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Italian Pages 225 [230] Year 1973
STUDI E TESTI 91
GIOVANNI C a r d . MERCATI BIBLIOTECARIO E ARCHIVISTA DELLA S. R. CHIESA
ULTIMI CONTRIBUTI ALLA STORIA DEGLI UMANISTI FASCICOLO II NOTE SOPRA
A. BONFINI, M. A. SABELLICO, A. SABINO PESCENNIO FRANCESCO NEGRO PIETRO SUMMONTE E A LT R I
CITTÀ DEL VATICANO BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MCMXXXIX
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STUDI E TESTI 91
GIOVANNI C a r d . MERCATI BIBLIOTECARIO E ARCHIVISTA DELLA S. R. CHIESA
ULTIMI CONTRIBUTI ALLA STORIA DEGLI UMANISTI FASCICOLO II NOTE S£)PRA
A. BONFINI, M. A. SABELLICO, A. SABINO PESCENNIO FRANCESCO NEGRO PIETRO SUMMONTE E A LT R I
C IT T À DEL V A TIC A N O BIBLIOTECA APOSTOLICA VATICANA MCMXXXI X
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EDI POTEST: Datum in Civ. Vat. die 23 Iunii 1939. Fr. A i.fonsus C. D e R omanis, Ep. Porphyreon Vic. Gen. Civitatis Vaticanae
RISTAMPA ANASTATICA 1972 multigrafica editrice - roma
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A L L A S A N T IT À DI NOSTRO SIGNORE
PIO PP. X II NEL GIORNO D E LLA IN CORO NAZIO NE M ENTRE TO TUS IN ORBE TE R R A R U M MUNDUS E X U L T A T
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AI LETTORI Ho intitolato Ultimi contributi gli scritti compresi nel presente volume, non perchè io n’abbia pubblicato un altro e altri dal titolo Contributi, ma riferendomi ai parecchi libri ed articoli sugli umanisti, comparsi quali dapprima e quali in ristampa negli Studi e Testi, ed aspettandomi che madre Natura provvederà Ella ormai a far sì che rimangano davvero gli ultimi. Come i vecchi scritti, sono ancor questi fatica non di uno storico nè di un critico letterario di professione, che tiene d’occhio regolarmente le nuove pubblicazioni riguardanti i propri studi, sceglie il tema, prepara da lungo e lavora i materiali e ne compone all’ ultimo un’opera letteraria sollevandosi dalie piccolezze di una erudizione e di una critica pedantesca, pavida e scru polosa della esattezza dei particolari anche minimi, alle altezze più attraenti delle sintesi e delle teorie geniali ; bensì l’esposizione semplice (giova ripeterlo) delle pe destri ristrette esplorazioni di un bibliotecario imbattu tosi quasi per accidente, come in tanti altri d imenticati autori di tempi e luoghi e campi i più diversi, in alcuni minori umanisti, ai quali, invece di dare uno sguardo, fare un saluto e tirar oltre, ha avuto la debolezza di soffermarsi per la curiosità di farne la conoscenza, e poi, secondo che capita a chi si mette nelle occasioni, ha finito, volendoli solo accompagnare un pochino, collo sviarsi e perdersi per le loro strade. Il guaio è stato non piccolo, appunto perchè quei signori sono in realtà ben poco conosciuti; ma è stato
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A I LE TTO R I
grande segnatamente con Pescennio Francesco Negro, rivelatosi, oltre che un chiacchierone incurante dell’or dine e dell’esattezza tanto da imbrogliare se non si è cautissimi, un grande vagabondo, quale nessuno finora l’aveva supposto. Ma per questo medesimo e per le molte variate notiziole ch’egli ha dato l’occasione di raccogliere, — frutto però magro relativamente alle fati che, — il libro non apparirà inutile, e sarà di certo interesse per lo meno a quelli dei paesi e dei luoghi in cui Francesco fu ed insegnò, e non se ne sa nulla. 28 agosto 1938.
Il volume avrebbe dovuto cominciare con alcune lettere inedite dei B. Ambrogio Tra versari ed altre del suo contemporaneo ed amico Andrea Fiocchi da Firenze, segretario pontificio, conosciuto solamente come autore dell’opuscolo De Romanorum magistratibus, che un tempo corse sotto il nome dell’antico L. Fenestella. Però sul finire della introduzione alle prime quattro lettere del Traversari, delle quali unicamente m’ero fino allora curato perchè d’interesse bibliografico, essendomi fuori dell’aspettazione accorto di qualche fenomeno singolare, non oso dire proprio, della trasmissione di varie lettere di lui, che mi parve degno d’essere segnalato ma im possibile ad esporsi convenevolmente a quel momento, senza aver compiuto un tentativo per lo meno di ri cerca nei registri pontifici, e d’altra parte sovvenen domi che nel prossimo ottobre si festeggerà il V cen tenario della morte del Beato, mi risolsi di fare con quelle lettere un primo fascicolo e di pubblicarlo allora in omaggio all’esimio Camaldolese, benemeritissimo della Chiesa cattolica e della S. Sede, che servi in tempi oltremodo difficili e in imprese d’importanza somma; benemeritissimo dell’Ordine che rialzò, e delle lettere
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AI LETTORI
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sacre ed umane, che promosse ricercando codici, com piendo traduzioni, insegnando, e del suo monastero di S. Maria degli Angeli facendo un cenacolo dei migliori umanisti fiorentini, che traevano assiduamente a lui come ad un oracolo. Così ho fatto senza esitare, perchè dalla divisione degli Ultimi contributi in due fascicoli, abbastanza di stinti come sono per i soggetti e per il tempo, e da un breve ritardo del primo fascicolo non segue alcun incon veniente. Sono articoli che stanno a sè perfettamente, e si può indifferentemente principiare a leggerli dal mezzo o dal fine, e anche saltarne qualcuno per intero; non altrimenti che in tanti volumi pubblicati per il 60 o il 70 anno o la messa a riposo del chiarissimo Tizio e del benemeritissimo Caio, ai quali nemmeno la migliore volontà e la più ingegnosa virtuosità dell’editore sono riusciti a dare più che una parvenza d’ordine. 12 marzo 1939.
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Cent u ra nom in thè B rìtish Museum, V, 462), e lasciò certi Aphorism i astrologici ad pa triarcham Conslantinopolitanum stampati nel 1535 dopo la Tetrabiblos Syntaxis di Claudio Tolemeo, e poi altre volte (cf. il Catalogue o f printed Books del Museo Britan nico, v. Rigiis). Lo sospetto identico al venerabile sacerdote Ludovico de’ Rizzi, vicen tino, romito, morto a Bassano nel 1503, del quale Antonio Pizzamano, indotto da un va t ic in io di lui a farsi ecclesiastico, scrisse la vita (ed. F. Barbarano , Istoria Eccl. di Vicenza, III, 10-41), citata da G. degli A gostini , II, 192, 195, 199, ma non vista finora da me. Del Rizzi però non trovo menzione negli S critto ri Vicentini. * E, naturalmente, prima Leone X, a cui aveva dedicato e mandava l’opera, e da cui soltanto poteva ottenere l’agognato «magnum sacerdotium», o vescovado o beneficio. 4 La prudente riserva, che chiude la difesa della verità deH’astroiogia contro dieci classi d’impugnatori, fu posta dal Negro in bocca di Maharin, 1’ « ardentissimo principe dei superiori Cherubini » (f. 588r). Costui confutando per ultimo chi malamente « errores tantum falsorum et imperitorum astronomorum in ipsam scientiam reicit, sed doctos consulat et quiescet», profetizza l ’opera di un «certo Mirandolano » (G. Pico) e l’apo logià del Negro, come segue: « Scribet nanque Mirandulaeus quidam (in m ar g Picus) atque collatis etiam signis in hanc pauperculam scientiam invehetur, ad pompam magis et encyclopaedicam ostentationem quam ad rei veritatem, cum praecipue per antidotum iubeat (f. 618') Maternus in Mercuriali ad solem aspectu perperam redarguto pensitandum esse quid IMG quidve MC Matheseos sacri caracteres sibi velint [cf. Mathes., V II, 20, 7 sgg.]. Scribet tamen Franciscus Niger (ntarg. P. Niger) in horum sententias, illas non solum improbando, sed causas errorum ipsosque errores demonstrando et corrigendo, ut tanto ludibrio apud indoctos habita haec divina scientia e tenebris tandem possit in lucem emergere. Haec inquam divina scientia, quae si frivola esset et falsa, ut isti blat terant, qua tandem laude digni forent tot principes, qui illam colunt, illam nutriunt, illi omnem favorem suum praestant, non solum peritos astrónomos apud se cum ma ximis stipendiis retinentes, venerantes et observantes, sed in publicis etiam gymnasiis cum maximis salariis eius scientiae magistros alendo? O stultam et temerariam gentem, quae etiam nobis [pare scritto vobis] sapientissimis principibus imponere audacter prae-
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ALTRI PRESAGI DEL SUO FUTURO
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Occurrebant tot pontifices humili et obscuro loco nati, quorum virtutibus voluit arridere fortuna. Erant in fronte etiam chiromanticae, in utriusque manus in dice, et notatissimae quaedam stellae, quae, ut in c b i r o m a n t i c o n o s t r o 1 * demonstravimus, non mediocrem mihi catathistam 2 portendebant. Hortabatur postremo et virgo sanctissima quaedam, quae intra divi Petr!3 parietes elusa et Deo serviens in sanctitate et iusticia, venerando archipontifici Patraeo ceci nerat Nigrum eum fore cui quandoque Christianae reip. non minima modera mina crederentur.
Qui non c’è da discutere. Se anche i presagì non si avverarono mai, almeno fino al punto in cui ci è nota la vita del Negro, non ne segue che essi non furono fatti o che Francesco li abbia finti egli. Sarà inter venuta ad impedirli l’ ignota « radiazione » di qualche stella sconosciuta, che il dabben uomo era disposto ad ammettere purché non gli si toccasse la verità sostanziale della scienza astrologica, non piccola parte della scienza sua. Comunque, i presagi qualche buono effetto l’ebbero: il primo, d’indurre agli studi lui, porlato invece alle armi per certa tendenza n a t u r a l e e per atavismo, e di averne ricavato un umanista e protonotario
sumit. Ego tamen, Virgo sanctissima, unam tantum causam video, quae (f. 619r) astronomorum indicia debilitat, nam cum ex maiori parte stellarum influxus notari et con siderari debeant ad effectum aliquem producendum et tamen mille tantum et viginti duarum noticiam habeant mortales, quomodo vera et secura iudicia proferre poterunt, si effectum a paucioribus notum causis enunciare ausi fuerint, cum multo fortasse plures contrariae possint esse quae ignorantur?» 1 È segnato come 29° degli scritti del Negro, f. 694’ ; v. avanti, al n.° 9. 2 Così! Leggasi: « cataclistam ». Cf. Thesaurus linguae latinae alla parola; Du Cange, G-lnssarìum mediae et infimae latinitatis, a « Cataclitus ». 3 Se 1’ « impulsus virginis vestalis» concorse cogli altri impulsi a determinare Fran cesco a n c o r g io v a n e t t o alle lettere, converrebbe pensare a S. Pietro di Venezia, chiesa patriarcale (v. Fl . Cornelio, Ecclesiae Venetae, XIII). Ma siccome in Venezia ci erano bensì delle eremite o recluse « ad in s t a r h e re m ita ru m B a s ilic a e P r in c ip is A p o s to lo r u m de V rb e » ai santi Ermagora e Fortunato nel 1506 (o. c., V, 257), e in qualche altra chiesa, non però del titolo di S. Pietro (ib., Il, SlOlsgg. ; V, 243 sgg. ; VI, 269 e 271; e l ’indice generale dell’op., p. 207), io credo che qui si nomini S. Pietro stesso in Vaticano, dove nel 1514 c’erano ancora « 6 mulieres murate, alias recluse » (A rch ivio Soc. Bom. d i storia patria, XXXIV, 390), e ce n’erano nel 1533, nel 1538 e (cinque) nel 1546 sotto Paolo III (v. L. Dorez, L a Cour de P a u l I I I , li, 11, 104, 248, e il luterano B. Sastrow cit. da U. Gnoli in L ’ Urbe, III, n. 5, p. 8; e cf. P. M. Baumgahten negli Historisch P olit. Bldtter, CXLI, 6-15; M. Cerrati, T ib e rii Alpharani de Basii. Vàtic., p. 216, v. « Murate»), e che il presagio spetti all’anno 1485 circa, quando il Negro stétte a Roma presso il patriarca L. Zane, e fu eletto vescovo di Torcello e di Patrasso insieme Stefano de Tagliati ( f 1515), altrimenti Taleazzi e Tegliacci, autore di alcuni sermoni sacri a stampa (v. H ain , 15456-15461) e di un commento del Cantico dei cantici, residente in Curia forse dal tempo di Paolo II, vicario per pochi giorni di Pio III (I. Burckard., II, 391), che Francesco nel codice Marciano del P e r i archon nomina (V alentinelli, III» 60) non so con quali parole, ma di elogio grande, suppongo. Sul Tagliati v. Parlati D .. Illy rie . Sacr., VII, 96 sg.; B. Felicianueli, L e proposte per la gu è rra contro i Turchi presentate da S. Taleazzi vescovo di Torcello a papa Alessandro V I nell’A rch. Soc. Bom. st. p a tria , XL (1917), 5 sgg. (sugli scritti v. ib., 15, 21 sg., 25 eco.). — Eubel, Hiera rch ia Cathol., II2, 213, non segna alcun vescovo di Patrasso fra il 1452 e il 1473, du rante l’ infanzia e la giovinezza del Negro.
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PESCENNIO FRANCESCO NEGRO VENETO
apostolico innocuo anziché un mercenario ammazzasette o un capitano di ventura; l ’altro di non averlo mai lasciato disperare nella sua per petua o miseria o incontentabilità. 3 - I l curriculum studiorum del Negro: i suoi maestri in Venezia e P a dova: lauree e gradi conseguiti. Si perfeziona di p oi anche nelle arti, e diventa enciclopedico. Sue virtuosità; sua attività e felice riuscita nell'insegnamento privato e pubblico. Ut igitur talem me redderem (f. 675r) qualem omnes spes istae superius enu meratae desiderabant, ideo omni qua potui opera, diligentia, studio, mente de nique omni, grammaticae prius, historiae et poeticae, cum sua cosmographia, geographia, chorographia, topographia1 et caeteris appendicibus talem operam navavi, ut Petro Bruto2 Catharensi episcopo primum, Domitio deinde Calderin o3 instituentibus, iam duodecim annorum puer logicae et philosophiae virilem togam sumerem, Dominico deinde Bragadeno excellentissimo philosopho insti tutore Venetiis,4 mox in Patavino gymnasio Christophoro Recanatensi5 Mat1 Quanta profusione di parole per noi moderni! Ma Francesco ci teneva a distinguere le varie parti coi nomi esotici, che all’uomo comune imponevano. Li ritroveremo tutti anche sotto, p. 45, n. 5. 1 Su lui, « plebanus S. Agathae et Rector Scholarum in canonica S. Marci » l ’anno 1463, e diventato vescovo nel 1468, v. D egli A gostini, I, 495-508; Mazzuchelli, S crittori, II, 2256 sgg.; Cornelio , Eccl. Ven., XIV, 191. * Il Negro più volte disse maestro suo il Calderini. Così nella Cosmodyst., lib. 4, f. 158T, nominando fra i principi ecclesiastici e secolari liberali verso gli studiosi il card. Bessarione e la sua corte: «Erat enim ea domus omnium litteratorum saluber rimus portus et aura felix. Testis est Calderinus, optimus quondam praeceptor meus: testes Platina, Alexander, Trivisia, et ille tandem qui eius ope a pauperculo monacho ad triplicem tyaram cum summo litteratorum omnium decore fqliciter ascendit (“ Sixtus ” in marg.) ». Nell’oraz. II, ed. Verrua, p. 210: «u t trito excellentissimi quondam prae ceptoris mei Domitii Calderini dicterio utar... ». E nella lettera di chiusa de\l’Aruntina Gramrhatica al Botta (v. sopra, p. 28, n. 3), dice di aver imitato gli antichi « nec non et peritissimum virum, utriusque linguae decus, Domitium Calderinum praeceptorem nostrum ». Che Domizio era passato da Verona a Venezia per studiare sotto il Brugnolo, si sapeva, ma non già che vi avesse di poi anche insegnato (cf. G. L evi, Cenni... di IX Cal derini, 16 sg.). Tale insegnamento risalirebbe al 1464 o 1465, quando il Calderini era sulla ventina, se non si argomenta male dalle parole del Negro. 4 « il primo Lettor publico di Filosofìa » in Venezia (A. Z eno nel Giornale dei L et terati d’Italia, V, 359), che dal 1455 aveva sostituito nell’insegnamento Paolo della Per gola (A gostini, I, p. x l v iii ). Il Negro invece n ell’Opusc. scribendi epistolas, lib. Ili, Regola XII, dà in esempio di titolo l’ indirizzo: «Dominico Bragadeno, m a th e m a tic a e artis professori, non minus accuratissimo quam doctissimo » (V errua, IX Università di Padova, p. 203). — Un altro filosofo veneto d’allora ma non suo maestro, il Caldiera, ricorda Francesco nella Cosmod., f. 201% per una bizzarria, su cui richiamava l ’atten zione con « Nota hominem r id ic u lu m » in margine, mentre nel testo, levandosi il cap pello, asserisce che « Haec fuit causa [la credenza nell’apocatastasi], quae d o c t is s i mum illum P la to n ic u m Ioannem Calderiam Venetum ex testamentario codicillo filiam suam hac conditione bonorum suorum omnium haeredem instituere compulit, ut ea in suo regressu illi restituere teneretur » ! Sul Caldiera v. A gostini, II, 411-418, 5 Ritenuto allora « summus Italiae philosophus » (J. Facciolati, Fasti Gymnasii Patavini, p. 105 e 131). V. la deliberazione 9 settembre 1495 del Senato Veneto riferita da A. F erriguto, Alm orò Barbaro, in1Miscellanea di Storia Veneta, Sèrie III, voi. XV, p. 209, n. 1.
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GLI STUDI
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thaeoque 1 moderatoribus ad artes reliquas liberales educerer; deinde, susceptis iam antea, cum annos sedecim nactus essem, ab invictissimo Caesare Federico 2 et poeticae et oratoriae facultatis insignibus, hinc lauro inde 'olea ornato inter reliquos scholastici ordinis iuvenes capite incqdens, ac non multo post susceptis in eodem Antenoreo collegio auratis artium loris,3 non sine juvenili quodam fastu, ut aetas ilia porrigebat, gravissimo gressu ambularem, (f. 6i5v) Tandem sub excellentissimi jureconsulti Bartholomaei Cepolae 4 primum, mox sub divini Alexandri Imolaei ferula iuri caesareo operam navans atque sub Alexandri Nevi et Angeli Castrensis et postremo sub Ioannis Baptistae Roscielli auspiciis iuri pontificio incumbens, vicesimo quarto aetatis anno utriusque lucubrationis coro narium aurum suscepi: post cuius susceptionem tanto ardore in litterariam disciplinam philocaptus56sum, ut, cum apud Fabium et Plinium legissem quan tum homini perfecto necessaria esset totius encyclopaed.iae cognitio, ad illam mihi penitus parandam totum animum penitus impenderem. Statui igitur quaecumque studio comparari possent, in iis mihi esse ela borandum. Non soium ergo artes illas, quas liberales vocant, toto cordis affectu complexus sum, sed earum appendices omnes; et non tantum liberales, sed etiam mechanicas illas, quibus humana mortalium vita excolitur; cumque aper tissime cognoscerem omnes artes istas in theoricen et praxin esse partitas, non tantum sub excellentissimis praeceptoribus theoricen perdiscere conatus sum (f. 67fir) sed ad exercitationem etiam me accommodare. Unde in liberalibus pri mum exercitatus, et arte et imitatione quicquid speculandum erat enucleatis sime perscrutatus sum, deinde in praxin descendens nihil unquam pretermitiere 1 Non so se sia l ’urbinate «Odo Màtthaeus de Catonibus», professore di dialettica e di filosofia circa il 1460 e poi rettore dell’ Università. Cf. F acciolati , p. 105. J Federico 111 venne a Roma nelfinverno 1468-69 e nel viaggio profuse largamente titoli nobiliari e accademici e lauree poetiche. Per Ferrara, ad es., v. il D ia rio Ferrarese, ed. G. Pardi, p. 55sg., dove la curiosa osservazione, che « i l cancelliere de lo Impera tore... haveria voluto scortigare la brigata, tanto el voleva di fare epsi privilegi». A Padova, o nell’andata o nel ritorno, avrà concesso 1’ « alloro» e 1’ « oliva » oratoria allo studente poco più che sedicenne. 11 quale, ognora grato dell’onore, nella Cosmod., f. 159r, ha messo per primo dei principi secolari protettori de’ buoni Federico, non ostante un piccolo difetto di generosità: « Federieus tertius, imperator, ut gentiles illos subticeam, qui doctos semper viros ex humili loco in sublimem gloriam evexerunt, praeter e x igu am qu an dam p a r c it a t e m eaeteris semper virtutibus ila refulxit, ut bonos viros omni conatu et studio fovere niteretur». 3 In margine: « Insignia artium »; e poco sotto, a « coronarium aurum »: « Insignia iuris utriusque ». Di qui appare chiaramente che « lorites », quale Francesco per la sua mania del ricercato e pellegrino intitola se stesso più d’una volta (v. al n.° 6 in una nota), significa semplicemente dottore in arti. Lo diventò a 17 anni, come dice nel passo del libro 4, trascritto a p. 42, quindi nelle promozioni del 1469, non molto dopo la laurea d’onore in poesia e in eloquenza. 1 Questo e i quattro seguenti giuristi sono tanto conosciuti che non occorre far note: chi vuole vegga Tiraboschi, Chevalier e altre opere comuni di consultazione. Solo a prova dell’esattezza delle date del Negro osservo che il Cipolla di fatti risulta già tor nato da Roma nel 1470 (F accio lat i , p. 43) e che l’emulo Alessandro Tartagni da Imola non ha lasciato Padova per Bologna prima del 1471 (ib., p. 48 e 51). Il Negro nelle Cinque oraz., p. 211 e 227, dice G. B. Roselli « iureconsultorum principem », un sole rispetto agli altri, e ne\VOpusc. scribendi epistolas dà in esempio l ’indirizzo al Nievo (cf. V errua , L ’ Univ. di Padova, 193 e 211). Il quale Nievo è divenuto « del N ero» in F erriguto , o. c., 509, come il Roselli v’è detto « Bosel'lo » e il Roccabonella « Rochatonella ». 6 Così: è uno degli strani neologismi, di cui talora si compiacque il Negro.
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PESCENNIO FRANCESCO NEGRO VENETO
studui, quod ad consumatissimum virum pertinere arbitratus sum. Pretereo cirétìlorum (ut appellant) disputationes, quas nullo unquam tempore iuvenis pre termisi: taceo scholasticas exercitationes, quibus nunquam defui.1 Sed arithme ticam utramque tam legendo quam in principum censibus enumerandis exer cendo, 2 sed geometricam, sed musicam ipsam3 tam vocalem quam instrumentalem percurrere volui. Et tandem ad mqcbanicos usus descendens, tanquam alter Hippias nihil unquam pretermisi, quod non tantum ad vestimenta familiae et domus etiam supellectilia resarcienda sed ad caetera quoque eius ornamenta spectaret. Et demum non artes solum ipsas, sed artium etiam ipsarum arma et ealliditates adeo speculatus sum, ut etiam aliquando in ma g i c a c a n t a m i n a et pleraque, etiam praestygia devolverer.4 Nihil denique (f. 676v) tam boni quam ma l i secundum aetatum gradus omnes intentatum reliqui, Apostoli secutus sen tentiam: «Omni a probate, quod bonum est tenete». Immo et medicam etiam facultatem miratus, quod plerique omnes medici secuntur expertus, nonnullos pleureticos, febricitantes et varia impetigine vexatos pristinae restitui saluti et incolumitati, et in casibus precipue dubiis et ut multis videbatur incurabilibus, editis etiam super iis quibusdam monumentis non inutilibus.5 Et ut more heroico tandem concludam, quibus non modo vitio dandum est si falsa dixerint, sed etiam si vera subticuerint, in omnibus artibus adeo provectus eram, ut multa ex tempore carmina, plerasque in contionibus orationes impremeditatas6 in doctissimorum virorum cqtibus peroraverim. Taceo epistolas omnes, quas semper sine aliquo schqdio prima (ut aiunt) penna et ex tempore ad amicos misi. Pre tereo lectiones in omni facultate sine aliqua praecedente lucubratione, immo semper improvisa voce enarratas coram doctis etiam et multis auditoribus, (f. 677r) Omitto varios diversarum regionum scribendi caracteres et linguarum idiomata, quae semper effingere conatus sum.7 1 Cf. il passo dei P e ri archon sulle dispute e gare letterarie, ehe il Negro racco mandava di rimettere in vigore, edito come interessante da H kiberg, Beiträge cit., p. 20, secondo il cod. Marciano ritoccato. Ne ristampo una particella secondo l ’autografo Vatic. lat. 4033, f. 118\ perché vi sono precisioni maggiori, eliminate nel Marciano: « Hic [a Ve nezia] enim primum, me quoque puero ac primae aetatis Philelphi auspiciis stipendia faciente in divi Bartholomei saepius aede et poetica et oratoria certamina colebantur, nec minus Patavina humanis quottidie disputationibus Academia fervebat: nunc silent Antenorea, nunc Veneta gymnasia ». Nel Marc, a vece di « in ... aede » e « veneta » si legge più vagamente: « in divinis templis saepius a nobis» e « cetera », come appunto si vede mutato nell’autografo. Notare l ’accenno al Filelfo, che il Negro nella Vita non nomina quale suo maestro, e alla sede di quelle gare. ' Difatti fu maestro di casa e computista del card. Ippolito d’Este (v. avanti, al n.° 7) e poi del card. Adriano Castellesi (v. n.° 8). In marg.: «Arithmetica praxis». 3 L ’ indice de’ suoi scritti (sotto, al n.° 9) presenta: « 14 Musica P ra x is ». Ma già nell’A run tìn a Gram m atica al termine del libro V ili si trova an’H arm onia, seguita da saggi con le note musicali. 4 Notare la confessione, e notare come aveva inteso 1 Thessal., 5, 21, 5 Uno scritto adunque sopra qnei casi? Che non è registrato, almeno chiaramente, nel predetto indice. Però non pare ch’egli avesse molta stima dei medici, come fa sup porre il titolo 21 degli scritti del Negro: Invectivum in medicos. 6 Qui in marg.: « Exercitamenta subitaria ». 7 Difatti nei ff. 392,-399v della Cosmcdyst. copiò le lettere o alfabeti ebraico, caldaico (ma è l ’etiopico), arabico, greco, latino, « jiysae (emiliano), Dalmaticae» (glagolitico), dando i nomi delle singole lettere, e poi parlò delle « Indae » (« Ast Indi suas etiam lit teras habent, quas in arborum foiiis aut codicibus ad extra in sinistram notant, sic Persae et alii complures Orientales; Fortunati dutèm desursum in dehorsum scribentes octo
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GLI STUDI
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I medesimi suoi rapidissimi passi negli studi Francesco, quantunque più in breve, senza nominare i maestri e raccontarci altre particolarità, si era già dato la premura di mettere in risalto nel c. 7 del libro 6: « De secretis nominibus », — cioè i « Verba cabalistica Mosis », come è notato in margine (f. 225r), — dove parla dell’ influsso dei corpi celesti sulle inten zioni e sui corpi degli uomini, e delle congiunture in cui si ottiene s p e d i t a m e n t e quello che si domanda. Là, dopo avere citato le « tres ma ximae auctoritates » in materia: Albumassar, Almansor e Pietro d’Abano « ignobilibus et obscuris parentibus natus, in omnium tamen scientia rum disciplina eminentissimus », cbe nella Differenza 156 del Conciliator afferma di sè : « Et ego quidem in tali orbis configuratione scientiam a Deo petens, a primo visus sum amplius in illa proficere»;*1 non si lasciò sfuggire la buona occasione di addurre con quello del celeberrimo Aponense l'esempio proprio, segnalandolo in margine con un « Attende rem verissimam », e ci racconta i prodigiosi suoi progressi negli studi. Ripro duco il passo a conferma, ed a complemento eziandio, del precedente, perchè nella sua brevità ci fornisce nondimeno qualche precisione di più, come di non avere imparato più nulla dopo i trent’anni, d’aver letto circa 800 volumi, e serbato buona memoria delle letture, di aver formato « mol tissimi » scolari «dottissim i», de’ quali molti erano divenuti « vescovi, arcivescovi, cardinali» (al plurale!) e molti conti e condottieri, mentre egli stesso era rimasto in una « volontaria povertà », di cui però sempre si lamenta.2 Et ne longius exempla petamus, fateór ingenue, Beatissime pater, cum per mille trecentos3 et amplius annos nullum hominem doctum Nigra habuit fa milia, sed milites tantum et armis opera dantes, quantulam hanc scientiam sum assecutus, non haereditariam nec longo studio quaesitam nec divino in genio partam acquisivisse, sed ex immensa tantum Dei clementia et pientissimo consensu, atque ex benigna Iovis radiatione, quae corpusculi huius organa ad eam capiendam supremi imperatoris iussu accommodavit. Duodecimo namque
tantum caracteribus sed plerisque diphthongis utuntur »), delle « Zyphrae », usate specialmente dai principi ! « Principum Zyphra ») e degli altri espedienti per nascondere le scrit ture ai profani e per riuscire a leggerle, delle « Litterae loricatae », dei «caracteres» o segni marginali indicanti qualche cosa di particolare nel testo. Mi accontento di segna lare le predette carte per non andare fuori di strada una volta di più, e perchè non dubito che, dato l ’argomento, qualeuno se ne occuperà di proposito, anche se per avven tura sia per trovarle di poco valore. 1 Ed. 1521, f. 202r, col. 1. Anche il Pontano riconosceva il proprio genio poetico dal l ’influsso celeste delle stélle: v. E. P èrcoco, G li sortiti di G. Pontano nell’A rch ivio stor. per le province Napol., LX II (1937), 192. s Lo stesso vanto (e lo stesso rimpianto) ma più in breve nella perorazione del libro 4: « e t per annos viginti septem publice legi, ita ut plurimos ex schola mea doctissimos viros in communem utilitatem emiserim » (f. 156v; Appendice, p. 16*), e nella « V it a », f. 694'' (v. al n.° 9): « multosque sub mea ferula in , doctissimos viros eduxi, quorum nomina inter caeteros académicos non obscuro omnium praeconio nota sunt ». 3 « mille » in marg., « trecentos » nel testo su rasura: prima aveva scritto «p er sexcentos ».
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aetatis anno, relieta grammatica, ad dialecticam diverti. Sextodecimo a Fede rico Caesare in poetica lauream et in ora-(f. 229v)toria olivam sum adeptus. Decimoséptimo artium et totius encyclopaediae insignia in Patavino gymnasio sum consecutus. Vicesimo quarto, coronario utriusque ¡uris auro donatus fui. Bt tricesimo aetatis anno ea sciebam quae nunc scio. Volumina perlegi circiter octingenta et lectorum memoria non sum fraudatus. Scripsi in omni facultate in hunc usque diem et graece et latine libros quattuor et 30.1 Legi publice in omni doctrina, et ex tempore et premeditatus, per annos 46.2 Ex mea ferula plurimi evasere doctissimi, quorum fama docta per ora volat: ex quibus plerique episcopi, archiepiscopi, cardinales, plerique comites et duces designati sunt, licet ego in voluntaria paupertate remanserim. Haec unicus homo, sine Dei precipuo adiumento in animae potentias et stellarum in corporis organa, de se reddere non potest. 3 Magna sunt igitur et divina arcana naturae, qualia sunt etiam in imaginibus, quae cum geniturae aut quaestionis horoscopo con cordantes mirabiles producunt effectus. Qualia sunt in alchymia ...
Il Negro, che di modestia non aveva troppo e sul serio stimavasi pre parato ed abile a tutto, e ci teneva a persuaderne specialmente chi avrebbe come Leone X potuto appagargli la lunga ambizione del vescovado, avrà facilmente abbondato sopra, grazie ancora alla facondia per cui non sen tiva bisogno di preparare discorsi e lezioni e di fare le minute delle lettere; però vi dipinge se stesso quale in somma mi pare egli fu : un precoce, d’ una facilità, versatilità e curiosità straordinarie, che ebbe l ’agio di for marsi sotto valenti maestri in centri di studio come furono allora Venezia e Padova, riuscendo un enciclopedico, più o meno infarinato dì tutto — retorica, filosofia, diritto civile e canonico, teologia, musica, scienze natu rali ed occulte, lingue, arti meccaniche e mestieri, ecc. — onde potè fare l'improvvisatore e poeta, il professore « in ogni scienza e facoltà », il predi catore, il cantore, il ragioniere e maggiordomo, il medico, l’astrologo, ecc., naturalmente senza andare molto a fondo e senza perfezionarsi nella lingua e nello stile e raffinare il gusto, forse illudendosi che ad aver fortuna e gloria sarebbero bastate la prontezza e la disinvoltura a trattare di tutto, e le stranezze e astruserie nell’ esprimersi, tanto che si direbbero da mezzo matto.4 È singolare che egli abbia creduto di farsi un merito o un elogio
1 Prima « libros decem et oeto ». Spiegherò poi questo e il seguente grave muta mento di numero. * Prima « viginti septem ». 3 In marg.: «M ira eaelorum potentia». * Per es., chiude la stampa della Epithome P lu ia rch i di D. Tiberti (Ferrara 1501) conquesto periodo lucidissimo: « A t ne adrum forte dicendi genus expectetis: ischnaca prodibit fronte non indecor: quo aulicorum presertim non omnisciae turbae: apud vos encyclios: faeiat etiam satis ». Non parlo delle date di anno, mese, ecc., in cui raccoglie i termini più sbalorditivi, fino a rendere incerto l’anno che volle indicare, come si vedrà poco sotto in un caso che c’interessa. Quanto alla stranezza delle idee basti dire che nel parlare delle feste dell’anno, giunto al 15 agosto, inserisce un intero trattato di geografia, scienze, arti e astrologia sotto la forma di un ♦ Assumptionis Virgineae sermo », — breve secondo lui ma ¿occupante i ff. 317r-628r, vale a dire circa 620 pagine in 4° della Cosmodyst.\ — in cui fa mostrare la terra alla B. Vergine da Adamo, e poi la fa salire di cielo in cielo e subire in ciascuno l’allocuzione e le spiegazioni dell’Angelo
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vantandosi a 63 anni di non aver imparato più nulla dopo, la trentina: « Et tricesimo aetatis anno ea sciebam quae nunc scio » ! Avrà anche qui, al solito, esagerato; ma insomma possiamo noi credere che dopo i 30 abbia studiato molto e seguito i non piccoli progressi che si fecero nelle lettere durante l ’ ultimo ventennio del secolo xv e il primo del secolo xvi? e non piuttosto ci spiegheremo in parte da ciò che egli rimase in addietro rispetto al tempo suo? Appunto perchè fanno ben conoscere la formazione dell’ uomo e del letterato, i due passi sono di certo pregio, specialmente il primo e più lungo, che rappresenta come in un quadretto il corso degli studi medi e superiori di allora e gli esercizi scolastici di uso (più utili e pratici di quello che hanno supposto certi sprezzanti moderni) con una pienezza e precisione quali non so se in altri scrittori di quel tempo si ritrovino ; e ne appare che i suoi maestri non furono di quei tristi, che egli cruda mente dipinge nel brutto capitolo « De mortalium dolis » , *1 da usare tut tavia « cum grano salis » per non presentare il pessimo mondo d’allora più guasto ancora di quello che fu. Però Francesco tace circa un particolare: come mai, non ostante le angustie della sua famiglia, egli potè mantenersi negli studi così a lungo e, si direbbe, esclusivamente intento ad imparare. Per una parte ce lo fa capire egli stesso più avanti (f. 677v ; v. sotto, al n.° 5), dove afferma di aver letto « in diversi ginnasii tanto pubblicamente quanto in p r i v a t o dall'anno d e c i m o o t t a v o al s e s s a n t e s i m o s e c o n d o », ossia 46 anni, quanti appunto nel passo del libro 6 si attribuisce d’insegna mento, ma dicendolo inesattamente tutto pubblico. Cominciò dunque di (Samael, Satquiel/Captiel, Sagel ecc.) e dell’Apostolo rispettivo! Sulla comica avventura che gli capitò in Roma nel 1484 circa presso un grande ecclesiastico per avere composto in prova una lettera difficile, si dirà nel n.° 5; ma essendo egli scappato in tempo al ba stone, la lezione non lo corresse. Si vegga difatti nell’Appendice, III, la l a lettera al Tebaldi. E pure, quando voleva e non aveva pretese, scriveva benino, come avranno già osservato e osserveranno anche in seguito più d’una volta i lettori. 1 Cosmodyst., lib. 4, f. 129v: « Doetores, qui publicas lectiones in gymnasiis profiten tur, vix decies in anno legunt, et id sine aliquo quandoque studio praecedente, ita ut tum ex paucis lectionibus èisdemque nudis, tum ex multiplici interpollatione externi scholares, qui cum intollerabilibus impensis patriam et parentes relinquunt, vix possint longo etiam tempore proficere, et hoc paeto devii in multa et varia scelera labantur, pro studiis capos et gallinas populariter suffurantes, aut meretriees lenoniter pascentes, aut meritorias tabernas frequentantes. Inde efficitur ut tot sine litteris doctores' per nostrdm Europam elato supercilio vagentur. Triviales autem paedonomi quot insidiis paupercu lorum aetatem puerorum habent despicatam, cum et sibi falsam scientiam persuadeant, et longo quodam itinere, cum suo barbarissimo Alexandro [De Villa Dei] et plerisque ineptissimis editionibus suis, tum adolescentium animos alliciant ut eos credant esse Cicerones, et tam prolixi et difficilis studii desperatione, cum temporis iactura, (f. 130r) ignorantiae solum relinquantur haeredes, eaque tantum didicisse cognoscant quae dedi scenda sunt; tum impressores depauperent, qui eorum nugas multa impensa cudentes et pecuniam amittant et libros blattis comparent. Nonnulli etiam ad bbscqnos ita dedu cunt mores miseram illam et innacentem aetatem, ut parentes eorum vitae pertaedeat». Egli inveee non una sola volta si vantò di avere in un anno solo istruito abbastanza, ad es., Bona Sforza e i giovanetti D’Avalos (v. avanti, n.° 8).
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diciotto anni a dar lezioni, dapprima, fin che fu scolaro, indubbiamente private; lezioni che in Padova, allora frequentatissima anche da stranieri, uno studente dei più segnalati e laureato dall’imperatore avrà non diffì cilmente trovato. Se fino ai 18 gli avevano bastato i genitori, presso i quali « honesto semper famulatu uti solitus eram » (ha detto egli stesso nel f. 151v ; v. avanti, al n.° 5), e la parsimonia (il vivere non costava molto allora a chi si accontentava di poco); dopo, col profitto in più delle lezioni, avrà potuto, senza difficoltà, cavarsi la voglia d’imparare e dive nire un enciclopedico. Ora si vegga quello che fece quando entrò davvero nella vita. 4 - P er amor delle lettere rifugge dal matrimonio e si fa prete contro il volere del padre. Suo zelo: è nominato piovano della collegiata di S. Giovanni Decollato. In seguito cerca e si aspetta la nomina a ve scovo di Veglia, ma cade in sospetto della Serenissima e viene im pri gionato e condannato, e non esce libero che dopo parecchi mesi. H is artibus institutus me adeo felicem existimabam, q u o d 1 conditionem meam maximi etiam principis cuiusque opibus non permutassem. Hac de causa litteris et studio deditus, in sola artium speculatione felicitatem meam expo sueram : unde ab hominum conversatione semotus solus in solitudine nutrie bar. Quamobrem, quia parentes mihi satis honestam virginem cum lauta dote in coniugem dare nitebantur, ego qui propter litterarum studia ab re penitus u xoria abhorrebam, m ysticis flaminum dialium sacramentis, etiam in vito gen i tore, initiatus sum: quo facto, cum toto animo rebus sacris deditus essem, tum psalmodias in templis dom inicis decantando, tum orando et publice etiam pro contione declam ando seu praedicando, in tantum populi favorem deveni, ut mihi collegiata ecclesia etiam 'iu ven i mandaretur, ac non multo post omnium Venetorum patrum faventibus suffragiis, quod concadente pontifice (f. 677v) ius patronatus eorum erat, V e tia n a 2 insulanorum episcopatus infula crederetur. Sed quia eo precipue tempore Ioannes illius insulae comes, sobrinus meus, in V e netam urbem ex Senatus consulto deportatus propter causam 3 cuius tyrannidis in suos populos insimulatus erat, fidem solverat et se profugiens in Caesaris aulam contulerat, in suspitionem patribus illis incidi quod ea potissimum gratia talem m ihi pontificatum quaesivissem, ut consobrinum populari factione con citata in sedem suam restituerem. Privatus igitur episcopatu et varia pqna mulctatus talem tandem suspitionem purgavi.
Fissiamo le date e completiamo il racconto. Poiché Francesco si laureò in utroque a 24 anni, quindi nel 1476 circa, e dopo continuò a fare i più vari studi ed esperimenti per diventare un enciclopedico, il tentativo dei genitori, — dunque immemori o non
1 Cosìl Non è questa la soia volta che il grammatico Negro dimenticò la grammatica. * « Vetiana* e non « Vel. » è· scritto. Ma che Francesco designi Veglia, appare da questo, che subito dopo dice conte di quell’isola Giovanni Frangipane. 3 0 « eam * : la scrittura non è chiara, e la costruzione alquanto dura. « A causa della tirannide » o « per quella tirannide sopra i suoi popoli, di cui era accusato ».
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PKETE E PIOVANO : I P R IM I SCRITTI
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persuasi dei pronosticati alti destini ecclesiastici del figlio, — per dargli una moglie ricca e la risoluzione al sacerdozio di lui, aborrente del ma trimonio per amor delle lettere, — non dice che pure per altro motivo, — sono da porre un certo tempo dopo quella laurea e dopo il ritorno a Venezia, nel 1477 o 1478: comunque, errò l’Agostini, 11, p. 474, nell’affermare che il Negro « nella sua giovinezza intraprese vita ecclesiastica ». Nel 1479 di certo esso era già prete, perchè nella lettera che chiude YAruntina Grammatica, pubblicata a Venezia il 21 marzo 1480,1 l’autore « P. Franciscus Niger A. [così] Venetus. Sacerdos. Artiumque doctor » ri ferisce al Botta2 d’essere stato, durante la fatica del comporre, censurato da certi barbari oltremontani perchè prete si occupava di oratoria e di poetica.3 Ora di quella grammatica latina egli aveva formato il disegno, fuggiasco da Venezia devastata dalla peste, quindi assai probabilmente nel 1478,4 e l ’avrà composta e terminata nell’anno successivo. Nella stessa lettera (notiamolo prima di passar oltre) il Negro accenna ad una «grammatica graeca et geograpliia nostra, quam p r o p e d i e m e d i t u r i sumus », ma che non pubblicò mai, per quanto si conosce: solo nell’indice più volte citato degli scritti ricordò la grammatica greca come 19 delle sue opere, e vi dimenticò la geografia che pur aveva fatto profetare da Adamo nel libro 8 della Cosmodystychia.5 E notiamo i tre 1 V. sopra, p. 28, n. 3. È curioso che dell’opera c’è a Gand un m a n o s c r itto m em bra n a ceo, comprato nel 1484 per S. Bavone da Raffaele cie Mercatel: ef. 1. de Saint G énois, Catalogue méthodique et raisonné des mss. de la Bibliothèque de la Ville et de V Université de Gand, p. 237, n.° 290. Sarà un ms. ricavato dall’ed.? o anteriore ad essa e proveniente da un originale dell’autore? Ali duolo di non aver visto A. P inchart , Bibliothèque manuscrite de Raphaël de Mercatel, abbé de Saini-Bavon, in L e Biblio phile Belge, V II (1872), 21 sgg. " Sul Botta v. R. Sabbadini in Miscellanea A . Ceriani, 185 sgg.; ma vi si corregga la data di nascita: ♦ presso a poco nel 1445 », in 1431 circa. Il Botta, già nel 1470 amba sciatore milanese a Venezia (ib., p. 232, n. 3), visse per lo meno 82 anni e morì nel 1513 (cf. A risi, Cremona literata, 1,337). Potè quindi conoscere benissimo Ciriaco d’Ancona, morto proprio a Cremona nel 1452 (S abhadini, p. 243). Dispacci di lui sulla incursione dei Turchi nel Friuli v. nell'Archeografo Triestino, X LIX (1936), 109-116. * « Sed longe molestius erat quod a Germanis, Gallis Pannoniisque quibusdam, homunculis sane ineptissimis, adèo impetebar, ut mihi fas esse videretur Latinos dese rere et Rhomanam li(n)guam a barbaris ediscere... Sed illud minime pati possum, quod isti in me barbari quottidie clamitant: opus novum aggressum fuisse sacerdotem, di vinae quidem scientiae infensum, quod oratoriam poëticamque, inutiles non modo art.es verum et animis damnosas complectatur ». Il Cernoëvich, che si sentiva un latino, li confuta sdegnosamente e predice che la poetica da loro disprezzata e proseritta « non post multum temporis spatium, quod prius obtinuerat totius orbis imperium recuperabit, et vos inviti quoque per Germanias, Gallias Pannoniasque vestras libere vagàntem, etiam nudato capite, depressa barbarie, verebimini. Non scribo haec, ut in Germanos Gallosve aut Pannonios invehi velim, quos me non latet viros omni quidem scientia praeditos esse et, quod laudabilius est, omni religione et vitae sanctimonia exornatos. Non enim eius sum naturae, ut maledicendi consuetudine gaudeam, imo et saepqnumero lacessitus ■ad extremum usque perpessus sim * etc. * Gf. A. Corradi , A n n a li delle epidemie occorse in Ita lia , p. 610, 2805 e 3704. 5 « Septentrionalis autem huius quartae descriptionem delectabili quodam syngrammate multi in sphaera tessellata, plerique in plano effingere sunt conati, ut quod pera-
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PESCENNIO FRANCESCO NEGRO VENETO
distici del Negro al fine della Spera mundi di Giovanni de Sacrobusto e della Theorica planetarum di Gerardo da Cremona stampate a Venezia nel 1478 e ristampate a Bologna nel 1480;*1 essi per quanto un’ inezia me ritano di essere ricordati anzitutto perchè sono forse la prima cosa a stampa di lui, e poi in riguardo della materia delle opere elogiate. Così già prima dei trenta ci compare il Negro grammatico, geografo, astrologo, ed anche agiografo, se mai fosse di questo primo tempo la Hi storia S. Theodosiae, che offrì nel 1513 a Vittoria Colonna (v. avanti, al n.° 8). Adunque circa il 1478, sui 26 anni, si ordinò prete per le mani (dice egli stesso nel P eri archon) dell’eccellente patriarca Maffeo Gerardo camal dolese,2 che lo amava come un Aglio, e, pure studiando e componendo i libri che ho detto, prese ad esercitare il ministero con un zelo, da cui in seguito ci apparirà ripreso una volta sola per poco più di un anno a S. Severina nel 1509; e si segnalò e fece stimare ed amare tanto dai Veneziani, che lo nominarono ancora giovane ad una collegiata, il fatto è verissimo: ce lo prova e ne fornisce la data esatta col titolo della chiesa l’ordine del Senato Veneto, in data 5 ottobre 1481, all’ambasciatore in Roma di otte nere che il papa confermasse al luogo del « Mortuo nuper Ven. Presb. Dominico Nigro Plebano olim Sancti Ioannis Decolati huius urbis... Ven. Artium Doctorem Presb. Franciscum Nigrum Virum probata vita moribus integris gratissimum et acceptissimum omnibus... in Plebanum Ecclesiae S. Ioannis Decolati iuxta nominationem Parochianorum... » . 3
grantis oculus propter varias terrarum mariumque intercapedines brevissimumque vitae curriculum cernere non potest, stantis tamen praesentaneum contempletur. Has inter, cum alii difficillimas mapparum vermiculationes ediderint, partim cosmographias et geographias diversas, partim chorographias et topographias referendo, caeteris tamen comodiorem facilioremque editurus est Franciscus Niger in hunc modum eundemque bre vissimum, quod p a n to g e o g r a p h o n appellabit ». Così modestamente il Negro fa parlare Adamo con la B. Vergine nel f. 38P, prima di esporre il «N ig ri Pantogeographon». 1 Ha in , *14108, 14109; Catalogue o f Books printed in thè X V tìl Century now in thè B ritish Museum, V, 195; VI, 820; B. Boncompagni, Delia vita e delle opere di Ghe rardo Cremonese... e di Gher. da Sabbionetta, p. 79sgg., che non diede alcuna notizia del Negro, benché egli fosse così minuzioso e diligente. Francesco nella Cosmodyst. cita l’uno e l’altro autore («Io . Anglicus» nel f. 333r), ma vi scredita il libro del Cremonese. Così nel f. 89T: « Theoricae autem astronomiae cum multi ubique codices tura publicis tum privatis lectionibus decorentur, ille imprimis reiciendus est qui a Geihardo Cre monensi editus tantum invaluit, ut qui (f. 90”) eius theoricas ignoret, totam pene astro nomiam ignorare fateatur necesse iudicetur: cuius quidem opus tantum valet quantum eius supra ducentos notabiles errores meriti sunt. Sed qui planetarum theoricas recte percipere cupit, legat novum Georgii Purbachii opus, quod nuper impressum tamquam e tenebris opera divini Ioannis de Monteregio in lucem emersit ». Cf. H ain , *14110-*14114; Boncompagni, p. 99. 2 Su lui v. G. B. Picotti n ell'A rch ivio della lì. Soe. Rom. di Storia P a tria , XL1V, 97 e 136, n. 1; J. Schnitzer, Peter Delfin, p. 33, 106 sg. 3 Cornelio, Ecclesiae Ven., XJV, 335. Nel linguaggio ricercato del nostro Negro, se i semplici preti venivano indicati colla denominazione « flaminum dialium » (v. sopra, p. 44), non sorprende che gli arcipreti aventi cura di anime, come il pievano, siano detti « arehiflamines » (Cosmodyslych., ff. 104T, 106r).
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PRETE E PIOVANO : I P R IM I SCRITTI
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Il tenore dell’ordine è tale da non recare meraviglia il racconto di Francesco, che alla prima vacanza del vescovado di Veglia, prossima a Segna città dell’avo e del padre, egli abbia cercato quella sede e i Vene ziani fossero dapprima disposti a nominarlo come persona gradita. Ma non di più sorprende il seguito, che cioè il Negro sia dipoi caduto in sospetto di quei Signori, perchè cugino del tiranno spodestato di Veglia — cinico sprezzatore d’ogni legge, fuggito contro i patti da Venezia presso l’ imperatore,1 il quale l ’aveva in quel torno fatto loro raccomandare dal suo inviato Alessandro vescovo di F o rlì,2 a cui il Negro,' come vedremo, aveva presentato un dono con una elegia, — e non solo non abbia otte nuto il vescovado ma sia stato punito (« varia paena mulctatus ») come se avesse mirato a farsi vescovo di colà per rimettere il cugino nel suo antico dominio, e solamente in tal modo essersi « purgato da quel so spetto ». I Veneziani furono sempre sospettosissimi e inesorabili, nè bada vano a persone, quando temevano di èssere traditi o comunque minacciati nei loro interessi, come mostrarono in tante occasioni, ad es. poco dopo, nel giugno 1484, quando adombratisi della nomina ad arcivescovo di Benedetto Soranzo lo imprigionarono non ostante che per loro si fosse moltissimo esposto nella lotta con Sisto IV, 3 e poi nella nomina a pa triarca d’ Aquileia del notissimo umanista Ermolao Barbaro loro amba sciatore in Boma.4 Così secondo la « V i t a » , scritta una trentina di anni dopo, dentro una grossissima opera diretta a Leone X non veneziano, in cui meno potè temere di attribuire ai Signori Veueti quella sua disavventura, non ripa rata ancora, e forse piuttosto s’immaginò che il dirlo apertamente e di mostrarsi una vittima del potere civile gli avrebbe giovato ad ottenere l’agognata promozione ecclesiastica. Ma non così aveva presentato la cosa il Negro in un passo cancellato del P e ri archon, libro diretto ad Ago stino Barbarigo doge (1486-1501), che al tempo della prigionia era del consiglio dei Dieci ed avrebbe con la sua approvazione concorso a far cassare l’iniqua sentenza e a liberarlo ; 5 passo con notizie nuove ma che è troppo imbrogliato da successive variazioni di sostanza, per comprendere bene le quali bisogna avere un’idea dell’opera, della sua composizione primitiva e dei rimaneggiamenti fattivi in nuove circostanze dall’autore, e che perciò riporto e illustro un poco nell’Appendice, p. 53* sgg., anziché a questo punto dove il farlo disturberebbe. In codesto passo, che direi una digressione volontaria, portando la propria condanna ingiusta a prova della necessità e del· dovere di sce gliere giudici giusti, narra di avere ricevuto l’ordinazione dal patriarca 1 Su lui cf. V inciguerra citato sopra, p. 29, n. 1, e V assilich cit. a pag. 30, n. 4. “ Vedasi l’istruzione in P astor, Storia dei papi, vers. A. Mercati, II, 782. 8 Cf. Dalla Santa nel Nuovo A rch iv. V e n ., XXVIII, 334 sg. 4 Cf. Ferriguto, Alm orò Barbaro, 444 sgg. 6 « te etiam, faustissime princeps, eo tempore decemviro aequissimo comprobante, in libertatem emissus sum, iniqua sententia correcta». V. Appendice, p. 54*.
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PESCENNIO FRANCESCO NEGRO VENETO
Maffeo che l’amava come un figlio, di essere stato preposto alla collegiata di S. Giovanni Decollato e che nel maggio 1483, mentre s’aspettava la no mina a vescovo di Veglia da parte dei Veneziani, per l’opera di un emulo, ascoltatissimo dal patriarca, ma non dice sotto quale pretesto, fu impri gionato, torturato e (bisogna concludere dal contesto) condannato ; minac ciato inoltre di peggio se avesse aperto bocca. A tale minaccia egli si ribellò, ma dovette, per giungere a persuadere il patriarca del torto rice vuto e giustificarsi, comporre un grande volume De humanae conditio nis miseria, che ottenne l ’effetto, essendo stato prosciolto e rimesso in libertà, ricevendo anzi poco di poi — non dice da chi — la promessa di un bene molto maggiore e migliore (suppongo un vescovado meglio prov veduto e più importante) che però era ancora da venire al tempo della redazione del passo, dieci e più anni dopo, e che non venne mai. Insomma, se non vi fosse stato quell’accenno finale al favore del Barbarigo, uno dei X, la si sarebbe detta una causa trattata puramente nel foro patriar cale, e che in questo foro erano state commesse la violenza e l’ingiustizia, e si era tentato financo d’impedirgli che informasse il patriarca; in altri termini, che il Negro era stato vittima dell’iniquità di un giudice eccle siastico e d'intrighi presso il patriarca, e che se ne uscì alla fine, fu grazie alla lunga opera composta in prigione e all’intervento del decemviro Barbarigo « comprobante » la liberazione. Quale delle due « versioni » sarà la vera o la meno lontana dal vero? Se non indovino male, non sarebbe da escludere totalmente nessuna delle due, e direi che la parte principale nella prigionia e condanna di Fran cesco fu dei Signori Veneti ; ma che probabilmente ad alienarli ed aizzarli si adoperò qualche rivale ecclesiastico o congiunto di questo, toccando accortissimamente il tasto delicato della stretta parentela di lui col pre tendente e ribelle Giovanni Frangipane, con che si era sicuri d'impedire frattanto la scelta di lui a vescovo di Veglia e di renderlo sospetto per sempre, e ne aveva persuaso forse anche il patriarca, o per lo meno gli aveva reso quasi impossibile d’intervenire fino a cosa abbastanza schiarita, come sembra abbia fatto in seguito alla difesa mandatagli dal Negro. Così si spiega meglio anche la condotta posteriore del patriarca e dei Veneti: quella del patriarca, che pur vissuto ancora quasi dieci anni non osò o non potè riparare il danno, sofferto da Francesco, non solo del l’esclusione dal vescovado ma della deposizione altresì da pievano di S. Giovanni Decollato, danno che, al dire di Francesco, egli avrebbe lar gamente compensato se nel conclave di Alessandro VI fosse stato eletto, come taluni si aspettavano,1 ciò che m’inclina a supporre che la pro messa di una riparazione era stata fatta da lui; e la condotta poi dei Vene ziani, in quanto che da essi, non ostante il P eri archon, un’esaltazione del loro Governo e Stato come uno dei più perfetti ed esemplari, e non ostante la premura che il Negro ebbe di mandarne copia al doge Bar1 Gf. Schnitzer, P. Delfln, p. 107 sg
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barigo, e poi al doge Loredan, egli non ottenne mai più nulla di nulla, e trovò anzi l ’aria di Venezia così poco respirabile per lui, che ne uscì e, se mai v i tornò, non vi si fermò più. Questo direi a ll’ ingrosso, nella sostanza: quanto alla misura delie parti o delle responsabilità e alla natura e particolarità del processo o dei processi è inutile almanaccare : solo il ritrovamento degli atti o di altri documenti idonei o della difesa composta in prigione ce lo rivele rebbe, e fino a un certo punto. Poiché la disgrazia avvenne precisamente nel maggio 1483, come il Negro stesso per buona fortuna notò in modo da non lasciar dubbio, indi cando l’anno non con gli arzigogoli di un antiquario pedante ma nell’era comune, e non in cifre nè in sigle ma in numerali scritti per disteso, rimangono insieme stabilite d’un colpo le date approssimative: 1) della morte di Nicola vescovo di V e g lia 1 e della votazione del successore, — primavera del 1483, al momento più acuto e quindi il più ombroso della lotta di Venezia con Sisto I V ; 2 — 2) delia durata del parrocato di Fran cesco a S. Giovanni Decollato, — un anno e mezzo o poco più, — e 3) del cambiamento capitale della sua vita. Ora non sarà ozioso osservare che un paio di mesi prima era venuto a Venezia in qualità di straordinario « oratore presso l’ illustrissimo Senato Veneto » dell'im peratore Fede rico III, Alessandro vescovo di Forlì, nunzio pontifìcio in Germania dal 1470 in poi,3 con la commissione fra le altre di raccomandare alla
1 La data esatta della morte di Nicola «Valentini de V egla », vescovo dal 1457, non si conosce esattamente: Eubiìl, II2, 268, la pone circa il 1484, appoggiandosi alla data della nomina pontificia del successore Donato De Torre, che pigliò dalle schede del Garampi, e non dalla bolla stessa in data 17 dicembre 1484, la quale sta nel Regest. Vatic. 702, f. 118. Questa ricorda semplicemente l ’ «ohitum eiusdem N icolai», senza far capire se recente o avvenuto da tempo, e senza accennare se vi fu un’elezione frammezzo; elezione che del resto, anche se fu attentata dai Veneziani, sotto l’interdetto nel 1483, non sai ebbe stata tenuta valida da Sisto IV, per la ragione che la nomina era stata riservata alla S. Sede, come, si dichiara nella bolla. 2 Cf. Pastor, II, 550 sgg. 3 Alessandro, nunzio pontificio in Germania dal 1470 al 1483, sulla fine del 1482 fu mandato da Federico III come suo oratore a Mattia Corvino (v. il breve di Sisto I I ’ 10 gennaio 1488 al re, in RAYNAi,n.,"an. 1483, n. LI!, dove male si legge « Alfonsus... » in vece di « Al. ep.m Forolivien. » che sta nell’originale dell’Archivio Vaticano, Arni. XXXIX, 15, f. 153v) e a Venezia; a Venezia per tentare di riconciliare con Sisto IV la Serenissima, irritata per la pace conclusa dal papa nel dicembre 1482 con Napoli, Milano e Firenze (cf. R omanin, Storia documentata di Venezia, IV, 410 sgg, ; G. dalla Santa nel Nuovo A rch ivio Veneto, XVII, 217 sg., XXVIII, 327 sgg.; P astor , II, 544sgg.). Egli fu in Venezia nel marzo 1483, e il 14 propose una mediazione, ma in vano; dopo avrebbe invece fatto «conoscere alla Repubblica come S. M. lungi dal dare ascolto alle suggestioni de’ suoi nemici, sarebbe anzi disposta ad entrare con essa in-alleanza» (R omanin, IV, 412: in E. Piv a , L a guerra di F erra ra del 1482, periodo secondo, 25 sgg., non c’è nulla che illumini sull’ambasceria). Dove Alessandro sia stato e che cosa abbia fatto nella prima vera, non ho finora trovato: solo ho saputo da un breve papale del 27 marzo a lui, che aveva una causa con certi signori di Forlì per un molino, rimessa per la decisione al governatore di Cesena, il quale però frattanto doveva soprassedere (Archivio Vat., 4
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Serenissima l’antico tiranno di Veglia Giovanni Frangipane, profugo da Venezia alla Corte Cesarea, e che il Negro — qualunque poi fu il suo fine — aveva cercato di porsi in relazione coll’inviato mandandogli un dono con una elegia, di cui si farà menzione più sotto. Tale passo non è temerario sospettare che abbia potuto servire agli emuli di pretesto per sollevare o per confermare i sospetti contro Francesco e indurre a porlo sotto custodia e sotto processo come connivente col cugino, non ostante che Alessandro avesse cercato di mostrarsi favorevole ai Vene ziani e disposto ad appoggiarli presso l’imperatore. Comunque, la prigionia durò per mesi, giacché il Negro dopo la con danna ebbe il tempo di comporre in carcere il « magno volume... De humanae conditionis miseria » per giustificarsi; onde sarà difficile porre la sua liberazione prima dell’autunno, anzi dell’autunno avanzato, però non molto dopo, stante che dentro l ’anno (pare) si recò da Padova a Roma in cerca di fortuna. ’ Del breve periodo, in cui Francesco fu pievano e trattenuto in Ve nezia, all’infuori del libro De humanae conditionis miseria conosciuto solo di titolo, che il Negro stesso non registrò fra i propri scritti, ma che si può supporre un primo, lontano punto di partenza, forse un nucleo della Cosmodystychia, io non so se rimanga altro scritto fuori della citata « Ad Amplissimum Pont.ificem Alexandrum Amatum Foroliviensem Episcopum, apud Illustri ssimum Venetum Senatum Oratorem ifacundissimum, in munusculi cuiusdam oblatione, Francisci Nigri Veneti Doctoris elegia », che stava in un codice cartaceo di memorie della famiglia Amadi lasciate da Francesco Amadi veneziano, esistente presso S. E. Piero
Armar. XXXIX, 15, f. 226v), e ho visto nel breve dell’l l aprile l’annuncio della venuta di Antonio « Gratiedei noster et imperialis orator», che doveva riferirgli da parte del papa alcune cose (ib., f. 241v), e in quello del 14 la restituzione della facoltà di disporre « de Prepositura Novemburg. » venutagli a mancare « in generali revocatone reservationum a Nobis facta » (ib., f. 242v). Dopo il 22 luglio era sulle mosse per la Germania, e in Portonaone (Pordenone) gli si doveva unire, evidentemente come d’accordo, Seba stiano Badoer l ’inviato del doge Mocenigo a Federico ili. Se si dovesse prestare piena fede a ll’istruzione del doge, il nunzio, lungi dall’impedire il tentativo di appello ad un concilio generale, si sarebbe mostrato disposto a favorirne presso l ’imperatore la con vocazione, preferibilmente in Germania (« et in hoc uteris favore r.mi dom. euisc. Forliviensis qui ampie se obtulit quieturum suam M.ton quando maxime ex convocatone Conciti, cui incumbendum est posthabitis huiusmodi difficultatibus, sua paternitas et tu ostendere poteritis illam esse consecuturaìu longe maiora beneficia cum honore et gloria sua quam sint dieta castella que nullius sunt utilitatis ». P astor , li, 782); ciò che Sisto IV, se l ’avesse saputo e creduto vero, cioè detto sul serio e non per furberia diplomatica, non gli avrebbe di certo perdonato. Già al 3 settembre il papa gli aveva dato pei1successore a Forlì il forlivese Tommaso Asti (Archiv. Vate., Obligat. et solut. 84A o 308, f. 182r; e cf. nell’Armar. XXXIX, 16, f. 26y, il breve del 17 settembre). Alessandro quindi sarà morto prima del settembre, se non lo si vuole a pura congettura supporre deposto, ma nessuno l’ha mai pensato e detto. Si corregga quindi in U g h e lli , Ita lia s a cra ,1II, 584; E ubei., II2, 155, l’anno (1485) della morte di Alessandro e della nomina del successore.
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LA PRIGIONIA
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Gradenigo al tempo di G. degli A gostin i:1 durante la rettoria Francesco, che amava il ministero ed il coro ed era volto allora verso un avvenire prevalentemente ecclesiastico, avrà composto meno. Del « flebile carmen » 2 al vescovo Forlivese merita considerazione il titolo, per l’esattezza della nomenclatura conveniente appena al primo semestre 1483, e perchè vi è nominato « Amati » quel vescovo di Forlì, che si suole chiamare Numai. Se questo secondo cognome non fosse da più parti attestato, 3 avrei creduto alla probabile esattezza dell’altro: ma poiché non mi pare che si possa dubitare del cognome Numai, convien dire o che il Negro stesso a orecchio lo prese per Amai, secondo che anche volgarmente dicevansi gli Amadi o Amati, oppure che il raccoglitore, malsicuro ma sospettato più del giusto, delle Memorie Amadi 4 l’abbia alterato per temeraria ignoranza o per vanità di famiglia o per un pre giudizio qualsiasi. PARTE II IL NEGRO FUORI T)I VENEZIA
Nel 1483 finì la prima e più felice parte della vita del Negro e ne co minciò una nuova, totalmente diversa dalla precedente e da quella che i pronostici gli avevano fatto sognare. Quella disgraziata primavera in vece di un tranquillo vescovo umanista, come furono tanti allora, fece di lui un perpetuo, insoddisfatto vagabondo, ora professore a disposi zione di chi l ’avesse voluto condurre, ora cortigiano sopportato al servizio di questo o quel potente, con le incertezze, amarezze e pericoli morali delle corrottissime corti d’allora; forse anche produsse o aggravò in lui quello squilibrio mentale, che la malattia, già notata nella vita di S. Teodosia dall’Agostini, li, p. 474sg., e certe stranezze sue rivelano abba stanza. La nuova vita si divide in tre periodi: A) Francesco insegnante senza insegnamento stabile, errante per lo più nel e al nord-est d’ Italia (anni 1484-1494); 1 N otizie S critt. F é»., II, p. 486, nota b. 3 Cominciava: « Parthenio saturate sinu cui flebile carmen |Surgit et alterno clau dicai usque pede». Tanto e non più ne riportò l ’Agostini, 3 Rinunciando a citare stampati addurrò solo l’indirizzo della lettera autografa in data «P ap ié X III Iulii 1472» che sta nel Vatic. lat. 9064, f. 278, e principia: «Como scripsi a V. S. R.ma ritrovandomi al Borgo Sancto Donino et mandai la lettera per uno cavallaro che veneva di Francia da Niceno » (Bessarione) : « R.
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pescar fortuna finché era in tempo —.aveva già 53· anni, — e non ¡spe rando meglio cercò d’avere quell’altestati) di nobiltà della famiglia, che lo mostrava non un affamato qualunque ma un personaggio meritevole della maggiore considerazione e benevolenza, come d’origine nobilissima e come maestro di così grande principe e.'così grande ecclesiastico. E nella risoluzione avranno concorso fors’ ancbe1l ’irrequietezza e la smania di va gare ... e fare il dovere di protonotariò com’egli se l ’ era immaginato. Dal canto suo Ippolito, non mai avido, e molto meno allora, di sfrut tarne la dottrina e la compagnia (ne ajnava ben altre), e che già in addietro l’aveva lasciato per notevoli tratti prendere incarichi presso altrui o l’aveva ceduto egli stesso, e ora se ne servava da maestro di casa e computista,1 poiché « di quando in quando rinnovava il personale, come vien testimo niato dalla satira a Galasso (v. 259-261) » dell’ Ariosto,2 non si sarà de solato di perderlo, se pure non ebbe piacere che l ’ uomo, piuttosto bizzarro e malcontento, se n’andasse da gè contentandosi di tanto poco; e natu ralmente avrà abbondato in queU’attestato o privilegio che gli costava nulla, mentre il nobile spiantato Jo ricevette come un monumento prezioso da serbare sempre « bene e pudicamente ne’ santuari » suoi. È giusto annotare che il Negro, per quanto ho visto, non si è mai lamentato d’ Ippolito, almeno apertamente, anzi nel nostro passo, seb bene non ne parli con l ’entusiasmo con cui gli si rivolse in un rima neggiamento del P eri archon (v. Appendice, p. 56*), lo dice « clementis simo, pientissimo » : nè, pur avendo veduto quello che di certo non potè non vedere in lui e nella sua corte, vi ha accennato in modo che si ca pisca. Però è dà notare insieme che proprio durante i : servizio dell’Estense, Francesco, dovunque poi fosse, compose parte della Cosmoclyst.,3 in cui
* Il ferrarese L. Gii. Gyraldf, Opera, II. 563, anziché per insegnante d’Ippolito lo conobbe quale famigliare e maestro di casa di lui e vissuto in Ferrara molto a lungo: « Hic cum Hippolyto Estensi primo cardinali amplissimo et Illustrissimo adhaesisset, ab eo protonotarii dignitate et domus suae magistratu insignitus est... diutius Ferrariae veisatus est». Catalano , però, non ne ha trovato il nome nei registri dell’amministra zione del cardinale, o almeno non l'ha notato. E pare che non sia stato notato nemmeno nelle lettere di Bernardino Prosperi a Isabella Gonzaga d’ Este. 5 Catalano , I, 191. 3 Infatti nel libro 4, f. 117v, dove Francesco in ultimo ha scritto: « Chi sunt Estenses Marchiones? qui ab Azone primo de domo Gonzaga ad Alphontium presentem tertium Forariae ducem per tot temporum curricula sunt dominati», prima vi aveva detto: «a d Herculem pres. secundum For. ducem » (-|- 1505, 36 gennaio), e nel f. :118v sg., parlando dei Sommi Pontefici, « qui per annos mille quadringentos et o c t o g i n t a Christianam remp. sanctissime gubernarunt », prima aveva contato «... septuaginta », ciò che riporta dal 1513, in cui diresse l’opera a Leone X, al 1503 in cui era pervenuto a quel punto (1470 + i 33 anni di N. S. = 1503). Parimenti nel libro 7, f. 26iv, notando l’ « Error anni 1504 » (così al margine) nel giorno della pasqua aveva scritto, e poi mutò come ho segnato tra parentesi: « ut hoc anno sequenti [precedenti] millesimo quingentesimo quarto [de cimo in m arg.] faciemus [fecimus]: in quo cum iuxta patrum et superioris institutionis decreta pascha nostrum die ... aprilis [tricesimo p°, con·., sembra, da ultimo, martii] celebrari debeat [deberet], illud tamen septimo [cancellato e ris critto ] aprilis die cele brabimus [- avimus] », dimostrando di nuovo ohe scriveva nel 1503, e che ritoccò questo
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P È S C E N N lO FR AN CESCO NEGRO VÉNETO
tanto male dice della sorte degli aulici (v. p. 55 sg. e 76, n. 2) e dei vizi gravissimi del tempo, vizi culminanti nelle corti, in quelle stesse che avrebbero dovuto dare il buon esempio. 0 l’affezione o la prudenza o la paura l’avranno trattenuto nell’esprimersi, per non guastarsi con potenti vivi, ai quali la sorte poteva costringerlo di nuovo a ricorrere, come ap punto capitò al Negro nel 1515. [Il punto qui gravissimo dell’uscita del Negro dal servizio dell’ Estense vari anni prima della guerra di Ferrara non mi sarebbe costato tanta pena a fissarlo contro il racconto del Negro stesso, se avessi conosciuto la lettera da Roma 26 febbraio 1508 al cardinale, che il Rev.do Sac. D. Pietro Galavotti mi ha trovato e trascritto. Il Negro vi supplica di essere ripi gliato in servizio fino alla morte, imputando a crudeltà della fortuna l ’es sere stato c a c c i a t o « prima da Ferara per penuria et morbo, non però sencia licenzia del locotenente » del cardinale « absente » ; poi da Roma « a Barri, dove tamen in poco tempo ho fatto assai docta » la figlia della duchessa di Milano ; e di nuovo a Roma al « car.le de San Marco, dove ad sua istantia ho facte alcune operete. » V. Appendice, p. 65*. Dunque la partenza da Ferrara risaliva a tempo abbastanza conside revole prima del 1508; e poiché si dice che avvenne in assenza del car dinale e per i due motivi delia « penuria et morbo, » *1 da intendersi per carestia ed epidemia (e non già che fu licenziato per non dargli da man giare e perchè ammalatosi), fa d’uopo riportarla alla seconda metà del 1505, in cui fame, peste e tifo infierirono a Ferrara e altrove,2 e Ippolito per motivi diversi stette quasi sempre fuori di Ferrara, mentre vi rimase quasi sempre dal 28 dicembre 1505 al 29 aprile 1507. 3 Ne risulta insieme che il Negro non fu rimandato dal cardinale stesso, ma si partì volontariamente, ottenendo la licenza dal locotenente del car dinale. Il quale non allora, ma dipoi, ad istanza dell’interessato, gli avrà concesso il diploma o attestato della sua condizione di nobile decaduto]. Indicato così l’ordine, in cui sono da intendere le notizie fornite dal Negro circa la propria vita durante il servizio del cardinale d’Este e fis satene alcune date con sicurezza, suppliamo qualche notizia risultante da altre parti. punto nel 1511, e forse di nuovo ancora, e che s’imbrogliò ne’ suoi calcoli. Di qui pure i mutamenti già segnalati (v. p 42, n. 1 e 2) e da segnalare (p. 97, n. 3) nel numero degli anni d’età, insegnamento e indigenza propria, come pure nel numero dei suoi scritti. 1 Sarebbe troppo generoso supporre in lui, che abbia preso la decisione per orrore di certi scandali? Comunque, non direi che fu dopo il barbaro attentato del 3 novembre 1505 contro Giulio d’Este e Tecclissi del mandante Ippolito (v. A. Luzio in A tti e memorie della II. Accad. V irgilia n a di Mantova, N. S. V, 62 sgg. ; Catalano , I, 237 sgg.; B ac'Chellt, 11. 28 sg., 158 sgg., 179), perchè il differire la partenza al declinare del 1505 pare non lasci il tempo occorrente ai servizi raccontatici a p. 82 sg. 2 Sanuto , VI,188 (giugno), da lettera del vicedominò: « Come de lì è gram carestia, e muor le persone su le strade dijfame, il dueha... non fa provision alcuna ». Cf. Corradi, Ann. epidemie, 665 sgg. ; 2883 sgg. ; Bacchiìlli, II, 134 sgg. 3 Cf. Ca t a l a n o , li, 392.
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TE N T A ANCORA DI ANDARE A U D IN E
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Di « alchune ineptie » mandate a Tebaldo Tebaldi, insieme col « pro gnostico in verso elegiaco directo al nostro serenissimo Duca » Ercole 1, circa i primi del novembre ,1494, poco dopo l ’arrivo in Ferrara, basta fare memoria e rilevare l’arte del cortigiano astrologo, che conosceva la credulità del duca e del Tebaldi nell’astrologia.1 Piuttosto si amerebbe sapere se curò egli stesso la stampa del Firmico Materno, dedicata al card. Ippolito in data Ferrara, 29 agosto 1497, ma pubblicata dal Manuzio nell’ottobre 1499, e se frattanto rimase qui in Italia tutto il tempo o in parte, oppure ne lasciò il manoscritto al tipografo e non pensò ad altro; nel qual caso avrebbe potuto tornar fuori d’Italia e restarvi perfino due buoni anni, dalla primavera del 1498 al 1500 inoltrato. Io però inclino a credere che rimase qui per un certo tempo almeno, poiché circa il 1498 rinnovò il tentativo di ottenere l ’ insegnamento pubblico a Udine. Ce n’è la prova nella risposta del conte Iacopo di Porcia al servita frate Iacopo Filippo « Andro. » che gli aveva raccomandato l ’eruditissimo Francesco Negro. Questa volta il conte non si scusò come la prima volta : al contrario scrisse al frate di promettergli in suo nome ogni aiuto ed opera, ma che al momento in Udine non c’era luogo per lui. 2 Tale risposta sussegue (dopo una lettera a frate Angelo Aretino) la gratulatoria del Porcia a Iacopo da Capesaro, vescovo di Pafo, maestro di casa del card. Domenico Grimani, per la nomina del suo padrone a patriarca di Aquileia. Ora questa nomina fu fatta da Alessandro VI il 13 settembre 1497.3 Dunque il tentativo dovette essere di quel tempo all’ incirca. 1 V. Appendice, p. 60* e 62* sg. Cf. Bertoni, L ’Orlando P u r., 133, 255 sgg., 261. 2 Opus epist. famil.,. libr. Ili, f. x l ix : «eruditissimo Francisco Nigro, quem tua quoque causa commendatum habeo, omnem nomine meo et opem et operam pollicere: Utini tarnen in praesentia ei haud locus esset». Quel frate fu senza dubbio Giacomo Filippo Androfilo o Landrofllo da Ferrara ( f 1529 c.), che al 18 marzo 1496 fu nominato da Alessandro VI predicatore apostolico e procuratore dell’Ordine, e tenne il 21 seguente davanti al papa un discorso De exeellentia christianae relìgionis (Gia n i , Annales Ord. Serv., 1*, 630; e cf. Bürckardi, I, 598 con una nota del Celani affatto sbagliata) e nel 1509 era defìnitore della Marca Trevigiana. Su lui cf. A. F. M. P iermejus, Memorabiliu m S. 0■ Serv. B. M. V. breviarium , III, 158 sg. (« Andropholus »); P. M. Soulier nei Monumenta Ord. Serv. S. M., XIV, 77 sgg. ; XVI, 8. Secondo F. L auchert, Die ita lienischen literarischen Gegner Luthers, p. 678, n. 5, il Landrofllo « Auf dem Gebiete der Polemik wohl nicht schriftstellerisch tä tig ». Uno scritto di lui c’era già del 1495 nella libreria del duca Ercole I : « 194. Frater Iacobus Philippus Androphilus [come nel Porcia] coperto de corame negro in cartoni basso » (G. B ertoni, L a Biblioteca Estense e la coltura Ferrarese ecc., p. 242). Può essere che l ’Androfiio, già procuratore, abbia scritto al Porcia da Roma in seguito a sollecitazione fattagli quivi da Francesco nel dicembre-gennaio 1497-1498. * Eübel, II, 2 92, dagli Acta Camer. dell’Archivio Concistoriale, 1, f. 79 (57)”. — Dall’opuscolo dell’ Ongaro, pp. 66-73, appare che gli Uranii non soddisfecero e se ne an darono nel 1496; che nel 1497 e 1498 insegnarono Daniele Gaetano da Cremona e il vecchio Francesco Diana; che al termine del secondo anno congedato il Diana, il quale restò solo provvisoriamente (fino al marzo 1500!), si tentò ma invano, verso l’ottobre 1498, di avere il Maturanzio, allora a Venezia, e nell’aprile 1499 Giambattista Scita da Padova, e che nell’ottobre 1499 se ne andò anche Daniele. Non sorprenderebbe che in alcuno di quei mutamenti qualche udinese abbia avvertito e indotto Francesco a farsi avanti, o egli stesso, saputone, di proprio moto l’abbia tentato.
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P E SC E N N IO FR AN CESCO NEGRO VENETO
Io credo che al medesimo tentativo anziché al primo del 1493 1 spetti la lettera del Negro stesso a Marco Antonio Sabellico « Ex Antenoriis porticibus », in cui dice che « Ùtinenses tui me nuper in Academiae suae oratorem evocarunt. At quia factione, ut scis, plurima ea loca fervent », lo prega istantemente di fare il possibile a favor suo : in fine gli raccomanda altresì : « Periarchon nostrum, ubi et tu quoque decantatus es, apud hos patricios tuos [di Venezia] prò tua humanitate foveto » . 2 Ma non l’affermo perchè la lettera è la quartultima del libro IX, in cui il Sabellico, disgraziatamente, ha messo alla fine, dopo lettere del 1497-98, alcune di proprii corrispondenti che sembrano anteriori, come forse la quintultima, di Palladio Nigro, con una menzione delle consolatorie al Cippico (« nuper »), e la antepenultima, di Cristoforo Barzizio, la quale ri guardando la stampa recente dell’opuscolo di lui De fine oratoris uscito il 7 settembre 1492 3 dev’essere di poco posteriore. A farla tuttavia del tempo di queste due (an. 1492-1493) mi trattengono tanto l’accenno al Periarchon come opera già insomma finita, mentre questa sembra dipen dente da un simile opuscolo di Iacopo di Porcia stampato nel 1493 o 1494 circa (v. Append., p. 45*) e quindi allora neanche sbozzata, quanto l ’af fermazione, se vera e non fantastica, che gli Udinesi l’avevano chiamato, 1 Ma non del 1489, come suppose Ongaro, p. 57: la menzione del P e ri archon mi pare che escluda affatto tale anno. 2 Opera, IV, 441. Nel P eri archon Francesco, lodando i Veneziani perchè sceglie vano ottimi maestri dei giovani, prima nomina ed esalta Benedetto Brognolo, vecchio venerando, amato da tutti per il sapere e le virtù singolari, e poi col lemma marginale « M. Antonii Sabelli (cosi, anche sotto) laudes » continua: « Sed vereor ne, dum hoc luci dum sidus admiror, splendidissimum alterum iubar, quod v e s t r a m [Venetam] recen tius urbem illustrat, ingrato involvam silentio. Convertite parumper oculos vestros, sanctissimi patres, ab eo quem nuper dixi pientisslmum senem, et hunc novum solem advertite, qui in hoc tanti institutoris v e s t r i [omnium] occasu cardinem no b i s [eoum] illustrat novo lumine. Inspicite Sabellum v e s t r u m : v e s t r u m [Venetum: Venetum] inquam, quippe qui, Rhpmana cadente rep., ad quos Rhomanorum similes principes victurus accederet cum nusquam reperire posset preter vos [Venetos] faustissimos duces, et animum omnem v e s t r a e [Venetae] reip. ascriptitium addicit, et v e s t r a [eorum] quoque gesta, remota penitus omni assentationis suspitione, cunctis mundi populis et miranda et summa cum veneratione imitanda litteris commendavit. Hunc sane virum de utraque virtute benemeritum, et Graeco et Latino sermone peritum, sapientem, iustum, fortem, modestum, si coluerint filii vestri, heus bone Iuppiter, et in quantam brevi tem pore frugem evadent, et quam salubrem reip. vestrae moderàtionem enutrient. Taceo Vallensem » (Giorgio) ecc. (Vatie, lat. 4033, f. 77v sg. Le parole fra uncini sono cambia menti o scritture posteriori dell’autore, sulle quali v. Appendice, p. 44*sgg.). Anche nella Cosmodyst., f. 159v, più brevemente ed efficacemente, ma non so se cordialmente, lodando, dopo Mattia Corvino e Sigismondo di Austria (v. sopra, p. 56 e 61, n. 4), i Ve neti per la loro liberalità, adduce l’esempio del Sabellico: « Sed quae melior aut proba tior curia repetitur, quam Illustrissimi Venetorum principis? ubi remoto omni penitus ftagitio, cum summa libertate et animi tranquillitate vivunt omnes, nec minus qua cunque praediti, virtute munerantur. Testis est Sabellicus meus, qui editis ab urbe condita decadibus suis et praesentaneam remunerationem et perpetuum meruit vitae suae cum summo honore et emolumento stipendium». Oh perchè il Negro non potè addurre anche il proprio esempio? 3 H a in , 2667; Oesamtkaialog d. Wiegendritcke, IH, n. 3670.
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AL SERVIZIO D*IPPOLITO ESTENSE I n UNGHERIA E IN ITA LIA
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perchè nel 1493 sette erano stati i concorrenti, e bisognerebbe dire che chi aveva invitato allora Francesco, si fosse illuso e l’ avesse ingannato. Come ho già accennato (p. 42, n. 4), il Negro nel febbraio 1501 com pare a Ferrara quale correttore della Epithome delle vite di Plutarco, fatta dal poeta e cavaliere cesenate Dario T ib erti*1 e da lui dedicata con let tera del 29 aprile 1492, da Montegiuttone, al vescovo Giulio Cesare Can telmo, già governatore di Cesena.2 II Tiberti era diventato cieco, e poi 1 Su lui v. G. Z annori, negli A lti d. B. Accademia dei L in c e i, 1891, Iiendiconti, VII, 69 sgg. Dario mandò nel luglio 1487 ad Ippolito d’Este una bella copia della sua Glosula in terlinearis del Salterio, che ora è il codice Vaticano Capponiano 9, fregiato dello stemma di Casa Este (S alvo Cozzo, I codici Cappon., p. 10, non l ’ha notato); ma l’opera stessa è anteriore per lo meno di un decennio, essendo stata lodata anche da Domizio Calderini (4 1478). s Figlio di Giampaolo duca di Sora e d’Alvito; vescovo di Montepeloso (20 marzo 1482-12 gennaio 1491: E ubel, II, ’ 192 sg.); « annos vix natus .XXIIII. e patria et ditione iniuria pulsus et extorris»,d a Innocenzo V ili « ad tumultuantem odio intestino ardentemque bello civili Umbriam pacandam regendamque destinatus » (Equicola, cit. sotto) ; poi governatore dell’Emilia a Cesena (14 marzo 1490 [Regest. Vatic. 695, f. 281-283r]-1492) e vescovo di Nicea (Nicense in R. Z azzeri, Storia di Cesena, p. 382 e 394), ritiratosi pare, a Ferrara, dove s’era stabilito e primeggiava il fratello Sigismondo, pure profugo. Là compare testimonio ad una laurea in utroque il 14 gennaio 1495 (P ardi , T itoli dot torali, p. 97), e di là venne a Roma al cadere del 1497 col cardinale Ippolito d’Este (B urckardi, II, p. 61: « Iulius Cesar Nicenus», senza una nota illustrativa del Celani). A lui l ’ Equicola, segretario della cognata Margherita Cantelmo moglie di Sigismondo, dirigeva circa il 1498 il Libellus de Religione e VOratio Papiae dicta M .IT.D, e poi 1’ Ovatto De passione D om ini dicta M ediolani U H . calend. A p rilis M. I. D., che il vescovo fece stampare, dedicando i due primi opuscoli al card. Ippolito, e l’ultimo a Ludovico il Moro (cf.‘ D. Santoro, Della vita e delle opere di M. Equicola, 40 sg., 116-122), come poi nei 1501 fece stampare l’Epithome Plutarchi, dedicandola al fratello. Non co nosco posteriori atti di lui: solo so che per lo meno nel 1514 e 1515 compare vescovo niceno un Giovanni (Archiv. Vatic., Introitus et Ex., 554, f. 16, già 29, con rimando al volume precedente, ora mutilo della carta a cui si rimanda). NeWEpithome Plu ta rch i, dopo la dedica del vescovo a Sigismondo, ce n’è una dell'Equieola predetto al vescovo, in cui loda il duca padre e i quattro figli: « Alphonsum... Ferdinando regi Siciliae acceptissimum prudentissimum [su lui cf. L. V olpiceli,a , Regis Ferdinandi p r im i Instruct., p. 294 sg.];... Sigismundum Hereulis Estensis Ferrane Ducis alumnum et omnium horarum amicum fortissimum » ; Giulio Cesare stesso, di cui in seguito fa più ampio elogio; e poi « Ferdinandum Io. Galeazii Ducis Mediolani a cubiculo [non si sapeval inter primos temperatissimum », il quale essendo caduto in battaglia nel dicembre 1497 (cf. B. Croce nell 'A rch iv io stor. p er le province Napol., XXII, 696; Santoro , p. 37 sg.), si dovrebbe dire la lettera dell’Equieola anteriore a tal data e alla riconciliazione di Ferd. col re Federico d’Aragona. — Colgo l ’occasione per avvertire che il Santoro non ha conosciuto tale lettera, molto attendibile stante la patria, forse anche l’origine, e le relazioni dell ’Equicola coi Cantelmo, come gli è sfuggita la lettera da Parigi 11 dicembre « M. D. quarto » al cardinale di Volterra Francesco Soderini in lode della- Parafrasi della Physica Auscultatio di Aristotele fatta dal Le Fèvre d’Etaples, presso il quale dice in versi di volere restare: la veggo nell’ed. lionese del 1538 di quella Parafrasi e di altre opere aristoteliche del Le Fèvre. Noto pure che non sono perdute ma rimangono, insieme con la prima, anche la seconda e la terza suasoria contro i Turchi (cf. Santoro, p. 142) nello stampato Vaticano R. I. IV. 862, dell’anno 1519. Aggiungo in fine che l’Equicola compare presente ad una laurea in Ferrara il 7 settembre 1500 ( « Marini-: Equicolus de Trano », così!): v. P ardi, Tit. doti., 107, 6
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r e s c e n n io
Fr a n c e s c o
negro
veneto
non sarebbe stato in grado, di sostenere le spese della stampa. A questa dopo qualche anno ci pensò il Cantelmo stesso, che profugo dal Napole tano viveva in Ferrara, come il fratello Sigismondo, l’ottimo giostratore e guerriero, carissimo al duca Ercole: volendo pubblicar l'opera a onore e lode di questo fratello, ne affidò la cura al Negro. Il quale non tralasciò di segnarsi alla fine: « P. Francisco nigro: Veneto: protonotario ap. u n i c o c e n s o r e » , e di vantarvisi — in una lettera riboccante di frasi le più ricercate ed oscure, con lodi al vescovo benemerito della pubblica zione,— che aveva ridotto « eius... consulentis iussu codicem m e n d o s um in p r i s t i n a m maiestatem » ; ciò che, nonostante l ’esuberanza delle frasi, intenderei della semplice correzione delle bozze, e non d’una corre zione del testo, di cui Francesco avrà avuto in mano l’esemplare stesso mandato dall’ autore al Cantelmo, e molto meno di una revisione e cor rezione dell’ Epitome in confronto delle Vite originali. Comunque, se ne deduce che il Negro fra il 1500 e 1501 dovette trattenersi a Ferrara pa recchio tempo per quella stampa, e vi sarà rimasto sinché passò a Roma verso il dicembre col cardinale. Mi è dubbio invece che vi restasse dopo il ritorno, nel 1503, quando stendeva i libri 4 e 7 della Cosmodystychici (v. p. 77, n. 3) : se non ho male argomentato sopra, p. 74 sg., egli allora sarebbe tornato in Ungheria e restato presso il Bàthory a Vàcz, forse un anno. Sulle due orazioni ferraresi per i funerali di Ercole I e in lode di A l fonso I, che sono del 1505, v. p. 75, n. 1. Che un tempo almeno, più probabilmente nei primi anni di servizio, Francesco abbia pensato di dedi care ad Ippolito il P e ri archon, appare dal passo che verrà trascritto nell’Appendice, p. 56* sg. C) I l
N
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nell’
I t a l ia
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E ora ripigliamo il racconto, non senza osservare la curiosità che il Negro, partendo da Ferrara, non ritorna a Padova, come in passato quando era senza impiego; non si rivolge ai suoi Veneti tanto esaltati; non verso Vienna, dov’era stato ben accolto e fu per esser chiamato pro fessore; non verso l’Ungheria, dove aveva insegnato e ricevuto incarico e canonicato ben ricompensati e doveva avere amici e discepoli ricono scenti; ma si volge al Sud dell’Italia, dove resterà finché ne conosciamo la vita, e in prima a Roma, dove non va già per riferire ai cardinali nella sua qualità di protonotario apostolico sui santi da lui trovati nelle sue peregrinazioni (v. p. 70, n. 3), ma alla cerca di un beneficio che gli permetta di vivere senza pensieri e senza servire i suoi ultimi anni, non ostante che abbia detto e ridetto che i benefici li ottenevano solo quelli che se li compravano. Bisogna supporre che sentisse non più confacenti a lui i climi d’un tempo o se né sentisse escluso.
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N E L L ’ IT A L IA
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8 - Va a Roma presso il card. Domenico Grimani, p oi a B ari dalla duchessa di Milano Elisa e insegna alla figlia Bona. Ritorna in Roma dal card. Adriano. Mandato uditore dell’arcivescovo a Santa Severina, non riesce a succedergli. Insegna a Cosenza e a Paola. Viene a Napoli maestro dei figli della marchesa del Vasto. (Suoi scritti del tempo. L'H istoria e VUfficiatura di S. Teodosia. Le ultime notizie). Tunc cum bona principis mei venia Rhomam profectus, doctissimi et san ctissimi Divi Marci cardinalis Grimani auspiciis adhaesi, donec me Ill.ma Me diolani dux Helisa 1 honorato et magno stipendio ad fliliae 2 litterariam erudi tionem vocat: ubi in Barriano hospitio 3 per annum moratus, id operis tam brevi temporis spatio peregi, ut omnes mirarentur et puellae ingenium supra aetatem insigne et docentis tam festinam institutionem. Peracto demum talis institutionis officio, ubi et Galatheum philosophum utraque lingua peritissimum 4 agnovi, ad quem Themistiam paraphrasin Barbarus 5 emiserat, et David Hebraeum, 6 cui ad tertium quoque heredem et astronomia et medica facultas 1 Isabella d’Aragona, figlia di Alfonso II, moglie di Giangaleazzo Maria Sforza, dopo la caduta di Lodovico il Moro duchessa di Bari, morta nel 1524. Essa « dal 1507 al 1512 si trattenne a lungo ‘ su l ’adriattice onde salse ’, cioè nei suoi domimi di Terra di Bari » : B. Croce, Un Canzoniere d’amore ■per Costanza d’Avalos duchessa d i Francavilta negli A tti della Accademia Pontaniana, X X V III (1903), mem. n.o 6, p. 26, con rimando a L. P epe in A tti e Documenti per la storia della Terra di B a ri, II, 131-140, che non ho veduto. Ma vi fu anche nel 1506: colà nel giugno la visitò Alfonso I d’ Este (cf. Bacchelli, II, 215) : nell’ottobre essa era a Napoli (S anuto , VI, 481). 1 Bona, nata nel gennaio 1493, maritata nel 1518 a Sigismondo di Polonia, ritiratasi di colà nel febbraio 1556 e morta a Bari nel novembre 1557 (v. A. Gisotti , Bona Sforza e alcuni documenti in ed iti in Japigia, 1938, 307-316). Essa attendeva ancora alle lettere nel 1508, quando A·. Galateo le scrisse la stringente esortazione ad esse, da cui B. Croce ne\VA rch iv io stor. per le province Napoletane, XIX, 148, raccolse con un « pare » che ella avesse « a fianco come precettore di lettere latine Crisostomo Colonna, reduce dalla Spagna, dov’aveva accompagnato Ferrante d’ Aragona, figliuolo di re Federico». Bona nel 1508 sarebbe venuta a Napoli per starvi «qualche tem po» (ib., n. 2). 3 Dunque proprio a Bari (v. le note 1 e 2), e non a Napoli nè ad Ischia, dove pure Isabella dimorò per del tempo. 4 Su lui) per citare solo i più recenti, cf. L ynn T horndike, Science and Thought in thè Fifteenth Century, 211-216; B. Croce in Humanisme et Renaissance, IV, 368-382, e La C ritica, XXXVI, 71-76 ; Dina Colucci in Rinascenza Salentina, V, 97-128 (in contin.) ; A. Croce in Arch. stor. p er le prov. Napol., L X ll, 366-393 (dove pure il Galateo lamenta il suo « in vespere vitae exulare... prò victu torqueri... vivere ostiatim »). 5 Ermolao ( f 1493) che gli diresse la parafrasi della Fisica ; ciò che non apparisce dalle descrizioni della stampa in H a i n , *15463-* 15465. Cf. il cit. Catalogue degl’incunaboli def British Museum, VI, 894 ; Ferriguto , A. Barbaro, 129 sgg. La risposta del Galateo al Barbaro fu pubblicata nel 1928 da Scalingi nell’ A rch ivio per g li studi storici della medicina e delle scienze naturali, cit. da A. Croce, p. 375. 0 David figlio del m a e s t r o Jacob Mei'r, della famiglia Calonimo ; astrologo forse di Ferdinando I di Napoli, medico e autore di scritti astrologici e di traduzioni con date degli anni 1484, 1466, 1484, e padre del napoletano Calo Calonimo, medico e autore pur egli di opere e di traduzioni pubblicate a Venezia dal 1523 in poi. Cf. M. Steinschnkider, Catalogus lìbroru m Hebraeorum in Bibliotheca Bodleiana, 1574 sgg., e Die Hebraeisclien Uebersetzungen des Mittelalters, 333, 551, 636 sg., 641; The Jervish Encyclopedia, IV, 464 sg., VII, 426. Se l ’identificazione è giusta come parmi, avverandosi in Jacob, David e Calo l’eredità delle professioni di medico e d’astrologo « ad tertium. quoque haeredem »
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P e s c e n n io F r a n c e s c o
negro
Vè n e t o
insurgebat, Rhomam redii Hadrianique cardinalis *1 inter humanos excell.ml con tubernio susceptus (f. 681r) eius etiam familiae qcodespotem egi. Cuius tandem et Grimani opera, cum me Cernoevichium comitem et pauperem ac patri a et statu pulsum intelligeret Iulius pontifex, in principum profugorum diarium 2 ad aluminis censum pro parcis victus impensis transcribi iussit; quod eius morte praepeditum est. Inde 111.ml Sanseverinatis comitis 3 benignitate Rhoma evocatus, eiusdem Grimani opera a Iulio pontifice Sanseverinatis episcopatus auditorem impetra mus, donec decrepiti Marrhaei pontificis 4 vita superesset. In oppidum cum omni supellectile venimus, ubi tum legendo 5 tum in pontificio templo saepius decla mando et rem divinam faciendo montani populi illius mentes et corda in nos taliter allicimus, ut saepius per fora etiam et vicos Nigrum archipraesulem sa lutarent. 6 Interim moritur Marrhaeus, ilioque defuncto super hac re ad pontificem lit terae destinantur. Sed (heu sortem iniquam) non potuit nuncius noster Iulium convenire, quippe qui (f. 681v) Hostiensi genio vacans nulli penitus adiri pote rat: 7 inde spes iterum mea frustrata iacuit. Eo loco digressum meCossetini8 cives cum satis honesta et liberali condi tione ad pubblicam academiam suam convocant; quod munus non invitus su scepi, cum per Tyrrhenum navigaturus, etiam coram oculis meis spoliatas a piratis naves vidissem et in idem periculum incidere dubitarem. 9
rilevata dal Negro, seguirebbe che David viveva ancora nel 1506 e stava allora in Bari, e che egli stesso può essere il David Galonimo, che scrisse nel 1506 1’ « Anathema Neapoli... vel Monopoli » (S teinschneider, Catal. cit., 1575). 1 II notissimo Gastellesi, sul quale v. B r. Gebhardt, A drian von Corneto (1886); A. F errajoli, L a congiura dei Cardinali contro Leone X (Miscellanea della li. Soc. Rom. di Storia P a tria , VII), 71 sgg., 119 sgg. Quell’intercessione di Adriano presso Giulio II al termine del pontificato, se ci fu, non potè essere che mediata, essendo egli in rotta col papa. Adriano, per usare le parole del Ferrajoli, p. 73, « Benviso a Giulio II, nel colmo della sua fortuna, lo offese e fuggì: si riconciliò per fuggire nuovamente pochi giorni dopo, restando lontano da Roma sino alla morte di lui ». 2 Notare questo accenno ad un registro o ruolo di principi profughi mantenuti dal papa sui proventi delle miniere dell’allume scoperte nel 1462 sotto Pio II. * In marg.; « Andrqas Carrapha», quel medesimo al quale ed insieme alla regina Beatrice Francesco aveva dato certe lezioni su Plinio e la dialettica in Ungheria, dove stette ambasciatore del re Ferrante I dal 1492 al 1497 circa. V. sopra, p. 59. 4 Alessandro della Marra, come si dirà più oltre nel testo. La frase « auditorem impetramus », non so quanto buòna latinamente, qui significa fuori di dubbio: « otteniamo di essere l ’uditore... ». 6 Dandovi lezioni (se bene intendo), e predicando molto spesso nella cattedrale ar civescovile e facendo funzioni; con che mi sembra venga a dire di esservi rimasto un tempo notevole, che realmente fu di circa un anno e mezzo. 6 « Felicem sortem Nigri » ci fa notare in margine Francesco soddisfatto. 7 E probabilmente aveva già nominato il successore nella persona del curiale Gio vanni Matteo de Sertoriis, modenese (W. v. H ofmann, Forschungen s u r Geschichte der kurialen Behörden, II, 191, 192). 8 Così, anche nel lemma marginale : « Gossetia Academia ». 9 Quanto fossero infestati quei paraggi dai pirati musulmani e non musulmani (« quottidianis incursionibus » dice più sotto, col lemma marginale «Pessima hominum conditio ») non occorre provarlo. Il Pajrasio fu spogliato di parte de’ suoi libri da quei predoni. Gf. Prolegomena all’ed. fototipica del De re p. di Cicerone, p. 112, n. 2.
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Peracto igitur anno Paulam veni, 1 ut tandem in Parthenopaeam primum urbem indeque Rhomam me transferrem. Ast illi nugis suis, gerris Siculis fallacioribus, circumventum Nigrum ad publicas quoque lectiones retinuere; quod etiam non invitus annui, cum iterum in piratarum impias munus venire time rem, quos eo tempore videbam littora nostra quottidianis incursionibus inva dere. Moratus sum igitur ibi quasi per annum, licet deceptus et multis insidiis illaqueatus, cum me ad hoc praecipue Illmus comes Careatentis 2 eorum domi nus suis et (f. 682r) crebris litteris hortaretur. Ast misso certo nuncio cum multis evocatoriis litteris me 111.ma Vasti marchesia3 ad filiorum suorum institutionem evocat. Assentior, et relicto Iano Par rhasio utriusque linguae praecipuo decore, atque 111.mo Agelli comite Antonino Sischario 4 et militiae et rei litterariae non mediocri honestamento, quos mihi amicissimos conciliaveram, licet coram Ill.mo Neapolis prorege 5 in publico Se natu referente Careatensi comite ad publicam urbis lectionem adscitus forem, ea tamen conditione et optima et honorifica ad eam liberalissimam principem diverti, a qua accersitus eram: ubi in hunc usque diem-moratus et filios puerulos super aetatis conditionem unius tantum anni spatio in humano studio
1 In marg.: «P au la fallax». Il Parrasio fu a Paola per un certo tempo al de clinare del 1514 (F. Lo P arco, Aulo Giano Parnasio, p. 98), ma potè anche starvi prima nel 1511, benché non se ne abbia altra testimonianza fuori di quella del Negro, il quale del resto non dice apertamente di aver trovato e lasciato il Parrasio proprio a Paola. * Così! Era Giambattista Spinelli ( f 1522), che aveva ricevuto quella contea da Ferdi nando il Cattolico nel 1505. Cf. G. P aladino nella n. 1 della p. 56 di T ristano Caracciolo, Opuscoli storici (R erum Ita l. Scriptores *, XXII, parte I). * In marg.: «Laura Sanseverinia ». Sorella di Berardino, figlia di Geronimo prin cipe di Bisognano (e non già di Roberto III, nato nel 1485, come sta in S. A mmirato, Delle F am iglie N o b ili Napoletane, 1580, Parte I, p. 14; I. W. I ihhoff, Genealogiae vig in ti illu striu m in Ita lia fam iliarum , p. 292), sposata a Inigo d’Avalos marchese del Vasto. Il Negro, maestro de’ suoi figliuoli, ne dovette conoscere bene la parentela. * 11 conte di Ajello, che fu anche protettore del Parrasio e nel 1512 gli diede a edu care i propri figli (Lo P arco, 89, 91, 93). Sulla famiglia Siscar un cenno in B. Candida Gonzaga, Memorie delle fam iglie nobili delle province m eridionali, VI, 171. La G ram m atica Sischaria e la Comaedia Sischaria, che il Negro segna ai n.i 4 e 33 de’ suoi scritti, saranno state la Grammatica da lui dettata a Cosenza o a Paola e dedicata ad Antonino Siscar e una commedia per lui composta. 5 Allora Raimondo di Cardona, viceré dal 1509 al 1522, che fu però assente, e sup plito dal cardinale Francesco Remolines, dal 2 novembre 1511 al 3 maggio 1512 e dal 27 maggio 1512 al 23 febbraio 1513 (cf. D. A. P arrino , Teatro... de’ Viceré del Regno di Napoli, ed. 1770, 1, 35 sgg.). Se presente in Senato fu proprio il viceré stesso, come dicono le parole e come ritengo, e non un luogotenente, la proposta del conte di Cariati sarebbe da mettere o prima del novembre 1511, avanti l’apertura delle scuole, o nel maggio 1512. La seconda data mi sembra più probabile, perchè nel primo semestre del 1512 mo riva « messer Ioan Musefilo, el quale lege la lectione de humanità in lo studio de la cita de Napoli », e gli succedeva Pomponio Gaurico, di cui scadde il primo quadrimestre ai 12 gennaio 1513 (v. i documenti in E. PÈRCOpo, Pomp. Gaurico umanista napoletano, negli A tti d. R. Acc. di Archeologia, Lettere e Bette A r ti di Napoli, XVII, parte II, p. 52 sgg., e cf. XVI, parte II, p. 212 sg.). 11 Negro sarebbe stato proposto in quell’oc casione e meritamente posposto al trentenne Pomponio, umanista di gran lunga supe riore e napoletano, che pizzicava ancor esso d’astrologo (cf. ib., XVI, p. 165; XVII, 18), mentre il fratello Luca n’era pontefice addirittura.
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PESCENNIO FRANCESCO NEGRO VENETO
taliter institeli, ut in omnium iam venerint admirationem, et multos mihi principes omni virtutum genere illustres c o n c ilia v i.*1
B qui passa ad esaltare i vari personaggi insigni delle case Sanseverino e d’ Avalos, specialmente i viventi e congiunti strettissimi dei vi venti, e alla coda il Britonio, Matteo Andrea d’ Acquaviva e il Sannazaro, empiendo a forza di rettorica e di luoghi comuni e frasi fatte, ripetute alla nausea, ben ventitré pagine, che qui c’imbarazzerebbero soltanto, e che perciò rigetto nell’Appendice (pp. 23*-34*) non volendole sopprimere, tuttoché prolisse e di cattivo gusto, come riguardanti figure notevolis sime della storia civile e letteraria di quel tempo: Berardino, Geronimo e Roberto Sanseverino; Inigo, Ferdinando, Alfonso e Costanza d’Avalos e Vittoria Colonna e l ’ Acquaviva, e come non prive di notizie nuove, per es. sull’origine brettone (da Nantes) — donde il cognome — e sui primi anni del povero Britonio, un grande uomo mancato, a cui Fran cesco avrebbe dato insegnamenti, e sulla vita stessa del Negro, delle quali farò qui uso ai luoghi opportuni. Però prima ci conviene, secondo il solito, stabilire ben bene le date dei vari traslochi, affatto ignoti, rivelatici sopra, partendo da quei punti di riferimento, che sono o paiono noti e sicuri: la morte di Giulio II (20 febbraio 1513), che avrebbe reso vano il tentativo, quantunque riuscito, dei cardinali Castellesi e Grimani affinchè il Negro fosse inscritto fra i « principi » profughi mantenuti dal papa sul censo dell’ allume, — onde si correrebbe a supporre un ritorno in Roma di Francesco poco prima di quella morte, sul principio del 1513 o al declinare del 1512, — e la vacanza della sede di S. Severina. Ma la prima data, che bene servirebbe se determinasse il tempo del servizio prestato al card. Adriano, a cui ten nero d i e t r o gli altri servizi raccontati di poi, non giova qui perchè spetta ad una parentesi (diciamola così), nella quale Francesco, tratto dal nome del cardinale, ricorda per anticipazione, ossia fuori dell’ordine cro nologico, un altro benefìzio, vero o presunto, di lui posteriore di vari anni, e poi ripiglia il racconto. Basta a dimostrarlo quanto segue immediata mente, e cioè la nomina di Francesco ad uditore e quella, implicitamente accennata, del nuovo arcivescovo di Santa Severina che passo a dimo strare fatta dallo stesso Giulio II quattro anni all’ incirca prima della sua morte. Se guardiamo l ’ Ughelli, che cita gli atti concistoriali, Alessandro della Marra sarebbe morto nel 1498 e il 20 luglio dello stesso anno gli sarebbe stato sostituito un innominato, che l’ Ughelli dice un Cantelmo e fa morto nel 1508, e questi sarebbe stato sostituito a sua volta dal Seriori il 28 maggio dello stesso anno.2 Se così fosse, la cronologia della vita
' In marg. : « Attende puerorum ingenium». In Napoli s’incontrò «molte fiate » col card. Luigi d’Aragona e n’ebbe- promessa del « suo favore accadendo», come si legge nella lettera 16 agosto 1515 al cifrd. Ippolito (v. Append., 68*). 1 Italia sacra *, V ili, parte II, p. 485.
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IN
C ALA B RIA
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di Francesco dal 1498 e prima andrebbe sconvolta, e si potrebbe conclu dere che egli ci ha contato una massa di fandonie senza nemmeno ac corgersi della incompatibilità dei pochi dati sicuramente verificabili, che fornisce. Ma FUghelli si è sbagliato gravemente, inserendo nella serie degli arcivescovi di S. Severina l ’innominato eletto nel 1498, che invece spetta alla sede « Severinense » o di Turnu Severinu in Valacchia, allora sotto l’ Ungheria; lo ingannò appunto una notizia degli atti concistoriali scritta evidentemente a memoria qualche tempo dopo da uno che ignorò perfino il nome dell’eletto e lasciò un bianco per esso : costui supponendo si trat tasse di S. Severina (non ignota a lui) s’arbitrò di notare « post mortem Alexandri » , 1 mentre dalle lettere di nomina, con la data precisa del 20 luglio 1498, appare evidentemente che si tratta del vescovado ungherese, — una è diretta al re Ladislao, — e in esse sta il nome dell’eletto, Stefano, e lo si dice prevosto della chiesa di Bosoch in diocesi di Strigonia, ma non si nomina affatto l ’ antecessore, nè come vivo nè come morto. 2 Quindi Don sussiste la difficoltà insuperabile che quella data ci avrebbe creato. D’altra parte il modenese Sertori, che in seguito all’elezione dovette rinunciare gli uffici occupati in Curia, e l ’avrà fatto subito nell’interesse suo medesimo, già il 30 marzo 1509 aveva il successore nell’ufficio di scrit tore delle lettere apostoliche : 3 si può quindi crederlo eletto nell’ultima decade del marzo, e il Della Marra morto non molto prima, e prestar fede alla memoria mirabilmente precisa, e fondata quasi certamente o sopra carte o sopra iscrizioni .contemporanee, del secentista abbate di Monte Vergine A. Matrullo, 4 che «Alessandro della Marra, Arcivescovo di Santa Severina in Calabria, havendosi edificata una Cappella, chiamata Santa Maria del Parto, dentro del Sagro Tempio di Monte Vergine, in quel luogo appunto, ove hoggi stà la Sagristia nova, egli medemo. la consagrò nel l ’anno 1509, et essendo morto poco doppo, fu sepolto in detta Cappella, dentro d’ un sepolcro di marmo ». Dunque mi pare che si debba mettere l'andata del Negro a S. Se verina nella prima metà del 1508 al più tardi e la partenza alla metà del 1509 al più presto, perchè egli colà stette un anno e mezzo, come afferma nella lettera del 1515 al card. d’Este (App,, p. 68*), e disporrei cronologicamente gli avvenimenti prima e dopo, a un di presso come segue, Poiché il card. Adriano fuggì da Roma il 6 ottobre 1507 nè più vi ritornò vivente Giulio II, 56Francesco sarà stato presso lui in Roma più o meno 1 Arehiv. Consist. Acta Gamer. 1, f. 88 (66)T, e la copia in Arehiv. Consist. Acta Mi sceli. 2, f. 133 (131)v. ' Regest. Later. 1035, ff. 1-2. Giustamente Eubel , II », 235, ha messo Stefano a Turnu Severinu, ma adducendo come fonte proprio quegli Acta Camer. che sviarono l’Ughelli. 5 Regest. Vatic. 990, f. 120. Le lettere stesse di nomina del Sertori ad arcivescovo finora non le ho ritrovate. * Monte Vergine Sacro (1663), p. 23. Già G. Cappelletti, L e Chiese d’Ita lia , XXI, 248, aveva in parte riconosciuto la verità. Sulla famiglia della Marra v. il cenno in Can dida Gonzaga, IV, 139-144. 6 P. de Grassis nel Commentarius premesso a H. F erri, Epistolae, p. 25 sgg. E cf. B. G ebhardt, A d ria n von Corneto, p. 17 sgg.
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tempo nel 1507, e il soggiorno di un anno a Bari per istruire Bona Sforza fu nel 1506 circa. Quindi il servizio dell’ Estense dovette cessare nel 1505, ossia nel primo anno del governo di Alfonso, [come ho potuto confer mare a p. 78 coll’aiuto della supplica del 26 febbraio 1508 al card. Ip polito] : il passaggio e la permanenza presso il Grimani a Boma e la chia mata a Bari seguirono non oltre i primi del 1506. Dopo la fuga di Adriano, siccome la sua corte si sarà naturalmente dispersa, così il Negro, rimasto senza impiego, verosimilmente d’accordo col conte Sanseverinate antico suo discepolo avrà brigato, quasi per asso ciazione d’ idee, l ’ uditorato e la coadiutoria di S. Severina, che lo riportava sulla via sognata dell’episcopato, e l’ottenne grazie al card. Grimani, il quale tuttavia allora non prese il concittadino con sè pur aiutandolo, possibilmente anche per liberarsene. La data della nomina : primi mesi del 1508, non può sbagliare di molto. [Ora dalla nuova supplica al card. Ippolito appare: 1) che il Negro era ancora in Roma alla line del febbraio 1508, e aveva fatto « alcune operete » ad i s t a n z a del card. Grimani, il quale avrà probabilmente voluto dargli con ciò un boccone e tenerlo occupato ; 2) che allora tentò di ritornare al servizio d’ Ippolito, forse non avendo ancora ricevuto la proposta di andare a S. Severina. Onde rimane da pensare o che il car dinale non credette di esaudirlo e il Negro si rivolse al conte di Santa Severina, oppure che pervenutogli nel frattempo l’invito da questi, egli abbia preferito d'andar in Calabria uditore e coadiutore dell’arcivescovo decrepito anziché tornare a Ferrara fra il servitorame]. Metterei poi l’insegnamento pubblico in Cosenza e in Paola fra l’au tunno del 1509 e la primavera del 1512, e quello privato in Napoli presso la marchesa del Vasto — tenuto conto del viaggio, della malattia in cui fu assistito dall’Acqua viva, e di pratiche che avrà dovuto compire — farei principiare verso l ’estate del 1512 e durare fino al tempo e oltre, in cui componeva gli ultimi capitoli della Cosmodystychia e la rivedeva, cioè dopo la morte di Giulio II e nei primi mesi di Leone X, a cui la dedicò, poiché la chiude con la sottoscrizione al solito lambiccata: « Scripsimus ex Partbenopaeis maenibus Vastiaque regia, aestatis praecipitis calendis, Assumptae Salutis genitricis octodialibus, a reconciliata divinità te volumine tertiodecimo supra millenum et quingentenum, Leonis decimi fatalis, mirandi et divini pontificatus anno primo faustissimo. Nigri Cosmody stychia feliciter absoluta est». Tale data all’ingrosso è confermata da quanto si conosce della vita del Parrasio al ritorno di lui nell’ Italia Meridionale, giacché il Negro dice di essersi colà stretto in grandissima amicizia con lui e di avercelo lasciato allorché ebbe la chiamata della marchesa. Ora il Parrasio tornò ammalato e povero dal Veneto a Napoli e a Cosenza sui primi del 1511, e poi per un buon triennio rimase in Calabria, passando ora per curarsi, ora per insegnare, ora per sottrarsi a dispiaceri domestici in vari luoghi di colà: Cosenza, Aiello, Taverna.1 1 Lo P arco, pp. 80-98.
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IN CALABRIA E A NAPOLI
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La relazione dei due, a quanto si conosce, dovette farsi circa la metà del 1511 o poco dopo. Qui giova osservare che il Negro, scrivente nel 1513, usa già nel lemma il titolo: « Cossetina Academia » ; titolo che non avrà coniato lui e intro dotto nell’uso laggiù, ma piuttosto semplicemente ripetuto secondo che aveva udito a Cosenza stessa un paio d’anni prima. E l’usa non già nel senso divenuto poi comune di accademia, ma di scuola pubblica, supe riore (diciamola cosi), come appare dal testo, allo stesso modo che l’ha usato per Padova e Udine (v. p. 52, 67, n. i, e 80). Dovrebbesi quindi correggere F. Fiorentino, il quale riportò la fondazione dell’ Accademia Cosentina, ma intendendola nel senso ora più ordinario, di accademia, al primo ritorno del Parrasio in patria, fra il 1509 (così) e il 1514, e pensò che allora « ci era il fatto, e mancava il nome » . 1 È da osservare inoltre che il Negro, dopo aver detto che lasciò la Ca labria e gli « amicissimi » di colà Giano Parrasio e Antonino Siscari conte di Aiello per rispondere alla chiamata della marchesa del Vasto Laura Sanseverino, la quale gli aveva mandato un « certo nuncio cum multis evocatoriis litteris », invece più avanti racconta che « Ex Calabris rediens ego pauper Celaenus, naufragus, e i e c t u s et o m n i u m e g e n u s , cum Neapoli pene omnibus ignotus essem », fu accolto, man tenuto in una malattia a proprie spese e curato personalmente dal duca d’ Atri Andrea Matteo d’Acquaviva.2 « Eiectus » : ina l’aveva sì o no chiamato la liberalissima SAa marchesa del Vasto? E come non pensò al conte di Santa Severina Andrea Carraia, che l ’aveva mandato laggiù? e al conte di Cariati, signore di Paola, che l ’ aveva « con frequenti lettere » trattenuto colà fra le « molte insidie » e le ciancie, in vece di stipendio, dei Padani e che dipoi in Senato, davanti al viceré, l’avrebbe proposto con buon successo a professore pubblico in Napoli, se il Negro non avesse preferito l’insegnamento privato dei marchesini del Vasto? 0 inten deremo noi « eiectus » per rigettato dal mare e « naufragus » in senso proprio, spiegandoci in tal modo, che al pover uomo non era rimasto nulla, e s’era ammalato, forse di paura, egli che ripetutamente confessa d’essere rimasto in Calabria per paura dei pirati? Ma, oltre che reste rebbe sempre da spiegare il non essersi egli rivolto a Laura, al Carraia e allo Spinelli, se gli fosse capitato davvero quel pauroso naufragio in mare, non credo si sarebbe limitato ad accennarlo con una sola parola, e nella sua facondia chi sa quante ve ne avrebbe spese d’attorno. Comunque, del racconto, sebbene non sembri molto coerente, riterrei come esatto che Francesco venne via di Calabria povero, quale fu pressoché sempre; che si ammalò in Napoli poco dopo lo sbarco e n’ebbe pietà e cura l’Acquaviva; che si tentò, o glielo si fece credere, di ottenergli un insegnamento pubblico, e si collocò presso la marchesa del Vasto Laura Sanseverino, vedova d’Inigo D’Avalos ( f 30 settembre 1503), ad istruirne 1 Bernardino Telesio, 1, 33-35. * V. Appendice, p. 33**.
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i figliuoletti Alfonso, il celebre marchese del Vasto e di Pescara, gover natore di Milano, nato nel 1502, e Rodrigo, morto giovanissimo, 1 e vi si trovava già da un anno nell’agosto del 1513, mentre scriveva gli ultimi fogli della Cosmodystychia e la datava « ex Partbenopaeis maenibus Vastiaque regia », ben lieto (a credergli) di un tale officio, perchè di inigo « de vetustissima Aquinorum gente » 2 egli si riteneva parente in Pescennio Negro di Aquino! E fu a Napoli nel frattempo che egli si vide menzionato, ma non così come si doveva, nell’opera di fra Giacomo Filippo da Bergamo: «Vidim us et Neapoli s u p p l e m e n t u m quoddam h i s t o r i a r u m , ubi plurimis a m b a g i b u s Niger iste describitur» (v. Append., p. 17*). In questo periodo della vita sua nei Mezzogiorno non pare che il Negro abbia stampato, come nel precedente, nè lavori suoi propri nè di altri: alle ristampe in luoghi lontanissimi della Grammatica e dell’Opwsc. scribendi epistolas egli di certo non prese parte. Nondimeno continuò a comporre, o per lo meno a finire e rivedere e a dare in manoscritto opere sue, per es. il P e ri archon, del quale mandò a Leonardo Loredano, doge dal 1501 al 1521, il bell’ esemplare ora della Marciana, nel « 1510 o 1512 », se il Valentinelli, III, 60, ha bene datato il codice, ciò che non oso as sicurare. Così rivide e finì, ma non compose per intero come volle far credere a Leone X, la grossissima Cosmodystychia, di cui una buona parte risale al 1503, come ho dimostrato a p. 77, n. 3, con le date scritte dapprima nell’ autografo: le due dediche, le poesie e la prefazione a Leone X, i calendari canonico.3 e verificato dell’ anno 1513 (ff. 644-664), « in quo verum pascha cum vero Christianae passionis die c e l e b r a r u n t Cbristicolae » (f. 644v), il lunghissimo capitolo finale sulla vita del Negro e i non pochi tratti in cui si rivolge a Leone, cadono certamente fra la prima decade del marzo e l’ultima dell’ agosto 1513, sia poi che abbia allora ricopiato l ’intera opera, ciò che è inconciliabile col fatto delle date anteriori cancellate e ricoperte con quelle del 1513, sia piuttosto che in un esemplare anteriore abbia aggiunto fascicoli interi e qua e là sosti tuito dei fogli èon testo mutato allo scopo di non ritardare troppo la pre sentazione al nuovo papa dell’opera e di se stesso quale oratore della poverina repubblica dei letterati, uscenti al sole còme le lucertole dopo l ’imperversare di Marte nei precedenti pontificati, 4 ed ottenere finalmente la pronosticata fortuna di qualche grande ufficio o beneficio secondo che 1 Cf. E. P èrcopo, Le Bime del Charìteo. Parte seconda, p. 348, al v. 162. 11 Negro at tribuisce a sèe all’ingegno loro (in marg.: « Attende puerorum ingenium! ») 1’aramirabile profitto dei giovanetti; ma il merito di aver mansuefatto Alfonso e trattolo un poco agli studi si attribuisce a Vittoria Colonna (v. P. B. V isconti, L e rim e d i V. C., p. l x x v ii ; A. R eumont, Viti. Colonna marchesa d i Pescara a, p. 25). * In quale senso lo fu, sarà spiegato nell’Appendice, p.. 28*, n. 1. 3 « Canonicum calendarium il^ud erit, quo in perorandis canonicis horis utitur sacer dos, ne quid obtorte, ne quid negligenter, ne quid falso flat » (f. 644j ). 4 Cf. Appendice, p. 14*.
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A N A PO LI
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le sue molteplici abilità e le tante sue opere letterarie meritavano. Biso gnerebbe anzi dire che frattanto proseguì furiosamente a comporre o a finire, se fu proprio col lavoro di quei pochissimi mesi, e non piuttosto col ritardare l ’invio al 22 novembre 1514, come risulta dalla lettera ac compagnatoria conservata in originale a Venezia (v. Append., p. 65*), che egli nell’indice dei 31 scritti suoi potè aggiungerne prima altri tre: le Satyrae, la Sischaria Comqdia e VAretha tragedia, e dipoi quattro: il Confessionale, il Commentarium P er sii, il Commentarium sphaerae e l’ Invectiva personalis, benché non si possa escludere del tutto che egli per far numero ne abbia supplito più d’uno di tempi lontani che aveva dimenticato e poi ricordò: qualche vecchio scritto — l’ho già notato (v. p. 45, 50, 63 e 75, n. 1) — di fatto non compare nell’ indice. Checché sia, non si può errare attribuendo al tempo del soggiorno nell’ Italia me ridionale la Sischaria Comqdia e la Grammatica Sischaria, quantunque ne conosciamo solo i titoli dall’indice. A l tempo del soggiorno in Napoli e non dopo, Francesco presentò a Vittoria Colonna, e n’ ebbe un larghissimo compenso, l ’Ristoria Theodosiae m artyris: lo dice nel f. 691r (Append., p. 31*): « buie tantae et tam gloriosae principi ego quoque non invitus Theodosiae meae historiam, pulchram, variam et oblectabilem, non sine liberalissima eius antipelargosi, scripsi et d ica vi». Di tale Historia, divisa in tre parti: fa miglia e vita della Santa, il martirio, i miracoli, fu pubblicata l’ultima parte dal bollandista G. Henschenio negli Acta Sanctorum Aprilis, I, 63-65, secondo 1’« antographum » (sic) fornitogli da D. Gaspare Ibanez de Segovia Peralta,1 marchese di Agropoli, 2 che aveva la sottoscrizione di fattura Negriana: « Ex urbe Romulea, Pantheon octodialibus, a Chri stiana redemptione, anno 3*8^tertiodecimo supra millenum et quingentenutn ». Quel codice, di data posteriore alla Cosmodystych., non potè es sere l’esemplare presentato a Vittoria Colonna stessa che è rammentato nella Cosm., ma un altro, che la marchesa potè domandargli in seguito, puta, per regalarlo, oppure una copia di quello, o del testo che il Negro teneva presso di sé, e che in Roma, dove i Colonna erano potenti, stimò bene ricopiare col titolo medesimo « ...ad felicissimam Victoriam Colu mnam Piscariae Marchionissam ». Ad ogni modo la sottoscrizione ci as sicura che ancor quella del novembre 1513 fu una copia di mano del
1 Penso che sia un Aglio di Matteo Ibañez y Segovia, tesoriere generale di Filippo IV, e di donna Elvira di Peralta y Cárdenas, nominati nella Enciclopedia Universal illn strada Europeo-Americana, XX V III, 1, p. 808 sg., a. proposito del tiglio minore Fran cesco (nato nel 1614), governatore del Cile. Gaspare aveva ricevuto il ms. o una copia « a Georgio Cardoso Hagiologii Lusitanicl auctore », che aveva frugato la maggior parte degli archivi di Spagna e Portogallo per la sua opera (Enciclopedia cit., XI, 884). Acta Sancì., t. c., 62d. 8 Nel Salernitano? Però L. Giustiniani, D izionario geograflco-ragionato del Regno di Napoli, I, 63 sg., non ricorda G. Ibanez tra i feudatarii di quella terra. s D’ordinario Francesco preferiva scrivere «volu m in e».
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P E SC E N N IO FR AN CESCO NEGRO VENETO
Negro, e che l'esemplare dell’ lbanez, se fu il medesimo, fu « autographon », e non un « antigraphon » qualunque; ma non dimostra per nulla che egli allora dai « testi greci e latini della vita di S. Teodosia... a Roma era venuto desumendo la sua compilazione dei ‘ Miracula ’ di tale santa».1 E nemmeno a Napoli la compose, come potrebbe darci a credere quell ’ambiguo « scripsi » : Francesco non era un semplice; quando voleva, sa peva scegliere le parole per non dire la verità senza dire una bugia. Come il P e ri archon, così VHistoria Theodosiae è di molti anni addietro, quando erano vivi e ia madre e Tunica sorella a n c o r a g i o v a n e t t a , che po neva sopra lui solo — unico fratello — tutte le sue speranze, 2 ed egli si era (pare) esaurito a dar lezioni, dovendone fare otto al giorno fra pub bliche e private, come risulta dal fatto che le riprese appena guarito. 3 1 Così, seguendo l ’Henschenio, V errda, Cinque oras. cit., p. 198. 2 « Cum non m u ltos an te an n os in maxima quadam adversitate constitutus essem, nesciremque quo me verterem, ad cuius opem eonfugerem; sed quotidie in lacrymis, quotidie in gemitibus essem », invocò ia Santa dicendo fra 1’altre: « Respice ... p a re n tu m meorum lacrymas, qui quotidie in luctu et squalore deficiunt ... Respice e x i gu ae gemitus p u e lla e , miserrimae sororis meae, cuius cum in me s o lo omnes es sent quondam spes constitutae, nunc derelicta miserrimae virginis rumpuntur praecordia, c o rc u lu m dolore frangitur, lassum suspiriis virgineum pectus crepat » (Acta SS., t. c., 65b), e fece il voto di scrivere la «Historiam passionis tuae, hinc inde dispersam, in pulcherrimum stylum te iuvante colligere ... celeberrimumque officium praeparare, quo occupati sanctissimi viri sanctissimaeque virgines, omnes in tui devotionem penitus inducantur » ( Acta Sanet., t. c., 65 bc). Addormentatosi, la Santa gli comparve, lo consolò, e gli ordinò di subito levarsi e comporre la H istoria, come fece : « Confortetur cor tuum et subito post meum discessum surgito, historiamque meam, ut pollicitus es, pulcher rimo stylo componas, ut legentes Deum collaudent et in devotionem accendantur. His dictis, beatissima Virgo discessit. Ast ego, qui prius m orbo consumptus me nullate nus erigere poteram, sub intempestae noctis conticinio adeo robustus, ab omnique pe nitus malo liber surrexi, ut non de valetudine, sed de amoenissimo somno surrexisse viderer. Ac Deo primum et beatissimae Matri eius, gloriosae deinde Theodosiae gratias agens, invocato prius divino auxilio, ut vota nuncupata persolverem, beatissimae Virgi nis huius Passionem ex m u ltis v a r iis q u e c o d ic ib u s G ra e c is delectam [ciò che potè ben fare in Venezia, ma molto meno facilmente a Napoli nel 1513 c.], in unum corpus redegi; fecique tanto libentius, quanto devotior est in talem Virginem om n is m ea quam vis exigu a , d o m u s » (ib. n). È chiaro adunque che egli compose la vita subito dopo la guarigione (avvenuta verso la quaresima; v. la n. seg.) e che il * non multos ante annos» da me spaziato è un’aggiunta introdotta in qualche copia posteriore, forse anche nell’esemplare per Vittoria Colonna, e non dimostra che la storia fu scritta dopo anni. 3 « Sed audite mirandam stupendamque rem. Cum in principio quadragesimae varios huiusce Passionis libros, tam Graecos quam Latinos, reperissem vellemque ex ipsis om nibus unum tantum corpus efficere, facta prius re divina in D. Francisci sacello, quod proximum erat,... domum reversus, atque eiusdem Virginis nomine invocato, initium historiae tenere coepi; atque in t e r o c to le c t io n e s , q u a s q u o t id ie p a rtim pu b lic a s p a rtim p r iv a ta s le g e b a m , ab eius Quadragesimae principio in sanctum usque Paschatis diem tantum, tam brevi temporis spatio et historiae fragmenta in unum coegi, et scripsi, et ad ultimum finem perduxi » (ib., e . V errda, 1. c., non bene intese « che, quando più non apparteneva al nostro studio [di Padova], in pubbliche e private lezioni illustrò i testi greci e latini della vita di S. Teodosia »). Di fra Paolo della Pergola, primo professore pubblico di filosofia, logica e teologia in Venezia, il discepolo fra Gio vanni Antonio racconta che « legebat ordinarie singulis diebus lectiones quatuordecim: septem mane et septem post prandium: tot quidem ipse solus quot Patavii omnes ordì-
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’ H IS T O R IA TH E O D O SIA E
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Ora, lasciando da parte la poca verosimiglianza che nel 1513 l’ultra ses sagenario avesse una sorellina germana e ancor vivi i due genitori, si è visto sopra (a p. 73, n. 2) che Francesco aveva portato con sè in Un gheria un nipotino già avviato agli studi, perciò difficilmente nato dopo il penultimo quinquennio del secolo xv. Bisogna quindi riportare VHistoria prima del passaggio a Ferrara (autunno 1494), forse prima ancora della chiamata ad Arad, quando stava a Padova, o tra Padova e Venezia, stra pazzandosi per vivere, se non addirittura ai primi anni del sacerdozio e dell’insegnamento in Venezia — l’ambiente dei miracoli della Santa e nel quale appare dal complesso che l’autore vivesse, — prima di diventare piovano e cadere in prigione. Oltre la Historia in « p u l c h e r r i m o s ty lo » Francesco aveva fatto voto di preparare anche un « c e l e b e r r i m u m officium » della Santa per indurre tutti i religiosi alla divozione verso di essa (v. p. 92, n. 2), e l’avrà adempito. È probabile che fosse desso l ’officio proprio contenuto nel ms. dell’Ibanez, ma solamente ricordato dal bollandista, p. 62 e , senza rife rirne nulla. Se io non mi appongo male, esso sarebbe l’ufficio stampato in un libretto della biblioteca di S. Maria dei Servi di Venezia, che fu descritto dal Cornelius, Ecclesiae Venetae, II, 331-338, ma è sfuggito ai bibliografi degl’incunaboli, benché non vi sia dubbio che era incuna bolo, dicendosi « impresso per Antonium de Zanchis Bergomensem de Abano regnante Inclyto Principe Augustino Barbadico Venetiarum Duce M cccc L x x x x v iii . die xxii Mensis Decembris » . 1 In q u e ll’opuscolo prima c’ era la passione ricavata « e Latinis Actis » (soltanto) e una « Legenda miraculorum Beate Virginis et Martyris Theodosie » diversa da quella di Francesco, come osservò Degli Agostini, II, p. 484: sono di lingua e stile senza pretese. Poi seguivano « et Romano et Monastico Ritu Eccle siastica Officia ad celebrandum Sanctae Martyris festum apte ordinata, quorum Antiphonae Responsoria Capitula et Himmi Sanctae Theodosiae agonem ex Latinis actis excerptum asserunt. Longiores inde Litaniae ad honorem gloriosissime V irginis Theodosie M artyris Inclite, » con 16 distici a c a p o aventi la didascalia: « Carminis author sacre eiusdem Virginis precibus ab omnipotenti s s i m o Deo gravis morbi liberationem impetra vit », che riassumono il martirio della Santa ed esortano ad onorarla : Hanc igitur merito noctesque diesque precemur Succurrat nostris commiserata malis Atque omnes pariter Theodosie Virginis alme Cantemus dignum nomen ubique coli Ut que de viro claros tulit hoste triumphos, Nos quoque presidio protegat usque suos.1 narie in logica, philosophia theologiaque legebantur » (ed. A. S egarizzi ih A t t i R . Is t it u to Veneto, LXXV, 666); un’esagerazione patente, che dà un’idea dell’assiduità di certi maestri. 1 Cf. il simile colophon del C o m p e n d iu m d e p r e c a tio n u m pubblicato dal medesimo Zanchi il 14 luglio 1498, descritto dal R eichling, A p p e n d ic e s , fase. VI, n.° 1703. « Abano » è errore di lettura per « Alzano ».
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p e s c e n n io
Fr an c e s c o
n e g I ìo v e n e t o
Ora soleva il Negro accompagnare i propri lavori con versi: lo si vede nel P eri archon e nella Cosmodystychia. In lui convengono in oltre la guarigione ricordata nella didascalia e quel superlativo che rinfiora. Perciò inclino a ritenere che le officiature seguenti secondo il Rito Ro mano comune e quello monastico, raccomandate con quei versi, siano quelle promesse con voto dal Negro, e che nella stampa del 1498 si abbia una prova ineluttabile per riportare la Historia Theodosiae ecc. almeno tre lustri prima del 1513. Grazie alla Cosmodystychia siamo giunti all’anno 62 del Negro con un buon numero di notizie più o meno sicure, secondo che si apprezzi il giudizio e la sincerità dell’uomo e la sua non molta accuratezza e pre cisione nell’ esprimersi, ma che in complesso ed all’ingrosso sembrano vere e verificabili. Invece non ho finora che tre o quattro magri dati per il ri manente della vita, che potè essere tanto di pochissimi mesi o anni quanto di tre o quattro lustri. Sono però gli anni in cui Francesco, se pure non si diede per vinto del tutto nè lasciò cadere le braccia, avrà prodotto assai meno, e non certo di meglio: quindi, a parte la naturale curiosità di vedere la fine, anni e scritti di pochissima importanza presumibilmente, anche nella più favorevole ipotesi, che vivesse sano e vegeto e al riparo di qualche tetto ospitale. Il primo dato è che nell’ottava di Ognissanti del 1513 Francesco trovossi in Roma, come appare dalla sottoscrizione della Historia di S. Teodosia nel codice di Gaspare lbanez, riportata sopra, p. 91. Era ovvio pen sare, e lo pensai subito, che vi fosse accorso il più presto a presentare in persona a Leone X la Cosmodystychia e a sollecitare in premio il qualche vescovado o buon benefìcio mendicato in essa, forse confidando anche neH’aiuto dei veneti Pietro Bembo e Pietro Quirini accettissimi al nuovo papa 1 e dell’antico discepolo e padrone card. Ippolito ritornato in Curia dopo la morte di Giulio II per ricuperare Modena al fratello duca Alfonso 1.2 Ma una lettera del Negro a Leone X conservata nella Marciana 3 di mostra invece che egli non presentò allora, ma spedì nell’anno seguente ai 22 novembre da Ischia l ’opera al papa, secondo che m’ informa il S.r 1 11 Bembo era divenuto segretario pontificio. Quanto al camaldolese Pietro, nel se colo Vincenzo Quirin ( f 1514), suo amico e consigliere di Leon X, che lo voleva far car dinale, cf. .1. Schnitzer , P. Dolfin, 170 sgg. Ma non ho veruna testimonianza per affer mare che essi conobbero e stimarono il loro vecchio concittadino, consecrato prete dal camaldolese Maffeo Gerardo patriarca. Inoltre viveva ancora il card, veneto D. Grimani, che aveva ripetutamente favorito il Negro. * Cf. A. Mo r se lli , L. A riosto tra Ippolito d’Este e Alberto P io in li. Accademia d i Modena. A tti e Memorie, serie V, voi. II, 75 sgg. 3 V a lenti Ne l l i , 111, 90. 11 V. afferma a p. 92 che quella preziosa raccolta di autografi dei secoli xv-xvi fu formata dal card. L. Podocataro morto a Roma nel 1504, e sarebbe passata al nipote Livio morto nel 1550 a Venezia. Che il cardinale abilissimo negoziatore ne abbia avuto e raccolto, si capisce; ma le lettere originali posteriori al 1504 dirette a papi, ecc., come se le avrebbe procurate il nipote? Importerebbe conoscer meglio il conte nuto e le vicende della raccolta.
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can.C0 G. Vale. 1 Egli dunque venne bensì al finire del 1513 in Roma, non certo per sola divozione,.ma non vi rimase, e dovette tornare, senza dubbio presso i D’Avalos, i quali tenevano Ischia per la mirabile difesa che ne avevano fatto contro i Francesi (v. App., p. 28*' e 32*), a continuare l’ istruzione dei marchesini: questo il secondo dato. La Cosmodystychia fu dunque mandata quindici mesi dopo che fi nita,2 e Leone X l’avrà ricevuta dentro lo stesso 1514. Si direbbe che il papa, letta, o non letta ma appena sfogliata l ’opera, l’abbia gradita, perchè diede il codice al Beroaldo juniore ( f 1518), affinchè la riponesse nella Bi blioteca Vaticana,3 ciò che pare un segno di stima e di gradimento; ma non so dire se fece rispondere alla lettera 4 nè se accortosi delle tante volte che Francesco vi mendica apertamente o copertamente premio e benefizi, gliene abbia concesso qualcuno. Se mai lo fece, 5 o lo fece dopo l’agosto 1515, oppure non gli diede un premio quale e quanto il Negro deside rava, perchè il 16 agosto 1515 da Roma egli pregava il card. Ippolito che gli procurasse « l ’abbazia di S. Maria di Altilia in Calabria, vicino a S. Severina, dove era stato un anno e mezzo, interponendo i suoi buoni uffici coll’ Ill.m0 Card.le di Ragona [il quale « molte fiate trovandosi in Napoli me ha promesso el suo favore accadendo » e « facte tante offerte ne le mane de la ili.ma S. marchesa del Vasto in Napoli» evidentemente inte ressatasi per lui]; così potrà vivere nella sua vecchiezza » . 6 Anche qui ignoro l ’esito: ma almeno conosciamo che in quel tempo il Negro si
1 Da Venezia 2. VI. 38: « L ’Inventario: Cod. Lat. Cl. X n: 174 dà delle lettere questa notizia: « Niger Franciscus Peseennius Epistola Leoni X, qua misit ei opus suum inscrip tum Cosmodistichia, 1514 ». La lettera porta il n. 160, e sta al fogl. 214. Incomincia : « Beatissime pater ... »; finisce: « ...Ex qnarianis pithecusis. X. Cai. decembr. m d x iu i ». La firma: « Servus Peseennius Niger: protonotarius ». Le desiderate fotografie non fu rono fatte ancora perchè il codice è in restauro, e lo potei esaminare nel gabinetto ». Per la data del luogo cf. Append., p. 28* e 32*. — Non dubito punto che la lettera è in originale e non in copia. Ma come mai è finita a Venezia? forse che dal segretario ve neziano del papa? 2 Ma (si sottintende), finché ne tenne il manoscritto, potè sostituirvi e aggiungervi dei fogli. 3 Cf. Rendiconti Pont. Acc. Rom. di Archeologia, X III (1938), 155 e 175. Così mate-rialmente, se non nel senso del Negro, l ’opera ha potuto « diuturnis auspiciis (di Leone X ‘, sub pontificiae sedis solio tutissime quiescere » fino ad oggi. 4 A vederne fuori l ’originale si sospetterebbe che il papa l ’avesse dato al segretario perchè rispondesse. Però se il Bembo, poniamo, avesse realmente scritto al Negro in nome del papa o suo, la sua lettera assai probabilmente sarebbe stata conservata, per lo meno dal segretario, e rimasta, e la si conoscerebbe, se pure il Bembo giudicò non degna l ’opera o l ’uomo e fece lo gnorri. 6 Ho guardato senza frutto i volumi dello schedario Garampi relativi ai benefici. Ma ciò non prova nulla in contrario; prima, perchè g l’indici non sono completi, e poi spe cialmente perchè conviene cercare sotto il nome delle diocesi delle quali era conferito al chierico un beneficio. Ora chi può indovinare quelle diocesi, se non si conoscono altronde, atteso l’uso che c’era di dare benefici vacanti di qualsiasi parte, anche fuori d’Italia? 6 R. Archivio di Stato di Modena. Particolari: Negri. Ne debbo il sunto al eh. S/dr. Alfredo Braghiroli sopraintendente e la copia al R. D. Galavotti. V. Append., p. 68*.
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§6
PESCENNIO FRANCESCO NEGRO VENETO
trovò di nuovo in Roma 1 o per poco o per molto, e che era rimasto con Ippolito in relazione tale da potergli chiedere un favore. L ’ ultima sua traccia, un indizio della sopravvivenza al 19 novembre 1523, rimane nell’autografo del P e ri archon: è una dedica — la terza! — non cancellata, al basso della prima pagina. Essa dapprima mi aveva sviato dandomi pensare a qualche omonimo plagiario vissuto a cavaliere dei secoli xvi e xvn, il quale si fosse voluto far bello di quell’opera e in graziarsi insieme Clemente V ili, giacché vi si dice: «...A d Sanctissimum patrem Clementem octavum [così] Christianae religionis pontificem ma ximum optimumque... » (v. la tavola 1). Ma poiché indubbiamente è della medesima mano del resto, ossia del Negro nostro e non di uno vissuto un secolo dopo, ed anche ha la ridondanza dello stile solenne di lui, mi pare che l ’enigma non sia spiegabile altrimenti se non col supporlo vivo e tuttora di mano abbastanza ferma all’ elezione del card. Giulio Medici, e che egli, a p p e n a saputala, e saputo che aveva preso il nome di Cle mente, si risolse all’ istante di dedicargli l’opera più considerevole e seria che gli rimaneva finita, e dalla fretta non riflettendo che il Clemente VII di Avignone fu un antipapa, s’immaginò che l’eletto si sarebbe dettò Clemente V ili, e così scrisse, salvo a correggere poi il numero se real mente mandò l’opera ricopiata in bella di lì a qualche tempo. È da notare che nella direzione o dedica il Negro continua a dirsi protonotario apostolico semplicemente. Nel frattempo non era dunque salito in dignilà: Dio solo sa se almeno gli erano cresciute le rendite e se gli fu dato di goderne a lungo.
SCRITTI E CARATTERE DEL NEGRO
Ora ci rimane di riprodurre l’indice degli scritti del Negro fino all'agoslo 1513 o al novembre 1514, il suo ritratto fisico e morale, — provvida mente egli pensò anche a questo per la compitezza, — e l’epilogo della Cosmod., che non è se non una nuova supplica d’impiego e di premio in proporzione delle fatiche e capacità sue, non ostante certe debolezze, probabilmente non ignote allora, che l’uomo non ebbe difficoltà di con fessare in iscritto al papa e ai posteri. Quasi a preparare tale supplica Francesco tornerà ancora una volta a commiserare prima se medesimo richiamandovi l ’attenzione col lemma marginale: «Attende Nigri fortunam », e vi passerà abilmente dalla ditirambica esaltazione, che pare una digressione puramente adulatoria, dei notissimi personaggi napoletani che 1 Se il Negro fu davvero così amico del Parrasio, questi essendo venuto in Roma dalla Calabria dentro l ’autunno 1514, giacché dal febbraio del 1515 per lo meno lo sì trova ad insegnare nella Sapienza, chiamatovi con breve del 28 settembre precedente dal papa (cf. Lo Parco, 97, 101), ben potè essere scelto egli a portare la Cosmodyst. e a presentarla al pontefice, e potè anche dipoi aiutarlo un poco. Per questo avrei amato conoscere se nella lettera a Leone sia indicata la persona, per mano della quale il Negro gli mandava il manoscritto della Cosmodyslychia.
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dissi e da un accenno vago ad « altri molti splendidissimi uomini » dei quali aveva guadagnato la stima e la benevolenza nella « Campana Partenope », però (si sottintenda) senza che fosse stata migliorata ed assi curata la sorte di lui, e quindi... 9 - O pera N ig ri Non restat tamen quin' pauper Niger, homo senex et iam ad scalarium annum1 accedens, sine aliquo sacerdotio aut proventu in summa paupertate vitam degat. 2 Quod si virtuti premia iure speranda sunt, quid mihi spei reliquum est? qui per annos circiter quadraginta quinque3 in (f. 694r) omni facultate et in utraque lingua 4 et legi et scripsi. Legi tam publice quam privatim in plerisque locis multosque sub mea ferula in doctissimos viros eduxi, quorum nomina inter caeteros académicos non obscuro omnium praeconio nota sunt. 5
1 Indica l’anno climaterico 63. Nella dedica (Appendice, p. 3*): « Iam annum agens e nella prefazione generale, f. 2Γ: « Subiectam itaque tam passionibus quam commodis humanam naturam voluere: unde et pericula et morbi cladesque plu rimae, insuper et sexagesimus tertius annus ex enneatico hebdomaticoque compositus, a quo et totam senectutem ipsam seniumque pendere volebat doctor meus; quem κλι μακτηρικόν hoc est scalarium dixere, non nisi doloribus aegritudineque varia circum datum ». E nelle C in q u e o r a z io n i (p. 208): « Nonne scimus sexagesimum tertium aetatis annum, quem κλιμακτηρικόν Graeci appellant, ad morbos omnes atque clades, ad mortem tandem scalarium deputatum, tamquam illud sit humanae fragilitatis extremum? » Cli materico ci è più chiaro di scalare perchè usato tuttora da noi, sebbene in un senso alquanto diverso. Sopra gli anni climaterici cf. K roll nella R e a l-E n c y o lo p c u lie d e r cla ss. A U e r tu m s r o is s . 2, XI, 843 sg. ; T h e s a u r u s lin g u a e la t., v. « Climacter». 2 Ma era compensato così male nella « Vastia re g ia »? E la « liberalissima... antipelargosi » di Vittoria Colonna era stata così poca cosa relativamente? Ben si capisce che egli ha in mira qui un buon « provento » o rendita stabile, non precaria. *145 anni circa — nel f. 229’ «4 6 » sopra « viginti septem» abraso (v. p. 42, n. 2) — ci portano al 1468-1469. Quindi ancora da studente, sui 17 anni, dopo essere stato laureato da Federico III, cominciò a dare lezioni (in margine, poco dopo, il lemma: « Lectiones Nigfi ») per vivere, e a mulinare e principiare opere letterarie (« et scripsi »). Invece la prima scrittura del f. 229T, se risale al 1503 come sospetto (v. Append., p. 16*, n. 3, e sopra, p. 77, n. 3), ei porterebbe al 1476, all’anno cioè della laurea di Francesco « in utroque»; là difatti parla di lezioni pubbliche: « legi publice», dandoci a compren dere che le lezioni anteriori furono private, com’era naturale, di uno ancora studente, per quanto segnalato. 4 Poiché nell’indice degli scritti ve ne sono tre in italiano : 15, 16, 20, si potrebbe pensare che il Negro qui indichi le lingue latina e italiana. Ma sta in contrario l ’uso di allora, che significava con quella espressione il greco e il latino (e con l ’altra di tre lingue l’ebraico, il greco e il latino); uso seguito anche da Francesco, come appare dal passo parallelo: « Scripsi in omni facultate in hunc usque diem et graece et latine libros quattuor et 30 » (v. sopra, p. 42). 5 Simili vanti del Negro al riguardo dei propri discepoli, v. sopra, a p. 42. Ma di fatto, fuori dei grandi signori, non ha nominato veruno dei « molti dottissimi uomini non oscuri fra gli altri accademici » stato suo discepolo, se si eccettua il Britonio, al quale del resto non diede un vero insegnamento, indicandolo egli, cosi facile al ma gnificare, col modesto complemento: « su,b nostrae quandoque institutionis auspiciis» (v. Appendice, p. 31*), che ricorda gli « auspicii » del Filelfo ai primi studi del Negro (v. p. 40, η. 1) il quale tuttavia non ha osato mai dirsi alunno del Filelfo. κλιμακτηρικόν » ,
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PE SC E N N IO FR AN CESCO NEGRO VENETO
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Scripsi in hunc usque diem triginta et octo 1 volumina, quorum aliqua in bibliopolarum nidis per totam Europam in emporiis licitantur, 2 aliqua ultimam adhuc manum expectant,34 6quod brevi futurum existimo, si a divinitate tua, Bea 5 tissime pontifex, studiis nostris quies optata praestabitur. Eorum autem volu minum nomina sunt haec. 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8.
Epithalamium Sigismuudi ducis. 1 Grammatica Aruntina. 3 Grammatica Estensis. Grammatica Sischaria. Rhetorica triplex. Epistolae familiares. 11 Orationes pro contione. 7 Epigrammata promiscua. 8*
1 « Octo » è in margine: nel testo c’è « quattuor » in com p en d io e con lettere strette e f i t t e , sopra una raschiatura, indubbiamente di « unum », come dimostra la disposizione stessa dell’indice terminante dapprima con l ’opera «31 Cosmodystychia », la quale doveva apparir l’ ultima al momento della scrittura della pagina ossia al ter mine di essa opera. Dunque l a lezione, dell’agosto 1518?, « 31 » ; 2a, posteriore all’ottava dell’Assunta del 1513, « 34 », che è la lezione 2“ anche nel passo parallelo del cit. f. 229v (v. p. 42); e «3 8 » è l’ ultima lezione, al giorno dell’ invio dell’opera a Leone X, 22 no vembre 1514, sia poi che le opere aggiunte siano state scritte o finite dopo, sia che ta lune di esse Francesco non se le fosse ricordate prima, come ho insinuato a p. 91. 2 Come la Gram m atica, ì’ Opusc. scribendi epistolas (ristampato una decina di volte almeno prima del 1513! V., oltre A gostini , li, 181 sg., e V errua, 205, N ijhoff -K ronen beru, Nederlanclsche Bibliographie van 1500 tot 1540, nl 1598, 3607, 3608) e il suo F il mico Materno; le sole pubblicazioni con cui egli, fuori dell’insegnamento, abbia eser citato qualche influsso al suo tempo, e col Finnico sino a noi (v. p. 100, n. 3). 3 Se ci riportiamo, come si deve, al tempo della scrittura, questa confessione va intesa anche di vari fra i primi 31 titoli, e non degli scritti successivi esclusivamente. V. p. 99, n. 2. 4 V. sopra, p. 56. Qui in margine la nota: « Opera Nigri », che ho dato per titolo all’intero passo. 5 V. p. 28, n. 3, e p. 45. Nella linea seguente « estensis » è sopra rasura, di « orosiana » mi pare. Sulle grammatiche seconda e terza, che saranno state una rifrittura della prima, stampata, v. p. 63, n. 1, e p. 85, n. 4. 6 V. a p. 40 la vanteria di scriverle sempre «d i prima penna». Ma allora spediva la prima copia stessa, senza tenerne il testo? Nel caso che sì, come ne avrebbe formato una collezione? quale si direbbe, ma non è certo, che il presente titolo importi. Nel ms. di S. Bavone di Gand non vi sono lettere del Negro, come suppose l’Agostini per una vaga indicazione del Sanders (v. sopra, p. 58, n. 3). Io non conosco altro che le lettere conservate in originale a Modena e a Venezia, le quali non si possono dir « familiari »; quella al Sabellico, e le accompagnatorie di opere sue o altrui, pur non familiari, che ho citato a suoi luoghi. 7 Nel numero di queste possono mettersi le citate Cinque orazioni... dette nello studio di, Padova, che il Verrua ha pubblicato; quelle per i funerali di Ercole I e in lode di Alfonso I d’Este (v. p. 75, n. 1); quella per S. Nicola nello Scholasticum Orosianae ìuventutis dramma (v. p. 63). “ Nel vago titolo avrà compreso tutte le sue poesie latine minori, raccolte o no, come le tre pubblicate dal Zingerle (v. p. 57 sg.); la saffica in lode di Cassandra Fedele e l’ele gia al vescovo di Forlì Alessandro Numai (A gostini, II, 485, 486; e cf. sopra, p. 51 e 58, n. 4); la saffica di 100 strofe all’Illiberale re d’ Ungheria (v. p. 73, n. 2); le varie poesie del cit. Scholast. dramma e le accompagnatorie del P e ri archon (p. 62 e 41* sg.), della
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Ars epistoliorum. *1 (f. 694v) Arithmetica praxis. Tabulae astrorum resolutae. 2 Historia Theodosiae martyris. 3 Periarehon ad Venetos. 4 Musica praxis. Translatio Vitruvii Ethrusca. 5 Translatio metamorphoseos Apuleianae Ethrusca.6 Methodica rudimenta. 7 Praxidicum methodicum. 8
Cosmodystychia (p. 10* sg.) e dell’ ufficiatura di S. Teodosia (p. 93). Vi avrà compreso nella sua intenzione forse anche le «m olte poesie estemporanee», delle quali come delle tante orazioni e lezioni improvvisate si vanta (v. p. 40), ma è dubbio se si sarà curato di metterle poi in iscritto, non sentendone egli il bisogno perchè non pro vava difficoltà ad esprimersi, e poi perchè forse avrà in fondo capilo ancor egli, solilo a ripetersi anche nelle opere «lucubrate», che certi improvvisi, i quali ad ascoltarli potevano destare ammirazione o per lo meno non dispiacere, a farli leggere con calma non ci avrebbe guadagnato. 1 11 titolo non corrisponde a quelli delle stampe: «Opusculum scribendi epistolas, Are epistolandi, Modus epistolandi », ecc. Sull’op. cf. V errua , L ' Università di Padova ecc. cit. a p. 21, n. 2; e sopra, p. 58 e 98, n. 2. 2 Contenute, suppongo, nell’opera sua astronomica, terminata ma non ancora riu nita, che intendeva pubblicare quanto prima. Nella Cosmodyst., lib. 3, c. 7 « De astro nomia eiusque partibus », f. 90v, dopo Iodate le tavole di Albumassar, Alcabizio e re Alfonso, e i «iudicia ... Hally habenrangelis», e ricordate anche «nonnullae blanchinae, reliquae patavinae et similes» tavole, annuncia 1’ « Astronomieon Nigri » modestamente così: « At ego quidem (nisi me animus tallit) opere meo astronomico, quod iam in c o e ptu m est et ad fin e m u squ e d ed u ctu m , sed nondum ursae more bene formatum, tantum huius scientiae studiosis prodesse crediderim, ut preter illud nihil amplius hac in facul tate exoptandum existimem. Complexus enim sum uno labore unoque volumine omnia tam ad theoricam quam ad praxim pertinentia, quod Deo concedente quam primum pro dibit in lucem». Disgraziatamente l’astrologo anche questa volta non fu profeta: o non trovò editore, oppure non finì vuoi per incostanza o stanchezza, vuoi forse tediato e im barazzato dagli attacchi di un astronomo rivale (v. Append., p. 17*, n. 5). — L ’insistenza del Negro a vantarsi un buon astronomo veniva probabilmente da ciò che allora si trat tava della correzione del calendario (cf. D. M ar zi , La questione della riform a del ca lendario nel Quinto Concilio Lateranense. 1512-1517); correzione per la quale difatti egli esibì calorosamente l’opera propria (f. 264r) ed aggiunse alla Cosmodyst. (dopo la «Totius operis peroratio»!) il «calendarium verificatum» (ff. 652v-663v; cf. Append., p. 10*). 3 N’è stampata la parte terza, sui miracoli: v. p. 91 sg. 4 Cf. sopra, pp. 47 sg., 62, 80 n. 2, e l ’Appendice, p. 40* sgg. 5 Non è alcuna delle prime versioni a stampa: Como 1521 ; Venezia 1524, delle quali si conosce insomma a chi spettino. A quel tempo, come è noto, anche M. F. Calvo di Ravenna tradusse Vitruvio per Raffaello. 6 I Camaldolesi di Murano avevano nel loro codice 96 del secolo xvi una versione volgare senza nomedi autore, mancante del libro XI, ma con a g g iu n t e nel X assenti dalle edizioni (M lttar e lli , Bibliotheca ... S. Michaelis Verni, ecc., 65 sg.). Quelle ag giunte mi colpiscono: sarebbe da vedere se siano del carattere di quelle che il Negro si arbitrò di fare senza scrupolo nella Mathesis di Finnico Materno. 7 Un’opera grammaticale sulla «r a tio loquendi »? oppure di m edicina? V. F orcei.l in i -D ë
V it ad vv.
8 Ancor qui un titolo difficile, di uno scritto probabilmente astrologieo-geoponico. Praxidica fu nome di deità e di un decano celeste, e Praxidico un « matematico » rive-
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PE SC E N N IO FR AN CESCO NEG RO VENETO
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19. 20. 21. 22. 23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. 31. 32. 33. 34. 35.
Grammatica Graeca. 1 Dityrambi2 Ethrusci. Invectivum in medicos. Firmici instauratio.3 Chymica praxis. Magica pfaxis. Somniorum interpres. Philosophorum ludus.4 Genetliacon. 5 Physionomus. Chiromanticus. Quadragesimale. Cosmodystychia. 6 Satyrae. Sischaria com^dia, 7 Aretha tragedia. Confessionale.
latoci dai codici astrologici greci, che Attio tradusse in latino, come sembra detto e da intendersi in P linio, Nat. Itisi., XVIIt, 200, secondo W. K roll, De Attio et P ra xid ico eee. nell 'A m erican Journal o f Philology, L1X (1938), 479 sg., mentre il Negro deve averlo preso per il titolo appropriato di un’opera che insegnasse in quali congiunzioni delia luna conveniva fare le semine (e altre operazioni di campagna). ’ Annunciata già nel 1480 al Botta come prossima a pubblicarsi: v. p. 45. 2 Vale a dire: liime, Canzoniere, non ditirambi, quali si sogliono intendere con tal nome. Francesco difatti chiama « Opus dityrambicum » la Gelosia del Sole del Britonio e « dityrambica sua » le rime che costui cantava suonando la lira alla principessa di Bisignano Eleonora. V. Append., p. 31*. 3 V. sopra, p. 65,70, 79. Su quell’audacissima « instauratio», testimonio dell’ingegno del Negro che corresse molte mefide « ingenio suo usus » e nelle sue interpolazioni « non male » imitò lo scrivere di Firmico, ma testimonio pure del suo perverso giudizio avendo sformato il testo « colorem ferreae Latinitatis detergendo et fucum quendam Ciceronianum adlinendo, quo factum est, ut usque ad nostram aetatem verus Firmicus latitaret», e, peggio ancora, per un’estensione complessiva di 20 fògli circa su 174 dell’edizione Aldina colmando lacune .« spuriis verbis..., inter quae multa vocabula lexicographos, multa argumenta morum historiae indagatores fefellerunt », v. K roll e Z iegler a p. xxii sg. e 536 del fase, secondo dell’ultima edizione (Lipsia 1912). Ben triste questo merito del Negro, l ’unico durato per quattro secoli. 4 Anche questo, come i tre precedenti e i tre seguenti, fu probabilmente titolo di un’opera punto filosofica o riguardante i filosofi, ma di falsa scienza, forse astrologica. Difatti tra i « libri de astrologia » della biblioteca del cardinale Pietro de Frias ( f 1420) sono segnati «Item duo quaterni, unus in vulgari, lu d o ru m p h ilo s o p h o r u m , in papiro, modici valoris; item alius, in papiro, lu d o ru m p h ilo s o p h o r u m , in latino, modici valoris» (ed. N. K eller in L a Bibliofilia, XL, 324). Il Negro scrisse, o pensò di scrivere, anch’ egli un ludas philosophorum. 5 Gf. sopra, a p. 3(5, n. 4, l ’annuncio d’ una sua opera di astrologia giudiziaria e in difesa di essa. 6 Fin qui i titoli sono sempre scritti a principio di riga, avendo Francesco voluto segnare ogni opera in una riga a sè; e qui terminò al momento che.componeva, col titolo cioè dell’opera in corso, ormai giunta alle ultime pagine. Invece i titoli seguenti stanno di flanco ai titoli 25-31 e sono in lettere alquanto minori, quindi un’aggiunta che risponde perfettamente alle mutazioni di numeri indicate a p. 98, n. 1. 7 Gf. p. 77, n. 8, è p. 83.
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36. Commentarium Persii. 37. Commentarium sphaerae. 38. Invectiva impersonalis. Scribemus et multo plura, si licuerit, quorum conceptus iam in mente si gnati sunt, (f. 695r) nec unquam negligentiae involvemur crimine, si modo mi sellam hanc nobis vitam quoquo modo transigere dabitur.
Anche se Francesco non continuò a comporre « multo plura » come minaccia, « purché gli sia dato vivere in qualunque modo questa misera vita », e se anche la Cosmodyst. fosse stata nella mole ingente un’ ecce zione, il numero e la varietà degli scritti tanto più sorprendono quanto meno se ne conosceva : una trentina di titoli, fra cui parecchi di una ricer catezza ciarlanatesca, 1 sono affatto nuovi. E il Negro non li ricordò tutti: vi mancano per lo meno la Geographia annunciata al Botta nel 1480 come prossima a pubblicarsi, 2 e il grande volume De humanae condi tionis miseria scritto in prigione nel 1483 avanzato (v. p. 48); non dico anche VEpitome delle vite di Plutarco, omessa giustamente, perchè l’opera non era di lui e la sua parte in essa dovette essere su per giù quella di un proto di tipografìa (v. p. 81 sg.). Le opere religiose, alle quali in seguito avrebbe principalmente atteso dicendo d’essersi già troppo applicato agli studi profani (v. p. 104), sono quattro: 1'Historia Theodosiae m. (12), che conosciamo abbastanza; la Cosmodyst. da lui stesso dichiarata «religiosus cod ex» (v. p. 14** ) ; il Quadragesimale (30), che dovette esser voluminoso anche se non vi mise discorsi sterminati come il sermone sull’ Assunta (v. p. 42, n. 4), e il Confessionale (33), di cui può darci un’idea quello diffusissimo di S. An tonino, se il Negro non vi si abbandonò alla sua loquacità e bizzarria e al gusto degli aneddoti. Ma le più riguardano parti delle discipline del trivio e del quadrivio, con una prevalenza della grammatica e rettorica che dovette insegnare, e dell’ alchimia, astrologia e ... scienze affini, che riteneva di sua specialissima competenza. Ora la massima parte fu come se non fosse mai esistita, e non eser citò influsso alcuno, ed è perita o sta sepolta nella polvere delle biblio teche: di ben poche si indica che furono stampate, e solo di due o tre
1 Di tali titoloni, che si potrebbero pigliare per titoli di scritti, ne dà anche a ligure e strumenti particolari di sua vera o pretesa invenzione. Cosi nel f. 447’ della Cosmo dyst. : « quod facile“ in sequenti panepistemia Nigri phisiographia reperivi poterittotius caeli imagines de nocte chronice, de die cosmice et solariter oriri, et mesuranina mediare et occidere tam recte quam inverse, cum summa mentis, et oculorum oblecta tione videbuntur » ; e nel f. 479’ : « Nigri pantecnographia », che sono da intendere come il « Monochordium Nigri » dei f. 443. ' * V. p. 45. E ivi stesso, n. 5 (cf p. 8*), l’annuncio dei « Nigri Pantogeographon ». Inoltre nel 1. 9 della Cosmodyst., c. 13 sull’ottica, f. 439, dopo P « Albion britannica Claudii Ptolemaei» plana P « Albion Francisci N ig r i» flexa, che può supporsi derivata dalla Geographia, ma potè esseie anche un esempio soltanto di tavola a mo’ delle figure della nota precedente.
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PKSCEXXIO FRANCESCO XEORO VENETO
ho saputo notare il codice, ma, è vero, perchè m’era venuto alle mani, anziché per ricerche, che io ne abbia fatte nei cataloghi delle altre bi blioteche. Però ne conosciamo almeno due che rispetto alle rimanenti dovettero essere delle più importanti e serie ma rimasero e rimarranno inedite: il P eri archon e la Cosmodyst., entrambe dei generi assai colti vati delle Repubbliche e dei De infelicitate. Fanno gola, e sembrerebbe buona ventura ritrovarle, le Epistola e familiares, se pure furono mai con servate e raccolte; le opere italiane, specialmente i Ditirambi e la versione di Vitruvio, la terza per lo meno che si conosce del principio del se colo xvi ; le Invettive (21, 38), il Philosophoiuni luclus, checché fu, le Satire e le due opere teatrali (32-34): fossero anche state delitti lette rarii, non dovettero mancare d’interesse, specialmente se il Negro, che praticò coi grandi del tempo e vagò per molte parti, vi si abbandonò al buono e cattivo umore e alla bizzarria. Quanto alle altre opere, se pure mai furono tutte condotte a termine, non è da piangerne molto la perdita. Le tre grammatiche, ad es., e le tre rettoriche che possono essere state se non una rifrittura della stessa ma teria? Certo, uno studioso della partita amerebbe esaminare la Gram matica Sischariana in confronto dell' Aruntina per vedere se il Negro era rimasto, come taluni professori anche d’oggi, allo stesso punto di 30 anni addietro; ma insomma non perderà molto se non lo potrà fare.. E degli scritti tecnici — musica, astrologia ecc. ecc. — crediamo che ci dispensi la Cosmoclystychia, nella quale si parla di tutto — se ne veda la tavola nell'Appendice, p. 5*-10* — e sarà stato riversato il sugo dei libri speciali: tutt'al più, se furono prolissi, vi potrà essere stata qualche digressione aneddotica preferibile alla materia e alla trattazione stessa, per lo meno a nostro gusto. Del resto il Negro medesimo ìn.una vanteria della sua precocità e feli cità d’ingegno, effetto della « benigna radiazione del pianeta Giove », ha pensato bene di moderare le nostre aspettative, affermando che dai 30 in poi non aveva progredito più (v. p. 42); ciò che gli si può credere, avendo, dopo la disgrazia del 1483, dovuto vagare qua e là a guadagnarsi stentatamente la vita col dare lezioni e servire da cortigiano. E forse lo si potrebbe anche dimostrare, oltre che dalle tante sue ripetizioni, dalle citazioni degli autori, rimasti presso a poco quelli classici e medievali latini che aveva conosciuto nei primi anni a Venezia e a Padova. Ad esempio, non ostante le greche parole di cui o in caratteri greci o in lettere latine suole « oportune importune » costellare i proprii scritti ad ostentazione di una dottrina rarissima, e le citazioni ripetute di parecchi passi greci rimastigli nella memoria, egli in realtà non mostra grande co noscenza della letteratura greca,1 che per merito specialmente di Aldo Ma nuzio a cavaliere dei secoli xv e xvi fu resa di facile studio tra noi: delle stesse versioni umanistiche ebbe poche, se pure le ebbe alle mani. 1 Invece a P. V krrua dalle Cinque oraeioni apparve « in fatto di coltura classica... informato più della letteratura greca che della latina» (p. 202).
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RITRATTO FISICO E MORALE
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Per questo essere egli rimasto in addietro rispetto al suo tempo e per la poca castigatezza della sua lingua e del suo stile, che agli umanisti contemporanei più raffinati le ricercate parole e le apparenze di scienza pellegrina non valevano a nascondere, credo che il pover uomo finì per trovarsi in Italia (fuori sarà apparso un letterato straordinario) come uno spostato, e, nonché la grande fortuna di cui si credeva meritevole, non ebbe nemmeno quella modesta di cui non era indegno. A tale sorte però lo dovettero principalmente condurre anche la sua stranezza ed insta bilità, delle quali dopo il detto fin qui è superfluo dar prove, e certi gravi difetti morali di cui, con tuttala stima e l'affezione e il culto di se stesso, aveva coscienza, almeno in certi buoni moménti, e ora ci viene a fare spontaneamente la confessione in un autoritratto nitido e vivace. 10 - Corporis status. Mores. Vitia animi. Epilogus dictorum 1 Reliquum est ut exterioris corporis conditiones interioresque animi mores sine vanitate vel falsitate denunciem; quod in caeterorum poetarum vel aucto rum vita omnes potissimum taxant historici. Corporis igitur mediocris est statura, quod puero album et venustum ac cum Veneta dignitate grave; capillamentum flavum; oculi glauci et p a eti:2 vox canora: incessus lentus, adolescenti mox gravior et superbus. Nunc seni cruda Nigro viridisque senectus, 3 non morosa sed comis et liberalis. Fortuna varia, sed ad pauperiatem potius declinans:4 non tamen hac de causa par cus, sed rerum mearum po t i u s pr of us us , quem tamen prius solem a suo cursu averti posse censeatis quam me a iusto et aequo. Cibi parcissimi, pot us 5 mu l t i , ut Pescennium quondam proavum legimus fuisse. Memoria facili et perpetua, ingenio acri, lingua expedita et tor-(f. 695v)rent,i, oratione facunda et locuplete, ast tantae verecundiae, ut inter hominum c^tus, ut quondam Andinus, 6 elinguis fere fuerim quandoque existimatus. Nulla protervitate vel audacia inter aulicos, ut merito aulicus negari possim. Simplicis fidei et credulitatis, ut saepius iniquorum calliditale decipiar. 7 Ludorum omnium penitus et iocorum inimicus. In reprehensionibus acer, in exhortationibus semper placidus et huma
1 Ho formato il titolo con tre dei lemmi marginali più appropriati. * « Peti » nel ms. Quel po’ di losco avrà conferito alla singolarità della fisonomia, se non alla «Veneta dignità». 3 Un vero esametro, in parte ricavato da Aeneicl. VI, 301. 4 Si notino bene le parole assai caute e qui e dopo, in contrasto con quelle sue sc iite dove si lamenta della miseria ecc. 5 Non d’acqua certamente. Nella vita di Pescennio Nigro, che Francesco cita quasi a spiegare le proprie abitudini come un’ eredità da quell’antenato, lo si dice chiaro: «vin i avidus, cibi parcus » (6, 6). “ Cf. Vitcìe Vergilianae ree. 1. Blummer. p. 4, 50 (Donato) e 45, 45 (Filargirio I). 7 Da notarlo. Fu vittima una volta dell’usura (v. Appendice, p. 34*). Ma sospetto che lo fu altresì di burloni, i quali crudelmente si giocavano della sua vanità e semplicità facendogli credere per es. a chiamate onorifiche. In tutte quelle chiamate senza se guito: a Firenze, a Udine, a Vienna, a Napoli, stento a credere, mentre egli probabil mente non ne avrà dubitato, anche se per avventura se le era sognate egli. Dell’inverisimile doveva avere poco sentore; altrimenti certi racconti personali in conflitto ma nifesto con la cronologia non li avrebbe scritti.
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PESCENNIO FRANCESCO NEGRO VENETO
nus. Iuventutis amator et praecipue puerorum, 1 quos ego, Platonis in pulchro convivio et rep. praeceptum imitatus, eo semper amore prosecutus sum et pro sequor in dies, ut utraque virtute ornatos et moribus in suae reip. gloriam decus et utilitatem redderem, non Veneris benevolentia terrestris sed caelestis illius, quae nunquam in terris a mortalibus visa est, eaque praecipue mente qua suum formosissimum Alcybiadem sanctissimus Socrates prosecutus est, licet plerique histriones et scurrae risu fortasse et cachinno haec (f. 696r) verba nostra verissima fuerint illusuri. Sed scit Deus me vera dicere; sciunt et ple rique ingenui adolescentes, quos ego in Dei semper timore erudiendos et servan dos curavi, a religionis Christianae ritibus nunquam alienus, sed illi semper innixus, quam in imis praecordiorum fibris fixam gestavi, ut castum 2 et senem praecipue sacerdotem decet. Hinc multi ex mea factione 3 adolescentes, relictis saecularibus pompis, in vitam celibem et cqnobicam transiere, quorum aliqui adhuc feliciter et pie vivunt, aliqui vero iam sanctissimis naturae legibus sa tisfacientes (ut credere pium est) in divinam gratiam et sempiternam gloriam sunt recepti, Laboravi tamen aliquando 4 ut peccator, et s a e pe propter iniquitatem meam arroganti superbia et vana elatione cum immoderata iaetantia et caeterorum naucifactione, incitatissima in minores iracundia, in pares derisu, in superiores, pertinaci inobedientia,5 facili colera et temerariis in quoscunque convitiis; item invida in aequales fa-(f. 696v)ctione, non debita in bonis dili gentia, inanis gloriae appetitu immodico, plerisque gulae irritamentis, odora mentorum oblectatione, concupiscentiae stimulis, saepissima ledoria et scomate,6 lascivis quandoque verbulis cum sodalitio secundum aetatem symbolo7 et scorto. Nunc aetas gravior aliam vitam affert, alios mores postulat: aetati simul et tem pori inserviendum est. Haec sunt Celaeniae vitae instituta, hi mores, haec Fortuna. Quae si for tasse dignabitur, ut in suis primordiis pollicita est, nobis aliquantisper favere, quantulum in me fuerit, id totum in conciliationis humanae in medium edu cemus emolumentum, et praecipue, cum satis superque satis in studiis munda nis scribendi laborem consumpserim, in divinis — quod seniles et graves depo1 Qui in margine: « Pudicus puerorum amator». 2 Ma più avanti confessa di non esserlo stato sempre, perfettamente, accennando anche alla genìa di persone con cui mancò. 3 Qui in margine: «Testimonia plurimorum » e poi « Scholastici religiosi », Anche altrove si vantò di moltissimi bravissimi scolari (v. p. 42) ma non li addusse come qui a testi monianza della propria religiosità e moralità nell’insegnare e nel trattare con essi. 4 Con questa limitazione non volle dire che solo talvolta, come per eccezione, incappò in quello che segue, perchè allora non avrebbe scritto subito dopo ♦ saepe », nè specialmente l’ ultimo periodo: « Nunc aetas gravior aliam vitam affert... », per sè esprimente solo il dovere, che farebbe quasi credere non avvenuta peranco, o solo incompiuta mente, quella tarda resipiscenza ed emenda; bensì volle forse far capire che quel periodo infelice della sua vita era già passato, come del resto l’avverbio stesso « aliquando », non « aliquoties» nè « aliquantum », propriamente significa. 11 « saepe » non abbiamo diritto di estenderlo fuori di quel più triste periodo, breve o lungo chp fu. * Qui egli stesso annotò in margine: « Attende», 6 Cioè ♦ Xowoipla et scommate». 7 Così! Non so se trovisi altro esempio della parola nel senso non .buono in cui è usata qui. A questo brutto punto deve riferirsi la dolorosa nota marginale: « Dabis im probe paenas ».
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I D IF E T T I
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scunl anni — calamum iam emeritum conteremus, ut virum bonum et sanctum decet sacerdotem, qui se hominem ex animali et forma secundum Platonicos, et homini et formae natum semper debet existimare. Hoc autem tolum in cle mentissima maie-(f. 897r)state tua constitutum est, Beatissime pater, cui opus hoc nostrum tanto labore tantoque sudore et lucubratione non mediocri in lu cem editum commendamus, ut illud a malevolorum morsibus tua solum aucto ritate et splendidissimo numine tuearis, cui in hoc mundo idem est velle et posse, quique solo nutu hominem felicem et infelicem reddere, potes. Scio enim plerosque futuros, qui scripta nostra fastidiant, mordeant et illudant; quos omnes, tuo semper lumine illustratus et tutus, sum tanti facturus quanti morsus culicum molestiores Indi pensitant faciuntque barri, 1 cum nec dentes rigidi rudes coloni, civili cute nec timeantur ungues. 2 Scripsimus ex Parthenopaeis manibus Vastiaque regia, aestatis precipitis calendis, Assumptae Salutis genitricis octodialibus, a reconciliata divinitate vo lumine tertiodecimo supra millenum et quingentenum, Leonis decimi fatalis, mirandi et divini pontificatus anno primo faustissimo. Nigri cosmodystychia feliciter absoluta est.
Dobbiamo esser grati al Negro, solito dipingersi un poverino, sfor tunato senza colpa sua e contro ogni merito, perchè una volta, sull’ ul timo, ben pesando a quel che pare le espressioni, ha confessato difetti e colpe che avremmo avuto scrupolo di attribuirgli argomentando; difetti e colpe che neppur egli, per quanto indulgente verso di sè e pieno di stima, d’amore e quasi culto proprio, potè credere una raccomandazione alle alte dignità e grazie che ambiva, ed atte ad alimentare la confidenza altrui nelle prediche e critiche sue. Come mai tanta sincerità? Forse che per mettere le mani avanti, diciamo così, persuaso che fossero difetti non ignoti, e quindi il confessarli gli fosse meno dannoso del dissimularli, col rischio che emuli e nemici, ai quali più volte accenna, li avrebbero ri chiamati in memoria e diffusi malignamente a’ suoi danni, quantunque fossero miserie e magagne a cui allora non si badava tanto, come la poca castigatezza del parlare e, per un certo tempo almeno, anche del vivere? È possibile. Ad ogni modo, i brutti difetti che confessa: bere, prodigalità, super lativa stima di se stesso, millanteria, sprezzo (« naucifactio » : un termine forse di conio suo) e scherno degli altri, arroganza, irascibilità furiosa, corrività temeraria a svillaneggiare chiunque, pertinace disobbedienza ai 1 È un detto che il Negro nella l i delle orazioni pubblicate dal Verrua, p. 210, at tribuisce al Calderini: « Et licet me non desinat maledica turba lacessere [ancor questo un ritornello del nostro povero uomo], quia tamen morsus culicum molestiores indi non dubitant negantque barbari, ut trito excellentissimi quondam praeceptoris mei Domitii Calderini dicterio utar ». Dove certamente è da scrivere « barri * in vece di « barbari » e sarà da rivedere il ms. alle parole « dubitant (curant?) negantque ». Il Negro già l’usò nella dedica Ae\VA r untino dram m atica contro i vecchi e i nuovi «obtrectatores: quos tanti faciendos esse censuimus quanti culicum barri aestimant morsu,s ». 11 detto è va riante dell’adagio : « Indus elephantus haud curat culicem» ricavato dalle lettere dello pseudo Falaride e raccolto da D. Eiiasmo , Adag., Chii. I, centur. X, 66. ’ Ancor questo mi sembra un detto in due versi, che saranno corretti e sensati ma, lo confesso, non mi appariscono tali.
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I’ERCENNIo FiiANi'ESCO NTIini) VENETO
superiori, (rimostrandolo di un carattere assai diffìcile, sembrano la spie gazione naturale della sua sorte infelice: della povertà che sempre rim piangeva, pur dicendola « volontaria », e che gii veniva brutalmente rinfac ciata, 1 e del fatto che non la durò mai a lungo in un posto; onde il pen siero che, ad es„ il card. Ippolito, sebbene non molto grato e delicato verso chi lo serviva, l’abbia per un certo riguardo al maestro, anziché scacciarlo, lasciato andare dove voleva, salvo a richiamarlo in qualche grande occasione e quando ne aveva un bisogno. Non solo, ma fanno anche più dubitare della serenila de’ suoi giudizi e della giustezza delle sue affermazioni e delle sue querimonie. Dico «anche più dubitare», perchè l’ abitudine, del resto non rara fra i predicatori e i censori dei costumi, di riunire come in un quadro ad es., i vizi parlandone in modo che se ne direbbero generali le forme stesse più ributtanti di degenerazione; le patenti esagerazioni da retore e, all’occorrenza, da cortigiano, benché s’illudesse di non esserlo, le ubbie astrologiche e genealogiche di cui bambinescamente era persuaso e si compiaceva, talune dissimulazioni o dimenticanze o finzioni che si sono accertate nella trattazione, già ci ammonivano ad accettare con molta ri serva e discrezione i racconti di lui; non che l’ uomo fosse proprio un malvagio e perverso, e nemmeno un volgare mestierante e scroccone, ma piuttosto perchè fantasioso e bizzarro, allucinato da sogni di grandezza, sciupato dalla sua stessa versatilità e facilità d’ apprendere, parlare e scri vere, e guastatosi nel vagare per il mondo e dentro le corti corrotte, in cui per necessità di vitto e insieme per vanità ed albagia continuò a vi vere pur dicendone male. Molto probabilmente sarebbe rimasto più savio e migliore se l ’avessero risparmiato quella malattia gravissima, forse ner vosa, che l’abbattè da giovane, e specialmente la prigionia e il tracollo della sua fortuna, del cervello fors’anche un poco, nel 1483, e la lonta nanza perpetua dalla famiglia e da Venezia, che gli dovette cuocere còme un duro esigilo e l’ espose a pericoli e all’abbandonarsi a bassi vizi per dimenticare. Fu peccatore, ma non un indurito, nè di quegli sfacciati che anche nei loro scritti fecero e fanno pompa di esserlo. A questo punto mi sono domandato se in grazia di chi desiderasse un giudizio pieno sul Negro senza leggere le discussioni precedenti, po tessi qui darlo, attenendomi insieme, per quanlo sono compatibili e si completano, ai racconti in bene e in male di Francesco ed alle osser vazioni che circa il suo dire ed il suo fare ho esposto; e mi sono risposto di no. La ragione è chiara. Primieramente avrei dovuto studiare, e bene, anche gli altri scritti di lui e non farvi solo dei tasti per formarmene un qualche concetto. Inoltre sopra ho compiuto una parte sola, quella di critico della « Vita » di lui, ricercando se meritino fede i suoi racconti e come si debbano intendere ed accettare. A tal uopo ho bensì riportato V. sopra, p. 70, n. 3, e Appendice, p. 36*, n. 1.
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TAVOLA CRONOLOGICA DELLA VITA E DEGLI SCRITTI
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numerosi altri passi degli scritti suoi e non lio tralasciato di· esprimere, anche sull’uomo e l’opera sua in generale, le mie impressioni; ma ciò non è sufficiente ad un giudizio pieno, definitivo, nel quale debbono giusta mente apprezzarsi le virtù e i vizi, i pregi e i difetti letterari in sè e rispetto al tempo, l ’ influenza come maestro e come scrittore, ecc.: la base è troppo stretta, anzi parziale, a sfavore del Negro, che potè essere bio grafo e storico poco accurato, superstizioso, riprovevole in certe ubbie e manie, tuttavia più o meno eccellente in altre delle sue tanto varie opere. Perciò rinunciando ad un giudizio precario, difficilmente giusto, ri tengo utile piuttosto raccogliere come in una tavola le date, che credo avere stabilito, della vita e degli scritti del Negro, disponendole nell’ or dine cronologico.
T A V O L A CRONOLOGICA D E LLA V IT A E DEGLI SC R ITTI DI P. FRANCESCO NEGRO
1452, aprile 17. Nasce in Venezia da Giorgio Gernoevic e un’Elena trevisana (p. 30 sg., 33). 1464 sgg. Studia in Venezia sotto Pietro Bruto, Domizio Calderini e Domenico Bragadin, e poi a Padova con Cristoforo da Recanati e Matteo (de Catoni? p. 30 sg.). 1468 o 1469. È laureato poeta dall’ imperatore Federico III (p. 39 e 42). 1469. È promosso a 17 anni dottore in arti (p. 34 e 42). Comincia a dar lezioni (p. 44). 1470 sgg. Studia il diritto civile con Bartolomeo Cipolla e Alessandro Tartagni da Imola, poscia il diritto canonico con Alessandro Nievo, An gelo di Castro, Giambattista Roscelli (p. 39). 1476. È laureato a 24 anni in utroque (p. 39 e 42). Prosegue gli studi per divenire enciclopedico (p. 39 sg.). 1478 o poco avanti. È ordinato prete dal patriarca di Venezia Maffeo Gerardo (p. 45, 46, 54*). 1480, marzo 21. Pubblica la Grammatica Aruntina composta nel 1478-79 e annuncia una Geographia (p. 45). 1481, autunno. Viene eletto pievano della chiesa collegiata di S. Gio vanni Decollato in Venezia (p. 44, 46, 54*). 1483, maggio. È candidato al vescovado di Veglia, ma viene messo in sospetto della Signoria, processato e condannato (p. 44, 47 sg., 54* sg.). 1483, estate-autunno. In prigione scrive a propria difesa il De humanae conditionis miseria e viene liberato (p. 48, 54*). Va a Padova (p. 52). 1484-1485. In Roma istruisce due nipoti del patriarca antiocheno L o renzo Zane (p. 52 sgg.). — L'Epitalamio per Sigismondo d’Austria e Ca terina di Sassonia e altre poesie per austriaci (p. 56 sg.). 1486-1488 (1489?). Insegna a Padova. L 'Opusculum scribendi epistolas, alcune orazioni e altri scritti (p. 58 sg.).
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PESCEXXIO FRANCESCO NEGRO VENETO
1489-1491"? Insegna due anni ad Arad in Ungheria (p. 59,61 sg.). Lo Scholasticum Orosianae iuventutis dramma in onore di S. Nicola (p. 63 sg.). Trova in Ungheria un codice degli V i l i libri della Mathesis di Finnico Ma terno (p. 64 sg.). 1491-1492, prima dell’aprile, desiderato a Firenze presso Lorenzo il Ma gnifico (p. 68 sg.)? 1493-1494. In Italia. Cerca l’aiuto del conte Iacopo di Porcia per an dare maestro a Udine (p. 66 sgg.). Mosso da un opuscolo del Porcia co mincia il* P e r l archon, che termina e. dedica prima del .1498 al .doge di Venezia Agostino Barbarigo (p. 62, 80, 52*, 57*). Nel 1494 dava lezioni a Padova (p. 60, 63*, 64*). 1494, ottobre. Da Padova passa a Ferrara chiamato dal duca Ercole I d’ Este ad istruire il figlio cardinale Ippolito arcivescovo di Strigonia (p. 59 sg.). Le lettere a Tebaldo Tebaldi e al duca (p. 60, 79, 59*-64*). 1495, febbraio-1496, febbraio. Va in Ungheria con Ippolito (p. 59, 69 sg.) e forse ne ritorna (p. 74). 1496, metà?-1497, prima metà. In Ungheria. Dà lezioni alla regina Beatrice e all’ambasciatore napoletano Andrea Carraia (p. 59, 70). 1497, agosto. È a Ferrara: vi scrive la dedica al card..Ippolito dell’edi zione di Firmico Materno (p. 65, 70). 1497, novembre-1498, febbraio. Viaggio a Roma al seguito del cardi nale. È nominato protonotario apostolico (p. 70, 72, 74). 1498? Cerca nuovamente di essere chiamato a Udine: la lettera al Sabellico (p. 79 sg.). 1499, giugno. Aldo Manuzio termina la stampa della Mathesis (p. 79), e la pubblica con sua propria dedica a Guido da Montefeltro duca di Urbino in data 17 ottobre,1 senza omettere quella del Negro ad Ippolito. 1501, febbraio. Il Negro termina in Ferrara la stampa della Epitome delle Vite di Plutarco composta da Dario Tiberti (p. 81 sg.): ve l’avrà cominciata nell’ autunno 1500 per lo meno. 1501, dicembre-1503 principio? A Roma col card. Ippolito (p. 74). 1503. Attende alla composizione della Cosmodystychìa (p. 73, n. 3). 1503-1504? Di nuovo in Ungheria. Insegna un anno a Vàcz e vi è fatto canonico dal vescovo Nicola Bàthori. A Buda è incaricato di conti nuare le Rerum Hungaricarum Decades del Bonfini (p. 71, 74). 1504. È richiamato a Ferrara da Ippolito. Torna per Vienna e vi so stiene una disputa (p. 71 sg., 75). 1505. prima metà. A Ferrara. L ’elogio funebre di Ercole I. L ’orazione in lode del duca Alfonso I d’Este (p. 75).
1 Non ho annotato questo a p. 79. Nella dedica il Manuzio dice * Iulium Maternum sub tuo foelici nomine aere nostro excusum». 11ternione a principio,col frontispizio, le dediche e il «generalis elenchos » e il « pinacidion » dei singoli libri .(precisamene come nella Cosmodystychìa, Append., p, 5* sgg.), fu aggiunto in ultimo, e non è com preso nel registro tinaie, del volume.
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TAVOLA CRONOLOGICA DICLINA VITA 10 DEGLI SCRITTI
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1505, metà o poco dopo. Lascia il servizio del card. Ippolito (p. 72, 76 sg., 88). Va a Roma dal cani. Domenico Grimani (p. 78 e 88). 1506. A Bari, per un anno circa, istitutore di Bona Sforza (p. 78 e 88). 1507. A Roma, maestro di casa, sino alla fuga (ottobre), del card. Adriano Castellesi (p. 84 e 87 sg.). In seguilo fa « alcune operete » ad istanza del card. D. Grimani (p. 88). Inscritto da Giulio II nel registro dei « principi » profughi da mantenere (p. 84)? 1508, febbraio 26. Da Roma supplica il card. Ippolito di ripigliarlo a servizio (p. 88 e 64* sg.). 1508-1509. Per un anno e mezzo circa sta a S. Severina in Calabria come uditore dell’arcivescovo A., della Marra, e come aspirante alla sua successione (p. 84 e 86 sgg.). Essendo stato nominato altri, se ne parte. 1510 c. Insegna per un anno nell’accademia Cosentina (p. 84 e 89). 1511 c. Insegna per un anno a Paola (p. 85 e 88). La Grammatica Sischaria e la Sischaria Comedia (p. 91). 1511 line, o 1512, primi mesi. Viene a Napoli: lo ospita e lo cura infermo il duca di Atri A. M. Acquaviva (p. 89 e 33*). 1512-1513. Istruisce in Napoli i figli d’ Inigo d’Avalos marchese del Vasto (p. 85, 89 sg.). Presenta a Vittoria Colonna YHistoria Theodosiae, composta molti anni prima (p. 91-94 e 31*). 1513, agosto. Termina in Napoli la Cosmodystychia, e la dedica a Leone X (p. 90 e 105). 1513, novembre. È in Roma. Un esemplare in ta'le data della Historia Theodosiae (p. 94). 1514, novembre 22. Da Ischia manda a Leone X il manoscritto della Cosmodystychia (p. 94 Sg.). 1515, agosto 16. Da Roma supplica il card. Ippolito perchè gli ottenga dal card. Luigi d’Aragona la badia di S. Maria d’A llilia in diocesi di S. Severina (p. 95 e 66*-68*). 1523, novembre 20 circa, scrive sull’autografo del P eri archon una nuova dedica, a Clemente Vili (!) appena eletto papa (p. 96).
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L’ ELOGIO DI ELEONORA SANSE VERINO PRINCIPESSA DI BISIGNANO DI PIETRO SUMMONTE
Il Negro col suo elogio di Berardino Sanseverino e coll’accenno alla moglie di lui Eleonora, che il Britonio servì e dilettava cantandole le proprie rime, mi ha indotto a leggere e poi a pubblicare il panegirico della singolare donna composto dal contemporaneo Pietro Summonte, vedendolo sfuggito ai moderni occupatisi del benemerito umanista na poletano, 1 sebbene l ’abbia menzionato fino dal 1879 Attilio Hortis ne’ suoi notissimi Studj sulle opere latine del Boccaccio. 2 Già solo perchè del Summonte, esso tornerà gradito, tanto pochi essendo gli scritti perve nutici di lui e godendo egli buona fama e simpatia « per l’amicizia disin teressata che lo legò al Sannazzaro, al Pontano e al Cariteo, e per la cura tanto amorosa quanto dotta, con la quale, dopo aver, salvato da perdita quasi sicura gli autografi dell’Arcadia del primo, di quasi tutte le opere del secondo e delle rime del terzo, ne diede edizioni correttissime presso il Mayr di Napoli » . 3 Ma esso ha pregio in sè, non tanto per la compo sizione, pesante si e troppo studiata ma ben ordinata e sviluppata alla classica, sull’esempio del Boccaccio, quanto per le parecchie minute no tizie, specialmente del tempo dell’esiglio, le quali debbono provenire dalla bocca della principessa medesima o di qualcuno del seguito e sono, se anche esagerate, vere sostanzialmente, come apparirà dalle testimonianze, che indicherò nelle note. Ecco come il Summonte si sarebbe determinato a comporlo. Poiché la principessa « dilectasi anchora comparare ogni sorte de libri », egli pensò di offrirle come appropriatissimo « il libro de le donne dare facto et compilato per lo excellentissimo poeta misser Giovanni Boccaccio fio rentino, translatato di latino in volgare per frate Antonio di San Lupidio de la M arca»,4 ma arricchito della vita della principe-sa medesima come
1 Nè C. Min ie ri R iccio , Biografìe degli Accadem ici Alfonsini detti poi Pontaniani, 424-436, nè N. Man c in e u .i , P. Summonte (1923), 62-82, nè F. N ico lini , L ’A rte napol. del Rinascimento e la lettera dì P. Summonte a il/. A. M ichiel, 1, e nell’Enciclopedia Ita liana, XXXII, 991, per non citar altri, ne fanno menzione. 2 P. 932, n.° 135. Da lui ricopiò la notizia, abbreviandola, il compianto P. A. P erini nel Bollettino Storico Agostiniano, III (1927), 50 sg. 3 Enciclopedia Italiana, XXXII, 991. * Così nel titolo del ms. S ii frate Antonio di S. Elpidio v. P e rin i , Boll. Stor. Agost., Ili, 44-51, e Bibliographia Augustiniana, III, 148-150. Sulla versione di lui L. T orretta nel Odorn. stor. della Leti, lta l., XL, 36 sg.
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non da meno, anzi superiore alle donne celebrate dal certaldese; vita composta da Pietro medesimo ad istigazione del cavaliere fra Vincenzo Pappacoda 1 « obsequentissimo servitore » di Eleonora. Così nella lettera di dedica, ma non si andrà lontani dal vero credendo che il Summonte u con l’amico Pappapoda per prima cosa pensò a solleticare l’anior proprio e la vanità grandissima della principessa e poi indovinò il modo di farlo il più decentemente ed il più efficacemente insieme, offrendo l’opera del Boc caccio coronata (per così dire) dalla vita di Eleonora, ultima per tempo e rappresentante dell’età contemporanea, ma prima o fra le prime donne d’ogni età nominate nel libro. Comunque fu, rimane l ’esemplare medesimo di presentazione nel co dice Ottoboniano latino 2065,2 e si può vedere in esso come il Sum monte destramente eseguì il suo disegno. Egli prese un bel codice in pergamena di quell'opera « Expletus die iij 0 Novembris M° cccc0 L ij° » di 120 carte; aggiunse al principio due fogli, di cui lasciò vuoto il primo per ricchezza e per custodia, ed empì il secondo con una lettera ossequen tissima di dedica, in cui spiega le ragioni del dono e della biografia scritta da lui e posta all’ ultimo; aggiunse in fine altri tre fogli, con la vita stessa, e il tutto fece legare elegantemente, come si può raccogliere dal bel taglio dorato, unico residuo dell’antica legatura. 3 Dedica e vita sono in scrittura umanistica molto accurata ed elegante,4 con titolo in rosso e con bella iniziale a vari colori, fiancheggiata a sinistra da un elegan tissimo fregio che si protende sino alla metà e più della pagina. Si vegga la descrizione deH’ Hortis. Alla vita segue un distico latino 56che dice Eleonora tanto superiore alle altre donne quanto lo splendore della luna vince quello degli astri minori, ma è scritto al fondo della pagina, dopo tredici righe vuote. La cosa è stata fatta a disegno, avendo il Summonte dichiarato alla prin cipessa di stare « già con la penna disposta ad seguire il resto di vostra gloriosa vita: che se V. S. ne li anni giovenili0 fa tal dimostratione et 1 Sulla famiglia Pappacoda che « ha vestito fallito ili Malta nel 1490 » v. li. Canihiia Gonzaua, Memorie delle fam iglie nobili delle province m eridionali, VI, 139: X. Disi, Pezzo in Napoli nobilissima, VII, 185 sgg. 2 Descritto dal PII ortis, 1. c. 3 L’odierna è una comune legatura in pergamena, del tempo ili Pio IX. 4 Se la scrittura sia d’ un copista o del Summonte medesimo io non so dire. La scrittura ordinaria di lui è diversa notevolmente, almeno ne’ codici Vaticani lat. 28402843 (sui quali v. li. Soldati, I. I. P ontoni carm ina, I, p. xxm sg., xxvm), Vat. hit. 4103, f. 20-21, e Regin. hit. 2023. f. 351-355 (con le note lettere al Colocci e al Manuzio); ma forse, volendo, poteva ad agio farla anche da calligrafo. 3 Mancinki.u , p. 70: « d i componimenti poetici [latini] non abbiamo che due distici [ad Antonio Seripando], un Ifexastidion [in lode del minore Francesco Leciteti commen tatore di Giovanni Dune Scoto] ed un Carme stilla disfida di Barletta [in 23 distici]». 6 « Zovene » la disse anco S anuto , VII. 139, nel 1507; ma in quale anno sia nata non trovo. Nel 1495 essa passava per una giovinetta (A rd i. stor. per le prov. Napole tane, X, 204). Si sposò nel settembre 1490 (M. C ambra , Memorie storico-diplomatiche... di Amalfi, II, 1881, p. 72 sg.). Nel novembre 1498 diede in luce una figliuola (S anuto , 1, 196), forse quella Giovanna che la regina Anna di Brettagna nel 1507 ottenne di conser-
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P IE T R O
SUM M ONTE
dà tal presagio di sè, che sera poi in la età più grave et da le varie experientie exercitata*1 ?» Però non è probabile che abbia ciò fatto davvero, essendo morta ben presto, ancora molto giovane, la principessa, nell’ottobre 1511, due o tre anni al massimo dopo la composizione della vita. Giacché questa risulta posteriore al ritorno di Francia in Calabria, e suppone un certo tempo di amministrazione dello Stato da parte della principessa, quindi sembra della seconda metà del 1508 al più presto. Nè solo non fu continuata la vita, ma mollo probabilmente non fu nemmeno ricopiata, non ricopiandosi quasi più i codici dopo un mezzo secolo daH’invezione della stampa, e segnatamente l'opera del Boccaccio, che frattanto era stata pubblicata più volte coi tipi in latino e in tra duzioni. 1 Cosi può dirsi una buona ventura che il codice stesso di pre sentazione dalla biblioteca della principessa sia pervenuto, attraverso chi sa quali intermediali, 2 un secolo dopo nell’Altempsiana, e poi coll’ Ottoboniana nella Vaticana. Il Summonte — lo si capisce — per un buon riguardo alla destina taria non ha toccato qualche punto oscuro, che egli difficilmente potè ignorare, come quello della condotta della giovane durante la permanenza di Carlo V i li di Francia in Napoli; 3 ha sorvolato altresì sulla causa della disgrazia, non immeritata, del principe, e poi tutto il resto ha dipinto in modo da presentarla come un’amabilissima e mirabilissima donna. Ella ebbe certamente doti singolari, e probabilmente fu molto più savia e buona in fondo di quello che la pompa smodata e la prodigalità e le abi tudini da Amazone diedero a credere alla gente comune; ma non solo questa la disapprovava; essa medesima sul punto di morire, dopo due giorni appena di una malattia epidemica che infierì in Napoli, 4 non si vergognò di confessarsi e scusarsi d’esser stata « la prima vanitosa... del mondo », ad ammonizione delle nobili signore che ne circondavano il letto. Ce n’è la testimonianza nella lettera di un Hieronimo Campanaio da Napoli, 18 ottobre. 1511 (Eleonora era morta il 7, ma le esequie si fe cero il 18), 5 che Marin Sanuto, D iari, X III, 204, riporta :
vare presso di sè. Nel Sanuto però c’è un errore grave laddove riferisce (col. 113) che pochi giorni prima il console Veneto era « stato a dolersi con la principessa di Bisignano per la morte del p a d re »■: Antonio Piccolomini, duca d’Amalfi, era morto fino dal 1493, e la madre pur essa era scomparsa nel 1496 (C am era , II, 71). 11 console volle dire il fra tello di Eleonora Alfonso I, duca di Amalfi, morto a Capestrano in Abruzzo il 23 ot tobre 1498 (C am era , II, 78). 1 Cf. H o r tis , 756-760, 797, 812-817; Gesamtkatalog der Wiegendrucke, IV, 281 sg. In italiano era stata stampata poco prima a Venezia nel 1506: H o k tis , p. 802 sg. 2 11 codice non ha il numero dell’eredità del Sirleto nè compare nell’inventario ultimo della biblioteca di lui. 3 V. Archiviò stor. per le prov. Napol., X, 204 sg. 4 Tifo, secondo A. Corrad i , Annali delle epidemie occorse in Italia, p. 2911: * è un exterminio, tanti moreno», e militi erano «persone da conto » (dal Sanuto). 5 P assero , p. 177; « A lli 7 dello mese di ottubro 1511 morio in Napoli la Principessa de Bisignano figlia dello duca d’Amalfe; lo suo corpo l ’have lassato a S. loanne a Carbo-
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ELOGIO 1)1 ELEONORA PRINCIPESSA DI BISIGNANO
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...hora avisa esser manchata la principessa de Bisignano, in doi zorni, e fu fatto el suo exequio a San Ioanni di Carbonara molto sontuoso, portando il deposito sopra uno richo pano d’oro acompagnato da tutta sta chierexia, etiam da baroni e zentilhomeni con suo’ servitori, e stima li seguiva drieto stuolo de corozosi (250 strasinando con molto pano per terra. À demostrato la pompoxa vita per fina a la morte, per ben che, a l ’extremo ponto, presente molte baro nesse, se scusasse esser stata la prima vanitosa de le done del mondo, e per bon spazio Dio li donò grazia continuase el suo sermone, amonendo chi li era presente nel dire sua colpa, ma pronta li fu a chiuderli li ochii la morte.
Sic transit gloria mundi! {La dedica) A la Serenissima Signora Donna Helionora de Picolhominibus, Principessa di Bisignano, Petro Summonte dice felicità. *1 Havendo, Serenissima S. Principessa, il facondo Poeta Messer Ioan Boc caccio celebrate in lo presente libro tucte le illustri Donne, cominciando da le prime, che son state di chiara fama, fin ad quelle de la età sua, mi parerla essere tale opera non poco defectiva, quando in essa non si aggiongesse la de bita mentione di quella gloriosa et unica Donna, la quale ad iudicio di tucte quelle persone, appresso le quali la virtù è liavuta in prezzo, tanto pare che a le antique più si possa non dico aguagliar solo, ma forsi preponere, quanto che di quelle bisogna starne a la relation de li scriptori, questa ad noi senza altro inganno è permesso vederla con gli occhi nostri già presente, nè può falsa historia ingannare il creder nostro. Questa è la Ill.ma S. V. a la qual si, 2 come la natura con larga mano li have complitamente donate tucte le singulari3 parti, che mai donasse ad donna del mondo, li havesse anchora concesso farla nascere a li più docti secoli, dove con più larga tromba fosse stata da quelli eloquenti scriptori, sì come le altre, celebrata, non dubito che ragionevolmente collocata tra le prime, molte di quelle che hoggi son più chiare, le haveria lasciate nel secondo loco. Grande è certo la felicità de li secoli;4 la qual conoscendo il
nara de Napoli alla.cappella de casa Sanseverino, et morio in tre dì; et alli 18. del mese si fece l ’essequio dove foro circa 200 gramaglie [i « corozosi » del Gampanato], et bella castellana de cera». Le sarà stato fatto un monumento, penso, con iscrizione che forse ne segnava l ’età; ma se anche vi fu posta, non si sarà conservata a lungo, altrimenti (credo) l’avrebbe riportata C. D’ E ngenio Caracciolo , N a poli sacra (1624), 155 sgg. Quella povera chiesa dal secolo xvi in poi è stata vittima di vari? deformazioni e, negli ultimi tempi, di una trascuratezza somma (cf. N apoli nobilissima, N. S., 1, 81 sg.). Sulla cap pella dei Sanseverino dal titolo «d ei SS. Filippo e Giacomo. Ora, congrega di laici sotto il titolo di S. Monica e di S. Alfonso», v. C. C elano , N otizie... della città di N apoli (ed. G. B. Ch ia r in i , 1870), II, 590 sgg., dove si legge: « Ancora si ha memoria di Eleonora Piceolomini Principessa di Bisignano, di Ferdinando Sanseverino... e di altri quivi se polti », e nella nota relativa: « Come si ricava da documenti che si conservano nell’arch. Parrocch. ». 1 Per facilitare l’ intelligenza, divido le parole e pongo accenti e punti secondo che mi pare meglio, non mutando nulla nel resto. 5 Qui ♦ si » è condizionale, come in latino. 3 Prima fu scritto «sin gu la re». 1 Così, senz’altro. S’intenda: di quei secoli (più dotti). Modernamente si sarebbe ag giunta qualche determinazione a «s e c o li», come, ad es., predetti, o antichi, in cui fio rirono sommi scrittori.
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P IE T R O
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SIT M M O N T E
grande Alexandro si legge havere tanto invidiato ad Achille il suo Homero. Però quanto specta ad noi nati ad questo tempo, compensesi lo defedo de li scriptori con la verità et certezza de la fama et gloria vostra. Neancho è ne gato da la natura, che conio quella ha cominciato ad produre sì raro (f. l v) et mirabil fructo, corno è V. S., et facta già la via al bon camino, così non habbia ad seguire in far nascer·5' 1 de altri leggiadri spiriti in varie specie, talché il vo stro nome per virtù di condegni scriptori reste poi a la immortalità consecrato. Lega dunque felicemente V. S. lo honorato discorso di sua tenera gioventù fin al dì presente, et mire in questo mio quasi specchio la rara beltà, lo ra diante et novo splendore de la immortai fama sua. Al che io soti stato non poco confortato dal vaieroso cavaliero fra Vincenzo Pappacoda, vostro obsequent.mo servitore, lo qual corno persona studiosa del servitio di quella, cono scendo non essere maior guadagno che quel de la fama, va quanto più può cer cando di perpetuare il nome vostro. Il che tanto ho facto più volenteri, quanto che ho visto haver* havuto nobil soggecto, ampia et verissima materia. Ap presso sto già con la penna disposta ad seguire il resto di vostra gloriosa vita: che se V. S. ne li anni giovenili fa tal dimostratione et dà tal presagio di sé, che serà poi in la età più grave et da le. varie experientie exercitata? Ben confesso che ad un sì gran peso più robusti humeri si richiedono che li mei. Pur serà qualche cosa far* il possibile et monstrare almeno bona voluntà. Et quanto ad questo poco ch’io ho scripto, non nego anchora non haver* bastato in accommodare il debito stile ad una tanta materia, anzi de vostre laudi, quali sono innumerabili, haverne molte tanto per la bassezza del ingegno mio, quanto per mala Information preterite. Ma (come 2 ho dicto) baste la devota et syncera voluntà. Nè si deverà maravegliar* alcuno, che in questo libro ad V. S. sia dato lo ultimo loco, a la qual (per dire il vero) io non so quante de le antique debiano 'precedere. Ad me non è parso licito volere pervertere lo ordine del auctor* : tanto più che quel che lui ha facto di sequire lo ordine de li tempi fin a le Donne de la età sua, par* sia facto con non poca ragione. Et però V. S. corno persona moderna (de la qual per essere nata ad tempi nostri ne devemo meritamente gloriare) non senza ragione ne la parte del libro più moderna é collocata. Vale.
(L'elogio) H
e l io n o r a
de
P
ic o l h o m in ib u s
P
r in c ip e s s a
di
B is ig na n o
Helionora Principessa de Bisignano et per singular grandezza di animo et per candidissimi costumi oltra tucte le altre del secolo nostro meritamente fra le antique più illustri è numerata. Costei nel opulento et dolce Regno di Na poli nata, in lo castello di Celano, signoria paterna, fu figliola del virtuoso et ill.mo S. Antonio de Picolhominibus, Duca de Amalphi, 3 et di Donna Maria 1 Riproduco alla meglio il segno, perchè non sono sicuro che lo scrivente lo abbia posto per vezzo a indicare che la parola è tronca, e non già per abbreviazione, qual’è di s o l i t o i n l u i , e che quindi è da leggere « -r e », come piuttosto credo. 2 Così qui, non «corno» secondo che quasi sempre è scritto. 3 Su lui cf. L. V o li ’ ichi.l a , B. Fen lin . I instruci., 402-404, che però contro l’aperta testimonianza dell’epitalìo (dettato dal Pontano) della prima moglie Maria d’ Aragona, morta di 20 anni nel 1470, lo fa vedovo nel 1472, come fa nascere Maria il 20 gennaio 1452, mentre la nutrice di èssa risulta pagata dal 15 luglio 1451 (A rch iv. star. prov. Napol.,
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ELOGIO DI ELEONORA PRINCIPESSA DI BI SIGN ANO
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di Marzano, figliola del ser.mo Principe di Rhosano, per nome Marino di Marzano chiamato. *1 In la generation paterna, qual trahe origine da la città di Siena, son stati infra pochi anni duo Sommi Pontifici: Pio secondo, zio del dicto Antonio, et Pio terzo suo fratello, de li quali lo uno in doctrina, l ’altro in sanctità di vita sono tra Primi Pontifici meritamente celebrati. In la gene ration materna son stati anchora de gran Signori in questo nostro Regno di Napoli. Il che hoggi si vede per la universale affectione de molti popoli, loro antiqui vassalli, devotissimi oltra modo verso il nome di Marzano. La qual casa secondo la commone opinione è antiqua del Regno, non corno alcune de le altre, che con le nove conqueste si sono da altri paesi in queste parti confe rite : hoggi (corno sou le cose humane) è già quasi extincta. 2 La_ avia materna di costei, dieta pur corno essa Helionora, fu figliola dei gran Re Alfonso primo : la fama del quale durerà fin che la virtù habbia loco al mondo. Questa di egregii doni et di corpo et di animo da la natura dotata, fu data per moglie al Ser.m0 Principe di Bisignano, per nome (f. 123v) Berardino, de la antiqua et generosa famiglia di Sanseverino, giovene sì come di nobiltà di sangue et opulento stato, anchor di bella disposition di corpo, 3 di vita integra, et di suavissimi costumi; et questa è una de le felicità per havere havuto un tal marito, con lo quale per alcun tempo 4 vixe in stato felice. Poi per la insta bilità de la fortuna, da somma prosperità in somma adversità ricondocta, fu constrecta, essendo scoverta la guerra in questo Regno tra il Re di Pranza e ’ 1 Re di Aragona, fuggire con lo marito in Franza, lasciando loro ampio stato et tranquillo viver·*’ . Nel quale exilio (se exilio dir se deve una voluntaria pe regrinatione, electa da animo generoso)] difficile cosa è ad dire, quante fatighe, quanti incommodi, quante calamità con somma patientia supportasse. Le quali perchè lei assai più virilmente supportò che ad muliebre conditione si richiede, et tucto sol per causa del legitimo, sancto, coniugale amore, non serà fora di proposito, ad exempio de le altre Donne, tucto questo suo camino facontare. Prima dunque si .trovò dentro Caieta con li Francesi assediata dal exercilo Hispano. 5 In la quale obsidione quanti mali pater si ponno per gente asse diata, di fame, di spessi assalti, di crudeli battaglie, et di continua ruina di bombarde, foro tucti per lei con invicto animo tolerati. Poi bisognando fug gire da Caieta per mare con gran tempesta, essendo già gravida, se conduxe Vi, 416), data che ben concorda con quella dell’epitafio. Dei Todeschini-Piccolomini duchi di Amalfi, oltre che nel Litta, c’è l ’albero genealogico « tratto da documenti autentici ■> in Cam era , q . c., II, 96-98. 1 Cf. V o lpic e lla , 359-363. 11 Vat. Reg. lat. 1496, che ha lo stemma inquartato d’Aragona e Marzano, probabilmente fu di lui. 8 Parla dei Marzano principi di Rossano, l ’ultimo dei quali moriva a Bracciano il 7 agosto 1508, e non rimasero che donne. ’ « Il principe di Bisignano è homo di bella presenza, de statura tonda, grassoto, bianco et bello, et qui si fa gran conto et molta reverentia ». Lettera dell’8 ottobre 1496 in S anuto , I, 350. 4 Fino al maggio 1501, quando Berardino fu messo in prigione da Federico III e la principessa per liberarlo dovette rendere «le fortellezze dello stato suo » al re ma senza riuscirvi. Cf. N otar G iacomo , 237, 238; P assero , 124; F usc.o l il l o , 66. Alla fine del 1503 poi anche la casa loro di Napoli fu data a Bartolo d’Alviano, come informava egli stesso da Gaeta il 2 gennaio 1504 (v. Sanuto , V, 699). 3 Per quasi tutta la seconda metà del 1503 (P assero , 139 sgg.). Nell’accordo del 31 dicembre 1503 i plenipotenziari francesi non poterono ottenere dal Gran Capitano l’am nistia per i baroni regnicoli (P. P ie r i , L a battaglia del G ariglianq del 1503, p. 56).
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1·irru o SUM MONTE
ad Hostia, et da Hostia andando in Roma, essendo già il tempo del partorire, senza governo et adiuto alcuno fé un bello fìgliol mascolo 1 in su lo intrare de la città, in la porta di San Paulo: cosa veramente miserabile in una tal persona assueta ad tante delitie. Da Roma, essendovi stata per alcun dì, 2 si pose in viaggio verso Milano seguendo il caro marito, non curando quel delicato corpo nè di freddo, nè di pioggia, nè di qualsevoglia altra fatigha. Da Milano non spaventata (f. 124r) per la fama de le horrende Alpe, seguio il marito fin in Pranza,3 dove ben trovò la virtù sua premio ad se conveniente. Perochè cognosciuta la virtù e ’1 valor suo dal christianissimo Re di Pranza Loisi et da la Regina Anna sua moglie, fu circa tre anni che ivi dimorò, non da Principessa, ma da Regina et carissima sorella veramente tractata, mangiando continuamente in una mensa con la Regina, et albergando con lei in una medesma habitatione. Non lascierò in questa parte una specie di favore excessivo ad lei facto da quelle M.tà; perochè intendendo che lei desiderava vedere la città di Parisi, 4 li donaro subito per compagna 5 li loro officiali, et quel che fu il più, il Re medesmo li consigliò in mano la chiave del thesoro di Parisi, ad tal 6 quello lei potesse veder* ad suo piacere: la quale chiave, corno de la maior cosa che sia in tuetn la Franza, è solito in poter del Re et un altra in poter de la dieta città con somma diligentia conservarsi. Il che vedendo li Parisini, li fecero un sumptuoso dono da parte di tucta la università, così corno havessero facto verso la Regina. Facta poi la pace tra li duo Re, per la discordia de li quali essa (corno è dicto) era stata constrecta sequire per tanti lochi il marito, fu tanta la auctorità et benivoientia che hebbe appresso quella corte, et tanta la sagacità et pru dentia sua, che lei fu una de le principal cagioni di redure li discacciati Ba
1 « Pietro Romolo, il qual è-nato in Roma, et egli altresì morì in vita del padre» (come il primogenito « Guglielmo duca di Curigliano »). S. A mmirato , Delle fam iglie nobili napoletane, Hi. I due nomi forse furono scelti in memoria del luogo di nascita: Pietro per Roma, Romolo per la piramide di Caio Gestio, a porta S. Paolo, creduta da taluni sepolcro di Romolo e chiamata ancor essa « Meta Romuli, Sepulchrum Romuli » (B. M. P eebles , L a « Meta Rom uli » e una lettera di M. Ferito, in Rendiconti della Pontif. Accademia Rom. di Archeologia, XII, 1936, 29 n. 32). Un altro maschio, morto bambino verso il maggio 1500, aveva avuto la principessa (S anuto , Ili, 326). — In quali estremità si trovarono i Francesi dopo la resa di Gaeta, e sul freddo intensissimo e le malattie che allora infierirono, v. esposto da A. Corrad i , Ann. cit., 662-664, 2876, 2882, secondo i dispacci di A. Giustinian eco. Basti riferire le 'parole del L anducci, D iario, p. 266: « morivano in Roma ne' monti del letame; ignudi entravano nel letame per freddo: e se non lussi che ’1 Papa fece fare 300 o 430 saltambarca, e dettene a ognuno uno, e dette loro danari, e misegli in galea che passavano di là in Francia, sarebbero tutti morti ». ! Tra il gennaio e febbraio 1504 all’incirca: cf. Sanu to , V, 913. 3 Vi si parlava della sua venuta fino dai primi del 1504 (cf. S anuto , V, 817), mentre il principe era ancora a Roma (ib., 913). Ci si trovò e trattava nell’estate (ib., VI, 59). Vi saranno giunti verso o dentro la primavera; con che si ottengono i « circa tre anni » passati da lìleonora in Francia. 4 La corte risedeva d’ordinario a Blois. 5 Per « Compagnia. .Modo usalo dagli antichi di levar l ’I a sì fatte voci ». Così nel D izion a rio di Tommaseo e Bellini. 6 Corrisponde ad « Acciò » (acciocché).
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E LO G IO DI E LEU M iIIA
l'U I X C I l’ ESKA DI B IS IG X A N O
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roni noi Regno in li proprii siali. 1 Dal qual tempo cominciò la fortuna ad mo strarli più gioconda faccio per li meriti de la sua virtù. Perorile più honori non si pollano haver* da qualsivoglia gran Signora, che lei hebbe, partita da Pranza, per tueto il camiti de Italia, fin ad casa sua. PI partire suo da Franza. essendo prima partito il marito ad recuperare il stato suo, 2 fu tanto dispiacevole a la Regina, quanto mai fosse di persone in amor congionte : talché per pegno di benivolentia et sola zzo de la noiosa dipar tita fu bisogno che (f. 134v) ivi lasciasse una sua figliola dieta Ioanna, assai più cara pigliata da la Regina che propria figlia. :i Et essendo già in camino, advenne che in quel tempo il Redi Franza prese per forza di arme la famosa città de Genova: 4 per la qual cosa fu chiamata dal Re, ad talché in la triomphale intrata. di Milano 5 dopo si gloriosa victoria si havesse lei da ritrovare, per honorare la festa, et tenere il loco de la Regina in li conviti, in le giostre, et in l’altre pompe et magnificentie facte.in quella tanta felicità. Il qual medesmo officio fu pregata dal Re che lei facesse in la città di Savona, in quel honorato affronto suo con lo Re di Aragona ; 6 dove lei fo quella che recepì con le debite accoglienze tanto esso Re, come la Regina sua consorte, che dal Regno lor di Napoli passavano in Hispagna. Partita da Savona venne in Genova, dove non altramente che da vera Re gina fu da tucta la città ricevuta et honorata. Di qua ritornata in Milano, li foro di novo facti honori di Regale apparalo. Lei venea di molta et pomposa comitiva accompagnata tanto di gentilhomini corno di Donne, conducendosi ap presso di molti falconi et cani di caccia : 7 dimorava in ciascuna città alcuni dì ricevendo sempre accoglienze et honori grandi, ma lei dal canto suo usando molta liberalità in donare ad diverse persone ovunque si trovasse. 1 Le restituzioni, di cui si dà qui gran merito ad Eleonora, si fecero nell’inverno 1508-1507 da Ferdinando il Cattolico in Napoli, secondo il trattato di Blois del 12 ot to b re 1505 (Sanuto, VI, 558; 1. Du Mont, Corps universel diplomatique, IV, 1, p. 73): cf. S anuto , VI, 247, 255, 509, 520, 525; P assero , 144, 147. La principessa potè esserne una delle « principal cagioni » come ben voluta dai Reali di Francia e perchè li avrà suppli cati di pattuirle e sollecitarle. Forse affinchè entrasse in grazia di Ferdinando, Luigi X II la volle al convegno di Savona, dove pur fu la nuova regina di Napoli Germana di Foix, che di certo l’aveva conosciuta a Blois. 2 Rifatti egli era a Napoli per lo meno dalla primavera: essendo stato assaltato la sera del fi maggio 1507 da alcuni spagnoli, mentre tornava da castello insieme ad Ono rato Caietani duca di Traetto e G. B. Spinelli, « adeo la terra si levò a remor, Gridando: Italia! Italia! ». S anuto , VII, 76; N otar G iacomo , 300. 3 Fu la seconda sposa di Carlo de Rohan, conte di Guisa (A nselme , H istoìre généalogique et chronologique de la Maison fi. de France, ILI3. 69), menzionata da A. d e B e a tis , Itin e ra rio d i M ons.... i l cardinale de Aragona, ed. Pastor, p. 141; v. A rch ivio stor. per le prov. Napoletane, I, p. 111. 4 II 29 aprile 1507. S anuto , VII, 69 sg.; N otar G iacomo , 300. Cf. C. Desimoni in A lti della Soc. L ig u re di Storia p atria, X III, 479, n. 8; P. Balan , Storia d’Ita lia , VP, 18-20; H. H au ser , L os sources de l ’histoire de France. X V I ’ siècle, I, nn. 603-612. s II 24 maggio 1507. S an u to , VII, 83 sg., 89-93; C. R osmini, D ell’Istoria ... di G. I. Trivulsio, I, 378 sgg. Nelle descrizioni dei ricevimenti di Milano e di Savona ri portate dal Sanuto tra i personaggi principali che si nominano non compare la princi pessa di Bisignano. 6 28 giugno-2 luglio 1507. S anuto , VII, 87-89, 113 sg. ; H auser, I, n.o 613. 7 Più oltre il Summonte la loderà della passione per la caccia e per i cavalli. Ma' quale impressione avrà fatto quel treno sulle povere popolazioni rovinate dalle guerre e dai cattivi governi?
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P IE T R O - S l ’ J IM O X T E
Monstratasi ben la sua grandeza, ultra di Savona, di Genova et Milano, anchora in Brescia, in Mantua, in Verona, in Vicenza, in Padua, ne li quali lochi tucti fu con grandi obsequii et somma admiration riverita, passò in Venetia: 1 qui visitato il Principe, bisognò firmarsi quindece dì per posser*' rice vere li honori, che li foro facti da quella Ill.ma S. Poi che parti da Venetia, pare che le restanti famose città de Italia conten dessero ad invidia, chi maior demonstration di benivolentia et hotiore ad una tanta Signora potesse fare: dico di Ferrara, di Fiorenza, di Bologna, di Urbino, per le quali città fu il camino suo. Poi (f. 125r) si conduxe devotamente ai fa moso tempio di Sancta Maria de Loreto: a la qual rendute le debite grafie de la sua recuperata, anzi accresciuta felicità, accelerò il viagio verso Napoli, dove dal caro marito era con sommo desiderio expectata.2 Lungo sarebbe riferire li altri honori ad lei facti in questa città da Signori, da gentilhomini et da tucte nobili Donne. Et questo fu il fine del felice ritorno tanto disformo, a la misera andata sua. Del che ponno ben pigliare exempio tucte quelle Donne, che al ma ritai giogo si trovano gionte, vedendo che una tanta fé, un tanto amore verso il marito sia stato poi dal cielo sì ben remunerato. Pervenuta ai ultimo ad li antiqui Brutii, hoggi dieta Calabria, una con suo marito, et con grandissima eontenteza di tucti 3 loro vassalli firmatisi nel stato loro, lo pensier lasciò al dilecto marito do la caccia et de le altre delicie; lei preso la cura e '1 governo di tucti soi populi, con incredibile temperamento di iustitia, con admiranda prudentia, benignità et largezza quelli regge et governa, felice in dominio et ricchezza, benché digna di molto maior stato; felice in amo revole et obsequioso marito, felice ancho in bella progenie. Nè però il capace suo et infatigabile ingegno, apto già ad governare cose assai maiori, resta tanto occupato in queste sue administralioni, che pur non continue li virili et Regali soi exercitii, ne li quali da la prima età lei è stata assueta, corno è io andare ad caccia, lo cavalcare et correre de cavalli, quan
1 Vi giunse il 28 agosto. Cf. S anuto , VII, 188 sg. Ne trascrivo il passo, che mostra l’impressione lasciata ai Veneziani dalla principessa, e conferma alcune delle notizie e delle lodi date dal Summonte. « A dì 31. La matina, hessendo venuta in questa terra, za zorni 3, la principessa di Bisignano, fo fiola dii ducha di Melfi, moglie dii signor Zuan Baptista di caxa Severina, qual è nel stato suo, e lei vien di Pranza, et à otenuto dal re il suo stato, zoè per capitoli tra Franza e Spagna. È dona bella et savia et zovene, ma più perfeto a.jere; ha in compagnia con si persone assa’. Or questa matina fo a la Signoria, in colegio, acompagnata da alcuni patricij nostri, et si ricomandò al prin cipe; ritorna in reame. Et partito il conte di Pitiano di chaxa dii marchese, lei vene a starvi; et fo a veder le z o je e tutto quel si poi veder». Dov’è scritto Melfi per. Amalfi e Zuan Battista per Berardino; il che non avendo osservato gli editori fecero la prin cipessa figlia del duca Troiano Caracciolo (col. 847, 886), e nominarono Giovanni Bat tista il principe di Bisignano (col. 909). Quest’ultimo errore è stato ripetuto nel t. XI, 901 e 949. 2 P assero , 150 sg.: « A li 12 di ottobre 1507 de martedì alle 22 hore venne in Napoli da Franza la prencipessa di Bisignano de casa de Piccol’ homini mogliere dello prencipe di Bisignano de casa Sanseverino, che se n’era andato in Franza per causa delle guerre fra lo Signore Re Cattolico, et Re de Franza, che se ne andai con lo marito da Gaieta, quando lo signore Gran Capitanio conquistai Gaieta». Sanuto , VII, 176 (lettera letta a Venezia il 6 novembre): « Di Napoli, di Lunardo Anseimi, consolo. 0 da conto. Dii ritorno di la principessa di Bisignano, che fo qui; si lauda molto etc. ». 3 Se non si leggesse e sopra e sotto « tucte nobili donne, tucte virtù », avrei scritto qui e due linee dopo « tuct’i ».
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E LO G IO DI ELEONORA P R IN C IP E S S A DI DISEGNANO
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tunque aspri ot feroci siano, de quali ogni di con maior studio empie le sue stalle, exempio ad noi manifesto de le antique Amazone. Dilectasi anchora com parare ogni sorte de libri. La liberalità et magnificentia sua è tanto grande, che ad tempi nostri senza dubio tene il Principato, nè porla (secondo ciascuno extima) ad rispecto de le sue facilità essere spirito più di lei liberale et ma gnifico. Donna di egregia bellezza, di heroica agilità et dextrezza di corpo, di (f. 125v) aspecto giocondo et grave insieme misto, grande di statura, di color bianca, lata di spalle, in cinto strecta: la cui forma tucta insieme ripresenta mirabil maiestà, la quale aggionta con la fama et opinion grande, che di lei si ha, trahe ciascun che la mira in riverenza più di celeste che di humana creatura. Clemente, religiosa; in conversatione dolce et Immanissima; nel parlare elo quente et discreta; in tucto lo vivere suo magnanima, sumptnosa; et finalmente quella, che (corno saggia et da la natura bene instituita) tucti questi beni di fortuna dal volgo tanto extimati non li extima boni per altro, che per bavere 10 uso di quelli, lit quel che più è da admirar·*’, 1 che tanta perfectione di tutte virtù in assai fiorita età si trova in lei complita. Talché seguendo con li anni 11 corso de la virtù et fama sua, farà senza dubio invidia a le antique, et serà cagione che per lei questo nostro secolo rimanga a li posteri gloriosamente illustrato. Dopo 13 linee vuote:
Quantum clara ignes excellit Luna minores: Tanto foemineos Helionora choros.
1 « admirar*, che...» nel codice. Scriverei: « admirar, è che...», anziché scrivere: « Et quel ch’è più, è da admirare che... », o supporvi un’ellissi, oppure un’omissione del calligrafo.
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RIMASUGLI
Le due riderelle che metto a chiusa degli Ultim i contributi sono avanzi abbandonati da vari anni ne’ tiratoi e presso che dimenticati. Bene o male ciré entrino nel fascicolo, non esorbitano del tutto dal suo titolo, nemmeno la seconda, che v’è tollerabile in quanto è pure un ap punto solamente biobibliografìco e riguarda un teologo valtellinese della prima metà del secolo xvi, quando furono umanisti anche molti teologi, e costoro più che i puri scolastici inclinarono a novità.
1 - SUL CARME LATINO DI LUDOVICO ARIOSTO AD ERCOLE 1 DUCA DI FERRARA A ringraziare il compianto Prof. Nicola Zingarelli per il dono della sua lettura: « I l carine di L. Ar. Extollit clamor Patrem », fatta al R. Istituto Lombardo di Scienze e Lettere il 13 dicembre 1934, gli diressi il 12 gennaio 1935 la lettera che m’indnco a pubblicare, sebbene sia molto concisa, quale conveniva con lui che capiva al volo avendo studiato a fondo e da pochi giorni il carme. La lettera non dispiacque al Zingarelli; anzi pensò di «rid u rla in forma di comunicazione all’ Istituto », poiché io stesso gli avevo accen nato di tornar sopra il carme, e me ne scriveva anche il 25 marzo, quando l’aveva già colto il male, che lo gittò in braccio ai chirurghi e lo rapì il 6 giugno alla vigilia delle solenni onoranze preparategli per la lezione d’addio alla università. Rimasta fra le sue carte, senza che Egli avesse posto mano alla nota supplementare, la lettera mi fu restituita dalla gentilezza della Famiglia; e poiché non mi risulta che altri abbia nel frattempo presentato le stesse mie proposte,1*V I la pubblico: anche per avere una buona occasione d’espri mere la nostra gratitudine verso il valentuomo che aveva promesso di fare l ’introduzione storico-letteraria all’ edizione fototipica del Petrarca Chigiano L. V. 176, intrapresa dalla Biblioteca Apostolica sulle isianze ripetute di lui, introduzione di cui aveva raccolto i materiali e stabilito di com porre il testo, appena giubilato. 1 Però dell’edizione del Bolaffi e della nota del Zingarelli io non ho veduto altre recensioni oltre quelle di C. C appuccio (Bollett. di filol. class., X LII, 135 sgg.), L. D a i .masso (G iorn . stor. », e il rappresentante del Barraca «ration e commendae » offrì « sacra, subdiaconum minutum 4 et quitanciam » con pro messa di pagare il rimanente « cum primum cessabit perceptio fructuum reservatorum R.mo d.no Cardinali » . 5 Verso la metà del 1515 venuto a mancare il commendatario titolare, il card. Luigi, allora legato nelle Mar che, si affrettò a far valere la concessione del regresso: a g li111 d’agosto le menzionate bolle del 1506 vennero trascritte nel sunto fu dichiarato da Leone X dello stesso valore Il Negro, che senza dubbio durante l ’ uditorato avrà conosciuto le condizioni giuridiche della badia,
Registro e il tran che gli originali. 6* in Santa Severina e poscia in Napoli
1 Cf. U g h e lli , IX 2, 475, 479 sgg.; L. Janauschek , O rìgin. Cisterc., I, p. l x x ii . F u una delle badie della Congregazione di S. Giovanni in Fiore. 2 Su lui cf. E. P èrcofo, L a morte d i D. E n rico d’Aragona. Lam ento in dialetto calabrese ne\YA rch iv. stor. per le prov. Napol., XIII, 133-135; L. P asto «, Die lìeise des Card.· L . d’Aragona ... besclirieben von Ant. de Beatis, 1905, 1 sgg. Penso che Luigi, il primogenito di 1). Enrico, ebbe la badia nel 1494, quando si fece ecclesiastieo e rinunciò il marchesato di Gerace al fratello cadetto Carlo, ch’era stato investito di quella commenda il 12 luglio 1488, an.° iv d’ Innocenzo Vili, come risultava da un libro perduto del Sacro Collegio, da cui la scheda dell’ Indice 537, f. 139': « 5. Id. Iun. [sic] IV. Carolus de Aragonia clericus Neapolitan. fìt comm.8 Mon. B. Mariae De Calabro Maria 0. Floren. S. Severini [sic] d.8 obi. fl. 06 2/3. 12 lui. 488. S. C. 27, p. 114 ». I due avranno scambiatolo stato e i benefizi. Prima di Carlo appare commendatario l’arcivescovo Enrico (U ghelli, IX, 484 sg.); ma siccome egli deve essere morto prima del 1486 (cf. Eubel, 113, 236), probabilmente ve ne fu frammezzo uno. 3Cf. L. T homassin ., Vet. et nova Ecclesiae disciplina circa beneficia, Pars II, lib. I, c. 22, 10-11; G. Mollat , Lettres communes de Jean X X II, Introd., 24. 4 Sopra il significato dei termini v. Mollat , 82 sg. 5 Archiv. Segr. Vatie. Oblig. et Sol. 88, f. 68”. 6 Leonis X Regest., II, 164, n.° 16933 (dove correggasi « 1505» in « 1506», come vuole l ’anno 3° del pontificato5di Giulio II). E cf. v. Gulik -Eubel, H ierarcliia calli., Ili, 6, n. 4.
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AT.OUNE L E T T E R E
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aveva più volte veduto il cardinale e ricevuto da lui buone parole, e ora per aver mandato nel precedente novembre a Leone X la C o s m o d y s t y c h ia , quasi certamente contava sulla benevolenza anche del papa, non tardò a muoversi per ottenere la commenda come « cosa ad me practica », cioè quale conveniva ai suoi bisogni; e perchè ne aveva il regresso il card. d ’Aragona, cugino del card. Ippolito d’Este ch’era figlio di Eleonora figlia di Ferdinando I, si rivolse a ll’antico suo padrone supplicandolo « d’impetrar tale abbatia », nella certezza che l ’Estense non si sarebbe rifiutato a chiedere, e l ’Aragonese ad accordare; tanto più che questi s’era in certo modo impegnato sia col Negro medesimo, sia con la mar chesa del Vasto Costanza d’A v a lo s ,1 promettendo a ll’occorrenza il proprio favore a lui. L a lettera di Francesco è (si noti) di cinque giorni appena posteriore alla bolla di Leone X in favore dell'Aragonese. Il Negro dice ad Ippolito: « d e gratia se degni scriverli ». Lo credeva dunque lontano dal parente, se non fece lo gnorri per furberia. Il card. Lu igi di fatti stette ospite dell’Estense in Ferrara durante l ’estate e l’autunno 1515. 2 Quindi Ippolito, se ebbe buona volontà, potè senza incomodo alcuno e con maggiore efficacia intercedere per l’antico suo cortigiano. Ignoro l ’esito, che per l’onore di quei due ricchissimi porporati3 pia cerebbe fosse stato quale il vecchio errabondo sospirava, e non fu, senza dubbio, di diventare un commendatario per burla, di nome o poco più, fintantoché al suo « singular patrone » (dopo Ippolito), — di venti anni più giovane, — stessero riservati i frutti della badia. L a lettera fu data da Roma, ma non se ne può conchiudere che il Negro avesse lasciato i d ’Avalos e Ischia e Napoli e risedesse nell’Urbe. È possibile, anzi non improbabile, che egli, memore del proverbiale: « Chi vuole vada e chi non vuole mandi », avveratosi nel 1509, quando mandò invano un nunzio con lettera al papa per ottenere l ’arcivescovado di S. Severina (v. sopra, p. 84), vi sia venuto a bella posta, e qui avendo saputo la rivendicazione del regresso da parte del card. Lu igi e la sua risoluzione di non determinar «cosa alchuna sopra tale a b b a tia » prima del ritorno a Roma, abbia subito scritto al card. Ippolito. L a lettera « nel principio è rovinata alquanto ai lati, probabilmente per incendio » (Galavotti), come sono del resto « quasi tutte le lettere dei fami liari d’Ippolito disperse nei P a r t i c o l a r i , . . . bruciacchiate nei m a r g in i» .4
1 Su lei v. sopra, p. 31* sg. 2 V i compare in luglio e agosto (S anoto, XX, 407 e 549) e ancora ai primi di ot tobre (et. Catalano , I, 307, n. 57, e 579). Era partito il 26 maggio da Nepi per Genova, Milano e Mantova (cf. i dispacci di un agente da Roma alla duchessa di Bari nello Spi cilegio Vaticano, I, 297, 303, 306, 322), e non rientrò in Roma prima del 21 ottobre (v. il seguito in I I M uratori, III, 200, 206). 3 Nel 1507.Luigi aveva di rendita 8000 ducati, ma era liberalissimo (P astor , p. 3, da Sanhto, VI, 530). E dopo continuarono a venirgli benefici e grazie, come appare dalla notacit. del v. Ghlik , ma morì indebitato {v. F. N icolini, L 'A r te napol. del lìinasc., 113). 4 Catalano , I, 190, n. 42.
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A P P E N D IC E A L L A
M E M O R IA
SU
P.
FU .
NEGRO
mo Segnor mio. La fede et servitù usata verso la 111.ma S. v.ra tanto teo per el passato, et per dover durare apresso di me per lo advenire fin a la mor | mi dà speranza al presente poter conseguire una gratia sengulare apresso la ili.ma S. |la qual io li supplico cum li genochii incli nati, dovendoli restar servo in perpetuum. | gnor mio ill.mo., già fa uno mese e mezo che 1’ è vacata una abbatia, chiamata la abbatia de sancta Maria de Altilia in Calabria, apresso la cita de sancta Severina, dove io ho practicato per anno uno et mezo, et è regresso de lo ill.mo S. Card.le de Ragona, mio singular patrone apresso la ili.ma S. v.ra; lo quale per sua gratia molte fiate trovandosi in Napoli me ha promesso el suo favore accadendo. Et perchè io scio che fin ad questo giorno sua R.ma S. non ha determinato cosa alchuna sopra tale abbatia, ma se reserva a la sua retornata ad Rhoma; sapiendo io quanta è la amicitia et parentella de v.ra ili.ma S. insieme, me confido che se v.ra ili.ma S. ila domanda per me, quella facilmente la obtenirà. Però ingenochiato davanti la ili.ma S. v.ra supplico de gratia se degni scriverli et im petrar tale abbatia per me, per essere cosa ad me practica, sopra la qual sotto 1’ ombra de le ili.me S. v.re potrò viver felicemente in questa mia vechieza, et son certo sua ili.ma S. non me la negerà, havendo facte tante offerte ne le mane de la ill.ma S. marchesa del Vasto in Napoli. Et io ne resterò servo ad tuti doi fin a la morte. Et in gratia de v.ra ill.ma S. me reccomando. Ex urbe die 16 augusti 1515. Franciscus Niger.
Nel retro in mezzo: Al mio ill.mo et R.mo Segnore S. Car.le de Ferara In Ferara
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AGGIUNTE E CORREZIONI
P. 4. Si termini la n. 1 con l ’aggiunta: e prova la verità delle affermazioni di lui nella risposta a’ suoi critici (« Democrito») e nel 1. 8° della 3l decade Rerum Venet. (Op., II, princ. e col. 1457), citate da E. F uete r , Geschichte cler neueren H istoriographie·', p. 31. P. 12. V. ora E. P i a n e t t i , F r a ’ Iacopo F ilip p o Foresti e la sua opera n el quadro della coltu ra bergamasca, in Bergom um , 1939, 100-109 (continuerà). Già al P. Verani cit. dal Tiraboschi parve diretta al Foresti la lettera diretta « Foresio ». P. 37, n. 3. Nel 1515 c’erano « decessecte donne murate in S. Pietro, San Iohanne Laterano et ad Sancta Maria Majore », alle quali anche di lontano si chiedeva di pregare per ottener grazie sospiratissime. V. in Spicilegio V aticano, I, 502 e 515, i dispacci di un agente in Roma alia duchessa di Bari. P. 38, n. 4. Il Bragadino non fu « il primo Lettor pubblico di Filosofia»· a Venezia, bensì fra Paolo della Pergola suo maestro. Gf. A. S eg ar iz zi , Cenni sulle scuole pubbliche a Venezia nel sec. X V e sul p rim o maestro di esse negli A tti del R , Istituto Veneto , LXXV, 646 sgg. Studiò con lui sotto Paolo anche Niccolò vescovo di Modrussa, il quale nei dialogo De m ortalium felicitate fece sostenere la propria opinione « Dominico Bragadeno viro, quidem doctissimo... quem cum Ioanne Caesariensi hac de re disserentem induxi apud Paulum Pergulensem... » (v. L a B ib lio filia , XXVI, 258 e 362, dove avrei citato anche F r a knói V., M iklós m odrusipiispòk élete, m unkdi és kònyvtdra (M a gy a r Kónyvszemle, 1897, 2 e 16, se l ’avessi conosciuto). — Del Caldiera è finito a New York un ms. datato (an. 1367) delle Tabulae Alfonsine e di « Ioannes Danckonis de Saxonia » (cf. S. de R icci , Census o f M edieval and Renaissance Mss in thè United States and Canada, II, 1782, n.° 162). P. 40, n. 1. S egarizzi , o. c., 655 sg., non nomina S. Bartolomeo fra le chiese di Venezia, presso le quali si facevano lezioni, li Filelfo — figlio, Giammaria, — fu condotto nel 1460 professore di poetica e di oratoria e storia dalla Signoria, ma vi durò poco (v. S egarizzi , 650 sg.). P. 52. Allo Zane ancor giovane, ch’era stato discepolo di Lorenzo Valla e ne aveva prese le parti nella lotta contro Poggio ( A gostini , 1, 179 sg.), il riputatissimo maestro in Venezia «Ioannes Petrus Lucensis», cioè Giampietro di Pietro Vitale di Avenza ( f 1457), riconoscente « quod me anteaquam vidisses plurimi fecisses, quod me m a g i s t r u m potissimum d e l e g i s s e s , quod fratrem tuum mihi commendasses, quod Roinae multis in locis meum nomen ce lebrasti et, quod ego maximi facio quodque mihi optatissimum fuit, Laurentio Vallae doctissimo et eloquentissimo viro me conciliasti », dedicò nel 1453 la traduzione dei Problem ata di Plutarco, più volte copiata (Vatic. lat. 1497 ; Urbin. lat. 226, dall’ed.?) e stampata, ma sempre senza le l e t t e r e che la dimo strano diretta allo Zane, e però lo s’ignora da quelli che hanno parlato dei due : G. degli A go stini , I, 178 sgg. ; G. S forza negli A tti e M em orie delle R R . Deputazioni d i S to ria p a tria per le p rovin cie Modenesi e Parm ensi, V, 393-411. Il codice stesso di présentazione è l’elegante Chigiano I. V. 178, con lo stemma Zane sul f. l r, una dedica di cinque pagine a principio, da cui ho tratto quanto ri
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ferisco, ed un'accompagnatoria di due pagine alla fine in data « Venetiis x v i i Kl. Aprilis. MccccLiij » (così mi pare), nelle quali si scusa dei ritardi coi dolori for tissimi di corpo (f. 2r : « quartus decimus annus agitur, quo podagricus esse cqpi : quod ita initio moleste tuli, ut animi dolore fractus et litterarum studia detestatus, quae causam morbi mihi attulisse arbitrabar, omne discendi studium penitus abiecerim ») e cou le occupazioni di professore. Che lo Zane avrebbe gradita la dedica, Giampietro l’aveva saputo « e x L e o n a r d o M o n t a g n a tuo homine studiosissimo et in primis erudito » (che fu famigliare dello Z. e g l’indirizzò due libri di Carmina, Epistolae et Epigram m ata: v. A g o s t in i , I, 188 e 204). Su Giampietro v. S a b b a d in i , Epist. d i G u a rin o Ver., Ili, 466 sg.; ma non seguo lui e lo Sforza a chiamarlo Vitali, perchè nella espressione « Mag. Ioannes Pierus quondam Pieri Vitalis de Massa », su cui si fondano, « P. Vitalis » può essere tanto Piervitale quanto Pietro Vitali. P. 60, n. 1. L ’elogioso tum ulus che Pamfilo Sassi pose a Luca Pasi (« eloquio doctus, carmine, iure sacro... populi... pectore vivit ») non ha nulla che aiuti a fissarne la data della morte, come neppure I. B. M i t ta r el l i , De litera tu ra F a ventinorum , 135, che lo ristampò. P. 64, n. 3. Il Firmico Materno di Vittorino, padre presuntivo di parecchi codici, può essere finito presso il discepolo di lui Giampietro di Avenza (v. l ’ag giunta alla p. 52), il quale ebbe i manoscritti, o parte dei manoscritti di lui, come appare dall’ultimo suo testamento in data Lucca 1 ottobre 1457, dove or dina « quod de suis bonis per suos executores dentur et solvantur creditoribus magistri Venturini de Feltri ducati viginti pro libris habitis ab ipso per dictum testatorem », e de’ propri libri lega al suo ripetitore Giovanni Bartolomeo da Brescia tanti a scelta fino al valore di 50 ducati d’oro in oro (ed. G. S forza in A tti e Mem. delle l i l i . Dep. di Storia p a tria p er le prov. Modenesi e P a rm e n s i, V, 409 cit. ib.). Quei venti ducati saranno stati un residuo del prezzo di ac quisto, fatto probabilmente parecchi anni prima, essendo Vittorino morto nel 1446. Sulla raccolta di Vittorino v. S a b b a d i n i , L e scoperte, I, 60 sg. Un Ovidio di lui, ora a Berlino, a mezzo il secolo xvm era nel monastero di S. Faustino di Brescia (Z en tra lb la tt fü r Bibliotheksrvesen, XXVII, 369). P. 72 sgg. Sulle sorti dell’Umanesimo in Ungheria dopo Mattia Corvino ora si veda anche E. K o l t a y - K a s t n e r , L 'U m a n esim o Ita lia n o in Ungheria nel n.° 5 de L a R inascita, febbraio 1939, 39 sgg. P. 119, lin. 22. Cf. H or at . carm . I, 12, 46 sgg. P. 31* sg. Non è indegno di nota che il ms. Barber. lat. 709, del sec. xin-xiv, contenente le opere di S. Agostino: De Trinitate, Super Genesim ad litteram . De doctrin a Christiana, E n ch irid ion , De fide ad P e tru m (che è di S. Fulgenzio), proviene da Costanza d’Avalos, attraverso i tre possessori ben determinati, che indicherò. Costanza lo donò al Vicario Generale d’un Ordine religioso che tenne in Ischia il Capitolo provinciale l ’anno 1519, come notò lo stesso Vicario sul dritto del f. IIr di guardia a principio: « Munus III. D. Constantiae Ducissae Francavillae1 | Anno .1519. Vie0 Generali michi in | Regno Neap.no cum His-|clae 1 Fra questa riga e la seguente ve n’è una, evidentemente anteriore, di scrittura raschiata, che principiava con una maiuscola alta che pare F , seguita a quattro punti circa di distanza, da altra lettera prominente, che sembra s o f, e quindi con un nome come « Francisci ». Apparirà dal seguito perchè penso a tale nome, benché non lo leggo.
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haberentur Comi[tia provincialia, | .2. » . 1 Siccome in Ischia, a quanto so, c’e rano solo Agostiniani e Francescani, 2 e dalle lettere del Priore Generale degli Agostiniani D. Gabriele Veneto, esistenti nei ff. 123, 132 e 135 del regi stro Dd, gentilmente comunicatemi dai RR. P. A. Casamassa e S. Lopez 0. S. A., risulta che si tenne a Ischia nella primavera del 1520 il capitolo della provincia di Terra di Lavoro e lo presedette lo « scriptor » o segretario del Priore Gene rale, Maestro Francesco « Gambass. », cioè da Gambassi in diocesi di Volterra (presso Certaldo; provincia di Firenze), nominato in quel torno «Visitatore, Riformatore» nel Regno di Napoli, 3 possiamo sicuramente ritenere chela du chessa donò il codice di S. Agostino al predetto Agostiniano fra Francesco da Gambassi e che la nota trascritta sopra è di mano di fra Francesco, il quale probabilmente la scrisse parecchio dopo, sbagliandosi d’un’unità nell’anno, o forse non bene ragguagliando ad altro stile, puta il fiorentino, come già tornato e residente in luogo dove l’uso vigeva. Ora si capisce l’altra nota svanita di possesso che precede al sommo della pagina il « Munus » e va letta così: « Co(n)ve(n)tus s.« Aug.1Gambassien, | se cretarlo ». Questa nota, che dalla posizione stessa meno comoda appare poste riore, induce a credere che fra Francesco aveva lasciato il codice al convento della patria, e forse non quello solo, se altri ne ebbe. 4 Una terza nota al fondo della stessa pagina, che sembra della prima metà del sec. xvn: « Cittadnl » ci rivelami terzo possessore, il noto Celso Cittadini di Siena (1553-1627), grande raccoglitore di codici, andati dispersi dopo la morte, di cui parecchi pervennero nel 1640 e 1641 al Cardinal Francesco Barberini e altri parecchi alla Chigiana. 5 Probabilmente fu il Cittadini, o il venditore, che cancellò il nome del convento di Gambassi, da cui dovette abusivamente uscire il codice, mentre la nota del dono vi fu lasciata perchè ne accresceva il pregio e non poteva procurare fastidio. Così il codice in poco più di un secolo cambiò casa quattro volte prima di fermarsi per sempre nella Rarberiniana. Ma anche per giungere ad Ischia e nelle mani della duchessa di Francavilla il codice aveva fatto un viaggio non breve per quei tempi. Dove sia stato copiato e da chi posseduto prima della metà del secolo xv, non risulta; ma allora o poco dopo pervenne ad un amatore intelligente e non povero, che fece aggiungere a principio due fogli di guardia (I-II), in fine un binione da scrivere (ff. 218-221) e altri due fogli di guardia; poi, oltre alcune mutazioni e supple menti nel corpo del ms. (v. ad es. i capi del De doctr. christ. e il supplemento alla fine d e ll'E n ch irid io rì), fece sul f. IIV dipingere elegantemente a vari colori 1 Qui una figura come di 2, con una coda dopo discendente a sinistra. Non so se questo sia un semplice ghirigoro, a Termine della forma d’imbuto data alla nota, o un numero (« secundus, secundo »). * Cf. U ghelli, Ita lia sa cra 2, VI, 231. 3 An. 1520, aprii. 8 da Roma: « Mag.rum Franciscum Gambassien., nostrum Scrip torem, Neapolim mittimus; quem in Regno illo Visitatorem, Reformatorem, Vicariumque nostrum facimus atque presidentem decernimus tam in Capitulo Congregationis S.t1 Iohannis ad Carbonariam, quam etiam in Capitulo provinciae Hisclae celebrando. Man damus autem, ut eidem omnes Patres fratresque omnes obediant, sub nostrae rebellionis pena atque privationis omnium graduum et dignitatum suarum » (f. 132). Su lui vissuto tino al 1548 almeno v. D A. P erini, Bibliographia Augustiniana, II, 94. 4 Non cito la coronide della nota del dono (v. n. 1), perchè me n’è dubbio il significato. 5Su lui cf. C. F r a ti , D izion a rio bio-bibliogr. dei bibliotecari e bibliofili ita lia n i, 169; Enciclopedia italiana, X, 503.
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un grande fregio circolare, toccante cinque cerchielli ben disposti attorno ad esso, e scrivervi in maiuscole d'oro: « In hoc co|dice continentur |opera Sancti Augus|tini que sunt in ci[rcum pictis circulis | annotata » (ivi ne stanno i titoli a colori); nei margini superiore e inferiore del f. l r due altri bei fregi, l’infe riore dei quali presenta al mezzo una corona d’alloro con dentro uno stemma fiancheggiato dalle lettere F C : finalmente nei ff. 219-221 fece scrivere gli argo menti dei capitoli dei quattro libri De doctr. christ. corrispondenti alla mutata divisione e numerazione dei capi introdotte nel testo. I fregi che ho detto mi sembrano di miniatura fiorentina, e ricordo di aver visto nei codici Urbinati latini indici del contenuto scritti dentro simili ornati. Si può star sicuri che lo stesso amatore fece anche legare il codice signorilmente, e n’è prova il super stite elegantissimo taglio d’oro, in stile del secolo xv-xvi, che presenta sul d a v a nt i il titolo del volume in maiuscole. « Ope ra Sa.u Augustini». È naturale supporre che il possessore, il quale commise (o per il quale fu commesso da un donatore) l ’adornamento del manoscritto, sia stato quel F C, di cui c’è lo stemma nel f. l r. Ora esso è lo stemma antico dei Contarini di Ve nezia; 1 e siccome nel secolo xv fiorì appunto Francesco Contarini, diplomatico e umanista valente, raccoglitore di antichità e d’iscrizioni, che fu anche in To scana provveditore dell’esercito Veneto mandato in aiuto ai Sanesi nel 1454, 2 così io non dubito punto che il ms. nostro fu di lui. Peccato che non si possa leggere nè la linea scancellata del f. IIr nè la nota di tre righe raschiate dal dritto dell’ultimo foglio, di cui non leggo con sicurezza se non « 1462 » al fine della 2a riga, che mi sembrano entrambe del suo tempo e forse contenevano notizie del suo possesso o di un suo lascilo! Nessuno, credo, avrebbe immaginato che un ms. del veneto Contarini fosse finito a Ischia, ma il caso non è unico, Anche l’abbozzo autografo dell’opu scolo Contariniano De rebus in E tru ria a Senensibus gestis fu portato dall’isola d’Ischia a Lucca da un certo Giuseppe Giova, e da costui l’ebbe Michele Bruto,3 che lo stampò a Lione nel 1562 con grandi alterazioni dal principio del libro II in p o i.4
1 Si vegga nelle Planches de V A rm orial Generai de J.-B. RiKTSTAPpar V. R ollano , li, pi. cxx, e anche in Ciaconio -Oldoino , Vitae et res gestae Pontif. Itom. etc., Ili, 578. Nel Vatic. lat. 3365, dell’anno 1460, che contiene i Commentaria reru m in H etruria gestarum di Francesco trascritti da Bernardo Bembo (cf. P. de N olhac , L a Bibliothègue de F. Orsini, 240 sg.), c’è, con lo stemma Bembo, elegantemente dipinto anche quello del Contarini tale qual’è nel Barberiniano. * Cf. A. Zeno, Diss. Voss., 1, 190 sgg. ; A. Segarizzi, Frane. Contarini politico e letterato veneziano del sec. X V , nel Nuovo A rch ivio Ven., N. S., X II (1906), 272-306, e Ant. Baratella ecc. in Misceli, di Storia Ven., Serie terza, X, i, 178-182. « L ’anno della morte di Francesco non posso stabilire; ma, da quanto dissi, è certo anteriore al 1475 [in Chevalier 1476] e posteriore al 1460 [come ancora in F ueter, Gesch. d. neueren H istoriographie>, 37]; più vicino mi par probabile a questo che a quel term ine»: così Segarizzt, F . C., 277. 3 Nella Praef. : « Atque horum mihi exemplar vetustissimum [!], cum diu in obscuro latuisset, losephus Iova homo pereruditus, et studiosus in primis antiquitatis mihi com modavit... Cum enim superiore anno Lucam venissem, Contareni commentarios mihi tra didit legendos, ex Aenaria Insula ab eo aliquot ab hinc annis allatos... ». 4 Lo dichiara apertamente « Antonius Gryphius F. lectori ». Disgraziatamente la nuova ed., che Arturo Segre, f 1928, ne preparava (S egarizzi, F. C., 280), non fu fatta,, nè alcuno l’ha ripigliata.
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P. 38*, n. t. Se mi fosse giunto in tempo, avrei rimandato anche all’arti colo di M. E sposito , Un Procès contre les J u ifs de la Savoie en 1329 (nella Revue d ’H istoire Ecclésiastique, XXXIV, 1938, 785-801), dove si pubblica la sen tenza assolutoria di alcuni ebrei accusati di omicidio rituale « potius coloribus et fraudibus exquisitis per aliquos eorum emulos... et ut bonis suis contra Deum et iu stitia m predarentur [parole d’Innocenzo IV], quam ut exigente iustitia punirentur » (p. 793), pronunziata dal giudice « Petrus Ravasii » e « concomissariis » dopo una rigorosa inchiesta e discussione eseguite in conformità dei re scritti d’Innocenzo IV e d i Gregorio X. « L a sentence... approuvée par le comte de Savoie, Édouard le Libéral, est une manifestation remarquable de bon sens et de justice, car, malgré l ’admirable attitude de la papauté, qui aussitôt qu’elle prit connaissance, au xm e siècle, des atrocités auxquelles la monstrueuse ca lomnie du meurtre rituel donnait lieu, ne cessa jamais de faire entendre ses remontrances et ses prohibitions, beaucoup de princes et même des hauts prélats continuaient de profiter de la croyance, désormais si largement répandue parmi les peuples, pour confisquer à leur profit les biens des communautés juives habitant leurs domaines » (p. 798). P. 45*, n. 2. Segnalo una lettera del Prioli, che per una distrazione fu at tribuita ad Ermolao Barbaro da T. S tickney , De Herm . B a rb a ri vita atque in genio (1903), p. 90, n.° 134. Fu diretta da Venezia, 20 settembre 1489, a Gio vanni Pico della Mirandola, di cui lo scrivente aveva conosciuto quanto fosser grandi l’ingegno e la fecondità, già quando esso era allo studio in Padova, 1 e vi si esalta VHeptaplus (« hac tua eruditissima in Mosen enarratione ») da poco pubblicato. Non si capisce come lo Stickney l ’abbia potuta registrare fra le lettere di Ermolao mentre è sottoscritta così, e lo St. riporta la segnatura: « Tuus quantus (« tantus » Sti.) quantus est Sebastianus Priolus clarissimi Petri S. Marci procuratoris fìlius ». La lettera intera fu stampata più volte e si può leggere, ad es., fra le Opera om nia Ioa . P i c i M ira n d ., Basilea 1557, p, 395. E neanche la lettera precedente « Salve. Accepi librum Pici de septem dierum » (ib. ; S tic kney , n.° 133) è del Barbaro, come ha creduto pure un altro dotto, 2 e perciò non sarà inutile, quantunque poco al proposito qui, trattarne. La lettera nella stampa si arresta verso il mezzo: vi manca il seguito con la data: Pavia, 1 settembre 1489, che basta da sola a dimostrare che non è del Barbaro. Difatti Ermolao il 4 settembre di quell’anno scriveva da V e n e z i a al Pico di aver ricevuto due giorni prima l ’Hexameron o Heptaplo (ed. cit. 390 sg.; S tic kn ey , p. 89, n.° 128). Impossibile adunque che egli abbia scritta la lettera del 1 settembre da Pavia, lo scrivente della quale aveva ricevuto l ’opera nell’agosto dall’innominato destinatario, e prima ancora dal nunzio pontifìcio (presso il duca di Milano) Giacomo Gherardi Volterrano. Il Barbaro, infermiccio, aveva lasciato Milano l’i l aprile, e l’aveva sostituito nell’ambasciata Girolamo Donato. 3 È possibile riconoscere lo scrivente e il destinatario della lettera? Direi di 1 Nel biennio scolastico 1480-’8t e 1481-’82. V. A. Della T orre, Storia dell’Acca demia Platonica in Firenze, 751 sg. ; E. Garin , G. P ico della M irandola. Vita e dot trina, 11. * Gf. E. Carusi , Dispacci e lettere di Giacomo G herardi (Studi e Testi, 21), 264, n. 1, che la pensò «diretta forse a Roberto S alviati». 3 V. il dispaccio del Gherardi in Carusi , p. 302.
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sì, essendoci nella parte inedita indizii dell’uno e dell’altro, e la lettera intera spiegandoci bene una lettera posteriore al Pico di un letterato e diplomatico ben conosciuto. Perciò riproduco l’intera lettera dal codice Capponiano 235 della Vaticana, f. 15a. 1 Salve. Accepi librum Pici de septem dierum enarratione, cuius item exemplar non pridem ad me miserat Iaco. Volaterranus summi Pontificis nuneius. Percurri opus quoad licuit inter aestumet pulverem. Digna divino et admirabili ingenio foetura. Sane seges et materia operis tumultuariam et ad praesens comparatam sententiam non exposcit. Sed simul dici potest Picus doctissimus, eloquentissimus et christianissimus.2 Omnia in ea aetate assequutum esse fere prodigium est. Debeo tibi plurimum,34quo internuntio Salviatus 1 usus est in eo libro ad me destinando. Neque vero Salviato viro prestan tissimo solidior occasio offerri potuit de me optime benemerendi. Nec sane alio munere debuit meam amicitiam auspicari praesertim te interprete. Itaque cum primum ad eum scripseris, immortales illi meo nomine gratias ages. Nihil mihi gratius facere potes quam ut is abs te intelligat quantum me sibi et eius operis dono et tua virtute obligaverit. Dionisii epistolas propediem habebis, atque his uteris tuo arbitrato. Vale. Papie Kal. Sept. 1489.
Dunque non al Salviati ma ad un intermediario molto apprezzato e gradito, che gli aveva domandato « Dionysii epistolas », è diretta la lettera. 11 Salviati, non essendo ancora in relazione di amicizia e in corrispondenza diretta, aveva, senza scrivere all’uomo, affidato ì’Heptaplus all’intermediario, affinchè glielo mandasse con una propria accompagnatoria. Conseguentemente chi ricevette il dono rispose all’intermediario stesso pregandolo di farsi l’interprete dei suoi sentimenti di riconoscenza e di amicizia verso il donatore, e promettendo che a giorni gli avrebbe fatto avere le lettere di Dionigi e lasciato in uso a sua volontà. Ora si legga la lettera di Girolamo Donato a Roberto Salviati da Milano 25 ottobre 1489 a p. 396 dell’ed. citata delle opere del Pico. Provocatus sum abs te in amore 5 grandibus blandimentis: p a u lo a n te suavis simo Heptapli munere, d e in p r o x im is humanissimis et elegantissimis literis tuis. Utrumque per se satis esse potuit ad omnes amicitiae numeros complectendos : accessit eodem Seraticus 6 noster, in literis et moribus tam probus quam elegans, cu iu s e tia m cau sa te non summopere amare non debeo. Ex quo quantum humanitati tuae debeam, malo mihi conscius esse quam ad te scribere. Pici erga me benevolentia iam ante per specta vel in fide testimonii tui gratiorem apud me iudicaturam meretur... Sed ea
1 Delia parte seconda del ms.; sul quale v. G. Salvo Cozzo, 1 codici Capponiani della Biblioteca Vaticana, 308-322. 2 Nell'edizione: «Picum doctissimum, eloquentissimum et christianiss. *. 3 Fin qui le stampe. 4 Roberto, il grande ammiratore del Pico (cf. la lettera del Mirandolano « Ignoto amico», p. 384 sg., e quella di E. Barbaro a Roberto stesso in Stickney , p. 70, n. 69), assiduo dell’ « Accademia Marciana » (a S. Marco di Firenze; D ella T orre, 766), che dif fondeva l ’Heptaplus del Pico, onde le lettere a lui del Barbaro, di Matteo Bossi, del Donato, del Landi, del Fonzio, di Baccio Ugolini, di Giuniano Maggio e la sua a Lorenzo il Magnifico, stampate nelle Opera del Pico (ed. cit., 389-410). Così vigilò la ¡stampa e curò la distribuzione di un opuscolo del Poliziano, e sparse anche scritti del Bosso e l'esortò a stampare il suo dialogo De veris ac salutaribus a n im i gaudiis. V. M. Bossus, Recuperationes Fesulan. (Bologna 1493: H ain , *3669; Gesamtkatalog der Wiegen drucke, IV, n.°4958), Epist. 93 e 103. 5 Così anche il ms. Cappon., non all’accusativo. 6 Così anche nel Cappon., ma nell’originale sospetto che fosse scritto « Seraficus ».
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audacia felix est in paucissimis, inter quos Picus meus. Illum quantum potes meo nomine saivere iube. Vel hoc ipso mihi maxime charus sum, quod eum vehementer amo. 1 Tu, Salviate mi, tantum tibi de me polliceberis, quantum praestari convenit ab homine amicissimo et benevolentissimo. Yale. Mediolani die 25 Octobris 1489.
Se non m’illudo, questa lettera, oltre che dello stesso stile nervoso, è per fettamente nella linea di quella del 1° settembre da Pavia e come il suo com pimento: quindi lo scrivente da Pavia secondo me è il Donato, il quale come ambasciatore ed insieme letterato, al pari dell’amico Gherardi, nunzio pontificio presso la stessa Corte, riceveva da costui (si vede) le novità letterarie, e doveva occorrendo recarsi dal duca ora a Milano, ora a Pavia. L ’intermediario, il Seratico, cioè, come credo, l ’amico e « confilosofo » di Marsilio Ficino « Antonius Seraphicus Miniatensis », Antonio « Moralis » da S. Miniato, 2 ricevuta la let tera dei 1° settembre l ’avrebbe comunicata, oppure riferitone il contenuto al Salviati, e questi allora si rivolse direttamente al Donato, che subito replicò accettando l ’amicizia e promettendogli quanto è giusto aspettare da uno ami cissimo. Altro indizio dell’origine della lettera è nell’accenno alle lettere di Dionigi de siderate (non sorprende) dal « confilosofo » del Ficino. Precisamente il Donato aveva già tradotto in latino nell’anno precedente 1488 o poco prima le lettere dell’ Areopagita e intendeva di tradurne gli opuscoli rimanenti. « Quod autem tu epislolas Areopagitae latinas feceris et caetera eius viri opuscula convertere sis ingressus, et probo et laudo, teque ad id currentem mirifice cohortor » : così gli scriveva il Barbaro da Milano il 13 aprile 1488 ; 3 e in un’altra lettera del settembre gli spiegava tre parole dell’Areopagita su cui Girolamo l ’aveva in terrogato. 4 Si conosce altri che proprio a quel tempo, non dico in altri tempi, abbia tradotto nell’Italia settentrionale e centrale quelle lettere? Dunque i n.1133 e 134 della lista delio Stickney debbono essere cancellati perchè le lettere non sono del Barbaro, e nell’edizione delle lettere del Pico al frammento « Salve. Accepi... » è da porre il nome di Girolamo Donato, e quello del Prioli alla lettera successiva.
1 Avrei omesso anche il passo « sed audacia...», che al mio scopo non serve; ma nell’edizione essendovi una punteggiatura insensata, ritengo meglio riprodurlo cor retto. 2 Su lui cf. Della T orre , 793 sg. ; e le lettere del Ficino edite o indicate da P. 0. K r i s t e l l e r , Supplementum F icin ia n u m , II, 82 sgg., 89,91, 322,362 (dove indica quelle stam pate nell’ed. di Hasilea). 3 Ed aggiungeva: « Haud scio nunquid hac in urbe codex Dionysii graecus habeatur. Curabo rescire ». Ed. in St ic k n e y , p. 73, n.° 75, e già prima nel Giornale de’ letterati d ’Ita lia , XXVIII, 215, donde G. degli A g ostini , II, 236. L ’Agostini riferisce il principio e il fine delle singole lettere secondo il codice Vatic. lat. 2934, il. 73-98. 11 trascrittore di esse — Iacopo Aurelio Questenberg (sul quale v. Rendiconti Pont. Accad. Romana di Archeologia, V ili, 1932, 249 sgg. ; H. H ommel nei Neue Heidelberger Jahrbücher, 1938, 88-104) — ne avrà ricevuto copia dallo stesso Donato durante qualcuna delle sue varie legazioni in Roma ricordate dalPAgostini. 4 Ed. St ic k ., p. 78, n.° 92: « Illa sane Dionysii Areopagitae tui verba quae latina fieri desyderas: ävoipévias ¿arceras è^aptjpév, Slavoni 16*. Socrate 104. Sparziano Elio 15*, 20*. Spettacoli 58* n. 7. Spinelli Giambattista 85, 89. Stampa, stampatori 43 n. 1, 13* n. 1. Stefano di Modrussa 32, 59. Stefano vescovo Severinense 87. Stelle, influsso 35 sg., 41 sg., 12*, 64*; — n.° delle stelle conosciute 36 n. 4. Stoici 2*_, 3*, 18*, 26*, 48*, 61*, 63*. Strigonia 59, 70, 74. Strozzi Tito 17 sg. Summonte Pietro 110. Sutri, v. Carsio Nicola vescovo 1 n. 3. Symposia Pannonia 72 n. 3.
Tabulae (astronomiche) 99. Tagliati, Taleazzi Stefano 37 n. 3, 56* n. 1, 57*. Talmud 39*. Tancredo Angelo « Lucano Pulcin. » 58. Tartagni Alessandro da Imola 39. Tebaldi Tebaldo 60, 79, 60*-63*. Tebaide, Tebei 22*. Tegliacci, v. Taleazzi. Tedeschi 45 n. 3. Temesa 27*. Temistio 83. Teodosia, S., 46, 58, 63 n. 3, 91-94, 99, 31*. Terministi 18*. Termoli, v. Agostino. Testa Io. Cyllenius 65 n. 1. Thuz Giovanni, v. Tuccio. . Tiara papiracea 61 n. 4. Tiberti Dario 81.
Tolemeo Claudio 33, 101 n. 2. Tommaso, s., d’Aquino 18*. Toscanelli (dal pozzo Tose.) Paolo 64 n. 3. Trasi buio 33*.. Traversari Ambrogio Camaldolese, b„ 64 n. 3. Trebio 28, 15*, 20*. Tremiti 123. Treviso, uno da, .40*, e v. Elena. Tritemio Giovanni 12, 17* n. 2. « Trivisia » protetto dal card. Bessarione 38 n. 3. Tuccio Giovanni, ungherese 28, 21*. Tunica, inconsutile di N. S. 39*, Turchi 30, 39*; — nel Friuli 4 n. 1, 10, 66 n. 3,~48*-50*, 53* n. 1. Turnu Severinu, v. Severinen. Turre nsi s 22.
Udine 10, 66 sg., 71, 80. Ungheresi, Ungheria, cose Ungh., v. Pan nonia. Uranio Giambattista 67, 79 n. 3. Urbino 118. Usi popolari 30 n. 5 (nuziali), 31 n. 1 (per la nascita), 63 (per la festa di S. Ni cola). Usura 34*, 36* sg.
Valacchia, Valacco 30, 15*. Valaresso Maffeo 21 n. 2. Valla Giorgio 80 n. 2; — Lorenzo 67 n. 2, 69* sg. Vàcz 71. Vasto, marchesa del, 85, 88, 95, 28*, e v. Avalos; — Vastia regia 105. Vaticana (biblioteca) 17 sg., 65 n. 1, 95. Veglia 29 n. 1, 44, 47 sgg., 54*. Velia 29 n. 1. Veneti 30; — Veneta dignitas 103; su perbia 30*; — Governo della Repub blica Veneta 80 n. 2, 40* sgg., 56*. Venezia, 31 n. 1; — chiese: S. Barto lomeo 40 n. 1, 69*; S. Giovanni Decol lato 47, 48; S. Rocco 17 ; — scuole 38, 40 n. 1, 80 n. 2, 69*. Venosa 23*.
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Venosti D. Raffaele 123-128. Verona 118; — anfiteatro 58* n. 7. Veronaeus (Plinio sen.) 2*, 5*, 15*. Vetian. (di Veglia) 54*. Vicenza 118. Vicovaro 1 n. 3. Vienna 58, 71, 73, (Pannonica) 17*. Virgilio, v. Andinus. Vitali (?) Giampietro di Avenza 69* sg. Viterbiensis, v. Angelo. Vitruvio 99.
85*
Vittorino da Feltre 64 n. 3, 70*. Vladislao re d’Ungheria, v. Ladislao. Volterrano Giacomo 74*. Voiumen (anno) 75 n. 1, 88.
Zane Francesco e Paolo 52; — Lorenzo 52 sgg., 59, 69*. Zengg, v. Segna. Zernoevich 32 n. 1. Zyphra 40 n. 7.
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