Un modulo di analisi due [1 ed.] 8879996426


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Table of contents :
Copertina
Titolo
Indice
Introduzione
1 Equazioni differenziali ordinarie
2 Funzioni vettoriali, campi vettoriali e forme differenziali lineari
3 Superfici ed integrali superficiali
4 Introduzione alle funzioni di variabile complessa
Ancora qualche esercizio . . .
Indice delle definizioni
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Un modulo di analisi due [1 ed.]
 8879996426

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Camillo Trapani

Un Modulo di Analisi Due Equazioni differenziali ordinarie Campi vettoriali, forme differenziali e superfici Funzioni di variabile complessa

ARACNE

Copyright © MMIV, ARACNE EDITRICE S.R.L. 00173 Roma, via R. Garofalo, 133 A–B tel. (39) 06 93781065 telefax (39) 06 72672222 www.aracne–editrice.it e–mail: info@aracne–editrice.it ISBN: 88–7999–642–6

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: gennaio 2004 I ristampa: luglio 2004

Questo piccolo volume trae origine dal corso di Calcolo differenziale ed integrale III da me tenuto per gli studenti del corso di laurea in Fisica (nuovo ordinamento, 4 cfu) nell’ anno accademico 2002-2003. Mi pare questa la sede opportuna per ringraziare gli studenti in corso in quell’anno, ed in particolare il Sig. Riccardo Messina, per la rilettura critica degli appunti che avevo distribuito durante le lezioni e per avermi segnalato le numerose sviste contenute nella prima versione di queste note. I consigli dell’amico e collega Gianni Riela hanno decisamente contribuito a migliorare alcuni capitoli. Le osservazioni di Francesco Tschinke mi hanno indotto a riconsiderare alcuni punti e ad apportare diverse modifiche. Ad entrambi un vivo ringraziamento. Un doveroso riconoscimento va agli autori dei molti testi consultati durante la redazione di queste note e che sarebbe troppo lungo citare tutti. Mi limito a consigliare al lettore un uso frequente delle seguenti opere in cui trover` a trattazioni ben pi` u complete ed approndite di quelle che ho avuto modo di esporre qui: • T. Apostol, Calcolo, vol.3, Boringhieri, Torino, 1978 • N.Fusco, P.Marcellini e C. Sbordone, Analisi matematica due, Liguori, Napoli, 1996 • E. Giusti, Analisi Matematica 2, 2.a edizione , Boringhieri, Torino 1989 • C.D. Pagani e S.Salsa, Analisi Matematica, vol.2, Masson, Milano, 1997. Infine, desidero dedicare questo lavoro a mia moglie Adriana e a mio figlio Jacopo.

I diritti d’autore provenienti dalla vendita di questo testo saranno devoluti a Medici senza frontiere, associazione internazionale che offre soccorso sanitario alle popolazioni in pericolo.

Indice iii Introduzione

ix

1 Equazioni differenziali ordinarie

1

1.1

Introduzione ed esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

1

1.2

Definizioni di base . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

3

1.3

Problema di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

5

1.3.1

Esistenza ed unicit` a locale . . . . . . . . . . . . . . . . .

6

1.3.2

Prolungamento delle soluzioni . . . . . . . . . . . . . . .

10

1.4

Esistenza ed unicit` a globale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

14

1.5

Alcuni semplici problemi di Cauchy . . . . . . . . . . . . . . . .

17

1.5.1

Equazioni a variabili separabili . . . . . . . . . . . . . .

17

1.5.2

Valutazione qualitativa della soluzione . . . . . . . . . .

19

Equazioni e sistemi lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

22

1.6.1

Caso omogeneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

23

1.6.2

Caso non omogeneo . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

25

1.6.3

Equazioni lineari d’ordine n . . . . . . . . . . . . . . . .

28

1.6.4

Equazioni lineari a coefficienti costanti . . . . . . . . . .

29

Soluzione di alcuni sistemi lineari . . . . . . . . . . . . . . . . .

36

1.6

1.7

vi

INDICE Foglio di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

42

2 Funzioni vettoriali, campi vettoriali e forme differenziali lineari 43 2.1

Funzioni vettoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

43

2.1.1

Definizioni ed esempi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

43

2.1.2

Derivabilit` a e differenziabilit` a di funzioni vettoriali . . .

44

Campi vettoriali: definizioni ed esempi . . . . . . . . . . . . . .

46

2.2.1

Divergenza e rotore di un campo vettoriale . . . . . . .

49

2.3

Forme differenziali lineari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

51

2.4

Integrale di una fdl . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

52

2.5

Forme differenziali esatte

54

2.6

Condizioni sufficienti per l’esattezza di una fdl

2.2

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

56

2.6.1

Caso bidimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

56

2.6.2

Caso tridimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

58

2.6.3

Costruzione di primitive di fdl in R2 ed R3

. . . . . . .

60

Problemi di Cauchy e forme differenziali . . . . . . . . . . . . .

62

Foglio di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

64

2.7

3 Superfici ed integrali superficiali 3.1

3.2

3.3

67

Superfici regolari e piano tangente . . . . . . . . . . . . . . . .

67

3.1.1

Alcuni esempi di superfici parametrizzate . . . . . . . .

73

Propriet` a delle superfici parametrizzate . . . . . . . . . . . . .

75

3.2.1

Linee coordinate . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

75

3.2.2

Cambiamenti di variabili . . . . . . . . . . . . . . . . . .

76

3.2.3

Superfici orientabili; Nastro di M¨ obius . . . . . . . . . .

77

3.2.4

Bordo di una superficie; superfici chiuse . . . . . . . . .

79

Area di una superficie ed integrali di superficie . . . . . . . . .

81

3.3.1

81

Area di una superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

INDICE

vii 3.3.2

Integrali di superficie . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

83

3.4

Flusso, teoremi di Stokes e della divergenza . . . . . . . . . . .

84

3.5

Campi solenoidali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

87

3.6

Massimi e minimi vincolati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

90

3.6.1

Caso bidimensionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

90

3.6.2

Funzioni di n variabili con m vincoli . . . . . . . . . . .

94

Foglio di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

97

4 Introduzione alle funzioni di variabile complessa

99

4.1

Funzioni di variabile complessa . . . . . . . . . . . . . . . . . .

99

4.2

Funzioni olomorfe . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102

4.3

Aspetti elementari della teoria delle serie di potenze . . . . . . 105

4.4

Definizioni di alcune funzioni elementari . . . . . . . . . . . . . 110

4.5

Integrazione di una funzione di variabile complessa . . . . . . . 112

4.6

Serie di Taylor e funzioni analitiche . . . . . . . . . . . . . . . . 117

4.7

Serie di Laurent . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 118 4.7.1

Singolarit` a . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 121

4.7.2

Residui . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 123

4.7.3

Alcune semplici applicazioni . . . . . . . . . . . . . . . . 125

Foglio di lavoro . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 128 Ancora qualche esercizio . . .

131

Introduzione Fui anche nella scuola di matematica, ove un maestro insegnava agli allievi secondo un metodo che noi in Europa non riusciremmo neppure ad immaginare. Il problema e la dimostrazione matematica venivano scritti in bella grafia su un’ostia, con un inchiostro fatto di tintura cefalica. Lo studente doveva ingoiare l’ostia a stomaco vuoto, e nei tre giorni seguenti non nutrirsi che di pane e acqua. Una volta digerita l’ostia, la tintura saliva al cervello, portando seco il teorema matematico. Tuttavia il successo di questo metodo non era ancor garantito: in parte a causa di quanche errore nel quantum ovvero dosaggio, e in parte per la mala creanza dei ragazzi, a cui quel bolo dava una tal nausea che solitamente fuggivano via a sputarlo prima che potesse avere effetto. N´e del resto s’erano ancora persuasi a sopportare una lunga astinenza dal cibo, quale la ricetta chiedeva. J.Swift, I viaggi di Gulliver, Parte III, Cap.5

Questo piccolo brano di uno dei miei autori preferiti rende piuttosto bene dei timori che i docenti di analisi matematica hanno nutrito, spesso a ragione, nei confronti del nuovo ordinamento dei corsi di laurea. L’idea che la matematica dovesse essere insegnata in pillole, trascurandone la grande valenza formativa e privilegiando gli aspetti puramente applicativi `e corsa in lungo e in largo nelle nostre Universit` a ed ha prodotto, in alcuni casi, un’eccessiva compressione degli studi di matematica in diversi corsi di studio. Il problema principale che si pone per l’insegnamento della matematica nel nuovo ordinamento consiste nella necessit` a di conciliare due aspetti essenziali: da un lato, lo studente deve acquisire un linguaggio e degli strumenti matematici che egli possa, con una certa agilit` a, applicare in situazioni diverse, a secondo dei vari indirizzi a cui i suoi studi sono rivolti; dall’altro, lo studio della matematica, pur senza indulgere ad eccessivi formalismi, deve abituare lo studente a comprendere la struttura matematica di un problema e ad es-

x

Introduzione

sere capace di scegliere gli strumenti matematici che meglio si adattano alla situazione che sta esaminando e che pu`o anche essere ben diversa da quelle incontrate nei suoi studi. Quest’ultimo obiettivo `e stato quello che ha finito con l’essere pi` u spesso sacrificato per i tempi, sovente ristrettissimi, in cui ci si `e trovati ad operare. Questa stessa ristrettezza di tempi obbliga anche i Docenti a non confidare troppo sulla possibilit` a di elaborazioni o di approfondimenti personali da parte degli studenti che, volenti o no, sono costretti a studiare la lezione e a fare un certo numero di esercizi, per quel tanto che basta a superare in modo ragionevole l’esame. Ora, pi` u di prima, perci` o, gli studenti vanno condotti per mano ad alcune di quelle riflessioni e di quei collegamenti che un tempo si lasciavano alla rielaborazione dei singoli. Questo volumetto, con tutti i suoi limiti, intende essere un contributo in questa direzione. Le lezioni qui raccolte erano rivolte a studenti di Fisica e, per questa ragione, sono stati maggiormente curati gli aspetti ed approfonditi gli esempi che pi` u si legano a quel campo di applicazioni. Per i motivi discussi sopra, si `e cercato di presentare gli argomenti in modo il pi` u possibile discorsivo ed esplicativo senza rinunciare, almeno in ampia parte, alla formalizzazione delle definizioni ed alla dimostrazione delle proposizioni e facendo ampio ricorso ad esemplificazioni. Al termine di ogni capitolo, `e proposto un foglio di lavoro con il quale lo studente `e chiamato a misurare subito l’acquisizione dei concetti e dei metodi in esso presentati. Per una buona comprensione dei contenuti proposti, lo studente dovr` a avere familiarit` a con il calcolo differenziale ed integrale per funzioni di pi` u variabili. Si riterranno anche noti il concetto di curva, l’integrale di linea e le formule di Green. Dicembre 2003

L’Autore

Capitolo 1

Equazioni differenziali ordinarie La teoria delle equazioni differenziali (sia ordinarie sia alle derivate parziali) occupa un posto di rilievo nell’Analisi, sia per le sue innumerevoli applicazioni sia per i suoi profondi contenuti teorici che hanno dato luogo a molti sviluppi della matematica. In quel che segue cercheremo di dare i tratti di base della teoria delle equazioni differenziali ordinarie, soffermandoci in modo particolare su alcuni tipi di particolare rilievo per le applicazioni.

1.1

Introduzione ed esempi

Prima di affrontare lo studio delle equazioni differenziali ordinarie, diamo alcuni esempi di modelli applicativi che si descrivono mediante il loro uso.  Esempio 1.1.1 In una coltura batterica, inizialmente con N0 individui, la velocit`a di riproduzione `e (almeno in prima approssimazione) proporzionale, in ogni istante, al numero y d’individui. La variabile y `e, per sua stessa natura una variabile discreta (essa prende, infatti, valori nei numeri naturali). Tuttavia, il pensarla continua ci permette di scrivere facilmente l’equazione d’evoluzione: y  = ky. Non `e difficile trovare un’espressione esplicita di y(t): ogni funzione y(t) del tipo y(t) = cekt , con c ∈ R `e soluzione dell’equazione data. Per determinare

2

1.

Equazioni differenziali ordinarie

c si deve far uso di altre informazioni sul sistema. Noi, ad esempio, sappiamo che all’istante iniziale, t = 0, il numero di batteri era N0 . Fra tutte le soluzioni dell’equazione, solo y(t) = N0 ekt soddisfa questa condizione iniziale. La costante k che fornisce il tasso relativo di crescita della popolazione di batteri (ed `e detta potenziale biologico) pu` o essere positiva o negativa: `e positiva se il numero di individui capaci di riprodursi supera quello degli individui che, per morte o per altri motivi, non lo sono pi` u ed `e negativo nel caso contrario. Nel primo caso il numero di batteri cresce esponenzialmente, nel secondo va a zero esponenzialmente. Questo modello, dovuto a Malthus, `e, in pratica, troppo grossolano per descrivere la dinamica delle popolazioni (anche di batteri!) perch´e non tiene conto del fatto che gli individui dissipano risorse e ci` o fa inevitabilmente diminuire il tasso di crescita. Un modello pi` u realistico, di Verhulst, suppone una diminuzione di k col crescere di y, cio`e, k = k0 (1 − αy(t)), con k0 , α costanti positive. Si ottiene, in questo caso, l’equazione y  (t) = k0 (1 − αy(t))y(t) che `e ancora un’equazione differenziale ordinaria ma non `e lineare.  Esempio 1.1.2 (Equazione di Newton) Come si sa dalla Meccanica, il moto unidimensionale di un punto materiale, soggetto ad una forza F , nella direzione del moto, `e descritto dall’equazione di Newton y  = F (t, y, y  ). L’equazione precedente tiene conto della possibile dipendenza di F dal tempo, dalla posizione y e dalla sua velocit` a y  . L’equazione di Newton `e un’equazione differenziale ordinaria del II ordine, in generale, non lineare. A parte il semplice caso in cui F `e costante, saranno noti al lettore: • il caso dell’oscillatore armonico, F = −ω 2 y, la cui soluzione `e del tipo: y(t) = A sin(ωt) + B cos(ωt); • il caso dell’oscillatore armonico smorzato (attrito proporzionale alla velocit` a), in cui F = −ω 2 y − 2αy  , con α > 0 sufficientemente piccolo. La soluzione `e del tipo: y(t) = Ae−αt sin(ω1 t) + Be−αt cos(ω1 t). In entrambi i casi si nota la presenza di due costanti che restano indeterminate fino a quando non si conoscono le condizioni iniziali del sistema (che, a differenza del precedente esempio, devono essere due).

1.2. Definizioni di base

3

 Esempio 1.1.3 Molti sistemi biologici possono essere schematizzati tramite il modello preda - predatore di Volterra. Si tratta di sistemi nei quali due popolazioni concorrenti, le prede ed i predatori, convivono in uno stesso ambiente. Si suppone che il tasso d’incremento x (t)/x(t) della popolazione x(t) di prede diminuisca con il crescere della popolazione y(t) di predatori, mentre il tasso d’incremento di questi ultimi cresca con il crescere della popolazione delle prede. Queste (ed altre) ipotesi portano al seguente sistema di equazioni differenziali:   x (t) = kx − ax2 − bxy y  (t) = hy − cy 2 + dxy, dove h, k e a, b, c, d sono costanti positive. I termini in x2 ed y 2 hanno lo stesso genere di motivazioni viste nell’esempio 1.1.1. Di questo tipo di sistemi (non lineari) non `e possibile dare esplicitamente la soluzione. Un certo numero di informazioni sulla soluzione si pu` o, per` o, trarre direttamente dal sistema di equazioni, con tecniche che lo studente avr` a modo di apprendere in corsi pi` u avanzati sui sistemi di equazioni differenziali.

1.2

Definizioni di base

Definizione 1.2.1 Si chiama equazione differenziale ordinaria un’equazione della forma F (t, y(t), y  (t), . . . , y (n) (t)) = 0

(1.1)

dove F ≡ F (t, z0 , z1 , . . . zn ) `e definita in un certo insieme A ⊆ Rn+2 a valori in R. La funzione y(t) che compare nell’equazione precedente, insieme alle sue derivate fino all’ordine n, tutte calcolate nello stesso punto t, `e l’incognita dell’equazione. L’equazione `e detta • d’ordine n, se n `e il massimo ordine di derivazione con cui la y compare nell’equazione; • lineare se F (t, z0 , z1 , . . . zn ) = b(t) + a0 (t)z0 + a1 (t)z1 + . . . + an (t)zn , ovvero se F `e un polinomio di primo grado nelle variabili (z0 , z1 , . . . zn ) a coefficienti, eventualmente, dipendenti da t.

1.

4

Equazioni differenziali ordinarie

L'aggettivo ordinaria che compare nella denominazione, sta ·ad indicare che l'incognita y è funzione soltanto della variabile t. Se è possibile esplicitare (globalmente) la (1.1) rispetto ad y(n), cioè, alla derivata d'ordine massimo di

y: Y(n)(t)

= J(t, y(t), y'(t), ... , y(n-l)(t))

(1.2)

dove f è una funzione definita in un sottoinsieme D di JRn+l, l'equazione differenziale ordinaria è detta di forma normale. D'ora in poi, considereremo solo equazioni in forma normale. Definizione 1.2.2 Una funzione u(t), definita ed n volte derivabile in un intervallo I, è detta una soluzione dell'equazione (1.2) se

{i) (t, u(t), u'(t) ... u(n-l)(t)) ED per ogni t E I e {ii) u(n)

= f(t, u(t), u'(t), ... , u(n-l)(t)) per ogni t

EI

L'equazione (1.2) può non avere alcuna soluzione, può ammetterne più di una o può anche avere infinite soluzioni distinte. Per comprenderlo è sufficiente considerare l'equazione differenziale ordinaria: y'(t) = g(t) . Se g è definita su un intervallo I, ma ha, in I, una discontinuità di I specie, allora non vi sono soluzioni dell'equazione data. Se, invece, g è una funzione continua su un intervallo I della retta reale, una qualunque delle infinite primitive di g è soluzione dell'equazione. È ben noto che, nel caso di questa semplice equazione differenziale ordinaria, se si impone la condizione che il grafico della primitiva cercata passi per un punto Po= (to, Yo), si determina un'unica funzione G(t) che ha g come derivata e tale che G(to) = yo. Il punto (to, Yo) rappresenta la condizione iniziale della soluzione cercata. Si può pensare che questo sia un fatto generale: ovvero, che una condizione iniziale sia sufficiente a determinare univocamente la soluzione, ammesso che ne esista una, di un'equazione differenziale del primo ordine. Come vedremo, è effettivamente così. Insieme alle equazioni differenziali del tipo (1.2), si possono considerare i sistemi di equazioni differenziali, in modo analogo a come in algebra si passa dal considerare singole equazioni algebriche a sistemi di equazioni algebriche. Per i nostri scopi ci limiteremo a considerare solo il caso di sistemi del primo ordine in n incognite. Se !1, h, ... , fn sono n funzioni delle n + 1 variabili reali t, z1, z2, ... , Zn, tutte definite in un sottoinsieme A di JRn+l, un sistema di equazioni differen-

1.3. Problema di Cauchy ,,

5

ziali del I ordine è un sistema di n equazioni

= fi (t, yi, .. · Yn) Y2 = fz(t,y1,. · ·Yn)

Y) {

y~

(1.3)

= fi(t, yi, · · · Yn)

nelle n funzioni incognite Y1 (t), Y2(t), ... Yn (t), che, indicando con y(t) la funzione a valori in JRn di componenti Yl (t), ... , Yn(t) e con la funzione vettoriale di componenti !1, h, ... f n, assume la seguente forma vettoriale:

f

y' = /(t,iJ)

(1.4)

L'importanza di considerare sistemi del I ordine sta nel fatto che ogni equazione differenziale normale (1.2) di ordine n si può sempre ricondurre ad un sistema del I ordine in n variabili introducendo delle incognite ausiliarie. Consideriamo, infatti, l'equazione (1.2). Se si definisce w1 := y, w2 := y', w3 = y" ... , Wn := y(n-1), essa si trasforma nel sistema w(=Vi2

l

W~

=W3

~~ =

(1.5)

J(t,w1,. .. wn)

La trattazione delle equazioni differenziali di ordine n si può ricondurre, quindi, a quella dei sistemi di I ordine. Questo fatto è sicuramente vantaggioso nello sviluppo della teoria. Lo è un po' meno quando si voglia risolvere concretamente un'equazione differenziale, perché non è affatto detto che passare al sistema di I ordine semplifichi effettivamente le cose.

1.3

Problema di Cauchy per un sistema di equazioni differenziali del I ordine

Il cosiddetto problema di Cauchy per un sistema di equazioni del I ordine ha la forma

y' = f(t, iJ) { y(to)=yo.

(1.6)

Esso, cioè, consiste di un sistema di equazioni differenziali del I ordine e di una condizione iniziale vettoriale (cioè, di n condizioni iniziali scalari). Per questo motivo il problema di Cauchy è spesso detto problema ai valori iniziali.

1.

6 !>I> Esempio

Equazioni differenziali ordinarie

1.3.1 Uno dei più semplici problemi di Cauchy è quello relativo

ad un'equazione differenziale del I ordine lineare, che scriviamo nella forma: y' + p(t)y = q(t) { y(to) = Y O·

(1.7)

con p, q funzioni continue su un certo intervallo I. In questo caso si ha, quindi, f(t,y) = -p(t)y + q(t) che è una funzione continua nella striscia Ix JR. Posto P(t) = ft~p(T)dT, moltiplichiamo ambo i membri dell'equazione in (1. 7) per eP( t) . Otteniamo y'eP(t)

+ p(t)eP(t)y =

q(t)eP(t),

che può anche scriversi carne

.'dt!_ (veP(t)) = q(t)eP(t) . Integrando ambo i membri tra to et e tenendo conto della condizione y(to) = yo, deduciamo che

In conclusione (1.8) La costruzione stessa della soluzione (1.8) mostra che essa è unica. Notiamo infine che, benché la (1.8) dia esplicitamente la soluzione, nella pratica la determinazione dell'integrale a secondo membro è, spesso, piuttosto difficile.·

1.3.1

Esistenza ed unicità locale

Ritorniamo adesso al problema generale, occupandoci in primo luogo di determinare sotto quali condizioni su si può esser certi dell'esistenza e dell'unicità della soluzione del problema (1.6).

f

Lemma 1.3.2 Sia I= [to - r, to +r] un intorno di t e y ne, in I, del problema (1.6) con integrale di Volterra:

f

E

C 1 (I) una soluzio-

continua. Allora y(t) soddisfa l'equazione

y(t)=.Yo+ ft[(T,y(r))dT.

lto

(1.9)

1.3. Problema di Cauchy e; .J.

7

Viceversa, se il(t) è una soluzione continua in I dell'equazione (1.9) allora, il(to) =ilo, il(t) è di classe C 1 (I) e soddisfa l'equazione il'= f(t,iJ). Dimostrazione - La prima parte si dimostra con una semplice integrazione tra

t 0 e t dell'equazione differenziale. Viceversa, se fi(t) è una soluzione continua in I dell,equazione (1.9), allora ciascuna componente Yi è derivabile) perché è una primitiva della funzione continua f;(t,iJJ. Poiché ciascuna delle f< è continua, iJ(t) E C 1 (I) e soddisfa l'equazione differenziale. D Dimostreremo adesso il teorema principale (detto di Cauchy-Lipschitz) sull'esistenza ed unicità del problema di Cauchy. Considereremo solo il caso n = 1 (un'equazione in una incognita) giusto per evitare un appesantimento di notazioni. La dimostrazione, con le necessarie modifiche, vale nel caso generale. Per dimostrare il teorema faremo uso del seguente teorema di Banach-Caccioppoli (detto anche principio di contrazione).

Lemma 1.3.3 (Teorema di Banach-Caccioppoli) Sia (E, d) uno spazio metrico completo ed F: E--+ E una contrazione di E, nel senso che esiste a E]O, 1[ tale che

d(F(x),F(y)) :O: ad(x,y),

Vx,y E E,

allora F ammette un unico punto fisso; cioè, esiste un unico

x

E E

tale che

F(x) = x. Teorema 1.3.4 Sia f : A --+ JR, con A aperto. ·Sia (to, Yo) un punto di A e siano I [to - o, t 0 +o] e J = [y0 - r, y0 + r], con o, r scelti in modo che

=

Ix J e A.

Se f è continua in A ed esiste una costante L > O tale che

(1.10) 1

allora esiste r 0 , con O < r 0
Esempio 1.3.6 Sia f(t,y) = tlogy - ylogt definita su A= {(t,y) : t > O, y > O}. La f è continua su A insieme con la sua derivata parziale %{; = logt. Quindi, se (to, Yo) E A, il problema di Cauchy:

t-

y' = tlogy-ylogt { y(to) = Y O· ha un'unica soluzione in un intorno di to. [>[>Esempio 1.3.7 L'equazione lineare del primo ordine considerata nell'esempio 1.3.1

y' = -p(t)y + q(t) conp(t) e q(t) funzioni continue su un intervallo aperto ]a, b[ è sempre tra quelle a cui si può applicare il teorema di Cauchy-Lipschitz. Infatti, la continuità di p(t) e di ·q(t) garantisce la continuità della funzione f(t, y) = -p(t)y + q(t) in ]a, b[xffi!.) ed anche della derivata parziale %(;, essendo = -p(t).

U

Con un argomento analogo si prova che anche un sistema lineare del primo ordine è nel campo di applicabilità del teorema di Cauchy-Lipschitz.

1.

10

1.3.2

Equazioni differenziali ordina.rie

Prolungamento delle soluzioni

Il teorema 1.3.4 ci dà solo un'informazione di esistenza ed unicità locale della soluzione: nelle ipotesi del teorema, esistono un'intorno Io := [to - ro, to + ro] ed una funzione y(t) che risolve il problema di Cauchy in quest'intorno. Ci proponiamo adesso di stabilire se è possibile prolungare la soluzione y(t) ad intervalli che contengono Io. Per semplificare un po' la trattazione supporremo che le condizioni del teorema 1.3.4 ricorrano in ogni rettangolo chiuso Ix J e A. In particolare assumeremo che f sia localmente lipschtziana nel senso che, per ogni rettangolo chiuso I x J e A, esiste L > O tale che

Consideriamo adesso il punto (to+ro, y(to+ro)) come nuovo punto iniziale e studiamo il seguente problema di Cauchy

z' = f(t,z) { z(to + ro) = y(to + ro).

(1.13)

Poichè (to + ro,y(to + ro)) non appartiene alla frontiera &A di A, esistono un intorno Ii di to + ro ed un intorno J1 di y(to + ro) tali che Ii x J 1 e A. Il teorema 1.3.4, ci assicura, allora, che esistono un numero r 1 > O ed una funzione z(t) che è soluzione di (1.13) nell'intervallo [to + r0 - ri, t 0 + r0 + r 1]. L'unicitàdellasoluzioneimplicachey(t) = z(t) in [to+ro-ri,to+ro]. Infatti, se così non fosse, il problema di Cauchy con dato iniziale z(t0 +r0 ) = y(to+ro) avrebbe nell'intorno sinistro [to + ro - r1, to + ro] due soluzioni distinte, il che è impossibile. La funzione

w(t)

= {

y(t) t E [to - ro, to + ro] z(t) t E [to+ ro, to + ro + r1]

è, dunque, un prolungamento continuo di y(t). Si ha inoltre:

lim

w'(t) =

lim

w'(t) =

t-(to+ro)-

lim

y'(t) =

lim

z'(t) =

t---+(to+ro)-

lim

f(t,y(t)) =

lim

f(t, z(t)) =

t--+(to+ro)-

lim

f(t,w(t)),

lim

f(t, w(t)).

t---+(to+ro)-

e t~(to+ro)+

Poiché sia

f

t~(to+ro)+

t~(to+ro)+

sia w sono continue in to lim

t~(to+ro)-

t~(to+ro)+

+ ro si ha:

f(t, w(t)) =

lim

t~(to+ro)+

f(t, w(t)).

r-

1.3. Problema di Cauchy

11

Quindi, w(t) è di classe 0 1 in [to - ro, t 0 + ro + r1]. In conclusione, w(t) è soluzione del problema di Cauchy di partenza nell'intervallo [to-ro, to+ro+ri]. In questo modo abbiamo ottenuto un prolungamento a destra della soluzione. In modo analogo si può procedere per ottenere un prolungamento a sinistra del punto to - ro.

Definizione 1.3.8 Sia y(t) una soluz-ione del problema di Cauchy (1.11), definita nell'intervallo ]a, b[ contenente to. Una soluzione z(t) dell'equazione z' = f(t,z), definita in un intervallo ]a,,B[~]a,b[, è detta un prolungamento della soluzione y(t) se

(i) (t,z(t)) E A per ogni t E]a,,6[; (ii) z(t)

= y(t) per ogni t E]a, b[.

Non si può pensare, in generale, di continuare in modo indefinito la procedura descritta sopra, perché man mano che si avanza verso destra, la costante di Lipschitz può cambia.re sensibilmente al variare del punto iniziale e potrebbe divergere avvicinandosi alla frontiera di A. l>I> Esempio 1.3.9 Consideriamo il problema

y' = y2 { y(to) = YO· Sia f(t, y)

= y 2 sia

~~

Nel rettangolo R

= 2y sono continue su tutto il piano. =

[to - a, to +a] x [yo - b, Yo + b] si ha:

IYf - Y~I 'S 2IYo + bllv1 -Y21· La costante L = 2ly0 + bi è la migliore possibile. Si vede, allora, chiaramente che L può rendersi arbitrariamente grande al variare di yo. Questo corrisponde al fatto che la soluzione del problema, che è

y(t) = non può essere prolungata, se Yo

Yo

1 - Yo(t - to)

,

> O, oltre il punto to + 1/yo.

È naturale, quindi, chiedersi fino a che punto si può procedere nel prolungamento della soluzione. Per rispondere a questa domanda, poniamo

8 = sup{o >o:

il problema (1.11) ha soluzione in [to, to +o]}.

(1.14)

12

1.

Equazioni differenziali ordinarie

Se 6 = +oo, allora la soluzione si prolunga a destra a tutta la semiretta [to, +oo]. Se, invece, 6 < +oo, la soluzione non si può certo prolungare all'intervallo [to, to + 6] (in altre parole, 6 non può essere il max nella (1.14)) perchè in questo caso potremmo riapplicare il procedimento di prolungamento trovando una soluzione in un intervallo [to, to + b'J con b' > 6 e contraddicendo la definizione di 6. Un ragionamento simile può essere fatto per i prolungamenti a sinistra considerando

1 = sup{ì >O: il problema (1.11) ha soluzione in [to - "f, to]}. Anche in questo caso può essere 1 = +oo (la soluzione si prolunga, quindi, all'intervallo J - oo, to]) oppure 1 < +oo e la soluzione non può essere prolungata a [to -1, to]. L'intervallo di definizione del massimo prolungamento possibile è, dunque, in ogni caso, aperto. Abbiamo, così dimostrato il seguente Teorema 1.3.10 Sia f : A --> ffi'., A ç ffi'. 2 aperto, una funzione continua e localmente lipschitziana in y. Sia (to, Yo) un punto di A ed y(t) la corri-

spondente unica soluzione locale del problema (1.11). Allora, la soluzione y(t) ammette un prolungamento massimale (cioè, non ulteriormente prolungabile) y(t), definito necessariamente su un intervallo aperto Ja0 , bo[ contenente to. La seguente proposizione ci fornisce condizioni necessarie e sufficienti di prolungabilità. Proposizione 1.3.11 Sia A un aperto di ffi'. 2 ,

f :A

ffi'. continua e locai-. mente lipschitziana rispetto a yin A. Se y(t) è soluzione in ]a, b[ del problema di Cauchy relativo ad f e ad un punto iniziale t 0 E]a, b[, allora le seguenti condizioni sono equivalenti: ---+

(i) y( t) ammette un prolungamento a destra; (ii) esiste finito tiene ad A;

limt~b-

y( t) e, posto y = limhb- y(t), il punto (b, y) appar-

(iii) la soluzione y(t) e la sua derivata y'(t) sono limitate in un intorno sinistro di b.

Dimostrazione - (i)=?(ii): Sia z(t) il prolungamento de!la soluzione y(t) all'intervallo ]a, b+ e[, e> o. AIJora z(t) è di classe C 1 in ]a, b+e[. Quindi, il limite limhb- y(t)

A

V

13

1.3. Problema di Cauchy

esiste finito. Inoltre y = z(b) e, per definizione di prolungamento, (b, z(b)) E A. (ii)=>(iii): Il fatto che y(t) sia limitata in un intorno sinistro di b segue dal teorema di limitatezza locale. Si ha pure: lim y'(t)

t--+b-

=

lim f(t,y(t))

t-b-

=

f(b,y),

per la continuità di fin A. Quindi, anche la funzione y'(t) sarà limitata in un intorno sinistro di b. (iii)=>(i): Essendo y'(t) limitata in un intervallo ]t,, b[, la y(t) è lispschtziana e, quindi, uniformemente continua in ]t1, b[. È ben noto che, in questo caso, la funzione y(t) ha limite finito y per t ---> b- e, dunque, y(t) ammette un'estensione continua z{t) all'intervallo ]a, b]. L'uguaglianza y 1 ( t) = f (t, y(t)) garantisce, passando al limite per t---> b-, che esiste finito anche il limt~b- y'(t). Una semplice conseguenza del teorema di Lagrange assicura, allora, che z(t) ammette derivata sinistra in be che

z'_(b)

=

lim y'(t).

t-b-

A questo punto si può costruire, come abbiamo visto in precedenza, un prolungamento

a destra della soluzione, prendendo (b, 'il) come punto iniziale di un nuovo problema di Cauchy. D Affermazioni analoghe a quelle della proposizione 1.3.11 valgono per l'estremo sinistro a dell'intervallo. 00 Nota 1.3.12 Nel caso in cui A = I x lR con I =]a, b[ , -oo S a < b S +oo ed y(t) è una soluzione non prolungabile del problema di Cauchy (1.11), definita su un intervallo ]a 0 , bo[, si può provare che deve necessar,~amente aversi: (i) o b =bo oppure bo t 0 , t E J.

Ma g(t) : to, t E J, e, quindi, l'affermazione è provata. "'\

o

15

1.4. Esistenza ed unicità globale

Siamo adesso in condizione di dare il cosiddetto teorema di esistenza globale. Teorema 1.4.2 Sia f(t, y) definita e continua nell'aperto A contenente la striscia S := [a, ,6] x JR e localmente lipschitziana in A rispetto a y. Supponiamo che esistano due costanti .\, µ 2: O tali che

IJ(t,y)I

0

.. + µlw(T)l)dT

< IYol +.\(bo -to) + µ z'

r' lw(T)ldT

},,

'(+µ r'lw(T)ldT

},,

avendo posto'(= IYol +.\(bo - to). Il lemma 1.4.1 implica, allora, che

lw(t)I :O: '(eµ(t-tol,

\ft E [to,b[

e questa è una contraddizione. Quindi, bo > ,6. In mo.do simile si dimostra che deve essere ao ·
O tale che:

lf(t,y)- f(t,y1)I :O: Lly-Y1I,

lft E [a,,6], lfy,y, E JR.

1.

16

Quindi, scelto Yr

=

O,

/f(t, y)/ :':: max /f(t, O)/+ L/y/, tEfa,jJJ

I> I>

Equazioni differenziali ordinarie

\ft E [a,,B], \fy E JR.

Esempio 1.4.4 Il problema di Cauchy y' = arctan(ty) { y(O) =O

ammette una, ed una sola, soluzione y(t) definita su tutto R Infatti, la funzione f(t, y) = arctan(ty1 che è definita su tutto JR.2 è localmente lipschitziana in y avendo derivata parziale continua; essa è inoltre limitata. Si può, quindi, applicare il teorema di esistenza globale.

U

l>I>

Esempio 1.4.5 Consideriamo il problema di Cauchy

La funzione f(t,y) = tlogy è definita in A= {(t,y) E JR 2 : y >O} ed è localmente lipschitziana in y. Utilizzando la nota disuguaglianza log x :S: x-1, per x > O, si ha per ogni t E [a, b] , y > O: /tlogy/ = /tlly - 1/ :S: /t/(1

+ y) :S:

max{/a/, /b/}(1

+ y).

La condizione (1.15) è, dunque, soddisfatta. Tuttavia non si può affermare l'esistenza globale in JR di una soluzione perchè il dominio di f non è una striscia del tipo prescritto. Uno studio qualitativo del problema [cfr. sezione 1.5.2] mostra che il grafico della soluzione y(t) è interamente contenuto nella striscia O < y < 1, la funzione y( t) è decrescente per t > O e crescente per t < O; ha massimo in t = O ed è concava in tutto il suo dominio, essendo y

Il(· t2) = +y 1

logy.

L'intervallo di esistenza della soluzione massimale è, diilique, necessariamente, limitato.

1.5. Alcuni semplici problemi di Cauchy

1.5

17

Alcuni semplici problemi di Cauchy

Fin qui ci siamo ~upati dei teoremi di esistenza ed unicità per il problema di Cauchy, ma non abbiamo dato (tranne che per il caso lineare) alcun metodo per risolverne qualcuno. In generale, la risoluzione del problema si può ottenere esplicitamente in un numero abbastanza ristretto di casi alcuni dei quali saranno trattati nella sezione 1.5.1. In qualche altro caso, come accennato in precedenza, pur non potendo risolvere esplicitamente il problema, è possibile ottenere alcune informazioni di natura qualitativa sulla soluzione. Qualche esempio di questa procedura è illustrato nella sezione 1.5.2

1.5.1

Equazioni a variabili separabili

Se la funzione f(t, y) ha la forma

f(t, y)

=

h(t)g(y)

è talvolta semplice trovare le soluzioni del relativo problema di Cauchy. In questo caso, l'equazione è detta a variabili separabili . Dall'equazione

y'(t)

=

h(t)g(y)

segue, passando ai differenziali,

y'(t)dt = h(t)g(y)dt e, se g(y)

#-O, dy = h(t)dt. g(y)

Integrando ambo i membri, si è in grado (in linea di principio) di determinare le soluzioni y(t). Quanto alla condizione g(y(t)) #-O, nel risolvere un problema di Cauchy, è sufficiente garantirla in un intorno del punto iniziale to, considerato che, in genere, si è alla ricerca di soluzioni locali del problema. Vediamo come si opera con alcuni esempi. l>I> Esempio

1.5.1 Risolviamo il problema di Cauchy

y'=ty2 { y(O) = 1

1.

18

Equazioni differenziali ordinarie

In un intorno del punto t = O, la soluzione y(t) sarà diversa da O, visto che y(t) è continua e y(O) = 1. Operando come sopra, si perviene all'uguaglianza:

y'(t)dt

~() y t .=tdt.

Il prossimo passo consiste nell'integrare da O a t entrambi i membri:

1

t y'(s)ds 2( )

o y s

-1t -

o

sds.

Quest' operazione è certo possibile in un intorno di O. Quindi: 1

t2

1

-y(t) - +y(O) -=2 In definitiva: 2

y(t) = 2 - t2 che è definita in l>I> Esempio

J-

v'2, v'2[ e non è prolungabile oltre quest'intervallo.

1.5.2 Risolviamo il problema di Cauchy

y'y = -t { y(O) = 1 le cui variabili sono già separate. Integrando ambo i membri tra O e t, si ha:

llicavando y, si ottiene:

y(t)

=

v11=t2.

La scelta della determinazione negativa della radice è esclusa, perché in questo caso, non potrebbe essere soddisfatta la condizione iniziale. È anche importante osservare che, benché la soluzione sia definita in [__:}, 1J, essa è soluzione del problema solo nell'intervallo J - 1, 1 [ perché non è derivabile nei punti estremi dell'intervallo. Inoltre, y(t) non può essere ulteriormente prolungata, a causa della (iii) della proposizione 1.3.11. Infatti, la derivata y1(t) non è limitata né in un intorno di 1 né in un intorno di -1. ·

1.5. Alcuni semplici problemi di Caucby l>I> Esempio

19

1.5.3 Nel problema y' = t(y-t)2+1 { y(O) = 1

l'equazione da risolvere non è a variabili separabili. Tuttavia, se si pone z(t) y(t) - t, si ottiene {

=

~'(~ ~1

che è stata risolta nell'esempio 1.5.1. Quindi,

y(t)

2

= --t 22 +t.

Sono sempre riconducibili ad equazioni a variabili separabili: • le equazioni del tipo y' = g(at+by). Infatti, con la sostituzione z = at+by esse si trasformano nella z' = bg(z) +a • le cosiddette equazioni omogenee nelle quali la funzione f (t, y) è omogenea di grado O. In questo caso si può esprimere f nella forma f(t, y) = g(y/t). Ponendo z = y/t, si perviene ad un'equazione a variabili separa' bili. Un altro metodo di soluzione, legato alla nozione di forma differenziale lineare, sarà trattato nella sezione 2.7.

1.5.2

Valutazione qualitativa della soluzione

Come si è già detto, in alcuni casi è possibile trarre alcune informazioni di natura qualitativa sulla soluzione di .un problema di Cauchy che non si è in grado di risolvere analiticamente. l>I> Esempio

1.5.4 Consideriamo il problema di Cauchy: y' = ty2 { y(0)=-1

20

Equazioni differenziali ordinarie

1.

Questo problema è risolubile esattamente (come nel successivo esempio 1.5.1), tuttavia un numero cospicuo di informazioni può essere ottenuto da considerazioni qualitative. Per prima cosa osserviamo che y' (t) ~ O per t > O la soluzione è, quindi, crescente per t >O. Analogamente, y(t) è decrescente per t < O. Il punto t = Oè di minimo assoluto e non vi sono altri punti di estremo. D'altra parte, risulta sempre y(t) < O. Infatti, il grafico della soluzione y(t) non può attraversare la retta y =O, perché se ciò accadesse in un punto (t1, O), il problema di Cauchy

z' = tz 2 { z(t1) =O avrebbe due soluzioni distinte intorno a ti: la y(t) e la funzione costantemente uguale a zero. In conclusione, -1:::; y(t) ±oo. La funzione y( t) per t > O è crescente e limitata. Quindi, lim y(t) =e
+oo

=m

E

fti,

allora necessariamente m = o. Questa contraddizione ci fa concludere che e= O. Quindi, la soluzione y( t) amfnette la retta y = O come asintoto orizzontale per t ---> +oo. La situazione per t ---> -oo è simile. Osserviamo infine che il cambiamento di variabile t = -s lascia immutata l'equazione e la condizione iniziale. Quindi, se y(t) è soluzione, anche y(-t) lo è, per l'unicità della soluzione. Concludiamo, allora, che y(t) è una funzione pari. In effetti, si può controllare facilmente che

y(t) = -

2 t2

+ 2'

\it E ffi:..

21

1.5. Alcuni semplici problemi di Cauchy

t>t> Esempio 1.5.5 Studiamo qualitativamente la soluzione y( t) del problema di Cauchy

y'=ty(2-y) { y(O) = 1 Per prima cosa, osserviamo che il problema ammette un'unica soluzione locale

y( t), definita in un intorno di t = O, essendo soddisfatte le ipotesi del teorema di Cauchy-Lipschtz. Le funzioni costanti y = O ed y = 2 sono, come si vede immediatamente, soluzioni dell'equaziok'e differenziale

y' = ty(2 - y) (ma non del problema di Cauchy a causa del dato iniziale y(O) = 1). Il grafico della soluzione y(t) non incontra nessuna delle due rette y = O ed y = 2. Infatti, detto, ad esempio, (t 0 , O) l'ipotetico punto in cui il grafico della y(t) incontra la y =O, in un intorno del punto t 0 , il nuovo problema di Cauchy

y' = ty(2 - y) { y(O) =O avrebbe due soluzioni distinte. Il che è impossibile. In modo simile si deduce che il grafico della y(t) non incontra la retta y = 2. La soluzione y(t) del problema di Cauchy iniziale, visto che y(O) = 1, soddisfa, allora,

0C> Esempio 1.5.6 Dimostriamo che il grafico della soluzione locale del problema di Cauchy y' = 2t + 1 - (t 2 -y)2 { y(O) =O

1.

22

Equazioni differenziali ordinarie

è contenuto nell'insieme: D

= {(t,y)

E R 2 : t E R, t 2 - 1

< y < t 2 + l}.

Osserviamo che le funzioni y = t 2 - 1 ed y = t 2 + 1 sono entrambe soluzioni dell'equazione differenziale y' = 2t + 1 - (t2 - y)2. Un ragionamento analogo a quello fatto negli esempi precedenti ci permette, allora, di dire che il grafico della soluzione massimale y(t) del nostro problema di Cauchy non incontra le due parabole di equazioni y = t 2 - 1 ed y = t 2 + 1. Il punto iniziale (O, O) si trova nella regione di piano delimitata dalle due parabole. Ne concludiamo che il grafico di y(t) è contenuto in D.

1.6

Equazioni e sistemi lineari

La definizione di sistema differenziale del I ordine è già stata data nella sezione 1.2 nella quale un sistema di questo tipo è stato scritto nella forma compatta

y' =

f(t, i!),

(1.17)

dove f è una funzione vettoriale definita su un sottoinsieme A di Rn+ 1 a valori in Rn. In questa sezione studieremo una classe particolare di sistemi di I ordine, detti lineari. In essi, la funzione f ha la forma

f(t, iJJ = A(t) · y + b(t), dove A(t) · y indica il prodotto righe;per colonne della matrice

A(t)

=

au (t) ai2(t) an(t) a22(t)

ain(t) ) a2n(t)

anl (t)

ann(t)

:

( per il vettore colonna

y~ ( : )

(1.18)

23

1.6. Equazioni e sistemi lineari La matrice A è detta matrice dei coefficienti ed il vettore b(t)

è detto termine noto del sistema. 'v Se tutti i coefficienti lhij ( t) della matrice A ed il termine noto b( t) sono funzioni continue su uno stesso intervallo ]a, b[, allora la funzione fin (1.18) è continua in ]a, b[ xll?.n e, dato che le sue derivate parziali rispetto alle Yi, Bfj

~ =

UYi

aij(t),

sono continue in ogni compatto K c]a, b[xll?.n, essa è anche localmente lipschitziana rispetto ad il. Il problema di Cauchy, in questo caso, si scrive

il'= A(t) ·il+ b(t) { il(to) =ilo

(1.19)

con to E]a, b[. Esso ammette una, ed una sola, soluzione globale in ]a, b[. Infatti, in ogni intervallo [a, fJ] c]a, b[ contenente to, vale la disuguaglianza

11/(t, ff)ll :".: sup llb(t)il +max sup laij(t)i · llilll, tE[a,Jl]

i,J

tE[a,/l]

che è la versione n--dimensionale della (1.15). Di conseguenza la soluzione esiste ed è unica in tutto ]a, b[.

1.6.1

Caso omogeneo

Se b(t) =O per ogni t E]a, b[, il sistema

il' =

A(t)

·il

(1.20)

è detto omogeneo. Indichiamo con lK l'insieme di tutte le soluzioni di (1.20) su ]a, b[. Vale il seguente

Teorema 1.6.1 lK è uno spazio vettoriale di dimensione n.

1.

24

Equazioni differenziali ordinarie

Dimostra:z;ione - Lasciamo al lettore di verificare che lK è uno spazio vettoriale.

Sia t 0 E]a, b[. Se il(t) E lK, a.ssociamo ad essa i suoi valori iniziali nel punto to, cioè, il vettore fj0 := fj(t 0 ). Si definisce, così uniapplicazione lineare di OC in JR.n che è iniettiva. Infatti, se iJO =O, l'unica soluzione del problema di Cauchy

il' = A(t) ·il { il(to) =O è quella identicamente nulla.

L'applicazione è anche suriettiva. Infatti, se ilo vettore di !Rn, il problema di Cauchy

=

(Yo1, ... Yon) è un qualunque

il'= A(t) ·il { il(to) =ilo ammette un'unica soluzione y~) in ]a, b[. L'applicazione

il(t)

E

lK >--> fl(to)

E

!Rn

è, dunque, un isomorfismo di spazi vettoriali. Quindi,

dimlK = dim!Rn = n. D

Se si scelgono, dunque, n vettori :$1, ... :fn linearmente indipendenti di lK, essi formano una base di lK e tutte e sole le soluzioni dell'equazione (1.20) si otterranno mediante combinazioni lineari delle efi-;, ... efi:. Cioè, iJ E lK se, e soltanto se, esistono n costanti reali c1, ... , Cn tali che

(1.21) L'espressione (1.21) prende il nome di integrale generale del sistema omogeneo. Per verificare l'indipendenza lineare di una famiglia { ;{1 , ... in} di n vettori di IK è utile la seguente

Proposizione 1.6.2 Una farnt&!iJlia {:$1, ... :fn} di n funzioni (vettoriali) di IK costituisce una base di IK se, e soltanto se, per almeno un punto t 0 E]a, b[ i vettori f1 (to), ... fn(to) sono linearmente indipendenti. Dimostrazione - Supponiamo che le funzioni della famiglia {ii, ... in} siano li~ nearmente indipendenti ma che, per ogni to E]a,b[, i vettori i1(t 0 ), ... in(t 0 ) siano linearmente dipendenti. In questo caso, esistono dei numeri reali Ài, ... , Àn, non tutti

nulli (ed eventualmente dipendenti dato), tali che .\1i1(to)

+ · · · + Ànin(to) =O.

·

25

1.6. Equazioni e sistemi lineari La funzione

fJ(t) = À1i$1(t) + · · · + Àni$n(t) è, allora, soluzione del problema di Cauchy i]'= Ai] { .jj.(to) =O

r

Ma questo problema ammette come unica soluzione i](t) =O. Quindi, deve essere:

,J·-

À1i$1(t)

+ · · · + >-ni$n(t) =O, \lt E]a, b[,

in contraddizione con l'ipotesi che questi vettori fossero linearmente indipendenti.

Viceversa, supponiamo che esista un punto t 0 E ]a, b[ tale che i vettori i$1(t 0 ), ••. i$n (t 0 ) siano linearmente indipendenti. Se esistessero delle costanti non tutte nulle tali che:

questo varrebbe anche per t = t 0 , dando luogo ad una contraddizione.

L' indipendenza lineare dei vettori :$1 , ... dal fatto che il determinante wronskiano

. 2 , ... , Àk sono in numero minore di n. Le funzioni

sono ancora soluzioni linearmente indipendenti ma non costituiscono certo una base di lK. Per studiare più facilmente questa situazione, introduciamo un operatore D che agisce su una funzione z(t) E C 1 (I), associando a z(t) la sua derivata z'(t), cioè: Dz(t) = z'(t). Se z E cn(I) e k:::; n si avrà Dkz(t) = z(kl(t). Con questa notazione, ad esempio, l'equazione differenziale

y' (t) = 5y(t) si scrive

2

nella forma:

(D - 5)y(t) =O. L'equazione ( 1. 30) prende la forma

2

Se a E O esiste o> O tale che sex E A e dn(x, xo) Esempio 2.1.1 Diamo due esempi di funzioni vettoriali. • Una funzione t E [a,b]-> (x(t),y(t)) con x,y funzioni continue, rappresenta una curva in IEl.2 . Essa è una funzione vettoriale continua. • Fissata una funzione differenziabile f : IEl.n -> lEI. (cioè, una funzione scalare), l'applicazione che associa ad x E IEl.n il gradiente \1 f(x), calcolato in x, è una funzione vettoriale di IEl.n in IEl.n. Nel caso in cui n = m [cfr. sezione 2.2].

2.1.2

>

1, una funzione vettoriale è detta campo vettoriale

Derivabilità e differenziabilità di funzioni vettoriali

Se f è una funzione vettoriale definita in un aperto A di IEl.n, diremo che essa è derivabile in Xo E A se ogni componente fk, k = 1, ... , m, ha derivate parziali prime in 0 e che è derivabile in A se lo è in ogni punto di A. Per semplificare un po' le cose, supponiamo che sia derivabile in A. Se x E A, si definisce matrice jacobiana (calcolata in x) la matrice, d'ordine mx n, J -{x) che ha 1

x

f

l

!

j

2.1. Funzioni vettoriali

45

come k-sima riga le componenti di \7 fk (calcolate in iJ). Più precisamente: OXn

ill1.. )

(2.1)

IJfm OXn

La matrice jacobiana svolge un ruolo importante in rapporto alla differenziabilità di f, che andiamo a definire. L'idea di differenziabilità di una funzione vettoriale è analoga a quella che sta alla base dello stesso concetto per funzioni reali di una variabile o per funzioni scalari in lll'.n: si tratta di approssimare la quantità /(x + h) - f(x) con il risultato di una trasformazione lineare L su h (quindi, da lll'.n in lll'.m) a meno di un o (llh!I). Ogni trasformazione lineare da lll'.n in lll'.m è rappresentata da una matrice A d'ordine m x n:

L(h) =A· h dove il secondo membro è inteso come il prodotto righe per colonne di A per il vettore colonna, o matrice d'ordine n x 1, h = (hi)- Diamo, quindi, la seguente definizione:

Definizione 2.1.2 La funzione A, d'ordine mx n tale che

f

è differenziabile in iJ se esiste una matrice

f(x + h) - f(x) =A. h, +o (\\h\\),

h,

__.o.

Il seguente teorema mette in relazione la differenziabilità di delle m funzioni scalari che ne cos_tituiscono le componenti.

(2.2)

f con quella

Teorema 2.1.3 La funzione vettoriale f: A e;; lll'.n --+ lll'.m, con A aperto, è differenziabile in x E A se, e soltanto se, tutte le sue componenti fk, k = 1, ... , m sono differenziabili in iJ e si ha A = Jr(x). 00 Nota 2.1.4 Il calcolo differenziale per funzioni vettoriali presenta delle lacune rispetto a quello che abitualmente si sviluppa per le funzioni scalari: per esempio) non ha senso porsi il problema della ricerca dei massimi e minimi, mentre ha senso parlare di punti critici quelli, cioè, per cui si annulla Jf. Infine, osservando la (2.2), si potrebbe pensare che valga una qualche forma del teorema di Lagrange, così come accade per le funzioni scalari) anche di più variabili. Ma non è così. Si consideri; ad esempio, la funzione f(t) = (cost,sint), t E [O, 2Kj.

2.

46

Funzioni vettoriali, campi vettoriali e forme differenziali linea.r!

Si ha: /(O) = /(27r). Se valesse il teorema di Lagrange, dovrebbe esistere un punto: t 0 E]a,b[ tale che J1(to) =O. Ma Jr(t) = (-sint,cost) e llJr(t)ll t E [O, 2rr].

2.2

Campi vettoriali: definizioni ed esempi

In questa sezione studieremo i campi vettoriali e fra questi, i cosiddetti campi· conservativi. Per semplicità, limiteremo la nostra discussione ai campi in JR3 , limitandoci ad un commento finale sul caso generale. Definizione 2.2.1 Sia A ç JR3 un aperto connesso. Un campo vettoriale è,; un'applicazione

ff: x E A___, ff = (F1(x), F2(x),F3(x)) E IR 3 con x = (x1, x2, x3). Il campo F si dirà di classe Ck in A, se

tali sono tutte ,.

le sue componenti. Un campo vettoriale è, quindi, un particolare tipo di funzione vettoriale. Sia ' una curva regolare a tratti, contenuta in A, Po,P1 i punti estremi di I· Indichiamo con T(x) il versore tangente a I nel punto x, nel senso che va da Po a P1.

r

Se

F è un campo vettoriale continuo, l'integrale di linea lungo /,

j
ds,

(2.3)

dove < ·, · > indica il prodotto scalare di JR3 , è definito utilizzando una parametrizzazione (di classe C 1 a tratti) 1(t) = (x1(t),x2(t),x3(t)), t E [a,b], 1(a) =Po, 1(b) = P1. Tenuto conto del fatto che ~ ~

T(x)

( x~(t)

x~(t)

x~(t) )

= lir'(t)il' lir'(t)il' lir'(t)il

e che, se g( x) è una funzione scalare definita in A, per definizione

j si ottiene:

g(x)ds :=

1b

g(x1(t),x2(t),x3(t))ll1'(t)lldt,

47

2.2. Campi vettoriali: definizioni ed esempi che può anche essere scritto come integrale ai differenziali delle coordinate:

Gli integrali di tipo (2.3) hanno un preciso significato fisico. Se, per esempio F rappresenta un campo di forze, allora

w=

1

< F(x),T(x) > ds

è il lavoro compiuto dal campo per spostare il suo punto di applicazione da Po a P1 lungo /· In generale, W dipende dalla curva/ che congiunge Po e P 1 . Ritorneremo in seguito su questo punto. l>I> Esempio 2.2.2 Una massa m nel campo gravitazionale generato dalla massa M subisce un'attrazione mM~

-

F=-G--r r2

con r = (x 2 + y 2 + z 2 ) 112 ed r il versore della congiungente i centri di massa di M ed m. Si può anche scrivere

- = -GmM - (x, y, z). 3

F

r

Se/= (x(t), y(t), z(t)), t E [a, b] è una curva regolare a tratti, posto r1 = 1( a), r2=1(b), un semplice calcolo mostra che

-

mM

~

< F('y(t)),T(1(t)) > lb'(t)ll = - G3- (x(t)x'(t) +y(t)y'(t) +z(t)z'(t)) r

e da questa si ricava che

W

= -GmM = -GmM

·

l

b

a

{b

Ja

(

xx' + yy' + zz' ) / dt x 2 +y 2 +z 2 3 2

~(-(x 2 + y 2 + z2 )- 112 )dt dt

(r~ - r 1) 1

GmM ( lbtb)ll - lbta)ll)

= GmM

Il risultato ottenuto, è come si vede bene dalla formula conclusiva, indipen,,. dente dalla particolare curva I che congiunge r1 ed r2. I campi vettoriali che godono di questa proprietà hanno un'importanza particolare.

2.

48

Funzioni vettoriali, campi vettoriali e forme differenziali lineari

Definizione 2.2.3 Un campo continuo

1

F :A

--->

l!l.3 per il quale

< F(x),T(x) > ds

-y(Po,P1)

non dipende dalla particolare curva 'Y congiungente Po e P 1 , si chiama conservativo. Teorema 2.2.4 Sia A un aperto connesso di l!l. 3 ed F : A ---> l!l.3 un campo vettoriale continuo. Le seguenti affermazioni sono equivalenti:

1 -1 J

(i)

l

F è conservativo;

" l

(ii) esiste una funzione scalare differenziabile {iii) §,

< F(x), T(x) > ds

tale che

F = V';

=O per ogni curva chiusa regolare a tratti semplice

'Y contenuta in A.

*

Dimostrazione - (i) (ii) Sia Po un punto fissato in A e P un punto variabile in A. Visto che A è aperto e connesso, esiste una poligonale che congiunge Po e P. Essendo il campo conservativo,

= F 1 . Il teore.ma della media integrale ci assicura che esiste un h con O ' Esempio

8,P 8x

8,P 8y =y,

= xz,

81>

-=x. 8z

L' integrazione, rispetto ad x della prima uguaglianza porta a concludere che dovrebbe essere ,P(x, y, z) = x~z + E,(y, z), dove E, è una funzione differenziabile delle sole y, z. Poiché ~ = ~t funzione derivabile della sola che è impossibile.

2.2.1

= y,

sarà E,(y, z) =

v;. + 7J(z), dove 1) è una

z. Dovrebbe, quindi, aversi~= x; + 7J (z) = x, 1

Divergenza e rotore di un campo vettoriale

Sia A un aperto connesso di Ill'.3 ed classe 0 1 . Poniamo div F(x)

F:A

ç Ill'.3

--->

Ill'. 3 un carùpo vettoriale di

= 8F1 (x) + 8F2 (x) + 8F3 (x). 8x1

8x2

8x3

Si definisce, in questo modo, una funzione vettoriale continua di A in Il'. (o campo scalare continuo su A), detto divergenza di F. Utilizzeremo questa nozione più avanti quando parleremo di integrali superficiali.

50

2.

Funzioni vettoriali, campi vettoriali e forme differenziali lineari

Sia ancora A un aperto connesso di lll. 3 ed F : A ç lll.3 --+ lll. 3 un campo vettoriale di classe C 1 . Chiameremo rotore di F, e lo indicheremo con il simbolo rot i', il campo vettoriale continuo le cui componenti sono

- -

8F1

(rotF)2 = -

8F3

- -;

OX3

OX)

00Nota 2.2.7 Diversamente da quanto fin qui affermato, la definizione di rotore ed alcune delle proprietà ad esse relative, non si generalizzano, nella· stessa forma, in Rn con n > 3 (Si rifletta, ad esempio, sul fatto che l'estensione della definizione 2.4 al caso n = 4 condurrebbe a considerare un oggetto a sei componenti, che non sarebbe più un campo vettoriale in IB'.4 !).

Un semplice calcolo, unito all'applicazione del teorema di Schwarz, prova che

Proposizione 2.2.8 Se

f'

è un campo di classe C 2 (A), allora

div (rot F)(x)

Teorema 2.2.9 Sia

F un

=o,

Vx E A.

campo conservativo di classe C 1 (A) allora rot F(x)

=o,

Vx E A.

Dimostrazione - Per la (ii) del teorema 2.2.4, esiste una funzione scalare , differenziabile tale che F = \!. Dal fatto che F è di classe 0 1 segue che E C2 (A); allora, per il teorema di Schwarz,

o In modo del tutto simile, si prova che

Proposizione 2.2.10 Se allora

[>Esempio 2.4.1 Consideriamo la fdl in ffi. 2 definita da w(x, y) = ydx:-xdy. Vogliamo calcolarne l'integrale sulla semicirconferenza "( di centro l'origine, raggio 2, percorsa in senso antiorario: 'Y(t) = (2 cos t, 2 sin t), t E [O, 7r]. Usando la definizione (2.10), si ottiene:

rw = .lor (-4sin t - 4cos t)dt = -47r . 2

2

.J'i

[>[>Esempio 2.4.2 Consideriamo la fdl in IB.2 definita da w(x, y) = xydx xdy. Vogliamo calcolarne l'integrale sull'arco di parabola y = x 2 , O :::; x :::; 1. La parametrizzazione più conveniente è x(t) = t;y(t) = t 2 , t E [0,1]. Si ha, quindi:

1

w =

'Y

r1 (t .lo

3

-

2t 2 )dt =

-~. 12

[>[>Esempio 2.4.3 Particolarmente semplice è il calcolo dell'integrale di una fdl, nel caso in cui 'Y sia una poligonale con i lati paralleli agli assi coordinati. Supponiamo di voler calcolare l'integrale della fdl dell'esempio precedente sulla poligonale

'Y = {(x,y) E IB.2 : 1:::; x:::; 2,y = 1oppurex=2, 1 :S y :S 3}.

2.

54

Funzioni vettoriali, campi vettoriali e forme differenziali lineari

Spezziamo l'integrale in una parte calcolata sul cammino orizzontale di equazioni parametriche x(t) = 1 + t, y(t) = 1, t E [O, lJ e una parte calcolata sul cammino verticale x(s) = 2, y(s) = 1 + 2s, s E [O, l}. Si ha, allora:

1

w

= f (1 + t)dt + f -2 · 2ds = -~

"I

2.5

1

1

lo

lo

2

Forme differenziali esatte

Sia A un aperto di IR!.n, w una fdl continua su A: n

=

w(x)

L ai(x)dxi.

(2.12)

i=l

Sia a: x E A---> a(x) = (a1(x), ... , an(x)) E IRl.n il campo vettoriale associato ad w. Se I : [a, b] ---> A ç IR!.n è una curva regolare a tratti, si ha:

w=

!,
ds

=

b

ai(i(t))x;(t)dt =

!,

w(x)(T(x))ds.

Quindi, l'integrale su 7 della fdl coincide con il lavoro fatto dal campo spostare il suo punto di applicazione da un estremo all'altro di 7.

a per

00 Nota 2.5.1 Si osservi che fin qui abbiamo omesso l'ipotesi, usata nel definire i campi vettoriali, che A sia anche connesso. La definizione di campo vettoriale e dell'integrale (2.3) che dà W non dipendono da questa ipotesi. Essi possono, quindi, essere dati in condizioni più generali.

Definizione 2.5.2 Una fdl w nell'aperto A ç JR'.n si dice esatta se esiste una funzione differenziabile q,, detta primitiva di w tale che w

= d.

È chiaro che, se q, è una primitiva di w, anche q, +e, con e E IRI., è una primitiva. Se A è un aperto connesso, allora vale anche il viceversa; cioè, due primitive di w differiscono per una costante.

2.5. Forme differenziali esatte

55

Teorema 2.5.3 Sia A un aperto di IB. n, w una fdl esatta e continua sull'aperto A, Po e P punti di A. Sia 'Y una curva regolare a tratti interamente contenuta in A congiungente Po e P. Allora,

j

w =

(P) - (Po),

dove è una qualunque primitiva di w. Dimostrazione - Si ha:

J

w=

1

j .d 'Y

=

lb L n

a i=l

8 . ('y(t))x;(t)dt 8Xi

=

lb a

d -d ('y(t))dt t

=

(P) - (P0 ).

o

f

Teorema 2.5.4 Sia A un aperto connesso di IB.n, w una fdl continua su A ed a(x) = (a1(x), ... , an(x)) E IB.n il campo vettoriale associato. Le seguenti affermazioni sono equivalenti: (i) w è esatta; (ii) i1 è conservativo. Dimostrazione - Valgono le seguenti doppie implicazioni

8 w è esatta{,;. 3, differenziabile, tale che w = d {,;. a,(x) = 8 {,;. a(x) = \l. Xi

1i

L'affermazione segue dal teorema 2.2.4.

o

Dal teorema 2.5.4 e ·dal teorema 2.2.4, tenuto conto dell'osservazione fatta all'inizio della sezione, deduciamo il seguente: Teorema 2.5.5 Sia w una fdl continua sull'aperto connesso A di IB.n. Le seguenti affermazioni sono equivalenti: (i) w è esatta; (ii) per ogni curva chiusa "f, regolare a tratti, semplice, contenuta in A, f 7 w =O; (iii) se 'Yl e 'Y2 sono curve regolari a tratti di uguali estremi e percorse nello stesso verso J')'1 w = J/2 w.

56

2.6

2.

Funzioni vettoriali, campi vettoriali e forme differenziali lineari

Condizioni sufficienti per l'esattezza di una fdl:

Il teorema 2.5.5 è, per la sua stessa natura, raramente utilizzabile per stabi- · lire se una fdl è esatta. È, quindi, utile avere a disposizione delle condizioni , sufficienti che permettano di stabilire, sotto opportune condizioni di regolarità sui coefficienti o imponendo condizioni topologiche sul dominio, l'esattezza di . una fdl. Supponiamo che w(x) = E7=i a;(x)dx; sia una fdl esatta di classe un aperto A di JRn. Allora esiste una primitiva

t> Esempio 2.6.8 La fdl w

y X =--dx+ - - d y 1-xy 1-xy

61

2.6. Condizioni sufficienti per l'esattezza di una fdl

è definita sul dominio D = {( x, y) E JR 2 : xy # 1}. Questo insieme è aperto ma non è connesso. Esso è unione dei seguenti tre aperti semplicemente connessi:

Ai= {(x,y) E JR2 : xy < 1}, A2

= {(x,y)

E

JR2 : x > 0,xy > 1},

A3 = {(x,y) E JR2 : x

< O,xy > 1}.

Si può, quindi, affermare che in ciascuno di questi tre domini esiste una primitiva di w. Determiniamo la primitiva in Ai. Consideriamo la poligonale 'Y costituita dai segmenti congiungenti, nell'ordine, i punti (xo,Yo) (x,yo) (x,y) con xoyo < 1, xyo < 1 e xy < 1. Si ha, allora,

1=

W {x Yo ds +1Y _x_dt= -Jog(l-xy) +log(l--:xoyo) , lxo l+syo Yo l+xt che è la primitiva 1'1 cercata. Un calcolo simile fatto in A2 mostra che

Esempio 2.6.9 La forma differenziale

w(x,y,z)=

X 2

2

x+y+z

zdx+

y 2

2

x+y+z

zdy+

Z 2

2

x+y+z

2dz

è esatta in JR3 \{O}. Essa è, infatti, irrotazionale, com'è facile verificare calcolando le derivate, ed il dominio JR 3 \ {O} è semplicemente connesso. Per determinare una primitiva, fissato Po = (x 0 , yo, zo) ed un punto "mobile" P 1 = (x 1, yi, z1), calcoliamo l'integrale di linea della forma w sulla poligonale 'Y costituta dai segmenti (supporremo xo < x1; Yo < y1; zo < z1):

Xo : "f(t) induce un orientamento naturale della curva. L'orientamento di E, fissato in uno dei due modi possibili, defirusce un altro orientamento naturale di ObE: diremo che ObE è orientato positivamente da E se percorrendo obE in senso antiorario, si lasciano gli altri punti di E a sinistra. Il bordo orientato in questo modo sarà indicato con +obE.

l 'l l

1 :I

3.3. Area di una superficie ed integrali di superficie

3.3 3.3.1

81

Area di una superficie ed integrali di superficie Area di una superficie

In questa sezione, definiremo l'area di una superficie limitata e gli integrali superficiali di funzioni scalari.

La definizione di area di una superficie (limitata) presenta aspetti teorici non banali che non abbiamo la possibilità di esaminare in questa sede. Ci limitiamo ad osservare che, se si pensasse di definire l'area di una superficie E come l'estremo superiore delle aree di poliedri inscritti di cui ciascuna faccia sia un triangolino (generalizzando, in un certo senso la procedura che si adotta per definire la lunghezza di una curva), si perverrebbe alla situazione paradossale che figure di cui sappiamo calcolare l'area in modo elementare dovrebbero avere area infinita! È questa la cosiddetta anomalia di Schwarz il quale dimostrò che questo procedimento, nel caso di un cilindro retto di raggio r ed altezza h, porta proprio ad un risultato non finito. Questo problema fu successivamente risolto da Lebesgue, con una definizione diversa di area. Noi non daremo neanche questa. Ci limiteremo a prendere come definizione il risultato a cui si perviene, nel caso di superfici regolari, con il procedimento di Lebesgue e a darne qualche motivazione euristica. D'ora in poi, per ovvie ragioni, considereremo unicamente superfici E la cui parametrizzazione r sia definita su un dominio connesso e limitato D di IR2 . Questa condizione aggiuntiva implica che D essendo chiuso, è un compatto di JR2 e che, quindi, E, immagine continua di un compatto, è anch'essa un compatto di JR 3 (in particolare, essa è un sottoinsieme chiuso di IR 3).

r:

Sia D --> JR3 una superficie e sia Qv il rettangolo individuato dai punti (u,v), (u+ll.u,v+ll.v) di D 0 • L'immagine di Qv su E è il quadrilatero curvilineo Q [v. figura 3.6]. Per piccoli incrementi ll.u, ll.v, Q differisce poco dal parallelogramma avente un vertice in f( u, v) e individuato dai due vettori { = f(u + ll.u,v) - f(u,v), i(= f(u,v + ll.v) - r(u,v). L'area di questo parallelogramma è Il{/\ ifll · È ragionevole pensare che Il{/\ i/li approssimi bene l'area del quadrilatero curvilineo. Ma:

r(u + ll.u, v) - r(u, v) = full.u + o(ll.u) f( u, V+ fl.v) - f( u, V) = i';,fl.v + o(fl.v ). Quindi,

Il{/\ i/li "" llfu /\ 'G,llll.ull.v,

a meno di o-piccoli di secondo ordine in

3.

82

I

....../1

I

ç! f'(u, v)

I

/

/T(u + 6. ,v+t..v)

1i Il "'f(u+L':. ,v)

Figura 3.6: Elemento d'area

L':.u, L':.v. Questo motiva il fatto che si chiami drJ =]]fu/\ f'.v]]dudv elemento d'area e che si dia la seguente definizione: Definizione 3.3.1 Si: definisce area di E il valore dell'integrale

(3.9)

Un test della bontà della definizione 3.3.1 è costituito dalla verifica del fatto che, se la applichiamo a superfici di cui sappiamo calcolare l'area con metodi elementari, essa restituisce i valori attesi. Lo studente può verificarlo, ad esempio, per un cilindro o per un cono. !>!>Esempio 3.3.2 Consideriamo la sfera E di centro l'origine e raggio R dell'Esèmpio 3.1.7. Allora, llfe(e,'I') /\ f'.p(e, dudv JJ (F.cos(iì,éì) +Fycos(iì,é2) +Fzcos(iì,é3)) llfu(u,v) /\fv(u,v)lldudv JJ (F. cos(iì, + Fy é2) + Fz d1J. =

D

D

D

E

éì)

cos(iì,

cos(iì,é3))

3.4. Flusso, teoremi di Stokes e della divergenza

85

dove (iì, ék) indica l'angolo tra il versore iì ed il versore ék dell'asse coordinato relativo. Scrivendo esplicitamente il prodotto scalare < F(r(u, v)), T;,(u, v) /\ T;i(u, v) >, dalle uguaglianze precedenti si ricava anche:

JJ < F, E

> dO' =



JJ

D (Fxl(y,z)

= YuZv

dove si è posto J(y,z)

+ FyJ(z,x) + Fzl(x,y)) dudv

(3.11)

- YvZu· In modo analogo sono definiti J(z,x) e

Jcx,y) ·

Prima di enunciare il teorema di Stokes, ricordiamo che una dominio connesso del piano è regolare se è decomponibile in un numero finito di domini normali rispetto ad uno degli assi.

Teorema 3.4.1 (Teorema di Stokes) Sia D un dominio regolare del piano ed f: D ''--' JR3 una superficie regolare con bordo, di classe C 2 in D. Sia F un campo vettoriale di classe C 1 in un aperto A ç JR3 tale che E := r(D) e A. Allora,

JJ

dO'=

E

I

!+ab E

ds

dove iì è il campo normale a E e T è il campo tangente a +abz; orientato nel verso positivo indotto dall'orientazione di E. Dimostrazione - Diamo la linea della dimostrazione senza scendere in eccessivi

dettagli. Si comincia col provare l'uguaglianza:

l+a,r; Fxdx =

JJ

D ( -

B~x J(x,y) + B~x J(z,x)) dudv

(3.12)

dove si sono usate le notazioni della (3.11). Faremo uso della seguente identità, che dipende dall'ipotesi che f' è di classe C 2 e che lasciamo da verificare al lettore volenteroso:

(3.13) Da essa otteniamo:

Il bordo obE = f'(oD) è percorso nel senso positivo indotto dall'orientazione positiva di E. Scegliamo ora una parametrizzazione di oD, 1(t), t E [a, b], 1(a) = 1(b) orientata

3.

86

Superfici ed integrali superficiali

in modo tale che quando si percorre 'Y in questo senso, la parametrizzazione f( 'Y( t)) fa percorrere in senso positivo 8bE. La regolarità del dominio D assicura che si possono

applicare le formule di Green. Quindi:

JL (! (Fx~~)- ! (Fx~:)) =i Fx~: dudv

du+

Fx~~dv =

i,E

FxdX

In modo simile alla (3.12) si provano le uguaglianze:

(3.14)

{

l+a,E Fxdz =

JJ ( D

-

8Fz ax J(z,x)

+ 8Fz ay J(y,z) ) dudv.

(3.15)

Sommando le (3.12), (3.14) e (3.15), si completa la dimostrazione del teorema.

D

00 Nota 3.4.2 Il teorema di Stokes può essere usato per dimostrare il teorema 2.6.5. L'idea è di scegliere un'opportuna superficie contenuta nel dominio che abbia la curva 'Y come bordo. Se la forma è irrotazionale, il teorema di Stokes implicherà, allora, che l'integrale di linea su "( della forma w è nullo.

3.4.3 Dimostriamo, scegliendo opportunamente il verso di percorrenza di 7, che l>I> Esempio

h1 zdx + xdy + ydz =

1fT2

y'3

dove I è la circonferenza intersezione della sfera x 2 + y 2 + z 2 x-y+z=O.

= r2

con il piano

Il teorema di Stokes ci dice che l'integrale cercato uguaglia il flusso del rotoi:e del campo vettoriale F di componenti (z, x, y) attraverso la parte di superficie sferica che ha I come bordo o anche, cosa ben più comoda, attraverso il cerchio C che ha I come bordo, che giace, evidentemente, sul piano x-y+z = o. Si vede facilmente che rot F = (1, 1, 1). Quanto al campo normale, abbiamo la possibilità di scegliere fra n = }s(l, -1, 1), -n = - }s(l, -1, 1). Scegliamo, ad esempio, il primo dei due ed orientiamo la circonferenza nel verso positivo indotto su I dall'orientazione della superficie che abbiamo scelto. In definitiva:

3.5. Campi solenoidali

87

Di rilevante importanza per le applicazioni è il seguente

Teorema 3.4.4 (di Gauss o della divergenza) Sia T un dominio limitato di lll'.3 la cui frontiera è una superficie regolare orientabile e chiusa E. Sia F un campo vettoriale di classe ci su T. Indichiamo con il campo normale esterno di E. Allora,

n

JJJ div F dxdydz = JJ < F, n > T

lJ

dn.

Di questo teorema non diamo la dimostrazione, limitandoci ad osservare che il suo ambito di applicazione è più ampio di quello descritto nell'enunciato. In esso, infatti, così come nel teorema di Stokes, la regolarità delle superfici non è indispensabile e può essere sostituita dalla condizione più generale che esse siano regolari a pezzi, intendendo con questo che esiste un numero finito di curve regolari a tratti (che chiameremo spigoli) che suddividono E in un numero finito di superfici regolari. È questo un caso frequente nelle applicazioni: la superficie di un parallelepipedo non è regolare, ma è regolare a pezzi. I> I> Esempio 3.4.5 Consideriamp il campo vettoriale

F(x,y,z) '= (y- z,x -y, 2z - x) Calcoliamo il flusso di F attraverso una sfera di centro l'origine e raggio R il cui campo normale è orientato verso l'esterno. Indichiamo con E la sfera e con Ev la regione di spazio da essa delimitata. Per applicare il teorema della divergenza, calcoliamo innanzitutto div F. Si ha: div F = 1 per ogni (x, y, z) E JR3 . Quindi: .

3.5

Campi solenoidali

Un campo vettoriale F di classe ci a divergenza nulla è detto solenoidale. Sia F un campo definito in un aperto di JR3 . Ei e E2 due superfici regolari orientabili e chiuse, contenute in A, che siano, rispettivamente, frontiere dei

3.

88 domini T1 e T2 con T1 E2, si ha

jj

Superiìci ed integralisuperiìciali

e T2. Se div F = O nella regione D compresa tra E 1 e

E,

< F, n > da =

jj

E,

< ff, n > da

Per dimostrarlo, basta applicare il teorema della divergenza alle superfici regolari a pezzi che si ottengono dividendo D con un piano, in modo di ricondursi a casi in cui il teorema sia applicabile e prendere in modo coerente l'orientazione delle superfici. I dettagli sono lasciati come esercizio. Utilizzando questo risultato, si prova, ad esempio, che il flusso del campo elettrostatico E generato da una carica puntiforme q attraverso una qualunque superficie chiusa (regolare) che la contenga è proporzionale a q (la costante di proporzionalità dipende solo dalle unità di misura scelte), dopo averlo calcolato attraverso una sfera con centro nella carica e raggio r e tenuto conto del fatto che div E = O in IR3 \{O}. Nel capitolo 2 si è considerato il caso di un campo vettoriale F irrotazionale (rot F = O) e ci si è chiesti se il campo F si potesse esprimere come il gradiente di un campo scalare ; ci si è chiesti, in altri termini, se un campo irrotazionale è conservativo. Questa domanda è anche motivata dall'identità rot(V' ) = O, valida per ogni di classe C 2 • Come si è visto, la risposta a questo quesito è, in generale, negativa (anche se, nei casi pratici, vale quanto detto nella nota 2.6.4) .

In modo simile, si può porre la questione se, dato un campo solenoidale F, definito in un aperto connesso A, esista un campo vettoriale G, detto potenziale vettore, tale che ff = rot Ci. Anche in questo caso la domanda è motivata da un'identità vettoriale: divrotG =o, per ogni campo G E C 2 (A). La risposta è, ancora una volta, negativa, in generale. Per rendercene conto, consideriamo il seguente esempio. t>t> Esempio 3.5.1 Sia A = JR3

\

{O} ed

F il campo definito da:

k F(x, y, z) = 3 (x, y, z). r

(3.16)

Non si fa molta fatica a riconoscere in (3.16) il campo elettrico generato da una carica puntiforme q posta nell'origine. Non è difficile verificare che div F = O in A. Tenendo in mente il modello fisico, possiamo affermare che il flusso di questo campo attraverso una superficie chiusa al cui interno stia l'origine non è nullo (perché ha una sorgente). Supponiamo che esista un campo vettoriale G

3.5. Campi solenoidali

89

tale che F = rot Ge calcoliamo il flusso di F attraverso la sfera E di equazione x 2 +y 2 + z 2 = 1, con il campo normale orientato verso l'esterno. Per il teorema della divergenza si dovrebbe avere

JJE d O esiste n, E N tale che, per ogni n > n" risulta lzn - R.I < E.

l

'.,l

'-~

Chiameremo regione del piano complesso un qualunque sottoinsieme aper- ~ to e connesso di JR2 . Con un leggero abuso di linguaggio, scriveremo talvolta .~ A e IC invece che A e JR2 . :j -~

·~

Se A è una regione di IC, un'applicazione

"~

]!!

f: z E A-> f(z) E IC

I :1

l

sarà detta una funzione della variabile complessa z. Salvo avviso contrario, supporremo sempre che le funzioni che consideriamo sono definite in qualche ~ regione A. Ad una funzione f definita nella regione A, restano associate due funzioni u e v di due variabili reali (x,y) E A definite da u:

(x,y) E A-> 1Rf(z) E JR

v: (x,y) E A-> 'Sf(z) E JR

dove z = x + iy e 1Rw e 'Sw indicano, rispettivamente, la parte reale e la parte immaginaria del numero complesso w. Si potrà, dunque, scrivere

f(z) = u(x,y) +iv(x,y), 4.1.1 Se f(z) = z 2 e z = x quindi, in questo caso, l>I> Esempio

u(x, y)

= x2 - y2

e

z = (x,y) E A

+ iy, si ha: v(x, y)

z 2 = (x 2 -y2 )

I I

+ 2ixy,

= 2xy.

È il caso di notare che l'applicazione Wf: (x,y) E A-> (u(x,y),v(x,y)) E JR2

(4.1) . ·

4.1. Funzioni di variabile complessa

101

definisce un campo vettoriale su A. Se f è una funzione di variabile complessa, le nozioni di continuità e di limite sono facili da definire, tenendo conto della metrica di C. Definizione 4.1.2 Sia

f : A-> O, esiste 5 = 5,,z0 > O tale che, se O < allora lf(z) - fl M" allora lf(z) - fl < e

> O tale

che, se

Il piano complesso può essere ampliato introducendo il punto all'infinito oo, senza distinguere, perché non ha senso, tra direzioni diverse. ·

Si dirà, così che lim f(z) = oo

z->zo

se, per ogni M > O, esiste un i5 = iiM,zo tale che, se O < lz - zol < ii, allora 1.f(z)I > M. Evidentemente, questo è equivalente a dire che limz~zo lf(z)I = +oo. l>I> Esempio

4.1.3 Sono continue su tutto il piano complesso

• la funzione z

>--+

• la funzione z >--+

lzl

con

lzl

=

.jx 2 + y 2

z che associa a z = x + iy il suo

coniugato

z=

x - iy

4.

102

• le funzioni del tipo z

Introduzione alle funzioni di variabile complessa

>--+

zn, con n E N

• le funzioni polinomiali z >--+ p(z), con p( z)

= :L~~o akzk.

Le funzioni razionali, quelle, cioè, della forma f(z) = ~· con p, q polinomi in z, sono continue nel loro dominio A= {z E re: q(z) #O}. Le dimostrazioni di questi fatti sono simili a quelle che si fanno nel caso reale. Vale la seguente proposizione, la cui dimostrazione è lasciata come esercizio. Proposizione 4.1.4 Una funzione f : A --+ re è continua in zo = xo + iyo se, e soltanto se, il campo vettoriale Wf definito in (4.1) è continuo in (xo,yo).

4.2

Funzioni olomorfe

Definizione 4.2.1 Sia f : A --+ re una funzione definita nella regione A e zo E A. Si dice chef è derivabile in zo, o che f è olomorfa in zo, se esiste in IC il limite lim f(z) - f(zo). Z----+ZQ

Z -

ZQ

fl valore del limite si indica con f'(zo) ed è detto derivata di f in zo. Se la

derivata esiste in ogni punto di A, si dice che f è olomorfa in A. In modo del tutto analogo al caso reale si prova che, se f è olomorfa in zo, allora, è continua in zo, ma non è, ovviamente, vero il viceversa. l>I> Esempio 4.2.2 Lo studente ricorderà che, nel caso reale, la costruzione

di esempi di funzioni continue ma non derivabili in tutti i punti di un intervallo è piuttosto complicata. Nel caso complesso, invece, anche funzioni dall'espressione analitica molto semplice possono avere questa proprietà. (a) A differenza dell'analogo caso reale, il punto z =O non è l'unico punto di non derivabilità della funzione f(z) = lzl. Essa, infatti, non è derivabile in alcun punto zo = xo + iyo E IC ! Si ha, infatti, . 1Im

z----+zo

lzl - lzol z -

zo

vx2 + y2 o o (x,y)~(xo,yo) (x - xo) + i(y - Yo) · . hm

vx2

+ y2 -

4.2. Funzioni olomorfe

103

Se (xo, Yo) # (O, O), calcoliamo il limite della restrizione a y limite della restrizione a x = xo. Si ottiene, allora,

. VXB 11m

+ Y2 - VXB + Y5

Y~Yo

i(y-yo)

.

lim

z- zo =

z~zo Z -

zo

z, =

ed il

Yo Jx5+Y5

=-i-e===

Il limite, quindi, non esiste. Lasciamo al lettore lo studio del caso (xo, yo) (b) Anche la.. funzione f(z) = olomorfa in alcun punto Zo

= Yo

=

(O, O).

che è continua su tutto il piano, non è xo + iyo E IC. Per vederlo calcoliamo lim

(x,y)~(xo,yo)

(x- xo) -i(y-yo) (x - xo) + i(y - Yo)

Il limite della restrizione a y = yo è 1, il limite della restrizione a x è -'-1. Il limite, quindi, non esiste.

= xo

l>I> Esempio 4.2.3 Tutte le funzioni continue del tipo

z

= x + iy --> ax + i/Jy

con a # b, nonostante la semplicità della loro forma analitica, non sono derivabili in alcun punto (xo, Yo) di IC. Si lascia al lettore di verificarlo procedendo in modo simile all'esempio precedente. I teoremi sulla derivabilità della somma, del prodotto e del rapporto di funzioni derivabili, nonché i teoremi sulla derivata della funzione composta ed inversa valgono, con ovvi cambiamenti, anche nel caso di funzioni di variabile complessa e si dimostrano in modo del tutto analogo. Anche le regole di derivazione per le funzioni elementari di variabile complessa, limitatamente ai pochi casi fin qui definiti, sono in tutto analoghi a quelle corrispondenti per il caso reale ed omettiamo anche di elencarle. Dagli esempi dati sopra appare abbastanza chiaro che il fatto che una funzione f sia olomorfa in un punto deve essere ben più forte della condizione di derivabilità in un punto per funzioni di variabile reale. Se si guarda all'esempio 4.2.3(b ), ci si rende conto che non basta neppure che le funzioni u(x, y) e v(x, y), rispettivamente, parte reale e parte immaginaria di f siano differenziabili, perché f sia olomorfa.

4.

104

Introduzione alle funzioni di variabile complessa

Teorema 4.2.4 Sia f : A --> 1C e zo = xo + iyo E A. Se f è olomorfa in zo, allora valgono le condizioni di Cauchy-Riemann :

;•

(4.2)

j !

;

Dimostrazione - Se

'

·~ .~

f è olomorfa in z0 , allora il limite lim f(z) - f(zo) z---->zo

z -

Zo

deve essere lo stesso indipendentemente da come z la retta y = Yo, si ha:

!' (zo)

=

. u(x,yo) - u(xo,Yo) 1nn X -

X->Xo

Xo

+.i

-->

Zo· Calcolando il limite lungo

. v(x,yo)-v(xo,yo) 11m x-+Xo

X -

Xo

&u . &v &x (xo, Yo) +i &x (xo, Yo) Analogamente, calcolando il limite lungo la retta x = x 0 , si ha:

f'(zo)

=

. u(xo, y) - u(xo, Yo) + . li v(xo, y) - v(xo, Yo) 11m . . i m . z(y-yo) Y~Yo z(y-yo) &u &v -i &y (xo, Yo) + &y (xo, Yo)

Y~Yo

Uguagliando i due risultati, si ottengono le condizioni di Cauchy - Riemann.

o

00 Nota 4.2.5 È opportuno notare che non è sufficiente verificare le condizioni di : Cauchy - Riemann in un punto (xo, Yo) per asserire che una funzione è olomorfa in (xo, y0 ). Esse, infatti, non implicano neppure la continuità della f. ..

La condizione che rende sufficienti le condizioni (4.2) è la differenziabilità di u e · div, come stabilisce il seguente teorema, del quale omettiamo la dimostrazione. Teorema 4.2.6 Sia f : A sono equivalenti:

-->

IC e zo

= xo + iyo E A. Le seguenti affermazioni :

(i) f è olomorfa in zo; (ii) le funzioni u, v sono differenziabili in (xo, yo) e valgono le condizioni di Cauchy - Riemann.

t•

.~ '

~

':'!

::]' -1

4.3. Aspetti elementari della teoria delle serie di potenze

4.3

105

Aspetti elementari della teoria delle serie di potenze

Una serie di potenze, +oo

2.:an(z-zor n=O

si deve intendere, al solito, come la successione (sn(z)) delle sue somme parziali: Sn(z) = ao + ai(z - zo) + · · · + an(Z - zor. Ciascuna somma parziale, essendo un polinomio in z, è una funzione olomorfa in IC. Ha senso, quindi, chiedersi se la somma della serie, intesa come il limite in una certa topologia della successione delle somme parziali, converga o no ad una funzione olomorfa o se sia possibile individuare una regione A di IC dove essa converga ad una funzione olomorfa. Come nel caso reale, per una successione o serie di funzioni ci sono due nozioni naturali di convergenza; la co))'l(ergenza puntuale e la convergenza uniforme. Non scriviamo esplicitamente le definizioni, essendo esse le naturali estensioni di quelle date nel caso reale. Una condizione sufficiente per la convergenza uniforme di una serie di funzioni è il cosiddetto test M di Weierstrass . .

Lemma 4.3.1 Sia

+oo

Lfn(z) n=O

una serie di funzioni definite in una regione A del piano. Supponiamo che esistano una successione (an) di numeri reali positivi, un numero positivo M ed un numero naturale no tali che

lfn(z)I :O esiste n€ E N tale che, per ogni n > n€, p E N+

t

an+l

+ an+2 + · · · an+p
max{n,, no} e p

E

E.

N+,

lfn+1(z) + fn+2(z) + · · · fn+p(z)I :'O lfn+1(z)I + lfn+2(z)I + · · · + lfn+p(z)I VzE A :S an+1 + an+2 + · · · + an+p < E, D

e, quindi, la serie converge uniformemente.

t>t> Esempio 4.3.2 Consideriamo la serie

+oo n

2=:2

n=l

nella regione A= {z E IC:

Poiché E~~

lzl < l}.

Si ha, evidentemente:

;t,: < +oo, la serie data converge uniformemente in A.

Prima di andare avanti, è necessario ricordare la nozione di limite inferiore e di limite superiore di una successione. Sia (an) una successione di numeri reali. Un numero M è detto un maggiorante definitivo di (an) se esiste un no E N tale che an ~ M per n > n 0 . Indichiamo con M l'insieme dei maggioranti definitivi di (an)· Se M = 0 si pone lim sup an = +oo; altrimenti, si chiama limite superiore della successione n--++oo

(an) il numero limsupan := inf M. n--++oo

In modo simile, si definiscono i minoranti definitivi ed il limite inferiore. Cioè:

,

lim inf an = sup{ m E l!I. : m è minorante definitivo}, n--++oo

se l'insieme dei minoranti definitivi non è vuoto; altrimenti si pone lim inf an n--++oo

=

-oo. Si dimostra che una successione ammette limite e, finito o infinito, se, e i• soltanto se, il limite superiore ed il limite inferiore, che esistono sempre, sono entrambi uguali ad e. Vediamo alcuni esempi.

4.3. Aspetti elementari della teoria delle serie di potenze

107

• La successione (an) con an =~ammette qualunque numero positivo come maggiorante definitivo, mentre, ovviamente 1 nessun numero negativo 1

lo è; quindi, lim sup - = O. D'altra parte, tutti i numeri negativi sono n----i.+oo n minoranti e, quindi, anche minoranti, definitivi mentre nessun numero 1 positivo lo è. Ne segue che liminf - =O. n->+oo n • Per la successione (a,,) con an = ( -1 )n tutti e soli i maggioranti definitivi sono i numeri maggiori o uguali a 1 Quindi, lim sup an = 1. D'altra parte n-+oo tutti i numeri :S -1 sono minoranti definitivi e non ce ne sono altri. Quiudi, lim inf an = -1. n-+oo • Per la successione (an) con an = n, tutti i numeri naturali sono minoranti definitivi. Quindi, lim inf a,, = +oo. Il limite superiore, essendo (an) non n-+oo limitata superiormente, è, per definizione, +oo. Ritorniamo alle serie di potenze, analizzando un esempio piuttosto familiare. Le somme parziali della serie geometrica CO

n=O

sono date da Sn

=

come si vede da un facile calcolo. Poiché znH __, O se \zl < 1 e \zn\ \z\ > 1, si può concludere che la serie geometrica converge ad

> 1 se

1

f(z)=l-z'

selz\ 1. Se lzl = 1, è possibile trovare valori di z per cui la serie dà luogo a risultati diversi (per esempio, z = 1 e z = -1. Questo tipo di comportamento non è esclusivo della serie geometrica, ma è tipico delle serie di potenze: tutte convergono all'interno di un certo disco e divergono al di fuori di esso, come stabilisce il seguente

Teorema 4.3.3 (di Abel) Per ogni serie di potenze del tipo CO

I.: an(z n=O

\

zo)n

4.

108

esiste R, con O < R proprietà:

Introduzione alle funzioni di variabile complessa

< +oo, detto raggio di convergenza, con le seguenti

(i} La serie converge assolutamente per ogni z con R la convergenza è uniforme per iz - zol :':'. p. (ii} Se

lz - zol < R. Se O':'. p
R i termini della serie non sono limitati e la serie diverge.

(iii} Nel disco lz-zol < R la somma f(z) della serie è una funzione olomorfa e la derivata può essere ottenuta per derivazione termine a termine. Inoltre la serie derivatà ha lo stesso raggio di convergenza della serie data. (iv) Il numero R è determinato dalla cosiddetta formula di H adamard: 1

R

• = hmsup yn ;;-::-i lanl

(4.3)

n~oo

Dimostrazione - (i) Sia R definito come nella (4.3). Se lz - zol < R, esiste p1 tale che lz - zol < p1 < R. Allora ;, è un maggiorante definitivo della successione ~' quindi, definitivamente, lanl '.'.'. P~. La serie data è, dunque, in modulo, definitivamente maggiorata dalla serie geometrica

+oo Iz-:a In L n=O

P1

che ha ragione minore di l. Sia O '.'.'. p < Re lz - zo I '.'.'. p, allora, per qualche Pi si ha O '.'.'. p < P1 < R. Ragionando ' come in (i), si conclude che la serie data è definitivamente maggiorata, in modulo, dalla serie numerica

~ (:,)n

che è convergente. Applicando il test M di Weierstrass, concludiamo che la serie di ·' potenze converge uniformemente nel disco lz - zol '.'.'. p. Per la (iii) osserviamo soltanto che la serie derivata è 00

L nan(z -

zo)n-I.

n=l

Questa serie ha lo stesso raggio di convergenza della serie data perché limn~oo yin = l.

·1

o' Omettiamo il resto della dimostrazione di questo teorema, limitandoci ad .' alcune osservazioni.

4.3. Aspetti elementari della teoria delle serie di potenze

109

• Il teorema di Abel non afferma nulla sulla convergenza per lz - zo I = R: sul bordo del disco si possono avere, da punto a punto, comportamenti diversi. • La (i) garantisce la convergenza uniforme su ogni disco chiuso di raggio inferiore al raggio di convergenza. La serie potrebbe non convergere uniformemente sull'intero disco lz-zol < R. È questo il caso, ad esempio, della serie geometrica l..:::"=o zn. Se la convergenza fosse uniforme la funzione limite dovrebbe essere limitata nel disco lzl < 1. • La (iii) implica che la somma f(z) ammette derivate di ogni ordine. Esse possono essere calcolate derivando successivamente termine a termine la serie data. Si ha: f(z) = ao + a1(z - zo) + .. ·

/'(z)

=

a1+2a2(z - zo) + · · ·

ed, in generale,

f

(k)

.

(z) = k!ak + (k + l)!ak+i(z - zo) +

(k+2)! 2 ak+2(z - zo) + · · · 2

Da queste deduciamo che

e la serie diventa

/(z) = /(zo) + /'(zo)(z - zo)

+!"~~o) (z -

z0)2 + · · · .

Questa non è altro che la nota formula dello sviluppo di Taylor che abbiamo provato, dunque, nel caso in cui /(z) abbia uno sviluppo in serie di potenze nel disco Iz - zo I < R. Per la determinazione del raggio di convergenza della serie può essere utile la seguente Proposizione 4.3.4 Se

esiste, allora,

k = e.

~

·~ 4.

110

Introduzione alle funzioni di variabile complessa

.i )

~

1>1> Esempio 4.3.5

·~

(a) La serie E::"~ 0 (3 - (-1rrzn ha raggio di convergenza R = limsupn~oo

(3- (-lr)

=

!, essendo

4.

(b) Applicando la proposizione 4.3.4, si vede che la serie E::"~i raggio di convergenza R = e. Infatti, lim an+l an

= lim

n--too

(c) La serie

E::"~i

n--+oo

ha

(1 + 2.)-n 1 n

e

nnzn ha raggio di convergenza nullo. Infatti,

lim sup ~ = lim yçfi = lim n n-->oo

4.4

;:l zn

n-+oo

n--+oo

= oo

Definizioni di alcune funzioni elementari

Consideriamo il problema di Cauchy

f'(z) = f(z) { f(O) = 1.

(4.4) ;

Ci chiediamo se esiste una serie di potenze

che definisce una soluzione locale del problema in un disco centrato nell'origine. Sostituendo la serie nell'equazione differenziale, otteniamo la seguente formula di ricorrenza per i coefficienti:

ao = 1 che ci fornisce il valore di an =

-!, n. . Quindi, almeno formalmente, +oo

f(z)

=

n

L;· n.

n=O

Determiniamo il raggio di convergenza di questa serie:

. [fil . -1 = 11m - = hm R

n-+oo

n!

an+l n-+oo an

=

. hm -1n+1

n--++oo

=O.

4.4. Defìnizioni di alcune funzioni elementari

111

Quindi, la serie definisce una funzione olomorfa sull'intero piano complesso. La f così ottenuta è soluzione su tutto IC del problema di Cauchy (4.4). Essa è inoltre l'unica soluzione del problema. Tutto ciò ci porta a definire

Non è difficile dimostrare che l'esponenziale complesso gode di molte delle proprietà dell'esponenziale reale. Per esempio:

che implica anche che, se z = x

+ iy,

ez = ex(cosy

+ isiny).

Una proprietà caratteristica dell'esponenziale complesso è la sua periodicità. Si ha, infatti: Cioè, la funzione f(z) = ez è periodica di periodo 2n:i. Accenniamo brevemente al problema di invertire la funzione esponenziale. Con una certa analogia con il caso reale, per definire il logaritmo di un numero complesso w, consideriamo l'equazione Poiché ez # O, per ogni z E IC, deve essere w precedente si scrive

#

O. Se z = x

+ i·y,

l'equazione

Quindi,

e"= lwl

e

iy -

-

w j;\

La prima equazione ha l'unica soluzione x = log lwl, la seconda ha una, ed una sola, soluzione nell'intervallo O ::'. y < 2n: (e questa soluzione è la determinazione di argw appartenente a quest'intervallo), ma è anche soddisfatta se a questa soluzione si aggiunge un multiplo intero di 2n:, Quindi, ogni numero complesso ha infiniti logaritmi che differiscono tra loro di multipli di 2n:i. Si ha in conclusione: logw = log lwl +i argw.

:I'

La funzione f (w) = log w è una funzione polidroma, cioè, a molti valori. La classe di queste funzioni meriterebbe uno studio approfondito. Ma questo va oltre i limiti che ci siamo posti.

4.

112

Introduzione alle funzioni di variabile complessa

Quanto alle funzioni sin z e cos z esse si possono definire generalizzando le formule di Eulero eiz _ e-iz

sinz= - - - 2i

cosz=---2 Si ha poi, se z = x + ·iy:

cosz = cosxcoshy- isinxsinhy

e sin z =sin x cosh y +i cos x sinh y. Entrambe queste funzioni sono olomorfe sull'intero piano ma, a differenza del caso reale, non sono limitate.

4.5

Integrazione di una funzione di variabile complessa

Se g(t) è una funzione complessa della variabile reale t, continua su un intervallo [a, b], è naturale definire:

{b

.Ja g(t)dt

=

{b 1b .Ja 1Rg(t)dt +i a 'Sg(t)dt.

(4.5)

Sia runa curva regolare a tratti e z = z(t) = x(t) + iy(t), t E [a, b], una sua rappresentazione parametrica. Supponiamo che r sia orientata positivamente, cioè percorsa nel verso dei valori crescenti del parametro t. Se una funzione f (z) è definita e continua su r poniamo, per definizione:

1/'

f(z)dz

:=

{b f(z(t))z'(t)dt

la

(4.6)

dove l'integrale a secondo membro è del tipo considerato in (4.5) ed è, quindi, una combinazione lineare di due integrali curvilinei ai differenzia.li delle coordina.te e gode, perciò, di tutte le proprietà di questi ultimi. Si può introdurre anche l'integrale curvilineo rispetto alla lunghezza d'arco, in modo simile al ca.so delle funzioni di due variabili reali:

1 f(z)\dz\

:=

1f(z)ds=1b f(z(t))\z'(t)ldt.

4. 5. Integrazione di una funzione di variabile complessa

113

Esso conserva le proprietà degli integrali curvilinei rispetto alla lunghezza d'arco, visti nel caso reale. Ritorniamo adesso alla definizione (4.6) e scriviamo f(z) = u(:r, y) iv(x, y), z = x + iy. Si ha, allora,

1.f(z)dz

+

= 1 u(x, y)dx - v(x, y)dy +i 1 u(x, y)dy + v(x, y)dx.

Quindi, l'integrale di curvilineo di f(z) su ì può anche essere visto come combinazione lineare di due integrali curvilinei di forme differenziali lineari. Questo fatto è estremamente utile per lo studio delle proprietà di .f (z).

Proposizione 4.5.1 Sia renziali lineari

f : A-+ re

una funzione continua. Le forme diffe-

ç(,.., y) = u(x, y)dx -

v(x, y)dy

e ry(J:, y) = u(x, y)dy + v(x, y)dJ: sono esatte in A se, e soltanto se olomorfa in A.

f (z)

è la derivata di una .funzione F (z)

Dimostrazione - Se le due forme sono esatte, esistono due funzioni P(x, y) e Q(x, y) differenziabili in A cbe sono, rispettivamente, primitive di ç e di 1/· Si verifica facilmente che P e Q soddisfano le condizioni di Cauchy - Riemann. Quindi,

F(z) = P(x, y)

+ iQ(x, y)

è olomorfa in A ed F'(z) = f(z). Viceversa, se F(z) = P(x,y) + iQ(x,y) è una funzione olomorfa, primitiva di f, le funzioni P e Q sono differenziabili e soddisfano le condizioni di Cauchy - Riemann. Si ha:

f(z) = F'(z) = aP ax da cui si ricava

aP - =u(x,y) 8X

Quindi, P è una primitiva di 1/·

ç.

+ iaQ = ax

ap - iap ax ay

aP ay =-v(x,y).

In modo simile si dimostra che Q è una primitiva di

o

Il risultato più importante sull'integrazione complessa è il seguente teorema dovuto a Cauchy, nella sua forma più generale, e a Goursat, nella sua forma originale. La dimostrazione che daremo fa uso della teoria delle forme differenziali, ma è possibile dimostrarlo indipendentemente da esse.

114

4.

Introduzione alle funzioni di variabile complessa

In quel che segue, se 1' è una curva chiusa, supporremo sempre che essa sia orientata nel verso positivo, che è quello che, nel percorrerla, lascia a sinistra i punti della regione limitata determinata da 1'. Teorema 4.5.2 (Teorema di Cauchy) Sia f : A --> IC una funzione olomorfa nella regione semplicemente connessa A. Se 1' è una curva semplice chiusa

regolare a tratti contenuta in A, allora

f,

f(z)dz =O.

Dimostrazione - Se f(z) = u(x, y) +iv(x, y) è olomorfa, le funzioni u(x, y) e v(x,y) sono differenziabili e soddisfano le condizioni di Cauchy - Riemann. Le forme~ ed 1], definite sopra, sono, quindi, chiuse. La semplice connessione della regione A implica .

che entrambe sono esatte ed hanno perciò integrale nullo su ogni curva semplice chiusa regolare a tratti contenuta in A. D Teorema 4.5.3 (Formula integrale di Cauchy) Sia f(z) una funzione olomorfa in una regione A. Sia 1' una curva semplice chiusa regolare a tratti, frontiera di una regione li- interamente contenuta in A. Allora, per ogni punto zo E li-

f(zo) = - 1 .

i

f(z) --dz.

2 7ft ;z-zo

(4.7)

00 Nota 4.5.4 La formula integrale di Cauchy asserisce che se f(z) è olomorfa in A ed i valori di f sono noti .su una curva chiusa"/ con le proprietà richieste dal teorem~i

,~

allora i valori di f (z) nella regione delimitata da "I sono univocamente determinati. '~ ·1

La formula integrale di Cauchy ci fornisce uno strumento per lo studio ;; delle proprietà locali di una funzione olomorfa. A partire da essa si può dim~ '." strare, infatti, che una funzione olomorfa ha derivate di ogni ordine, le quali .i sono, quindi, tutte olomorfe. Sia f(z) una funzione olomorfa in una regione A. Se z E A, indichiamo con D un disco di centro z e raggio r interamente contenuto in A. Se C è una . circonferenza di centro z contenuta in D, allora

f(z)

=~i ·27fi

7

f(z') dz'. z'-z

4.5. Integrazione di una funzione di variabile complessa

115

Se si potesse derivare sotto il segno d'integrale, si perverrebbe a

f'(z) = ~ 2m

1

f(z') dz'. z) 2

J:i (z' -

e, ripetendo n volte la procedura,

f(n)(z) =

~ 21fi

1 f(z') dz'. J:i (z' - z )n+l

(4.8)

Quindi, se la derivazione sotto il segno d'integrale fosse permessa, avremmo provato l'esistenza di tutte le derivate nel disco delimitato da C. Poiché ogni punto di A appartiene ad una regione di questo tipo, avremmo provato l'esistenza in tutta la regione A. In realtà, la derivazione sotto il segno d'integrale è effettivamente permessa. Vale, infatti, il seguente lemma, di carattere abbastanza generale.

Lemma 4.5.5 Sia I> Esempio

4.5. 7 Calcoliamo ez

i

-dz.

lzl=l

Z

Osserviamo che la funzione ez è olomorfa in C. La formula integrale di Cauchy ci dà allora: ez -dz = 27rie0 = 27ri. lzl=l Z

i

l>I> Esempio

4.5.8 Calcoliamo

Basta applicare la (4.8) alla funzione olomorfa /(z)

jCn-1)(1) = (n- .1)! 2m

J zn ndz. Jiz-ll=r (z - 1)

Poiché j(n-l) (1) = n!, si ottiene

1

~_z_n_dz =

Jiz-ll=r (z -

= zn. Si ha

lJn

27rin.

4. 6. Serie di Taylor e funzioni analitiche

4.6

117

Serie di Taylor e funzioni analitiche

Abbiamo visto che una funzione olomorfa in una regione A ha derivate di ogni ordine in ogni punto di A. In modo del tutto simile a quanto si fa per le funzioni reali è possibile, per ogni n E N, definire il polinomio di Taylor d'ordine n centrato in un punto zo E A. Scriveremo, allora:

f(z)

=

f(zo)

+ f' (zo)(z -

zo)

f(n)(zo)

+ .. · +

n.1

(z - zoin + R(n, zo, z),

dove R(n, zo, z) è il resto n-simo. Si può dimostrare che il resto R(n, zo, z) può essere espresso nella forma

R(n,z0 ,z)

=

(z - zor+1 27fi

i

f(zl)

I

( 1 ) +1( 1 .cz-zon z-z )dz

e è una qualunque circonferenza I

1

I=

R tale che il disco chiuso lz - zol ::; R sia interamente contenuto in A. Se M indica il massimo di lf(z)I su e, si ha: dove

Z

-

Zo

1

Allora, in ogni disco

iz -

zo I ::; r < R, risulta

r (Rr )n

IR(n, zo, z)I ::; M R- r

e, quirtdi, il resto n-smo tende a zero uniformemente su ogni disco iz - zol :=:; r < R. D'altra parte, per come è stato definito, R può essere scelto prossimo quanto si vuole alla distanza di zo da 8 A. Quindi:

Teorema 4.6.1 Se f(z) è olomorfa nella regione A e zo E A, la rappresentazio ne:

t(z)

=

+oo :L n=O

j(n) (

0

)

,z (z -

n.

zar

è valida nel più grande disco aperto di centro zo contenuto in A.

Definizione 4.6.2 Una funzione f(z) è detta analitica in una regione A se, in ogni punto zo di A, ammette sviluppo di Taylor convergente. Dal teorema di Abel e dal teorema 4.6.1, segue che

118

4.

Introduzione alle funzioni di variabile complessa

Teorema 4.6.3 Una funzione f(z), definita in una regione A, è analitica se, e soltanto se, è olomorfa in A.

D'ora in poi, parlando di una funzione f(z), useremo la parola analitica come sinonimo di olomorfa.

4. 7

Serie di Laurent

Consideriamo una serie del tipo:

bo+ b1(z - zo)- 1 + · · · + bn(z - zo)-n + · · ·.

(4.9)

Si tratta di una serie nelle potenze negative di z - z 0 . Poniamo r = lim sup

n-+co

\/jb;J.

Se, nella serie (4.9), si pone Z = (z - zo)-1, si è condotti a studiare la serie (4.10)

il cui raggio si convergenza è ~ concludere che

Utilizzando il teorema di Abel, possiamo

]

{i) se r =O, la serie (4.10) converge su tutto il piano, quindi, la serie (4.9) converge pure su tutto il piano eccetto che per z = zo; (ii) se O< r < +oo, la serie (4.10) converge per IZI re la convergenza è uniforme su ogni compatto contenuto in questa regione; (iii) se r = +oo la serie (4.10) converge solo per Z =O e la (4.9) non converge in alcun punto. Consideriamo adesso una serie del tipo

+oo

2= n=-oo

l

]

an(z-zor

(4.11)

,"•,li

.·.1·"

!

4. 7. Serie di Laurent

119

che contiene sia le potenze positive sia quelle negative di z - zo. Essa prende il nome di serie di Laurent e può essere interpretata come la somma di due serie, una nelle potenze positive, l'altra nelle potenze negative di z - zo. Posto 1

R

• nrc:-i = hmsup y lanl

e

\/la-ml,

r = limsup

m-+oo

n->+oo

se r < R, da quanto si è visto sopra, la serie di Laurent (4.11) converge nella regione

P={zEIC: rO

Il calcolo del limite, nella restrizione y = O, dà: 1

lim ex=

x-o+

1

+oo

lim ex= O.

x-+o-

Il limite cercato, dunque, non esiste. Lo sviluppo di Laurent è: 1

1

1

z

2!z

e> = 1 + - + --2 + ... che contiene infinite potenze negative di z.

4.7.2

Residui

Sia f(z) una funzione analitica in un intorno bucato di zo, sia +oo

f(z) =

E

O< \z - zol < R, e

an(z - zo)n

n=-oo

il suo sviluppo di Laurent in quest'intorno bucato.

Definizione 4.7.8 Il coefficiente a_ 1 dello sviluppo di Laurent di f(z) in O< jz - zol < R prende il nome di residuo di f in zo e si indica con Res f(z)lz=zo.

Per comprendere il senso di questa definizione, calcoliamo l'integrale di f(z) lungo una circonferenza Cp di centro zo e raggio, p con O < p < R. Essendo la circonferenza Cp un compatto è permesso il passaggio al limite sotto il segno d'integrale. Dunque,

iP

+oo

f(z)dz =

n~oo an

iP

(z - z0 tdz

4.

124

Introduzione alle funzioni di variabile complessa

Fra gli integrali che compaiono al secondo membro, quelli con n 2: O sono nulli perché le funzioni integrande sono olomorfe. Per quelli con n < O, usando la parametrizzazione z - zo = pei 8 , si ha:

L'integrale a secondo membro è non nullo solo per n = risultato è 27ri. Quindi, in conclusione

1

fcp

f(z)dz

= 27ria_ 1 ,

in completo accordo con la (4.13). Supponiamo adesso che una funzione f (z) sia olomorfa in un insieme del tipo A\ { z1, z2, ... Zn} dove A è una regione. I punti z1, z2, ... , Zn sono, dun- /,que, singolarità isolate della funzione f(z). Sia 'Y è una curva chiusa semplice, " regolare a tratti contenuta in A, non passante per alcuno dei punti singolari. Supponiamo che nel sottoinsieme limitato del piano di cui 'Y è frontiera cadano alcune delle singolarità di f: per esempio, i punti z1, ... , z 8 con s ~ n. Il ·; problema è di calcolare

i

f(z)dz.

Se circondiamo le singolarità z1, ... , Zs con delle circonferenze di raggi, rispettivamente, P1, ... , Ps contenute in A e colleghiamo queste con dei tratti ' rettilinei alla curva 'Y, si ottiene una nuova curva i che è frontiera di una parte semplicemente connessa di A. Quindi,

;;,1 f(z)dz =O. Adoperando l'additività dell'integrale e avendo cura per l'orientazione delle curve, si ha infine:

i

'Y

f(z)dz = t i k=l

CPk

f(z)dz

=

27ritResf(z)lz=zk· k=l

Quindi, Teorema 4.7.9 {dei residui) Sia f(z) una funzione analitica nei punti di· una regione A con l'eccezione di un numero finito di singolarità isolate. Se 'Y

125

4. 7. Serie di Laurent

è una curva chiusa semplice, regolare a tratti contenuta in A e non passante per alcuno di punti di singolarità di f(z), allora l'integrale chiuso esteso a 'Y di f(z) è pari a 27ri-volte la somma dei res·idui nelle singolarità che si trovano nella regione limitata di piano di cui 'Y è frontiera.

00 Nota 4.7.10 È chiaro che, se all'interno di 'Y non vi sono singolarità di f, cioè, se

f è analitica in quella regione semplicemente connessa, il teorema dei residui si

riduce al teorema di Cauchy. Se un punto zo è un polo d'ordine n per calcolato mediante la formula: Res f(z)\z=zo

f,

il residuo di fin zo, può essere

( dn-1

1

)

= (n - 1)'. z-.zo lim - d zn _ 1 (z - zor f(z) .

Nel caso in cui zo sia un polo d'ordine 1, o polo semplice, si ha: Res f(z)\z=zo

=

lim (z - zo)f(z).

Z--7ZQ

Se, invece zo è una singolarità essenziale, il residuo può essere calcolato solo utilizzando la definizione 4. 7.8.

[>[>Esempio 4.7.11 Calcoliamo

1

z+3i d

Jizl=l z2 - 2iz z .. La funzione integranda ha due poli semplici, z = O e z = 2i; di questi solo z = O ha modulo minore di 1. Quindi, per il teorema dei residui,

1

~ + 3i

Jlzi=l z - 2iz

4.7.3

dz = 27riRes f(z)iz=O = 27ri

(-~) = -37ri. 2

Alcune semplici applicazioni

Il teorema dei residui fornisce uno strumento molto efficace, e spesso abbar stanza semplice, per il calcolo di integrali definiti di funzioni di variabile reale. Sarebbe certo al di là dei limiti di questo corso esaminare nel dettaglio l'ampia casistica esistente su questo tema. Ci limiteremo a considerare, quindi, un paio di esempi piuttosto semplici.

126

4.

Introduzione alle funzioni di variabile complessa

t>t> Esempio 4. 7.12 Si possono calcolare facilmente con ques.to metodo gli integrali del tipo

fo

2

R( cos t, sin t)dt

"

dove R è una funzione razionale di due variabili. Mostriamo la tecnica da adoperare attraverso un esempio concreto. Si voglia calcolare 2

"_d_t_

(

lo

2+cost

Operiamo il 'cambiamento di variabile' z = eu Quando t varia in [O, 27r], z descrive la circonferenza lzl = 1 sul piano complesso. Si ha poi dz = ieitdt, cioè, dt = -i~. Facendo anche uso della formula di Eulero per il coseno, si trova (2" _d_t_ - -2i 1 dz lo 2 + cos t Jizl=l z2 + 4z + 1 · La funzione integ~anda a secondo membro ha due poli semplici z Di questi solo -2 + y'3 ha modulo minore di 1. Quindi, 2· l dz - z Jizl=l z2 + 4z + 1

=

-2 ±

v'3.

4?rRes f(z)lz=- 2+\/'3 =

47r

. hm

z~-2+\/'3

(z + 2 -

1

v'3) ((Z + 2) 2 -

3

)

2?r

v'3' ·,:? t>t> Esempio 4. 7.13 Mediante il teorema dei residui è possibile P".re calcolare J integrali impropri del tipo

1:

00

R(x)dx

dove R è una funzione razionale infinitesima d'ordine maggiore o uguale a 2 per x ....., oo (questa condizione è sufficiente a garantire che l'integrale improprio converga) e che non abbia singolarità sull'asse x. L'idea è quella di considerare l'integrale della funzione razionale R(z), estensione naturale di R(x) al piano complesso, lungo la curva chiusa 'Yr composta dell'intervallo [-r, r] e della semicirconferenza Cr di centro l'origine e raggio r. Il teorema dei residui garantisce, allora, che l'integrale

1:,

R(x)dx

+la,

R(z)dz

4. 7. Serie di Laurent

127

è uguale a 27ri-volte la somma dei residui di R nelle singolarità che si trovano all'interno di "lr· Non è difficile dimostrare che, su Cr, vale una stima del tipo: M IR(z)I::; 2' r

dove M è un'opportuna costante positiva. Se r· lim

+oo, si ottiene, allora, che

{ \R(z)l ldzl::; lim 7rM =O.

r-+oo j Cr

Quindi, alla fine

--+

r-+oo

r

j+oo R(x)dx = 27ri L Res R(z) -oo

y>O

dove con il simbolo di sommatoria a secondo membro si deve intendere la somma dei residui di R( z) nelle singolarità che hanno parte immaginaria positiva, cioè, che si trovano nel semipiano superiore. Vediamo un semplice esempio. Supponiamo di voler calcolare

j +oo x _

La funzione R(z)

=

00

dx 4

+ 5x2 + 4 ·

1

ha i poli semplici z = ±2i, ±i. Di questi, + 5z 2 +4 i e z = 2i giacciono nel semipiano superiore. Lasciam9

z4

ovviamente solo z = al lettore di verificare che

1

ResR(z)lz=i = Gi Infine,

ResR(z)lz=2i

=-

1

( 12

128

Foglio di lavoro

4Foglio di lavoro 1. Dimostrare che le funzioni elencate sotto non sono olomorfe in alcun punto.

f(z)

f(z)

= !Rz;

=

3x + ixy 2 ;

2. Determinare, se esiste, una funzione v(x, y) tale che, se

u(x, y) la funzione J(z) = u(x, y)

+ iv(x, y)

=· y 3 -

3x2 y,

sia olomorfa su O per ç + fdivF

e dedurre che

j jl

fdivFdxdydz =

j~
d1J-

j j lv