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Italian Pages 159 [164] Year 1969
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F E D E R IC O
U B A L D IN I
VITA DI MONS. ANGELO COLOCCI EDIZIONE DEL TESTO ORIGINALE ITALIANO (BARB. LAT. 4882)
A CURA DI
V IT T O R IO
CITTÀ
DEL
FANELLI
VATICANO
BIBLIO TECA APOSTOLICA VATICANA 1969
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STUDI E TESTI 150. Cerulli, E. Il « Libro della Scala » e la que stione delle fonti arabo-spagnole della D i vina Commedia. 1949. pp. 574, 15 tav.
166-169. R ou ët de J ou m el, M. J., S. I. Noncia tures de Russie d’ après les documents authen tiques. 1522-52. vol. 4.
151. Diwan A b a tu r ... or Progress through thè Purgatories. Text with translation, notes and appendices by E. S. D row er. 1950. pp. vii, 45. Facs 650x24 cm.
170. M aier, A. Codices Burghesiani Bibliothecae Vaticanae. 1952. pp. vu, 496.
152. Loenertz, R . J., O. P. Correspondance de Manuel Calécas. 1950. pp. xii , 350. 153. Prete, S. Il Codice Bembino di Terenzio. 1950. pp. 110, 5 tav. 154. M ercati, G., card. Il frammento Maffeiano di Nestorio e la catena dei Salmi d’onde fu tratto. 1950. pp. [5 ], 40. 155. Blum , R . La biblioteca della Badia Fioren tina e i codici di Antonio Corbinelli, 1951. pp. x n , 190. 156. Cian, V . Un illustre nunzio pontificio del Rinascimento: Baldassar Castiglione. 1951. pp. xi, 340. 157. M ercati, A. pp. 119.
Dall’Archivio
Vaticano.
1951.
158. Mercati, G ., card. Alla ricerca dei nomi de gli « altri » traduttori nelle Omilie sui Salmi di s. Giovanni Crisostomo e variazioni su alcune catene del Salterio. 1952. pp. vili, 248, 10 tav. 159. Rossi, E. 11 « Kitab-i Dede Qo r q ut » ; rac conti epico-cavallereschi dei turchi Oguz tra dotti e annotati con « facsimile » del ms. Vat. turco 102. 1952. pp. 2, [364],
171. Franchi de’ Cavalieri, P. 1953. pp. 207, [1 ].
Constantiniana.
172. G raf, G. Geschichte der christlichen arabi schen Literatur. V . Bd. Register. 1953. pp. 1, 196. 173. H onigm ann, pp. vu, 255.
E.
Patristic
Studies.
1953.
174. Rossi, E. Elenco dei manoscritti turchi della Biblioteca Vaticana. 1953. pp. xxn, 416. 175. Franchi de’ Cavalieri, P. Note agiografiche. Fascicolo 9. 1953. pp. [5 ], 253. 176. T h e Haran Gawaita and The Baptism of Hibil-Ziwa ... translation, notes and commentary by E. S. D row er. 1953. pp. xi, 96. Facs. 177. Andren, F., C. R. Le lettere di s. Gaetano da Thiene. 1954. pp. xxxiv, 144, 3 tav. 178. M ercati, A. I costituti di N iccolò Franco (1568-1570) dinanzi l’ Inquisizione di Roma, esistenti nell’ Archivio Segreto Vaticano. 1955. PP- [2], 242. 179. Patzes, Μ. Μ. Κριτοϋ r ον Π ατζή Τιπούκειτος. Librorum LX Basilicorum summarium. Libros XXXIX-XLVIH edid. St. Hoerm ann et E. Seidl. 1955. pp. xxiv, 287. 180. Baur, C., O. S. B. Initia Patrum graecorum. V ol. I. A -A . 1955. pp. cxm [2 ], 661.
160. Pertusi, A. Costantino Porfirogenito: De thematibus. 1952. pp. xv, 210. 3 tav.
1 8 1 . ------- Vol. II. Μ -Ω . 1955. pp.
161. Rationes decim arum Italiae. Umbria, a cu ra di P. Sella. I. Testo. 1952. pp. [4], 916.
182. Gullotta, G. Gli antichi cataloghi e i codici della abbazia di Nonantola. 1955. pp. xxvm , 539.
1 6 2 . ------- II. Indice. Carta geogr. delle diocesi. 1952. p p . 204.
xlvi ,
720.
182-bis. Ruysschaert, J. Les manuscrits de l’ »hbaye de Nonantola. 1955. pp. 76.
163. M onneret de Villard, U. Le leggende orien tali sui Magi evangelici. 1952. pp. 262.
183. Devreesse, R . Les manuscrits grecs de l ’ Ita lie meridionale. 1955. pp. 67, 7 tav.
164. M ercati, G., card. Note per la storia di al cune biblioteche romane nei secoli xvi-xix . 1952. pp. [5 ], 190, 9 tav.
184. Biedl, A. Zur Textgeschichte des Laertios Diogenes. Das Grosse Exzerpt φ ... 1955. pp. 132, ili.
165. M iscellanea archivista A n gelo M ercati. 1952. pp. xxvii, 462. ant. (ritr.), 10 tav.
185. Tarchnisvili, M. Geschichte der kirchlichen georgischen Literatur ... 1955. pp. 540.
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I
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FE D E R IC V J V B /I L D I N V ,S
E X C O M IT IB V ^1 MONTI SVI CI atj ¿AC»COLLEGIJ ¿ECRE-
rPARTVrf ANTtfOMD C L V I I ·
ASTATI S 5 W £ A N N 'X E .v n *___ Abbiamo trovato questa curiosa immagine, che vorrebbe essere il ritratto dell’Ubaldini, a c. 57 del primo volume delle Carte Ubaldiniane nella Biblioteca Comunale di Jesi. Queste carte sono entrate recentemente nella Biblioteca e provengono dall’ archivio dei marchesi Colocci.
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VITA DI MONS. ANGELO COLOCCI EDIZIONE DEL TESTO ORIGINALE ITALIANO (BARB. LAT. 4882)
A CURA DI
V IT T O R IO
CITTÀ
DEL
FANELLI
VATICANO
BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA 1969
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P O L IG L O T T A V A T IC A N A
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PREMESSA
L ’idea di pubblicare la redazione della Vita del Colocci in ita liano è sorta in noi molti anni or sono, leggendo la corrispondenza tra Guido Vitaletti ed il marchese Adriano Colocci che, assieme a molte altre lettere, carte e qualche codice, è pervenuta nelle nostre mani per gentile concessione della marchesa Cristina Pini Colocci Vespucci alla quale esprimiamo qui ancora una volta la nostra gra titudine. Il Vitaletti aveva già annunziato il suo proposito di curare tale pubblicazione, quando un suo viaggio all’estero diede un’ altra direzione alla sua attività; oggi, dopo quasi mezzo secolo, si realizza il progetto dello studioso potuto utilizzare anche le Cod. Barber. lat. 4882, che tuto servirci inizialmente
nostro conterraneo, del quale abbiamo fatiche poiché egli s’era già trascritto il qui noi presentiamo; e noi abbiamo po di quella copia.
Nostra intenzione è di offrire agli studiosi del Colocci niente più che uno strumento di lavoro; e crediamo necessario spiegare chia ramente che cosa intendiamo dire. Studiare il Colocci non consiste in altro che dare un significato agli elenchi di vocaboli, alle postille, ai brevi frammenti che egli ha seminato dappertutto. Quelli che non lo conoscono credono di trovare nelle sue carte « opere » inedite già pronte per esser pubblicate, che non aspettano altro che l’edi tore; se fosse così semplice, questo lavoro sarebbe stato già fatto. Invece la fatica da compiere è ben diversa e richiede una solida preparazione filologica specifica nei vari campi delle lingue romanze, dell’italiano e anche del latino, preparazione che noi non abbiamo, e soprattutto una grande pazienza; tutto il resto è propedeutico e rimane sempre nel limbo della genericità, anche se può essere utile, allo scopo di una completa conoscenza, la ricostruzione della sua biblioteca, la storia esterna dei suoi codici, la scoperta delle fonti alle quali ha attinto e la sua biografia. Allo stato attuale rimane ancora un vastissimo campo da esplorare ed è molto difficile, se non addirittura impossibile, che qualcuno possa scrivere un libro defi nitivo sul Colocci, data la varietà e la vastità dei suoi interessi. Proporsi, ad esempio, la ricerca del valore del Colocci come latinista
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VI
Premessa
non consiste nella critica delle sue povere composizioni latine, ma nell’esame degli elenchi dei vocaboli tratti dai vari autori e delle postille scritte sui codici e sui libri a stampa; il discorso vale a m ag gior ragione per il francese e, anche se più complesso, per l’italiano e per le altre lingue romanze. Posta questa premessa, indicheremo alcuni criteri che ci hanno guidato nella compilazione delle note. Le notizie sugli umanisti amici del Colocci, o che con lui hanno avuto rapporti, non hanno la pretesa di essere né esaurienti né defi nitive; esse riguardano più che altro l’ ambiente ed i motivi che li hanno portati in contatto con lui e possono naturalmente sembrare unilaterali ed insufficienti. Abbiamo sempre cercato, per quanto ci è stato possibile, di evitare la ripetizione di quanto è stato già detto da noi o da altri. Così pure nell’ esame del contenuto dei codici tutto quello che diremo non sarà, purtroppo, completo e talvolta potrà sembrare addirittura insufficiente; chi conosce questo genere di fatica comprenderà e scuserà. Abbiamo dovuto necessariamente tralasciare molti personaggi che l’Ubaldini non nomina; se ci fossi mo messi a cercare tutti quelli che col Colocci hanno avuto rapporti avremmo dovuto fare un quadro del Rinascimento romano, o addi rittura italiano, nella prima metà del Cinquecento, un immenso eser cito di letterati sui quali i secoli hanno steso un velo di oblio più o meno meritato. Per notizie su Federico Ubaldini (1610-1657) ci sembra che, al meno per una sommaria ed iniziale conoscenza, sia sempre utile il lavoro di G u i d o V
it a l e t t i,
Federigo Ubaldini e Angelo Colocci in
« A tti e memorie della Deputazione di Storia patria per le Marche », ser. IV , voi. I, fase. I (Ancona 1924), pp. 53-73; a p. 62 è la « storia retrospettiva » della Vita che l’Ubaldini compilò in almeno quattro stesure, e cioè il Barber, lat. 4000, cc. 248 sgg., che noi giudichiamo il primo abbozzo e che porta la data del 1642; il Barber, lat. 4726, il Barber, lat. 4871 e il Barber, lat. 4882, che porta la data del 1653 e che si può con certezza giudicare la stesura definitiva. Sull’opera dell’Ubaldini nel campo degli studi provenzali crediamo sempre valido l ’articolo di S a n t o r r e
D
e b e n e d e t t i,
Tre secoli di studi
provenzali in « Provenza e Italia » a cura di V . C r e s c i n i (Firenze 1930), pp. 164-167. L ’incontro dell’Ubaldini con il nostro Colocci avvenne appunto nel corso dei suoi studi provenzali necessari ad illustrare i Documenti d'Amore di Francesco da Barberino, opera alla quale s’era accinto per esortazione di Urbano V i l i e del ni pote, il card. Francesco Barberini, che si vantavano di discendere da quel poeta. Come è noto, la Vita apparve postuma in latino
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Premessa
(Roma
1673),1 fedelmente
tradotta
V II
dall’originale italiano
(Cod.
Barber. lat. 4882): abbiamo annotato i punti nei quali la tradu zione latina si distacca, anche di poco, dal testo italiano. è
Altro volume, pur esso fondamentale per gli studi sul Colocci, quello di G i a n f r a n c e s c o L a n c e l l o t t i , Poesie italiane e latine
di mons. Angelo Colocci (Jesi 1772) 2 che si è servito di un codice (Memorie famigliari raccolte e scritte Dal Can.co Adriano Colocci) conservato dalla Famiglia e oggi in nostro possesso; il can. Adriano, « ecclesiastico dotto e dabbene », come è scritto in una pagina del codice, visse dal 1618 al 1703 e raccolse la maggior parte delle no tizie che, specialmente negli alberi genealogici, il Lancellotti uti lizzò per il suo lavoro. Il codice è stato da noi chiamato Codice Colotiano, così come è scritto sul suo dorso. Altra fonte del Lancellotti è il Codex Archetypus Instrumentorum et aliarum chartarum spec tantium ad R . D . Angelum Colotium; ai scrizione fatta dal padre Bernardino da Reform at., a cura di Nicolò Colocci nel « domestiche scritture » che l’ Ubaldini
documenti è unita la tra S. Maria Nova, Ord. Min. 1785.3 Sarebbero queste le dice d’ aver visto a Jesi
(p. 38); anche questo codice è attualmente nelle nostre mani e così pure abbiamo il volumetto dell’ Ubaldini della Vita in latino del quale si servì il Lancellotti stesso facendovi qualche nota. Sul Lan cellotti si può vedere di C e s a r e A n n i b a l d i , Una biografia inedita dellab. Gianfrancesco Lancellotti in « A tti e Memorie della Deputaz. di Storia Patria per le Marche », N . S., V (1908), I I I -I V , pp. 479-93. Si veda inoltre G . N a t a l i , Il Settecento, Milano 1950, p. 473. U n altro lavoro, importante specialmente per la ricostruzione della biblioteca del Colocci, è quello di P i e r r e
de
N
olhac,
La bi-
bliothèque de Fulvio Orsini (Paris 1887), utilizzato da S a m y L a t t è s , Recherches sur la bibliothèque d'Angelo Colocci in « Mélanges d’A r cheologie et d’Histoire » , X L Y I I I (Paris 1931), pp. 308-44.4 Ricco
1 Nelle note la indicheremo per brevità con il solo cognome o con la espressione «traduz. la t.». 2 Nelle note lo indicheremo col solo cognome. 3 Nelle note lo indicheremo come Codex Archetypus. 4 Nelle note lo indicheremo col solo cognome. Del Lattès conosciamo inoltre due articoli che sono in relazione con le sue ricerche sulla biblio teca del C.; l’uno, La plus ancienne Bible en vers italiens (manuscrit Vatican Latin 4821) in «Mélanges d ’Archéologie et d’ H istoire», X L IX (1932), pp. 180-215; l’ altro, La conoscenza e Vinterpretazione del « De vulgari eloquentia» nei primi anni del Cinquecento in « Rendiconti dell’Accademia di Archeolo gia, Lettere e Belle Arti di N apoli», N.S., X V II (Napoli 1937), pp. 156-68.
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V ili
Premessa
di notizie sul nostro personaggio è il lavoro di G i o v a n n i M e r c a t i , Il soggiorno del Virgilio Mediceo a Roma in « Rendiconti della Pon tificia Accademia Romana d’Archeologia » , X I I (1936), ripubblicato nel IV volume delle Opere minori, Rom a 1937, pp. 525-45; 5 inoltre in numerosissime opere del Mercati figura frequentemente il Colocci. Ci sia infine consentito ricordare il nostro lavoro Le lettere di mons. Angelo Colocci nel Museo Britannico di Londra in « Rinascimento » , X (1959), I, pp. 107-135,6 che avremo spesso occasione di citare. Abbiamo creduto bene aggiungere infine una breve Appendice contenente alcuni documenti inediti di un certo interesse, che pos sono chiarire qualche aspetto dell’ attività del nostro umanista. V
it t o r io
Fanelli
5 Nelle n ote lo indicheremo co n M e r c a t i , Virgilio Mediceo. 6 Nelle note lo indicheremo con F a n e l l i , Lettere di Londra. Si badi che il numero segnato a fianco del testo nel margine destro indica le corrispondenti pagine del codice. Inoltre con le parole « Inventario primo » e «Inventario secondo» abbiamo voluto indicare rispettivamente l’ inventario che il C. stesso compilò dei propri libri «ch e rimane, sebbene incompleto e disordinato, nei ff. 41-60 del t. X V dell’Archivio della Biblioteca Vaticana» e 1’ « Inventario delli libri del Colotio di sacra scriptura fatto alli 27 d’otto bre M D L V III» contenuto nel Vat. Lat. 3958, cc. 184-96 (v. F a n e l l i , Lettere di Londra, pp. 110-11).
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VITA DI MONS/ ANGELO COLOCCI VESCOVO DI NOCERA
A U T ll.m o Sign.re II Sign.r Cav.re Cassiano del Pozzo 1653
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A ir ill.m0 Sign.re Il Sign.r Cavalier Cassiano del Pozzo 1 Federico Ubaldino Se a V . S. Ill.ma io non presento la Vita di M ons.re Angelo Colocci da me compilata, non trovo huomo al mondo, a cui possa offerirla. La persona da così buon Prelato sostenuta in questa Corte viene hoggi nobilissimamente rappresentata da lei che con felice libe ralità è sola intenta a favorir le lettere e i letterati. Laonde io, se noi mi vietasse la nostra sacrosanta religione, ardirei di dire, ade rendo a’ dogmi di Pitagora,2 che Camma del Colocci vivesse in Y . S. Ill.ma con questa differenza però, che col Colocci essendo nati par goleggiavano questi studij, ladove in Lei si ritrovano, e virili, e maggiori. Nella sua casa non un museo si scorge, ma sono epilogate le Atbeni, le Siracuse e le antiche Rome: onde etiandio da quei Principi, de’ quali è gloriosa heredità il promovere et il proteggere queste belle arti, ella è stata mirata et ammirata. Accetti V . S. IH ma, con lieta fronte questa mia picciola e rozza fatica almeno per quella raggione che suole ogni persona non solo in pretioso spec chio, ma anco in rustico fonte, raffigurar volentieri rimaglile di se medesima. In
Rom a, la Vigilia del Natale
1653.
1 II cav. Cassiano Dal Pozzo, patrizio biellese e dotto mecenate delle lettere e delle arti, nacque a Torino nel 1583, ma visse a Roma dal 1611 al 1657, anno della sua morte. Fu maestro di camera del card. Francesco Barberini e si strinse così di grande amicizia coll’ abate Maffeo Barberini, il futuro papa Urbano V i l i , che lo usò in molte faccende di plomatiche; nell’ ambiente dei Barberini conobbe l’ Ubaldini. Di lui si parla a p. 175 della IIa parte della Istoria della Vercellese Letteratura ed Arti di G. D e Gregory (Torino 1820); nell’elenco di opere a lui dedicate, compilato dal De Gregory, non si fa cenno della Vita del C. di Federico Ubaldini. Il Peiresc, che l’ Ubaldini ricorderà più avanti (v. p. 102 e n. 179), in una lettera al Bouchard lo chiama « la fleur des bons amis » (Lettres de Pei resc publiées par Ph. Tamizey, IV, Paris 1898, p. 107). Oltre ad essere accademico dei Lincei e della Crusca doveva godere vasta notorietà come erudito tanto che Alessandro Tassoni ne La Secchia rapita (Bari 1930, p. 205) lo ricorda tra i «fam osi ingegni» di quel tempo. 2 L’ Ubaldini sembra compiacersi del richiamo ai dogmi pitagorici; lo usa anche a proposito del Peiresc (v. p. 102).
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Federico Ubaldini
Tra le famiglie che adomano la città di Jesi, si numera quella de’ Colocci: 3 fin dal tempo di Urbano Sesto recò ella gli ornamenti suoi nella Corte di Rom a, dove fiorì Giacopo, Cappellano del Papa et Auditor di Rota. Questo, come è bel fregio di una casa, così è per avventura il primo che di questa troviamo. Arse il pubblico palagio e con esso le memorie della città la vendetta che Francesco Maria, pr° Duca di Urbino, volle fare dell’ingiurie ricevute da Papa Leon Decimo; è nondimeno honorevole l’ elogio che nelle habitazioni de’ Colocci si legge in Jesi: s a t i s a n t i q u a e o p e s - o p t i m i m o r e s ET STUDIA BONARUM ARTIUM DOMUM HANC NOBILITARUNT. 4 Hebbevi nel 1425 Angelo, che doppo la cacciata de’ tiranni, per riformare
3 II Lancellotti (pp. 3 e 195) nella genealogia dei Colocci risale fino ad Attone, che nel 1015 era conte di Jesi e che sposò la contessa Berta figlia di Amezzone dei conti di Colleocio. Da questi il Lancellotti passa ad Attone vissuto attorno al 1246 e presenta poi senza interruzione la discendenza dei Colocci fino alla metà del Settecento. L’ Ubaldini ha avuto notizia di Giacomo Colocci consultando le « domestiche scritture » a Jesi; a c. 3 del Codice Colotiano è detto quanto appresso: « T r o v o che della Famiglia Colocci vi fu Iacomo Co locci Dottor di Legge, Canonico di questa Città di Jesi, Cappellano de’ Pontefici Urbano sesto, e Bonifacio nono, Auditor delle cause del Sacro Palazzo, e nel suo Monumento della Cathedrale nella Cappella di S. Romualdo si legge la presente Inscrittione: Iaeobus Colotius huius Ecclesiae Canonicus Urbani V I et Bonifatii I X Cap.s Sacri Palatii Causar. Auditor hic iacet >p. Urbano V I lo fece suo Cappellano nel principio del suo Pontificato dell’ anno 1378, come si vede da un Privilegio in carta pecorina il quale si conserva in casa del Sig. Angelo del q. Sig. Iacomo Colocci dell’infrascritto tenore ». Segue fino al verso della c. 4 la copia del privilegio che è a sua volta copia della copia fatta eseguire dal nostro Angelo durante il pontificato di Giulio IL La lapide a Jesi non c’è più, scomparsa probabilmente durante il rifacimento della cappella Colocci operato nel 1778 (v. p. 87, n. 157). 4 Nel codice c’è un segno di fianco a queste righe; pensiamo che l’ Ubaldini esitasse a ricordare quest’ episodio che nella traduz. lat. (p. 1) non c’ è: cum alia monumenta, ex quibus reliqua intelligere fa s est, perierint eodem incendio, quo Magistratus Aedes conflagrarunt: Superest tamen quaedam nobilis inscriptio... L’iscrizione si legge ancora nell’in gresso del vetusto palazzo. L’Ubaldini ha letto sicuramente il Grizio (Il Ristretto delle Istorie di Jesi di P ietro G r iz io . Nuova ediz. illustrata da A . Gianandrea. Jesi 1880, p. 130 sgg.) perchè locuzioni di questi si ritrovano nel testo ubaldiniano. Il sacco di Jesi avvenne nel 1517, giovedì 3 giugno a ore 21; Francesco Maria della Rovere era succeduto nel ducato d’ Urbino allo zio Guidubaldo nel 1508 e comandò le milizie del papa Giulio II in quel turbinoso periodo. Leone X gli tolse il ducato per darlo al nipote Lorenzo e da ciò la « vendetta »; ma, alla morte del Papa, Francesco Maria ritornò nei suoi domini. Anche l’ incendio dei documenti pubblici jesini è descritto con ricchezza di particolari dal Gri zio. L’ episodio è ricordato anche più avanti (pp. 29 e 89); così pure Francesco Maria Della Rovere (p. 25).
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Vita di Mons. Angelo Colocci
5
lo stato corrotto dall’altrui violenza, compilò gli statuti della patria.5 Da questo Angelo nacque Nicolò, e da Nicolò un altro Angelo che vivendo nella luce Romana fu specchio di verace virtù ne’ suoi tempi, onde potendo esser egli lodato esempio alla posterità, ho
2
stimato, scrivendo di lui di provedere all’utilità altrui, non meno ch’ alia sua memoria. Gli fu madre la sorella di Fiorano Santoni, Cavaliere per lo valore e per la varietà della fortuna, assai nomi nato; 6 il Padre di Angelo, ancorché huomo dato al civil negotio, fu tale che prudentissimo ogn’uno che il conobbe, lo riputò, poiché per lui furono indirizzati per la strada delle virtù non solo il figliuolo ma il fratello altresì chiamato Francesco, non ostante l’incontro di molte difficoltà. D i questo scrive il nostro Angelo a Gio: Benedetto, suo parente: « Io hebbi un zio chiamato Francesco Coloccio, che fu poi consiglierò di Re, il quale da principio mio padre allevò con grandi affanni e spese. Prima mandollo a Bologna, alla scuola del filosofo, che lo menò Gio: di Mastro Taddeo; poi allo studio di Peroscia, dove il primo anno vi giuocò tutti i libri e le vesti, e costavano
3
i libri a centinaia, e mio padre per questo non volle desistere che gli ricomperò et in due anni costò più di 400 fiorini e perché li nostri Cittadini ridevano, mio padre diceva che voleva restar povero per farlo un huomo, e così lo fece, e quando poi partirono la robba, mio padre non gli volse mettere a conto cosa alcuna dello studio: anzi
5 In tuia lettera a Ser Gio: Benedetto Santi, che nel Seicento si conservava ancora, assieme all’ altra di cui più sotto è riportato un brano, in casa di Pierantonio Colocci presso il quale l’ avrà vista l’ Ubaldini, trascritta poi nel Codice Colotiano (c. 7), il nostro Angelo, parlando della sistemazione delle tombe di famiglia, dice: Pro Domino Francisco Colotio Regio Consiliario, et prò Patre eius Angelo Colotio, qui exactis tyrannis statuto Patriae condidit. L’ espressione non sarebbe, a dire il vero, molto appropriata, trattandosi di Francesco Sforza che non era considerato tiranno e che non fu cacciato da Jesi, ma la consegnò al papa Niccolò V ai primi di agosto del 1447 con sommo dispiacere suo e degli stessi jesini che gli rimasero fedeli fino all’ultimo. Tuttavia anche l’epigrafe, posta sulla tomba, oggi scomparsa, ma riportata dal Lancellotti (p. 200), dice: Angelus qui ejectis tirannis statuto Patriae condidit. Gli statuti di Jesi, al tempo dello Sforza, erano ancora quelli compilati verso il 1350; ma il Consiglio Generale del 26 febbraio 1448 deliberò di comporne dei nuovi e altri Consigli posteriori riconfermarono la decisione. L’incarico della compilazione fu dato a Ser Angelo Colocci e ad altri tre che in due anni portarono a termine la loro fatica. Nel 1516 ne fu fatta la prima edizione a stampa in Fano, in aedibus Hyeronimi Soncini, della quale esiste nella Biblioteca comunale di Jesi un magnifico esemplare su pergamena; un’ altra edizione è del 1561, in Macerata, per Lucam Binum Mantuanum. Alla compilazione definitiva per la stampa contribuì il Nostro. V. Lan cellotti, pp. 22, e 200; G b iz io , op. cit., pp. 108 e 158; per Angelo senior v. Studia Picena, I (Fano 1925), p. 55. 6 Di questo personaggio, che i documenti ci dipingono fiero e sdegnoso, si parlerà più avanti (v. p. 10, n. 18).
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Federico Ubaldini
trenta anni dopoi sempre stettero insieme ad un fuoco. » Notus in fratres animo paterno (Horat.) 7. Nicolò dunque, qual riuscisse diligente padre in allevar Angelo, dalla riuscita del figliuolo si può agevolmente comprendere: 8 e gli honori che a titolo della sua indole hebbe Angelo sin da picciolo garzone, ne rendono la prima testimonianza. Fu Angelo nella sua pueritia creato Cavaliere con tai privilegi che d’assai potè ripu tarsene.9 Dimorava a quella Corte sin dal tempo di Pio Secondo, sommo Pontefice, il Despoto Andrea Paleologo, al quale concor reva ogni gente di qualità per la speranza che di quel Prencipe havevano concepita. Perdutosi di fresco l’ Imperio di Costantinopoli, pareva che, come a lui lo dava la ragion del sangue, così lo promet tesse la virtù. Era questi figliuolo di Tomaso, despoto della Morea, fratello degli ultimi due Imperatori de’ Greci, Giovanni memora-
7 II Lancellotti, a pp. 37-38, rileva che « nella vita del nostro Colocci (s’intende la redazione latina dell’ operetta delTUbaldini) si trovano inseriti più periodi di lettere scritte, come ivi dicesi, ad Ioannem Benedictum, vale a dire a Gio: Benedetto Santi. Quelli sono altrettanti periodi, che leggonsi nelle lettere volgari al detto Gio: Benedetto Santi da Monsig. Angelo scritte, e furono di volgare in latino traslatati dal medesimo Autore della suddetta Vita latina ». Questa e l’ altra lettera di Mons. Angelo, ricordata nella nota precedente, sono in copia a ce. 7-8 del Codice Colotiano, e da esse sono desunte le notizie su Angelo senior, su Niccolò e su Francesco Colocci. La citazione oraziana è deirUbaldini (v. Orazio, II, 2, 6. Si noti che gli editori moderni scrivono quasi tutti animi paterni, genitivo alla greca, per propter animum paternum). Per quanto riguarda gli studi universitari di Francesco Colocci la lettera non ci sem bra molto chiara; la redazione latina dice (p. 3): Bononiam eum una cum magistro Thaddaeo misit, Aristotelicis scholis erudiendum, deinde Perusiam...: e il Lancellotti (p. 199): «Studiò Francesco in Bologna le amene lettere sotto la disciplina del Filelfo». G.M. Filelfo infatti insegnò a Bologna lettere greche negli anni 1461-62, retorica e poesia in tertiis e retorica e poesia de mane in campana Sancii Petri negli anni 1462-63. Queste notizie pren diamo da I rotuli dei lettori legisti e artisti dello Studio bolognese dal 1384 al 1799 pubblicati da U. D a l l a r i (Bologna 1888), a p. 59; a p. 41 troviamo che per gli anni 1454-55 M . Tadeus de Petrasancta dedicò il suo insegnamento ad Lecturam Logice e a p. 52 per gli anni 1459-60 ad Lecturam medecine diebus festivis troviamo D .M . Tadeus de Petrasancta dignissimus dominorum artistarum et medicorum Rector. Ma non possiamo affermare che il Giovanni ricordato dal Colocci sia proprio il figlio di M. Taddeo da Pietrasanta. 8 Nella traduz. lat. (p. 4): E x hac fraternae institutionis cura conijcere est quantum Nicolaus in excolendo Angelo filio posuerit diligentiae. Su Francesco Colocci v. sotto, alla n. 18. 9 L’ Ubaldini non ci dice l’ anno di nascita in nessuna delle due redazioni. Il nostro Angelo avrebbe avuto, quando fu creato cavaliere, sedici anni di età, a giudizio del Lan cellotti (p. 9) che pone la sua nascita nel 1467, oppure nove anni di età, se seguiamo il Lattès che lo fa nascere il 24 luglio 1474. L’ affermazione del Lattès poggia su un docu mento di mano del C. stesso, di cui esisteva copia nell’ archivio dei marchesi Colocci a Jesi, tratto dal Vat. lat. 4787 (Lattès, p. 338, n. 3).
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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bile per l’unione della Chiesa Greca con la latina, e Costantino per la perdita di Costantinopoli che diede fine a queH’ Imperio et alla sua vita; onde Andrea riconosceva per avolo Manuelle ed era pronepote di Giovanni, nato da Andronico, figliuolo di Michele di un altro Andronico, che nacque da quel Michele che ritolse con tanta gloria lo scettro Greco dalle mani de’ latini.10 Nacque Andrea l’ anno 1453 et così chiamossi per la patem a devotione verso l’Apostolo S. A n drea. Di tal nascita così Giorgio Franza, autore all’hor vivente e sig.re di gran portata, ragiona: « D i questi tempi s’ accrebbe la Casa Paleologa; et il successore dell’Imperio, nacquero picciole scintille de’ Romani, Andrea Paleólogo figliuolo di Tomaso Despota nato in porpora » .n Madre gli fu una figliuola di Martino Zacaria, e Cen-
10 L’ Ubaldini ne traccia, come chiosa marginale, l’ albero genealogico seguente: Michele I Andronico I Michele I Andronico Í Giovanni I Manuelle ì Tommaso
.
~ i Giov. Imperatore
. i
I
Andrea
Manuelle
Í Costantino Imperatore
Il primo di questi personaggi è Michele V i l i Paleólogo, dal 1258 succeduto ai Lascaris nell’Impero di Nicea e dal 1261, in seguito al trattato di Ninfeo con Genova che aspirava a togliere il predominio a Venezia, imperatore di Costantinopoli, ponendo così fine al l’ Impero latino sorto nel 1204. Giovanni V II fu imperatore dal 1425 al 1448 e tentò di salvarsi dalla pressione turca operando l’unione delle due chiese greca e latina. L’unione si fece al concilio di Firenze nel 1439, ma risultò quanto mai effimera e solo apparente per la viva opposizione che l’Imperatore incontrò in patria. Alla sua morte il fratello Costantino regnò per cinque anni e nel 1453 perse la vita e il regno difendendo Costanti nopoli assediata dai turchi di Maometto II; ebbe fine così l’ Impero d’ Oriente. 11 Ecco il passo nella traduz. lat. (p. 5): xvij Jan. Auctum est Palaeologorum genus et imperij successor, parvaeque Romanorum scintillae haeres natus Andreas Palaeologus, Thomae Despotae Porphiro-geniti filius. L’ Ubaldini cita dall’ edizione latina della Storia dei Franza tradotta e annotata da Giacomo Pontano T h e o p h y l a c ti Sim ocattae Histo riae Mauricii Tiberii Imp. Lib. V I I I item G eo r g ii F ran za e Chronicorum de ultimis Orientalis Imperii temporibus libri I I I . Ingolstadii 1604, p. 163. Anche le altre notizie riportate qui dall’ Ubaldini sugli imperatori d’ Oriente sono desunte dal Franza. L’ espres sione « nato in porpora » è qui la traduzione letterale della parola « porfirogenito » che era usata in Bisanzio per tutti i principi « nati nella porpora », cioè da genitore regnante. Nella comune tradizione storica invece quel titolo rimase legato solo al nome di Costan-
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Federico Ubaldiui
turione, di Prosapia Genovese, ma che col valore s’ era acquistato il Principato di Achaia et di Aelide 12 e concesse a Thomasso per dote Messena et Ithom a; ma Tomaso, dopo havere indarno tentato la fortuna et esperimentatala non riconciliabile, hebbe ricorso a Papa Pio, a cui fé’ il dono dell’adorata testa di S. Andrea Apostolo, dal quale, regalmente ricevuto, richiamò a Rom a anche Andrea et Manuelle, con una figliuola et una nepote. Ma la morte gli tolse 6
la dolcezza di rivedere i suoi, perché appena egli seppe che erano giunti in Ancona che trapassò di questa vita di Maggio l’anno 1465. Per parte del Pontefice furono quei giovanetti racconsolati e rac colti dal Card.1 Bessarione e a Rom a si trattennero honoratissimi, sinché la disperatione di ritornare in istato e l’ozio di questa Città condusse ambedue i fratelli a perdersi. Manuelle credendo a Mancafé, a Conte e a Niccolò suoi famigliari, si fuggì a Costantinopoli e in Grecia morissi senza gloria. Andrea, il maggiore, innamoratosi di una corteggiana Greca, credendosi poterla fingere a suo modo donna di grande affare, la sposò e morissi senza successione, della quale non fu senza Manuello. Così gli altissimi titoli di Andrea annibirono 13
tino V II, della dinastia armeno-macedonica, che, nato nel 905, regnò dal 912 al 959, più noto per la sua attività letteraria che per la sua azione di governo che fu pressoché nulla. 12 Nel testo latino (p. 5) è Aulide, che è la forma giusta. Le vicende della testa del l’ apostolo Andrea si sono concluse ai nostri giorni con il ritorno della reliquia a Patrasso. Il corpo dell’Apostolo era rimasto a Patrasso fino al 356 quando fu trasportato a Costantinopoli e deposto nel 357 nella basilica dei Santi Apostoli di quella città; più tardi, in data non precisabile, il capo fu riportato a Patrasso. Nel 1453 Costantinopoli cadde in mano dei turchi e poco dopo anche Patrasso seguì la stessa sorte; Tommaso Paleologo, dopo vani tentativi di riconquistare la città, si rifugiò in Occidente portando con sé la testa del Santo nel 1460. Fu ricevuto in Ancona dal legato del papa Pio II e, per la poca sicurezza dei dintorni di Roma, la reliquia fu depositata nel castello di Narni. Il 12 aprile 1462 Pio II si recò sulla via Flaminia incontro alla reliquia ed a ricordo fu costruita, a pochi metri da Ponte Milvio, una cappella (S. Andrea a Ponte Molle, v. M. A r m e l l in i , Le chiese di Roma, Roma 1942, II, p. 1049) con un monumento a Sant’Andrea ed un’iscri zione commemorativa dell’ avvenimento che ancora esistono. Il giorno dopo il card. Bes sarione tenne un discorso celebrativo in San Pietro dove la reliquia fu conservata in attesa di tempi propizi alla restituzione, come era stato promesso da Pio II. Infatti il 20 set tembre 1964, durante il Concilio Vaticano Secondo, il papa Paolo VI annunziò che la testa di Sant’Andrea sarebbe stata restituita a Patrasso; ima settimana dopo la reliquia ve niva riportata in Grecia da una missione speciale guidata dal card. Agostino Bea, accomgnato da numeroso seguito di ecclesiastici e laici. Il mercoledì 23 settembre era stata venerata da tutto il Concilio ecumenico, il card. Marella aveva celebrato la messa e il card. Francesco Koenig, arcivescovo di Vienna, aveva pronunciato un discorso in lingua latina ricordando brevemente le vicende della reliquia. 13 In risum versi sunt. Così la traduz. lat. (p. 6); quell’ « annibirono » della redazione italiana è probabilmente un errore di dettatura o di trascrizione. Dall’ esame del Barber. lat. 4726, c. 3r, che è la stesura precedente al 4882, si può forse ricostruire la genesi del-
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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sino al ridicolo, quali appunto gli rappresentò Alberto Pio, Sign.r di Carpi, sotto Leone Decimo, all’hora che si rappresentò il Penolo di Plauto nel Campidoglio; poiché volendo Andrea precedergli, egli che era A m basc.re di Massimiliano Imperatore per esser ei disceso
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da cotali e cotanti Imperatori, gli rispose Alberto « che di tanti titoli da lui vantati egli non vedeva altro che un lungo cappello e un esule cui bisognava pur vivere dell’ altrui mercé » . Se bene Alberto non andò molto lieto di tai m otti, poiché perseguitato da Carlo Y im per.re, ridottosi in Francia alla liberale misericordia del Re Fran cesco, sentì quasi l’istesso rinfacciarsi dal mordace stile di Erasmo.*14 Così talvolta il destino ci disciplina con la medesima sferza, con la quale diamo altrui: ma della magnificenza de’ titoli di Andrea ve diamo ripieno il privilegio col quale egli creò Cav.re Angelo Colocci, figliuolo del predetto Nicolò, in riguardo della cui bontà e dell’in dole del figliuolo e per la loro divotione e inclinatione all’ Imperio Christiano di Oriente, fe’ cav .re Angelo, cingendogli la spada, cal zandogli gli speroni d’oro e mettendogli in capo la celata, sì come è di costume, e, per nobilitarlo maggiormente, all’ antiche Arme de’
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Colocci che è lo scudo rosso sbarrato con due rose, una sopra e l’ al tra sotto, egli aggiunse, con Cesarea auttorità, mezza l’ aquila d’oro co’
due capi coronati dell’Imperio orientale. A d om ò
ancora tal
l ’ errore: in esso è infatti scritto « avvilirono » sopra la parola « divennero », cancellata, e le « v v » sono molto simili alle « nn »; così l’ amanuense del Barber. lat. 4882, convinto che si trattasse di parola a lui sconosciuta, ha trasformato « avvilirono » in « annibirono ». 14 Nella traduz. lat. (p. 6): Nihil ex tot titulis superesse nisi prolixius capillitium et exulern qui aliena quadra egeret. L’episodio è fatto raccontare dal Tebaldeo nel Dialogo di P ier io V a l er ia n o sopra le lingue volgari quale sia più conveniente di usare (Milano 1829; ma la prima edizione, rarissima, è del 1620) con termini anche più crudi: « ... un povero fuoruscito che mendicava il pane, riservatosi solo l’ onorato nome con una bella barba, ed un lungo cappello in forma di vaso che noi usiamo in uso sordido ». Le notizie su A l berto Pio, signore di Carpi, sono in P. Iov il Elogia virorum literis illustrium, Basilea 1577, pp. 154-56. Il Valeriano è una delle fonti alle quali più ha attinto l’ Ubaldini (pp. 10, 31, 38, 48, 59, 69, 95; nn. 16, 31, 32, 40, 46, 47, 58, 78, 87, 88, 89, 96, 97, 139, 165, 169); fu contemporaneo del C. e scrisse moltissimo; su di lui v. G. Ca l i , Opere di Giovanni Pierio Valeriano, Catania 1907, e G. B ustico , Due umanisti veneti in « Civiltà moderna », Firenze IV (1932), pp. 86-103 e 344-379, ma è personaggio che meriterebbe di essere studiato più profondamente. Ebbe, oltre alla vastissima erudizione in campi disparati, un amore per la bellezza e la poesia non comune tra gli eruditi del suo tempo tra i quali si si distingue anche per la sua coscienza morale; e quel sentimento poetico, fatto di malin conia e di tristezza, impregna di sé anche il De infelicitate litteratorum rendendone la let tura attraente e piacevole. Suoi versi sono nella raccolta In Celsi Archelai Melini funere amicorum lacrimae (c. 2; v. n. 40). Protetto da Leone X e Clemente V II visse a lungo presso i Medici a Firenze ed a Roma dove il C. fu certamente uno dei suoi amici più in timi poiché è ricordato nella maggior parte delle sue opere, come vedremo più avanti. 2
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Federico Ubaldini
prerogativa con pregare i Principi et i Re di diverse parti del Mondo, che havessero per raccomandato Angelo, riconoscendolo per cava liere, come si ha nelForiginale dato in Rom a l’ anno 1483, sottoscritto con lettere greche rosse dell’istesso Despota e più sotto da Francesco Bianco, Procancellier Maggiore.15 Hebbe il Coloccio per maestro Giorgio Valla, come si ha dal Dialogo della miseria de’ litterati del Valeriano,16 sotto il quale faceva maraviglioso profitto. Tal dunque davano presagio di sommo merito i primi anni di M. Angelo Colocci, così hoggimai chiamandosi per la nuova sua cavalleria, negandosi altrimente questo titolo 17 agli stessi Re, se non erano prima ordi nati Cavalieri. Ma la fortuna che sempre giostra con la virtù, ben tosto interruppe il corso degli honori ad Angelo, ingombrandogli la strada di molte tribolationi. Morto Sisto quarto et eletto Inno cenzo ottavo, s’ ordì nel Regno di Napoli contro del Re Ferdinando la congiura de’ Baroni e ne scoppiò la guerra, di cui si fe’ capo il medesimo Pontefice. Tutti gli adherenti degli Aragonesi, divenutigli sospetti, nella Marca di Ancona tra i parteggiani de Re furono anno verati i Colocci, essendo Ms. Francesco, fratello di Niccolò e zio di Angiolo, consiglierò ed intimo famigliare di esso R e ;18 i Colocci 15 Tutti questi particolari sono desunti dall’originale del diploma conservato dalla Famiglia e riportato integralmente dal Lancellotti (p. 177). 16 Ci sembra di poter negare la verità di questa notizia. Nel dialogo di Pierio Vale riano Bolzani non si afferma affatto che Giorgio Valla sia stato maestro del C.; il vene ziano Contarini ne parla con affetto come suo maestro e dice noster (p. 27) riferendosi evidentemente ai suoi compagni di studi veneziani e non agli altri interlocutori del Dia logo; l’Ubaldini sarà stato forse tratto in inganno da quel « nostro ». D ’ altra parte il Valla, piacentino di nascita, non sembra che abbia mai insegnato a Roma, bensì a Milano, a Genova, a Pavia, dove era nel 1471, e a Venezia, dove era nel 1481 e dove fu incarce rato nel 1499; poco dopo morì. Il Lancellotti (p. 10) riferisce la notizia, evidentemente sulla fede dell’ Ubaldini, e rimanda con una nota alle « Testimonianze onorevoli » ; ma fra queste, alle pp. 101-104 contenenti i brani desunti dalle opere del Valeriani, non c’è na turalmente quella che riguarda il Valla. Tutti gli scrittori dei secoli successivi hanno ri petuto la notizia senza controllarne l’ esattezza; solo G. Ca n talam essa Ca r b o n i nella biografia del C. inserita tra le Biografie e ritratti di Uomini illustri Piceni pubblicate per cura di A. H e r c o la n i , Forlì 1837-39 (ma, in fondo, 1843), voi. II, p. 139, solleva fondati dubbi. Per notizie sul Valla v. C. P oggiali , Memorie per la storia letteraria di Piacenza, I, Piacenza 1789, pp. 131-164. 17 Cioè quello di « messere ». 18 Veramente Francesco non era ancora consigliere del Re, ma lo diventerà più tardi. L’ episodio è raccontato dal C. stesso nel Vat. lat. 3450, c. 19r, che è un curioso codice car taceo sul cui foglio di guardia è scritto: Facetie raccolte dal Colotio in varie carte messe insieme di mano sua. Fui. Urs., arrivato alla Vaticana con i libri di Fulvio Orsini (v. nn. 45 e 177); sembra che l’ Ubaldini lo abbia tratto da lì con molte e profonde modificazioni. L’Agnelli doveva essere persona abile ed energica che fu utilizzato dai vari Pontefici fino al 1499, anno in cui morì, in molte imprese difficoltose; nel 1497 era stato fatto ve-
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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trahevano seco anche i Santoni, famiglia nobile della quale era il principale Fiorano, cognato di Niccolò. Sì che ne venne bandito Francesco; Niccolò et il cognato incarcerati. Governava all’hora la Marca il prothonotario Agnello, il quale a quei popoli pareva ch’ adempisse più le parti di lupo che di quello onde si nom inava.19 H aveva costui fatto morire di molti buoni huomini e parimente ordinato di far mozzare il capo al Santoni già ridotto all’ultima vecchiezza. Qui forse non è da tacersi la candidezza e la grandezza
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dell’ animo del Padre di Angelo, il quale, avendolo un giorno a sé chiamato il Protonotario, non meno imprudente che crudele, con fortandolo sopra la morte del cognato, gli disse « che Fiorano era stato felice in questa vita e ch’egli moriva vecchio e con intiera sanità d’ animo e di corpo ». Alla qual proposta rispose Niccolò: « E voi, reverendo Monsignore, sareste morto più felice da giovane, perché all’hora sareste morto Agnello e non birro » . Per questi tra vagli Angiolo tratto dalla fortuna fuor della casa sua, si riparò in Napoli, dove trovò che Francesco, suo zio, era stato fatto Gover natore di Ascoli in Puglia, città che il duca di Calabria Alfonso, primogenito del re, haveva tolto a’ figliuoli di Orso Orsini con la città di Nola; poiché Orso, non havendo figliuoli leggitimi negli ultimi tratti della sua vita, pregò il duca sudetto che era quegli che
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a sua voglia governava il Re et il Regno, che lasciasse in queste due città continuarvi il dominio de’ fig.11 Alfonso assentì, ma seguita la morte di Orso, contro la fede data le si occupò et in Ascoli mandò Francesco Colocci, perché la costui esperienza et fedeltà la mante nesse alla corona, contro la forza de’ Baroni.20 Ma Angelo tutto scovo di Cosenza, ma probabilmente non andò mai nella sua diocesi. Per più ampie no tizie su tutto l’ episodio e sui personaggi che vi presero parte v. V. F a n e l l i , La ribellione di Jesi durante la Congiura dei Baroni in « Rendiconti dell’ Istituto Marchigiano di Scienze, Lettere ed Arti » , X I X , Ancona 1961, pp. 139-150; per l’Agnelli si può vedere anche il Dizionario biografico degli italiani, Roma 1960, I, pp. 424-25, che tuttavia non è né molto preciso né esauriente. 19 Più concisa e bella le trad. lat. (p. 9): Nomine Agnellus, re Lupus. 20 Per l’usurpazione di Ascoli Satriano e Nola v. G. P a l a d in o , Per la storia della Congiura dei Baroni in « Arch. Stor. per le Province Napoletane », N.S., V (Napoli 1919), p. 352 e V II (Napoli 1921), p. 232. Il soggiorno del C. nel regno di Napoli presso la corte aragonese fu il fattore più importante della sua formazione culturale ed a quell’ ambiente rimase legato per tutta la sua vita continuando a coltivarvi, pur lontano, le numerose amicizie che vi aveva stretto negli anni della sua giovinezza. Probabilmente quasi tutti gli accademici pontaniani furono suoi amici ed oltre che di quelli che l’ Ubaldini qui ri corda, anche di altri, coi quali più stretti e frequenti furono i rapporti, rimangono let tere e documenti. Ricorderemo qui con brevi cenni i nomi di coloro che ci è capitato di incontrare nelle carte colocciane. L’ Altilio fu precettore di Ferrandino e suo attivo segretario; morì nel 1501 a Poli-
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Federico Ubaldini
dato a gli studi della pace, ancorché giovane, sì per li meriti proprij, sì per l’ auttorità del zio, montò subito in istima cotanta appresso di tutti i migliori, et in particolare si rese amicissimo Gioviano Pon-
castro di cui era stato fatto vescovo nel 1493. Nei codici appartenenti al C. v i sono suoi versi (Vat. lat. 2836, cc. 8 e 107) ed una sua lettera al Chariteo ( Vat. lat. 2847, c. 8); il suo nome è nell’ elenco del Cod. Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1); su di lui v. Dizionario bio grafico degli italiani, II, Roma 1960, pp. 565-566. Il Croce in La Critica (X X X I I , 1934, p. 150) ha pubblicato una lettera al C. di Giro lamo Borgia del 24 aprile 1518, dove, dopo aver parlato del grammatico greco Apollo nio, si ricordano amici comuni, come il Sannazzaro, il Lascaris, il Trissino ed il Marostica. Il Borgia, anche lui accademico, dopo una vita travagliata ed errabonda fu fatto vescovo di Massa Lubrense da Paolo III. È di sua mano il Vat. lat. 5175, che contiene VUrania e le Metheora del Pontano il quale gli dedicò un’ elegia (v. I. I. P on t a n i Carmina a cura di B. S o l d a t i , Firenze 1902, pp. X X X V e 384); su di lui v. R . D i F l o r io , G. B. poeta e storico, Salerno 1909. Scarsissime le notizie su Traiano Calcia, che è di Treviso ma vissuto a Napoli, tra gli accademici, almeno fino al 1528; di lui si conserva alla Vaticana una lettera al C. (Reg. lat. 2023, c. 75), pubblicata dal Lancellotti (p. 95), inviata da Treviso il 26 (e non 16, come scrive il Lancellotti) aprile 1548; in essa il Calcia racconta al C., che gli aveva scritto chiedendogli la vita manoscritta del Pontano, di aver salvato dalle fiamme alcune An notazioni autografe del Summonte ed un commento autografo di Catullo del Pontano durante l’ assalto che le truppe francesi del Lautrec avevano dato a Napoli nel 1528. Il Minturno lo ricorda nel suo De Poeta (Venezia 1559, p. 6) per avergli raccontato delle riu nioni che l’Accademia pontaniana tenne a Napoli nel 1526 in casa del Sannazzaro. Se condo il Lancellotti (p. 96) sarebbe morto verso il 1551. Elisio Calentio è il nome acca demico di Luigi Gallucei, abbondante scrittore di versi latini nei quali dipinge piacevol mente scene e paesaggi campestri. Fu molto amico del C. che, assieme al figlio Lucio, curò la pubblicazione dei suoi versi l’ anno successivo alla sua morte avvenuta nel 1502 (Opuscula Elisii Calentii Poetae Clarissimi, Romae, per Ioan. de Besiken, 1503; v. qui pp. 58, 61, 78 e nn. 90, 92 e 143). Era stato precettore di Federico, l’ultimo aragonese re di Napoli, e governatore di Squillace; nel 1494 s’ era rifugiato a Sulmona, ove stette per lo spazio di 5 anni, veneratus, com’ egli scrisse al figlio Lucio, apud Colotium meum inter negotia plurima; nel numeroso stuolo di fabbricanti di versi che fiorirono attorno al Pontano ed al Sannazzaro è uno dei pochi degni di essere ricordati. I suoi versi si conser vano in tre codici vaticani appartenuti al C. (Vat. lat. 2833, 3367 e 3909), il secondo dei quali contiene anche un bizzarro testamento a mo’ di lettera diretta al C.; di quest’ul timo esistono quattro scherzosi versi latini diretti al Calentio e inseriti nella raccolta ro mana a stampa del 1503. A c. 377 del Vat. lat. 3903, che è un grosso e disordinato zibal done di appunti del C. sugli argomenti più disparati, sono contenute alcune note per la biografia del Calentio riguardanti specialmente il suo testamento; anche a c. 88v del Vat. lat. 4831 ci sono brevi appunti sul carattere del Calentio, in preparazione di una specie di storia della poesia volgare che il C. aveva in animo di fare. Suoi versi sono anche nei Vat. lat. 3352, cc. 3, 4, 69, 84, 118, 308, 314, e Ottobon. lat. 2860, cc. 22, 103-6, 118, 134, 171, ed il suo nome figura nell’ elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1). Su di lui v. F. Rossi, E. C. poeta umanista del '400, Lauria 1924 e B. Croce , Varietà di storia lette raria e civile, I, Bari 1949, pp. 7-28. Girolamo Carbone fu a capo dell’Accademia pontaniana dopo la morte del Pontano; il Gothein (Il Rinascimento nell’ Italia meridionale, Firenze 1915, p. 260) lo giudica come
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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tano, di modo che fu ascritto in quella celebratissima accademia Napolitana con Sincero Sanazaro, Elisio Calentio, l’Altilio, il Summonte, il Carbone, Vopisco et altri nobilissimi intelletti. Seguitò
rappresentante dell’unione della poesia con la filosofia popolare. Dell’ amicizia col Pontano, col Sannazzaro e col Chariteo rimangono numerosi ricordi nelle loro opere; il C. gli ha dedicato un’ elegia (Lancellotti, p. 139, IIa parte) scritta per ricordare la moglie morta ed a lui si rivolge in un epigramma contro Adriano V I (Lancellotti, p. 60, IIa parte) e in alcuni licenziosi endecasillabi che, dopo essere stati diretti al Carbone, furono invece destinati ad altri (Cod. Vat. lat. 3388, c. 73, e non 72 come indica il Lancellotti, p. 62); suoi versi sono trascritti a ce. 8V, 55, 113v, 125v e 260 del Vat. lat. 2836; la c. 85 del Cod. Vat. lat. 4831 era invece destinata a scrivervi notizie biografiche, come per il Calentio e per l’Aquilano, ma è rimasta bianca con il solo nome; il Vopisco lo ricorda in una sua lettera al C. del 3 gennaio 1517 (v. Lancellotti, p. 87). Su di lui v. P. d e M o n t erà , L'H umaniste napolitain G. C. et ses poésies inédites, Napoli 1935. Molto più importanti furono per il C. i rapporti col Chariteo, uno degli spiriti più eleganti che ornasse la corte degli Aragonesi, nato a Barcellona e amico di tutti gli acca demici assieme al nipote Bartolomeo Casassagia, catalano anche lui e vissuto molto tempo in Francia (v. la Introduzione di E. P ercopo a Le Rime di Benedetto Gareth detto il Cha riteo, Napoli 1892). A questi due catalani spetta il merito di aver contribuito alla rina scita dello studio della poesia provenziale in Italia e di avere indirizzato il C. ed altri alla conoscenza di quella poesia. Dobbiamo pensare che la maggior parte dei preziosi codici provenzali e portoghesi, come pure le due novelle di Francisco de Moner, il dizio nario francese, le opere di medicina spagnole ed altri codici e libri in lingua iberica siano arrivati in mano al C. per il tramite o per l’interessamento del Chariteo. Questi, nato at torno al 1450, ebbe Napoli per seconda patria; alla venuta dei francesi con Carlo V i l i , mentre il Pontano si accomodava col vincitore, egli seguì il suo re nel breve esilio e ri tornò l’ anno dopo rimanendo nella corte fino alla morte di Ferrandino. Messo da parte dal successore, partì per Roma nel 1501, prima che a Napoli arrivasse Luigi X II di Fran cia, e vi si trattenne quasi due anni, amato e protetto da Agostino Chigi e dal nostro C., al quale si rivolse con un sonetto: « Colotio di virtù vero cultore ». Il contenuto del so netto ha fatto pensare al Percopo (op. cit., p. X X X V III) che il C. nel suo precedente soggiorno a Napoli non avesse conosciuto il Chariteo e neppure gli altri accademici e cita il Tafuri (Epitalamio di G. Altilio, Napoli 1803, p. L X X V I, n.) a conforto di questa opi nione che noi riteniamo, almeno nel caso del Chariteo e di qualche altro, valida. Il C. si occupava in quel tempo della pubblicazione delle rime di Serafino Aquilano e grande do veva essere perciò l’ ammirazione e l’ affetto per il Chariteo che di quel poeta era stato il modello e il maestro; fu probabilmente lui che gli fece conoscere Piero de’ Pazzi, fioren tino, e Marco Cavallo, anconetano, ai quali furono dedicati dei sonetti. E fu proprio a Rom a che il Chariteo parlò col C. di un « Libro de poeti limosini » e di una sua traduzione in volgare dei versi di Folchetto di Marsiglia. Appena morto a Napoli nel 1515 il Chariteo, il C. acquistò dalla vedova il « Libro de poeti limosini », aiutato in questo dal Summonte che si attirò perciò addosso le ire dei bibliofili e degli studiosi napoletani; la traduzione di Folchetto non fu più trovata (v. in proposito l’interessantissima lettera del Summonte in Lancellotti, pp. 91 sgg.). Il sonetto indirizzato al C. e ricordato sopra (v. anche Lan cellotti, p. 139) è trascritto nel Vat. lai. 2951, c. 299v; nel Vat. lat. 4831, c. 104, il Chari teo è solamente nominato in un lungo elenco di poeti in lingua volgare contemporanei, poiché in cima alla pagina è scritto « Hoggi » ; ed anche nell’ elenco del Cod. Vat. lai. 3450 (v. Appendice η. 1). Suoi versi sono nel Vat. lat. 3351, c. 154v. Su di lui v. B. Cro ce ,
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Federico Ubaldini
anch’egli l’introduttione di Pomponio Leto di cambiare il proprio nome con alcuno che sentisse dell’ antico Romano, non essendo Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, I, Bari 1958, pp. 36-43; e, oltre il Percopo eit., A. D ’A ncon a , Studi sulla letteratura italiana dei primi secoli, Ancona 1884, pp. 174 sgg. Il Casassagia fu forse figlio di qualche sorella del Chariteo e di un Baldassarre Casasages (v. P ercopo , op. cit., p. 249), nome abbastanza comune in Catalogna (Casasayes, Casasages, Casassages); su di lui non possiamo dire altro che quanto scrive il Summonte al C. nella lettera ricordata (Lancellotti, pp. 91 sgg.) la quale, purtroppo, non dice molto. Non lo nomina neppure, ricordandolo semplicemente come « lo nepote del Chariteo », « versato (cioè vissuto) in Franza », « persona certo oltre lo ingegno modestissima, et digno nepote di tal zio ». Da quanto dice la lettera siamo autorizzati a pensare che il Casassagia, dopo la morte dello zio, non si occupava di lettere e di poeti, ma piuttosto di affari, e non doveva essere in frequenti rapporti di amicizia col C., considerazione alla quale siamo portati anche dalla lettera che accompagna le traduzioni (Fot. lat. 4796, c. 8); infatti « questo jovine tene di molte e molte occupazioni » e ha dovuto fare la tra duzione « ad tempo che si è trovato oppresso in negocii » ; tuttavia oltre a possedere la conoscenza del catalano e del francese, « esercitato pure assai si in leger, come in scriver cose thoscane, tene non poca dextrezza in interpretar lo idioma e la poesia limosina ». Il Summonte conosceva bene queste doti di Bartolomeo ricordandosi « che queste cose limosine le legeva et intendeva così bene come il zio, et non voglio dir miglior; la qual comparazione si era vista più volte quando e l’uno e l’ altro qualche volta ragionavano del miglior e del peggior di questi tali poeti limosini et questo con lo libro in mano, quale adesso è in vostro potere ». Il Percopo (op. cit., p. L V III) avanza l’ipotesi che il Baldas sarre, padre di Bartolomeo possa essere lo stesso che nel 1497 prestò 100 ducati al re e riscosse altre somme dalla tesoreria regia; c’è inoltre un sonetto del Chariteo (CCXII della raccolta del Percopo) ad un Baldassarre, che il Percopo pensa potrebbe essere il cognato dedito agli amori ed esortato a dedicarsi invece agli studi ed alla poesia. Certo è che né il Casini (U n provenzalista del sec. X V I in « Rivista critica della letter. ital », 1884, p. 89), né il De Lollis (Ricerche intorno a canzonieri provenzali di eruditi italiani del sec. X V I in « Romania », 18, 1889, p. 453), né lo Stronski che si è occupato di Folchetto di Marsiglia (Le troubadour F . de M ., Cracovia 1910), uno dei poeti del quale, insieme ai versi di Ar naldo Daniello, il Casassagia ha fatto la traduzione per il C., né il Lavaud (Les poésies d'Arnaut Daniel in « Annales du Midi », X X I I ), né l’ editore della traduzione di una can zone di Guiraudo le Ros (« Archiv fiir d. Studium d. Neuren Sprachen » , X X X V , pp. 442-43) hanno aggiunto notizie, oltre quelle qui riportate. I codici Vaticani che conser vano la lettera al C., che accompagnò le traduzioni, e le traduzioni stesse, « che sono tre quaderni in quarto di foglio, e sono in tutto carte X X X » (v. la lettera del Summonte), sono i Vat. lat. 4796, cc. 1-30, e 7182, cc. 287-333; il primo contiene l’originale, il secondo le copie e furono naturalmente entrambi posseduti dal C.; va anche ricordato che a c. 22 del Vat. lat. 3436 il C. ha vergato un frettoloso appunto: « Memorie/bartholomeo casassagia/ se vive in napoli che/tradusse lemosini ». Ci sembra di dover riallacciare l’ amicizia col Chariteo ed i rapporti col Casassagia ad un tentativo di traduzione, fatto dal C., di due operette dello scrittore rossiglionese Fran cisco de Moner y de Barateli, una in lingua catalana, l’ altra in lingua castigliana. Appro fondiremo più avanti l’ argomento (n. 173), quando dovremo parlare delle due operette. Legato in certo modo al nome del Chariteo è l’ aquilano Serafino Ciminelli; nacque nel 1466 e, non ancora ventenne, entrò tra i famigliari del card. Ascanio Sforza che da Roma lo condusse con sé a Milano dove apprese l’ arte di comporre e cantare sul liuto gli strambotti, genere allora venuto in gran voga specie per opera del Chariteo. Da Milano
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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bastato a vietar ciò lo sdegno di Paolo II e chiamossi A . Colotius Bassus. Facevasi questa mutatione di nome con solennità di ceritornò a Roma e da qui passò a Napoli alla corte aragonese da dove, alla venuta dei fran cesi, passò ad Urbino e poi di nuovo a Milano e finalmente a Roma a servizio del duca Valentino presso il quale morì nel 1500. Aveva passato quasi tutte le corti italiane senza ricavarne benefici finanziari, ma arrivando ad una fama superiore certamente ai suoi meriti. Oggi il giudizio che i critici danno della sua opera è completamente negativo; quando il Menghini pubblicò la raccolta dei suoi versi (Le rime di S. de' C. dall’Aquila, I, Bologna 1894) il Croce scrisse: « un testo che non solo è nullo per la storia della poesia, ma non presenta nessuna di quelle attrattive di aneddoti e notizie che gli eruditi raccol gono da altri testi poeticamente nulli » (Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, già cit., I l i , p. 77). Invece il C., dopo averlo conosciuto probabilmente alla corte arago nese ed aver consolidato l’ amicizia a Roma, se ne entusiasmò in modo grandissimo, ne curò la stampa postuma delle opere (Rom a 1503) premettendovi un'Apologià e ne cele brò la morte con un sonetto (Lancellotti, p. 10, IIa parte) inserito nelle Collettanee grece, latine e volgari curate daU’Achillini (Bologna 1504), alle quali è premessa una vita scritta dal Calmeta la cui ammirazione non è inferiore a quella del Colocci. Abbiamo trovato versi dell’Aquilano, alcuni anche in latino, nel Vat. lat. 2951, cc. 291v-295r; l’ attribuzione è dello stesso C. a c. 2V dello stesso codice, nell’indice da lui compilato. Nel Vat. lat. 4831, c. 86, abbiamo invece trovato poche righe di appunti biografici riguardanti il modo di comportarsi del poeta. L’ Ubaldini ricorda più avanti (p. 63; p. 44 dell’ed. lat.) il sonetto senza riportarlo; esso uscì la prima volta per le stampe, assieme ad altri cinque di diversi autori, nell’ultima carte del volumetto: Opere del Facundissimo Seraphino Aquilano collecte per Francesco Flavio. (In fondo:) Impresso in Roma per maestro Ioanni de Besicken nel anno de la incarnatione del nostro Segnore M CCCCCII (v. n. 95); per notizie sul Ciminelli, sui suoi rapporti col C., sulle edizioni dei suoi versi e dell'Apologia colocciana v., oltre il Menghini ed il Croce già cit., in A. D ’ A n co n a , Studi sulla letteratura italiana dei primi secoli, già cit., da p. 151 a p. 237 lo studio Del secentismo nella poesia cortigiana del secolo X V . Nel regno di Napoli il C. ebbe occasione di stringere amicizia con un altro umanista, suo conterraneo perché nato a Cingoli, che dalla sua terra natale prese il nome di Cingulo; questi a Napoli conobbe Francesco Colocci, al quale dedicò un suo poema intitolato For tuna, e il nostro Angelo che curò dopo la sua morte la raccolta dei suoi versi (Sonetti, Barzellette e Capitoli del claro Poeta Benedetto Cingulo, Roma 1503; v. anche la testimo nianza del Giustolo a n. 44) insieme al fratello Gabriele. Morì probabilmente a Siena nel 1495; il C., in occasione della morte, gli dedicò una canzone (Lancellotti, pp. 4 sgg., IIa parte) composta nei soliti modi tra petrarchesco e barocco. Suoi versi si conservano nei Codd. Vat. lat. 2834, cc. 7 e 22v; Vat. lat. 2951, cc. 279v-282v; 3353, c. 168; 3388, cc. 13-14, mentre nel Vat. lat. 4831, c. 85v, c’ é un brevissimo cenno biografico ed a c. 104 è ricor dato sotto il nome di Piceno accanto al Tebaldeo ed al Calmeta. Il suo nome figura nell’ elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1); su di lui v. F. V ecch ietti e T. M oro , Biblioteca Picena, Osimo 1790-96, II, pp. 164-68. Un altro letterato marchigiano, Ludovico Lazzarelli, ebbe modo di avvicinare il C. durante il soggiorno napoletano. Era nato nel 1451 a Sanseverino da padre medico e da madre abruzzese che, rimasta presto vedova, si ritirò nella natia Campii dove Ludovico fu istruito nell’ arte poetica anche da Elisio Calentio acquistando fama, oltre che di let terato, anche di filosofo e teologo. Si pose allora sotto la protezione di Francesco Colocci, che era governatore delle province abruzzesi e doveva essere munifico mecenate come di mostrano le dediche delle opere del Cingulo, del Calentio e dello stesso Lazzarelli che de-
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Federico Ubaldini
monie, cingendosi la testa di lauro e còl consenso degli Accademici scrivendosi nella matricola dagli altri, havendo prima, con recitar dicò al fanciullo Angelo il Bombix, quale omaggio allo zio Francesco. È impossibile sta bilire gli anni in cui soggiornò presso il C.; il Bombix non porta note tipografiche, in modo che se n’ è potuto rintracciare solo il tipografo che fu Eucharius Silber il quale lavorò a Roma dal 1480 in poi (v. il Catalogo degli incunaboli del British Museum, IV, p. 125). D ’ altra parte Francesco Colocci col nipote passarono nel regno di Napoli dopo il 1485, e crediamo perciò di non sbagliare affermando che il Lazzarelli fu presso il C. poco prima del 1490 ed attorno a questa data si può collocare anche l’ edizione del Bombix; 11 libro ha la dedica « Ad Angelum Colotium honestae indolis puerum » (cf. W . A. Cop in g e r , Supplement to Hain’s Repertorium Bibliographicum, II, p. 355, n. 3522). Sbaglia quindi il Moro (V ecch ietti e M o ro , Biblioteca Picena, già cit.; il V° voi. fu com pilato solo dal Moro; V , p. 238) che dà, come data di stampa, il 1478. Quello che è certo è che il Lazzarelli precedette il Calentio quale famigliare di Francesco Colocci; ce lo dice Lucio Calentio nella dedica delle poesie del padre Elisio ad Angelo: Verum, tuis adhortationibus impulsus, ad te venit Elisius. Nuper enim audierat L. Septempedanum suum, Poetam tuum sese sub tuo praesidio collocasse (Lancellotti, p. 99). Il Lancellotti curò la ri stampa del Bombix (Jesi 1765) con molte annotazioni desumendo le notizie da un mano scritto del fratello di Ludovico, Filippo, che nel 1498 aveva soggiornato a Jesi; per esor tazione del C., al quale fu dedicata, Filippo aveva compilato la vita del fratello. È ricordato nell’ elenco del Val. lat. 3450 (v. Appendice n. 1). Francesco Elio Marchese, oriundo di Salerno ma nato a Napoli, ebbe la ventura di frequentare a Roma Pomponio Leto e poi a Napoli l’Accademia pontaniana; a Napoli morì poverissimo nel 1517 lasciando a Girolamo Carbone il manoscritto dell’opera, com pilata nel 1496, alla quale è affidata la sua modesta fama, De neapolitanis familiis, che fu stampata solo nel 1653. Durante il soggiorno romano, che probabilmente non si pro trasse oltre il 1483, curò nel 1472 la stampa della traduzione latina di Ambrogio Traver sati delle vite dei filosofi di Diogene Laerzio (Hain-Copinger 6196) e un’ edizione delle odi di Orazio (Hain 8899), Si è esaurientemente occupato di lui B. Cro ce , Uomini e cose della vecchia Italia, I, Bari 1956, pp. 26-45; v. anche nel « Giorn. stor. Letter. Ital. », voi. 118 (1941), pp. 56-63, la recensione di C. D ion isotti ad un articolo delTAltamura sul Tamira. Dopo la morte del Pontano aiutò il Sannazzaro ed il Summonte a raccoglierne e stamparne le opere; quale segno dell’ amicizia col C. rimane ima sua lettera inedita del 12 giugno 1510, (v. Appendice n. 2) conservata nel Vat. lat. 4105, c. 276; il C. evidentemente cercava nel regno di Napoli terre da comperare, forse pensando che le vicende fortunose di quegli anni consentissero di fare qualche grosso guadagno, ed il Marchese gli risponde che, per quanto abbiano cercato lui ed il Summonte, non hanno trovato niente. Sebbene appartenga ad una generazione precedente va ricordato dell’ ambiente na poletano Porcelio Pandoni. Il C. quasi certamente non lo conobbe, ma ne troviamo i versi in almeno 5 dei codici da lui posseduti (Vat. lat. 1670, 1672, 2836, 2906, 2951) e doveva avere molto interesse per lui. Fu poeta sciatto e cortigiano che tuttavia arrivò all’incoronazione a Napoli come poeta da parte di Federico III (v. U. F r it t e l l i , G. dei P. detto il Porcellio, Firenze 1900). In quello che noi abbiamo chiamato Inventario primo dei libri del C., scritto di sua mano, il Porcelio è ricordato a c. 63v: Porcellii, tra i libri contenuti nel « Forziero lungo », ma è impossibile indicare il codice indicato con quel nome; nell'Inventario secondo (Cod. Vat. lat. 3958) abbiamo (c. 191v): In 6. cap., 59. Porcellus Poeta de felicitate temporum P ij 2Al (Vat. lat. 1670); a c. 193: In cassa 7a, 66. Porcelli Poemata, anche questo di difficile identificazione con i codici ricordati sopra. Sul Pontano, figura troppo conosciuta per darne notizie qui, ci limitiamo ad indicare
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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qualche composizione, fatto prova della propria sufficienza; poscia a un solenne convito ricevuto, gli Accademici cantando versi in sua il lavoro del Percopo (Vita di Giovanni Pontano, Napoli 1938) da cui abbiamo attinto le notizie biografiche; avremo numerose volte occasione di parlarne (v. sopra in questa stessa nota e p. 12; n. 21; p. 19; n. 23; p. 59; n. 85; p. 61; n. 92; n. 93; p. 64; n. 98; n. 100; n. 101; p. 77; n. 140; n. 142; p. 96; p. 101; n. 171; n. 177). I rapporti tra il Pontano e Francesco Colocci prima, ed Angelo poi, devono essere stati strettissimi: il C. si vantò frequentemente di essergli stato amico e di aver appartenuto all’Accademia da lui fon data; il Pontano lodò il C. e gli dedicò qualcuno dei suoi libri; così fece pure il Summonte nell’ edizione da lui curata dopo la morte del poeta, per la quale ebbe l’ aiuto del Colocci. Abbiamo trovato nel Vat. lat. 3388, ce. 135, 175 e 251, versi del Sannazzaro, nei quali il poeta si prende gioco assieme al C. di un amore senile del Pontano per la ferrarese Stella. È ricordato nell’ elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice η. 1). Anche il Sannazzaro è troppo conosciuto per parlarne in queste note. Abbiamo tro vato suoi versi, oltre quelli ricordati sul Pontano, nei codici colocciani Vat. lat. 2836, ce. 112v-113, 120 e 123-24, e Vat. lat. 2847, cc. 1 sgg.; il Lancellotti (pp. 62-63, n. a, e pp. 60 e 66, IIa parte) riporta quelli del C. diretti a lui e quelli (pp. 62-63) diretti al C., tutti molto licenziosi, se si eccettua un epigramma contro Adriano VI. Ci sono versi suoi, inol tre, nei Ottobon. lat. 2860, cc. 79-81; Vat. lat. 2874, c. 161; Vat. lat. 3353, cc. 169-75 e 3388, cc. 262 e 265v, ed é ricordato nell’ elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice η. 1). Di Pietro Summonte, che l’ Ubaldini ricorderà frequentemente più avanti, il maggior merito fu l’ aver curato l’ ediz. delle opere del Pontano ed aver salvato gli autografi del l’Arcadia del Sannazzaro e le rime del Chariteo; di tutti e tre era stato amicissimo. Il Lancellotti (pp. 89-95) pubblica le sue interessanti lettere al C., l’ultima delle quali è del 1526, anno della sua morte; è ricordato nell’ elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice η. 1): su di lui v. N. M a n c in e l l i , P. S. umanista napoletano, Roma 1923; P ercopo , Rime del Chariteo, già cit., pp. CCXII sgg. e CCXCIII sgg.; E. P ercopo , Una lettera pontaniana ine dita di P. S. ad Angelo Colocci (1519) in « Studi di letteratura italiana », I (Napoli 1899), pp. 388-95; G. M e r c a t i , L'elogio di Eleonora Sanseverino principessa di Bisignano di P. S. in Ultimi contributi alla storia degli umanisti, II, Città del Vaticano 1939, pp. 110-119. Poniamo nel numero degli amici napoletani del C. anche Pietro Tamira, che in ve rità era romano (Thamyras Romanus), seguendo il Lancellotti (p. 12); che abbia soggior nato a Napoli è molto probabile poiché lo troviamo amico del Summonte e del Pontano (Lancellotti, p. 89), il quale lo pone interlocutore nell’Aegidius e lo ricorda nel libro VI del De Sermone. Seguì a Roma le lezioni di Pomponio Leto, ed alla festa delle Palilie del 1484 pronunciò una sua orazione che ci è rimasta nel Cod. Vat. lat. 2836, cc. 326 sgg., già appartenuto al Colocci. In quella data avrebbe avuto circa vent’ anni, notizia questa che non s’ accorda con quanto può ricavarsi dal volume di Pietro Gravina Epistolae atque Orationes (Napoli 1580, pp. 132-34) per il quale verso il 1519 sarebbe stato vecchio e molto stimato dai dotti. I suoi versi sono sparsi qua e là, tre distici nei Coryciana (c. 25) ed altri pochi in qualche raccolta del tempo. L’ Arsilli lo ricorda (Coryciana, c. 134) tra i poeti fioriti a Roma nel suo tempo e così pure l’Altieri (Li Nuptiali, Roma 1873, p. 25). Di lui hanno parlato il Percopo (E. P ercopo , Pomponio Gaurico umanista napoletano in « Atti dell’Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti » , X V I, 1891-93, IIa parte, Napoli 1894, p. 166) e il Dionisotti nella recensione citata sopra (Giorn. Stör. Letter. Ilal., voi. 118, 1941, pp. 56-63). L’ amicizia col C. è provata dalla dedica premessa dal Summonte al De Magnanimitate del Pontano e riportata dal Lancellotti (p. 89); inoltre è ricordato nell’ elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice η. 1). Il Vopisco è anche lui figura poco nota: quanto ne dice il Tiraboschi (Storia della Let-
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Federico Ubaldini
lode, col nuovo nome il salutavano, né altrimente che con tal nome si sarebbono chiamati, né lasciavansi vedere se non coronati di lauro nelle loro adunanze.21 Ma ancorché lieta ad Angelo riuscisse
teratura italiana, Milano 1833, IV, p. 223) è niente più di quanto detto dalTArsilli nei Coryciana (c. 136v) e il Lancellotti (p. 87) non aggiunge nulla, promettendo di parlarne più diffusamente in un suo commento al poemetto dell’Arsilli che aveva in animo di fare e che non ha mai scritto. Di lui, oltre pochi versi nei Coryciana (c. 55v), abbiamo potuto vedere una composizione poetica in greco, nei Vat. lat. 2836, cc. 255v-260, e 3388, c. 199v. Ci rimangono poi alcune lettere al C., in tutto otto; di queste, tre si conservavano, mala mente trascritte nel Codice Colotiano, cc. 21-22, presso il marchese Nicolò Colocci e sono state pubblicate dal Lancellotti (pp. 87-88); due altre, delle quali una è pubblicata anch’ essa dal Lancellotti (p. 88) con qualche errore (ad es. « Amico » per « Unico » nella quarta riga), sono conservate alla Vaticana nel Reg. lat. 2023, c. 383 (e non p. 38, come dice il Lancellotti) e c. 384; altre tre sono nel Vat. lat. 4104, cc. 63-67. Non abbiamo tro vato le composizioni amorose ed il poema epico nel quale, secondo quanto dice l’Arsilli, il Vopisco canta le gesta del generale aragonese Raimondo di Cardona, vincitore dei fran cesi, dei fiorentini e dei veneziani dopo la battaglia di Ravenna (1512); eppure egli ne parla nella sua lettera al C. del 12 aprile 1519. Il suo nome, che troviamo scritto anche Aloysius, Elysius, Lucius, è Giovanni Ludovico ed era figlio di un Francesco a noi ignoto. Doveva essere ancora vivo nel 1548, quando il Minturno scriveva il De poeta dove è in trodotto, come interlocutore assieme al Gamico, a rappresentare entrambi la cultura e l ’ erudizione greca; infatti al principio del V I libro, dopo aver lamentato la scomparsa dal 1526 al 1530 di tutti gli amici presenti alle adunanze del 1526 presso il Sannazzaro, il Minturno dice: Vix unum ex tot superstitem incolumemque habemus Vopiscum, qui adhuc summa cum laude in studiis viget literarum. Nelle lettere al C. si rivela come uno spirito scherzoso, imbevuto di cultura greca e di studi filosofici; abbiamo creduto bene ripor tare nell’Appendice (n. 3) quelle inedite. Quasi tutti questi il nostro Angelo ebbe modo di avvicinare durante il suo soggiorno nel Regno; la maggior parte di essi era attratta probabilmente, a Napob o a Sulmona, dal mecenatismo dello zio Francesco che fu anche lui componente dell’Accademia, come Angelo stesso ci fa sapere negb appunti biografici su Ebsio Calentio rimasti a c. 377 del Vat. lat. 3903: Neapoli (il Calentio) amavit Franciscum Colotium patruum meum qui erat a consilio regio iuris consultus optimus et non solum legibus sed etiam studiis bonarum artium operam dabat quem Pontanus et celeri ex illa Achademia non Franciscum sed Phaliscum vocabant ut in Sertorio. Del resto Francesco doveva essere anche poeta in volgare poiché Angelo lo ricorda in un lungo elenco di poeti suoi contemporanei a c. 104 del Vat. lat. 4831. È probabilmente suo un sonetto nel Vat. lai. 4787, c. 183, preceduto dalle ini ziali F. C.; dei suoi studi sul Petrarca rimane il ricordo, di mano del fratello Nicolò, nel Vat. lat. 4514, c. 73v. 21 Quanto dice qui, e più avanti, l’ Ubaldini del soggiorno napoletano del C. è da ri tenersi molto esagerato. Il C. aveva all’incirca dieci anni e, anche ammettendo che fosse un bambino precoce, non si può certo parlare di amicizia tra lui ed il Pontano; le atten zioni e le lodi che gli venivano tributate erano dovute più che altro allo zio, consigliere del Re. Le notizie sull’ accademia di Pomponio Leto e su quella del Pontano sono tratte dall’ elogio di Pomponio Leto di Paolo Giovio (Elogia doctorum virorum, Antuerpiae 1557, pp. 87-88: Veterum enim ingeniorum illustria nomina sibi ipsis indiderant, quum in coetu sodalium laureati Musas colerent.) e dalla Esposizione della Poetica di Aristotele di L u d o vico Castelvetro (Basilea 1581, pp. 198-99) che in proposito dice: « le quali usanze
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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la dimora in. Napoli, perché vi stava col titolo infelice di esule, fu assai allegro del suo ritorno a Rom a, come ne fa fede egli stesso. Terrarum Dea, gentiumque ocelle, Quacumque Oceanus pater perambit, Et Sol lumine conspicit corusco, Quarti libens mea Roma te reviso: Ut domum tetigi laboriosus Post tot exilia acta, tot labores, Anfractus maris asperi et viaruml22 Su ’1 primo dunque che Angelo ripatriò in Rom a, ci venne di mezza state Gioviano Pontano per Ambasciatore Regio per la conchiusione della pace e de’ gravissimi negozij che correvano, e con esso venneci ancora il Sanazzaro. Ricevuto il Pontano dal sommo Pontefice con sommo splendore, fu honorato anco da Angelo sì come alla devotione verso la casa reale et all’ affettione verso l’amico era dicevole, eccellentìssimamente. Parve che in questo trattato si contendesse di magnanimità tra il Papa et il Re, questi perdonando i Baroni ribelli, e quelli al Re feudatario. Onde prese occasione il Pontano di conferire col Colocci il libro da lui scritto Della Magna nimità, che poi Pietro Summontio dando alle stampe gli dedicò.23 (di cambiare i nomi) sono state seguite da coloro, che a tempi moderni hanno fondate ac cademie, e costituite ragunanze di persone letterate sotto certe leggi, delle quali pare che fossero primi autori Giovanni Pontano a Napoli e Pomponio Leto a Roma, giudi cando essi che non fosse meno huomo rinovato e da tenere per rinato colui che, lasciati gli altri studi si convertisse e si consecrasse alle lettere,... E perciò, mutando loro ardita mente i nomi, danno quelli che per lo più sono stati di huomini letterati o hanno signifi catione di mostrare l’ ardore verso la gloria delle lettere o almeno s’ accostano a nomi an tichi greci e latini... ». Il C. continuerà poi a Roma l’Accademia di Pomponio Leto; le notizie su queste adunanze romane sono in una lettera del Sadoleto che PUbaldini riporta parzialmente più avanti (v. p. 67 sgg.). Per notizie sull’Accademia Pontaniana v. M. M a y l e n d e r , Storia delle Accademie d’ Italia, Bologna 1926-30, IV, p. 328 sgg., con ab bondante bibliografia. Quanto si dice di Paolo I I è desunto dal P l a t in a , De vitis Ponti ficum Romanorum, Colonia 1588, p. 341. 22 II Lancellotti (p. 28) ritiene invece il componimento scritto al suo ritorno nell’Urbe dopo il Sacco del 1527; lo riporta intero (sono infatti 20 versi, 13 di più di quelli riportati daH’ Ubaldini) a p. 54 della IIa parte, desunto dal Cod. Vat. lai. 3388, c. 78 (e non 145, come scrive il Lancellotti; il foglio porta altre precedenti numerazioni, e cioè 37 e 135, poiché il codice è evidentemente costituito mettendo assieme quaderni, diversi anche per formato, d’ appunti del C.). L’Ubaldini modifica leggermente il testo, riportato invece fedelmente dal Lancellotti che scrive Quorumque al secondo verso e laetus al quarto. 23 L ’ Ubaldini usa la parola « ripatriare » che non ci sembra molto appropriata: Roma non era la patria del C., non risulta che ci fosse stato prima dell’ esilio napoletano e non si può perciò dire che rimpatriasse. Il Pontano fu a Roma per trattare la pace tra Inno cenzo V III e Ferdinando, re di Napoli, nell’ agosto del 1486; il C. avrebbe avuto dodici
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Montò Angelo non solo in credito di litterato, m a di fautore delle lettere e ben presto se gli dedicarono libri con encomii di stima, come nell’anno 1495 fece Antonio Mancinelli con tal lettera che mi giova di riferire. Antonius Mancinellus ad A . Colotium Aesinatem Litterarum. Apostolicarum majoris Praesidendae Breviatorem. Ser monum decadem, Angele mi suavissime, cui dedicarem volenti, mihi tu quidem in primis occurristi. Noram enim te studiosorum amantissimum, miraque probitate clarissimum, comitate juvenem, gravitate senem, libentissimeque otium tuum in litteris collocantem. Lectitas namque et ediscis frequenter. Quod mihi certe nulla admiratione accesanni appena compiuti, secondo il Vat. lat. 4787 (v. Lattès, p. 338) e diciannove secondo il Lancellotti (pp. 9 e 78). Le fonti dell’ Ubaldini su questo argomento sono, oltre il Porzio (La Congiura de’ Baroni del Regno di Napoli contro il re Ferdinando primo raccolta dal S. Cam illo P ohtio , Roma 1565, ce. 63 sgg.; dal Porzio, c. 24v, è tratta la notizia su Ascoli Satriano e Nola di cui alla n. 20), il dialogo del Pontano sull’ingratitudine intitolato A sinus (I. I o v ian i P ont an i opera quae soluta oratione composuit omnia, Basilea 1538, II, pp. 324 sgg.) e la lettera di dedica del Summonte premessa al De magnanimitate del Pon tano (op. cit., I, p. 425). La notizia sulla presenza del Sannazzaro a Roma è nell’Asireus (op. cit., II, pp. 331 sgg.); quanto è detto sull’ accoglienza fatta a Roma dal C. al Pontano e sui colloqui che sarebbero stati scambiati tra i due è tratto dalla lettera dedicatoria del Summonte. Ma dobbiamo dire che siamo molto dubbiosi su quanto si dice attorno al C. che avrebbe avuto, come abbiamo ricordato, appena dodici anni; anche l’Ubaldini sembra molto cauto e premette un « parve » a tutto il discorso. C’è da osservare innanzitutto che la ribellione di Jesi, che aveva costretto i Colocci all’ esilio, era avvenuta il 2 giugno del 1486 e nell’ agosto dello stesso anno sarebbe avvenuto rincontro a Roma tra il C. ed il Pontano; dunque quest’ amicizia si sarebbe stretta in poco più di due mesi durante i quali Angelo avrebbe dimostrato le sue qualità di bambino prodigioso. Era difetto del C. attribuirsi meriti e gloria che non gli appartenevano; e lo possiamo giustificare pensando che a quel tempo l’ amore per la fama era comune a tutti gli umanisti, fino al punto di esagerare o addirittura inventare meriti inesistenti, come spesso egli fece. Se il nostro Angelo aveva solo dodici anni, il Pontano non avrà certamente avuto da lui le idee per compilare il De Magnanimitate, come invece il C. vorrebbe far credere; più probabile che questo sia accaduto se egli ne aveva diciannove. Ma allora il documento, che il Lat tès ha rintracciato nel Vat. lat. 4787, sarebbe bugiardo, almeno in parte; è arduo fare un’ affermazione di questo genere, ma è un fatto che alcune notizie in esso contenute sono in contraddizione con altri documenti riportati dal Lancellotti. Questi (p. 8) asserisce che la moglie di Nicolò si chiamava Fortunata e cita il documento dal quale trae la no tizia; secondo il Vat. lat. 4787 la moglie di Nicolò si chiamava invece Ypolita. Secondo il Lancellotti (pp. 186, 214,223) Francesca Colocci, sorella di Angelo, avrebbe sposato Tiberio Ripanti il 14 gennaio 1497, mentre secondo il solito codice avrebbe sposato Isilerius de Ysileriis (Ghisliero Ghislieri) nel 1491. Una indagine più approfondita, specialmente sui do cumenti dell’Archivio Notarile di Jesi, potrebbe chiarire molti dubbi, ma allo stato at tuale delle nostre conoscenze non possiamo far altro che esporre le nostre incertezze. Del resto anche il Percopo (v. n. 20, tra le notizie sul Chariteo) ha espresso i suoi dubbi sull’ amicizia che a Napoli il C. avrebbe stretto con gli accademici pontaniani; è più pro babile, anche se non si può generalizzare, che questi rapporti siano sorti più tardi, quando soggiornava, ad esempio, a Sulmona con lo zio Francesco che v i accolse ed ospitò sicu-
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sit·, Nicolai sed enim patris ac Francisci patrui tui vestigia sectaris. Quorum alter plurimum fide, ac veritate et candore praestabat, unde in contubernio ejus, sicuti in tuo, nihil unquam nisi sanctum, nihil nisi honestum videbatur. Alteri vero ingenium solers, et utriusque juris cognitio maxima inerat. Qua de re et Ferdinando Regi Partenopaeo consiliarius astitit. Cum ergo tua fides et veritas ac candor parenti, studium et solertia patruo tuo respondeant, jure Mancinellus et merito suae decadi praeesse te voluit. Age jam munuscula ejus hilari mente, serena fronte, manu benigna excipito. Vale nostri memor M C C C C X C V 2*.
ramente il Calentio, il Lazzarelli ed altri. Il Lancellotti (pp. 12-14) ricorda il soggiorno ad Ascoli Satriano ed a Nola, omettendo quello di Sulmona; nel 1491 Angelo sarebbe tornato a Jesi e lì avrebbe avuto cariche pubbliche, specialmente dopo la morte del padre avve nuta nel 1494. Alla fine di quest’ anno la sorella Francesca si fidanzò con Tiberio Ripanti ed egli sarà stato di certo presente al contratto; secondo il Lancellotti la cura degli affari sarebbe stata affidata da Angelo, tutto dedito alle lettere, allo zio Francesco, tornato an che lui a Jesi dopo l’invasione francese del regno di Napoli. Il soggiorno di Sulmona, sul quale abbiamo la testimonianza del Calentio, è l’unico dato certo di questo periodo; il C. deve essere stato per periodi più o meno lunghi anche a Jesi ed a Roma, dove alla fine si trasferì per rimanervi fino alla morte. Certo è che il C. fu devoto ammiratore ed amico del Pontano; sono probabilmente appartenuti a lui i codici vaticani contenenti le poesie latine (v. Lattès, p. 331) sebbene non ci siano segni che ci confermino quest’ appartenenza e la corrispondenza tra il C. ed il Summonte (v. I. I ovian i P on tan i carmina a cura di B. Soldati, Firenze 1902, I, p. X X , e Lancellotti, pp. 89 sgg.) non ci illumina affatto sull’ argomento. Delle opere a stampa del Pontano conservate nella Vaticana si può affermare con sicurezza che sia appartenuto al C. un solo volume, quello segnato R.1.11.243, che comprende, rilegate insieme, due opere, quella De rebus coelestibus pubblicata nel 1512 a Napoli a cura del Summonte e le Commentationes super centum sententiis Ptolomaei stampate pure a Napoli nel 1513. Il libro è appartenuto prima a Marcello Cervini, del quale ci sono le postille, e poi al C. che ripete molte note del Cervini; entrambi hanno scritto le loro osservazioni anche sui piatti della legatura, segno che le due opere erano rilegate insieme fin d’ allora. Non è possibile identificare il volume nell’inventario dei libri del C. studiato dal Lattès; proba bilmente era compreso negli altri 406 volumi di cui si parla alla fine dell’inventario stesso e che non erano stati descritti. Nell’ Inventario primo le opere del Pontano non figurano affatto; probabilmente erano elencate nelle pagine perdute. Rimangono del Pontano, nei codici colocciani, un indice di parole latine, tratte dal De sermone e disposte per ordine alfabetico, da c. 303 a c. 346 del Vat. lat. 4057; un breve frammento, che il C. stesso ha ricopiato da un’ opera del Pontano annotando il numero della carta o pagina del volume di provenienza (Pontan. 179), a c. 19 del Vat. lat. 3898; e pochi versi a c. 314 del Vat. lat. 7192, e a c. 192v dell’ Otfoòon. lat. 2860. 24 Non è possibile che il Mancinelli abbia dedicato le sue Decades al C. nel 1495; fra l’ altro in quell’ anno questi non era ancora Abbreviatore. Si tratta invece del volume Impressum Romae in Campo Florae per Eucharium Silber Alias Franck M D I I I Die M aii Ultimo, che sul recto della prima carta dice: Ant. Mancinelli Sermonum Decas: ad Ange lum Colotium Aesinatem e a c. 2 porta la dedica riferita dall’Ubaldini con alcune leggere varianti e senza data (v. Lancellotti, p. 86). Le opere del Mancinelli, grammatico nato a Velletri nel 1452 e morto a Roma nel 1506, ebbero numerosissime edizioni dedicate a
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Era il Colocci in Roma in posto considerabile ritrovandosi Breviatore della Maggior Presidenza,25 offitio che si soleva comprare anche di quell’età a gran prezzo, ma non so per qual cagione Angelo del 1500 non lo comperasse se non due mila e cinquecento ducati d’oro di camera a dodici carlini per ducato. Vende l’ offitio M. Bartolomeo di Honofrio Bartolini da Perugia,26 rogatore dell’istrumento Ser molti personaggi; molte furono ristampate senza il consenso dell’ autore, come si legge nell’ultima carta del volume. Il Mancinelli aveva studiato le lettere sotto Pomponio Leto e poi anche la giurisprudenza a Perugia e la medicina a Padova, ricavando con l’insegna mento di che sostentare la numerosa famiglia. Insegnò in molti luoghi ed anche a Venezia chiamatovi dal Leto; in fine tornò a Roma dove probabilmente morì, povero nonostante la sua laboriosità. L’ amicizia col C. sorse probabilmente nell’ ambiente del Leto; dei molti epigrammi e operette didascaliche in versi da lui scritte il valore poe tico è quasi nullo. Più che il suo maestro Pomponio Leto, che indirizzò l’Accademia ro mana verso l’ archeologia, il M. ebbe a modello il Valla delle Elegantiae linguae latinae, ma il suo latino tuttavia è fortemente inquinato dal latino medioevale. Il C. conservava in un brogliaccio, che oggi è il Vat. lat. 4057, un quaderno di 36 carte (cc. 434-469) intito lato Tabula in Strabonem per singulas litteras diducta ab opere incoato a Mancinello. Si tratta di un elenco alfabetico di vocaboli, ognuno dei quali ha accanto il numero della carta del codice da cui sono tratti; nello stesso codice ci sono altri elenchi di altri autori latini. Per altre notizie sul M. v. R. Sa b b a d in i , A . M . in « Cronaca del Ginnasio di Velletri-1876-77 », Velletri 1878, pp. 7-40. 25 II Lancellotti (p. 14) nega recisamente che il C. potesse essere in quel tempo a Roma. Notizie sulla carica di Abbreviatore saranno state tratte dai documenti dell’Ar chivio Vaticano: v. Io. Cia m p in i , De Abbreviatorum de Parco Maiori etc., Roma 1691, p. 14 della IIa parte, dove è ricordato nell’ anno 1503; ma W. VON H ofm an n , Forschungen zur Geschichte der kurialen Behörden von Schisma bis zur Reformation, Roma 1914, I, p. 46 e II, p. 83, lo registra in questa carica già dal 1° agosto 1499; dal 7 gennaio 1510 passa ad altre mansioni per le quali v. n. 27. 26 Postilla marginale: Vedi la particola del testamento di costui. Il notaio non è ricor dato nella traduz. lat. (p. 13). Il nostro Autore desume queste notizie dagli archivi romani e dalla Vita di Guidubaldo scritta da Bernardino Baldi, a quei tempi ancora medita, ma giacente nella biblioteca dei Duchi in Urbino dalla quale passò alla Vaticana dove attual mente si trova {Urb. lat. 1012 e 1566); anche il Lancellotti la conosceva (v. p. 14, n. d). Particolare interesse avevano per l’ Ubaldini le vicende di Guidubaldo del quale era stato precettore Ottaviano Ubaldini che aveva spadroneggiato alla corte di Urbino anche con arti poco encomiabili, L’ opera del Baldi fu stampata la prima volta a Milano nel 1821 e le notizie qui riportate sono a p. 182 sgg. di quella edizione. Bartolomeo Bartolini era succeduto allo Staccoli (v. p. 61 e n. 94) come agente ducale a Rom a e la sua fedeltà fu premiata con il titolo di conte e con i due castelli di Frontone e Biscina. La battaglia nella quale fu fatto prigioniero Guidubaldo accadde a Soriano nel gennaio 1497 (v. anche P. Io v n Historiarum sui temporis libri, Florentiae 1550, p. 118) e il riscatto fu parzialmente pagato, dopo diverse vicende, nel marzo dello stesso anno (v. M. Sa n u d o , I Diari, Vene zia 1879, I, c. 556). La vendita di questo beneficio sarà servita a pagare la rimanente metà per la quale s’ era fatto garante Ottaviano Ubaldini. Il Lancellotti (p. 14) rimanda per queste notizie al Barber. lat. 2868, facendo evidentemente confusione poiché il codice, secondo la nuova numerazione, non è altro che il Barber. lat. 4726 che contiene, come s’é visto, una redazione italiana della Vita del Colocci.
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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Gio: Battista Andreone da Gubbio. Fece esito di questo offitio il Bartolini per esercitare la sua pietà verso il suo Sig.re, il duca Guido Ubaldo d’Urbino, aiutandolo a liberarlo dalle prigione delli Orsini.
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D i più novecento scudi ne sborsò il Colocci per la rassegna fattagli dall’istesso dell’officio delTAbbreviatoria delle lettere Apostoliche: ma per isbrigarmi a un tratto di queste domestiche faccende, l ’ anno 1503 comperò da Ms. Lorenzo Boccaccio, Canonico lateranense, la Procuratoria della Sacra Penitentiaria ducati 720 di oro, come di sopra, ottenne l’offitio di sollecitatore delle lettere Apostoliche, che chiamano Gianizero, il quale poi vende a Ms. Angelo da Cesi l’anno 1510 per prezzo di ottocento ducati d’oro; godè etiandio il titolo e l’utile di Secretarlo Apostolico e fu Maestro del registro delle bolle, e a suo prò’ correvano i guadagni di un Notariato della Camera A p ostolica,272 8le quali con le belle possessioni nel fertile terreno della Marca, gli fruttavano di molte entrate. Onde non gli mancò materia per esercitare le sue virtù, essendo troppo vero quel detto In magnis virtutibus obstat Res angusta domi.26
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27 All’ elenco delle cariche redditizie godute dal C. in quegli anni l’Ubaldini aggiunge più avanti (v. p. 75) l’ appalto dei dazi perduto nel 1527 a causa del Sacco. Del Boccaccio Procuratore della Sacra Penitenzieria non abbiamo trovato notizia. Il brano « che chia mano Gianizero... ottocento ducati d’oro » manca nella traduz. lat. (p. 14). Il Lancellotti (pp. 15 e 17) indica le fonti dalle quali provengono le notizie; si badi tuttavia che il Barber. lat. 2888 (p. 17, n. a) non è affatto dell’ Ubaldini e non parla del C.; probabilmente è sba gliato il numero e voleva dire 2868 che nella nuova numerazione corrisponde al 4726 (v. n. 26). Il Gualteruccius, citato dal Lancellotti, sarebbe più esattamente il volume Venerabilis Coltegli Reverendiss. et admodum illustrium D. D. Secretariorum Apostolicorum Privilegia et Iura... T hom ae T h om asii G u a l t er u tii et Ca r o l i G a b r ie l ii ... Romae 1587; a p. 148 troviamo: 16 Angelus Colotius, cui successit Bernardinus Becalla (e non Beccalba, come dice il Lancellotti) per resignationem; nel verso della pagina seguente non numerata: 16 Bernardinus Becalla, qui obtinuit per resignatione Angeli Colotii, et fuit admissus 5 Augusti 1534. L’ Ubaldini, che aveva molta confidenza con gli archivi, proba bilmente non si sarà servito del Gualterucci ed avrà utilizzato i registri delle suppliche ed il libro manoscritto del quale parla il Gualterucci (p. 147) indicando la fonte delle sue notizie. « Gianizero » è lo stesso che « Sollecitatore delle lettere apostoliche » (v. G. Mor o n i , Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, Roma 1854, L X V II, p. 172). Per finire possiamo aggiungere che nel 1523 Clemente V II lo fece canonico della Cattedrale di Jesi (Lancellotti, p. 174) e nel 1538 Paolo III lo creò suo tesoriere generale (Lancel lotti, p. 31). Secondo lo H ofm an n , già cit., II, p. 83, il C. tenne l’ufficio di sollecitatore dal 7 gennaio 1510 fino al settembre 1515; lo Hofmann non fa cenno dell’ufficio di procura tore della Sacra Penitenzieria; la carica di Segretario Apostolico la ebbe dal 15 ottobre 1511 al settembre 1521 (ibidem, p. 121); a p. 184 il C. figura nell’ elenco dei Maestri del registro delie bolle e a p. 83 è ricordato tra i Notai camerali dal 30 marzo 1509 all’ottobre 1511; si badi che lo Hofmann scrive sempre « Colucci » invece che Colocci. 28 L’ Ubaldini cita a memoria. Nella traduz. lat. (p. 14) manca In e in Giovenale
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Federico Ubaldini
Hebbe il Colocci moglie, e tale, che ne riportò lode l’ elettione per la nobiltà, per la bellezza e per le altre sue doti: questa fu Girolama Bufalini, della prima nobiltà di Città di Castello, all’hora congiunta di stretta parentela con l’inclita casa Vitelli. Si conserva copia di un privilegio che si fé’ ad Angelo et alla consorte et a un cugino chiamato Ippolito di Francesco Colocci dal Card.1 Ludovico Borgia di San Marcello, Sommo Penitentiero l’ anno terzo del Pontificato di Giulio secondo, nel quale « a tutti tre concede di potersi eleggere un confessore che gli assolvesse da qualsivoglia caso riservato, eccet tuandone alcuni e di havere un altare portatile per quando andas sero e si ritrovassero ne’ luoghi interdetti dal Pontefice Romano, e di potere ne’ dì della quaresima et altri di digiuno, mangiare uova e latticinij ... D ato presso S. Pietro sotto il sigillo dell’ offitio della Penitentiaria, li 29 di Agosto >>.29 Tra l’ altre pelegrine cose che Angelo possedeva, erano certe bel lissime reliquie de’ Santi,30 le quali, per maggior veneratione di esse, ( Satirae, III, vv. 164-65) manca anche magnis: Haut facile emergunt, quorum virtutibus obstat / res angusta domi·,... 29 II Lancellotti (p. 21) dà come epoca approssimativa del matrimonio il 1505. V e ramente il C. in una sua lettera ai parenti (v. Lancellotti, p. 21, n. 6) confessa di non avere inclinazione per il matrimonio, forse perché amante della sua libertà e dedito agli studi. La famiglia Bufalini era veramente nobilissima: Nicolò di Manno Bufalini commise al Pinturicchio gli affreschi della Cappella di San Bernardino nella chiesa di Santa Maria in Aracoeli a Roma in memoria della pace fatta concludere dal Santo tra la sua famiglia e quella dei perugini Baglioni. I Vitelli, ricordati dallo Autore come parenti dei Bufalini, nella seconda metà del Quattrocento avevano dominato da tiranni a Città di Castello con Nicolò Vitelli, morto nel 1486 (v. G. Muzi, Memorie civili di Città di Castello, Città di Castello 1844, II, p. 30 sgg.). Nella lite per la restituzione della dote, come si vedrà più avanti, interverrà anche Vitello Vitelli. Ancora oggi a Città di Castello c’ è memoria dei Bufalini per due vetusti palazzi, di cui il più antico è nella piazza maggiore presso il palazzo del Podestà; l’ altro, situato al Corso, è anch’ esso del Cinquecento, con una bella scala, ed oggi è chia mato più comunemente palazzo Bruni. Era di Città di Castello quell’Angelo Tifemate che ha curato l’ edizione di numerosi classici latini quali Aurelio Vittore, Varrone e lo Pseudo - Plinio de viris illustribus Romanorum. Fu in corrispondenza col C. che lo ricorda in un foglietto incollato a principio del Cod. Vat. lat. 3894: Angelus tiphernas per litteras significavit mihi Nypsum scripsisse de geometria; v. G. M e r c a t i , Prolegomena al De re publica di Cicerone, Città del Vaticano 1934, p. 96, n. 1, e V. F a n e l l i , Un umanista um bro: A . T. in « Il Mamiani », 1° (Rom a 1966), pp. 66-75. In quanto al privilegio, nella traduz. lat. (pp. 14-15) dice 25 agosto. Il brano è sottolineato nel testo. Non ci è stato possibile vedere l’ originale del privilegio per stabilire la data esatta: la Sacra Penitenzieria è stata recentemente trasportata in via della Conciliazione nel Palazzo dei Convertendi e la ri cerca sarebbe stata lunga e difficile. Pier Ludovico Borgia era fratello del cardinale Gio vanni Borgia e nipote del papa Alessandro V I per parte di madre; fu cardinale del titolo di San Marcello dal 1500 al 1511, anno della sua morte. 30 La traduz. lat. (p. 15) è più ampia: Atque hoc sane argumentum ingens pietatis est,
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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impetrò licenza di trasportarle alla chiesa delle Tre Fontane, poco fuori di Rom a. Fu morto in questo mezzo, da Francesco Maria Duca di Urbino, in Ravenna, il Card.1 Francesco Alidosio con grandissimo scandalo di tutto il Christianesimo, et con particolar danno di Sci pione Carteromaco, huomo litterato venuto di Grecia,31 il quale rim asto senza ricapito alcuno a Rom a, dal Colocci fu ricevuto in casa con liberalità et cortesia, et visse q u ivi32 sinché (e ciò forse seguì
qua Angelus erga Deum, Ecclesiamque ferebatuT, dum per ipsam ecclesiam sibi consultum volebat, si quid necessitas afferret, quod Ecclesiae decretis non congrueret; cuius etiam pietatis specimen exhibuit dum insignia quaedam Sanctorum ossa... Purtroppo l’Abbazia delle Tre Fontane ha subito tanti saccheggi e spogliazioni che nulla, si può dire, è rimasto del suo archivio. L’Armellini ( A . A r m e l l in i , Le chiese di Roma, già cit. p. 1169) afferma che nella chiesa « si conservano, oltre quelle dei Santi titolari, molte reliquie di Santi martiri », ma padre Alfonso Barbiero (v. S. Paolo e le tre Fontane, Roma 1938-1941), ci informa molto cortesemente che nessuna traccia rimane delle reliquie del Colocci. Dell’Abbazia fu commendatario per circa quarant’ anni (1632-71) il Card. Antonio Barberini, che sem bra sia stato uno dei più attivi nel sottrarre libri e documenti, finiti poi nel fondo Barberiniano della Vaticana; non è improbabile che l’Ubaldini abbia visto nella Biblioteca dei Barberini qualche documento riguardante la donazione delle reliquie. 31 Nella traduz. lat. (p. 16): sed plurimos etiam litteratos viros concussit, et praesertim Scipionem Carteromacum Graecum... Fa meraviglia che l’Ubaldini non sapesse che il Car teromaco era di Pistoia; eppure le notizie sembrano desunte quasi con le medesime parole dal dialogo già citato De litteratorum infelicitate di Pierio Valeriani (pp. 72-73), dove il Carteromaco è detto Pistoriensis, e dalla Vita di Francesco Maria di Montefeltro della Rovere I I I I duca d’ Urbino descritta da G. B. L e o n i , Venetia 1615, p. 133. Pensiamo che la spiegazione dell’ errore sia da cercarsi nella fonte daH’ Ubaldini male interpretata. Il Sadoleto infatti in una sua lettera al C. dice: dabamus graeco doctori Cartheromaco simul operam·, l’ Ubaldini riporta più avanti (pp. 67 sgg.; pp. 49 sgg. dell’ ediz. lat.; Lancellotti, p. 128) quasi per intero la lettera che stava per esser pubblicata quando egli scriveva la biografia del Colocci (J. Sa d o l e t i Epistolarum libri sexdecim, Lugduni 1554, p. 187). Francesco Maria della Rovere è già stato ricordato per il Sacco di Jesi del 1517 (v. n. 4); per l’uccisione dell’Alidosio l’ Ubaldini deve aver attinto anche dal Giovio (Elogia virorum bellica virtute illustrium, Basilea 1575, p. 209) nell’ elogio dell’Alidosio. 32 II Carteromaco passò molti periodi della sua breve esistenza (1466-1515) a Roma: dal 1476 al 1483 per completarvi gli studi col fratello Antonio; dal dicembre 1504 al 1506 in casa prima del card. Grimani, poi del card. Franciotto della Rovere; vi ritornò dal 1507 al 1508 col card. Della Rovere e fece amicizia con un personaggio « studioso e ricco et elegante et ospitale » che il Lancellotti e il De Nolhac pensano sia proprio il C. (Lan cellotti, p. 116 e P. D e N olhac , Les correspondants d'Alde Manuce, Rom a 1888, p. 290; Cod. Vat. lat. 4105, c. 346); nel 1508 passò al servizio dell’Alidosio, accompagnandolo a Bologna, ma non fu presente all’uccisione di questi avvenuta il 24 giugno 1511 (v. A. Ch it i , Scipione Forteguerri, Firenze 1902, pp. 30 sgg.); in una lettera del 25 dicembre 1511 (C h it i , op. cit., p. 36; Cod. Vat. lat. 4104, c. 46) il C. lo invita affettuosamente ed in sistentemente (« vieni subito a Roma e vieni in casa mia »), invito che fu accettato solo nel luglio 1512; questa liberale ospitalità è ricordata dall’Ubaldini anche più avanti (v. p. 59; p. 43 dell’ ediz. lat.) con le parole di Pierio Valeriano nel dialogo De infelicitate litte ratorum (ed. cit., p. 73). Dopo poco più di un anno lo troviamo a Firenze precettore del
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Federico Ubaldini
per opera di Angelo), fu ascritto nella famigliarità della casa de’ Medici. Si servi egli di tale occasione per studiare la lingua greca, havendovi per compagno Jacopo Sadoleto che poi riuscì sì gran card.le della S. Chiesa.
nipote di Leone X , Giulio de’ Medici; il Papa aveva avuto modo di conoscerlo ed apprez zarlo a Roma come esperto ed erudito di lingua greca. Il Carteromaco avrà insegnato il greco al C. e al Sadoleto tutte le volte che fu a Roma, ma specialmente nel periodo 151213 (v. Ch it i , op. cit., p. 25 sgg.); il C. ebbe come maestro in questa lingua anche Varino Favorino che era stato già precettore di Leone X (v. M. M o rici , Due umanisti marchi giani vescovi di Nocera in « Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’ Umbria », V II, fase. I, p. 141 sgg., dove è riportata una lettera del C. al Duca di Camerino intesa ad ottenere il permesso di riportare la salma del Favorino a Nocera; il C. dice: « fui suo discepolo in litteris grecis »). Sulla conoscenza del greco da parte del C. sono stati espressi giudizi discordanti: su questo argomento rinviamo ad un nostro articolo in « Studi R o mani » , I X (1961), pp. 385-88, (Il Ginnasio greco di Leone X ). Probabilmente egli ha ten tato molte volte di fare uno studio approfondito di quella lingua, ma non è andato mai oltre i primi rudimenti; quando aveva bisogno di farsi tradurre qualche brano ricorreva agli amici. Ciò nonostante godeva fama di conoscitore, tanto che il Carteromaco tiene in considerazione il suo parere su un passo aristotelico da interpretare; anche se sapeva dove arrivavano le conoscenze del C. nella lingua greca. Il Lancellotti poi (p. 36) gli attribuisce addirittura un’ opera scambiando Vexplicit dei volum i greci per il titolo di un libro; e lo fa autore (p. 35) di un antico epigramma greco, inciso su una lapide pro veniente dal tempio di Iside e Serapide, lapide che il C. conservava nella sua raccolta archeologica. Del Carteromaco l’umanista iesino ha posseduto parecchi libri e codici, passati poi in gran parte nelle mani di Fulvio Orsini; nei capitoli V e V II del volume del De Nolhac attorno alla biblioteca dell’Orsini vi è una parziale ricostruzione della biblioteca del Carteromaco che il Chiti (op. cit., pp. 59 sgg.) riporta con qualche aggiunta. Pensiamo che proprio dall’umanista pistoiese il C. abbia preso l’ abitudine di estrarre dai libri e codici dei classici quegli elenchi di vocaboli scritti in margine e ricopiati poi molto spesso in quaderni dopo averli disposti in ordine alfabetico o in classi per affinità di significati. In una sua lettera al Manuzio, infatti, il Carteromaco (v. D e N olhac , Les correspondants etc., p. 283), dopo aver chiesto un Omero e un Demostene, dice: « per che sareste cagione ch’io lo studiassi con diligentia, et forsi 10 leggessi la et intavulassilo, uti soleo... Io non attendo ad altro che ad intavulare, ut parem mihi panem litterarum ». E il De Nolhac annota: « Questa abitudine che aveva 11 Carteromaco di fare l’indice degli autori, mettendone in margine le parole notevoli, poi riportandole su un registro alfabetico, è attestata dall’esame dei libri che gli sono ap partenuti ». Dell’umanista pistoiese si conservano inoltre alcune copie, tra le quali gli originali autografi, di una lettera al C. abbastanza nota; questi lo aveva pregato di espri mere la sua opinione su un passo del De historia naturali di Aristotele del quale era con troversa l’interpretazione fra i dotti del tempo, specie nella cerchia della Nuova Acca demia che Aldo aveva riunito a Venezia. Il C., avendo preso di nuovo ad esaminare il passo unitamente a Tommaso Pighinucci da Pietrasanta e non trovando che quanto era stato scritto a quel proposito mettesse l’ argomento fuor di questione, volle che se ne occu passe il Carteromaco. Il passo di Aristotele afferma che per il morso del cane arrabbiato tutti gli animali muoiono eccettuato solamente l’uomo; si trattava o di correggere il testo perché errato o di spiegare in qualche modo l’ affermazione di Aristotele e nella lettera sono dibattute le varie soluzioni propendendo il Carteromaco per l’opinione che ai tempi
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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Gli mancò la moglie nel 1518 33 doppo due anni di stentatissima infermità, non restandogli di lei altro che la memoria, senza alcuna di Aristotele non fosse conosciuta l’idrofobia come mortale per l’uomo, così come prima del 1494 non era noto il morbo gallico. Le copie della dissertazione sono contenute in tre codici della Vaticana, appartenuti tutti e tre al C. che li ha annotati; essi sono i Vat. lat. 3900, 5194 e 6845. Nel Vat. lat. 5194 vi sono due stesure autografe del Carteromaco della stessa dissertazione ed in aggiunta una lettera di Niccolò Giudecco ( Iodocus) al Leoniceno sullo stesso argomento; ilC. Io ha annotato ricordando (c. 21 ) Apollonius Tyaneus e rinvian do per notizie al Volaterrano cioè R . M a f f e i di Volterra, nel suo Commentariorum urbanorum octo et triginta libri (Basileae 1520, c. 151), il che prova il suo interesse per Apollonio ricordato anche in altri codici (ad es. Vat. lat. 4817, c. 114v). Il Cod. Vat. lat. 3900 è una raccolta, sempre sull’ argomento del cane idrofobo, che comprende, oltre il contenuto del Vat. lat. 5194, un passo di Galeno ed altri due frammenti anonimi di medicina; 0 Vat. lat. 6845 è una vasta raccolta con alcune epistole di Giorgio Trapezuntio ed operette di altri, tra le quali la biografia anonima di Gregorio Tifemate ed un appunto del Questemberg (v. G. M e r c a t i , Questembergiana in « Opere minori », IV, Città del Vaticano 1937, p. 438, n. 4); probabilmente è stato messo assieme dopo la morte del C., che tutta via ha posseduto certamente molte parti di esso e le ha annotate. L’epistola del Carte romaco comincia a c. 140 ed arriva a c. 156; il C. vi ha fatto qualche rara postilla, ad es. a c. 148r: Plutarch; a c. 140r: Duplicai, e a c. 156v: Dupl. per indicare che ne esistevano altri esemplari. Cronologicamente le quattro redazioni ci sembra che possano collocarsi in questo modo: prima di tutte quella contenuta da c. 15 a c. 20 del Vat. lat. 5194, che è incompiuta e presenta molte correzioni dello stesso Carteromaco, tali da farla ritenere come una prima stesura; la seconda è quella da c. 1 a c. 13 dello stesso codice e si può ritenere anch’ essa non definitiva per le numerose correzioni e per essere scritto nel mar gine inferiore della prima carta un pezzo mancante nella prima redazione, che costituisce invece la chiusa della lettera: la terza stesura è quella del Vat. lat. 3900, cc. 93-96, anch’ essa incompiuta poiché manca della chiusa; ultima e definitiva è quella del Vat. lat. 6845. La dissertazione, che si può ritenere scritta verso il 1514, rimase negli scaffali della Vaticana sconosciuta ai dotti fino all’ agosto del 1809 quando il Ciampi la scoprì e la pubblicò (S. Ciam p i , Memorie di Scipione Carteromaco, Pisa 1811, pp. 95-111). Il Ciampi non indica da quale codice ha tratto il testo da lui pubblicato, ma ci sono indizi non dubbi che egli si è servito del Vat. lat. 6845; infatti a c. 140v, dove dice Thomam Pighinuccium, egli, non sapendo probabilmente che questo era il vero cognome, lo sostituisce con petrasanctam scritto sopra; così pure a c. 142v il nome Nicolaus Iudecus è sottolineato, sopra vi è una macchiolina d’inchiostro con qualche segno e nel testo a stampa (p. 97), invece di Iudecus, vi è Zocca con questa nota: Hic scriptura in codice evanuit. Verum non dubito legendum esse Nicolaum Zocca Venetum etc. Evidentemente il Ciampi non conosceva Nicolò Giu decco tanto che, nei frequenti luoghi dove è nominato più avanti, lo trascrive sempre Iudaeus. Il Lancellotti (pp. 115-116) riporta due brani di lettere del Carteromaco ad Aldo Ma nuzio, contenenti notizie sul C., che il De Nolhac ha ripubblicato intere (Les correspondants etc., pp. 290 e 294) insieme a molte altre, e naturalmente non vi si parla della dis sertazione De rabie canum. Si badi che ì'Ottobon. lat. 1510, citato dal Lancellotti (p. 115), non contiene affatto lettere del Carteromaco; è sbagliato il numero che doveva essere invece 1511. Il Carteromaco è ricordato sia nell’ elenco del Vat. lat. 3450, sia in quel lo delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 1 e n. 4); suoi versi sono nel Vat. lat. 3388, c. 35, e nei Coryciana, c. 36. 33 Nel testo latino (p. 16): Sensit paulo post ictum fortunae orbatus coniuge... La data
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Federico Ubaldini
prole: fu honorata la defonta di esequie e sepoltura nella Chiesa di Araceli in Campidoglio, nella Cappella de’ Bufalini; et Egidio Gallo con bella oratione lodò le prerogative della persona e della sua pro genie. D i questo Gallo e della eloquenza sua non meno atta a’ cata falchi che alle scene, dice Francesco Arsillo: Galle, tuae passim resonant per compita laudes Scagna gravis numeros, te recitante, probat. Non riceverono fine, con la morte della consorte, quei travagli che accompagnarono Angelo per sì lunga indisposizione: perché suscitati 20
molti dispareri tra i cognati, cioè Ms. Angelo e Ms. Niccolò Bufalini, vi si interzò il signor Vitello Vitelli sinché compromesse le differenze di morte di Girolama Bufalini si può desumere dai due documenti pubblicati dal Lancellotti (p. 180), dei quali uno è del 9 febbraio 1518, e in questa data si può presumere che Girolama fosse ancora in vita poiché il fratello Nicolò riceve in prestito dal cognato cento ducati d’oro; l’ altro è del 28 luglio 1518, quando Girolama era già morta e si discu teva della restituzione della dote: perciò si può stabilire che la morte della moglie del C. sia avvenuta tra il febbraio e il luglio 1518. Non sappiamo da dove l’Ubaldini abbia tratto la notizia dei due anni di malattia; che fosse « infirmicela e non faceva figliuoli » lo dice il Lancellotti (p. 22) con le parole usate dallo stesso C. nella lettera a Gio: Benedetto Santi del 17 maggio 1536. Probabilmente l’ Ubaldini ha avuto sott’ occhio altri documenti dai quali ha tratto questa e l’ altra notizia sui funerali e sull’orazione pronunciata da Egidio Gallo. Le parole « non restandogli di lei altro che la memoria, senza alcuna prole » nel manoscritto sono messe tra due righe perché l’ Ubaldini dubitava dell’ esattezza della sua affermazione; infatti la presenza di Marc’Antonio ha messo nell’imbarazzo anche il Lan cellotti (pp. 21-22) che si diffonde sull’ipotesi di una seconda moglie; il Lattès (p. 339) scoprirà che Marc’Antonio nacque al C. da una Bernardina, moglie di Giovanni Maria Stagnino. Leggendo una lettera del vescovo Varino Favorino del 1534 al C. si rafforze rebbero i sospetti sulla bigamia del C.; la lettera è nel Vai. lat. 4105, pubblicata dal Berrà (L. B e r r à , Come il Colocci conseguì il Vescovato di Nocera in « Giom. stor. della letterat. ital. », L X X X I X (1927), p. 312). Ecco il brano che interessa: « che voi dicate che io so stato causa che non habiate pigliata moglie, vé dico che io non lo credo, perché mi di ceste a Cingoli che havevate un figliolo bonae indolis et de poi m’é stato detto et affirmato non da uno solo ma da più che l’ avete legitimato con ispusare la madre. Et tutti quelli che mello hanno detto l’hanno hauto da voi et messer Petripaolo già vescovo d’ Esi me disse ch’ erate bigamo et che non potevate pervenire a ordini sacri et questo in Esi si sa publicamente. » Il secondo matrimonio sarebbe dunque avvenuto con la madre di Mar c’Antonio, Bernardina Stagnino; ma tutto questo ci ha tutta l’ aria di essere un maligno pettegolezzo. « Petripaolo » è Pier Paolo Venanzi (v. n. 114). Il distico è tratto dal poemetto dell’Arsilli, De poetis urbanis, dedicato a Paolo Giovio nei Goryciana (c. 134): di Egidio Gallo si hanno notizie solo nella Lettera del l'abate G aetan o M a r in i ... (Rom a 1797, p. 63, n. 71) la quale ci dice che fu poeta laureato e professore all’Archiginnasio dove era sicuramente nel 1514; delle sue opere, ricordate dal Marini, noi abbiamo potuto vedere alla Biblioteca Vaticana l’ esemplare, apparte nuto al C., del poemetto De viridario Augustini Chigii (Rom a 1511, e non 1512, come scrive il Marini) contenuto nel Vat. lat. 2847. Il Marini tuttavia non cita il volumetto con due sue commedie, la Bophilaria e l'Annularia (Roma, 1505), pressoché introvabile, che
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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loro circa la restitutione della dote in Ms. Giacomo Fraiapane si terminarono.*34 Né soli fur questi i disgusti di quei tempi, anzi, ac coppiandosi con i publici della sua patria moltiplicarono così che per un pezzo lo tennero afflittissimo. A ll’hora fu che Francesco Maria della Rovere privato del Ducato di Urhino e degli altri suoi stati attendeva con mano armata a ricuperargli e dispettando et oltraggiando il Pontefice Leone Decimo, e per mantenere dell’ altrui la sua soldatesca saccheggiò la Città di Jesi e buona parte n ’ arse. Angelo nella comune calamità più degli altri hebbe danno, abbrugiate le case di Fiorenzola,35 contrada nella prelibata Città, por tatone via grani e mobili d’ ogni raggione. Ma, sciolto il Colocci dal legame del matrimonio, più speditamente potè inviarsi per la strada degli honori della Corte Romana. E al certo la fortuna (come si
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vedrà) gli preparava assai bel luogo se egli non ne fosse stato ri tolto dall’ amore che egli portò non otiosamente all’otio letterato. Perché egli fu ben visto da tutti i Pontefici dell’ età sua e da Leone in particolare, migliore di ogni altro estimatore e premiatore de gli
in Italia sembra che sia posseduto solo dalla Biblioteca Universitaria di Bologna; nei Coryciana (c. 24) ci sono tre suoi mediocri epigrammi. Dei suoi rapporti epistolari con Erasmo, riferiti dal Marini, non abbiamo trovato alcuna traccia. In un esemplare del De Viridario Augustini Chigii, appartenuto alla famiglia Chigi ed oggi alla Biblioteca Vaticana (Stamp. Chig. I I I . 59), abbiamo trovato un foglio manoscritto, di mano dell’ Ubaldini, dove sono raccolte alcune notizie su Egidio Gallo, sulla costumanza di coro nare di lauro i poeti e su un certo Cornelio che Egidio Gallo nomina in fondo alla sua operetta. Le notizie non dicono molto; dopo quello che già sappiamo dalla Vita del Co locci, si legge: Scribit ipse Colotius in libris rationum suarum: Uxorem meam demortuam laudavit Egidius Gallus Rom. cui donavi flor.... La cifra non è indicata; più avanti si avanza l’ipotesi che il cognome Gallo sia un’ aggiunta al nome, « prout ferebant illa tem pora ad Romanam antiquitatem nimis prona ». L’ Ubaldini, come si sa, fu anche presso i Chigi. Di Egidio Gallo alcuni versi sono nel Vat. lat. 3352, c. 9; il suo nome è nell’ elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4). 34 Anche sulla lite tra il C. ed i Bufalini per la restituzione della dote abbiamo solo i documenti trascritti nel Codice Colotiano, cc. 14-15, conservati allora « in casa del Sig.r Pier Antonio Colocci », che il Lancellotti pubblicò (p. 180) trascurandone due che riguar dano lasciti di Girolama Bufalini, uno di 10 ducati all’ Ospedale di San Giacomo in Au gusta, l’ altro di 5 ducati ad un monastero di monache, quest’ultimo pagato per tramite di Battista Casali, che fu amico del C. al quale dedicò alcune poesie riportate più avanti (v. pp. 34, 59 e 103). Ma ci sarà stato sicuramente un atto notarile a conclusione della lite, visto dall’ Ubaldini e presumibilmente già perduto alla fine del secolo x vn . 35 Nel testo latino (p. 17): contemptaque Pontificie ira, aliquot loca et in primis Aesinam urbem diripuit... V. p. 4, n. 4 e p. 89, n. 161. Il particolare di via Fiorenzola manca nella traduz. lat.: a Jesi esiste ancora la via, non lontano dal palazzo dei Colocci. La no tizia è tratta dalla lettera già ricordata del 1536 (v. n. 33). Veramente questo saccheggio di Jesi era avvenuto l’ anno prima della morte della moglie, il 3 giugno 1517, (v. n. 4) e non dopo, come si potrebbe credere dalle parole dell’ Ubaldini.
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Federico Ubaldini
ingegni e delle lettere. Da gli antecessori egli ebbe offici venali, da questo ne ricevette etiandio de’ graziosi: creò il Papa il Colocci suo Cameriere e Segretario e considerando che Favorino Varino da Camerino, Vescovo di Nocera, era già molto vecchio, ordinò che Angelo, con la speranza della futura successione gli divenisse coa diutore il giorno 25 di Novembre del 1521,36 che fu l’ anno istesso che ne rapì quel Pontefice unitamente con le delitie del genere humano: morte alle muse per tutta l’eternità lacrimevole, le quali nella casa di Lorenzo de’ Medici rinate con Leone, parve ancora che seco m o rissero, non essendoci dopo lui surto il secondo a favorirle da dovero. Viveva in Rom a, non sol pasciuto ma arricchito dall’immensa li beralità di questo Pontefice, un popolo de poeti, de’ quali assai ne givano del pari con quelli che Augusto e Mecenate così lietamente nutricarono.37 L ’Arsillo da Senegallia in un elegante libretto dedi cato a M ons.re Paolo Giovio, gli novera tutti, tra i quali dice del nostro Coloccio: Si te, Coioti, musarum candide alumne, Praeteream, vates invidiosus ero.38 Dopo dunque la morte di Leone si reputò il Colocci così infelice quanto ei si chiamò felice per trent’ anni addietro che praticava la
36 Per i documenti riguardanti la nomina a Vescovo di Nocera e a familiare di Clemente V II v. Lancellotti, p. 24; B er h a , op. cit., pp. 304 sgg. e M e r c a t i , Virgilio Medico, p. 117, n. 28. Il Berrà (p. 306, n. 2) corregge la data della cedola concistoriale riguar dante questa riserva; è del 15 novembre 1521, e non del 25 (Lancellotti, p. 24), come si desume dal tomo 76, c. 182y, dell’Arm. 29 dell'Archivio Vai. Segr. Sempre nello stesso volume (c. 182v-183r) c’ è un’ altra cedola concistoriale, del 16 dicembre 1521 in favore di Angelo, che il Berrà non ricorda. V. anche n. 43, n. 155 e n. 156). Vale la pena di dare qualche notizia di questo Vescovo col quale il C. combinò questa specie di mercato: Guarino Favorino nacque verso la metà del ’ 400 a Camerino, fu allievo del Lascaris e del Poliziano ed entrò nella famiglia benedettina dei frati di San Silvestro. Lo troviamo a Firenze nel 1512 bibliotecario dei Medici, ai quali rimase sempre legato, e nel 1514 vescovo di Nocera Umbra fino al 1537, anno della sua morte. Precettore del futuro Leone X , fu filologo e lessicografo; collaborò con Aldo Manuzio alla compilazione del Thesaurus cornucopiae (Venezia 1496) e nel 1523 pubblicò a Rom a un dizionario greco rimasto famoso per secoli; aveva già pubblicato una traduzione degli Apoftegmi dello Stobeo: v. E. M e stica , Varino Favorino camerte, Ancona 1888. 37 Nella traduz. lat. (p. 18): tanta enim benignitate ingens Poetarum numerus tunc a Leone exceptus fu it, ut illud saeculum, nec Augustum, nec Mecaenatem desideraverit. 38 V. Coryciana, c. 136. Sull’Arsilli, poeta e medico non gradito a Leone X , v. V ec ch ietti e M oro , Biblioteca Picena, già cit., I, p. 218, e T irabo sch i , Storia della letter. ital., già cit., IV, pp. 219 sgg.; e l’ articolo di J. R u y ssc h a e r t nel Dizionario biografico degli Italiani, IV , pp. 342-43; il ritratto, opera di Sebastiano Del Piombo, è a Senigallia (v. Mostra della Pittura Veneta nelle Marche a cura di P. Z a m p e t t i , Ancona 1950, p. 39 e tav. 63). È nell’ elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4).
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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Corte Romana. Egli medesimo ciò conferma in una sua lettera,39 siche acquista fede ciò che Pierio Valeriano nel suo Dialogo del l’infelicità degli huomini litterati in persona del Colocci discorre col Melini. Mecum sentis, Meline, qui dictitare non desino, nihil ho mine litterato, qui nunc vivat, infelicius; 40 ciò si attribuiva alla se-
39 V. Lancellotti, p. 30, n. 6, e Codice Colotiano, c. 8r: « Io sono stato trenta Anni molto felice in questa Corte: da la Morte di Lione in qua sempre infelice. Perdita de Officii, tanti Sacchi, de Francesco Maria, de Roma, Taglia de’ Spagnoli ecc. ». 40 V. V a l e r ia n i , ed. cit., p. 95. Il Meliini qui ricordato è Pietro, l’ultimo figlio maschio rimasto al padre Mario dopo la morte di Girolamo per malattia e di Celso per annega mento. La famiglia Meliini era una delle più nobili e ricche di Roma; ancora oggi esistono i ruderi della villa Meliini a Monte Mario, trasformata in osservatorio astronomico, e proprio la villa di Mario avrebbe dato origine al nome del colle che nel medio evo era detto Monte Malo; e vicino a piazza Navona c’è Tor Millina dove la famiglia aveva le sue case. Il giovane Celso fu al centro della curiosa vicenda, accaduta sotto il pontificato di Leone X , la quale ebbe partecipi i più insigni personaggi della vita letteraria di quegli anni. Si tratta del giudizio di lesa romanità intentato ad un giovane belga di Malines, Cristoforo Longueil, latinizzato in Longolius, il quale in una sua orazione aveva giudicato i Romani inferiori ai Franchi. Si assunse la difesa del nome romano il giovanissimo Celso Meliini istigato e guidato dal suo precettore Tommaso Pighinucci di Pietrasanta, da Pierio Valeriano, da Blosio Palladio e da Lorenzo Grana. Improvvisamente il Longolio partì lasciando ad Anton Lelio Massimi l’incarico di tenerlo informato. Il Melimi pronun ciò egualmente la sua orazione accusatrice suscitando grande entusiasmo; la difesa del belga fu diffusa invece a stampa. Tutto questo accadeva tra il giugno e l’ agosto del 1519; non erano passati tre mesi che Celso Meliini, tornando a Roma dall’ aver partecipato ad una caccia organizzata da Leone X , annegava miseramente in un torrentello presso la Magliana ingrossato dalle piogge di quel novembre particolarmente piovoso. I letterati romani piansero la morte del giovane Meliini e Lorenzo Grana ne disse l’ elogio funebre. Il C. in tutta questa storia tenne un atteggiamento cauto e quasi ambiguo per l’ amicizia che lo legava ai partigiani delle due fazioni; ma non poteva essere certamente molto be nevolo verso il Longolio. La vicenda, nella quale a motivi letterari si intrecciano motivi nazionalistici e religiosi per la recente presa di posizione di Lutero, rivela un curioso modo di considerare la realtà sia da parte del Longolio che dei letterati romani; essi tutti si fin gono una Roma ancor viva, con tutte le sue istituzioni e la sua potenza, quasi ci fossero davvero. Erasmo nel suo Ciceronianus ricorda il fatto come una cosa addirittura da ri dere. Per maggiori particolari v. D. G n o l i , Un giudizio di lesa romanità sotto Leone X , Roma 1891, che amplia e completa uno scritto precedente sullo stesso argomento. Si noti che il Vat. lai. 3370, ricordato dallo Gnoli alla pagina che precede la 99 (c’ è un er rore di numerazione) non è appartenuto al C., come farebbero pensare le parole « fatto co piare da A. C. »; lo Gnoli indica con molta, troppa parsimonia le fonti ed anche qui non si sa da dove ha tratto la notizia sul Colocci. Così pure, a p. 86, TAchille Stazio discepolo del Pietrasanta non può essere il portoghese Esta^o che è nato nel 1524. Di Pietro Meliini ci rimangono versi nei Coryciana (cc. 63, 63v, 69) e nella prima carta del Vat. lat. 2836, trascritti dallo stesso C.,ed anche nella raccolta In Celsi Archelai Melini funere amicorum lacrimae, cc. 1 e 30, che gli amici pubblicarono nel 1519 per i tipi del Mazzocchi; nel li bretto ci sono anche versi di Leone X (c. 25) a perenne ricordo del giovane Celso, il cui nome figura anche nell’ elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4) assieme a quello del Longolio.
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Federico Ubaldini
verità di Adriano Y I , successore di Leone. Per la qual cosa il breve suo Pontificato non fu esente dalle maledicenze de’ dotti,41 tra’ quali non fu trattenuto dalla nativa sua modestia e gravità il Colocci, sì che non prorompesse in questi versi: Cui ferulae imperium dederant, cathedramque sonantem Et siquid vili vilius est cathedra Huius nunc fustes et regni septa timemus, Cum Barionaea cernimus in cathedra. Grammatici posthac quos non speretis honores Talia si ludi regna magister habet. Succeduto nel Pontificato Clemente Settimo, apparve uno splendor subito, che da principio si stimò favorevole alle lettere per esser egli ancora uscito di quella prosapia che le favorì sempre; ma quindi a poco quella luce si scoperse con fulmine che gettò a terra ogni speranza, tale tempesta secondandolo, che funestò miseramente Italia e Rom a stessa. Si rallegrò il Colocci di questo pontificato in riguardo massimamente di Gio: Matteo Giberto dal Papa fatto suo Datario; onde con questo epigramma il salutò: 42 Grandia pollicitus praestat majora Gibertus Contentus dictis non dare vela suis. Non modo largus opes, tacita quod mente recepit Magna dabit nobis, quae putat esse parum. D ij juvenem servent, cursum fortuna secundet, Qui vates turpi servat ab interitu. Riebbe il Colocci subito ancora la gratia che Leone gli haveva fatta della riserva a suo favore della Chiesa di Nocera, poscia che il Card.le Lorenzo Pucci, detto di SS. Quattro, nel concistoro delli 41 Nella traduz. lat. (p. 19) dice brevemente: atque obnoxius fuit, e non riporta questi versi per i quali v. Lancellotti, p. 73, IIa parte, dove, nel terzo verso, si ha sceptra invece di sepia, che è la lezione giusta, desunta dal Vat. lat. 3388, c. 76 e c. 289. Sui rapporti tra Adriano V I ed il C. v. anche V. F a n e l l i , Adriano V I e A . C . in « Studi Romani », V i l i (1960), I, pp. 21 sgg. 42 La « tempesta » è il Sacco di Roma del 1527; per i versi v. Lancellotti, p. 69, IIa parte, dov’è l’epigramma corretto con queste varianti: il 3° verso dice Nam modo largus opum, tacita quae mente recepir, nel 4° si ha dedit invece di dabit; nel 5° secundum invece di secundet, desunte dal Vat. lat. 3388, c. 198. A Giovanni Matteo Giberti sono indirizzate molte poesie latine del C.: v. Lancellotti, pp. 58, 69, 117, 118, 137, IIa parte; su di lui, ima delle più nobili figure della Chiesa in questo periodo, ricordato anche nella nota seguente, v. P ast o r , Storia dei Papi, Roma 1942, IV, 2, pp. 570-81, dove è indicata anche la bibliografia. Il C. lo ricorda nell’ elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1); era stato canonico della cattedrale di Jesi, rinunziando poi a favore di Girolamo Mannelli (v. Lan cellotti, p. 187).
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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14 di Decembre 1523, havendo ricordato che la felice memoria di Leone Decimo, di consiglio de’ Card.11, haveva riservata la Chiesa di Nocera col consenso di Varino Vescovo; di modo che o per morte o per cessione di esso Varino d’all’hora per all’hora provvedeva quella della persona di Angelo Colocci, chierico Jesino; e imperoché poteva dubitarsi che questa gratia fusse stata rivocata per la regola della Cancellarla che rivoca tali riservationi, fu rinovata la detta riserva.43 Mandò ancora Clemente il Colocci Governatore d’Ascoli
43 Le lunghe e intricate vicende attraverso le quali il C. arrivò al Vescovato sono narrate dal B e r r à , op. cit., p. 304 sgg. Si trattò di un mercato che anche qualcuno dei suoi amici non approvò; Giammatteo Giberti, vescovo di Verona, in una lettera del 16 maggio 1534 non esita a dirgli: « quella parte che mi allegate che vi sia dovuta detta coadiutoria per il denaro che avete sborsato, sia più presto da tacere che farla più palese, perché voi conoscete meglio di me che serian da lasciare in tutto questi tali mezzi nel procedere di pervenire a simili dignità » (B e r r à , op. cit., p. 314). Riassumiamo qui bre vemente la vicenda (v. n. 36): nel concistoro del 15 novembre 1521 il C. era riuscito a farsi nominare coadiutore nella diocesi di Nocera del vescovo di allora, Varino Favorino, con la riserva della successione; il pontificato di Adriano VI annullò la riserva, ma Cle mente V II la riconfermò con un breve del 21 marzo 1524 (Arch. segr. Vat., Arm. 29, T. 76, c. 181v-182r), che era stato preceduto da una cedola concistoriale del 14 dicembre 1523 (T. 76 cit., c. 180r-180v), ricordata dal Lancellotti (p. 24), sempre di Papa Clemente V II. Sotto Paolo III c’ è una cedola del 18 dicembre 1534 (Arch. segr. Vai., Acta Arch. corte., Acta Vicecancell., T. 4, c. 118v) che conferma la coadiutoria e la riserva non obstantibus quibuscumque revocationibus (Lancellotti, p. 29); esiste poi, del C., una Memoria in data 24 gennaio 1533, in tre redazioni che variano pochissimo l’una dall’ altra (Vat. lat. 4105, cc. 98, 100 e 101), la prima delle quali è diretta « ad Clemente », le altre non portano il nome del destinatario. Si direbbe che il C. ne abbia fatta come una lettera circolare da inviare al Papa ed agli amici più influenti della Corte pontificia; riportiamo quella a c. 101: R.mo Mon.r mio le benigne accoglientie che m ifacte V.S.R.ma mi da ardire affaticarla netti mei bisogni honesti et ragionevoli nullis meis meritis precedentibus. La bo: me: de Leone de consensu. Episcopi consistorialiter mi riservò la chiesia Nucerina, et morto Leone per tor via omni dubio la S.tà di N.ro S.r Clemente consistorialiter mi confirmó detta reserva. Et furono spedite le bolle. Hora che il vescovo sta grave alcuni con denari vorriano fare qualche sturbo atte cose mie iuste sancte et bone. Priego la S. V.ra R.ma sia con N.ro S.re insieme con qualche altro carde et operar che la Sua S.ta stet dictis et non mi manchi di fede come spesso. Sotto lafede di due pontifici io son stato sempre in questaferma speranza. Non ho presa donna, ho ditto lofficio due anni. Et p oi del mio patrimonio dotai la chiesia mia di case et giardini di 1300 ducati avanti al sacco, quando io restasse deluso in questa mia vecchiezza con haver perso tempo, robba et figlioli et honore. Cortisano antico benemeritus de sede ap.lica mi reccomando atta S.V.R.ma qui valeat feliciter. Rome die 24 Ian. 1533. E.D.V.R.me. Infine, sotto la data del 18 aprile 1537 (Arch. segr. Vat., Arch. conc., Acta Vicecancell., t. V, c. 54v), si ha la sua nomina a Vescovo con una cedola concistoriale che toglie di mezzo ogni impedimento. Per la sua opera di Vescovo v. nn. 155 e 156. Il Pucci, protettore del Colocci, fu una delle figure tipiche di cardinale del Rinascimento; bello di aspetto, si fece ritrarre da Sebastiano del Piombo e, avido di denaro com’era, sfruttò il traffico delle indulgenze; ma fu generoso mecenate di Pierin del Vaga, Raffaello e Michelangelo: v. P ast o r , op. cit., IV, 1, pp. 53-54.
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Federico Ubaldini
nella Marca, essendone partito Antonio Benduli: governo che, per essere all’hora quella Città nido di varie fattioni, ne dimostra la confidenza e l’aspettatione che di lui haveva il Papa; su ’1 comin ciare incontrò Ms. Angelo le prime durezze in Bernardo Lenzi, T e soriere della Camera Apostolica; il quale gli negava il salario, come che havesse mandato il Colocci avanti della sua venuta qualche settimana il suo Auditore e ms. Stefano ... da Siena a prendere il possesso di quel governo; s’ acchetò il tutto per la sentenza di A n tonio Girolamo di Cariati, Yicelegato della Marca, e Commissario d’Ascoli.44 In questa amministrazione meritò il Colocci la lode, che da B. Casale, Canonico Vaticano gli vien fatta. Omnis te, Angele, municeps probavit, Et sicarius omnis odit: ergo Et sicarius omnis approbavit. Non eges alia approbatione. 44 Giacinto Cantalamessa Carboni (Intorno a Monsignore A . C. di Iesi nel Piceno ecc.. Macerata 1836, pp. 14 sgg.) corregge qui l’Ubaldini dimostrando che fu il Pontefice Adria no VI, e non Clemente V II, a nominare il C. governatore di Ascoli Piceno con un suo Breve in data 24 gennaio 1523, trascritto a c. 47v del Registrimi A dell’Archivio comunale di quella città, da dove lo ha desunto il Cantalamessa. Veramente il C. non fu affatto grato al Papa per questo incarico (v. F a n e l l i , Adriano V I e A . C., già cit., pp. 15-16) e cercò di tornarsene a Rom a appena gli fu possibile. Ascoli era allora agitata da lotte in testine e non era certo Pumanista e letterato jesino l’uomo adatto a riportarvi un po’ di pace. I soli atti di governo che di lui si conoscano sono quelli riportati nello stesso volume d’Archivio, e cioè una grida del 25 aprile 1523, contenente minacce di gravi punizioni per coloro che avessero turbato la pace cittadina, e un’ altra dello stesso tenore emessa subito dopo, nel giugno; ma gli irrequieti cittadini non si lasciarono intimorire e la lotta delle fazioni continuò, si può dire, indisturbata. Prima ancora che il C. arrivasse nella sede a lui assegnata gli ascolani avevano inviato a Roma lettere ed ambasciatori per opporsi alla venuta del nuovo governatore, come si legge nella sentenza emessa in forma di breve dal vicelegato della Marca Antonio Ercolani, vescovo di Cariati e commissario pontificio della città, chiamato a giudicare su una questione sorta tra il nuovo governa tore e il tesoriere di Ascoli (v. Lancellotti, p. 176). Il C., impedito dalla opposizione degli ascolani, non aveva potuto assumere l’ufficio assegnatogli ed aveva ottenuto di poter inviare in sua vece come uditore un certo Stefano Giuniori di Siena (così è chiamato nel Lancellotti, l. c., e Ioniori nel Codice Colotiano, c. 16, dal quale il Lancellotti lo ha de sunto), sul quale non abbiamo altre notizie; nella traduz. lat. (p. 21: Stephanum Senensem, qui auditoris munere fungeretur.) mancano i puntini ed è omesso il cognome sul quale probabilmente l’ Ubaldini aveva dei dubbi. La fonte della notizia è la sentenza dell’ Ercolani conservata in casa della famiglia Colocci e ricopiata nel Codice Colotiano (c. 16): nelle redazioni italiane della Vita sembrerebbe che il C. si fosse fatto sostituire da due persone, il suo uditore e Stefano Senese, ma l’errore è stato corretto nella traduz. latina. Antonio Benduli è quasi sconosciuto agli storici locali, ma lo ricorda il già citato Registrum A dell’Archivio. Infatti a c. 1 c’ è il Breve di nomina a governatore in data 17 febbraio 1522, dal quale sappiamo che era protonotaro apostolico e arcidiacono di Ravenna; da c. 4V a c. 8, in data 8 marzo 1522, troviamo che fa eseguire i bandi contro quelli che por-
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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Approvò il suo modo di governare anche il Pontefice, se bene non hebbe intera sodisfattione del poco tempo che egli vi dimorò.
tavano armi, contro gli usurai, i sodomiti, gli omicidiarii, ecc.; a cc. 32v-33, in data I o novembre 1522, ci sono altri bandi. Ne parla brevemente G. F a b ia n i a p. 80, n. 13, del suo lavoro Gli ebrei e il Monte di Pietà in Ascoli (Ascoli 1942). Il C. era legato ad Ascoli già da tempo per l’ amicizia che l’univa a Pacifico Massimi (v. F a n e l l i , Lettere di Londra, pp. 115 e 127-131) morto a Fano verso la fine del secolo x v (v. C. Ca l í , Studi letterari, Torino 1898, p. 151) o nei primi anni del ’ 500 (v. P. B a r sa n t i , Documenti e notizie per la vita del poeta Pacifico Massimi d’Ascoli in « Atti e Memorie della Deputaz. di Storia Patria per le Marche », N.S., IV (1907), fase. I, p. 100). Di lui il C. fece stampare dal Soncino a Fano nel 1506 la Lucrezia e la Virginia, dedicando il volumetto a se stesso. Secondo quanto dice nel Vat. lat. 4817, c. 114v, dal Massimi aveva avuto quelle notizie su Cecco d’Ascoli che costituiscono, si può dire, l’unica fonte biografica sull’ autore delVAcerba, malamente raccolte e pubblicate dal Castelli (G. Ca st e l l i , La vita e le opere di Cecco d’Ascoli, Bologna 1882) che si è servito solamente del Cod. Vat. lat. 4831, mentre l’ argomento meriterebbe un’ulteriore, attenta esplorazione, oltre che dello stesso Vat. lat. 4831, anche del Vat. lat. 4817. Ci sembra sfuggita ai biografi del Massimi la notizia trasmessaci da Pierfrancesco Giustolo, suo quasi contemporaneo, nella dedica delle sue opere al C. premessa all’ediz. del Mazzocchi del 1510: Quis Cingulum, quis Calentium Elysium, aut Pacificum Maximum, egregios vates paulo ante defunctos non oblivioni man dami, cum tu nuper buie tumulum excitasti, illorum vero etc. Il C. avrebbe dunque provve duto alla tomba del poeta ascolano. Ci si offre qui l’ opportunità di dare qualche breve notizia del Giustolo che avremo occasione di ritrovare anche più avanti, sebbene l’ Ubaldini non lo nomini. Nacque a Spoleto nella seconda metà del sec. x v da famiglia illustre estimasi alla fine del sec. x v n . Sembra che, non più giovane, frequentasse a Roma la scuola di Pomponio Leto; sotto Giulio II era a Roma protetto da Alessandro Farnese, il futuro Paolo III, anche lui discepolo del Leto, e deve aver frequentato gli Horti Colotiani (v. n. 48). La sua morte è probabilmente avvenuta non molto dopo la pubblicazione delle sue poesie nel 1510. I due codici che disordinatamente contengono le sue opere (Vat. lat. 7182 e 7192) portano numerosi segni dell’ appartenenza al C.; una sua lettera a Fa brizio Varano è nel Cod. Reg. lat. 2023, c. 205. Il C. lo ricorda nell’ elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1). A Spoleto nel 1855 uscì una ristampa delle sue opere, accre sciuta di capitoli inediti: v. Lancellotti, pp. 153 sgg. In quanto a Cecco d’Ascoli anche pochi mesi prima di morire, nel luglio 1548, il nostro Angelo ebbe occasione di occupar sene; scriveva infatti a Pier Vettori: « Et vorrei approposito d’un mio amico la copia della sententia lata contra Cecco d’Ascoli, quale pure io havevo ». (F a n e l l i , Lettere di Londra, pp. 116 e 130, e Lettere di Pietro Vettori per la prima volta pubblicate da G. G h in assi in « Scelta di curiosità letterarie » , Bologna 1870, p. 77). Quando, per merito del Ghinassi, fu conosciuta la lettera del Vettori gli studiosi cercarono diligentemente la copia della sentenza alla Vaticana, ma non vi fu trovata poiché il C. l’ avrà certamente consegnata all’ amico per il quale l’ aveva richiesta. L ’interesse del C. per Cecco d’Ascoli è puramente linguistico e letterario; gli attribuisce il merito di aver innalzato a dignità letteraria la « lingua picena », che Dante aveva giudicato una delle parlate più brutte d’Italia. Con un altro letterato ascolano il C. ebbe corrispondenza: con Matteo Bonfini, fra tello di quell’Antonio, protetto da Mattia Corvino e molto più famoso, col quale va spesso confuso. Anche qui il Lancellotti (p. 40) commette un errore: tra le opere che egli attri buisce al C. ci sarebbero, secondo lui, certe note su luoghi di Virgilio ed Orazio che il
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Federico Ubaldini
E t uu tratto, favellando con Clemente del genio de gli Ascolani, i quali erano accusati che havessero etiandio affrettata la morte
Bonfini avrebbe fatto sue e pubblicato. La faccenda è molto diversa: il C. si rivolse al Bonfìni per chiedere lumi su un punto controverso di Virgilio; questi gli rispose con una lettera nella quale si meraviglia della richiesta, avendo il C. a Rom a la possibilità di farsi sciogliere certi dubbi da eruditi tra i più sapienti di tutto il mondo ed essendo lui stesso un erudito di grande fama; comunque, se quanto espone su Virgilio non dispiacerà, pro mette di fare altrettanto per Orazio e forse anche per Livio. La lettera è inserita nella prima edizione delle note oraziane: M a t t h a e i B onfinis A scu lan i in Horatianis operibus centum et quindecim annotationes, Impressum R. (omae) in Regione parionis per Magistrum Stephanum Guillereri (sic) de Lotoringia et Herculem de Nani de Bononia socios, s.d. (ma attorno al 1514), dedicata al Card. Raffaello Riario, Vescovo Ostiense, nonostan te che nella lettera fosse stata promessa al C. che del Riario era molto amico; le note fu rono poi ristampate numerose volte con la lettera al Colocci. Non si tratta dunque af fatto di un opera del C., ma del Bonfini; l’umanista jesino ha solo dato l’ occasione perché le Note fossero pubblicate. Non si capisce inoltre quale confronto avrebbe voluto fare il Lancellotti con le note manoscritte di un codice, che egli indica con il numero 5817; questo numero è certamente sbagliato, perché corrisponde ad un Valerio Massimo che non è appartenuto al C., e confessiamo di non essere riusciti a stabilire a quale codice alludesse il Lancellotti; le note a Livio non risulta che siano state mai pubblicate. Per il Bonfini, oltre la Biblioteca Picena (III, p. 21 sgg.), si veda G. A m a d io , I Bonfini, Napoli 1937, p. 81 sgg., e il nostro articolo nel Dizionario biografico degli italiani, ad vocem, del quale riassumiamo qui brevemente il contenuto. Nacque attorno al 1441 a Patrignone o, più probabilmente, nella vicina Ascoli Piceno, dove certamente studiò col fra tello Antonio. Insegnò prima in Ascoli poi a Roma; lo troviamo infatti docente nello Studio di questa città per due periodi nel decennio dal 1491 al 1501. Si può quasi certa mente identificarlo con quel Matteo Bonfini proprietario al Pincio di un terreno confi nante con gli Horti Colotiani, ricordato dallo stesso Ubaldini (p. 39). Fece vita errabonda, dedicandosi all’insegnamento ed al servizio di principi e prelati, rimanendo tuttavia sempre pressoché povero; dopo il soggiorno romano lo troviamo in Ancona, amico di Marco Cavallo e, in seguito, al servizio del Rettore della Marca Giovanni Vera; passò poi alla corte del Card. Raffaele Riario e da qui a Foligno e a Fano, dedicandosi di nuovo all’insegDamento; non si conosce né la data né il luogo della morte. Modestissima fu la sua parte nel movimento umanistico, caratterizzata più che altro dall’insegnamento; si dedicò quasi esclusivamente al genere epistolare ed alla compilazione di operette sco lastiche. Del soggiorno ascolano rimase tra i libri del C. una cronaca di Ascoli rimasta inedita e sconosciuta fino a quando non ne ha parlato G io v an n i M e s c a t i (Codici latini Pico Grimani Pio, Città del Vaticano 1938, p. 172); la cronaca, che va dal 1345 fino al 1523, è interessante per la storia locale e ci ripromettiamo di curarne la pubblicazione. Intanto basti dire che il manoscritto passò dal C. nelle mani dell’ allora cardinale Marcello Cervini ed attualmente nella Vaticana ha la segnatura Cod. Ottobon. lat. 1980; a c. 48v è ricordato l’ingresso del C. nella città: Die X I & aprilis 1523. Reverendissimus dominus Agnelus Colotius guber. una cum antianis et consulibus ivit ad domurn Phebi infrascripti et eam desolavit. Die dominico Va aprilis dominice resurrectionis Mag.c'1B Dominus Agnelus Colotius de Esio guber. venit Asculum cum maxima pluvia; c. 49r: circa horas 20 et multi cives assotiaverunt ipsum et cum esset in platea diete civitatis M:(agnifici) >.45
nel Cinquecento (Ascoli Piceno 1957, I, p. 234) dove l’ arrivo del C. è fatto accadere il 7 febbraio, che sarà stata probabilmente la data di nomina a governatore, mentre la data d’ingresso fu ritardata dalle opposizioni alle quali abbiamo accennato. Va notato inoltre che egli conservava nella sua ricca collezione archeologica un’ epigrafe, proveniente da Ascoli Piceno, riportata nella traduz. lat. della Vita dell’ Ubaldini (p. 94, I; v. C. I. L., IX , 509*); è probabile che il C. stesso se la sia fatta trasportare a Roma poiché, quando si trattava di queste cose, non badava a spese. Cfr. V. F a n e l l i , Le raccolte archeologiche del Colocci in « Studi di Bibliografia e di Storia, in onore di Tammaro De Marinis », Verona 1964, II, p. 287. A chiusura di quanto abbiamo detto su questa breve pa rentesi ascolana nella vita del nostro umanista dobbiamo correggere un errore di Gio vanni Mercati che attribuisce al C. il possesso del codice contenente il Tacito minore, proveniente dai libri di Enoc d’Ascoli, ed attualmente conosciuto come il Tacito jesino (v. M e r c a t i , Prolegomena ai libri D e re puhlica di Cicerone, già cit., p. 111). Forse il Mer cati è stato tratto in errore dalla provenienza ascolana del codice e dall’essere poi questo rimasto a Jesi; ma si può con certezza escludere che il C. lo abbia mai posseduto. Si veda in proposito, oltre i vecchi lavori di Cesare Annibaldi, che del codice fu il fortunato sco pritore, (L'Agricola e la Germania di Cornelio Tacito, Città di Castello 1907 e La Germania di Cornelio Tacito, Lipsia 1910) l’ articolo di G. B ru g n o li , Le vicende del Codice Hersfeldense in « Rivista di cultura classica e medioevale », III (1961), I, pp. 68-90. Purtroppo anche noi, fidandoci del Mercati, avevamo accennato al possesso di quel codice da parte del C. nel nostro articolo Adriano V I e A . C. già citato (p. 24). 45 I versi del Casali provengono dal Vai. lat. 2836, c. 194; sono inoltre trascritti nel Codice Colotiano, c. 17r, da dove li hanno desunti sia lo Ubaldini che il Lancellotti (p.25). Infatti nel codice vaticano c’è un verso in più, inserito prima dell’ultimo: Si bonus simul et malus probavit, e c’ è Te al posto di Et nel terzo verso. Del Casali sono anche riportati quattro distici latini a p. 59 e sei versi latini nell’ultima pagina, come chiusura; fu molto amico del C. (v. n. 34) e nel periodo della permanenza ascolana lo tenne minuziosamente informato di quanto avveniva alla Corte romana, delle speranze che il C. aveva di poter tornare e dei giudizi che a Roma si davano sul suo comportamento nei torbidi che avve nivano in Ascoli. Rimangono tre sue lettere al C., delle quali due nel Vai. lat. 4104, cc. 72-75, e una nel 4105, c. 195, del luglio-agosto 1523; le riportiamo nell’Appendice n. 5. Il C. conservò suoi versi nel Vat. lat. 2836, c. 27 e cc. 187-96; nel Val. lat. 2833, c. 238; nel Vat. lat. 3353, cc. 4 e 105; nel Vat. lat. 3388, c. 199; e nélYOttobon. lat. 2860, cc. 7Vl l v; altri sono nei Coryciana, c. 22v, e, sempre nei Coryciana, è ricordato dall’Arsilli a c. 135. Il Suburbanum Augustini Chisii di Blosio Palladio (v. n. 113) si apre (c. 2) con suoi versi: il suo nome figura inoltre sia nell’ elenco del Cod. Vat. lat. 3450, sia in quello delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 1 en. 4). Era romano di nascita, buon oratore, utilizzato da Clemente V II, assieme al fratello, nella vicenda della rottura del matrimonio di En rico V i l i di Inghilterra con Caterina. La sua missione in Inghilterra ebbe inizio nel gen naio 1525; l’ anno prima aveva pubblicato un’orazione contro un tentativo di riforma agraria di Clemente V II che danneggiava i proprietari terrieri romani dei quali il Casali prende le difese: in Legem Agrariam prò communi utilitate ei ecclesiastica liberiate tuenda Oratio, Romae 1524. Su di lui v., oltre il Lancellotti, pp. 58-59, il M a n d o sio , Bibliotheca Romana, Romae 1592, I, p. 299; J. S. B r e w e r , Letters and papers foreign and domestic o f thè reign o f Enrico V i l i , London 1867 sgg., dove è ricordato in quasi tutti i volumi; e
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Federico Ubaldini
Trovandosi il Colocci hoggimai podagroso e anche nel resto mal sano, come leggiamo nel Dialogo volgare del Valeriano,46 s’immerse tutto nel bello otio delle lettere et erano gli amici et i libri le sue cure, ogni altra cosa riputando inferiore alla libertà d’un huomo dato agli studi. Soleva Angelo babitare in Parione, sì come è nelle sue domestiche scritture viste da me in Jesi e come pubblica testi monianza ne rende Pierio Valeriano nelle sue poesie.47 A n nos moremur vivere Principes Quod se ultro perdunt caedibus? I puer Accerse jucundos sodales E x platea Parionis alta, Colotium, Granam, Petrosanctium, Et Laelium, Maffaeumque. Ma sino dal 1513 egli comperò nel Colle Pincio da Giacopo Cec-
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charini Romano un pezzo di vigna et un sito di canne C L X X I I da fabricare case, presso i beni di Ms. Domenico de’ Massimi e di Ms.
G. Caro cci , L o Stato della Chiesa nella seconda metà del sec. X V I , Milano 1961, pp. 27 sgg. In quanto all’ episodio delle parole scherzose rivolte dal C. al Papa Clemente V II non siamo riusciti a trovare la fonte; pensavamo che l’ avesse raccontato il C. stesso, inseren dolo in quella raccolta di facezie che egli compilò (v. n. 18 e 177) e che è rimasta nel Val. lai. 3450, ma non ve l’ abbiamo trovato. Che il colloquio col Papa sia realmente avvenuto non dubitiamo, perché rispecchia il carattere del nostro umanista come è descritto più avanti (v. p. 64); che un governatore fu ucciso con un colpo di alabarda nella piazza del Popolo il 24 giugno 1528 mentre era accorso per sedare un tumulto è anche vero, e non è improbabile che il C. si riferisse proprio a quello sfortunato suo successore, che si chiamava Gian Francesco Cina di Potenza ed era arcivescovo di Nazaret (v. F a b ia n i , Ascoli nel Cinquecento, già cit., p. 235-36); come può avere invece pensato a qualche governatore, tratto precocemente alla tomba per i dispiaceri sofferti in Ascoli, che non è possibile identificare nella girandola di governatori di quel periodo tumultuoso. Che gli ascolani fossero apparsi al C. uomini inquieti che pacifico signore non vogliono e godono della libertà ( Vat. lat. 4817, c. 114v) non deve meravigliare; un secolo e mezzo prima il cardinale Albornoz non giudicava diversamente la popolazione marchigiana: Ita reformationi illius inconstantis Provinciae, volubilis velut rota, et labilis ut anguilla, dabo operam... (Biblioteca del Colegio Mayor Albornociano ere Bolonia, Elenchus Arch. Alborn., Pars I, c. 97r). 46 V. p. 312 dell’ ediz. milanese dove il C., rispondendo a Lelio che si lamentava di essere stato quattro mesi immobilizzato dalla podagra, dice: « Fratello, io ancora sono stato inchiodato ad una sponda del letto, e non sono tre giorni che esco di casa ». Anche nel De litteratorum infelicitale (p. 5 dell’ ediz. del 1620) dice: Colotius ex itinere fessus est, ab hortis enim suis, ex pedibus etiam laborans, huc hodie venit. 47 I versi sono a c. 74 del volume P ie r ii V a l e r ia n i Hexametri, Odae et Epigrammata, s. 1. (ma Venezia) 1550, in un’ ode dal titolo Sodalium Convictus Die Baccanalium. I per sonaggi citati nei versi sono ricordati anche nella lettera del Sadoleto riportata più avanti (v. pp. 67 sgg.), meno il Lelio che è ricordato in un’ altra lettera riportata dal Lancellotti (p. 129). Il primo di essi, Lorenzo Grana, non ci ha lasciato che pochissimi scritti, seb-
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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Matteo Bonfini e la strada pubblica, a un grosso fiorentino la canna: essendo detto Giacopo perpetuo locatario del Convento di S. Maria N ova; qui dunque egli fabricò case e giardini delitiosissimi, rinno-
bene fosse ritenuto dai contemporanei buon letterato e celebre oratore. È introdotto come interlocutore dal Valeriani nel dialogo De infelicitate litteratorum, segno questo della considerazione che godeva tra i letterati romani nei primi anni del Cinquecento; il Mandosio (Bibliotheca Romana, già cit., II, p. 304) gli attribuisce due orazioni funebri, una per il cardinale Egidio Canisio da Viterbo, l’ altra per Clemente V II, e nel Vat. lai. 3370, cc. 231-243, si conserva l’orazione detta in morte di Celso Mellini (v. n. 40). Il suo nome è nell’ elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4). Su di lui v. anche G n o l i , op. cit., pp. 16, 74 e passim e Orti letterari nella Roma di Leone X in « Nuova Antologia », L X V (1930), p. 19. Il Pietrasanta sarebbe più propriamente Tommaso Pighinuzzi da Pietrasanta, ricor dato anche più avanti (p. 90); se ne fa spesso menzione dal Sadoleto, dal Bembo, dal Va leriani e da altri contemporanei, come, ad esempio, dal Carteromaco nella dissertazione De cane rabido diretta al C. (v. n. 32). Rimangono di lui versi nei Coryciana (cc. 17v, 45v e 68v) e una lettera scherzosa al C. del 5 maggio 1530 nel Vat. lat. 4104, cc. 76-77 (v. Appen dice n. 6); l’ Arsilli lo dipinge come limatore diligentissimo delle proprie poesie (Coryciana, c. 134r); e Pietro Corsi da Carpineto gli dedica dei versi rimasti nel Vat. lat. 7182, cc. 130-31. Il C. in un suo testamento del 1522 (v. n. 163) lo nomina suo esecutore testamentario assieme al Bombasio e al Gentiioni. È ricordato sia nell’elenco delle Carte Strozziane, sia in quello del Cod. Vat. lai. 3450 (v. Appendice n. 1 e n. 4). Il Fiorenzuola, in polemica col Trissino che tentava di introdurre nuove lettere nell’ alfabeto, dedicò a lui una sua ope retta intitolata Discacciamento delle nuove lettere inutilmente aggiunte alla lingua toscana (Rom a 1524). Più estese notizie ci danno il Lancellotti, p. 66; V. Sa n t in i , Commentarii storici sulla Versiglia centrale, Pisa 1863, VI, p. 18, e lo G n o l i , oltre che nell’opera cit. qui sopra, nell’ altro suo lavoro Orti letterari nella Roma di Leone X , già cit., pp. 12 e 141. Mario Maffei fu il più giovane dei fratelli Maffei di Volterra ed ebbe posti importanti nella Corte pontificia; fu vescovo della ricca diocesi di Cavaillon fin dal 1524 e morì a Volterra nel 1537 di 78 anni. Si occupò di studi teologici e legali, sebbene la sua inclina zione fosse per le lettere e, più ancora, per l’ archeologia; fu legato da grande amicizia col Sadoleto (v. n. 126). Suoi versi sono nell'Ottobon. lat. 2860, cc. 110, 119, 184; è ricordato sia nell’ elenco delle Carte Strozziane, sia in quello del Vat. lat. 3450 (v. A p pendice n. 1 e n. 4). L ’Arsilli ( Coryciana, c. 135r) lo ricorda come poeta dei dolci colli, delle amene campagne e dei fiori; anche l’Ariosto (Orlando furioso, c. 46, ott. 13a) fa il suo nome nella « dotta compagnia » che Alessandro Farnese, il futuro Paolo III, mena seco: v. P. P asc h in i , Una famiglia di curiali: i Maffei di Volterra in « Riv. di storia della Chiesa in Italia » , Roma 1953 (VII), pp. 356 sgg. e J. R u issch aert , Recherche des deux bibliothèques romaines Maffei des X V e et X Vi" siècles in «S tu di e ricerche in mem. del card. G. Mercati », Firenze 1959, pp. 306-355. Lelio sarebbe Anton Lelio Massimi (v. nn. 46, 58, 78, e 169). Apparteneva alla famiglia dei Massimi; solo lo Gnoli (Orti letterari ecc., già cit., p. 12, n. 15) giudica « Massimo » un appellativo aggiunto al cognome che sarebbe stato Lelli. Fu segretario del Cardinal Trivulzio (v. n. 78) e doveva conoscere bene latino e greco, intimo com’ era del Bembo, del Sadoleto, del Flaminio, del Sannazzaro, del Colocci e di Leone X che lo fece cavaliere. È ricordato nella Cortigiana dell’Aretino come scrittore di Pasquinate; l’Aretino dominava nel rione di Borgo, il Massimi in quello natio di Parione. L’Arsilli nei Coryciana (c. 134r) lo ritrae perciò scrittore tagliente, velenoso, pieno di malizie,
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Federico Ubaldini
vando in gran parte qui la magnificenza et l’amenità de gli horti anticamente detti Salustiani, tali egli stesso, peritissimo delle anti chità Romane, gli appella: Cum Romae essemus in hortis meis Sal
ma tuttavia austero ed artista potente. Il Casanova (Heroica Marci Antonii Casanovae a cura di F. V olpicella , Napoli 1867, p. 33; v. n. 71) gli dedica un epigramma, riportato in parte dal Lancellotti (p. 129), dove scherza con la podagra dalla quale era afflitto come il C. (v. n. 46). Anche nel Suburbanum Augustini Chisii (c. 3V; v. n. 113) si trovano suoi versi. Il suo più caro amico fu forse Filippo Beroaldo junior, morto nel 1518, che ce lo mostra di animo nobile e sdegnato per la corruttela della corte di Leone X in un’ ode a lui diretta; il libro del Beroaldo fu pubblicato da Domenico, fratello di Anton Lelio, nel 1530 per il Biado. Fu molto amico del Longolio e prese le sue parti nel famoso giudizio di lesa romanità; come pure fu amico del Coricio, di Girolamo Fondulo e del Molza, che egli assistette e curò quando ebbe una pugnalata a causa di una donna; anche l’Altieri lo ricorda nei suoi Nuptiali (già cit., p. 9). Il suo merito fu di aver trasformato da acca demiche in satiriche le Pasquinate, di avere cioè dato carattere popolare alla satira; lo seguì in questo indirizzo l’Aretino, aggiungendovi tuttavia sconcezze e oscenità (v. Y. Cia n , La satira, Milano 1945, II, pp. 90 sgg.). Nel Dialogo della volgar lingua del Valeriani Anton Lelio è uno degli interlocutori, con il C. ed il Marostica; ed anche nel Castellano del Trissino egli ed il Sannazzaro assistono alla discussione, poiché sembra che si occu passe anche del problema della lingua, almeno a quanto il Valeriani fa dire al Marosti ca. Ci dovremo diffondere più avanti (v. n. 169) su questo argomento; nei Coryciana (c. 17v) ci sono suoi versi; il suo nome è nell’ elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4). Su Anton Lelio v. E. P ercopo , D i Anton Lelio romano e di alcune pasquinate contro Leone X in « Giorn. stor. letter. ital. », X X V III (1896), pp. 45 sgg. Il C. ha posseduto un gran numero di case e di aree fabbricabili; Rodolfo Lanciani (Storia degli scavi di Roma, Roma 1902, I, pp. 192 e 202 sgg.) parla addirittura di specu lazione edilizia e il Rodocanachi (Rome au temps de Jules I I et de Leon X , Paris 1912, pp. 146 sgg. e 402 sgg.) riporta documenti, in aggiunta a quelli del Lanciani, riguardanti acquisti di case ed aree; frugando negli archivi altri numerosi se ne potrebbero certa mente trovare. Nella poliedrica personalità del C. l’uomo di studi si conciliava col cac ciatore di prebende e di benefici e l’ amante di antichità con l’ abile uomo d’ affari. Degno di ricordo tra i tanti ci sembra l’ atto notarile del settembre 1533 col quale Mario Salamoni conferma la cessione al C. del giardino al Quirinale e delle terme di Costantino, già residenza del Leto e ritrovo degli accademici. Il giardino con le grotte era stato già concesso, dopo la morte del Leto e del Platina, al C., che in quel tempo era ancora un giovane erudito; ora, per liberare lui e i suoi eredi da qualsiasi molestia, i due soli super stiti dell’Accademia, e cioè il canonico lateranense Pomponio Cerino e l’ avvocato conci storiale Mario Salamoili gli confermano e gli rinnovano la concessione. Dei due accademici pomponiani superstiti il Salamoili aveva conservato stretti le gami di amicizia con il C.; nato dalla nobile famiglia dei Salamoili Alberteschi, aveva conseguito grande fama come giureconsulto tanto che lo troviamo nell’ atto solenne di pacificazione e di concordia celebrato in Campidoglio nell’ estate del 1511 quando si cre deva che Giulio II fosse morto. Il Mandosio (op. cit., I, p. 134) cita le sue numerose opere giuridiche ed un dialogo socratico destinato a Leone X appena eletto, ma che vide la luce solo molto più tardi (M. Sal am o n ii , De Principatu libri septem, Romae 1544) pre ceduto da una lettera a lui diretta dal C. (Lancellotti, p. 191, che la trae dal Codice Colotiano, c. 39v). Il dialogo lamenta la simonia, che in quei tempi imperversava a Roma, le guerre condotte dal Papa e la mondanità della Curia; data l’identità dell’ argomento,
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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lustianis, incidimus in sermonem de mundi huius partitione,48 E Lucio Fauno testimonia che la seguente iscrittione era presso il Co locci: M . Aurelius Pacors et M . Cocceius Stratocles aditui Veneris
viene spontaneo il confronto con il Machiavelli. Ma il Salamoili rivela un sincero spirito morale, che manca al Segretario fiorentino; è pessimista sui rimedi e non crede alla ri cetta del Principe (v. V. C lan , Un trattatista del « Principe » a tempo di Machiavelli: M a rio Salamoni in « A t t i dell’Accademia delle Scienze di T orin o», X X X V , 1900, pp. 799818, e Giorn. stor. lett. ital., X X X V I I , pp. 454 sgg.). Il C. nella sua lettera stabilisce un confronto tra Pico della Mirandola e il Salamoni: come il Poliziano soleva chiamare Pico la Fenice della Mirandola, così egli, considerando la veneranda canizie delFamico, lo chia merà l’ argentea oca Capitolina, a meno che non lo si voglia chiamare Manlio piuttosto che Mario. Nel leggere questi arzigogolati complimenti del C. ci rendiamo conto come egli potesse gustare ed esaltare tanto la poesia di Serafino Aquilano. Siccome l’ atto notarile riguardante le case di Pomponio Leto è del 10 settembre 1533, sbaglia il Marini (op. cit., p. 31) nel pensare che il Salamoni possa esser morto verso il 1532; non conosciamo la data e dobbiamo pensare che fosse molto vecchio se già nel 1511 il Colocci parla di «v e n e randa canitie ». La figura del canonico lateranense Pomponio Cerino ha resistito a tutte le ricerche e non ne possiamo dire nulla. Della casa del Leto si parla più avanti, a p. 65 e nella n. 103; v. anche a p. 47 della traduz. lat. È frequentemente ricordato, nei documenti che riguardano gli affari del C., Francesco Gentiioni da Osimo; doveva essere amico e socio in affari, ma non certo un let terato; nel 1509 era cancelliere di Jesi: v. V. F a n e l l i , Le lettere di mons. A . C. nell’A r chivio Comunale di Jesi in « Rinascimento », IV (1953), I, p. 80. L’ argomento delle case è stato da noi trattato in un articolo dal titolo Aspetti della Roma cinquecentesca — Le case e le raccolte archeologiche del C. in « Studi Romani » , X (1962), 4, pp. 391 sgg. Pensiamo sia non inutile aggiungere qui la descrizione che l’ Ubaldini ci ha lasciato nel Barber. lat. 4871, cc. 168-69: « La casa del Colocci si vede simigliantemente con la fontana che vi fece egli medesimo fare d’una ninfa scolpita da antico lavoro, che fino al dì d’ oggi vi si scorge; essendo la casa del Colocci quella ch’ alia Chiavica del Bufalo abi tano i signori Vaini prossima all’ acquedotto dell’ acqua Vergine di cui quella fonte è dispensiera alle comodità domestiche ». 48 Nell’originale le parole che indicano la misura della vigna sono doppiamente sottolineate e a margine c’è un segno che sottolinea tutto il periodo; forse l’Ubaldini non era abbastanza sicuro. Quando egli scriveva la Vita la celebre casa era già passata ad altri proprietari: nel Codice Colotiano, c. 48r, sono trascritti due atti di vendita, uno, del 7 luglio 1556, col quale Giacomo Colocci vendette al nipote Ippolito Colocci la metà della casa; con questo acquisto Ippolito si trovò, essendo già proprietario dell’ altra metà, a possedere tutta la casa, lasciandola in eredità ai figli Giovan Benedetto e Francesco; un altro, del 22 novembre 1600, col quale Giovan Benedetto e Francesco Colocci vendettero la casa con tutte le colonne, pietre di marmo, capitelli, statue, frammenti di statue, porte, finestre, vasi di marmo ed altre lapidi in essa esistenti, ad Angelo ed Ottavio Del Bufalo (v. Appendice n. 11). Alcuni particolari qui ricordati mancano nella traduz. lat. (p. 23); sugli Horli Colotiani si è scritto moltissimo e chi vuole maggiori particolari veda, tra gli altri, C. G io ia , Gli orti colocciani in Roma, Foligno 1893, anche se di scarso valore; A d . Colocci , A . C. ed Hans Goritz, Fabriano 1922; D. G nolt , Orti letterari nella Roma di Leone X , già cit., pp. 3 e 137; V. F a n e l l i , Le case e le raccolte archeologiche del C., già cit., pp. 395-96.
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Federico Ubaldini
hortorum, Sallustianorum basen cum pavimento marmorato Dianae D . D . che Aldo Manutio afferma esser negli stessi Orti Sallustiani.49 Popolava gli orti e le case del Colocci gran popolo di statue an tiche, alcune delle quali comperò nel 1520 il dì primo di settembre da Gentile de’ Gottifredi, come la ricevuta del prezzo ci insegna, il che non haverebbe al certo patito che fusse seguito la posterità di esso Gentile Francesco e Bruto Gottifredi, i quali con somma diligenza e con indicibile spesa sono dati a raccogliere quanto mai han potuto di medaglie et altre memorie, così latine come greche e barbare. Andrea Fulvio 50 nelle Antichità di Rom a scrive che tra
Le parole del C., qui riportate, sono nel Cod. Vai. lat. 3906, c. 92r; il codice è una vasta miscellanea, Contenente appunti sulle misure, oltre al trattatello del Questemberg sullo stesso argomento (v. n. 175) ed altre cose. 49 Per l’iscrizione v. C. I. L., V I, 1, p. 20, n. 122. Di Lucio Fauno v. Delle Antichità della Città di Roma libri V, Venezia 1553 (ma la prima ediz. è del 1548), c. 122: « Presso la chiesa di S. Susanna fu il Foro di Salustio... dove s’è ne (sic) negli anni à dietro cavato un marmo, che ora sopra il Circo di Flora attaccato nel muro di una vigna, con questa inscrittione si vede: (segue Viscrizione) ». Per il Manuzio v. Orthographiae Ratio, Venetiis 1566, p. 427: Ire Hortis Sallustianis. Nella traduz. lat. si tace della testimonianza del Fauno e di quella del Manuzio; si riporta invece un lungo passo di Pirro Ligorio, che va da p. 23 a p. 26 e che non ci sembra necessario trascrivere anche qui; non è altro infatti che la descrizione dell’ antica villa di Sallustio e riguarda solo indirettamente il nostro argomento. Lucio Fauno è lo pseudonimo di Giovanni Tarcagnota morto in Ancona nel 1566 ed autore, oltre che della traduzione in lingua italiana delle opere di Biondo Flavio, anche di una Storia universale ai suoi tempi abbastanza apprezzata; non sembra che ab bia avuto rapporti col Colocci. Anche Pirro Ligorio, antiquario ed archeologo napoletano morto nel 1583, visse completamente fuori dell’ ambiente del Colocci. L’epigrafe non è qui riportata molto fedelmente; la trascrizione esatta è: M . Aurelius Pacorus et M . Cocceius Stratocles aeditui Veneris hortorum Sallustianorum basem cum palmento marmorato Deanae D.D. 50 La ricevuta di Gentile Gottifredi è riportata nel Codice Colotiano, c. 20: « 1520, adì p.° settembre. Confesso io Gentile de Gottifredis esser contento, et pagato da M. Angelo Colotio di cinque pezzi di statue, e doi figure insieme giunte, due teste con petti, e doi in asi (sic) antichi, li quali cinque pezzi li diedi per prezzo di ducati cinquanta d’ oro, et in fede di ciò ho fatta questa di mia propria mano, et subscripta anno, et dì soprascripto 1520 adì p.° Septembris. Item Gentilis de Gottifredis manu propria ». I Gottifredi si in contrano anch’ essi abbastanza frequentemente da chi si occupa delle vicende archeo logiche della Roma rinascimentale. Secondo lo Gnoli (Un giudizio di lesa romanità ecc., già cit., p. 16) Giacomo Gottifredi, contemporaneo delC., diede buoni frutti nell’eloquenza che aveva appreso alla scuola dell’ Inghirami e del Porzio. Le notizie del Fulvio sono tratte dalla sua opera De Urbis antiquitatibus libri quinque, cc. 2v-3r, uscita a Roma in occasione del Giubileo o poco dopo, tanto che a causa del Sacco la maggior parte delle copie andarono distrutte. Dopo aver descritto il percorso dell’Acqua Vergine e aver riportato un’ iscrizione ricordante un restauro di quell’ acque dotto, iscrizione rimasta ire Hortulo nunc nobilis atque eruditi viri Angeli Colotii antiqui tatum unici amatoris, passa alla descrizione delle statue riportata integralmente dall’Ubaldini. La identificazione delle statue è pressoché impossibile; invece l’ultimo
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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le cose messe insieme da Angelo Colotio si vedeva spetialmente la statua di Socrate che abbracciava Alcibiade e l’imagine di Giove Am one, di Proteo e di Esculapio; i mesi co’ i lor segni e con gli Dij tutelari di ciascun mese. Molte di queste statue alla morte di Angelo furono vendute, ma ve ne rimasero, e havendo l’heredità sua Ms. Giacomo Colocci, suo nepote cugino per essere figliuolo di Ippolito che nacque da Ms. Framio; 51 queste infrascritte vi annovera in
pezzo descritto è ben noto poiché si tratta del Menologium Rusticum Cololianum, attual mente al Museo Nazionale di Napoli, per il quale v. C.I.L., I, 1, pp. 280-282, n. X X I I I A; il C. era molto fiero di possederlo e ne parla spesso (v. F a n e l l i , Lettere di Londra, pp. 112 e 121). Sulle statue fornisce qualche notizia P. G. H ü b n e r , Le statue di Roma, Leipzig 1912, p. 89; ma non dice molto e non si accorse che le collezioni coloziane erano due, una al Pincio e una in Parione, sebbene il Lanciani, che lo Hübner cita, lo avesse rilevato. Il Fulvio deve sicuramente aver conosciuto il C., come è dimostrato dalla descrizione delle statue e più ancora dal fatto che entrambi vissero sempre nello stesso ambiente, prima neU’Accademia di Pomponio Leto, del quale il Fulvio fu discepolo devoto ed assi duo, più tardi nella corte di Leone X e di Clemente V II, dai quali furono entrambi pro tetti. Certamente dal Leto venne al Fulvio la passione per l’ archeologia; ma doveva es sere di temperamento modesto e schivo, molto diverso in questo dal C., tanto che non appartenne, o almeno non risulta, alla Accademia che il C. mise insieme come continua zione di quella del Leto. Invece ci sono suoi versi nei Coryciana (c. 16v), dove anche parla di lui FArsilli (c. 137v); dopo il 1527 non si hanno più notizie di lui, forse perito nel Sacco non ancora sessantenne. L’opera che abbiamo ricordato ebbe fortuna per tutto il secolo: v. R. WEISS, Andrea Fulvio antiquario romano in « Annali della Scuola Normale superiore di Pisa — Lettere, storia e filosofia », Serie II, X X V III (1959), I-II, pp. 1-44. 51 II periodo sembrerebbe interotto e mutilo; il passo però corrisponde esattamente alla versione lat. (p. 27): cumque ejus haereditas ad Jacobum Colotium nepotem sobrinum, videlicet filium Hippolyti, qui ex Framio editus fuerat, pervenisset,... Framio è errore di scrittura, ripetuto anche, come si vede, nella trad. lat.; si tratta di quel Francesco, zio di mons. Angelo, di cui si parla a pp. 5-6. Quanto si dice qui è desunto dall’ atto di vendita del 1600, da noi ricordato alla n. 48. La mancanza di coerenza del periodo ci sembra doversi attribuire a quel punto e virgola dopo la parola « Framio »; se si togliesse, il pe riodo correrebbe liscio; ma siccome c’ è, sia pure nella sola redazione italiana, noi lo ab biamo lasciato. La eredità pervenne a Giacomo per mancanza di discendenti diretti di Angelo, che aveva solo una sorella sposata a Tiberio Ripanti nel 1497; i beni passarono quindi ai di scendenti dello zio Francesco, il Consigliere del Re di Napoli, e cioè al cugino Ippolito che sposò in prime nozze Paola Ghislieri nel 1515 ed in seconde nozze Gabriella Melchiorri nel 1520. Dal primo matrimonio nacque Francesco, dal secondo Giacomo; alla morte del padre i due fratellastri si divisero, dando origine a due rami distinti della famiglia, e cioè da Francesco, che ebbe per figlio Ippolito, poeta ai suoi tempi di una certa fama, discese il ramo giunto fino a noi e spentosi con Attone nel 1944; da Giacomo derivarono numerosi altri rami, parte estinti, parte dispersi senza conservare dell’ antica Famiglia altro che il nome (v. documenti ed albero genealogico in Appendice n. 11; su Ippolito junior v. Biblioteca Picena, di V e cch ietti e M oro , già eit., I l i , p. 263). Possiamo aggiungere che Giacomo, dopo essere rimasto a Roma alcuni anni, si ritirò a Jesi; era
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Federico Ubaldini
casa Ulisse Altovrandi nel suo libro stam pato.52 « Nella corte della casa, a man dritta, si trova posta in un nicchio la statua di una donna mezza ignuda assisa sopra un mostro marino. Si veggono
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nel muro molte tavolette marmoree con varie figure di mezzo rilievo scolpite. Vi sono due pile et altri molti sepolcri con varij epitaffi et torsi et fragmenti antichi. Nel muro, oltre molti epitaffi murati, vi è anco una pila antica con la figura di un giovane ignudo che solamente ha un panno attaccato alle spalle con un bottone et ha in mano un dardo al quale, con bel gesto, appoggia il capo: presso a i piedi ha un cigniale disteso et un cane che pare che lo laceri co’ denti. In una tavoletta marmorea murata su la porta della cucina sono iscolpiti due tori legati ad uno albero et domi a forza da un che tiene i loro capi a forza su, in alto. In una camera appresso alla porta si vede la statua di una donna vestita. Ve ne è un’ altra senza testa che dicono essere Vittoria, Dea celebrata da gli Antichi Capi tani. Ve ne è anco un’altra, pure di Vittoria. V i sono quattro torsi antichi con molte teste e fragmenti assai belli. In un’altra casa del medesimo Ms. Giacomo Colocci che è all’incontro della già detta, si vede la testa di Antinoo tione il Fulvio del piede misuravano gli antichi: la sino all’hora dedotte circa
col busto moderno ». Fa parimente men Romano ch’era presso di Angelo, onde qual misura abbatté a terra le raggioni l ’immaginato piede romano, così quelle
di coloro che dicevano bisognar ritrovare la sua grandezza co’ i semi dell’orzo, come le addotte dal Budeo. Ma Leonardo Porzio Vicentino 32
con questo piede che da chi lo possedeva cognominossi Colotiano,
infatti rimasto vedovo della moglie Francesca Franciolini da cui aveva avuto tre figli al primogenito dei quali aveva messo il nome di Angelo per onorare la memoria del grande zio. Dopo la morte della moglie fu ordinato sacerdote e morì canonico della cattedrale di Jesi senza lasciare di sé particolare memoria. Ippolito (c. 1540-1592) invece meritò di essere ricordato dal Grizio (op. cit., pp. 153 e 208) come letterato; si occupò anche dei negozi dell’ amministrazione cittadina alternando quest’ attività con frequenti ritiri nel castello di Retorsio dove scrisse alcune opere, delle quali una fu stampata (Rime spiri tuali di diversi autori raccolte dal Cavalier H uppolito C olocci, Perugia 1576). Veramente, più che di poesia, si tratta di una compilazione di centoni; ma il buon Lancellotti (p. 201) si scaglia contro il Crescimbeni e il Quadrio « i quali nelle loro Storie della volgar Poesia diedero luogo a tanti altri scempiati Poetastri, e tacquero d’ Ippolito ». 52 II libro dell’Aldrovandi è unito all’opera di L u cio M a u r o , Le antichità della città di Roma (Venetia 1558) che a p. 115 continua così: Delle statue antiche che per tutta Roma in diversi luoghi e case si veggono di messer U lisse A l d r o a n d i ; il brano riportato dall’ Ubaldini è a p. 285 e nell’ ediz. lat. della Vita è tradotto (pp. 27-28). Delle statue ricor date la prima, e cioè il gruppo di Nereide su cavallo marino, è attualmente a Firenze (v. G. A. M a n su e l li , Catalogo delle sculture della Galleria degli Uffizi di Firenze, Roma 1958, p. 132, n. 97).
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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ritrovò la verità della disputata misura. Era questo piede scolpito in una base di marmo del sepolcro di Cn. Cossutio, trovato nel Monte Pincio nelle case di Angelo et ivi si vedeva con esso scolpito il Mar tello, le seste et altri ordigni, onde buomo argumentava essere stato quivi sepolto un architetto o uno scultore.53 Questa base, dopo la
53 Per il Fulvio v. A. F u l v ii op. cit., p. 183, dove, subito dopo le parole riportate nella n. 50, si dice: mensuraque pedis Ro. multaque fideliter adservata, ad mensuram et pondera quae huic saeculo lucem intulerunt. Per il monumento di Cossuzio, sulla cui base è scolpito il piede, v. C. I. L., V I, 3, p. 1858, n. 16534. La questione, accennata dall’ Ubaldini, della suddivisione del piede romano è resa chiara da quanto dice il Budé (G. B u d a e i Libri V de asse et partibus eius, Venetiis 1522, c. 3r); Itaque mensores post mensuras maiores (de quibus ipsis salis late in Annotationibus nostris diximus) ad pedem descendentes et pal mum, nec habentes quomodo palmum commode dividerent (ut author est Boetius) id quod inter palmum et digitum medium erat unciam vocare instituerunt, secundo loco digitum, tertio staterem, idest semiunciam, quarto quadrantem, quinto drachmam, sexto scrupulum, septimo obolum, octavo semiobolum, quem Graeci xspotriov vocant, nono siliquam, decimo loco punctum, undecimo minutum, duodecimo momentum posuerunt. A lii siliquam latine pu tant esse id quod Graeci xspdmov dicunt, hoc est siliquae fructus granum', siliqua in Italia nascitur hodie quoque; longitudine digitali latitudine pollicari, ut author est Plinius, intus habet grana, quae sena singula scrupula pendent, hoc est diobolum. Per le Annotationes, alie quali fa riferimento il Budé, si vedano le Annotationes priores et posteriores G. B u d a e i , Lugduni 1561, pp. 485-86, sotto la parola « pes ». Riteniamo non inutile richiamare qui quanto scrive il Mercati (Virgilio mediceo, p. 114, n. 22) sulla falsa attribuzione nel Lancellotti (p. 83) di una lettera al C. del Budé, lettera che è invece del Sirleto; sem bra doversi escludere che tra il C. ed il Budé ci siano stati rapporti. Del Porzio v. L. D e P ortis , De sestertio pecuniis ponderibus et mensuris antiquis libri duo, s. n. t., c. 33r: Quo omnes pedes nostri temporis quibus ad metiendum utimur longiores sunt, sed utinam aliarum antiquarum mensurarum modus extaret sicut pedis antiqui qui Romae pluribus in locis et praecipue in hortis Angeli Colocii viri inter alios qui Romae degunt, ut audio, doctissimi manifeste deprehenditur. Nel Lancellotti (p. 137) è riportata sul piede coloziano la testi monianza del Savot, che enumera tutti coloro che Io giudicarono la vera riproduzione del piede romano; lo stesso Lancellotti (p. 41), parlandone abbastanza diffusamente, afferma che proprio « per dilucidazione di questo marmo » il C. scrisse o, meglio, raccolse tante notizie sugli antichi pesi e misure. Si noti che nella traduz. lat. (p. 29) la parola « martello » è tradotta « malleus aapitatus » per « m. capitatus »; così pure le parole dell’ Ubaldini farebbero pensare che il monumento di Cossutio fosse stato trovato al Pincio, mentre invece, da quanto si sa, era in Trastevere. Il Porzio non conobbe, quasi certamente, il C. (v. sopra, nella citazione della sua opera, quell’ «« audio); nato postumo verso il 1460, visse sempre a Vicenza, sua città natale, dove ebbe uffici ed ambascerie. Deve la sua fama al libro, già cit., sulle misure che gli procurò un’ aspra polemica col Budé nella quale intervennero l’ Egnazio, Erasmo e Giano Lascaris come paciere; morì a Vicenza nel 1545: v. A n g io lg abriello d i Sa n t a M a r ia [P aolo Ca l v i , ] , Biblioteca e storia degli scrittori così della città come del terri torio di Vicenza, Vicenza 1775, III, parte II, p. 210. Il C. conservava un pezzo trascritto dal libro del Porzio con fitte annotazioni; il quadernetto è oggi contenuto nel Vat. lat. 3441, cc. 135-144, e riporta in fondo anche un brano di Giorgio Valla. Il codice è stato messo assieme più tardi, probabilmente da Fulvio Ordini, e con i libri di questi è entrato
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Federico Ubaldini
morte del Colocci, comperata da Gentile Delfino,54 fu trasportata nelle habitationi di quella nobil famiglia. Con questo piede Colotiano, afferma il Filandro nel Lib. 3 di Yetruvio, che si confà la misura di un altro scolpito altresì nel sepolcro di T . Statilio ritrovato
nella Vaticana; le annotazioni del C. riguardano naturalmente le misure e alcuni nomi di autori. 54 Su Gentile Delfini manca un lavoro quale sarebbe richiesto dall’importanza del personaggio. Nell’ Ottoò. lat. 2550, pp. 38-45, lo Iacovacci, tra altre notizie, riporta la la pide posta sulla sua tomba nella cappella di San Girolamo in Santa Maria in Aracoeli; le lodi a lui tributate nell’epitaffio, di uomo eruditione Romano nomine digna in primis exculto, rispondono a verità; morì a 53 anni nel 1559. Il Lanciani (Storia degli scavi, già cit., passim) e Pierre de Nolhac (La bibliothèque de Fulvio Orsini, già cit., passim) hanno raccolto qualche notizia desumendola dal Mandosio (Bibliotheca Romana, già cit., II, pp. 138-139), da Antonio Agustin (Opera omnia, Lucae 1765-74, V II, pp. 231 e 233) e dal Bluhme (Iter Italicum, Halle 1830, III, p. 193); molte altre notizie si potrebbero ri cavare dall’ esame dei manoscritti, conservati alla Vaticana, del Galletti che ha fatto lo spoglio degli Archivi capitolari. Gentile Delfini fu canonico lateranense e vicario di R a nuccio Farnese, cardinale arciprete del Laterano; alcuni anni avanti di morire si stancò del vicariato e ottenne di esser messo da parte. Fu amico e maestro di Fulvio Orsini, che egli fece nominare canonico lateranense, e lo introdusse nell’ ambiente dei Farnese. Fu amico anche, come il C., di Basilio Zanchi che in un suo libro (Poematum libri V II, Romae 1557) gli dedica qualcuna delle sue composizioni; è curioso che nessuna di quelle poesie sia stata dedicata al C. al quale pure lo Zanchi era legato da stretti rapporti. Gen tile non appartenne all'Academia Coryciana (cfr. Carte Strozziane in Appendice n. 4), mentre lo troviamo nell’ elenco, probabilmente dei componenti l’Accademia del C., da questi scritto nel Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1). Come i libri del C., così quelli di Gentile Delfini vennero per la maggior parte in possesso di Fulvio Orsini (A. A g u st in , op. cit., p. 233) assieme alle collezioni di medaglie che dovevano essere pregevolissime; ma tra i libri dell’ Orsini, a differenza di quelli del C., quelli provenienti dal Delfini non si distinguono affatto. Certo che Fulvio Orsini doveva essergli molto riconoscente ed affe zionato poiché nelle sue opere lo ricorda spessissimo e nel suo testamento ci sono lasciti a numerosi componenti della famiglia (v. Fulvii Ursini Vita auctore I osepho Ca s t a l io n e , Romae 1657, pp. 4, 5, 26, e 27). La collezione di epigrafi messa insieme dal Delfini proveniva in maggior parte dal Celio (L a n c ia n i , op. cit., I l i , p. 71); ma erano moltissimi i pezzi di altra provenienza ed è naturale che la famosa base del monumento a Cossuzio, che doveva essere un ghiotto boccone per un archeoleogo, entrasse in casa di Gentile. Per l’Ubaldini la fonte di queste notizie è in L ucae P a e t i De mensuris et ponderibus romanis et graecis etc., Venetiis 1573, p. 5, riportato parzialmente dal Laneellotti, p. 135; per migliore delucidazione pensia mo sia bene riportare anche il seguito del brano: nunc autem in aedibus nobilis Marii Delphini, a Gentile, eius fratre, viro doctissimo et rerum antiquarum peritissimo, comparata superioribus annis, multis item aliis Epitaphiis et inscriptionibus congestis, conservatur; e seguita parlando del Filandro e del Porzio. Per il Filandro v. V it r u v ii P ollion is De architectura libri decem quibus accesserunt G u lielm i P h il a n d r i annotationes, Lugduni 1552, p. 117: Veruntamen quoniam non slalim ex cuiuscumque pollicibus aut digitis, quis fu it apud antiquos Romanos pes sciri potest, facturum me studiosis rem gratam putavi, si ad marginem libri semipedem apponerem, dimensum ex antiquo pede in marmore, quod est
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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nel monte Janicolo, ancorché Luca Peto tenga che nel piede sudetto non sia espressa la propria misura del Romano piede, ma l’immagine di essa. Possedeva somigliantemente il Colocci un antico se stario con l’iscrittione dell’ Imperai or Onorio, ch’il Peto scrive ch’essendo egli giovanetto vidde in mano di quel letterato, la cui forma era tonda, la base piana, più alto che largo e dall’imo in sommo eguale.55 Così cercava egli in ogni cosa l’utile delle buone lettere e delle arti migliori. A tal fine ancora adobbato haveva le mura di moltitudine di marmi letterati, che in sé racchiudevano di curiose notizie per l’historia. Sono famosissimi i Fasti Consolari Colotiani citati da Bartolomeo Marliani nel trattato D e’ Consoli, Dittatori e Censori, da Aldo Manuzio, da Giusto Lipsio,56 et da altri ne’ quali non pure sono i Consoli ordinarij ma eziandio li suffetti. Le iscrittioni erano tante che nella sola Ortografia di Aldo sono più di X X quelle ch’ei denomina dal Colocci. E il Panuvino e il Grutero ne
in hortis Angeli Colotii Romae scalpto, cuius etiam, nisi me fallit memoria, meminit Leo· nardus Porcius lib. de sestertio. Per il sepolcro di Statilio v. C. I. L., VI, 1, p. 438, n. 1975; fu ritrovato nel 1542, ma non è mai appartenuto al Colocci. Luca Peto conobbe certamente il C., come risulta anche da quanto abbiamo ripor tato dalle sue opere, e doveva essere molto più giovane di lui; fu autore di opere archeolo giche, giuridiche e sulFinondazione del Tevere, connesse con la sua attività di giurecon sulto e di amministratore della città. Nel 1567 collaborò alla riforma degli statuti romani e verso il 1570 fu deputato alla stampa; che fosse addetto a sovrintendere ai lavori per l’Acqua Vergine risulta anche da altri documenti. Invece il francese Filandro (Guglielmo Filandrier, 1505-1565) non risulta che abbia conosciuto il C. quando, al seguito del card. D’Armagnac, soggiornò a Roma frequentando l’Accademia della Virtù dove si commen tava l’opera di Vitruvio. 56 Nonostante la diligenza e la buona volontà l’identificazione del sextarium è sfug gita alle ricerche nostre e degli amici studiosi ai quali ci siamo rivolti; non sappiamo se l’ antico staio esista ancora oppure si sia perduto. La notizia fornita da Luca Peto è nelYop. cit., p. 6: sextarium formari curavi, qualem me in manibus Angeli Colotii, dum iuvenis essem, vidisse memineram. Erat enim forma rotunda, plana base, altior quam latior, ab imo ad summum aequalis, cum inscriptione Honorii Imperatoris. 56 Nella traduzione latina (p. 30) « adobbato avea le mura » è tradotto « loco peripe tasmatum parietes domesticas ornaverat ». Della ricca collezione di iscrizioni greche e la tine si è tentato di fare un elenco dal Lanciani (Storia degli scavi, già cit., I, p. 203); ma si comprende bene come questa sia impresa che non può raggiungere mai un risultato definitivo. Per i Fasti v. A. D eghassi , Fasti et Elogia in « Inscriptiones Italiae », X III, fase. I, Roma 1947, p. 273, n. 18. Per il Marliano v. B. M a r l ia n i Annales Consulum, Dictatorum, Censorumque Romanorum etc., Romae 1560, p. 93, dove si polemizza con il Panvinio; per il Manuzio v. op. cit., p. 420; per il Lipsio v. C. V e lleiu s P atercu lus cum animadversionibus I. L ips i , Lugduni 1592, II, p. 80 sgg., riportato in parte dal Lancellotti (p. 136). V. inoltre il nostro articolo Le raccolte archeologiche del Colocci in « Studi di Bibliografia e di Storia in onore di Tammaro De Marinis », già cit. (cfr. n. 58). Sia il Marliano che il Lipsio sono vissuti al di fuori dell’ ambiente del Colocci.
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Federico Ubaldini
fanno mentione di altra grandissima copia.57 Hebbe
quantità di
medaglie et particolarmente molte d’ oro bellissime; carnei, gemme e corniole de esquisito e singolare intaglio come ha detto Pierio Yaleriano ne’ Libri de’ Geroglifici: 58 onde una dilettevole perpetua
57 Veramente nella Orthographiae Ratio del Manuzio, già cit., le iscrizioni attribuite esplicitamente al C. non sono più di quindici. Per il Panvinio, scritto erroneamente « Panuvino » mentre nella traduz. lat. (p. 30) è scritto bene, v. O. P a n v in ii Fastorum libri V, Venetiis 1558, passim. Il Grutero non è ricordato nella traduz. latin.; l’opera alla quale si riferisce l’ Ubaldini è Inscriptiones antiquae totius orbis romani cura I a n i G r u t e r i , Heidelbergae 1603, p. CCXCVIII. Sia il Manuzio (1547-1597), sia il Grutero (1560-1627) sono vissuti ed hanno operato dopo la scomparsa del C.; neanche Onofrio Panvinio (15291568), protetto da papa Marcello Cervini, può aver conosciuto il nostro umanista, sebbene vivesse gli ultimi anni della breve ed operosa esistenza nel suo ambiente. 58 Per il Valeriano v. Hieroglyphica seu de sacris aegyptiorum aliarumque gentium literis commentarii a I. P. V al er ia n o redacti, Lugduni 1594, p. 311, riportato dal Lancellotti (p. 102 sgg.). Della passione antiquaria del C. sono infinite le testimonianze, sparse un po’ dappertutto. L ’ Ubaldini stesso, nella edizione latina della Vita, a chiusura dell’ ope retta (da p. 87 a p. 108) riporta Inscriptiones aliquot, quae extabant in aedibus et Hortis Colotianis Descriptae ex Schedis Bibliothecae Barberinae: sono riprodotte in tutto 44 iscri zioni, di cui 4 greche, più due tavole, che costituiscono le pp. 107 e 108, riproducenti una la famosa lamina con Apollo e Clatra, l’ altra cinque divinità (v. C. I. L., V I, 1, p. 9, n. 46). Le schede, alle quali ha attinto l’ Ubaldini, furono fatte compilare dal card. Francesco Barberini per continuare l’opera iniziata dal Doni, la quale è parzialmente conservata nel Vat. lat. (già Barberiniano ) 7113: fu così affidato a Carlo Morone l’incarico di racco gliere e ordinare per le stampe un enorme apparato epigrafico. Il Morone fu piuttosto pigro, ma all’opera diedero aiuto studiosi tra i più noti del ’ 600. Le schede, frutto di que sto lavoro, sono rimaste nei Vat. lat. 9118, 9139, 9140, 9141; altre si trovano nei Barber. lat. 1676, 1804, 1871, 2019, 2063, 2109, 2141, 3084, senza ordine e senza distinzione di autori. Cfr. C. I. L., V I, 1, p. L V III sgg. Tra le epigrafi della collezione colocciana ce n’è una illustrata da Antonio Agustin: v. Antiquitatum romanarum hispanarumque in nummis veterum dialogi X I , Antuerpiae 1617, p. 140, dove è detto: Erat Romae in domo Angeli Colotii (v. pure F a n e l l i , Le case e le raccolte archeologiche del C., già cit., p. 400). L’Agustin, che era spagnolo, morto ve scovo di Tarragona nel 1586, appartiene alla generazione successiva a quella del Colocci. Visse a lungo a Roma mentre il C. era ancora vivo, ma probabilmente lontano dal suo ambiente e dai suoi interessi; giureconsulto insigne ed anche archeologo, ebbe un posto importante nel concilio di Trento. Di lui si conserva alla Vaticana (Cod. Regin. lat. 2023, c. 27) un biglietto, senza data e senza il nome del destinatario, ma probabilmente indiriz zato al prefetto della Biblioteca Vaticana, nel quale chiede in prestito proprio i codici dei gromatici (v. n. 59) e quello della Notitia dignitatum (Cod. Vat. lat. 3715; per gli altri codici della Notitia dignitatum posseduti dal Colocci v. F a n e l l i , Lettere di Londra, pp. 133-34) già appartenuti tutti al Colocci; il biglietto è riportato in Appendice n. 7. Dell’ autorità goduta dal C. come conoscitore dell’ antichità abbiamo un esempio nella sua corrispondenza con Pier Vettori, il quale gli chiede notizie su quel subaxia che si trova frequentemente negli epitaffi delle antiche tombe (v. il nostro articolo Lettere di Londra, p. 115 e p. 126). È da riconoscere che l’interpretazione che il nostro C. dà di quel simbolo è senza alcun valore scientifico, specie se confrontata con le conclusioni alle quali sono giunti i moderni studiosi: « Sauf cas particuliers, la portée symbolique de l’ ascia peut
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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libreria sembravano i giardini e le case di sì grand’huomo. Posse deva similmente sceltissimi libri antichi de’ quali si servirono gli huomini dotti, sì come Raffaelle Yolaterrano fa di un suo Giulio Frontino, [e] da Ms. Giunio Nipso, che cel racconta adornato di bellissime figure e M ons.r Agostino Steuco [come fa] d’un suo nobil testo di Plinio,59 de’ quai suoi libri alla sua morte si dolseno gli heredi che non se ne trovarono che dieci casse, il che viene espresso perché
aujourd'hui être considérée comme une donnée « inattaquable » (Carcopino). Mais celle-ci ouvre le champ non pas à une, mais à deux hipothèses: l'un, rompant tout lien de l’ ascia avec le tombeau sur lequel elle figure, érige celle-ci en symbole des croyances personnelles du défunt. L'autre, considérant le signe sous lequel le tombeau est dédicacé, voit dans l’ ascia le symbole d'une construction grevée d'une affectation exclusive à la mémoire et au cuit du défunt et de sa famille. Cette interprétation satisfait à une condition essentielle, étant basée sur un senti ment profondément humain, commun aux chrétiens comme aux païens. Mais il semble en outre quelle tienne davantage compte des données positives de l'epigraphie et de la figuration ellemême ». (F. D e VlSSCHER, Monumentum sub Ascia dedicatum in « Atti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia — Rendiconti», X X I X , Città del Vaticano 1958, p. 81). Quanto è stato da noi raccolto sull’ argomento è contenuto nei nostri articoli, già citati, Le case e le raccolte archeologiche del C. e Le raccolte archeologiche del C., ai quali siamo costretti a rinviare chi desidera più approfondite notizie. Cade qui opportuno un breve cenno sugli Epigrammata antiquae Urbis edito a Roma dal Mazzocchio nel 1521 (F. A s carel li , Annali tipographici di G. Mazzocchi, Firenze 1961, pp. 139-40, n. 144) che il Lancellotti (p. 38), pur con qualche perplessità, attribuisce i n tutto o in parte alle fatiche del nostro C.; si può ritenere che questo capolavoro dell’ epi grafia umanistica è certamente uscito dall’ ambiente del C. che se ne fece mecenate. Mariangelo Accursio, che è forse l’ unico di cui si sa con certezza che vi lavorò e che si incaricò pure della revisione, era amico del C. e figura nell’elenco delle Carte Strozziane (v. Appen dice n. 4). V. la voce Accursio M. di A ugusto Cam pan a nel « Dizionario Riografico degli Italiani »; v. inoltre il C. I. L., VI, 1, pp. X L V I-X L V II; C. O lsciiki , Francesco Albertini in « Roma », II (1924), p. 484; il nostro art., già cit., Le case e le raccolte archeologiche del C., pp. 400-401, e R. W eiss , Lineamenti per una storia degli studi antiquari in Italia ecc. in « Rinascimento », I X (1958), 2, p. 183. S9 Qui l’ Ubaldini fa confusione scambiando Giunio Nypso per un personaggio con temporaneo del C.; ma la traduz. lat. (p. 31) è corretta. Sulla biblioteca del C. riman diamo a quanto dicemmo nella premessa alle lettere a Pier Vettori (Lettere di Londra, pp. 110 sgg.), nelle quali lo stesso C. parla del Nypso (pp. 112-13 e 124-25) che egli pos sedeva in numerosi esemplari, oggi Vat. lat. 3132, 3893, 3894, 3895, 4498, 5394, dei quali i numeri 3132, 3895, 4498, 5394 contengono l’indicazione del Frontino come autore. Alle fonti per la ricostruzione della biblioteca, citate dal Lattès e da noi, possiamo aggiungere il Cod. Vat. lat. 3903, c. 222, che riporta un elenco di libri, collocati in un for ziere, per la maggior parte di metrologia e di geografia; a ce. 223-27 dello stesso cod., altro elenco che contiene anche libri che non erano di proprietà del C. (« Dante de vulgari eloquio», ad es., è certamente il Cod. Trivulziano); e nei Vat. lat. 4817 (cc. 210-11) e Barb. lat. 4871 (c. 171 sgg.) altri elenchi che andrebbero studiati. Il Plinio, anch’esso ricordato nelle lettere a Pier Vettori (pp. 112 e 121-24), é stato da noi identificato nel Vat. lat. 3861; per lo Steuco v. A. St eu ch i Opera omnia, Venetiis 1591, II, p. 209. Su di lui v. anche n. 76; fu coetaneo del C. e succedette all’Aleandro nelle
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Federico Ubaldini
da questo si comprenda quanti dovevano essere; de’ quali, doppo la mancanza di Marc’Antonio suo figliuolo, restò parte a Fulvio Orsini: 60 per le quali cose a ragione da Andrea Fulvio è chiamato Angelo « unico amatore dell’antichità >>,61 e dal Volaterrano vir ornatus, omnisque vetustatis studiosissimus Angelus Colotius,62 Ma di questi Orti conchiudiamo col Panvino, nel comento al lib. 2 de’ Fasti: Hortuli Colotiani ad aquam Virginem siti, maxima vetustorum monumentorum copia instructissimi, quae primis illis temporibus, quibus antiquitatis studium caput extollere coepit, unus Angelus Co lotius sanctissimus, doctissimusque vir, eo in loco summa cum diligentia hinc inde collegit, magnam mihi inscriptionum multitudinem suppedita runt. 63 Riferisce Lucio Fauno nell’ antichità di R om a,64 che per gli Orti del Colocci passava l’acquedotto dell’ acqua Vergine e che in essi, ch’egli dice essere nel Campo Martio sotto il Colle de gli Ortoli,
funzioni di prefetto della Vaticana; morì a Venezia nel 1549. Della sua amicizia col C. non abbiamo trovato altre testimonianze. La notizia di Raffaele Maffei Volaterrano è tratta dai Commentariorum Urbanorum, già cit., c. 357v: Mensuras limitesque agrorum nunc attingam ex lui. Frontino et M . Iunio Nypso, quem figuris pulcherrime adnotatum mihi tradidit vir ornatus, omnisque vetustatis studiosissimus Angelus Colotius. È naturale che il C., amico di Mario (v. p. 38 e n. 47), conoscesse anche il fratello Raffaele che era di 8 anni più anziano e di vita austera e santa; dopo il 1502 visse ritirato a Volterra, dove morì nel 1522, e sembra che non sia più venuto a Roma: v. P asc h in i , Una famiglia di curiali: i Maffei di Volterra, già cit., pp. 344 sgg. Le parole tra parentesi quadre sono cancellate nell’originale, ma sono facilmente leg gibili. 60 L ’ Ubaldini trae le notizie dal Vat. lat. 3958, ce. 184-196, che contiene VInventario detti libri del Colotio di sacra scriptura fatto atti 27 d’ottobre M D L V III, per il quale v. Lattès, p. 316 e passim. Per le doglianze dei parenti v. M e r c a t i , Virgilio Mediceo, p. 117, dove è pubblicata una lettera del nipote del C., mons. Girolamo Mannelli, succeduto allo zio nel vescovato di Nocera, al card. Guglielmo Sirleto. L ’originale della lettera è nel Cod. Vat, lat. 6182, I, c. 187r, dove l’ avrà vista l’Ubaldini. Essa è in data 19 aprile 1569, addirittura 20 anni dopo la morte del C., e comincia: « Per che in una lite c’ho in Rota costi in Roma ecc. »; più avanti è ricordata una cassa di libri portati presso il Cardinal Cervini, bibliotecario della Vaticana, per ordine del papa Paolo III, notizie approssimativamente confermate da quanto dice Lelio Tasti (e non Girolamo, come, per errore, afferma il Mercati) nelle sue Notae marginales riportate dal Lancellotti (pp. 77-78). Che i libri siano in parte passati a Fulvio Orsini solo dopo la morte di Marc’Antonio è una supposizione dell’ Ubaldini il quale non sapeva che Marc’Antonio era premorto al padre; che fossero di più di dieci casse è confermato anche dall’ Inventario ricordato sopra che a c. 196 dice: « sono in tucto libri 558 » (quelli delle dieci casse inventariate); « li altri 406 », e si parla anche di una X I a cassa. 61 A n d r e a e F u l v ii loc. cit. 62 V. la n. 59. 63 O n u ph rii P a n v in ii op. cit., p. 402. 64 L u cio F a u n o , op. cit., c. 131, dove, al posto di aquaeductus, c’è arcusductus; v. C. I. L „ VI, 1, 1252.
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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leggevasi questa iscrittione: Ti. Claudius Drusi f . Caesar Augustus Germanicus Pontifex M ax. Trib. Potest. V Im p. X I P .P . Cos. design. I I I aquaeductus aquae Virginis disturbatos per C. Caesarem a fu n damentis novos fecit et restituit. Luca Peto ancora conferma ritro-
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varsi in marmo travertino la sudetta scritta negli Orti Colotiani sotto al Monte Pincio.65 Ottenne il Colocci di fare una fonte di quest’ acqua Vergine, che gli servì in luogo di molta delitia e commodità, con due vomitorij uscendo. Onde fu chi disse: Pocula habent alij ter terna a Virgine Vates: A dena noster virgine Colotius.66 Non fur soli questi versi ad ornare quel fonte, anzi molti la cele brarono, de’ quali riferirò alcuni Epigrammi molto degnissimi d’esser letti. Sacri Vestae ignes et lucida Virginis unda, Romae olim sedes virginitatis erant. Flamma perit, remanetque liquor, gelidoque fatetur Quod sit tuta magis corpore virginitas.®7 E t quest’altro: Roma novem superest ex ductibus unus aquarum: Una tibi dulces Virgo ministrat aquas. N il longi rabies huic temporis improba dempsit; Haec habet a Divis praemia virginitas,68
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E t un altro: Polluti Venere este procul, seu foemina, seu vir; Impuros purae Virginis horret aqua.69
65 V. L ucas P ae tu s , De restituitone duclus aquae Virginis, Romae 1570; è un opu scolo di 8 carte che a c. 8 riporta l’ epigrafe scrivendo arcus ductus invece di aquaeductus, come a p. 120 dell’ediz. già cit. del 1573 (v. n. 54), nella quale l’ operetta sull’Acqua Ver gine si trova alle pp. 113-121. 66 I versi sono tratti dal Vat. lat. 3353, c. 110r; il Lancellotti (p. 57) giudica questo distico e il tetrastico della pag. seguente (v. n. 70) di incerto autore, mentre attribuisce al C. gli altri versi latini sull’Acqua Vergine (pp. 113 e 114 della IIa parte). Il motivo che ha guidato l’erudito Abate a fare questa scelta sembrerebbe questo: nel distico e nel te trastico il C. è nominato espressamente e il poeta, chiunque esso sia, si rivolge a lui, men tre gli altri versi parlano dell’Acqua Vergine senza nominare il Colocci. Ma sia l’ Ubaldini, sia il Codice Colotiano riportano i versi attribuendoli ad un poeta ignoto e non al prelato jesino; nel Vat. lat. 3353 non c ’è indicazione di autore. 67 V. Vat. lat. 3353, c. 109'·. 68 V. Vat. lat. 3353, c. 109'". 69 V. Vat. lat. 3353, c. HOC
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Federico Ubaldini
Quest’ ancora: Hoc nemus umbrosum haec undam exceptura cadentem Marmora rara meus dat tibi Colotius: Tu memor infusum lymphis da Virgo pudorem Illi olim fuerit filia si qua bibat.70 Marc’Antonio Casanova, poeta di mente e di lingua purissimo, sopra questa fonte disse: Quam bene confugit Virgo in tua tecta Coloti; N on alio potuit tutior esse loco. Iam tua nomen habet lympha: at tu praefica Virgo Incipis aonius vatibus esse liquor.71
70 V. Vat. lat. 3353, c. IKK. 71 I quattro versi sarebbero di Francesco Maria Molza e non del Casanova secondo il Lancellotti (p. 50), che li riporta corretti sull’ originale nel Vat. lai. 3388, c. 199v, dove è scritto dal C. come autore: M. A . Casanova; da qui la attribuzione dell’ Ubaldini. Anche il V olpicella , op. cit., p. 19, li presenta come versi del Casanova. Il praefica del terzo verso, che l’ Ubaldini sostituisce a preside dell’ originale, è quasi certamente errore materiale di trascrizione, spiegabile con la grafia della parola che si presta a questa con fusione; la spiegazione tentata dal Lancellotti non è necessaria. Francesco Maria Molza, nato nel 1489 a Modena, ma vissuto a Roma dal 1506 a 1543, salvo due brevi intervalli, menò vita molto dissoluta; fu dei famigliari del card. Ippolito de’ Medici e protetto da Alessandro Farnese, divenuto poi Paolo III; a Modena tornò nel 1543 per morirvi l’ anno dopo. Amicissimo del suo conterraneo Gandolfo Porrino (v. n. 181), fu lui probabilmente a condurlo con sé a Roma e ad introdurlo nell’ ambiente dei Farnese; secondo il Croce (Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, già cit., II, p. 291) molti dei versi attribuiti al M. sarebbero invece proprio del Porrino. Fu amicissimo di Lelio Massimi (v. n. 47) che gli salvò la vita curandolo di una ferita di pugnale ricevuta a causa di una sua amante. Fu invece inimicissimo di Pietro Corsi da Carpineto, che Io assalì aspramente, ed il C. nella vicenda sarebbe stato dalla parte del Corsi (v. n. 108). Nei codd. appartenuti al C. ci sono molti dei suoi versi: Vat. lat. 2833, cc. 1 e 5; Vat. lat. 2836, c. 115; Vat. lat. 3388, cc. 200-264; Vat. lat. 7192, c. 314; Ottobon, lat. 2860, c. 144v; e nella raccolta In Celsi Archelai Melini funere, cc. 23 e 25v, (v. n. 40). È da ricor dare inoltre nel Vat. lat. 4817, c. 214, un’interessante postilla: « Calvo ha il canzoniero di libro reale dice el Molza ». Il suo canzoniere petrarchesco e le liriche latine sono eleganti ed armoniose; tuttavia la facile e frequente confusione dei suoi versi con quelli di altri, confusione che accade per la maggior parte dei poeti di questo periodo, ci sembra un se gno della universale freddezza di questi, più che poeti, fabbricanti di versi, che si distin guono solo per la maggiore o minore eleganza ed armonia dello stile. Su di lui v. l’introdu zione di P. A. S e rassi premessa alla raccolta delle sue opere curata dal Serassi stesso (Bergamo 1747) e G. T irabosch i , Biblioteca Modenese, Modena 1783, III, pp. 230-43. Marc’Antonio Casanova è ricordato più di una volta dall’ Ubaldini (v. pp. 68, 90 e nn. 47, 111 e 165). Era nato a Roma da famiglia comasca attorno al 1477 e morì di peste poco dopo il 1527; fu il principe degli epigrammisti di quel periodo, noto nell’ ambiente romano come seguace della famiglia Colonna ed ostile a Clemente V II; il Lancellotti (p. 65) ce ne da abbondanti notizie. Di lui è stata pubblicata una raccolta di versi con
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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U n altro altresì se ne lesse: Tu siccam quocumque sitim restinguere quaeris, Dum placide ad murmur lympha quiescit aquae: Parce, precor, strepitu; sic longo hic tempore potus Sit tibi et ad laetes pocula serus eas.72
notizie biografiche e molto note da Filippo Volpicella (v. n. 47); nel volumetto (pp. 19 e 41) si sostiene che i versi qui riportati, che il Lancellotti (p. 50) vuole attribuire al Molza, sono invece proprio del Casanova; infatti sono nel Vat. lat. 2834, c. 6V, che contiene gli epigrammi di quest’ultimo in almeno due stesure ( v . P a s t o r , op. cit., IV, I, p. 421, dove è anche narrata brevemente la storia del cod. posseduto dal Volpicella). L ’ ami cizia col C. doveva essere molto stretta; più avanti (p. 68) è ricordato nella lettera del Sadoleto e sono riportati (p. 90) versi nei quali il Casanova scherza sul C. e sul Pie trasanta che non avevano figli. Nei codd. del C. è ricordato molto spesso: suoi versi sono nel Vat. lat. 2833, cc. 179 sgg.; nel Vat. lat. 2834, cc. 39 sgg. e 79 sgg.; nel Vat. lat. 2836, cc. 228 e 262-63; nel Vat. lat. 3388, cc. 195, 199, 262 sgg., 266 sgg.; nei Coryciana inol tre ci sono 13 suoi epigrammi (cc. 14v, 35, 35v, 41, 44v); altri versi a c. 26 del volumetto In Celsi Archelai Melini funere amicorum lacrimae (v. n. 40); ed altri nel Suburbanum Augustini Chisii (c. 2V; v. n. 113); è ricordato inoltre sia nell’elenco delle Carte Strozziane, sia in quello del Cod. Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1 e n. 4). Il prof Augusto Campana ci ha fatto rilevare che, da una nota del Vat. lat. 2834, c. 79 (« à far n. 500 volumi costa la stampa per la carta ducati venti ») si può supporre che il C. avesse intenzione di stam pare gli epigrammi del Casanova. 72 V. Vat. lat. 3353, c. 148v, che ha come varianti quicumque nel primo verso, hinc nel terzo e Lethes nel quarto. Nel Vat. lat. 2835, c. 186r, i versi sono tra quelli di Antonio Tebaldeo, col titolo De fonte A . Colotii di mano dello stesso C.; pensiamo perciò che pos sano essere considerati opera di quel poeta. Il T. fu sicuramente uno degli amici più vi cini al C. per affinità di interessi culturali. Dopo essere stato precettore d’ isabella d’ Este a Ferrara, dove era nato nel 1456, la seguì dopo il suo matrimonio con Francesco Gonza ga, poiché la sua famiglia era da molto tempo tra i fedeli servitori degli Estensi; passò poi come segretario al servizio di Lucrezia Borgia e successivamente del card. Ippolito d’ Este. Nel 1513 venne a Roma e vi rimase fino al 1537, anno in cui morì povero e di menticato. Il giudizio che oggi di lui si da è totalmente e severamente negativo, accomu nandolo a Serafino Aquilano; la loro poesia non è che una brutta degenerazione del pe trarchismo. Ma il C., che aveva un sì alto concetto dell’Aquilano, doveva evidentemente ammirare il T. e rimanere estraneo alla riforma del petrarchismo operata dal Bembo. Del T., ancor vivo, si disse quello che poteva dirsi anche del Molza: che conosceva troppo l’ amore e poco la poesia. Su di lui v. D ’ A n c o n a , op. cit., p. 202; V. R ossi, Il Quattrocento, Milano s. d., p. 390; C r o c e , Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, già cit., I, pp. 44-54; il saggio di S i l v i o P a s q u a z i , Il Tebaldeo latino in « Rinascimento fer rarese », Roma 1957, pp. 11-119, non porta niente di nuovo sul giudizio che i moderni critici hanno dato. Numerosi i codd. con i versi del T. che il C. ha posseduto e postillato: nel Vat. lat. 2741, c. 32, una lettera di Girolamo Donato al T.; nel Vat. lat. 2835, cc. 1 sgg. e 258-61, versi del T.; così nel Vat. lat. 3351, c. 154v; nel Vat. lat. 3352, cc. 21-24, 55, 85, 122, 124, 126, 128, 130-32” , 137, 162, 266, 283; nel Vat. lat. 3353, cc. 9-14, 23, 25, 27-29, 33, 35, 47-50, 53, 55-56, 61-63, 66-79, 87, 89, 93, 97, 99, 100, 109-114, 121-25, 127-33” , 135-148” , 181-85, 191, 199-210, 212, 215, 219, 225, 242-49, 252, 258; nel Vat. lat. 3388, c. 267; il Vat. lat. 3389 è tutto autografo del T.; il T. è ricordato nell’ elenco del
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V i fu però scolpito, tra i tanti che se ne fecero, questo epigramma, che forse fu il primo ad esservi posto; o sì veramente fecelo il Colocci m ed.° Huius Nympha loci, sacri custodia fontis Dormio, dum blandae sentio murmur aquae. Parce meum quisquis tangis cava marmora somnum Rumpere, sive bibas, sive lavere, tace.73 Il qual Angelo fece gli infrascritti versi per là dove quest’ acqua Vergine trae la sua origine, in gratia di Agostino Card.1 Trivultio che quivi fabricò un nobil palazzo che poi fu del Capitolo di S.ta Maria Maggiore. Sacri huius Regina loci, Dea fontis amoeni, Quae laeta Augusti Principis arva rigas Nunc post tot curas, et fessum pulvere, et aestu Sparge salutiferis Nympha Solonis aquis. Ille, tibi geminis faciens cava pocula palmis,
Vat. lat. 341)0, (v. Appendice n. 1), nel Vat. lai. 4831, c. 104, è ricordato col Cingulo, col Calmeta ed altri; suoi versi sono anche nelVOttobon. lat. 2860, ce. 31-41, 85-93, 95, 107, 125, 129, 147-48, 159-62, 172, 175; nel Vat. lat. 4104, cc. 59 e 85, esistono due lettere, una del C., l’ altra del cugino del T., a proposito della pubblicazione delle opere del poeta già morto della quale si erano occupati il Bembo ed il C.; sono state pubblicate entrambe da V. C i a n in « Giorn. Stör. Letter. Ita!. », X I (1888), pp. 241-42; G. B e r t o n i ha pubblicato in « Giorn. Stör. Letter. Ital. », X L V II (1906), pp. 451-53, un’ altra lettera del C. al T. nella quale gli chiede di riguardare e correggere i versi di Jano Pannonio. La conoscenza col nostro umanista, mutatasi poi in stretta amicizia, si deve far risalire probabilmente a molti anni prima che il T. venisse a Roma; già nel 1502 troviamo un suo sonetto assieme ad uno del C. nella raccolta di versi di Serafino Aquilano curata da Francesco Flavio (v. n. 95). Durante il Sacco del 1527 fu lui, assieme a Pietro Corsi, a tentare il salvataggio dei libri del C. e ad informarlo del disastro: v. S. D e b e n e d e t t i , Le ansie di un bibliofilo durante il Sacco di Roma in « Mélanges offerts à M. E. Picot », Paris 1913; nel Dialogo sopra le lingue volgari del Valeriani è uno degli interlocutori come il C. (v. n. 169). 73 Non abbiamo trovato nei codici il tetrastico e pensiamo che sia stato tratto da L u cio M a u r o , op. cit., p. 97 (e non 96, come indica il Lancellotti, p. 66 della IIa parte). Molti hanno dubitato che l’ autore ne sia il C.; ad es., il G r u t e r o , op. cit., p. 183, dice: Hoc epigramma recenti marmori nuper incisum, in hortulo colotiano, ad Aquae Virginis ductum, qua aquae digitus per canalem educitur, collocatum est: sed an vere antiquum sit, et in vetusto marmore alibi olim extiterit, nescio. Molto ampiamente ne parla 0 . K u r z , Huius Nympha Loci, a pseudo-classical inscription and a drawing by Dürer in « Journal o f Warburg and Courtald Institutes », X V I (1953), pp. 171-177; la storia dell’iscrizione è in C. I. L., VI, 5, p. 4, n. 3* e. A margine di questo epigramma e di quello che segue l’Ubaldini scrive: Maiuscolette, perché le poesie del C. si distinguano a prima vista da quelle dei suoi amici. La semplice nota ci dice chiaramente che lo scritto ubaldiniano era preparato per il tipografo.
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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De non suspecto saepe liquore bibat. Perque tuos latices nantes longo ordine cygni Oblectent Dominum turba canora suum. Sic tibi coeruleis undis, rivoque perenni Perpetua liceat virginitate fr u i.7i Salone è nominato dove nasce l’ acqua Vergine, alla quale favella il poeta alludendo al palazzo quivi presso fabbricato dal Card . 1 sudetto, grande amico e signore di Angelo. Ma poiché sin qui ab biamo detto delle lodi di quest’acqua, dichiamo anco una parola di questo luogo dove ella nasce e come ella fu condotta alla fine a Rom a. Egli è chiaro che, come il meglio potè, il Colocci raccolse certa poca quantità di acqua Vergine e che all’hora non veniva in Roma tanto copiosa quanto l’ammiriamo hoggi abbondevolissimamente scaturire per opera di Pio quarto et Pio quinto, ancorché di questi sommi Pontefici non apparisse nella mostra, che se ne fa a Trevi, segno né insegna alcuna. Fu condotta quest’ acqua nella maniera che descrive Luca Peto in un trattato a bella posta ; 75 essortò questa opera degna della liberalità di gloriosi principi con un libro Agostino Steuco da Gubbio, persuaso per avventura a scriverlo da Angelo Colocci, come dal Colocci fu esortato a parimente com porre il trattato del nome della sua patria qualmente racconta A m brogio Morandi Rolognese, Generale de’ Canonici Regolari di S. Sal vatore, autore della Vita dello Steuco . 76 Niccola Quinto solamente 74 V. Vat. lat. 3388, c. 106r e c. 310v, con il titolo: Ad Nympham Salonida·, nel sesto verso c’ è bibet invece di bibat. Nel quarto verso, Solonis dovrebbe essere Salonis, come è detto più avanti (« Salo ne »); anche nella traduz. lat. (p. 35) è Solonis. Qui, a p. 57, è detto ancora « Solone »; evidentemente l’ Ubaldini era incerto sulla grafia giusta. Il card. Agostino Trivulzi discendeva dal condottiero Giangiacomo Trivulzi, ebbe numerosi vescovati e fu fatto cardinale da Leone X ; ebbe stretta amicizia col Bembo e col Sadoleto e durante il Sacco del 1527 fu tenuto come ostaggio a Napoli. Ebbe per se gretario quell’Antonio Lelio Massimi, interlocutore nel Dialogo della volgare lingua del V a l e r i a n i ( v . pp. 95-96 e n. 169), che da noi è stato ricordato per la sua amicizia col C. (nn. 46 e 47); Lelio Massimi aiutò il Trivulzio nella compilazione della storia dei papi e dei cardinali rimasta manoscritta ed utilizzata poi dal Panvinio e dal Ciacconio (v. L. L a r d e l l a , Memorie storiche dei Cardinali della S. R. Chiesa, Roma 1793, IV, pp. 66-68). Il Trivulzi fu molto amico del C. che gli diresse anche una breve epistola De numero ter nario (v. Lancellotti, pp. 40 e 192, e qui p. 101, n. 176 e append. n. 13 ); del Trivulzi si ha tra le altre una lettera al C. in cui lo esorta cortesemente a provvedere ai bisogni della diocesi di Nocera, da lui trascurati (v. B e r r à , op. cit., p. 316). Assieme al Cervini e ad Antonio Massa fu esecutore testamentario del C. (v. p. 90).
75 V . 76 V .
De restitutione ductus aquae Virginis, g ià c it . op. cit. L’ operetta De revocando in Urbem Aqua Virgine è nel t. I l i 0, da c. 245 a c. 248. La notizia sul C. che avrebbe esortato lo Steuco a scrivere sul nome L uca P eto,
St e u c o ,
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Federico Ubaldini
una picciola parte ne haveva rintracciato presso di Rom a a un miglio fuor della Porta Pinciana non lungi dal Ponte Salaro, che per una profondissima fossa se ne viene sotterra et entra per detta porta e si rileva sotto il Colle de gli Ortoli, e per gli Orti alla fine del Colocci passando , 77 faceva una poca mostra per i cannelli che pochi anni sono si vedevano adom ati dell’arme e del nome di quel Pontefice. Ma Pio Quarto, scompartita la spesa tra il Popolo Romano, il Clero 41
e sé medesimo, dié la cura di ricondurla tutta a un Antonio Triviso da Lecce, huomo abondevole anzi che no di parole, che poi riuscì povero, anzi malvaggio, di fatti, il quale con m /2 4 sc u d i 78 si obligò di condurla a Roma e furono eletti Mario Frangipane Cancelliere del Popolo Romano, Rutilio Alberino, Oratio Nari e Luca Peto, sopraintendendovi Gabrio Sorbellone, Nipote di Pio. Intanto nac quero liti tra il Triviso et i maestri di murare, onde non fu possibile che l’opera, ancorché al mezzo, si conducesse alla fine. Mancò in questo il Papa e creatosi Pio Quinto, morto il Triviso con haver consumato m /24 scudi, si fe’ conto che con dieci mila altri si com pirebbe la condottura dell’ acqua Vergine; tolsersi i denari dalla gabella del vino et havendone la sopraintendenza il Card. Ricci, il Nari et il Peto sudetti con gli architetti Giacomo della Porta e Bartolomeo Gritto, fu introdotta in Rom a. N on appariva alcun
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segno né del quarto, né del quinto Pio per gentil modestia ricusando il Santo Pontefice Pio V di mettere il suo nome in cosa ridotta alla metà dall’antecessore. Urbano Ottavo rifé di nuovo con spesa di molte migliara di scudi gran parte de gli acquedotti e restituì molta acqua già smarrita, e la mostra che con tre gran vomiti scendeva in Trevi volta verso Ponente, voltò a mezzo giorno con intentione di adornarla colla statua della Vergine et altri bellissimi fregi, di segno del Cavalier Bernini. Ma egli occupato dalle ultime guerre non potè né più né meno compire il suo pensiero. Forse a tali orna menti non consentì il destino per darne a conoscere che la Vergi nità debbe solamente intatta recare altrui delettamento.
della sua patria è nella c. 7 della prefazione compilata dal Morando; e il lavoretto di tre pagine De nomine urbis suae Eugubium (sic) è nel t. I l i 0, c. 208. Per lo Steuco v. n. 59. 77 La traduz. lat. (pp. 36-37) aggiunge: ibat in eum locum qui Trivium dicitur. 78 Cioè 24.000 scudi. Sull’Acqua Vergine più ampie e documentate notizie in L a n c i a m i , op. cit., I, pp. 57, 73, 75, 165; III, pp. 235-37; IV, pp. 12-15. Il Lanciani ci in forma (III, p. 236; IV, p. 12) che il Frangipane, l’Alberini, il Naro e Luca Peto rintrac ciarono « le classiche sorgenti abbandonate presso la villa eretta dal cardinale Agostino Trivulzi nel 1525, oggi Casale di Salone »; « l’ acqua di Salone » si disperdeva nell’ agro Lucullano e attraverso il « fosso di Salone » confluiva nell’Aniene. Le notizie riguardanti Urbano V i l i sono certamente dell’ Ubaldini stesso.
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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Che l’acqua Vergine venisse da Solone ben mostrò di conoscere il Colocci con ¡ ’epigramma da lui indrizzato al Card. Trivultio, la quale a Roma non era a’ tempi suoi stata condotta; ad ogni modo grandi risonorono le lodi adunate da poeti d’ haverla egli raccolta
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ne’ suoi horti come in quell’epigramma: Omnis aquae latiam ductus defecerat urbem; Virgineusque super iam liquor unus erat. Ipse quoque exiguo perijsset tempore; si non Provida Colotij cura tulisset opem.79 E t il Vopisco , 8081 Poeta Napolitano, pare a me che rappresenti il modo col quale egli hebbe quest’acqua. Fontem videmus supra eum vices mutant; Primo loco obstito scatent vicino, Et supra demisso alveo suo flumen , Cursu liquenti nare proximis campis: Sic fama vices cum volucris alternat Uno loco diffusa proximo surgit. Sallustianos extollit priscis Hortos Iam splendida celebritate donatos Extincta nunc agro resurgit vicino Colotianis Hortulis caput tollens.61 Onde è forza a dire ch’a tempo del Colocci etiandio quella poca ritrovata e messa insieme nel condotto antico da Niccola Quinto o
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79 V. Vai. lat. 3353, c. 136r. Nelle « ultime guerre », a cui si accenna sopra, provo cate dai tentativi di Urbano V i l i nel 1641, ebbe parte anche FUbaldini (v. p. 87 e n. 157). La politica del Papa segnò in un certo senso un ritorno al « grande nepotismo » con il disegno di costituire per i suoi signorie territoriali. Col pretesto di tutelare i diritti dei creditori di Odoardo, duca di Parma, il Papa fece occupare Castro e Montalto; quindi scomunicò il Farnese e lo dichiarò decaduto da tutti i suoi feudi, mentre Taddeo Barbe rini marciava con un esercito contro Parma (1642). Odoardo ebbe l’ appoggio di una lega stretta fra Modena, Venezia e il granduca di Toscana, tradizionalmente ostile ai Barbe rini. Taddeo dovette ritirarsi, mentre il suo esercito si disperdeva; il Farnese arrivava in Umbria fino al lago Trasimeno e non si ritirò se non quando venne meno l’ aiuto della Toscana. L’ anno dopo la guerra riprese con tentativi di invasione da ambo le parti, finché si interpose la Francia come mediatrice e fu firmata a Venezia (1644) la pace con il ritorno allo statu quo; Castro fu tolta più tardi (1649) ai Farnese da Innocenzo X . Questa guerricciola è tipico segno della nullità alla quale era pervenuta la politica dei principati italiani; anche se agitò per alcuni anni le corti d’ Italia, nessuna importanza e nessun diretto collegamento ebbe con la grande lotta europea tra Francia e Impero. 80 V. le notizie sul Vopisco a n. 20. 81 V. Vat. lat. 3388, c. 199v, dove è anche il titolo: In hortulos colotianos / A . Vopiscus neapolit.
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perisse o si seccasse la state e ch’il Colocci con privata spesa o me diante la pubblica auttorità la restituisse. L ’ allegria di quei tempi e le continue ragunanze degli huomini di lettere resero famosi gli orti del Colocci, onde fu chi scrisse nella entrata: H ic Genij locus est, Genij una cura voluptas A ut Genij vivas legibus, aut abeas. E t un altro: Hic iocus, hic felix habitat sine lite voluptas, Et Genius: cedant iurgia, cura, laborA2 Ma in questo luogo, così celebrato per le acque, non era scarso il Colocci di ricreare gli animi della turba degli amici, che a lui ve nivano anche con ottimo vino. Esse negai vatern quis te, Angele? bina poetae 45
Nurnina habent: dextrum numen utrumque tibi. Tarn bona non ulli concedit carmina Phoebus; Niseus nulli tam bona vina Deus . s3 N on erano però i giardini del Colocci d’altri piaceri ripieni che di quelli che le buone arti somministrano, e veramente qual mag giore diletto può capire in un petto letterato, che la conferenza de’ proprij studij e con nobile mercantia dare e tórre altrui quello che o nel dare s’ acquista o nel tórre si dona, facendosene sempre più bello? Quivi il Colocci quasi nuovo santissimo Socrate veniva repu tato, né forse senza misterio e’ vi teneva la statua di quel divin filosofo che abbracciava Alcibiade: per avventura dinotando con quanta affettione egli studiasse di render la nobil gioventù intesa alle lettere e alle virtù; onde il Giovio, il quale a niuno perdona i suoi difetti, nell’elogio di Elisio Calentio lasciò scritto che « il Co locci ora vecchio ma di vivace natura però, chiaro et illustre, mercé
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di un Vescovado ch’egli ha, mostrando ancor liberalmente ne gli orti di Roma i precetti della salutifera eloquenza alla Romana gio ventù è da lei amato e riverito molto >>.828384 Né solamente traheva
82 I due distici sono nel Vat. lat. 2833, c. 249r, di seguito, ma separati da una linea; l’ultima parola è furor invece di labor. Secondo il Lancellotti (p. 102, IIa parte) sarebbero opera del C.; come nel caso di altri attribuiti a lui (v. n. 73) a lato di entrambi c’è nel ma noscritto la nota: Maiuscolette. 83 V. Vat. lat. 3353, c. 144r. 84 V. P. I o v ii Elogia doctorum virorum, già cit., p. 99. Per il Socrate v. p. 43. Il Giovio appartenne alla godereccia schiera di letterati che affollarono Roma ai tempi di Leone X e di Clemente V II fino al 1527, e quindi fu, quasi necessariamente, amico del C.; il
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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quivi la gioventù, ma tutti gli Accademici, anzi tutta la nobiltà della Corte. Sì che P. Sommonte hebbe a dire nella sua dedicatoria del libro del Pontano, De magnanimitate: Nam quid ego de te hac in parte dicam? qui praeter quam quod domus tua doctis et bonis om nibus veluti commune quoddam hospitium semper patuit.85 Sì che sembrava l’habitatione del Colocci la casa delle Muse e ne nacque questo Epigramma di Battista Casale: Redde Helicona mihi; redde, inquit Apollo, sorores. Die ubi sunt, inquam: dicam ait ex tripode M usa habitat spretis, Bassi penetralia, Delphis, Illique aeternis fons scatet uber aquis. Redde libens, inquam, te Phoebe tuisque, tibique Non alio poteras gratior esse loco. Musarum sed me sacris admitto volentem Castalioque meo prolve fonte sitim.868 7 Né era si liberale il Colocci di documenti che non fosse ancora di oro, per sovvenire l’infelicità che sovvente accompagna le lettere. Pierio Valeriano nel suo libro De litteratorum infelicitate dove intro duce il Contarino, A m basc.re veneto, il V es.° Grana, il Colocci et altri, così favella di Scipione Carteromaco: Romam reversus apud hunc Colotium nostrum, cuius in litteratos omnes liberalitatem nemo nostrum non expertus est, quam coniunctissime convixit.87
Era il
Sadoleto lo ricorda nella sua famosa lettera riportata più avanti (p. 71) dairtlbaldini. In proposito v. il lavoro di C í a n , Gioviana in « Giorn. stor. della letter. ital »., X V II (1891), pp. 277 sgg. 85 II brano del Sum m onte non è nella dedica del De magnanimitate, ma in fond o alla lettera dedicatoria premessa al libro De immanitate: v. I. P o n t an i , op. cit., I, p. 585. 86 V. Vat. lat. 3388, c. 199r, che presenta le seguenti varianti: Musae al 3° verso; Illic al 4°; poteris al 6°; admitte al 7°; meam all’ 8°. Per il Casali v. pp. 34 e 103 (e nn. 34, 45 e 182), dove di lui ci sono altri versi a chiusura della Vita. 87 V a l e r i a n i , ediz. cit., p. 73. Abbiamo già parlato (n. 32) dell’incontro del Carte romaco col C. « studioso e ricco et elegante et ospitale » , e della ospitalità offertagli af fettuosamente ed insistentemente. Gli interlocutori del Contarenus sive de litteralorum infelicitate sono parecchi; infatti il Valeriani prende l’ avvio da una sua visita al conterra neo Gaspare Contarmi, ambasciatore veneto a Roma, che egli tuttavia non trova in casa; si dirige allora alla casa di Pietro Melimi e incontra per via Lorenzo Grana ed Angelo C. insieme con i quali decide di recarsi da Pietro Melimi per discutere sulla origine della infelicità dei letterati in quei tempi. Di Lorenzo Grana abbiamo già dato qualche notizia (n. 47); Gaspare Contarini fu abilissimo ambasciatore, nato a Venezia nel 1483, creato cardinale da Paolo III e propugnatore, assieme al Carafa, al Giberti e al Cortese, di una moderata corrente riformatrice che si sforzò di far attuare da Paolo III. Partecipò nel 1541 alla Dieta di Worms, trasferita a Ratisbona; ma, quando si trattò della dottrina dei sacramenti, l’intransigenza morale del teologo ebbe il sopravvento sulla duttilità
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Federico Ubaldini
Colocci, come dice colui, il Corifeo de’ litterati,88 il che dall’istesso Pierio Valeriano è dimostrato. Et ut a nostro demum ordine recedamus, nunquam Antonij Marostici sine dolore meminerimus, quem nostra Conterene Regio ad nos miserat, quem Colotius, quem docti omnes Romae et amabant et venerabantur,89 ove nominando il Colocci espres samente et implicitamente gli altri litterati, pare che dinoti lui capo di essi. Onde Girolamo Tastis, huomo assai dotto della Rocca Contrada gli scrive Litteratorum parenti e Lucio Calentio lo nomina bonarum artium perfugium.90 Unicus hoc tenues miseratus tempore vates, Maecenas gratam praestitit alter opem.
diplomatica, che fino ad allora aveva guidato la sua azione, e tutto fallì. Diminuì perciò la sua influenza nella Curia e fu inviato nella legazione di Bologna dove morì quasi subito (1542): v. C . C a p a s s o , Paolo I I I , Messina 1918, passim. 88 L’ espressione nel dialogo di Pierio Valeriano non c’è; pensiamo che l’ abbia coniata l’Ubaldini stesso interpretando le parole citate subito dopo. È ripetuta a p. 65. 89 V a l e r i a n i , ediz. cit., p. 18. Di Antonio Matteazzi, che il Valeriani ribattezza Ma rostica dal suo paese natale, abbiamo notizie nel De infelicitate litteratorum (p. 106) e in un’ opera, intitolata Viridarium, del Barbarani rimasta inedita nella biblioteca di Vicenza. Dal Valeriani sappiamo che scrisse due orazioni, una in difesa della repubblica di Vene zia contro Mario Maffei Volaterrano che l’ aveva vituperata, l’ altra ad esaltazione di Leone X . Gli altri suoi scritti furono tutti bruciati quando egli morì di peste a Roma mentre era segretario del cardinale di Pisa. La data di morte non è sicura; secondo alcuni autori vicentini (G. M a c c a , Storia del Territorio Vicentino, Caldogno 1812, t. II, parte I, p. 59; A n g i o l g a b r i e l l o d i S a n t a M a r i a ( P a o l o C a l v i ) , Biblioteca e storia di scrittori così della Città come del Territorio di Vicenza, già cit., I l i , parte II, p. 145; F. S p a g n o l o , Memorie storiche di Marostica e del suo Territorio, Vicenza 1868, pp. 294-95) sarebbe avvenuta nel 1510, data impossibile, quando si pensi che il Valeriani pone il suo Dialogo, dove è intro dotto il Marostica, ai tempi del pontificato di Leone X ; più accettabile la data del 1523 fornitaci da B. M o r s o l i n , Giangiorgio Trissino, IIa ed., Firenze 1894, p. 68. È ricordato nell’elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4) ed è presente, come abbiamo detto, nel Dialogo della lingua del Valeriani (v. n. 169). 90 II Tasti nel Vat. lat. 3388, c. 122r; Lucio Calentio, in una lettera dedicatoria al C., nel verso della prima carta del volume Opuscula Elisii Calentii, Romae 1503. Per il Calentio v. n. 20; per il Tasti v. Lancellotti, p. 74 e V. F a n e l l i , Un capitolo inedito di Pico della Mirandola in « Rinascimento », X V II (die. 1966), pp. 223-31; il C. aveva chiesto al Tasti certi versi di Pico e quegli li manda accompagnandoli con una lettera conservata nel Vat. lat. 7182, cc. 497-500. In questa lettera il C. è chiamato Litteratorum patrono; le notizie sul Tasti sono a p. 224 dell’ articolo. Qui basti dire che Girolamo Tasti era nato nel 1486 a Trevi, nell’ Umbria, dove il padre, che era di Roccacontrada, faceva il medico; studiò a Perugia, specialmente l’ astrologia, e passò poi a Roma ad esercitarvi la medicina. Divenne amico del Bembo e del C., ma nel 1517 dovette tornate a Roccacontrada per assistervi la madre malata; morì a Roma nel 1551 senza lasciare scritti. La sua amicizia col C. è dovuta probabilmente al fatto che egli era parente di Girolamo Mannelli che vantava, a sua volta, una certa parentela col Colocci (v. n. 156).
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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del nostro Angelo cantò Francesco Panfilo nelle Lodi del Piceno . 91 Non fia perciò meraviglia se molti gli dedicassero libri, come fece Tistesso Calentio, poeta di sì chiaro nome, che il Pontano, huomo di acutissimo giuditio non si ritirò di dire: Perlegi ad Colotium nostrum carmina antiquam illam dicendi majestatem provocantia.92 Anzi Fistesso Gioviano Pontano dedicò ad Angelo il Terzo della Fortuna e Pietro Summonte quello De magnanimitate dell’istesso Pontano; 93 il Mancinelli indirizzò parimente al Colocci la decade dei suoi Ser moni. Le Rime di Agostino Staccoli 94 da Urbino furono al Colocci
91 V. F. P a m p h i l i Picenum; hoc est de Piceni, quae Anconitana vulgo Marchia no minatur et Nobilitate et Laudibus; opus, Maceratae 1575, p. 32; è una curiosa operetta che contiene l’ elogio non della sola provincia di Ancona, come il titolo farebbe pensare, ma di tutta la regione, e fu pubblicata postuma a cura di Gian Matteo Durastante, filosofo e medico di Montesangiusto. Del Panfilo sembra che il vero nome fosse Francesco Bar letta di Antonello, nato nella borgata di Cesolo a Sanseverino in provincia di Macerata attorno al 1480 e sposato con una domina Felice dalla quale ebbe almeno un figlio, Gani mede, che è ricordato anche lui come poeta (G. P a m f i l o , Gli Centonici, Camerino 1582); il nome Panfilo sarebbe stato assunto seguendo la moda umanistica e rimase sia a lui che al figlio. Francesco fu maestro di scuola, notaio e segretario del comune di Staffolo; dal 1518 fu ammesso anche alle cariche municipali della sua città. Non abbiamo notizie che si sia allontanato qualche volta dalle Marche e fu poeta latino al quale non mancò una certa vena ovidiana; la data della sua morte è da porre tra il 1542 e il 1550. È quasi certo che non ebbe rapporti con il nostro C.; per più ampie notizie v., oltre il Lancellotti (p. 55), G. P a n e l l i , Memorie degli uomini illustri e chiari in medicina del Piceno, Ascoli 17571768, II, p. 139, e V. E. A l e a n d h i , Memorie di Francesco Panfilo alias Barletta in « Le Marche », V i l i (1908), voi. I l i , fase. 4-5, pp. 216-222, che negli archivi di Sanseverino ha trovato notizie biografiche molto precise le quali completano quanto dice il Lancel lotti. 92 Nel libro Opuscula Elisii Calentii, già cit., dedicato al C. da Lucio Calentio, figlio di Elisio, c’ è, a cc. 108-09, la lettera del Pontano con le parole qui riportate. Il libro fu dedicato al C. dal figlio Lucio e non dal padre come potrebbero far pensare le parole dell’ Ubaldini; uscì a Roma per il Besicken nel 1503 e l’ epistola dedicatoria (c. Iv) si chiude con queste parole: quod Elisii Calentii opuscula non nisi auctore Colotio prodeunt in lucem. In esso sono anche alcuni versi del C. (v. Lancellotti, pp. 66, 67, 81 della IIa parte) dei quali alcuni diretti al Tebaldeo, che quindi era amico del C. prima ancora di venire a Roma. 93 V. I. P o n t a n i op. cit., I, p . 564; la dedica del Summonte premessa al De magnani mitate è nel voi. I, p . 425. Il Pontano dedicò al C. anche il libro nono del De rebus coelesti bus (III, p. 249) e il libro De immanitate, già ricordato (v. n. 85). 94 Per il Mancinelli v. n. 24. Lo Staccoli, nato forse ad Urbino non sappiamo quando, fu oratore di Federico da Montefeltro alla Corte romana attorno al 1477; nel 1453 era succeduto al padre Serafino in Curia come scriptor litterarum Apostolicarum e nel gennaio 1479 era già abbreviator Presidentiae majoris, ufficio goduto più tardi anche dal C., come ricorda il Pattolo nella dedica. La data della sua morte è da qualcuno posta nel settembre 1487; da altri nel 1488. Certamente non fu amico del C. che alla sua morte avrebbe avuto 13 o 14 anni ed era in esilio con lo zio Francesco nel regno di Napoli: nella traduz. lat. (p. 44) l’Ubaldini sembra invece affermare che lo stesso Staccoli gli dedicò i suoi versi.
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Federico Ubaldini
dedicate e i versi latini di... Fu egli grande
amico
del Serafino,
Fu giudicato uno dei migliori poeti italiani della seconda metà del Quattrocento; a quanto dice il Pattolo, il C. ne era « observantissimo». Su di lui si vedano la premessa di G. F. M a g i n i all’ediz. delle Rime di Bologna del 1709; quanto lo stesso Magmi dice nel Gior nale dei Letterati d’ Italia, I (Venezia 1710), p. 187; F. S. Q u a d r i o , Della storia e della ra gione di ogni poesia, Milano 1742, II, pp. 152 e 214; F. B o n a m i c i , De claris pontificiarum epistolarum scriptoribus, Romae 1770, pp. 78 e 185; T i r a b o s c h i , Storia della letter. ital., già c i t ., I l i , p. 162; l’ elogio di U . D e P r a e t i s premesso all’ ediz. della Rime di Urbino del 1845; Rossi, Il Quattrocento, già cit., p. 180; la recensione allo Z a c c a g n i n i (Il petrar chista A . S., Napoli 1902) ed a P r o v a s i e S c a t a s s a (A . S. da U. e le sue rime inedite o poco note, Urbino 1902) nel « Giorn. Stor. Lett. It. », X L (1902), p. 245; e R. A v e s a n i , Sulla battaglia di Varna nel « De Europa » di Pio I I ecc. in « Atti e Memorie della Deputaz. di Storia Patria per le Marche », ser. V i l i , voi. IV, fase. II (1964-65), p. 94, n. 12. Dello S. un sonetto apparve in una raccolta stampata a Roma nel 1474 {Hain 809) in onore di un paggio di Girolamo Riario (v. F. P a t e t t a , Di Alessandro Cinuzzi paggio di G. Riario in « Bullettino Senese di Storia Patria », VI (1899), pp. 151-76); la prima ediz. delle sue rime è considerata quella pubblicata dal Buonaccorsi a Firenze nel 1490, descritta in BMC, VI, p. 673, e contiene le opere di Cesare Torti, dello Staccoli e di altri; la seconda, che è una riproduzione della prima,uscì a Venezia nel 1508 per i tipidei Rusconi; la terza, ricordata dall’ Ubaldim, è probabilmente quella indicata dallo Hain al n. 1945, composta di 32 carte, senza note tipografiche, ma che indagini successive fanno ritenere stampata a Roma da Giovanni Besicken e Martino da Amsterdam tra il 1500 e il 1512, e che quindi cronologicamente sarebbe la seconda (v. anche Lancellotti, p. 20). La descriviamo bre vemente: a c. l r: Sonecti et Canzone de Misser Augustino da Urbino. A c. 2r: Tabula huius libri. A c. 3V: B. Pactolus Angelo Colotio Abbreviatori Apostolico Mecenati Suo S. D. Fino a c. 4V seguita la lettera dedicatoria, interessante per le notizie sull’ attività letteraria del C.; poi ci sono le poesie dello Staccoli. Quanto è detto nell’opuscolo già cit. di Provasi e Scatassa ci sembra errato e campato in aria, non avendo i due autori visto i preziosi volumi di ognuno dei quali esistono solo uno o due esemplari. Sulla data di stampa del rarissimo volumetto ci sembra che quanto dice A d a M o r i c c a C a p u t o (Appunti su alcuni incunaboli casanatensi in « Studi di bibliografia e di argomento romano in memoria di L. De Gregori », Roma 1949, p. 307) non abbia troppo valore. Il C. acquistò la carica di Abbreviator non prima del gennaio 1497 (v. p. 22 e nn. 24-26); l’ Ubaldini non s’ accorge che quanto dice più avanti, dopo la dedica del Mancinelli da lui riportata, è in contraddi zione con quella data (1495) che noi pensiamo egli abbia posto per errore, desumendola dalla dedica, probabilmente, della prima edizione {Ant. Mancinellus Veliternus Adolescentulis). Nell’ ediz. del 1503 (v. n. 24) questa dedica con la data 1495 (c. Aiii: M.CCCC. I X X X X V ., che è evidentemente un errore tipografico per M C C C C L X X X X V ) è messa dopo la dedica al C. (c. Aii) che non porta nessuna data; nell’ultima carta del volume, subito prima del colophon, c’ è la diffida contro le edizioni dell’opera stampate a Venezia, a Milano ed altrove; purtroppo esse sono, sembra, scomparse e non si può perciò fare un confronto per stabilire esattamente quando per la prima volta l’opera è stata dedicata al Colocci. Inoltre non è detto che il Mancinelli ed il Pattolo abbiano dedicato i loro libri al C. proprio immediatamente dopo la sua nomina ad Abbreviatore. Il Ciampini {op. cit.), e lo Hofmann {op. cit., I, p. 46, n. 4 e II, p. 83, n. 56) danno una data non ante riore all’ agosto 1499. È giusto quindi attribuire il volume al primo decennio del x v i secolo. Bartolomeo Pattolo era cittadino di Firenze e doveva godere una comica notorietà nell’ ambiente della Corte di Leone X , che nel 1513 gli concesse una pensione mensile di
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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la di cui morte celebrò con un assai bel sonetto . 93 Pierio Valeriano, famoso allievo della casa de’ Medici, gli intitolò il libro De his quae per olorem, lusciniam, psittacum et alias aliquot aves significantur ex sacris Aegyptiorum litteris; e nella epistola dedicatoria apparisce la stima del valore e dell’amicizia di Angelo, sì come in molti altri luoghi di quella eruditissima fatica .96 In una disputa della lingua
quattro ducati d’oro. Si fece conoscere con un suo componimento, L ’ Orchessa, per il quale litigò con l’Aretino; molte pasquinate lo ricordano: v. V. Rossi, Pasquinate di Pietro Are tino ed anonime, Torino 1891, p. 120, Il suo nome (Pactolus Thuscus) figura nell’ elenco dei defunti della Corytiana Academia nelle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4); non ab biamo incontrato il suo nome nei codd. colocciani. La sua dedica al C., premessa alle Rime dello Staccoli, è molto interessante e va messa in rapporto con l’Apologia dell’Aqui lano, all’incirca coeva, per rendersi conto del pensiero critico del C. nei suoi anni giovanili. Già in quel tempo il C. godeva una solida fama nel campo delle lettere « essendo stato sempre da teneri anni ornamento delli amatori delle bone arte così volgari come latine »; il Pattolo affida al C. la difesa e la tutela della fama dello Staccoli per quattro motivi: « la benignità dell’ animo »; « la conformità delli studi »; « li pari affecti delle amorose passione »; « et poi per esser tu del prefato auctore observantissimo come già meco più volte me affirmasti ». Esorta poi il C. a collocare i versi dello Staccoli « a piedi di quelli da te tanto honorati vechioni, Cino, Guitone, et Dante et Petrarca » e leggerli « quando otio ti avanza dal dictare le littere apostoliche corno lui relaxava l’ animo dalle prefate littere alla sua Proserpina ». Non sarebbe fuori luogo, dice il Pattolo, parlare qui dello Staccoli e del suo stile, « ma per essere a te notissimo e nelle tue annotazioni del volgar ydioma a pieno tractatone, lo pretermitto ». Le « annotazioni » qui ricordate dovreb bero essere quelle del Vat. lai. 4817; ma né in questo cod., e neppure nel 4831, che con tiene numerosissimi nomi di poeti del Tre e Quattrocento, abbiamo ritrovato lo Staccoli. Il ricordo dell’ altro poeta rimane anonimo anche nella traduz. lat. (p. 44): et N. N. in scripsit illi versus latinos. Potrebbe trattarsi dei versi di Pacifico Massimi, editi a Fano per il Soncino nel 1506, dei quali il C. curò l’ ediz. dedicando il volumetto a se stesso. Anche a p. 78, dove l’ Ubaldini ritorna sull’ argomento, ci sono dei puntini; nella traduz. lat. (p. 50) non ci sono né i puntini né le N. N. che ci sono qui. 95 II sonetto in morte dell’Aquilano fu pubblicato per la prima volta nell’ediz. dei versi di quel poeta curata da Francesco Flavio e stampata a Roma da Giovanni Besicken nel 1502; il sonetto è in fondo al rarissimo volumetto assieme ad un sonetto del Tebaldeo, uno di Giuliano de’ Medici e tre di Francesco Flavio. Nello stesso anno la raccolta fu ristampata a Venezia « per Manfrino de Monferrato » con lo stesso contenuto disposto in ordine diverso. Nel 1503 se ne ebbero altre ediz., una a Milano, una a Venezia ed una a Bologna; questa fu stampata da Caligola Bazalieri che nel 1504 stamperà le Collecta nee curate dall’Achillini. Un’ altra ediz. dello stesso anno 1503 è quella curata dal C. a Roma, sempre per il Besicken, nella quale compare per la prima volta l'Apologià scritta dal Colocci. La Vita del Ciminelli scritta dal Calmeta si legge per la prima volta nelle Col lectanee; in una ediz. successiva (Venezia 1505) l'Apologià del C. e la Vita del Calmeta com paiono assieme per la prima volta. Non è esatto quindi quanto dice il Lancellotti (p. 10, IIa parte). 96 Si tratta del libro X X I I I , a p. 211-219, dell’opera già cit. Hieroglyphica; ma, oltre che in altri luoghi di quest’ opera (v. Lancellotti, pp. 102-103, e qui p. 48 e nn. 14 e 58) e nel dialogo Sopra le lingue volgari (v. qui pp. 38 e 94-95 e nn. 14, 46, 47, 78, 97 e 169),
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Federico Ubaldini
volgare tra’ principali introduce il Colocci et ve ’1 dimostra famigliarissimo del Card. 1 Giulio de’ Medici, che poi fu Clemente V I I , 97 oltre al quale fu egli carissimo a Leone et a Paulo Terzo. Del che
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non è da meravigliarsi, perché Angelo con tanti bei doni hebbe in grado eminentissimo l’urbanità e la dolcezza della conversazione, essendo destro molto nel gettar m otti e facetie, il che così suo pro prio riputossi che trasse alle sue lodi la penna de’ più dotti et austeri scrittori di quell’età, quale fu Gioviano Pontano, dal Giovio parti colarmente di troppa acerbezza accusato , 98 onde avviene che questa lode è molto più stimabile che qualsivoglia encomio di amico stile. Dunque sarò liberale nel pagare il debito, al quale son tenuto, se per dar saggio di quanto riuscisse amabile la conversazione del Colocci apporterò in questo luogo quanto dal Pontano si dice 99 della sua avvenenza e prontezza nel trattato De sermone. Ci racconta che soleva dire molto leggiadramente 100 « che più di San Tomaso e di Scoto havea seguaci quel Giovanni che da Vitelli fu chiamato, che veggendo qualche vitello o castrato si spericolava tutto per bella paura, mostrando di temerne le corna e la notte poi, tutto solo, entrava nelle gran torme de’ tori e di vacche e ne afferrava per le
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corna quanti ne poteva per condurgli al mercato. Che un altro che pativa di flusso rinfacciò al Colocci, ch’era egli sobrio e temperato
il C. è spesso ricordato nel De infelicitate litteratorum (v. qui pp. 10 e 31 e nn. 16, 31, 32, 40, 46, 47, 87, 88, 89, 139, 169) e nelle poesie latine (v. Lancellotti, p. 101, e qui p. 38 e d . 47). 97 V. p. 301 dell’ ediz. milanese già cit. Per la controversia della lingua v. pp. 94-95 e n. 169. 98 V. P. Io v n Elogia doctorum virorum, già cit., p. 102, nell’ elogio del Pontano. Sul Giovio v. n. 84. Dell’umore faceto del C. è esempio il Vai. lat. 3450, che abbiamo già cit. (v. nn. 18, 45, 54 e 177). Ma, senza voler diminuire le qualità del nostro C., quanto qui dice agiograficamente l’Ubaldini e ripeterà il Lancellotti (p. 43) rientrava nella consue tudine: il gentiluomo doveva essere quello che noi oggi diciamo una persona piena di spirito, un divertente conversatore. Il Castiglione ne II Cortegiano (Milano 1929, pp. 125 sgg.) dedica molte pagine all’ argomento delle facezie e della festività, da lui chiamata anche urbanità, che ogni buon cortegiano deve usare; e il Boccaccio dedica una giornata, la sesta, del suo Decamerone al racconto di motti di spirito. Non era quindi questa una qualità posseduta solo dal C., ma da tutti i gentiluomini bene educati che dovevano vi vere nelle corti; l’ Ubaldini vuol far notare che il C. la possedeva. 99 Più breve la traduz. lat. (p. 45); Nec importunum nec praeter rem duxerim referre quaedam Pontani loca. Anche nelle citazioni seguenti ci sono alcune differenze di poco rilievo; la redaz. lat. è molto più precisa. 100 II brano è tradotto un po’ liberamente e comincerebbe con le parole latine ripor tate più sotto: Umber meus mihique pernecessarius...; v., nell’ediz. del Pontano già cit., voi. II, p. 387. Il secondo brano è pure nel voi. II, p. 426, il terzo a p. 433, il quarto a p. 460.
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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molto, disse ch’egli era troppo scarso verso del suo corpo; et io mi rallegro teco, mi rispose, che tu dia al tuo corpo più che egli non ti rende .101 Soleva anche dire ch’egli era facil cosa farsi beffe di un afflitto ». E dove tratta il Pontano del solleticare il riso, scrive: Extat exemplum quoque A . Colotij in lacescentem, deque dictionemet sua prorumpentem in cachinnos, nam cum hiantem illum Colotius cerneret, « Heia, inquit, mea heia monedula, en adest mater cum lu bricalo quae pappam dabit ». E dove insegna quali debbano essere i racconti piacevoli, rende della costui piacevolezza tale testimo nianza: In hoc autem ipso jocandi genere comis est admodum ac periucundus A . Colotius noster, tum propter insitam ei a natura perraram quamdam in dicendo alacritatem, tum propter egregiam litterarum peritiam rerumque multarum usum; quo fit ut in explicandis fabellis, in epigramatis comicorumque poetarum dictis referendis ac lusibus mirifice delectet. E più sopra l’haveva chiamato Umber meus mihi perneces sarius A . Colotius Bassus, vir et doctus pariter et jucundus. Queste così fatte prerogative della fortuna, della natura e dell’industria conciliavano al Colocci l’affetto di tutti. Sicché senza controversia egli era, come disse colui, « Corifeo degli ingegni urbani » 102 e le sue case erano una perpetua Accademia. Il primo che risuscitasse il nome di Accademia si ricorda essere stato Pomponio Leto. Questi, havendo a Monte Cavallo un bel giardino con la sua habitazione 103
101 Nella traduz. lat. (p. 46): laborabat enim ille sepissime ventris profluvio, parole che sono anche nel testo del Pontano. Non si capisce come e perché l’Ubaldini sia arri vato a tradurre in quel modo. Altrettanto si dica per quel « mi rispose » che traduce respondit. 102 V. sopra, p. 60 e n. 88. 103 Nella traduz. lat. (p. 60) è inserito tra parentesi a questo punto un brano in cui si parla di un’iscrizione scolpita sulla facciata della casa di Pomponio Leto: in quarum fronte insculpta erat inscriptio P o m p o n i . L a e t i , e t . s o d a l i t a t i s , e s c u i l i n a l i s . non f u s c u l i n a e . uti se legisse venditabat Caeculus quidam non vulgaris, sed primariae digni tatis homo. Chi sia questo Caeculus maldestro lettore di epigrafi ci sfugge. La casa, posta sul Quirinale (ire regione Montis Caballorum, cui ab uno latere domus Bartolomei Platina), fu acquistata dal Leto nel 1479 (v. Cod. Barber. lat. 1572, cc. 32-33); la collezione di epigrafi raccolta dal Leto aveva, secondo Fra’ Giocondo, 46 iscrizioni che andarono disperse dopo la sua morte. La casa invece pervenne al C. (v. n. 47) e non sap piamo in quali mani sia finita dopo di lui. L’iscrizione sull’ architrave della porta, ripor tata nella traduz. lat., fu sostituita in seguito da quest’ altra: Societatis Literatorum S. Victoris in Esquiliis (v. L a n c i a n i , op. cit., I, p. 115 e II, p. 20). Il grande merito del Leto è quello di aver orientato verso l’ archeologia la scuola umanistica romana, che egli aveva trovato dedita agli studi di rettorica e di grammatica sotto l’influenza di Lorenzo Valla: abbiamo visto il Mancinelli che, pur avendo ascoltato le lezioni del Leto, non si staccò dall’orientamento del Valla (v. n. 24). Probabilmente la fioritura di studi archeologici, promossa dal Leto, fu occasionata e certamente favorita dalle vive reminiscenze e dai
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Federico Ubaldini
frequentato da huomini dotti, si compiacque di attribuire a quegli 53
Orti et a quella habitazione quel nome, onde fu celebre la ritirata di Platone 104 lontana da Athene sei stadij, che imitò Cicerone, che a questa somiglianza chiamò la sua villa Accademia, essendosela eletta per ritiro de’ suoi studi. Così anche il Colocci nominò questa sua casa, massimamente per gli Orti che vi erano, Academia, et Accademici dicevansi coloro che concorrevano quivi a’ discorsi di lettere: e da questo si sono poi propagate tante Academie in Roma et in Italia. Né altra cagione io ho saputo rinvenire ch’habbia faccia di vero non essendo 105 gli Academici, di che io favello, con gli an tichi Academici che si divisero in Vecchi et in nuovi, altra somi glianza. Professavano quelli determinate massime e dogmi parti colari, là dove questi nostri sono vaganti per tutte Parti e scienze senza essere costretti da certa legge, e disputano e discorrono di varie cose in diverse maniere. Erano tali radunanze rallegrate da conviti e dalla recitazione delle compositioni che ciascuno alla gior-
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nata faceva; alle lettere non essendo cosa più giovevole che la con ferenza. Utile igitur est habere quos imitari primum, mox vincere velis, disse Quintiliano .106 In cotal foggia gli huomini più s’ affinavano e divenivano maggiori, Pemolazione essendone la mezzana ,107 si sfor-
monumenti che pullulavano nella città più che altrove; il miglior frutto della scuola fu Andrea Fulvio (v. n. 50). In quanto al C., anche in questo caso sorgono dei dubbi: nel 1495 era a Sulmona, come ci testimonia il Calentio (v. n. 20), presso lo zio Francesco; il Leto è morto settantenne nel 1498 ed a questa data il C. si era trasferito a Roma da poco più di un anno (almeno secondo le nostre supposizioni) tornando frequentemente nella nativa Jesi. Ci sembra che non possa aver avuto tanto tempo per seguire con la dovuta assiduità il Leto e formarsi al suo insegnamento; l’osservazione che facciamo è simile a quella che abbiamo fatto a proposito del Pontano. Ma comunque, poiché i numerosi discepoli del Leto gli riconoscevano questa qualifica, che sembra avesse molto valore, dobbiamo pensare che in quel periodo le sue visite a Roma da Jesi devono essere state più lunghe e più frequenti di quello che ci portano a credere sia l’Ubaldini, sia il Lancellotti (pp. 13-14). E inoltre l’interesse per l’ archeologia, del quale sono sicura testimonianza le sue collezioni, gli venne certamente dal Leto. Su Pomponio Leto e la sua Accademia v. W . Z a b u g h i n , Giulio Pomponio Leto, Roma 1909-12; M. M a y l e n d e r , op. cit., IY , pp. 320 sgg., dove è anche un’ abbondante bibliografia, anche se indiscriminata, e T i r a b o s c h i , Storia della letter. ital., già cit., I li , p. 359; di lui e della sua Accademia abbiamo qui avuto occasione di parlare a pp. 14, 67, 86 e a nn. 20, 21, 24, 44, 47, 50, 105, 154, 176. 104 La traduz. lat. (p. 48) dice meglio: Celebris fu it secessus Platonis. 105 Periodo oscuro; sembrerebbe doversi dire meglio « avendo ». 106 Institutiones Oraloriae, 1°, 2°, 29. 107 Meglio la traduz. lat. (p. 49): aemulatione interposita. L’ Ubaldini sembra voler dire qui che dall’Accademia di P. Leto e da quella del C. sono derivate tutte le altre che pullularono in Italia nei secoli seguenti; e questo non ci sembra esatto; tutto il suo di scorso è generico e di scarso valore critico. Secondo il Lancellotti (p. 14) il nostro Angelo
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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zava ogn’uno di apparire nel recitare e negli scritti più adorno; e non hebbe l’Academia, dopo la morte di Pomponio Leto, luogo fermo se non quando poi, divenuto libero e vecchio il Colocci, si ri parò affatto in casa sua, ove però non arrivò ella punto forastiera. Eccone per prova quello che ne dice M ons.r Giacomo Sadoleto in una sua epistola al nostro Colocci.*108 A c mihi recordanti spatium
aveva fondato anche a Jesi un’Accademia nel periodo tra il ritorno dall’ esilio e la sua partenza per Roma, ma l’iniziativa ebbe breve durata; e il Pecchia! (Roma nel Cinque cento, Bologna 1948, p. 391) parla di una nuova Accademia dei Disposti, fondata dal C. dopo il Sacco del 1527, della quale noi non abbiamo trovato notizia altrove. Quello che qui ci preme far notare è il carattere di istituto culturale organizzato che ebbe l’Acca demia ai tempi di Pomponio Leto, tanto che vi era annualmente l’ elezione delle cariche e l’imperatore Federico III nel 1483 le attribuì la facoltà di concedere la laurea ai giovani studiosi. Questo carattere non ebbe invece ai tempi del C., quando si trattava in realtà di un salotto letterario e non di un regolare istituto di cultura, anche se il C. la chiama « la nostra A ccadem ia» ( Vat. lat. 4831, c. 104). Un curioso documento che ci illumina sulla vita dell’Accademia nei primi anni del secolo è una lettera di Tommaso Inghirami ( Phaedrus) ad Andrea Umihato (Marquardi Gudii et doctorum Virorum ad eum Epistolae, Hagae Comituin 1714, pp. 139-40). 108 II Lancellotti (pp. 119 sgg.) riporta la lettera per intero con abbondanti notizie sui personaggi ricordati. Il manoscritto, in una postilla a fianco, dice: Ex epta 18, lib. 5., cioè « dalla lettera 18 del libro V o », a p. 187 del volume J. S a d o l e t i Epistolarum libri X V I , già cit.; ma l’originale è conservato nel Vat. lat. 4103, cc. 16-17. L’Ubaldini ne ri porta solo la parte centrale. Il cardinale modenese Giacomo Sadoleto (1477-1547) fu uno dei corifei, colPamico Bembo, del ciceronianesimo; visse a Roma, nel primo quarto del secolo, alla corte di Leone X , e fu discepolo del Carteromaco, insieme al C., per lo studio del greco (v. n. 32). Anche se i costumi rilassati di quell’ ambiente lo spinsero per breve tempo nelle braccia della cortigiana Imperia, la sua vita fu sempre coerente con il suo sentimento religioso e con la serietà del carattere tanto che, nominato vescovo di Carpentras, vi soggiornò molti anni, esempio raro in quel tempo. Anche lui scrisse alcuni versi nei Coryciana (c. 15) e figura sia nell’ elenco degli Accademici Coryciani sia in quello del Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1 e n. 4); il C. ha trascritto suoi versi nel Vat. lat. 3388, cc. 26-30; altri sono nel Vat. lat. 3351, c. 145. La lettera, scritta nel 1529 da Carpentras, costituisce uno dei documenti più importanti per la ricostruzione dell’ ambiente letterario romano di quegli anni; è un esempio di prosa latina rinascimentale tra i più belli che ci sia dato di leggere ed ha contribuito in gran parte a fare la gloria del nostro Colocci. I nomi che troviamo in essa sono quasi tutti ricordati anche dall’Ariosto (Orlando Furioso, X L V I, 13). Nella parte iniziale, qui non riportata, della lettera sono ricordati il Pietrasanta (v. n. 47), il Tebaldeo (v. n. 72) ed il Corsi. Questi (Petrus Cursius Carpinetanus) ha lasciato ricordo di sé più che altro per le sue aspre polemiche con Erasmo (Defensio pro Italia ad Erasmum, Romae 1535) ed anche col Molza (v. n. 73); e doveva essere di carattere litigioso e collerico. Della sua vita sappiamo poco; della lite col Molza abbiamo ricordo in una lunga lettera che egli scrisse a Marcantonio Colocci nascondendosi sotto il nome di Ninfa dell’Acqua Vergine e sembra che il C., di fronte alla violenta reazione del Molza, abbia preso posizione in suo favore. La lettera è conservata nel Vat. lat. 3436, cc. 56-61 e dal Lancellotti è riportata nelle pp. 166-70 (in molti esemplari mancano queste pagg.: v. F a n e l l i , Lettere di Londra, p. 128). Doveva essere molto amico di Pierio
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Federico Ubaldini
praeteriti temporis et vetera animo repetenti, cum etplures convenire soli ti eramus una, et erat aetas nostra ad omnem alacritatem, animique hila ritatem longe aptior; quoties venire in mentem putas eorum coetuum, conviviorumque, quae 109 inter nos crebro habere solebamus? cum aut in hortis tuis suburbanis, aut in meis Quirinalibus, aut in Circo M a ximo, aut in Tyberis ripa ad Herculis, alias autem aliis in Urbis locis conventus agebatur 110 doctissimorum hominum: quorum unumquemque et propria ipsius virtus et communis cunctorum praedicatio commen dabat. Ubi post familiares epulas, non tam cupedia multa conditas, quam multis salibus, aut poemata recitabantur, aut orationes pronunciabantur, cum maxima omnium nostrum, qui audiebamus, volup tate; quod et summorum ingeniorum in illis laus apparebat, et erant illa tamen, quae proferebantur, plena festivitatis et venustatis. Quo in genere recordor pressum et acutum Casanovam, Capellam latum sonantem, magnificum 111 Vidam et cujus proxime ad antiquam laudem
Valeriani che lo introduce come interlocutore nel II 0 libro del De infelicitate litteratorum e gli dedica il X I I 0 libro dei Hierogliphyca; è nell’elenco delle Carte Strozziane e in quello del Vat. lat. 3450 (v. entrambi in Appendice n. 1 e n. 4). Suoi versi sono nei Coryciana (cc. 14v, 24, 68), nelle raccolte In Celsi Archelai Melini Funere amicorum lacrimae (Rom a 1519; c. 17) e Suburbanum Augustini Chisii (c. 3; v. n, 113), stampate entrambi dal Maz zocchi; nel Vat. lat. 3353, cc. 113-14 e 209-10 versi del Tebaldeo indirizzati a lui; nel Vat. lat. 3441, cc. 167-77, tre egloghe composte e recitate dal Corsi stesso nel 1509, assieme ai nipoti del Papa, davanti a Giulio II come spettacolo teatrale; si sa infatti che il Pontefice amava molto ogni genere di spettacoli, che a Roma erano frequentissimi dopo il rinno vamento dei ludi scenici operato dal Leto. Per più ampie notizie v. Lancellotti, pp. 81-82 e Y . C lA N nella recensione a P. d e N o l h a c , La bibliothèque de Fulvio Orsini, già cit., in « Giorn. Stör. Letter. It. », X I (1888), pp. 240-41. e l’ articolo di S. D e b e n e d e t t i , Le ansie di un bibliofilo durante il Sacco di Roma, già cit., dove si parla dei travagli del Corsi per recuperare, insieme al Tebaldeo, i libri del Colocci. 109 L’ originale dice: quae nos inter nos. 110 L’ originale dice agebantur. Il S. indica qui quattro luoghi dove avvenivano le adu nanze: gli jfforii Suburbani del C., alle falde del Pincio; gli Horti Quirinali dello stesso S., presso la chiesa di Santa Susanna; e, probabilmente all’ aperto, senza una casa che ospi tasse gli accademici, al Circo Massimo o presso il tempio di Ercole, sulla riva del Tevere, vicino al Portico d’ Ottavia. Il Rodocanachi ( v . F a n e l l i , Le case e le raccolte archeologiche del C., già cit., p. 393) ricorda una vigna in campagna fuori Porta del Popolo, acquistata dal C. prima del 1510, ed afferma che le riunioni, ricordate dal S. nella lettera, si facevano in questa località; le parole che seguono subito dopo rendono probabile l’opinione del Rodocanachi. E inoltre sappiamo che i letterati si radunavano anche nella vigna di Blosio Palladio (v. n. 113), nella Valle dell’Inferno fuori di Porta Angelica (v. A s c a b e l l i , op. cit., p. 55), 111 L ’originale dice: magniloquium, e così anche la traduz. lat. (p. 50). Per il Casanova v. n. 71. Bernardino Capella, romano, è sepolto a Santo Stefano al Celio. Morì a Roma di 63 anni nel 1524; fu molto amico del Sadoleto e di Mario Maffei Volaterrano. È nell’elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4); nei Coryciana (c. 30) c’è un suo epi gramma; un altro nel Vat. lat. 2836, c. 34v, e anche nell’ Ottoè. lat. 2960, c. 186. Di lui par-
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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carmen accederet: 112 castigatum et prudentem Beroaldum, uberes autem et suaves Pierium, Granam, Mathalenum, Blosium, quoque complures nostra prospexit 113 aetas, partim
carmine, partim
soluta oratione
lano il Valeriani nel De infelicitate litteratorum e Lilio Gregorio Giraldi nel De poetis suorum temporum (v. n. 137); anche lui è ricordato tra gli amanti di Imperia; v. anche Lancellotti, p. 120 e Bibliografia romana a cura del Minist. di agrie., industria e comm., Roma 1880, I, p. 72. 112 L’originale dice: accedebat carmen. Girolamo Vida è aneli’ esso molto noto per il suo poema virgiliano Christias che ci sembra il tentativo più importante, anche se non riuscito, di nobilitare il cristianesimo paganizzandolo; aveva un sincero sentimento reli gioso e si tenne un po’ appartato dall’ ambiente non troppo casto che lo circondava. Tro viamo suoi versi nei Coryciana, cc. 37 e 123, e l’Arsilli lo ricorda a c. 133v; anche nella raccolta In Celsi Archelai Melini funere, già cit., c’è una sua egloga (c. 5V). Il C. lo ricorda nel suo elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1); v. anche Lancellotti, p. 121. Poiché nell’ egloga latina inserita nella raccolta in morte di Celso Meliini si firma « Girolamo Vida Corydon », pensiamo che potrebbero essere attribuiti a lui i versi italiani contenuti nel Vat. lat. 4831, cc. 2-5y, sotto il nome di Corydo. 113 L’originale dice: perspexit. Filippo Beroaldo era nipote di Filippo Beroaldo il vecchio; nato a Bologna nel 1472, venne a Roma nel 1502 chiamatovi per la fama che godeva. Ebbe legami di amicizia con molti dei letterati che vissero a Roma nei primi decenni del secolo e ad essi indirizzò versi; un epigramma diretto al C. è riportato in Lan cellotti, p. 52. Dedito agli amori, anche lui fu nella schiera degli amanti d’ Imperia; fu protetto da Leone X che lo fece prefetto della Vaticana nel 1516, dopo la morte di Tommaso Inghirami, ma nel 1518 morì. La sua maggior gloria è l’ aver curato la prima edizione degli Annales di Tacito (Rom a 1515), un esemplare dei quali, annotato fittamente dal C., è nella Biblioteca Vaticana (R. I. II. 994; v. F a n e l l i , Le case e le raccolte archeologiche del C., già cit., p. 396); suoi versi sono nel Suburbanum Augustini Chisii, c. 2; nei Codd. Ottob. lat, 2860, cc. 29, 96, 137, 165; Vat. lat. 2836, cc. 106 e 125v; Vat. lat. 3351, c. 147v; Vat. lat. 3352, cc. 25-26v, 114, 273, 279 e 310; Vat. lat. 3353, c. 36. Su di lui v. nel D i zionario Biografico degli Italiani, ad vocem, l’ articolo di Ettore Paratore. Su Pierio Va leriani v. n. 14; sul Grana n. 47. « Mathalenum » è Fausto Evangelista Maddaleni Capo diferro, di vecchia famiglia romana, che sposò la figlia del Trapezuntio, Faustina; fu poeta latino ed italiano e morì poco dopo l’ agosto del 1526. Fu scolaro di Pomponio Leto; sono di mano sua i due Codd. Vat. lat. 3351 e 3419, il primo probabilmente appartenuto al C., mentre il secondo non è certamente tra i codici colocciani. È nell’ elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n .4) e nella lettera dell’ Inghirami ad Andrea Umiliato (v. n. 107); suoi versi sono nel Suburbanum Augustini Chisii, c. 2V, e nei Coryciana (c. 33). Su di lui v. O. T o m m a s i n i , La vita e gli scritti di Niccolò Machiavelli, Roma 1883-1911, I, pp. 268 n., 271; II, pp. 295, 1108 sgg. (dove sono i suoi versi con l’indicazione della fonte) e, dello stesso, E. M . C. accademico e... storico in « Atti dell’Accademia dei Lincei », C C L X X X IX (1892), serie IV, I, pp. 2-20; ed inoltre A. C a m p a n a , Intorno alVincisore G. B. Palumba ecc. in « Maso Finiguerra», I (Rom a 1936), pp. 164-81. Blosio è Blosio Palladio Sabino, cognome latinizzato ed abbellito dall’originario Biagio Pallai. Era nato a Collevecchio, in Sabina, non sappiamo quando e morì, vescovo di Foligno, nel 1550 a Roma dove è sepolto in Santa Maria in Aquiro. Il suo nome è legato al Suburbanum Augustini Chisii, stampato a Roma dal Mazochio nel 1512, ed ai Coryciana, dei quali sembra sia stato il raccoglitore e l’ editore nel 1524; fu tra i riformatori del Ginnasio di Roma e scrittore di brevi ponti fici da Leone X in poi. Doveva essere prosatore e verseggiatore elegante ed arguto, uno
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eximios: cujusmodi Nigrum nostrum Tulliana in dicendo gravitate, Antoniumque Venantium et Binum in utraque existentem 114 lingua: acres autem in judicando 116 et in primis acutos Ubaldinum et A n tonium, cui Computistae cognomen est. Quo e numero multi in utroque genere dicendi egregiam sibi laudem a doctis omnibus comparaverunt. degli spiriti più vivaci fra i letterati romani, innamorato anche lui di Imperia. Il Suburbanum contiene, dopo alcuni epigrammi di altri poeti, la sua dedica in prosa ad Agostino Chigi (c. 4) seguita (cc. 5-13v) da un suo elegante poemetto; nei Coryciana, oltre alla let tera dedicatoria che vi premette attribuendo alla celebre raccolta un’ origine che è forse frutto della sua fantasia poetica, vi sono anche molti suoi epigrammi (cc. 2, 14v, 22, 25, 38v, 40, 40v); nel Vai. lai. 2847, c. 175, una sua epistola al Vicario di Tivoli; nel Vat. lai. 3353, c. 179, alcuni versi ripetuti nel Vat. lat. 3388, c. 103; sue orazioni sono stampate negli Anedocta litteraria ex mss. codicibus eruta a cura di S. B o b g i a , Roma s. d. (ma 1773), II, pp. 163 sgg., dalle quali si possono ricavare molte notizie su di lui. È anche ricordato nella lettera di Tommaso Inghirami ad Andrea Umiliato (v. n. 107); su di lui v. C i a n , Gioviana, già cit., pp. 281 sgg. e A s c a r e l l i , op. cit., pp. 54-55. 114 L’originale dice: enitentem. Nigrum è Girolamo Negri, che era nato a Venezia nel 1494 e fu a Roma a servizio dei cardinali Cornaro e Contarmi finché ottenne un canoni cato a Padova dove morì nel 1557; il Sadoleto lo giudicò uno dei migliori ciceroniani e gli fu molto amico (v. in Lancellotti, p. 117, un brano di una lettera dello stesso Sadoleto al N.), Una sua biografia, scritta da Vincenzo Aless. Costanzi, è unita ad una ristampa delle sue Epistolae et Orationes (Rom a 1767); degne di ricordo le orazioni funebri in morte del card. Francesco Cornaro e di Lazzaro Bonamico. Il C. lo ricorda nell’ elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1); alcuni suoi esametri sono nella raccolta In Celsi Archelai Melini funere (c. 9; v. n. 40). Il Venanzi è il nipote del vescovo di Jesi Pietro Paolo e suo successore dal 1519 al 1540; il Vescovo Pietro Paolo doveva essere anche lui ben introdotto nell’ ambiente let terario romano e l’ Inghirami lo ricorda nella sua lettera del 1506 all’Umiliato (v. n. 107). Nella lettera del Favorino al C., pubblicata dal Berrà (v. n. 33), il Favorino attribuisce a « a messer Petripaolo già vescovo d’ Esi » la notizia che il C. era bigamo e non poteva pervenire ad ordini sacri; ci doveva essere inimicizia tra i due vescovi di Jesi, zio e nipote, da una parte e il C. dall’ altra. Di questo parla un certo Giovanni (Colocci?) in una lettera da Sassoferrato del 7 maggio 1537 a « meser Ioan Benedecto Ser Santi da Esi », conser vata nel Codex Archetypus; era da poco morto il Favorino ed il Ser Santi è pregato, per il bene di tutti, di interporre i suoi buoni uffici tra il vescovo di Nocera, Angelo, ed il vescovo di Jesi, Antonio, che è « gentil Signore et umano et simile monsig.re Angelo ». Il Sadoleto probabilmente non sapeva di questa inimicizia. Di Giovan Francesco Bini sappiamo che, nato a Firenze, verme a Roma nel 1505 e frequentò la casa di Uberto Strozzi mantovano; fu amico di molti dei letterati che vivevano a Roma in quegli anni e protetto dal Bembo e, più ancora, dal Sadoleto alle cui dipendenze egli fu nella segreteria dei Brevi. Dopo il Sacco sembra che fosse in condizioni di povertà e addirittura di abiezione; si ac comodò col Berni a Firenze e in seguito il Sadoleto gli fece avere alcuni canonicati, tra i quali quello di Santa Maria Maggiore a Roma dove fu sepolto quando morì nel 1556. Di lui rimangono lettere, stampate nelle raccolte, capitoli, che imitano quelli del Berni, e due epigrammi latini oltre quello nei Coryciana (c. 73); doveva essere un buon ciceroniano. Non risulta che fosse in particolare amicizia col C.:v. G. M. M a z z o c h e l l i , Gli scrittori d,Italia, Brescia 1753-63, II, pp. 1237-41, e C i a n , Gioviana, già cit., p. 332 n. 115 L ’originale dice; concertando.
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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Nam illa ornamenta et lumina linguae latinae 116 Phaedrus et Camillus P orcius 117 magno cunctorum incommodo jamdiu morte erepta nobis sunt: in quibus sedem sibi videbatur statuisse eloquentia. Cuius nunc honorem atque nomen consensu jam urbanorum omnium, retinet Paulus Iovius, et in scribenda historia et elegans 118 et in omni genere Hiera rum perpolitus. Quin et duorum summorum hominum me admonet recordatio, fuisse quoque eorum conventu 119 nostras aliquando coenas atque epulas exornatas; quorum est unus Petrus Bembus, cuius in omni virtute laudeque eloquentiae summa et singularis semper fu it gloria: alter, qui nuper in Hispania decessit maximo cum maerore omnium quibus 120 fuerat notus, hoc est plane omnium,
Balthasar Castilio-
116 L’ originale dice: Romanae linguae. Ubaldinum è Ubaldino Bandinelli di nobile ed antica famiglia fiorentina. Ebbe incarichi in Curia, finché Paolo III nel 1548 lo fece ve scovo di Montefiascone; Giulio III lo richiamò a Roma nel 1551, ma nello stesso anno mori a 58 anni, come dice l’ epigrafe sulla sua tomba in Santa Maria sopra Minerva a Roma. Non ha lasciato scritti; sulla fine del 1536 aveva mosso un attacco allo stile dei brevi del Bembo che lo mise presto a tacere aiutato in questo anche dall’Aretino. Non abbiamo trovato documenti della sua amicizia col C.; lo stesso dicasi per Antonio Computista del quale non sappiamo assolutamente nulla. 117 L ’ originale dice: Portius. Phaedrus è Tommaso Inghirami da Volterra, così so prannominato per la sua bravura nel recitare la parte di Fedra nell’ omonima tragedia di Seneca. È notissima la vicenda che lo condusse a morte nel 1516 all’ età di 50 anni; mentre presso l’ arco di Tito cavalcava una mula, Tanimale si imbizzarì alla vista di un grosso carro di fieno tirato da bufali e lo fece cadere; le ruote del carro non lo toccarono, ma la caduta e lo spavento lo uccisero. Era di mostruosa pinguedine, tanto che il C. si prende gioco di lui con due epigrammi dando, a dire il vero, prova di pessimo gusto (v. Lancellotti, pp. 56 e 73 della IIa parte); fu anche lui nella schiera degli amanti di Imperia. È sua la lettera ad Andrea Umiliato (v. n. 107) e figura nell’ elenco delle Carte Slrozziane (v. Appendice n. 4); godeva fama di grandissimo oratore, dovuta probabilmente più alla bravura della sua recitazione che al contenuto delle sue orazioni. Raffaello ci ha lasciato il suo ritratto, oggi a Palazzo Pitti a Firenze; pochi suoi versi sono nei Codd. Vat. lat. 3351, c. 148, e Vat. lat. 3388, cc. 53 e 68. Altro principe degli oratori romani di quegli anni è Camillo Porzio, che aveva latinizzato in Porzio il suo cognome di Porcari. Anche lui figura nell’ elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4) e tra gli amici di Imperia; un suo epigramma è nei Coryciana (c. 21) e l’Arsilli (c. 134) preannuncia addirittura eterna vita alla sua Musa. Tra le carte del C. non abbiamo incontrato il suo nome; solo nel Cod. Vat. lat. 3351, c. 75, c’è un epigramma di Fausto Maddaleni Capodiferro a lui indirizzato. lls Nella traduz. lat. (p. 51) manca elegans che è invece nell’ originale; per il Giovio v. n. 84. 119 L’originale dice: conventus (senza quoque). 120 L’originale dice: in quibus. Il Sadoleto pone vicini il Bembo ed il Castiglione, certamente le figure di più alta statura tra tutte quelle ricordate. Il Bembo aveva cono sciuto il Sadoleto a Ferrara nel 1497, assieme al Tebaldeo; erano gli anni della giovinezza, degli amori e della formazione culturale alla scuola del Leoniceno, quando già il Sado leto si mostrava intransigente latinista ed il B. seguiva quelTindirizzo, nello stesso tempo religioso e filosofico, che cercava in Aristotele una soluzione filosofica e religiosa al pro blema dell’ amore e quindi una giustificazione al gusto della poesia amorosa volgare. A d Urbino nel 1506 il B. conobbe il Castiglione ed i personaggi del Corlegiano·, e nel 1512 a
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neus,121 magnus vir imprimis, nec solum nobilitate et genere sed magniRoma viveva assieme al Sadoleto proprio in casa del Fregoso. La conoscenza con il C. rimonta, piuttosto che ai fugaci periodi delle numerose visite del B. a Roma, agli anni dal 1512 in poi, quando trionfa in Roma la nuova latinità, un umanesimo cioè ciceroniano in prosa e virgiliano in poesia. Ma col C. non ci fu vera e propria amicizia; la lettera con la quale il B. da Padova il 10 settembre 1531 lo ringrazia di un sonetto che gli aveva fatto pervenire, prima per mano di un certo Gregorio da Fiume e poi di nuovo per mezzo del Tebaldeo, contiene una frase illuminante: « voi la memoria di me, non veduto da voi se non rade volte già sono cotanti anni, non solo serbate viva e verde ecc. » (v. Lancellotti, p. 131). Sembra che il B. provi addirittura meraviglia che il C. si ricordi di lui, ed il so netto potrebbe essere anche una piaggeria, non estranea al carattere del Colocci. Se è vero quello che dice Sallustio, che idem velie atque idem notte, ea demum firma amicilia est, molte erano le ragioni che non avvicinavano il C. al B.: « all’improvvisazione anarchica e al comodo eclettismo, e alle ragioni non letterarie del contenuto, il B. preponeva, in letteratura, la rigorosa disciplina e le ragioni propriamente letterarie dello stile »; ed era, questo programma, l’ antitesi della personalità del C., dilettante ed incostante, difensore, nell’Apologià di Serafino Aquilano, di quel petrarchismo deteriore che precorre i deliri del Seicento ed al quale reagisce il petrarchismo del Bembo. In quegli anni entrambi avevano iniziato lo studio del De vulgari eloquentia dantesco, che il Trissino aveva portato a Roma tra il 1514 e il 1524; il B. lo fece copiare, lasciandoci così quello che oggi è il Reginen. lat. 1370; il C. fece copiare solo il cap. I X e i primi quattro paragrafi del cap. X del II libro (v. S. D e b e n f . d e t t i , Intorno ad alcune postille di A . C., in « Zeitschrift fiir romanische Philologie », X X V III (1904), pp. 58 sgg.); gli interessavano questi capitoli, che riguardano la metrica della stanza ed i termini, del tutto nuovi ai tempi del C., usati per indicarne le parti, per la storia della poesia che aveva progettato; non sembra tuttavia che questa occasione abbia avvicinato in comunione di studi i due umanisti. Al C. man cava quell’ « eccezionale rigore del giudizio letterario e l’ eccezionale delicatezza e sotti gliezza dell’ analisi formale » che costituiscono il pregio delle Prose della volgar lingua e che il B. aveva forse tratto anche dagli studi filosofici, dai quali era alieno, e ne era di giuno, il C.; il nostro Angelo aveva in comune col B., sebbene in maniera molto meno profonda, la « conoscenza dell’ antica lingua e letteratura toscana, in sé e nei suoi rapporti con la lingua e la poesia provenzale ». Ad esempio, il B. non avrebbe mai degnato della sua considerazione, sotto l’ aspetto della lingua, l'Acerba di Cecco d’Ascoli che invece il C. giudica, e non vogliamo qui decidere se avesse ragione o torto, un importante tentativo di elevazione a dignità letteraria della « lingua picena ». Militavano insomma in campi opposti, sia nella questione della lingua, per la quale il C. era vicino al Calmeta, al Casti glione ed al Trissino, sia nell’ideale di poesia, in cui il C., oltre ai modelli già spesso ricor dati, aveva gusto spiccato per la poesia familiare, burlesca e satirica, totalmente estranea allo spirito elegante, aristocratico, e forse libresco, del Bembo. Per le lingue romanze si può forse dire che, nei confronti del B., il C. guadagna in estensione quello che perde in profondità, avendo allargato le sue ricerche al portoghese, al catalano ed al francese. Dei rapporti fra i due abbiamo ricordo, oltre che nella lettera, citata sopra, del B., in due sonetti del C. riportati, l’uno, quello del 1531, dal Lancellotti (p. 11 della IIa parte), l’ al tro, in morte del B., dalTUbaldini (qui, p. 98); il C. ne ha inoltre conservato versi nei Vat. lat. 2836, cc. 118-19 e Vat. lat. 3352, c. 37; il B. è anche ricordato nell’ elenco delle Carte Strozziane e in quello del Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1 e n. 4); è, accanto al Ca stiglione, nell’ elenco dei poeti suoi contemporanei del Vat. lat. 4831, c. 104. Sul B. v. nel Dizionario biografico degli Italiani, ad vocem, l’ articolo di Carlo Dionisotti, dal quale sono tratte le parole che abbiamo messo tra virgolette.
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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tudine etiam animi et omni eximia virtute praestans: quique quod in militari viro erat admirandum,1 122 omnes omnino artes libero homine 1 2 dignas et omnia doctrinae genera comprehenderat: quem ego recordor saepe atque hilare nostris coetibus interfuisse: et ipsum, et eum ,123* qui paulo ante est mortuus summa indole ingenii et spe maximae virtutis Ioannem Franciscum Furnium civem meum.121 Namque hos qui modo secutus supremum in Gallia obiit diem, pari cum illis virtute et nobi litate praestans Andreas Navagerius, tametsi nostris coetibus minus saepe interfuerat: propter excellentem tamen in litteris, et scien tiam et gloriam a nobis est perhibendus. Lazarum autem, qui nunc
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abest a nobis,125 cuius in Graecis et Latinis singularis est eruditio,
121 L’originale dice: Baldasar. Il Castiglione, « uno dei migliori cavalieri del mondo », come lo giudicò l’imperatore Carlo V, non sembra che abbia avuto rapporti col C., se non in qualche incontro occasionale nelle riunioni di cui parla il Sadoleto. Riguardo alla que stione della lingua possiamo dire che il suo ideale di lingua volgare illustre la quale, « se ella non fosse pura toscana antica, sarebbe italiana, comune, copiosa e varia », (Il Cortegiano, già cit., p. 60), si avvicina a quello del C. che insiste sulla « lingua comune »: « Nui che componemo nella comune lingua de Italia, non la latina, ma la comune cerchiamo im itare» ( Vat. lat. 4817, c. 115). Collaborò ai Coryciana (c. 67v) e, tra le carte del C., abbiamo trovato suoi versi nei Vat. lat. 2836, cc. 11 l v e 119; Vat. lat. 3351, cc. 144 el5 9 v62; Vat. lat. 3352, c. 127. È nell’elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4); il non trovarlo nell’ elenco che il C. ci ha lasciato nel Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1), che pure raccoglie per la maggior parte nomi di poeti contenuti proprio nel Vat. lat. 2836, ci fa pensare che egli non lo giudicava poeta, come in realtà non era, e inoltre non lo aveva in amicizia come gli altri, sebbene sia nell’ elenco dei poeti suoi contemporanei, accanto al Bembo, nel Vat. lat. 4831, c. 104. 122 L ’ originale dice: mirabile. 122 L’ originale dice: illum. 121 L’originale non ha le due parole civem meum. Il Furnius è Giov. Francesco Forni, modenese come il Sadoleto; dopo aver studiato a Bologna sotto il Pomponazzi, vi inse gnò logica. Passò poi a Pisa e quindi entrò al servizio del card. Ercole Gonzaga, al quale Pierio Valeriani dedicò il X X X V I I I libro dei Hieroglyphica nel quale si parla anche del Forni. Era a Roma nel 1524, ma durante il Sacco era a Mantova; da lì il Gonzaga si recò ad Orvieto per rallegrarsi con Clemente V II dello scampato pericolo ed il Forni, che lo seguiva, si ammalò ed in pochi giorni morì, ancor giovane, sembra per l’ eccessiva fatica negli studi, secondo quanto dice in una lettera Ubaldino Bandinelli. I suoi interessi fu rono prevalentemente filosofici, ma Giulio Cesare Scaligero ne fa grandi lodi come poeta. V. T i r a b o s c h i , Biblioteca modenese, già cit., II, pp. 348-51. Non risulta che abbia avuto col C. particolari vincoli di amicizia. 125 L’ originale dice: vobis. Di Andrea Navagero, come anche del Bonamico e del Maffei, è lo stesso Sadoleto a tracciare un breve, ma esatto profilo; veneziano di nascita, visse per lo più lontano da Roma e morì a Blois, in Francia, nel 1529 durante una difficile mis sione diplomatica affidatagli dalla Repubblica Veneta. Storico e poeta di qualche pregio, fu critico acuto iniziando, si può dire, lo studio della Poetica di Aristotele che tanta for tuna ebbe in seguito. Il C. raccolse suoi versi nei Ottob. lat. 2860, cc. 12, 116, 146, 158, 177; Vat. lat. 2836, c. 108; Vat. lat. 2874, c. l l l v; Vat. lat. 3352, c. 280; Vat. lat. 3388, 6
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Federico Ubaldini
quique philosophiae et sapientiae studia non solum scientia, quod fa ciunt permulti, in quibus tamen excellit: sed vita et moribus et vera virtute complexus est: credo equidem vobis in desiderio esse, itemque Marium Volaterranum, hominem gravem jam , et dignitate, et annis: sed cuius admirabile ingenium summamque optimarum 126 literarum cognitionem,12,7 nisi urbs et urbanae curae praepedivissent, plurimum lucis allaturum 128 nostro saeculo non dubito fu isse: a quo potissimum exhilarabantur caenae nostrae: cum et in lacessendo acute et in respon dendo, omnes ex eius verbis atque vultu effluerent129 lepores. Nam Marium Buccabellum, quod audio esse incolumem maximopere laetor: hominem cum omni virtute ornatum, tum mihi amicissimum. Atque inter hos tot et tales viros, aliosque complures, quorum omnium nomine prosequi 130 non huius est scriptionis, dulces quoque Corytii iracundias et gratas ineptias Donati spectare haud displicebat; quos noster Savoia homo omnium facetissimus et provocare solebat studiose, et ridere.131
ce. 123 sgg., 264v, 266, 267. Anche Lazzaro Bonamico visse a Roma solo un paio d’ anni, dalla metà del 1525 fino al maggio 1527; pochi giorni prima del Sacco se ne tornò a Pa dova (era nato a Bassano nel 1478) dove insegnò e morì, nel 1552, allietato dall’ amicizia del Sadoleto e di Reginaldo Pole. Sostenne la preminenza del latino sul volgare e rivolse il suo interesse, più che verso la poesia, verso i problemi di critica e di filosofia. Il C. rac colse pochi suoi versi nei Ottob. lat. 2860, ce. 142v-143 e Vat. lat. 3388, c. 3. Su di lui v. nel Dizionario biografico degli Italiani, ad vocem, l’ articolo di Rino Avesani. Della sua amicizia col C. si ha ricordo in una lettera di Bernardino Maffei (v. Appendice n. 12). 126 Nella traduz. lat. (p. 52) manca optimarum che invece è nell’originale. Su Mario Maffei Volaterrano v. n. 47. 127 L’originale dice: peritiam. 128 L’originale dice: allaturam. 129 L’originale dice: effluerant. Il periodo seguente: Nam Marium... mihi amicissimum. manca nell’ originale; tuttavia è nella traduz. lat. (p. 52). 130 L’originale dice: persequi. Anche Mario Boccabella è sfuggito alle nostre ricerche ed a quelle del Lancellotti (p. 127); non sappiamo neppure se il Boccabella ricordato dal C. nel Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1) sia questo Mario o quel Paolo Emilio, probabil mente suo parente, del quale abbiamo trovato versi nei Codd. Vat. lat. 3352, c. 143; Vat. lat. 3353, c. 149; Ottobon. lat. 2860, c. 97. 131 II periodo: quos noster Savoia.... et ridere, manca nell’originale; ma è anche nella traduz. lat. (p. 53). Il Corytius è Hans Goritz, venuto da Treviri a Rom a e stabilitosi in una villa sulle pendici del colle Capitolino, vicino al Foro Traiano, celebratissima anch’ essa come quella del Colocci. Ebbe cariche in Curia e doveva essere colto, munifico e ambi zioso; la sua fama ci è stata tramandata dai Coryciana (v. n. 113), raccolta di epigrammi che Blosio Palladio avrebbe, a suo dire, sottratto al Goritz e pubblicato; nella raccolta non ci sono versi suoi, ma c’ è un epigramma del C. (c. 17v), il quale è ricordato anche dall’Arsilli (c. 136); del Goritz c’ è invece una lettera (c. 131) in risposta a Caio Silvano Germanico che gli aveva presentato il poemetto dell’Arsilli, De poetis urbanis, incluso nella raccolta. Ma non furono tutti elogiativi gli epigrammi di Angelo; ce ne sono addi rittura di offensivi che provocarono le dulces Corycii iracundias, e probabilmente la loro amicizia finì con una rottura. Il Goritz durante il Sacco passò molti guai, fu malmenato
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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Nani de te, mi Coioti, quid dicam? *132 cuius in animo et natura mihi videntur musae effigiem sui moris ac decoris insculpsisse, ut esses pudore, virtute, liberalitate ornatissimus: cuius pectus atque ingenium doc trinis omnibus, domus autem ipsa tua omnibus doctis pateat.133 Tali erano gli amici e tali le conversazioni di quel secolo stimato d’oro, fino a tanto che il ferro, che devastò Rom a nel 1527, non distrusse quasi afatto l’eterna Città e così bel vivere. Non mica dall’univer sale sciagura fu esente il Colocci, anzi impriggionato et taglieggiato due v o lte 134 dall’ingordigia Spagnuola, si vidde ardere le proprie case, sì dove habitava come l’ altre che possedeva in Rom a; dalle quali traheva molto frutto, le quali o poi ridusse a orti, o gli resta rono senza solaro o tetto.135 Stette anche sette anni senza l’utile dell’ offitio del Notariato, et havendo comperati i Datii, gli furono per le pubbliche calamità, ritolti, ancorché con gli altrui denari
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e riuscì a fuggire a Verona dove morì nello stesso anno. È esistita un’Accademia Coriciana, come è affermato da Ettore Paratore nella biografia del Beroaldo (v. n. 113) e dall’elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4)? Ci sembra di dover ripetere qui quanto abbiamo già detto per l’Accademia del C.: come istituzione regolare vera e pro pria no, come salotto letterario sì, ma senza tuttavia che i promotori avessero fini ben precisi, se non quello di passare ore liete banchettando e discutendo di letteratura. Sul Goritz v. A d . C o l o c c i , A. C. ed Hans Goritz, già cit., che è un rifacimento piuttosto cu rioso ed acritico di quanto è detto da L. G e i g e r , Der älteste römische Musenalmanach in « Vierteljahrschrift der Kultur und Litteratur der Renaissance », I, Berlin 1886, pp. 143 sgg.; per gli « Academici Coritiani » v. l’ elenco nelle Carte Strozziane in Appendice n. 4. Donatus dovrebbe essere il Pollio Donato, fiorentino, che nelle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4) è detto Donatus Tuscus; di lui sappiamo ben poco di più di quanto ci dice il Lancellotti (p. 128). Il Cian (in Gioviana, già cit., p. 334) lo ricorda come insegnante di retorica e collega del Giovio, che insegnava a sua volta filosofia morale, nell’Archiginna sio romano nel 1514 ed aggiunge che, secondo Paride Grassi, era soprannominato secretarius magistri Pasquilli. Fu ucciso nel sonno da un servo che voleva derubarlo; nelle carte del C. non lo abbiamo incontrato in nessun luogo e pensiamo che i loro rapporti non andassero oltre la semplice conoscenza. Anche del Savoia nelle carte colocciane non abbiamo trovato notizie; sembra fosse di Trieste. Nei Coryciana (cc. 22v e 23) si conser vano due suoi epigrammi; un altro nel Suburbanum Augustini Chisii (c. 3; v. n. 113); l’ Inghirami lo ricorda nella sua lettera all’ Umiliato (v. n. 107). Secondo il Lancellotti (p. 128) fu troppo dedito alle faccende politiche per dare qualche frutto nelle lettere, ma que sta non è che una ripetizione di quanto è detto dal Sadoleto. 132 L’originale dice: quid ego dicami 133 II Lancellotti (p. 128) scrive pateret; e così è nell’originale. 134 II Lancellotti (p. 26) non è d’ accordo su questa notizia fornita da Lilio Grego rio Giraldi; ma quale altra interpretazione può darsi ai versi citati più avanti? Supporre, come fa il Lancellotti, che Clemente V II si sarebbe preoccupato di salvare il C. in quei drammatici momenti è un’ esagerazione non sostenuta da alcuna prova. 135 Sono parole dello stesso C. nella lettera del 17 maggio 1536 a Gio: Benedetto Santi, della quale si conserva l’ originale nel Codex Archetypus; v. anche Lancellotti, p. 27, n. a.
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Federico Ubaldini
havesse comperatigli, cioè di Camillo o di Girolamo Santoni, suoi cugini carnali.136 Dice manifestamente Gilio Gregorio Giraldo che il Colocci due volte fosse riscattato, e ch’ alia per fine si riducesse in Jesi sua patria; laonde il Giraldo, bisognoso anch’ egli di aiuto in quella calamità, disse del Colocci: N on potes hic praesto esse mihi officiose Coioti; Te tuus Aesis habet, nec te tua plurima virtus, Musaque protexit, quin digna indignaque ferres. Bisque impacatus vitam taxarat Hiberus.137 Oltre alle predette sciagure si vidde spogliare delle sue pretiose suppelletili e d’altre cose a sé carissime, e privarsi di alcune grandi e bellissime medaglie di oro, sì che per rihaverle in processo di tempo bisognò ricomperarle con molta moneta .138 Ma niun dolore il trafisse più al vivo che la perdita de’ libri greci, latini et hebraici e certa mente qual pietà può vincere maggiormente l’ affetto di un huomo dato agli studi delle lettere, che mirare con gli occhi proprij le fa-
136 Di questo denaro preso in prestito dai cugini si parla nel testamento del 31 luglio 1544, riportato nel Codice Colotiano, cc. 44-46; una copia in pergamena è anche nel Codex Archetypus. Il Lancellotti (pp. 188 sgg.) lo riporta datandolo 1543, invece che 1544. Per gli uffici goduti dal C. v. n. 27. Per i due Santoni va ricordato che la madre del C. appar teneva a quella famiglia. 137 V . L i l i i G r e g . G y r a l d i Operum quae extant omnium tomi duo, Basilea 1580, I I 0, p. 625, vv. 188-191 della Epistola versu conscripta, in qua agitur de incommodis, quae in direptione urbana passus est etc. L’ amicizia del C. con Gilio Gregorio Giraldi risale probabilmente al periodo napoletano; infatti il giovane, che era nato a Ferrara nel 1479, si recò presso la corte aragonese nella speranza di migliorare le sue condizioni, poiché era povero, appena terminati gli studi nella città natale. A Roma era nel 1512, al seguito del card. Ercole Rangone di cui era stato precettore; troviamo infatti suoi versi nel libretto, già cit., In Celsi Archelai Melini funere (c. 28). Fu molto amico di Celio Caleagnini che lo curava della gotta e di altri numerosi malanni; come lui, fu erudito più che poeta, ma di modesto spirito critico. Fu amico anche del concittadino Tebaldeo e del C., a quanto questi versi e le parole riportate più avanti (v. p. 77) ci lasciano intendere. Dopo il 1527, per il disastro del Sacco e per la morte del protettore Rangone, se ne tornò a Ferrara dove morì nel 1552. Suoi versi sono anche nel Cod. Vat. lat. 3351, c. 158v, e nei Coryciana (c. 91v). Nel De poetis nostrorum temporum (Berlino 1894), a p. 18 dice: Porcellius quidem Romanus elegiarum libros reliquit, quos mihi vir doctus et officiosus Angelus Colotius legen dos tradidit. (Sui Porcelio v. n. 20); a p. 37 c’è il giudizio riportato dal Lancellotti (p. 134); a p. 73, parlando di Elisio Calentio, dice: Non multa huius carmina memini me legisse, audio tamen pleraque extare quae et Angelo Colotio, episcopo nucerino, Elisius vivens ipse dicavit. (Sul Calentio v. pure n. 20); e infine, parlando dei poeti che poetarono in verna colo (e, secondo lui, fecero male) a p. 85 dice: De quibus primum Colotius, deinde Bembus, pluribus disseruere. 138 Si parla di questo nel testamento del 31 luglio 1544 (v. n. 136, p. 90 e nn. 163 e 164).
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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tiche di ingegni grandissimi e santissimi da barbare mani lacerare, gettar nel fango o convertire in uso laidissimo ? 139 Era grande il danno de’ libri stampati, ma immenso e irreparabile quello degli scritti in penna, di tal uno de’ quali non ne rimase pur copia, e quanto accrebbe questo dolore al Colocci la perdita di tanti amici e letterati, i quali o morirono in quell’eccidio o si dispersero miseramente. Non fu cosa più propria di Angelo che la legge dell’ amicitia 140 e fu quella che il rese singolare tra l’altra gente: quindi egli haveva tanti di-
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pendenti dalla sua virtù e non dalla fortuna, per esser valorosi e sapienti, quali per la lettera del Sadoleto si può discernere. Gilio Greg. Giraldo sudetto afferma del Colocci così: Angelus Colotius Aesinus, unus praeterea mortalium omnium erga amicos non modo vivos, sed etiam vita functos, officiosissimus,1411 2E si raccoglie da P. Sommonte 4 che il Colocci quelli tra gli amici con maggiore affetto venerò che maggiormente il valevano. Onde procurò che si stampassero i libri del gran Pontano e che se gli inalzasse una statua nella guisa che si costumò da gli antichi Principi, a Claudiano, ad Ausonio, a Virgilio et ad altri. Nec solum, dice il Sommontio al Colocci, scripta haec edenda curas; verum etiam de erigenda illi more majorum statua, deque assiduis honoribus. Quo fit, ut nulli omnino inferior tua in illum pietas ac liberalitas habeatur,142 e questo dice dopo aver a piena
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139 Sono le stesse parole usate dal Valeriani nel dialogo De Litteratorum infelicitate, p. 24 dell’ ediz. cit.; dei casi miserandi e della morte di tanti letterati durante il Sacco parla diffusamente lo stesso Valeriani nel dialogo. Di libri ebraici, stampati o manoscritti, ap partenuti al C., fino ad oggi non ne sono stati trovati; v. Lattès, pp. 313-14 n. 140 Di questo culto dell’ amicizia il C. si vanta spesso; si veda, ad es., il testamento, già ricordato, del 31 luglio 1544 (Lancellotti, pp. 188-90; semper in ejus Domo Romae hospitavit plures Affines, Amicos et Consanguineos) e la lettera a Pier Vettori del 20 giu gno 1548 (v. Lettere di Londra, già cit., p. 116) dove dice: « Io son di natura che amo l’ amico et in vita, et in morte ». I suoi amici gli riconoscevano volentieri questa bella qua lità, tanto che Pier Francesco Giustolo in una lettera, riportata dal Lancellotti (p. 153; si badi che in molti esemplari mancano proprio queste pagine: v. Lettere ecc., cit. sopra, p. 128), parlando della quaestio de nominum impositione, se, cioè, i nomi siano applicati alle cose da natura o per pubblico consenso degli uomini, così scrive al C.: ut si potius sententiae adhaerescam, quae id ipsum naturae munus esse contendit, tuum sane cognomen suadet, quod amicos religiose colendo ita imples, ut agnatum tibi illud prorsus videri possit: atque hunc animi praestantissimi affectum non viventibus solum praestas, quos plurimis ac maximis beneficiis demereris", sed, quod rarissimum est, etiam defunctis; e seguita ricordando il Pontano, il Cingulo, il Calentio ed il Massimi (v. n. 44). 141 L. G r e g . G y r a l d i , op. cit., II, p. 394, nel dialogo primo dell’opera De poetis nostrorum temporum dialogi duo. Il Giraldi è citato anche a p. 76; su di lui v. n. 137. 142 Iov. P o n t a n i , op. cit., I, p. 585, in fondo alla lettera di dedica del libro De imma nitate. Dalla stessa lettera trae l’ Ubaldini la notizia su Francesco Piceolomini d’Aragona, arcivescovo di Bisignano. La parole del Summonte sono leggermente modificate da una
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Federico TJbaldini
bocca esaltata la liberalità di esso Colocci verso l ’opere del Pontano e che non cedeva in questo a Francesco Piccolomini d’Aragona, arcivescovo di Bisignano. Procurò altresì che si pubblicassero le rime del Serafino, dello Staccoli, e i versi del Calentio. . . 143 e d’altri amici e dotti personaggi; ma due amici del Colocci nominati dal Sadoleto son degni che con ispecial memoria siano qui ricordati, poiché oltre che furono i più amati dal Colocci, anche per sé mede.mi si rendono degni di ogni encomio; l’uno e l’ altro sommamente dotto, l ’uno e l’altro di ottimi costumi era dotato. L ’un greco e l’ altro latino; l’un nato di Principi e tra Principi nutrito, e l’ altro che di nutritore di gran Principi, divenne principe de’ principi. Quegli procurò con infinite fatiche, ma indarno, racquistarsi il Principato; questi, senza altra fatica che con quella onde s’acquista la virtù, ottenne il sommo Principato della Chiesa: ambedue tanto amici di M ons.r Colocci, che tu diresti essere una medesima mente et una medesima anima distribuita in più petti. L ’uno fu Giovanni Lascari, Costantinopolitano, e l’ altro Marcello Cervino, Toscano. Col Lascari fin da fanciullo e forse appresso il Despoto Andrea Paleologo, con trasse Angelo amistà, e di mano in mano l’ aiutò ne’ suoi gran disegni di disturbare il Turco dalla Grecia, pensieri non dalla vanità o malincolia somministrati, o dal desiderio di accattar adito appresso i Principi, ma per sottrame veramente Europa et Asia dalla rapacità de’ Barbari. Non picciol credito haveva il Lascari per la nascita sua,
mutilazione dell’Ubaldini per la quale cambia un po’ il senso: deque summis honoribus as sidue cogitas. Il C., a quanto riferisce il Summonte, ha molto pensato di far erigere una statua al Pontano, ma non ci risulta che la statua sia stata inalzata, come si potrebbe pensare leggendo l’Ubaldini, sia nelle redazioni italiane, sia nella traduz. lat. (p. 56). Il Percopo ( Una lettera pontaniana inedita di P. Summonte ad A . C., già cit., pp. 388-95) getta luce su questo proposito di erigere la statua al Pontano; il Summonte aveva esor tato i napoletani a far questo fin dal 1508 e il C., in una lettera del 7 dicembre 1518, gliene aveva chiesta una che egli forse voleva erigere a Roma. La risposta del Summonte, del 29 gennaio 1519, è di grande interesse perché in essa egli promette al C. di mandargli l’ autografo del De rebus coelestibus, che in effetti oggi è il Cod. Vai. lat. 2839 con qualche nota del C.; l’Ubaldini conosceva evidentemente queste lettere. Francesco Piccolomini d’Aragona, pronipote di Pio II e figlio del duca di Amalfi, fu fatto vescovo da Alessan dro VI nel 1498; Bisignano è antica diocesi della Calabria (Besidiae, Besinianum) unita alla diocesi di San Marco (Marcopolis). Di lui sappiamo che intervenne al quinto Concilio Lateranense e morì nel 1530; il Summonte, nella ediz. delle opere del Pontano, gli ha dedicato i sei libri De bello neapolitano tra Ferdinando d’Aragona e Giovanni d’ Angiò (II, p. 469, dell’ ediz. cit.). 143 Per il Serafino v. nn. 20 e 95; per lo Staccoli n. 94; per il Calentio nn. 20 e 90; l’ Ubaldini ripete qui quanto ha già detto a pp. 61-62. I puntini mancano nella traduz. lat. (p. 56).
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Vita di Mons. Angelo Coloeci
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et afferma il Giovio 144 ch’ egli era l’huomo di più alto affare che dopo la perdita di Costantinopoli ci fusse di Grecia sbarcato, i cui ante nati furono già in quelle parti Imperatori e gran Maestri, et egli di spirito eccelso fornito. Negli scritti del Colocci che conserva la V a ticana, si legge di sua propria mano la minuta di una lettera 145 che 114 II Lascaris, della famiglia imperiale di Nicea, rifugiatosi in Italia dopo l’inva sione turca nell’ Oriente e la caduta di Costantinopoli, fu dotto insigne che all’ amore per le lettere unì la passione per la cacciata dei Turchi dagli aviti domini. Fu a servizio di Luigi X II, di Francesco I di Francia e di Leone X che gli affidò la cura del Ginnasio greco ospitato in una casa del C. sul Quirinale (v. n. 32). Con il C. ebbe stretta amicizia; ne è prova, tra tante altre, il contenuto di un biglietto conservato nel Vat. lai. 4103, c. 23, (v. Appendice, n. 8), che ben ci rivela i rapporti che dovevano correre tra i due. Ne diamo la traduzione: (nel recto): « In nome di Dio e delle Grazie non lasciarmi andare senza nulla. Sono infatti debi tore all’oste di un’intera moneta d’oro; Dio lo sa che sa tutto. Ma anche la settimana ventura non so come passarla se non mi aiuterà la tua illustre persona. Aiutami dunque, o magnificentissimo, in modo che anche tu tragga un eguale merito presso Dio. Vale. Tuo Giovanni Spartano. Il libro è già finito con l’ aiuto di Dio, eccetto qualche piccola cosa che appunto presto sarà compiuta ». (Nel verso): « Al chiarissimo mio padrone signore signor Angelo Colocci ». Le parole del Giovio (Elogia doctorum virorum, già cit., p. 68) alle quali qui si fa ri ferimento sono quelle con le quali comincia l’elogio del dottissimo Principe greco: Ioannes Lascares graecorum fere omnium, qui Othomanicis armis patria pulsi in Italiam confuge runt, nobilissimus atque doctissimus fuit. Egli non fu veramente « Costantinopolitano », tanto che nel biglietto si dice Spartano ed è comunemente soprannominato Rhyndacenus; così pure Marcello Cervini nacque a Montefano, nelle Marche, mentre la famiglia era di Montepulciano. Sul Lascaris, che pure è figura di grande rilievo nella storia rinascimentale, manca un lavoro serio e completo che ne illumini i vari, interessanti aspetti; la recente opera di Borje Knòs (Un ambassadeur de Vhellenisme, Janus Lascaris etc., Paris 1945, recensito in Italia da Alessandro Perosa in « Leonardo », X V I, Firenze 1947, pgg. 359363) è purtroppo niente più che una superficiale compilazione da fonti molto limitate, trascurando completamente ogni indagine sui meriti filologici del Lascaris e sui meriti di lui nel rinascimento della civiltà ellenistica in Occidente. Le fonti italiane sono per il Knòs pressoché completamente inesistenti ed arriva così a grosse stravaganze che avrebbe potuto evitare ricorrendo ai lavori italiani già pubblicati ed anche a fonti inedite, almeno per i periodi fiorentino e romano della vita del principe greco, per i quali questa ricerca era evidentemente indispensabile. Avremo più avanti (n. 145) occasione di notare qualche altra grave lacuna per quanto riguarda i rapporti con il nostro C., che è appena fret tolosamente citato (p. 213), senza ricordare la parte da lui avuta nelle edizioni del Ginna sio greco di Leone X , la stretta amicizia che lo univa al Lascaris e i numerosi e frequenti contatti fra loro, dei quali troviamo interessanti ricordi nei codici vaticani e nei libri. Del resto quanto qui dice, forse un po’ enfaticamente, l’Ubaldini è testimonianza di un’ a micizia ben profonda e non limitata al campo delle sole lettere. 145 Quella che l’ Ubaldini chiama « minuta di una lettera » non è altro che la copia o, forse meglio, il riassunto di un discorso esortativo a Carlo V per spingerlo alla guerra contro i Turchi; più avanti (v. p. 101 e n. 176) l’ Ubaldini parlerà di questo stesso discorso come di un’ opera del C. dal titolo De rebus Turcicis, tratto in inganno probabilmente dal fatto che il discorso è scritto in prima persona, di mano del C., che lo avrà desunto dal-
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Federico Ubaldini
il Lascari scriveva in italiano a Carlo Quinto Im p .re, la quale ha molta corrispondenza con quello che di lui racconta il Giovio. In Fiorenza trovai modo (dice egli) con la buona memoria del M a g .co Lorenzo de’ Medici di esser mandato al Prencipe de’ Turchi con pre testo virtuoso e due anni in quelle parti andando, e tornando per di verse vie et una volta per mare, ho notato li paesi: ulterius ho conside rato la potenza, la disposizione per mare e per terra, li costumi loro pertinenti a guerra. A d Innocentio, conducendo il fratello del Prencipe de’ Turchi, andai a parlare et informar di quello che sapevo. M a il Papa per altra causa, o per la morte di Mattia, non tentò quella impresa che haveva divolgata. Passò poi il Re Carlo in Italia con bello esercito, parlai ancora con lui informandolo, e perchè prometteva, tornando in Francia e fatto che havesse maggiore apparato, attendere alle cose di
l’ originale del Lascaris, ed occupa le cc. 42-49 del Vat. lat. 4820. L’Ubaldini, accingen dosi a scrivere la vita del C., credette addirittura che quanto si dice in quelle carte fosse detto dal C. parlando di se stesso e gli attribuì un’ attività politica che invece il nostro umanista non si sognò mai di svolgere, lontano com’ era per sua inclinazione sia dalle armi che dalla politica. Così nel Barber. lat. 4000, cc. 250v-256r e nel Barber. lat. 4871, cc. 155-164, che contengono le prime stesure della Vita, si attribuisce al C. tutta l’ attività del Lascaris; nella stesura definitiva sono rimaste le tracce di questa confusione. Il Lancellotti (p. 25), senza indicare la fonte, gli attribuisce anche lui attività diploma tiche sotto il pontificato di Clemente V II, attività che sarebbero finite col disastro del Sacco nel 1527; ma si rifiuta giustamente di credere (p. 31) quanto invece affermarono il Crescimbeni, il Quadrio e specialmente l’Allacci, tratti probabilmente in inganno dalle prime stesure della Vita nei codici barberiniani ricordati. A noi sembra di poter tran quillamente affermare che il C. in tutta la sua esistenza non si è mai occupato di queste cose; del resto, come uomo di governo, l’ esperienza di Ascoli non lo entusiasmò certamente ed anche nel governo della sua diocesi di Nocera non rivelò certo buone qualità, prenden dolo addirittura come un esilio. Del discorso, tenuto dal Lascaris di fronte a Carlo V dopo la battaglia di Pavia per esortarlo a volgere le sue armi piuttosto contro i turchi che contro i francesi, esiste più di una redazione; questa, contenuta nel Vat. lat. 4820, non sembra neanche definitiva e, ad un certo punto, si presenta frettolosa e lacunosa, interrompendosi senza arrivare alla fine; porta il titolo De Rebus Turcicis e in alto, sempre di mano del C., c’è il nome del La scaris seguito da alcuni versi elogiativi del re di Francia e da alcune parole dello stesso Lascaris: Iusta impresa et honesta, utile et necessaria alla rep. cristiana tornar nella mia patria libera; segue la trattazione con le parole riportate dall’Ubaldini. Una redazione completa del discorso è contenuta invece da c. l r a c. 10r del Vat. lat. 3890 col titolo: Discorso fato per el s.1 Ioanne Lascharis ad la Ces.a ALtà de Carlo quinto in mandrile de lanno 1526.; e finisce: La in form a ti farò con più otio di K.ra V7.1!l poi ch’il Chr.° e libe rato che prima e superfluo. Il discorso sembra che abbia il duplice scopo di affrettare la liberazione di Francesco I, caduto prigioniero a Pavia, e preparare la guerra contro i Turchi: il contenuto è lo stesso della stesura del Vat. lat. 4820, almeno fin dove questo arriva, ma ne è leggermente diversa in qualche luogo la forma ed alcuni particolari di poco conto mancano o nell’una o nell’ altra stesura. Il Vat. lat. 3890 è una miscellanea di storia riguardante quasi esclusivamente la lotta fra Carlo V e Francesco I durante il pa-
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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Turchia, io lo seguitai. M a morto Carlo parlai piu fiate col Re Luigi et egli mi mandò a Venezia dove stetti molti anni per suo ambasc.ie e parlai molte volte con quella Signoria. Alla buona memoria del padre di V. Maestà quando passò per Francia, per introduttione del Sig.ie di Lignì parlai con l'avo materno di V. M .ta a Savona e con l'Avo pa terno di V. Sublimità a Trento, con Giulio, con Leone Papa; il quale, per fare esperienza, mi mandava a Milano con gran commessione, con l'intendimento del prefato vostro Avolo e del Re di Francia quivi
pato di Clemente V II; il Lattès (p. 343) ne attribuisce il possesso al C., non sappiamo per quali ragioni perché non ci sono sue note. Altra stesura è quella che abbiamo in francese, tradotta da François de Belleforest (Harengues militaires et concions de Princes, Capitaines, embassadeurs, et autres manians tant la guerre que les affaires d'Eslat, Paris 1573, a p. 1383: Harengue du Seigneur Jean Lascaris Constantinopolitain à nom du Pape Clement 7 ò l'Em pereur Charles le Quint après la bataille de Pavie.) che è assai diversa dalle altre due, molto di più di quanto si possa giustificare con una traduzione anche assai libera, e che perciò potrebbe essere stata tradotta su una terza stesura che il Belleforest tuttavia non indica. Secondo il Legrand (Bibliographie Hellénique, Paris 1885, I, p. CLIII) il testo originale italiano del Discorso sarebbe quello pubblicato nel 1845 a Corfù dallo Scandella, che lo avrebbe tratto da un manoscritto conservato nel Collegio urbano di Propaganda Fide; questo manoscritto è attualmente il Borg. lat. 305, nel quale la copia del discorso, eseguita verso la prima metà del ’600, va da c. 238 a c. 254 col titolo: Oratione del Sig.01 Iani Lascari fatta alla Sacra M .ta Ces.a di Carlo V. per la liberazione del Xpianiss0 Re Frane.0 suo prigioniero belliss.m&: il codice è una grossa miscellanea di argomento storico, su fatti accaduti tutti nel secolo x v i, ed è entrato nella Biblioteca Vaticana nel 1902 cogli altri codici del Collegio di Propaganda Fide, tra i quali erano quelli del card. Borgia che die dero il nome a tutto il gruppo: probabilmente questo codice non era tra quelli borgiani, ma piuttosto tra quelli del Collegio. Pensiamo che le quattro stesure da noi ricordate si possano cronologicamente ordinare in questo modo: la prima è quella del Vat. lat. 3890 che per la scrittura si può considerare contemporanea all’ epoca in cui il Lascaris pro nunciò il suo Discorso ed è probabilmente quella originale; subito dopo collocheremo quella specie di sunto che il Colocci ne fece per suo uso e che si conserva nel Vat. lat. 4820, con l’intenzione forse di ricavarne un’ operetta non portando poi a termine il progetto, come era solito, e non completandone neppure la stesura; la terza è la traduzione francese a stampa; ed infine abbiamo la copia nel Borg. lat. 305. Questa copia è fedele al Vat. lat. 3890 ed ha perciò ragione il Legrand di pensare che l’ edizione curata dallo Scandella riproduca l’ originale; questo libro è purtroppo sfuggito ad ogni nostra ricerca e sap piamo solo che lo Scandella fu vescovo di Gibilterra (cf. P. S. G a m s , Hierarchia Catho lica — Supplementum I, Monachii 1879, p. 89) nel 1857 per una sua lettera pastorale a stampa al clero ed ai fedeli di quella Diocesi, conservata nella Biblioteca Angelica (Arca dia, Mise. B. 108. 2). La traduzione del Belleforest potrebbe anche essere un rifacimento su una copia dell’originale; le abbondanti e libere modificazioni del testo potrebbero es sere opera del Belleforest, dovute al desiderio di adattare il Discorso al gusto della sua epoca: ad esempio, l’introduzione è molto diversa e sono omessi molti particolari, nomi e piccoli episodi. Il Knos ha usato solo questa traduzione, pur essendosi accorto che « Belle — Foresi n’ est pas le traducteur parfait » (p. 157). Dell’ attività politica del Lascaris contro i Turchi rimangono molte altre tracce, oltre il Discorso; nel Vat. gr. 1414, che è una miscellanea appartenuta a Matteo Devaris
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Federico Ubaldini
presente: e pervenendogli avviso per via di mare e per mio ricordo degli accrescimenti del Turco, si mise a fa r questo, affinchè il Turco non si facesse maggior Signore. Cosi si è fatto quanto era in me; ora, havendo inteso la vostra vittoria e grandezza di V. M .tA, parlai con Clemente. Ora avete in mano il Re Cristian.mo, gran mezzo della Vittoria. Ma non giovarono le diligenze et i travagli del Lascari a nulla per mancanza di corrispondenza di chi poteva operare su i suoi disegni. Sì che si lasciò il campo cotanto largo al Turco che potè, quindi a poco, scor
e pervenuta alla Vaticana con i libri di Fulvio Orsini, da c. 46 a c. 95 c’ è una Iani Lascaris informalio pertinens ad provinciam contro Turcas ad Clement. VII. Pont. Max., che sembrerebbe di mano del Lascaris stesso, con molte correzioni sempre della stessa mano. Anche il Vast (De vita et operibus Jani Lascaris, Paris 1878, p. 11) parla di una Informazione ad impresa contro a Turchi data per Jano Lascaris nel M D V I I I contenuta nel Cod. Magliabec. X XV .9.655. UInformazione è scritta in una bella umanistica del pri mo ventennio del Cinquecento, di tipo librario; forse della mano di quel Giovanni Rolla da San Miniato che si sottoscrisse come proprietario del libro sul recto della prima carta. Sotto questa sottoscrizione se ne legge un’ altra: Hieronimi Rofie-, e sotto una terza: di Luigi del Senatore Carlo di Tommaso Strozzi, 1677. Il numero 7129 che si legge in alto alla prima carta probabilmente è quello della collocazione del manoscritto nella raccolta Strozzi; un cartellino avverte infatti: Provenienza Strozzi 4° n. 712. Il testo del Lascaris si arresta a c. 32v; le prime 4 carte contengono una breve storia dei Turchi e delle loro conquiste, a mo’ di premessa. Questa relazione scritta mentre si preparava la lega di Cambrai (10 dicembre 1508) ai danni di Venezia, è molto importante per conoscere l’ animo del Lascaris che vedeva le armi cristiane rivolte in tutt’ altra direzione da quella che lui sognava; purtroppo il Knos non ha tenuto il dovuto conto né di questa né dell’ altra di retta a Clemente V II, poiché dell’una ha usato solo un riassunto (J o rga , Notes et Exlraits, 6eme Sgr,, Bucarest 1916, pgg. 45-55) e, in quanto all’ altra, sembra che non ne abbia nep pure avuto notizia. E’ forse opportuno chiarire alcuni punti: a quanto qui dice il Lascaris, egli avrebbe accompagnato presso Innocenzo V i l i nel 1487 Zizim (Djem), fratello del sultano Bajazet II; il principe turco, dopo aver invano tentato due volte di impadronirsi del trono del fratello, si era consegnato ai cavalieri di Rodi che lo portarono prigioniero in Francia d’ accordo con Bajazet che pagava forti somme affinché il fratello non fosse liberato. Il Papa e, più tardi, Carlo V i l i di Francia si illudevano che il prigioniero si po nesse a capo di una spedizione contro i Turchi; in realtà Zizim rifiutò sempre di rientrare in patria per questa via. Carlo V i l i lo liberò, ma nello stesso anno (1495) lo colse la morte a Napoli. Mattia è Mattia Corvino succeduto al padre Giovanni Hunyadi nel 1458 sui trono d’Ungheria e morto nel 1490; Carlo V i l i venne in Italia nel 1494 e veramente aveva in animo di fare del regno di Napoli la base per la conquista dei Luoghi Santi; secondo la traduz. lat. (p. 59) Luigi X I I di Francia tenne il Lascaris a Venezia come ambasciatore per sette anni. Il padre dell’imperatore Carlo V, al quale è rivolto il discorso del Lascaris, fu Filippo I d’Austria, detto il Bello, marito di Giovanna di Spagna detta la Pazza; l’ avo materno fu Ferdinando V d’Aragona, detto il Cattolico, e l’ avo paterno l’imperatore Mas similiano d’Asburgo. I Turchi, sotto Selim I, avevano conquistato l’ Egitto nel 1517 e, sotto Solimano I, quasi tutta l’ Ungheria nel 1526; quando l’ Ubaldini scriveva queste pagine attaccavano Candia e nel 1663 conquistavano altri pezzi dell’ Ungheria arrivando fin sotto Vienna, salvata nel 1683 dalla Polonia. Cipro era stata già perduta dai vene ziani nel 1570. Nella traduz. lat. (pp. 58-59) c’ è qualche piccola differenza di scarso peso.
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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rere per l’Egitto, e per l’ Ungheria sino a Vienna, quindi si tolse il regno di Cipri e tanto gran pezzo d’Africa. Ma il Colocci corrispose ben egli, come in vita così in morte, all’amicizia del Lascari e fugli cortese dell’honore, che sol resta a’ defonti, con quest’ epitaffio: Dilectus M usis, et rebus natus agendis, Quem gravida Imperiis protulit alta domus; Tot freta dum curris, totque invia regna pererras, Ausonia tandem Lascaris urbe jaces. Sed situs in patria es, Graio licei orbe remotus; Nulla est virtuti terra aliena tuae.u 6 Marcello Cervino è l’altro amico del Colocci, quel Marcello che il mondo adorò Sommo Pontefice per pochi giorni sì, ma con eterno concetto di virtù e di santinomia. Questi, venuto a Rom a, la prima fortuna che incontrasse fu l’amicitia del Colocci, la quale ritrovò tale che tra loro a pena si scorgeva qual fosse prima o l’eseguire o l ’esplicare i desiderij; e come il Colocci aiutò il Lascari nelle cose pubbliche, così il Colocci dal Cervino fu aiutato nelli bisogni privati. Ritrovo tra gli altri segni di soda amicitia, che Angelo per non con cedere all’avaritia de’ seguaci di morte quello, ch’egli riserbava in servitio delle muse, andava, come proprio egli favella, mascherando ogni suo credito sotto finta che fossero le robbe, ch’egli haveva de parecchi suoi parenti, e nascondendo i gattucci diceva « questo esser della reda; questo è di Girolamo Ripante; questo è dote della moglie di Angelo Colocci; questo è di Camillo ». Così gli bisognò isfuggire la taglia ingordissima che gli fu posta sin dal tempo dell’infelicità e del sacco di Rom a. Apparve ancora una compra di alcuni suoi beni di Marcello sudetto, con la seguente dichiarazione.146147
146 V. Vai. lat. 3388, c. 194. L’ epitaffio è stato pubblicato molte volte: v. Lancellotti, p. 70 della IIa parte. Il Knòs (op. cit.) non ne fa neppure menzione. Il nome del Lascaris si ritrova sia nell’ elenco del Vat. lat. 3450, sia in quello della Carte Strozziane (v. A p pendice n. 1 e n. 4). 147 La traduz. lat. (p. 61) si allontana un po’ dal testo italiano: quod in obsequium, uti litatemque Musarum reservabat, confictis nominibus bona sua domestica aliis, sive consan guineis, sive exoticis hominibus, sive Uxori, tamquam dotis portionem attribuebat; ut hac ra tione effugeret solutionem gravissimae multae, sibi ab ipso direptae Urbis tempore impositae; Marcellum quoque Cervinum elegit, cui quaedam praedia divendita affinxit, schedulamque idem Cervinus sua et manu et subscriptione firmavit, qua testatur, ad Colotium, non ad se pertinere praedia, quae in Aesino Agro, et domicilia, quae Romae ab eodem Colotio, emerat, ut sic ipsi Angelo Colotio caveret. « La reda » sarebbe l’ erede legittimo Marc’Antonio, figlio di Angelo; Girolamo Ripanti è il nipote di Angelo in quanto unico figlio maschio di sua sorella Francesca e di Tiberio Ripanti (v. Lancellotti, p. 214); Camillo si intende quel Camillo Santoni, ricordato a p. 76, cugino di Angelo dal lato materno.
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Federico Ubaldini
A dì 8 di feb. 1536. Fo fede io Marcello Cervini per questa scritta di mia mano, come una compra, quale ho fatta da M s. Marc’’Antonio di M s. Angelo Colotio e per lui da M s. Niccolò Fabro da Jesi, al presente mastro di casa del Rev.mo Palmiero, come procuratore di detto M s. Marco Antonio fino al dì...148 del mese di febraro presente, di due pezzi di terra posses sioni a Jesi, e di alcune case, e ancora di case a Roma, come di tutto è rogato M s. Bartolomeo da Fano, fo fede, dico, che la tal compra è stata finta e non vera, e come li denari, ch'io pagai in presenza del N otaro e testimonij, erano di M s . Colocci e non miei. Il che solo 149 si è fatto per salvare al detto M s. Marc'Antonio l'ofßtio della sua Scrittoria Apostolica in evento che M s. Angelo, suo padre, fosse condannato a torto in la causa della Taglia e così che nè io nè miei heredi li possino dimandare le prefate cose comprate, nè io ci ho a fare cosa alcuna, e così dichiaro per questa scritta, di mia mano propria fatta in Roma questo dì otto febraro soprascritto anno detto. Idem Marcellus Cervinus manu propria. Contracambio egregio diede a Marcello Cervino il Colocci, posciaché chiamato egli da Paolo Terzo all’educazione de’ suoi nepoti Card.11 Farnese e di S. Angelo, e pregatone con instanza, si scusò con la vecchiezza e con l’indisposizione, e a tanto honore proferse Marcello,150 148 Così nell’ originale. Nella traduz. lat. (p. 61) i puntini mancano, né vi è indicazione alcuna del giorno; la dichiarazione del Cervini naturalmente è riportata in italiano. 149 Nella traduz. lat. (p. 62) manca la parola « solo ». La dichiarazione è riportata nel Codice Colotiano, cc. 27-28, desunta dall’ originale che si trovava allora « i n mano del Sig. Angelo del quondam Sig. Iacomo Colocci »: l’ Ubaldini l’ avrà vista certamente a Jesi. Il nome del Cervini è nell’ elenco del Val. lat. 3450 (v. Appendice n. 1). 150 Quanto dice qui l’Ubaldini non è affatto confermato da altri storici; il Cervini non aveva bisogno di farsi raccomandare a Paolo III dal C. poiché il padre Riccardo era stato condiscepolo del Pontefice a Firenze nell’Accademia di Lorenzo dei Medici e ne era tra i due sorta amicizia e stima. Si potrebbe dire piuttosto il contrario e cioè che l’influenza del Cervini era maggiore di quella che avrebbe potuto esercitare il Colocci. Anche la fonte consueta dell’Ubaldini, e cioè il Platina (op. cit., p. 388; la vita di Marcello II, come quella di Paolo III, sono tra quelle aggiunte dal Panvinio), non accenna affatto a questo inter vento del C.: inter alios etiam Marcellum adlegit. L. D orez (La cour du pape Paul III, Paris 1932, I, p. 212) c’informa sulla data di questa scelta: Paul I I I se plaisait aussi au Belvedere et Pesi là que, peu de semaines après son couronnement, dans la matinée du 30 décembre 1534, il eut avec Marcello Cervini la longue conversation au cours de laquelle il lui confia le gouvernement de ses petits-fils. I due cardinali erano figli di Pier Luigi Farnese, figlio di Paolo III; l’uno, Alessandro, fu fatto cardinale nel 1534, ancora quattordicenne, col titolo di San Lorenzo in Damaso; fondò la chiesa del Gesù a Roma e fu abile diplo matico; l’ altro, Ranuccio, cardinale nel 1545 col titolo di Sant’Angelo, a 25 anni, fu uomo di lettere che ebbe mons. Della Casa come segretario dal 1548 e nel 1558 Fulvio Orsini come bibliotecario.
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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il quale con tal fondamento potè sublimarsi a quei sommi miracoli della fortuna accompagnata con la virtù che il passato secolo con estrema allegrezza ammirò in Marcello Secondo, Pontefice Massimo.
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Nel 1534, il dì 18 di Decembre, nel Concistoro secreto, confermò Papa Paolo I I I la concessione fatta da Leone della Chiesa di Nocera ad Angelo Colocci e lo reintegrò nello stato primiero, non ostante qualsivoglia rivocatione in contrario. Sì che, morendo l’ anno 1537 Favorino Vescovo, hebbe dopo tanti anni e cotante variationi della Corte di Rom a effetto la riserva, havendo il Papa, di consenso de’ Cardinali il dì... prò veduto quella Chiesa della persona di Angelo con applauso della corte, illustrata con encomio singolare da papa Paolo e dal Collegio de’ Cardinali, la virtù di lui; onde egli scrisse a Gio: Benedetto, suo famigliare, sotto il 20 di aprile 1537: « Io non stimo tanto l’esser promosso al Vescovado di Nocera, quanto stimo il favore del Papa e de’ Card.11 che dal primo all’ultimo hanno parlato assai della laude mia. Preghiamo Iddio che sia con salute del
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l’ anima mia >>.161 E ’ questo Vescovado per la vicinanza di Rom a, per l’entrata, stimato molto tra i molti dell’Umbria, né tra l ’ altre sue doti è da tralasciare la salubrità dell’aere e dell’acque .162 Intanto che dire soleva Papa Urbano V i l i che se, vivente lui fosse vacato il Vescovado di Nocera, non Laverebbe conferito se non alla virtù di qualche ca rissimo amico. Dunque Paolo terzo che così attendeva a premiare gli huomini di valore, quali con la mitra, quali con la porpora, me ritò dal Colocci cotale encomio : 152153 Est aliquid, bone Paule, novis te moenibus urbem Cingere, et obliquas illi aperire vias. Est aliquid salvos procul exegisse tyrannos, Ut populis reddas ocia tuta tuis. 151 I puntini sono nell’ originale e la data manca anche nella traduz. lat. (p. 63). La lettera è conservata nel Codex Archetypus e riprodotta nel Codice Colotiano, ce. 20-21. Per la nomina a Vescovo v. nn. 36 e 43. 152 II C. si lamenta invece del clima di Nocera (v. F a n e l l i , Lettere di Londra, p. 114); le parole di Urbano V i l i l’ Ubaldini, che viveva nella Corte pontificia quale segretario del cardinale Francesco Barberini, deve averle ascoltate dalla viva voce del Pontefice. Secondo il C. l’ entrata del Vescovato sarebbe stata scarsa; nel testamento del 1544 (Lancellotti, p. 189) dice tenuis reditus e nelle trattative col Favorino avrebbe detto a questi: « per essere el vescovato di poca intrata n o n ... metteva conto ». (v. B e r r à , op. cit., p. 307). 153 II Lancellotti (p. 69 della IIa parte) dà il componimento corretto sul Vat. lat. 3388, c. 107 e c. 311, dove nel primo verso c’è Paule alme invece di bone Paule, nel quarto verso Et populis recte invece di Ut populis reddas·, e nel quinto furentum invece di furentes.
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Federico Ubaldini
Est et regum animos placasse in bella furentes, 73
Et pacem studiis conciliasse bonis: Sed quia largus opurn doctos extollis et ornas, Hoc est quod superis te facit esse parem. Parve a quei letterati che il Pontificato di Leone fosse risorto in Paolo, ma con giudizio, quella profusione di Leone convertitasi in liberalità, utile non meno che gloriosa, alla Sede Apostolica. Era Paolo allievo di Pomponio Leto ,154 onde non è da recarsi a mara viglia se favorisse le lettere; haveva, oltre a ciò, da provvedersi di huomini per valersene nel Concilio che con molta premura addimandavano i bisogni della Christianità. Il Colocci, dimorando alla residenza, ampliò il Palaggio Yescovale di Nocera abbellendolo in varie guise e da’ fondamenti inalzò il campanile della sua Cattedrale: in Sassoferrato anche fabricò e fecevi l’icona di S. Pietro, come dinotano Parme sue.155 Riuscì egli Prelato di edificazione sì per queste, come per l’innocenza della vita e per lo zelo dell’anime, per
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la quale si diede anche fatica di provvedere di migliori ordini la sua Diocesi. Non apprendeva egli che il Vescovado gli fosse in luogo di riposo, come molti si fanno a credere; ma stimavaio un peso di somma applicazione. Sì che, pur bramoso di quiete, impetrò dal Papa di rinuntiarlo a Girolamo Mannelli della Rocca Contrada, suo nepote ; 156
154 La notizia è tratta dal P l a t i n a , op. cit., p. 391, nella vita di Paolo III0: Puer singulari parentum diligentia educatus, Romae Pomponium Laeturn primum audivit, etc. 155 Veramente fin dal 1536 i canonici nocerini avevano pensato di aggiungere alla Cattedrale un conveniente campanile e ne chiesero il consenso al Vescovo, come appare dai documenti. I lavori furono cominciati subito e furono terminati nel 1544, come risulta dalla lapide apposta sulla parete settentrionale: m d x x x x i i i i - A . c o l o t i u s - e p i s c . NUc e r i n . - A f u n d a m e n t . Nei documenti si fa con insistenza rilevare che il campanile non fu opera del C., ma dei canonici. V. A. C a s t e l l u c c i , La Cattedrale di Nocera Umbra, Pe rugia 1916, pp. 48 e 75. La diocesi di Nocera Umbra si estende fino a Sassoferrato che è in provincia di Ancona (nella traduzione latina, p. 65: Sentirli, quod oppidum Saxoferratum dieunt); nella Cattedrale, intitolata effettivamente a San Pietro, non è rimasta al cuna traccia né della immagine né dello stemma. La bella chiesa nel corso dei secoli è stata molte volte restaurata e non si vedono più le opere che l’Ubaldini avrà osservato con i suoi occhi un secolo dopo che il C. le fece eseguire. 166 Qui l’ Ubaldini si sente in dovere di esaltare qualità che certamente il C. non ebbe; alla dignità episcopale il nostro umanista pervenne attraverso vie molto tortuose (v. nn. 36 e 43) e, come vescovo, si può tranquillamente affermare che non sacrificò davvero i suoi interessi e le sue aspirazioni alle necessità della diocesi. Nell’ articolo del Berrà (op. cit., p. 316) è riportata una lettera del 1543 nella quale il Cardinale Agostino Trivulzio si fa portavoce della comunità di Nocera che si lamenta perché da due anni la cattedrale manca di predicatore per controversia economica col vescovato. Nel nostro articolo, già spesso citato, Lettere di Londra, pp. 114 e 125, è frequente il tono di fastidio per il soggiorno nocerino: « mi è forza andare a visitare la mia chiesia Nucerina », « so stato necessitato
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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et egli tornossi a finire tra gli amici et i suoi studij, la vita, che tirò avanti sino all’anno 1549, sempre lodatissima. Fu il suo cadavero depositato in S. Andrea delle Fratte e quindi trasportato in Jesi, dove giace nella Chiesa di S. Settimio, nella sua prop.a cappella di S. Romualdo, adom ata di buone dipinture ed è quella dove hora si adora il sacratissimo corpo di Christo, presso la Cappella de’ Salvoni, famiglia che da gli antichi tempi sino hora, ha prodotto di valenti huomini, onde essendo io i mesi passati in Urbino d’ ordine di Urbano O ttavo, chiamai alla guardia di quella città contro la lega de’ Principi d’ Italia, il cap.n Vincenzo Salvoni, ottimo et esperimentato soldato. Si legge dal lato manco dell’ altare sudetto questo epitaffio: Angelo Colotio huius Ecclesiae Canonico Secretarlo A p o stolico Nucerino et Seminati Episcopo Iacobus et Hippolitus Pronepotes pos: Anno Domini 1550. D all’ altro lato vedesi la memoria di Giacomo Colotio, Auditor di R ota .157 Volse Angelo esser riportato
venire in Nocera alla mia chiesia dove non ero più stato », « essendo sforzato venire alla mia chiesia di Nocera », « io andai al mio vescovado dove sono stato dui anni quasi sem pre in letto per quel aere sottilissimo molto contrario al nostro di Roma ». Come si vede, cercò di stare lontano da Roma il meno possibile e, appena potè, abbandonò Nocera per tornarsene ai suoi studi ed ai suoi amici romani; che fosse multis infirmitatibus gravato lo dice anche l’ atto concistoriale di nomina del coadiutore con diritto di successione G. Mannelli (in M e r c a t i , Virgilio Mediceo, p. 117). Secondo il Lancellotti (p. 32) la rinun cia avvenne nel 1546 ed è citato a conferma il libro delle Riformanze di Nocera di quell’ anno con l’indicazione della pagina (p. 320); ma G. V a n G u l i k -C . E u b e l , Hierarchia Catholica, Monasteri! 1914, 2a ediz-, III, p. 261) pone la durata del vescovato del C. dall’ 11 aprile 1537 al 1545 (senza indicazione del giorno); dal 15 giugDO 1545 al 4 maggio 1592 ci fu Girolamo Mannelli. La parentela di questi con il C. era piuttosto larga, sebbene lo chiami zio scrivendo al Sirleto a proposito della questione dei libri da consegnare alla Biblioteca Vaticana (v. n. 60). Infatti era figlio di Camillo Mannelli, cugino di Angelo dal lato materno; la madre era della famiglia Tasti di Roccacontrada, oggi chiamata Arcevia (v. nn. 60 e 90). Il Lancellotti dà di lui e del padre abbondanti notizie a pp. 84-85. Del Mannelli resta a Jesi un ricordo dai più ignorato: la Biblioteca Planettiana, che costi tuisce la parte più pregevole della Biblioteca Comunale che da quella prende il nome, è costituita dalla collezione dei libri, oltre che di mons. Giuseppe Pianetti e di mons. Carlo Pianetti, anche di mons. Girolamo Mannelli, facilmente riconoscibili dagli stemmi della famiglia Mannelli impressi sui dorsi delle belle legature in pergamena e marocchino (v. C. A n n i b a l d i , Una biblioteca umbra a Jesi in « Bollettino della Deputazione di Storia Patria per l’ Umbria », voi. X I X , 1915, fase. I, p. 183). 157 L’ espressione « essendo io i mesi passati in Urbino » ci consente di fissare con suf ficiente precisione l’ epoca nella quale l’ Ubaldini scriveva queste pagine; infatti il ritorno di Urbino allo Stato della Chiesa era avvenuto nel 1631 per la rinuncia di Francesco Ma ria II Della Rovere; quando Urbano V i l i nell’ ottobre 1641 occupò il ducato di Castro e la lega dei principi italiani consentì a Odoardo Farnese di invadere lo Stato pontificio, l’ Ubaldini fu inviato ad Urbino per provvedere alla difesa di quella città fino alla pace del 1644. Sulla data di morte del C. non si hanno dubbi; morì nella notte dal 1° al 2 maggio 1549 (v. M e r c a t i , Virgilio Mediceo, pp. 117-18, dove è riportata anche la trascri-
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Federico Ubaldini
a interrarsi dove era uscito alla luce e più tosto volse esser sepellito con Giacomo sudetto in Domo che nella cappella e negli avelli de’ Colocci in S. Luca ,158 perché e Giacomo et egli erano stati Canonici di quella Chiesa. Si celebrarono le esequie sontuose da Marco A n tonio suo figliuolo, per le quali Angelo haveva lasciato trecento scudi; 159 furono honorate dalla presenza e dalle lachrime di tutta la Città, quali meritava la memoria di sì caro Cittadino che, e seco lare e sacerdote, fu specchio a gli huomini di genio inclinati alle lettere, di bontà e d’eroica virtù, nato per giovare al mondo e farlo più bello con la cultura degli ingegni e da paragonarsi con i pochi Mecenati che celebra l ’antichità. Fu M ons.r Angelo liberalissimo co’ dotti e con gli amici, accu rato però nelle sue faccende in tanto che d’ ogni picciola spesa te neva conto, non per avaritia ma per poter dispensare le facoltà a prò’ di chi egli voleva, ch’era chi il valeva .160 Verso la patria hebbe zione delle ultime volontà sottoscritte « con lettere sfigurate che non si possono osser vare senza com m ozione» nel Vat. lat. 4105, c. 176). Secondo il Lancellotti (p. 34) la salma non fu mai trasportata in patria e il Cantalamessa-Carboni, nella biografia già citata inclusa nella raccolta dell’ Hercolani (p. 152), giudica « non ¡spregevoli » le ragioni da lui addotte. Comunque l’ epitaffio nella Cattedrale di Jesi non c’è più; probabilmente, come l’ epigrafe del canonico Giacomo (v. n. 3), fu tolto durante i restauri della chiesa e non ci fu rimesso quando, nel 1778, fu ricostruita la cappella Colocci. In quanto ai Salvoni, erano legati da una certa parentela coi Colocci; infatti Flora Ripanti, nipote del nostro Angelo essendo figlia di Francesca sua sorella sposata a Tiberio Ripanti, risulta promessa sposa il 3 luglio 1527 a Cristoforo d’ Ippolito Salvoni (v. Lan cellotti, p. 224); non è improbabile che il Vincenzo Salvoni qui ricordato abbia fornito qualche notizia sul C. all’Ubaldini. Della Famiglia Salvoni è ricordato un altro Vincenzo che da Jesi trasferì la famiglia a Rimini nel 1850; prese parte attiva ai moti del Risorgi mento come presidente del Comitato della Società Nazionale di Rimini e, dopo il 1860, fu prefetto e più volte deputato: v. G. A n n i b a l d i , Jesi dal Governo provvisorio al plebi scito in « Le Marche nel Risorgimento italiano », Macerata 1961, p. 18. Delle guerre, alle quali qui si fa cenno, si parla anche a p. 56 e n. 79. Per la memoria di Giacomo v. p. 4 e n. 3. 158 I Colocci avevano in quel tempo la loro cappella gentilizia nella chiesa di San Luca unita al convento dei PP. Agostiniani Calzati, fondato a Jesi fin dal 1100 (v. G. B a l d a s SINI, Memorie istoriche dell’antichissima e regia Città di Jesi, Jesi 1765, p. 348), situato nella piazza detta allora di Sant’Agostino, di fronte al bellissimo Palazzo della Signoria costruito da Francesco di Giorgio Martini; la chiesa, che è contigua al palazzo Colocci, oggi non più officiata, è destinata ad altri usi e non conserva alcuna traccia delle antiche cappelle. 169 Qui TUbaldini lavora di fantasia: Marcantonio era premorto al padre, senza figli già nel 1545 (v. Lancellotti, p. 33 e n. 166). Il lascito dei trecento scudi pel funerale è nel testamento del 1544. 180 Nella traduz. lat. (p. 68): hoc est bene de república merentibus. A p. 62 l’ espressione consimile « quelli tra gli amici con maggiore affetto venerò che maggiormente il valeva no » è tradotta: constai illos in primis a Colotio cultos, qui digniores essent (p. 56 della
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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quella carità ch’è degna della maggior lode. Nel tempo dal Sacco di Jesi, nel 1517 incirca, con molti danari ritolse dalle mani de’ soldati, scritture et altre memorie pubbliche .*161 Vero Religioso verso Dio ce’l dimostrano il culto delle sacre reliquie e le molte spese ch’egli fece a sua vita in far celebrare infinità di messe, nella compra delle cappelle che egli effettuò in Jesi nel Vescovado, in S. Fiorano e in S. Luca, le quali anche fece offitiare.162 La sua vita fu altresì senza riprensione, il che in Rom a è gran fatto, dove si vede tutto, e tutto
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si ridice con aggiunta ancora di pessima esplicazione ad atti indiffe renti. La disposizione dell’ultima volontà, nel testamento ch’ egli ordinò l’anno 1544 163 con l’occasione di gravissima malatia, tale ella fu: Dopo haver provato com ’egli, poco o nulla (eccetto il V e scovado di Nocera) possedeva di beni Ecclesiastici e che del suo
traduz. lat.). Della diligenza amministrativa del Colocci sono esempi nel Codex Archetypus-, l’ Ubaldini ha visto a Jesi le « domestiche scritture (v. p. 38). 161 II sacco di Jesi è stato già ricordato a pp. 4 e 29; ma il Lancellotti (p. 23) asserisce che nel 1517 il C. non era a Jesi. L’ Ubaldini evidentemente fa quest’ affermazione sulla fede del G r i z i o , op. e loc. cit. 162 Per le reliquie v. p. 24, n. 30; per il resto si veda il testamento fatto a Jesi (v. Lan cellotti, p. 183) e specialmente il Codex Archetypus, dove sono conservati gli atti di ac quisto della cappella di Santa Maria di Loreto nella chiesa di San Luca e di un luogo nella chiesa di Santa Maria delle Grazie per costruirvi una cappella. 163 Del C. esiste un testamento del 1527 nell’Archivio Notarile di Jesi (v. Lancellotti, pp. 183-84), annullato da quello del 1544 (v. Lancellotti, pp. 188-91, dove l’ anno è, per errore, 1543) che, per alcuni lasciti, ne richiama un altro fatto a Nocera. Nella Biblioteca Vaticana esiste un codicillo (« Memoria del Colocci quando s’era per morire » - 1° maggio 1549 - Cod. Vat. lat. 4105, c. 176) pubblicato dal M e r c a t i in Virgilio Mediceo, già cit. (v. n. 157). Nell’Archivio di Stato di Roma c’ è un altro testamento del 23 ottobre 1528 (Noi. Ioh. Maria de Minnochis, V. 1141, c. 201) con lasciti a favore del figlio adottivo (?) Marc’An tonio per il quale, quando avrà otto anni, ordina che si comperi un ufficio del valore di 2000 ducati e che sia istruito nelle buone lettere; nomina esecutori testamentari il Bombasio, il Pietrasanta e il Gentiioni. L’irreprensibilità di costumi del C. è smentita da troppe testimonianze; basterebbe ricordare la lettera di Varino Favorino (v. n. 33), un’ altra lettera sullo stesso argomento del Cervini, pubblicata anch’ essa dal Berrà (pp. cit., p. 314) ed i suoi rapporti con la cortigiana Imperia. Evidentemente, al contrario di quanto afferma l’Ubaldini, questi peccatucci si sapevano e se ne parlava, anche se nella Roma rinascimentale non dovevano destare troppa meraviglia. La cortigiana Imperia è notis sima agli studiosi del Rinascimento romano; alle sue grazie non furono insensibili neppure il Sadoleto e l’ allora card. Giulio de’ Medici. Il Beroaldo in un carme (c. Eiii dell’ ediz. romana del 1530) enumera i suoi spasimanti ricordando anche i loro doni, Blosio Palla dio le dedica teneri versi d’ amore, il C. finge « un ributtante epitafio » in italiano sulla propria tomba (C i a n , Gioviana, già cit., p. 297; cfr. Lancellotti, p. 29 della IIa parte). Delle sue vicende ha scritto il Giotti secondando il gusto decadente della belle époque alla fine dell’ Ottocento; nell’opera è naturalmente ricordato anche il C. (Imperia, Firenze 1885, I, p. 29).
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Federico Ubaldini
patrimonio e d’altre rendite laicali s’era spesato egli, molti parenti et amici, e che con molta moneta haveva riscosse medaglie d’oro e d’ argento ,164 sì che non bastandogli né l’intrate di casa né del se gretariato né degli altri offitii, essere stato costretto di torre in pre stito da gli amici e da parenti somma considerabile di denari, mostra 78
di credere che non gli fosse prohibito dalle leggi canoniche il testare. Onde instituisce suo herede universale Marco Antonio suo figliuolo e in caso di mancanza di figliuoli legittimi sostituisce Giacomo et Ippolito Colocci, a’ quali, senza figliuoli maschi morendo, sosti tuisce i figliuoli di Girolamo Ripanti. Esecutori del testamento chiama il Card.le Agostino Trivultio, il Card. 1 di S. Croce, Marcello Cervini e Marc’Antonio Massa di Gallese, dottore di leggi celebra tissimo. Potrebbe mettere in dubbio se il Colocci havesse havuto figliuoli l’epigramma che Marco Antonio Casanova fece sopra la vecchiezza e la mancanza de’ figliuoli di Angelo e di Tomaso Pietrasanta. Dum forte est sine prole senex et uterque et utrumque Accendit minus posteritatis amor·, Ipsaque adoptari seniorem dum vetat illum Lex, et adoptari cum vetat ipsa parem. Ille patrem semper vocat hunc, vocat hic quoque et illum; A st ego utrumque patrem, filium utrumque puto.165
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II Casanova morì poco dopo il Sacco di Rom a onde non poté forse sapere che Marc’Antonio fu figliuolo di Angelo et il quale si rese ben degno di tal padre, come ne è testimonio Francesco Bel-
164 Per le medaglie v. p. 76. Per il Trivulzio v. n. 74; di Antonio Massa parla il Tiraboschi (op. cit., IV, p. 39) che ricorda di lui un’ operetta di storia, De origine et rebus Faliscorunv, il Moroni (op. cit., X X V III, p. 120) lo dice frate domenicano ed il Lancellotti (pp. 67-68 della IIa parte) riporta alcuni versi del C. a lui diretti e posti nelle prime carte di un volume di sue opere legali, uscito a Venezia nel 1529, versi elogiativi della sua pe rizia giuridica. V. pure M e r c a t i , Prolegomena al De Repubblica, già cit., pp. 100 sgg. Del Cervini si hanno numerosissime lettere al C. che comprovano la stretta amicizia che li univa (v. Appendice all’ articolo del B e r r à , già cit.): se ne è parlato già molto ampia mente (v. pp. 83-85). 165 p er y Pietrasanta v. n. 47; per il Casanova, n. 71. I versi qui riportati sono nel Vat. lat. 2833, c. 203, con il titolo De Colotio et Petrasancta Senibus; a fianco il C. ha ag giunto Iocus, che è una delle classi sotto le quali egli intendeva raggruppare gli epigrammi antichi e moderni nella vasta raccolta che ne faceva. Nel volumetto del Volpicella, già cit., i versi sono a p. 34; nel codice, dopo il quarto verso, ce ne sono due cancellati di im possibile lettura; l’ epigramma è anche nel Vat. lat. 2834, c. 71v. Poiché Marc’Antonio nacque nel 1524 (v. n. 166), e il Casanova, nel pettegolo ambiente romano, l’ avrà certa mente saputo, si deve pensare che i versi siano stati scritti prima di questa data.
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lini, famigliare di Papa Paolo I I I et amicissimo del Bembo, mentre gli dedica uno hinno a Pallade così chiamandolo: Castae ad templa Deae, Coioti, educate sororum In gremio Aonidum, et studiis imbute Minervae.166 Costui hebbe per Donna Margherita Anna, figliuola di Girolamo Ripanti, nepote di Angelo Ripanti Vescovo di Jesi, che morì nel 1507. Lasciò il Colocci anche figliuoli del suo ingegno alcuni libri a
166 Marc’Antonio nacque il 28 novembre 1524, come c’ informa una nota a c. 192 del Vat. lat. 4787: Hodie Bernardina uxor Iohannis Marie Stagnini peperit filium quem dicit esse meum. quod Deus bene vertat. Il C. brigò parecchio perché fosse riservata a questo figlio la successione del vescovato di Nocera e in questo fu aiutato dal card. Cervini; ma le pratiche non ebbero effetto per l’insormontabile difficoltà frapposta dalle leggi cano niche all’ elezione di un figlio naturale. Sembra che Marc’Antonio facesse sperar bene come studioso ed il padre gli aveva procurato dei fruttuosi « offici », ma nel 1545 era già morto ed il padre gli sopravvisse pochi anni; possiamo porre la sua morte non prima della fine del luglio 1544, quando suo padre fece testamento, e non dopo il 6 settembre 1545, data di una lettera di Angelo nella quale si dice « finché visse Marco Antonio » (v. F a n e l l i , Le lettere di A . C. nell'Archivio Cornuti, di Jesi, già cit., pp. 83 e 88; si badi che, quando pubblicammo quelle lettere, non c’ eravamo accorti che il testamento è del 1544, e non del 1543, come scrive il Lancellotti, p. 188; la data del 1544 è nella copia contenuta nel Codex Archetypus e corrisponde all’indizione ed agli anni di pontificato di Paolo III). Le condo glianze di Traiano Calcia nella lettera del 16 aprile 1548, sulla quale si fondava l’ipotesi dalla data di morte di Marc’ Antonio, furono evidentemente inviate in ritardo e il Lan cellotti (pp. 33 e 95) non s’ accorse delle lettere di Jesi. È giusto invece quanto dice sul matrimonio di Marc’Antonio che non s’ era certamente sposato quando morì: la cugina Margherita Anna sposò in prime nozze Ascanio Bruni e in seconde nozze Rosato Colucci (Lancellotti, p. 212) ed era sorella, non figlia di Girolamo Ripanti. Del Bellini abbiamo notizie in V e c c h i e t t i - M o r o , op. cit., I I , pp. 139-40; secondo questi autori l’ Ubaldini fa qui confusione con un altro Bellini di Sacile che fu amico del Bembo e contemporaneo del Bellini di Staffolo amico del C.; il chiamarsi entrambi Francesco Bellini e l’ esser vis suti negli stessi anni ha generato confusione anche in altri autori, ultimo dei quali il D i zionario Biografico degli Italiani che ricorda solamente il Bellini di Sacile. Il Bellini di Staffolo sarebbe conterraneo del Lancellotti; nato nel 1496, dopo aver studiato a Siena insegnò a Jesi, dove avrebbe conosciuto Marc’Antonio e sarebbe poi andato a Roma sotto la protezione di Angelo. Insegnò in molte città italiane e ritornò vecchio in patria dove morì nel 1574. II carme dedicato a Marc’Antonio è pubblicato per intero, assieme ai versi di altri poeti e in aggiunta al Bombix di L. Lazzarelli. con numerose note del Lancellotti (Acsii 1765). I versi citati sono il quinto ed il sesto del carme che il Lancellotti ha tratto dal Vat. lat. 2833, c. 126, dove l’ avrà letto anche l’Ubaldini. Non sappiamo a quale dei due Bellini possano attribuirsi i versi contenuti nei Ottobon. lat. 2860, c. 141v, e Val. lat. 3388, c. 4. Pensiamo che, per essere vicini all’inno A Pallade, possano attribuirsi con cer tezza al Bellini di Staffolo anche gli altri versi che sono nello stesso codice Vat. lat. 2833, cc. I l i , 121, 128-33, 137; nel Cod. Vat. lat. 4104, c. 87, c’ è una lettera del C. al Bellini che riportiamo in Appendice (n. 9), poiché dimostra chiaramente l’ amicizia del C. per il suo conterraneo; il suo nome figura anche nell’ elenco contenuto nel Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1).
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Federico Ubaldini
noi però restati imperfetti, o perché i migliori siano stati usurpati da altri, o per non havergli portati l ’autore quei nove anni che v o gliono i parti delle Muse. Yeggonsi nella Vaticana molti suoi E pi grammi purissimi et arguti et certe rime Toscane. Vedesi ancora quanta egli si desse fatica per recare qualche splendore ad essa lin gua Toscana con le regole e con un vocabolario. Considerò egli ch’al io scuro erano caminati quei che furono in grido e in prezzo: il Se rafino, il Mannuccio et il Calmetta, e se non sorgeva a questa gloria il Bem bo, dal Colocci si poteva aspettare cotanto beneficio.167 A m -
167 L’unica opera che fu stampata mentre il C. era vivo è l'Apologià di Serafino Aqui lano, pubblicata nel 1503 (v. n. 95), ed inoltre alcuni pochi versi usciti nei Coryciana e in altre raccolte; le poesie italiane e latine furono pubblicate in forma definitiva dal Lancellotti solamente nel 1772. Gli epigrammi e le rime in italiano sono contenuti tutti nel volume del Lancellotti; sono tratti dai Vat. lat. 4819 e 3388 o dalle raccolte stampate, e non sono altro che misere e rare composizioni per lo più di imitazione dantesca e petrar chesca. Le Regole sono osservazioni sparse, senza aver raggiunto neppure l’ embrione di un abbozzo che riveli il progetto di scrivere un’ opera; i còdd. che più interessano per questo riguardo sono il Vat. lat. 4817 e, in minor misura, il 3217, il 3903, il 4818 e il 4831, ma molte regole, che meglio si potrebbero chiamare osservazioni sulla formazione e sul l’uso della lingua italiana, si trovano sparse anche nella maggior parte dei codd. scritti o postillati da lui (cfr. Lancellotti, p. 44). Quella che invece ha raggiunto una certa organicità,, e della quale esistono alcune parti in una stesura che sembra definitiva, è un’opera sulla rima e sui ritmi nella quale il C. indaga il passaggio dalla poesia quantitativa degli antichi a quella moderna nella quale alla quantità si sostituiscono, come norma del verso, l’ accento, il numero delle sillabe e la rima; e si sforza di definire l’ origine e l’ essenza del ritmo e della rima con ab bondanza di esempi tratti dagli inni cristiani antichi, dagli « oraculi », dalla « agricultura » « nelli motti, gioco, etc. », « nelle leggi dei pontefici » , « nelle leggi civili » , « nelli triomp h i» (cc. 151-57 del Vat. lat. 4817), dai poeti latini e greci e dalla poesia popolare, specialmente siciliana; fa meraviglia che l’ Ubaldini ed il Lancellotti non si siano accorti di questa, che si può veramente chiamare un’ opera, ed abbiano invece insistito sulle regole della lingua e sul vocabolario, per le quali occorre molta buona volontà a voler vedere un organico disegno nei disordinati appunti del Colocci. Buona parte del Vat. lat. 4817 è dedicata a questo discorso sulla rima. L’ argomento meriterebbe di essere se riamente approfondito; comunque ci sembra fin da ora possibile affermare che il C. ha anticipato di quasi mezzo secolo le posizioni del Corbinelli, del Barbieri, del Quattromani e del Castelvetro. A proposito di Jacopo Corbinelli (1535-90) il Toffanin (Il Cinquecento, Milano s. d., p. 527) scrive: « La rivalutazione del volgare aveva implicato un nuovo in teresse per l’ obliato provenzale; ora (nella seconda metà del cinquecento) quell’interesse si allarga a tutte le lingue neo-latine e attinge la sua concretezza scientifica in J. C. il quale osa affermare che l’italiano antico si chiarisce col francese antico:... e traduce in lingua del trecento un primitivo francese (il ViUehardouin) »; non è questa sostanzial mente la stessa posizione del C., col suo interesse per il francese e per il portoghese e con le sue traduzioni dallo spagnolo e dal catalano? Abbiamo citato il Barbieri: forse un con fronto tra quella sua introduzione, tanto celebrata per la originalità da meritare le cure del Tiraboschi che le diede il titolo Dell'origine della poesia rimata, e quello che è rimasto
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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masso egli da’ Toscani antichi osservazioni di parole e di frasi, e tra gli altri dagli scritti di Ms. Francesco da Barberino e del Re R u berto di Gerusalemme, i quali forse habbe da Napoli, dove Roberto regnò e dove sappiamo che il Re sudetto fe’ venire l’ opere del Bar-
dell’ opera del C. sullo stesso argomento può riserbarci qualche sorpresa e farci modificare alcuni giudizi sulla questione della lingua nel primo Cinquecento. Per l’Aquilano v. n. 20. Il « Mannuccio » non può essere altri che Aldo Manuzio il vecchio; ma non siamo riusciti a comprendere che cosa c’entri il grande maestro della rinascita ellenistica còn l’Aquilano e col Calmeta. Più comprensibile forse sarebbe se si trattasse di Aldo il giovane (1547-1597) che ai tempi dell’Ubaldini doveva godere ancora di una certa fama per le Eleganze insieme con la copia della lingua toscana e latina (Vene zia 1558), scritte e pubblicate quando l’ autore era appena undicenne, e per la Ortographiae ratio (già cit.); ma fu una gloria effimera, già quasi spenta ai tempi dell’ Ubaldini, il quale inoltre cita il « Mannuccio » perché probabilmente lo aveva visto ricordato dallo stesso C. nell’ elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1). Nelle stesure precedenti della Vita l’ Ubaldini lo omette nel Barber. lat. 4871, mentre lo riporta, scrivendolo «M anuc cio », nel Barber. lat. 4726. Il problema quindi è, in primo luogo, di capire perché il C. ha inserito questo personaggio nel suo elenco; la presenza anche del Carteromaco, di Pier Vettori e di altri ci porta a pensare che egli volesse fare addirittura un quadro completo della cultura del suo tempo. In secondo luogo dovremmo spiegarci l’ accostamento col Calmeta e coll’Aquilano operato dall’ Ubaldini. Mentre l’Aquilano fu solo un poeta, il Calmeta ha lasciato qualche memoria di sé proprio nella questione della lingua; si chia mava in realtà Vincenzo Colli ed era nato a Chio, sebbene si consideri sua patria Castelnuovo Scrivia, attorno al 1460. Verso il 1490 era a Roma, legato da. grandissima amicizia con Serafino Aquilano, nell’ ambiente del giovane e dotto Paolo Cortese; in questa specie di accademia prese il nome di Calmeta, tratto dal Filocolo del Boccaccio. Passò a Milano, ma nel 1497 era di nuovo a Roma, entrando al servizio di Cesare Borgia; nel 1503 sappiamo che era a servizio dei Pio e nel 1504 era ad Urbino presso Guidub aldo col quale rimase fino alla morte avvenuta, sembra, a Roma nel 1508. La riputazione da lui goduta presso i contemporanei fu grandissima; la sua amicizia col C. sembra risalga al 1497 ed è dovuta probabilmente alla comunanza dei gusti dei quali è esempio la comune ammirazione per l ’Aquilano che li portò a scrivere l’uno VApologia, l’ altro la Vita di quel poeta (v. n. 95). Le incertezze su di lui non riguardano solo la biografia, ma anche le opere; non ci sono pervenuti i nove libri della Volgar Poesia e ne conosciamo il contenuto da quanto ne dice il Bembo, accusato tuttavia dal Castelvetro di aver travisato il pensiero del Calmeta. Nell’ opera sarebbe contenuta la teoria della « lingua cortigiana » , che ha una certa affi nità con quella della « lingua comune » del C.; la lingua italiana sarebbe sorta nell’ ambiente della Corte papale dalle lingue e parlate diverse di tutte le regioni d’ Italia che in quella Corte convenivano. Secondo il Castelvetro il Calmeta intendeva parlare solamente della lingua della poesia, che è principalmente il fiorentino, mentre la Corte romana avrebbe avuto solo la funzione di perfezionare quell’idioma letterario. Il C. ricorda il Calmeta nel Vat. lat. 4831, c. 104, tra i poeti suoi contemporanei, e nell’ elenco del Val. lat. 3450 (v. Appendice n. 1); nel Vat. lat. 4817, c. 210, in un elenco di libri c’è « Cálmete Iuditii e Opere » che non abbiamo trovato alla Vaticana. Su di lui v. V. C a l m e t a , Prose e lettere edite e inedite a cura di C. G r a y s o n , Bologna 1959; ma per i rapporti tra il Calmeta ed il C. rimane insostituibile D e b e n e d e t t i , Intorno ad alcune postille di A . C., già cit., pp. 8490
Sul Bembo v. n. 120.
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Federico Ubaldini
berino comperate per cinque once d’ oro .168 N on è da ammirarsi se Angelo, così esperto in questa favella, sia introdotto da Pierio Y a -
168 II C. ha compilato, e si è fatto compilare, un gran numero di indici o elenchi di pa role e locuzioni; il più famoso di questi indici, ed è quello qui ricordato dalTUbaldini, è oggi nel Cod. Vat. lat. 3217, appartenuto a Fulvio Orsini, che ha per titolo Index verborum seu vocum collectus per Angelum Colotium ex Petrarcha Siculo Rege Roberto Barbarino, dei quali il C. ha scritto di sua mano quelli del Petrarca e di Re Roberto; ma lo stesso codice contiene altri indici ed altri ne abbiamo trovati, ad esempio, nei Vat. lat. 4817, ce. 81-94; 177-193; 4818, cc. 1-98; 4823, ce. 21-25: v . su quest’ argomento O . O l i v i e r i , Gli elenchi di voci italiane di A . C. in « Lingua nostra », IV, 2 (1942), pp. 27-29, che tuttavia non esaurisce l’ argomento meritevole invece, a nostro avviso, di un più ampio approfondi mento. sia nell’ esame di tutti i codd. che contengono elenchi, sia nella ricerca delle inten zioni e degli scopi che aveva il C. nel compilarli; e questo discorso vale anche per gli elen chi di vocaboli latini che sono anch’ essi molto numerosi (ad esempio, Vat. lat. 4042, 4043, 4044, 4048, 4049, 4057, 4058; e ce ne saranno certamente altri che converrebbe cercare). L’ Ubaldini cita a preferenza Francesco da Barberino e Re Roberto dei quali pubbli cò le opere, del primo i Documenti d'amore (Rom a 1640) dedicati a Maffeo e Niccolò Bar berini, del secondo il Trattato delle canzoni morali, che veramente è opera di Graziolo Bambaglioli, assieme alle Rime del Petrarca, al Tesoretto di Brunetto Latini e a Quattro canzoni di Bindo Bonichi (Rom a 1642) dedicati a Taddeo Barberini. La curiosità per il C. sorge nell’ Ubaldini proprio quando ritrova in lui gli stessi suoi interessi che lo portano a ripercorrere lo stesso cammino attraverso le indagini sui nostri poeti delle origini e sui loro legami con la lingua provenzale. La notizia sull’ acquisto da parte di Re Roberto delle opere del Barberino è più ampia nella traduz. lat. (pp. 71-72) la quale, subito dopo le parole « quinis auri uncis coempta », dice: quod litterae eiusdem Regis ex Archivio Regiae Curiae Neapolitanae a Camillo Tutino descriptae testantur. « Robertus Hierusalem, et Sici liae Rex, Ducatus Apuliae, et Principatus Capuae, Provinciae, et Folqualqueri, ac Pede monti Comes. Secreto Principatus et Terrae Laboris Fideli suo gratiam et bonam volunta tem. Cum nos dedimus in mandatis Religoso Viro Fratri Ioanni de Neapoli Ordinis M ino rum, ut opera omnia spectabilis Viri Magistri Francisci de Barberino, videlicet supra sa cros Canones opuscula, et rithima (sic) vulgari idiomate ab eodem edita emeret, Fidelitati tuae praecipiendo mandamus, quatenus statim post receptionem Praesentium sine aliqua mora, uncias auri quinq. de pecunia Curiae nostrae, quae est, vel erit per manus tuas, dicto Fratri exhibere studeas, absque alicuius difficultate, et dilationis obstaculo, recepturus ab eodem idoneam apodixam ad tui cautelam. Datum Neapoli. Anno Domini 1338.6. Indici.». Il documento fu comunicato all’Ubaldini probabilmente dallo stesso Camillo Tutino che in quegli anni viveva a Roma sotto la protezione del card. Brancaccio; nella prefazione del volume contenente il Trattato attribuito a Re Roberto è riportato con la collocazione nell’Archivio della Corte di Napoli (« nell’ arca segnata G, mazzo 125 al suo Segreto »). Sembra che l’ Ubaldini voglia fare qui una distinzione tra questa raccolta di vocaboli del Vat. lat. 3217 e le altre contenute nei Vat. lat. 4817 e 4818, tanto che il Lancellotti (pp. 42 e 44). e presenta come due opere distinte; in realtà il materiale dei tre codici non si distingue per alcuna differenza, come ha notato la Olivieri (pp. cit., p. 29). Concordiamo anche con quanto dice la Olivieri a proposito del « Vocabolario »; ci sembra che si debba rovesciare il discorso del Lancellotti (p. 44), e cioè il C. non ha affatto « la gloria di aver per il primo ideata e incominciata un’ Opera cotanto necessaria »; si potrebbe forse dire che l’ha preparata con i suoi elenchi senza averla ideata. Nessuna meraviglia perciò se Ornella Olivieri nel suo lavoro I primi vocabolari italiani fino alla prima edizione della
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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leriano ,169 nel Dialogo di essa a raccontare il discorso seguito in una cena del Card. 1 Giulio de’ Medici sopra il nome della nostra lingua: inclinava il Colocci, secondo si mostra nella sudetta narratione, all’opinione di Gio: Giorgio Trissino, anzi come si raccoglie dall’ Ercolano del Varchi, il Colocci aiutò con alcune ragioni l’ opinione di esso Trissino per chiamarla lingua Italiana: il che con ingenuità
Crusca in « Studi di filologia italiana », VI (Firenze 1942), pp. 64-192, non nomina nep pure il nostro Colocci. 189 II Dialogo del Valeriani, che già numerose volte abbiamo avuto occasione di ri cordare, fu pubblicato postumo a Venezia nel 1620 e rappresenta uno dei prini docu menti della secolare controversia sulla lingua italiana poiché fu scritto non più tardi del 1524 o, secondo alcuni, addirittura nel 1516. In esso Angelo C. racconta con piglio vivace e brioso ai suoi amici Antonio Marostica e Lelio Massimi il motivo che gli aveva impedito di trovarsi con loro la sera precedente: si era fermato ad assistere ad un dibattito sulla lingua italiana, avvenuto durante una cena in casa del cardinale Giulio dei Medici, il futuro Clemente V II, tra il tragediografo Alessandro dei Pazzi, Claudio Tolomei, il Tris sino e il Tebaldeo. Prima di accennare brevemente alle opinioni dei quattro contendenti ci sia consentito dare qualche cenno biografico dei personaggi ricordati; infatti lo scritto del Valeriani è un quadro letterariamente pregevole, che illumina con vivacità l’ ambiente nel quale il nostro C. viveva. Di Antonio Matteazzi, che il Valeriani ribattezza Marostica dal suo paese natale, abbiamo parlato nella n. 89; anche di Lelio Massimi, segretario del card. Agostino Trivulzi, abbiamo già diffusamente parlato (v. nn. 46, 47, 58 e 78). Ma questi sono personaggi che fanno da cornice al dialogo, anche se ciascuno di essi con la propria opinione sull’ argomento; specialmente il Massimi, che prende anche lui talvolta la parola spintovi dal Marostica proprio per il motivo che della questione della lingua si occupava notoriamente. In un altro dialogo infatti, nel Castellano del Trissino, assisterà insieme al Sannazzaro alla disputa tra i due fiorentini Giovanni Rucellai e Filippo Strozzi, dichiarandosi d’ accordo col Sannazzaro; questi, in favore del Rucellai e contro lo Strozzi, ritiene che abbia fatto bene il Trissino a chiamare « italiana » la lingua del Petrarca e del Boccaccio e che, se l’ avesse nominata « toscana », avrebbe detto una bugia forse maggiore che affermandola « siciliana come facevano gli antichi ». Gli interlocutori veri e propri nel Dialogo del Valeriani sono gli altri quattro dei quali il Trissino, conterraneo del Marostica, è ricordato più avanti (v. n. 170); per il Tebaldeo rimandiamo a n. 71; su Claudio Tolomei, che il C. mette nel suo elenco del Vat. lat. 3450 (v. Appendice n. 1), si veda F. S b a r a g l i , C. T. umanista senese del Cinquecento, Siena 1939; meno noto degli altri è Alessandro dei Pazzi, traduttore di tragedie greche e tragediografo egli stesso, che sperimentò senza successo nuovi metri imitati da quelli classici (v. G. C a p o n i , Di A. dei P. e delle sue tragedie metriche. Prato 1909, e A. P e d r o t t i , A . de' P. accademico e poeta, Pescia 1902); è ricordato nell’ elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4). Nel dialogo Alessandro dei Pazzi fa derivare la lingua toscana dalla latina e la fa perciò dipendere strettamente da questa; il Tolomei invece ripudia la paternità del latino e riallaccia la lingua toscana con l’ antica lingua etnisca che fu maestra ai latini e ai greci; il Trissino rifiuta la soggezione della lingua italiana alla toscana ed afferma la diretta derivazione dell’italiano dal latino, riconoscendo tuttavia pregio e superiorità alla lingua toscana sulle altre d’ Italia; il Tebaldeo infine afferma, come il Trissino, la derivazione dell’italiano dal latino, ma nega assolutamente la superiorità del toscano, che egli giudica anzi sciocco e ridicolo. Il dialogo conclude, in sostanza, che nessun toscano scrive nella lingua da lui
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Federico Ubaldini
lombarda confessa 1’istesso Trissino
nel
suo
Castellano.170
Loda
Pietro Sommontio il Colocci della cognitione di questa lingua nella dedicatione dei libro De magnanimitate dei Pontano. A d notas te aliquando Musas refer, non ad Hetruscas illas tuas, in quibus summam tibi jam gloriam comparasti; sed ad latinas has itidem tuas, quas non
parlata e neppure parla così come scrive; l’ideale della lingua non è il toscano, ma la « lingua cortigiana », italiana, comune, formata dai vocaboli più significativi di tutte le lingue che si parlano nelle varie regioni d’ Italia, la scelta dei quali sarà guidata dalla pratica delle classi colte e degli scrittori più castigati, con Faggiunta di : espressioni fio rentine ad accrescerne la grazia. Nel dialogo è il Trissino a dirigere e a concludere; il dibat tito e la conclusione è evidentemente vicina alla sua opinione piuttosto che a quella degli altri; e l’ opinione del C. era vicinissima a quella del Trissino, sebbene nell’ operetta del Valeriani egli non abbia occasione di esprimerla e rimanga confinato nella parte,di colui che riferisce obiettivamente le opinioni altrui. Su tutto l’ argomento crediamo utile rin viare all’ articolo di F r a n c a A g e n o , Sulle controversie linguistiche in Italia in « Giura, stor. Letter. Ital. », C X X X V III (1961), pp, 90-100, che, recensendo l’ opera di M. V i t a l e , La questione della lingua (Palermo 1960) fornisce la bibliografia essenziale, indicando quanto è stato scritto in proposito dal Dionisotti, dal Migliorini, dal Sozzi, dal Segre e dal Grayson. 170 D i Benedetto Varchi v. il dialogo D Hercolano (Fiorenza 1570, p. 332) riportato, nella parte che interessa, dal Lancellotti (p. 140); per il Trissimo, anch’ esso nel Lancellotti (p. 140), v. Dialogo del Trissinto inlitulati» il Castellano, y icenza 1529, c. 1 2 t,. L’ argomento suggerito dal C. al Trissino sarebbe stato, secondo il Varchi, questo: «Q uesta lingua s’ intende in Italia, dunque questa lingua è italiana», riferendosi alla lingua del Petrarca; ma, dice il Varchi, questo « c o lp o » nella schermaglia polemica non ebbe valore. Il Trissino, che fu amico e coetaneo (1478-1550) del C., fu il principale oppo sitore del fiorentinismo; di nobile e ricca famiglia vicentina, viaggiò molto in Germania e in Italia e fu caro a Leone X e a Clemente VII- Soggiornò per lunghi periodi a Roma e tentò anche l’ arte della poesia senza alcun successo, portato com’ era all’erudizione ed alla critica. Fu lui a tradurre e a far conoscere il De vulgari eloquentia dantesco, facendolo anche leggere e copiare al Bembo ed al C, (v. n. 120). La sua proposta di riforma ortogra fica gli procurò insolenze e canzonature; ma nejla lettera con la quale presenta la pro posta a Clemente V II (1524) e, più chiaramente, nel dialogo II Castellano parla di « lin gua italiana » invece che « toscana » e di una pronunzia « cortigiana » che molto spesso si allontana dalla fiorentina. Il suo pensiero non fu esente, da evidenti confusioni e con traddizioni: egli, come anche il C. ed in genere gli umanisti, pensa di essere d’ accordo con la dottrina linguistica di Dante e non s’ accorge, né lui né gli altri, che Dante non parlava della lingua letteraria in generale, quella che nei primi anni del cinquecento i letterati cercavano di fissare, ma del « volgare illustre » adatto alle forme più elevate della letteratura; come non s’ accorgeva che la lingua italiana partecipe di tutti i dialetti, ma da tutti diversa, ottenuta rimovendo le particolarità di ciascun dialetto, era un’ astra zione; e finiva col riconoscere la necessità di accogliere le peculiarità d’un dialetto il quale, suprema contraddizione, doveva essere proprio il fiorentino. Il C. ha conservato suoi versi nel Vat. lat. 2836, cc. 7V, 108v-110, e lo ricorda nell’ elenco del Fot. lat. 3450 (v. Appendice n. 1); anche della riforma ortografica è cenno nel Vat. lat. 4817, c, 176v: « e t Trissino erra che fa hto, non ho; ibidem concito, perciò, accioché ». Sul Trissino v. l’ opera del M o r s o l i n già citata.
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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minus a puero, quarn sive Hetruscas, sive Graecas coluisti. 171 Per penetrar meglio le proprietà de’ modi e delle voci Toscane, ricorse a gli scritti de’ Provenzali, un volume delle quali fin dal Marchese Francesco di Mantova procurò di havere et hebbe, sì come ho veduto dalla restitutione che ne fa egli stesso l’anno 1526 all’Ambasciatore di quel Prencipe presso il Sommo Pontefice in R om a .172 Scrisse in volgare un’operetta intitolata l’Anima di Oliviero et un’ altra la Notte d’Am ore .173 Una canzone ho di lui letta, di leggiadria singo lare, e questo sonetto fatto in morte del Card. 1 Bembo.
171 V. P o n t a n i op. cit., I , p. 425. Abbiamo già ricordato queste parole che attribui scono al C. quella conoscenza della lingua greca che inveee egli non. ebbe (v. n. 32). 172 Uno dei maggiori meriti del C. è quello di averci trasmesso notizie e versi di molti poeti provenzali. A lui appartenne il celebre Libro limosino, attualmente indicato dagli studiosi con la lettera M, segnato col n. 12474 della Biblioteca Nazionale di Parigi, procu ratogli dal Summonte dopo la morte del Chariteo che ne era il proprietario: di questo prezioso manoscritto il. C. si fece fare una copia, giunta alla Vaticana per tramite di Ful vio Orsini, indicata dagli studiosi con la lettera g e segnata attualmente Vat. lai. 3205. Anche alcune pagine del Vat. lat. 7182 contengono brani provenzali; di grande interesse sono le traduzioni, fatte fare per conto del C. dal Summonte a Bartolomeo Casassagia, che era nipote del Chariteo, di alcune poesie di Arnaldo Daniello e di Folchetto di Marsi glia che oggi sono nel Fai. lat. 4796, riprodotte poi in duplice copia nel Vat. lat. 7182, sempre a cima del C. (v. n. .20). Inoltre nel Vat. lat. 4817, cc. 222-274, sono due vasti elenchi di parole provenzali; il primo, da c. 222 a c. 249, con le parole disposte in ordine alfabetico accompagnate dal numero della carta del codice da cui sono trascritte; il secondo, da c. 251 a c. 271, con le parole disposte nello stesso modo e l’indicazione Arnaut; seguono, a cc. 272-274, osservazioni sulla lingua proven zale. Nel Vat. lat. 4820 è inserito un quadernetto di formato più piccolo, sul fronti spizio del quale il C. ha scritto: Lemosini per alphabetum·, contiene versi provenzali, di sposti per ordine alfabetico secondo la parola con cui cominciano, e sono in tutto 35 carte, le ultime del codice. Da questi elenchi l’ Ubaldini ha desunto molto materiale per i suoi studi sul provenzale; il Barber. lat. 3993, che contiene i suoi appunti su questo argomento, indica (c. 17) Angelo C. come fonte di una parte di questo materiale. Gli accenni alla lingua provenzale sono frequentissimi in tutti i codici del C. che contengono appunti sulla lingua; tuttavia la sua attività attorno a questo argomento non si concluse mai con un’opera definitiva. Dice il Debenedetti: « L’ attività colocciana è tutta in postille e ap punti staccati, risposte a saltuarie domande di metrica e di lingua, confronti dell’ita liano antico col provenzale, copie e tavole parziali, che s’ affoltano negli enormi e disor dinati zibaldoni, così difficili a decifrarsi e così suggestivi » (Tre secoli di studi provenzali in « Provenza e Italia », già cit., p. 147); per più ampie notizie si veda anche S. D e b e n e d e t t i , Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, Torino 1911, che conclude i numerosi studi sull’ argomento. La notizia del prestito avuto dal marchese Gonzaga di un libro in lingua provenzale è in una lettera del 4 luglio 1526 pubblicata da V. C i a n , Un decennio della vita di Pietro Bembo, Torino 1885, p. 217; A. LuziO, nella recensione al volume del Cian in « Giorn. stor. della letterat. ital. », V I (1880), p. 270 sgg., pubblica un altro do cumento che parla del prestito al C. di altri codici provenzali appartenenti ai Gonzaga. 173 Qui l’ Ubaldini sbaglia e il Lancellotti (pp. 44-45) lo segue nell’ errore; le due opere attribuite al C. non sono altro che un tentativo di traduzione di due novellette dello
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Federico Ubaldini
Bembo, or che giunto a più beata riva Lo tuo (Testo empio mar felice legno, E nel del tocchi il destinato segno, Ove da pochi a gran pena s'arriva, Sol duolsi Etruria, che sia ignuda e priva D 'un sì nobil tesor, sì ricco pegno: Con temer che non mai trove altro ingegno scrittore rossiglionese Francisco de Moner (l’ Ubaldini legge addirittura « d’Amore ») y de Barateli, stampate a Barcellona nel 1528, ristampate a Fonz nel 1871 ed ancora nel 1951 a Valenza riproducendo in facsim ile l’ edizione di Barcellona. Francisco de Moner (1463-1492) scrisse in lingua catalana ed in lingua spagnola; El anima de Oliver è in ca talano, mentre invece La noche de Moner, mas propiamente llamada Vida humana è in castigliano; l’ autore visse in Francia, partecipò alla guerra per la conquista di Granata e, deluso da un grande amore, si fece francescano, morendo un anno dopo aver vestito l’abito. Nella sua opera il sentimentalismo cerebrale, da cui muove la letteratura amo rosa del secolo, assume intonazioni intensamente romantiche; forse è proprio questo aspetto che ha entusiasmato il C. e lo ha spinto a tentare la traduzione delle due operette in prosa, quando avrebbe potuto affrontare la lettura di composizioni poetiche del rossi glionese molto più attraenti. Abbiamo avuto la fortuna di identificare il codice sul quale il C. ha fatto la sua traduzione: esso è il Vat. lat 4802. Evidentemente l’Ubaldini ha letto appena i titoli senza neanche accorgersi che sopra il titolo della prima novella il C. aveva scritto: lingua catalana (v. Vat. lat. 4818, cc. 127-138 e 139-143). Per più ampie notizie v. V. F anelli, Note sulla diffusione della cultura iberica a Roma in « Studi Romani », X V (1967), 3, pp. 277-88. Ma l’ argomento attende di essere approfondito sotto tutti i suoi aspetti. L’ Ubaldini non ricorda il grande merito del C., primo e solo tra gli studiosi del suo tempo, nell’ avere conservato e trasmesso ai posteri due celebri canzonieri por toghesi contenenti la poesia lirica delle origini; si tratta del Vat. lat. 4803, pubblicato dal Monaci (Il canzoniere portoghese della Biblioteca Vaticana messo a stampa da E. M o naci, Halle 1875; v. pure T h . B h a g a , O cancioneiro portuguez da Vaticana in « Zeitschrifte fiir Romanische Philologie », I, p. 71 sgg. e 179 sgg.) e del codice conosciuto col nome di Colocci-Brancuti dalla famiglia che lo ha posseduto dopo il Colocci, prima che pas sasse ad Ernesto Monaci e da questi alla Biblioteca Nazionale di Lisbona; prima che il codice fosse trasferito in Portogallo ne fu curata un’edizione diplomatica (Il canzoniere portoghese Colocci-Brancuti pubblicato nelle parti che completano il Codice Vaticano 4803 da E. Molteni, Halle 1880); e recentemente una nuova edizione (Cancioneiro da Biblio teca Nacional antygo Colocci-Brancuti a cura di E. P axeco Machado e J. P. Machado , Lisbona 1949) non ha, sembra, soddisfatto gli studiosi di filologia romanza (v. G. E. S ansone , Note testuali ad una nuova edizione del Canzoniere portoghese Colocci-Brancuti in « Filologia Romanza » , Torino 1954, pp. 89-101, al quale rimandiamo anche per le notizie bibliografiche). Anche nel Vat. lat. 7182, appartenuto, almeno in certe sue parti, al C., sono contenuti dei lais portoghesi, sebbene il Lattès (p. 334, n. 2) metta in dubbio quanto sull’ argomento scrive Silvio Pellegrini (I lais portoghesi del Codice Vaticano 7182 in « Archivum Romanicum » , Genève 1928, p. 303 sgg.). Inoltre nel Vat. lat. 3217, cc. 300-307 il C. ha compilato un lunghissimo elenco di nomi col titolo Autori portoghesi, lasciando tra un nome e l’ altro uno spazio per scrivervi notizie biografiche, come ha fatto pel primo nome; queste note sono state pubblicate e brevemente illustrate dal Monaci nella sua edizione del Vat. lat. 4803 (p. K e p. x ix sgg.). A c. 204v del Vat. lat. 4817 si trova un appunto che può essere utile per la storia di questi canzonieri: messer
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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Dolci rime d'amor più canti o scriva. Canoro cigno, che dal Tebro all'onde Lasci cantando le già bianche spoglie, Ch'ancor del suon n'han gioia ambo le sponde; Già tua man sacra il serto, e 'l premio coglie D'allori eterni, e non di quelle fronde Che ne dà Primavera e 'I Verno toglie.17* Latinamente oltre gli epigrammi scrisse De ponderibus et mensuris havendogli mossa tal voglia la commodità delle misure ch’ havea
Octaviarlo di messer lactantio ha il libro di portoghesi quel da Ribera l'ha lassato. Infine a c. 91v del Fai. lat. 4831, che è una raccolta di schede per la biografia dei poeti, è citato (Francisco de) Moner senza tuttavia darne alcuna notizia; e a c. 104r dello stesso codice, in un elenco di nomi di poeti italiani, è aggiunto sommariamente: altri spagnoli. Ad illu minarci in modo soddisfacente sulla sua conoscenza della lingua portoghese e sui motivi che lo spingevano verso questa ricerca in un campo da altri non esplorato c’ è l’ottimo lavoro di V a l e r i a B e r t o l u c c i , Le postille metriche di A . C. ai canzonieri portoghesi in « Annali dell’ Istituto Universitario Orientale », V i l i , I (Napoli 1966), pp. 13-30. Questo articolo, assieme a quello, già cit., di Santorre Debenedetti, Intorno ad alcune postille di A. C., costituisce un modello di come andrebbe fatta la ricerca sui codici del C., sia per le lingue romanze che per l’italiano ed anche per il latino. Anche la lingua francese è entrata naturalmente nell’ ambito degli interessi del nostro Angelo; il Vat. lat. 2748 è un codicetto pergamenaceo contenente un vocabolario latino-francese ed ha quasi in ogni carta postille nelle quali, al solito, il C. ci rivela la sua curiosità specialmente nei confronti tra parole francesi ed italiane. Certamente altri codici in lingua francese egli ha posseduto, ma quelli che noi abbiamo esaminato non presentano segni indicativi del suo interesse e del suo studio e nemmeno dell’ appartenenza a lui; il Vat. lat. 4792, che contiene i Fatti dei Romani, gli può essere attribuito solamente sulla base dell’indica zione dell'Inventario (IX a cassa, n° 42; il Vat. lat 2748 corrisponde al n° 3 della V Ia cassa; cfr. Lattès, p. 336). Anche questo è un campo inesplorato che potrebbe dare qualche soddisfazione agli studiosi. Ci sia consentito di fare qui un esempio che chiarirà in ma niera evidente il nesso che lega tra loro le postille colocciane: nel Cod. Vat. lat. 4817, c. 115, il C. dice: « Epo(i) el toscano quando non ha questo vocabulo Amens insensato re correrà danti et politiano al francioso et dirà fuorsennato, che e fuor di senno et pigliara un vocabulo piceno et uno provenzale più tosto che un mero latino ». Troviamo che nel Vat. lat. 2748, che è il vocabolario latino-francese ricordato sopra, a c. 41v, a fianco di « Debaccare — forsener » il C. annota « forsener » (osserviamo che « debaccare » do vrebbe essere scritto « debacchari » ; « forsener » non c’ è nei dizionari moderni); a c. 44v: « delirare — delirer vel essotir (?) » ed il C. annota « for di senno bis ». 174 La canzone, d’intonazione petrarchesca, è quella riportata in fondo alla Vita (pp. 104 sgg.). Il sonetto non è nei codici dove si trovano le altre poesie italiane del C.; la copia, tratta dall’ Ubaldini non sappiamo da quale fonte, si trova nel Barber. lat. 2567, c. 43, assieme ad altre notizie sul C. scritte anch’ esse dall’Ubaldini ed utilizzate per la compilazione della Vita. La redazione qui presentata e quella del Barber. lat 2567 hanno una variante nei vv. 7-8, in confronto al testo della traduz. lat. (p. 74): Con temer che non mai truove altro ingegno Che sì dolce d'amor piu canti o scriva.
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Federico Ubaldini
presso di sé, cioè il piede Colotiano et il Sestario di cui parla Luca Peto e i libri di Frontino e Giunio Nipso ricordati dal Volaterrano; su ’ 1 frontispizio di questo trattato è notato. ire quibus varia de men sura terrae, regionum, provinciarum et quaedam Astrologica continen tur ex Diodoro, Eutorio, Celso, Varone, etc. 175 Compose simigliante175 I suoi epigrammi latini sono quasi tutti nel Cod. Vat. lat. 3388; ma il C. ne ha rac colti un grande numero di altri autori, antichi e contemporanei, che sono, insieme ai suoi, in vàri codici; tra i quali tre costituiscono un vero e proprio epigrammatario e cioè VOttobori. lat. 2860 ed il Vat. lat. 3352, dei quali la prima stesura sembrerebbe essere il Vat. Lat. 3353. (cf. C. D i o n i s o t t i , Per Francesco Colonna in « Italia medioevale e umani stica», IV, Padova 1961, p. 326). Il C. evidentemente preparava una raccolta da dare alle stampe; ha suddiviso gli epigrammi in classi (28, per la precisione), disposte in or dine alfabetico, da Amatoria a Vota (ad es. Arguta, Tumuli antiqui, Epitaphia, Fortuna, Gratitudo, Maledicta, Obscena, Pastoralia, etc.); in maggior numero tra i moderni sono quelli del Tebaldeo e di Pietro Gravina; tra gli antichi quelli di Ausonio. Si potreb bero pazientemente rintracciare Iè fonti sulle quali il C. ha messo assieme la rac colta; è un lavoro meritorio Che attende uno studioso, di buona volontà. Forse la diffi coltà maggiore è in certi casi distinguere la paternità degli epigrammi; ci sembra che perfino nella raccolta del Lancellotti ne sia scivolato qualcuno che del C. non è; ma non è un gran danno poiché queste composizioni poetiche in latino, pur essendo migliori di quelle italiane, non hanno altro pregio che quello della eleganza della fattura e della pu rezza classica senza che si possa per esse parlare di poesia. Di epigrammi greci, dovuti alla penna del C., non ne esistono; il Vat. lat 2848 è una raccolta di epigrammi greci tra dotti in latino e non ce ii’ è neppure uno in greco; abbiamo già rilevato gli errori del Lan cellotti (p. 35) in proposito (v. n. 32). Il C. ne ha trascritti alcuni in questa lingua, sparsi nei vari codici, come ad esempio bel Vat. lat. 3388, cc. 8Y,.-58, 58?».$9, 280v, per soddisfare qualche sua momentanea curiosità o quando ne aveva bisogno per le sue ricerche di metrologia (v. n. 32). Quando nel maggio 1511, il Carteromaco gli annuncia il dono di un esemplare delVAnthologia pubblicato da Aldo nel 1503, gli risponde: « Ben haveria hauto caro me ce haveste mandato lo intenderli » ( D e N o l h a c , Les correspondants d’A . Manuce, già cit., p. 296); il volume è stato identificato da Carlo Gallavotti (Planudea, II, in « Bollet. del Comitato per la preparazione dell’ Ediz. Naz. dei Classici Greci e Latini » , N. S., V i l i , Roma 1960, p. 19) ed è segnato Aldin. I I I . 21. nella Biblioteca Vaticana. In quanto all’opera De ponderibus et mensuris, attorno alla quale il C. si è affaticato tutta la vita, è rimasta sempre allo stato di progetto; aveva raccolto un’ enorme quan tità di citazioni da tutti gli autori, sia latini che greci, che potè procurarsi, ma non si è mai nemmeno accinto a dare una sistemazione al materiale sparso in numerosi codici, specialmente i Vat. lat. 3895, 3906, 4498, 4539, 5395 (v. n. 179). L’ opera alla quale si riferisce l’ Ubaldini non è del C., ma del Questemberg (v. G. M e r c a t i , Questembergiana in « Opere minori », Città del Vaticano 1937, IV, pp. 437-61); fu creduta sempre del C., tanto che nel 1730 Adriano Colocci se ne fece fare una copia, attualmente in nostro pos sesso, preceduta da notizie biografiche (v. F a n e l l i , Lettere di Londra, pp. 117 sgg.). Eutorio è un errore dell’ Ubaldini per Eutocio. Per i pezzi archeologici e per i libri v. nn. 54, 55 e 59. Il titolo, che FUbaldini riporta come scritto sul frontespizio del trattato sulle misure, in realtà non c’ è; il codice è il Vat. lat. 5395 e quel titolo lo ha fabbricato egli stesso, come si può vedere dal Barber. lat. 4000, c. 258v e Barber. lat. 4871, c. 19. La traduz. lat. (p. 74) è qui un po’ diversa: scripsit opu-
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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mente una epistola De numero ternario, e ragunò d’ assai notitie da tegli per avventura dal Lascari, De Rebus Turcicis.116 Mise insieme un libro de racconti faceti in latino, a emulatione del Poggio Fioren tino, volendo lasciare a’ posteri parte del diletto ch’ egli porgeva altrui con la dolcezza della sua conversatione lodata per più fiate dal Pontano .177 Era l’ingegno di quest’uomo, ovunque tu lo volessi, pieghevole, o sia negli studii o nell’usare con gli huomini o nel sov venir loro ne’ bisogni. Sì che a raggione di lui Francesco Pamfilo disse nelle Lodi della Marca, trattando di Jesi, queste parole: Angelus hac digna fu it Urbe Colotius ortus; Angelus Aonidum maximus ille philos. Vertitur in varias formas, totidemque figuras Carpathiis Proteus, quod Deus egit aquis. Polypus aequoreis non tot tibi sumit in undis Quot facies apto tempore cautus agit.
sculum de Ponderibus, et Mensuris a Luca Paeto, et aliis laudatum. Manca tutto il resto, titolo compreso, fino a: « Compose ecc. ». 176 La lettera De numero ternario è nel Vat. lat. 3906, c. 230r (sbaglia il Lancellotti, p. 40, che scrive « cart. 544 »); fu scritta all’ amico cardinale Trivnlzi per spiegare il significato del suo cognome ed è brevissima. Pensiamo che il nostro Angelo abbia tratto lo spunto a scriverla dall’orazione preparata a propria difesa da Pomponio Leto e con servata nel Vat. lat. 2934, c. 305 sgg. della Ia parte (il codice è diviso in due tomi ed è tutto postillato dal C.); l’ orazione, che doveva essere pronunciata di fronte a tre giudici, comincia proprio parlando del significato del numero ternario ed il C. ha annotato nel margine numerus ternarius, sottolineando alcuni nomi che si ritrovano nella lettera al Cardinal Trivulzi. L ’opera De Rebus Turcicis è un’ ampia epitome del discorso del Lascaris a Carlo V dopo la battaglia di Pavia (v. n. 145); sono le stesse parole riportate dall’ Ubaldini a pp. 80-82 e il C. non ci ha messo proprio niente di suo. Si direbbero piuttosto appunti e sono contenuti, come già s’ è detto, nel Vat. lat. 4820, ec. 42-49. L’ essere scritti in prima per sona e di mano del C. ha indotto l’Ubaldini, nelle prime stesure della Vita, ad attribuire al C. quell’ attività diplomatica che fu invece del Lascaris. 177 II libro di racconti faceti in latino è il Vat. lat. 3450, da noi molte volte già citato; ne parla diffusamente Vittorio Cian nella recensione all’opera del De Nolhac, La bibliothèque de Fulvio Orsini, in « Giorn. stor. della letter. ital. », X I (1888), p. 239 e lo de scrive così: « Questo curioso ms. è costituito in gran parte di piccoli foglietti o schede incollate nelle carte, dove si leggono (quando si riesce a leggere) dei motti, delle facezie frammentarie e appena abbozzate, degli appunti vani gittati alla rinfusa e spesso inter rotti, scritti tutti dalla mano nervosa e rapida del letterato jesino che, com ’è noto, ha sollevato colla sua cachigrafia tante discussioni paleografiche ». Poggio s’intende Poggio Bracciolini, di cui il Facetiarum liber, dopo la prima edizione di Roma del 1470, fu ri stampato innumerevoli volte. Le lodi del Pontano sono nell’op. cit., II, pp. 387, 426, 433 e 460 (v. n. 100) e sono riportate a pp. 64-65. È anche questo, rilevato dal Pontano, uno degli aspetti salienti del carattere del nostro Angelo, e cioè un gusto spiccatissimo per la risposta arguta, il motto di spirito, la parola pronta.
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Federico Ubaldini
Vinceret Anthaeum ludo, nitidaque palestra Aurea quique humeris jam tulit astra suis. Mellifluos latices sumpsit de gurgite fontis, Quem modo Gorgoneus calce peregit equus. Hunc amat alma suum captum dulcedine Clio, Hunc fovet Euterpe, Melpomeneque virum. Tradidit immensam seriem Polymnia rerum, Efficit huic virides diva Talia comas; Sensibus ast Erato divinum infundit amorem. Terpsicore mulcet pectora laeta choris. Urania astrigerum totum patefecit Olimpum, Mellifluos tribuit Calliopea sonos. Unicus hic nostros miseratus tempore Vates, Maecenas gratam praestitit alter opem. Hunc potes arbitrio Polystora dicere nostro, Hunc etiam merito jure vacare sophum,m Quasi tutto quello che si ritrova scritto da M ons.re Colotio, fattone copiare da tre volumi, TEm .1" 0 Card.1 Francesco Barberini tramandò in A ix al dottissimo Niccolò Claudio, Sig.re di Peireich, 1 179 huomo sì 8 7 nella letteratura come nell’ amore de’ letterati in modo simile al Colocci, che haverebbe altri affermato, con senso Pitagorico, 180 che l’ anima del Colotio havesse sortita la persona del Pereisch, che il
178 V. P a m ph il i , op. cit., p. 32 (v. n. 91 alla p. 61, dove il libro è intitolato Lodi del Piceno). Il manoscritto italiano e la traduz. lat. (p. 75) corrispondono esattamente al testo, mentre nel Lancellotti (p. 55) vi sono alcune varianti che giudichiamo arbitrarie. 179 Nel 1633 Jean-Jacques Bouchard in compagnia dello Holstenius ricercò nella Biblioteca Vaticana per conto del Peiresc quanto vi era sui pesi e misure degli antichi e naturalmente s’imbatté nei codici già appartenuti al Colocci. Ne fece copiare gran parte e mandò la copia al Peiresc; questi s’ era immaginato di trovarvi quelque chose du propre labeur d'Angelus Colotius et de ses sentiments particuliers en cette matière, ou de son estude. Invece non erano qu’extraicts par luy tirez de divers mss. qui ont depuis esté imprimez la plus part. Attualmente i fogli sono nella biblioteca di Carpentras, da c. 199 a c. 272 del registro V° della collezione Peiresc. V. Lettres de Peiresc publiées par Ph. Tamizey de Larroque, Paris, 1898, t. IV, pp. 85, 91, 109, 110, 147; le parole riportate sono a p. 147. V. inoltre Les correspondants de Peiresc — I I I Jean Jacques Bouchard — Lettres publiées par Ph. Tamizey de Larroque. Paris, 1881, pp. 11, 19, 27, 28, 34; G. V i t a l e t t i , Intorno ad una copia delle opere di Angelo Colocci inviata a Niccolò Claudio, signore di Peiresch in La Bibliofilia, X X V I (1924-25), pp. 29-30; F a n e l l i , Lettere di Londra, già cit., p. 124, n. 10, e Lattès, p. 328. Si noti come l’Ubaldini scriva il nome del Peiresc sempre in modo diverso, evidentemente incerto sulla grafia esatta; eppure l’ Ubaldini era segretario del card. Francesco Barberini ed avrà certamente visto le lettere con le quali il Peirese chie deva le copie dei codici colocciani. Su questo argomento v. n. 175. 180 È ripetuto il concetto della trasmigrazione, già usato nella lettera dedicatoria a Cassiano Del Pozzo (v. n. 2).
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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mondo ha prima ammirato e poi ultimamente pianto per haver in lui perduto un dottissimo Mecenate del presente secolo. Alla qual lode se non voi, nobilissimo Cavaliere del Pozzo, non è poscia ri sorto alcuno .181 A ragione amò il Peirech d’haver dell’opere che deireruditissimo padre dell’eruditione Angelo Colocci ci sono restate, perché nello specchiarsi in quelle ritrovava se medesimo, il quale nella curiosità, nella cortesia, nella liberalità e nell’amore delle lettere e de’ lette rati fu singolare; ma simigliantissimo poi nell’osservanza dell’ ami cizia di cui Battista Casale a ragione così favella: Graia in te certat, Romanaque gloria linguae Et neutra alterutri cedere vieta potest Quin etiarn sermonis cultu laudaris Hetrusci Unde tibi non est fama reposta minor. Rara quidem, sed non hec sola est gloria, sed quae Fit per amicitiae munera sola tua est.182 181 Qui finisce la traduz. lat. (p. 77), la quale però reca in appendice, oltre la Canzone che segue, queste composizioni latine: De Marmoribus inventis in Foro Romano (Vat. lat. 3388, c. 45), De Puella Catulum lavante (Vat. lat. 3353, c. 13), De Puero ab Apibus necato (Vat. lat. 3388, c. 46), De Epaminonda (ibidem), In Elegias Calentii (Opuscula Elisii Calentii, già cit., c. 109), Ad A . Thebaldeum (ibid.), De Hedera Quercum annosam complectente (Vat. lat. 3388, c. 115 e c. 202 e Vat. lat. 3352, c. 282), l’ epigramma contenuto nei Coryciana (c. 17v) sulle tre statue di Cristo, Maria e Sant’Anna fatte collocare dal Concio nella chiesa di Sant’Agostino ( Vat. lat. 3388, c. 62) e infine un sonetto a M. Gandolfo Porrino (Cod. Vat. lat. 4104, c. 54); inoltre un gruppo di iscrizioni latine e greche, che si trovavano nelle case e negli Orti colocciani, ex schedis Bibliothecae Barberinae ( v . n. 58). Il Porrino era stato condotto a Roma dal conterraneo Molza ( v . n. 71) che pro babilmente lo introdusse nell’ ambiente dei Farnese; col Molza condivideva la passione per le donne tanto che, quando nel 1552 morì, si disse che era morto per aver troppo amato. Fu amico anche del Varchi, del Caro e di mons. Della Casa; probabilmente l’ ami cizia tra lui ed il C. era sorta per tramite di Annibai Caro nell’ ambiente perugino di Gio vanni Gaddi ( v . F a n e l l i , Lettere di Londra, pp. 114 e 125, n. 15). Dei loro rapporti, oltre che nel sonetto pubblicato qui, abbiamo ricordo anche in una scherzosa lettera, riesumata da Benedetto Croce, a lui diretta dal C. non sappiamo in quale data (il Croce scrive « Colozzi » ed assegna alla lettera la data del 1551, mentre il C. era morto nel 1549). Sul Porrino v . Lettere facete e piacevoli raccolte d a ll'A T A N A G l, Venezia 1582, pp. 218-19; T i r a b o s c h i , Biblioteca modenese, già cit., IV, pp. 223-25; B. C r o c e , G. P. in Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinasc., già cit., I, pp. 290-301; e G. B a f f i o n i , Annibai Caro e la città di Castro, Roma 1968, pp. 30 sgg. e note. Il Baffioni avanza l’i potesi, sostenuta da ragioni di notevole peso, che il vero nome del P. sarebbe stato Gia como; Gandolfo sarebbe stato il cognome paterno e Porrino quello materno, da lui ag giunto per affetto verso la madre; si dovrebbe perciò chiamare Giacomo Gandolfo Porrino. Il Peiresc morì nel 1637 e perciò quando l’ Ubaldini redigeva quest’ultima parte erano passati pochi anni ( v . n. 157). La traduz. lat. è più breve, ma il senso è sostanzialmente lo stesso. 182 II carme è tratto dai Codd. Vat. lat. 2836, c. 171v e 3388, c. 193v, dove è di 18 versi
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Federico Ubaldini
C A N ZO N E D I A N G E L O COLO C C I 183 Piaggie riposte apriche, Tremanti e verdi fronde Fra quai mi trovo in solitaria vita; Valli e rivere amiche Presso al suon di quest’onde Ch’a trar mille sospir dal cor m ’ aita, Pia rimembranza a riveder m ’invita La donna che se ’n già Secura in que’ bei poggi Cantando, udirete hoggi Quanta gioia il n’hebbe: ove non sia
5
10
Tra boschi ombrosi e folti Altro che voi, che con pietà m ’ ascolti. Bel prato era all’or, quando Mia donila humile e piana
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Col bel tenero pie calcò quest’herba, Bel fonte ove in specchiando 89
Sol dell’immagin vana Cominciò l’onda a diventar superba, Ma più bel quando per mia pena acerba Dormendo in verdi cespi Scherzar zeffir vedea Ventilando e movea
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Del bianco collo i crin dorati e crespi Com’ or ch’ avorio tocchi Mentr’Am or si posava in quei belli occhi.
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Ben dorme il vivo fuoco Sotto l’ arida polve, Né manca in lui d’ alta virtude ardente E queste a tempo e luoco Sue membra in sonno solve
30
invece che di 6; l’ Ubaldini omette i primi 4 e gli ultimi 8, mentre il Lancellotti (p. 58) lo riporta per intero. Su Battista Casali v. pp. 34 e 59 e nn. 34, 45 e 86. 183 Nel Barber. lat. 4882, che noi seguiamo, c’è una carta bianca prima della Canzone che è desunta dal Vat. lat. 4817, cc. 212 sgg., con qualche leggera variante, più che altro ortografica. Un’ altra redazione, con molte e profonde differenze, è nel Vat. lat. 4819, cc. 30v sgg.; anche il Lancellotti (pp. 7 sgg. della II parte) segue il Vat. lat. 4817 (il nu mero 4818 è un errore).
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Vita di Mons. Angelo Colocci
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Tra sasso e sasso il giovenil serpente: Ma quel velen ch’ha sotto il fier suo dente Spira pur doglie e morti, Sì la già chiusa luce
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Del mio bel sol riduce Sereno strai d’Am or cocenti e forti: Tolto da gli occhi il velo Ride col riso suo la Terra e ’1 Cielo. Poi mentre scinte e scalze, Com’ api in varij fiori Prendano i ricchi honor di Primavera, Scendean dall’ aspre balze I pargoletti Amori U ’ la bella compagna spogliat’era: Qual di candida benda e qual di nera
90
40
45
S’adorna e veste in donna, Chi ’1 purpureo coturno Si cinge, ed altri fum o Ch’in un tronco posar l’aurata gonna
50
Nudo di rami e foglie Quasi un trofeo di sì pudiche spoglie. Poi quando in lieto coro Fean sì dolci concenti Che non parean più dell’humane cose
55
E all’ armonia di loro Stean gli augelletti intenti E ’1 vago pesce per le sponde herbose Sol dal sinistro suo lato rispose
91
Quasi gareggiand’Eco Con la voce non tronca
60
E la cava spelonca Vaga del suon il primo habito seco Ritien sì avaramente Che ricantando, ancor dolcezza
sente.
65
Ahi lasso, hor mi rimembra Del primo dì che in gioia Gli occhi al viso e l’orecchie al canto apersi E piacer tanti assembra
70
Che fia (bench’io ne moia) 8
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Federico Ubaldini
Dolce quanto in amar giammai soffersi E perché sempre il cor letizia versi Non fia ch’ altro l’ingombre Che doppo il duro passo Se ’1 corpo in terra lasso Y o ’ che l’ombra mia errando per quest’ ombra E per l’amena riva Spirito nudo ancor qui canti e scriva. 92
Ben fu, canzon, quel dolce tempo amico Che la selva novella Della non sua beltà si fé’ più bella.
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APPENDICI
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Ü- Λ Λ ι . ·
A P P E N D IC E I
Nel Cod. Vai. lat. 3450, c. 56rv , in un foglietto di carta, ordinatamente in collato per un bordo al foglio, c’è un elenco di nomi di mano del C., scritti su tre colonne; la maggior parte dei poeti qui ricordati è nel Cod. Vat. lat. 2836 (v. nn. 20, 32, 42, 44, 45, 47, 54, 71, 72, 108, 112, 114, 120, 121, 130, 146, 149, 166, 167, 169). (nel recto;) pontano peto fundan. pardo compar. calentio altilio falcone
actio thamyra
pietro
volterrano septempedano rhallo sumontio caserta (?)
jo . puglies. (?) pomponio
casalio casanova
calmeta
b. cingulo ariosto bellino giberto pietras.cta ( gismondo ) fulignate
bembo
cartberomaco callimacho
sadoleto aegidio
m. sylvio g. delfino
vida trissino
cervino thamyra
cursio buccabella 1
britonio
iustolo clarelio g. delfino p. Vittorio
p. vectorio anysio chariteo lascari
bitonto motta cotta 1 alemanni
m. cavallo f. vigile
falcone
p. arret.1
pietra s.ta buccabella
thebaldeo mucciarel. (?)
f. flavio fabritio varano tryphon
hier. 0 nigro cotta correggio
bannibal caro
mannuccio
leonic. franchino
Claudio ptol.
pistoia
petro arret. 0
judaeco
marino caraccioli
turrio
(nel verso:)
1 Cancellato.
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A P P E N D IC E II
Il C. aveva interessato i suoi amici napoletani Francesco Elio Marchese e Pietro Summonte (v. n. 20) per acquisti di terreni nel regno di Napoli, proba bilmente a scopo di speculazione; questa è la risposta di Elio Marchese. Cod. Vat. lat. 4105, c. 276. (nel verso:) A l Spectabile messer Angelo Colotio Magist .0 del regist . 0 dele bolle. (nel recto:) Mi Angele tanquam fili dilecte salutem. Non credate me fosse desmenticato de veri amici. H . optimi oblivisci non possem, ma certo po lo mio ritorno equi non sono stato mai bene. Appresso fio trovata tanta novità equi de comperatori de stato che se tene opinion che siano in questa terra de li ducati trecentomilia per comparare et non se trova, ognuno stava in speranza del stato de la reyna o de Consalvo ferrandis, Consalvo non voi vendere et lo Re non voi che la Reyna venda, bisognia per mo habiate patientia, lo simile ve scriverà Summontio, il quale et per se et con meco ze ha usata diligentia grande, io andero un poco peragrando per el regno, et se alcbuna chosa troverò, al ritorno che farro in Rom a piacendo a Dio questo octobro, sarete advisato del tucto, persuadetive non minor desiderio haverne vui che io, per haverve spesso dicqua interea cura ut valeas: hoc mihi fieri gratius nihil potest. Neapoli 1 2 junii 1510 Tuus Franciscus Marchisius Aelius
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A P P E N D IC E III
Riportiamo qui quattro lettere inedite del Vopisco al C. (v. n. 20). Questa prima è dell’8 maggio 1517 e si conserva nel Vat. lat. 4104, c. 67. (nel verso:) Doctissimo Viro Angelo Colotio Secr.io Ap.co Amico su(o) oppidoque colendo (R)ome (nel recto:) Si quante volte con la mente visito V . S. e quanto con quella parlo, tutto ponesse in charta, navi puto oneraria ad te perferenda scripta essent. Ma perché tutto saria de affectione et ben volentieri, né V . S. certo il dubita, né io el scriverla (absit enim ut assentandi ne suspitio quidem quasi inuri possit Vopisco) per questo la presente non è per altro, si non per fare lo officio del scrivere zi καί μίαν τήν γραμμήν, ώ ς τε καί γνώναι φίλον είναι θάτερον έν Ζωοΐςιν1 anchora perché V . S. non si forsi maravegli si pure sene ricorda ch’io questa estate non venghi; doppia è la cagione aestivus ardor urbis famosus et me hic devinciens patris senium. Benché questo uno è il tutto. Questo autunno piacendo a Dio sarò in Rom a; V . S. né ad mia lettera rispose né per messer Ioannotto me scrisse, non è che non me vi escuseno le occupatione o almanco la voluntà vostra, puro haveria de charo intendere come so andate le cose, et come stanno, preghove dignate scrivermene un motto nisi si et hoc etiam negant negotia. Mi cresi per un certo bisogno seria venuto adesso in Rom a per un mese, l’ho reservato per autunno et si bisognarà ne avisarò V . S. Bombasio, Nicholao Judecho et Thibaldeo tribus corculis com mendabis nos et valebis Vopiscus tuissimus. Neapoli V I I I maii 1517
1 sia pure soltanto una riga, così anche da capire che l’una e l’ altra sou cose gradite tra i viventi.
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Appendice III
112
2) La seconda è del 12 aprile 1519 e si conserva a c. 63 dello stesso codice. (nel verso:) Viro summe humano et ingenioso D . Angelo Colotio Sec.rio Ap.co amico oppidoque verendo Rome (nel recto:) S .re M .r Angelo. Preghovi date undeci ducati ad m.r Joannotto, et fatene memoria con le summe grande ho avute. La prima credo fu 40 ducati, la seconda 69, seranno donque 120, et dignatevi farme intendere quanto fino adesso tene Y . S. mio. Dico perché più presto crederla havere un breve del Papa che de V . S. Almancho una lettera per risposta ad tante mie. Potrà Y . S. inten der da m .r Joannotto il bancho per el quale tenerite parati li dinari quando che io vi scriverò per detto bancho. Voleva io venire ad Roma per qualche dì ad visitarvi, nunc coactus in angustias destiti et com paravimus in Pausilypo villam, ibi occupati fuimus. Ostendissem tibi heroicum Carmen quod puto non despueres ocello. Clotius (sic) hic, amor Aonidum legisses xai 0sX/0 sìt)? av 1 Credo dopo Pascha, indriczate le mie cose, trovar qualche spatio vacuo da venirvi ad visitare con li altri homini grandi et amici, quos interim salutabis nostro nomine Tibaldeum, Rombasium, Judechum, ceteros. Tu nos tui alioqui amantissimos aut amabis aut diliges et valebis Totus tuus Vopiscus Neapoli X I I aprilis 1519
3) La terza è del 13 agosto 1535 e si conserva a c. 65 dello stesso codice. (nel verso:) Viro generosissimo et doctissimo Angelo Prono amicoque suo oppidoque Colendo. Rome.
Colotio
(nel recto:) Ihs. Ornatissimo signor Colotio se io volesse scri vendo exprimere la affectione ho portata sempre ad vostre singular virtù; vorria parimente includere il mare in vitrei vasi. E t la impos sibilità di questo è stata causa del mio interiuncto anzi abandonato scrivere. Ma offerendosi alcuna particolar occasione, puossi sempre et potrassi scriver; come se V . S. si dignassi respondendo farmi un breve m otto, acciò una parola di quella riporti da me un centinaio o un migliaio quod vis minime sim locutuleius, questo per lo advenire che per lo innanzi tengo urgentissima occasione scrivere ad quella, havendo inteso frequentarsi vostra iucundissima Academia dal mio messer Iacobo perfetto, rara gemma anzi incomparabile Ciciliana.
1 e tu ne saresti incantato.
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Appendice III
113
Quale io ricomando ad V . S. quanto me, overo più quanto più virtù ha di me, et arte furace degli animi gratissima, che si possibil fosse ardirei dire essere Mercurio fatto homo. Ita omnium omnes contrahit hic unus amicitias. Né manco per la eruditione che per la affabilità mirabile saria mia opinion comprobata; omnino, quamquam sciam te a me impelli currentem, illius virtutes tibi quam comendatissimas velim eumque persentiscere aliquod meum apud te testimonium et comprecationem valuisse. Salve et vale.
Quicquid est tuus vel cliens J. L. Vopiscus
Neapoli X I I I augusti 1535
4) La quarta lettera è nel Regin. lat. 2023, c. 384. (nel verso:) xw gooatxMTaTcp
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1
(nel recto:) Ihs. Mirum hoc aeque et peracerbum est voluisse me Iuditii exemplum effingere Aristotelicum: et ingratissimo negocio Enthym em a in prima figura concludere, ad astructionem aegro tandi excipientem tò tcopétteiv2. Nunc itaque aegrotare me curto enthymemate doctissime Coioti pulchre noscis. A t igitur quid mihi cum tua hac inquies ex arte monstrata aegrotatione? quoniam cum epistula, ut ait ille: tum tantae meae erga virtutes tuas fidei con scientia non erubescit. Cum me in hoc praecipue tempore xw rcpoomxcomTcp3 febricula mancum reddiderit: erat mihi famulus conducendus: erat fortasse in palatium recurrendum, ut mulam reciperem meam. Velim exoratam tuam insignem humanitatem famulum tuum eo pro mula ad Paulum mitteres si oporteat meo nomine. Acceptam illam in duos vel tres dies cum tuo Cyllaro curandam non gravareris. Neque sum veritus tibi meorum curam committere, commendareque diligentiam; qui me ipsum pulcherrimo virtutum tuarum vin culo nexum, tuo imperio mancipasti. Vale . 4 Tuus Aloisius Vopiscus.
1 al dottissimo Colocci. 2 l’ essere febbricitante. 3 pienissimo di faccende. 4 La lettera ha il margine inferiore tagliato; si è perciò perduta la data e, parzialmente, la firma.
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A P P E N D IC E IV
Nell’Archivio di Stato di Firenze, tra le Carte Strozziane, filza 353, p. 16, è un elenco di nomi dei componenti dell’Accademia Coriciana. L ’autore dell’elenco pensiamo debba essere il Giovio, prima di tutto perché varie lettere sue o a lui dirette seguono nello stesso fascicolo; in secondo luogo perché l’elenco stesso è come un’ appendice di una lettera senza firma al Duca di Piacenza, datata « R o ma, 27 dicembre 1548 », che ritroviamo, sebbene datata « 27 dicembre 1546 », nelle raccolte stampate: v. P. G i o v i o , Lettere a cura di P. G. Ferrerò, II, Roma 1958, pp. 61-63; v. pure I, pp. 46 e 51. Nell’elenco figura il Sadoleto, morto nel 1547, e non figura il Colocci, morto nel 1549; la redazione dell’elenco è da porsi dunque alla stessa data della lettera. Stranamente non vi figura proprio il Coricio, che dovrebbe invece essere proprio il primo, avendo dato il nome al l’Accademia (v. nn. 32, 33, 38, 40, 45, 47, 54, 58, 71, 89, 94, 108, 111, 113, 117, 120, 121, 131, 146, 169).
Corytianae Academiae Fato functi, qui sub Leone floruerunt. Donatus Tuscus
Capella Romanus
Phedrus Volaterranus Camillus Paleottus Bononiensis Baptista Casalius Romanus
Capellius Cremonensis Africanus Parmensis
Beroaldus Iunior Bononiensis Scipio Cartheromacus Pindarus
Pactolus Thuscus Paulus Bombasius Bononiensis
Cetrarius Brutius Gallus Antonius Amiterninus
Lippus Florentinus
Gaspar Arsillensis Bononiensis Tilesius Cosentinus Sanga Romanus Iulianus Camers
Siculus poeta Parrhasius Cosentinus
Marosticus
Serenus Monopolitanus Camillus Portius
Crotus Nicolaus Camers Salviati
Syllanus
Franciscus Sperulus Io. Maria Cataneus
Alcionius
Marius Volaterranus Faustus Magdalena
Antonius Lelius
Andreas Maro M. Antonius Casanova
Iulius Sadoletus Latinus datarius
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Appendice IV
Monachus Severus Pimpinella Romanus
Petrus Curtius Hieronymus Fundulius
Augustus Patavinus Grappaldus Parmensis Nicolaus Iudecus Yenetianus
Ioannes Lascares Marcus Caballus Massianus Florentinus
Aegidius Cardinalis Laomedonta Camers
Petrasancta Lucensis Lampridius Cremonensis Balthasar Castellio Poggius
Statius Gibraleo Longolius Laurentius Grana Marcellus Clodius Antonius Modestus Celsus Mellinus Guido Posthumus Alexander Paetius Gerius Aretinus Alexander Cardinalis
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Marcus Mussurus Gaspar Ursinus Germanus Georgius Sauromanus Germanus Bembus Cardinalis Sadoletus Cardinalis Ferdinandus Balamius Arsillus Senogalliensis Mariangelus Aquilanus.
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A P P E N D IC E V
Le tre lettere seguenti sono di Battista Casali e si riferiscono al periodo in cui il C. era governatore di Ascoli Piceno (v. n. 45). 1) Vat. lat. 4105, c. 195. (nel verso:) R.do D .no D.no Angelo Colotio Protonotario ap.lico Asculi gubematori (...)nto plur.mum honorati.mo (nel recto:) Reverende Domine salutem. Non ve meravigliate se non ve ho remandato lo presente portatore prima che adesso, sapete corno sonno le cose di Rom a, quello che lhomo se crede expedire in un hora non la expedisce in octo giorni, le audientie sonno longe et in questa cosa bisogna mo esser a palazo mo in Rom a mo là mo qua; puro io ho operato con Monte et Monsignor mio pisano che lo amba sciatore non resolverá cosa alchuna secundo volé sed redibit re in fecta benché había data informatione a tucti che voi site troppo ti mido et che non sapete fare lofficio. Io ho resposto allo Auditore, a Monte, a Barotio et tucti li altri che le opere vostre non sonno da timido, che avete combattuto con grandissimo dissavantaggio contra molti et factili presoni ma che loro sonno traditori; et questo amba sciatore principalmente che trovándose delli Signori se tirò indietro como homo timido et accusa la timidità in voi volendo ricoprire li loro parenti li quali sonno homini seditiosi; et se avessi possuto af frontarmi con lui o innanti allo auditore overo lo Card.le de Monte quando narrava tante bugie, io li haveria lavata la testa senza sa pone; pure io ho in modo difeso le cose vostre, che ho facto luno et l’ altro capace dello vero et Monte insiemi con monsignor mio hanno parlato al papa in modo chel papa non è per fare cosa alchuna che voglia, siché state di bona voglia et attendate a fare lofficio vostro arditamente. Io ritengo Francesco per tucta domani, forza ve scri verò più ad longum per lui. Recommandateme a M.r A n t.° et M.r Ceccone. Rome die 8 Julii 1523 Ser. Casalius
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Appendice V
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2) Vai. lat. 4104, cc. 74r-75v. (a. c.75v:) R.do D .no
D.no Angelo Colotio gubernatori Asculi
D .no meo plur.m hono. (a c. 74r:) Reverende Domine salutem. Non ve ho cognosciuto tanto credulo per lo passato che ve se potessi facilmente persuadere ogni cosa. Credo ben che rArmellino forza pigliarla lo governo se potessi, ma non credate chel papa nillo daessi mai. E t la venuta del Vicelegato è stata per opera de Cosenza qui solet in duas sellis sedere, puro utcumque sit ferendum est perché non se po’ più. Satis est chel papa non vole che ve se faccia mancamento, ma la cura de as settare la terra vole sia comune et nihil fiat sine te. Cosenza et lo auditore hanno dicto a Monsignore mio pisano chel breve è facto, al Vicelegato che sia insiemi col governatore, lo porrete vedere et caso che lui faccia altramente et te non vocato curet solus omnia scrivate et se provederà de mandare lo breve, altramente non pare al Car.Ie se mandi altro breve. Messer Philippo non era de opinione de mandarne altramente lo locotenente, né che voi ve havessivo a partire, corno me referì molti giorni fa messer Thomaso Guerrieri. Io so de contraria opinione et non me piace mentir, che poi che ve successo bene de esserve mosso a sbaraglio della vita che state più a combattere per una cosa dove non ce è né honore né utile, che quando morissivo ben con tucte le prove del mundo, per questo non vese poneria in foro statua equestris. De quello chio vescrissi molti giorni fa che seria stato al vostro proposito, io ho hauta relatione che è homo dabene, de qualità, docto et experto in simili governi et se ria per farve honore, el quale non è Romano, et de quello ve promet terà ve darrà bonissime cautioni et mastro Mario Scapuccio el quale me ne parlò sponte offert quascumque cautiones, et in tucti li modi che vorrete lo haverrete, desiderarla bene sapere che è l’ animo vostro volere, per lo primo che scriverete porrete chiarire questa partita et levarve de fastidio et pericolo; et con quanti amici vostri parlo tucti sono de opinione che ve sbrettate lo più presto che possete; si me audis ipsum te his trichis expedies et reddes te tuis. Lo Card.le mio pisano ha parlato più et più volte col papa et colli triumviri, el papa lo trova ben disposto, li triumviri frigent et nutant. Cosenza per lo amore del parente, lo auditore non vole dispiacere al collega, pure non audent palam in te quicquam, quia norunt mentem principis minime a te alienam, et bisognando far capo a loro obandiunt et differunt. (c. 74v:) Lo pisano ha parlato et parlarà ogni volta che bisognarà et se non fussi stato S. S.ria non so chi avessi parlato mai. Lo sanno
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Appendice Y
li ambasciatori alli quali parlò honorificentissimamente de voi et per causa vostra se offerse ancora alla comunità in tucto quello lo adoperarla più in effecto che in parole et è per farlo. Messer cursio ogni dì me secca le orecchie, che poi che ha facto quel voleva saltem lo facessi pagare del terzo anno. Se fussino tanti
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cati quanti sonno quatrini non farria tanta furia, pare non possa vivere se non ha quelli pochi baiocchi. Qui in Roma è conclusa la liga col papa, imperatore, Anglia, fiorentini, milanesi, lucchesi etc. prò defensione Italiae. Non credeva nisciuno che Yenetiani ancora loro accederent, tandem sabato a matina Io primo dì de agosto venne la nova anchora de venetiani et la sera forno facti fochi et molta alegreza dalli imperiali et venetiani. Lo dì della neve che serra mercore lo papa andarà a S.ta Maria Magiore et là publicarà la liga, messer Yincentio Pimpinello habebit orationem sì che de francesi se spera male et che seranno sforzati loro ancora accedere alla liga, el che facendose se pigliarla limpresa contra el turco. E1 datario è stato molto male, questa matina se diceva che stava poco meglio non so che serrà, heri li fu cavato sangue, se infermò da poi la cena coritiana, ego me continui domi. Se dice chel papa haveva già molti giorni fa mandato per messer Jo. Vincler, se lui venissi serria nello officio del datario molto più expeditivo. Vale. Rome die 3 Augusti 1523. Recommandateme infinite volte a messer Antonio Malaspina. Ser. Bap.ta Casalius 3) Vat. lat. 4104, cc. 72r-73v. (a. c. 73v:) R.do D.no D.no Angelo Colotio gubernatori Asculi D.no meo plur.m hono. (c. 72r:) Reverende Domine salutem. Ho visto quanto scrivete in più vostre lettere et pigliato dispiacere non possendose pigliare resolutione presta per la indispositione del papa al quale non se po’ parlare et li triumviri omnia differunt sive quod nolunt sive quod ne ipsi quidem admittuntur; pure spero subito che se porrà parlare al papa le cose se resolveranno bene perché non intende che a voi sia fatta iniuria. Li ambasciatori sollicitano expedire brevi in favore vostro et satisfactione della comunità; che voi insiemi col viceleg. habiate ad essere ad dare forma al bene vivere et vanno de bone gambe et me dicono che non dubitate niente et che state forte chel baricello del quale scrivete non se mette per lo vicelegato, ma per la comunità et perché non lo habia ad metter lui et tucto quello se
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Appendice V
fa, se fa per dare nelle ogna al vicelegato. De voi hanno parlato a Monsignor mio molto honorevilmente de voi et così me dicono haver facto anchor con Monte et Cesarino in absentia mia sì che me pare vadano de bon gambe et li brevi che cercano se expediscano sonno tucti per impedire et deminuire la auctorità del vie. Io referirò quanto scrivete a quel de Mastro Mario se volessi pagare li cento ducati et advisarove, et similiter del facto del giardino del populo, perché a questi dì messer Julio de Crescentio canonico de san Piero me ne rascionò se voi erate per pigliarne partito overo darlo a pesone; tentarò l’animo suo se fussi per comparare. Ma io laudaria che ve levassino de partito per ogni respecto sì che li favori di qua son tali che al papa non se po’ parlare, li triumviri se hanno respecto et ogni cosa va in infinitum, et se havete facto una pazia che ve è reuscita bene de esserne messo ad tanti periculi guardate non venne advezate perché ce porressino lassare la pelle; preterea siquid accideret de pontifice in tanta impunitate armorum non esset satis consultum saluti. Ho scontrato questa matina messer Luigi Gaddi et li ho dicto chel thesorieri non ve vole pagare, me ha resposto che scriverà che subito ve satisfaccia de quanto volete; a questi dì passati in Banchi trovai uno che me domandò di voi se sapeva che fussi partito, del che maravigliandomi me disse che uno era venuto di là che havea visti li forzieri vostri portare fore et che voi la sera erate per partire; poco da poi scontrando li ambasciatori, dicendoli questo passò colui che me havea (c.72v:) parlato, li quali me dicevano che li adversari davano questa fama perché vorriano, colui da poi venendo derietro a me disse che era lo cancellieri donde io compresi che era vero quello che dissero li ambasciatori. E t me disse lo cancellieri che me voleva venire a parlare un dì et non lho più visto. De far intendere allo au ditore overo a Monte che desideraressimo levàreve di là et trovare chi pagassi li denari a mastro Nicolo, non so corno sia al bisogno; forza serria meglio cercare fare li facti soi senza intendere niente a costoro. Del partito con Castelli maris crederla che voi potessivo tentare con lui meglio che nisciuno altro, perché non so corno l’homo se possa fidare de costoro che forsa cercariano impedire, quando fussivo voi di acordo più facilmente otterria ogni cosa, pure vedete quello che ve pare meglio che io farò quanto me scriverete. A questi dì passati morse lo auditore Pietra sancta et fu scripta tucta la robbai poi se è resoluta bene la cosa, et dicono chel papa darrà a messer Thomasso alchuni benefìcii del fratello. Yale. Rome 17 A ug.ti 1523. Ser. Bap.ta Casalius
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A P P E N D IC E V I
Lettera al C. di Tommaso Pighinuzzi di Pietrasanta (v. n. 47); del Pietra santa parla il Casali nella lettera del 17 agosto 1523 (v. Appendice n. 5). Vat. lai. 4104, cc. 76-77. (c. 77v:) R.do messer Angelo Colotio amico optimo in Rom a (c. 76r:) Messer Angelo mio al corpo di Christo chio sono per an dare in Francia col Carde et se Pietro Cursio diventerà Homero, et voi Platone io diventerò Ulixe; senza me non possete essere, che sareste nulla; se io compiaccio a voi compiacete voi a me, accioché il proverbio de Siculi sia vero, io anderò et voi resterete et dovunque mi troverò serò sempre vostro servitore, io so che ala ritornata mi harete invidia; et infin de adesso ne vado superbo, et jam videor videri vobis Ulixior, et vos mihi Homeriores et Platoniores; et dico da vero, ch’io non burlo in abstutia pur che mess. Pietro non piglie homeriores in mala parte aut prò cecitate aut prò alio, se bisogna (c. 76v:) giuratiglelo voi che sete formicha di sorbo et che cognoscete lui et me, et voi medesimo. M .r Mario nostro dal quale ho ogni giorno lettere è a Yenetia; et maladictum ferculum podagra persequitur eum usque ad mensam Imperatoris, li bisognerebbe las sar le gambe, se non volesse andassi seco pacientia; l’ho persuaso che se ne venga a Rom a, secondo me scrive credo lo farà, ma ancbora dubbita deli spagnoli di m .r Pietro. Non altro per adesso a risposta dele vostre et maxime de quella di X I I . del passato che hieri sera mi portò il cappellano vostro de secretarli. Da Rom a ali 5 di gennaro del 1530 Il v .r0 Pietrasancta
Perché non vi posso scrivere cosa certa di nuovo, che li cervelli di questi nostri Principi (c. 77r:) o non si vogliano lassare intendere o sonno instabili, non vi so dire altro salvo che hieri si lassava Turino e Bologna, per venire per tutto questo mese a Roma et tutta la corte si rallegrava
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Appendice VI
121
et già cominciava a mettersi in ordine; hoggi non se ne ragiona et dubbitasi che passerà carnevale. Credete a vostro modo, io credo di queste cose quello che vedo, chi vuole indovinare induvini, che io me ne voglio stare alo effecto, et sia quello che si voglia et così fate voi, come havete facto sempre et permittas principes insanire. Tutti li amici di qua ve si ricomandano et similemente io chio non mel dismentigassi, et a tutti li amici et offero in quanto vaglio et posso.
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APPENDICE VII
Nel Regin. lat. 2023, c. 27, è questo biglietto di Antonio Agustin, senza data e senza il nome del destinatario, ma diretto probabilmente al Prefetto della Biblioteca Vaticana (v. n. 58). V . S. m i fara gratia havere di monsignor Colotio Higynio de limitib. scritto a penna insieme con altri di simile argomento tutti in uno volume et l’indice dignitatum civilium militariumque in Oriente cum insignibus depictis cuiusque magistratus de detto Monsignore Ser.tore di V . S. Antonio Agostino
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Cod. Vai. lat. 4103, c. 23r. Facsimile di un biglietto di Giovanni Lascaris al Colocci; la trascrizione è in Appendice n. 8 ( p. 124 ) e la traduzione alla n. 144 ( p. 79 ).
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A P P E N D IC E V i l i
Presentiamo qui il testo greco del biglietto del Lascaris al C. del quale ab biamo dato la traduzione alla n. 144. È conservato nel Cod. Vat. lat. 4103. (C. 23r:) 1) 2) 3) 4) 5) 6) 7) 8) 9)
μη έάσης με προς θ(εο)ΰ καί χαρίτων κενόν άπελθεΐν. οφείλω γάρ τ ώ πανδοχεΐ ένα χρυσίνον ολόκληρον, γινώσκει τοΰτο θ(εό)ς ό τά πάντα είδώς. άλλά καί την είσερχομένην έβδομάδα ούκ οϊδ’ όπ ως διελθεΐν εί μή βοηθήση μοι ή ση ένδοξότης. βοήθησον τοίνυν ώ μεγαλοπρεπέστατε. ώ ς καί αύτός τά όμοια παρά θεού άπολαύση έρρωσο σος Ίω (ά ν)νη ς λακεδαιμόνιος Το βιβλίον ήδη τετελείωτο θ(εο)ΰ βοηθοΰντος. πλήν ολίγου τίνος όπερ δια τάχους εκτελεσθήσεται.
(c. 23”:) 1) 2) 3) 4) 5)
Τ ώ έκλαμπροτάτω μοι κυρίω κυρίω άγγέλω τ ώ κωλοκίω +
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A P P E N D IC E I X
Vai. lat. 4104, c. 87 - Lettera del C. a Francesco Bellini di Staffolo (v. n. 166). (nel verso:) D .
Francisco
Bellino
iuveni
docti(ssimo)
et
mihi
pl(urimum) honorando. (nel recto:) Messer Francesco honorando, alli dì passati io recevi una vostra epistola elegante et bella et degna di voi et per esser io in gravissime occupationi non posso scriver più allungo che questa. Messer Antonio et Lampridio vi si ricomandano et vi salutano; et loro et io stiamo vigilanti per vui occorrendo qualche honesto par tito. Recevi li dui ducati che mi havete rimandati; siete troppo di ligente et non pigliate securtà di me. D a questo in poi che spero rihavermi delle cose mie dal papa prego vogliate usare la casa mia come la vostra proprio et così le facultà che ve le offero di core. Vale. Rom a die 20 Septembre 1525. Tutto vostro A . Colotio secret. Ap.lico
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A P P E N D IC E X
Riportiamo qui un invito a cena del cremonese Girolamo Fondoli al C., senza data, conservato nel Regin. lat. 2023, c. 116. Il Fondoli era amico, oltre che del card. Salviati, anche di Anton Lelio Massimi (v. P e r c o p o , Di Anton Lelio romano e di alcune pasquinate contro Leone X , già cit.); è ricordato nelle lettere del Longolio (Orationes, eiusdem epistolarum libri I V etc., Firenze 1524, c. 69v, e Basilea 1580, pp. 49, 89, 124) e figura anche nell’ elenco delle Carte Strozziane (v. Appendice n. 4). La vigna indicata nel biglietto si trovava sulla riva destra del Tevere, dove oggi sorge ancora il palazzo Salviati, in piazza Della Rovere, appunto sotto S. Onofrio. Di Cremona il C. conosceva bene anche Be nedetto Lampridio che gli aveva procurato copie di codici provenzali (v. D e b e n e d e t t i , Gli studi provenzali in Italia nel Cinquecento, già cit., p. 261). Della famiglia Fondoli è ricordato più che altri Gabrino Fondulo che fu crudele ti ranno di Cremona fino al 1420 e fu fatto uccidere dai Visconti; su Girolamo v. F. A r i s i , Cremona litterata, Parma-Cremona 1702-1741, 11, p. 139. Regin. lat. 2023, c. 116. (nel verso:) A l molto hon. S.or mio el S.or messer Angelo Col.0 (nel recto:) Honorando S.or mio, V . S. se degnarà venire dom ani1 a cena / alla vigna del Car.le Salviati et per el presente / farmi sappere se vuole venire qui a casa / alle X X I I
dua hore overo alla
vigna la / quale è sotto S.to Honofrio; et di questo la pregho / quanto puossi. Raccom.mi a Lei. Di V . S. S ,t°r Hier.0 Fondulo
1 Parola illeggibile cancellata.
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A P P E N D IC E X I
A render chiaro il passaggio della casa all’Acqua Vergine dai Colocci ai Del Bufalo (nn. 48, 51) presentiamo uno schematico albero genealogico della fa miglia Colocci e quanto su quel passaggio è contenuto nel Codice Cololiano, c. 48r. Angelo ( f 1458) sposato a Flora Nobili Nicolò sposato a Fortunata Santoni (1466) Angelo ( f 1549) sposato a Girolama Bufalini ( f 1518) poi vescovo di Nocera
I
Francesco sposato a Ippolita Bagnolini Francesca sposata a
Tiberio Ripanti
*
Ippolito sposato in prime nozze a Paola Ghislieri
Marcantonio
in seconde nozze a
f 1545 senza figli
Gabriella Melchiorri
Valeria sposata a Maiolino Bisaccioni
Francesco sposato ad Aurelia Santi
Giacomo
Ippolito sposato ad Emilia Scala Francesco
Gio: Benedetto
Cod. Colotiano, c. 48r Atto di vendita della casa da parte di Francesco e Gio: Benedetto ai Del Bufalo nel 1600: Die 22 Novembris 1600 M. Rogerio Ferracuto, et Ottavio Cellio notariis in solidum rogatis, Adm odum 111.s M. Ioannes Bendictus, et Franciscus de Colotiis germani Fratres vendiderunt Dom um cum Sala, Cameris, Cantina, Cucina, Viridario, Fonte, et aqua Fontis,
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128
Appendice X I
nec non cum omnibus, et quibuscumque appartamentis superioribus, et inferioribus ab imo usque ad summum, et ut dicitur a centro terrae usque ad Coelum, ac cum omnibus, et singulis eiusdem Domus in troitibus, exitibus, iuribus, usibus, commoditatibus, membrisque, et pertinentiis, ceterisque ad ipsam Dom um , et eius Jura quomodolibet spectantibus, et pertinentibus, columnisque, lapidibus marmo reis, capitellis, statuis, statuarum fragmentis, portis, fenestris, vaseis marmoreis, et aliis lapidibus in dicta Domo existentibus et posi tam Romae in Regione Columnae e conspectu Domus 111.8 D . A le xandri Maurelli iuxta ab uno latere, et retro aquaeductum Fontis Trivii, ab alio bona infradicendorum M. Em ptorum , ante viam pu blicam nuncupatam del Bufalo salvis aliis et Admodum 111: D D . Angelo, et Octavio de Bubalis Patritiis Romanis germanis fratribus praesente ibidem d .° D . Octavio, et pro se, ac d .° D . Angelo eius germano fratre, suisque, et illius haeredibus emente, acquirente et una nobiscum Notariis legitime stipulante, et acceptante ad haben dum etc. etc. (Segue:) Compra della metà della Casa di
Rom a
Adì 7 luglio
1556 per rog.to di Fiorano Fiorani Giacomo Colocci vende a Ippo lito Colocci la metà della Casa con Orto, et Fontana posta in Rom a nel quartiero, e cont.a detta Capo le Case appresso i beni di Stefano del Bufalo da un lato e dall’altro, et avanti respettivam.te la strada pubblica, e dalla parte posteriore il condotto della Fontana di Trevi per prezzo di D dI 900 : —
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A P P E N D IC E X I I
La lettera seguente ( Vat. lat. 4104, c. 78) è interessante perché ci illumina sui rapporti del C. con Lazzaro Bonamico (v. n. 125), con Marcantonio Fla minio e con Bernardino Maffei. Questi era nato a Roma da famiglia bergamasca nel 1514; studiò a Padova e godeva buona fama come storico, archeologo, ora tore e poeta, tanto che Paolo III lo diede come segretario al nipote card. Ales sandro Farnese. Era stato fatto giovanissimo canonico di Verona, da dove scrive al C., poi vescovo, nel 1549 cardinale; ma nel 1553 lo colse la morte. Si hanno ricordi della sua amicizia col Caro, col Sadoleto e con Pier Vettori; v. Cardella , op. cit., IV, pp. 296-97. (c. 78w:) A l molto M ag.° messer Angelo Colotio S.or mio osser.mo B. Maphei et aliorum bonorum (c. 78T:) Molto M ag.°, Essendo in Padoa scrissi a V . S. dello amor grande / li porta messer Lazaro da Bassano, che non dice bene / de altri che di V . S. et le ricom. da parte sua / et similmente dal Lam pridio. credo certo V . S. sia scor / data del fatto mio perché non vego che V . S. mi mandi / niente de quello che propose; non prego d’altro V . S. se / non che m i dimandi pur cose assai. / Alla mia venuta in Verona ho trovato messer Marco Antonio / Flaminio qual si ricom. pur assai a V . S. altro non / m i occorre se non pregar V . S. che qual che volta / si degni scrivermi et se de quella cosa, qual / per laltra mia li scrissi del Tucidide, m i può ser / vire mi farria piacere singulariss: D a Verona / a dì 8 di gennaro 1532 Tuus Mafaeus
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A P P E N D IC E X I I I
Le O pere
di
Il Lancellotti (pp. 35-46)
A
ngelo
Co l o c c i
compila un elenco di opere del C.
contenente 24 titoli; in realtà esistono di lui solo le poesie italiane (v. n. 167), le poesie latine (v. n. 175), VApologia di Serafino Aquilano (v. n. 20) e un certo numero di lettere delle quali alcune pubblicate (v., ad es., F a n e l l i , Lettere di Londra e Lettere nel l’Archivio comun. di Jesi e n. 181) ed altre inedite, oltre ai nu merosi codici di appunti manoscritti. Epigrammi greci il C. non ne ha mai scritti (v. n. 32); gli Epigrammata antiquae Urbis non sono opera sua (v. n. 58); il titolo Caballini etc. è Vexplicit delle edizioni del Collegio greco (v. n. 32); le Epistulae sono le lettere latine scritte quale segretario di Leone X
o a qualche amico (v.
Lancellotti, p. 37); le “ Annotazioni su vari autori volgari e latini ” , il “ Vocabolario della lingua” , la “ Collectio vocum Petrarche et alio ru m ” sono frettolosi appunti e frammentari spogli lessicali dal Petrarca e da altri scrittori, abbozzi molto lontani da una stesura definitiva (v. n. 167); le note su Virgilio ed Orazio sono del Bonfini (v. n. 44) e non del C.; l’epistola De numero ternario è una lettera di poche righe al Trivulzi (v. n. 176); l’opera De ponderibus et mensuris è un trattatello
del Questemberg
(v. n.
175);
per
la
Collectanea epigrammatum v. egualmente la n. 175; l’ opera De rebus Turcicis in realtà è del Lascaris (v. n. 176); i due trattateli! Ele mentorum situs e De quadrante sono pezzi copiati da un trattato di cosmografia in preparazione dell’ opera sulle misure progettata dal C.; la “ Raccolta di Rime ” è un’ antologia di versi di vari poeti che non è neppure stata compilata dal C.; le “ Facetie” non sono un’opera, ma una raccolta di materiali per un’ opera forse pro gettata (v. n. 177); le “ Regole della lingua ” il Lancellotti stesso confessa (p. 44) di non essere riuscito a trovarle; “ L ’ anima di Oliviero ”
e “ La notte
d’ amore ”
dallo spagnolo e dal catalano dall’Aquila ” l’opera
è
del
Calmeta e non
sull’origine della
poesia
sono
tentativi
di
traduzione
(v. n. 173); la “ V ita di Serafino del
C.
(v. n.
167).
moderna, che, almeno
Invece in
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certe
Appendice X III
131
parti, ha raggiunto un’elaborazione che può considerarsi quasi definitiva, (v. n. 167) non è ricordata né dall’Ubaldini né dal Lancellotti.1
1 Chiediamo venia agli studiosi di alcune omissioni alle quali cercheremo di rimediare, almeno parzialmente, in questa nota. Su Alberto Pio (n. 14) v. T i r a b o s c h i , Biblioteca modenese, già cit., pp. 156-201; sul Valeriano (nella stessa n. 14) G. L u c c h e t t a , Contributi per una bibliografia di P. V. in «Ita lia medioevale e umanistica», I X (1966), pp. 461-76; su Giorgio Valla (n. 16) v. i lavori più recenti di J. L. H e i b e r g , Beiträge zur Geschichte Georg Valla’s und seiner Bibliotek, Leipzig 1896, e Nachträgliches über Georg Valla in «Centralblatt für Bibliotekswesen», X V (1898), pp. 189-97; sul Vat. lat. 4514, citato in fondo alla n. 20, v. R. A v e s a n i , Quattro miscellanee medioevali e umanistiche, Roma 1967, pp. 55-56; su quanto è detto nella n. 26 a proposito di Ottaviano Ubaldini v. L. M i Ch e l i n i T occi, Otlav. Ubaldini della Carda e una inedita testimo nianza sulla battaglia di Varna in « Mélanges Eugène Tisserant », V II (Studi e testi, 237), Città del Vaticano 1964, pp. 98-117; su G. Matteo Giberti (n. 42) v., anche se un p o ’ apologetico, A. G b a z i o l i , G. M . G. vescovo di Verona eco., Verona 1955; alla bibliografia sullo Staccoli (n. 94) sono da aggiungere F. R. H a u s m a n n , Giovanni Antonio Campano ( 1419-1477), Freiburg 1968, ad indicem, e la recensione di R i n o A v e s a n i in «S tu d i m edievali», ser. I l i , I X (1968), p. 1218; per l’ Inghirami (Phaedrus) alla n. 117 aggiungere il recente lavoro di P. K Ü n z l e , Raffaels Denkmal fü r Fedro Inghirami au f dem letzten Arazzo in «Mélanges E. Tisserant», V I (Studi e testi, 236), Città del Vaticano 1964, pp. 499-548; la difesa di Pomponio Leto (n. 176) è stata pubblicata da I . C a r i n i . La « D ifesa» di P. L. in «N ozze CianSappa Flandinet», Bergamo 1894, pp. 151-93; i versi indicati nella n. 108 come opera del card. Iacopo Sadoleto sono più probabilmente di quel « Iulius Sadoletus » ricordato tra gli Accademici Coriciani defunti (v. Appendice n. 4).
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I NDI CI
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INDICE
Accademia Coriciana nn. 54, 108, 131, Append. n. 4. — dei Disposti n. 107. — della Virtù n. 54. — lesina n. 107. — Pontaniana nn. 20, 21. — Romana n. 21, p. 65, n. 103, pp. 66, 67, nn. 107, 131. — Veneziana n. 32. Accursio, Mariangelo n. 58. Achaia p. 8. Achillini, Giovanni Filoteo nn. 20, 95. Adriano VI n. 20, p. 32, nn. 41, 43, 44. Africa p. 83. Ageno, Franca n. 169. Agnelli p. 11, nn. 18, 19. Agustín, Antonio, Opera omnia n. 54, append. n. 7; — Antiquitatum romanarum etc. n. 58. Aix, in Francia p. 102. Alberini, Rutilio p. 56, n. 78. Albornoz, Bibliot. Colegio mayor n. 45. Alcibiade pp. 43, 58. Aldrovandi, Ulisse p. 44, n. 52. Aleandri, V. n. 91. Aleandro, Girolamo n. 59. Alessandro VI nn. 29, 142. Alfonso d’Aragona p. 11. Alidosio, Francesco card. p. 25, nn. 31, 32. Alighieri Dante nn. 44, 59, 94, 170; De vulgari eloquentia nn. 120, 170. Allacci, L. n. 145. Altamura n. 20. Altieri, M. A. nn. 20. 47. Attilio p. 13, n. 20. Amadio G. n. 44. Amalfi, duca di n. 142. Amezzone n. 3. Ancona p. 8, n. 12, p. 10, nn. 44, 91, 155. Andrea (S.) apostolo pp. 7, 8, n. 12.
DEI
NOMI
Andrea Paleologo p. 6, n. 10, p. 7, n. 11, pp. 8, 9, 78. Andreone G. B., not. p. 23. Andronico, imp. p. 7, n. 10. Angelo da Cesi p. 23. • — Tifernate n. 29. Angiolgabriello di Santa Maria (Paolo Calvi) nn. 53, 89. Aniene n. 78. Annibaldi C., Una biblioteca umbra a Jesi n. 156; - L'Agricola e la Germa nia n. 44; — Una biografia inedita di G. F. Lancellotti p. V II; - La Germa nia di Tacito n. 44. Annibaldi G., Jesi dal governo provo. ecc. n. 157. Anthologia Palatina n. 175. Antinoo p. 44. Antonio Girolamo, vesc. di Cariati v. Ercolani. Apollo e Clatra n. 58. Apollonio greco, gramm. n. 20. — Tianeo n. 32. Aquilano v. Ciminelli Serafino. Arcevia (Roccacontrada) n. 156. Arco di Tito, a Roma n. 117. Aretino nn. 47, 94, 116. Ariosto nn. 47, 108. Arisi F. Append. n. 10. Aristotele nn. 21, 32, 120, 125. Armagnac, card, d’ n. 54. Armellini, M. nn. 12, 30. Arnaldo (Arnaut) Daniello v. Daniello. Arsilli, Francesco n. 20, p. 28, n. 33, p. 30, nn. 38, 45, 47, 50, 112, 117, 131. Ascarelli F. nn. 58, 110, 113. Ascoli Piceno p. 33, nn. 44, 45, 145, append. 5. Ascoli Satriano p. 11, nn. 20, 23. Asia p. 78. Atanagi, Dionigi n. 181.
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136
Indice dei nomi
Atene pp. 3, 66. Attone n. 3. Augusto, imp. p. 30, n. 37. Aulide p. 8, n. 12. Aurelio Vittore n. 29. Ausonio p. 77, n. 175. Avesani, Rino, Battaglia di Varna n. 94; - Lazzaro Bonamico n. 125; - Quattro misceli. Append, n. 13 n. — Recens, allo Hausmann append, n. 13 n. Raffioni, Giovanni n. 181. Raglioni, fam. n. 29. Bajazet II n. 145. Baldassini Girolamo n. 158. Baldi, Bernardino n. 26. Bambaglioli, Graziolo n. 168. Bandinelli, Ubaldino p. 70, nn. 116, 124. Barbarani di Vicenza n. 89. Barberini fam. nn. 1, 30, 79. — Antonio, card. n. 30. — Francesco, card. p. VI, nn. 1, 58, 152, p. 102, n. 179. — Maffeo (Urbano V i l i ) nn. 1, 168. — Niccolò n. 168. — Taddeo nn. 79, 168. Barberino, Francesco da pp. V I, 93, n. 168. Barbieri, G. M. n. 167. Barbiero A. n. 30. Barcellona nn. 20, 173. Barletta, Francesco v. Panfilo. Barsanti P. n. 44. Bartolini, Bartolomeo di Honofrio p. 22, n. 26. Bartolomeo da Fano, not. p. 84. Bassano del Grappa n. 125. Bazalieri, Caligola, tipogr. n. 95. Bea, Agostino, card. n. 12. Becalla, Bernardino n. 27. Belleforest, François de n. 145. Bellini, Francesco, di Sacile n. 166. -------- di Staffolo p. 90, n. 166, Append. n. 9. Bembo, Pietro nn. 47, 54, 72, 74, 90, 108, 114, 116, p. 71, nn. 120, 121, 137, p. 91, n. 166, p. 92, nn. 167, 170, p. 97. Benduli, Antonio p. 34, n. 44. Bernardino (p.) da S. Maria Nova p. VII.
Berni, Francesco n. 114. Bernini, G. L. p. 56. Beroaldo, Domenico n. 47. — Filippo junior n. 47, p. 69, nn. 113, 131, 163. -------- senior n. 112. Berrà, Luigi nn. 33, 36, 43, 74, 114, 152, 156, 163, 164. Berta di Amezzone n. 3. Bertolucci, Valeria n. 173. Bertoni, Giulio n. 72. Besicken, Giovanni de; Martino da Amsterdam, tipogr. romani nn. 20, 92, 94, 95. Bessarione, card. n. 12, p. 8. Biblioteca Angelica n. 145. — Barberiniana nn. 30, 58, 181. — di Carpentras n. 179. — Planettiana, Jesi n. 156. — Universitaria, Bologna n. 33. —- Vaticana nn. 26, 30, 33, 44, 53, 54, 58, 113, p. 79, nn. 145, 156, 163, p. 92, nn. 167, 175, 179. Bino, Giovan Francesco p. 70, n. 114. Biondo, Flavio n. 49. Biscina, cast. n. 26. Bisignano p. 78, n. 142. Biado, tipogr. n. 47. Bianco, Francesco p. 10. Blois n. 125. Bluhme n. 54. Boccabella, Mario p. 74, nn. 129, 130. — Paolo Emilio n. 130. Boccaccio, Giovanni n. 98, 169. -------- Il Filocolo n. 167. — Lorenzo, can. later. p. 23, n. 27. Boezio n. 53. Bologna p. 5, nn. 7, 32, 33, 87, 95, 113, 124. Bombasio nn. 47, 163. Bonamici, Filippo n. 94. Bonamico, Lazzaro n. 114, p. 73 n. 125, Append. n. 12. Bonfini, Antonio n. 44. — Matteo n. 44, p. 39, append. n. 13. Bollichi, Bindo n. 168. Bonifacio I X n. 3. Borgia, Cesare nn. 20, 167. — Giovanni, card. n. 29. — Girolamo n. 20.
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Indice dei nomi
— Ludovico p. 24, n. 29. — Stefano, card. nn. 113, 145. Bouchard, Jean Jacques nn. 1, 179. Bracciolini, Poggio p. 101, n. 177. Braga, Th. n. 173. Brancaccio, card. n. 168. Brewer, J. S. n. 45. Brugnoli, G. n. 44. Bruni, Ascanio n. 166. Budé, Guglielmo p. 44, n. 53. Bufalini, Angelo n. 20. — fam. n. 29, pp. 24, 28, n. 34. — Girolama p. 24, nn. 33, 34. — Nicolò nn. 29, 33, p. 28, n. 34. Buonaccorsi, edit. dello Staccoli n. 94. Buonarroti, Michelangelo n. 43. Bustico, G. n. 14. Caeculus n. 103. Calabria n. 142. Caleagnini, Celio n. 137. Calcia, Traiano nn. 20, 166. Calentio, Elisio p. 13, nn. 20, 23, 44, pp. 58, 61, nn. 90, 92, 103, 137, 140, p. 78, nn. 143, 181. — Lucio n. 20, p. 60, nn. 90, 92. Cali, Carmelo - Opere di G. P. Valeriane n. 14; - Studi letterari n. 44. Calmeta (Colli, Vincenzo) nn. 20, 72, 95, 120, p. 92, n. 167, append. n. 13 Calvi, Paolo v. Angiolgabriello di Santa Maria. Cambrai, lega di n. 145. Camerino, ducato di n. 32, p. 30, n. 36. Campana, Augusto - Intorno all'incisore G. B. Palumba n. 113; - Mariangelo Accursio n. 58. Campidoglio p. 9, n. 131. Campii n. 20. Candia n. 145. Canisio da Viterbo, Egidio, card. n. 47. Cantalamessa Carboni, G., Biografie di uomini illustri piceni n. 16; — Lettera intorno a mons. A . C. nn. 44, 157. Capasse, C. n. 87. Capella, Bernardino p. 68, n. 111. Capodiferro, Fausto Evangelista Madaleni p. 69, nn. 113, 117. Caponi, G. n. 169. Capua n. 168.
137
Carafa, Giampiero (Paolo IV) n. 87. Carbone, Girolamo p. 13, n. 20. Carcopino, J. n. 58. Cardella, Lorenzo n. 74, append. n. 12. Cardona, Raimondo di n. 20. Carini, I. Append. n. 13 n. Cariteo v. Chariteo. Carlo V, imp. p. 9, n. 121, p. 80, nn. 145, 176. Carlo V i l i di Francia nn. 20, 145, p. 81. Caro, Annibaie n. 181, append. n. 12. Carocci G. n. 45. Carpentras n. 108. Carpi p. 9, n. 14. Carteromaco v. Forteguerri. Casali, Battista n. 34, p. 34, n. 45, p. 59, n. 86, p. 103, n. 182, append. n. 5 e n. 6. Casanova, Marcantonio n. 47, p. 52, n. 71, p. 68, n. I l i , p. 90, n. 165. Casassagia, Baldassarre n. 20. — Bartolomeo nn. 20, 172. Casini, T. n. 20. Castelli, G. n. 44. Castellucci, A. n. 155. Castelnuovo Scrivia n. 167. Castelvetro, Ludovico nn. 21, 167. Castiglione, Baldassarre n. 98, p. 71, nn. 120, 121. Castiglione (Castalione), Giuseppe n. 54. Castro, ducato di nn. 79, 157. Catalogna n. 20. Caterina d’ Inghilterra n. 45. Catullo n. 20. Cavaillon, vescovado di n. 47. Cavallo, Marco nn. 20, 44. Ceccharini, Giacopo pp. 38, 39. Cecco d’Ascoli n. 44. Celso p. 100. Centurione, fam. p. 8. Cerino, Pomponio n. 47. Cervini, Marcello nn. 23, 44, 57, 60, 74, p. 78, n. 144, pp. 83, 84, nn. 147, 148, 149, p. 85, nn. 150, 163, 164, p. 90, n. 166. — Riccardo n. 150. Cesolo, borgata di Sanseverino n. 91. Chariteo (Gareth) nn. 20, 23, 172. Chigi, fam. n. 33. — Agostino nn. 20, 113. Chio n. 167.
io
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138
Indice dei nomi
Chiti, A. n. 32. Ciacconio ( Chacon) n. 74. Ciampi, S. n. 32. Ciampini, G. nn. 25, 94. Cian, V., Gioviana nn. 84, 113, 114, 131, 163; - Recensione al De Nolhac nn. 72, 108, 177; - La Satira n. 47; Un decennio della vita di P. Bembo n. 172; - Un trattatista del « Principe » n. 47. Cicerone n. 29, p. 66. Ciminelli Aquilano, Serafino nn. 20, 72, p. 62, n. 95, p. 78, n. 143, p. 92, n. 167, append. n. 13. Cina, Gianfranc. di Potenza, vesc. di Nazaret n. 45. Cingoli nn. 20, 33. Cingulo, Benedetto nn. 20, 44, 72, 140. — Gabriele n. 20. Cino da Pistoia n. 94. Cinuzzi, Alessandro n. 94. Cipro n. 145, p. 83. Circo Massimo, a Roma p. 68, n. 110. Città di Castello p. 24, n. 29. Clatra e Apollo n. 58. Claudiano p. 77. Clemente V II nn. 14, 27, 36, pp. 32, 33, n. 43, p. 36, nn. 44, 45, 47, 50, 71, 84, p. 64, nn. 124, 134, 145, p. 82, nn. 169, 170. Colle degli Ortoli, a Roma p. 56. Collegio Urbano di Propaganda Fide n. 145. Colleveechio, in Sabina n. 113. Colli, Vincenzo v. Calmeta. Colocci fam. nn. 9, 23. — Adriano junior p. V, nn. 48, 131. — Adriano senior p. V II, n. 175. — Angelo senior p. 5, nn. 5, 7. — Angelo mons. - Apologia nn. 20, 94, 95, 120, 167, append. n. 13. — Angelo mons. - De numero ternario p. 101, n. 176, append. n. 13. —- Angelo mons. — De ponderibus et mensuris p. 99, n. 175, append. n. 13. — Angelo mons. — De rebus turcicis p. 101, n. 176, append. n. 13. — Angelo di Giacomo (sec. x v il) nn. 3, 51, 149. — Attone di Adriano ( f 1944) n. 51.
— Francesca nn. 23, 147, 157. — Francesco senior p. 5, nn. 5, 7, 8, p. 10, n. 18, p. 11, n. 20, p. 20, n. 23, p. 43, nn. 51, 94, 103. — Francesco junior nn. 48, 51. — Giacomo (sec. x iv ) p. 4, n. 3, p. 87, n. 157. — Giacomo (sec. x v i) nn. 3, 48, p. 43, n. 51, pp. 44, 87,. 90. — (?) Giovanni n. 114. — Gio: Benedetto e Francesco figli di Ippolito (sec. x v i) n. 48. — Ippolito senior p. 24, n. 48, p. 43, n. 51, pp. 87, 90. — Ippolito junior n. 51. — Marc’Antonio (1524-1545) n. 33, p. 50, nn. 60, 108, p. 84, n. 147, p. 88, nn. 159, 163, p. 90, nn. 165, 166. — Nicolò, padre di Angelo pp. 5, 6, nn. 7, 8, pp. 9, 10, 11, n. 20, p. 21, n. 23. — Nicolò (sec. x v iii ) p. V II. r— Pierantonio nn. 5, 34. Colonna, fam. n. 71. Colucci, Rosato n. 166. Computista, Antonio p. 70, n. 116. Contarmi, Gaspare, card. n. 16, p. 59, nn. 87, 114. Conte, familiare di Emanuelle Paleologo p. 8. Corbinelli, J. n. 167. Corfù n. 145. Coritz ( Coritius), Hans v. Goritz. Comaro, Francesco, card. n. 114. Corsi ( Cursius), Pietro da Carpineto nn. 47, 71, 72, 108. Cortese, Gregorio, card. n. 87. Cortese, Paolo n. 167. « Coryciana » nn. 20, 32, 33, 38, 40, 45, 47, 50, 71, 108, 111, 112, 113, 114, 117, 121, 131, 137, 167, 181. Corydon (Girolamo Vida) n. 112. Cosenza n. 18. Cossutio, Cn. p. 45, nn. 53, 54. Costantino, imper. romano n. 47. — V II, imper. d’ Oriente n. 11. — ultimo imper. d’Oriente p. 7, n. 10. Costantinopoli p. 6, nn. 10, 12, pp. 8, 79, n. 144. Costanzi, V. A. n. 114.
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Indice dei nomi Cremona append, n. 10. Crescimbeni, G. M. nn. 51, 145. Crescini, V. p. VI. Croce, B., La critica n. 20; - Poeti e scritt. del pieno e del tardo Rinasc. nn. 20, 71, 72, 182; — Uomini e cose della vecchia Italia n. 20; — Varietà di sto ria letter, e civile n. 20. Dallari, U. n. 7. D’Ancona, A. nn. 20, 72. Daniello, Arnaldo (Arnaut) nn. 20, 172. Debenedetti, S., Le ansie di un bibliofilo nn. 72, 108; - Intorno ad alcune po stille di A . C. nn. 120, 167, 173; Tre secoli di studi provenzali p. VI, n. 172; —Gli studi provenzali in Italia nel ’ 500 n. 172, append, n. 10. Degrassi A. n. 56. De Gregory, G. n. 1. Del Bufalo, Angelo e Ottavio n. 48. Delfini, Gentile p. 46, n. 54. Della Casa, mons. G. nn. 150, 181. Della Porta, Giacomo p. 56. Della Rovere, Francesco M. p. 4, n. 4, p. 25, n. 31, p. 29, n. 39. — Franciotto, card. n. 32. — Guidubaldo n. 4, p. 23, n. 26. — piazza di Roma append, n. 10. De Lollis, C. n. 20. Del Piombo, Sebastiano nn. 38, 43. Del Pozzo, Cassiano p. 3, n. 1, p. 103, n. 180. Del Vaga, Pierin n. 43. Demostene n. 32. De Praetis, U. n. 94. Devaris, Matteo n. 145. Di Fiorio, R. n. 20. Diodoro Siculo p. 100. Diogene Laerzio n. 20. Dionisotti, C. n. 169. — C., Per Francesco Colonna n. 175; — - Recensione all’ Altamura n. 20; Pietro Bembo n. 120. Donato, Girolamo, gramm. n. 72. Doni n. 58. Dorez, Léon n. 150. Durastante, G. M. n. 91. Egitto n. 145, p. 83. Egnazio n. 53.
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Enoc d’Ascoli n. 44. Enrico V i l i d’ Inghilterra n. 45. Epigrammata antiquae Urbis n. 58, append. n. 13. Erasmo p. 9, nn. 33, 40, 53. 108; Ciceronianus n. 40. Ercolani, Ant. Gir., vesc. di Cariati p. 34, n. 44. Ercole, tempio di, a Roma p. 68, n. 110. Esculapio p. 43. Este, Ippolito, card. n. 71. Este, Isabella d’ n. 72. Estensi n. 72. Europa p. 64. Eutório (per Eutocio d’Ascalona) p. 100, n. 175. Fabiani, G., Ascoli nel ’ 500 nn. 44, 45; — Gli ebrei e il Monte di Pietà in Ascoli n. 44. Fabro, Nicolò p. 84. Fanelli, V., Lettere di Londra p. V III, nn. 44, 50, 58, 59, 108, 140, 152, 156, 175, 179, 181, append. n. 13; - La ribellione di Jesi n. 18; —Adriano V I e A . C. n. 41, 44; - Il Ginnasio Greco di Leone X nn. 32, 47, 58; —Le case e le raccolte archeologiche del C. nn. 47, 48, 58, 110, 113; - Lettere nelPArch. Comun. di Jesi nn. 47, 166, append. n. 13; —Le raccolte archeologiche del C. nn. 44, 56, 58; - Angelo Tifernate n 29; — Un capitolo ined. di Pico della Mirandola n. 90; - Cultura iberica a Róma n. 173. Fano nn. 44, 94. Farnese fam. nn. 71, 79, 181. — Alessandro, card. nn. 44, 47, 71, p. 84, n. 150, append. n. 12. — Odoardo nn. 79, 157. — Pier Luigi n. 150. — Ranuccio, card. n. 54, p. 84, n. 150. Fauno, Lucio (pseud. di Giov. Tarcagnota) p. 41, n. 49, p. 50, n. 64. Favorino, Varino nn. 32, 33, p. 30, n. 36, p. 33, nn. 43, 114, p. 85, nn. 152, 163. Febo di Ascoli n. 44. Federico III imp. nn. 20, 107. Federico da Montefeltro n. 94. Federico d’Aragona n. 20.
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Indice dei nomi
Ferdinando Y d’Aragona, il Cattolico n. 145. Ferdinando d’Aragona re di Napoli p. 10, n. 23, p. 21, n. 142. Ferrandino n. 20. Ferrara nn. 72, 120, 137. Ferrerò, P. G. append, n. 4. Filandro (Filandrier), Guglielmo p. 46, n. 54. Filelfo n. 7. Filippo I d’Austria, il Bello n. 145. Fiorenzuola, Angelo n. 47. Firenze nn. 10, 14, 32, 36, 52, 94, 114, 117, p. 80, n. 150. Flaminio, M. A. n. 47, append, n. 12. Flavio, Francesco nn. 20, 72, 95. Folchetto di Marsiglia nn. 20, 172. Foligno nn. 44, 113. Folqualquerus n. 168. Fondoli (Fondulo), Girolamo n. 47, append, n. 10. Fondoli (Fondulo), Gabrino append, n. 10. Fonz, in Spagna n. 173. Forni (Furnio), Gio: Francesco p. 73, n. 124. Foro Traiano in Roma n. 131. Fortiguerri, Antonio n. 32. — Scipione (Carteromaco) p. 25, nn. 31, 32, 47, p. 59, nn. 87, 108, 167, 175. Fraiapane, Giacomo p. 29. Francesco I di Francia p. 9, nn. 144,145. Francesco Maria della Rovere, I duca d’ Urbino p. 4, n. 4, p. 25, n. 31, p. 29, n. 39. Francesco Maria della Rovere, II duca d’ Urbino n. 157. Francia p. 9, nn. 20, 79, p. 73, nn. 125, 145, p. 81, n. 173. Franciolini, Francesca n. 51. Frangipane, Mario p. 56, n. 78. Franza, G. p. 7, n. 11. Fregoso, Federico n. 120. Frittelli, U. n. 20. Frontino, Giulio p. 49, n. 59, p. 100. Frontone, cast. n. 26. Fulvio, Andrea p. 42, n. 50, p. 44, n. 53, p. 50, nn. 61, 103. Gaddi, Giovanni n. 181. Galeno n. 32.
Gallavotti, Carlo n. 175. Galletti (schede) n. 54. Gallo, Egidio p. 28, n. 33. Gallucci, Luigi v. Calentio, Elisio. Gams, P. B. n. 145. Gaurico, Pomponio n. 20. Geiger, Ludwig n. 131. Genova nn. 10, 16. Gentiioni, Francesco nn. 47, 163. Germania n. 170. Gerusalemme p. 93, n. 168. Ghinassi, G. n. 44. Ghislieri, Ghisliero ( Ysilerius Ysilerii) n. 23. — Paola n. 51. Gianandrea A. v. Grizio P. Giberti, Gio: Matteo p. 32, nn. 42, 43, 87, append. n. 13 n. Gibilterra n. 145. Ginnasio di Roma n. 113. Giocondo, fra’ n. 103. Gioia, Carmine n. 48. Gioiti, C. n. 163. Giovanna la Pazza, reg. di Spagna n. 145. Giovanni d’Angiò n. 142. Giovanni di mastro Taddeo p. 5, n. 7. Giovanni (fra’ ) di Napoli, Ord. Min. n. 168. Giovanni Hunyadi n. 145. Giovanni Paleologo, imp. p. 7, n 10. Giove Ammone p. 43. Giovenale n. 28. Giovio, Paolo n. 33, p. 30, n. 54, p. 71, nn. 118, 131, append. n. 4; — Elogia doctorum virorum n. 21, p. 58, n. 84, p. 64, n. 98, p. 79, n. 144, p. 80; Elogia virorum bellica virtute illustrium n. 31; - Elogia virorum literis iUustrium n. 14; - Historiarum sui temporis li bri n. 26. Giraldi, Gilio Greg., De poetis etc. nn. 111, 131, 137, p. 77, n. 141; - Opera p. 76, n. 137. Giudecco (Iodocus), Nicolò n. 32. Giulio II nn. 3, 4, p. 24, nn. 44, 47, 108, p. 81. Giulio III n. 116. Giuniori, Stefano da Siena p. 34, n. 44. Giustolo, Pier Francesco nn. 20, 44, 140.
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Indice dei nomi Gnoli, D., Un giudizio di lesa romanità nn. 40, 47, 50; - Orti letterari nn. 47, 48. Gonzaga, Ercole, card. n. 124. — Francesco, march, di Mantova n. 72, p. 97, n. 172. Goritz ( Coritius), Hans n. 47, p. 74, nn. 131, 181. Gothein, Everardo n. 20. Gottifredi, fam. p. 42, n. 50. Grana, Lorenzo n. 40, p. 38, n. 47, p. 59, n. 87, p. 69, n. 113. Granata, in Spagna n. 173. Grassi, Paride n. 131. Gravina, Pietro nn. 20, 175. Grayson, C. nn. 167, 169. Grazioli, A. append. n. 13 n. Grecia n. 12, pp. 8, 25, 78. Gregorio da Fiume n. 120. Gregorio Tifernate n. 32. Grimani, card. D. n. 32. Gritto, Bartolomeo p. 56. Grizio, Pietro nn. 4, 5, 51, 161. Grutero, J. p. 47, nn. 57, 73. Gualterucci, Tommaso n. 27. Gubbio p. 55, n. 76. Gudius, Marquardus n. 107. Guidubaldo, duca d’ Urbino nn. 4, 26, p. 23, n. 167. Guilleret, Stefano, tipogr. n. 44. Guiraudo le Ros n. 20. Guittone d’Arezzo n. 94. Hausmann F. R. append. n. 13 n. Heiberg, J. L. append. n. 13 n. Hercolani A. v. Cantalamessa Carboni G. Hofmann, W . von nn. 25, 27, 94. Holstenio n. 179. Horti Colocciani n. 44, p. 42, nn. 48, 50, pp. 50, 56, 57, n. 81, p. 58, n. 181. — Sallustiani pp. 40-42, n. 49. Hübner, P. G. n. 50. Iacovacci, Domenico n. 54. lesi p. 4, nn. 3, 4, 5, 9, 20, 23, 27, 31, 33, p. 29, nn. 35, 42, 44, p. 38, nn. 47, 51, 103, 107, 108, 114, pp. 76, 84, 87, nn. 156, 157, 158, p. 89, nn. 160, 161, 162, p. 91, n. 166, p. 101. Imperia, cortigiana nn. 108, 111, 113, 117, 163.
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« In Celsi Archelai Melini funere » nn. 14, 40, 71, 108, 112, 114, 137. Inghilterra n. 45. Inghirami, Tommaso (Phaedrus) nn. 50, 107, p. 71, nn. 113, 114, 117, 131, append. n. 13 n. Innocenzo V i l i p. 10, n. 23, p. 80, n. 145. Innocenzo X n. 79. «Inventario prim o» p. V III n. 6, nn. 20, 23. Iodocus v. Giudecco, Nicolò. Iorga, N. n. 145. Italia p. 32, nn. 44, 53, 79, p. 66, nn. 107, 144, 145, pp. 80, 87, nn. 167, 169, 170. Ithoma, città greca p. 8. Knos, Borje nn. 144, 145, 146. Koenig, Francesco, card. η. 12. Kiinzle, P. append. n. 13 n. Kurz, Otto n. 73. Lampridio, Benedetto append. n. 10 e n. 12. Lancellotti, G. F. p. V II, nn. 3, 5, 7, 9, 15, 16, 20,22, 23, 24, 25, 26, 27, 29, 31, 32, 33,34, 36, 39, 41, 42, 43, 44, 45, 47, 51,53, 54, 56, 58, 60, 66, 71, 73, 74, 82,90, 91, 92, 94, 95, 96, 98, 103, 107, 108, 111, 112, 113, 114, 117, 120, 130, 131, 133, 134, 135, 136, 137, 140, 145, 146, 147, 152, 153, 156, 157, 161, 162, 163, 164, 166, 167, 168, 170, 173, 175, 176, 178, 182, 183, append. n. 13. Lanciani, R. nn. 47, 50, 54, 56, 78, 103. Lascaris, fam. imper. di Nicea n. 10. — Giovanni (Ianus) nn. 20, 36, 53, p. 78, n. 144, p. 80, n. 145, pp. 82, 83, n. 146, p. 101, n. 176, append. n. 13. Latini, Brunetto n. 168. Lattès, S., La bibliothèque d'A. C. p. V II, nn. 9, 23, 33, 59, 60, 139, 145, 173, 179; — La plus ancienne Bible etc. p. V II; - La conoscenza del « De vul gari eloquentia » ecc. p. VII. Lautrec n. 20. Lavaud n. 20. Lazzarelli, Filippo n. 20. — Ludovico nn. 20, 23, 166; - Bombix nn. 20, 166.
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Indice dei nomi
Lecce p. 56. Legrand, E. n. 145. Lenzi, Bernardo p. 34. Leone X p. 4, n. 4, p. 9, nn. 14, 32, p. 29, n. 36, p. 30, nn. 37, 38, 39, p. 32, n. 40, p. 33, nn. 43, 47, 50, 74, 84, 89, p. 64, nn. 108, 113, 144, pp. 81, 85, 86, n. 170, append, n. 13. Leoni, G. B. n. 31. Leoniceno nn. 32, 120. Leto, Pomponio n. 20, p. 14, nn. 21, 24, 44, 47, 50, p. 65, n. 103, p. 67, nri. 107, 108, 113, p. 86, nn. 154, 176, append, n. 13 n. « Libro limosino » nn. 20, 172. Lignì, signore di p. 81. Ligorio, Pirro n. 49. Lipsio, Giusto p. 47, n. 56. Livio n. 44. Longolio (Longueil), Cristoforo nn. 40, 47, append, n. 10. Lucchetta, G. append, n. 13 n. Luigi X I I di Francia nn. 20, 144, 145, p.
81.
Lutero n. 40. Luzio, Alessandro n. 172. Maccà, G. n. 89. Macerata n. 91. Machado, J. P. e Machado Paxeco E. n. 173. Machiavelli n. 47. Maddaleni Capodiferro, Fausto Evan gelista v. Capodiferro. Maffei, Bernardino n. 125, append, n. 12. — Mario, Volaterrano p. 38, nn. 47, 59, 89, 111, p. 74, n. 126, p. 100. — Raffaele, Volterrano n. 32, p. 49, n. 59. Magini, G. F. n. 94. Malines n. 40. Mancafé, famil. di Emanuelle Paleologo p. 8. Mancinelli, Antonio pp. 20, 21, n. 24, p. 61, nn. 94, 103. Mancinelli, N. n. 20. Mandosio P. nn. 45, 47, 54. Manfrino de Monferrato, tipogr. n. 95. Mannelli, Camillo n. 156. — Girolamo nn. 42, 60, 90, p. 86, n. 156.
Mannuccio v. Manuzio. Mansuelli, G. A. n. 52. Mantova n. 124, p. 97. Manuelle, imper. p. 7, n. 10, p. 8. Manuzio, Aldo il Vecchio nn. 32, 36, p. 92, nn. 167, 175. — il Giovane p. 42, n. 49, p. 47, nn. 56, 57, 167. Maometto II n. 10. Marcello II p. 83, n. 150, pp. 84, 85. Marche n. 144, p. 101. Marchese, Francesco Elio n. 20, appen. n. 2. Marella, card. n. 12. Marini, Gaetano nn. 33, 47. Maritano, B. p. 47, n. 56. Marostica v. Matteazzi, Antonio. Martini, Francesco di Giorgio n. 158. Massa di Gallese, Marc’Antonio nn. 74, 164, p. 90.
Massa Lubrense n. 20. Massimi, Domenico p. 28. — Anton Lelio nn. 40, 46, p. 38, nn. 47, 71, 74, 169, append, n. 10. — Pacifico nn. 44, 94, 140. Massimiliano, imp. p. 9, n. 145. Matteazzi, Antonio (Marostica) nn. 20, 47, p. 60, nn. 89, 169. Mattia Corvino n. 44, pag. 80, n. 145. Mauro, Lucio nn. 52, 73. Maylender, M. nn. 21, 103. Mazzocchi, Iacopo nn. 40, 44, 108, 113. Mazzuchelli, F. M. n. 114. Mecenate p. 30, n. 37, p. 88. Medici, fam. n. 14, p. 26, n. 36, p. 63. Medici, Giuliano de’ n. 95. — Giulio de’ n. 32, p. 64, n. 163, p. 95, n. 169. — Lorenzo de’ (il Magnifico) pp. 30, 80, n. 150. — Lorenzo de’ , duca d’ Urbino n. 4. Melchiorri, Gabriella n. 51. Meliini, Celso nn. 40, 47, 112. — Mario e Girolamo n. 40. — Pietro p. 31, nn. 40, 87. Menghini, M. n. 20. Mercati, Giovanni - Codici latini Pico Grimani n. 44; — Prolegomeni al De re pubblica nn. 29, 44, 164; - Questembergiana nn. 32, 175; - Virgilio Me-
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Indice dei nomi diceo p. V i l i , nn. 36, 53, 60, 156, 157, 163; - Ultimi contributi alla storia degli umanisti n. 20. Messena, città greca p. 8. Mestica, E. n. 36. Michele, imp. d’ Oriente p. 7, n. 10. Michelini Tocci L. append. n. 13 n. Migliorini, B. n. 169. Milano, nn. 16, 20, 94, 95, p. 81, n. 167. Minnochis, Ioh. M. de, not. n. 163. Minturno, A. S. n. 20. Modena nn. 71, 79. Molteni, E. n. 173. Molza, F. M. nn. 47, 71, 72, 108, 181. Monaci, Ernesto n. 173. Moner y de Barriteli, Francisco de nn. 20, 173. Moltalto di Castro n. 79. Montecavallo, a Roma p. 65, n. 103. Montefano, nelle Marche n. 144. Montefiascone n. 114. Montepulciano n. 144. Montera, P. de n. 20. Montesangiusto, nelle Marche n. 91. Morando, Ambrogio p. 55, n. 76. Morea, in Grecia p. 6. Moricca Caputo, Ada n. 94. Morici, M. n. 32. Morone, Carlo n. 58. Moroni, Gaetano nn. 27, 164. Morsolin, B. nn. 89, 170. Muzi, G. n. 29. Napoli pp. 10, 11, n. 20, p. 19, nn. 21, 23, 50, 74, 94, 145, p. 93, n. 168. Narni n. 12. Naro, Orazio p. 56, n. 78. Natali, G. p. VII. Navagero, Andrea p. 73, n. 125. Negri, Girolamo p. 70, n. 114. Nicea, impero di nn. 10, 144. Nicolò V n. 5, pp. 55, 57. Niccolò, famil. di Emanuelle Paleólogo p. 8. Nocera nn. 27, 32, p. 30, n. 36, pp. 32, 33, nn. 43, 60, 74, 114, 145, p. 85, n. 152, p. 86, nn. 155, 156, p. 89, nn. 163, 166. Nola p. 11, nn. 20, 23. Nolhac, P. de, La biblioth. de F. Orsini
143
p. V II, nn. 32, 54, 108, 177; - Les correspondants d'A. Manuce nn. 32, 175. Notitia dignitatum n. 58. Nypso, Giunio n. 29, p. 49, n. 59, p. 100. Olivieri, Ornella n. 168. Olschki, C. n. 58. Omero n. 32. Onorio, imp. p. 47, n. 55. Orazio p. 6, nn. 7, 20, 44. append. n. 13. Orsini, Fulvio nn. 18, 32, 53, 54, p. 50, nn. 60, 150, 168, 172. Orsini, Orso p. 11. Orsini, fam. p. 23. Orvieto n. 124. Ottaviano di mess. Lattanzio n. 173. Pacorus, M . Aurelius p. 41, n. 49. Padova nn. 24, 114, 120, 125, append. n. 12. Paladino, G. n. 20. Paleologo, Andrea p. 78. — fam. p. 7, n. 11. — Tommaso, despota della Morea p. 6, n. 10, p. 7, nn. 11, 12. Palladio, Blosio (Biagio Pallai) nn. 40, 45, p. 69, nn. 110, 113, 131, 163. Palmiere, rev. (?) p. 84. Pamfilo, Ganimede n. 91. Pandoni, Porcelio nn. 20, 137. Panelli, G. n. 91. Panfilo, Francesco p. 61, n. 91, p. 101, n. 178. Pannonio, Iano n. 72. Panvinio, Onofrio, Fastorum libri p. 47, nn. 56, 57, p. 50, n. 63; — Storia dei Papi nn. 74, 150. Paolo II p. 15, n. 21. Paolo III nn. 20, 27, 43, 44, 47, 60, 71, 87, p. 64, n. 116, p. 84, n. 150, p. 85, n. 153, p. 86, n. 154, p. 91, n. 166, appen. n. 12. Paolo V I n. 12. Paratore, E. nn. 113, 131. Parma n. 79. Paschini, P. nn. 47, 59. Pasquazi, S. n. 72. Pastor, L. von nn. 42, 43, 71. Patetta, F. n. 94.
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Indice dei nomi
Patrasso n. 12. Patrignone, presso Ascoli P. n. 44. Pattolo, Bartolomeo n. 94. Pavia nn. 16, 145, 176. Pazzi, Alessandro de’ n. 169. — Piero de’ n. 20. Pecchiai, P. n. 107. Pedemontum n. 168. Pedrotti, A. n. 169. Peiresc, Niccolò Claudio di nn. 1,2, p. 102, nn. 179, 181, p. 103. Pellegrini, Silvio n. 173. Percopo, Erasmo, Chariteo nn. 20, 23; - D i Anton Lelio romano ecc. n. 47, appen. n. 10; - Pomponio Gaurico n. 20; - Una lettera del Summonte al C. nn. 20, 142; - Vita del Pontano n. 20. Perosa, Alessandro n. 144. Perugia (Peroscia) p. 5, nn. 7, 24, p. 22, n. 90. Peto, Luca, De mensuris p. 47, nn. 54, 55, p. 100, n. 175; - De restituitone ductus etc. p. 51, n. 65, p. 55, n. 75, p. 56, n. 78. Petrarca nn. 20, 94, 168, 169, 170. append. n. 13. Phaedrus v. Inghirami, Tommaso. Pianetti, Giuseppe e Carlo n. 156. Piccolomini d’Aragona, Francesco p. 78, n. 142. Pico della Mirandola, Giovanni nn. 47, 90. Pietrasanta, Taddeo da n. 7. Pietrasanta, Tommaso Pighinuzzi da nn. 32, 40, p. 38, nn. 47, 71, 108, 163, p. 90, n. 165, appen. n. 6. Pincio, a Roma n. 110. Pini Colocci Yespucci, C. p. V. Pinturicchio n. 29. Pio II pp. 6, 8, nn. 12, 142. Pio IV pp. 55, 56. Pio Y pp. 55, 56. Pio, Alberto, signore di Carpi p. 9, nn. 14, 167, append. n. 13 n. Pisa, cardinale di n. 89. Pisa n. 124. Pistoia n. 31. Pitagora p. 3. Platina, B. nn. 21, 47, 103, 150, 154. Platone p. 66, n. 104.
Plauto p. 9. Plinio n. 53, p. 49, n. 59. Plinio-pseudo n. 29. Plutarco n. 32. Poggiali, C. n. 16. Poggio fiorentino v. Bracciolini. Pole, Reginaldo, card. n. 125. Policastro n. 20. Poliziano nn. 36, 47. Pollio, Donato p. 74, n. 131. Polonia n. 145. Pomponazzi, P. n. 124. Pontano, Giacomo n. 11. Pontano, Gioviano p. 12, nn. 20, 21, p. 19, nn. 23, 103, 140, pp. 77, 78, n. 142, p. 101, n. 177; - Aegidius n. 20; - Asinus n. 23; - Carmina nn. 20, 23; - Commento a Catullo n. 20; Commento a Tolomeo n. 23; - De bello neapolitano n. 142; - De Fortuna p. 61, n. 93; - De immanitate nn. 85, 93, 142; - De rebus coelestibus nn. 23, 93, 142; - De sermone nn. 20, 23, p. 64, nn. 99, 100, p. 65, n. 101; - De ma gnanimitate n. 20, p. 19, n. 23, p. 59, n. 85, p. 61, n. 93, p. 96, n. 171; Lettera ad El. Calentio p. 61, n. 92; - Urania e Metheora n. 20. Ponte Salario, a Roma p. 56. Porceliov. v. Pandoni. Porrino Gandolfo, Giacomo nn. 71, 181. Porta Angelica, a Roma n. 110. Porta del Popolo, a Roma n. 110. Porta Pinciana, a Roma p. 56. Portico d’ Ottavia, a Roma n. 110. Portogallo n. 173. Porzio, Camillo, napol. n. 23. Porzio (Porcari), Camillo, romano n. 50, p. 71. n. 117. Porzio, Leonardo (L. de Portis) p. 44, nn. 53, 54. Proteo p. 43. Provasi P. e Scatassa E. n. 94. Provenza (Provincia) n. 168. Pucci, Lorenzo, card. p. 32, n. 43. Puglia (Apulia) n. 168. Quadrio, F. S. nn. 51, 94, 145. Quattromani n. 167. Questemberg n. 32, 48,175. append. n. 13.
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Indice dei nomi
Quintiliano p. 66, n. 106. Quirinale, a Roma nn. 103, 144. Rangone, Ercole, card. n. 137. Ratisbona n. 87. Ravenna n. 20, p. 25, n. 44. Retorsio, cast. n. 51. Rhyndacenus v. Lascaris, Giovanni Riario, Girolamo n. 94. — Raffaello, card. n. 44. Ribera n. 173. Ricci, card. p. 56. Rimini n. 157. Ripanti, Angelo, vesc. di Jesi p. 91. — Flora n. 157. — Girolamo p. 83, n. 147, pp. 90, 91, n. 166. — Margherita Anna, figlia di Girolamo p. 91, n. 166. — Tiberio nn. 23, 51, 147, 157. Roberto, re di Napoli p. 93, n. 168. Roccacontrada (Arcevia) p. 60, n. 90, p. 86, n. 156. Rodi, cavalieri di n. 145. Rodocanachi, E. nn. 47, 110. Rofia, Giovanni e Girolamo n. 145. Roma p. 3, n. 1, pp. 4, 8, n. 14, p. 10, nn. 16, 20, p. 19, nn. 21, 23, p. 22, nn. 24, 25, p. 25, nn. 29, 32, 36, p. 30, nn. 39, 40, p. 32, nn. 42, 44, 45, 47, p. 40, nn. 50, 52, 58, 60, pp. 50, 51, nn. 71, 72, pp. 55, 56, 58, n. 84, p. 59, nn. 87, 89, 90, 92, 95, 103, p. 66, nn. 107, 108, 111, 113, 114, 116, 120, 124, 125, p. 75, n. 131, nn. 137, 142, p. 83, n. 147, p. 84, n. 150, p. 85, nn. 154, 156, p. 89, nn. 163, 166, 167, 168, 170, p. 97, n. 181, append, n. 12. Rossi, F. n. 20. Rossi, Vittorio - Pasquinate n. 94; Il Quattrocento nn. 72, 94. Rucellai, Giov. n. 169. Rusconi, edit, dello Staccoli n. 94. Ruysschaert, José nn. 38, 47. Sabbadini, R. n. 24. Sadoleto, Iacopo nn. 21, 31, p. 26, nn. 32, 47, 54, 71, 74, 84, p. 67, nn. 108, 110, 111, 114, 120, 121, 124, 125, 131, pp. 77, 78, n. 163, appen. n. 12 e 13 n.
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— Giulio append. n. 13 n. Salamoni Albertesehi, Mario n. 47. Salerno n. 20. Sallustio nn. 49, 120. Salona ( Solonis), sorgente dell’Acqua Vergine pp. 54, 55, nn. 74, 78, p. 56. Salviati, card, append. n. 10. Salvoni, Cristoforo n. 157. — fam. p. 87, n. 157. — Vincenzo p. 87, n. 157. San Floriano, a Jesi p. 89. San Luca, a Jesi p. 88, n. 158, p. 89, n. 162. San Marco, in Calabria n. 142. Sannazzaro, Iacopo p. 13, n. 20, p. 19, nn. 23, 47, 169. San Romualdo, cappella a Jesi p. 87, n. 157. San Settimio, a Jesi p. 87. Sanseverino Marche nn. 20, 91. Sansone G. E. n. 173. Sant’Agostino, a Roma n. 181. Santa Maria delle Grazie, a Jesi n. 162 Santa Maria in Aquiro, a Roma n. 113. Santa Maria Maggiore, a Roma p. 54, n. 114. Santa Maria sopra Minerva, a Roma, n. 116. Sant’Andrea delle Fratte, a Roma p. 87. Santa Susanna, a Roma n. 110. Santi, Gio: Renedetto p. 5, nn. 5, 7, 33, 135, p. 85. Santini, V. n. 47. Santoni, Camillo e Girolamo p. 76, n. 136, p. 84, n. 147. — Fiorano pp. 5, 11. — Fortunata (Ippolita) n. 23. Sant’ Onofrio, a Roma appen. n. 10. Santo Stefano al Celio, a Roma n. 111. Sanudo, M. n. 26. Sanzio, Raffaello nn. 43, 117. Sassoferrato n. 114, p. 86, n. 155. Savoia, p. 74, n. 131. Savona, p. 81. Savot n. 53. Sbaragli, F. n. 169. Scaligero, G. C. n. 124. Scandella, G. B. n. 145. Scatassa, E. e Provasi, P. n. 94. Scoto, Giovanni Duns p. 64.
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Indice dei nomi
Segre, C. n. 169. Selim I n. 145. Seneca - Fedra n. 117. Senigallia p. 30, n. 38. Sentinum (Sassoferrato) n. 155. Serassi P. A. n. 71. Serbelloni, Gabrio p. 56. Ser Santi G. B. v. Santi G. B. Sertorio (?) n. 20. Sforza, Ascanio, card. n. 20. — Francesco n. 5. Sicilia n. 168. Siena nn. 20, 166. Silber Eucharius alias Franck, tipogr. nn. 20, 24. Silvano Germanico, Caio n. 131. Siracusa p. 3. Sirleto, Guglielmo nn. 53, 60, 156. Sisto IV p. 10. Socrate pp. 43, 58, n. 84. Solimano I n. 145. Soncino, tipogr. nn. 44, 94. Soriano, battaglia di n. 26. Sozzi, B. T. n. 169. Spagna, p. 71. Spagnolo, F. n. 89. Spoleto n. 44. Squillace n. 20. Stabili, Francesco v. Cecco d’Ascoli. Staecoli, Agostino n. 26, p. 61, n. 94, p. 78, n. 143. append. n. 13 n. — Serafino n. 94. Staffolo n. 91. Stagnini, Bernardina e Gio: Maria nn. 33, 166. Statilio, T. p. 46, n. 54. Stazio (Estafo), Achille n. 40. Stella, ferrarese n. 20. Steuco, Agostino p. 49, n. 59, p. 55, n. 76. Stobeo n. 36. Strabone n. 24. Stratocles, M . Cocceius p. 41, n. 49. Stronski n. 20. Strozzi, Filippo n. 169. — Luigi n. 145. — Uberto, mantovano n. 114. « Suburbanum Augustini Chisii » n. 45, 47, 71, 108, 113, 131. Sulmona n, 20, 23, 103.
Summonte, Pietro p. 13, n. 20, p. 19, n. 23, p. 59, n. 85, p. 77, n. 142, p. 96, n. 172. Tacito, Agricola e Germania n. 44; Anuales n. 113. Tafuri n. 20. Tamira, Pietro n. 20. Tamizey, Ph. nn. 1, 179. Tarcagnota, Giovanni (sotto Io pseudon. di Lucio Fauno) n. 49. Tarragona n. 58. Tassoni, A. n. 1. Tasti, Lelio e Girolamo n. 60, p. 60, nn. 90, 156. Tebaldeo, Antonio nn. 14, 20, 72, 92, 95, 108, 120, 137, 169, 175. Terra Laboris n. 168. Tevere p. 68, n. 110, append. n. 10. Tiraboschi, G. Letteratura italiana nn. 20, 38, 94, 103, 164; — Biblioteca mo denese nn. 71, 124, 181, append. n. 13 n. — Barbieri n. 167. Tivoli, vicario di n. 113. Toffanin, G. n. 167. Tolomei, Claudio n. 169. Tommasini, O. n. 113. Tommaso, despota della Morea v. Pa leólogo. Tommaso, San p. 64. Torino n. 1. Torti, Cesare n. 94. Toscana n. 79. Trapezuntio, fam. nn. 32, 113. Trasimeno, n. 79. Traversari, A. n. 20. Trento, concilio di n. 58, p. 81. Trevi, fontana di p. 55. Trevi, in Umbria n. 90. Treviri, in Germania n. 131. Treviso n. 20. Trieste n. 131. Trissino, G. G. nn. 20, 47, 120, 169; Il Castellano p. 95, n. 170. Triviso, Antonio, da Lecce p. 56. Trivium (fontana di Trevi) n. 77. Trivulzi, Agostino, card. n. 47, pp. 54, 55, nn. 74, 78, p. 57, nn. 156, 163, p. 90, nn. 169, 176, append. n. 13. — Giangiacomo n. 74.
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Indice dei nomi
Turchia p. 81. Tutino, Camillo n. 168. Ubaldini, Federico pp. V, VI, nn. 1, 2, 3, 4, 5, 9, 10, 11, 16, 18, 20, 21, 22, 23, 24, 26, 27, 30, 31, 32, 33, 34, 35, 44, 45, 47, 48, 50, 52, 53, 54, 66, 71, 73, 79, 84 , 92, 98, 103, 107, 120, 142, 143, 144, 145, 149, 150, 152, 155, 156, 157, 159, 160, 161, 163, 166, 167, 168, 173, 174, 175, 176, 179, 181, 182; — Vita: in lat. p. VI, nn. 4, 7, 8, 11, 12, 13, 14, 19, 20, 26, 27, 28, 29, 30, 31, 32,, 33, 35, 37,, 41, 44, 48, 49, 51 , 52, !53, 56, 57, 58, 59, 74, 94, 99., 101, 103, 104, 107, 111, 118, 126, 129, 131, 142, 143, 145, 147, 148, 149, 151, 155, 160, 168, 174, jL75, 178, 181. Ubaldini, Ottaviano n. 26, append. n. 13 n. Umbria nn. 79, 90, p. 85. Umiliato, Andrea nn. 107, 113, 114, 117, 131. Ungheria n. 145, p. 83. Urbano VI p. 4. Urbano V i l i p. VI, nn. 1, 78, p. 56, n. 79, p. 85, n. 152, p. 87, n. 157. Urbino, città p. 61, nn. 94, 120, p. 87, nn. 157, 167. — duca d’ p. 4, nn. 4, 20, 26, pp. 25, 29, n. 157. Vaini, fam. n. 47. Valenza n. 173. Valeriani, Pierio nn. 14, 16, 47, 108, p. 69, n. 113; append. n. 13 n. - De infelicitate litteratorum n. 14, p. 10 nn. 16, 31, 32, p. 31, nn. 40, 46, 47, p. 59, nn. 87, 88, 89, 96, 108, 111, 139; - Dialogo sopra le lingue volgari n. 14, p. 38, nn. 46, 47, 72, 74, p. 64, nn. 89, 96, 97, p. 95, n. 169; - Hexa metri, Odae etc. p. 38, nn. 47, 96; Hieroglyphica p. 48, n. 58, p. 63, nn. 96, 108, 124. Valerio Massimo n. 44. Valla, Giorgio p. 10, nn. 16, 53. append. n. 13 n. — Lorenzo nn. 24, 103.
147
Van Gulik G, e Eubel C. n. 156. Varano, Fabrizio n. 44. Varchi, Benedetto p. 95, nn. 170, 181. Varrone n. 29, p. 100, n. 175. Vast, H. n. 145. Velleio Patercolo n. 56. Velletri n. 24. Venanzi, Antonio p. 70, n. 114. — Pier Paolo (Petripaolo) nn. 33, 114. Venezia nn. 10, 16, 24, 32, 59, 79, 87, 89, 94, 95, 114, 125, 145, p. 81, n. 169. Vera, Giovanni, card. n. 44. Verona nn. 43, 131, append. n. 12. Vettori Piero nn. 44, 58, 59, 140, 167, append. n. 12. Vicenza nn. 53, 89. Vida, Girolamo p. 68, n. 112. Vienna nn. 12, 145, p. 83. Villehardouin n. 167. Virgilio n. 44, p. 77. append. n. 13. Visconti, fam. append. n. 10. Visscher, F. de n. 58. Vitale, M. n. 169. Vitaletti, G. p. V, VI, n. 179. Vitelli, fam. p. 24, n. 29. Vitelli, Giovanni da p. 64. Vitelli, Nicolò n. 29. — Vitello n. 29, p. 28. Vitruvio p. 46, n. 54. Volaterrano v. MafFei, Mario e Raffaele Volpicella, Filippo nn. 47, 71, 165. Volterra nn. 47, 59, 117. Vopisco, Francesco n. 20. — Giovanni Ludovico p. 13, n. 20, p. 57, nn. 80, 81, append. n. 3. Weiss, R., Storia degli studi antiquari n. 58; - Andrea Fulvio n. 50. Worms, dieta di n. 87. Zabughin, W . n. 103. Zacaria, Martino p. 7. Zaccagnini, G. n. 94. Zampetti, P. n. 38. Zanchi, Basilio n. 54. Zizim (Djem) n. 145. Zocca, Nicolò n. 32.
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II. INDICE DEI CODICI E DEI DOCUMENTI D’ARCHIVIO Ascoli Piceno, Archivio Comunale, n. 44. Bologna, Biblioteca del Colegio Mayor Albomociano, n. 45. Firenze, Archivio di Stato, Carte Strozziane, nn. 32, 33, 38, 40, 45, 47, 54, 58, 71, 89, 108, 111, 113, 117, 120, 121, 131, 146, 169, append. n. 4 e n. 10. Firenze, Biblioteca Nazionale, Magliabecchiano X X V . 9. 655, n. 145. Jesi, Archivio Notarile, nn. 23, 163. Lisbona, Biblioteca Nazionale, Codice Colocci-Brancuti, n. 173. Milano, Biblioteca Trivulziana, (De vul gati eloquio), n. 59. Napoli, Archivio della Regia Curia, n. 168. Parigi, Biblioteca Nazionale, n. 172. Roma, Archivio di Stato, n. 163. Vaticano, (Città del), Archivio Segreto, nn. 36, 43. Vaticano (Città del), Biblioteca Vaticana, Archiv. Bibliot., p. V i l i , n. 6; Barb. lat. 1572, n. 103; 1676, n. 58; 1804, n. 58; 1871, n. 58; 2019,n. 58;2063, n. 58; 2109, n. 58; 2141,n. 58;2567, n. 174; 3084, n. 58; 3993, n. 172; 4000, p. VI, nn. 145, 175; 4726, p. VI, nn. 13, 26, 27, 167; 4871, p. VI, nn. 47, 59, 145, 167, 175; 4882, pp. V, VI, V II, nn. 13, 167, 183. Borg. lat. 305, n. 145. Ottob. lat. 1510, n. 32; 1511, n. 32; 1980, n. 44; 2550, n. 54; 2860, nn. 20, 23, 45, 47, 71, 72, 111, 113, 125, 130, 166, 175; Reg. lat. 1370, n. 120; 2023, nn. 20, 44, 58, append. n. 7 e n. 10. Urb. lat. 1012, n. 26; 1566, n. 26. Vat. gr. 1414, n. 145. Vat. lat. 1670, n. 20; 1672, n. 20; 2741, n. 72; 2748, n. 173; 2833 nn. 20, 45, 71, 82, 165, 166; 2834 nn. 20, 71, 165; 2835 n. 72; 2836 nn. 20, 40, 45, 71, 111, 113, 120, 121, 125, 170, 182, append. n. 1; 2839 n. 142; 2847 nn. 20, 33, 113; 2848 n. 175; 2874 nn. 20, 125; 2906 n. 20; 2934 n. 176;
2951 n. 20; 3132 nn. 59, 108; 3205 n. 172; 3217 nn. 167, 168, 173; 3351 nn. 20, 72, 113, 117, 121, 137; 3352 nn. 20, 33, 72, 113, 120, 121, 125, 130, 175, 181; 3353 nn. 20, 45, 66, 67, 68, 69, 70, 72, 79, 83. 108, 113, 130, 175, 181; 3367 n. 20; 3370 nn. 40, 47; 3388 nn. 20, 22, 32, 41, 42, 45, 71, 72, 74, 81, 86, 90, 108, 113, 117, 125, 146, 153, 166, 167, 175, 181, 182; 3389 a. 72; 3419 n. 113; 3436 nn. 20, 108; 3441 nn. 53, 108; 3450 nn. 18, 20, 32, 42, 44, 45, 47, 54, 71, 72, 98, 108, 112, 114, 120, 121, 130, 146, 149, 166, 167, 169, 170, 177, append, n. 1; 3715 n. 58; 3861 n. 59; 3890 n. 145; 3893 n. 59; 3894 nn. 29, 59; 3895 nn. 59, 175; 3898 n. 23; 3900 n. 32; 3903 nn. 20, 59, 167; 3906 nn. 48. 175, 176; 3909 n. 20; 3958 p. V i l i , n. 6; nn. 20, 60; 4042 n. 168; 4043 d . 168; 4044 n. 168; 4048 n. 168; 4049 n. 168; 4057 nn. 23, 24, 168; 4058 n. 168; 4103 nn. 108, 144, append. n. 8; 4104 nn. 20, 32, 45, 47, 72, 166, 181, append. n. 4, n. 6, n. 9, n. 12; 4105 nn. 20, 32, 33, 43, 45, 157, 163, append. n. 2; 4498 nn. 59, 175; 4514 n. 20, append. n. 13 n.; 4539 n. 175; 4787 nn. 9, 20, 23, 166; 4792 n. 173; 4796 nn. 20, 172; 4802 n. 173; 4803 n. 173; 4817 nn. 32, 44, 45, 59, 71, 94, 121, 167, 168, 170, 172, 173, 183; 4818 nn. 167, 168, 173; 4819 nn. 167, 183; 4820 nn. 145, 172, 176; 4823 n. 168; 4831 nn. 20, 44, 72, 94, 107, 112, 120, 121, 167, 173; 5175 n. 20; 5194 n. 32; 5394 n. 59; 5395 n. 175; 5817 n. 44; 6182 n. 60; 6845 n. 32; 7113 n. 58; 7182 nn. 20, 44, 47, 90, 172, 173; 7192 nn. 23, 44, 71; 9118 n. 58; 9139 n. 58; 9140 n. 58; 9141 n. 58. Presso l’ autore: Codex Archetypus, p. V II, nn. 114, 135, 136, 151, 160, 162, 166. Colotiano p. V II, nn.3, 5, 7, 20, 34, 39, 44, 45, 47, 48, 50, 66, 136,149,151.
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S
INDICE
Premessa..................................................................................................................
v
V it a
1
di
M o n s . A n g e lo C o l o c c i ..............................................................................
Appendici I - X I I I ...................................................................................................107 Indice dei n o m i....................................................................................................... 135 Indice dei codici e
deidocumenti d’ a r c h iv io ..................................................149
I n d ic e ......................................................................................................................... 151
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186. Loenertz, R . J., 0 . P. Démétrius Cydonès, Correspondance. Voi. I ... 1956. pp. xvi, 220.
203. Manzini, L. M. II cardinale Luigi Lambruschini. 1960. pp. xxvni, 686.
187. Bidawid, R. J. Lee lettres du patriarche nestorien Timothée Ier. Etude critique ... 1956. pp. xiii, 132 [48].
204. Cerulli, E. Scritti teologici etiopici dei sec. xvi-xvii. Voi. II. La storia dei Quattro Concili ed altri opuscoli monofisiti ... 1960. pp. xx, 246.
188. Aly, W . De Strabonis codice rescripto, cuius reliquiae in codicibus Vaticanis Vat. gr. 2306 et 2061 A servatae sunt. Corollarium adiecit Fr. Sbordone. 1956. pp. xiv, 285, 36 tav. 189. Pasztor, L. e P irri, P., S. I. L’ Archivio dei Governi provvisori di Bologna e delle Pro vincie Unite del 1831. 1956. pp. l x x x , 635. 190. Santifaller, L. Quellen und Forschungen zum Urkunden- und Kanzleiwesen Papst Gregors VII. I. Teil. 1957. pp. xxvi, 479, 25 tav. 191. Incisa della Rocchetta, G. e Vian, N. Il primo Processo per s. F ilippo Neri ... Voi. I. Testimonianze dell’ inchiesta romana: 1595. 1957. pp. xxvii, 419. 192. Van Lantschoot, A. Les « Questions Théodore » ... 1957. pp. vili, 303.
de
193. Patzes, Μ. Μ. Κριτοϋ το ν Π ατζή Τιπούχειτος. Librorum LX Basilicorum Summarium. LiOros XLIX-LX edid. St. H oerm ann et E. Seidl. 1957. p p . XII, 351.
205. Incisa della Rocchetta, G. e Vian, N. Il primo Processo per s. Filippo Neri. Voi. III. Testimonianze dell’ inchiesta romana: 1610. Testimonianze « extra Urbem » : 1595-1599 ... 1960. pp. xvi, 458. 206. Lanrent, M.-H. et GuiRou, A. Le « Liber visitationis » d’Athanase Chalkéopoulos (14571458). 1960. pp. li, 392, tav.; carta geogr. 207. Silvino da Nadro, O.F.M. Cap. Sinodi dio cesani italiani. Catalogo bibliografico degli atti a stampa (1534-1878) ... 1960. pp. xii, 516. 238. Loenertz, R. J., O. P. Démétrius Cydonès, Correspondance. Voi. II ... 1960. pp. XVI, 497. 209. Rossi, E. e Bombaci, A. Elenco di drammi religiosi persiani (Fondo Mss. Cerulli Per siani). 1961. pp. LX, 416. 210. De Maio, R. Alfonso Carafa, cardinale di Napoli (1540-1565) ... 1962. pp. xxxu, 348. 211. Follicri, H. Initia hymnornm Ecclesiae graecae. Voi. I. A -Z ... 1960. pp. xxvm, 590.
194. R ou et de J ou m el, M. J., S. I. Nonciatures de Russie. V oi. V : Interim de Benve nuti, 1799-1803. 1957, p p . x l , 471.
212. — — Voi. II. H - S ... 1961. pp. xxii, 570.
195. Petrarca, F. Il « De otio religioso » ... a cura di G. R otondi. 1958. pp. xv, 113.
2 1 4 . ------- Voi. IV. T - Y ... 1963. pp. xxii, 459.
196. Incisa della Rocchetta, G. e Vian, N. 11 primo Processo per s. F ilip p o Neri. Voi. II. Testimonianze dell’ inchiesta romana: 1596. 1609. 1958. pp. xvi, 366.
2 13. --------Voi. III. O - E ... 1962. pp. xxii, 618.
2 15. ------Voi. V. Pars prior 0 - Q . Hymnographi. Tabulae ... 1966. pp. xxii, 332. 215-bis.------- Voi. V. Pars altera. Index Hagiographico-Liturgicus. ... 1966. pp. xxii, 380.
197. Pratesi, A. Carte latine di abbazie calabresi provenienti dall’ Archivio Aldobrandini. 1958. p p . l v , 585.
216. Schunke, I. Die Einbände der Palatina in der Vatikanischen Bibliothek. Band 1. Be schreibung. 1962. pp. x, 333. clxxx tav.
198. Cerulli, E. Scritti teologici etiopici dei eec. x v i - x v i i . V oi. I. Tre opuscoli degli gno stici Mikaeliti. 1958. pp. x x i i -3 3 1 .
2 17. ------Band II. 1. Katalog Stamp. Pal. Str. 1 - IV. 1334 ... 1962. pp. 1-404.
199. Ressuli, N. Il « Messale » di G iovanni Buzuku. Riproduzione e trascrizione. 1958.
218 — — Band II. 2. Katalog Stamp. Pal. V. 1 - VI. 246. Sondersammlungen und Hand schriften. 1962. pp. 405-913.
pp . x ix , 407.
200. Tavole e in dici generali dei volumi 101-200 di « Studi e Testi ». 1959. pp. 155. 201. Devreesse, R . Les anciens commentateurs grecs de l'Octateuque et des Rois ... 1959. pp. xv, 208, ili. 202. Llorens, J. M. Capellae Sixtinae codices mu sicis notis instructi sive manuscripti sive praelo excussi ... 1960. pp. xxn, 555, tav.
219. Collectanea Vaticana in honorem G. An seimi M. Card. Albareda ... Voi. I. 1962, pp. 508, tav. 2 20. ------ Voi. II. 1962. pp. 450, ili., tav. 221. Franchi de’ Cavalieri, P. Scritti agiografici. Voi. I (1893-1900) ... 1962. pp. x, 416 tav. 2 22. ------ Voi. II (1900-1946) ... 1962. pp. [6], 444, tav.
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223. K iinzle, P ., Péri, V . e Ruysschaert, J. In di ci agiografici dell’ opera di P io Franchi de’ Cavalieri pubblicata in « Stndi e Testi » ... 1964. pp. 209, 1. 224. Incisa délia Rocchetta, G. e Vian, N. Il primo processo per S. F ilip p o Neri, Vol. IV. Regesti del secondo e del terzo processo. Testimonianze varie. Aggiunte e correzioni aile note dei volumi I-IIÎ. Indice generale ... 1963. pp. 429. 225. Barré, H. Les homéliaires carolingiens de l’ école d’ Auxerre. Authenticité-Inventaire-Ta bleaux comparatifs-Initia ... 1962. pp. x, 358. 226. V ogel, C.-Elze, R . Le pontifical romano-germanique du dixième siècle. Le Texte: I (n. I-XCVIII) ... 1963. pp. xxx [28], 369. 2 2 7 . ------- Le Texte: II (n. XCIX-CCLVIII) ... 1963. pp. [2 ], 445. 228. Candal, £ . Tractatus Ioannis Lei O . P. (D e visione beata) ... Introductione, notis, indicibus auctus ... 1963. pp. xii, 231, 2 tav. 229. Leturia, P. de y Batllori, M . La primera misión pontificia a Hispano américa 1823-1825. Relación oficial de mons. G iovanni M uzi ... 1963. pp. lu , 722. 230. Prete, S. Two Humanistic Anthologies ... 1964. pp. 126, ffl. 231. M élanges E ugène Tisserant. V ol. I. Ecri ture sainte. Ancien Orient. ... 1964. pp. xxi, 487, ant. 2 3 2 . -------Vol. H . Orient chrétien. l ôre partie. ... 1964. pp. vi, 439, 19 tav. 2 3 3 . ------ V ol. III. Orient chrétien. 2toe partie. ... 1964. pp. vi, 493, 14 tav., 2 tav. colorí. 2 3 4 . -------Vol. IV . Archives Vaticanes. Histoire ecclésiastique. l ère partie. ... pp. vi, 452, 11 tav. 235. — — V ol. V. Archives Vaticanes. Histoire ecclésiastique. 2àme partie ... pp. vi, 456, 20 tav. 236. — — V ol. V I. Bibliothèque Vaticane. l ère partie. ... pp. vi, 640, 52 tav. 2 3 7 . -------V ol. V II. Bibliothèque Vaticane. 2toe partie. ... pp. vi, 450, 53 tav. 238. Les manuscrits de la Reine de Suède au Vatican. Réédition du catalogue de Montfaucon et cotes actuelles .... 1964. 239. Stella, A. Chiesa e stato nelle relazioni dei nunzi pontifici a Venezia ... 1964. pp. x, 355.
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Si trovano vendibili presso la Biblioteca Apostolica Vaticana - Città del Vaticano
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