale come microcosmo rispetto al macrocosmo, potrebbe essere letta, ad 142
Cfr. H. White, Retorica e storia, cit., vol. I, pp. 80-82. Per un’analisi della discussa opera di White e per la sua ricezione, cfr. il fascicolo di “Storia della Storiografia”, 25, 1994, a cio` dedicato.
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avviso di White, come un’implicita difesa formale di quel modo di comprensione storica di tipo annalistico-cronologico. Leibniz insomma pote´ scrivere la storia in forma annalistica perche´ credeva che la dispersione dei fenomeni fosse solo apparente, mentre in realta`, “tout se tient”. Di conseguenza, la sua concezione del processo storico, in cui il passaggio per gradi infinitesimali si puo` raffigurare in enumerazioni annalistiche di limitati campi di eventi, non richiedeva la distinzione fra ambiti piu` grandi e piu` piccoli. Lo stesso processo di varietas in identitate agisce ovunque, sia che la parte individuale venga intesa come una persona, una famiglia dominante, un principato, una nazione, un impero o come l’intera razza umana. Va ricordato il saggio di Margherita Palumbo su Leibniz e la res bibliothecaria. Bibliografie, historiae literariae e cataloghi nella biblioteca privata leibniziana (Roma 1993), di grande interesse per la tematica storica. Inoltre menzioniamo l’articolo di G. Boss L’histoire chez Spinoza et Leibniz (in “Studia spinozana”, 6, 1990, pp. 179-200), e il contributo di Quintin Racionero Carmona dal titolo Wissenschaft und Geschichte bei Leibniz (in SL, XXIII/1, 1991, pp. 57-78). Vanno segnalate, all’interno dell’opera che Blandine Kriegel ha dedicato a L’histoire a` l’Age classique, a cui si e` gia` fatto riferimento, le pagine del volume secondo dedicate alla consonanza tra l’epistemologia storica di Mabillon e il pensiero di Leibniz. In esse la studiosa francese sottolinea che, se cartesiani sono gli inizi della scienza diplomatica, quest’ultima poteva rinvenire le sue piu` adeguate basi gnoseologiche ed epistemologiche in 143 Leibniz e in Locke, piu` che in Cartesio . Vanno ancora menzionati i seguenti studi: S. Benz, Historiker um Gottfried Wilhelm Leibniz, in Aa.Vv., Leibniz und Niedersachsen, hrsg. von H. Breger und F. Niewo¨ hner, in SL, Sonderhefte, 28, Stuttgart 1999, pp. 148-172; R. Otto, Leibniz als Historiker. Beobachtungen anhand der Materialien zum Sachsen-Lauenburgischen Erbfolgestreit, in Labora diligenter, SL, Sonderhefte, 29, a cura di M. Fontius, Hartmut Rudolph, G. Smith, Stuttgart 1999, pp. 197-221; G. van den Heuvel, “Deß NiederSa¨chsischen Vaterlandes Antiquita¨ten”: Barockhistorie und landesgeschichtliche Forschung bei Leibniz und seinen Zeitgenossen, in Niedersa¨chsisches Jahrbuch fu¨r Landesgeschichte, 68, 1996, pp. 19-41; A. Schro¨cker, Leibniz als Herausgeber historischer Quellen, in Mitteilungen des o¨sterreichischen Staatsarchivs, 29, 1976, pp. 122-142. Le presenti notazioni bibliografiche sul problema della storia in Leibniz trovano la loro migliore conclusione nel riferimento al VII Convegno 143
B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. 2, cap. 4, pp. 201-217.
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internazionale leibniziano Nihil sine ratione. Mensch, Natur und Technik im Wirken von G.W. Leibniz, celebratosi a Berlino il 10-14 settembre 2001. La sezione “Geschichte”, sotto la direzione di G. Scheel, annoverava i seguenti relatori e le seguenti relazioni: F. Beiderbeck, Leibniz als politischer Berater des Welfenhauses am Beispiel der Neunten Kur, e H.-J. Waschkies, Erdgeschichte, Pala¨ontologie und Geschichte im Spiegel des Briefwechsels von Leibniz144.
144 Cfr. Nihil sine ratione. Mensch, Natur und Technik im Wirken von G.W. Leibniz, cit., Vortra¨ge 3. Teil, pp. 1327-1333. La relazione di F. Beiderbeck e` leggibile in: Nachtragsband, cit., pp. 142-149. Ci permettiamo di rinviare anche alla relazione da noi tenuta al suddetto convegno dal titolo Universalhistorie und nihil sine ratione im Apokatastasis-Fragment von Leibniz, ivi, 1. Teil, pp. 193-200.
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1 “UNRUHE” ASTRAZIONE E FONDO DELL’ANIMA IL TEMPO E LA SUA RELAZIONE CON LA STORIA On appelle Unruhe en Allemand, c’est a` dire inquietude, le balancier d’un horloge: on peut dire, qu’il en est de meˆme de nostre corps qui ne sauroit jamais estre parfaitement a` son aise. (Leibniz, Nouveaux essais sur l’entendement humain) Sei tu a fare il tempo! Son i sensi le sfere dell’orologio: / Arresta il bilanciere (Unruh), e il tempo non c’e` piu`. (Angelus Silesius, Il Pellegrino Cherubico)
1. – Premessa. “Pretiosissimum tempus” SENSUS VITAE A REBUS – PRETIOSISSIMUM TEMPUS (ottobre 1677-settembre 1680 [?]) Ut in populosis urbibus pretiosissimus est fundus seu locus; ita in vita tempus. Recte Cardanus, si quae per alios commode facere possumus, ac si locupletes scilicet simus, quovis pretio potius redimendam alienam operam, quam impendendam nostram, quia tempus pretio alioqui non emitur. Hic verus est usus divitiarum. Divites possunt videri aliis longius vivere, si sciant uti divitiis. Nam tempus aestimatur a rebus. Et maxime a rerum quae contigerunt varietate. Itaque qui uno anno tantum varietatis gratae expertus est, quantum alius decennio, is annum pro decennio habere potest. Sensus enim vitae a rebus, potius quae nobis ipsis obtingunt quam externis observationibus, motu scilicet coeli, annorum epocha et calendario sumi debet. Huc certe res redit, ut homo varia expertus solo calendario longius se quam alium vixisse, credere prohibeatur. Quid autem
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calendarii testimonium contra sensum nostrum possit. Certe nihil si sapimus minuit felicitatem. Itaque qui exiguo licet tempore praeclare vixere longissime vixisse videri possunt [A VI, 4 C, 2716].
Non e` difficile scorgere, in questo frammento leibniziano, l’elogio di una figura del tempo peculiare della Weltanschauung moderna, la cui genesi, effetto di un lungo processo di secolarizzazione, andrebbe rinvenuta, ad avviso di Jacques Le Goff, nell’idea di purgatorio e di giudizio escatologico 1 individuale : alludiamo al tempo personale, privato, concepito come una sorta di possesso “aureo” dell’individuo, da amministrarsi con prudenza e saggezza, al limite con avarizia, e misurato con gli orologi da tasca, o conservati in casa, prerogativa della nobilta` e delle classi agiate fino al XVIII secolo, distinti da quelli pubblici, collocati sulle piazze a scandire i ritmi collettivi della comunita`. Si legge un’affine apologia del tempo individuale, probabilmente in una delle sue espressioni aurorali, nei Libri della famiglia (1437-1441) dell’umanista fiorentino Leon Battista Alberti che, nel Libro III dell’opera, presenta il tempo come fattore costitutivo dell’uomo accanto all’anima e al corpo, non tuttavia in virtu` di un’appartenenza necessaria, ma come possibilita` che si conquista o si perde con la prassi mondana: Giannozzo: Ma per dirti brieve, tre cose sono quelle le quali uomo puo` chiamare sue proprie, e sono in tanto che dal primo dı` che tu venisti in luce la natura te le diede con questa liberta`, che tu l’adoperi e bene e male quanto a te pare e piace, e comando` la natura a quelle sempre stiano 1 Cfr. J. Le Goff, I riti, il tempo, il riso. Cinque saggi di storia medievale, tr. it. di A. De Vincentiis, Roma-Bari 2001, p. 132 sgg. Sul cenno all’idea di purgatorio, dello stesso autore si veda il fondamentale studio La nascita del Purgatorio, tr. it. Torino 1982, in part. pp. 401-402 (Il tempo del Purgatorio). Sul tempo tra Medioevo e modernita`, Le Goff ha scritto pagine penetranti in Tempo della Chiesa e tempo del mercante. Saggi sul lavoro e la cultura nel Medioevo, tr. it. di M. Romano, Torino 2000, e in La civilta` dell’Occidente medievale, tr. it. di A. Menitoni, Torino 1983, pp. 181-213. Sul tempo nel Medioevo cfr. anche G. Gusdorf, Origine delle scienze umane, tr. it. di M. Cuccu, Genova 1992, p. 254 sgg.; K. Pomian, L’ordine del tempo, tr. it. di P. Arlorio, G. Bottiroli, C. De Marchi, C. Prandi, Torino 1992, in part. pp. 41-46 e 271-279; A. Ja. Gurevic, Le categorie della cultura medievale, tr. it. di C. Castelli, Torino 1983, in part. pp. 97-162; G. Poulet, E´tudes sur le temps humain, Edinburgh 1949, pp. 7-12. Sulla scrittura storica medievale cfr. in part. B. Guene´e, Storia e cultura storica nell’occidente medievale, tr. it. di A. Bertoni, Bologna 1991; A. Funkenstein, Heilsplan und natu¨rliche Entwicklung. Formen der Gegenwartsbestimmung im Geschichtsdenken des hohen Mittelalters, Mu¨nchen 1965. Del medesimo autore, di rilievo e` il vasto volume Teologia e immaginazione scientifica dal Medioevo al Seicento, cit., con ampie parti dedicate a Leibniz e alla concezione della storia nell’eta` moderna (cap. quarto, p. 241 sgg.). Inoltre: R.W. Southern, La tradizione della storiografia medievale, a cura di M. Zabbia, Bologna 2002.
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pressoti, ne´ mai persino all’ultimo dı` si dipartono di sieme da te. L’una di queste sappi ch’ell’e` quello mutamento d’animo col quale noi appetiamo e ci cruciamo tra noi ... L’altro vedi che e` il corpo. Lionardo: La terza quale sara`? Giannozzo: Ha! Cosa preziosissima. Non tanto sono mie queste mani e questi occhi. Lionardo: Maraviglia! Che cosa sia questa? Giannozzo: ... El tempo, Lionardo mio, el tempo, figliuoli miei ... Cosı` proprio interviene del tempo. S’egli e` chi l’adoperi in lavarsi il sucidume e fango quale a noi tiene l’ingegno e lo intelletto immundo, quale sono l’ignoranza e le laide volonta` e’ brutti appetiti, e adoperi il tempo in imparare, pensare, ed essercitare cose lodevoli, costui fa il tempo esser suo proprio; e chi lascia transcorrere l’una ora doppo l’altra oziosa sanza alcuno onesto essercizio, costui certo le perde. Perdesi adunque il tempo nollo adoperando, e di colui sara` il tempo che sapra` adoperarlo2.
Certo, non la Padova del ’400, ricca di fermenti umanistici e scientifici, dove si ambientano i dialoghi dell’Alberti, ma la brumosa, malinconica e barocca Hannover, e` il milieu storico in cui si inscrive l’elogio leibniziano del tempo personale «preziosissimo», il cui culto si ritrova, tra gli altri, anche in Goethe. Ma, se e` vero, come scrive Erwin Panofsky nei suoi studi iconologici sul Padre Tempo, che nessun periodo e` stato tanto ossessionato dalla profondita` e dalla vastita`, dall’orrore e dalla sublimita` del concetto di tempo quanto il barocco, l’epoca in cui l’uomo si trova di fronte all’infinito come qualita` dell’uni3 verso, anziche´ come prerogativa di Dio , 2
Leon Battista Alberti, I Libri della famiglia, a cura di R. Romano e A. Tenenti, Torino 1969, Libro III, pp. 204-206 (corsivo nostro). Cfr. anche Francesco Guicciardini, che identifica tempo e capitale, da amministrarsi con oculatezza: «Abbiate per certo che, benche´ la vita degli uomini sia breve, pure a chi sa fare capitale del tempo e non lo consumare vanamente, avanza tempo assai: perche´ la natura dell’uomo e` capace, e chi e` sollecito e risoluto gli comparisce mirabilmente el fare» (Guicciardini, Ricordi, 145, a cura di G. Masi, Milano 1994, p. 111). 3 Cfr. E. Panofsky, Il Padre Tempo, in Studi di iconologia. I temi umanistici nell’arte del Rinascimento, tr. it. di R. Pedio, Torino 1999, pp. 132-33. Del medesimo autore, fondamentale e` anche Saturno e la melanconia (con R. Klibansky e F. Saxl), tr. it. Torino 1983. Quanto all’allusione fatta a Goethe, si legga quanto Thomas Mann osservava sull’autore del Faust a proposito del suo rapporto col tempo. Tale rapporto «da un lato e` un grandioso darsi tempo, aspettare, rimandare, un pigro e passivo affidarsi al tempo, ma dall’altro e` pure culto del tempo, smania di sorvegliare, trattenere, sfruttare, coltivare il grande regalo del tempo seguendo il motto: Mein Erbteil wie herrlich, weit und breit! Die Zeit ist mein Besitz, mein Acker ist die Zeit (Come splendida, mirabile e ampia la mia eredita`! Il tempo e` il mio possesso, il tempo e` il mio podere). O anche con l’altro detto: Le temps est le seul dont l’avarice soit
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ERUDIZIONE E TEODICEA
cio` che colpisce, nel frammento leibniziano, e` l’assenza di melancholia, la stessa incarnata dalla clessidra visibile nella celebre incisione du¨reriana del 1514 (Melencolia I) nella quale, come scrive Ernst Ju¨nger, «tempo e tristezza 4 si fondono totalmente l’uno nell’altra» . O, ancora, colpisce nel breve testo di Leibniz l’assenza di quell’angoscia, ben nota all’uomo barocco, ispirata dall’idea del tempo come crudele dileguatore delle realta` terrene, come vanitas vanitatum: dall’idea, dunque, ispirata al virgiliano fugit irreparabile tempus, al ruit hora consacrato da diuturna tradizione, di cui l’«huomo vecchio» dell’Iconologia di Cesare Ripa (1593; 1603), o le «pitture nere» della Quinta del Sordo di Goya (1820-23), dove si vede l’immagine raccapricciante di Kronos-Saturno che divora uno dei propri figli, sono rappresentazioni paradigmatiche. No, nulla del «famelico», del «veloce Tempo» che infuria, della sua «oltraggiosa mano» che logora ogni cosa, della sua «falce» da cui non ci si difende – motivi questi ossessivamente ricorrenti nei Sonetti di Shakespeare e in tanta letteratura seicentesca, cosı` disponibile alle immagini saturnali del tempo – si avverte in questo testo, dove sembra piuttosto riflettersi il giudizio di Hans-Georg Gadamer secondo cui Leibniz rappresenta 5
l’ultimo dei filosofi in cui la cultura umana non e` disperata . louable» (Id., Goethe. Una fantasia, in T. Mann, Saggi su Goethe, tr. it. di R. Fertonani, Milano 1982, pp. 323-324; cfr. anche di Mann Goethe quale esponente dell’eta` borghese, in ivi, pp. 154-155. Entrambi i saggi sono ora in T. Mann, Nobilta` dello spirito e altri saggi, a cura di A. Landolfi, Milano 1997, rispettivamente alle pp. 329-374 e 171-208). 4 E. Ju¨nger, Il libro dell’orologio a polvere, tr. it. di A. La Rocca e G. Russo, Milano 1994, p. 206. 5 Cfr. H.-G. Gadamer, La responsabilita` del pensare. Saggi ermeneutici, a cura di R. Dottori, Milano 2002, p. XII. Il giudizio di Gadamer, per non apparire parziale, va certo integrato con lo splendido Discorso commemorativo per il 300˚ anniversario della nascita di Leibniz tenuto dall’autore di Wahrheit und Methode il 1 luglio 1946 nell’Aula magna dell’Universita` di Lipsia, nella cui chiusa si legge significativamente: «Allora da Leibniz potra` venirci una nuova forza contro il pericolo del pessimismo culturale, per superare non solo la disperata situazione in cui noi stessi ci troviamo come popolo, ma ancor di piu` la disperazione, costantemente minacciosa, nel destino e nelle possibilita` della cultura umana in generale, una forza che scaturisce dallo spirito immortale di Leibniz. La profondita` dell’ottimismo leibniziano, che abbraccia insieme conato e spirito, che non mira alla piatta e ordinaria ragionevolezza di un semplice pensiero dotato di scopi, ma che cerca di scoprire il mistero della vita attraverso la forza dello spirito, questo e`, come mi auguro, il nuovo Leibniz che alla fine potrebbe portare il futuro nella coscienza universale del nostro popolo, per il suo bene e per il bene di tutti noi» (Gottfried Wilhelm Leibniz, tr. it. di R. Cristin, in “aut aut”, 254-255, 1993, Il soggetto di Leibniz, a cura di R. Cristin, pp. 16-17. Il testo era stato pubblicato, in occasione del 90˚ genetliaco di Gadamer, in SL, XXII/1, 1990, pp. 1-10). Sulla singolarita` dell’ottimismo leibniziano e sulla crisi della coscienza barocca si leggano le pagine di un altro grande
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A ben vedere, quel monstrum mitologico rappresentato da Kronos nella pittura di Goya incarna, nella forma raggelante del tremendum, cio` che Leibniz sul piano teoretico e scientifico ha sempre rifiutato, come la tarda polemica con Samuel Clarke – destinata a confermare negli ultimi anni della sua vita quanto la giovanile opposizione al cartesianesimo gia` implicava – avrebbe definitivamente evidenziato: alludiamo all’ipostatizzazione, alla sostantificazione del tempo e dello spazio, che finisce appunto, se assecondata, per generare mostri metafisici, autentiche divinita` concorrenti e profanatrici dell’unico vero Dio, creatore del tempo nell’atto stesso di creare il mondo. In fondo, Newton, col suo sensorium Dei e col suo tempo assoluto, svuotato di qualsiasi evento fisico, accettato come dato bruto nel suo fluire indipendente dalle cose, finiva per creare, ad avviso di Leibniz, un simile mostro metafisico, certo matematicamente asettico e neutro rispetto all’antropomorfa figura mitologica classica, ma con il medesimo tratto di aseita`, corroborato per di piu` dall’autorita` della scienza esatta. In luogo, dunque, di un tempo assoluto che, come cieca e furibonda forza o come fluire malinconicamente obliquo e reclinato su se stesso, scorre incontrollabile sopra le cose travolgendole, consumandole («le ore che limando vanno i giorni,/i giorni che rodendo vanno gli anni», scrive Go´ngora in un sonetto ove riecheggia l’immagine del «dente del Tempo», 6 ben nota all’arte rinascimentale e barocca ) si avverte nel breve scritto leibniziano il senso di un tempo utile, fecondo, solidale con la realta`, con l’esistenza, con il mondo morale, scandito da eventi, che esiste in relazione alle cose e alla durata individuale. E, insieme a cio`, riecheggia l’invito umanistico dell’Alberti ad abitare il tempo «preziosissimo», a usarlo e programmarlo, imponendogli un ordine, un fine umano, che si sovrappone alle misure astratte e generali. Tempo non di per se´ origine di senso e di razionalita`, ma luogo di relazioni, dotato di intelligibilita`, armonico con la totalita` della creazione. Infatti, per Leibniz, deriviamo il tempo dagli eventi interprete contemporaneo del filosofo della Monadologia, G. Deleuze, in La piega. Leibniz e il Barocco, cit., pp. 103-104. Se, dunque, per Gadamer Leibniz e` «l’ultimo dei filosofi in cui la cultura umana non e` disperata», per Roland Barthes sarebbe invece Voltaire «l’ultimo degli scrittori felici», capace di dare «l’andamento di una festa alla lotta della Ragione» (cfr. Barthes, Saggi critici, tr. it. di L. Lonzi, Torino 1972, pp. 54-61). 6 Cfr. Go´ngora, Della brevita` ingannosa della vita, in Id., Sonetti, tr. it. di C. Greppi, Milano 1997, p. 91. Sulla metafora del «dente del Tempo» cfr. E. Panofsky, Il Padre Tempo, in Studi di iconologia, cit., p. 112 sgg. Sul tema del tempo nel teatro shakespeariano, cfr. N. Frye, Tempo che opprime, tempo che redime. Riflessioni sul teatro di Shakespeare, tr. it. Bologna 1986. Sulla storia in Shakespeare cfr. P. Pugliatti, Shakespeare storico, Roma 1993; V. Gabrieli, La storia d’Inghilterra nel teatro di Shakespeare, Roma 1995.
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e non il contrario, come vorrebbe Newton, per il quale il tempo ci sarebbe anche se non ci fosse il mondo. Nam tempus aestimatur a rebus. Et maxime a rerum quae contigerunt varietate... Sensus enim vitae a rebus.
L’autentica grandezza e l’autentico valore del tempo, annota Leibniz, non possono coincidere con “osservazioni esterne” – siano esse i moti astrali, le epoche storiche o i calendari – ma sono legati alla varieta` e molteplicita` di cose, di percezioni, inscritte nella durata vissuta, quanto piu` possibile ricca, piena, priva di smagliature o faglie. Come accade in una citta` popolosa, varia e insieme ordinata, ove e` preziosissimo il terreno. O come avviene – in base alla matesi divina che presiede alla creazione – nella serie di cose ed eventi che, in quanto la migliore possibile, passa ad esistenza, nella quale, come si legge nel De rerum originatione radicali, la varieta` delle forme corrisponde alla comodita` di un edificio e all’eleganza dei suoi locali (cfr. GP VII, 303). Considerazioni non lontane da quelle leibniziane sulla varieta` del tempo si leggono, all’interno della cultura barocca, anche in Baltasar Gracia´n, il quale, in El Discreto (1646) elogia «l’uomo che sa dividere il suo tempo», che assegna a ogni ora il suo compito, che sa variare senza legarsi a una sola attivita`: La varieta` e` sempre stata gradevole, qui e` addirittura lusinghiera ... Vi deve essere un tempo per tutto, meno che per cio` che e` disdicevole7.
La varieta`, d’altronde, in Leibniz, e` addirittura tratto proprio dell’Armonia divina, se e` vero che divinae Harmoniae consentaneum non est eadem semper chorda oberrare [LF, 74].
Ed e` altresı`, come confermano i testi del De rerum riferiti, la cifra propria della verita` e della perfezione. Di variazioni infinitesime e` innervato infatti l’universo, e sono esse a rappresentare il punto di transito tra l’identico 7
Citiamo questo testo di El Discreto tratto dalla Lettera a Don Vincencio Juan de Lastanosa da G. Patella, Gracia´n o della perfezione, Roma 1993, pp. 102-103. Fini osservazioni su Gracia´n e sul tema della varieta` nella cultura barocca si leggono in R. Bodei, Geometria delle passioni, Milano 2000, pp. 151-153.
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e il diverso, a fissare l’impercettibile scarto tra passato, presente e futuro. Se l’avvenire, nel pensiero leibniziano, puo` configurarsi come diverso dal passato e dal presente, e, pur nella continuita`, schiudere al novum, anziche´ alla ripetizione dell’uguale, e` per il silenzioso, sommerso pulsare di questa inestricabile orditura di variazioni minime, vero e proprio brulicante, agitato, frastagliato fondo ontologico del tempo. L’uomo saggio, infatti, sa che non occorre fidarsi troppo dell’esperienza del passato, poiche´ il suo ripetersi non e` che una verita` contingente, e cerca, per quanto possibile, di penetrare qualcosa delle ragioni che presiedono ai fatti, per valutare dove e quando occorrera` fare eccezione alle abitudini ingenerate dall’ovvio e dal passato. L’ovvio, in quanto verita` di fatto, in quanto cio` che si incontra o viene incontro (obvium, obviam), puo` essere in ogni momento scavalcato dalla ratio del novum, e l’uomo capace di fare uso della ragione e di non fermarsi, come le anime inferiori, a pure connessioni empiriche, in luogo di barricarsi nella cittadella interiore e di affrancarsi dall’impetuoso fiume eracliteo del tempo, come l’antico saggio, dovra` fare attenzione al continuo diaframma che il tempo scava rispetto a cio` che e` stato, essendo attento al kairos, al tempo debito in cui occorrera` agire per sortire i migliori risultati. Dell’attenzione da prestarsi al tempo debito negli eventi storici, nella contingenza, al fine di non perdere l’occasione favorevole offerta dalla Provvidenza, Leibniz parla, ad esempio, in un breve scritto storico-politico dell’autunno 1685 «touchant la creation d’un Neuuieˆme Electorat en faveur des Protestans avec quelques Additions faites depuis», strettamente legato a quello intitolato De la Grandeur de la Serenissime Maison de BronsvicLuneburg [A I, 4, 221-225], sul quale sosteremo oltre. Si legge nell’esordio di quello scritto: Comme la S.me Maison de Bronsuic-Luneburg est apresent, graces a` Dieu, en estat de se faire considerer, plus qu’elle n’a este´ depuis plusieurs siecles, et que toute la prudence humaine ne va qu’a` bien profiter des conjunctures fauorables, qu’on ne sc¸auroit faire naistre, puisqu’elles dependent du ciel; il est sans doute a` propos de ne pas negliger le moment fatal, et les occasions que Tacite appelle Transitus rerum [A I, 4, 225].
«Preziosissimo» il tempo e` anche per tali «momenti fatali» che segnano il Transitus rerum e che occorre non perdere, perche´ potrebbero non ripresentarsi. “Fatale”, nel senso di “provvidenziale”, era anche, per Leibniz, il suo tempo come eta` che schiudeva possibilita` di progresso mai viste prima:
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De toutes les pertes que nous faisons, celle du temps et des occasions est la plus inestimable. Cependant nous ne nous en appercevons gueres que lors qu’il n’est plus temps, et que les regrets sont superflus. On peut dire que les connoissances solides et utiles, sont le plus grand tresor du genre humain, et si jamais le sie`cle a este´ propre a` l’accroistre et a` le faire profiter c’est le nostre, cependant je ne vois pas, que nous nous mettions en devoir de jouir comme il faut de cette grace du ciel, et du penchant glorieux des plus grands Princes pour faire fleurir les Sciences et les Arts [A VI, 4 A, 946]
E` utile anche leggere, per esemplificare ulteriormente e portarci subito nell’orizzonte della storia, l’inizio di un documento del marzo 1684 intitolato Raisons touchant la guerre ou l’accomodement avec la France, per comprendere con quale realismo politico e severa moralita` Leibniz invitava a ponderare le decisioni da prendere in un momento fatale della storia europea, «ascoltando la sola ragione che parla»: Le danger d’une ruine entiere et sans ressource, n’ayant jamais este´ plus grand pour l’Empire, pour la maison d’Austriche, et pour les Pays bas Unis et Espagnols, que dans le moment ou` nous sommes, il faut envisager cette deliberation comme la plus importante qu’on ait jamais mis sur le tapis, de la quelle depend la vie ou la mort, le renversement ou le salut de l’Estat. C’est pourquoy pour y penser comme il faut, pour n’avoir rien a` se reprocher en conscience, et pour satisfaire aux devoirs de la patrie, de l’honneur, de l’amitie´, il faut ny se flatter ny perdre courage, n’augmenter ny diminuer par une imagination prevenue les justes causes de crainte ou d’esperance, en un mot il faut un moment de tranquillite´ d’esprit pour e´couter la seule raison qui parle. Et pour cet effect il faut se depouiller de toutes passions qui peuvent naistre ou d’un caprice plein de desespoir couvert du voile de la generosite´, ou d’un abattement soutenu du panchant naturel d’un chacun a` chercher son repos et ses aises et interests particuliers, et masque´ d’une apparence de prudence. Enfin il faut bien considerer, qu’on aura a` rendre conte a` Dieu, a` soy meme, a` sa patrie et au grand monde du siecle ou` nous sommes, et a` toute la posterite´ de ce peu de temps, qu’on a` peutestre encor de reste pour prendre une resolution finale et decisive [A IV, 2, 512-513].
Vedremo in seguito come in Leibniz il tema del kairos, mentre appare legato a una visione storica provvidenzialistica, presenti vaste risonanze metafisiche e teologiche, affondando nelle «folgorazioni», o «e´clats», che la Divinita` elargisce continuamente alle sostanze create. Per ora, osserviamo che anche nel filosofo della Monadologia – in armonia con l’intera riflessione occidentale, ma anche con la spiritualita` barocca, lacerata come
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poche tra tempo della coscienza e quello meccanico – il tempo “pollakos leghetai”: c’e` una dimensione del tempo intima, individuale, tanto piu` grande quanto piu` ricche e stipate sono le cose che avvengono al suo interno, effetto della forza che l’individuo ha di adunare realta` dentro il proprio vissuto esperienziale, e insieme specchio della “vitae magnitudo”, quasi imitatio Dei, chaque esprit e´tant comme une petite divinite´ dans son departement [GP VI, 621].
E c’e` poi il tempo naturale, regolato dal moto dei cieli, dai calendari, dalle epoche storiche, insieme al tempo astratto degli orologi: forme di tempo piu` “oggettive”, di fronte alle quali l’uomo si asterra` dal credere di essere vissuto piu` lungamente per il computo degli anni a lui concessi. Ma occorrera` intendere bene questa duplicita`, dal momento che la concezione del tempo leibniziana conosce, come osserveremo, gradi gnoseologicamente diversi – secondo un ordine scalare che dalle scenografie delle singole monadi sale fino all’icnografia divina, dove il tempo svapora nell’eternita` – piuttosto che dualismi radicali tra tempo interiore e tempo esteriore. In realta`, nell’elogio della varieta` nel tempo non si tratta affatto della nota antinomia, di matrice agostiniana, che giunge fino a Bergson e a Heidegger, tra cognizione liberante di un divenire autentico in quanto distentio animi o flusso interiore, e fallacia di un tempo inautentico, deietto, in quanto oggettivo, pubblico ed esteriore: opposizione destinata ad annullarsi, nella filosofia leibniziana, analogamente al pensiero plotiniano, per la coincidenza di interno ed esterno, di monade e universo e per la continuita` gnoseologica che caratterizza durata e tempo. Neppure si tratta della distinzione newtoniana tra tempo assoluto, vero e matematico e tempo relativo, apparente e volgare, del tutto contestata da Leibniz. Cio` che e` in gioco, piuttosto, e` per un verso, il richiamo a un tempo sostanziato di cose, incorporato dentro gli eventi, tanto piu` ricco quanto piu` la forza interna alla monade e` in grado di popolarlo di realta`. E` il tempo dell’uomo saggio, riflesso dell’armonia, della «varietas identitate compensata», che innerva intimamente l’universo. Per altro verso, si profila nel discorso leibniziano la preziosa filigrana che lega il tempo all’etica e al progresso: arricchire il proprio tempo con una varieta` di cose, amministrarlo con prudenza, con sagacia, con larghezza di vedute, assecondando cosı` l’incremento del bonheur – poiche´ la felicita` risiede nell’armonia –, corrisponde alla vocazione della monade a ingrandire la propria zona chiara e distinta rispetto all’oceano oscuro delle percezioni minime.
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E, certo, una delle espressioni piu` eloquenti e paradigmatiche della concezione etica del tempo della vita, da spendere bene, lavorando «dili8 genter» , che Leibniz adotto` come habitus personale – quasi traduzione moderna, in termini di etica protestante, della Wu¨rde socratica – e` contenuta nella lettera a Otto Grote del 20/30 dicembre 1688, scritta da Vienna nel corso del viaggio intrapreso alla ricerca di documenti per la storia guelfa, che lo avrebbe, di lı` a poco, condotto in Italia: Il n’est pas necessaire qu’on vive, mais il est necessaire qu’on travaille et qu’on fasse son devoir [A I, 5, 325].
E` proprio, del resto, la vis teleologicamente orientata dell’individualita` verso la felicita` e il bene a essere l’origine del progresso e a rendere possibili accelerazioni e accorciamenti temporali, non solo sul piano singolo, ma anche su quello storico-universale. La capacita` di operare per il bene e di essere felici, infatti, produce singolari accelerazioni temporali sul piano etico, tanto che un soggetto dotato di tale capacita` operosa volta al bene e` come se vivesse mille volte, come se concentrasse il tempo sottraendolo al divenire naturale del sempre uguale, contraendone e densificandone il flusso in una pienezza di senso vissuto. In modo non dissimile, come preciseremo, anche il genere umano nel suo complesso e` capace di analoghe accelerazioni, mosso dall’impulso a perfezionare la propria esistenza nell’universo. In conclusione, il breve testo su cui siamo venuti riflettendo per introdurre, a mo’ di pre-testo, la res de qua agitur, ci mette sulla via della natura relativa del tempo e del suo complesso disporsi su piu` piani: dalla durata concreta, che conosce diversi livelli di densita`, a partire dalla forza interna alla monade, al tempo-misura oggettiva, distillato, quest’ultimo, che l’intelletto ricava dalla serie discontinua di stati interni alla sostanza. Ma per lumeggiare, del divenire temporale, le diverse stratificazioni, i diversi piani di astrazione e, alla fine, il suo fondo ontologico, occorrera` innanzitutto
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Al motto leibniziano «Labora diligenter» e` ispirato il titolo della Potsdamer Arbeitstagung zur Leibnizforschung, tenutasi dal 4 al 6 luglio 1996 in occasione del 350˚ anniversario della nascita di Leibniz, e raccolta in SL, Sonderhefte, 29, cit. (si veda il Vorwort pp. 7-8). Osserva Jean Guitton: «Pascal e Leibniz hanno avuto il sentimento (l’uno piu` ansioso, l’altro placidissimo) della velocita` del tempo che passa, della sua accelerazione a mano a mano che si avanza verso la fine, del dovere che abbiamo nei confronti della vita di spenderla bene poiche´ “il tempo e` la vita”, e di mirare al solo necessario» (Guitton, Profili paralleli, tr. it. di G. Caselli, Bologna 1965, pp. 112-113).
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sostare sull’abisso che si apre sotto i piedi di chi intendesse catturare la natura del tempo nel quadrante di quegli orologi la cui massima diffusione si deve proprio all’eta` barocca, e i cui meccanismi di precisione Leibniz stesso, non ignaro neppure di meccanica cronometrica, concorse a perfezionare, come attesta un suo intervento sul Journal des Savants del 25 marzo 9 1675, che contiene la descrizione di un orologio mai portato a costruzione . A partire da tale dissoluzione del tempo come sostanza, come cosa in se´, si aprira` la ricerca dei fondamenti della temporalita`, identificati, da un lato, nell’attivita` e legalita` della sostanza, di cui il tempo e` espressione, dall’altro in Dio, origine radicale delle cose, dunque origine radicale del tempo stesso, che senza le cose non esisterebbe se non come pura possibilita`. L’interpretazione leibniziana della dottrina della creazione continua opera, infine, da punto di sutura metafisica tra tali fondamenti. Il complesso itinerario analitico che ci attende rinviene dunque nei pilastri additati e nella loro connessione ultima le sue stelle polari tematiche. Il finale approdo critico, fondato, come ci proponiamo, sull’analisi rigorosa dei testi leibniziani, sara` costituito dalla chiarificazione dell’ambivalenza della Zeitlichkeit leibniziana, divisa, come un campo di forze in lotta, tra una natura dinamica prodotto della forza interna all’individuo, e il giusnaturalismo delle verita` eterne e necessarie dell’intelletto, che fanno del tempo un continuum lineare e omogeneo e un’essenza eterna. Un’ambivalenza, come intende dimostrare l’ultima parte della nostra analisi, destinata 9
Si vedano in L. Defossez, Les savants du XVII sie`cle et la mesure du temps, Lausanne 1946, le pp. 266-269 dedicate a “La montre de Leibniz”. A p. 267 viene riprodotto il testo dell’intervento leibniziano sul Journal des Savants intitolato Extrait d’une lettre ... touchant le principe de justesse des horloges portatives de son invention, leggibile anche in Dutens III, 135. Leibniz fa un breve riferimento a tale suo contributo nei Nouveaux essais III, 6, 39, dove Teofilo cosı` replica a Filalete: «Prenons l’exemple d’une chose artifı`cielle, dont la structure interieure nous est connue¨. Une montre qui ne marque que les heures et une montre sonnante ne sont que d’une seule espece, a` l’egard de ceux qui n’ont qu’un nom pour les designer; mais a` l’egard de celui qui a le nom de montre pour designer la premiere, et celui d’hor1oge pour signifier la derniere, ce sont par rapport a` lui des especes diferentes. C’est le nom et non pas la disposition interieure qui fait une nouvelle espece, autrement il y auroit trop d’especes. Il y a des montres a` quatre roue¨s, et d’autres a cinq; quelques unes ont des cordes et des fuse´es, et d’autres n’en ont point; quelques unes ont le balancier libre, et d’autres conduit par un ressort fait en ligne spirale et d’autres par des soyes de pourceau: quelqu’une de ces choses suffit elle pour faire une difference specifı`que? Je dis que non, tandis que ces montres conviennent dans le nom» [A VI, 6, 326]. Riprende e commenta il testo di Defossez A. Koyre´, in Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, tr. it. di P. Zambelli, Torino 1980, p. 107, nel quadro di un’analisi della storia dell’orologio (ivi, p. 102 sgg.).
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a riproporsi nella concezione del tempo storico e della storia stessa, che resta, nell’economia del presente lavoro, l’oggetto di attenzione primario che filtra e guida, come selettivo punto di vista e di interesse, l’indagine del presente capitolo.
2. – Tra meccanica e infinito. Il labirinto del continuo e l’idealita` del tempo. Il tempo come principio tassonomico «Die Welt als Uhr»: e` in tale tropo, nella forma della similitudine, che Egon Friedell, nella sua vasta Kulturgeschichte der Neuzeit, assecondando l’invalsa disposizione della Bildung barocca all’impiego dell’orologio come simbolo dell’universo e dell’anima, ha rinvenuto la cifra piu` autentica della filosofia 10 di Leibniz . In effetti, tutt’altro che apax legomenon, nell’opera leibniziana l’uso traslato, simbolico, dell’ordigno meccanico segnatempo – gia` segnalato nell’Iconologia di Cesare Ripa e, con gusto piu` ardito per l’incipiente macchinismo, da Emanuele Tesauro nel Cannocchiale aristotelico (1654), e le cui probabili origini, avvolte in un’aura faustiana di sospetto diabolico, 11 Ernst Ju¨nger ha evocato in pagine suggestive nel suo Sanduhrbuch – 10
Cfr. E. Friedell, Kulturgeschichte der Neuzeit. Die Krisis der europa¨ischen Seele von der schwarzen Pest bis zum ersten Weltkrieg, zweiter Band, Mu¨nchen 1928, pp. 152-153. Scrive lo studioso a proposito delle tesi metafisiche leibniziane del migliore dei mondi possibili e dell’armonia prestabilita: «Ma Leibniz ha offerto a questo movimento di pensiero una piega schiettamente barocca, laddove egli paragona l’opera d’arte [del mondo] a un’opera di orologeria. In questo modo egli tenta anche di chiarire uno dei problemi principali della filosofia dell’epoca, la corrispondenza tra corpo e anima: essi si comportano come due orologi, che sono costruiti in modo cosı` eccellente che indicano sempre con precisione lo stesso tempo» (ivi, p. 153). A Leibniz, nel medesimo volume, sono dedicate le pp. 149-152. Sull’orologio come cifra essenziale della Weltanschauung moderna si sofferma H. Arendt in Vita activa. La condizione umana, cit., p. 221. 11 Cfr. E. Ju¨nger, Il libro dell’orologio a polvere, cit., in part. pp. 112-129. Le origini misteriose e sepolte nell’oblio dell’orologio meccanico sono ricordate anche nel Discorso preliminare all’Encyclope´die di D’Alembert, ove si legge: «Il disprezzo per le arti meccaniche sembra avere colpito fino a un certo punto anche i rispettivi inventori. I nomi di questi benefattori del genere umano sono pressoche´ sconosciuti, mentre la storia dei suoi distruttori – vale a dire dei politici e dei conquistatori – non e` ignota a nessuno. Eppure, forse, bisogna andare a cercare presso gli artigiani le piu` ammirevoli prove di sagacia, di pazienza, di ingegnosita`. Ammetto che quasi tutte le arti sono state inventate poco a poco, e che ci sono voluti secoli perche´ gli orologi, ad esempio, raggiungessero l’attuale perfezione. Ma non accade lo stesso anche nelle scienze? Quante scoperte, che hanno reso immortali i loro autori, non erano state preparate dalle fatiche dei secoli precedenti, e spesso persino recate a un tal punto di maturita`, che restava un solo passo da fare? Per restare nel campo
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ricorre, tra gli altri luoghi, nell’Extrait d’une Lettre de M. D. L. sur son Hypothe`se de philosophie (1696) a descrivere, quasi archetipo tecnico, l’intimo congegno che presiede all’armonia prestabilita: Figure´s vous deux horloges ou deux montres, qui s’accordent parfaitement. Or cela se peut faire de trois fac¸ons. La premiere consiste dans l’influence mutuelle d’une horloge sur l’autre; la seconde dans le soin d’un homme qui y prend garde; la troisieme dans leur propre exactitude. La premiere fac¸on, qui est celle de l’influence, a este´ experimente´e par feu Monsieur Hugens a` son grand estonnement. Il avoit deux grandes pendules attache´es a` une meˆme piece de bois; les battemens continuels de ces pendules avoient communique´ des tremblemens semblables aux particules du bois, mais ces tremblemens divers ne pouvant pas bien subsister dans leur ordre, et sans s’entr’empecher, a` moins que les pendules ne s’accordassent, il arrivoit par une espece de merveille, que lorsqu’on avoit meˆme trouble´ leur battemens tout expre`s, elles retournoient bientost a` battre ensemble, a` peu pre`s comme deux cordes qui sont a` l’unisson. La seconde maniere de faire tousjours accorder deux horloges bien que mauvaises, pourra estre d’y faire tousjours prendre garde par un habile ouvrier, qui les mette d’accord a` tous momens: et c’est ce que j’appelle la voye de l’assistance. Enfin la troisieme maniere sera de faire d’abord ces deux pendules avec tant d’art et de justesse, qu’on se puisse asseurer de leur accord dans la suite; et c’est la voye du consentement pre´e´tabli [GP IV, 500-501].
Altrettanto significativamente, in una pagina dei Nouveaux essais sur l’entendement humain (II, 20, 6), nel ricordare che nel termine tedesco «Unruhe» coincidono la designazione del bilanciere degli orologi e la Stimmung interiore dell’inquietudine, Leibniz accosta il meccanismo dell’orologio ai corpi, costantemente tenuti in agitazione, in moto instabile, dalle “piccole molle” delle percezioni minime. E` per la loro azione continua, in effetti, che non siamo mai indifferenti, in posizione neutra o di riposo, ma sempre inclinati in una direzione o in un’altra, quasi, tale Unruhe, fosse la dell’orologeria, perche´ mai coloro a cui dobbiamo la piramide degli orologi, lo scappamento e la ripetizione, non sono famosi quanto coloro che nei secoli hanno recato a perfezione l’algebra? D’altra parte, se debbo credere ad alcuni filosofi che non si sono vergognati di studiare le arti [meccaniche] perche´ la moltitudine le disprezzava, esistono macchine cosı` complicate, fornite di parti talmente interdipendenti, che difficilmente l’invenzione e` da attribuirsi a piu` persone. Quel genio raro, il cui nome e` sepolto nell’oblio, non sarebbe stato degno di essere accolto nel ristretto novero degli spiriti creativi, che hanno aperto strade nuove alle scienze?» (Discorso preliminare, in D’Alembert – Diderot, La filosofia dell’Encyclope´die, a cura di P. Casini, Bari 1966, pp. 79-80).
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traduzione onto-fisiologica del luterano servo arbitrio. E` cosı` che, genialmente, il filosofo poteva adunare in un’unica parola sia l’origine profonda del tempo – l’impulso percettivo-appetitivo interno alla monade, stimolato dal rumore di fondo delle piccole percezioni – sia la meccanizzazione astratta del tempo stesso: On appelle Unruhe en Allemand, c’est a` dire inquietude, le balancier d’un horloge: on peut dire, qu’il en est de meˆme de nostre corps qui ne sauroit jamais estre parfaitement a` son aise: parce que quand il le seroit, une nouvelle impression des objets, un petit changement dans les organes, dans les vases et dans les visceres changera d’abord la balance, et les fera faire quelque petit effort pour se remettre dans le meilleur estat qu’il se peut; ce qui produit un combat perpetuel qui fait pour ainsi dire l’inquietude de notre Horloge; de sorte que cette appellation est asse´s a` mon gre´ [A VI, 6, 166]12.
Del resto, a confermare per altra via l’intimo legame tra monade e tempo in Leibniz, si potrebbe anche ricordare che quando Microme´gas, nel celebre conte voltairiano, chiede a «un leibniziano presente» quale fosse la natura dell’anima, cosı` si sente rispondere: «E`» – rispose il leibniziano – «una lancetta che mostra le ore, mentre il mio corpo le suona; ovvero, se volete, lei suona, mentre il corpo mostra l’ora»13.
In un mondo, quale quello seicentesco, dove l’uso degli orologi meccanici si andava diffondendo, ma non ancora abbastanza da ridurre tale 12
Significativamente R. Assunto ricorda questo brano, da noi posto anche in esergo a questo capitolo, come cifra della filosofia barocca di Leibniz, in Infinita contemplazione. Gusto e filosofia dell’Europa barocca, Napoli 1979, p. 41 sgg. Dal canto suo, V. Bonito, in L’occhio del tempo. L’orologio barocco tra letteratura, scienza ed emblematica, Bologna 1995, riprendendo lo stesso testo leibniziano commenta: «Nato per misurare il tempo, l’orologio assume nel Seicento una connotazione traslata di strumento d’inquietudine: e` la macchina che, sfuggendo rapidamente alla sua funzione, diventa protesi dell’uomo. Superato l’ostacolo del meraviglioso, dell’imitazione fantastica, l’aspetto metafisico-concettuale dell’ordigno si fa strada a tal punto nell’immaginario di un’epoca da fornire una nuova visione della struttura del tempo e della temporalita` dell’uomo. L’inquietudine di un’epoca come quella barocca trovera` nell’orologio la metafora assoluta del tempo, uno dei punti di vista piu` acuti e complessi attraverso cui guardare, in miniatura, l’assoluto ordine cosmico. L’orologio diviene una sorta di custode del tempo, paradossale oggetto che non dimora inerte nel tempo, ma lo conduce e lo possiede, in quanto lo misura» (ivi, p. 39). 13 Voltaire, Romanzi e racconti, cit., p. 31.
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pratica a scontata abitudine, cosı` da conservare quell’aura di novita` che ne ha consentito un ingente impiego simbolico nella Weltanschauung barocca, l’accostamento tra universo, anima e meccanismi a orologeria era invalso nella speculazione come nella scienza. E` stato infatti osservato da Carlo M. Cipolla: II parossismo dell’interesse per l’orologeria da parte degli uomini di studio, professionisti o dilettanti che fossero (del resto la distinzione allora non era tanto marcata) fu raggiunto sul Seicento, quando la Rivoluzione Scientifica esplose in tutto il suo vigore. Prevalse allora una concezione meccanicistica dell’Universo e della vita che per certi versi non e` spenta ancora oggi. Lo sviluppo dell’orologeria era tutt’altro che estraneo a questa tendenza ed e` significativo che i «nuovi» scienziati facessero continuamente riferimento all’orologio nelle loro speculazioni fı`losofiche. Keplero affermo` che «l’universo non e` simile ad un essere vivente, ma e` simile ad un orologio». Robert Boyle scrisse che l’universo e` «un gioiello di orologeria». Sir Kenelm Digby scrisse che l’universo non era altro che un immenso orologio. Descartes sostenne che l’universo era un sistema meccanico e i corpi degli uomini e degli animali erano automati. Nel quadro di questa Weltanschauung decisamente meccanicistica, anche Domineddio non fu risparmiato e fu spesso raffigurato come un orologiaio 14 d’eccezione . 14
C.M. Cipolla, Le macchine del tempo. L’orologio e la societa` (1300-1700), Bologna 1996, p. 29. Sull’orologio e sul tempo tra Medioevo ed eta` moderna cfr. anche P. Rossi, I filosofi e le macchine (1400-1700), Milano 1984, p. 43 sgg.; D. Landes, Storia del tempo. L’orologio e la nascita del mondo moderno, tr. it. Milano 1994; K. Pomian, L’ordine del tempo, cit., p. 287 sgg. Sul tempo nella storia del pensiero occidentale menzioniamo: J.T. Fraser, Il tempo: una presenza sconosciuta, tr. it. di L. Cornalba, Milano 1991 (con ampia bibliografia, pp. 355-366). J.T. Fraser e` fondatore della International Society for the Study of Time, e ha diretto l’edizione dei numerosi volumi intitolati The Study of Time (Berlin-Heidelberg-New York), che raccolgono i principali contributi della Societa`; Aa. Vv., Il tempo, a cura di E. Castelli, Padova, 1968; Aa. Vv., Tempo e storia. Atti del VI Colloquio della Facolta` di Filosofia (1994), a cura di M. Sanchez Sorondo, Roma 1996; Aa. Vv., Il tempo in questione. Paradigmi della temporalita` nel pensiero occidentale, a cura di L. Ruggiu, Milano 1997; Aa. Vv., Dimensioni del tempo, a cura di U. Curi, Milano 1987; Aa. Vv., Il tempo dell’uomo e il tempo di Dio. Filosofie del tempo in una prospettiva interdisciplinare, a cura di A. Fabris, Roma-Bari 2001; M. Ceruti e T. Pievani, Tempo e storia, in Aa. Vv., Le parole nel tempo. Ventisei voci dell’Encyclope´die riscritte per il Duemila, a cura di D. De Masi e D. Pepe, Milano 2001, pp. 413-443; Aa. Vv., I volti del tempo, a cura di G. Giorello, E. Sindoni, C. Sinigaglia, Milano 2001; Aa. Vv., Tempi della storia. Tempi della natura, a cura di G. Barbieri e E. Fiorani, Bologna 2000; Aa. Vv. , Le parole della storia. Saggi sulle rappresentazioni del tempo tra Riforma e Illuminismo, Bologna 1987; Aa. Vv., Anima Tempo Memoria, a cura di G. Severino, Milano 2000; C.M. Martini, Figli di Crono. Undicesima cattedra dei non credenti, Milano 2001; H. Nowotny, Tempo privato. Origine e natura del concetto di tempo, tr. it. di G. Panzieri, Bologna 1993; S. Kern, Il tempo e lo spazio. La percezione del mondo tra Otto e Novecento, tr. it. di B. Maj, Bologna 1995 (in part. capp.
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Da questo punto di vista, iI Seicento tira le somme – e con i Philosophiae naturalis principia mathematica (1687) newtoniani in termini definitivi – di quel processo di secolarizzazione del tempo inaugurato dalla comparsa, nei Comuni medievali, degli orologi «rizzati dappertutto di fronte ai 15 campanili delle chiese» – come ha scritto J. Le Goff – che visualizzavano il «tempo del mercante» rispetto al «tempo della Chiesa». E se pensiamo, 16 come suggerisce Ferdinand Seibt , agli smisurati ingranaggi degli orologi delle grandi cattedrali gotiche europee – quelle cattedrali che Marcel Proust vedeva costituite da uno spazio a quattro dimensioni, la quarta essendo 17 rappresentata dal Tempo – l’analogia tra universo, creazione e macchina 1-4). In prospettiva teoretica o sociologica menzioniamo alcuni testi impiegati per la nostra ricerca: A. Levi, Il problema del tempo e i suoi significati per la scienza e per la coscienza religiosa, in “Rivista di Filosofia”, 1917, pp. 145-165; A. Caracciolo, La persona e il tempo, Arona 1955; M.F. Sciacca, La liberta` e il tempo, Milano 1965; N. Elias, Saggio sul tempo, tr. it. di A. Roversi, Bologna 1986; H.-G. Gadamer, Gesammelte Werke, Tu¨bingen 1987, vol. IV, Das Ra¨tsel der Zeit, titolo sotto cui l’autore raccoglie quattro saggi sul tema del tempo curati in tr. it. da M. L. Martini in H.-G. Gadamer, L’enigma del tempo, Bologna 1996; H. Blumenberg, Tempo della vita e tempo del mondo, tr. it. di B. Argenton, Bologna 1996; G. Sasso, Tempo, evento, divenire, Bologna 1996; A. Masullo, Il tempo e la grazia. Per un’etica attiva della salvezza, Roma 1995; G. Gasparini, Tempo e vita quotidiana, Roma-Bari 2001. Per un iniziale approccio scientifico, utile e` P. Davies, I misteri del tempo. L’universo dopo Einstein, tra. it. di E. Del Castillo, Milano 1997. Del medesimo autore cfr. La mente di Dio. Il senso della nostra vita nell’universo, tr. it. di M. D’Agostino e A. Gulotta, Milano 1995, in part. alle pp. 211-215, che contengono una riflessione sul terreno scientifico della dottrina leibniziana del migliore dei mondi possibili. 15 J. Le Goff, Tempo della Chiesa e tempo del mercante, cit., p. 14. 16 Cfr. F. Seibt, Die Zeit als Kategorie der Geschichte und als Kondition des historischen Sinns, in Aa. Vv., Die Zeit. Dauer und Augenblick, Mu¨nchen 1992, pp. 172-173. 17 Il riferimento e` a un brano de La strada di Swann, all’interno della descrizione della chiesa di Combray: «Tutto questo, e piu` ancora gli oggetti preziosi venuti alla chiesa da gente che per me eran quasi personaggi leggendari (la croce d’oro lavorata, si diceva, da sant’Eligio e dono di Dagoberto, la tomba dei figli di Ludovico il Germanico, di porfido e di rame smaltato), per cui, quando ci si avviava verso i nostri posti, avanzavo in essa come in una valle visitata dalle fate, dove il contadino stupisce nel vedere in una roccia, in un albero, in uno stagno, la traccia palpabile del loro passaggio soprannaturale, tutto questo faceva di essa per me qualcosa d’assolutamente diverso dal resto della citta`: un edificio che occupava, se cosı` si puo` dire, uno spazio di quattro dimensioni – la quarta era quella del Tempo – che spiegava attraverso i secoli la sua nave, che, di galleria in galleria, di cappella in cappella, pareva oltrepassare e superare non pochi metri soltanto, ma epoche successive donde usciva vittoriosa» (Proust, Alla ricerca del tempo perduto. La strada di Swann, a cura di P. Serini, Torino, 1969, pp. 66-67). Riprende questo testo in relazione all’estetica proustiana delle cattedrali P. Citati in La Colomba Pugnalata. Proust e La Recherche, Milano 1998, p. 244 sgg. Sull’importanza delle cattedrali nella Recherche, cfr. anche G. Macchia, L’angelo della notte, Milano 1990, p. 131 sgg.
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del tempo si fa ancor piu` evidente. Il pensiero corre agli orologi astronomici, in particolare a quello celeberrimo, che li compendia tutti, della Cattedrale di Strasburgo, nel quale tempo meccanico, tempo cosmico e 18 tempo teologico si uniscono in eccelsa armonia architettonica . Alla Cattedrale di Strasburgo, evocata non a caso, e` legato, tra l’altro, nientemeno che il nome di Goethe, che ha fatto di essa un topos dell’anima allorquando, nel 19 saggio su Erwin von Steinbach intitolato Von deutscher Baukunst , ha evocato l’Erlebnis religioso dell’armonia universale su cui si regge l’intera sua Weltanschauung – lo stesso, osserva finemente Carl Hinrichs, su cui 20 poggia la Monadologia leibniziana – che proprio nella contemplazione della Cattedrale-universo aveva preso corpo. Nondimeno, la tendenza a meccanizzare, a logicizzare, o a classificare i dettagli in tassonomie e ordinate tabulazioni, secondo lo spirito dell’episteme 21 classica descritto da Michel Foucault in Les mots et les choses , non e` l’unica e neppure la dominante nell’anima barocca. Tanto marcata e` la sua attitudine ad analizzare, sezionare, numerare, «quadrettare» l’universo nell’intento, forse, come scrive Benito Pelegrı´n, di «ridurre l’angosciante infinitudine al rassicurante finito»22, quanto lo e` l’attrattiva vertiginosa per l’infinito, quasi l’eta` barocca, come ha osservato ancora Friedell, non sopportasse di rinchiudersi nel puramente meccanico: Il Barocco – scrive lo studioso tedesco – e` un problema assai piu` intrecciato, contrastante, enigmatico di quanto lo sia il Rinascimento. La sua vita spirituale appare di gran lunga piu` labirintica, piu` segreta, a piu` strati, piu` recondita, verrebbe quasi da dire: piu` subdola. Essa scorre su e giu` inquieta e insoddisfatta tra due poli: la meccanica e l’infinito, avvertito 23 come correlato di un mondo meccanico che non tollera . 18
Troviamo una dettagliata descrizione dell’orologio astronomico della Cattedrale di Strasburgo, terminato nel 1574 e nuovamente ricostruito nel 1842, in J.T. Fraser, Il tempo: una presenza sconosciuta, cit., pp. 86-87. 19 Cfr. J.W. Goethe, Dell’architettura tedesca, a cura di S. Zecchi in Id., Scritti sull’arte e sulla letteratura, Torino 1992, pp. 31-38. 20 Cfr. C. Hinrichs, Ranke e la teologia della storia dell’eta` di Goethe, tr. it. di R. Diana, Napoli 1999, pp. 3-19 (il riferimento a Leibniz e` a p. 12). 21 M. Foucault, Le parole e le cose. Un’archeologia delle scienze umane, tr. it. di E. Panaitescu, Milano 1970, in part. cap. V parte prima. A una «Storia del Dettaglio nel secolo XVIII, posta sotto il segno di Jean-Baptiste de La Salle, sfiorando Leibniz e Buffon, passando per Federico II, attraverso la pedagogia, la medicina, la tattica militare e l’economia», allude Foucault in Sorvegliare e punire. Nascita della prigione, tr. it. di A. Tarchetti, Torino 1976, p. 153. 22 B. Pelegrı´n, Figurations de l’infini. L’aˆge baroque europe´en, Paris 2000, p. 57. 23 E. Friedell, Kulturgeschichte der Neuzeit, cit., p. 153.
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Oggetto costruito per “vedere” e oggettivare il tempo, per sottrarlo alla sua misteriosa invisibilita`, produttore di una segmentazione temporale astratta, priva di memoria, eterogenea rispetto al mondo del pressappoco proprio degli orologi elementari, tellurici o cosmici, l’orologio meccanico finisce in realta` per rendere vieppiu` enigmatica la natura del tempo – esasperando, in luogo di sopire, l’interrogativo su dove sia la sua essenza – appena si rifletta che ogni unita` di misura assunta si inabissa nella divisibilita` all’infinito delle proprie parti, che ogni atomo o segmento di tempo puo` essere tagliato, sezionato in fibre sempre piu` sottili, in un processo senza fine. Per questo, l’ottimismo ontologico di Isidoro di Siviglia, che affermava l’esistenza di un atomo temporale non ulteriormente divisibile24 e` destinato a frantumarsi sotto i colpi della scomposizione all’infinito che pensatori come Pascal25 o Leibniz, prima di Borges26, non hanno risparmiato all’indagine sul tempo. Dissezionare il tempo, farne un’anatomia – come John Donne fa del mondo, ormai abbandonato da bellezza e armonia e, percio`, simile a un cadavere27 –, smembrarlo in interstizi sempre piu` piccoli, in schegge sempre piu` sottili, significa, d’improvviso, essere dislocati, trovarsi come di fronte a un vortice senza fine. Il fondo ritenuto solido del quadrante si sbriciola, va in pezzi. Tra un atomo temporale e l’altro, come tra un numero e l’altro, non c’e` la tranquilla, isocrona successione assicurata dall’asettico, standardizzato procedere meccanico, ma domina la dismisura dell’incolmabile. Tra lo zero – da Leibniz assimilato anche al Nulla (Ne´ant)
24
Prendiamo l’indicazione da V. Bonito, L’occhio del tempo, cit., p. 31. Sull’esperienza del tempo nell’eta` barocca, si vedano anche: J.A. Maravall, La cultura del Barocco. Analisi di una struttura storica, tr. it. di C. Paez, Bologna 1985, in part. pp. 307-311. Suggestive sono inoltre le analisi di O. Nicoli, Storie di ogni giorno in una citta` del Seicento, Roma-Bari 2000. 25 Cfr. B. Pascal, Sullo spirito geometrico e sull’arte di persuadere, in Id., Opuscoli e lettere, a cura di G. Auletta, Milano 1961, ove si legge, a proposito del tempo, che «si puo` sempre concepirne uno piu` grande, senza che vi sia l’ultimo, e uno piu` piccolo, senza arrivare a un istante e al puro nulla di durata» (ivi, p. 93). 26 Sui paradossi di Zenone e sul tempo in Borges rinviamo alle nostre riflessioni nell’Appendice al capitolo primo. Ricordiamo, comunque, P. Odifreddi, C’era una volta un paradosso. Storie di illusione e verita` rovesciate, Torino 2001, in part. cap. VI (La corsa nel tempo della tartaruga) e, su Borges, pp. 196-198. Inoltre, dello stesso autore, Un matematico legge Borges, in “Micromega”, 5, 2002, pp. 46-57. Sul doppio infinito pascaliano esiste un frammento di Leibniz in G II, 553-555, che riportiamo e commentiamo oltre. 27 Il riferimento e` a J. Donne, Anatomia del mondo, tr. it. di G. Melchiori, in Liriche sacre e profane. Anatomia del mondo. Duello della morte, Milano 1992.
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in uno scritto sui problemi della teodicea del 169528 – e l’uno, si apre il varco sgomentante dei paradossi di Zenone, desituante punto di transito dalla meccanica all’infinito, via alle Madri che fa smarrire il terreno solido delle misure esatte. Se il tempo lineare ha la traiettoria di una corsa – ruit Hora –, la corsa di Achille e della tartaruga congela il ruere dell’hora, ne mostra l’astrattezza e obbliga a guardare altrove alla ricerca del fondo del tempo. C’e` chi, in simile disinganno – da Zenone a Borges –, conclude per l’illusorieta` del tempo e per il suo rifluire nell’eternita`, e chi invece, come Leibniz, elabora una teoria del tempo che distingue l’idealita` delle linee, degli intervalli, delle misure matematiche dalla concretezza del continuum fisico e della durata vissuta, ritenendo, con cio`, di aver trovato il filo d’Arianna per emanciparsi dal labirinto di Zenone. Nasce cosı`, forse, dall’horror vacui, densamente avvertito dall’anima barocca, destato dall’abisso che si spalanca tra un attimo e l’altro, l’importanza straordinaria assunta nel Seicento – Leibniz non fa eccezione – dall’idea della creazione continua, la quale, come ha osservato Georges Poulet, in luogo di conferire con continuita` alle creature un’esistenza che e` una durata, non da` loro che un’esistenza confinata nell’istante, che dunque ha perpetuamente bisogno di essere prolungata d’istante in istante. Se l’uomo del XVII secolo avverte dunque con intensita` eccezionale la sua indigenza e la sua dipendenza rispetto all’atto creativo, e` per il fatto che percependo tale atto non puo` percepire nient’altro. L’intera sua vita passata, tutto il suo destino futuro si trovano cancellati o sospesi. Niente permane, se non il dono dell’esistenza attuale; poi, in un nuovo istante, lo stesso dono e la stessa coscienza di tale dono. La durata e` un rosario d’istanti. Solo l’attivita` creatrice permette di passare da un grano all’altro29.
E, compendiando i caratteri dell’esperienza della temporalita` seicentesca, aggiunge lo studioso francese: Sentimento intimo di un’esistenza sempre attuale, discontinuita` della durata, dipendenza totale di fronte a una creazione sempre reiterata: tali sono i tratti essenziali del tempo umano nel XVII secolo30. 28
Cfr. Dialogue effectif sur la liberte´ de l’homme et sur l’origine du mal in G I, 361-369. Di tale testo esiste una traduzione italiana da noi curata in Aa. Vv., Ermeneutica e destinazione religiosa, a cura di D. Venturelli, Genova 2001, pp. 11-28. 29 G. Poulet, E´tudes sur le temps humain, cit., p. 20. 30 Ivi, p. 21.
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Ecco perche´ il Padre Tempo – che ancora Friedrich Ho¨lderlin invoca 31 come «Vater» nella lirica Der Zeitgeist (1799) , chiedendogli con incoativa Stimmung storicistica la forza di guardarlo in volto, a viso aperto, poiche´ non si sfugge al tempo toccato in sorte – avverte il bisogno nell’eta` barocca, di riconoscere a sua volta la sua dipendenza da un Padre, da un Essere eterno capace di tenere insieme il pulviscolare, discontinuo coacervo di 32 istanti, sorta di «arena sine calce» , di aggregato, di multiplo senza unita`. Si tratta di quel pulviscolo temporale senza centro, fattosi disordine entropico, o «disarmonia prestabilita», che anche uno scrittore contemporaneo andato alla scuola di Leibniz come Italo Calvino, nella chiusa sommessamente, laicamente escatologica – di un’escatologia senza Trascendenza – di Palomar cosı` esprimeva: «Se il tempo deve finire, lo si puo` descrivere istante per istante, – pensa Palomar, – e ogni istante, a descriverlo, si dilata tanto che non se ne vede piu` la fine»33.
Vedremo oltre come anche per Leibniz ogni istante, in quanto inclusivo degli «e´clats de la Divinite´», o «Fulgurations continuelles», si dilati all’infinito fino a rispecchiare e ricapitolare la totalita` delle cose. Altrettanto, chiariremo in qual modo il pensatore di Hannover interpreti la dottrina della creazione continua, dunque la dipendenza radicale del tempo da Dio, 31
Cfr. F. Ho¨lderlin, Tutte le liriche, a cura di L. Reitani, Milano 2001, pp. 192-195. Un commento alla lirica ho¨lderliniana e` contenuto nel saggio introduttivo di Reitani al volume citato, L’«errore» di Dio, pp. XXXIX-XLI. Cfr. anche, sulla stessa poesia, R. Bodei, Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno, Torino 1987, p. 94; Id., Tradizione e modernita`, in Aa. Vv., Moderno postmoderno. Soggetto tempo sapere nella societa` attuale, a cura di G. Mari, Milano 1987, in part. p. 38. 32 Si tratta di un’espressione contenuta nella lettera ad Arnauld del 30 aprile 1687, ove si legge: «Les corps fermes n’ont peutestre leur parties unies que par la pression des corps environnans et d’eux meˆmes, et en leur substance ils n’ont pas plus d’union qu’un monceau de sable, arena sine calce» (GP II, 101; ma si tenga presente anche G. Le Roy, Leibniz. Discours de Me´taphysique et correspondance avec Arnauld. Introduction, texte et commentaire, Paris, 1957, pp. 168-169). Per un’analisi di questo testo e della tematica connessa, cfr. M. Mugnai, Introduzione alla filosofia di Leibniz, Torino 2001, p. 115 sgg. e 127 sgg. 33 I. Calvino, Palomar, Milano 1994, p. 126. Sull’opera in questione cfr. il saggio di F. Serra, Calvino e il pulviscolo di Palomar, Firenze 1996. Cfr. anche E. Mondello, Italo Calvino, Pordenone 1990, p. 129 sgg.; S. Perrella, Calvino, Roma-Bari 1999, p. 151 sgg.; M. Belpoliti, L’occhio di Calvino, Torino 1996, p. 43 sgg.; 91 sgg. Sulla medesima tematica dell’attimo che si dilata all’infinito, e piu` in generale sul problema del tempo, di Calvino non si puo` non ricordare il racconto Ti con zero, che da` il titolo alla celebre raccolta di racconti apparsa presso Einaudi nel 1967.
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conciliandola con l’esigenza di autonomia delle leggi della natura. Per ora, ecco come Leibniz applica alla temporalita` il labirinto di Zenone, nella lettera alla principessa Sophie del 31 ottobre 1705, dove viene tratta coerentemente la conseguenza della non-sostanzialita`, percio` dell’idealita`, del tempo: L’on voit bien que le Temps n’est pas une substance, puisque une heure ou quelque autre partie du temps qu’on prenne, n’existe jamais entiere et en toutes ses parties ensemble. Ce n’est qu’un principe de rapports, un fondement de l’ordre dans les choses, autant qu’on conc¸oit leur existence successive, ou sans qu’elles existent ensemble. Il en doit estre de meˆme de l’espace. C’est le fondement du rapport de l’ordre des choses, mais autant qu’on les conc¸oit exister ensemble. L’un et l’autre de ces fondemens est veritable, quoyqu’il soit ideal [GP VII, 564].
Se nessuna divisione del tempo esiste mai in tutte le sue parti, se qualsivoglia intervallo puo` essere sezionato in una miriade di momenti, se esso risulta scomponibile in un’infinita` di punti senza limite al possibile frazionamento, allo sbriciolarsi del tempo nel labirinto del continuo deve corrispondere il sacrificio della sua natura sostanziale. Come potrebbe esistere in se´, dunque sempre – chiede Leibniz a Clarke nel corso della celebre disputa del 1715-1716, che sigilla e conferma definitivamente nel vecchio pensatore la teoria dello spazio e del tempo elaborata negli anni giovanili in opposizione alla fisica cartesiana –, qualcosa le cui parti non 34 esistono? Se del tempo non esistono che gli istanti, e se questi non rappresentano una parte di esso, come e` possibile ipostatizzare il tempo? Si potrebbe non inferirne la natura ideale, di creazione della mente? Chi in quel labirinto si e` smarrito e` perche´ ha ascritto al continuo fisico, che e` a rigore un contiguo di parti o di pieghe attualmente divise all’infinito, 35 come quello del foglio di carta o del mantello , i tratti propri del continuo ideale, dove il tutto e` anteriore alle parti, dove le parti stesse esistono solo in quanto potenziali e divisibili ad infinitum, come l’unita` aritmetica, che puo` 34
Si veda il § 49 della Quinta lettera a Clarke ove si legge: «Car comment pourroit exister une chose, dont jamais aucune partie n’existe? Du temps n’existent jamais que des instans, et l’instant n’est pas meˆme une partie du temps. Quiconque considerera ces observations comprendra bien que le temps ne sauroit e´tre qu’une chose ideale» (cfr. LC, 146-147). 35 Cfr. su questo punto, riguardante lo scritto leibniziano Pacidius Philalethi (29 ottobre-10 novembre 1676) – il testo cui si fa riferimento e` in A VI, 3, 555 –, l’analisi di Mugnai in Introduzione alla filosofia di Leibniz, cit., p. 113 sgg. Cfr. inoltre G. Deleuze, La piega, cit., p. 9 sgg.
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essere frazionata ad libitum, e dove, infine, l’uniformita` non puo` essere che immaginaria, per quanto ben fondata, non essendovi in natura nulla di uniforme, ed essendo piuttosto la regola del contiguo reale quella della 36 varieta` armonicamente ordinata : La source de nos embarras sur la composition du Continu – scrive Leibniz a Re´mond – vient de ce que nous concevons la matiere et l’espace comme des substances, au lieu que les choses materielles en elles meˆmes ne sont que des phenomenes bien regle´s: et Spatium nihil aliud est praecise quam ordo coe¨xistendi, ut Tempus est ordo existendi, sed non simul. Les parties, autant qu’elles ne sont point marque´es dans l’e´tendue par des phenomenes effectifs, ne consistent que dans la possibilite´, et ne sont dans la ligne que comme les fractions sont dans l’unite´. Mais en supposant tous les points possibles, comme actuellement existans dans le tout (ce qu’il faudroit dire si ce tout estoit quelque chose de substantiel compose´ de tous ses ingre´diens) on s’enfonce dans un labyrinthe inextricable [GP III, 612].
Sono i processi astrattivi che rendono le cose indiscernibili. Nulla di indifferenziato e uniforme, invece, esiste nell’opera divina, dove il tutto e` il risultato delle parti, invece che essere, come negli enti ideali, anteriore alle divisioni. Lo aveva gia` osservato il Socrate del Fedone platonico in funzione della dottrina dell’anamnesi, in un testo atto a documentare quel mondo antico del pressappoco contrapposto da Alexandre Koyre´ all’universo mo37 derno della precisione : due pezzi di pietra, o di legno, sono sempre piu` o meno uguali, relativamente uguali, cosı` come il cavallo e` piu` grande del cane e piu` piccolo dell’elefante, senza necessita` di determinare rigidamente le loro dimensioni, mentre solo l’Idea iperuranica, l’invisibile eterna essenza e` assolutamente uguale. Anche Leibniz sfidava talvolta nei giardini i suoi sconcertati interlocutori, novelli Simmia, a trovare due foglie o due gocce d’acqua che fossero assolutamente uguali, per dimostrare il principio degli 38 indiscernibili , con la differenza tuttavia, rispetto al filosofo greco, certo 36
Cfr. la lettera a Sophie del 31 ottobre 1705, in GP VII, 562 sgg. Riportiamo il testo poco piu` avanti. 37 Cfr. A. Koyre´, Dal mondo del pressappoco all’universo della precisione, cit., p. 90 sgg. Nella stessa pagina, alla nota 2, lo studioso ricorda il punto di vista di Leibniz espresso nella lettera a Foucher (GP I, 392) secondo cui «non ci sono figure esatte nei corpi» («et je tiens pour demonstrable qu’il n’y a nulle figure exacte dans les corps»). 38 Cfr. il § 23 della Quinta lettera a Clarke, in LC, 132. Un significativo cenno a questo aspetto del pensiero leibniziano si trova in P. Piovani, Filosofia e storia delle idee, cit., pp. 61-62. L’invito a «entrare in un giardino», ma per contemplarvi l’«orribile mistero delle cose e della esistenza universale» invece che l’harmonia rerum, si ritrova, in perfetta opposizione
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legata alla nascente idea moderna del valore dell’individualita`, che l’infinita varietas rerum, destinata ad accrescersi e a moltiplicarsi se sottoposta ad analisi microscopica, era per lui cifra della ricchezza dell’universo anziche´ dell’imperfezione della materia. Non diversamente va per il decorso delle cose, composto da una collezione di unita` indivisibili, da un aggregato di stati istantanei, privi di continuita`, che l’immaginazione prima, imperfettamente e confusamente quale «ammasso di stati momentanei» (durata), e l’intelletto poi, secondo una continuita` lineare (tempo come idea pura), riconducono e incanalano nei quadri cognitivi conformemente ai due gradi di astrazione indicati: Ainsi quoyque la matiere consiste dans un amas de substances simples sans nombre, et quoyque la dure´e des creatures de meˆme que le mouvement actuel consiste dans un Amas d’estats momentane´s, neantmoins il alla visione di Leibniz, in Giacomo Leopardi, che nello Zibaldone, alla data 19-22 aprile 1826, cosı` formula tale invito: «Entrate in un giardino di piante, d’erbe, di fiori. Sia pur quanto volete ridente. Sia nella piu` mite stagione dell’anno. Voi non potete volger lo sguardo in nessuna parte che voi non vi troviate del patimento. Tutta quella famiglia di vegetali e` in istato di souffrance, qual individuo piu`, qual meno. La` quella rosa e` offesa dal sole, che gli ha dato la vita; si corruga, langue, appassisce. La` quel giglio e` succhiato crudelmente da un’ape, nelle sue parti piu` sensibili, piu` vitali. Il dolce mele non si fabbrica dalle industriose, pazienti, buone, virtuose api senza indicibili tormenti di quelle fibre delicatissime, senza strage spietata di teneri fiorellini. Quell’albero e` infestato da un formicaio, quell’altro da bruchi, da mosche, da lumache, da zanzare; questo e` ferito nella scorza e cruciato dall’aria o dal sole che penetra nella piaga; quello e` offeso nel tronco, o nelle radici; quell’altro ha piu` foglie secche; quest’altro e` roso, morsicato nei fiori; quello trafitto, punzecchiato nei frutti. Quella pianta ha troppo caldo, questa troppo fresco; troppa luce, troppa ombra; troppo umido, troppo secco. L’una patisce incomodo e trova ostacolo e ingombro nel crescere, nello stendersi; l’altra non trova dove appoggiarsi, o si affatica e stenta per arrivarvi. In tutto il giardino tu non trovi una pianticella sola in istato di sanita` perfetta. Qua un ramicello e` rotto o dal vento o dal suo proprio peso; la` un zeffiretto va stracciando un fiore, vola con un brano, un filamento, una foglia, una parte viva di questa o quella pianta, staccata e strappata via. Intanto tu strazi le erbe co’ tuoi passi; le stritoli, le ammacchi, ne spremi il sangue, le rompi, le uccidi. Quella donzelletta sensibile e gentile, va dolcemente sterpando e infrangendo steli. Il giardiniere va saggiamente troncando, tagliando membra sensibili, colle unghie, col ferro. (Bologna, 19 Aprile 1826). Certamente queste piante vivono; alcune perche´ le loro infermita` non sono mortali, altre perche´ ancora con malattie mortali, le piante, e gli animali altresı`, possono durare a vivere qualche poco di tempo. Lo spettacolo di tanta copia di vita all’entrare in questo giardino ci rallegra l’anima, e di qui e` che questo ci pare essere un soggiorno di gioia. Ma in verita` questa vita e` trista e infelice, ogni giardino e` quasi un vasto ospitale (luogo ben piu` deplorabile che un cemeterio), e se questi esseri sentono o, vogliamo dire, sentissero, certo e` che il non essere sarebbe per loro assai meglio che l’essere. (Bologna, 22 Aprile 1826)» (Cfr. G. Leopardi, Zibaldone di pensieri, a cura di A. M. Moroni, Milano 1983, vol II, pp. 1096-1097). Sul tema cfr. B.
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faut dire que l’espace n’est point compose´ de points, ny le temps d’instans, ny le mouvement mathematique de momens, ny l’intension de degre´s extremes. C’est que la matiere, que le decours des choses, qu’enfin tout compose´ actuel est une quantite´ discrete, mais que l’espace, le temps, le mouvement mathematique, l’intension ou l’accroissement continuel qu’on conc¸oit dans la vistesse, et dans d’autres qualite´s, enfin tout ce qui donne une estime qui va jusqu’aux possibilite´s, est une quantite´ continue´e et indetermine´e en elle-meˆme, ou indifferente aux parties qu’on y peut prendre, et qui s’y prennent actuellement dans la nature. La Masse des corps est divise´e actuellement d’une maniere determine´e, et rien n’y est exactement continue´; mais l’espace ou la continuite´ parfaite qui est dans l’ide´e, ne marque qu’une possibilite´ indetermine´e de diviser comme l’on voudra. Dans la matiere et dans les realite´s actuelles le tout est un resultat des parties: mais dans les ide´es ou dans les possibles (qui comprennent non seulement cet univers, mais encor tout autre qui peut estre conc¸u, et que l’entendement divin se represente effectivement), le tout indetermine´ est anterieur aux divisions, comme la notion de l’entier est plus simple que celle des fractions, et la precede [GP VII, 562].
Tra durata (dure´e, Dauer, duratio) e tempo (temps, Zeit, tempus), infatti, nonostante Leibniz non sempre sia rigoroso nell’impiego dei due termini39, non c’e` identita`, ma distinzione, cosı` come tra estensione e spazio: per quanto accomunata al tempo come fenomeno ben fondato, la durata corrisponde a una proprieta`, o attributo, delle sostanze individuali, che definisce, secondo un processo astrattivo al quale presiede la facolta` dell’immaginazione, l’intima connessione per cui, nella vita della monade, il presente cospira col passato ed e` gravido di avvenire. Se tale e` la durata – flusso individuale di stati relativi e transitori che trapassano gli uni negli altri, metamorfica connessione dinamica, forza viva ed elastica legata all’attivita` appetitiva della monade e alla sua inquietudine (Unruhe, uneasiness) –, il tempo-ens rationis non intrattiene un rapporto Martinelli, Leopardi tra Leibniz e Locke. Alla ricerca di un orientamento e di un fondamento, Roma 2003, in part. pp. 36-42. 39 Lo osserva E´. van Bie´ma nel suo studio L’espace et le temps chez Leibniz et chez Kant, Paris 1908, p. 175 sgg. Riprende l’osservazione J. Jalabert in La the´orie leibnizienne de la substance et ses rapports avec la notion de temps, Paris 1946, pp. 126-127. Un esempio di uso impreciso dei termini di “tempo” e “durata” si ha nei Nouveaux essais II, 14, 16 (testo che riportiamo oltre). Sul problema del tempo in Leibniz ricordiamo inoltre: B. Russell, La filosofia di Leibniz, tr. it. di E. Bona Cucco, Milano 1971, pp. 199-218; W. Gent, Leibnizens Philosophie der Zeit und des Raumes, in “Kant-Studien”, 31, 1926, pp. 60-88; K. E. Ballard, Leibniz’s theory of espace and time, in “Journal of the History of Ideas”, 21, 1960, pp. 49-65. Altri riferimenti si trovano nelle note successive.
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altrettanto stretto con la sostanza, rientrando nella categoria di relazione e definendo un rapporto di ordine di successione tra esistenti (ordo existendi, sed 40 non simul) . Come potrebbe, infatti, qualcosa di universalmente comune a tutte le sostanze, qual e` il tempo, essere attributo, dal momento che nella visione monadologica nessuna sostanza presenta i medesimi predicati di un’altra? Nella prospettiva nominalistica di Leibniz, il primum ontologico e` costituito dall’individualita`, che possiede in proprio le sue proprieta` e che precede l’astrazione generalizzante. Per questo ciascuna sostanza ha la propria durata ma non il proprio tempo: ... l’espace fini n’est pas l’e´tendue des corps; comme le temps n’est point la dure´e. Les choses gardent leur e´tendue¨, mais ils ne gardent point tousjours leur espace. Chaque chose a sa propre e´tendue, sa propre dure´e, mais elle n’a point son propre temps, et elle ne garde point son propre espace [LC, 142].
La durata, in quanto proprieta` della monade, e` l’alveo in cui e` custodita la storia della monade stessa, dove passato-presente-futuro, grazie alla memoria e all’attesa dell’avvenire legate (nelle anime delle bestie oltre che negli spiriti degli uomini) all’immaginazione, si avviluppano in un plesso vissuto inestricabile. Il tempo, piu` estrinsecamente, in quanto idea, relazione astrattiva, forma funzionale vuota (e il vuoto, ricordiamolo, per Leibniz puo` essere concepito solo come finzione dello spirito), definisce le posizioni di successione tra cose, si limita a ordinare la collocazione dei corpi in rapporto alla loro posizione di successione. Astrazione alla seconda potenza, il tempo e` dunque un concetto – 41 diversamente da Kant, per il quale e` una forma pura dell’intuizione –, un’idea pura, un’essenza eterna esistente nell’intelletto divino, quali sono il numero e gli altri enti ideali, concernente, in tal senso, il possibile e l’esistente, come si evince dal fatto che
40 Nei Nouveaux essais II, 12, 3, Leibniz distingue gli oggetti dei nostri pensieri in modi, sostanze e relazioni. Una volta escluso che il tempo sia sostanza o un attributo della sostanza, occorrera` classificarlo tra le relazioni. 41 Sul tempo in Kant ci limitiamo a menzionare E´. van Bie´ma, L’espace et le temps chez Leibniz et chez Kant, cit.; D. Venturelli, Etica e tempo, Brescia 1999, in part. i capp. 1 e 2 della prima parte, rinviando alle indicazioni bibliografiche contenute. Di Venturelli cfr. anche Divagazioni sul problema del tempo, in Aa. Vv., Il tempo e l’uomo. Atti della IX Settimana di Seminari Interdisciplinari (Arcavacata 11-14 giugno 1990), Cosenza 1991, pp. 29-51.
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un Roman pourra estre aussi bien regle´, a` l’e´gard des lieux et des temps, qu’une Histoire veritable [GP VII, 564]. Le temps et l’espace – viene confermato nei Nouveaux essais – sont de la nature des verite´s eternelles qui regardent egalement le possible et l’existant [A VI, 6, 154].
Un punto problematico esige di essere lumeggiato: per un verso, come si e` detto, il tempo, come lo spazio, e` una forma funzionale, in grado di riempirsi di qualsivoglia contenuto, restando al di la` di ogni dato effettuale, indipendente da esso. Per altro verso, Leibniz, nel § 47 della Quinta lettera a Clarke (LC, 142-145) descrive la formazione dell’idea di spazio – descrizione valida, per analogia, anche per il tempo – come un processo che muove dall’esperienza, quasi lo spazio e il tempo avessero bisogno dell’intervento di oggetti sensibili, di dati effettuali, coesistenti o successivi, per formarsi. Premettere l’ordine agli oggetti – osserva Ernst Cassirer nella sua lucida disamina –, quando dall’altro lato si deve convenire che l’ordine non puo` costituirsi senza intervento degli oggetti, e` un circolo logico42.
Il fondamentale testo dei Nouveaux essais II, 14, 16, dedicato alla determinazione del tempo, mette sulla via della comprensione del paradosso, la cui soluzione implica un’intima solidarieta` tra ideale ed empirico, non lontana dal rapporto che Platone instaurava (si pensi al Menone o ai passi prima richiamati, non casualmente, del Fedone) tra esperienza sensibile e idea: Une suite de perceptions reveille en nous l’ide´e de la dure´e, mais elle ne la fait point. Nos perceptions n’ont jamais une suite assez constante et reguliere pour repondre a` celle du temps qui est un continu uniforme et simple, comme une ligne droite. Le changement des perceptions nous donne occasion de penser au temps, et on le mesure par des changemens uniformes [A VI, 6, 152]43.
In realta`, l’attingimento mentale dell’idea di tempo in occasione dell’e42
E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., p. 185. E` a proposito di questo testo, come accennato, che Jalabert (La the´orie leibnizienne de la substance, cit., p. 127) sottolinea l’impiego improprio del termine di “durata” usato al posto di “tempo”. 43
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sperienza, non e` che un’esecuzione e un’applicazione dell’innatismo virtuale tradotto nella Prefazione ai Nouveaux essais nella celebre immagine del blocco di marmo dotato di venature che predispongono la massa marmorea a ricevere la forma di Ercole. Senza attivita` percettiva, le strutture che tramano la mente non potrebbero attivarsi, restando cosı` allo stato di semplice potenzialita` inespressa. In tal modo, il § 47 della Quinta lettera a Clarke, dove si descrive come lo spirito giunga a formarsi l’idea dello spazio (percio` analogicamente anche del tempo), non risulta affatto in contrasto con le inequivocabili affermazioni leibniziane circa la suddetta idealita` delle idee di spazio e tempo. Visibile limpidamente, invece, in questo testo, come 44 osserva Massimo Mugnai , e` la saldatura tra astrazione e realta`, tra essenza ed esistenza, tra idea e dato sensibile, entro i cui poli si svolge un’opera45 zione peculiare dello spirito umano . E`, dunque, tale funzione di temporalizzazione a offrire la forma che fa del tempo un principio tassonomico, di natura eterna e necessaria, che “cattura” la totalita` dei cambiamenti, nessuno mai uguale all’altro, i rapporti di successione, sempre disuguali, discontinui, percepiti dall’immaginazione come durata, in un corso uniforme, omogeneo, lineare, in un continuum indifferente alle specie di mutamenti, in una sorta di contenitore neutro,
44
Cfr. la lucida analisi del § 47 della Quinta lettera a Clarke in M. Mugnai, Astrazione e realta`. Saggio su Leibniz, Milano, 1976, p. 151 sgg. Chiarisce bene il senso del pensiero leibniziano, in rapporto al tempo, concreto e astratto, e al testo in questione, anche F. Olgiati in Il significato storico di Leibniz, cit.: «La realta` si svolge e noi notiamo i rapporti di prima e di poi, vale a dire i rapporti di successione. Questo e` il tempo concreto, che si identifica con le cose, dove non vi sono mai due tempi effettivi uguali, perche´ non vi sono mai due momenti eguali nello sviluppo. Facendo astrazione dal contenuto, noi creiamo il tempo astratto, quasi che il tempo fosse qualcosa fuori delle cose temporali, lo dividiamo in istanti identici e trattiamo tale astrazione quasi fosse qualcosa di reale» (ivi, p. 139). 45 «Senza dubbio – sintetizza E´. van Bie´ma, che distingue una aposteriorita` psicologica da una apriorita` logica – lo spazio e il tempo, cosı` come ci appaiono, nascono dalla nostra riflessione sull’esperienza e dalle abitudini che prendono corpo nel nostro spirito nella misura in cui si ripetono le nostre percezioni del mondo esteriore e si afferma la coscienza della nostra durata interiore. Tali conoscenze sono legate a quelle dei rapporti di coesistenza e di successione, che e` sufficiente generalizzare e sostanzializzare idealmente per costituire lo spazio e il tempo. Ma queste stesse percezioni del mondo esteriore e questa coscienza del nostro proprio sviluppo, non sono possibili nella forma in cui esse si producono che in ragione della natura della nostra sostanza individuale, che contiene in se´ cio` che le accadra` per sempre, vale a dire, in ragione di certi elementi a priori che ci costituiscono. Tra questi elementi risulta da quanto precede che occorre annoverare una funzione di temporalizzazione e una funzione di spazializzazione di tutto cio` che e` oggetto di percezione» (Bie´ma, L’espace et le temps chez Leibniz et chez Kant, cit., pp. 199-200).
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astratto e ideale – come, in Leibniz, tutto cio` che e` vuoto e neutro – quanto vero, ben fondato nelle cose (cfr. GP VII, 564). Tempus est ... ordo mutationum generalis, ubi mutationum species non spectatur [GM VII, 18].
Ogni sostanza ha dunque, come si diceva, la sua propria durata, ma non il proprio tempo, dal momento che quest’ultimo, in quanto fattore tassonomico, quadro intellettivo formale del divenire, e non condizione della sua esistenza, si configura come ordine di relazioni neutro (indifferente agli oggetti), omogeneo (comune a tutti i fenomeni) e uniforme (percio` indiscernibile), articolato in unita` vuote, «fuori dalle cose» (hors des choses), poiche´ esistente essenzialmente nello spirito di chi lo pensa: La dure´e et l’e´tendue sont les attributs des choses, mais le temps et l’espace sont pris comme hors des choses et servent a` les mesurer [GP VI, 584].
Non v’e` dubbio che simili coordinate astratte (uniformita`, omogeneita`, oggettivita`) siano tratti che il tempo relativo di Leibniz condivide con quello assoluto di Newton. “Assoluto” o relazionale, newtoniano o leibniziano – osserva in questo senso Krzysztof Pomian –, in ambedue i casi il tempo e` comunque posto come “oggettivo”: realta` in ogni sua parte oppure ordine in conformita` del quale si succedono le cose e che e` stato incorporato nel loro stesso svolgimento. Esso e` dato, esteriore e indipendente dalla conoscenza che possono averne gli individui e che si limita a constatare il suo flusso a partire da mutamenti visibili, o a misurare l’intervallo fra un certo momento e un altro, paragonando le indicazioni degli orologi; il fondamento 46 della sua “oggettivita`” e` la durata divina o un’idea di Dio . 46
K. Pomian, L’ordine del tempo, cit., p. 312. Cosı` G. Bocchi e M. Ceruti compendiano i tratti della rivoluzione newtoniana quanto allo spazio e al tempo: «Alle origini dell’Eta` moderna, lo spazio divenne un immenso contenitore comune al Cielo e alla Terra, uno spazio iso-tropo, in cui tutti i luoghi erano equivalenti e indifferenziati, unificati dalle stesse leggi e dagli stessi elementi. Progressivamente, lo spazio divenne un modello per pensare il tempo, che divenne lineare, metrico, omogeneo. Il tempo si svincolo` dal moto degli oggetti celesti. Divenne assoluto, isolato dagli eventi e dagli oggetti. Ma fu dominato dalle metafore spaziali. Isaac Barrow, predecessore di Isaac Newton a Cambridge, paragono` il tempo a una linea retta: simile in tutte le sue parti, poteva essere concepito come il prodotto dell’addizione di tanti istanti equivalenti, oppure come il flusso continuo di un unico istante» (Bocchi – Ceruti, Origini di storie, Milano 2000, p. 124). Evidente, se non quanto all’assolutezza, almeno quanto all’idea del tempo come linea retta divisibile in intervalli uniformi e
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Ma, come scrive Cassirer, Leibniz puo` assecondare le istanze della razionalita` moderna e della precisione matematica newtoniana traendole dal pensiero, anziche´ dalla presunta aseita` del tempo, reificazione che ne fa un vero monstrum metafisico: In siffatta purezza intelligibile – precisa Cassirer –, in siffatta noncuranza per l’esistenza fattuale empirica delle cose Leibniz pensa i concetti di spazio e tempo come i concetti logici e matematici. Gli uni e gli altri sono puri prodotti di quell’“intellectus ipse” che dai sensi viene solo spinto a trarli fuori da se´. Cosı` vediamo soddisfatta dai mezzi immanenti del pensiero stesso l’esigenza newtoniana del vero matematico tempo assoluto che scorre uniforme in se´ e per sua natura senza rapporto con un oggetto esterno qual che sia. Il tempo ottiene questa sua “natura” solo in un postulato razionale della nostra conoscenza47.
All’osservazione cassireriana occorre anche aggiungere che la scheletrica, geometrica razionalita` che Leibniz, in omaggio alla scienza moderna, ascrive al tempo, non solo e` desunta dal pensiero anziche´ concepita` in se´, ma neppure perde la sua radice qualitativa, il nesso con la corporeita` e con gli eventi: cio` che, dissociando la prospettiva leibniziana da quella newtoniana, la rende in questo senso singolarmente compatibile con la concezione einsteiniana della relativita`: ... le tems [ne] doit coe¨xister [qu’] aux creatures, et ne se conc¸oit que par l’ordre et la quantite´ de leurs changemens [LC, 152].
E`, questo, in effetti, uno dei cardini dell’idea di tempo leibniziana: il dinamismo ordinato e lineare del tempo rinviene la sua radice non in forze meccaniche estrinseche, non in una presunta inseita`, ma nella causalita`, efficiente e finale, interna alla monade – nella sua vis, nella sua natura, nella sua immanente teleologia – e conspirante con il tutto. Il tempo e` – come omogenei, la consonanza del tempo nella visione leibniziana con questa descrizione. Un confronto tra i princı`pi newtoniani e leibniziani sul terreno della fisica si trova in N. Daher, L’espace, le temps et la matie`re dans la philosophie naturelle de Leibniz et leur rapport a` la physique moderne, in Nihil sine ratione. Mensch, Natur und Technik im Wirken von G.W. Leibniz, VII. Internationaler Leibniz-Kongreß, Berlin 10-14 September 2001, cit., Vortra¨ge 1. Teil, pp. 267-275. Cfr. anche A. Koyre´, Studi newtoniani, tr. it. di P. Galluzzi, Torino 1983. 47 E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., p. 188. In questa pagina e` contenuta una limpida analisi del testo dei Nouveaux essais II, 14, 16, uno dei luoghi piu` rilevanti per il nostro tema. Di Cassirer va naturalmente ricordato anche l’ampio capitolo dedicato a Leibniz nella sua Storia della filosofia moderna, Milano 1968, vol. II, pp. 153-221.
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ribadiremo in seguito sottolineando il concorso divino nella produzione della natura e degli stati successivi propri della monade – l’espressione dell’attivita` e della legalita` della sostanza, che percepisce e appetisce, che avverte sensibilmente i mutamenti nella durata e li intellettualizza nel concetto di tempo. Piu` che svolgersi nel tempo, l’azione e la legge interne alla sostanza fondano il tempo. Per questo, non c’e` tempo senza durata, e non c’e` durata senza successione. E per questo gli istanti non sono nulla fuori dalle cose che cambiano. E` la successione, la serie di cambiamenti interni alla sostanza, la cui essenza e` azione, a possedere un ordine – qualitativo, kairologico, non (ancora) cronologico o cronometrico – e a rappresentare la base della nozione astratta di tempo. Il mutamento, infatti, non presuppone il tempo, ma, per Leibniz, e` vero il contrario: e` il cambiamento, la tendenza regolata, il cui ordine seriale affonda ultimamente nelle ragioni arcane dell’harmonia universalis, a possedere un’interna articolazione – qualcosa che precede, qualcos’altro che segue – la cui percezione discontinua produce l’esperienza della durata e la cui intellettualizzazione e` l’idea di tempo. At spatium, ut tempus – si legge nella lettera a Burchard De Volder dell’11 ottobre 1705 –, non substantiale est quiddam, sed ideale, et in possibilitatibus seu ordine coexistentium utcunque possibili consistit. Itaque nullae ibi divisiones nisi quas mens facit, et pars toto posterior est. Contra in realibus unitates multitudine sunt priores, nec existunt multitudines nisi per unitates. [Idem est de mutationibus quae continuae revera non sunt] [GP II, 278-279].
Dal canto loro, nell’abissale fondo ontologico che le sostanzia e le conserva nell’essere, le cose ne´ durano, ne´ sono dentro il tempo. Le sostanze, come fondamento della successione, sono atemporali – dal momento che senza un principio unitivo sub specie aeternitatis esse si dissolverebbero nella somma degli accidenti e degli istanti che le compongono, 48 cioe` si negherebbero come sostanze –, ma poiche´ per loro intrinseca natura esse agiscono, il loro sviluppo esistenziale, l’esplicazione progressiva delle loro pieghe, genera una successione di stati la cui relazione e` alla base della durata e del tempo. 48 Sul problema dell’identita` della sostanza lungo la linea dei predicati evenemenziali che ne caratterizzano la storicita`, cfr. A. Delco`, Le metamorfosi della sostanza in Leibniz, Milano 1994; S. Di Bella, La substance leibnizienne: Histoire individuelle et identite´, in SL, Sonderhefte, 15 (Leibniz: Questions de logique), Stuttgart 1988, pp. 117-129; J. Jalabert, La the´orie leibnizienne de la substance, cit.
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A voler parlare in maniera rigorosa – osserva infatti Massimo Mugnai – non si deve dire che gli oggetti reali esistono dentro il tempo, ma che la serie di mutamenti che subiscono gli oggetti reali possiede un ordine e che quest’ordine e` la base del nostro concetto di tempo49.
E`, certo, questa inscindibile connessione tra successione, durata e tempo – la cui articolazione in gradi gnoseologici definisce la strategia leibniziana di relativizzazione della temporalita` – il significato di quanto si legge negli Initia rerum mathematicarum metaphysica (1714), dove, ribadita la definizione di tempo come ordine di esistenze non simultanee, si specifica la sua correlazione con la durata, quale «temporis magnitudo»: Duratio est temporis magnitudo. Si temporis magnitudo aequabiliter continue minuatur, tempus abit in Momentum, cujus magnitudo nulla est [GM VII, 18].
Per esistere, il tempo deve passare attraverso corpi ed eventi, percio` attraverso durata e successione. La durata, in quanto concreta, presenta uno spessore, un diaframma elastico, non lineare, che aumenta o diminuisce, e in cio` essa e` funzione della quantita` di cambiamenti. Se non vi fossero creature dotate di durata, viene ribadito nella disputa con Clarke (cfr. LC, 171-172), tempo e spazio esisterebbero solo come idea di Dio, solo come possibilita` viventi in mente Dei. Percio`, per quanto geometrizzato secondo una linea, parametrizzato secondo distanze o intervalli, diviso in parti uniformi, in membri intermedi, come esige la ragione matematica, il tempo, per Leibniz, serba in se´, come radice, la concretezza che fa di esso un ordine di esistenti, l’espressione della forza attiva interna alla monade, carattere, questo, capace di propiziarne l’incontro con la storia. Incontro assecondato, inoltre, dall’essere tale forma di temporalita` memore dell’esperienza escatologica biblica: essa, infatti, scorre in un’unica direzione, verso il futuro, irreversibile e finalizzata, programmata ab origine in funzione di un disegno provvidenziale universale. Al tempo «causato» di Cartesio, osserva Yvon Belaval, che vive istante per istante in virtu` dell’efficienza divina, Leibniz oppone un tempo «finalizzato»,
49 M. Mugnai, Astrazione e realta`, cit., p. 149. Osserva nella stessa direzione H. Poser: «Secondo le rappresentazioni di Leibniz, sono proprio le sostanze individuali che contengono in se stesse una forza originaria, la quale muove di percezione in percezione. Questa successione e` la natura temporale» (Poser, La teoria leibniziana della relativita` di spazio e tempo, in “aut aut”, 1993, cit., p. 47).
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organizzato secondo un piano prestabilito prima di svilupparsi sensibilmente nei rapporti delle esistenze50.
Fisica, teleologia ed escatologia, nel filosofo di Hannover, evidenziano, qui come altrove, relazioni tutt’altro che accidentali. E proprio in quanto principio di rapporti, relazione astratta, ordo rerum, non res a sua volta, il tempo – osserva ancora Leibniz a Clarke – non e` identificabile con una quantita`, ma puo` ricevere, puo` avere quantita`, analogamente ai rapporti o alle proporzioni matematiche, che sono in se´ delle relazioni ma appaiono misurabili con i logaritmi. Il tempo, che quanto alla sua radice non e` una linea, puo` essere “linearizzato”, e percio` misurato con intervalli regolari, con istanti identici: Et quant a` cette objection, que l’espace et le temps sont des quantite´s, ou pluˆtoˆt des choses doue´es de quantite´, et que la situation et l’ordre ne le sont point; je repons que l’ordre a aussi sa quantite´, il y a ce qui precede et ce qui suit, il y a distance ou intervalle. Les choses relatives ont leur quantite´ aussi bien que les absolues: par exemple, les raisons ou proportions dans les Mathematiques ont leur quantite´, et se mesurent par les logatithmes; et cependant ce sont des relations. Ainsi quoyque le temps et l’Espace consistent en rapports, ils ne laissent pas d’avoir leur quantite´ [LC, 150-151]. 51 Malauguratamente, come osserva anche Alfonso Perez de Laborda , non abbiamo al riguardo indicazioni, da parte di Leibniz, che vadano oltre il riferimento alla dottrina degli intervalli, particolarmente sottolineata negli Initia rerum mathematicarum metaphysica. Anche in questa circostanza, bisogna registrare una maggiore laconicita` leibniziana nella trattazione del tempo rispetto alle analisi dedicate allo spazio, ben piu` dettagliate ed estese, per quanto sia decisivo registrare, come suggerisce Hans Poser, cogliendo una linea di pensiero estesa da Kant fino a Heidegger, che
il tempo, che pure e` indicato da Leibniz, allo stesso modo dello spazio, come fenomenico, precede tuttavia lo spazio: soltanto nella temporalita`
50
Cfr. Y. Belaval, Leibniz critique de Descartes, cit., p. 423. A. Perez de Laborda, Leibniz e Newton, tr. it. di M. Gargantini e F. Sanvito, Milano 1986, p. 374. Lo studio di Perez de Laborda, nella Parte seconda, contiene un’ampia disamina, prima in chiave diacronica e poi sincronica, della disputa Leibniz-Clarke (cfr. ivi, pp. 285-443). 51
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della successione delle percezioni si puo` pervenire alla manifestazione (Erscheinung) dello spazio52.
Questo, tuttavia, ci pare si possa concludere della concezione leibniziana: se il tempo come ordine intellettivo logico-matematico, come «continuum uniforme e semplice come una linea retta», e` idea pura, verita` di ragione, indipendente dalla conoscenza sensibile, qualunque scala temporale d’ordine naturale appare invece contingente, relativa e instabile, appartenendo alle verita` di fatto. Cosı`, il tempo solare legato alla rotazione della terra rappresenta anch’esso un criterio incerto poiche´ non esistono, nella sua successione, precisione, uniformita` ne´ perennita`: Le pendule a rendu visible l’inegalite´ des jours d’un midi a l’autre: Solem dicere falsum audet. Il est vray qu’on la savoit de´ja, et que cette inegalite´ a ses regles. Quant a` la revolution annuelle, qui recompense les inegalite´s des jours solaires, elle pourroit changer dans la suite des temps. La revolution de la terre a` l’entour de son axe qu’on attribue vulgairement au premier mobile, est nostre meilleure mesure jusqu’icy, et les horloges et montres nous servent pour la partager. Cependant cette meˆme revolution journaliere de la terre peut aussi changer dans la suite des temps: et si quelque pyramide pouvoit durer assez, ou si on en refaisoit des nouvelles, on pourroit s’en appercevoir en gardant la` dessus la longitude des pendules dont un nombre connu de battemens arrive maintenant pendant cette revolution: on connoistroit aussi en quelque fac¸on le changement en comparant cette revolution avec d’autres, comme avec celles des Lunes de Jupiter, car il n’y a pas d’apparence que s’il y a du changement dans les unes et dans les autres, il seroit tousjours proportionel [A VI, 6, 152-153].
Dire, come fa Leibniz in questo testo, che «la rivoluzione intorno al proprio asse ... e` finora la nostra miglior misura, e i quadranti e gli orologi ci servono per suddividerla», equivale appunto a porre sotto riserva di instabilita` l’orologio naturale e ad ascrivere alle sue scale temporali – com’e` per le leggi di natura, verita` di fatto e non di ragione – un carattere relativo, poiche´ il sole e la terra non esistono per necessita` assoluta ma solo ipotetica, per libero decreto di Dio, e verra` forse un tempo in cui essi non saranno piu`, come Leibniz ribadisce, ad esempio, nella lettera a Sofia 52 H. Poser, La teoria leibniziana della relativita` di spazio e tempo, in “aut aut”, 1993, cit., p. 47. Si sofferma sugli Initia rerum mathematicarum metaphysica, dal punto di vista del problema dello spazio, O Meo in Osservazioni sulla teoria leibniziana dello spazio, in “Epistemologia”, XXI, 1998, pp. 17-40. Sottolinea la minore precisione di Leibniz nella trattazione del tempo rispetto alle esposizioni concernenti lo spazio B. Russell, La filosofia di Leibniz, cit., p. 212.
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Carlotta del 7 dicembre 170353. Nondimeno, fenomeni astronomici come le eclissi solari e lunari, quando siano rimarcate dagli storici con precisione, possono servire a determinare e a correggere la cronologia degli eventi, e dunque presentano una grande utilita` in materia storica: Et pour dechifrer les temps – scrive Leibniz in un promemoria del 1692 –, on s’est servi de quelques caracteres incontestables, sc¸avoir des eclipses du soleil et de la lune; car souvent les Histoires les marquent en passant d’une maniere assez bien circonstantie´e et comme l’astronomie nous donne moyen de connoistre exactement le temps de chaque eclipse, et qu’on a meˆme fait des machines pour sc¸avoir incontinent sans calcul, si une telle 53 «Les experiences des sens nous apprennent les verite´s de fait; mais elles ne nous peuvent jamais apprendre ce qui est necessaire; car quand une chose auroit reussi un million de fois, il ne s’ensuit pas qu’elle reussira tousjours a` toute eternite´. Par exemple le soleil revient tousjours avant que 24 heures soyent passe´es, et on l’a e´prouve´ depuis plusieurs milliers d’anne´es: mais un temps peut venir, ou` cela manque. Au lieu que les verite´s necessaires ne sauroient manquer» (Die Werke von Leibniz gema¨ß seinem handschriftlichen Nachlasse in der Ko¨niglichen Bibliothek zu Hannover, herausgegeben von Onno Klopp, Hannover 1864-1884, I, X, p. 221). Leibniz si e` occupato anche di questioni inerenti alla riforma del calendario. Su questo punto, cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 426 sgg. Una documentazione dell’interesse leibniziano alla riforma del calendario si trova in Dutens IV, 2, 115-145. Sosta brevemente sul problema leibniziano della misurazione del tempo A. Borst in Computus. Tempo e numero nella storia d’Europa, tr. it. di E. Ganni e e M. Loewy, Genova 1990, p. 150. In generale, sulla misurazione del tempo nella storia e nella cultura occidentale cfr.: Aa. Vv., L’histoire et ses me´thodes, Paris 1961 (in part. i saggi alle pp. 37-51; 52-67); Aa. Vv., Diacronia e sincronia. Saggi sulla misura del tempo, a cura di C. Tugnoli, Milano 2000. Sul calendario in part., cfr. i saggi di C. Tugnoli e F. Cordara nel testo suddetto. Inoltre: F. Maiello, Storia del calendario. La misurazione del tempo, 1450-1800, Torino 1996; J. Le Goff, Storia e memoria, tr. it. Torino 1982, pp. 400-442. Sul concetto di tempo storico, cfr. le notevoli pagine di R. Aron, Introduction a` la philosophie de l’histoire, Paris 1938, pp. 40-44. Inoltre: M. Riedel, Il concetto storico, metafisico e trascendentale del tempo. Il rapporto tra storia e cronologia nel XVIII secolo, in Aa. Vv., Gli inizi del mondo moderno, a cura di R. Koselleck, tr. it. di A. Furlanetto, Milano 1997, pp. 397-419. Su un piano piu` teoretico, ricco di suggestioni in relazione al calendario e al tempo storico e` P. Ricoeur in Tempo e racconto, vol. 3, Il tempo raccontato, cit., in part. pp. 159-191 e pp. 317-365 (su Koselleck e la sua ermeneutica del tempo storico). Inoltre, dello stesso Ricoeur, cfr. La memoria, la storia, l’oblio, cit., p. 493 sgg. Cfr. inoltre le acute considerazioni sul tempo dei calendari in opposizione al tempo uniforme degli orologi di W. Benjamin in Di alcuni motivi in Baudelaire, in Id., Angelus novus, Torino 1995, p. 121 sgg. Sull’idea di tempo in Benjamin cfr. E. Guglielminetti, Walter Benjamin. Tempo, ripetizione, equivocita`, Milano 1990. Riprende le analisi sulla modernita` e sul tempo di Benjamin sul piano sociologico P. Jedlowsky in Il ritmo dell’esperienza. Fra tempi sociali e tempi dell’individuo, in Aa. Vv., Il tempo e l’uomo, cit. , pp. 105-113. Di Jedlowsky si vedano anche su tempo e modernita`: Il tempo dell’esperienza, Milano 1986; Memoria, esperienza e modernita`, Milano 1989; Il sapere dell’esperienza, Milano 1994.
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eclipse a este´ faite dans un tel temps; c’est par la` qu’on a fort rectifie´ la chronologie [ZhVN, 1885, 22].
La stessa suddivisione del giorno in ventiquattro ore non va affatto considerata come una verita` necessaria, dal momento che e` sufficiente che un fatto riceva una smentita per “falsificare”, popperianamente, migliaia di prove a suo favore e per negargli lo statuto di verita` immutabile. Cosı` accade per quella suddivisione temporale, tutt’altro che universale, se e` vero che essa non vale per il popolo della Novaja Zemlja: Par exemple – si legge nella Prefazione ai Nouveaux essais – les Grecs et les Romains et tous les autres peuples de la terre, ont toujours remarque´s qu’avant le de´cours de 24 heures, le jour se change en nuit, et la nuit en jour. Mais on se seroit trompe´ si l’on avoit cruˆ, que la meˆme regle s’observe partout, puisqu’on a vuˆ le contraire dans le sejour de Nova Zembla [A VI, 6, 49].
A questa notazione di carattere “etnografico”, quasi precorritrice del relativismo culturale delle Lumie`res, e` lecito accostare il riferimento, rinvenibile ancora nei Nouveaux essais, alla precarieta` delle cronologie bibliche la cui crisi, irreversibilmente aperta dalle “sterminate antichita`” dischiuse dalle conoscenze della storia di popoli come Egiziani, Caldei, Messicani, Peruviani, Cinesi, tocca il suo apice proprio nell’eta` di Leibniz, il quale ben conosceva la disorientante concorrenza dei sistemi cronologici e, al contrario del Discours sur l’histoire universelle di Bossuet, avrebbe voluto estendere la Historia universalis ai nuovi popoli e alle culture extra-bibliche54. Nel testo 54
Sul problema accennato delle cronologie e sulla nozione leibniziana di storia universale, temi sui quali torneremo nei prossimi capitoli, cfr.: P. Rossi, I segni del tempo. Storia della Terra e storia delle nazioni da Hooke a Vico, Milano 1979 (nuova ed. 2003), in part. cap. secondo (I tempi della storia umana), pp. 150-225; G. Ricuperati, Alle origini della storiografia illuministica: storia sacra e storia profana nell’eta` della crisi della coscienza europea, in Il ruolo della storia e degli storici nella civilta`, Atti del convegno di Macerata, 11-14 settembre 1979, Messina 1981, pp. 275-386; G. Gliozzi, Adamo e il Nuovo Mondo. La nascita dell’antropologia come ideologia coloniale: dalle genealogie bibliche alle teorie razziali (1500-1700), Firenze 1977; A. Borst, Computus. Tempo e numero nella storia d’Europa, cit.; P. Hazard, La crisi della coscienza europea, cit., pp. 60-69; A. Klempt, Die Sa¨kularisierung der universalhistorischen Auffassung, cit. Sulle cronologie in Leibniz ci limitiamo, per ora, a rinviare a L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 423 sgg. Sulla nozione leibniziana di storia universale, cfr. ivi, p. 343 sgg. Vale forse la pena di ricordare il passo de Les Lettres d’Amabed di Voltaire, dove il philosophe mette in bocca al suo sventurato personaggio questa allusione al Discours sur l’histoire universelle di Bossuet. Riferendosi al missionario padre Fa-Tutto, da cui sara` perseguitato e dichiarato «apostata», racconta l’indiano Amabed al suo maestro gran brahmano Shastasid: «Abbiamo letto insieme un libro del suo paese, che m’e` sembrato pur
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dei Nouveaux essais cui ci riferiamo il cenno al privilegiamento dato alla versione greca della Bibbia, nota come dei LXX, si giustifica proprio per il maggiore accordo che questa consentiva con la cronologia cinese, come conferma un testo della lettera al Langravio Ernst von Hessen-Rheinfels del 55 10/20 dicembre 1687 . Au reste de toutes les manieres chronologiques – recitano dunque i Nuovi Saggi – celle de compter les anne´es depuis le commencement du monde est la moins convenable, quand ce ne seroit qu’a` cause de la grande difference qu’il y a entre les 70 interpretes et le texte Ebreu, sans toucher a` d’autres raisons [A VI, 6, 153].
Cio` che resta fermo, nella visione leibniziana, e` dunque che la durata e` funzione della quantita` dei mutamenti e degli stati di ciascuna sostanza, e che il tempo, in se´ relazione, ordine di cose successive, ha, possiede una quantita`, misurabile con movimenti uniformi intelligibili, dal momento che le relazioni non escludono la possibilita` della quantificazione, della determinazione di distanze e intervalli, pur restando libere rispetto alle grandezze. La liberta` che le relazioni conservano – spiega Cassirer –, si puo` mostrare solo nel fatto che il contenuto (o “materia” in senso logico) puo` variare a piacere senza che ne venga toccato il carattere-di-legge generale, in se´ identico, della relazione ... La natura propria del tempo e` espressa nella fattispecie dal suo conservare il carattere di variabile indipendente rispetto ad ogni grandezza con cui entra in rapporto56. strano: una storia universale del mondo intiero, nella quale non e` detta parola del nostro antico impero, nulla delle immense contrade d’oltre Gange, nulla della Cina, nulla della vasta Tartaria. Conviene che gli autori di questa parte d’Europa sian bene ignoranti. Io li paragono a gente di villaggio, quando parla con enfasi delle sue capanne, senza sapere dov’e` la capitale; o piuttosto a quanti credono finito il mondo sul margine del loro orizzonte» (Le lettere di Amabed, etc. tradotte dall’abate Tamponet, in Voltaire, Romanzi e racconti, cit., p. 404. Nella stessa pagina v. anche gli ironici riferimenti alle contraddizioni delle cronologie bibliche). 55 Cfr. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 425 nota 3. Osserva in proposito W. Conze: «Leibniz porto` avanti solo con cautela anche il problema della cronologia biblica tradizionale, mentre come altri dotti del suo periodo pose l’era cinese accanto a quella ebraica, e cerco` di sciogliere le contraddizioni con l’aiuto dei Settanta, la cui versione andava piu` indietro del testo ebraico, secondo quanto nel 1687 gia` aveva fatto il padre Paul Pezron. Con cio`, un primo passo era stato fatto per far vacillare la tradizione attraverso la critica. Ma l’immagine di una durata della storia della terra e degli uomini misurabile era pero` ancora tenuta ferma rispetto all’idea di infinito. Il “calcul vulgaire” della cronologia ebraico-cristiana fu cosı` solo allentato, ma non abolito» (Conze, Leibniz als Historiker, cit., pp. 66-67). 56 E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., pp. 187-188.
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La demarcazione tra il tempo relativo di Leibniz e il tempo assoluto di Newton – il quale, infatti, non distingue tra tempo e durata, e tratta di una durata priva di soggetti in quanto e` la durata stessa il soggetto, mentre per Leibniz essa e` sempre predicato – e` tutta contenuta nella precisazione a Clarke che distingue tra «essere quantita`» e «avere quantita`». Del resto, come si e` visto, il tempo e` originariamente forza, energia, impulso, direzione, piuttosto che quantita`. In tal senso, all’idea di tempo come quantita` assoluta, come numero o grandezza variabile che sussiste indipendentemente da cose ed eventi e cresce a un ritmo uniforme, Leibniz oppone la piena adequatio tra tempoordine e grandezza-durata: maggiore e` il numero degli stati successivi interposti, maggiore sara` il tempo. Viceversa, dove la durata si annulli, non vi sara` piu` neppure tempo. Cosı` ancora a Clarke: On objecte icy que le tems ne sauroit e´tre un ordre des choses successives, parce que la quantite´ du tems peut devenir plus grande ou plus petite, l’ordre des successions demeurant le meˆme. Je re´ponds que cela n’est point. Car si le temps est plus grand, il y aura plus d’e´tats successifs pareils interpose´s, et s’il est plus petit, il y en aura moins; puisqu’il n’y a point de vuide ny de condensation ou penetration, pour ainsi dire, dans les temps, non plus que dans les lieux [LC, 171].
Zeit e Dauer, dunque, ricevono piena corrispondenza als Ordnung und Zeitgro¨ße. E` cosı` che le due nozioni, divise quanto a caratteri, come sottolinea Gernot Bo¨hme nel suo studio sulla nozione di temporalita` in 57 Leibniz, da una «frattura» (Kluft) , trovano comunque nell’impianto gnoseologico e ontologico leibniziano la loro composizione. In ragione di questa inscindibile diade, Leibniz mostra di restare, anche quanto alla concezione del tempo, alla frontiera fra tradizione e scienza moderna, fra nova et vetera. Se, in effetti, nella meccanica newtoniana tempo e spazio sono programmaticamente scorporati dall’esperienza quotidiana, svuotati di materia e vita, indipendenti dal sole come dalla terra, assoggettati all’invariabilita` del numero e alla meccanica dell’orologio, nella teoria leibniziana del tempo, quale ordine originariamente qualitativo e relazionale di eventi, resta evidente la traccia del tempo come tempo della vita e del mondo, interconnesso e non distinguibile dall’esperienza concreta, radicato nella terra Madre e nel cielo, nonche´ come tempo escatologico, che l’Occidente 57 G. Bo¨hme, Zeit und Zahl. Studien zur Zeittheorie bei Platon, Aristoteles, Leibniz und Kant, Frankfurt am Main 1974, p. 232.
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aveva conosciuto anteriormente all’apparizione degli orologi meccanici sulle torri civiche e sui campanili medioevali e sino alle soglie della Rivoluzione scientifica. Ha osservato ancora Bo¨hme in proposito: Se Leibniz definisce il tempo come ordine, cio` significa che per lui esso non e` affatto una quantita`. Egli, evidentemente, si mantiene ancora all’interno di quella tradizione nella quale l’anno, il giorno, l’ora, venivano intesi innanzitutto come un ordine degli eventi, e poi come una determinazione quantitativa degli eventi stessi. Clarke, al contrario, ha pensato il tempo gia` a partire da una fisica nella quale esso entra soltanto conformemente alla sua determinazione quantitativa. Spazio e tempo sono nella fisica di Newton semplicemente delle grandezze, cosı` come in generale la fisica a lui successiva tratta esclusivamente di grandezze58.
E` nel fondo della radice concreta della temporalita` che occorre ora affondare l’indagine, evidenziando, sotto la astratta e levigata linea del tempo, coi suoi intervalli omogenei, il torcersi delle infinite pieghe in cui puo` ri-piegarsi e dis-piegarsi la durata vissuta della monade, come il viluppo lustro e tortuoso di un panneggio di Bernini.
3. – Temporalita` e inquietudine: dal tempo astratto alla durata concreta. La “linea” e la “piega” come figure del tempo. Tra giusnaturalismo e storicismo Sei tu a fare il tempo! Son i sensi le sfere dell’orologio: 59 Arresta il bilanciere (Unruh), e il tempo non c’e` piu` . 58
Ivi, p. 231. A. Silesius, Il Pellegrino Cherubico, a cura di G. Fozzer e M. Vannini, Cinisello Balsamo (Mi) 1989, p. 139. Si sofferma su questo distico M. Vannini nella sua Introduzione a Silesius, Firenze 1992, dove rileva nel testo silesiano il medesimo gioco di significati fondato sul termine Unruhe visto in Leibniz: «L’originale tedesco ha un significativo gioco di parole, giacche´ bilanciere si dice con il termine Unruh, che significa letteralmente “inquietudine”, per cui risulta evidente il messaggio: abbi pace, quiete, e il tempo scomparira`» (ivi, p. 112). Su Leibniz e Angelus Silesius e` inevitabile richiamare Der Satz vom Grund di M. Heidegger, che contiene la tesi dell’opposizione tra il filosofo e il mistico della Slesia fondata sull’alternativa tra metafisica e Abgrund dell’ohne warum della rosa silesiana. Cfr. M. Heidegger, Il principio di ragione, a cura di G. Gurisatti e F. Volpi, Milano 1991, p. 68 sgg. A questo testo si fa riferimento poco oltre. Sulla lettura heideggeriana e sulla sua possibile critica, che restituisce a Leibniz quel fondo mistico-religioso che appartiene alla sua razionalita` e al principio di ragione, cfr. R. Cristin, Heidegger e Leibniz, cit. Alla poesia di Silesius in relazione a Leibniz, fa riferimento anche W. Dilthey nel saggio Leibniz e il suo tempo, in Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit., p. 141 sgg. 59
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Sin troppo agevole risulta accostare questo distico tratto dal Pellegrino Cherubico (I, 189) di Angelus Silesius al testo, gia` menzionato in precedenza, dei Nouveaux essais II, 20, 6, evocante la duplice accezione del termine tedesco “Unruhe”, valido per indicare sia il bilanciere dell’orologio sia l’inquietudine dell’anima. Accostamento, certo, per opposizione – che asseconda involontariamente il contrasto Leibniz-Silesius sostenuto da Heidegger quanto al Satz vom Grund – dal momento che, se il mistico della Slesia intende richiamare all’illusorieta` del tempo e alla sua soppressione nel presente eterno dello spirito – di qui l’invito ad arrestare il bilanciere, meccanico produttore di un tempo astratto –, per Leibniz, invece, l’Unruhe, l’inquieto oscillare del bilanciere, rappresenta il trivellante, vulcanico, pulsionale Grund der Seele che, lungi dall’essere annullato nel “nunc stans” bramato dall’Angelo slesiano – non diversamente dal Faust goethiano, che invoca l’arrestarsi dell’Augenblick (Verweile doch! du bist so scho¨n!) –, va positivamente riconosciuto e assecondato. Infatti, l’inquietude est meˆme dans la joie, car elle rend l’homme eveille´, actif, plein d’esperance pour aller plus loin [A VI, 6, 167].
Gia` Plotino aveva rilevato il nesso tra desiderio, inquietudine dell’anima e tempo. Ecco il modo, quasi mitologico, in cui nella celebre Enneade III, 7, il filosofo antico descrive il passaggio dalla quiete dello Spirito al movimento agitato, “affaccendato” dell’Anima, il transito, percio`, dall’eternita` alla caduta nel tempo: C’era infatti nell’Anima una potenza inquieta che voleva sempre far passare in altro cio` che aveva contemplato nel mondo intelligibile, e non sopportava che l’essere intelligibile le fosse presente tutto insieme. E come da un germe immobile esce la ragione sviluppandosi a poco a poco, come si pensa, verso il molteplice, manifestando nella divisione la sua molteplicita` e invece di conservare in se´ la sua unita` la diffonde all’esterno e diventa, procedendo, sempre piu` debole; cosı` l’Anima produce il mondo sensibile ad immagine di quello intelligibile e mobile non del movimento intelligibile, ma di uno che e` simile a quello e che aspira a esserne immagine, e temporalizza anzitutto se stessa producendo il tempo in luogo dell’eternita`; poi pone il mondo da lei generato alle dipendenze del tempo e lo pone tutt’intero nel tempo racchiudendo in esso tutti i suoi movimenti. Infatti muovendosi nell’Anima – e il luogo dell’universo sensibile non e` che l’Anima –, si muove anche nel tempo che all’Anima appartiene. L’atto che l’Anima compie segue sempre ad un altro ed e` sempre nuovo; con un atto essa produce quello che vien dopo e con un altro pensiero che segue al precedente effettua cio` che
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prima non era, poiche´ ne´ il suo pensiero era gia` tutto compiuto ne´ la sua vita presente e` simile a quella precedente. E proprio perche´ e` una vita differente, essa anche occupa percio` un tempo differente. E cosı` la dispersione della vita occupa del tempo; la parte di quella vita che procede occupa ad ogni istante un tempo nuovo, quella passata occupa un tempo passato60.
La conclusione, che fa del tempo «la vita dell’anima» quale transito da uno stato all’altro, pare attagliarsi bene alla prospettiva leibniziana: Se si dicesse dunque che il tempo e` la vita dell’Anima che muovendosi passa da uno stato di vita ad un altro, non si affermerebbe forse qualcosa?61
Naturalmente, ogni consonanza va misurata con cautela sulle differenze sostanziali che segnano la metafisica plotiniana e quella del filosofo di Hannover. Resta che, al di la` di esse, un motivo di prossimita` tra i due filosofi, all’interno della relazione tra spirito, inquietudine e temporalita`, puo` essere rilevato: quello per cui ne´ in Leibniz ne´ in Plotino e` lecito parlare di una “psicologizzazione decosmologizzante” della temporalita`, quale sara` quella di Agostino, e poi di Bergson e di Heidegger, per quanto non si possa negare una parentela tra la durata leibniziana e la distentio 62 animi agostiniana . Per cio` che riguarda Plotino, osserva Werner Beierwaltes, correggendo l’invalsa abitudine ermeneutica di fare del pensatore delle Enneadi, quanto alla visione della temporalita`, un precursore di Kant e di Bergson: Nella sua filosofia Plotino non “psicologizza” il tempo “de-cosmologizzandolo”. Il tempo e` anche in noi, ma solo perche´ il mondo, nel quale si trova l’uomo, diviene nel tempo dell’anima ed e` conservato come unita` in esso. Il tempo come vita dell’anima umana si basa quindi sempre sul tempo come vita dell’anima del mondo. La psicologizzazione del tempo non distoglie dal mondo, ma si presenta proprio come fondazione del tempo nel principio che muove il mondo stesso. Se percio` si pensasse che, secondo Plotino, l’essenza del tempo sia la struttura della coscienza soggettiva, se si volesse avvicinare il concetto plotiniano di tempo alle forme kantiane dell’intuizione o se si tentasse di comprendere il concetto plotiniano di tempo come un dato di coscienza partendo dal concetto
60 61 62
Plotino, Enneadi III, 7, 11, 20-40 (tr. it. di G. Faggin). Ivi, III, 7, 11, 40-45. Lo sottolinea anche J. Jalabert, La the´orie leibnizienne de la substance, cit., p. 135.
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bergsoniano di durata, si finirebbe con l’alterare questa problematica, assumendo il punto di vista della psicologia moderna e facendo ricorso al concetto trascendentale di coscienza63.
Di una fondazione del tempo sulla persona, sull’interiorita`, che diviene per cio` stesso criterio e misura del tempo, in opposizione al tempo esteriore, cosmico e alla sua indole occultante, mistificante, e` legittimo parlare – come conferma Beierwaltes – a proposito di Agostino (In te, anime meus, tempora metior), che inaugura una visione dialettica tra temporalita` autentica e inautentica la quale non ha mancato di influenzare largamente il pensiero contemporaneo. Diversa e` la posizione di Plotino e, ci pare, di Leibniz, per i quali la dicotomia “tempo dell’anima-tempo del mondo” non ha ragion d’essere: per Plotino, perche´ l’anima umana temporalizza se stessa in quanto specchio e replica della temporalizzazione dell’anima del mondo; per Leibniz perche´ la monade spirituale, anch’essa eco e rifrazione dell’universo e di Dio – dal momento che mondo e monade si implicano, compresi come sono l’uno nell’altra – si rappresenta conoscitivamente, nella forma immaginativa della durata e intellettiva del tempo astratto, una successione di stati istantanei, di momenti indivisibili – le «Fulgurations» o gli «e´clats de la Divinite´» – che affondano la loro ragion d’essere nell’armonia prestabilita, nella serie, dunque, scelta da Dio tra le infinite possibili in quanto la migliore. La serie o successione di stati, a rigore, autentico primum ontologico, non ha bisogno ne´ della durata ne´ del tempo (entrambi fenomeni ben fondati), mentre ne e` il presupposto onto-metafisico. Per i due pensatori, dunque, esiste un fondamento della temporalita` che l’anima segue e si rappresenta astrattivamente, invece che esserne origine e criterio ultimo. Ma Leibniz sta con Plotino anche per un altro motivo, concernente la misura e la determinazione quantitativa del tempo. Per entrambi, la misura, la quantita` del tempo non sono il tempo, ma qualcosa che si aggiunge ad esso, senza definirne l’essenza, poiche´, come Leibniz precisa a Clarke in un testo su cui abbiamo sostato, altro e` essere un
63
W. Beierwaltes, Eternita` e tempo. Plotino, Enneade III, 7, tr. it. di A. Trotta, Milano, 1995, p. 93. Sulla complessiva nozione plotiniana di tempo si veda il classico testo di J. Guitton, Le Temps et l’E´ternite´ chez Plotin et Saint Augustin, Paris 1933. Sul tempo come “caduta”, cfr. lo studio di J.-Y. Blandin, Du temps comme ordre et nombre, au temps comme chute. Plotin et la dia´stasis de l’Ame, in “Kairos”, 15, 2000, pp. 33-60. Sui rapporti tra Leibniz e Plotino in ordine alla visione del mondo e alla teodicea, cfr. H.F. Mu¨ller, Das Problem der Theodizee bei Leibniz und Plotinos, in “Neue Jahrbu¨cher f. d. Klassische Altertum, Geschichte und Deutsche Literatur”, 22, 1919, pp. 199-229.
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Quantum, altro e` avere un Quantum (cfr. LC, 150-151). Tempo e misura del tempo restano distinti, per quanto relazionabili. ... pero` il tempo – scrive da parte sua Plotino, correggendo la teoria aristotelica del tempo – non e` per essenza ma per accidente misura del movimento, ed essendo originariamente altra cosa, fa conoscere la quantita` del movimento ... Percio` alcuni furono condotti a dire che esso era la misura del movimento e non che era misurato dal movimento ...64.
Per entrambi, il movimento degli astri non e` il centro nevralgico del tempo, ma una sua manifestazione – per Leibniz, come si e` detto, necessaria di una necessita` ipotetica, com’e` per le leggi di natura –, che riconduce alla regolarita` del prevedibile, del quantificabile, la successione diveniente delle cose, senza identificarsi con l’essenza del tempo. Per entrambi, infine, al riconoscimento del carattere aggiuntivo, accidentale e non essenziale della determinazione quantitativa del tempo, si lega una sorta di fiducia nel suo valore conoscitivo, ben diversa dal giudizio di occultamento e di mistifica65 zione che sara` proprio di Bergson e di Heidegger . E`, prima di ogni altro, Aristotele, fautore di un concetto relazionale del tempo, in cio` analogamente a Leibniz, a tenere in equilibrio i due elementi del tempo che, a partire da Agostino, si contrapporranno come propri dell’homo interior e dell’homo exterior. Nella sua classica definizione contenuta nel IV libro della Fisica, secondo cui il tempo e` «il numero del movimento secondo “prima” e “poi”» (IV, 11, 219 b 1), sono riconoscibili tanto la determinazione quantitativa per mezzo del moto regolare dei corpi nello spazio, che ricevera` la sua piu` perfetta traduzione matematica in Newton, tanto l’aspetto qualitativo, dal momento che il soggetto percettivo che misura e numera la durata e` l’anima, per quanto discusso sia poi il 66 ruolo di quest’ultima rispetto alla formazione del tempo . 64
Plotino, Enneadi III, 7, 12, 40; III, 7, 13, 5-10. «L’antichita` pagana – e` stato giustamente osservato – aveva in qualche modo annodato la solidarieta` della profondita` non misurabile del tempo con la necessita` della sua misurazione, grazie alla sottomissione del “divenire” alla legge della “forma” e dell’intelligibile» (cfr. F. Bosio, Il tempo e la misura del tempo, in Aa. Vv., Tempo e storia, cit., pp. 256-257). 66 Riassume i termini del dibattito E. Berti in Tempo, istante e anima in Aristotele, in Aa. Vv., Tempo e storia, cit. , pp. 23-25. Ricordiamo anche: F. Volpi, Chronos und Psyke. Die aristotelische Aporie von Physik IV, 223 a 16-29, in Aa. Vv., Zeit, Bewegung, Handlung. Studien zur Zeitabhandlung des Aristoteles, Stuttgart 1988, pp. 26-62; L. Conti, La metrica del tempo in Aristotele, in “Verifiche”, 7, 1978, pp. 371-413; L. Ruggiu, Anima e tempo in Aristotele, in Aa. Vv., Il tempo in questione, cit., pp. 37-62. Un approccio complessivo al problema del tempo in 65
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Qualcosa, dunque, dell’orizzonte classico evocato, e in particolare della posizione plotiniana, pur diversamente motivato e atteggiato, se non vediamo male, permane in Leibniz. Ma, per tornare allo spunto di partenza, tanto Plotino quanto Leibniz ci invitano a legare all’interno dell’anima tempo e inquietudine. Per entrambi l’anima, piu` che essere, ha da essere, e questa perenne insoddisfazione che la sospinge fuori di se´ genera una successione di stati che costituisce l’atto d’origine del tempo. Per entrambi, insomma, la vita dell’anima e` strutturalmente temporale. E`, per cio` che attiene al filosofo tedesco, al tema della durata che siamo con cio` richiamati. E` a partire da esso che, nel pensiero leibniziano, sono coglibili un rilievo e un significato nuovi dati alla nozione di tempo: Il fondo dell’anima – riassume icasticamente Andre´ Robinet della visione leibniziana – e` un tappeto frastagliato d’inquietudine, l’uneasiness. L’anima e` in stato di permanente squilibrio, di perdita del senso delle cose: niente puo` fissarsi che non sia soggetto a deperimento. Non esiste “stato” psichico, ma un divenire ritmico senza posa rinascente. Questa agitazione perpetua, che dona all’anima la sua propria “durata”, ben differente dall’astrazione del tempo, e` comparabile a quella del bilanciere di un pendolo 67 (Un-ruhe, non-riposo) . Aristotele e` inoltre quello di N. Abbagnano, La nozione del tempo secondo Aristotele, Lanciano 1933. 67 A. Robinet, Leibniz et la racine de l’existence, cit., p. 23. Sul pendolo, evocato da Robinet, e sull’esperimento di C. Huygens, Leibniz si sofferma in una precisa descrizione nella lettera a Sophie del 27 luglio / (6) agosto 1699 (cfr. A I, 17, 47). Anche E. Cassirer sottolinea l’originalita` della nozione di tempo leibniziana a partire dalla durata della monade, non senza coglierne l’incidenza sulle successive concezioni filosofiche della storia: «Nella filosofia di Leibniz il concetto di tempo acquista un significato e un’importanza nuovi. Per Spinoza, il tempo era un modo dell’immaginazione del tutto privo di valore filosofico. L’essenza delle cose, l’essenza di Dio e della natura, non possono venir descritte in termini del tempo e delle relazioni temporali. Esiste una sostanza, e questa sostanza e` posta al di sopra del tempo e non e` soggetta alle sue condizioni. Ma Leibniz definisce la categoria di sostanza in una maniera differente. Per lui una sostanza non e` soltanto una cosa persistente, che dura nel tempo. E` una cosa che evolve nel tempo, e l’evoluzione figura tra i predicati imprescindibili – e piu` importanti – di un’autentica sostanza. Leibniz e` un pluralista, non un monista. Per lui l’universo consiste di una pluralita`, o piuttosto di un’infinita`, di sostanze individuali, di monadi. E la monade non puo` venir concepita in maniera statica, come tale ch’e` in stato di quiete, ma va intesa e spiegata in modo dinamico. Le monadi non sono sostanze nel senso tradizionale, non sono cioe` cose poste al di la` del mutamento e del tempo; sono forze, sono centri di azione. E ciascuna di queste forze ha un suo proprio speciale indistruttibile carattere ... Mediante questa concezione, i due momenti apparentemente opposti dell’individualita` e dell’universalita`, del tempo e dell’eternita`, della durata e del mutamento, vengono definiti in un modo nuovo. Non piu` contrapposti l’uno all’altro, appaiono invece interconnessi, reciprocamente correlati. Furono questo nuovo
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Non c’e` durata – ha osservato anche Jacques Jalabert – che per il fatto che lo stato presente della monade esprime il suo passato e il suo avvenire. La durata e` una relazione di relazioni; essa e` un rapporto tra tutti i predicati relativi e transitori della sostanza. Non e` altra cosa che la serie di azioni della monade, in quanto tale serie sia rappresentata dalla monade stessa e considerata sotto il rapporto di successione68.
Relazione di relazioni, la durata e` dunque una sorta di tempo-gomitolo, o tempo-piega – tempo piegato, ripiegato e dispiegato, o anche “spiegazzato” – che avviluppa, per ripetizione e accumulo, in base al principio di inerenza dei predicati e in una sintesi ogni volta unica e irripetibile, la serie di percezioni della sostanza, tese tra memoria del passato, attenzione al presente e attesa dell’avvenire. Ecco come i §§ 10 e 12 della Monadologia esprimono il carattere dinamico delle sostanze-forza-centri di azione che sono le monadi e l’unicita` della sintesi temporale interna a ciascuna: 10. Je prends aussi pour accorde´, que tout eˆtre cre´e est sujet au changement, et par consequent la Monade cre´e aussi, et meˆme que ce changement est continuel dans chacune. 12. Mais il faut aussi, qu’outre le principe du changement il y ait un detail de ce qui change, qui fasse pour ainsi dire la specification et la variete´ des substances simples [GP VI, 608].
Su questo tempo “elastico” della monade ha potuto annotare anche E´milienne Naert: La monade concentra nella sua unita` non soltanto la molteplicita` dell’universo, ma anche i differenti momenti del tempo ... Prima di Bergson, Leibniz afferma la continuita` della durata nell’interiorita` di una sostanza concetto metafisico del tempo e questa valorizzazione metafisica dell’individualita` che si dimostrarono decisivi per l’evoluzione del pensiero storico. Nel caso di Leibniz, non le sue opere storiche, per ricche ed interessanti che siano in se´ prese, ma la sua metafisica generale ha aperto una nuova via alla storia» (E. Cassirer, Descartes, Leibniz e Vico, in Id., Simbolo, mito e cultura, tr. it. di G. Ferrara, Roma-Bari 1981, pp. 108-109). 68 J. Jalabert, La the´orie leibnizienne de la substance, cit., p. 132. Proprio al tempo presente della monade e alla sua densita` carica del passato e dell’avvenire fa riferimento questo limpido brano tratto da una lettera alla principessa Sophie del 5 (15) agosto 1699: «Car, pour monter un peu sur mes grands chevaux de Metaphysique, toute action et tout evenement e´tend sa liaison a` l’infini, tant a` l’egard des lieux, qu’a` l’egard des temps; ainsi comme l’absent est lie´ avec le present, de meˆme l’avenir est lie´ avec le passe´; de sorte qu’on peut dire que le temps present est gros de toutes les choses futures dont le monde accouchera avec le temps» (A I, 17, 53).
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che «esprime, benche´ confusamente, tutto cio` che accade nell’universo, passato, presente o futuro»69.
La monade, in effetti, corda tesa o tela elasticamente percettivoappetitiva, che vibra, riecheggia e agisce, fin dove puo`, rispondendo alle sollecitazioni che le provengono dall’intero universo che include e rispecchia, immersa in un pulviscolo fibrillante di variazioni minime, in un formicolı`o di percezioni confuse che agiscono come piccole molle, piccole scosse, o micro-stimoli pronti a esplodere, e` costituita da una forza che la orienta, quasi fosse un’ellisse agitata tra due fuochi, dall’oscurita` alla chiarezza, in cio` assecondando e precorrendo – come nota Ernst Bloch nel suo Prinzip Hoffnung – l’idea, peculiare delle Lumie`res, del mondo come processo di rischiaramento, i cui membri appartengono tutti alla Citta` illuministica, alla 70 schiatta che anela a pervenire dalle tenebre alla luce .
Moto, quello della monade, definito da una potenza che nutre il defectus, l’infirmitas propria di ogni sostanza, conquistando ad ogni istante la percezione successiva. Attraversata com’e` in ogni suo momento dall’infinita` attuale del continuum, come da un oceano che riverbera le sue correnti sulla piu` piccola onda, la vita della sostanza leibniziana e` dunque definita dal transito da un atto percettivo a un altro, da uno scorrere di rimandi – pur non privo di un centro nevralgico – teso ad afferrare, nell’istante seguente, quell’esistenza compiuta che pare sfuggire nell’attimo precedente, in vista di una piena perfezione. In luogo dell’astrazione intellettiva del tempo lineare, in questo senso, la durata e` realmente il tempo del destino, e del destino individuale, ove avviene la lettura della scrittura cifrata che la monade reca in se´ ab origine e che si tratta di portare dal virtuale all’attuale. Tempo e lettura, tempo ed ermeneutica, qui, viene da dire, omnino convertuntur. Cosı`, anche Martine de Gaudemar descrive efficacemente il fondo innato della monade, che rappresenta la base ontologica della durata e del tempo come fenomeni ben regolati: E´. Naert, Me´moire et conscience de soi selon Leibniz, Paris 1961, p. 59. Osserva anche H. Courte`s: «Il fondamento reale della durata e` la complicazione che, nella sostanza, impone l’unificazione necessaria dei suoi differenti stati. L’inerenza e` la ragione della ripetizione» (Le temps chez Leibniz, in SL, Sonderhefte, 24, La notion de nature chez Leibniz, Stuttgart 1995, p. 128). 70 E. Bloch, Il principio speranza, tr. it. di E. De Angelis e T. Cavallo, Milano 1994, vol. II, p. 994. 69
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La percezione e` dunque il modo di agire della potenza creata, cio` che fa un essere di una molteplicita`. L’attivita` della potenza e` essenzialmente un’attivita` percettiva o rappresentativa. Questa attivita` e` un progresso spontaneo, cio` che si traduce in uno sforzo continuo verso un esseremeglio. La potenza, sempre percettiva, e` dunque insieme “fondo” innato e strategia spontanea di sviluppo. La percezione della sostanza e` dispiegamento di quanto essa contiene in se´, come un ventaglio che si apra progressivamente, per impulsi successivi. E` come dire nel medesimo tempo che la percezione non e` muta rappresentazione, ma sforzo di sviluppo, cioe` appetizione. Percezione e appetizione sono i due versanti di una stessa realta` attiva che lavora allo sviluppo al cuore di ogni sostanza: la potenza. La potenza e` ugualmente rappresentativa, appetitiva o desiderante. E` quanto costituisce il suo orientamento naturale. Le percezioni di una creatura sono anche dei piccoli «impulsi», che tramano la sua spontaneita` gioiosa, tessono la sua vitalita`, sostengono la sua volonta` di progresso quando il soggetto si avvede del suo proprio movimento71.
Diventa chiara, a partire da cio`, la strutturale implicazione della temporalita` con la vita psichica della monade in quanto tendenza legalmente regolata a passare da una percezione all’altra, cio` che ne fa un flusso di rinvii senza fine in cui nulla e` isolato e tutto si compenetra: Car les sentimens presens – scrive Leibniz – sont une suite des sentimens precedens et tous ensemble suivent de la nature meˆme de l’ame, qui n’est essentiellement que cette tendance regle´e, de laquelle doit naistre spontanement une telle series de phenomenes ... [GP IV, 573]. Et comme tout present e´tat d’une substance simple est naturellement une suite de son e´tat precedant – recita la Monadologia § 22 –, tellement que le present y est gros de l’avenir [GP VI, 610].
Quelle «piccole molle che cercano di distendersi» agendo come impercettibili stimoli sulla “macchina” corporea, conferiscono alla materia, innervata com’e` di pieghe che si ripiegano e si dispiegano all’infinito, il tratto di una materia-forza, o di una “materia-molla”, compressa, e percio` pronta ogni istante a scaricarsi, a esplodere, dando luogo ai fenomeni sensibili secondo un dinamismo “eruttivo”, o di emissione, che in una lettera a Gilles Filleau des Billettes del 4/14 dicembre 1696 Leibniz paragona icasticamente a un «vento che soffia e che domanda tempo» e a una scarica di 72 un’«infinita` di archibugi a vento» . 71 72
M. de Gaudemar, Leibniz. De la puissance au sujet, Paris 1994, p. 106. Cfr. A I, 13, 374.
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Se il mondo e` cavernoso all’infinito – osserva Gilles Deleuze commentando il testo epistolare a G. Filleau des Billettes –, se esistono dei mondi anche nei corpi infinitesimali, e` perche´ vi e` «dappertutto una molla nella materia», che non testimonia soltanto della divisione infinita delle parti, ma della progressione nell’acquisizione e nella perdita del movimento, pur realizzando il mantenimento della forza. La materia-piega e` una materiatempo, i cui fenomeni sono come la scarica continua di un’«infinita` di archibugi a vento». E anche in questo si percepisce l’affinita` della materia con la vita, nella misura in cui e` quasi una concezione muscolare della materia che pone una sorta di molla dappertutto73.
Il corpo come molla compressa, come energia pronta a scaricarsi esplosivamente, a “schizzare”, per cosı` dire, della materia-tempo, delle schegge temporali, energia impetuosa come «un vent qui souffle» [A I, 13, 74 374] , che conosce un decorso asincronicamente composto di accelerazioni, inerzie, intensificazioni, arresti: e` certo questa temporalita` innervata nel tessuto vibrante dei corpi che conduce Ernst Bloch – un altro grande interprete contemporaneo, insieme a Deleuze, del filosofo seicentesco – a rinvenire in Leibniz, in opposizione a Newton, le premesse di una temporalita` elastica, energica, a diversa densita`, carica, proprio in quanto “compressa”, di futuro storico, riconosciuta in analogia allo spazio di Riemann e antinomica rispetto alla rigidita` neutra del tempo meccanico. Scrive in questo senso l’autore di Das Prinzip Hoffnung nel saggio Differenzierungen im Begriff Fortschritt: Leibniz ha fatto comprendere anche il tempo e non soltanto lo spazio come forma attiva delle forze e del loro movimento, come modo del movimento. Questa e` una concezione dinamica del tempo, e quindi, nelle sue conseguenze non considera le serie temporali della storia umana come immutabili e ovunque egualmente costituite. E in primo luogo essa vede una differenza fra i milioni di anni della preistoria (per non parlare dei miliardi di anni geologici e persino cosmologici) ed il paio di millenni di storia della cultura a partire dal periodo neolitico. Qui opera non soltanto una differenza cronometrica, ma in particolare una distinzione inerente alla densita` dell’essere-tempo, soprattutto strutturalmente qualitativa, in breve, una oggettiva variabilita` anche nella successione. Questo, con tutta la insopprimibile unita` di connessione dello sviluppo storico, connessione non 73
G. Deleuze, La piega, cit., pp. 10-11. Sull’idea di temporalita` in Deleuze, cfr. F. Zourabichvili, Deleuze. Una filosofia dell’evento, tr. it. di F. Agostini, Verona 1988, pp. 73-94. 74 Cfr. anche, sulla natura dei corpi e della materia, la lettera a G. F. des Billettes del 15/25 marzo 1697 in A I, 13, 655-657.
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lineare-temporale, bensı` anche cronologicamente differenziata e federativa, e solo cosı` utilmente centripeta75.
Analogamente, in Subjekt-Objekt. Erla¨uterungen zu Hegel, nel conferire a Leibniz un ruolo di rilievo nello sviluppo del metodo dialettico, Bloch fa riferimento alla condizione e al comportamento dei gas compressi, rinvenendo nelle monadi l’universalizzazione ontologizzante della legge che Mariotte, contemporaneo di Leibniz, aveva formulato. Mariotte aveva sostenuto che comprimendo un gas, riducendolo cioe` alla meta`, a un terzo, o a un quarto, la sua forza espansiva cresce proporzionalmente al livello di compressione. Analogamente avviene per la monade e la sua forza interna pronta a esplodere verso il futuro: I concetti con cui Leibniz espone questa inquie´tude poussante sono nello stesso tempo orientati, in modo altamente istruttivo, sul comportamento dei gas, di questi corpi assolutamente espansivi. Se cioe` un gas, a temperatura costante, viene compresso fino a raggiungere la meta`, un terzo, un quarto ecc. del suo volume, la sua tendenza espansiva cresce del doppio, del triplo, del quadruplo ecc. E quindi secondo la legge che Mariotte, il contemporaneo di Leibniz, aveva formulato nel 1686: la pressione di una massa di gas e` inversamente proporzionale al suo volume. Leibniz universalizzo` dunque questa legge pan-energetica, collego` la tendenza delle sue monadi direttamente alla forza espansiva inibita, e piu` ancora, collego` questa forza espansiva al futuro. Come esempio di cio`, egli sceglie la resistenza che e` propria anche dei corpi solidi, elastici, non appena vengono sottoposti a pressioni o a deformazioni. Questa resistenza non corrisponde certo in alcun modo alla pressione esercitata da un gas, poiche´ le molecole mobili, incoerenti di un gas, anche senza essere compresse, anche su un ambito relativamente vasto, esercitano una pressione, ma ad essa e` proprio quell’accrescimento mediante compressione, che e` stato dapprima formulato come legge dei gas. Dice percio` Leibniz con un paragone audacissimo fra futuro e spazio libero: «Come in un corpo elastico che viene compresso, la sua dimensione piu` grande e` presente come tendenza, cosı` nella monade il suo stato futuro». Leibniz usa anzi, in una risposta a Bayle del 1702, un’espressione che in modo curiosamente anticipatorio accosta il modo d’essere dell’attivita` inibita alla tendenza
75 E. Bloch, Differenziazioni nel concetto di progresso, in Id., Dialettica e speranza, tr. it. di G. Scorza, Firenze 1967, p. 27. Un’analisi del saggio blochiano si trova in R. Bodei, Multiversum. Tempo e storia in Ernst Bloch, Napoli 1979, p. 117 sgg. (su Leibniz-Newton v. pp. 138-139). Sul tempo, di Bloch cfr. anche Experimentum mundi. La domanda centrale. Le categorie del portar-fuori. La prassi, tr. it. di G. Cunico, Brescia 1980, p. 117 sgg.
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verso la nascita: «Si puo` dire che nell’anima, come in tutti gli altri luoghi, il presente cammina gravido del futuro»76.
Certo, l’interpretazione blochiana coglie nel segno sottolineando che l’apporto recato da Leibniz ai successivi processi di storicizzazione del tempo corrisponde all’idea di una temporalita` prodotto della forza individuale, inscindibile da corpi ed eventi, apporto tanto piu` evidente se lo si pensa in opposizione al tempo assoluto di Newton. A cio` si potrebbe aggiungere che, come ha osservato Deleuze, la durata come avviluppamento temporale della monade, come connessione dinamica, come morale 77 stessa della monade e` una delle radici della teoria del progresso, di una temporalita`, cioe`, dinamica, fluida, che conosce salti, interruzioni, urti, regressi, rivoluzioni. Tuttavia, occorre non dimenticare che l’analisi di Bloch, mentre illumina – analogamente in questo alle osservazioni di Deleuze – la sorgente corporea, energetica della temporalita` leibniziana, il senso della durata vissuta, valorizzandone la spinta utopica, l’apertura al futuro e a possibili accelerazioni, lascia in ombra la concezione leibniziana del tempo come concetto dell’intelletto, come ordine intellettivo, che condivide con quello newtoniano, secondo quanto hanno sottolineato interpreti come Cassirer e Pomian, i tratti dell’oggettivita`, dell’uniformita`, dell’omogeneita`. In realta`, come si e` evidenziato in precedenza, se e` vero che il tempo in Leibniz rinviene la sua radice nell’azione percettivo-appetitiva della monade, e` altresı` vero che esso si definisce anche come ordine intellettivo neutro, omogeneo, uniforme. Cosı` da dover concludere che nella temporalita` leibniziana coesistono due versanti (quasi avesse “due facce”, secondo quanto Dilthey rileva in generale della psicologia leibniziana: l’una orientata al nuovo, a «preparare la concezione storica del mondo», l’altra avviluppata 78 nel solipsismo della monade ), i quali, per quanto saldati in modo tale da 76
E. Bloch, Soggetto-oggetto. Commento a Hegel, tr. it. di R. Bodei, Bologna 1975, p. 135. Cfr. G. Deleuze, La piega, cit., p. 111. Sostiamo sul tema del progresso nei suoi nessi con l’etica nel capitolo terzo § 5. 78 «Allo stesso modo – scrive Dilthey – anche la psicologia del Leibniz presenta due facce. Essa e` animata dai grandi pensieri dell’individualita` e del suo speciale valore, dell’evoluzione che nelle unita` vitali causa, secondo una legge in essa insita, la serie successiva degli stati, e grazie a tali princı`pi assume importanza di prim’ordine nel corso evolutivo della psicologia. E un grande progresso ha luogo anzitutto in cio` che riguarda la funzione della psicologia in rapporto alle scienze dello spirito. Il rigido sistema naturale si trasforma: il Leibniz prepara la concezione storica del mondo. Ma poiche´ l’unita` vitale non riceve dall’esterno alcun impulso, che comunichi un nuovo contenuto, si perde la grande relazione fra la vita strutturale dell’anima e l’ambiente, e l’evoluzione degrada ad esser semplice forma di spiegazione di cio` 77
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formare due gradi di un unico ordine ascensivo, non possono, a uno sguardo critico, non apparire segnati da una «Kluft» (G. Bo¨hme). E questo, a partire dall’evidenza cruciale della loro differente determinazione categoriale, per cui la durata e` una proprieta` della monade, aderisce ad essa come percezione concreta, come vissuto esistenziale, mentre il tempo e` un’idea di relazione, un ordine successivo, astratto di un’astrazione di secondo grado, due volte lontano, dunque, dalla vita della sostanza, per quanto pur sempre in essa radicato. Evidenza, del resto, confermata dalla profonda eterogeneita` dei giudizi critici, ora polarizzati, come in Bloch e Deleuze, sull’aspetto “elastico” del tempo-piega-durata, fonte di dislivelli temporali, di non-contemporaneita`, di asincronia (Ungleichzeitigkeit)79, ora, come in Cassirer, orientati a sottolineare la purezza intelligibile e formale del tempo, vicina ai concetti logici e matematici. Entrambi gli aspetti, dunque, e in una forma del tutto conciliata, si trovano in Leibniz: se da un lato sta la durata individuale, l’irrequieta e vitale connessione dinamica del cui principio metamorfico, organicistico, si impadronira` lo spirito romantico-storicistico di Herder, di Goethe, in una linea che va fino a Spengler, dall’altro, a “intellettualizzare” la durata, a costringerla prontamente in un letto di Procuste che finisce per renderla indifferente all’individualita` e per geometrizzarla secondo una linea retta articolata in intervalli uniformi, si pone il tempo-concetto, il tempo-ens rationis, ideale quanto vero, che assurge a idea innata, a essenza divina. Solo l’unione di questi caratteri – corrispondenti ai gradi di chiarezza e distinzione che, secondo il movimento della conoscenza, procedono dal sensibile al puro intelligibile, dalle rappresentazioni empiriche alle verita` razionali e scientifiche – costituisce l’intera dottrina leibniziana della temporalita`:
che l’unita` vitale contiene» (W. Dilthey, L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura. Dal Rinascimento al secolo XVIII, cit., vol. II, p. 275). 79 Sul concetto di Ungleichzeitigkeit cfr. R. Bodei, Multiversum, cit., cap. 1; Id., Introduzione a E. Bloch, Filosofia del Rinascimento, tr. it. Bologna 1981, pp. 13-14. Si veda anche l’Introduzione di L. Boella a E. Bloch, Eredita` del nostro tempo, tr. it. Milano 1992, pp. IX-XXIII. La Parte seconda di questa opera (Non-contemporaneita` e inebriamento) e` particolarmente rilevante per il concetto in questione. Infine, per una interpretazione complessiva di Bloch, rinviamo ai volumi di G. Cunico Essere come utopia. I fondamenti della filosofia della speranza di Ernst Bloch, Firenze 1976; Critica e ragione utopica. A confronto con Habermas e Bloch, Genova 1988.
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Il tempo, che e` vero, e la durata, che e` reale – ha sintetizzato Huguette Courte`s –, sono la doppia faccia, astratta e concreta, di una sola forma di ordine, quella di un universo completo80.
Cio` che, sul piano critico, risulta comunque evidente e` che in Leibniz lo stato fluido, flessibile, metamorfico, della durata individuale, nel suo inerire a un corpo-piega, a un corpo-molla, a un corpo liquido o gassoso, che, come tale, viaggia a diversa velocita`, si dilata, si contrae, scorre, trabocca, gocciola, esplode, filtra, tracima, cola, e cosı` via – cifra, in cio`, di un aspetto essenziale della modernita` nel suo “liquefare” gli ordini gerarchici metafisici e teologici scanditi negli immutabili gradi di un essere in se´ compiuto, 81 propri dell’Antichita` e del Medioevo – appare prontamente irregimentato nei quadri di un tempo omogeneo e uniforme. Il corpo elastico si pietrifica presto in un corpo (meglio, in un intelligibile) solido, che guadagna in precisione e nitore di contorni ma perde in malleabilita` e concretezza individuale. Troppo presto, tra l’altro, per ispirare una innovativa temporalita` storica. Cio` che non gli impedisce, nondimeno, come vedremo, di
80
H. Courte`s, Le temps chez Leibniz, cit., p. 127. La suggestione concettuale di una “modernita` liquida” ci viene da un brillante saggio del sociologo Z. Bauman, Modernita` liquida, tr. it. di S. Minucci, Roma-Bari 2002, la cui analisi, seppur riferita alla fase piu` recente della modernita`, quella che stiamo attraversando, ammette che la modernita` e` stata fin dall’inizio un “processo di liquefazione”. «“Fondere i corpi solidi» non e` forse stato il suo passatempo preferito e il suo principale successo? In altre parole, la modernita` non e` forse stata “fluida” sin dalla nascita?» (p. VII). Ma, nell’immagine della liquefazione cio` che si intende non e` altro che quel processo che attraversa l’intero pensiero moderno, e che P. Piovani qualificava in termini di «decosmologizzazione», «smantellamento di quell’ordine in cui l’Essere, per assicurarsi stabilita`, aveva cercato una struttura inglobante» (Oggettivazione etica e assenzialismo, cit., p. 102). E acutamente Piovani osserva nella filosofia leibniziana quella medesima ambivalenza da noi rilevata nella nozione di temporalita`, nella quale l’individualita` e la elasticita` della durata intimamente legata alla vita della monade viene prontamente catturata nei quadri astrattamente razionali del tempo intellettivo (cfr. ivi, pp. 106-107). Cfr. anche Giusnaturalismo ed etica moderna, cit., pp. 108-109. Affinche´ il senso della durata della monade come tempo vissuto, come principio metamorfico di forza e di esistenza individuale, portasse i copiosi frutti che Lessing prima, e lo storicismo dei W. von Humboldt, degli Herder, dei Goethe, degli Spengler, nonche´ lo stesso esistenzialismo kierkegaardiano, poi, avrebbero saputo cogliere, sarebbe stato necessario, per usare ancora le parole di Piovani, offrire alle autonomie monadiche porte e finestre con cui comunicare, «col programma esplicito di stabilire una libera armonia e di negare ogni forma di armonia prestabilita» (Piovani, Conoscenza storica e coscienza morale, cit., p. 163). Di Piovani su Leibniz, si vedano, nel medesimo libro ora citato, le pp. 16-17, 49-50, 220-221. Cfr. infine le brevi ma illuminanti osservazioni contenute in Scandagli critici, Napoli 1986, pp. 53-55; 235. 81
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affiorare nella considerazione piu` speculativa della storia di Leibniz, nonche´ nella sua configurazione del progresso universale. Cosı`, Michel Serres ha osservato in Genesi a proposito del molteplice, degli aggregati in Leibniz: [Leibniz] ha avuto il merito di farli vedere, anche se li ha disprezzati accordando loro lo statuto di un mucchio di pietre, anche se li ha fatti tacere ordinandoli in armonia82.
Viene da applicare questo stesso rilievo critico alla durata, anch’essa ammasso disordinato di stati momentanei («multitude des estats momentane´s ... amas d’une infinite´ d’eclats de la Divinite´»): Leibniz la mostra, la descrive, intuisce il rumore che sta al fondo del tempo, coglie la sua originaria natura eruttiva, elastica, il suo scaturire dal fondo della monade, dall’intrecciarsi ermetico delle sue infinite pieghe – lui che, come osserva Gadamer, ha dischiuso allo spirito tedesco quell’idea di forza dinamica 83 interna all’anima che, da allora, appartiene all’essenza del Geist germanico . Ma poi tratta la durata, sul piano gnoseologico, come un semi-essere, un semi-tempo, un oggetto non ben formato, che ha bisogno di essere integrato in un ordine mentale superiore. L’immaginazione, la facolta` conoscitiva da cui trae origine l’esperienza della durata, e` ancora troppo “inquinata” dai sensi, dal loro offrirci informazioni “a raffica”, in modo discontinuo. Occorre percio` una funzione di temporalizzazione a priori che riconduca il disordine all’ordine, il brusı`o indistinto all’armonia, il multiplo al concetto. Il testo dei Nouveaux essais II, 14, 16, gia` ricordato, non lascia dubbi in proposito: cio` che fa obiezione a Leibniz e` l’incostanza e non-uniformita` della durata, la sequenza irregolare e ondeggiante delle percezioni, le quali, al massimo, evocano, risvegliano, ma non costituiscono, l’idea di tempo, indeducibile, dunque, dalle impressioni sensibili. La durata riveste, quindi, nel suo statuto di “semi-essere” e di “semi-tempo” fluttuante, multiplo, obliquo, nulla piu` che una funzione evocativa, analogamente alle pietre o ai legni “quasi” uguali che risvegliano, per Platone, l’idea di Uguale in se´. Il passaggio dalla durata concreta al tempo-ens rationis, consistera`, dunque, nel riportare il movimento difforme della prima al mutamento uniforme del secondo, la varieta` discontinua alla 82
M. Serres, Genesi, tr. it. di G. Polizzi, Genova, 1988, p. 73. Acute riflessioni sul tempo sono rinvenibili anche in M. Serres, Chiarimenti. Cinque conversazioni con B. Latour, tr. it. di A. Colletta, Manduria (Ta) 2001, p. 52 sgg. 83 Cfr. H.-G. Gadamer, Gottfried Wilhelm Leibniz, in “aut aut”, 1993, cit., p. 14.
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linea continua. Cio` che equivale a ridurre il tempo vissuto, il tempo qualitativo degli eventi a ordinata sequenza, a cronometria. Vedremo oltre come proprio questo modello di temporalita` sia alla base della forma annalistica della storiografia praticata da Leibniz. Egli, prosegue Serres, era tanto profondo da non negare, il disordine, la noise, il rumore e il furore84,
ma poi volge le spalle al discontinuo, cede alla razionalistica necessita` di piegare il multiplo a ordini successivi di integrazione razionale, al giusnaturalismo della direzione lineare e continua delle idee dell’intelletto, fino ad ascendere ai vertici icnografici del «sie`ge de Dieu», dove ogni prospettiva si dissolve nella visione dell’intero. L’ordine intellettivo del tempo, in questo senso, rappresenta un grado dell’ascesa scalare fino a quella cupola icnografica, dove il tempo si dissolve in eternita`. Resta la gloria di aver mostrato un tempo-forza, un tempo-energia che si nutre della turbolenza della monade e vien fuori dal rumore di fondo delle percezioni inconscie, dal tappeto ondeggiante e dalla filigrana sottilissima delle micro-percezioni e delle micro-appetizioni che tramano l’individualita`: tempo-Unruhe, tempo-eruzione, tempo-turbolenza, che la Rivoluzione francese – ma gia` incoativamente l’eta` della crisi della coscienza 85 europea – avrebbe sperimentato come energia di accelerazione storica e 84
M. Serres, Genesi, cit., p. 94. E` P. Hazard a descrivere il periodo da lui caratterizzato come «eta` della crisi della coscienza europea» (1680-1715), che e` altresı` l’eta` in cui matura il pensiero di Leibniz, come un’eta` di accelerazione storica. Un segnale tra i tanti di simile accelerazione, finemente descritto nel primo capitolo della Prima parte de La crise de la conscience europe´enne (Dalla stabilita` al movimento, tr. cit., pp. 19-47), e` costituito dall’incremento dei viaggi in tutta l’Europa, ma anche in America, in Africa, in Asia: «I grandi classici erano sedentari. Gli erranti furono il Voltaire, il Montesquieu, il Rousseau» (Id., La crisi della coscienza europea, cit., p. 22). Anche Leibniz, come e` noto, fu grande viaggiatore, dai tempi giovanili del soggiorno parigino (1672-76), fino al viaggio intrapreso tra il 1687 e il 1690 alla ricerca di documenti sull’origine della casata di Braunschweig. Viaggiatore cosı` instancabile da cadere vittima, negli ultimi anni della sua vita, di quell’odioso “Reiseverbot” comminatogli dal duca di Hannover, divenuto re Giorgio I d’Inghilterra, per non aver portato a termine l’incarico storiografico assegnatogli. L’episodio potrebbe essere assunto come cifra della frontiera tra i due mondi e i due tempi in cui Leibniz si trova a vivere: quello feudale, immobile, statico, della corte di Hannover, che inchioda Leibniz al lavoro di Haushistoriker annalista, e quello, presentito dal genio leibniziano, della nascente Neuzeit e di una piu` dinamica storicita`. Sulla modalita` leibniziana di viaggiare, si sofferma icasticamente A. Robinet in G.W. Leibniz. Iter italicum (Mars 1689- Mars 1690), cit.: «In fatto di turismo, Leibniz non ha visto nulla. Non uno sguardo all’Italia monumentale appena uscita dal Cinquecento e in piena costruzione 85
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potenza di cambiamento. Ci sembra, in effetti, che nel tempo concreto e rigorosamente individuale della monade, dove non esistono due tempi effettivi uguali, si prefiguri l’idea di un tempo storico che vien fuori dagli eventi stessi, come prodotto del loro peculiare svolgersi, anziche´ porsi come mero spazio dell’accadere. Resta, in questo senso, il merito di aver mostrato che il tempo misurato e uniforme presuppone un tempo disordinato, caotico, multiplo, plastico, in profonda consonanza, tra l’altro, con quanto le ricerche antropologiche 86 contemporanee attestano sull’origine del tempo nelle culture primitive . Di
del Seicento. Il colpo d’occhio intellettuale trapassa luoghi e tempi concreti per intrecciarne le coordinate. La radiografia culturale gli interessa: Roma non e` piu` dentro Roma. Noi siamo al corrente degli incontri tra sapienti in un bar di via della Pace, ma nulla sui lavori di Bernini che finiscono. Noi non attraversiamo Piazza Navona che per recarci a qualche conversazione scientifica; un palazzo e` un’Accademia! Leibniz conosce tutto della biblioteca di Magliabechi, si reca dal suo albergo fiorentino al suo palazzo senza una parola sulla citta`. Il giardino di Boboli e` la radice del Ginseng ... Del palazzo dei duchi di Modena noi non abbiamo menzione che per la piccola camera in cui lo si era collocato per facilitare la consultazione degli archivi della Casata d’Este. Ha degli incontri a S. Marco o a S. Giorgio: ma non sembra essersi reso conto che Venezia era una citta` d’arte. A Napoli sentira` il Vesuvio e respirera` alla Solfatara: ma il Regno e` soprattutto la regina Giovanna!» (ivi, p. 2). Del tutto appropriato, percio`, sembra parlare del viaggio di Leibniz come di una ArchivBibliothekreise! Un fine affresco del mondo dei viaggiatori tra il Cinquecento e il Seicento e` quello di A. Maczak, Viaggi e viaggiatori nell’Europa moderna, tr. it. di R. Panzone e A. Litwornia, Roma-Bari 2000. Per l’eta` dell’Illuminismo, cfr. D. Roche, Viaggi, in Aa. Vv., L’Illuminismo. Dizionario storico, a cura di V. Ferrone e D. Roche, Roma-Bari 1998, pp. 351-360. Sull’eta` della crisi della coscienza europea come acceleratore e moltiplicatore di energie in vista dei Lumi si e` soffermato P. Chaunu, La civilta` dell’Europa dei Lumi, tr. it. di T. Capra, Bologna 1987. «Il XVII secolo – scrive lo studioso – ha preparato l’azione del moltiplicatore dei Lumi» (ivi, p. 235). Sul tempo nella Rivoluzione francese, cfr. B. Baczko, L’utopia. Immaginazione sociale e rappresentazioni utopiche nell’eta` dell’illuminismo, tr. it. di M. Botto e D. Gibelli, Torino 1979 (in part. cap. IV). Del medesimo autore, ricco di suggestioni sull’eta` dei Lumi e` anche Giobbe amico mio, cit. 86 Un filosofo francese di fine Ottocento, J.-M. Guyau, osserva che la nostra mente concepisce il tempo anzitutto in modo discontinuo, a sbalzi, frammentariamente, e solo in seguito perviene a elaborare una concezione continua della temporalita` (cfr. Guyau, La genesi dell’idea di tempo, tr. it. Roma 1994). Inoltre, il primo saggio sociologico a trattare del rapporto tra tempo e societa`, scritto nel 1909 da H. Hubert, allievo di Durkheim, giunge ad analoghe conclusioni all’interno di un’analisi delle rappresentazioni temporali nella religione di alcune popolazioni primitive europee. Qui, l’astrazione da cui nasce la nozione di un tempo quantitativo, oggettivo e neutro viene rappresentata come l’esito di un processo che ha progressivamente separato dalle cose il tempo qualitativo e semi-concreto (H. Hubert e M. Mauss, La rappresentazione del tempo nella religione e nella magia, in E. Durkheim, H. Hubert, M. Mauss, Le origini dei poteri magici, tr. it. di A. Macchioro, Milano, 1999, pp. 93-127).
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aver mostrato, dunque, che cio` che la linea del tempo isocrono divide in intervalli, separa e allontana secondo distanze uniformi, la piega della successione e della durata individuale sovrappone, confonde, avvicina, accavallando sopravvivenze e anticipazioni, forme lente e ritardatarie e forme ardite e rapide, cosı` che il presente puo` ben custodire in se´ un passato che non passa e un futuro che gia` c’e`. Nel ridurre il tempo alla teoria della linea e degli intervalli, Leibniz mostra che il tempo non e` originariamente unilineare, ma innervato delle innumerevoli pieghe della monade, percio` plasticamente “piegato” in modi infiniti. La piega, incalcolabile e incatturabile in una misura alla stregua del «vent qui souffle et qui demande du temps», annulla l’intervallo, operando imprevedibili variazioni e connessioni. Le pieghe esigono tempo, dal momento che non potrebbero dispiegarsi «in un sol tratto» (tout d’un coup) (cfr. Monadologia § 61; GP VI, 617), ma il tempo, da esse stesse prodotto, e` originariamente elastico, plastico, fluido. La linea e la piega, dunque, disegnano i due versanti della temporalita` leibniziana, corrispondenti al tempo come idea dell’intelletto e come durata vissuta. Anche rispetto a tale concezione del tempo, nell’unita` dei due volti che ne fanno un’erma bifronte, sembra dunque confermarsi il giudizio espresso da Antonio Corsano, che ha visto nel pensiero leibniziano un campo di forze in lotta che collidono, le une volte al passato, le altre precorritrici del futuro: Il Leibniz rimase ... stranamente sospeso al crinale tra questi due mondi, quello della classica fiducia nella ragione esatta, nella scienza delle verita` necessarie ed eterne, imprescrittibili ed imperibili, e quello dell’individuo, scandalo e problema insolubile, e limite invalicabile per la ragione analitica, indecifrabile groviglio di predicati-significati e di caratteri reali, che la ragione rinunzia a penetrare e pienamente spiegare87.
Lo stesso Bloch, del resto, ha limpidamente riconosciuto che il fecondo seme latore di futuro potentemente operante nella filosofia leibniziana e` ben lungi dall’essere esente da impedimenti teoretici: non solo, tra questi, 88 l’idea di anamnesi, barriera frapposta al vero futuro, all’autentica novitas , 89 ma altresı` la fedelta` al senso di un «ordo sempiternus rerum» , che proprio
87 88 89
A. Corsano, G.W. Leibniz, cit., pp. 134-135. E. Bloch, Il principio speranza, cit., II, p. 998. Ivi, I, p. 163.
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la forma storiografica annalistica, con i suoi quadri temporali statici, additivi, immutabili, riflette esemplarmente. D’altronde, se Leibniz avesse applicato alla propria opera storiografica il tempo-durata, il tempo-connessione metamorfica, conferendogli piena dignita` gnoseologica e spessore di coscienza storica, invece che disporlo come un grado inferiore, secondo il modello classico di conoscenza, lungo una linea di graduale attingimento di distinzione e di nitore razionale, egli sarebbe annoverabile non gia` tra i precursori, secondo la nota collocazione di F. Meinecke, ma tra fondatori dello Historismus. Quando, in effetti, nel suo Lebenswerk del 1922 Der Historismus und seine Probleme, Ernst Troeltsch definisce in termini classici la natura del tempo storico opponendola al tempo meramente cronologico e spaziale, non e` difficile avvedersi dell’impiego di formule che paiono quasi uscire dalla penna di Leibniz, tanto sono affini alla determinazione della durata della monade, con la differenza, pero`, che esse, affrancatesi dalle barriere concettuali che nel filosofo seicentesco ne ostacolavano la piena affermazione, sono diventate la categoria temporale con cui pensare la logica e la metodologia della storia: E questa distinzione – scrive Troeltsch –, a un livello piu` profondo, conduce, infine, a un diverso concetto di tempo, che sta alla base del divenire concepito dalle scienze naturali e di quello concepito dal punto di vista storico. Il primo dipende dallo spazio e dal movimento spaziale, quindi dal concetto di causalita`; il secondo dal senso interno e dalla memoria che dispone di contenuti sia spaziali che non spaziali, e li pone al servizio dell’orientamento del presente e verso il futuro. Il primo concetto di tempo scinde il tempo in singoli periodi esattamente delimitati e in singoli eventi situati in questi periodi; il che, in ultima istanza, e` possibile solo riducendo il tempo a eventi spaziali. Il tempo storico indica, invece, un flusso, in cui niente e` isolato e separato, ma ogni cosa passa nell’altra; passato e futuro si compenetrano; ogni presente porta in se´, in modo produttivo, passato e futuro ad un tempo, e non e` possibile in generale una misurazione, ma soltanto cesure che vengono ordinate piu` o meno arbitrariamente secondo connessioni e grandi trasformazioni di senso. La riduzione cronologica di questi eventi al tempo spaziale o solare e` solo uno strumento di orientamento estrinseco e grossolano, che non ha niente a che fare con la scansione interiore, con la lentezza o la velocita` interiori90.
90
Cfr. E. Troeltsch, Lo storicismo e i suoi problemi, cit., vol. I, p. 100 (corsivo nostro). Sul problema del tempo storico nello Historismus, cfr. G. Cacciatore, Historismus e mondo moderno: Dilthey e Troeltsch, in Id., Storicismo problematico e metodo critico, Napoli 1993, in part. p. 177 sgg.
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Non e` nostra intenzione, qui, indagare la Wirkungsgeschichte leibniziana all’interno dello Historismus, cio` che esigerebbe un’indagine a se´, del resto gia` svolta91, ma avvalorare una qualche continuita` tra l’intuizione leibniziana del tempo-forza, del tempo-durata interno alla monade e cio` che sara` il nuovo senso della temporalita` storica in pensatori come Troeltsch, Dilthey, Meinecke, Spengler, e prima ancora come Herder, W. von Humboldt, Goethe, Ranke. Naturalmente, affinche´ si affermasse pienamente la nozione di un tempo storico – nel suo sprigionarsi dalla pressione interna agli eventi piuttosto che dalla pura cronologia, come gia` chiedeva Kant92, nel suo soppiantare l’ottusa cronologia materiale con una piu` alta e piu` vera cronologia, scaturente dal di dentro degli avvenimenti – occorreva che la stagione dell’Illuminismo erodesse definitivamente quei presupposti giusnaturalistici che in Leibniz appaiono sı` scossi e affievoliti, ma ancora cosı` efficacemente operanti da sovrastare e soffocare, come una corazza protettiva, i frutti individuali dello spirito. Erosione tale da consentire sul terreno storiografico – come icasticamente scrive Dilthey ne Il secolo XVIII e il mondo storico – alla «forza della soggettivita`» di «fare il suo ingresso nel regno di Tillemont e di Muratori» (e, potremmo certo aggiungere, di Leibniz)93, secondo quanto avviene tra l’Essai sur les moeurs di Voltaire (1756) e l’Esquisse d’un tableau historique des progre`s de l’esprit humain di Condorcet (1794), per trionfare definitivamente tra Herder, W. von Humboldt e Schleiermacher.
91
Si veda l’Introduzione di R. Bonito Oliva a Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit., intitolata Incidenza di Leibniz sul Historismus: Humboldt, Dilthey, Troeltsch, pp. 11-71. Di rilievo, in questo volume, che contiene i due saggi di W. Dilthey, Leibniz e il suo tempo (1900), E. Troeltsch, Leibniz e gli inizi del Pietismo (1902), e` anche la Presentazione di F. Tessitore alle pp. 7-9. 92 ` E R. Koselleck a richiamare il testo dell’Antropologia pragmatica kantiana § 36 («Come se – scrive Koselleck – la cronologia non dovesse orientarsi secondo la storia, ma, viceversa, la storia secondo la cronologia») in Futuro passato, cit., p. 47 e p. 277. 93 W. Dilthey, Il secolo XVIII e il mondo storico, cit., p. 57.
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4. – Precisazioni sulla durata dal punto di vista gnoseologico, ontologico e metafisico. Gli e´clats de la Divinite´ e la prova dell’esistenza di Dio. Durata “icnografica” e durata “scenografica” Si rende necessario, ora, ritornare alla durata nella prospettiva peculiare di Leibniz sostando su ulteriori testi non ancora analizzati. Uno dei piu` densi di suggestioni e` certo quello leggibile nella lettera del filosofo alla principessa Sophie del 31 ottobre 1705, cui si e` gia` fatto riferimento, che ci introduce tout court nel mezzo del problema gnoseologico e ontologico della durata: La matiere nous paroist un continu, mais elle le paroist seulement, aussi bien que le mouvement actuel. C’est comme la poussiere d’albastre paroist faire un fluide continuelle, quand on la fait bouillonner sur le feu, ou comme une roue dentelle´e paroist un diaphane continuel, lorsqu’elle tourne avec beaucoup de vistesse, sans qu’on puisse discerner l’endroit des dens de l’endroit vuide entre les dens, notre perception unissant les lieux et les temps separe´s. On peut donc conclure qu’une masse de matiere n’est pas une substance veritablement, que son unite´ n’est qu’ideale, et que (l’entendement mis a` part) ce n’est qu’un aggregatum, un amas, une multitude d’une infinite´ de veritables substances, un phenomene bien fonde´, ne donnant jamais un dementi aux regles des pures mathematiques, mais contenant tousjours quelque chose au dela`. Et l’on peut conclure aussi que la dure´e des choses, ou la multitude des estats momentane´s, est l’amas d’une infinite´ d’eclats de la Divinite´, dont chacun a` chaque instant est une creation ou reproduction de toutes choses, n’y ayant point de passage continuel, a` proprement parler, d’un estat a` l’autre prochain [GP VII, 564].
Partiamo da alcuni rilievi di ordine gnoseologico. Evidente si mostra, nella logica di questo brano, l’inerenza della durata a quel continuo immaginario esemplificato nella polvere di alabastro, che «pare formare un fluido continuo quando la si fa bollire sul fuoco», o nella ruota dentata, come quella degli orologi, che «sembra un continuo diafano quando gira a gran velocita`» e i cui denti finiscono, nella percezione che se ne ha, per sparire e 94 riempire gli intervalli esistenti . La durata, in questo senso, come gia` 94
Alla ruota dentata, e specificamente degli orologi, Leibniz fa riferimento anche nei Nouveaux essais IV, 6, 7: «C’est a` peu pre`s, comme on ne sauroit demeler l’ide´e des dens de la roue c’est a` dire de la cause, dans la perception d’un transparent artificiel que j’ay remarque´ chez les horlogers, fait par la promte rotation d’une roue¨ dentele´e; ce qui en fait disparoitre
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sottolineato, si rivela come un’astrazione, un fenomeno ben regolato, un apporto cognitivo recato dal senso interno, o immaginazione, e ottenuto grazie alle nozioni del senso comune – come figura, estensione, massa, moto – che l’immaginazione conserva accanto alle impressioni sensibili, combinandole, richiamandole, elaborandole. Astrazione, la durata, ancora confusa e imperfetta nella formazione di quel continuum ideale che sara` costituito dal tempo, frutto di un superiore grado conoscitivo, e percio` di un maggiore grado di distinzione, affrancato dalla sensibilita`, al contrario dell’immaginazione, che coi sensi intrattiene solidi commerci. Tre, in effetti, appaiono nella teoria della conoscenza leibniziana, i piani nozionali: Il y a donc trois rangs de notions – spiega Leibniz nella celebre lettera a Sofia Carlotta «touchant ce qui est independant des Sens et de la Matiere» –: les sensibles seulement, qui sont les objets affecte´s a` chaque sens en parliculier, les sensibles et intelligibles a` la fois, qui appartiennent au sens commun, et les intelligibles seulement, qui sont propres a` l’entendement. Les premieres et les secondes ensemble sont imaginables, mais les troisiemes sont au dessus de l’imagination. Les secondes et les troisiemes sont intelligibles et distinctes; mais les premieres sont confuses, quoyqu’elles soyent claires ou reconnoissables [GP VI, 502]95.
E` noto che, per Leibniz, gli spiriti razionali condividono con gli animali superiori la facolta` dell’immaginazione e la capacita` memorativa, essendo questi ultimi, in forza di una memoria empirica, elementare, in grado di richiamare immagini di sensazioni passate, di fissare connessioni e concatenazioni tra dati passati e presenti, formandosi, con cio`, anche delle aspettative concernenti l’avvenire. Il celebre esempio del cane e del randello, la cui vista ricorda all’animale le bastonate subite in un’occasione precedente les dens, et paroitre a` leur place un transparent continuel imaginaire compose´ des apparences successives des dents et de leur intervalles, mais ou` la succession est si promte que notre phantaisie ne la sauroit distinguer. On trouve donc bien ces dens dans la notion distincte de cette transparence, mais non pas dans cette perception sensitive confuse, dont la nature est d’e´tre et demeurer confuse» [A VI, 6, 403]. Un ulteriore esempio di continuita` generata dall’immaginazione e` quello del tizzone ardente fatto roteare rapidamente nel buio, che si trova in un inedito leibniziano (De calculo situs, de phaenomenis corporeis) pubblicato da E. Pasini in Corpo e funzioni cognitive in Leibniz, Milano 1996, p. 209. Al tema dell’immaginazione il saggio di Pasini dedica un capitolo specifico (Le funzioni dell’immaginazione, pp. 146-204). 95 Una disamina di questo testo e della posizione dell’immaginazione in Leibniz si trova in M. Mugnai, Introduzione alla filosofia di Leibniz, cit., p. 71 sgg.
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determinando un’istintiva reazione di paura, di fuga o di difesa, e` direttamente legato a questa problematica: La memoire – si legge nella Monadologia § 26 – fournit une espe`ce de Consecution aux Ames, qui imite la raison, mais qui en doit eˆtre distingue´e. C’est que nous voyons que les animaux ayant la perception de quelque chose qui les frappe et dont ils ont eu perception semblable auparavant, s’attendent par la representation de leur memoire a` ce qui y a e´te´ joint dans cette perception precedente et sont porte´s a` des sentimens semblables a` ceux qu’ils avoient pris alors. Par exemple: quand on montre le baˆton aux chiens, ils se souviennent de la douleur qu’il leur a cause´ et crient ou fuient [GP VI, 611].
Tuttavia, mentre le anime non vanno oltre l’oscura percezione del mutamento, la connessione tra immagini, la reminiscenza elementare, l’abitudine alla ripetizione di atti, gli spiriti razionali, dotati di memoria intellettuale, ben diversa da quella meramente empirica, non solo attingono il concetto puro di tempo, ma hanno, della stessa durata, un’esperienza riflessa che compone e sostanzia la loro identita` psicologica e morale. A differenza della crisalide che si trasforma in farfalla e che delle sue metamorfosi non ha alcuna coscienza, cosı` che a ogni istante e` come se rinascesse a nuova esistenza, e a differenza dell’animale superiore che non esperisce che un’eco del passato composta di evocazioni d’immagini, di reminiscenze empiriche, lo spirito fonda sull’esperienza della durata il senso riflesso del proprio “io”, di un “io”, cioe`, che sa ritornare su di se´, sulle 96 proprie azioni, e per questo e` suscettibile di castigo o ricompensa . Il § 34 del Discours de Me´taphysique, definendo la differenza tra anime inferiori e spiriti, recita in questo senso: Mais la principale difference est, qu’elles ne connoissent pas ce qu’elles sont, ny ce qu’elles font, et par consequent ne pouvant faire des reflexions, elles ne sc¸auroient decouvrir des verite´s. C’est aussi faute de reflexion sur elles meˆmes, qu’elles n’ont point de qualite´ morale, d’ou` vient, que passant par mille transformations, a` peu pre`s, comme nous voyons, qu’une chenille se change en papillon, c’est autant pour la morale ou practique, comme si on disoit qu’elles perissent, et on le peut meˆmes dire physiquement, comme nous disons, que les corps perissent par leur corruption. 96 Cfr. sul concetto di memoria intellettuale E´. Naert, Me´moire et conscience de soi selon Leibniz, cit., p. 49 sgg.
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Mais l’ame intelligente, connoissant ce qu’elle est, et pouvant dire ce MOY, qui dit beaucoup, ne demeure pas seulement et subsiste Metaphysiquement, bien plus que les autres, mais elle demeure encor la meˆme moralement et fait le meˆme personnage. Car c’est le souvenir, ou la connoissance de ce moy, qui la rend capable de chastiment et de recompense [A VI, 4 B, 1583-1584].
Significativo appare, nel testo citato, l’impiego del verbo “demeurer”, che, alludendo al senso del permanere, del perdurare dell’identita` della sostanza nel tempo, sottolinea il nesso tra coscienza riflessa e durata, evidenzia, dunque, una modalita` peculiarmente umana, spirituale, di esperire la durata stessa. Ma un’ulteriore riflessione, che coinvolge direttamente il tema della storia e delle sue rappresentazioni, e` possibile in riferimento alla memoria psicologica e all’esperienza del passato. Nella Prefazione ai Nouveaux essais, tematizzando il problema conoscitivo delle connessioni empiriche, Leibniz sottolinea che gli uomini, quando giudicano sulla mera base dell’esperienza passata, senza che su di essa intervenga il ragionamento – la connessione logica fondata su verita` necessarie di cui le associazioni empiriche sono solo un’ombra – appaiono simili agli animali, mancando di attingere il piano autenticamente razionale della conoscenza. Si tratta di un testo fondamentale, a cui si e` gia` alluso in precedenza, ma sul quale converra` ancora sostare per le implicazioni che ci sembra presentare con la problematica koselleckiana del “futuro passato”: C’est aussi en quoy les connoissances des hommes et celles des beˆtes sont differentes: les beˆtes sont purement empiriques et ne font que se re´gler sur les exemples, car, autant qu’on en peut juger, elles n’arrivent jamais a` former des propositions necessaires, au lieu que les hommes sont capables des sciences demonstratives, en quoy la faculte´, que les beˆtes ont, de faire des consecutions, est quelque chose d’inferieur a` la raison qui est dans les hommes. Les consecutions des beˆtes sont purement comme celles des simples empiriques, qui pretendent que ce qui est arrive´ quelquefois arrivera` encor dans un cas ou` ce qui les frappe est pareil, sans e´tre pour cela` capables de juger, si les meˆmes raisons subsistent. C’est par la` qu’il est si aise´ aux hommes d’attraper les beˆtes, et qu’il est si facile aux simples empiriques de faire des fautes; de quoy les personnes devenues habiles par l’age et par l’experience ne sont pas meˆme exemptes, lorsqu’elles se fient trop a` leur experience passe´e; comme cela est arrive´ a` plusieurs dans les affaires civiles et militaires, parce qu’on ne considere point asse´s, que le monde change, et que les hommes deviennent plus habiles, en trouvant mille adresses nouvelles; au lieu que les cerfs ou les lievres de ce temps ne
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deviennent pas plus ruse´s que ceux du tems passe´. Les consecutions des beˆtes ne sont qu’une ombre du raisonnement, c’est a` dire ce ne sont qu’une connexion d’imagination et un passage d’une image a` une autre; parce que dans une rencontre nouvelle qui paroit semblable a` la pre´cedente, on s’attend de nouveau a` ce qu’on y trouvoit joint autrefois; comme si les choses e´toient lie´es en effect, parce que leur images le sont dans la me´moire. Il est vray encor que la raison conseille qu’on s’attende pour l’ordinaire de voir arriver a` l’avenir ce qui est conforme a` une longue experience du passe´, mais ce n’est pas pour cela une verite´ necessaire et infaillible, et le succe´s peut cesser quand on s’y attend le moins, lorsque les raisons qui l’ont maintenu changent. C’est pourquoy les plus sages ne s’y fient pas tant, qu’ils ne tachent de penetrer (s’il est possible) quelque chose de la raison de ce fait, pour juger quand il faudra faire des exceptions. Car la raison est seule capable d’e´tablir des regles seures et de suppleer a` ce qui manque a` celles qui ne l’e´toient point, en y faisant des exceptions; et de trouver enfin des liaisons certaines dans la force des consequences ne´cessaires; ce qui donne souvent le moyen de pre´voir l’evenement sans avoir besoin d’experimenter les liaisons sensibles des images, ou` les beˆtes sont reduites. De sorte que ce qui justifie les principes internes des verite´s necessaires, distingue encor l’homme de la beste [A VI, 6, 50-51].
Dopo aver ribadito la differenza tra le associazioni empiriche e le connessioni fondate su proposizioni necessarie, per cui nessuna verita` attinta a posteriori sara` mai in grado di andare oltre il probabile e di produrre verita` necessarie, Leibniz osserva che miope e` configurare il futuro a partire dall’abitudine offerta dalla reiterazione di azioni e giudizi passati, ben diversa dall’autentica memoria intellettuale. Nulla infatti, se non l’ovvieta`, garantisce che l’avvenire sara` uguale o anche simile a quanto trascorso, e poco saggio appare fondare sul passato la configurazione del futuro. E` certo vero, aggiunge, che la ragione consiglia di regola di attendersi dal futuro qualcosa di conforme all’esperienza gia` nota, ma non si tratta di una verita` infallibile, universale e necessaria, ma solo di fatto, e la sua conferma potrebbe venir meno nel modo piu` inatteso e impensato, allorche´ le ragioni che hanno sorretto una pur diuturna prassi cambiassero e cessassero di essere valide. C’e`, qui, un’idea di saggezza che da` la misura della incipiente Neuzeit: non basta piu` attenersi all’esperienza acquisita e consolidata dalla tradizione, comportandosi “da empirici”. Al saggio “moderno” e` chiesto di essere consapevole dei motivi profondi di quel traditum e, insieme, di farsi esperto dei possibili scarti che determinano la dimensione del nuovo, cosı` da non essere impreparato al loro manifestarsi. Recita, in questa direzione,
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un aforisma di Baltasar Gracia´n contenuto nell’Oraculo Manual y Arte de Prudencia (1647): Tutto ormai e` giunto a piena maturita`, e occorre abilita` somma per essere veramente uomini Si richiedon piu` cose oggi per un solo savio di quante ne occorressero anticamente per sette; e ci vuole piu` abilita` per trattare con un solo uomo in questi nostri tempi, che non per avere a che fare con un popolo intero in passato97.
La ragione per cui Leibniz afferma la possibilita` di un futuro diverso dal passato e`, in realta`, di ordine ontologico prima che psicologico o semplicemente esperienziale: le variazioni minime che tramano il continuum reale tracciano impercettibilmente un solco divisorio tra passato e futuro, instaurano, per cosı` dire, un varco, un diaframma, che puo` rimanere invisibile o non percepito per lungo tempo, per poi esplodere improvvisamente in fenomeni d’ordine macroscopico. Come se le microcause invisibili “caricassero” un metaforico “fucile” dando luogo, a un certo punto, a una detonazione apparentemente repentina, ma in realta` preparata dal sotterraneo lavorı`o di quelle indistinguibili molle. Tale dinamica, valida per i corpi individuali, tenuti in continua tensione e instabilita` da quegli stimoli, e` naturalmente altresı` operante negli eventi storici, la cui concatenazione – ed e` un motivo di grande interesse del pensiero storico leibniziano – rinvia 98 all’infinito . A ben vedere, il testo dei Nouveaux essais gia` da solo da` la misura di quanto Leibniz abbia avvertito – come non mancheremo di precisare – l’esperienza dell’accelerazione storica, dello scarto tra passato e futuro, propria dell’eta` della “crisi della coscienza europea”, secondo il sintagma coniato da Hazard. Cosı`, e` certo vero che Leibniz, per primo, ha fondato su basi ontologiche e universali, e non piu` solo locali, l’idea di progresso, preparando, in questo, l’orizzonte di un’aspettativa dell’avvenire divaricata dal passato, e concorrendo, in cio`, al superamento di cio` che Reinhart Koselleck ha chiamato “vergangene Zukunft”, presupposto ineludibile affinche´ il tempo acquistasse una qualita` storica reale. Ed e` altresı` vero che, in 97
B. Gracia´n, Oracolo manuale e arte di prudenza, tr. it. di A. Gasparetti, Milano 2002, p.
34. 98 Si veda, a questo proposito, il testo della lettera a Sophie del 13 (23) ottobre 1691, in A I, 7, 35.
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forza del fondo brulicante, pulsionale, di percezioni sorde, in cui non c’e` mai oblı`o assoluto, deposito di ogni traccia del passato, la durata rappresenta la memoria inscritta nelle cose, la storia che ogni frammento di realta`, dalla pietra all’essere umano, reca scolpita in se´, il principio di dinamismo universale. Per tornare alla determinazione gnoseologica della durata, non v’e` dubbio, proprio a partire dal testo della lettera alla principessa Sophie del 31 ottobre 1705 da cui abbiamo preso le mosse, che, secondo quanto 99 conferma anche Enrico Pasini , la continuita` nella dimensione temporale costituita dalla durata abbia a che fare con l’opera di elaborazione e di necessaria selezione-sintesi che l’immaginazione compie sull’indistinta complessita` delle immagini sensibili e sulle idee del senso comune. Ora, appartiene a un tale processo cognitivo quell’ amas d’une infinite´ d’eclats de la Divinite´, dont chacun a` chaque instant est une creation ou reproduction de toutes choses, n’y ayant point de passage continuel, a` proprement parler, d’un estat a` l’autre prochain,
con cui Leibniz, nel suddetto documento epistolare, descrive la durata. Nella parte ora ritrascritta del testo leibniziano si introduce un ulteriore decisivo elemento. Di cosa si nutre l’immaginazione per generare la rappresentazione di una sequenza di stati, pur “ammassata” e imperfettamente continua, quale e` la durata? Essa si alimenta, dice il testo, di un fondo “eclatante”, “scoppiettante”, costituito da «un’infinita` di lampi della Divinita`» («une infinite´ d’eclats de la Divinite´»), evidentemente corrispondenti, anche per l’affinita` d’immagine legata alla luce, alla emanazione, di chiara risonanza neoplatonica, di cui tratta il Discours de Me´taphysique § 14, e alle «Fulgurations continuelles de la Divinite´» a cui fa riferimento la Monadologia § 47. Si legge infatti in quest’ultimo testo: Ainsi Dieu seul est l’Unite´ primitive, ou la substance simple originaire, dont toutes les Monades cree´es ou derivatives sont des productions, et naissent, pour ainsi dire, par des Fulgurations continuelles de la Divinite´ de moment a` moment, borne´es par la receptivite´ de la creature, a` laquelle il est essentiel d’eˆtre limite´e [GP VI, 614].
99 Cfr. E. Pasini, Corpo e funzioni cognitive in Leibniz, cit., p. 169, dove si fa riferimento proprio al testo di GP VII, 564.
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Qui, la gnoseologia della durata si salda all’iniziativa divina e a una metafisica o teologia razionale della durata stessa. Dove, a fare da cerniera tra questi piani sta la dottrina della creazione continua, che nel ripensamento leibniziano intende proprio conciliare la dipendenza da Dio e la spontaneita` della sostanza nella causazione dei suoi atti. Occorrera` dunque, nella prosecuzione della nostra indagine, ritornare sull’interpretazione leibniziana della teoria della creazione continua – qui tematizzata essenzialmente per il legame che intrattiene con la durata – precisando in che modo il transito, come in un magma lavico, da una bolla eruttiva all’altra, da un e´clat all’altro, articolato secondo il piano seriale divino, si contemperi con l’esigenza di salvare l’automatismo della sostanza, la spontaneita` – componente essenziale della liberta`, per Leibniz – nella produzione dei suoi stati, dissolta e compromessa, pur in modo diverso, ad avviso del filosofo di Hannover, nelle analoghe dottrine di Cartesio e di Malebranche. Accenniamo solo alla soluzione proposta da Leibniz, in rapporto al testo in questione. Gli e´clats con cui la Divinita` conserva nell’essere le sostanze mediante l’influsso durevole dell’atto creativo presentano un’infinita ricchezza, contenendo ciascuno, si legge nel brano, la «creazione» o «riproduzione di tutte le cose». Come intendere questa espressione? Una volta escluso che Dio, come avviene in Cartesio, ricrei la sostanza istante per istante, nel senso di negarle ogni autonoma forza conservativa, essa significa, come suggerisce Robinet100, che Dio, nella sua saggezza, concorre, nel balenare dei suoi lampi, alla produzione della legge seriale che costituisce la natura o forma individuale insieme coi suoi attributi, alimentandone la durata con sempre nuove perfezioni, secondo un progresso perpetuo. E lo fa secondo totalita`, perche´ l’azione di Dio e` pura, priva di limitazioni, senza mescolanza di ombre, per quanto tale totalita` inclusiva di tutti gli stati dell’universo si ripieghi e si contragga «ad modum recipientis», nella prospettiva propria di ciascuna monade, disponendosi in quella precisa e irripetibile variante di serie che ognuna e` destinata a esprimere piu` chiaramente e distintamente. L’universo e i suoi fenomeni sono dunque l’effetto di tale azione composta di lampi, scoppi, o folgorazioni creatrici, con cui Dio, avendo creato il mondo e, in esso, le nature individuali, li conserva nell’essere con 100
Cfr. A. Robinet, Architectonique disjonctive automates syste´miques et ide´alite´ transcendentale dans l’œuvre de G. W. Leibniz, Paris 1986, p. 433 sgg. Di Cartesio cfr. i Principia philosophiae I, § XXI (La durata della nostra esistenza e` sufficiente a dimostrare l’esistenza di Dio), che riprendiamo oltre. Cfr. Opere filosofiche di Rene´ Descartes, tr. it. di B. Widmar, Torino 1981, p. 611.
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l’elargizione di perfezioni – ogni perfezione, e non i limiti, venendo da Dio – non intervenendo miracolisticamente ma prolungando la primaria dipendenza della monade naturaliter, cioe` mediante i processi di causazione spontanea interni ad essa. L’atto creativo di Dio, i disegni arcani della sua provvidenza, in tale prospettiva, operano per vie naturali, dal momento che l’armonia prestabilita assicura automaticamente, senza necessita` di decreti divini aggiuntivi, l’ordine scelto, in quanto costituito dalla serie migliore possibile di stati ed eventi. Inoltre, informa ancora il testo epistolare a Sophie, non esiste passaggio continuo dall’una all’altra di queste unita`, rappresentando esse nel loro insieme una collezione di stati indivisibili. La continuita`, infatti, e` essenzialmente mentale, psichica, frutto di un’azione ideale. Nella realta`, esistono unita` che raccolgono moltitudini di cose, e moltitudini di cose adunate in unita`, come Leibniz scrive nella lettera a Burchard De Volder dell’11 ottobre 1705, gia` sopra ricordata (GP II, 278-279), senza che cio` implichi ne´ durata ne´ tempo. Solo queste unita` temporali indivisibili, questi stati istantanei esistono, senza che abbiano a toccarsi, come ricorda lo stesso testo epistolare a B. De Volder: Unitas ab unitate non tangitur, sed perpetua est trans-creatio in motu ... Per actuales mutationes etiam tempus resolvitur in unitates durationis ... [GP II, 279].
La creazione continua si configura come questa vulcanica, «perpetua trans-creatio» il cui pulsionale moto e` scandito dai picchi eruttivi, dalle folgorazioni istantanee – schegge di luce nella notte della monade, come la sequenza pirotecnica di una rappresentazione barocca – dell’azione divina, in ciascuno dei quali, come nell’«istante gigantesco» della visione alephica di Borges, luogo di una sovrumana, mistica, ineffabile, coincidentia oppositorum, si agglutina, si concentra e si ricapitola l’intero universo. Prima di assumere i connotati di un ordine quantitativo, lineare, cronologico, di un’astrazione alla seconda potenza, la temporalita` leibniziana possiede i tratti «eclatanti» della festa barocca, dove tutto e` rigorosamente programmato dall’inizio, come le monadi danzanti di cui parla Deleuze che sono in 101 realta` automi , e dove gli e´clats de la Divinite´ sono come i fuochi d’artificio che, per un attimo, illuminano la notte, ciascuno in se´ assoluto, per poi riproporre, in discontinua successione, la stessa totalita`. Bisogna leggere il 101
G. Deleuze, La piega, cit., p. 104.
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giovanile scritto leibniziano intitolato Droˆle de Pense´e, touchant une nouvelle sorte de Representations (settembre 1675) per comprendere il senso dell’ana102 logia estetica tracciata . Unita` indivisibile in se´, capace di concentrare il tutto, l’inizio e la fine di tutte le cose, ogni e´clat, ogni lampo della divinita`, sembra cosı` corrispondere ad una sorta di eschaton che si ripete e si rinnova a ogni istante. Per Leibniz, che non concepisce un’escatologia, un “Ende aller Dinge” se non nella forma di un progresso infinito dell’universo, come attesta il frammento sull’Apokatastasis (1715), l’eschaton puo` ben configurarsi nella forma dell’Augenblick, dell’unita` istantanea e “alephica” che contiene la totalita`. Cosı`, se non vediamo male, eschaton e Fulguration, eschaton e e´clat de la Divinite´, misteriosamente sembrano tendersi la mano in cio` che a noi appare, come preciseremo, una universalizzazione del kairos, di quel tempo religioso che Paolo cosı` esprimeva: Ecco ora il momento (kairos) favorevole, ecco ora il giorno della salvezza! (2 Cor., 6, 2).
D’altronde, che al problema della durata inerisca, in stretto intreccio, la dottrina della creazione continua, lo conferma il testo della lettera a Sophie che, subito dopo il passo concernente l’«amas d’une infinite´ d’eclats de la Divinite´, dont chacun a` chaque instant est une creation ou reproduction de toutes choses», recita: Ce qui prouve exactement cette celebre verite´ des Theologiens et des Philosophes Chrestiens, que la conservation des choses est une creation continuelle, et donne un moyen tout particulier de verifier la dependance de toutes les choses changeantes de la divinite´ immuable, qui est la substance primitive et absolument necessaire, sans laquelle rien ne pourroit estre ny durer. Voila`, ce semble, le meilleur usage qu’on pourroit faire du labyrinthe de la composition du Continu si fameux chez les Philosophes; l’analyse de la dure´e actuelle des choses dans le temps nous mene demonstrativement a` l’existence de Dieu, comme l’analyse de la Matiere qui se trouve actuellement dans l’Espace, nous mene demonstrativement aux Unite´s de substance, aux substances simples, indivisibles, imperissables et par consequent aux Ames, ou aux principes de vie, qui ne peuvent estre qu’immortels, qui sont repandus par toute la nature [GP VII, 564-565].
Preciseremo in seguito, al di la` dei cenni fatti, in che modo Leibniz 102
Cfr. A IV, 1, 562-568.
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interpreti la dottrina della creazione rifiutando la versione cartesiana e quella malebranchiana di tale dottrina. In questo testo il filosofo sembra limitarsi genericamente ad assecondare la tesi, comune anche ai due pensatori francesi (cette celebre verite´ des Theologiens et des Philosophes Chrestiens), secondo cui, in assenza di un passaggio necessario e continuo, all’interno della durata, da un istante all’altro, occorre ammettere una sostanza primitiva e assolutamente necessaria, alla quale costitutivamente appartenga il privilegio di durare, che produca tale passaggio. Il pensiero qui espresso non pare discostarsi di molto da quello cartesiano dei Principia philosophiae, I, § XXI. Manca la distinzione, che il § 383 dei Saggi di Teodicea traccia, tra la “necessita`” e la “naturalita`” (sostenuta da Leibniz, come gia` accennato) del transito da un istante all’altro, ove nulla sia di ostacolo, distinzione cruciale per specificare il punto di vista leibniziano. Il lampeggiare della Divinita`, scrive dunque Leibniz, riproduce e ricapitola a ogni istante l’intero universo con le sue perfezioni, perpetuamente elargite alle monadi. La totalita` dei tempi e dell’intero universo e` ripiegata, cumulata, compressa nell’istante, nella piu` piccola particella di materia, pronta a esplodere verso il futuro avendo in se´ l’intero passato, come una molla, un picco eruttivo o una scarica di archibugi a vento. Dio, avendo creato la monade come inclusiva di tutti gli stati del mondo, che essa oscuramente e inconsciamente rispecchia, prolunga, nella prospettiva diveniente della coscienza finita, la sua azione creatrice donando a ogni istante la medesima totalita`. La totalita` del tempo – conferma autorevolmente A. Robinet – e` concentrata seguendo l’ordine delle sue successioni nella minore delle folgorazioni della divinita`. La sostanza concreta che ne e` l’emanazione comporta nella sua durata propria, a titolo reale, questa visione della totalita`, ma allo stato piu` o meno implicito103.
Inclusiva della totalita` degli stati dell’universo ma espressiva in modo piu` chiaro di una partizione di essi, onnisciente ma confusamente, la monade rinviene in tale dialettica chiaroscurale di avviluppamentoespressione, di virtuale-attuale, la scaturigine ontologica della successione dei propri stati, percio` della loro rappresentazione nella durata e nel tempo. Se la monade non avesse un fondo oscuro e confuso, una zona notturna, se essa fosse una divinita`, non ci sarebbe alcuna successione, alcun tendere
103
A. Robinet, Leibniz et la racine de l’existence, cit., p. 91.
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all’infinito, ma un nunc stans alla fine incompatibile con il sistema leibniziano. E` per il fatto che la monade e` ricolma di pieghe che vanno all’infinito, ma appare in grado di dispiegarne un numero limitato, che e` come se, in essa, l’universo si contraesse e si ritagliasse in una serie, si ripiegasse in un ordine successivo, producendo la percezione temporale di una sequenza di stati regolata, per armonia prestabilita, in vista della perfezione. E` la perifericita` della monade, il suo abitare una contrada dell’universo, il suo strutturale prospettivismo, a innescare la serie e le sue rappresentazioni nelle forme mentali della durata e del tempo. Serie che rappresenta una variante ogni volta unica della serie infinita degli stati del mondo, che si staglia sullo sfondo del brusı`o, del rumore dell’universo, e che coincide con il corpo della monade (cfr. Monadologia, § 62). E` la dialettica chiaroscurale tra le pieghe la scaturigine del tempo. L’oscuro le e` essenziale quanto il chiaro. Cio` che Dio crea secondo totalita` e coglie secondo simultaneita` logica – o, per usare il linguaggio del Discours de Me´taphysique (§§ 8 e 13), vedendo a priori il concetto completo di Alessandro o di Cesare – le sostanze finite non vedono che parzialmente, secondo percezione successiva, «par l’hi104 stoire» (Discours, § 8). Pare dunque lecito, come fa anche Jalabert , configurare una durata in senso soggettivo, dal punto di vista della monade, e una durata in senso oggettivo, a parte Dei: dove la monade diviene cosciente del suo sviluppo momento per momento, storicamente, non potendo apprendere simultaneamente la serie completa dei suoi stati passati, presenti e futuri, Dio – quasi viaggiasse a velocita` inaudita sulle cose, quasi fosse un Dio “ermetico” che, come l’antico messaggero di Zeus, vola passando tra gli infiniti legami che intercorrono tra le cose – coglie l’intera durata con un solo colpo d’occhio, “icnograficamente”, secondo verita` geometrica, come in un’armonia di specchi. La sua memoria, verrebbe da dire paragonando ora il Dio di Leibniz non piu` a Hermes ma a Mnemosyne, la divinita` che presiede alla memoria e di cui le Muse sono figlie, appare perfetta, senza limiti, estendendosi dal passato al futuro, e non irregolare, piena di lacune, di intermittenze, come quella umana. La ricerca storica, in Leibniz, si puo` ben dire rinvenga il suo fondamento metafisico nel § 8 del Discours – opera che Robinet non esita a definire «un discours de me´taphysique de l’histoi105 re» –, nell’impossibilita` a parte hominis, che vi viene affermata, di vedere a 104
J. Jalabert, La the´orie leibnizienne de la substance, cit., p. 133. A. Robinet, Les fondements me´taphysiques des travaux historiques de Leibniz, in Aa. Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 56. 105
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priori l’intera nozione di Alessandro, l’intera sua durata, cio` che e` possibile solo a parte Dei. Ecco un testo tratto dall’epistolario con Barthe´le´my Des Bosses dove emerge con evidenza l’idea di una durata vista dalla parte di Dio (durata icnografica) e, con essa, la legittimita` della sua distinzione da quella che la monade si rappresenta sempre imperfettamente (durata scenografica): Si corpora sunt phaenomena et ex nostris apparentiis aestimantur, non erunt realia, quia aliter aliis appareant. Itaque realitas corporum, spatii, motus, temporis videtur consistere in eo ut sint phaenomena Dei, seu objectum scientiae visionis. Et inter corporum apparitionem erga nos et apparitionem erga Deum discrimen est quodammodo, quod inter scenographiam et ichnographiam. Sunt enim scenographiae diversae pro spectatoris situ, ichnographia seu geometrica repraesentatio unica est; nempe Deus exacte res videt quales sunt secundum Geometricam veritatem, quanquam idem etiam scit, quomodo quaeque res cuique alteri appareat, et ita omnes alias apparentias in se continet eminenter. Porro Deus non tantum singulas monades et cujuscunque Monadis modificationes spectat, sed etiam earum relationes, et in hoc consistit relationum ac veritatum realitas. Ex his una ex primariis est duratio seu ordo successivorum, et situs seu ordo coexistendi, et commercium seu actio mutua, dum nempe concipitur Monadum dependentia invicem idealis, situs autem immediatus est praesentia. Ultra praesentiam et commercium accedit connexio, quando invicem moventur [GP II, 438].
La durata (duratio seu ordo successivorum), come si legge, e` espressamente ricordata come “una delle prime” forme di relazione tra le monadi, insieme allo spazio (situs seu ordo coexistendi), contemplate da Dio “icnograficamente”. L’Augen-blick con cui Dio, con divino battito del ciglio, la coglie con geometrica esattezza, la contiene anche tutta intera, la esprime con assoluta distinzione e con concreta, perfetta oggettivita` in ogni momento, 106 avendola pensata nel dettaglio sin dall’origine . 106 Sul carteggio Leibniz-Des Bosses e` fondamentale lo studio di V. Mathieu, Leibniz e Des Bosses (1706-1716), cit. (sulla nozione di icnografia, v. p. 141 sgg.). Si veda anche M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., p. 7 sgg.; Id., Genesi, cit., dove l’autore scrive icasticamente a proposito dell’icnografia leibniziana: «Cos’e` l’icnografia, ancora? E` l’insieme dei profili possibili, l’integrale degli orizzonti. L’icnografia e` il possibile, o il conoscibile, o il producibile, e` il pozzo dei fenomeni. Essa e` la catena completa delle metamorfosi del dio marino Proteo, essa e` Proteo stesso. Essa e` dunque inaccessibile. Siamo legati a un sito, la nostra limitazione, la nostra definizione e` il nostro punto di vista, siamo incatenati alle scenografie. Leibniz diceva: il geometrale e` in Dio e per Lui» (ivi, p. 93). Sul piano storico, le nozioni di scenografia e icnografia corrispondono in Vitruvio rispettiva-
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Qualcosa di simile, per dono divino e nello spazio di un sogno, e` stato possibile a Teodoro nel Palazzo dei destini, secondo le celebri pagine conclusive dei Saggi di teodicea, quando, condotto dalla dea Pallade in uno degli appartamenti, scorge con un colpo d’occhio (d’un coup d’oeil ) l’intera vita di Sesto, come in una rappresentazione teatrale (cfr. GP VI, 363). La`, in quel vertiginoso, piramidale Palazzo-Biblioteca pieno di libri che contengono la storia di ciascuno dei mondi possibili, le cui basi restano avvolte in brume sempre piu` fitte via via che si scende, e nel quale Dio torna ogni tanto pour se donner le plaisir de recapituler les choses, et de renouveller son propre choix, ou` il ne peut manquer de se complaire [GP VI, 362],
dovremo anche noi idealmente entrare per approfondire il fondamento supremo del tempo e, insieme, la sua destinazione. Ma, prima di salire dal tempo al fastigio teologico dell’eternita`, occorrera` considerare l’abisso del tempo, a ritroso e in avanti, e l’impossibilita`, da un punto di vista immanente, interno alla series temporum, di rinvenirne un principio coesivo e un’unita` di senso.
5. – L’abisso e il decentramento del tempo. Universalizzazione del tempo religioso e teodicea del tempo Ben strano edificio, in effetti, quello visitato da Teodoro: Les appartemens alloient en pyramide; ils devenoient tousjours plus beaux, a` mesure qu’on montoit vers la pointe, et ils representoient de plus beaux mondes. On vint enfin dans le supreme qui terminoit la Pyramide, et qui e´toit le plus beau de tous; car la Pyramide avoit un commencement, mais on n’en voyoit point la fin; elle avoit une pointe, mais point de base; elle alloit croissant a` l’infini. C’est (comme la De´esse l’expliqua) parce qu’entre une infinite´ de mondes possibles, il y a le meilleur de tous, autrement Dieu ne se seroit point determine´ a` en cre´er aucun; mais il n’y en a aucun qui n’en ait encor de moins parfaits au dessous de luy: c’est pourquoy la Pyramide descend tousjours a` l’infini [GP VI, 364].
mente al disegno in scorcio, o prospettiva, e al disegno in pianta delle forme architettoniche (cfr. Vitruvio Pollione, Dell’architettura, a cura di G. Florian, Pisa 1978, pp. 14-15).
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La piramide degli appartamenti ha un vertice, ma non evidenzia i suoi basamenti. Cosa si occulta in quell’Abgrund caliginoso di mondi possibili, forse sepolti nel sonno in attesa di pervenire a un piu` alto grado di coscienza razionale, che discendono verso il basso, all’infinito? Virtuali abissi di negativita`, universi ctonii, spugnosi, cavernosi, in cui filtra sempre minore luce, oppure l’inferno stesso, che Leibniz del resto si adoperava in tutti i modi per ridurre, fino al suo assorbimento nel purgatorio? Forse, piu` si scende verso il basso, piu` l’armonia sempre piu` perfetta dei piani alti si tramuta in frastuono diabolico, come quello prodotto dall’odio furibondo che segna i dannati. E`, come sostiene G. Deleuze, sulle spalle di questi, sul fragore orribile salente dai mondi inabissati, che poggia il migliore dei mondi e la sua immanente perfettibilita`, come dal rumore nasce l’armonia?107 Per altro verso, questa piramide sospesa sull’abisso di nebbie e vapori che ne avvolgono le basi, evoca l’ambizione, propria di tutta l’architettura barocca, a prendere il volo, a perdere la gravita` della materia e, rapita in estasi come la S. Teresa di Bernini, a levarsi tra i nembi, animata dal “soffio dei venti”. Cosı`, si potrebbe ricordare, con Jean Rousset108, che la poesia barocca ha concepito un altro Palazzo, idealmente opponibile per caratteristiche al Palazzo dei destini di Leibniz: si tratta del Palazzo della Fortuna, immaginato dal poeta francese Le Moyne come un edificio fatto di nubi e agitato dal vento, percio` fragile e instabile: Dans une isle branlante, et de sable mouvant, Qui suit le cours des flots et roule au gre´ du vent, II se voit un Palais sans re`gle et sans mesure, Mais d’une extravagante et bizarre structure, Dont l’ouvrage subit, sans le secours de l’art, S’e´leva de morceaux assemblez au hazard ... [In un’isola instabile, e di sabbie mobili, / Che segue il corso dei flutti e va in balı`a del vento, / Si vede un Palazzo senza regola e senza misura, / Ma di una stravagante e bizzarra struttura, / La cui costruzione improvvisa, senza il soccorso dell’arte, / Si innalzo` dall’insieme casuale dei frammenti...]. 107
Cfr. G. Deleuze, La piega, cit., pp. 108-114; 197-198. Sugli stessi temi Deleuze si sofferma brevemente nell’intervista a lui fatta da R. Maggiori, leggibile in “aut aut”, 1993, cit., p. 130. 108 Cfr. J. Rousset, La letteratura dell’eta` barocca in Francia, cit., p. 167 sgg.
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Questo mondo incerto, bizzarro, definito da architetture casuali a la face changeante, Et sans autres ressorts que le souffle des vents, Par des conduits secrets du sable s’e´levans, Il rec¸oit tous les jours diffe´rentes figures, Mais toutes sans dessein, sans ordre et sans mesures ... [ha un aspetto mutevole, / E senza altro intervento che il soffio dei venti, / Che attraverso condotti segreti dalla sabbia si levano, / Riceve tutti i giorni differenti sembianze, / Ma tutte senza costrutto, senza ordine e senza misura ...].
In una sala dall’aspetto di grotta – ben diversa dall’appartamento visitato da Teodoro! – il poeta scorge una grande ruota, mossa dalla Fortuna, i cui costrutti appaiono privi di solidita` e di durata. E` qui che il tema del Tempo emerge: Et tout ce qu’elle touche en courant, et d’un trait, Le Temps courant comme elle a` ses yeux le de´fait. [E tutto cio` che essa tocca correndo, e con un gesto solo, / II Tempo 109 correndo come lei sotto i suoi occhi dissolve] .
Dietro i sembianti della leggerezza e dell’evanescenza, dietro la stessa apologia dell’incostanza e del cambiamento voluta dal poeta, in realta`, questo edificio, con le sue architetture casuali, senza ordine ne´ misura, in costante metamorfosi, appare qualcosa di sgomentante, di intollerabile. Una realta` di complessita` insensata, fatta per confondere la ragione – angosciante e terribile come le folli architetture della «Citta` degli immortali» di un celebre racconto di Borges110 – nella quale l’elogio barocco della metamorfosi, della trasformazione, diventa cifra dell’instabilita` del mondo e della casualita` che domina il corso storico. Chi fosse propenso a vedere nel Seicento e nel Barocco presentimenti e precorrimenti del brivido del Nulla che attraversa il nostro tempo come l’ospite piu` inquietante, potrebbe trovare in questa allegoria interessante materia di riflessione. 109
Prendiamo il testo originale e la traduzione da J. Rousset, La letteratura dell’eta` barocca in Francia, cit., pp. 167-168. 110 Cfr. J.L. Borges, L’immortale, in L’Aleph (1949), TO I, 773-788.
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Certo, sotto il motivo del Tempo generatore di perenni metamorfosi, di fluidita`, di instabilita`, stava un’esperienza storica che aveva dischiuso l’abisso del tempo, l’infinita` del divenire del mondo, sia quanto al terminus a quo che al terminus ad quem. Cosı`, per capire perche´ Leibniz opponga all’inconsistenza e fragilita` del Palazzo della fortuna il geometrico e compatto Palazzo dei destini, occorrera` riflettere sul baratro in cui l’uomo del Seicento vedeva inabissarsi l’ordine tradizionale del tempo. Non si trattava, come per i paradossi di Zenone, di un labirinto tracciato da sottigliezze logiche, pur rivelatrici di sgomentanti drammi ontologici, ma di un’altra infinita` del tempo, che a Leibniz avevano concorso a rivelare, tra il 1679 e il 1685, le miniere dello Harz, i fossili e le ricerche geologiche che approderanno alla Protogaea (1693-94) (cfr. Dutens, II, 2, 181-240), da un lato, la crisi delle cronologie bibliche e la scoperta delle “sterminate antichita`” di alcuni popoli, da un altro, il lento sgretolarsi delle attese apocalittiche, peculiare dell’eta` della crisi della coscienza europea, da un altro ancora, cosı` da disperdere origine e fine del tempo in una serie infinita di tracce a 111 ritroso e in avanti . A voler gettare uno sguardo sulla genesi delle cose, per Leibniz, ci si perde in uno sgomentante regresso senza fine. All’inizio del De rerum originatione radicali c’e` un passo – che, osserva giustamente G. Marramao, 112 «sembra essere scaturito dalla penna di Borges» – dove il pensatore, 111 Sulle ricerche geologiche nelle miniere dello Harz che approderanno alla Protogaea cfr. H.-J. Waschkies, Leibniz’ geologische Forschungen im Harz, in Aa. Vv., Leibniz und Niedersachsen, in SL, Sonderhefte, 28, cit., pp. 187-210. Sulle vicende della pubblicazione postuma della Protogaea, si sofferma G.H. Pertz nella Vorrede agli Annales Imperii Occidentis Brunsvicenses (cfr. P I, 1, p. XXXI). «Nella lunga discussione che si svolse in Europa fra la meta` del ’600 e la meta` del ’700 sulla storia e sul tempo – sintetizza P. Rossi –, le riflessioni sulla «sterminata antichita`» degli egiziani e dei cinesi si collegano strettamente alle dispute sul divenire della natura e sulla storia della terra. La cosiddetta «scoperta del tempo» si ando` realizzando su due diversi terreni: quello della geologia (o delle «conchiglie», come dira` Voltaire) e quello relativo ai tempi piu` remoti della storia umana, alle origini barbare o bestiali dell’uomo, alle prime forme di scrittura, ai miti e alle favole» (P. Rossi, La senescenza del mondo e la grande rovina nella cultura moderna, in Aa. Vv., Dimensioni del tempo, cit., p. 44). Dello stesso autore, in merito si veda il gia` ricordato I segni del tempo, cit. (sulla Protogaea di Leibniz cfr. pp. 71-89). Cfr. anche K. von Bu¨low, Protogaea und Prodromus, in Akten des Internationalen Leibniz-Kongresses, Hannover, 14.-19. November 1966, Band 2, SL, Supplementa, 2, cit., pp. 197-208. Sulla scoperta del tempo profondo della geologia cfr. S. Jay Gould, La freccia del tempo, il ciclo del tempo. Mito e metafora nella scoperta del tempo geologico, tr. it. di L. Sosio, Milano 1989 (in part. capp. 1 e 2). Sullo sgretolarsi delle attese apocalittiche nell’eta` moderna cfr. R. Koselleck, Futuro passato, cit., p. 17 sgg.; p. 309 sgg. 112 G. Marramao, Minima temporalia. Tempo spazio esperienza, Milano 1990, pp. 23-24. Dello stesso autore cfr. Kairo´s. Apologia del tempo debito, Roma-Bari 1992 (su Leibniz pp.
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assimilata la successione degli stati del mondo a una sequenza di esemplari di un medesimo libro (gli Elementi di geometria di Euclide), conclude che, come il risalimento ai libri anteriori non renderebbe mai pienamente ragione del perche´ di tali libri e del perche´ siano scritti cosı`, altrettanto avviene per l’universo: Itaque utcunque regressus fueris in status anteriores, nunquam in statibus rationem plenam repereris, cur scilicet aliquis sit potius Mundus, et cur talis [GP VII, 302].
Cosı` come in un libro l’esemplare “archetipo” puo` rivelarsi irreperibile, nonostante gli sforzi a ritroso del filologo verso l’“originale”, altrettanto, nella series rerum, sfugge l’anello iniziale. Cio` che si e` detto a suo tempo sulla cognizione della durata individuale a parte hominis vale, dunque, per analogia, per la storia della terra e per quella del genere umano: di esse non conosciamo che una parte esigua, alla stregua degli schiavi del mito platonico che vedono solo una piccola porzione del tutto, al punto che Leibniz, ancora nel De rerum, puo`, per cosı` dire, adattare alle sue frequentazioni del mondo sotterraneo dello Harz la celebre immagine platonica della caverna, che non consente agli uomini che una conoscenza parziale delle cose, immagine tradottasi, nella sua ripresa, in una «miniera di sale», o in un «carcere» (cfr. GP VII, 306). Cosı`, riguardo alla storia della terra, viene confermato negli Essais de The´odice´e (III, § 244):
7-8); Potere e secolarizzazione. Le categorie del tempo, Roma 1985. Sul testo leibniziano De rerum originatione radicali, e` fondamentale l’analisi di M. Serres in Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., p. 261 sgg. Del filosofo francese su Leibniz, si vedano anche: Le dialogue Descartes-Leibniz, in Id., Herme`s I. La communication, Paris 1968, pp. 127-153; Leibniz retraduit en langue mathe´matique, in Id., Herme`s III. La traduction, Paris 1974, pp. 111-157. Un esempio simile a quello che apre il De rerum, anch’esso densamente “borgesiano”, e` rinvenibile nella lettera alla principessa Sophie del 29 dicembre 1692 (8 gennaio 1693), dove si legge: «Pour le mieux faire entendre servons nous d’une fiction, et concevons que non seulement le monde soit eternel, mais qu’il y ait encor une Monarchie ou Republique eternelle dans ce monde; et que dans les Archives de cette Republique on ait tousjours garde´ un certain livre sacre´, dont les exemplaires ayent este´ renouvelle´es de temps en temps. Il est manifeste que la raison, qui fait que ce livre parle comme il fait, est, qu’il a este´ copie´ d’un autre livre pareil mais plus ancien, et celuy qui est la source du dernier, qui est luy meˆme la copie d’un autre encor plus ancien; et cela tousjours ainsi, sans qu’il y ait jamais d’original, mais tousjours de copies des copies. Cela estant pose´, il est manifeste, que jamais on ne trouvera dans toutes ces copies aucune raison suffisante de ce qui se trouve dans le livre» (cfr. A I, 9, 15).
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Nous ne connoissons presque que la superficie de nostre globe, nous ne penetrons gueres dans son interieur, au dela` de quelques centaines de toises [GP VI, 262].
Di certo, per Leibniz, che contamina l’Historia naturalis con i princı`pi della sua metafisica, la storia del mondo non inizia da uno stato paradisiaco, e neppure dal caos, ma dipende dai liberi decreti di Dio che ha fissato, non arbitrariamente ma in base al principio del meglio, l’ordine generale dell’universo. Il quale e` chiamato a realizzarsi attraverso una serie di mutamenti, di disordini che sono, in realta`, solo apparenti, e da cui discende lo stato di perfezione attuale del mondo. In tal senso, si legge ancora nella Teodicea, dopo il fuoco, diluvi e inondazioni, le globe a pris la forme que nous voyons... Mais qui ne voit que ces desordres ont servi a` mener les choses au point ou` elles se trouvent presentement, que nous leur devons nos richesses et nos commodite´s, et que c’est par leur moyen que ce globe est devenu propre a` eˆtre cultive´ par nos soins? Ces desordres sont alle´s dans l’ordre. Les desordres, vrais ou apparens, que nous voyons de loin, sont les taches du soleil et les Cometes: mais nous ne savons pas les usages qu’elles apportent, ny ce qu’il y a de regle´. Il y a eu un temps que les planetes passoient pour des etoiles errantes, maintenant leur mouvement se trouve regulier: peut-eˆtre qu’il en est de meˆme des cometes: la posterite´ le saura [GP VI, 263].
Non diversamente va per la storia universale del genere umano, anch’essa proiettata, attraverso salti, rivoluzioni, regressi momentanei, verso un progresso senza fine, come si legge nel frammento sull’Apokatastasis: Credendumque est vel ex naturalibus congruentiae rationibus res vel paulatim, vel etiam aliquando per saltus in melius proficere debere. Quanquam enim subinde in pejus ire videantur; hoc ad eum modum fieri putandum est, quo interdum recedimus ut majore impetu prosiliamus [LF, 74].
Ma, nuovamente, chi, di queste dinamiche oscillatorie concernenti la storia umana, di questo «reculer pour mieux sauter» che segna il corso degli eventi, intendesse cogliere le origini, si troverebbe, analogamente al “tempo profondo” della geologia, come di fronte a un’onda che, indietreggiando, lasciasse dietro di se´ solo relitti e detriti. L’origine delle cose, la cui ricerca sappiamo quanto sia centrale nella storiografia leibniziana, si perde in tracce senza fine, mandando in crisi ogni tentativo di fissare un sicuro
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punto di partenza dell’ordine cronologico e suscitando, al riguardo, dispute senza fine, alle quali, del resto, Leibniz partecipo`. E` noto, in tal senso, quanto la teoria dei Preadamiti di Isaac Lapeyre`re avesse concorso – insieme alle accese dispute che seguirono alla pubblicazione della sua opera nel 1655 – a scardinare la tradizionale cronologia biblica: i suoi Preadamiti, uomini vissuti prima di Adamo la cui esistenza appariva attestata dalle remotissime antichita` di popoli quali i Caldei, i Messicani, i Peruviani, i Cinesi, gli Egiziani, non solo spostavano indietro di migliaia di secoli la fondazione del mondo rispetto ai seimila anni della Bibbia, non solo mettevano in crisi il monogenismo – l’idea del popolamento della terra attraverso la stirpe del solo Adamo – opponendogli il poligenismo (teologico, non ancora scientifico), ma finivano per ridurre l’esemplarita` unica e assoluta della Historia Sacra – come storia del popolo ebraico, popolo eletto per eccellenza – a una storia particolare tra le altre, i cui eventi non concernevano l’intero mondo ma solo la peculiare vicenda di una nazione. L’eccezionalita` della Historia sacra degli Ebrei rispetto alla Historia profana 113 dei Gentili rischiava cosı` di dissolversi . Tempo “profondo” geologico e tempo storico, dunque, concorrevano a inabissare la ricerca delle arkai in una immensita` sgomentante. Ma non era solo a` rebours, quanto alle origini del mondo e all’inizio della storia, che le sicurezze fideistiche, fondate sulle Sacre Scritture, nell’eta` di Leibniz, si sgretolavano: era anche, come gia` accennato, il continuo, perenne differimento del Giudizio universale che finiva rendere sempre meno credibili le attese escatologiche, cosı` da avallare, in virtu` di un lento processo, in luogo dell’incombenza apocalittica, l’idea di un futuro aperto al progresso del genere umano. Soprattutto le guerre di religione rappresentano, in questo senso, un punto di svolta storico decisivo, sia per il sorgere, come ha 114 osservato Wolfhart Pannenberg, di una «cultura secolare» , corrispondente 115 a cio` che Dilthey qualifica «il sistema naturale delle scienze dello spirito» , sia, come hanno additato, ciascuno a suo modo, Karl Lo¨with e Reinhart Koselleck, per il convertirsi “secolarizzante” delle attese escatologiche nell’idea di un progresso storico universale116. 113 Su I. Lapeyre`re, oltre all’opera di P. Rossi, I segni del tempo, cit., pp. 161-165, cfr. l’ampio studio di D. Pastine, Le origini del poligenismo e Isaac Lapeyre`re, in Aa. Vv., Miscellanea Seicento, Firenze 1971, vol. I, pp. 7-234. 114 Cfr. W. Pannenberg, Cristianesimo in un mondo secolarizzato, tr. it. di G. Pontoglio, Brescia 1991, pp. 26-27. 115 W. Dilthey, L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura, cit., in part. vol. I, pp. 123-124. 116 Cfr. K. Lo¨with, Significato e fine della storia, tr. it. di F. Tedeschi Negri, Milano 1979. Di Koselleck, oltre a Futuro passato, cit., si vedano anche: Accelerazione e secolarizzazione, in Aa.
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Abyssus abyssum invocat, dunque, per valerci dell’espressione del salmista a nostro uso. Ci muoviamo tra l’abisso della genesi e l’abisso della destinazione finale, fortificati dal lume naturale della ragione, sulle tracce infinite di quei due impossedibili termini. Ma Leibniz – al quale ben potrebbe attagliarsi cio` che Baudelaire scriveva di Pascal: che «avait son gouffre, avec lui 117 se mouvant» – puo` addirittura moltiplicare il doppio infinito pascaliano in una rete di specchi, dal momento che la piu` piccola delle particelle di materia contiene l’infinita` del tempo passato, presente e futuro. Ogni istante concreto avviluppa il tutto, e le scale temporali astratte – le ore, i giorni, gli anni, i secoli, gli eoni – si sbriciolano in un labirinto zenoniano di punti senza fine: Que n’auroit il [Pascal] pas dit avec cette force d’eloquence qu’il possedoit, s’il estoit venu plus avant, s’il avoit sc¸u que toute la matiere est organique par tout, et que sa portion quelque petite qu’on la presse, contient representativement, en vertu de la diminution actuelle a` l’infini qu’elle enferme, l’augmentation actuelle a` l’infini qui est hors d’elle dans l’univers, c’est a` dire que chaque petite portion contient d’une infinite´ de fac¸ons un miroir vivant exprimant tout l’univers infini qui existe avec elle; en sorte qu’un asse´s grand esprit, arme´ d’une veue asse´s perc¸ante, pourroit voir icy tout ce qui est partout. Mais il y a bien plus: il y pourroit lire encor tout le passe´, et meˆme tout l’avenir infiniment infini, puisque chaque moment contient une infinite´ de choses < dont chacune en enveloppe une infinite´ >, et qu’il y a une infinite´ de momens dans chaque < heure ou autre > partie du temps, et une infinite´ d’heures, d’anne´es, de siecles, d’eoˆnes, dans toute l’eternite´ future. Quelle infinite´ d’infinite´s infiniment replique´e, quel monde, quel univers < apperceptible > dans quelque corpuscule qu’on pourroit assigner [G II, 554]118. Vv., Modernita` e Secolarizzazione, Napoli, 1993; R. Koselleck – C. Meier, Progresso, cit. (su Leibniz p. 36 sgg.); voce “Geschichte, Historie” in Geschichtliche Grundbegriffe, cit., Band 2, pp. 593-717; La storia sociale moderna e i tempi storici, in Aa. Vv., La teoria della storiografia oggi, cit., pp. 141-157. 117 Cfr. Le gouffre (L’abisso), in Les Fleurs du Mal, in C. Baudelaire, Opere, a cura di G. Raboni e G. Montesano, Milano 1996, p. 348. 118 Sul frammento leibniziano si veda l’analisi di E´. Naert, Double infinite´ chez Pascal et Monade, in SL, 1985, p. 44-51. Il testo e` riportato, prima che da Grua (1948) da J. Baruzi in Leibniz, cit., pp. 299-301. Sulla lettura leibniziana della doppia infinita` pascaliana cfr. l’analisi di M. Serres in Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., p. 719 sgg. Fondamentali, inoltre, ai fini del nostro studio, sono anche le considerazioni di Cassirer relative alla differenza tra l’idea di infinita` pascaliana e quella propria della metafisica di Leibniz. Se nella prima «il pensiero e` uscito dalle strettoie del quadro medioevale del mondo, ma nell’orizzonte ampliato cosı` dischiudentesi non ha ancora trovato per se stesso un sostegno sicuro, ne´ alcun saldo orientamento», in modo che, di conseguenza, «anche la concezione della
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Cosı`, dunque, Leibniz traduceva nel linguaggio della sua filosofia la consapevolezza dell’enigmaticita` e dell’infinita` del tempo che la Neuzeit aveva maturato, dal momento che, come osserva Robinet, nel filosofo della Monadologia l’infinita` del tempo e` ancora piu` vertiginosa di quella dello spazio, tanto piu` che essa concerne l’interiorita` stessa della durata personale, queste serie infinite e intrecciate che si schizzano, si annodano e si snodano nella confusa chiarezza delle nostre piccole percezioni e delle nostre appetizioni infime119.
Sono alcune lettere del carteggio con Louis Bourguet a illuminare il problema dell’inizio del tempo. Una, in particolare, datata 5 agosto 1715, contiene decisive precisazioni: Pour ce qui est de la succession, ou` vous semble´s juger, Monsieur, qu’il faut concevoir un premier instant fondamental, comme l’unite´ est le fondement des nombres, et comme le point est aussi le fondement de l’etendue: a` cela je pourrois repondre, que l’instant est aussi le fondement du temps, mais comme il n’y a point de point dans la nature, qui soit fondamental a` l’egard de tous les autres points, et pour ainsi dire le siege de Dieu, de meme je ne vois point qu’il soit necessaire de concevoir un instant principal. J’avoue cependant qu’il y a cette difference entre les instans et les points, qu’un point de l’Univers n’a point l’avantage de priorite´ de nature sur l’autre, au lieu que l’instant precedent a tousjours l’avantage de priorite´ non seulement de temps, mais encor de nature sur l’instant suivant. Mais il n’est point necessaire pour cela qu’il y ait un premier instant [GP III, 581-582].
Cosı` come nello spazio non e` rinvenibile, sul piano conoscitivo, un punto da cui sia possibile contemplare l’intera armonia universale, una icnografia, un integrale degli orizzonti da cui osservare il corrispondersi e rispecchiarsi di tutte le monadi come in un immenso reticolo, come fosse il storia resta ristretta nella tradizione biblica quanto alla sua estensione, e nel pessimismo della dottrina agostiniana della grazia quanto al suo tenore», in Leibniz, invece, «l’io non e` piu` l’atomo estensivo che scompare di fronte al tutto, ma l’artefice e il portatore dell’infinita` che esso domina nella fisica con i propri metodi scientifici, e che comprende nella storia sul modello della propria unita` finalistica, in lui realizzantesi ... La coscienza non e` affatto una parte, ma un simbolo del tutto. E il nuovo concetto del soggetto genera il nuovo concetto della storia» (E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., pp. 347-348). 119 A. Robinet, G.W. Leibniz: Le meilleur des mondes par la balance de l’Europe, cit., p. 303. Il brano di Robinet e` un commento al testo di G II, 553-554, da noi sopra riferito.
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«sie`ge de Dieu», altrettanto vale per il tempo, dal momento che centro e origine costituiscono un unico problema: esso non puo` comportare un istante originario, un anello iniziale che sia sorgente del movimento, legge della serie. Con una differenza, pero`, rispetto allo spazio: che mentre in uno spazio esteso tutti i punti sono sullo stesso piano, senza che nessuno possa presentare una priorita` naturale sugli altri, nel caso del tempo esiste un prima e un poi, una successione di stati che implica che l’antecedente sia la ragione logica e ontologica del successivo. Ma proprio simile concatenazione che va all’infinito condanna chi intendesse coglierne il punto aurorale a un regresso senza fine, «come – osserva Serres – un immenso riflusso verso 120 l’origine» . Cosı` – prosegue lo studioso francese a cui si deve un’acuta disamina del carteggio con Bourguet – la storia del mondo, come l’evoluzione dell’essere vivente, come l’attivita` conoscitiva dello spirito, si perde in una preistoria infinitamente iterabile ...121.
Vale, naturalmente, anche qui, che contingentiae radix est infinitum: le verita` contingenti richiedono un’analisi infinita, che Dio solo puo` percorrere a priori e con pretesa di definitivita`. La catena temporale, dunque, si perde nel buio, e` priva di un primo anello, l’origine del tempo e` intemporale, ovvero, per usare il linguaggio del De rerum, radicale, metempirica, metacosmica. E` in questo punto preciso che la questione del tempo, da ontologica, si fa metafisico-teologica, e che il tempo rinviene, oltre all’azione della monade creata, alla sua durata, l’altro fondamento, quello supremo, esigito dal principio di ragione: l’eternita` come attributo di Dio. Ma prima di entrare nel merito dei rapporti tra eternita` e tempo, e ritornare sul tema della dottrina della creazione continua precisando quanto gia` anticipato in precedenza sull’argomento, vale la pena di sostare su una possibile implicazione, su un possibile ‘‘prolungamento di senso’’, del testo riportato della lettera a Bourguet del 5 agosto 1715, di importanza tale per il nostro lavoro che meritera` successive riprese e specificazioni. Se nello spazio non c’e` alcun punto privilegiato che possa ergersi a orizzonte di tutti gli orizzonti, a «sie`ge de Dieu», a sede di Dio, la medesima 120 M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., p. 274. Sull’idea leibniziana di origine cfr. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 58 sgg.; C. Gaudin, Origine et radicalite´, in Aa. Vv., L’actualite´ de Leibniz: les deux labyrinthes, a cura di D. Berlioz e F. Nef, SL, Supplementa, XXXIV, Stuttgart 1999, pp. 43-54. 121 Ivi, p. 275.
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considerazione vale, come si e` visto, anche a proposito del tempo, non solo, ci sembra, sul piano dell’inizio, del primo istante decisivo, ma anche di qualsiasi momento intermedio. Ad assecondare questa prospettiva, e` evidente che non si possa indicare momento o avvenimento interno al tempo e alla storia, iniziale o successivo, da cui sia possibile dominare il corso degli eventi. Qualitativamente “altra”, per cosı` dire, e` solo l’origine radicale delle cose, che aduna la totalita` prestabilita degli istanti, tutti assiologicamente equipollenti, dopo quell’origine. Non c’e`, dunque, una sede di Dio nel tempo, ma solo l’inanellarsi di un rinvio da uno stato all’altro, in una sequenza infinita. Non c’e` condizione, o evento, che non rinvii ad altro da se´, mostrando in cio` la sua relativita` a tutti gli altri. Ora, se dal terreno scientifico, che e` quello in cui certo si inscrivono le osservazioni a Bourguet, dislochiamo – crediamo non arbitrariamente – il significato del testo a quello teologico, per trarne qualche lume sulla visione religiosa leibniziana, e` evidente che la res in gioco diventa nientemeno che quella della centralita` dell’Incarnazione, del significato cruciale e cardinale di Gesu` Cristo rispetto al tempo e alla storia. Crucialita` fatta oggetto di analisi nel classico studio di Oscar Cullmann su Christus und die Zeit122, ed espressa nella poesia contemporanea con impareggiabile densita`, mediante una identificazione tra istante del tempo e avvenimento di Cristo, nei Cori da “La Rocca” di Thomas Stearns Eliot: Quindi giunsero, in un momento predeterminato, un momento nel tempo e del tempo, Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo, in cio` che noi chiamiamo storia: sezionando, bisecando il mondo del tempo, un momento nel tempo ma non come un momento di tempo, Un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiche´ senza significato non c’e` tempo, e quel momento di tempo diede il significato123.
122 O. Cullmann, Cristo e il tempo. La concezione del tempo e della storia nel Cristianesimo primitivo, tr. it. di B. Ulianich, Bologna 1980. 123 T.S. Eliot, Cori da “La Rocca” (1934), in Id., Opere 1904-1939, a cura di R. Sanesi, Milano 2001, p. 1265. Anche K. Lo¨with, nell’Introduzione a Weltgeschichte und Heilsgeschehen, cita il poeta inlgese, e in particolare un brano del dramma teatrale Murder in the Cathedral (1935) per illustrare un aspetto concernente l’esperienza storica, vale dire, nella fattispecie, «l’esperienza del male e del dolore prodotta dall’agire storico» (Lo¨with, Significato e fine della storia, cit., p. 23).
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Qui l’Augenblick – il «moment of time» – dell’Incarnazione e` autenticamente il «sie`ge de Dieu», la sede di Dio nel tempo, il punto temporale assiologicamente privilegiato e cruciale da cui dominare il cosmo e la storia. Anche nei Pensieri di Pascal Gesu` Cristo e`, analogamente, il centro a cui ogni cosa tende, l’unita` che aduna ogni dispersione. Gesu` Cristo – si legge nelle Pense´es – e` il fine di tutto e il centro a cui tutto tende. Chi lo conosce, conosce la ragione di tutte le cose ... Senza Gesu` Cristo, il mondo non sussisterebbe; perche´ bisognerebbe o che fosse distrutto, o che fosse come un inferno124.
Se l’universo e` decentrato, desacralizzato, dominato dal silenzio eterno degli spazi infiniti che “spaura”, esiste tuttavia per il filosofo e scienziato francese un Kern, un punto privilegiato, che non si trova nella natura ma nella sovra-natura, ed e` cio` verso cui tutto tende: Gesu` Cristo. Anche Leibniz muove da una simile esperienza di un cosmo dove Dio e` assente, anche lui cerca un ubi consistam: ma il punto fermo ricercato viene rinvenuto in uno spazio unico, omogeneo, continuo, contro la dualita` pascaliana, e non appare costituito da una rivelazione sovrannaturale ed esclusiva, ma da atomi di sostanza che la ragione puo` attingere forte del suo lume naturale: si tratta delle monadi e dell’insieme armonico del loro conspirare che e` l’harmonia universalis. In Leibniz, osserva infatti Michel Serres, non c’e` 125 una cristologia, ma una teodicea . Gesu` Cristo non introduce una rivoluzione nel tempo, ma e` l’espressione suprema, il compimento di qualcosa che si da` anche per vie naturali. Cio` che non appare lontano neppure dal rapporto che Kant instaurera` tra fede religiosa pura e Sacre Scritture. E` in questa ottica che diviene comprensibile la prospettiva configurata nelle lettere a Bourguet, che sembra apparentemente assecondare una desacralizzazione del tempo, in consonanza con il programma della Rivoluzione scientifica che da Galileo giunge fino a Newton. Pare infatti che Leibniz disponga il tempo su una linea seriale dove nessun punto-istante, ne´ iniziale ne´ intermedio, pur incardinato in un ordine di successione, puo` vantare un primato rivelativo, una superiorita` assiologica, nessun punto 124
B. Pascal, Pensieri, n. 602 secondo l’ed. Chevalier, tr. it. di A. Bausola, Milano 1993, pp. 357 e 359. Su questo punto, cfr. M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., terza parte (Le point fixe) p. 647 sgg. 125 Cfr. M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., p. 718 nota 2. Sottolinea la stessa insignificanza dell’Incarnazione quanto alla suddivisione dei periodi storici W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 74.
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essendo il sie`ge de Dieu e ciascun momento essendo prospetticamente relativo a tutti gli altri: tutti uniformemente sullo stesso piano, per quanto ognuno irriducibilmente diverso dagli altri, nessuno potendo avere le stesse coordinate di un altro. All’infinito de-centramento spaziale corrisponde un analogo infinito de-centramento temporale. Il centro del tempo e` simultaneamente dappertutto, che e` come dire da nessuna parte. A un punto nevralgico si sostituisce una sconfinata sequenza senza inizio ne´ fine, e in essa uno sconfinato pluralismo di punti di vista ciascuno col suo centro, che solo Dio raccoglie e vede “icnograficamente” in un unico ordine armonico universale, essendo immediatamente presente a tutto, «sans aucun eloignement de ce Centre» (Principes de la Nature et de la Graˆce, § 13; GP VI, 604). Si potrebbe obiettare, certo, che il piano del discorso, nel contesto epistolare indicato, intende essere scientifico, non teologico (per quanto gia` l’espressione «sie`ge de Dieu» propizi la traslazione dal piano puramente fisico-matematico a quello teologico), ma resta ugualmente vero, a nostro avviso, che nella concezione del tempo leibniziana accade qualcosa di analogo a quanto Werner Conze ha rilevato per la visione storicouniversale del filosofo tedesco: se in essa viene meno il dualismo agostiniano tra Civitas Dei e Civitas diaboli, l’articolazione tra Historia sacra e 126 Historia profana, unificate in un’unica Historia universalis , l’analogon sul piano temporale di tale unificazione e` l’abolizione di salti qualitativi nel decorso delle cose, l’unita` di tempo sacro e profano in un’unica serie temporale aperta all’infinito e tenuta insieme da un’origine e da una destinazione “radicale”, cioe` trascendente, metempirica. Vale anche quanto gia` osservato: non ci sono, in Leibniz, due centri, due nature, due spazi, ma un solo spazio omogeneo e continuo. Se Pascal cerca ancora un centro, un’unita`, nella scienza fisica o matematica come nella religione, in entrambi i domini Leibniz dissolve il centro nell’infinita` infinitamente replicata di centri reali, atomi di sostanza, le monadi. Corrisponde, questa operazione, come si accennava, a una desacralizzazione tout court del tempo? Rappresenta essa una liquidazione del kairos, dell’antica teologia del tempo sacro, religioso, o non piuttosto la sua universalizzazione in senso liberale, e l’universalizzazione della stessa rivelazione, a tal punto che quest’ultima, anziche´ in un Evento privilegiato, in un sie`ge de Dieu interno al tempo e alla storia, unico e irripetibile, vada 126
W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., pp. 38-39 sgg. Sul tempo storico in Agostino rinviamo al denso volumetto di H.-I. Marrou, L’ambivalence du temps de l’histoire chez Saint Augustin, Montre´al-Paris 1950.
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rinvenuta nell’intera serie temporale e storica? Non va la teologia razionale di Leibniz in direzione di tale universalizzazione del tempo religioso? Non corrisponde essa a una teodicea del tempo? Gia` Jean Baruzi aveva rilevato, nel pensiero religioso leibniziano, l’attitudine alle «universelles transpositions» di concetti nati entro un contesto ecclesiale e confessionale quali Grazia, Gloria di Dio, Citta` di Dio, Predestinazione, Transustanziazione, Salvez127 za . Anche il tempo sacro, religioso, andrebbe inscritto in questo novero di concetti. Cosı`, in nome dell’ecumenismo e dell’universalismo proprio di un cristianesimo, quale quello leibniziano, filosofico e razionale, e` lecito concludere che la rivelazione del Divino vada rinvenuta nell’ordine seriale completo che compone l’harmonia universalis, piuttosto che raccogliersi attorno a un istante privilegiato e unico, a un centro nevralgico qualitativa128 mente distinto dagli altri, quale l’Incarnazione . Nel disegno armonicouniversale, insomma, tutti i momenti del tempo sono ugualmente necessari, fatta salva la loro uguale contingenza, in quanto tutti sono punti della serie scelta da Dio in quanto la migliore tra le infinite possibili. 129 Si potrebbe anche dire, riecheggiando Jean Guitton , che per la religione naturale e filosofica leibniziana la rivelazione non e` conclusa, e` un processo incompiuto, storicamente in progresso, come ripeteranno, cia127
J. Baruzi, Leibniz, cit., in part. pp. 134-135. Nella stessa direzione cfr. Id., Leibniz et l’organisation religieuse de la terre, cit., in part. la Conclusione (La gloire de Dieu), pp. 425-509. Sull’accennato concetto di kairos cfr. in part. la voce “kairos” in Grande Lessico del Nuovo Testamento, hrsg. G. Kittel e G. Friedrich, ed. it. a cura di F. Montagnini, G. Scarpat e O. Soffritti, Brescia 1968, vol. IV, pp. 1363-1383. Inoltre cfr. P. Philippson, Il concetto greco di tempo nelle parole Aion, Chronos, Kairos, Eniautos, in “Rivista di storia della filosofia”, 1949, pp. 81-97. 128 Sull’universalizzazione in concetti filosofici dei dogmi cristiani, oltre ai volumi di J. Baruzi menzionati nella nota precedente, cfr. E´. Rolland, Le de´terminisme monadique et le proble`me de Dieu dans la philosophie de Leibniz, Paris 1935, p. 97 sgg.; G. Preti, Il cristianesimo universale di G.G. Leibniz, Roma 1953, p. 146 sgg. Sulla nozione di harmonia universalis, rinviamo al pregevole studio di W. Schneiders Harmonia universalis, in SL, 1984, pp. 27-44. Sulla nozione in generale di armonia, cfr. L. Spitzer, L’armonia del mondo. Storia semantica di un’idea, Bologna 1967. Sul problema della storia e sulla sua visione teologica ortodossa in Malebranche, cfr. A. De Maria, Storia Sacra Scrittura e tradizione nel pensiero di Malebranche, Torino 1997, pp. 11-41 (sulla centralita` dell’Incarnazione nella storia umana, in part. p. 36 sgg.). 129 «Leibniz – scrive Guitton – concepisce ogni elemento della religione come un momento di una transizione; la rivelazione non e` finita, l’ecumenicita` non e` costituita, le definizioni non sono definite, il Concilio di Trento non e` chiuso» (Id., Profili paralleli, cit., pp.162 e 166). Di Guitton, sull’ecumenismo leibniziano e sui suoi sforzi di riunione delle Chiese, cfr Attualita` di Leibniz, in Id., Verso l’unita` nell’amore, tr. it. di G. Riggio, Brescia 1963, pp. 65-91.
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scuno a suo modo, in tempi piu` maturi per uno storicismo etico-religioso, Lessing e Novalis, e come, del resto, la prospettiva dell’innatismo virtuale e la storia della religione tracciata nelle prime pagine della Prefazione agli Essais de The´odice´e, possono confermare. Il romanzo di Dio, insomma, ha ancora dei tomi non scritti, quanto meno non storicizzati, ancora rinchiusi nel Palazzo dei destini. L’armonia universale e` Dio: nell’universo infinitamente de-centrato di Leibniz, Dio e` sempre e ovunque, rivela la sua saggezza nell’intera series rerum, che e` la migliore possibile in qualsiasi momento del tempo venga considerata. Lo dimostra, in storia, il fatto che, per Leibniz, in ogni epoca ci sono stati uomini grandi ed eventi significativi. Percio` il kairos non e` tolto, ma universalizzato, ed e` l’intera vicenda cosmica, l’intera storia del genere umano, per quanto destinata a sfuggire nella sua integralita`, a costituire il locus revelationis, il locus theologicus, il theatrum Dei gloriae. Tutto il tempo della storia, in questa liberale ed ecumenica prospettiva, e` sacro, religioso, kairologico, reso tale dal principio del meglio che ne fa la serie migliore tra le infinite possibili. In questa direzione, conferma autorevolmente Cassirer, anche la storia del popolo eletto e le cronologie bibliche finiscono per “provincializzarsi”, poiche´ nessun singolo popolo, ne´ alcuna singola religione puo` piu` valere da unico portatore e rappresentante dell’evoluzione teleologica della storia. Nell’universalismo del concetto di armonia si vengono cosı` preparando l’unita` comprensiva del concetto di humanitas (Humanita¨t) e l’applicazione di tale concetto alla filosofia della storia130. En fin je trouve partout Dieu et sa gloire [A I, 14, 551],
scrive significativamente Leibniz a Andre´ Morell il 1 (11) ottobre 1697, espressione in cui si potrebbe fissare il Kern della sua ispirazione etica e religiosa. Se la Gloria di Dio e` dappertutto nello spazio, lo e` anche nel tempo. Il dovunque e il sempre, qui, si inanellano in un’unica visione universalizzante del fatto religioso. Non sono forse, da questo punto di vista – che e` quello di una teologia razionale – gli “e´clats” elargiti da Dio alle monadi a tempo debito, secondo il migliore disegno “programmato” per armonia prestabilita, in un “conspirare” delle dimensioni temporali, dei perpetui, ripetuti kairoi, dei luminosi Augenblicke, ciascuno dei quali contiene la rivelazione del tutto, 130
E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., p. 326.
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pur essendo la sostanza creata in grado di cogliere, di simile pleroma, di simile sovrabbondanza ontologica, solo una limitata porzione? Cosı`, all’apparente uniformita` di tutti gli istanti lungo la linea del tempo, subentra l’infinita varieta` dei lampi della Divinita`, ciascuno pleromaticamente carico di lumi e novita` offerti alla durata della singola creatura secondo i ritmi della sua serie, ciascuno essendo una variante unica e irripetibile del ritmo universale dell’armonia prestabilita. Ogni istante, da punto uniforme sopra una linea, diventa un rigonfiamento, un nodo, una nebulosa fluttuante, un lampo, un tuono, pronto a erompere con inaudita novita` nel gioco barocco di una infinita metamorfosi. In tutto cio` e` da ravvisarsi, come detto, una vera e propria teodicea (o ontodicea) del tempo.
6. – La teologia razionale e il tempo. L’eternita`, il principio di ragione e la dottrina della creazione continua Avremo modo di osservare quanto questa teologia razionale sia in Leibniz all’origine di novita` concernenti la rappresentazione della storia. Ma occorre, per ora, ritornare alla questione dell’origine del tempo, la quale non puo` che essere fuori dalla serie temporale, non puo` che porsi come metempirica, trascendente legge della serie. Per un corretto intendimento dei rapporti tra Dio (l’eternita`) e il tempo, forse nessun testo e` di aiuto come il § 106 della Quinta lettera a Clarke, che conviene riportare integralmente: > JE SOUTIENS < que sans les creatures, l’immensite´ et l’eternite´ de Dieu ne laisseroient pas de subsister; mais sans aucune dependance ny des tems ny des lieux. S’il n’y avoit point de creatures, il n’y auroit ny temps ny lieu; et par consequent point d’espace actuel. L’immensite´ de Dieu est independante de l’espace, comme l’eternite´ de Dieu est independante du temps. Elles portent > SEULEMENT A L’E´GARD DE CES DEUX ORDRES DE CHOSES < que Dieu seroit present et coe¨xistant a` toutes les choses qui existeroient. Ainsi je n’admets point ce qu’on avance icy, que si Dieu seul existoit, il y auroit temps et espace comme a` present. Au lieu qu’alors a` mon avis, ils ne seroient que dans les ide´es, comme des simples possibilite´s. L’immensite´ et l’eternite´ de Dieu sont quelque chose de plus eminent que la dure´e et l’e´tendue¨ des creatures; non seulement par rapport a` la grandeur, mais encore par rapport a` la nature de la chose. Ces attributs divins n’ont point besoin de choses hors de Dieu, comme sont les lieux et les temps actuels. Ces verite´s ont e´te´ asse´s reconnues par les The´ologiens et par les Philosophes [LC, 171-172].
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Se, come detto, la serie temporale rinvia a un principio seriale esterno al continuum, tale principio non puo` essere che l’eternita`. Un’eternita`, tuttavia, concepita non come somma di tempi, come loro addizione, secondo quanto si legge anche nei Nouveaux essais (II, 17, 16), ma come qualcosa di qualitativamente altro. In effetti, nel testo riportato della disputa con Clarke, la differenza ontologica tra eternita`, come attributo di Dio, e spazio-tempo, nel loro inerire alle cose create, non potrebbe essere marcata piu` nettamente. La purita` metafisica di Dio, la sua assoluta trascendenza rispetto alla creazione e al tempo – contra Spinoza e Newton – non potrebbe, in questo senso, essere custodita in modo piu` rigoroso. La sottolineatura di tale incolmabile abisso tocca il suo apice, ci pare, nel punto in cui Leibniz scrive che l’immensita` e l’eternita` di Dio sono qualcosa di piu` eminente della durata e dell’estensione delle creature; non solo in rapporto alla grandezza, ma anche alla natura della cosa.
Cio` significa che la distanza tra eternita` e tempo non e` di ordine puramente quantitativo (par rapport a` la grandeur), come vuole l’idea “volgare” di eterno, ma essenzialmente qualitativo (par rapport a` la nature de la chose). L’eternita`, si potrebbe dire, non e` immortalita`, o durata successiva 131 infinita, come anche l’antico mito di Titone ricorda . Punto di vista sigillato dalla perentoria affermazione per cui 131
Del mito di Titone riportiamo la sintesi che ne ha fatto K. Kere´nyi, lo storico delle religioni ungherese amico e corrispondente di Th. Mann: «Eos, la dea dall’aureo trono, rapı` il divino Titone, giovane della stirpe reale di Troia. Poi si reco` da Zeus e chiese per il suo amato la vita eterna. Cio` le venne concesso. Essa pero` non aveva riflettuto che sarebbe stato meglio chiedere per lui la giovinezza e la facolta` di evitare la vecchiaia. Fino a che Titone fu giovane, visse felicemente con Eos presso l’Oceano, al margine orientale della terra. Quando pero` apparvero i fili bianchi sulla sua bella testa e si mescolarono pure nella sua barba, la dea non condivise piu` con lui il giaciglio, ma lo curo` come un bambino, gli diede il cibo degli dei e bei vestiti. E quando la decrepitezza lo privo` pure dei movimenti, la dea lo nascose in una camera e chiuse la porta. Di la` arrivava soltanto la voce di Titone, nelle cui membra non era rimasta alcuna forza» (Kere´nyi, Gli Dei e gli Eroi della Grecia, tr. it. di V. Tedeschi, Milano 1997, p. 172). Di tale mito ha offerto una densa e fine lettura teoretica A. Caracciolo in Nulla religioso e imperativo dell’eterno. Studi di etica e di poetica, Genova 1990, pp. 27-28. Cosı` lo stesso Caracciolo spiegava la distinzione tra eternita` come vita pienamente giustificata e immortalita` come durata infinita, in rapporto a K. Jaspers: «L’Idea dell’immortalita` acquista verita`, quando da idea di durata infinita oltre la morte si fa appunto idea (cifra, in linguaggio jaspersiano) di eternita` presente; quando lo speculare sulle possibili figure dell’aldila` cede il posto all’impegno esistenziale ed etico e riflessivamente filosofico di rinvenire, esperire e realizzare le figure di eterno possibili nel tempo» (ivi, p. 86). Sulla
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quegli attributi divini [immensita` ed eternita`] non hanno affatto bisogno di cose fuori di Dio, come sono i luoghi e i tempi attuali.
Tempo e spazio, dunque, esistono solo in rapporto alla creazione. E` concepibile, certo, per Leibniz, un tempo senza esistenti, un tempo prima del tempo, per cosı` dire, ma soltanto come idea di Dio, come puro possibile presente nell’intelletto divino. Anche i mondi non nati, in effetti, implicando un certo ordine di cose ed eventi, devono avere un loro tempo e spazio, ma sono privi di storia. L’Adamo o il Cesare vago sono per l’appunto privi di storicita`. Del resto, se il tempo reale preesistesse alla creazione, se fosse una sorta di recipiente vuoto pronto a essere riempito dalla serie di eventi scelta da Dio, sarebbe esso stesso eterno, si confonderebbe con l’eternita` stessa di Dio, e gli esiti panteistici non potrebbero essere con cio` evitati. Si potrebbe, per questa via, arrivare all’assurdo metafisico di un Dio dipendente dal tempo e dallo spazio, bisognoso di essi per muoversi. Oppure, di uno spazio e di un tempo indistruttibili e immutabili anche per Dio. Naturalmente, nella disputa con Clarke non e` tanto il Deus sive natura di Spinoza l’avversario preso di mira, quanto l’assolutezza del tempo newtoniana. E` su questo punto, d’altronde, che si gioca la questione cruciale dell’intelligibilita` del tempo. Krzysztof Pomian, nelle pagine dedicate a Leibniz del suo volume sul tempo, sottolinea opportunamente che la concezione newtoniana del tempo come grandezza variabile che esiste indipendentemente dalle cose, crescente a un ritmo assolutamente uniforme, e` ancora piu` enigmatica di 132 quella dello spazio . Rispetto a quest’ultimo, infatti, esiste quantomeno il celebre sensorium Dei, che permette di rappresentarsi lo spazio come un quadro in cui Dio vede intimamente le cose e le comprende come presenza immediata in lui. La stessa cosa non sembra valere per il tempo, che resta percio` piu` indeterminato sia quanto al rapporto con Dio, sia quanto alla sua specifica natura. Nella visione newtoniana, dunque, sembra a Leibniz che il tempo scorra come un factum brutum, accettato nella sua ferrea assolutezza ma, insieme, nella sua inintelligibilita`, in stridente conflitto, pertanto, con il principium reddendae rationis. Nella prospettiva ipostatizzante di Newton il differenza qualitativa tra tempo ed eternita` cfr. anche il seguente testo di una lettera di Leibniz a Bourguet: «Il est tres vray que la notion de l’eternite´ en Dieu est toute differente de celle du temps, car elle consiste dans la necessite´, et celle du temps dans la contingence» (GP III, 588). 132 K. Pomian, L’ordine del tempo, cit., p. 310. Riprende l’osservazione G. Marramao in Kairo´s. Apologia del tempo debito, cit., pp. 6-7.
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tempo, come lo spazio, rischia di diventare un’entita` assoluta quanto Dio, non solo in se´ inintelligibile, ma tale da trascinare nella stessa illogica assenza di ragione il cosmo e l’intera sua vicenda. Chi, in effetti, fosse disposto ad assecondare simile assolutezza del tempo e dello spazio, si troverebbe nell’impossibilita` di rispondere all’interrogativo circa la scelta, da parte di Dio, del momento in cui porre in atto la creazione, interrogativo che Leibniz formula nel terzo scritto a Clarke § 6 riecheggiando un problema di matrice agostiniana: Il en est de meˆme du TEMPS, suppose´ que quelqu’un demande, pourquoy Dieu n’a pas tout cre´e un An plustost; et que ce meˆme personnage veuille inferer de la`, que Dieu a fait quelque chose dont il n’est pas possible qu’il y ait une raison pourquoy il l’a fait ainsi plustost qu’autrement; on luy repondroit que son illation seroit vraye si le temps e´toit quelque chose hors des choses temporelles, car il seroit impossible qu’il y euˆt des raisons pourquoy les choses eussent e´te´ applique´es plustost a` de tels instans qu’a` d’autres, leur succession demeurant la meˆme. Mais cela meˆme prouve que les instans hors des choses ne sont rien, et qu’ils ne constistent que dans leur ordre successif; lequel demeurant le meˆme, l’un des deux etats comme celuy de l’anticipation imagine´e, ne differeroit en rien, et ne sauroit eˆtre discerne´ de l’autre qui est maintenant [LC, 54].
L’assolutezza del tempo newtoniana approda a esiti contrari al principio di ragione, che vuole soddisfatto non solo il perche´ concernente l’essere piuttosto che il nulla, ma anche il perche´ riguardante l’essere cosı` piuttosto che altrimenti. Se tempo e spazio esistono come entita` assolute, fuori dalla creazione, quest’ultima finisce per essere sospesa alla volonta` arbitraria di un Dio che ha eseguito senza ragione l’atto creativo in quel certo momento anziche´ in un altro. Ma poiche´ cio` e` contrario al nihil sine ratione, occorre concludere che il tempo non e` nulla fuori dalle cose, e` un puro ordine di successione di esistenze. Con questo, lo stesso interrogativo circa il prima e il dopo dell’atto creativo di Dio si dissolve come un falso problema. Ne discende il radicarsi metafisico del tempo e della sua intelligibilita` nel principio di ragione. Il tempo e` un ordine di esistenze successive che rinviene in Dio e nel nihil sine ratione il suo fondamento supremo. Il suo senso coincide con la creazione del migliore dei mondi possibili. Prima di questo momento, scrive Pomian, esso era un’idea di Dio, una sorta di programma che determinava in anticipo l’ordine di entrata delle essenze nell’esistenza, l’ordine della realizzazione dei possibili. Mediante la ragion sufficiente del suo passaggio dallo stato di
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idea di Dio allo stato di «ordine delle Esistenze successive», che coincide con la ragion sufficiente della creazione in generale, il tempo acquista un’intelligibilita` intrinseca; anziche´ essere accettato come un fatto o un dato bruto, viene ricondotto a una struttura puramente logica, retta dal principio d’identita`133.
Nel migliore dei mondi, il tempo esprime l’ordine seriale piu` perfetto che Dio poteva scegliere di portare a esistenza, tra quelli presenti nel suo intelletto. Se Leibniz, come si e` detto, puo` rinvenire la revelatio Dei nell’intera series rerum, e` perche´ la sequenza che giunge a esistentificarsi e` passata per quella sorta di “setaccio” metafisico costituito dal principio degli incompossibili. Salvare il cosmo, col suo tempo e spazio – percio` la storia stessa – dall’assurdo metafisico, oppure dall’ipotesi dell’eterno ritorno, equivale a porlo sotto il segno del principio di ragione. Ecco come Leibniz raccoglie in perfetta sintesi questa onto-cosmodicea nella lettera a Bourguet del 2 luglio 1716: Mr. Clark, pour combattre ma maxime que rien n’arrive sans une raison suffisante, et pour soutenir que Dieu fait quelque chose par une pure volonte´ absolument sans aucune raison, a allegue´ que l’espace e´tant par tout uniforme, il est indifferent a` Dieu d’y placer les corps. J’ay repondu que cela meˆme prouve, que l’espace n’est pas un eˆtre absolu, mais un ordre, ou quelque chose de relatif, et qui ne seroit qu’ideal, si les corps n’y existoient point. Autrement il arriveroit quelque chose dont il n’y auroit aucune raison determinante. Je dis encor la` dessus, qu’il en est de l’espace comme du temps; que le temps separe´ des choses n’est pas un eˆtre absolu, mais une chose ideale; et que pour cette raison on ne peut point demander, pourquoy Dieu n’a pas cre´e le Monde mille ans plustost? car le temps n’e´tant que ce rapport des successions, ce seroit la meˆme chose, et la difference ne consiste que dans une fiction mal entendue. Autrement il faudroit avouer que Dieu auroit fait quelque chose sans raison, ce qui e´tant une absurdite´, il faudroit recourir a l’eternite´ du Monde [GP III, 595].
Ma, una volta chiarita l’infinita differenza qualitativa tra l’eternita` di Dio, di natura necessaria, e il tempo creato, di natura contingente, e una volta fondata l’intelligibilita` del tempo stesso sul principio di ragione, se torniamo al testo della disputa tra Leibniz e Clarke 5 § 106, da cui avevamo preso le mosse, ci accorgiamo che esso contiene un’altra indicazione decisiva: quella per cui non c’e` momento del tempo in cui Dio non sia 133
Ivi, p. 312.
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presente con la sua azione. All’assoluta trascendenza, dunque, corrisponde la presenza di Dio in tutte le creature esistenti. Siamo rimandati, in questa sorta di ossimorica “trascendenza immanente”, alla dottrina della creazione continua, la cui analisi, gia` in qualche modo anticipata a proposito della durata, si tratta qui di riprendere e precisare in relazione, in particolare, al nodo centrale della conciliazione della dipendenza creaturale con l’automatismo della sostanza. Radicata nella teologia di Paolo, difesa da Agostino, poi dalla Scolastica, la dottrina della creazione continua gioca, nella teologia e nella filosofia del Seicento un ruolo di particolare rilievo, tanto che Cartesio e la sua scuola, non meno di Malebranche e di Leibniz, la discuteranno vivacemente reinterpretandola e incorporandola nei rispettivi sistemi. Con Cartesio, Leibniz condivide l’idea di discontinuita` della durata, ma diverse sono le conseguenze che i due filosofi traggono. Per il filosofo francese, la natura del tempo e` tale che i suoi elementi non dipendono l’uno dall’altro, ne´ esistono mai tutti nello stesso tempo; e percio`, dal fatto che esistiamo in questo momento, non deriva che esisteremo in un tempo futuro anche prossimo, se non per qualche altra causa, ossia per quella medesima causa che ci creo` dapprincipio e che ci ricrea continuamente, cioe` ci conserva. Infatti, comprendiamo facilmente che in noi non c’e` alcuna forza capace di conservarci; e comprendiamo che colui nel quale c’e` tanta potenza da conservare noi, diversi da lui, ha tanta maggiore potenza anche di conservare se stesso, o piuttosto non ha bisogno di alcuna potenza per la sua conservazione134.
Naturalmente, per Leibniz, affermare che la creatura non e` dotata di alcuna forza autoconservativa equivale a svuotare la sostanza della sua sostanzialita`: Nam conservatio illa a causa universali rebus necessaria, hujus loci non est, quae ut jam monuimus, si tolleret rerum efficaciam, etiam tolleret subsistentiam [GP IV, 515].
Un essere incapace di produrre azioni con naturale efficacia e spontaneita` di causazione non costituisce sostanza, dal momento che “sostanza” e “capacita` di azione” omnino convertuntur. Per questo, se resta vero che l’esistenza in un istante non implica necessariamente l’istante successivo, e` 134
Descartes, I principi di filosofia, I, XXI, in Opere filosofiche, cit., p. 611.
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altrettanto vero, per il filosofo tedesco, che l’istante successivo segue naturalmente dall’antecedente, dove nulla faccia ostacolo, come si legge in Teodicea § 383 a proposito del “dogma” per cui “la conservazione e` una creazione continua”: Les Cartesiens, a` l’exemple de leur Maitre, se servent pour le prouver d’un principe qui n’est pas asse´s concluant. Ils disent que les momens du temps n’ayant aucune liaison necessaire l’un avec l’autre, il ne s’ensuit pas de ce que je suis a` ce moment, que je subsisteray au moment qui suivra, si la meˆme cause, qui me donne l’estre pour ce moment, ne me le donne aussi pour l’instant suivant ... On peut repondre, qu’a` la verite´, il ne s’ensuit point necessairement de ce que je suis, que je seray; mais cela suit pourtant naturellement c’est a` dire de soy, per se, si rien ne l’empeˆche [GP VI, 342].
In Cartesio, ad avviso di Leibniz, la sostanza si riduce a una congerie di accidenti, sempre sul punto di morire e sempre rinascente in virtu` di una forza conservativa del tutto estrinseca. Ad andar troppo dietro alla tesi cartesiana, o ad altre simili, risulta dunque un’evanescenza della sostanza, dissolta in una serie successiva di accidenti, in un flusso eracliteo senza centro, cosı` che en consequence de cette doctrine, il semble que la Creature n’existe jamais, et qu’elle est tousjours naissante et tousjours mourante, comme le temps, le mouvement, et autres eˆtres successifs. Platon l’a cru des choses materielles et sensibles, disant qu’elles sont dans un flux perpetuel, semper fluunt, nunquam sunt [GP VI, 342].
Ma non minori sono i rischi provenienti dall’occasionalismo di Malebranche, che nella creazione continua vede l’evidente esclusione delle cause seconde, vale a dire di una forza autonomamente posseduta dai corpi. Forza che per l’oratoriano francese non e` altro che la stessa volonta` conservativa di Dio, piuttosto che una qualita` che appartenga ai corpi, il cui incontro e urto si riduce a una causa occasionale del loro movimento. Ne risulta, per Leibniz, con evidenza, un attentato alla spontaneita` della sostanza, analogo a quello rilevato in Cartesio, che finisce in pericolosa prossimita` dello spinozismo. Ecco come il pensatore tedesco nel De ipsa natura § 15 valuta l’aspetto centrale della dottrina malebranchiana: Ex quibus rursus intelligitur, doctrinam a nonnullis propugnatam causarum occasionalium ... periculosis consequentiis obnoxiam esse, doctissimis licet defensoribus haud dubie invitis. Tantum enim abest, ut Dei gloriam augeat, tollendo idolum naturae: ut potius rebus creatis in nudas divinae
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unius substantiae modificationes evanescentibus, ex Deo factura cum Spinosa videatur ipsam rerum naturam, cum id quod non agit, quod vi activa caret, quod discriminabilitate, quod denique omni subsistendi ratione ac fundamento spoliatur, substantia esse nullo modo possit [GP IV, 515].
Un passo di poco precedente del medesimo scritto (§ 13), definisce con limpidezza l’interpretazione leibniziana della dottrina della creazione continua: sed quemadmodum prima illa et universalis causa omnia conservans non tollit, sed facit potius rei existere incipientis subsistentiam naturalem, seu in existendo perseverationem semel concessam; ita eadem non tollet, sed potius confirmabit rei in motum concitatae efficaciam naturalem, seu in agendo perseverationem semel impressam [GP IV, 514].
«Subsistentia naturalis», «efficacia naturalis», sono espressioni che dicono eloquentemente la preoccupazione del filosofo della Monadologia di contemperare la dipendenza da Dio e la sussistenza della creatura, la Causa prima, con la sua azione creativa-conservativa, e le cause seconde, con la loro tendenza ad agire spontaneamente in base a una causalita` intrinseca. Che tali siano i due corni del problema che per Leibniz occorre tenere insieme, in quanto tutt’altro che incompatibili e anzi entrambi irrinunciabili, viene evidenziato con particolare perspicuita` in uno scritto del 1702 dedicato all’analisi del libro di Lamy, Connaisance de soy meˆme. Qui, rispondendo a un’obiezione circa la supposition d’une nature agissante, puissance, force ou energie distingue´e de la puissance de Dieu, en vertu de laquelle les Estres produissent par ordre tous les changemens qui leur arrivent, en sorte que tout leur naisse de leur propre fonds par une parfaite spontaneite´ [GP IV, 586],
osserva Leibniz: Mais on ne marque point, pourquoy et en quoy ma supposition y est contraire. La creature, pour estre foible et dependante, doit elle estre sans pouvoir aucun? Et le Createur, pour estre souverainement puissant, doit il estre seul puissant et agissant? Parceque Dieu est infiniment parfait, n’y aurat-il aucune perfection dans les creatures? On prouveroit de la meˆme maniere que parcequ’il est l’Estre souverain, il est le seul Estre ou du moins la seule substance [GP IV, 586-587].
E aggiunge:
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Je conviens que Dieu agit a` tous momens sur les creatures en les conservant: mais s’il agit seul, quelle perfection leur at-il donne´e? Je voudrois bien qu’on la specifiaˆt, car on n’en trouvera aucune qui ne marque de l’action. Et s’il ne leur avoit donne´ aucune perfection, son ouvrage seroit indigne de luy [GP IV, 587].
La creazione continua, dunque, nella lettura leibniziana, sembra agitarsi, non senza oscillazioni, nel dilemma di conciliare la costante presenza di Dio alla creatura con la causazione spontanea, da parte di quest’ultima, del proprio sviluppo. Se, come chiarito in precedenza, Dio conserva nell’essere le cose attraverso gli e´clats o le Fulgurations continuelles, il problema diventa capire come tali atti della Divinita` si concilino con l’efficacia interiore, forma o forza, che e` tutt’uno con la natura individuale. Iniziativa conservativa divina e sussistenza naturale dei soggetti creati paiono dunque quasi contendersi il terreno della produzione degli stati che compongono la durata delle cose. Solo una teoria della doppia causalita`, come i passi citati gia` evidenziano, puo` contemperare i due elementi in gioco, Dio e la sostanza agente. Un testo della Teodicea ci mette sulla via della iniziale comprensione di tale plesso problematico. Dopo aver espresso nel § 30 della Parte prima la dottrina del male mediante l’immagine dei battelli, nel § 31 Leibniz richiama la tesi della creazione continua, la quale va intesa nel senso che Dieu donne tousjours a` la creature, et produit continuellement ce qu’il y a en elle de positif, de bon et de parfait, tout don parfait venant du pere des lumieres; au lieu que les imperfections et les defauts des operations viennent de la limitation originale, que la creature n’a pu manquer de recevoir avec le premier commencement de son eˆtre, par les raisons ideales qui la bornent. Car Dieu ne pouvoit pas luy donner tout, sans en faire un Dieu [GP VI, 121].
Si potrebbe osservare, a titolo preliminare, stante questo testo, che tra l’azione di Dio e l’apporto della creatura esiste il rapporto che intercorre tra la causa efficiens e la causa deficiens. Dio dona alla monade l’intero universo di perfezioni nell’atto originario della creazione, ma il limite di recettivita` della sostanza fa sı` che di tali infinite perfezioni essa giunga a esprimere solo una porzione. Da tale limitazione originaria, appartenente all’essenza della monade, presente nell’intelletto divino prima della creazione, e in cui Leibniz identifica il male metafisico, nasce la possibilita` del peccato morale e del dolore fisico. Ma dalla stessa condizione nasce anche la produzione e la percezione di una sequenza di stati, insieme alla loro rappresentazione e
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organizzazione nella durata e nel tempo. Nel contrarre in una prospettiva la totalita` dell’universo che pure virtualmente rappresenta, la monade innesca in effetti il dinamismo della successione e delle sue rappresentazioni psichiche. Parrebbe dunque necessario concludere, almeno rispetto a questo punto, che origine del male e origine del tempo, nella monade, omnino convertuntur. Senza l’oceano oscuro e confuso delle percezioni minime, senza la passivita` (ovvero senza il male metafisico), non ci sarebbe successione, ma un’immobile contemplazione della totalita`, che Leibniz non ammette neppure per la condizione spirituale piu` perfetta di quella umana, quale quella dei Genii. Il tempo e la storia, dunque, paiono in Leibniz costitutivamente, nativamente segnati dal male metafisico, da cui discende la possibilita` di quello morale e fisico, cio` che propizia un legame inscindibile tra teodicea, tempo e storia. In tal senso, l’immagine del fiume e dei battelli che il filosofo impiega in Teodicea § 30 (Parte prima) per illustrare il problema del male, gia` ricordata, puo` ben essere allargata a cifra della storia stessa, la cui corrente, sorretta dalla legge di continuita`, trascina i singoli natanti a diversa velocita`, nella misura della diversa recettivita` alla potenza del flusso. Tuttavia, quanto rilevato sin qui non e` sufficiente a spiegare ne´ come si produca la serie di stati nella sostanza, ne´ come conciliare azione divina e automatismo monadico. Se, in effetti, la sostanza fosse essenzialmente causa limitante, non risulterebbe spiegato l’apporto alla determinazione dei suoi stati, delle sue modificazioni. In realta`, se la passivita`, il limite, rendono conto del perche´ la monade contragga la purita` e totalita` dell’iniziativa conservativa divina, occorre che ad essa si accompagni una causalita` positiva, efficiente. La monade, come si legge nei Principi razionali della natura e della grazia § 3, se e` specchio vivente dell’universo, lo e` in quanto dotata di “azione interna”. Infatti, subito dopo il testo riferito della Teodicea, nel § 32 (Parte prima) si legge questa precisazione, che sottolinea l’apporto attivo della creatura alle sue modificazioni: Cette consideration servira aussi pour satisfaire a` quelques philosophes modernes, qui vont jusqu’a` dire que Dieu est le seul acteur. Il est vray que Dieu est le seul dont l’action est pure et sans me´lange de ce qu’on appelle patir; mais cela n’empeˆche pas que la creature n’ait part aux actions aussi, puisque l’action de la creature est une modification de la substance qui en coule naturellement, et qui renferme une variation non seulement dans les perfections que Dieu a communique´es a` la creature, mais encor dans les limitations qu’elle y apporte d’elle meˆme, pour eˆtre ce qu’elle est [GP VI, 121].
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Ma, a chiarire maggiormente il problema concorre nuovamente in modo decisivo il De ipsa natura. Qui Leibniz, rintuzzando la teoria delle cause occasionali, spiega che Dio, nel creare, non puo` aver attribuito alle cose una mera denominazione estrinseca, ma deve aver conferito loro un’«impronta creata perdurante in esse» (impressionem creatam in ipsis perdurantem), o «un qualche suo espresso vestigio nelle cose» (aliquod sui expressum in rebus vestigium) [GP IV, 507], e conclude: Sin vero lex a Deo lata reliquit aliquod sui expressum in rebus vestigium, si res ita fuere formatae mandato, ut aptae redderentur ad implendam jubentis voluntatem, jam concedendum est, quandam inditam esse rebus efficaciam, formam vel vim, qualis naturae nomine a nobis accipi solet, ex qua series phaenomenorum ad primi jussus praescriptum consequeretur [GP IV, 507].
Cio` che fa perdurare nel presente il comandamento iniziale, dunque, cio` che ne prolunga l’efficacia conservativa, e` l’impronta persistente, il vestigio che Dio ha lasciato nelle cose, in una parola, la natura inscritta in esse come forza, forma e legge. Questa impronta – commenta M. de Gaudemar – e` il nesso di continuita` tra il comandamento divino e le azioni puntuali. Essa costituisce per la creatura una legge interna135.
Ne discende che, se l’apporto causale della monade e` per un verso riduttivo, selettivo (causa deficiens) della totalita` elargita da Dio, la riduzione si inscrive all’interno di una natura che implica una forza attiva, percettiva e appetitiva. Nella lettera a Jaquelot del 9 febbraio 1704, mentre viene ribadita la tesi della doppia causalita`, Leibniz torna a sottolineare il ruolo della vis activa nella causazione dei mutamenti: Et meˆme chez moy la nature de chaque substance consiste dans la force active, c’est a` dire dans ce qui la fait produire des changemens suivant ses
135
M. de Gaudemar, Leibniz. De la puissance au sujet, cit., p. 72. Sul tema della legge di natura, cfr. anche G. Tomasi, Leggi della natura, sostanze e fenomeni in Leibniz, in Aa. Vv., La legge di natura. Analisi storico-critica di un concetto, Milano 2001, pp. 61-82. Sulla teoria della creazione continua in quanto implicante una doppia causalita` cfr. J. Jalabert, La the´orie leibnizienne de la substance, cit., p. 174 sgg. Cfr. su questi temi A. Robinet, Architectonique disjonctive, automates syste´miques et ide´alite´ transcendentale dans l’oeuvre de G. W. Leibniz, cit., pp. 418-442.
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loix. Il est cependant vray que Dieu concourt a` tout par la conservation continuelle des Estres [GP III, 464].
E` assai importante sottolineare, come fa M. de Gaudemar nel testo riportato, il carattere interno della legge che costituisce l’impronta di Dio nelle cose. Il concorso divino, infatti, non e` esteriore, ma opera dal di dentro della monade, senza turbare le leggi delle cose. In un’altra lettera a Jaquelot si legge il seguente testo che, nell’esporre il nucleo del sistema dell’armonia prestabilita, contiene alcune precisazioni rilevanti per il nostro tema: De ce que Dieu opere sur les creatures par une influence immediate, on ne peut point inferer quelque chose de semblable a` l’egard de l’influence d’une creature sur l’autre, car a` l’egard de Dieu c’est une chose necessaire, et la dependance parfaite et immediate que le re´el positif des creatures doit avoir de la volonte´ de Dieu, est demonstre´e, et consiste dans une continuelle production ou creation, mais cela ne sauroit convenir aux creatures. Ainsi une influence qui soit a` peu pres de meˆme espece avec celle de Dieu, ne sauroit estre admise, outre qu’une telle influence seroit superflue, et meˆme peu raisonnable d’ailleurs. Car sans troubler les loix des choses comme elle feroit, la sagesse de Dieu a de´ja pourveu de ce qui se doit faire dans chaque substance, sans la spontaneite´ tousjours (qui la fait suivre ses propres loix et son naturel) et sauf, et sauf la liberte´ si elle est raisonnable. Car pourquoy ne suivroit elle pas ses propres loix et son naturel? Dieu n’ayant point besoin de les troubler par celle d’un autre, puisque les loix des uns et des autres s’accordent conformement a` l’harmonie preetablie, qui s’accommode a` la nature de chaque chose, autrement son ouvrage n’auroit garde d’avoir la perfection, qui luy convient. Et tout cela fait voir que l’influence des creatures des unes sur les autres seroit un miracle continuel et meˆme inutile, puisqu’elle feroit que Dieu tireroit des creatures par violence ce qu’il en peut obtenir avec spontaneite´ [GP VI, 572]136.
Ma il testo dove forse, piu` limpidamente emerge la armonica saldatura 136
Anche Mathieu, nel dedicare alcune pagine del suo studio sul carteggio tra Leibniz e Des Bosses alla teoria della creazione continua, fa riferimento a questo testo a Jaquelot sottolineando «il carattere non esteriore dell’azione attraverso cui si realizza il concorso divino ... Cosı` il concorso divino, anziche´ contrastare con l’autonomia creaturale, si allea ad essa contro ogni influenza esterna, contribuendo a quella chiusura della monade in se´ stessa che Leibniz aveva gia` dedotta per altra via» (cfr. Leibniz e Des Bosses, cit., pp. 103-106). Di questo testo contenuto, come abbiamo indicato, in GP VI, 572, Jalabert indica due refusi, che, con lo studioso francese qui segnaliamo, pur avendo riportato il testo in questione come si legge nell’edizione Gerhardt: «on y lit – scrive Jalabert – “sans la spontane´ite´” au lieu de sauf la spontane´ite´, et l’expression “et sauf” est re´pe´te´e deux fois devant le terme liberte´» (cfr. La the´orie leibnizienne de la substance, p. 177 nota 2).
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tra forza attiva, legge interna alle sostanze e principio di conservazione divina, e` quello di una lettera a Bayle: Vous y remarque´s, Monsieur, que les esprits forts s’aheurtent aux difficulte´s du franc arbitre de l’homme, et qu’ils disent de ne pouvoir comprendre, que si l’ame est une substance cre´e´e, elle puisse avoir une veritable force propre et interieure d’agir; je souhaiterois d’entendre plus distinctement, pourquoy la substance cre´e´e ne sc¸auroit avoir une telle force, car je croirois plustost que sans cela ce ne seroit pas une substance, la nature de la substance consistant a` mon avis dans cette tendence regle´e, de la quelle les phenomenes naissent par ordre, qu’elle a rec¸ue d’abord et qui luy est conserve´e par l’auteur des choses, de qui toutes les realite´s ou perfections emanent tousjours par une maniere de creation continuelle [GP III, 58].
E` evidente, dall’analisi svolta, che la produzione della successione di modificazioni interne alla monade, che sta alla base della durata e del tempo, e` l’effetto, da un lato, della limitazione strutturale con cui la sostanza viene pensata dall’intelletto divino e poi esistentificata, poiche´, come si e` detto, senza passivita`, senza percezioni confuse, senza virtualismo e prospettivismo, non sarebbe pensabile l’innescarsi della serie, della tensione all’infinito. Ma dall’altro, e in senso proprio, simile produzione e` l’effetto di una forza attiva, forma sostanziale, o legge spontaneamente regolata che costituisce la natura propria della sostanza – in cui meccanicismo e finalismo sono saldati – impressa da Dio nell’atto creativo. La causalita` seconda delle creature reca in se´ tale doppio versante, deficiente ed efficiente, che genera e coinvolge l’intera sequenza delle modificazioni che toccheranno loro. Nec mihi aliud in eis est permanens quam lex ipsa quae involvit continuatam successionem, in singulis consentiens ei quae est in toto universo [GP II, 263].
La legge di cui e` sostanziata la monade contiene dunque in se´ l’intera serie dei suoi stati. La causalita` seconda costituita dalle nature individuali produce percio` tale serie spontaneamente, estraendola dal proprio fondo, a partire dai due versanti indicati. Luce e ombra, forza attiva e brusı`o confuso dell’universo, attivita` e passivita`, come si e` detto, formano una diade necessaria a determinarla. Ma come si innesta, in questo quadro, l’iniziativa creativa e conservativa divina? Essa, certo, appartiene a un altro piano di causalita`, quello primitivo e radicale di Dio, che ha pensato ab origine la singola sostanza con tutti i suoi attributi. La sequenza di e´clats de la Divinite´,
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alla fine, e` tutt’uno, in perfetta corrispondenza, con la legge seriale che ordina la sostanza, innestandosi dall’interno del suo svolgimento senza violarne la spontaneita`. Avviene, nella visione leibniziana, come se le perfezioni pensate ab origine da Dio in ogni singola monade per armonia prestabilita, avessero bisogno, per incarnarsi, delle cause seconde. Dio, viene da dire, “piega” il tempo in ciascuna monade secondo il suo armonico disegno complessivo, ma cio` avviene spontaneamente attraverso le “pieghe” incluse nelle sostanze. Per comprendere meglio questo punto, si puo` riflettere sul fatto che Dio pensa nella loro integralita`, con tutti gli attributi, non solo il mondo realmente esistente, ma tutti i mondi possibili. Tuttavia, di essi, per il principio degli incompossibili, solo uno giunge a esistentificarsi, a storicizzarsi, e l’esplicarsi storico della serie che lo costituisce implica il concorso delle cause seconde, che non possono, percio`, essere semplici modificazioni di un’unica sostanza, come in Spinoza e, in modo diverso, nell’occasionalismo, ma devono rappresentare esse stesse dei soggetti reali e sostanziali. La storia, insieme al tempo, e` dunque prodotto delle cause seconde. Alludendo a questi distinti piani di causalita`, scrive Leibniz nella Teodicea § 395: Dieu produit des substances de rien, et les substances produisent des accidens par les changemens de leur limites [GP VI, 351] Leibniz – osserva significativamente M. de Gaudemar – restaura i diritti di una Natura fatta di nature che sono insieme delle nature agenti espressive della natura divina, e di nature individuali svolgenti una legalita` individuale che arricchisce e compone la legalita` universale137.
E`, dunque, da un tale fondo costitutivo delle nature individuali, che nascono la durata e il tempo come ordine percettivo e poi ideale offerto alla tendenza regolata degli stati della monade. Difficile tuttavia sottrarsi, alla fine, all’evidenza che, nella visione leibniziana, esso rappresenti un puro effetto di prospettiva, nascente nella regione delle cause seconde, prodotto della loro latente virtualita` e della forza percettivo-appetitiva, ma privo di senso a parte Dei. Come scrive Vittorio Mathieu, guardando le cose come veramente sono, dal punto di vista di Dio, quella «virtualita`» e quello svilupparsi progressivo perdono senso. Le stesse 137
M. de Gaudemar, Nature individuelle, nature essentielle et lois naturelles, in Aa. Vv., La notion de nature chez Leibniz, cit., p. 153. Della stessa studiosa, sul tema della potenza, cfr. Quelques questions autour de la notion leibnizienne de puissance, in SL, 1992, pp. 216-220.
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sostanze finite sviluppano a poco a poco, nel tempo, alcune delle loro virtualita` implicite, solo quoad nos: viste da Dio, in quello che sono, dovrebbero esistere, per dir cosı`, tutte insieme, presenti in tutti i particolari della loro vita: i quali sono immutabili, perche´ sono come il Sesto della Teodicea, che e` «cosı` come e` e come sara`». Il tempo, come in Spinoza, sparisce e diviene (come dice Leibniz) un mero «fenomeno», relativo al punto di vista del finito138.
Il tempo, e con esso la storia, diventa qualcosa di concreto soltanto ponendosi dal punto di vista “esistenziale” della monade, il cui interno virtualismo consente il dispiegarsi in progressione, secondo i ritmi discontinui ed elastici della durata concreta, delle infinite pieghe, allargando via via – ed e` questa la base ontologica del progresso – la regione chiara e distinta. Non v’e` dunque dubbio – per riecheggiare conclusivamente il giudizio 139 di F. Meinecke – che ‘‘lacci’’ d’ordine gnoseologico, ontologico, teologico, avvolgano in Leibniz la visione della temporalita` in una corazza categoriale in cui l’intuizione del tempo come forza dinamica di metamorfosi interna all’individualita` resta avvinta. Di una tale immagine del tempo, complessivamente analizzata sin qui, si tratta ora di osservare piu` da vicino l’applicazione alla visione storica, al fine di cogliere come le forze in gioco, i contrasti che abbiamo visto agitare la concezione del tempo, si riflettano sulla teoria e sulla pratica della storia.
7. – La temporalita` nella storiografia annalistica e nella metafisica della storia. Le “pressioni qualitative” delle monadi e il tempo nel De rerum originatione radicali E` dunque il momento, dopo la lunga disamina svolta, di trarre alcune conclusioni, a integrazione delle analisi gia` svolte, circa il rapporto tra il tempo e la storia nel pensiero leibniziano. Posto che, come e` stato osservato, ogni concezione della storia e` sempre data insieme con una certa esperienza del tempo che e` implicita in essa, che la condiziona e che si tratta, appunto, di portare alla luce140, 138
V. Mathieu, Introduzione a Leibniz, cit., pp. 66-67. F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., pp. 15-30. 140 G. Agamben, Tempo e storia. Critica dell’istante e del continuo, in Id., Infanzia e storia. Distruzione dell’esperienza e origine della storia, Torino 1978, p. 91. 139
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quale immagine della temporalita` – ci chiediamo – e` alla base della concezione storica di Leibniz? Quali sono le conseguenze dell’immagine del tempo, cosı` come e` venuta chiarendosi nell’analisi svolta, in relazione al pensiero storico dell’hannoverese? La risposta, come vedremo, non puo` essere univoca. Prendiamo le mosse da alcuni testi degli Initia rerum mathematicarum metaphysica che ci condurranno a riconoscere, come primo – ma non unico – aspetto delle relazioni tra tempo e storia, una sostanziale omogeneita` tra la nozione del tempo come astrazione dell’intelletto, caratterizzata dalla sua riduzione a linea retta misurabile mediante intervalli uniformi, e le categorie di genealogia e cronologia che rappresentano, per il pensatore di Hannover, le strutture portanti – i «nervi e tendini» e le «ossa», secondo un’icastica analogia 141 leibniziana – della teoria e della pratica storiografica erudito-annalistica, quale Leibniz la concepı` e attuo`. Intanto, si potrebbe subito osservare, con Aleida Assmann, che il «tempo degli archivisti, dei cronisti e degli storici» viene a formare, tra il Quattrocento e il Seicento, una peculiare forma di temporalita` “laicizzata”, “terza” in quanto distinta sia dal tempo sacro della Chiesa sia da quello profano del mercante: Tra Quattrocento e Seicento si inauguro` infatti una terza dimensione temporale: oltre al tempo sacro, il “tempo della chiesa”, e al tempo profano, “tempo del mercante”, in cui venivano conclusi affari, calcolati i rischi e conteggiati gli interessi, nacque il “tempo degli archivisti, dei cronisti e degli storici”, che cercavano le radici del presente nel passato. Queste ricerche divennero fondamentali quando il privilegio della legittimazione genealogica e dell’autodeterminazione si allargo` dalle case reali ai principi, ai casati nobiliari, alle citta` e ai cittadini piu` influenti. Questa indagine storica dava valore all’eredita` familiare e a quella del gruppo, segnalando un nuovo spirito di emulazione. Con la fine della collaborazione tra papato e impero, si era determinata una moltiplicazione dei soggetti storici: casati nobiliari, famiglie patrizie e citta` si costituirono come soggetti autonomi. Essi costruirono la propria identita` e consolidarono la propria legittimazione in base a racconti storici che ricostruivano le proprie origini142. 141
Cfr. ZhVN, 1885, pp. 20-21. Il testo completo in questione, datato 1 luglio 1692, sul quale abbiamo richiamato l’attenzione gia` nell’Introduzione, viene riferito e commentato nel capitolo secondo del presente lavoro. Si veda anche, in merito, L. Daville´ , Leibniz Historien, cit., p. 423, note 1 e 5. 142 A. Assmann, Ricordare. Forme e mutamenti della memoria culturale, tr. it. di S. Paparelli, Bologna 2002, pp. 52-53.
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Quanto Leibniz abbia concorso alla fondazione scientifica della ricerca genealogica, e piu` in generale della ricerca delle origines, e quanto cio` abbia a che fare con un generale processo di secolarizzazione della scrittura storica che investe l’eta` moderna, avremo modo di osservare piu` da vicino nel prossimo capitolo. Limitiamoci, qui, alla considerazione della temporalita` propria della rappresentazione annalistica, cioe` cronologica e genealogica, analizzando in che modo il pensatore tedesco, che alla genealogia della Casa hannoverese ha dedicato gran parte del suo impegno storiografico, l’ha intesa sul piano epistemologico. Partiamo, come si diceva, dagli Initia rerum mathematicarum metaphysica: Si eorum quae non sunt simul unum rationem alterius involvat, illud prius, hoc posterius habetur. Status meus prior rationem involvit, ut posterius existat. Et cum status meus prior, ob omnium rerum connexionem, etiam statum aliarum rerum priorem involvat, hinc status meus prior etiam rationem involvit status posterioris aliarum rerum atque adeo et aliarum rerum statu est prior. Et ideo quicquid existit alteri existenti aut simul est aut prius aut posterius [GM VII, 18].
In questo passo viene definito con tutta chiarezza il fondo ontologico, qualitativo, di cio` che, per posteriore astrazione intellettiva, si traduce in ordine cronologico: si tratta, come gia` sappiamo, dell’ordine seriale entro cui si susseguono i cambiamenti della sostanza, della successione degli stati interni alla monade, fino al riconoscimento della infinita connessione tra tutte le cose. Come sottolinea Jalabert: prima di essere un ordine cronologico, il cambiamento e` un ordine qualitativo143.
Si rende evidente anche, alla luce del brano riferito, che la legge di continuita` rappresenta la reale base ontologica dell’ordine cronologico e genealogico. Non v’e` dubbio, in effetti, che nell’unita` e nella cooperazione che Leibniz ha tentato di instaurare tra erudizione, annalistica e filosofia – tratto che lo distingue, come approfondiremo, da tanti storici eruditi del suo tempo – uno degli aspetti piu` rilevanti sia rappresentato dall’impiego della legge di continuita` come fondamento ontologico, come tessuto con143
J. Jalabert, La the´orie leibnizienne de la substance, cit., p. 133. Cfr. anche quanto dice A. Corsano sull’ordine annalistico e sulla convinzione leibniziana dell’intrinseca costituzione cronologica della vicenda, in Bayle, Leibniz e la storia, cit., p. 53 nota 9.
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nettivo e regolativo della ricerca storiografica144. Torneremo nel prossimo paragrafo sul rapporto che il principio di continuita` intrattiene con la storiografia annalistica. Discuteremo di cio`, in particolare, con Waldemar Voise´, che al tempo storico nell’opera leibniziana ha dedicato uno studio, per concludere che il ruolo di base ontologica che la legge di continuita` svolge rispetto all’ordine cronologico-genealogico annalistico presuppone un’altra forma di temporalita` storica piu` radicale e fondativa di quell’ordine temporale astrattamente seriale. Dopo il testo citato, segue, negli Inizi metafisici della matematica, la classica definizione del tempo, sulla quale non ci soffermeremo per averla ampiamente illustrata nelle pagine precedenti: Tempus est ordo existendi eorum quae non sunt simul [GM VII, 18].
Rilevante, invece, e` il passaggio, di poco successivo, in cui Leibniz si sofferma sulla articolazione, o determinazione, delle grandezze di tempo e spazio: Secundum utrumque ordinem (temporis vel spatii) propiora sibi aut remotiora censentur, prout ad ordinem inter ipsa intelligendi plura paucioraque correquiruntur. Hinc duo puncta propiora sunt, quorum interposita ex ipsis maxime determinata dant aliquid simplicius. Tale interpositum maxime determinatum, est via ab uno ad aliud simplicissima, minima simul et maxime aequabilis, nempe recta, quae minor interjecta est inter puncta propiora [GM VII, 18].
Troviamo qui uno dei riferimenti piu` espliciti alla dottrina degli intervalli, o membri intermedi, come fondamento della valutazione delle grandezze entro l’ordine temporale e spaziale. Gli intervalli, come gia` chiarito, articolano il tempo come ordine, relazione, rappresentano un quid che ha grandezza senza essere, in se´, grandezza. Ora – osserva G. Bo¨hme commentando questo brano degli Initia rerum –, a confermare ulteriormente tale “Intervallehre” a cui Leibniz e` orientato, si potrebbe richiamare anche l’esempio delle genealogie contenuto nella Quinta lettera a Clarke § 47, in cui il pensatore, illustrando la formazione del concetto di spazio e sottolineandone il carattere astratto, ideale, esemplifica tale piano di astrazione con l’ordine formato da linee genealogiche le cui grandezze sono rappresen-
144
Cfr. a questo proposito L. Daville´ , Leibniz Historien, cit., p. 689.
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tate dal numero delle generazioni e nella cui topologia ciascun individuo 145 riceve la propria collocazione . La connessione privilegiata tra dottrina del tempo e storiografia annalistica e` dunque propiziata dall’idea di relazione, che domina la teoria della temporalita` leibniziana. La linea genealogica esemplifica la teoria degli intervalli entro una relazione parentale non diversamente da quanto accade nel tempo-ens rationis, costituito da «un continuo uniforme e semplice come una linea retta» (Nouveaux essais II, 14, 16) articolato in mutamenti uniformi, membri intermedi, o intervalli. Stesso ordine ideale, stessa teoria della linea divisibile con intervalli, stesso piano di astrazione che si ripete nei due casi. Nella genealogia – osserva Bo¨hme al riguardo – si parla di parentela piu` vicina e piu` lontana, e si intende con essa la relazione resa in modo piu` preciso mediante i membri in cui si articola l’ordine di parentela stessa146.
Se vale il legame che, con Bo¨hme, e` lecito instaurare tra l’Intervallehre professata da Leibniz come mezzo per articolare il continuum ideale del tempo e l’ordine genealogico, che con quello cronologico (al quale e` legittimo applicare il medesimo ragionamento) rappresenta la struttura portante della forma storiografica annalistica, si puo` concludere che il tempo come ens rationis e tale concezione storiografica appartengono a un medesimo orizzonte categoriale, alla stessa operazione astrattiva che riduce il tempo a linea retta. «Ordo existendi, sed non simul» (tempo misurato da intervalli uniformi) e ordine storiografico annalistico si rivelano, cosı`, categorialmente omogenei. 145 «Comme l’esprit se peut figurer un ordre consistant en lignes Genealogiques dont les grandeurs ne [consistent] consisteroient que dans le nombre des Generations, ou` chaque personne aura sa place, et si l’on adjoutoit la fiction de la metempsychose et faisoit revenir les meˆmes ames humaines, les personnes y pourroient changer de place. Celuy qui a e´te´ pere ou grand pere pourroit devenir fils ou petit fils, etc. Et cependant ces places genealogiques, quoy qu’elles exprimeroient des verite´s reelles, ne seroient que des choses ideales» [LC, 144]. 146 G. Bo¨hme, Zeit und Zahl, cit., p. 236. Poco sopra, cosı` lo studioso tedesco spiega la dottrina degli intervalli leibniziana con significativo riferimento, per analogia, alla teoria musicale: «La proporzione ... e` trattata come uno «spazio», in quanto intervallo che puo` essere diviso, nel quale e` possibile trovare partizioni, punti, ovvero membri intermedi. Siamo qui di fronte a una comprensione della relazione simile a quella degli intervalli musicali. Anche questi intervalli, che secondo la teoria classica sono in se´ proporzioni, hanno la loro grandezza...» (ivi, p. 235). Si sofferma sul testo leibniziano della Quinta lettera a Clarke § 47 anche H. Poser in La teoria leibniziana della relativita` di spazio e tempo, in “aut aut”, 1993, cit., p. 38.
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Quel movimento ascensivo della conoscenza verso le verita` di ragione che cattura e irretisce il multiplo della durata concreta delle monadi nell’ordine uniforme, neutro, continuo, del tempo-principio tassonomico, visto in precedenza, e` dunque il modello di temporalita` implicita nella storiografia praticata da Leibniz. Del resto, le ragioni per cui il pensatore tedesco non ammetteva che una esposizione storica fondata sull’accurata e ordinata series temporum, sull’esempio di Baronio, convinto che solo l’ordine cronologico (insieme a quello genealogico) collocasse le cose nella loro giusta luce, sono ben note agli studiosi: solo una tale rappresentazione, infatti, appresa dal pensatore alla scuola dei grandi cronologisti del tempo (da G.G. Scaligero a Vossius, da Petau a Labbe)147, e affinata alla luce dei recenti guadagni della scienza diplomatica ad opera dei Maurini e dei Bollandisti, garantiva, come osserva Conze, 148 la piu` alta vicinanza alla certezza matematica .
147
Cfr. L. Daville´ , Leibniz Historien, cit., p. 423 sgg. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 56. Significativa appare la correlazione instaurata da Leibniz in una Denkschrift del marzo 1700 tra la cronologia e le scienze matematiche: «Reale Wissenschaften sind Mathesis und Physica ... Bey Mathesi diese: Geometria ... Astronomia, worunter auch in der That Geographia und Chronologia ...» (A. Harnack, Geschichte der Ko¨niglich Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin, cit., Band 2, p. 79). Osserva A. Corsano, sottolineando il rapporto, in Leibniz, tra rappresentazione della storia in chiave cronologica e annalistica, e concezione relazionale del tempo: «Che Leibniz abbia attribuito alla cronologia nei suoi vari aspetti, da quello piu` ampio della periodizzazione nelle tre grandi tappe della storia (antica-medievale-moderna) a quello piu` minuzioso e controllato della storia medievale, una importanza che immaginosamente traduce paragonandola alla «base ou esquelette» dell’organismo storico e storiografico, e` facile intendere, ricordando anche la sua teoria del tempo come sistema di relazioni: che costituisce uno degli aspetti piu` rivoluzionari del suo pensiero scientifico. Nulla di comune dunque con le ricerche alquanto pedantesche di tipo scaligeriano. Di qui stesso la predilezione per la annalistica con cui si conchiudera` trionfalmente la sua carriera di storico: avendone trasmesso il modello, una volta di piu`, al nostro Muratori. Questa singolare perplessita` nel rifiutar di trascorrere a forme piu` organiche e fluenti e attraenti di discorso storico traduce la sua fiducia che il corso temporale esattamente scandito costituisca la piu` attendibile compenetrazione tra la ragione scientifica e la ricerca documentaria: compenetrazione cui, nonostante la cautissima circospezione, non ha mai rinunziato» (Corsano, Bayle, Leibniz e la storia, cit, p. 60). Conferma la funzione di garanzia scientifica della genealogia R. Otto in Leibniz als Historiker. Beobachtungen anhand der Materialien zum Sachsen-Lauenburgischen Erbfolgestreit, in Labora diligenter, SL, Sonderhefte, 29, cit., p. 210 sgg. E` altresı` interessante osservare, a conferma della nostra analisi, che il modello di temporalita` come continuum progressivo e irreversibile osservato in Leibniz, corrispondente all’ordine cronologico, e` lo stesso presente nella storiografia di L.A. Muratori, come osserva A. Sindoni, con la differenza che l’erudito italiano lo desume da Newton piuttosto che dal filosofo della Monadologia. Cfr. su questo punto A. Sindoni, Storiografia cattolica e concezione cristiana del 148
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Vicinanza, correlazione, non identita`, dal momento che in storia non si danno dimostrazioni. Con simile pretesa, infatti, secondo Leibniz, si giungerebbe a dubitare di tutto, si cadrebbe in una scepsi radicale, finendo per assecondare il pirronismo storico. Tuttavia, la suddetta vicinanza appare qualcosa di altamente importante per accostare quanto piu` possibile la certezza morale delle verita` storiche alla cogenza delle verita` di ragione. In tal senso, sottolinea giustamente Conze, per Leibniz, piu` che scienze ausiliarie, cronologia e genealogia erano l’autentico fondamento della conoscenza dei fatti concernenti la storia pubblica149.
Quanto, poi, per altro verso, genealogie e cronologie – l’ordine temporale, cioe`, fissato in base alla registrazione delle res gestae e della successione dinastica di sovrani e famiglie – corrispondano a categorie naturali del tempo, e` R. Koselleck a lumeggiare nei suoi studi sul Futuro passato. Ne discende che il tempo dell’annalistica corrisponde di fatto al tempo naturale, a quel tempo, cioe`, uniforme e gia`-sempre-dato che si pone agli antipodi di una Zeitlichkeit determinata in base alla storia, quella gia` postulata da Kant: Fino al secolo XVIII inoltrato – scrive Koselleck – due categorie naturali del tempo avevano garantito la successione e il calcolo degli eventi storici: la rivoluzione degli astri e la naturale successione ereditaria dei sovrani e delle dinastie. Ma, rifiutando ogni interpretazione della storia sulla base dei dati fissi dell’ordine astronomico, e respingendo il principio ereditario, che giudica irrazionale, Kant rinuncia alla cronologia tradizionale, filo conduttore annalistico influenzato dalla teologia. «Come se la cronologia non dovesse orientarsi sulla storia, ma, viceversa, la storia secondo la cronologia»150. tempo storico. Da Ludovico A. Muratori al Novecento, in Aa. Vv., Tempo sacro e tempo profano. Visione laica e visione cristiana del tempo e della storia, a cura di L. De Salvo e A. Sindoni, Soveria Mannelli 2002, in part. p. 164 sgg. 149 W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 57. 150 R. Koselleck, Futuro passato, cit., p. 47. Un altro testo significativo chiarisce ulteriomente il modello di temporalita` naturale legato all’annalistica: «E` un’esperienza quotidiana che il tempo (esteriore) continua a “scorrere”, o che, soggettivamente, il domani diventa oggi e infine si trasformi in ieri. Legata a questo tipo di tempo la storiografia annalistica e cronachistica ha fissato per iscritto gli eventi man mano che si verificavano ... L’indicazione del tempo in cui si viveva abbracciava quindi di per se´ cose nuove, senza che si dovesse riconoscere a queste novita` un carattere epocale, sia perche´ le storie si ripetevano strutturalmente, sia perche´ nulla di fondamentalmente nuovo poteva piu` avvenire prima della fine del
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Ma quanto sinora rilevato rappresenta solo un primo livello del rapporto tra tempo e storicita`. In realta`, dove Leibniz, piu` libero rispetto al modello storiografico annalistico, ha trattato la storia in prospettiva speculativa, metafisica, mosso da questioni etiche e teoretiche – quali il problema del male e del senso del corso dgli eventi – piu` che da esigenze di ricerca strettamente erudita, torna a farsi sentire, meno costretto – per usare un’espressione di Meinecke – dall’«ampia prigione» della scrittura annalisti151 ca , quel tempo-durata che innerva il fondo dell’anima, quel tempo-piega esperto di dinamiche oscillatorie, di salti e rivoluzioni, di accelerazioni e arresti, di progressi e regressi, sempre nel quadro della generale legge di continuita`, costituente la radice concreta della temporalita` che successivamente l’intelletto, a un piu` alto livello di astrazione, geometrizza in linea retta e uniforma in intervalli. Su questo piano diventa evidente il carattere astratto, ideale, della rappresentazione lineare dell’ordine cronologico-genealogico, e l’avvertimento, ben presente in Leibniz, che un tale ordine – appartenente a quelle costruzioni conoscitive che, come si legge nella Prefazione ai Nouveaux 152 essais, non sono un errore a condizione di sapere che sono astrazioni – mondo» (ivi, pp. 267-268). Sul rapporto tra temporalita` e storiografia annalistica osserva F. Merlini sulla scorta di Koselleck: «Fintanto che il tempo storico coincide con il tempo cronologico, in quanto determinazione meramente formale del quando degli eventi (il tempo quale operatore esclusivamente tassonomico), una coscienza temporale della Storia, se e` esperibile – ammesso che posta in questi termini l’ipotesi abbia un senso –, lo e` solo in forma statica. Poiche´ in un orizzonte di questo tipo ha poco senso interrogarsi sui princı`pi evolutivi che reggono lo sviluppo della vita sociale» (Merlini, Incanti della storia e patologie della memoria. Studi sulla trasformazione 1, Milano 1997, p. 23). Sulla crisi della cronologia e del tempo naturale nel XVIII secolo, cfr. W. Lepenies, La fine della storia naturale, cit., in part. Parte prima. Rilevanti osservazioni sulle tecniche di fissazione annalistica e sulla staticita` temporale ripetitiva e incapace di novita` che le contraddistingue, si trovano nell’importante studio di C.-G. Dubois, La conception de l’histoire en France au XVI sie`cle (1560-1610), Paris 1977, pp. 29-30. Allude a un «tempo annalistico» J. Topolski in Narrare la storia. Nuovi principi di metodologia storica, tr. it. Milano 1997, pp. 29-34. 151 F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 27. 152 «J’ay aussi remarque´, qu’en vertu des variations insensibles deux choses individuelles ne sauroient estre parfaitement semblables, et qu’elles doivent toujours differer plus que numero, ce qui detruit les tablettes vuides de l’ame, une ame sans pense´e, une substance sans action, le vuide de l’espace, les atomes, et meˆme des parcelles non actuellement divise´es dans la matie´re, l’uniformite´ entie´re dans une partie du temps, du lieu, ou de la matie´re, les globes parfaits du second element, ne´s des cubes parfaits originaires, et mille autres fictions des philosophes qui viennent de leurs notions incompletes, que la nature des choses ne souffre point, et que nostre ignorance et le peu d’attention que nous avons a` l’insensible fait passer, mais qu’on ne sauroit rendre tolerables, a` moins qu’on ne les borne a` des abstractions de l’esprit, qui proteste de ne point nier ce qu’il met a` quartier, et qu’il juge ne devoir point
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poggia su una realta` temporale ed esistenziale ben piu` ricca, non lineare, non statica, ma dinamica del dinamismo interiore delle monadi: Se la temporalita` e` lo specifico della storia – osserva A. Robinet – non si potrebbero descrivere gli avvenimenti che la costituiscono mediante una sola serie lineare. Certo il tempo, come ordo rerum, spiega come si possa avere una storia di tutto cio` che esiste, ma comporta nello stesso tempo il riconoscimento del carattere ideale e astratto di una disposizione degli attributi della sostanza sotto un profilo lineare isolato. Tale ordo successionum dovra` produrre il controllo reciproco dei soggetti ai quali si applica. Soprattutto, cio` che offre il motore alla temporalita` e` la natura dinamica della sostanza su cui resta metafisicamente fondata la persona. Qui non faro` che menzionare i dati del De rerum originatione radicali, dove si percepisce che il tempo e` il risultato della successione dei coesistenti, e che i coesistenti sono comandati dalla pressione delle perfezioni proprie di ciascuna esistenza. La nozione di un Alessandro o di un Adamo vago e` senza storicita`. Essa si concepisce dal punto di vista dell’intelligenza dei semplici. Ma la volonta` creatrice e` conseguenza di un’intelligenza combinatoria di perfezioni, sottomessa al principio dell’optimum che determina la sequenza reale che comporra` questo mondo. Questo peso metafisico di perfezioni combinate continua a offrire alle esistenze la loro suprema individuazione, rispondendo ugualmente al principio di varieta` e di nonduplicazione delle esistenze reali. Cosı`, la storicita` si fonda certo su un calcolo, ma non su un calcolo geometrico, cio` che rende impraticabile la posizione di Spinoza. Per contro, il confronto delle pressioni qualitative che forniscono l’espressione della combinazione piu` ricca concernono insieme l’infinita varieta` del materiale-fine e la suprema semplicita` della legge-mezzo. Il campo relazionale su cui si impianta la storia richiede questa connessione universale delle cose153.
Le notazioni di Robinet fanno riferimento non a caso, e opportunamente, al De rerum originatione radicali, punto di osservazione privilegiato per misurare una ontologia del tempo storico qualitativamente diversa da quella, definita su basi naturali-cronologiche, propria della storiografia a carattere annalistico. Non dimentichiamo, infatti, che il celebre testo del entrer en quelque consideration presente. Autrement si on l’entendoit tout de bon, savoir que les choses, dont on ne s’apperc¸oit pas, ne sont point dans l’ame ou dans le corps, on manqueroit en Philosophie comme en Politique, en negligeant τ μικρν les progre´s insensibles; au lieu qu’une abstraction n’est pas une erreur, pourveu qu’on sache, que ce, qu’on dissimule, y est» [A VI, 6, 57]. 153 A. Robinet, Les fondements me´taphysiques des travaux historiques de Leibniz, in Aa. Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., pp. 58-59.
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1697, pur nella sua fondamentale qualificazione metafisica e teologica, contiene rilevanti osservazioni non solo sul tempo nel migliore dei mondi venuto ad esistenza, ma anche sul progresso storico. Qui, rispetto alla rigida linearita` dell’ordine cronologico-genealogico, corrispondente all’ordine naturale, siamo di fronte a un campo di variazioni qualitative governate da un principio di invarianza che corrisponde a una legge non piu` naturale – quali sono l’avvicendarsi delle stagioni o le successioni dinastiche – ma metafisica: la legge di armonia universale. Cio` che qui, in realta`, avviene e` un cambiamento di teatro: a un’ontologia del tempo storico concepita giusnaturalisticamente, su basi naturali, percio` statica, additiva, dove tutto si ripete e dove, in fondo, nulla di realmente nuovo puo` accadere, subentra una cronosofia su basi speculative, fondata sul principio del meglio e sulle «pressioni qualitative», per usare l’espressione di Robinet, interne alle monadi, che tendono tutte con pari diritto a esistere e che, nella lotta che ne deriva, prevalgono in base alla migliore adattabilita` al disegno complessivo, consistente nel condurre a esistenza il massimo di essenza o di possibilita`. Una cronosofia, si potrebbe dire, che, in luogo di cronologie e genealogie, o anche delle vecchie periodizzazioni bibliche o dell’antica teologia della storia agostiniana, instaura un legame fondamentale tra temporalita` e teodicea. E` la teodicea, o una teologia razionale alla fine, in Leibniz, cio` che fonda l’intelligenza del tempo e lo “giustifica”. E` in virtu` delle suddette «pressioni qualitative», corrispondenti alla pretesa all’esistenza che ogni essenza reca in se´, che viene in primo piano – pur certo trattenuta nell’orizzonte dell’armonia prestabilita che lega le monadi come un «mostruoso mazzo di infiniti fili, i quali sono annodati 154 insieme alle loro estremita` soltanto in Dio» – la durata reale delle sostanze, il loro vissuto concreto, nessuno uguale a un altro, capace di configurare un dinamismo temporale a diversa densita`, tramato, pur nel continuum che connette tutte le cose, di variazioni, trasformazioni, combinazioni nella forma di salti, curve, dislivelli, intermittenze, accelerazioni, progressi, regressi (reculer pour mieux sauter) che, per essere universali e cosmici, sono innanzitutto il prodotto della forza individuale delle monadi. Se esiste, infatti, nella visione leibniziana, progresso e` perche´ appartiene alla monade la prerogativa di allargare la propria regione chiara e distinta, di dilatare l’agere diminuendo il pati, di ingrandire il proprio “dipartimento” a spese di altre monadi, che vedranno cosı` allargarsi la zona umbratile di 154
L’espressione e` di F. Meinecke, in Le origini dello storicismo, cit., p. 22.
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percezioni minime, secondo un gioco prospettico di luci e ombre, di rifrazioni speculari, di salite e discese che fanno della storia una drammatur155 gia barocca, o un «balletto cosmico» , la cui concertazione, che dagli angeli discende fino ai dannati, compone ce Roman de la vie humaine, qui fait l’histoire universelle du genre humain [GP VI, 198],
al quale Dio potra` aggiungere ancora nuovi tomi non ancora venuti a esistenza, non ancora “storicizzati” (cfr. ZhVN, 1888, 233-234). E` un romanzo, infatti, quello della storia umana, indefinitamente in corso di svolgimento, che conosce, all’interno dell’invariabile principio del meglio, urti, rivoluzioni, irregolarita`, catastrofi, e, magari, soluzioni inattese, perche´ Dio e` certo il miglior romanziere che si possa concepire. Un romanzo in cui si offrono, come si diceva, accanto agli arresti e ai possibili regressi, anche eccezionali accelerazioni, come quelle che Leibniz registrava nel suo tempo, da lui designato con espressioni come «hoc aevum», «nostrum tempus», «lumie`res de nostre siecle» [ZhVN, 1885, 20]. In effetti, per il pensatore tedesco, mai come allora, grazie alle straordinarie scoperte e invenzioni, una grande possibilita` era storicamente a portata di mano, ma essa poteva anche andare perduta dove, in suo favore, non si fossero mobilitate tutte le energie cooperative del genere umano e, tra queste, in 156 particolare quelle dei potenti della terra . 155
Cfr. A. Robinet, Leibniz et la racine de l’existence, cit., p. 31. Sulla storia come romanzo di Dio al quale mancano ancora i tomi concernenti gli eventi futuri, si veda il significativo testo della lettera, che riferiamo e commentiamo nel capitolo terzo, di Leibniz a Anton Ulrich del 26 aprile 1713, in Leibnizens Briefwechsel mit dem Herzoge Anton Ulrich von Braunschweig-Wolfenbu¨ttel, a cura di E. Bodemann, in ZhVN, 1888, 233-234. Quanto all’idea di progresso, come preciseremo nel corso del nostro lavoro, in Leibniz esso e` sospeso al possibile, dipende da una serie di fattori d’ordine etico, politico, religioso, quali la buona volonta` degli uomini, la disponibilita` alla cooperazione del genere umano, l’iniziativa dei potenti, l’intervento della Provvidenza, che lo allontanano da un processo necessitato e inevitabile. E`, piuttosto, un programma di lavoro, un impegno additato dal filosofo con forti tinte etiche, piuttosto che una diagnosi e una profezia, come sara` per tanti illuministi. Per questo Leibniz vedeva, accanto alle possibilita` di un’accelerazione storica senza precedenti, i rischi del regresso, legati alla preoccupazione per le conseguenze dello spirito moderno. Preoccupazione che, unita alla coscienza di trovarsi alle soglie di una grande crisi europea, ha ispirato una nota pagina dei Nouveaux essais sull’avvenire dell’Europa (cfr. IV, 16, 4). Anche da tale testo si misura quanto in Leibniz, secondo una coscienza invalsa nel suo tempo, e in lui presente con particolare lucidita`, la Stimmung ottimistica per i progressi conoscitivi del genere umano si stemperasse nell’in156
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Ne discende un’immagine del progresso – quella additata nella celebre chiusa del De rerum – plurale, chiaroscurale, a intermittenze, tutt’altro che lineare, fatta di evoluzioni regionali quanto di zone stazionarie e di regressi, altrettanto parziali, di luci che si accendono da una parte e si spengono da un’altra, di vicoli ciechi e di sentieri riaperti, di province bonificate da una parte e rese selvatiche o distrutte da un’altra, la cui somma complessiva resta sempre il principio del meglio. Non e`, questa, un’idea del progresso che scorrendo lineare possa rientrare negli schemi cumulativi che, auspice la vecchia immagine dei nani seduti sulle spalle dei giganti, opportunamente rivisitata, anche la storiografia erudita del Seicento era pronta a far 157 propria . Siamo, ci sembra, anziche´ di fronte alla riproposizione di una teoria lineare-progressiva del tempo, al cospetto di un pensiero che sara` lo Historismus a fecondare, una volta sfrondato dei lunghi, tenaci fili che, in Leibniz, ancora lo tengono avvinto alla metafisica e alla teologia: quello per cui ogni momento storico – sia epoca o addirittura evento singolo – elabora una sua propria temporalita`, rispetto alla quale l’ordinamento cronologico e` un puro fenomeno di superficie. Tempi e spazi, alla luce della teologia razionale del De rerum, la stessa che fonda la teodicea, in luogo di essere rigidi fattori tassonomici, appaiono come effetti della piu` ampia e ricca varieta` possibile di perfezioni, prodotti, come osserva Robinet, in base a un calcolo non geometrico ma determinato dalla massima produzione dei possibili. Se, rispetto a cio`, non e` certo lecito parlare di scoperta di un tempo specificamente storico o di una temporalizzazione della storia – ancora troppo teologico e metafisico e` lo scenario complessivo in Leibniz, e neppure va dimenticato, naturalmente, il carattere “prestabilito” dell’armonia –, quanto meno siamo di fronte a un segnale di distacco del tempo dalla fatticita` “volgare” delle categorie naturali. Qui, e` realmente la forza interna, il dinamismo percettivo-appetitivo della monade teso alla felicita`, l’origine del tempo e della serie di eventi che compongono il mondo. Qui, la vicenda cosmica, e percio` la storia, sembra davvero configurarsi come il prodotto delle forze individuali, come sara`, in tempi pienamente maturi per lo Historismus, in W. von Humboldt. Qui, infine, e` realmente percepibile il rumore, l’agitazione che sta al fondo del tempo astratto. Cosı`, sottratto alla linearita` additiva della “fila indiana” quieta percezione della crisi senza ritorno della cristianita` europea, alla cui unita` il pensatore aveva dedicato tante energie, e di una rivoluzione incipiente i cui esiti apparivano incerti. 157 Cfr. su questo punto K. Pomian, Che cos’e` la storia, tr. it. di M. Di Sario, Milano 2001, pp. 70-71. Si veda inoltre di B. Barret-Kriegel, Jean Mabillon et la science de l’histoire, Pre´face a J. Mabillon, Bre`ves re´flexions sur quelques Re`gles de l’histoire, Paris 1990, p. 55 sgg.
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propria delle tecniche di fissazione annalistica, il tempo diventa l’espressione del moto pulsionale dei corpi in progresso, la rivelazione della Unruhe che li tiene in permanente stato di squilibrio, del destino stesso, si potrebbe dire, dell’individualita` che si dispiega progressivamente come storia. In forza di cio`, il tempo acquista una nuova qualita` che si potrebbe dire “kairologica”, che si affranca dalla griglia temporale neutra e immobile dei resoconti cronologici e dal divenire ripetitivo della natura proprio in quanto determinata da dinamiche qualitative di forze interne alle monadi, segnata da un perfezionamento destato, a tempo debito (kairos), secondo il programma scandito dalle folgorazioni della Divinita` e recepito «ad modum monadis», secondo la recettivita` di ciascuna monade158. Alla teoria e alla pratica storica annalistica, che, nonostante la logica del verosimile, non eleva la rappresentazione degli eventi oltre un’ordinata 159 fatticita`, oltre le tassonomie dell’episteme foucaultiana , oltre l’orizzonte del sempre uguale e della ripetizione cronachistica, fa dunque da contraltare una considerazione speculativa e metafisica della storia e del tempo nella quale sono all’opera, pur nei limiti indicati, considerevoli novita`. Anche nel De rerum troviamo la serie temporale, una sequenza di stati successivi che compongono l’evoluzione del mondo. Ma in luogo di intervalli puntuali e omogenei rispetto alla natura degli accadimenti, propri del tempo cronologicamente astratto, tale sequenza, infinitamente aperta quanto all’origine e al fine, appare segnata da curve, spirali, variazioni, vincoli trasversali, connessioni dinamiche, torsioni interne agli eventi governati da una legge di invarianza, fissata una volta per sempre senza bisogno di decreti aggiuntivi, quella di armonia, e da un principio, altrettanto invariabile, quello del meglio. In tali variazioni e inversioni di tendenza anche il male, nella forma del peccato o della sofferenza, e` contemplato come un’irregolarita` che non smentisce ma conforta l’armonia complessiva e che rappresenta, come si legge nel De rerum, una scorciatoia alla perfezione (viae compendiariae ad majorem perfectionem) (GP VII, 307):
158 Cfr. su questo punto R. Koselleck – C. Meier, Progresso, cit., p. 36. Riprendiamo la tesi di Koselleck e Meier nel capitolo terzo § 5. 159 ` E B. Kriegel a sottolineare l’omogeneita` categoriale tra l’erudizione classica e l’arte del dizionario, del catalogo, dell’enciclopedia, in una parola del sistema generale di classificazione proprio della teoria della rappresentazione, secondo l’indagine foucaultiana de Le parole e le cose, cit. p. 61 sgg. Cfr. della studiosa francese L’histoire a` l’Age classique, vol. 2, La de´faite de l’e´rudition, cit., p. 202 sgg. Un’analisi dell’enciclopedismo e del gusto classificatorio della cultura barocca si trova in A. Battistini, Il Barocco, Roma 2000, p. 73 sgg.
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e` necessario – commenta Serres – e compreso nell’ordine seriale che la terra tremi a Lisbona: la serie non sarebbe “ricca” dal punto di vista della combinatoria se non comportasse variazioni e inversioni di segno160.
Lo conferma eloquentemente un brano della lettera a Re´mond dell’11 febbraio 1715: i disordini, vi si legge, sono nelle parti, non nel tutto, le linee irregolari parziali cessano di apparire tali se viste come varianti della linea intera: Il y a sans doute mille dereglemens, mille desordres dans le particulier. Mais il n’est pas possible qu’il y en ait dans le total, meˆme de chaque Monade, parce que chaque Monade est un miroir vivant de l’Univers suivant son point de veue. Or il n’est pas possible que l’Univers entier ne soit pas bien regle´, la prevalence en perfections etant la raison de l’existence de ce systeme des choses, preferablement a` tout autre systeme possible. Ainsi les desordres ne sauroient estre que dans les parties. C’est ainsi qu’il y a des Lignes de Geometrie, desquelles il y a des parties irregulieres; mais quand on considere la ligne entiere, on la trouve parfaitement regle´e suivant son Equation ou la nature generale. Donc tous ces desordres particuliers sont redresse´s avec avantage dans le total, meˆme en chaque monade [GP III, 635-636].
Analogo, e con esplicito riferimento ai mala in mundo, e` il testo della lettera alla principessa Sophie Charlotte del 9 (19) maggio 1697, dove e` significativo il riferimento al De consolatione philosophiae di Severino Boezio: testo, come e` noto, che contiene una classica trattazione del problema del male (Libro IV), e che Leibniz giudica pieno «des choses tres belles et tres sense´es sur l’ordre de l’univers»: Car a` voir les succe´s des mauvais, les malheurs des bons, la brievete´ et les maux ordinaires de la vie humaine, et mille desordres apparens qui 160
M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., p. 261. Circa l’allusione fatta dallo studioso e filosofo francese al terremoto di Lisbona, si vedano, sul significato filosofico di questo evento per il secolo XVIII, W. Lu¨tgert, Die Erschu¨tterung des Optimismus durch das Erdbeben von Lissabon. Ein Beitrag zur Charakteristik des Vorsehungsglaubens der Aufkla¨rung und ihres U¨berwinders I. Kant, Gu¨tersloh 1924; U. Lo¨ffler, Lissabons Fall – Europas Schrecken. Die Deutung des Erdbebens von Lissabon im deutschsprachigen Protestantismus des 18. Jahrhunderts, Berlin-New York 1998. Si tenga presente, naturalmente, il cap. V del Candide voltairiano e le tesi “leibniziane” di Pangloss sull’evento catastrofico del 1755, e, riguardo a Voltaire, cfr. B. Baczko, Giobbe amico mio, cit., in part. Prima parte. All’idea spiraliforme del tempo storico in Vico allude F. Botturi in Tempo linguaggio e azione. Le strutture vichiane della «storia ideale eterna», Napoli 1996, p. 48.
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s’offrent a` nos yeux; il semble que tout va par hazard. Mais ceux qui examinent l’interieur des choses, y trovent tout si bien regle´, qu’ils ne sc¸auroient douter que l’univers ne soit gouverne´ par une souveraine intelligence, dans un ordre si parfait, que si on l’entendoit en detail, on ne croiroit pas seulement mais on verroit meˆme que rien ne se peut souhaitter de mieux. De sorte que les desordres apparens, ne sont que comme certains accords dans la musique, qui paroissent mauvais, quand on les entend seuls, mais qu’un habile compositeur, laisse entrer dans sa piece, parce qu’en les joignant avec d’autres accords ils en relevent le goust, et rendent toute l’harmonie plus belle [A I, 14, 196].
Nell’orizzonte metafisico additato, dove ogni individualita` e` sottomessa alla legge di giustizia che comanda a ciascuno di partecipare alla perfezione dell’universo, anche Giobbe riceve risposta alle sue domande sulla sofferenza. Si legge infatti ancora nel De rerum: Quod autem afflictiones bonorum praesertim virorum attinet, pro certo tenendum est, cedere eas in majus eorum bonum, idque non tantum Theologice, sed etiam physice verum est, uti granum in terram projectum patitur antequam fructus ferat. Et omnino dici potest, afflictiones pro tempore malas, effectu bonas esse, cum sint viae compendiariae ad majorem perfectionem. Ut in physicis qui liquores lente fermentant, etiam tardius meliorantur, sed illi in quibus fortior perturbatio est, partibus majore vi extrorsum versis promtius emendantur. Atque hoc est de quo diceres retrocedi ut majore nisu saltum facias in anteriora (qu’on recule pour mieux sauter) [GP VII, 307-308].
E` il carattere aperto, comprensivo della legge metafisica e cosmologica di armonia che le consente di governare le variazioni, le disarmonie – tali sono il male, il regresso, il peccato, compresi i dannati, per Leibniz, del 161 resto, sempre «damnandi» – ricomponendole nell’identita` totale e nell’accordo del tutto. E` ancora Serres nella sua classica analisi sul sistema leibniziano a delineare la natura di tale legge, cosı` “trascendentale”, cosı` ecumenica, cosı` “cattolica” che Leibniz poteva ben farne la base della sua teodicea universale, il fondamento della sua Citta` di Dio, capace di abbracciare cristiani e pagani, Occidente e Oriente, l’Europa, la Cina e gli altri 161 «Addo enim nunquam eos per omnem aeternitatem prorsus damnatos esse, semper damnandos, semper eos posse liberari, nunquam velle, conscientia ergo perpetuo reclamante ne queri quidem constanter unquam posse sine contradictione» (Confessio Philosophi, in A VI, 3, 138). Sui dannati e sulla loro appartenenza, pur nella dissonanza, all’armonia universale, cfr. G. Deleuze, La piega, cit., pp. 196-197.
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popoli ignari della rivelazione evangelica, ma non di quella naturale, co162 mune a ogni uomo che viene in questo mondo . Le finali allusioni fatte al problema del male e alla teodicea non sono casuali: rispetto alla pura ricerca storico-erudita e alla pratica annalistica, l’attingimento di un dominio qualitativamente distinto nella considerazione della storia, e in essa del tempo, appare in effetti inscindibilmente legato, in Leibniz, ai contesti della teologia razionale e della teodicea, fondati sul principio di ragione. Non si passa dalla storia cronachistica, dalla simplex narratio gestarum alla Geschichte u¨berhaupt, alla storia autentica, viene da osservare, senza scoperchiare il vaso di Pandora. Non sembra esserci movente piu` forte all’interpretazione unitaria della storia, al problema della sua Rechtfertigung, si potrebbe dire con K. Lo¨with, dell’esperienza del male registrata negli eventi umani: ... il fatto piu` importante, da cui puo` procedere in generale l’interpretazione della storia, e` l’esperienza del male e del dolore prodotta dall’agire storico163.
Ad attestare, del resto, simile legame tra teodicea e storia e` il primo scritto compiuto leibniziano sulla teodicea, la Confessio Philosophi (1672-1673 circa) in cui, come ha rilevato Robinet, le «scienze della qualita`» o «dell’azione» – percio` la stessa storia – si rivelano dipendenti, nella loro struttura fondamentale, dalla Iustitia Dei, vale a dire da una teologia 164 razionale fondata sull’harmonia universalis . In tale direzione – ed e` punto capitale, qui solo alluso, che la nostra ricerca si incarichera` in seguito di approfondire – il passaggio dall’erudizione annalistica, dalle genealogie e cronologie a una considerazione metafisica della storia appare vegliato, in Leibniz, da un’istanza di giustificazione, in senso soteriologico, percio` teologico e religioso, della storia stessa, messa sempre piu` in questione, quanto al suo senso ultimo, dallo scetticismo e dal pirronismo ateo e libertino, che raggiunge, nell’eta` di Leibniz, il suo apice in quei “cahiers de dole´ances” scritti sulle umane cose che sono le voci del Dictionnaire historique et critique di Pierre Bayle. Se la storia sia un cumulo di 162
Cfr. M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., pp. 283-284. K. Lo¨with, Significato e fine della storia, cit., p. 23. Sul significato del male nella celebre opera lo¨withiana ha scritto pagine ispirate A. Caracciolo in Karl Lo¨with, a cura di G. Moretto, Brescia 1977 (2 ed.), pp. 91-107. 164 A. Robinet, Les fondements me´taphysiques des travaux historiques de Leibniz, in Aa. Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 52. 163
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macerie, un vuoto avvicendarsi di cose ed eventi sul palcoscenico del mondo, o se sia un “romanzo di Dio”, una series rerum dotata di legge, di senso e di misteriosa armonia, per quanto peccatum includens, se un Principio buono la guidi o se sia l’effetto di aberranti disteleologie, di cieche casualita`, come il cozzare di atomi nell’universo di Epicuro e Lucrezio, di una ripetizione senza fine dei medesimi errori, e` dilemma che nessuna eta` prima di quella barocca – l’eta` del crollo dei vecchi schemi teologici e biblici quanto della progressiva crisi del principio magisteriale della storia (Historia magistra vitae) – ha avvertito con tanta insfuggibile serieta`. Se l’epoca di Leibniz e` una delle piu` disponibili che la storia conosca ai problemi della teodicea, e` per la sgomentante profondita` con cui essa ha esperito la disperazione ontologica e il dubbio sulla bonta` di Dio, il varco aperto tra l’esse e il bonum, forse non piu` componibile, come lascia intravedere l’intercapedine, minima ma infinita, che nella michelangiolesca Creazione di Adamo della Cappella Sistina divide il dito di Dio da quello dell’uomo: quasi, quel breve interstizio, fosse un divino “addio” alla terra, un ritrarsi di Dio in lontananze inaccessibili, un congedo dall’umanita`, secondo 165 quanto suggerisce Benito Pelegrı´n . Nessuna epoca profondamente religiosa infatti – come sottolinea E. Troeltsch nella voce “Theodizee” redatta 166 per l’enciclopedia teologica Die Religion in Geschichte und Gegenwart – sente il bisogno di elaborare il problema della teodicea, avvertendolo naturalmente risolto nelle soluzioni offerte alla fede dalle rappresentazioni del divino. E` dunque in quell’intercapedine, in quella frattura tra Dio e l’uomo – chissa` se avvertita dal grande artista rinascimentale quando, all’inizio del Cinquecento (1508-1512), diede corpo al capolavoro dei 165
Cfr. B. Pelegrı´n, Figurations de l’infini, cit., p. 35 sgg. (D’un Dieu abandonneur). «Che il problema della teodicea non venga avvertito da nessuna delle epoche profondamente religiose – scrive Troeltsch –, trova giustificazione nella sua stessa particolare natura. In esse tale problema funge solo da impulso e da fondamento alla grande e sconvolgente potenza della fantasia religiosa. Il messaggio di Gesu` e il cristianesimo originario non sanno nulla di una teodicea e non ne hanno bisogno. Ma il pensiero religioso consolidato, raggiungendo strati sociali che pensano scientificamente e abbandonandosi alla calma considerazione dell’esperienza del mondo, ne avverte ben presto sempre piu` il bisogno» (cfr. voce “Teodicea” in E. Troeltsch, Fede e storia, tr. it. di R. Garaventa, Brescia 1997, p. 144). Nella stessa voce, cosı` Troeltsch definisce in termini generali la teodicea: «“Teodicea” – espressione coniata da Leibniz – indica un problema di fondo di ogni religione: in che modo il senso (Sinn) del mondo, affermato dalla religione nella sua idea di Dio, si possa conciliare con la realta` effettiva delle cose in cui, da un lato, domina la materialita` indifferente ad ogni senso e in cui, dall’altro, l’infinita` delle sofferenze e dei mali pregiudica il senso del mondo anche la` dove si puo` parlare di un senso del mondo, ovvero sul terreno della vita personale e dei suoi valori» (ivi, p. 141). 166
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Palazzi Vaticani – il vero Kern della teodicea, la cui universale verita` esistenziale, radicata nella tentazione mortale del me phynai di Sileno che puo` assalire l’umana coscienza di fronte al male radicale, irredimibile per bona voluntas, sopravanza di gran lunga le soluzioni razionali offerte. In realta`, sotto il rapporto tra teodicea e storia sta, in Leibniz, il dilemma espresso nei versi di Claudiano – il poeta e retore del IV secolo d. C. che ha trasfigurato in mito la fine della civilta` romana – i quali, collocati al centro dei Saggi di Teodicea nel § 146 (Parte seconda), poco prima del § 149, dove emerge in piena chiarezza la relazione tra teodicea e storia, potrebbero essere assunti, nell’esitazione che esprimono, piu` che come testimonianza di ateismo, come cifra della amletica coscienza storica barocca: Saepe mihi dubiam traxit sententia mentem etc. [GP VI, 196].
Essi, nella versione completa che troviamo nel finale degli Elementa juris naturalis, giovanile scritto maguntino (1671), cosı` suonano: Immo` qvod plus est haec sola via est occurrendi cavillationibus Atheorum, qveis dubiam traxit sententia mentem, Curarent superi terras, an nullus inesset Rector et incerto fluerent mortalia casu. Harmonia Mundi pro DEO, confusione rerum humanarum pro fortuna perorante. Sed qvi haec altius scrutantur, iis confusio sexies mille annorum (etsi ne haec qvidem careat harmonia suaˆ) aeternitati comparata unius pulsus dissoni instar habere videtur, qvi aliaˆ dissonantia compensante in consonantiam summae redactus auget admirationem infinita complexi gubernatoris [A VI, 1, 485]167.
Era, del resto, lo stesso principio di ragione che implicava, nel dominio della storia, accanto a una ratio analitica fatta della ricerca delle fonti autentiche, dei documenti originali, una ratio teologica, o metafisica, dominata dalla domanda sul perche´ proprio quella serie dei eventi in luogo di un’altra, dunque sul perche´ ultimo della storia. La risposta di Leibniz e` costituita dall’offrire alla storia un fondamento unitario rinvenuto nell’impulso, nella vis degli spiriti individuali, o monadi, coordinati nell’universalita` di un disegno armonico e provvidenziale segnato da un infinito progresso
167
I versi di Claudiano citati nel testo costituiscono un adattamento di quelli leggibili in In Rufinum, I, 1, sgg.: «Saepe mihi dubiam traxit sententia mentem, Curarent superi terras, an nullus inesset Rector, et incerto fluerent mortalia casu».
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verso il meglio. Stupisce, in questo senso, sia detto qui solo per inciso, nell’analizzare tanta letteratura critica disposta a inquadrare Leibniz nella storiografia erudita e annalistica senza ascrivergli ulteriori connotati che quelli di un rappresentante dell’histoire savante del suo tempo, che spesso sia sfuggito tanto l’orizzonte indicato della visione storico-teologica leibniziana, all’interno del quale la stessa erudizione riceve la sua piu` corretta collocazione, quanto, entro tale orizzonte, la novita` peculiare proposta dal pensatore tedesco. Da quest’ultimo punto di vista, a ben vedere, la domanda di giustificazione della storia universale in se´ non ha nulla di nuovo, dal momento che il pensiero occidentale ne e` esperto sin dal De civitate Dei di Agostino, secondo una tradizione teologica che arriva fino al Discours sur l’histoire universelle (1681) di Bossuet. Innovativa e foriera di Wirkungsgeschichte e` invece la soluzione leibniziana all’antico interrogativo: per essa, non le Sacre Scritture, non l’Incarnazione, non una teologia dogmatica, e neppure le vecchie periodizzazioni delle «sei eta` del mondo» o dei «quattro imperi», ma un sistema metafisico-teleologico, una teologia razionale, una teodicea filosofica, rappresenta il principio sul cui fondamento il tempo e la storia ricevono connessione universale e Rechtfertigung ultima. I problemi provenienti dalla tradizione della teologia agostiniana della storia vengono dunque ripensati da Leibniz in una luce, certo, ancora teologica e soteriologica, ma, auspice il principio di ragione, di una teologia razionale, la cui originalita` di vedute e di esiti spicca appena la si confronti con il coevo Discours di Bossuet, «maestoso relitto del passato», «vero masso erratico del Medioevo 168 rimasto nel pieno della nuova cultura filosofica», come e` stato definito . Tra la storia santa del vescovo di Meaux, nella sua superiorita` sulla storia profana, e la storia essenzialmente umana dell’Essai sur les moeurs di Voltaire, la storia universale di Leibniz si configura come religiosa, connotato tuttavia che, piu` che dai crismi delle Chiese confessionali e dalle rispettive teologie, le proviene dalla religione naturale, il cui sviluppo storico Leibniz tratteggia in apertura di quei Saggi di Teodicea che di essa sono sostanziati da cima a fondo169. Gli Essais sono, in effetti, come osserva Robinet, 168
Cfr. E. Sestan, Introduzione a Voltaire, Il secolo di Luigi XIV, Torino 1994, p. XVI. Sulla nozione, qui allusa, di teologia naturale, o razionale, cfr. lo studio di A. Wiehart-Howaldt, Essenz, Perfektion, Existenz. Zur Rationalita¨t und dem systematischen Ort der Leibnizschen Theologia naturalis, SL, Sonderhefte, 25, Stuttgart 1996. 169 Cfr. GP VI, 25-27. Osserva A. Poma su queste pagine degli Essais concernenti l’idea leibniziana di religione naturale: «Poiche´ si tratta della “religione naturale”, parrebbe strano che essa abbia uno sviluppo storico; e in verita` tale sviluppo non riguarda propriamente la
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prima di ogni altra considerazione, il portico elevato alla gloria della religione naturale che apre il secolo XVIII, e che sara` l’opera di Kant La religione nei limiti della semplice ragione a sigillare170.
Originalita`, inoltre, quella della teodicea speculativa di Leibniz rispetto presenza dei contenuti fondamentali della fede nel cuore dell’uomo, che in qualche modo, seppur implicito, e` innata, in quanto connessa con la stessa ragione dell’uomo, ma piuttosto l’esplicitazione di tali contenuti e l’elaborazione di essi in “leggi”, ovvero in “dogmi”, che costituiscono una religione positiva. Questi due aspetti della fede, come religione naturale, permanente, e come religione positiva, storicamente formulata, danno allo schema di storia della religione configurato da Leibniz un aspetto complesso e articolato: da una parte, infatti, esso presenta tre stadi ben distinti, il paganesimo, l’ebraismo e il cristianesimo, come gradi successivi dell’elaborazione religiosa; dall’altra, tempera questa scansione troppo netta e schematica con la continuita` del carattere naturale della religione» (Poma, Impossibilita` e necessita` della teodicea. Gli Essais di Leibniz, cit., p. 29). Quanto la finalita` teologicoapologetica del Discours di Bossuet fosse lontana dalla concezione della scienza storica di Leibniz, che riteneva prioritario offrire il rigoroso ordine cronologico degli eventi, si desume anche da queste affermazioni che si leggono nell’opera del vescovo di Meaux: «Mais le vrai dessein de cet abre´ge´ n’est pas de vous expliquer l’ordre des temps, quoiqu’il soit absolument ne´cessaire pour lier toutes les histoires et en montrer le rapport. Je vous ai dit, Monseigneur, que mon principal objet est de vous faire conside´rer dans l’ordre des temps la suite du peuple de Dieu et celle des grands empires. Ces deux choses roulent ensemble dans ce grand mouvement des sie`cles ou` elles ont pour ainsi dire un meˆme cours; mais il est besoin, pour les bien entendre, de les de´tacher quelquefois l’une de l’autre et de conside´rer tout ce qui convient a` chacune d’elles» (Id., Discours sur l’histoire universelle, cit., p. 110). Circa il primato della storia sacra su quella profana, si legge ancora nel Discours: «Quel te´moignage n’est-ce pas de sa ve´rite´, de voir que, dans les temps ou` les histoires profanes n’ont a` nous conter que des fables, ou tout au plus des faits confus et a` demi-oublie´s, l’E´criture, c’est-a`-dire, sans contestation, le plus ancien livre qui soit au monde, nous rame`ne par tant d’e´ve´nements pre´cis, et par la suite meˆme des choses, a` leur ve´ritable principe, c’est-a`-dire a` Dieu qui a tout fait, et nous marque si distinctement la cre´ation de l’univers, celle de l’homme en particulier, le bonheur de son premier e´tat, les causes de ses mise`res et de ses faiblesses, la corruption du monde et le de´luge, l’origine des arts et celle des nations, la distribution des terres, enfin la propagation du genre humain, et d’autres faits de meˆme importance dont les histoires humaines ne parlent qu’en confusion et nous obligent a` chercher ailleurs les sources certaines?» (ivi, p. 112). 170 A. Robinet, G.W. Leibniz: Le meilleur des mondes par la balance de l’Europe, cit., p. 153. Ancora di piu` nel segno di una religione liberale e naturale si pone il secolo XVIII se si pensa che, dopo la Religion di Kant, esso si chiude, nel 1799, con le Reden u¨ber die Religion di Schleiermacher (in Scritti filosofici di Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher, cit., pp. 83-255), vero e proprio manifesto del liberalismo religioso moderno. Su Schleiermacher e le Reden cfr. G. Moretto, Etica e storia in Schleiermacher, cit., in part. cap. II (Religione e storia) e Id., Ispirazione e liberta`. Saggi su Schleiermacher, Napoli 1986. A un’esigenza di revisione storiografica in chiave religioso-liberale dell’Illuminismo e` ispirato il saggio, sempre di G. Moretto, La religione dell’illuminismo e la domanda di Giobbe, in Giustificazione e interrogazione, cit., pp. 13-53.
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a Bossuet, confermata dal fatto di fare spazio all’erudizione, alla ricerca storica, mentre il vescovo francese, dall’alto della sua «carte universelle» squadernata nel «grand spectacle» inscenato nel suo Discours, puo` condannare l’erudizione come vana curiosita`, come fa, con severi accenti agostiniani che lo assimilano al suo avversario Malebranche, nel Traite´ de la concupiscence. Quanto al tempo, nel contesto di tale religione naturale, anche l’antica teologia medievale della temporalita`, che resta alla base della teoria e pratica erudita dei Mabillon, dei Tillemont, dei Papebroch, definita da Blandine Kriegel come «dottrina dell’incarnazione ascensiva», teologia per la quale il tempo e` disvelamento, rivelazione, avvenire in Dio. Tutto in essa conta, tutto e` santificato, anche le cadute, i disastri171,
assume in Leibniz nuovo senso e sostanza liberale. Il «tutto e` rivelazione di Dio» del filosofo della Monadologia ha un accento diverso da quello del teologo ortodosso mosso da preoccupazioni confessionali e apologetiche. E` la ragione naturale, prima che l’autorita` del dogma o di una Chiesa, a indicare che Dio e` contemplabile ovunque nella sua opera, ed e` l’armonia universale, prima che una Sacra Scrittura, a testimoniarlo. Piu` che abolire la tradizionale teologia del tempo, dunque, Leibniz la universalizza in nome della religione naturale, secondo quanto abbiamo gia` chiamato una teodicea del tempo. Operazione, questa, nella quale e` lecito vedere, piuttosto che una forma di «modernismo ecumenico» ante litteram, come vorrebbe Jean 172 Guitton , il precorrimento di quel protestantesimo filosofico e di quella 173 teologia liberale che saranno di Lessing, Kant e Schleiermacher . Cio` non 171
B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. I, Jean Mabillon, p. 14. «S’il fallait de´finir la religion de Leibniz – scrive Guitton –, nous dirions volentiers, empruntant au langage de notre temps, qu’il fut un moderniste œcume´nique» (J. Guitton, Pascal et Leibniz. E´tude sur deux types de penseurs, Paris 1951, p. 138 (tr. it. Profili paralleli, cit., p. 162). 173 Cfr. per questo aspetto W. Dilthey, L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura, cit., I, pp. 142 e 218. Per l’interpretazione di Leibniz nel solco della teologia liberale moderna, tesi che condividiamo e sviluppiamo nella presente ricerca, sono fondamentali i saggi di Dilthey e di Troeltsch contenuti in Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit. Un’altra illuminante prospettiva sulle origini della filosofia della religione nel quadro della tradizione protestante e` offerta dagli studi di E. Troeltsch contenuti ne Le dottrine sociali delle chiese e dei gruppi cristiani, tr. it. di G. Sanna, Firenze 1960. Va ricordato ancora W. Nigg, Geschichte des religio¨sen Liberalismus, Zu¨rich und Leipzig 1937. Per cio` che concerne il cenno fatto al protestantesimo di Leibniz, cfr. A. Poma, Leibniz e l’unita` delle Chiese, in Aa. Vv., Lutero e i 172
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e` diverso da quanto rilevato in precedenza: nell’universo leibniziano, continuo e pieno, scelto da Dio non perche´ in esso si soffra meno ma in quanto privo di faglie di discontinuita` e di vuoto, nessun punto della serie, nessun istante e` assiologicamente privilegiato, perche´ l’intera serie e` revelatio Dei, ogni istante e` kairos, «e´clat de la Divinite´». Se non fosse per la legge di armonia che, come il periechon anassimandreo, o come l’Umgreifende di Karl Jaspers, avvolge e governa tali frammenti, abbracciando e predeterminando come una sorta di “aggiustamento” esterno e di cornice protettiva i tempi infinitamente plurali delle monadi, si direbbe (com’e` stato detto) che nella filosofia di Leibniz siano gia` contemplati il blochiano multiversum tramato di dislivelli e torsioni temporali, i tempi rizomorfici, ramificati, plurimi, del Giardino dei sentieri che si biforcano di Borges, o, ancora, le libere forze individuali che edificano la storia, di W. von Humboldt. Ma, come scrive M. Cacciari, l’idea di un universo come rete, composta da fibre infinite, innervata da una trama di rapporti impercettibilmente prossimi l’un l’altro, da nessuno intessuta, universale modello senza Creatore e senza Legislatore personale o Mente che lo regoli, ma organismo che opera secondo un ordine proprio, da nessuno impartito – quest’idea e` forse ‘immaginabile’ a partire da Leibniz, ‘dis-locando’ Leibniz, ma non in lui174.
Resta che, pur governato dall’armonia prestabilita e dal principio del meglio, e dunque pur soggetto a tale essenziale limitazione d’ordine metafisico, il tempo che Leibniz mostra, almeno nella direzione additata, non scorre “spazializzato” come una linea retta, ma risulta innervato da un pluriverso di tempi, configurando, in cio`, l’idea di un progresso segnato dalle infinite durate individuali, ripartito tra aree in evoluzione e altre in stasi o in regresso, sostanziato di accelerazioni regionali e punti di stagnazione. L’armonia prestabilita, in questo senso, e` l’ampia e comprensiva cornice che custodisce, – e anche insieme “controlla” inquadrandole in un ordine gia` fatto anziche´ da fare – queste variazioni multiple e non lineari. Non c’e` neppure troppo bisogno, dunque, ci pare, di dislocare Leibniz verso lidi neo-barocchi per concludere che gia` nel pensatore di Hannover il rapporto tra tempo e storia si configura come campo di forze in conflitto, linguaggi dell’Occidente, cit., pp. 331-341. Sull’idea di Chiesa in Leibniz cfr. X. Tilliette, La Chiesa nella filosofia, a cura di G. Sansonetti, Brescia 2003, Parte prima, cap. secondo: Leibniz al servizio della chiesa universale, pp. 41-53. 174 M. Cacciari, La goccia di Leibniz, in Id., Icone della Legge, Milano 1987, p. 282.
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le une ancora radicate in categorie naturali, le altre gia` annuncianti quel distacco del tempo dal giusnaturalismo e quella temporalizzazione della storia che Koselleck ha descritto nella sua ermeneutica del tempo storico come essenza del mondo moderno, e il cui guadagno pieno si deve al XVIII secolo e alla storiografia illuminista e romantica. Tra l’ordine seriale annalistico, per il quale il tempo e` una determinazione formale degli eventi, e il dominio realmente innovativo di una temporalita` energico-metamorfica contenuta nella vis delle monadi e nelle loro pulsioni, si conferma l’ambivalenza di Leibniz storico, diviso tra una temporalita` giusnaturalisticamente e razionalisticamente connotata, e spunti di trasformazione capaci, dell’antico, di lacerare il tessuto stratificato lasciando intravedere il nuovo. Ma occorre sostare su un ultimo punto essenziale che il problema del tempo storico pone nel filosofo tedesco: quello del suo rapporto con la legge di continuita`.
8. – Tempo storico e legge di continuita`. La legge di continuita` come fondamento ontologico della storiografia annalistica e la sua eccedenza Il rapporto tra tempo e storia chiama dunque in causa, inevitabilmente, il tema, gia` alluso in precedenza, della legge di continuita` e della funzione da essa svolta rispetto alla storia. Opportunamente Waldemar Voise´, che ha dedicato al problema uno studio specifico dal titolo On Historical Time in the Works of Leibniz, lega tempo storico e principio di continuita`, sottolineando il carattere “tridimensionale” della temporalita` leibniziana, capace 175 di «complicare» l’essenzialita` lineare dell’ordine cronologico annalistico 175
«Queste osservazioni – scrive Voise´ – sono evidenza di complicazioni (complications) legate alla concezione apparentemente semplice del tempo annalistico nelle opere degli storici» Cfr. W. Voise´ , On Historical Time in the Works of Leibniz, in Aa. Vv., The Study of Time II, cit., p. 114. Di Voise´ ricordiamo altri studi sul Leibniz storico: Gottfried Wilhelm Leibniz ou l’historiographie d’un conciliateur, in Aa. Vv., Discordia concors, cit., 1, pp. 121-130. Cfr. inoltre la relazione al simposio ferrarese del 1980 dal titolo La modernite´ de la conception leibnizienne de l’histoire, in Aa. Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., pp. 68-78, dove viene ribadita la concezione tridimensionale del tempo storico (p. 69). In cio` sta, ad avviso dello studioso, la fondamentale “modernita`” del Leibniz storico. Con cio`, Voise´ intende assecondare una indicazione non sviluppata da Daville´ in Leibniz Historien, cit., p. 355, secondo cui la concezione leibniziana della storia e la sua modernita` consisterebbero nel far rivivere il passato in cio` che di esso permane nel presente, secondo il dinamismo di avviluppamento e implicazione proprio della legge di continuita`. La continuazione del discorso mostrera` i limiti del nostro consenso alle tesi di Voise´.
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tradizionale, caratterizzato dall’essere una continua, statica e additiva registrazione dei fatti “momento per momento”, “evento per evento”, svolta da sempre nuovi testimoni oculari: Rischiando la traduzione dei segmenti del tempo storico in tempi grammaticali – scrive Voise´ riassumendo la sua interpretazione – la concezione di Leibniz puo` essere presentata come segue: egli concepiva il passato come un passato imperfetto, e il presente come un passato che e` ancora in atto, o un passato prossimo, il che significa che non solo non separava queste forme di tempo cosı` radicalmente, come facevano molti dei suoi contemporanei (primo fra tutti Descartes). Leibniz trattava comunque il futuro in un certo senso come un «futurum gnomicum», il che significa che le conclusioni dovevano essere tratte tanto dal passato come anche dal presente, consentendoci di costruire con maggiore coscienza il destino futuro dell’umanita`. Questo tipo di concezione tridimensionale sembra essere la caratteristica piu` tipica delle idee di Leibniz sul tempo storico176.
In effetti, come gia` da noi osservato, nel suo implicare un passato che non passa e un futuro che gia` c’e`, la durata della monade e` tutt’altro che una superficie temporalmente piana, lineare e levigata: appare, piuttosto, solcata da nervature o venature temporali (per assecondare l’immagine del blocco di marmo della Prefazione ai Nouveaux essais) a diversa andatura, pronte a contrarsi o a dilatarsi come su tela elastica, si mostra traforata da labirintiche porosita`, cavita`, crepe, cunicoli che conducono verso il passato, trascinandolo verso il presente, e che celano infinite impercettibili molle in grado di comprimersi e di esplodere verso il futuro. Cosı`, nutrito da simili linfe, alimentato e sostanziato da simili flussi e correnti temporali che vengono dal passato e veicolano l’avvenire, il presente storico della monade leibniziana appare definito da una molteplicita` di stratificazioni temporali elastiche, vischiose, che, nel loro accavallarsi e sovrapporsi, paiono sospendere l’«inesorabile imperio del tempo», il suo corso continuo e omogeneo, nella trama annodata di tempi plurali, sfaccettati, sfrangiati, esprimibili in termini di concentrazione, accumulo, esplosione, accelerazione, arresto, implicazione, esplicazione, etc. Ma, sia detto subito a precisare il nostro punto di vista, una simile configurazione “monadica” del tempo non poteva trovare adeguato spazio nelle strutture storiografiche annalistiche. Come si e` visto, un pensatore come Ernst Bloch ha potuto cogliere nella monade leibniziana, in opposi176
Ivi, p. 118.
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zione al tempo assoluto newtoniano, un multiversum di dislivelli temporali, un esempio di Ungleichzeitigkeit (non-contemporaneita`, anacronismo, asincronia). Analisi, quella blochiana, da cui emerge il tratto eversivo, utopico, dirompente della temporalita` leibniziana, di molto eccedente quell’ordine cronologico che appariva a Leibniz il piu` idoneo a mettere le cose nella loro giusta luce, per quanto, come ricorda Voise´, non fosse ne´ dovesse 177 essere per lui lo scopo essenziale della ricerca storica . Le strutture annalistiche, in realta`, inevitabilmente legate a una serialita` di tipo empirico e naturale, potevano accogliere solo in modo assai limitato simili prorompenti novita` presenti nella teoresi leibniziana. La legge di continuita`, se certo rompe la fissita` storiografica antica e medievale, propria delle res gestae registrate man mano che si verificavano, e` pur sempre costretta entro la rigida griglia di quel modello di rappresentazione storica. L’analisi di Voise´, comunque, sul tempo dell’annalistica ci offre il destro per precisare un primo livello delle relazioni tra legge di continuita` e tempo storico: quello, gia` accennato, legato al ruolo svolto dal principio di continuita` come base ontologica dell’ordine cronologico. In questa prospettiva, intanto, va rilevato che per la prima volta con Leibniz la metodologia storica riceve un fondamento universale e unificante, realizzando qualcosa che ne´ Machiavelli, ne´ Guicciardini, ne´ Bodin, ne` Pasquier, ne´ La Popelinie`re avevano fatto. Anche Hayden White in Retorica e storia ha sottolineato, contro il riduzionismo di Fueter, che Leibniz, forse unico nel suo tempo, poteva trovare nella Monadologia buone ragioni e sicuri princı`pi per fornire la forma annalistica della rappresentazione storica di una solida base teoretica: In realta` – scrive White – la forma annalistica della rappresentazione storica era stata implicitamente fornita d’una sofisticata base teoretica nella filosofia di Leibniz. Fueter affermava che Leibniz non fece altro che applicare alla storiografia (scrivere storia) il metodo degli annalisti ma, a differenza di essi, non riuscı` ad avere la concezione di «annali della Germania imperiale», limitandosi a costruire genealogie e cronologie di piccole casate e sovranita` come quella di Brunswick. «Insomma – dice Fueter – egli collezionava materiali, ma non li elaborava». Ma Fueter non rendeva giustizia alla visione informatrice dell’opera di Leibniz. La forma annalistica della storiografia era coerente con le sue nozioni di continuita`, di transizione per gradi infinitesimali, dell’armonia del tutto di fronte alla
177 Cfr. W. Voise´ , On Historical Time in the Works of Leibniz, in Aa. Vv., The Study of Time II, cit., p. 114.
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dispersione nel tempo e nello spazio di elementi o parti. Leibniz, unico forse fra le figure piu` importanti del suo tempo, aveva sufficienti motivi per credere che la storiografia annalistica fosse un modo filosoficamente giustificato di rappresentazione storica178.
Nella direzione additata da White – condivisibile per quel che dice, ma assai meno per quel che tace – il principio di continuita` costituisce certo uno dei punti di contatto piu` rilevanti, insieme alla logica del verosimile, tra filosofia e storiografia, secondo un programma di cooperazione tra i due 179 domini a cui il pensatore mirava . Cosı`, quanto piu` la ricerca storica, attraverso il rinvenimento e l’analisi dei documenti accertava dati, comprovava fatti, mettendo in questione ogni tradizione, tanto piu` la catena dell’essere storico, analogamente a quella dell’essere naturale, poteva integrarsi e completarsi con anelli sempre piu` fitti e precisi. E` questo, indubbiamente, il significato che Leibniz ascriveva alla ricerca delle prove storiche, da lui indefessamente praticata in archivi e biblioteche. Quel movimento ad fontes che rappresenta – come vedremo in dettaglio nel corso del secondo capitolo – il significato essenziale dell’erudizione classica, codificato nella Diplomatica di Mabillon, e` ripensato da Leibniz alla luce del principio di ragione e della logica del verosimile. E` attraverso tale principio e tale logica che il pensatore tedesco traduceva l’imperativo, alla base dell’histoire savante modernamente intesa, della ricerca e del rinvenimento della fonte originale, della prova autentica. In tal senso, ogni documento faticosamente sottratto all’oblio, strappato al perenne rischio di andare perduto, «tratto dalle tenebre» [A I, 4, 196], rappresentava certo, per il filosofo erudito, un piccolo quanto prezioso tassello, un tenue quanto irripetibile filo, una minima quanto essenziale tessera utile a ricomporre l’infinito mosaico della legge di continuita`, 180 operante nei fatti storici non meno che nella catena dell’essere naturale . Solo a partire dall’esperienza, infatti, percio` con il paziente lavoro di ricerca storiografica, e` possibile venire a conoscenza degli accadimenti che, come recita il Discours de Me´taphysique § 8, solo Dio conosce a priori e che lo spirito umano apprende solo «par l’histoire». 178 179
H. White, Retorica e storia, cit., vol. I, p. 80. Cfr. la lettera a Th. Burnett del 2/13 febbraio 1700, sulla quale ritorneremo, in GP III,
270. 180
Sul tema della grande Catena dell’essere, sul quale abbiamo indugiato anche nell’Introduzione, richiamiamo nuovamente il classico studio di A.O. Lovejoy, La Grande Catena dell’Essere, cit. Inoltre cfr. L. Carlin, Leibniz’s Great Chain of Being, in SL, 32, 2000, p. 131 sgg.
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E, certo, una prova dell’infinita connessione che lega i fatti storici, e la storia delle case principesche, dentro cui particolarmente passa la Iustitia Dei, Leibniz l’ebbe allorquando, ad Augsburg, nell’aprile del 1688, localizzo` nel monastero benedettino il codice Historia de Guelfis princibus, fonte usata dallo storico Aventin, che gli consentı` di trarre un preliminare indizio dell’origine comune delle Case di Braunschweig e d’Este, realizzando, con cio`, la prima importante scoperta del viaggio «fu¨r die welfische Geschichte» che dal 1687 al 1690 lo condusse in Germania meridionale, in Austria e soprattutto in Italia, fino al monastero della Vangadizza, «pour aller aux sources» [A I, 4, 195], come scrisse al duca Ernst August nell’aprile del 1685. Mette conto notare, forse, che la parola “connessione”, che designa in metafisica il legame tra tutte le cose dell’universo, ricorre nella Lettre sur la connexion des Maisons de Brunsvic et d’Este del 1695 (cfr. Dutens IV, 2, 80-85), ad indicare un legame non casuale tra le Casate principesche, con i loro intrecci genealogici, e l’armonia universale come Gloria di Dio. Ed e` percio` lecito dire che le ricerche genealogiche e cronologiche avevano per Leibniz, oltre che un significato per la fides historica, per la politica e le pretese di grandezza dei committenti hannoveresi, un riflesso metafisico e religioso. Ma, tutto cio` riconosciuto, il rapporto tra legge di continuita` e storia (o tempo storico) non puo` esaurirsi in una funzione “interna” alla rappresentazione annalistica dei fatti storici e solidale con essa. Troppo ricche erano le premesse metafisiche e ontologiche in Leibniz per poter essere “compresse” nelle asfittiche griglie annalistiche, per quanto dal filosofo “complicate” mediante il continuum temporale che le sottraeva in parte alla stasi additiva dell’annalistica tradizionale, e per quanto arricchite con indagini geologiche, etnologiche, linguistiche, geografiche, paleografiche, epigrafiche. Abbiamo gia` delineato nel pensiero leibniziano un’ontologia del tempo storico piu` radicale dell’ordine genealogico-cronologico, nella quale si e` colto un distacco dalle categorie naturali del tempo. Qui, a nostro avviso, piu` che nell’annalistica, va rinvenuta la vera modernita` della visione temporale e storica leibniziana. Ora, e` nuovamente la legge di continuita` e l’armonia universale cio` che rinveniamo alla base di questa ontologia “qualitativa” del tempo storico, segnata dalle pressioni qualitative interne alle monadi, dall’idea di un progresso composto dai fili delle durate individuali, dagli infiniti moti “contorti”, non lineari delle monadi verso la luce oppure verso l’oceano oscuro delle percezioni minime. Ma principio di continuita` e harmonia universalis, in questo caso, appaiono debordare dai limiti dell’annalistica e disegnare i contorni di una diversa forma di storicita`.
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Nulla, forse, piu` del frammento sull’Apokatastasis, nell’intera produzione leibniziana, e` idoneo a far percepire l’eccedenza della legge di continuita` rispetto al tempo della scrittura annalistica. Si coglie, infatti, nel tardo frammento leibniziano (alla cui piu` dettagliata analisi rinviamo in un capitolo successivo di questa ricerca) un lato oscuro, notturno, del principio di continuita`, legato all’infinita` delle piccole percezioni, mai del tutto riducibili alle cronache, tali che, come si esprime Leibniz, nessun libro, per 181 quanto poderoso, potrebbe esaurirle . Per quanto lo storico debba adoperarsi per portare il piu` possibile alla luce i dettagli della storia attraverso una severa ricerca e analisi delle fonti e dei documenti, restera` sempre nei fatti un margine oscuro e illeggibile, un qualche «motif cache´» (cfr. ZhVN, 1885, 20-21), inattingibile mediante la compilazione dei fatti. Si evidenzia, per questa ragione, uno iato tra la storia empirica apprendibile dai documenti e ordinata nelle cronache, e la storia reale, destinata nella sua interezza di organismo inesauribile a sfuggire, come scrive Hans Blumenberg, acuto interprete di questo scritto leibniziano, alla «presa grossolana della storio182 grafia» , ferma ai postulati eruditi dell’identita` tra fatto e protocollo e della tesaurizzazione dei fatti. Sono le infinite parti, o pieghe, in cui e` attualmente diviso il continuum reale, o fisico, a scavare clandestinamente, come per accumulo, un’altra storia rispetto a quella, empirica e seriale, codificata negli Annali universali, instaurando una trascendenza rispetto alle cronache e determinando, mediante un progresso discontinuo fatto di arresti, salti e rivoluzioni, una diversa temporalita` rispetto a quella ripetitiva e ciclica delle Historiae annuae. Su questo versante, la relazione del continuum reale rispetto alla storia muta di segno: anziche´ fare da base ontologica agli Annali pubblici e privati, il principio di continuita` fonda i tratti di un dominio – quello di una metafisica della storia – irriducibile ad essi: i caratteri di una concezione storica, cioe`, che si mostra nelle idee di inesauribilita` e infinita` dell’individuale, di discontinuita` della durata, di progresso, di pressioni qualitative interne alle monadi, di armonia universale come fondamento della storia intesa come romanzo di Dio. Idee queste, che, lungi dall’essere omogenee a 181
«Interim etsi redeat prius seculum quoad sensibilia seu quae libris describi possunt, non tamen redibit omnino quoad omnia: semper enim forent discrimina etsi imperceptibilia et quae nullis satis libris describi possint. || Quia continuum in partes actu infinitarum divisum est, adeoque in quavis parte materiae mundus est infinitarum creaturarum qui describi nequit libro quantocunque» (LF, 72). 182 H. Blumenberg, Cronaca universale o formula universale, in Id., La leggibilita` del mondo, cit., p. 140.
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quel modello storiografico, categorialmente “sopportabili” da esso, lo trascendevano da tutti i lati. La vera res problematica in questione, qui, in realta`, e` quella dell’individualita`. Tra gli studiosi, piu` di altri Antonio Corsano ha colto il tormento e il travaglio del Leibniz storico diviso tra l’istanza di una ragion storica candidamente fiduciosa nella fattuale datita` delle testimonianze, accertabili con procedimenti abbastanza affini a quelli della esperienza giuridica e giudiziaria
e il perentorio avvertimento della impossibilita` d’intendere l’individuo se non quale limite della ricerca analitica, ad essa irriducibile183.
Il contrasto che Blumenberg rileva tra teoria della storiografia e metafisica della storia a noi pare consistere, in fondo, nel conflitto tra i due fattori additati: tra un soggetto cristallizzato nel documento, fissato nel protocollo, al quale la fides historica esigeva di arrestarsi, e l’idea di un’individualita` aperta all’infinito, dinamicamente attiva, costituita da una durata interiore che non coincide con il tempo inteso come astrazione lineare (tempo annalistico), prospetticamente aperta all’universo, in armonia contestuale con il tutto, attinta nel dominio speculativo. Leibniz, afferma ancora Corsano, ha visto l’indecifrabile densita` dell’individuo, di fronte a cui si rivelano inadeguati tanto il rigore dell’analisi logica quanto l’abbastanza sottile (per i tempi) precisione dell’analisi psicologica,
e dinnanzi all’alternativa che gli si poneva tra il rintracciare l’individuo-soggetto di una semirazionale teoria della storia: a) nella dimensione infinitistica ... e con una soluzione intensiva, infinitesima; b) nella dimensione estensiva, esistenziale, nel significato piu` tollerante di totalita` delle condizioni costitutive testimoniate dalla fattuale esistenza dei documenti,
ha optato, sul piano storiografico, per quest’ultima, vale a dire per una ragion storica 183
Cfr. A. Corsano, Bayle, Leibniz e la storia, cit., pp. 55 e 54.
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poggiante sulla fattuale certezza delle testimonianze, ma anche sulla solida fiducia nella interazione storico-sociale184.
Ma nel risolversi per simile compromesso fondato sul riconoscimento delle imperfette condizioni di accertabilita` dei fatti, Leibniz, in realta`, non rimuove nella sua visione storica quel lato oscuro della legge di continuita` e dell’individualita`, che resta come un’eccedenza ineliminabile rispetto alle strutture annalistiche e che va a sostanziare la parte piu` “metafisica” della sua idea di storia. Quel lato oscuro, dunque, non si risolve in un esito puramente negativo, in una sorta di limite “noumenico” alla documentabilita` degli eventi, ma finisce per delineare positivamente (per quanto rapsodicamente) i tratti di una logica della storia, e di un tempo storico, che appaiono in discontinuita` con la teoria e la pratica della storiografia erudito-annalistica. Forse, e` lecito concludere che l’infinita` e l’inesauribilita` dell’individuale attinte da Leibniz per via teoretica portavano verso un’altra scienza storica, un’altra logica storica e un’altra temporalita`, il cui modello, che fosse per la storia cio` che i Saggi sull’intelletto umano di Locke sono stati per la teoria 185 della conoscenza, come ha osservato Y. Belaval , e` tuttavia mancato al filosofo della Monadologia. I tempi, evidentemente, non erano maturi, in Leibniz e fuori di lui, ne´ per liberare l’individualita` dai presupposti metafisici che ancora nel pensatore tedesco la rinserrano, ne´ per elaborare sul piano storiografico un metodo capace di esprimere, di tale individualita`, la piena ricchezza intuita sul terreno speculativo.
184 185
Ivi, pp. 54, 55 e 58. Cfr. Y. Belaval, Leibniz comme historien, in Aa. Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p.
35.
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APPENDICE I `” IL TEMPO E LA SUA “IDEALITA RIFLESSIONI SU LEIBNIZ E BORGES CONTRIBUTO ALLA STORIA DELLE “MONADOLOGIE LETTERARIE” DEL XX SECOLO1 Si Dieu me donne la grace d’achever je me reserve pour mes vieux jours un Roman d’une espece toute particuliere. Ce sera l’Histoire du siecle futur, car je me meˆle un peu du sortilege, et je pretends deviner l’avenir. Je parleray comme si j’estois de ceux qui vivront a` cent ans d’icy. Les petits fils du Roy des Romains, et du Duc de Bourgogne seront des principaux personnages de mon Histoire. Mais un arriere petit fils de nostre Electeur n’y fera pas moins de figure. Ce sera un autre Roy Guillaume. Car je diray en confidence a` V. A. E. que j’ay luˆ dans le grand livre des destine´es, que la posterite´ de la princesse Anne fera place a` la vostre, et on sera oblige´ a` V.A.E. de l’honneur d’avoir porte´ un Royaume en dot a` la maison de Bronsvic. (Leibniz alla principessa Sophie, 14 / 24 ottobre 1696)
1. – La poetica dei mondi possibili e il tempo. Il possibile e l’ucronia Si e` visto, nel corso dell’esposizione del capitolo primo, come per Leibniz tempo e durata, insieme a spazio ed estensione, rappresentino coppie di astrazioni, «phe´nome`nes bien fonde´s». Le parti dell’estensione e della E` stato H. Poser a parlare di «monadologie del XX secolo» in Monadologien des 20. Jahrhunderts, in Beitra¨ge zur Wirkungs- und Rezeptionsgeschichte von G.W. Leibniz, hrsg. von A. Heinekamp, in SL, Supplementa, XXVI, Stuttgart 1986, pp. 338-345. La storia di tali monadologie contemporanee, come rileva R. Cristin, costituisce a tutt’oggi un desideratum (cfr. R. Cristin, La camera oscura. Implicazioni e complicazioni del soggetto in Leibniz, in “aut aut”, 1993, cit., p. 168). 1
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durata insieme alle misure che le individuano non sono componenti del continuo reale ma, scrive Leibniz fictions propres a` contenter l’imagination, mais ou` la raison ne trouve point son compte [GP III, 623].
«Fictions»: la parola, ricorrente nel filosofo di Hannover per connotare il carattere astratto e incompleto delle nozioni dello spirito, e` atta a propiziare un nesso e una comparazione con le fantasie metafisiche di Jorge Luis Borges, lo scrittore argentino “barocco”, nell’ispirazione, se non nella scrittura, e, per molti versi, “leibniziano” come pochi altri contemporanei, assillato e incuriosito dai paradossi del tempo tanto da ritenerlo, come si legge nella Storia dell’eternita` (1936), un tremulo ed esigente problema, forse il piu` importante della metafisica2.
Proprio a tale parola infatti – (finzioni, ficciones) – Borges ha legato, come e` noto, la sua raccolta di racconti forse piu` celebre. Qual e` dunque la natura di tale finzione, di tale idealismo, applicato allo spazio e al tempo, in Borges, messo a confronto con il filosofo seicentesco? E quale il rapporto tra il tempo e l’eternita`? Alcune riflessioni – serbate nel disinvolto andamento della divagazione, in cio` ricalcando, si parva licet, la celebre digres3 sione manniana sul tempo dello Zauberberg – tenteranno di entrare in tale plesso problematico. Ha certo il peso del destino il fatto, ricordato nel Prologo a L’oro delle tigri (1972), che per il piccolo Borges la «preoccupazione filosofica» sia sorta in coincidenza con la comprensione, avvenuta ad opera del padre e 4 con l’aiuto di una scacchiera, della corsa di Achille e della tartaruga . Felice destino, spirituale e poetico, se, come sembra, alla scoperta dei paradossi di Zenone, ossessivamente ricorrenti nella narrazione borgesiana, si deve originariamente l’impulso, peculiare dello scrittore argentino, a dissolvere il reale
2
TO I, 523. Ci riferiamo alla Digressione sul senso del tempo in T. Mann, La montagna incantata, tr. it. di E. Pocar, Milano 1992, pp. 93-96. 4 Cfr. TO II, 453. Per la biografia di Borges rinviamo a D. Porzio, Jorge Luis Borges, Pordenone 1992. Per il cenno fatto all’episodio della scacchiera e dei paradossi di Zenone, cfr. ivi, p. 50 sgg. Si veda anche, in merito, F. Savater, Borges, tr. it. di F. Saltarelli, Roma-Bari 2003, pp. 19-20. Del testo di Savater cfr. inoltre in part. il cap. V (Il sorriso metafisico), pp. 97-119 dedicato alle relazioni di Borges con la filosofia. 3
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APPENDICE I
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in un reticolo di impressioni evanescenti, a praticare una vertiginosa quanto perturbante osmosi tra reale e possibile, cosı` che innumerevoli mondi (nati? non nati?) tendono a incunearsi, a filtrare nell’universo che appare, insidiandolo, destabilizzandolo, duplicandone i piani, attentando alla sua permanenza e sostanzialita`. Come in Pierre Menard, autore del “Chisciotte”, dove si immagina che un romanziere riscriva nel XX secolo assolutamente identici alcuni capitoli del capolavoro di Cervantes, la duplicazione oblitera l’originale e – aggiunge 5 Maurice Blanchot – cancella «perfino l’origine» . Il mondo e` una selva barocca di doppi, un labirinto di specchi e simulacri, un’ecumene di biforcazioni rizomatiche, la somma infinita dei possibili, come il pianeta di Tlo¨n abitato da idealisti che, involontari discepoli di Berkeley e di Hume – i filosofi, insieme a Schopenhauer, prediletti da Borges – fanno della 6 metafisica «un ramo della letteratura fantastica» . In cio`, Borges e` certo l’espressione novecentesca piu` compiuta di quella poetica dei mondi possibili che proprio in Leibniz trova la sua origine, i cui geniali Winke segnano un punto di transizione fondamentale tra l’antica teoria mimetica dell’arte e quella moderna dell’autonomia del linguaggio 7 artistico . Non si tratta, pero`, nello scrittore argentino, come invece accade in Leibniz, di tenere aperto, dietro l’esistente, lo spazio infinito del possibile, cosı` da garantire la contingenza delle cose e da eludere il necessitarismo. Nella labirintica strategia borgesiana avviene qualcosa che, minacciando di scardinare quella sorta di “rasoio di Ockham” costituito dalla teoria leibniziana degli incompossibili, il filosofo tedesco non avrebbe potuto avallare: alludiamo al costante transito tra possibile e reale, alla permeabilita` tra compossibile e incompossibile, che finisce per estenuare, fino a renderli impalpabili, i confini tra i due domini, per Leibniz invalicabili, avendo essi a che fare con l’atto creativo con cui il Deus existentificans fa passare ad esistenza uno solo tra gli infiniti mondi presenti nel suo intelletto. Tra Il giardino dei sentieri che si biforcano e il sogno di Teodoro che chiude i Saggi
5
Cfr. M. Blanchot, L’infinito letterario: l’Aleph, in Id., Il libro a venire, tr. it. di G. Ceronetti e G. Neri, Torino 1969, p. 103. Quanto al racconto a cui si e` fatto riferimento, intitolato Pierre Menard, autore del “Chisciotte”, esso si trova in Finzioni, TO I, 649-658. 6 Cfr. il racconto Tlo¨n, Uqbar, Orbis Tertius, in Finzioni, TO I, 631. 7 Sulla poetica di Leibniz come distacco dalla teoria normativa della mimesis e come origine della poetica dei mondi possibili, si veda L. Dolezel, Poetica occidentale. Tradizione e progresso, tr. it. di A. Conte, Torino 1990, cap. 2 (pp. 43-67). Sulla teoria del romanzo in Germania nel ’600, cfr. U. Bavaj, Mythoscopia romantica. Teoria del romanzo in Germania, vol. I, 1629-1698, Roma 1996 (in part. su Leibniz pp. 80-81).
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ERUDIZIONE E TEODICEA
di Teodicea, come suggerisce Deleuze8, esiste un’antitesi radicale, quasi il geniale racconto borgesiano poliziesco-metafisico fosse lo specchio rovesciato – come il diritto sta al rovescio – delle celebri pagine leibniziane. Antitesi che cela, d’altronde, un’unita` tematica sulla Sache del problema del male avvertita come inscindibile dal tempo e dalla storia. Nella narrazione borgesiana del 1941, come e` noto, un cinese, spia della Germania in terra inglese durante la prima guerra mondiale, nel corso della sua fuga notturna dalla polizia approda a un giardino-labirinto che finisce per rivelarsi un libro senza fine, un libro-labirinto nel quale l’antico autore – il saggio Ts’ui Peˆn, antenato della spia fuggitiva – al racconto di una vicenda faceva seguire la biforcazione delle possibili varianti della medesima vicenda, facendo di queste il punto di partenza di ulteriori ramificazioni temporali, e cosı` via all’infinito. A differenza di Newton e di Schopenhauer – spiega al cinese-spia Stephan Albert, il dotto sinologo depositario del giardino e dei suoi misteri –, il suo antenato non credeva in un tempo uniforme, assoluto. Credeva in infinite serie di tempo, in una rete crescente e vertiginosa di tempi divergenti, convergenti e paralleli. Questa trama di tempi che s’accostano, si biforcano, si tagliano o s’ignorano per secoli, comprende tutte le possibilita`. Nella maggior parte di questi tempi noi non esistiamo; in alcuni esiste lei e io no; in altri io, e non lei; in altri, entrambi. In questo, che un caso favorevole mi concede, lei e` venuto a casa mia; in un altro, traversando il giardino, lei mi ha trovato cadavere; in un altro io dico queste medesime parole, ma sono un errore, un fantasma9.
L’assassinio del sinologo Albert ad opera del cinese-spia – delitto apparentemente assurdo attraverso il quale, in realta`, i tedeschi sono avvertiti, mediante la notizia divulgata dai giornali, della citta` di nome Albert ove erano dislocate le artiglierie inglesi – riceve la sua giustificazione, agli occhi dell’omicida, proprio nel pensiero dei tempi plurimi e ramificati, sicuro che il suo atto criminale avverra` solo all’interno di un universo ma non negli altri, e che altrove egli ritrovera` amica la sua vittima. Una Stimmung di stupore, o di sgomento, assale chi confronti tale fantasia metafisica di Borges al celebre racconto contenuto nelle ultime pagine degli Essais de The´odice´e, destinato a rivelarsi, come si diceva, il perfetto antipode della narrazione borgesiana che si e` riassunta. Qui, 8 9
Cfr. G. Deleuze, La piega, cit., p. 93 sgg. J.L. Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano, in Finzioni, TO I, 700-701.
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APPENDICE I
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Teodoro, trasportato in sogno nel Palazzo dei destini vegliato dalla dea Pallade, vede la piramide degli appartamenti che contengono l’infinita` dei mondi possibili esistenti nella mente divina, al vertice della quale sta il migliore, l’unico mondo, nella concorrenza tra i possibili, venuto ad esistenza: Ces mondes – spiega la dea custode a Teodoro – sont tous icy, c’est a` dire en ide´es. Je vous en montreray, ou` se trouvera, non pas tout a` fait le meˆme Sextus que vous ave´s vu ... Vous trouvere´s dans un monde, un Sextus fort hereux et eleve´, dans un autre un Sextus content d’un etat mediocre, des Sextus de toute espece et d’une infinite´ de fac¸ons [GP VI, 363].
Spicca il parallelismo tra le due situazioni, dove la variante determinante introdotta da Borges e` l’ammissibilita` del pensiero che Leibniz aveva rigettato: la compossibilita` di tutti i possibili, divenuta, nell’universo borgesiano, il labirintico giardino dei sentieri che si biforcano, dei tempi plurimi che fioriscono e pullulano a grappoli, intersecandosi, convergendo, divergendo, in base a un dinamismo che, ancora con Deleuze, si potrebbe definire “rizomatico”. Solo nel dominio del poetico, del romanzesco, per Leibniz, si da` la possibilita` del coesistere di universi paralleli. Il romanziere, per Leibniz, e` in questo senso un imitatore della Mens Dei: il suo Erza¨hlen e` ricettacolo tutti i possibili, come in Dio coesistono tutte le trame, tutti i romanzi, tutti i tempi, dei quali tuttavia solo uno si storicizzera`, solo uno filtrera` attraverso il meccanismo metafisico degli incompossibili: sara`, questo, il romanzo della storia umana, come si legge nei Saggi di Teodicea (§ 149; GP VI, 198-199), segnato dalla migliore serie di eventi possibile, per quanto sempre in itinere, sempre bisognoso di nuovi tomi. Solo il tempo come idea di Dio e` una trama di tempi ramificati e paralleli, dal momento che ciascun mondo, anche se destinato a non nascere, in quanto implicante un certo ordine di accadimenti, deve possedere un proprio spazio e tempo. Nel dominio del poetico, del romanzesco, come nell’intelletto divino, non si da`, per Leibniz, il problema della compossibilita`, vale a dire della compatibilita` tra gli eventi dell’universo. Affinche´ una storia sia possibile, e` sufficiente che non sia contraria ai principi di identita` e di noncontraddizione, mentre per esistentificarsi e` necessaria, in piu`, la sua compossibilita`, come si legge in una lettera a Bourguet (dicembre 1714), che potremmo definire uno dei testi fondativi della poetica dei mondi possibili: Je n’accorde point que pour connoistre, si le Roman de l’Astre´e est possible, il faille connoistre sa connexion avec le reste de l’Univers. Cela seroit necessaire pour savoir, s’il est compossible avec luy, et par conse-
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quent, si ce Roman a ete´, ou est, ou sera dans quelque coin de l’Univers. Car asseurement sans cela, il n’y aura point de place pour lui. Et il est tres vray que ce qui n’est point, et n’a point ete´, et ne sera pas, n’est point possible, si possible est pris pour compossible, comme je viens de le dire. Et peutetre que Diodore, Abailard, Wiclef, Hobbes, ont eu cette ide´e en teste, sans la bien demeler. Mais autre chose est, si l’Astre´e est possible absolument. Et je dis qu’ouy, parce qu’elle n’implique aucune contradiction. Mais pour qu’elle existaˆt effectivement, il faudroit que le reste de l’Univers fuˆt aussi tout autre qu’il n’est, et il est possible qu’il soit autrement [GP III, 572-573].
Qui, in effetti, la poetica leibniziana evidenzia un distacco dalla teoria dell’arte come mimesis della natura. Piuttosto che imitare la natura, la poiesis appartiene a uno spazio ontologicamente dislocato rispetto al reale, quale e` il dominio dei possibili. L’universo leibniziano, come e` noto, non e` la somma di tutti i possibili, ma dei compossibili. Esso e` il prodotto dell’unica serie di eventi scelti da Dio tra gli infiniti, cosı` che neppure il minimo particolare, al suo interno, potrebbe essere mutato senza coinvolgere tutto il resto, mentre le ramificazioni virtuali degli universi non nati restano prerogativa di poeti e romanzieri. Una conseguenza mette conto rilevare da quanto detto: quella per cui in storia, nel tempo storico, nel romanzo di Dio venuto ad esistenza, per Leibniz, non c’e` spazio per l’ucronia, intesa nell’accezione offerta a questo termine da colui che lo ha coniato, Charles Renouvier (1815-1903), il filosofo francese autore – oltre che di una Nouvelle Monadologie (1899) – di 10 quella Uchronie (1857; 1876) , contro cui si scagliera` l’ironia di Benedetto 11 Croce ne La storia come pensiero e come azione , e che invece, sempre in 12 Italia, trovera` in Adriano Tilgher un convinto estimatore . No, la storia, per Leibniz, non si puo` fare con i “se”, il tempo storico non e`, per il filosofo della Teodicea, un tronco dalle tante ramificazioni, per quanto sia il piu` ricco 10 C. Renouvier, Uchronie (l’Utopie dans l’histoire). Esquisse historique apocryphe du de´veloppement de la civilisation europe´enne tel qu’il n’a pas e´te´, tel qu’il aurait pu eˆtre, (Paris 1876), ed. cit. Paris 1988. Sull’anti-storicismo di Renouvier e su Uchronie, cfr. A. Deregibus, L’ultimo Renouvier. “Persona” e “storia” nella filosofia della liberta` di Charles Renouvier, Genova 1987, in part. la Parte II. 11 B. Croce, La storia come pensiero e come azione, cit., pp. 19-20. 12 Cfr. in part. di A. Tilgher, Il casualismo critico, Roma 1942. Una sintetica ricostruzione della nozione di “ucronia” e delle dispute filosofiche cui essa ha dato luogo, si trova nella Postfazione di G. De Turris, intitolata Tutti i futuri del mondo. Le ragioni del Possibile, al volume Aa. Vv., Se la storia fosse andata diversamente. Saggi di storia virtuale, a cura di J. Collings Squire, tr. it. di M. Frassi, Milano 1999, pp. 291-326.
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e il piu` vario possibile, poiche´ espressione del migliore dei mondi. Solo il tempo prima del tempo, il tempo in Mente Dei, il tempo nel dominio del possibile e non ancora passato nel “setaccio” metafisico degli incompossibili, come si e` detto, presenta simili ramificazioni. Quale sia la ragione metafisica di cio`, lo documenta eloquentemente un passo dello scritto De libertate, contingentia et serie causarum atque de providentia ove il filosofo, evocando in che modo nel corso del suo Denkweg si era affrancato dalla tentazione del necessitarismo, relega l’ipotesi dei mondi paralleli all’immaginazione dei poeti, ai romanzi, scartandone la cocreazione in nome della salvezza della contingentia mundi, inscindibilmente legata, per lui, alla «bellezza dell’universo» e alla «scelta delle cose». All’interno di tale pagina, in quel “qualcuno” che, nella vastita` infinita di spazio e tempo, immagina esistere qualche «regione dei poeti» (regiones poetarum) dove si vedono muoversi i personaggi dei romanzi, si potrebbe – con nostra fantasia ermeneutica – identificare proprio Borges, il quale finirebbe cosı` per trovarsi in una singolare quanto scomoda prossimita` nientemeno che col Cartesio dei Principia Philosophiae, da Leibniz ritenuto a sua volta non lontano – quanto alla tesi della ricezione in successione, da parte della materia, di tutte le forme possibili – dallo stesso panteismo di Spinoza: Sed ab hoc praecipitio retraxit me consideratio eorum possibilium quae nec sunt, nec erunt, nec fuerunt; nam si quaedam possibilia nunquam existunt, utique existentia non semper sunt necessaria, alioqui pro ipsis alia existere impossibile foret, adeoque omnia nunquam existentia forent impossibilia, neque vero negari potest fabulas complures quales Romaniscorum nomine censentur esse possibiles; et si non inveniant locum in hac serie Universi, quam Deus delegit, nisi quis sibi fı`ngat in tanta magnitudine spatii et temporis aliquas esse regiones poetarum, ubi et Regem Artum Magnae Britanniae, et Amadisum Galliae, et incrustatum figmentis Germanorum Theodericum Veronensem per orbem errantes videre possis; a qua opinione insignis quidam nostri seculi philosophus non multum abfuisse videtur, qui alicubi expresse affirmat materiam omnes successive formas suscipere quarum est capax. (Princip. philos. parte III, artic. 47). Quod minime defendi potest, ita enim omnis pulchritudo universi et rerum delectus tolletur, ut alia nunc taceam, quibus contrarium evinci potest [A VI, 4 B, 1653-1654].
2. – Il Libro, l’Universo e la Biblioteca di Babele Per quanto in Leibniz, e ancor piu` in Borges, la categoria del possibile si carichi di valenze utopiche e ucroniche, gia` Aristotele, pur muovendosi
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all’interno del paradigma mimetico dell’arte, parlava della poesia come dominio del possibile, contrapponendola, nel celebre capitolo 9 della Poetica, alla storia, come dominio del fattuale. Altrettanto fa Luciano nel suo trattato su Come si deve scrivere la storia (166 d. C.) (cfr. § 8 sgg.). Che la poesia, in questo senso, si sostanzi di un multiverso traboccante di possibili, e che lo scrittore sia un “hacedor”, un fabbro di universi, pochi come Borges lo hanno testimoniato nel Novecento letterario. La scrittura letteraria come creazione di mondi: non e` all’opera, in cio`, un infernale gioco di specchi che rischia di liquefare, in un vortice osmotico, il discrimine tra invenzione e realta`? Se, come pensa l’argentino, il mondo e` un libro e, memore Don Chisciotte, il libro e` il mondo, da questa corrispondenza che fonda la poiesis borgesiana, come nota Blanchot, nascono temibili conseguenze. Anzitutto viene a mancare ogni termine di riferimento. Il mondo e il libro si rimandano eternamente e infinitamente le loro immagini riflesse. Questo potere indefinito di riverberazione, questo scintillante e illimitato moltiplicarsi che e` il labirinto della luce e che peraltro non e` nulla, sara` allora tutto cio` che troveremo, vertiginosamente, 13 in fondo al nostro desiderio di comprendere .
Di chi e` dunque la finzione, del libro, dell’universo ritenuto solidamente dato, o forse di entrambi? Dove abita, se abita, l’ubi consistam? Forse, solo nella forza plastica della parola? Autenticamente “arrischiante” e` allora il potere della parola, perche´, alla fine, il mondo appare un gioco della sua creazione. Creazione errante, fragile, evanescente, ma insieme strutturalmente segnata dal tragico, che sorge, infinitamente plurale, nel varco mai del tutto rimarginabile che si apre tra il linguaggio e le cose, il cui rapporto di designazione appare nello scrittore argentino disponibile a paradossali dislocazioni di senso. Dai libri, dalle biblioteche, fu grandemente attratto anche Leibniz e il suo secolo. E` Walter Benjamin a osservare nel Dramma barocco tedesco che il Rinascimento esplorava l’universo, il Barocco le biblioteche. Il suo 14 pensiero assume la forma del libro .
13
M. Blanchot, L’infinito letterario: l’Aleph, in Id., Il libro a venire, cit., p. 102. Per il cenno fatto alla distinzione aristotelica tra poesia e storia, ci limitiamo a rinviare allo studio recente di G. Lombardo, L’estetica antica, Bologna 2002, pp. 102-104, e alla relativa bibliografia. 14 W. Benjamin, Il dramma barocco tedesco, tr. it. di F. Cuniberto, Torino 1999, p. 116.
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In effetti, oltre che dal collezionismo – la cui ossimorica interna logica tesa a un ordinato disordine Benjamin, nel suo saggio su Eduard Fuchs, il collezionista e lo storico15, nonche´ Italo Calvino, nella sua Collezione di sabbia, hanno finemente concorso a illuminare – e dall’enciclopedismo – analoga malattia di un’eta` assillata dal senso del frammentario e insieme dell’unita` – il Seicento e` sedotto come pochi altri secoli dagli spazi vasti e severi delle biblioteche. E 16 Leibniz, che ha potuto essere definito «ein Mann des Buches» , che ha stilato innumerevoli progetti enciclopedici, che ha auspicato e promosso con tutte le sue forze la cooperazione tra gli studiosi per il progresso del genere umano, fu familiare, come e` noto, alla res bibliothecaria fino a ricoprire l’incarico di bibliotecario della casa di Braunschweig-Lu¨neburg dal 1676 e di direttore della Biblioteca di Wolfenbu¨ttel a partire dal 1691. L’abbozzo di una babelica Biblioteca universale, impressionante per erudizione e vastita` di interessi si trova, ad esempio, stilato da Leibniz nel corso dell’iter italicum, tra il maggio e l’autunno del 1689, per Theodor Althet Heinrich von Strattmann (Entwurf einer Bibliotheca Universalis Selecta; cfr. A I, 5, 428-462). Eppure, il filosofo tedesco, nato, come anche Borges amava dire di se stesso, in una biblioteca, e, come lo scrittore argentino bibliotecario di mestiere17, rifiuto` l’identificazione tra Libro e Universo. Esiste uno scritto, il frammento sull’Apokatastasis (1715) – che sara` oggetto di analisi specifica in un’altra sezione del nostro lavoro – dove il rifiuto dell’identita` fissata da Borges (Libro=Universo) risulta evidente. E dove appare, come ha scritto Umberto Eco, che di Biblioteche di Babele ne sono state sognate anche prima di Borges18. 15
Il saggio citato di Benjamin si trova ne L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilita` tecnica. Arte e societa` di massa, tr. it. di E. Filippini, Torino 1991, pp. 79-123. 16 La definizione e` di W. Totok, in Leibniz als Wissenschaftsorganisator, in Aa. Vv., Leibniz. Sein Leben – Sein Wirken – Seine Welt, cit., pp. 307-308. Su Leibniz e le biblioteche, ci limitiamo a rinviare a M. Palumbo, Leibniz e la res bibliothecaria, cit. 17 Borges, dopo avere lavorato in una modesta biblioteca municipale dal 1938, momento segnato anche la morte del padre, fu direttore della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires dal 1955 al 1974, anno nel quale si dimise dall’incarico per ragioni politiche, legate al ritorno al governo dei peronisti. Ma, come per Leibniz, prima ancora, decisiva fu la biblioteca paterna: «Mi sara` permesso di ripetere che la biblioteca di mio padre e` stata il fatto capitale della mia vita? La verita` e` che non sono mai uscito da essa, come mai uscı` dalla sua Alonso Quijano» (J.L. Borges, Epilogo a Storia della notte, TO II, 1115). 18 U. Eco, Tra La Mancha e Babele, in Id., Sulla letteratura, Milano 2002, p. 115. Nel medesimo testo cfr. anche Borges e la mia angoscia dell’influenza, pp. 128-146. Alla biblioteca leibniziana, nonche´ alla dottrina dell’apocatastasi, Eco dedica alcune fini pagine in La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, Roma-Bari, 1996, p. 289 sgg. Di Eco, sugli stessi temi, menzioniamo anche lo scritto De Bibliotheca, in Id., Sette anni di desiderio, Milano 1995,
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Una di queste si prospetta proprio in questo tardo scritto leibniziano. Che dire – vi si legge – se il tempo dei libri, delle Historiae, si esaurisse e se, a un certo punto, quasi i fili che innervano il textum, l’ordito del testo, si pietrificassero in atomi di numero finito, le stesse cronache, gli stessi libri ritornassero? Cosı` suona l’esperimento mentale proposto nello scritto sull’Apokatastasis. Il numero delle lettere alfabetiche – argomenta Leibniz – e` finito, percio` finite, per quanto numericamente sterminate, sono anche le loro combinazioni. Supposto che il genere umano permanga sulla terra un numero di anni sufficiente a realizzare tutte le storie universali annuali, contenute in una ipotetica e poderosa Biblioteca storica universale, verra` un giorno in cui le stesse cronache, gli stessi libri si ripeteranno, sia riguardo alle cronache pubbliche che a quelle private. Il tempo del libro e`, dunque, sin qui, un tempo anulare, ricurvo su stesso, statico, i cui atomi-lettere, cabbalisticamente, o per ars combinatoria, a un certo punto esauriscono le loro possibilita` originali e finiscono per ripetersi. Sembra qui anticipato il finale della Biblioteca di Babele borgesiana, anch’essa circolare, eterna perche´ periodica, nella quale alla fine si ripetono gli stessi libri nel medesimo ordine: Chi lo immagina [il mondo] senza limiti, dimentica che e` limitato il numero possibile dei libri. Io m’arrischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca e` illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi
pp. 237-250. Sulla biblioteca nella letteratura si veda l’agile volumetto di R. Nistico`, La biblioteca, Roma-Bari 1999, che alle pp. 67-83 sosta su Il nome della rosa (1980) di Eco, romanzo al centro del quale, com’e` noto, sta una labirintica biblioteca, e sulla Biblioteca di Babele di Borges. Per altri riferimenti rinviamo alla nota n. 47 del capitolo quarto. Il nesso Eco-Borges propizia l’evocazione di almeno altri due scrittori italiani del Novecento memori sia dello scrittore argentino quanto di Leibniz, e che in questo senso appartengono certo a una storia delle monadologie letterarie del XX secolo: Italo Calvino e Carlo Emilio Gadda. Sull’argomento rinviamo allo studio di R. Paoli, Borges e gli scrittori italiani, Napoli 1997. Inoltre su Gadda: G.C. Roscioni, La disarmonia prestabilita. Studi su Gadda, Torino 1995 (con interessanti riferimenti a Leibniz; cfr. in part. pp. 74-75 sugli Annales Imperii); R.S. Dombrosky, Gadda e il barocco, tr. it. di A.R. Dicuonzo, Milano 2002; E. Raimondi, Barocco moderno. Roberto Longhi e Carlo Emilio Gadda, cit. Cenni su Gadda e Calvino in prospettiva leibniziana si trovano in R. Cristin, La camera oscura. Implicazioni e complicazioni del soggetto in Leibniz, in “aut aut”, 1993, cit., p. 176 sgg. Ricca di suggestioni e` anche la conferenza di J. Ortega y Gasset del 1935, La missione del bibliotecario, tr. it. Carnago (Va), 1994. Si veda inoltre L. Canfora, Il copista come autore, Palermo 2002, con fini riferimenti a Borges (p. 15 sgg.).
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volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine19.
Ma tra le due babeliche e barocche Biblioteche – quella del filosofo tedesco e quella dello scrittore argentino – come si diceva, una differenza c’e`: alla fine, dalla Biblioteca universale di Leibniz si esce, perche´ il Mondo e` piu` grande del Libro, perche´ nessun volume puo` esaurire l’infinito in atto nelle cose, perche´ Dio, il Grande Bibliotecario, trascende da tutti i lati la Biblioteca viaggiando in essa – quasi fosse un Dio “ermetico” – a velocita` infinita. Nella Biblioteca di Borges, priva di Trascendenza, si resta invece invischiati in un circolo infinito. Inoltre, la beffa – sgomentante beffa! – della borgesiana Biblioteca di Babele e` che il Libro dei libri, il Catalogo dei cataloghi, il «libro che sia la chiave e il compendio di tutti gli altri», che contenga la lingua segreta di Dio, e` andato perduto, forse non e` mai esistito, percio` manca un codice capace di dire se le vastissime, ma non infinite, combinazioni dei venticinque simboli ortografici di cui risultano composti i libri della Biblioteca, nessuno uguale a un altro, abbiano un senso, oppure siano un coacervo di 20 «insensate cacofonie, di farragini verbali e di incoerenze» . Qui, la ricerca di una parola vera, che sia il senso di tutte le altre, e` senza approdo e senza speranza, e l’uomo e` come il cercatore del Graal o Don Chisciotte perduto in una selva oscura di combinazioni ortografiche. Difficile esprimere con maggiore poieticita` lo smarrimento di un centro nevralgico del reale e l’esperienza del Tod Gottes dell’uomo contemporaneo. Difficile, anche, esprimere con superiore e piu` eccentrica suggestione quel pensiero, antichissimo e venerabile, che dai Veda e dalle Upanishad, da Sofocle e Parmenide, giunge fino a Shakespeare, a Caldero´n, a Schopenhauer, della vita come parvenza illusoria, del mondo come velo di Maya. In questo senso, l’espressione schopenhaueriana ricordata anche in Il tempo e 21 J.W. Dunne , leggibile in Die Welt als Wille und Vorstellung – opera amata 22 come poche altre da Borges – secondo cui 19
TO I, 688-689. TO I, 682. Sulla rivelazione in Borges, cfr. C. Magris, Borges o la rivelazione che non viene, in Id., Itaca e oltre, Milano 1982, pp. 113-121. 21 Cfr. J.L. Borges, Altre inquisizioni, in TO I, 924-928. 22 «Poche cose – si legge nell’Epilogo de L’artefice – mi sono accadute piu` degne di memoria del pensiero di Schopenhauer o della musica verbale d’Inghilterra» (TO I, 1267). Cfr. anche J.L. Borges, Altre conversazioni, tr. it. di F. Tentori Montaldo, Milano 1989, p. 142, dove si conferma la triade filosofica formata da Berkeley-Hume-Schopenhauer come quella prediletta dallo scrittore argentino. Poco, tutto sommato, invece, ricorre nell’opera e 20
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la vita e i sogni son pagine d’uno stesso libro23,
rappresenta forse la cifra piu` appropriata alla poiesis borgesiana. Il libro dove vita e sogno si confondono potrebbe essere uno degli enigmatici volumi che popolano i relatos dello scrittore argentino: potrebbe essere quel gran libro circolare dalla costola continua, che fa il giro completo delle pareti24,
che si rivela poi essere Dio, della Biblioteca di Babele. Oppure quel volume ciclico, circolare ... la cui ultima pagina fosse identica alla prima, con la possibilita` di continuare indefinitamente25,
che si incontra nel dedalico Giardino dei sentieri che si biforcano. O, ancora, quel misterioso Libro di Sabbia che un giorno uno sconosciuto venditore ambulante propone bussando alla porta al protagonista narratore nell’omonimo racconto: libro diabolico, senza inizio e senza fine, che e` lecito considerare la figurazione cartacea dei paradossi di Zenone – analogamente al Castello di F. Kafka, scrittore zenoniano come pochi – cosı` che il protagonista, per quanto sfogli le pagine senza posa, non ne raggiunge mai ne´ la prima ne´ l’ultima: Mi disse che il suo libro si chiamava il Libro di Sabbia, perche´ quel libro e la sabbia non hanno ne´ principio ne´ fine. Mi disse di cercare la prima pagina. Con la mano sinistra sopra il frontespizio, cercai la prima pagina con il pollice quasi incollato all’indice. Tutto fu inutile: tra il frontespizio e la mano si interponevano sempre nuovi fogli. Era come se sorgessero dal libro. «Adesso cerchi la fine». Fallii di nuovo; riuscii appena a balbettare con una voce che non era la mia: «Non e` possibile»26.
nelle conversazioni borgesiane il nome di Leibniz, che resta una presenza, per quanto sostanziale, piu` discreta e clandestina. 23 A. Schopenhauer, Il mondo come volonta` e rappresentazione, tr. it. di N. Palanga, Milano 1985, p. 54. 24 TO I, 681. 25 TO I, 697-698. 26 TO II, 650. Borges ha legato il Castello di Kafka ai paradossi di Zenone, vedendo nel romanzo del praghese una configurazione dell’antico dilemma, in Kafka e i suoi precursori, Altre inquisizioni, TO I, 1007-1009.
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3. – I paradossi di Zenone, il tempo e l’eternita`. L’ultimo nome di Dio Anche al tempo accade come a quel libro luciferino, avvertito come «una cosa oscena che infamava e corrompeva la realta`» e alla fine abbandonato in uno scaffale qualsiasi della Biblioteca Nazionale di Buenos Aires: soggetto a divisione infinita, inafferrabile come un vortice di polvere che 27 turbina nell’aria, come i sogni e i granelli di sabbia de La scrittura del Dio , o come le incalcolabili schegge di un’esplosione: Gli ignoranti – si legge ne La lotteria a Babilonia – suppongono che infiniti sorteggi richiedano un tempo infinito; basta, in realta`, che il tempo sia infinitamente divisibile, come insegna la famosa parabola della Gara con la Tartaruga28.
Cosı`, Borges applica al dominio del tempo i paradossi di Zenone. Anche Leibniz, a suo modo, come si e` visto, l’aveva fatto. Ecco, di quella antica gara ricordata nel brano, la riproposizione offerta dall’argentino nel saggio La perpetua corsa di Achille e della tartaruga: Le implicazioni della parola gioiello – preziosa piccolezza, delicatezza non soggetta alla fragilita`, facilita` somma di trasporto, limpidezza che non esclude l’impenetrabilita`, fiore per gli anni – la rendono di uso legittimo qui. Non conosco migliore qualifica per il paradosso di Achille, tanto indifferente alle decisive confutazioni che da piu` di ventitre´ secoli l’aboliscono, che ormai possiamo salutarlo immortale. Le ripetute visite al mistero che tale lunga durata postula, le sottili ignoranze a cui essa ha invitato l’umanita`, sono generosita` di fronte alle quali non possiamo non sentire gratitudine. Viviamolo ancora una volta, anche se solo per convincerci di perplessita` e di intimo arcano. Penso di dedicare alcune pagine – alcuni condivisi minuti – alla sua presentazione e a quella dei suoi correttivi piu` rinomati. E` noto che il suo inventore fu Zenone di Elea, discepolo di Parmenide, il quale negava che qualcosa potesse accadere nell’universo ... Achille, simbolo di rapidita`, deve raggiungere la tartaruga, simbolo di lentezza. Achille corre dieci volte piu` svelto della tartaruga e le concede dieci metri di vantaggio. Achille corre quei dieci metri e la tartaruga percorre un metro; Achille percorre quel metro, la tartaruga percorre un decimetro; Achille percorre quel decimetro, la tartaruga percorre un centimetro; Achille percorre quel centimetro, la tartaruga un 27 28
Cfr. TO I, 857-862. TO I, 671.
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millimetro; Achille il millimetro, la tartaruga un decimo di millimetro, e cosı` all’infinito; di modo che Achille puo` correre per sempre senza raggiungerla29.
Sin qui, conclude Borges, il paradosso immortale, quel «pezzettino di tenebra greca» tanto antico quanto intrascendibile, percio` ancora futuro – come la leggenda cinese dello scettro dei re di Liang, che si dimezzava a 30 ogni nuovo re e che, mutilato da dinastie, esiste ancora –, paradosso definito da una realta` semplice e terribile come una linea retta. Ne La morte e la bussola, infatti, mentre Scharlach sta per ucciderlo, Lo¨nnrot rimprovera al suo assassino di aver ideato, per irretirlo in una trappola mortale, un labirinto inutilmente complesso: Nel suo labirinto – disse alla fine, – ci sono tre linee di troppo. Io so di un labirinto greco che e` una linea unica, retta. In questa linea si sono perduti tanti filosofi che ben vi si potra` perdere un mero detective. Scharlach, quando in un altro avatar lei mi dara` la caccia, finga (o commetta) un delitto in A; quindi un secondo delitto in B, a otto chilometri da A; quindi un terzo in C, a quattro chilometri da A e da B, a meta` strada tra i due. E m’aspetti poi in D, a due chilometri da A e da C, di nuovo a meta` strada. Mi uccida in D come ora sta per uccidermi in Triste-le-Roy31.
Le conseguenze di tale lineare dedalo, come si diceva, sono fatali per il tempo: il paradosso di Zenone di Elea, come osservo` James, e` un attentato non solo alla realta` dello spazio, bensı` a quella piu` invulnerabile e sottile del tempo32.
Anche per l’argentino, come per Leibniz, Zenone e` incontestabile, a meno di confessare l’idealita` dello spazio e del tempo. Accettiamo l’idealismo, accettiamo l’accrescimento concreto di quanto e` percepito, e potremo eludere il brulicare di abissi del paradosso33. 29
TO I, 379-380. Su Borges e i paradossi di Zenone, cfr. P. Odifreddi, C’era una volta un paradosso, cit., pp. 196-198, e Id., Un matematico legge Borges, cit., pp. 47-48. Interessanti riferimenti a Borges si trovano in P. Zellini, Breve storia dell’infinito, Milano 1996, e in A. Sani, Infinito, Firenze 1988. 30 Cfr. TO I, 385. 31 TO I, 738. 32 TO I, 384-385. 33 TO I, 385.
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APPENDICE I
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Ma profondissime sono le differenze tra le due forme di idealismo. Anche la filosofia di Leibniz, in fondo, ambisce, analogamente alla scrittura borgesiana, a una eterotopia, a una dislocazione di senso, dal momento che la monade e` il luogo di nessun luogo, e` al di la` di spazio e tempo, di estensione e durata. Ma, se per Leibniz accettare l’idealismo spaziotemporale significa uscire dal labirinto, trovare il filo d’Arianna che conduce oltre i fenomeni, per se´ decomponibili all’infinito, fino all’unita` originaria della realta` (la monade), per Borges equivale ad accogliere l’illusorieta` del mondo, ad assecondare il carattere allucinatorio dei sensi e delle rappresentazioni mentali. L’idealismo diviene nell’argentino una strategia di straniamento, una modalita`, magicamente potenziata dall’esotismo dei paesaggi in cui vengono per lo piu` ambientate le narrazioni, per alleggerire la fatticita` del mondo e scivolarvi fuori, per desituarsi nella vertigine del possibile. Accettare l’idealismo equivale per Borges ad accettare di sognare il mondo, anche se non si tratta di un sogno perfetto, dal momento che restano aperti tenui ed eterni interstizi di assurdita`, per sapere che e` finto34.
I paradossi di Zenone sono queste intercapedini di tenebra che svelano l’esser-sogno del sogno, ma essi rivelano insieme che sotto l’esile velo di questa estenuata finzione, di questo sortilegio, si annida il sentimento trivellante del proprio Nulla, l’ombra del caos, il labirinto dell’Unsinn che, nella parafrasi nietzscheana del Prologo del Vangelo giovanneo sta “im 35 Anfang”, in luogo del Verbo . Questa erosione del principio di realta` insegna l’antico apologeta di Parmenide, ne´ la questione e` di emanciparsi dai suoi sgomentanti dedali: piu` fruttuoso appare a Borges restarvi invischiato, sublimando tale irretimento in alchemica Verkla¨rung poetica. No, l’argentino non resiste, come Ulisse, alle Sirene, asseconda piuttosto la seduzione abissale del loro canto,
34
«Noi (la indivisa divinita` che opera in noi) – recita l’intero brano – abbiamo sognato il mondo. Lo abbiamo sognato resistente, misterioso, visibile, ubiquo nello spazio e fermo nel tempo; ma abbiamo ammesso nella sua architettura tenui ed eterni interstizi di assurdita`, per sapere che e` finto» (TO I, 399). 35 F. Nietzsche, Umano troppo umano, II, 22: «Historia in nuce. La parodia piu` seria che io abbia mai sentita e` questa: “In principio era l’assurdo (der Unsinn), e l’assurdo era, al cospetto di Dio, e Dio (divino) era l’assurdo”» (tr. it. di Colli-Montanari). Per un commento a questo testo rinviamo a A. Caracciolo, Nichilismo ed etica, Genova 1983, pp. 63-64 (nuova ed. Genova 2002).
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ERUDIZIONE E TEODICEA
si lascia trascinare nel gorgo, nel calderone delle streghe – lui, con quell’aspetto solenne che gli anni e la cecita` avevano reso simile a Omero – scendendo, come Orfeo, nel regno ctonio degli Inferi, deciso a bagnarsi nelle acque dell’Acheronte per riemergervi, paradossalmente, con una scrittura cristallina, di limpidezza geometrica e di nitore neoclassico. Se Leibniz dal labirinto intende uscire, usando i paradossi di Zenone come aporie da risolvere, neutralizzandone e disattivandone le conseguenze fatali per la razionalita` delle cose, per Borges essi sono indizi dell’illusorieta` del mondo nei quali abitare. E` cosı` che il tempo nei saggi e nei relatos dell’argentino subisce i piu` vari attentati: immobilizzato ne Il miracolo segreto; circolare nei saggi della Storia dell’eternita`, ne L’immortale, nel Tema del traditore e dell’eroe, ne La notte ciclica; ramificato ne Il giardino dei sentieri che si biforcano; polverizzato in un vertiginoso flusso di istanti in Funes, o della memoria; attraversabile come su una macchina del tempo ne L’altro, in 25 agosto 1983 e in Utopia di un uomo che e` stanco. Qualunque sia la figura assunta dalla sua disgregazione, il tempo rifluisce per Borges in una paradossale eternita` che non presenta piu` i tratti classici del pantelos on, del summum bonum, della beatitudo, dell’erfu¨llte Zeit – eternita` come vita pienamente giustificata, distinta dalla semplice durata infinita – ma che, ormai povera come la du¨rftige Zeit dell’Ho¨lderlin di Brot und Wein, puo` essere solo definita nella sua prossimita` a un nulla vertiginosamente oscillante tra il mistero (o l’enigma) insondabile e il niente di senso. Se siamo ombre di un sogno, e se siamo sognati, chi ci sogna non e` il Dio di Leibniz, supremo Architetto dell’universo e Monarca della piu` perfetta Repubblica degli spiriti, ne´ quello di Berkeley, «onnipresente spet36 tatore il cui fine e` di dare coerenza al mondo» , ma un dio minore, un demiurgo, un dio gnostico la cui opera, come nella cosmogonia di Basilide, e` un processo essenzialmente futile, come un riflesso laterale e sperduto di vecchi episodi celesti. La creazione come fatto casuale37,
ovvero una temeraria o malvagia improvvisazione di angeli imperfetti38.
36 37 38
TO I, 1083. TO I, 339. TO I, 747.
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APPENDICE I
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«Opera di un dio sofferente e torturato» puo` dunque nietzscheana39 mente apparire il mondo , o il prodotto imperfetto del «dio bambino» dello Hume dei Dialoghi sulla religione naturale (V), in un passo richiamato 40 ne L’Idioma analitico di John Wilkins , una sorta di Lotteria di Babilonia dove il caso, il sorteggio di un dio giocatore prende il posto del principio di ragione. Pure, al fondo di questa cupa, sgomentante, opprimente fantasia teologica che pare ispirata alle labirintiche architetture cosmiche delle eresie gnostiche, popolate di sfere, di orbite concentriche, di eoni, di gerarchie di angeli, di arconti-guardiani, di mondi in cui le anime si perdono e vagabondano – fantasia che, naturalmente, sta agli antipodi della perorazione antignostica della causa del cosmo (cosmodicea) contenuta nella Teodicea leibniziana e, prima ancora, nelle Enneadi di Plotino [II, 9 (33)] – la parola poetica, creatrice di pluriversi, puo` trasfigurare l’orrida casualita` in un piu` alto Nulla, in mistero che domanda di essere rivelato. Per Borges infatti, la poiesis reca certo in se´ la memoria di una soteria, di una possibile redenzione, e il poeta, locus revelationis, amanuense di una qualche divinita`, serba, al fondo, qualcosa dell’antico mistico potere veritativo attribuito ai Maestri di verita`. Nulla e Nessuno, d’altronde, sembrano essere per Borges gli unici, e ultimi, nomi di Dio, come adombra lo scritto Da qualcuno a nessuno di Altre inquisizioni, nel quale si richiamano, in stretta analogia, la dottrina dell’au41 tore del Corpus dionysiacum, quella di Scoto Eriugena e quella di Samkara . In Borges neanche Dio sa chi e` – quel Dio che, pure, come nel Libro di Giobbe, parla da un turbine – secondo quanto si legge nel finale di Everything and nothing: La voce di Dio gli rispose da un turbine: «Neanch’io sono; io sognai il mondo come tu sognasti la tua opera, mio Shakespeare, e tra le forme del mio sogno sei tu, che come me sei tanti e nessuno»42. 39
Cfr. F. Nietzsche, Cosı` parlo` Zarathustra. Un libro per tutti e per nessuno, in Opere di Friedrich Niezsche, vol. VI, t. 1, a cura di G. Colli e M. Montanari, Milano 1991, p. 30. Sullo Zarathustra nietzscheano si legga il non benevolo giudizio di Borges, che lo accusa, se paragonato ai Vangeli, ancora «contemporanei» e «futuro», di obsolescenza, in Altre conversazioni, cit., p. 11. 40 TO I, 1005. 41 Cfr. TO I, 1043-1046. 42 TO I, 1161. Sul tema dei nomi divini nelle diverse tradizioni religiose, cfr. il fine e documentato saggio di M. Laeng, I nomi di Dio, in “Studium”, 5, 2002, pp. 659-669, ora in Id., Scienze Filosofia Religione. L’enigma nello specchio, Brescia 2003, pp. 151-162.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
Eternita` come Nulla, dunque, o come «everything and nothing». Ma, anche, eternita` ricurva su se stessa, come un anello per sempre fedele al suo giro? In realta`, rifiutato sul piano cosmico-universale, per la seconda legge 43 della termodinamica , l’eterno ritorno e` accolto da Borges – in singolare dissonanza da Leibniz, che nell’Apokatastasis-Fragment nega il circolo del tempo a partire dall’infinita` dell’individuale e dall’irripetibilita` dei destini singoli – sul terreno personale. La vita umana e` troppo povera per non essere anche immortale, le esperienze possibili – osserva piu` volte lo scrittore argentino – sono numericamente limitate e, percio`, in un tempo infinito, quasi fossero atomi circostanziali ed evenemenziali, destinate a ripetersi: Sospetto, tuttavia, che il numero di variazioni circostanziali non sia infinito: possiamo postulare, nella mente di un individuo (o di due individui che si ignorano, ma nei quali si opera lo stesso processo), due momenti uguali. Postulata tale uguaglianza, si puo` chiedere: questi momenti identici, non sono lo stesso momento? Non basta un solo termine ripetuto per scompigliare e confondere la serie del tempo?44.
L’eterno ritorno accade dunque sul piano individuale. Due cose uguali sono un’unica cosa – Leibniz docet – due momenti uguali sono un unico momento. E` tale identita` degli indiscernibili il fondamento di quell’apocalissi minima, di quell’eternita` senza Dio e senza archetipi, consumata nel «battito del ciglio» di un Augenblick e sperimentata, di notte, in un suburbio di Buenos Aires, descritta nella Storia dell’eternita`. Eccone la conclusione: Quella pura rappresentazione di fatti omogenei – notte in calma, muretto limpido, odore provinciale della madreselva, fango fondamentale – non e` semplicemente identica a quella che ci fu in quello stesso angolo tanti anni fa; e`, senza somiglianza ne´ ripetizioni, la stessa. Il tempo, se possiamo intuire questa identita`, e` un’illusione: la non differenza e la non separabilita` tra un momento del suo apparente ieri e un altro del suo apparente oggi, bastano per disintegrarlo45.
In simili identita` momentanee e` dunque reso possibile l’avvertimento dell’illusorieta` del tempo e il contatto con l’eternita`. Eppure, c’e` da chie43
Cfr. J.L. Borges, La dottrina dei cicli, in Storia dell’eternita`, in TO I, in part. p. 577. TO I, 1078. 45 TO I, 543. A questa esperienza, e alla nozione di eternita`, Borges fa riferimento significativo in Conversazioni, tr. it. di F. Tentori Montaldo, Milano 2000, pp. 30-31. 44
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dersi se la poetica borgesiana persegua – auspici i paradossi zenoniani, ma anche Berkeley, Hume, Schopenhauer – una dissoluzione tout court del tempo e della storia, o non ne cerchi piuttosto l’autentico fondo nascosto. L’idealismo allucinatorio di Borges persegue una fuga dal tempo e dalla storia, o invece la ricerca del loro senso, dentro un universo che si e` fatto enigmatico, labirintico, sgomentante? Accanto a tale disgregazione, in effetti, sta il riconoscimento della radicale trascendentalita` del tempo, cosı` strutturale che lo spazio finisce per essere subordinato ad esso, quasi fosse un «incidente nel tempo»: Lo spazio e` un incidente nel tempo e non una forma universale di intuizione, come impose Kant. Ci sono intere province dell’Essere che non lo richiedono; quelle dell’odorato e dell’udito46.
Ecco, forse, perche´ Borges conclude la Nuova confutazione del tempo con un testo – assai celebre – che, nell’affermazione dell’ineluttabilita` e irreversibilita` del tempo, che ci divora come Crono i suoi figli, pare prendersi gioco degli argomenti inanellati nel corso dell’intero saggio e rappresentarne la confutazione nella confutazione: An yet, and yet ... Negare la successione temporale, negare l’io, negare l’universo astronomico, sono disperazioni apparenti e consolazioni segrete. Il nostro destino (a differenza dell’inferno di Swedenborg e dell’inferno della mitologia tibetana) non e` spaventoso perche´ irreale; e` spaventoso perche´ e` irreversibile e di ferro. Il tempo e` la sostanza di cui son fatto. Il tempo e` un fiume che mi trascina, ma io sono il fiume; e` una tigre che mi sbrana, ma io sono la tigre; e` un fuoco che mi divora, ma io sono il fuoco. Il mondo, disgraziatamente, e` reale; io, disgraziatamente, sono Borges47.
L’uomo, dunque, ma non l’animale, che vive nell’istante, e` divorato da 46
TO I, 319. Si e` gia` osservato, con H. Poser, che anche in Leibniz esiste una priorita` del tempo sullo spazio, secondo una linea di pensiero che giunge fino a Heidegger. Un argomento analogo sul primato del tempo sullo spazio si legge in J.L. Borges, Conversazioni, cit.: «Sta di fatto che il tempo e` piu` reale di noi. Si potrebbe anche dire, l’ho anzi detto piu` volte, che la nostra sostanza e` il tempo, che siamo fatti di tempo. Non sempre siamo fatti di carne e d’ossa: quando sogniamo, ad esempio, il nostro corpo fisico non importa, quel che importa e` la nostra memoria e le immagini che tessiamo con essa. Questo appartiene evidentemente a un ordine temporale, non spaziale» (ivi, p. 31). Notazioni di Borges sul tempo sono leggibili anche in C. Costantini, Jorge Luis Borges. Colloqui esclusivi con il grande scrittore argentino, Roma 2003, in part. p. 18 sgg. 47 TO I, 1088-1089.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
Crono, conosce il tempo e la morte, unico tra gli esseri viventi. Lo Heidegger di Sein und Zeit e di Unterwegs zur Sprache, viene da osservare, piu` che Berkeley o Hume, sembra prossimo a queste riflessioni borgesiane. A tutt’altro, invece, che a un’eternita` transeunte, evanescente come il battito del ciglio, e a un Dio senza nome, perviene chi, nella dottrina leibniziana, scavi sotto la “nozione” dello spirito costituita dal tempo. A differenza di Borges, Leibniz non deduce dai paradossi di Zenone la sua inesistenza, ma semplicemente il suo dissolversi come sostanza. Tra tempo ed eternita` resta, nel filosofo di Hannover, una intrascendibile differenza ontologica. E, proprio all’opposto di Borges, sta nel filosofo tedesco una fondazione e giustificazione della temporalita`: tanto radicale da tradire da quale crisi del mondo, da quale enormita` di crollo metafisico essa scaturisca. Cosı`, in Leibniz, tutelato dal “nihil sine ratione”, il divenire dell’universo non scorre insensato, ne´ puo` essere, nel migliore dei mondi, il fatto bruto della teoria newtoniana o il malinconico trascolorare delle cose verso il non-essere, ma e` piuttosto epifania della bellezza, dell’armonia, di Dio stesso. L’intelligibilita` del tempo e` fondata, infatti, per un verso, nella forza attiva delle monadi, per l’altro nell’armonia prestabilita e in Dio, che ha scelto, tra le infinite possibili, la serie migliore di cose, la cui durata Egli vede con sguardo «icnografico», «a pianta completa», dominandola con sguardo penetrante e tornando, di tanto in tanto, nel Palazzo dei destini per ricapitolare le cose e compiacersi della scelta fatta. Solo Dio, del resto, puo` sopportare di vedere cosı` il corso del mondo. Chi, tra gli umani, come Ireneo Funes, o come una monade senza l’ombra delle percezioni minime, senza passivita`, vedesse e ricordasse tutto con sovrumana memoria, ne morirebbe. Magari di congestione polmonare, come lo «Zarathustra selvatico e vernacolare» del racconto borgesiano, 48 congestionato dall’eccesso di realta` .
48
Il riferimento e` a Funes, o della memoria, in Finzioni, TO I, 707-715. Il personaggio borgesiano di Ireneo Funes meriterebbe, a nostro avviso, per la sua tragicita`, di essere annoverato tra le figure dell’“Idiota” della letteratura contemporanea, accanto al principe Myskin di Dostoevskij, al Menuchim del Giobbe di J. Roth etc. Sul tema si veda il contributo di S. Givone, La figura dell’Idiota nella letteratura contemporanea. Da Dostoevskij a Singer e a Malamud, tenuto al III Convegno della Sezione di Filosofia della religione della Fritz Thyssen Stiftung, svoltosi a Santa Margherita Ligure nei giorni 5-6-7 maggio 1981 sul tema: Il problema della sofferenza “inutile”, i cui atti sono stati raccolti nel fascicolo del “Giornale di Metafisica” n. 1, 1982 (il testo di Givone e` alle pp. 183-194). Nello stesso fascicolo cfr. anche la relazione di A. Caracciolo, Figure della sofferenza fenomenicamente inutile, pp. 65-83, leggibile anche in Id., Nichilismo ed etica, cit., pp. 31-52.
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2 ERUDIZIONE E STORIA
` STORIOGRAFICA E L’EPISTEMOLOGIA STORICA L’ATTIVITA ... nicht zu trauen, sondern ab ovo anzufangen, und selbst nach einem rechten Grund zu trachten. (Leibniz, Reisebericht u¨ber die fu¨r die Welfengeschichte erzielten Forschungsergebnisse) Laborat Historiae fides, nisi acta inspiciantur. (Prefazione al Codex diplomaticus)
e in fine mi rallegro, che amendue condotti dall’amore della verita` ci siamo incontrati nel medesimo cammino. (L.A. Muratori a Leibniz, 16 aprile 1711)
... quos ex tenebris eruendos aliorum diligentiae relinquo. (Leibniz, Annales Imperii Occidentis Brunsvicenses)
1. – Leibniz e la storia: dalla formazione giovanile all’incarico storiografico (1646-1685) Eduard Fueter nella sua Storia della storiografia moderna, ha osservato che l’origine della formazione storica di Leibniz non e` rappresentata dal problema della fides historica e dall’erudizione, per quanto entrambi precocemente abbracciati, ma dal diritto e dalla pubblicistica dell’Impero: L’irrequieto ed affaccendato filosofo accolse i principi dei Maurini, ma non nella loro forma pura. Il suo punto di partenza non fu la storiografia erudita, ma la pubblicistica dell’impero (ed infatti voleva anche diventare ad un certo momento successore di Pufendorf come storiografo brande-
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ERUDIZIONE E TEODICEA
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burghese), e la trattazione della storia dal punto di vista gius-pubblicistico, mirante a scopi pratici, ha lasciato le sue tracce in tutte le sue opere storiche, persino nei suoi Annali imperiali brunsvicensi1.
La precisazione di Fueter e` quanto mai pertinente: all’erudizione e al problema della fides historica Leibniz giunse – seppur assai presto (della fides historica tratta gia` una lettera inviata a Johann Eisenhardt, giurista di Helmstedt, nel febbraio (?) 1679; cfr. A I, 2, 426-428) – a partire dagli studi di diritto e dall’esperienza politico-diplomatica, senza piu` affrancare la 1
E. Fueter, Storia della storiografia moderna, cit., pp. 405-406. Sulla ricerca storica tra Sei e Settecento, cfr. i quattro documentati volumi di B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit.; Inoltre si vedano: Aa. Vv., Pratiques et concepts de l’histoire en Europe, XVI-XVIII sie`cles, cit.; A. Momigliano, Le radici classiche della storiografia moderna. Sather Classical Lectures, a cura di R. Di Donato, Firenze 1992 (in part. cap. terzo, L’origine della ricerca antiquaria); P. Polman, L’E´le´ment Historique dans la Controverse religieuse du XVI Sie`cle, Gembloux 1932; G. Ricuperati, Alle origini della storiografia illuministica: storia sacra e storia profana nell’eta` della crisi della coscienza europea, cit.; Aa. Vv., L’histoire et ses me´thodes, Paris 1961; C. Greel, L’histoire entre e´rudition et philosophie. E´tude sur la connaissance historique a` l’aˆge des Lumie`res, Paris 1993; Aa. Vv., Religion, e´rudition et critique a` la fin du XVII sie`cle et au de´but du XVIII, Paris, 1968; S. Bertelli, Ribelli, libertini e ortodossi nella storiografia barocca, cit.; G. Lefebvre, La storiografia moderna, tr. it. di E. Renzi, Milano 1973 (sull’erudizione moderna pp. 97-107); E. Tortarolo, L’illuminismo. Ragioni e dubbi della modernita`, Roma 1999, in part. cap. 3 (L’uomo e la storia), pp. 89-113; Id., Sapere storico e modelli politici nella discussione accademica tedesca del Settecento, in Aa. Vv., L’eta` dei Lumi. Saggi sulla cultura settecentesca, a cura di A. Santucci, Bologna 1998, pp. 191-209; K. Pomian, Che cos’e` la storia, cit., (in part. pp. 64-73); P. Arie`s, Il tempo della storia, tr. it. id M. Garin, Roma-Bari 1987; M. Rak, La parte istorica. Storia della filosofia e libertinismo erudito, Napoli 1971; C. Ampolo, Storie greche. La formazione della moderna storiografia sugli antichi Greci, Torino 1997 (in part. cap. 3); G. Falco, La polemica sul Medioevo, Napoli 1977 (in part. cap. 5); S. Zen, Baronio storico. Controriforma e crisi del metodo umanistico, s. l., Vivarium 1994; Aa. Vv., Baronio storico e la Controriforma. Atti del Convegno internazionale di studi. Sora 6-10 ottobre 1979, a cura di R. De Maio, L. Gulia, A. Mazzacane, Sora 1982; A. De Maria, Malebranche e la storia, in Id., Storia, Sacra Scrittura e tradizione nel pensiero di Malebranche, cit.; Aa. Vv., La cultura del secolo XVII nel mondo di lingua italiana e di lingua tedesca, Atti del VII convegno internazionale di studi italo-tedeschi, Merano, 21-26 aprile 1966, e in part.: V. Titone, La storiografia italiana del Seicento (ivi, vol. I, pp. 183-198); E. Bussi, Scienza giuridica tedesca ed italiana nel secolo XVII (ivi, vol. I, pp. 227-247); U. Cra¨mer, Geschichtsschreiber und Geschichtsschreibung im 17. Jahrhundert in Deutschland (ivi, vol. I, pp. 253-279); Aa. Vv., La storia. I grandi problemi dal Medioevo all’Eta` Contemporanea, vol. 4, l’Eta` Moderna, 2, La vita religiosa e la cultura, Torino, 1986 (in part. i saggi di E. Cochrane, A. Biondi, S. Bertelli, C. Borghero, G. Ricuperati). Sul pirronismo storico in particolare, cfr. i volumi fondamentali di R. Pintard, Le libertinage e´rudit dans la premie`re moitie´ du XVII sie`cle, Paris 1943 (rist. Gene`ve-Paris 1983), e F. Lache`vre, Le libertinage au XVII sie`cle, 15 voll., Paris 1909-28 (rist. Gene`ve 1968). Sul pirronismo moderno cfr. inoltre lo studio piu` recente di R. H. Popkin, Storia dello scetticismo, tr. it. di R. Rini, Milano 2000.
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ERUDIZIONE E STORIA
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storia dagli scopi pratici legati a quei domini e sempre contaminando il rigore scientifico della ricerca, che nel pensatore tedesco tocca vertici affini a quelli delle grandi scuole erudite del suo tempo, con gli incarichi cortigiani, con gli interessi giuridico-politici a favore della Casa hannoverese e, infine, con l’idea stessa di Impero germanico. La premessa dell’interesse leibniziano per la storia e` dunque il diritto, e subito dopo la politica, rispetto ai cui contesti la storia restera` per l’intero periodo anteriore al 1685 in posizione ausiliaria. Tuttavia, se e` vero, come scrive F. Meinecke, che le idee centrali di un filosofo hanno le loro radici sempre nelle profondita` di una disposizione originaria del suo carattere e del suo spirito2,
e` ancor piu` a` rebours, all’infanzia, alle letture paterne delle narrazioni sacre e profane, e poi alla conoscenza precocissima di Tito Livio e di altri storici antichi, come Erodoto e Senofonte, di una cronologia di Sethus Calvisius 3 (1556-1615) – tutti testi rinvenuti nella copiosa biblioteca paterna – che occorre riandare per cogliere gli Urspru¨nge della coscienza storica che attraversa l’intero Denkweg leibniziano, dalla giovinezza fino alla redazione degli Annales Imperii. Un itinerario nel dominio degli studi storici che, pur nel continuum che lo segna, noi articoleremo in alcune scansioni biografiche, ponendo come focus ideale gli anni del viaggio europeo intrapreso da Leibniz tra il 1687 e il 1690 alla ricerca di documenti sulle origini genealogiche dei Guelfi. Quegli anni, in effetti, si pongono a cavallo tra il periodo che dalla giovinezza si spinge fino all’incarico di redigere la storia dei Braunschweig, affidato ufficialmente a Leibniz nell’agosto del 1685, e la fase che dal 1690 giunge fino alla morte, nella quale si addensano la vera e propria ricerca storica e l’opera storiografica dell’hannoverese. Si e` dunque accennato alle precoci letture storiche nella ricca biblioteca paterna. Ad alimentare il germe dell’interesse e del senso storico cosı` posti, intervennero successivamente i docenti e maestri incontrati nelle universita` dove si formo` il giovane Leibniz: quelle di Lipsia, di Jena e di Altdorf. Si tratta innanzitutto di Jacob Thomasius (1622-1684), padre del piu` famoso Christian, colui a cui si ascrive il merito di aver introdotto la storia della filosofia nelle universita` tedesche, e che fara` da praeceptor e fautor alla dissertazione leibniziana De principio individui, redatta in occasione della difesa del Baccalaureato in filosofia ricevuto a Lipsia il 30 maggio del 1663. 2 3
F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 18. Cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., pp. 1-3.
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Essa rappresenta il punto di partenza di quell’interesse nominalistico per l’individualita` e per le res singulares che Leibniz non abbandonera` piu`, e che si rivela la vera premessa teoretica del problema storico. Nella circostanza indicata, da storico della filosofia qual era, Jacob Thomasius, a cui si deve la scelta dell’argomento della disputazione leibniziana, scrisse una Prefazione dal titolo Origo controversiae de principio individuationis, di stampo prettamente storico (cfr. A VI, 1, 5-8)4, applicando in essa il principio metodico aristotelico per cui la res in questione va affrontata discutendone gli antecedenti, metodo che Leibniz recepira` e pratichera`5. 4
Sulla Praefatio di Thomasius rinviamo alla Introduzione di G. Aliberti a G.W. Leibniz, Disputazione metafisica sul principio di individuazione, Bari 1999, pp. 13-65. Su J. Thomasius storico della filosofia, cfr. Aa. Vv., Storia delle storie generali della filosofia, a cura di G. Santinello, vol. 1, Dalle origini rinascimentali alla “historia philosophica”, Brescia, 1981, pp. 438-466 (contributo di G. Santinello, di cui si vedano anche le pp. 405-417 della stessa opera relative alla “Historia philosophica” nella scolastica tedesca). Inoltre: G. Aceti, Jakob Thomasius ed il pensiero filosofico-giuridico di Goffredo Guglielmo Leibniz, in “Jus. Rivista di scienze giuridiche”, 1957, II, pp. 259-318. Sui “due” Thomasius – Jacob e Christian – e Leibniz, cfr. F. Piro, Leibniz tra i due Thomasius. Identificare o differenziare “Honestum” e “Justum”?, in Aa. Vv., La filosofia pratica tra metafisica e antropologia nell’eta` di Wolff e Vico, Atti del Convegno Internazionale, Napoli, 2-5 aprile 1997, cit., pp. 409-443. Su Leibniz e il nominalismo cfr. W. Voise´, Leibniz, Nizolius et le nominalisme moderne, in Aa. Vv., Leibniz et la Renaissance, cit., pp. 151-156; J.-F. Courtine, Le principe d’individuation chez Suarez et chez Leibniz, ivi, pp. 174-190. Di Courtine, e` inoltre fondamentale il volume Il sistema della metafisica. Tradizione aristotelica e svolta di Sua´rez, a cura di C. Esposito, Milano 1999 (su Leibniz e Sua´rez, cfr. pp. 418-437). 5 «Un influsso durevole del suo maestro di filosofia Jacob Thomasius – conferma G. Scheel – e` direttamente coglibile nei giovanili lavori filosofici di Leibniz. Thomasius, che ha introdotto la storia della filosofia nelle universita` tedesche, compose, in occasione della prima tesi filosofica di Leibniz, il De principio individui, una introduzione storica sui modi in cui quel problema era stato trattato in precedenza. Cosı` che Leibniz ne trasse stimolo, nei suoi scritti filosofici successivi, a definire il suo peculiare punto di vista in rapporto ai predecessori e ai contemporanei» (Id., Leibniz als Historiker des Welfenhauses, in Aa. Vv., Leibniz. Sein Leben – sein Wirken – seine Welt, cit., p. 232). Sottolinea l’influsso del metodo aristotelico per il quale l’affronto di un problema implica l’esposizione della storia della res in questione, Y. Belaval in Leibniz comme historien, in Aa. Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 31. Il saggio e` stato ripreso in Id., Leibniz de l’aˆge classique aux Lumie`res. Lectures Leibniziennes, Paris, 1995, pp. 179-191. Sul legame instaurato da Aristotele fra tradizione filosofica e ricerca della verita`, osserva G. Cambiano: «Le discussioni della tradizione filosofica, che percorrono le pagine della Metafisica o dello scritto Sull’anima o della Fisica, erano dunque ingredienti essenziali del filosofare aristotelico, non saggi di storiografia filosofica, come talora ha preteso di rintracciare un malinteso senso di attualizzazione della filosofia antica o un altrettanto malinteso rimprovero di falsificazione o fraintendimento del pensiero altrui. La discussione della tradizione filosofica era per Aristotele il punto di partenza dialettico per la ricerca della verita` sui problemi piu` diversi. Questa pratica doveva
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E proprio a J. Thomasius, Leibniz scrive il 20/30 aprile del 1669 una lettera, sulla cui parte iniziale mette conto sostare, perche´ in essa si lascia presentire qualcosa della futura logica del verosimile applicata ai fatti storici: Tuum illud historiae philosophicae γεμα dici non potest, quam omnibus saliuam mouerit, apparet enim, quantum inter nudas nominum recensiones et profundas illas de sententiarum connexionibus rationes intersit. Et certe quotquot rerum intelligentes de specimine tuo loqui audio (scis me nihil auribus dare) ii vnanimiter asseuerant, a nemine vno integrum historiae philosophicae corpus potius expectari posse. Plerique alii antiquitatis magis quam artis periti, vitas potius quam sententias nobis dederunt. Tu non Philosophorum, sed philosophiae historiam dabis [A II, 1, 14].
Com’e` evidente, Leibniz distingue in questo testo una storia della filosofia quale pura raccolta di materiali, «pura rassegna di nomi», da una esposizione ove emergano le ragioni profonde che legano in una connessione ragionata le diverse teorie. La storia filosofica di Thomasius viene lodata proprio in quanto capace di andare oltre le semplici biografie, le sequenze di nomi, e di assurgere a vera e propria storia della filosofia. Si direbbe allusa, come si diceva, in questa distinzione tra le pure e semplici rassegne biografiche, antiquarie, e il lavoro autenticamente storico, l’applicazione di una logica razionale ai fatti storici, nella forma che negli anni della maturita` sara` costituita dalla logica del probabile. Sembra in effetti espresso chiaramente il punto di vista per cui non basta, in una ricerca storica, l’acquisizione e l’elencazione dei dati: occorre, da parte dello studioso, che essi vengano elaborati alla luce di una connessione razionalmente fondata. Del 1670 e` un altro documento epistolare illuminante per la concezione leibniziana della storia, di cui si e` accennato nell’Introduzione e sul quale sosteremo in seguito: si tratta della lettera del 26 settembre (6 ottobre) 1670 (cfr. A I, 1, 102-104) inviata dal filosofo a Joh. Andreas Bose (1626-1674), lo storico di Lipsia conosciuto nel semestre del 1663 trascorso presso l’univeressere abituale all’interno della scuola. Nel II libro dei Topici Aristotele descrive varie tecniche per corroborare o demolire affermazioni. Tra queste egli include anche le opinioni di filosofi, ad esempio la tesi eraclitea secondo cui bene e male sono la stessa cosa. E` probabile che nella scuola, ai discepoli fosse anche affidato il compito di difendere o demolire tesi del genere, scambiandosi i ruoli in questo compito. E chi aveva il compito della difesa non lo faceva perche´ assentisse alla tesi in questione, ma soltanto perche´ l’obiettivo era argomentare come avrebbe argomentato il sostenitore della tesi stessa » (Id., La filosofia in Grecia e a Roma, Roma-Bari 1987, p. 103).
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sita` di Jena, particolarmente interessato a questioni di storia universale. E proprio di storia universale tratta la suddetta lettera, che contiene uno dei testi piu` significativi della visione universalhistorisch leibniziana. Ma occorre ricordare che nel 1670, mentre andava maturando la sua concezione della storia, Leibniz aveva gia` pubblicato da qualche anno un’opera di grande rilievo non solo per la scienza e la filosofia del diritto, ma per la stessa problematica storica: si tratta della Nova Methodus discendae docendaeque jurisprudentiae, apparsa a Francoforte nel 1667 e dedicata all’elettore di Magonza Johann Philipp von Scho¨nborn. In essa, si delineano le strette relazioni tra la giurisprudenza e la storia. In particolare, nella Pars II, dopo avere nel § 1 definito la Jurisprudentia Scientia Juris, proposito aliquo casu seu facto [A VI, 1, 293],
il pensatore osserva che la completa formazione del giureconsulto include almeno quattro aspetti principali che conducono, di conseguenza, ad articolare la giurisprudenza in quattro parti: due prevalentemente pratiche e imprescindibili per la formazione del giurista, mentre le altre, di carattere piu` erudito ma altrettanto fondamentali, completano la preparazione consentendo, nella prassi giuridica, di eludere il dozzinale empirismo pratico e di elevarsi a una piu` alta e consona cognizione del diritto, che Leibniz chiama significativamente «vera philosophia» (cfr. § 3). La divisione indicata e` espressa nel § 2 della Pars II: Quicquid ad JCti perfecti eruditione pertinet, dividi potest ad instar Theologiae in partem Didacticam seu Positivam ea continentem quae in Libris Authenticis expresse` extant, et certi juris sunt; Historicam, originem, autores, mutationes, abrogationesque Legum enarrantem; Exegeticam, ipsos Libros Authenticos interpretantem; et denique Apicem caeterarum: Polemicam seu controversiariam, casus in Legibus indecisos ex ratione et similitudine definientem [A VI, 1, 293].
A partire dal § 28 fino al § 40 della Pars II, Leibniz intraprende la trattazione della Jurisprudentia historica, che puo` essere «interna» o «externa». La prima viene cosı` precisata: Historia Juris interna est quae variarum Rerumpublicarum jura recenset [A VI, 1, 313].
Segue a questa definizione generale l’elencazione delle principali raccolte di leggi dei diversi popoli. La «Historia Externa ad Jurisprudentiam necessaria», suddivisa in quattro parti, viene descritta nel § 29:
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... est Historia Romana ad intelligendum Jus civile, Ecclesiastica ad intelligendum Jus Canonicum; Media ad intelligendum Jus Feudale: Nostrorum temporum ad intelligendum Jus Publicum [A VI, 1, 315].
Dal § 30 al § 40 vengono delineate le articolazioni dei periodi della Historia externa, considerata essenziale per la scienza giuridica, insieme alle principali opere che dovrebbero formare oggetto di studio, cio` che attesta inequivocabilmente, come osserva Werner Conze, che era familiare al giovane Leibniz l’intera mole della scienza storica del suo tempo, e non 6 solo di quella giuridica in senso stretto . Quando si considera – osserva anche Gu¨nter Scheel di fronte a tanta erudizione storica – la collezione di fonti che Leibniz cita nella Nova Methodus si resta impressionati dalle sue approfondite conoscenze non solo nel campo della storia antica, ma anche in quelli della storia della Chiesa e del Medioevo ... Abbiamo buone ragioni per sostenere l’ipotesi che Leibniz non esponga nella Nova Methodus soltanto le acquisizioni della sua formazione universitaria, ma che sia tributario, quanto a tale conoscenza delle fonti storiche, al padre gesuita Johann Gamans di Aschaffenburg, che aveva conosciuto a Francoforte. Questi dovette rendere sensibile Leibniz alla conoscenza storica critica moderna, cosı` come gli eruditi gesuiti dei Paesi Bassi spagnoli l’avevano stabilita, dal momento 6
Cfr. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 5. Inoltre L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 7 sgg. Sulla formazione in generale del giovane Leibniz, cfr. W. Kabitz, Die Philosophie des jungen Leibniz, Untersuchungen zur Entwicklungsgeschichte seines Systems, Heidelberg 1909, rist. Hildesheim-New York 1974 (in part. pp. 99-104). Inoltre, piu` recenti: K. Moll, Der junge Leibniz, Stuttgart-Bad Cannstatt 1978-1982-1996, 3 voll.; S. Brown (ed.), The young Leibniz and his Philosophy (1646-1676), Dordrecht-Boston-London 1999; P. Beeley, Kontinuita¨t und Mechanismus: zur Philosophie des jungen Leibniz in ihrem ideengeschichtlichen Kontext, Stuttgart 1996 (SL, Supplementa, 30). Sul pensiero giuridico e politico di Leibniz ricordiamo: G. Hartmann, Leibniz als Jurist und Rechtsphilosoph, Tu¨bingen 1892; K. Herrmann, Das Staatsdenken bei Leibniz, Bonn 1958; F. Sturm, Das ro¨mische Recht in der Sicht von Gottfried Wilhelm Leibniz, Tu¨bingen 1968; Y. Belaval, Religion et fondement du droit chez Leibniz, in “Archives de philosophie du droit”, 18, 1973, pp. 85-92; A Robinet, G.W. Leibniz: Le meilleur des mondes par la balance de l’Europe, cit.; W. Schneiders, Respublica optima. Zur metaphysischen und moralischen Fundierung der Politik bei Leibniz, in SL, 1, 1977, pp. 1-26; L. Stern, Die politischen Ideen und die diplomatischen Aktionen von Gottfried Wilhelm Leibniz, in Akten des Internationalen Leibniz-Kongresses, Hannover, 14. -19. November 1966, Band 4, SL, Supplementa, 4, cit., pp. 171-182; W. Voise´, Leibniz’ Modell des politischen Denkens, ivi, pp. 183-206; P. Wiedeburg, Der junge Leibniz, das Reich und Europa, Wiesbaden 1962; G. Solari, Metafisica e diritto in Leibniz, in Id. La filosofia politica, vol. I: Da Campanella a Rousseau, Roma-Bari 1974, pp. 317-354; D. Campanale, Il diritto naturale tra metafisica e storia: Leibniz e Vico, Torino 1988; R. Cristin, La rinascita dell’Europa. Husserl, la civilta` europea e il destino dell’Occidente, Roma 2001, pp. 3-8.
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che Gamans era anche collaboratore della grande raccolta degli Acta Sanctorum7.
L’osservazione di Scheel relativa a Johann Gamans, ci offre il destro di sottolineare gli intensi rapporti epistolari con gli eruditi del tempo che segnano gia` gli anni giovanili di Leibniz. Entro tali rapporti, quelli con il suddetto gesuita, amico di Jean Bolland, sono stati tra i piu` rilevanti, se e` vero, come sottolinea Daville´, che fu questo padre che inizio` realmente Leibniz allo studio della storia della Germania e che, soprattutto, gli dono` il gusto del Medioevo8.
Nel periodo compreso tra Francoforte e Magonza, altre relazioni con storici appaiono tuttavia assai importanti: quella con il pietista Philipp Jacob Spener, anzitutto, che dal 1666 al 1686 svolge il suo ministero ecclesiastico a Francoforte. Egli e`, oltre che l’autore dei celebri Pia desideria (1675), lo storico versato in genealogie che nel 1665 aveva pubblicato un’opera genealogica dal titolo: Vites palmitibus generosis ... Sylloge genealogico-historica plurium serenitate sua laetissimarum Europae stirpium, e 9 che tra il 1668 e il 1677 scrivera` altre opere di carattere storico erudito . Un’altra importante relazione e` quella instaurata con Reinhard Blum,
7
G. Scheel, Leibniz als Historiker des Welfenhauses, in Aa. Vv., Leibniz. Sein Leben – sein Wirken – seine Welt, cit., pp. 233-234. Sulla Nova Methodus cfr. in part. gli Atti del seguente convegno: 300 Jahre “Nova Methodus” von G. W. Leibniz (1684-1984), Symposion der Leibniz-Gesellschaft im Congresscentrum “Leewenhorst” in Nordwijkerhout (Niederlande), 28 bis 30 August 1984, SL, Sonderhefte, 14, Stuttgart 1987. 8 L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 17. Sottolinea i rapporti tra Leibniz e i Bollandisti B. De Gaiffier, Hagiographie et critique. Quelques aspects de l’oeuvre des bollandistes au XVII sie`cle, in Aa. Vv., Religion, e´rudition et critique a` la fin du XVII sie`cle et au de´but du XVIII, cit., pp. 1-20 (in part. pp. 4, 6-7). Sui rapporti di Leibniz con gli storici del suo tempo cfr. S. Benz, Historiker um Gottfried Wilhelm Leibniz, in in Aa. Vv., Leibniz und Niedersachsen, SL, Sonderhefte, 28, cit., pp. 148-172 (su Gamans, ivi, p. 153). Intense sono state in part. le relazioni epistolari di Leibniz con il piu` celebre dei Bollandisti del XVII secolo, Daniel Papebroch. 9 Sul periodo indicato della biografia di Spener cfr. R. Osculati, Vero cristianesimo. Teologia e societa` moderna nel pietismo luterano, Roma-Bari 1990, p. 123 sgg. Di Osculati si veda anche l’Introduzione a P.J. Spener, Pia desideria. Il «manifesto» del pietismo tedesco (1675), Torino 1986, pp. 5-24. Il carteggio tra Leibniz e Spener degli anni 1667-1672, pubblicato in “Zeitschrift fu¨r Brudergeschichte”, 1917, hrsg. von H. Lehmann, pp. 1-70 (si veda l’Introduzione del curatore, pp. 1-31), corredato di traduzione tedesca, e` oggi rifluito nell’AkademieAusgabe, Reihe I, Erster Band (1668-1676).
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10 giurista di Heidelberg, allievo di Hermann Conring (1606-1681) all’universita` di Helmstedt, ove divenne professore di storia ecclesiastica, e che con Leibniz discute, in una lettera del 1669, sulla metodologia da usare nella storia del diritto canonico. Riecheggia, nelle considerazioni di Leibniz a Blum, qualcosa che avevamo rilevato a proposito della lettera a J. Thomasius circa la storia della filosofia:
Historia nimirum Iuris est aut Isagogica aut intima. Isagogica vulgo contenti sumus, si noverimus tolerabiliter, qua occasione quaeque juris volumina sint edita; intimam vero illam, in qua disquiritur, qua occasione singula sint constituta, eruditiores indagant [A I, 1, 82].
Invece che su una storia «isagogica», fondata essenzialmente sull’indicazione delle circostanze dell’edizione, Leibniz richiama l’attenzione su una storia «intima», ove siano analizzate le condizioni e le occasioni che singolarmente hanno condotto alla legislazione, alla costituzione del diritto ecclesiastico: una «Historia rationum», insomma, ove siano esibite le ragioni che presiedono alle cose in luogo della pura e semplice raccolta dei materiali, non diversamente dalle «profonde spiegazioni dei nessi tra le teorie» apprezzate nella storia della filosofia di J. Thomasius in luogo del 11 «nudo elenco di nomi» . E` lecito, dunque, ci sembra, gia` cogliere in questi documenti il germe di un’esigenza che non avrebbe piu` abbandonato Leibniz: quella di trattare i fatti storici razionalmente (che non significa razionalisticamente), mediante una logica del verosimile di cui il pensatore avvertiva la carenza nel suo tempo. Se, come si legge nella Nova Methodus, la storia e` «mater observationum» (Pars I, § 32[a.]), e` scienza descrittiva, secondo la nota definizione baconiana, sin dagli anni giovanili Leibniz appare orientato verso l’idea di una qualche elaborazione razionale a cui sottoporre i materiali offerti dalla ricerca antiquaria ed erudita. Se e` vero, come si legge nella Dissertatio de arte combinatoria (1666), che la storia e` fatta di proposizioni singolari fondate sull’esistenza, delle quali non si da` dimostrazione ma induzione, sfuggendo esse alla necessita` delle proposizioni universali della scienza, non e` detto che vada abbandonata alla pura empiria. Nel testo dell’Ars combinatoria a cui ci riferiamo (cfr. A VI, 1, 10
Il carteggio con l’insigne studioso H. Conring si puo` leggere in GP I, 153-206 e nell’Akademie-Ausgabe, in part. nella Reihe II, Erster Band. 11 Su questo testo epistolare di Leibniz a R. Blum cfr. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., pp. 5-6; G. Scheel, Leibniz als Historiker des Welfenhauses, cit., p. 235.
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199), addirittura, come osserva Massimo Mugnai12, e` lecito scorgere la distinzione, destinata a divenire il cardine del sistema filosofico leibniziano, tra verita` di ragione e verita` di fatto, dominio, quest’ultimo, nel quale debbono essere inquadrate le proposizioni storiche. E` in tal modo che Leibniz intendeva rispondere al problema della fides historica, presto fatto proprio e mai piu` abbandonato, come testimonia la corrispondenza con Johann Eisenhardt, il giurista di Helmstedt gia` ricordato, autore di un De fide historica Commentarius (Helmstedt 1679; 2 ed. 1702) al quale Leibniz fa riferimento, pur senza citarlo, anche nei Nouveaux 13 essais , che ebbe il merito di introdurre la nozione di fides historica in 14 Germania e di inaugurare il dibattito su tale tema. In effetti, Leibniz, nel febbraio 1679, scrive al giurista sottolineando le convergenze tra il sapere giurisprudenziale e quello storico sulla base della valutazione delle testimonianze ed esponendo le sue convinzioni in materia di certezza storica, di critica dei testi e di gradi di probabilita`. Le ragioni dell’affinita` tra la logica giuridica e quella storica che Leibniz precisera` nei decenni successivi, sono gia` qui visibili. Ecco un passo della lettera a cui ci riferiamo che, per interesse, sarebbe da riferire integralmente: Nam Historicus nihil aliud est quam testis qui testimonium scripto dicit ut publice` innotescat perveniatque ad posteritatem. Itaque hic et in teste et in scriptura fides requiritur [A I, 2, 426].
Qui, unite all’idea classica di storico come “istor” (testimone), testimo12
M. Mugnai, Leibniz e la logica simbolica, Firenze 1973, p. 6. Ecco il testo dei Nouveaux essais dove e` contenuta l’allusione (come conferma Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 473, nota 2) a Eisenhardt: «Des jurisconsultes ont ecrit de fide historica, mais la matiere meriteroit une plus exacte recherche, et quelques uns de ces Messieurs ont este´ trop indulgens» [A VI, 6, 469]. «I problemi concernenti la fides historica – scrive G. Scheel – prendono le mosse a partire dal 1679 nel carteggio condotto con il giurista di Helmstedt J. Eisenhardt. Leibniz si e` tenuto fermo fino alla fine della sua vita a questa istanza anticamente adottata, secondo cui il fine di ogni lavoro storico deve essere la ricerca e la scoperta della verita`» (Scheel, Leibniz als Historiker des Welfenhauses, cit., p. 241). 14 Su J. Eisenhardt e il problema della fides historica cfr. C. Borghero, La certezza e la storia, cit., pp. 256-266. Che Leibniz abbia in seguito legato sempre piu` strettamente la nozione di fides historica alla conoscenza e alla prassi giuridica, lo documenta, ad esempio, la lettera al duca Ernst August del 30 luglio/9 agosto 1685, dove, a proposito della replica all’abate Teodoro Damaideno, che riteneva di poter ricostruire la genealogia dei Guelfi facendola risalire fino all’antica Roma, Leibniz fa questa significativa allusione: «De determiner, quelle sorte de preuues est recevable pour e´tablir ce qve les Iurisconsultes appellent Fidem Historicam, ce seroit un de´tail de trop longue discussion» [A I, 4, 202]. 13
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nianza e scrittura sono additate come i criteri supremi della certezza storica, a dimostrazione di quanto Leibniz, intorno al 1679, fosse gia` in possesso dei princı`pi basilari della critica erudita e dell’histoire savante. Indicati, con cio`, alcuni tra i piu` importanti storici con cui Leibniz fu in corrispondenza tra il 1660 e il 1670, occorre sottolineare che il periodo maguntino (1668-1671), segnato dall’incontro, assai rilevante sul piano della formazione storica leibniziana, con il barone Johann Christian von Boineburg, amico e primo protettore del filosofo, e` caratterizzato dalla scoperta del significato della storia come strumento applicato alla politica, al diritto pubblico e alla diplomazia internazionale. Diverse opere di questo periodo testimoniano la relazione tra storia e politica, dopo quella gia` rilevata tra storia e scienza del diritto, mostrando, come scrive Daville´, che la storia e` stata per Leibniz l’introduzione alla vita politica, la politica la messa in opera della storia15:
si tratta eminentemente (prescindendo da dissertazioni minori) dello Specimen Demonstrationum politicarum pro eligendo Rege Polonorum (1669), dei Bedenken welchergestalt Securitas publica interna et externa (1670), e del Consilium Aegyptiacum (1671-1672). Nella prima opera indicata, pubblicata sotto lo pseudonimo di Georgius Ulicovius Lithuanus, l’aspetto piu` rilevante e` costituito dal metodo tratto «dai matematici», qui soli prope` mortalium nihil dicunt, quod non probent [A IV, 1, 3],
con cui e` costruito l’insieme degli argomenti. Con esso si intendeva dimostrare con razionalita` rigorosa – applicando il calcolo ai moti dello spirito, analogamente a quanto si fa per il moto dei corpi – la bonta` dell’elezione del conte palatino di Neuburg come re della Polonia, dopo l’abdicazione di Johann Casimir. Nella peculiarita` del metodo storico adottato – una via che, nonostante la sensibilita` leibniziana per la ragione matematica, non sara` assecondata in seguito dal pensatore, che perseguira` piuttosto una logica della certezza morale – riceve comunque conferma la tendenza, gia` osservata, a elaborare razionalmente i fatti storici, senza lasciarli alla nuda fatticita` priva di ragioni e di utilita` morale, ma puntando su una storia fondata sui documenti e insieme utile per il genere umano.
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L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 11.
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Legando documentazione storica e deduzione logica – osserva Waldemar Voise´ a proposito dello Specimen – Leibniz desiderava realizzare uno dei suoi sogni privilegiati: trasformare le opere storiche da raccolta di “semplici curiosita`” in lettura utile per il bene dell’umanita` (l’intronizzazione di un tedesco in Polonia avrebbe dovuto controbilanciare l’egemonia della Francia)16.
E se anche i Bedenken welchergestalt Securitas publica interna et externa confermano le solide conoscenze storico-politiche leibniziane – si veda ad esempio il § 21 della Pars II dove si tratta dello stato romano e della sua decadenza, oppure i §§ 15 e 23 a proposito di Enrico IV – e` nel Consilium Aegyptiacum che il legame tra storia e politica, insieme all’ancillarita` della prima rispetto alla seconda, emerge nel modo piu` limpido. Il finale dell’opera in questo senso suona lapidariamente: Intererit orbis qvid concludatur [A IV, 1, 399].
Esso dice con chiarezza la coscienza attinta da Leibniz nel periodo maguntino – nel corso del quale il pensatore si emancipa dal mondo delle universita` tedesche e allarga, sotto la guida dell’esperto amico J. C. von Boineburg, la conoscenza della realta` del suo tempo mediante il contatto vivo con la grande politica europea – dell’intima implicazione tra storia (locale e universale) e politica. Un legame che Leibniz, nei decenni successivi, non abbandonera` piu`, e che applichera` agli interessi e alle lotte per l’affermazione politica della Casa di Braunschweig. Come osserva Ru¨diger Otto, da Mainz in poi Leibniz non si stanca di ripetere che la raccolta di documenti storici e la cura per la scienza storica in generale portano sempre alla luce le pretese giuridiche fondate in eventi storici e in documenti e scritture contrattuali fissate. La storia e` percio` non solo una grandezza ornamentale che aumenta la gloria di un Casato attraverso i racconti degli avi. Essa e` 17 politicamente eminente . 16
W. Voise´, Gottfried Wilhelm Leibniz ou l’historiographie d’un conciliateur, in Aa. Vv., Discordia concors, cit., 1, p. 126. Di Voise´ sullo Specimen demonstrationum politicarum, cfr. anche La mathe´matique politique et l’histoire raisonne´e dans le Specimen demonstrationum politicarum, in Aa. Vv., Leibniz 1646-1716. Aspects de l’homme et de l’oeuvre, cit., p. 61-68. Sulla medesima opera leibniziana cfr. anche K. Bal, Leibniz’ Specimen demonstrationum politicarum und das heutige Polen, in Nihil sine ratione. Mensch, Natur und Technik im Wirken von G.W. Leibniz, cit., Vortra¨ge 1. Teil, pp. 72-77. 17 R. Otto, Leibniz als Historiker. Beobachtungen anhand der Materialien zum SachsenLauenburgischen Erbfolgestreit, in Labora diligenter, SL, Sonderhefte, 29, cit., p. 202.
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L’analogia stretta che Leibniz instaurera` tra la ricerca storica di documenti, prove, e la logica giudiziaria, e` certo fondata – oltre che sulla tradizione che, come ha mostrato Carlo Ginzburg, dalla retorica giudiziaria di Aristotele giunge attraverso Quintiliano e Lorenzo Valla ai Maurini e a Jean Mabillon, dunque all’erudizione seicentesca18 – su tale nesso tra storia, diritto e politica: se si pensa, in effetti, alle controversie tra famiglie, casati, La¨nder, per ragioni ereditarie, per l’acquisizione o la conservazione di privilegi, diviene evidente quanto uno storico come Leibniz, al servizio di una Casata, e tanto piu` all’interno della situazione giuridicamente caotica 19 dell’Impero , fosse chiamato a svolgere un’azione di difesa e di promozione 18
Cfr. di C. Ginzburg: Rapporti di forza. Storia, retorica, prova, cit., (in part. i due saggi: Ancora su Aristotele e la storia; Lorenzo Valla sulla Donazione di Costantino). Per La falsa donazione di Costantino di Lorenzo Valla, rinviamo all’edizione curata da G. Pepe, Milano 1996. 19 Quale fosse il rilievo che il diritto e i suoi operatori avevano assunto nel Sacro Romano Impero uscito dalla pace di Westfalia (1648), e` Voltaire, meglio di ogni altro, a chiarire in un testo del Sie`cle de Louis XIV, che getta luce altresı` su una delle scaturigini essenziali dello storicismo tedesco: «Ciascun membro dell’Impero – osserva Voltaire – e` investito di speciali diritti, privilegi, obblighi; la difficile conoscenza di tante leggi, spesso contestate, forma quel che si chiama in Germania lo «studio del diritto pubblico», nel quale la nazione tedesca ha acquistato tanta fama» (Voltaire, Il secolo di Luigi XIV, tr. it. di U. Morra, Torino 1994, p. 17). A offrire alla descrizione voltairiana un ampio e acuto commento e` C. Antoni, in un testo che illumina l’orizzonte culturale germanico della Reichshistorie in cui si formo` Leibniz: «In effetti il Sacro Romano Impero, quale era uscito dalla pace di Westfalia, non era un organismo politico, bensı` un edificio giuridico, un edificio gotico-barocco. Il suo centro vitale non era la corte di Vienna ne´ la dieta di Ratisbona, bensı` il Reichskammergericht, l’alta corte giudiziaria. Grandi stati aspiranti alla completa sovranita`, come la Prussia, minuscoli principati, baronie immediate, citta` imperiali, principati ecclesiastici, abazie, avevano prerogative da far valere, bizzarri privilegi da difendere, diatribe secolari da perpetuare. I diritti di questi Reichssta¨nde erano diversissimi, fondati ciascuno su singoli diplomi d’autenticita` spesso dubbia, su costituzioni imperiali leggendarie, su consuetudini ed usurpazioni. Malgrado i progetti ed i tentativi di riforme unitarie, che si erano fatti fin dall’epoca della formazione degli Stati moderni, fin dalla seconda meta` del Quattrocento, nessuna volonta` unitaria era riuscita a portare un ordine razionale in quell’ordine irrazionale, storicamente formatesi, che i Reichssta¨nde consideravano con orgoglio come una barriera al despotismo. In questo mondo delle “liberta` germaniche” erano penetrati il razionale diritto romano ed il geometrico diritto di natura, ma la resistenza era stata insuperabile. Nei prolegomeni al suo Juris publici prudentia Heinrich von Cocceji, luminare dello Staatsrecht, di quel droit public, cui accennava Voltaire, proclamava: “Quod in caeteris juris disciplinis ratio praestat, id in jure publico germanico istoria”. Gia` allora, nel 1695, la storia era opposta, come una peculiarita` della vita nazionale tedesca, alla ratio, ossia alla raison. La Germania era allora l’Eldorado di avvocati, professori di diritto, genealogisti, ricercatori d’archivio. Ad ogni trattativa diplomatica accompagnavano, come i moderni «esperti», gli uomini politici. Redigevano deductiones, consilia, responsa. Del resto l’intera politica europea si ammantava allora di legalita`: il re Sole aveva dato un luminoso esempio con le sue Camere di riunione, ed al suo servizio stava lo
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di interessi politici mediante un’investigazione archiviaria fondata su documenti che radicassero nel passato le richieste presenti. Negli anni parigini (1672-1676), per quanto la storia occupi un ruolo subordinato rispetto ai dominanti interessi filosofici e matematici, essa non scompare dall’orizzonte intellettuale leibniziano. Anzi, occorre dire che proprio al soggiorno francese risale l’aurorale impulso a una pura e disinteressata collezione di fonti storiche, risalente alla frequentazione della biblioteca di Henri Justel. Come scrive Conze, a Parigi [Leibniz] fu spinto in un primo momento solo dal gusto della ricerca di fonti storiche, dall’impulso di conoscere i tesori che gli si offrivano nella biblioteca di Henri Justel, consigliere e segretario reale,
stesso fondatore della scienza del diritto pubblico tedesco, il Conring. La pubblicistica era divenuta una «diplomatica», una scienza degli archivi. In mezzo ai falsi e alle sottigliezze questa scienza del diritto pubblico ha recato servigi eminenti alla scienza storica. Si deve ad essa, anzitutto, la raccolta di antichi documenti, che altrimenti sarebbero andati dispersi. Essa ha inoltre sottoposto i documenti ad una prima critica sistematica: il succitato Conring compose una Censura diplomatis quod Ludovico imperatori fert acceptum coenobium Lindaviense, in cui erano fissate le norme generali per la definizione dell’autenticita` dei diplomi e che vien considerata il piu` importante lavoro di diplomatica comparso prima di Papebroch e di Mabillon» (C. Antoni, La Reichshistorie, in Id., La lotta contro la ragione, Firenze 1973, pp. 75-76). Sulla Reichshistorie cfr. anche G. Valera, La «Reichshistorie»: un genere della storiografia pragmatica nel Settecento tedesco, in Aa. Vv., Categorie del reale e storiografia, Milano 1982, pp. 327-370). L’incontro tra scienza giuridica e scienza storica, o diplomatica, avviene dunque sullo sfondo, ora descritto, di sistemi giuridici caotici, proliferati sulla palude dell’infinita e inestricabile pluralita` delle fonti del diritto e dei soggetti giuridici, quali erano quelli seicenteschi, nonche´ sull’esigenza conseguente di farsi largo nel dedalo sgomentante di tale abnorme barocca pletora normativa. «I sistemi giuridici che il secolo XVII lasciava in eredita` – spiega Giovanni Tarello – erano, parlando in generale, complessi a causa della concorenza di una pluralita` di fonti; complicati, a causa dell’estrema varieta` delle discipline dei soggetti e dei beni; antinomici e incoerenti, a causa dei frequenti conflitti di norme di giurisdizioni; incerti, a causa di tutto cio`» (G. Tarello, Storia della cultura giuridica moderna, vol. 1: Assolutismo e codificazione del diritto, Bologna 1976, p. 47). Sulla storia moderna della Germania, rinviamo alle seguenti opere generali: R. Flenley, Storia della Germania. Dalla Riforma ai nostri giorni, tr. it. di A. Micchettoni, Milano 1965; N. Merker, La Germania. Storia di una cultura da Lutero a Weimar, Roma 1993; C. S. Kowohl De Rosa, Storia della cultura tedesca fra «ancien re´gime» e Restaurazione. Cronache e personaggi, Roma-Bari 2000; R. Poidevin – S. Schirmann, Storia della Germania. Dal Medioevo alla caduta del Muro, tr. it. di V. Beonio Brocchieri, Milano 2001; G. Mann, Storia della Germania moderna 1789-1958, trad. it. M.-L. Rotsaert Neppi Modona, Milano 1981. Sulla formazione dello Stato moderno, la bibliografia e` naturalmente sterminata. Ci limitiamo dunque a rinviare a: G. Solari, La formazione dello Stato moderno, Napoli 1974; E. Cassirer, Il mito dello Stato, tr. it. di C. Pelizzi, Milano 1996 (riferimenti a Leibniz p. 291 sgg.); N. Matteucci, Lo Stato moderno. Lessico e percorsi, Bologna 1993 (con ampia bibliografia, pp. 349-366).
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collezionista e diplomatico, ma prima di tutto nella stessa Biblioteca reale. Leibniz si fece la` delle estese copie, mentre l’interesse lo porto` immediatamente alla storia del suo tempo. Cosı` ebbe a Parigi un simile fruttuoso sguardo sulla effettiva grande storia, che gli si offriva in personali contatti con chi vi partecipava e con la visione di documenti statali del recente passato, come un secolo e mezzo piu` tardi fara` il giovane Ranke per i suoi vicini rapporti con Friedrich Gentz. Cio` fu una scuola politico-storica di respiro europeo che doveva superare di molto l’esperienza degli anni trascorsi a Magonza e il diritto statale storico20.
Mainz e Parigi, dunque, segnano due tappe cruciali per lo sviluppo della visione weltgeschichtlich e per la conoscenza storica di Leibniz. Ma non va dimenticato prima di seguire il pensatore nel suo viaggio di ritorno ad Hannover nel 1676 – momento a partire dal quale, come scrive Daville´, «il 21 devait s’adonner de´finitivement a` l’histoire» – che mentre maturava tale visione storico-universale e si affinava il gusto erudito per la ricerca delle fonti, Leibniz elaborava molteplici progetti enciclopedici dove la storia appariva come componente essenziale. Altrettanto, sul piano piu` strettamente speculativo, non va neppure dimenticata quella Confessio Philosophi 22 (1672-1673 circa) nella quale, come ha osservato Robinet , si evidenzia l’innesto delle scienze della qualita` e dell’azione – percio` della storia – nell’orizzonte metafisico dell’harmonia universalis e della teodicea, secondo un disegno di lotta contro l’ateismo che univa Leibniz a Boineburg e che appare testimoniato sin dalla Confessio naturae contra atheistas (1668) (cfr. A VI, 1, 489-493). Sembra dunque lecito rilevare che gia` nel periodo giovanile, accanto al profilarsi dell’interesse per l’erudizione storica, pur filtrato dal diritto e dalla politica, si delinea contemporaneamente la dimensione metafisica e della teodicea entro cui, in modo piu` chiaro in seguito, la storia ricevera` collocazione. Ritornato ad Hannover intorno al dicembre del 1676, richiamato dal duca Johann Friedrich per sostituire il precedente bibliotecario, Leibniz, mentre si adopera per ampliare la biblioteca di corte arricchendola in particolare di libri di storia, e mentre si appresta a cumulare l’incarico di bibliotecario con quello di consigliere aulico e, a partire dal 1679, con l’impegno prestato nelle miniere dello Harz, non trascura gli interessi
20
W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 7. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 28. 22 A. Robinet, Les fondements me´taphysiques des travaux historiques de Leibniz, in Aa. Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 52. 21
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storici, come attestano gli importanti carteggi di questo periodo con Conring, Huet, Eisenhardt, gia` ricordati, nei quali emerge il problema della fides historica, della finalita` dell’erudizione e della critica delle fonti. Lo documenta, tra l’altro, l’opera di maggior rilievo storico del breve periodo segnato dalla reggenza del duca Johann Friedrich: alludiamo al trattato Caesarinus Fu¨rstenerius concernente il “diritto di sovranita` e di ambasciata dei prı`ncipi tedeschi” (1677) di cui Leibniz ha offerto anche un abre´ge´ in francese intitolato Entretien de Philarete et d’Eugene (cfr. A IV, 2, 278-338). Esso si inscrive nettamente nel solco del sodalizio tra politica e storia, nel quadro dunque della giuspubblicistica a favore dei principi tedeschi, rispetto alla quale la pura scienza storica sembra stare ancora in secondo piano. Degna di nota tuttavia nell’opera in questione – insieme a numerosi passi di interesse storico e ad altri relativi all’esigenza di impiegare l’erudizione a fini morali, al servizio della vita, anziche´ concepirla come pura attivita` antiquaria praticata a scopo di lustro o per fini estetici (cfr. cap. IX; A IV, 2, 52) – e` la formulazione del problema concernente la comune origine genealogica della Casa di Braunschweig e di quella d’Este, che costituisce, come e` noto, il Leitfaden che condurra` Leibniz tra il 1687 e il 1690 a intraprendere il viaggio di ricerca tra archivi e biblioteche nella Germania meridionale, in Austria e in Italia (cfr. cap. LII; A IV, 2, 204-210). E` rilevante osservare, in proposito, che, nel fissare in Azzo d’Este il comune antenato delle due Casate, riconoscendo cio` come dato comprovato da quasi tutti gli scrittori tedeschi e italiani (cfr. A IV, 2, 209), Leibniz mostra di rifiutare come favolistiche le altre genealogie non documentabili, rivelandosi, in cio`, in sintonia con chi, in Europa, andava fondando la diplomatica come scienza critica delle fonti. La stessa questione genealogica ricorre nell’opera, scritta nell’aprile del 1680, a pochi mesi dalla morte del duca, Personalia Herzog Johann Friedrichs, dove, nel delineare la deductio della Casa di Braunschweig (des Fu¨rstlichen hauses Ursprung) rimontando dall’epoca a lui prossima fino al Medioevo, Leibniz fissa in Azzo il ceppo comune tra la Casa d’Este e quella hannoverese (cfr. A IV, 3, 499), fatto a cui il pensatore offrira` certezza documentaria solo nell’aprile del 1688, ad Augsburg: qui, nel monastero benedettino, identifichera` infatti la Historia de Guelfis principibus, l’antico manoscritto reperito grazie a un’indicazione trovata a Monaco negli scritti dello storico Aventin, che gli permise di venire a capo della importante questione storiografica e di polarizzare le ulteriori ricerche sulle origini della Casa hannoverese in Italia presso gli Este. Evidentemente Leibniz, gia` prima della prova documentaria diretta, che
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avra` solo nel 1688, aveva studiato di propria iniziativa la questione genealogica relativa ai Guelfi. Su quali documenti? Fu probabilmente – scrive Daville´ – in base all’opera del genealogista Bucelin23.
In effetti, Gabriel Bucelin (1599-1681) benedettino svizzero, genealogista, aveva dedicato nel 1669 al duca Johann Friedrich uno scritto intitolato Serenissimorum Potentissimorumque Brunsvicensium atque Luneburgici Ducum et Principum altissima et probatissima deductio, in cui era risalito nella genealogia dei Guelfi molto oltre il Medioevo, facendo derivare Azzo addirittura da un parente di Giulio Cesare. Leibniz, che aveva conosciuto quest’opera, scrisse al benedettino chiedendogli delucidazioni sul padre di Azzo e sulle origini della Casa d’Este, ma ne ottenne solo di essere rinviato all’opera di Bucelin Germaniae topo-chrono-stemmatographia sacra et profana, nella quale, ad avviso dell’autore, tutto era rigorosamente dimostrato. Leibniz non ritenne la “altissima et probatissima deductio” cosı` attendibile, come mostra la rispo24 sta a Bucelin . Ma, soprattutto, fu la mutata situazione ad Hannover, con l’avvento del duca Ernst August, a far maturare, in Leibniz e nella corte hannoverese, tra il 1680 e il 1685, l’idea di una storia dei Guelfi. I Personalia dedicati a Johann Friedrich – osserva Daville´ a proposito di quest’opera biografica di Leibniz – dovettero piacere a Ernst August, poiche´ furono essi, a quanto pare, che mossero il principe a investire Leibniz del compito di scrivere la storia dei Braunschweig, in particolare di ricercare la genealogia della sua Casa, missione che egli ricevette nell’aprile del 1680, nel momento in cui andava redigendo l’opera25.
Il primo accenno all’idea di una storia della Casa guelfa si trova in un promemoria di Leibniz scritto per il primo ministro e gran maresciallo Franz Ernst von Platen nel gennaio del 1680, dove il pensatore annoverava una serie di proposte che potevano risultare utili e gradite al nuovo duca di Hannover Ernst August, succeduto al fratello proprio in quella data, sotto la cui reggenza avviene la vera svolta per Leibniz come storiografo. Al punto 11 del programma, si suggeriva la composizione di una breve ma accurata storia della Casa hannoverese, da accompagnarsi con i necessari documenti (cfr. A I, 3, 20). 23 24 25
L. Daville´ , Leibniz Historien, cit., p. 47. Cfr. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 9. L. Daville´ , Leibniz Historien, cit., pp. 42-43.
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Tuttavia, dopo la composizione dei Personalia e l’approvazione di Ernst August, passarono diversi anni – nei quali matura, tra l’altro, l’amicizia con la duchessa Sophie – prima che il progetto della storia dei Guelfi potesse decollare: e` il periodo segnato dai numerosi impegni cortigiani di Leibniz – da quelli bibliotecari e archiviari al drenaggio delle acque nello Harz – ma anche, per ricordare solo l’essenziale, da studi sul calcolo universale, sull’ottica, nonche´ dall’impegno per la riunione delle Chiese. Anni nei quali, comunque, il pensatore neppure rinuncia alla sua propensione per il trattato storico-politico, che si concretizza, su invito del Langravio Ernst von Hessen-Rheinfels, nel Mars Christianissimus (agosto-settembre 1683), una satira politica su Luigi XIV e sull’imperialismo francese (cfr. A IV, 2, 446-502). L’attenzione di Leibniz al problema della genealogia guelfa fu nuovamente ridestata intorno al 1685, allorquando ricevette dal segretario della duchessa Sophie e poeta di corte Hortensio Mauro la richiesta di un parere riguardo all’opera genealogica dell’abate Teodoro Damaideno, che riteneva di poter risalire, nella genealogia guelfa, fino all’antica Roma. Ecco un passo significativo della lettera di Leibniz a Hortensio Mauro del 15/25 settembre 1685: Car on n’a qve trop appris par experience, qve les Historiographes modernes du siecle passe´ ne sont pas fort croyables en matiere d’antiqvite´, et qu’ils prennent des grandes liberte´s, en faisant des suppositions qvi les accomodent, et qvi servent a` remplir les places de leur genealogies ... Il faudroit s’adresser en ces matieres non pas a` des Sc¸avans de toute sorte, mais a` ceux qvi se donnent la peine de chercher l’Histoire dans les sources; comme estoient autresfois en Italie l’Abbe´ Caetan, le Cardinal Baronio, et l’Abbe´ Ughelli, et qvelqve peu d’autres de cette force [A I, 4, 523].
La relazione fatta al duca nell’aprile del 1685 dell’Opus Genealogicum di T. Damaideno rappresenta un documento quanto mai significativo per chiarire la concezione storica leibniziana. Dopo aver avanzato forti dubbi sulla possibilita` di risalire cosı` a ritroso nel tempo e aver ironizzato sul fatto che, per storici di tal sorta, le Genealogies sont comme les perspectives ou l’erreur meˆme est agreable dans l’e´loignenement,
mentre la maggior parte dei prı`ncipi
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sont d’humeur a` ne vouloir pas meˆmes estre desabuse´s des opinions aussi foibles qve specieuses [A I, 4, 192],
osserva Leibniz: Cependant outre qve S.A.S. n’est pas de cet avis, il faut avouer qve le monde s’est fort corrige´ la dessus, et qv’aujourdhuy plusieurs habiles hommes ont mis les Genealogies sur un autre pied. C’est particulierement aux Paysbas et en France ou l’on a commence´ a` demander beaucoup d’exactitude en ces matieres et plusieurs opinions receues touchant les origines des plus grandes maisons de l’Europe ont este´ corrige´es. Et on n’a pas fort scrupule de faire voir qve les Empereurs meˆmes se sont trompe´s en ce qu’ils croyoient de l’origine de la maison de Habspourg. Sur tout il faut observer qv’on ne se contente pas aujourdhuy de toute sorte de temoins; car on demande des auteurs anciens, particulierement des contemporains, qvi ont puˆ parler avec fondement, et c’est pour cela qv’on a fait une si exacte recherche d’anciennes fondations et diplomes, des vies des Saints, et d’autres monumens dont la plus grande partie a este´ trouue´e dans les monasteres. Et on se mocqve aujourdhuy d’un auteur qvi se rapporte a` l’autorite´ des archives, qvand il ne peut point produire des pieces qvi portent leur autorite´ avec elles [A I, 4, 192-193].
Non solo per l’allusione ai Bollandisti e ai Maurini (“aux Paysbas et en France”), ma anche per i cenni di metodo storico, e` lecito dire che questo testo rappresenta un documento esemplare della prossimita` metodologica di Leibniz alle grandi scuole erudite del Seicento. Riecheggiano, infatti, nelle parole dell’hannoverese, i temi cruciali dell’erudizione storica: il primato dei testimoni oculari e contemporanei agli eventi, la ricerca della fonte originale, tenuta distinta da quella secondaria, l’identita` tra autorita` e autenticita` della fonte, la critica delle convinzioni tradizionali (sintomatico il riferimento alla confutazione di quanto creduto dagli Imperatori circa le questioni genealogiche), da assumere soltanto la` dove e nella misura in cui esse possano produrre le prove delle loro asserzioni, la scepsi, dunque, eretta a metodo di lavoro. Mais aujourdhuy – conclude Leibniz dopo aver confutato gli storici che non rispettano queste regole euristiche – on peut dire qv’on a reduit l’Histoire et particulierement la Genealogie en forme de science [A I, 4, 195].
Non e` dunque piu` lecito, alla luce delle acquisizioni metodologiche dei Maurini e dei Bollandisti, ma anche di Baronio e dei Centuriatori, nel
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campo della critica delle fonti, procedere in materia storica senza una ricerca capace di produrre i documenti originali, riecheggiando senza verifiche quanto la tradizione ha tramandato. Per questo Leibniz – che ripete tali criteri anche al diretto interessato, Teodoro Damaideno, nella lettera del 7/17 dicembre 1685 (A I, 4, 534-539) e in quella del 18/28 febbraio 1686 (A I, 4, 565-574) – rinunciando a improbabili e non documentabili risalimenti all’antichita` romana che lo avrebbero esposto a ridicolo, alla stregua di quel certo Haselbach Theologien de Vienne qvi faisoit voir comment les Comtes de Habspourg venoient de l’Arche de Noe [A I, 4, 193],
scrive di poter risalire, quanto all’origine della Casata guelfa, fino al 600 circa dopo Cristo. Ma, aggiunge, il faudroit pour cela faire un voyage expre´s pour aller aux sources, c’est a` dire pour chercher les monumens, qvi se trouuent principalement dans les Monasteres, a` cause des fundations qve la pluspart des Princes ont faites, et j’ay meˆmes de´ja qvelqves traces de ce que je cherche [A I, 4, 195].
Un viaggio, dunque, «pour aller aux sources», ovvero a` fin de chercher des monumens dans leurs sources [A I, 4, 198]:
in questo senso, le peregrinazioni europee di Leibniz comprese tra il 1687 e il 1690 assumono un valore emblematico non solo rispetto a quella transizione «dalla stabilita` al movimento» con cui P. Hazard descrive il «brusco passaggio» dalla societa` dell’Ancien Re´gime all’eta` della crisi della coscienza 26 europea , ma anche in quanto cifra delle piu` rilevanti acquisizioni della scienza storica moderna. Acquisizioni, la cui ricezione leibniziana potrebbe essere lapidariamente sigillata nell’espressione che si legge nel Reisebericht u¨ber die fu¨r die Welfengeschichte erzielten Forschungsergebnisse (1690): ... nicht zu trauen, sondern ab ovo anzufangen, und selbst nach einem rechten Grund zu trachten [A I, 5, 664].
Al periodo precedente alla risoluzione di intraprendere il viaggio appar26 Cfr. P. Hazard, La crisi della coscienza europea, cit., pp. 19 sgg. Cfr. sul tema la nota n. 85 del cap. 1.
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tengono le ampie relazioni epistolari con un gran numero di storici ed eruditi in Europa: da Papebroch a Mabillon, a Magliabechi, a Sagittarius, a Meibom, a Gamberti, a Du Cange, mentre riprende quella con P.J. Spener, autore, tra l’altro, di una storia dei Guelfi pubblicata nel 1665 e nel 1677. Da simile cerchia di studiosi ed eruditi il pensatore spero`, per qualche tempo, di raccogliere le informazioni e i documenti necessari per realizzare il progetto che proprio allora andava prendendo piede. Ma ben presto concluse che la permanenza ad Hannover e i puri contatti epistolari non avrebbero condotto a sostanziali risultati27. Il 1685 e`, dunque, l’anno cruciale dell’assunzione, da parte di Leibniz, dell’incarico storiografico, che gli fu ufficialmente conferito con decreto il 31 luglio/10 agosto 1685 (cfr. A I, 4, 205-206) e che il pensatore non abbandono` piu` fino alla fine dei suoi giorni. Incarico che, nondimeno, significo` sempre molto piu` che una fastidiosa incombenza cortigiana: lo prova il fatto stesso che anziche´ fermarsi a brevi e poco impegnativi scritti occasionali tesi a favorire la gloria e le pretese politiche dei principi della sua Casa, Leibniz si risolse a intraprendere un improbo lavoro di ricerca delle fonti – la cui fatica non manchera` in numerose occasioni di lamentare28 – eseguito con il proposito, come osserva Conze29, di rendere un servizio alla verita` storica, partecipando ai progressi europei della Geschichtswissenschaft e applicando con rigore gli strumenti metodologici che questa era venuta elaborando. Nell’anno indicato, il pensatore aveva non solo stampato i Personalia o Funeralien per Johann Friedrich, scritti nel 1680, ma aveva gia` utilizzato i risultati parziali della sue ricerche sull’origine della Casa guelfa – frutto, anche, della documentazione di J.H. Hoffmann, vecchio segretario di Johann Friedrich morto nel 1680, ereditata da Ernst August30 – in un breve scritto, ancora una volta di carattere storico-politico, intitolato De la Grandeur de la Serenissime Maison de Bronsvic-Lunebourg, intenzionato a rivendi27 La documentazione dei suddetti scambi epistolari, anteriori alla Welfenforschungsreise, e` contenuta in A I, 4 (1684-1687). 28 Mette conto ricordare, anche in quanto capace di illuminare l’ethos leibniziano, cio` che il filosofo, durante un violento attacco di catarro che l’aveva colpito, scrive a Otto Grote da Vienna, nel corso della Forschungsreise, il 20/30 dicembre 1688: «Je puis dire de m’estre apperc¸uˆ que cette application avec la quelle j’avois travaille´ a` lire quantite´ de Ms. joignant quelques fois la nuit au jour, pour profiter de l’occasion, et pour me depecher a contribue´ a` cette impression de la mauvaise saison; mais que faire? Il n’est pas necessaire qu’on vive, mais il est necessaire qu’on travaille et qu’on fasse son devoir» [A I, 5, 325]. 29 Cfr. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 11. 30 Cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 49.
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care l’elettorato a favore di Ernst August evidenziando la «grandezza» del Casato per «origine», «potenza» e «dignita`». Qui, in attesa di ulteriori verifiche, si annunciava che on en peut demonstrer par des te´moins sans reproche, et par des conseqvences indisputables, qve les Princes de Bronsvic ou d’Este descendent de Charlemagne en droite ligne masculine [A I, 4, 221],
e che la genealogia stabilita con certezza secondo «une suite incontestable de vingt generations de Princes», consentiva di affermare che all’origine di tale sequenza Azzo d’Este sposo` Cunegonda, figlia dell’ultimo duca di Baviera, e il figlio che essi ebbero, chiamato Guelfo, ottenne il ducato (cfr. A I, 4, 222). Da un lato, dunque, si ribadiva una possibile discendenza carolingia, dall’altro si sosteneva che l’albero genealogico poteva essere documentato solo fino ad Azzo d’Este. Ma questo breve lavoro era solo la premessa di una ben piu` vasta fatica che Leibniz, come si diceva, dapprima si illuse di poter portare a compimento mediante contatti epistolari, ma che condusse in seguito il pensatore alla decisione, maturata proprio nel confronto con alcuni storici, di intraprendere un viaggio che ovviasse all’insufficienza di informazioni e gli consentisse di acquisire direttamente le fonti. Una Forschungsreise che si configura, dunque, come un paradigmatico esempio “venatorio” di “euristica”, di “caccia al documento originale”.
2. – “Ego diu per Bibliothecas et Monasteria vagus ...”: gli anni del viaggio per la storia guelfa (1687-1690) e i risultati conseguiti. Il progetto del Collegium Historicum Germanicum e il suo fallimento Leibniz partı` da Hannover per la sua Archiv-Bibliothekreise, verso la fine di ottobre del 1687. Passato da Hildesheim, Marburgo, Rheinfels – dove fece visita all’amico Langravio Ernst von Hessen-Rheinfels e fu ospitato per due settimane, al termine delle quali consegno` un “Promemoria zur Frage der Reunion der Kirchen” (cfr. A, I, 5, 10-21) –, viaggio` alla volta di Monaco, sostando a Francoforte sul Meno, verso la meta` di dicembre del 1688, e poi ad Aschaffenburg, attratto da una collezione di manoscritti storici appartenenti a Johann Gamans, il padre gesuita che aveva guidato i suoi primi passi verso la critica storica moderna, la storia della Germania e del Medioevo. Passo` in seguito da Wu¨rzburg, Fu¨rth, Norimberga, Sulzbach,
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Chodenschloß, Graupen, Freiberg, Marienberg, Annaberg, Ehrenfriedersdorf, Karlsbad, Amberg, Regensburg (12 marzo), in una serie di tappe che lo condusse il 30 marzo 1688 a raggiungere Monaco, ove restera` fino alla 31 fine di aprile . 32 Nella biblioteca di questa citta` Leibniz pote` trovare in un manoscritto in tedesco di Johannes Turmair, noto anche come Aventin (o Aventinus) (1477-1534) – il quale a proposito delle origini della Casa guelfa aveva usato l’espressione “Astenses tetrarchi” – l’indicazione che gli permise di risalire alla fonte usata e menzionata dallo storico umanista nella sua storia della Baviera: si trattava della Historia de Guelfis principibus custodita nel monastero benedettino di Augsburg (St. Ulrich und Afra), consultando la quale Leibniz – giunto nella suddetta citta` il 12 aprile – pote´ constatare che non di “Astenses”, degli antichi marchesi d’Asti in Piemonte, ma di “Esten33 ses”, della Casa d’Este, dunque, si trattava . Unde nunc certus sum, quod tunc conjiciebam tantum, Aventinum perversa quadam affectatione Latinitatis, ut solet, nomen corrupisse [A, I, 5, 108].
Da cio`, Leibniz trasse la piu` sicura indicazione fino ad allora rinvenuta sulle comuni origini delle Case di Braunschweig e d’Este. Ma non si trattava che dell’inizio di una piu` lunga esplorazione, che l’avrebbe condotto di lı` a poco in Italia, dove stava la chiave definitiva delle sue ricerche genealogiche. L’iter italicum, osserva Andre´ Robinet, «se joue sur une 34 lettre!» . Car c’est la` – scrivera` infatti Leibniz da Vienna alla principessa Sophie il 13/23 gennaio 1689 alludendo all’Italia, dopo aver ricevuto il consenso del duca di Modena all’uso del proprio archivio per effettuare ricerche genea31
Seguiamo quasi sempre, in questo paragrafo in particolare, la datazione delle tappe del viaggio leibniziano fissata da A. Robinet in G.W. Leibniz. Iter italicum, cit. Ma assai attendibile e` anche la biografia di E. J. Aiton, Leibniz, tr. it. di G. Pacini Mugnai, Milano 1991, cap. VI, che abbiamo altrettanto tenuto presente. Si veda anche la recente biografia leibniziana di E.C. Hirsch, Der beru¨hmte Herr Leibniz. Eine Biographie, Mu¨nchen 2000, cap. 6 (cfr. in part., sulle date sin qui indicate, pp. 207-214). 32 Cfr. il Reisebericht del 1690 (A I, 5, 664), ma anche la lettera a Gerhard Wolter Molanus dell’aprile 1688 (A I, 5, 107-109). 33 Sull’episodio, che conferma le competenze filologiche leibniziane, cfr. Daville´, Leibniz Historien, cit., pp. 67-68. Un buon resoconto della scoperta si trova nella lettera di Leibniz a Albrecht Philipp von dem Bussche del 14/24 aprile 1688 (cfr. A I, 5, 99-100). 34 A. Robinet, G.W. Leibniz. Iter italicum, cit., p. 6.
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logiche – ou` il faut chercher le principal point d’Histoire, qui restoit encor a` e´claircir [A I, 5, 366].
Dopo questo primo fondamentale successo legato al Chronicon di Augsburg, Leibniz passo` a Vienna, dove giunse nel maggio del 1688, e dove rimase sino al febbraio del 1689, svolgendo numerose e fruttuose ricerche storiche. E` durante la Archiv-Bibliothekreise, anche, che avviene il coinvolgimento leibniziano nel progetto della fondazione di un Collegium Historicum Germanicum. Da questo punto di vista, occorre sottolineare che l’attivita` di Leibniz storico non puo` essere limitata alla sua vasta opera scritta, sia come collezionista ed editore di fonti che come medioevista redattore degli Annales Imperii. La “theoria cum praxi” che, come sigillo piu` emblematico, impronta il genio di Leibniz, non poteva non farsi avvertire nel dominio della storia. Cosı`, accanto al lavoro erudito, va ricordata la partecipazione dello studioso al progetto di una societa` storica tedesca. Tale progetto era partito da F.C. Paullini, autore nel 1687 di una Brevis quaedam Delineatio Collegii Historici Germanici seu meditatio de conservanda et propaganda Historia Germanica, dove si proponeva la fondazione di una societa`, o collegio storico, presieduto da Hiob Ludolf, finalizzato alla redazione di una storia della Germania e alla pubblicazione di fonti e documenti utili alla sua compilazione. Leibniz, che seppe del progetto di Paullini durante il viaggio, ebbe degli scambi con Ludolf, comunicandogli le sue idee in merito. Scrive Ludolf a Leibniz il 14/24 settembre 1688: Ante omnia vero mitto novam Propositionem Collegii Historici, meo consilio ita ut vides concinnatam et formatam. Agnosces in ea prudentissimum tuum consilium, ut quidem primarius hujus collegii scopus annales Germaniae essent... [A I, 5, 243].
Scopo primario del Collegium Historicum avrebbe dovuto essere, dunque, per Leibniz, come riferisce la lettera, la preparazione e la redazione di Annales Germaniae. Evidente, in questo progetto, l’intenzione di imitare l’esperienza francese, facendo di tale societa` di dotti l’analogon dei Maurini, ricalcando il carattere comunitario e cooperativo del loro lavoro storicoerudito. Nel novembre del 1688, a Vienna, dopo aver visto accolta la sua richiesta di un’udienza dall’imperatore (cfr. A I, 5, 270), Leibniz scrisse un promemoria a Leopold Wilhelm von Ko¨nigsegg relativo alla costituzione di un Collegio imperiale storico (De usu collegii imperialis historici arcaniore cogitatio; A I, 5, 277-280). Ecco come in questa memoria Leibniz dettagliava
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il piano della redazione degli Annales Germaniae, ribaditi come il fine dell’impresa: Equidem publicus finis Collegii Historici in novissima hic adjuncta propositione recte expositus est ut condantur Annales perpetui rerum Germanicarum, a prima memoria, ad nostram usque aetatem deducti, eruantur rerum origines, progressus et mutationes; patriaeque decora posteritati commendentur; quo pertinent migrationes populorum, historia Ecclesiarum in Germanicis gentibus a viris Apostolicis conditarum, fundationes et augmenta Episcopatuum, Monasteriorum aliorumve piorum institutorum, initia et incrementa Imperii Germanorum Romani, Electoratuum, Principatuum, Comitatuum, familiarum illustrium, Civitatum, Ordinum, Collegiorum, Academiarum, jurium, rituum, artium; conserventurque elogia et vitae heroum, aliorumque virorum, bello, pace, natalibus, gestis, meritis, virtute, scientia, arte, inclytorum [A I, 5, 277].
Nel documento, illuminante esempio dei nessi strutturali che Leibniz instaurava tra storia e politica, il pensatore non mancava di far rilevare il sommo interesse politico del progetto, che, attraverso la raccolta e la pubblicazione di documenti, avrebbe concorso a stabilire su basi solide i diritti dell’Impero. Nello scrivere a Ludolf il 2/12 dicembre 1688, Leibniz sottolineava, invece, i suoi propositi severamente scientifici, affermando che gli Annales Germaniae avrebbero dovuto essere scritti ipsis autorum contemporane[or]um verbis et monumentis, quali in Annalibus Ecclesiasticis usus est Cardinalis Baronius [A I, 5, 310].
Nella sua risposta, Ludolf assente alla proposta del metodo esposititivo cronologico-annalistico sullo stile di Baronio: Praesidis vero erit ea secundum seriem temporum ordinare atque connexionem ostendere prorsus ad modum Baronianum, uti suasisti [A I, 5, 317].
E Leibniz replica il 10/20 gennaio 1689: Gaudeo cogitationes qualescunque meas, circa Annalium Germaniae stylum et methodum ad Baronianum morem, Tibi non displicuisse, ita enim non tantum facilior erit labor, sed et exactior. Nam in Historia vetere omnino testibus est opus [A I, 5, 362].
Con Ludolf, dunque, Leibniz cerco`, per qualche tempo, di dare dire-
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zione e attuazione al progetto, ma alla fine il piano fallı` per diverse ragioni. Tra queste, Daville´ sottolinea in particolare il disaccordo tra i promotori, l’assenza di uno scopo preciso, la rivalita` tra le religioni dei membri e la mancanza di risorse35.
Commenta significativamente anche Fueter a proposito del fallimento del Collegium Historicum Germanicum: ... la situazione in Germania era troppo sfavorevole perche´ il Leibniz potesse realizzare in modo completo questi piani. Per lavori eruditi nazionali non era possibile raccogliere i mezzi. Il filosofo trovo` appoggio solo presso i suoi prı`ncipi. E costoro pensavano naturalmente solo al loro territorio e alla loro dinastia, non all’impero. Cosı` gli Scriptores tedeschi diventarono Scriptores Brunsvicenses, gli Annali imperiali Annales Brunsvicenses; e l’istituto storico tedesco, addirittura, non nacque36.
Verso la meta` di gennaio del 1689, dopo due mesi di malattia dovuta a un attacco del «plus facheux catarrhe que j’aye encor eu de ma vie» [A I, 5, 325], che lo aveva assai debilitato, mentre progettava il rientro ad Hannover, giunse, da parte dell’ambasciatore del Brauschweig-Lu¨neburg a Venezia, Francesco de Floramonti, con lettera datata 1 gennaio 1689 (cfr. A I, 5, 346-347), il permesso del duca Francesco II di consultare gli archivi della corte di Modena al fine di condurre ricerche storiche e genealogiche. Leibniz aveva scritto all’inizio di gennaio 1689 alla principessa Sophie che se non fosse stato per l’attacco violento di catarro si sarebbe gia` da tempo rimesso in cammino verso Hannover (cfr. A I, 5, 347). 37 «Felix catarrhus!», commenta icasticamente Robinet , all’origine della 35
L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 80. Sull’episodio del coinvolgimento leibniziano nella formazione del Collegium Historicum cfr. anche W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., pp. 31-32. Circa l’assunzione degli Annales Ecclesiastici di Baronio come modello di storiografia annalistica, alla base degli stessi Annales Imperii, modello trasmesso poi a Muratori, cfr. G.H. Pertz, Vorrede agli Annales Imperii Occidentis Brunsvicenses, P I, 1, XII e XV, dove viene ricordata la lettera di Leibniz a Daniel Ernst Jablonski del 31 marzo 1700: «Ich sollte mehr auf Annales Baroniano more incliniren, denn accurata temporum series giebt den Dingen das beste Licht...». Nella stessa lettera si vedano anche le critiche rivolte a Baronio, che Leibniz riteneva di poter correggere in alcuni punti grazie a una migliore conoscenza delle fonti (cfr. A. Harnack, Geschichte der Ko¨niglich Preussischen Akademie der Wissenschaften zu Berlin, cit., Band 2, pp. 82-83). 36 E. Fueter, Storia della storiografia moderna, cit., p. 406. 37 A. Robinet, G.W. Leibniz. Iter italicum, cit., p. 9.
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circostanza per cui Leibniz fu trattenuto a Vienna potendo, con cio`, venire a conoscenza della disponibilita` del duca di Modena. Cosı`, mutati repentinamente i progetti, lasciata Vienna l’8 febbraio, Leibniz partı` alla volta dell’Italia, giungendo il 4 marzo, probabilmente per nave, a Venezia dopo aver attraversato le gelide Alpi, passando per Neustadt, Graz, Trieste. Il pensatore restera` in Italia circa tredici mesi, dal marzo 1689 al marzo 1690. Fermatosi nella citta` lagunare fino al 30 marzo, in attesa di istruzioni relative alla ripresa dei contatti con la corte di Modena, Leibniz inizio` la sua discesa verso il sud dell’Italia, passando da Ferrara, Bologna, Loreto, Roma (14-30 aprile 1689), Napoli (1-10 maggio), e ritornando nuovamente a Roma, dove, tra l’altro, nel corso dell’estate, incontro` il missionario gesuita Claudio Filippo Grimaldi, in visita nella citta` prima di tornare a Pechino, ai colloqui col quale, insieme alle informazioni ricevute, Leibniz alludera` nella Prefazione ai Novissima Sinica del 1697. A Roma, inoltre, Leibniz visito` piu` volte la Biblioteca Vaticana, ricevendo anche la proposta di diventarne custode, incarico tradizionalmente destinato a un cardinale, cio` che avrebbe comportato, naturalmente, l’adesione alla fede cattolica: richiesta che il filosofo ritenne un ostacolo insormontabile. Da Roma, Leibniz passo` a Firenze (novembre-dicembre 1689), dove, grazie allo storico dei prı`ncipi di Toscana Cosimo della Rena – fattogli conoscere dal bibliotecario ed erudito Antonio Magliabechi, che offrı` quotidianamente assistenza al filosofo per incarico del Granduca di Toscana Cosimo III nel corso del suo soggiorno fiorentino, e che fu collaboratore cosı` prezioso da essere ringraziato con un poemetto (cfr. A I, 5, 485-487) – venne a conoscenza del fatto che nel monastero della Vangadizza, nei pressi di Rovigo (“Monasterium Vangadiciae vulgo la Badia” [A I, 5, 534]), esistevano tombe degli antichi duchi d’Este, nonche´ manoscritti concernenti le origini del corrispondente Casato: informazione tanto preziosa quanto sconosciuta alla stessa corte di Modena (cfr. A I, 5, 665-666). Congedatosi da Firenze il 22 dicembre 1689, il pensatore tedesco passo` per Bologna e giunse a Modena il 28 dello stesso mese. Qui si trattenne cinque settimane, lavorando notte e giorno sui documenti. Il 2 febbraio 1690 lascio` Modena per Parma, indi proseguı` per Brescello (4-7 febbraio), discese su una chiatta fino a Ferrara (8-9 febbraio) da dove raggiunse, prima di tornare a Venezia (11 febbraio), il monastero delle carmelitane della Vangadizza (10 febbraio 1690) nel Polesine di Rovigo. E` qui, prima ancora che a Modena, la chiave definitiva delle indagini leibniziane, come il filosofo scrive a Otto Grote il 17 febbraio 1690, comunicando i risultati delle sue scoperte risalenti a pochi giorni prima:
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Dernierement j’ay este´ quasi six semaines a` Modene, ou` S.A.S. m’a fait communiquer quantite´ de Manuscrits. J’ai trouve´ que les historiens d’Este ont manque´ entierement aux choses essentielles, et qu’ils n’ont pas connu la veritable connexion des deux Serenissimes Maisons ayant mal rapporte´ et les temps, et les noms. D’ou` il est arrive´, que des tres habils hommes en France ont doute´ de la connexion des maisons de Bronsvic et d’Este, aussi bien que Messieurs Meibom et Sagittarius, qui m’ont communique´ leur doutes. Maintenant j’ay tout de´couvert; ayant trouve´ les lieux de la demeure du progeniteur commun, et les lieux de la sepulture de ces anciens marquis; et meˆme l’epitaphe de la fameuse Cunigonde heritiere des Guelfes, e´pouse du Marquis Azo, pere de Guelfe duc de Baviere, et tige des ducs de Bronsvic; avec une inscription admirable, dont le commencement est: Dicta Guniguldis regali stemmate fulsi Indole nobilior nullus in orbe fuit. Germine Welfontis magni sum nata Alemanni etc. Elle a este´ enterrre´ dans une abbaye, appartenante apresent aux Venitiens, et dont le Cardinal Ottoboni apresent Pape a este´ l’Abbe´ Commendataire. A Modene meˆme on ne sc¸avoit rien de ces choses; mais un religieux a` Pise, curieux des antiquite´s, qui avoit este´ autres fois dans cette abbatie, m’en avoit donne´ quelques indices, qui m’ont fait deterrer le reste, quand je suis venu a` Modene [A I, 5, 525-526].
Il 20 febbraio, Leibniz comunicava a Magliabechi e a Mabillon i medesimi risultati (cfr. A I, 5, 528-531), espressione – questa – veramente paradigmatica dello scambio, all’interno della Repubblica delle Lettere, dei risultati attinti da ciascuno studioso. Esiti, quelli ottenuti da Leibniz, che cosı` si potrebbero sintetizzare con Conze: La «connexion des maisons de Brunsvic et d’Este» era storicamente dimostrata attraverso i risultati del suo viaggio. Leibniz aveva scoperto e dimostrato che il conte Azzo era stato un Este e che sua moglie Cunegonda, sepolta in Vangadizza, era stata una guelfa. Il loro figlio «Guelfus dux Bavariae autor stirpis Brunsvicensis» era nominato sull’epitaffio del monastero. Inoltre Leibniz era riuscito a scoprire il nome del padre di Azzo e di altri suoi parenti, dati fino ad allora sconosciuti o imperfettamente conosciuti38.
Ancora dopo 25 anni, cosı` Leibniz rievocava scrivendo a Muratori l’esperienza della Vangadizza (27 febbraio 1715): 38 W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 12. Si vedano anche le fondamentali pagine che A. Robinet dedica all’episodio della Vangadizza in G.W. Leibniz. Iter italicum, cit., p. 378 sgg.
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J’ay trouve´ alla Vangadizza nelle Polesine de grandes pierres sepulcrales renverse´es; quelqu’un me disoit qu’il y avoit des inscriptions de 1’autre coˆte´ de quelcunes. Mais comme j’e´tois presse´ et n’avois pas toutes les instructions ou lettres de creance necessaires, je n’osois d’entreprendre de les faire renverser. On me communiqua un vieux papier, sur lequel etoit l’epitaphe de la celebre Cunigunde, qui a porte´ le patrimoine des vieux Guelfes dans la Maison de nos Princes. Il commenc¸oit ainsi: Dicta Guniguldis regali stemmate fulsi [CML, 215-216].
Ma, al di la` dei guadagni storici ottenuti attraverso i monumenti (le pietre sepolcrali) e i documenti consultati nella biblioteca dell’abbazia, e` sul terreno metodologico che l’esperienza della Vangadizza appare autenticamente denkwu¨rdig: La consultazione dei documenti e dei monumenti della Vangadizza – osserva A. Robinet – arreca a Leibniz la «prova» di cui una concezione moderna della storia ha bisogno ... Alla fine del XVII secolo, la ricerca storica faceva un considerevole balzo in avanti, scoprendo il ritorno ai fatti mediante il preciso e rigoroso canale documentario. La storia si inscriveva sotto il principio di ragion sufficiente39.
Ma e` un altro brano dello studioso francese a compendiare i guadagni storico-metodici ottenuti da Leibniz con l’esperienza della Vangadizza, tali da consentire di annoverare il pensatore tedesco tra le figure cruciali dell’erudizione storica moderna: 1˚ Le genealogie d’immaginazione sono abbandonate: la deductio biblica che faceva discendere gli Este da Noe`, la deductio mythologica che li apparentava a Giove e Ercole, la deductio troiana, che dava loro per antenati Antenore e Ateste, la deductio romana, che faceva discendere da Actius e Atius, attraverso Cesare, tutti gli Azzo della storia d’Este. Anche la deductio carolingiana non interessa a Leibniz. Egli si atterra` piuttosto alla deductio cunigondana, attorno alla quale annoda gli antecendenti e i conseguenti della genealogia guelfa. 2˚ Modena ha recato a Leibniz delle prove su numerosi punti, ma la chiave risiedeva nella Vangadizza. La sicurezza sullo stemma non data che a partire da questo momento. Le prove anteriormente accumulate si sono cosı` accordate come in un gigantesco secolare puzzle. L’apporto della Vangadizza concerne: l’individuazione di Azzo (passaggio da un ens imaginationis a un ens concretum); le sue tre
39
A. Robinet, G.W. Leibniz. Iter italicum, cit., pp. 386 e 453.
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spose; i figli che egli ha da Cunegonda, Guelfo I, che prende il ducato di Baviera da sua madre; il figlio che egli ha da Garsenda, Folco, che genera il ramo italiano da cui provengono gli Este di Ferrara e di Modena; e Ugo, che ereditera` da sua madre la contea di Maine per il ramo francese; l’episodio di un terzo matrimonio con Matilde, che non si sa se abbia avuto luogo, ma che Gregorio VII sciolse. L’ascendenza di Azzo si articola attorno a questo Albertus qui Azo vocatur dei documenti della Vangadizza, ossia, risalendo, ad Azzo II, morto nel 1097 (con una esitazione tra il 1690-1691 sul 1095); ad Azzo I, morto nel 1029, sposo di Waldrata e Adela; a Oberto II, morto nel 1014 ecc ... Al seguito di cio`, Azzo, il creatore del ramo guelfo, prende nelle genealogie leibniziane il nome di Azzo II per distinguerlo da suo padre che porta lo stesso nome, Azzo I. I dettagli delle piccole percezioni della storia sono ora esponibili in chiaro40.
Lasciata Venezia il 24 marzo 1690, Leibniz intraprese il viaggio di ritorno ad Hannover, passando per Mestre e raggiungendo Innsbruck attraverso il passo del Brennero. Indi giunse ad Augsburg, a Regensburg, procedendo poi per Vienna, Lipsia, e giungendo a destinazione nella prima meta` di giugno, dopo un’assenza di oltre due anni e mezzo. Restava da pubblicare la Lettre sur la connexion des Maisons de Brunsvic et d’Este, cio` che Leibniz fara` nel novembre del 1695 (cfr. Dutens IV, 2, 80-85), in attesa degli scambi epistolari, non privi di contrasto, sulle medesime antiquitates genealogiche, con Ludovico Antonio Muratori, che avverranno tra il 1709 e il 1716.
3. – Dal ritorno ad Hannover (1690) e dai piani di ricerca per la Welfengeschichte alla redazione degli Scriptores rerum Brunsvicensium (1707-1711) Dopo il ritorno ad Hannover, Leibniz, desideroso di mostrare i risultati della sua Welfenforschungsreise, redasse nel corso del 1690 diversi programmi finalizzati alla compilazione della storia della Casa hannoverese. Risale, innanzitutto, all’autunno di tale anno il Reisebericht u¨ber die fu¨r die Welfengeschichte erzielten Forschungsergebnisse, resoconto del viaggio e dei suoi risultati scritto per il duca Ernst August. Nel finale, dopo aver ripercorso le sue peregrinazioni, le ricerche e le scoperte, manifestava la speranza 40
A. Robinet, Le voyage de Leibniz en Italie: Mode`ne, Ferrare et la Vangadizza, in Aa. Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 28. Cfr. anche G.W. Leibniz. Iter italicum, cit., pp. 452-453.
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mithin bey der Histori des Hochfu¨rstl. Hauses zu praestiren, was noch bey keinen Haus in Teu¨tschland oder Italien geschehen: Denn außer weniger Autoren, so in Franckreich und Niederland von weniger zeit her mit gebu¨hrender accuratezza de familiis qvibusdam illustribus geschrieben; hat man fast noch kein specimen talis Historiae necessaria ad fidem faciendam severitate scriptae gesehen [A I, 5, 668].
Segue, di lı` a poco, sempre nel 1690, una breve sintesi della storia guelfa, scritta in latino per il duca di Braunschweig e senza titolo, che Pertz, nel pubblicare nei Gesammelte Werke leibniziani, chiamo` Brevis synopsis historiae guelficae (cfr. P I, 4, 227-239). Si tratta – come suggerisce Conze e 41 come si evince dal rilievo offerto anche da Meinecke a quest’opera – di uno scritto assai significativo, poiche´ da esso e` possibile ricavare taluni tratti fondamentali della visione storica e del metodo euristico di Leibniz. Nel breve trattato si rispecchia ancora l’intenzione di esporre la storia guelfa dalle origini sino al presente, abbandonata negli anni successivi per limitarsi alla storia del Medioevo. L’autore prende le mosse dalle migrazioni dei popoli, additate come procellosi sconvolgimenti capaci, dopo essersi placati, di mettere le basi delle nazioni in Europa. Dalla confusa lotta tra i popoli uscı` vincitrice la potenza dei Franchi. Si tratto`, osserva Leibniz, di uno strumento con cui la divina Provvidenza condusse i barbari «ad mores compositos et supremi numinis reverentiam» [P I, 4, 227]. La storia dei Sassoni viene dunque situata nell’orizzonte di questa storia universale e articolata secondo un doppio dominio: quello della storia delle genti e del Paese, e quello della storia dei regnanti, delle dinastie, che Leibniz concepisce come storia genealogica degli avi tedeschi e italiani dei Guelfi, nella quale, naturalmente, giocano un ruolo determinante le scoperte documentarie fatte in Germania, in Austria e, soprattutto, in Italia: Duplicem igitur provinciam meis humeris gravem sane impositam intelligo, regionis et regnantium res memoriae prodere [P I, 4, 228].
Riguardo alla storia genealogica, Leibniz non manca di ribadire, anche qui, il rifiuto della deductio “Trojana” o “Romana” [P I, 4, 228], e l’intenzione di attenersi a quanto e` seriamente documentato. Come sfondo e
41
Cfr. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 12; F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., pp. 26-27. Cfr. anche G. Scheel, Leibniz’ Pla¨ne fu¨r das “Opus historicum” und ihre Ausfu¨hrung, in Akten des Internationalen Leibniz-Kongresses, Hannover, 14.-19. November 1966, Band 4, SL, Supplementa, 4, cit., p. 147 sgg.
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orizzonte della storia «regionis et regnantium» viene indicata, gia` in quest’opera, la storia naturale e geologica che Leibniz avrebbe concretizzato, di lı` a qualche anno, nella Protogaea (1693-1694) (cfr. Dutens II, 2, 181-240). Di particolare rilievo e` il punto in cui il pensatore descrive la transizione del potere europeo dalla dinastia franca a quella sassone. Anche qui torna l’idea provvidenzialistica e il riferimento all’«ammirabile disegno del destino»: Inclinante igitur Francorum potentia, tota imperii vis incurrentibus Hungaris et Normannis nutans in Saxonas nostros recubuit miro fatorum consilio ... [P I, 4, 229].
Gli «arcana divinae providentiae», «le secret de la providence» in cui si entra grazie alle conoscenze storiche (cfr. A VI, 4 A, 688), si sarebbero, in questa transizione del potere in Europa, manifestati con particolare evidenza. Di qui prende le mosse una ricostruzione della storia della Germania dall’eta` carolingia agli imperatori sassoni, fino a Lotario IV, per passare alla storia guelfa, di cui si evidenzia la discendenza da Azzo fino a Enrico il Leone. Quindi, l’autore tratteggia a grandi linee la storia dei Braunschweig dal 1235 fino al secolo XVII, fino, dunque, al tempo a lui piu` prossimo. In questa ricostruzione, pur sintetica, mette conto osservare – come fa Meinecke, il quale definisce “magistrale” la Brevis synopsis – che l’antica divisione della storia universale in quattro monarchie non e` piu` adottata; anzi [Leibniz] divide la storia, come veniva allora in uso, in antica, medioevale, moderna42.
Ma, ancora, in quest’opera colpisce, come osserva ancora il filosofo dello Historismus, lo sguardo “d’aquila” con cui Leibniz sa dominare la storia: Nei suoi giudizi meraviglia la sicurezza di giudizio che aveva per i punti cruciali di intere epoche storiche, per quelli che con il Ranke si possono chiamare “momenti storici”. Nell’avvertire cio` che vi era di essenziale nei destini dei popoli egli supero` anche il Voltaire, a lui posteriore43.
Qui, in effetti, i «momenti fatali» nel «Transitus Rerum» (cfr. A I, 4, 225), i kairoi donati dalla Provvidenza, si uniscono all’idea – che domina su 42 43
F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 26. Ibid.
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tutta la trattazione, pur non definita concettualmente – di eterogenesi dei fini, con cui Dio guida la storia dei popoli, e che e` compito dello storico decifrare e mettere in giusta luce. Nella Brevis synopsis, l’ascesa dei Franchi, il loro declino a favore dei Sassoni, il contrasto tra Welfen e Staufern (Guelfi e Ghibellini) nella storia della Germania, rappresentano alcuni di tali momenti fatali del corso degli eventi. Sintesi di metodo storico-critico – all’interno della quale storia universale e storia locale sono connesse nell’orizzonte di una Naturgeschichte – e di incarico cortigiano, secondo un legame che Leibniz non sciogliera` mai, la Brevis synopsis e`, naturalmente, una storia medievale della Germania vista dalla prospettiva della Bassa Sassonia, nella quale la genealogia guelfa occupa una larga posizione. Cionondimeno, come osserva Conze, risulta evidente nell’opera in questione, come in quelle che seguiranno, che Leibniz temeva di piu` la propria coscienza letteraria e la critica della scienza europea che desideri e biasimi di committenti aristocratici44.
E` questo imperativo di acribia scientifica, questa esigenza di allinearsi ai severi metodi di indagine e di analisi delle fonti propri delle grandi scuole erudite seicentesche, del resto, la ragione principale, da parte di Leibniz, dei ritardi e delle continue dilazioni nella conclusione del lavoro storico commissionatogli, e mai portato a termine. Gia` solo questa inesausta volonta` di scavo, di attingimento di prove solide, basterebbe a mettere il pensatore tedesco al riparo dal servilismo cortigiano. Ne´ si puo` dimenticare, in questa direzione, il dissidio con Muratori, dovuto all’esigenza di ponderazione e di ulteriori accertamenti probatori, non condivisa dal piu` disinvolto storiografo italiano. Si direbbe anzi, che lo scrupolo di erudito mai pago di documenti, l’ansia di rigore euristico che Leibniz riteneva, nel secolo della fondazione della scienza delle fonti, imprescindibili, si accentuino negli scritti storici del 1692, i quali, nel precisare i piani del piu` vasto lavoro storico che ancora nel gennaio del 1691 Leibniz sperava di poter offrire concluso a Ernst August nell’arco di due anni (cfr. A I, 6, 20-21), gia` ne circoscrivono l’orizzonte all’eta` medievale e ne dilazionano la conclusione. Insieme ai testi del 1690-1691, essi pongono i fondamenti della grande impresa degli Annales Imperii, la cui concreta compilazione avrebbe dovuto attendere
44
W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 14.
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ancora molto. Su tali documenti di carattere programmatico occorrera` dunque sostare ora adeguatamente. Il principale testo del 1692 in materia storica e` un promemoria redatto in lingua francese e consegnato a Ernst August il 1 luglio 1692 insieme a una lettera accompagnatoria, significativa per molti versi: intanto per il fatto che in essa Leibniz dichiara di voler meˆler des choses, qui tirent sur l’universel, et qui puissent contenter un peu la curiosite´ generale. Car tout le monde n’aime pas les genealogies seches, et les minuties des affaires particulieres [A I, 8, 27],
confermando, con cio`, l’intreccio tra gli interessi della Casa hannoverese e l’esigenza di rigore scientifico, nonche´ la volonta` orgogliosa di offrire una storia genealogica di tipo nuovo. Ma significativa, tale lettera, e` anche perche´ in essa sembra che il pensatore voglia prendere tempo e giustificare al suo committente la mancata realizzazione di una piu` vasta opera: Mais il est difficile qu’un ouvrage de cette nature se puisse faire bien et promtement. Souvent on ne de´couvre les choses, qu’en les approfondissant, et souvent il faut refaire, ce qu’on a fait. Cependant je menage tellement mon temps, et je travaille avec tant d’application de´puis quelques anne´es, que ma sante´ ne s’en ressent que trop. Quand j’estois a` Modene, tousjours attache´ durant plusieurs semaines, a` une infinite´ de vieux papiers, a` peine lisibles aux depens de mes yeux; pour y decouvrir quelque chose de bon; je dis a` ceux qui s’en estonnoient, que c’estoit ainsi qu’on servoit la maison de Bronsvic. Ce que je ne dis, qu’a` fin que V.A.S. soit persuade´e, que je souhaite plus que personne d’en voir la fin, et d’arriver au bout d’une si grand course [A I, 8, 27].
Nel promemoria del 1692 vengono ribadite le idee, gia` espresse nella Brevis synopsis e confermate nella lettera accompagnatoria, relative all’intenzione di scrivere non solo la storia dinastica della Casa hannoverese, ma anche la storia «du pays et des peuples», prendendo le mosse dall’«Histoire naturelle et des premieres antiquite´s de ces regions» [ZhVN, 1885, 27]. Leibniz, a un certo punto della sua esposizione, quasi a voler giustificare il suo sostare su tali preamboli, osserva: Je m’ay voulu etendre un peu icy sur ces antiquite´s, parcequ’elles sont belles et moins connues [ZhVN, 1885, 32].
Nuova, invece, appare l’idea, espressa nel contesto della trattazione «des
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anciens habitans», dell’armonia delle lingue, dell’esistenza di una lingua e di un popolo originari, che confermava ai suoi occhi l’ipotesi monogenista del genere umano contenuta nella Bibbia: Quant a` l’origine de ces peuples et leur premieres migrations, l’harmonie des langues fait juger (sans parler de l’autorite´ des livres sacres), que tout le genre humain est d’une meˆme race [ZhVN, 1885, 29].
Ma la parte piu` rilevante del documento del 1 luglio 1692 appare quella introduttiva, che risulta una delle esposizioni piu` perspicue e utili per comprendere l’idea che Leibniz aveva della scienza storica e del suo metodo. Nell’esordio, il pensatore constata che nous vivons dans un sie`cle e´claire´, qui demande de l’exactitude et des demonstrations dans toutes les connoissances humaines autant qu’elles en sont capables. Les decouvertes qu’on a faites dans le ciel, la description exacte du globe de la terre, l’anatomie des animaux, la delineation des plantes, les experiences de la chymie, l’analyse des mathematiciens, la science militaire et tous les arts tant liberaux que mecaniques en peuvent faire foy [ZhVN, 1885, 19].
Il brano non e` solo significativo per il fatto di contenere il giudizio di Leibniz sulla sua epoca (le «lumie`res de nostre sie`cle», scrive Leibniz qualche riga oltre), segnata da un’accelerazione nel progresso conoscitivo mai conosciuta prima, ma per il contesto argomentativo in cui tale giudizio e` inserito: Evidentemente – osserva Conze – egli si sentiva obbligato a far comprendere al principe la ragione per cui l’opera non potesse venire completata in breve tempo, come avevano desiderato il principe e lo stesso storico in un primo momento. Leibniz volle dimostrare che non poteva accontentarsi facilmente come storiografo della sua epoca pretenziosa. La sua coscienza della responsabilita` scientifica, il suo senso storico e, non in ultimo, il suo orgoglio di elevarsi a una realizzazione che si ponesse al vertice della scienza storica europea, portarono Leibniz verso le fonti e le origini per creare qualcosa che gli recasse fama nella Res publica literaria, che potesse resistere al giudizio severo di un sie`cle de´licat e che rappresentasse un permanente guadagno per i posteri45.
La storia, prosegue Leibniz, non puo` non partecipare alla «exactitude 45
Ivi, p. 16.
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que les vrais sc¸avans demandent aujourdhuy», un compito che impegna lo studioso ad affrancare la narrazione storica dal «romanesque» proprio di quegli autori che altro non cercano qu’a` plaire aux grands et a` divertir les autres [ZhVN, 1885, 19].
Da questo tratto scarsamente scientifico dipende il fatto che le storie se contredisent les unes aux autres et ne s’accordent nullement avec l’Histoire universelle. Ce qui estant honteux et indigne des lumieres de nostre siecle, les sc¸avans ont travaille´ depuis quelque temps a` les purger de ces defautes [ZhVN, 1885, 20].
Il tratto “romanzesco”, afferma dunque Leibniz, non e` piu` degno dell’epoca presente, nella quale illustri esempi, soprattutto quelli dei Maurini e dei Bollandisti, additano una forma di ricerca che schiude nuovi orizzonti di severita` e di certezza per la storia. Segue, nel testo, un’icastica comparazione tra la storia e il corpo di un animale, cosı` sinteticamente espressiva del metodo storico leibniziano che mette conto riportarla per intero, rinviandone l’analisi a un paragrafo successivo: Pour juger distinctement de l’Histoire, on la peut comparer avec le corps d’un animal, ou il y a des os qui soutiennent tout, des nerfs qui en font la liaison, des esprits qui remuent la machine des humeurs, dans lesquelles consiste le suc nourrissant, et enfin la chair, qui donne l’accomplissement a` toute la masse. Les parties de l’Histoire y repondent assez: la chronologie aux os, la genealogie aux nerfs, les motifs cache´s aux esprits invisibles, les exemples utiles au suc et le detail des circonstances a` toute la masse de la chair. Je considere donc la chronologie ou connoissance des temps comme la base ou esquelette de tout le corps, qui fait le fondement et le soutien de tout le reste. La genealogie des personnes illustres repond a` mon avis aux nerfs et aux tendons de l’Histoire; car puisque l’Histoire recite ce qui est passe´ parmy les hommes, il faut bien, qu’elle aye e´gard a` la connexion naturelle des hommes, qui consiste dans la parente´. Et comme de tout temps la succession a donne´ beaucoup de pouvoir et d’autorite´, et que la plus part des peuples y ont eu e´gard pour eviter les troubles et les diffı`culte´s qui se rencontrent dans le choix des hommes, il se trouve, que les Histoires des peuples, des royaumes et des principaute´s dependent beaucoup des connexions et changemens des familles, d’ou` sont venu des guerres, des unions de plusieurs pays, pour former une grande monarchie et les pretensions d’un Prince sur l’autre. Or comme je compare la chronologie avec les os et la genealogie avec les nerfs, je croy, que pour ce qui est des esprits, des humeurs et de la chair,
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on peut les comparer dans l’Histoire avec les motifs, les exemples utiles et le detail des circomstances. Comme les esprits tout invisibles qu’ils sont donnent le mouvement et le bransle a` toute la machine, de meˆme ce sont les motifs cache´s qui font agir les souverains et qui sont les veritables causes des entreprises. Mais comme dans la medicine rien n’est plus diffı`cile ny moins e´clairci que la nature des esprits animaux, il faut avouer aussi, que cette partie de l’Histoire est la plus sujette a` caution. Or comme le sang meˆle´ d’autres humeurs suivant le temperamment d’un chacun, nourrit toutes les parties; de meˆme je considere, que le veritable suc de l’Histoire consiste dans les exemples instructifs, sans lesquels la chronologie et la genealogie ressemblent a une esquelette denue´e ou a` un corps amaigri. Enfı`n le corps d’une Histoire pour avoir toute sa beaute´ doit estre revestu comme de chair, c’est a` dire, il ne doit pas manquer du detail des circomstances curieuses. Mais l’ame de tout c’est la verite´. Or puisque l’Histoire sans la verite´ est un corps sans vie, il faut qu’on tache de ne rien avancer sans fondement et qu’on purge l’Histoire peu a` peu des fables, qui s’y sont glisse´es. C’est a` quoy on travaille depuis quelque temps avec beaucoup d’application, particulie´rement en France et aux Pays bas, ou` l’Histoire est la plus fleurissante [ZhVN, 1885, 20-21].
Una seconda versione dello stesso piano, in una forma piu` sintetica, e` leggibile nella lettera indirizzata a Otto Grote del giugno 1692, la cui parte centrale occorre riferire integralmente, nonostante l’ampiezza, contenendo anch’essa, come il brano precedente, indicazioni cruciali sul modo di Leibniz di concepire il lavoro storico, di rinnovare la storia genealogica, oltre che il programma e le linee fondamentali di cio` che saranno gli Annales Imperii. Ecco dunque il testo epistolare, il cui carattere di sintesi metodologica e di contenuto giustifica, come si diceva, la citazione per esteso: J’espere que l’exactitude avec laquelle j’explique les origines et la Genealogie de la S.me Maison sur des diplomes et auteurs contemporains servira d’exemple et pour l’Allemagne et pour l’Italie, aux quelles cette Maison appartient egalement. Car il n’y a presque point de Maison illustre de l’une ou de l’autre nation, ou` l’on ait fait paroistre jusqu’icy toute l’exactitude necessaire; au lieu que la France et les Pays bas en ont monstre´ bien d’avantage en ce genre. J’ay demonstre´ indubitablement l’origine commune de Bronsvic et d’Este, de laquelle quelques excellens hommes de ce temps en Allemagne et en France temoignoient de douter, non sans apparence de raison. J’insinue souvent (mais sans en faire semblant et sans faire l’advocat) des faits propres a e´claircir nos droits anciens ou modernes. Mais sur tout je tacheray de distinguer l’ouvrage par quelques decouvertes
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Historiques qui puissent donner de la curiosite´ aux Etrangers, sans me trop attacher a` des minuties du pays. C’est ce qui m’a fait commencer par quelques traits de l’Histoire naturelle et des premieres antiquite´s de ces regions, dont la nature nous a laisse´ des marques au defaut des memoires des hommes, qui peut estre n’y habitoient pas encor, puis qu’aussi bien l’Histoire de Bronsvic doit comprendre tant celle du pays que celle des Princes, qui y ont regne´. Je fais voir que selon toutes les apparences une bonne partie de ce pays a este´ couverte de l’Ocean. Cela me fait parler des de´pouilles des animaux marins, qui s’y trouvent; du carabe´ (succinum) des coquilles de mer, des glossopetres semblables a` celles de Malthe volgairement dites langues de serpens, qui ne sont que des dens de certains poissons marins. Je parle des restes des animaux inconnus, trouve´s dans les antres du Harz et de ce que j’y ay observe´ moy meˆme la` dessus; de l’origine veritable des poissons de metal trace´s par la nature sur l’ardoise, trouve´s dans nos mines, et je fais la` dessus des observations aussi bien que sur la correspondance qu’il y a entre les productions des mines et celles de laboratoires Chymiques, qui donneront de l’e´claircissement a` ceux qui feront des recherches de la nature. Apre´s cela je traite de l’origine des habitans, des migrations des peuples, s’il y a des preuves pour les geans que des habils hommes ont cruˆ avoir este´ icy; si nos peuples viennent de la Scandinavie ou de la Scythie; ou` je diray des choses remarquables sur l’Harmonie des langues et sur la langue Saxonne de ces pays, qui est une des plus etendues, et la plus riche en livres anciens apre´s les trois langues capitales des Sc¸avans et apre´s la Chinoise et l’Arabe; car il y a un nombre considerable de livres Saxons plus anciens que ceux des Francs et (excepte´ le Code d’argent des Gots du Pont Euxin) plus anciens que tous les livres du Septentrion. Je diray aussi quelque chose des anciennes urnes et cendres qu’on decouvre quelques fois sous des petites elevations de nos pays. La Serenissime Maison venant des Princes qui possedoient Este ou Ateste, colonie Romaine, mais ville encor plus ancienne; et les habitans de ce pays la` aux environs d’Este estant venus en partie de l’Asie avec Antenor comme le rapporte de´ja Tite Live; Cela m’engage a` faire la` dessus quelques decouvertes curieuses sur les antiquite´s de l’Asie, de la Grece et de l’Italie fonde´es sur des inscriptions et anciens monumens. Mais c’est sans m’y arrester trop. Et je viens a` ce que les Grecs et Romains ont dit des peuples de nos provinces; des Chauces et Cherusques et autres; ou la decouverte, que je crois avoir faite du veritable lieu de l’habitation des anciens Francs avant qu’ils se sont approche´s du Rhin pour passer dans les Gaules, meritera peut estre quelque attention. Et les ruines de l’Empire Romain interessant beaucoup, tant le pays aux environs d’Este, que nos Saxons et leur expeditions par mer et par terre, je suis oblige´ d’y entrer. Nos Saxons ont este´ les premiers maistres de la marine sur l’Ocean, ou` ils ont occupe´ l’Angleterre et allarme´ toute la coste oppose´e a` l’Angleterre qu’on appelloit alors litus Saxonicum pour cela; ils ont e´te´ avec les Longo-
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bardes (venus de l’Elbe entre Danneberg et Magdebourg) jusqu’en Pannonie ou Hongrie, et jusqu’en Italie. Je parle aussi de l’origine des Saxons de Transsylvanie et de bien d’autres choses curieuses. De la premiere mention de la riviere de Leine dans un ancien Geographe publie´ depuis peu en France. Des premiers Apostres des Saxons, meˆme avant Boniface; De l’e´tat de l’ancien gouvemement de ces peuples; De la vie de S. Suibert suivant laquelle Brunsvic auroit este´ un grand village (car il n’y avoit point de villes alors dans ce pays) avant ce Brunon au quel on en attribue volgairement l’origine. Puis, je ne puis me dispenser de raconter les guerres de Charles-Magne dans ce pays, et de parler des Eveques, des Misses Dominiques, des Marquis, des Comtes, qu’il y a e´tablis, et des Seigneurs qu’il y a trouve´s. Je donne des conjectures considerables et nouvelles sur l’origine des Empereurs Ottons anciens Seigneurs de Bronsvic. Je fais voir comment les Ducs que Charles-Magne vouloit supprimer ont este´ resuscite´s par les Misses Dominiques, qui estoient les principaux Comtes. Je parle des Apostres du Nord sortis de nostre Corbie; De l’origine des vieux Guelfes issus apparemment de la race royale de Baviere. Des Seigneurs de Bronsvic et de Northeim, qu’on rapporte a` la race commune avec celle des Ottons, et qui depuis furent intrigue´s dans les guerres des Empereurs et des Papes. Je viens apre´s cela a` l’origine et famille d’Azon le grand qui estoit le plus puissant Marquis de son temps et le plus puissant de l’Italie apre´s Mathilde; de son fı`ls Guelfe et des freres de celuy ci fondateurs de la branche d’Italie, sur laquelle j’ay decouvert des particularite´s inconnues aux Historiens d’Este[,] entre autres qu’un des freres de Guelfe a possede´ un grand Etat en France; De la collision de ces Guelfes avec les Empereurs de la race de Wiblingen et de Stauffen, et des factions des Guelfes et Gibellins, qui en resterent en Italie. Du Patrimoine de Mathilde parvenu a` nos Guelfes, de leur puissance en Italie[,] en Baviere, en Suabe, de leur transplantation dans la Saxe. De l’Empereur Lothaire le Saxon, Auteur en partie de cette transplantation, et de ses grands exploits faits avec l’aide de Henry le Magnanime; des succe´s de ce grand Prince et de son fils le Lion, de leur collisions avec les Empereurs Suabes et avec les Seigneurs de la maison de Ballensta¨t. De l’autorite´ de Henry le Lion qui s’etendoit jusqu’en Dannemarc et en Italie; comment on luy rendit la Baviere apre´s en avoir retranche´ la haute Austriche, qui fut jointe au Marquisat Oriental (c’est a` dire Oesterreich) pour en faire un nouveau Duche´; comment il avoit enfı`n domte´ et sousmis les Slaves a` l’Empire et a` la foi. Les loix qu’il a donne´s, les principaute´s, villes et Eveche´s qu’il a fonde´s, son voyage en Palestine; Sa disgrace, son re´tablissement en partie. Comment sa cheute a este´ cause en bonne partie de la decadence de l’Empire. Comment ses enfans ont este´ ostages pour le Roy Richard d’Angleterre leur oncle maternel, quand il fut delivre´ de la prison ou` l’Empereur le tenoit. Et la refutation de plusieurs fausses narrations touchant ces temps la`. D’Otton fils du grand Duc Henry; et
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qu’il fut Comte de Poictou, Prince de Jork, destine´ au mariage de l’heritiere d’Ecosse; puis Empereur quatrieme du nom, mais malheureux. De son Frere Henry Duc de Saxe Comte Palatin du Rhin, dont les terres sur le Rhin estant passe´s dans ses filles servirent a` l’aggrandissement non seulement de la Maison de Bade mais encor de celle de Witelsbach, dont sont sortis les Electeurs de Baviere et Palatins d’aujourdhuy. Comment enfı`n Otton fı`ls de Guillaume fı`ls de Henry le Lion et appelle´ par l’Empereur Duc de Bronsvic, ramassa les debris du naufrage, et refusant l’Empire mal asseure´, que le Pape luy offroit, aima mieux de jetter des fondemens mediocres mais solides, sur lesquels sa posterite´ malgre´ les malheureuses divisions, ayant acquis plusieurs Comte´s et Dynasties reunies peu a` peu, a erige´ un bastiment dont la plus grande elevation digne de l’ancien lustre se doit enfin a` ce genie heroique d’un Prince que nostre siecle peut opposer aux grands noms de l’antiquite´ [A I, 8, 12-16].
La storia dei Braunschweig appare anche in questo testo inquadrata in premesse di storia naturale, origine delle genti, dei Germani in particolare, migrazioni di popoli, origini delle lingue, particolarmente della lingua sassone e di quella dei Goti, e si arresta al momento in cui l’imperatore Federico II nomina Ottone “Il Fanciullo” duca di Braunschweig (Dieta di Magonza, 1235). Leibniz, da questo momento, e` divenuto uno storico medievale, ne´ mai piu` prendera` in considerazione la prospettiva di prolungare la storia della Casa hannoverese fino all’eta` moderna. E` nel Medioevo, e particolarmente nella storia dell’Impero germanico – le due cose, per lui, si identificano sin dalla Nova Methodus (cfr. Pars II, § 39) – che Leibniz rinviene il Kern del suo lavoro storico e dei suoi interessi. Come ha osservato Corsano, il Leibniz ha trovato nel Medioevo quasi la regione e la ragione ideale della sua ricerca, mostrando di preferirla largamente alla civilta` classica di cui respinge la troppo idoleggiata perfezione esemplare, come irreparabilmente remota e irrecuperabile per il mondo moderno: di cui trova invece le radici saldamente piantate nella civilta` medioevale, con quella fitta continuita` di cui le sue ricerche diplomatiche, storico-giuridiche e genealogiche gli fornivano prove inesauribili46.
Un’ulteriore redazione del medesimo piano e` contenuta nell’Entwurf der Welfischen Geschichte (cfr. P I, 4, 240-255), scritto in tedesco per il duca 46
A. Corsano, Bayle, Leibniz e la storia, cit., p. 63. Sulla storia della storiografia medievale cfr. L. Gatto, Viaggio intorno al concetto di Medioevo. Profilo di storia della storiografia medievale, Roma 1992 (su Leibniz cfr. p. 159 sgg.).
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Anton Ulrich, abbozzo anch’esso legato al promemoria redatto per il duca Ernst August. Per cio` che riguarda gli anni successivi al 1692, prima di sostare sul Codex Juris gentium del 1693, mette conto anticipare, per il legame con le questioni genealogiche della Casa hannoverese, qualche osservazione sulla Lettre sur la connexion des Maisons de Brunsvic et d’Este del 1695, pubblicata anche in italiano e inviata ai principali storici della penisola. Occasionato dal matrimonio tra il duca di Modena Rinaldo d’Este e la figlia del duca Johann Friedrich, Carlotta Felicita, celebrato ad Hannover il 28 novembre 1695, al quale lo stesso filosofo presenzio` – evento che, nel rinnovare la parentela tra i rami delle due “Maisons”, rappresentava un autentico successo diplomatico di Leibniz –, il documento richiamava in sintesi i piu` importanti risultati delle ricerche storiche avvenute tra Augsburg, Modena e il monastero della Vangadizza. Nel corso dell’esposizione, nel confutare gli errori di storici precedenti, in particolare del Pigna, del quale viene riprodotto l’albero genealogico ricostruito da Azzo a Enrico il Leone e sono rilevate le inesattezze, Leibniz osservava: Mais il s’en faut d’autant moins e´tonner, que ce n’est qu’en notre siecle, qu’on commence a` approfondir ces choses, comme toutes les autres [Dutens IV, 2, 83].
«... approfondir ces choses, comme toutes les autres»: quell’universale rinnovamento delle conoscenze di cui, per Leibniz, gli ultimi due secoli, e in particolare il Seicento, si erano resi protagonisti, realizzando con cio` la piu` grande possibilita` di progresso mai sperimentata, veniva dunque riconosciuto anche in relazione alla storia. Essa partecipava al generale progresso del sapere, mettendosi finalmente sulla via del rigore e della serieta`, pur senza mai pretendere la cogenza dimostrativa propria delle scienze esatte. Anche qui, dunque, responsabilita` dei compiti scientifici che il secolo imponeva e impegni genealogici di storico di corte si saldavano in un intreccio inscindibile. Altre brevi dissertazioni e trattazioni storiche redatte intorno al 1691-1692, occasionate da questioni politico-giuridiche contingenti, che possono essere ricordate, sono le Considerations sur les interests de Bronsvic (aprile 1691-marzo 1692) (cfr. A IV, 4, 338-358), e Vom Unterscheid zwischen dem Reichs-Haupt-Bannier und der Wu¨rtenbergischen Sturm-Fahne (dicembre 1692) (cfr. A IV, 4, 390-419), ulteriori esempi di impiego della conoscenza storica a fini politici. Se e` vero, come scrivera` Muratori a Leibniz il 19 aprile 1709, che
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le carte e l’erudizione non conquistano stati [CML, 50-51],
Leibniz non cesso` mai di appoggiare la sua politica europea e la sua diplomazia sulle ricerche storico-genealogiche, come fara` nuovamente proprio nella circostanza che propiziera` il rapporto epistolare con Muratori. Infine, dello stesso periodo, va ricordata la Lettre pour soutenir la verite´ de l’election de l’Empereur Frederic, entre Wenceslas et Sigismond (cfr. Dutens IV, 2, 241-247), dove Leibniz, a partire da una cronaca di Colonia del 1492, di cui era entrato in possesso, dimostrava contro Daniel Larroque l’elezione di Friedrich von Braunschweig (Federico III) dopo la deposizione di Venceslao di Lussemburgo, il 7 settembre 1400. Significativa, nella dissertazione, e` la logica storica impiegata, mediante la quale il contraddittore e` confutato con prove storiche giudicate piu` solide, per quanto, come il pensatore sottolinea nella chiusa, «dans un tems dont l’histoire est entie´rement brouille´e, & destitue´e de bons auteurs» non si possano pretendere dimostrazioni storiche di assoluta certezza, e occorra ritenere bastevoli i documenti addotti (cfr. Dutens IV, 2, 247). E` evidentemente operante, qui, una logica del probabile che Leibniz impiega per confutare l’avversario, il quale si pieghera`, alla fine, agli argomenti dell’hannoverese. Nel 1693, come accennato, Leibniz pubblico` la sua prima raccolta di documenti – il Codex juris gentium diplomaticus – inaugurando cosı`, accanto all’impegno di storiografo dedito alla redazione di una storia medievale dell’Impero germanico con particolare attenzione alla Bassa Sassonia e alla Casa di Braunschweig e a quello di consigliere che fa della storia una forza politica al servizio della sua Casa principesca, l’attivita` di editore di fonti storiche. Cosı`, l’arduo lavoro di collezionista di documenti che avrebbero dovuto costituire la base degli Annales Imperii trovava qui una prima realizzazione. In particolare, i testi contenuti nella raccolta suddetta, come scrive G. Scheel, dovevano collocare su un fondamento sicuro e autentico il diritto pubblico moderno, la storia medievale in generale e il suo «Opus historicum» in particolare47. 47
G. Scheel, Leibniz als Historiker des Welfenhauses, in Aa. Vv., Leibniz. Sein Leben – sein Wirken – seine Welt, cit., p. 231. Nella lettera a Ferdinand Wilhelm von Schwarzenberg del 4/14 maggio 1698, ecco quanto Leibniz scriveva a proposito del Codex e delle sue opere storiche: «J’ay donne´ aussi sous le nom de Codex juris gentium diplomaticus un recueil de traite´s de paix et d’alliance et autres pieces sur les actes publics, qui paroissoient de consequence et qui pour la pluspart n’avoient pas encor este´ imprime´es, ou` je m’e´stois attache´ surtout a` mettre dans leur jour les droits de l’Empire hors de l’Allemagne, le tout sur
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Che, del resto, le tre dimensioni additate del lavoro storico – l’impegno scientifico, l’edizione di fonti, il fine politico-diplomatico – fossero inscindibilmente intrecciate, e` destinato a confermarlo proprio il Codex diplomaticus. Si tratta di una collezione di 223 fonti – atti pubblici in cui sono compresi trattati, testamenti di principi, sentenze arbitrali, cerimonie, investiture, etc. – scritte in latino e in francese, che vanno dal 1097 al 1499, disposte in ordine cronologico. Tale raccolta, come osserva Conze, non nacque per caso, ma in anni di aumentata attivita` politica sia dei Guelfi nel periodo in cui raggiunsero la dignita` elettorale (1692), sia dell’imperatore e dell’Impero nel conflitto con Luigi XIV48.
Che tali circostanze politiche contingenti abbiano condizionato la selezione delle fonti, lo si evince sin dall’ampia Prefazione (cfr. Dutens IV, 3, 285-309), di grande interesse storico-metodologico. Vi traspare, in testi su cui sosteremo oltre, la priorita` offerta alla storia pubblica su quella arcana, dunque il primato dell’atto pubblico sul genere privato, aneddotico, come l’elemento piu` sicuro su cui puo` poggiare la fides historica. L’edificio della storia – scrive Leibniz in queste pagine nelle quali si sottolinea la precarieta`, ma anche l’ineludibilita` per lo storico del “vincolo cartaceo” – si eleva sul fondamento offerto dagli atti pubblici, utili tanto all’arte politica quanto a soddisfare il gusto erudito, ma soprattutto per comprendere il diritto delle genti. All’affermazione del rilievo dei documenti pubblicati nella raccolta per cronologisti, geografi, genealogisti, amanti di araldica, linguisti, segue una trattazione di natura filosofica e giuridica sul diritto naturale e delle genti, di cui vengono distinti gradi e articolazioni. Chiude la Prefazione una esposizione sull’origine degli elettori, che viene fatta risalire fino a Corrado IV, figlio di Federico II, percio` al XIII secolo. Il lavoro del Codex diplomaticus verra` completato con la pubblicazione des diplomes considerables, qui n’avoient pas este´ bien connus; a` l’exemple des Franc¸ois et autres estrangers, qui travaillent pour leur patrie. J’ose dire qu’on n’a gueres publie´ d’ouvrage depuis qui donne plus de nouvelles lumieres sur cette sorte des droits de l’Empire, et on pourroit sans doute en dire bien d’autres choses, si la Cour Imperiale y pouvoit faire reflexion. Mais il faut avouer qu’elle a des soins plus pressans. On diroit peutestre unum esse faciendum alterum non omittendum, mais il n’appartient pas aux particuliers, de s’ingerer a` dire ce qu’on doit faire ou non. Au reste j’ay fait encor quelques ouvrages publie´s et retouche´s par ordre des princes, mais ils ne sont pas les miens pour cela. J’ay publie´ aussi quelques des Chroniques et autres e´crits semblables faits il y a plusieurs siecles qui n’avoient pas encor vu le jour et qui servent de fondement a` l’Histoire solide» [A I, 15, 566]. 48 W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 27.
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nel 1700 della Mantissa Codicis Juris gentium diplomatici. Tale supplemento al Codex diplomaticus si presenta assai diverso dalla precedente raccolta, sia sul piano dell’organizzazione dei materiali, disposti per ordine metodico anziche´ cronologico, sia per la scelta delle fonti e dei documenti selezionati. A parte qualche raro caso – osserva Daville´ – tutti i documenti riguardano l’Impero germanico o il Papato; al di fuori dell’Italia e della Francia, cosı` strettamente unite a queste due istituzioni, non c’e` piu` nulla che concerna il resto dell’Europa. Cio` non sembra casuale. Noi vi scorgiamo l’effetto della risoluzione presa da Leibniz di scrivere la storia dell’Impero e vi troviamo, soprattutto, la traccia delle preoccupazioni religiose e anche confessionali ...49.
Impero e unita` della Chiesa cristiana, dunque, dominano la nuova raccolta di fonti complementare al Codex diplomaticus. Come osserva infatti Conze, le due grandi idee politiche che lo avevano occupato tutta la vita, Impero e unita` della Chiesa cristiana, hanno dettato la scelta delle fonti nella Mantissa50.
Ma, per tornare al periodo immediatamente successivo al Codex diplomaticus, tra il 1693 e il 1698-1699 – anni, questi ultimi, che vedono la pubblicazione del primo e del secondo volume delle Accessiones historicae – altri scritti di carattere storico occorre segnalare. Mentre Leibniz prorogava ulteriormente la redazione dell’opera storica, nonostante la risoluzione, ormai presa, di limitarla a una parte del Medioevo, cresceva l’interesse per le questioni relative all’origine dei popoli e delle lingue – che nei Nouveaux essais sono definite «les plus anciens monumens du Genre humain» [A VI, 6, 336] –, interesse attestato, prima ancora che dalle pubblicazioni, dalla corrispondenza di questo periodo. Come e` stato scritto, e` comunque un dato di fatto che a partire dall’inizio degli anni Novanta (vale a dire al ritorno dal lungo viaggio di studio in Austria e in Italia: 1687-90) la curva degli interessi linguistici leibniziani si dirige nettamente alla ricerca di materiali di prima mano, volti a consentire la comparazione di idiomi diversi e la ricostruzione, per il loro tramite, di capitoli malcerti della storia dei popoli. Le lingue divengono cioe`, in questi anni, per un 49 50
L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 201. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 27.
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verso oggetto specifico di analisi, in vista di una sorta di «mappa» delle parlate e delle rispettive comunita` parlanti nel mondo conosciuto; per un altro, vengono assunte come ausilio dell’inchiesta storica, relativamente alle epoche e ai settori di indagine carenti di documentazione diretta. Ricercare ex indicio linguarum: ecco un programma di lavoro che sosterra` l’impegno storiografico di Leibniz, a partire dall’incarico, assunto nel 1685, di scrivere la storia della casata di Braunschweig-Lu¨neburg, per finire con la grande raccolta degli Scriptores rerum Brunsvicensium (ultimata nel 1711)51.
Del 1696 e` la Dissertatio de origine Germanorum (Dutens IV, 2, 198-205), apparsa a Berlino sul Nouveau Journal des Savants, il primo di una serie di scritti che, nel piano originario di Leibniz, maturato proprio all’inizio degli anni novanta, dovevano comporre il vasto disegno di una Dissertatio de migrationibus, e che, invece, appariranno come piccole ricerche isolate tra il 1696 e il 1715. Gli altri due scritti che appartengono a questo dominio concernente le origines dei popoli e delle lingue sono la Brevis Designatio meditationum de originibus gentium, ductis potissimum ex indicio linguarum (1710) (Dutens IV, 2, 186-198), e la De origine Francorum Disquisitio (1715) (Dutens IV, 2, 146-167). Nel 1696, a partire da un manoscritto rinvenuto nella biblioteca di Wolfenbu¨ttel, della quale dall’inizio del 1691 era divenuto direttore, Leibniz curo` la pubblicazione di una vita di Papa Alessandro VI, tratta dal diario di J. Burchard, maestro di cerimonie del Papa stesso. Si tratta dello Specimen historiae arcanae sive anecdota de Vita Alexandri VI. Papae seu excerpta ex Diario magistri Johannis Burchardi, esempio di storia segreta, privata o aneddotica, alla maniera di Procopio (cfr. Praefatio, in Dutens IV, 2, 74-76), ben lontana dal modello di storia ufficiale di uno Stato perseguito con il progetto della storia hannoverese, e dotata di un minore grado di fides historica. Nella Prefazione al Codex diplomaticus, infatti, il pensatore distingue l’Historia arcana dalla Historia publica – distinzione su cui Leibniz tornera` nei Nouveaux essais IV, 16, 10 – sottolineando, non senza riecheggiare il Cicerone de De oratore (II, 15), che la legge che regola quest’ultima e` di non 51
S. Gensini in Leibniz, L’armonia delle lingue, a cura di S. Gensini, Roma-Bari 1995, p. 133. Del medesimo autore cfr. ‘Sed nunc de linguis apud populos receptis agimus’: unita` e molteplicita` nell’universo leibniziano delle lingue, in Aa. Vv., Unita` e molteplicita` nel pensiero filosofico di Leibniz, Simposio Internazionale, Roma, 3-5 ottobre 1996, a cura di A. Lamarra e R. Palaia, Firenze 2000, pp. 107-142. Sulla lingua tedesca in particolare, cfr. lo studio di D. Vian, Leibniz e il concetto di «Deutsche Sprache», in Aa. Vv., I linguaggi e la storia, a cura di A. Trampus e U. Kindl, Bologna 2003, pp. 99-139.
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dire nulla di falso (nihil falsi dicere), di riportare dunque i fatti mediante le fonti immediate, quali sono i diplomi, gli atti pubblici, mentre quella della prima e`, oltre a cio`, di non tacere nulla di vero (nihil veri non dicere), e concludendo che la parte piu` sicura della storia e` quella che poggia sugli atti pubblici, piuttosto che sui racconti privati. L’interesse, tuttavia, che questo tipo di storia riveste, pur nell’inferiore grado di certezza e di verificabilita` che la caratterizza, sta nell’esibire quel sottofondo di intenzioni soggettive, di impulsi nascosti, di circostanze destinate a sfuggire all’atto pubblico, ma costituenti le molle di un’azione o di un evento storico. La parola usata nel titolo con cui Leibniz pubblico` queste memorie – Specimen – attesta il loro carattere esemplare, agli occhi del pensatore, il loro essere cioe` un modello di storia aneddotica. Nel 1698-1699, Leibniz dava alla luce, secondo un progetto che procedeva dal 1694, le Accessiones historicae, in due volumi. Si tratta della sua prima grande raccolta di storici, contenente vecchie cronache tedesche medievali: quattro autori sono contenuti nel primo tomo, uno nel secon52 do . Di particolare rilievo, ancora una volta, e` la Prefazione al primo tomo che, seppur non vasta come quella del Codex diplomaticus, contiene rilevanti annotazioni sul significato della storia per Leibniz, e sulla storia medievale in particolare (cfr. Dutens IV, 2, 53-57). Proprio in apertura, cosı` il pensatore compendia i fini della ricerca storica, sui quali torneremo oltre: Tria sunt quae expetimus in Historia: primum voluptatem noscendi res singulares, deinde utilia inprimis vitae praecepta; ac denique origines praesentium a` praeteritis repetitas, cu`m omnia optime` ex causis noscantur [Dutens IV, 2, 53].
Nel gennaio del 1698 muore Ernst August, per il quale Leibniz scrive i Personalia (1698), come gia` aveva fatto per Johann Friedrich, e al suo successore, Georg Ludwig, che presto iniziera` una serie di lagnanze e di pressanti sollecitazioni nei confronti di Leibniz per l’assolvimento dell’impegno storiografico da lui assunto, il pensatore donava l’Abrege´ des raisons pour le droit de primogeniture qui doit faire la conjonction des pays de Zell et d’Hannover (settembre 1698), composto per appoggiare il diritto di primogenitura, con l’eredita` universale che cio` comportava, di Georg Ludwig, diritto ed eredita` contestati dai fratelli. 52
Si tratta dei seguenti autori e delle seguenti fonti: Chronographus Saxo, Gesta Trevirorum, Joh. Vito Duranus Chronicon, Chronicon Vetus Holsatiae (Tomo I); Alberici Monachi trium fontium Chronicon (Tomo II). Cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., pp. 165-166.
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Di questo periodo e` anche lo scritto De nummis Gratiani Augg. Aug. cum gloria novi saeculi Dissertatio (cfr. Dutens IV, 2, 252-267), pubblicato anonimo ed elaborato per rendere onore all’elettore di Brandeburgo incoronato re di Prussia (18 gennaio 1701). Per l’occasione, il pensatore si fece inviare copie di medaglie dell’imperatore Graziano recanti l’iscrizione «Gloria novi saeculi», e scrisse nella dissertazione che il nuovo secolo era talmente segnato dalla nuova incoronazione di Federico I che era lecito usare in proposito l’espressione «Gloria novi saeculi». Inoltre, ampliando l’orizzonte della sua esposizione, Leibniz sostava sulle condizioni necessarie per fare della storia una scienza (§ V: De condenda historiarum scientia), sottolineando in particolare l’idea di una Ars critica articolata in gradi di fides historica (cfr. Dutens IV, 2, 254). Ma per vedere realizzati ulteriori grandi lavori storici, dopo la raccolta di cronache medievali delle Accessiones historicae, occorre attendere i tre volumi degli Scriptores rerum Brunsvicensium, pubblicati tra il 1707 e il 1711. La grande raccolta apparsa ad Hannover, corpus di fonti utili alla storia della Bassa Sassonia e delle sue dinastie regnanti che avrebbe recato lustro alla Casata hannoverese mediante l’esibizione delle fonti sicure della sua storia, contiene tutti gli scrittori disponibili al pensatore relativi sia alla storia dell’Impero, sia a quella, piu` circoscritta, della Bassa Sassonia, dall’antichita` greca e latina fino alla fine del Medioevo, dunque, molto al di la` dell’orizzonte cronologico che sara` proprio degli Annales Imperii. Si tratta, in realta`, di un monumento significativo offerto alla nascente medievistica europea. Gran parte di queste fonti era gia` disponibile in piu` antiche edizioni, ma una notevole parte dei documenti venivano da manoscritti inediti che erano stati da Leibniz personalmente rinvenuti in biblioteche, archivi, 53 monasteri, o che gli erano stati comunicati dagli eruditi di tutta Europa . Si trattava di una raccolta essenzialmente finalizzata a scopi pratici, il cui valore stava soprattutto nella completezza della ricerca e dell’esposizione delle fonti, costituite in parte da grandi cronache, vite di santi e di personaggi storici, in parte da frammenti, estratti (excerpta), supplementi, emendazioni, cataloghi, per un totale di 157 titoli numerati (64 nel primo volume; 51 nel secondo; 42 nel terzo) e di circa 3000 pagine, nelle quali erano contenute le fonti principali ed essenziali che avrebbero costituito la solida base documentaria della storia della Bassa Sassonia e della Casa hannoverese. 53 Cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 246 sgg. e W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 25 sgg.
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Conoscendo l’importanza dei documenti per la storia – osserva Daville´ – egli aveva voluto imitare coloro che avevano approntato delle raccolte nazionali e locali, e insieme dare un esempio che avrebbe potuto essere seguito in Germania54.
L’esordio dell’Introductio al primo volume, che contiene le fonti dell’alto Medioevo, e` assai significativo per comprendere come Leibniz valutasse la sua raccolta di fonti e la coscienza che aveva della storiografia del suo tempo e dei suoi progressi: qui, infatti, dopo aver sottolineato la superiorita` critica della storiografia del suo secolo rispetto agli storici dell’Umanesimo, dove vigeva ancora il principio di autorita` dello scrivente che garantiva la verita` storica, mentre hodie ab Historico probationes exigimus [Dutens IV, 2, 3],
il pensatore tesse l’elogio delle grandi collezioni storiche apparse dal Rinascimento alla fine del Seicento, come l’opera dei Centuriatori di Magdeburgo e quella di Baronio, richiamando gli eruditi e i collezionisti di fonti che l’hanno preceduto, in particolare in Germania e in Italia, ponendosi idealmente nel solco di tale tradizione. Indi, riassume la storia dei principi di Braunschweig (cfr. Dutens IV, 2, 3-9). Per il resto, in questa come nelle prefazioni ai tomi successivi, Leibniz si sofferma a illustrare ciascuno degli autori pubblicati e la storia dei manoscritti offerti (Dutens IV, 2, 9-52). Nonostante i limiti e gli errori rilevati nell’esecuzione tipografica, che l’autore cerco` di correggere, l’opera ebbe un rilevante successo nel mondo erudito europeo, come attestano i resoconti dell’opera leibniziana contenuti negli Acta eruditorum e nel Journal des Savants. Occorre ricordare, infine, uno studio particolare relativo alla cronologia del IX secolo elaborato nel corso della redazione degli Annales Imperii, ma che non fu compreso nella grande opera storica: alludiamo al trattato sulla presunta papessa Giovanna, intitolato Flores sparsi in tumulum Johannae papissae, esempio di critica storica con cui Leibniz mostro` il carattere leggendario e favolistico della storia della papessa Giovanna, non poggiante su alcun documento contemporaneo. Il testo leibniziano fu pubblicato da 55 Scheidt solo nel 1758, a un cinquantennio, dunque, dalla sua elaborazione . 54 L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 260-261. Sull’opera in questione, cfr. il documentato volume di H. Eckert, Gottfried Wilhelm Leibniz’ Scriptores rerum Brunsvicensium. Entstehung und historiographische Bedeutung, cit. 55 Cfr. in merito L. Daville´, Leibniz historien, cit., pp. 242-243 e W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 25.
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4. – La corrispondenza con Ludovico Antonio Muratori (1708-1716) e la redazione degli Annales Imperii Occidentis Brunsvicenses Giungiamo, con gli anni della pubblicazione degli Scriptores rerum Brunsvicensium, agli ultimi decisivi eventi, tra loro intrecciati, che hanno segnato la biografia di Leibniz come storico: alludiamo, da un lato, alla fitta corrispondenza con Muratori protrattasi dal 1708-1709 al 1716, dall’altro, alla redazione dello Hauptwerk leibniziano costituito dagli Annales Imperii. L’occasione del rapporto tra Leibniz e Muratori fu una questione politica contingente, vale a dire il conflitto scoppiato tra la Curia romana e la Casa d’Este a proposito dei diritti su Comacchio e Ferrara. Leibniz fu interpellato in via diplomatica da D.E. von Huldenberg il 17 novembre 1708, su richiesta dell’Imperatrice, in vista di un intervento di carattere storico a proposito di uno scritto dell’abate Giusto Fontanini, storico della Curia, intitolato Dominium temporale Sedis Apostolicae in Civitatem Comachi per 1000 annos, nel quale, naturalmente, si difendeva il dominio papale sulle Valli comacchiesi. La risposta di Leibniz verra` nel 1709 con un articolo scritto in francese, pubblicato nelle “Nouvelles de la Re´publique des lettres” di Amsterdam, e in latino, inserito negli “Acta eruditorum” di Lipsia (cfr. CML, 22 sgg.). Il contrasto, in realta`, finiva per coinvolgere la storia genealogica degli Estensi, percio` chiamava in causa le competenze dei due storiografi piu` direttamente coinvolti in quella vicenda storico-genealogica: Leibniz, forte del suo grande prestigio europeo, da una parte, e il piu` giovane Muratori, dall’altra. Questi, dall’agosto del 1700, era stato chiamato a Modena da Rinaldo I d’Este per il riassetto dell’archivio in cui, un decennio prima, Leibniz aveva lavorato. Il riordinamento dell’archivio, alla realizzazione del quale non erano estranee le pressioni che venivano dall’hannoverese, era stato voluto dagli Estensi per scopi politici, oltre che culturali, in vista di possibili rivendicazioni durante la questione della successione al trono di Spagna. Il duca di Modena nomino` Muratori bibliotecario e archivista di corte, incarico che fu mantenuto per cinquant’anni, fino alla morte dell’erudito, avvenuta nel 1750. Sull’opportunita` di un lavoro congiunto dei due storici, che potevano, per l’occasione, trovare un facile terreno d’intesa contro la politica della Curia romana, si era pronunciato sin dal 20 novembre 1708 il conte Carlo Antonio Giannini in una lettera al Duca di Modena. Occorreva, dunque, ad avviso del conte,
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servare l’istessa individuita` con Hannover rispetto all’historia della Serenissima Casa, cotanto maltrattata nella terza scrittura stampata da’ Preti ... Ne´ so, oh Dio!, se Vostra Altezza n’abbia ben al fondo osservate le rilevantissime conseguenze, con quella, massime, di quanto importi nel formar la risposta historica d’interessarvi il Serenissimo Elettore, e che ambidue gli archivisti o historiografi, cioe`, il Muratori per la Corte dell’Altezza Vostra et il Leibnitz per la parte Elettorale, comunichino le notizie insieme, e si formi una risposta vindice, altresı` conforme, quanto memorabile e gloriosa alla posterita`. La qual risposta dovra` (secondo il consiglio della Maesta` Sua) essere sottoscritta da ambidue li suddetti historiografi ... [CML, 8-9].
La querelle diplomatica accesasi tra Modena e Roma, che diede un impulso decisivo al coinvolgimento di Muratori nelle antiquitates genealogi56 che della Casa d’Este , condusse ben presto Rinaldo I e lo storico a desiderare di affrettare la pubblicazione dei risultati delle ricerche che avrebbero dovuto costituire la risposta alla Curia romana, in vista del successo degli interessi politici della Casa d’Este. Il 7 novembre 1709, infatti, cosı` lo storico modenese scriveva a Leibniz, che nella sua lettera precedente lo informava dell’intenso impegno in quel periodo profuso per gli Scriptores rerum Brunsvicensium: Ma poiche´ la veggio cosı` impegnata in pro` della patria e del pubblico, e conosco indiscreto il desiderio di farla rivolgere i suoi studj ad un’operetta particolare per la Casa d’Este, io vo pensando di accingermi solo all’impresa, purche´ mi sia prima conceduto di fare una scorsa in que’ luoghi, dove si puo` sperare qualche piu` antica notizia della Casa suddetta, e dove forse altri non s’e` immaginato di dover pescare [CML, 60].
L’11 dicembre Muratori precisava, tuttavia, a Leibniz che nulla si dara` fuori, senza che V. S. Ill.ma abbia riveduto e se n’abbia l’approvazione dal Ser.mo S.r Elettore [CML, 62].
L’urgenza dell’erudito italiano di pubblicare i suoi studi relativi alla Casa d’Este, nel corso della fitta e vivace corrispondenza con Leibniz, rappresento` un decisivo motivo di attrito tra i due storici, dal momento che l’hannoverese non si mostrava affatto disposto a precipitare la conclusione 56
Cfr. S. Bertelli, Erudizione e storia in Ludovico Antonio Muratori, cit., p. 185. L’intero capitolo III su Le «Antichita` Estensi» del lavoro di Bertelli e` fondamentale per la comprensione del rapporto tra Leibniz e Muratori.
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delle sue ricerche, che egli non riteneva definitive e che, anzi, con l’aiuto di Muratori, avrebbe voluto approfondire estendendo le indagini ad altri archivi italiani. Nello stesso mese di dicembre, il tedesco replicava in questi termini alla proposta di Muratori, non senza sottolineare l’anteriorita` delle sue ricerche genealogiche rispetto a quelle dell’italiano: Il y a de´ja plusieurs anne´es que j’ay amasse´ des me´moires servans a` l’histoire de Bronsvic et d’Este, ayant fait des voyages expre`s pour cela jusqu’en Italie, sans parler de plusieurs endroits de l’Allemagne. Depuis quelque temps je travaille a` ranger ces me´moires et a` les enchasser dans des Annales depuis Charles Magne jusqu’a` Otton IV, qui sont si avance´s, que j’espe`re de les achever dans deux ans d’icy, si Dieu me donne la sante´. Un autre pourra continuer depuis Otton IV jusqu’a` notre temps, mais il seroit peutetre bon que l’ancien passaˆt devant. Et j’avois espere´ que vos nouvelles recherches, Monsieur, serviroient a` perfectionner mon dessein touchant nos antiquite´s, et que pendant ces deux anne´es on obtiendroit peuteˆtre des nouvelles lumie`res, si S. A. S. vous chargeoit de voyager par l’Italie et de faire toutes les diligences convenables. Et cela me paroist plus utile, qu’une publication premature´e d’une Histoire Genealogique, ou` je doute qu’on puisse de´ja` montrer sin dove si possa condurre la genealogia. J’ay ramasse´ presque tout ce qu’on peut trouver dans les livres, et je m’imagine que j’ay, ou ay eu, a` peu pre`s les manuscrits et les diplomes qu’on a de´ja en main. Mais je crois qu’il faut tacher d’aller plus avant par le secours de quelques nouvelles lumie`res, et personne y sera plus propre que vous, Monsieur, si S. A. S. trouve bon, que vous vous y appliquie´s. Car de donner une Genealogie avant que d’avoir fait toutes ces diligences, ce sera s’exposer si non a` une retractation, au moins a` un nouveau travail, qui effacera le premier. Ainsi le meilleur sera de ne rien precipiter, ny negliger [CML, 68-69].
Indubbiamente, come sottolinea Bertelli a proposito dell’atteggiamento di Leibniz, bisogna intendere a questo proposito la condizione difficile in cui il Leibniz stesso veniva a trovarsi, quando dopo tanti anni di ricerche si vedeva proposta in forma ultimativa – il Muratori non aveva nascosto la decisione di voler ad ogni costo pubblicato il proprio studio – una dissertazione che rendeva largamente nulli i suoi studi57.
Nel testo epistolare riferito, e in molti altri che seguiranno, fino ai toni aspri degli ultimi scambi del 1716, si mescola indubbiamente il desiderio 57
Ivi, p. 207.
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del filosofo tedesco di non vedersi scavalcato dal piu` giovane storiografo italiano (Muratori era nato a Vignola, in provincia di Modena, il 21 ottobre 1672), giunto piu` tardi ai documenti decisivi della storia genealogica estense. A questo sentimento di orgoglio circa la priorita` delle sue scoperte, del tutto legittimo, occorre aggiungere la severa coscienza del ricercatore scientifico, ancora insoddisfatto dei risultati, che Leibniz non accetta – fatto quanto mai significativo – di vedere subordinati a una controversia diplomatico-politica contingente. Comunque Muratori, mentre il 27 marzo 1710 definisce «prudente e giusto» [CML, 69] il consiglio leibniziano di non precipitare la stampa delle ricerche genealogiche e dichiara di attendere l’esecuzione dei desiderati viaggi di ricerca, nel febbraio 1711 invia a Leibniz due lettere contenenti ciascuna un compendio dei risultati ottenuti circa il suo «sistema intorno all’origine degli Estensi» [CML, 80]: la prima era relativa agli antenati, la seconda ai successori di Azzo d’Este. Insieme all’invio, l’italiano esprimeva la richiesta al filosofo tedesco di pubblicare tali documenti ad Hannover. In caso contrario, avrebbe provveduto egli stesso a stamparli a Modena. Dei due scritti, era il primo, evidentemente, piu` del secondo, che rischiava di fare ombra alle ricerche leibniziane, tant’e` vero che il pensatore tedesco ne rifiutera` la pubblicazione entro i suoi Scriptores rerum Brunsvicensium. Di fronte a simile ostinata determinazione, Leibniz intraprese, nel tentativo di fermare Muratori, la via della diplomazia adducendo, tra gli altri, argomenti relativi ai rapporti con la Curia romana («les papalins»). Cosı`, il 10 marzo 1711 scriveva al ministro A.G. von Bernstorff: Le Bibliothecaire de Modene m’envoye deux grandes lettres latines et demande que je les fasse imprimer avec mon present ouvrage, qui doit paroistre cette foire de Leipzic. La premie`re regarde les progeniteurs d’Azon, la seconde regarde les descendans de ce Prince en Italie principalement. Je ne trouve aucune difficulte´ sur la seconde lettre, et pour le contenter en partie au moins, je mettray ordre a` l’impression. Mais je suis en doute sur la premie`re. Car je pouvois aussi publier ces choses il y a long temps; mais comme il reste plusieurs doutes et plusieurs e´claircissemens qu’on devroit chercher en plusieurs endroits de l’Italie, je conside`re que, si l’on publie ces choses avant que d’avoir fait ces recherches, on se ferme la porte en bien des endroits, parceque les gens verront clairement, de quoy nous avons encor besoin, et l’on est un peu envieux a` Rome, en Toscane, a` Parme et ailleurs des avantages de la Maison d’Este. Ainsi je serois donc d’avis, qu’on priaˆt cet auteur et meme S. A. S. de Modene, de faire surseoir cette publication jusqu’a` ce qu’on euˆt fait toutes les tentatives necessaires, et apre`s cela on n’y risquera rien. Mais j’attends la` dessus les
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sentimens de V. E. Je trouve que ce Bibliothecaire a grande envie de publier ses recueils, et il me dit qu’en cas qu’il ne soit plus temps, ou que j’aye des raisons pour ne pas publier ses lettres avec mon ouvrage, il les fera imprimer a` Modene. Pour moy je ne vois pas, a` quoy serve cette precipitation, et je voy bien, en quoy elle peut nuire. Car il n’en a nullement besoin pour refuter les papalins et en publiant des positions qui enveloppent encor quelques doutes, dans le temps ou` l’on est au plus fort de la dispute avec eux, on ne fait que donner matie`re a` leur critique et a` mettre meˆme des bonnes choses en danger d’eˆtre decrie´es [CML, 146-147].
Mentre, dunque, Leibniz assentiva alla pubblicazione del secondo documento pervenutogli, con lettera del 20 marzo 1711 metteva nuovamente in guardia Muratori dal pubblicare il primo [cfr. CML, 149-150]. Solo in forza delle suddette pressioni diplomatiche Muratori cedette, e nella lettera del 16 aprile 1711, nel piegarsi alle ragioni addotte da Leibniz, cosı` scuso` e motivo` le ragioni della sua «fretta»: I motivi della mia fretta erano il credere, che nel rispondere alla Difesa del Dominio fossi tenuto a non lasciar piu` correre quasi dissi la petulanza dell’autore d’essa, il quale torna a dire, che ne´ pure 1’autore delle Osservazioni e i ministri Estensi hanno saputo passare i sei secoli della genealogia, e che non sanno cominciare, se non dal Marchese Azzone, al quale ancora si e` egli messo a far guerra, procurando di confonderlo con altri Azzoni, e di fare di nazione Sueva il Duca Guelfo suo figliuolo, con altre simili strane censure. L’aver composte le due mie lettere senza censurare alcuno, mi facea sperare, che quello scrittore farebbe pausa una volta in questo argomento. Sappia ella poi, che negli stati del S.r Duca di Parma e de’ Veneziani, e in Lunigiana ed altrove si son fatte per mio maneggio varie ricerche, ne´ so se altro possa sperarsene. Ci resta la Toscana, della quale spero di non restare escluso. Ma giacche´ i saggi Ministri della Corte Elettorale di Brunsvic, e V. S. Ill. credono bene di differire a’ tempi migliori le notizie da noi raccolte, differiremo, essendo stato approvato un tal parere anche dal S.r Duca mio padrone [CML, 158].
Tra il 1714 e il 1716 Muratori intraprende il viaggio per gli archivi italiani proposto e auspicato da Leibniz. In questi anni la corrispondenza continuo` fittamente nel quadro di una sostanziale cordialita` e di un fruttuoso scambio di informazioni, fino al momento in cui i due corrispondenti, nel 1715, si inviarono reciprocamente i manoscritti con i risultati delle ricerche concernenti le origini della genealogia della Casa d’Este. Leibniz aveva a quel tempo gia` condensato le sue conclusioni nell’anno 960 degli Annales Imperii. A questo scambio, seguı` un nuovo e piu` aspro
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conflitto tra i due storici. Nel Post scriptum della lettera del 28 novembre 1715 Leibniz, dopo aver preso visione solo «sommariamente» del testo del suo interlocutore, sottolineava le divergenze sostanziali che dividevano le due ricostruzioni storiche e i rischi legati a una pubblicazione che, evidenziando tali diversita`, finisse per minare la reciproca credibilita` scientifica delle conclusioni: Je trouve aussi que si nous publierons les choses comme nous les avons conc¸ues, nous paroistrons fort contraires l’un a` l’autre sur des points capitaux: ce qui suffira aupre`s des gens peu favorables pour decrediter ce qu’on avance [CML, 236].
Lo stesso giorno (28 novembre 1715), da Modena, Muratori sollecitava la restituzione del manoscritto inviato ad Hannover (cfr. CML, 238), domanda che dovra` rinnovare piu` tardi (8 gennaio 1716) al suo interlocutore (cfr. CML, 240). La richiesta andra` ugualmente a vuoto, se e` vero che nel marzo 1716 Leibniz scriveva al ministro Bernstorff e, lo stesso giorno (10 marzo), al duca di Modena per giustificare il ritardo della consegna del manoscritto con i pressanti impegni e con l’argomento della serieta` della res in gioco, che esigeva ponderazione (cfr. CML, 249-252). Evidente appare, anche in questo caso, l’intenzione dell’hannoverese di prendere tempo e ritardare, cosı`, la pubblicazione dell’opera genealogica muratoriana. A questo punto, non solo appare definitivamente sfumata ogni concreta possibilita` di collaborazione a una comune opera storica, ma i toni della polemica si alzano. Il 12 marzo 1716 Muratori scrive all’abate Giuseppe Riva criticando apertamente il comportamento di Leibniz, e uscendo, a un certo punto, con la seguente affermazione, pesantemente allusiva alla celebre polemica tra il filosofo tedesco e Newton: Ma son rimasto io non poco stordito nell’intendere la lite che bolle costı` fra il suddetto signor Leibnizio, e il famosissimo cav. Newton, ch’io non credeva piu` vivo. Ho letto con sommo gusto il libricciuolo, e confrontando i giri tenuti meco per l’addietro da quel letterato, truovo somiglianza fra i medesimi, ma li truovo un poco tardi. Tuttavia si rimediera` il meglio che si potra`. Ma e` un brutto carattere quello de’ plagiarj [CML, 258].
L’affinita` tra la disputa tra Leibniz e Newton e l’atteggiamento tenuto dal filosofo di Hannover nei confronti di Muratori, con relativa accusa di plagio, riecheggia, in termini del tutto espliciti, anche nella lettera del conte G. Guicciardi al duca di Modena del 24 aprile, dove ingenerosamente e malevolmente si insinua il sospetto nei confronti de «li artifizii del Leibniz»:
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Ha pubblicato come sue le opinioni del sommo Newton e ne resta convinto per le di lui medesime lettere fatte stampare da chi vi ha interesse su tali ..., havendoli Muratori fidato il filo della di lui historia genealogica, e trattenendolo per lungo tempo nelle mani, prolungando l’impressione, mentre egli sollecita di dare alla luce la propria, ha havuto fondamento giustissimo di dubitare che possa fare lo stesso al Muratori che fece al Newton, togliendo parte della gloria che si deve ad un cosı` degno virtuoso di V.A. ... [CML, 264].
Il 25 aprile 1716 Leibniz scrive con polemica amarezza a Muratori rivendicando la priorita` delle sue scoperte in relazione alla genealogia di Azzo d’Este e denunciando il mancato riconoscimento di cio` da parte del collega modenese, accusato di citarlo solo per circostanze accessorie: Vous m’avoue´s sincerement que votre dessein est de faire imprimer votre ouvrage avant le mien, mais il faut que je vous avoue aussi sincerement d’avoir ete´ surpris que vous ne m’y attribue´s rien, et que vous parle´s comme si vous e´tie´s le seul qui avoit sc¸u les choses essentielles que vous y mette´s. Le plus souvent vous ne me cite´s que pour reprendre ou employer quelques minuties. Mais vous ne dites point que la Ser.me Maison de Bronsvic m’a envoye´ expre`s en Italie il y a plus de 26 ans que j’ay fait des recherches asse´s heureuses a` Modene, en Toscane et dans l’e´tat de Venise ... Vous adjoute´s: Questa risoluzione (di far fare una nuova copia) la presi io dopo avere bastantemente scorto, che la mia fretta poteva sperar poco nel ritorno dell’altra. Mais, Monsieur, vostra fretta e` troppo grande, si elle ne peut attendre quelques mois, et sans ce delay il e´toit inutile de m’envoyer l’ouvrage [CML, 269; 271].
La polemica, giunta cosı` a toni assai aspri, si compose formalmente con l’invio, da parte di Leibniz, del manoscritto, accompagnato dalla richiesta di rendere giustizia ai suoi meriti storiografici (cfr. CML, 273). Ma l’accento della lettera di Muratori del 22 maggio 1716, nel desiderio di chiudere la controversia, segna una definitiva presa di distanza e la conferma delle proprie ragioni, insieme a un non estinto malumore destinato a sigillare il rapporto tra i due eruditi58: 58
Conclude equilibratamente Bertelli, nel giudicare la polemica tra i due eruditi: «Mentre dunque ad Hannover ci si vedeva sopravvanzati da chi, giunto secondo, improvvisamente mostrava di esser venuto a fine del lavoro, avvantaggiato certo anche da un’opera di ricerca non sua, a Modena si temeva invece che il ritardo frapposto dal Leibniz alla riconsegna del manoscritto fosse dovuto non gia` al tempo che la stesura delle osservazioni richiedeva, bensı` al desiderio da parte dello studioso della casa di Brunswick di ritardare la pubblicazione
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Ora ella dice, ch’io nulla le attribuisco nell’opera mia. Dappoiche´ io senza ricevere da V.S. Ill.ma un minimo lume di tutta la mia tela, l’aveva io condotta a fine, non avrei mai saputo che attribuirle [CML, 275].
La disputa tra Leibniz e Muratori, qui sommariamente ricostruita, non deve far dimenticare sia il grande influsso scientifico esercitato dal pensatore tedesco sul piu` giovane storico italiano, sia la ricchezza dell’epistolario, nel quale, se non si parla quasi mai di metodo storico o delle grandi questioni politiche e religiose del tempo, e` pur contenuta una miriade di raffinate e preziose informazioni relative alle antiquitates genealogiche degli Este e dei Guelfi, che stavano a cuore ai due dotti. Sommo esempio, alla fine, di Repubblica delle lettere, pur con qualche tormento e amarezza. In ogni modo – commenta in questo senso M. Campori – e lasciando ad ogni lettore di formarsi del contegno rispettivo del Muratori e del Leibniz quel concetto che stimera` piu` equo, sarebbe un rimpicciolire d’assai il valore e l’interesse di questa Corrispondenza, limitandolo alla storia di quello spiacevole incidente; tanti sono i punti storici e le congetture genealogiche discusse in queste lettere, tanti gli elementi per esaminare ed apprezzare l’erudizione e la critica di quei due sommi. Non dubitiamo anzi in questo riguardo di affermare che queste lettere, non ostante qualche lacuna, formano un continuato e interessante commento critico ad una delle piu` celebri opere muratoriane, le Antichita` Estensi, e ad una delle piu` insigni collezioni storiche del secolo scorso, gli Scriptores Brunsvicenses del Leibniz; e di molte affermazioni e congetture in quelle opere contenute ci offrono una specie di storia ragionata, da cui gli studiosi potranno trarre qualche frutto [CML, XIV].
E` venuto, con cio`, il momento di parlare dello Hauptwerk storico leibniziano, di quegli Annales Imperii Occidentis Brunsvicenses che, frutto di un trentennio di ricerca, rappresentano un risultato mai raggiunto, per ampiezza di materiali e per severita` critica, in Germania prima di Leibniz, seppur destinato a rimanere incompiuto e sepolto negli archivi hannoveresi fino alla sua pubblicazione, avvenuta tra il 1843 e il 1846 grazie a Georg estense, per giungere primo con una propria, citando per giunta il collega italiano solamente in «alcune bagatelle». Motivi di risentimento e sospetto che erano legittimi in ambedue gli storiografi estensi, l’uno ben conoscendo la fretta sempre manifestata dal collega modenese, l’altro per il motivo contrario, comprendendo quanti ostacoli sarebbero venuti da Hannover contro una pubblicazione separata del lavoro genealogico, che palesemente contravveniva agli impegni piu` volte intercorsi tra le due Corti» (Bertelli, Erudizione e storia in Ludovico Antonio Muratori, cit., pp. 210-211).
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Heinrich Pertz. Il 16/26 ottobre 1696 Leibniz aveva scritto alla principessa Sophie: Si Dieu me donne la grace d’achever je me reserve pour mes vieux jours un Roman d’une espece toute particuliere. Ce sera l’Histoire du siecle futur, car je me meˆle un peu du sortilege, et je pretends deviner l’avenir. Je parleray comme si j’estois de ceux qui vivront a` cent ans d’icy. Les petits fils du Roy des Romains, et du Duc de Bourgogne seront des principaux personnages de mon Histoire. Mais un arriere petit fils de nostre Electeur n’y fera pas moins de figure. Ce sera un autre Roy Guillaume. Car je diray en confidence a` V. A. E. que j’ay luˆ dans le grand livre des destine´es, que la posterite´ de la princesse Anne fera place a` la vostre, et on sera oblige´ a` V. A. E. de l’honneur d’avoir porte´ un Royaume en dot a` la Maison de Bronsvic [A I, 13, 55-56].
«Leibniz profetizza – osserva Robinet – perche´ non ha mai cessato di abbracciare la totalita` delle cose e perche´ ha tentato di esprimere i princı`pi e le leggi non solamente degli spazi infiniti, ma anche del tempo infinito del 59 mondo» . Eppure, Leibniz non e` stato, nella lettera a Sophie, un buon profeta di se stesso: i vent’anni che il destino gli avrebbe dato ancora da vivere non gli sarebbero bastati, non solo per scrivere quella storia romanzata «du sie`cle futur», a cui allude nel testo, ma neppure per portare a compimento quella poderosa impresa storiografica – l’antipode di un romanzo storico: «Figura veritatis triumphantis, pyrrhonismo historico sublato» si legge nella bozza di frontespizio dell’opera approntata da Leibniz e riprodotta da Pertz nella sua Vorrede agli Annales Imperii (cfr. P I, 1, XXII) – perseguita sin dal 1685. Con la morte del pensatore, infatti, avvenuta il 14 novembre 1716, gli Annales Imperii, progettati dall’inizio del regno di Carlo Magno (768) fino al 1025, si arrestano all’anno 1005. Il pensatore vi aveva lavorato, dopo il rientro da Vienna nel settembre 1714, incalzato anche dalle pressanti sollecitazioni di Georg Ludwig, con vera abnegazione, nonostante i problemi di salute sempre piu` seri, dalla fine del 1714 agli ultimi mesi di vita. Ma la redazione dell’opera era gia` stata iniziata da diversi anni. La datazione delle fasi di elaborazione, come avverte 60 Daville´, e` incerta . E` solo dal 1707 che troviamo qualche indicazione in 59
A. Robinet, Leibniz et la racine de l’existence, cit., p. 11. Cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 237. Sulle fasi di elaborazione degli Annales, si veda anche la Vorrede di G.H. Pertz agli Annales Imperii stessi, in P I, 1, XVI sgg. La Prefazione di Pertz contiene una complessiva ricostruzione della genesi e dello sviluppo degli Annales leibniziani. Su Pertz e sulla sua attivita` di studioso cfr. H. Ritter von Srbik, Geist und 60
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merito61. Tuttavia, e` quanto meno possibile stabilire che nel 1711 Leibniz aveva scritto gli Annali fino all’anno 919; nel settembre del 1715 era giunto al 963; nell’ottobre dello stesso anno al 972 circa; nel maggio del 1716 al 1002, e ancora sperava di giungere alla meta dell’anno 1025 che si era proposto. La morte, sopraggiunta nel mese di novembre, dopo la sosta forzata del lavoro storico nel corso dell’estate – periodo segnato, tra l’altro, dalla redazione del grande Quinto scritto a Clarke (agosto 1716) – fermo` 62 per sempre il lavoro all’anno 1005, poco prima del suo completamento . La poderosa opera storica leibniziana – dopo le speranze di Johann Georg Eckhart di vederla pubblicata, con qualche variazione voluta dal primo ministro Bernstorff, gia` nel 1717 –, in seguito all’improvviso allontanamento di Eckhart da Hannover, ai progetti incompiuti dei successivi bibliotecari e ad altre complesse vicende editoriali, fu lasciata negli archivi hannoveresi, apparendo, «una volta sottratta al buio dell’oblio» come scrive Pertz (P I, 1, XXV), solo a partire dal 1843 sulla base della copia revisionata da Leibniz per la stampa. Un tempo, questo, tuttavia, in cui essa – come scrive Conze lamentando «la rilevante perdita per lo sviluppo della storiografia tedesca» di un lavoro che, per quanto incompiuto, aveva attinto «una vetta delle possibilita` di allora» – non poteva piu` esercitare un immediato influsso sulla ricerca63.
Sul piano del contenuto, impossibile da rendere nel dettaglio, gli Annales Imperii, fedeli ai piani che Leibniz aveva stilato tra il 1690 e il 1692, sono una storia medievale dell’Impero, che prende le mosse dal 768 e avrebbe dovuto giungere fino al 1025. In tal senso, l’opera non appare ne´ immediatamente ne´ esclusivamente in funzione della Casa principesca di Braunschweig-Lu¨neburg, ma inserisce la vicenda storico-genealogica nell’orizzonte piu` vasto della storia dell’Impero e dell’Occidente. La disposizione del materiale e` rigorosamente annalistica, dunque cronologicamente articolata anno per anno.
Geschichte vom deutschen Humanismus bis zur Gegenwart, Mu¨nchen-Salzburg 1950, I, pp. 234-236. 61 L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 238. 62 Per le datazioni indicate, cfr. ivi, p. 308 sgg. 63 W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 21. Sulle vicende degli Annales Imperii dopo la morte di Leibniz legate a Eckhart, ai successivi segretari storiografi e agli editori dell’opera postuma leibniziana cfr. la Vorrede di Pertz, in P I, 1, XXVI sgg.
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E` soprattutto negli Annales Imperii – osserva in proposito Daville´ – che Leibniz fa ampio spazio alla cronologia: essa domina tutta l’opera. Leibniz vi distingue sempre i buoni cronologisti da quelli non attendibili, segue i primi e si sforza di rettificare i secondi; si adopera per datare tutti i fatti con esattezza64.
Ma, al di la` di tale ordinamento stilistico, che Leibniz accolse assecondando la prassi storiografica piu` severa della sua eta`, gli Annales – scrive ancora Daville´ – sembrano corrispondere a un certo piano: Leibniz dichiara di volersi applicare soprattutto alla storia della Germania e d’Italia, principalmente a quella dei Sassoni, dei Bavaresi, dei Longobardi e dei Romani, per meglio conoscere la storia dei Braunschweig; in realta`, egli studia prima di tutto la storia dell’Impero e degli imperatori, in seguito quella della Germania e d’Italia, della Francia e dei piccoli regni vicini, poi quella dei diversi Paesi occidentali, Bretagna, Spagna, e anche quelli d’Oriente, l’impero bizantino e l’impero arabo nei loro rapporti con l’Europa. Cosı` Leibniz, che dichiarava di aver potuto confutare gli errori grazie all’estensione della sua documentazione, sperava che l’opera fosse utile anche al di la` della storia dei Braunschweig e dei suoi prı`ncipi65.
Il piano, qui sinteticamente descritto, nel quale si adunano le infinite conoscenze che Leibniz aveva raccolto, grazie alle frequentazioni di archivi e biblioteche e alle fitte relazioni con gli eruditi del suo tempo, nel corso dei trent’anni in cui si occupo` della storia dei Guelfi (1685-1716), e` certo sorretto da princı`pi d’ordine ontologico (legge di continuita`) e gnoseologico (logica del probabile), ispirati dalla teoresi dell’hannoverese. Nel rinviare a un prossimo paragrafo la trattazione di essi, mette conto citare la lettera a Muratori del 18 ottobre 1715, dove il filosofo sosta sul “metodo” dei suoi Annales, in cui il rinvio a orizzonti sempre piu` vasti evidenzia l’infinita connessione tra tutte le cose, o legge di continuita`, che sta alla base dell’opera determinandone lo sforzo, inevitabilmente destinato al naufragio e all’incompiutezza, di abbracciare la totalita` dell’esistente nelle sue cause e nei suoi effetti: Vous verre´s en meˆme temps, Monsieur, la methode dont je me sers dans mes Annales, que j’ay commence´ avec le Regne de Charlemagne, et que je 64
L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 428. Un quadro della storia dinastica della Casa di Braunschweig si trova compendiato nelle prime pagine della Vorrede di G.H. Pertz agli Annales Imperii (cfr. P I, 1, V sgg.). 65 L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 329-330.
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pousseray jusqu’a` la fin de Henri le Saint, le dernier Empereur de l’ancienne maison de Bronsvic; et y expliqueray de cette maniere les origines les moins connues de la maison du cote´ d’Azon, des Guelfes, de Witikind, de Ludolfe auteur de la premiere race de Bronsvic, des Ecberts de la seconde race (que je crois venir de la premiere), et enfin de la maison de Northeim. Ce seront des Annales de l’Empire, ou` les affaires de la France orientale et occidentale et de l’Italie seront explique´es. Et j’y donneray quantite´ de remarques nouvelles ayant eu des subsides que peu d’Historiens ont eu pour ces temps. Je n’ay puˆ bien faire les Annales de l’Histoire de la Maison sans faire celles de l’Empire; car Witikind et Ludolfe obligent a` donner celles de Saxe, les Guelfes fournissent celle de la Haute Allemagne, et Azon avec ses ancestres et ceux qui sont lie´s avec luy celles de l’Italie. Les Rois de la Bourgogne Transjurane ont aussi este´ de la famille des anciens Guelfes. Et sous Henri l’Oiseleur, les trois Ottons et Henri le Saint, l’Histoire de l’ancienne Maison est directement celle de l’Empire [CML, 226].
Cosı` Conze aduna in limpida sintesi il vastissimo e incircoscrivibile contenuto degli Annales Imperii: Contenuto principale degli Annales dell’Impero sotto i Carolingi e i Sassoni sono le “storie” (die “Geschichten”), nel senso delle romane “res gestae”, ovvero, secondo un concetto usuale del tempo, della “Historia publica”, vale a dire gli eventi visibili della storia politica e militare. Qui Leibniz offre realmente una rappresentazione che, in parte, racconta nello stile degli esempi classici, prima di tutto di Livio, in parte si lascia andare a larghe discussioni critiche in cui si riportano volentieri dettagliate citazioni e importanti documenti nelle loro parole testuali. Tuttavia, il carattere peculiare degli Annales sta nelle immense ricerche particolari in cui ricorrono costantemente tipici interessi principali, secondo l’uso proprio dell’epoca. A questi appartengono innanzitutto discussioni genealogiche con frequenti tabelle di alberi genealogici nel testo, disposizioni cronologiche di acume critico redatte con sensibile gusto per l’oggetto trattato, geografia storica e localizzazione di nomi di Paesi pervenuti (per esempio di battaglie ecc.), brevi biografie ed Elogia, che vengono dati abbastanza regolarmente per l’anno di morte di importanti personalita`, prima di tutto degli imperatori, e che in genere non superano nella loro caratteristica individuale le espressioni dirette dei rispettivi scriptores contemporanei, digressioni etnologiche in occasione di menzioni di popoli e ceppi, le cui origini, migrazioni, parentele, storia, usi e condizioni vengono piu` o meno largamente annotate, ricerche di storia del diritto o delle costituzioni, osservazioni di storia militare, contributi alla “Historia litteraria”, per la quale Leibniz indica l’esempio di de Thous, e infine, con particolare preferenza, esposizioni ecclesiastiche e teologiche nelle quali si avverte
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chiaramente la sua partecipazione personale. Tutti questi problemi particolari vengono quasi sempre proposti ugualmente come discussioni critiche, spesso con storici del XVI e XVII secolo. Cosı`, si ha l’impressione di un lavoro assai concentrato, in cui manca ogni prolissita` e dove ogni frase e` stata scritta soltanto dopo accurata e acuta riflessione66.
In questo immenso quadro e` importante fissare, pur sinteticamente, l’idea di Medioevo e l’apporto alla medievistica quali emergono dall’opera leibniziana. Gia` sappiamo quanto il concetto di Medioevo sia stato precocemente adottato da Leibniz, che lo impiega gia` nella Nova Methodus (1667). La media historia, o medium aevum, si estende per lui dalle invasioni dei Barbari che irrompono nell’Impero romano e che condurranno alla formazione degli Stati germanici, fino a Federico III (1452-1493), fino dunque al tempo nuovo segnato dalla Riforma, punto di partenza dell’eta` moderna. L’ingresso sulla scena della storia dei Germani non segna, per Leibniz, un decadimento, dal momento che egli coglie con acume storico la crisi e l’imbarbarimento gia` all’interno dell’Impero romano, ma l’irruzione di una energia nuova, che fa seguito alla decadenza etico-politica romana, e che sara` compito di Carlo Magno cristianizzare e, mediante cio`, incanalare provvidenzialmente nella formazione della storia europea. Franchi, prima, e Sassoni, poi, sono i due popoli barbarici la cui emergenza storica e` all’origine delle principali svolte dell’eta` medievale. Si sono, con cio`, evidenziate le tre grandi tappe che Leibniz riconosce nell’Alto Medioevo: le migrazioni dei Germani e le invasioni barbariche; la formazione del Regno franco, cui segue la nuova fondazione dell’Impero ad opera di Carlo Magno; l’inizio dell’eta` ottoniana e del periodo imperiale sassone nel X secolo, che restaura, con Ottone I, il potere di Carlo dopo il confuso periodo precedente, riducendo nuovamente il potere secolare dei Papi. Su quest’ultimo punto, in particolare, il giudizio di Leibniz riflette naturalmente quello protestante, antitetico a quello degli Annales di Baronio, al quale vengono peraltro sempre opposti rigorosi argomenti critici desunti da fonti sicure. Nel Medioevo Leibniz vede le basi germinali degli Stati europei del suo tempo e in particolare dell’Impero cristiano germanico. Proprio in questo esibire i fondamenti del presente, evidenziando le origines dell’Impero cristiano-germanico – di cui il pensatore si era gia` occupato nel Trattato di 66
W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., pp. 22-23. Cfr. G. Scheel, Leibniz’ Pla¨ne fu¨r das “Opus historicum” und ihre Ausfu¨hrung, in Akten des Internationalen Leibniz-Kongresses, Hannover, 14.-19. November 1966, Band 4, SL, Supplementa, 4, cit., pp. 134-155.
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Cesarino Furstenerio e che negli Annales trovano la loro rappresentazione storica – sta certo il significato piu` autentico dell’opera storica leibniziana e il motivo essenziale dell’interesse del pensatore tedesco per il Medioevo. La`, la nuova Europa cristiana e lo stesso Impero tedesco rinvenivano le loro scaturigini. Accanto alla storia dell’Impero germanico, Leibniz pone negli Annales la regione sassone e le sue stirpi nobili come la guida dell’Impero. Nelle grandi figure degli Ottoni – che ricevevano la piu` alta ammirazione di Leibniz, da Enrico I a suo figlio Ottone I, descritto come il terzo grande Augusto dopo Costantino e Carlo Magno – il pensatore vede gli strumenti di una Provvidenza che ha condotto il corso degli eventi fino al tempo presente. Cosı` Leibniz puo` rivisitare apologeticamente il secolo X, l’eta` classica degli Ottoni e l’epoca aurea del popolo tedesco – epoca mai piu` riattinta e alla quale, anzi, segue un progressivo decadimento – contro la rappresentazione che la voleva come un’epoca di infelicita` e di barbarie. L’espressione che sigilla gli Annales Imperii nell’anno 1005 – «... quos ex tenebris eruendos aliorum diligentiae relinquo» [P I, 3, 878] – per quanto riferita a qualcosa di specifico, puo` tuttavia ben assurgere a cifra non solo dell’incompiutezza dell’opera storica leibniziana, ma dell’intero suo pensiero. Come accade alla monade, che sottrae senza fine alle tenebre delle percezioni minime orizzonti sempre nuovi, che si sa avvolta da un’oscurita` da cui puo` sporgere con il suo “de´partement” appercettivo, e che soltanto l’unita` armonica con le altre monadi puo` arricchire, cosı`, Leibniz concludeva la sua impresa storiografica nel segno della fiduciosa, armonica relazione tra le menti, quasi allusione all’ecclesia invisibilis dei sapienti a cui aveva sempre avuto la consapevolezza di appartenere, o alla Citta` di Dio evocata nel finale del Discours e della Monadologia, lasciando alla diligenza di altri cio` che restava da compiere.
5. – La concezione generale della storia Occorre, dopo aver analizzato diacronicamente il Denkweg leibniziano nel dominio degli studi storici, nonche´ la relativa attivita` storiografica, lumeggiare la concezione di fondo della storia da essi ricavabile. Dalla disamina svolta appare evidente, come primo, per quanto non unico, fattore costitutivo, l’appartenenza del pensatore di Hannover al filone storico-erudito moderno, alla nuova critica diplomatica dedita a scandagliare archivi e a dissotterrarne i tesori documentari. E, certo, Leibniz puo` ben assurgere a simbolo di quella «folla di eruditi» che, come scrive P. Hazard,
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lavorava, impegnata in compiti ingrati: pubblicare testi, decifrare documenti, grattare pietre, forbire monete. Una piccola folla coraggiosa, appassionata; un formicaio, che aveva i suoi artigiani e persino i suoi guerrieri. Dei bravi operai, amanti dei lavori rudi, cercavano di stabilire delle certezze, importanti o secondarie, ma incrollabili; e senza interpretazioni frettolose, senza pregiudizi, senza deformazioni, esumavano materiali solidi, acquisiti una volta per sempre67.
A voler identificare i fondamenti teorici strutturali della storiografia leibniziana, e` possibile prendere le mosse dallo scritto giovanile De Ratione perficiendi et emendandi Encyclopaediam Alstedii (autunno 1669-inizio 1671 [?]), dove si legge: Quicquid sciri dignum est, distinguo in Theoremata seu rationes, et observationes seu historiam rerum, historiam locorum et temporum [A VI, 2, 395].
Il dominio della storia, qui nettamente separato da quello dei teoremi o ragioni, viene cosı` ulteriormente specificato nello stesso documento: Historiae sunt propositiones singulares contingentes, sumtae a sensu composito seu inductione [A VI, 2, 396].
L’ambito della storia, dunque, e` costituito dall’insieme delle proposizioni singolari contingenti (ad es.”Augusto fu imperatore dei Romani”), che il filosofo distingue, oltre che dai teoremi o dalle proposizioni scientifiche, anche dalle proposizioni universali contingenti, o observationes affidate all’induzione (ad es. “Tutti gli uomini adulti in Europa hanno conoscenza di Dio”), secondo un’ulteriore precisazione coglibile nell’Ars combinatoria: 83. Admonendum denique est, totam hanc artem complicatoriam directam esse ad theoremata, seu propositiones quae sunt aeternae veritatis, seu non arbitrio DEI sed sua natura constant. Omnes vero` propositiones singulares quasi historicae, v. g. Augustus fuit Romanorum imperator, aut observationes, idest propositiones universales, sed quarum veritas non in essentia, sed existentia fundata est; quaeque verae sunt quasi casu, id est DEI arbitrio, v. g. omnes homines adulti in Europa habent cognitionem DEI. Talium non datur demonstratio sed inductio. Nisi quod interdum observatio per observationem interventu Theorematis demonstrari potest. 67 P. Hazard, La crisi della coscienza europea, cit., p. 69. Proprio a Leibniz, infatti, Hazard si riferisce subito dopo (cfr. pp. 69-70).
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84. Ad tales observationes pertinent omnes propositiones particulares, quae non sunt conversae vel subalternae universalis. Hinc igitur manifestum est, quo sensu dicatur singularium non esse demonstrationem, et cur profundissimus Aristoteles locos argumentorum posuerit in Topicis, ubi et propositiones sunt contingentes, et argumenta probabilia, Demonstrationum autem unus locus est: definitio. Verum cum de re dicenda sunt ea quae non ex ipsius visceribus desumuntur, v. g. Christum natum esse Bethleemi, nemo huc definitionibus deveniet: sed historia materiam, loci reminiscentiam suppeditabunt. Haec jam locorum Topicorum origo, et in singulis maximarum, quibus omnibus qui sint fontes, ostenderemus itidem, nisi timeremus ne in progressu sermonis cupiditate declarandi omnia abriperemur [A VI, 1, 199].
Il dominio delle proposizioni storiche, come si legge nel testo riferito, sfugge al calcolo combinatorio in quanto fondato non sull’essenza ma sull’esistenza, non sulla necessita` delle verita` eterne ma sul “caso” o “arbitrio di Dio”. Sono gia` visibili, qui, in nuce, la distinzione tra verita` contingenti e verita` di ragione e l’inquadramento di fondo delle proposizioni storiche entro il primo ambito veritativo. Quanto tale impostazione fosse destinata a restare definitiva, lo conferma eloquentemente, tra gli altri, un testo dei Nouveaux essais: L’existence reelle des estres qui ne sont point necessaires est un point de fait ou d’Histoire, mais la connoissance des possibilite´s et des necessite´s (car necessaire est dont l’oppose´ n’est point possible) fait les sciences demonstratives [A VI, 6, 301].
Una simile accezione di storia, cosı` ampia da trascendere il significato abitualmente piu` ristretto ad essa conferito, e tale da coprire tutto l’orizzonte dell’esistenza di fatto – dell’esistenza non necessaria di necessita` assoluta, ma solo ipotetica, secondo la nota Begrifflichkeit leibniziana – e` pertanto tenuta ferma dal pensatore tedesco nel corso dell’intero suo Denkweg. Essa appare rilevante non solo per il fatto di abilitare la monade creata a definirsi in modo strutturalmente storico, ma altresı` per essere alla base di un generale processo di storicizzazione del mondo: Incontestabilmente – scrive Y. Belaval – Leibniz si e` applicato ad avere del nostro universo una veduta storica. E, altrettanto incontestabilmente, la sua filosofia si prestava a una tale veduta68. 68 Y. Belaval, Leibniz critique de Descartes, cit., p. 111. Di diverso avviso, sul tema della storicizzazione del mondo, si mostra W. Schneiders in Aufkla¨rung durch Geschichte. Zwi-
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Dal canto suo, precisa Robinet nell’evocare il lavoro di F. Olgiati sul Significato storico di Leibniz: La filosofia di Leibniz non mette in opera che delle sostanze fondamentalmente “storicizzate”, la cui durata concreta implica lo sviluppo vivente e continuo. Volendo esprimere la totalita` delle sostanze in una formula unica, Leibniz ha senza posa mirato a offrire di Dio, dell’umanita` e dei rapporti tra Dio e l’umanita`, un’espressione completa. Tale “visione” dell’universo ha come trama fondamentale uno sviluppo della “storia”69.
Le proposizioni singolari contingenti costituiscono dunque l’ambito dei fatti opposto a quello dei ragionamenti, e fanno della storia una scienza descrittiva del passato, una cognitio singularium, la “mater observationum”, la fonte delle osservazioni, per quanto non confusa con esse, come viene ribadito anche nella Nova Methodus I § 32, dove si evidenzia la fonte ispirativa principale di simile concezione, Francesco Bacone: Historia igitur est mater observationum. De cujus natura, constitutione, partitione egregie` Fr. Baconius de Verulamio in tractatu incomparabili de Augmentis Scientiarum, nec minus praeclare` in novo suo scientiarum organo [A VI, 1, 284-285].
Nel capitolo primo del Libro II del baconiano De Augmentis scientiarum, si legge infatti: La storia si occupa esclusivamente delle cose individuali, che sono circoscritte nello spazio e nel tempo ... Tutto cio` e` opera della memoria70.
Quanto tale idea della storia come ricerca e raccolta di res singulares, dell’individuo reale, come cognitio singularium e mater observationum, che Bacone lega alla memoria piuttosto che alla fantasia (poesia) e alla ragione (filosofia), corrisponda al dominio dell’erudizione, e` Yvon Belaval a delucidare, sottolineando – a proposito del passo di una lettera di Leibniz a Pierre-Daniel Huet del marzo 1679 (cfr. A II, 1, 465) riferito oltre – che schen Geschichtstheologie und Geschichtsphilosophie: Leibniz, Thomasius, Wolff, in Aa. Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 84. Riferisce e concorda con il punto di vista di Schneiders M. Fichant in LF, 197-198. 69 A. Robinet, Leibniz et la racine de l’existence, cit., p. 91. 70 F. Bacone, Della dignita` e del progresso delle scienze, Libro II, Capitolo I, in Id., Opere filosofiche, a cura di E. De Mas, Bari 1965, vol. II, p. 87.
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compresa in tale maniera, l’erudizione e` sinonimo della storia in senso baconiano: mater observationum ... Limitata al quid facti, essa poggia sulla pura memoria e non sulla pura ragione che tratta quid juris. Le sue proposizioni contingenti sfuggono dunque alla necessita` delle proposizioni veramente universali, sia che, come nelle scienze della natura, la loro generalita` sia solamente indotta, o che registrino i casi che non rientrano sotto una legge, sia che, come nella storia umana, riferiscano le azioni memorabili di grandi individui71.
Se non fosse, come osserva ancora Belaval72, per la sua sottoposizione a una qualche razionalita` – quella che presiede alle verita` di fatto, definita dalla logica del verosimile – la concezione della storia leibniziana sin qui esposta non offrirebbe particolari elementi di novita`: essa risulterebbe relegata al campo del non-razionale, della memoria, separato da quello della ragione, dell’invenzione, apparterrebbe al puro dominio del quid facti, finendo per comporre un’idea di storia come accumulazione descrittiva, come registrazione e tesaurizzazione di eventi. La stessa che Claude-Gilbert Dubois, nel suo fondamentale studio sulla storiografia francese del XVI secolo, cosı` tratteggia: Si trattava essenzialmente – scrive l’autore a proposito delle raccolte annalistiche del Cinquecento – di un lavoro di registrazione di decreti e decisioni, e il ruolo dello storico non era niente piu` che quello di un cancelliere. Era, per piccoli fatti, la vita di una dinastia, o di una comunita` e delle sue regole. I fatti messi nel cassetto, catalogati e datati, la storia per casellari. Nessun respiro, un museo di fatti compiuti. Nessuna dinamica, solo tecniche di registrazione. Nessuna creativita`, nessuna sintesi, ma un lavoro di collazione e di collezione. Quando una societa` e` fermamente stabilizzata, non puo` esservi ricerca dei princı`pi evolutivi nello svolgimento della vita quotidiana. Non puo` esservi scienza in movimento, ma una pura tecnica di fissazione73.
Vedremo in che modo la logica del probabile corrisponda, in Leibniz, all’esigenza di elevare la storia oltre un simile realismo ingenuo, fondato sull’idea che il fatto storico si offra nell’immediatezza delle sue apparenze, in esse esaurendo il proprio significato, e che pertanto la storia esista gia` prima dell’intervento dello storico e, in qualche modo, a prescindere da
71 72 73
Y. Belaval, Leibniz critique de Descartes, cit., p. 101. Ivi, p. 102. C.-G. Dubois, La conception de l’histoire en France au XVI sie`cle (1560-1610), cit., p. 29.
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esso, non senza sottolineare, da parte nostra, quanto lo sforzo profuso in tal modo da Leibniz nel fondere scienza erudita e sistema filosofico sia riuscito solo in parte. Legata all’influsso baconiano, del resto, non e` solo la concezione di fondo sin qui delineata della storia come «mater observationum», come registrazione e raccolta di fatti singoli, ma anche l’articolazione della storia universale. La quale infatti, come osserva Sergio Bertelli, non puo` essere fatta risalire alle grandi scuole erudite dell’eta` classica – maurina, bollandista, giansenista – ancora ferme, sotto questo aspetto, alla prospettiva teologico-escatologica tradizionale, ma all’influsso inglese, oltre che, piu` in generale, al lungo e complesso processo di secolarizzazione che aveva preso le mosse dalla Riforma ed era stato indi recepito dalle universita` 74 tedesche in cui Leibniz studio` . Affrancatosi, senza alcun apparente sforzo, dal dualismo agostiniano delle Citta`, cosı` come dagli altri schemi biblico-teologici ancora fortemente praticati nel Seicento, quale, in particolare, quello dei «quattro Imperi», che affonda le sue origini nella storiografia pagana dell’eta` ellenistica e nel Libro 75 di Daniele , Leibniz suddivide, come il filosofo del De Augmentis scientiarum, la Historia in naturalis («histoire de la nature corporelle»), abbracciante i tre regni della natura, e civilis o humana. In cio`, e` rinvenibile una specificazione e precisazione del concetto di storia precedentemente evidenziato come spazio generale di tutte le proposizioni singolari contingenti, di per se´ genericamente inclusivo dell’interezza dell’esistente, coincidente cioe` con la totalita` del creato. 74
Cfr. S. Bertelli, Erudizione e storia in Ludovico Antonio Muratori, cit., pp. 225-226. Sul processo di secolarizzazione dell’Universalhistorie e sulla ricezione della problematica nelle universita` tedesche, cfr. A. Klempt, Die Sa¨kularisierung der universalhistorischen Auffassung, cit., e A. Momigliano, L’insegnamento della storia come soggetto accademico e le sue implicazioni, in Id., Tra storia e storicismo, Pisa 1985, pp. 75-96. 75 Si veda, sull’argomento, M. Miegge, Il sogno del re di Babilonia. Profezia e storia da Thomas Mu¨ntzer a Isaac Newton, Milano 1995; S. Guarracino, Le eta` della storia. I concetti di Antico, Medievale, Moderno e Contemporaneo, Milano 2001; K. Pomian, L’ordine del tempo, cit., p. 110 sgg.; J. Le Goff, Storia e memoria, cit., p. 227 sgg. E` naturalmente fondamentale la confutazione della dottrina delle quattro monarchie ad opera di Jean Bodin contenuta nel settimo capitolo della Methodus ad facilem historiarum cognitionem (1566), su cui si veda G. Cotroneo, Jean Bodin teorico della storia, Napoli 1966 (in part. cap. 7). Leibniz, che, come scrive Daville´, «non ha mai seguito il sistema dei quattro imperi» (Id., Leibniz Historien, cit., p. 343), tuttavia conosceva bene tale dottrina. Daville´ ricorda in proposito l’opuscolo dell’aprile 1706 intitolato Vom parallelismo Historiarum, wie solcher in einer figur vorzustellen; gezogen aus einem mir zugeschickten Vorschlag, auf welchen ich einige Erinnerung gegeben (cfr. ivi, p. 222).
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Che, in particolare, della storia umana Leibniz abbia precocemente attinto una solida immagine, lo testimonia la lettera, gia` ricordata, a J.A. Bose del 26 settembre/6 ottobre 1670. In essa il giovane Leibniz pone un’unica storia universale, suddivisa in distinte Historiae («partes unius Historiae universalis»): locorum (Geogr.), temporum (Chronol.), hominum (Vitae), familiarum (Geneal.), Rerumpublicarum, Incrementi artium et scientiarum (Literaria) ... Religionum, Migrationis gentium, mutati habitus corporum, animorum, historias animalium, stirpium, siderum etc. Sic tamen ut omnes velut partes unius Historiae universalis ordine temporum deductae esse videantur, qvae sola omnes omnium causas inter se et cum universo connectit demta Historia naturali specierum, qvae sibi perpetuo` similis est, nec ut historia systematis, a` temporum tractu pendet. Historiam vero` systematis universi Ephemerides Astronomorum tradunt [A I, 1, 103].
Spicca nella lettera allo storico di Jena la cruciale divisione di ambiti improntata ai tempi e agli spazi che sta alla base delle altre Historiae. Cronologia (storia dei tempi) e geografia (storia dei luoghi) appaiono gia` qui come i due pilastri disciplinari su cui si impianta l’edificio storico, che si definisce, cosı`, prima di tutto come Historia temporum et locorum. Ma poco dopo, nel medesimo testo, Leibniz definisce la storia universale in termini essenzialmente temporali e cronologici («Historiam vero` systematis universi Ephemerides Astronomorum tradunt»), cio` che, come sottolinea Corsano commentando questo testo, spiega che la predilezione del Leibniz per la annalistica non e` casuale ma scaturisce dalla convinzione della intrinseca costituzione cronologica della vicenda76.
Che sia il tempo, prima ancora che spazio e geografia, a definire la storia universale, lo conferma, del resto, l’esclusione dalla Historia universalis della «Historia naturali specierum», che restando sempre identica a se stessa («qvae sibi perpetuo` similis est»), appare sottratta ai mutamenti temporali. La circolarita` delle parti con il tutto che sembra caratterizzare in senso organicistico la visione universalhistorisch leibniziana in questo testo, pare avere come plasma e come humus proprio il tempo e la sua mobilita`. La 76
A. Corsano, Bayle, Leibniz e la storia, cit., p. 53 nota 9. Su Joh. Andreas Bose come storico universale cfr. A. Klempt, Die Sa¨kularisierung der universalhistorischen Auffassung, cit., p. 77.
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stessa humus, alla fine, che connette la storia universale all’astronomia, al sistema dell’universo. E la stessa humus, aggiungiamo, che spiega la centralita` storiografica, in Leibniz, del tema delle «origines». Nondimeno, non si puo` sottacere il rilievo decisivo che la considerazione spaziale, il dettaglio circostanziale, geografico, riveste in Leibniz, il quale distingueva una geografia «naturale» e una «civile», una geografia «antica» e una «moderna» («Historia locorum est geographia tum vetus tum recens»; cfr. A VI, 2, 396). Osserva ancora Corsano a proposito di tale esigenza di esattezza spaziale: sembra ch’egli [Leibniz] quando si rivolge all’ambiente fisico nel quale la vicenda storica si e` compiuta, ne sia affascinato fino a essere distolto dal compito principale: cosı` dalla premessa geologica e per qualche tratto anche paleontologica che costituisce la prospettiva piu` arretrata nel tempo, trapassa alla contemporaneita` geografica e etnografica, con l’immancabile seguito della ricerca linguistica: cui non manca mai una dimensione spazio-temporale nettamente prevalente, oltre che sulle tentazioni convenzionalistiche, su quelle logico-semantiche, per non dire di quelle estetico-espressive, assai raramente considerate. Pertanto la geografia diventa per Leibniz una disciplina tanto connessa con la storia da esserne quasi assorbita77.
Nel piu` tardo Memoire pour des Personnes e´claire´es et de bonne intention (1692 circa), ricorre un’articolazione della Historia humana non lontana da quella delineata nella lettera a Bose: Mais outre l’Histoire de la Nature corporelle il est encor important de connoistre l’Histoire humaine, et les arts et sciences qui en dependent. Elle comprend l’Histoire Universelle des temps, la Geographie des lieux, la recherche des antiquite´s et des anciens monumens, comme medailles, inscriptions, Manuscrits, etc.[,] la connoissance des langues et ce qu’on appelle la philologie, qui enferme encor les origines Etymologiques; j’adjoute encor l’Histoire Literaire qui nous apprend les progre´s de nos connoissances, et ce que nous devons aux estudes des autres, aussi bien que le moyen de trouver chez les auteurs les notices dont on a besoin dans les rencontres pour profiter des travaux d’autruy. Je tiens meˆme que l’Histoire humaine comprend celle des coustumes et des loix positives, dont les principales sont les loix Romaines qui servent 77
Ivi, p. 61. Sulla distinzione della geografia in naturale e civile, cfr. Opuscules et fragments ine´dits. Extraits des manuscrits de la Bibliothe`que Royale de Hanovre, e´dite´s par L. Couturat, Paris 1903, nuova ed.: Hildesheim-Zu¨rich-New York 1988, pp. 527 e 40.
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de fondement a` la jurisprudence prive´e et publique receue aujourdhuy; outre les loix fondamentales des Estats, avec les blasons, genealogies et controverses illustres ou pretensions des princes dont il est bon d’estre informe´, non pas tant par ce que ces choses soyent bonnes en elles meˆmes, que parce qu’elles causent des grandes revolutions, qui nous enveloppent, et qui interessent les societe´s dont nous faisons partie. Enfin j’y comprends encor l’Histoire des Religions, et sur tout celle de la veritable Religion revele´e, avec l’Histoire Ecclesiastique. Comme cette Histoire de la Religion est la plus importante pour nostre salut a` fin de sc¸avoir ce que Dieu a revele´ ou non; on peut dire avec raison que le plus grand usage de la connoissance des Antiquite´s et des Langues mortes, est celuy qu’on en tire pour la Theologie; tant a` l’egard de la verite´ de la religion Chrestienne et de l’autorite´ des livres sacre´s, que pour expliquer ces meˆmes livres et lever mille difficulte´s; et pour connoistre enfin la doctrine et la practique de l’Eglise de Dieu, et les loix ou Canons de la jurisprudence divine […] [A IV, 4, 616].
Ecco, dunque, l’elencazione dei singoli domini concernenti l’Histoire humaine evidenziati in quest’ultimo documento: — Storia universale dei tempi. — Geografia dei luoghi. — Ricerca delle antichita` e dei monumenti (medaglie, iscrizioni, manoscritti, etc.). — Conoscenza delle lingue, filologia e origini etimologiche. — Storia letteraria. — Storia dei costumi e del diritto positivo, con particolare riguardo alla storia del diritto romano, comprensiva delle leggi fondamentali degli Stati, dei blasoni, delle genealogie, delle controversie e pretese dei principi. — Storia delle religioni, soprattutto quella della religione rivelata, insieme alla storia ecclesiastica. Colpisce, di questo disegno, insieme alla vastita` di interessi, che Leibniz coltivo` trasfondendoli nella grande sintesi finale degli Annales Imperii, la perdita di centralita` dell’Historia sacra, che consente a Conze di osservare quanto nella sua immagine della storia universale il pensatore avesse spinto in avanti il processo di secolarizzazione78. Analoghe considerazioni valgono 78
Cfr. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 39.
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quanto alla periodizzazione della storia particolare dell’Occidente: anche a questo proposito e` rinvenibile in Leibniz fin dagli anni giovanili, in luogo dei vecchi schemi biblico-escatologici, l’articolazione in storia antica, medievale e moderna. La nozione di Medioevo, in particolare, che in Germania sara` soprattutto Christoph Cellarius a diffondere mediante la sua Historia medii aevi (1688), diviene familiare a Leibniz assai presto, se e` vero che la troviamo gia` utilizzata nella Nova Methodus discendae docendaeque jurisprudentiae dove, alla storia greca e romana, segue la Historia rerum Germanicarum, seu Medii Aevi ad intelligendum Jus Feudale,
e poi la Historia Hodierna ad intelligendum Jus Publicum [A VI, 1, 321].
La Riforma protestante si presenta nel § 40 della Parte II della stessa opera come l’inizio della storia moderna, che comprende dunque, per Leibniz, il XVI e il XVII secolo. Osserva a questo proposito ancora Conze: Con tale suddivisione tripartita in Antichita`, Medioevo ed Eta` moderna, o nella separazione tra tempi in mitici e storici, Leibniz aveva precocemente adottato una visione della storia nella quale l’antica immagine storica del cristianesimo non era piu` determinante ... Nessun nuovo eone iniziava con tale evento che cancellava oppure fondava nuovamente la storia. Il tenersi fermo alla fede cristiana in armonia con la sua filosofia non impedisce a Leibniz di seguire il corso dei tempi, per il quale cio` che e` secolare (das Sa¨kulare) entro la “series temporum” era divenuto il contenuto autentico e la “verita`” della storia. Se si riflette sulle conseguenze di questa visione storica, che Leibniz ha concorso a trarre nella sua epoca, diviene chiaro che le antiche dottrine sul quarto Impero mondiale o sulla sesta eta` del mondo non potevano piu`, per lui, trovare alcuno spazio nel corso storico, per quanto Leibniz sia stato educato, da giovane, a ricevere queste rappresentazioni, e per quanto in un giovanile scritto politico abbia fondato la posizione dell’Impero romano-germanico, pur con cautela, sulla profezia di Daniele del quarto Impero mondiale79. 79
Ivi, p. 74. Il giovanile scritto leibniziano ricordato da Conze e` intitolato: Fundamentum Romanae Monarchiae est, quod alioqui prophetia Danielis foret falsa, quae promittit durationem usque ad adventum Christi, in Notata quaedam varia Leibnitii de Imperio Romano-Germanico (O. Klopp, Die Werke von Leibniz, cit., I, p. 151). Sull’articolazione della storia universale in eta` antica, medievale e moderna, precocemente recepita da Leibniz cfr. anche A. Klempt, Die Sa¨kularisierung der universalhistorischen Auffassung, cit., p. 77.
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Ne´ va dimenticato che Leibniz intendeva includere nella storia universale del genere umano popoli orientali come Cinesi e Arabi, secondo quanto documentano le Nouvelles Ouvertures (aprile-ottobre 1686): Dans peu il faudra aller fouiller chez les Chinois et Arabes, pour achever l’Histoire du genre humain, autant qu’on la peut tirer des monumens qui nous restent, soit par e´crit, soit sur des pierres ou metaux, soit meˆme dans la memoire des hommes, car il ne faut pas ne´gliger entierement la tradition [A VI, 4 A, 687].
Ritroviamo la stessa articolazione dei periodi storici, cui il pensatore restera` sempre fedele, nel promemoria del 1 luglio 1692 scritto per il duca Ernst August, dove si fa riferimento al grado di possibile esattezza dell’«Histoire ancienne», «moyenne» e «moderne» [ZhVN, 1885, 22]. Proprio a questo documento, gia` in precedenza riprodotto in alcuni passaggi essenziali, ci si puo` nuovamente riferire per delucidare il modo in cui Leibniz, al tempo della sua piena maturita` intellettuale, concepiva la costruzione della rappresentazione storica e l’idea di scientificita` che di essa aveva. Qui, il pensatore, come si e` gia` visto, traccia una comparazione tra le componenti strutturali della storia e le parti del corpo di un animale, affermando che, nell’organismo storico, la cronologia corrisponde alle ossa o allo scheletro, che sorregge tutto, la genealogia ai nervi o ai tendini, che garantiscono i legami tra le parti, i motivi nascosti agli «spiriti invisibili» che danno alla macchina corporea movimento e impulso, gli esempi utili al sangue e agli altri umori corporei, e infine il dettaglio delle circostanze alla carne che riveste l’intero organismo. L’anima, la parte spirituale della storia, che tutto avvolge e abbraccia, e` infine identificata con la verita` (cfr. ZhVN, 1885, 20-21). Il procedimento comparativo, com’e` evidente, va dall’interno all’esterno, dalle parti strutturali che garantiscono compattezza e coesione all’intero organismo a quelle che si aggiungono a completarlo e a rivestirlo, cosı` che la narrazione storica non appaia una scheletrica esposizione genealogica – «car tout le monde n’aime pas les genealogies seches et les minuties des affaires particulieres» ricorda Leibniz nella lettera accompagnatoria – ma si arricchisca di cose qui tirent sur l’universel et qui puissent contenter un peu la curiosite´ generale [A I, 8, 27].
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tutivi della storia potra` ulteriormente lumeggiare la concezione leibniziana, integrando quanto gia` osservato. Partiamo dalle genealogie. Nel suo studio sullo Streit concernente l’eredita` del ducato di Sachsen-Lauenburg, rivendicato dalla Casa di Braunschweig-Lu¨neburg, che vide Leibniz coinvolto, Ru¨diger Otto ha compendiato in tre punti il significato delle genealogie in Leibniz: accanto alla gloria del Casato, in funzione della sua grandeur nel presente, e al calcolo politico, finalizzato a fondare nella storia le pretese presenti, sta, in posizione dominante, la scoperta dei documenti e l’esigenza scientifica: In una lettera a Daniel Papebroch, Leibniz spiegava che l’interesse principesco alla propria genealogia reca come conseguenza la conservazione e la comunicazione di documenti che, altrimenti, sarebbero probabilmente andati perduti, cio` che rappresenta un vantaggio per l’intera storiografia. Ma il valore scientifico della genealogia non si esaurisce naturalmente in questa funzione quasi maieutica, essendo la genealogia, per Leibniz, una importante garanzia per cio` che e` possibile in generale alla storiografia come scienza. Mentre egli esorta a essere cauti quando si vuole tenere conto, per la spiegazione di fatti storici, di motivi nascosti di persone agenti, appare consigliabile, nella sua convinzione, la genealogia – accanto alla cronologia – proprio perche´ rappresenta la parte controllabile della realta` storica. Il collegamento di parentela tra persone contiene un nesso chiaramente dimostrabile di cause ed effetti, che rende immune la genealogia, premessa la controllabilita` critica dei suoi dati, dai dubbi sull’attendibilita` di asserzioni storiche espressi dal contemporaneo pirronismo storico80.
Medesime considerazioni possono valere per la cronologia. Ma se genealogie e cronologie rappresentano le componenti essenziali su cui si fonda l’edificio storico, quelle che piu` ne qualificano e ne garantiscono l’assetto strutturale e il rigore scientifico, Leibniz ha cercato di offrire al mondo sapiente del suo tempo e al pubblico qualcosa di piu` di una mera storia genealogica di una Casata principesca. Tre sono i mezzi con cui il pensatore dichiarava di voler distinguere la sua storia da quelle degli autori del suo tempo: lo stile della costruzione storica, l’esattezza con cui venivano rinvenute le origini della Casa hannoverese e ricostruite le relative genealo-
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R. Otto, Leibniz als Historiker. Beobachtungen anhand der Materialien zum SachsenLauenburgischen Erbfolgestreit, in Labora diligenter, SL, Sonderhefte, 29, cit., pp. 211-212. Sulla Historia come storia genealogica in quanto espressione della moderna «laicizzazione del ricordo» cfr. A. Assmann, Ricordare, cit., p. 52 sgg.
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gie, e infine qualche scoperta «poco comune», capace di coronare l’unicita` di tale rappresentazione storica (cfr. ZhVN, 1885, 26-27). L’aspirazione leibniziana a offrire una storia fornita di severi criteri di scientificita`, che l’avrebbe segnalato nella Re´publique des savants e reso esemplare, in particolare, nella storiografia tedesca, al cui vertice il pensatore aspirava evidentemente a collocarsi, contamina, fino a trascenderlo, l’incarico cortigiano assunto a partire dal 1685 e rappresenta una delle ragioni essenziali dei continui rinvii della conclusione degli Annales Imperii, destinati alla fine a rimanere incompiuti. Et moy – scrive Leibniz a Ernst August il 5 (15 gennaio) 1691, non senza sottolineare la fatica del continuo ricorso alle fonti e ai documenti – je pretends de donner un exemple que les Historiens des Grandes Maison[s] ayent a` suivre, a` quoy M. Spener, Justel et autres hommes excellens en ces matieres m’exhortent, reconnaissant, qu’on n’a rien encor fait de tel en Allemagne ny en Italie. Mais cette sujection de recourir aux auteurs, et de feuilleter a` tout moment dans les livres, fait perdre furieusement du temps [A I, 6, 21].
Dopo i fattori fondativi rappresentati dalle genealogie e cronologie, un altro elemento indicato nel promemoria del 1692 ci consente di additare, della storia, un’ulteriore caratterizzazione: alludiamo ai “motifs cache´s” e alla distinzione tra Historia publica e Historia arcana. Nella Prefazione al Codex Diplomaticus (1693), di poco successiva alla Denkschrift a cui facciamo riferimento, Leibniz aveva insistito su tale distinzione, motivandola sul fatto che nell’azione compiuta da un personaggio storico occorre sceverare tra l’atto, quale risulta dalla documentazione codificata nelle fonti pubbliche, e l’animo, cioe` le ragioni interiori, i motivi nascosti, gli impulsi, le circumstantiae celate, le minime, spesso impercettibili molle che hanno indotto quel soggetto ad agire in un certo modo anziche´ in un altro. La Historia publica comprende tutti i fatti pubblici conosciuti non attraverso le narrazioni degli storici, ma mediante documenti certi in quanto ufficiali, non dunque alterabili dal punto di vista soggettivo di chi racconta o riferisce. La precarieta` degli atti pubblici («infirmitas chartacei vinculi»; Dutens IV, 3, 288) e` dovuta al fatto che essi lasciano in ombra le intenzioni riposte, l’animo che ha indotto un sovrano o un principe a prendere una decisione, e la cui trattazione e` affidata alle biografie, alle storie private, ma tale precarieta` e` lo scotto da pagare per attingere un piu` alto grado di fides historica. Gli atti pubblici, in tal senso, rappresentano una sorta di “rasoio di Ockham”, un “ritaglio” selettivo che, mentre conferisce oggettivita` e certezza agli eventi storici, li astrae da quel fondo umbratile di microcause pur essenziali:
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Saepe` etiam unam noctem principis male` dormientis et inde consilia acerba ex praesenti animi vel corporis habitu capta, mox multa miserorum millia suo sanguine luerunt. Interdum muliebris impotentia maritum vel amatorem impellit; saepius affectus ministrorum in Dominos contagio transferuntur [Dutens IV, 3, 289]81.
Del resto, proprio nel lasciare da parte i motivi nascosti sta la vera forza probatoria della storia pubblica, che come nessun’altra restituisce la certezza dei fatti e consente di toccare la realta` storica con sicurezza. Dal canto loro, le Historiae arcanae, il cui modello Leibniz rinveniva negli Anecdota di Procopio, nell’esibire i motifs cache´s, le forze spirituali non oggettivabili, sono le piu` passibili di deformazioni legate a opinioni, passioni, interessi, le piu` soggette alla parzialita` degli storici, che si fanno adulatori o detrattori dei personaggi descritti. Rispetto ad esse occorrera` esercitare il piu` ampio scetticismo, e in questo dominio la skepsis del pirronismo storico ha ben ragione d’essere. Inoltre, aggiunge Leibniz nel Codex diplomaticus, la storia arcana e` la meno fornita di esemplarita` pedagogica, dal momento che troppo spesso le narrazioni indulgono ai difetti, alle bassezze morali dei grandi uomini. In tal modo, anche chi sul piano della storia pubblica abbia lasciato gesta e imprese memorabili, al vaglio delle Historiae privatae rischia di risultare diminuito o di uscire moralmente annientato. Conclude dunque Leibniz in un testo fondamentale: Itaque valde` infida Historia est, nisi quae Commentariis magnorum virorum, aut Actis publicis, superstruitur. Sunt igitur Actorum publicorum Tabu-
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Il problema che Leibniz intuisce, relativo alle microcause produttrici di grandi effetti, in fondo non e` lontano da quello, agitato da tanta storiografia contemporanea, del caso in storia, noto sin da Pascal anche come il problema del “naso di Cleopatra”. «Si tratta – spiega E. Carr nelle sue celebri Lezioni sulla storia – della teoria secondo cui la storia sarebbe in sostanza un susseguirsi di accidenti, una serie di eventi determinata da coincidenze casuali, e attribuibili unicamente a cause imprevedibili. Il risultato della battaglia di Azio fu dovuto non gia` al tipo di cause postulate generalmente dagli storici, bensı` all’infatuazione di Antonio per Cleopatra. Allorche´ Bajazet fu distolto dal marciare verso l’Europa centrale da un attacco di gotta, Gibbon osservo` che “un umore maligno che corroda una fibra del corpo di un uomo e` in grado di impedire o di posticipare il disastro di una nazione”. Allorche´ nell’autunno del 1920 re Alessandro di Grecia morı` in seguito al morso di una scimmietta, si scateno` una serie di eventi che indusse sir Winston Churchill a osservare che “il morso di questa scimmia provoco` la morte di duecentocinquantamila persone”» (E.H. Carr, Sei lezioni sulla storia, tr. it. di C. Ginzburg, Torino 1976, pp. 105-106). Per una critica a questa teoria della causalita` in storia cfr. le pp. successive del testo di Carr.
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lae pars Historiae certissima, quibus perinde ac Numismatibus & lapidum inscriptionibus, rerum fides transmittitur posteritati ... Sunt autem foederum, pacificationum, concessionum Tabulae, velut paxilli, quibus statuminatur moles atque interstinguitur aedificium Historiae [Dutens IV, 3, 289]82.
L’identita` tra Acta publica e facta, pur nella coscienza critica delle astuzie politiche che sono celate sotto le formule dei trattati [cfr. Dutens IV, 3, 291], non potrebbe essere piu` limpida. Assecondando un tratto peculiare della tradizione erudita, Leibniz sembra ritenere, alla fine, che una volta assodata l’autenticita` di un documento sulla base della critica filologica, ogni incertezza relativa al contenuto, ai fatti registrati, scompaia. Il fatto si risolve, con cio`, nel suo essere documentato. L’atto pubblico, dove sia dichiarato criticamente autentico, e` per forza anche vero, latore di «rerum fides», in quanto non deformato dal punto di vista soggettivo del cronista. Anche per Leibniz, dunque, si direbbe, per usare un’espressione di Edward H. Carr riferita ai positivisti ottocenteschi, i documenti costituivano l’Arca del Patto nel tempio dei fatti83.
La diffidenza verso storici, cronisti e memorialisti, nonche´ verso tradizioni orali, miti e favole sembra stemperarsi o addirittura annullarsi di fronte all’autorita` del protocollo, del documento di diritto pubblico. Emerge massimamente, qui, quell’identita` tra fatto e documento d’archivio, tra avvenimento ed enunciato, tra res gestae e historiae rerum gestarum, che, come ha osservato M. Fichant, «impronta qualcosa di essenziale della pratica di storico quale fu quella di Leibniz, cosı` come egli l’ha attuata e pensata» [LF, 171]. E` caratteristico – prosegue lo studioso illustrando questo aspetto capitale – della costituzione del fatto storico cosı` come Leibniz lo costruisce, di essere gia` affidato allo storico come fatto di lingua. Le res gestae si offrono meno mediante fonti narrative e testimonianze, le quali ne consegnerebbero l’evenemenzialita`, che sotto la forma elaborata di testi codificati ... Lo storico e` innanzitutto archivista poiche´ la realta` stessa dei fatti dei quali egli ordina la raccolta e` costituita dal deposito degli atti: esiste, cosı`, perfetta adeguazione dei fatti ai discorsi, dal momento che i fatti degni di entrare nella Storia sono gia` cose scritte [LF, 171-172]. 82 83
Leibniz torna sulle Historiae arcanae nei Nouveaux essais IV, 16, 10 (cfr. A VI, 6, 466-467). E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, cit., p. 20.
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Nel frammento sull’Apokatastasis, dove ricorre l’articolazione tra Historiae publicae et privatae, emerge un’altra implicazione, non priva di risonanze metafisiche: poiche´ nell’individuo reale (non nel soggetto “fissato” nel documento) si trova l’infinita` delle piccole percezioni (e dunque l’impossibilita` dell’apokatastasis stoica, dell’eterno ritorno dell’uguale), e poiche´ le Historiae privatae lasciano intravedere quel fondo di piccole percezioni che gli atti pubblici celano, le storie private sembrano quasi il medium tra le Historiae publicae e la metafisica della storia poggiante sull’harmonia universalis, tra la ferma “giuridicita`” del soggetto storico ritagliata nei protocolli e l’infinita` dell’individuale riconosciuta in sede metafisico-storica. Nelle Historiae privatae, imperniate come sono sull’individuo, e` avvertibile infatti piu` sensibilmente il non-detto, l’al di la` del documento, il “rimosso” degli atti pubblici, perche´ e` in relazione all’individualita` che trapela l’infinita` dei predicati insieme all’inevitabile selezione a cui essi sono sottoposti dallo storico. Chissa` se proprio in cio` non risieda la ragione dell’interesse che Leibniz – pensatore attratto dall’esattezza matematica e scientifica almeno quanto dall’ermetica densita` delle variazioni minime – nutrı` per le storie private, genere che in effetti non manco` mai di coltivare, dalle biografie principesche contenute nei vari Personalia allo Specimen historiae arcanae sive anecdota de Vita Alexandri VI. Papae seu excerpta ex diario magistri Johannis 84 Burchardi (cfr. Dutens IV, 2, 74-76) . Il pensatore, in effetti, coltivo` tale genere di storie nonostante esse paghino la maggiore prossimita` al fondo criptico della monade con l’estenuarsi della certezza, della controllabilita` documentaria dei fatti, cosı` da rispondere in modo insufficiente alle attese della fides historica. La pagina dei Nouveaux essais IV, 16, 10 in cui Teofilo sosta sulle storie private e si delinea una logica del probabile applicata alla storia ispirata a criteri di ragionevolezza ed elasticita`, e` un testo esemplare per la centralita` della preoccupazione leibniziana per la quaestio de fide historica in esso espressa. Eccone alcuni passaggi: Les Critiques en matiere d’histoire ont grand egard aux temoins contemporains des choses; Cependant un contemporain meˆme ne merite d’estre 84 Cio` potrebbe rappresentare una risposta al paradosso sottolineato da Horst Eckert per cui Leibniz, pur non ascrivendo alle storie private o aneddotiche che un grado ridotto di certezza storica, fu attratto da tale genere storiografico fino a praticarlo a piu` riprese (cfr. H. Eckert, Gottfried Wilhelm Leibniz’ Scriptores rerum Brunsvicensium. Entstehung und historiographische Bedeutung, cit., p. 3).
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cru que principalement sur les evenemens publics; mais quand il parle des motifs, des secrets, des ressorts cache´s, et des choses disputables, comme par exemple, des empoisonnemens, des assassinats, on apprend au moins ce que plusieurs ont cru. Procope est fort croyable quand il parle de la guerre de Belisaire contre les Vandales et les Gots, mais quand il debite des medisances horribles contre l’Imperatrice Theodora dans ses Anecdotes, les croye qui voudra ... On s’emancipe meˆme d’ecrire des Romans dans l’histoire, et celuy qui a fait la derniere vie de Cromwel, a cru que pour e´gayer la matiere, il luy estoit permis en parlant de la vie encor prive´e de cet habile usurpateur, de le faire voyager en France, ou` il le suit dans les auberges de Paris, comme s’il avoit este´ son Gouverneur. Cependant il paroit par l’histoire de Cromwel faite par Carrington homme informe´, et dedie´e a` Richard son fı`ls quand il faisoit encor le protecteur, que Cromwel n’est jamais sorti des Isles Britanniques. Le detail sur tout est peu seur. On n’a presque point de bonnes relations des battailles; la pluspart de celles de Tite Live paroissent imaginaires, autant que celles de Quinte Curce [A VI, 6, 466-467].
E si veda come, in un passo di poco successivo, Leibniz stigmatizzi le false e inattendibili genealogie invalse nel suo tempo: Sur tout l’histoire propre et prive´e des peuples est sans credit, quand elle n’est point prise des originaux fort anciens, ni asse´s conforme a` l’histoire publique. C’est pourquoy ce qu’on nous raconte des anciens Rois Germains, Gaulois, Brittaniques, Ecossois, Polonais et autres, passe avec raison pour fabuleux et fait a` plaisir. Ce Trebeta fils de Ninus fondateur de Treves, ce Brutus auteur des Britons ou Brittains sont aussi veritables que les Amadis. Les contes pris de quelques fabulateurs, que Trithemius, Aventin, et meˆme Albinus et Sifrid Petri ont pris la liberte´ de debiter des anciens princes Francs, Boı¨ens, Saxons, Frisons; et ce que Saxon le Grammairien et l’Edda nous racontent des antiquite´s recule´es du Septentrion, ne sauroit avoir plus d’autorite´ que ce que Kadlubko premier historien polonnois nous debite plaisamment d’un de leur Rois gendre de Jules Cesar [A VI, 6, 469]85.
Per concludere su questo punto: nello sceverare i diversi livelli di certezza storica, nel sottolineare che toutes les parties de l’Histoire ne sont pas egalement susceptibles d’exactitude [ZhVN, 1885, 22], 85
Un documento interessante circa il giudizio di Leibniz sui genealogisti del suo tempo e` la lettera a Ferdinand Wilhelm von Schwarzenberg del 4/14 maggio 1698 (cfr. A I, 15, 563-565).
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nel distinguere, in definitiva, tra storia pubblica e storia arcana, Leibniz intendeva erigere un solido baluardo a difesa della fides historica contro il pirronismo. La suddetta distinzione rappresenta, dunque, un momento essenziale della strategia opposta alla scepsi libertina. Possiamo con cio`, per seguire ancora lo schema offerto dal promemoria del 1692, venire al tema dell’esemplarita` morale della storia, al motivo cioe` – di ascendenza classica e invalso nell’ars historica umanistico-rinascimentale – della “Historia magistra vitae”. Proprio in tale idea ci imbattiamo gia` in un giovanile testo degli Elementa juris naturalis (1670-1671): Felicitatem generis humani in eo consistere ut qvousqve licet et possit qvae velit, et sciat qvae e` re sit velle, manifestum est. Qvorum illud pene assecutum est, in hoc deficit nusqvam minus potens qva`m in se ipsum. Constat enim potentiam ejus hac tempestate in immensum auctam esse, ex duobus elementis orbis nostri alterum pene domitum, alterum ab alterius rapacitate recuperatum, id est maria mobilibus qvibusdam pontibus strata, terras immanibus hiatibus divisas nunc redunitas. Coelum ipsum nos fallere non posse, et cum sidera sua occulit a deformi lapillo suppleri: idem propius nobis admotum, et multiplicatos oculos ad interiora rerum admissos, centuplicatam mundi faciem, jam novos orbes, jam novas species, aeqvali admiratione illic magnitudinis, hıˆc parvitatis videri. Nec deesse alterius generis conspicilia, qvibus non loco tantu`m, sed et tempore dissita pervideantur, eam historiae lucem illatam, ut possimus videri semper vixisse, paratum novum monumentorum genus, utcunqve papyraceum omni tamen aere perennius, qvo fieri possit, ut super omnes temporum barbarorum, tyrannorumqve injurias semper magna ingenia vivant, et certam coeli immortalitatem imaginaria nominis aeternitate praecipiant [A VI, 1, 459].
In questo brano – che ha attirato l’attenzione anche di Cassirer, tanto che il filosofo delle forme simboliche vi rileva «le determinate condizioni dell’epoca sulla base delle quali e` sorta la teodicea filosofica leibniziana 86 della storia» – in cui vivissimo appare l’avvertimento, di sapore baconiano, di un’unita` del mondo recentemente attinta e di una grandiosa svolta nel sapere, dopo l’elogio dei cannocchiali, che permettono di accorciare le distanze spaziali, Leibniz passa a trattare, tessendone altrettanti elogi, di un altro tipo di cannocchiale, che rende familiari distanze non piu` spaziali, ma temporali: si tratta del cannocchiale della storia che, mentre proietta l’individuo in altre eta` offrendogli un’impressione di immortalita`, erige un 86
E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., pp. 346-347.
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monumento cartaceo, ma pur piu` duraturo del bronzo, a uomini e cose degni di essere ricordati, consentendo loro di vincere la barbarie dei tempi bui, dei tiranni, e di attingere eternita` di fama, immortalita` celeste. Sul piano strettamente linguistico e stilistico, e` facile osservare il debito leibniziano per uno dei piu` invalsi topoi della cultura seicentesca, quello del cannocchiale appunto. Cifra della contraddizione e del potere metamorfico, cari al Barocco, lo strumento ottico che ingigantisce cose piccole e rimpicciolisce cose grandi e` fatto oggetto di elogio da autori come Galileo e Tesauro, da poeti come Marino, da pensatori come Comenio, che nel Labirinto del mondo e il paradiso del cuore (1631), lo impiega metaforica87 mente legandolo alla storia, analogamente a Leibniz . Ma se dal piano formale passiamo al contenuto del tropo, ci troviamo, come si diceva, di fronte a una peculiare espressione del locus classicus dell’“Historia magistra vitae”. Il senso del lavoro storico e` – scrive Leibniz – quello di ricostruire e rianimare il passato cosı` da edificare, contro l’ingiuria del tempo e il buio della barbarie, un monumento perenne ai grandi modelli della storia. In tal modo, essi potranno essere elevati in modo imperituro nello spazio della memoria, nella celeste immortalita` della fama, e i posteri, forti del loro esempio, potranno apprendere cose memorabili. Qui, il sapere storico e l’acuirsi dello sguardo all’indietro non valgono tanto a evidenziare un dislivello tra passato e presente, un processo di perfezionamento di cui si e` testimoni, ma piuttosto a fissare paradigmi, archetipi eterni utili per il presente. La coscienza di un’accelerazione storica nel campo delle scienze della natura e nell’arte della scoperta, che inevitabilmente rende il tempo presente diverso da quello passato, sembra coesistere, dunque, nelle stesse righe, contraddittoriamente, con la paradigmaticita` di exempla memorabili. Viene quasi da rilevare, blochianamente, nel testo in questione, a conferma del metaxu epocale in cui Leibniz si trova, la presenza di un’asincronia (Ungleichzeitigkeit), di due diverse temporalita` confliggenti: quella immobile della Historia magistra vitae, e quella, legata all’accelerazione storica e al 88 progresso, destinata, come scrive Koselleck , a erodere e a cacciare dalla cattedra la vecchia storia esemplare. E` un esempio, se la nostra analisi e` corretta, della persistenza dell’antico accanto al presagio del nuovo nel genio di Hannover. 87
Cfr. J.A. Komensky, Il labirinto del mondo e il paradiso del cuore, tr. it. di T. Kubı´cek, Milano 2003, pp. 91-92. Si veda il cenno di R. Koselleck, Futuro passato, cit., pp. 157-158. Sul cannocchiale come metafora barocca, cfr. A Battistini, Il Barocco, cit., p. 109. 88 Cfr. R. Koselleck, Futuro passato, cit., p. 37.
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Leibniz, del resto, ha espresso in molti altri luoghi la sua concezione utilitaristica ed edificante della storia. Esemplare, in questo senso, e` il § 148 degli Essais de The´odice´e: contro il pessimismo machiavellico di Bayle, pensatore ossessionato come pochi dallo scandalo del male nella storia, il quale osserva che «l’histoire n’est qu’un recueil des crimes et des infortunes du genre humain», Leibniz scrive: Je croy, qu’il y a en cela de l’exageration: il y a incomparablement plus de bien que de mal dans la vie des hommes, comme il y a incomparablement plus de maisons que de prisons. A l’egard de la vertu et du vice, i1 y regne une certaine mediocrite´. Machiavel a de´ja remarque´ qu’il y a peu d’hommes fort mechans et fort bons, et que cela fait manquer bien de grandes entreprises. Je trouve que c’est un defaut des Historiens, qu’ils s’attachent plus au mal qu’au bien. Le but principal de l’Histoire, aussi bien que de la poesie, doit eˆtre d’enseigner la prudence et la vertu par des exemples, et puis de montrer le vice d’une maniere qui en donne de l’aversion, et qui porte ou serve a` l’eviter [GP VI, 198].
E in un altro passo emblematico dei Nouveaux essais si legge: Mais je desirerois qu’il y eut des personnes qui s’appliquassent preferablement a` tirer de l’histoire, ce qu’il y a de plus utile, comme seroient des exemples extraordinaires de vertu, des remarques sur les commodite´s de la vie, des stratagemes de Politique et de guerre. Et je voudrois qu’on fı`t expre´s une espece d’histoire universelle qui ne marquaˆt que de telles choses et quelques peu d’autres le plus de consequence, car quelquefois on lira un grand livre d’histoire, savant, bien ecrit, propre meˆme au but de l’auteur, et excellent en son genre, mais qui ne contiendra guere d’enseignemens utiles, par lesquels je n’entends pas icy de simples moralite´s, dont le Theatrum vitae humanae et tels autres florileges sont remplis, mais des adresses et connoissances dont tout le monde ne s’aviseroit pas au besoin [A VI, 6, 470-471].
Naturalmente, al canone classico dell’utilita` morale della storia, intesa come raccolta di exempla, di modelli o di conoscenze utili per la posterita`, Leibniz aggiunge il fine fideistico-religioso, l’avvaloramento, attraverso gli eventi passati, delle verita` di fede. Ne risulta un adattamento dell’antico ideale ciceroniano a un intento apologetico: vecchio proposito di ascendenza medioevale, naturalmente, per quanto esso vada colto nell’orizzonte del disegno, innovativo e peculiarmente leibniziano, di un cristianesimo razionale e di una teodicea filosofica. Che, da questo punto di vista, le conoscenze storiche siano un mezzo
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privilegiato per entrare «in arcanum providentiae consilium» [A VI, 4 A, 434], dal momento che «Historia Divinae providentiae speculum est» [A VI, 4 A, 468], e che dunque maxima omnium Eruditionis utilitas in eo consistit, ut verae religioni serviat [A VI, 4 A, 434],
e` tema fondamentale della visione storica leibniziana che ci e` gia` accaduto di sottolineare. Scrive in proposito Daville´, richiamando alcuni momenti in cui per Leibniz si sarebbe mostrata in modo piu` luminoso la divina provvidenzialita` del corso storico: Per Leibniz la storia dimostra la Provvidenza di Dio e la verita` del cristianesimo ... Egli dichiara che il trionfo completo del cristianesimo nell’Impero romano e presso i Germani fu effetto della volonta` divina, cosı` come la battaglia di Poitiers, che salvo` l’Europa dall’islamismo. Piu` tardi i maomettani avrebbero minacciato nuovamente l’Occidente con i Turchi e i Tartari, ma l’invenzione della polvere da sparo, che e` lecito nuovamente attribuire alla Provvidenza, giunse in tempo per impedire le invasioni. Nella stessa epoca altre due grandi invenzioni, quelle della bussola e della stampa, hanno cambiato la faccia dell’umanita`, permettendo di scoprire un nuovo mondo e di convertire nuovi popoli, altrimenti sconosciuti. E` ancora per volonta` di Dio che i Barbari, che avevano distrutto l’Impero romano, lo ristabiliranno e vi restaureranno la civilizzazione, che i Franchi trionferanno a Poitiers, e che i Sassoni otterranno l’Impero, nel momento in cui i discendenti di Carlo Magno non potevano piu` difenderlo contro i Normanni e gli Ungheresi89.
Certo, l’accento leibniziano, quanto a queste affermazioni, suona alquanto antiquato. Eppure, chi udisse semplicemente riecheggiare in questa morale teologica della storia il vecchio topos ciceroniano – visualizzato anche nell’Iconologia di Cesare Ripa e la cui eclissi nel corso del XVIII secolo Koselleck ha bene descritto –, oppure una pura apologetica di stampo medievalistico della “vera religione”, perderebbe di vista la novitas dell’operazione leibniziana, per la quale il vecchio argomento della Historia magistra vitae viene piegato alle istanze della teodicea. Per dirla con Robinet,
89
L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 703.
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la morale de l’histoire s’explicite en religion de la the´odice´e90.
Anche qui, dunque, troviamo nova et vetera che si contaminano e lottano all’interno del medesimo autore e della medesima visione, a conferma del paradigma ermeneutico di fondo con cui veniamo conducendo la nostra interpretazione di Leibniz storico. Qualche considerazione, infine, sulle idee leibniziane di verita`, di sincerita` e di imparzialita`, proprie dello storico degno di questo nome. Si tratta, in realta`, di aspetti e qualita` che, concernendo i fondamenti stessi del discorso storico e della sua possibilita`, messa in questione dal pirronismo, riecheggiano in tutti i grandi eruditi del Seicento. Nelle Bre`ves re´flexions sur quelques Re`gles de l’histoire, ad esempio, scritto di sintesi e di anticipazione della Diplomatica, Jean Mabillon qualifica come primi princı`pi del de emendatione intellectus esigito per il lavoro storico, l’amore della verita` e l’amore della sincerita`. E` in questo contesto che, nel descrivere la prima qualita` dello storico – l’amore per la verita` da cercarsi nelle cose passate – Mabillon fa uso di una significativa analogia con il giudice: entrambi – lo storico e il giudice – sono persone pubbliche, entrambi sono chiamati, per tale ruolo pubblico, a un esame obiettivo delle circostanze capace di mettere da parte ogni criterio personale e arbitrario: Come l’amore della giustizia e` la prima qualita` di un Giudice, cosı` la prima qualita` di uno storico e` l’amore e la ricerca della verita` delle cose passate. Un Giudice e` una persona pubblica, stabilita per rendere la Giustizia, ognuno segue il suo giudizio sui fatti che gli vengono sottoposti: ed egli si rende colpevole di un grande crimine allorche´ non faccia tutto il possibile per rendere a ciscuno cio` che gli spetta. Ma tale e` anche l’obbligazione dello storico, che e` altrettanto una persona pubblica, sulla quale ci si appoggia per esaminare i fatti dell’antichita` – dal momento che nessuno ha il tempo di esaminarli, si fa riferimento al giudizio che egli traccia: ed egli inganna il pubblico dove non impegni tutta la sua diligenza possibile per formarsi un giusto giudizio sulle cose91.
90 A. Robinet, Les fondements me´taphysiques des travaux historiques de Leibniz, in Aa. Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 61. 91 J. Mabillon, Bre`ves re´flexions sur quelques Re`gles de l’histoire, cit., p. 104. Su questo scritto dell’erudito maurino, si veda il saggio della curatrice B. Kriegel, Brie`ves re´flections sur quelques Re`gles de l’histoire, in Aa. Vv., Pratiques et concepts de l’histoire en Europe XVI-XVIII sie`cles, cit., pp. 85-96. Sui nessi strutturali tra lo storico e il giudice, rinviamo anche agli studi di C. Ginzburg citati in Introduzione, nota n. 76 e al volume di P. Ricoeur ricordato nella stessa nota.
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Leibniz sembra fare eco al maurino nel promemoria del 1 luglio 1692 scritto per il duca Ernst August: Mais l’ame de tout c’est la verite´. Or puisque l’Histoire sans la verite´ est un corps sans vie, il faut qu’on tache de ne rien avancer sans fondement et qu’on purge l’Histoire peu a` peu des fables, qui s’y sont glisse´es. C’est a` quoy on travaille depuis quelque temps avec beaucoup d’application, particulie´rement en France et aux Pays bas, ou` l’Histoire est la plus fleurissante [ZhVN, 1885, 21].
Nello stesso documento si legge, tra l’altro, un significativo riferimento alle scuole erudite di Francia e dei Paesi Bassi, a conferma che, insieme a Baronio e ai Centuriatori – secondo quanto attestano, ad esempio, l’Introductio al primo volume degli Scriptores rerum Brunsvicensium (cfr. Dutens IV, 2, 3-4), oppure i progetti per la fondazione del Collegium Historicum Germanicum e per la redazione degli Annales Germaniae (cfr. A I, 5, 310; 362) – esse rappresentavano per Leibniz i modelli par excellence della ricerca erudita e della storiografia annalistica. Il tema della verita` in storia, evocato nei testi di Mabillon e di Leibniz, in se´, non rappresenta nulla di particolarmente nuovo. Non solo, come si diceva, gli storici eruditi seicenteschi, ma generalmente i grandi scrittori e storici del passato avvertirono l’esigenza di fare professione di verita`: Tucidide, Polibio, Sallustio, Livio, Tacito, Luciano, espressero tra gli altri 92 questa istanza, che permane ancora intatta negli storici medievali . Valga per tutti, a codificare tale canone veritativo, il solito Cicerone del De oratore: Chi non sa che la prima regola della storia e` non arrischiarsi a dire nulla di falso? poi avere il coraggio di dire tutta la verita`? di non dar adito, nello scrivere, al minimo sospetto di parzialita` o, al contrario, di ostilita`?93.
La novita`, nell’erudizione moderna, come emerge nel brano di Mabillon, e` semmai rinvenibile nella spiccata “giuridicita`” del concetto di verita`, fattosi sinonimo di fonte originale, di documento d’archivio, di atto scritto e certificato mediante tecniche probatorie. Quale fosse il grado di oggetti92
Cfr. in part. B. Guene´e, Storia e cultura storica nell’occidente medievale, cit., p. 20 sgg. Cfr. anche R.W. Southern, La tradizione della storiografia medievale, cit.; O. Capitini, Motivi e momenti di storiografia medievale italiana (secc. V-XIV), in Aa. Vv., Nuove questioni di storia medievale, Milano 1964, pp. 785-791. 93 Cicerone, De oratore, II, 15. Sulla storiografia classica si veda la fondamentale opera di S. Mazzarino, Il pensiero storico classico, 3 voll., Roma-Bari 2000 (3 ed.).
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vita` con cui il Maurino impiegava tale parola nel campo della ricerca storica, si chiarisce in effetti subito dopo l’affinita` richiamata con l’attivita` giudiziaria: Essendomi dunque impegnato – scrive Mabillon – a trattare dell’antichita`, mi sono proposto la prima delle mie Regole, l’amore per la verita`. Ma aggiungerei ancora un impegno particolare nell’offrire gli originali delle cose (en donnant les originaux des choses)94.
Ecco, dunque, cosa il termine “verita`”, in quanto applicato al dominio degli studi storici, designa per il benedettino: l’impiego degli originali, la 95 ricerca, non meno cara a Leibniz delle fonti contemporanee agli eventi. Negli originali, nei documenti riconosciuti autentici, sta il supremo tribunale a cui lo storico deve sottomettersi, come un giudice e` sottomesso ai fatti e alla legge, senza che in cio` abbia a intervenire un punto di vista soggettivo o il principio di autorita`, dal momento che la vera e unica autorita` sta nel documento. In questo senso, non solo alla stregua del giudice, ma anche dello scienziato moderno, l’erudito rifiuta l’autoritarismo dell’“ipse dixit”, sicuro, come lo sono Leibniz e Mabillon, che la determinazione della verita` storica non puo` che giovare alla vera religione: verita` storica e vera religione sono conciliabili, cosı` come la ragione si accorda con la fede senza contraddizioni: «verum vero non dissonat». Cosı`, in questo disegno, dove l’erudizione veniva messa al servizio della pura verita` storica super partes, in luogo dell’impiego apologetico, «parziale 96 e interessato», come scrive Pontien Polman , che ne avevano fatto polemisti protestanti e cattolici come Flacius Illyricus e Cesare Baronio, Leibniz si ritrovava naturaliter sulla stessa via dei Mabillon e dei Papebroch, degli eruditi che intendevano rinunciare, entro il dominio storico, alla polemica e alle arti avvocatesche, convinti com’erano, osserva E. Fueter, che la verita` storica si sarebbe difesa nel miglior modo svelandola spregiudicatamente. E che questa eredita` dovesse parlare a loro favore stava per essi al di sopra di ogni dubbio97.
In questa direzione, si e` detto quanto la sincerita`, al pari della verita`, 94 95 96 97
J. Mabillon, Bre`ves re´flexions sur quelques Re`gles de l’histoire, cit., pp. 104-105. Cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 483. P. Polman, L’e´le´ment Historique dans la Controverse religieuse du XVI sie`cle, cit., p. 232. E. Fueter, Storia della storiografia moderna, cit., p. 399.
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rappresenti per Mabillon il principio che sostanzia l’etica “giudiziaria” dello storico. Si trattava, per il benedettino, di mettere la propria appartenenza all’ordine monastico al servizio disinteressato del sapere, piuttosto che, come aveva fatto la storiografia confessionale, il sapere al sevizio dell’ordine o della Chiesa. E` qui il senso della regola della sincerita`: essa nasceva dalla ferma convinzione che la verita` storica, esattamente accertata, fosse destinata a confermare le verita` di fede, e che la vera religione non poteva che trarre vantaggio da una corretta conoscenza storica. Cosı`, si puo` leggere nella Prefazione agli Acta Sanctorum: La religione non puo` che trarre profitto da una piu` perfetta conoscenza dell’antichita` cristiana. Essa non teme ne´ la luce ne´ la verita`98.
Il valore della sincerita` in storia non e` diverso per Leibniz: Leibniz – scrive Daville´ – ritenendo che la verita` sia l’anima della storia, ascriveva in materia storica, come dappertutto, alla sincerita` un’importanza capitale; la voleva assoluta99.
E anche rispetto al rapporto tra verita` storica e fede religiosa non e` difficile rinvenire un’analoga sicurezza in Leibniz, solo, fondata su una teologia razionale anziche´ su una posizione fideistica confessionale. Se e` vero che la perfetta armonia del tutto e` data, per il filosofo tedesco, dalla serie di cose e accadimenti scelta da Dio in quanto la migliore possibile, allora ricostruire fedelmente e con oggettivita`, grazie all’ordine annalistico, la series temporum, sceverando l’historia vera dall’historia infida, separando la verita` dei fatti dalle favole tramandate, dai romans, dalle testimonianze inattendibili, corrisponde a una maggiore comprensione del disegno divino, equivale a penetrare, come si e` detto, per quanto e` possibile all’uomo en quelque fac¸on dans le secret de la providence [A VI, 4 A, 688].
L’erudizione e` alleata della fede cristiana, non sua nemica. Tale e` la convinzione di Leibniz, e il miglior uso che si possa farne e` metterla al servizio della vera religione (cfr. ad es. A VI, 4 A, 434). Altrettanto si puo` dire, infine, a proposito dell’imparzialita` a cui lo storico, ancora in analogia con il giudice, e` chiamato. Anche qui vale il 98 99
Cfr. B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. 2, p. 154. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 628.
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richiamo a un topos classico: l’immagine dello “specchio” impiegata da Luciano di Samosata nell’opuscolo Come si deve scrivere la storia, risalente al II secolo d. C., per illustrare l’attitudine del vero storico contro scrittori servili e adulatori: Ma la cosa piu` importante e` che atteggi la sua mente cosı` che essa sia simile a uno specchio privo di impurita`, nitido e regolarmente centrato, che mostri le forme dei fatti esattamente come le ha ricevute, senza che alcuno risulti distorto, alterato nel colore o modificato nell’aspetto: infatti, le cose da dire non saranno composte alla maniera dei retori, ma sono un dato di fatto ed egli le riferira`: infatti sono gia` accadute e bisogna giusto ordinarle e dirle100.
E` tale attitudine che portava Leibniz, ad esempio, a giudicare non poco criticamente e con diffidenza la “contro-storia” del pietista Gottfried Arnold Unparteiische Kirchen- und Ketzerhistorie (Frankfurt 1699-1700), viziata, a suo avviso, non solo da numerosi errori, ma anche, ad onta dell’imparzialita` affermata nel titolo, dallo stesso spirito di parte – dal lato pero` degli eretici 101 – che segnava le ricostruzioni storiografiche dei Centuriatori e di Baronio . Del resto, incompatibile con il disegno storico del pietista il pensiero leibniziano si mostra sin dall’idea di fondo che sostanzia la sua teodicea della storia: non e`, ne´ puo` essere, la decadenza a segnare il procedere degli eventi, cosı` come il luogo di custodia della verita` non puo` essere identificato con una storia segreta e privata che, come un fiume carsico, sotterraneamente innervi la storia ufficiale. Per il filosofo tedesco, si tratta invece di affermare il senso di un progresso universale che, come un grande corso fluviale, pur tra ostacoli e arresti, sale dall’impulso delle singole monadi e provvidenzialmente si impone come la migliore series rerum possibile. L’opposizione a ogni visione tragica della storia, a ogni entropia, a ogni 100
Luciano di Samosata, Come si deve scrivere la storia, § 51, a cura di di G. Piras, Napoli 2001, p. 111. Cfr. anche la traduzione dello stesso testo a cura di F. Montinari, Milano 2002. Sullo specchio di Luciano come cifra espressiva della storia tradizionalmente intesa come nuda verita`, specchio imparziale di eventi, doveri e obblighi dell’uomo, che si tramanda fino al secolo XVIII, si sofferma R. Koselleck in Futuro passato, cit., pp. 153-154. 101 Per la documentazione del giudizio critico leibniziano sull’opera di G. Arnold rinviamo al capitolo 4 § 2. Sull’Unparteiische Kirchen- und Ketzerhistorie del teologo pietista cfr. le analisi di A. Funkenstein in Teologia e immaginazione scientifica dal Medioevo al Seicento, cit., pp. 326-330. Ricordiamo inoltre le pagine meineckeane de Le origini dello storicismo, cit., pp. 30-37, che annoverano il pietista tra i precursori dello Historismus, insieme a Shaftesbury, Leibniz e Vico. Su Leibniz e il pietismo, poi, rinviamo al saggio di E. Troeltsch, Leibniz e gli inizi del Pietismo, in Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit., pp. 163-206.
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invecchiamento-decadimento-fine della storia, e` implicita nell’idea stessa di teodicea. Cio` vale anche nei confronti di Bossuet, la cui ricostruzione della storia della Riforma Leibniz rimprovera di parzialita` e confronta con la moderazione e la sincerita` di Veit Ludwig von Seckendorf. Cosı`, si legge in una lettera indirizzata al vescovo di Meaux l’8 febbraio 1692: Je ne doute point que Vous n’ayie´s fait l’effort dans l’histoire des Variations de rapporter exactement les faits. Cependant comme votre ouvrage ne fait voir que quelques imperfections qu’on a remarque´es dans ceux qui se sont meˆle´s de la Reforme, il semble que celuy de M. [de] Seckendorf estoit necessaire pour les monstrer aussi de leur bon coste´. Il est vrai, qu’il ne dissimule pas des choses que vous reprene´s, et il me paroist sincere, et modere´ pour l’ordinaire [A I, 7, 266-267].
6. – Le fonti e la critica storica Non e` difficile fissare l’atto di nascita della moderna scienza storica, approdo maturo della tradizione erudita che da Flavio Biondo (1388-1463) e Tristano Calco (1462 circa – tra il 1507 e il 1516) giunge sino alle scuole bollandista e maurina, e sino a Leibniz: esso e` identificabile nella pubblicazione del De Re Diplomatica di Jean Mabillon nel 1681, lo stesso anno del Discours sur l’histoire universelle di Bossuet e quello precedente ai Pensieri sulla cometa di Bayle, anno che inaugura altresı` l’eta` della crisi della coscienza europea, l’eta` classica, si potrebbe dire, dell’erudizione storica: In quell’anno – ha osservato Marc Bloch – [il 1681,] l’anno di pubblicazione del De re diplomatica, una grande data, in verita`, nella storia dello spirito umano – la critica dei documenti d’archivio fu [definitivamente] fondata102.
Quale sia stato l’acquisto determinante che l’erudizione seicentesca ha propiziato nella ricerca storica, proiettandola verso una metodologia rigo102
M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, cit., pp. 63-64. Di M. Bloch sulla storia, dal punto di vista metodologico, cfr. anche Storici e storia, tr. it. di G. Gouthier, Torino 1997. Come conferma Pierre Chaunu, «i veri maestri della rivoluzione erudita sono naturalmente i benedettini di Saint-Maur. I Maurini sono per la scienza storica cio` che Vie`te e` per l’algebra, Newton per la meccanica celeste e Lavoisier per la chimica» (Chaunu, La civilta` dell’Europa dei Lumi, cit., p. 237).
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rosa, sottraendola, con cio`, al romanzesco, all’agiografico, all’apologetico, e portando a compimento la reazione alla tradizione storica narrativa avutasi sin dai secoli dell’Umanesimo e Rinascimento con F. Biondo – il fondatore, appunto, della corrente erudita – e` Arnaldo Momigliano a precisare con tutta chiarezza, fissandolo nel concetto di fonte originale, di testimonianza di prima mano: Tutto il metodo della ricerca storica moderna e` fondato sulla distinzione tra le fonti originali e le fonti derivate. Per fonti originali noi intendiamo sia le testimonianze oculari, sia i documenti o tutte le altre tracce materiali contemporanei degli avvenimenti di cui non siano stati testimoni ma di cui abbiano inteso parlare direttamente o indirettamente a partire dalle fonti originali. Noi accordiamo ugualmente valore agli storici non contemporanei per il giudizio che essi forniscono su cio` che concerne l’interpretazione e la valutazione delle fonti originali. Tale distinzione tra fonti originali e derivate e` divenuta patrimonio comune della ricerca storica solo alla fine del XVII secolo. Senza dubbio la si puo` trovare anche in precedenza, ma essa non era stata formulata con il medesimo grado di precisione ne´ considerata come un presupposto necessario degli studi storici103.
Tutt’altro che sine genealogia, la fondazione della moderna scienza diplomatica ad opera di Mabillon segna in realta`, come ha sottolineato 104 Blandine Kriegel , il punto estremo di sintesi e di convergenza di una vasta tradizione, e in particolare di tre grandi domini dello spirito contaminati, nel corso dell’eta` moderna, dalla rivoluzione culturale costituita dallo sviluppo della coscienza storica, vale a dire la lingua, la religione e il diritto. In questo senso, filologia umanistica, controversie religiose, formazione dello Stato moderno e processi di razionalizzazione e codificazione dei sistemi giuridici, per l’elemento storico che implicavano e che chiamavano in causa, confluiscono come tre grandi legati nella critica storica moderna,
103
A. Momigliano, Ancient History and the Antiquarians, in “Journal of the Warburg and Courtauld Institutes”, vol. XIII, 1950, n. 4 (citiamo il testo dal volume di B. Kriegel L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. 2, p. 22, ove si trova tradotto in francese). Per una sintetica storia della “dottrina delle fonti”, dalla Istorica di G. Droysen al Novecento, cfr. G. Galasso, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, Bologna 2000, cap. V (Fonti storiche), pp. 293-353. 104 B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. 2, p. 20 sgg. Si sofferma sulle origini della critica storica W. Dilthey ne L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura, cit., vol. I, p. 146 sgg.
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la quale avrebbe trovato il suo “discorso sul metodo” nella Diplomatica del grande benedettino francese. Ben altro, dunque, rappresenta quest’opera, che un accidente determinato da circostanze contingenti, quali la polemica di Mabillon con il gesuita Daniel Papebroch e l’esigenza di rispondere alla dissertazione di questi, pubblicata nel 1675 come prefazione al tomo II degli Acta Sanctorum Bollandistorum, dal titolo Propylaeum antiquarium circa veri ac falsi discrimen in vetustis membranis, dove si dichiarava la falsita` di tutti i diplomi merovingi depositati negli archivi dell’abbazia benedettina di S. Denis, fiore all’occhiello delle prestigiose collezioni storiche dell’ordine a cui Mabillon apparteneva. L’accusa, certo, era gravissima – tanto piu` che proveniva dai piu` autorevoli concorrenti dei Maurini, vale a dire dai Bollandisti – e la risposta alle tesi temerarie di Papebroch fu appunto costituita dal De Re Diplomatica Libri VI. L’esito della disputa con Papebroch e` cosı` sintetizzato da G. Tessier: Malgrado una certa oscillazione nella composizione, il De re diplomatica puo` essere considerato nel suo ordine un capolavoro del XVII secolo. Esso si impose immediatamente all’attenzione del piccolo mondo degli eruditi e Papenbroeck ebbe il merito di inchinarsi senza riserve di fronte all’autorita` di un’opera dalla quale si era visto – com’ebbe a dire – «confutato in maniera tale da non poter replicare»105.
Ai nomi richiamati di Mabillon e di Papebroch, entrambi illustri corrispondenti di Leibniz, occorre certo aggiungere almeno quelli di Richard Simon, l’oratoriano che con l’Histoire critique du Vieux Testament (1678) segna gli inizi dell’esegesi biblica critica, di Spinoza, che, come osserva B. Kriegel, col suo Tractatus theologico-politicus «mette fine a due secoli di non-belligeranza tra la storia e la fede, chiude il trattato di alleanza passato 106 tra la Chiesa e l’erudizione» , e infine di Pierre Bayle, il precursore dell’Illuminismo e il grande antagonista degli Essais leibniziani. Con cio`, la critica storica moderna era fondata. Essa prolunghera` il suo immenso sforzo dall’eta` della crisi della coscienza europea fino alla meta` del secolo XVIII e oltre, in un’opera di accumulo di documenti e di ricerca storica che non ha paragoni nella storia dell’umanita`.
105
G. Tessier, Diplomatique, in Aa. Vv., L’histoire et ses me´thodes, cit., p. 642. Di Tessier cfr. anche La diplomatique, Paris 1952. 106 B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. 2, p. 228.
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Dal 1678 al 1750 – osserva Pierre Chaunu – si forma un gigantesco sostrato di documenti, di tecniche, un’accumulazione di documenti minuziosamente raccolti e scientificamente stabiliti che conferiscono al passato una dimensione senza precedenti107.
Eppure, quell’eta` che segna l’apice degli sforzi eruditi, ne preparava anche la crisi e la disfatta, che trova nel Discours pre´liminaire all’Encyclope´die di d’Alembert (1751) il suo stigma piu` emblematico. Cosı`, in quelle pagine, veniva riduttivamente descritto e impietosamente giudicato l’immane lavoro erudito dei decenni precedenti: Si divoro` indiscriminatamente tutto cio` che gli antichi ci hanno lasciato in ogni genere, si tradussero e commentarono i testi, e si prese per gratitudine ad adorarli senza neppur sapere quanto valessero. Donde una folla di eruditi, profondi nelle lingue dotte fino al punto di disprezzar la propria, i quali – come ha detto un celebre autore – degli antichi conoscevano tutto, eccetto la grazia e la finezza, e sfoggiavano con orgoglio una vana erudizione: giacche´ l’ostentazione ha generalmente per oggetto cio` che costa minor fatica. Erano come signori, i quali, pur non eguagliando i meriti di coloro che si sforzavano d’imitare, traessero gran vanto dall’illusione di far parte della loro cerchia. D’altronde questa vanita` non era del tutto priva di giustificazione. Il dominio dell’erudizione e dei fatti storici e` inesauribile; si crede – per cosı` dire – di accrescere ogni giorno di piu` il proprio patrimonio con nozioni ottenute senza fatica. Al contrario, il dominio della ragione e delle scoperte ha un’estensione alquanto ridotta; e spesso, invece d’imparare cio` che si ignora, si giunge, a forza di studiare, a disimparare cio` che si credeva di sapere. Percio` appunto, con merito assai inferiore, un erudito deve essere ben piu` vano di un filosofo e anche di un 107
P. Chaunu, La durata, lo spazio e l’uomo nell’epoca moderna. La storia come scienza sociale, tr. it. di G. Posani, Napoli 1983, p. 41. Sulla trasmissione del sapere nell’eta` moderna cfr. i saggi di M. Rosa, I depositi del sapere: biblioteche, accademie, archivi; di P. Rossi, La memoria, le immagini, l’enciclopedia; di C.A. Viano, La biblioteca e l’oblio; di L. Marino, I luoghi della memoria collettiva, tutti contenuti in Aa. Vv., La memoria del sapere. Forme di conservazione e strutture organizzative dall’antichita` a oggi, a cura di Pietro Rossi, Roma-Bari 1990. Sulla nozione di polistoria cfr.: L. Hiller, Die Geschichtswissenschaft an der Universita¨t Jena in der Zeit der Polyhistorie, Jena 1937; H. Jaumann, Was ist ein Polyhistor? Gehversuche auf einem Terrain, in SL, XXII, 1990, pp. 76-89; N. Hammerstein, Accademie, societa` scientifiche in Leibniz, in Aa. Vv. , Universita`, Accademie e Societa` scientifiche in Italia e in Germania dal Cinquecento al Settecento, a cura di L. Bohem e E. Raimondi, Bologna, 1981. Su Leibniz, a p. 397 di quest’ultimo saggio, si legge: «Leibniz fu ... uno dei dotti piu` rimarchevoli dell’epoca «polistorica», l’ultimo completo ed eminente «polistorico» del Sacro Romano Impero della Nazione Tedesca». Cfr. anche il citato saggio di L. Marino, I luoghi della memoria collettiva, p. 279 sgg.
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poeta: la mente creativa e` sempre scontenta dei suoi progressi, perche´ vede al di la` di essi; e i geni piu` eccelsi spesso trovano nel loro stesso amor proprio un giudice segreto, ma severo, che il plauso altrui fa tacere per qualche tempo, ma non riesce a corrompere. Non dobbiamo percio` meravigliarci che i dotti di cui parliamo menassero sı` gran vanto d’una scienza ingarbugliata, spesso ridicola e talvolta barbarica108.
Quando gli Enciclopedisti criticavano cosı` ingenerosamente l’erudizione storica dimenticavano che senza quel lungo e improbo lavoro di accumulo e di pubblicazione delle fonti non sarebbe nata la nuova storiografia illuminista dei Voltaire, dei Federico II, degli Hume, dei Robertson, dei Ferguson, dei Gibbon, che su quel lavoro ha potuto fondare i suoi guadagni. Proprio Voltaire, che, nelle Nouvelles Conside´rations sur l’histoire (1744) osservava, in un passo sintomatico della nuova coscienza storiografica: Ci si prende grande cura di precisare in quale giorno sia stata combattuta una battaglia, e a ragione. Si pubblicano i trattati, si descrivono la pompa d’una incoronazione, la cerimonia dell’imposizione d’una berretta cardinalizia e persino il ricevimento di un ambasciatore, in cui non si dimenticano ne´ il suo svizzero ne´ i suoi lacche´. E` bene che ci siano archivi di ogni cosa, perche´ sia possibile all’occorrenza consultarli; e io considero oggi tutti i grossi libri come altrettanti dizionari. Ma, dopo aver letto tre o quattromila descrizioni di battaglie e il contenuto di alcune centinaia di trattati, mi sono reso conto di non essere, in definitiva, piu` istruito di prima109,
proprio Voltaire, si diceva, un decennio dopo la redazione di tali note, nell’estate del 1754, si sarebbe recato presso l’abbazia di Senones, ad abbeverarsi alla sapienza del dotto esegeta Dom Calmet e dei suoi poderosi in-folio, dai quali discende quasi interamente la sua cultura biblica. E` in quelle celle monastiche gravide di libri e di erudizione che cresce l’Essai sur les moeurs, che apparira` due anni dopo le settimane trascorse nell’abbazia 110 benedettina . Come conferma Chaunu, 108 d’Alembert – Diderot, La filosofia dell’Encyclope´die, a cura di P. Casini, Bari 1966, pp. 94-95. 109 Voltaire, Nuove considerazioni sulla storia, in Id., Scritti filosofici, vol. 1, cit., p. 273. 110 ` E noto il racconto che Voltaire amava fare della genesi dell’Essai sur les moeurs, lavoro nato a Cirey dall’esigenza di riconciliare Madame de Chaˆtelet, disgustata dalla consultazione degli Annali nei quali aveva trovato non piu` che un ammasso di fatti inutili, con la storia. Per un inquadramento dell’episodio di Senones nella vicenda biografica e culturale di Voltaire, rinviamo alla fondamentale biografia di T. Besterman, Voltaire, tr. it. di R. Petrillo,
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senza i benedettini di Saint-Maur, Voltaire non avrebbe potuto scrivere l’Essai sur les moeurs. La sosta di Voltaire a Senones e` figura e simbolo dell’incontro fra l’erudizione e la storia dei Lumi111.
«Andare presso i propri nemici per fornirsi d’artiglieria», scrive cinicamente Voltaire: paradossale simbolico rovesciamento della logica dell’agostiniano attingere alle fonti classiche in funzione cristiana, dal momento che l’Essai si pone come un passo decisivo nel processo di secolarizzazione della storia universale, oltre che come rappresentazione storica esplicitamente volta a superare la storiografia erudita e annalistica. Ma, per tornare a Leibniz e all’erudizione moderna, se l’apporto essenziale di quest’ultima alla coscienza storica rinviene, come ha osservato Momigliano, il suo Kern nella nozione di fonte autentica, di documento originale, rigorizzata come mai prima, con la trattazione concernente le fonti e la critica storica ci approssimiamo al nucleo essenziale dell’epistemologia storica leibniziana. Leibniz mostra di avere un concetto ampio di fonte storica, del tutto in consonanza con la tradizione erudita da Biondo in poi. La sua terminologia, in generale, non appare univoca: per lo piu`, egli impiega le parole «monumenti» o «materiali» in senso lato a comprendere tutte le sorgenti della conoscenza storica. E` soprattutto, come rileva Davil112 le´ , in un frammento senza data ma appartenente agli anni immediatamente successivi alla Welfenforschungsreise, al periodo dunque in cui vengono predisposti i programmi e i piani per la storia guelfa, che e` rinvenibile una piu` precisa classificazione delle fonti, distinte, in tale testo, in oggetti materiali e documenti scritti, ai quali si aggiungono le lingue, al di fuori delle quali, precisa Leibniz, le tradizioni non presentano alcuna certezza. Ecco, dunque, combinando documenti diversi, stagliarsi un’articolazione chiara delle fonti storiche nel pensatore tedesco, che puo` essere cosı` rappresentata: — Monumenti propriamente detti, vale a dire resti materiali, comprendenti sia vestigia di corpi umani sia prodotti fabbricati dall’uomo, quali utensili, tombe, edifici. — Documenti scritti, contemporanei agli eventi, posteriori, o in posizione intermedia. Milano 1971, p. 294 sgg. Sull’episodio di Senones e su dom Calmet si sofferma inoltre B. Baczko in Giobbe amico mio, cit., in part. p. 89 sgg. 111 P. Chaunu, La durata, lo spazio e l’uomo nell’epoca moderna, cit., p. 39. Cfr. anche Id., La civilta` dell’Europa dei Lumi, cit., pp. 232-233. 112 Cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., pp. 385-386.
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— Testimonianze orali, tra le quali spiccano per importanza le lingue e le tradizioni. Il primo gruppo di materiali storici e`, tra tutti, quello che pone minori problemi di autenticita`, comprendendo testimonianze per forza di cose contemporanee agli eventi. Esso si configura come un complesso di oggetti considerati da Leibniz in posizione ausiliaria rispetto alle fonti propriamente dette, cioe` ai documenti scritti che, secondo un aspetto fondamentale della tradizione erudita, presentano un primato assoluto. Grande, tuttavia, e` la loro importanza, se solo si riflette che proprio anche attraverso una iscrizione tombale – quella rinvenuta nel monastero della Vangadizza nel febbraio 1690 – il pensatore tedesco era venuto a capo della questione delle origini dei Guelfi. Fondamentali, inoltre, appaiono i monumenti se si considera che, per Leibniz, la storia di un Paese, come anche la storia dei Braunschweig, doveva essere preceduta da una trattazione geologica e da osservazioni sulla preistoria. Oltre a cio`, appartengono ai monumenti le figure, le insegne, i sigilli, le medaglie, le iscrizioni, i blasoni delle famiglie principesche: tutti materiali, questi, che integrando le ricerche genealogiche, presentavano un grande interesse per il pensatore tedesco, insieme alla numismatica e all’epigrafia, scienze ausiliarie ai cui oggetti (monete, medaglie, iscrizioni) Leibniz si mostro` assai sensibile. Nella lettera a Andre´ Morell, numismatico e discepolo di Bo¨hme e di Poiret, del 1 (11) ottobre 1697 si legge: Par exemple vos antiquite´s et vos medailles sont des justifications de l’Histoire ancienne, la quelle sert de base pour demonstrer la verite´ de la religion, et pour connoistre le sens literal de la sainte ecriture, qui ne doit pas estre meprise´ quoyqu’il ne suffise pas. Dans la preface de mes Accessiones Historicae, j’ai touche´ en passant cet usage de l’Histoire et des monumens [A I, 14, 551].
Ma, come anticipato, sono i documenti scritti la parte piu` cospicua e sicura della storia, che Leibniz chiama anche semplicemente “fonti”. Essi sono distinti in fonti diplomatiche, contemporanee agli eventi, narrative, posteriori ad essi, e letterarie, in posizione intermedia rispetto alle due precedenti. Le fonti diplomatiche sono le piu` rilevanti, la componente piu` certa della storia, in quanto costituite da raccolte di atti pubblici e ufficiali – gli unici testi, come bene sanno gli esperti di diplomatica, non riproducibili ad libitum, percio` i meno soggetti a falsificazioni – rinvenibili in biblioteche, archivi, uffici amministrativi. Si tratta di documenti quali trattati di pace e alleanza, ordinanze, editti, sentenze, contratti matrimoniali, testamenti, ado-
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zioni, investiture, arbitrati, cessioni di regni, principati o dignita`, abdicazioni, regolamenti di societa` o ordini, resoconti di assemblee politiche o religiose, leggi, etc. Ad essi Leibniz equipara, in quanto dotati del medesimo ordine di certezza storica, medaglie e iscrizioni (cfr. Codex diplomaticus, Prefazione; Dutens IV, 3, 289). Tali fonti che – osserva Leibniz – fondano e tengono insieme l’edificio della storia, consentono di conoscere gli aspetti piu` importanti delle cose passate («ad cognoscenda rerum gestarum potissima momenta»; Dutens IV, 3, 290). Inoltre, le Tabulae Actorum publicorum offrono l’origine dei grandi eventi attingendola direttamente dalla fonte stessa: Nec tantu`m variae hic apparent rerum humanarum facies ... sed & intueri licet magnarum rerum origines in ipso fonte [Dutens IV, 3, 290].
E` dunque incerta la storia allorche´ non si appoggi su archivi e documenti (ex Tabulariis) e si fondi, invece, sulle chiacchiere o dicerie (ex rumoribus) degli storici: Et vero` experiuntur illi, qui in argumento aliquo publico tractando studium collocant, et Principum jura scrutantur, quam laboret Historiae fides, nisi acta inspiciantur [Dutens IV, 3, 291].
Il pensatore tedesco, nonostante il primato nei gradi della fides historica riconosciuto alle fonti diplomatiche, fu anche editore di fonti narrative medievali – dalle Accessiones Historicae agli Scriptores rerum Brunsvicensium agli Annales Imperii – quali cronache, biografie, vite di santi, necrologi, excerpta, etc., destinate a completare e confermare quanto gli atti pubblici attestavano. Infine, le fonti letterarie comprendono non solo le opere in prosa o in poesia di autori antichi, la Bibbia e il Corano, ma anche la letteratura composta di relazioni, diari, itinerari, piccoli libelli che Leibniz amava collezionare113. Il terzo gruppo di fonti comprende le lingue e le tradizioni orali. Il primato accordato alla fonte scritta reca in se´ un giudizio severo sulle incerte fluttuazioni della tradizione orale, dunque sul mito, sulla favola, sul romanzo, sulla leggenda, giudizio peculiare dell’intera linea erudita. Scrive Mabillon nelle Bre`ves refle´xions sur quelques Re`gles de l’histoire:
113
Ivi, p. 402.
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Cosı`, non esiste Tradizione sicura che quella trasmessaci mediante la scrittura, e volersi affidare a quella che non ha altro garante che il discorso e la lingua degli uomini significa esporsi visibilmente all’illusione114.
La medesima idea esprime Leibniz in questo passo tratto da una lettera al duca Ernst August scritta alle soglie dell’ufficializzazione dell’incarico storiografico (30 luglio/9 agosto 1685): Qvant a` la Tradition, elle peut estre bonne en matiere de la foy divine, parceque Dieu meˆme y prend soin de conserver la verite´. Mais en matiere de foy historiqve on ne doit gueres s’y fier, touchant les choses fort anciennes. Car on sc¸ait qve les contes se changent qvelqves fois tellement dans un intervalle de deux ou trois jours, qve leurs premiers auteurs ont de la peine a` les reconnoistre. Aussi trouuerat-on peu de verite´s d’histoire, qvi se soyent conserve´es par la tradition, d’autant qve les chansons, dont les anciens peuples se servoient au defaut de l’ecriture, sont perdues [A I, 4, 202].
Per Leibniz, il carattere fluttuante legato all’oralita` fa sı` che occorra molta prudenza nella valutazione delle testimonianze ad essa legate. Per quanto, infatti, vi siano popoli senza scrittura, e per quanto in tal caso l’insegnamento orale supplisca a tale mancanza, occorre ricordare che le tradizioni sono destinate a perdersi o a corrompersi nel corso del tempo. D’altronde, Leibniz riconosce qualche rilievo alla «me´moire des hommes» come fonte storica, car il ne faut pas ne´gliger entierement la tradition [A VI, 4 A, 687],
ma cio` non intacca il primato del documento, del diploma, su questo tipo di fonti. Leibniz sa bene, come scrive Marc Bloch, che proprio come le memorie individuali, la memoria collettiva e` spesso molto breve. Soprattutto, essa, fatta in principio per conservare, costituisce un meraviglioso strumento di deformazione, persino di smemoratezze che si ignorano115.
Il pensatore tedesco, inoltre, ha spesso sottolineato l’importanza dello studio delle lingue in storia, i «piu` antichi monumenti dei popoli», come li definiscono i Nouveaux essais III, 2, 1: 114 115
J. Mabillon, Bre`ves re´flexions sur quelques Re`gles de l’histoire, cit., p. 122. M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, cit., p. 152.
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Et les langues en general estant les plus anciens monumens des peuples, avant l’ecriture et les arts, en marquent le mieux l’origine, cognations et migrations [A VI, 6, 285].
Si e` gia` ricordato che Leibniz si volse dalle ricerche logico-formali sul linguaggio coltivate sin dagli anni giovanili all’indagine empirica sulle lingue, a partire dall’ultimo decennio del XVII secolo, successivamente al viaggio europeo per la Welfengeschichte. L’apporto essenziale delle lingue alla storia e` dato dalla convinzione del pensatore che esse rappresentino un indizio insostituibile e una via maestra per riandare alle origini dei popoli, rimpiazzando le fonti scritte nei periodi in cui non esistevano ancora: Les Langues marquent les origines et cognations des peuples [A I, 10, 339],
scrive il filosofo a Nicolaas Witsen il 26 marzo (5 aprile) 1694. Cum remotae Gentium Origines Historiam trascendant, Linguae nobis praestant veterum monumentorum vicem [Dutens IV, 2, 186],
viene confermato in apertura della Brevis Designatio (1710). Soprattutto l’indagine comparativa, che Leibniz svolge sulla base dell’ipotesi metodologica dell’harmonia linguarum, appare essenziale per illuminare la parentela tra i popoli e le loro migrazioni: La collation des langues – scrive a J. Bouvet il 2 (12) dicembre 1697 – est la chose du monde qui peut donner le plus de lumieres touchant les origines et migrations des peuples [A I, 14, 828].
Leibniz non riteneva possibile restaurare la perfetta armonia delle lingue. Tuttavia il confronto, la collazione tra esse era utile per addentrarsi un poco nella lingua primitiva, adamitica, ben sapendo che, in simile materia, occorre fermarsi per lo piu` alla cautela delle congetture, mai pretendendo di attingere la solidita` delle dimostrazioni. Approssimazione alla lingua originaria che, per Leibniz, neppure l’ebraico garantiva, nutrendo il pensatore forti dubbi circa il suo carattere primigenio. Egli, del resto, e` ben lungi dal considerare la perdita della lingua adamitica una babelica condanna alla confusio, un’espressione di peccato, avviandosi piuttosto a 116 considerare la varieta` delle lingue un fattore di potenziale ricchezza . 116
Per un approfondimento dei temi, qui allusi, relativi al linguaggio e alle lingue
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Possiamo, con cio`, venire ai princı`pi di fondo che governano la critica storica di Leibniz. Quale fosse, innanzitutto, l’alta coscienza della superiorita` del suo tempo nel dominio degli studi storici e della critica, non solo rispetto ad Antichita` e Medioevo, ma anche ai secoli dell’Umanesimo e Rinascimento, e in cosa consistesse simile progresso che impediva di riecheggiare i modelli antichi come paradigmi immutabili, Leibniz esprime chiaramente nell’Introduzione al primo tomo della raccolta di fonti Scriptores rerum Brunsvicensium: Cum renatis literis viri eruditi ad Historias scribendas animum applicarent, narrationes nullis documentis firmatas dabant veterum exemplo, tamquam ad fidem faciendam autoritas scribentis sufficeret. Hoc in contemporaneis admitti poterat utcumque, praesertim si autor in rerum luce versatus scire posset, qua posteris tradebat: sed in remotis temporibus, locisque fiducia pro veris incomperta memorantis, ex rumore, aut affectu, aut infido teste, intolerandos errores peperit; qui paulatim animadversi sunt, postquam scriptores antiquiores Typographiae beneficio in omnium manibus esse coepere. Nec recte` veterum exempla nobis opponuntur, solutius scribentium: quin potius eo ipso superiores sumus, quod hodie ab Historico probationes exigimus [Dutens IV, 2, 3].
I rinati studi umanistici, si legge dunque in questo importante testo, hanno offerto sull’esempio degli antichi modelli «narrationes nullis documentis firmatae», apparendo criterio sufficiente di verita` storica l’autorita` dello scrivente. La superiorita` del tempo presente – dice Leibniz – e` che invece «hodie ab Historico probationes exigimus». Lo stacco rispetto all’idea umanistica del riattingimento di una perduta perfezione antica e la coscienza di un nuovo sviluppo nel presente, non potrebbero essere espressi piu` nettamente. Il Seicento, del resto, e` il secolo in cui la liberta` spirituale si e` ormai affrancata non solo dalle piu` soffocanti maglie del cristianesimo medioevale, ma anche dall’autorita` dei modelli classici coltivata nei secoli dell’Umanesimo e Rinascimento. Leibniz, dunque, pienamente cosciente dei progressi della scienza storica del suo tempo rispetto ai secoli precedenti, condivide con la tradizione erudita la polemica con la storia narrativa – di cui il § 10 dei Nouveaux essais IV, 16, in parte gia` riferito, e` documento esemplare – per quanto sia ben lungi dal disprezzare e storico-naturali, rinviamo all’accurato studio e all’antologia di scritti leibniziani curati da S. Gensini, Leibniz, L’armonia delle lingue, cit., in part. all’Introduzione (pp. 1-46), e alla bibliografia relativa (pp. 47-58). Sul tema, cfr. anche L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 406 sgg.; W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 67 sgg.
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dal gettare a mare a priori, come tanti storici eruditi, la tradizione cronachistica e narrativa: un tipo di fonti, come si e` visto, di cui il pensatore tedesco si fece editore e che, essenziali come sono nella medievistica, impiego` con ampiezza negli Annales Imperii. La storiografia medievale e` dunque tutt’altro che disprezzata da Leibniz, per quanto nelle stesse righe egli sottolinei che in passato era sufficiente a corroborare la veridicita` delle cose narrate l’autorita` dello scrivente. In cio`, riecheggia con chiarezza quel capovolgimento di criteri rilevato in Mabillon: l’autorita` appartiene al documento, alla fonte, non alla persona o all’istituzione, come accadeva nel Medioevo, secondo quanto conferma Bernard Guene´e a proposito del significato di “autentico” nella storiografia medievale: Esso qualifica innanzitutto, molto in generale, uno scritto o una persona autorevoli, alla cui autorita` bisogna credere. Un’opera poteva ispirare fiducia ed esser considerata autentica per la semplice ragione che il nome del suo autore era noto o per la sola ragione di essere universalmente accettata: di essere, insomma, come dice Robert de Melun, «approvata dall’autorita` comune». Era il caso dei numerosi scritti che i cristiani accoglievano dai tempi antichi dei grandi concili e dei grandi dottori della Chiesa. Ma opere piu` recenti esigevano, per essere autentiche, un’autorita` piu` precisa. Per essere “autorevoli” dovevano essere avallate da una autorita` che i progressi della teologia e del diritto nel XII secolo permisero di definire. Poteva trattarsi del papa o dell’imperatore; poteva essere un vescovo, un capitolo, un principe secolare; poteva essere un qualsiasi uomo famoso. E dal momento che, fra queste autorita`, alcune avevano piu` peso di altre, anche certi testi erano piu` autentici di altri. Allo stesso modo certi testimoni, perche´ avevano piu` autorita`, erano piu` autentici di altri ... Se e` vero che l’approvazione di un’autorita` e` il fondamento stesso dell’autenticita`, non e` sorprendente che, negli ultimi secoli del Medioevo, “approbatus”, “approvato”, appaia sempre piu` sovente, qualificando persone e scritti, quale perfetto sinonimo di “autentico”, sia nel suo senso lato di “degno di fede”, sia nel suo senso specifico di “approvato da un’autorita`”. La sinonimia tra “autentico” ed “approvato” e` cosı` perfetta che l’espressione “autentici ed approvati”, applicata a libri, a cronache, o a storie, diviene un tic di scrittura, torna cento volte ad uscire dalla penna degli autori del XIV e XV secolo117. 117 B. Guene´e, Storia e cultura nell’Occidente medievale, cit., pp. 166-167. Sulla storiografia classica e medievale si legga questa sintetica descrizione di A. Funkenstein: «La storiografia, nel senso classico e medievale, era «simplex narratio gestarum», la semplice storia delle cose avvenute cosı` come erano realmente avvenute (ut gestae). Termini come “senso storico”, “senso semplice”, “senso letterale”, erano sinonimi per l’esegeta medievale, il quale ricono-
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Questa carenza di un sistema critico si perpetua nella trattatistica
sceva l’esistenza di un senso piu` profondo (spiritualis intelligentia) solo a livello teologico. E poiche´ i fatti storici erano considerati come dati immediatamente, e il loro significato come immediatamente riconoscibile, il testimone oculare era considerato come lo storico ideale, a condizione che si attenesse alla verita`, che e` l’officium dello storico ... Poiche´ il fatto storico e` di per se´ evidente e il testimone oculare e` il migliore storico, ad ogni generazione poteva essere affidato il compito di mettere per iscritto gli eventi «degni di essere ricordati». Gli annales erano visti come la forma ideale di storiografia; lo storico doveva semplicemente continuare, linearmente, il lavoro dei suoi predecessori. L’intera storia poteva essere concepita come una catena ininterrotta di eventi, e la storiografia come una narrazione unica: erat enim continua historia mundi, diceva ancora Melantone» (A. Funkenstein, Teologia e immaginazione scientifica dal Medioevo al Seicento, cit., pp. 246, 247-248). Una sorta di realismo ingenuo, che finisce per corrispondere all’ufficio dello storico, chiamato a registrare la nuda verita` dei fatti annullando quanto piu` possibile l’apporto soggettivo e creativo, regge, dunque, come postulato gnoseologico, la scrittura storica annalistica antica e medievale. Tale realismo consiste nell’idea che il fatto storico si dia nell’immediatezza delle sue apparenze sensibili, in esse esaurendo il proprio significato, e che pertanto la storia esista gia` prima dell’intervento dello storico e, in qualche modo, a prescindere da esso. Che dei cinque sensi codificati da Aristotele nel De Anima, la vista serbi un primato per tutta la cultura classica e medioevale, tanto che sapere (eidenai ) e vedere (idein), nella lingua greca, hanno la stessa radice etimologica; che la stessa filosofia, nei suoi Urspru¨nge, rechi in se´ la traccia del passaggio dal racconto (mythos) alla istoria (informazione mediante esperienza) e all’autopsia (cio` che viene direttamente veduto), ad opera dei primi filosofi ionici; che il primato della vista si rinnovi, per quanto sotto altro orizzonte problematico, nella scienza seicentesca, dove cannocchiale e microscopio vengono esaltati (anche da Leibniz) come mezzi che potenziano la capacita` di vedere; che, infine, la mente sia simile a uno specchio d’acqua che rifrange le cose tanto piu` obiettivamente quanto piu` in assenza di perturbationes animi, di passioni, destinate a increspare e offuscare, di quello specchio, il velo immobile, sono implicazioni ben note che il pensiero classico e medioevale ha trasmesso alla scrittura storica. Ad esse vanno ricondotti i presupposti, operanti nella storiografia annalistica antica e medievale, dell’adequatio tra res gestae e Historiae rerum gestarum, del valore preminente della percezione visiva, della testimonianza oculare, capace di garantire, con la sua presenza al fatto, la verita` piu` obiettiva, dell’officium dello storico chiamato al puro e semplice rispecchiamento degli accadimenti, scevro di emozioni fino a sparire dietro i fatti, tanto piu` obiettivo quanto piu` distaccato da quanto narrato, che l’annalistica traduceva in un ordine temporale sorretto da una ferrea griglia cronologica ove gli eventi erano fissati via via che si verificavano. Il Medioevo, mentre tiene saldamente ferma l’idea della storia come cronaca, come registrazione di accadimenti visti o uditi da persone degne di fede, introduce un’altra distinzione: quella tra i “facta”, oggetto di semplice narratio, e i “mysteria”, oggetto di una superiore intelligenza spirituale. «Per lo scrittore storico medioevale – chiarisce ulteriormente Funkenstein – conta innanzitutto narrare i facta, in opposizione ai mysteria e alle figurae, che esigono di essere portati alla luce e necessitano della explanatio; gli uni cadono nel dominio della pura e semplice percezione (videre), gli altri nel dominio della comprensione (intelligere): il fatto storico e`, in opposizione alle molteplici possibilita` interpretative dell’esegesi, univoco, immediatamente evidente; il resoconto del fatto storico e` percio` simplex narratio gestarum, e puo` senza difficolta` seguire l’ordo naturalis degli eventi» (A.
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rinascimentale, nonostante i Valla e i Biondo, tanto che, come osserva Federico Chabod, dal punto di vista della critica delle fonti, i trattatisti del ’500 rivelano ancora spesso una ingenuita` e primitivita` di argomentazione che fa sorridere118.
Manca alla storiografia rinascimentale, come nota ancora l’illustre storico italiano, il dubbio metodico, che saranno invece gli eruditi seicenteschi a fare proprio. Anche Leibniz vede la storiografia umanistica e rinascimentale come una tappa importante nello sviluppo della scienza storica moderna, ma ancora segnata, pur nell’eleganza dello stile, da forti limiti critici e metodici che erano stati superati solo dalle grandi scuole erudite seicentesche, e prima ancora dall’impulso nato dalla Riforma, quindi dai Centuriatori e, in contrapposizione ad essi, da Cesare Baronio: quin potius eo ipso superiores sumus, quod hodie ab Historico probationes exigimus.
La storia, per Leibniz, deve essere piu` vera che elegante, piu` severa nella critica delle fonti che preoccupata di abbellimenti formali o di artifici retorici. Ed e`, innanzitutto, per il pensatore tedesco, la congregazione francese di Saint-Maur ad avere un esemplare primato quanto alla severita` nella critica delle fonti. Era la`, prima di tutto, che occorreva guardare per fare avanzare la scienza storica tedesca. Il vero progresso – nota M. Bloch – e` venuto il giorno in cui il dubbio s’e` fatto, come diceva Volney, «esaminatore»; quando, in altri termini, si sono via via elaborate delle regole [oggettive] che, tra la menzogna e la verita`, permettono di effettuare una scelta119. Funkenstein, Heilsplan und natu¨rliche Entwicklung. Formen der Gegenwartsbestimmung im Geschichtsdenken des hohen Mittelalters, cit., p. 70). Per cio` che attiene alla storiografia umanistica e rinascimentale, cfr. G. Cotroneo, I trattatisti dell’“Ars historica”, Napoli 1971; F. Gilbert, Machiavelli e Guicciardini. Pensiero politico e storiografia a Firenze nel Cinquecento, tr. it. di F. Salvatorelli, Torino 1970 (in part. Parte seconda); F. De Michelis Pintacuda, Tra Erasmo e Lutero, Roma 2001 (in part. Parte terza: La concezione della storia). Su Guicciardini, ricco di suggestioni e` il capitolo dedicato a Il pensiero della differenza di Francesco Guicciardini di M. Perniola, Del sentire cattolico. La forma culturale di una religione universale, Bologna 2001 (pp. 77-95). 118 F. Chabod, Lezioni di metodo storico, cit., p. 25. 119 M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, cit., p. 63.
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All’acriticita` e alla leggerezza nell’uso delle fonti ancora largamente invalse nella pratica storica barocca, e, dall’altra parte, alla corrosiva skepsis pirronista, la minoranza erudita della Re´publique des savants oppone proprio il dubbio metodico e il principio di criticita`: diade inscindibile e presupposto ineludibile di ogni possibile Forschung modernamente intesa che – sottolinea Daville´ forse con troppa enfasi – se Descartes aveva avuto, quanto meno, il merito di applicare ... alla filosofia e alla conoscenza scientifica, Leibniz doveva, per primo, agli albori del XVIII secolo, applicare alla storia120.
Sia o no Leibniz “il primo” ad applicare il dubbio metodico agli studi storici, in effetti la concezione della storia come chronicon, fondata com’era sull’idea di percezione visiva, di ricordo personale e di testimonianza oculare, dunque sul realismo ingenuo, non poteva non fare i conti, nell’eta` moderna, con il disincanto legato alla scoperta dello scarto tra verita` e percezione sensibile, con la scoperta, cioe`, alla base della nuova scienza galileiana e della filosofia cartesiana, dell’inaffidabilita` dei sensi nell’attingimento della realta` vera. Il Seicento, del resto, e` il tempo per eccellenza dei sensi fallaci, cosı` come il Barocco e` il tempo del trompe-l’oeil, dell’illusione e della finzione scenica, del doppio teatrale. Il dubbio cartesiano e lo scetticismo pirroniano – scrive Koselleck – contribuirono ulteriormente a creare nello storico una cattiva coscienza, a scrollare la sua fede di poter offrire esposizioni perfettamente attendibili e fedeli121.
Per questo, l’icastica espressione che si legge nel Leben des Galilei di B. Brecht: Tu lo vedi! Ma che vedi, tu? Un bel niente. Guardi come un allocco: e` molto diverso che vedere122,
120
L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 479. R. Koselleck, Futuro passato, cit., p. 158. Un’acuta analisi della modernita` dal punto di vista conoscitivo e` quella di H. Arendt in Vita activa, cit., p. 183 sgg. (La “vita activa” e l’eta` moderna). Della stessa, sul concetto di storia moderna, cfr. Il concetto di storia: nell’antichita` e oggi, in H. Arendt, Tra passato e futuro, tr. it. di T. Gargiulo, Milano 2001, in part. p. 78 sgg. 122 B. Brecht, Vita di Galileo, in I capolavori di Brecht, tr. it. di C. Cases, Torino 1963, p. 11. 121
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si puo` ben dire sia valida anche anche nel dominio degli studi storici. Rosa dal tarlo del “Dieu trompeur”, esperta di dubbi radicali, agitati soprattutto dai libertins, anche la storia che intendesse dirsi scientifica e moderna, al pari delle altre forme di conoscenza, doveva fare i conti con nuovi plessi problematici che chiamavano in causa ineludibili questioni metodologiche, come ben sapeva Leibniz, che parlava del suo tempo come di un sie`cle e´claire´, qui demande de l’exactitude et des demonstrations dans toutes les connoissances humaines autant qu’elles en sont capables ... exactitude que les vrais sc¸avans demandent aujourdhuy ... dans l’histoire [ZhVN, 1885, 19].
Andato anch’egli alla “scuola del sospetto”, del de omnibus dubitandum est, l’erudito moderno sa che deve sottoporre la fonte a un processo “chimico” di preparazione e decantazione, dal quale potra` uscire, depurato dalle scorie depositate dai secoli, il fatto storico, alla stregua del Glauco marino ricoperto di incrostazioni, alghe, conchiglie, che occorre rimuovere per liberare la forma originaria. Riandare “ad fontes” per riattingere le cose stesse: non e` questa, in fondo, l’idea dei Petrarca, dei Boccaccio, dei Valla da cui e` nata la filologia? E proprio la filologia Leibniz si trovera` a difendere nei Nouveaux essais contro chi, nel suo tempo, si prendeva la liberta` de parler avec mepris du Rabbinage et generalement de la Philologie [A VI, 6, 337].
Si tratta di affinare lo sguardo mediante mezzi piu` sofisticati, come il cannocchiale e il microscopio suggerivano all’uomo del Seicento, fermo restando nella storiografia erudita, e anche in quella leibniziana, il primato della testimonianza oculare. Primato che resta, anche se allo specchio ingenuo di Luciano di Samosata subentra quello, ambiguo, ironico, pronto ad assumere i tratti inquietanti e dislocanti – che anche Borges, con ispirazione (neo-)barocca, ha assegnato agli specchi facendone quasi delle creature luciferine – delle Damigelle d’onore (1656) di Vela´zquez. Dal suo tenue riflesso, non piu` duplicato perfetto delle cose ma “rappresentazione”, scaturiscono, secondo la celebre analisi di Foucault, la mathesis universalis e l’ossessione classificatoria delle tassonomie dell’episteme classica, di cui sono espressione anche l’erudizione storica, l’instaurazione di archivi e la relativa critica delle 123 fonti. E` il dubbio, dunque, mai fine a se stesso ma in funzione metodica , e 123 Sul dubbio metodico applicato al dominio della storia in Leibniz, cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 472 sgg.
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l’ansia di pervenire alla fides historica a informare la ricerca storica leibniziana. E` il dubbio che lo aveva condotto, dopo la scoperta del manoscritto di Augsburg (11-16 aprile 1688), sino in Italia alla ricerca di prove definitive sulle origini della connessione tra la Casa guelfa e quella estense. Tesa com’e` alle origines, una tale investigazione, presenta non poche analogie con quella giudiziaria, ed e` in virtu` di tale moto verso le origini che essa prende le distanze dal realismo ingenuo delle trattazioni cronachistiche. In Leibniz, nondimeno, per quanto la severita` nel vaglio delle fonti fosse all’altezza dei piu` raffinati esempi del suo tempo, in particolare della diplomatica di Mabillon, principio critico e dubbio metodico incontrano precisi limiti di applicazione, conformemente a quanto era peculiare dell’epoca. Innanzitutto, il pensatore tedesco pare condividere con la tradizione erudita non solo la “venerazione”, il “feticismo” per il documento in generale, ma in particolare per la fonte diplomatica, per l’atto pubblico, che passa sopra alla criticita`, almeno in alcune sue essenziali espressioni. Per meglio dire: di fronte all’atto pubblico, una volta esercitato l’esame filologico dei caratteri attinenti all’autenticita` e alla provenienza, cade ogni insicurezza circa il suo contenuto, circa la certezza dei fatti, e l’identita` tra acta e facta appare sostanzialmente priva di sospetti. L’atto pubblico, in questa visione, sarebbe esente da deformazioni soggettive, si sottrarrebbe al “punto di vista” soggettivo e porterebbe senza le mediazioni degli storici direttamente dentro il fatto. Ecco come Chabod descrive questa sorta di “dogmatismo” proprio dell’erudizione storica moderna e certo evidente anche in Leibniz: ... i seguaci del metodo erudito, da Flavio Biondo in poi, non dimostrano generalmente piu`, di fronte al documento, la diffidenza critica di cui danno prova invece di fronte alla tradizione cronachistica: assodata l’autenticita` del documento ... sembra loro che la verita` sia senz’altro scoperta. Si accusano cronisti, memorialisti ecc. di false interpretazioni, di preconcetti e tendenziosita`: ma, di fronte al documento ritenuto autentico, ogni dubbio scompare. Il documento, se e` “autentico”, non puo` essere che “vero”, nel senso cioe` che le cose in esso affermate non possono essere oggetto di discussioni, ma diventano “fatti” provati indiscutibili: sono la verita` oggettiva, quella verita` a se´, “reale”, come un fenomeno fisico o un prodotto naturale, che gli storici si affannano a cercare124.
124
F. Chabod, Lezioni di metodo storico, cit., p. 106. Cfr. anche quanto dice E. H. Carr su questi temi, per quanto in riferimento al positivismo storiografico ottocentesco, in Sei lezioni sulla storia, cit., p. 20 sgg.
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Una valutazione, quella di Chabod, confermata da E. Fueter nella sua Storia della storiografia moderna, che a proposito delle scuole erudite seicentesche osserva: Non solo la loro critica di solito si contento` di separare i documenti veri da quelli falsi, di far valere la tradizione piu` antica rispetto alla piu` nuova, e non si pose quasi mai la questione se l’atto giuridico testimoniato in un documento schietto fosse anche stato di fatto eseguito, e se le affermazioni di fonti contemporanee non fossero inventate a favore di determinate tendenze. Non solo nutrirono l’ingenua fede che la buona tradizione, cioe` le testimonianze relativamente migliori, fossero senz’altro identiche alla verita` storica; ma soprattutto mancarono loro punti di vista storici (sociologici). I fatti storici erano connessi tra loro solo estrinsecamente – secondo la cronologia e la genealogia. – Essi diedero solo repertori storici125.
E` vero – ed e` punto capitale gia` rilevato – che il filosofo della monade non poteva ignorare, e non ignorava in effetti, che il documento non puo` riflettere che una porzione di verita` e di realta`. Una volta riconosciuta nell’infinita` la radice della contingenza, una volta colto il fondo oscuro, il reticolo impenetrabile delle petites perceptions che avvolge, con spire e giri infiniti, la cupola appercettiva del soggetto, la coscienza storica non puo` essere piu` la stessa: cosı`, il documento, il diploma, la testimonianza, il dato filologico, seguono il destino di ogni fenomeno, rivelandosi atomi ritagliati, per fini euristici, nell’immensa sottigliezza delle cose, frammenti rinvenuti nell’infinita` del continuum reale, anelli dell’incircoscrivibile catena degli eventi. Essi non sono copia perfetta, speculare, della realta`, ma descrizione finita della realta` stessa. Nondimeno, quanto rilevato riguarda la parzialita`, non anche la possibile falsita` del documento pubblico, valutando il quale, per Leibniz, occorre fare astrazione sia dalle intenzioni soggettive, sia dalle microcause impercettibili. C’e` qui, se non vediamo male, un esempio di come il pensatore applichi al metodo storico gli aspetti della sua teoresi piu` consonanti con il modello giudiziario proprio dell’erudizione storica: il fenomeno e`, nell’ontologia leibniziana, prodotto, risultato dell’attivita` delle monadi; non e` dunque ingannevole, ma solo parziale. Non diversamente, il documento restituisce la realta`, per quanto selettivamente: l’atto pubblico cela i motivi segreti, le astuzie, i moventi talora irrazionali, le microcause impercettibili, ma a fini euristici puo` essere lecitamente isolato, alla stregua 125
E. Fueter, Storia della storiografia moderna, cit., pp. 397-398.
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di un’astrazione dello spirito, a condizione pero` di non obliterare le variazioni impercettibili che ne avvolgono l’emergenza registrabile empiricamente (cfr. Prefazione ai Nouveaux essais; A VI, 6, 57). Al fine euristico, Leibniz aggiunge anche quello morale: non e` necessario, ne´ utile, che i lettori vengano informati sugli intrighi che stanno dietro ai fatti, perche´ cio` toglierebbe esemplarita` alla storia e ai suoi protagonisti. E` quanto si legge nella lettera a Th. Burnett de Kemney del 17/27 luglio 1696, che conferma un punto di vista leggibile anche nella Prefazione al Codex diplomaticus: Quant a` l’Histoire, il n’est pas necessaire que la posterite´ soit informe´e de toutes les intrigues, qui souvent n’en valent pas la peine. Suffit qu’elle apprenne ce qui est le plus instructif [A I, 12, 734].
Cosı`, lo storico si sposa con il giurista (e, in subordine, col moralista) nell’isolare l’esteriorita` fattuale dalle sue incerte e mal verificabili radici intessute di variazioni minime. Ecco come nel Codex diplomaticus Leibniz, abbandonandosi per un attimo a una considerazione schiettamente speculativa, conferma la fiducia da ascriversi alle apparenze, che si traduce nella certezza accordata ai documenti: Deinde ex apertis occulta divinantur, et phaenomena observanda sunt, ut rationes apparentium investigentur [Dutens IV, 3, 288].
Tuttavia, le variazioni minime, “emarginate” dai documenti, non scompaiono dall’orizzonte della teoria della storia leibniziana. E` il frammento sull’Apokatastasis a illuminare inequivocabilmente questo punto: l’atto scritto poggia sull’inesauribilita` di una connessione infinita conoscibile integralmente solo da Dio. Cosı`, la storia esposta negli annali, nei documenti, sottoponibile, al limite, alla logica combinatoria, si inscrive in un’inesausta “realta` storica noumenica”, per usare un’espressione di H.-I. Marrou126, in una base metafisica che, tuttavia, nessun libro potra` mai descrivere a sufficienza. Il lavoro dello storico, in questo senso, pur di fronte a tale fondamento, non cambia nella sostanza, e` chiamato dunque a restare rigorosamente “fattuale”, fermo alla mera registrazione dei dati solidificatisi in fenomeno oggettivo. Il filosofo non poteva, in cio`, non trovarsi in una 126
Cfr. H.-I. Marrou, La conoscenza storica, tr. it. di A. Mozzillo, Bologna 1962, p. 59.
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posizione estrinseca, puramente giustapposta a quella dello storico, in se´ dedito al puro e semplice accumulo di fatti. Ne discende l’impressione di una non composta dualita` categoriale tra due logiche della storia – quella annalistico-erudita, che non supera fatticita` e descrittivismo, e quella metafisica, di carattere organicistico e prospettivistico, fondata com’e` su un’individualita` che contiene in se´ l’infinito – che l’intera visione storica leibniziana pare confermare. In effetti, neanche il riconoscimento franco, contenuto nella Prefazione al Codex diplomaticus, secondo cui la storia pubblica “zoppica”, e` un filtro selettivo dei «motifs cache´s», e tanto piu` delle piccole percezioni, scalfisce la conclusione relativa all’identita` tra atti pubblici e fides rerum: venire in contatto con un documento autentico equivale, pur nel suo carattere selettivo, a “toccare” in massimo grado la solida certezza dei fatti, l’origine dei grandi eventi che una Provvidenza ordinatrice ha costruito cosı` e non altrimenti, significa poggiare il piede sul “nocciolo duro” della realta` delle cose, colte nel loro stato nascente. Senza la presenza degli atti pubblici la storia e` priva di certezza e la verita` inficiata: Sunt igitur Actorum publicorum Tabulae pars Historiae certissima ... sed et intueri licet magnarum rerum origines in ipso fonte ... Laborat Historiae fides, nisi acta inspiciantur [Dutens IV, 3, 289; 290; 291].
Che l’atto pubblico possa essere non solo parziale, ma anche falso o fuorviante, inattendibile quanto alla materia attestata, possa cioe` contenere errori di fatto, volontari e involontari, e errori di interpretazione dei fatti, in quanto gia` filtro degli eventi, gia` elaborazione piu` o meno intenzionale della realta`, Leibniz, da buon erudito seicentesco, non sembra considerare troppo. Scorporare il fatto in se´, cosı` come si da` nel protocollo, dalle intenzioni soggettive di chi l’ha compiuto, affidate all’Historia privata, asseconda l’illusione di poter sottrarre un fondo – la datita` dell’evento, contenuta nel documento – all’arbitrio del punto di vista e allo stesso prospettivismo. Il Genio maligno sembra ritrarsi di fronte a questa sicura riserva di fatti materiali, esteriori e concreti, di atomi elementari e inalterabili di realta` storica. La diffidenza, prossima, si direbbe, al pirronismo, di cui Leibniz da` prova nei confronti delle fonti narrative, rispetto alle quali egli richiama sempre a una scrupolosa critica dell’attendibilita`, sincerita` ed 127 esattezza , si stempera di fronte alle fonti diplomatiche riconosciute autentiche in base alla critica esterna (relativa all’autenticita` e alla provenienza). 127
Cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 508 sgg.
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Il dubbio – come ricorda Marc Bloch –, specialmente, esita volentieri dinanzi agli scritti che si presentano al riparo di garanzie giuridiche impressionanti: atti del potere o contratti privati, per poco che questi ultimi siano stati solennemente convalidati. Eppure ne´ gli uni ne´ gli altri sono degni di molto rispetto128.
Non a caso, nella Prefazione al Codex diplomaticus Leibniz, esemplificando una serie di interessanti informazioni offerte «ad palatum Eruditorum» [Dutens IV, 3, 291], ricorda un caso emblematico di confutazione di 129 «dicerie» degli storici, dunque di fonti narrative, grazie ai diplomi . In questo modo, la distinzione tra Historia publica e Historia arcana, 130 come bene ha sottolineato Horst Eckert , si traduce in una delle strategie cruciali, insieme alla complessiva teoria dei gradi di probabilita`, che Leibniz oppone al pirronismo storico. Il cui scetticismo, dice il pensatore, ha bene ragion d’essere rispetto alle storie private, alle satire, alle biografie, costruite su inverificabili racconti e aneddoti, in generale alle «narrationes nullis documentis firmatae» [Dutens IV, 2, 3], ma non rispetto alla storia pubblica, nei cui confronti esso finisce per costituire un pernicioso strumento di insicurezza che paralizza le possibilita` conoscitive. Non si farebbe mai nulla – scrive Leibniz anticartesianamente nell’Introduzione all’Enciclopedia arcana (cfr. A VI, 4 A, 530) – se si dubitasse di ogni cosa. Occorre invece assecondare la naturale propensio che ci spinge ad avere fiducia in cio` che appare, o in quanto sembra piu` probabile. Cosı`, nella strategia conoscitiva leibniziana, il riconoscimento della «infirmitas chartacei vinculi», anziche´ nell’intuizione del prospettivismo storico, del punto di vista – come parrebbe logico attendersi, e in particolare da parte del teorico dell’idea di “parte totale” e del prospettivismo filosofico – si traduce in elemento di forza probatoria che asseconda il “feticismo” erudito nei confronti del documento: circoscrivere la siepe, la cittadella delle fonti diplomatiche scorporando dal “nocciolo duro” dei fatti oggettivi i motifs cache´s, e attribuire a tali fonti il grado piu` alto di fides historica, significa rendere la storia che sugli atti pubblici si fondi pressoche´ inattaccabile, impermeabile alle critiche pirroniste, cosı` da attuare in massimo grado 128
M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, cit., p. 71. «Vel unum afferam Henrici Leonis, Bavariae Saxoniaeque Ducis exemplum, quem Fridericus primus Imperator evertit & feudis privavit; qua de re mirae ab autoribus narrantur fabulae, sed inspecto monumento insigni, quod nobis Coloniensis servavit Ecclesia, nugae illae velut nebulae a sole dissipantur» [Dutens IV, 3, 291]. 130 H. Eckert, Gottfried Wilhelm Leibniz’ Scriptores rerum Brunsvicensium. Entstehung und historiographische Bedeutung, cit., pp. 3-4. 129
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mediante essa il motto che avrebbe dovuto comparire sul frontespizio degli Annales Imperii, modello appunto, questi ultimi, di storia ufficiale di uno Stato: Figura veritatis triumphantis, pyrrhonismo historico sublato.
Con cio`, la storia aveva una buona base per costruirsi come conoscenza oggettiva di fatti solidi e inconfutabili. Ma, naturalmente, isolare gesti e azioni fenomenicamente visibili dai moventi psicologici, ascrivendoli a un altro tipo di storia (privata, arcana) equivale a fissare l’evento nella sua fatticita`, a “schedarne” gli elementi piu` esteriori, piu` oggettivabili, sui quali e` possibile facilmente raggiungere l’accordo fondato sulla convergenza delle testimonianze: l’antipode – tale atomizzante e artificiale operazione di ritaglio di natura giuridica, ma anche omogenea alla logica combinatoria – di quel prospettivismo, di quell’organicismo, di quell’ontologia dell’inesauribilita` dell’evento che Leibniz pur evidenzia nella sua teoresi e anche nel suo pensiero storico. Nella lettera a Friedrich Wilhelm Bierling (1676-1728) del 24 ottobre 1709, professore a Rinteln influenzato da P. Bayle e autore di un trattato De Pyrrhonismo historico (1707), scrive significativamente il pensatore tedesco, confermando la sua attitudine “conservativa” a prestare fiducia alle testimonianze sino a quando non vi siano evidenti prove contrarie: Pyrrhonismi Historici argumentum tractasti eleganter et docte. In circumstantiis Historiarum remotarum, et in causis interioribus rerum etiam propinquarum saepe haereri nemo dubitat. Ego tamen cum sufficientia non sunt contraria judicia, in meliorem partem propendendum censeo [GP VII, 486].
Occorre ora affrontare un tema assai delicato: quello della critica storica legata alle Sacre Scritture. Partiamo da un testo del Discours touchant la methode de la certitude et l’art d’inventer che contiene una interessante definizione di critica storica, intrecciata con la sua finalizzazione apologetico-religiosa: Pour ce qui est des belles lettres, l’histoire sacre´e et profane est si e´claircie, que nous sommes souvent capables de decouvrir les fautes des auteurs, qui e´crivoient des choses de leur temps. On ne sc¸auroit considerer sans admiration cet amas prodigieux des restes de l’antiquite´, ces suites des Medailles, cette quantite´ des Inscriptions, ce grand nombre de Manuscrits, tant Europeens qu’Orientaux, outre les lumieres qu’on a puˆ avoir des vieux
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papiers, chroniques, fondations et titres, qu’on a tire´es de la poussiere, qui nous font connoistre mille particularite´s importantes sur les origines et changemens des familles illustres, peuples, estats, loix, langues et coustumes; ce qui sert non seulement pour la satisfaction des curieux, mais bien plus pour la conservation et redressement de l’histoire, dont les exemples sont des lec¸ons vives et des instructions agreables, mais surtout pour e´tablir cette importante Critique, necessaire a discerner le suppose´ du veritable et la fable de l’histoire, et dont le secours est admirable pour les preuves de la religion [A VI, 4 A, 953].
Il primo scopo della critica storica e` dunque rappresentato dalla sceverazione tra cio` che e` “storico” e cio` che e` “favola”, dunque «historia infida» (cfr. anche l’Entwurf der Welfischen Geschichte; P I, 4, 242). Esso, come recitano analogamente i Nouveaux essais, consiste nel discerner les monumens legitimes de ceux qui ne le sont pas [A VI, 6, 470].
Un tale discernimento, fondato naturalmente sul metodo comparativo, sul confronto reciproco delle testimonianze, rinviene la sua suprema utilita` nell’applicazione alla religione cristiana, nel fornire prove della sua verita`, come confermano le Nouvelles ouvertures: L’Histoire de l’Antiquite´ est d’une necessite´ absolue pour la preuve de la verite´ de la religion ... C’est la` peut estre le meilleur usage de la plus fine et de la plus profonde critique que de rendre un temoignage sincere a` ces grandes verite´s par des anciens auteurs exactement verifie´s et si les Mahometans et payens et meˆme les libertins ne se rendent point a` la raison on peut dire, que c’est principalement faute de ne pas sc¸avoir l’histoire ancienne, aussi ceux qui l’ignorent entierement sont tousjours enfans, comme cet Egyptien qui parla a` Solon jugea fort bien des Grecs [A VI, 4 A, 688].
Il legame tra vera religione e critica storica che i testi riferiti evidenziano non e` affermazione di poco conto, rischiando di inficiare la liberta` e la spregiudicatezza imprescindibili in ogni esame critico che sia degno di questo nome. Si pone, dunque, un interrogativo: sin dove Leibniz si e` spinto nel processo di demitizzazione del mondo storico? Se egli, come l’erudizione piu` accreditata del suo tempo, lotta contro le favole, i miti, le saghe, in vista di una razionalizzazione della rappresentazione storica, sin dove giunge tale emendatio defabulizzatrice? Si arresta, un simile processo
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critico, di fronte all’autorita` della Bibbia e dei miracoli in essa narrati come fatti storici? Intanto, occorre dire che l’impiego della critica storica in rapporto alle Sacre Scritture rientra e trova i suoi precisi limiti nella teoria leibniziana della conciliazione tra fede e ragione, che rinviene il suo locus classicus nel Discours pre´liminaire de la conformite´ de la foy avec la raison preposto agli Essais de The´odice´e (cfr. GP VI, 49-101). La fede nei misteri e` esperienza storica, fondata sulla Rivelazione e sulla tradizione, percio` su racconti e testimonianze la cui credibilita` puo` e deve divenire oggetto di analisi critica. La storia e` chiamata a fornire alla fede una serie di prove e di argomenti a favore dell’autenticita`, della validita` razionale di quanto trasmesso dai testimoni. In questa direzione, Leibniz non esita a spingere l’uso della spiegazione razionale di presunti miracoli tramandati fin dove e` possibile, e gli Annales abbondano di esempi in questa direzione. In cio`, non vi e` differenza tra miti pagani e cristiani. Nondimeno, il filosofo tedesco non abolisce affatto il miracolo. Esso, rientrando nell’ordine (cfr. Discours de Me´taphysique § 7), e` sempre possibile nella storia, la quale non appare confinata nei moenia naturae, intelligibili agli uomini, ma e` aperta al soprannaturale, all’intervento della Provvidenza. Rinvenire, anzi, il vero miracolo dell’azione divina nel mondo, libera quest’ultimo dai falsi miti, dalla superstizione e dal magismo delle favole pagane, reca dunque in se´ una funzione demitizzante. Soprattutto, Leibniz ritiene inattaccabili dall’analisi critica non solo i due contenuti di fede che la ragione naturale attinge da se´, senza bisogno della Rivelazione – vale a dire l’esistenza di Dio e l’immortalita` dell’anima –, ma altresı` i dogmi, i misteri centrali delle Sacre Scritture come il patto con il popolo d’Israele, le rivelazioni dei profeti, l’Incarnazione, la Resurrezione, etc. Cosı` Conze risponde con equilibrio agli interrogativi che abbiamo posto: [Leibniz] cammino` sulla via della scienza verso la demitizzazione del mondo per un buon tratto, e contribuı`, con cio`, a fare l’ultimo passo verso il “mondo storico”, cosı` come il piu` tardo storicismo doveva concepirlo. Ma tale problema non investiva solo le mitologie pagane, ma anche ogni miracolo cristianamente inteso, addirittura le storie contenute nelle Sacre Scritture; e con questo si toccava la fede tramandata, ovvero, per Leibniz, che in questo si trova all’inizio dell’Illuminismo tedesco, il problema della conciliabilita` tra fede e ragione. Per quanto egli si sia sforzato di applicare l’ars critica a saghe, favole, miracoli, resta ben lontano dall’impiego delle estreme possibilita` della ragione. In parte, cio` era fondato nel fascino della tradizione, sia antica che cristiana. Cosı`, egli certo manifestava dubbi circa
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la saga di Romolo, ma non era ancora pronto, come tutti gli storici del suo tempo, a revocare in dubbio totalmente la storia delle origini di Roma tramandata da Livio. Il confine tra saga e storia restava ancora fluido, nonostante tutta la distruzione del mito. Ma, ancora piu` rilevante per la valutazione della visione storica e del metodo di ricerca di Leibniz, e` il fatto che egli tema di avanzare fino alle possibilita` ultime, poiche´ nell’unita` della sua teologia e filosofia gli erano dati i limiti della ragione umana. Di fronte all’autorita` della Bibbia, Leibniz si arresto`. Tuttavia, egli era gia` capace di assumere una posizione di fronte alle Sacre Scritture, che permise di trovare per certe storie di miracoli, per quanto possibile, delle spiegazioni naturali ... All’interno di una tale riduzione del soprannaturale e di una simile storicizzazione di un racconto biblico, non venivano per nulla scossi, in Leibniz, la rivelazione di Dio, il suo patto con il popolo di Israele e l’autorita` di Mose´. Il suo sforzo di sciogliere le favole miracolose non significava il rifiuto del miracolo in genere. La possibilita` del miracolo non era per Leibniz una realta` contronatura, ma qualcosa che andava oltre la comprensione umana e che poteva senza difficolta` essere incluso nel suo sistema filosofico ... Se l’arte critica ha distrutto tutte le favole ... e tutta la dimensione mitica, e se anche dovessero cadere le storie bibliche dei miracoli, la rivelazione divina non ne risulterebbe messa in questione, in quanto non sottomessa alla ragione umana131.
Nei testi riferiti in precedenza, Leibniz scrive che correggere gli errori tramandati e sceverare i buoni materiali storici da quelli fallaci, rappresentano i guadagni piu` rilevanti a cui l’Ars critica possa giungere. A un simile compito di «purger de ces defaits» dedica molta attenzione anche il Me´moire del 1 luglio 1692 (cfr. ZhVN, 1885, 19 sgg.), e al risultato di eliminare errori storici grazie all’estensione della propria documentazione fa riferimento la breve pagina introduttiva degli Annales Imperii: Nobis circa anteriora versantibus ipsa publica historia praestitit tabularii vicem, quam nonnihil auximus monumentis undique conquisitis multosque receptos errores sustulimus [P I, 1, 8].
Ecco come Leibniz descrive la raccolta e la discriminazione dei materiali storici con cui redigere la storia guelfa: 131
W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., pp. 62-63. Per un commento al Discorso preliminare ai Saggi di Teodicea cfr. A. Poma, Impossibilita` e necessita` della teodicea, cit., pp. 66-100. Sul rapporto tra fede e ragione si veda inoltre M.R. Antognazza, Trinita` e Incarnazione. Il rapporto tra filosofia e teologia rivelata nel pensiero di Leibniz, Milano 1999. Sull’ermeneutica biblica leibniziana e sull’uso della critica storica in rapporto alle Sacre Scritture cfr. F. Duchesneau, Leibniz: la Bible et l’ordre des ve´rite´s, in “Revue de The´ologie et de Philosophie”, III, 2001 (La Bible a` la croise´e des savoirs), pp. 267-276.
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Pour faire une Histoire de Bronsvic qui puisse avoir l’approbation des connoisseurs, il a fallu penser a` amasser des bons materiaux et a` leur donner une forme, qui ne fasse point de tort a` la beaute´ et a` la grandeur de la matiere. La meilleure partie des materiaux est deja preste et a este´ mise ensemble tant par la lecture d’un tres grand nombre d’auteurs (dont on donnera un jour le detail dans les preliminaires de l’ouvrage) que par les voyages faits expres en Allemagne et en Italie et par des correspondances fort e´tendues que j’ay eu soin d’entretenir avec quelques uns des plus illustres sc¸avans de l’Europe tant en Allemagne qu’en Italie, France, Angleterre et dans les Pays bas; enfı`n par l’inspection de quantite´ de Monumens, c’est a` dire de vieux manuscrits, diplomes, sigilles, epitaphes, inscriptions, medailles, tableaux et desseins, tire´s des Archives ou Bibliotheques, communique´s par des amis ou deterre´s en divers endroits parmy le fatras d’un grand nombre de choses inutiles, qu’il a fallu souvent examiner avec beaucoup de travail et avec une grande perte du temps, avant que de recontrer quelque chose de bon a` nostre dessein. Il reste maintenant de faire le choix du meilleur de ces materiaux, de placer chacun en son lieu et d’animer le tout par la forme de l’ordre et de l’expression. J’ay bien des pieces rares et curieuses qui embelliront nostre Histoire, mais le meilleur epiphone`me sera sans doute celuy que luy donne maintenant Monseigneur le Duc; et cela meˆme me met dans une plus grande obligation de faire paroistre (s’il est possible) quelque chose qui ne soit pas tout a` fait indigne de luy, qui puisse souffrir la censure d’un sie`cle delicat et qui puisse esperer encor un accueil favorable aupre´s de la posterite´ [ZhVN, 1885, 25-26].
La De nummis Gratiani Augg. Aug. cum gloria novi saeculi Dissertatio, in un testo gia` ricordato, fa riferimento all’Ars critica in vista di rinvenire i criteri della verita` storica e di fissare i gradi della fides historica: Poterit enim excitare viros doctrina & judicio praeditos ad condendam, quae nondum extat, Historiae scientiam, quam ita accipio, ut ipsa ejus principia muniantur demonstrationibus, quas fert natura rei, quales vulgo moralis certitudinis esse dicuntur: ostendendo ex iis, quae nunc extant, ea quae olim extitere: sive ipsa supersint monumenta vetustatis, ut saxa & metalla verbis fı`gurisve inscripta, sigilla item, membranae, chartae coaevae rebus gestis; sive sint per imitationem repetitam ad nos delata, ut in Codicibus saepe` transcriptis, in scripturis, quas adpellant transsumtas, in linguarum denique & narrationum per manus traditarum propagatione contingit; ubi veritatis notas & gradus fidei historicae definire magna mea opinione pars Artis Criticae foret [Dutens IV, 2, 254].
Se dunque la selezione dei materiali migliori, la sceverazione del vero dal falso, sono i fini dell’Ars critica, in quali forme Leibniz ha impiegato
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quest’ultima nell’esame delle fonti? Si suole tradizionalmente distinguere, entro la critica storica, un aspetto esterno, filologico, attinente alla fedelta` alla lezione originaria del testo (critica di restituzione) e alla identificazione del luogo d’origine, dell’autore, della data (critica di provenienza); e uno interno, concernente l’esegesi del testo, la sua sincerita` ed esattezza, la sua attendibilita` e corrispondenza con la realta` dei fatti. Leibniz, come rileva 132 Daville´ , ha conosciuto e praticato tutte queste forme di critica storica con perizia, senza mai farne tuttavia una teoria sistematica. Quanto alla critica esterna, il pensatore tedesco e` intervenuto su manoscritti restituendoli alla loro originarieta`, nella forma come nelle parole, collazionandoli, ricercando l’autore del documento, le circostanze della redazione e la precisa datazione. Leibniz, osserva ancora Daville´, appare particolarmente vicino a Mabillon proprio in questa parte della diplomatica relativa alla determinazione dell’autenticita` “esterna” del documento. Vicinanza ulteriormente confermata dallo studioso francese in relazione ad altre circostanze. Quando, in effetti, tra il 1703 e il 1704, si verifico` una disputa tra P. Germon, gesuita francese, e Mabillon, in seguito alla quale questi fu indotto a pubblicare un supplemento alla Diplomatica per confutare l’avver133 sario e difendere i suoi criteri scientifici (1704) , Leibniz si dichiaro` assai piu` vicino alle posizioni del benedettino che a quelle del gesuita. Cosı`, nella lettera a Bierling del 24 ottobre 1709, gia` ricordata, poteva scrivere:
132
Cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., cap. III, Parte seconda (La critique historique), pp. 465-546. Sulle diverse forme di critica storica, si possono utilmente consultare i seguenti testi introduttivi alla metodologia storiografica: J. Topolski, Metodologia della ricerca storica, tr. it. Bologna 1975; Id., Narrare la storia. Nuovi principi di metodologia storica, cit.; M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, cit. (in part. cap. 3); Id., Storici e storia, cit. (in part. Parte prima, La storia e il suo metodo); H.-I. Marrou, La conoscenza storica, cit.; Id., Qu’est-ce que l’histoire?, in Aa. Vv., L’histoire et ses me´thodes, cit., pp. 1-33 (ma l’intero volume dell’Encyclope´die de la Ple´iade e` fondamentale); Id., Tristezza dello storico. Possibilita` e limiti della storiografia, tr. it. di G. Colombi, Brescia 1999; R. Aron, Introduction a` la philosophie de l’histoire, cit.; E. H. Carr, Sei lezioni sulla storia, cit.; F. Chabod, Lezioni di metodo storico, cit. (in part. la Prima parte dedicata alle Questioni metodologiche); J. Huizinga, La scienza storica, tr. it. di P. Bernardini Mazzolla, Roma-Bari 1974; L. Febvre, Problemi di metodo storico, tr. it. di C. Vivanti, Torino 1982; F. Braudel, Scritti sulla storia, tr. it. di A. Salsano, Milano 1973; Id., Storia, misura del mondo, tr. it. di G. Zattoni Nesi, Bologna 1998; K. Pomian, Che cos’e` la storia, cit.; G. Galasso, Nient’altro che storia. Saggi di teoria e metodologia della storia, cit.; L. Canfora, Noi e gli antichi, Milano 2002; M. Miegge, Che cos’e` la coscienza storica?, Milano 2004. 133 Sull’episodio rinviamo a B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, vol. 1 (Jean Mabillon), p. 161 sgg. Alla posizione leibniziana in merito fa riferimento Daville´ in Leibniz Historien, cit., pp. 398-399.
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Usus Archivorum diplomatumque judicium postulat: nec omnia hic certa nec nihil. Longe tamen Mabillonii judicium Germoniano praetulero [GP VII, 486].
Osserva Daville´ a proposito di questo testo, sottolineando il maggiore ecclettismo del pensatore tedesco rispetto al benedettino francese: Leibniz credeva che l’uso degli archivi e dei diplomi esigesse discernimento, e che fosse ugualmente dannosa l’affermazione o la negazione senza riserve. Per questo egli – forse sotto l’influsso del suo amico Justel – sembrava non ammettere tutti i princı`pi di Mabillon, che giudicava un po’ troppo dogmatico; ma ammetteva ancora meno la sua confutazione da parte del gesuita francese [P. Germon]. Non e` che su punti di dettaglio che egli pare essersi allontanato dalle conclusioni adottate dal benedettino; i suoi princı`pi sono identici e la sua critica, rispetto ai diplomi, e` risolutamente incline alla conservazione134.
Leibniz ha inoltre praticato con perizia l’esegesi del testo storico, volta a cogliere il significato, a spiegare passaggi oscuri, a chiarire il senso di talune espressioni e termini, a mostrare le possibili letture diverse di un passo o di una parola, attraverso l’uso di due fondamentali strumenti 135 ermeneutici: l’etimologia e l’analogia . Infine, ha praticato la critica di sincerita` e di esattezza, tesa a esaminare se lo storico non abbia intenzionalmente o meno deformato la realta` dei fatti. Gli errori degli storici, per Leibniz, dipendono essenzialmente da tre motivi: l’opinione, le passioni, l’interesse. Espressione di questo tipo di analisi sono la diffidenza mostrata da Leibniz rispetto alla storia aneddotica, privata o arcana, la critica alle genealogie elaborate per fondare la gloria di una famiglia, per assecondare vanita` o brama di potere, venalita` o patriottismo, l’accusa rivolta alle ricostruzioni storiche di parte, mosse da preconcetti religiosi settari, l’esame delle tradizioni, dei miti e delle leggende, da cui una storia degna di questo nome deve essere emendata. Tutte queste forme di critica sono funzionali a un preciso modello di ricerca, quello erudito, che traspone nella conoscenza storica le categorie proprie dell’analisi giudiziaria, tesa essenzialmente all’accertamento dei fatti. Non a caso proprio alla logica dei giuristi Leibniz guarda innanzitutto per edificare una teoria dei gradi di probabilita` applicabile all’ambito storico,
134 135
L. Daville´, Leibniz Historien, cit., pp. 398-399. Ivi, p. 507 sgg.
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come analizzeremo nelle prossime pagine. E non a caso, al modello indicato corrisponde il primato della testimonianza oculare. Come spiega Marrou, in una simile prospettiva la ricerca storica finisce con il concentrarsi sull’accertamento della realta` dei “fatti”, cioe` delle azioni umane che e` possibile constatare obiettivamente; partendo da questa premessa, il documento ideale sara` l’originale di un processo verbale redatto sul luogo da testimoni oculari accorti e degni di fede: ogni documento incontrato sara` classificato come buono o cattivo, a seconda che si avvicini o meno a quella che si ritiene la testimonianza per eccellenza136.
Anche per Leibniz, se ogni documento e` una testimonianza, tra le testimonianze la preferita e` quella oculare e contemporanea agli eventi. Ogni testimone – scrive Daville´ – deve poter rendere ragione della sua deposizione: l’ideale, per lui, sarebbe di essere un testimone oculare, poiche´ potrebbe renderne ragione direttamente ... E` questo naturalmente il genere di testimoni che Leibniz predilige in storia. Egli raccomandava a Fidler di annotare con diligenza, negli storici, tutto cio` che, come i fenomeni meteorologici, proveniva da un’osservazione diretta e non dal calcolo dell’autore. Annota con cura i testimoni oculari nelle sue raccolte di documenti, come negli scritti e nelle opere storiche. Egli sa, in effetti, che «una testimonianza ha minor forza nella misura in cui e` piu` lontana dalla verita` originale che e` nella cosa stessa»137.
La frase riportata da Daville´ nel finale di questo brano, tratta dai Nouveaux essais IV, 16, 10, e` pronunziata in realta` da Filalete, non da Teofilo. E se la risposta di quest’ultimo lascia intendere l’assenso di Leibniz a tale criterio, ne viene tuttavia limitata la portata: un testimone oculare, uno scrittore contemporaneo agli eventi, va creduto essenzialmente in rapporto ai fatti pubblici, mentre quando tratta di cose private, di moventi nascosti, va accolto con grande cautela (cfr. A VI, 6, 466). In una lettera a Ernst August dell’estate del 1685, elencando alcuni punti del suo metodo storico, si legge in questo senso: 8) Les meilleures preuues se tirent des ecrivains contemporains; car quoyqu’ils puissent encor se tromper ou vouloir tromper les autres,
136 137
H.-I. Marrou, La conoscenza storica, cit., p. 107. Si veda anche ivi, p. 132 sgg. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., pp. 466-467.
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neantmoins cela n’est pas si vraisemblable, sur tout a` l’egard des choses publiqves, ou il y auroit eu de l’impudence de dire des faussete´s. 9) Cependant, comme j’ay de´ja dit, cette loy ne doit pas estre prise dans la derniere rigueur, et qvand nous sc¸avons d’ailleurs, qu’un historien a este´ exact a` receuillir ce qu’on avoit e´crit avant luy, on luy adjoute qvelqve foy par provision au defaut des meilleurs, mais ce degre´ de croyance est bien moindre qve le premier. II y a des gens qvi par interest, ou par vanite´, ou par plaisir cherchent a` tromper. Par interest comme Rosieres qu’on accuse d’auoir suppose´ des faux titres; par vanite´, comme l’auteur du livre intitule´ antiqvitates Hetruscae, dont Mons. Allassy a montre´ la faussete´. C’est pourqvoy il faut bien prendre garde qvand on cite des auteurs [A I, 4, 203].
Il primato della testimonianza oculare, o contemporanea agli eventi, dunque, non e` recepito da Leibniz schematicamente, ma viene subordinato alla verificabilita` dei contenuti. Nel brano appena citato il principio generale di sospetto che deve investire ogni storico impiegato come fonte e` quanto mai significativo. Esperto com’e` della conoscenza umana, Leibniz sa che i testimoni sono soggetti a errori legati alla labilita` della memoria, almeno quanto sa, da sapiente giurista, come sia facile offrire false e interessate testimonianze. La memoria individuale, da questo punto di vista, non e` meno fallace di quella collettiva. La cautela verso i testimoni che Teofilo oppone alla piu` fiducioso Filalete, si spiega meglio se si tiene presente la critica alla giustizia inglese che Leibniz cosı` esterna a Th. Burnett of Kemney (17/27 luglio 1696): Vos loix seroient excellentes, si vostre jurisprudence estoit un peu moins attache´e a` la lettre; et si on avoit un peu moins egard aux te´moins [A I, 12, 734].
Inoltre, osserva Leibniz relativizzando ulteriormente il primato della testimonianza oculare, non e` affatto detto che autori anche lontani dagli eventi di cui trattano siano da disprezzare, se la loro trattazione poggia su altri documenti: Au reste on ne meprise pas toujours les auteurs posterieurs au temps dont ils parlent, quand ce qu’ils raportent est apparent d’ailleurs [A VI, 6, 468].
La bonta`, autenticita` e concordanza delle fonti utilizzate puo` dunque prevalere sulla prossimita` cronologica, per quanto valga in generale la regola per cui occorre risalire agli autori contemporanei o prossimi agli
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eventi, e ci si debba accontentare dei moderni solo la` dove la ricerca di fonti piu` antiche non abbia dato risultati: Qvand apres une recherche diligente nous serons de´cheus de l’esperance de tirer des lumieres des anciens, nous serons reduits a` nous contenter des modernes, sed cum formidine oppositi, car ils sont fort sujets a` caution [A I, 4, 566].
Al principio di concordanza Leibniz annette naturalmente un rilievo essenziale. Se il testimone e` unico, la sua voce, in quanto apax legomenon, ha scarso peso (testis unus, testis nullus), e tanto meno quella di chi l’ha copiato (cfr. A VI, 6, 469). Nella lettera a J. Eisenhardt del febbraio (?) 1679, Leibniz sostando sui criteri con cui valutare i testimoni, sottolinea che un fatto, per quanto riportato da piu` storici, ha scarso peso se gli autori hanno attinto da un’unica fonte, ripetendola. Cosı` e` per la vicenda di Attilio Regolo, assai 138 dubbia per quanto narrata da molti . Quando, invece, le testimonianze siano molteplici, piu` che contarle, quantificarle, occorre ponderarle, valutarne il peso, secondo il vecchio adagio riportato da Leibniz nella lettera ricordata a Eisenhardt: «non numerantur, sed ponderantur» (all’opposto di quanto avviene per i voti ottenuti nell’agone politico: «numerantur enim sententiae, non ponderantur», scrive Plinio il Giovane). E qui ritorna l’esigenza di una teoria dei gradi di probabilita` opposta alle ragioni dell’aritmetica spicciola: Ponderanda sunt itaque testimonia non numeranda: et res omnis redit ad doctrinam de gradibus probabilitatis, quam nemo quod sciam pro dignitate tractavit [A I, 2, 427].
I casi possibili sono molteplici. Dove le testimonianze convergano in modo libero e indipendente, l’accordo e` indubbio e il fatto ottiene una solidita` fondata sul principio che governa la certezza morale: cio` che viene confermato da molteplici indizi indipendenti (non derivati cioe` l’uno dall’altro o dalla stessa fonte), e` moralmente certo (cfr. A VI, 4 A, 530). Nei Nouveaux essais, Leibniz fa l’esempio di storie di popoli differenti che spontaneamente si incontrano nell’offrire la medesima prova: 138
«Multitudini tamen autorum per se non fidendum est, nam plerumque alter alterum exscribit. Quid notius historia Attilij Reguli, hujus tamen palpebras rescissas, et dolium intus aculeatum, res tot scriptoribus dictas, docti quidam viri non contemnendis rationibus in dubium vocant» [A I, 2, 427].
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Mais quand les histoires des differens peuples se rencontrent dans les cas ou` il n’y a pas d’apparence que l’un ait copie´ l’autre, c’est un grand indice de la verite´. Tel est l’accord d’Herodote avec l’histoire du Vieux Testament en bien des choses, par exemple lors qu’il parle de la bataille de Megiddo entre le Roy d’Egypte et les Syriens de la Palestine, c’est a` dire, les Juifs, ou` suivant le raport de l’histoire sainte que nous avons des Hebreux, le Roy Josias fut blesse´ mortellement. Le consentement encor des historiens Arabes, Persans et Turcs avec les Grecs, Romains et autres occidentaux, fait plaisir a` ceux qui recherchent les faits; comme aussi les temoignages que les medailles et suscriptions reste´es de l’antiquite´ rendent aux livres venus des anciens jusqu’a` nous, et qui sont a` la verite´ copies de copies. Il faut attendre ce que nous apprendra encor l’histoire de la Chine, quand nous serons plus en estat d’en juger et jusques ou` elle portera sa credibilite´ avec soy [A VI, 6, 469-470].
Dove, invece, le testimonianze non concordino immediatamente, Leibniz privilegia un criterio sincretistico e conciliativo, peculiare del suo spirito, naturaliter incline a prestare fiducia a quanto appare, a volgere tutto al bene e al vero, a esercitare il dubbio solo quando esso rappresenti una condizione fruttuosa per il progresso della ricerca139: se le testimonianze sono diverse ma compatibili, esse possono integrarsi reciprocamente. Si legge negli Essais de The´odice´e a proposito delle origini del nome dei Germani: Car dans ces matieres les conjectures se confirment les unes les autres sans aucun cercle de logique, quand leur fondemens tendent a` un meˆme but [GP VI, 193].
Se al contrario la conciliazione appare difficile, soccorre l’ipotesi piu` ragionevole, o anche la correzione del testo. Anche in questo dominio, in fondo, sembra farsi sentire quel principio di armonia, quell’idea del tout se tient, che domina da cima a fondo il pensiero leibniziano.
139 Cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 627 sgg. Si vedano in part. i documenti citati nella nota 2 della medesima pagina.
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7. – La causalita` nella storiografia leibniziana. Due logiche della storia. Il legame tra erudizione storica e Caratteristica universale. Prospettivismo e storia: da Leibniz a Chladenius Una volta definita la concezione di fondo della storia, nonche´ lumeggiate le idee di fonte e di critica, occorre domandarsi quale forma di causalita` Leibniz abbia impiegato nella ricerca storica. Un testo del Discours de Me´taphysique § 19 puo` servire per introdurre il problema: Car l’effect doit repondre a` sa cause, et meˆme se connoist le mieux par la connoissance de la cause; et il est deraisonnable d’introduire une intelligence souveraine ordonnatrice des choses, et puis au lieu d’employer sa sagesse, ne se servir que des propriete´s de la matiere pour expliquer les phenomenes. Comme si pour rendre raison d’une conqueste qu’un grand Prince a fait, en prenant quelque place d’importance, un Historien vouloit dire, que c’est parce que les petits corps de la poudre a` canon estant delivre´s a` l’attouchement d’une e´tincelle, se sont echappe´s avec une vistesse capable de pousser un corps dur et pesant contre les murailles de la place, pendant que les branches des petits corps qui composent le cuivre du canon estoient assez bien entrelasse´es, pour ne se pas de´joindre par cette vistesse; au lieu de faire voir comment la prevoyance du conquerant luy a fait choisir le temps et les moyens convenables, et comment sa puissance a surmonte´ tous les obstacles [A VI, 4 B, 1561].
Si tratta, com’e` evidente sia dal testo in se´, sia dal successivo § 20 del Discours, dell’applicazione alla causalita` storica della logica del celebre passo del Fedone platonico (riportato appunto nel § 20) in cui Socrate racconta che, dopo avere letto con interesse il libro di Anassagora ove si fa riferimento a un’Intelligenza ordinatrice – il Nous –, si accorse con rammarico che il filosofo finiva per servirsi, per la spiegazione della realta` fenomenica, solo di cause meccaniche e materiali, alla stregua di quanto avevano fatto i Fisici, mentre, per rendere ragione dei fenomeni, occorreva postulare una causa soprasensibile. Per lo storico, ad avviso di Leibniz, vale la medesima considerazione circa l’inadeguatezza delle cause meccaniche a reddere rationem di un evento, percio` circa la necessita` di ricorrere a una causalita` di tipo finalistico, che pur sia armonica con quella efficiente o meccanica. In che modo Leibniz ha fatto valere simile causalita` nel lavoro storiografico? Intanto, occorre dire che la continuita` storica e la connessione causale tra i fatti costituiscono per il pensatore tedesco istanze primarie del
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lavoro storico, insieme alla logica del probabile. L’aspetto della causalita`, in effetti, risulta essenziale entro una ricerca storica che intenda disporsi scientificamente. Ma, in merito, occorre richiamare subito un aspetto cruciale. Lo facciamo con Daville´: Leibniz non ha mai cercato, come avrebbero fatto alcuni suoi discepoli [per esempio Lessing e Herder], la concatenazione delle cause e degli effetti in storia, ne´ ha tentato di cogliere delle leggi generali che reggono i fenomeni storici140.
Dalla fondamentale osservazione di Daville´, discende che la causalita` storica in Leibniz concerne essenzialmente fenomeni individuali, e` una causalita` rigorosamente individuale. Per questo, dalla valorizzazione delle cause finali nel dominio storico il pensatore non trae una filosofia della storia aprioristica e capace di elevarsi a leggi storiche universali (quali le fasi o gli stadi epocali del corso del mondo). Precise ragioni filosofiche, legate al principio del nihil sine ratione nonche´ alla legge di armonia, stanno a fondamento di cio`: in primis, la natura delle verita` contingenti, la cui analisi procede all’infinito, inanellando ragioni su ragioni senza mai «perducere ad finem». Non e` accessibile all’uomo la conoscenza ne´ del concetto completo di Cesare, di Alessandro o di qualsivoglia altro soggetto o evento, ne´, tanto meno, del dettaglio della teleologia universale che sorregge, abbraccia e governa la series rerum. Quanto al senso di una Provvidenza ordinatrice che guida il corso delle cose, poiche´ per Leibniz le cause finali si producono con mezzi naturali, essa e` desunta dall’andamento del singolo evento documentato (che si tratti, ad esempio, del trionfo del cristianesimo sull’Impero romano oppure della battaglia di Poitiers), senza che cio` consenta di risalire ai princı`pi di una universale legislazione alla base del corso storico. Il finalismo supremo costituito dal principio del meglio, per quanto conosciuto a priori, resta ultimamente imperscrutabile nel dettaglio, sia esso il particolare evento o siano le fasi dello sviluppo weltgeschichtlich. All’uomo e` possibile solo, sulla base di documenti e monumenti, ricostruire frammenti di causalita`, concatenazioni tra fatti che, inevitabilmente, a un certo punto, si interrompono, ma che e` sempre possibile, per il progresso nella conoscenza, integrare e completare. Gia` nell’Introduzione § III si era richiamato questo punto, che segna un varco tra Leibniz e i successivi “filosofi della storia” di tipo idealista: dal
140
L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 666.
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principio di ragione non si ricava alcuna visione aprioristica o spettacolare del corso del mondo, ne´ tanto meno la conoscenza di singoli eventi, cosı` che, per Leibniz, per richiamare ancora il Discours § 8, se Alessandro sia morto di morte naturale o di veleno possiamo apprenderlo solo dalla storia, cioe` da una ricerca empirica. Il Principio buono e saggio e` qualcosa che conosciamo a partire dalla ragione, che ce lo insegna con dimostrazioni infallibili, e che e` necessario opporre alle apparenze delle cose, attestanti disordine e male. Ma l’armonia universale delle cose che avvolge la series rerum, e che costituisce la ratio immanente alla Causa prima, non e` mai oggetto di una visione perspicua, ma di una semplice fede razionale (cfr. Discorso preliminare agli Essais de The´odice´e, § 44). Inoltre – ed e` il secondo punto capitale – la natura di tale legge di 141 armonia, come ha chiarito Michel Serres , e` tale, nella sua “trascendentalita`”, per cui ogni causalita` individuale o ogni legge storica puo` trovarvi il suo luogo d’origine e la sua crisi, la sua genesi e la sua fine. Ecco perche´, alla fine, per Leibniz, non si danno leggi storiche: nello spazio infinitamente aperto dell’harmonia universalis nasce e muore ogni filosofia della storia, rivelandosi ciascuna di esse in quell’orizzonte solo una particolare e relativa determinazione di senso. Non che in Leibniz, si badi, siano assenti universalizzazioni e generalizzazioni. Ma si tratta di dinamiche che salgono dall’individualita`, e che non possono mai chiudersi in una totalita`, perche´ la raccolta dei particolari e` infinita. Il filosofo seicentesco sembra immune, in questo senso, da quanto Karl Popper in un suo celebre testo chiama la «miseria dello storicismo», vale a dire la tendenza a dedurre da leggi universali di sviluppo le linee 142 conduttrici del corso degli eventi . Del resto, lo stesso fine moralisticoutilitaristico ascritto alla conoscenza storica implica una qualche forma di generalizzazione: se la storia contiene insegnamenti, se e` possibile imparare dalle esperienze passate, cio` significa che esse possono essere riferite al presente, che la loro lezione, dunque, e` generalizzabile. Per quanto per Leibniz il passato non possa essere identico al presente, e per quanto soggetti ed eventi non possano ripetersi in ragione delle variazioni infinite, le esperienze passate servono al presente, come lezioni positive o mezzi per non ripetere errori. Addirittura, neppure e` estranea a Leibniz l’idea, fondata 141
M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., pp. 282-284. Cfr. naturalmente K. Popper, Miseria dello storicismo, tr. it. di C. Montaleone, Milano 1975. Della stessa nostra opinione e` W. Voise´, che sottolinea la lontananza di Leibniz storico dagli olismi storicistici (cfr. W. Voise´, Gottfried Wilhelm Leibniz ou l’historiographie d’un conciliateur, in Aa. Vv., Discordia concors, cit., 1, p. 128). 142
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sulla concatenazione di tutte le cose, che a partire dal passato e dal presente sia possibile una qualche previsione degli accadimenti futuri: come nelle note pagine dei Nouveaux essais in cui il filosofo esprime il presagio di una rivoluzione generale che minaccia l’Europa, dalla quale comunque la Provvidenza sapra` trarre il meglio per l’avvenire del mondo (cfr. Nouveaux essais, IV, 16, 4). Da quanto sin qui detto, il tema della causalita` nel dominio del metodo storiografico risulta severamente circoscritto: se nessuna legge storica universale e` attingibile a parte hominis – salvo quella, di natura “trascendentale” e destinata a rimanere ultimamente “arcana”, dell’armonia universale – non resta altro che la ricerca delle individualita` storiche, sostenuta dal principio di ragione e dalla logica del probabile. Una simile ricerca, lo si e` visto nelle pagine precedenti, ha come fondamento privilegiato le fonti scritte, in primis quelle diplomatiche. Si e` anche gia` sottolineato, a questo proposito, il carattere proposizionale, la fondamentale linguisticita` che per Leibniz presentano i fatti storici, i quali, soprattutto nella forma piu` alta di fides historica, quella costituita dalla storia pubblica, arrivano allo storico gia` codificati come atti d’archivio. E si e` altrettanto osservato quanto l’identita` tra acta e facta, tra eventi ed enunciati, cosı` istituita assecondando una logica di tipo giudiziario, omogenea all’erudizione storica, rappresenti un’operazione particolare di selezione dell’avvenimento, isolato sia dai moventi intimi del soggetto agente (le «rationes apparentium» della Prefazione al Codex diplomaticus), affidati alla storia privata, sia, piu` in generale, dal fondo di microcause che avvolgono l’emergenza fenomenica cristallizzata nel documento. Operazione, come si diceva, di natura squisitamente giudiziaria, su cui si fonda la concordanza tra lo storico e il giudice che Leibniz recepisce dall’erudizione moderna e che, del resto, appare del tutto attagliata alla sua formazione giuridica e giuspubblicistica: legame – quello del rapporto tra lo storico e il giudice – sul quale ancor oggi la disputa ermeneutica tra storici 143 e filosofi e` aperta . 143 Una fine sintesi del dibattito in questione si trova in P. Ricoeur, La memoria, la storia, l’oblio, cit., p. 455 sgg. Sul nesso tra storico e giudice osserva B. Kriegel: «La parentela tra lo storico e il magistrato ha i fondamenti piu` profondi nello sviluppo della civilizzazione moderna nata dal Rinascimento che, al centro delle societa` europee dell’estremo Occidente, ha fatto crescere uno Stato di diritto. Il progresso della ricerca storica e` legato al ricorso generale agli archivisti, all’investigazione degli atti, all’inestinguibile sete di titoli, caratteristici del tempo della diplomazia e del diplomatico. I trattati di alleanza o di pace, i testi pubblici, le costituzioni, le ordinanze capitolari, le carte, i testi privati, gli innumerevoli contratti predisposti dai notai, i catasti, le riscossioni delle imposte, i registri delle citta`, i registri parrocchiali, erano incredibilmente proliferati. Occorreva trovare un ordine, riconoscersi in
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Ora, in Leibniz, il problema della causalita` nel lavoro storiografico dipende essenzialmente, e particolarmente per la storia pubblica, da questo schematismo giudiziario della ricerca, perche´ alla delimitazione del fatto nel documento corrisponde il circoscriversi della causa entro la sfera di visibilita` ritagliata nell’atto scritto. La forma giudiziaria della ricerca, cioe`, implica che le nozioni di causa ed effetto assumano i contorni stagliati dei “fatti” fissati nei documenti. Verrebbe da dire, con Marrou, e con sensibilita` storica contemporanea, che la stessa nozione di causa ha senso solo in quanto innestata in una concezione della storia fattuale quale quella peculiare di Leibniz: La ricerca delle “cause” aveva senso soltanto se inserita in una concezione della storia come studio analitico di avvenimenti, sul genere dell’antica storia politica e militare, la quale operava su cio` che essa indicava come fatti precisi (assunzioni al trono e cadute di monarchie, trattati e negoziati diplomatici, battaglie ed assedi), sorta di atomi di realta` storica, enucleati dal pensiero per il facile intento di disporli in serie concatenate di cause ed effetti144.
Con cio`, e` resa possibile una rappresentazione storica come serie, schedatura di dati, “fila indiana” di cause-effetti, compilazione di atomi-fatti concatenati in modo lineare e capaci di offrire alla storia un’oggettivita` scientifica lontana dal “romanesque”. Concatenazione seriale-causale che si traduce innanzitutto, in Leibniz, in un moto di risalimento alle origines, additato non a caso nella Prefazione alla prima parte delle Accessiones Historicae (cfr. Dutens IV, 2, 53) e nei Nouveaux essais («L’usage de l’histoire consiste principalement dans le plaisir qu’il y a de connoitre les origines...»; cfr. A VI, 6, 470) come uno dei fini essenziali dell’indagine storica. Cosı`, conoscere le origini del presente attraverso il passato spingendo l’indagine empirica e filologica sino a quella Grenze in cui ogni traccia si smarrisce e non resta che affidarsi all’ultima radix, rappresenta una forma di causalita` questa foresta. Nella misura in cui le societa` hanno sviluppato la tendenza a dirimere i propri conflitti con l’arbitrato e non piu` con la lotta armata e la violenza, mediante dunque la negoziazione giuridica, il ruolo dei giudici si e` ampliato. I Bella diplomatica, la guerra attraverso i diplomi, i titoli, hanno sostituito la guerra tout court. Lo stato di guerra perpetuatosi tra le nazioni e` eroso dallo Stato di diritto che cresceva al cuore delle monarchie. La giustizia di Stato, sostituendosi poco a poco alla giustizia signorile, e` divenuta giustizia pubblica» (B. Kriegel, Jean Mabillon et la science de l’histoire. Pre´face a Jean Mabillon, Bre`ves re´flexions sur quelques Re`gles de l’histoire, cit., p. 43). 144 H.-I. Marrou, La conoscenza storica, cit., p. 180.
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storica privilegiata nella storiografia leibniziana. Scrive Conze a questo proposito: Le “origines” furono sempre nuovamente per lui [per Leibniz] oggetto di un autentico impulso scientifico. Per ogni processo storico, per ogni formazione di stirpe, popolo, Stato, si trattava di trovare le origini e di portare sempre piu` indietro nella sequenza delle cause le series temporum, per sostituire con tutti i metodi disponibili, particolarmente con quello filologico, le fonti scritte che si fanno sempre piu` scarse e, alla fine, mancano del tutto: questo era il maggiore interesse dello storico145.
Insieme a cio` che Marc Bloch ha chiamato «l’idolo delle origini»146, alla spinta verso le scaturigini di un fenomento storico – istanza causalegenetica che trova negli studi sulla linguistica e sull’origine dei popoli un eminente esempio –, il modello di concatenazione causale per eccellenza restano, per Leibniz, le genealogie e le cronologie, che costituiscono qualcosa di piu` che “Hilfswissenschaften”, rappresentando esse la forma piu` oggettiva e piu` certa con cui i fatti storici si offrono alla conoscenza dello storico. Alla loro fedele e non favolistica ricostruzione, il pensatore tedesco non a caso ha dedicato la maggior parte dei suoi sforzi di ricercatore. La connexion naturelle des hommes e l’ordo temporum debitamente accertati recano in se´, infatti, legami di cause-effetti la cui dimostrabilita` e controllabilita` e` analoga a quella delle scienze matematiche, cosı` da garantire la piu` alta 147 prossimita` a quella suprema forma di esattezza conoscitiva . E` questo, in fondo, nonostante il pluralismo epistemologico leibniziano, nonostante la distinzione tra verita` di ragione e verita` di fatto, il modello 145 W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 59. Sull’applicazione alle origini dei popoli e delle nazioni della logica del probabile, Conze riporta l’interessante lettera scritta da Leibniz a Johann Just Winkelmann dell’8 (18) giugno 1694, che anche noi qui riferiamo come esempio significativo del metodo leibniziano di ricerca storica: «Ob nun zwar M. h. H. mein weniges Urtheil daru¨ber verlanget, so gestehe doch gern, daß in einer so tunckeln Sache, alß der Ursprung einer Nation ist, etwas gewißes zu bejaen ich ohne mehrere untersuchung mich nicht erku¨hnen darf; auch mich nicht unterstehe den ausschlag zu geben ob Thuringi a` Thariis oder a` Thoro Deo veterum Septentrionalium oder ab Hermunduris oder Thyra fluvio oder anderwerts ihren nahmen haben. Gleichwie ich auch vom Ursprung des Nahmens Germanorum nichts versichere, ob ich woll meine muthmaßungen von den Hermionibus und einen alten Helden oder Ko¨nig Hermanno vel Irmino dem H. D. Meyer mitgetheilet, so sie auch M. h. H. bekand gemacht, und mit meiner vergnu¨gung deßen Urtheil unterworffen. Von den Thu¨ringern aber muß bekennen, daß noch nicht so viel habe, alß zu einer gegru¨ndeten Muthmaßung zula¨nglich» [A I, 10, 430]. 146 Cfr. M. Bloch, Apologia della storia o Mestiere di storico, cit., pp. 24-29. 147 Cfr. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 56.
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epistemico, la scientia rectrix a cui tutte le altre forme di conoscenza devono quanto meno approssimarsi. Modello al quale, del resto, la stessa logica del probabile, tributaria com’e` della teoria della probabilita` sorta in relazione alle riflessioni matematiche sui giochi d’azzardo, non e` estranea. Ed e` M. Serres ad aver dimostrato come il sistema leibniziano (compresa la nozione storica di progresso) possa ricondursi ai molteplici modelli di logica matematica. Quando Leibniz parla di verita` in storia, di verita` come anima della storia, e` certo in direzione delle scienze matematiche e naturali che guarda come idea regolativa. Anche nel dominio degli studi storici, dunque, la paradigmaticita` della matematica e della fisica, e il modello della Combinatoria, non mancano di far sentire la loro “pressione” nella forma di un’esigenza di exactitude e di de´monstrations che nella Historia publica raggiunge il suo vertice, e alla quale non e` certo estranea la stessa scelta, mai messa in discussione, della forma annalistica della rappresentazione storica. Ecco come Conze descrive lo sforzo leibniziano di sintesi, negli Annales Imperii, tra lo stile annalistico, per sua natura discontinuo, segnato dal frazionamento cronologico delle sequenze di fatti, e l’esigenza, sempre riaffiorante, delle connessioni causali: Il contesto della rappresentazione doveva venire sempre nuovamente interrotto dall’accostamento annalistico di eventi non collegati. Non si tratta peraltro di una sequenza slegata di singoli eventi: piuttosto il senso di Leibniz per le concatenazioni di effetti e per la continuita` si affermava sempre di nuovo, rinviando avanti o indietro e non proseguendo il frazionamento cronologico all’interno degli anni. Al contrario, venivano rappresentate collegate piu` grandi concatenazioni, quasi sempre regionalmente ordinate148.
Alla luce di quanto detto sulla riduzione atomistica dei fatti nei documenti e sul relativo modello seriale di causalita`, diviene comprensibile perche´ Leibniz, nel frammento sull’Apokatastasis, abbia potuto applicare alla storiografia il calcolo combinatorio: una volta identificato evento storico e protocollo, una volta “linguisticizzata”, “alfabetizzata” la storia, e` possibile concepire le lettere come numeri e prevedere matematicamente l’esaurirsi delle possibilita` di novita` della scrittura storica e il ripetersi dello stesso 149 evento . 148
Ivi, p. 21. Osserva Hans Blumenberg a questo proposito: «Significativamente pero` il problema della «storia» e` per lui [per Leibniz] fin dall’inizio il problema della storiografia. Il processo storico, come successione di eventi registrabili per iscritto, e` afferrabile solo in questa forma. 149
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E` ben noto, del resto, quanto, anziche´ gettarsi nel “gran libro del mondo”, come fa Cartesio dopo la delusione provata per i libri e l’erudizione gesuitica del collegio di La Fle`che, Leibniz avrebbe voluto ridurre il Mondo a Libro, a Enciclopedia, ad Atlante universale. Da “Mann des Buches” quale era, il filosofo che aspirava alla riduzione dei pensieri umani ad alfabeto, non poteva non desiderare la riduzione della storia a libro, ad alfabeto, ad archivio, a Diario del mondo. Al punto che Michel Serres puo` giungere ad asserire il primato, in Leibniz, del sistema scritturale nell’ambito della conoscenza, e il riferimento al libro come strutturalmente inscritto nello statuto dell’anima e del mondo: il cui stato originario sarebbe appunto quello scritto, cosı` che anima e mondo si configurerebbero come tavole solcate da cifre, da segni scritti, leggibili o cancellati, visibili o sepolti: Il mondo e la nostra anima – scrive Serres – sono costituiti da un grafismo leggibile e complicato, rappresentano delle quasi-pergamene, libri o tavole latori di una lingua, di un codice, di una legislazione cifrata150.
Lo stesso “concetto completo” di una sostanza si puo` ben assimilare a una infinita voce d’enciclopedia, tale da contenere l’intera storia di ogni individuo, cio` che solo al grande Bibliotecario, Dio, e` lecito concepire interamente. Non e` percio` un caso, ne´ una semplice curiosita` calcolistica se nel frammento sull’Apokatastasis Leibniz applica alla Biblioteca storica, agli 151 Annali universali, pubblici e privati, la Combinatoria . Se il pensatore, in tale scritto, puo` formulare un’ipotesi calcolistico-combinatoria in rapporto agli in-folio delle Historiae annuae, concludendo (provvisoriamente) nell’eterno ritorno degli eventi, e` perche´ si tratta in realta` di due logiche omogenee: all’alfabetizzazione dei pensieri e all’enciclopedizzazione della realta`, operazioni proprie della Caratteristica universale, corrisponde la classificazione, la tesaurizzazione, l’ordinata tabulazione degli Annali. Ad assecondare questa logica di accumulazione dei fatti fino al limite, si arrivera` – e Leibniz vi arriva in effetti nell’Apokatastasis-Fragment – alla Biblioteca di Babele di Borges o all’Archivio di Strindberg, fattisi Biblioteca
Occorre pensare a cosa fossero i modelli storiografici disponibili, per poter trovare in generale sensata l’idea di finitizzare la storia in un calcolo combinatorio di particelle elementari di avvenimenti» (Cronaca universale o formula universale, in H. Blumenberg, La leggibilita` del mondo, cit., p. 130). 150 M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., pp. 542-543. 151 Rinviamo, per questo aspetto, alle analisi contenute nel capitolo quarto di questo volume.
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e Archivio di eventi storici dove nulla va perduto, dove tutto e` tesaurizzato e conservato. In questo senso, puo` scrivere Foucault: La conservazione sempre piu` completa dello scritto, l’instaurazione di archivi, la loro classificazione, la riorganizzazione delle biblioteche, l’istituzione di cataloghi, di repertori, d’inventari rappresentano, alla fine dell’eta` classica, piu` che una sensibilita` nuova nei riguardi del tempo, del suo passato, dello spessore storico, un modo d’introdurre nel linguaggio gia` sedimentato e nelle tracce da esso lasciate un ordine che e` dello stesso tipo di quello che viene stabilito tra i viventi. Ed e` in tale tempo classificato, in tale divenire quadrettato e spazializzato che gli storici del XIX secolo inizieranno a scrivere una storia infine “vera” – cioe` liberata dalla razionalita` classica, dal suo ordinamento e dalla sua teodicea, una storia restituita alla violenza irruttiva del tempo152.
E` Blandine Kriegel, del resto, a confermare l’affinita` logica tra erudizione moderna e l’episteme classica descritta da Foucault Raccogliendo la triplice eredita` degli antecedenti dell’erudizione classica, la diplomatica contribuisce all’arte del dizionario, del catalogo, della tabulazione caratteristica, come M. Foucault ha indicato in Les mots et les choses, a proposito della rappresentazione classica. Essa partecipa del sistema generale della classificazione ... Tutte le caratteristiche dei diplomi permettono di costituire la diplomatica come un index. Nella loro nomenclatura e nelle differenti scritture e riscritture alle quali hanno proceduto, i botanici ... e poi gli zoologi ... sono succeduti agli eruditi. La grammatica dei diplomi ha anticipato il lessico della flora e della fauna153.
Eppure, il Leibniz che atomizza il fatto storico nel protocollo isolandone l’emergenza ai fini della fides historica, che sogna un “foglio-mondo” 154 universale ove tutti i fatti possano essere raccolti e sinotticamente esposti, che sottopone la storiografia al calcolo combinatorio, e` lo stesso pensatore che non solo ha offerto una metafisica della storia fondata sull’harmonia universalis, ma ha delineato l’immagine di una ontologia dell’evento storico come connessione organica che dissolve la rigida datita`, come realta` 152
M. Foucault, Le parole e le cose, cit., p. 148. B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. 2, pp. 202 e 203. 154 Sull’idea di “foglio-mondo” in Leibniz cfr. R. Fabbrichesi Leo, Caratteristica universale e calcolo combinatorio. La semiotica in Leibniz, Milano 1999, p. 54 sgg. Sulla nozione di foglio-mondo, cfr. C. Sini – R. Fabbrichesi Leo, Variazioni sul foglio-mondo. Peirce, Wittgenstein, la scrittura, Cernusco L. (Como) 1993. 153
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inesauribile e analiticamente incircoscrivibile in cui si evidenzia una forma di causalita` storica di tipo organicistico piuttosto che piattamente seriale, secondo un’unita` dinamica che tutto compenetra e rende continuo. Si legga questo testo tratto dalla lettera a Sophie del 13 (23) ottobre 1691: Et il est impossible – scrive Leibniz – qu’un esprit borne´, quelque penetrant qu’il soit, y puisse reussir. Une petite bagatelle en apparence peut changer tout le cours des affaires generales. Une balle de plomb, allant asse´s bas rencontrera la teste d’un habile General, et cela fera perdre la bataille; un melon mange´ mal a` propos fera mourir un Roy. Un certain Prince ne pourra pas dormir cette nuit a` cause de la nourriture qu’il aura prise le soir. Cela luy donnera des pense´es chagrines, et le fera prendre une resolution violente sur les matieres d’estat. Une e´tincelle fera sauter un magazin, et cela fera perdre Belgrade ou Nice. Il n’y a ny diable ny ange, qui puisse prevoir toutes ces petites choses dont naissent de si grands evenemens, par ce que rien n’est si petit, qui ne naisse d’une grande variete´ de circomstances encor plus petites, et ces circomstances encor d’autres, et cela a` l’infini [A I, 7, 35].
Qui, l’evento sembra avvolto nel silenzio di un “prima” impercettibile che lo prepara, e nella continuita` di un “poi” destinato a prolungarne ad infinitum i sottili riverberi, cosı` che la sua emergenza fenomenica risulta il prodotto, selezionato dalle nostre capacita` sensorie e immaginative, di una trama fibrillante di scarti impercettibili, di deviazioni minime, di microcause che, nel loro rimando all’infinito, quasi dissolvono la nozione stessa di causa e fanno svaporare la rigida datita` giudiziaria del “fatto”. Altrettanto accade nel § 36 della Monadologia, dove Leibniz spiega che la ragion sufficiente di un certo fatto – il mio scrivere attuale – implica un’analisi e una scomposizione dei dettagli che va all’infinito. Non diversamente va nel § 13 del Discorso di Metafisica, dove si legge – e si tratta significativamente di un esempio “storico” – che tra il soggetto “Cesare” e il predicato “passare il Rubicone” sta un’analisi infinita. E` evidente quanto, con tale attenzione prestata alla connessione dinamica, alle deviazioni, agli scarti minimi, sotto la superficie sensibile delle cose e sotto la semplice successione di fatti delimitabili, si sia al di la` delle griglie categoriali proprie della rappresentazione annalistica e dei suoi fatti atomici elementari. Siamo di fronte, in realta`, pur in modo aurorale, a una diversa logica della storia, fondata su un’idea organicistica del reale che le piccole percezioni fondano e rendono pensabile. Il problema di imperfetta integrazione che rileviamo nel pensiero storico leibniziano consiste nel
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fatto che le due logiche storiche indicate paiono meramente giustapposte invece che compenetrate. Organicismo come logica della storia e fatticita` storiografica, in Leibniz, appaiono dunque allineati senza sufficienti compenetrazioni. Qualcosa di simile si puo` dire anche a proposito del prospettivismo. In effetti se, come il filosofo pensa, la comprensione della ragion sufficiente di un evento e` inesauribile a parte hominis, e se dell’evento e` possibile cogliere solo un numero finito di predicati, quelli attestati nel documento, la conseguenza da trarre sul piano del metodo storico sarebbe certo quella del “punto di vista”, del prospettivismo. In realta`, Leibniz sa che il documento e` descrizione parziale della realta` storica, ma poi si arresta sulla soglia di questa consapevolezza, che la sua teoresi rendeva del resto ineludibile, ritraendosi, sul piano del metodo storico, in direzione dell’oggettivo, della fatticita`. Uno dei momenti essenziali di questa strategia, che mira a circoscrivere la datita` dell’evento nel documento facendo astrazione, ai fini della fides historica, dal fondo incerto delle intenzioni soggettive, dell’animo con cui l’atto e` stato compiuto, fino alle microcause impercettibili, e`, come si e` gia` sottolineato con H. Eckert, la distinzione tra Historia publica e Historia privata. In realta`, Leibniz persegue essenzialmente la ricerca della certezza dei fatti. Questo – relativo alla fides historica – e`, del resto, il suo problema determinante come storico. Cosı`, se per un verso il filosofo sa che ogni monade vede il mondo dalla sua peculiare e irripetibile prospettiva, anzi, che il mondo e` piegato in ciascuna monade in modo ogni volta diverso e unico, sul terreno storiografico viene perseguito un modello di ricerca – quella erudita – per il quale il documento e` tutto e il “fatto” e` tout court identificato con il documento. Con cio`, la rappresentazione storica, anziche´ alimentarsi delle fertili implicazioni provenienti dalla concezione monadologica, resta relegata nel dominio del fattuale. Va escluso, in effetti, per Leibniz, che le genealogie siano come le prospettive, secondo quanto si legge – con accento ironico all’indirizzo del genealogista Teodoro Damaideno – nella lettera a Ernst August dell’aprile 1685: Peut estre aussi que qu’il a pense´, qve les Genealogies sont comme les perspectives ou l’erreur meˆme est agreable dans l’e´loignement... [A I, 4, 192].
E` evidente il timore leibniziano che il prospettivismo monadologico applicato al dominio della storia potesse produrre la situazione, relativisticamente connotata e favorevole al pirronismo, che Comenio nel Labirinto
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del mondo e il paradiso del cuore cosı` descriveva, riferendola proprio agli storici: E vidi che ognuno credeva alla propria prospettiva e per questo tutti si mettevano a litigare molto aspramente su alcune cose. Il che non mi piaceva155.
Nel pensatore tedesco, la distinzione tra Historia publica e Historia privata, cosı` come quella tra Historia phaenomenon e Historia noumenon (si passi la terminologia non leibniziana), anziche´ incrinare o problematizzare il postulato dell’annalistica erudita – quello dell’identita` tra res gestae e historia rerum gestarum, della specularita` tra Cronaca e Mondo, della linguisticita` dei fatti storici – e preparare l’idea di conoscenza storica come connessione dinamica, interpretazione contestuale e prospettica, finisce per tradursi in una griglia che, nel circoscrivere l’identita` tra acta e facta, asseconda, se non addirittura rafforza, la concezione della storia come compilazione di fatti oggettivi, di atomi linguistici, che parlano da se´, senza bisogno di teoria e di contestualizzazione e rispetto ai quali lo studioso e` chiamato a un compito di coscienziosa “ripulitura”, registrazione e raccolta. Vale, qui, analogicamente, quanto si era osservato con Michel Serres (nel capitolo primo) a proposito della temporalita`: Leibniz sente il rumore, coglie l’agitazione di microcause che sta al fondo degli eventi, cosı` come la loro inesauribilita`, ma anziche´ trarne feconde conseguenze di metodo storico (prospettivismo, connessione dinamica e armonia contestuale tra gli eventi) volge loro le spalle per intraprendere il cammino ascensivo dei gradi dell’«exactitude» e delle «de´monstrations» scientifiche, vale a dire dei gradi della fides historica, desunti non a caso dalla logica “fattuale” dei giureconsulti e dalla logica del calcolo delle probabilita` elaborata dai matematici, secondo una connessione tra logica, matematica e diritto cara al filosofo. Leibniz, insomma, si trova a un passo dall’affermazione del prospettivismo storico, ma, prima di trarre l’ultima conseguenza, torna indietro. Avverte l’al di la` del documento, getta uno sguardo, col suo genio, verso l’inesausta ulteriorita` della storia “reale”, ma poi relega questo “al di la`” in uno spazio metafisico-ontologico che resta nella sostanza inincidente sul piano storico-metodologico. In questo senso, e` lecito dire, a nostro avviso, che le griglie eruditoannalistiche rappresentano una forma di controllo e di tutela di quella 155
J.A. Komensky, Il labirinto del mondo e il paradiso del cuore, cit., p. 92.
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“pericolosa” molteplicita` delle esistenze individuali colta sul piano filosofico, analogamente, sotto questo aspetto, al ruolo svolto sul piano metafisico dall’armonia universale. E`, dunque, legittimo asserire, prolungando una tesi di Pietro Piovani, che la conquista leibniziana dell’individualita` sul piano della storia, incontra un limite non solo nelle suddette armonie prestabilite agenti nella metafisica della storia, ma anche nelle categorie strutturali del modello storiografico che Leibniz pratico`. Analoga appare l’azione “cautelativa” nei confronti delle spontanee esistenze individuate. Il pensatore della prospettiva, della connessione organica e dell’armonia contestuale non sembra fare tesoro – come invece fara` Vico – nella ricerca storica, di tali princı`pi, capitali nella sua filosofia. Tra storiografia e teoresi resta dunque una circolarita` imperfetta, con grave svantaggio per la prima, che non si imbeve, se non limitatamente, della ricchezza della seconda, e appare manchevole, alla fine, di un carattere peculiarmente “leibniziano”. Troppo coinvolto nelle discussioni seicentesche sulla fides historica, e troppo pieno, anche, dell’alta coscienza del proprio tempo e dei suoi progressi, anche in campo storico, e` Leibniz per dar corpo ad altre e diverse istanze metodologiche, il cui presentimento pure e` avvertibile. Non ha dunque torto E. Fueter, per quanto radicalizzi troppo la divaricazione tra filosofia e storiografia, quando osserva che Leibniz seguı` in generale con precisione i princı`pi storici dei Maurini, condividendone pregi e difetti ... come critico si distinse solo molto poco dagli eruditi francesi educati nella maggior parte alla scuola di Cartesio156.
L’iniziale transizione dalla giustapposizione alla compenetrazione tra i princı`pi indicati – con particolare riguardo al prospettivismo – e la storiografia, sara` compiuta, a pochi lustri dalla morte del filosofo di Hannover, da Johann Martin Chladenius (1710-1759), che recepisce l’idea di «punto di vista» («Sehe-Punckt») proprio dalla Monadologia, pur combinandola con un 156
E. Fueter, Storia della storiografia moderna, cit., pp. 406 e 407. Il giudizio di Fueter e` condiviso da B. Croce in Teoria e storia della storiografia, cit., p. 282. Non ha torto Fueter quando, muovendo una critica all’opera di Daville´, attribuisce l’eccessiva valorizzazione dell’opera storica leibniziana all’insufficiente conoscenza del lavoro storico della scuola francese seicentesca, cio` che non consente allo studioso una valutazione equilibrata di Leibniz rispetto alla storiografia del suo tempo (cfr. ivi, p. 405). Anche P. Piovani, nell’assentire alla critica di Fueter nei confronti di Daville´, indicava, «per una valutazione equilibrata dell’opera storica di Leibniz», il testo di Fueter (cfr. P. Piovani, La filosofia nuova di Vico, cit., pp. 41-42).
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conservato obiettivismo gnoseologico. Come sottolinea A. Funkenstein, assecondando quanto Gadamer afferma in Verita` e metodo, i primi storici che parlarono di un «punto di vista» storico che ogni eta` possiede in modo univoco e diverso da quello di altre eta`, furono gli storici tedeschi del Settecento, come Gatterer e Chladenius. Essi presero a prestito il termine dalla Monadologia leibniziana, nella quale ogni «punto metafisico» riflette, nella sua unicita`, l’intero universo di cui fa parte157 .
In Chladenius, in effetti, la distinzione tra fatto storico e descrizione (tra una battaglia o una rivolta, ad esempio, e la descrizione che ne possono fare tre spettatori collocati in luoghi diversi o osservatori di diversa posizione sociale), emerge chiaramente, pur nei limiti che, certo, la rendono solo indirettamente antesignana delle moderne teorie ermeneutiche: La storia – si legge nella Einleitung zur richtigen Auslegung vernu¨nftiger Reden und Schriften (Leipzig 1742) – e` un’unica cosa, la descrizione di essa e` invece varia e molteplice; nella storia nulla e` contraddittorio, per contro nella descrizione della storia e in diverse descrizioni di essa possono comparire talune contraddizioni; nella storia ogni fatto ha una ragion
157
A. Funkenstein, Teologia e immaginazione scientifica dal Medioevo al Seicento, cit., p. 249. Scrive infatti Chladenius nella Einleitung zur richtigen Auslegung vernu¨nftiger Reden und Schriften (Leipzig 1742, ripr. fotomec. Du¨sseldorf 1969) al § 309 che «il termine “punto di vista” (Sehe-Punckt) e` stato per la prima volta assunto con piu` generale intendimento crediamo da Leibniz, comparendo esso comunemente solo nell’ottica. Che cosa egli con cio` volesse significare, puo` intendersi nel modo migliore dalla nostra definizione, la quale illustra chiaramente il medesimo concetto. Di questo noi qui facciamo uso, poiche´ esso e` indispensabile a chi voglia render conto delle molte e innumerevoli varieta` di concetti che gli uomini hanno di un oggetto». Cfr. in merito P. Szondi, Introduzione all’ermeneutica letteraria, tr. it. di B. Cetti Marinoni, Torino 1992, p. 73 sgg. Il volume di Szondi contiene una disamina dell’ermeneutica di Chladenius. Su quest’ultimo si vedano anche R. Koselleck, Futuro passato, cit., p. 158 sgg.; H.-G. Gadamer, Verita` e metodo, tr. it. di G. Vattimo, Milano 1985, p. 221. Su Leibniz, Chladenius, prospettivismo ed ermeneutica, cfr. J. Grondin, Das Leibnizsche Moment in der Hermeneutik, in Aa. Vv., Die Hermeneutik im Zeitalter der Aufkla¨rung, a cura di M. Beetz e G. Cacciatore, Ko¨ln-Weimar-Wien 2000, pp. 3-16; T. Griffero, Chladenius: L’ermeneutica tra prospettivismo e obiettivismo, in “Rivista di estetica”, 23, 1986, pp. 3-31; G. Mura, Ermeneutica e verita`. Storia e problemi della filosofia dell’interpretazione, Roma 1990, pp. 164-165; G. Cunico, Messianismo dionisiaco. Percorsi “apocrifi” per una rilettura di Nietzsche, Genova 1992, pp. 13-16. Su Gatterer, cfr. Scienza dello Stato e metodo storiografico nella Scuola storica di Gottinga, a cura di G. Valera, Napoli 1980 (contiene un’ampia scelta di testi di Gatterer alle pp. 47-118); L. Marino, I maestri della Germania. Go¨ttingen 1770-1820, Torino 1975 (su Gatterer cfr. le pp. 287-297).
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sufficiente, nella descrizione di essa possono comparire cose che paiono essere accadute senza sufficiente ragione158.
Il “punto di vista” («Sehe-Punckt»), in questo senso, e` per Chladenius l’insieme delle condizioni soggettive, coinvolgenti l’animo, il corpo, l’intera persona, che fanno sı` che ci si rappresenti (vorstellen) in un certo modo un oggetto o un evento storico, il quale in se´ e nella sua ragion sufficiente resta un’unica cosa, mentre nella sua descrizione varia. Se in Leibniz non si trova espressa ne´ “praticata”, sul piano del metodo storico, l’idea, che emerge nettamente in Chladenius, secondo cui la descrizione di un medesimo fatto puo` essere varia e molteplice a seconda delle diverse prospettive, insistendo il pensatore tedesco piuttosto sull’identita` tra dato e documento, o sul grado di certezza legato al documento, e` rinvenibile, tuttavia, in un testo dei Nouveaux essais quella per cui una medesima storia puo` essere collocata in contesti disciplinari diversi, a seconda dell’interesse da cui la si osserva, cio` che conferma quanto Leibniz si trovi sulla soglia del nuovo: Une histoire memorable peut estre place´e dans les annales de l’histoire universelle, et dans l’histoire [particuliere] du pays ou` elle est arrive´e, et dans l’histoire de la vie d’un homme qui y estoit interesse´ [A VI, 6, 523].
158
Testo citato in P. Szondi, Introduzione all’ermeneutica letteraria, cit., p. 76. Cosı` commenta tale pagina lo studioso: «Qui vengono in evidenza le premesse gnoseologiche della teoria chladeniana della diversita` di prospettiva, ma soprattutto della sua idea di come possano esser rimosse dall’interpretazione le conseguenze di tale diversita`. Si tratta – siamo nell’anno 1742, e dunque non c’e` ragione di meravigliarsi – di una teoria pre-critica della conoscenza, per quanto illuministica: il che significa che l’oggetto della conoscenza non viene piu` fatto coincidere con l’immagine – o descrizione – di fronte alla quale ogni altra sarebbe eresia, peccato non solo contro l’autorita` ma (a causa della coincidenza della concezione di questa con la realta`) contro la realta` stessa. Cio` che viene riconosciuto e difeso e` la parte spettante alla prospettiva individuale nella conoscenza, e dunque la distinzione tra la cosa in se´ e l’immagine che noi ne abbiamo. Acritica (nel senso kantiano) e` tuttavia tale relativizzazione per il fatto che non viene posta la questione concernente la condizione della possibilita` di conoscenza. Malgrado l’intuizione del valore della prospettiva, la conoscibilita` delle cose quali sono in se´ non diviene problematica. Dall’intuizione che la prospettiva condiziona la conoscenza di un oggetto non discende affatto per Chladenius la conseguenza che l’oggetto stesso, cosi come e` realmente, non puo` esser conosciuto» (ivi, pp. 76-77). Su Chladenius e sui limiti con cui e` necessario assumere la teoria ermeneutica del “Sehe-Punckt”, cfr. M. Ferraris, Storia dell’ermeneutica, Milano 1988, pp. 86-89; R. Koselleck, Futuro passato, cit., p. 158 sgg.; T. Griffero, Chladenius: L’ermeneutica tra prospettivismo e obiettivismo, in “Rivista di estetica”, 23, 1986, in part. p. 14 sgg.
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Dal canto suo, Johann Christoph Gatterer (1727-1799), professore a Go¨ttingen, puo` scrivere una Abhandlung vom Standort und Gesichtspunkt des Geschichtsschreibers (1768), dove si mostra quanto la scelta e la selezione 159 fossero essenziali nella scrittura storica . Cio` che, dunque, Leibniz lascia in eredita` alla successiva filosofia della conoscenza storica, da Chladenius fino a W. von Humboldt – l’idea di monade come forza attiva e spontanea e come spazio contestuale di attributi che contiene in se´ l’intero mondo colto da una peculiare prospettiva – non trova spazio nella sua opera storiografica, destinata comunque, anche al di la` di tali limiti, all’oblio per oltre un secolo, e dunque resa in buona parte inincidente sulla formazione della scienza storica tedesca tra il Sette e l’Ottocento. Cosı`, se il Leibniz filosofo puo` scrivere, nel celebre § 57 della Monadologia: Et comme un meˆme ville regarde´e de differens coˆte´s paroist toute autre et est comme multiplie´e perspectivement, il arrive de meˆme, que par la multitude infinie des substances simples, il y a comme autant de differens univers, qui ne sont pourtant que les perspectives d’un seul selon les differens points de veue de chaque Monade [GP VI, 616; cfr. A VI, 4 B, 1542],
il Leibniz storiografo resta saldamente ancorato ai princı`pi dell’imparzialita` dello storico, dell’assolutezza del documento (si pensi alla sua vasta e indefessa attivita` di collezionista ed editore di fonti storiche) e della storia come oggettiva organizzazione cronologico-genealogica di “Geschichten”, di res gestae (tali sono gli Annales Imperii). Inoltre, si rifletta su come l’idea di Caratteristica universale, alla quale e` omogenea l’erudizione storica, nel programma di eliminare ogni disputa nella comunicazione a causa dei “fraintendimenti” e delle divergenze d’opinione, grazie alla riduzione delle opinioni a calcolo, appaia, almeno in questo senso, l’antipode dell’ermeneutica moderna, che sorge proprio – 160 come osserva Gadamer in riferimento a Schleiermacher – sul presupposto dell’inevitabile e universale esperienza del fraintendersi, dell’ineludibile parzialita` del punto di vista che instaura un fecondo e non vizioso circolo ermeneutico. Va detto, peraltro, che tra i piani della storiografia e della teoresi non mancano, in Leibniz, dei legami. L’imperfetta integrazione che, nella nostra 159 160
Cfr. R. Koselleck, Futuro passato, cit., p. 163. H.-G. Gadamer, Verita` e metodo, cit., p. 217.
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lettura del pensiero storico leibniziano, sosteniamo esservi tra erudizione e filosofia non significa dualismo o divaricazione radicale. Logica del probabile, da un lato, e connessione ontologica tra i fatti, alla cui base sta la legge di continuita`, dall’altro lo dimostrano. Su tali fili connnettivi o “ponti” gettati tra i due domini occorre dunque ora sostare.
8. – Erudizione e filosofia. I fondamenti gnoseologici e ontologici della storiografia leibniziana: logica del probabile e legge di continuita`. Conclusioni circa i rapporti tra storiografia e sistema filosofico Nell’aprile del 1673, a un anno dal suo arrivo a Parigi, Leibniz scrive a Pierre-Daniel Huet una lettera dove lamenta il declino in cui vede cadere, presso i contemporanei, l’erudizione. Cio` che il secolo precedente aveva risuscitato, la grandezza degli autori antichi, rischiava di cadere vittima di un «nuovo genere di barbarie», sotto l’influsso dei nuovi filosofi, dei Bacone, dei Cartesio, dei Galilei, e necessitava, dunque, di una sorta di «terza vita», di nuova riabilitazione: Meministi nuper in mentionem nos delapsos operis illius magni, qvod Regio jussu, Illustrissimi Ducis Montauserii svasu, ductu Tuo, plausu omnium susceptum est: revocare literas fugientes, revivificare lumen pene moriturae antiqvitatis, et optimis autoribus jam tertiam vitam dare, cum post unius vix seculi decursum redeunte contemtu, alio barbariei genere succedente, velut saturi vivendi claudere rursus oculos coeperint. Ita enim video, nonnullos, magnorum Virorum, Baconi et Galilaei et Cartesii monitis et qverelis abuti ad internecionem sapientiae veteris, dissimulationemqve ignorantiae suae, ut juste` sprevisse videantur indigna sciri [A II, 1, 235]. 161 Per quanto, come osserva Yvon Belaval , in questo testo si voglia concedere alla captatio benevolentiae da parte di un Leibniz interessato a ottenere dal teologo-erudito francese un posto tra i collaboratori della Biblioteca ad usum Delphini, certo il filosofo tedesco in terra francese registrava un fenomeno che, in quegli anni, era alle porte e che, per quanto destinato a toccare l’acme nell’eta` dell’Encyclope´die, gia` si faceva avvertire da un orecchio intellettualmente fine come il suo: quello della crescente
161
Y. Belaval, Leibniz critique de Descartes, cit., p. 100.
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diffidenza, quando non dell’ostentato disprezzo, nei confronti del sapere erudito, al quale non sarebbe bastato, di lı` a pochi anni, ricevere il suo “discorso sul metodo” grazie a J. Mabillon, il benedettino di Saint-Maur che con la sua Diplomatica avrebbe offerto la definizione piu` classica dell’histoire savante. In effetti, prima di giungere alla de´faite ad opera degli illuministi, l’erudizione aveva gia` subito, nell’eta` della crisi della coscienza europea, un processo di sgretolamento e di caduta di credibilita` a cui avevano contribuito diverse posizioni di pensiero e laceranti querelles: Spinoza e la diffusione dello spinozismo, in primo luogo. Quel Leibniz, di cui scrive, credo infatti di averlo conosciuto per lettera, ma non capisco per qual motivo egli si sia recato in Francia, mentre prima era consigliere a Francoforte. A quanto ho potuto conoscere dalle sue lettere, mi e` sembrato uomo di indole liberale e versato in tutte le scienze162.
Quando Spinoza, il 18 novembre 1675, dall’Aja rivolgeva per lettera queste parole al «dottissimo e valentissimo signor G.H. Schuller», intendeva contenere le intense pressioni di Leibniz su E.W. von Tschirnhaus tese a conoscere i segreti dell’Ethica, pressioni che Tschirnhaus stesso comunica al suo maestro con la mediazione di Schuller. Nonostante, infatti, il riconoscimento del «liberale ingenium» leibniziano, Spinoza mostra una certa diffidenza verso il giovane dotto tedesco, soprattutto riguardo al suo viaggio in Francia, percio` conclude che sarebbe imprudente confidargli troppo presto il contenuto propri scritti: Vorrei prima sapere – prosegue Spinoza – che cosa sia andato a fare in Francia e sentire il parere del nostro Tschirnhaus dopo che lo avra` piu` a lungo frequentato e avra` conosciuto piu` a fondo i suoi costumi163.
Certo, il filosofo olandese non poteva sapere, al tempo di questa missiva, che il giovane diplomatico era stato, negli anni successivi alla pubblicazione del Tractatus theologico-politicus (1670), uno dei principali artefici della penetrazione del suo pensiero nel Paese del Roi Soleil. Scrive, 162
Spinoza, Epistolario, a cura di A. Droetto, Torino 1974, pp. 289-290. Ivi, p. 290. Sul pensiero di Tschirnhaus, con allusioni ai rapporti con Leibniz, cfr. M. Sanna, L’ipotesi antropologica dell’ars inveniendi di E.W. von Tschirnhaus, in Aa. Vv., La filosofia pratica tra metafisica e antropologia nell’eta` di Wolff e Vico, Atti del Convegno Internazionale, Napoli, 2-5 aprile 1997, cit., pp. 71-95. 163
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infatti, Paul Vernie`re nella sua classica ricostruzione della ricezione francese di Spinoza, sottolineando che la diffusione dello spinozismo non sarebbe potuta avvenire in Francia senza la mediazione di Leibniz: E` lui [Leibniz] che ha giocato il ruolo essenziale di intermediario e di stimolo nel corso di questo periodo, a misura dell’intensa curiosita` che lo spingeva verso Spinoza e del fatto che lo spinozismo poteva ostacolare o aiutare la lenta elaborazione della sua propria dottrina. Nella ricerca inquieta della propria verita`, Leibniz e` realmente colui che ha introdotto Spinoza in Francia164.
Il “caso” Spinoza e la querelle dello spinozismo non tarderanno molto a esplodere in Francia dalla data di quella missiva: gli anni 1678-1679 rappresentano un termine decisivo di riferimento, una vera e propria svolta nella circolazione della dottrina spinoziana rispetto alla semi-clandestinita` precedente, se e` vero che in quei due anni si segnala l’uscita dell’Histoire critique du Vieux Testament di R. Simon (1678) e della Demonstratio evangelica di P.-D. Huet (1679), due opere apertamente finalizzate alla confutazione del Tractatus, e che precedono di poco il Discours sur l’histoire universelle di Bossuet (1681). Il terreno, del resto, per la penetrazione francese ed europea di Spinoza era stato spianato dai libertini, la cui variegata e indefinibile Repubblica scientifica, figlia di Montaigne e Charron, di Vanini e The´ophile, si trovava dopo la meta` del Seicento priva di grandi maestri – morti i Naude´ (1653), i Gassendi (1655), i La Mothe Le Vayer (1672) i Cyrano de Bergerac (1655) – e appariva bisognosa di nuovi punti di riferimento, in attesa di Bayle e Fontenelle. Nessuno meglio dell’eretico e scomunicato ebreo olandese poteva colmare questo vuoto. Saranno J. Dehe´nault e Saint-Evremond a compiere l’opera di assimilazione 165 di Spinoza al libertinismo erudito . 164
P. Vernie`re, Spinoza et la pense´e franc¸aise avant la Re´volution, Paris 1954, vol. 1, pp. 111-112. Sugli stessi temi cfr. G. Friedman, Leibniz et Spinoza, Paris 1946, in part. cap. II, pp. 49-64; E. Curley, Homo Audax. Leibniz, Oldenburg and the TTP, in Leibniz’ Auseinandersetzung mit Vorga¨ngern und Zeitgenossen, hrsg. von I. Marchlewitz und A. Heinekamp, SL, Supplementa, 27, Stuttgart 1990, pp. 277-312; Spinoza contra Leibniz. Documenti di uno scontro intellettuale (1676-1678), a cura di V. Morfino, Milano 1994, in part. p. 42 sgg. 165 Cfr. R. Mandrou, Dagli umanisti agli scienziati. Secoli XVI e XVII, tr. it. di M. Garin, Roma-Bari 1975, p. 163 sgg. Sul pensiero libertino, oltre ai gia` citati fondamentali volumi di R. Pintard e F. Lache`vre (v. nota n. 1 del presente capitolo), ricordiamo: J.S. Spink, Il libero pensiero in Francia da Gassendi a Voltaire, tr. it. di L. Roberti Sacerdote, Firenze 1974 (in part. la prima parte). Utile e` altresı` il volume antologico curato da O. Pompeo Faracovi, Il pensiero libertino, Torino 1983. Inoltre: A.M. Battista, Alle origini del pensiero politico libertino.
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Con cio`, la querelle relativa allo spinozismo era ampiamente avviata. Le autorita` religiose erano ormai avvertite e allertate circa il pericolo legato a un certo modo di usare il metodo storico-erudito. Quale sara`, infatti, per l’erudizione storica, l’esito del Tractatus e della relativa querelle sullo spinozismo? Spinoza – commenta la Kriegel – mette fine a due secoli di non belligeranza tra la storia e la fede, chiude il trattato di alleanza passato tra la Chiesa e l’erudizione166.
Situazione tanto piu` grave se si tiene conto che quando Mabillon nel 1681 pubblica la sua Diplomatica celebrando l’alleanza tra erudizione storica e fede, senza sapere che quell’opera avrebbe rappresentato il canto del cigno di tale sodalizio, l’idra dell’eresia in Europa presentava da tempo non solo la testa di Spinoza, ma anche anche i sembianti, non meno inquietanti per le ortodossie, di Lapeyre`re e di Hobbes. Per Bossuet – non meno preoccupato, del resto, dell’esegesi biblica dell’oratoriano Simon – e per Malebranche, anch’egli oratoriano e fustigatore degli studi eruditi, della filologia, della storia, ce n’era d’avanzo per proclamare il pericolo dell’erudizione, prontamente identificata con l’esercizio del libero esame e della ragione libertina in materia di fede, e per rinnovare nel secolo del Barocco la condanna agostiniana per la «vana curiositas», per la «libido sciendi». Esemplare risulta in questo senso il Traite´ de la concupiscence del vescovo di Meaux, ove si legge: Una tale curiosita` si estende ai secoli piu` lontani del passato: da questo viene l’insaziabile avidita` di conoscere la storia. Ci si trasporta con la mente nelle corti degli antichi re, nei segreti degli antichi popoli; ci si immagina di entrare nelle deliberazioni del senato romano, negli ambiziosi progetti di un Alessandro o di un Cesare, nelle politiche e raffinate gelosie di un Tiberio. Se e` per ricavarne un qualche utile esempio alla vita umana, sia pure! bisogna rassegnarsi ed anche lodare la cosa, purche´ tale ricerca si faccia con una certa sobrieta`. Ma se, come si osserva nella maggior parte delle persone curiose, e` per pascersi l’immaginazione in questi vani oggetti, che cosa vi e` di piu` inutile del sostare lungamente nei pressi di quel che ormai non esiste piu`, del ricercare tutte le follie uscite dalla mente di un mortale, del ricordare con tanta cura quelle immagini che Dio ha Montaigne e Charron, Milano 1989; G. Lissa, Fontenelle tra scetticismo e nuova critica, Napoli 1973. 166 B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. 2, p. 228.
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distrutto nella sua citta` santa, queste ombre che egli ha dissipato, tutto questo bagaglio di vanita` che da se stesso e` scivolato nel nulla da cui era uscito167.
E mentre avveniva questo scardinamento dell’erudizione dalla coscienza religiosa e dalle Chiese, il mondo letterario concorreva alla disfatta dell’erudizione con la Querelle des Anciens et des Modernes, la cui eco nell’opinione pubblica era destinata a essere superiore e ancor piu` deleteria della disputa sullo spinozismo e del dibattito, relegato all’interno del ristretto universo erudito, sulla scienza diplomatica. Qui sono anzitutto Charles Perrault e Fontenelle, i fautori della superiorita` dei Moderni, a gettare discredito sull’histoire savante. Il primo, che non a caso ricevera` l’elogio di Diderot nella voce “Encyclope´die” dell’omonimo Dizionario delle scienze e delle arti, nella Prefazione ai quattro tomi dei Paralle`les des Anciens et des Modernes (1688-1697), anticipa quella separazione tra autorita` ed erudizione che sara` peculiare degli illuministi. Un certo tumultuoso popolo di eruditi – vi si legge – che, incapponiti di antichita`, non stimano che il talento di intendere bene i vecchi autori; che non si ricredono se non sulla spiegazione probabile di un passaggio oscuro, o sulla felice reintegrazione di un punto corrotto; che, credendo di non dover impiegare i loro lumi che per penetrare le tenebre dei libri antichi, guardano come frivolo tutto cio` che non appartiene all’erudizione168.
Ma e` da Fontenelle che l’histoire savante riceve il suo attacco piu` 169 grave . Tanto piu` rilevante quanto piu` trasferito dall’ambito puramente
167
J.B. Bossuet, Trattato sulla concupiscenza, tr. it. di D. Bosco, Brescia 2002, p. 111. Testo tratto da B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. 2, pp. 272-273. Sulla celebre Querelle che occupo` il mondo letterario francese, cfr. la utile antologia La disputa sei-settecentesca sugli antichi e sui moderni, a cura di M. Teresa Marcialis, Milano 1988. Inoltre: B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. 2, pp. 269-306; G. Macchia, I nani sulle spalle dei giganti, in Id., Il paradiso della ragione. L’ordine e l’avventura nella tradizione letteraria francese, Torino 1972, pp. 95-109. Cenni sull’atteggiamento di Leibniz riguardo alla celebre querelle letteraria francese, che in lui sembra trovare scarsa eco, si trovano in A. Seifert, Neuzeitbewußtsein und Fortschrittsgedanke bei Leibniz, in Aa. Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 174 sgg. 169 La celebre Digression sur les Anciens et les Modernes di Fontenelle e` leggibile in Id., Oeuvres comple`tes, Paris 1990, vol. II, pp. 411-431. Nel terzo volume delle stesse Oeuvres comple`tes sono raccolte le lettere che compongono il carteggio tra Leibniz e Fontenelle (ivi, pp. 380-412). 168
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letterario d’origine a un orizzonte piu` vasto arricchito di presupposti metafisici che mancavano in Perrault, quali quelli della costanza e identita` della natura umana e del progressivo perfezionamento ad opera dell’accumularsi delle esperienze nel corso dei secoli. Un giusnaturalismo, dunque, quello di Fontenelle, al servizio della tesi del progresso dello spirito umano. Quanto alla storia, il pensatore la inscrive nella categoria delle arti, espellendola dall’ambito delle scienze. Sottratta cosı` al dominio del vero sapere, essa viene relegata nella sfera dell’eloquenza, della leggenda, della profezia: L’histoire n’est qu’une fable convenue,
recita una celebre affermazione di Fontenelle in merito. Con cio`, la Querelle des Anciens et des Modernes recupera i motivi piu` classici della secessione cartesiana tra storia ed enciclopedia delle scienze che avevano 170 inaugurato il problema dello statuto epistemologico della storia . 170 Cartesiani, in effetti, erano stati gli esordi di quel vasto dibattito sullo statuto epistemologico della storia che aveva occupato i filosofi del Seicento, dibattito che va certo collocato a lato e come prodotto riflesso delle sfide e delle controversie, ma anche dei grandi risultati, che venivano dal mondo degli eruditi, degli antiquari e degli storici di professione. Carlo Borghero ha precisato il carattere riflesso e «parassitario» di tale discussione interna alla filosofia europea circa la definizione epistemologica della storia: «I filosofi – scrive – erano stimolati a leggere i risultati della storiografia (in particolare, le discussioni sulla credibilita` delle testimonianze e sul valore delle tradizioni) come un incentivo a ripensare il metodo della conoscenza storica e delle discipline morali, offrendo, cosı`, una risposta al “riduzionismo” cartesiano che aveva escluso tali scienze dall’enciclopedia del sapere. Esaminate attentamente, tali elaborazioni filosofiche ... manifestano un carattere essenzialmente parassitario. Si tratta, in effetti, di costruzioni di secondo grado in rapporto alla coeva pratica storiografica. Esse non si propongono tanto di orientare la ricerca degli storici e degli antiquari, ma piuttosto di utilizzarne i risultati per aggiornare le discussioni filosofiche sulla conoscenza nelle materie di fatto, traducendo nuovi problemi nel linguaggio della tradizione filosofica. Cio` spiega la sterilita` dei risultati storiografici effettivi che caratterizzano queste costruzioni teoriche e il disinteresse sostanziale degli storici al loro riguardo» (Id., Les philosophes face a` l’histoire. Quelques discussions sur la connaissance historique aux XVII et XVIII sie`cles, in Aa. Vv., Pratiques et concepts de l’histoire en Europe XVI-XVIII sie`cles, cit., p. 73). A voler fissare il punto di partenza della disputa filosofica de fide historica, entro cui Leibniz ha rappresentato una voce di grande rilievo, occorre certo riandare a Cartesio e alla sua definizione dell’enciclopedia delle scienze come progetto escludente le discipline morali e storiche, in quanto forme di conoscenza meramente probabili. In effetti, la frattura tra ragione e memoria, tra certezza apodittica e conoscenza probabile, resta dall’inizio alla fine della riflessione cartesiana quanto mai recisa. Siamo, percio`, con il filosofo francese, come scrive Borghero, i cui risultati qui sintetizziamo, a un «rovesciamento dell’immagine umanistica della storia: essa non e` una fonte attendibile di conoscenza del passato, ma si riduce per lo piu` a una pura esercitazione retorica che, nel pur nobile intento di fornire un paradigma morale, finisce per fornire informazioni false e per provocare, di conse-
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Certo, per tornare a Leibniz dopo la digressione dedicata alla de´faite dell’erudizione, della quale il filosofo intuisce intorno agli anni ’70 del Seicento i prodromi, il giovane pensatore che nel 1673 scriveva a Huet, ne fosse gia` pienamente cosciente o meno, si apprestava, nei decenni successivi, a porsi come uno dei piu` prestigiosi eredi di quella forma di erudizione storica che, nata nei conventi e negli ordini religiosi come la Congregazione benedettina di Saint-Maur in Francia o la Congregazione gesuita dei Bollandisti nelle Fiandre, si sarebbe ampliata nel corso dell’eta` della crisi della coscienza europea a mani e menti laiche, rinvenendo la sua patria non piu` solo ed essenzialmente nelle comunita` religiose, ma in una piu` vasta Repubblica delle lettere, sorta di ecclesia invisibilis vivente nella trama di relazioni, personali ed epistolari, intessute tra Parigi, Anversa, Modena, guenza, comportamenti non confacenti alla natura dell’uomo e quindi nocivi» (Id., La certezza e la storia, cit., p. 30). La tesi cartesiana e` all’origine di una serie di reazioni e posizioni teoriche sul problema in questione. In particolare, se – come prosegue lo studioso italiano – «Descartes non si mostra interessato a sviluppare una teoria della conoscenza probabile, che egli sa essere quanto mai precaria e assai poco conforme al suo ideale della semplicita` della scienza», occorre registrare, sia nel quadro dell’impostazione metodologica cartesiana, sia in alternativa ad essa, la «tendenza a limitare le conseguenze riduttive dell’epistemologia di Descartes e a lasciare aperta la possibilita` di un recupero della validita` conoscitiva delle discipline storiche e morali» (ivi, pp. 34-35), mediante una logica dei fatti, o logica del probabile. In questa prospettiva, mentre la Logique ou l’Art de penser (la quarta parte della quale fu pubblicata nel 1662) redatta dai maestri di Port-Royal Arnauld e Nicole e, per molti versi, l’opera di Bayle (insieme ad altri revisori della logica cartesiana: dal tedesco Johann Clauberg all’olandese Jean de Raei, al francese Nicolas Joseph Poisson, per citarne alcuni), rappresentano un tentativo di integrare il cartesianesimo dall’interno, altri pensatori europei si posero, sulla stessa via della riabilitazione epistemologico-metodologica della storia, in una posizione di netta alternativa al cartesianesimo. A questo composito schieramento appartengono – nella documentata ricostruzione di Borghero – Gassendi, il cui scetticismo gnoseologico non solo non impedisce, ma finisce per favorire la ricerca di un metodo applicabile alla probabilita` e alla testimonianza, Huet, prosecutore, per molti versi, del gassendismo e fautore di una sintesi tra scetticismo ed erudizione in funzione apologetica, la tradizione agostiniana del giansenismo e Pascal, l’empirismo di Locke, l’unione di diritto e storia di J. Eisenhardt, la logica del verosimile di Leibniz e di P.R. de Montmort, colui che, per primo, appoggiandosi all’autorita` del filosofo di Hannover, tento` di seguire la via metodica da lui additata. Tale ricerca di una via media tra il riduzionismo geometrico di Cartesio e la scepsi assoluta di un La Mothe Le Vayer, tesa a restituire dignita` scientifica alla disciplina storica, ha certo rappresentato, nel contesto del dibattito seicentesco sul metodo storico, l’indirizzo piu` fecondo, anche perche`, al suo interno, si era fatto chiaro che la difesa delle tradizioni e del sapere storico passava per il confronto con il pirronismo storico, piuttosto che per apologie intransigenti che rifiutavano la critica, a` la Bossuet, o, per altro verso, per l’assenso offerto al matematismo cartesiano in un tentativo di geometrizzare la morale e la disciplina storia, come documentano le posizioni di John Craig o di Jakob Bernoulli.
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Firenze, Hannover, l’Inghilterra, e vivente anche in istituzioni della ricerca storica come l’Acade´mie des Inscriptions et Belles-Lettres e, piu` tardi, nel XVIII secolo, il Cabinet de Chartes. Cosı` K. Pomian descrive icasticamente tale invisibile Repubblica delle Lettere: Paese senza territorio, confini e governo, la Repubblica delle Lettere esiste ovunque vi sia almeno uno dei suoi membri; e` dunque un paese al di fuori dello spazio. Ma e` anche un paese in cui nessuna particolarita` viene ammessa: vi si partecipa in quanto esseri sociali e ragionevoli, e si lascia fuori tutto cio` che divide gli individui contrapponendoli gli uni agli altri: le appartenenze familiari, sociali, etniche, politiche e confessionali. In tal senso e` anche un paese al di fuori del tempo, una sorta di Chiesa universale, invisibile e laicizzata, i cui membri sono ritenuti al servizio della sola verita`: come dire che la Repubblica delle Lettere e` un’utopia, ma un’utopia vissuta e concepita dai suoi membri come una comunita` reale, e alle cui regole bisogna conformarsi se si vuole essere riconosciuti dagli altri e continuare a farne parte. Per gli storici l’appartenenza a questa Repubblica comporta l’obbligo di adottare il punto di vista della verita`, che per tutti e` lo stesso: ossia quello dell’universale. E questo in pratica significa, se la verita` lo richiede, saper agire se necessario anche contro il proprio paese, la propria confessione o l’istituzione cui si appartiene171. 171
K. Pomian, Che cos’e` la storia, cit., p. 72. Come osserva G. Lefebvre, «Leibniz si era reso conto della superiorita` conquistata dalla Francia grazie all’esistenza delle congregazioni le quali, dal punto di vista dell’erudizione, costituivano un apporto qualitativo difficilmente eguagliabile. Poiche´ nella Germania protestante non esistevano piu` congregazioni, Leibniz ha concepito l’idea di sostituire a esse un’altra creazione francese, le accademie. Si e` impegnato a mettere in piedi delle accademie o societa` di dotti che potessero assolvere un ruolo analogo a quello delle congregazioni» (Id., La storiografia moderna, cit., pp. 101-102). Tuttavia, nella sostituzione leibniziana delle accademie e delle libere relazioni tra studiosi alle congregazioni monastiche e` da ravvisarsi, ci sembra, qualcosa di piu` di una semplice necessita` storica legata al mondo protestante, privo com’era di ordini religiosi: si trattava, in realta`, nel disegno di Leibniz, dell’idea di una Chiesa ecumenica, autenticamente universale, senza dogmi e riti che non fossero il controllo reciproco dei risultati acquisiti, che veniva sostituendosi all’hortus conclusus delle congregazioni a sfondo confessionale, per quanto queste potessero essere dal filosofo ammirate e stimate. L’organizzazione religiosa del mondo, descritta da J. Baruzi nel suo studio del 1907 Leibniz et l’organisation religieuse de la terre, cit., passava per il tramite di una simile Chiesa universale e sovra-confessionale. Quanto essenziali, poi, siano stati per Leibniz i rapporti tra gli studiosi diventa chiaro appena si rifletta sul fatto che e` essenzialmente grazie a informazioni avute da amici eruditi (si pensi, in particolare, ad Antonio Magliabechi, punto di mediazione essenziale per i rapporti tra Leibniz e gli intellettuali a Firenze e in Italia), che l’hannoverese riuscı` a venire a capo, nel corso della sua Forschungsreise, della connessione genealogica tra la Casa d’Este e quella guelfa nel monastero della Vangadizza. Sottolinea la paradigmaticita` del rapporto epistolare tra Leibniz e Magliabechi, M. Palumbo in Leibniz e la res bibliothecaria, cit., pp. 28-29. Per i particolari del rapporto tra i due eruditi cfr. A. Robinet, G.W. Leibniz. Iter italicum, cit., pp.
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Nello stesso carteggio con Huet, in una lettera piu` tarda, scritta nel marzo 1679, dopo il ritorno ad Hannover, si legge una significativa definizione dell’attivita` erudita e della sua distinzione dalla filosofia: Eruditum autem intelligo, qvalis tu es (qvod enim exemplum proponere possim rei praesenti congruentius?) id est, qvi res maximas in orbe cognito gestas, qvo usqve hominum memoria pertingit, animo complexus est ... Itaqve eruditione praestat, qvi coeli terraeqve phaenomena admiranda, qvi naturae artisqve historiam, qvi migrationes gentium mutationesqve linguarum atqve imperiorum, qvi praesentem orbis statum, et ut verbo dicam, qvidqvid non ex ingenio inveniendum, sed ex ipsis rebus hominibusqve discendum est, in promtu habet; et sic qvidem philosophia ab Eruditione differt, qvemadmodum id qvod est rationis, sive juris, ab eo qvod est facti [A II, 1, 465].
L’erudito e` colui che e` capace di conservare la memoria delle «res gestae maximae in orbe cognito», di quei fatti degni di conoscenza e ricordo quali i fenomeni del cielo e della terra, la storia della natura e delle arti tecniche, le migrazioni dei popoli, i mutamenti delle lingue e degli imperi, lo stato presente del mondo, in breve, tutto cio` che non proviene dall’ingegno inventivo ma che si apprende dalle cose stesse e dagli uomini. Cosı`, la filosofia differisce dall’erudizione come il quid iuris dal quid facti, come la serie si distingue dalla legge della serie. Quanto Leibniz sia sempre rimasto fedele a questa distinzione – che non significa separazione invalicabile – tra erudizione (quid facti) e verita` di ragione (quid iuris), lo mostra la lettera a Thomas Burnett of Kemney del 17/27 luglio 1696, ove si legge qualcosa di non lontano dalla lettera a Huet: Cependant je fais grande distinction entre les connoissances solides, qui augmentent le tresor du genre humain, et entre la notice des faits, qu’on appelle l’erudition vulgairement. Je ne meprise point cette erudition; au contraire j’en reconnois l’importance, et l’utilite´; Mais je souhaiterois pourtant qu’on s’attachaˆt d’avantage au solide; car il y a par tout trop peu de personnes qui s’occupent au plus important [A I, 12, 732].
C’e`, in questa distinzione tracciata da Leibniz tra «conoscenze di fatto, volgarmente chiamate erudizione» e le «conoscenze solide, che aumentano 215-221. Sulla Re´publique des Lettres, si veda anche M. Fattori, La strategia epistolare della Re´publique des Lettres, in Id., Linguaggio e filosofia nel Seicento europeo, Firenze 2000, pp. 331-383.
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il patrimonio del genere umano», uno dei nodi ermeneuticamente cruciali del dibattito sul Leibniz storico, da quando Louis Daville´ ha inaugurato, all’inizio del Novecento, la discussione in merito: quello del rapporto tra l’histoire savante, tra la pratica antiquaria ed erudita, e il sistema filosofico. Quanto Leibniz abbia mirato a superare, nella teoria e nella pratica storica l’opposizione tra erudizione e filosofia, cosı` invalsa nel suo tempo, mirando a una cooperazione tra le due forme di sapere, lo testimonia direttamente un’altra lettera a Th. Burnett (2/13 febbraio 1700), ove si legge che les hommes qui se piquent de philosophie et de raisonnement ... ont coutume de mepriser les recherches de l’antiquite´, et les antiquaires a` leur tour se moquent de ce qu’ils appellent les reveries des Philosophes. Mais pour bien faire, il faut rendre justice au merite des uns et des autres [GP III, 270].
Per Leibniz, certo, l’erudizione, in se´ considerata, e` cieca. L’assemblaggio puramente empirico dei materiali che l’attivita` antiquaria, nella definizione che delle antiquitates da` Francesco Bacone nel De Augmentis scientiarum, realizza, salvando i residui storici come le tavole di legno di un 172 naufragio , non puo` rischiarare la mente. Anche sul piano conoscitivo, nella prospettiva leibniziana, la memoria non ci eleva al di sopra degli animali, anch’essi capaci di qualche forma di ricordo e di associazione empirica, ma non di ragionamento. Occorrera`, dunque, intervenire sulla nozione, cui pure Leibniz assente, di storia come memoria e collezione di dati di fatto per elevarla a un grado conoscitivo piu` alto, quello che il principio di ragione e la corrispondente logica del verosimile consentono. Se la scienza diplomatica di Mabillon inaugura l’unione di erudito, 173 antiquario e storico , Leibniz intende indubbiamente allargare tale sodalizio anche al filosofo. In questo progetto, il pensatore di Hannover contrastava una generalizzata tendenza del suo tempo a opporre erudizione e filosofia, tendenza di cui egli riteneva i cartesiani i primi responsabili. Ma 172
«Le antichita`, o reliquie della storia, sono ... tavole di naufragio, che gli uomini, nella loro industriosita` e sagacia, traggono fuori dal diluvio del tempo e conservano ricavandole con scrupolosa diligenza e con una certa ostinazione da genealogie, fasti, titoli, monumenti, monete, nomi propri e stili, etimologie di parole, proverbi, tradizioni, archivi e strumenti pubblici e privati, frammenti di storia dispersi in libri non di storia; » (F. Bacone, Della dignita` e del progresso delle scienze, in Id., Opere filosofiche, cit., vol. II, pp. 102-103). 173 Cfr. B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. 2, p. 168.
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non meno responsabili erano, in realta`, i difensori intransigenti dell’ortodossia come Bossuet e Malebranche, nei quali, come gia` rilevato, la condanna dell’erudizione riceveva conferma, come si e` accennato, nei pericoli per la fede recati dagli Spinoza, dai Simon, dai Lapeyre`re, dagli Hobbes. Con Huet, invece, Leibniz poteva condividere l’idea programmatica di impiegare l’erudizione, la principale arma degli atei, dei libertini e dei pirronisti, per la difesa della religione cristiana. Ma il disegno di Leibniz di difesa del sapere storico passava per un sodalizio tra la storia stessa e il sistema filosofico teso a fornire alla storiografia erudita e annalistica un fondamento speculativo, cio` che avviene, a noi pare, essenzialmente su due piani: su quello logico, mediante una logica della certezza morale; su quello ontologico, mediante la legge di continuita`. Converra` dunque analizzare questi due punti essenziali, e trarre poi delle conclusioni quanto alla dibattuta questione del rapporto tra erudizione storica e filosofia in Leibniz. 174 175 Intanto, sulla scorta di Daville´ e di Conze , possiamo inquadrare le proposizioni storiche nel dominio delle verita` di fatto, o contingenti. Con questa mossa, la storia si trova sottoposta al principio di ragione e alla logica del probabile. Alla storia, sostiene Leibniz, non si adatta la dimostrazione rigorosa, ma la ponderazione delle testimonianze, la valutazione delle prove a favore o contro un certo fatto, in modo da conseguire il piu` alto grado di assenso possibile. Pretendere di offrire dimostrazioni di tutto equivarrebbe a paralizzare il processo cognitivo in interi ambiti di realta` e a fare il gioco del pirronismo. In tal senso, scrive Leibniz in una lettera al duca Ernst August scritta nei giorni dell’estate 1685 (30 luglio/9 agosto), mentre si apprestava a ricevere l’incarico storiografico, dove si fa riferimento alla disputa genealogica con Teodoro Damaideno: J’avoue aussi avec Monsieur l’Abbe´ qu’on ne doit pas demander des demonstrations en matiere d’histoire. Autrement on pourroit douter de tout, et faire comme Dion surnomme´ le Chrysostome, qvi soutient contre Homere et contre toute l’antiqvite´, qve la prise de Troja est fausse, et qve les Grecs ont este´ battus par les Trojens [A I, 4, 202].
Alla logica dei gradi di probabilita`, capace di ponderare le ragioni verosimili, di soppesare il vero e il falso, e all’auspicio leibniziano di una sua elaborazione, cio` di cui il pensatore avvertiva la mancanza nel suo tempo, si sono gia` fatti, nel corso del lavoro, diversi accenni. Si puo` ora ulteriormente 174 175
Cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., pp. 337-240. Cfr. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., pp. 41-42.
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precisare, con Carlo Borghero, che tale logica possedeva due modelli principali di riferimento: la logica giuridica di cui si avvalgono i giureconsulti per accertare i fatti e i rapporti tra il fatto e la norma giuridica, e la recente teoria della probabilita`, sorta in margine alle riflessioni di alcuni matematici intorno ai giochi d’azzardo. Le due differenti tradizioni possono fornire materiali alla nuova logica, che potra` dare una trattazione quantitativa della probabilita`, liberando definitivamente questa nozione dall’impostazione qualitativa data ad essa dalla topica aristotelica: separando cioe` la verosimiglianza ricavabile dalla natura delle cose dall’autorita` e dal numero dei testimoni che le riferiscono176.
Che una simile logica, declinata nei termini di un’ars historica, servisse a fondare, a conferire un solida base logica alla ricerca storica, da opporre al pirronismo, e` un testo tratto dalla lettera di Leibniz a Th. Burnett del 1/11 febbraio 1697 a esprimere con tutta chiarezza: J’ay remarque´ plusieurs fois tant en Philosophie, qu’en The´ologie, et meˆme en matiere de Me´decine, de Jurisprudence, et d’Histoire, que nous avons
176
C. Borghero, Conoscenza e metodo della storia da Cartesio a Voltaire, cit., p. 99. Conferma Borghero richiamando in un altro scritto le fonti principali ove Leibniz sottolinea la connessione tra logica della verosimiglianza e dottrina delle prove legali: «Che fossero i giuristi quelli che si erano avvicinati di piu` a costruire l’auspicata logica della verosimiglianza Leibniz non si era stancato di ricordarlo a molti dei suoi corrispondenti: nel 1688 ad Antoine Arnauld a proposito della ricerca della characteristica universalis, affermando che se ne trovano alcuni saggi nella giurisprudenza, perche´ “non c’e` stile che assomigli di piu` a quello dei geometri di quello dei giureconsulti nei digesti”, e indicando come modello per “applicare il calcolo alle materie congetturali” le ricerche de alea condotte da Pascal e da Christiaan Huygens; nel 1696 a Gabriel Wagner affrontando direttamente la questione del gradus probabilitatis, cioe` della forza probatoria degli indizi, e ponendo l’esigenza di una bilancia per ponderare le indicazioni a carico e quelle a discolpa, riguardo alla quale “nessuno si e` tanto avvicinato alla sua realizzazione e ci ha fornito tanti aiuti quanto i giuristi”; nel 1697 a Thomas Burnett a proposito della topica o dialettica, definita come «l’arte di valutare i gradi delle prove, che non si trova ancora negli autori di opere di logica, ma di cui soltanto i giuristi hanno dato dei saggi che non sono da disprezzare e possono servire di inizio per costruire la scienza delle prove, capace di verificare i fatti storici e dare il senso dei testi. Infatti sono i giuristi che si occupano dell’una e dell’altra cosa nei processi». D’altronde il riferimento al modello teorico della logica legale e alla prassi giudiziaria come fonti per la costruzione della logica del verosimile e` costante negli scritti giuridici e filosofici di Leibniz, dagli Specimina juris (1669) ai Nouveaux essais (1704)» (C. Borghero, Il fatto, la testimonianza, la prova, in Aa. Vv., La geografia dei saperi. Scritti in memoria di Dino Pastine, a cura di D. Ferraro e G. Gigliotti, Firenze 2000, p. 225).
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une infinite´ de bons livres, et de bonnes pense´es disperse´es ca` et la`, mais que nous ne venons presque jamais a` des Establissemens. J’appelle Establissement, lorsqu’on determine et acheve au moins certains points, et met certaines theses hors de dispute, pour gagner terrain, et pour avoir des fondemens, sur les quels on puisse baˆtir [A I, 13, 553].
Nella stessa lettera, dopo aver precisato i due tipi di proposizioni che necessitano di fondazione – «le une che possono essere dimostrate in modo assoluto ... le altre che possono essere dimostrate moralmente» – e dopo aver richiamato il De utilitate credendi di Agostino come una ragguardevole riflessione sulla certezza morale, Leibniz passa all’esame della «filosofia pratica», distinta dalla «filosofia teorica» e «fondata sulla vera topica o dialettica», cosı` esprimendosi: Mais la philosophie practique est fonde´e sur la veritable Topique ou Dialectique c’est a` dire sur l’art d’estimer les degre´s des probations, qui ne se trouve pas encor dans les auteurs Logiciens, mais dont les seuls Jurisconsultes ont donne´ des e´chantillons qui ne sont pas a` mepriser, et peuvent servir de commencement pour former la science des preuves, propre a` verifier les faits historiques, et a` donner le sens des textes. Car ce sont les Jurisconsultes qui s’occupent ordinairement a` l’un et a` l’autre dans les proce´s [A I, 13, 554-555].
Infine, nel fare riferimento all’assioma latino per cui le prove vanno pesate piu` che enumerate, osserva: On dit souvent avec justice, que les raisons ne doivent pas estre compte´es, mais pese´es; cependant personne nous a donne´ encor cette balance qui doit servir a` peser la force des raisons. C’est un des plus grands defauts de nostre Logique, dont nous nous ressentons meˆmes dans les matieres les plus importantes et les plus serieuses de la vie, qui regardent la justice, le repos et bien de l’estat, la sante´ des hommes, et meˆme la religion [A I, 13, 555].
Leibniz non portera` mai a compimento il proposito di elaborare una teoria dei gradi di probabilita`, enunciato nelle righe successive a quelle riferite della medesima lettera. E` nei Nouveaux essais, tuttavia, che l’articolazione dei livelli di verosimiglianza appare espressa nel modo piu` perspicuo. E, naturalmente, e` alla logica dei giuristi, alle tabulae iudiciorum del sistema delle prove legali che Leibniz principalmente si rivolge, anche se richiama altresı` la pratica medica, anch’essa caratterizzata, come quella giuridica, da un’attivita` di interpretazione indiziaria di segni, tracce, che consentono
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l’applicazione al caso particolare della norma generale, e lo studio dei giochi d’azzardo, svolto dai matematici: Les jurisconsultes en traittant des preuves, presumtions, conjectures et indices ont dit quantite´ de bonnes choses sur ce sujet et sont alle´s a` quelque detail considerable. Ils commencent par la Notoriete´, ou` l’on n’a point besoin de preuve. Par apre´s ils viennent a` des preuves entieres ou qui passent pour telles, sur les quelles on prononce, au moins en matiere civile, mais ou` en quelques lieux on est plus reserve´ en matiere criminelle; et on n’a pas tort d’y demander des preuves plus que pleines, et sur tout ce qu’on appelle corpus delicti selon la nature du fait. Il y a donc preuves plus que pleines, et il y a aussi des preuves pleines ordinaires. Puis il y a presumptions, qui passent pour preuves entieres provisionnellement, c’est a` dire, tandis que le contraire n’est point prouve´. Il y a preuves plus que demi pleines (a` proprement parler) ou` l’on permet a` celuy qui s’y fonde, de jurer pour y supple´er (c’est juramentum suppletorium). Il y en a d’autres moins que demi pleines, ou` tout au contraire on defere le serment a` celuy qui nie le fait, pour se purger (c’est juramentum purgationis). Hors de cela il y a quantite´ de degre´s des conjectures et des indices. Et particulierement en matiere criminelle il y a indices (ad torturam) pour aller a` la question (la quelle a elle meˆme ses degre´s marque´s par les formules de l’arrest), il y a indices (ad terrendum) suffisans a` faire monstrer les instrumens de la torture, et preparer les choses comme si l’on y vouloit venir. Il y en a (ad capturam) pour s’asseurer d’un homme suspect; et (ad inquirendum) pour s’informer sous main et sans bruit. Et ces differences peuvent encor servir en d’autres occasions proportionnelles. Et toute la forme des procedures en justice n’est autre chose en effet qu’une espece de Logique, applique´e aux questions de droit [A VI, 6, 464-465].
Ecco, dunque, i fondamentali gradi di verosimiglianza indicati da Leibniz in questo brano: — La notorieta`, in cui non si ha bisogno di prova. — La prova completa, sulla base della quale e` possibile pronunciare un giudizio. — La presunzione, ovvero cio` che puo` essere provvisoriamente ritenuto per prova completa finche´ non possa essere dimostrato il contrario con ragioni migliori. — La congettura, di minore grado di probabilita`, e tale da dover essere soppesata in base ad altre congetture. — Gli indizi. Notorieta`, prove complete, presunzioni, congetture e indizi, a loro volta
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forniti di ulteriori sotto-distinzioni, scandiscono dunque i gradi di una logica imprescindibile per soppesare i fatti determinando i gradi di verosimiglianza ex datis, a partire cioe` dalla natura delle cose, eludendo quanto piu` possibile l’arbitrio soggettivo e l’opinione. Il probabile, infatti, per Leibniz, non e` l’opinabile, ed e` per questo che il pensatore tedesco non assume come punto di riferimento per la sua logica della verosimiglianza l’endoxon aristotelico dei Topici, recepito invece dai moralisti, in particolare dai gesuiti, ai quali il filosofo oppone il metodo dei giuristi. Secondo quanto Leibniz precisa nei Nouveaux essais IV, 2, 14, dove l’endoxon aristotelico e` definito come «cio` che e` accolto dal maggior numero o dalle principali autorita`», il parere delle persone autorevoli non basta a rendere completa la verosimiglianza, anche se puo` concorrere positivamente a realizzarla. Quando Copernico, argomenta Leibniz, era il solo a sostenere la sua teoria, essa restava pur sempre piu` verosimile di quella creduta dal resto del genere umano. La critica alla teoria della probabilita` aristotelica riceve limpida espressione, oltre che nel luogo ricordato dei Nouveaux essais, anche nella lettera a Cornelius Dietrich Koch del 1708: Aristoteles enim probabilitatem de qua agit in Topicis, in aliorum autoritate et applausu posuit. Endoxa illi quae aliis placent, paradoxa quae non placent. Itaque tradidit regulas quasdam vulgo receptas, aptas magis ad aliorum approbationem obtinendam quam ad verisimilitudinem indagandam, quae non tantum ex aliorum judiciis, sed et rebus ipsis pendet nec topicis illis pronuntiatis parum firmis, sed aliis longe fundamentis nititur. Casuistae qui de probabilitatibus in re morali parum apte scripsere, etiam Aristotelis notionem sequuntur, sed eam male applicant ad quaestiones conscientiae, ubi magis verisimilitudo rerum quam opinio hominum spectanda. Etsi nonnihil et aliorum judicia et testimonia pertinerent ad verisimilitudinem rerum [sed ita ejus tantum partem faciant, quemadmodum et personae inter res computantur. Est enim aliquid verisimilitudinis in eo, ut alios recte sentire credamus]. Hanc Logicae partem inter desiderata colloco, extant tamen sparsim ejus semina nec uspiam magis quam apud Jurisconsultos, ubi praesumtiones, indicia, conjecturae, probationes plus minusve plenae passim in considerationem veniunt [GP VII, 477].
Non, dunque, all’Aristotele dei Topici ne´ alla dottrina casuista gesuita, ispirata alla concezione aristotelica dell’assenso del maggior numero o dell’autorita`, Leibniz guarda come ai riferimenti significativi per la costruzione di una logica della certezza morale, ma primariamente agli scritti dei giureconsulti, alla loro dottrina delle presunzioni, degli indizi, delle congetture, delle prove piu` e meno piene. Nel seguente brano dei Nouveaux essais,
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tuttavia, dopo aver confermato la valutazione critica di Aristotele, il richiamo va ai matematici che hanno riflettuto sulle probabilita` all’interno dei giochi d’azzardo. E` noto, infatti, il rapporto epistolare intrattenuto da Leibniz con Johann e Jakob Bernoulli, nel corso del quale, come ricorda Borghero, il pensatore di Hannover «maturo` anche la sua ricerca delle regole per misurare la probabilita` e dell’opportunita` di applicarle ai casi 177 giudiziari» : J’ay dit plus d’une fois qu’il faudroit une nouvelle espece de Logique qui traiteroit des degre´s de probabilite´, puis qu’Aristote dans ses Topiques n’a rien moins fait que cela, et s’est contente´ de mettre en quelque ordre certaines regles populaires distribue´es selon les lieux communs, qui peuvent servir dans quelque occasion ou` il s’agit d’amplifier le discours et de luy donner quelque apparence, sans se mettre en peine de nous donner une balance necessaire pour peser les apparences et pour former la` dessus un jugement solide. Il seroit bon que celuy qui voudroit traitter cette matiere, poursuivit l’examen des jeux de hazard, et generalement je souhaiterois qu’un habile Mathematicien voulut faire un ample ouvrage bien circonstancie´ et bien raisonne´ sur toute sorte de jeux, ce qui seroit de grand usage pour perfectionner l’art d’inventer; l’esprit humain paroissant mieux dans les jeux que dans les matieres les plus serieuses [A VI, 6, 466].
Possiamo, con cio`, passare alla disamina del fondamento ontologico della storiografia leibniziana: quello legato al principio di continuita`. Un brano di Daville´ illumina assai bene questa tematica. Dopo aver precisato che «la legge di continuita` e` al fondo stesso dell’opera storica di Leibniz», osserva infatti lo studioso francese: Se in virtu` di questa legge ogni fatto risulta legato a tutti gli altri sia rispetto al tempo che allo spazio, ne discende che nulla, in storia, e` indifferente o isolato, che il dettaglio degli avvenimenti puo` rivestire un’importanza considerevole, cosı` come la riproduzione di esso secondo l’ordine piu` rigoroso in cui e` avvenuto. Di qui deriva la grande attenzione prestata agli individui di ogni sorta, alla geografia storica che offre la continuita` dei luoghi, alla cronologia che segna la continuita` nel tempo, alla genealogia che stabilisce quella relativa alle persone e la connessione delle famiglie; di qui deriva, ancora, la ricerca del dettaglio delle circostanze e dell’esattezza sin nei termini, la preoccupazione concernente le origini, l’esposizione delle cause profonde e delle conseguenze lontane dei 177
C. Borghero, Il fatto, la testimonianza, la prova, in Aa. Vv., La geografia dei saperi, cit., p.
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fatti, l’amore per le digressioni attraverso la continuita` di un medesimo soggetto, l’impiego costante dell’analogia e la preoccupazione dell’attualita` che caratterizzano la sua grande opera178.
La legge di continuita` e` il tessuto connettivo ontologico con cui viene tenuta insieme la frammentazione infinita delle cose passate. Si puo` ben dire che essa costituisca per la ricerca storica una sorta di idea regolativa che spinge a dilatare senza posa legami e interferenze, a non ritenere nulla indifferente ne´ isolato, a considerare ogni dettaglio che sia documentabile con un adeguato grado di certezza morale, a impiegare, per questo, le cognizioni che dalle scienze ausiliarie della storia potevano venire. La storia, in cio`, e` certo per Leibniz un campo infinito di res singulares che lo storico percorre senza mai esaurirlo, come gli Annales Imperii testimoniano, anche e proprio nel loro essere incompiuti. In questo senso, il principio di continuita` costituisce una cerniera decisiva tra storiografia, erudizione e filosofia. Ma cio` non basta, a nostro avviso, per porre rimedio ai limiti strutturali del modello storiografico erudito-annalistico o per parlare di un suo rinnovamento profondo. Se, certo, attraverso il principio di continuita` e` avverti179 bile negli Annales Imperii, come osserva Conze , la volonta` di legare i fatti, di concatenare gli eventi secondo relazioni causali, per lo piu` regionalmente ordinate, non si esce comunque, con cio`, dalle Geschichten, dal frazionamento di fondo delle res gestae. E`, questo, un esempio di come il modello annalistico costringa, come un letto di Procuste, princı`pi filosofici che, in se´, sono tali da andare ben oltre le rigide maglie della suddetta rappresentazione storica, tanto che quel modello, negli Annales Imperii, viene proprio dalla legge di continuita` come trascinato ai limiti di se stesso, nello sforzo, destinato al naufragio, di afferrare tutto l’esistente. Valgono, qui, le osservazioni sull’eccedenza della legge di continuita` rispetto alla forma annalistica svolte nel capitolo primo § 8 a proposito del tempo storico: la funzione “interna” alla storiografia erudito-annalistica, di cui non si disconosce l’apporto innovativo, non esaurisce il principio di continuita`: esso, debordando da quei confini, non senza averli in parte rinnovati, e` alla base altresı` della metafisica della storia, come attesta il frammento sull’Apokatastasis. Ci pare dunque legittimo, alla fine, confermare la tesi da noi sostenuta 178
L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 689. Ci siamo gia` soffermati sul rapporto tra erudizione annalistica e legge di continuita` nei §§ 7-8 del capitolo primo. Cio` giustifica in questa sede una trattazione piu` sintetica di questo punto. 179 W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 21 sgg.
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dell’imperfetta integrazione tra i domini segnati dalla storiografia erudita e dai princı`pi filosofici: il Leibniz storiografo fa uso di questi ultimi finche´ e nella misura in cui offrono fondamenti al modello erudito-annalistico, piegandoli alle sue interne esigenze metodologiche. In questo senso, nel contesto riduttivo dell’oggettivismo descrittivo e additivo proprio di tale modello, la logica probabilistica della conoscenza storica, fertile intuizione leibnizia180 na , si traduce in pura logica giudiziaria di accertamento dei fatti, mentre la legge di continuita` si riduce a base connettiva della “fila indiana” del “prima” e del “poi” propria dell’ordine cronologico-genealogico. Per questo, se di “ermeneutica storica” si vuole parlare, come fa Con181 ze a proposito della logica del probabile, occorre intenderla nei limiti di un’ermeneutica della fatticita` storica, fondamentalmente ricalcata sul modello giudiziario. L’arte del valutare il verosimile applicata alla pratica storiografica non e` altro, in fondo, che una tecnica “giudiziaria” praticata dallo storico-giudice al fine di rafforzare l’autorita` delle testimonianze, di potenziare l’arte dell’osservazione, di pervenire all’accertamento dei fatti, come all’interno di un processo teso a far emergere la verita` mediante la solidita` delle prove e la sincerita` dei testimoni. Un’epistemologia, questa, del tutto 182 coerente, come ha osservato anche B. Kriegel , con la diplomatica di Mabillon, percio` con il modello erudito per eccellenza. Per quanto la logica del probabile innalzi la storia al di sopra della mera memoria grazie a una forma piu` elevata di razionalita`, quella legata alla logica delle verita` di fatto, non si esce, con cio`, dal dominio del fattuale, da una teoria della fatticita` che riflette e non supera le discussioni seicentesche sul sistema della prova, sulla fides historica, e di cui la forma storiografica annalistica e` l’eloquente 183 espressione . Dal canto suo, come si diceva, la legge di continuita` svolge un ruolo connettivo all’interno di un contesto imperniato su cronologie e genealogie, dove i fatti sono allineati e appiattiti, perdendo, con cio`, buona parte della
180
Ricorda anche H.-I. Marrou a proposito della logica del probabile in storia: «eccoci di fronte a uno dei princı`pi fondamentali della teoria della storia che – da Leibniz fino a R. Aron (e di quest’ultimo si ricordera` la formula in stile kantiano: “la modalita` dei giudizi storici e` la possibilita`”) – e` stato tanto spesso riaffermato» (Id., La conoscenza storica, cit., p. 117). 181 W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 53. 182 Cfr. B. Kriegel, L’histoire a` l’Age classique, cit., vol. 2, pp. 205-217. 183 Una conclusione non lontana dalla nostra, per la quale la storia in Leibniz non supera il dominio del fattuale, di cui la forma annalistica e` traduzione, e` quella espressa da M. Fichant, in accordo con W. Schneiders, in LF, 197-198.
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sua potenza innovativa e della sua carica “eversiva”. La stessa, che altre idee-chiave leibniziane quali “prospettivismo”, “armonia contestuale”, “durata”, “forza interna alla monade”, possedevano e delle quali il pensatore tedesco non ha saputo, o potuto, far tesoro nella sua storiografia: come colui che, avendo approntato tutti i materiali concettuali, si trovi poi nell’impossibilita` di raccoglierli in una nuova sintesi, restando sulla soglia di essa, come in sospensione tra il passato e il futuro.
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3 METAFISICA, TEODICEA E STORIA IL “ROMANZO DI DIO” E IL PROGRESSO DEL MONDO Ich ha¨tte zwar wu¨nschen mo¨gen, daß der Roman dieser Zeiten eine beßere Entkno¨tung gehabt; aber vielleicht ist er noch nicht zum ende. Und gleichwie E. D. mit Ihrer Octavia noch nicht fertig, so kan Unser Herr Gott auch noch ein paar tomos zu seinem Roman machen, welche zulezt beßer lauten mo¨chten. Es ist ohne dem eine von der Roman- Macher besten ku¨nsten, alles in Verwirrung fallen zu laßen, und dann unverhofft herauß zu wickeln. (Leibniz a Anton Ulrich, 26 aprile 1713)
1. – Premessa. Leibniz tra secolarizzazione della storia universale e teodicea della storia Certo, non puo` non lasciare perplessi il fatto che Karl Lo¨with, in Weltgeschichte und Heilsgeschehen, disegnando la genealogia della filosofia della storia e additandone gli Urspru¨nge nella Heilsgeschichte ebraico-cristiana, nel localizzare tra il Discours sur l’histoire universelle di Bossuet (1681) e l’Essai sur les moeurs di Voltaire (1756) la transizione dall’«ultima teologia della storia secondo il modello di Agostino» alla prima filosofia della storia di origine voltairiana, non attribuisca in tale trapasso alcun ruolo a Leibniz, il quale, invece, senza dubbio avrebbe potuto essere collocato – nonostante i precisi distinguo che faremo tra la sua elaborazione filosofico-storica e le successive filosofie della storia – in analoga posizione mediatrice accanto a Vico. Ma, al di la` di tale mancato risalto – del resto non l’unico nell’opera lo¨withiana –, e` altresı` lecito chiedersi, come e` stato fatto, se la «liberazione dall’interpretazione teologica» che segna per Lo¨with la nascita della filosofia della storia vada davvero situata nello spazio cronologico circoscritto tra le opere di Bossuet, Vico e Voltaire, oppure se tale spazio non raccolga gli esiti
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di un processo di erosione della visione teologico-escatologica della storia universale iniziato almeno un secolo prima con la Riforma protestante. Cosı` suona, in effetti, la tesi documentata da Adalbert Klempt nel saggio dal titolo Die Sa¨kularisierung der universalhistorischen Auffassung, dove lo studioso, contestando l’indicata localizzazione lo¨withiana, nel distinguere la “dissoluzione” della visione biblica storico-universale e “gli inizi” della nuova immagine dell’Universalhistorie, afferma che in alcun modo la prima e` situabile nello spazio temporale indicato da Kaegi e da Lo¨with, dunque tra il 1680 e il 1750 circa1.
Questo tempo, piuttosto, eredita gli effetti di una crisi che si era aperta verso la meta` del XVI secolo nel campo della storiografia protestante, con 2 Melantone e Peucer, «e senza alcun intento antireligioso» . Cosı`, mentre gia` Bossuet sta di fronte, pur con un atteggiamento di rifiuto, ai nuovi aspetti della visione universale della storia, quali gia` dalla meta` del XVI secolo si erano rivelati ... Voltaire, al contrario, li utilizza efficacemente a confutazione della teologia della storia di Bossuet, contro cui esplicitamente si volge, e li pone a fondamento della sua filosofia della storia, vale a dire del significato anti-biblico della storia umana, nella forma globale di un interminabile progresso della cultura materiale e spirituale guidato dall’autonoma ragione umana3.
Nel suo libro, Klempt identifica l’esistenza di una “prima fase” della secolarizzazione dell’Universalhistorie articolata, come prima accennato, in due momenti: 1) la fine o la dissoluzione (das Ende, die Auflo¨sung) dell’interpretazione teologico-escatologica della storia universale, segnata dalla teologia di Lutero, di Melantone, di Peucer, che pongono una progressiva separazione metodica tra storia sacra e storia profana, e dalla critica mossa agli schemi biblici delle quattro monarchie da Jean Bodin nella Methodus ad facilem historiam cognitionem (1566), critica che costituisce un momento cruciale della Destruktion dello schema teologico-escatologico; 2) i veri e propri inizi (die Anfa¨nge) dell’immagine moderna dell’Universalhistorie, che si configurano attraverso tre distinti contesti di ricerca paralleli e indipen1 2 3
A. Klempt, Die Sa¨kularisierung der universalhistorischen Auffassung, cit., p. 11. Ivi, p. 10. Ivi, p. 12.
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denti, ma alla fine cospiranti nel formare una nuova visione storicouniversale: quello concernente i contenuti della Menschheitsgeschichte (in particolare con Bodin, Bacone e la divisione della storia universale in epoca antica, medievale e moderna), quello relativo alla nuova articolazione del tempo storico – ante Christum natum – sostitutiva delle ere bibliche mondiali, alla crisi delle cronologie bibliche e all’allargamento dei confini della storia attraverso le sterminate antichita` dei Preadamiti di Lapeyre`re, e infine quello attinente all’ampliamento dello spazio geografico mediante la considerazione dei popoli extra-europei. I due momenti indicati non rappresentano, per Klempt, due lati di uno stesso fenomeno, ne´ sono connessi direttamente secondo lo schema di causa-effetto, cosı` che la conoscenza di uno basti alla chiarificazione dell’altro. L’Auflo¨sung dell’interpretazione teologico-escatologica dell’Universalhistorie, infatti, inizia nel dominio protestante senza alcun intento anti-religioso e si attua assai piu` velocemente dell’edificazione della nuova, che si apre faticosamente la strada contro la resistenza degli antichi schemi biblici, ancora largamente praticati lungo il XVII secolo. Ma l’aspetto piu` rilevante, dal nostro punto di vista, della ricostruzione di Klempt sta nella peculiare posizione attribuita a Leibniz. Egli si trova, per lo studioso, agli inizi della “seconda fase” della secolarizzazione dell’Universalhistorie, caratterizzata dall’impiego della filosofia per conferire unita` e senso (Sinngebung) alla nuova immagine della storia universale, fino a quel momento elaborata attraverso disparate e indipendenti ricerche, e bisognosa di una nuova unita`. Tale seconda fase corrisponde, secondo Klempt, a cio` che Lo¨with ha descritto come trasformazione secolarizzante della visione storico-universale propria dell’eredita` biblica e teologica. Cosı`, in Leibniz per primo la riflessione sull’Universalhistorie nei suoi nuovi aspetti acquisiti si connette a un’interpretazione fondata filosoficamente, dal momento che egli (in contrasto con l’interesse unilaterale di Descartes per il mondo della natura), e` appunto spinto dal suo vasto lavoro di ricerca storica a uno sforzo conoscitivo rispetto al mondo della storia. In luogo delle insostenibili rappresentazioni biblicistiche ... in Leibniz si pongono le sue tesi filosoficamente fondate sull’intima connessione propria della storia dell’umanita`, che egli vede costituita da una teleologia della provvidenza divina, riconoscibile anche la` dove l’osservazione degli eventi storicouniversali puo` registrare discontinuita` o regressi privi di significato4. 4
Ivi, p. 128. Precisa Klempt nella sua trattazione: «Ma, nell’ambito protestante, gia` Leibniz, prima di [Voltaire], assimila i caratteri della nuova considerazione della storia all’interno del proprio pensiero filosofico, pur senza offrire alla sua interpretazione storico-universale una
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E` qui colta lucidamente l’operazione compiuta da Leibniz, prima di Vico e Voltaire, in relazione alla saldatura tra la nuova e moderna immagine dell’Universalhistorie e il proprio sistema metafisico-teleologico: operazione che il saggio di Klempt, tuttavia, nel fermarsi alle soglie della “seconda fase” del processo di secolarizzazione, non approfondisce oltre questi cenni. Si tratta non solo del tentativo leibniziano – a nostro avviso imperfettamente riuscito – di connettere il lavoro storiografico con il sistema filosofico, ma soprattutto di quella metafisica o teodicea della storia che il pensatore tedesco ha configurato nella sua opera con evidenza, anche se, come spesso accade in lui, per cenni e rapsodicamente, e alla cui illustrazione sono dedicate le pagine dei prossimi due paragrafi. Nella nostra analisi risulteranno chiare, peraltro, rispetto allo studioso tedesco, e rispetto allo stesso Lo¨with, due differenze cruciali: innanzitutto, la sottolineatura che la categoria di secolarizzazione – quanto meno se assunta nella sua accezione piu` invalsa e vulgata – non costituisce lo strumento ermeneuticamente piu` adeguato al fine di rendere ragione della posizione leibniziana: la quale, se appare certo segnata dall’Aneignung della moderna e secolarizzata immagine dell’Universalhistorie, si qualifica ultimamente per l’impiego della filosofia nei confronti della storia universale in funzione di una universalizzazione del religioso, piuttosto che di una sua sparizione, caratterizzandosi per un complesso sforzo di sintesi tra la suddetta immagine universalhistorisch e la Weltanschauung cristiana. L’idea leibniziana della storia universale come romanzo di Dio rappresenta lo stigma piu` densamente emblematico di tale sintesi, che, nondimeno, in luogo di costituire un ritorno alle antiche tradizioni teologiche, appare animata da un soffio di novitas proveniente dall’idea, peculiare di Leibniz, di cristianesimo universale e razionale, cifra e
forma storiografica piena e compiuta, cosı` come certo ha fatto Voltaire nel suo Essai» (ivi, p. 12). Quanto Leibniz abbia a che fare coi processi di secolarizzazione moderni e` anche Carl Schmitt a sottolinearlo, sostenendo che l’analogia tra dottrina giuridica dello Stato e teologia teistica – che sta a fondamento della tesi schmittiana per cui «tutti i concetti piu` pregnanti della moderna dottrina dello Stato sono concetti teologici secolarizzati» – trova proprio nel filosofo di Hannover e nella Nova Methodus l’espressione filosofica piu` emblematica: «L’espressione filosofica piu` chiara su quell’analogia si trova pero` nella Nova Methodus di Leibniz. Egli rinnega il paragone della giurisprudenza con la matematica e la medicina per sottolineare la parentela sistematica con la teologia: “A buon diritto abbiamo trasferito il modello della nostra ripartizione dalla teologia al diritto, poiche´ e` straordinaria l’analogia delle due discipline”. Entrambe hanno un “duplex principium”, la “ratio” (e percio` vi e` una teologia naturale e una giurisprudenza naturale) e la “scriptura”, cioe` un libro contenente rivelazioni e comandamenti positivi» (C. Schmitt, Le categorie del ‘politico’. Saggi di teoria politica, a cura di G. Miglio e P. Schiera, Bologna 1972, p. 62).
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preconizzazione, quest’ultimo, come bene ha visto Troeltsch, di quel protestantesimo moderno e liberale che sara` di Lessing, Kant e Schleiermacher, e che per tanti versi il genio di Leibniz concorre a inaugurare. Non e` dunque per noi, ultimamente, la secolarizzazione tout court, ma sono piuttosto le idee di cristianesimo universale-filosofico e di religione naturale, insieme ai processi di rinnovamento interni alla storia moderna del protestantesimo, a rappresentare l’orizzonte piu` adeguato all’interpretazione della teodicea (o metafisica) della storia leibniziana: a meno di non pensare la secolarizzazione stessa – cio` che e` certo possibile ed e` stato fatto – invece che come puro abbandono del traditum cristiano e traduzione immanentistica dei suoi temi e motivi, come un piu` complesso, variegato e plurale processo di metamorfosi dell’eredita` teologica in eta` moderna, neppure privo di istanze positive di essenzializzazione e di inveramento 5 della dimensione religiosa . Il secondo punto fondamentale di differenziazione critica consiste nel fatto che, nella direzione da noi indicata, si acquista la liberta` di pensare la teodicea della storia elaborata dal pensatore tedesco, al di fuori dello schema per il quale essa sarebbe tout court una tappa del processo di secolarizzazione della storia universale che dalla teologia cristiana porta a Lessing, a Fichte e, alla fine, a Hegel. Come intendiamo sostenere nella nostra esposizione, l’indubbio influsso leibniziano sullo storicismo idealistico e sulla formazione dell’idea di un progresso storico-universale del genere umano non giustifica una parentela univoca in tale direzione, dal momento che altri elementi, per nulla consonanti con l’indirizzo indicato e valorizzati da correnti storicistiche alternative all’idealismo e alle filosofie della storia sorte nel suo seno, appaiono evidenti nella costruzione leibniziana. Questa compresenza di fattori diversi e anche dissonanti nel pensiero storico leibniziano – cifra evidente dell’anteriorita` del pensatore di Hanno5
In questo caso, secolarizzazione e protestantesimo potrebbero ritrovarsi uniti e intimamente legati. Del resto, come osserva W. Pannenberg, la cui analisi della modernita` consente di pensare la secolarizzazione come liberazione di motivi cristiani autentici – a tal punto che la Riforma rappresenta, per lui, la prima fase del processo secolarizzante – e` proprio l’ambivalenza a conferire alla categoria di secolarizzazione fecondita` ermeneutica: «... proprio l’ambiguita` dell’espressione puo` renderla raccomandabile per designare il fatto cosı` straordinariamente complesso. Proprio la sua ambiguita` lascia spazio a valutazioni differenti. Nessuna decisione preventiva in materia e` necessariamente legata all’uso dell’espressione ... La designazione della cultura moderna come ‘secolarizzata’ puo`, da una parte, significare che si tratta d’un mondo dal quale il sacro e` scomparso. Ma dall’altra parte puo` indicare anche un suo legame con le sue radici cristiane, che persiste pur nell’emancipazione dal cristianesimo» (W. Pannenberg, Cristianesimo in un mondo secolarizzato, cit., p. 9).
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ver alla storia dello storicismo – ci consentira` di concludere e confermare che Leibniz, analogamente a quanto e` stato detto di Vico, puo` ben situarsi 6 tra due storicismi . Alla discussione, dunque, del problema di quanto la teodicea della storia leibniziana vada interpretata nei termini di una filosofia della storia sistematicamente intesa e del ruolo avuto da Leibniz nella formazione di quest’ultima, sara` dedicato il § 4. Sulle nozioni, infine, di progresso e di Neuzeit sosteremo nell’ultima parte delle nostre riflessioni.
2. – Iustitia Dei e storia. I presupposti e il significato fondamentale della teodicea della storia leibniziana. Dinamismo e progresso nelle idee di Gloria di Dio e di armonia universale Che la storia, quale scienza dello spirito, dipenda da un principio razionale – il nihil sine ratione – e dai suoi esiti teologici – «Je commence en philosophe, mais je finis en theologien» scrive significativamente Leibniz in 7 un frammento – e` gia` un precoce testo della Confessio Philosophi ad affermarlo con tutta chiarezza: Ita est omnino, imo ita necesse esse; aliter scientiarum fundamenta convellentur, ut enim totum esse majus parte, Arithmeticae et Geometriae, scientiarum de quantitate, principium est; ita nihil esse sine ratione, fundamentum est physicae et moralis, scientiarum de qualitate, vel quod idem est (qualitas enim nihil aliud est quam agendi patiendique potentia) actione, cogitatione nimirum et motu [A VI, 3, 118].
E` noto come nella Confessio Philosophi il nihil sine ratione sia il fondamento su cui poggiano le riflessioni e argomentazioni relative all’harmonia universalis e alla iustitia Dei, fino a giungere, per suo tramite, alla dimostrazione dell’esistenza di Dio:
6
Mutuiamo l’espressione «tra due storicismi» e l’idea ad essa legata dal saggio di F. Tessitore, Vico tra due storicismi (in Id., Dimensioni dello storicismo, cit., pp. 9-31; ora in Id., Contributi alla storia e alla teoria dello storicismo, cit., vol. I, pp. 231-246), applicandole a Leibniz. 7 E. Bodemann, Die Leibniz-Handschriften der Ko¨niglichen o¨ffentlichen Bibliothek zu Hannover, Hildesheim 1966, p. 58.
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METAFISICA, TEODICEA E STORIA
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Vides quid ex illo theoremate sequatur, Nihil est sine ratione. Nimirum tute dixisti omnia, quae sibi ipsi ratio cur sint, non sunt, quale est peccatum quoque et damnatio, ea tamdiu in rationem, et rationem rationis, reducenda esse, donec reducantur in id quod sibi ipsi ratio est, id est Ens a se, seu Deum; quae ratiocinatio cum demonstratione existentiae Dei coincidit [A VI, 3, 120].
E` Andre´ Robinet, proprio a partire dalla Confessio Philosophi, a trarre significative conseguenze da quanto rilevato per la visione storica, tracciando un decisivo legame tra teodicea e storia: Cio` significa – commenta lo studioso francese – che una scienza della qualita` e dell’azione quale e` la storia dipendera`, nella sua ossatura fondamentale, dalla Justitia Dei, vale a dire dalla Teodicea. Direi dunque innanzitutto che la concezione metafisica della storicita` in Leibniz dipende da una tendenza della teologia razionale stretta, e non puo` essere compresa che sotto l’apparenza di una legge di armonia che comanda metafisicamente la ripartizione delle perfezioni e il corso seriale degli atti8.
Quali sono i presupposti che propiziano l’approdo descritto da Robinet? Innanzitutto, il filosofo tedesco poteva porre l’intera storia del mondo sotto il segno della iustitia Dei e dell’harmonia mundi in forza dell’appropriazione entro i quadri del proprio sistema della nuova immagine universalhistorisch, la stessa che – nell’analisi di Klempt richiamata nelle pagine precedenti – si era venuta via via configurando dopo l’Auflo¨sung dei vecchi schemi biblico-escatologici. Un aspetto, in particolare, della nuova visione storico-universale risulta essenziale: risolvere, come fa Leibniz, la Rechtfertigung ultima della storia nell’harmonia universalis, in un sistema metafisicoteleologico, esigeva l’abbandono del dualismo agostiniano tra Civitas Dei e Civitas Diaboli e, con esso, la perdita di centralita` della tradizionale diade Historia sacra-Historia profana. E` quanto il filosofo tedesco attua nel proprio pensiero storico spingendosi, come osserva Werner Conze, addirittura oltre il Francesco Bacone del De augmentis scientiarum: Leibniz, nonostante il suo restare fedele al cristianesimo, ha abbandonato nella sua sistematica delle scienze il dualismo delle Civitates agostiniane, o dei due governi di Lutero, o meglio, non l’ha piu` adottato, a favore di una scienza unitaria della natura e dello spirito come visione di un mondo per 8 A. Robinet, Les fondements me´taphysiques des travaux historiques de Leibniz, in Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 52.
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il quale Dio puo` essere soltanto ancora la punta della grande piramide (Monadologie), oppure la “rerum originatio radicalis”, ma non piu` Colui che sta di fronte al mondo o che l’avvolge. Gia` Bacone aveva abbandonato, nella sua classificazione, l’immagine cristiana della storia. In lui la Historia sacra, o la storia della Chiesa, appariva solo ancora come una delle tre colonne portanti all’interno della Historia civilis, o humana, alla quale era coordinata solo la Historia naturalis. Leibniz ha fatto propria questa impostazione, che forse aveva gia` appreso da studente. Egli e` andato tuttavia ancora piu` in la` di Bacone. Al posto della Historia sacra stava, gia` nel 1670, come attesta la lettera a Bose, e poi anche nuovamente piu` tardi, la Historia religionum (histoire des religions), certo, con la limitazione legata al fatto che la storia della Chiesa appartenente alla “vera, rivelata” religione cristiana doveva occupare il primo posto. Quanto Leibniz si era allontanato dall’antica determinazione cristiana del mondo, con tale “storia delle religioni” inquadrata accanto alle altre! Qui egli precorre il suo tentativo cristiano di armonizzazione. Questa sistematica fonda gia` il principio di autonomia del mondo, al quale non sta piu` di fronte la Historia sacra di un divino governo, ma in cui e` inclusa la storia universale delle religioni9.
Che l’immagine di storia universale additata dallo studioso tedesco, unitaria e non piu` dualistica, articolata in una serie di Historiae e di discipline scientifiche convergenti in unita`, corrisponda a quella di Leibniz, lo si desume in particolare sia dal documento cui Conze fa cenno, la lettera a Joh. Andreas Bose del 1670 (cfr. A I, 1, 102-104), sia dal piu` tardo Memoire pour des Personnes e´claire´es et de bonne intention (1692) (cfr. A IV, 4, 616), dove l’Historia sacra e` ricompresa all’interno dell’Histoire humaine sotto forma di «Histoire des Religions, et sur tout celle de la veritable Religion revele´e, avec l’Histoire Ecclesiastique». Non ripeteremo quanto gia` scritto in proposito in un’altra sezione della nostra ricerca: ci limiteremo qui a corroborare le nostre osservazioni con un testo di Reinhart Koselleck tratto dall’autorevole voce “Geschichte, Historie” contenuta nei Geschichtliche Grundbegriffe: Riprendendo la bipartizione [baconiana], Leibniz riconduce gia` sotto l’Histoire humaine una quantita` di ambiti scientifici differenti: la storia universale (Universalhistorie) e la geografia, le antichita`, la filologia e la storia letteraria, i costumi e le leggi, e infine anche l’«Histoire des Religions, et surtout celle de la veritable Religion revele´e, avec l’Histoire Ecclesiastique». Cosı`, in corrispondenza con l’esperienza accumulata sul 9
W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 39.
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piano mondiale di una molteplicita` di religioni e di Chiese cristiane, in Leibniz l’historia sacra si trasforma in historia religionum situata all’interno della storia umana10.
Ma c’e` un secondo presupposto dell’operazione teoretica leibniziana che, piu` che con la teoria della storia universale e la sua secolarizzazione, ha a che fare con il pensiero metafisico e religioso: la trasposizione dei concetti di Rivelazione e di Incarnazione in quelli di Universo e di Harmonia mundi. Un testo di E´mile Rolland appare in proposito chiarificatore: Questa idea [di Universo] – scrive lo studioso francese – gioca nella dottrina leibniziana un ruolo capitale. Si potrebbe quasi paragonare il posto che essa occupa all’interno di questa sintesi a quello rivestito in Malebranche dall’idea di Incarnazione ... Per il pensiero dogmatico di Malebranche, piu` prossimo alla comprensione autenticamente cristiana, e` l’Incarnazione del Figlio di Dio che risolve l’antinomia. E` essa che dona, ad onta di ogni disordine, valore infinito al mondo. E` la Redenzione, fondata sull’Incarnazione stessa, che consente l’attingimento, secondo il cristiano, del disegno della bonta` divina, nonostante il peccato dell’uomo. Secondo il pensiero leibniziano, la soluzione dell’enigma va rinvenuta nella nozione di un universo dotato intrinsecamente di valore infinito11.
E` quanto mai significativo che nella Confessio Philosophi, per tornare all’opera prima richiamata, sia ultimamente il filosofo, e non il teologo, ad assumere il compito di dirimere le questioni concernenti la giustizia divina, il libero arbitrio, la predestinazione, la grazia, tutti i temi piu` problematici, dunque, che dividevano le Chiese nell’eta` teologicamente tormentata di Leibniz. Si riconosce, in cio`, un aspetto essenziale del pensiero religioso leibniziano dal quale non si puo` prescindere se si vuole comprendere la visione storica: di fronte alle polemiche teologiche, ai settarismi confessionali, e` la filosofia a garantire l’autentica universalita` religiosa, recando a concetti teologici nati in ambito confessionale, soffocati e resi angusti dai conflitti tra le opposte ortodossie, il soffio liberante dell’ecumenicita` mediante «universelles transpositions», per usare la felice immagine di Jean 12 Baruzi gia` ricordata nel corso del nostro lavoro , capaci di fare del 10
Voce “Geschichte, Historie”, in Geschichtliche Grundbegriffe, cit., Band 2, pp. 682-683. E´. Rolland, Le de´terminisme monadique et le proble`me de Dieu dans la philosophie de Leibniz, cit., p. 98. 12 Scrive J. Baruzi, sottolineando limpidamente l’operazione ermeneutica ispirata dal principio della liberta`, capace di far soffiare il vento dell’ecumenicita` su nozioni nate in ambito teologico confessionale: «Senza dubbio Leibniz ci conduce verso delle universali 11
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cristianesimo la vera religione di tutti gli uomini, “cattolica” non perche´ “romana” ma in quanto “naturale” e fondata sulla ragione. In forza di simile estensione universalizzante, come osserva Ernst Troeltsch, la redenzione per Leibniz era piuttosto presente ovunque e attiva costantemente, era manifesta in Gesu` soltanto nella composizione di tutte le sue piu` alte potenze. Vedeva la religione nella connessione dell’intero universo, nell’ampiezza della sua effettiva realta` presente e nell’estensione della sua graduale successione storica13.
Spiega anche Giulio Preti in un lucido e condivisibile testo: L’ortodossia minaccia di dissolversi nella volonta` e nella coscienza di essere ortodossi, in un semplice moto della coscienza soggettiva. Percio` Leibniz cerca la sua universalita` nella ragione. Contro i suoi corrispondenti francesi cattolici, Bossuet e M.me de Brinon, i quali, come gia` aveva fatto l’Arnauld, lo invitano a lasciar da parte la filosofia e a pensare seriamente alla salute della propria anima, Leibniz protesta con forza: «Et pour ce qui est de l’esprit philosophe dont vostre amy vous a dict qu’on doit se de´faire, c’est comme si quelqu’un disait qu’on doit se de´faire de l’amour de la ve´rite´; car la philosophie ne veut dire que cela. Il a peut estre entendu une philosophie de secte, mais je suis tre`s e´loigne´ de cette trasposizioni. Non c’e` nessuna nozione tradizionale che non rivesta un significato nuovo. E, nondimeno, tali nozioni tradizionali non risultano ne´ snaturate, ne´ verbalmente riprese secondo un conservatorismo teologico. Le idee di grazia, di gloria, di resurrezione, di predestinazione, di transustanziazione, non sono analizzate dal di fuori: autenticamente, egli le integra e le vive. Certo, le trasforma, ma per il fatto che non vive una docilita` passiva che testimonierebbe la sua indifferenza. Si potrebbe anche dire che piu` la nozione teologica si presta in lui a metamorfosi impreviste, piu` essa viene amata in se stessa, elaborata, e non semplicemente recepita dall’esterno. E` cosı` che le idee di gloria, di grazia o di amore sono state piu` violentemente trasfigurate, ma, insieme, piu` intimamente penetrate e piu` sinceramente vissute dell’idea di transustanziazione. Senza dubbio si dira` che la «gloria» cosı` come Leibniz la intende non e` piu` la gloria descrittaci da Pascal. Nondimeno, Leibniz conserva i termini di gloria e di grazia non casualmente. Mediante le «armonie» che stabilisce tra meccanicismo e finalita`, tra filosofia e religione, tra Chiesa storica e Chiesa ideale, egli persegue sempre la via profonda delle nozioni e delle cose. Idee e cose dimorano sole e vittoriose in lui sui quadri. In tal senso e` lecito dire che ha vissuto il cristianesimo. Egli ha sperimentato e messo alla prova incessantemente le nozioni cristiane non secondo un piano astratto e immutabile, ma attraverso le prospettive infinite di un Universo che “est, en quelque fac¸on, multiplie´ autant de fois qu’il y a de substances”» (J. Baruzi, Leibniz, cit., pp. 134-135). In modo critico, e certo con accento diverso da Baruzi, anche J. Guitton riconosce a Leibniz un’analoga trasformazione di concetti teologici (cfr. Id., Profili paralleli, cit., capp. 8-9-10). 13 Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit., pp. 178-179.
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manie`re de philosopher; car c’est proprement estre dans une secte, quand on donne trop a` l’authorite´ des hommes et a` la cabale d’un certain party». In questa difesa della filosofia, della sua filosofia, Leibniz difende se stesso, difende il suo Cristianesimo che cerca nelle scienze, nelle matematiche, nella Logica, una base di validita` universale. Ecco perche´ Leibniz non sa essere teologo senza essere insieme logico, matematico e naturalista – e senza correre i rischi (per la tranquillita` di un teologo) che l’essere queste cose porta con se´. Ecco perche´ non sa essere un logico, un matematico, un naturalista che spinga fino in fondo la sua critica, il suo intellettualismo, il suo materialismo e meccanicismo. Quello che risulta dal suo tentativo sincretistico, il suo Cristianesimo universale, e` un Cristianesimo filosofico: la religione naturale14.
Si deve, inoltre, a Ernst Cassirer una limpida osservazione che delucida la traduzione filosofica dei dogmi religiosi e in cui emerge con chiarezza la stessa nozione di teodicea della storia leibniziana: La metafisica-della-storia di Leibniz riposa sulla sua concezione religiosa di fondo e a questa si rapporta costantemente nella sua esposizione. Ma a sua volta l’elemento religioso non e` piu` un settore particolare all’interno del sistema filosofico, espresso in forme dommatiche fisse, bensı` e` risolto puramente nelle credenze-di-ragione e nel senso dell’armonia. Percio` i primissimi scritti in cui si puo` seguire l’origine di tale concetto, conten15 gono gia` la caratteristica equiparazione: harmonia universalis, id est Deus . 14
G. Preti, Il cristianesimo universale di G.G. Leibniz, cit., p. 149. E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., p. 326. Un altro testo cassireriano di grande pregnanza per comprendere intimamente la religione leibniziana si legge nei saggi raccolti sotto il titolo Liberta` e forma: «La visione religiosa di Leibniz e` cosı` pienamente delineata. In fondo, la religione non continua ad esistere per Leibniz come ambito dotato di un proprio contenuto, che conduceva un’esistenza separata accanto all’arte e alla scienza, alla conoscenza e alla moralita`. E` vero che nell’insieme della produzione scientifica e filosofica di Leibniz la ‘teologia’ occupa ancora un ampio spazio: la rappresentazione e la ‘dimostrazione’ dei dogmi sembra costituire un compito indipendente, al quale egli si dedica con tutti gli strumenti che gli offre la sua conoscenza filosofı`ca. Ma non e` questo a indicare propriamente il vero, autentico senso della sua religiosita`. Non a torto si e` detto che proprio in questo virtuosismo nel dimostrare e nel costruire i dogmi si rivela nella maniera piu` chiara possibile l’allontanamento di Leibniz dal dogma: esso non e` piu` per lui la norma internamente vincolante della fede, ma una materia capace di mutamento, nella cui formazione e trasformazione egli gode della sua propria arte e abilita` dialettica. Tuttavia la religione non esiste certo per Leibniz come un ambito particolare, separato e remoto da tutte le tendenze e gli interessi mondani, ma piuttosto come un principio peculiare che comprende e informa di se´ tutte queste tendenze. L’energia religiosa e` l’ultima conferma per tutti i modi di attivita` particolari diretti ad un singolo scopo determinato. Essa li rassicura che il loro lavoro non e` inutile, che non si dissolveranno in un’infinita differenziazione e frantumazione, ma che ogni singolo contributo conservera` il suo posto e il suo valore nel 15
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Quali sono i fattori costitutivi di una simile religiosita` ecumenica, razionale, naturale, in cui Leibniz intendeva ripensare il traditum cristiano? Noi sappiamo che Leibniz, sul piano religioso, aderisce, da protestante qual e`, alla Confessione Augustana, concorda con les sentimens modere´s des Eglises de la Confession d’Augsbourg [GP VI, 43],
come scrive nella Prefazione agli Essais de The´odice´e. Essa, osserva Robinet, era l’espressione istituzionale in cui il pensatore rispecchiava la propria 16 religione naturale e filosofica . Ma, al di la` di cio`, su un piano piu` generale, Leibniz ci sembra situarsi agli inizi di quella svolta nella storia del protestantesimo che segna la transizione fra l’antica religione di Lutero e il liberalismo teologico-religioso che sara` di Lessing, di Kant, di Schleiermacher, effetto, quest’ultimo, dell’impatto, ma anche della conciliazione, mancata al tempo della disputa tra Erasmo e il monaco tedesco, tra il protestantesimo e la moderna immagine del mondo. Cosı` ancora Cassirer descrive tale transizione: In questo modo lo sviluppo intimo del protestantesimo arriva ad una svolta notevole. Qui infatti si riprende nuovamente la lotta fra Lutero ed
tutto. Il senso piu` profondo della ‘fede’ consiste per Leibniz nella convinzione radicata che ogni autentico agire deve trovare infine il suo scopo e la sua determinazione particolare al di la` di tutti gli impedimenti esteriori e momentanei. L’‘armonia’ del tutto conduce al suo compimento anche ogni cominciamento particolare, in quanto esso e` intrapreso solo per il tutto e con riguardo al tutto. Posarsi e riposare su questa concezione e` l’autentico contenuto della religione. La dottrina di Leibniz porta cosı` a compimento un pensiero che, pur radicandosi nel principio del protestantesimo, nell’opera storica di Lutero non era tuttavia giunto a compimento. Essa mette da parte ogni divisione dualistica tra il terreno e lo spirituale, tra il mondano e l’ultramondano. Non c’e` idea di Dio piu` pura e piu` profonda di quella che si manifesta nell’agire nel mondo e per il mondo: “idem est amare omnes et amare Deum, sedem harmoniae universalis”. Per Leibniz, quindi, l’ideale religioso confluisce immediatamente nel suo nuovo ideale di cultura. Il concetto di Dio e` semplicemente destinato a conferire al contenuto di questo ideale di cultura la sua sanzione piu` alta» (Id., Liberta` e forma, cit., pp. 93-94). 16 Scrive A. Robinet: «Se esiste, come dira` Kant, “una religione istituzionale” in cui la coscienza di Leibniz puo` espandersi nella felicita` dello spirito, della ragione e del cuore, questa e` certamente la Confessione di Augusta. Che, poi, la Confessione di Augusta tolleri simile interpretazione spinta verso la religione naturale e filosofica che segna la felice stagione dei Libertini del XVII secolo, e che soddisfera` la maggior parte dei filosofi illuministi, e` questione di Leibniz» (Id., G.W. Leibniz: Le meilleur des mondes par la balance de l’Europe, cit., p. 299).
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Erasmo, ma ormai la si decide a favore di quest’ultimo. Il profondo abisso scavato fra il Rinascimento e la Riforma, fra l’ideale umanistico della liberta` umana e dell’umana dignita` da un lato e la teoria della mancanza di liberta` e della corruzione della volonta` umana dall’altro, e` quindi colmato. L’epoca dell’illuminismo osa nuovamente rifarsi a quei postulati fondamentali, dai quali nel Rinascimento era sorta la battaglia contro i vincoli del sistema medievale. Cosı` soltanto si raggiunge quella concezione del protestantesimo che, nella sua filosofia della storia, il Hegel considera come la sua vera essenza e verita`. Riconciliandosi coll’umanesimo il protestantesimo divento` la religione della liberta`. Mentre la polemica per il dogma del peccato originale porto` in Francia alla piu` decisa scissione fra religione e filosofia, in Germania l’idea del protestantesimo pote´ trasformarsi in modo da accogliere i nuovi motivi di pensiero e il sentimento donde avevano avuto origine, da abbandonare la precedente forma storica del protestantesimo e da infrangerla per far valere tanto meglio il suo significato ideale17.
In simile passaggio, quella fede protestante da cui, secondo le fondamentali analisi di Weber, Troeltsch, Dilthey, erano venuti gli stimoli e le forze spirituali essenziali alla secolarizzazione del mondo moderno, registra su se stessa gli effetti, i contraccolpi della secolarizzazione, storicizzandosi e producendo entro la propria vicenda moderna una vera e propria “frattura”. Felice frattura, per quanto problematica, foriera di dubbi e inquietudini, felice eterogenesi dei fini, si badi: perche´, per Dilthey come per Troeltsch, e` da tale Verwandlung in senso ecumenico, universalizzante, del protestantesimo che e` emersa la vera fede dei Moderni, che si e` dischiuso, per quanto problematicamente e tormentosamente, il nodo centrale della vera e propria religiosita` moderna18: 17
E. Cassirer, La filosofia dell’illuminismo, cit., pp. 226-227. E. Troeltsch, Il protestantesimo nella formazione del mondo moderno, tr. it. di G. Sanna, Firenze 1974, p. 99. Assai significativo e` altresı` che Troeltsch, nell’ultima parte delle Soziallehren der christlichen Kirchen und Gruppen, nel trattare della risoluzione dello spiritualismo mistico protestante in filosofia della religione, citi Leibniz come espressione della stessa religiosita` liberale di Sebastian Franck, ponendolo nella linea di Spinoza, Lessing, Kant. Nel trattare della mistica come punto di raccordo tra il cristianesimo e la moderna immagine del mondo, egli scrive: «I pensieri ai quali Sebastian Franck ha dato l’espressione piu` acuta e profonda, tornarono a spuntare. Una Mistica, in questo senso, e` il nocciolo della filosofia della religione di Leibniz, per quanto questo mediatore universale cercasse di mantenersi ortodosso» (E. Troeltsch, Sociologia delle sette e della mistica protestante, tr. it. di C. Antoni, Roma 1931, p. 172). Una sintetica ma attenta analisi dello spiritualismo o cristianesimo “non confessionale” moderno e` contenuta in R. Osculati, La chiesa dello Spirito. Fede, ragione, natura e storia nel cristianesimo non confessionale, in Storia del cristianesimo. L’eta` moderna, a 18
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nodo che Troeltsch cosı` delucida in un testo cruciale per illuminare il suo stesso Denkweg, sofferto, tragico, se si vuole, ed esperto di dubbi come lo e` la fede religioso-liberale portata a maturita` dalle eta` di Lessing, di Goethe e Kant: A mano a mano che la rissa confessionale rendeva insopportabile il dogmatismo e quindi sospetto in generale ogni dogma, il centro di gravita` si trasferı` dal dogma della redenzione e della giustificazione, con tutti gli altri dogmi trinitario-cristologici con esso strettamente legati, alla convinzione oggettiva e personale, all’esperienza compiutasi nella coscienza e nel sentimento dell’angoscia del peccato e della pace dell’anima. Cosı` si pote´ liberamente dare motivazione soggettiva e interiore al pensiero della fede, e quindi s’aprı` la via alla possibilita` di conferire a tal pensiero forma individualmente varia e non legata ad alcun dogma ufficiale. Si cesso` di considerar la Bibbia come legge infallibile della fede, e invece la si ritenne come sostanza e forza fluida, spirituale, come una testimonianza di avvenimenti storici, dai quali per trasmissione psicologica fluissero le forze religiose; si fece appello alla viva concezione della Bibbia come vita cui l’istinto religioso di Lutero aveva sempre dato valore accanto alla concezione di essa come legge. S’ebbe un riavvicinamento agli spiritualisti, che sin da principio avevano tratto questa stessa conseguenza, ma, respinti da ogni lato e attaccati alla tradizione mistica, s’erano avviluppati in un individualismo amorfo. Si effettuo` ormai la fusione del protestantismo con quegli elementi soggettivo-individualistici, non legati a dogmi, che rappresentavano quella religione del sentimento e della persuasione interna, che ormai fa apparire l’intiero protestantismo come religione della coscienza e della convinzione senza costruzione dogmatica, con una formazione di chiese libera e indipendente dallo Stato, con una certezza interna di sentimento indipendente da qualsiasi prova razionale. Quando il Lessing a difesa di questo protestantismo invocava Lutero, l’«antico uomo miscono-
cura di G. Filoramo e D. Menozzi, Roma-Bari 2001, pp. 467-509. Significativo e` anche il saggio di H.R. Trevor-Roper, Le origini religiose dell’illuminismo, contenuto in Id., Protestantesimo e trasformazione sociale, tr. it. di L. Trevisani, Roma-Bari 1994, pp. 241-282. A un rapporto tra mistica e “ragion pura” allude significativamente R. Otto in Mistica orientale, Mistica occidentale, trad. it. di M. Vannini, Casale Monferrato (Al) 1985, pp. 72-73. Sull’interpretazione troeltschiana del rapporto fra protestantesimo e modernita` cfr. G. Cantillo, Luteranesimo e mondo moderno in Ernst Troeltsch, in Aa.Vv., Lutero e i linguaggi dell’Occidente, cit., pp. 423-438. Sul rapporto tra religione, storicismo e filosofia della storia cfr. G. Moretto, Storia e giustificazione in E. Troeltsch, in Id., Giustificazione e interrogazione, cit., pp. 209-262. Per un’analisi del concetto di secolarizzazione e del relativo dibattito filosofico rinviamo alle utili introduzioni generali al problema di H. Lu¨bbe, La secolarizzazione. Storia e analisi di un concetto, tr. it. di P. Piobbi, Bologna 1970, e di G. Marramao, Cielo e terra. Genealogia della secolarizzazione, Roma-Bari 1994.
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sciuto», egli, come osserva giustamente il Dilthey non faceva altro che fondere, in maniera che rimase tipica per innumerevoli imitatori, il protestantismo con l’antica dottrina settaria della luce interiore, e tuttavia nello stesso tempo affermava un pensiero essenzialmente protestante, come egli stesso ne aveva la convinzione. Soltanto riteneva la via di Lutero piu` importante dello scopo19. 19
E. Troeltsch, Il protestantesimo nella formazione del mondo moderno, cit., pp. 101-102. Scrive Troeltsch significativamente nella chiusa della voce “Teodicea” scritta per l’enciclopedia teologica Die Religion in Geschichte und Gegenwart: «Proprio nella vita e nel pensiero religioso piu` seri restano per noi aperti molti problemi e molti enigmi; ma dobbiamo renderci conto che si tratta di problemi e di enigmi che bisogna necessariamente porsi, e che dobbiamo indirizzare la nostra fantasia scientifica su quelle strade percorrendo le quali possiamo presagire di riuscire approssimativamente a risolverli» (“Teodicea”, in E. Troeltsch, Fede e storia, cit., pp. 151-152). Fondamentali per comprendere l’idea leibniziana di religione naturale, e piu` in generale la religiosita` moderna, sono gli studi di W. Dilthey raccolti ne L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura, cit. Cfr. anche di Dilthey, Il problema della religione, in Id., Ermeneutica e religione, tr. it. di G. Morra, Milano 1992, pp. 115-143. Rilevanti, dal nostro punto di vista, appaiono anche le analisi su modernita` e secolarizzazione, per molti versi coerenti con quelle diltheyane, del teologo protestante Wolfhart Pannenberg, gia` ricordato, del quale si vedano: Cristianesimo in un mondo secolarizzato, cit.; Teologia e filosofia. Il loro rapporto alla luce della storia comune, tr. it. di G. Sansonetti, Brescia 1999, in part. cap. sesto. Cfr. inoltre lo scritto concernente la discussione con H. Blumenberg, La legittimita` cristiana dell’evo moderno. Osservazioni su un’opera di Hans Blumenberg, in Id., Questioni fondamentali di teologia sistematica, tr. it. di D. Pezzetta, Brescia 1975, pp. 537-549. Inoltre, sul concetto di liberalismo religioso, evocato a proposito di Troeltsch e dell’evoluzione moderna del protestantesimo, occorre rinviare al pensatore che, in Italia, piu` di ogni altro ne ha ripensato in libertate et novitate spiritus la tradizione e la struttura teoretica, criticandone le semplificazioni e le riduzioni, vale a dire Alberto Caracciolo. Tra i suoi studi fondamentali in questa direzione menzioniamo: La religione come struttura e come modo autonomo della coscienza, Milano 1965 (nuova ed. Genova 2000); Religione ed eticita`. Studi di filosofı`a della religione, Napoli 1971 (nuova ed., Genova, 1999); Pensiero contemporaneo e nichilismo, Napoli 1976; Nichilismo ed etica, cit.; Nulla religioso e imperativo dell’eterno, cit. Sul concetto di teologia liberale, oltre agli studi di Troeltsch, si veda il sintetico ma esauriente saggio di H.J. Birkner, Liberale Theologie, in Aa.Vv., Kirchen und Liberalismus im 19. Jahrhundert, Go¨ttingen 1976, pp. 33-42. Degna di interesse e` altresı` la voce Liberalismus redatta da L. von Wiese, H. Hohlwein e H. Grass, in Die Religion in Geschichte und Gegenwart, Tu¨bingen 1960, vol. IV, coll. 344-355. Un quadro generale della teologia liberale ottocentesca e` offerto da H. Berkhof, 200 anni di teologia e filosofı`a. Da Kant a Rahner, tr. it. di M. Fiorillo, Torino 1992. Utili riferimenti si trovano anche nell’ampia e documentata opera di R. Gibellini, La teologia del XX secolo, Brescia 1992, pp. 9-16. Ricordiamo inoltre: gli atti del convegno della Ernst Troeltsch-Gesellschaft del 1991, pubblicati con il titolo: Liberale Theologie. Eine Ortsbestimmung, hrsg. von F.W. Graf, Troeltsch-Studien, Band 7, Gu¨tersloh 1993 (con saggi di F.W. Graf, H. Lu¨bbe, H. Fischer, G. Hu¨binger, J. Clayton, T. Koch, V. Drehsen, W, Gro¨b, R. Preul, W. Triihaas, H. Ruddies); V. Subilia, II protestantesimo moderno tra Schleiermacher e Barth, Torino 1981; Aa.Vv., Religione della liberta`. Il protestantesimo nella modernita`, a cura di J. Moltmann, tr. it. di F. Camera, Brescia 1992; Aa.Vv.,
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Ora, Leibniz ci sembra avere a che fare con gli esordi di tale processo interno alla fede protestante. Proprio Troeltsch, nelle pagine dedicate a Leibniz presenti nella sua opera, mostra in effetti di cogliere nel pensatore di Hannover gli inizi della teologia liberale, e cio` innanzitutto proprio in nome della riconciliazione tra protestantesimo e moderna immagine del mondo, scientifica e filosofica, propiziata dal filosofo della Monadologia, non a caso definito 20
il primo uomo moderno in grande stile che conosca la storia tedesca .
Nel saggio su Leibniz e il Pietismo, nell’accostare per contrasto l’hannoverese a Philipp Jacob Spener, cosı` si esprime il filosofo e teologo liberale: Il padre dell’idealismo tedesco e` Leibniz; il padre del Pietismo e` Spener. Entrambi appartengono alle grandi figure del Protestantesimo tedesco ed entrambi, insieme, sono i punti di partenza del Protestantesimo moderno, che anche dove sembra riavvicinarsi all’antico rimane tuttavia profondamente separato da quello per l’influsso della moderna immagine del mondo e del soggettivismo pietistico21.
Della riconciliazione tra cristianesimo e moderna visione del mondo, del resto, e` sintomatica espressione proprio la teodicea della storia di cui trattiamo: in ragione dei due presupposti additati (appropriazione dell’immagine secolarizzata dell’Universalhistorie-trasposizione dei concetti di Rivelazione e Incarnazione in quelli di Universo e Harmonia mundi), Leibniz poteva infatti incorporare la nuova immagine della storia universale nel proprio sistema metafisico-teologico conferendole una Rechtfertigung cristianamente ispirata, certo, ma entro la quale tuttavia, come Cassirer conferma, i dogmi tendevano a risolversi in concetti filosofici, abilitati, grazie alla loro universalita`, a sciogliere i nodi piu` spinosi e dolorosi che opponevano le confessioni cristiane e le relative teologie, e a propiziare, con cio`, un’unita` tra le Chiese non dogmatica ma pratica, come Leibniz auspicava. Si Modernita`, politica e protestantesimo, a cura di E. Bein Ricco, Torino 1994. Sul pensiero religioso liberale, in particolare in colui che puo` esserne considerato l’ideale prosecutore novecentesco, vale a dire Karl Jaspers, ci permettiamo di rinviare al nostro studio Fede filosofica e liberta` religiosa. Karl Jaspers nel pensiero religioso liberale, Brescia 1998. 20 Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit., p. 168. 21 Ivi, pp. 167-168. Entrambi i saggi di Dilthey e Troeltsch tradotti nel volume Leibniz e la sua epoca sono illuminanti per comprendere la sintesi tra cristianesimo e mondo moderno propiziata da Leibniz. Ad essi dunque complessivamente rimandiamo.
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potrebbe dire, da questo punto di vista, che la teodicea della storia nasce, nel pensatore di Hannover, come problema di rapportare, nella forma di una giustificazione teologica, la nuova, e ormai irrinunciabile, immagine universalhistorisch all’orizzonte fideistico-cristiano. In tal modo, secolarizzazione della visione storico-universale e fede cristiana nel significato del corso storico potevano incontrarsi, ma secondo una formula che, lungi dal costituire un ritorno al passato, segna una svolta cruciale rispetto all’antica tradizione storico-teologica che dal De civitate di Agostino giunge fino al Discours sur l’histoire universelle di Bossuet: in effetti, i temi e i problemi provenienti dalla suddetta tradizione vengono da Leibniz recepiti e rivisitati in una prospettiva ancora teologica e soteriologica, ma, per un verso, alla luce dei processi di secolarizzazione della storia universale e, per l’altro, in direzione di una teologia razionale che, di quella tradizione, in realta`, finisce per trasformare profondamente le basi. Una volta, infatti, abbandonata l’eccezionalita` qualitativa della Historia sacra, la cui soprannaturalita` rifluisce nella Historia humana e, metafisicamente, nell’armonia ultima che regola l’universo, e una volta recepita l’unita` della Historia universalis, tutto, pur restando sotto il segno cristiano, muta di senso e sostanza. L’originalita` dell’operazione leibniziana, cosı`, ci pare consistere nella saldatura tra l’immagine moderna dell’Universalhistorie – ormai lontana, come detto, dai dualismi agostiniani e pronta ad accogliere popoli extraeuropei come Arabi, Cinesi, Egiziani – e una teologia razionale che traspone in chiave irenistica e universalistica i dogmi confessionali e gli antichi schemi teologico-escatologici. E` la teodicea, forte della sua implicita ontodicea, come si diceva, la chiave di volta che sorregge la suddetta saldatura. E` per questo tramite che il filosofo della Monadologia poteva schiudere il mondo della storia a una nuova e crescente comprensione, che attendeva gli sviluppi illuministi e storicisti, abilitato, in questo, non in ultimo dalla sua condizione di laico e di protestante, indipendente da ordini religiosi e istituzioni ecclesiastiche alle quali dovevano invece rispondere gli Arnauld, i Bossuet, i Malebranche. Per concludere su questo punto: cio` che A. Klempt qualifica come “seconda fase” del processo di secolarizzazione dell’Universalhistorie, senza ulteriori specificazioni, ma pur identificando limpidamente l’operazione teoretica compiuta da Leibniz, si configura, nella nostra analisi, come il prodotto dell’incontro tra la moderna immagine universalhistorisch e l’idea di religione naturale o di cristianesimo filosofico, incontro nel quale, come si e` detto, e` lecito cogliere gli esordi del protestantesimo moderno. Ma sul sintagma “teodicea della storia” occorre bene intendersi. Esso
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significa, senza dubbio, che Dio rivela la sua saggezza, bonta` e giustizia non soltanto in virtu` di attributi immutabili e puramente trascendenti che stanno en arke, in principio, ma attraverso l’armonia universale del cosmo e della storia, percio` mediante gli spazi, per loro natura divenienti e in «perpetuo e liberissimo progresso» (cfr. De rerum originatione radicali; GP VII, 308), dischiusi dall’essere mondano, dall’etica e dall’agire umano: l’armonia universale e` Dio, e` la sua Gloria. Specularmente, il cosmo e la storia vengono “giustificati”, “resi giusti” dalla iustitia Dei, percio` difendendo Dio dall’accusa di essere iniquo o “trompeur”. Il loro senso e` legato a doppio filo agli esiti di tale difesa. E` la teodicea, infatti, il vero garante della creazione, percio` anche della storia, della sua verita`, della sua “abitabilita`” e del suo destino. La giustizia di Dio diventa cosı` la condizione esigita dall’affermazione della giustizia nella storia. E ogni uomo e` chiamato a riconoscere nel corso storico e nel progresso dell’universo, oltre le apparenze fallaci di disordine, i segni della iustitia Dei e della perfezione divina che la ragione umana gia` conosce a priori con argomenti infallibili. Non diversamente dall’harmonia universalis, dunque, la storia del genere umano e` una teofania, un luogo teologico, in cui Dio risplende e dispensa la sua giustizia. Una teodicea, dunque, quella di Leibniz, implicata nel problema della storia. Ma si badi: con i suoi costrutti speculativi non siamo al piano che sara` attinto da Lessing. E` ancora Cassirer, infatti, a sottolineare che l’Erziehung lessinghiana trasporta il concetto leibniziano della teodicea su un nuovo terreno: la concezione lessinghiana della religione come di un piano educativo divino non e` altro che la teodicea della storia, la giustificazione che deriva alla religione non da un essere presunto, che si trova all’inizio dei tempi, ma dal suo divenire e dalla meta di questo divenire22.
Rispetto a questi sviluppi, Leibniz sta in una posizione di irrisolta ambiguita`, come rileveremo anche in relazione all’idea di progresso: la sua teodicea della storia – formula che del resto lo stesso Cassirer impiega per 23 designare la specifica concezione filosofica della storia di Leibniz – e` 22
E. Cassirer, La filosofia dell’illuminismo, cit., p. 270. Su Lessing e la teodicea della storia si veda G. Cunico in Da Lessing a Kant, cit., in part. i capp. I e II. 23 Cfr. E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., pp. 328 e 347. In fondo, ad assecondare la legittimita` dell’impiego cassireriano del sintagma «teodicea della storia» tanto per Leibniz che per Lessing potrebbe gia` valere, ancor prima che la consonanza tra i §§ 146-149 degli Essais e l’Erziehung, raccoglibile attorno all’unita` epico-teologica del «romanzo di Dio» e della sua evoluzione, la continuita` tra la storia della religione abbozzata da Leibniz all’inizio
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immersa in un’ontodicea, o cosmodicea – in una difesa, cioe`, della consistenza e integrita` onto-assiologica dell’essere creato di fronte alle ombre della disteleologia e del nichilismo –, ed e` abilitata ad essere locus revelationis del divino in quanto frammento del piu` vasto essere universale. Il passo di fare della storia umana e del suo divenire il luogo privilegiato della rivelazione e redenzione non appartiene al filosofo della Monadologia, ma all’autore di Nathan il saggio e ai suoi prosecutori nella linea dell’idealismo. Tuttavia, c’e` in Leibniz qualcosa che potremmo definire una mossa decisiva nella direzione indicata: si tratta dell’idea che la Gloria di Dio non stia nei cieli, non sia fissata nell’essenza immutabile e perfetta di un Essere che gioisce contemplandone lo splendore, ma che essa si moltiplichi come in un gioco di specchi e si frammenti all’infinito nel chiaroscuro virtuale di ciascuna monade, nel divenire dell’universo e, di conseguenza, nella storia del genere umano. Il Dio di Leibniz e` il Dio della varieta` e della molteplicita`, pur ricondotte a unita`. La Gloria di Dio e`, in realta`, il nome teologico dato all’harmonia mundi, alla sua varietas identitate compensata, dunque al divenire della storia: questa e` la vera formula della teo-ontodicea leibniziana, chiamata a sostituire al soprannaturalismo esclusivistico, all’eccezionalita` qualitativa, sul piano rivelativo, sempre piu` difficilmente difendibile, della Historia sacra, l’idea di un mondo unitario che, in quanto creato da un Dio buono e saggio, non puo` che essere il migliore possibile, ma che appare anche dotato della singolare proprieta` di migliorarsi infinitamente: Il principio di ragion sufficiente – osserva Hans Blumenberg nel saggio sull’Apokatastasis-Fragment –, identico al principio della causa del mondo come ens perfectissimum, non esige soltanto che la realta` esistente sia la realta` migliore di tutto il possibile; oltre a cio` richiede che il migliore dei mondi possibili sia tale solo se nel suo processo spazio-temporale puo` diventare «sempre migliore», se cioe` e` un sinonimo di evoluzione ... Il mondo non sarebbe il migliore dei mondi possibili se nella dimensione della sua storia non potesse diventare migliore24.
Per questa via speculativa, la religione filosofica di Leibniz orienta l’attenzione verso il cosmo, la storia e il loro progresso, non tuttavia per della Prefazione agli Essais (cfr. GP VI, 25-27), articolata nei tre stadi del paganesimo, ebraismo e cristianesimo, e il processo descritto nell’Educazione, nonostante, naturalmente, le fondamentali differenze che li segnano, in particolare in relazione al compimento lessinghiano della storia universale nella «terza eta`», o «eta` dello spirito». 24 H. Blumenberg, Cronaca universale o formula universale, in Id., La leggibilita` del mondo, cit., pp. 123 e 145.
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negare o emarginare soprannatura e Trascendenza, ma per estenderle a ogni aspetto della series rerum. Scrive Jean Baruzi: Non si puo` dire che questa «gloria» sia la natura. Tuttavia, se Dio si identifica con l’armonia universale, la gloria di Dio sara` l’intelligenza di questa armonia e di questa natura ... Rivoluzione fondamentale nei concetti teologici: la gloria di Dio non e` piu` soltanto l’immutabile e l’eterno; essa consiste nel divenire naturale; e l’umanita` la esprime frammentandola25.
La Gloria di Dio e` una realta` dinamica, realizzantesi progressivamente nel mondo morale degli spiriti che tendono, ciascuno nel proprio “de´partement”, dalla tenebra alla luce, in un perfezionamento illimitato, abbracciando nell’ecumenica Repubblica retta dal migliore dei Monarchi l’universo degli esseri razionali, comprendendovi i peccatori e, addirittura, i dannati, in Leibniz, del resto, propenso a risolvere l’inferno nel purgatorio, sempre «damnandi». A tal punto che Cassirer puo` identificare in questo convergere della Gloria di Dio e del progresso del mondo il «pensiero decisivo» della teodicea leibniziana: Nessuna visione statica puo` infatti esaurire l’essere di Dio, che e` infinito: «percio` la nostra felicita` non consistera` e non dovra` consistere mai in un godere perfetto, che ottunderebbe il nostro spirito, ma in un costante progresso verso una nuova gioia e una nuova perfezione». In questi princı`pi e` racchiuso l’autentico contenuto della teodicea di Leibniz. Se, dai molteplici intrecci artisticamente intessuti dell’insieme dialettico della teodicea, si districa il motivo principale, allora rimane, essenzialmente, solo un pensiero decisivo. Un mondo semplicemente e assolutamente compiuto sarebbe una contraddizione in se stesso, poiche´ sarebbe contrario all’essenza della ‘creatura’. Ogni cosa creata e`, come tale, una cosa limitata in se stessa, che dunque e` affetta da un limite necessario e originario. Ma in questo limite sta al tempo stesso la radice della sua forza: da esso riceve infatti la particolare direzione del suo agire e, quindi, la direzione del suo autoperfezionamento. L’autentica perfezione non si lascia esprimere in un singolo stato di quiete dell’universo, ma consiste nella continua ‘elevazione dell’essere’ che gli individui esperiscono. Il valore piu` particolare, ricco e profondo che si dia al mondo e` percio` il valore del divenire medesimo. Tutto il divenire pero` richiede contrasti, e non semplicemente l’armonia, bensı` il suo scaturire dalla mancanza e dal conflitto. Con questo motivo, la teodicea, in una veste metafisica certamente bizzarra e barocca, esprime 25
J. Baruzi, Leibniz et l’organisation religieuse de la terre, cit., pp. 445-446.
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soltanto l’atmosfera che domina il mondo moderno a partire dal Rinascimento. Lutero stesso partecipava di questa atmosfera, sebbene il suo sentimento religioso lo spingesse in genere in un’altra direzione. «Questa vita non e` un essere, ma un divenire. Non si e` ancora svolta compiutamente, ma e` in corso tuttora. Non e` la meta, ma la via; tutto non arde e non scintilla ancora, ma turbina vorticosamente». La teodicea di Leibniz perfeziona con coerenza questa concezione: essa rinuncia alla meta per conservare la via. I limiti e le imperfezioni possono non solo venire tollerati, ma devono venire accettati e approvati, perche´ solo in essi e a partire da essi la volonta` etica puo` comprendersi nell’immensita` del suo compito e della sua forza26.
Certo, nella Teodicea leibniziana e` lecito cogliere un tendenziale spostamento del baricentro teologico in senso immanente, per cui la Provvidenza entra nel “secolo”, nel suo divenire e nel suo progresso, e vi entra non gia` con interventi miracolistici, soprannaturalmente eccezionali ma per una redenzione e rivelazione presenti ovunque e sempre nelle leggi naturali e negli eventi storici. Tuttavia, leggere in questo, come fa Hans Blumenberg, un’emarginazione di Dio a vantaggio dell’uomo in chiave antropocentrica, un’operazione teoretica gia` «al di qua di ogni funzione teologica», una 27 «difesa indiretta dell’interesse umano» , ci sembra decisamente eccessivo: a un’«organizzazione religiosa della terra» – per riecheggiare il titolo dell’opera di Jean Baruzi –, percio` a un’estensione, a un’universalizzazione del religioso in ritrovata sintonia con la Weltanschauung moderna – lo ribadiamo – aspira Leibniz, piuttosto che a un’emarginazione di Dio dal mondo. Non in direzione antropocentrica occorre dunque leggere la fondamentale tendenza interna alla teodicea leibniziana: se nella sua complessa tessitura speculativa sono rinvenibili percorsi – allusi ma non sviluppati – che anticipano l’Illuminismo, essi sono piuttosto identificabili con la linea che condurra` alla teodicea morale di Kant e nel Giobbe che ne e` la cifra luminosa, in direzione percio` di un’antropodicea etica che non per essere tale deve corrispondere a un chiuso antropocentrismo. C’e` il caso, come ricorda proprio Giobbe, che difendere la giustizia dell’uomo sia la via migliore per 28 perorare la causa di Dio . 26
E. Cassirer, Liberta` e forma, cit., pp. 95-96. H. Blumenberg, La legittimita` dell’eta` moderna, tr. it. di C. Marelli, Genova 1992, pp. 64 e 65. Cfr. anche S. Natoli, Progresso e catastrofe. Dinamiche della modernita`, Milano 1999, p. 136. Di lui v. anche, nella stessa direzione, Risposte laiche al problema del male, in Aa.Vv., Male, Bibbia e Occidente, Brescia 2000, in part. pp. 125-126. 28 Opportunamente A. Poma rinviene nella Teodicea leibniziana elementi orientati verso la teodicea pratica di Kant: cfr. Impossibilita` e necessita` della teodicea, cit., p. 253 sgg. Da parte 27
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Per riassumere: la Gloria di Dio e` l’Harmonia mundi; questa, dinamica com’e`, reca con se´ un processo di infinito perfezionamento terreno che coinvolge, naturalmente, la storia universale del genere umano. A Lessing, certo, non restava che tirare pienamente le conseguenze di queste due tesi interconnesse riformulandole secondo una organica scansione di eta` storiche, fino al ripensamento, che occupa l’ultima parte dell’Erziehung – nel quadro della «terza eta`», o del «tempo del nuovo Vangelo eterno» – 29 dell’origeniana apokatastasis panton e della metempsicosi . Ma gia` a Leibniz, nostra, riprendiamo questa tematica nell’Appendice al capitolo terzo § 6 di questo volume. Ha osservato a proposito dell’inveramento della teodicea e cosmodicea in un’antropodicea che non per forza e` antropolatria Giovanni Moretto: «In tal modo il discorso sulla giustificazione di Dio e del cosmo e` destinato a risolversi nel discorso sulla giustificazione dell’uomo: la teodicea deve cioe`, con la mediazione dell’etica, autenticarsi e verificarsi in un’antropodicea che, per il fatto di essersi resa esperta delle profondita` abissali, “trascendentali”, dischiuse dall’esistenza e dall’agire etico dell’uomo, e` tutt’altro che disposta ad esaurire il proprio significato nella prometeica o faustiana apologia di un umanismo antropolatrico» (Id., Teodicea, storia e jobismo, in Giustificazione e interrogazione, cit., p. 97). Nello stesso volume si veda anche il saggio La religione dell’illuminismo e la domanda di Giobbe, pp. 13-53 e, quanto alla transizione dalla teodicea all’antropodicea, Etica e interrogazione jobica, dove si legge: «L’antropodicea jobica, dunque, in quanto difesa etica dell’uomo che postula una giustificazione piu` che umana (tanto Kierkegaard quanto Kant sottolineano le parole con cui Dio dichiara che “Giobbe ha parlato con rettitudine”, Iob 42, 7s.), per le dimensioni che dischiude, e dalle quali attinge le proprie ragioni, puo` ambire a riscattare dai suoi fallimenti la stessa teodicea, riscoprendone la figura autentica. Infatti, come accade nella riflessione kantiana, vegliata non a caso dalla figura di Giobbe, tanto l’antropodicea etica quanto la teodicea “autentica” non hanno da occuparsi “di problemi a vantaggio della scienza, ma piuttosto di questioni di fede”» (ivi, p. 65). Cifra densamente espressiva di tale antropodicea etica distinta kantianamente dalla teodicea dottrinale, sono le parole che Thomas Mann mette in bocca a Giacobbe nel capitolo conclusivo del Giovane Giuseppe (Lo sbranato), di limpido sapore jobico: «Bisogna, infatti, difendere Dio dai suoi difensori e proteggerlo contro coloro che lo scusano» (Id., Il giovane Giuseppe, tr. it. di B. Arzeni, Milano 2001, p. 233). Nel passaggio dalla teodicea all’antropodicea anche G. Gusdorf identifica il passaggio dall’eta` di Leibniz all’Illuminismo: cfr. Id., Les sciences humaines et la pense´e occidentale, vol. IV, Les principes de la pense´e au sie`cle des Lumie`res, Paris 1971, pp. 280-289. 29 Rinviamo, per questa tematica, al capitolo 4 del presente studio. Sul tema della rivisitazione lessinghiana della teoria della metempsicosi, che chiude L’educazione del genere umano, si vedano le pagine classiche di W. Dilthey in Esperienza vissuta e poesia, tr. it. di N. Accolti Gil Vitale, Milano 1947, p. 164 sgg., dove si legge, tra l’altro: «Lessing e` il primo ad avere quella visione del mondo, tutta piena della gioia di vivere e mossa dallo stimolo dell’agire, la quale ebbe poi la prima sistematica definizione in Hegel e in Schleiermacher. Nell’unita` panteistica mantiene pero` in pieno i diritti dell’individualita`. E propriamente per mezzo dell’idea dell’evoluzione con la quale Leibniz ha preparato filosoficamente questo grande movimento tedesco» (ivi, p. 165). Sulla religione di Lessing, e in particolare su Nathan il saggio, rinviamo anche a H. Ku¨ng, La religione nel processo dell’illuminismo, in H. Ku¨ng – W. Jens, Poesia e religione, tr. it. di R. Garaventa, Genova 1989, pp. 75-90. Mette
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per questa via, che animava e metteva in moto la Gloria di Dio strappandola allo splendore immobile dell’eternita`, alla fissita` iperuranica dei cieli trascendenti e coinvolgendola nel progresso infinito dell’universo – non senza implicazioni, come vedremo, con l’etica –, la storia universale era ben abilitata ad apparire un romanzo scritto da Dio, dotato di unita` epica, di trama organica e unitaria, e insieme poteva configurarsi come frammento della Citta` di Dio, come parte dell’universo creato.
3. – La storia universale come “romanzo di Dio”. Dalle Geschichten alla Geschichte Sono quelli indicati, in effetti, i riferimenti concettuali che si trovano nei §§ 146-149 degli Essais de The´odice´e, i quali contengono la piu` nitida configurazione della teodicea della storia leibniziana. Vi si legge, subito, la citazione dei versi del poeta latino del IV secolo d. C. Claudiano, espressione limpida dell’esigenza etico-religiosa che muove Leibniz a elaborare una teodicea della storia: Saepe mihi dubiam traxit sententia mentem etc. [GP VI, 196].
Se il Seicento (nella sua seconda meta`) e il Settecento sono i secoli per eccellenza della teodicea e` perche´ in essi, sotto la spinta dei processi di secolarizzazione, che sfrondano il male da coperture metafisiche e teologiche rendendolo piu` acuto, si fanno particolarmente dolorosi il dubbio e lo sgomento ontologico espressi in questi versi: le cose umane sono governate da un Rector buono e saggio, oppure sono preda del caso e dell’incerto? Se perenne e` nell’animo umano la tentazione del me phynai del detto di Sileno, il rischio della disperazione di fronte al baratro del male irredimibile, per un secolo, quale il XVII, che non solo ha conosciuto gli orrori della Guerra dei Trent’anni, terribili carestie ed epidemie, insieme a tremende oppressioni e a un’impressionante sequenza di rivoluzioni politiche, ma che ha anche sentito soffiare impetuosamente lo spirito maligno del Dieu trompeur, coi suoi trucchi diabolici, coi suoi inganni conoscitivi in grado di vanificare l’umana esigenza di verita`, non e` l’esistenza di Dio a fare problema, ma la
conto ricordare altresı`, per finezza interpretativa e rilievo storico, i due interventi su Lessing di Thomas Mann (Discorso su Lessing; In memoria di Lessing) contenuti in Id., Nobilta` dello spirito e altri saggi, cit., rispettivamente alle pp. 5-22; 23-29.
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sua bonta`. Problema di Dio e problema della iustitia Dei, ovvero della teodicea, in questo senso, nell’eta` di Leibniz, omnino convertuntur, come ha osservato lucidamente Hannah Arendt: ... Descartes e Leibniz sentirono il bisogno di provare non l’esistenza di Dio, ma la sua bonta`, l’uno dimostrando che nessuno spirito maligno governa il mondo e si prende gioco dell’uomo, e l’altro che questo mondo, comprendente l’uomo, e` il migliore di tutti i mondi possibili. Il punto critico di queste giustificazioni esclusivamente moderne, note da Leibniz in poi come teodicee, e` che il dubbio non concerne l’esistenza di un essere superiore, che, al contrario, e` tenuta per certa, ma concerne la sua rivelazione, com’e` data nella tradizione biblica, e le sue intenzioni rispetto all’uomo e al mondo, o piuttosto l’adeguatezza del rapporto tra l’uomo e il mondo. Per quanto riguarda questi, il dubbio che la Bibbia o la natura contenga una rivelazione divina e` immediato, una volta chiarito che la rivelazione in quanto tale, lo schiudersi della realta` ai sensi e della verita` alla ragione, non costituisce una garanzia ne´ per l’uno ne´ per l’altro. Tuttavia, il dubbio sulla bonta` di Dio, la nozione di un Dieu trompeur, scaturı` dall’esperienza reale dell’inganno inerente all’accettazione della nuova visione del mondo, un inganno particolarmente tormentoso data la sua inevitabile ricorrenza; infatti nessuna conoscenza circa la natura eliocentrica del nostro sistema planetario puo` modificare il fatto che ogni giorno il sole e` visto girare attorno alla terra, sorgere e calare nella sua sede preordinata. Solo quando apparve che l’uomo, se non fosse stato per la scoperta fortuita del telescopio, avrebbe potuto rimanere per sempre nell’inganno, le strade di Dio divennero realmente imperscrutabili; piu` l’uomo apprese intorno all’universo, meno comprese le intenzioni e gli scopi per i quali sarebbe stato creato. La bonta` di Dio delle teodicee, quindi, e` una specie di deus ex machina; l’inesplicabile bonta` e` l’unica cosa che in ultima analisi salva la realta` nella filosofia di Descartes ... come salva l’armonia prestabilita tra l’uomo e il mondo in Leibniz30.
Non c’era bisogno, del resto, di attendere il terremoto di Lisbona del 1755 per essere tentati di pensare che la storia umana fosse nulla piu` che un cumulo di macerie e di malvagita`, un «recueil des crimes et des infortunes du genre humain» [GP VI, 198]: gia` Pierre Bayle lo afferma agli albori del XVIII secolo 30
H. Arendt, Vita activa, cit., pp. 208-209. Sul problema del male e della teodicea nell’eta` di Leibniz cfr. P. Hazard, La pense´e europe´enne au XVIIIe`me sie`cle. De Montesquieu a` Lessing, Paris 1946, t. II, pp. 49-70; L. G. Crocker, Un’eta` di crisi. Uomo e mondo nel pensiero francese del Settecento, tr. it. di M. Lida Buonaguidi Paradisi, Bologna 1975, pp. 58-101; S. Landucci, La teodicea nell’eta` cartesiana, Napoli 1986. Di grande finezza sono le pagine introduttive di P. Piovani al volume La teodicea sociale di Rosmini, Padova 1957, pp. IX-XXIX.
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– sue sono le note parole ora riportate, tratte dalla voce “Manichei” del Dizionario storico-critico – e gli Essais lo registrano puntualmente. A mettere Leibniz, nei §§ 146-149 dei Saggi, sulla via di una teodicea della storia, e` proprio l’argomento bayliano secondo cui i cieli e l’universo annunciano la gloria e la sapienza di Dio, mentre l’uomo, il preteso capolavoro della creazione, offre occasione di avanzare le piu` gravi riserve contro l’unita` e la giustizia divina. Si legge infatti nella voce “Manichei” del Dictionnaire: I cieli e tutto il resto dell’universo proclamano la gloria, la potenza, l’unita` di Dio: solo l’uomo, questo capolavoro del suo creatore, fra tutte le cose visibili, l’uomo solo – dico – fornisce alcune gravi obiezioni contro l’unita` di Dio. Ecco come. L’uomo e` cattivo e infelice: tutti lo sanno, osservando cio` che passa all’interno del proprio animo e le relazioni che sono costretti ad avere con il prossimo. E` sufficiente vivere cinque o sei anni per convincersi perfettamente di questi due punti; coloro che vivono a lungo e sono ben addentro negli affari lo sanno ancora meglio. I viaggi costituiscono in proposito delle lezioni esemplari, perche´ fanno vedere ovunque le testimonianze della infelicita` e della malvagita` umane. Ovunque si vedono prigioni e ospedali, ovunque ladri e mendicanti. Qui potete vedere i resti di una citta` fiorente, altrove non potete trovarne neppure le rovine. Jam seges est ubi Troia fuit, resecandaque falce Luxuriat Phrygio sanguine pinguis humus. Leggete queste belle parole tratte da una lettera scritta a Cicerone: «Di ritorno dall’Asia, navigando da Egina verso Megara, cominciarono a presentarsi le regioni circostanti. Dietro di me era Egina, davanti Megara, alla destra il Pireo, alla sinistra Corinto che, un tempo fiorentissime, ora giacciono prostrate e distrutte». Gli studiosi sono coloro che, senza uscire dalla loro stanza, accrescono sempre di piu` le loro conoscenze su questi due punti, perche´, leggendo la storia, passano in rivista tutti i secoli e tutti i paesi del mondo. La storia, propriamente parlando, non e` altro che una raccolta dei delitti e delle disgrazie del genere umano31.
Si tratta, com’e` evidente, di un potente attacco nei confronti della storia come luogo teologico e provvidenziale, rivelativo della iustitia Dei. Ma, per il filosofo della Monadologia, la percezione del disordine avvertibile nell’universo e nella storia umana non e` che una fallace apparenza da cui soltanto il retto uso della ragione e del suo principio costitutivo – il nihil sine ratione 31 P. Bayle, Dizionario storico-critico, voce “Manichei”, tr. it. di G. Cantelli, Roma-Bari 1976, vol. I, pp. 17-18.
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– puo` affrancare. Due sono gli argomenti con cui Leibniz nei paragrafi suddetti degli Essais confuta chi, come Bayle e Machiavelli, sostiene sul piano della storia le tesi della disteleologia e del pessimismo antropoontologico, quasi Dio non fosse il piu` grande Romanziere che sa tessere la migliore trama possibile, ma uno Scriba del caos o un Lanciatore di dadi che abbandona la sua creazione al disordine e al caso. Il primo argomento, di tipo estetico, e` il richiamo al limitato angolo visuale dell’uomo rispetto all’infinita` dell’universo e alla totalita` della Citta` di Dio, che si allarga assai al di la` della storia umana e della stessa terra, nonche´ alla parzialita` dell’osservazione di alcuni mali e irregolarita` troppo frettolosamente assolutizzati. Temerario e` giudicare l’opera di Dio dalla prospettiva parziale che ci e` offerta, alla stregua di un processo in cui il giudice volesse decidere senza possedere tutte le prove o senza aver consultato l’intera legislazione. All’affermazione di Bayle che la storia del genere umano non e` che un resoconto di delitti e sventure, come mostrano ovunque prigioni e ospedali, occorre rispondere che le normali case di abitazione superano di gran lunga il numero delle prigioni, e che vi e` senza paragone piu` bene che male nella vita degli uomini (cfr. Essais de The´odice´e § 148). Non si deve guardare il mondo troppo da vicino: ne risulta un effetto deformante di particolari e di dettagli esaltati e scorporati dall’ordine totale. Inoltre, come si diceva, la storia umana e` solo un frammento della Citta` di Dio, e tale parzialita` destina l’armonia a rimanere ultimamente arcana, celata agli occhi umani sotto l’apparenza, spesso, di irregolarita` e negativita`: mais le genre humain, entant qu’il nous est connu, n’est qu’un fragment, qu’une petite portion de la Cite´ de Dieu, ou de la republique des Esprits. Elle a trop d’etendue pour nous, et nous en connoissons trop peu, pour en pouvoir remarquer l’ordre merveilleux [GP VI, 196].
Il § 134 della Teodicea offre un testo straordinariamente limpido a questo proposito: elevare la mente all’armonia universale ripetendo con Paolo «O altitudo divitiarum et sapientiae» (Rom., 11, 33) non equivale a rinunciare alla ragione, come vorrebbe Bayle, che ne riconosce il ruolo solo in quanto principio di distruzione e di dubbio: occorre usare la ragione e i suoi strumenti in modo positivo, nella misura in cui ci insegnano a cogliere quell’abisso di ricchezza e di saggezza, per poi riconoscere la nostra ignoranza circa l’ordine totale, in cui sta anche il male, e fare cosı` spazio al mistero (cfr. GP VI, 188; cfr. anche Essais § 194). Il secondo argomento, di natura etica e di ascendenza agostiniana, fa riferimento al libero arbitrio operante nelle cose umane. L’uomo e` una
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divinita` in nuce e nel suo microcosmo, comportandosi come un “piccolo dio”, compie delle meraviglie, ma anche dei grandi errori, abbandonandosi alle passioni. Nondimeno, argomenta Leibniz, Dio sa trarre anche da simili deviazioni il miglior disegno possibile tracciando, per cosı` dire, delle linee diritte su quelle irregolari e imperfette scritte dagli uomini. Il male non e` ostacolo al perfezionamento, la sua condizione e` inclusa nelle strutture dell’esistente: et le mal arrive le plus souvent quand ces intelligences ou leur petits mondes se choquent entre eux. L’homme s’en trouve mal, a` mesure qu’il a tort; mais Dieu, par un art merveilleux, tourne tous les defauts de ces petits mondes au plus grand ornement de son grand monde. C’est comme dans ces inventions de perspective, ou` certains beaux desseins ne paroissent que confusion, jusqu’a` ce qu’on les rapporte a` leur vray point de veue, ou qu’on les regarde par le moyen d’un certain verre ou miroir. C’est en les plac¸ant et s’en servant comme il faut, qu’on les fait devenir l’ornement d’un cabinet. Ainsi les deformite´s apparentes de nos petits mondes se reunissent en beaute´s dans le grand et n’ont rien qui s’oppose a` l’unite´ d’un principe universel infiniment parfait: au contraire, ils augmentent l’admiration de sa sagesse, qui fait servir le mal au plus grand bien [GP VI, 197-198].
I suddetti argomenti, l’uno di natura “estetica”, l’altro di natura “etica”, a difesa della giustizia del cosmo e della storia, rivelano tuttavia la loro forza probatoria solo se si concepiscono come poggianti sull’impianto a priori con cui Leibniz costruisce la sua teodicea: poiche´ la ragione ci insegna a riconoscere l’esistenza di un Principio buono e saggio con dimostrazioni infallibili e senza ricorso alla fede rivelata (cfr. § 44 del Discorso preliminare agli Essais), possiamo, anzi, dobbiamo, sostenere la bonta` e saggezza del cosmo e della storia. Male e disordine, concepiti come obiezione alla giustizia divina, alla luce della suddetta verita` e apriorita`, vanno contestati come un errore prodotto sia dalla nostra angusta prospettiva, sia da una liberta` mal praticata. Conclude a questo proposito Andrea Poma: La Teodicea di Leibniz, dunque, non e` un’apologia del mondo, ma un’apologia di Dio: essa non argomenta a posteriori, come farebbe cio` che io intendo qui per teodicea a posteriori, una giustificazione dell’esistenza del male; non puo` dimostrare nemmeno, a priori, la giustizia di Dio nel permettere il male; essa puo` solo ricondurre la considerazione a posteriori dell’esistenza del male alla prova a priori dell’esistenza di Dio, giusto e provvidente, e quindi sostenere questa verita` di fronte a quell’apparenza32. 32
A. Poma, Impossibilita` e necessita` della teodicea, cit., p. 91. Ribadisce l’autore a proposito
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Giungiamo, con cio`, al § 149 degli Essais e all’immagine della storia universale del genere umano come romanzo di Dio: et je suis surpris qu’il [Bayle] n’ait point considere´ que ce Roman de la vie humaine, qui fait l’histoire universelle du genre humain, s’est trouve´ tout invente´ dans l’entendement divin avec une infinite´ d’autres, et que la volonte´ de Dieu en a decerne´ seulement l’existence, parce que cette suite d’evenemens devoit convenir le mieux avec le reste des choses pour en faire resulter le meilleur. Et ces defauts apparens du monde entier, ces taches d’un Soleil, dont le nostre n’est qu’un rayon, relevent sa beaute´, bien loin de la diminuer, et y contribuent en procurant un plus grand bien [GP VI, 198].
L’unita` della storia universale, fattasi, nella sua interezza, intrinsecamente religiosa, in un senso che lo Schleiermacher delle Reden u¨ber die 33 Religion prolunghera` e affinera` , rinviene, alla fine, la sua radice ultima nell’unita` stessa di Dio, che Leibniz oppone alla tesi bayliana del manicheismo, percio` del dualismo dei principi che condannava il divino a rinunciare all’onnipotenza pur di essere scagionato dall’accusa di aver creato il male: Il y a veritablement deux principes, mais ils sont tous deux en Dieu, savoir son Entendement et sa Volonte´. L’entendement fournit le principe du mal, sans en eˆtre terni, sans eˆtre mauvais; il represente les natures, comme elles sont dans les verite´s eternelles; il contient en luy la raison, pour laquelle le mal est permis; mais la volonte´ ne va qu’au bien. Adjoutons un troisieme principe, c’est la puissance; elle precede meˆme l’entendement et la volonte´; mais elle agit comme l’un le montre, et comme l’autre le demande [GP VI, 198-199].
Nel manicheismo, e piu` universalmente nella gnosi, in effetti, va identificato, sin da Agostino, l’antagonista per eccellenza della teodicea, dal momento che i due termini si oppongono in modo antitetico: degli argomenti “apologetici” della Teodicea: «Il fatto e`, l’abbiamo detto, che, per Leibniz, non e` in questi argomenti la parte importante della teodicea, il bastione difensivo della fortezza assediata: essi sono qualcosa in piu` e hanno un senso, una legittimita` e una parziale capacita` persuasiva solo se sono fondati sulla teodicea a priori» (ivi, p. 115). 33 Si legge nella seconda Rede: «La storia, nel senso piu` autentico del termine, e` il piu` alto oggetto della religione, giacche´ questa incomincia e finisce con essa – ai suoi occhi, infatti, anche la profezia e` storia e le due non si possono nemmeno distinguere l’una dall’altra -, e ogni vera storia ha sempre avuto anzitutto un obiettivo religioso e ha preso le mosse da idee religiose. Nel suo dominio poi s’incontrano le piu` sublimi intuizioni della religione» (Sulla religione, in Scritti filosofici di Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher, cit., p. 139).
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la teodicea e` per sua essenza antignosi – osserva Poma – perche´ la gnosi e` antiteodicea34.
E` particolarmente in opposizione alla gnosi e al manicheismo che si comprende come la Teodicea leibniziana implichi una cosmodicea, o un’ontodicea, un’appassionata perorazione della tesi dell’armonia dell’universo – analogamente a quanto gia` aveva fatto Plotino nel suo trattato contro gli gnostici (Enneadi II, 9) – a confutazione del dispregio manicheo e gnostico del mondo. Il testo riferito degli Essais § 149 relativo alla storia come romanzo di Dio trova nel seguente brano tratto dalla lettera del 26 aprile 1713 scritta da Leibniz ad Anton Ulrich una pregnante integrazione: Ich ha¨tte zwar wu¨nschen mo¨gen, daß der Roman dieser Zeiten eine beßere entkno¨tung gehabt; aber vielleicht ist er noch nicht zum ende. Und gleichwie E. D. mit Ihrer Octavia noch nicht fertig, so kan Unser Herr Gott auch noch ein paar tomos zu seinem Roman machen, welche zulezt beßer lauten mo¨chten. Es ist ohne dem eine von der Roman-Macher besten ku¨nsten, alles in verwirrung fallen zu laßen, und dann unverhofft herauß zu wickeln. Und niemand ahmet unsern Herrn beßer nach als ein Erfinder von einem scho¨hnen Roman [ZhVN, 1888, 233-234]. Avrei certamente desiderato che il romanzo di questi tempi presentasse una migliore risoluzione, ma forse esso non e` ancora giunto al termine. E come Vostra Altezza non ha ancora ultimato l’Octavia, cosı` anche nostro Signore Dio puo` aggiungere ancora qualche tomo al suo romanzo, che alla fine risultera` migliore. E` comunque una delle qualita` somme del romanziere far cadere tutto in confusione e poi sciogliere l’intreccio inaspettatamente. E nessuno imita meglio nostro Signore che l’inventore di un bel romanzo.
Rispetto al passo degli Essais § 149, che sottolinea l’intera preformazione del romanzo-storia nella Mens Dei, qui emerge piuttosto il tema dell’incompiutezza della storia nel tempo presente, dunque del progresso e del divenire necessari a compierla. La stessa Rechtfertigung Gottes, dunque, per quanto gia` conosciuta e fissata a priori con certezza razionale che non teme smentite, esige il futuro per disvelarsi pienamente, e passato e presente
34
A. Poma, Impossibilita` e necessita` della teodicea, cit., p. 119. Sul rapporto tra gnosi e teodicea cfr. anche P. Ricoeur, Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, tr. it. di I. Bertoletti, Brescia 1993, pp. 23-28.
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non bastano a valutarne gli esiti. Il romanzo di Dio appare dunque bisognoso di altri tomi ancora chiusi, in attesa di esistentificarsi, nel Palazzo dei destini, nella grande Biblioteca universale di Dio dove sono custodite le storie di tutti i mondi possibili. Revelatio Dei, Gloria Dei, Civitas Dei, Ecclesia Dei, sono realta` in divenire, ancora incompiute, e, si potrebbe aggiungere, anche il Concilio di Trento – come osserva, pur da una posizione critica, Jean Guitton – non e` chiuso35.
La storia, verrebbe da dire pensando al suo fondamento nell’harmonia universalis, e` una sinfonia incompiuta – come lo e` la celebre composizione (Sinfonia n. 8 in si minore) di Franz Schubert – il cui ultimo movimento e` sempre ancora da eseguire, il cui finale e` sempre ancora in mente Dei. Da questo punto di vista, storia individuale e storia universale omnino convertuntur: l’incompiutezza e` propria tanto della “microstoria” individuale della monade, che si svolge nella virtualita` della durata, quanto della “macrostoria” universale. Del resto, quest’ultima, nella visione leibniziana, non e` che il risultato di un insieme – pur “concertato” nella prestabilita armonia – di individualita`, di sostanze-forza individuali che si muovono in vista della loro felicita` e pienezza, in cio` edificando il divenire storico. Tutto il tempo, dunque, e` preparazione di un approdo – di un eschaton – sempre a venire, ma da sempre interamente previsto. Percio` ogni momento, nel suo ricapitolare la totalita` del tempo, e` intrinsecamente escatologico, cosı` come ogni monade in ogni istante rispecchia l’universo. Dal canto loro, rivelazione e Gloria di Dio, una volta sottratte a un’idea di soprannaturalita` dotata di eccezionalita` qualitativa, cosı` come a un’istituzione carismatica che ne sia la depositaria esclusiva, rifluiscono nella soprannaturalita` propria dell’universo, prolungandosi per tutto l’arco temporale del suo sviluppo, senza privilegi. Il divino si rivela nella storia – scrive Cassirer – non come un dispositivo che si aggiunga a una materia renitente per trasformarla secondo prospettive finalistiche, ma nella legge complessiva immanente dell’accadere. Il “miracolo” a cui indirizzare una considerazione religiosa piu` profonda non e` l’eccezione alla legge della natura, ma il fatto stesso della legalita` naturale36. 35 36
J. Guitton, Profili paralleli, cit., p. 166. E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., pp. 326-327.
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Piu` che a una desoprannaturalizzazione del cristianesimo, assistiamo a un tradursi del cristianesimo stesso nella soprannaturalita` inclusa nell’universo e nel suo svolgimento. E se, in Leibniz, la storia resta saldamente locus theologicus, il suo centro gravitazionale, in luogo del passato e della tradizione, tendono a diventare l’evoluzione, la transizione, il futuro, il progresso implicati nella legge di continuita`, cui e` affidato il pieno disvelamento della destinazione etico-religiosa del mondo. Origine e traditum, per quanto essenziali, non possono per Leibniz accampare un’assoluta pretesa regolativa, ma vanno integrati e conciliati con evoluzione e metamorfosi. Tutto cospira, in lento accumulo, al perfezionamento dell’universo: con cio`, la storia stessa e` abilitata a porsi come dialogo tra nova et vetera, tra arkai e spiraliformi dinamiche infuturanti, momenti di un’unica itinerante rivelazione degli arcana divinae providentiae, ma in modo tale che i vetera non contengano del tutto i nova, liberati cosı` a un’aspettativa non ipotecata dal “gia` esperito”. Il che schiude germinalmente, gia` in Leibniz, come osserveremo sulla scorta di R. Koselleck, nuove prospettive sul futuro che si annunciano sull’eclissi del principio magisteriale della storia. Uguale, invece, nei due testi, resta l’immagine del romanzo di Dio, il punto di vista soteriologico sulla storia, il legame tra storia e teodicea: iustitia Dei e iustitia mundi, omnino convertuntur sulla base dell’idea che un Dio buono e saggio sia il vero e unico garante della verita`-bonta` del cosmo e della storia. Sul piano della Rechtfertigung ultima della series rerum, infatti, non puo` esservi che un solo testimone: Dio stesso. Al primato del testimone oculare proprio della storia erudito-annalistica si sostituisce qui, dove la giustificazione non concerne un dato particolare ma investe l’essere stesso delle cose, dove il processo giudiziario non e` chiamato a valutare una specifica situazione ma si dilata a Welt-gericht, a giudizio universale, un altro “occhio”, un’altra testimonianza visiva, l’unica possibile, poiche´ all’uomo e al suo costitutivo prospettivismo e` preclusa ogni totalita`: quella propria della divina e icnografica ocularita` che percorre, come Hermes, il tempo e la storia in tutti i sensi possibili conoscendoli e penetrandoli in un unico Augen-blick. Il Principio buono e saggio riconosciuto tale a priori dalla ragione naturale, e` dunque l’unico possibile testimone-garante che possa opporsi al disordine apparente della storia del genere umano: ecco l’argomento cruciale che Leibniz – anticipando di tre quarti di secolo l’immagine della storia come romanzo del Kant della Idee zu einer allgemeinen Geschichte in weltbu¨rgerlicher Absicht (1784), ma anche la religione della pura ragione kantiana – oppone negli Essais ai Bayle e ai Machiavelli.
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E` in forza di tale argomento che l’uomo, pur nella limitata prospettiva che gli e` propria, puo` credere, se non vedere, che la storia presenti l’ordine, la legge, la sostanza di senso di un romanzo. La cui unita` epica, il cui misterioso filo conduttore, scritto da una Provvidenza ordinatrice, poteva surrogare quel Codice di senso del corso storico che, in precedenza, erano state le Sacre Scritture. Del resto, nell’analisi classica che ne ha fatto Gyo¨rgy Luka´cs, non nasce forse il romanzo moderno da uno stato di separazione, di lacerazione, di nostalgia per un luogo perduto, e dalla corrispondente esigenza di rinvenire una qualche legge di significato nelle vicende storiche? Non nasce, forse, il «primo grande romanzo della letteratura universale» rappresentato dal Don Chisciotte, all’inizio del tempo in cui il Dio del cristianesimo incomincia a lasciare il mondo; in cui l’uomo cade in solitudine e riesce a trovare il senso e la sostanza solo in un’anima, la sua, il cui domicilio e` irreperibile; in cui il mondo, sganciato dal vincolo paradossale che lo teneva unito a un aldila` attualizzato, cade in balia della sua immanente insensatezza37?
Negli aspetti sin qui enucleati risulta evidente l’intreccio di antico e nuovo proprio della metafisica della storia leibniziana, la modalita` in cui temi e problemi provenienti dall’eredita` teologica soprattutto agostiniana vengono trasformati. Cio`, tuttavia, non puo` far dimenticare i limiti strutturali del sistema filosofico dell’hannoverese, non ancora pronto a liberare le energie dell’individualita`, pur intraviste, nell’azione storica. Cosı`, il rapporto tra corso storico-universale e armonia prestabilita, sottolineato da Leibniz negli Essais de The´odice´e in relazione al tema della storia-romanzo di Dio gia` «interamente formato nell’intelletto divino», risulta oltremodo problematico, soprattutto in relazione al problema della liberta` e spontaneita` del soggetto agente nella storia. Ecco il brano con cui Friedrich Meinecke limpidamente denuncia i limiti della visione storica leibniziana derivanti dalle strutture stesse del suo sistema speculativo: 37 G. Luka´cs, Teoria del romanzo, a cura di G. Raciti, Milano 1999, pp. 95-96. In termini non lontani da Luka´cs si esprime a proposito del Don Chisciotte e del romanzo moderno lo scrittore boemo Milan Kundera: «Mentre Dio andava lentamente abbandonando il posto da cui aveva diretto l’universo e il suo ordine di valori, separato il bene dal male e dato un senso ad ogni cosa, Don Chisciotte uscı` di casa e non fu piu` in grado di riconoscere il mondo. Questo, in assenza del Giudice supremo, apparve all’improvviso in una temibile ambiguita`; l’unica Verita` divina si scompose in centinaia di verita` relative, che gli uomini si spartirono fra loro. Nacque cosı` il mondo dei Tempi moderni, e con esso il romanzo, sua immagine e modello» (Id., L’arte del romanzo, tr. it. di E. Marchi e A Ravano, Milano 2003, p. 19).
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Cosı` lo sviluppo che egli [Leibniz] scoprı` entro l’animo umano, che dalle tenebre delle percezioni confuse conduce alla luce delle chiare appercezioni intellettuali ed alla normalita` delle verita` eterne, e` piu` un processo di perfezionamento che un puro processo di evoluzione storica, il quale deve ad ogni grado creare l’individuale, sia anche, esso individuale, mescolato con qualche cosa di tipico e di generale. «Tutto aspira alla perfezione», egli dice nel Syste`me nouveau de la nature, «non solo cio` che riguarda l’universo in generale, ma anche cio` che riguarda le creature in particolare». Teniamo ferma questa sostanziale differenza tra sviluppo, in senso storicistico, e perfezionamento, che porta l’impronta dell’illuminismo, per tutte le ulteriori considerazioni che faremo... Il concetto di sviluppo trovo` anche un altro limite nel sistema leibniziano. Ogni singola monade e` per lui indistruttibile ed eterna e nel corso delle universali vicende puo` assumere, una dopo l’altra, piu` basse o piu` elevate forme di esistenza e continuare il suo sviluppo ascendente. Ma la monade non puo` avere influenza trasformatrice sulle altre, poiche´ ogni monade – benche´, come specchio imperfetto dell’universo, rimanesse durevolmente legata a questo – vive solo secondo le sue proprie leggi, che ha ricevute da Dio. Questo significava spingere all’estremo il concetto di individualita`, a danno di quello di sviluppo; poiche´ e` caratteristico dello sviluppo storico che le forze individuali influiscano anche l’una sull’altra, fecondamente, dando cosı` origine al nuovo, che cioe`, per dirla con lo Shaftesbury, esse siano principi informatori. Si potrebbe obbiettare che la dottrina leibniziana delle monadi vale bene per la sfera del trascendente, ma che non e` senz’altro da trasportare nel mondo empirico della storia. Tuttavia essa crea dei diaframmi tra le forze che hanno una piu` profonda efficacia nella storia. Le monadi sembrano cosı` un mostruoso mazzo di infiniti fili, i quali sono annodati insieme alla loro estremita` soltanto in Dio. Era questo un effetto fatale della sua matematica formula universale, che solo cosı` e non altrimenti credeva di poter risolvere il problema di unita` e molteplicita`. Ma al futuro concetto di sviluppo proprio dello storicismo poteva cosı` essere trasmesso anche un monadologico isolamento, che lo restringeva ad un concetto di semplice sviluppo naturale38.
Ci sarebbero voluti Kant e la stagione dello Historismus di W. von Humboldt e di Schleiermacher per passare dalle armonie prestabilite da Dio a un’idea di armonia da costruire nel tempo, da stabilirsi grazie al libero e operoso intreccio delle singole individualita` agenti nella storia. Nondimeno, un altro elemento di novitas deve essere evidenziato nella concezione leibniziana di cui andiamo trattando. In effetti, un pensiero che, come quello di Leibniz, nella forma di un’unita` epica, pur ancora a sfondo 38
F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., pp. 21-22.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
teologico, sappia rinvenire nella storia un principio di senso capace di trasformare l’aggregato disordinato delle azioni umane e degli eventi in una qualche interna connessione padroneggiabile razionalmente, e`, con evidenza, giunto alle soglie di quella transizione cruciale che Koselleck ha registrato nell’area culturale tedesca nel corso del Settecento come passaggio linguistico-categoriale dalla “Historie” alla “Geschichte u¨berhaupt”. Non a caso, all’inizio di tale processo e` rinvenibile proprio Leibniz. Proprio l’hannoverese, osserva lo storico tedesco riferendosi al passo sopra ricordato degli Essais de The´odice´e, che intendeva ancora la storiografia e la poesia come discipline morali, pote` gia` interpretare la storia del genere umano nel senso di un romanzo di Dio, la cui conclusione era gia` contenuta nella creazione39.
Anche Koselleck, dunque, alla stregua di quanto facciamo nella presente ricerca, coglie nella concezione storica leibniziana scarti e dislivelli, un conflitto tra l’antico che persiste nella forma del principio magisteriale della storia e il nuovo che tenta di fare breccia. Cosı`, mentre il Leibniz storiografo erudito-annalista resta legato, non solo, come rileva lo studioso tedesco, all’idea morale-utilitaristica della storia, ma anche alle res gestae, alle Geschichten – appunto una raccolta di esse sono gli Annales Imperii –, il metafisico della storia inaugurava su basi speculative il pensiero di una “Geschichte u¨berhaupt”, di una storia fornita di interna universale connessione. Due modalita` di atteggiarsi rispetto al tempo storico, in realta`, si combattono in Leibniz, come si e` cercato di lumeggiare nel primo capitolo del presente lavoro. Ma, per riandare all’ermeneutica del tempo storico illustrata in Vergangene Zukunft, la nascita del singolare collettivo “Geschichte” – come spiega Koselleck – e` il prodotto di una trasformazione epocale, di un nuovo avvertimento dell’esperienza del tempo, che ha per termini di riferimento lo spazio d’esperienza e l’orizzonte di aspettativa. Finche´ la sostanziale staticita` dell’esperienza storica rendeva possibile “schiacciare” il futuro sul passato, restando vincolati all’idea dell’esemplarita` di cose ed eventi, spazio d’esperienza e orizzonte di aspettativa apparivano dominabili, poiche´ ricalcati su un passato sempre valido in quanto sempre ripetibile. Quando, invece, i processi secolarizzanti aprono sul futuro la prospettiva di una novita` senza precedenti, l’esperienza di un’accelerazione storica e il pensiero di una 39
R. Koselleck, Futuro passato, cit., p. 43.
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capacita` inedita dell’uomo di “fare” la storia, si schiude una radicale trasformazione nel modo di esperire attese e speranze: il nuovo tempo storico – il progresso – rompendo il topos della Historia magistra vitae, legato all’idea della staticita` dell’esperienza storica, percio` dell’esemplarita` e paradigmaticita` degli eventi, rendendo impossibile il coagularsi del passato in esperienza adeguata per il presente e il futuro, impone il passaggio a una diversa forma di intelligibilita` del corso del mondo. L’eta` moderna, si puo` ben dire, e` per Koselleck il prodotto di uno scarto crescente, di un solco sempre piu` profondo, tra esperienza e aspettativa. La “Zeit” e` abilitata a fregiarsi del qualificante attributo di “neue” solo in seguito a questa nuova modalita` di esperire la temporalita`, fattasi finalmente storica in quanto diversificata dal divenire naturale, a cui la vecchia storiografia annalistica resta ancorata, e determinata in base alla storia. E` in seguito a questa apertura illimitata del futuro, a questa dinamica infuturante, non piu` delimitata e circoscritta dal “de´ja` vu” delle esperienza gia` fatte, che la ragione storica, per governare gli eventi, ha avvertito l’istanza di passare dalle Geschichten singolari alla Geschichte u¨berhaupt, alla storia in generale, transito che in Leibniz, naturalmente, presenta una radicata caratterizzazione teologica. Solo la Geschichte intesa come sistema – spiega Koselleck –, consentiva un’unita` epica capace di mettere in luce la connessione interna e di fondarla40.
Rispetto ai tre temi che, come ha fatto Paul Ricoeur41, abbiamo additato come le fondamentali implicazioni contenute nelle analisi di Koselleck sulla temporalizzazione della storia – vale a dire: la fiducia in un futuro aperto a novita`, l’accelerazione storica, l’accresciuta capacita` degli uomini nel “fare” la storia – non sara` difficile verificare la loro germinale presenza in Leibniz. Cio` consentira` di analizzare ulteriormente la contesa tra l’antico e il nuovo che attraversa il pensiero storico leibniziano. Qui, decisivo, insieme al senso, vivissimo in Leibniz, di un’accelerazione del sapere propria del suo “sie`cle e´claire´”, diventa il tema del progresso, che proprio il pensatore tedesco, per primo, ha pensato e teorizzato come forma universale e categoria dotata di fondamento metafisico. Ma prima di affrontare simili problematiche, occorrera` sostare su uno dei nodi piu` spinosi su cui la
40 41
Ibid. Cfr. P. Ricoeur, Tempo e racconto, vol. 3 (Il tempo raccontato), cit., p. 321 sgg.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
letteratura critica si e` affaticata nel corso del Novecento e che, all’inizio di questo capitolo, abbiamo lasciato in sospeso, solo alludendovi: in che senso ed entro quali limiti la teodicea della storia leibniziana sin qui delineata rappresenta un modello precorritore della filosofia della storia? E` stato Leibniz, e in che senso, un filosofo della storia?
4. – Leibniz: “filosofo della storia” oppure “tra due storicismi”? «Leibniz – ein Geschichtsphilosoph?»: cosı` suona l’interrogativo con cui Wolfgang Hu¨bener intitola la sua relazione al Simposio ferrarese del 1980 dedicato a Leibniz als Geschichtsforscher. In essa lo studioso tedesco, nel riferirsi, da una parte, all’interpretazione di Max Ettlinger42, che fa di Leibniz l’evoluzionista storico che «riflette sulla spiegazione causale piu` adeguata e sulla valutazione teologica delle piu` profonde concatenazioni degli eventi», che tenta di comprendere i grandi nessi di sviluppo storico-universale e gli 43 intimi fattori spirituali che muovono la storia ,
e, dall’altra, a quelle di Louis Daville´, di Willy Kabitz e di Lewis W. Spitz, che, all’opposto, negano nel pensatore di Hannover l’esistenza di una filosofia della storia almeno nel senso organico-sistematico di Herder, di Fichte, di Hegel, sembra assumere una ponderata posizione mediana. L’interpretazione di Ettlinger, osserva Hu¨bener, si attaglia maggiormente al Discours di Bossuet che alla visione leibniziana della conoscenza storica: in effetti, venendo a comporre una sorta di «allgemeine Landkarte» («carte universelle») che permette ictu oculi di «tenere in mano il filo conduttore di tutti gli eventi dell’universo», l’opera di Bossuet urta non solo con la spiccata opposta propensione leibniziana per l’impercettibilmente piccolo, oltre che per il prospettivismo, piuttosto che per gli olismi, ma anche con le esplicite affermazioni del pensatore tedesco che escludono, a parte hominis, la conoscenza a priori dei dettagli della storia. In realta`, sostiene Hu¨bener, 42 Cfr. M. Ettlinger, Leibniz als Geschichtsphilosoph, cit. Allo studioso tedesco si deve, in appendice al testo citato, come si evince dal titolo, l’originaria pubblicazione del frammento leibniziano Apokatastasis panton, cui dedichiamo il capitolo quarto della presente ricerca. 43 W. Hu¨bener, Leibniz – ein Geschichtsphilosoph?, in Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 39.
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il problema di una conoscenza distinta dei grandi effetti, di cui Bossuet accetta la possibilita`, per Leibniz non si pone assolutamente, poiche´ costituisce gia` per lui il privilegio di una Mens infinita anche solo il cogliere distintamente a priori le infinitamente molteplici e piccole cause e ragioni che concorrono a produrre un qualsiasi evento44.
Ma ecco la conclusione dello studioso, che opportunamente introduce delle distinzioni: Se per filosofia della storia si intende ... una teoria della trasformazione totale inarrestabile, fornita di legge, il cui soggetto agente unico e` il genere umano come tale, in quanto assoluto, in opposizione al quale sta il valore condizionato degli individui che occorre sacrificare ad esso, allora Leibniz certamente non e` un filosofo della storia ... Se invece si intende per filosofia della storia una teoria del miglioramento e della capacita` di miglioramento delle cose umane, in cui il genere vale solo come soggetto di riferimento finale e in cui i reali soggetti effettivamente agenti sono innumerevoli, allora Leibniz e` stato un eminente filosofo della storia45.
I distinguo indicati da Hu¨bener appaiono corretti e necessari. Solo, in effetti, precisando cosa si intenda porre sotto l’ubiquitario e polisenso sintagma “filosofia della storia”, e` possibile rispondere senza equivoci alla res in questione. Da parte nostra, vorremmo innanzitutto approfondire le ragioni per cui la teodicea della storia di Leibniz non e` assimilabile tout court alle filosofie della storia organiche e sistematiche elaborate tra il Sette e l’Ottocento, lumeggiando, con cio`, entro quali limiti e` lecito parlare di Leibniz come di un “filosofo della storia”, per poi, in un secondo momento dell’analisi, sottolineare invece gli aspetti della teoria leibniziana che hanno anticipato il sorgere delle suddette filosofie. In tal modo, da un lato si intende affermare la tipicita`, l’individualita` peculiare della metafisica della storia leibniziana, che, se puo` anche essere legittimamente inscritta come una fase mediana nella linea che conduce alle filosofie della storia, presenta nondimeno una forma teoretica specifica e dei tratti autonomi che non autorizzano a tracciare discendenze obbligate in tale direzione, e che evidenziano piuttosto precorrimenti dell’altra forma di storicismo, alternativo agli onto-teologismi idealistici e battezzato, con felice espressione, da Pietro Piovani e Fulvio Tessitore come “critico-problematico” o come storicismo etico. 44 45
Ivi, p. 41. Ivi, pp. 44-45.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
A tal punto, si intende sottolineare tale autonomia, che, come diremo, alcuni aspetti della teodicea della storia leibniziana, anziche´ vaghi e incerti precorrimenti delle successive filosofie della storia, paiono esserne piuttosto l’anticipatrice coscienza critica e il superamento verso altre direzioni. Nondimeno, ed e` il secondo lato del nostro discorso, come si diceva, non si vuole con cio` disconoscere il peso, nella genesi delle filosofie della storia, del “gesto” teoretico fondamentale e inedito che Leibniz, prima di Vico, compie nella storia del pensiero occidentale: quello dell’applicazione alla storia universale di un sistema teologico-speculativo come fondamento unitario di senso offerto al corso degli eventi, inclusivo di una teoria dinamica dell’armonia universale e della Gloria di Dio e di una idea di progresso. Di cio`, dunque, occorrera` tenere conto adeguatamente. Veniamo alla prima parte della nostra esposizione. Fissiamo subito un primo punto, sul quale si era gia` insistito nell’Introduzione. Si e` detto che la teodicea filosofica leibniziana e` essenzialmente e in prima battuta a priori, e che la teodicea o metafisica della storia segue le stesse sorti. Cosa sappiamo, dunque, a priori sul corso storico? Cosa la conoscenza aprioristica illumina dello sviluppo degli eventi? Non molto, per la verita`. Sappiamo, certo, grazie al concatenamento inviolabile delle verita`, che esiste un Principio buono e saggio, e che cette supreme sagesse, jointe a` une bonte´ qui n’est pas moins infinie qu’elle, n’a pu manquer de choisir le meilleur [GP VI, 107].
Sappiamo, di conseguenza, contro le apparenze di disordine e di negativita` nelle cose umane, che la series rerum venuta ad esistenza tra le infinite presenti in mente Dei e` la migliore possibile, che essa rappresenta la optima universi series. Questa e`, in definitiva, la Rechtfertigung che il principio di ragione rende possibile. Al contrario, dal nihil sine ratione non e` ricavabile alcuna cognizione del dettaglio individuale o epocale, che resta cosı` affidato alla ricerca empirica, e neppure alcuna legge storica universale, ne´ possono discendere previsioni o profezie sull’avvenire del mondo. Sfugge alla mente umana l’inerenza completa dei predicati evenemenziali al soggetto, che va all’infinito, e cosı` se Alessandro sia morto di morte naturale o di veleno, oppure se Cesare abbia passato il Rubicone, «noi lo possiamo sapere solo dalla storia» (Discours de Me´taphysique § 8), mentre Dio solo conosce a priori tutti gli attributi inclusi nella nozione di Alessandro o di Cesare e vede la loro necessita` (ipotetica) in modo diverso da quello sperimentale. E, certo, cio` che vale per la storia della monade individuale vale altresı` per le epoche storiche universali.
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METAFISICA, TEODICEA E STORIA
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Il principio di ragione infatti esclude la connessione a priori delle verita` contingenti, destinate ultimamente a resistere all’apriorita` della conoscenza. La ragion sufficiente di un qualunque evento, infatti, appare inesauribile per una mente creata. La contingenza si definisce come tale proprio in virtu` del suo non esibire la ragion sufficiente di se stessa, e per il conseguente rinvio all’infinito del suo esauriente attingimento. Cio` finisce, sul piano della storia, come si diceva, per rendere illusoria ogni teoria generale o legge universale, quale potrebbe essere un sicuro e univoco schema di progresso. Tra la certezza a priori del Principio perfettamente buono e saggio – per conoscere il quale non abbiamo bisogno neppure della Rivelazione, perche´ «la ragione ce lo insegna con dimostrazioni infallibili», come si legge nel Discorso preliminare § 44 ai Saggi di Teodicea – e cio` che e` riscontrabile per esperienza, c’e` dunque uno scarto, una cesura, in cui possono trovare collocazione le due forme fondamentali di certezza morale: la fede religiosa, anch’essa esperienza storica, fondata com’e` sull’evento della Rivelazione e sulla tradizione, e la ricerca storica, accomunate dallo stesso oggetto, le verita` di fatto, e dal medesimo statuto conoscitivo, la logica del probabile. Dal nihil sine ratione, per sua stessa natura votato a escludere concatenazioni necessarie per le verita` contingenti e mirante, piuttosto, a una razionalita` di tipo estetico-etico-teleologico, non e` dunque desumibile alcuna teoria generale della storia, alcuna visione “spettacolare”, panoptica, del corso storico – la connessione a priori, o il disegno totale, che compete solo a Dio – ma esclusivamente l’umile fiducia, da esercitarsi di fronte al singolo evento, che Dio agisce sempre nel modo piu` perfetto e piu` desiderabile possibile e che, dunque, la serie degli eventi che la storia registra e` la migliore che si possa sperare. Il che non esclude neppure, come diremo, l’istanza di un impegno etico secondo la volonta` presuntiva di Dio per incarnare l’armonia e il bene nel mondo. La metafisica della storia leibniziana tutto e` meno che onnivora, onnicomprensiva. In essa, dunque, neppure e` lecito parlare di leggi universali del corso storico, dal momento che la garanzia del suo ordine appare affidata all’harmonia universalis, la quale, come spiegheremo con Michel Serres, piu` che una legge si pone come lo “spazio trascendentale” di tutte le possibili leggi storiche. Sul piano della storia, cio` equivale a dischiudere gli spazi della ricerca storiografica, della vichiana filologia, instaurando una solidarieta` metodologica nella conoscenza storica tra apriorita` e aposteriorita`, tra teodicea ed erudizione, tra fede di ragione e documenti. L’ideale ricercatore storico, per Leibniz, dovra` dunque essere insieme filosofo ed erudito, esperto di armonie universali quanto di ricerca filologica e di
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ERUDIZIONE E TEODICEA
diplomatica. E a tale sinergia di ambiti e competenze Leibniz ha certo mirato. Ma ecco un secondo punto, destinato a confortare il carattere strutturalmente aperto, asistematico, incompiuto, della teodicea della storia leibniziana. L’harmonia universalis, come si e` detto, e` in Leibniz il vero “collante” metafisico che, tenendo insieme una miriade infinita di punti individuali – le monadi – coordinandoli in una concertazione perfetta, non necessita` di ulteriori decreti, sia sul piano della storia universale del genere umano che su quello cosmologico e naturale. L’ordine storico, come si evince dal frammento sull’Apokatastasis, ne dipende totalmente. Si dovra`, dunque, parlare di una filosofia della storia fondata su una legge di armonia universale? Qual e`, in realta`, la natura di tale legge? Ci lasceremo guidare, su questo punto, dalle fondamentali analisi di Michel Serres, poc’anzi gia` evocato, relative al principio di armonia come spazio aperto, trascendentale, definito, ermeticamente, da un movimento di transiti, di scambi, di trasformazioni, di variazioni: Esiste – scrive il pensatore francese – in base a tale legge di armonia un movimento generale di trasformazioni e di trasporti multipli, entro un intervallo infinito aperto, senza limiti di origine di fine, probabilmente, implicante delle invarianti stabili e generali, che si perpetuano mediante variazioni infinitamente infinite secondo qualita` e quantita`, movimento di trasformazione subordinato da Dio a talune condizioni ottimali generali e che, nel dettaglio, si proietta in una varieta` finita di modi, che sono precisamente le immagini che noi percepiamo di Lui in uno specchio meticolosamente frantumato, secondo la finitudine e la sofferenza. Cosı`, le figure che, a scelta, i filosofi prendono per visioni globali della storia sono tutte deformazioni, torsioni e anamorfosi46.
In tale regione aperta, la cui concertazione appare dominata dal principio del meglio, cosı` delineata da Serres, non un’unica ed esclusiva legge, ma tutte le possibili leggi storiche, tutte le ipotesi di progresso, tutte le possibili filosofie della storia rinvengono la loro genesi e, insieme, la loro crisi. La` tutte nascono, ma anche muoiono, dove la loro pretesa esplicativa si faccia globalizzante. Ad assecondare questo punto di vista, occorrera` concludere che, nel delineare una metafisica della storia e del progresso, Leibniz non traccia le coordinate di un’univoca, organica filosofia della storia, ma, nel radicare la storia nell’armonia universale, egli intende alludere piuttosto allo 46
M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., pp. 283-284.
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spazio “trascendentale” in cui tutti i modelli teorici, tutte le leggi storiche ricevono fondazione, possibilita` e insieme relativizzazione. Anche in questa prospettiva, lungi dall’essere un Grund, il principio di armonia, nonostante la sua indubbia funzione disciplinatrice e regolatrice del pluriverso monadico, appare come un Abgrund. Come ha osservato Renato Cristin, l’armonia e` essa stessa ragione e fondamento, e rimane senza ulteriore Grund: l’armonia e` Ab-grund, l’abissale profondita` della harmonia perfectissima47.
In cio`, come osserva Serres, sta la «gloria» di Leibniz: La sua gloria e` giustamente di non proporre affatto una precisa visione della storia, forzosamente tronca, univoca, indefinita e decisoria, ma di scrivere un dizionario schematico, di comporre un inventario formale, di disegnare uno spazio di scelta sul quale tracciare il grafico della storia delle storie possibili48.
Se tale analisi e` corretta, occorre concludere che, assiologicamente parlando, Leibniz non viene prima delle filosofie della storia, come un’imperfetta preconizzazione in attesa di perfezionamenti, ma dopo di esse, quasi il pensatore possedesse una coscienza critica “preventiva”, in grado di problematizzare i successivi onto-teologismi storicistici che, in qualche modo, al cospetto della visione leibniziana, appaiono delle reificazioni e delle oggettivazioni parzializzanti. Ma c’e` un terzo punto, che ci pare decisivo, nel problema che affrontiamo in queste pagine. Riprendendo un’indicazione di W. Hu¨bener, occorre chiedersi chi sia il soggetto della metafisica della storia leibniziana. Se, come si e` visto, l’armonia universale e` Abgrund, se essa e` come una cornice impalpabile regolatrice di azioni e passioni, di luci e ombre delle monadi, dove rinvenire l’ubi consistam della storia? Qual e` il reale sub-jectum, o upokeimenon, dell’Histoire universelle du genre humain che Leibniz delinea come un «romanzo di Dio»? La risposta non puo` che suonare: si tratta di un pulviscolo di individualita` tese alla perfezione, percio` in movimento, e tenute insieme, disciplinate, dalla legge di armonia. A sottolineare la crucialita` dell’idea di individualita` monadica nella fondazione della metafisica 47 48
R. Cristin, Heidegger e Leibniz. Il sentiero e la ragione, Milano 1990, p. 108. M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., p. 283.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
della storia leibniziana e` stato soprattutto Ernst Troeltsch, del quale mette conto ricordare, insieme ad altri gia` citati, un testo illuminante, che mostra quanto la tradizione dello Historismus critico-problematico abbia potuto attingere dal pensiero del filosofo della Monadologia: Con cio` Leibniz – di fronte alle dottrine teologiche della Provvidenza, alle costruzioni materialistiche, tendenti a ritrovare leggi di tipo naturale nella storia, e allo stile di narrazione cronachistico o aulico – aveva per la prima volta indicato una fondazione unitaria della storia nell’impulso dello spirito, che emerge dalla natura rendendosi autonomo e progressivamente realizzandosi in base a interiori necessita` spirituali. Questa fondazione era rimasta al di fuori delle intenzioni anche del piu` perspicace pensatore storico del Rinascimento, Machiavelli, che si limitava piuttosto a un’acuta elaborazione tipologica della storia dal punto di vista psicologico, come insegnamento per l’agire nel presente; e anche la storiografia illuministica contemporanea e successiva a Leibniz seguiva piuttosto il senso comune e l’ottimismo dell’epoca, considerando il generale progresso culturale come una naturale conseguenza dell’emancipazione intellettuale finalmente conseguita. Di fondamenti metafisici essa non si dava pensiero ... Soltanto la monade di Leibniz introduceva l’individualita`, il nesso tra la coscienza singola e quella universale, la connessione degli eventi entro la coscienza universale, l’universalita` e l’interna necessita` del divenire cosmico e quindi anche del divenire storico. Indubbiamente, l’idea della monade ha sviluppato queste conseguenze solo lentamente e progressivamente. Soltanto Lessing e Kant, Winkelmann e Mo¨ser, Herder e Goethe rivelano i suoi effetti; con la massima forza questa dottrina si presenta in Fichte, il precursore di Hegel ... Il movimento universale, storico-universale e, in ultima istanza, cosmico, e` raggiunto a partire dal singolo, dall’interpretazione monadologica delle individualita` empiriche. Questo e` il fondamento decisivo49.
Cio` che, dunque, la teodicea della storia leibniziana “giustifica”, fonda, e` la trama infinita dei conati verso la perfezione che salgono dalle monadi, dalla forza attiva delle individualita` nel loro tendere all’infinita`. Un tendere, certo, controllato, “aggiustato” e disciplinato dalla cornice metafisica dell’harmonia universalis, che coordina in perfetta concertazione – ma anche limita – un pluriverso di forze individuali teleologicamente miranti alla propria perfezione. Non c’e` da stupirsi, in questo senso, che Troeltsch con finezza ermeneutica colga, della visione storica leibniziana, l’aspetto indicato: appartiene infatti allo Historismus critico-problematico di cui egli e` 49
E. Troeltsch, Lo storicismo e i suoi problemi, cit., II, p. 32.
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eminente rappresentante l’idea che il senso della storia sia affidato alla libera coscienza e all’azione del singolo, alla vis interna all’individualita` in quanto creatrice di un processo storico in cui ogni universale ha un riferimento all’individuo ed ogni individuale ha un riferimento all’universale50.
Anche da quest’ultimo punto di vista, Leibniz poteva fornire allo Historismus etico valide indicazioni: piu` precisamente attraverso l’idea che «un infinito non potrebbe essere un vero tutto» (Nouveaux essais, II, 17, 8), che «l’individualita` racchiude l’infinito» (ivi, III, 3, 6), che «il pensiero e` un’azione e non potrebbe essere l’essenza stessa» (ivi, II, 19, 4). Suggerimenti, questi, che attendevano di essere affrancati dallo spazio ancora troppo rigido delle prestabilite armonie, in cui Leibniz ancora li relega, e resi disponibili per una nuova filosofia della conoscenza storica. Ma, pur entro questi limiti, e` certo che il soggetto leibniziano, lungi dall’essere soggiogato e irretito dalla potenza dell’infinito, si pone esso stesso come universalizzantesi, come latore di un’infinita` sempre aperta verso cui perennemente tende. Cosı`, anche Ernst Cassirer, nel delineare «la teodicea filosofica leibniziana della storia», non manca di rilevare il valore del nuovo concetto di soggetto, non quale “parte” o “frammento” di una totalita`, ma quale rifrazione e riproduzione prospettica di un’infinita` che non e` totalita`: La metafisica di Leibniz e` l’espressione di tale duplice progresso. In essa l’io non e` piu` l’atomo estensivo che scompare di fronte al tutto, ma l’artefice e il portatore dell’infinita` che esso domina nella fisica con i propri metodi scientifici e che comprende nella storia sul modello della propria unita` finalistica, in lui realizzantesi. «Nel nostro stesso essere – si dice in un saggio sulla vera theologia mystica – si trova un’infinita`, un’orma, un’immagine dell’onniscienza e dell’onnipotenza di Dio». La coscienza non e` affatto una parte, ma un simbolo del tutto. E il nuovo concetto del soggetto genera il nuovo concetto della storia. Questo ottimismo non ha piu` nulla a che fare con il calcolo volgare della felicita`; mira all’affermazione di un fine che elevi la personalita` al di sopra della sfera e del contrasto del piacere e dispiacere sensibile, e che le dia sostegno e fondamento in un ambito di valori oggettivi. Mentre nel concetto di grazia la considerazione teologica permette all’individuo di partecipare alla moralita` solo sotto patrocinio esterno e sovrannaturale, Leibniz nel concetto
50
Ivi, I, p. 90.
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basilare della spontaneita` pensa che ogni qualificazione morale scaturisca dal fondamento proprio dell’io51.
Essenziale nella indicata idea di individualita`, come osserva Cassirer, e` la nozione di grazia, secondo il ripensamento razionale che ne fa Leibniz: in effetti, affrancata da soprannaturalismi confessionali, essa puo` rifluire nel moto di elevazione che il mondo morale, nella sua spontaneita`, rende possibile. Non piu` elargita dall’alto, ma salente dalla “naturale soprannaturalita`” – umano-divina, divino-umana – dello spirito, accesso al mondo morale presente nel mondo naturale, la grazia leibniziana, intesa in base ai «principes fonde´s en raison», finisce per dilatare gli orizzonti della liberta` e dell’azione dell’uomo, rendendone disponibili le energie per il perfezionamento illimitato del mondo, per la “colonizzazione” dell’avvenire, per usare 52 un’immagine che il finale del De rerum originatione radicali suggerisce . Tutto e` miracolo, tutto e` grazia, la Gloria di Dio e la redenzione sono presenti in ogni punto dello spazio e del tempo, dice Leibniz anticipando non solo nuovamente lo Schleiermacher delle Reden, ma altresı` il Voltaire della voce “Grazia” del Dictionnaire philosophique e il Fichte del Versuch einer 53 Kritik aller Offenbarung . Non c’e` soluzione di continuita` tra ordine della 51
E. Cassirer, Cartesio e Leibniz, cit., p. 348. «In cumulum etiam pulchritudinis perfectionisque universalis operum divinorum, progressus quidam perpetuus liberrimusque totius Universi est agnoscendus, ita ut ad majorem semper cultum procedat. Quemadmodum nunc magna pars terrae nostrae culturam recepit et recipiet magis magisque. Et licet verum sit, interdum quaedam rursus silvescere aut rursus destrui deprimique, hoc tamen ita accipiendum est, ut paulo ante afflictionem interpretati sumus, nempe hanc ipsam destructionem depressionemque prodesse ad consequendum aliquid majus, ita ut ipso quodammodo damno lucremur. Et quod objici posset: ita oportere ut Mundus dudum factus fuerit Paradisus, responsio praesto est: etsi multae jam substantiae ad magnam perfectionem pervenerint, ob divisibilitatem tamen continui in infı`nitum, semper in abysso rerum superesse partes sopitas adhuc excitandas et ad majus meliusque et ut verbo dicam, ad meliorem cultum provehendas. Nec proinde unquam ad Terminum progressus perveniri »[GP VII, 308]. 53 Ecco la celebre pagina del secondo degli schleiermacheriani Discorsi sulla religione: «Per me tutto e` miracolo ... Quanto piu` foste religiosi, tanti piu` miracoli vedreste ovunque ... Che cosa significa rivelazione? E` una rivelazione ogni intuizione originaria e nuova dell’Universo ... Che cosa sono gli effetti della grazia? Tutti i sentimenti religiosi sono soprannaturali, essendo essi religiosi solo in quanto sono prodotti direttamente dall’Universo» (Sulla religione, in Scritti filosofici di Friedrich Daniel Ernst Schleiermacher, cit., p. 148 e 149). Cosı` Fichte ha formulato il medesimo principio, religioso-liberale per eccellenza, nel Versuch einer Kritik aller Offenbarung: «Die ganze Welt ist fu¨r uns u¨bernatu¨rliche Wirkung Gottes» (in Fichtes Werke, hrsg. von I.H. Fichte, Berlin 1971, vol. V, p. 109). Tale principio appare in singolare sintonia anche con l’espressione di Voltaire contenuta nella voce “Grazia” del Dictionnaire philosophique: «Tutto e` grazia da parte di Dio: egli ha fatto al mondo che 52
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METAFISICA, TEODICEA E STORIA
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natura e ordine della grazia: l’uno conduce all’altro senza bisogno di salti qualitativi o di crismi confessionali: en sorte que la nature meˆme mene a` la grace, et que la grace perfectionne la nature en s’en servant [GP VI, 605].
E` su questo piano che diviene rilevante il nesso tra etica, progresso e teodicea. La Gloria di Dio – scrive J. Baruzi – e` metafisicamente attinta, e diventa il principio infinito della nostra azione. Principio che ci permette di spingerci sempre al di la` di noi stessi. Ogni impegno isolato appare anticipatamente sterile. La gloria di Dio non si manifestera` che al termine di una immensa cooperazione54.
In questa prospettiva, la teodicea cessa di essere solo questione di Dio, e coinvolge nella reintegrazione della giustizia l’azione e l’operosita` dell’uomo. Tra il pulviscolo di monadi e il fastigio teologico della Gloria di Dio non vi sono, a mediare, leggi storiche, ma l’etica, il moto di elevazione e di illimitato perfezionamento che sale dai conati dei singoli. Restaurare la iustitia Dei implica un impegno e una prassi morale. Al fato maomettano e stoico, Leibniz oppone il fato cristiano, che dalla conoscenza della grande verita` secondo cui Dio agisce sempre nel modo piu` perfetto e desiderabile, non deduce quietismo e pazienza forzata, ma l’operosa fiducia di chi ricerca nel tempo i segni della volonta` presuntiva di Dio: Il est vray que les enseignemens des Stoı¨ciens (et peutestre aussi de quelques Philosophes celebres de nostre temps) se bornans a` cette necessite´ pretendue, ne peuvent donner qu’une Patience force´e; au lieu que Nostre Seigneur inspire des pense´es plus sublimes, et nous apprend meˆme le moyen d’avoir du contentement, lorsqu’il nous asseure que Dieu, parfaitement bon et sage, ayant soin de tout, jusqu’a` ne point negliger un cheveu de nostre teˆte, nostre confiance en luy doit estre entiere: de sorte que nous verrions, si nous estions capables de le comprendre, qu’il n’y a pas meˆme moyen de souhaiter rien de meilleur (tant absolument que pour nous) que ce qu’il fait. C’est comme si l’on disoit aux hommes: Faites vostre devoir, et soye´s contents de ce qui en arrivera, non seulement parce
abitiamo la grazia di formarlo; alle piante, la grazia di farle crescere; agli animali, quella di nutrirli» (Id., Dizionario filosofico, cit., p. 259). 54 J. Baruzi, Leibniz et l’organisation religieuse de la terre, cit., p. 447.
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que vous ne saurie´s resister a` la providence Divine, ou a` la nature des choses (ce qui peut suffire pour estre tranquille, et non pas pour estre content), mais encor parce que vous ave´s a` faire a` un bon maistre. Et c’est ce qu’on peut appeller Fatum Christianum [GP VI, 30-31].
Con cio`, la teodicea cessa di essere un puro ordine a priori da contemplare, e diviene una prassi etica da eseguire e da perseguire con bona voluntas. Verrebbe da osservare, meditando su tale aspetto della morale leibniziana, che se la teodicea respira negli spazi della cosmologia e della teologia, non mancano in essa i germi di quella transizione verso la teodicea etica kantiana e, anche, verso lo storicismo etico. Tra la teodicea leibniziana della storia e le successive filosofie della storia esistono, come si e` evidenziato, delle differenze profonde e di sostanza. Tuttavia, le ragioni sin qui avanzate allo scopo di mostrare quanto affrettate siano le discendenze univoche tra Leibniz e le filosofie della storia nate nel filone idealistico, devono essere integrate – e temperate – con altre considerazioni, con le quali occorre riconoscere l’apporto offerto da Leibniz alle suddette teorie filosofiche della storia. Leibniziana, in effetti, e` la mossa decisiva verso quelle costruzioni, vale a dire l’applicazione alla storia universale di un sistema metafisico impegnato a delineare, della storia stessa, un senso globale, capace di fornire una giustificazione ultima al corso storico. Per quanto cio` avvenga nell’orizzonte di un disegno, quale quello del filosofo della Teodicea, che intendeva avvalorare un significato cristiano della storia – cosı` da rendere quest’ultima abitabile sottraendola alla tentazione scettico-nichilistica – confrontandosi con quanto di nuovo veniva emergendo nella Weltanschauung europea, Leibniz compie in realta` un passo cruciale nella genesi della filosofia della storia: l’elaborazione di una esperibilita`, o abitabilita`, della storia – intesa, quest’ultima, ancora come locus theologicus – avviene grazie a un significato rivelato da un sistema filosofico, da una teologia razionale che, come si e` visto, non risparmia – anticipando in cio` le ardite contaminazioni e i travasi tra teologia e filosofia che saranno peculiari dell’eta` di Goethe e dell’idealismo tedesco – concetti nati in ambito confessionale e tra essi quello cruciale, su cui J. Baruzi aveva posto particolare attenzione, di Gloria di Dio. Concetto reso da Leibniz cosı` dinamico da coinvolgere nel suo progresso non solo il tempo del mondo e della storia, ma anche la vita eterna, concepita essa stessa come diveniente. E` certo da un simile “motivo di teodicea” che, una volta rinunciato all’ispirazione religiosa e teologica, potevano sorgere le filosofie della storia sette-ottocentesche. Le quali attingeranno linfa e ispirazione dal suddetto
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motivo e da altri in esso implicati, quali la legge di continuita`, l’ottimismo, il finalismo, l’idea di progresso. Rispetto a quest’ultima, in particolare, osserveremo nelle prossime pagine come in Leibniz sia visibile il processo metamorfico che dal seno dell’idea escatologica fa emergere il senso di un progresso indefinito dell’universo. Tutti aspetti, in effetti, quelli indicati, che gia` Louis Daville´ aveva additato come costitutivi della filosofia della storia leibniziana nell’ampio capitolo a cio` dedicato del suo Leibniz Historien55. Cosı`, per concludere su questo punto, Yvon Belaval sintetizza la Wirkungsgeschichte leibniziana nel campo della filosofia della storia: ... a considerare la filosofia della storia, la maggior parte degli interpreti riconoscono in Leibniz un fondatore (Foucher de Careil, K. Fischer, F. Olgiati), quanto meno un precursore (Daville´, Ettlinger, Delbos), la cui azione, diretta o indiretta, malgrado la contro-influenza di Wolff, il quale non ha recepito dal suo maestro che cio` che poteva costituire un sistema logico di verita`, si esercita nondimeno su Kant, Lessing, Herder, Schiller, Goethe, Fichte, Schelling, Hegel. I principi metafisici di questa filosofia della storia sarebbero: in primo luogo, il principio di continuita`; Delbos vi aggiunge quello dell’ottimismo, degli indiscernibili e (con Olgiati) della nozione completa; Olgiati aggiunge il finalismo organicista e la trascendenza divina. In ogni caso, la filosofia della storia sarebbe stata, in Leibniz, idealista e analitica. Idealista, per il fatto che sono gli «eroi» dell’umanita` che decidono gli eventi memorabili; inoltre, essi non fanno che eseguire i disegni della Provvidenza cristiana. Analitica, perche´ tutto cio` che accade a una sostanza e` contenuto dall’eternita` nella nozione completa che Dio 56 ha di essa formato .
Le ultime considerazioni svolte sul tema del progresso ci inducono a concentrare l’attenzione su questo aspetto centrale del pensiero storico leibniziano.
55
L. Daville´, Leibniz Historien, cit., pp. 666-741. Y. Belaval, Leibniz critique de Descartes, cit., pp. 128-129. Per i riferimenti indicati da Belaval nel testo citato rinviamo ai lineamenti di storia della critica contenuti nell’Introduzione § V. 56
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5. – Progresso, teodicea e principio di armonia. Il progresso come escatologia infinitamente differita. La monade e l’etica del progresso. Accelerazione e Neuzeit E` celebre il contenuto della tesi IX di filosofia della storia di Walter Benjamin, focus e apice dei diciotto punti che compongono lo scritto Sul concetto di storia: C’e` un quadro di Klee che si chiama Angelus Novus. Vi e` rappresentato un angelo che sembra in procinto di allontanarsi da qualcosa su cui ha fisso lo sguardo. I suoi occhi sono spalancati, la bocca e` aperta, e le ali sono dispiegate. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. La` dove davanti a noi appare una catena di avvenimenti, egli vede un’unica catastrofe, che ammassa incessantemente macerie su macerie e le scaraventa ai suoi piedi. Egli vorrebbe ben trattenersi, destare i morti e riconnettere i frantumi. Ma dal paradiso soffia una bufera, che si e` impigliata nelle sue ali, ed e` cosı` forte che l’angelo non puo` piu` chiuderle. Questa bufera lo spinge inarrestabilmente nel futuro, a cui egli volge le spalle, mentre cresce verso il cielo il cumulo delle macerie davanti a lui. Cio` che noi chiamiamo il progresso, e` questa bufera57.
Per l’Angelo di Benjamin, dunque, che guarda le rovine della storia ammassarsi ai suoi piedi trascinato via verso l’avvenire, il passato, da catena di avvenimenti inanellati a comporre la trama del progresso, si rivela come catastrofe e cumulo di macerie che, senza fine, salgono verso il cielo. Un simile ciclo di catastrofi e violenze Benjamin aveva visto, nel Dramma barocco tedesco, anche nel Trauerspiel e nella visione storica del Seicento, dove si manifestano un processo di inarrestabile caduta, un vuoto, meccanico avvicendarsi di principi, sovrani, pontefici sul palcoscenico di un tempo naturale, ripetitivo, vanamente circolare, incapace di novitas: di un tempo antistorico, dunque, ovvero di un’antiteleologica naturalizzazione della storia. Neppure lui, l’Angelo benjaminiano, travolto com’e` dal vento tempestoso che spira dal paradiso, puo` piu` attuare, per quanto lo vorrebbe, cio` che ancora il pensiero seicentesco – espressione estrema, come dice G. 58 Deleuze nel Pli , della ragione classica – e quello leibniziano con peculiare evidenza, hanno perseguito: riconnettere i frantumi, ricomporre in accordo le dissonanze, anche le piu` estreme, per terribilita`, che il malum mundi 57
W. Benjamin, Sul concetto di storia, a cura di G. Bonola e M. Ranchetti, Torino 1997, pp. 35-37. 58 G. Deleuze, La piega, cit., p. 124.
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esibisca, ricondurre le sgomentanti disteleologie dell’universo a trama finalistica: anche le sofferenze e i mostri, si legge nei Saggi di Teodicea (§ 241; GP VI, 261) non senza un tremito che e` difficile dire se sia di smarrimento o di speranza, appartengono all’ordine; anche l’inferno e i dannati sono parte del migliore dei mondi possibili. Se e` vero, come e` stato osservato, che l’angelo della storia vede rovine sempre, persino quando agli occhi umani si palesa solo la normalita` del divenire storico. E non si puo` negare che l’angelo percepisca la storia a parte Dei59,
allora la rivisitazione benjaminiana della creatura di Paul Klee rappresenta l’anti-Leibniz per eccellenza: se per filosofo della Monadologia c’e` armonia, ordine e progresso anche dove l’occhio umano vede solo rovine e disordine, in realta` scorciatoie verso la perfezione, dal momento che se talora regrediamo e` per saltare avanti con maggiore impeto (qu’on recule pour mieux sauter; cfr. GP VII, 308), per l’Angelo di Benjamin c’e` catastrofe anche dove la storia registri progresso. Per l’uno, vedere la storia a parte Dei significa vedere l’ordine anche dove il limitato sguardo umano colga disordine, per l’altro, e` come se l’occhio dell’Angelo (e di Dio) rinvenisse rovine anche sotto i sembianti della normalita`. Contro i disegni provvidenzialistici, contro la logica del progresso sta la sofferenza dei singoli uomini, sta, per il pensatore ebreo berlinese, il grido della loro infelicita` raccolto e vegliato dall’Angelo delle rovine. Giobbe contro i teologi, o contro Hegel, anch’egli teologo della storia. Eppure, quella fede nel progresso che l’Angelo benjaminiano, col suo inesorabile sguardo desacralizzante proveniente dal futuro, smaschera, vanifica in catastrofe e sbriciola in macerie, era nata anch’essa, o quanto meno era stata propiziata, da macerie, da sgomentanti rovine: quelle del terremoto di Lisbona del 1755, l’evento che, nella coscienza dell’uomo europeo, ha accelerato l’evoluzione dell’idea di storia come progressivo dominio sulle forze della natura. Di tale idea, di tale fiducia nel progresso, Leibniz e` certo stato uno dei primi teorici sul terreno speculativo. La si vede nascere, quell’idea, dal seno della sua metafisica e teodicea, come crisalide concettuale che si liberi lentamente dal bozzolo teologico. Di essa e` lecito dire che, almeno in certi testi, e` coglibile il processo metamorfico nel suo accadere, la transizione 59
Introduzione a W. Benjamin, Sul concetto di storia, cit., p. XVII. Sull’Angelo benjaminiano e la storia si veda l’analisi di M. Nicoletti nel volume La politica e il male, Brescia 2000, pp. 226-231.
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compresa tra i poli dell’infinita` di Dio e dell’infinito progresso del mondo, ovvero tra l’eschaton e la “colonizzazione” dell’avvenire. Avviene un po’, sul piano dei concetti e di quei ricettacoli di memoria che sono le parole, come se si contemplasse l’Apollo e Dafne di Bernini: come nella celebre statua Dafne non e` piu` Dafne – poiche´ i piedi si vanno trasformando in radici, il corpo e` colto nell’atto di essere racchiuso nella guaina di una corteccia legnosa, le dita e i capelli si tramutano in fronde di lauro – pur restando se stessa, cosı` nella speculazione leibniziana l’escatologia cristiana non e` scomparsa, ma non e` piu` quella consegnata dalla tradizione teologica: nella transizione metamorfica essa si e` come assottigliata, resa diafana, ma pur presente sullo sfondo, nel suo ritrarsi e nel fare spazio all’illimitato perfezionamento mondano, al novum, al futuro, percio` alla Neu-zeit. Ma, in attesa di precisare quanto accennato, conviene procedere con metodo. Due aspetti della concezione leibniziana del progresso occorre subito sottolineare: in primo luogo, il progresso in Leibniz, lungi dall’essere limitato alla sola storia del genere umano, concerne l’intero universo. La sua universalita` non riguarda soltanto la Menschheitsgeschichte, ma l’intero divenire cosmico. In secondo luogo, esso appare fornito di solide basi metafisico-teologiche che gli conferiscono uno spiccato accento etico e provvidenzialistico, mettendolo al riparo da ogni spirito utopistico. Due tratti, questi, che, insieme ad altri, distanziano subito Leibniz e la sua dottrina dalle settecentesche teorie del progresso. Se, in effetti, come emblematico termine di paragone, prendiamo l’Esquisse d’un tableau historique des progre`s de l’esprit humain (1794) di Condorcet, e` facile osservare differenze essenziali, metodologiche e di sostanza, nel modo di configurare il progresso: dal concentrarsi dello sguardo, visionario e ormai squisitamente utopistico, sulla pura storia del genere umano, scandita nell’opera del sensista francese in dieci epoche (nove nel passato e una nel futuro), fino al metodo essenzialmente esperienziale, empirico, con cui il progresso viene rilevato e dimostrato. Ecco un testo espressivo di tale metodologia – nella quale appare cruciale il ricorso all’esperienza storica – con cui il progresso viene dimostrato nel corso universale degli eventi: Dopo che i greci conobbero la scrittura alfabetica – si legge nell’Esquisse –, la storia si congiunge al nostro secolo, allo stato attuale della specie umana nei paesi piu` illuminati dell’Europa, mediante una serie ininterrotta di eventi e di considerazioni; e il quadro del cammino e del progresso dello spirito umano e` divenuto veramente storico. La filosofia non ha piu` nulla da intuire, ne´ ipotesi da formulare; non resta che raccogliere, ordinare i
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fatti e mostrare le verita` utili che nascono dalla loro connessione e dalla loro unione60.
A una simile metodologia argomentativa di tipo esperienziale, pur certo sorretta da una visione aprioristica, Leibniz avrebbe obiettato la sua insufficiente e insignificante aposteriorita`, che finisce per assolutizzare una porzione del tutto, destinato a sfuggire all’occhio umano, per sua natura prospetticamente situato entro un angolo visuale. Se si muove dall’empiria, dall’osservazione, non c’e` piu` nulla di certo: diventano sostenibili le ragioni di chi, come Condorcet, sottolinea l’illimitato cammino ascensionale, per quanto tormentato, dell’umanita` verso un futuro luminoso, capace di lasciarsi sempre piu` alle spalle il male – la “decima epoca”, la Citta` libera, giusta e felice, verso cui converge l’intero corso del genere umano –, o all’opposto quelle di chi, come Schopenhauer, intende avvalorare la malvagita` ultima del mondo. E` errato – osserverebbe Leibniz – voler dimostrare che tutto nel mondo obbedisce a un processo ascensionale di perfezione, oppure che tutto e` male, negativita` e processo di decadenza, muovendo da punti di vista induttivi, universalizzando esemplificazioni. Il fondamento giustificativo non puo` essere il ricorso all’esperienza, all’a posteriori, che non eleva mai la conoscenza oltre le associazioni di cui anche le bestie sono capaci, ma sono le concatenazioni inviolabili della ragione. Non manca, certo, in Leibniz, l’avvertimento dell’enorme accumulo di saperi di cui la sua epoca era protagonista, e non v’e` dubbio che esso abbia rappresentato un decisivo stimolo alle molteplici ipotesi sul progresso formulate dal pensatore, ma non e` nel giudizio sulla sua eta` che va ricercato il fondamento di tali ipotesi. Di altra natura, e per nulla originariamente esperienziale, e` il cosiddetto “ottimismo” leibniziano: L’ottimismo di Leibniz – ha chiarito bene J. Ortega y Gasset – non e` una questione di umore o di temperamento. Non e` l’ottimismo che qualcuno sente, ma l’ottimismo che qualcosa esiste. Rappresenta una dimensione ontologica. E` l’ottimismo dell’essere. Non si tratta del fatto che, osservando i fatti che compongono il mondo, abbiamo una valutazione comparativa della dose di bene e di male che entrambi manifestano al fine di concludere su quale dei due predomina. Tale valutazione e` illusoria. Tale fu l’errore di Schopenhauer consistente nel credere che attraverso considerazioni empiriche, si potesse giungere a decidere se il mondo fosse buono o malvagio. Cio` lo porto` a giudicare un ragionamento efficace
60
Condorcet, I progressi dello spirito umano, a cura di G. Calvi, Milano 1995, p. 52.
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quello consistente nell’invitarci a paragonare il piacere della volpe quando mangia la lepre al dolore della lepre quando e` mangiata dalla volpe. In tal modo non si puo` fondare un pensiero ontologico. In Leibniz, al contrario, l’aspetto ottimale del mondo e` previo al suo contenuto. Il mondo, a suo giudizio, non e` il migliore perche´ e` cosı` come e`, ma, viceversa, cosı` come e`, fu scelto per esistere, perche´ era il migliore. E` un ottimismo a-priori. Il nostro mondo, prima di essere quello esistente, era gia` il migliore e percio` fu scelto per esistere61.
Non, dunque, un punto di vista esperienziale guida Leibniz nella dimostrazione del progresso, ma principi metafisici a priori destinati a configurarne il dinamismo in modo distante dagli schemi ascensionali e profetici di tanto Illuminismo. Siamo lontani, con cio`, anche dal Kant dello Streit der Fakulta¨ten (1798) per il quale e` pur necessario collegare a qualche esperienza la storia pronosticante del genere umano, la disposizione di 62 quest’ultimo a essere causa del costante progresso verso il meglio . Veniamo dunque a enucleare le basi speculative della nozione di progresso leibniziana. Yvon Belaval ha osservato che tale progresso ha due sorgenti: la perfezione implicata nella nozione completa del migliore dei mondi possibili, che deve attualizzarsi nel tempo; l’inquietudine, essenziale alla coscienza, che spinge alla ricerca del piacere, segno di perfezione63.
Sostiamo sul primo punto indicato: la teoria metafisica del migliore dei mondi. E` qui il primo fondamentale focus della res in questione. I §§ 53-54-55 della Monadologia possono valere per esporre nel modo piu` compendioso questa celebre dottrina leibniziana: 53. Or, comme il y a une infinite´ des Univers possibles dans les Ide´es de Dieu et qu’il n’en peut exister qu’un seul, il faut qu’il y ait une raison suffisante du choix de Dieu, qui le determine a` l’un plustoˆt qu’a` l’autre. 54. Et cette raison ne peut se trouver que dans la convenance, ou dans les 61 J. Ortega y Gasset, L’ottimismo di Leibniz, in Id., Idee per una storia della filosofia, a cura di A. Savignano, Firenze 1983, p. 323. 62 Cfr. I. Kant, Il conflitto delle facolta`, tr. it. di D. Venturelli, Brescia 1994, Parte seconda (Si ripropone la questione se il genere umano sia in costante progresso verso il meglio), in part. p. 164. Sui temi della storia, della sua teleologia e del progresso in Kant, rinviamo al documentato volume di G. Cunico Il millennio del filosofo: chiliasmo e teleologia morale in Kant, Pisa 2001, in part. la Parte prima (Chiliasmo filosofico e chiliasmo teologico). 63 Y. Belaval, Leibniz critique de Descartes, cit., p. 114.
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degre´s de perfection, que ces Mondes contiennent, chaque possible ayant droit de pretendre a` l’Existence a` mesure de la perfection, qu’il enveloppe. 55. Et c’est ce qui est la cause de l’Existence du Meilleur, que la sagesse fait connoıˆtre a` Dieu, que sa bonte´ le fait choisir, et que sa puissance le fait produire [GP VI, 615-616].
I paragrafi successivi della Monadologia sono dedicati a illustrare l’armonia universale come effetto del principio del meglio che ha guidato la scelta divina: ciascuna monade e` «un miroir vivant perpetuel de l’univers» [GP VI, 616], e il legame di ciascuna cosa a tutte e di tutte a ciascuna crea «autant de variete´ qu’il est possible, mais avec le plus grand ordre qui se puisse» [GP VI, 616], vale a dire la massima perfezione possibile. La perfezione inerisce, dunque, ab origine alla series rerum esistentificatasi. Se progresso si da` in quest’ultima, esso non potra` concernere quell’a priori dato ab initio, destinato a restare un fattore invariante nella successione delle variazioni, una sorta di cornice metafisica predeterminata che schiude, ma anche limita, seleziona, le possibilita`. Il principio di invarianza di cui parliamo e` l’harmonia universalis, la cui natura ci e` gia` accaduto, a partire dalle analisi di Michel Serres, di lumeggiare: non legge, ma legge delle leggi, spazio “trascendentale” in cui nascono e muoiono tutte le ipotesi sul corso storico codificate in filosofie della storia le quali, dunque, rispetto a quello spazio, non sono che oggettivazioni e reificazioni. Additando la legge universale di armonia, Leibniz non ha inteso offrire una filosofia della storia, ma lo spazio di scelta, il grafico entro cui inscrivere le coordinate di tutte le possibili leggi storiche. Egli, infatti, ed e` assai significativo, non sembra scegliere un preciso modello di sviluppo storico, ma nei suoi scritti sull’argomento pratica un metodo dell’indeterminazione differenziando una pluralita` di ipotesi rispetto alle quali – come afferma negli Essais § 202 – «e` difficile giudicare». Scrive il filosofo alla principessa Sophie il 3 settembre 1694: Quant a` la perfection des choses, en ne considerant que la raison toute seule, on peut douter si le monde avance tousjours en perfection ou s’il avance et recule par periodes ou s’il ne se maintient pas plus tost dans la meˆme perfection a` l’egard du tout, quoyqu’il semble que les parties font un echange entre elles, et que tantost les unes, tantost les autres sont plus ou moins parfaites. On peut donc mettre en question si toutes les creatures avancent tousjours, au moins au bout de leur periodes, ou s’il y en a qui perdent et reculent tousjours, ou enfin s’il y en a qui font tousjours des periodes au bout des quels ils trouvent de n’avoir point gagne´ ny perdu; de meˆme qu’il y a des lignes qui avancent tousjours
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comme la droite, d’autres qui tournent sans avancer ou reculer comme la circulaire, d’autres qui tournent et avancent en meˆme temps comme la spirale, d’autres enfin qui reculent apres avoir avance´ ou avancent apres avoir recule´ comme les ovales [A I, 10, 64-65].
Non a caso, Serres identifica almeno dieci schemi di progresso, dieci variazioni sul tema rinvenibili nelle opere leibniziane. Delle soluzioni possibili relative al corso del mondo, una sola Leibniz esclude, sempre per motivi a priori: quella della restitutio in integrum, dell’eterno ritorno dell’uguale. Se l’apokatastasis stoica e` rifiutata da Leibniz, e` perche´ non e` conforme all’Armonia divina variare sempre sulla stessa corda,
come si legge nel frammento sull’Apokatastasis. Ecco come Leibniz motiva icasticamente, nel Post scriptum di una lettera ancora del settembre 1694 a Sophie, la celebre tesi della varietas in identitate compensata e dei mutamenti nell’universo: P. S. Pour ce qui est de l’opinion de M. Helmont, qui soutient que Dieu agit tousjours egalement; On peut luy donner un bon sens. Il ne sc¸auroit nier qu’il y a une grande variete´ dans les productions de Dieu. Per variar natura e` bella. Mais c’est comme dans un chant ou` malgre´ toutes les diversite´s des sons, l’harmonie consiste dans le rapport ou dans les consonances; Ou bien comme il y a un point de vue dans la perspective, et comme les auteurs qui ont e´crit de l’art poetique demandent l’unite´ du dessein dans une tragedie. On peut donc croire, que les changemens de l’univers s’accordent avec l’uniformite´ de l’Action divine, parceque la meˆme loy du changement subsiste tousjours [A I, 10, 69].
Il progresso appare dunque avvolto, custodito, nella cornice metafisica dell’harmonia universalis, in se´ principio di invarianza e fonte di infinite variazioni. In simile visione, esso non puo` configurarsi – scrive Serres – che come la variance du monde laissant le meilleur invariant, quelle que soit la manie`re dont on obtient cette invariance, et quelle que soit la variance64.
64
M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., p. 268 nota 1. Anche J. Knoppik, in Leibniz’ Fortschrittskriterium: Das U¨bergehen zu Neuem, in SL, 1997, pp. 45-62 rinviene nell’idea di variazione (das Anders-Werden; changement, mutatio, variatio) piuttosto che in quella di miglioramento (das Besser-Werden) il Kern dell’idea leibniziana di progresso.
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Progresso come variazione (changement, variatio, mutatio), dunque, come passaggio al nuovo, quale che sia, ma in modo tale che la somma delle novita` ottenga sempre come risultato il meglio. Un variare infinitamente prolungato nell’armonia invariabile del tutto: tale e` il progresso. Non sempre e automaticamente, infatti, la variazione coincide con un incremento immediato: essa contempla anche regressi, stasi, erranze, soste magari plurisecolari, magari millenarie, necessarie per ulteriori salti in avanti, in apparenza repentini ma in realta` preparati da lunghi periodi di impercettibile o non documentabile micro-attivita`. Cosı` sono stati i milioni di anni della preistoria rispetto alle accelerazioni a partire dal periodo neolitico. Allorche´ Leibniz, per fare un altro esempio, venne a conoscenza, attraverso le relazioni con i Gesuiti, della cultura cinese, si chiese perche´ la Cina, nonostante avesse posseduto in passato una civilta` paragonabile a quella europea, se non addirittura superiore – di la` venivano la carta, la stampa, la polvere pirica, la porcellana, la seta –, a un certo punto si fosse chiusa su se stessa e non avesse saputo svilupparsi ulteriormente. Torna qui utile, anche, ricordare la legge di Edme Mariotte (1620-1684) sui gas (nota come legge di Boyle-Mariotte): alla riduzione di volume della dose d’aria corrisponde un aumento della relativa pressione che variera` cosı` in modo inverso, ovvero: a temperatura costante, il volume di una certa quantita` di gas e` inversamente proporzionale alla sua pressione. L’uso analogico in campo filosofico che di tale legge puo` essere fatto, vale anche per Leibniz, per il quale il meccanismo dei corpi e` equivalente a quello del progresso: si tratta – come osserva Deleuze, e come anche noi abbiamo 65 rilevato – del dinamismo della molla che, quanto piu` e` compressa, tanto piu` esplode dispiegando la forza accumulata nella pressione. I percorsi del progresso, per valerci ancora di immagini care a Deleuze, non sono diversi dal viluppo tormentoso e agitato dei panneggi e delle pieghe di una tunica, secondo quanto richiamato nel Pacidius Philalethi. Ecco perche´, come si e` anticipato con Belaval, e` la monade l’altro Kern del progresso nella concezione leibniziana a cui dovremo arrivare. Una simile immagine del progresso e` assai lontana dallo schema ascensionale prima richiamato a proposito di Condorcet. Un punto di differenziazione, in particolare, appare fondamentale: se Condorcet si inscrive di diritto nel filone settecentesco della teodicea sociale fornendole un esito perfettistico, visionario e utopistico, legando cioe` ad essa la fiducia nella progressiva liberazione del male dalla storia, neppure escludendo da 65
Cfr. capitolo primo § 3.
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simile emancipazione la trasformazione del male fisico e della morte66, Leibniz, all’opposto, radica con la massima risolutezza teoretica il male nell’orizzonte metafisico: il male e`, infatti, per lui, innanzitutto metafisico, incluso nelle strutture costitutive dell’esistere individuale e cosmico, e poi, morale e fisico, come possibilita` permessa da Dio e scaturente dalla suddetta metafisicita`. La distinzione, percio`, pericolosamente sfumata, o annullata, 67 nel solco della teodicea sociale, tra malum mundi e mala in mundo , e` da 66
Sul senso dell’illimitato perfezionamento dell’uomo in Condorcet, cfr. l’ultima parte dell’Esquisse (Decima epoca – Progressi futuri dello spirito umano) in Id., I progressi dello spirito umano, cit., pp. 187-211. Sul concetto di teodicea sociale e` fondamentale il volume di P. Piovani, La teodicea sociale di Rosmini, cit., dove si legge la seguente definizione di perfettismo: «Il perfettismo e` la fiducia nella possibilita` di rendere perfetta la societa` umana ... e` il tentativo di perfezionare la vita dell’uomo attraverso il completo perfezionamento della sua organizzazione sociale: e` lo sforzo volto ad eludere la pena di vivere nell’orgoglio di realizzare la perfezione dell’umano senza contatto col male, senza resistenza al male, che e` insostituibile prova individuale di sacrificio: l’individuo non elimina il male che affrontandolo, negandolo col vincerlo, non con l’evitarlo od aggirarlo» (ivi, p. 369). Cfr. anche sul tema M. Nicoletti, La politica e il male, cit., in part. Parte seconda (Teodicea sociale e filosofia civile). Sul problema del male e della teodicea nella sua tradizione moderna da Leibniz a Kant cfr. E. Cassirer, La filosofia dell’illuminismo, cit., p. 195 sgg.; Id., Il problema Gian Giacomo Rousseau, in E. Cassirer, R. Darnton, J. Starobinski, Tre letture di Rousseau, tr. it. Roma-Bari 1994, pp. 3-91; S. Semplici, Dalla teodicea al male radicale. Kant e la dottrina illuminista della «giustizia di Dio», Padova 1990; R. Gatti, Il chiaroscuro del mondo. Il problema del male tra moderno e post-moderno, Roma 2002. Per una trattazione piu` teoretica del tema cfr. Aa.Vv., Teodicea oggi?, “Archivio di Filosofia”, Padova 1988; “Filosofia e teologia”, 2/1993 (Crisi e critica della teodicea); G. Moretto, Il principio uguaglianza nella filosofia, Napoli 1999; P. Ricoeur, Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, cit.; H. Ha¨ring, Il male nel mondo. Potenza o impotenza di Dio?, tr. it. di C. Danna, Brescia 2001 (sul problema della teodicea e Leibniz, p. 187 sgg.); L. Kolakowski, Se non esiste Dio, tr. it. di B. Oddera, Bologna 1997 (in part. cap. primo); J. Sperna Weiland, Saggio sulla teodicea, in Aa.Vv., Filosofia della religione. Indagini storiche e riflessioni critiche, a cura di M. Micheletti e A. Savignano, Genova 1993, pp.125-144; E. Scribano, voce “Teodicea” in Aa.Vv., I concetti del male, a cura di P.P. Portinaro, Torino 2002, pp. 338-351. Un acuto ripensamento dei problemi della teodicea si trova nel saggio di A. Caracciolo Figure della sofferenza fenomenicamente inutile, in Id., Nichilismo ed etica, cit., pp. 31-52. Una trattazione storica della teodicea e` quella di S. Lanzi, Theos Anaitios. Storia della teodicea da Omero ad Agostino, Roma 2000. Interno a un corso di filosofia tomista e` il volume di M. Grison Teodicea. Teologia naturale, tr. it. Brescia 1967, ove teodicea e theologia naturalis omnino convertuntur. Sulla trasformazione in senso secolarizzante che la nozione di teodicea subisce nel solco della teodicea sociale cfr. C. Vasale, La secolarizzazione della teodicea. Storia e politica in J.J. Rousseau, Roma 1978; P. Miccoli, Secolarizzazione della teodicea. Per un ripensamento dell’ordine del mondo e del senso della storia, Vicenza 1986. 67 Sulla distinzione tra malum mundi e mala in mundo si vedano le analisi di A. Caracciolo contenute, in part., in Nichilismo ed etica, cit., p. 11 sgg. Si legga inoltre questo testo illuminante in merito: «Si possono, si devono combattere i mala in mundo per costruire una
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Leibniz custodita nel modo piu` speculativamente sicuro e solido e lasciata in eredita`, si potrebbe dire, al radikales Bo¨se di Kant. Il male non e` eliminabile dallo spazio umano e cosmico in quanto, prima ancora della caduta adamitica, e` compreso nell’intelletto divino nell’atto stesso di pensare l’universo e, poi, di portarlo ad esistenza. Il problema, dunque, sara` di conciliare il male con la bonta` e saggezza di Dio, cio` che rappresenta, appunto, la finalita` ideale della Teodicea. Tutto sommato, viene da osservare che rispetto a tante ideologie del progresso illuministe e post-illuministe, la visione leibniziana si rivela piu` realista, piu` comprensiva, inclusiva com’e` delle crisi, delle stasi, dei regressi del cammino storico. Era, in realta`, per quanto possa apparire paradossale, la fondazione aprioristica del progresso sul principio del meglio (sul principio di ragione) a propiziare una simile latitudine di orizzonti. E` un caso, quello di Leibniz, in cui l’apriorismo conoscitivo finisce per produrre un’aderenza alla realta` maggiore di approcci induttivi apparentemente piu` concreti. E` la teodicea, nella sua fondamentale costituzione a priori, in realta`, l’ubi consistam su cui poggia l’idea di progresso: una volta conosciuta, grazie agli argomenti incontrovertibili della ragione, l’esistenza di un Principio buono e saggio che, in quanto tale, non poteva che creare la migliore serie possibile, le vie tortuose che il corso storico segue possono essere lette come un’immensa eterogenesi dei fini, come un misterioso, ma sicuro, processo di perfezionamento dell’universo. Del resto, si e` gia` osservato con Cassirer che quello del progresso e` il «pensiero decisivo» della Teodicea. Sul piano della temporalita`, la fondazione leibniziana del progresso sull’a priori del principio di ragion sufficiente e della legge di armonia – nella metafisicita` che la connota – ci pare un segnale decisivo di un tempo non dipendente dal divenire naturale e seguente, nei suoi dinamismi, altre vie rispetto al tempo “sempre uguale” della natura, per quanto, naturalmente, altri passi sarebbero stati necessari dopo Leibniz per pervenire alla rivoluzione che Koselleck ha qualificato «temporalizzazione della storia». Un ulteriore segnale di distacco dal tempo naturale doveva poi venire, citta` piu` giusta, per instaurare cioe` una comunita` di uomini piu` liberi, piu` equamente partecipi di quanto consente il realizzarsi umano dell’uomo; ma non si vede come sia dato distruggere il malum mundi, la negativita` che segna di se´ le strutture ontologiche dell’esistere (il limite e l’agguato tragico della morbilitas, dell’errabilita`, teoretica etica e tecnica, della morte: limite e agguato che sopravvivono a ogni nostra raggiunta e raggiungibile vittoria sui concreti mali, sui concreti errori, sui concreti fallimenti, e sono pronti a risorgere in figure sempre nuove)» (A. Caracciolo, Politica e autobiografı`a, a cura di G. Moretto, Brescia 1993, pp. 221-222).
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come osservano Koselleck e Meier, nel legame tra l’idea di progresso e la nozione etica di felicita`: Leibniz ha sviluppato in termini ancor piu` coerenti l’allontanamento dalle metafore naturali per poter interpretare l’intero corso del mondo nel quadro di un’infinita progressione ... Ricollegandosi certo anche a tradizioni teologiche, Leibniz ha scorto nella tensione umana verso la conoscenza e la felicita` l’impulso motore di un progresso infinito: «un progre`s continuel et non interrompu a` des plus grands biens», che non si accontenta di alcuna condizione di stabilita`. «La nostra perfezione consiste in un forte libero impulso a procedere (Forttrieb) verso sempre nuove perfezioni»68.
Infine, ad assecondare quanto osservato circa l’avvertimento leibniziano di un tempo specificamente storico, c’e` la coscienza, vivissima in Leibniz, dell’accelerazione storica di cui la sua eta` si era fatta protagonista, cifra di un tempo non coincidente con quello naturale. Certo, i suddetti segnali di distacco dal giusnaturalismo del tempo di natura, presenti nell’idea leibniziana di progresso, devono fare i conti con l’aspetto gia` enucleato: il progresso non puo` valicare la cornice metafisica dell’armonia universale, i limiti sono gia` posti al mondo nell’atto creativo, limiti che Leibniz identifica con il male metafisico. Tutto, dentro questo paradigma teologico-metafisico, e` preformato ab origine, cosı` come tutto e` presente alla monade, onnisciente ma virtualmente, tanto che nulla, nessun particolare, per quanto insignificante, di Cesare o di Alessandro puo` essere mutato se non variando l’intera serie e passando a un altro universo possibile. Ma, cosı` inteso, il progresso finisce per apparire, come nota Meinecke, piu` un processo di perfezionamento che un puro processo di evoluzione storica, il quale deve ad ogni grado creare l’individuale, sia anche, esso individuale, mescolato con qualche cosa di tipico e di generale69.
Tutto e` fissato sin dall’origine, e se di Giudizio universale si vuole parlare in Leibniz, esso sta nella decisione stessa con cui Dio, nell’infinita` dei mondi possibili, ha scelto la series rerum venuta ad esistenza. Del resto, l’atteggiamento del filosofo circa l’“affare” Petersen e la controversia chilia-
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R. Koselleck – C. Meier, Progresso, cit., p. 36. F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 21.
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stica che ne seguı`, il «quasi-origenismo filosofico»70 in cui Leibniz traduce, nel frammento sull’Apokatastasis, la dottrina del grande teologo alessandrino, documentano eloquentemente quanto anche in questo caso la filosofia leibniziana trasformi concetti e nozioni appartenenti al dominio teologico. Cosı`, vien quasi da dire, il Giudizio universale si traduce, in Leibniz, nell’armonia prestabilita e nel suo interno sviluppo, tanto che, come ha acutamente annotato Blumenberg, nel pensatore di Hannover «evoluzione 71 e apocalisse convergono» . C’e` in questa conclusione di Blumenberg qualcosa di densamente denkwu¨rdig su cui conviene sostare. Che ne e`, in realta`, nel contesto speculativo sin qui delineato, segnato dalla nascente idea di progresso, dell’idea escatologica nel suo significato di sbocco metastorico sottratto alla contingenza e al divenire? Nel rinviare al prossimo capitolo, dedicato all’analisi del frammento sull’Apokatastasis, una ripresa e un approfondimento del tema alla luce di quel testo, anticipiamo qui la seguente considerazione: se la vita eterna e` per Leibniz inconcepibile come nunc stans, se essa stessa si configura come divenire e infinito perfezionamento, e se il tempo della monade, nel suo essere centro di forza e di azione, non diversamente, e` costituito da un illimitato procedere verso nuove perfezioni, ne discende un coimplicarsi di tempo, progresso ed eternita`: l’eschaton, o apocalisse, non e` pensabile in questa prospettiva che nei termini di una 72 sorta di periechon, o, per usare un concetto jaspersiano, di Umgreifende , di orizzonte onniabbracciante trascendente-immanente infinitamente differito, infinitamente arretrante e ritraentesi via via che l’evoluzione procede, nel quale svapora la distinzione tra al di qua e al di la`, al modo in cui, fissando l’orizzonte dalla riva, si dissolve sul piano ottico la linea che separa cielo e 70
L’espressione e` di M. Fichant in LF, 173. Rinviamo, per questo aspetto, al capitolo quarto del presente volume. 71 H. Blumenberg, Cronaca universale o formula universale, in Id., La leggibilita` del mondo, cit., p. 143. 72 La parola jaspersiana Umgreifende e` stata tradotta dagli studiosi italiani in modi diversi, tra cui menzioniamo: «abbracciante» o «ulteriorita`» (L. Pareyson); «abbracciante» (G. Penzo); «Tutto-avvolgente» o «Tutto-circonfondente» (G. De Rosa); «orizzonte circoscrivente» (E. Paci); «comprensivita` infinita» (O. Abate); «essere onnicomprensivo» (A. Lamacchia); «ulteriorita` onnicomprensiva» (P. Prini). Per U. Galimberti, l’Umgreifende designa «l’essere nella comprensivita` delle sue determinazioni, l’essere che afferrando (greifend) circoscrive (um) gli enti, avvolgendoli li comprende (um-greift). L’Umgreifende corrisponde al perie´chon anassimandreo ... all’a´peiron o positivita` indeterminata che ospita tutte le determinazioni o pe´ras» (Id., Linguaggio e civilta`. Il linguaggio occidentale nella lettura di Heidegger e Jaspers, Milano 1977-84, p. 58).
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mare. Altro esempio, questo, di trasposizione, di metamorfosi in direzione speculativa, e non di dissoluzione, di una nozione biblica e teologica. Il pensatore tiene dunque in sospensione eschaton in senso trascendente e progresso intracosmico e intrastorico. In questo metaxu, in questo singolare zwischensein, l’idea escatologica non e` soppressa: resta come ossimorico orizzonte trascendente-immanente sullo sfondo del progresso dell’universo, come termine finale infinitamente rinviato, infinitamente procrastinato. L’escatologia, cosı`, non e` annullata, a favore del progresso mondano, si e` piuttosto “assottigliata”, allontanata fino a diventare un punto pallido, evanescente che, nel suo infinito ritrarsi, libera nel frattempo – nell’attesa senza fine della fine – lo spazio storico dell’aspettativa, della novita`, della diversita` del futuro, non piu` ipotecato dal gia` visto, dal gia` vissuto. In una parola: rende esperibile il progresso. Si direbbe quasi che Leibniz abbia tradotto e fissato in termini speculativi l’esperienza storica, propria del suo tempo, del perenne rinvio della fine del mondo, esperienza fattasi vieppiu` acuta in seguito alle guerre di religione. Osserva Koselleck in proposito: L’esperienza acquisita in un secolo di lotte cruente era innanzitutto questa: le guerre civili di ordine religioso non portavano al giudizio universale, almeno non nel senso concreto e tangibile in cui lo si intendeva un tempo73.
Leibniz sembra tirare le conseguenze di tale esperienza storica europea codificandole in sistema speculativo. L’evidenza del continuo differimento della fine del mondo e del Giudizio universale si cristallizza in struttura teoretica, assumendo i sembianti sfuggenti di un periechon che armonicamente avvolge, governa e custodisce il corso dell’universo, conducendolo verso mete sempre nuove. Cosı`, in Leibniz, il progresso resta all’interno di un paradigma teologico, ma, rispetto alla teologia tradizionale, tale paradigma si e` trasformato in modo da contemplare un perfezionamento mondano senza fine. In tal senso, all’accorciarsi dei tempi dell’apocalisse subentra l’«abre´gement du temps» dovuto all’arte dell’invenzione, latrice di progressi 74 sempre maggiori in tempi sempre piu` brevi . Fino a giungere, come vedremo nel frammento sull’Apokatastasis, a quell’estrema contrazione del tempo della conoscenza che Leibniz configura nell’ipotesi di una “postumanita`” piu` perfetta e finalmente capace di riassumere in poche formule, o
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R. Koselleck, Futuro passato, cit., p. 17. Cfr. Id., Accelerazione e secolarizzazione, cit., p. 27.
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verita` di ragione, l’intero universo: quasi una apokatastasis illuminista della conoscenza! Ma poiche´, nel sistema leibniziano, universale e particolare si coimplicano, e` alla monade e alla sua durata temporale che siamo, alla fine, rinviati. In questo contesto, come si e` gia` messo in luce, il progresso intrattiene relazioni fondamentali con la durata quale dinamismo interno alla monade, nel suo perenne transito dall’ombra alla luce, dal virtuale all’attuale. E` Deleuze, meglio di ogni altro, forse, ad aver enucleato questo punto: La morale per ciascuno consiste in questo: cercare ogni volta di estendere la propria regione d’espressione chiara, cercare di aumentare la propria ampiezza in modo di produrre un atto libero che esprima il massimo possibile di questa o quella condizione. E` cio` che viene chiamato progresso; tutta la morale di Leibniz e` una morale del progresso75.
Se progresso c’e` in Leibniz, dice Deleuze, e` perche´ appartiene alla natura percettivo-appetitiva della monade – dynamis rappresentativa che in se´ involvit totum universum, per quanto oscuramente, che non necessita di porte e finestre perche´ reca gia` tutto il “fuori” al suo interno – di ingrandire la sua regione sottraendosi gradualmente all’ombra delle piccole percezioni che l’avviluppano come un oceano oscuro e ultimamente irriducibile. Che in cio` sia una delle radici del progresso, lo attesta questo passo dei Nouveaux essais, in cui e` facile riconoscere la piena corrispondenza con la 76 celebre formula che Lessing impieghera` in Eine Duplik (1778) : 75
G. Deleuze, La piega, cit., p. 111. «Non la verita` di cui un uomo e` o si crede in possesso, ma il sincero sforzo per giungervi, determina il valore del singolo. Infatti, le sue forze conseguono un miglioramento non in virtu` del possesso della verita`, ma della sua ricerca e soltanto in questo consiste il sempre crescente perfezionamento umano. Il possesso rende quieti, pigri e presuntuosi ... Se Dio tenesse nella sua mano destra tutta la verita` e nella sinistra il solo eterno impulso verso la verita`, seppur con la condizione di dover andare errando per l’eternita`, e mi dicesse: scegli! io mi precipiterei umilmente alla sua sinistra e direi: concedimi questa, o Padre! La verita` pura e` soltanto per te!» (Una controreplica, tr. it. di G. Ghia, in G.E. Lessing, Religione e liberta`, Brescia 2000, p. 33). Scrive riguardo a questo brano G. Gusdorf: «Questo testo non e` soltanto l’esposizione di un’epistemologia; e` rivelatore di una psicologia, o piuttosto di un’antropologia. L’immobilismo contemplativo, tutte le forme della visione in Dio proprie delle tradizioni della mistica filosofico-religiosa lasciano il posto a una volonta` di attuazione, di movimento nello spazio-tempo, di progresso. Il dominio della trascendenza si offriva alla conoscenza come uno spazio chiuso i cui esiti erano gia` fissati dalle verita` eterne; lo spazio epistemologico del XVIII secolo e` uno spazio aperto, dove il progresso e` possibile. All’idea del pensiero come oggetto succede la concezione del pensiero come opera» (Id., Les sciences 76
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et bien loin qu’on doive regarder cette inquietude comme une chose incompatible avec la felicite´, je trouve que l’inquietude est essentielle a` la felicite´ des creatures, la quelle ne consiste jamais dans une parfaite possession qui les rendroit insensibles et comme stupides, mais dans un progre´s continuel et non interrompu a` des plus grands biens ... [A VI, 6, 189].
Se si pensa che l’ombra suddetta corrisponde, in Leibniz, al male metafisico, al limite ontologico incluso nella costituzione con cui la sostanza viene pensata da Dio e portata a esistenza, si comprende meglio l’implicazione etica contenuta nel progresso della monade verso la luce: in 77 quest’ottica, il progresso segna un’erosione graduale del male, o del Nulla , per quanto esso sia, come si e` detto, inesauribile e per quanto non vi sia speranza di rimuovere completamente il negativo dal mondo. Il est vray qu’on peut s’imaginer des mondes possibles, sans peche´ et sans malheur, et on en pourroit faire comme des Romans des Utopies, des Sevarambes; mais ces meˆmes mondes seroient d’ailleurs fort inferieurs en bien au nostre [GP VI, 108].
E` inconcepibile, infatti, una monade creata senza ombra, senza limite, perche´ essa si annichilirebbe, oppure verrebbe meno la sua possibilita` di differenziarsi dalle altre. Estendere la propria regione chiara – prosegue Deleuze –, prolungare al massimo il passaggio di Dio, attualizzare ogni singolarita` che si concentra e anche acquisire nuove singolarita`, sarebbe il progresso di un’anima, ed e` quello per cui si puo` affermare che essa imiti Dio. Beninteso, non si tratta soltanto di una conquista in estensione, ma di un’amplificazione, di un’intensificazione, di un’elevazione di potenza, di una crescita di dimensioni, di un guadagno in distinzione78.
Ma la concezione morale del progresso non si ferma alla costituzione della monade: essa si estende alla visione del progresso che Leibniz vedeva in atto nel suo tempo, nei termini di un compito grandioso che occorreva svolgere mediante la cooperazione dell’intera umanita`. Certo, nel progresso humaines et la pense´e occidentale, vol. IV, Les principes de la pense´e au sie`cle des Lumie`res, cit., pp. 285-286). Analoghi punti di vista si trovano in E. Cassirer, La filosofia dell’illuminismo, cit., p. 30 sgg. 77 Cfr. sul concetto di Nulla identificato con il male il Dialogue effectif sur la liberte´ de l’homme et sur l’origine du mal in G I, 361-369. 78 G. Deleuze, La piega, cit., pp. 111-112.
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e nell’accelerazione delle conoscenze Leibniz individuava – con lo stesso rabdomantico intuito col quale aveva predetto ad Arnauld in una lettera del 1671 l’avvento di un «saeculum philosophicum» (cfr. A II, 1, 171) – un tratto proprio dell’eta` della crisi della coscienza europea, l’epoca in cui quel lento accumularsi, dal Rinascimento in poi, di esperienze e di saperi che sta alla base della meraviglia espressa in un celebre testo da Tommaso Campanella, giunge a piu` ampia e meno incerta consapevolezza. Quasi, in quei pochi decenni additati da Paul Hazard (1680-1715), la modernita` si accendesse, innescasse le proprie micce rivoluzionarie, quasi una nuova energia temporale attraversasse quei lustri scuotendo con virulenza e mettendo in discussione l’immobilita` e la stagnazione di lunghi secoli. Un’accelerazione, quella racchiusa in quell’eta`, destinata a incrementarsi, secondo Pierre Chaunu, nel «secondo tempo forte» delle Lumie`res, quello compreso tra il 79 1730 e il 1770 , fino a sfociare nel tempo brevissimo, convulso, che e` il decennio della Rivoluzione francese (1789-1799) – l’evento storico che, secondo Condorcet, in un solo istante ha posto la distanza di un secolo tra 80 il presente e il passato – dove il nuovo rapporto tra storia e tempo si formalizza addirittura in un calendario, il piu` utopico che la storia conosca per volonta` di soppressione del passato e per apertura all’avvenire. I testi che documentano il consaputo avvertimento, da parte di Leibniz, di una simile accelerazione del sapere proprio della sua epoca, latrice di progressi conoscitivi sempre maggiori in tempi sempre piu` ridotti, e il cui soggetto non e` il singolo individuo ma l’intera umanita`, sono molti e inequivocabili: Il faut avouer, en reconnoissant la bonte´ divine a` nostre e´gard, qu’autant que l’on peut juger par l’histoire, jamais siecle a este´ plus propre a` ce grand ouvrage, a` l’avancement des connoissances humaines et a` l’accroissement de nos perfections que le nostre, qui semble faire la recolte pour tous les autres [A VI, 4 A, 952].
Il brano citato, tratto dal Discours touchant la methode de la certitude, et l’art d’inventer pour finir les disputes, et pour faire en peu de temps des grands progre´s (agosto 1688-ottobre 1690), di spiccato sapore baconiano, prosegue lungamente elencando le principali conquiste della conoscenza che danno 79
Cfr. P. Chaunu, La civilta` dell’Europa dei Lumi, cit., p. 9 sgg. Cfr. su Condorcet e sull’accelerazione contenuta nella Rivoluzione francese B. Baczko, Giobbe amico mio, cit., p. 333. Dello stesso autore e` un’analisi dell’Equisse di Condorcet in L’utopia, cit., pp. 202-223. 80
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lustro agli ultimi secoli. Analogamente, si legge in un altro frammento sui Precetti per il progresso delle scienze: Quel siecle y sera plus propre que le nostre, qu’on marquera peutestre un jour dans l’avenir par le surnom du siecle d’inventions et de merveilles [A VI, 4 A, 701].
Vista sotto questo aspetto, la storia dell’umanita` appare a Leibniz l’esito di un lento processo di incremento di conoscenze prodotto dallo sforzo di piu` generazioni, ciascuna delle quali fonda i propri guadagni sulle fatiche di quella precedente in vista del legato da consegnare a quelle successive. Ma, in realta`, non e` il progresso in quanto tale la vera peculiarita` che Leibniz ascrive alla sua epoca, dal momento che un processo di lenta accumulazione di esperienze e conoscenze caratterizza tutta la storia, secondo una tesi gia` contenuta nella vecchia immagine, risalente a Bernardo di Chartres e largamente ricorrente nella letteratura del Cinque-Seicento, dei «nani sulle 81 spalle dei giganti» . Si tratta, piuttosto, dell’esperienza di un repentino accorciamento del tempo, di una crescente accelerazione nell’arte della scoperta e dell’invenzione che, nel suo secolo (hoc aevum, nostrum tempus), si era manifestata come mai in precedenza. Consapevolezza, d’altronde, anche questa, che riecheggia e rimbalza da Tommaso Campanella, che nella Citta` del Sole puo` scrivere: c’ha piu` storia in cento anni che non ebbe il mondo in quattro mila; e piu` libri si fecero in questi cento che in cinque mila; e dell’invenzioni stupende della calamita e stampe ed archibugi, gran segni dell’union del mondo ...82,
fino a Francesco Bacone83. E` questa l’autentica novita` che anche Leibniz, 81 Sulla celebre similitudine di Bernardo di Chartres cfr. L. Alfonsi, La letteratura latina medievale, Firenze 1972, p. 142. Cfr. anche K. Pomian, Che cos’e` la storia, cit., pp. 70-71. 82 T. Campanella, La Citta` del sole e Poesie, Milano 1962, p. 46. 83 Cfr. P. Rossi, La nascita della scienza moderna in Europa, Roma-Bari 1997, in part. cap. 4 (Cose mai viste). Sull’idea di progresso nel pensiero moderno cfr. R. Koselleck – C. Meier, Progresso, cit. (su Leibniz p. 36 sgg.); Aa.Vv., The Idea of Progress, edited by A. Burgen, P. McLaughlin, J. Mittelstraß, Berlin-New York 1997; Aa.Vv., Gli inizi del mondo moderno, cit.; M. Ghio, L’idea di progresso nell’illuminismo francese e tedesco, Torino 1962 (su Leibniz pp. 18-19; su Lessing capp. 3-4); J. Bury, Storia dell’idea di progresso, tr. it. di V. Di Giuro, Milano 1964 (su Leibniz pp. 63-64); P. -A. Taguieff, Il progresso. Biografia di una utopia moderna, tr. it. di M. Ferrara, Troina (En) 2003. Di Paolo Rossi si vedano ancora, con riferimenti alla nozione di progresso in Leibniz: I filosofi e le macchine 1400-1700, cit.; Naufragi senza spettatore. L’idea di progresso, Bologna 1995.
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come i pensatori ricordati, e` pronto ad ascrivere al XVII secolo, alla «historia recentior», al «nostrum tempus» «largior lux» [A VI, 2, 407], in contrasto non solo con il Medioevo, ma anche con il secolo precedente, dove la verita` inizia a rivelarsi e a sprigionare le sue scintille, come si legge nella Prefazione al Nizolio, «tantum velut per rimam» [A VI, 2, 407]. Ma occorre subito precisare che i suddetti guadagni costituiscono una realta` fragile, una chance che potrebbe andare perduta dove facesse difetto l’universale collaborazione di tutti gli uomini, come Leibniz non manca di rilevare: Quand je considere combien nous avons de belles decouvertes, combien des meditations solides et importantes; et combien se trouvent d’esprits excellens, qui ne manquent pas d’ardeur pour la recherche de la verite´; je croy que nous sommes en estat d’aller bien loin, et que les affaires du genre humain, quant aux sciences pourroient en peu de temps merveilleusement changer de face. Mais quand je voy de l’autre coste´ le peu de concert des desseins, les routes oppose´es qu’on tient, l’animosite´ qui les uns font paroistre contre les autres et qu’on songe plustost a` detruire qu’a` bastir; a` arrester son compagnon, qu’a` avancer de compagnie, enfin quand je considere que la practique ne profite point des lumieres de la theorie, qu’on ne travaille point a` diminuer le nombre des disputes, mais a` les augmenter, qu’on se contente des discours specieux, au lieu d’une methode serieuse et decisive, j’apprehende que nous ne soyons pour demeurer long temps dans la confusion et dans l’indigence ou` nous sommes par nostre faute [A VI, 4 A, 697-698].
Se, in effetti, di un qualche Neuzeitbewußtsein e` lecito parlare in Leibniz, esso appare legato, da un lato, alla limpida percezione di un’accelerazione repentina del sapere scientifico e tecnico in atto nella sua epoca, dall’altro a un compito grandioso che il suo secolo era chiamato a svolgere. La Neuzeit (hoc aevum) – conferma Arno Seifert – e` per Leibniz l’epoca di una esplosione (Durchbruch) divenuta possibile, gia` a portata di mano, ma non ancora realizzata e mai del tutto certa ... Se Bacone e, prima di lui, gia` Vives avevano tentato di ottenere l’adesione dell’umanita` al lavoro di un progresso conoscitivo, come di una possibilita` che poteva andare perduta, dal momento che essa era riposta nella libera decisione dell’uomo, altrettanto, nel medesimo senso, Leibniz puo` essere additato come il programmatico dell’accelerazione del progresso (als Programmatiker der Fortschrittsbeschleunigung) e come il profeta della sua possibilita`84. 84 A. Seifert, Neuzeitbewußtsein und Fortschrittsgedanke bei Leibniz, in Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., pp. 177 e 179.
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A una designazione oggettiva dei secoli nuovi, espressione di un’esperienza gia` in atto – quella di un Durchbruch, di un’eruzione, esplosione, o breccia, alla maniera, gia` ricordata, dei gas compressi o di una molla pressata, e di un conseguente accorciamento dei tempi del progresso conoscitivo – si associa dunque in Leibniz una determinazione deontologica del moderno, vale a dire l’idea di un compito immenso, che il filosofo configura come dovere morale e religioso, ancora da svolgere con l’ausilio della Provvidenza, ma anche mediante la collaborazione di tutti gli uomini e, in primis, dei potenti del mondo. E`, naturalmente, in Luigi XIV che il filosofo riconosce soprattutto questa opportunita`, ne´ e` un caso che nel gia` ricordato Discours touchant la methode de la certitude et l’art d’inventer il sovrano francese sia additato come un possibile fattore di accelerazione storica e di accorciamento dei tempi (abre´gement du temps) del progresso: Mais ce grand Monarque qu’on reconnoist aisement a` ce peu, que je viens d’en dire estant arbitre de son sort et de celuy de ces voisins, et ayant de´ja` execute´ des choses qu’on tenoit impossibles et qu’on a de la peine a` croire apre`s le coup, que ne feroit il point faire dans un siecle si e´claire´, dans un royaume si plein d’esprits excellens, avec toute cette grande disposition qu’il y a presentement dans le monde pour les decouvertes, que ne feroit il point, dis-je, si quelque jour il prenoit la resolution de faire quelque puissant effort pour les sciences, je suis asseure´ que la seule volonte´ d’un tel Monarque feroit plus d’effect que toutes nos Methodes et tout nostre sc¸avoir pour abreger le temps, et pour nous faire obtenir en peu d’anne´es ce qui ne seroit autrement qu’un fruit de plusieurs siecles [A VI, 4 A, 955].
Se di coscienza di una Neuzeit in Leibniz e` lecito parlare, dunque, essa pare legata innanzitutto all’esperienza di una simile Abku¨rzung der Zeit, di un tale «abre´gement du temps», effetto di quello slancio straordinario che, a partire da Bacone, Galileo, Keplero, la scienza della natura aveva impresso alla storia universale, e che faceva esclamare al filosofo della Monadologia: Negari non potest nostrum seculum in naturae cognitione priora omnia superare [A VI, 4 A, 456].
Di un Leibniz “profeta” del progresso, e` lecito parlare essenzialmente nel senso dell’avvertimento della possibilita` del progresso stesso, non certo della sua sicura conquista. Quello tracciato dal filosofo e` un programma, sospeso a una serie di fattori difficilmente calcolabili e prevedibili – dalla Provvidenza alla bona voluntas degli uomini, alle circostanze favorevoli –, e non una sicura predizione nello stile di una futurologia o, peggio ancora, di
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una divinazione85. E` assente in lui quella simbiosi tra idea di progresso e 86 spirito di utopia che connotera` il secolo XVIII . Le vie del progresso, come si e` detto, per quanto garantite a priori dall’invarianza del principio del meglio, e per quanto diano sempre, alla fine, quel risultato metafisicamente fissato, sono, a parte hominis, imprevedibili e impervie, tortuose, non escludendo dal loro non lineare tragitto inversioni, rispetto alla tendenza all’incremento, o lunghe fasi di decadenza e di stasi. Quanto, infatti, a Leibniz dovessero apparire aleatori i guadagni di cui era testimone, tali che potevano facilmente andare perduti dove non si fosse colta l’occasione propizia, il tempo debito, il kairos offerto dal suo sie`cle e´claire´, lo dice anche l’icastica immagine del genere umano simile a una folla sbandata, che procede nelle tenebre, senza capi ne´ punti di riferimento che ne orientino la marcia, che apre il frammento sui Precetti per il progresso delle scienze: Le genre humain considere´ par rapport aux sciences qui servent a` nostre bonheur, me paroist semblable a` une trouppe des gens, qui marchent en confusion dans les tenebres, sans avoir ny chef, ny ordre, ny mot, ny autres marques pour regler la marche, et pour se reconnoistre. Au lieu de nous tenir par la main pour nous entreguider et pour asseurer nostre chemin, nous courons au hazard et de travers et nous heurtons meˆmes les 85
Quando, dunque, si sia disposti a riconoscere, come Georg Henrik von Wright, che le nozioni di Adam Smith di «invisible hand», o quella hegeliana di «List der Vernunft» sono le eredi mondanizzate della Teodicea di Leibniz e della sua idea con cui la presenza del male viene riconciliata con la bonta` del supremo Reggitore, occorre non dimenticare che nel filosofo di Hannover il progresso non ha nulla di assolutamente necessitato e di dialettico (cfr. G. H. von Wright, Progress: Fact and Fiction, in Aa.Vv., The Idea of Progress, cit., p. 11). 86 Sull’incontro, nel XVIII secolo, tra idea di progresso e utopia cfr. il gia` ricordato volume di B. Baczko, L’utopia, in part. il capitolo IV (L’utopia e l’idea della storia-progresso), pp. 157-249. Per Leibniz, come osserva l’autore, il termine “utopia” e` sinonimo di mondo possibile, in quanto presente in mente Dei, ma non nato, immaginabile e anche descrivibile nei romanzi, ma del tutto distinto da quello che per decreto divino si e` esistentificato: «Come abbiamo gia` fatto osservare, la maggior parte dei dizionari dell’epoca registrano l’abituale impiego del termine nel suo uso generico. Utopia e` sinonimo di paese immaginario che non esiste in alcun luogo, ma si dice anche di qualsiasi progetto di governo ideale. Nel senso piu` ampio, essa e` chimera, progetto irrealizzabile o anche fantasticheria. Leibniz presta all’“utopia” un senso analogo ma ancor piu` estensivo: lo riferisce all’idea dell’universo perfetto, “di un mondo possibile senza peccato e senza miseria”. Inconsciamente, egli avvicina l’utopista, creatore e legislatore di un paese ideale immaginario, a Dio stesso, il grande ordinatore di questo “migliore dei mondi possibili”. “E` vero – scrive Leibniz – che si possono immaginare mondi possibili senza peccato e senza miseria; e se ne potrebbero fare come si scrivono i romanzi delle utopie o dei Sevarambi; ma questi stessi mondi sarebbero, per un altro verso, molto inferiori al nostro in bonta`”» (ivi, pp. 31-32).
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ERUDIZIONE E TEODICEA
uns contre les autres, bien loin de nous aider et de nous soutenir. Ce qui fait que nous n’avanc¸ons gueres, ou que nous ne sc¸avons pas ou` nous en sommes. Nous allons meˆmes nous enfoncer dans les marais et sables mouvans des doutes sans fin, ou` il n’y a rien de solide ny de ferme, ou bien nous nous entrainons dans les principes des erreurs fort dangereuses [A VI, 4 A, 694].
Con tutto cio` non si intende affatto caricare oltre il dovuto la coscienza leibniziana della Neuzeit. Se Leibniz – che sin dalle opere giovanili suole distinguere la storia in antica, medioevale e moderna, e per il quale la Riforma rappresentava il punto di partenza della storia moderna (comprensiva dunque dei secoli XVI e XVII) – usa nozioni come «hoc aevum», «nostrum tempus», non solo nel senso di una designazione cronologica formale del tempo presente – quella che la radice latina del vocabolo “moderno”, nel suo rinviare a “modo” (come “hodiernus” rimanda a “hodie”), percio` al presente, tradisce – esse non designano altro, in realta`, come suggerisce Seifert, che un rinnovato o moderno post-Medioevo (neuzeitli87 ches Nachmittelalter) . Inaugurato da una serie di eventi fondamentali – Umanesimo e Riforma, fino alle grandi acquisizioni della stampa, della bussola, del cannocchiale, dei microscopi, della polvere da sparo – tale “moderno post-Medioevo” consente una delimitazione del Medioevo scolastico e inaugura un’eta` certo nuova, distinta dalla precedente, ma che appare priva, in Leibniz, di designazioni piu` precise di quelle, gia` riferite, di «hoc aevum», «nostrum tempus», «historia recentior», che possono indicare, a seconda del contesto, solo il XVI, oppure anche il XVII secolo. Ma, con il tema del progresso, e` sui destini ultimi della storia universale, percio` sulla dimensione escatologica, che siamo chiamati a indirizzare l’attenzione.
87 A. Seifert, Neuzeitbewußtsein und Fortschrittsgedanke bei Leibniz, in Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 175.
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APPENDICE II QUESTIONI DI TEODICEA IL MALE E LA SUA RECHTFERTIGUNG NEL MIGLIORE DEI MONDI POSSIBILI Quand un philosophe est grand, il a beau e´crire des pages tre`s abstraites, elles ne sont abstraites que parce que vous n’avez pas su y repe´rer le moment ou` il crie. Il y a un cri la`-dessous, un cri qui fait horreur. (G. Deleuze)
1. – I battelli di Leibniz, la materia prima e il male metafisico Narrano le cronache dell’epoca che G.F. Ha¨ndel abbia fatto ascoltare a re Giorgio I la Water Music di sorpresa durante una passeggiata fluviale sul Tamigi nel luglio del 1717, e che la Suite piacque talmente al sovrano che dovette essere ripetuta tre volte. Insinuano i biografi, anche, che fu in questa circostanza che Sua Altezza Reale, ex Elettore di Hannover proclamato re d’Inghilterra nel 1714 alla morte della regina Anna, abbia perdonato il musicista di Halle – nominato a partire dal 1710 Kapellmeister di Hannover, ma cosı` poco attratto dall’incarico ottenuto nella piccola corte tedesca da partire subito per Londra – per le sue inadempienze. Sorte piu` benigna arrise, dunque, a Ha¨ndel che a un altro illustre «gentilhomme de cour» hannoverese gravemente “inadempiente” agli occhi del sovrano: il bibliotecario e consigliere Gottfried Wilhelm Leibniz, a cui non fu invece perdonato dal duca Elettore Georg Ludwig – divenuto Giorgio I non senza la decisiva mediazione diplomatica dell’erudito-filosofo – di non aver portato a termine la storia della Casa di Braunschweig e che,
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per questo, dopo il trasferimento della corte a Londra, fu lasciato ad Hannover con il perentorio “Reiseverbot” per non aver ottemperato ai suoi cortigiani impegni storiografici1. Certo, rattrista il pensiero che, al di la` della morte, avvenuta nel novembre del 1716, l’ingratitudine dei potenti non avrebbe, probabilmente, comunque permesso al vecchio Leibniz di assistere a quell’esibizione sinfonica sul Tamigi. Ma e` facile pensare che quell’itinerante parata musicale sul fiume, con la sua unione di divenire e armonia, di flusso e concertazione, di invisibili increspature, ondulatorie sinergie acquatiche e del conspirare del plenum in un ordine su basi matematiche («musica est exercitium arithmeticae occultum nescientis se numerare animi», recita la celebre definizione di musica del pensatore, contenuta nella lettera a C. Goldbach del 17 aprile 1712), avrebbe densamente dato da pensare al filosofo della Teodicea. Non solo per le suggestioni eraclitee che quell’immagine reca in se´, tanto congeniali al pensiero leibniziano da poter farci leggere nella Monadologia § 71 che tous les corps sont dans un flux perpetuel comme des rivieres, et des parties y entrent et en sortent continuellement [GP VI, 619].
E neppure soltanto per l’evocativita` poietica che, per la cultura seicentesca, presenta l’acqua in movimento, della quale, come ha scritto J. Rousset,
1
Non sembra – stando a documenti ed epistolari – che tra Leibniz e Ha¨ndel vi siano mai stati rapporti diretti, forse per la scarsa permanenza del musicista nella Bassa Sassonia. Cfr. su questo punto A. Luppi, Lo Specchio dell’Armonia Universale. Estetica e musica in Leibniz, Milano 1989, in part. p. 42. Cfr. anche R. de’ Grandis, Musik in Hannover zur Leibnizzeit, in Aa. Vv., Leibniz. Sein Leben – sein Wirken – seine Welt, cit., pp. 117-128. Proprio nel segno di Ha¨ndel si e` aperto il VII Leibniz-Kongreß “Nihil sine ratione. Mensch, Natur und Technik im Wirken von G.W. Leibniz”, celebratosi nella Technische Universita¨t di Berlino il 10-14 settembre 2001. Nel corso della Ero¨ffnung tenutasi nell’Auditorium maximum della suddetta Universita`, il musicista J. Gottschalk ha eseguito al clavicembalo l’Ouverture in si bem. magg. e il minuetto in re magg. del musicista barocco, intervallando i saluti delle autorita` e le presentazioni del convegno. Su Leibniz “gentiluomo di corte” si veda il saggio di G. Zingari Il proscritto del re. Leibniz “gentilhomme de cour”, in “aut aut”, 1993, cit., pp. 65-71. Inoltre, in merito, rinviamo alla documentata biografia di E.J. Aiton, Leibniz, cit., e a quella, piu` recente, di E.C. Hirsch, Der beru¨hmte Herr Leibniz. Eine Biographie, cit. Sul difficile rapporto tra Leibniz e Georg Ludwig in merito all’opera storica dedicata alla Casa di Braunschweig, cfr. la Vorrede di G.H. Pertz agli Annales Imperii Occidentis Brunsvicenses, in P I, 1, p. XVII sgg.
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APPENDICE II
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il Barocco fa un’opera d’arte. La cattura mentre fugge, la rilancia per poi riprenderla, la fa sgorgare e ricadere, la trasforma di volta in volta in pioggia, in ventagli, in voli di colombe, in piumaggi di schiuma, in fiocchi mossi dall’aria, in drappi che si torcono, in vele gonfiate dal vento, in nubi di luce. La mescola a tutto cio` che esso predilige: vasche sinuose, rocce rustiche, conchiglie, tritoni dalle code intrecciate, corpi umani dalle linee tormentate2.
Probabilmente quel lento, regale transito di battelli avrebbe rammentato all’anziano pensatore, cosı` esperto dell’umana condizione e del corso del mondo da mitigare negli ultimi anni della sua vita – e` un’osservazione di 3 Werner Conze – quella fiducia nel progresso del genere umano formulata con serena fermezza nella chiusa del De rerum originatione radicali (1697), un’immagine impiegata negli Essais de The´odice´e per illuminare il problema del male. In effetti, e` in ordine a tale tematica che l’immagine di battelli in discesa lungo il corso di un fiume ricorre in un luogo della Teodicea: esattamente nel § 30 (Parte prima), dove si legge: Posons que le courant d’une meˆme riviere emporte avec soy plusieurs bateaux, qui ne different entre eux que dans la charge, les uns e´tant charge´s de bois, les autres de pierre, et les uns plus, les autres moins. Cela e´tant, il arrivera que les bateaux les plus charge´s iront plus lentement que les autres, pourvu qu’on suppose que le vent, ou la rame, ou quelque autre moyen semblable ne les aide point. Ce n’est pas proprement la pesanteur qui est la cause de ce retardement, puisque les bateaux descendent au lieu de monter, mais c’est la meˆme cause qui augmente aussi la pesanteur dans les corps qui ont plus de densite´, c’est a dire qui sont moins spongieux et
2
J. Rousset, La letteratura dell’eta` barocca in Francia, cit., p. 203. Sulla Weltanschauung barocca ci limitiamo a segnalare J.A. Maravall, La cultura del Barocco, cit.; S. Sarduy, Barocco, cit. Inoltre cfr. i seguenti piu` recenti volumi: B. Pelegrı`n, Figurations de l’infini. L’aˆge baroque europe´en, cit.; A. Battistini, Il Barocco. Cultura, miti, immagini, cit. Su Leibniz e il Barocco, cfr.: G. Deleuze, La piega, Leibniz e il Barocco, cit.; D. Mahnke, Der Zeitgeist des Barocks in Leibnizens Gedankenwelt, in “Zeitschrift fu¨r deutsche Kulturphilosophie”, 1936, 2, pp. 95-126; H. Barth, Das Zeitalter des Barocks und die Philosophie von Leibniz, in Aa.Vv., Die Kunstformen des Barockzeitalters, Berna 1956, pp. 413-434; R. Assunto, Un filosofo nelle capitali d’Europa. La filosofia di Leibniz tra Barocco e Rococo`, in Infinita contemplazione, cit., pp. 9-88; M. Perniola, Che cos’e` il neobarocco filosofico, in “aut aut”, 1993, cit., pp. 145-157; Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit. Sul “neo-barocco” cfr. O. Calabrese, L’eta` neobarocca, Roma-Bari 1992; C. Buci-Glucksmann, La ragione barocca. Da Baudelaire a Benjamin, tr. it. di C. Gazzelli, Genova 1992. 3 Cfr. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 47 sgg.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
plus charge´s de matiere qui leur est propre; car celle qui passe a` travers des pores, ne recevant pas le meˆme mouvement, ne doit pas entrer en ligne de compte. C’est donc que la matiere est porte´e originairement a` la tardivite´, ou a` la privation de la vitesse; non pas pour la diminuer par soy meˆme, quand elle a de´ja rec¸u cette vitesse, car ce seroit agir, mais pour moderer par sa receptivite´ l’effect de l’impression, quand elle le doit recevoir. Et par consequent, puisqu’il y a plus de matiere mue par la meˆme force du courant lorsque le bateau est plus charge´, il faut qu’il aille plus lentement [GP VI, 119-120].
Un exemplum fictum tratto dalla fisica vale, con perfetto parallelismo, a illuminare un problema metafisico, quale quello dell’originaria limitazione inscritta nello statuto ontologico degli esseri creati, ed etico, quale quello del peccato. Si direbbe che l’immagine fluviale degli Essais rappresenti il punto di incontro tra la concezione della materia prima peculiare della fisica leibniziana (forza primitiva passiva, resistenza alla forza motrice) e quella propria della visione monadologica, costituita dalle percezioni minime che avvolgono, come zona oscura, caliginosa, lo spazio, il “dipartimento” appercettivo monadico. Al centro dell’exemplum fictum c’e`, in effetti, come si e` visto, la materia prima intesa come inerzia, resistenza che rallenta il corso dei natanti sul fiume. Ma seguiamo ancora l’esposizione leibniziana: Comparons maintenant la force que le courant exerce sur les bateaux, et qu’il leur communique, avec l’action de Dieu qui produit et conserve ce qu’il y a de positif dans les creatures, et leur donne de la perfection, de l’eˆtre, et de la force; comparons, dis-je, l’inertie de la matiere, avec l’imperfection naturelle des creatures, et la lenteur du bateau charge´, avec le defaut qui se trouve dans les qualite´s et dans l’action de la creature: et nous trouverons qu’il n’y a rien de si juste que cette comparaison. Le courant est la cause du mouvement du bateau, mais non pas de son retardement; Dieu est la cause de la perfection dans la nature et dans les actions de la creature, mais la limitation de la receptivite´ de la creature est la cause des defauts qu’il y a dans son action. Ainsi les Platoniciens, S. Augustin et les Scolastiques ont eu raison de dire que Dieu est la cause du materiel du mal, qui consiste dans le positif, et non pas du formel, qui consiste dans la privation; comme l’on peut dire que le courant est la cause du materiel du retardement, sans l’eˆtre de son formel, c’est a` dire, il est la cause de la vitesse du bateau, sans eˆtre la cause des bornes de cette vitesse. Et Dieu est aussi peu la cause di peche´, que le courant de la riviere est la cause du retardement du bateau. La force aussi est a` l’egard de la matiere, comme l’esprit est a` l’egard de la chair; l’esprit est promt et la chair est infirme, et les esprits agissent ... quantum non noxia corpora tardant [GP VI, 120-121].
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APPENDICE II
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E` la differenza di quantita` di materia prima, percio` la diversita` di peso, la causa del rallentamento dei natanti piu` carichi rispetto a quelli meno oberati? No, risponde Leibniz, cio` sarebbe vero se essi risalissero il fiume, invece che discenderlo. Non e` la pesanteur la causa del ritardo, piuttosto occorrera` dire che la matiere est porte´e originairement a` la tardivite´, ou a` la privation de la vitesse.
Quanto maggiore e` la massa di materia, la forza primitiva passiva, tanto minore e` la recettivita` alla forza motrice impressa dalla corrente. Dio, dunque, imprime a tutti i battelli la medesima forza – la corrente del fiume – ma alcuni procedono piu` lentamente: non, propriamente, a causa del peso – l’universale limitazione originaria – ma in ragione della diminuzione di recettivita` che dalla quantita` di materia risulta nella creatura, la quale, in effetti, n’en est perfectionne´e dans le cours ordinaire des choses qu’a` mesure de sa receptivite´, comme on l’appelle [GP VI, 121].
Una prima, fondamentale riflessione sulla natura del male si impone a partire da questo testo: una Ur-su¨nde, un peccato d’origine ontologico, sotto forma di materia prima, di passivita`, di inerzia, di resistenza alla recettivita`, segna di se´ ogni essere che viene in questo mondo, ogni creatura. Non solo qualificata dall’agere ma anche dal pati, non solo dalla forza attiva ma anche da quella passiva, che coesistono come la sistole e la diastole di un unico moto scandito dall’armonia prestabilita, la monade, «onnisciente ma confu4 samente» – come in un frammento del 1676 Leibniz annota –, mentre circoscrive attorno a se´ un dominio illuminato dove le percezioni sono chiare e dove prevale l’azione, appare avviluppata da una zona umbratile, mai pienamente signoreggiabile appercettivamente, immersa in un pulviscolo fibrillante di variazioni minime, di percezioni confuse, definita dalle passioni, vale a dire da un’inerzia metafisicamente concepita. Resta ferma, nella prospettiva additata dall’immagine della corrente e del battello, l’idea che il male metafisico non rappresenti un effetto reale prodotto dall’azione divina, ma costituisca essenzialmente una privazione derivante dalla limitazione originaria della creatura. L’ombra, al pari del freddo – spiega Leibniz in un altro passo della Teodicea –, per prodursi non 4 «Mihi videtur Omnem mentem esse omnisciam, [sed] confuse`», in Couturat, Opuscules et fragments ine´dits, cit., p. 10, oppure in A VI, 3, 524 (De plenitudine mundi ).
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ha bisogno di cause, di princı`pi, ma della loro assenza, della loro negazione. Come l’ombra e il freddo sono l’effetto della privazione di forze, altrettanto vale per il male nella sua accezione metafisica, definibile dunque – contra Manichaeos – come defectus costitutivo dell’essenza degli esseri creati: L’explication de la cause du mal par un principe particulier, per principium maleficum, est de la meˆme nature. Le mal n’en a point besoin, non plus que le froid et les tenebres: il n’y a point de primum frigidum, ny de principe des tenebres. Le mal meˆme ne vient que de la privation; le positif n’y entre que par concomitance, comme l’actif entre par concomitance dans le froid [GP VI, 201].
Affidiamo a G. Deleuze la descrizione del regime ontologico della monade, al quale appartiene costitutivamente il negativo: Il chiaro non smette d’immergersi nell’oscuro. Il chiaroscuro riempie la monade seguendo una serie che si puo` percorrere nei due sensi: a una estremita` lo scuro fondo, all’altra la luce sigillata; quest’ultima, quando si illumina, produce il bianco nel quartiere riservato, ma il bianco si ombreggia sempre piu`, fa posto allo scuro, ombra sempre piu` spessa, a mano a mano che si espande verso il fondo scuro di tutta la monade. Al di fuori della serie, noi abbiamo da una parte Dio, che ha detto che la luce sia fatta, e con essa il bianco-specchio, ma dall’altra parte le tenebre o il nero assoluto, consistenti in un’infinita` di buchi che non riflettono piu` i raggi ricevuti, materia infinitamente spugnosa e cavernosa fatta di tutti quei buchi in una progressione infinita5.
A tracciare un solco incolmabile tra Leibniz e le Lumie`res, tra Leibniz e la sua caricatura illuminista Pangloss – con buona pace di Voltaire, il quale, almeno rispetto al filosofo della Monadologia, sembra meritare la critica 6 mossagli da Baudelaire di «pigrizia» e di «odio per il mistero» – e` proprio, come nota ancora Deleuze, un diverso regime della luce. In luogo della terra interamente illuminata – nel cui bagliore accecante non e` detto non allignino nuovi demoni e miti, e non si mostri quell’«aspetto satanicamente deformato che le cose e gli uomini hanno assunto alla luce chiara della 7 conoscenza spregiudicata» denunciato da Horkheimer e Adorno – sta in 5
G. Deleuze, La piega, cit., p. 49. Cfr. C. Baudelaire, Il mio cuore messo a nudo, in Opere, a cura di G. Raboni e G. Montesano, Milano 1996, p. 1427. 7 L’allusione, naturalmente, e` relativa all’opera di M. Horkheimer – T.W. Adorno, Dialettica dell’illuminismo, tr. it. di R. Solmi, Torino 1980, dove Leibniz figura, insieme a 6
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Leibniz l’irriducibile spazio “barocco” chiaroscurale che avvolge la monade, quel fondo umbratile, ermetico di percezioni minime da cui, come un soggetto di un dipinto di Caravaggio o di Rembrandt, essa ex-siste: ex-siste proprio nel senso etimologico del “venir fuori”, dello “sporgere”, caro all’esistenzialismo contemporaneo, assecondato del resto dalla terminologia leibniziana, che parla, a proposito del “meccanismo metafisico” che presiede alla creazione, di “esigenza” o “pretesa” di “esistere” propria delle 8 essenze, ovvero di un loro «tendere ad existentiam» [GP VII, 303] . La monade dunque “sporge”, si stacca dal buio, si fa largo entro un’oscurita` cavernosa, caliginosa fino alla tenebra, o via via diradantesi verso la luce, coincidente comunque con la radicalita` ineliminabile del male. Tanto che Bertrand Russell rileva opportunamente: Dio potrebbe privare una monade della materia secunda, ossia dell’insieme di monadi che ne costituiscono il corpo; ma non potrebbe privare una monade della materia prima, senza la quale la monade sarebbe un actus purus, in altre parole Dio stesso9.
In effetti, nella prospettiva metafisica leibniziana, un processo estensivo e irradiante di dispiegamento che annullasse completamente, entro lo spazio monadico, l’avvolgente oceano oscuro delle percezioni minime, non e` pensabile. Che accadrebbe – chiediamo – se d’un tratto tutte le monadi si illuminassero secondo la totalita` delle loro pieghe? Sarebbe l’apokatastasis panton di origeniana memoria, sarebbe la fine dei tempi, il nunc stans del Dio «tutto in tutti» (1 Cor., 15, 28). O, come si legge nella Teodicea, l’anima priva di piccole percezioni sarebbe una divinita`. Oppure, ancora, per dirla con V. Mathieu, l’anima sarebbe annientata «perche´ verrebbe annullata 10 quella particolarita` senza la quale la creatura non esiste» . Non c’e` neppure Cartesio, come anticipatore della razionalita` kantiana e delle sue connessioni sistematiche (ivi, p. 87). 8 Una rilevante disamina del significato di “esistenza” e “vis ad existentiam” nel contesto dell’atto creativo di Dio e` quella di M. de Gaudemar, Leibniz de la puissance au sujet, cit., p. 41 sgg. Sul concetto di esistenza in Leibniz si vedano anche: A. Robinet, Leibniz e la racine de l’existence, cit.; V. Mathieu, Introduzione a Leibniz, cit., pp. 65 sgg.; A. Balestra, Leibniz’Existenzbegriff, als Grenzfall des Rationalita¨tsparadigma, in Nihil sine ratione. Mensch, Natur und Technik im Wirken von G.W. Leibniz. VII. Internationaler Leibniz-Kongreß, hrsg. von H. Poser, Vortra¨ge 1. Teil, cit., pp. 66-71. 9 B. Russell, La filosofia di Leibniz, cit., p. 239. 10 Cfr. V. Mathieu, La conciliazione di fede e ragione punto culminante della riflessione leibniziana. Saggio introduttivo a Saggi di Teodicea sulla bonta` di Dio, sulla liberta` dell’uomo, sull’origine del male, a cura di V. Mathieu, Cinisello Balsamo (Mi) 1994, p. 56.
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11 bisogno di attendere il tardo frammento sull’Apokatastasis del 1715 per intuire che un simile approdo e` incompatibile coi principi metafisici leibniziani, in primis con la legge di continuita`, che implica l’idea di un progresso infinito nella monade come nell’universo, specchio, del resto, l’una dell’altro. No, i battelli di Leibniz non ambiscono affatto a imitare un altro celebre simbolico “battello”: il Bateau ivre di Arthur Rimbaud. Questo, in effetti, mira a ben altro che a trasportare cotone, grano, caffe`, o qualsivoglia altro carico seguendo le tranquille rotte usuali e approdando, alla fine, a sicuri porti: brama piuttosto a inseguire le chimere di indicibili Eldoradi, ad abbandonarsi alla deriva in balia dei flutti, ad affrancarsi da ogni peso danzando sulle acque «piu` lieve di un sughero» («Plus le´ger qu’un bouchon j’ai danse´ sur les flots»), a smarrire, insieme all’orientamento, al carico e all’equipaggio, ogni memoria della sua componente ctonia librandosi misticamente nell’uranico:
Et de`s lors, je me suis baigne´ dans le Poe`me De la Mer, infuse´ d’astres, et lactescent, De´vorant les azurs verts; ou`, flottaison bleˆme Et ravie, un noye´ pensif parfois descend; Ou`, teignant tout a` coup les bleuite´s, de´lires Et rhythmes lents sous les rutilements du jour, Plus fortes que l’alcool, plus vastes que nos lyres, Fermentent les rousseurs ame`res de l’amour!
Nessun «de´re`glement de tous les sens» (Rimbaud, Lettre du voyant), nessuna orfica elusione in cui sia sospesa, o obliterata, la materialita`, la corporeita`, la finitudine delle sostanze costitutive dell’universo e` dato cogliere nella visione metafisica leibniziana, nella quale neppure i Genii, gli angeli, sono senza un corpo. Non ci si “strappa” dal corpo, dalla nostra parte oscura, piuttosto ogni verita` deve essere faticosamente sottratta alla zona caliginosa che l’avvolge, per procedere verso il nitore delle verita` necessarie ed eterne scolpite a priori nella ragione. E`, d’altronde, principalmente attraverso le indagini sulla materia, sul continuum e i suoi labirinti, nonche´ sulla dinamica, che Leibniz perviene a postulare la monade – rivisitazione delle antiche “forme sostanziali” – come “collante” e forza 11 Su questo scritto leibniziano, spesso richiamato nel corso del presente lavoro, rinviamo all’analisi contenuta nel capitolo quarto.
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originaria capace di conferire unita` ai corpi. La cui divisione non e` quella dell’atomistico pulviscolo di sabbia ma quella del foglio di carta, o della tunica, intramati di pieghe che vanno all’infinito, come e` dato leggere nel dialogo Pacidius Philalethi (29 ottobre-10 novembre 1676; cfr. A VI, 3, 528-571). E` in tal modo – distinguendo il continuo ideale, o matematico, dal continuo reale, o contiguo di parti o pieghe, la divisibilita` all’infinito del primo dalla divisione in atto in infinite parti del secondo – che Leibniz ritenne di aver trovato la via d’uscita dai paradossi di Zenone, da quel «pezzettino di tenebra greca»12 i cui labirinti hanno irretito uno degli scrittori piu` “zenoniani” e “leibniziani” del Novecento, J.L. Borges, e dai quali il filosofo seicentesco ritenne di essersi affrancato. E` per questo che – come ha osservato P. Zellini nella sua Breve storia dell’infinito, libro amato da un altro scrittore contemporaneo memore di Leibniz, Italo Calvino13 – mentre per Borges l’infinito e` il vero assoluto male metafisico, il filosofo di Hannover poteva rovesciare tale prospettiva, risalente al mondo greco, e affermare, proprio agli antipodi da Aristotele, che «la natura fa intervenire l’infinito in tutto cio` che fa»14.
12
Cfr. J.L. Borges, La perpetua corsa di Achille e della tartaruga, in Discussione, ora in TO I,
385. 13 Cfr. I. Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio (1988), Milano 1993, dove si legge: «Tra i libri italiani degli ultimi anni quello che ho piu` letto, riletto e meditato e` la Breve storia dell’infinito di Paolo Zellini ... che si apre con la famosa invettiva di Borges contro l’infinito ...» (pp. 77-78). Su Calvino si sofferma R. Cristin in La camera oscura. Implicazioni e complicazioni del soggetto in Leibniz, in “aut aut”, 1993, cit., p. 172 sgg., e in Monadologische Pha¨nomenologie – Wege zu einem neuen Paradigma?, in R. Cristin/K. Sakai (Hg.), Pha¨nomenologie und Leibniz, Mu¨nchen 2000, p. 223 sgg., nonche´ R. Fabbrichesi Leo, Leibniz: monade e armonia, Milano 1998 (rifluito in Id., I corpi del significato. Lingua, scrittura e conoscenza in Leibniz e Wittgenstein, Milano 2000). Sul libro di Zellini e Calvino cfr. anche F. Serra, Calvino e il pulviscolo di Palomar, cit., p. 150, nota. 14 Cfr. P. Zellini, Breve storia dell’infinito, cit., pp. 11 e 150 sgg. V. anche per spunti su Borges e Leibniz A. Sani, Infinito, cit. Sull’infinita` come fattore costitutivo della natura Leibniz si sofferma nella lettera a G. F. des Billettes del 15/25 marzo 1697, in A I, 13, 656.
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2. – L’origine del male, Dio e il migliore dei mondi possibili. Il rapporto tra il male metafisico e il male morale e fisico Il migliore dei mondi possibili implica dunque per necessita` – veramente singolare principio di ottimismo, quello leibniziano! – il limite della materia prima (male metafisico come potenza primitiva passiva) e, con essa, cio` che positivamente puo` conseguire nell’esistenza umana come peccabilita` (male morale) e morbilita`, dolore, miseria (male fisico), secondo la tripartizione categoriale che Leibniz accoglie dalla tradizione rivisitandola. Nascere significa essere inseriti entro un contesto cosmico segnato da una strutturale limitazione, o imperfezione, che il filosofo di Hannover pensa nella figura della potenza primitiva passiva, e sa cogliere in tutto l’arco delle sue possibili conseguenze, morali e fisiche. L’ontologicita` del male come originaria privazione trae la sua sorgente da quella regione dei Possibili – vero Ursprung del male che Leibniz mette al posto della materia platonica del Timeo – che ha fondamento nell’intelletto divino, e che Dio stesso deve accettare come una sorta di necessita`: Nous avons de´ja montre´ que cette source se trouve dans les formes ou ide´es des possibles ... seule chose que Dieu n’a point faite, puisqu’il n’est point auteur de son propre entendement [GP VI, 341].
Il rifiuto della tesi cartesiana per la quale Dio crea le verita` intelligibili equivale alla volonta`, da parte di Leibniz, di stornare l’idea, a suo avviso teologicamente ed eticamente esiziale, di un Dio sovrano dispotico – o addirittura gnosticamente “maligno” o “trompeur” – che crea mediante decreti arbitrari, anziche´ riconoscere la bonta` e la giustizia in se´. Il mondo, per Leibniz, che anche in cio` persegue l’idea di un cristianesimo liberale, razionale e universale, non e` buono in quanto creato da Dio, ma Dio lo ha scelto in quanto intrinsecamente buono, e in questa autentica Kehre logico15 ontologica sta la Iustitia Dei . D’altra parte, concepire l’atto creativo come volonta` di conferire esistenza – dunque forza d’azione, potenza d’agire – a quei possibili rivelatisi come compossibili, come la migliore serie, significa per Leibniz eludere la 15
Su questo tema, testo esemplare appare la lettera su Descartes a Christian Philipp del gennaio 1680, contenuta in A II, 1, 505-508. Sul rapporto tra Leibniz e Cartesio, resta fondamentale lo studio di E. Cassirer Cartesio e Leibniz, cit. Inoltre, di grande rilievo e` Y. Belaval, Leibniz critique de Descartes, cit.
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visione spinoziana di un universo che si svolge per necessita` dalla potenza divina. Cosı`, se per un verso il Dio di Leibniz non puo` che identificarsi con il Principio buono, che decide secondo principi razionali condivisi dalla ratio umana, specchio di quella divina, per l’altro sa trascendere il “narcisismo” del Dio spinoziano, creando qualcosa che non sia il proprio duplicato, il Medesimo della propria Vollkommenheit, ma Altro da se´. Tale e`, per Leibniz, l’amore di Dio, la fondamentale Gabe che sostanzia l’atto creativo, la cui poieticita` non e` riducibile a un calcolo di ottimizzazione di stampo mercantilistico o proto-capitalistico, per la stessa ragione per la quale il principio di ragione non appare riducibile ai princı`pi di identita`/noncontraddizione. Circa il limite intrinseco agli esseri creati – l’ombra che li accompagna, la loro partecipazione al nulla – nel Giardino dell’Eden gia` operava questa limitazione ontologica, tanto che se il primo uomo ha potuto cedere all’“Eritis sicut dii” del serpente, e` perche´ la sua libera volonta` ha assecondato la china di quell’originario “non plus ultra” inscritto nella sua natura. In effetti, un moto di inesausto risalimento – nella forma tipicamente leibniziana del principium reddendae rationis – agli Urspru¨nge del male guida la ragione oltre la narrazione biblica della caduta originaria, che non placa la domanda sull’unde malum? e che costringe a scavare, dietro il «pe´che´ originel», l’abisso di una «imperfection originaire». L’anteriorita` di quest’ultima rispetto al peccato adamitico fa, certo, di essa una sorta di struttura trascendentale, di condizione che rende possibili (dunque non necessari), come effetti positivi che accidentalmente discendono da quella potenza di negazione, il male morale e il male fisico. «Peccables ou capables de manquer», infatti, Leibniz definisce nel Discours de Me´taphysique gli uomini in seguito alla «limitation ou imperfection originale connaturelle a` toutes les 16 creatures» . Quei mali, dunque, non sono riducibili al male metafisico ma, pur rinvenendo in questo il loro presupposto, postulano un ulteriore fattore di natura positiva (la libera volonta`, una circostanza concreta) per attualiz17 zarsi . 16
Cfr. A VI, 4 B, 1577. Una sintetica esposizione del concetto leibniziano di peccato originale si trova in G. Minois, Les origines du mal. Une histoire du pe´che´ originel, Paris 2002, pp. 186-190. Una storia culturale dell’idea di peccato nell’eta` moderna e` inoltre quella di J. Delumeau, Il peccato e la paura. L’idea di colpa in Occidente dal XIII al XVII secolo, tr. it. di N. Gru¨ber, Bologna 1987. Ricco di suggestioni e` anche F. Ohly, Il dannato e l’eletto. Vivere con la colpa, tr. it. M.A. Coppola, Bologna 2001. 17 Ha chiarito questo punto cruciale, nonche´ le ambiguita` di alcuni testi leibniziani A. Poma in Impossibilita` e necessita` della teodicea, cit., p. 189 sgg.
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Cosı`, negando a ogni essenza l’infinita` e circoscrivendo attorno ad essa una “siepe” limitante di negazioni, una zona d’ombra che ne sigilla la finitudine, Dio, Ens existentificans, assoluta positivita` ontologica, ha creato il mondo – costituito, in questo senso, di perfezioni e privazioni, di positivo e negativo, di essere e non-essere, di luci e ombre – soppesando in ogni essenza la componente positiva e quella privativa, e facendo passare all’esistenza quelle “compossibili”, la cui combinazione determinasse la massima quantita` di possibilita`. Solo entro questa “gara” tra i possibili, il mondo e il male in esso incluso ricevono senso e giustificazione. Ma, se la concorrenza tra i possibili e` certo “il perno della soluzione [leibniziana] del problema del 18 male” – come scrive Russell – lo e` secondo una modalita` assai meno tranquillizzante e razionalisticamente trasparente di quanto si sia normalmente pensato. L’essenza, in quanto strutturalmente dotata di vis ad existentiam e chiamata a esistentificarsi, resta infatti sospesa – «arrischiata» scrive 19 rilkeanamente Massimo Cacciari – al filtro di un meccanismo metafisico la cui logica resta, a parte hominis, ultimamente misteriosa e che, d’altronde, nell’economia leibniziana, appare essenziale. La soluzione opposta, infatti aprirebbe la via alla coincidenza tra spinozismo e nichilismo. Che accadrebbe, infatti, se tutti i mondi venissero simultaneamente all’essere? Si vedrebbe avverata una fantasia metafisica di Borges: alludiamo al racconto dai toni poliezieschi e dai risvolti metafisici Il giardino dei sentieri 20 che si biforcano , perfetto rovescio speculare di un “altro” racconto metafisico, quello che chiude i Saggi di Teodicea. Qui, Teodoro vede, nel palazzo dei destini, la piramide dei mondi esistenti solo in mente Dei, nello scrittore argentino e` rinvenibile l’esecuzione del pensiero piu` radicalmente rifiutato da Leibniz: la compossibilita` degli incompossibili, divenuta, nel nichilistico pluriverso borgesiano, il labirinto di tempi e universi paralleli. Il mondo reale, in tale prospettiva, si moltiplica nell’abisso dei Possibili, che per Leibniz viveva solo nella Mente divina, generando un intreccio di spazi e tempi che si rifrangono come in un gioco di specchi in cui ogni possibile Grund e ogni possibile Rechtfertigung si inabissano. Il Giardino di Borges, dunque, prende il posto dell’intelletto divino e attualizza quel pluriverso di mondi che in Leibniz restava nel regno dei Possibili. Se possibile e reale coincidessero perfettamente, infatti, per il filosofo 18
B. Russell, La filosofia di Leibniz, cit., p. 121. Cfr. M. Cacciari, La goccia di Leibniz, in Id., Icone della legge, cit., p. 269. 20 Cfr. Borges, Il giardino dei sentieri che si biforcano, in Finzioni, TO I, 690-702. Rinviamo, per il senso di questo racconto, all’Appendice al capitolo primo dove sviluppiamo il parallelo con il finale dei Saggi di Teodicea. 19
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hannoverese nessuna giustificazione del male sarebbe piu` praticabile, perche´ dominerebbe la piu` assoluta confusione tra il male stesso e il bene, quella che per Leibniz regna in effetti nella filosofia spinoziana, benche´ il pensatore dell’Ethica e del Tractatus tenti di mostrare – in particolare nel carteggio con G. de Blyenberg – l’esistenza nel suo pensiero di un criterio 21 per sceverare virtu` e vizio, il parricidio di Nerone dal matricidio di Oreste . Scrive in questo senso Leibniz annotando l’Epistola LXXV di Spinoza a Oldenburg: Si omnia necessitate quadam ex divina natura emanant, omniaque possibilia etiam existunt, aeque facile male erit bonis ac malis. Tolletur ergo moralis philosophia [A VI, 3, 365].
Il mondo e non piu` Dio – stante l’ipotesi formulata per assurdo – diverrebbe oggetto della prova ontologica, perche´ il cosmo, in quanto Assoluto che esaurisce al suo interno tutte le riserve di possibilita` e di perfezione, non potrebbe che esistere necessariamente. Proprio questa identita` di panteismo (spinozismo) e nichilismo, Leibniz ha cercato in ogni modo di eludere mediante la strategia metafisica dello scarto tra reale e razionale, la stessa che fonda la contingenza: solo se tutto cio` che e` reale e` razionale, ma non tutto cio` che e` razionale e` anche reale, e` possibile salvare la contingenza degli enti e il suo principio, quello di ragion sufficiente, che infatti fonda cio` il cui contrario e` sempre possibile.
3. – Vanificazione del male e irragionevole ottimismo? Alcune prospettive di ermeneutica leibniziana Tale e` dunque, alla fine, la risposta leibniziana all’interrogativo ripreso dal De consolatione philosophiae di Boezio: si Deus est, unde malum? Si non est, unde bonum?, e agli sgomentanti dilemmi della teologia cristiana che P. Bayle, il grande antagonista degli Essais de The´odice´e, pensatore esasperato come pochi altri dallo scandalo del male operante nel cosmo e nella storia, nella voce Pauliciani del Dictionnaire historique et critique aveva espresso in termini classici riferendo le parole di Epicuro tratte dal De ira Dei di
21 Le otto lettere che compongono tale carteggio – quattro di Spinoza e quattro di Blyenberg – si possono leggere in B. Spinoza, Epistolario, cit., tra p. 103 e p. 158.
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22 Lattanzio , uno dei piu` antichi testi, insieme al Libro di Giobbe, sulla teodicea, capace di confermare – come ha scritto Giovanni Moretto – che
tra la teodicea – intesa nella pluralita` delle sue figure e nell’unita` e universalita` del suo obiettivo – e il pensiero umano esiste un’ineludibile coessenzialita`23. La reponse est – scrive dunque Leibniz –, qu’elle [la source du mal] doit eˆtre cherche´e dans la nature ideale de la creature, autant que cette nature est renferme´e dans les verite´s eternelles qui sont dans l’entendement de Dieu, independamment de sa volonte´ [GP VI, 114-115].
Se Dio puo` essere “esonerato” – di “esoneri” parla Odo Marquard a 24 proposito della logica immanente alle moderne teodicee – dall’accusa di avere creato il male, e` perche´ la causalita` ideale, o formale, del male metafisico, che trae origine dall’intelletto divino come regione delle verita` eterne, non e` efficiente, ma deficiente, come Leibniz ripete con “gli scolastici”. E, quanto al male fisico e morale, Dio non vuole queste figure del male, solo ne permette l’esplicazione alla luce della sua “volonta` conseguente”, la quale, al contrario di quella “antecendente” che desidera il bene in assoluto, ricerca il meglio, consentendo il verificarsi della minima quantita` di male necessaria per attingere il massimo possibile di bene: Dieu fait de la matiere la plus belle de toutes les machines possibles; il fait des Esprits le plus beau de tous les gouvernements concevables; et par dessus tout cela, il etablit pour leur union la plus parfaite de toutes les harmonies, suivant le systeme que j’ay propose´. Or puisque le mal physique et le mal moral se trouvent dans ce parfait ouvrage, on en doit juger ... que sans cela un mal encor plus grand auroit ete´ tout a` fait inevitable [GP VI, 182-183].
Nella leibniziana teodicea, che e` insieme una logodicea, contro il credo 22
Cfr. P. Bayle, Dizionario storico-critico, cit., vol. I, p. 38. Ha scritto giustamente G. Cantelli che «il problema del male costituisce il tessuto connettivo di tutto il pensiero di Bayle, il centro naturale intorno a cui si vengono a disporre e scoprono il loro complesso significato le sue tesi piu` diverse, sostenute a distanza di anni le une dalle altre» (Cantelli, Teologia e ateismo. Saggio sul pensiero filosofico e religioso di Pierre Bayle, Firenze 1969, p. 270). 23 G. Moretto, Giustificazione e interrogazione, cit., p. 99. Sottolinea la convergenza sul problema della teodicea della tradizione filosofica greca e di quella biblica anche G. Cunico in Da Lessing a Kant, cit., p. 136 sgg. 24 Cfr. O. Marquard, Esoneri. Motivi di teodicea nella filosofia dell’epoca moderna, in Id., Apologia del caso, tr. it. di G. Carchia, Bologna 1991, pp. 93-115.
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quia absurdum di Bayle dissolutivo di ogni fiducia che la ragione possa esercitare qualche difesa di Dio contro l’evidenza del male, e` difficile non vedere il principio del meglio, con la sua singolare attitudine a migliorarsi, come il succedaneo dell’Agathon platonico, congedato dalle insanabili lacerazioni della modernita`, quasi fosse quel “raggio obliquo” che si tratta di ghermire nel ritrarsi del sole (dell’Agathon, appunto, secondo la celebre metafora della Repubblica), di cui Baudelaire ha scritto nella lirica delle 25 Fleurs du Mal intitolata Le Coucher du soleil romantique . A tal punto, dunque, nel pensiero leibniziano, il male e` questione di Dio! Non soltanto perche´ esso trae origine dall’intelletto divino, ma anche perche´ – come ha icasticamente scritto J. Ortega y Gasset, per quanto forse con eccessiva risonanza gnostica che si adatterebbe meglio a Bayle – Leibniz vedeva Dio in quanto sagesse et bonte´ lottare contro la malvagita` dell’essere che gli mostrava l’entendement. La lettura della Teodicea lascia nella mente questa conseguenza: tanto e` malvagio l’essere che neppure Dio stesso ha potuto contrastarne pienamente la malvagita` e ha dovuto scendere a patto con esso per evitare un male maggiore26.
Ma l’accettazione entro l’esistente della necessita` del male metafisico come semplice imperfezione e della possibilita` di quello fisico e morale non equivale, come e` stato ampiamente sostenuto da Voltaire in poi, a una “naturalizzazione”, a un “addomesticamento” del male stesso, cosı` docilmente incorporato, accolto di buon grado e senza troppo scandalo entro la structura mundi? E` quel che, tra i tanti, ha sostenuto nel Novecento autorevolmente e paradigmaticamente Karl Barth, il quale, nella Kirchliche Dogmatik III, 3, § 50 (Gott und das Nichtige), nel riprendere l’immagine precedentemente evocata del battello degli Essais de The´odice´e, scrive: In realta`, esiste in Leibniz non tanto il Niente (das Nichtige), quanto soprattutto il nulla (das Nichts), vale a dire l’assenza di qualcosa: l’assenza della perfezione divina, e, in conseguenza di cio`, il dolore, il non-bene (das Nicht-Gute), cosı` come, nella forma della morte, una potente contrazione dell’esistenza creata, che non puo` tuttavia essere annientata ne´ estinta. Il Niente, in Leibniz, non possiede, ne´ opera alcunche´: e` solo una mancanza.
25 26
Cfr. C. Baudelaire, Il tramonto romantico, in Opere, cit., pp. 276-277. J. Ortega y Gasset, Idee per una storia della filosofia, cit., p. 325.
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Non possiede ne´ rappresenta una potenza annientatrice e divoratrice. In nessun modo potrebbe scatenarsi contro Dio, minacciare il mondo, costituire una «posizione negativa». E` privo di intenzione e di movimento. Non puo` offendere Dio. Non puo` dominare ne´ asservire alcuno. Non puo` fare schiavo o vittima nessuno. Non fa in generale nulla. Non possiede che la forza d’inerzia e, dunque, agisce affinche´ le navi piu` pesanti di altre procedano piu` lentamente sullo stesso fiume. Poco importa, poiche´ tutte sono sulla medesima rotta27.
Opportunamente Barth, nel corso della sua disamina dedicata al pensatore della Teodicea, connette il concetto leibniziano di male come privazione alla tradizione agostiniana: Leibniz l’ha ripreso da Agostino: Malum est privatio boni. Era il carattere puramente negativo, dunque la nullita` (die Nichtigkeit) del male, della tribolazione, della morte, il loro carattere di contraddizione in se´, oltre che rispetto al Creatore e alla creatura, cio` che Agostino intendeva, assai giustamente, additare attraverso questo concetto. Privazione significa, in Agostino, corruptio o conversio boni: non solo assenza, ma anche attacco rivolto a quanto esiste28.
Ma, ad avviso del teologo del Ro¨merbrief, la privatio leibniziana, perso il suo carattere aggressivo, polemico, finisce per coincidere con la pura negazione: Ora, in Leibniz, cio` che in Agostino e` privazione e` divenuto pura negazione: designa, cioe`, l’imperfezione della creatura, consistente nel fatto che essa non e` Dio ne´ possiede, pertanto, le sue proprieta`29.
L’approdo, appunto, corrisponderebbe a un “addomesticamento” (Domestizierung) del male: addomesticamento in cui non solo i lupi abitano con gli agnelli, secondo la profezia di Isaia 11, 6, ma dove essi stessi sono divenuti semplici agnelli30.
27 K. Barth, Dio e il Niente, tr. it. di R. Celada Ballanti, Brescia 2000, p. 73. Il testo contiene la traduzione del § 50 della Kirchliche Dogmatik, III, 3, dal titolo Gott und das Nichtige, Zu¨rich 1950 (nuova ed. 1992). 28 Ivi, pp. 71-72. 29 Ivi, p. 72. 30 Ivi, p. 71.
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Nella lettura barthiana riecheggia, certo, una lunga tradizione che da Voltaire arriva fino a Schopenhauer, a Bergson e a numerosi altri interpreti contemporanei. Scrive Schopenhauer – pronto, per altro verso, a riconoscere il debito che la sua filosofia del Wille ha con l’idea di monade come forza e attivita` – in un passo del Mondo come volonta` e come rappresentazione: Prendiamo il piu` ostinato degli ottimisti, facciamogli fare un pellegrinaggio attraverso gli ospedali, i lazzaretti e gli ambulatori chirurgici: attraverso le prigioni, le camere di tortura e gli ergastoli; sui campi di battaglia, e sui luoghi di supplizio; schiudiamogli i tetri tuguri ove la miseria si nasconde agli sguardi dei curiosi indifferenti: facciamolo entrare nella prigione del conte Ugolino, nella torre della fame; egli finira`, senza dubbio, per comprendere di che razza sia questo meilleur des mondes possibles31.
Ne discende un pesante sarcasmo che sfida, per acrimonia, quello voltairiano: Un argomento frequentemente ripetuto dal Leibniz per giustificare il male esistente nel mondo e` che un male e` spesso causa di un bene: un esempio di cio` ci e` fornito dal suo stesso libro; poiche´ esso e` in se´ cattivo, ma ha avuto il grande merito di aver piu` tardi porto l’occasione a Voltaire di scrivere il suo immortale romanzo Candide32.
E in modo non dissimile Henri Bergson annota nelle Due fonti della morale e della religione: In breve, sarebbe facile aggiungere qualche paragrafo alla teodicea di Leibniz. Ma non ne abbiamo affatto voglia. Il filosofo puo` compiacersi di speculazioni di questo genere nella solitudine del suo studio; che cosa penserebbe davanti ad una madre che ha visto morire il suo bambino? La sofferenza e` una terribile realta`, ed e` un ottimismo insostenibile quello che definisce a priori il male, anche ridotto a cio` che e` effettivamente, come una diminuzione di bene33. 31
A. Schopenhauer, Il mondo come volonta` e rappresentazione, cit., p. 366. Id., Morale e religione, da “Parerga e Paralipomena” e Frammenti postumi, tr. it. di P. Martinetti, Milano 1981, p. 203. Prende le mosse da questo testo schopenhaueriano H. Poser in Die beste der mo¨glichen Welten? Ein topos Leibnizscher Metaphysik im Lichte der Gegenwart, in Aa. Vv., Leibniz: Le meilleur des mondes. Table ronde organise´e par le Centre National de la recherche scientifique, Paris, et la Gottfried-Wilhelm-Leibniz-Gesellschaft, Hannover, Domaine de Seillac (Loir-et-Cher), 7 au 9 juin 1990, Stuttgart 1992, pp. 23-36. 33 H. Bergson, Le due fonti della morale e della religione, tr. it. di M. Vinciguerra, Milano 1973, p. 222. 32
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Ma la privatio o negatio con cui Leibniz, certo in sintonia con la tradizione neoplatonico-agostiniana, legge il male, e` cosı` inoffensiva e affatto minacciosa come Barth pensa? Hanno ragione i Voltaire, gli Schopenhauer, i Bergson, ad accusare Leibniz di irreligioso ottimismo che tutto spiega e che appare disposto a chiudere gli occhi sull’horror mundi contro ogni etica ragionevolezza? Il terremoto di Lisbona ha davvero travolto, insieme a uomini e cose, anche la filosofia di Leibniz? L’intensita` di interesse che la multiforme ricerca leibniziana ha suscitato lungo tutto il Novecento e continua a suscitare, non depone d’altronde contro quelle sentenze di morte o di obsolescenza? Certo, dove la risposta leibniziana all’unde malum? sia letta – piuttosto che come cifra della coscienza e della sensibilita` barocche, attratte dai chiaroscuri, dal virtuale, dall’indefinito – con antistorico Vorurteil illuminista, cio` che nel fulgore delle Lumie`res rischia di riuscire deformato e` proprio la specificita` della “res de qua agitur” propria del pensiero leibniziano. Sottratto a quei chiaroscuri, a quelle notturne sfumature barocche, le cui “pieghe” forse celano l’essenziale, Leibniz assume i tratti grotteschi di Pangloss. Cioe` non e` piu` Leibniz. Succede, d’altronde, come per l’opera divina: distinguere due foglie, due gocce d’acqua, come talora il pensatore invitava a fare i suoi sconcertati interlocutori nei giardini per dimostrare il principio degli indiscernibili, e` questione di nuances, di differenze impercettibili, di sottigliezze che sfidano i nostri sensi. Ma in esse – Leibniz l’ha insegnato – si nasconde l’essenziale. Qui, come ovunque del resto, vale che l’attingimento della Sache di un autore esige il rispetto della storicita` autentica – di una Historie disposta a farsi Geschichte – e, intimamente annodata ad essa, la capacita` di oltrepassare – verso la Sache stessa – i limiti della Begrifflichkeit autorale. Dove, in questo senso, sotto la pletora barocca di princı`pi, di concetti, sia colto essenzialmente un ampolloso e pretenzioso razionalismo in luogo dell’assillo di una coscienza che si avverte insidiata con intensita` ignota ai secoli precedenti dalle ombre del negativo, che sente lo stridı`o di un universo pericolante, prossimo al crollo, che ode tormentosamente sussurrata la mortifera tentazione di Sileno (me phynai), che sotto la fine della ragione classica e teologica sente il deserto avanzare e risponde moltiplicando la produzione concettuale, e` inevitabile che Leibniz sia relegato nel sottoscala di un causidico cinismo metafisico insensibile alla sofferenza umana pur di portare argomenti alla causa di Dio. A pochi pensatori come a Leibniz, in questo senso, parrebbero calzare a pennello le parole di F. Schiller rivolte nelle Lettere sull’educazione estetica dell’uomo al “pensatore astratto” e agli esiti del predominio, in lui, della facolta` analitica:
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Il pensatore astratto ha, percio`, molto spesso un cuore freddo, per il fatto che analizza le impressioni che invece commuovono l’animo unicamente come un tutto34.
Ma la presunta razionalistica astrattezza si dissolve, o quanto meno attenua la sua freddezza, dove sia avvertito pulsare, sotto le articolazioni categoriali, l’inquietum cor che sempre alimenta l’autentico pensiero, dove si presti orecchio, anziche´ alla “soluzione”, all’esigenza ultimamente allusa che ha sollecitato l’elaborazione teorica e la costruzione concettuale, cosı` singolarmente vivace e “fantasiosa” in Leibniz. E` cosı`, dove lo sguardo si orienti dalla “risposta” alla “domanda”, che il filosofo seicentesco puo` passare dalla scomoda prossimita` agli amici teologi di Giobbe, forti della loro teodicea dottrinale, a una sostanziale vicinanza alla teodicea pratica di Giobbe stesso, che alla giustizia retributiva accampata dai falsi difensori di Dio privilegia l’imperscrutabilita` dei disegni divini, a noi noti solo «per speculum in aenigmate» (1 Cor., XIII, 12). Scrive con simile sensibilita` ermeneutica Deleuze: La giustificazione di Dio di fronte al male e` sempre stata sicuramente un luogo comune della filosofia. Ma il Barocco e` un lungo momento di crisi, dove la consolazione ordinaria non vale piu`. Si produce un crollo del mondo, di modo che l’avvocato deve ricostruirlo, esattamente lo stesso, ma su un’altra scena a confronto con nuovi principi capaci di giustificarlo (da cio` deriva la giurisprudenza). All’enormita` della crisi deve corrispondere un’esasperazione della giustificazione: il mondo deve essere il migliore, non soltanto nel suo insieme ma in tutti i dettagli o in tutti i suoi casi35.
34
F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo. Callia o della bellezza, a cura di A. Negri, Roma 1993, p. 129. 35 G. Deleuze, La piega, cit., pp. 103-104. L’idea che la storia della filosofia abbia, nel suo corso, elaborato concetti dotati di una funzione eticamente e religiosamente giustificativa e, in certo modo, “soteriologica” rispetto al male irredimibile riecheggia densamente e finemente nel pensiero di A. Caracciolo, e se ne puo` trovare eloquente formulazione nelle lezioni accademiche pubblicate sotto il titolo di La virtu` e il corso del mondo. Lezioni dell’anno accademico 1975-76, a cura di G. Moretto, Alessandria 2002, in part. alle pp. 333-336, dove l’autore insiste sui concetti di “ousia” e di “Corpus mysticum” come su due idee elaborate dal pensiero umano – e con quale sforzo! – per rendere ragione della sofferenza fenomenicamente inutile. Di rilievo su tale figura della sofferenza sono gli atti del III Convegno di filosofia della religione della Fritz Thyssen Stiftung, svoltosi a S. Margherita ligure nei giorni 5-6-7 maggio 1981, sul tema II problema della sofferenza “inutile”, raccolti in “Giornale di Metafisica”, 1, 1982.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
Ma all’istanza ermeneutica, universalmente valida, di una lettura insieme attenta alla storicita` autentica e aus der Sache selbst, un’ulteriore circostanza peculiarmente concernente il pensiero leibniziano oggi si aggiunge: la dottrina del male esposta nella Teodicea e nei pochi scritti editi durante la vita dell’autore e conosciuti tra Sette e Ottocento, deve fare i conti, coerentemente con l’intera filosofia dell’hannoverese, con il continuo, incalzante flusso – autenticamente eracliteo! – degli inediti sempre piu` massicciamente messi a disposizione degli studiosi grazie soprattutto alla Leibniz-Edition, che hanno via via nel corso del Novecento eroso e scalzato l’immagine tradizionale di Leibniz. Ne discende un pensiero, anche a proposito del male, meno granitico, piu` sfumato, piu` chiaroscurale, piu` pluriprospettivistico e problematico, com’e` peculiare dell’approccio euristico ai problemi del filosofo di Hannover, per il quale la medesima Sache, simile a un prisma, o a uno scenario illuminato dall’incrocio di diversi riflettori, puo` essere colta secondo differenti sfaccettature e angoli visuali. La res de qua agitur esperita e avvertita come prisma, tramata di infinite sezioni, partizioni, implicazioni, pieghe: non e` questo metodo di ricerca, pluralistico invece che monistico, prospettivistico invece che olistico, non solo qualcosa che sfugge al regime delle Lumie`res, ma altresı` un significativo precorrimento di un plesso problematico (unicita` del vero-molteplicita` delle sue formulazioni) sul quale l’ermeneutica contemporanea si e` venuta densamente affaticando? C’e` il caso – grazie a un simile approccio interpretativo philologisch e insieme geschichtlich – di scoprire, sotto le piu` invalse letture del leibniziano problema del male trasmesse dalla storia della filosofia e dalla manualistica corrente, aspetti nuovi, capaci di modificare i giudizi piu` consolidati che fanno del pensatore di Hannover e della sua Teodicea i simboli dell’insensibilita` e dell’artificiosita` teoretica di fronte all’immane potenza del negativo. Ne proponiamo un persuasivo esempio.
4. – Infinita` e incommensurabilita` del male. Il Nulla e i numeri irrazionali Tra gli scritti inediti fino al Novecento, uno ci pare degno di particolare considerazione per il nostro plesso tematico. Si tratta del Dialogue effectif sur 36 la liberte´ de l’homme et sur l’origine du mal che, per concisione e densita`, ben 36
Il testo indicato e` stato pubblicato da G. Grua in G I, 361-369. Di questo scritto
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e` lecito definire una “teodicea in nuce”, conseguente a quella “prototeodicea” rappresentata dalla piu` ampia e celebre Confessio Philosophi (1672-1673 circa), e anteriore di tre lustri agli Essais de The´odice´e (1710). 37 Acutamente A. Corsano, nella sua monografia leibniziana , e successi38 vamente nel piu` recente Bayle, Leibniz e la storia aveva richiamato l’attenzione su questo «curioso dialoghetto» – gia` segnalato da J. Baruzi nel 39 classico Leibniz et l’organisation religieuse de la terre – nel quale Leibniz pone una serie di riflessioni destinate a gettare una luce singolare sui due problemi per eccellenza che sostanzieranno gli Essais del 1710, vale a dire quello della liberta` e quello del male. E`, appunto, la densita` con cui in particolare il tema del male viene trattato nel Dialogue effectif – «anche piu` rigorosamente che nella Teodicea, osserva Corsano, che per il suo carattere divulgativo doveva tendere a attenuare la serieta` metafisica e religiosa del 40 problema» – ad aver richiamato l’attenzione degli studiosi su questo testo. Quando, nel corso del colloquio, l’interrogante A chiede di designare l’origine delle origini del male, il dialogante B (impersonante Leibniz stesso), per eludere i rischi del dualismo manicheo, qualifica tale Ursprung come il Nulla (le Ne´ant). Un Nulla – privazione, negazione, o non-essere – subito dopo predicato di infinita`, di eternita`, proprieta` che possiede in comune con Dio, e definito capace di contenere in se´ une infinite´ de choses, car toutes celles qui ne sont point sont comprises dans le Neant, et celles qui ne sont plus sont rentre´es dans le neant [G I, 364].
Esplicitamente Leibniz nel testo invoca, per avvalorare tale prospettiva metafisica, l’autorita` dei Platonici e di Agostino. Nondimeno, non pare, alla luce dell’esposizione leibniziana, che il punto di vista dell’hannoverese possa esaurirsi nel richiamo ai classici della dottrina del male come defectus. A “drammatizzare” la materia, conferendole un tratto oscuramente inquietante, interviene, nello scritto in questione, una serie di comparazioni matematiche, a cui lo studioso di Leibniz e` ben avvezzo. Innanzitutto, per rendere ragione di come questo Male-Nulla, anteriore al peccato adamitico, leibniziano si veda la nostra traduzione in Aa. Vv., Ermeneutica e destinazione religiosa, cit., pp. 11-28. 37 Cfr. A. Corsano, G.W. Leibniz, cit., pp. 122-123, nota 8. 38 Cfr. Id., Bayle, Leibniz e la storia, cit., p. 55 sgg. 39 Cfr. J. Baruzi, Leibniz et l’organisation religieuse de la terre, cit., p. 196, nota 4. 40 A. Corsano, G.W. Leibniz, cit., p. 122, nota 8.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
coincidente con la regione dei Possibili sede delle forme eterne, penetri nella costituzione delle cose, il pensatore evoca lo zero che, pur restando tale, cioe` negazione, puo` moltiplicare senza fine le unita` numeriche (10, 100, 1000 etc.): Vous savez pourtant comment dans l’Arithme´tique les ze´ro joints aux unite´s, font des nombres differens comme 10, 100, 1. 000, et un homme d’esprit ayant mis plusieurs zero de suite mit au dessus: unum autem necessarium. Mais sans aller si loin, vous m’avouerez que toutes les creatures sont limite´es, et que leurs limites, ou si vous voule´s leur non plus ultra est quelque chose de negative. Par exemple un cercle est limite´, a` cause que l’ouverture du compas dont on se sert pour le decrire n’a pas este´ prise plus grande, ainsi les bornes ou le non plus ultra de cette ouverture determinent le cercle, et il en est de meˆme de toutes les autres choses, car elles sont borne´es ou imparfaites par le principe de la Negation ou du Neant qu’elles renferment, par le defaut d’une infinite´ de perfections qui ne sont pas en elles et ne sont qu’un Neant a` leur e´gard [G I, 364].
Gia` in questa analogia tra il Male-Nulla e la cifra zero – memore, certo, delle suggestioni metafisiche che giungevano a Leibniz dal calcolo binario – v’e` qualcosa di densamente denkwu¨rdig: il male, pur restando privazione limitante, diviene, entro la comparazione aritmetica, privazione moltiplicante, qualcosa che – se non vediamo male – pare quasi mettere in movimento la negazione, quasi rendere operativo, dinamicamente attivo, il Nulla. Lungi da noi l’intenzione di cogliere, in tale negazione “attiva”, o quanto meno “non inattiva”, precorrimenti della dialettica hegeliana o, addirittura, del “nichtendes Nichts” heideggeriano. Tuttavia, alla luce del Dialogue effectif, sembra avvalorarsi all’interno della visione leibniziana l’immagine di una negativita` tutt’altro che inoffensiva o “addomesticata”, come sostenuto da Barth: emerge, piuttosto, l’idea di una privazione da cui discendono, in qualche modo e pur “accidentalmente”, un’azione e una forza, l’idea di una potenza che “scava” nella monade se non spazi vuoti – dal momento che per Leibniz non esiste vacuum – quanto meno pieghe oscure, via via piu` tenebrose, opache, intrasparenti. O, ancora, si afferma l’immagine di una negativita` che, come moltiplicarsi di imperfezioni al seguito dell’originaria limitazione inscritta nell’essenza, irrigidisce la monade su un’unica piega, limitando la sua recettivita` e pietrificando il suo canto su una sola monotona nota, dissonante con l’harmonia universalis. Parrebbe, in questo senso, che Leibniz non assecondi il punto di vista espresso dal Re Lear di Shakespeare in un dialogo col “fool”:
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Fool – [...] E il nulla non si puo` davvero mettere a un qualche uso, non e` vero, zio mio? Lear – No, che non si puo` mettervi, figliuolo. Dal nulla non si puo` cavar proprio nulla (nothing can be made out of nothing) (Atto I, scena IV) (tr. it. di G. Baldini).
Dal nulla, invece, per Leibniz, e` lecito trarre qualcosa, come un oscuro, pervasivo influsso sull’esistenza. Se, in effetti, e` vero che i singoli mali conservano rispetto al male metafisico una loro autonomia, e` altrettanto vero che la trascendentalita` di quest’ultimo immane in ogni particolare malum come ombra pronta a espandere il suo dominio, a estendere l’oscurita`, a diffondere il peccato, la confusione e l’errore, come accade nei dannati, nei quali la tenebra finisce per invadere l’intera anima, per ridurre 41 quasi al nulla la loro recettivita`. Quasi, perche´ Leibniz, come Agostino , ritiene che il minus esse a cui puo` cedere l’anima attraverso il peccato non giunga mai ad annientare, dell’anima stessa, lo statuto ontologico, a oscurare definitivamente anche l’ultimo spiraglio di luce. I dannati, in questo senso, restano per l’eternita` “damnandi”, come recita la Confessio Philosophi, e questo principio gia` da solo riduce la portata dell’inferno – il quale pur appartiene al migliore dei mondi – e l’idea della sua infinita durata, lasciando aperta quanto meno la ragionevole speranza di un’universale salvezza degli spiriti, o apokatastasis panton, che il filosofo di Hannover non puo` che recepire alla luce del progresso infinito delle anime e dell’universo. Avviluppamento, Erstarrung dello spirito in pieghe sempre piu` oscure, incapaci di filtrare luce: tale e` in effetti il peccato, il male morale che, attraverso la liberta`, consegue al male metafisico, e che la volonta` cattiva, la disobbedienza, puo` fare abissale come abissali sono i suoi Urspru¨nge. Abgrund caliginoso fino al demoniaco, come icasticamente attesta il carme di Belzebu` contenuto nella ricordata Confessio Philosophi: Intrat venenum membra, jamque omnes furit Rabies per artus: scelere cumulandum est scelus. Sic expiamur. Sola furibundo hostia, Mactatus hostis. Spargere in ventos juvat, Laceramque vivi, mille tractam partibus, Totidem doloris speciminibus actam mei, 41
Sulla dialettica tra magis e minus esse in Agostino cfr. in part. E. Zum Brunn, Le dilemme de l’eˆtre et du ne´ant chez s. Augustin, Paris 1969; Etre ou “ne pas eˆtre” d’a`pres s. Augustin, Paris 1968. Fondamentale e` poi lo studio di R. Holte, Be´atitude et sagesse. Saint Augustin et le proble`me de la fin de l’homme dans la philosophie ancienne, Paris 1962.
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Ipsi vocantis ad resurgendum tubae, Subtrahere carnem [A VI, 3, 145].
A rileggerli, questi versi scritti in stile virgiliano da un Leibniz poco piu` che venticinquenne evocano, per singolare consonanza di immagini, un’altra cifra shakespeariana, gli irretimenti diabolici di Iago nell’Otello, che esclama: E questo pensiero, simile a un filtro avvelenato, mi rode le viscere e nulla so trovare, a placarmi, se non il pensiero di rendere a lui la pariglia (Atto II, scena I) (tr. it. di G. Baldini).
Ma l’impressione enunciata, che Leibniz potenzi drammaticamente, filtrandola di sensibilita` barocca, la dottrina tradizionale del male come privazione si accentua nella prosecuzione della trattazione, dove il negativo viene assimilato ai numeri e alle linee incommensurabili. Qui, la suddetta inafferrabilita` ultima del male e` espressa mediante l’irrazionalita` della radice quadrata di due, le cui cifre, come e` stato scritto, sono imprevedibili, casuali, uniche, solitarie, infinite e imperscrutabili. Esse mantengono un elemento di inevitabile mistero. Come l’animo umano, un numero irrazionale e` noto soltanto parzialmente e, quantunque molto sia noto di entrambi, vi e` sempre infinitamente di piu` da conoscere42.
E` noto che Platone, nel celebre episodio narrato nel Menone dell’esperimento maieutico svolto con lo schiavo, ripercorre la strada che condusse la Scuola pitagorica alla scoperta delle linee incommensurabili. Cio` che nella dottrina pitagorica fu motivo di crisi e di aporia, diviene, nell’evocazione dello stesso procedimento geometrico contenuta nel Dialogue effectif, spunto analogico per additare allusivamente il carattere irrazionale, alogico (alogon, in effetti, fu detto dai Pitagorici l’incommensurabile) del male. Tanto l’1,414 della radice quadrata di due, e le imponderabili, evanescenti quantita` che ne seguono, quanto la lunghezza della diagonale del quadrato in rapporto al lato, inesprimibile con numeri interi o frazionari, diventano la cifra dell’enigmatica resistenza del male a ogni troppo trasparente decifrazione, tanto che, alla fine, il ricomporsi del negativo entro un quadro 42
D. Berlinsky, I numeri e le cose. Un viaggio nel calcolo infinitesimale, tr. it. di E. Diana, Milano 2001, p. 67. Circa le allusioni fatte ai drammi shakespeariani e il nulla, cfr. J.D. Barrow, Da zero a infinito. La grande storia del nulla, tr. it. di T. Cannillo, Milano 2002, p. 90 sgg.
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“razionale” avviene in Leibniz attraverso la tesi – estetico-teleologica, percio` “debolmente” logica – dell’harmonia universalis. C’est a` peu pres comme dans la musique et dans la peinture, car les ombres et les dissonances relevent tellement le reste; et le savant auteur de tels ouvrages tire un si grand avantage de ces imperfections particulie`res pour la perfection totale de l’ouvrage qu’il vaut beaucoup mieux de leur donner place que de s’en vouloir passer. Ainsi il faut croire que Dieu n’auroit point permis le peche´ ny cre´e les creatures dont il sc¸avoit qu’elles pecheroient, s’il n’avoit sc¸u le moyen d’en tirer un bien incomparablement plus grand que le mal qui en arrive [G I, 365-366].
E`, dunque, sul male nella prospettiva dell’armonia universale che e` necessario riflettere. Dopo avere messo in luce il carattere tutt’altro che “addomesticato” del male in se´, occorre analizzare il male stesso nel piu` vasto orizzonte in cui, ad avviso di Leibniz, puo` ricevere senso e giustificazione. E` qui, d’altronde, che si addensano le critiche piu` radicali mosse alla dottrina leibniziana. Ma nuovamente – come crediamo emergera` – Pangloss e` destinato a essere confutato e il filosofo della Teodicea, almeno per certi aspetti, ad apparire piu` idealmente contemporaneo del suo “alter ego” illuminista.
5. – Arcana armonia. Gli equivoci di Pangloss C’e` un testo, da cui mette conto partire per la trattazione dell’aspetto indicato, del De rerum originatione radicali che descrive la condizione umana in modo singolarmente prossimo al mito platonico della caverna: Et vero incivile est, nisi tota Lege inspecta judicare, ut ajunt Jure consulti. Nos porrigendae in immensum aeternitatis exiguam partem novimus, quantulum enim est memoria aliquot millenorum annorum, quam nobis historia tradit. Et tamen ex tam parva experientia temere judicamus de immenso et aeterno, quasi homines in carcere aut si mavis in subterraneis salinis Sarmatarum nati et educati non aliam in mundo putarent esse lucem, quam illam lampadum malignam aegre gressibus dirigendis sufficientem [GP VII, 306].
L’affinita` con la celebre immagine della Repubblica balza evidente. L’uomo nell’universo e` come il prigioniero della caverna platonica – divenuta un “carcere” o una “miniera di sale” – con questa essenziale differenza: Leibniz traduce in strutturale destinazione prospettivistica della
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sostanza finita la riduzione visiva e conoscitiva che nel mito antico era dovuta ad apaideusia, a perniciosa mancanza di paideia nell’anima – secondo l’articolazione apaideusia-paideia posta all’inizio del libro VII dell’opera platonica –, cio` che esige, per il filosofo antico, una “periagoghe tes psyches”, un transito dalla lethe, dalla clausura del nascondiglio, all’aperto della aletheia, dove le cose si rivelano nella luce dell’agathon. L’alternativa luce-tenebra, clausura-apertura, comune a entrambi i testi, ha dunque una valenza profondamente diversa: in Leibniz la limitazione ottica, piu` che a mancanza di formazione (paideia), appare costitutivamente legata al prospettivismo monadico, alla monade come “parte totale” che, mentre include un particolare punto di vista, contiene in se´ tutto l’universo, espresso nel modo che le e` peculiare, a` peu pres comme une meˆme ville est diversement represente´e selon les differentes situations de celuy qui la regarde [A VI, 4 B, 1542].
E per quanto la monade possa allargare il proprio dominio chiaro e distinto, dilatando la propria area appercettiva ed erodendo i bordi dell’oceano delle percezioni infinitesime, null’altro essa potra` ottenere che un’infinita approssimazione alla visione totale. «Se il tutto ci fosse noto»– scrive Leibniz nella Teodicea – allora diverrebbe trasparente il cospirare del particolare con l’universale, dell’ombra con la luce, del microcosmo con il macrocosmo. Ma nell’attuale condizione del genere umano – che nulla esclude possa un giorno essere trascesa e sublimata verso un piu` perfetto stadio post-umano – non possiamo che cogliere alcuni frammenti di quella totalita` armonica. Cosı`, a Bayle che avanza la pretesa di capire en detail, comment le mal est lie´ avec le meilleur projet possible de l’univers; ce qui seroit une explication parfaite du phenomene [GP VI, 196],
Leibniz risponde, con parole che basterebbero a mettere al riparo l’autore della Teodicea dalle accuse di razionalismo che abolisce il mistero: mais nous n’entreprenons pas de la donner, et n’y sommes pas oblige´s non plus, car on n’est point oblige´ a` ce qui nous est impossible dans l’etat ou` nous sommes: il nous suffit de faire remarquer que rien n’empeˆche qu’un certain mal particulier ne soit lie´ avec ce qui est le meilleur en general. Cette explication imparfaite, et qui laisse quelque chose a` decouvrir dans l’autre vie, est suffisante pour la solution des objections, mais non pas pour une comprehension de la chose [GP VI, 196].
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Non esiste possibile punto dello spazio dal quale contemplare l’intero orizzonte dell’armonia universale, perche´, in realta`, non c’e` orizzonte, come non c’e` centro, essendo questo dappertutto, ne´ circonferenza disegnabile da cartografo che non sia Dio stesso. L’universo leibniziano, per quanto armonico, continuo e pieno, non e`, come l’armonia eraclitea e classica, un cerchio nel quale principio e fine incatenano gli opposti, ma appare composto da curve variabili che vanno all’infinito, lungo le quali ciascun 43 punto, spaziale e temporale, e` relativo e prospettico rispetto a tutti gli altri . E se, come accade nella monade, ogni punto situato su tale curva include il tutto, l’inclusione si pone sempre secondo un gioco visuale di luci-ombre diverso per ogni monade. Nell’infinita` del suddetto spazio qualunque sito in cui venga a trovarsi la monade e` ineluttabilmente periferico. La perifericita` e` dunque destino e destinazione, ed e`, in fondo, tale perifericita`, tale autentico Da-sein dell’individualita` monadica, la chiave per comprendere la stessa questione del male. Che, in questo senso, potrebbe essere definito come l’ombra del bene che si allunga a partire dalla localizzazione inesorabilmente decentrata della sostanza finita, e che scomparirebbe laddove 44 fosse possibile, magari per un attimo, attingere «le sie`ge de Dieu» . L’armonia universale, dunque, a parte hominis, e` destinata a rimanere arcana nelle sue ragioni ultime, includenti il male morale e fisico. Come in Eraclito, anche in Leibniz «l’armonia nascosta vale piu` di quella che appare», e, come per F. Bacone, anche per il filosofo della Monadologia la verita` non e` manifesta, ma e` termine di una “venatio”, di una caccia, secondo un’immagine familiare all’uomo barocco. Si legge nello scritto De libertate, contingentia et serie causarum atque de providentia: Neque dubium etiam esse debet quin rationes sint arcanae omnem creaturae captum transcendentes, cur una rerum series (licet peccatum includens) alteri a Deo praeferatur [A VI, 4 B, 1657].
Perche´ l’essere, segnato com’e` dal peccato, piuttosto che il niente? Solo l’esercizio inesausto del principio di ragione – esercizio etico-religioso prima che gnoseologico, mosso com’e` dal bisogno di rinvenire una Rechtfertigung ultima dell’esistente – col suo infinito, demonico, moto di risalimento verso le arkai, puo` ritessere qualche filo della tela complessiva, puo` 43
Cfr. M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit.; G. Deleuze, La piega, cit., p. 23 sgg. 44 Cfr. il passo della lettera a L. Bourguet del 5 agosto 1715, in GP III, 581-582, sul quale ci siamo soffermati nel cap. 1 § 5.
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orientare la ricerca del senso, alla fine tuttavia destinata, per l’infinita complessita` delle verita` contingenti, a svaporare e sfociare nell’abisso luminoso – un Nulla situato al di la` dell’intelletto di Dio stesso – dell’harmonia universalis. Si legge in una lettera del maggio (?) 1671 a Magnus Wedderkopf: Ecce Pilatus damnatur. Cur? qvia caret fide. Cur caret, qvia caruit voluntate attentionis. Cur hac, qvia non intellexit rei necessitatem (attendendi utilitatem). Cur non intellexit, qvia causae intellectionis defuere. Omnia enim necesse est resolvi in rationem aliqvam, nec subsisti potest, donec perveniatur ad primam, aut admittendum est, posse aliqvid existere sine sufficiente ratione existendi, qvo admisso, periit demonstratio existentiae Dei multorumqve theorematum Philosophicorum. Qvae ergo ultima ratio voluntatis divinae? intellectus divinus. Deus enim vult qvae optima item harmonicotata intelligit eaqve velut seligit ex numero omnium possibilium infinito. Qvae ergo intellectus divini? harmonia rerum. Qvae harmoniae rerum? nihil [A II, 1, 117].
E` entro l’arcano in cui affonda l’ordine seriale delle cose scelto da Dio tra gli infiniti possibili come il piu` armonico, che il paradosso leibniziano per il quale «i peccati sono beni», va letto: poiche´ l’armonia, nelle sue ragioni ultime, si perde nelle brume di un Nihil insondabile, l’essere-bene del male e` destinato a rimanere per l’umana comprensione un mistero che trascende ogni spiegazione. Come per l’Agostino de De ordine, anche per Leibniz c’e` una «occultissima ratio che promette di farci comprendere che nulla avviene fuori dall’ordine divino» (De ordine II, 7, 24). Il male, in Leibniz, non si torce dialetticamente in bene, a` la Hegel, resta male, pur ammettendo la ragionevole, cristiana, fiducia che esso possa, da un piu` vasto angolo visuale, diversamente illuminarsi. «La ragion d’essere e` una ragione vertiginosa» – scrive A. Robinet – perche´ la stessa ragione «e` 45 vertigine, il Grund e` Abgrund» . Il sentiero della ragione, commenta anche 46 Renato Cristin , conduce nei dintorni della mistica, come, a suo modo, aveva gia` intuito all’inizio del Novecento Jean Baruzi. Entro l’abisso senza fondo dell’harmonia universalis, che il male rientri nell’ordine non e` dunque, a ben vedere, tesi troppo rassicurante, come tanta tradizione interpretativa ha creduto. Il termine “armonia”, d’altronde, non presenta forse la stessa radice etimologica di “arma” (oltre che di “arte”), 45 46
A. Robinet, Leibniz et la racine de l’existence, cit., p. 67. Cfr. R. Cristin, Heidegger e Leibniz. Il sentiero e la ragione, cit., p. 108.
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non reca percio` in se´ la memoria del polemos? Che simile armonia, in quanto inclusiva di dissonanze, di contrasti, di opacita`, ci offra la ragionevole speranza che il male – entro spazi di senso piu` vasti e all’uomo ultimamente inaccessibili – possa ricevere un senso, che la tentazione della malattia mortale possa essere vinta, e` cosa che da una coscienza cristiana quale quella di Leibniz ci si puo` ben attendere. Cos’e`, in effetti, alla fine, l’armonia leibniziana se non la trasposizione estetico-teleologica della pace ultima, inclusiva della morte, della lotta, del dolore, che scaturisce dalla Croce? Certo, molti tratti riportano l’armonia leibniziana all’idea classica, greco-pagana, di armonia come formositas, come contemplazione di una simmetria atta ad essere abbracciata e goduta con lo sguardo. Ma, se tale e` l’ossatura formale, e` in realta` l’armonia, la bellezza cristiana, capace di tollerare in se´ le Entzweiungen piu` profonde, fino alla morte, fino alla suprema kenosis divina, e di convertirle in un bene piu` grande, a sostanziare l’idea leibniziana di armonia universale, specchio luminoso, ma per noi 47 frantumato, della Iustitia Dei . E` questa bellezza, questa Gloria Dei non ignara del sacrificio, dell’annichilimento che compensa le colpe e redime i mali, velata allo sguardo distratto di chi sosta sulle apparenze, che per il filosofo di Hannover, non diversamente dal principe Myskin ne L’idiota di Dostoevskij, “salva” il mondo: lo salva dal caos, dall’Unsinn che l’anima barocca sente – come l’ospite piu` inquietante di Nietzsche – battere alla porta. Ma si potrebbe addirittura tracciare un’analogia tra la nozione di armonia universale, a cui Leibniz invita a elevare la mente per affrontare (cio` che non significa “spiegare”) il problema del male, e la celebre teofania finale del Libro di Giobbe nella quale Jahweh risponde all’uomo di Uz parlando dal turbine. Qui, e in particolare nel primo discorso di Dio (Iob, 38-39), Giobbe non e` forse invitato a innalzare lo sguardo all’armonia del tutto, alla totalita` della creazione? Non e` rilevabile, in entrambi i casi, piu` che un Erkla¨ren razionale e oggettivante, l’invito a una trasfigurazione della
47
Sul rapporto tra armonia e bellezza in Leibniz, cfr. di M. Fichant “Pour la beaute´ et pour l’harmonie”: le Meilleur de la Dynamique, in in Aa. Vv., Leibniz: Le meilleur des mondes, cit., pp. 233-245. Si veda anche lo studio recente di G. Tomasi, La bellezza e la fabbrica del mondo. Estetica e metafisica in G.W. Leibniz, Pisa 2002. Sulla nozione di harmonia universalis, idea cruciale della metafisica leibniziana, ci limitiamo a menzionare F. Piro, Varietas identitate compensata. Studio sulla formazione della metafisica di Leibniz, Napoli 1990 (in part. p. 97 sgg.), rinviando alle indicazioni bibliografiche qui contenute. Dello stesso autore, cfr. anche il volume Spontaneita` e ragion sufficiente. Determinismo e filosofia dell’azione in Leibniz, Roma 2002.
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mente e a un’elevazione del cuore? E` questo, in effetti, quanto l’acuta esegesi del testo biblico svolta da Paul Ricoeur mette in luce, consentendoci di tracciare la suddetta analogia con le tesi leibniziane: Il poeta orientale, alla maniera di Anassimandro e di Eraclito l’Oscuro, annuncia un ordine al di la` dell’ordine, una totalita` piena di senso, all’interno della quale l’individuo deve deporre la sua recriminazione. La sofferenza non viene spiegata ne´ eticamente ne´ in altro modo, ma la contemplazione del tutto da` l’avvio ad un movimento che dev’essere completato praticamente con l’abbandono di ogni pretesa, cioe` col sacrificio dell’esigenza che era all’origine della recriminazione, la pretesa di formare da se´ soli un’isola di significato nell’universo, un impero nell’impero ... Come nella tragedia, la teofania finale non gli ha spiegato nulla, ma ha mutato il suo sguardo; egli e` pronto a identificare la sua liberta` con la necessita` nemica, a convertire la liberta` e la necessita` in destino. Questa conversione e` la vera «ripetizione», non la ripetizione morale, che e` ancora una specie di ricompensa e quindi una maniera di retribuzione, ma la ripetizione interiore, che non e` la restituzione di una felicita` precedente, bensı` la ripetizione dell’infelicita` presente48.
Quali siano, poi, la natura e le implicazioni della legge di armonia che abbraccia e governa eventi, uomini e cose, serbandoli nell’essere e giustificandoli, lo ha enucleato Michel Serres, come si e` gia` sottolineato, che ha descritto tale legge come una regione aperta, plurale e pluriprospettivistica che rende possibili molteplici varianti esplicative dei fatti, e che tutto e` 49 fuorche´ una forma di spiegazione oggettivante, a senso unico, della realta` . E` qualcosa che assomiglia piu` all’apeiron anassimandreo (anche per il principio di giustizia che la ispira) o all’Umgreifende jaspersiano, che a 48
P. Ricoeur, Finitudine e colpa, tr. it. di M. Girardet, Bologna 1970, p. 595. Ad assecondare il nostro parallelo tra l’harmonia universalis leibniziana e la teofania del Libro di Giobbe nella lettura che ne offre Ricoeur, ben diversa, ad esempio, da quella del Dio estetico, cosmologico, dispotico e spinoziano data da E. Bloch in Ateismo nel cristianesimo (tr. it. di F. Coppellotti, Milano 1990, p. 149 sgg.), si hanno buoni motivi per collocare Leibniz dalla parte di Giobbe e della sapienza di Dio, piuttosto che della tartufesca teodicea degli amici teologi, nella cui condanna il filosofo di Hannover e` normalmente coinvolto in quanto teorico per eccellenza di cio` che Kant ha qualificato «teodicea dottrinale» in opposizione alla «teodicea autentica», fondata sul bisogno pratico nascente dalla legge morale. Altre ragioni che legano Leibniz alla teodicea pratica kantiana indichiamo nel § 6. Sulle interpretazioni del Libro di Giobbe, comprese quelle novecentesche e in particolare filosofiche, rinviamo, oltre che al gia` citato volume di G. Moretto Giustificazione e interrogazione, al documentato commentario Giobbe, a cura di G. Ravasi, Roma 1984. 49 Cfr. M. Serres, Le syste`me de Leibniz et ses mode`les mathe´matiques, cit., vol. I, pp. 283-284.
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un’univoca legge esplicativa degli eventi. Del tutto inoggettivabile, da essa non sono ricavabili leggi causali sul corso storico – che´, anzi, essa e` lo spazio entro cui molteplici filosofie della storia possono nascere e morire – ne´ la deduzione dei dettagli particolari dall’ordine totale. Trattare questa legge di armonia, forte della sua imperscrutabile logica organicisticoconnettiva, solcata com’e` di luci e ombre, come sistema meccanico di spiegazione delle verita` di fatto, equivale a tradirne l’inesausta ulteriorita` e a reificarla. Se tale analisi e` corretta, si conferma, anche per questa via, non solo che Leibniz non ha abolito, contrariamente a quanto ha pensato Heidegger, la differenza ontologica tra essere ed ente, ma che il suo piu` profondo intendimento finisce in prossimita` di quel “pensare rammemorante” opposto dal filosofo tedesco al pensiero oggettivante del fondamento e alla 50 volonta` di potenza che ispirerebbe il principium reddendae rationis . La legge di armonia appare, da questo punto di vista, come il “non-calcolabile” e il “non-calcolante” per eccellenza, elevare la mente al quale, come invita a 51 fare gia` la Confessio Philosophi , significa trovarsi non lontani dalla heidegge52 riana «Gelassenheit zum freien Ho¨ren» , non cosı` diversa dal «riconosci53 mento meravigliato dell’universo» leggibile al fondo della Monadologia. Per volgerci al Candide voltairiano, se ci chiediamo quale sia l’operazione che presiede alla comicita` di Pangloss, seguace di Leibniz e di Wolff, insegnante di «metafisica-teologia-cosmolostoltologia», una ci pare essere essenzialmente: la torsione della legge di armonia da inoggettivabile principio di Rechtfertigung dell’universo d’indole ultimamente estetico-teleologica, a principio di spiegazione causalistico-meccanicistica degli eventi. Tutta la logica di Pangloss denuncia l’equivoco indicato sin dalle prime pagine del celebre re´cit:
50
Il confronto di Heidegger con Leibniz potrebbe essere raccolto tra i due poli cronologici dell’ultimo corso marburghese del semestre estivo del 1928 Metaphysische Anfangsgru¨nde der Logik (tr. it. di G. Moretto, Principi metafisici della logica, Genova 1990) e Der Satz vom Grund, corso del semestre invernale del 1955-56 (tr. it. di G. Gurisatti e F. Volpi, Il principio di ragione, Milano 1991). Per un’analisi complessiva della posizione heideggeriana nei confronti del filosofo della Monadologia rinviamo al gia` citato volume di R. Cristin, Heidegger e Leibniz. 51 Cfr. A VI, 3, 116-117. 52 La heideggeriana «Gelassenheit zum freien Ho¨ren», nella felice traduzione di A. Caracciolo, suona la «docile calma del libero ascoltare». Cfr. M. Heidegger, Unterwegs zur Sprache, Pfullingen 1959, p. 261, tr. it. In cammino verso il Linguaggio, Milano 1973, p. 206. 53 Cfr. R. Cristin, Heidegger e Leibniz, cit., p. 110.
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Pangloss ... provava ammirabilmente che non si da` effetto senza causa, e che in questo migliore dei mondi possibili, il castello di monsignor barone era il piu` bel castello, e madama la miglior possibile baronessa. «E` dimostrato» diceva «che le cose non possono essere altrimenti, poiche´, in quanto tutto e` fatto per un fine, necessariamente tutto e` per il fine migliore. Notate che i nasi sono stati fatti per reggere occhiali, e noi abbiam bene degli occhiali. Le gambe, visibilmente, sono costituite per le calze. Le pietre sono state formate per esser tagliate e far castelli, e monsignore ha ben un bellissimo castello: il maggior barone infatti della provincia, dev’essere il meglio alloggiato; e i maiali essendo fatti per essere mangiati, noi mangiamo del porco tutto l’anno: conseguentemente coloro i quali han proferito che tutto e` bene, hanno detto una stoltezza; bisognava dire che tutto e` per il meglio»54.
E` qui contenuta un’operazione la cui legittimita`, logica e ontologica, Leibniz ha escluso: la trasparente, tranquilla, meccanica, sistemazione del tassello particolare, del dettaglio, nell’armonia universale, quasi da questa fosse deducibile, e del tutto illuminabile sul piano esplicativo, quello. Deducibilita`, per il filosofo, resa impossibile dalla concatenazione infinita delle cose che segna le verita` contingenti e che rende impraticabile a parte hominis una spiegazione perfetta di qualsivoglia fenomeno. Bisogna accontentarsi di una spiegazione imperfetta, obietta nella Teodicea Leibniz a Bayle, lasciando qualcosa da scoprire nell’altra vita (cfr. Parte seconda, § 145). Tra il peccato di Adamo e il mio peccato attuale vi e` certo una relazione fondata sulla legge di continuita`, la quale racchiude pero` una serie infinita di variazioni impercettibili, di differenze evanescenti, di pieghe dentro altre pieghe il cui infinito ri-piegarsi e dis-piegarsi vanifica ogni analisi costituita da una serie conchiusa di passaggi. Altrimenti detto: tra il soggetto “Cesare” e il predicato evenemenziale “passare il Rubicone” c’e` di mezzo un’analisi infinita, che nessuna scomposizione a priori del soggetto potrebbe esaurire. Se cio` fosse possibile, d’altronde, la ricerca storica sarebbe superflua: curiosa conclusione davvero, per chi, come Leibniz, ha speso buona parte della sua vita tra biblioteche, archivi e monasteri di mezza Europa alla ricerca di documenti utili per la storia della Casa di Braunschweig a cui, come storiografo di corte, attendeva. Invece, avverte il Discours de Me´taphysique § 8, che Cesare abbia passato il Rubicone, o che Alessandro abbia vinto Dario e Poro, 54
Voltaire, Candide, in Id., Romanzi e racconti, cit., pp. 122-123. Sui rapporti tra Voltaire e Leibniz, rinviamo allo studio generale di R.A. Brooks, Voltaire and Leibniz, cit. (sul Candide in part. cap. VI).
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nous ne pouvons sc¸avoir que par l’histoire.
E` l’Abgrund brulicante delle percezioni minime che innervano all’infinito la legge di continuita` e la sua inesauribilita` a parte hominis, in una parola, e` il mistero, il grande “rimosso” del Candide. L’ottimismo panglossiano censura, dunque, ben altro che gli argomenti leibniziani contro il 55 «sofisma pigro», come osserva Jean Starobinski . Se Leibniz vede nella legge di continuita` e di armonia un reticolo formicolante di microcause impercettibili, insondabile esaustivamente per una mente finita, Pangloss elimina ogni zona d’ombra, riducendo tutto – e assecondando con cio` una 56 propensione al «pienamente illuminato» propria delle Lumie`res – a un Erkla¨ren pienamente padroneggiabile dalla ratio negli antecedenti e nelle conseguenze. La legge di continuita`, ben operante nella logica di Pangloss, si e` trasformata in qualcosa che in Leibniz non si da`, vale a dire in legge positiva di spiegazione degli eventi, in una rigida filosofia della storia. Sembra che Pangloss, da questo punto di vista, scambi la causalita` efficiente, coi suoi nessi cogenti di cause-effetti, di antecedenti-conseguenti, con la metafisica e con il regno dei fini, mentre e` noto quanto il filosofo della Monadologia abbia sottolineato, nel Weltplan divino, la dipendenza della causalita` efficiente dalla causalita` finale o, diversamente detto, del regno della Natura dal regno della Grazia. 57 Nell’opporre, come fa Starobinski , la causalita` breve – sostenuta da Voltaire nel Candide per confutare ogni velleita` di risalire, attraverso una connessione infinita, alle cause finali e all’armonia universale in cui ogni evento, anche il piu` tragico, riceverebbe senso – alla causalita` lunga di Pangloss, occorrerebbe aggiungere che quest’ultima non e` la causalita` che presiede al leibniziano principio di ragione. L’opposizione, nel conte, tra le 55
J. Starobinski, Il rimedio nel male. Critica e legittimazione dell’artificio nell’eta` dei Lumi, cit., p. 122. 56 Giustamente F. Tallis, nella sua Breve storia dell’inconscio, osserva che le idee di Leibniz sulle piccole percezioni finirono per essere trascurate nell’eta` illuminista in conseguenza della messa alla berlina del filosofo tedesco nel Candide voltairiano, che dunque banalizzava il pensiero leibniziano proprio su questo punto. Cfr. F. Tallis, Breve storia dell’inconscio, tr. it. di A. Ranieri e M. Longoni, Milano 2002, p. 19. 57 «La storia di Candide – scrive Starobinski – si sviluppa per episodi brevi nei quali agisce una causalita` corta, tutto al contrario delle interminabili concatenazioni invocate da Pangloss. Sulla base di un partito preso d’empirismo radicale, che non vuole congetturare nulla di cio` che sfugge alla constatazione, qui non si considera se non la causa prossima e l’effetto susseguente» (Id., Il rimedio nel male, cit., pp. 122-123). Ci siamo soffermati su questo tema nell’Introduzione § I.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
due logiche – del tutto legittima se si pensa che Voltaire intende affermare lo scandalo in se´ della presenza del male, il suo essere una ferita non rimarginabile nel disegno armonico-universale – si afferma su una silenziosa e clandestina riduzione, data per ovvia, del principio di ragion sufficiente a causalita` cogente e meccanica. Cosı`, e` lecito dire che non Leibniz, ma la sua caricatura illuminista Pangloss, finisce in prossimita` di Hegel e delle filosofie della storia di stampo idealistico. E` il conte voltairiano, pure in forma umoristica, non i Saggi di Teodicea, a contenere una logica della storia a sfondo aprioristico, dal momento che, come ricorda Antonio Corsano, Leibniz non ha trattato la storia razionalisticamente, non avendola trattata causalmente: a meno d’introdurvi una causalita` di carattere organico, cioe` teleologico, cioe` ancora semilogico, se non addirittura alogico58.
Puo` darsi, come scrive Ricoeur, che l’inaccessibilita`, per un intelletto finito, dei «dati di quel calcolo grandioso», e insieme l’«accontentarsi del suo corollario estetico in virtu` del quale il contrasto tra negativo e positivo concorre all’armonia del tutto» corrispondano, nel loro cospirare, al «falli59 mento della Teodicea» . Ma bisogna aggiungere, allora, che simile Scheitern metafisico-teologico, frutto della fragilita` della tesi estetico-teleologica, fa risaltare ancora di piu` gli equivoci di Pangloss e della sua logica causalistico-oggettivante.
6. – Theoria cum praxi. Teodicea pratica ed etica del progresso Finemente Andrea Poma, nell’additare in Leibniz «importanti anticipazioni 60 ... del chiaro e deciso orientamento della teodicea nella direzione pratica» che troveranno il maturo approdo in Kant e nella rivisitazione della figura 58
A. Corsano, Bayle, Leibniz e la storia, cit., p. 52. Sulla natura della causalita` implicita nel principio di ragione leibniziano, distinta dalla necessita`, si veda anche la voce “Fondamento” redatta da N. Abbagnano nel Dizionario di filosofia, cit., pp. 413-415. 59 Cfr. P. Ricoeur, Il male. Una sfida alla filosofia e alla teologia, cit., pp. 30-31. Ricoeur, in questa denuncia di fallimento complessivo della Teodicea leibniziana non pare avvedersi del fatto che proprio la sua splendida analisi del Libro di Giobbe, gia` riferita, contenuta nella Symbolique du mal (parte seconda di Finitude et culpabilite´) consente di mostrare l’affinita` tra la conclusione del testo biblico – la teofania finale – e l’invito leibniziano a elevare la mente, attraverso la fede, all’armonia del tutto. 60 A. Poma, Impossibilita` e necessita` della teodicea, cit., p. 255.
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APPENDICE II
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di Giobbe nel saggio Sul fallimento di tutti i tentativi filosofici in teodicea (1791), segnala un passo leibniziano, tratto dal Systema Theologicum, contenente un singolare precorrimento della celebre espressione che sigilla il Candide: «il faut cultiver notre jardin», per quanto, come avverte lo studioso, il contesto e il significato di quella frase nei due casi non [possa] essere piu` lontano e diverso: nel caso di Voltaire, si tratta della resa finale di Candide allo scetticismo e al disimpegno; nel caso di Leibniz, si tratta del motto che riassume la serena fiducia e l’operosita` piena di speranza, proprie della «vera pieta`»61.
Recita dunque il testo leibniziano: Qui enim haec sentiunt, penitusque animo infı`gunt, et vita exprimunt, hi nunquam obmurmurant divinae voluntati, scientes omnia Deum amantibus in bonum cedere debere, et quemadmodum praeteritis contenti sunt, ita circa futura agere ipsi conantur, quicquid praesumtae Dei voluntati congruere judicant. Ea autem praemiis poenisque propositis postulat, ut quisque Spartam suam ornet, ad instar primi hominis hortum in quo collocatus est, colat, et ad imitationem Divinae bonitatis, beneficentiam suam in res vicinas, maxime autem in obvium quemque hominem tanquam proximum suum, proportione justitiae servata diffundat quoniam inter creaturas quibuscum nobis agendum est, nulla homine praestantior est, et quam perfici Deo sit gratius [A VI, 4 C, 2358].
A ben vedere, l’azione del «colere hortum», menzionata in questo testo, non e`, nella sua sostanza etica e religiosa, diversa dall’imitatio Dei a cui la monade, nel proprio de´partement, e` chiamata, «chaque Esprit e´tant comme une petite divinite´ dans son departement», secondo quanto recita la Monadologia § 83. «Hortus», «de´partement», appaiono, in tal senso, termini corrispondenti che intendono circoscrivere lo spazio etico della monade spirituale, chiamata a progredire, forte della sua vis activa, verso perfezioni sempre nuove. L’essere, con la sua armonia, per quanto inscritto nella sua interezza entro la struttura profonda della monade, non e` gia` tutto dispiegato nella semplice-presenza, ma appare, da parte del soggetto, il termine virtuale di un colere, di una Sorge. Questo tratto peculiarmente aristotelico dell’ontologia leibniziana – l’essere in quanto implicante il passaggio dalla 61
Ivi, p. 254.
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potenza all’atto – e` fatto oggetto, da parte del filosofo della Monadologia, di una rivisitazione che fa della potentia la proprieta` prima dei corpi, il fulcro della soggettivita`, percio` del pensiero e della stessa etica, come gli studi 62 recenti di Martine de Gaudemar hanno ben lumeggiato . Cosı`, in Leibniz il pensiero si pone essenzialmente come praxis, come unione inscindibile di teoria e azione (theoria cum praxi) destinata a propiziare quel dis-piegarsi delle infinite pieghe dell’anima, o quel virtualismo latente nella monade per il quale il presente e` carico del passato e gravido dell’avvenire. L’attivita` essenziale della sostanza – percepire, appetire – e` praxis («quod non agit, non existit») attraverso una “cura”, o un’etica. La sostanza, in Leibniz, non e` estensione, non e` semplice-presenza, ma evento energetico teleologicamente proteso a sempre nuove perfezioni. Vale dunque bene per Leibniz la celebre parafrasi dell’inizio del Vangelo di Giovanni che si legge nel Faust di Goethe: «Im Anfang war die Tat». Il divenire eracliteo, di cui la monade e` il transito, il punto inesteso di inesausto passaggio, ma anche di permanenza sostanziale, si pone come il Kern stesso dell’essere, in un universo fatto di infiniti centri e di infinite circonferenze. Anche la felicita`, telos ultimo dell’etica leibniziana, in questa luce, non potra` che convertirsi da statico nunc stans in progresso e partecipazione senza fine al regno della Grazia, alla Citta` di Dio, coinvolgendo nell’infinito divenire la Rivelazione – da Leibniz universalizzata e identificata con la religione naturale – e la visione escatologica, tradotta in infinita evoluzione dell’universo: Ainsi – recita la celebre chiusa dei Principes de la Nature et de la Graˆce, fonde´s en raison – notre bonheur ne consistera jamais, et ne doit point consister dans une pleine jouissance, ou` il n’y auroit plus rien a` desirer, et qui rendroit notre esprit stupide, mais dans un progre`s perpetuel a` de nouveaux plaisirs et de nouvelles perfections [GP VI, 606]63. 62
Cfr. in part. M. de Gaudemar, Leibniz de la puissance au sujet, cit.; Id., Quelques questions autour de la notion leibnizienne de puissance, in SL, XXIV/2, 1992, pp. 217-220. 63 Sull’etica leibniziana come morale del progresso, cfr. G. Deleuze, La piega, cit., p. 111 sgg. Fondamentale resta in materia il lavoro di A. Heinekamp Das Problem des Guten bei Leibniz, “Kantstudien”, 98, Bonn 1969. Inoltre: L. Le Chevalier, La morale de Leibniz, Paris 1933; C. Axelos, Die ontologischen Grundlagen der Freiheitstheorie von Leibniz, Berlin 1971; D. Campanale, La finalita` morale nel pensiero di Leibniz, Bari 1957; M. de Gaudemar, De la substance individuelle a` la monade: vers l’immanence du destin individuel, in Aa. Vv., L’actualite´ de Leibniz: les deux labyrinthes, cit., pp. 177-191; Aa. Vv., La notion de nature chez Leibniz (in part. sezione II: E´thique et politique, me´taphysique et ontologie), cit.; B. Gra¨frath, Es fa¨llt nicht leicht, ein Gott zu sein. Ethik fu¨r Weltenscho¨pfer von Leibniz bis Lem, Mu¨nchen 1998, cap. 2, pp. 17-70. Sull’idea di religione naturale, tematizzata nelle prime pagine della Prefazione agli
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APPENDICE II
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Etica del progresso, dunque, quella leibniziana, o per usare la celebre espressione di Kierkegaard, etica della ripresa, di cui proprio Leibniz e` stato, per il pensatore danese, l’unico autentico precursore: Come i Greci insegnavano che conoscenza e` reminiscenza, cosı` la filosofia moderna insegnera` che tutta la vita e` una ripresa. Leibniz e` il solo filosofo moderno che ne abbia avuto il presentimento64.
Essais de The´odice´e, cfr. A. Robinet, G.W. Leibniz: Le meilleur des mondes par la balance de l’Europe, cit., pp. 153-160. Inoltre, cfr. E´. Naert, L’ide´e de religion naturelle selon Leibniz, in Aa. Vv., Leibniz. Aspects de l’homme et de l’oeuvre, cit., pp. 97-104. Una riflessione sul significato delle scienze umane in stretto rapporto a Leibniz e` quella svolta da H. Poser in «Mente et malleo». Sul significato delle scienze umane nel mondo scientifico moderno, in “Aquinas”, 1997, 1, pp. 21-33. 64 S. Kierkegaard, La ripresa, in Timore e tremore – La ripresa, tr. it. Milano 1973, p. 157.
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4 STORIA UNIVERSALE ED ESCATOLOGIA IL FRAMMENTO SULL’APOKATASTASIS (1715) O Geschichte! O Geschichte! Was bist du? (Lessing, Ernst und Falk. Gespra¨che fu¨r Freima¨urer)
1. – Le circostanze storiche Negli anni estremi della propria vita, Tommaso Campanella compose una grande egloga latina indirizzata al Re e alla Regina di Francia per la nascita del Delfino, il futuro Luigi XIV, «suprema speranza del mondo cristiano». In essa, tra l’annuncio del ritorno dei «Saturnia regna» e di una nuova progenie discesa dai cieli, e i presagi per l’identita` tra il giorno del grande evento e quello della propria nascita, si celebrava il neonato come colui che avrebbe segnato l’avvento di una nuova eta` dell’oro, della attesa renovatio mundi: Quo die ego natus, venisti in luminis oras, instaurare ego Musas, tu nova saecula rerum1.
Quando il 1 settembre 1715 il Re Sole morı`, la stessa citta` che aveva inneggiato alla sua nascita con falo`, fuochi d’artificio, campane a festa, salve di cannone, Te Deum, ricevette la notizia e seguı` il convoglio funebre con animo ben differente dalle speranze che avevano segnato la venuta al mondo del sovrano. E` di Voltaire, nel Sie`cle de Louis XIV, la testimonianza diretta che descrive l’allegria del popolo che balla, beve e canta lungo la
1
Tutte le opere di Tommaso Campanella, a cura di L. Firpo, Milano 1954, p. 288.
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strada che da Parigi conduce a Saint-Denis . Era solo l’inizio di un profluvio di satire, strofe ed epitaffi ingiuriosi all’indirizzo del sovrano. Sic transit gloria mundi! Anche Leibniz compone alcuni versi Auf Ludwig’s XIV. Tod nei quali non manca di trasparire la Stimmung che aveva accompagnato la morte del Roi Soleil: Papa, patres, mulier, rex victus, rex quoque fictus Vix alii lacrymas dant, Ludovice, tibi [P I, 4, 367].
Negli anni giovanili, altri versi dedicati a Luigi XIV, non poco rivelativi di alcuni aspetti della propria visione storica, Leibniz aveva scritti: Scilicet a paucis agitatur machina mundi: Quantum heros unus, natio tota valet [A I, 1, 457].
Se Leibniz sa che il meccanismo della storia universale e` mosso da pochi, egli non ha mai atteso, come Campanella, dal Roi Soleil ne´ da altri potenti la renovatio mundi, ma piu` realisticamente ha richiesto loro un impegno per la pace, per la promozione delle scienze e per la cooperazione tra gli studiosi, cosı` da accelerare i tempi del progresso. Neppure il declinare della vita, neppure l’ingratitudine dei potenti cosı` a lungo serviti con fedelta` avevano incrinato in Leibniz la visione morale e provvidenzialistica del progresso universale espressa nel finale del De rerum originatione radicali, se e` vero che essa riecheggia, solo un po’ temperata dalla tarda 2
Scrive Voltaire: «Benche´ la vita e la morte di Luigi XIV fossero state gloriose, non fu rimpianto quanto meritava. L’amore della novita`, l’avvicinarsi di un tempo di minorita` regale nel quale ciascuno immaginava di fare la propria fortuna, la quistione della cosiddetta «costituzione» che inarcerbiva gli animi, tutto cio` fece accogliere la notizia della sua morte con un sentimento che era piu` di semplice indifferenza. Quello stesso popolo che, nel 1686, chiedeva piangendo al cielo la guarigione del suo re ammalato, l’abbiamo visto seguire il convoglio funebre di lui con manifestazioni ben diverse. Si racconta che la regina sua madre gli dicesse un giorno nella sua prima gioventu`: “Figliuolo, fate di somigliare a vostro nonno e non a vostro padre”, e avendo egli chiesto la ragione: “Alla morte di Enrico IV si pianse, – ribatte` lei, – e si e` riso a quella di Luigi XIII”». E in nota viene precisato: «Ho visto io delle tende lungo il cammino per Saint-Denis, e in esse gente che stava bevendo, cantando e ridendo. I sentimenti dei cittadini di Parigi erano condivisi dall’infimo popolo. Al gesuita Le Tellier va principalmente ascritta quella gioia universale. Sentii dire a parecchi degli spettatori che bisognava appiccare il fuoco ai conventi dei gesuiti con le torce che rischiaravano il corteo funebre» (Voltaire, Il secolo di Luigi XIV, cit., p. 329).
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maturita`, nel frammento sull’Apokatastasis, scritto verso la meta` del 1715, in anticipo, dunque, di poche settimane dalla morte di Luigi XIV. La storia – vi si legge – progredisce per salti e rivoluzioni, per urti e sovvertimenti, e in essa talora occorre regredire al fine di procedere con maggiore impeto. Eppure, per un attimo, il vecchio filosofo, forse avvertendo approssimarsi l’ora della fine, o forse per l’oscuro presentimento che quell’anno – il 1715 – preparava un transito epocale, ha ceduto alla tentazione di eternizzare il suo mondo, l’universo dorato e barocco di Versailles e quello, piu` provinciale, di Hannover, ipotizzando un ritorno di Luigi XIV, e anche di se stesso sedens in urbe Hanovera dicta, ad Leinam fluvium sita, occupatus in Brunsvicensi Historia, scribens literas ad amicos eosdem, sensibus iisdem [LF, 64].
Cosı`, in effetti, si legge nella prima e piu` breve versione del frammento sull’Apokatastasis, con accento degno di uno stoico, poi espunto nella definitiva versione del testo, dove l’idea di un progresso infinito dell’universo si staglia piu` limpidamente prevalendo su quella dell’eterno ritorno. Ma, insieme al richiamo al generale momento storico, sin qui fatto, altre circostanze piu` peculiari che fanno da sfondo alla redazione del frammento sull’Apokatastasis occorre evocare. Quando Gotthold Ephraim Lessing, nel corso del quinto dei Dialoghi per massoni, fa pronunciare a Ernst l’interrogativo posto in esergo («O Geschichte! O Geschichte! Was bist du?»), gia` da tempo il suo nome era legato al Fragmentenstreit, la violenta disputa che, sorta in seguito alla pubblicazione, tra il 1774 e il 1778, di alcuni frammenti di un’opera inedita dell’erudito e filosofo deista e orientalista di Amburgo Hermann Samuel Reimarus, lo avrebbe accompa3 gnato fino alla morte . Stampato infatti a Francoforte nel 1780 insieme al quarto, il dialogo suddetto completava i Gespra¨che fu¨r Freima¨urer, i primi tre dei quali erano apparsi nel 1778, l’anno in cui la polemica sui frammenti
3
Cfr. H.S. Reimarus, I frammenti dell’Anonimo di Wolfenbu¨ttel pubblicati da G.E. Lessing, a cura di F. Parente, Napoli 1977. Sul Fragmentenstreit cfr. l’Introduzione di F. Parente all’edizione italiana dei frammenti di Reimarus, pp. 17-77. Inoltre si possono consultare: G. Pons, Gotthold Ephraı¨m Lessing et le christianisme, Paris 1964, pp. 272-313; G. Cunico, Da Lessing a Kant, cit., p. 9 sgg.; G. Ghia, Da Reimarus a Nathan. Lessing e la disputa sui frammenti. Una cronistoria, in “Humanitas”, 2, 2000, pp. 250-263. A cura di G. Ghia si veda anche la traduzione dei piu` rilevanti testi concernenti la disputa sui frammenti dell’Anonimo (vale a dire: Eine Duplik; Axiomata; Anti-Goeze) in G.E. Lessing, Religione e liberta`, cit.
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aveva toccato l’acme. Lessing, dal canto suo, non avrebbe tardato a offrire risposta a quell’accorata domanda: essa infatti e` contenuta, nella sua forma piu` compiuta, ne L’educazione del genere umano – opera anch’essa pubblicata nella sua completezza nel 1780 – sotto la figura di un’ermeneutica “pedagogica” della provvidenza e della rivelazione nella quale il «brutto, largo fossato» tra storia ed eternita` appare colmato in virtu` di un processo storico di perfezionamento, il cui compimento si prolunga nel «nuovo Vangelo eterno», o «terza eta`». Certo, l’autore di Nathan il saggio, colui che aveva fatto del teatro il proprio pulpito, allorquando, bibliotecario a Wolfenbu¨ttel dal 1770, intraprendeva la pubblicazione dei frammenti di Reimarus, destinati a segnare una nuova epoca nella storia della critica biblica, non poteva sapere che a quella citta` si annodava una trama di congiunture che, circa sessant’anni prima del Fragmentenstreit, aveva propiziato l’elaborazione di un “altro” frammento, destinato tuttavia, all’opposto del clamore suscitato dall’opera di Reimarus, a rimanere celato nella Niedersa¨chsische Landesbibliothek di Hannover fino al 1921 e a non suscitare, di conseguenza, alcuna eco presso i contemporanei: si tratta del breve scritto sull’Apokatastasis, redatto nel 1715 da quel Leibniz che della biblioteca ducale di Wolfenbu¨ttel era stato l’autorevole direttore dall’inizio del 1691 fino alla morte, avvenuta nel 1716. Ricca com’era di opere di storia e di manoscritti, tale biblioteca, piu` di quella di Hannover, era atta a propiziare la prosecuzione delle ricerche sulla storia della Casa di Braunschweig che lo studioso – di ritorno dal lungo viaggio europeo che lo aveva condotto, dal 1687, attraverso la Germania meridionale e l’Austria, fino in Italia – intendeva tradurre in opera, secondo l’auspicio e il programma espressi all’inizio del 1691, nel volgere di due anni. Ma, oltre alla frequentazione leibniziana di Wolfenbu¨ttel e della sua prestigiosa biblioteca ducale, un’ulteriore circostanza – che abilita a intrecciare al luogo che si carichera` di memoria lessinghiana la meditazione, da parte del filosofo della Teodicea, sull’apokatastasis panton – va segnalata: nel 1700 era giunto in questa citta`, in qualita` di codirettore del Gymnasium, Adam Theobald Overbeck, con cui Leibniz a partire dal 1705 intraprendera` una corrispondenza, durata fino alla sua morte, nel corso della quale perverra` all’elaborazione del frammento sull’Apokatastasis. E` infatti all’interno del fascicolo relativo al carteggio con Overbeck che il testo e` stato rinvenuto (in due versioni: un piu` breve schizzo, palesemente anteriore cronologicamente, intitolato Apokatastasis panton, e una seconda formulazione corretta, ampliata e integrata, intitolata semplicemente Apokatastasis),
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e pubblicato per la prima volta (solo nella seconda versione) da Max 4 Ettlinger nel 1921 . Impossibile, da questo punto di vista, non riconoscere nella lettera di Leibniz a Overbeck del 17 giugno 1715 – ove viene ricordata una conversazione avvenuta ad Hannover non molto tempo prima, nel corso della quale il filosofo aveva fatto menzione all’interlocutore della propria meditazione «circa revolutionem seul palingenesiam omnium rerum, quae necessaria foret, si satis diu duraret genus humanum in eo quod nunc est statu» – un riferimento al frammento sull’Apokatastasis. Ecco un passo della lettera, che evoca in limpido compendio il nucleo tematico e argomentativo dello scritto in questione: Cum nuper apud me esses loquebar de meditatione mea circa revolutionem seul palingenesiam omnium rerum, quae necessaria foret, si satis diu duraret genus humanum in eo quod nunc est statu. Tandem enim efficeretur, ut literalissime vera esset sententia haec: nihil dictum iri quod non dictum fuisset prius; imo ut verbotenus redirent priores libri. Ex quo amplius | sequitur etiam Historias priores redituras. Nam si ponamus, ut hodie, Historiam temporis semper conscribi (certe conscribi potest), utique cum libri sint futuri iidem, erit etiam eorum materia eadem, id est 4
Nella Landesbibliothek di Hannover i due manoscritti conservati sono cosı` classificati:
Αποκατ στασις π ντων, Leibniz-Briefwechsel (LBr) 705, f. 72; Αποκατ στασις, LBr 705, ff.
73-74. L’originaria pubblicazione di quest’ultimo testo e` dovuta a M. Ettlinger, Leibniz als Geschichtsphilosoph, cit., pp. 27-34. Il testo latino del frammento e` corredato di una traduzione tedesca, sulla quale si leggano le annotazioni critiche di D. Mahnke in Leibnizens Synthese von Universalmathematik und Individualmetaphysik, in “Jahrbuch fu¨r Philosophie und pha¨nomenologische Forschung”, Halle 1925, pp. 490-492 e 586-587. Successivamente Michel Fichant ha operato una ritrascrizione del frammento in G. W. Leibniz, De l’horizon de la doctrine humaine (1693) – Αποκατ στασις π ντων (La Restitution universelle) (1715). Textes ine´dits, traduits et annote´s par M. Fichant, suivis d’une Postface: “Plus Ultra”, Paris, 1991, pp. 66-76, curandone un’ampia edizione critica corredata di traduzione francese e offrendo, insieme alla versione del testo latino gia` conosciuta grazie a Ettlinger – il cui titolo originario nel manoscritto leibniziano suonava semplicemente Apokatastasis –, il parziale schizzo, manifestamente anteriore cronologicamente, del medesimo lavoro, ancora inedito, intitolato Apokatastasis panton (ivi, pp. 60-66). E` a questo volume che qui, come in tutto il libro, si e` fatto riferimento con la sigla indicata di LF. Sulla frequentazione leibniziana della Biblioteca ducale di Wolfenbu¨ttel e sui programmi legati alle ricerche storiche relative alla casata di Braunschweig, cui prima si e` fatto cenno, si veda, oltre alla trattazione contenuta nel capitolo secondo del presente studio, L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 102 sgg. e p. 110 sgg. Piu` in generale sui rapporti di Leibniz con la suddetta biblioteca cfr. G. Scheel, Leibniz als Direktor der Bibliotheca Augusta in Wolfenbu¨ttel, in Akten des II. Internationalen Leibniz-Kongresses. Hannover, 17. -22. Juli 1972, Band 1, SL, Supplementa, XII, cit., pp. 71-83; M. Palumbo, Leibniz e la res bibliothecaria, cit., pp. 13-22.
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eadem erit Historia. Erunt quidem semper discrimina aliqua inter vetus et novum; sed imperceptibilia, et quae adeo in libris exprimi non possint. Eaque ipsa discrimina per repetitas revolutiones minuentur. Agnoscebas multa hinc mira consequi, atque etiam ad ea meditanda ferebare. Itaque gratum mihi erit si TIBI animum nonnihil huic rei adhibere vacet et digerere eam per propositiones [LF, 86].
Certo, la scelta di Overbeck come interlocutore per una meditazione sul tema della «rivoluzione o palingenesi universale» – cosı` Leibniz nella lettera traduce la parola «apokatastasis» – non era casuale. Negli anni precedenti all’arrivo a Wolfenbu¨ttel, avvenuto come si e` detto nel 1700, 5 Overbeck aveva dedicato due opere alla confutazione delle tesi millenariste e origeniste di Johann Wilhelm Petersen (1649-1727), il sovrintendente di Lu¨neburg, amico di Philipp Jacob Spener, che era passato dall’ortodossia a un misticismo di stampo bo¨hmiano e che, per aver raccolto il messaggio visionario di una nobile dama, Rosamunda di Assenburg, la quale asseriva di vedere il Salvatore e di ricevere da Lui dettati annunci sull’imminente fine del mondo nello stile dell’Apocalisse di Giovanni, era stato rimosso dal suo incarico con provvedimento del Concistoro di Celle e allontanato da 6 Lu¨neburg nel 1692 . A informare Leibniz della vicenda di Rosamunda e della pericolosa posizione di Petersen aveva provveduto sin dall’autunno del 1691 la du7 chessa Sophie . La risposta alla principessa elettrice, moglie del duca Ernst August di Hannover e magnanima protettrice del filosofo, scritta il 13 (23) ottobre del 1691, costituisce un eloquente esempio della clemente lungimiranza, della illuminata moderazione leibniziane. In essa si formulava la convinzione che nulla di innaturale vi fosse nelle visioni della giovane, che occorreva ammirare la natura della mente umana, di cui non conosciamo tutti i poteri e, piuttosto che condannare, considerare simili fenomeni come dono. Soggetti come Rosamunda – proseguiva Leibniz – lungi dall’essere vituperati e forzati a cambiare, andrebbero assecondati nella loro rara condizione spirituale: perche´ non considerare grazia la gioia spirituale e la pieta` manifestate dalla giovane dama, per quanto in lei non sia da ricono5
Cfr. LF, 19. Su questa vicenda che coivolse Leibniz si sofferma E.J. Aiton in Leibniz, cit., pp. 221-224. Su Petersen e Rosamunda si puo` consultare E´.G. Le´onard, Storia del Protestantesimo, tr. it. Milano 1971, vol. 3, parte 1 (Declino e rinascita), pp. 133-134. Cenni a Petersen e al chiliasmo nella Germania di Leibniz si leggono in A. Seifert, Neuzeitbewußtsein und Fortschrittsgedanke bei Leibniz, in Aa.Vv., Leibniz als Geschichtsforscher, cit., p. 173 sgg. 7 Cfr. A I, 7, 29. 6
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scere un miracolo soprannaturale ma solo l’elevazione, da parte di Dio, delle disposizioni naturali dello spirito e la trasfigurazione di realta` esperienziali? Analogamente – argomentava il filosofo – Ezechiele ebbe visioni architettoniche, probabilmente perche´ era ingegnere di corte, Osea e Amos descrissero immagini agresti, perche´ vivevano in campagna, Daniele, in quanto uomo di Stato, vide le quattro Monarchie. Certo, i grandi Profeti ebbero doni soprannaturali, necessari per apprendere il «de´tail de l’avenir». A questo punto della missiva, in relazione all’impossibilita`, per la limitata mente umana, di dipanare l’infinito reticolo di cause implicato nel continuum di ogni evento, Leibniz svolge un’argomentazione quanto mai rivelativa del suo pensiero storico, la quale, nel valorizzare le micro-cause produttrici di macro-avvenimenti, quasi finisce per evocare la teoria storica del Tolstoj di Guerra e pace: Et il est impossible – scrive Leibniz – qu’un esprit borne´, quelque penetrant qu’il soit, y puisse reussir. Une petite bagatelle en apparence peut changer tout le cours des affaires generales. Une balle de plomb, allant asse´s bas rencontrera la teste d’un habile General, et cela fera perdre la bataille; un melon mange´ mal a` propos fera mourir un Roy. Un certain Prince ne pourra pas dormir cette nuit a` cause de la nourriture qu’il aura prise le soir. Cela luy donnera des pense´es chagrines, et le fera prendre une resolution violente sur les matieres d’estat. Une e´tincelle fera sauter un magazin, et cela fera perdre Belgrade ou Nice. Il n’y a ny diable ny ange, qui puisse prevoir toutes ces petites choses dont naissent de si grands evenemens, par ce que rien n’est si petit, qui ne naisse d’une grande variete´ de circomstances encor plus petites, et ces circomstances encor d’autres, et cela a` l’infini. Les Microscopes font voir que les moindres choses sont enrichı¨es de variete´s a` proportion des grandes. De plus toutes les choses de l’univers ont une si e´troite et si merveilleuse connexion entre elles, que rien ne passe icy, qui n’ait quelque dependance insensible des choses qui sont a` cent mille lieues d’icy. Car toute action ou passion corporelle, en quelque petite partie de son effect, depend des impressions de l’air et autres corps voisins, et ceux cy encor de leur voisins plus avant, et cela va par un enchainement continuel a` quelque distance que ce soit. Ainsi tout evenement particulier de la nature depend d’une infinite´ de causes, et souvent les ressorts sont tellement monte´s comme dans un fusil, que la moindre petite action qui survient fait que toute la grande machine se decharge [A I, 7, 35]8. 8
Riportiamo anche qui questo testo, nonostante sia gia` apparso nel capitolo secondo § 7, per la sua rilevanza. Sull’importanza delle micro-cause e sull’inesauribilita` della conoscenza delle cause in storia nella prospettiva leibniziana cfr. L. Daville´, Leibniz Historien, cit., p. 613 sgg. Circa l’allusione a Tolstoj e al pensiero storico di Guerra e pace, utili spunti si traggono
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Quanto il plesso tematico richiamato in questa pagina epistolare – relativo alla legge di continuita` e al cospirare infinito entro gli eventi storici di microcause impercettibili – inerisca densamente al frammento sull’Apokatastasis e alla metafisica della storia in esso contenuta, avremo modo di osservare. Ma nel proseguire, per ora, nell’evocazione del milieu storico, quando nel 1700 appare il primo dei tre volumi che compongono l’opera di Petersen – che, dopo la dipartita da Lu¨neburg, viveva nei pressi di Magdeburgo di lezioni private dedicandosi, insieme alla moglie Johanna Eleonora, agli studi e alle pubblicazioni teologiche – intitolata Mysterion apokatastaseos panton, da tempo Leibniz, come si evince dalla vicenda della giovane visionaria, era a conoscenza del teologo origenista e delle sue vicissitudini ecclesiastico-giudiziarie. Ed e` proprio al trattato indicato che il filosofo fa riferimento nella lettera a Thomas Burnett of Kemney del 27 febbraio 1702, documento sintomatico dell’oculata prudenza di Leibniz nei confronti delle tesi origeniste, che non manca nondimeno di evidenziare verso di esse indulgenza e curiosita`, e rilevante, altresı`, per la traduzione di «apokatastasis panton» con l’espressione francese «restitution de toutes choses». Con queste parole, dunque, Leibniz, nel richiamare «le sentiment d’Origene de la salvation finale de toutes les creatures intelligentes», si esprimeva su Petersen: Nous avions il y a quelques anne´es un Surintendant a` Lunebourg, nomme´ M. Petersen, tres savant homme, qui quitta sa charge, parcequ’il vouloit dogmatiser sur le Chiliasme. Le meˆme continuant ses meditations dans sa retraite est alle´ au meˆme sentiment et a publie´ il y a deux ans ou environ un livre en Allemand in folio, intitule´ Αποκατ στασις π ντων ou de la restitution des toutes choses; ce livre est fait avec beaucoup d’erudition et de jugement. L’auteur apporte tous les passages des anciens et modernes favorables a` cette doctrine et il soutient son sentiment contre des savans adversaires avec beaucoup de moderation et de zele. Je l’ay parcouru avec plaisir et quoyque je n’aye garde de le suivre, je ne laisse pas de reconnoistre son merite. Il veut que des demibons souffriront pendant le regne des mille ans jusqu’au jour du jugement, qu’alors (ou meˆme quelques uns plustost selon les degre´s de la corruption) ils seront admis dans le regne de Jesus Christ, et les mechans qui n’ont pas puˆ estre corrige´s pendant cet intervalle, seront precipite´s avec les demons pour y achever d’estre corri-
da S. Kracauer, Prima delle cose ultime, tr. it. di S. Pennisi, Genova 1985, p. 86 sgg. Osservazioni sul rilievo delle micro-cause nel pensiero di Francesco Guicciardini si trovano in M. Perniola, Del sentire cattolico. La forma culturale di una religione universale, cit., p. 77 sgg.
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ge´s. C’est ce qui est la seconde mort. Mais enfin la mort perira elle meˆme; le diable meˆme se ravisera et sera receu en grace avec tous ses anges, et tous les damne´s. Et alors selon S. Paul, Dieu sera tout en tous. Voila` de plaisantes ide´es, aux quelles manque seulement la metempsychose, ou du moins la preexistence des ames, pour achever l’Origenisme [GP III, 283].
Ma, a conferma dell’interesse per i temi trattati da Petersen, il filosofo aveva addirittura redatto (personalmente o in collaborazione con J.G. Eckhart), dell’opera del teologo, una sintesi per la rivista Monathlicher Auszug aus allerhand neu herausgegebenen, nu¨tzlichen und artigen Bu¨chern 9 (aprile 1701) nella quale, pur nel distacco oggettivante del resoconto, non manca di trapelare nuovamente per le tesi esposte piu` indulgenza che critica. E` dunque, certo, in relazione a Petersen – conosciuto oltre che da Leibniz, come si e` detto, da Overbeck, sin da quando nel 1691, studente 10 della facolta` teologica presso l’Universita` di Helmstedt , aveva avvertito l’eco delle polemiche suscitate dalle tesi millenariste del sovrintendente di Lu¨neburg, e poco piu` tardi l’aveva vigorosamente osteggiato – che inizia il remoto annodarsi di quei fili che condurranno Overbeck stesso al rapporto epistolare con Leibniz e al dialogo con lui sull’apokatastasis panton. Nondimeno, l’arrie`re-plan biografico sin qui evocato, che fa da orizzonte alla redazione dell’Apokatastasis-Fragment e alla luce del quale occorre leggere lo scritto leibniziano, non sarebbe completo se non si aggiungesse – quale ulteriore congiuntura quanto mai rivelativa – che la cauta presa di distanza leibniziana dall’origenismo di Petersen, eloquentemente testimoniata nella lettera a Burnett («...quoyque je n’aye garde de le suivre, je ne laisse pas de reconnoistre son merite»), non impedisce all’hannoverese di entrare in corrispondenza con il teologo eterodosso e addirittura di caldeggiare la composizione, da parte sua, di un poema teologico e cosmologico culminante nella trattazione «de purificatione animarum et restitutione 11 rerum, vel potius amplificatione et exaltatione per gradus» . Del poema auspicato, che si concretizzera` in Uranias seu opera Dei magna carmine heroico celebrata – l’opera poetica di Petersen apparsa solo nel 1720, dopo la
9
Cfr. G.W. Leibniz, Deutsche Schriften, hrsg. von G.E. Guhrauer, Berlin 1838; Nachdruck: Hildesheim 1966, vol. II, 342-347. Piu` dettagliate informazioni circa questo scritto, apparso anonimo nella rivista indicata, ma di cui Leibniz in una lettera a J. Fabricius del 14 ottobre 1706 si dichiara autore (cfr. Dutens V, 278), si leggono in LF, 22. 10 Cfr. LF, 17 sgg. 11 Cfr. ivi, 25-28.
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morte di Leibniz, e sulla quale Lessing stesso si esprimera` con favore12 – il filosofo della Teodicea diviene, in effetti, almeno per un certo periodo, niente meno che il mentore, l’ispiratore e il collaboratore. Cantata in versi nell’Uranias di Petersen – commenta G. Grua in proposito – la salvezza universale non suscitava piu` gli stessi scrupoli di ortodossia di un trattato teologico, e poteva anche contribuire a ispirare la pieta`. Cosı` Leibniz sviluppa questo progetto e lavora a correggerne lo stile. Singolare flessibilita` di spirito, o abilita` a divulgare senza patrocinarla una ipotesi quanto meno possibile e attraente, poiche´ essa lascia, conformemente all’ottimismo, il campo aperto alla bonta` di Dio senza comprometterne la giustizia, e si concilia meglio delle antitesi radicali con la metafisica della continuita`13.
Sı`, «singolare flessibilita` di spirito», quella di Leibniz, che puo` intrattenere una relazione epistolare sia con Petersen, cooperando per un certo periodo alla stesura del suo poema d’ispirazione origeniana, sia con Overbeck, avverso al teologo eterodosso, componendo, nel corso della corrispondenza con quest’ultimo, una meditazione sulla storia universale e sui suoi destini (calcolabilita`, esauribilita` e dunque ripetibilita` degli eventi storici, oppure infinita progressione verso il meglio?) che, come vedremo, finisce per costituire una peculiare ricezione teoretica – alla luce della metafisica dell’armonia universale e nel rifiuto dell’apokatastasis intesa come ritorno ciclico del medesimo – dell’escatologia origeniana. Nel corrispondere con entrambi gli studiosi, nella moderazione scevra da ogni eccesso nel prendere posizione in materia teologica, e infine nello stesso frammento sull’Apokatastasis, in realta`, se e` dato riconoscere il ben noto spirito di mediazione del filosofo, che di ciascuno sapeva riconoscere le ragioni e ogni cosa volgere al meglio, e` lecito scorgere, piu` profondamente, lo sforzo di lasciare aperta quanto meno la possibilita` alla Sache contenuta nell’origenismo teologico – l’universalita` della salvezza assicurata all’umano destino – autenticandola in virtu` di una decantazione, di una “catarsi”, che ragione e filosofia, trascendendo ogni spirito di setta, purificando la “miticita`” che avvolge le teologie e le dispute chiesastiche, rendono possibili. Una res 12
«Petersen – scrive Lessing – era un uomo assai sapiente e ricco di spirito, e il suo genio poetico per nulla comune. Il suo Uranias e` pieno di brani eccellenti; e che cosa si puo` dire a suo elogio piu` del fatto che Leibniz si degno` di perfezionarlo, dopo aver egli stesso elaborato il progetto?» (cfr. G.E. Lessing, Sa¨mtliche Werke, ed. Lachmann-Muncker, Stuttgart/Leipzig/Berlin, 1886-1924, rist. Berlin-New York, 1979, vol. VIII, p. 17). 13 G. Grua, La justice humaine selon Leibniz, Paris 1956, p. 213.
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quale quella veicolata dall’origenismo storico, d’altronde, non poteva non essere avvertita da Leibniz come naturaliter conforme alla propria ispirazione metafisica e intimamente omogenea al proprio ecumenismo religioso, per quanto il filosofo non osi mai aderirvi esplicitamente. In questa prospettiva, nel frammento sull’Apokatastasis – come conferma Michel Fichant – dopo aver introdotto ex hypothesi la concezione ciclica del ritorno d’impronta stoica, associata a una determinazione combinatorio-matematica, e dopo averla respinta, tutto si svolge, alla fine, come se [Leibniz] avesse voluto sostenere la causa di un quasi-origenismo filosofico, purificato dalle ingenuita` e dalle incoerenze che costituivano, ai suoi occhi, la debolezza originaria dell’origenismo storico [LF, 173]14.
Ma, per chiarificare ulteriormente il senso di una simile Aneignung filosofica dell’apocalittica origeniana, che si lega in Leibniz alla discussione combinatoria sulla calcolabilita` e sulla ripetibilita` degli eventi, occorrera` dilatare il milieu sin qui evocato in una piu` ampia analisi storica, attenta in particolare alla presenza dell’origenismo nella cultura del tempo.
2. – Origenismo ed eternita` dell’inferno nell’eta` della crisi della coscienza europea Certo, la vicenda di Petersen, con il giudizio della Corte concistoriale di Celle e la destituzione dagli incarichi ricoperti a Lu¨neburg, e le stesse esitazioni di Leibniz, la dicono lunga sulla diffidenza e ostilita` che avvolgevano e accompagnavano, nell’ultimo scorcio del XVII secolo, le dottrine origeniste. Per assistere al pieno riscatto di Origene e delle sue tesi eterodosse, almeno sul terreno della cultura filosofica e letteraria, occorrera` attendere le eta` di Lessing e di Goethe, esperte come poche di riabilitazioni di eretici, primo fra tutti, naturalmente, l’“ateo” Spinoza, prontamente ridefinito da Novalis come «uomo ebbro di Dio», per arrivare a Girolamo Cardano, cui Lessing ha dedicato una nota Rettung. Non occorre, invece, aspettare Aufkla¨rung e Goethezeit per vedere massicciamente attaccata e 14
Di M. Fichant si veda anche Ewige Wiederkehr oder unendlicher Fortschritt: Die Apokatastasisfrage bei Leibniz, in SL, XXIII/2, 1991, pp. 133-150. Il saggio e` leggibile in tr. spagnola con il titolo di Leibniz y el eterno retorno. Reflexiones sobre la idea de apokata´stasis, in “Revista de filosofia”, 8, 1992, pp. 283-302.
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messa in questione l’eternita` delle pene infernali. Un simile attacco era gia` stato formulato almeno da Ernst Soner (1572-1612), professore di medicina e di fisica ad Altdorf fra il 1605 e il 1612, sociniano, nell’opera apparsa postuma (1654) – il cui disegno e` gia` tutto nel titolo – Demonstratio Theologica et Philosophica, quod aeterna impiorum supplicia non arguant Dei justitiam, sed injustitiam. Ad essa, e` rilevante ricordarlo, e` legato il nome dello stesso Leibniz, il quale sull’opera di Soner – che il filosofo intendeva ripubblicare, dopo la sua prima uscita anonima e clandestina – aveva scritto le brevi note di quella Vorrede rinvenuta da Lessing nella biblioteca di Wolfenbu¨ttel e riprodotta nel saggio Leibniz von den ewigen Strafen (1773). Ma e` soprattutto nel corso dell’eta` che P. Hazard ha definito della «crisi della coscienza europea» (1680-1715) che le critiche alla durata eterna delle pene infernali sono destinate a incrementarsi, nella forma di manoscritti 15 clandestini o di opere ufficiali , per esplodere nei decenni successivi e giungere, nell’Ottocento, a quella «fine dell’inferno» di cui ha parlato 16 Philippe Arie`s . D’altronde, e` proprio Hazard a qualificare l’eta` da lui battezzata come il tempo dell’eterodossia, di tutte le eterodossie; degli indisciplinati, dei ribelli, che, durante il regno di Luigi XIV, pullulavano nell’ombra, aspettando solo il segnale della liberazione17,
e a porre quale simbolo di essa Pierre Bayle, il grande antagonista del Leibniz degli Essais de The´odice´e, che nella voce del Dictionnaire historique et critique dedicata a Origene, sa levare una delle voci piu` limpide e radicali sul problema: la nozione di inferno – scrive Bayle nel corso della sua disamina – e` del tutto incompatibile con la bonta` di Dio. Dopo aver evidenziato l’inconsistenza della pretesa di quantificare la giusta durata dei castighi ultraterreni secondo una logica del “piu`” o del “meno”, si legge infatti: Voi non potete dunque pervenire alla suprema bonta` di Dio che sopprimendo fino all’ultimo minuto i supplizi infernali. Poiche´, cio` che Dio puo` 15 Sulla diffusione dell’origenismo tra il Seicento e l’Ottocento si veda la sintetica ma eloquente documentazione contenuta in G. Minois, Piccola storia dell’inferno, tr. it. di N. Muschitiello, Bologna 1995, pp. 104-107. Sull’origenismo in Germania nel XVIII secolo cfr. D. Breuer, Origenes im 18. Jahrhundert in Deutschland, in “Seminar. A Journal of Germanic Studies”, 21, 1985, pp. 1-30. 16 Cfr. P. Arie`s, L’uomo e la morte dal Medioevo a oggi, tr. it. di M. Garin, Roma-Bari 1989, pp. 553-555. 17 P. Hazard, La crisi della coscienza europea, cit., p. 127.
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essere per un momento, puo` esserlo due ore, due secoli, e tutta l’eternita`; ma cio` che fosse incompatibile con la sua natura nell’eternita`, lo e` anche in ogni istante della durata delle cose18.
Del resto, proprio al centro di tale eta`, propedeutica a quella dei Lumi, si colloca la grande opera del pietista Gottfried Arnold Unparteiische Kirchen- und Ketzerhistorie (Frankfurt, 1699-1700) che, estendendosi dalle origini cristiane al 1688, ha certo concorso in modo decisivo alla riabilitazione, operata da Illuminismo e Romanticismo, delle espressioni della fede cristiana bandite dalle Chiese ufficiali e, in particolare, dell’origeniana apokatastasis panton, dallo storico e teologo pietista ritenuta ormai prossima. Nientemeno che Goethe, infatti, in Dichtung und Wahrheit, ricorda il debito contratto con l’opera di Arnold letta, come scrive Friedrich Meinecke – il quale colloca il pietista, insieme a Shaftesbury, a Leibniz e a Vico, tra i “precursori” dello Historismus – «nella sua fervida giovinezza, dopo il 1768, quando da Lipsia era tornato a Francoforte e raccoglieva elementi per una nuova vita interiore»19. Sono, d’altronde, proprio le parole del genio della Romantik, che della arnoldiana Storia imparziale della Chiesa e degli eretici puo` affermare: Le sue opinioni concordavano colle mie, e quello che nell’opera sua particolarmente mi piaceva era il fatto che molti eretici che fino a quel tempo mi erano stati dipinti quali matti o empi, erano qui presentati sotto 20 aspetto piu` vantaggioso , 18
Dictionnaire historique et critique de Pierre Bayle, Nouvelle e´dition, Paris 1820, t. onzie`me, p. 258. Su questa voce del Dictionnaire di Bayle Leibniz ha scritto questa «remarque critique»: «Monsieur Bayle, article Orige`ne, rapporte des raisonnnemens excellens des Parrhasiana. Les maux physiques et moraux du genre humain sont d’une dure´e si courte en comparaison de l’e´ternite´, qu’ils ne peuvent pas empeˆcher que Dieu ne passe pour bienfaisant et pour ami de la vertu ... M. Bayle re´pond a` l’orige´niste au nom du Maniche´en que la bonte´ de Dieu doit estre parfaite, et le vice et la mise`re pour un temps qui peut estre assez long, luy est contraire. Pour moy, je crois que Parrhasiana a eu raison de re´presenter que le mal n’est pas si grand qu’on pense. Mais M. Bayle a raison aussi de s’e´tonner qu’il y en ait quelque petit ou grand qu’il pourroit estre. Ce qui doit finir la difficulte´ est que ce petit mal augmente meˆme le bien» (Remarques critiques de Leibniz sur le Dictionnaire de Bayle. 1˚ Orige`ne, in Lettres et Opuscules ine´dits de Leibniz, publ. par A. Foucher de Careil, Paris 1854, pp. 173-174). Alla fine di tale remarque Leibniz menziona anche Petersen (ivi, p. 175). Sull’articolo “Orige`ne” del Dictionnaire ci limitiamo a segnalare le osservazioni di J. Delvolve´ in Religion, critique et philosophie positive chez Pierre Bayle, rist. New York, 1971, p. 318 sgg. (testo ancora assai utile per quanto risalente al 1906). 19 F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 36. 20 G. W. Goethe, Autobiografia (Poesia e verita`), tr. it. di A. Courtheoux, Milano 1907, parte seconda, libro primo, p. 35.
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a consentire di avanzare l’ipotesi, formulata da Giovanni Moretto, secondo cui proprio attraverso l’opera di Arnold ... Goethe si sia accostato alla dottrina origeniana dell’apokatastasis, per metterla a frutto nella conclusione del Faust, cioe` della tragedia il cui iniziale Prologo in cielo ha nel libro biblico di Giobbe il suo principale modello21.
Tuttavia, mentre il poeta del Faust poteva asserire la concordanza del proprio punto di vista storico con quello di Arnold, Leibniz che, dal canto suo, conobbe e lesse l’opera del pietista, non pare esprimersi al riguardo con accenti di analogo consenso, mostrando di prediligere all’animosita` critica arnoldiana nei confronti delle Chiese istituzionali la «humilite´» e la «douceur» di un Bo¨hme o la «moderation» di uno Spener. Cosı` in una lettera a A. Morell del 1 (11) settembre 1699 il pensatore si esprime su Arnold: La guerre Theologienne entre les Pietistes et Antipietistes dure tousjours et ne sert point a` l’accroissement de la piete´. Un nomme´ Monsieur Arnoldus a donne´ une Histoire Ecclesiastique ou il daube fort l’ordre Ecclesiastique et on dit qu’il a quitte´ expres sa Chaire de profession d’Histoire a` Giessen pour n’avoir point de connexion avec Babel. Mais il me semble que ce zele auroit besoin d’un peu de moderation, je n’ay point encor luˆ son Histoire Ecclesiastique, mais j’ay luˆ un autre livre en vers allemands, qu’on luy attribue, et qui me paroist trop fort. Il faut attaquer les vices, sans marquer trop d’animosite´ contre les personnes. Il me semble qu’on pourroit travailler a` la propagation de la verite´ et de la piete´ avec une douceur digne d’une veritable charite´, au lieu que l’esprit sectaire et schismatique de ceux qui se dechainent contre les abus semble marquer qu’il y a un peu d’ambition dans leur fait [A I, 17, 473-474]22.
E in una successiva lettera a Morell del 17 (27) dicembre 1699, Leibniz ritornava su Arnold
21
G. Moretto, Il principio uguaglianza nella filosofia, cit., p. 27. Si veda inoltre la lista di errori rilevati nella Storia imparziale della Chiesa e degli eretici di Arnold, pubblicata in “Monathlicher Auszug aus allerhand neu herausgegebenen, nu¨tzlichen und artigen Bu¨chern”, 1700, Junius, VIII, 296-307, tr. lat. Cogitationes de erroribus tum specialibus, tum & historicis qui in Ecclesiarum, Haeresiumque Historia Cel. Arnoldi occurrunt, ex Germanico sermone in Latinum versae, in Dutens V, 605-609. Il testo e` leggibile anche in G.W. Leibniz, Deutsche Schriften, cit., vol. II, pp. 350-364. 22
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dont la maniere d’ecrire – commenta il filosofo – me paroist trop feroce et trop tumultueuse. Ce qui n’a pas coustume de produire un bon effect. Si ce stile a reussi a` Luther c’est un exemple qui n’est pas a` imiter. La douceur et la moderation de Kempis, de Bo¨hme et de M. Spener me plaist bien d’avantage, et me paroist plus propre a` produire du fruit. Je conviens qu’il y a une grande corruption parmy les Ecclesiastiques, mais ou` est ce qu’il n’y en a point [A I, 17, 719-720].
Tutt’altro che “imparziale”, col dare la sua preferenza ai gruppi settari o a grandi figure individuali piuttosto che alle Chiese ufficiali, l’opera di Arnold, che sottraeva l’eresiologia alle ortodossie rendendo giustizia ai “testimoni della verita`” tenuti ai margini o perseguitati dalle istituzioni ecclesiastiche, non era destinata dunque a incontrare il favore di Leibniz, il cui progetto ecclesiologico per la riunione delle Chiese, che al tramonto del XVII secolo e all’alba del XVIII il filosofo andava ancora tenacemente tessendo nel dialogo con Bossuet, ma che inesorabilmente si stava avviando 23 al definitivo fallimento , si muoveva in tutt’altra direzione rispetto al disegno arnoldiano di storia del cristianesimo. Refrattario com’era all’asprezza delle controversie di setta almeno quanto agli esclusivistici “extra 24 ecclesiam nulla salus” delle Chiese istituzionali , il cristianesimo razionale e universale di Leibniz non poteva che perseguire un’idea di Chiesa e di 23
Sui rapporti tra Leibniz e Bossuet e sul dibattito ecclesiologico per la riunione delle Chiese ci limitiamo a ricordare la documentazione raccolta in F. Gaque`re, Le dialogue ire´nique Bossuet-Leibniz. La re´union des Eglises en e´chec (1691-1702), Paris 1966, e P. Hazard, La crisi della coscienza europea, cit., pp. 246-293. 24 Di un simile cristianesimo kantianamente “amabile” e “liberale”, al quale non puo` riuscire tollerabile l’idea di un Dio che danni eternamente chi non faccia parte di una certa Chiesa o setta, e` testimonianza particolarmente eloquente, tra le tante possibili, una lettera di Leibniz all’Elettrice Sophie del 10 settembre 1697: «On veut que Dieu livre a` des flammes eternelles et a` des miseres infinies tous ceux, qui ne sont pas attache´s a` une certaine caballe des hommes, et qui ne reconnoissent point pour leur chef le Prince Eveˆque de la ville de Rome; pendant que cet Eveˆque exige d’eux des choses qui ne sont pas en leur pouvoir puisqu’il les veut faire croire des opinions qui paroissent entierement insoutenables. Est il possible qu’on puisse avoir une ide´e si basse et si mauvaise de Dieu que de le croire capable du plus ridicule des caprices, et de la plus criante des injustices? Attribuer au souverain Maistre de l’univers un gouvernement e´galement impertinent et tyrannique, c’est approcher du blasphe`me. Ainsi, a` force de religions on detruit la religion la plus fondamentale, qui est honnorer et aimer Dieu. Et il est a` craindre, que ceux qui se croyent seuls heureux, et seuls aime´s ou eluˆs de Dieu, ne soyent les plus attrape´s, en faisant Dieu complice de leur vanite´. Je l’ay dit, et je le dis encor: nous envoyons des Missionnaires aux Indes pour precher la religion revele´e. Voila qui va bien: mais il semble que nous aurions besoin que les Chinois nous envoyassent des Missionnaires a` leur tour, pour nous apprendre la religion naturelle que nous avons presque perdu¨e» [A I, 14, 72].
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religione incompatibile non solo con quella, settaria e misticheggiante, prospettata da Arnold nella sua opera ma, piu` in generale, con quella pietista. Non a caso, anche l’apprezzamento per la teologia moderata di Spener non toglie l’impressione, evidente negli scambi epistolari, della distanza tra il filosofo di Hannover e la teologia devota del Pietismo, definiti da Ernst Troeltsch pur nel loro contrapporsi, i due eventi centrali nella vita spirituale tedesca durante il suo periodo infelice in cui si mescolarono confusamente su un terreno debole e frammentato i residui del Medioevo e il nuovo spirito della cultura occidentale ... due espressioni viventi dello spirito religioso protestante, l’uno nel contatto con un mondo nuovo, l’altro nella riattivazione dell’antico patrimonio25.
Leibniz e il Pietismo: due ermeneutiche del cristianesimo protestante coeve quanto profondamente distinte nell’ispirazione riformatrice, nel disegno ecclesiologico e nella stessa ricezione dell’idea origeniana di apokatastasis panton, la cui discrepanza, nel comune radicarsi sulla humus della Riforma, Troeltsch ha finemente delineato in parallelo nelle pagine richiamate. In esse, come si e` gia` avuto modo di osservare, il pensatore dello storicismo non solo ha saputo efficacemente descrivere l’anima religiosa leibniziana, segnata dall’indifferenza e dal disprezzo per le radici del dogma, per l’idea fondamentale del carattere sovrannaturale delle rivelazioni divine che bisognava provare con miracolo e profezia, con ispirazione o autorita` della Chiesa26,
ma, piu` di Dilthey, per il quale «Leibniz non ha mai cercato di accogliere 27 nel suo sistema filosofico il mondo della storia» , ha saputo vedere nel pensatore tedesco la connessione tra il sistema metafisico-teleologico e la visione storica. Quanto l’Apokatastasis-Fragment, ancora sepolto negli archivi hannoveresi al tempo della redazione del saggio troeltschiano, sia destinato a 25
E. Troeltsch, Leibniz e gli inizi del Pietismo, in Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit., p. 206. 26 Ivi, p. 176. 27 L’espressione di Dilthey, gia` da noi ricordata, e` ripresa da Meinecke, che non si colloca troppo lontano da essa, in Le origini dello storicismo, cit., p. 22. Cfr. W. Dilthey, Leibniz e il suo tempo, in Dilthey – Troeltsch, Leibniz e la sua epoca, cit., p. 112. Sul significato di questa espressione e sulla sua critica, cfr. W. Conze, Leibniz als Historiker, cit., p. 32 sgg.
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confortare la tesi del filosofo e teologo liberale circa l’innesto della storia, da parte di Leibniz, entro la struttura metafisica, diventera` evidente nella prosecuzione della nostra analisi. Ma, per tornare alla circolazione delle idee origeniane nell’epoca di Leibniz, nel rammentare ancora, a questo proposito, l’opera di Pierre-Daniel Huet Origenis in Sacras Scripturas com28 mentaria , la cui edizione nel 1668 valse all’erudito francese – con cui Leibniz fu in corrispondenza – fama e lustro nel mondo culturale del tempo, occorre concludere che, certo, al filosofo della Teodicea non mancavano nel suo tempo le fonti e gli stimoli per riflettere sui problemi della finale reintegrazione di tutte le cose nel bene originario e dell’eternita` delle pene infernali. Non c’e` bisogno, in effetti, di attendere il frammento sull’Apokatastasis, scritto sulla soglia della morte e sottratto al silenzio oltre due secoli dopo la sua redazione, per rilevare la sollecitudine leibniziana verso quei temi escatologici. Lessing – lo si e` gia` ricordato – ha dedicato nel 1773 un saggio a Leibniz von den ewigen Strafen, giustificando, contro le critiche di J.A. Eberhard, pastore di Berlino e teologo illuminista, l’adesione sincera e non “strategica” di Leibniz alla tesi ortodossa della dannazione eterna. D’altronde – argomenta Lessing – se Leibniz ha preferito la dottrina ortodossa al socinianesimo di E. Soner, lo ha fatto non «nel senso grossolano e 29 confuso di alcuni teologi» , ma in nome della «grande verita` esoterica ... del principio fecondo per il quale nel mondo nulla e` isolato, nulla e` senza 30 conseguenze, nulla senza conseguenze eterne» . Se percio` – prosegue Lessing – neppure il peccato puo` essere senza conseguenze, e se tali conseguenze sono le punizioni del peccato: come
28
Gli Origeniana di P.-D. Huet sono stati riprodotti nella Patrologia greca di Migne, 1857, tomo 17 (in part. il tema dell’apokatastasis panton e` trattato nel Libro II, cap. II, Quest. XI, § XVI, col. 1023 sgg.). Sul pensiero di P.-D. Huet e sui rapporti con Leibniz, ci limitiamo a rinviare allo studio di E. Rapetti, Pierre-Daniel Huet: erudizione, filosofia, apologetica, Milano 1999 (cenni agli Origeniana a p. 3 sgg.). 29 G.E. Lessing, Sa¨mtliche Werke, cit., XI, p. 473. Sul saggio lessinghiano si possono leggere: G. Fittbogen, Die Religion Lessings, Leipzig 1923, p. 286 sgg.; E. Schmidt, Lessing. Geschichte seines Lebens und seiner Schriften, Berlin 1923, zweiter Band, p. 197 sgg.; G. Pons, Gotthold Ephraı¨m Lessing et le christianisme, cit., pp. 246-271; J. Schneider, Lessings Stellung zur Theologie vor der Herausgabe der Wolfenbu¨ttler Fragmente, ’s-Gravenhage, s.d. (1953), pp. 201 sgg.; B. Meyer, Lessing als Leibnizinterpret. Ein Beitrag zur Geschichte der Leibnizrezeption im 18. Jahrhundert, Mu¨nchen 1967, pp. 111-122; G. Cunico, Da Lessing a Kant, cit., p. 50 sgg. 30 G.E. Lessing, Sa¨mtliche Werke, XI, cit., p. 477.
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possono queste pene non durare che per l’eternita`? Come possono queste conseguenze cessare mai di avere delle conseguenze?31.
Quando tuttavia, alla fine, Lessing invitava a ritornare all’idea di purgatorio come stato intermedio creduto e insegnato dalla Chiesa antica, e che i nostri Riformatori, nonostante l’odioso abuso a cui si era prestato, non avrebbero dovuto forse rifiutare con tanta avversione32,
idea avvertita affine alla «bessernde Sokratische Ho¨lle», egli, piuttosto che allontanarsi dal filosofo di Hannover, ne esplicitava e prolungava, in realta`, le istanze piu` profonde. A suggerire con eloquenza le quali, puo` valere il brano di questa lettera (4/14 settembre 1690) scritta da Leibniz al Langravio di Hessen-Rheinfels in riferimento alle posizioni di Arnauld: cependant je ne suis pas entierement dans les sentiments de M.r Arnauld qui (pag. 132 de la seconde denonciation) trouve estrange que tant de millions de paı¨ens n’ayent pas este´ condamne´s; et moy je le trouverois bien plus estrange s’ils l’eussent este´: je ne sc¸ais pourquoy nous sommes si porte´s a` croire les gens damne´s ou plonge´s dans les miseres eternelles, lors meˆme qu’ils n’en pouvoient; mais, cela donne des pense´es peu compatibles avec la bonte´ et avec la justice de Dieu [A I, 6, 107-108]33.
Analoga esitazione riecheggia negli Essais de The´odice´e (cfr. Parte terza, § 272; GP VI, 278-280), al termine di una esposizione dove, pur senza nominare il purgatorio, viene riportata una serie di tesi favorevoli alla limitazione delle pene infernali e nuovamente criticata la tranquillita` morale e teologica di chi accetta di buon grado la dannazione eterna di innumerevoli anime. Le riflessioni leibniziane sulla terribilita` e sulla non auspicabilita` della dannazione definitiva di molti – sempre degli altri e mai di se´, come non manca di rilevare il filosofo – non soltanto richiamano, per affinita` d’ispira31
Ibid. Ivi, p. 486. 33 Si veda anche la versione della lettera, ancor piu` eloquente, riportata anche in G I, 237-238. Sull’eternita` delle pene cfr. inoltre la lettera alla duchessa Sophie del 3 (13) settembre 1694 (A I, 10, 58 sgg). Sul purgatorio cfr. A I, 10, 89 sgg. Si legga altresı` la lettera a Lorenz Hertel datata 8 (18) gennaio 1695, in cui Leibniz ritorna sul tema dell’eternita` delle pene, in A I, 11, 21-23. 32
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zione, quelle contenute nel saggio lessinghiano sul brivido di orrore che prende l’umanita` di fronte alla possibilita` dei castighi eterni, ma, come Lessing conclude, sull’onda del Gorgia platonico, sulla preferenza da accordarsi alla transitorieta` del purgatorio, analogamente Leibniz, pur non osando affermarlo per certo, e` tentato – secondo quanto conferma Grua – dall’ipotesi di ridurre l’inferno al purgatorio, la forma piu` seducente di progresso. Nella Citta` di Dio, Stato eccellente, la felicita` potrebbe essere infinita, mentre la miseria potrebbe avere una conclusione34.
Alla fine, dall’esame complessivo del pensiero leibniziano, sembra lecito concludere, ancora con Grua, che e` il purgatorio in Leibniz a includere l’inferno, come un caso eccezionale, in conformita` con lo spirito continuista mostrato fin da Magonza: impurita`, i peccati dell’uomo meritano la pena correttiva del purgatorio. Ma gli uomini che muoiono nel peccato mortale sono incorreggibili, e cosı`, accidentalmente, la loro volonta` trasforma in inferno il loro purgatorio35.
Conforme alla ragione e all’antica tradizione, dunque, il purgatorio appare a Leibniz ipotesi profondamente razionale che «allarga il cielo, e 36 lascia perfino sperare nella salvezza di tutti» . Come ribadisce, a suo modo, G. Deleuze con immagine musicale: tutta la teoria leibniziana del male e` un metodo per preparare e risolvere le dissonanze di una “armonia universale”37,
non solo perche´ l’anima del dannato, per quanto produca «una dissonanza a nota univoca, spirito di vendetta e di risentimento, odio verso Dio che va all’infinito», «e` ancora una musica, un accordo, per quanto diabolico», ma
34
G. Grua, La justice humaine selon Leibniz, cit., p. 211. Ivi, p. 210. 36 G. Grua, Jurisprudence universelle et the´odice´e selon Leibniz, Paris 1953, p. 516 (cfr. anche p. 344). 37 G. Deleuze, La piega, cit., p. 197. Sul medesimo tema della dannazione, soprattutto in riferimento alle fondamentali pagine della Confessio Philosophi, e in rapporto alla nozione di progresso, cfr. anche ivi, pp. 108-114. Sugli stessi temi Deleuze si sofferma brevemente nell’intervista a lui fatta da R. Maggiori, leggibile in “aut aut”, 1993, 254-255, p. 130. 35
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anche per il fatto che, «secondo Leibniz, anche l’accordo diabolico puo` 38 trasformarsi» . Cosı`, all’obiezione che, all’interno del genere umano, la Civitas diaboli e` di gran lunga piu` popolata della Civitas Dei, Leibniz puo` rispondere allargando le mura di quest’ultima, resa cosı` idonea a convocare tutti gli spiriti razionali, anziche´ il ristretto novero degli eletti. Addirittura, nel suo pensiero, resta un’unica e perfetta Repubblica delle monadi spirituali, specchio dell’armonia universale, di cui Dio e` il Monarca, che aduna eletti e reprobi, giusti e ingiusti, santi e peccatori, e dove il n’y aura point de bonne Action sans recompense, point de mauvaise sans chatiment, et tout doit reussir au bien des bons ... [GP VI, 622].
Ci accingiamo, con cio`, ad analizzare piu` da vicino il contenuto del frammento sull’Apokatastasis.
3. – La Biblioteca di Babele e l’eterno ritorno. La storiografia tra atomismo e combinatoria Non e` per indulgere a sin troppo facili imitazioni dell’incipit foucaultiano di Les mots et les choses – caratterizzato dalla celebre analisi del quadro Las Meninas (1656) di Vela´zquez, in cui il filosofo francese ravvisa la cifra del sorgere della rappresentazione moderna sulle ceneri della “prosa del mondo” rinascimentale – se qui evochiamo il quadro di Pieter Boel Grande natura morta della Vanita`, che reca la data del 1663 (la stessa della leibniziana Disputatio Metaphysica de principio individui), quale eloquente illustrazione di quella Stimmung storica seicentesca che Walter Benjamin nel Dramma barocco tedesco ha descritto a tinte fosche come segnata da disordine, opacita`, senso tragico di rovina e ripetizione. Si scorgono, in quel dipinto, in mezzo a una congerie di oggetti che compongono una sorta di disordine fastoso e tetro, collocati accanto a un sepolcro, tra un elmo, uno scudo, una corazza, una spada, cifre di una gloria guerresca che fu, i simboli del potere temporale e religioso deposto: una corona regale, una tiara, un vincastro. Sembra rispecchiarsi in questa festa colorata e macabra di cose desolatamente abbandonate, come si accennava, la visione barocca della storia descritta da Benjamin come vuoto avvicendarsi sulla scena del 38
G. Deleuze, La piega, cit., pp. 197 e 198.
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mondo di sovrani, principi, pontefici, sui quali, alla fine, cala inesorabilmente il medesimo malinconico sipario di un destino segnato, piu` che da disegni provvidenziali, dal gioco del caso, dal vento della fortuna. Vanitas vanitatum: in questo movimento eterno che agita la ruota della storia senza produrre fini, e che coinvolge nelle sue disteleologiche impermanenze tanto gli Imperi, o gli Stati, coi loro regnanti, quanto l’ecclesia Dei, coi suoi rappresentanti, siamo certo lontani dalla visione del processo storico che Bossuet ha prospettato nel Discours sur l’histoire universelle come definito dall’opposizione tra la «suite de la religion et les changements des empires», tra la «durata perpetua della religione» e le rivoluzioni intervenute, invece, nella vicenda degli Imperi, palesemente ispirata al dualismo agostiniano tra Citta` celeste, eterna e imperitura, e Citta` terrena, transeunte e caduca. No, nel dipinto di Boel nulla – ne´ la storia profana, ne´ quella sacra – e` sottratto alla tomba, alla rapina del tempo, alla senescenza del mondo, al disordine e al dubbio che i celebri versi di An Anatomie of the World (1611) di John Donne nello stesso secolo denunciavano: E la nuova filosofia mette tutto in dubbio, l’elemento del fuoco e` affatto estinto; il sole e` perduto, e la terra; e nessun ingegno umano puo` indicare all’uomo dove andarlo a cercare. E liberamente gli uomini confessano che questo mondo e` finito, dato che nei pianeti e nel firmamento ne cercano tanti di nuovi; essi vedono che questo si e` di nuovo frantumato nei suoi atomi. E` tutto in pezzi, scomparsa e` ogni coesione, ogni equa distribuzione, ogni rapporto: sovrano, suddito, padre, figlio, son cose dimenticate ...39.
Ma poteva Leibniz accettare che fosse la “vanitas vanitatum” dell’Ecclesiaste l’ultima parola sul destino della storia universale? Poteva indugiare, sul piano storico, nella malinconica contemplazione di un paesaggio di rovine, di una polverizzazione di atomi che un dio giocatore di dadi ha scagliato a 40 caso, secondo un’immagine di Guillaume Lamy (1644-1682)? Il migliore 39
J. Donne, Anatomia del mondo, in Id., Liriche sacre e profane. Anatomia del mondo. Duello della morte, cit., p. 113. Fini riflessioni su questo testo poetico nel quadro della seicentesca Weltanschauung sono leggibili in P. Rossi, Aspetti della rivoluzione scientifica, Napoli 1971, pp. 162 e 226 sgg. 40 Sul pensiero di G. Lamy e sul rapporto tra atomismo e ateismo nel ’600, cfr. G. Minois, Storia dell’ateismo, tr. it. di O. Trabucco e L. La Porta, Milano 2000, pp. 240-242 (piu` in
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dei mondi non e` quello in cui non c’e` spreco ne´ dispendio, quello il cui «meccanismo metafisico» assicura all’esistenza «la massima quantita` d’essenza o di possibilita` ... in modo che si raggiunga, per cosı` dire, il massimo effetto con la minima spesa», quello, infine, in cui anche l’inquietudine jobica riceve soddisfazione, poiche´ «le afflizioni degli uomini buoni si deve 41 ritenere per certo che gioveranno ad un loro bene maggiore» ? Quanto spreco, invece, quanta incuria nell’organizzazione delle conoscenze ottenute dall’umanita`, affastellate come in un «grande negozio o magazzino o deposito senza ordine e senza inventario, perche´ non sappiamo noi stessi cio` che possediamo e non possiamo servircene in caso di 42 bisogno» ! La fondazione delle Accademie rispondeva proprio, nel disegno di Leibniz, al proposito di instaurare una cooperazione tra gli studiosi per un universale progresso delle scienze, cosı` da creare una sorta di pubblico tesoro o di banca dell’umanita`. Anche nella babelica, barocca Biblioteca storico-universale ipotizzata da Leibniz nella prima parte dell’ApokatastasisFragment, nulla va sprecato. Come in un immenso, labirintico deposito ogni evento vi e` raccolto e conservato. In fondo, in essa si rispecchia, applicandola alla storia e fantasiosamente dilatandola fino all’assoluta completezza, quell’ideale di biblioteca universale che Leibniz aveva perseguito nel suo lavoro di bibliotecario, a Hannover e Wolfenbu¨ttel, e nella sua raccolta privata. Eppure nel frammento, a seguire il filo vertiginoso dell’argomentazione leibniziana, coi suoi numeri sovrumani, si e` condotti fin sull’orlo della suprema e piu` terribile forma di vanitas, la stessa udita da Nietzsche, non senza brivido di orrore, dal demone che striscia furtivo nella piu` solitaria delle solitudini: quella segnata dall’eterno ritorno dell’uguale. Tale, infatti, stranamente, nonostante le implicazioni origeniane sottolineate in precedenza, e` il concetto di apokatastasis – non origeniano – in cui ci si imbatte all’inizio del testo leibniziano: qui, l’idea di ripetibilita` ciclica dell’identico, formulata nel linguaggio, familiare a Leibniz, dell’ars combinatoria, si traduce nel pensiero di una registrazione di tutti gli eventi mondiali, pubblici e privati, fino alla conclusione che, stanti certe premesse logicoontologiche, la storia e` destinata a esaurire i suoi contenuti e dunque a generale sul Seicento si vedano i capp. VII-IX). Cfr. anche G. Giorello, Lo spettro e il libertino. Teologia, matematica, libero pensiero, Milano 1985. 41 Cfr. De rerum originatione radicali, GP VII, 303 e 307. 42 Cfr. Discours touchant la methode de la certitude, et l’art d’inventer pour finir les disputes, et pour faire en peu de temps des grands progre´s (1688-1690?), in A VI, 4 A, 956. Sulla biblioteca e sulla conservazione del sapere nei secoli, cfr. Aa.Vv., La memoria del sapere, cit., (su Leibniz in part. cfr. C. A. Viano, La biblioteca e l’oblio, p. 266 sgg.).
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ripetersi. Qualcosa, tuttavia, interviene in seguito a vanificare la perfetta specularita` tra Biblioteca e Universo, torcendo l’anulus dell’eterna ripetizione ciclica in spirale che, «vel paulatim, vel etiam aliquando per saltus», assicura la progressione verso nuove perfezioni. Il confronto leibniziano con l’origenismo e con l’idea di una possibile reintegrazione delle creature nel bene originario avviene dunque mediante la considerazione della teoria che, pur raccolta sotto il medesimo termine di «apokatastasis», Origene aveva strenuamente rifiutato: quella di stampo peculiarmente stoico – che Leibniz sottopone alla cogenza calcolistica della combinatoria, rivisita in chiave atomistico-epicurea, applica alla storiografia, e infine scarta in forza di argomenti metafisici – relativa al ristabilimento ciclico dell’uguale. Ma ascoltiamo lo svolgimento dell’ardita tesi proposta nella prima parte dello scritto di cui ci occupiamo. La quale non suona, per la verita`, del tutto inedita: non solo per il fatto di appartenere all’orizzonte mentale e categoriale della caratteristica universale – giovanile sogno leibniziano che si proietta fino a questo tardo singolare frammento –, dell’enciclopedia e del calcolo logico, ma anche perche´ Leibniz ne aveva gia` proposto, in termini affini e complementari, sia l’articolazione, fondata sul calcolo combinatorio applicato alla determinazione del numero di verita` e falsita` possibili, sia l’approdo, nella forma del «nihil dici quod non dictum sit 43 prius», in uno scritto del 1693, intitolato De l’horizon de la doctrine humaine . Si diano in un libro in-folio – scrive dunque Leibniz nel frammento sull’Apokatastasis – diecimila pagine di cento righe ciascuna, e ogni riga di cento lettere: ne risultera` un’opera di cento milioni di lettere. E` possibile stabilire il numero dei libri di determinata grandezza, tali cioe` da non eccedere le misure indicate, composti «ex vocabulis significantibus vel non significantibus», i quali anche minimamente differiscano tra loro, risultanti dalla combinazione delle lettere alfabetiche. Numero che, per quanto grande sia, dovra` essere finito. Stabilito questo numero come N, immaginiamo che la storia pubblica universale di un anno possa esser descritta con sufficiente estensione («sufficienter») in un libro di tali dimensioni: ne discende che sara` finito 43
Il testo integrale in questione, strettamente legato al frammento sull’Apokatastasis, e` leggibile, con analisi e commento, in LF, 39 sgg. Su di esso si veda in part. W. Hu¨bener, Die notwendige Grenze des Erkenntnisfortschritts als Konsequenz der Aussagenkombinatorik nach Leibniz’ unvero¨ffentlichtem Traktat “De l’horizon de la doctrine humaine”, in Akten des II. Internationalen Leibniz-Kongresses. Hannover, 17.-22. Juli 1972, SL, Supplementa, XV, cit., pp. 55-71. Al medesimo scritto leibniziano e alla dottrina dell’apocatastasi fa significativo riferimento U. Eco in La ricerca della lingua perfetta nella cultura europea, cit., pp. 292-293.
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anche il numero delle possibili storie pubbliche universali tra loro differenti. Cosı`, se il genere umano dovesse durare per un numero di anni superiore al numero N, «ne consegue che negli anni successivi al numero N si ripeteranno esattamente le Storie anteriori». Il medesimo articolarsi di ipotesi e conseguenze potra` essere applicato anche alla Historia privata, solo che si finga un libro di maggiori dimensioni, composto di piu` volumi, e si assuma un numero di anni superiore. Se si immaginano esistere sulla terra mille milioni di uomini («numero – osserva Leibniz – dal quale, peraltro, il genere umano e` lontanissimo»), allo scopo di descrivere nei dettagli («minutatim») un anno di vita di un qualsiasi uomo potrebbe bastare un libro pari alle dimensioni assegnate a un anno delle Historiae publicae, composto, dunque, di cento milioni di lettere. Se, infatti, si attribuiscono a un anno diecimila ore, per descrivere una qualunque ora di un uomo basterebbero diecimila lettere, ovvero una pagina di cento righe ognuna delle quali fosse costituita di cento lettere. E un’opera «specificantesi nei piu` minuti dettagli» («ad minutissima descendentem») che descrivesse la storia di un anno dell’intero genere umano non dovrebbe eccedere il numero di lettere di «centomila Milioni di Milionioni, ovvero centomila Milionionioni». Prosegue dunque Leibniz, sottolineando il carattere finito di un numero pur a tal punto elevato: Porro etiam possibilis numerus operum aliquatenus inter se differentium in quibus multitudo literarum centies mille Milliones Millionionum non excedat, finitus est, imo ex calculo combinationum numerus adhuc major facile assignari potest. Is numerus vocetur Q [LF, 70].
Cosı`, si jam ponatur genus humanum satis diu durare in statu qualis nunc est, seu qui materiam historiae suppeditet; necesse est affore tempus quo singulorum vita per annum integrum minutatim per easdem circumstantias redeat... [LF, 70].
E` a questo punto dello svolgimento, a proposito del ritorno della vita dei singoli «minutatim per easdem circumstantias», che, nella redazione incompleta e parziale del frammento, si trova un passaggio, quasi di sapore nietzscheano, non riprodotto nella formulazione ampliata: Ego ipse verbi gratia sedens in urbe Hanovera dicta, ad Leinam fluvium sita, occupatus in Brunsvicensi Historia, scribens literas ad amicos eosdem, sensibus iisdem [LF, 64].
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Anche l’altro passo presente nella prima versione ed espunto nella seconda concerneva il ritorno di esistenze individuali. Esso cosı` suonava nell’originario testo: Itaque Leopoldum et Ludovicum, et Guilielmum et Georgium nostrum cum suis gestis intra hoc temporis spatium redire necesse est [LF, 62].
Tanto i passi eliminati, quanto quelli aggiunti, che completano lo svolgimento con le tesi metafisiche, sospendendo la cogenza dell’eterno ritorno, conducono Fichant a concludere, a proposito della formulazione corretta e integrata del frammento, che gli uni e gli altri producono alla fine il medesimo effetto di senso, mettendo in primo piano cio` che il primo brouillon trattava, sotto forma di schizzo, come un addolcimento marginale della tesi del ritorno: questa volta viene affermata fortemente e in primo luogo la subordinazione del dispositivo calcolabile della combinatoria finita alle condizioni metafisiche del suo superamento [LF,194]44.
Ecco perche´ probabilmente, come osserva ancora Fichant, se il primo brouillon reca il titolo Apokatastasis panton, la seconda versione conserva solo la parola Apokatastasis: alla luce delle variazioni infinitesime il ritorno non puo` essere ne´ di tutte le cose ne´ di ogni dettaglio. In esso potranno darsi somiglianze, ma non assolute identita` . Il labirinto circolare dell’apokatastasis-ripetizione universale, cosı` respinto in quanto incompatibile con la saggezza divina, si apre all’apokatastasis-continuum, implicante – e` lecito pensare – una sorta di restituzione in senso origeniano, nella forma di E` sintomatico, in particolare, che Leibniz non abbia riprodotto nella seconda versione il primo dei due passi indicati («Ego ipse verbi gratia sedens in urbe Hanovera dicta, ad Leinam fluvium sita, occupatus in Brunsvicensi Historia, scribens literas ad amicos eosdem, sensibus iisdem»): perche´, nella prospettiva della legge di continuita`, l’atto dello scrivere, da punto di transizione del circolo dell’eterno ritorno, si rivela piuttosto alveo di confluenza dell’Universo che agisce, con infinite variazioni, su ogni azione, secondo l’icastica caratterizzazione offerta nella Monadologia § 36: «Il y a une infinite´ de figures et de mouvemens presens et passe´s, qui entrent dans la cause efficiente de mon ecriture presente, et il y a une infinite´ des petites inclinations et dispositions de mon aˆme, pre´sentes et passe´es, qui entrent dans la cause finale» (GP VI, 613). Quanto al calcolo precedentemente riassunto, concernente il risultato da ottenersi moltiplicando i mille milioni di uomini ipotizzati per i cento milioni di caratteri sufficienti a descrivere un anno della vita di ogni individuo, la cifra indicata da Leibniz (centomila milioni di milionioni) non si rivela esatta. Si sofferma su questo punto M. Fichant in LF, 112-113, nota 5. 44
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un’apocalittica progressiva e spiraliforme, quale quella riconoscibile nel frammento. Leibniz, evidentemente, nella sua Aneignung, si muove con 45 grande liberta` ermeneutica sul crinale dei due significati di «apokatastasis» : quello “greco” di ripetizione dei cicli cosmici, singolarmente contaminato con la teoria atomistica e alla fine rigettato, e quello “origeniano” di ristabilimento finale della creazione spirituale decaduta (demoni compresi) nella condizione primitiva di integrita`, in forza di una progressiva emendatio al termine della quale “Dio sara` tutto in tutti”: accezione, quest’ultima, che il filosofo tedesco intende ripensare e lasciare in qualche modo aperta alla luce dell’idea di variazione infinita governata dal principio del meglio. Ma, brevemente lumeggiate le differenze principali tra le due versioni 45
Circa la duplice accezione di apokatastasis, tra antichita` greca e dottrina origeniana, con cui Leibniz nel frammento si confronta, v. LF, 172-178. In generale, sulla nozione di apokatastasis menzioniamo: voce “Apokatastasis”, in Grande Lessico del Nuovo Testamento, ed. it. a cura di F. Montagnini e G. Scarpat, Brescia 1965, vol. I, 1040-1052 (a cura di A. Oepke); voce “Apocatastase”, in Dictionnaire critique de the´ologie, publie´ sous la direction de J.-Y. Lacoste, Paris 1998, pp. 70-72 (a cura di B.E. Daley). Sull’eterno ritorno nello stoicismo cfr. M. Pohlenz, La Stoa, tr. it. di O. De Gregorio, Firenze 1978, vol. 1, pp. 144-157. Un’introduzione utile ai concetti di tempo ed eternita` nel pensiero greco e` quella di N. D’Anna, Il gioco cosmico. Tempo ed Eternita` nell’antica Grecia, Milano 1999 (sull’eterno ritorno, i cicli cosmici e il Grande Anno, cfr. capp. 3 e 5). Vale la pena di ricordare, al di la` dell’idea di apocatastasi, l’influsso dell’eredita` stoica sulle origini del pensiero moderno, e dunque su Leibniz, documentato da W. Dilthey nella sua fondamentale opera L’analisi dell’uomo e l’intuizione della natura. Dal Rinascimento al secolo XVIII, cit., 2 voll. Si vedano in part. vol. I, p. 218, dove Leibniz viene definito «il continuatore di Melantone» nella sintesi, fondativa del Geist tedesco, di antichita`, cristianesimo e scienza moderna della natura, e vol. II, p. 270 sgg.. Sull’escatologia di Origene cfr. H. Corne´lis, Les fondements cosmologiques de l’eschatologie d’Orige`ne, Paris 1959; J. Danie´lou, Orige`ne, Paris 1948; Id., Messaggio evangelico e cultura ellenistica, tr. it. di C. Prandi, Bologna 1975 (in part. p. 486 sgg.; 541 sgg.); M. Simonetti, Introduzione a Origene, I Principi, Torino 1979 (in part. p. 56 sgg.); Aa.Vv., Arche´ e Telos. L’antropologia di Origene e di Gregorio di Nissa. Analisi storico-religiosa. Atti del Colloquio, Milano, 17-19 maggio 1979, Milano 1981; voce “Apocatastasi” in Aa.Vv., Origene. Dizionario. La cultura – il pensiero – le opere, a cura di A. Monaci Castagno, Roma 2000, pp. 24-29 (a cura di E. Prinzivalli). Sull’idea di apocatastasi nella teologia degli ultimi due secoli, cfr. G. Mu¨ller, Die Idee einer Apokatastasis ton panton in der europa¨ischen Theologie von Schleiermacher bis Barth, in “Zeitschrift fu¨r Religions- und Geistesgeschichte”, 16, 1964, pp. 1-22; F. Schleiermacher, La dottrina della fede, vol. II, in Opere scelte, 3/2, a cura di S. Sorrentino, Brescia 1985, p. 586; U. von Balthasar, Apocatastasi, Appendice a Sperare per tutti. Con l’aggiunta di Breve discorso sull’inferno, tr. it. di E. Babini, Milano 1997, pp. 157-176; K. Barth, Kirchliche Dogmatik, II/2, Zu¨rich-Zollikon 1942, pp. 286-563; R. Bultmann, Storia ed escatologia, tr. it. di A. Rizzi, Brescia 1989, p. 36 sgg.; D. Bonhoeffer, Atto ed essere, tr. it. di A. Gallas e C. Danna, Brescia 1993, in part. p. 14; H. Ku¨ng, Vita eterna? Riflessioni sull’aldila`, tr. it. di G. Moretto, Milano 1998, p. 178 sgg. Su escatologia e storia cfr. anche J. Le Goff, “Escatologia”, in Id., Storia e memoria, cit., pp. 262-302.
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dello scritto, e fissato che solo in quella rivista e ampliata e` coglibile l’integrale svolgimento del pensiero leibniziano, e` significativo – come 46 osserva Hans Blumenberg – che sin dall’inizio il problema della storia coincida per Leibniz con il problema della storiografia. L’intero argomentare combinatorio sin qui esposto poggia in effetti sul tacito presupposto, poi smentito, dell’identita` tra evento e storiografia, della perfetta specularita` tra il fatto storico e la sua “linguisticita`”. Soltanto a condizione che l’evento storico si identifichi con la sua espressione linguistico-storiografica e` possibile, in realta`, applicare alla storia lo strumento della combinatoria, rinserrandola nel circolo dell’apokatastasis-ritorno in base al principio per cui un numero finito di oggetti non puo` dar luogo a un numero infinito di variazioni. Soltanto, cioe`, l’identificazione di fatto e re´cit consente quell’“alfabetizzazione” della storia, per cosı` dire, che abilita il teorico della combinatoria ad assoggettarne il corso a un numero di combinazioni finite, destinandola cosı` fatalmente alla ripetizione. Tali sono i presupposti (identita` tra evento e descrizione; teoria della storiografia come combinatoria) che stanno alla base della prima parte del frammento e che ricevono nell’atomismo la loro giustificazione ontologica. Su di essi conviene dunque soffermarsi. Significativa, come si diceva, appare l’identificazione leibniziana, notata anche da Blumenberg, di storia e storiografia. E` ben noto quanto Leibniz abbia coltivato l’erudizione storica, ed e` altrettanto noto che essa rappresento` per la coscienza dell’uomo barocco, messa a dura prova dal pirronismo, una rilevante risposta al dubbio circa il possibile attingimento di una certezza storica. In un’epoca di crisi del senso storico, Leibniz, ben partecipe della disputa de fide historica che segno` il suo tempo, come si e` visto, riconobbe il rilievo decisivo del lavoro erudito. Egli sapeva anche che, se la storia e`, baconianamente, scienza descrittiva, se essa si fa con monumenti e documenti, l’osservazione esige, per non essere sterile affastellamento, una logica della verosimiglianza, un’arte di valutare le prove, di cui Leibniz rilevava la carenza nella scienza del suo tempo e la cui elaborazione, da parte della filosofia, egli avvertiva come urgente Certo, nell’immaginario annalista-storico-bibliotecario dell’Apokatastasis-Fragment impegnato ad approntare gli in-folio che andranno a popolare l’immenso labirinto librario, puo` essere riconosciuto l’archivista erudito, il collezionista antiquario che raccoglie documenti, accampa testimonianze, redige protocolli. Sa questo onesto compilatore, nel suo lavoro di ricerca 46 Cfr. H. Blumenberg, Cronaca universale o formula universale, in Id., La leggibilita` del mondo, cit., p. 130.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
archivistica, che l’universo cartaceo da lui pazientemente adunato poggia sul fondo notturno dell’infinita` reticolare monadica, rappresenta solo un ritaglio “atomistico”, artificiale, di alcuni degli infiniti impercettibili predicati che innervano la grande, imponderabile Catena dell’essere (storico), costituisce in definitiva una storia “fattuale” che galleggia sull’oceano oscuro di una realta` storica che nessun re´cit, nessun libro, potrebbe racchiudere? No, certamente: che il dato storico contenuto nei libri rappresenti la soglia dell’Abgrund fibrillante del continuum, e` affare che compete al filosofo dischiudere, ed e` scoperta che sara` il resto dell’esposizione leibniziana a riservare all’ideale storico annalista della Biblioteca universale. D’altronde, solo supponendo un’ontologia atomistica, solo, come recita il testo del frammento, «si corpora constarent ex Atomis», e` possibile pensare all’eterno ritorno dell’uguale («omnia redirent praecise in eadem collectione Atomorum»). E solo, su tale fondamento, il presupposto della perfetta adequatio di protocollo e realta`, di fatti linguistici ed eventi storici, rende possibili la calcolabilita` della storia, cosı` risolta in particelle evenemenziali elementari e combinabili, e l’approdo circolare del suo corso. Una lunga tradizione di pensiero, qui evocabile solo in pochi cenni, cospira a formare la teoria combinatoria della storiografia a sfondo atomistico in cui Leibniz traduce l’idea antica del ritorno ciclico dell’uguale. Per richiamarla ci valiamo di J.L. Borges, scrittore “circolare”, “barocco” e “leibniziano” come pochi, il quale cosı` compendia nella Storia dell’eternita` la tesi nodale dell’atomismo combinatorio che ritroviamo nel frammento sull’Apokatastasis originalmente applicata alla storiografia: Il numero di tutti gli atomi che compongono il mondo e`, benche´ smisurato, finito; e percio` capace soltanto di un numero finito (sebbene anch’esso smisurato) di permutazioni. In un tempo infinito, il numero delle permutazioni possibili non puo` non essere raggiunto, e l’universo deve per forza ripetersi. Di nuovo nascerai da un ventre, di nuovo crescera` il tuo scheletro, di nuovo arrivera` questa pagina nelle tue mani uguali, di nuovo 47 percorrerai tutte le ore fino all’ora della tua morte incredibile . 47
J.L. Borges, Storia dell’eternita`, in TO I, 568. Nello scritto di Borges da cui abbiamo tratto la citazione, intitolato La dottrina dei cicli, la tesi additata e` discussa soprattutto in rapporto a Nietzsche. Borges, tuttavia, come si evince da diversi testi, e` incline a trasferire l’argomento combinatorio dall’universo fisico all’esperienza individuale, la quale, non essendo infinita per numero di possibili variazioni circostanziali, finira` per ripetersi, cosı` documentando l’illusorieta` del tempo (cfr. ad es. TO I, pp. 543; 741; 1078). In tal senso, Borges si pone lontano da Leibniz, per il quale proprio nelle vite individuali (e nelle relative cronache) affiora la trama infinita delle piccole percezioni che fa “saltare” l’atomismo combinatorio e la possibilita` della ripetizione dell’uguale. L’attribuzione del carattere “circo-
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Naturalmente, in questa formula – la stessa impiegata da Leibniz – l’universo atomistico di Democrito e di Epicuro ha gia` subito una radicale modificazione: si e` contratto dall’infinito a un numero finito di atomi e di possibili combinazioni, secondo la revisione che anche Hume, in un passo dei Dialoghi sulla religione naturale, proponeva dell’antica tesi epicurea: Invece di supporre che la materia sia infinita, come sosteneva Epicuro, supponiamola finita. Un numero finito di particelle puo` essere soggetto soltanto a un numero finito di permutazioni e nell’eternita` deve accadere che ogni ordine o posizione possibile si ripeta per un numero infinito di lare” all’opera poetica e narrativa di Borges si deve a D. Porzio in Introduzione a J.L. Borges, TO I, XCVI. Il titolo del par. 4, che fa riferimento alla “Biblioteca di Babele”, e` naturalmente ispirato al celebre racconto dello scrittore argentino del 1941 raccolto in Finzioni (cfr. ivi, I, pp. 680-689). L’analogia liberamente instaurata tra la biblioteca di Borges e l’ipotesi leibniziana, avanzata nella prima parte del frammento, del ritorno delle cronache pubbliche e private, riceve la sua legittimazione, oltre che nell’identificazione borgesiana di Libro e Mondo («L’universo, che altri chiama la Biblioteca»), alla luce della chiusa del suddetto racconto: «Chi lo immagina [il mondo] senza limiti, dimentica che e` limitato il numero possibile dei libri. Io m’arrischio a insinuare questa soluzione: La Biblioteca e` illimitata e periodica. Se un eterno viaggiatore la traversasse in una direzione qualsiasi, constaterebbe alla fine dei secoli che gli stessi volumi si ripetono nello stesso disordine (che, ripetuto, sarebbe un ordine: l’Ordine). Questa elegante speranza rallegra la mia solitudine» (ivi, I, pp. 688-689). E` interessante ricordare che uno scienziato e scrittore di fantascienza tedesco, Kurd Lasswitz (1848-1910), ha anticipato in un racconto intitolato La Biblioteca universale la fantasia di Borges, elaborando un’ipotesi combinatoria applicata ai libri e al loro esaurirsi in base alle variazioni finite dei simboli ortografici non lontana neppure da Leibniz (cfr. I. Asimov, Fantascienza. I migliori racconti di famosi scienziati, Milano 1993, pp. 77-86). Borges stesso ricorda «la caotica biblioteca di Lasswitz» in Altre inquisizioni (TO I, p. 1057). Menziona questo racconto anche A. Sani in Infinito, cit., pp. 1 sgg. Allude al rapporto combinatorio tra atomi-lettere alfabetiche, poi, un altro scrittore per molti versi “leibniziano” aus der Sache selbst, I. Calvino, in Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, cit., p. 32. Del quale mette conto ricordare almeno, a questo proposito, la raccolta di novelle Il castello dei destini incrociati (Torino 1973), storie costruite sul modello combinatorio a partire dal mazzo dei tarocchi come sistema di segni iconografico, secondo una modalita` analoga a quella di cui Leibniz, nel frammento sull’Apokatastasis, fa uso mediante le lettere alfabetiche come mezzo combinatorio per realizzare tutte le possibili cronache. Oppure il racconto Il conte di Montecristo, che chiude Ti con zero (Torino 1967), dove lo scrittore A. Dumas appare intento a scegliere, nel labirinto «di tutte le varianti possibili d’uno smisurato iper-romanzo», le soluzioni narrative del suo libro, in un modo che evoca, in qualche misura, il borgesiano Giardino dei sentieri che si biforcano. Le opere indicate, del resto, appartengono alla ben nota svolta semiologico-strutturalista di Calvino che matura negli anni Settanta, attestata anche dalle Citta` invisibili (1972), da Se una notte d’inverno un viaggiatore (1979), e annunciata dal testo critico del 1968 Cibernetica e fantasmi (Appunti sulla narrativa come processo combinatorio), in I. Calvino, Saggi 1945-1985, a cura di M. Barenghi, Milano 2001 (3 ed.), vol. 1, pp. 205-225.
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volte. Di conseguenza questo mondo, con tutti i suoi fenomeni anche i piu` particolari, e` stato gia` prodotto e distrutto e sara` ancora prodotto e 48 distrutto senza limiti ne´ confini .
Leibniz ben conosceva la dottrina democritea che, servendosi del modello grafico delle lettere dell’alfabeto e delle loro possibili combinazioni, esponeva l’origine delle cose come risultanza della congiunzione di atomi, quasi questi – come e` stato osservato – fossero le lettere di un alfabeto ontologico componente il poema cosmologico universale49. Nella Dissertatio de arte combinatoria (1666), infatti, e` rinvenibile un riferimento alla tesi di Democrito accompagnato da un’accurata documentazione sull’argomento50. Ma oltre che nella tradizione atomistica, da Democrito a Gassendi, anche negli scritti della mistica cabbalistica Leibniz – il quale, come e` noto, in luogo della “Cabbala popolare” intendeva instaurare la “vera” Cabbala, fondata sull’ars combinatoria51 – poteva rinvenire l’idea di una combinazione matematico-metafisica delle lettere alfabetiche: ai suoi fini, era sufficiente trasporre la scrittura del cosmo propria della mistica ebraica in cronaca storica. Nel Sefer yesirah, o Libro della formazione, si legge:
48 D. Hume, Dialoghi sulla religione naturale (ottava parte), in La religione naturale, tr. it. di A. Graziano, Milano 1995, p. 55. All’ipotesi di un universo composto da un numero definito di atomi fa riferimento Leibniz anche nella lettera a G. Meier del 10 gennaio 1693 (cfr. A I, 9, 228-229). 49 Cfr. l’Introduzione a Atomisti antichi, Testimonianze e frammenti, a cura di M. Andolfo, Milano 1999, p. 27 sgg. Cfr. inoltre M. Serres, Lucrezio e l’origine della fisica, tr. it. di P. Cruciani e A. Jeronimidis, Palermo 2000. 50 Cfr. A VI, 1, 216. 51 Sulla distinzione tra “vera” Cabbala e Cabbala “popolare” si veda l’inizio dello scritto De numeris characteristicis ad linguam universalem constituendam, in A VI, 4 A, 264. Su Leibniz e la Cabbala ricordiamo: A.P. Coudert, Leibniz and the Kabbalah, Dordrecht-Boston-London 1995 (ampi riferimenti al frammento sull’Apocatastasi alle pp. 109 sgg.); Id., Leibniz and the Kabbalah, in Aa.Vv., Leibniz, Mysticism and Religion, Dordrecht-Boston-London 1998, pp. 47-83 (riferimenti all’apocatastasi alla p. 58 sgg.); Id., Leibniz et Christian Knorr von Rosenroth: une amitie´ me´connue, in “Revue de l’Histoire des Religions”, 213-4, 1996, pp. 467-484; S. Edel, Me´taphysique des ide´es et mystique des lettres: Leibniz, Bo¨hme et la Kabbale prophe´tique, in “Revue de l’Histoire des Religions”, 213-4, 1996, pp. 443-466; Id., Leibniz und die Kabbalaeine europa¨ische Korrespondenz, in Aa.Vv., Leibniz und Europa. VI. Internationaler LeibnizKongreß. Vortra¨ge. 1. Teil, Hannover, 1994, pp. 211-219; M.R. Antognazza, Trinita` e Incarnazione, cit., p. 314 sgg. Sulla metafisica del numero leibniziana e sul rapporto tra Leibniz e la mistica si sofferma R. Cristin in Heidegger e Leibniz. Il sentiero e la ragione, cit., p. 107 sgg.
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Ventidue lettere fondamentali: fissate in una ruota in duecentoventuno porte. La ruota torna, avanti e indietro. E questo ne e` il segno: se e` per il bene in alto, da` piacere, se e` per il male in basso, da` dolore52.
In questo movimento circolare ove «le lettere si organizzano secondo il ritmo dei numeri e i numeri imprimono il loro ritmo alla combinazione delle lettere, in una perenne oscillazione che da` vita al reale come il moto di una smisurata ruota simbolica»53, la Bibbia puo` ben apparire come una sorta di universo chiuso, dove tutto parte dal Libro e tutto ritorna ad esso, dove il Libro e` in realta` un prodigioso insieme di libri, percio` una Biblioteca, che non solo e` universale, ma sostituisce l’universo, addirittura piu` vasta, piu` misteriosa di questo. Se si pensa a cio`, l’analogia con la Biblioteca leibniziana appare evidente, solo che si ponga, in luogo dello spazio sacro della Scrittura biblica, il babelico universo storico-cartaceo leibniziano. Tuttavia, un mutamento di prospettiva giunge nel frammento sull’Apokatastasis a mettere in discussione l’unita` presupposta di Biblioteca e Mondo storico e le conclusioni, pur corrette nei limiti della prospettiva fattuale, cui era approdato il calcolo combinatorio applicato alla storiografia. Si tratta dell’ingresso in scena delle variazioni impercettibili e, con esse, di una nuova e diversa forma di individualita` storica.
4. – Storia universale, petites perceptions e harmonia mundi «Etsi autem»: una vera e propria Kehre prospettica e categoriale si annuncia in questo modo: Etsi autem ex solo calculo demonstrari non possit rediturum praecise Leopoldum I. aut Ludovicum XIV. aut me vel alium privatum; quoniam si aliqui alii repetantur saepius, non est necesse repeti omnes [LF, 72].
H. Blumenberg, nella sua ricognizione del frammento leibniziano, fa finemente notare che tale svolta, in cui si rivela qualcosa che si sottrae alla cogenza del calcolo combinatorio, era gia` in qualche modo preparata 52
Cfr. Mistica ebraica. Testi della tradizione segreta del giudaismo dal III al XVIII secolo, a cura di G. Busi e Elena Loewenthal, Torino 1995, p. 37. 53 Ivi, p. XXVII.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
all’interno del testo nel passaggio dalla Historia publica alla Historia privata: passaggio scandito da due diversi e non corrispondenti avverbi impiegati per designare la capacita` di completezza dei due tipi di cronaca: rispettivamente «sufficienter» per la storia pubblica, e «minutatim» per quella privata. Del tutto indipendentemente – osserva in questo senso l’autore de La legittimita` dell’eta` moderna – dalla voluminosita` richiesta: la storia pubblica si fa esporre sufficientemente, e la storia privata sı` assai minuziosamente, pero` non senza imponderabili residui rispetto al suo contenuto. Fondandosi su cio` Leibniz alla fine contestera` alla storia reale, nonostante tutti i preludi combinatori, la capacita` di ripetersi54.
Cio` che negli annali della storia pubblica rimane maggiormente celato – lo sfondo di micro-cause, di deviazioni e scarti minimi – cosı` che la cronaca in essi custodita puo` apparire “sufficiente” e bene garantire, con cio`, la certezza oggettiva dei fatti, preme piu` sensibilmente ai bordi delle Historiae privatae: il «minutatim», proprio di queste ultime, piu` della bastevole completezza decretata dal «sufficienter» per le storie pubbliche, lascia in effetti come presagire un’ulteriorita`, si fa avvertire come una soglia, una Grenze, oltre la quale dilaga l’apeiron brulicante delle «piccole percezioni», di quella «realta` storica noumenica» (tale in quanto indescrivibile) che, come osserva H.-I. Marrou, «non puo` essere compresa da altri se non da 55 Dio» , perche´ – conferma Leibniz in un celebre passo del Discours de Me´taphysique – Dio solo vede la nozione completa di Alessandro, y voit en meˆme temps le fondement et la raison de tous les predicats qui se peuvent dire de luy veritablement, comme par exemple qu’il vaincroit Darius et Porus, jusqu’a` y connoistre a priori (et non par experience) s’il est mort d’une mort naturelle, ou par poison, ce que nous ne pouvons sc¸avoir que par l’histoire [A VI, 4 B, 1540-1541].
Nella descrizione delle vite individuali, dunque, piu` trasparente si fa il ritaglio, operato dallo storiografo, di una serie finita di predicati dalle infinite pieghe della monade. E` dunque piu` sensibilmente in relazione all’individualita` che l’atomismo combinatorio e la congiunta teoria storiografica del ritorno ciclico sono destinati a rivelarsi non coincidenti con la 54
H. Blumenberg, La leggibilita` del mondo, cit., p. 138. Cfr. H.I. Marrou, La conoscenza storica, cit., p. 59. Si deve a Marrou l’espressione impiegata di «realta` storica noumenica», che applichiamo al contesto leibniziano senza ascriverle un significato strettamente e rigorosamente kantiano. 55
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STORIA UNIVERSALE ED ESCATOLOGIA
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storia reale, utili, al limite, solo come consapute finzioni e astrazioni dello spirito. La riduzione del mondo storico a cronaca, l’identita` tra Mondo e Libro, al cospetto dell’inesausta ulteriorita` dell’individuale e della sua irriducibilita` a oggetto di ricerca analitica, rivelano la loro parzialita`. Per dirla con Meinecke, nel problema dell’individualita` naufragava ... ogni tentativo di spiegare il mondo secondo i movimenti meccanici degli atomi56.
Un testo dei Nouveaux essais e` atto a illuminare questa tematica cruciale del frammento sull’Apokatastasis: Car (quelque paradoxe que cela paroisse) il est impossible a` nous d’avoir la connoissance des individus, et de trouver le moyen de determiner exactement l’individualite´ d’aucune chose, a` moins que de la garder elle meˆme; car toutes les circomstances peuvent revenir, les plus petites differences nous sont insensibles et le lieu ou le temps bien loin de determiner d’eux meˆmes, ont besoin eux memes d’estre determine´s par les choses qu’ils contiennent. Ce qu’il y a de plus considerable en cela, est que l’individualite´ enveloppe l’infini, et il n’y a que celuy qui est capable de le comprendre qui puisse avoir la connoissance du principe d’individuation d’une telle ou telle chose. Ce qui vient de l’influence (a` l’entendre sainement) de toutes les choses de l’univers les unes sur les autres. Il est vray qu’il n’en seroit point ainsi, s’il y avoit des Atomes de Democrite, mais aussi il n’y auroit point alors de difference entre deux individus differens de la meˆme figure et de la meˆme grandeur [A VI, 6, 289-290].
Ripreso e commentato, non a caso, da F. Meinecke ne Le origini dello storicismo, questo brano, insieme alla capacita` di rivelare quanto Leibniz, nella sua ricerca filosofica, abbia precorso temi e problemi che il maturo Historismus avrebbe affrontato e risolto in opposizione all’ontoteologismo storico idealistico – in primis, tra essi, quello della ricerca di un’universalita` dell’individuale non coincidente con una totalita` – e` idoneo come pochi a focalizzare il nuovo punto prospettico da cui porsi per guardare alla storia universale, con occhio non piu` fermo al fatto-documento, ma disposto a sprofondare nella micro-dimensione delle piccole percezioni: quello dell’infinito attuale, meglio, dell’infinita` e inesauribilita` presenti nell’individuale. Questo nuovo angolo visuale sulla storia, di cui e` latore non piu`
56
F. Meinecke, Le origini dello storicismo, cit., p. 19.
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l’annalista storiografo ma il filosofo, si articola nell’Apokatastasis-Fragment in tre successive tesi metafisiche. Esse appaiono cosı` formulate: 1) «il presente e` gravido dell’avvenire» 2) «il continuo e` diviso in un’infinita` attuale di parti» 3) «non e` conforme all’Armonia divina variare sempre sulla stessa 57 corda» . Come si configura la storia universale alla luce delle suddette tesi metafisiche? Da congerie di “atomi” linguistico-evenemenziali fissati nella cronaca pubblica e privata, le cui combinazioni finite destinerebbero il corso storico al ritorno ciclico degli eventi, essa si prospetta ora come un organismo unitario, dotato di fondamento metafisico e costituito da un reticolo di individualita` segnate da intimo dinamismo, incessantemente evolventi e, per le discriminanti impercettibili che le innervano, mai in grado di ripetersi in ogni dettaglio. Percio`, conclude Ettlinger, l’identico in storia non ritorna mai esattamente. In uno scritto della disputa con Clarke, Leibniz rileva che nelle sequenze genealogiche degli storici mai gli individui possono scambiarsi il loro posto, e respinge, a partire da questo fondamento, la finzione della metempsicosi, secondo cui il medesimo individuo, che sia stato padre o nonno, puo` ritornare come figlio o nipote58.
E` cosı` che alla tesi dell’eterno ritorno ciclico si sostituisce quella di un progresso storico non lineare, non ottimisticamente cumulativo a oltranza, ma problematico, solcato da sovvertimenti e urti (revolutiones), da ricadute e deviazioni che, nondimeno, «paulatim etsi imperceptibiliter» conducono verso il meglio, secondo l’espressione accompagnata dal simbolo della spirale che Eckhart aveva voluto posta sul feretro di Leibniz: «Inclinata re59 surget» . In questo senso si legge nel frammento: 57
Si avvertono in questa espressione leibniziana («quia divinae Harmoniae consentaneum non est eadem semper chorda oberrare»), riecheggiati quasi letteralmente, i versi 355-356 dell’Ars poetica (o Epistola ai Pisoni) di Orazio: «... et Citharoedus ridetur, chorda qui semper oberrat eadem» («E` deriso il suonatore di cetra che varia sempre sulla stessa corda»). Essi sono citati (parzialmente) nello scritto Elementa verae pietatis, sive de amore Dei super omnia (1677-1678 ?), in A VI, 4 B, 1359, e in Essais de The´odice´e § 211 (cfr. GP VI, 244). 58 Cfr. M. Ettlinger, Leibniz als Geschichtsphilosoph, cit., p. 7. 59 Cfr. ivi, p. 23. All’idea di progresso all’interno del frammento sull’Apokatastasis dedica alcune pagine di rilievo W. Conze in Leibniz als Historiker, cit., pp. 46-49.
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Credendumque est vel ex naturalibus congruentiae rationibus res vel paulatim, vel etiam aliquando per saltus in melius proficere debere. Quanquam enim subinde in pejus ire videantur; hoc ad eum modum fieri putandum est, quo interdum recedimus ut majore impetu prosiliamus [LF, 74].
Risulta qui pienamente illuminato l’acquisto dell’impostazione leibniziana, la quale, con atto innovativo rispetto alle concezioni storiche del suo tempo, incorpora la Historia humana entro un sistema metafisicoteleologico fondato sulle individualita` monadiche che ne garantisce la base connettiva e la Rechtfertigung ultima, in cio` sostituendosi alla Historia sacra. Altrettanto, si chiarifica la relazione che la teo-ontodicea storica leibniziana fondata sull’harmonia universalis presenta con il processo di trasformazione linguistico-categoriale analizzato da Reinhart Koselleck, legato al diffondersi del termine “Geschichte” e denotante una visione storico-universale unitaria «capace di mettere in luce la connessione interna e di fondarla»60. Proprio questo processo il frammento sull’Apokatastasis documenta eloquentemente ai suoi albori. Nondimeno, che flessione riceve in Leibniz il rapporto tra storiografia annalistica e considerazione metafisica della storia? Una volta dischiuso, da parte del metafisico, il vasto, imponderabile oceano della storia “reale”, che nessun libro potrebbe mai esaurire, un problema si mostra ineludibile: che ne e` del lavoro empirico-fattuale dello storico della Biblioteca universale? Quale relazione viene a configurarsi tra la Weltchronik, le res gestae raccolte negli Annali pubblici e privati, e la metafisica della storia fondata sull’armonia universale? Prima, tuttavia, di rispondere a questi interrogativi, ermeneuticamente ineludibili, imposti dagli eterogenei linguaggi in cui appare scritto il frammento leibniziano, resta da analizzare l’ultimo passo (il terzo, nell’articolazione analitica da noi proposta) del testo sull’Apokatastasis: quello che proietta la storia del genere umano verso uno stadio “post-umano”, contaminato, inevitabilmente, dall’idea di un progresso dell’universo che fiorisce perpetuamente e che si prolunga ad infinitum.
60 R. Koselleck, Futuro passato, cit., p. 43. Abbiamo sostato su tale aspetto nel capitolo terzo § 3 e nell’Introduzione.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
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5. – Apokatastasis, evoluzione e conoscenza Certo, l’erosione moderna delle attese escatologiche che Koselleck ha descritto, insieme alla disposizione, propria della religiosita` illuminista, a “travasare” nel sapere filosofico temi e problemi propri delle teologie confessionali – cio` che Karl Barth, ne La teologia protestante nel XIX secolo, 61 ha definito in termini critici come «umanizzazione del cristianesimo» e che Ernst Cassirer, da tutt’altra prospettiva, ha identificato nella tensione, propria dell’Aufkla¨rung, «non gia` al dissolvimento della religione, ma alla sua motivazione «trascendentale» e al suo trascendentale approfondimen62 to» – non poteva non propiziare, nel secolo dei Lumi, un’appropriata Aneignung filosofica della nozione di escatologia. Difficile, da questo punto di vista, non mettere in relazione, aus der Sache selbst, la meditazione leibniziana sull’apokatastasis – datata 1715, l’anno della morte di Luigi XIV, lo stesso che segna, per Hazard, l’avvento 63 dell’Illuminismo – con le riflessioni escatologiche kantiane raccolte nel saggio del 1794 Das Ende aller Dinge, adunando cosı` idealmente, tra quei 64 due poli, il XVIII secolo sotto il segno di un’«escatologia illuminista» , della ricerca cioe` – appassionata come poche, ad onta dei luoghi comuni della manualistica che vorrebbero quel secolo incredulo e ateo –, concernente il 65 destino e la destinazione ultima del genere umano . Ricerca che, nel suo volersi filosofica, mossa com’e` dallo sforzo di tradurre con l’ausilio di teoretiche categorie quanto, sulle cose ultime, e` espresso nelle Sacre Scritture in enigmatiche e immaginose cifre, puo` ben essere raccolta attorno a quel cristianesimo “amabile” e “liberale” evocato da Kant nella chiusa de La fine di tutte le cose. Cristianesimo che, prima del filosofo di Ko¨nigsberg e prima del pieno avvento dell’Aufkla¨rung, proprio Leibniz, forse piu` di ogni altro, aveva ricercato e auspicato. In questa prospettiva, un’eta`, quale quella dei Lumi, dominata dal 61
K. Barth, La teologia protestante nel XIX secolo, tr. it. di G. Bof, Milano 1972, vol. I, p. 128
sgg. 62
E. Cassirer, La filosofia dell’illuminismo, cit., p. 194. Cfr. P. Hazard, La pense´e europe´enne au XVIIIe`me sie`cle. De Montesquieu a` Lessing, cit. 64 Cfr. F. Desideri, Quartetto per la fine del tempo, cit., p. 151. A “Leibniz e l’apokatastasis panton” l’autore dedica in questo volume alcune significative pagine (cfr. pp. 142-151). Sulla trasformazione dell’escatologia in eta` illuminista e su Leibniz una fine analisi e` quella di G. Cunico, Da Lessing a Kant, cit., p. 54 sgg. 65 A una simile esigenza di revisione storiografica e` ispirato il saggio di G. Moretto, La religione dell’illuminismo e la domanda di Giobbe, in Id., Giustificazione e interrogazione, cit., pp. 13-53. 63
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problema del male nella storia, e culminante non a caso in quella teodicea della storia rappresentata dalla lessinghiana Educazione del genere umano, nonche´ nel saggio kantiano Sul fallimento di tutti i tentativi filosofici in teodicea (1791), non poteva non avvertire l’apokatastasis panton origeniana come «uno dei piu` potenti cenni offerti al pensiero per dominare in qualche 66 modo la scandalosa “fenomenica” disuguaglianza dei destini degli uomini» – per esprimerci con un pensiero che Alberto Caracciolo ha impiegato a proposito dell’idea di “Corpo mistico”, ma che ben si attaglia alla prospettiva origeniana di una finale reintegrazione di tutti i destini nella pienezza originaria –, come una modalita` privilegiata dello spirito umano per rispondere all’enigma del male che faceva fremere Voltaire nel Poe`me sur le de´sastre de Lisbonne: Lisbonne, qui n’est plus, eut-elle plus de vices que Londres, que Paris, plonge´s dans les de´lices? Lisbonne est abıˆme´e, et l’on danse a` Paris67.
Non a caso tale epoca culmina, come si e` detto, nella piena riabilitazione del grande eretico alessandrino ad opera dei Lessing, dei Goethe, degli Schleiermacher. Riabilitazione preceduta di oltre mezzo secolo dalla piu` cauta apocalittica razionale dell’Apokatastasis-Fragment, in cui l’origenismo si confonde e si contamina con la metafisica del continuum. Ma veniamo all’ultima parte del frammento leibniziano. Precisato, come si e` visto, che «non e` conforme all’Armonia divina variare sempre sulla stessa corda», e che le cose, «secondo le ragioni naturali della congruenza, a poco a poco o talvolta anche mediante salti, debbano progredire verso il meglio», consegue che il genere umano non rimarra` per sempre nello stato attuale, e che e` lecito immaginare «aliquando» l’avvento di una condizione post-umana, o ultra-umana, la quale, nondimeno, dovrebbe condividere con la situazione presente del genere umano la conoscenza e la ricerca della verita`. Ammesso cio` – scrive Leibniz – sequitur aliquando mentes eo perventuras, ut veritates a sensuum testimonio independentes seu Theoremata purae scientiae, quae scilicet exacte per rationes demonstrari possunt, quae jam inventa sunt, magnitudinem (verbi gratia paginae si scribantur) non excedentia; et multo magis breves sententia quae verbis scribi possunt; redire necesse sit [LF, 74]. 66 67
Cfr. G. Moretto, Il principio uguaglianza nella filosofia, cit., p. 292. Voltaire, Poe`me sur le de´sastre de Lisbonne, in Id., Me´langes, cit., p. 304.
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Affrancandosi sempre piu` dalla conoscenza sensibile e mediante uno spirito razionalmente piu` elevato, una tale mens “post-umana”, potrebbe essere in grado di ricondurre la conoscenza dell’universo alle verita` necessarie ed eterne, «riconducendo le verita` fisiche alla Matematica»: matematizzando cioe` la natura, e insieme vanificando il senso stesso della Biblioteca universale, che si vedrebbe concentrata in una Formula universale, destinata anch’essa, peraltro, rispetto alle conoscenze attuali, a estendersi poderosamente. Suprema accelerazione, supremo accorciamento del tempo – abre´gement du temps – sul piano conoscitivo, che sostituisce il contrarsi dei tempi apocalittici! Leibniz, del resto, riteneva che le scienze si abbreviassero accrescendosi, e che, percio`, in futuro sarebbe stato sempre piu` possibile sintetizzare in poche formule cio` che nel passato occupava grossi volumi. Nella prospettiva della Restituzione, o Reintegrazione, il progresso appare segnato da una simile riduzione dei tempi della conoscenza, secondo una tendenza che Leibniz cosı` descrive nel Discours touchant la methode de la certitude et l’Art d’inventer (agosto 1688-ottobre 1690 [?]): On peut meˆme dire que les sciences s’abregent en s’augmentant, qui est un paradoxe tres veritable car plus on decouvre des verite´s et plus on est en estat d’y remarquer une suite regle´e et de se faire des propositions tousjours plus universelles dont les autres ne sont que des exemples ou corollaires, de sorte qu’il se pourra faire qu’un grand volume de ceux qui nous ont precede´ se reduira avec le temps a` deux ou trois theses generales. Aussi plus une science est perfectionne´e, et moins a-t-elle besoin de gros volumes; car selon que ses Elemens sont suffisamment establis, on y peut tout trouver par le secours de la science generale, ou de l’art d’inventer [A VI, 4 A, 959].
Il sapere si configurerebbe, nel solco di simile sviluppo, sempre piu` come deduttivo, a priori, e capace di assorbire in se´ quello descrittivo e a posteriori, simile, in cio`, all’Intelletto divino. Simile, si badi, per infinita approssimazione, dal momento che il processo di riduzione delle verita` contingenti a verita` necessarie appare inesauribile e sempre perfettibile anche per una natura superiore a quella umana: At veritates sensibiles, seu quae non pura ratione sed in totum vel pro parte experientia constant, variari possunt in infinitum, etsi non fiant prolixiores; itaque novam semper ac novam scientiae seu theorematibus magnitudine crescentibus materiam suppeditare possunt. Cujus rei ratio est, quod sensiones in perceptione confusa consistunt, quae
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infinitis modis variari potest salva brevitate, possuntque esse infinitae species viventium, sensuum, sensibilium. Quod secus est in veritatibus quae adaequate seu perfecta demonstratione cognosci possunt, quae cum verbis explicari possint, multitudinem habent pro ratione magnitudinis limitatam [LF, 76].
Ritorna dunque alla fine, ineludibile, l’oceano del continuum, con le sue ondulatorie percezioni confuse, con le sue variazioni infinite, col moltiplicarsi delle sue pieghe e venature, inesauribili per la conoscenza e suscettibili, al contrario delle verita` che «possono essere conosciute adeguatamente o mediante una perfetta dimostrazione», di sempre nuove analisi, definizioni e teoremi. Cosı`, se alla fine, sul destino della conoscenza, si staglia inesorabile, a limitarne la prospettiva, l’“orizzonte” presente, esso, nondimeno, libero dalla legge di ripetizione e legato mediante la legge di continuita` a quella di progresso, si tramuta in dinamismo di chiusuraapertura, di delimitazione (orizo) che, mentre circoscrive, insieme rinvia a un’ulteriorita` conoscitiva ignota. Recita infatti la chiusa del frammento: Et quaevis mens horizontem praesentis suae circa scientias capacitatis habet, nullum futurae [LF, 76].
Come ha scritto Fabrizio Desideri, l’apocalittica leibniziana appare, sostanzialmente, un’apocalittica della conoscenza68
nella quale – secondo quanto precisa Blumenberg – 69
evoluzione e apocalisse convergono .
L’apokatastasis origeniana, filtrata dal principio del continuum, sembra dunque configurarsi, all’interno dell’Aneignung leibniziana, come una teoria della crescita infinita e una trasformazione del genere umano implicante una reintegrazione progressiva della pienezza conoscitiva: in definitiva, come una apokatastasis nel sapere, un estremo accorciamento del tempo conoscitivo, mediante la restituzione di organi conoscitivi piu` perfetti e di uno spirito piu` elevato, capace di cogliere intuitivamente le cose e di 68 69
F. Desideri, Quartetto per la fine del tempo, cit., p. 150. H. Blumenberg, La leggibilita` del mondo, cit., p. 143.
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passare con somma rapidita`, secondo il movimento generale della monade, dall’ombra alla luce. La Catena dell’essere leibniziana, infatti, coi suoi infiniti gradi di perfezione, implica che al progresso dinamico nel regno della natura corrisponda un parallelo progresso morale e conoscitivo nel regno della grazia, cio` che rende anche credibile, come Leibniz scrive alla principessa Sophie il 6 febbraio 1706 qu’il y a des Ames raisonnables plus parfaites que nous, qu’on peut appeller Genies, et nous pourrions bien estre un jour de leur nombre. L’ordre de l’univers le paroist demander [GP VII, 569]70.
Cosı` la Restituzione leibniziana, mentre denuncia, nello stesso identificarsi con il progresso morale e conoscitivo, il suo volersi “illuminista”, traduce nello spirito che sara` dell’Aufkla¨rung il senso proprio dell’Apocalisse del rivelarsi delle cose “viste in Dio”: di quel Dio che, per Leibniz, «cum calculat et cogitationes exercet, fit mundus» e dietro il cui supremo calcolare creatore e` lecito vedere una metafisica e una mistica del numero. La teoria della metempsicosi su cui si chiude l’Erziehung di Lessing, anche in cio` discepolo di Leibniz, e` appena dietro l’angolo.
6. – Conclusione. Tra Annali e armonia universale: la teoria leibniziana della storia alla luce del frammento sull’Apokatastasis C’e` un ultimo, decisivo strato di senso ricavabile dal frammento leibniziano, leggibile come in filigrana, che si potrebbe formulare cosı`: al di sotto della contesa tra il circolo dell’Apokatastasis e l’idea di irripetibilita` degli eventi, tra l’eterno ritorno e il progressus infinitus, nel testo leibniziano del 1715 viene tematizzato un modo di concepire la scrittura storiografica, che entra in contrasto con un pensiero storico eretto su basi metafisiche. Meglio di tutti, Hans Blumenberg ha visto nel frammento sull’Apokatastasis il conflitto tra una teoria della storiografia e una metafisica della storia sotto forma di due linguaggi eterogenei: Guardando a distanza il tardo frammento leibniziano si nota subito che e` scritto in due lingue: nella lingua di un esame combinatorio della storio70 La stessa lettera si sofferma poco prima sulla progressione verso il meglio delle anime nell’universo e sul principio del «reculer pour mieux sauter» (ivi, p. 568).
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grafia, col risultato che ogni corso storico, dopo periodi lunghi a piacere, deve ripetersi; nella lingua di una speculazione metafisica il cui risultato e` che nel corso dell’universo nulla puo` ripetersi, ma che la premessa di questa impossibilita` e` data al di sotto della soglia dell’accertabilita`, da modificazioni impercettibilmente piccole [...] In contrasto con la teoria leibniziana della storia reale, che poggia interamente sul suo sistema speculativo, la sua teoria della storiografia puo` essere attribuita a questo fenomenalismo71.
A quale teoria e pratica della storiografia allude Blumenberg, pur senza qualificarla, quando parla di “fenomenalismo”? Si tratta, com’e` evidente, dell’annalistica erudita, nei cui canoni teorici e pratici si inquadra, come sappiamo, l’opera storica del pensatore di Hannover. Nella prima parte del frammento, in effetti, ritroviamo alcuni tratti costitutivi dell’erudizione storica, su cui abbiamo sostato in un’altra sezione del presente lavoro, e in particolare quello dell’identita` tra fatto e protocollo, tra realta` storica e storiografia, a cui il pensatore applica l’ipotesi del calcolo combinatorio decretando con cogenza matematica l’esauribilita` e ripetibilita` delle Historiae pubbliche e private. Solo, infatti, come si e` osservato, in base al postulato dell’identita` tra evento e cronaca e` possibile concludere che, per il numero finito delle combinazioni ortografiche, a un certo punto la Biblioteca storica universale si esaurira` e i racconti si ripeteranno. La storia, assecondando questa logica, e` costituita di simboli linguistici, al limite di combinazioni ortografiche: Di qui – conclude Fichant – con l’esaurimento prevedibile della Biblioteca delle Storie, la necessita` intravista del Ritorno [LF, 172].
Naturalmente, con la storia, e` il tempo stesso che si identifica con il protocollo. L’alfabetizzazione della storia, per cosı` dire, e` insieme alfabetizzazione del tempo, per cui all’ordinata tabulazione annalistica dei fatti corrisponde la rigida griglia cronologica, espressione – come si e` osservato – di quel tempo-ens rationis che, in quanto astrazione dell’intelletto, spazializza la successione delle cose in linea retta scandita da intervalli regolari. Cosı`, il tempo delle Historiae annuae, pubbliche e private, e` il tempo lineare che fissa additivamente gli eventi via via che accadono, avanzando in una sorta di eterno presente, di eterna storia contemporanea cui e` propria la
71
H. Blumenberg, La leggibilita` del mondo, cit., p. 147.
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ripetizione, l’assenza di novita` sostanziale, e che dunque non a caso, auspice la combinatoria, sfocia nel ritorno delle stesse cronache. E` interessante osservare che Leibniz fa discendere il destino di ripetizione delle Historiae, percio` la ciclicita` dell’apokatastasis panton, dal presupposto, che si e` detto appartenere al modello erudito, dell’identita` tra res gestae e historia rerum gestarum. Se si tiene presente quel modello storiografico, sorretto da un’epistemologia tassonomica, additiva, classificatoria, incasellatrice di tempi e spazi, apparira` meno peregrina l’idea leibniziana di ridurre la storia a una combinazione di atomi-lettere destinata a esaurire, a un certo punto, le sue possibilita` innovative. Si tratta, in realta`, lo si e` gia` 72 notato sulla scorta di B. Kriegel , di due logiche omogenee. Sin dove, dunque, nell’esposizione, Leibniz enuncia l’ipotesi combinatoria che conclude nella ripetibilita` delle Historiae, Libro storico e Realta` storica omnino convertuntur, specularmente saldati e coincidenti. Tutto, dunque, si risolve in un sistema descrittivo ed enumerativo, in tassonomie dei fatti storici che, ad assecondare l’incontro tra erudizione storica ed episteme classica foucaultiana, non elevano la storia umana al di sopra della storia naturale, le collezioni archiviarie al di sopra dei giardini botanici, i diplomi al di sopra degli elenchi di flora e fauna? Sı`, a restare fermi al lavoro del cronista annalista. In realta`, come gia` visto, nel frammento leibniziano c’e` ben altro: procedendo oltre, infatti, nell’esposizione, quando al compilatore degli in-folio si sostituisce il filosofo dell’infinita` dell’individuale e del continuum fisico che va all’infinito, qualcosa interviene a infrangere l’identita` postulata tra Cronaca e Mondo, tra Libro e Universo, tra storia reale e storiografia. Si tratta, come gia` sappiamo, di quelle «petites perceptions» che innervano in profondita` uomini e cose. Significativamente, e` soprattutto in relazione alle Historiae annuae privatae, dunque alla descrizione delle vite individuali, che piu` sensibilmente l’atomismo combinatorio e la congiunta teoria del ritorno ciclico vengono alla fine superati, mentre nelle Historiae publicae, con il loro “sufficiente” rispecchiare la realta` delle cose, l’identita` tra acta e facta e` garantita in grado superiore e sostanzialmente privo di dubbi. Si potrebbe dire che il passaggio dagli Annali, e dall’epistemologia storica in essi implicata, alla metafisica della storia e` segnato dall’ingresso in scena delle variazioni minime e della nuova e diversa soggettivita` storica a cui danno luogo. La riduzione del mondo storico a cronaca, di fronte all’inesausta ulteriorita` dell’indivi-
72
Cfr. capitolo secondo § 7 del presente lavoro.
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duale e alla sua irriducibilita` a termine di descrizione esaustiva, mostra il suo carattere selettivo e di astratta (per quanto veridica) finzione. E` infatti questo sostrato di micro-stimoli, di micro-scarti, di microdeviazioni, di invisibili molle che innervano il continuum fisico, che avviluppano l’individualita`, nella logica dello scritto leibniziano, a far progredire il corso storico impedendo, con il loro lavorı`o sotterraneo, il ritorno ciclico dell’uguale, e torcendo il circolo vizioso dell’apokatastasis in progresso – «vel paulatim, vel etiam aliquando per saltus» – verso il meglio. In tali «discrimina etsi imperceptibilia» sta inoltre la vanificazione di ogni teoria normativa generale della storia: nessuna logica universale, ne´ deduttiva ne´ induttiva, e` possibile a partire dal gioco imprevedibile di scarti e deviazioni delle petites perceptions. Piuttosto, esse propiziano un approccio al dato storico come ricerca senza fine, come curiosita` inesausta per le res singulares, che Leibniz condivise con il suo interlocutore e avversario Pierre Bayle. Sul rilievo delle piccole percezioni in relazione all’instaurarsi di una peculiare logica della storia, che restituisce ad essa dinamismo e organicita`, osserva opportunamente Francesco Olgiati: Sono esse che ci offrono la chiave per intendere la legge di continuita`, in quanto «le percezioni afferrabili vengono per gradi da quelle troppo piccole per essere osservate»; ci illustrano la legge degli indiscernibili e ci invitano a non trascurare, «in filosofia come in politica», to mikron, vera spiegazione dei progressi insensibili e percio` del progresso. In una parola – aggiungiamo noi – e` l’organicita` del reale, che qui si afferma, non solo nel complesso dell’universo, quanto in ogni elemento che lo compone – e non gia` in un modo statico, ma con una concezione che vuol darci il dinamismo interiore della storia. E` la storia cio` che le piccole percezioni vogliono illuminare: la storia delle singole monadi, le quali, ridotte a centro di attivita` e di percezione, in continuo lento graduale sviluppo, vengono spiegate nel loro formarsi73.
C’e`, dunque, nello scritto che stiamo analizzando, la coscienza di un al ` di la del libro e della sua codificazione alfabetica, un al di la` del documento, un’eccedenza della storia reale rispetto a quella fissata negli atti scritti, uno iato tra storia empirica, quella ordinata nelle cronache, e storia reale, destinata a rimanere occulta, a sfuggire alla presa della storiografia, in se´ ferma ai principi dell’autopsia e della tesaurizzazione dei fatti, almeno fino alla sua emergenza visibile. In questa storia “nascosta” e posta al di sotto della soglia 73
F. Olgiati, Il significato storico di Leibniz, cit., p. 154.
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di accertabilita` dello storico e` rinvenibile anche una temporalita` non identificabile con quella propria dell’annalistica. Di questa temporalita` non rinserrabile nell’ordine della combinatoria, il frammento non manca di fare menzione: Quia tamen ex rationibus Metaphysicis constat praesens esse gravidum futuro [LF, 72].
Le percezioni minime, dunque, instaurano un’altra storicita` e temporalita`, di forma organicistica (l’essere il presente carico del passato e gravido dell’avvenire) anziche´ empirico-fattuale, introducono una nuova soggettivita` storica fondata su un’infinita` che non e` totalita`, incompatibile con le tassonomie della rappresentazione annalistica quanto con le teorie generali della storia. Alla staticita` e fissita` temporale delle cronache annuali universali, condannate alla fine alla ripetizione ciclica, si oppone cosı` il tempo dinamico ed elastico della durata, fatto di salti e rivoluzioni, intimamente implicato con la vita della monade, fonte e origine di un progresso universale mai pianificabile, affidato com’e` a una serie di fattori imponderabili. E`, questo, il tempo dell’individualita` che avviluppa l’infinito, come si legge nei Nouveaux essais: Ces petites perceptions sont donc de plus grande efficace qu’on ne pense. Ce sont elles, qui forment ce je ne say quoy, ces gouts, ces images des qualite´s des sens, claires dans l’assemblage, mais confuses dans les parties; ces impressions que les corps environnans font sur nous, et qui enveloppent l’infini; cette liaison que chaque estre a avec tout le reste de l’univers. On peut meˆme dire qu’en consequence de ces petites perceptions le present est plein de l’avenir, et charge´ du passe´, que tout est conspirant (sumpnoia panta, comme disoit Hippocrate), et que dans la moindre des substances, des yeux aussi perc¸ans que ceux de Dieu pourroient lire toute la suite des choses de l’univers [A VI, 6, 54-55].
Di questa storia non piu` cronachisticamente additiva, non piu` rigidamente articolata nella griglia annalistica ma sorretta da una connessione universale che fa capo a una metafisica, o a una teodicea, si possono evincere, dal frammento, alcuni tratti essenziali: quelli di un universo di individualita` in sviluppo, di un organismo unitario in cui i singoli ricevono la loro unica e irripetibile collocazione entro un’universalita` che non e` totalita`, in quanto inesauribile, e all’interno di un progresso senza fine. Certo, nel configurare al di sotto della storia annalistica una microstoria custodita nelle pieghe delle piccole percezioni, lo specchio di Lucia-
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no74, insieme al modello storiografico che in esso si raccoglie (identita` tra acta e facta), appare incrinarsi: la cronaca storica, il libro, non e` piu` il riflesso fedele della realta`, ma la traccia della sua descrizione parziale e selettivamente finita. Le nervature di un’altra storia, di un altro pensiero storico, non piu` fondato sull’histoire savante ma sui principi dell’organicita` del reale, dell’infinita` e universalita` dell’individuale, dell’accelerazione e del progresso non lineare del genere umano, dell’harmonia rerum come base metafisica dell’universale corso degli eventi e della sua evoluzione, affiorano qui, e sono esse che consentono allo storico annalista di sapere che il suo lavoro non e` condannato all’insensatezza della ripetizione ciclica, ma che sotto i fatti-documenti, ai quali egli e` pur chiamato ad attenersi, sta la trama infinita del continuum che impedisce il ritorno dell’uguale e che raggiungera`, a un certo punto, il piano della rilevabilita` empirica. Tuttavia, simile consapevolezza resta, per cosı` dire, estrinseca rispetto alle Historiae annuae e alla loro redazione, meramente allineata ad esse e priva di compenetrazione, rimanendo al di sotto della soglia dell’accertabilita` dello storico-archivista («...qui describi nequit libro quantocunque») e sottraendosi al gesto «prensile» del cronista. Tale consapevolezza, cioe`, non modifica la sostanza del lavoro dello storiografo il quale, scrive Blumenberg, deve «prendere i fenomeni per realta`», e anche quando prepara poderosi in-folio deve restare irrinunciabilmente “fenomenalista”75,
deve, dunque, conservare ferma l’identita` tra fatto e protocollo. Annali e metafisica della monade (e della storia) sono percio` come due sfere segnate, come sottolinea Blumenberg, da due diverse logiche e da due diversi linguaggi che si lambiscono, sono accostati in vista di una cooperazione, 76 ma non si compenetrano . Alla fine, l’identita` tra acta e facta, alla base della prima parte del frammento e del calcolo combinatorio non esce scalfita dalla metafisica della storia, ma solo ricompresa in un punto di vista 74
L’allusione va all’immagine contenuta nel trattato di Luciano di Samosata Come si deve scrivere la storia § 51, a cui si e` fatto gia` riferimento (cfr. Come si deve scrivere la storia, § 51, cit., p. 111). In essa si raccoglie l’ideale di imparzialita` dello storico e il realismo ingenuo che ne e` il presupposto gnoseologico, vale a dire l’identita` presupposta tra res gestae e Historia rerum gestarum. Cfr., in merito, la nota 117 del capitolo secondo. 75 H. Blumenberg, La leggibilita` del mondo, cit., p. 148. 76 La nostra conclusione appare dunque, come gia` emerso nel corso del lavoro, in fondamentale consonanza con il punto di vista di F. Meinecke espresso ne Le origini dello storicismo, cit., p. 22 sgg.
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ERUDIZIONE E TEODICEA
superiore, che rassicura circa il progresso dell’universo e della storia contro l’assurdo metafisico dell’eterno ritorno. In realta`, la scoperta di un mondo storico non appiattito sull’oggettivita` (presunta) dei documenti e` una soglia sulla quale Leibniz si arresta: il brusio, l’agitazione brulicante delle piccole percezioni schiudeva un baratro pericoloso per la fides historica, e conveniva chiuderlo in fretta barricandosi nella circoscritta rassicurante “giuridicita`” dei fatti desumibili dai documenti. La “sufficiente” descrizione degli eventi propria della storia pubblica e` il valore essenziale a cui il ricercatore erudito deve attenersi, rinunciando a gettare lo sguardo oltre la certezza cristallizzata nell’atto scritto, nel protocollo d’archivio. Un sacrificio necessario, in tempi in cui l’avversario da battere era la skepsis pirronista. Peccato che, cosı` facendo, al metodo storico venga preclusa buona parte della ricchezza che la teoresi leibniziana possedeva, e che saranno altri, in tempi piu` maturi, ispirandosi proprio a Leibniz, a finalizzare alla conoscenza storica. Ma tant’e`: qui e altrove, Leibniz e` 77 l’uomo della soglia, del metaxu. Come ha scritto Michel Serres , allontanarsi dal rumore, dal caos, pure lucidamente avvertiti, procedendo verso gli ordini scalari della progressiva padronanza razionale, e` tratto essenziale del pensiero dell’hannoverese. E la storiografia erudito-annalistica, cosı` coerente con la logica combinatoria da poter essere accostata ad essa, appartiene, almeno per certi versi, al gesto intellettuale del «volgere le spalle» alle zone piu` melmose e meno oggettivabili dell’essere storico, o, per dirla con Pietro Piovani, all’atto del «sorvegliare» e «imbrigliare» il «pericoloso» pluralismo e dinamismo monadico78. L’impressione, alla fine, che il testo del 1715 offre e` che Leibniz e la sua concezione storica siano lacerati da due istanze divergenti e non bene ricomposte: da un lato, quella legata alla fides historica, che conduce il pensatore a tener ferma, sul piano del metodo storiografico, la rigida griglia del postulato erudito-annalistico – l’identita` tra acta e facta –; dall’altro, quella, proveniente dalla teoresi, dell’infinita` del continuum fisico e delle piccole percezioni, che si traduce in una metafisica organicistica della storia e dell’individualita` storica. Tra le due istanze sembra mancare un piano categoriale di adeguata sintesi e compenetrazione. L’universo monadico e plurale leibniziano avrebbe richiesto, in realta`, un’altra forma storiografica, meno angusta, meno procustea, per esprimersi adeguatamente. Una forma
77 78
Cfr. M. Serres, Genesi, cit., in part. pp. 94-95. Cfr. quanto a proposito della tesi di Piovani qui allusa si dice nell’Introduzione.
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STORIA UNIVERSALE ED ESCATOLOGIA
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per la quale, evidentemente, Leibniz viene troppo presto, o, comunque, che egli non ha saputo approntare. Nel mostrare il conflitto indicato, nella forma di una giustapposizione tra due forme di storicita` – una scrittura storica erudito-annalistica e una metafisica della storia fondata sull’harmonia universalis – il frammento sull’Apokatastasis puo` dunque bene ambire a porsi come specchio finale del pensiero storico leibniziano. Il rilievo di tale scritto, uno dei pochi d’indole filosofica sulla storia nella pur copiosissima produzione intellettuale di Leibniz, consiste infatti, al di la` dei piu` espliciti contenuti riguardanti il senso della reintegrazione universale, o apokatastasis panton, nel mostrare in filigrana la presenza di tensioni irrisolte nella concezione storica leibniziana. Mai come qui la concezione storica leibniziana si mostra come campo di forze in lotta: Leibniz coglie lo scarto tra documento e realta` – la Kehre che si e` evidenziata interna al frammento e` tutta giocata su questo sopraggiunto punto di vista –, intuisce la novitas, appronta le categorie teoretiche atte a propiziarla – dalla soggettivita`, al prospettivismo alla temporalita` – ma, lasciando giustapposte le due posizioni, non giunge a innovare il metodo storiografico. L’al di la` del documento resta “impensato” sul piano del metodo storico, come una sorta di noumeno, di Historia noumenon. Quelle categorie si fermano ai bordi della scrittura annalistica ed erudita, premono, come le variazioni infinitesime, ai suoi margini a insidiarne le strutture, ma non filtrano a rinnovare il metodo storico. Cio`, tuttavia, e` sufficiente a dimostrare quanto il pensiero storico leibniziano non sia pacificamente, olimpicamente raccolto attorno all’adesione al modello erudito-annalistico, ma appaia solcato da forze ideali che spingono al di la` di esso, che annunciano il nuovo, che sono tese al futuro, per quanto non giungano a configurare una nuova metodologia storiografica. Il frammento sull’Apokatastasis, lo si ricordera`, e` stato redatto nel 1715, nell’ora del declino, quasi di fronte alla morte. Chissa` se Leibniz, che si spegne l’anno successivo, avrebbe condotto oltre, se ne avesse avuto il tempo, la problematizzazione del modello storiografico annalistico-erudito al quale aderı` fino alla fine con la stessa fedelta` prestata alla corte di Hannover.
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INDICE DEI NOMI
Abate O., 461 Abbagnano N., 42, 141, 504 Abelardo P., 51 Accolti Gil Vitale N., 424 Aceti G., 252 Adorno T.W., 476 Agamben G., 198 Agostini F., 145 Agostino A., santo, 138, 139, 140, 181, 189, 216, 396, 403, 419, 430, 486, 491, 493 Aiton E.J., 271, 472, 514 Alberti L.B., 100, 101 Alberto Azzo II (Azzo d’Este), 11, 264, 265, 270, 276, 277, 278, 280, 289, 300, 301, 303 Alessandro VI, papa, 293, 325 Alfonsi L., 466 Aliberti G., 252 Ampolo C., 250 Anassagora, 368 Anassimandro, 500 Andolfo M., 538 Antognazza M.R., 360, 538 Antoni C., 261, 262, 415 Arendt H., 39, 110, 350, 426 Argenton B., 66, 114 Arie`s P., 250, 520 Aristotele, 38, 57, 140, 235, 252, 253, 348, 398, 399 Arlorio P. 100 Arnauld A., 118, 390, 395, 419, 526 Arnold G., 36, 335, 521, 522, 523, 524 Aron R., 132, 362, 401 Arzeni B., 2, 424 Asimov I., 537 Asshoff H., 92 Assmann A., 199, 321 Assunto R., 112, 473 Attisani A., 82
Auletta G., 116 Aventin, Aventinus (Turmair J.), 66, 224, 264, 271 Axelos C., 506 Azzo I, 278 Babini E., 534 Bacchelli R., 13 Bacone F., 19, 20, 313, 384, 393, 404, 409, 410, 466, 468, 497 Baczko B., 10, 12, 152, 211, 341, 465, 469 Bal K., 260 Baldini G., 493, 494 Balestra A., 477 Ballanti Laeng G., 3 Ballard K.E., 122 Balthasar H.U. von, 534 Barbieri G., 113 Barenghi M., 537 Baronio C., 17, 51, 203, 250, 266, 267, 273, 274, 296, 309, 332, 333, 335, 349 Barrow J.D., 494 Barsanti G., 9, 10 Barth H., 473 Barth K., 485, 486, 488, 492, 534, 544 Barthes R., 103 Baruzi J., 15, 18, 78, 176, 182, 391, 411-412, 422, 423, 447, 448, 491, 498 Basilide, 244 Basso L., 3 Battista A.M., 386 Battistini A., 210, 328, 473 Baudelaire C., 176, 473, 476, 485 Bauman Z., 149 Bavaj U., 231 Bayle P., 17, 40, 45, 52, 57, 196, 200, 203, 213, 329, 336, 338, 357, 386, 426, 427,
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INDICE DEI NOMI
428, 430, 433, 483, 484, 485, 496, 520, 521, 551 Beeley P., 255 Beetz M., 381 Beiderbeck F., 98 Beierwaltes W., 138, 139 Bein Ricco E., 418 Belaval Y., 1, 72, 92, 93, 129, 130, 227, 252, 255, 312, 313, 314, 384, 449, 454, 480 Belpoliti M., 118 Benjamin W., 132, 236, 237, 450, 473, 528 Benz S., 97, 256 Beonio Brocchieri V., 262 Bergson H., 31, 107, 138, 140, 142, 487, 488 Berkeley G., 231, 239, 244, 247, 248 Berkhof H., 417 Berlinsky D., 494 Berlioz D., 178 Bernardini Mazzolla P., 362 Bernardo di Chartres, 466 Bernini G.L., 136, 452 Bernoulli Jakob, 390, 399 Bernoulli Johann, 399 Bernstorff A.G. von, 300, 302, 306 Bertelli S., 92, 250, 298, 299, 303-304, 315 Berti E., 140 Bertoletti I., 431 Bertoni A., 100 Besterman T., 340 Bie´ma E´. van, 122, 123, 125 Bierling F.W., 357, 362 Biondi A., 250 Biondo F., 65, 66, 336, 337, 349, 352 Birkner H.-J., 417 Biscione M., 22 Blanchot M., 231, 236 Blandin J.-Y., 139 Bloch E., 34, 143, 145, 146, 147, 148, 153, 221, 500 Bloch M., 31, 336, 344, 349, 356, 362, 373 Blum R., 256, 257 Blumenberg H., 66, 67, 94, 114, 225, 226, 374-375, 417, 421, 423, 461, 535, 539, 540, 547, 548-549, 553 Blyenberg G. de, 483 Boccaccio G., 351 Bocchi G., 126 Bodei R., 104, 118, 146, 147, 148 Bodemann E., 6, 76, 208, 408 Bodin J., 20, 41, 222, 315, 404, 405 Boel P., 528, 529
Boella L., 148 Boezio S., 211, 483 Bof G., 544 Bohem L., 339 Bo¨hme G., 135, 136, 148, 201, 202 Boineburg J.C. von, 259, 260 Bolland J., 256 Bonhoeffer D., 534 Bonito Oliva R., 49, 51, 79, 155 Bonito V., 112, 116 Bonola G., 450 Borges J.L., 6, 67, 116, 117, 164, 171, 172, 219, 229-248, 351, 375, 479, 482, 536, 537 Borghero C., 39, 71, 92, 250, 258, 389, 395, 399 Borst A., 132, 133 Bosco D., 388 Bose J.A., 19, 253, 316, 317, 410 Bosio F., 140 Boss G., 97 Bossuet J.B., 16, 18, 19, 20, 27, 44, 45, 133, 216, 217, 218, 336, 386, 387, 388, 390, 394, 403, 404, 419, 438, 523, 529 Bottiroli G., 100 Botto M., 152 Botturi F., 211 Bourguet L., 177, 178, 180, 186, 188, 233 Bouvet J., 345 Boyle R., 113 Braudel F., 362 Brecht B., 350 Breger H., 97 Breuer D., 520 Brooks R.A., 8, 502 Brown S., 255 Brunner O., 27 Bucelin G., 265 Buci-Glucksmann C., 473 Bu¨low K. von, 172 Bultmann R., 534 Bu¨nau H. Graf von, 77 Burchard J., 293, 325 Burgen A., 466 Burnet T., 56 Burnett of Kemney T., 87, 223, 354, 365, 392, 393, 395, 516, 517 Bury J., 466 Busi G., 539 Bussche A.P. von, 271 Bussi E., 250
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INDICE DEI NOMI
Cacciari M., 219, 482 Cacciatore G., 3, 28, 49, 154, 381 Calabrese O., 473 Calco T., 66, 336 Caldero´n de la Barca P., 239 Calmet A. dom, 340, 341 Calvino I., 9, 118, 237, 238, 479, 537 Calvisius S., 251 Cambiano G., 252-253 Camera F., 417 Campanale D., 255, 506 Campanella T., 255, 466, 509, 510 Campori M., 5, 304 Canfora L., 238, 362 Cannillo T., 494 Cantelli G., 427, 484 Cantillo G., 28, 51, 70, 416 Capitini O., 332 Capra T., 152 Caracciolo A., XII, 2, 114, 185, 213, 243, 248, 417, 458-459, 489, 501, 545 Caravaggio, Michelangelo Merisi detto il, 477 Carchia G., 484 Cardano G., 519 Carlin L., 223 Carlo Magno, 287, 309, 310, 330 Carlotta Felicita, principessa di Hannover, 289 Carr E., 323, 324, 352, 362 Cartesio (Descartes), 38, 41, 79, 94, 97, 127, 129, 163, 166, 189, 190, 221, 235, 380, 384, 389, 390, 405, 426, 480 Caselli G., 108 Cases C., 350 Casimir J., 259 Casini P., 111 Cassirer E., 1, 18, 23, 32, 41, 78, 80, 81, 124, 127, 134, 141, 142, 147, 148, 176, 177, 183, 262, 327, 413-414, 420, 422-423, 432, 445, 446, 458, 459, 464, 480, 544 Castelli C., 100 Castelli E., 12, 76, 113 Celada Ballanti R., XI, XII, XIII, XIV, 28, 75, 418, 486 Cellarius C., 319 Ceronetti G., 231 Ceruti M., 113, 126 Cervantes M. de, 231 Cesare Caio Giulio, 265, 277 Cetti Marinoni B., 381
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Chabod F., 82, 83, 349, 352, 353, 362 Charron P., 386, 387 Chaunu P., 152, 336, 339, 340, 465 Chladenius J.M., 61, 68, 368, 380, 381, 382 Cicerone M.T., 16, 293, 332, 427 Cimabue, Cenni di Pepo detto, 39 Cipolla C.M., 113 Citati P., 114 Clarke S., 6, 103, 119, 120, 124, 125, 129, 130, 135, 136, 139, 184, 185, 186, 187, 188, 201, 202, 306, 542 Clauberg J., 390 Claudiano C., 215, 425 Clayton J., 417 Cocceji H. von, 261 Cochrane E., 250 Colletta A., 150 Colli G., 245 Collings Squire J., 234 Colombi G., 362 Comenio (Komensky J.A.), 328, 378, 379 Condorcet, M.J.A.N. Caritat, marchese di, 32, 155, 452, 453, 457, 458, 465 Conring H., 257, 262, 264 Conti L., 140 Conze W., 1, 19, 27, 53, 54, 70, 71, 77, 79, 86, 87, 88, 134, 178, 180, 181, 203, 204, 255, 257, 262, 263, 265, 269, 274, 276, 279, 281, 283, 291, 292, 295, 296, 306, 308, 309, 318, 319, 346, 359, 360, 373, 374, 394, 400, 401, 409, 410,473, 524, 542 Copernico N., 398 Coppellotti F., 500 Coppola M.A., 481 Cordara F., 132 Cornalba L., 113 Corne´lis H., 534 Corrado IV di Svevia, 291 Corsano A., XI, 1, 42, 45, 52, 56, 57, 76, 91, 92, 153, 200, 203, 226, 288, 316, 317, 491, 504 Cosimo III, granduca di Toscana, 275 Costantini C., 247 Costantino, imperatore, 310 Cotroneo G., 315 Coudert A.P., 538 Courte`s H., 143, 149 Courtheoux A., 521 Courtine J.-F., 252 Couturat L., 77, 85, 317, 475 Craig J., 390
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INDICE DEI NOMI
Cra¨mer U., 250 Cristin R., 44, 52, 102, 136, 229, 238, 255, 443, 479, 498, 501, 538 Croce B., XII, 1, 36, 70, 81, 82, 83, 91, 234, 380 Crocker L.G., 426 Cruciani P., 538 Cuccu M., 100 Cullmann O., 179 Cunegonda, contessa d’Este, 11, 12, 270, 276, 278 Cuniberto F., 236 Cunico G., 95, 146, 148, 381, 420, 454, 484, 511, 525, 544 Curi U., 113 Curley E., 386 Cyrano de Bergerac, H.-S. de, 40, 386 D’Agostino M., 114 Daher N., 127 D’Alembert Le Rond J., 110, 111, 339, 340 Daley B.E., 534 Damaideno T., 13, 258, 266, 268, 378, 394 Danie´lou J., 534 Danna C., 458, 534 D’Anna N., 534 Darnton R., 458 Davies P., 114 Daville´ L., XI, 1, 47, 51, 53, 70, 75, 76, 77, 78, 79, 81, 84, 85, 86, 87, 91, 132, 133, 134, 199, 201, 203, 251, 255, 256, 258, 259, 263, 265, 269, 271, 274, 292, 294, 295, 296, 305, 306, 307, 315, 330, 333, 334, 341, 346, 350, 351, 355, 362, 363, 364, 369, 380, 393, 394, 399, 400, 438, 449, 513, 515 De’ Grandis R., 472 De Gregorio O., 534 De Maio R., 250 De Marchi C., 100 De Maria A., 182, 250 De Mas E., 313 De Masi D., 113 De Rosa G., 461 De Salvo L., 204 De Toni G.A., 18 De Turris G., 234 De Vincentiis A., 100 De Volder B., 128, 164 Defossez L., 109 Dehe´nault J., 386
Del Boca S., 52 Del Castillo E., 114 Delbos V., 83, 449 Delco` A., 128 Deleuze G., 9, 12, 34, 103, 119, 145, 147, 148, 164, 170, 212, 232, 450, 457, 463, 464, 471, 473, 476, 489, 497, 506, 527, 528 Delumeau J., 481 Delvolve´ J., 521 Democrito, 67, 537, 538, 541 Deregibus A., 234 Des Bosses B., 52, 168 Desideri F., 95, 544, 547 Di Bella S., 128 Di Donato R., 250 Di Giuro V., 466 Di Riccio S., 9 Di Sario M., 209 Diana E., 494 Diana R., 115 Diaz F., 10, 32 Dicuonzo A.R., 238 Diderot D., 111, 340, 388 Dilthey W., XII, 1, 22, 29, 32, 36, 51, 55, 61, 70, 78, 79, 80, 84, 87, 91, 136, 147, 148, 154, 155, 175, 218, 335, 337, 412, 415, 417, 418, 424, 473, 524, 534 Doebner R., 6, 76 Dolezel L., 231 Dombrosky R.S., 238 Donne J., 116, 529 Dostoevskij F., 248, 499 Dottori R., 102 Drehsen V., 417 Droetto A., 385 Droysen G., 337 Du Cange Dufresne C., 269 Dubois C.-G., 205, 314 Duchesneau F., 360 Dufays J.-M., 92 Du¨rer A., 102 Durkheim E´., 152 Dutens L., 5 Eberhard J.A., 525 Eckert H., 95, 296, 325, 356, 378 Eckhart J.G., 306, 517, 542 Eco U., 237, 238, 531 Edel S., 538 Eisenhardt J., 65, 250, 258, 264, 366, 390 Eleonore von Celle, 15
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INDICE DEI NOMI
Elias N., 114 Eliot T.S., 179 Enrico I l’Uccellatore, 310 Enrico il Leone, 280, 287, 288, 289 Enrico IV, re di Francia, 260 Epicuro, 214, 537 Eraclito, 500 Erasmo da Rotterdam, 414, 415 Erhard H.-A., 76 Ernst August, duca di Hannover, 11, 224, 258, 265, 266, 269, 270, 278, 281, 282, 289, 294, 320, 322, 332, 344, 364, 394, 514 Erodoto, 251, 367 Esposito C., 252 Ettlinger M., 45, 46, 94, 438, 449, 513, 542 Euclide, 173 Evans R.J.W., 41 Fabbrichesi Leo R., 376, 479 Fabricius J., 517 Fabris A., 113 Faggin G., 138 Falco G., 250 Fattori M., 392 Febvre L., 362 Federico I di Prussia, 295 Federico II di Prussia, 340 Federico II di Svevia, 288, 291 Federico III d’Asburgo, 309 Ferguson A., 340 Ferrara G., 142 Ferrara M., 466 Ferraris M., 382 Ferraro D., 395 Ferrone V., 152 Fertonani R., 102 Fichant M., 1, 6, 66, 94, 313, 324, 401, 461, 499, 513, 519, 533, 549 Fichte J.G., 46, 407, 438, 444, 446, 449 Filippi L., 39 Filippini E., 237 Filleau des Billettes G., 144, 145, 479 Filoramo G., 416 Fiorani E., 113 Fiorillo M., 417 Firpo L., 509 Fischer H., 417 Fischer K., 449 Fittbogen G., 525 Flacius Illyricus, 333 Flenley R., 262
561
Floramonti F. de, 274 Fontanini G., 297 Fontenelle B. Le Bovier de, 386, 387, 388, 389 Fontius M., 97 Formigari L., 10 Foucault M., 62, 115, 351, 376, 528 Foucher de Careil A., 76, 449, 521 Foucher S., 120 Fozzer G., 136 Francesco II, duca di Modena, 274, 275 Franck S., 415 Fraser J.T., 31, 95, 113, 115 Frassi M., 234 Friedell E., 110, 115 Friedman G., 386 Friedrich G., 182 Friedrich von Braunschweig (Federico III), 290 Frye N., 103 Fueter E., 1, 63, 70, 71, 74, 81, 82, 85, 86, 96, 222, 249, 250, 274, 333, 353, 380 Funkenstein A., 60, 61, 100, 335, 347-348, 349, 381 Furlanetto A., 132 Gabrieli V., 103 Gadamer H.-G., 102, 103, 114, 150, 381, 383 Gadda C.E., 39, 238 Gaiffier B. de, 256 Galasso G., 337, 362 Galilei G., 73, 180, 328, 384, 468 Galimberti U., 461 Gallas A., 534 Gamans J., 255, 256, 270 Gamberti D., 269 Ganni E., 132 Gaque`re F., 523 Garaventa R., 214, 424 Gargantini M., 130 Gargiulo T., 350 Garin M., 250, 386, 520 Gasparetti A., 161 Gasparini G., 114 Gassendi P., 386, 390, 538 Gatterer J.C., 61, 381, 383 Gatti R., 458 Gatto L., 288 Gaudemar M. de, 143, 144, 194, 195, 197, 477, 506
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INDICE DEI NOMI
Gaudin C., 178 Gazzelli C., 473 Gensini S., 293, 346 Gent W., 122 Gentile G., 74 Gentz F., 263 Georg Ludwig, duca di Hannover (v. Giorgio I d’Inghilterra), 294, 305, 471, 472 Gerhardt C.I., 5 Germon P., 362, 363 Gessa-Kurotschka V., 49 Ghia F., 3 Ghia G., 3, 463, 511 Ghio M., 466 Giannini C.A., 297 Gibbon E., 72, 340 Gibelli D., 152 Gibellini R., 417 Gigliotti G., 395 Gilbert F., 349 Gilson E´., 19 Ginzburg C., 57, 261, 323, 331 Gioacchino da Fiore, 44 Giorello G., 113, 530 Giorgio I d’Inghilterra (v. Georg Ludwig), 151, 471 Girardet M., 500 Givone S., 248 Gliozzi G., 133 Goethe J.W., 24, 50, 84, 101, 115, 137, 148, 149, 155, 416, 444, 449, 506, 519, 521, 522, 545 Goldbach C., 472 Go´ngora y Argote L. de, 103 Gottschalk J., 472 Gouthier G., 31, 336 Goya F. de, 102, 103 Gracia´n B., 104, 161 Graf F.W., 417 Gra¨frath B., 506 Grampa G., 28 Grass H., 417 Graziano A., 538 Greel C., 92, 250 Gregorio di Nissa, 534 Gregorio VII, papa, 278 Greppi C., 103 Griffero T., 381, 382 Grimaldi C.F., 275 Grison M., 458
Gro¨b W., 417 Grondin J., 381 Grote O., 47, 108, 269, 275, 285 Grua G., 5, 176, 490, 518, 527 Gru¨ber N., 481 Guarracino S., 315 Guattari F., 9 Guelfo (IV), duca di Baviera, 270, 276, 278 Guene´e B., 100, 332, 347 Guerra A., 32 Guglielminetti E., 132 Guhrauer G.E., 517 Guicciardi G., 302 Guicciardini F., 101, 222, 349 Guitton J., 108, 139, 182, 218, 412, 432 Gulia L., 250 Gulotta A., 114 Gundolf C., 22 Gurevic A. Ja., 100 Gurisatti G., 136 Gusdorf G., 100, 424, 463 Guyau J.-M., 152 Haase C., 95 Hammer K., 95 Hammerstein N., 92, 339 Ha¨ndel G.F., 471 Ha¨ring H., 458 Harnack A., 17, 77, 203, 274 Hartmann G., 255 Hartmut R., 97 Hazard P., 14, 24, 25, 53, 76, 133, 151, 161, 268, 310, 311, 426, 465, 520, 523, 544 Hegel G.W.F., 21, 42, 44, 46, 49, 50, 407, 424, 438, 444, 449, 451, 498, 504 Heidegger M., 107, 130, 136, 137, 138, 140, 247, 248, 461, 492, 501 Heinekamp A., 12, 76, 92, 95, 96, 229, 386, 506 Herder J.G., 81, 84, 148, 149, 155, 369, 438, 444, 449 Herrmann K., 255 Hertel L., 526 Hessen-Rheinfels E. von, 134, 266, 270, 526 Heuvel G. van den, 97 Hiller L., 339 Hinrichs C., 115 Hirsch E.C., 271, 472 Hobbes T., 387, 394 Hoffmann J.-H., 269 Hohlwein H., 417
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INDICE DEI NOMI
Ho¨lderlin F., 118, 244 Holte R., 493 Horkheimer M., 476 Hu¨bener W., 47, 92, 438, 439, 443, 531 Hubert H., 152 Hu¨biner G., 417 Huet P.-D., 264, 313, 384, 386, 390, 391, 394, 525 Huizinga J., 362 Huldenberg D.E. von, 297 Humboldt W. von, 28, 29, 36, 50, 51, 54, 60, 79, 149, 155, 209, 219, 383, 435 Hume D., 72, 231, 239, 245, 247, 248, 340, 537-538 Husserl E., 255 Huygens C., 111, 141, 395 Iannotta D., 28 Isidoro di Siviglia, 116 Ivaldo M., 46 Jablonski D.E., 17, 274 Jalabert J., 122, 124, 128, 138, 142, 167, 194, 195, 200 Jaquelot I., 194, 195 Jaspers K., 185, 219, 418, 461 Jaumann H., 339 Jay Gould S., 172 Jedlowsky P., 132 Jens W., 424 Jeronimidis A., 538 Jervolino D., 28 Johann Friedrich, duca di Hannover, 263, 264, 265, 269, 289 Ju¨nger E., 102, 110 Justel H., 262, 322, 363 Kabitz W., 255, 438 Kaegi W., 404 Kafka F., 240 Kant I., 21, 24, 27, 32, 50, 73, 74, 80, 123, 130, 138, 155, 180, 204, 217, 218, 247, 407, 414, 415, 416, 423, 424, 433, 435, 444, 449, 454, 458, 459, 500, 504, 544 Keplero G., 38, 468 Kere´nyi K., 185 Kern S., 113 Kierkegaard S., 424, 507 Kindl U., 293 Kittel G., 182 Klee P., 450, 451
563
Klempt A., 20, 88-89, 133, 315, 316, 319, 404, 405, 406, 409, 419 Klibansky R., 101 Klopp O., 76, 132, 319 Knoppik J., 94, 456 Koch C.D., 398 Koch T., 417 Kolakowski L., 458 Kolb S., 32 Ko¨nigsegg L.W. von, 272 Koselleck R., 27, 28, 29, 31, 32, 94, 132, 155, 159, 161, 172, 175, 176, 204, 205, 210, 220, 328, 335, 350, 381, 382, 383, 410, 433, 436, 437, 459, 460, 462, 466, 543, 544 Kowohl De Rosa C.S., 262 Koyre´ A., 109, 120, 127 Kracauer S., 516 Kriegel B. (Barret-Kriegel B.), 57, 97, 209, 210, 218, 250, 331, 334, 337, 338, 362, 371, 372, 376, 387, 388, 393, 401, 550 Kubı´cek T., 328 Kundera M., 434 Ku¨ng H., 424, 534 La Mothe Le Vayer F. de, 40, 386, 390 La Popelinie`re H. Lancelot-Voisin sieur de, 222 La Porta L., 529 La Rocca A., 102 Labbe P., 203 Lache`vre F., 40, 250, 386 Lachmann K., 518 Lacoste J.-Y., 534 Laeng M., 3, 245 Lamacchia A., 461 Lamarra A., 64, 293 Lamy F., 191 Lamy G., 529 Landes D., 113 Landolfi A., 102 Landucci S., 426 Lange F.-G., 76 Lanzi S., 458 Lapeyre`re I., 20, 41, 175, 387, 394, 405 Larroque D., 290 Lasswitz K., 537 Lattanzio, 484 Lawrence N., 31, 95 Le Chevalier L., 506 Le Goff J., 100, 114, 132, 315, 534 Le Moyne P., 170
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INDICE DEI NOMI
Le Roy G., 118 Lefebvre G., 250, 391 Lehmann H., 256 Le´onard E´.G., 514 Leopardi G., 121 Lepenies W., 32, 205 Lessing G.E., 18, 21, 24, 42, 44, 45, 50, 80, 81, 149, 183, 218, 369, 407, 414, 415, 416, 420-421, 424, 444, 449, 463, 509, 511, 512, 518, 519, 520, 525, 526, 527, 545, 548 Levi A., 114 Lida Buonaguidi Paradisi M., 426 Lissa G., 28, 387 Litwornia A., 152 Livio T., 27, 66, 251, 286, 308, 332 Lo Re R., 8 Locke J., 79, 97, 227, 390 Loewenthal E., 539 Loewy M., 132 Lo¨ffler U., 211 Lombardo G., 236 Lombardo Radice G., 74 Longhi R., 39, 238 Lonzi L., 103 Lotario IV, 280 Lovejoy A.O., 10, 223 Lo¨with K., 89, 175, 179, 213, 403, 404, 405, 406 Lu¨bbe H., 416, 417 Luciano di Samosata, 61, 236, 332, 335, 351, 552-553 Lucrezio, 214 Ludolf H., 272, 273 Luigi XIV, 16, 72, 216, 266, 291, 468, 509, 510, 511, 520, 544 Luka´cs G., 434 Luppi A., 472 Lutero M., 20, 218, 416, 423, 523 Lu¨tgert W., 211 Mabillon J., 13, 20, 55, 57, 86, 97, 209, 223, 261, 269, 276, 331, 332, 333, 336, 337, 338, 343, 347, 352, 362, 372, 385, 387, 393, 401 Macchia G., 114. 388 Macchioro A., 152 Machiavelli N., 17, 40, 222, 329, 349, 433, 444 Maczak A., 152 Maggiori R., 527 Magliabechi A., 269, 275, 276, 391
218, 334, 363,
428,
Magris C., 239 Mahnke D., 473, 513 Maiello F., 132 Maj B., 113 Malamud B., 248 Malebranche N., 27, 38, 163, 189, 190, 218, 387, 394, 411, 419 Mandalari M.T., 82 Mandrou R., 386 Mann G., 262 Mann T., 2, 101, 102, 185, 230, 424, 425 Manzoni A., 65 Maravall J.A., 116, 473 Marchi E., 434 Marchlewitz I., 386 Marcialis M.T., 388 Marelli C., 423 Mari G., 118 Marietti Solmi A., 27 Marino G., 328 Marino L., 339, 381 Mariotte E., 146, 457 Marquard O., 484 Marramao G., 172, 186, 416 Marrou H.-I., 18, 181, 354, 362, 364, 372, 401, 540 Martinelli A., 8 Martinelli B., 122 Martinetti P., 487 Martini C.M., 113 Martini M.L., 114 Mascov J.J., 77 Masi G., 101 Masullo A., 43, 114 Mathieu V., 52, 92, 168, 195, 197, 198, 477 Matteucci N., 262 Mauro B.H., 266 Mauss M., 152 Mazzacane A., 250 Mazzarino S., 332 Mazzarol R., 18 McLaughlin P., 466 Me´choulan H., 92 Meibom H., 269, 276 Meier C., 94, 176, 210, 460, 466 Meier G., 538 Meinecke F., XII, XIII, 1, 2, 7, 22, 26, 29, 32, 35, 36, 46, 51, 58, 63, 64, 70, 74, 75, 82, 83, 84, 85, 87, 88, 91, 154, 155, 198, 205, 207, 250, 279, 280, 335, 434, 435, 460, 521, 541, 553
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INDICE DEI NOMI
Melantone F., 20, 41, 348, 404, 534 Melchiori G., 116 Menitoni A., 100 Menozzi D., 416 Meo O., 131 Merker N., 45, 262 Merlini F., 205 Meyer B., 525 Mezzadra S., 94 Micchettoni A., 262 Miccoli P., 458 Michelangelo Buonarroti, 214 Micheletti M., 458 Miegge M., 315, 362 Miglio G., 406 Minois G., 481, 520, 529 Minucci S., 149 Mittelstraß J., 466 Molanus G.W., 271 Moll K., 255 Moltmann J., 417 Momigliano A., 250, 315, 337 Monaci Castagno A., 534 Mondello E., 118 Montagnini F., 182, 534 Montaigne M. de, 386, 387 Montaleone C., 370 Montanari M., 245 Montesano G., 176 Montesquieu C.-L. de Secondat de, 151 Montinari F., 335 Montmort P.R. de, 390 Morandi G., 39 Morell A., 183, 342, 522 Moretto G., XII, 1, 2, 18, 24, 28, 217, 416, 424, 458, 459, 484, 489, 500, 501, 522, 534, 544 Morfino V., 386 Moroni A.M., 121 Morra G., 417 Morra U., 261 Mo¨ser J., 84 Mozzillo A., 354 Mugnai M., 64, 118, 119, 125, 129, 157, 258 Mu¨ller G., 534 Mu¨ller H.F., 139 Muncker F., 518 Mu¨ntzer T., 315 Mura G., 381 Muratori L.A., 5, 55, 63, 155, 203, 249, 274, 276, 278, 281, 289, 290, 297-310, 315
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Muschitiello N., 520 Naert E´., 142, 143, 158, 176, 505 Natoli S., 423 Naude´ G., 40, 386 Naves R., 8 Nef F., 178 Negri A., 489 Neri G., 231 Newton I., 103, 104, 114, 126, 135, 140, 145, 147, 180, 186, 203, 232, 302, 303, 315 Nicole P., 390 Nicoletti M., 451, 458 Nicoli O., 116 Nietzsche F., 243, 245, 381, 499, 530 Niewo¨hner F., 97 Nigg W., 218 Nistico` R., 238 Nizolio M., 96, 252, 467 Novalis (F.L. von Hardenberg), 183, 519 Nowotny H., 113 Ockham G., 51 Oddera B., 458 Odifreddi P., 116, 242 Oepke A., 534 Ohly F., 481 Oldenburg E., 483 Olgiati F., 1, 23, 66, 85, 86, 91, 125, 313, 449, 551 Orazio (Quinto Orazio Flacco), 542 Origene, 516, 521, 531, 534 Ortega y Gasset J., 238, 453-454, 485 Osculati R., 256, 415 Otto R., 97, 203, 260, 321, 416 Ottone ‘‘Il Fanciullo’’, 288 Ottone I il Grande, 309, 310 Overbeck A.T., 512, 513, 514, 517, 518 Paci E., 461 Pacini Mugnai G., 271 Paez C., 116 Palaia R., 293 Palanga N., 240 Palumbo M., 97, 237, 391, 513 Panaitescu E., 115 Pannenberg W., 175, 407, 417 Panofsky E., 101, 103 Panzone R., 152 Paoli R., 238 Paolo, santo, 165, 189, 428
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INDICE DEI NOMI
Paparelli S., 199 Papebroch D., 13, 20, 218, 256, 269, 321, 333, 338 Parente F., 511 Pareyson L., 461 Parmenide, 239, 241, 243 Pascal B., 108, 116, 176, 180, 181, 323, 390, 395 Pasini E., 157, 162 Pasquali A., 32 Pasquier E´., 222 Pastine D., 175, 395 Patella G., 104 Paullini F.C., 272 Peirce C., 76 Pelegrı´n B., 115, 214, 473 Pelizzi C., 262 Pennisi S., 516 Penzo G., 461 Pepe D., 113 Pepe G., 261 Perez De Laborda A., 130 Perniola M., 349, 473, 516 Perrault C., 388 Perrella S., 118 Pertz G.H., 6, 15, 76, 172, 274, 279, 304, 305, 306, 307, 472 Petau D., 203 Petersen J.W., 514, 516, 517, 519 Petrarca F., 351 Petrillo R., 340 Peucer C., 404 Pezron P., 134 Pezzetta D., 417 Philipp C., 480 Philippson P., 182 Pievani T., 113 Pigna G.B., 289 Pintacuda De Michelis F., 349 Pintard R., 40, 250, 386 Piobbi P., 416 Piovani P., XI, XII, XIV, 2, 7, 24, 26, 28, 29, 48, 49, 52, 63, 69, 120, 149, 380, 426, 439, 458, 554 Piras G., 335 Piro F., 252, 499 Platen F.E. von, 265 Platone, 38, 124, 150, 494 Plinio il Giovane, 366 Plotino, 137, 138, 139, 140, 141, 245, 431 Pocar E., 18
Pohlenz M., 534 Poidevin R., 262 Poisson N.J., 390 Polibio, 332 Polizzi G., 150 Polman P., 250, 333 Poma A., 12, 25, 216, 218, 360, 423, 429, 431, 481, 504 Pomeau R., 10 Pomian K., 100, 113, 126, 147, 186, 209, 250, 315, 362, 391, 466 Pompeo Cracovi O., 386 Pons G., 511, 525 Popkin R.H., 250 Popper K., 370 Portinaro P.P., 458 Porzio D., 6, 230, 537 Posani G., 339 Poser H., 37, 49, 95, 129, 130, 131, 202, 229, 247, 487, 507 Poulet G., 100, 117 Prandi A., 41 Prandi C., 100, 534 Predaval Magrini M.V., 93 Preti G., 182, 412, 413 Preul R., 417 Prini P., 461 Prinzivalli E., 534 Procopio, 323 Proust M., 114 Pufendorf S., 249 Pugliatti, 103 Quintiliano M.F., 57, 261 Raboni G., 176 Racionero Carmona Q., 97 Raciti G., 434 Raei J. de, 390 Raimondi E., 39, 238, 339 Rak M., 250 Ranchetti M., 450 Ranke L., 36, 45, 46, 155, 263 Rapetti E., 525 Ravano A., 434 Ravasi G., 500 Reimarus H.S., 511, 512 Reitani L., 118 Rembrandt H. van Rijn, 477 Re´mond N., 120, 211 Rena Cosimo della, 275
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INDICE DEI NOMI
Renouvier C., 234 Ricoeur P., 27, 28, 57, 132, 331, 371, 431, 437, 458, 500, 504 Ricuperati G., 133, 250 Riedel M., 132 Riemann B., 145 Riggio G., 182 Rimbaud A., 478 Rinaldo I d’Este, 289, 297, 298 Rini R., 250 Ripa C., 102, 110, 330 Ritter von Srbik H., 305 Riva G., 302 Rizzi A., 534 Roberti Sacerdote L., 386 Robertson W., 340 Robinet A., 1, 6, 12, 15, 20, 33, 41, 57, 89, 90, 91, 92, 141, 151, 163, 166, 167, 177, 194, 206, 207, 208, 209, 213, 216, 217, 255, 263, 271, 274, 276, 277, 278, 305, 313, 331, 391, 409, 414, 498, 507 Roche D., 152 Rolland E´., 182, 411 Romano M., 100 Romano R., 101 Rosa M., 339 Rosamunda di Assenburg, 514 Roscioni G.C., 238 Rosmini A., 426, 458 Rossi Paolo, 92, 133, 172, 175, 466, 529 Rossi Pietro, 32, 339 Roth J., 248 Rotsaert Neppi Modona M.-L., 262 Rousseau J.J., 40, 151, 255, 458 Rousset J., 39, 170, 171, 472-473 Roversi A., 114 Ruddies H., 417 Ruggiu L., 113, 140 Russell B., 77, 85, 122, 131, 477, 482 Russo G., 102 Sagittarius C., 269, 276 Saint-Evremond C. de Marguetel de Saint-Denis, barone di, 40, 386 Sakai K., 479 Sallustio (Gaio Sallustio Crispo), 332 Salsano A., 362 Saltarelli F., 230 Salvatorelli F., 349 Samkara, 245 Sanchez Sorondo M., 113
567
Sanesi R., 179 Sani A., 242, 537 Sanna G., 22, 415 Sanna M., 49, 385 Sansonetti G., 219, 417 Santinello G., 252 Santucci A., 250 Sanvito F., 130 Sarduy S., 39, 473 Sasso G., 114 Savater F., 230 Savignano A., 454, 458 Saxl F., 101 Scaligero G.G., 203 Scarpat C., 182, 534 Scheel G., 1, 95, 98, 252, 255, 256, 257, 258, 290, 309, 513 Scheidt C.L., 296 Schelling F.W.J., 449 Schiller F., 449, 488-489 Schira P., 406 Schirmann S., 262 Schleiermacher F.D.E., XII, 21, 24, 82, 155, 217, 218, 383, 407, 414, 424, 430, 435, 446, 534, 545 Schmidt E., 525 Schmitt C., 406 Schneider J., 525 Schneiders W., 92, 182, 255, 312, 313, 401 Scho¨nborn J. P. von, 254 Schopenhauer A., 231, 232, 239, 240, 247, 453, 487, 488 Schro¨cker A., 97 Schubert F., 432 Schuller G.H., 385 Schwarzenberg F.W. von, 290, 326 Sciacca M.F., 114 Scorza G., 146 Scoto Duns, 51 Scoto Eriugena, 245 Scribano E., 458 Seckendorf V.L. von, 336 Seibt F., 114 Seifert A., 30, 92, 388, 467, 470, 514 Semplici S., 458 Senofonte, 251 Serafini A., 60 Serini P., 14, 114 Serra F., 118, 479 Serres M., 34, 44, 93, 94, 150, 151, 168, 173, 176, 178, 180, 211, 212, 213, 370, 374,
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INDICE DEI NOMI
375, 379, 441, 442, 443, 455, 456, 497, 500, 500, 538, 554 Sestan E., 216 Severino G., 113 Shaftesbury, A.A. Cooper, conte di, 36, 83, 335, 435, 521 Shakespeare W., 102, 239, 245, 492 Silesius A., 99, 136, 137 Simon R., 13, 20, 41, 338, 386, 387, 394 Simonetti M., 534 Sindoni A., 203, 204 Sindoni E., 113 Singer I.B., 248 Sini C., 376 Sinigaglia C., 113 Smith A., 469 Smith G., 97 Socrate, 120, 368 Soffritti O., 182 Sofocle, 239 Solari G., 255, 262 Solmi R., 476 Soner E., 520, 525 Sophie Charlotte, regina di Prussia, 131-132, 157, 211 Sophie, duchessa di Hannover, 61, 119, 142, 156, 229, 266, 271, 274, 305, 377, 455, 456, 514, 523, 526, 548 Sorrentino S., 534 Sosio L., 8, 172 Southern R.W., 100, 332 Spada G., 18 Spener P.J., 256, 269, 418, 514, 522, 523 Spengler O., 148, 149, 155, 322 Sperna Weiland J., 458 Spink J.S., 386 Spinoza B., 13, 38, 186, 197, 198, 206, 235, 338, 385, 386, 387, 394, 415, 519 Spitz L.W., 89, 438 Spitzer L., 182 Starobinski J., 8, 458, 503 Stern L., 255 Strattmann T.A.H. von, 237 Strindberg A., 375 Sturm F., 255 Sua´rez F., 252 Subilia V., 417 Szondi P., 381, 382 Tacito P.C., 332 Taguieff P.-A., 466
Tallis F., 503 Tarchetti A., 115 Tarello G., 262 Tedeschi Negri F., 32, 175 Tedeschi V., 185 Tenenti A., 101 Tentori Montaldo F., 239, 246 Tesauro E., 110, 328 Tessier G., 338 Tessitore F., 2, 3, 26, 28, 29, 33, 36, 38, 46, 51, 53, 54, 74, 155, 408, 439 Thomasius C., 251, 252 Thomasius J., 251, 252, 253, 257, 313 Tilgher A., 234 Tillemont L.S. Le Nain de, 13, 55, 155, 218 Tilliette X., 219 Titone V., 250 Tolstoj L., 515 Tomasi G., 194, 499 Tonelli I., 3 Topolski J., 205, 362 Torricelli E., 73 Tortarolo E., 250 Totok W., 95, 237 Trabucco O., 529 Trampus A., 293 Trevisani L., 416 Trevor-Roper H.R., 416 Triihaas W., 417 Troeltsch E., XII, 1, 2, 21, 22, 29, 51, 61, 69, 73, 75, 78, 79, 80, 136, 154, 155, 214, 218, 335, 407, 412, 415, 416, 417, 418, 444, 473, 524 Trotta A., 139 Tschirnhaus E.W. von, 385 Tucidide, 13, 332 Tugnoli C., 132 Ughelli F., 266 Ulrich A., 17, 208, 289, 403, 431 Valera G., 46, 262, 381 Valla L., 51, 57, 261, 349, 351 Vanini G.C., 386 Vannini M., 136, 416 Varani G., 37 Vasale C., 458 Vattimo G., 381 Vela´zquez D., 351 Venceslao di Lussemburgo, 290 Veneziani M., 64
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INDICE DEI NOMI
Venturelli D., 3, 117, 123, 454 Vernie`re P., 386 Vian D., 293 Viano C.A., 339, 530 Viau T. de, 386 Vico G., XI, XII, XIV, 7, 29, 36, 42, 47, 48, 49, 50, 52, 53, 54, 61, 69, 81, 89, 252, 335, 380, 385, 403, 406, 408, 440, 521 Vidari G., 32 Vinciguerra M., 487 Vitruvio Pollione, 168, 169 Vitulano P., 71 Vivanti C., 362 Voise´ W., 1, 31, 92, 95, 201, 220, 221, 222, 252, 255, 260, 370 Volpi F., 136, 140 Voltaire, 8, 9, 10, 13, 19, 32, 40, 60, 72, 89, 103, 112, 133, 134, 151, 155, 211, 216, 261, 340, 341, 386, 403, 405, 406, 446, 485, 487, 488, 501, 502, 503, 504, 509, 510, 545 Voss J., 95 Vossius I., 203 Wagner G., 395 Waschkies H.-J., 98, 172 Wattenbach W., 77 Weber M., 415
569
Wedderkopf M., 44, 498 Wegele F.X. von, 77 White H., 71, 96, 97, 222, 223 Widmar B., 163 Wiedeburg P., 255 Wiehart-Howaldt A., 216 Wiese L. von, 417 Winkelmann Johann Joachim, 444 Winkelmann Johann Just, 373 Witsen N., 345 Wittgenstein L., 376 Wolff C., 8, 49, 252, 313, 385, 449 Wo¨lfflin H., 39 Wright G.H. von, 469 Xella L., 39 Zabbia M., 100 Zambelli P., 109 Zamboni G., 22 Zattoni Nesi G., 362 Zecchi S., 115 Zellini P., 242, 479 Zen S., 250 Zenone di Elea, 117, 241, 242 Zingari G., 46, 472 Zourabichvili F., 145 Zum Brunn E., 493
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Collana di testi e studi diretta da Giuseppe Cacciatore e Fulvio Tessitore
1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26.
G. Giarrizzo, La scienza della storia. Interpreti e problemi (a cura di F. Tessitore) F. Lomonaco, Tolleranza e libertà di coscienza. Filosofia, diritto e storia tra Leida e Napoli nel secolo XVIII E. Schulin, L’idea di Oriente in Hegel e Ranke (a cura di M. Martirano, con una nota di F. Tessitore) C. Hinrichs, Ranke e la teologia della storia dell’età di Goethe (a cura di R. Diana, con una nota di F. Tessitore) A. Salz, Per la scienza contro i suoi colti detrattori (a cura di E. Massimilla) E. Krieck, La rivoluzione della scienza e altri saggi (a cura di E. Massimilla) G. D’Alessandro, L’Illuminismo dimenticato. Johann Gottfried Eichhorn (1752-1827) e il suo tempo A. Giugliano, Nietzsche Rickert Heidegger (ed altre allegorie filosofiche) G. Acocella, Le tavole della legge. Educazione, società, Stato nell’etica civile di Aristide Gabelli T. Tagliaferri, La nuova storiografia britannica e lo sviluppo del welfarismo. Ricerche su R. H. Tawney P. Piovani, Giusnaturalismo ed etica moderna (a cura di F. Tessitore, con due note di N. Bobbio e G. Calogero) S. Moscati, Civiltà del mare. I fondamenti della storia mediterranea (con una nota di F. Tessitore) E. Massimilla, Intorno a Weber. Scienza, vita e valori nella polemica su «Wissenschaft als Beruf» D. Conte, Storicismo e storia universale. Linee di un’interpretazione L. Pica Ciamarra, Goethe e la storia. Studio sulla «Geschichte der Farbenlehre» A. de’ Giorgi Bertòla, Della filosofia della storia (a cura di F. Lomonaco) A. Carrano, Un eccellente dilettante. Saggio su Wilhelm von Humboldt (con una nota di F. Tessitore) G. Ciriello, La fondazione gnoseologica e critica dell’etica nel primo Dilthey (con una nota di G. Cacciatore) H. Rickert, I limiti dell’elaborazione concettuale scientifico-naturale. Un’introduzione logica alle scienze dello spirito (a cura di M. Catarzi) M. Cambi, La machina del discorso. Lullismo e retorica negli scritti latini di Giordano Bruno (con una nota di M. Ciliberto) G.A. Di Marco, Studi su Max Weber (con una nota di F. Tessitore) C. Tramontana, La religione del confine. Benedetto Croce e Giovanni Gentile lettori di Dante (con una nota di N. Mineo) M. Moretti, Pasquale Villari storico e politico (con una nota di F. Tessitore) R. Celada Ballanti, Erudizione e teodicea. Saggio sulla concezione della storia di G.W. Leibniz (con una nota di F. Tessitore) G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati (nuova edizione a cura di M. G. Amadasi Guzzo e F. Tessitore) S. Caianiello, Scienza e tempo. Alle origini dello storicismo tedesco (con una nota di F. Tessitore)
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27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 38. 39.
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