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Italian Pages 120 [124] Year 1997
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Giaime Alonge
VITTORIO DE SICA PADREDEBICICEETÀE
Questo volume è stato stampato su carta Palatina delle cartiere Miliani Fabriano. © 1997 Lindau s.r.l. Via Bernardino Galliari 15 bis — 10125 Torino
Tel. 011/669.39.10 — fax 011/669.39.29
Progetto grafico: Andrea Busto Prima edizione
ISBN 88-7180-175-X
Introduzione
Scrivere un libro su Ladri di biciclette, a prima vista,
può sembrare un'impresa folle, sia per l'aura mitica che circonda quest'opera di De Sica, sia - usando un’espressione di Jacques Aumont e Michel Marie — a causa dei «chili di letteratura» cui essa ha dato vita.! Che cosa c'è da aggiungere — ci si chiederà — su un film unanimemente considerato un capolavoro, sul quale la critica ha lavorato a lungo? In realtà, la bibliografia su De Sica è meno vasta di quanto si potrebbe credere. ° Inoltre, Ladri di biciclette è stato per lo più analizzato in riferimento al dibattito sul neorealismo, e quindi sono
state ignorate una serie di chiavi di lettura, che non rientravano in quell’orizzonte teorico. L'obiettivo che abbiamo cercato di perseguire è stato proprio quello di interrogarci su un grande classico, senza dare per scontati gli strumenti metodologici utilizzati negli studi precedenti, che pure non abbiamo ignorato, a partire dal saggio ormai canonico di André Bazin. Si tratta, in
qualche modo, di un'operazione anti-gadameriana, di un tentativo di sfuggire all’incanto del circolo erme5
neutico, per il quale il significato del testo è tutt'uno
con la storia delle sue interpretazioni. Trattandosi di una breve monografia, abbiamo dovuto tralasciare una serie di grandi problemi — in primis quello del rapporto tra De Sica e Zavattini — che ci avrebbero condotto troppo lontano. In queste pagine, ci siamo limitati ad avanzare alcune ipotesi sul film, concentrando la nostra attenzione su tre questioni di fondo: la portata realistica di Ladri di biciclette; le dinami-
che psicologiche tra i personaggi principali; la trattazione dello sfondo storico-sociale della vicenda.
Ringrazio i professori Francesco Casetti, Antonio Costa, Leonardo Quaresima
e Gianni Rondolino, per
l'attenzione che hanno prestato al mio lavoro. Inoltre, ringrazio l'Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza di Torino, che ha messo a mia disposizione i suoi preziosi materiali.
! Cfr. Jacques
Aumont-Michel
Marie,
L'Analyse
des films,
Nathan, Paris 1988, p. 63. 2Cfr. Lino Micciché, La «questione» De Sica, in L. Micciché (a cura di), De Sica. Autore, regista, attore, Marsilio, Venezia 1992, Pelle
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VILTORIODE SICA LADRI DI BICICLETTE
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Uno, nessuno e centomila
Il museo Picasso di Barcellona raccoglie una grande quantità di quadri realizzati dal pittore spagnolo nell'arco di tutta la sua vita. Le opere sono disposte lungo il percorso museale in ordine cronologico, in modo tale che, passando da una sala all'altra, si ripercorrono le
principali fasi della pittura del ‘900. La disomogeneità stilistica che caratterizza la collezione è tale che un visitatore naif, totalmente ignaro del nome e della carriera di Pablo Picasso, potrebbe essere indotto a credere che le tele esposte siano state eseguite da artisti differenti. Qualcosa di molto simile accade con la copiosa filmografia (31 regie, dal 1940 a 1974) di Vittorio De Si-
ca. Infatti, uno spettatore che fosse completamente all'oscuro
dell’esistenza
di De Sica, molto
difficil-
mente attribuirebbe allo stesso regista Un garibaldino al convento (1942), Umberto D. (1952) e Stazione Termini (1953). Se, da un lato, De Sica, sia come
regista che
come attore (recitando quasi esclusivamente in film altrui), ha segnato profondamente la storia del cinema 9
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
italiano, dall'altro, questa sua presenza forme
estremamente
mutevoli,
se non
ha assunto »_ apertamente
contraddittorie.
De Sica, nato a Sora (in provincia di Frosinone) nel
1901, ma cresciuto a Napoli, dopo una fortunata carriera teatrale nel corso degli anni ‘20, si impone nel decennio successivo come uno dei principali divi cinematografici dell’epoca (senza tuttavia abbandonare il teatro). In questa fase, il nome di De Sica, che si specializza nel genere della commedia sentimentale, è legato
soprattutto a quello di Mario Camerini, di cui interpreta i film più noti, da Gli uomini, che mascalzoni...
(1932) a Il signor Max (1937) e Grandi Magazzini (1939). De Sica passa alla regia nel 1940, con Rose scarlatte, mantenendosi sulla falsariga del magistero cameriniano. Rose scarlatte sarà seguito da Maddalena... zero in condotta (1940), Teresa Venerdì (1941) e Un garibaldino al convento, tre belle commedie, tutte incentrate su delica-
ti personaggi femminili. Una prima, decisiva, svolta nella carriera registica di De Sica si verifica nel 1943, con I bambini ci guardano,
film che inaugura il sodalizio con lo sceneggiatore Cesare Zavattini, che collaborerà a quasi tutti i film suc-
cessivi dell’autore.' Con I bambini ci guardano De Sica abbandona i temi leggeri delle pellicole precedenti, affrontando la vicenda drammatica della disgregazione di una famiglia, osservata attraverso gli occhi di un bambino. I bambini ci guardano anticipa alcuni elementi della grande stagione neorealista, che avrà inizio pochi anni dopo e della quale De Sica, in coppia con Zavattini, sarà uno dei protagonisti di primo piano. E il perio10
UNO, NESSUNO E CENTOMILA
do neorealista rappresenta proprio il momento più alto dell’opera desichiana: Sciuscià (1946), Ladri di biciclette (1948), Miracolo a Milano (1951) e Umberto D. si presentano come capolavori indiscussi della storia del cinema. Dopo Umberto D., il film in cui la teoria zavattiniana
del pedinamento si dispiega nelle sue forme più radicali, inizia la normalizzazione del lavoro della coppia De Sica-Zavattini,
a causa dell'attacco concentrico del
sistema produttivo e del potere politico democristiano. A partire dal 1949, la grande industria cinematografica italiana comincia a riprendersi dal collasso verificatosi durante il conflitto e, inevitabilmente, viene
meno la libertà espressiva di cui avevano goduto i cineasti nell'immediato dopoguerra. La maggior parte dei produttori, infatti, si mostra ostile verso ogni forma a causa della totale inaffidabilità
di ricerca artistica,
economica dei film neorealisti, i quali — con l'eccezione
di Roma città aperta (1945), che non a caso è il capostipite della corrente — si erano rivelati puntualmente degli insuccessi commerciali. Con l'avvio della Guerra Fredda e dello scontro frontale tra la DC e le sinistre, il go-
verno, nella persona di Giulio Andreotti, Sottosegreta-
rio per la Stampa e lo Spettacolo dal 1947 al 1953, cerca di ostacolare in tutti i modi il lavoro dei registi neorealisti, tacciati di filo-comunismo. È nota la teoria an-
dreottiana dei panni sporchi, in base alla quale film come Ladri di biciclette (che pure aveva ottenuto un premio Oscar, come anche Sciuscià) e Umberto D. infangavano il buon nome dell’Italia all’estero. Stazione termini, un grigio melodramma di stile hollywoodiano, con Jennifer Jones e Montgomery Clift, girato subito dopo Umberto D., è il segno della resa di 11
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
De Sica alle ragioni dell'industria. Dopo L'oro di Napoli (1954), un’opera dotata ancora di forte fascino, e Il tetto (1956), tentativo fallito di tornare alle origini dell’ispirazione neorealista, De Sica imbocca la strada di un ci-
nema di mestiere, caratterizzato da un alto livello professionale, ma privo di reale spessore estetico. Nel corso degli ultimi due decenni, l’attività di De Sica — che si conclude con Il viaggio (1974), un'anodina trasposizione pirandelliana — ottiene notevoli riconoscimenti internazionali, tra cui altri due Oscar, rispettivamente per Ieri, oggi, domani (1963) e Il giardino dei Finzi Contini (1970), ma viene sostanzialmente ignorata dalla critica,
che nel buon artigiano di Matrimonio all'italiana (1964) non riconosce più il geniale autore di Ladri di biciclette e Umberto D. Come si può vedere, il percorso di Vittorio De Sica è tutt'altro che lineare. Se poi prendiamo in considerazione anche la sua enorme attività attoriale, il quadro si complica ulteriormente. De Sica ha recitato in più di cento film, tanto che la sua fama di attore ha spesso
oscurato quella di regista. In diverse interviste De Sica dichiara la sua frustrazione per il fatto di venire riconosciuto — non solo dallo spettatore medio che lo ferma per strada, ma anche da un cineasta della levatura di
Dreyer, incontrato al Festival di Edimburgo — in quanto interprete del maresciallo Carotenuto in Pane, amore e fantasia (1953), anziché come regista di Sciuscià e Ladri di biciclette.? E nel lungo elenco dei film interpretati da De Sica, se da un lato troviamo titoli significativi, come
I gioielli di Madame de... (Madame de..., 1953) di Ophiils e Il Generale della Rovere (1959) di Rossellini, dall'altro
compaiono anche molti esempi di vero cinema-spazza12
UNO, NESSUNO E CENTOMILA
tura: basti citare Dracula cerca sangue di vergine e... morì di sete!!! (1974), di Anthony M. Dawson, alias Antonio
Margheriti, maestro del trash italiano. Una breve monografia su Ladri di biciclette non è certo la sede adatta per affrontare una complessa questione teorica, che investe la natura stessa del cinema,
ma non ci sembra azzardato affermare che l’opera di De Sica dimostri pienamente la correttezza dell'ipotesi, avanzata da Leonardo Quaresima, circa la necessità di
rinunciare a un approccio esclusivamente autoriale al testo filmico. Scrive Quaresima:
L'idea è che nel cinema esistano macrosistemi, di tipo narrativo (gli universi di discorso, i «generi», in prima istanza), ovvero linguistico (unità di stile), macrosistemi dotati di una forte autonomia, protagonisti di dinamiche
che solo in parte possono essere ricondotte al disegno di istanze soggettive. [...] Il che non vuol dire escludere la presenza ovvero la utilità, in termini interpretativi, di fi-
gure autoriali, ma considerandole semplicemente una delle possibilità, una delle comodità di analisi e dei principi di organizzazione dei testi, non necessaria-
mente quella privilegiata. °
Ed è proprio a causa della difficoltà di reperire una forte poetica unitaria nell'opera di De Sica dal 1940 al 1974 (e a nulla servirebbe sostituire al solo De Sica la
coppia autoriale De Sica-Zavattini: le contraddizioni di fondo rimarrebbero invariate), che abbiamo scelto di
analizzare il nostro film utilizzando come quadro di riferimento non l’intero corpus desichiano, bensì, da 13
un lato, le opere di De Sica che si dimostrano più affini a Ladri di biciclette (ossia i film dell’area neorealista, da
I bambini ci guardano sino a L'oro di Napoli), dall’altro la coeva produzione cinematografica italiana.
' In realtà, l’incontro tra i due era già avvenuto prima della guerra. Solitamente, si considera I bambini ci guardano come l'atto di nascita della coppia De Sica-Zavattini in quanto si tratta del primo film di De Sica in cui il nome di Zavattini compare nei credits (lo sceneggiatore aveva già lavorato a Teresa Venerdì, ma in forma clandestina). Cfr. Franca Faldini - Goffredo Fofi (a cura di), L'avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, 1935-1959,
Feltrinelli, Milano 1979, pp. 246-247. ° Leonardo Quaresima, Generi, stili, in L. Quaresima (a cura di),
Il cinema e le altre arti, La Biennale di Venezia / Marsilio, Venezia
1996, p. 224.
14
L'espressione più pura del neorealismo
Sullo schermo del piccolo cineforum di Nocera Inferiore scorrono le ultime immagini di Ladri di biciclette. Al termine della proiezione ha inizio il dibattito. Prende la parola il preside del liceo: «Opere siffatte offendono la grazia, la poesia, il bello. Questi stracci e questi cessi ci diffamano di fronte al mondo». I notabili del paese annuiscono. Solo il professor Palumbo difende l’opera di De Sica: «Egregio signor Preside, noi qui stasera abbiamo visto un film stupendo. Esso ci fa riconoscere i veri nemici della collettività, proprio nei falsi difensori della grazia, della poesia, del bello e di tutti gli altri ipocriti valori della vostra cultura borghese!». Questa scena di C'eravamo tanto amati (1974) di Ettore Scola, con Stefano Satta Flores nei panni del professor Palumbo,
intellettuale comunista,
raffigura in
maniera efficace le polemiche scatenate da Ladri di biciclette, che uscì in un clima di forte contrapposizione ideologica, in cui era estremamente difficile tenere separato l'ambito estetico da quello politico. Su Ladri di biciclette, così come sul neorealismo in generale, si sca15
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
ricarono delle tensioni di natura extra-cinematografica, derivanti dal violento scontro, in atto nel paese, tra la
DC e le sinistre. La sceneggiatura del film è terminata il 20 aprile 1948, due giorni dopo la schiacciante vittoria della DC sul Fronte Popolare.' Ladri di biciclette viene presentato al pubblico il 24 di novembre (nei cinema Metropolitan e Barberini di Roma): l'Europa è divisa in blocchi; De Gasperi è Presidente del Consiglio, a capo di un governo centrista; il Ministro degli Interni Scelba ha espulso gli ex partigiani dalle forze di polizia e vi ha reintegrato
i vecchi
funzionari
fascisti; la sinistra è
umiliata e priva di prospettive, stretta tra la sconfitta elettorale del 18 aprile e l’impraticabilità della via rivoluzionaria. Ma il 1948 non è soltanto uno spartiacque nella storia sociale e politica dell’Italia: questa data rappresenta anche un momento di svolta nella vicenda del neorealismo
cinematografico.
Certamente,
si continuerà
a
parlare di neorealismo ancora per diversi anni, e la coppia De Sica-Zavattini realizza due capolavori neorealisti, Miracolo a Milano e Umberto D., rispettivamente
nel 1951 e nel 1952. Ma dopo il 1948 inizia a esaurirsi quel comune sentire, quell’unità di intenti — sul piano etico, se non su quello estetico — che aveva legato tra loro i principali registi italiani nell'immediato dopoguerra. ° Nel 1948 Rossellini conclude la sua trilogia sulla guerra con Germania anno zero, mentre Visconti gira La terra trema, uno dei testi più radicali del cinema neorealista. Nei loro film successivi, Rossellini e Visconti si muoveranno in direzioni ben diverse. A partire dal biennio 1949-'50, la Koinè neorealista si disgrega; per usare le parole di Gian Piero Brunetta, viene meno 16
L'ESPRESSIONE PIÙ PURA DEL NEOREALISMO
quell'«aspirazione reale a un ipotetico e utopico linguaggio collettivo» che aveva caratterizzato la prima fase del neorealismo.* Dal 1948 in poi, la storia comune dei registi neorealisti si trasforma progressivamente in altrettanti percorsi individuali. Ladri di biciclette riscosse immediatamente consensi nel mondo
ampi
intellettuale, ben al di là della
cerchia ristretta degli addetti ai lavori: in un’intervista, Cesare Pavese definì Vittorio De Sica il più grande narratore italiano contemporaneo*. Il film ebbe anche un discreto successo di pubblico, soprattutto in rapporto alle altre opere neorealiste: nella classifica dei film italiani della stagione 1948-49 Ladri di biciclette risulta undicesimo, là dove Germania anno zero e La terra
trema si trovano, rispettivamente, al 46° e al 52° posto. Di contro, Ladri di biciclette incontrò una fiera opposizione da parte dell'opinione pubblica conservatrice. La stampa cattolica tacciò il soggetto di venature comunistoidi, attaccando il film soprattutto per il suo aperto anticlericalismo (la scena della messa dei poveri) e per la presenza di elementi giudicati immorali (la casa di tolleranza). «L'Osservatore Romano»
ar-
rivò addirittura a mettere in discussione l’opportunità di far circolare la pellicola. Lo schieramento di sinistra fu sostanzialmente favorevole al film, anche se non mancarono delle eccezioni. Da un lato, infatti,
Ladri di biciclette venne difeso fieramente, per ragioni sia politiche (si apprezzò la forza della denuncia sociale dell’opera), sia estetiche (in campo artistico, realismo è la parola magica del marxismo ortodosso). Dall'altro lato, però, alcuni critici di sinistra lamenta17
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
rono la mancanza, nel film di De Sica, di una rigorosa
prospettiva di classe." Lo stesso Sergio Amidei, che aveva collaborato alla sceneggiatura in una prima fase e che poi aveva abbandonato il lavoro per incomprensioni con gli altri membri dell’équipe, trovava la vicenda del film poco convincente sul piano politico. Afferma Amidei: Io in fondo avevo dei dubbi su tutto il film, nel senso che non trovavo «italiano», non trovavo giusto in quel
momento che un compagno, un comunista, un operaio che vive in una borgata, e al quale rubano la bicicletta,
non andasse alla sezione del partito e non gli trovassero una bicicletta. Si ignorava questo tipo di solidarietà, che allora c’era.° AI di là delle polemiche del momento, in Italia, Ladri di biciclette, insieme ai film di Rossellini e Visconti,
sarà al centro di in primo luogo, sta, impegnate, del neorealismo
una lunga disputa teorica, che investe, le diverse correnti della critica marxisino agli anni ‘70, a definire la natura cinematografico. Aristarco e il gruppo
di «Cinema Nuovo», di ispirazione lukécsiana, difen-
deranno sempre il neorealismo, pur postulando la necessità del suo superamento (il passaggio dal neorealismo al realismo). Invece, la più giovane generazione di Goffredo Fofi e di «Ombre Rosse», legata al marxismo eterodosso del ‘68, rifiuterà il lascito del neorealismo,
accusato di populismo piccolo-borghese. All'estero il film di De Sica venne immediatamente accolto come un capolavoro. Nel 1949, Ladri di biciclette
ottiene l’Academy Award per il miglior film straniero e 18
L'ESPRESSIONE PIÙ PURA DEL NEOREALISMO
il Premio speciale della Giuria del Festival di Locarno. In un famoso saggio su Vittorio De Sica, André Bazin definisce Ladri di biciclette «l’espressione più pura del neorealismo [...] il centro ideale intorno al quale gravi-
tano entro la loro orbita particolare le opere degli altri grandi registi».” L'entusiasmo di Bazin per De Sica è condiviso dagli spettatori francesi: a Parigi, il film rimane in cartellone per mesi. In Gran Bretagna Ladri di biciclette riscuote grande successo: «Sight and Sound», la prestigiosa rivista del British Film Institute, lo definisce apertamente «a masterpiece» *. Negli Stati Uniti il film viene molto apprezzato dalla stampa e diventa rapidamente un vero cult movie per i frequentatori delle art houses, che vedono nell'opera di De Sica la quintessenza del cinema d'autore europeo. Se il giudizio baziniano su Ladri di biciclette può apparire eccessivo, è indubbio che questo film si presenti, oltre che come uno dei momenti più alti (il più alto, secondo molti) della carriera di De Sica, anche come una sorta di tipo ideale del neorealismo. Proprio per quel carattere medio del cinema di De Sica, di cui parla Lino Micciché (De Sica come centro dello schieramento neorealista, con Rossellini a destra e Visconti a sinistra), Ladri di biciclette, al di là della sua compiutezza
estetica e del suo valore rispetto agli altri film del periodo, si configura come una sintesi del modello di cinema proposto dal neorealismo.° A prescindere dal ruolo effettivamente svolto da quest'opera di De Sica nella storia del cinema italiano, nell'immaginario collettivo — soprattutto in quello del pubblico straniero — Ladri di biciclette, di fatto, rappresenta il film neorealista per antonomasia. 9
! Cfr. Cesare Zavattini, Diario cinematografico, Bompiani, Milano
1979, p. 54. 2Sul neorealismo come etica dell'estetica cfr. Lino Micciché, Per una verifica del neorealismo, in L. Micciché (a cura di), Il neoreali-
smo cinematografico italiano. Atti del convegno della X Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Marsilio, Venezia 1975, pp. 26-28. 3Gian Piero Brunetta, Storia del cinema italiano, vol. III: Dal neorealismo al miracolo economico, 1945-1959, Editori Riuniti, Roma
1993, p. 349. 4Cfr. Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi, Einaudi, Torino 1953, p. 296.
° Per una panoramica sulle recensioni di Ladri di biciclette cfr. AA.VV., Neorealismo D.O.C. I film del 1948, Archivio Nazionale
Cinematografico della Resistenza, Torino 1995, pp. 92-101. Cfr. inoltre Lorenzo Pellizzari, De Sica regista e la critica italiana del suo tempo, in Lino Micciché (a cura di), De Sica. Autore, regista,
attore, Marsilio, Venezia 1992, pp. 168-169.
° Franca Faldini - Goffredo Fofi (a cura di), L'avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, 1935-1959, Feltrinelli, Milano 1979, p. 135. 7 André Bazin, Vittorio De Sica, Guanda, Parma 1953, Palo
Cfr. Richard Winnington, Bicycle Thieves, «Sight and Sound»,
marzo 1950, pp. 26-28. ? Cfr. Lino Micciché, «De Sica e il neorealismo», in L. Micciché,
La ragione e lo sguardo, Lerici, Cosenza 1979, pp. 222-223.
20
Il film
Titolo: Ladri di biciclette. Origine: Italia. Anno: 1948. Regia: Vittorio De Sica. Soggetto: Cesare Zavattini, dall'omonimo romanzo di Luigi Bartolini. Sceneggiatura: Oreste Biancoli, Suso Cecchi D'Amico, Vittorio De Sica, Adolfo Franci, Gherardo Gerardo Guerrieri, Cesare Zavattini.!
Gherardi,
Fotografia: Carlo Montuori. Operatore: Mario Montuori. Scenografia: Antonio Traverso. Musica: Alessandro Cicognini, diretta da Willy Ferrero.
Fonico: Bruno Brunacci. Montaggio: Eraldo Da Roma. Assistenti alla regia: Gerardo Guerrieri, Luisa Alessandri. Interpreti: Lamberto Maggiorani (Antonio Ricci), Enzo Staiola (Bruno Ricci), Lianella Carell (Maria Ricci), Gino Saltamerenda (Baiocco), Vittorio Antonucci (il ladro), 21
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
Elena Altieri (la patronessa di beneficenza), Michele
Sakara (il segertario di beneficenza), Ida Bracci Dorati (la Santona), Carlo Jachino (il mendicante), Fausto Guerzoni (un filodrammatico), Peppino Spadaro (il brigadiere), Massimo Randisi (il bambino borghese del ristorante), Mario Meniconi (Meniconi), Checco Rissone (il vigile a piazza Vittorio), Giulio Chiari (un attacchino), Sergio Leone (un seminarista tedesco), Emma Druetti, Giovanni Corporale, Eolo Capritti.
Produzione: Vittorio De Sica per P.D.S. Direttore di produzione: Umberto Scarpelli. Ispettore di produzione: Nino Misiano. Segretario di produzione: Roberto Moretti. Studi: Safa. Durata: 92’ (2.561 m). Formato: 35 mm (1 x 1,33), b/n. Distribuzione: ENIC. Prima: Roma, 24 novembre
1948; Milano, 20 gennaio
1949. Principali edizioni straniere: Gran Bretagna: Bicycle Thieves (1949); Francia: Le voleur de bicyclette (1949);
Stati Uniti: The Bicycle Thief (1949); Germania: Fahrraddiebe (1951).
Premi: Nastri d'argento 1949 per il film a soggetto, per la regia, per il soggetto, per la sceneggiatura, per la fotografia, per il commento musicale; Academy Award 1949 per il miglior film straniero; Premio speciale della Giuria al IV Festival di Locarno 1949; miglior film straniero 1949 per l'associazione dei critici cinematografici di New
York;
Premio
Saint
Michel
al Festival
di
Knokke-le-Zoute 1949; Gran premio al Festival del film e delle arti del Belgio 1949; premio British Film DD
IL FILM
Academy 1950; miglior film straniero 1950 per l’associazione dei critici cinematografici del Giappone; secondo classificato, ex aequo con La febbre dell'oro (The Gold Rush, 1925) di Charles Chaplin, alla Confronta-
tion di Bruxelles 1958, per i migliori film di tutti i tempi.
| Nonostante la folla di sceneggiatori (un'abitudine molto diffusa nel cinema italiano dell’epoca), la parte principale del lavoro di sceneggiatura fu svolta da Zavattini. Dopo l'uscita del film, si verificò una polemica tra De Sica e Zavattini, il quale accusò il regista di non aver riconosciuto pubblicamente la centralità del suo apporto. Cfr. Cesare Zavattini, Una, cento, mille lettere, Bompiani, Milano 1988, pp. 131-134.
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Le sequenze
Sequenza [1]
Quartiere popolare della periferia di gruppo di disoccupati si accalca attorno a nario dell'ufficio di collocamento. Antonio assunto come attacchino municipale, lavoro le è necessaria la bicicletta.
Roma. Un un funzioRicci viene per il qua-
Sequenza [2]
Antonio si incammina verso casa. Lungo la strada incontra la moglie, Maria, la quale, insieme ad altre donne, sta prendendo l’acqua alla fontana. Antonio comunica a Maria che ha ottenuto il posto, ma che non può prenderlo, perché la sua bicicletta si trova al monte di pietà.
Sequenza [3] Il misero appartamento dei Ricci. Maria, con un moto d'ira, raduna tutte le lenzuola della casa.
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VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
Sequenza [4] Il banco dei pegni. Antonio e Maria impegnano le lenzuola e riscattano la bicicletta. Sequenza [5] Antonio si reca all'ufficio affissioni. Il capufficio gli dice di andare in magazzino a ritirare l'uniforme e di
presentarsi la mattina seguente. Sequenza [6] Maria attende il marito fuori dall'ufficio comunale. Antonio esce: sono entrambi molto felici. Maria chiede
ad Antonio di accompagnarla in bicicletta a fare una commissione.
Sequenza [7] Antonio accompagna Maria dalla Santona, che aveva predetto a Maria che il marito avrebbe trovato lavo-
ro. Maria fa un'offerta per la grazia ricevuta, mentre Antonio la rimprovera per la sua credulità.
Sequenza [8] La casa dei Ricci, all'alba. Antonio e il figlio maggiore Bruno (la figlia più piccola, neonata, è a letto) si
preparano a uscire di casa, per andare entrambi al lavoro; Maria li saluta, mentre vanno via.
Sequenza [9]
Antonio accompagna Bruno, in bicicletta, alla pompa di benzina dove lavora il bambino, e riparte.
26
LE SEQUENZE
Sequenza [10] Antonio, insieme ai colleghi, esce in bicicletta dal deposito e inizia il suo primo giorno di lavoro. Sequenza [11] Una strada cittadina. Un collega istruisce Antonio
su come affiggere i manifesti. Sequenza [12] Un'altra strada cittadina. Antonio, sulla scala, è intento ad attaccare un manifesto (si tratta di un grande
poster con un'immagine di Rita Hayworth). La bicicletta è appoggiata al muro, poco lontano. Tre uomini passeggiano
con finta noncuranza,
chiaramente
inte-
ressati alla bicicletta di Antonio. Uno dei tre salta sulla
bicicletta e si dà alla fuga. Antonio lo insegue, ma i due complici lo intralciano e il ladro riesce a dileguarsi. Sequenza [13] Antonio è tornato indietro: scorato, si appoggia alla scala, accanto al manifesto della Hayworth.
Sequenza [14] Il commissariato di polizia. Antonio denuncia il furto. Il funzionario di polizia è visibilmente disinteressato al dramma di Antonio. L'uomo spiega ad Antonio che la polizia può fare poco per lui e lo congeda in maniera sbrigativa (ha fretta: deve recarsi a presidiare un comizio). Sequenza [15] Antonio, umiliato, sale su un autobus stracolmo di
passeggeri. 27
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
Sequenza [16]
Antonio va a prendere Bruno alla pompa di benzina. Il bambino chiede notizie della bicicletta, ma Anto-
nio non ha il coraggio di confessare l'accaduto. I due si incamminano verso casa. Il bambino intuisce la verità. Sequenza [17]
Bruno e Antonio arrivano a casa. Antonio accompagna il bambino fino all’uscio, gli dice di entrare e torna subito in strada. Sequenza [18]
Un ampio scantinato vicino alla casa dei Ricci. In
una stanza si svolge la riunione di una cellula del PCI. Antonio cerca l’amico Baiocco tra la piccola folla radunata attorno all’oratore, ma non lo trova. Antonio
incontra Baiocco in un locale poco distante, dove una compagnia di filodrammatici sta facendo le prove di una rivista. Baiocco assicura ad Antonio che l’indomani lo aiuterà a cercare la bicicletta a piazza Vittorio, luogo di ritrovo dei ricettatori. Sopraggiunge Maria, disperata, che è stata informata dell'accaduto da Bruno.
Baiocco cerca di rassicurare Maria e dà appuntamento ad Antonio per la mattina seguente (domenica). Sequenza [19] All'alba, Bruno e Antonio si recano da Baiocco, che fa il netturbino. Baiocco si trova insieme ad alcuni col-
leghi, pronti a iniziare il giro giornaliero. Sequenza [20] Il mercato 28
di piazza Vittorio. Antonio, Bruno, Ba-
LE SEQUENZE
iocco e due altri spazzini amici di Baiocco iniziano le ricerche, in mezzo ai banchi stracolmi di pezzi di biciclette (la bicicletta di Antonio, presumibilmente, è stata
smontata). La ricerca è infruttuosa. Baiocco consiglia ad Antonio di andare a Porta Portese e chiede a un collega di accompagnarcelo col camion dei rifiuti. Sequenza [21] Antonio
e Bruno
sono
sul camion,
diretti verso
Porta Portese; nel mentre inizia a piovere. Sequenza [22]
Antonio e Bruno arrivano a Porta Portese sotto un violento nubifragio. La piazza si sta svuotando a causa della pioggia. Antonio e Bruno si riparano dal temporale sotto un cornicione. Mentre inizia a spiovere, Antonio scorge il ladro, in sella a una bicicletta, intento a
parlare con un vecchio mendicante. Antonio corre dietro al ladro, che però riesce a far perdere le sue tracce. Antonio e Bruno si lanciano all'inseguimento del vecchio. Sequenza [23] Antonio
e Bruno
cercano
il vecchio
nelle strade
adiacenti la piazza.
Sequenza [24] Un ponte sul Tevere. Antonio e Bruno trovano finalmente il vecchio, che però, dopo un breve alterco, va
via senza aver risposto alle domande insistenti di Antonio a proposito del ladro.
29
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
Sequenza [25] Antonio e Bruno seguono il vecchio sino a una chiesa, dove si svolge la messa dei poveri (una funzione religiosa, seguita dalla distribuzione di un pasto caldo). Nel corso della messa, Antonio chiede al vec-
chio di accompagnarlo a casa del ladro, minacciandolo di portarlo in questura: il vecchio acconsente, ma riesce a fuggire. Sequenza [26] Antonio e Bruno sono fuori dalla chiesa. Antonio è adirato per essersi lasciato sfuggire il vecchio e, per sfogare la sua rabbia, dà uno schiaffo a Bruno. Il bambino si mette a piangere. Antonio va a cercare il vecchio lungo il greto del fiume, mentre Bruno rimane indietro. Sequenza [27] Mentre perlustra il Lungotevere, Antonio scorge un gruppo di persone intente a portare a riva un bambino che stava per: annegare. Antonio corre verso la piccola folla raccoltasi attorno al ragazzo, temendo che si tratti di Bruno, ma vede il figlio in cima alla sca-
linata parla scatto mente
che conduce alla sponda del fiume. Antonio a Bruno con tenerezza, per farsi perdonare lo d'ira di poco prima. I due si incamminano lentalungo il Tevere.
Sequenza [28] Antonio e Bruno, avviliti, passeggiano sul Lungotevere. Si fermano a riposare. Antonio, convinto di non
poter ritrovare la bicicletta, propone a Bruno di andare a mangiare. 30
LE SEQUENZE
Sequenza [29]
Antonio e Bruno entrano in un ristorante. I due si accomodano e ordinano da mangiare. Bruno ha uno scambio di occhiate con un bambino altezzoso di una famiglia borghese, che siede a un tavolo vicino. Antonio tenta di ostentare euforia, nella speranza di dimenticare le proprie disgrazie, ma Non vi riesce: alla fine, decide di riprendere la ricerca.
Sequenza [30] In un ultimo, disperato, tentativo di ritrovare la bicicletta, Antonio e Bruno vanno a consultare la Santo-
na, che si limita a fornire una risposta lapalissiana: «O la trovi subito, o non la trovi più».
Sequenza [31] Usciti dalla Santona, Antonio e Bruno si imbattono casualmente nel ladro, che si dà immediatamente alla
fuga. I due gli corrono dietro. Il ladro si infila nel portoncino di un postribolo. Antonio riesce a entrare nell'appartamento, mentre Bruno viene fermato dalla portiera. Antonio insegue il ladro all’interno della casa di tolleranza, scatenando il panico tra le prostitute. Antonio e il ladro vengono cacciati fuori dal bordello. Sequenza [32] Fuori dalla casa di tolleranza, il ladro — che abita
poco lontano — tenta di allontanarsi, ma Antonio lo strattona violentemente e gli urla che deve restituirgli la bicicletta. Sopraggiungono diversi abitanti del quartiere, che circondano Antonio e prendono le difese del ladro. Bruno corre via. Nel corso del litigio con Anto31
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
nio, il ladro è colto da un attacco epilettico. Antonio è
costretto a difendersi con un bastone dalla folla inferocita. Bruno torna accompagnato da un carabiniere, la cui comparsa fa immediatamente calmare gli animi. Antonio spiega la situazione al carabiniere, che intima alla madre del ladro, scesa in strada per soccorrere il figlio steso a terra, di accompagnarli in casa per verificare la presenza di eventuale refurtiva. La donna conduce Antonio, Bruno e il carabiniere nel misero appartamento, ma non si trova nessuna bicicletta. Il carabi-
niere spiega ad Antonio che, in mancanza di prove e di testimoni, non si può fare nulla. Antonio e Bruno, av-
viliti, vanno via tra le urla di dileggio dei vicini di casa del ladro. Sequenza [33] Antonio e Bruno camminano città, assolata e deserta.
in silenzio
per la
Sequenza [34] Continua la marcia disperata di Antonio e Bruno, i quali ormai vagano senza meta. Sequenza [35]
Antonio e Bruno giungono nei pressi dello stadio. Antonio osserva sconsolato le lunghe file di biciclette dei tifosi, parcheggiate lungo il marciapiedi. Antonio scorge, poco lontano, una bicicletta isolata, incustodita.
Antonio dice a Bruno di prendere il tram e di andare a casa. Il bambino si allontana. Antonio si avvicina alla bicicletta, vi salta sopra e si dà alla fuga. Il padrone della bicicletta chiede aiuto ai passanti e Antonio viene 52
LE SEQUENZE
immediatamente
catturato.
Bruno, che ha perso il
tram, è tornato indietro e ha assistito, terrorizzato, alla
scena. Antonio è circondato da un gruppo di uomini, che lo strattonano con violenza. Il bambino, in lacridi portare via il
me, si butta nella mischia, tentando
padre. Il padrone della bicicletta, prima intenzionato a denunciare Antonio, si commuove per il pianto di Bruno e decide di lasciarlo andare. Antonio e Bruno, disperati, si allontanano, mischiandosi alla folla che si riversa al di fuori dallò stadio.
99
Un realismo a orologeria
La scrittura realista non è affatto neutra, essa è, al contrario, carica dei segni più spettacolari della fabbricazione. R. Barthes, Il grado zero della scrittura.
Il saggio di André Bazin su Ladri di biciclette, pubblicato per la prima volta nel novembre del 1949 sulla rivista «Esprit», si chiude con un passo citato molto di frequente negli studi su De Sica. Scrive il grande critico francese: La riuscita suprema
di De Sica, a cui altri non hanno
fatto sinora che avvicinarsi più o meno, è di aver saputo trovare la dialettica cinematografica capace di superare la contraddizione dell’azione spettacolare e dell’avveni-
“mento. In ciò, Ladri di biciclette è uno dei primi esempi di cinema puro. Niente più attori, niente più storia, niente più messa in scena, cioè finalmente nell’illusione estetica perfetta della realtà: niente più cinema. ! 90
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
Si tratta di uno dei passaggi più noti, ma anche più provocatori, dell'intera opera baziniana. È chiaro che, parlando di cinema senza cinema, Bazin opera deliberatamente una forzatura. Quando
analizza Ladri
di biciclette, Bazin è consapevole che il realismo del film — lungi dal derivare da un ipotetico passaggio osmotico dal reale alla pellicola — nasce da una complessa operazione linguistica. Ciò detto, rimane il fatto che, per Bazin, quello di De Sica è uno stile che annulla se stesso, che — cancellandosi — riesce a trasportare la realtà sullo schermo senza mediazioni visibili. Ladri di biciclette è uno dei testi chiave di quel cinema della trasparenza, che rappresenta — nell'ottica baziniana — una sorta di destino manifesto dell'intera storia del cinema, un destino che si attua attraverso il superamen-
to delle convenzioni spettacolari del cinema classico. Per Bazin «il realismo nel cinema (realismo appunto psicologico, tecnico e estetico a un tempo) non è una misura tra le tante: è ciò che ne contraddistingue più a fondo la natura». Su posizioni teoriche nettamente distinte rispetto a quelle di Bazin si colloca Kristin Thompson, la quale, in un capitolo del suo libro Breaking the Glass Armor, esamina la nozione di realismo proprio in riferimento a Ladri di biciclette.® La studiosa americana parte dal presupposto che il realismo cinematografico (e dunque anche il neorealismo) sia uno stile, basato su dei codici,
e che questi codici si modifichino nel corso del tempo. La Thompson, che pure accoglie alcune delle ipotesi di Bazin, ne rifiuta l'assunto di fondo: il realismo è solo
una delle possibili forme dell'universo filmico. Mentre per Bazin il neorealismo si poneva come un fenomeno 36
UN REALISMO A OROLOGERIA
radicalmente diverso rispetto al cinema precedente, la
Thompson — che, peraltro, ha l’indubbio vantaggio di scrivere quarant'anni dopo Bazin — mette in luce gli elementi di continuità, accanto a quelli di rottura, tra
Ladri di biciclette e i film hollywoodiani degli anni ‘30 e ‘40.* Se Bazin parla di Ladri di biciclette come di un film senza messa in scena, la Thompson - che si rifà ai forma-
listi russi - pone l'accento sulla natura eminentemente artificiale dell’opera di De Sica. Abbiamo esordito con questa breve (e certamente riduttiva) esposizione del pensiero di André Bazin e di Kristin Thompson in merito a Ladri di biciclette perché, nel corso della nostra analisi, faremo spesso riferimen-
to a questi due saggi. Nel presente capitolo cercheremo, da un lato, di evidenziare le tecniche su cui si fonda il realismo di Ladri di biciclette; dall'altro, metteremo in lu-
ce alcuni momenti del film che si pongono sotto un segno ben diverso — se non opposto — rispetto a quello del realismo.
Ladri di biciclette — ce lo segnalano immediatamente i titoli di testa — è tratto dall'omonimo romanzo di Luigi Bartolini. La trasposizione letteraria non è cosa rara tra i registi neorealisti: La terra trema e Il mulino del Po (1949) - solo per citare due titoli molto noti — sono ispirati, rispettivamente, a Verga e a Bacchelli. Ma nel caso di Ladri di biciclette, di fatto, il problema del rap-
porto con il romanzo non si pone, perché — al di là del titolo — il testo filmico non ha quasi nulla in comune con quello letterario." Lo spunto di partenza è il medesimo: la ricerca di una bicicletta rubata; dall'opera di Bartolini, De Sica e Zavattini hanno mutuato anche la 37
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
dinamica del furto (la velocità del ladro, il lavoro di
supporto dei complici) e l'affresco dell'ambiente dei ladri [seq. 32], ma le analogie si fermano qui. In primo luogo, il protagonista di Bartolini è un pittore che cerca la bicicletta quasi per gioco (e la cerca da solo: la tematica del rapporto padre/figlio è assente), riuscendo alla fine a ritrovarla. Il pittore vuole riavere la bicicletta perché, in quanto artista, ha la necessità, di tanto in tanto, di allontanarsi dalla città e di re-
carsi in campagna. Si tratta, dunque, di una motivazione alquanto frivola, ben diversa dal dramma di Antonio Ricci. In secondo luogo, mentre Ricci è un miserabile, esattamente come il ladro, il personaggio del romanzo è un intellettuale che si immerge nel mondo del sottoproletariato con lo sguardo distaccato del turista, pur subendone ‘parzialmente il fascino (rappresentato soprattutto dalle giovani prostitute che sceglie come modelle). Bartolini si dilunga a descrivere il degrado fisico e morale della plebe romana, presentata come
un'entità metastorica
(la folla del ventre della
metropoli), più che come una classe sociale inserita all'interno di uno specifico contesto storico. In una delle prime pagine del libro, leggiamo: «La meretrice dorme ancora, sonnecchia e getta un filo di bava dalla bocca schifosa, putente di tabacco, di bacco e di venere». Il
naturalismo da feuilleton di Bartolini non ha nulla in comune con l’asciuttezza dello stile di De Sica. Da ultimo, bisogna notare che il romanzo è ambientato durante l'occupazione americana, nel settembre del 1944. Dunque, l'anarchia che impera a Roma (furti continui, crescita
vertiginosa
della
prostituzione,
impotenza
della polizia) è dovuta alla contingenza bellica. Il film 38
UN REALISMO A OROLOGERIA
di De Sica, invece, essendo ambientato nel dopoguerra,
è molto più forte sul piano politico: qui la miseria e l'illegalità non sono fenomeni transitori, causati da un evento eccezionale come la guerra, bensì mali profondamente radicati nel tessuto sociale. Dunque, i debiti di De Sica verso Bartolini, nel complesso, sono minimi. Ma del romanzo, lo script conserva un passaggio estremamente significativo, per ciò che riguarda il problema del realismo. Antonio Ricci, esattamente come il protagonista del libro, al termine
della sua lunga ricerca, si imbatte nel ladro per puro caso [seq. 31]. Kristin Thompson ha giustamente sottoli-
neato la palese inverosimiglianza di questa scena: si tratta di un classico artificio letterario.* E il coup de théître dell'incontro fortuito con il ladro non è un residuo romanzesco,
inserito all’interno di una struttura
narrativa di tutt'altro tipo, bensì un segno evidente del carattere artificiale dell’organizzazione drammaturgica di Ladri di biciclette. Gli episodi in cui si articola la vicenda del film, infatti, ben lungi dall'essere disposti in maniera accidentale, sono orchestrati secondo uno
schema di grande raffinatezza e precisione. Per esaltare la capacità di De Sica nel trasformare una piccola storia anodina in un dramma dalla tensione fortissima, si è spesso detto che la vicenda di Ladri di biciclette è così insignificante da non meritare neppure un trafiletto sul giornale. E il film mostra esplicitamente l’irrilevanza della propria trama. Nell'episodio del commissariato [seq. 14], un giornalista si avvicina al poliziotto che sta parlando con Ricci. «Novità, brigadiere?», chiede il cronista; «No, niente: una bicicletta»,
risponde il funzionario. Attraverso questo brevissimo 39
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
scambio di battute, De Sica segnala apertamente la banalità del soggetto del film, sul quale il reporter non saprebbe scrivere neanche dieci righe, e, al contempo, sottolinea la propria bravura: soltanto un grande autore - sembra dirci De Sica — può impiegare un'ora e mezza per descrivere la ricerca di una bicicletta rubata,
senza mai annoiare il pubblico. De Sica parte da un plot di natura eminentemente non spettacolare, ma solo per costruirvi attorno un grande spettacolo. Ladri di biciclette, infatti, non è un'opera d'avanguardia. De Sica rifiuta la trama hollywoodiana, ma non opta per l’antinarrazione; il tema di Ladri di biciclette è estraneo alla
tradizione di Hollywood o del cinema dei Telefoni Bianchi, ma ciò non toglie che il film di De Sica presenti, comunque, una complessa organizzazione narrativa.
La vicenda di Ladri di biciclette si svolge nell'arco di tre giorni, da venerdì a domenica. Venerdì: Antonio trova il lavoro e, con l’aiuto di Maria, riscatta la bicicletta al monte di pietà; sabato: Antonio prende servi-
zio, ma gli viene subito rubata la bicicletta; domenica:
Antonio e Bruno cercano invano la bicicletta. Come si può vedere, il film ha un’organizzazione estremamente compatta: un gruppo molto ristretto di personaggi (Antonio, Bruno e Maria) svolge un'unica attività (ri-
prendere possesso della bicicletta, prima al banco dei pegni, poi per le vie di Roma), in un tempo limitato. C'è, insomma,
un tentativo di rispettare, seppure in
maniera non letterale, le regole aristoteliche. Si è spesso scritto che Ladri di biciclette, partendo da un triviale fatto di vita quotidiana, raggiunge il livello di una tragedia. Ebbene, il film di De Sica ha la struttura chiusa, 40
UN REALISMO A OROLOGERIA
organizzata sulle unità di tempo, luogo e azione, pro-
pria della tragedia classica. Non solo la storia di Ladri di biciclette si esaurisce in pochi giorni, ma il film è costruito in modo da creare, progressivamente, una sempre più forte sensazione di continuità, fino a far quasi coincidere il tempo della storia e il tempo del discorso?. Infatti, le giornate di
venerdì e sabato [seqq. 1-18] occupano 30’ di proiezione, mentre la domenica [seqq. 19-35] corrisponde a un'ora. Il che significa che la giornata conclusiva è descritta in maniera molto più distesa rispetto alle prime due. Non a caso, la prima parte del film presenta una maggior quantità di ellissi rispetto alla seconda. Nelle prime 18 sequenze, infatti, il passaggio da una sequenza all'altra è ottenuto prevalentemente attraverso una dissolvenza (11 dissolvenze incrociate e 2 in chiusura); e la dissolvenza — soprattutto nella grammatica ci-
nematografica degli anni ‘30/’40 — indica, per convenzione, un salto temporale. Nella seconda parte del film domina invece lo stacco, ovvero una figura di montag-
gio che non marca uno iato cronologico. La prima parte di Ladri di biciclette, dunque, tende fortemente alla sintesi. Si pensi, ad esempio, alla descrizione del primo — e ultimo — giorno di lavoro di Antonio [seqq. 8-17]. Il tempo della storia corrisponde a circa 12 ore (da quando Antonio e Bruno, all'alba, si preparano per uscire, sino a quando i due, al tramonto,
tornano a casa a piedi), ma il tempo del discorso è di
soli 10 minuti. In questo blocco, composto da ben 10 sequenze, ve ne sono soltanto tre - Antonio e Bruno che escono di casa [8], il furto [12] e il commissariato [14] —
che presentano un'azione articolata o un fitto dialogo: 41
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
tutte le altre sono micro-sequenze,
legate tra loro da
dissolvenze incrociate, che servono a far procedere rapidamente la narrazione. Le due dissolvenze in chiusura coincidono, rispettivamente, con la notte del venerdì [seq. 7] e la notte del sabato [seq. 18]. La dissolvenza in nero, tradizional-
mente, segnala un'interruzione più lunga rispetto alla dissolvenza incrociata. Al di là del suo significato convenzionale, qui la dissolvenza in chiusura ha anche una valenza diegetica: lo schermo buio rappresenta la notte. Non a caso, le sequenze 8 e 19, entrambe ambientate poco dopo l’alba, iniziano con una dissolvenza in apertura, che dà l’idea del sorgere del sole. De Sica,
insomma, oltre ad attenersi scrupolosamente alle regole del montaggio narrativo, colloca la coppia dissolvenza in chiusura/dissolvenza in apertura in due momenti del film che, in qualche modo, fanno sembrare naturale
questa soluzione di montaggio. Nella seconda parte di Ladri di biciclette — lo abbiamo detto — nei passaggi da una sequenza all'altra prevale lo stacco, proprio in virtù dalla maggiore omogeneità temporale che caratterizza questa porzione dell’opera. Molte scene, infatti, si susseguono
senza
nessuna cesura cronologica o con un’ellissi molto breve. L'esempio più chiaro è rappresentato dalle sequenze 30, 31 e 32. Antonio e Bruno vanno dalla San-
tona, escono, incontrano il ladro, Antonio lo insegue
nella casa di tolleranza, esce con lui dal postribolo, tenta di farlo arrestare e poi si allontana sconfitto, insieme al figlio. Tutta questa lunga e complessa azione dura 15 minuti; e si tratta di un quarto d'ora reale, in
cui nel tessuto del racconto non c'è neppure una pau-
42
UN REALISMO A OROLOGERIA
sa: il tempo della storia e quello del discorso coincidono perfettamente. Anche quando compaiono delle dissolvenze incrociate, queste segnano (almeno in parte: sull’ampiezza delle ellissi delle sequenze finali del film, ad esempio, si potrebbe discutere) un salto piuttosto breve. Basti citare l’incontro di Antonio e Bruno con il vecchio mendicante, complice del ladro. Nelle quattro sequenze in cui è presente questo personaggio (dalla 22 alla 25) vi sono due dissolvenze incrociate che marcano il
passaggio di pochi minuti: il tempo necessario per raggiungere il vecchio, prima sul ponte (tra la seq. 23 e la 24), poi in chiesa (tra la seq. 24 e la 25). Qui, le ellissi sono molto più brevi rispetto alla prima parte del film, dove facevano procedere l’azione di ore, anziché di minuti. Inoltre, le sequenze della seconda parte sono nettamente più lunghe di quelle della prima: la narrazione è più distesa, tanto che talvolta quasi non procede. In alcuni momenti, infatti, si verifica una deliberata
interruzione del fluire della storia e la macchina da presa si sofferma su particolari — a prima vista — estranei all'economia del testo. Si pensi soltanto al pedofilo che tenta di adescare Bruno al mercato di piazza Vittorio [seq. 20], ai seminaristi tedeschi [seq. 22] oppure a Bruno che si ferma a orinare [seq. 23].
Dunque, in Ladri di biciclette è reperibile una frattura netta tra una prima parte sintetica e una seconda
parte analitica. Nella mezz'ora iniziale la struttura cronologica del film presenta i segni evidenti della costruzione al tavolo di montaggio, mentre nei 60 minuti successivi il tempo artificiale della rappresentazione coincide — quasi — con il tempo reale della proiezione. 43
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
La seconda parte del film è indubbiamente quella più significativa e complessa, in quanto è interamente costruita su un lungo climax che cresce progressivamente e che conduce all'ultima, cocente, umiliazione di Anto-
nio. E il fatto che questa porzione del testo sia giocata all'insegna della durata, del naturale dispiegarsi del reale di fronte alla macchina da presa, non è certo ca-
suale. Il rispetto della durata della realtà è l'architrave su cui si regge l’intero impianto realista di Ladri di biciclette. D'altra parte, André Bazin aveva individuato proprio nella nozione di durata una delle componenti centrali del cinema di De Sica, indicando in Umberto D., più ancora che in Ladri di biciclette, il film in cui
questa poetica della continuità temporale si afferma nelle sua forma più compiuta." Se l'organizzazione temporale di Ladri di biciclette è tutta pensata in funzione mimetica, la scelta dei campi di ripresa e dei movimenti di macchina, invece, ha ca-
ratteristiche
decisamente
meno
univoche.
Kristin
Thompson ha scritto giustamente che, in Ladri di bici-
clette, non vengono utilizzati né il piano-sequenza, né la profondità di campo, che per Bazin costituivano due stilemi centrali del realismo cinematografico." Questo però non significa che la messinscena di De Sica non contenga, comunque, dei tratti realisti. In buona parte del film, infatti, la macchina da presa è collocata piut-
tosto lontano dagli attori, evitando di guidare esplicitamente lo spettatore con effetti drammatici come il primo piano o il dettaglio, diffusi nel cinema degli anni
‘30 e ‘40. L'obiettivo di De Sica si mantiene a distanza,
come se fosse lì soltanto per registrare una storia che si di
UN REALISMO A OROLOGERIA
dispiega da sola. Sotto questo profilo, Bazin aveva ragione: la meta di De Sica sembra essere uno stile che cancella sistematicamente la propria presenza. Il problema — come vedremo tra poco — è che, nell'attuazione
di questo progetto (ammesso che questo fosse il progetto) vi sono delle palesi contraddizioni. In Ladri di biciclette, vi è un uso frequente di campi medi e lunghi per inquadrare i protagonisti: spesso vediamo Antonio e Bruno al centro del panorama desolante della città deserta oppure in mezzo alla folla,
che, in alcuni momenti, addirittura occulta la presenza dei due. È come se la macchina da presa, attraverso la lontananza fisica, volesse marcare un distaccato riserbo
rispetto al dramma del protagonista. Prendiamo, ad esempio, la scena in cui Antonio e Bruno si recano da
Baiocco, all'alba della domenica [seq. 19]. Dissolvenza
in apertura: al centro della scena passa sferragliando un tram, da cui scendono Antonio e Bruno, che si dirigono
verso destra. I due attori sono ripresi da lontano: è chiaro che si tratta di Antonio e Bruno, ma non ne di-
stinguiamo bene i volti [fig. 1]. La macchina segue i loro movimenti con una panoramica, senza avvicinarsi: Sì incamminano esitanti verso destra, poi tornano verso sinistra, allungando il passo. Antonio e Bruno scompaiono, prima dietro a un carretto, poi dietro al camion della nettezza urbana; la macchina da presa si
sofferma un attimo sugli spazzini che iniziano il loro giro mattutino. Se nella prima parte della panoramica Antonio e Bruno sono inquadrati in un campo lungo, ma sono comunque soli al centro della scena, nella seconda parte essi vengono relegati sullo sfondo, lasciando il primo piano a delle comparse [fig. 2]. Sap4
45
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
piamo che i due sono angosciati per la perdita della bicicletta, ma non possiamo vedere l'angoscia sui volti. La tensione emerge dai loro movimenti: l'incertezza iniziale (si incamminano dalla parte sbagliata), poi la breve corsa verso sinistra. De Sica non enfatizza il dramma di Antonio con un primo piano, si limita a registrare la sua camminata nervosa e titubante, per poi escludere il protagonista dal campo e inquadrare degli spazzini, che nulla hanno a che vedere con la storia. Questo uso della macchina da presa è chiaramente funzionale a quella poetica dei tempi morti (di aderenza alla realtà fenomenica, direbbe Bazin), cui abbiamo
fatto riferimento in precedenza. La macchina da presa si concede il lusso di deviare dalla storia principale e di mostrarci ciò che sta attorno alla vicenda del protagonista. Anche in altre parti del film, Antonio viene inopinatamente escluso dal campo. Nella sequenza 11, ad esempio, un collega sta mostrando ad Antonio come affiggere i manifesti. A un certo punto la macchina effettua una panoramica verso sinistra, per inquadrare due bambini che chiedono l'elemosina a un signore dall’aria benestante. Udiamo fuori campo la breve lezione dell’attacchino, ma sullo schermo vediamo solamente i
piccoli mendicanti. Nella sequenza successiva, subito dopo il furto della bicicletta, c'è un'inquadratura di Antonio che cammina disperato in mezzo alla strada. L'inquadratura inizia con un'automobile che sfreccia in primo piano, poi vediamo
Antonio
sullo sfondo,
confuso in mezzo alla folla [fig. 3]. Antonio fa qualche passo verso la macchina da presa ed esce di lato. Nell'ambito della composizione del quadro, alla figura di Antonio non è attribuito un posto di particolare rilievo: 46
UN REALISMO A OROLOGERIA
egli è solo uno tra i tanti; potrebbe quasi trattarsi dell'immagine di un cinegiornale, in cui, in mezzo ai passanti, ci capita di scorgere un volto noto.
Ma se in diversi momenti di Ladri di biciclette è riscontrabile un uso anti-drammatico (quasi anti-narra-
tivo) della macchina da presa, che si limita a riprendere i personaggi da lontano, oppure li esclude dal campo,
bisogna notare che in altre sequenze l’obiettivo insiste sul viso di Lamberto Maggiorani. L'inquadratura di Antonio che cammina tra la folla, cui abbiamo appena fatto riferimento, si conclude con una tendina; subito dopo, vediamo Antonio che torna al muro dove stava
attaccando il manifesto, prima del furto, e si appoggia disperato alla scala [seq. 13]. L'inquadratura inizia con Maggiorani
in figura intera, ma, dopo una carrellata
in avanti, termina con un mezzo primo piano [fig. 4]. In
Ladri di biciclette non è raro che la macchina da presa parta da un campo medio, per poi avvicinarsi al protagonista, con il chiaro intento di far salire la tensione
drammatica e rafforzare il naturale processo di identificazione tra personaggio e spettatore. Si tratta di un impiego
sostanzialmente
convenzionale
del primo
piano, che va nella direzione opposta rispetto all’oggettività del campo medio/lungo. E alcuni dei primi piani di Lamberto Maggiorani rappresentano probabilmente uno degli elementi più fragili del film. Maggiorani — è cosa nota — non era un attore professionista, bensì un operaio della Breda. Anche gli altri attori furono presi dalla strada: Enzo Staiola era un bambino incontrato da De Sica per caso, mentre curiosava sul set (le riprese erano iniziate prima che fosse stato trovato l'interprete per la parte di Brux
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VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
no); Lianella Carell era una giornalista che aveva chiesto un'intervista a De Sica. Si è spesso lodata — giustamente — la grande capacità di De Sica (attore egli stesso) nel dirigere gli attori non professionisti, così come sono state sottolineate le naturali doti espressive di Lamberto Maggiorani e di Enzo Staiola. Ma non bisogna cadere nella trappola di credere che un attore non professionista sia più vero di un professionista. Innanzi tutto, Lamberto Maggiorani nel film è doppiato, quindi la sua è una recitazione non professionale solo a metà. In secondo luogo, benché egli interpreti un ruolo che è contiguo al suo vissuto quotidiano, comunque Maggiorani recita, e a volte recita male. Nelle numerose sequenze in cui cammina per Roma con il bambino, Maggiorani fornisce una prestazione molto efficace: il suo corpo dinoccolato, con addosso un abito
vecchio e stazzonato, ha un forte impatto visivo. Non per nulla, De Sica, raccontando del provino di Maggio-
rani, dice di averlo scelto proprio per il modo in cui si muoveva." Ma in alcuni primi piani, emerge, inevita-
bilmente, l'inesperienza di Maggiorani come attore. Prendiamo, ad esempio, l'inquadratura finale della scena del ristorante [seq. 29]. Antonio, che ha ritrovato la voglia di cercare la bicicletta, si ricorda della Santona
e decide di andare a chiederle consiglio. La macchina da presa stringe sul volto di Maggiorani, lui alza gli occhi al cielo e guarda di lato, per simulare lo sguardo di un uomo che ricorda qualcosa, ma si tratta appunto di una palese simulazione, della - brutta — copia della
performance di un attore professionista [fig. 5]. È famoso l'episodio di David O. Selznick, grande produttore americano, che propose a De Sica di finan48
UN REALISMO A OROLOGERIA
ziare Ladri di biciclette, se il ruolo di Antonio Ricci fosse
stato interpretato da Cary Grant. Tradizionalmente, il rifiuto di De Sica è stato letto come il segno della volontà di un autore neorealista di usare attori non professionisti e di resistere alle sirene del capitale hollywoodiano. Ma, per lo più, si sorvola su un passaggio chiave della storia: De Sica fece una contro-proposta a Selznick, chiedendo Henry Fonda al posto di Cary Grant; Fonda non era disponibile e il progetto sfumò. Dunque, dicendo di no a Selznick, De Sica non rifiutava
l'attore professionista tout court, ma uno specifico attore, che gli sembrava poco adatto al suo film (in questa prospettiva, il tradimento di Stazione Termini risulta meno sorprendente). E in effetti, se è difficile immaginare Cary Grant con addosso una tuta da lavoro, anziché uno smoking, Henry Fonda —- che aveva interpretato Tom
Joad, proletario ed ex carcerato,
in Furore (The
Grapes of Wrath, 1940) di John Ford, uno dei classici del
realismo sociale hollywoodiano degli anni ‘40 - probabilmente sarebbe stato un buon Antonio Ricci. Quanto
meno, è certo che il suo primo piano nel ristorante sarebbe stato migliore. D'altra parte, Roma città aperta non è meno realista di Ladri di biciclette perché vi recitano attori noti, come Anna Magnani e Aldo Fabrizi. La presenza di Henry Fonda, indubbiamente, avrebbe snaturato Ladri di biciclette, ma non perché un attore professionista, nei panni di Antonio Ricci, fornisca una prestazione inferiore, rispetto a quella di un non professionista. Henry Fonda sarebbe risultato incongruente con l'impianto generale di Ladri di biciclette perché si tratta di una grande star americana, che, ine-
vitabilmente,
avrebbe
portato con sé il personaggio 49
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
Henry Fonda. Lamberto Maggiorani funziona perché, al di là delle sue doti recitative, il suo volto, sconosciuto al
pubblico, è il segno di una precisa scelta in chiave antispettacolare. Il viso scavato di Maggiorani, così come quello florido di Enzo Staiola, sono delle marche di realismo. Usare un attore non professionista non signi-
fica creare
un’opera
intrinsecamente
più realista di
una che si avvale di Cary Grant, bensì è un modo di trasmettere allo spettatore l’idea che il film cui sta assistendo è imparentato con la realtà, perché le persone che si muovono sullo schermo non sono dei divi dal sorriso smagliante, ma uomini e donne del tutto simili
a quelli seduti in sala. !*
Dunque, abbiamo individuato alcuni degli elementi principali su cui si regge il realismo di Ladri di biciclette. In primo luogo, vi è la struttura temporale, costruita — soprattutto nella seconda parte del film — in modo da fornire l'impressione della durata della realtà. In secondo luogo, troviamo l’impiego del campo medio, usato per far emergere naturalmente il dramma dei personaggi, senza un — apparente — intervento da parte
dell'autore. Da ultimo, vi sono gli attori non professionisti, segno antropologico del desiderio di realtà che anima il testo. Ma nel tessuto realista del film abbiamo anche individuato una prima falla. All’uso del campo medio/lungo come strumento di pedinamento del reale, infatti, si contrappone la presenza di diversi primi piani, attraverso i quali l’autore sottolinea apertamente alcuni passaggi di particolare pregnanza, palesando così la propria volontà di raccontare in prima persona una storia, anziché di limitarsi a registrarla oggettivamente. 50
UN REALISMO A OROLOGERIA
Un altro tratto del film che rientra in un progetto mimetico è rappresentato dall'uso di ambienti reali, invece di scenografie costruite ad hoc. La Thompson ha smentito l'affermazione di Bazin — poi trasformatasi in una sorta di leggenda della storia del cinema - secondo cui «tutto è stato realizzato per la strada». ' La Thompson osserva che nella scena del camion dei rifiuti [seq. 21] è stato chiaramente impiegato un trasparente, mentre alcuni interni (gli appartamenti e, forse, la casa di tolleranza) sono stati girati in studio, utilizzando tecniche di illuminazione squisitamente hollywoodiane (il three-point system).'* Inoltre, ha ancora
ragione Kritstin Thompson quando sottolinea che il realismo è un fenomeno storico: è chiaro che l'opzione,
da parte dei registi neorealisti, per le riprese dal vero, appariva molto più dirompente negli anni ‘40, quando il lavoro in teatro di posa era la pratica più diffusa. Ovviamente, tutto ciò non toglie che la Roma di Ladri di biciclette sia quella autentica e non un set cinematografico. Ma il centro del problema non è tanto se le case del quartiere dove vive Antonio Ricci siano delle sagome di cartone oppure dei palazzi veri, quanto l’uso che De Sica fa di questi elementi scenografici. Nel complesso, l'utilizzo degli ambienti non ricostruiti risponde a un logica realista di tipo denotativo, ma, in alcuni momenti del film, il paesaggio urbano appare fortemente stilizzato, assumendo
una chiara valenza
simbolica, che male si accorda con un progetto di scrittura di grado zero. Dopo il furto della bicicletta, Antonio accompagna Bruno da Maria e ritorna subito in strada [seq. 17]. È
ormai sera. Antonio cammina per la via, attorno a lui si 51
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
levano, alti
e minacciosi,
i caseggiati popolari, tutti
uguali, in spoglio stile razionalista. Il quadro è buio, fatta eccezione per la luce di alcuni lampioni, che illuminano parzialmente i muri. Si tratta di una composizione geometrica: le case identiche e squadrate, disposte in fila; e i fasci di luce, che creano violenti effetti
chiaroscurali [fig. 6]. Questa inquadratura sembra provenire da un film tedesco degli anni ‘20, più che da una pellicola neorealista [fig. 7: Metropolis (id., 1926) di Fritz Lang]. Subito dopo, Antonio si reca nello scantinato dove si tiene la riunione della cellula del Partito comunista, in cerca di Baiocco [seq. 18]. Antonio scende le scale e si trova davanti una fila di bassi archi bianchi, sui
quali si proietta un gioco di luci e ombre [fig. 8]. Si tratta di una scenografia di sapore espressionista, che ricorda i décors di Ivan il Terribile (Ivan Groznyi, 1944) di
Ejzenstejn [fig. 9]. Così come i palazzi dell’inquadratura precedente, anche questa fuga di archi, tutti uguali, con una netta contrapposizione tra zone in ombra e zone illuminate, è decisamente inquietante. Antonio è angosciato per la perdita della bicicletta: l'atto di scendere nello scantinato è l’inizio della sua tragedia, la sua discesa agli Inferi. Non a caso, alla fine della scena,
non lo vediamo uscire: lui e Maria, che sono nella sala
prove, si incamminano lungo il corridoio e poi c'è subito la dissolvenza in nero. La prima parte del film si conclude con Antonio e Maria nel ventre della terra, in-
capaci di uscire dal loro incubo. Ritroviamo un utilizzo analogo delle forme architettoniche e della luce nella sequenza 27. Antonio sta cercando il vecchio mendicante lungo la sponda del 52
UN REALISMO A OROLOGERIA
Tevere, sente le grida di un gruppo di persone intente a trarre a riva un ragazzo che stava per annegare. Antonio, che si sente in colpa nei confronti di Bruno, cui ha dato ingiustamente uno schiaffo, accorre immediatamente, pensando che sia stato suo figlio a cadere nel fiume. Antonio passa di corsa sotto la grande arcata del ponte, che proietta un’ombra nera: la figura di Maggiorani viene letteralmente inghiottita dall’oscurità [fig. 10]. Mentre corre sotto il ponte, la voce di An-
tonio, che grida il nome del figlio, rimbomba, con un effetto allucinatorio da film giallo/horror. Di nuovo, una situazione di forte disagio psicologico viene rappresentata attraverso un ambiente opprimente, caratterizzato da un violento conflitto luce/tenebra. Qui,
alla natura claustrofobica della scenografia si aggiunge il contrappunto sonoro, che sembra uscito da un film di Lang. D'altra parte, durante l'inseguimento del ladro [seq. 12], Antonio — depistato da uno dei complici — si infila dentro un grande tunnel, da cui riemerge scon-
fitto (il ladro ha preso un’altra direzione). In Ladri di biciclette, insomma, abbondano antri oscuri e costruzioni
minacciose, che fungono da palese allegoria delle angosce dei personaggi. Il fatto che si tratti di ambienti reali, anziché di fondali di studio, è ininfluente:
ciò
che conta è che in queste inquadrature sia reperibile un utilizzo dello spazio e delle strutture architettoniche in funzione marcatamente espressiva.
Parlare di scenografia espressionista (ma l’espressionismo non è l’unica fonte di ispirazione: nelle scene cui abbiamo
fatto riferimento, è riscontrabile anche
l'influenza dell’architettura razionalista degli anni ‘30 e della pittura metafisica) a proposito di Ladri di biciclette 53
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
può sembrare una boutade, una provocazione pensata | con l’unico intento di stupire, ma è un fatto che le inquadrature da noi descritte siano costruite su una logica antitetica rispetto a quella del cinema senza messa in scena di cui parlava Bazin. D'altra parte, Italo Calvino, nella prefazione del 1964 a Il sentiero dei nidi di ragno, ha scritto: L'appuntamento con l’espressionismo che la cultura letteraria e figurativa italiana aveva mancato nel Primo Dopoguerra, ebbe il suo grande momento nel Secondo. Forse il vero nome per quella stagione italiana, più che «neorealismo» dovrebbe essere «neo-espressionismo».!
Certamente, si tratta di una piccola crepa nella costruzione realistica di Ladri di biciclette. Infatti, è in-
dubbio che, nell’organizzazione scenografica, la dimensione espressionista sia del tutto marginale, essendo invece l’uso denotativo-descrittivo del paesaggio urbano a risultare predominante. Ciò nondimeno, la presenza di componenti espressioniste nel décor del film è indicativa dell’esistenza, in alcune porzioni del testo, di una decisa opposizione a una scrittura neutra. Analizzeremo più a fondo questo aspetto alla fine del presente capitolo. André Bazin aveva perfettamente intuito che l’apparente casualità con cui gli avvenimenti si susseguono, in Ladri di biciclette, nasce da un lungo lavoro di
sceneggiatura. Ma contrariamente a quanto pensava Bazin, questo lavoro è tutt'altro che invisibile: è proprio nell'analisi dell’articolazione narrativa del film che 54
UN REALISMO A OROLOGERIA
emergono in maniera più evidente i segni della fabbricazione, dell’artificio. Il corpo del testo, infatti, è attraversato da un fitto reticolo di rimandi interni, di detta-
gli che, in prima istanza, appaiono trascurabili, ma che poi ritornano, rivelando un preciso significato. 8
Si pensi, ad esempio, al ruolo del tema della partita di calcio, giustamente evidenziato da Guglielmo Mo-
neti.! Nella sequenza 28 Antonio e Bruno osservano passare un camion carico di tifosi del Modena, diretto
allo stadio. Antonio chiede a Bruno se il Modena sia una buona squadra e il bambino scrolla la testa. All’inizio della sequenza 30, mentre Antonio e Bruno corrono
a casa della Santona,
sentiamo
la voce
di uno
speaker radiofonico iniziare la cronaca della giornata calcistica, proprio a partire dall'incontro Roma-Modena. A prima vista, sembrerebbe trattarsi di particolari insignificanti: la vicenda ha luogo di domenica e, come
ogni domenica italiana che si rispetti, il calcio attira l’attenzione generale. Ma la scena finale si svolge proprio davanti allo stadio, dopo la fine della partita, mentre il pubblico lascia le gradinate e si riversa in strada. In qualche modo, Antonio arriva inevitabilmente di fronte allo stadio: il passaggio del camion dei tifosi e la voce del giornalista radiofonico erano segni premonitori del destino del protagonista. In Ladri di biciclette, i giochi di specchio di questo tipo abbondano. Quando si presenta all'ufficio affissioni [seq. 5], Antonio non vuole lasciare la bicicletta e
viene ripreso dagli impiegati, per il fatto che si aggira per la stanza con il veicolo sulla spalla. Subito dopo, quando accompagna Maria dalla Santona [seq. 7], prima di salire a vedere cosa stia facendo la moglie, 55
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
Antonio chiede a un ragazzo che gioca in strada di . controllare la sua bicicletta. Come ha scritto giusta- | mente la Thompson, questi dettagli fanno emergere la possibilità del furto, che puntualmente si verificherà. Quando Antonio e Bruno si preparano a uscire di casa, per recarsi al lavoro [seq. 8], il bambino sta pulendo la bicicletta del padre e si accorge di un'ammaccatura, che - sostiene — è stata fatta al banco dei pegni. «Questa | è una botta che gli hanno dato. Chissà come le tengono. Io gliel’avrei detto!», grida Bruno. Il figlio muoverà un rimprovero analogo al padre — ma questa volta provocandone l'ira - dopo la fuga del mendicante dalla chiesa [seq. 26]: «Io non ce l'avrebbe lassato annà a piglià la minestra!». Quando Antonio e Bruno tornano a casa a piedi, dopo il furto, Antonio risponde in manie-
ra stizzita al bambino, che chiede insistentemente notizie della bicicletta, ma si pente subito e, come gesto ri-
paratore, gli aggiusta la sciarpa attorno al collo [seq. 16]. Lo stesso schema - collera momentanea /senso di
colpa/richiesta di scuse — ritorna nella sequenza 27. A causa della battuta sul mendicante, che abbiamo citato
poco sopra, Antonio dà uno schiaffo al figlio, ma, dopo l'incidente del ragazzo affogato, capisce di aver sbagliato: la prima cosa che dice a Bruno, per cercare di riappacificarsi con lui, è: «Méttete la giacchetta, che sei sudato». Nella scena iniziale, il disoccupato che va ad avvertire Antonio del fatto che ha ricevuto la chiamata indossa un berretto dell'esercito italiano. La presenza di souvenirs del periodo bellico giocherà un ruolo chiave più avanti, quando Antonio, circondato dalla folla
ostile degli amici del ladro, afferma di riconoscere l’autore del furto dal suo berretto tedesco [seq. 32]. 56
UN REALISMO A OROLOGERIA
Insomma, in Ladri di biciclette è reperibile una continua iterazione di oggetti, parole, situazioni, il cui senso lievita lentamente, a mano a mano che procede il lungo percorso di Antonio e Bruno. E in presenza di una struttura così rigorosa, in cui tutto sembra casuale ma
nulla è lasciato al caso, bisogna interrogarsi sul ruolo dei tempi morti, di cui abbiamo parlato in precedenza. Al di là della scoperta valenza simbolica di alcune di queste pause, come nel caso della scena dei bambini che chiedono l'elemosina (Ladri di biciclette è, appunto, un film sulla povertà), anche quelle interruzioni apparentemente prive di significato, come l'episodio di Bruno che si ferma a orinare [seq. 33], assolvono un compito specifico nella costruzione del realismo del testo. Bazin interpreta l'episodio di Bruno che fa pipì come segno del rispetto di De Sica per il reale: [Il film] si guarda dal barare con la realtà, non solo
combinando la successione dei fatti in una cronologia accidentale e come aneddotica, ma trattando ognuno di essi nella sua integrità fenomenica. Che il bambino, nel bel mezzo di un inseguimento, abbia bruscamente vo-
glia di fare pipì: fa pipì.”
Ma - rovesciando la prospettiva di Bazin — la breve digressione su Bruno che fa pipì può essere letta come un puro artificio, come una delle tecniche che De Sica utilizza per dar vita a un racconto realista. Non si tratta di rivelazione della realtà, bensì della sua simulazione.
In un saggio sul romanzo realista, Roland Barthes afferma che, in questo tipo di opera, abbondano i dettagli inutili: descrizioni di oggetti, sostanzialmente super57
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
flue, che si pongono come garanti del realismo del testo. Scrive Barthes: Queste notazioni sono scandalose (dal punto di vista della struttura), 0, cosa che è ancora più inquietante, esse sembrano scaturire da una sorta di lusso della narrazione, prodiga al punto da fornire dei dettagli «inutili». [...] Nel momento stesso in cui si pensa che questi dettagli denotino
direttamente
il reale,
essi
non
|
fanno
nient'altro, senza dirlo, che significarlo: il barometro di Flaubert, la piccola porta di Michelet, in definitiva, non
dicono nient'altro che questo: noi siamo il reale; è la categoria del «reale» (e non i suoi contenuti contingenti)
che viene dunque significata.?!
La scena di Bruno che si ferma a fare pipì è proprio un dettaglio inutile, una divagazione che il regista si permette per dimostrare che non sta raccontando una
storia, dalla quale siano stati eliminati preventivamente gli elementi incongruenti. Lo stesso vale per l’episodio dei piccoli mendicanti o per l’immagine degli spazzini che vanno al lavoro, cui abbiamo fatto riferimento in precedenza. Queste pause, apertamente prive di senso sul piano dell'economia narrativa, servono a rafforzare l'impressione che ciò che vediamo sullo schermo sia un brandello di realtà: soltanto le sceneggiature hanno uno sviluppo lineare, basato su un rigoroso meccanismo di causa /effetto; la vita vera è caotica,
incoerente e disorganica. D'altra parte, l’intera storia di Ladri di biciclette è
presentata come una tranche de vie, come un frammento di realtà isolato dalla macchina da presa. Il film si apre 58
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UN REALISMO A OROLOGERIA
sull'immagine dei disoccupati che circondano l’impiegato dell'ufficio di collocamento; poi sopraggiunge Antonio. Tra le tante storie possibili, l’autore ce ne rac-
conta una: quella di Antonio Ricci. Nel corso del dialogo tra Antonio e il funzionario, gli altri disoccupati, che di tanto in tanto si inseriscono nella conversazione,
disperatamente in cerca di lavoro come Antonio, danno il senso del valore collettivo della vicenda personale del protagonista. E alla fine del film, quando il dramma
di Antonio Ricci si è consumato, le figure di Antonio e di Bruno vengono assorbite dalla folla dei tifosi che escono dallo stadio: il personaggio torna a confondersi all’interno di quella massa umana da cui l’autore lo aveva estratto all’inizio. Fin qui, abbiamo messo in luce i principali mecca-
nismi su cui si basa l'impianto realistico di Ladri di biciclette. Indubbiamente, la dimensione realistica è quella dominante
nello stile del film, ma nel testo vi sono
delle zone d'ombra, dei passaggi che sembrano porsi in antitesi rispetto a quel modello. Abbiamo già individuato alcuni elementi dissonanti: certi primi piani, talune scelte scenografiche. Ma la presenza di una dimensione non-realista (per non dire anti-realista) in
Ladri di biciclette emerge in modo più chiaro esaminando la prima e l’ultima sequenza del film. Ladri di biciclette - lo abbiamo detto - inizia con la massa dei disoccupati, raccolti attorno all'impiegato dell'ufficio di collocamento. La scena si svolge sulla scalinata di ingresso di un caseggiato popolare: il fun-
zionario è in cima ai gradini, mentre sotto di lui si tro-
vano tutti gli altri. Viene chiamato Antonio, il quale si 59
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
fa largo tra la gente e giunge di fronte al dipendente. dell'ufficio di collocamento. La conversazione tra i. due è costruita sul continuo gioco di campo/controcampo, in cui Antonio è inquadrato dall'alto, mentre il funzionario è inquadrato dal basso. La posizione della macchina da presa esprime molto chiaramente la debolezza psicologica di Antonio, fiaccato da due anni.
di disoccupazione, il quale si presenta umile e remissivo davanti all'uomo che può cambiargli la vita. Inoltre, la valenza simbolica della scala — metafora tradizionale dell'ascesa sociale — è chiarissima: salire i gradini (per. andare a prendere i documenti dell'assunzione dalle mani del funzionario) significa migliorare la propria condizione economica. Il campo medio, con il funzionario in alto, Antonio — che ha ottenuto il posto di lavoro — sotto di lui e, ancora più in basso, tutti gli altri
disoccupati, veicola in maniera esplicita questo messaggio. La scenografia in cui si muovono i personaggi è fortemente stilizzata, quasi langhiana: la scala è tutta bianca, eccenzion fatta per alcune linee nere, orizzon-
tali e verticali. La natura del décor e la disposizione delle figure umane in base a un criterio gerarchico fanno di questa inquadratura una vera e propria allegoria del mercato del lavoro. Lo spazio astratto in cui sono collocati i personaggi rappresenta la razionalità ferrea dell'economia capitalista, incentrata sullo scambio tra denaro e manodopera. Il campo/controcampo con inquadrature dal basso e dall'alto, la rigorosa composizione formale del quadro, il valore esplicitamente simbolico (per non dire ideologico) delle immagini sono elementi tipici della tradizione del cinema classico; anzi, più che al cinema 60
UN REALISMO A OROLOGERIA
degli anni ‘30, fanno pensare addirittura al muto. In questa sequenza, insomma, non c'è traccia del cinema senza cinema di cui parlava Bazin. Al contrario, il lavoro di scrittura filmica è evidente, e il senso della scena
— lungi dal possedere l'ambiguità del cinema moderno è pesantemente univoco. In Ladri di biciclette, dunque, sembrano convivere realtà differenti e tra loro contraddittorie. D'altra parte, Francesco Casetti ha scritto
che «il neorealismo appare come una delle esperienze cruciali per l'avvento del cinema moderno, senza per questo rappresentare un rovesciamento del cinema classico». ? La presenza di elementi estranei alle basi teoriche del neorealismo (o almeno alla loro ipostatizzazione, operata da una certa tradizione critica e storiografica) è evidente anche nell'ultima sequenza del film. Antonio e Bruno arrivano nei pressi dello stadio. Sentiamo il boato dei tifosi, vediamo la gente passeggiare: il clima festoso della domenica pomeriggio è in aperto contrasto con la disperazione del protagonista. La contrapposizione tra i piani ravvicinati di Antonio e Bruno e i campi lunghi della folla, con il sottofondo delle urla,
danno il senso dell’indifferenza della collettività nei confronti della tragedia individuale. Le grida dello stadio sembrano quasi grida di dileggio nei confronti di Antonio stesso, che ha appena subito i lazzi degli amici del ladro. Fuori dallo stadio, sono allineate le lunghe file delle biciclette degli spettatori: tutti possiedono una bicicletta, tutti tranne Antonio Ricci. Bruno, stanco e abbattuto, si siede sul marciapiede, mentre Antonio, che ha individuato una bicicletta isolata e incustodita, 61
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
cammina su e giù, indeciso sul daffare. La musica (estremamente convenzionale, ma non è cosa rara nei
film neorealisti: si pensi alle partiture di Renzo Rossellini per Roma città aperta e Paisà) rafforza la tensione, creando un clima di attesa. Antonio si siede accanto al figlio. Di fronte ai due passa un gruppo di corridori ciclisti. Antonio si alza in piedi e il ritmo della musica si fa più incalzante: ormai ha deciso di rubare la bicicletta. In questa prima parte della scena finale del film, De Sica costruisce un climax molto raffinato, attraverso
il montaggio e l’uso della musica, che enfatizza il senso del dramma imminente. Si tratta di un'organizzazione discorsiva assolutamente classica, basata su un découpage in cui nulla è lasciato al caso: ogni suono, ogni inquadratura, ogni raccordo, è inserito in un preciso
schema ascendente che conduce alla decisione di Antonio di rubare la bicicletta. E Antonio prende la decisione fatale dopo il passaggio della gara ciclistica. La comparsa di questo gruppo di ciclisti è assolutamente surreale (e infatti Antonio li osserva incredulo), quasi
una visualizzazione del delirio di Antonio, che ormai
vede biciclette dappertutto. Non a caso, Henri Agel ha messo in relazione, in maniera assai stimolante, Ladri di
biciclette con Un chien andalou (1929) e L'Age d'or (1930)
di Bufiuel.? Il ritmo incalzante della musica rafforza la sensazione da incubo che permea la scena. In questa parte di Ladri di biciclette, l'utilizzo del montaggio e della colonna sonora fa pensare più a un giallo hollywoodiano (la scena topica del preludio del delitto) che al neorealismo. Nella seconda porzione della sequenza ritroviamo un découpage altrettanto complesso, giocato sul mon62
UN REALISMO A OROLOGERIA
taggio alternato delle inquadrature di Antonio, che tenta di rubare la bicicletta e viene catturato dai passanti, e quelle di Bruno che osserva atterrito il padre. Ci troviamo
di fronte a una scena d'azione, organizzata
seguendo le regole del cinema classico. La drammaticità degli eventi è potenziata dalla musica, che accompagna e sottolinea i passaggi più forti, e dal montaggio alternato. Tutto è in movimento: i personaggi corrono, oppure — quando sono immobili — è la cinecamera a dinamizzare il quadro (il veloce movimento di macchina attorno al viso spaventato
di Bruno, che vede
passare il padre inseguito dalla folla). E, in ossequio allo schema canonico del montaggio alternato, la sequenza si conclude con l’incontro dei personaggi che stavano al centro delle due serie di immagini: Bruno accorre presso il padre e, con le sue lacrime, impietosisce il derubato, che decide di non denunciare Antonio.
Dunque, la scena di chiusura di Ladri di biciclette è una scena di grande complessità (niente a che vedere, ad esempio, con la rapidità e la secchezza del finale di
Paisà), tutta costruita sotto il segno del cinema classico: si tratta di una sequenza di azione, in cui non vi è traccia di quei tempi morti di cui abbiamo parlato a proposito di altre parti del film. E forse non è un caso che le due scene in cui la vocazione realista dell’opera è più debole siano proprio la prima e l’ultima, che, tradizionalmente, hanno un ruolo di particolare rilevanza nel-
l'economia di un testo narrativo. Queste due sequenze sembrano volerci mettere in guardia contro un'interpretazione sbrigativa e unidimensionale del film. Ladri di biciclette — lo abbiamo visto — è un film realista, e il suo realismo (frutto di una ricca elaborazione formale, 4
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VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
come ogni realismo) annuncia molti elementi della modernità. Ma in Ladri di biciclette sono presenti anche altre tradizioni, seppure in maniera quasi sotterranea: il muto, il cinema classico, le avanguardie storiche. Ladri
di biciclette è una delle opere chiave della storia del cinema, un film che funge da spartiacque tra due epoche, e dunque non può stupirci il fatto che in esso sia possibile trovare traccia di più culture.
1 André Bazin, «Ladri di biciclette», in A. Bazin, Che cosa è il ci-
nema?, Garzanti, Milano 1986, pp. 317-318. ? Francesco Casetti, Teorie del cinema. 1945-1990, Bompiani, Mi-
lano 1993, p. 34. ° Cfr. Kristin Thompson, Breaking the Glass Armor. Neoformalist Film Analysis, Princeton
University
Press, Princeton
(New
Jersey) 1988, pp. 197-217. ‘In Italia, una volta esauritosi l'entusiasmo per la rivoluzione neorealista, parte della critica ha evidenziato la complessità del rapporto tra il neorealismo e il cinema del periodo fascista, in cui non sono riscontrabili soltanto elementi di rottura. Cfr.
Francesco Casetti et al., Neorealismo e cinema italiano degli anni ‘30, in Lino Micciché (a cura di), Il neorealismo cinematografico
italiano. Atti del convegno della X Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Marsilio, Venezia 1975, pp. 331-385. Il tradimento, da parte di De Sica e Zavattini, dello spirito e della lettera del romanzo,
provocò l’ira di Bartolini, il quale
ingaggiò un'aspra polemica con i due cineasti. Sull'argomento, cfr. Guglielmo Moneti, Ladri di biciclette, in Lino Micciché (a cura di), De Sica. Autore, regista, attore, Marsilio, Venezia 1992,
pp. 248-249. ® Luigi Bartolini, 1954, p. 7.
"Cfr. Ivi, p. 78. 64
Ladri di biciclette (1946), Vallecchi,
Firenze
UN REALISMO A OROLOGERIA
*Cfr. Kristin Thompson, Breaking the Glass Armor cit., p. 208. ° Nella teoria narratologica, la storia è la vicenda, il plot, mentre
il discorso è la sua rappresentazione, il modo in cui la storia viene raccontata.
1° Cfr.: André Bazin, Vittorio De Sica, Guanda, Parma 1953; André Bazin, «Une grande ceuvre: “Umberto D”», in A. Bazin, Qu'estce que le cinéma?, Editions du Cerf, Paris 1987, pp. 331-335. "Cfr. Kristin Thompson, Breaking the Glass Armor cit., p. 203.
1 Cfr. Franca Faldini - Goffredo Fofi (a cura di), L’avventurosa storia del cinema
italiano raccontata dai suoi protagonisti, 19351959, Feltrinelli, Milano 1979, p. 135.
! Cfr. Henri Agel, Vittorio De Sica, Editions Universitaires, Paris 1955, p- 87.
“Dobbiamo l’idea di Lamberto Maggiorani come segno della vocazione realista del testo a Francesco Casetti.
!° André Bazin, «Ladri di biciclette» cit., p. 307. !°Cfr. Kristin Thompson, Breaking the Glass Armor cit., p. 211. ! Italo Calvino, presentazione a Il sentiero dei nidi di ragno, Mondadori, Milano 1993, p. XI.
18 Cfr. Kristin Thompson, Breaking the Glass Armor cit., pp. 207-211. !° Cfr. Guglielmo Moneti, Ladri di biciclette cit., p. 264. 2 André Bazin, «Ladri di biciclette» cit., p. 308. 2 Roland Barthes, L'effet de réel, in AA.VV., Littérature et réalité,
Editions du Seuil, Paris 1982, pp. 82, 89. 2 Francesco Casetti, Lo spazio instabile, in Lino Micciché (a cura di), «Sciuscià» di Vittorio De Sica. Letture, documenti, testimonianze, Lindau, Torino 1994, p. 71. 2 Cfr. Henri Agel, Vittorio De Sica cit., p. 81.
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Il Bildungsroman del piccolo Bruno
I bambini sono resistenti, sbattono dappertutto, contro la vita. Da Gli anni in tasca di F. Truffaut
La vicenda di Ladri di biciclette — lo abbiamo detto — è di una semplicità sorprendente: Antonio, coadiuvato da Maria e da Bruno, cerca la sua bicicletta. La ricchezza del testo nasce dal fatto che, su questo avvenimento banale, si innestano, da un lato, un ricco affresco stori-
co-sociale (che esamineremo nel prossimo capitolo), dall'altro, una complessa rete di tensioni psicologiche tra i personaggi (di cui ci occupiamo nel presente capitolo). Quella di Ladri di biciclette è la storia di una famiglia, ma si tratta di una famiglia i cui membri interagi-
scono tra loro in base a meccanismi che non rispec-
chiano la cultura patriarcale dell’Italia degli anni ‘40. Nella prima parte del film, l’azione passa attraverso il legame tra Antonio e la moglie, impegnati a trovare i soldi per riscattare la bicicletta dal banco dei pegni. A
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VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
Nella seconda parte, la figura di Maria sparisce, per lasciare il ruolo di deuteragonista al figlio Bruno. E il rapporto padre/figlio — come la critica ha spesso sottolineato, da Bazin in poi! - è indubbiamente uno degli elementi centrali del film: il solo fatto che 2/3 del testo gravitino attorno alla coppia Antonio-Bruno ci porta a concentrare la nostra attenzione su questo aspetto. Ed è
proprio da qui che iniziamo. A partire dalla prima scena in cui compare [seq. 8], Bruno si presenta immediatamente come un bambino estremamente
maturo.
È l'alba, Antonio
e Bruno
si
stanno preparando per recarsi al lavoro. Infatti, anche Bruno lavora, nonostante la giovane età (presumibilmente non ha più di 8/10 anni), presso una pompa di benzina. Bruno pulisce la bicicletta del padre e si accorge di un'ammaccatura, che — sostiene — è stata fatta
al deposito del monte di pietà: «Io gliel'avrei detto», urla. Bruno, il quale - come ammette lo stesso Antonio nella sequenza di piazza Vittorio [20] — conosce la bici-
cletta meglio del padre, rimprovera il genitore per la disattenzione. L'aspetto e i movimenti di Bruno sono molto simili a quelli di Antonio: indossano un abito dello stesso tipo (una tuta da lavoro), tutti e due si guardano allo specchio, tutti e due si infilano in tasca il panino preparato da Maria [fig. 11]. Bruno è presentato esplicitamente come una copia in miniatura di suo padre. Ma egli non è soltanto un piccolo adulto: Bruno, sin dall'inizio, svolge un ruolo di supplenza del ruolo paterno. Prima di lasciare la stanza Bruno chiude la finestra, per evitare che la sorellina di pochi mesi, che riposa a letto, prenda freddo. Antonio esce con la bicicletta in spalla, dimentico della figlia: è Bruno, rimasto 68
IL BILDUNGSROMAN
DEL PICCOLO BRUNO
indietro, che si ricorda della neonata e si preoccupa per lei, in vece di suo padre.
Questa inversione dei ruoli tra padre e figlio ritorna per tutto il film. Nel corso della lunga camminata per Roma, è Bruno a occuparsi di Antonio, e non viceversa.
Bruno salva il padre per ben due volte, prima dal linciaggio degli amici del ladro, andando a chiamare il carabiniere [seq. 32], poi dall’arresto, quando impietosisce l'uomo cui Antonio ha tentato di sottrarre la bicicletta, che decide di non sporgere denuncia [seq. 35]. Ma anche in situazioni meno drammatiche Bruno risulta spesso la figura forte della coppia. Nella seconda scena della Santona [seq. 30], ad esempio, mentre An-
tonio rimane sulla soglia della stanza dove riceve la veggente, indeciso sul da farsi, Bruno passa con sfacciataggine davanti alle altre persone in coda e occupa la sedia dirimpetto alla maga. È solo grazie a Bruno che Antonio riesce a parlare con la Santona. Nella sequenza 15, quando
deve tornare a casa in autobus, Antonio
tenta di salire prima degli altri passeggeri, ma viene ricacciato in fondo alla fila: senza Bruno, Antonio non è
in grado di imporsi. Di contro, Antonio dimostra una costante disatten-
zione nei confronti dei pericoli in cui il figlio può incorrere. Nella scena di piazza Vittorio [seq. 20], Antonio lascia che Bruno vaghi da solo tra le bancarelle e il bambino viene infastidito da un pedofilo. Alla fine del film, Bruno — per ben due volte — sta per essere investi-
to da un'automobile [seq. 34], ma Antonio non se ne accorge neppure. E i tentativi di Bruno di richiamare su di sé l’attenzione del padre sono del tutto vani. A Porta Portese [seq. 22], mentre corrono sotto la pioggia, Bru69
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
no cade a terra, ma Antonio non se ne avvede. Quando
trovano rifugio sotto un cornicione, il bambino si pulisce ostentatamente, per far notare la cosa al padre, il quale domanda stupito: «Ma che hai fatto?». «So cascato!», grida stizzito Bruno. Solo a questo punto, Antonio porge a Bruno un fazzoletto perché si asciughi e gli carezza la testa. Antonio è affettuoso con Bruno, ma le sue manife-
stazioni d’affetto non sono mai spontanee, devono essere sempre provocate da un’esplicita richiesta del bambino, oppure dal senso di colpa, come nel caso del manrovescio
della sequenza
26. Qui, Antonio
schiaf-
feggia Bruno, che gli ha — giustamente — fatto notare di essersi lasciato sfuggire il mendicante, che avrebbe potuto condurli dal ladro: «Io non ce l'avrebbe lassato annà a piglià la minestra!», urla Bruno. L'atteggiamento di Antonio è estremamente infantile: picchia il figlio perché sa che questi ha ragione, perché non vuole che gli si dica la verità, ovvero che è un inetto. E nel successivo pentimento, Antonio si dimostra altrettanto infantile. Prima, mosso dal senso di colpa, si convince, in maniera del tutto irrazionale, che il figlio sia caduto nel
fiume; poi, cerca di riconciliarsi con lui, portandolo a mangiare al ristorante, cosa che certamente non giova
alle già esigue risorse Antonio, insomma, è alterna disattenzione pericoli inesistenti (la
economiche della famiglia Ricci. un padre poco responsabile, che e apprensione: si preoccupa di possibilità che Bruno sia annega-
to), ma trascura pericoli reali (il pedofilo, le automobili). La scena dell'osteria [seq. 29] è indicativa circa i rapporti tra Antonio
e Bruno. Antonio, stanco e sco-
raggiato, decide di andare a mangiare, non solo perché 70
——6 o — L
IL BILDUNGSROMAN
DEL PICCOLO BRUNO
il figlio ha fame, ma anche perché pensa che i suoi sforzi per ritrovare la bicicletta siano ormai inutili. Nel locale, dove
suona un’orchestrina napoletana, regna un'atmosfera festosa e Antonio si fa prendere dall'euforia: «Non pensamo a niente, ci ubbracamo», dice
al figlio, che però lo guarda serio. Dopo che il cameriere ha portato il vino, Antonio invita Bruno a bere e commenta: «Se te vedesse tu madre che te faccio beve». Antonio, in maniera del tutto puerile, offre del vino al
figlio per fare un dispetto alla moglie, e ride compiaciuto della sua marachella. Poco dopo, mentre stanno mangiando la mozzarella in carrozza, Antonio osserva
i borghesi del tavolo accanto e commenta: «Pe’ magnà come quelli lì, poco poco, bisognerebbe guadagnà un milione al mese». Immediatamente, Bruno —- con molto giudizio — smette di mangiare. Antonio dice a Bruno di non preoccuparsi («Magna, magna; nun ce pensà»),
ma subito allontana da sé il piatto e inizia a parlare della perdita della bicicletta. Antonio calcola ad alta voce quanto avrebbe potuto guadagnare come attacchino e decide di continuare la ricerca della bicicletta. Insomma, Bruno, che lascia la mozzarella in carrozza
perché costa, dà un esempio di comportamento razionale e maturo ad Antonio, il quale torna in sé e abbandona i suoi propositi di oblio alcolico.
Bruno accompagna Antonio nella sua lunga quest in cerca della bicicletta, e questo viaggio è, per il bambino, un percorso di formazione, un pellegrinaggio al termine del quale egli acquista consapevolezza della
propria forza.° Nella scena finale, dopo che Antonio scoppia in lacrime a causa dell'ultima umiliazione (avvenuta proprio sotto gli occhi del figlio), Bruno gli A
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VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
stringe la mano, per consolarlo: la condizione psicologica ed economica dei Ricci è estremamente critica, ma è il bambino a tentare di rassicurare l'adulto, non viceversa. Peraltro, alla fine della vicenda, Bruno rimarrà
l’unica fonte di sostentamento della famiglia: mentre Antonio è di nuovo disoccupato (è riuscito a mantenere il posto da attacchino per un solo giorno), Bruno avrà ancora il suo lavoro alla pompa di benzina. Poiché Maria è, presumibilmente, una casalinga (la vediamo
svolgere soltanto mansioni domestiche), l'unico che porta a casa i soldi è il piccolo Bruno. E l'ipotesi che questa passeggiata per Roma sia — anche - il Bildungsroman di Bruno, un rito di passaggio dall'infanzia all’età adulta, è rafforzata dal fatto che, nel corso della storia, si verifichi la scoperta, da parte
del personaggio, della sfera della sessualità. Bruno, infatti, fa due incontri che lo mettono in contatto con l’u-
niverso del sesso: il pedofilo di piazza Vittorio [seq. 20] e il postribolo in cui si rifugia il ladro [seq. 31].° La presenza sotterranea di un tema erotico, in Ladri di biciclette, è confermata dalla canzone eseguita dall’orchestrina del ristorante [seq. 29]: si tratta di Tammuriata
nera, un brano napoletano, molto popolare nel dopoguerra, che parla dei bambini meticci nati dall'incontro tra le ragazze italiane e i soldati neri dell'esercito americano («È nato nu’ criature niro niro/ A mamma
/o
chiamma Ciro»). D'altra parte, come ha messo in evidenza Lino Micciché, lo schema del racconto di forma-
zione era già presente in Sciuscià.*
Dunque, la relazione tra Antonio e Bruno è caratterizzata da una sostanziale inversione dei ruoli: la per72
IL BILDUNGSROMAN
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sona matura della coppia è il figlio, non il padre. Bruno non è semplicemente un ometto, come molti hanno scritto: egli ha degli atteggiamenti da adulto, là dove suo padre è spesso puerile. E la debolezza di Antonio non può essere spiegata semplicemente con il trauma della perdita della bicicletta. Nella scena di apertura, mentre tutti gli altri disoccupati si accalcano attorno all'impiegato del collocamento, Antonio è lontano, se-
duto per terra a giocherellare con la sabbia, come i bambini. Antonio non sente il funzionario che lo chiama, e se non fosse per il giovane con il cappello dell’esercito italiano, che va ad avvertirlo, neppure si accorgerebbe di avere la possibilità di lavorare. Antonio, insomma, fiaccato da due anni di disoccupazione, è un personaggio debole sin dall'inizio. Antonio mantiene questo atteggiamento impotente per tutto il film. Quando va a denunciare il furto della
bicicletta al commissariato [seq. 14], ad esempio, il protagonista non è capace di far valere le proprie ragioni di fronte al brigadiere, apertamente disinteressato al suo caso. Antonio — presumibilmente — è comunista, per cui dovrebbe vedere negli uomini del Ministro
degli Interni Scelba degli avversari con cui battersi (esamineremo i risvolti politici della vicenda del film nel prossimo capitolo). Non a caso, quando Maria gli dice che con la divisa da attacchino sembra un poliziotto [seq. 8], lui si arrabbia e la strattona in maniera
scherzosa. Ma se con la moglie Antonio ha una reazione violenta (ancorché per gioco), soltanto a sentire la parola poliziotto, quando poi si trova davanti a un poliziotto vero — il quale, oltre a essere il simbolo della parte avversa, lo tratta anche con sufficienza — egli è as78
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
solutamente
remissivo.
Il funzionario,
che ha fretta
perché deve guidare una squadra a un non meglio identificato comizio (ma è chiaro che si tratta di una
manifestazione del PCI), lo congeda con tono sbrigativo, e Antonio va via a capo chino.
Anche in relazione alla Santona, in un primo tempo Antonio ostenta sicumera con la moglie, ma poi si ri-
vela debole e contraddittorio. Dopo che Antonio ha preso servizio, Maria gli chiede di accompagnarla dalla Santona,
che vuole
ringraziare
con
un
obolo, in
quanto aveva predetto che il marito avrebbe trovato lavoro
[seq. 7]. Antonio,
estremamente
sicuro di sé,
rimprovera Maria per la sua credulità: «Ma è mai possibile che ‘na donna come te, che c'ha due figli, la testa sulle spalle, debba pensà a ‘ste fesserie, a ‘sti imbrogli,
a 'ste fregnacce?». Poi aggiunge: «E che, me l’ha fatto trovà lei er posto?». Certamente, non è grazie alla Santona che Antonio è stato assunto, ma non si può certo dire che egli sia stato artefice della propria fortuna. Infatti, non solo Antonio non presta alcuna attenzione alle chiamate dell’impiegato dell'ufficio di collocamento, per cui è soltanto grazie all’altro disoccupato che viene a sapere di essere stato richiesto dal Comune, ma è Maria a trovare il modo di riscattare la bicicletta (impegnando le lenzuola), condicio sine qua non per ottenere il lavoro. Insomma, per quanto sembri attribuirsene il merito, Antonio non ha fatto praticamente
nulla per avere il lavoro. Ma nonostante le esibizioni di disprezzo verso la Santona, anche Antonio farà ricorso ai suoi poteri. Alla fine della scena del ristorante [seq. 29] Antonio è nuo-
vamente determinato nel cercare la bicicletta: «Mica la 74
IL BILDUNGSROMAN
DEL PICCOLO BRUNO
ritrovamo con le candele de tu madre, mica la ritrovaa Bruno, esternando ancora una
mo co' li santi», dice
volta la propria sfiducia verso la sfera del soprannaturale; ma
poi si reca dalla maga,
per chiederle
aiuto
[seq. 30]. E qui, dopo essere passato davanti a tutti grazie alla sfrontatezza del figlio, Antonio, umile e con
il cappello in mano, si confessa con la Santona, parlando a bassa voce, perché si vergogna di raccontare la sua storia di fronte agli altri clienti che affollano la stanza. Il tono di Antonio è quello di un bambino che va a piangere dalla mamma - «M’hanno rubato la bicicletta» — e lei lo osserva con un misto di noia e compassione, come si guarda un ragazzino goffo, che confessi la sua ennesima défaillance. Ora, i vaticini della Santona non sono più fregnacce, e Antonio ascolta le parole della donna con grande attenzione. Certamente, in diverse sequenze del film Antonio dimostra di possedere forza e perseveranza, ma i suoi
tentativi non portano mai a nulla. Egli insegue il vecchio mendicante sin dentro la chiesa e riesce a convincerlo, con la minaccia di chiamare la polizia, a condur-
lo dal ladro, ma poi se lo lascia sfuggire, perché gli permette di andare a ritirare il cibo distribuito dalle dame di carità [seq. 25]. Antonio è tenace, ma inetto:
Bruno non avrebbe commesso lo stesso errore. I propositi di Antonio, per quanto apparentemente ferrei, ri-
sultano poi sempre vaghi. Nella scena del ristorante [seq. 29], Antonio esprime la volontà di ritrovare la bi-
cicletta, ma non sa come fare: «Io nun ce voglio rinuncià! Capisci che bisogna ritrovalla, perché si no nun se magna. Che se pò fa?». Antonio non ha alcun’idea su come recuperare la bicicletta e chiede consiglio prima a 75
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
Bruno («Che se pò fa?»), un bambino, e poi a una ma-
ga, che gli fornisce una risposta del tutto inutile: «O la trovi subito, o non la trovi più». Alla fine, pur avendo catturato il ladro, Antonio
non riesce a farlo arrestare [seq. 32]. Non soltanto il ladro può contare su amici e vicini di casa come testimoni a favore, ma, nel corso della conversazione con il carabiniere, Antonio cade in contraddizione, tanto da
far dubitare l’altro delle sue parole. CARABINIERE: Ma l’hai proprio visto di faccia? ANTONIO: Sì, l’ho visto mentre scappava. CARABINIERE: Di spalle, allora. ANTONIO: No, ho fatto a tempo a vederlo... perché... CARABINIERE: Eh, sì. C'era gente? ANTONIO: Sì, c’era.
CARABINIERE: E non puoi citare nessuno come testimone? ANTONIO: Avevo altro da fà, che piglià er nome de la gente.
CARABINIERE: E che voi fà, allora? Non l'hai visto proprio in faccia, non c'hai nessun altro che lo riconosca. Che voi
fà? Puoi aver ragione, ma ti mancano prove.
Così come il tentativo di recuperare la bicicletta attraverso le vie legali è fallimentare, anche il ricorso, da
parte di Antonio, a mezzi illegali si rivela controproducente. Antonio ruba una bicicletta incustodita, ma
viene immediatamente preso. Si è spesso scritto che Antonio non può ritrovare la bicicletta, perché la società in cui vive è spietata e non offre alcuna possibilità di sopravvivenza a un uomo come Antonio Ricci. Ma Antonio non è una figura da tragedia greca: egli non è 76
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semplicemente vittima del fato o dell’invidia degli dei. Antonio è un eroe moderno, minato internamente
da un'incapacità di incidere sulla realtà che lo circonda. Certamente, tutto congiura contro di lui, ma ciò non to-
glie che, in alcuni passaggi chiave della vicenda, il protagonista commetta degli errori, che pregiudicano il successo della sua azione. Guglielmo Moneti, che pure sottolinea la fragilità della figura di Antonio, sostiene che, accanto a questa
dimensione, nel carattere del personaggio ne esista una seconda, forte e determinata. Scrive Moneti:
In Antonio, preso tra la bicicletta e suo figlio, tra le proprie angosce di uomo e di padre, sembrano susseguirsi due figure: una infantile e arrendevole, l’altra adulta e irriducibile.
[...] Lo vediamo
subito, all’inizio, quando
tutti i disoccupati sono a discutere sotto l'ufficio di collocamento e lui se ne sta in disparte, privo di combattività. [...] Eppure durante la ricerca, anzi, via via che questa si fa più dura, viene fuori la sua voglia di rivincita. Quella specie di complesso di inferiorità che lo paralizzava è stato sottoposto a una terapia d’urto. La nuova situazione costringe Antonio all’azione, quale che sia, e senza guardare in faccia a nessuno.’
È vero che Antonio alterna continuamente entusiasmo e scoraggiamento, ma i suoi intenti di sconfiggere il destino avverso sono tanto rabbiosi, quanto velleita-
ri. In termini di darwinismo sociale, Antonio presenta scarsissime capacità di sopravvivenza. Egli, infatti, si fa rubare la bicicletta, che è stata riscattata grazie a un'i-
dea della moglie; non riesce a recuperarla, pur avendo VU
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
trovato il ladro; tenta di rubare a sua volta una bici-
cletta e viene subito preso. Insomma, Antonio Ricci è un inetto, ma, per sua fortuna, ha un figlio intelligente
che lo toglie da guai.
In un breve intervento apparso sulle pagine di «Bianco e Nero», Luigi Comencini ha scritto giustamente che «De Sica dava ai bambini l’importanza e la serietà degli adulti; negli adulti scopriva il loro lato inconsciamente infantile».° La parte della produzione di De Sica che va da I bambini ci guardano a L'oro di Napoli — presenta una serie di personaggi infantili di grande forza, cui si contrappone una sostanziale debolezza o
assenza della figura paterna. I bambini ci guardano e Sciuscià sono incentrati sul tema dell'infanzia abbandonata. Nell'episodio I giocatori di L'oro di Napoli, il conte con l'ossessione del tavolo verde, mirabilmente
interpretato da De Sica, il quale costringe il figlio del portiere a giocare a carte con lui e si arrabbia perché | perde sempre, è puerile, mentre il ragazzino mantiene un atteggiamento di distaccata superiorità. Il povero figlio del portinaio accetta di giocare a scopa con un adulto-bambino, anziché divertirsi con i propri coetanei in strada, per non mettere in imbarazzo il padre di
fronte al conte, che è padrone dello stabile. E sempre in L'oro di Napoli, la ribellione del pazzariello, impersonato da Totò, contro il guappo che vive in casa sua, ha per obiettivo la restaurazione di una patria potestas vacillante. Così come in Funeralino, altro capitolo di L'oro di Napoli, il corteo che segue il funerale del bambino è guidato dalla madre, ma di un padre non c'è neppure l'ombra. In Miracolo a Milano, il protagonista Totò è na78
IL BILDUNGSROMAN
DEL PICCOLO BRUNO
to sotto una cavolo: non ha padre, ma solo una madre adottiva. E anche in Umberto D. troviamo una paternità velleitaria: Umberto vorrebbe fare da tutore alla servetta rimasta incinta (di un pater incertus) e le pro-
mette di inchiodare alle sue responsabilità il soldato che — suppone lei — l'ha ingravidata, ma quando lo incontra, riesce soltanto a dire: «Buongiorno». E proprio nella natura malferma del potere paterno risiede la profonda differenza tra le opere di De Sica e molti film di quel cinema dei bambini, che — da Zero in condotta (Zéro de conduite, 1933) di Vigo a Gli anni in tasca (L'argent de poche, 1976) di Truffaut — attraversa la storia della settima arte. Nei film di Truffaut, ad esem-
pio, i bambini mantengono
sempre il loro ruolo di
bambini, muovendosi al di fuori della dimensione del-
la maturità; di rimando, gli adulti si propongono una missione educatrice. Personaggi profondamente diversi come i maestri di Antoine Doinel in I quattrocento colpi (Les quatre-cents coups, 1959) e il dottor Itard in I/ ragazzo selvaggio (L'enfant sauvage, 1969) hanno in comune una forte aspirazione pedagogica, per quanto l’azione — ottusamente repressiva — dei primi abbia modalità e obiettivi opposti rispetto a quella del secondo. In De Sica, invece,
i bambini
sono costretti a
una precoce assunzione di responsabilità, perché non esiste una figura paterna che si prenda cura di loro. Nei film di De Sica, i figli devono presto farsi uomini,
perché i loro padri — quando sono presenti — sono regrediti a una condizione infantile.
Ma Antonio Ricci non ha solo un figlio intelligente: egli ha anche una moglie forte e volitiva. Il ruolo di 765)
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
elemento trainante della coppia, che nella seconda parte del film viene svolto da Bruno, nella prima è ricoperto da Maria. Incontriamo il personaggio di Maria all’inizio del film. Dopo il colloquio con l'impiegato dell'ufficio di collocamento, Antonio va a cercare Ma-
ria, che sta prendendo acqua alla fontana, insieme ad altre donne [seq. 2]. Antonio è disperato perché, non avendo la bicicletta, non può lavorare, e si lamenta con
rabbia impotente: «Ma dimme si nun so’ disgraziato: c'è er posto e nun lo posso prenne». Antonio cammina
rapido, mentre la moglie non riesce a stargli dietro, perché trasporta due pesanti secchi d'acqua. Solo a un certo punto Antonio si rende conto del fardello di Maria e prende uno dei due secchi. Così come non si accorge della finestra aperta nella stanza dove dorme la figlia o dell'automobile che sta per investire Bruno, Antonio non presta attenzione alla fatica di Maria. Antonio impreca contro il destino, mentre Maria cerca di
consolarlo, con il tono dolce che si usa con i bambini: «Embè, se rimedia, Antò; che non se pò rimedià?». Da
subito, Maria viene presentata come una figura forte, sia sul piano fisico, sia su quello psicologico: sorregge i due secchi d’acqua senza chiedere aiuto al marito, così come affronta con calma una situazione drammatica (Antonio è disoccupato da due anni e i Ricci non possono permettersi di perdere questa occasione). Antonio strepita («Mannaggia a me quanno so’ nato. Viè voja de buttasse ar fiume... viè voja»), ma non prova neppure a trovare una soluzione. Appena entrati nell'appartamento, Antonio si siede sconsolato sul letto, incapace di agire. Maria parla poco, ma è lei a risolvere il problema. La donna raduna tutte le lenzuola di casa, 80
IL BILDUNGSROMAN
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per andare a impegnarle: «Se pò dormire pure senza lenzola, no?», grida ad Antonio. L'ira di Maria esplode: raduna la biancheria in cucina, per lavarla prima di recarsi al monte di pietà, e prende rabbiosamente a calci il mastello. L'immagine di Maria che afferra con violenza Antonio per un braccio, lo fa alzare dal letto e strappa via le coperte, mentre l’uomo la osserva allibito, quasi
spaventato, dà perfettamente il senso di quali siano i rapporti di forza all’interno della coppia. E forse non è un caso che Maria scelga di rinunciare proprio al suo corredo da sposa («Roba de corredo», dirà all’impiegato del banco dei pegni, che ritira il pacco): impegnare Il corredo è un po’ come cancellare le tracce del matrimonio. Maria ha sposato un uomo debole, cui deve fare
da madre, oltre che da moglie, un uomo del quale potrebbe tranquillamente fare a meno. Dopo il furto della bicicletta, Antonio non ha il coraggio di confessare la verità a Maria (così come non
‘aveva confessata a Bruno, che però l'aveva intuita) e si ‘eca subito da Baiocco, senza tornare a casa. Alla fine
della conversazione tra Antonio e Baiocco, sopragriunge Maria, che ha saputo tutto da Bruno [seq. 18]. ANTONIO: Non cominciamo con le lagne. Non so’ venuto a casa apposta pe’ nun sentì lagne. MARIA: Lagne? E chi fa lagne, scusa? Non è mica ‘na noti-
zia de tutti i giorni. Hai fatto qualche cosa? L'hai cercata?
Mentre parla di lagne, Antonio lancia un'occhiata ronica a Baiocco, cercando di far valere il criterio della jolidarietà maschile, basata sulla forza virile, in con-
rapposizione alla - supposta - debolezza femminile. 81
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
Ma è evidente che si tratta di un tentativo patetico: chi fa le lagne — lo sappiamo — è Antonio, non Maria. E infatti la moglie, che non si fida per nulla del marito, gli domanda se abbia cercato la bicicletta: Maria ha perfettamente intuito che Antonio non è in grado di destreggiarsi in una situazione di quel tipo. Dopo la visita all'ufficio affissioni, Maria chiede ad Antonio di accompagnarla a fare una commissione, senza però spiegargli di che cosa si tratti [seq. 6]. MARIA: Anto’, che me fermi un momento
in via della
Paglia? ANTONIO: Che hai da fa? MARIA: Niente, se tratta de un momento: devo passà da
una che lavora.
Maria sa che il marito disapproverebbe la sua devozione per la Santona, così cerca di nascondergliela,
usando una formula vaga. Ma l’espressione «una che lavora» ha anche un altro significato: è un modo di sottolineare il fatto che le donne lavorano. Storicamente,
i due conflitti mondiali hanno visto una massiccia immissione di manodopera femminile sul mercato del lavoro; la vicenda di Ladri di biciclette si svolge nell’immediato dopoguerra e, in un paese distrutto, in cui gli uomini tornano avviliti dalla prigionia in Germania 0 da una guerra perduta, le donne rappresentano l'anello forte della comunità. Maria è conscia del proprio status e ne è orgogliosa. In questo senso, la visita di Antonio e Bruno dalla
Santona [seq. 30] rappresenta un'ulteriore conferma del potere muliebre. Non sapendo come fare per ritro82
IL BILDUNGSROMAN
DEL PICCOLO BRUNO
vare la bicicletta, Antonio si rivolge a una donna, e non a una donna qualunque, ma a una maga, che sembra
uscita da un libro di Bachofen. La Santona e il suo clan sono una vera e propria incarnazione del mito del matriarcato: la veggente dà udienza al suo popolo seduta in poltrona, circondata dalle figlie che le fanno da assistenti [fig. 12]. E, non a caso, quando sopraggiungono Antonio e Bruno, la Santona sta umiliando pubblicamente un povero giovane, che le confessa le sue pene d'amore. Prima la Santona cerca di fargli capire che deve corteggiare un’altra ragazza, perché questa non lo ricambia, poi gli dice apertamente: «Sei brutto, fijo mio». L'uomo - il quale ha alle spalle una vecchia: è letteralmente circondato dalle donne — piagnucola un po’, paga e va via. Come abbiamo visto, nel suo colloquio con la Santona, Antonio sarà altrettanto patetico. Come Antonio chiede aiuto alla Santona, così il ladro, inseguito da Antonio, si rifugia nel bordello: di nuovo
uno
spazio esclusivamente
femminile,
in cui
l’uomo cerca protezione [seq. 31]. Il ladro, per sottrarsi alla cattura, si nasconde
tra le prostitute, che stanno
pranzando. Antonio riesce a portarlo fuori dal postribolo e a farsi condurre sino al suo domicilio, ma esplode l’alterco con i vicini [seq. 32]. La madre del ladro si affaccia alla finestra e grida al figlio di salire in casa, come se si trattasse di un bambino che si picchia con un altro ragazzo: «Ma che vò ‘sto gran farabbutto? Alfre’, viè su!». Nel corso del litigio, il ladro viene colto da un attacco epilettico e cade a terra. A questo punto la donna scende in strada, con un cuscino da mettere sotto la testa del figlio, esternando la sua angoscia e il suo odio
per Antonio: «Mannatelo via si no l’ammazzo, manna83
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
telo via si no l’ammazzo. Figlio mio, anima benedetta de mamma tua!». La madre del ladro, urlante e nero vestita, è lo stereotipo della mamma meridionale. E sarà lei,
nella seconda parte della scena, a tenere testa ad Antonio e al carabiniere, poiché il figlio è troppo debole (o si finge tale) per alzarsi. La donna, per nulla intimorita, accompagna Antonio e il carabiniere nel suo misero appartamento, in cui — spiega — vivono in quattro, di cui l’unico uomo è il ladro. Il ladro, insomma, è cresciuto in .
mezzo alle donne ed è sempre bisognoso del loro soccorso, sia esso fornito dalle prostitute o dalla madre. Dunque, Antonio e il ladro sono accomunati dallo
stesso destino: non solo sono costretti a rubare a causa
della miseria e della disoccupazione (da qui il plurale del titolo del film), ma sono anche entrambi uomini
fragili, soggetti al potere matriarcale. Ladri di biciclette . — come tutti i film di De Sica del periodo — è un film urbano, lontano dalla vocazione rurale di tanto cinema
neorealista.’ Ma tra le pieghe delle storia, attraverso la presenza di alcune figure di donna, emerge una cultura pre-moderna,
incentrata
sul mito della Grande
Madre. Forse è anche per questa dimensione mediterranea del testo, che l’opera di De Sica ha avuto — e ha — così tanto successo all’estero. Per lo spettatore straniero — soprattutto per quello dei paesi protestanti — questi personaggi femminili, appartenenti a un mondo arcaico, hanno indubbiamente un forte fascino esotico.
' Circa il rapporto tra Antonio e Bruno, le pagine scritte da Bazin sono — ancora una volta — tra le più acute della bibliografia | 84
4
IL BILDUNGSROMAN
DEL PICCOLO BRUNO
su De Sica. Cfr. André Bazin, «Ladri di biciclette», in A. Bazin,
Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano 1986, pp. 309-311. Giorgio Barberi Squarotti ha scritto che, nei film neorealisti di
De Sica, se da un lato si riscontra una forte autonomia rispetto alle fonti letterarie, dall'altro è individuabile la presenza di
modelli narrativi canonici, come appunto la quéte in Ladri di biciclette. Cfr. G. Barberi Squarotti, Un cinema non letterario, «Bianco e Nero», settembre-dicembre 1975, numero speciale
su Vittorio De Sica, a cura di Orio Caldiron, pp. 106-108. ° Peraltro, nella prima stesura della sceneggiatura, la parte sul pedofilo era più ampia (e più esplicita): questi portava Bruno dietro a un chioschetto in costruzione, ma il bambino riusciva a
scappare. Cfr. Pio Baldelli, Ancora qualche parola a proposito di «Ladri di biciclette», «Rivista del cinema italiano», n. 5-6, mag-
gio-giugno 1954, pp. 15-30. ‘Cfr. Lino Micciché, Una cognizione del dolore, in L. Micciché (a cura di), «Sciuscià» di Vittorio De Sica. Letture, documenti, testi-
monianze, Lindau, Torino 1994, pp. 49-60. °Guglielmo Moneti, Ladri di biciclette, in L. Micciché (a cura di), De Sica. Autore, regista, attore, Marsilio, Venezia 1992, p. 269. °Luigi Comencini, Li capiva, «Bianco e Nero», settembre-dicembre 1975, cit., p. 123. 7 Cfr. Franco La Polla, La città e lo spazio, «Bianco e Nero», settembre-dicembre 1975, cit., pp. 66-83.
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La classe operaia va alla partita
Oggi la benzina è rincarata È l'estate del ‘46 Un litro vale un chilo di insalata Ma chi ci rinuncia?
A piedi chi va? Ah, l'auto che comodità.
P. Conte, La Topolino amaranto
Nel delineare i tratti di fondo del romanzo realista, Erich Auerbach individua due elementi chiave:
A nostro modo di vedere le basi del realismo moderno sono da un lato la trattazione seria della realtà quotidiana, e il fatto che ceti sociali più estesi e socialmente
inferiori siano assurti a oggetti d'una raffigurazione problematico-esistenziale,
dall'altro lato l'inserimento
di persone e di avvenimenti qualsiasi e d'ogni giorno nel filone della storia contemporanea, del movimentato sfondo storico. ! 87
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
In Ladri di biciclette, troviamo sia la trattazione seria
della realtà quotidiana, sia il movimentato sfondo storico. La vicenda di Antonio Ricci che cerca invano la sua bicicletta — una vicenda banale che assume i toni di una
grande tragedia — è inserita all’interno di un preciso contesto storico-sociale. De Sica è sempre molto discreto, procede per accenni e allusioni, ma nel film troviamo tutti i personaggi, i feticci, le situazioni topiche dell’Italia del dopoguerra: la cellula del PCI, la messa delle dame di carità, le camionette della Celere, la partita di cal-
cio. Per molti versi, Ladri di biciclette è il film del 1948.
La storia di Ladri di biciclette è la storia di un tentativo mancato di ascesa sociale. Subito dopo il colloquio con il capufficio, Antonio spiega a Maria quanto potrà guadagnare: «La quindicina è bona: 6.000. Più l’assegni familiari, e poi ce scappa pure lo straordinario. Daije Marì» [seq. 6]. Antonio indossa il vestito buono, non l’a-
bito logoro che porta nella scena d'apertura e durante la ricerca domenicale. Antonio, sicuro di sé, sembra un
altro uomo rispetto all'individuo che si era presentato umilmente davanti all'impiegato del collocamento. L'inquadratura di Antonio e Maria, sorridenti, accanto
alla bicicletta [fig. 13], è una perfetta rappresentazione delle speranze dell’Italia della ricostruzione post-bellica: la famiglia Ricci sta per lasciarsi alle spalle la miseria. Ma già in questa scena intuiamo che i loro sforzi saranno inutili. Antonio solleva Maria all'altezza della grande finestra dell'ufficio affissioni, per farle vedere l'interno, e immediatamente qualcuno chiude gli scuri
in faccia alla donna: per Antonio e Maria, quello di un posto di lavoro, grazie al quale migliorare la loro di88
LA CLASSE OPERAIA VA ALLA PARTITA
sperata condizione economica, è un sogno irrealizzabile, una fortuna che tocca soltanto agli altri, quelli che stanno dall'altra parte della finestra. Nel corso della lotta di Antonio per ottenere e conservare un impiego, i mezzi di trasporto assumono un'’esplicita valenza simbolica. La bicicletta è lo strumento della mobilità sociale, l'oggetto magico grazie al quale Antonio Ricci può ritrovare la dignità perduta in due anni di logorante disoccupazione. Nella sequenza 9 Antonio accompagna Bruno alla pompa di benzina e poi si reca al lavoro: l’uomo pedala felice, la musica esprime l’idea della speranza del personaggio in un futuro migliore per sé e per la propria famiglia. Non è un caso che il nome della marca della bicicletta di Antonio sia Fides: fiducia è la parola d'ordine del processo di rinascita del paese, dopo il disastro della guerra.
Di contro, l'autobus,
sempre
traboccante
di
passeggeri urlanti, è il segno della sconfitta. Quando, dopo il furto, Antonio è costretto a tornare da Bruno con un mezzo pubblico [seq. 15], egli riesce a stento a entrare nella vettura, piena sino all'inverosimile.
La
costrizione fisica propria del viaggio in autobus è antitetica alla libertà di movimento - nello spazio, ma anche, metaforicamente,
lungo la scala sociale — offerta
dalla bicicletta. Per il protagonista, prendere l'autobus significa essere riassorbito in quella folla anonima e disperata da cui si era illuso di emergere. Ladri di biciclette racconta una storia ambientata nel
dopoguerra, una storia che tocca i problemi quotidiani del pubblico del 1948. Secondo la nota definizione di Bazin, mentre Rossellini, con Paisà e Germania anno zero, 89
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
si occupa ancora della guerra, «De Sica e Zavattini hanno fatto passare il neorealismo dalla Resistenza alla Rivoluzione».? Ma nonostante la forte attualità dell’opera di De Sica, nel testo è reperibile, in maniera
netta, il ricordo del conflitto. Diversi personaggi indossano copricapi militari: il disoccupato che va a chiamare Antonio nella sequenza d'apertura ha un berretto italiano; il ladro indossa il berretto da campo dell'esercito
tedesco; uno
dei vicini del ladro porta
una bustina, sempre tedesca. Si tratta di dettagli che non potevano sfuggire allo spettatore del 1948 e che vengono esplicitamente sottolineati: nel corso dell’alterco della sequenza 32, Antonio dice di aver riconosciuto il ladro dal berretto tedesco, e il vicino di casa,
esibendo la propria bustina, gli risponde che anche lui ne ha uno, in modo da inficiare la prova di colpevolezza addotta dal protagonista. L'occupazione di Roma è terminata da pochi anni e la città è piena di souvenirs della Wehrmacht. D'altra parte, l’orchestrina che suona
Tammurriata nera ricorda agli avventori del ristorante [seq. 29] che la guerra è finita, ma che le sue conseguenze sono ancora visibili, come i figli meticci delle prostitute napoletane. Ma forse la memoria della guerra, in Ladri di biciclette, è presente anche a un altro livello, più profondo e più oscuro. Il tema della fragilità della patria potestas, che abbiamo analizzato nel capitolo precedente, potrebbe infatti essere legato proprio al secondo conflitto mondiale e alla caduta del fascismo. In una relazione su Evasione (Douce, 1943) di Autant-Lara, tenuta a un
convegno del 1993, Noél Burch ha proposto una suggestiva interpretazione del cinema francese del periodo 90
LA CLASSE OPERAIA VA ALLA PARTITA
dell’Occupazione. ® Lo studioso americano sostiene che il discredito in cui cadde il gruppo di anziani uomini politici che guidavano la Francia degli anni ‘30, causato dalla sconfitta del 1940, si sia tradotto in un
discredito generalizzato dell'istituzione patriarcale (lo stesso Petain — il patriarca per antonomasia - sarebbe stato visto soltanto come un povero vecchio, prigioniero dei tedeschi). Secondo Burch, è possibile trovare traccia di questo fenomeno nei film di Vichy, dove le figure paterne sono prive di forza, schiacciate da personaggi femminili volitivi. Le letture psicanalitico-sociologiche dei testi cinematografici — da Kracauer ai cultural studies —- hanno spesso un grande fascino, ma sono anche fragili, tanto sul piano epistemologico, quanto su quello storiografico. Un'applicazione bruta delle categorie psicanalitiche alla storia sociale è un'operazione quanto meno discutibile, così come
l’idea che il cinema
sia, sic et
simpliciter, uno specchio delle pulsioni collettive. Ma, prescindendo da queste (e altre) questioni metodologiche preliminari, e utilizzando con Ladri di biciclette l'approccio impiegato da Burch con il cinema francese, si ottengono dei risultati interessanti (anche se, certo, da verificare ulteriormente). La debolezza di Antonio,
in quanto padre e marito, e la presenza di una forte dimensione matriarcale, in Ladri di biciclette, possono
essere ricondotte alla condizione di prostrazione degli uomini ritornati da una guerra perduta e dalla prigionia in Germania (anche se il film non ci dice nulla sul-
l’esperienza bellica del protagonista). La natura del rapporto tra Antonio e Maria, caratterizzato da una sostanziale inversione dei ruoli, può essere interpre91
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
tata come metafora dell’accresciuto potere dalle donne italiane nella seconda metà degli anni ‘40 (l'aumento delle possibilità occupazionali durante il conflitto, la partecipazione alla Resistenza, la conquista del diritto di voto nel 1946). In termini psicanalitici, la fucilazione
di Mussolini è l'uccisione del Padre. La società italiana dell’'immediato dopoguerra è una società che ha perduto il padre-padrone; e di questa perdita è segno, appunto, la relazione tra Antonio, Maria e Bruno, in
cui gli elementi attivi della famiglia sono il bambino e la donna, mentre l’uomo è passivo (o la sua azione risulta inefficace).
In Ladri di biciclette, dunque, quello della guerra è un ricordo ancora molto vivo. Ma si tratta comunque
di un ricordo: la lotta del protagonista per migliorare la propria condizione economica avviene sullo sfondo di un paese che ormai si sta avviando verso la ricostruzione. Ed è proprio questo a rendere ancora più amara la vicenda di Antonio Ricci. I protagonisti di Sciuscià — che è ambientato quando il conflitto è ancora in corso — si muovevano nel contesto di una nazione in cui erano saltate tutte le regole della convivenza sociale, una nazione in cui un’esistenza basata sul furto e
sull’elemosina era tutt'altro che anomala. Ma l’Italia di Ladri di biciclette, di pochi anni posteriore a quella di Sciuscià, è un’altra cosa: certamente ci sono i disoccu-
pati e i mendicanti che sopravvivono con i pasti offerti dalle dame di carità, ma c'è anche la gente che, la domenica, ha il tempo e il denaro per andare allo stadio. E di questa Italia del 1948, in Ladri di biciclette, ri-
troviamo i miti, le ossessioni, i feticci. 92
LA CLASSE OPERAIA VA ALLA PARTITA
Come
abbiamo
già osservato,
Antonio
Ricci, un
proletario disoccupato, è presumibilmente comunista, o quanto meno un compagno di strada. A questo proposito, è indicativa la reazione violenta di Antonio quan-
do la moglie lo paragona a un poliziotto [seq. 8], così come il fatto che egli vada a cercare l’amico Baiocco alla cellula del PCI [seq. 18]. L'episodio della riunione della cellula è molto breve, ma contiene tutti gli stereotipi della militanza comunista degli anni ‘40: la stanzetta angusta e fumosa, la piccola folla che si accalca attorno all’oratore, le formule della retorica politica («Il sussidio umilia il lavoratore»), il richiamo alla
linea del gruppo dirigente. Il funzionario del Partito, per rafforzare le proprie argomentazioni, fa riferimento al discorso sentito al comizio: «Qui ce vole un grosso programma de opere pubbliche; e, in fondo, anche 0ggi al comizio che cosa hanno detto? La stessa cosa». Il comizio in questione, con tutta probabilità, è lo
stesso comizio dove si reca il brigadiere che raccoglie la denuncia di Antonio [seq. 14]. La scena del commissariato inizia con Antonio seduto di fronte alla scrivania del poliziotto, che sta ascoltando annoiato il
racconto del furto della bicicletta. Dopo poco, il brigadiere, chiamato da una voce fuori campo, si alza e va alla finestra che dà sul cortile: vediamo tre camionette del Nucleo Celere, colme di agenti con l’elmetto,
che stanno partendo [fig. 14]. L'ufficiale che guida la squadra grida al brigadiere che gli ordini sono cam. biati: «Capete va al Tiburtino e tu e Quadroni al comizio!». Con un'unica inquadratura - il movimento di macchina che segue il funzionario di polizia, per andare a scoprire le automobili della Celere — e poche 98
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
battute di dialogo, il film ci dà l’immagine di un’inte-
ra epoca: i comizi del PCI, la quotidianità degli scontri di piazza tra operai e poliziotti, una società spaccata in due blocchi contrapposti. La camionetta della Celere è una vera e propria icona della vita politica italiana del dopoguerra: «Nelle memorie popolari del periodo, la malfamata Celere di Scelba — scrive lo storico Paul Ginsborg - si sarebbe costruita un posto tutto per sé» ‘. Dopo la polizia, Antonio incontrerà anche gli altri avversari delle forze di sinistra: il clero e la borghesia. Nella sequenza di Porta Portese [22], Antonio e Bruno
si riparano dal temporale sotto un cornicione; sopraggiunge un gruppo di seminaristi (uno dei quali è interpretato da un giovanissimo Sergio Leone)?, che conversano tra loro in tedesco. La guerra è terminata da pochi anni, per cui il messaggio è chiarissimo: i preti sono il nemico. E l’anticlericalismo trionfa nell’episodio della messa dei poveri [seq. 25], che non a caso fu una delle parti del film che maggiormente indignò la stampa cattolica. In questa scena, distinti avvocati e signore con tailleur e cappellino fanno la barba ai poveri e offrono pasti caldi.° Si tratta di una carità ipocrita e farisaica: i ricchi apparentemente
si umiliano, facendo i barbieri, ma continuano a trattare i poveri con il disprezzo di sempre. La distribuzione del cibo,
che avviene soltanto dopo la messa, è un'arma di ricatto per costringere i miserabili a cantare le lodi dell’Altissimo. È chiaro che l'elegante signore in completo scuro, che guida la preghiera e parla di «ripercorrere le strade del dolore e della privazione», non sa assolutamente nulla della privazione. 94
LA CLASSE OPERAIA VA ALLA PARTITA
In questo senso, le udienze della Santona rappresentano un capovolgimento dei rapporti di forza della messa dei poveri. Se nella chiesa i poveri sono letteralmente ostaggio dei ricchi, nella casa della Santona le signore borghesi e il maresciallo dei carabinieri fanno la fila insieme agli abitanti delle borgate [seqq. 7 e 30], per ottenere un colloquio con la veggente, una donna del popolo, che trattano con grande deferenza. Ma, in Ladri di biciclette, il luogo dello scontro di
classe è il ristorante, dove si fermano a pranzare i protagonisti [seq. 29]. Antonio e Bruno sono seduti, il cameriere è venuto a prendere le ordinazioni, e Bruno osserva con invidia il bambino del tavolo dei ricchi, il
quale sta facendo i fili con la mozzarella in carrozza. «Vuoi una mozzarella in carrozza pure te?», chiede Antonio al figlio, che accetta l'offerta con gioia. Bruno sorride: anche lui sta per mangiare la mozzarella in carrozza; in qualche modo, mangiare la stessa pietanza significa cancellare le differenze sociali. Bruno si volta
verso
il coetaneo,
che
risponde
con
uno
sguardo altezzoso: dalla sicumera dell’odioso bambino borghese capiamo che questa via gastronomica al socialismo è condannata al fallimento. Quando Bruno
inizia a mangiare e si gira nuovamente, per mostrare al rivale che anche lui fa ifili con la mozzarella [fig. 15], i ricchi stanno già passando a un’altra portata: sopraggiungono due camerieri, che recano il dessert e una bottiglia di spumante. Bruno osserva umiliato la scena, mentre il bambino ricco gli lancia un'ultima occhiata sprezzante [fig. 16]. L'incolmabile disparità
7.
che divide Antonio e Bruno dai loro vicini di tavolo viene sottolineata apertamente da Antonio: «Pe' ma95
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
gnà come quelli lì, poco poco, bisognerebbe guadagnà un milione al mese».
Il pellegrinaggio di Antonio e Bruno per le strade di Roma è un viaggio attraverso la società italiana dell'immediato dopoguerra, una società che vive un vio-
lento antagonismo tra partiti, classi, culture, un anta-
gonismo di cui il testo dà pienamente conto, ma sempre con discrezione e ironia. Il confronto tra Bruno e il bambino
ricco è, certamente, metafora dello scontro
tra classe operaia e borghesia, ma è anche soltanto una gara tra bambini. E l’Italia di Ladri di biciclette non è esclusivamente quella delle elezioni del 18 aprile e dell'attentato a Togliatti: quelli sono anche gli anni del Grande Torino, di Bartali e Coppi, della passione di massa per il cinema. In Ladri di biciclette ritroviamo i grandi miti popolari dell’Italia post-bellica. In primo luogo, il calcio: abbiamo visto come la seconda parte del film — che si conclude proprio davanti allo stadio — sia attraversata dal tema della partita. Il ciclismo: la gara dilettantistica che passa davanti ad Antonio e Bruno, nella sequenza di chiusura. Il cinema: Antonio, nel suo unico giorno di lavoro, affig-
ge i manifesti di un film con Rita Hayworth.” In questo prospettiva, la scena in cui Antonio va a cercare Baiocco [seq. 18] è una rappresentazione delle differenti forme che assume la speranza delle classi lavoratrici in una possibile evasione dalla povertà. Nel grande scantinato, da un lato c'è la riunione della cellula del PCI, dall'altra si svolgono le prove della filodrammatica, che tenta di mettere in scena una piccola
rivista. Lo spettacolo — quello subìto come membro del 96
LA CLASSE OPERAIA VA ALLA PARTITA
pubblico, ma anche quello agito come attore amatoriale — assurge a via di fuga dallo squallore quotidiano: Bellissima (1951) è dietro l'angolo. La liberazione passa attraverso il Partito e/o attraverso lo Schermo. Non a caso, terminata la riunione, i militanti vanno ad assi-
stere alle prove: gli abitanti delle borgate sono divisi tra il carisma di Togliatti e quello di Rita Hayworth (o di Amedeo Nazzari). Dunque, in Ladri di biciclette ci sono la fame e la disoccupazione, ma c'è anche una società che sta risor-
gendo dalle ceneri della guerra. E allora, il fatto che Antonio, in quanto disoccupato, sia in bilico tra il proletariato e il sottoproletariato, non è soltanto espressione del rifiuto, da parte di De Sica, di una prospettiva rigidamente marxista (di socialismo piccolo-borghese, avrebbe detto la critica engagée degli anni ‘70): la marginalità di Antonio è anche segno della consapevolezza, da parte dell'autore, dei limiti dell’opera di ricostruzione. Gli eroi di De Sica — oltre ad Antonio Ricci,
anche i barboni di Miracolo a Milano e il pensionato di Umberto D. — sono personaggi destinati a rimanere ai bordi di quel processo di modernizzazione che di lì a pochi anni, seppure in forme diverse, investirà tanto la borghesia, quanto la classe operaia. In quest'ottica, si può reperire un’affinità di fondo tra De Sica e Pasolini, uniti dall’attenzione verso gli esclusi tra gli esclusi, i disperati eternamente ostaggio della propria miseria, incapaci di organizzarsi in Classe o Partito, privi di qualunque possibilità di riscatto. D'altra parte, la dimensione arcaico-mediterranea
di Ladri di biciclette, che
gravita attorno alla figura della Santona, è profonda97
mente in sintonia con l’opera pasoliniana. Con tutte le differenze che separano i due film, la passeggiata di Antonio e Bruno attraverso Roma non è poi così lontana da quella di Totò e Ninetto Davoli in Uccellacci e uccellini (1966).
l Erich Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, vol. II, Einaudi, Torino 1995, p. 267.
2 André Bazin, «Ladri di biciclette», in A. Bazin, Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano 1986, p. 309.
®Si tratta del XII Convegno internazionale di studi sul cinema e gli audiovisivi, dal titolo L'analisi del film: esempi a confronto, tenutosi a Urbino nel luglio del 1993. 4 Paul Ginsborg, Storia d'Italia dal dopoguerra a oggi. Società e politica 1943-1988, Einaudi, Torino 1989, p. 148. ° Cfr. Franca Faldini - Goffredo Fofi (a cura di), L'avventurosa storia del cinema italiano raccontata dai suoi protagonisti, 1935-1959, Feltrinelli, Milano 1979, pp. 135-136.
°Per una descrizione dell’autentica messa dei poveri, visitata da De Sica e Zavattini durante il lavoro di sceneggiatura, cfr. Cesare Zavattini, Diario cinematografico, Bompiani, Milano 1979, pp. 49-51. Sulla presenza, in chiave ironica, di rimandi al cinema hol-
lywoodiano (oltre al poster di Rita Hayworth ve ne sono altri, come la fotografia di Clark Gable nella sala da pranzo della casa di tolleranza), cfr. Kristin Thompson,
Breaking the Glass
Armor. Neoformalist Film Analysis, Princeton University Press,
Princeton (New Jersey) 1988, pp. 214-215.
98
Antologia critica
Tutta la carriera di De Sica ci rivela di lui uno di quegli uomini che, raggiunto un successo, non si adagiano in esso comodamente, ma continuano a lavorare,
a studiare, a migliorare. Pur avendo le proprie radici in un mondo ch'è passato, il mondo di cinquant'anni fa,
riesce tuttavia a vederne e sentirne le contraddizioni e le ingiustizie; e, se anche non sa ancora dirci la parola
nuova, né additare la soluzione, comprende però sino in fondo la disperata tragedia della vita di oggi e intuisce le forze su cui può fondarsi la speranza di domani. Il dramma di Sciuscià si concludeva in una atmosfera senza luce. Anche la fine di questo Ladri di biciclette è lontana da ogni allegro ottimismo: ché l’oppresso non riesce a trionfare né a ottenere
giustizia, ma
solo, a
stento, a salvare se stesso. E tuttavia negli occhi grandi e tristi del piccolo Bruno la condanna di una società,
che non rispetta neppure l'infanzia, pare illuminarsi d’una remota speranza. La vicenda è semplice. Un disoccupato vien finalmente assunto come attacchino municipale; gli occorre po
99
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
per questo la bicicletta; l’ha impegnata e deve, per riaverla, impegnare invece le lenzuola; ma, appena iniziato il nuovo lavoro, un ladruncolo gliela ruba. La sua angoscia si infrange contro il disinteresse, l’egoismo di tutti: per la strada nessuno l’aiuta a rincorrere il ladro; al Commissariato son troppo occupati a disperder comizi per mettersi a cercare l’autore di un furto. Da solo dunque, col piccolo figlio Bruno — un bimbo di sei anni in cui De Sica ha saputo scoprire un meraviglioso interprete — inizia quindi le ricerche. È una domenica qualunque dell'estate romana tra acquazzoni e schiarite. E la ricerca si fa sempre più ansiosa, più disperata. Finché, nei pressi dello stadio, dove sta terminando la partita, il poveretto, spinto dalla disperazione, salta su una bicicletta incustodita. È visto, inse-
guito, preso. E l'atto inconsulto potrebbe essergli fatale se il proprietario della bicicletta, operaio anch'egli, non riconoscesse in lui, con un solo sguardo, un com-
pagno e, intuendone il dramma, non gli perdonasse, rinunciando a denunciarlo. Il film ci dà una rappresentazione della vita di tutti i giorni, il cui contrasto con le mirabolanti imprese dei divi che siamo abituati a veder sullo schermo, sor-
prende, lasciandoci persino un po’ perplessi in attesa del punto conclusivo, della tragedia finale. E invece proprio alla fine convince, conquista, giustifica e spiega quel che precede: perché vien toccata, raggiunta una realtà umana; e la realtà non è sempre eroismo, grande dramma o grande felicità; per molti non è che una tra-
gedia lenta e continua, ma senza nulla di spettacoloso o di grandioso. Per questo il film è vero e pieno di grande e profonda poesia; ed è un film realista, non perché gi100
ANTOLOGIA CRITICA
rato in esterni con attori non professionisti, ma perché ricco di verità umana; perché illumina quello che è il problema fondamentale di oggi e nella istintiva solidarietà degli oppressi scorge l’unica difesa contro una società egoista e l’unica possibilità di speranza. Paolo Gobetti, «L'Unità», 26/11/1948.
È un buon film o no? Sotto vari aspetti è un film riuscito specie se lo guardate dal punto di vista della recitazione di non attori, della sceneggiatura, della fotografia. È un film non riuscito se lo giudicate dal soggetto, dal punto di vista spettacolo. Perché ad un tratto voi vi chiedete cosa mai ha voluto dire oltre al fatto di aver inteso trattare un argomento sociale a sfondo comunistoide. Il tutto si salva per il fatto di essere De Sica il miglior regista italiano e se non fosse afflitto da milioni e da pseudo comunismo le cose andrebbero veramente bene. Il lavoro si segue bene e se avesse avuto un soggetto più consistente, più narrativo, si sarebbero evitate tante lungaggini che non giovano. Alcune scene, come quella della santona, calcata dal punto di vista religioso, e quella della casa di tolleranza, sono volute e
stupide. De Sica è soggetto ai suoi bisogni corporali giornalmente, almeno così ci auguriamo; ma non per questo vorremmo vedere particolari momenti riprodotti sullo schermo. Abbiamo cominciato con gli orinatoi all'aperto (L'ultimo amore), siamo passati poi ai cessi di Castellani ed ora alle case di tolleranza. No,
signori, andateci se volete, ma non costringete noi a A
101
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
vederle. Non è verismo, è un miscuglio di idiozia dovuto alla ricerca di un verismo che non è tale. E. F., «Intermezzo», n. 23/24, 15-31/12/1948.
Ladri di biciclette è certamente da dieci anni ad oggi il solo film comunista valido, appunto perché conserva un senso anche se si astrae dal suo significato sociale. Il suo messaggio sociale non viene esposto, resta immanente all'’avvenimento, ma è chiaro che nessuno
può
ignorarlo e ancor meno ricusarlo poiché non è mai esplicito come messaggio. La tesi implicata è di una meravigliosa e atroce semplicità: nel mondo in cui vive questo operaio, i poveri, per sussistere, devono derubarsi fra di loro. Ma questa tesi non è mai posta come tale, il concatenamento degli avvenimenti è sempre di una verosimiglianza insieme rigorosa e aneddotica. [...] Un film di propaganda cercherebbe di dimostrarci che l’operaio non può ritrovare la sua bicicletta e che è necessariamente preso nel cerchio infernale della sua povertà. De Sica si limita a mostrarci che l'operaio può non ritrovare la sua bicicletta e che perciò tornerà senza dubbio ad essere disoccupato. André Bazin, «Esprit», novembre 1949.
Tutte le strade sembrano ugualmente chiuse a Ricci. Dopo che la polizia gli ha detto che può aiutarlo soltanto se trova la bicicletta da sé, egli va a cercare il suo
amico Baiocco. Prima, interrompe la riunione di una 102
ANTOLOGIA
CRITICA
cellula del Partito comunista per chiedere di Baiocco, ma viene zittito dall’oratore. Poi, Baiocco e i suoi amici
spazzini lo aiutano nella ricerca, nei mercati delle biciclette, ma non vengono a capo di nulla. Alla fine, la
carità dei borghesi nella scena della chiesa appare arrogante e superficiale: neanche loro hanno alcun interesse a risolvere uno specifico problema personale. L'opera di beneficenza rappresenta la principale istituzione sociale che, nel film, si proponga come alterna-
tiva al Partito comunista, e nessuna delle due appare particolarmente attraente. De Sica mette esplicitamente in relazione queste due istituzioni: il ricco avvocato, che guida la preghiera, lancia un'occhiata stizzita verso
Antonio, il quale parla troppo forte, così come l'oratore comunista aveva detto ad Antonio di tacere, nella scena
della cellula. [...] De Sica sceglie di concentrare la propria atten-
zione su un avvenimento legato alla disoccupazione, uno dei principali problemi dell’Italia post-bellica. Oltre a rifiutare lo Stato, il Partito comunista, e la carità
dei ricchi come possibili soluzioni, De Sica mostra che anche l’azione individuale non offre molta speranza. Proprio perché il caso e la coincidenza hanno una così grande importanza nella catena causale del racconto, le situazioni in cui si trovano i personaggi sembrano dipendere fondamentalmente dalla fortuna — e la fortuna in questa società sembra essere tendenzialmente cattiva. L'ideologia del film, quindi, più che comunista, sembra essere una visione liberale, umanista,
che evita di attribuire la responsabilità della situazione a tutti, in maniera indiscriminata, ma, nello stesso tem-
po, considera problematiche le potenziali soluzioni. In i
103
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definitiva, questa visione equilibrata, razionale, uma-
nista, contribuisce all’impressione di realismo del film. Kristin Thompson, Breaking the Glass Armor. Neoformalist Film Analysis, Princeton University Press, Princeton (New Jersey) 1988.
I primi due articoli sono tratti dalla rassegna stampa di Ladri di biciclette compresa in AA.VV., Neorealismo D.O.C. I film del 1948, Archivio
Nazionale
Torino 1995, pp. 92-101.
104
Cinematografico
della Resistenza,
Bibliografia
Il soggetto di Ladri di biciclette è pubblicato in Cesare Zavattini, Diario cinematografico, Bompiani, Milano 1979, pp. 54-58;
mentre la sceneggiatura desunta (piuttosto liberamente) è
stata pubblicata da Ernesto G. Laura: Ladri di biciclette, Radar, Padova 1969. Dello script esistono anche una traduzione inglese (Vittorio De Sica, Bicycle Thieves, Faber and Faber, London/Boston
1994) e una francese (Vittorio De Sica, Le vo-
leur de bicyclette, «L'Avant-Scène du Cinéma», n. 76, dicembre
1967). La presente bibliografia riporta soltanto i contributi principali su De Sica e Ladri di Biciclette; per brevità, non abbiamo inserito diversi articoli apparsi su rivista, attualmente compresi in alcuni dei volumi da noi citati. Per una bibliografia completa cfr. Lino Micciché (a cura di), De Sica. Autore, regista, attore, Marsilio, Venezia 1992, pp. 435-472.
L'HERBIER M., Rivoluzione della verità, «Cinema», 15 giugno 1949, p. 494. CARANCINI G., Ricci, Bruno e la bicicletta, «Cinema»,
15 giu-
gno 1949, pp. 495-497. 105
VITTORIO DE SICA. LADRI DI BICICLETTE
BAZIN A., Vittorio De Sica, Guanda, Parma 1953.
CHIARINI L., Il film nella battaglia delle idee, Fratelli Bocca Editori, Milano /Roma 1954.
BALDELLI P., Ancora qualche parola a proposito di «Ladri di biciclette», «Rivista del Cinema Italiano», n. 5-6, maggio-giugno 1954, pp. 15-30. AGEL H., Vittorio De Sica, Editions Universitaires, Paris 1955.
FERRARA G., Il nuovo cinema italiano, Le Monnier, Firenze 1957. PELZER H., Vittorio De Sica, Henschenverlag, Berlin 1964.
«Etudes cinématographiques», n. 32-35, estate 1964 (numero monografico dedicato al neorealismo). LEPROHON P., Vittorio De Sica, Seghers, Paris 1966. LAURA E. G., Ladri di biciclette, Radar, Padova 1969. Oltre alla
sceneggiatura desunta, il volume presenta anche un breve saggio sul film e un profilo del regista. BALDELLI P., Cinema dell'ambiguità. Rossellini, De Sica e Zavatti-
ni, Fellini, Samonà e Savelli, Roma 1969. BAZIN A., Che cosa è il cinema?, Garzanti, Milano 1973.
MICCICHEÉ L. (a cura di), Il neorealismo cinematografico italiano. Atti del convegno della X Mostra Internazionale del Nuovo Cinema, Marsilio, Venezia 1975.
ARISTARCO G. (a cura di), Antologia di «Cinema Nuovo», 19521958, vol. I, Guaraldi, Rimini/Firenze 1975. Il volume com-
prende i principali interventi critici di «Cinema Nuovo» su Ladri di biciclette e, più in generale, sul neorealismo.
«Bianco e Nero», settembre-dicembre 1975 (numero mono-
grafico dedicato a De Sica, a cura di Orio Caldiron). SORLIN P., Sociologia del cinema, Garzanti, Milano 1979.
ZAVATTINI C., Diario cinematografico, Bompiani, Milano 1979. ZAVATTINI C., Neorealismo ecc., Bompiani, Milano 1979.
FALDINI F. - FOFI G. (a cura di), L'avventurosa storia del cinema
italiano raccontata dai suoi protagonisti, 1935-1959, Feltrinelli, Milano 1979. 106
BIBLIOGRAFIA
PECORI F., Vittorio De Sica, La Nuova Italia, Firenze 1980.
THomprson K., Breaking the Glass Armor. Neoformalist Film Analysis, Princeton University Press, Princeton (New Jersey) 1988. ZAVATTINI C., Una, cento, mille lettere, Bompiani, Milano 1988. MICciCHÉ L. (a cura di), De Sica. Autore, regista, attore, Marsilio, Venezia 1992. BRUNETTA G. P., Storia del cinema italiano, vol. II: Dal neorealismo al miracolo economico, 1945-1959, Editori Riuniti, Roma 1993.
MiccicHÉ L. (a cura di), Sciuscià di Vittorio De Sica. Letture, documenti, testimonianze, Lindau, Torino 1994.
AA.VV., Neorealismo D.O.C. I film del 1948, Archivio Naziona-
le Cinematografico della Resistenza, Torino 1995. NUZZzI P. - IEMMA O. (a cura di), De Sica & Zavattini. Parliamo tanto di noi, Editori Riuniti, Roma 1997.
107
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Indice
PERO 9
Introduzione Uno, nessuno e centomila
15
L'espressione più pura del neorealismo
21
Il film
25
Le sequenze
09
Un realismo a orologeria
67
Il Bildungsroman del piccolo Bruno
87
La classe operaia va alla partita
90
Antologia critica
105
Bibliografia
Universale / Film Collana diretta da Giulia Carluccio e Dario Tomasi
G. Cremonini, Stanley Kubrick. L'arancia meccanica
F. Vanoye, Jean Renoir. La regola del gioco F. La Polla, Stanley Donen, Gene Kelly. Cantando sotto la pioggia D. Tomasi, Ozu Yasujiro. Viaggio a Tokio U. Mosca, Sam Peckinpah. Il mucchio selvaggio
E. Dagrada, Woody Allen. Manhattan A. Pezzotta, Martin Scorsese. Taxi Driver
Finito di stampare nel mese di ottobre 1997
da A4 Servizi Grafici s.n.c. - Chivasso
per conto di Lindau s.r.l.
Al momento della sua uscita, Ladri di biciclette riscosse ampi consensi nel mondo intellettuale: in un'intervista Pavese definì De Sica il più grande narratore italiano contemporaneo. Il film ebbe pure un discreto successo di pubblico, ma incontrò una fiera opposizione . da parte dell'opinione pubblica conservatrice. La stampa cattolica tacciò il soggetto di venature comunistoidi, attaccando il film per il suo aperto anticlericalismo e per la presenza di elementi giudicati immorali. All'estero fu subito accolto come un capolavoro: nel 1949, ottenne l’Academy Award
per il miglior film straniero e il Premio speciale della Giuria del Festival di Locarno. In un suo saggio, Bazin definì Ladri di biciclette come «l'espressione più pura del neorealismo I 1 il centro ideale intorno al quale gravitano entro bita particolare le opere degli altri grand = | Se questo giudizio può apparire eccessive bbio che Ladri di biciclette si presenti, oltre dt no dei momenti più alti della carriera d = anche come una sorta di tipo ideale del; ===
no,
anzi come il film neorealista per ecc ==
VIDON | annioni DI KQ‘nni
Giaime Alonge (Torino, 1968) è iscritto al Dottor = in Discipline dello Spettacolo, presso l'Universit = È autore della monografia su Apocalypse =
(Tra Saigon e Bayreuth. Apocalypse Now di } Coppi Torino 1993). Collabora con le riviste «Drammaturgia» e «L'Indice dei libri del ISBN
88-7180-175-X
175-X
Vittorio De Sica. Ladri di biciclette
Lire 15.000 € 7,75 Iva assolta dall'Editore
9
788871
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