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MIMESIS / NARRAZIONI SERIALI N. 5
Collana diretta da Veronica Innocenti (Alma Mater Studiorum Università di Bologna) Sara Martin (Università degli Studi di Udine) Valentina Re (Università degli Studi “Link Campus University”, Roma) Massimo Scaglioni (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano)
Comitato scientifico Stefano Baschiera (Queen’s University Belfast) Mariapia Comand (Università degli Studi di Udine) Aldo Grasso (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano) Luca Malavasi (Università degli Studi di Genova) Roy Menarini (Alma Mater Studiorum Università di Bologna) Enrico Menduni (Università degli Studi Roma Tre) Peppino Ortoleva (Università degli Studi di Torino) Guglielmo Pescatore (Alma Mater Studiorum Università di Bologna) Enrico Terrone (Università degli Studi di Torino)
Dom Holdaway e Massimo Scaglioni
THE WALKING DEAD Contagio culturale e politica post-apocalittica
MIMESIS
MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) www.mimesisedizioni.it [email protected] Collana: Narrazioni seriali, n. 5 Isbn: 9788857538501 © 2017 – MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 / 24416383
INDICE
Introduzione
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I. Contagio mediale. Genesi e sviluppo di un ecosistema seriale complesso 13 1. Mainstream cult: nascita di un franchise televisivo 21 2. Complex zombies: una “mitologia plasmabile” dal cinema alla serialità 28 3. Expansions & extensions: le logiche narrative dal fumetto alla transmedialità 34 4. Inside the writers’ room: un’autorialità collaborativa (e conflittuale) 42 II. Nuovo ordine post-apocalittico. Allegorie politiche ed etica della sopravvivenza 47 1. Zombie politici 51 2. Dagli zombie ai sopravvissuti 57 3. Il nuovo ordine del mondo 60 4. Libertarianismo inevitabile 65 5. Il senso della fine 72 6. La politica identitaria 80 III. Dentro l’universo espanso. I mondi narrativi e il fandom di The Walking Dead 89 1. Un racconto transmediale sbilanciato 91 2. Esperienze di fandom 97 3. Dal riepilogo all’informazione 101 4. Dall’analisi all’arricchimento 108 5. Dall’espansione al supplemento 114 6. Un catalizzatore di fandom: Talking Dead 119
IV. Zombie globali. Circolazione e consumo di un franchise pop 123 1. Un successo annunciato 125 2. AMC e Fox: le ragioni di una partnership globale 131 3. La promozione: dalla costruzione dell’evento alla celebrazione del fandom 136 4. L’adattamento e il doppiaggio: zombie, vaganti, azzannatori, putrefatti, non-morti… 141 Bibliografia 147 Scheda tecnica e sinossi 151
INTRODUZIONE
Without George A. Romero there is no Walking Dead. (@RobertKirkman, «Twitter», 17 luglio 2017)
Mentre concludiamo le pagine di quest’ Introduzione, nel corso della lunga estate che precede l’attesissimo episodio numero 100 di The Walking Dead (da ora TWD), siamo investiti da notizie che ci allietano – e incuriosiscono la nostra duplice passione di ricercatori e di fan – e altre che ci rattristano. Robert Kirkman, il creatore dell’universo di comic che dà origine alla serie televisiva diventata un fenomeno culturale negli Stati Uniti e in tutto il mondo, rende omaggio al maestro del cinema horror e padre della più influente mitologia sugli zombie, George Romero, scomparso all’età di 77 anni, il 16 luglio 2017. Il tweet di Kirkman intende chiudere, o quanto meno attenuare, la clamorosa divergenza con lo stesso Romero, che in una serie di interviste concesse a partire dal 2013, aveva avuto modo di criticare TWD definendo la serie “una soap opera con qualche zombie qua e là”. Al tweet segue un vero e proprio omaggio reso a Romero, contenuto nel numero 171 del fumetto, dove l’introduzione di un nuovo personaggio della saga – Juanita Sanchez, “the Princess of Pittsburgh” (città adottiva del regista) – consente a Kirkman di citare la sequenza iniziale di Il giorno degli zombi (1985). Al di là del giudizio sferzante di Romero, TWD e Kirkman intendono raccogliere l’eredità del grande racconto di zombie: la distanza che corre fra la narrazione romeriana – tutta intrisa, dietro la metafora dei non-morti, di una feroce e ironica critica nei confronti dell’America contemporanea e dei suoi persistenti problemi, dal razzismo alla massificazione prodotta dalla società del consumo – e il franchise transmediale realizzato dalla rete basic cable AMC costituisce uno
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dei punti centrali di questo libro, che prova a riflettere, fra l’altro, sulle allegorie politico-ideologiche contenute, intenzionalmente o meno, nel prodotto televisivo e nelle sue varie estensioni. Nel frattempo, però, TWD – politicamente innocuo “come una soap opera”, per dirla con Romero, o piuttosto in grado di mettere sul piatto, spesso senza risolvere, alcune delle questioni più urgentemente avvertite nelle società occidentali (l’ossessione nei confronti delle fortificazioni, delle mura, del diritto di rinchiudersi in “comunità sicure” e di difenderne i confini anche con l’uso della violenza preventiva; oppure il tema delle malattie epidemiche…) – è diventato un autentico mainstream cult, un prodotto culturale decisamente pop, capace di fare da volano a quella zombie renaissance cominciata già dai primi anni del Duemila, per tracimare, come un vero e proprio contagio, in contesti e immaginari apparentemente lontani. Sempre durante la lunga estate che ci separa dal centesimo episodio abbiamo assistito a una curiosa, talvolta esplicitamente ironica sovrapposizione fra gli universi narrativi dei due franchise che hanno riscosso il successo e la visibilità globale più ampi nel corso degli ultimi anni: non ci ha colpito più di tanto il fatto che Tyrion Lannister – uno dei personaggi più amati di Il trono di spade (Game of Thrones, HBO, 2011-…) – sussurri un velato riferimento a TWD durante il terzo episodio della settima stagione della serie (“I’ll figure out what to do about your walking dead men” ammicca a John Snow e soprattutto allo spettatore attento), né che il grande avversario di quest’ultima parte del racconto sembri assumere sembianze più che note agli appassionati di zombie, quanto il fatto che questi riferimenti diventino oggetto di una sconfinata discussione online, a conferma che i prodotti della cultura popolare, mediatizzata e sempre più globale, vanno compresi nella viva relazione che innescano nel circuito che connette produzione e consumo (coi fan che iniziano a teorizzare possibili crossover e gli amministratori del profilo ufficiale «Twitter» di TWD che colgono la palla al balzo per farli felici: “Tyrion, no one should ever understimate any kind of #WalkingDead men”). E ancora: le discussioni sul season finale della settimana stagione di Game of Thrones si sono curiosamente incrociate con la scrittura di una parte di questo libro. Se, come si vedrà, il cliffhanger che ci separa dal centesimo episodio di TWD ruota tutto attorno alla guerra che le varie comunità di sopravvissuti intendono condurre, alleandosi fra loro, contro un governo dispo-
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tico e sfruttatore – un’allegoria che richiama un elemento del mito fondativo degli Stati Uniti, la Rivoluzione iniziata nel 1775 – ci ha stupito ritrovare una narrazione molto simile nell’universo fantasy della serie di HBO. A conferma che sotto la coltre dei generi e degli immaginari della cultura popolare ritroviamo motivi più profondi e persistenti, che consentono di inquadrare e comprendere meglio l’identità di una Nazione e la complessità dei racconti che, da qui, riescono a viaggiare nel mondo, e a raggiungere le sue diverse periferie, diventando altrettanto e diversamente significativi. E ancora, in questa estate TWD ci ha ricordato che un franchise di tale successo e portata non vive solamente quando è in onda, ma attiva – come si è già accennato – un ciclo continuativo di interazioni e discussioni, in parte alimentate da un’industria che opera sempre più a 360°, attraversando media e piattaforme differenti, senza soluzione di continuità temporale. Il franchise di TWD è dunque in continua estensione: non solo perché gli universi de-sincronizzati del fumetto e della serie (i due “ipotesti” principali e canonici) producono volumi cartacei ed episodi, ma perché essi si ampliano progressivamente attraverso prodotti sempre nuovi (l’appena annunciato TWD Our World, ad esempio, è un gioco che vuole immergerci nel mondo degli zombie impiegando la tecnologia dell’augmented reality, sulla scia del noto Pokémon Go). Da un lato, dunque, abbiamo un’industria dell’intrattenimento pronta a produrre innumerevoli sfaccettature dell’universo di TWD, e, un’industria televisiva americana (la rete cable AMC) e globale (i canali di Fox International Channels) che lavora per tenere desta l’attenzione di spettatori e appassionati con le armi della promozione e del marketing (la parte conclusiva del libro è dedicata a questi temi); dall’altro lato ci sono i fan, che con le loro pratiche creative contribuiscono a rendere il franchise ancora più complesso. “Complessità” è una parola che ritornerà spesso in questo volume: inizieremo il nostro viaggio proprio da una discussione del concetto di “TV complessa”, che, secondo Jason Mittell, ben s’attaglia a descrivere le caratteristiche più rilevanti di una parte della televisione seriale nordamericana, quella che più è stata in grado di “legittimare” non solo il genere, ma forse il mezzo televisivo nel suo complesso (la TV non è più considerata, oggi, semplicemente stupida o volgare; almeno una parte di essa – la serialità in particolare – sembra aver guadagnato i galloni di una certa rispettabilità culturale…). Una delle convin-
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zioni che ci ha guidato nella stesura di questo volume è che, se visto attraverso le lenti della “complessità”, TWD rappresenta un caso di estremo interesse, nonostante le resistenze che tale riconoscimento sembra comportare (in fondo stiamo parlando di un prodotto di genere horror, persino di successo, due elementi che tradizionalmente contribuiscono a sminuire, a non prendere troppo sul serio l’oggetto). TWD propone una forma di “complessità” in parte diversa da quella di altre serie contemporanee, ma altrettanto interessante da esplorare: in relazione alla sua genesi e alla sua struttura di franchise; in relazione alle sue politiche di rappresentazione e alle allegorie che è in grado di generare; in rapporto al suo fandom e alle interazioni che con esso sviluppa; e anche per via della sua natura di prodotto distribuito e promosso globalmente, in modo (quasi) simultaneo. Quelli qui sopra elencati sono gli elementi chiave che troverete in questo libro. TWD, dunque, nonostante le oscillazioni nella sua popolarità misurate in ascolti, rimane uno dei fenomeni mediali e culturali più rilevanti dell’ultimo decennio: la serie di AMC rappresenta senza dubbio una cartina di tornasole delle caratteristiche e delle mutazioni dell’industria culturale contemporanea. Sul piano contenutistico, innanzitutto, TWD catalizza una varietà di fenomeni legati alla mitologia “zombesca” sviluppata, negli anni, dal cinema e più recentemente dalla televisione americana. Dal punto di vista televisivo, poi, il telefilm prende il testimone da Lost e da altre serie “complesse” degli anni 2000 nello sviluppare una forma di narrazione improntata alla “popolarizzazione del culto” e all’apertura potenzialmente infinita del racconto. Sul versante della rappresentazione e dell’ideologia, inoltre, il focus della serie si sposta progressivamente dalla centralità degli zombie (o del virus che “li produce”) come origine dell’apocalisse, all’idea di una rifondazione della civiltà umana che dà per scontati il pericolo continuo e la necessità di convivenza con i non-morti: in questo modo TWD presenta un’ampia e ricca casistica di dilemmi etico-esistenziali, problematiche politiche, interrogativi legati all’organizzazione sociale, alle questioni razziali e di gender. Infine il prodotto creato per AMC intercetta e mette in forma in modo originale alcune dinamiche tipiche dell’industria televisiva contemporanea, quali il dialogo intertestuale fra fumetto, cinema e TV, le esigenze “transmediali” di un sistema comunicativo sempre più “convergente”, la necessità di intercettare il gusto di un fandom sempre più globale,
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le opportunità di sfruttare pienamente il prodotto e le sue “estensioni” nei differenti mercati di distribuzione. Alla luce della particolare rilevanza della serie, questo volume propone un’analisi di TWD che focalizza l’attenzione su alcuni snodi rilevanti che il prodotto fa emergere e su una varietà di approcci di studio particolarmente innovativi. Ciascuno dei quattro capitoli del libro centra così lo sguardo su altrettanti modi di leggere e interpretare la serie. In particolare, nel capitolo primo si inquadrerà TWD come prodotto televisivo ricorrendo agli strumenti propri dei Film and television studies, focalizzando in particolare l’attenzione sulla ideazione e produzione della serie, sulla sua capacità di dialogare con il genere horror nel suo complesso e con la mitologia “zombesca”, in particolare, e sulla sua attitudine a trasformare fenomeni di culto in oggetti mainstream. Nel capitolo secondo si proporrà una lettura di TWD a partire da un approccio legato ai Cultural studies, attento a evidenziare, da un lato, le strategie di rappresentazione adottate dal prodotto in relazione alle dinamiche politico-sociali contemporanee, e, dall’altro lato, l’ideologia stessa che la serie incarna e veicola, fondata su una visione neoliberista, tesa a valorizzare l’utopia dell’eguaglianza di fronte alla minaccia dei non-morti e a “oscurare” differenze che riemergono, comunque, in maniera inconscia e imprevista. Nel capitolo terzo si analizzerà in particolare la dimensione “transmediale” di TWD come particolarmente esemplare e funzionale a generare efficaci forme di consumo convergente e di fandom. Ricorrendo ad approcci tipici dei Media studies, e in particolare degli studi sul fandom, si considererà in dettaglio la creazione e l’espansione dell’universo di TWD, ponendo particolare attenzione al modo in cui la serie “gioca” costantemente con le aspettative del pubblico in base alle loro mutevoli interazioni con il mondo narrativo. Nel quarto capitolo, infine, si toccheranno le questioni relative alla distribuzione e al consumo di un franchise globale come TWD a partire da un approccio vicino ai Production studies relativo, nello specifico, alla comprensione dell’adattamento e doppiaggio, della promozione e della messa in onda della serie nel contesto internazionale, ed italiano in particolare (e ricorrendo qui ad alcune interviste realizzate con i professionisti del gruppo Fox che si sono occupati della distribuzione internazionale della serie).
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L’idea di dedicare una monografia a TWD è nata in occasione di un workshop tenutosi il 28 aprile del 2015 in Università Cattolica, a Milano, dal titolo Zombie Politics. The Walking Dead e altri mostri fra immaginario mediale e allegorie della politica. L’incontro era stato organizzato dai colleghi politologi Damiano Palano e Andrea Locatelli, cui va il nostro più sentito ringraziamento per quella prima occasione di riflessione comune sull’importanza della serie e, in generale, dei racconti di zombie nella comprensione delle dinamiche culturali e mediali che sono al centro di questo libro. Una parte di quelle idee sono confluite, prima che in questo volume, nello speciale dossier Zombie-Politik: L’apocalisse della post-modernità della «Rivista di Politica», diretta da Alessandro Campi, cui hanno contribuito, oltre a Palano e Locatelli, anche Luca Barra e gli autori che scrivono ora. Entrambi1 desiderano inoltre ringraziare i professionisti che hanno accettato di condividere la loro esperienza e le loro idee, e in particolare Alexandra Marinescu, Luca Rochira, Alessia Lanciano e Marta Bertolini di Fox International Channels e Anna Lanciotti di Video Sound Service. Ringraziamo di cuore le persone che hanno sempre sostenuto e incoraggiato la nostra attività di ricerca: in primis Aldo Grasso e Giacomo Manzoli. Un pensiero riconoscente va poi ai tanti colleghi che ci hanno offerto preziosi consigli sul contenuto del libro, in particolare Anna Sfardini, Damiano Garofalo, Valentina Re e Lucia Tralli. Milano-Bologna, 9 settembre 2017
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Il libro è stato progettato e realizzato congiuntamente, in tutte le sue fasi, da Dom Holdaway e Massimo Scaglioni. L’estensione dei capitoli 1 e 4 è da attribuire a Massimo Scaglioni, quella dei capitoli 2 e 3 a Dom Holdaway.
I CONTAGIO MEDIALE. GENESI E SVILUPPO DI UN ECOSISTEMA SERIALE COMPLESSO
You do it for television, where it’s never been done before. (Frank Darabont, intervistato da Alan Sepinwall) People are gonna die… There’s no way you could ever be ready for it. (Rick Grimes, 2*12 “Il giustiziere”)
Con un paio di giorni d’anticipo sulla première americana e globale della nuova serie programmata dalla rete basic cable AMC per la notte di Halloween, il 31 ottobre del 2010, il critico americano Alan Sepinwall scrive una recensione piuttosto tiepida su quanto ha potuto vedere in anteprima del pilot e delle successive puntate della prima stagione, tanto attesa dai fan del genere – e del fumetto di Robert Kirkman – e tanto promossa nei mesi precedenti dal canale e dal distributore internazionale. “Può essere che ci sia pure una ragione per la quale non sia mai stata realizzata una serie sugli zombie, al di là delle difficoltà tecniche di portare a compimento l’impresa. Può essere che l’apocalisse zombie sia un tipo di horror che è meglio seguire con rapidi sguardi, piuttosto che attraverso una storia che non prevede un finale”.1 Dopo sette stagioni già messe in onda, un centinaio di puntate realizzate (la centesima come kick off dell’ottava stagione, negli ultimi mesi del 2017, senza ancora un finale di se1
A. Sepinwall, Review: AMC’s ‘The Walking Dead’, «Upproxx.com», 29 ottobre 2010, http://uproxx.com/sepinwall/review-amcs-the-walkingdead/. Tutte le risorse online citate in questo capitolo sono state consultate nel mese di maggio 2017. Dove non diversamente specificato, le traduzioni in italiano sono a cura degli autori del volume.
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rie previsto…), un successo certificato dagli oltre diciassette milioni di spettatori americani raccolti per diversi episodi, come le première delle stagioni quinta e settima – primo prodotto cable in grado di rivaleggiare e addirittura superare in popolarità gli show in onda sui network – e la circolazione simultanea in oltre un centinaio di Paesi nel mondo, si può forse dire che il critico americano, almeno in questo caso, non ha mostrato particolari doti di lungimiranza. D’altra parte non è solamente la critica a esprimere un giudizio in chiaroscuro su TWD. Jason Mittell, uno degli studiosi più influenti nel campo dei Television studies nordamericani, fine teorico e analista della “poetica della complessità” che caratterizza la serialità contemporanea, dedica al prodotto solamente un paio di citazioni del suo più recente Complex TV: in un caso per sostenere che “sui canali via cavo di tipo basic, programmi complessi e prestigiosi come The Shield (2002-2008) e Justified (2010-2015) per FX o come Mad Men (2007-2015) o Breaking Bad (2008-2013) per AMC hanno contribuito notevolmente a rendere queste reti culturalmente legittimate e attraenti tanto per le piattaforme cable che le distribuiscono quanto per gli spettatori, anche se queste serie si sono rivelate meno remunerative al confronto con altre opzioni: per esempio, FX ha replicato più volte la sit-com Due uomini e mezzo (Two and a Half Men, CBS, 2003-2015) delle sue produzioni originali, mentre AMC ha ottenuto gli ascolti più elevati di sempre con il suo prodotto probabilmente meno complesso, The Walking Dead”.2 Come si comprende dalle parole di Mittell, nella discussione su TWD e, più in generale, sulla produzione seriale contemporanea, entrano in gioco concetti e criteri di valutazione piuttosto differenziati: la legittimazione culturale di una televisione “finalmente complessa” (e non stupida, triviale, ripetitiva… come tradizionalmente intesa per decenni, negli Stati Uniti e non solo), in grado di confrontarsi con la narrativa romanzesca e con il cinema, e di trasferire parte del suo valore ai brand delle reti che l’hanno originata,3 contrapposta 2 3
J. Mittell, Complex TV: teorie e tecnica dello storytelling delle serie TV, Minimum Fax, Roma 2017. Il tema della “legittimazione culturale” è centrale nell’evoluzione tanto dei prodotti televisivi quanto dello stesso campo dei Television studies, come è stato osservato: “Si tratta, per la verità, di una doppia legittimazione. Legittimazione dell’oggetto di studio e, assieme,
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– o, quanto meno, messa in parallelo – al successo commerciale che, per un prodotto televisivo scripted, deve oggi tenere in considerazione fattori alquanto differenti ed eterogenei (ovvero, non solamente la pura e semplice quantificazione dell’ascolto, ma la sua composizione, la capacità dunque di raccogliere nicchie delimitate ma rilevanti di spettatori, l’attitudine a creare buzz e a generare comunità di fandom, gli sfruttamenti ulteriori del valore del prodotto, sia in chiave geografica – con la distribuzione internazionale – sia in ottica temporale, con reruns, finestre successive, riutilizzo in library…). E, in fondo, come riconosce lo stesso Mittell, la “legittimazione culturale” di un prodotto “complesso” che si riverbera sull’identità e il brand di una rete è parte fondamentale del suo successo, soprattutto per i canali che operano entro un modello economico parzialmente o interamente di tipo pay (come le cosiddette basic e premium cable nel contesto televisivo nordamericano).4 Eppure, nonostante la straordinaria capacità di una serie come TWD di condensare diversi significati di “successo” – sul piano certamente della popolarità quantificata, negli Stati Uniti così come in molti dei Paesi in cui è programmata, ma anche del “fenomeno culturale” in senso più ampio – sembra esserci più di qualche
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legittimazione dell’approccio di studio, ovvero degli stessi Television studies. È curioso pensare che, proprio a partire da un oggetto come la serialità, si realizzi una parte importante di legittimazione dello studio della televisione. La televisione, come la serialità, non è stupida, triviale, banale, fatta di formule ripetitive. Al contrario, è complessa, intelligente, spiazzante. Ovviamente c’è un oggetto seriale che viene assunto a modello di questo doppio processo di legittimazione, ed è proprio la serialità televisiva di produzione americana…”. Cfr. M. Scaglioni, (Not So) Complex TV. Framing Seriality as a Practice via Contemporary Models of Italian Television Fiction, in «Mediascapes Journal», n° 6, 2016, pp. 8-20 (p. 12). Il tema è stato ampiamente affrontato da M.Z. Newman, E. Levine, Legitimating Television. Media Convergence and Cultural Studies, Routledge, New York-Londra 2012. Per un approfondimento sul modello economico della televisione americana contemporanea nell’area della produzione scripted, che ha visto affiancarsi alle cable e ai network gli operatori Over-the-top, come Netflix o Amazon Video, si cfr. per es. P. Brembilla, E. Mollona, Game of Strategy. Analisi strategica del settore delle serie TV nell’industria televisiva statunitense, Giappichelli, Torino 2015.
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resistenza a prendere veramente sul serio lo show realizzato da AMC. Come sottolinea Mittell, nella valutazione su TWD la bilancia sembra pendere decisamente più dalla parte del “mero successo” commerciale che da quella della “complessità”. Nel ricostruire la genesi e, almeno in parte, lo sviluppo della serie televisiva basata sui fumetti di Kirkman e in grado di generare, a sua volta, un “ecosistema narrativo complesso”,5 questo primo capitolo proverà a rovesciare – o a mettere in dubbio – questo pregiudizio, frutto probabilmente del sommarsi, in un sol caso, di un fenomeno di grande popolarità e dell’appartenenza a un genere – l’horror – che ancora fatica, a differenza della televisione intera come mezzo, a ottenere una propria, piena legittimazione culturale. TWD non appare nella lista dei key programs che, secondo Mittell, hanno forgiato una “TV complessa” a partire dalla fine degli anni Novanta, e nel quindicennio successivo: I Soprano (The Sopranos, HBO, 1999-2007), The Wire (HBO, 2002-2008), Lost (ABC, 2004-2010), Breaking Bad, Mad Men, e Curb Your Enthusiasm (HBO, 2000-2011) costituiscono il nucleo di un canone che trova nella “poetica della complessità”6 e nell’alto livello di “rispettabilità culturale”7 il proprio perimetro. La poetica della complessità costituisce un “modo di narrazione”8 – ovvero un insieme di norme relative alla costruzione del racconto per immagini, e alla sua comprensione – che prevede la generazione di “mondi narrativi” ampi e articolati attraverso forme seriali che mescolano e ibridano la continuità di storie che procedono e si espandono per anni con la chiusura in episodi dotati di una relativa autonomia narrativa ed estetica, articolando rapporti ricchi e densi con comunità di spettatori e fan più o meno estese. La “televisione complessa” definita da Mittell è figlia dell’evo5
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Per il concetto di “ecosistema mediale”, si cfr. in particolare G. Pescatore, C. Bisoni, V. Innocenti, Il concetto di ecosistema e i media studies: un’introduzione, in Pescatore, Bisoni, Innocenti (a cura di), Media Mutations. Gli ecosistemi narrativi nello scenario mediale contemporaneo. Spazi, modelli, usi sociali, Mucchi, Modena 2013, pp. 11-26. Cfr. J. Mittell, Complex TV, op. cit. Cfr. M.Z. Newman, E. Levine, Legitimating Television. Media Convergence and Cultural Studies, cit. Qui Mittell si riferisce al concetto di narrational mode elaborato in D. Bordwell, Poetics of Cinema, Routledge, New York, 2007.
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luzione del sistema televisivo dalla fase dominata dai grandi network all’attuale proliferazione di contenuti tipica dell’era post-network,9 nella quale operatori pay come HBO, Showtime, FX, AMC e player del tutto nuovi come le OTT Netflix e Amazon Video hanno modificato profondamente le opportunità e i limiti concessi al racconto seriale, anche in relazione alle trasformazioni introdotte dalla tecnologia (con lo sviluppo dell’on-demand, che rende il prodotto televisivo sempre più un oggetto maneggiabile e afferrabile, nonostante la durata di decine e decine di ore) e i conseguenti cambiamenti nelle pratiche del consumo (lo stesso Mittell, così come Henry Jenkins, hanno variamente sottolineato il ruolo giocato da Internet nel rendere più visibile e mainstream il fandom legato ai prodotti televisivi e mediali).10 Questo primo capitolo proverà a restituire a TWD parte della sua profondità – e della sua “complessità” – analizzando la serie proprio con gli strumenti messi a punto, nel corso degli anni, dai Television studies.11 La serie originariamente sviluppata da Frank Darabont a partire dall’universo immaginato e creato da Robert Kirkman per l’omonimo fumetto costituisce così un caso insieme esemplare ma anche innovativo rispetto al sistema televisivo americano contemporaneo. La complessità, l’esemplarità e l’innovazione di TWD saranno illustrate in relazione a quattro caratteristiche del prodotto, e ad altrettanti concetti chiave. Nel ricostruire in particolare la genesi della serie, si proverà, in primo luogo, a sostenere che la sua specificità consiste nell’edificazione di un franchise mediale insieme popolare e “di culto”. Con TWD, più A. D. Lotz, Post Network. La rivoluzione della tv, Minimum Fax, Milano 2017. 10 Su questo punto, oltre ai testi già citati, si cfr. H. Jenkins, Cultura convergente, Apogeo, Milano 2010; H. Jenkins, S. Ford, J. Green, Spreadable Media: Creating Value and Meaning in a Networked Culture, NYU Press, New York 2013; M. Scaglioni, Tv di culto. La serialità televisiva americana e il suo fandom, Vita e Pensiero, Milano 2006. 11 Sulle caratteristiche e le evoluzioni dei Television studies si cfr. in particolare J. Gray, A. Lotz, Television Studies, Polity Press, Cambridge 2012; e in ambito italiano, M. Scaglioni, Television studies: genealogia e prospettive nazionali, in A. Grasso (a cura di), Storia della comunicazione e dello spettacolo in Italia. I media alla sfida della convergenza (vol. 3), Vita e Pensiero, Milano 2017, pp. 301-308. 9
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che con altre serie finora realizzate (con l’eccezione probabilmente di Lost, che è forse l’opera per molti versi più simile), sembrano saldarsi assieme complessità e vasta popolarità. O, forse, potremmo dire che le acquisizioni di oltre un decennio di Complex TV trovano una propria “urbanizzazione” e “popolarizzazione” nella serie di AMC che, nelle intenzioni dei suoi dirigenti, doveva rappresentare proprio questo: “Sophisticated storytelling with broad appeal”, un racconto raffinato per quel pubblico ampio di sottoscrittori dei pacchetti basic cable. Il secondo motivo di profondità e innovazione ruota attorno al concetto di genere. TWD si inserisce con notevole consapevolezza all’interno di una mitologia consolidata da decenni nell’ambito della cultura popolare americana. Una mitologia, quella zombie, che chiameremo “plasmabile”, perché di volta in volta ridefinita nei suoi tratti essenziali (e nelle angosce che chiama in causa) dal cinema, dalla letteratura, dai fumetti, e infine anche dalla televisione. Rispetto al duraturo e instabile genere dei “racconti di zombie” o “racconti con zombie”, la serie originariamente ideata da Kirkman e Darabont compie una duplice trasformazione: per la prima volta immagina un “racconto con zombie” privo di un finale, sia esso rappresentato da una vera e propria conclusione (che, quanto meno, non coincida con la morte del suo protagonista Rick Grimes) o, più semplicemente, dai titoli di coda e dalle luci in sala che si riaccendono dopo le circa due ore canoniche di un lungometraggio. La novità più rilevante di TWD, per quanto banale sembri affermarlo, è che esso è “una serie televisiva”, come ci ricordano le parole di Frank Darabont citate in esergo: “lo abbiamo fatto per la televisione, dove non era ancora stato fatto”. TWD è potenzialmente, e nelle intenzioni di chi l’ha immaginato, “un racconto senza fine”. E dunque, esso costituisce più un mondo narrativo che una semplice storia, perfettamente in linea con le caratteristiche della Complex TV analizzate da Mittell. La dimensione seriale, con la sua assenza di un finale previsto, rappresenta la novità più ragguardevole del prodotto di AMC, che salda per la prima volta assieme la mitologia plasmabile degli zombie con il mezzo televisivo. Questa prima trasformazione contiene in nuce la seconda. Per realizzare una narrazione potenzialmente infinita che si sviluppa in un mondo narrativo dominato dalla presenza di non-morti vaganti e voraci – un’inedita condizione esistenziale – la serie sposta inevitabilmente e inesorabilmente il suo focus: dalla
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centralità dei mostri, che rappresentano una minaccia dalla quale mettersi in salvo in narrazioni per lo più centrate sull’azione, come in molti film della zombie renaissance degli anni Duemila,12 TWD vira decisamente sui sopravvissuti, e costruisce un racconto centrato sulle scelte degli esseri umani alle prese con un ambiente postapocalittico sovrastato più in generale dalla morte incombente, oltre che dai non-morti. Il “racconto di zombie” si fa, così, esso stesso complesso, ricalibrandosi sulle psicologie e le relazioni di un gruppo di sopravvissuti e diventando una narrazione corale che vede per protagonisti dei personaggi non solamente disegnati a tutto tondo, ma soprattutto pronti a evolvere, a cambiare, a mostrare lati del tutto inattesi, a rivelare le mille sfaccettature della vita e, ovviamente, della morte (come ricorda la battuta che Rick pronuncia di fronte al figlio Carl, anch’essa citata in esergo: il gioco dei successivi, almeno in parte inaspettati decessi di personaggi diventati familiari e amati – come Dale, Andrea, Hershel, Tyreese, Abraham o Glenn, solo per citarne alcuni – costituisce uno dei terreni più fruttuosi e ricchi di discussione fra spettatori e fan, e talvolta, oggetto di suspense interstagionale, come nel vertiginoso cliffhanger che chiude la sesta stagione e apre la settima). Oltre che un franchise mediale insieme popolare e di culto e un prodotto in grado di rinnovare il genere zombie col fatto stesso di adattarsi alle caratteristiche essenziali del racconto televisivo e seriale contemporaneo, TWD mostra al contempo elementi di esemplarità e d’innovazione nel suo strutturare un ecosistema narrativo ampio e articolato, disteso fra l’adattamento di un fumetto e la generazione di un racconto transmediale. L’adattamento dell’opera a fumetti firmata da Robert Kirkman procede nell’ottica dell’espansione sia nella serie televisiva in onda ogni settimana sul canale AMC (e sulle molte reti affiliate a Fox International Channels nel mondo) sia attraverso le molte estensioni del testo13 che sostanziano la sua natura di franchise transmediale. 12 Sul concetto di zombie renaissance si cfr. per esempio K.W. Bishop, American Zombie Gothic: The Rise and Fall (and Rise) of the Walking Dead in Popular Culture, McFarland & Company, Jefferson (NC) 2010. 13 Sul concetto di “estensione” si cfr. in particolare A. Grasso, M. Scaglioni, Televisione Convergente. La TV oltre il piccolo schermo, Link Ricerca, Milano 2010.
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La quarta ragione di interesse di TWD sul piano dei Television studies riguarda il concetto di autorialità così come illustrato da Jason Mittell: la “poetica della complessità” è figlia di una concezione dell’autorialità che si allontana profondamente dall’ideale romantico dell’autore unico e “ispirato”, che caratterizza profondamente la letteratura ma anche il cinema (nella valorizzazione della figura del regista, soprattutto dopo le nouvelle vague e la politique des auteurs),14 e che trova nelle pratiche produttive proprie della televisione industriale contemporanea una propria specificità. Molto dibattito sulla cosiddetta quality television tende a re-introdurre l’ideale di un autore singolo e responsabile ultimo del processo creativo quale garanzia di legittimazione culturale dell’opera. In fondo molti dei prodotti che compongono il “canone” della serialità di qualità (e della “tv complessa” analizzata da Mittell) sono riconducibili a figure “forti” di serial writers assurti al ruolo di showrunner: Vince Gilligan per The X-Files (Fox, 1993-2002, 2016) e Breaking Bad, Matthew Weiner per Mad Men e via dicendo.15 Il processo che ha portato alla genesi di una serie come TWD sembra richiedere all’analisi di rinunciare all’idealizzazione dell’autore per adottare uno sguardo capace di comprendere i meccanismi della creatività di una macchina industriale la cui “autorialità” è necessariamente di tipo altamente collaborativo, sebbene la “produzione discorsiva dell’autorialità”16 riconosca, di volta in volta, gli specifici apporti di Robert Kirkman (attraverso il fumetto che dà origine all’universo narrativo espanso della serie, oltre che in ragione della fattiva collaborazione dello stesso nello sviluppo del prodotto televisivo, fin dalle origini), di Frank Darabont (per la qualità cinematografica che definisce lo standard della serie a partire dal suo primo adattamento) e dei successivi showrunner che si sono succeduti nella cabina di comando della writers’ room negli anni a seguire. I paragrafi seguenti tesseranno il filo di questi quattro concetti: la genesi di un franchise mainstream e “di culto”, in relazione alle esigenze distintive di un brand come quello del canale basic cable 14 Sul tema dell’autorialità nel cinema, si cfr. in particolare G. Pescatore, L’ombra dell’autore: teoria e storia dell’autore cinematografico, Carocci, Roma 2006 15 Cfr. AA.VV., Serial Writers, «Link. Idee per la televisione», 2013. 16 J. Mittell, Complex TV, op. cit., p. 95.
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AMC; la “complessificazione” di un genere come quello dei “racconti di zombie”; l’espansione narrativa come specifica logica di adattamento dal fumetto alla TV (e, poi, dalla TV alla dimensione transmediale del franchise); l’autorialità collaborativa (ma non priva di conflittualità anche accese, come mostrerà il caso del “licenziamento” di Frank Darabont dalla produzione) di una macchina industriale che gira attorno al cardine della figura dello showrunner o, meglio, in questo caso, degli showrunner. Attraverso questi quattro concetti si cercherà di comprendere il valore specifico di una serie assieme esemplare e peculiare come TWD. 1. Mainstream cult: nascita di un franchise televisivo La vicenda produttiva della prima serie televisiva dedicata all’apocalisse zombie potrebbe essere raccontata a partire da un tweet del gennaio del 2010, anche se richiede poi qualche passo indietro nel tempo. “Exciting times” scrive, infatti, in quei giorni sul suo profilo Robert Kirkman, autore della saga a fumetti già giunta a una fase di notevole elaborazione narrativa, dopo oltre sei anni, più di sessanta numeri e dodici volumi pubblicati dall’indipendente Image Comics, con un buon successo di pubblico fra gli appassionati del mezzo e del genere.17 Il numero 69, pubblicato quel mese, vede i sopravvissuti guidati da Rick Grimes approdare davanti ai cancelli dell’Alexandria safezone, ennesimo porto provvisorio e tutt’altro che sicuro per il gruppo dopo le terribili vicende affrontate nella fattoria di Hershel Green, nella prigione e nella chiesa di padre Gabriel. Il commento di Kirkman destinato ai già numerosi fan del fumetto si riferisce alla decisione presa dal canale AMC, e annunciata il 20 gennaio, di mandare in produzione una serie basata sull’adattamento dell’esistente universo comic. Le notizie diffuse quel giorno sono diverse: AMC prosegue la sua attività di commissioning di contenuto seriale originale – dopo i successi di Mad Men e Breaking Bad – con l’ordine di due nuovi episodi pilota: lo zombie drama TWD, adatta17 Il numero 69 del fumetto, parte del volume dodicesimo Life Among Them, pubblicato nel gennaio del 2010, ha avuto una diffusione stimata di poco meno di 25.000 copie, secondo l’analisi di Comichron (comichron.com).
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mento del fumetto firmato da Robert Kirkman e disegnato da Charlie Adlar e Cliff Rathburn (e altri), e la riscrittura della serie danese Forbrydelsen (The Killing, AMC, poi Netflix, 2011-2014). Nel caso di TWD, il regista di Le ali della libertà (The Shawshank Redemption, 1994), di Il miglio verde (The Green Mile, 1999) e di The Mist (2007) Frank Darabont, che ha proposto il pitch alla rete, dirigerà il pilot (e ricoprirà poi il ruolo di showrunner assieme alla produttrice Gale Anne Hurd, la figura di maggiore continuità per la serie assieme allo stesso Kirkman, anch’egli coinvolto nel progetto dal principio come executive producer, oltre che come sceneggiatore di diversi episodi). Le ragioni dell’avvio della produzione di una serie di genere horror sono bene illustrate dal responsabile della programmazione originale di AMC Joel Stillerman, che a proposito di TWD e The Killing afferma: i due prodotti seriali “sono unici nel loro genere in termini di qualità del racconto. Entrambi i progetti possono godere degli straordinari talenti che li hanno sviluppati, e hanno l’opportunità di elevare significativamente il livello nell’ambito dei due generi. Si tratta di un passo in avanti piuttosto entusiasmante nell’ormai consolidato e continuo impegno di AMC nella creazione di forme di racconto intelligente e sofisticato destinato a un pubblico largo e popolare.”18 Le parole di Stillerman – in particolare il riferimento a uno storytelling seriale caratterizzato da uno smart, sophisticated and broad appeal – riassumono bene il senso dell’operazione avviata e portata decisamente al successo con TWD (un successo sicuramente inatteso per le sue dimensioni). Le politiche di AMC – parte del gruppo AMC Networks (precedentemente Rainbow Media) che comprende canali come IFC (Independent Film Channel) e Sundance Channel, visibile in oltre novanta milioni di case con un abbonamento al cavo o al satellite – si inseriscono pienamente nelle logiche produttive dei canali “a pagamento” (basic o premium) nel contesto della TV nell’età postnetwork, inaugurate con l’impegno creativo di HBO alla fine degli anni Novanta e destinate alla creazione di contenuto originale da un lato estremamente distintivo (capace cioè di generare un brand) e, dall’altro lato, indirizzato a focalizzare e rafforzare il marchio degli 18 Le parole di Joel Stillerman sono tratte dal comunicato stampa ufficiale di AMC diffuso il 20 gennaio 2010: http://www.amcnetworks. com/press-releases/amc-orders-two-pilots-building-on-networksoriginal-programming-strategy.
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stessi canali (come ad esempio nel noto claim It’s not TV, it’s HBO). Come ben illustrato da Andrea Fornasiero, la serialità premium nel contesto nordamericano ha introdotto una varietà di novità rispetto ai canoni del racconto scripted consolidati in un cinquantennio dalla tv generalista, che possono essere riassunte in una pluralità di differenze: le emittenti via cavo devono sottostare a restrizioni diverse rispetto a quelle imposte ai network dalla FCC (Federal Communication Commission), e hanno la possibilità di ampliare i confini del rappresentabile (ciò vale soprattutto per i canali premium, come HBO e Showtime); strutturano la loro produzione su formati più brevi e strategie di palinsesto differenti dai network (per esempio, con lo sfruttamento del periodo di tarda-primavera/estate, come accade per esempio con Game of Thrones fin dalla sua prima stagione); danno particolare attenzione alla promozione e al marketing dei prodotti, per raggiungere tanto i sottoscrittori (che vedono riaffermato il valore della loro spesa mensile) quanto i prospect (che sono invogliati ad accedere al contenuto esclusivo), diventando dei veri e propri “prodotti bandiera”; mirano a realizzare dei franchise variamente “estendibili” attraverso altri media (nell’ottica del transmedia storytelling illustrato da Henry Jenkins e altri)19 e innumerevoli e diverse forme di merchandising.20 Fra la più tradizionale produzione seriale dei network generalisti (che pure risente fortemente, in molti casi, dell’influenza di HBO e delle altre reti a pagamento) e quella delle premium cable, le basic cable come AMC costituiscono spesso un terreno intermedio di incrocio e negoziazione, come il caso di TWD dimostra bene. Come ricorda ancora Fornasiero, le reti basic, che per statuto devono mirare a una più ampia popolarità, raccogliendo anche risorse pubblicitarie, sembrano decisive nel virare progressivamente “dagli autori ai generi”:21 se l’età dell’oro di HBO è inquadrabile a partire dalla 19 Cfr. H. Jenkins, “The Revenge of the Origami Unicorn”, «HenryJenkins. org», 12 dicembre 2009, http://henryjenkins.org/blog/2009/12/the_ revenge_of_the_origami_uni.html; H. Jenkins, Cultura convergente, op. cit.; J. Mittell, Complex TV, op. cit. 20 A. Fornasiero, Il costo dell’eccellenza. Gli Stati Uniti, in M. Scaglioni, L. Barra (a cura di), Tutta un’altra fiction. La serialità pay in Italia e nel mondo. Il modello Sky, Carocci editore, Roma 2013, pp. 195-206. 21 A. Fornasiero, op. cit., p. 205.
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centralità di personalità come David Chase (I Sopranos), Alan Ball (Six Feet Under, HBO, 2001-05) o David Simon (The Wire), il ricorso a tradizionali generi popolari, rinnovati e adattati alla TV, rappresenta la cifra delle basic. Nel caso di AMC possiamo ricordare TWD e poi Fear the Walking Dead (2015-...), il western Hell on Wheels (20112016), e ancora l’horror-fantasy Preacher (2016-...). Nel caso di FX menzioniamo almeno American Horror Story (2011-...) e il poliziesco Justified (2010-2015). A partire dal contesto qui solo brevemente ricostruito, si comprende bene come TWD possa rappresentare, già sulla carta, un investimento di grande importanza per AMC. Le ragioni della green light data al progetto (e, rapidamente e insolitamente – prima ancora della conclusione del pilot – alla prima stagione composta di soli sei episodi) sviluppato da Frank Darabont, Robert Kirkman, Gale Anne Hurd e David Alpert (quarta figura di riferimento all’origine della serie, dal 2010 partner della compagnia Skybound, che si occupa di sfruttare in televisione e in tutte le forme transmediali le opere dello stesso Kirkman) possono essere riassunte in tre punti. TWD rappresenta, in primo luogo, il tentativo di un chiaro riposizionamento del brand AMC nell’ambito dell’offerta cable nel secondo decennio degli anni Duemila. Pur con una storia piuttosto breve alle sue spalle, che affonda le sue radici nel 1984, l’anno del debutto della rete, AMC rappresenta un caso di forte instabilità e incertezza identitaria: nata come canale premium visibile in circa 300mila case, la rete destinata al re-impacchettamento di prodotti classici della cinematografia americana cambia negli anni almeno quattro volte la propria identità e il proprio posizionamento.22 Da canale destinato, come da promessa di brand, a offrire uno spazio per il film di fattura nazionale degli anni Trenta, Quaranta e Cinquanta, AMC allarga progressivamente la definizione di “classico” dovendo far fronte alla concorrenza di reti analoghe e più forti sul piano della library (come TCM – Turner Classic Movies) e modificando il proprio modello economico con l’approdo alla raccolta di pubblicità. Dopo un periodo di forte instabilità e crisi identitaria, il canale viene ridisegnato, a partire dal 2006, dal nuovo general manager Charlie Collier, che avvia la rete sulla strada già battuta da altri canali cable, ovvero la produzio22 Cfr. D.L. Jaramillo, AMC: Stumbling toward a New Television Canon, in «Television & New Media», vol. 14, n. 2, 2012, pp. 167-183.
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ne originale di contenuto di qualità. L’anno successivo, nel luglio del 2007, Mad Men debutta sul canale con un discreto risultato d’ascolto (poco più di 1,6 milioni di spettatori) e un’ottima accoglienza della critica, che trova riscontro nei numerosi riconoscimenti e premi raccolti poi negli anni. Quando, l’anno dopo, parte anche Breaking Bad, la serie creata da Vince Gilligan e altrettanto acclamata dalla critica,23 sembra che AMC stia ridefinendo la propria identità più attraverso la forza dei singoli contenuti che tramite un chiaro posizionamento di rete. Già sulla carta il progetto presentato da Darabont e Kirkman sembra, al contrario, adattarsi perfettamente a un canale dedicato al cinema e arricchito da una produzione originale scripted che si avvicina al prodotto hollywoodiano per la sua qualità visiva, allargando lo spettro dell’offerta a un genere a suo modo “classico”, in grado di contare su un fandom consolidato nei confronti tanto del genere quanto del prodotto a fumetti e cavalcando perfettamente la rinascita delle “narrazioni mostruose” in atto nel primo decennio del Duemila (sulla renaissance di vampiri e zombie si cfr. infra). L’accordo siglato fin dalla fase di pre-produzione con Fox International Channels garantisce a AMC – che nel frattempo ha costituito dei propri studios per poter realizzare il progetto in totale autonomia e controllarne pienamente i diritti – anche un’importante finestra di distribuzione internazionale (come si vedrà nel capitolo 4, infra) per un prodotto esplicitamente “di genere”(sebbene, si passi il gioco di parole, sui generis). Per riassumere con le parole di Charlie Collier: “l’aspetto più affascinante di TWD è che si tratta di un prodotto di genere, e che l’horror funziona egregiamente”.24 Oltre a rappresentare una via inedita alla produzione originale, differente da quella sperimentata fino ad allora dalla stessa AMC con Mad Men e Breaking Bad e più orientata alla popolarità di un genere come l’horror, TWD sembra in secondo luogo adattarsi perfettamente alle politiche di palinsesto del canale. I prodotti origi23 Sulle origini e lo sviluppo della serie si cfr. C. Checcaglini, Breaking Bad. La chimica del male: storia, temi, stile, Mimesis Edizioni, Milano-Udine, 2014. 24 La citazione di Collier è tratta da Jace Lacob, Mad Men’s Network, AMC, Launches The Walking Dead Sunday, in «The Daily Beast», 29 ottobre 2010, http://www.thedailybeast.com/mad-mens-network amc-launches-the-walking-dead-sunday.
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nali scripted devono punteggiare e rafforzare la programmazione di library cinematografica creando degli autentici eventi. Lo sviluppo di TWD avviene, fin dai primi mesi del 2010, con l’intento di sincronizzare la première con la tradizionale “maratona” del Fearfest proposta dalla rete per le settimane che precedono Halloween. Dunque la serie adattata dai fumetti di Kirkman non costruisce solamente un marchio in linea col brand di rete, ma rappresenta il punto più alto di una programmazione che, quell’anno, include film come 28 giorni dopo (28 Days Later, 2002), che il fumetto e la serie citano esplicitamente nel primo numero e nel pilot, Venerdì 13 (Friday the 13th, 1980) e The Shining (1980)… Una storia di zombie (almeno apparentemente): l’appartenenza di TWD all’ampia mitologia “zombesca” costituisce la terza ragione di immediato appeal del prodotto, e rappresenta il motivo principale che porta l’universo di Kirkman dalle tavole disegnate per Image Comics al set costruito da Frank Darabont nei pressi di Atlanta e, successivamente, agli schermi di AMC. Per la verità, negli anni precedenti al tweet di Robert Kirkman del 2010 citato all’inizio del capitolo, l’ipotesi di sviluppare “una serie con gli zombie” sembra paradossalmente l’impedimento principale alla nascita di TWD, che, come nel caso di Breaking Bad, ha una genesi piuttosto complessa e difficoltosa.25 Essa inizia, secondo il racconto del primo e fondamentale showrunner, il regista e produttore Frank Darabont, in una libreria di Burbank, qualche anno prima del 2010 (secondo il narratore, già nel 2005): “stavo dando un’occhiata ai fumetti, e non avevo mai sentito parlare né di Kirkman né dei suoi comic. Nella libreria ho visto sullo scaffale l’edizione rilegata, e mi sono avvicinato subito, perché si trattava di zombie. Un tema cui non posso resistere”.26 Secondo la ricostruzione di Paul Ruditis, che confeziona nel 2011 un official companion book ricchissimo di dati sull’origine tanto del fumetto quanto della serie, si tratta di un contenuto immediatamente sviluppabile come “un’esplorazione prolungata di un universo abitato da zombie”.27 In diverse interviste di Kirkman e di 25 Sulle tappe che portano all’incontro fra Vince Gilligan e AMC si cfr. ancora C. Checcaglini, op. cit. 26 Intervista a Frank Darabont, riportata in P. Ruditis, The Walking Dead Chronicles, Ambrams, New York 2011, p. 44. 27 P. Ruditis, op. cit., p. 44.
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Darabont, e nel volume di Ruditis, si ricostruiscono le tappe successive dell’accordo che, via via, nel corso di prolungate negoziazioni, finisce per coinvolgere l’AMC di Collier e Stillerman. L’accordo per lo sviluppo di una serie fra Darabont e Kirkman avviene quando nelle librerie è in circolazione il numero 25 del fumetto – il gruppo guidato da Rick si trova fra le mura della prigione appena disinfestata da walkers – ma il definitivo semaforo verde per la produzione da parte di AMC non avviene prima della diffusione del numero 69, quando i sopravvissuti si trovano alle porte di Alexandria, come si è detto. Nei quattro anni precedenti diversi network vengono contattati, fra i quali la generalista NBC. Ma gli interlocutori nell’industria televisiva sembrano scettici sull’ipotesi di realizzare una serie ambientata in un universo dominato dagli zombie, creature certo meno glamour dei vampiri: “Hanno chiamato dopo che Frank [Darabont] aveva scritto una bozza per l’adattamento, e credo che abbiano detto più o meno così: è veramente un ottimo progetto. Ma ci devono essere gli zombie?”.28 Nonostante le straordinarie garanzie offerte dal progetto – un fumetto già piuttosto popolare, sebbene entro un nicchia di appassionati, un universo narrativo perfettamente costruito e in grado di alimentare almeno quattro/cinque stagioni di una serie di medio formato, la presenza di un importante regista di blockbuster, l’autore del comic disposto a contribuire all’adattamento – TWD sembra comunque un azzardo rischioso: un contenuto eccessivamente ricco di violenza e gore per i network “in chiaro” e troppo legato a un genere popolare come l’horror per le reti premium cable. Come spesso accade nei casi di innovazione di un genere, molti professionisti non colgono immediatamente la forza implicita nell’operazione TWD: lasciando in secondo piano – pur non abbandonandola – l’azione su cui erano focalizzati gli zombie movies degli ultimi anni, TWD costruisce un universo seriale complesso centrato sulle psicologie dei sopravvissuti che si trovano costretti a convivere con i mostri (siano essi walkers o persone, spesso altrettanto mostruose, come nel caso dei “grandi cattivi”, il Governatore o Negan) e con un’esistenza dominata dal senso di morte. Darabont e Kirkman hanno ben chiara in mente la grande novità rappresentata da una “zombie story that never ends” e comprendono anche che il tempo è maturo per una 28 Intervista a Robert Kirkman citata da P. Ruditis, op. cit., p. 45.
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storia complessa con zombie destinata al piccolo schermo nell’era post-network. Entrambi guardano come proprio riferimento culturale principale all’opera cinematografica di George Romero. Fra il 2009 e il 2010, anche grazie al lavoro di Gale Anne Hurd (produttrice di franchise di straordinaria popolarità come The Terminator o di blockbuster come Armageddon), che con la compagnia Valhalla Entertainment stava già sviluppando contenuto originale per AMC, tutti i pezzi del puzzle sembrano andare al loro posto, e gli zombie – o, meglio, un universo post-apocalittico caratterizzato della presenza minacciosa dei non-morti e da una post-umanità che ha ridefinito i parametri dell’etica – sembrano finalmente un buon contenuto per un prodotto seriale come TWD. 2. Complex zombies: una “mitologia plasmabile” dal cinema alla serialità Spostiamoci a questo punto nel settembre del 2010: qualche settimana prima del debutto di TWD su AMC, con le riprese iniziate nei pressi di Atlanta durante l’estate, la rivista «The Hollywood Reporter» intuisce, seppur ancora in forma dubitativa, l’inizio di una tendenza che avrebbe caratterizzato in maniera molto visibile la cultura popolare e i media americani, e non solo, nel secondo decennio degli anni Duemila: “a Hollywood, gli zombie sono i nuovi vampiri?”29 La domanda allude allo straordinario successo con cui, negli anni immediatamente precedenti, la mitologia “vampiresca” era stata rielaborata e ripresa dall’industria culturale americana, in particolare attraverso la saga di Twilight (complessivamente una serie di cinque film, adattamento di quattro romanzi, a costituire uno dei franchise mediali più redditizi della storia recente dell’industria hollywoodiana).30 Se TWD contribuisce all’emersione e alla popolarizzazione della mitologia zombie nell’ambito della cultura mainstream, bisogna 29 J.A. Fernandez, Are Zombies the New Vampires in Hollywood?, in «The Hollywood Reporter», 9 settembre 2010, http://www.hollywoodreporter.com/news/are-zombies-new-vampires-hollywood-27599. 30 Per una definizione di media franchise si veda D. Johnson, Media Franchising: Creative License and Collaboration in the Culture Industries, NYU Press, New York 2013.
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però ricordare che l’attuale zombie renaissance, iniziata con gli anni Duemila, affonda le sue radici in una duratura tradizione narrativa che, come hanno sottolineato diversi studiosi, affiora come un fiume carsico nel corso dei decenni, dagli anni Trenta del Novecento fino ai tempi più recenti.31 Alla luce di questa consolidata tradizione narrativa, che si sviluppa per “cicli” o “paradigmi” differenti (coi cambiamenti che caratterizzano tanto la cultura popolare nel suo complesso quanto il sistema dei media),32 si possono cogliere meglio le novità apportate da TWD. Con la serie di AMC la mitologia zombesca prende infatti una forma inedita, quella di un racconto che si espande fino a formare un “ecosistema mediale” espanso: la narrazione si focalizza su un universo dominato dai non-morti e sulle psicologie dei sopravvissuti, per i quali i confini etici fra il bene e il male diventano sempre più sfumati, e il racconto assume così i tratti della complessità. Mentre in pochi anni TWD si trasforma in un articolato franchise transmediale, comprensivo di diverse webserie ancillari, uno spin-off come Fear the Walking Dead, diverse novellizzazioni e altri contenuti che stabiliscono relazioni articolate con un nutrito fandom (come vedremo in particolare nel terzo capitolo, infra), la mitologia degli zombie viene negli stessi anni variamente sfruttata, con toni e declinazioni anche molto differenti, soprattutto in televisione, e anche fuori dai confini americani. Dead Set (E4, 2008) immagina un universo post-apocalittico in cui i soli sopravvissuti sono gli ignari reclusi nella casa del Grande Fratello britannico, mentre le americane Z Nation (Syfy, 2014-…) e iZombie (The CW, 2015-…) vi31 La bibliografia sui racconti di zombie nella cultura popolare americana è piuttosto ampia. Si cfr. in particolare, per un quadro storico, K.W. Bishop, op. cit.; e D. Keetley, Introduction. “We’re All Infected”, in D. Keetley (a cura di), “We’re All Infected”. Essays on AMC’s The Walking Dead and the Fate of the Human, McFarland & Company, Jefferson (NC) 2014. 32 Bishop sottolinea in particolare come i differenti “cicli” che caratterizzano la tradizione di racconti di zombie siano legati alle diverse forme di ansia e paranoia che caratterizzano la cultura americana, dall’attacco giapponese a Pearl Harbor del 1941 all’11 di settembre. Una prospettiva interessante è quella che mette a confronto le trasformazioni culturali con quelle che vanno a investire il sistema dei media, e le forme in cui il racconto si incarna. Cfr. K.W. Bishop, op. cit., pp. 9-12.
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rano il linguaggio e la narrazione verso l’azione e la fantascienza, in un caso, o l’ironia, nell’altro caso. Ancora, la britannica In the Flesh (BBC Three, 2013-14) immagina una possibile rieducazione e convivenza per gli zombie. La francese Les Revenants (Canal+, 2012-2015), adattata anche negli Stati Uniti (The Returned, A&E, 2015), racconta di morti che provano a tornare alle loro vite precedenti, nonostante le molte difficoltà; l’americana Death Valley (MTV, 2011) racconta di una troupe televisiva al seguito di una squadra speciale della polizia di Los Angeles incaricata di catturare mostri di varia natura (fra cui, comprensibilmente, anche gli zombie); infine l’australiana Glitch (ABC1, 2015-…) riprende il tema degli abitanti morti di una piccola città che tornano in vita. Come si comprende dai casi qui citati (limitati alla sola produzione televisiva) quella dei non-morti, che ritornano in vita nelle fattezze di esseri bramosi di carne, e che costituiscono un effetto e insieme il sintomo di un’apocalisse post-umana, rappresenta una mitologia che nella storia dei media è insieme persistente e profondamente plasmabile. Se la persistenza è data dal ritorno ciclico di questi temi e immaginari, opportunamente variati, nell’orizzonte mediale, la plasmabilità degli zombie è chiaramente testimoniata dal susseguirsi di una produzione che ha attraversato i decenni e i mezzi espressivi, dal cinema ai fumetti, dalla letteratura ai videogiochi, fino agli articolati universi narrativi edificati dalle serie tv “complesse” degli ultimi anni. Gli zombie costituiscono una “mitologia plasmabile” almeno in due sensi. Da un lato, la “plasmabilità” della mitologia vale sul piano delle politiche della rappresentazione. Ricorrendo al racconto sugli zombie, l’industria mediale (prevalentemente americana, ma non solo) ha messo in scena temi, ansie e ossessioni, questioni politiche, sociali e culturali considerate, di volta in volta, rilevanti o urgenti nei differenti momenti storici. Se gli zombie approdano al cinema americano con la produzione horror degli anni Trenta, e in particolare con i due film realizzati da Victor Halperin, L’isola degli zombies (White Zombie, 1932) e Revolt of the Zombies (1936), è anche vero che tra questo esordio e la successiva saga romeriana dei living dead (cui si ispira direttamente il fumetto di Robert Kirkman, e poi la serie), che porta i “mangiatori di carne umana” al centro dell’immaginario, i legami sono piuttosto flebili. L’horror cinematografico degli anni Trenta recupera infatti dalla tradizione voodoo haitiana l’immagine
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di una stregoneria in grado di “addormentare” e addomesticare esseri che paiono sospesi tra la vita e la morte (gli zombie appunto), che diventano schiavi sfruttati nel lavoro industriale da un perfido negromante (interpretato da Bela Lugosi, già noto per l’interpretazione di Dracula di Tod Browning del 1931). Nei film di George A. Romero, a partire dal primo, La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead, 1968), si va invece a definire la rappresentazione consolidata degli zombie moderni: cadaveri ritornati a una specifica forma di esistenza (voraci azzannatori di esseri umani) sullo sfondo di un mondo post-apocalittico, non-morti bramosi di carne e insieme propagatori del misterioso contagio.33 Nei film che compongono la saga romeriana – dopo La notte dei morti viventi (1968), ci sono Zombi ovvero “l’alba dei morti” (Dawn of the Dead 1978), Il giorno degli zombi (Day of the Dead, 1985), La terra dei morti viventi (Land of the Dead, 2005), Le cronache dei morti viventi (Diary of the Dead, 2007) e Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti (Survival of the Dead, 2009), ispirati ai fumetti di EC Comics e, per ammissione dello stesso Romero, al racconto Io sono leggenda di Richard Matheson (1954) –, gli zombie si trasformano da vittima in minaccia, assumendo le forme del mostro antropofago comune all’immaginario più recente. Questa saga è interessante, sul piano della rappresentazione, per almeno due ragioni. Attraverso la metafora dell’ “assedio”, Romero mette in scena, di volta in volta, la minaccia che incombe sui pilastri della civiltà americana, come la famiglia borghese materializzata nella casa colonica di La notte dei morti viventi o la società dei consumi visivamente incarnata dal centro commerciale di Zombi. L’intera narrazione, poi, costruisce, più che un racconto, un vero e proprio mondo narrativo a cui ritornare continuamente, attraverso variazioni, spostamenti di attenzione e di tono, nonostante si tratti di singoli lungometraggi, realizzati anche a distanza di diversi anni. Da questo punto di vista, tutta la successiva produzione di un immaginario legato agli zombie non può essere che una variante dell’universo romeriano: in Dead Set, per esempio, il passaggio dal mall allo studio di un reality show veicola un discor33 Sulle evoluzioni della mitologia dello zombie, e per un approfondimento sulla storia dei non-morti al cinema e sui media, cfr. G. Carluccio, P. Ortoleva (a cura di), Diversamente vivi. Zombi, vampiri, mummie, fantasmi, Il Castoro, Milano 2010.
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so fortemente autoriflessivo, critico e sarcastico della tv su se stessa, sul suo apparato e sul suo spettatore vorace divoratore di immagini. Per quanto riguarda le politiche della rappresentazione, pertanto, la plasmabile mitologia dei morti viventi si presta con efficacia a essere costantemente riformulata in chiave metaforica: nel passaggio poi dalla breve durata di un film (anche se “serializzato” ex post in una saga, come nel caso dei film di Romero) alla lunga o lunghissima durata di un prodotto televisivo, le possibilità di sviluppare e articolare tematiche differenti in un mondo narrativo al tempo stesso stabile e in continua evoluzione si moltiplicano.34 Nel contesto di un universo post-apocalittico caratterizzato dalla massiccia presenza di aggressivi zombie e dalla necessità per i sopravvissuti di individuare nuove forme di esistenza, TWD (con le sue otto stagioni e i suoi oltre cento episodi) esplora così temi che incrociano la riflessione contemporanea sulla società, sulla politica, sulla cultura, sulla morale e la natura dell’uomo… È possibile, e a quale prezzo, conservare un’etica “umana” in un contesto dominato dalla violenza, non tanto in relazione alla minaccia che proviene dall’esterno (gli zombie) ma da quella derivante dagli altri sopravvissuti? Cosa rende il gruppo dei sopravvissuti protagonisti della serie veramente diverso da quello di altri esseri umani pronti a comportamenti estremi? Quali forme di organizzazione politico-sociale si prestano meglio ad affrontare un presente post-apocalittico per poter conservare una forma di civiltà (se essa è ancora possibile) e la specie umana? Come si costruisce, si mantiene e si esercita la leadership, e quali sono i suoi costi? Sono solo alcuni dei temi affrontati con originalità di impostazione e di soluzione in TWD, come si vedrà nel prossimo capitolo. La particolare plasmabilità dell’immaginario zombie può essere considerata anche su un piano ulteriore, che non riguarda più le politiche della rappresentazione, e quindi le metafore con cui l’horror e il fantasy mettono a fuoco questioni contemporanee, ma una vera e propria “poetica dei morti viventi”. Con poetica ci riferiamo, come si è detto, al modo con cui un testo (una serie tv) produce signifi34 Sull’idea di serialità televisiva come costruzione di un “mondo narrativo ammobiliato” si veda, tra l’altro, A Grasso, M. Scaglioni (a cura di), Arredo di serie. I mondi possibili della serialità televisiva americana, Vita e Pensiero, Milano 2009.
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cato in relazione alle specifiche caratteristiche del medium in cui è inserito (la televisione contemporanea e “abbondante” dell’età postnetwork). La mitologia zombie è ancora più plasmabile perché ha saputo adattare e ampliare il suo mondo narrativo nel passaggio da un medium a un altro, dal cinema ai fumetti, dalla tv alla letteratura e ai videogiochi. Nel quadro di un sistema dei media contemporaneo fortemente integrato e convergente,35 l’immaginario dei morti viventi rispecchia in maniera esemplare tale situazione e, insieme, dà specifica forma all’apparato mediale (fino al rispecchiamento di quello stesso apparato, nel caso del citato Dead Set). Gli zombie approdano al racconto televisivo in primo luogo riferendosi a un universo già costruito altrove, principalmente al cinema. I primi zombie televisivi sono perciò soprattutto “citazioni di zombie”. I non-morti fanno capolino in alcune puntate “speciali” di serie quality,36 a partire soprattutto dagli anni Novanta. Per esempio, nel 1992 la tradizionale puntata annuale di Halloween di I Simpson (The Simpsons, Fox, 1989-…) recupera in chiave parodistica l’immaginario “zombesco”, a cominciare dal titolo dell’episodio, “Dial Z for Zombie”. Sempre in chiave citazionista si può intendere il riferimento che Joss Whedon, il creatore di Buffy L’ammazzavampiri (Buffy The Vampire Slayer, The CW-UPN, 1997-2003), inserisce nella puntata “Dead Man’s Party” del 1998: il demone che evoca gli zombie rimanda qui direttamente alla tradizione voodoo degli horror anni Trenta. Ancora, gli zombie non mancano nel catalogo di mostruosità delle nove stagioni di The X-Files. Solo nel contesto della tv americana complessa, abbondante e convergente degli anni Duemila, però, gli zombie televisivi acquistano finalmente una loro autonomia, con lo sforzo di produzione e di diversificazione portato avanti dalla tv cable rispetto ai tradizionali network generalisti. La serialità nell’epoca post-network non punta infatti più solo a generare racconti seriali, ma a costruire mondi complessi e articolati, come si è visto, caratterizzati spesso dalla moltipli-
35 Si veda H. Jenkins, Cultura convergente, op. cit.; nel contesto italiano, A. Grasso, M. Scaglioni (a cura di), Televisione convergente, op. cit. 36 Il concetto di quality television richiama J. McCabe, K. Akass (a cura di), Quality TV. Contemporary American Television and Beyond, I.B. Tauris, Londra 2007.
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cazione degli spazi e dei tempi.37 Quell’immaginario fluido che aveva attraversato numerosi mezzi espressivi nei decenni precedenti trova pertanto un nuovo baricentro nella serialità televisiva contemporanea: con TWD, in particolare, la mitologia degli zombie si sviluppa in un franchise transmediale mainstream, che mira a coinvolgere spettatori di differente estrazione, dai fruitori più occasionali ai fan desiderosi di esplorare ogni angolo dell’universo creato da AMC. TWD è così un caso che esemplifica bene i meccanismi produttivi e “poetici” della serialità tv contemporanea. In primo luogo, la serie mostra come la tv post-network cerchi un rapporto proficuo con altri comparti dell’industria dell’immaginario, in particolare con i fumetti (cfr. infra). Inoltre, TWD trasforma la mitologia zombie in un vero e proprio universo transmediale, che espande il suo racconto ben oltre i confini della stessa serie televisiva. Il racconto transmediale – secondo i dettami e le regole di quello che Henry Jenkins ha definito transmedia storytelling – rappresenta una delle caratteristiche più importanti del contemporaneo sistema dei media digitale e convergente, così come della sua poetica. Da questo punto di vista, la mitologia zombie costituisce un perfetto carburante, un generatore di immaginario che si dispiega come un universo parallelo e consente di essere esplorato, espanso e modificato. Gli zombie non costituiscono insomma semplicemente un’occasione per generare metafore sul nostro mondo, ma anche un modo per riflettere le caratteristiche strutturali del sistema dei media che ha dato loro vita. 3. Expansions & extensions: le logiche narrative dal fumetto alla transmedialità Come ha osservato Henry Jenkins, “l’industria dei comics funziona per Hollywood come un dipartimento di ricerca e sviluppo”.38 Se 37 L. Barra, M. Scaglioni, Mondi al limite. Gli universi (im)possibili del telefilm contemporaneo, in A. Grasso, M. Scaglioni (a cura di), Arredo di serie. I mondi possibili della serialità americana contemporanea, Vita e Pensiero, Milano 2009, pp. 17-20. 38 H. Jenkins, The Walking Dead. Adapting Comics, in E. Thompson, J. Mittell (a cura di), How to Watch Television, NYU Press, New York 2013, pp. 373-382.
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i network americani si orientavano in passato su racconti caratterizzati dal principio del least objectionable programming, e quindi su storie destinate a raccogliere e a massimizzare un’audience dai gusti “medi” e condivisi, il sistema televisivo contemporaneo può corteggiare nicchie più definite di spettatori, in particolare tra le fasce socio-demografiche più giovani. Quella di TWD diventa così la fortunata trasformazione di un fenomeno di successo in una nicchia (ampia), rappresentata dalla serie di fumetti creati a partire dal 2003 da Robert Kirkman, in un prodotto mainstream globale, con la serie prodotta nel 2010 da AMC. La ricchezza dell’universo narrativo di TWD discende direttamente dall’articolazione originaria dei fumetti di Kirkman, di cui la serie è un adattamento libero che segue un duplice principio: quello dell’espansione, nel passaggio dal fumetto alla serie TV, e quello dell’estensione transmediale, nel fare della stessa serie il baricentro di un universo ricco di testi ancillari, sia realizzati ufficialmente (nell’ottica top-down della generazione di prodotti che ampliano la narrazione, come nel caso delle tre webserie, o creano occasioni di interazione ludica, come nel caso del mobile game o dei videogiochi…) sia sviluppati dai fan (wiki, fan fiction, fan videos, profili social ecc.). La peculiarità di TWD, come si vedrà in particolare nel terzo capitolo, consiste nel fare tanto della logica dell’espansione dal fumetto alla serie quanto delle forme di estensione transmediale, un terreno di fitta, complessa e duratura interazione fra la produzione (attraverso la promozione, ma anche il dialogo diretto con Kirkman e gli altri “autori”) e il consumo (soprattutto nelle forme del fandom). La relazione fra la serialità dei comics e quella della televisione costituisce una tradizione che attraversa tutta la storia del telefilm americano, dagli anni Cinquanta in avanti: ma a partire dagli “anni Settanta e Ottanta il fumetto seriale entra stabilmente nel DNA della progettazione di narrazioni seriali popolari”39 sia perché è soprattutto dai fumetti che si sperimenta un racconto multistrand (articolato cioè in pluralità di percorsi fra loro intrecciati), e da quell’industria si affermano plotmaster capaci di padroneggiarne la complessità, sia perché attorno ai comics si sono sviluppati i più interessanti “culti 39 M. Stefanelli, L’identità segreta del telefilm. Le tre stagioni del rapporto fra fumetto e serie TV, in «Link. Idee per la televisione», “Telefilm”, 2007, p. 215.
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mediatici” e le più efficaci forme di community building e di fandom, in linea con le nuove esigenze del broadcasting nell’era postnetwork. Come ricorda ancora Jenkins, le ragioni della vicinanza fra la produzione audiovisiva di Hollywood (per il cinema o per la tv) e l’industria del fumetto si fanno ancora più stringenti negli anni Duemila: le due più importanti imprese editoriali attive nel comparto dei comics – DC e Marvel – sono acquisite rispettivamente da Warner Brothers e da Disney; i lettori di fumetti possono costituire un’importante “base demografica” per riconquistare alla televisione pubblici giovani che costituiscono il target più sfuggente e remunerativo; i fumetti rappresentano una forma di storytelling visivo molto affine alle forme “complesse” del racconto televisivo contemporaneo, centrato, come si è detto, sulla narrazione multistrand e sul delicato equilibrio fra “episodico” e “seriale”…40 D’altra parte, però, fumetto e televisione sono due media differenti, sia dal punto di vista linguistico-espressivo sia da quello più ampiamente industriale, a partire dalle dimensioni dei rispettivi pubblici: anche un grande successo editoriale nel campo dei comics, come nel caso di TWD, richiede pertanto una complessa operazione di adattamento nel passaggio a una serie realizzata con gli standard della TV basic cable. L’intenzione di lavorare, più che nei termini classici dell’adattamento (letterale o meno), nell’ottica dell’espansione viene dichiarata dal principio sia da Frank Darabont che da Robert Kirkman. Nell’intervista del primo a Alan Sepinwall, Darabont si esprime con grande chiarezza: La nostra operazione consiste propriamente nell’espandere il racconto di Kirkman. Ho appena riletto le prime versioni dell’adattamento, quello scritto prima di questo grande processo di trasformazione. Quel pilot originario sarà suddiviso in due episodi, esattamente per rallentare il ritmo del racconto e per scavare meglio nei personaggi. La narrazione non sarà così semplicemente cadenzata sugli eventi, sulle evoluzioni del plot. Si ha veramente il desiderio di farsi coinvolgere dai personaggi. E dunque ho riletto il lavoro di Robert [Kirkman], perché si dimentica spesso quanto si è andati oltre, e sono rimasto davvero stupito, per esempio, da quanto rapidamente il personaggio di Shane uscisse di scena. E mi sono detto: “Ma dai, stiamo scherzando?” […] Posso invece vedere il personaggio di Shane svilupparsi molto di più, non siamo
40 Cfr. H. Jenkins, The Walking Dead. Adapting Comics, op. cit.
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nemmeno arrivati a grattare la superficie alla fine dei primi sei episodi! Quel che stiamo cercando di fare è di seguire il sentiero già tracciato da Kirkman, poiché è proprio lui ad aver disseminato dei segni da seguire e sviluppare. Ma stiamo anche deviando la rotta, per quanto possibile. Ci sono infatti così tante idee straordinarie nel fumetto da suggerirci nuove direzioni da prendere: non vogliano tralasciare nessuna di queste buone idee. Per questo ci stiamo dando la licenza di deviare, di cambiare rotta. La mia idea è che possiamo permetterci di virare pur restando elegantemente lungo il sentiero già segnato da Kirkman. Si tratta solo di concederci di rendere il racconto ancora più ricco.41
Come osserva ancora Henry Jenkins, la sfida principale di TWD consiste esattamente in questo lavoro di espansione nella fedeltà, e la presenza di Robert Kirkman fra gli executive producer della serie sembra garantire – anche comunicativamente – la “canonicità” dell’adattamento. La serie, infatti, si ritaglia fin dal principio una reputazione di “fedeltà allo spirito, se non alla lettera, del fumetto all’origine del racconto, nell’ottica di introdurre a un pubblico nuovo [quello più ampio, e demograficamente differente, della TV] personaggi e temi originali e un intero mondo narrativo.”42 In che modo procede il lavoro di espansione dell’universo narrativo creato da Kirkman nella serie realizzata per AMC? Un’analisi comparativa dettagliata eccede lo spazio di questo volume,43 ma si possono certamente individuare alcune logiche di fondo nel lavoro degli autori e degli scrittori della serie. Come si vedrà nel terzo capitolo, la logica di espansione narrativa e, in particolare, quella legata ai personaggi (si pensi a Carol, che nel fumetto si uccide mentre nella serie diventa uno dei cardini del racconto; o ad Andrea, che invece è molto più sviluppato nelle pagine dei comic) diventa uno dei terreni favoriti di interazione e discussione nell’ambito del fandom. Vi sono, dunque, in primo luogo, delle espansioni che potremmo definire modali e che riguardano il passaggio da un mezzo espressi41 A. Sepinwall, Comic-Con Interview: Frank Darabont on AMC’s ‘The Walking Dead’, in «HitFix.com», 22 luglio 2010, http://api.hitfix. com/blogs/whats-alan-watching/posts/comic-con-interviewfrank-darabont-on-amc-s-the-walking-dead. 42 H. Jenkins, The Walking Dead. Adapting Comics, op. cit., p. 374. 43 Per l’analisi dell’episodio cfr. ivi, pp. 373-381.
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vo come il fumetto (in questo caso le strisce in bianco e nero create da Robert Kirkman e disegnate da Tony Moore, Charlie Adlard, Cliff Rathburn e altri) a un altro come un drama della durata di 45 minuti circa, cadenzato su una serie di break pubblicitari per raggiungere l’ora lorda del palinsesto di AMC. Nell’analizzare l’episodio “Esperimenti” (“Wildfire”), quinto della prima stagione, Jenkins cita due variazioni che arricchiscono il racconto con la forza delle immagini in movimento. Il primo esempio è rappresentato dalla sofferta morte di Amy, la sorella di Andrea. Nel fumetto il passaggio si rivolve in poche tavole, e in un paio di battute scambiate fra la stessa Andrea e Dale: “non potevo lasciarla tornare” singhiozza la ragazza dopo che, con un colpo alla testa, ha impedito alla sorella di trasformarsi in una walker. La serie sviluppa tutte le possibilità espressive di questo addio, sia sottolineando, con un ripetuto gioco di campocontrocampo, la dimensione melodrammatica della sequenza, sia giocando col make-up della stessa Amy che, quando si risveglia come zombie, appare ingannevolmente “umana”, per poi iniziare a digrignare i denti mostrando l’inumana voracità. In questo caso l’espansione è una diretta conseguenza del passaggio fra i due mezzi espressivi: l’adattamento è quasi-letterale, ma la scena si carica di un forte pathos emotivo (anche nell’ottica di estendere l’audience di riferimento), e richiama uno dei leitmotiv della serie (caratterizzerà la vicenda di Hershel alla fattoria, nella seconda stagione, e persino quella del Governatore, in seguito): la difficoltà provata dai vivi ad accettare che il corpo “animato” di un dead non abbia più nulla a che fare con l’anima della persona amata. Il secondo esempio di espansione modale è rappresentato dalla morte, nel medesimo, episodio, di Jim: il procedimento è simile, la serie rallenta il ritmo degli avvenimenti per rendere più esplicito il riferimento al tema etico del fine vita. Jim è stato morso da uno zombie (allo stomaco, e non al braccio, come accadeva nel fumetto: questa variazione consente al personaggio un primo tentativo di nascondimento della ferita), e i diversi personaggi del gruppo discutono sul da farsi, esprimendo uno spettro variegato di posizioni che rispecchiano quelle presenti nel dibattito pubblico. Alla fine è lo stesso Jim a chiedere di essere semplicemente lasciato, per le sue ultime ore di vita, sotto un albero, rinunciando a qualsiasi ulteriore proposito (rifiuta la pistola offertagli da Rick): anche in questo caso l’addio al gruppo si carica di una forte tensione emotiva.
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Una seconda modalità di espansione potrebbe essere definita psicologica e riguarda uno dei procedimenti enunciati con chiarezza da Darabont: dare profondità ai personaggi. Vi sono ovviamente molti esempi che possono essere citati: nella prima stagione, per esempio, l’incontro che Rick fa con il cosiddetto bicycle zombie – una donna ridotta a un torso che si trascina per terra, accanto a una bicicletta – subisce importanti variazioni di messa in scena nella serie TV. Nel fumetto la vicenda è raccontata con grande secchezza e, come affermato da Kirkman, serve per fare con chiarezza “un’affermazione” (a statement)44 sul protagonista: Rick torna indietro e colpisce alla testa lo zombie, mostrando pietà per lei. Darabont e gli sceneggiatori approfittano di questo breve passaggio per approfondire – col montaggio alternato – la psicologia di un altro personaggio che diventerà essenziale nelle stagioni successive, Morgan. Mentre Rick mostra la sua pietà nei confronti di una donna che non conosce – la cui vicenda sarà ripresa e narrata nella webserie The Walking Dead – Torn Apart (2012), prequel ed estensione del racconto focalizzato sulla protagonista, Hannah – Morgan non riesce a colpire la moglie ormai tramutatasi in un walker. Il parallelismo fra le due vicende approfondisce contemporaneamente le personalità di entrambi gli uomini. La terza logica di adattamento espansivo è schiettamente narrativa, e riguarda l’introduzione nella serie televisiva di eventi e/o personaggi che non esistono nel fumetto. Anche in questo caso gli esempi sarebbero numerosi, a cominciare dai casi di due personaggi estremamente rilevanti per la serie TV fin dalla prima stagione, i fratelli Dixon, Merle e Daryl: tutte le vicende che li riguardano non hanno ovviamente un’origine nei comics. Sul piano narrativo, poi, alcune variazioni risultano particolarmente rilevanti anche nella relazione coi fan (come si vedrà nel capitolo terzo): dal momento che il racconto della serie a fumetti è già molto sviluppato alla partenza della serie, nel 2010, sceneggiatori e showrunner introducono una quarta logica di espansioni, che va a giocare sulle aspettative degli spettatori più consapevoli e sull’“intelligenza collettiva”45 che discute passaggio per passaggio le 44 Cfr. P. Ruditis, op. cit., p. 59. 45 Il concetto di “intelligenza collettiva” applicato all’attività di spettatori e fan dei prodotti dell’industria mediale si deve a H. Jenkins, Cultura convergente, op. cit.
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svolte della serie. Il caso più eclatante è forse quello del vertiginoso cliffhanger che chiude la sesta stagione per risolversi, alcuni mesi dopo, con l’apertura della settima. I lettori dei fumetti, e i fan coinvolti nella discussione in rete più in generale, sono consapevoli che sarà Glenn la vittima del più terribile dei cattivi disegnati da TWD, Negan. Il tipo di variazione introdotta nell’adattamento televisivo (a subire l’accanimento della mazza di Negan è, in primo luogo, Abraham, che nel fumetto era già deceduto ad opera di uno dei Salvatori) diventa tema di articolate discussioni online. Per mantenere strettamente il segreto su “chi morirà per mano di Negan” la produzione realizza addirittura versioni differenti della scena di apertura della settima stagione, procedura che renderà particolarmente complesse le operazioni di doppiaggio (come si vedrà nel capitolo quarto). Se il mondo narrativo di TWD si espande, nel passaggio dal fumetto alla serie TV, grazie a variazioni modali, psicologiche e propriamente narrative, generando un dialogo fitto e orizzontale fra fan in rete, e più verticale con la produzione e la sua promozione, la serie di AMC diventa a sua volta il punto di partenza per la generazione di una molteplicità di estensioni transmediali, che contribuiscono ulteriormente a complessificare l’universo di The Walking Dead. Anche in questo caso, più che ripercorrere in dettaglio gli innumerevoli touchpoints che fanno della serie prodotta da AMC un “testo esteso” destinato a creare aree di contatto – nonché di interazione e di produttività – con gli spettatori, ci si limiterà a segnalare come l’intersecarsi e il sovrapporsi di logiche di estensione differenti contribuisca a rendere TWD un ecosistema – più che un semplice “testo” – particolarmente complesso. Le linee di estensione del franchise sono infatti molteplici. La prima corrisponde all’ormai classica contrapposizione/integrazione fra dinamiche top-down (generazione di testualità “secondarie” da parte dei produttori della serie) e bottom-up (produzione di testualità “terziarie” da parte dei fan), resa canonica da Jenkins.46 Sul primo piano si possono menzionare tutte le diverse categorie di estensioni, dai prodotti branded e di merchandising (esiste ovviamente un official shop online di TWD) alle varie forme di repackaged content (riassunti, guide agli episodi ecc.), dalle attività “derivate” (soprattutto di carattere videoludico, come l’adventure 46 Si cfr. in particolare H. Jenkins, Cultura convergente, op. cit.
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game The Walking Dead: The Game, il first person shooter game The Walking Dead: Survival Instinct o il mobile game The Walking Dead Assault…) alle forme di interattività e interazione online, soprattutto attraverso i social media (si pensi in particolare a «Facebook», ai giochi interattivi come The Walking Dead Social Game, o alla app The Walking Dead: Left Behind, che consente un’esperienza in prima persona dell’universo post-apocalittico), fino alle più articolate estensioni narrative e diegetiche, che ampliano il racconto della serie in forme di transmedia storytelling.47 Il franchise è stato inoltre sfruttato, secondo dinamiche più tradizionalmente televisive, per lo sviluppo di un talk show, Talking Dead – in onda dopo ogni messa in onda domenicale, sulla stessa AMC – e di uno show derivato, o spin-off, come Fear The Walking Dead. Anche sul piano della produttività del fandom, la community allargata di fan di TWD si distende attraverso una miriade di luoghi e risorse online, fra i quali alcuni punti di riferimento per la discussione in rete (come The Walking Dead Forums) e per orientarsi nell’universo ricco e variegato che inizia col fumetto e approda alla transmedialità (per esempio The Walking Dead Wiki). L’enumerazione e la mappatura delle estensioni del franchise TWD non consente però di cogliere tutta la complessità del fenomeno, che chiama in causa questioni ormai abbastanza consolidate nella letteratura sulla transmedialità (la gestione del brand e delle licenze, la “canonicità” delle diverse parti del franchise, la coerenza o l’inconsistenza dei diversi mondi narrativi fioriti grazie al fumetto, alla serie, e a tutte le sue estensioni narrative). Per menzionare un solo esempio, i romanzi scritti da Jay Bonansinga e Robert Kirkman e dedicata a Woodbury e al suo spietato leader, il Governatore (L’ascesa del governatore, La strada per Woodbury e La caduta del governatore, in due parti), da un lato estendono l’universo narrativo di TWD, aprendo una serie di spiragli sul passato di una figura come Philip Blake, nel periodo che precede la sua trasformazione nel personaggio che conosciamo nelle serie; dall’altro lato complessificano ulteriormente il racconto, introducendo varianti, richiamandosi in parte al fumetto più che al drama TV. Nella 47 Su questi temi, si cfr. G. Frezza (a cura di), Endoapocalisse. The Walking Dead, l’immaginario digitale, il post-umano, The Searchers, Salerno, 2015.
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seconda parte di La caduta del governatore, ad esempio, si scopre che il Governatore è sopravvissuto alle torture di Michonne ed è in coma; dopo essersi ripreso, attacca la prigione, ma la decapitazione tocca a Tyreese e non a Hershel.48 I libri scritti successivamente dal solo Bonansinga estendono ulteriormente l’universo narrativo, concentrandosi sul personaggio di Lilly Caul (introdotto già nel fumetto), che succede al Governatore nel governo di Woodbury. La transmedialità di TWD può dunque essere analizzata sotto diversi punti di vista: come vedremo, anch’essa rappresenta un’ulteriore risorsa di discussione, coinvolgimento e interazione per la comunità di fan (nel capitolo terzo), mentre, sul piano dell’industria televisiva, costituisce uno strumento rilevante di promozione (nel capitolo quarto). Certamente, per la loro ricchezza e articolazione, le logiche di espansione (che guidano l’adattamento dal fumetto alla serie TV) e quelle di estensione (che ampliano l’universo di TWD in forme transmediali) contribuiscono a fare del franchise un caso mediale particolarmente complesso. 4. Inside the writers’ room: un’autorialità collaborativa (e conflittuale) Durante l’estate del 2011, nel bel mezzo della campagna di promozione della seconda stagione – che sarebbe ripartita il 16 ottobre successivo, con tredici nuovi episodi – i fan di TWD sono investiti da una notizia che pare clamorosa: Frank Darabont ha deciso di abbandonare la serie nel bel mezzo della sua produzione. Qualche giorno prima, lo showrunner che così tanto, negli anni precedenti, aveva contribuito a trasformare le pagine di Kirkman nel racconto televisivo trasmesso da AMC aveva partecipato a una affollata edizione del Comic-Con di San Diego assieme a Greg Nicotero, supervisore agli effetti speciali e, successivamente, executive producer della serie, regista di diverse puntate e creatore dei webisodes (nonché anello di contatto fra TWD e gli zombie romeriani, aven48 Su questo tema, si cfr. M.G. Caputo, La trilogia letteraria. Kirkman e Bonansinga raccontano il Governatore, in L. Boccia (a cura di), The Walking Dead. L’evoluzione dello zombie in TV, nel fumetto e nel videogioco, Universitalia, Roma 2013.
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do curato il make-up di Il giorno degli zombi nel 1985). Dopo solo un paio di giorni dal bagno di folla e fan del Comic-con, Darabont viene convocato dal responsabile della programmazione dei contenuti originali di AMC Joel Stillerman e da quel momento la vicenda dei rapporti fra il regista/produttore e la rete si fanno più oscuri, e decisamente burrascosi. Iniziano a circolare voci sulle ragioni del clamoroso divorzio: fonti vicine alla produzione, riportate nel blog di Alan Sepinwall, fanno intendere che sono emerse difficoltà nello stare al passo coi ritmi di una produzione televisiva da parte di un regista dalla lunga esperienza cinematografica.49 Emergono altre voci relative a tagli di costo chiesti dalla rete e poco condivisi dallo showrunner. Qualche settimana dopo «The Hollywood Reporter» rivela che Darabont non ha lasciato volontariamente la produzione: piuttosto, è stato rimosso. AMC si affretta inoltre a garantire continuità al prodotto seriale che ha avuto ascolti così alti e inaspettati, affidando a Glen Mazzara, luogotenente sul campo della produzione dello stesso Darabont, il ruolo di showrunner (lo stesso Mazzara lascerà il posto a Scott M. Gimple alla fine della terza stagione). D’altra parte, la continuità creativa della serie veniva garantita dalla presenza nella writer’s room di scrittori e produttori esecutivi attivi fin dalla prima ora, da David Alpert a Gale Anne Hurd, da Tom Luse al già citato Nicotero. E soprattutto dalla figura che più rappresenta un filo conduttore con l’universo originario del fumetto, da cui trae origine la serie, Robert Kirkman. Le complesse, drammatiche vicende che hanno portato all’allontanamento di Frank Darabont da TWD hanno iniziato a venire meglio alla luce alcuni anni più tardi. In particolare, i documenti con cui, nell’agosto del 2015, lo stesso Darabont intenta una causa milionaria contro AMC aprono squarci estremamente interessanti per capire come articolare il concetto di autorialità in riferimento a una produzione complessa come una serie di punta per il mercato americano e internazionale. Mittell, che dedica all’authorship della produzione scripted un capitolo del suo Complex TV, distingue fra autorialità “creativa” (by origination), nel caso della creazione di opere letterarie nelle quali “un solo autore è artefice di ogni singola parola e responsabile di tutto ciò che si trova all’interno di un determinato testo”; autorialità “attribu49 Si cfr. il sito «Uproxx.com», http://uproxx.com/sepinwall/
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tiva” (by responsability), nel caso della produzione cinematografica che riconosce nel regista il referente ultimo delle scelte estetiche del film; e autorialità “gestionale” (by management), nel caso di processi produttivi ancora più articolati e dilatati nel tempo, quali quelli supervisionati dallo/dagli showrunner della lunga serialità, figura autoriale sospesa fra scrittura e produzione.50 È proprio attorno a questi guru della quality television, sovrani indiscussi della writer’s room e “creatori” di opere complesse nate dal coordinamento e dalla collaborazione di decine di professionisti, che si staglia un’impresa di “autorializzazione”, discorsiva e sociale. Nell’ambito della macchina industriale della televisione americana, ancora Mittell distingue tre diverse idee di autorialità. C’è, in primo luogo, l’autorialità materiale dei concreti processi produttivi che regolano la nascita e l’evoluzione di una serie, o meglio, di un brand seriale e dell’ecosistema narrativo che esso va a generare. C’è poi un’ autorialità discorsiva riferita ai modi in cui il riferimento a un’origine o una personalità viene costruita nella retorica sociale e mediale. C’è, infine, un’autorialità implicita al testo (l’enunciatore o “autore implicito” della tradizione semiotica)51 che costituisce un inevitabile punto di riferimento nelle pratiche del consumo. Questi tre livelli sono ovviamente intrecciati e sovrapposti: fra i professionisti che contribuiscono alla creazione di un universo seriale ne emergono uno o alcuni che diventano brand nel discorso condiviso e punti di riferimento nei processi di attribuzione del senso. Il caso di TWD ci spinge ad aggiungere una quarta modalità per pensare l’autore: potremmo parlare di autorialità legale, in riferimento a come i contratti stipulati fra i diversi attori che prendono parte al processo produttivo (rete, casa di produzione, executive producer e showrunner) attribuiscono paternità, riconoscimenti nei credits e, soprattutto, porzioni di profitto. Il caso di TWD si rivela così particolarmente interessante per come queste diverse concezioni di autorialità si intrecciano e si sovrappongono. La vicenda del “licenziamento” di Frank Darabont e 50 J. Mittell, Complex TV, op. cit., pp. 158-60. Sulle figure più rilevanti di showrunner si cfr. AA.VV, Serial Writers, in «Link», op. cit. 51 Si cfr. U. Eco, Lector in fabula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Bompiani, Milano 1979; F. Casetti, F. Di Chio, Analisi del film, Bompiani, Milano 1990.
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della successiva causa legale scoppiata fra quest’ultimo e AMC consente di gettare uno sguardo su processi che solitamente l’industria televisiva tende a tenere riservati. In altre parole, attraverso il filtro dell’autorialità legale – e in particolare attraverso i documenti che hanno caratterizzato il processo – è possibile comprendere meglio come una serie televisiva declina, poi, gli altri concetti di autorialità. Sul piano dell’autorialità materiale, è in primo luogo importante distinguere fra il processo di creazione e quello di produzione di una serie come TWD. In particolare, nell’atto di citazione stilato dagli avvocati di Darabont nei confronti di AMC viene ricostruita in dettaglio la genesi della serie, che viene fatta risalire al 2005, quando il regista e produttore acquista i diritti per lo sviluppo televisivo del fumetto di Robert Kirkman e scrive un primo pilot destinato a NBC (e rigettato dal network, come già ricordato). Il processo di sviluppo e creazione si conclude quando il pitch offerto a AMC va a buon fine. La vera e propria fase di produzione ha inizio con una decisione che avrà grandi conseguenze: a differenza della strada già seguita con Mad Men e con Breaking Bad, AMC decide di sviluppare direttamente la produzione di TWD, senza affidarsi a uno studio terzo, a Hollywood, come Lionsgate o Warner. In sostanza, due imprese facenti capo allo stesso gruppo – AMC Studios e AMC Network – mettono a contratto la produzione della serie, affidando a Fox International Channels la sua distribuzione internazionale (cfr. capitolo quarto). A Frank Darabont – che ha sviluppato la serie e scritto il pilot – viene dato l’incarico di dirigere il primo episodio, di costruire la writer’s room e il team di produttori, e di supervisione, come showrunner, dell’intera macchina. L’azione legale intentata da Darabont nei confronti di AMC ruota tutta attorno a questa decisione di “produzione” in house: nella memoria d’accusa, il “licenziamento” viene ricondotto alla pratica – ritenuta scorretta dal querelante – di “self dealing”: in sostanza l’accusa a AMC è quella di aver stabilito un costo artificialmente basso pagato dal broadcaster (AMC Network) alla consociata che ha realizzato la serie (AMC Studios). Con l’obiettivo di minimizzare i profitti destinati al creatore, sviluppatore e primo showrunner della serie. Se sul piano dell’autorialità materiale e, ovviamente, legale il caso del licenziamento di Frank Darabont rappresenta un autentico punto di cesura per la produzione della serie, dal punto di vista discorsivo e di pragmatica del consumo, l’autorialità di TWD sembra muoversi
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più nell’ottica della continuità che della discontinuità. La “canonicità” di TWD è riconosciuta dai fan come collegata in particolare al ruolo di Kirkman, anche se – come vedremo nel capitolo terzo – essa è in qualche modo continuamente “negoziata” dal fandom che “gioca” a riconoscere, stabilire o creare “ponti” fra i due universi narrativi dei comic e del prodotto televisivo. La notizia, dell’estate del 2017, che Kirkman ha deciso di firmare un nuovo contratto per la produzione di contenuti con Amazon e, assieme a Gale Anne Hurd, Glen Mazzara e David Alpert, ha scelto di citare in causa AMC per ragioni analoghe a quelle menzionate da Darabont, riapre non soltanto la questione relativa all’autorialità del franchise, ma anche quella del suo destino.
II NUOVO ORDINE POST-APOCALITTICO. ALLEGORIE POLITICHE ED ETICA DELLA SOPRAVVIVENZA
All right! We’re gonna have ourselves a little powwow, huh? Talk about who’s in charge. I vote me. Anybody else? Democracy time, y’all. Show of hands, all in favour? Let’s see ’em. Yeah, that’s good. Now that means I’m the boss, right? (Merle, 1*02 “Una via d’uscita”)
Nel vlog New Rockstars, che offre un’analisi approfondita degli episodi di TWD a ridosso della messa in onda su AMC, il presentatore Erik Voss individua in alcune puntate della settima stagione della serie un’allegoria della Rivoluzione Americana.1 Il centro narrativo dell’intera stagione è rappresentato dal conflitto tra la comunità di Alexandria, dove vivono Rick e gli altri sopravvissuti del suo gruppo, da un lato, e i cosiddetti “Salvatori”, sotto la guida del dittatore sociopatico Negan, dall’altro lato.2 All’inizio della stagione, un assassinio sanguinoso e scioccante ha l’effetto di “sottomettere” Rick e i suoi, convincendoli a sottostare agli 1
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Cfr. i vlog di New Rockstars: Walking Dead 7x07 – IN-DEPTH ANALYSIS & RECAP (Season 7, Episode 7) – Sing Me A Song, «YouTube», 9 dicembre 2016, https://youtu.be/VslIdnBC18M, e Walking Dead 7x09 – IN-DEPTH ANALYSIS & RECAP (Mid-Season Premiere!) (709), «YouTube», 16 febbraio 2017, https://youtu.be/6pzQYJJqsHM. Tutte le risorse online citate in questo capitolo sono state consultate nel mese di maggio 2017. Sull’importanza del conflitto nella serie, come modello di relazioni internazionali, cfr. A. Locatelli, Quale politica in un mondo post apocalittico? La rappresentazione della pace e della guerra nella serie tv The Walking Dead, in «Rivista di Politica», (2017) n. 2, in via di pubblicazione.
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ordini di Negan, che pretende di essere beneficato con doni regolari di prodotti alimentari e armi: una specie di “pizzo”, una tassa che i viventi sono costretti a pagare per assicurarsi la sopravvivenza (o, almeno, evitare altre esecuzioni sommarie). Dopo il succedersi di una serie di eventi violenti, e in seguito a varie discussioni “politiche” interne al gruppo, Rick si rende finalmente conto che la vittoria contro il dittatore è possibile. La strada da percorrere è l’unione e l’alleanza delle diverse comunità tassate e vessate dai Salvatori: Alexandria, dove vivono Rick Grimes e i suoi, Hilltop, la comunità detta Il Regno (The Kingdom), ma anche la società matriarcale di Oceanside, e persino gli armati dei misteriosi Scavengers (o “Scavarifiuti”). Nell’analisi sviluppata nel vlog, questa unità di diverse “colonie” – il termine si usa di frequente nell’universo di TWD per riferirsi a comunità e gruppi di sopravvissuti – evoca l’unione delle tredici colonie americane e la loro insurrezione contro il controllo dell’impero britannico, alla fine del Settecento. L’allegoria del mito fondativo degli Stati Uniti trova delle basi anche nel testo della serie, come spiega Voss: ci sono espliciti riferimenti alla “tassazione”, e Gregory, a capo di Hilltop, afferma chiaramente che la sua gente è “un plotone di agricoltori”, esattamente come tanti dei rivoluzionari americani, in particolare del Sud. Negli episodi si intravvedono persino degli indizi visivi che suffragano questa interpretazione: mentre Gregory parla dei suoi “contadini”, dietro di lui campeggia un quadro di George Washington appeso al muro del suo ufficio. L’eco della storia americana nell’interpretazione di New Rockstars è un esempio significativo che rivela la ricchezza allegorica di TWD, che sarà il tema principale di questo capitolo. Il riferimento alla storia americana funziona, in termini più generali e “macro”, come leitmotiv per l’intera serie, che ritorna di continuo sul tema della gestione politica tanto delle comunità quanto del conflitto, e segnala altresì la permanenza e la rilevanza del mito nella società americana contemporanea. A livello più “micro”, nelle pieghe del testo, il nesso con la storia si attiva attraverso piccoli dettagli, immagini e parole – come quelle che abbiamo appena illustrato – che adornano specifiche puntate e sfuggono facilmente allo spettatore meno attento (che, comunque, non vede messa a rischio la comprensione generale della narrazione). Il quadro nello studio di Gregory, per esempio, sottolinea, forse anche un po’ ironicamente, le profonde differenze nei metodi di direzione di una comunità: da una parte il padre fondatore George Washington, dall’altra parte la pallida, patetica imitazione di Gregory. Il caso della
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video-analisi proposta nel vlog presuppone, inoltre, la presenza e l’interesse di una larga comunità di fan della serie: TWD è accompagnata da commenti, teorie e analisi di questo tipo che riscuotono grande successo su diversi media, e in particolare sul web: i video citati hanno raccolto migliaia di views (al momento della scrittura se ne contano 318.000 per quello relativo alla settima puntata e 174.000 per quello che si riferisce alla nona; oltre a questo vlog, che è sicuramente tra i più popolari, molti altri affiorano in Rete).3 In una serie tv così lunga, espansa e complessa come TWD, singole puntate presentano spesso riferimenti e citazioni fugaci di questa natura. In questo capitolo, però, partiamo da una delle allegorie più rilevanti fra quelle presenti nella serie: la rappresentazione della politica, intesa nel suo senso più essenziale di gestione della società. Utilizziamo volutamente il termine “allegoria”: non si tratta, infatti, di una mera rappresentazione, ma configura un vero e proprio fenomeno culturale. Seguendo Raymond Williams, e la sua definizione di “cultura” come “intero modo di vita di una comunità”, l’allegoria della politica presente in TWD presuppone il suo lato sociale: secondo il padre dei Cultural studies un testo, in questo caso una serie televisiva dall’alta popolarità, può rivelare e chiarire “significati e valori che sono impliciti o espliciti in un particolare stile di vita o in una specifica cultura”.4 Nel caso di TWD questa funzione “rivelatoria” riguarda in particolare la rappresentazione del sistema politico-sociale contemporaneo, le tensioni in atto nella politica americana e, in particolare, il conflitto fra “libertarianismo” (libertarianism), da un lato, e ideologia neo-liberista, dall’altro lato. Una rappresentazione mediale come questa – relativa alla gestione politica della società, così rilevante e persistente nell’universo di TWD – può essere compresa a fondo solo se collegata a quel “sistema” ampio e complesso che definisce una cultura: deve essere connessa, come propone Stuart Hall, al “circuito” che comprende la produzione (di testi, simboli…), il consumo (di quegli stessi testi), le identità che si generano attraverso la condivisione di significati e valori, le forme di regolazione (quel che, entro quella cultura, è possibile e
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Torneremo sulla questione della transmedialità della serie nel terzo capitolo. R. Williams, The Long Revolution, The Hogarth Press, Londra 1992, p. 48.
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concesso esprimere).5 In altre parole, alla luce degli insegnamenti di Williams e Hall, possiamo (o, forse, dobbiamo) interpretare TWD, le sue rappresentazioni e la sua retorica, alla luce delle dinamiche socio-culturali che l’hanno prodotto. Più precisamente le allegorie che troviamo in una serie mainstream e popolare come TWD sono altrettante rappresentazioni delle preoccupazioni e delle paure comuni alle persone che appartengono a quella società. Questo approccio è ben comprensibile se inserito all’interno dell’ampio filone di studi culturali sul genere horror che caratterizza gli ultimi decenni: in quest’area di studi, particolare attenzione è stata dedicata proprio agli zombie. Come nota Brad L. Duren a proposito di TWD, questo approccio richiama appunto una tradizione molto ricca di studi culturali sull’orrore cinematografico e mediale, che comprende studiosi come David J. Skal, Kendall R. Phillips, a cui aggiungeremmo anche Carol J. Clover, e nel contesto italiano, Peppino Ortoleva, Giulia Carluccio e Simone Venturini, per citare solamente alcuni.6 Per questi autori, nella “proiezione” di paure comuni al pubblico sul grande schermo, “i film horror… sono vitalmente interessati alla più ampia politica culturale del loro tempo”.7 E questo interesse vale anche per la serie di AMC. Duren sottolinea come TWD, come in generale il cinema horror, vada interpretato come “prisma e prodotto della sua stessa epoca”: “il suo successo emerge prima di tutto dalla sua capacità di attingere dalle ansie collettive del momento”.8 5 6
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Qui ci riferiamo in particolare all’introduzione, scritta da Stuart Hall, a S. Hall (a cura di), Representation. Cultural Representations and Signifying Practices, Sage, Londra 1997, pp. 1-11. B.L. Duren, ‘Zombie ‘R’ Us’: Twenty-First Century America and Historical Inquiry, in P. L. Simpson, M. Mallard (a cura di), The Walking Dead Live! Essays on the Television Show Rowman & Littlefield, New York-Londra 2016, pp. 3-18 (p. 4). Cfr. D. J. Skal, The Monster Show. A Cultural History of Horror, Faber and Faber, New York 2001; K.R. Phillips, Projecting Fears: Horror Films and American Culture, Praeger, Westport (CT) 2005; C. J. Clover, Men, Women and Chainsaws: Gender in the Modern Horror Film, Princeton University Press, Princeton 1993; S. Venturini, Horror italiano, Donzelli, Roma 2004; G. Carluccio, P. Ortoleva (a cura di), Diversamente vivi: zombi, vampiri, mummie, fantasmi, Il Castoro, Milano 2010. K.R. Phillips, op. cit., p. 8. B.L. Duren, op. cit., p 4.
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D’altra parte proprio il genere “zombesco” presenta una ricchissima storia di interpretazioni culturali in linea con quelle citate. In questo solco si inserisce questo secondo capitolo, che analizza le rappresentazioni della politica alla luce di uno sguardo culturalista. Come vedremo, la serie di AMC mostra elementi di continuità ma anche di rottura, manifestando tutta la sua originalità. Se gli studi culturali sugli zombie focalizzano l’attenzione su quest’ultima figura, come motrice della creazione della paura, il franchise TWD – dal fumetto alla serie alle sue estensioni transmediali – mette sullo sfondo i corpi dei non-morti. Questo passaggio richiede necessariamente all’analista una ridefinizione dell’interpretazione metaforica, che si sposta dagli zombie al loro rapporto coi sopravvissuti e, soprattutto, alle relazioni fra questi ultimi nel quadro di un universo post-apocalittico. 1. Zombie politici Una discussione piuttosto frequente nella storia della ricezione dei racconti di zombie, nonché tema del documentario Doc of the dead (2014), è quella relativa alla velocità dei morti viventi: sono creature lente, costrette a trascinarsi faticosamente in avanti, come nei film di George A. Romero, oppure sono in grado anche di correre pur di cacciare gli esseri umani, come in 28 giorni dopo (28 Days Later, 2001) o World war z (2013). Il co-autore della zom-com (commedia zombesca) L’alba dei morti dementi (Shaun of the Dead, 2004) Simon Pegg suggerisce che gli zombie lenti sono decisamente più autentici ed efficaci, in quanto il tempo del loro trascinato cammino consente di proiettare sul loro volto un minimo di personalità, seppur fugacemente. Che siano lenti o meno, l’idea stessa che gli zombie siano in qualche modo dei gusci svuotati, schermi su cui proiettare un significato, permea tutta la storia delle loro rappresentazioni culturali, con due principali effetti. Innanzitutto, lo “svuotamento” dei corpi umani – che comunque rimangono riconoscibili – richiama e riproduce delle paure comuni: della perdita di controllo del corpo e, ovviamente, soprattutto, della morte (propria, di parenti o di amici). Come osserva Kevin Alexander Boon, gli zombie rappresentano il vertice dell’immagine mostruosa, in quanto essa incorpora visivamente la paura della morte: “avvicinando la minaccia della morte, mettono a rischio la sopravvivenza ancora più di un qualsiasi
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altro cadavere”.9 Con la familiarità del corpo di una persona che riconosciamo – un parente, amico o un altro sopravvissuto da poco arresosi al morso fatale o al virus – questo terrore si esprime al suo grado più alto. Bisogna poi aggiungere che le stesse caratteristiche di “vuotezza” e timore della morte hanno aperto la strada a ulteriori simboli e metafore. Come ricorda Keetley, “La mandria di zombie è una sorta di ‘tabula rasa mostruosa’, cosa che spiega la sua duratura capacità di materializzare le nostre mutevoli paure e ansie, e di attivare, al contempo, anche una critica sociale che è storicamente legata alla situazione contingente, all’oggi”.10 L’idea che gli zombie abbiano continuamente rappresentato “ansie culturali mutevoli”, fin dalle loro origini, “da più di sette decenni”,11 si ritrova in diversi studi su questa specie di mostruosità. Per esempio, nella sua dettagliata storia dello zombie movie, Kyle William Bishop osserva, su questa falsariga, che la frequenza del ricorso agli zombie aumenta in modo significativo in momenti di cambiamento e disordine civile, in particolare durante la guerra del Vietnam o quella in Iraq, mentre in tempi relativamente più sereni – come gli anni Novanta – i film sui non-morti risultano più rari.12 Ortoleva ricorda che la distribuzione de L’isola degli zombies (White Zombie, 1932), considerato il primo film sugli zombie, veniva accompagnata da materiale promozionale che ruotava attorno allo slogan “Unusual times demand unusual pictures”. E i “tempi insoliti” si possono senz’altro inquadrare: siamo in mezzo alla Grande Depressione e il film mette in scena una forza lavorativa di K.A. Boon, Ontological Anxiety Made Flesh: The Zombie in Literature, Film and Culture, in N. Scott, (a cura di), Monsters and the Monstrous: Myths and Metaphors of Enduring Evil, Rodopi, AmsterdamNew York 2007, pp. 33-43 (p. 34). 10 D. Keetley, Introduction: ‘We’re All Infected’, in idem (a cura di), “We’re All Infected”. Essays on AMC’s The Walking Dead and the Fate of the Human, McFarland & Company, Jefferson (NC) 2014, pp. 3-25 (p. 8). 11 P. Dendle, The Zombie as Barometer of Cultural Anxiety, in N. Scott (a cura di), op. cit., pp. 45-57 (p. 45). 12 K.W. Bishop, American Zombie Gothic: The Rise and Fall (and Rise) of the Walking Dead in Popular Culture, McFarland & Company, Jefferson (NC) 2010, p. 13. 9
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schiavi, senza stipendio e senza identità.13 Dalla prima apparizione sullo schermo,14 dunque, gli zombie sono chiaramente una figura retorica, una metafora o, meglio, un’allegoria: le paure intrinseche che incarnano e mettono in scena sono profondamente legate al contesto sociale. Nel caso de L’isola degli zombies e successivamente di Revolt of the Zombies (1935), Ouanga (1936) e Ho camminato con uno zombie (I Walked with a Zombie, 1943) le paure sociali implicite si declinano anche in una forma di razzismo diffuso all’epoca, riflettendo chiaramente il terrore nei confronti di possibili “insurrezioni di schiavi e della cosiddetta colonizzazione al contrario”.15 Nei film citati il modello dello zombie è ancora piuttosto distante dalla versione ormai canonica del cannibale romeriano: in questi primi film la “zombificazione” è uno stato di ipnosi imposto da un maestro di voodoo, che sfrutta la persona/zombie per i propri intenti e la propria volontà. Così il film contiene un’allegoria palese della schiavitù nera, come “reificazione della disperazione e della mancanza di speranza: [gli zombie] non sono nient’altro che ingranaggi nella grande macchina”.16 Ma la xenofobia e un certo razzismo sono chiari già dal titolo originale del primo film, White zombie: il pericolo del voodoo e la schiavitù cui può condurre sono fenomeni preoccupanti solamente nel momento in cui riguardano la donna bianca. Questo scontro tra la cultura bianca dominante dell’epoca e la presenza scomoda di persone di colore è portato avanti anche più tardi, durante 13 P. Ortoleva, Strane storie per tempi strani. I vivi e i non morti, in G. Carluccio, P. Ortoleva (a cura di), op. cit., pp. 11-117 (p. 19). 14 La prima apparizione degli zombie sullo schermo è un punto controverso, che dipende dalla definizione di zombie: alcuni morti viventi compaiono già nei film muti (come in Nosferatu il vampiro/Nosferatu, eine Symphonie des Grauens, nel 1922) mentre studiosi come Boon percepiscono un antenato nella figura del sonnambulo Cesare in Il gabinetto del dottor Caligari (Das Cabinet des Dr. Caligari, 1920). Blumberg e Hershberger hanno rintracciato un film muto indiano – Chalta purza, sempre del 1932 – che potrebbe riportare la prima apparizione esplicita. Cfr. Boon, op. cit., e A.T. Blumberg, A. Hershberger, Zombiemania. 85 Movies to Die for, Telos Publishing, Tolworth 2006. 15 K.W. Bishop, op. cit., p. 13. 16 P. Dendle, op. cit., p. 47.
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gli anni della Seconda Guerra Mondiale. Come ricorda Dendle, nei (pochi) film che virano su toni da commedia, gli zombie “assolvono praticamente alla stessa funzione di capro espiatorio incarnata dagli afroamericani nei film di Hollywood dello stesso periodo, e dai giapponesi nei cartoni animati bellici: una dimostrazione di quanto siano inetti tutti i non-bianchi e non-americani”.17 Se i film di zombie rivelano la forte tensione razziale dell’epoca, è anche possibile individuare in essi segni che puntano ai mutamenti di gender. Lo sforzo di “zombificare” e perciò controllare le eroine (bianche) da parte di alcuni uomini, come Murder Lestrange in L’isola degli zombie, sembra riflettere le ansie irrazionali di una società patriarcale alle prese con un momento storico – gli anni della Guerra – di cambiamenti rivoluzionari nei rapporti e nei ruoli di gender.18 Tuttavia, siccome la donna minacciata è occidentale e bianca, i malvagi finiscono per essere sconfitti, segnalando così una pur lenta apertura della cultura nei confronti di una maggiore autonomia femminile. La configurazione più riconoscibile dello zombie– il morto camminante e cannibalesco – risale al primo film di George A. Romero del 1968, La notte dei morti viventi, e a questa pellicola possono essere ricondotti anche due temi che sono ancora attuali. Il primo è l’uso simbolico dell’identità dei sopravvissuti, in particolare delle donne e delle persone di colore, che vengono rappresentati in modo positivo. Come vedremo in seguito, questa eredità sarà ripresa esplicitamene in TWD. Il secondo tema, profondamente diverso dai primi film sul vodoo, è una certa voluta vaghezza a proposito dell’origine dell’apocalisse zombie. Nel film sentiamo un telegiornale ipotizzare che la causa sia la radiazione derivante da una nave spaziale esplosa nell’atmosfera, di ritorno dal pianeta Venere, però il fatto non viene mai confermato (nemmeno nei successivi sequel diretti da Romero). Inoltre qui il telegiornale serve soprattutto ad aumentare un senso di diffidenza verso le istituzioni e le autorità, considerate inaffidabili, come ha suggerito Phillips.19 Nonostante sia vago, questo riferimento serve per stabilire un legame – sostanzialmente ironico – con alcuni zombie film precedenti, risalenti agli anni Cinquanta, nei quali la zombificazione delle persone 17 Ivi, p. 49. 18 Ivi, p. 48. 19 K.R. Phillips, op. cit., p. 97.
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è causata esplicitamente dagli extraterrestri o dalla pioggia radioattiva. In film come Banditi atomici (Creature with the Atom Brain, 1955), The thing that couldn’t die (1958), Assalto dallo spazio (Invisible Invaders, 1959) e Piano 9 da un altro spazio (Plan 9 from Outer Space, 1959), dunque, la figura del corpo rianimato è facilmente interpretabile come la manifestazione delle paure di un possibile attacco nucleare durante la guerra fredda. Queste pellicole appartengono al genere sci-fi (“cinema atomico”, per usare l’etichetta di Kim Newman), nei quali il controllo alieno o, in qualche modo, paranormale dei corpi diventa metafora della minaccia del lavaggio del cervelli da parte del nemico comunista. Il timore nei confronti di quest’ultimo riflette la cosiddetta “paura rossa” della propaganda maccartista.20 Newman sottolinea la medesima diffidenza nei confronti delle autorità in questi film – come accadeva in La notte dei morti viventi – ed essa diventa sempre più evidente durante gli anni Ottanta, con una rinnovata fase di “ansia nucleare” e il ritorno alla guerra fredda. L’azione del terzo film della “trilogia dei morti” di Romero – Il giorno degli zombi (Day of the Dead, 1980) – avviene per la maggior parte in un rifugio antiatomico, dove a comandare è un gruppo di militari e scienziati fascisti, talmente aggressivi e moralmente corrotti che alla fine del film ci troviamo a tifare per lo zombie addomesticato, Bub. Durante lo stesso decennio, il pubblico dei film di zombie si rivela chiaramente più divertito da film ironici, comici e sempre più splatter.21 Pensiamo alla serie di sequel “alternativi” a La notte dei morti viventi, che inizia con Il ritorno dei morti viventi (Return of the Living Dead, 1985, basato sul romanzo di John A. Russo, co-sceneggiatore del primo film di Romero). Eppure anche in questi film il disprezzo nei confronti delle forze dell’ordine è evidente, tanto in scene in cui la polizia è facilmente ingannata da zombie affamati, quanto nel finale in cui l’esercito casualmente uccide centinaia di persone innocenti e distrugge gran parte della città di Louisville con una bomba atomica. Come dimostra la conclusione del film che abbiamo appena citato, l’uso degli zombie come metafora politica è anche oggetto di ironia e comicità, ma resta anche la critica alla società contempo20 K. Newman, Apocalypse Movies: End of the World Cinema, St Martin’s Griffin, New York 2000. 21 K.W. Bishop, op. cit., p. 15.
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ranea. Sotto questo punto di vista i film di Romero – nonché quelli del regista italiano Lucio Fulci – sono stati tra i più innovativi. Lo scetticismo nei confronti delle autorità, per esempio, si percepisce in La città verrà distrutta all’alba (The Crazies, 1973), in cui il regista mira a una critica della famiglia borghese e della vita provinciale americana. È inutile aggiungere che questo tipo di critica politica si presenta al meglio nell’esempio più canonico di tutto il genere: lo zombie come consumatore svampito e vagante senza scopo né meta in un immenso centro commerciale (Zombi, 1978). Questi film forniscono solo alcuni degli esempi più noti di zombie che finiscono per incarnare le paure più comuni della società americana: i film fanno emergere questi timori sia implicitamente – come nelle prime pellicole impregnate di razzismo e xenofobia – sia ironicamente, come accade in tutto il filone romeriano. Si potrebbero citare molti altri esempi, arrivando a casi anche più recenti. Lo zombie diventa manifestazione o effetto di una malattia epidemica (per esempio in 28 giorni dopo o La città verrà distrutta all’alba), del fascismo (Le lac des morts vivants, 1981; Dead snow/Død snø, 2009), di subculture devianti o bande (I Was a Teenage Zombie, 1987; Survival of the Dead – L’isola dei sopravvissuti, 2009), del ritorno di un colonialismo rimosso (Zombi 2, 1979) o addirittura del terrorismo dopo l’11 settembre, come accade nelle scene post-apocalittiche del remake di Zombi, intitolata (come l’originale in inglese) L’alba dei morti viventi (2004). Per il nostro scopo, però, è sufficiente riconoscere da un lato la grandissima varietà di simboli e metafore incarnati dagli zombie, e dall’altro lato tornare a un’utilissima osservazione generale che avvicina tutte queste “immagine politiche”. Come spiega Ortoleva: Gli zombie hanno portato nella mitologia dei non morti un aspetto che in precedenza mancava (anche la mummia dei racconti di Conan Doyle e dello stesso film di Freund era un aristocratico, sia pure proveniente da una civiltà remota): la morte proletaria, la morte di massa […]. Lo zombie è un morto massificato e anonimo in morte come, si suppone, lo era stato anche in vita. Un morto operaio, anzi una catena di defunti seriali.22
22 P. Ortoleva, op. cit., p. 70.
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Questo punto ci riporta alla questione dello “svuotamento” della persona-diventata-zombie, e all’origine della paura che possiamo provare quando affrontiamo il non-morto: il fatto è che potrebbe accadere a chiunque. Allo stesso modo, le paure evocate – dalla malattia alla guerra atomica – potrebbero colpire indistintamente. 2. Dagli zombie ai sopravvissuti TWD ricorre evidentemente alla tradizione di genere nel suo uso di metafore politico-sociali. L’immaginario della serie e di tutto l’universo transmediale è influenzato dallo stile e dalle tematiche dei film di Romero, sia nella rappresentazione degli zombie che del crollo della società.23 Romero stesso, però, ha scartato l’idea di dirigere alcune puntate del prodotto AMC perché – come ha voluto sottolineare in una intervista – si tratta “effettivamente solo di una soap opera con qualche zombie qua e là. Io ho sempre utilizzato lo zombie come uno strumento di satira oppure come una critica di natura politica, e trovo che questo aspetto manchi da ciò che va in onda oggi”.24 Tuttavia, se TWD è meno esplicito e, per dir così, intenzionalmente critico nei confronti della società, la sua funzione implicitamente allegorica rimane intatta. Nella serie troviamo innanzitutto scene ambientate in alcuni luoghi ricorrenti, come negozi (nelle puntate 2*05 “Ritrovamenti”, 3*06 “La preda”, 4*01 “Calma apparente”), case e uffici di periferie e piccoli paesi (3*12 “Ripulire”, 5*09 “Non è finita”, 5*12 “Consumati”), chiese (2*01 “La strada da percorrere”, 5*02 “Sconosciuti”), caserme con soldati e polizia antisommossa zombificati (3*01 “Casa dolce casa”, 3*03 “Benvenuti a Woodbury”, 7*12 “È giunto il momento”), cui si aggiunge la prigione della terza e quarta stagione. La presenza di zombie 23 J. Maberry, Take Me to your Leader: Guiding the Masses through the Apocalypse with a Cracked Moral Compass, in J. Lower (a cura di), Triumph of the Walking Dead: Robert Kirkman’s Zombie Epic on Page and Screen, Dallas (TX), Smart Pop–BenBella Books 2011, pp. 15-34 (p. 22). 24 S. MacKenzie, George A Romero: “The Walking Dead Is a Soap Opera with Occasional Zombies”, «The Big Issue», 3 novembre 2013, http://www.bigissue.com/interviews/george-romero-walkingdead-soap-opera-occasional-zombies/.
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in questi luoghi si presta evidentemente a una critica implicita di alcuni degli istituti fondamentali della società americana, suggerendo che i loro abitanti, seguaci, impiegati, clienti… non sono che un gregge di corpi automatizzati e acritici. La paura condivisa di malattie epidemiche è simboleggiata invece, in particolar modo, attraverso la rappresentazione del CDC (Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie) alla fine della prima stagione. La stagione dà enfasi narrativa e visiva proprio al Centro, che, per altro, ha dei legami curiosi con la realtà: la sua sede si trova effettivamente nei pressi di Atlanta – anche se le scene della serie sono state girate in un luogo più spettacolare – e, dopo alcuni mesi dalla messa in onda del finale di stagione, il centro ha pubblicato sul suo blog una guida su come reagire a una situazione d’emergenza, utilizzando l’esempio dell’apocalisse zombie.25 Non si possono poi non ricordare le mura delle comunità di Alexandria e Woodbury, destinate nelle intenzioni a tener fuori gli zombie. Le loro immagini assumono una curiosa rilevanza storico-metaforica, poiché finiscono per dar corpo a quelle ansie xenofobe che hanno fornito carburante all’elezione di Donald Trump nel 2016. Negli stessi mesi della messa in onda di TWD, il candidato repubblicano faceva campagna elettorale puntando sulla promessa di costruire un muro lungo la frontiera che divide gli Stati Uniti e il Messico.26 Considerando soltanto gli esempi or ora citati, è chiaro che anche TWD, al netto del giudizio sferzante di Romero, presenta una certa, implicita politicità. Ma TWD è anche in grado di innovare il genere: come si è detto, la serie sposta lo zombie sullo sfondo per dare più tempo e spazio al 25 Cfr. Zombie Preparedness, sul sito del «CDC», https://www.cdc.gov/ phpr/zombies.htm. 26 La serie spin-off Fear the Walking Dead (AMC, 2015-…) tocca in modo molto più diretto le paure dell’immigrazione dal Sud. Lo fa invertendo le consuete dinamiche culturali, quando i protagonisti americani fuggono verso il Messico per mare, per poi tornare verso gli Stati Uniti e trovarsi bloccati alla dogana, alla fine della seconda stagione. La webserie Fear the Walking Dead: Passage, distribuita tra il 2016 e il 2017, ovvero negli stessi giorni della vittoria e dell’insediamento di Donald Trump, mette in scena un tunnel presumibilmente illegale tra i due paesi, che ironicamente diventa un rifugio per personaggi esclusivamente americani.
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racconto dei sopravvissuti,27 creando così “una soap opera con qualche zombie qua e là”, per dirla ancora con Romero. In un certo senso questa mossa è necessaria per una serie che vuole durare degli anni, e per sostenere l’interesse degli spettatori. Il prodotto di AMC riesce comunque ad essere molto originale, per esempio nei brevi esperimenti estetici sulla figura dello zombie (basti pensare alle varie “mandrie”, o ai putrefatti più splatter e sfigurati, nel pozzo della fattoria di Hershel o sulle rive di Oceanside, o ancora a Winslow, dove vediamo uno “zombie cavaliere” coperto dai chiodi di una grande discarica). Estendere il racconto focalizzato sui sopravvissuti permette, allo stesso tempo, di elaborare un’immagine molto più sfumata e complessa non solo di come si può reagire all’apocalisse zombie, ma anche di come ricostruire una società umana diversa da quella precedente. L’allegoria sviluppata dalla serie fa inoltre ampio ricorso all’idea della massa proletaria che Ortoleva riconduce al genere. Lo spostamento dell’attenzione sui sopravvissuti è un obiettivo chiaro dell’autore del fumetto sin dalle sue origini. Nell’introduzione alla versione inglese del primo numero del comic, Kirkman scrive che “gli zombie movie belli […] ci interrogano sul nostro posto nella società, e sul posto della nostra società nel mondo […] c’è sempre un riferimento implicito alla società”. Spiegando poi il suo approccio e il ricorso alla narrativa seriale, l’autore del fumetto enfatizza il bisogno di studiare approfonditamente i personaggi: Di solito i film sugli zombie appaiono come una porzione della vita di qualcuno, che dura finché chi gestisce il film non si annoia. Iniziamo a conoscere il personaggio, che vive un’avventura e poi, boom, appena la cosa si fa interessante, arrivano quei fastidiosi titoli di coda. … L’idea che sta dietro The Walking Dead è di seguire il personaggio – in questo caso, Rick Grimes – fin quando è umanamente possibile. Voglio che The Walking Dead sia una cronistoria di alcuni anni della vita di Rick. Non ci chiederemo mai cosa accadrà dopo Rick, perché lo vedremo nella serie. The Walking Dead sarà il film sugli zombie che non finisce mai.28
27 Per Bishop, la serie “non parla affatto di zombie”, ma “del carattere umano” (cit., p. 206); Keetly invece cerca di problematizzare questo punto, sostenendo che i personaggi sono già in parte zombie, in quanto sono “tutti già infetti” (cit., p. 7). 28 La citazione si trova in R. Kirkman, T. Moore, C. Rathburn, The Walking Dead, “Vol. 1. Days Gone, Bye”, Image Comics Inc., Berkeley 2004, p. 9.
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Nell’immaginare il “film sugli zombie che non finisce mai” Kirkman ha creato e sviluppato non solo la storia di Rick Grimes, ma un’ampia storia collettiva che traccia l’arrivo e la partenza (momentanea o definitiva) di tantissimi personaggi, e mette in scena una grande varietà di luoghi e di comunità. In questo modo, il fumetto, e poi le serie tv, e tutte le “estensioni ed espansioni”, diventano un laboratorio di possibili reazioni all’apocalisse, raggiungendo un livello di complessità ed elaborazione mai vista prima in altri prodotti di genere. Di conseguenza, è certamente possibile ricostruire le allegorie politiche presenti nella serie, sia che facciano parte dell’esplicita intenzione di Kirkman e degli altri autori, sia che esse siano, invece, implicite, attivate dal testo nel suo incontro con gli spettatori e nella sua circolazione culturale: è necessario però partire non soltanto dalle figure degli zombie, ma anche, e soprattutto, dalle vicende dei sopravvissuti. 3. Il nuovo ordine del mondo Se la battaglia con i Salvatori nel corso della settima e ottava stagione può essere interpretata come l’allegoria dell’unione dei primi tredici Stati contro l’impero britannico, questa stessa unificazione si realizza solamente dopo una lunga e stratificata vicenda che riguarda altre comunità. Ricostruiamo i luoghi principali della serie nelle sue prime sette stagioni: nella prima stagione vediamo il protagonista, Rick Grimes, svegliarsi da un coma profondo, e passare per la sua dimora nella (fittizia) King County, Georgia, alla ricerca di moglie e figlio. Dopo un viaggio disastroso ad Atlanta, la famiglia si riunisce finalmente in un campo di rifugiati, alle porte della metropoli. Un attacco di zombie distrugge però l’accampamento, e i sopravvissuti cercano invano un rifugio nel CDC (Centro per la prevenzione e il controllo delle malattie). La maggior parte della seconda stagione è ambientata nella fattoria di Hershel Greene, dove i sopravvissuti cercano di edificare un secondo accampamento, almeno per il tempo necessario per cercare una bambina smarrita nella campagna circostante. Successivamente i protagonisti si convincono che il luogo è relativamente ben protetto. Quando quest’ultimo fatto viene confutato da una mandria di zombie, il gruppo (con Hershel e la sua famiglia) è costretto a vagare per la campagna, rovistando in case abbandonate, per circa otto mesi (il tempo della gravidanza della
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moglie di Rick), ovvero fra la fine della seconda e l’inizio della terza stagione della serie. La terza stagione e parte della quarta sono invece ambientate in un riformatorio della West Georgia, la prigione che fa da rifugio e dunque da casa. Dopo l’attacco del megalomane antagonista di Rick, il Governatore – lui stesso è a capo di un’altra comunità, una cittadina murata chiamata Woodbury – i sopravvissuti sono costretti a fuggire e a rovistare di nuovo nelle campagne. Verso la fine della quinta stagione, il gruppo si troverà ospite dell’Alexandria Safe Zone, una città protetta da mura nelle vicinanze di Washington DC, simile a Woodbury; Alexandria diventa poi una casa permanente per il gruppo di Rick e una delle colonie nella battaglia congiunta contro i Salvatori. Tra il carcere e Alexandria vediamo alcuni altri luoghi di rifugio solamente temporanei: Terminus (luogo-estensione presente solo nella serie televisiva), trappola tesa dagli antagonisti cannibali, che tuttavia serve come punto di riunione per i sopravvissuti dopo la disastrosa fuga dalla prigione; la chiesetta di provincia di Padre Gabriel; e l’ospedale Grady Memorial ad Atlanta, dove un membro del gruppo di Rick, Beth, viene sequestrato. Sebbene TWD dimostri chiaramente che il crollo delle regole della nostra società può avvenire molto rapidamente, la rappresentazione della “radicalizzazione” degli esseri umani è mostrata come un processo più graduale e non sempre progressivo. Lo spostamento continuo del gruppo dei sopravvissuti tra i luoghi-rifugio or ora elencati ha una chiara funzione simbolica: marca l’inesorabile fallimento di un certo tipo di gestione sociale in seguito al progressivo, altrettanto inesorabile peggioramento etico dell’essere umano. Le prime stagioni mettono in scena la difficoltà dei sopravvissuti di comprendere l’apocalisse. L’enfasi è posta sui luoghi che simboleggiano e ricordano la vita quotidiana che precede il disastro (le case di Rick e di Hershel), oppure che, in qualche modo, sono legati alle istituzioni, alle autorità o alle forze dell’ordine: il CDC prima di tutto, ma anche l’ospedale dove si risveglia Rick e il carro armato dell’esercito nella prima stagione. E se il primo accampamento alla periferia di Atlanta è autogestito, è comunque il risultato di un gruppo di sopravvissuti uniti dalla ricerca condivisa di un campo profughi “ufficiale”, gestito dal Governo o dall’esercito. Il fatto che tutti quanti i rifugi si dimostrino alla fine fragili e poco sicuri segnala dunque con chiarezza, ai protagonisti come a noi spettatori, l’inefficacia delle istituzioni tradizionali dopo il crollo della società.
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Le forze dell’ordine ritornano diverse volte nella serie, ma la narrazione dimostra di continuo che la loro efficacia e il loro significato sono ormai perduti. Nella quarta stagione il personaggio di Tara finge di essere un poliziotto per intimorire il Governatore, anche se in realtà, prima dell’apocalisse, era un semplice cadetto; nella quinta stagione, Dawn continua a seguire le regole gerarchiche e di comportamento della polizia presso il Grady Memorial, ma l’inconsistenza di questa pretesa diventa palese quando le sue reazioni automatizzate, “da poliziotto”, conducono alla morte di Beth, oltre che alla sua stessa uccisione. Alla fine della stessa stagione, quando il gruppo arriva ad Alexandria, Deanna chiede a Rick di riprendere il ruolo di sceriffo, ma in breve tempo si capirà che il codice etico legato alla funzione è profondamente cambiato. Il capovolgimento dell’idea di ordine si ripropone anche nell’ironica rappresentazione della prigione: un tempo il luogo era un “riformatorio” per le persone che rifiutavano le regole della società, ora il suo valore viene letteralmente invertito ed esso diventa un rifugio da tutti desiderato, a partire, paradossalmente, dallo sceriffo, che, nella vita precedente, vi chiudeva dentro i criminali. Svuotato della sua funzione di carcere, la prigione diventa inoltre un primo “laboratorio sociale” per il gruppo di Rick, che sperimenta in prima persona diversi modi di gestire la comunità. La scelta è inizialmente quella di un particolare tipo di democrazia sociale, gestita da un consiglio di cinque persone (Carol, Glenn, Hershel, Daryl e Sahsa).29 Tutti gli inquilini sono impegnati in attività produttive (cacciatori ed esploratori, cuochi, babysitter, agricoltori, medici e infermieri…), e il gruppo accoglie quei sopravvissuti che 29 L’adattamento della serie elimina una parte della misoginia che viene invece percepita nel fumetto: nel comic il Consiglio è composto solamente da Dale, Hershel, Rick e Tyreese; quando Rick chiede ragione dell’assenza di donne, Dale gli spiega che le donne “vogliono soltanto essere protette”. Per Steiger non è chiaro se questo passaggio riproduce uno stereotipo inconscio oppure un commento ironico, volto a dimostrare che “stereotipi di razza o gender saltano fuori anche senza una struttura sociale che li sostiene”. La scena si trova nel volume 4, “La forza del desidero”, numero 24 (2008); cfr. K. Steiger, No Clean Slate: Unshakable Race and Gender Politics in The Walking Dead, in J. Lowder (a cura di), op. cit., pp. 99-114 (p. 107).
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rispondono bene ai requisiti per far parte della comunità. Il consiglio decide all’unanimità come gestire la convivenza. La figura che precedentemente aveva ricoperto il ruolo di leader autarchico – Rick Grimes – rinuncia al potere, rifiuta l’uso delle armi e diventa un agricoltore pacifista. Quando poi una malattia imprevedibile colpisce la prigione, il consiglio tiene duro, cerca di preservare il rifugio e di salvaguardare il maggior numero di abitanti. La prima occasione di contrasto, ovvero la scelta di Carol di uccidere e bruciare i cadaveri di due malati per evitare un contagio più grande, senza ottenere l’appoggio del consiglio, viene rappresentata in modo piuttosto critico: il risultato è una rissa violenta tra Rick e Tyreese e, alla fine, l’espulsione della donna dalla comunità. Anche se poco durevole, in un certo senso la “democrazia” della prigione diventa presto un’utopia all’interno della serie: come la repubblica romana che deve cedere il passo all’impero, la prigione crolla sotto il peso di un particolare tipo di corruzione e di un modello alternativo e minaccioso di governo, rappresentato dal Governatore e dal suo regime politico. A prima vista la cittadina di Woodbury sembra un rifugio altrettanto sicuro per il popolo. Al posto del consiglio, a gestire la comunità c’è una singola figura di potere, che estetizza la sua immagine nascondendo il suo nome e la sua vita personale, e regna con il sostegno di un gruppo di mercenari (come Merle, Martinez e Shumpert). Woodbury rappresenta così una dittatura tirannica, costruita sulla violenza e sull’oppressione, come si dimostra in alcune scene chiave, per esempio la strage dei soldati (3*03), oppure le battaglie allestite tra i mercenari ed i walker nell’“arena” (3*05) – un altro richiamo alla Roma antica. Oltre alla conferma della celebre osservazione di Walter Benjamin che “l’estetizzazione della politica converge sempre sulla guerra”,30 la comunità fascista del Governatore serve, sul piano simbolico, a dimostrare il cambiamento profondo dell’etica sociale. Infatti, la distruzione della democrazia quasi-utopica della prigione non a causa di forze contingenti – come la malattia – ma per via di una nemesi umana, rappresenta un evento capitale. I fatti insegnano ai protagonisti che nel nuovo ordine del mondo post-apocalittico la violenza deve necessariamente essere quotidiana: non si tratta solo 30 W. Benjamin, L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica. Arte e società di massa, Einaudi, Torino 1998, p. 37.
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dell’omicidio degli zombie, ma anche di quello di altri essere umani, nel nome della sopravvivenza. Il gruppo di Rick aveva già iniziato a “comprendere la lezione” ancor prima della distruzione finale a opera del Governatore. Quando incontrano nuovi sopravvissuti per strada, come nel caso di Bob (in flashback, 4*13) o della ragazza irlandese (4*01), per regola del consiglio gli abitanti della prigione sono tenuti a porre tre domande: “quanti walker hai ucciso?”, “quante persone hai ucciso?” e “Perché?”. Ciò che cambia inesorabilmente, invece, dopo la distruzione della prigione è il punto di vista dei sopravvissuti: nel mondo di TWD la violenza non è una scelta per alcuni, ma un obbligo per tutti. Per questa precisa ragione Rick non può vivere soltanto come un semplice agricoltore. Come dice il Governatore prima di accoltellare Milton, “In questa vita, adesso, uccidi o muori, oppure muori e uccidi” (3*16). Quando il gruppo arriva finalmente ad Alexandria, si ritrova in una comunità che in qualche modo raffigura di nuovo la situazione della prigione: la sua leader, Deanna, era un membro del Congresso statunitense prima dell’apocalisse, e dunque rappresenta un capo democraticamente eletto. Pur di ripetere l’importanza della nuova etica sociale, la serie mette in contrasto il gruppo di Rick e quello di Alexandria, dimostrando che il secondo – protetto fortunosamente dalla realtà fuori le mura grazie a una grande cava che temporaneamente blocca migliaia di zombie – non ha ancora imparato la lezione: “uccidere o farsi uccidere”. La quinta e la sesta stagione servono per apprendere la nuova morale. Nel frattempo – nel tragitto che porta dalla prigione ad Alexandria – la serie rinforza continuamente l’idea che i protagonisti debbano adattarsi a nuovi parametri etici e politici raffigurando negativamente tutte le possibili alternative. È il caso, in primo luogo, di Terminus: i suoi messaggi, lasciati lungo la strada e la ferrovia o trasmessi via radio, promettono: “salvezza per tutti / comunità per tutti / chi arriva sopravvive”. La realtà, evidentemente, è un’altra: i cartelli e gli annunci servono per attirare persone e trasformarle in vittime di un gruppo di cannibali. La serie insiste, nel dialogo e nei flashback, sul fatto che un tempo il sogno di Terminus era autentico; ma che Gareth e Mary, che reggono la comunità, sono stati “corrotti” dalla violenza e dagli stupri perpetrati da persone arrivate da fuori. La morale per loro è, dunque, ancora più estrema e radicale: “o sei il macellaio o sei il bestiame”. La chiesa episcopale di Santa Sara offre,
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poi, un’ulteriore rappresentazione di un’alternativa di vita: il prete che vi vive sembra offrire autentico rifugio cristiano. Eppure, anche in questo caso si scopre rapidamente che il prezzo della sopravvivenza di padre Gabriel è la sua codardia. Arriviamo poi all’ospedale: eccoci ancora all’idea di un’autocrazia. Qui si finge un ordine che rispecchia protocolli di comportamento pre-apocalittici, e a governare c’è una milizia armata: eppure, anche in questo caso, il risultato è la restrizione della libertà (Noah e Beth sono incarcerati) oppure la morte (Gavin Trevitt, Bob Lamson, O’Donnell, Dawn, Beth). Da un lato, dunque, le forme di autocrazia e dispotismo sono chiaramente inaccettabili, e finiscono male soprattutto per gli stessi leader. Dall’altro lato, anche l’utopia del governo “comunale” è fallimentare, in quanto fondamentalmente soggetto alla corruzione. Se il modello della democrazia può ancora valere, deve necessariamente conservare un lato latente di sfiducia verso l’altro e l’estraneo, nonché di violenza pronta a essere esercitata: sembra questo il solo modo per garantire la sopravvivenza della comunità. 4. Libertarianismo inevitabile La base dell’etica post-apocalittica si sovrappone chiaramente all’ideologia del liberal-conservatorismo della destra americana, anche se nella serie essa viene portata alle estreme conseguenze. Se Proffitt e Templin hanno identificato nello storytelling progressista degli zombie movies di Romero una battaglia ideologica tra la fede nel governo e nelle istituzioni, da un lato, e il libertarianismo individualista, dall’altro lato,31 in TWD l’esito del conflitto sembra già deciso: il governo e le istituzioni politiche e sociali sono del tutto assenti. A trionfare è un certo tipo di libertarianismo: la protezione a ogni costo dei propri interessi (il rifugio, la famiglia), lo scetticismo e la diffidenza nei confronti dello straniero, dell’altro, dello sconosciuto. In questo senso, riteniamo che la società dei sopravvissuti dipinta nella serie rappresenti un’allegoria della visione della destra 31 J.M. Proffitt, R. Templin. ‘Fight the Dead, Fear the Living’: Zombie Apocalypse, Libertarian Paradise?, in M. Balaji (a cura di), Thinking Dead: What the Zombie Apocalypse Means, Lexington Books, Lanham 2013, pp. 29–44.
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americana, e perciò gli zombie si trasformino in metafore – sempre fluide – delle paure che ossessionano quella destra: l’immigrazione, il terrorismo, l’altro. È senz’altro rilevante in questo senso l’ossessione della serie per le armi (oltre che per i muri), che rappresenta il fondamento di quell’esigenza, tutta americana, di doversi e potersi proteggere con una pistola. Ricordando le parole di un rappresentante della National Rifle Association, Keetley suggerisce che il motto più appropriato per la serie sia: “L’unica cosa che ferma una persona cattiva con una pistola è una persona buona con una pistola”.32 Il rischio implicito nel libertarianismo rappresentato in TWD è che il credo di Terminus – “o sei il macellaio o sei il bestiame” – diventi profetico. Non a caso, infatti, il lungo viaggio di andata e ritorno da Terminus, che segue la distruzione della prigione e si colloca alla fine della quarta stagione, costituisce non tanto un punto di svolta, quanto una conferma dell’inevitabilità del nuovo (dis)ordine del mondo e della sua etica. Ciò che differenzia in fondo i protagonisti dagli antagonisti in questo nuovo contesto è di natura morale: la necessità di sopravvivere si incarna in modelli etici differenti nei vari personaggi della serie. Da un lato, tra i personaggi che più precisamente aderiscono all’ideologia libertaria, infatti, ci sono degli esempi umani che la spingono verso le sue conseguenze estreme. Basti pensare ai casi di Carol, per l’omicidio di Karen e David (i due “corpi malati” che sono all’origine dei conflitti nel governo della prigione), e di Rick, che diverse volte uccide delle persone – come Shane, il prigioniero Tomas, il poliziotto Bob e l’abitante di Alexandria Pete – invece di incarcerarle o trovare, comunque, soluzioni alternative. In ognuno di questi casi, però, l’omicidio è giustificabile in termini di necessità. Dall’altro lato, troviamo tutti quei personaggi che fanno decisamente fatica a conformarsi al nuovo ordine, come Tyreese, Morgan e padre Gabriel: tutti sono costretti a subire le conseguenze negative del proprio rifiuto di adattarsi. I casi di Tyreese e Carol sono, in questo senso, paradigmatici. Dalla sua introduzione nella serie (3*08, “Fatti per soffrire”), Tyreese è dipinto come umano e premuroso, per esempio quando fatica a uccidere gli zombie accatastati dietro il recinto della prigione, “viso a viso” (4*01, “Calma apparente”). Carol, invece, uno dei 32 D. Keetley, op. cit., p. 10.
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personaggi più longevi della serie (appare dalla puntata 1*03, “Bentornato papà”), subisce un percorso di crescita e cambiamento particolarmente arduo, con la perdita prima del marito (di cui subiva le violenze) e successivamente della loro bambina. Il processo di trasformazione è interpretabile come motivo della sua progressiva “insensibilizzazione” alla violenza e del suo spostamento ideologico verso il libertarianismo, anche se già verso la fine della sesta stagione gli effetti psicologici dei traumi affiorano palesemente. Nel viaggio che segue la distruzione della prigione, TWD costruisce un confronto piuttosto interessante tra i due personaggi, anche per via delle due ragazzine che Carol e Tyresee accompagnano. Mika e Lizzie rappresentano delle versioni estreme dei due adulti che sono con loro: Lizzie dimostra un’inclinazione spaventosa verso la violenza e come Carol non fatica a uccidere le persone (come Alisha). Mika invece rifiuta di sparare con la pistola, non accettando il fatto che un giorno dovrà ammazzare una persona, e riproduce un irenismo simile a quello di Tyreese. Carol riconosce il pericolo di tale resistenza, paragonando Mika alla propria figlia Sophia, morta perché troppo buona e innocente. Evidentemente le bambine rappresentano versioni estremizzate degli adulti; soprattutto Lizzie, la cui violenza si differenzia da quella di Carol in quanto non ha un obiettivo giustificabile, appare invece irrazionale. La distanza tra Tyreese/Mika e Carol/Lizzie si riduce a una concezione diversa dell’essere umano: un campo vede l’importanza della sopravvivenza a ogni costo, l’altro il bisogno di aiutare le altre persone a prescindere dalle condizioni e dai rischi. Il paragone tra i personaggi viene complicato da piccole contraddizioni: il desiderio di Lizzie di proteggere gli zombie non è così diverso dall’attitudine di Tyreese nei confronti dei vaganti sul recinto della prigione; e il richiamo esplicito alla sua bambina defunta collega invece emotivamente Carol a Mika. Queste contraddizioni servono a segnalare la fluidità delle posizioni di entrambi gli adulti, e la possibilità di cambiare prospettiva (come accade ripetutamente nel caso di Rick). Ciò nonostante, la morte piuttosto sconvolgente di entrambe le ragazzine segnala il rischio che corrono tutte e due le posizioni morali: il pacifismo e l’umanesimo sono insostenibili perché chi li incarna diventa vittima della violenza gratuita (Lizzie uccide Mika), mentre il libertarianismo protettivo e la violenza ra-
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gionata non costituiscono degli argini nei confronti dell’aggressione arbitraria (Carol uccide Lizzie). Nonostante la brutalità della puntata e la conferma della lezione di Carol a Mika – “prima o poi dovrai [uccidere qualcuno], dovrai farlo o potresti morire” – Tyreese continua ad avere difficoltà. Mentre all’inizio della quinta stagione (5*01, “Preda e cacciatore”) Carol dimostra ancora una volta la necessità della violenza, salvando Rick e gli altri in un memorabile e sanguinoso attacco alla base di Terminus, Tyreese si trova faccia a faccia con Martin, uno dei cacciatori di Terminus, e l’episodio ripropone ancora una volta la questione della violenza e dei suoi limiti. Riconoscendo subito l’irenismo di Tyreese, Martin deride la sua incapacità di uccidere per la sicurezza del suo gruppo: “tu sei il tipo che salva bambini. È come salvare l’ancora quando la barca affonda”. Dopo uno scontro che sembra confermare il pessimismo di Martin, alla fine della puntata Tyreese sostiene di aver ucciso Martin – ma agli spettatori non è mostrata la scena. Qualche puntata più tardi l’affermazione si rivela una menzogna: Martin ritorna con gli altri cacciatori di Terminus e assale la chiesa di Gabriel (4*03, “Quattro mura e un tetto”), dimostrando ancora una volta che Tyreese ha sbagliato ad essere “umano”. In realtà l’errore di giudizio in relazione al rapporto coi cannibali di Terminus è condiviso anche da Rick. Nell’episodio 5*1, quando il gruppo riesce a scappare e riprende le sue armi nel bosco, appena fuori la stazione, per un attimo Rick pensa di tornare dentro e uccidere tutti perché “non meritano di vivere”. I compagni del protagonista protestano, adducendo un’ argomentazione relativa al possibile rischio dell’azione piuttosto che alla moralità complessiva dell’atto. Rick decide così di rinunciare, mentre - con una certa, studiata ironia del racconto, sopraggiunge proprio Carol. Solo quando finalmente si ritrova davanti a Gareth, dopo aver ingannato e intrappolato i cannibali di Terminus nella chiesa, Rick riesce a vendicarsi e a massacrare tutti gli antagonisti. In questo caso, ancora una volta, l’omicidio viene giustificato come atto di sopravvivenza e preservazione del gruppo, in particolare quando Rick dice a Gareth che non potrebbe mai lasciarli andare via, in quanto, comunque, darebbero “fastidio a qualcun’altro”. Eppure la violenza di Rick è in parte gratuita, e così egli si spinge all’estremo dello spettro delle possibilità: uccidere Gareth con il machete rosso è, chiaramente, anche un atto estetizzato di vendetta. Un atto talmente brutale che pare “desacralizzare” la chiesa: di fron-
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te a una scena così cruenta padre Gabriel esclama d’istinto: “Questa è la casa del signore!”. “No. Sono solo quattro mura e un tetto”, gli risponde Maggie, mettendo in evidenza il cambiamento simbolico cui è sottoposto il luogo, sottolineato anche nel titolo della puntata (in inglese, “Four Walls and a Roof”). In effetti Rick è sempre in bilico e corre costantemente il rischio di concedersi alla violenza e di allontanarsi dalla “giustificazione libertaria”, come si vede qualche puntata dopo, quando egli uccide senza pietà alcuni degli agenti della polizia che lavorano al Grady Memorial. Non a caso uno di loro si chiama Bob, e di fronte a lui Rick ripete una battuta che Gareth era solito pronunciare a chi gli chiedeva pietà: “Non si torna indietro, Bob” (5*08, “Conclusione”).33 La vicenda di Tyreese giunge al suo punto più drammatico nella puntata successiva, dopo il season break della quinta stagione, mentre il gruppo cerca la famiglia di Noah (5*09, “Non è finita”). La puntata, sicuramente tra le più originali e interessanti della serie, è una parentesi non-lineare in termini di macro-narrativa, tutta girata dalla prospettiva dello stesso Tyreese: un invito allo spettatore a riflettere sulla tematica della legittimità e dei limiti della violenza, ma anche dei rischi di un atteggiamento “pacifista”. Una vera e propria pausa narrativa che contribuisce a confermare la complessità di TWD, che, in questo caso, non fa procedere semplicemente la narrazione, ma mette in scena e rende esplicita una delle sue tematiche di fondo. Durante la puntata ci sono diverse discussioni sulla necessità della violenza e sulle condizioni che spingono o costringono a uccidere un essere umano. Rick, per esempio, dice a Glenn che avrebbe voluto uccidere Dawn anche prima che questa assassinasse Beth; anche Glenn, un personaggio solitamente molto umano e poco violento, suggerisce a Rick che scappare da Terminus senza annientare tutti quanti i cannibali è stato un errore, e che gli eventi accaduti all’ospedale hanno insegnato che, per la sicurezza del gruppo, è sempre meglio ridurre i rischi. Allo stesso tempo, fin dal principio dell’episodio, il personaggio di Tyreese ragiona proprio sulla violenza irraziona33 Nella versione originale, Rick ripeta le parole esatte di Gareth, pronunciate già due volte di fronte a Bob Stookey, “Can’t go back Bob”. Nella versione doppiata italiana, c’è una leggera differenza: mentre Gareth dice “Non si torna indietro, Bob”, Rick dice al poliziotto “Non puoi tornare lì, Bob”.
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le e sulla necessità di un atteggiamento “umanitario e filantropico” persino nell’universo post-apocalittico di TWD, nonostante tutto. In auto, nella prima sequenza, Tyreese e Noah discutono esplicitamente del desiderio irrazionale di uccidere, sentimento confessato dal secondo al primo. Se inizialmente Tyreese risponde di aver provato quello stesso sentimento – in particolare dopo aver perso Karen – successivamente ammonisce sulla necessità di riflettere e capire sempre “quello che è successo, quello che sta succedendo”. Questa lezione – continua – gli è stata insegnata dal padre, che lo esortava ad ascoltare la radio per tenersi aggiornato sulle notizie dal mondo. Per Tyreese il punto è che l’atto di uccidere, soprattutto se d’impeto, mossi dalla sola rabbia e senza ragionare, è sempre e comunque miope, oltre che moralmente sbagliato. Il leitmotiv ritorna poco dopo, quando, scoprendo che la famiglia di Noah è interamente defunta, Tyreese si distrae brevemente ma fatalmente, e viene morso da un familiare del ragazzo ormai diventato zombie. Ciò che segue inonda letteralmente lo spettatore di immagini ed emozioni, in un montaggio surreale delle memorie e delle allucinazioni del personaggio, un flusso di coscienza provocato dal diffondersi del virus e dalla perdita di sangue. Appaiono nella stanza i fantasmi di altri personaggi della serie, come il Governatore, Beth, Bob Stookey, Lizzie e Mika, ma anche la voce di un radiogiornale, che, nella versione originale, è riconoscibile per l’accento british di Andrew Lincoln. Il radiogiornale racconta di eventi apparentemente sconnessi e poco inerenti alla trama, ma nondimeno riconoscibili: “il gruppo ha continuato la propria campagna di cieca violenza” – racconta lo speaker – “continuando a perpetrare attacchi dovuti alla sete di vendetta, nei quali innocenti sono stati massacrati col machete e, in alcuni casi, sono stati bruciati vivi”. E ancora: “ci sono stati drammatici resoconti di episodi di cannibalismo in tutti i campi profughi […]. E nonostante la capacità di vittoria delle forze ribelli, si segnalano notizie sulla crescente brutalità delle loro tattiche, che includono la distruzione di interi villaggi, l’incedio appiccato alle prigioni…”. Gli atti dei “ribelli” narrati alla radio sono abbastanza vaghi, e si possono riferire sia ai cattivi della serie, come i cannibali, che allo stesso gruppo di Rick (il già citato machete, i corpi incendiati alla prigione...). Anche se la progressiva discesa del gruppo verso l’utilizzo della “violenza cieca” risulta dunque angosciante nella coscienza di Tyreese, l’atto simbolico di
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ascoltare la radio costituisce, al contempo, il riconoscimento e l’accettazione di “quello che sta succedendo”. Il legame tra il rendersi conto della “vera natura delle cose” e la necessità della violenza è confermato dal fantasma del Governatore, che dichiara di aver mostrato a Tyreese, appunto, “la vera natura delle cose”. È invece il fantasma di Martin che lega esplicitamente la “cecità” di Tyreese all’impossibilità di sopravvivere nel “mondo nuovo”, e gli addossa addirittura la colpa per la morte degli altri. Il cacciatore di esseri umani riprende così il dileggio iniziato alcune puntate prima: “ho cercato di dirtelo amico, sarebbe toccato a te. Tu sei quello che salva i bambini...”. Lo rimprovera poi per la morte di Bob e di Beth, esito diretto della sua scelta di non ucciderlo. Nel discorso si collega direttamente la morte di Tyreese alla sua natura pacifista: una spiegazione per altro plausibile, considerata la scelta di rimanere accanto a Noah per confortarlo nel lutto, invece di andare a cercare provviste. Scelta che però si rivela fatale. Ovviamente il Governatore e Martin rappresentano solo un lato della medaglia: entrambi incarnano la parte più estrema del libertarianismo. Lo stesso Tyreese – con il sostegno dei fantasmi “buoni” Bob, Lizzie, Mika e Beth – risponde di non essere stato affatto cieco, di non aver “spento la radio”, e conclude che “le persone come me possono vivere”. La tensione fra le due opzioni però non è affatto risolta, e alla fine, comunque, il risultato è che Tyreese non sopravvive. Nell’ultima sua allucinazione sceglie lui stesso di non andare più avanti; nella macchina chiede a Bob di spegnere la radio e si arrende al mondo migliore, “quello della morte”, come gli dice Mika. La vicenda di Tyreese si sovrappone al tema della mancanza di leadership del gruppo: Rick deve giustificarsi con Glenn e Michonne del fatto di aver accettato di andare a cercare la famiglia di Noah solo per realizzare l’ultimo desiderio di Beth, senza però ragionare sull’utilità per il gruppo intero, che era, invece, alla ricerca di un rifugio sicuro. Come tutte le scelte di Tyreese – salvare Martin, fermarsi a consolare Noah – questa decisione di Rick è certamente umana ma altrettanto vana, addirittura pericolosa, e porta infatti alla scomparsa di uno dei membri chiave del gruppo. I rischi del pacifismo emergono allo stesso modo nella figura sempre più contraddittoria di Carol. Il punto più drammatico di esplicitazione del conflitto fra opzioni esistenziali diverse arriva nel confronto con un personaggio, Morgan, un altro pacifista, sebbene molto più
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combattuto. Alla fine della sesta stagione ritroviamo Morgan abbandonare Alexandria per paura di perdere la propria umanità a causa delle violenze necessarie alla sopravvivenza della comunità. Come Morgan – il cui irenismo per certi versi insostenibile esplode, infine, nella violenza gratuita e incontrollata ai danni di Richard, guardia del Regno – Carol non riesce allo stesso modo a sedare il suo lato intimamente violento, specie quando alla fine della settima stagione è chiamata a tornare, ancora una volta, a difendere Alexandria contro i Salvatori. Ripetutamente, quasi ossessivamente, dunque, la serie sembra volerci insegnare che il pacifismo e una certa filantropia sono importanti per la psicologia delle persone che vivono in tempi difficili, ma che la necessità di difendere sé stessi, la propria comunità e i propri beni, anche col ricorso alla violenza, appartiene a un “libertarianismo” che rimane ineluttabile. 5. Il senso della fine Un fattore che caratterizza profondamente TWD è la ricorrenza di morti rilevanti per la narrazione, spesso di personaggi principali, secondo modalità scioccanti e impressionanti. Da questo punto di vista la serie (così come gli zombie movies, e alcuni altri prodotti televisivi recenti, come Z Nation) fa propria una caratteristica chiave del genere disaster movie, confermando ancora una volta la sua natura di testo complesso, come si è visto nel primo capitolo. Come ha ricordato il critico Stephen Keane, un elemento tipico dei disaster movie – si pensi a Airport (1970), L’avventura del Poseidon (The Poseidon Adventure, 1972) e L’inferno di cristallo (The Towering Inferno, 1974) – risiede nell’ interrogativo, continuamente posto allo spettatore, relativo a chi alla fine sopravviverà, e nel “piacere narrativo” che la suspense è così in grado di produrre.34 Come nei film sugli zombie e in quelli “apocalittici” più in generale, anche TWD adotta questo meccanismo, aggiungendo alla narrazione ulteriori elementi di orrore e sospensione del racconto. Più precisamente, la suspense e l’imprevedibilità sono sviluppate proprio dal lavoro di adattamento ed “espansione” del fumetto nella serie TV, che spesso 34 S. Keane, Disaster Movies: The Cinema of Catastrophe, 2a ed., Wallflower, Londra 2006, in particolare pp. 5-6.
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gioca con le aspettative degli spettatori/fan/lettori (come vedremo nel prossimo capitolo), anche in relazione al cruciale tema di chi sopravviverà e chi morirà.35 Oltre alla loro capacità di produrre piacere e coinvolgimento spettatoriale, le morti di TWD hanno un’ulteriore valenza simbolica. Si può cogliere il portato simbolico della morte nell’esempio appena ricordato di Tyreese, il cui decesso, come abbiamo visto, indebolisce inevitabilmente la convinzione che “le persone come me possono sopravvivere”. Il fatto che questa affermazione si riveli, alla prova dei fatti, falsa finisce per legare indissolubilmente l’atto di sopravvivenza con l’ideologia politica del libertarianismo. La morte, dunque, riflette in un certo senso l’incapacità di un personaggio di sopravvivere in una società dove le regole sono ormai cambiate radicalmente; la sopravvivenza, viceversa, segnala l’adattamento e l’“incorporazione” del “nuovo ordine del mondo” e le sue conseguenze etico-politiche. L’assioma, però, non è sempre così matematicamente rigido: le trame individuali dei personaggi sono fra loro minuziosamente intrecciate, perciò la conclusione del percorso di un personaggio, con la sua morte, può essere la conseguenza del rapporto con un altro protagonista (come nel caso della dipartita di tanti abitanti di Woodbury, uccisi per dimostrare la cattiveria del Governatore) oppure può avere a che fare con lo sviluppo narrativo nel suo complesso, più che col significato politico-simbolico (come nel caso di Shane, la cui scomparsa si lega anche alla scoperta che tutti gli umani hanno già inoculato il virus). Più precisamente, la morte dei personaggi di TWD avviene in generale per una varietà di motivi, spesso sovrapposti tra di loro, che assolvono queste due diverse funzioni: la prima di tipo narrativo legata, ovviamente, al genere; la seconda di carattere simbolico-politico. Da 35 Si ricordi qui anche l’approccio tipico di Kirkman: in diverse interviste l’autore del fumetto ha sostenuto di “uccidere” i personaggi che gli piacciono di più, pur di non rischiare di orientare troppo il racconto sul loro percorso. Considerando il legame stretto tra fumetto e serie, questo approccio viene adottato indirettamente anche nella serie TV, e dunque contribuisce tanto alla spinta narrativa quanto all’enfasi sul protagonista, Rick Grimes. Cfr. ad esempio D. Ross, The Walking Dead: Robert Kirkman Picks his Favorite Moment from the Comic, «Entertainment Weekly», 8 novembre 2016, http://ew.com/article/2016/11/08/walking -dead-robert-kirkman-comic-favorite-moment/.
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un lato, possiamo identificare un gruppo di personaggi la cui morte serve per portare avanti la macro-narrativa della serie. Si tratta, in questo caso, spesso, di uscite di scena epiche, o di autentiche punizioni, che riguardano perciò protagonisti eroici oppure perfidi. Tra i primi possiamo citare Beth, T-Dog, Lori, Oscar e Sasha. L’abnegazione di Beth porta alla salvezza di Noah, e probabilmente impedisce al gruppo di Rick e a quello di Dawn di ingaggiare una battaglia sanguinosa. In modo simile muore T-Dog: blocca il passaggio degli zombie per proteggere Carol. Durante lo stesso episodio Lori si sacrifica per salvare sua figlia durante il parto, e qualche puntata dopo Oscar viene ucciso consentendo la salvezza di Glenn e Maggie a Woodbury, la cittadina del Governatore. Il suicidio di Sasha costituisce un tentativo – alla fine del tutto vano – di uccidere Negan, e di evitare di finire ostaggio mettendo a repentaglio la vita di qualcun’ altro. Al contrario, esempi di morti anti-eroiche sono quelle del Governatore, dei cacciatori-cannibali, dei banditi guidati da Joe (detti the claimers) e di Dawn. In ognuno di questi casi, la morte del personaggio avviene perché esso rappresenta una minaccia per Rick e il suo gruppo, un ostacolo che va rimosso per far avanzare la storia nel suo complesso. Collocati a metà fra gli eroi e gli antagonisti ci sono, invece, alcuni “cattivi” che, morendo, affermano la loro piena redenzione. In primo luogo si può ricordare Merle Dixon, che muore combattendo contro l’esercito del Governatore per proteggere direttamente Michonne e indirettamente il gruppo di Rick (e dunque suo fratello Daryl). Si collocano qui anche i personaggi che, al contrario, iniziano il loro percorso narrativo tra gli eroi e si fanno poi corrompere: l’esempio più pertinente, in questo caso, è quello di Shane. La sua morte non solo è necessaria per salvare la vita a Rick, ma è funzionale a chiudere l’arco narrativo della sua stessa discesa morale. Sul fronte, invece, delle morti simbolico-politiche si possono individuare due tendenze generali, che servono al racconto per illustrare il nuovo ordine della società. In TWD troviamo moltissimi esempi di personaggi (soprattutto minori) scomparsi sostanzialmente per illustrare la gravità della situazione in cui i sopravvissuti si ritrovano. È, questo, un aspetto caratterizzante della serie, osservabile fin dalle prime puntate: la mandria di zombie che passa per l’accampamento nella prima stagione uccide Amy, Ed e Jim; le successive morti del dottor Jenner e di Jacqui, nella season finale della prima stagione,
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indicano molto drammaticamente l’altissimo pericolo che si corre nella nuova società. Si tratta per lo più di disgrazie, soprattutto di imprevisti morsi di zombie (come accade al povero Tyreese), che sembrano colpire prima di tutto i personaggi buoni e/o, in qualche modo, innocenti. Possiamo citare certamente T-Dog e Oscar, ma anche altri protagonisti come Dale e Bob. Ancor più ricorrente, e senz’altro rilevante, è la presenza di bambini e adolescenti in questa categoria: pensiamo in particolare al caso dei figli di molti personaggi (di Morgan, di Lilly, del Governatore, di Abraham e Hershel), o a quello di Patrick, Mika e Lizzie, Sam e Ron, e soprattutto Sophia. È chiaro come i bambini rappresentino l’innocenza e la naiveté: a distruzione di questo simbolo serve a sottolineare ripetutamente la totale mancanza di speranza in un mondo dominato da walking dead e assassini totalitari. Come illustra bene l’esempio dei vari figli dei personaggi di volta in volta deceduti, molte di queste morti avranno una particolare influenza sullo sviluppo dei protagonisti e sul racconto nel suo complesso. Sophia (figlia di Carol) rimane un esempio capitale da questo punto di vista: la sua lunghissima assenza e, poi, la sua morte affliggono tutto il gruppo, confermando un senso di totale disperazione. La sua fine tocca ovviamente più di tutti Carol, contribuendo alla sua trasformazione di personaggio, e al suo avvicinamento a una posizione “libertarianista”, come si è detto. Lo stesso vale per Morgan, che, dopo la scomparsa del figlio Duane (oltre che della moglie Jenny), perde il senso della realtà, ri-definendo la propria traiettoria narrativa e provocando, al contempo, la morte di altri personaggi. C’è poi una seconda tendenza simbolica nella morte dei personaggi: riguarda in particolare gli omicidi, che segnalano la profondità della corruzione morale di qualcuno. Possiamo pensare al caso di Otis, sacrificato da Shane semplicemente per salvaguardare sé stesso. O, ancora, alle varie vittime del Governatore: da Welles e i suoi soldati ad Axel, Hershel, Milton, Andrea, Merle, Martinez e Pete Dolgen. Allo stesso livello di significato simbolico troviamo senza dubbio anche i casi della morte di Abraham e Glenn, entrambi assassinati nella scena più brutale della serie (7*01, “Io ti ucciderò”), dimostrando così allo spettatore (e agli altri personaggi) l’illimitata depravazione morale di Negan. Tuttavia, come abbiamo già notato, l’omicidio è funzionale anche per delineare i “confini morali” dei personaggi “positivi”: Carol sfida i limiti
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etici del suo gruppo (e di noi spettatori) uccidendo David e Karen per evitare un contagio della malattia nell’intera comunità; quando però uccide Paula e diversi altri Salvatori, la sua azione sembra moralmente giustificabile. Le morti di Shane, Tomas, Joe, Pete e Primo definiscono invece i fluttuanti limiti morali di Rick. Insomma, le tante morti di TWD servono chiaramente a delineare il nuovo ordine del mondo e a definire le conseguenze etiche del suo avvento; sono senza dubbio, sul piano narrativo, l’esito delle azioni dei personaggi, ma rappresentano anche i tasselli che fissano lo schema morale del libertarianismo che la serie vuole rappresentare e, in un certo senso, problematizzare. La disponibilità a uccidere caratterizza la dinamica del potere, e funziona quasi come una forma di valuta di nuovo conio; al contrario, chi muore rappresenta sia i difetti di chi non è in grado di reggere i colpi della nuova società, sia un efficace strumento narrativo per illustrare tanto la difficoltà di sopravvivenza quanto la necessità di rivedere le proprie convinzioni, di adattarsi meglio alla dura realtà. Due esempi, in particolare, dimostrano la complessità della serie nell’intersecare e far dialogare fra loro gli aspetti simbolici e quelli più propriamente narrativi delle trame, in particolare in relazione al tema della morte, che pone una serie di questioni propriamente politiche. Ci riferiamo alla morte di Noah, nella puntata “Trascorrere” (5*14), e a quella di Denise Cloyd, nella puntata “Il secondo livello” (6*14). Entrambe sono sconvolgenti: Noah viene divorato vivo da una massa di vaganti che riescono a trascinarlo fuori da una porta girevole, aperta per via dell’ avventata e codarda mossa di un altro personaggio, Nicholas; Denise, invece, viene colpita con un colpo della balestra di Daryl scoccato da Dwight. Le morti di Denise e Noah sono particolarmente scioccanti non soltanto per la loro violenza visiva, ma anche perché – come nei molti esempi già citati, per esempio nel caso dei bambini – i due personaggi sono rappresentati come particolarmente buoni e innocenti. L’intreccio della storia di Noah con quelle di Beth e Tyreese enfatizza la sua umanità, così come Denise rappresenta l’ingenuità degli abitanti di Alexandria, che credono di poter essere il salvo per via delle mura che cingono la comunità. Le mura, però, sono una protezione inefficace, come dimostra l’inattesa e gratuita uccisione della ragazza. Gli omicidi e, in generale, la morte servono per evidenziare la corruzione morale di coloro che li
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perpetrano o ne sono la causa, come Nicholas e Dwight. In modo speculare e dialettico, essi servono anche ad accentuare la sofferenza di personaggi buoni – come Glenn e Daryl – e un loro specifico percorso di cambiamento. Poco dopo la trasmissione della puntata, gli attori che interpretano Noah (Tyler James Williams) e Glenn (Steven Yeun) hanno notato il particolare significato narrativo e simbolico di questa dipartita: si tratta di un punto di svolta per Glenn, che, secondo Yeun, “intravvede se stesso in Noah”.36 Lo scontro successivo tra Glenn e Nicholas costituisce una sineddoche dello scontro più ampio tra il gruppo di Rick e gli abitanti di Alexandria, e continua a caratterizzare la linea narrativa di Glenn, definendone in qualche modo il destino: l’analogia fra Glenn e Noah genera, tra i fan della serie, una discussione sulla probabile, prossima morte del primo.37 E, in modo simile, la morte di Denise finisce per esacerbare il conflitto tra Dwight e Daryl. Veniamo a conoscenza solamente alla fine della settima stagione – quando i due personaggi vengono costretti a collaborare – che Dwight mirava in effetti proprio a Daryl, piuttosto che a Denise, e il fatto non fa che aumentare i sensi di colpa di entrambi. Se queste morti hanno una rilevanza narrativa orizzontale e lineare, come semi che producono risultati dopo diversi episodi, sono però simboliche anche in modo più verticale. È infatti curioso notare come entrambe le dipartite – di Noah e di Denise – accadono nella quattordicesima puntata della quinta e della sesta stagione. Nello stesso episodio della quarta stagione vediamo morire altri personaggi in un certo senso “minori” (ma, comunque, dal forte portato simbolico), come Lizzie e Mika; ugualmente, nella terza e nella settima stagione assistiamo, nella quattordicesima puntata, al fatto scatenante di una serie di eventi che portano poi 36 D. Ross, Walking Dead Star StevenYeun on Glenn’s Big Episode, in «Entertainment Weekly», 15 marzo 2015, http://ew.com/article/2015/03/15/ walking-dead-star-steven-yeun-glenns-big-episode/; L. Goldberg, Walking Dead’s Latest Fatality: Savage Death Will ‘Rock’ Glenn, in «The Hollywood Reporter», 15 marzo 2015, http://www.hollywoodreporter.com/live-feed/walking-dead-noah-dies-tyler-781577. 37 Cfr. S. Leffler, The Walking Dead Spoilers: Is Noah’s Death Precursor to Glenn’s Death?, in «Wet Paint», 16 marzo 2015, http://www. wetpaint.com/spoilers-noahs-death-glenns-death-1397629/.
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alla scomparsa di personaggi importanti (Andrea sequestrata dal Governatore e Sasha che entra furtiva nel campo dei Salvatori).38 La puntata, dunque, segna anche un momento chiave per lo sviluppo degli eventi drammatici che portano alla conclusione di ogni stagione. Si tratta altresì della rappresentazione di eventi dal forte portato politico, interpretabili nei termini della contrapposizione fra liberalismo, libertarianismo e tirannia: la prima sconfitta del Governatore (S3); l’arrivo a Terminus (S4); l’esacerbarsi dello scontro tra Rick e Pete ad Alexandria (S5); l’arrivo di Negan (S6); l’unificazione delle colonie (S7). L’impatto di questi eventi dal punto di vista dell’economia complessiva della serie è chiaro: essi danno una particolare forza al prodotto su diversi piani, per il gusto splatter della loro rappresentazione, per lo shock delle morti, per le reazioni melodrammatiche degli altri personaggi. Inoltre, questi twist incarnano un’altra tendenza narrativa propria di TWD, che si può riassumere citando le sarcastiche riflessioni contenute nel vlog New Rockstars per la puntata 7*08 (“I cuori battono ancora”): quando muore il personaggio di Olivia, il commentatore del vlog, parafrasando la battuta più citata dell’Amleto di Shakespeare, quella pronunciata sul teschio di Yorick, si dispiace così: “Accidenti… riposa in pace, Olivia: ti abbiamo conosciuto abbastanza da tenerci a te da morta”.39 In altri termini, la serie tenderebbe a costruire dei personaggi soltanto per farli morire, puntando sull’impatto emotivo della loro violenta dipartita. Lo stesso attore di Noah, Tyler James Williams, ha raccontato in un’intervista che il suo destino di personaggio gli è stato chiaro quando si è trovato a girare una scena di particolare tenerezza, poi eliminata nel montaggio finale. In questa scena tagliata, Rick rimbocca le coperte di Carl e Noah, come se quest’ultimo fosse un altro suo figlio. Williams racconta: “a quel punto ho capito tutto. Ho pensato ‘ecco, sto morendo!’ Non c’è motivo per
38 Non abbiamo incluso qui la prima e la seconda stagione in quanto esse sono più brevi e quindi diversamente strutturate. 39 Cfr. il vlog di New Rockstars: Walking Dead 7x08 – IN-DEPTH ANALYSIS & RECAP (Season 7, Episode 8) – Hearts Still Beating, «YouTube», 17 dicembre 2016, https://www.youtube.com/watch? v=je1L9sm9NxI.
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questo gesto: Noah non è suo figlio. Rick tiene a Noah, dunque mi uccideranno, è chiaro”.40 Sebbene questa scena sia stata tagliata, ci sono altri indizi (nelle puntate 5*14 e 6*14) che riproducono il medesimo gioco di sentimenti che riguarda Noah e Denise. Nel caso di Noah, si tratta del rapporto con un’altra figura paterna, Reg Monroe, che assume l’impegno di insegnare architettura al ragazzo. L’idea che il racconto lascia intendere è che Noah, crescendo, avrebbe potuto impegnarsi nella protezione della comunità, rinforzandone le mura e costruendo delle “case-rifugio”. Ovviamente questa aspettativa sarà frustrata dalla morte di entrambi. La morte di Denise invece accade in un momento chiave del suo rapporto con Tara – che confessa di amarla nella puntata precedente – nonché del suo sviluppo come personaggio (apprendiamo via via la sua backstory, relativa alla scomparsa del fratello gemello). Il momento della morte avviene invece quando Denise non solo conferma di aver finalmente superato i suoi problemi di coraggio (uccide uno zombie da sola e ruba persino una lattina di aranciata per Tara), ma addirittura si ritrova a “insegnare” a Daryl e Rosita la necessità di affrontare i propri demoni interiori. In considerazione del fatto che le paure di Denise le hanno quasi impedito di fare bene il cruciale lavoro di unico medico di Alexandria, questo momento di coraggio e di superamento dell’ansia è tanto più significativo. In entrambi i casi, l’ironia tragica e un certo sarcasmo sono palesi: la morte arriva nel momento esatto in cui il personaggio ha imparato non soltanto a sopravvivere (uccidendo gli zombie), ma a trovare una propria dimensione, un proprio ruolo, uno specifico “valore d’uso” per la comunità, come futuro architetto o come medico. Come i casi citati dimostrano piuttosto chiaramente, allora, la morte è un evento altamente significativo, che produce increspature e variazioni nella trama, e rivela la complessità della struttura narrativa e simbolica della serie. A differenza di Tyreese, il portato melodrammatico di queste morti si lega non tanto al fatto che i personaggi non possono o non sono in grado sopravvivere, ma, al contrario, al fatto di aver appena imparato come sopravvivere. Noah e Denise simboleggiano, per l’ennesima volta, la radicale disperazione esistenziale che pervade la società post-apocalittica 40 L. Goldberg, op. cit.
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solcata dagli zombie. Inoltre, attraverso il loro portato sentimentale e melodrammatico, i loro personaggi indicano la rilevanza della definizione del proprio “valore d’uso” per chi voglia cercare – talvolta invano – di continuare a vivere nell’universo di TWD. Come vedremo fra poco, quest’ultimo aspetto è centrale: in un mondo post-apocalittico il “valore d’uso” di ciascuno è spesso direttamente proporzionale alla sua capacità di contribuire alla sopravvivenza personale e del gruppo. 6. La politica identitaria Se, come abbiamo visto all’inizio di questo capitolo, gli zombie hanno una particolare rilevanza per la loro capacità di veicolare allegorie politiche-sociali sempre fluide, non bisogna sottovalutare l’importanza dei sopravvissuti come autentiche metafore viventi. In quest’ultima categoria, ricordiamo certamente i sopravvissuti di Romero, che costituiscono delle allegorie “progressiste” che illustrano tematiche e preoccupazioni legate alle diverse “epoche” in cui i film sono realizzati. Steven Shaviro ha notato la capacità dei personaggi della “trilogia dei morti” di Romero di confrontarsi, in particolare, con l’egemonia patriarcale e “bianca”, finendo per far emergere nei film una specifica e appuntita critica sociale: Tutti e tre i film vedono donne o uomini neri come protagonisti principali: gli unici personaggi con cui il pubblico si identifica in modo positivo mentre cercano di rimanere in vita e di resistere e sfuggire agli zombie. [...] Questi personaggi sono razionali, intraprendenti e tenaci; non hanno sempre ragione, ma discutono per trovare una strada possibile, e imparano dai loro stessi errori. Sembrano procedere a tentoni nel prendere decisioni condivise e democratiche. Al contrario, gli uomini americani bianchi sono dipinti in modo negativo in tutti i film. [...] La loro paura degli zombie sembra indistinguibile dal terrore e dall’odio che hanno nei confronti delle donne. [...] I tratti maschilisti e paternalistici degli eroi di Hollywood vengono qui mostrati come stupidi o disfunzionali.41
41 S. Shaviro, The Cinematic Body, University of Minnesota Press, Minneapolis 1994, pp. 87-88.
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Come abbiamo visto nei paragrafi precedenti, lo sviluppo di trame complesse in TWD produce implicitamente riflessioni e spunti critici sulla società americana contemporanea, anche se non con la medesima franchezza di Romero. Sulla questione razziale, in particolare, tanto la serie quanto il fumetto sono stati oggetto di diverse polemiche, accusati per lo più di razzismo inconscio per la rappresentazione da “buon selvaggio” del personaggio di Michonne, e soprattutto per il tasso incredibile di decessi di uomini di colore, specie nelle prime stagioni.42 Allo stesso tempo, però, la serie è senz’altro molto cosciente delle dinamiche di potere che coinvolgono uomini, donne, persone di colore e personaggi omosessuali: in questo senso TWD riprende e aggiorna l’eredità dei film di Romero, rappresentando esplicitamente una supposta ideologia “post-razziale” e “post-gender”. La serie affronta, infatti, la questione già dalla seconda puntata della prima stagione (1*02, “Una via d’uscita”). Dopo un tentativo fallito di ritrovare la propria famiglia in un campo di rifugiati ad Atlanta, Rick si trova bloccato su un carro armato, e viene infine salvato da Glenn. Poco dopo lo ritroviamo alle prese con uno scontro piuttosto teso tra i vari membri del gruppo dello stesso Glenn, sul tetto di un grande magazzino nella città. Lì, Merle, l’unico maschio bianco del gruppo (ad eccezione di Rick), è mostrato mentre spara ai vaganti dalla distanza del tetto, un’azione che rischia di far terminare le munizioni e di attrarre altri zombie. Quando T-Dog e Morales cercano di bloccarlo, Merle reagisce con violenza, con minacce fisiche e insulti verbali, impiegando epiteti misogini e razzisti nei confronti degli ispanici, degli asiatici e dei neri (rappresentati rispettivamente da Morales, da Glenn e da T-Dog). È questo un momento fondamentale della serie, che introduce una serie di tematiche che saranno ricorrenti: Merle si proclama leader del gruppo, annunciando ironicamente l’inizio dell’“ora della 42 Per una critica della rappresentazione di Michonne, cfr. D.D. Johnson, Misogynoir and Antiblack Racism: What The Walking Dead Teaches us about the Limits of Speculative Fiction, in «Journal of Fandom Studies», vol. 3, n. 3, 2015, pp. 259-275, e sulla questione delle morti dei personaggi di colore, cfr. per esempio The Walking Dead’s Ongoing Black Man Problem, «The Nerds of Color», https://thenerdsofcolor. org/2013/10/29/the-walking-deads-ongoing-black-man-problem/.
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democrazia”. Costringe tutti gli altri a votarlo come leader, minacciandoli con la pistola. È utile notare che questa specifica parte della sequenza è girata con un’angolazione particolare, dal basso, procedimento tecnico che “manipola” la prospettiva dello spettatore, per fargli condividere la posizione simbolica di sottomissione dei sopravvissuti di fronte a Merle. Interviene però Rick, che ammanetta Merle a un tubo di metallo, combattendo la violenza con altrettanta violenza. Le azioni di Rick sono eseguite con l’abito da sceriffo, anche se, a ben vedere, rappresentano più il “nuovo ordine” di quello vecchio. Quando infatti l’eroe minaccia di sparare, Merle lo prende in giro: “non lo faresti, sei uno sbirro”. Ma Rick è pronto a rispondere: “ormai non sono altro che un uomo che cerca sua moglie e suo figlio. Chiunque si metta in mezzo non potrà che perdere”. Come si nota da questo scambio, la famiglia rappresenta la base fondamentale della sua spinta alla sopravvivenza. Il discorso di Rick è particolarmente curioso, soprattutto per come declina l’idea di differenza: “allora Merle, le cose sono diverse ora. Non ci sono più negri, e non ci sono più nemmeno gli stupidi pezzi di merda bianchi dediti all’incesto. Rimane solo carne scura e carne chiara. Ci siamo noi e i morti. Sopravviviamo solo stando uniti, non separati!”. Nel discorso di Rick si definisce il codice morale che caratterizza l’intera serie. Le premesse le abbiamo già viste: l’idea del nuovo ordine, la necessità della violenza finalizzata alla protezione di sé e della propria famiglia, in linea con l’ideologia del libertarianism. Si aggiunge, qui, però, un surplus di politica identitaria: l’idea che non contino più le categorie o le vecchie etichette; la sola differenza che conta e che è fondamentale è quella tra morti e vivi. Poco dopo, il punto è reso ancora più esplicito: Rick e Glenn si coprono letteralmente delle viscere di uno zombie, nascondendo le differenze fisiche, per fuggire dalla massa di morti. L’ideologia alla base delle affermazioni e delle azioni di Rick in questa scena, e in particolare la nozione di uguaglianza, diventa qui concretamente utopica e ci riporta, oltre l’allegoria, alla società contemporanea: è la realizzazione della nozione neoliberista del soggetto, secondo cui le differenze sociali hanno perso di rilevanza (o dovrebbero farlo).43
43 Cfr. D. Holdaway, Il nuovo ordine del mondo. Le politiche di identità nelle narrazioni contemporanee sugli zombie, in «Rivista di Politica»
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L’ideologia neoliberista si riferisce in particolare al processo di “mercatizzazione della società”: il trasferimento dell’attività di governo dalla gestione politica generale alla semplice conduzione amministrativa, e la privatizzazione di qualsiasi ente pubblico.44 Secondo alcuni teorici, la conseguenza di tale orientamento è una dinamica pervasiva il cui obiettivo principale è l’affermazione del capitalismo, nel quale le regole del mercato eclissano qualsiasi altra, possibile struttura sociale.45 Questo processo conduce all’assimilazione delle diverse identità alla categoria del capitale umano: Il problema non è soltanto che i beni pubblici sono de-finanziati e gli obiettivi comuni sono privati di valore dalla ragione neoliberista – cosa che comunque accade – ma che la cittadinanza stessa perde la sua valenza politica e il suo “spazio proprio”. Per quanto riguarda la valenza: l’homo oeconomicus si relaziona a tutto come a un mercato, e conosce soltanto il comportamento di mercato; non riesce a pensare a scopi pubblici o a problemi comuni in un modo specificamente politico. “Spazio proprio”: la vita politica, e lo Stato in particolare [...] sono ridefiniti radicalmente dalla razionalità neoliberista.46
Per quanto riguarda le differenti identità, esse sono sostituite dalla “cittadinanza”, che, come scrive Brown, è considerata solo in termini di appartenenza a una comunità in quanto “cittadini”, e nulla di più. Da un lato, dunque, i soggetti che esistono “oltre la cittadinanza” (come i migranti) non rientrano nella definizione; dall’altro, tutti coloro che rientrano nel concetto di cittadinanza vengono assimilati, e le altre loro identità non contano. Il cambiamento epocale identificato da Brown, che conduce verso l’universalità dell’homo oeconomicus, è riprodotto in TWD attra2017, n. 2, 193-204, in cui si sviluppa questa lettura anche in riferimento ad altri serie TV e film contemporanei sugli zombie. 44 Cfr. D. Harvey, Breve storia del neoliberismo, Il Saggiatore, Milano 2007; S. Braedley, M. Luxton (a cura di), Neoliberalism and Everyday Life, McGill-Queen’s University Press, Montreal & Kingston 2010, in particolare R. Connell, Understanding Neoliberalism, pp. 22-36. 45 N. Chomsky, Sulla nostra pelle, M. Tropea, Milano 2001; A. Saad-Filho, D. Johnston, Neoliberalism: A Critical Reader, Pluto Press, Londra 2004. 46 W. Brown, Undoing the Demos. Neoliberalism’s Stealth Revolution, Zone Books, New York 2015, p. 39. Cfr. in particolare pp. 35-45.
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verso la rappresentazione dell’apocalisse. Il confronto fra “mercatizzazione della società” e apocalisse non è, però, letterale, poiché le modalità di gestione della società neoliberista e di quella postapocalittica sono molto diverse, e poi perché il capitalismo come forza propulsiva è un tema poco esplicitato nella serie.47 Il capitale in TWD è costituito dalla capacità di sopravvivere. Per questo vediamo emergere alcune ruoli-chiave nella nuova società: il cacciatore, il poliziotto, il costruttore/architetto, il leader, il medico (come nel caso di Denise). L’importanza dell’ultimo ruolo – quello del dottore – nell’economia della sopravvivenza è evidenziata almeno due volte nella serie. In primo luogo negli atti compiuti all’ospedale Grady Memorial da Steven Edwards, che uccide un altro medico per preservare la propria posizione. C’è poi Carson, ucciso brutalmente e ingiustamente da Negan, ma solamente perché sostituibile con il medico di Hilltop. È infatti chiaro che TWD insiste sia sulla presenza di rapporti intersoggettivi molto significativi e del tutto colour-blind, sia nel contrapporre continuamente agli eroi antagonisti razzisti, misogini o omofobi. Fra questi ultimi possiamo di nuovo citare il razzista Merle Dixon, nonché il marito di Carol, altro maschio apertamente misogino, che picchia sua moglie e minaccia le altre donne del gruppo. Si potrebbe citare anche il Governatore, specie per le tensioni di natura misogina e razzista che caratterizzano il suo rapporto con Michonne, e senz’altro Negan, per via della struttura gerarchica che impone alla comunità dei Salvatori, dove le donne sono re-inquadrate in ruoli e contesti tradizionali. È utile leggere queste diverse rappresentazioni attraverso la chiave interpretativa dell’ideologia neoliberista: la rappresentazione di un codice morale “sbagliato” si sovrappone all’emergere di differenze sociali (e della violenza che ne è l’esito) entro un quadro generale che avrebbe, al contrario, dovuto rendere insignificanti quelle stesse differenze, come asserito da Rick nel discorso sulla “carne bianca e la carne nera.48 47 In realtà, si potrebbe sviluppare un’idea di mercato – emersa nella serie – anche in termini più prettamente capitalistici, come sembra indicare la pratica del commercio tra le “colonie” di Alexandria, il Regno, l’Hilltop e i Salvatori dalla sesta stagione. 48 Qui ci sono alcune osservazioni da fare sull’adattamento dei personaggi dal fumetto alla serie. Nello scontro con Michonne, il Gover-
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Nella prima categoria, quella composta da personaggi positivi che sanno però anche come sopravvivere, l’enfasi va tutta sulla rappresentazione di quelle che, nella società pre-apocalisse, verrebbero considerate minoranze: donne (Carol, Michonne, Andrea, Sasha); uomini di colore o comunque non wasp (Glenn, T-Dog, Tyreese, Morgan, Bob), omosessuali (Denise, Tara, Aaron, Eric e Jesus). Tutti sono rappresentati come abili a sopravvivere, mentre le loro “differenze” vengono esplicitate solamente per indicare la liberalità delle varie comunità (come nel caso di Alexandria), oppure per marcarne l’utilità al gruppo (per esempio quando Carol finge ripetutamente di essere un’innocente casalinga che cucina i biscotti per ottenere la fiducia dei possibili avversari). Le diverse stratificazioni della metafora neoliberista si evidenziano in modo particolarmente interessante nel personaggio di Victor Strand, uno dei protagonisti dello spin-off Fear the Walking Dead. Strand entra nella narrazione verso la fine della prima stagione, diventando poi centrale per via della sua imbarcazione, che diventa una nuova promessa di rifugio. È un tipo particolarmente furbo, capace di controllare gli altri, allo scopo di perseguire i propri obiettivi. Quando nel campo profughi conosce Nick, subito riconosce nel giovane tossicodipendente – altro soggetto scomodo nella società neoliberale, le cui capacità individuali lo rendono però “efficiente” dopo l’apocalisse – uno strumento utile per fuggire. In seguito, attraverso alcuni flashback narrativi, veniamo a sapere che l’amico e socio di Strand è anche il suo compagno. La sessualità di Strand, come la sua appartenenza etnica, non vengono mai esplicitamente dichiarate, ma soltanto inserite in una storia che “giustifica” il suo sfruttamento di altri esseri umani con l’obiettivo della propria sopravvivenza: dopo aver perso tutti i soldi investiti nella città di New Orleans, a natore del fumetto la intrappola, la picchia e la violenta; tutto questo porta la donna a vendicarsi col ricorso alla tortura e alla mutilazione nei confronti di Blake. Negan, invece, dimostra fin da subito di essere, per così dire, sensibile alle differenze. Nello scegliere chi assassinare, egli inizialmente dichiara che non potrebbe mai uccidere Glenn, Heath o Michonne, in quanto gli si darebbe del razzista (alla fine, come sappiamo, uccide comunque Glenn, seguendo il filo di un gioco sadico utilizzato per scegliere “a caso” le sue vittime, rendendo di fatto tutti uguali al suo cospetto).
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causa dell’Uragano Katrina, Strand comincia a sedurre e derubare altri uomini (come Thomas, che poi diventa il suo amante). La sovrapposizione, tramite flashback, degli atti “amorali” di Strand nella società neoliberista (è, in fondo, un soggetto economico di successo!) e in quella post-apocalittica (qui è in grado di sfuggire agli zombie) è resa esplicita e giustificata dalla narrazione stessa. Nella scena in cui scappa di prigione, Nick si interroga sull’opportunità di liberare altre persone bloccate nella quarantena, ma Strand risponde: “non li aiuteremo, perché aiutarli potrebbe ferirci. Non c’è alcun valore aggiunto”. È inoltre molto interessante, allo stesso tempo, che gli uomini di colore di TWD sono quasi tutti molto diversi da Strand, e si collocano nella categoria dei personaggi più filantropici e pacifisti, ovvero quelli che sono meno disposti alla violenza. Abbiamo già citato il caso di Tyreese, che si avvicina a quello di Morgan – pacifista radicale per una buona parte della sesta e settima stagione – nonché di Bob (che cerca di negoziare con i cacciatori), di T-Dog (uomo apertamente religioso) e di padre Gabriel (religioso ma “codardo” come un don Abbondio). In ossequio al dogma della serie, che detta l’incapacità dei personaggi più pacifisti e filantropi di sopravvivere, tutti quanti, tranne Morgan e Gabriel (che, comunque, devono dolorosamente “imparare la lezione”) fanno una brutta fine. La presenza e le morti dei personaggi di colore in TWD perciò rivela, alla fine, le tensioni che permangono sotto l’etichetta neoliberista del “post-razziale”. Da un lato, la serie presenta tutti quanti i personaggi come uguali di fronte agli zombie. Dall’altro, però, questa nozione convive con una caratteristica comune alle persone di colore, che è stata giustamente interpretata come una forma di razzismo implicito. Inoltre, in questa etica e politica della sopravvivenza è difficile non scorgere un’allegoria della società americana attuale, dove il movimento Black Lives Matter è nato proprio a partire dai numerosi casi di omicidi di persone di colore inermi. Il personaggio di Morgan ci porta a un’ultima osservazione sulla rilevanza della famiglia, che costituisce un fondamento di tutta l’allegoria politica della serie. Già le citate parole di Rick segnalano l’importanza della famiglia come fattore che motiva il “libertarianismo” delle sue azioni: “non sono altro che un uomo che cerca sua moglie e suo figlio. Chiunque si metta in mezzo non potrà che perdere”. Questo lato del carattere di Rick diventa sempre più estremo, e con-
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duce ad atti di violenza cruentissima, come quando egli imita letteralmente uno zombie e morde il collo di Joe, pur di evitare lo stupro di Carl. Poco fa abbiamo notato la portata simbolica dell’uccisione dei bambini e, soprattutto, dei figli, che illustra bene la disperazione esistenziale insanabile del nuovo mondo. Nel caso di Morgan e Carol in particolare, la perdita dei figli è l’incentivo che spinge i genitori ai due estremi dello spettro politico che abbiamo identificato: prima diventano eccessivamente violenti e uccidono persone gratuitamente, successivamente rifiutano la violenza in modo radicale, per poi dover tornare sui propri passi nella battaglia contro i Salvatori, alla fine della settima stagione. Tuttavia, come nel caso del razzismo inconscio della serie, anche l’enfasi sulla famiglia all’interno della politica di TWD può essere variamente sfumata. In fondo la definizione di famiglia che la serie propone è piuttosto flessibile: bambini di genitori morti diventano figli adottati da altre persone – come Lizzie e Mika con Tyreese e Carol, oppure Enid con Glenn e Maggie, e, nel caso del più tradizionalista Rick, quando questi riconosce che Judith è figlia di Shane – e spesso una comunità di persone necessariamente diverse si unisce per il sostegno e la difesa di tutti. Se l’ombra di un libertarianismo violento e quella di un’ideologia neoliberista che pretende di cancellare le differenze in nome di un’utopia livellatrice sono onnipresenti nella serie, l’idea di una comunità aperta non viene del tutto meno, come si evidenzia nell’immagine della “cena di famiglia” alla fine della puntata 7*01 (“Io ti ucciderò”). Questa immagine è senz’altro altrettanto utopica, ma contribuisce a darci un’idea della complessità politica del mondo di TWD, nonché, in controluce, della società in cui la serie nasce e circola con tanto successo. Nella finzione, così come nella realtà, ideologie contrapposte e tensioni insanabili ci interrogano su tematiche cruciali e sulle possibili soluzioni dei problemi che ci circondano e ci affliggono.
III DENTRO L’UNIVERSO ESPANSO. I MONDI NARRATIVI E IL FANDOM DI THE WALKING DEAD
I’ve been part of some shows that I think have incredible fans, but I don’t think there’s any comparison with The Walking Dead fans. It’s a phenomenon. (Jeffrey Dean Morgan, nel video promozionale di AMC per la centesima puntata)
Come si è visto nel capitolo precedente, l’allegoria politica che sta alla base della serie è piuttosto intricata. TWD offre, infatti, una rappresentazione molto sfumata della società post-apocalittica, mostrando diversi modelli di gestione politica della comunità dei sopravvissuti e svariate opzioni etico-esistenziali. Anche da questo punto di vista, dunque, TWD si configura come un prodotto “complesso” al pari di drama come The Wire (HBO, 2002-2008) o Mad Men (AMC, 2007-2015). Il fatto che raramente venga riconosciuta la complessità della serie ideata da Kirkman e Darabont si deve principalmente all’eredità che il genere in cui essa si inscrive porta con sé. Anche se esempi come I Soprano (The Sopranos, HBO, 1999-2007) o Lost (ABC, 2004-2010), hanno dimostrato in che modo la complex TV adotti e pieghi le iconografie di genere (rispettivamente del racconto di gangster e del fantasy), la presenza degli zombie sembra resistente alla “complessificazione”, e all’idea che una storia sui non-morti possa includere elementi ulteriori rispetto al puro divertimento, allo splatter e all’orrore. D’altra parte, nel collegare implicitamente il successo della serie alla sua “mancata” complessità, Mittell svela, per la verità, un’altra possibile risposta a questa questione. Uno dei motivi dell’enorme successo di TWD consiste, allora, nel fatto
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che la serie di AMC è facilmente “consumabile” dai suoi spettatori, almeno sul piano della narrazione. Tale consumo viene percepito come pura evasione, ciò che un giornalista ha definito “escapismo brutale”. Un altro commentatore ha notato che l’inizio, così sanguinoso e tragico, della settima stagione marca la fine del semplice divertimento evasivo, e quindi offre un motivo in più per non seguire ulteriormente le vicende di Rick Grimes.1 Si sottolinea, in entrambi i casi, il fatto che la serie possa essere facilmente guardata, senza quel particolare “lavoro intellettuale” che altri prodotti “complessi” richiedono: la trama è lineare, non utilizza particolari giochi temporali, né conta sulla necessità di ri-visione degli episodi, sull’allestimento di allegorie misteriose e dense di significati nascosti (si pensi per esempio a Lost) o sul ricorso a specifici “paratesti orientativi” che possano servire da mappe per guidare lo spettatore smarrito nel racconto. In realtà, paratesti ed estensioni di questo tipo – quelli che possiamo far rientrare nell’ampia categoria dei “testi ancillari” con una funzione orientativa – esistono e caratterizzano profondamente la serie. Ma, come vedremo, sono più “facoltativi” che “obbligatori”, se così si può dire, pur essendo parte rilevante del piacere del testo, soprattutto per i fan. Come abbiamo suggerito già nel primo capitolo, non si può negare che TWD sia effettivamente un prodotto complesso per una molteplicità di ragioni. Una varietà di paratesti orientativi – ovvero di testi secondari che aiutano lo spettatore a orientarsi – cui si affiancano altri elementi “ancillari” (ufficiali o creati dai fan), non solo esistono, ma fanno parte della circolazione culturale del prodotto e contribuiscono alla sua interpretazione e al suo consumo, pur caratterizzandosi in maniera piuttosto specifica se paragonati a quelli di altre serie complesse. Insomma, la co-esistenza di una narrazione facilmente accessibile, da un lato, e di una varietà di “satelliti testuali” che la circondano e che possono (ma non necessariamente 1
Cfr. N. Alang, On Game of Thrones, The Walking Dead, and the Joys of Brutal Escapism, in «Hazlitt», 28 marzo 2013, http://hazlitt.net/ blog/game-thrones-walking-dead-and-joys-brutal-escapism; e M. Leon, The Walking Dead Just Isn’t Fun Any More, in «The Daily Beast», 24 ottobre 2016, http://www.thedailybeast.com/the-walkingdead-just-isnt-fun-anymore. Tutte le risorse online citate in questo capitolo sono state consultate nel mese di agosto 2017.
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debbono) arricchire la fruizione e la sua comprensione, dall’altro lato, costituisce precisamente un’altra caratteristica del mainstream cult che TWD incarna così bene. In questo capitolo andremo a identificare la forma dei vari testi ancillari che caratterizzano l’universo esteso ed espanso di TWD, enfatizzando, da un lato, una condizione del tutto peculiare di un racconto che vive attraverso almeno due versioni “ufficiali” della stessa storia, versioni che esistono autonomamente come mondi paralleli e, al contempo, si collegano (o vengono collegati) spesso fra loro in modo talvolta ludico e ironico. Dall’altro lato, metteremo in evidenza la dialettica tra questi diversi testi ancillari e il fandom della serie, che incarna un lavoro creativo importante, trovandosi in equilibrio (o in bilico), per così dire, fra i diversi mondi narrativi del franchise TWD. Dopo aver identificato le varie linee o mondi narrativi di questo franchise, paralleli e talvolta sovrapposti, e gli spazi multiformi del suo fandom, ci concentreremo su tre funzioni distinte assolte dai prodotti creati dai fan della serie come paratesti ancillari: l’informazione, l’arricchimento dell’esperienza e la vera e propria espansione del testo. Concluderemo il capitolo ricordando il caso più significativo di testo ancillare che funziona da collante tra le tre categorie appena identificate: il talk show realizzato e trasmesso da AMC Talking Dead (2011-…). 1. Un racconto transmediale sbilanciato Ricapitoliamo ora rapidamente i principali paratesti ufficialmente prodotti che compongono l’universo narrativo del franchise TWD, cui già si è accennato nel primo capitolo. Il testo centrale, sul piano della popolarità e del valore economico-industriale, è senz’altro la serie televisiva di AMC (1), distribuita in Italia e nel mondo da Fox International Channels. L’emittente basic cable americana ha poi prodotto lo spin-off, Fear the Walking Dead (AMC, 2015-…) (2), e alcuni brevi webisodes (3), che raccontano storie parallele, ambientate nello stesso universo, finalizzate all’estensione della narrazione. La “fonte” della serie è invece il fumetto di Robert Kirkman, Charlie Adlard et al., The Walking Dead (4). Gli stessi autori e la casa editrice, o altri collaboratori esterni, hanno poi prodotto alcuni numeri speciali che raccontano le origini di alcuni personaggi (in ordine
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cronologico di uscita: Michonne, il Governatore, Morgan, Tyreese, Jeffrey Grimes e Negan), oltre a qualche altra pubblicazione minore che funge da guida alla storia o ai personaggi (5). Alcuni romanzi (6), scritti da Jay Bonansinga, talvolta in collaborazione con lo stesso Kirkman, sviluppano delle trame parallele, centrate sul personaggio di Lilly Caul. Sono poi usciti una serie di videogiochi basati sia sul fumetto (The Walking Dead, TellTale Games, con 4 diverse “stagioni”) sia sulla serie tv (The Walking Dead: Survival Instinct di Terminal Reality; The Walking Dead: Road to Survival di Scopely; The Walking Dead: No Man’s Land di Next Games Oy; Fear the Walking Dead: Dead Run di Versus Evil, e The Walking Dead: March to War di Disruptor Beam) per console e, in particolare, per smartphone (7). Come questo rapido riassunto mostra, la narrazione di TWD sembrerebbe svilupparsi ed estendersi attraverso quel principio che Henry Jenkins ha definito, all’inizio degli anni Duemila, transmedia storytelling. Riprendiamo la nota definizione di Jenkins: la transmedialità costituisce “un processo nel quale elementi integrati di una narrazione vengono dispersi sistematicamente attraverso media e piattaforme diverse, con l’obiettivo di creare un’esperienza di intrattenimento unificata e coordinata”.2 Tuttavia, per comprendere meglio il caso di TWD, dovremmo tenere in considerazione anche la particolare sfumatura data al concetto da Jason Mittell, che ricorre all’espressione “transmedialità sbilanciata”, ricordando l’importanza di uno specifico testo (quello che potremmo anche chiamare “ipotesto”) che risulta centrale per ragioni in primo luogo economicoindustriali: molta tansmedialità nasce infatti a partire da prodotti televisivi seriali, poiché la TV conserva una centralità, nel quadro dell’industria culturale, in termini di risorse e di consumo.3 Nel caso 2
3
H. Jenkins, Transmedia Storytelling 101, sul blog personale del critico, «HenryJenkins.org», http://henryjenkins.org/blog/2007/03/ transmedia_storytelling_101.html. Cfr. id., Cultura convergente, Apogeo, Milano 2010. “Nell’industria dei media il versante commerciale impone che l’elemento principale di un franchise sia identificato in modo chiaro. Di norma, vengono privilegiati i formati più tradizionali, come la serie e il film, a scapito delle nuove forme di testualità online”. J. Mittell, Complex TV: teorie e tecnica dello storytelling delle serie TV, Minimum Fax, Roma 2017, p. 481.
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di TWD è chiaro, in primo luogo, che i paratesti ancillari che definiscono l’universo del franchise sono ancorati almeno a due testinucleo, o “ipotesti” differenti, come si vedrà fra poco. Oltre a Jenkins e Mittell, è necessario sottolineare quanto ricorda Elizabeth Evans sulla possibile ampiezza e rilevanza del consumo transmediale a partire da tutte le attività che avvengono attorno e grazie a un franchise: seguendo le suggestioni di Jonathan Gray, Evans sostiene che “tutte le pratiche che potrebbero essere considerate ‘transmediali’ includono il racconto di storie attraverso molteplici piattaforme e media […]. Il materiale di marketing, i sequel, il merchandising e in generale il lavoro di branding: tutto contribuisce a formare l’esperienza dello spettatore di un singolo testo”.4 L’osservazione è estremamente pertinente nel caso di TWD: esistono innumerevoli prodotti ancillari “ufficiali”, spesso molto creativi, che non solo promuovono il franchise, ma finiscono per caratterizzare decisamente l’esperienza del pubblico e dei fan (si tornerà in particolare sui materiali promozionali nel prossimo capitolo). Ritornando ora al nostro elenco, potremmo dunque aggiungere: vari giochi da tavolo, un’app per smartphone con cui l’utente può trasformare sé stesso in zombie, un’attrazione specificamente dedicata alla serie nel parco tematico degli Universal Studios a Hollywood (8) – tutti prodotti che permettono ai fan di immergersi nell’universo post-apocalittico e di affrontare alcuni aspetti del racconto. Va poi citato tutto il materiale specificamente promozionale, dai trailer ai recap, dalle interviste con gli attori fino ad arrivare alle pagine social, agli eventi on the ground (come il tour europeo, i panel del Comic-Con e lo zombie walk) (9), e un insieme di paratesti che contribuiscono – seppure in modo minore – anche all’estensione del racconto.5 Infine va menzionato il talk show Talking Dead (10) che viene trasmesso dopo le puntate della serie originale e lo spin-off su AMC. 4 5
E. Evans, Transmedia Television: Audiences, New Media and Daily Life, Routledge, Londra 2011, p. 19. Cfr. J. Gray, Show Sold Separately: Promos, Spoilers and Other Media Paratexts, NYU Press, New York 2010. Per Mittell è importante riconoscere la differenza tra, “da un lato, quei paratesti che servono principalmente a pubblicizzare, promuovere, presentare e discutere un testo, e quelli che fungono da espansioni continuative della narrazione”, ai quali poi aggiunge “una terza categoria, definendo paratesti orientativi quelli che aiutano gli spettatori a comprendere una narrazione”, Mittell, op. cit., p. 481, corsivi nell’originale.
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Il caso di TWD rappresenta, però, al contempo una sfida al concetto di transmedia storytelling, sia nella definizione originaria di Jenkins (“un’esperienza di intrattenimento unificata e coordinata”)6 che in quella di Evans (“l’uso di molteplici media e piattaforme tecnologiche per presentare informazione su un mondo narrativo unitario attraverso varie forme testuali”,7 corsivi nostri). Il problema di fondo consiste nell’inconsistenza tra i diversi mondi e le diverse narrazioni dell’universo espanso ed esteso di TWD. Non si tratta, infatti, di un mondo narrativo unitario, né di un’esperienza necessariamente coordinata. È opportuno dunque precisare meglio le differenze tra i vari rami del franchise e della storia. In linea di massima, possiamo sostenere che, nel franchise di TWD, esistono due macro mondi narrativi: il primo si fonda sulla trama della serie tv, il secondo su quella del fumetto. Alcuni dei prodotti ancillari sono chiaramente legati a uno o all’altro di questi mondi: Fear the Walking Dead e i webisode mettono in scena un universo diegetico coerente con la serie tv; i romanzi e i videogiochi The Walking Dead e The Walking Dead: Road to Survival, approfondiscono nello specifico la vicenda che trae origine dal comic book. Ma non è sufficiente separare questi due mondi come racconti transmediali in qualche modo autonomi, perché, al contrario, essi sono legati attraverso una serie di sovrapposizioni, a partire da quella ovviamente più importante: l’universo creato dalla serie TV è un “adattamento”, seppur espanso, come abbiamo visto nel primo capitolo, di quello fumettistico. Vi sono poi dei prodotti ancillari – interviste, giochi, app, esperienze come lo zombie walk – che si collocano tra i due mondi e che funzionano da veri e propri “intermediari”, pescando elementi di entrambi, riproponendo storie diverse o “variate”, e a volte creando direttamente dei legami tra i due universi. Lo spazio di attività del fandom – che resta, dunque, ancor più “facoltativa” – consiste propriamente in un lavoro di connessione. 6
7
Jenkins sottolinea successivamente l’importanza della “molteplicità”, ovvero di paratesti ed espansioni che incrinano l’idea dell’unificazione e del coordinamento in un articolo più recente. Si cfr. H. Jenkins, The Revenge of the Origami Unicorn, «HenryJenkins.org», 12 dicembre 2009, http://henryjenkins.org/blog/2009/12/the_revenge_of_the_origami_uni.html. Evans, op. cit., p. 1.
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Tutto questo finisce per generare un modo transmediale piuttosto problematico, un transmedia storytelling che è “insieme continuo e, a volte, discontinuo” per riprendere le parole di Proctor.8 All’interno di questo schema generale, quelli che possiamo definire “paratesti intermediari” hanno un ruolo e una funzione molto interessante per spiegare il funzionamento di TWD e il suo fandom. I testi che collegano (e, in qualche modo, a volte, mettono in crisi…) le due macro-narrative (fumetto e serie tv) costituiscono “satelliti” o vie di comunicazione tra universi narrativi, percorsi indipendenti ma anche, allo stesso tempo, connessi. Finora abbiamo citato soprattutto testi ancillari ufficialmente realizzati ma piuttosto “periferici”, come le app o i videogiochi. È ovvio, però, che questo concentrarsi solamente sui prodotti ufficiali è una scelta del tutto parziale, se si considera che esistono molteplici “satelliti” creati dai fan, “paratesti intermediari” che finiscono, appunto, per riempire lo spazio tra i mondi narrativi. Consideriamo ora qualche esempio. L’adattamento o espansione del fumetto nella serie televisiva porta ad alcuni cambiamenti significativi, come si è già osservato:9 ad esempio, verso la fine della sesta stagione della serie tv sboccia una storia d’amore tra Rick e Michonne. Nel fumetto, invece, la relazione affettiva riguarda Rick e Andrea: evento, quest’ultimo, impraticabile nella serie, dal momento che la 8
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W. Proctor, Interrogating The Walking Dead: Adaptation, Transmediality, and the Zombie Matrix, in C. Lavigne (a cura di), Remake Television: Reboot, Re-use, Recycle, Lexington Books, Plymouth 2014, pp. 5-20, (p. 8). Infatti, illustrando la sfida che The Walking Dead pone ai modelli di transmedia storytelling, Proctor cita un designer del videogioco di TellTale, Jake Rodin, che commenta: “il videogioco fa parte del mondo del fumetto, ma è anche simile al programma TV. [...] Il fumetto è una specie di punto di partenza e la serie tv ne è un elemento, e noi stessi che produciamo il gioco costituiamo un ulteriore elemento”. Di conseguenza, Proctor propone il modello della matrice per rendere conto in maniera esaustiva delle contraddizioni tra i vari “elementi” della storia. Cfr. S. Jarratt, Playing Dead: The Walking Dead Video Game, in «The SFX Book of “The Walking Dead”», n. 1, 2013, 102-03. Abbiamo discusso altri esempi di adattamento/estensione nel primo capitolo, cfr. H. Jenkins, The Walking Dead: Adapting Comics, in E. Thompson e J. Mittell (a cura di), How to Watch Television, NYU Press, New York 2013, pp. 373-81.
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donna muore alla fine della terza stagione. Nel fumetto, Michonne frequenta invece Tyreese, Morgan e poi Ezekiel. Nonostante queste importanti differenze, emergono anche dei “ponti” tra queste due linee narrative, che paiono del tutto distinte e autonome. Nell’ultima puntata della settima stagione (7*16, “Il primo giorno del resto della tua vita”), le azioni di Michonne in cima alla torre di Alexandria riproducono esattamente quelle compiute da Andrea nel fumetto (vol. 19, “In marcia verso la guerra”), col ricorso al medesimo “trucco” narrativo che induce il pubblico a credere che Michonne/Andrea sia probabilmente morta. Questa forma di “adattamento indiretto” o di “narrazione variata” crea perciò un ponte invisibile tra i due mondi narrativi; o meglio, un ponte percepibile agli occhi di chi conosce la storia del fumetto: il parallelismo evidente fra i due universi guida lo spettatore “consapevole” a comprendere meglio quel che sta succedendo, a prevederne l’esito e a ottenerne in premio un arricchimento del piacere seriale. Questa “connessione invisibile” è poi resa più visibile anche a chi non ha letto il fumetto proprio grazie a una varietà di articoli e video creati dai fan “consapevoli”, che commentano le sovrapposizioni tra i due mondi, spesso anticipando i possibili esiti attraverso un lavoro “investigativo”, col ricorso continuo ad altri indizi, come trailer di puntate o fotografie tratte dal set.10 L’esempio or ora citato illustra bene alcune dinamiche che si attivano tra i mondi transmediali di TWD e, in particolare, fra i due universi che fanno da nucleo o da “ipotesto”. Nonostante le trame siano diverse, emergono connessioni tra i mondi che vanno ben oltre un tipo di adattamento letterale o mono-dimensionale. Questo tipo di legame, che è così tipico di TWD, si basa piuttosto su una dialettica continua tra produzione e consumo: non tanto per via di un’influenza reciproca (esempi della capacità dei fan di influenzare la produzione della serie sono piuttosto rari), quanto piuttosto per 10 Cfr. per esempio il video TWD: 7x16 – Will Michonne get Andrea’s Bell Tower Scene? (Season 7 Finale Theory/Predictions), dell’utente TheVividKiWi, «YouTube», 29 marzo 2017, https://youtu.be/ TNyz7VhDQVY, e l’articolo B. Davis, The Walking Dead: Another Sign Michonne Is Taking Andrea’s Place, «ComicBook.com», 5 marzo 2017, http://comicbook.com/thewalkingdead/2017/03/03/ the-walking-dead-another-sign-michonne-is-taking-andreas-place/.
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come gli autori e gli spettatori definiscono insieme l’arricchimento dell’esperienza partecipativa del franchise. In altri termini, sono stati gli sceneggiatori a richiamare esplicitamente il fumetto, in modo tale da non compromettere, però, la comprensione generale della serie per chi non conosce i comic e da offrire un riferimento importante e appagante, ma del tutto facoltativo. Questo collegamento o “ponte” virtuale si realizza dunque unicamente attraverso il lavoro cognitivo dello spettatore: o di quello che conosce bene entrambi i mondi narrativi, o di quello che è informato su tali dinamiche grazie alla consultazione dei paratesti orientativi realizzati da altri fan (siti web, video, le pagine wiki dedicate al franchise, e così via). Come questo esempio dimostra, il fandom di TWD assume un ruolo tutt’altro che secondario nei processi di interpretazione, circolazione e “collegamento” degli universi narrativi che lo caratterizzano. 2. Esperienze di fandom Prima di esplorare meglio le possibili funzioni di questi testi ancillari, vale la pena individuare anche gli spazi di maggiore addensamento del fandom di TWD.11 Innanzitutto un richiamo inevitabile va a Talking Dead che – pur essendo un prodotto ufficiale realizzato da AMC con la casa di produzione Embassy Row – fornisce un vero e proprio spazio di discussione per i fan, che partecipano al programma attraverso i social media. Fra gli spazi “reali” di maggiore visibilità del fandom vanno menzionati gli eventi on the ground organizzati in un’ottica promozionale (come vedremo nel prossimo capitolo): panel con alcuni dei produttori esecutivi più influenti (come Kirkman o Greg Nicotero), incontri con gli attori protagonisti, eventi correlati come il Comic-Con di San Diego, il Walker Stalker Cruise, o i tour promozionali in giro per l’Europa. Questi eventi, che sono incredibilmente popolari tra i fan,12 forniscono non soltanto oppor11 Sul fandom legato alla serialità americana si cfr. in particolare M. Scaglioni, Tv di culto. La serialità televisiva americana e il suo fandom, Vita e Pensiero, Milano 2006. 12 Gli account di Instagram di alcuni degli attori e produttori esecutivi che partecipano agli eventi dimostrano quanti fan essi attirino. Si veda per esempio il post di Norman Reedus,
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tunità di marketing, ma anche occasioni per conoscere le star o porre domande agli scrittori sulla trama e gli sviluppi futuri della serie. Ogni estate, Comic-Con è diventato un appuntamento canonico per i fan di TWD, l’occasione più nota per la pubblicazione e il lancio dei materiali sulla stagione attesa con puntualità a fine ottobre. Articoli online sul franchise appaiono in tantissimi contesti diversi: basta una ricerca rapida delle notizie su Google per capire quanti articoli vengono pubblicati, e la regolarità dei contributi. A proposito di spazi online, i forum, i siti di spoiler, i blog e i vlog sono altrettanto frequenti e frequentati dai fan. Video di analisi o di commento di alcuni gruppi (come New Rockstars, JVS, e The PT Channel, per citare quelli che sono particolarmente attivi e popolari nel fandom di TWD), o di singoli fan, costituiscono una parte molto importante del fandom nel suo complesso.13 Insieme, gli articoli, i blog e i video offrono informazioni di tutti i tipi: da recensioni e commenti ad analisi di specifiche scene, da approfondimenti su alcuni plot a confronti tra diversi mondi narrativi, e ancora predizioni e teorie circa eventi futuri. La risorsa online più importante e seguita è senza dubbio Walking Dead Wiki.14 Creato e mantenuto dai fan del franchise, il sito fornisce riassunti e moltissime informazioni aggiornate su ognuno degli spazi narrativi di TWD (in particolare il comic book e la serie), con particolare riferimento alle connessioni tra personaggi e luoghi del fumetto e del drama. All’inizio della pagina dedicata a Rick Grimes, protagonista della serie, per esempio, compaiono i link a tutte le altre versioni del personaggio (il fumetto e quattro videogiochi, nonché i riferimenti all’attore Andrew Lincoln). A proposito degli attori, senz’altro lo stardom è uno degli snodi centrali per il fandom della serie, e particolare importanza hanno le pagine social (Twitter, Instagram, Facebook, Snapchat, ecc.) dei @BigBaldHead, del 1 marzo 2017 (il tour a Londra, https://www. instagram.com/p/BRFGYVgA012/?taken-by=bigbaldhead) o del 9 marzo 2017 (il tour a Madrid, https://www.instagram.com/p/ BRbkUOWgUT5/?taken-by=bigbaldhead). 13 Citiamo per esempio i video postati su YouTube dal notissimo vlogger PewDiePie sulle varie stagioni del videogioco The Walking Dead, che raccolgono regolarmente circa 10 milioni di visualizzazioni. 14 Si veda http://walkingdead.wikia.com/wiki/The_Walking_Dead_Wiki.
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protagonisti come Norman Reedus, Melissa McBride, Lauren Cohan, insieme a quelle dei produttori esecutivi come Greg Nicotero e Robert Kirkman. Lo stesso discorso vale per le pagine ufficiali e nonufficiali della serie: al momento la pagina ufficiale di Instagram della serie raccoglie 6.5 milioni di follower, quella del fumetto 750.000. L’account non ufficiale @walkingdeadbase raggiunge 440.000 follower. Una breve ricerca su Instagram produce centinaia di pagine di fandom, comprese quelle sviluppate in diverse nazioni, e quelle dedicate a singoli attori, mentre gli hashtag #thewalkingdead e #twd sono stati usati, rispettivamente, 6,5 milioni e 4 milioni di volte. Come i tanti esempi dimostrano, le attività dei fan sono minuziosamente interconnesse tra loro e in dialettica costante con autori, produttori e reti (da AMC alle reti Fox nel mondo). Si tratta di un vasto e popolato fandom i cui spazi, media e piattaforme vivono in una perenne simbiosi. La specificità del fandom di TWD consiste nel fatto che esso si definisca all’incrocio di tre condizioni di carattere tecnologico, culturale e industriale. Dal punto di vista tecno-culturale, in primo luogo, il fandom di TWD si avvicina al modello proposto da Paul Booth, ovvero quello dell’“ARG” (Alternate Reality Game). Per Booth lo spazio del fandom e del culto mediale costituisce un luogo per risolvere i puzzle o gli enigmi proposti dalle serie tv complesse in maniera giocosa: siti, blog e social media funzionano come uno terreno che “non è né totalmente intertestuale, né ascrivibile a singoli individui”.15 Come si vedrà fra poco, le attività di “connessione” proprie della comunità di fan di TWD procedono attraverso la creazione di paratesti “satellite” o “ponte” – come nel caso dei citati commenti e video online relativi al rapporto tra Michonne/Andrea e Rick – e operano come una specie di gioco investigativo, finendo per creare di continuo quelli che abbiamo definito “intermediari testuali”. Il fandom di TWD, da un punto di vista più strettamente culturale, oltre a creare una rete di satelliti che connettono i vari testi, si connota in particolare per il legame col genere nel quale il franchise si iscrive. Come osserva Proctor, il genere del racconto di zombie esiste all’interno di una rete o, meglio, di una “matrice” fatta di ri-
15 P. Booth, Digital Fandom: New Media Studies Peter Lang, New York 2010, p. 6, cfr. in particolare i capitoli 1, 2 e 3.
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chiami costanti e citazioni implicite.16 Ciò comporta che non esista uno specifico “ur-testo” del racconto di zombie. Di conseguenza, la possibilità di appropriarsi dell’esperienza del genere “zombie” da parte dei fan è molto ampia e libera, e i prodotti generati dal fandom possono assumere una rilevanza maggiore rispetto ad altre mitologie (pur rimanendo normalmente secondari rispetto ai testi ufficiali o primari). Un ulteriore elemento da considerare per inquadrare il fandom di TWD è evidentemente il contesto industriale da cui scaturisce la contemporanea TV della complessità. Nella parte del suo studio dedicata ai “paratesti orientativi”, Jason Mittell ricorda gli sviluppi dell’industria culturale americana che hanno portato allo spostamento dal modello “accessibile” del least objectional content (il “comune denominatore” della TV mainstream dell’era dominata dai soli network generalisti) a quello di una complex tv i cui prodotti seriali “mettono […] spesso a repentaglio quella stessa accessibilità agli spettatori occasionali”. Questa complessità spiega dunque la nascita e la rilevanza di quelli che Mittell chiama paratesti orientativi: si tratta di testi ancillari, necessariamente slegati dalla narrazione (non contribuiscono, cioè, allo storytelling transmediale, all’accrescimento narrativo vero e proprio), e vengono “usati per creare un altro strato di senso intorno al programma, utile a capire come metterne insieme i pezzi o come poterlo guardare da un punto di vista diverso, che potrebbe anche non essere stato contemplato dal progetto originario degli autori”.17 Nei prossimi paragrafi focalizzeremo l’attenzione proprio sui paratesti di questa natura, evidenziando l’importanza del lavoro sviluppato e fatto circolare dai fan. Nel suo “catalogo”, Mittell costruisce una tipologia di paratesti orientativi che comprende tre funzioni: di riepilogo (che mirano cioè a riassumere la narrazione in modo chiaro e lineare), di analisi (che sviluppano il semplice riepilogo attraverso una rappresentazione o un’interpretazione grafico-visuale) e di espansione (che vanno oltre la narrazione o il testo per collegarlo ad altre sfere extra-testuali, altrettanto finzionali o appartenenti al mondo reale). Ogni funzione opera poi al fine di fornire allo spettatore un orientamento temporale, spaziale, 16 W. Proctor, op. cit. 17 J. Mittell, op. cit., pp. 430-1 (cfr. pp. 430-77).
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relativo alla trama oppure ai personaggi. Se consideriamo il caso di TWD, i paratesti sono “orientativi” in maniera, però, un po’ diversa. La complessità della serie non risiede principalmente nella narrazione, come si è detto, e i paratesti non servono propriamente (o non solamente) all’obiettivo di orientamento nel racconto. I paratesti, piuttosto, contribuiscono alla “negoziazione” fra i diversi mondi narrativi che compongono il franchise nella sua complessità. Di conseguenza, proponiamo di allargare le categorie adottate da Mittell, in modo da comprendere le funzioni di “informazione”, di “arricchimento” e di “supplemento”. Si tratta di tre funzioni separate semplicemente per chiarezza analitica: esse si collocano certamente su un continuum che va dalla più semplice “descrizione” (una pratica che non intacca e modifica la narrazione, piuttosto la osserva) a una più spiccata “creatività” (attraverso pratiche più indipendenti, originali e autonome). 3. Dal riepilogo all’informazione Come abbiamo notato all’inizio di questo capitolo, uno dei motivi per cui TWD è considerata una serie poco “complessa” è legato alla sua relativa semplicità e linearità narrativa, che contribuisce al suo successo presso un pubblico mainstream. Per questa precisa ragione la necessità di veri e propri “paratesti orientativi” è minore: non è necessario dare senso a una narrazione complicata. Nel caso del prodotto di AMC, le puntate che necessitano di questo genere di sostegno o aiuto sono poche: due esempi sono l’episodio “Non è finita” (5*08), discusso nel capitolo precedente, rispetto al quale il “fandom investigativo” può aiutare a decodificare meglio le allucinazioni di Tyreese; e l’inizio della sesta stagione che utilizza diversi flashback per contestualizzare la trama del sopraggiungere della mandria di zombie che minaccia Alexandria.18
18 Sul concetto di “fandom investigativo”, si veda J. Mittell, op. cit., pp. 470-74. Per un’analisi esemplificativa si veda: L. Liguori, The Walking Dead: L’agonia ‘Non è finita’, l’umanità sì, «MoviePlayer.it», 10 febbraio 2015, http://movieplayer.it/articoli/the-walking-dead-il-commento-allepisodio-5x09-non-e-finita_14164/.
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Nonostante ci sia poco bisogno di guide vere e proprie, molti sono i paratesti che svolgono il ruolo di riepilogo (della trama, dei personaggi, dell’articolazione temporale e spaziale). I paratesti riassuntivi della trama sono i più numerosi. La forma più riconoscibile è senz’altro il recap di eventi che si trova all’inizio della puntata, successivo all’affermazione (molto familiare per gli spettatori regolari) “nelle puntate precedenti di TWD”.19 Come nota Claudio Bisoni, la funzione di questo breve montaggio di alcune scene è sfaccettata: ci ricorda informazioni rilevanti per comprendere la puntata; serve, più profondamente, ad “àncorare” delle scene che altrimenti rischiano di sparire dalla memoria collettiva; e allo stesso tempo costruisce una mappa mentale che orienta il pubblico tanto nello spazio quanto nel tempo della serie.20 Questa tecnica si è in parte trasformata con la colonizzazione degli spazi digitali da parte del mezzo televisivo: come nota Bisoni, le versioni illegali delle serie tv in streaming o scaricabili eliminano spesso questo recap, pur di alleggerire la dimensione del file digitale. In questi casi, oltre a diventare facoltativa, “la funzione di riassunto viene a mancare nell’area peritestuale e, in molti casi, si sposta nell’area dell’epitesto, dove è affidata ad altre risorse reperibili per la maggior parte online (riassunti su wikipedia o siti ufficiali, enciclopedie, libri, forum)”.21 È chiaramente quanto accade anche per TWD, i cui riepiloghi (ufficiali e non) sono assai numerosi in rete. Sinossi di singole puntate o stagioni, oppure di tutta la trama fino alle ultime messe in onda, si trovano molto facilmente in vari articoli, blog, video e vlog. Da questo punto di vista le pagine di «Walking Dead Wiki» sono senz’altro le più significative. Allo stesso tempo, i riepiloghi pubblicati subito dopo la trasmissione di una puntata – su siti dedicati alla serialità come «Melty» o 19 Oltre a focalizzare il brand del canale che ha prodotto la serie, la versione americana – “previously on AMC’s The Walking Dead” – è diventata la fonte di una serie di meme online che ridicolizzano il tono violento e melodrammatico della serie, spesso riproponendo l’espressione per introdurre immagini innocue (per esempio immagini di gatti). 20 Cfr. C. Bisoni, The TV Recap: Knowledge, Memory, and Complex Narrative Orientation, in S. Pesce, P. Noto (a cura di), The Politics of Ephemeral Digital Media: Permanence and Obsolescence in Paratexts Palgrave, New York 2016, pp. 198-212. 21 Ivi, p. 202.
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«Tv Serial» in Italia, o su quelli delle più importanti riviste di settore come «Variety» negli Stati Uniti – costituiscono un primo esempio di come la serie venga fagocitata dalla tendenza contemporanea del cosiddetto “giornalismo clickbait”: articoli online che cercano di attirare più utenti possibili. Talvolta tali sinossi funzionano da pubblicazioni riempitive – fluff pieces – che paiono non avere altro scopo se non di tenere aggiornati e seguiti i siti stessi. Insomma: assolvono alla funzione di orientamento e riepilogazione, sebbene abbiano obiettivi indiretti e meno evidenti. Altri paratesti di riepilogo – relativi per esempio a personaggi, allo spazio o al tempo – si trovano ugualmente online, e soprattutto nelle pagine wiki. Per quanto riguarda i personaggi, ritroviamo dei video, postati su «YouTube», che riassumono le scene più significative di alcuni protagonisti o character secondari (in particolare, come si può facilmente prevedere, nei casi di decesso: dalla morte di personaggi secondari come Otis, a scene decisive come l’esecuzione di Lizzie da parte di Carol…). La serie ha inoltre ispirato i fan a realizzare video che riassumono l’evoluzione generale dei personaggi, per dimostrare la loro corruzione morale, o il loro progressivo “indurimento” (si pensi in particolare ai casi di Rick e di Morgan). Questa funzione si realizza anche in una serie di articoli e blog di carattere informativo, che inseguono evidentemente lo stardom degli attori, e dipendono molto da una tendenza narrativa importante per la serie: la morte di un protagonista.22 Attori come Chad Coleman, Tyler James Williams, Steven Yeun, Michael Cudlitz e Sonequa Martin hanno ricevuto un’attenzione mediale accresciuta dopo la morte dei loro personaggi: le loro vicende di personaggi sono ripercorse assieme alle interviste con gli attori.23 Di conseguenza, questi 22 Nel contesto degli articoli “informativi”, ritroviamo la tendenza a creare elenchi dei morti più rilevanti della serie tv o del fumetto. Cfr. ad esempio M. Borg, The Walking Dead: le morti più significative, «MoviePlayer.it», 27 ottobre 2016, http://movieplayer.it/articoli/ the-walking-dead-la-lista-delle-morti-piu-significative_15283/. 23 Dopo la morte di Glenn nella serie tv, sono uscite moltissime interviste e analisi del personaggio, che spesso si intrecciano tra di loro, generando quasi un fenomeno di inflazione comunicativa. Per esempio, un’intervista di «Entertainment Weekly» con Yeun è riprodotta e riassunta in un altro articolo di Time; la presenza dell’attore nel popolare
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particolari riepiloghi ritagliano quel tratto di plot attraversato dal singolo personaggio della serie. Gli spazi di TWD sono raramente l’oggetto di paratesti orientativi, perché l’ambientazione della serie è messa in scena in modo “continuativo”, e richiede perciò scarsa capacità di decifrazione, con l’eccezione di una manciata di tentativi, sviluppati dai fan, di rintracciare e mappare lo spazio narrativo.24 Troviamo invece più spesso dei database che riassumono tutte le location in cui il prodotto è stato girato, con mappe molto precise, e immagini della serie tv affiancate a fotografie fatte da fan della geografia “reale” (come per esempio nel sito di «The Walking Dead Locations»). Le location nelle vicinanze della città di Atlanta sono inoltre oggetto del cosiddetto film tourism, legato, in particolare, alle visite che portano i fan nei posti più noti della serie, come il Jackson Street Bridge, dove sono state realizzate le panoramiche della città nelle prime puntate.25 Un sito simile dedicato a Fear The Walking Dead non esiste propriamente, ma le location sono nondimeno elencate in diversi siti generici di filming locations. E mentre il fumetto ha evidentemente molta più libertà nella creazione di ambientazioni immaginarie, i siti di fan
talk show Conan (TBS, 2010-…), durante il quale si scherza sulla necessità di trovare un “nuovo lavoro”, magari sostituendo lo stesso Conan O’Brien, è riportato in un articolo di «Variety». Cfr. D. Ross, The Walking Dead: Steven Yeun weighs in on Glenn’s fate, «Entertainment Weekly», 23 ottobre 2016, http://ew.com/article/2016/10/23/walkingdead-steven-yeun-glenn-season-7-premiere/; M. McCluskey, Steven Yeun on Glenn’s Walking Dead Fate: ‘Don’t Give That to Anybody Else’, «Time», 24 ottobre 2016, http://time.com/4542616/walkingdead-steven-yeun-glenn-death/; S. Kelley, ‘The Walking Dead’ Star Steven Yeun Finds His Next Job on ‘Conan’, «Variety», 28 ottobre 2016, http://variety.com/2016/tv/news/walking-dead-steven-yeun-glennconan-1201903105/ (l’articolo include il video di Yeun in Conan). 24 Si veda per esempio la discussione “geografica” da parte di New Rockstars, che commenta la prossimità di Hilltop e del Santuario, nel video Walking Dead Season 8 Trailer BREAKDOWN & EASTER EGGS – Comic Con Trailer (2017) Old Rick Explained!, «YouTube», 29 luglio 2017, https://www.youtube.com/watch?v=6zhoms21cAM. 25 Si veda per esempio il sito dell’organizzazione «Atlanta Movie Tours», che offre quattro “Big Zombie Tour” nello Stato della Georgia.
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rintracciano comunque l’uso, più raro, di luoghi reali – come nel caso di Atlanta o, più recentemente, della città di Pittsburgh, Ohio.26 Conviene ricordare a questo punto un altro gruppo di paratesti significativi per la serie di AMC: i siti di spoiler. Le comunità di fan si uniscono su forum come TheSpoilingDeadFans.com o SpoilTheDead.com, per condividere informazioni che filtrano dalle riprese delle future puntate in onda. In questo modo, le fotografie e i testimoni presenti sul set, talvolta gli stessi attori, aiutano i fan a prevedere come si svilupperà la trama, anche in relazione costante con la narrazione del fumetto. Un caso interessante riguarda l’introduzione nel racconto degli Scavenger nella settima stagione. Già durante l’estate del 2016, il sito di The Spoiling Dead Fans pubblica una serie di foto di un nuovo set, una sorta di discarica. A questo post fa seguito un’ampia discussione su un possibile nuovo gruppo/comunità nell’universo di TWD, che viene soprannominato “The Garbage Pail Kids” (letteralmente “i bambini del secchio dell’immondizia”, espressione che vuole essere una citazione ironica di una serie di giocattoli, figurine e carte ludiche popolari negli anni Ottanta, distribuiti in Italia con il nome di “Sgorbions”).27 Poiché questi personaggi non trovano un riferimento nel fumetto, la discussione relativa a quanto sta accadendo sul set risulta particolarmente accesa, soprattutto quando poi le prime immagini del promo della seconda metà della stagione hanno aiutato i fan a confermare alcune teorie e a smentirne altre. L’ultimo oggetto dei paratesti orientativi è il tempo. A differenza di alcune serie complesse ormai canoniche come Lost, TWD fa un uso raro di tecniche come flashback che complicano il tempo della narrazione. Il racconto del fumetto, invece, è stato esteso attraverso 26 Cfr. R. Johnston, The Walking Dead #170 Walks into Pittsburgh – But Are they Going the Right Way?, in «Bleeding Cool», 2 agosto 2017, che individua e contestualizza il ponte Roberto Clemente di Pittsburgh e sovrappone letteralmente l’immagine del fumetto con una fotografia: https://www.bleedingcool.com/2017/08/02/ walking-dead-170-direction-pittsburgh/ 27 Cfr. il video The Walking Dead Season 7 We Get a New Group? Garbage Pail Kids? del PT Channel, che riproduce la storia degli spoiler e specula sull’introduzione del nuovo gruppo: «YouTube», 26 novembre 2016, https://www.youtube.com/watch?v=A4H0ZnIuIJo.
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dei numeri speciali che contestualizzano specifiche backstory (in alcuni casi riprese e adattate nella serie) manipolando più sensibilmente il tempo. È quanto accade con Michonne. Anche se il suo sogno nella puntata 4*09 “Smarriti” c’entra poco con il “Michonne Special” dei fumetti, esso riproduce due personaggi introdotti nello speciale (l’ex-partner, Mike, e l’amico Terry, che diventano, a un certo punto, i suoi “vaganti di scorta”). In casi come questi, però, i paratesti orientativi si focalizzano non tanto sull’interpretazione dei nessi temporali (come accadeva nella community di Lost), che non sono particolarmente rilevanti, quanto sulla ricapitolazione della trama generale o su quella che riguarda, in particolare, il personaggio in questione, oppure sulla creazione di “ponti” tra i due diversi universi narrativi. Consideriamo in particolare l’aspetto del tempo seriale che Mittell chiama il “tempo dello schermo”, ovvero “il tempo materialmente necessario a raccontare e a fruire una storia”.28 Evidentemente il fandom non può influire sul tempo impiegato dalla narrazione. La fruizione della storia, però, è resa evidentemente più flessibile per via della digitalizzazione della tv e delle pratiche di consumo disponibili oggi allo spettatore, di carattere ufficiale (e legale) ma anche non-ufficiale. Qui ci riferiamo non soltanto alla capacità dello spettatore di mettere in pausa il racconto, ri-iniziare, saltare delle parti di una puntata, ecc., grazie alle varie forme di video on demand, ma anche alla riproduzione (illegale) di puntate intere su siti di streaming o attraverso file torrent, un’attività gestita interamente dal fandom. Online circolano episodi di TWD e Fear the Walking Dead ma anche le versioni digitali del fumetto. Nonostante l’impatto della pirateria, il tempo del palinsesto continua a definire ampiamente la visione della serie di AMC. I dati di Sky e Fox relativi alla messa in onda italiana (su cui torneremo nel prossimo capitolo) rivelano che la parte maggiore dell’ascolto avviene nella prima settimana di programmazione. Le analisi di Google Trends – che utilizziamo a titolo semplicemente indicativo – rivelano una simile tendenza anche per le versioni illegali: parole-chiave come “walking dead streaming” (in Italia e Francia) o “walking dead online free” (nei paesi anglofoni) sono altamente ricercate secondo pattern che seguono precisamente la messa in onda delle puntate (tra ot28 J. Mittell, op. cit., p. 60.
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tobre e dicembre, e poi da febbraio ad aprile). Nonostante la forte “flessibilizzazione” del tempo dello schermo, dunque, il palinsesto e una fruizione condivisa e sincronizzata, continuano a rivestire un ruolo assolutamente significativo, specie per franchise globali di così grande successo.29 L’ultima tendenza informativa dei paratesti creati da e per i fan riguarda ovviamente le informazioni sulla produzione della serie. Molti articoli forniscono il contesto del franchise: dalle condizioni della produzione (come il caso legale che riguarda Darabont citato nel primo capitolo), a notizie sulle star e gli altri loro film, sugli sceneggiatori, o sugli scrittori del fumetto. Se tali contenuti ancillari non riguardano direttamente la comprensione della trama, influiscono nondimeno sulla percezione generale dei personaggi centrali nel franchise, e sulla costruzione del divismo.30 La persona/star Robert Kirkman, nel ruolo simbolico dell’autore di tutto il franchise, rappresenta un caso particolarmente interessante. Il creatore del fumetto e produttore esecutivo della serie fornisce spesso ai fan informazioni supplementari sui personaggi o la sulla trama. Questa attività avviene in parte negli spazi ufficiali legati alla serie – come il Comic-Con, o nelle ospitate a Talking Dead – ma anche nel dialogo aperto con i fan del fumetto, nel quale egli torna spesso sull’analisi condivisa della natura dei personaggi. Dopo la scena di stupro di Michonne da parte del Governatore, l’autore viene accusato di misoginia da parte di una fan. Nella sua risposta, Kirkman commenta e giustifica le azioni dei suoi personaggi, e allo stesso tempo accetta di avere sbagliato in alcune scelte del racconto.31 Altri casi riguardano la morte di alcuni protagonisti, come Andrea o Glenn. Nella sezione della corrispondenza del numero 167 del fumetto, Kirkman scrive una lettera scusandosi coi fan, con sé stesso e con Andrea per la sua scomparsa; le lettere pubblicate nel numero 102, invece, includono uno scambio ironico tra l’autore e Steven Yeun sulla morte di Glenn. 29 Cfr. L. Barra, Palinsesto: storia e tecnica della programmazione televisiva, GLF Editori Laterza, Roma-Bari 2015. 30 Cfr. R. Dyer, Star Kaplan, Torino 2003. 31 Si veda il blog di «Paranormal Pop Culture», che racconta la vicenda e riproduce le email: http://www.paranormalpopculture.com/2012/11/ robert-kirkman-discusses-rape-in.html.
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4. Dall’analisi all’arricchimento Ciò che differenzia la funzione che chiamiamo di “arricchimento” da quella puramente informativa è una componente di maggiore autonomia da parte del creatore del paratesto, che continua nondimeno a riferirsi principalmente all’universo narrativo in oggetto (in questo caso il franchise TWD). L’esempio più evidente è la recensione. Essa si applica agli stessi oggetti di analisi identificati da Mittell: la trama, i personaggi, il tempo e lo spazio. Per via della linearità spazio-temporale della serie, questi arricchimenti riguardano, però, in particolare i personaggi o la trama. La funzione della recensione è ovvia: offre un’analisi di particolari puntate (o stagioni) che accompagna e valorizza la sua visione, con interpretazioni ulteriori del racconto talvolta tutt’altro che ovvie, e con richiami ad altri testi che il pubblico generale può non ricordare o non conoscere. Lo stesso “giornalismo di clickbait” induce a produrre recensioni, analisi e commenti della serie che seguono il palinsesto, e in particolare la prima trasmissione delle varie puntate. Si trovano online su siti di analisi della TV, di giornali, zine, blog e vlog. Altro segno dell’attrattiva mainstream della serie è la varietà di tono nelle recensioni: dai commenti sui social ai video delle reazioni a particolari episodi, dai blog dei fan più incalliti a specifici commenti su siti dedicati alla serie… Si possono menzionare addirittura delle recensioni regolari sui siti dei più grandi giornali internazionali (in lingua inglese), come «The New York Times» e «The Guardian». Per quanto riguarda invece gli altri testi primari che compongono il franchise, il numero di commenti e recensioni è ovviamente più limitato. Mentre lo spin-off Fear the Walking Dead si colloca anch’esso nelle tendenze del giornalismo di clickbait, con brevi analisi e riepiloghi, il numero di recensioni è minore (per esempio, «The Guardian» e «The NYT» hanno ospitato review delle sole prime stagioni). Le recensioni dei numeri del fumetto escono invece su siti tematici come UnDeadWalking.com e ComicBook.com; lo stesso vale per i videogiochi e i libri. Altri tipi di analisi creativa della trama o dei personaggi vanno al di là delle semplici recensioni su specifiche puntate, rivolgendo lo sguardo ad archi temporali più lunghi. Qui ci riferiamo anche al lavoro “forense” o “investigativo” condotto dai fan e finalizzato a svelare i riferimenti e le cosiddette easter egg inserite dai creatori nella
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trama, oppure teso ad anticipare futuri sviluppi narrativi. Sul primo aspetto va menzionato il lavoro che riguarda gli zombie che compaiono nella serie, con l’obiettivo di individuare i vari richiami e citazioni ad altri film horror, come il riferimento alla testa di Ben Gardner nel film Lo Squalo (Jaws, 1975) negli acquari del Governatore, oppure nel caso degli zombie coperti di bachi che escono dalla terra nell’episodio 4*08 “Indietro non si torna”, che riconvoca Zombi 2 di Lucio Fulci (1979).32 C’è poi una pratica meno ludica, emersa di recente, esemplificata dal video che analizza il personaggio di Rosita nella versione estesa della deleted scene della puntata 7*01, “Io ti ucciderò”. Nella scena, Rick fantastica di una cena idilliaca ad Alexandria, con la presenza di tutti quanti i personaggi (anche quelli appena deceduti).33 L’autore del video postato su «YouTube» interpreta il fatto che Rosita accende una candela su una picca come un presagio della sua imminente morte: nel fumetto, infatti, il personaggio viene decapitato e la sua testa viene montata su una picca. Il video, perciò, approfondisce il personaggio di Rosita collegandolo creativamente alla sua incarnazione nel fumetto. Essendo così numerosi, i personaggi di TWD sono spesso sottoposti ad analisi più articolate. Quelli che sono più comunemente oggetto di tale attenzione sono Carol, Rick, Daryl, Morgan e Negan, non solo perché essi sono spesso tra i preferiti dai fan, ma anche perché si prestano a riflessioni sul cambiamento morale ed esistenziale: Carol, da casalinga vittima a fredda assassina; Rick o Negan, entrambi leader impietosi; Daryl, da redneck pieno di pregiudizi ad amico lealissimo; Morgan, che si muove tra la violenza incontrollata e il pacifismo.34 Un esempio particolarmente interessante è quello relativo a un’insistita analisi della sessualità del personaggio di Daryl. La questione 32 Cfr. la galleria The Walking Dead: 30+ Easter Egg sul sito «BestSerial.it», http://www.bestserial.it/Foto-Gallery/936/the-walking-dead30-easter-egg/print. 33 The PT Channel, The Walking Dead Season 7 Deleted Scene Does It Show Foreshadowing for Rosita?, «YouTube», 11 agosto 2017, https:// www.youtube.com/watch?v=hrqMuJRK0Zs. 34 Cfr., per esempio, J.L., Character Spotlight: The Walking Dead’s Carol Peletier, in «HiddenRemote.com», 13 settembre 2015, https://hiddenremote.com/2015/09/12/the-walking-dead-top-10-best-fights/.
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è emersa in uno scambio di lettere fra i fan e Kirkman nell’ambito del fumetto, a proposito delle sovrapposizioni tra i personaggi di Daryl e Jesus. Poiché il personaggio di Jesus è apertamente omosessuale, Kirkman rivela ai fan che si era discusso con i produttori della serie della possibilità che lo fosse anche Daryl. Innumerevoli e successive discussioni attorno a questo tema hanno prodotto ulteriori casi di fandom investigativo e di analisi del personaggio, tutti focalizzati sulla mancanza di relazioni con personaggi femminili e sulla natura riservata di Daryl.35 Queste discussioni hanno generato ulteriori richiami nelle interviste con l’attore, Norman Reedus.36 Nonostante Kirkman abbia confermato l’eterosessualità del personaggio in una puntata di Talking Dead del 30 novembre 2014, le analisi e le indagini sul personaggio sono proseguite, con legami tanto alla serie tv, quanto, creativamente, agli altri testi del franchise (per esempio attraverso il confronto con il personaggio di Jesus nel fumetto). Come dimostrano i casi delle speculazioni circa la sessualità di Daryl o la morte di Rosita, l’analisi della trama e dei personaggi di TWD rivela un interesse costante da parte del fandom per la questione dell’adattamento del fumetto, e crea continuamente ponti tra le diverse narrazioni del franchise. Una parte molto significativa dell’analisi/arricchimento che si trova nei paratesti si focalizza sulla predizione del futuro della serie tv in base all’adattamento dal fumetto. Mentre le prime stagioni hanno usato abbastanza liberamente la trama fumettistica – escludendo, espandendo e sostituendo diversi protagonisti, e creando molte scene originali – dall’arrivo dei sopravvissuti ad Alexandria, nella quinta stagione, la serie co35 Cfr. J. Comicbook, The Walking Dead: Is Daryl Dixon Gay? Robert Kirkman Comments On Daryl’s Sexuality, ComicBook.com, 13 agosto 2014, http://comicbook.com/blog/2014/08/13/the-walking-dead-isdaryl-dixon-gay-robert-kirkman-comments-on-d/. Un’analisi del personaggio si vede per esempio nel video The Walking Dead – is Daryl Gay? dell’utente Trevschan2, «YouTube», 16 agosto 2014, https:// www.youtube.com/watch?v=gvM4hbzHvTg&t=199s, e nell’articolo Character Study: The Walking Dead’s Daryl Dixon dell’utente Mlgagne, su «Friends of Comic Con», 1 febbraio 2017, http://friendsofcc. com/2017/02/01/character-study-the-walking-deads-daryl-dixon/. 36 Reedus ne parla esplicitamente in un’intervista con Conan O’Brien, nella puntata 698 di Conan (3 marzo 2015).
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mincia a seguire molto più attentamente la narrazione del fumetto. Di conseguenza, le analisi degli eventi della quinta, sesta e settima stagione fanno costante ricorso al fumetto per illustrare le analogie e prevedere le svolte più significative. Attraverso queste pratiche, i fan dimostrano una radicata capacità di comprensione delle tecniche drammaturgiche della serie. Per esempio, è opinione condivisa che gli avvenimenti più significativi accadono attorno a quattro puntate chiave: la première, il mid-season finale, la mid-season première e il finale della stagione. Perciò, mappando la serie attraverso il fumetto, i fan hanno previsto: la morte di Pete Anderson (5*16, “Conquistare”), l’arrivo della mandria di zombie (6*01), l’entrata degli zombie ad Alexandria e le morti di Jessie, Ron e Sam (6*06, “L’inizio e la fine” e 6*09, “Nessuna via d’uscita”), l’arrivo di Negan e la morte di Glenn (6*16, “L’ultimo giorno sulla terra” e 7*01 “Io ti ucciderò”), la morte di Spencer (7*08, “I cuori battono ancora”) e la dipartita di Sasha, oltre all’inizio della guerra con i Salvatori (7*16, “Il primo giorno del resto della tua vita”).37 In alcuni di questi casi, l’adattamento dal fumetto è molto esplicito. Si pensi alla scena della morte di Spencer: la serie riprende letteralmente molti elementi visivi e dialogici del fumetto. Anche se il lavoro del fandom investigativo pare dunque meno rilevante, vengono comunque pubblicati diversi articoli di confronto che illustrano queste sovrapposizioni.38 Da un lato, un adattamento così diretto dimostra che per i creatori della serie la costruzione drammaturgica del fumetto è già molto coerente col racconto audiovisivo: non c’è bisogno di cambiare quasi nulla. Dall’altro lato, la scena è chiaramente molto “referenziale”: ricrea esplicitamente le immagini del fumetto sapendo bene che molti spettatori se ne accorgeranno, secondo una modalità ironica e ludica (nonostante il portato altamente splatter del momento). Questo tipo di analisi paratestuale,
37 Le fonti di queste previsioni sono molto numerosi; come esempio possiamo citare il canale «YouTube» del PT Channel, che produce video molto regolari di series predictions. 38 B. Davis, The Walking Dead Midseason Finale Side By Side Comic Comparison, «ComicBook.com», 28 dicembre 2016, http://comicbook.com/thewalkingdead/2016/12/28/the-walking-dead-midseasonfinale-side-by-side-comic-comparison/.
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dunque, funziona soprattutto per attivare o rammemorare tale giocoso riconoscimento. In altri casi, l’adattamento del fumetto è meno letterale, e perciò la previsione richiede un lavoro investigativo più articolato. Ciò vale, ad esempio, per la trama di Sasha, che si sovrappone con il personaggio di Holly del fumetto: entrambe sono amanti di Abraham e, disperate per la sua morte, cercano di infiltrarsi nel Santuario dei Salvatori, per poi cadere vittime di Negan e diventare pegni nelle sue trattative con Rick. Questo caso segnala alcune tendenze interessanti nel lavoro dei fan. Innanzitutto, rivela come le “teorie” sul racconto si diffondano dai fan più attivi e impegnati al pubblico più generale: i primi commenti compaiono infatti su siti minori e dedicati alla serie, come il reddit di TWD e i forum di spoiler. Da lì, le analisi vengono disperse in molti altri siti e discusse su altre piattaforme: in particolare in video che “prevedono” lo sviluppo del plot e che vengono postati su «YouTube». Alla fine la stampa digitale più popolare riprende le informazioni e le diffonde a un pubblico decisamente più ampio. Nel caso di Sasha, l’utente Colts_918 propone la teoria “della sovrapposizione” della sua storia con quella di Holly in un post di reddit del 7 febbraio 2016; appaiono poi dei video durante il 2016 che ripropongono quest’idea (per esempio del vlogger Trevschan2, attivo su «YouTube»); verso la fine della settima stagione, vengono pubblicati alcuni articoli su riviste digitali più mainstream, come «The Hollywood Reporter», che riportano le medesime previsioni.39 In ogni fase si cita come fonte di riferimento il fumetto. Una seconda tendenza si lega alla diffusa conoscenza del contesto industriale e produttivo da parte dei fan, elemento sfruttato talvolta dai produttori esecutivi di TWD per giocare con le loro aspettative. La morte di Sasha, ad esempio, sembra “probabile” per il fatto che l’attrice, Sonequa Martin-Green, ha ottenuto il ruolo di protagonista nella serie Star Trek: Discovery (2017-…). Una vicenda simile accade 39 Cfr. Theory on Sasha dell’utente Colts_918, «Reddit», 7 febbraio 2016, https://www.reddit.com/r/thewalkingdead/comments/44nw2u/theory_on_sasha/?ref=share&ref_source=link; Trevschan2, The Walking Dead Season 7 Second Half – Will Sasha Get Holly’s Death?, «YouTube», 16 dicembre 2016, https://www.youtube.com/watch?v=zqv38sOtaL8; J. Wigler, Walking Dead: 7 Predictions for the Season 7 Finale, «The Hollywood Reporter», http://www.hollywoodreporter.com/live-feed/ walking-dead-7-predictions-season-7-finale-989098.
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nella mid-season finale della sesta stagione. In essa i creatori giocano ironicamente con l’adattamento nel momento in cui Negan si fa la barba nella casa di Rick: così l’aspetto dell’attore Jeffrey Dean Morgan risulta più vicino a quello del personaggio del fumetto. Anche questa breve sequenza ha ispirato commenti e analisi dei fan: nel ricordare una scena molto simile che riguarda però Rick al suo arrivo nella safezone di Alexandria, si fa notare che J.D. Morgan doveva necessariamente tenere la barba per via del personaggio che recitava nella serie The Good Wife (CBS, 2009-2016).40 Il caso più eclatante di incrocio fra il modo in cui i produttori esecutivi giocano con le aspettative dei fan, da un lato, e la consapevolezza di questi ultimi che si esprime nel produrre innumerevoli materiali di arricchimento, dall’altro lato, riguarda la vicenda di Glenn. Come abbiamo visto in precedenza, da quando l’equivalente del personaggio di Glenn muore nel fumetto – fatto ironicamente commentato nel divertito scambio di lettere tra l’attore Steven Yeun e il creatore Robert Kirkman – si è creato un fortissimo senso di attesa: la serie affronterà il trauma della scomparsa di un personaggio così centrale e così popolare? Coscienti di questa aspettativa, gli scrittori di TWD cominciano a inserire qua e là dei piccoli indizi e “invisibili” presagi che, come nel caso di Sasha e di Rosita, ispirano i fan nel congetturare la sua fine. Per esempio, nella puntata 5*09, “Non è finita”, la serie inquadra molto esplicitamente Glenn con una mazza da baseball nelle mani, facendo “prevedere” che la stessa arma – la mazza di Negan – porterà alla sua fine. L’attività dei fan relativa a Glenn è diventata ancora più frenetica a seguito di quello che viene definito “l’inganno del cassonetto”, nella sesta stagione. Nella terza puntata, (6*03, “Grazie”) sembra che il personaggio muoia effettivamente, divorato dai vaganti (in realtà questi ultimi stanno mangiando il cadavere di Nicholas, mentre Glenn riesce a nascondersi sotto un cassonetto). L’evento ha costituito un nodo di aspettative estremamente interessante: si trattava di una scena del tutto imprevista e scioccante per gli spettatori e i fan, tutti in qualche modo preparati all’arrivo di Negan. Da un lato, la scena è stata girata puntando su un’evidente ambiguità del suo esito, dal momento che il racconto è lasciato in sospeso per ben quattro episodi. Considerata l’ambiguità 40 D. Rowles, Why Does Negan Shave His Beard on the Midseason Finale of The Walking Dead?, «Uproxx», 12 giugno 2016, http://uproxx.com/ tv/negan-shave-walking-dead/.
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della sequenza, i fan si convincono che Glenn non sia effettivamente morto: il tema viene sviscerato, discusso, analizzato online, coi fan alla ricerca di “prove” che il personaggio non sia morto. Dall’altro lato, per rendere il gioco più credibile, i produttori esecutivi eliminano il nome di Yeun dai titoli di testa. Questa scelta dimostra tutta la consapevolezza, da parte dei creatori, dell’attività e dell’importanza del fandom: in questo caso specifico, gli spazi di confine della serie, come i titoli di testa, entrano nella dialettica delle aspettative tra produzione e consumo. Il fatto che la scena si è rivelata, alla fine, un inganno, o una falsa pista, ha soltanto rinforzato la connessione esistente tra la serie e il fumetto, e ha ulteriormente alimentato la discussione sul destino del personaggio. Inoltre, tutto il caso ha aumentato il portato drammaturgico del cliffhanger che tiene in sospeso la sesta e la settima stagione: il pubblico della serie ha in questo caso dovuto aspettare sei mesi per scoprire il vero destino del Glenn televisivo. Il ricorso a un secondo “inganno narrativo” – la morte di Abraham nella première 7*01 che pareva, almeno momentaneamente, consentire la sopravvivenza di Glenn – ha portato molti spettatori a lamentarsi di questo continuo gioco di aspettative (più o meno frustrate) e infingimenti. L’evoluzione del personaggio di Glenn, tutta spesa sul filo d’equilibrio fra i due universi narrativi della serie e del fumetto, mostra fino a che punto sia sostenibile (e accettabile) questo gioco di specchi e di aspettative che il franchise TWD crea fra produzione e consumo. 5. Dall’espansione al supplemento Un caso che esemplifica il passaggio dalle attività di “arricchimento” (che, come abbiamo visto, accompagnano e valorizzano soprattutto la trama e i personaggi e, con loro, tutta l’esperienza del franchise) a quelle di “supplemento” sono le vere e proprie fan theories: le teorie che cercano di spiegare degli enigmi presenti nel racconto o aspetti poco chiari della trama. Esse si attivano a livello micro, come nel già citato esempio dell’ “inganno del cassonetto” e della morte – solo apparente – di Glenn, e riguardano i destini di singoli personaggi o di specifici luoghi. Allo stesso tempo, altre teorie cercano di elaborare delle spiegazioni più macro, relative per esempio al motivo dell’apocalisse zombie, oppure alle direzioni dell’intera trama. Sono queste ultime che rientrano più facilmente nell’ambito dell’e-
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spansione o del supplemento, perché implicano un grado di articolazione e di creatività che vanno ben oltre i confini del testo primario. Insomma, se a livello micro si cerca di analizzare uno specifico aspetto del racconto e di arricchirne così l’esperienza, a livello macro si sviluppano idee che, spesso sempre in maniera ludica, tendono ad allargare i confini del franchise. Alcune delle teorie più famose su TWD sono particolarmente originali: ipotizzano che il mondo narrativo sia lo stesso di un’altra serie di AMC, Breaking Bad (2008-13), e che la droga creata da Walter White sia il motivo dell’apocalisse; che il virus, i vaganti e i sopravvissuti siano fenomeni che riguardano solo gli Stati Uniti, mentre nel resto del mondo tutto è rimasto normale; che Rick sia uno zombie evoluto, e per questo invincibile; che la storia sia narrata retrospettivamente da Carl, nella sua vecchiaia; e che tutta quanta l’apocalissi faccia parte di un complotto da parte degli alieni, che stanno per invadere la Terra (l’idea è inferita da una serie di osservazioni di Robert Kirkman). Che siano credibili o meno, tali teorie implicano un particolare lavoro investigativo da parte dei fan, alla ricerca di indizi all’interno del testo. La famosa teoria del crossover con Breaking Bad, per esempio, si basa su alcuni elementi che hanno un fondamento testuale: l’utilizzo della stessa automobile, la Dodge Challenger rossa, da parte di Glenn, nelle scene iniziali ad Atlanta, e del figlio di Walter White; una breve inquadratura sulle droghe impiegate da Daryl, che ovviamente includono la “blue sky”, la metanfetamina creata da Jesse & White (2*02 “Sangue del mio sangue”); la descrizione che Daryl fa, nella puntata 4*12 (“Non tutto è perduto”), di uno spacciatore che assomiglia tanto al personaggio di Jesse Pinkman.41 Come queste rapide descrizioni confermano, le fan theory sono interessanti in quanto sembrano pescare da racconti o tradizioni che esistono al di fuori del franchise di TWD. Insomma, si tratta di una vera e propria attività di supplemento, “centrifuga”, per così 41 Anche in Breaking Bad si possono trovare alcuni riferimenti: quando, per esempio, si scopre che il commerciante di automobili che ha venduto il Dodge Challenger a Walter White si chiama Glenn. Per una spiegazione più approfondita del possibile crossover, cfr. il video creato dal servizio OTT Netflix e pubblicato su «YouTube»: Fan Theories | Breaking Bad Is The Walking Dead Prequel | Netflix, 2 novembre 2016, https://www.youtube.com/watch?v=SoKwmva-t8g.
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dire, rispetto al franchise (così come le attività viste prima erano tendenzialmente “centripete”). Alcune di queste teorie sono molto creative e si fanno prestare topoi dalla fantascienza, come nel caso degli alieni; altri supplementi mostrano influenze che derivano da racconti di zombie contemporanei. Per esempio, la possibilità che Rick sia uno zombie ri-scrive, in sostanza, la trama di base della serie Z Nation (Sy-Fy/The Asylum, 2014-…). Allo stesso tempo, in modo molto diverso dai paratesti di analisi e arricchimento, queste teorie sembrano opporsi alle connessioni tra i vari mondi narrativi all’interno del franchise. La possibilità che il virus sia ristretto soltanto all’America del Nord, per esempio, è in contraddizione col numero speciale del fumetto dedicato a Jeffrey Grimes, fratello di Rick, che vede scoppiare la catastrofe in Catalogna, a Barcellona. Questa tendenza al supplemento (giustificato a livello testuale o quasi del tutto autonomo) si ripete anche nell’ambito dello shipping e dello slashing, una tendenza comune a TWD come a molti altri racconti seriali contemporanei.42 Si tratta della costruzione immaginaria, da parte del fandom, di rapporti romantici tra personaggi: il termine “shipping” è una versione abbreviata della parola inglese “relationshipping” (mentre lo slashing, pratica che affonda le sue radici nel fandom più tradizionale, come nel caso di Star Trek, si usa per riferirsi a immaginari rapporti di tipo omoerotico fra i personaggi). Il protagonista più comune e popolare per questo tipo di paratesti è senza dubbio Daryl, che è stato “shipped” con molti altri protagonisti del franchise, soprattutto Carol (“Caryl”), Beth, e Rick. Nel caso di Rick e Michonne (“Richonne”), come abbiamo visto, lo shipping dei fan ha in qualche modo anticipato gli sviluppi presi effettivamente dalla serie tv, in maniera originale rispetto al fumetto. Il processo di shipping è interessante in quanto esiste in uno spazio per molti versi contradditorio, che dipende dal franchise e richiama di continuo il testo della serie tv, da cui pesca gli “indizi” in un ennesimo lavoro “forense” o investigativo. Allo stesso tempo, però, si tratta di un’attività autonoma e distinta sia dal racconto di base sia da qualsiasi nozione di “autore”: indebolisce di certo l’autorità dei produttori esecutivi (cui è sottratta l’esclusiva capacità di sviluppare trame sui personaggi), ma anche quella dei “creatori” dello stesso shipping, dal momento che si tratta per lo più di un esercizio ludico comune, con42 Cfr. J. Mittell, op. cit., p. 128.
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diviso, collaborativo. Per questo motivo non sorprende che esista per lo più nello spazio instabile dei social media.43 Lo stesso tipo di precarietà definisce la fan fiction. Qui ci riferiamo a racconti scritti dai fan, ambientati nello stesso mondo narrativo del franchise, che tendono ad avere trame piuttosto creative e talvolta complesse. Come nota (con una certa ironia) l’utente Seapiglet sulla pagina reddit dedicata a TWD, “la maggior parte della fan fiction che troverai sarà costituita da variazioni di oscenità che coinvolgono Daryl... Daryl/Beth, Daryl/Rick, insomma hai capito cosa intendo”.44 Seppure questa descrizione sia forse un po’ estrema, l’utente individua una chiara tendenza nella scrittura della fan fiction: la maggior parte delle storie sono guidate dallo shipping, e/o dal sotto-genere definito “Mary Sue fiction”45 in cui l’autore/ autrice si inserisce direttamente nel mondo narrativo. Entrambe le tendenze hanno una forte componente romantica e/o erotica, e, come sempre nel contesto della fan fiction, i racconti prodotti dai fan riflettono un orientamento estremamente liberal, spesso elaborando questioni femministe.46 Le fan fiction legata a TWD è reperibile in diversi spazi, da siti che ospitano questo tipo di scrittura in maniera specifica (come «AO3 – Archive of Our Own», «WattPad» e «FanFiction.net»), a forum dedicati all’universo creato da Kirkman (e.g. «Romers and Lurkers»). È difficile individuare singole storie esemplari nell’ambito della fan fiction, anche in considerazione della sua ampiezza, e della rego43 Si veda ad esempio la pagina «Wolf White Flowers»: http://wolfwhiteflowers.tumblr.com. Anche qui si vede il passaggio dall’attività dei fan al giornalismo online, per esempio in K. Rosenfield, 15 Times Daryl Dixon had Crazy Sexual Chemistry with Every Walking Dead Cast Member, «MTV News», 19 novembre 2014, http://www.mtv.com/ news/2002711/daryl-dixon-walking-dead-sexual-chemistry/. 44 K41namor, TWD Fan Fiction, su «Reddit», 6 settembre 2015, https://www. reddit.com/r/thewalkingdead/comments/3jw846/twd_fan_fiction/. 45 Cfr. B.L. Ott, R. L. Mack, Critical Media Studies: An Introduction, WileyBlackwell, Chichester 2010, e in particolare il capitolo Erotic Analysis (pp. 240-264); discutono della tendenza della Mary Sue a pp. 253-4. 46 Per una discussione più approfondita sulle attività di fan, cfr. il podcast Fansplaining, di F. Klink e E. Minkel, disponibile a «FanSplaining»; il podcast ha delle puntate dedicate a Mary Sue, Shipping and Activism, Fanfic vs. FANtasies, ecc.
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larità dell’aggiornamento dei siti che la ospitano. Ciò nonostante, analizzando i casi più apprezzati sul sito AO3 (quelli nella sezione di fiction su “The Walking Dead & Related Fandoms” che hanno ricevuto il numero più alto di “kudos”), si notano alcune tendenze che possono essere considerate rappresentative. L’estensione in assoluto più popolare è uno shipping intitolato Rome Wasn’t Built in a Day, ambientato mesi dopo la scoperta di una cura per il virus e di un modo per uccidere, contemporaneamente, tutti i vaganti. Il racconto descrive perciò un mondo post-post-apocalisse, che finalmente permette un rapporto romantico tra Daryl e Rick.47 La seconda è invece riconducibile al genere Mary Sue di cui si diceva poco fa: Irresistible Danger è un racconto molto lungo e ancora in corso di elaborazione, che vede la protagonista impegnata in un rapporto sempre più erotico con Negan.48 Come nel caso delle fan theory, in queste storie possiamo senz’altro osservare dei legami deboli con i mondi narrativi del franchise. Rome… è evidentemente un racconto autonomo, narrativamente fondato su un cambiamento decisivo (la risoluzione del virus) che svincola totalmente la storia dalle sue regole “canoniche”. Pare legarsi principalmente alla serie tv, in quanto fa un riferimento alla morte di Bob Stookey a Terminus – luogo inesistente nel fumetto – che nella serie tv avviene successivamente. Tyreese e Glenn continuano a vivere, mentre Tara e Sasha sono morte (creando di nuovo una contraddizione con la serie). Irresistible Danger è molto più coerente con la serie tv. Appaiono alcuni personaggi legati al prodotto di AMC (Dwight, Sherry, Amber), e nelle varie introduzioni ai capitoli chi scrive commenta spesso puntate della serie contemporanee alla stesura del racconto, e fa riferimento all’attore Jeffrey Dean Morgan. Tuttavia, altri eventi narrati – quando, per esempio, Negan brucia il viso di un personaggio con un ferro da stiro – indicano invece la conoscenza del fumetto. L’affrancarsi dal racconto canonico del franchise non muta a seconda del genere di racconto. In esempi non centrati sulla dimensione erotico-romantica, come A Whole New World o The Book of 47 Peggy_lane, Rome Wasn’t Built in a Day, «AO3 – Archive of Our Own», 30 settembre 2014, http://archiveofourown.org/works/2362871. 48 Alreynolds13, Irresistible Danger, «AO3 – Archive of Our Own», 4 novembre 2016-…, http://archiveofourown.org/works/6522247/ chapters/14921755.
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Judith – entrambi racconti di genere più melodrammatico, di suspense e orrore – notiamo altrettanta libertà nel rapportarsi con i testi canonici o gli “ipotesti” (nel primo caso non ci sono proprio effettive sovrapposizioni, nel secondo ci si libera di tutti i personaggi ad eccezione di Daryl e Judith).49 Questo tipo di paratesti – che abbiamo chiamato “di supplemento” – sono curiosi in quanto dimostrano la flessibilità e la libertà dei fan nei confronti dei testi di base. Solitamente si legano soltanto debolmente a un singolo mondo del franchise, spesso la serie televisiva; allo stesso tempo si discostano per lo più dalle “regole” canoniche di TWD, impiegando una certa licenza creativa per spingere il racconto in direzioni del tutto inedite. Gli spazi digitali consentono questo lavoro di affrancamento dall’autorialità in senso pieno: sono paratesti che esistono in spazi condivisi, e sono variamente influenzati (da serie tv contemporanee diverse da TWD, da particolari cliché narrativi…). Eppure esistono, in qualche modo, all’interno del franchise: anch’essi arricchiscono la nostra percezione e la nostra interpretazione della serie, e in alcuni casi – basti pensare all’esempio di “Richonne” – sembrano persino in grado di influenzare i testi più centrali di TWD. 6. Un catalizzatore di fandom: Talking Dead In questo capitolo abbiamo inquadrato la natura di TWD come racconto transmediale sbilanciato: esso si sviluppa attraverso diversi media, con livelli diversificati di connessione tra di loro. Se il franchise si basa su due narrative centrali, la serie televisiva e il fumetto, le connessioni tra loro – o fra loro e altri mondi narrativi, come i videogiochi o lo spin-off – non sono date per scontate. In relazione a tre elementi di grande importanza – la libertà del fandom negli spazi digitali, la natura fluida dei racconti di zombie, e l’attuale attitudine a sviluppare narrazione attraverso forme di transmedia storytelling – lo sbilanciamento del franchise ha generato una frenetica attività di 49 That Guy, A Whole New World, «Roamers and Lurkers», 16 April 2012-, http://www.roamersandlurkers.com/topic/3841-a-whole-new-world/ #entry59037; Praxis, The Book of Judith, «FanFiction.net», 20 dicembre 2012, https://www.fanfiction.net/s/8812138/1/The-Book-of-Judith.
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fandom. Abbiamo notato che la connessione tra il fandom e il franchise dipende dalla tipologia dei paratesti generati dai fan: mentre i testi informativi sono molto legati a singoli aspetti del racconto ufficiale, i testi supplementari mostrano legami molto più deboli con la narrazione. Vi sono poi specifici prodotti e paratesti che arricchiscono l’esperienza di fandom creando dei ponti importanti tra i mondi narrativi, e in particolar modo tra la serie e il fumetto. Le varie tensioni che abbiamo qui individuato si condensano attorno al programma Talking Dead, che segue le puntate di TWD e Fear the Walking Dead su AMC. Il programma è, in primo luogo, molto popolare: si tratta spesso del secondo programma più visto su AMC, proprio dopo TWD.50 Come hanno notato Pasztor e Ungbha Korn, il programma, in parte grazie a questa popolarità, riesce a realizzare uno spostamento del tipo di socialità tipica del fandom: da un modello “parasociale” (i fan che “circondano” il testo) a uno “prosociale” (con un’interazione molto più attiva, dinamica e sfaccettata tra i fan, e dei fan stessi con il presentatore e gli ospiti di turno), proprio grazie al forte impiego di social media.51 In questo modo, lo spazio virtuale del programma diventa una soglia, dove le varie funzioni di informazione, di arricchimento e di supplemento si incontrano. Le tematiche più importanti e sentite dai fan ritornano anche nelle puntate di Talking Dead: dai rapporti romantici tra i personaggi alla morte dei protagonisti, entrambi, come abbiamo visto, punti chiave di incrocio tra i vari testi del franchise e l’interesse dei fan. Il programma esiste dunque, in un certo senso, come incarnazione dell’esperienza del fandom, e quest’ultimo, viceversa, si arricchisce e si alimenta grazie alle re-interpretazioni che Talking Dead produce.52 50 S. Iryna, The Walking Dead and Talking Dead Are Still the Top Rated Cable Shows, «Undead Walking», 17 marzo 2017, https:// undeadwalking.com/2017/03/17/walking-dead-talking-deadstill-top-rated-cable-shows/. 51 S. K. Pasztor, J. Ungbha Korn, Zombie Fans, Second Screens, and Television Audiences: Redefining Parasociality as Technoprosociality in AMC’s #TalkingDead, in A.F. Slade, A.J. Narro, D. Givens-Carrol (a cura di), Television, Social Media, and Fan Culture Lexington Books, Lanham 2015, pp. 185-202. 52 G. Castleberry, Game(s) of Fandom: The Hyperlink Labyrinths That Paratextualize Game of Thrones Fandom, in A.F. Slade, A.J. Narro, D. Givens-Carrol, (a cura di), op. cit., pp. 129-48 (p. 138).
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Talking Dead è prodotto direttamente da AMC, e dunque rimane molto ancorato al franchise. Gli ospiti più comuni del talk show sono Robert Kirkman e i produttori Gale Ann Hurd e Scott M. Gimple, oltre all’attore Norman Reedus. Di conseguenza, la trasmissione offre senza dubbio una particolare legittimità proprio a loro: all’informazione che veicolano e alle loro interpretazioni della trama (come abbiamo visto, Kirkman in persona conferma e/o nega spesso le teorie dei fan). Eppure, in un certo modo, la presenza dei fan proprio accanto agli autori e ai produttori esecutivi rappresenta un’ulteriore tensione, del tutto centrale in tutti i prodotti e le attività del fandom:53 paratesti e interazioni originati “dal basso” sono per certi versi ancorati al franchise ufficiale, eppure, allo stesso tempo, rivendicano una propria autonomia, anche dall’“autorità degli autori”, se così possiamo dire. Il programma perciò vive e manifesta costantemente la dialettica tra la dimensione più propriamente canonica del franchise e quella più spesso apocrifa generata dalla creatività del fandom.
53 Su questo punto si cfr. in particolare M. Scaglioni, Tv di culto, op. cit.
IV ZOMBIE GLOBALI. CIRCOLAZIONE E CONSUMO DI UN FRANCHISE POP
We execute a single campaign worldwide that’s rooted in the same positioning, largely the same creativity and the same timing of activation. It’s not a super easy thing to do: it’s like moving a large cruise ship. (Alexandra Marinescu, Vice President Marketing, Fox International Channels)
Per ricostruire le fasi e le ragioni che hanno fatto di TWD un franchise dal successo globale occorre ancora una volta fare un passo indietro, e ritornare alla primavera del 2010. È in quell’anno che, come si è visto nel primo capitolo, il progetto sviluppato da Frank Darabont, Robert Kirkman e Gale Anne Hurd riceve il definitivo via libero dalla rete basic cable AMC, che mette in cantiere la produzione di una prima stagione composta di sei episodi, in vista di un lancio previsto per il prime time di Halloween di quello stesso anno. Sei mesi più tardi l’annuncio su «Twitter» da parte di Kirkman, nel momento della pianificazione delle riprese, che sarebbero iniziate nei pressi di Atlanta e in Georgia durante l’estate, ecco un’altra importante notizia per AMC: Fox International Channels (che sarebbe poi stata più tardi rinominata Fox Networks Group), il gigante che riunisce i canali televisivi facenti capo al gruppo 21st Century Fox nel mondo, firma un accordo per la distribuzione globale della serie. La notizia arriva dal presidente di AMC Charlie Collier: “TWD rappresenta un momento di trasformazione rilevante per la nostra rete, perché per la prima volta ci impegniamo allo stesso tempo come studio di produzione e come network: questa partnership con Fox evidenzia l’espansione significativa del nostro modello di business, del nostro brand e
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dei nostri contenuti. La capacità di Fox di operare sia attraverso le proprie reti nazionali sia come distributore a livello globale ci consente di massimizzare l’ascolto e l’interesse per questo prodotto veramente unico”.1 “Questo accordo – ribadisce David Haslingden, allora amministratore delegato di Fox International Channels – si distingue dagli altri perché per la prima volta acquisiamo tutti i diritti globali di un prodotto. Esso ci consentirà di ottimizzare il lancio, le operazioni di marketing e la distribuzione della serie coordinandoci con tutte le nostre reti affiliate nel mondo e con gli altri canali che la acquisteranno”.2 Come si capisce, anche sotto questo punto di visto TWD rappresenta un caso di studio estremamente interessante: segnala la distribuzione di un prodotto seriale non soltanto sincronizzata a livello mondiale (day and date), ma gestita in maniera pianificata e coordinata da un unico attore che si muove su 125 paesi diversi. L’accordo fra AMC e Fox per TWD indica dunque una strada che sarà poi percorsa, in maniera ancora più decisa, da attori come Netflix o Amazon, che mireranno alla gestione diretta dei loro contenuti originali nei diversi territori nei quali propongono il servizio di streaming online. L’aspetto importante da sottolineare non è soltanto la sincronizzazione dei principali mercati distributivi (fra il 31 ottobre e i primi giorni di novembre del 2010 la serie viene trasmessa negli Stati Uniti, in Canada, in Gran Bretagna, Italia, Germania, Belgio, Spagna, Portogallo, Brasile, Cile, Giappone…), ma il fatto che l’accordo, siglato ancor prima della realizzazione, consenta a Fox di diventare un partner strategico di AMC e di impostare in maniera innovativa il lancio, la programmazione sui canali nazionali e le attività di marketing che riguardano TWD, contribuendo al suo successo internazionale. Questo capitolo è dedicato a illustrare questa fortuna globale, mostrando quali strategie e quali concrete scelte siano state adottate da Fox nella distribuzione di TWD in Italia e nel mondo: come si vedrà, infatti, l’affiliata italiana conquista un ruolo di primo piano come 1
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La dichiarazione di Collier è ripresa da J. Hibberd, AMC sells overseas rights to Walking Dead, in «The Hollywood Reporter», 9 giugno 2010, http://www.hollywoodreporter.com/news/amc-sells-overseasrights-walking-24454. Ivi.
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hub creativo per il lancio e la promozione mondiale della serie. Si adotterà qui la prospettiva dei Production studies con l’intento di districare le ragioni e le difficoltà che hanno caratterizzato la circolazione internazionale del prodotto.3 1. Un successo annunciato Il citato accordo fra AMC e Fox per la distribuzione globale di TWD costituisce un caso piuttosto singolare e comporta delle conseguenze rilevanti nella gestione internazionale del franchise. Con la forza d’urto rappresentata da decine di canali attivi in Europa, in Sud America, in Asia e in Africa (fra i quali le reti Fox in Italia, in Spagna, Portogallo, Germania e FX in Gran Bretagna), una presenza in 125 paesi e uffici operativi in oltre sessanta di essi, il gruppo Fox rappresenta un attore cruciale per la circolazione del prodotto seriale made in Usa nel mondo, oggi affiancato da player altrettanto globali ma operanti su piattaforme e attraverso modelli di programmazione e di business differenti (i già citati servizi Over-the-Top Netflix e Amazon Video, in particolare). Come è accaduto recentemente proprio per le OTT, Fox spinge fortemente nella direzione della produzione di contenuto “proprietario” o, comunque, sviluppato in partnership e dunque gestibile a 360°, in molteplici mercati, per approvvigionare una così vasta rete distributiva con prodotti seriali che presentino valori produttivi (e costi) elevati: si tratta di prodotti-brand, autentici franchise mediali capaci di generare eventi televisivi e di innescare fenomeni di culto e fandom anche attraverso un alto potenziale di spreadability sui social media.4 E TWD sembra rappresentare fin dal principio un contenuto ideale sul quale investire, non come semplici distributori (attraverso l’acquisizione di licenze di prodotti finiti dagli studios di Hollywood), ma come partner globali dell’intera operazione: come ricorda Alexandra Marinescu, che segue fin dal 3 4
Per un primo inquadramento sui production studies si cfr. L. Barra, T. Bonini, S. Splendore, Backstage. Studi sulla produzione dei media in Italia, Unicopli, Milano 2016. Su questi concetti si cfr. M. Scaglioni, Tv di culto. La serialità televisiva americana e il suo fandom, cit.; e H. Jenkins, S. Ford, J. Green, Spreadable Media: Creating Value and Meaning in a Networked Culture, cit.
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principio il prodotto assieme Sharon Tal, allora Vice President Fox per la programmazione scripted a livello globale, allora avevamo la necessità di sviluppare molto di più il nostro stesso contenuto rispetto alla semplice acquisizione di prodotto finito. Avevamo già siglato alcuni accordi multi-regionali per Dexter (realizzato negli Usa per il canale cable Showtime, 2006-2013, nda) e per True Blood (creato per HBO, 2008-2014 nda), ma TWD è stato il primo prodotto sul quale abbiamo investito a partire dallo script della serie, ovvero proprio dal principio: nemmeno un’inquadratura era ancora stata girata, avevamo in mano la sceneggiatura e molta fiducia nei confronti di Frank Darabont e di Robert Kirkman.5
Prima ancora che Darabont e le troupe in Georgia iniziassero a filmare la vicenda di Rick Grimes, con le sole pagine della sceneggiatura in mano, dunque, TWD sembrava, però, perfettamente incarnare le caratteristiche di franchise globale cui si stava indirizzando Fox. A parte le garanzie offerte dal successo duraturo del fumetto di Kirkman fra una vasta base di fan e il coinvolgimento di un produttore-regista del calibro di Darabont, TWD risponde infatti a tutte le caratteristiche che “filtrano” la scelta dei prodotti seriali da parte di Fox International Channels: un grande potenziale “virale” per lo sviluppo di una vasta campagna promozionale, in grado di essere amplificata sui social media e di avvantaggiarsi così della sincronia globale; la centralità di un genere – l’horror – in linea col pubblico giovane o giovane-adulto dei canali Fox; e, naturalmente, tutte le premesse che facevano pensare che lo show sarebbe diventato il prossimo grande evento televisivo (dopo il caso di Lost, 2004-2010, realizzato dagli ABC Studios della Disney e distribuito in alcuni Paesi, come l’Italia o la Germania, dagli stessi canali Fox, ma venduto contemporaneamente a reti diverse in molti altri mercati). Il successo di TWD sembra, più che annunciato, precisamente pianificato, anche se probabilmente non nelle dimensioni effettivamente raggiunte dalla serie. La valutazione del successo, nell’industria televisiva contemporanea, non dipende da un unico parametro, ma deve tenere in considerazione diversi fattori, quantitativi (gli ascolti live ma anche quelli differiti, grazie all’on-demand) e qualitativi (capacità di 5
Intervista a Alexandra Marinescu, realizzata il 15 marzo 2017.
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generare engagement, visibilità, fenomeni di fandom…), in parte differenti per i vari mercati di riferimento. Nel contesto americano, fin dalla prima stagione in onda, TWD dimostra la sua attitudine a coniugare la dimensione di fenomeno di culto con una vasta popolarità mainstream, come si accennava nel primo capitolo. “I giorni andati”, il pilot in onda il 31 ottobre 2010, raccoglie 5,35 milioni di spettatori sull’intero bacino di pubblico, e 3,6 milioni nella fascia socio-demografica “pregiata” degli spettatori con età compresa fra 18 e 49 anni (il cosiddetto target commerciale). Gli ascolti dei sei episodi della prima stagione crescono costantemente, toccando quasi 6 milioni di spettatori per l’episodio TS-19, finale di stagione (trasmesso il 5 dicembre), con 4 milioni di spettatori nella fascia 18-49. Si tratta non soltanto del miglior risultato in termini di ascolto nella storia di AMC, ma della migliore performance di una serie su un canale basic cable. Negli anni successivi il fenomeno TWD cresce in modo impressionante in termini di ascolti americani: 7,26 milioni di spettatori per il pilot della seconda stagione, e 8,99 milioni per il season finale. 10,9 milioni di spettatori per il pilota della terza stagione, e 12,4 milioni per la puntata conclusiva. 16,11 milioni di spettatori per il pilota della quarta stagione, e 15,67 per il finale. Il pilota della quinta stagione fa toccare alla serie un picco: 17,28 milioni di spettatori. Il prodotto sembra perdere parte del suo pubblico nel corso della sesta stagione (con un finale che si attesta comunque sui 14,19 milioni di individui), quando lo scioccante episodio iniziale della settima stagione – che scioglie un cliffhanger inter-stagionale di grande potenza narrativa e di altrettanta violenza visiva – porta un nuovo record, con 17,03 milioni di spettatori. Nel solo contesto statunitense TWD si rivela un grande successo, con risultati che vanno addirittura oltre quanto ci si poteva attendere dalle premesse, quelle stesse che avevano spinto Fox a proporsi come partner globale per la serie: per la prima volta un drama di genere horror conquista con decisione il prime time Usa, raggiungendo ascolti che, nel corso delle stagioni, superano quelli dei migliori programmi in onda sui network generalisti. Il successo misurato in termini di consumo trova però anche un riscontro importante nella capacità del prodotto di creare engagement e discussione sui social media, alimentando la dimensione del culto: con 36 milioni di fan sul profilo ufficiale «Facebook» e quasi 6 milioni e mezzo di follower per il profilo ufficiale «Twitter»,6 TWD ha dominato frequentemente nelle discussioni online, in particolare a 6
Si tratta di dati aggiornati ad agosto 2017.
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ridosso della messa in onda delle puntate inedite (e del successivo talk show Talking Dead, AMC, 2011-…), come evidenziato in varie occasioni dai report Nielsen relativi agli show televisivi più discussi d’America.7 Non soltanto il consumo domestico, ma anche quello internazionale si dimostra rilevante per TWD, e dunque la scommessa di Fox appare decisamente ripagata dalle performance ottenute dalla serie nella sua circolazione globale. Una valutazione del successo globale di un prodotto televisivo deve ovviamente tenere in considerazione le specificità dei vari Paesi in cui viene distribuito, le caratteristiche delle reti che lo programmano, e via discorrendo. Tenendo ciò a mente, si può certamente affermare che la serie ha raggiunto risultati egregi nei diversi mercati in cui è stata trasmessa: la première della prima stagione ha superato 650.000 spettatori sul canale britannico FX, uno dei migliori risultati della rete; con oltre 100.000 spettatori per il pilot, TWD è stato il miglior debutto per Fox in Spagna; per quanto riguarda l’Italia – ovvero la messa in onda sul canale Fox compreso nella piattaforma pay Sky, che raggiunge con i suoi sottoscrittori (poco più di quattro milioni e mezzo di household) circa un quinto della platea complessiva del Paese – l’episodio iniziale ha raccolto 360.000 spettatori medi (il 17% dello share dei canali della piattaforma pay). Il buon successo della serie nel contesto italiano può essere esemplare per comprendere le logiche di consumo del prodotto in contesti analoghi (per esempio, gli altri mercati europei). Come si diceva, il successo di un prodotto televisivo va valutato in relazione allo specifico contesto di messa in onda. In Italia, la rete Fox – compresa nel pacchetto pay di Sky Italia – è un canale tematico di intrattenimento caratterizzato prevalentemente da serie televisive di origine americana di differenti generi (drama ma anche sit-com e animazione), destinato a un pubblico giovane e giovane-adulto. I claim scelti per definire il canale individuano immediatamente la promessa che caratterizza il brand di rete: “La casa delle prime” o “The best. First” sono slogan che puntano chiaramente a un posizionamento legato all’offerta di prodotti scripted di qualità con una programmazione molto tempestiva (“le migliori serie, prima di tutti”) rispetto al palinsesto nordamericano, con l’intento di fidelizzare un ascolto di appassionati 7
Si cfr. i report sul sito «Nielsen», ad esempio Tops of 2016: TV, 13 dicembre 2016, http://www.nielsen.com/us/en/insights/news/2016/ tops-of-2016-tv.html.
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che rischierebbe di essere attratto da forme di consumo alternative o illegali. Per una rete, dunque, che punta a un’audience media di prime time che si avvicina ai centomila spettatori, TWD rappresenta più che un appuntamento (la programmazione del lunedì sera segue di sole 24 ore la messa in onda su AMC, con l’episodio già doppiato, come vedremo fra poco), un vero e proprio evento. Come si nota dalla Tabella 1, che riporta gli ascolti delle prime sette stagioni delle serie, l’ascolto “sincronizzato” o “live” del lunedì sera cresce da quasi 230.000 spettatori (per la prima stagione) a oltre 277.000 spettatori medi (settima stagione). Segno di una metamorfosi radicale del consumo, in particolare di contenuto scripted (film e serie televisive), è però la crescita progressiva dell’ascolto non-lineare, che, nel corso dei sette giorni successivi alla prima messa in onda, raddoppia gli spettatori di TWD. Se all’ascolto non-lineare sulle reti si aggiunge quello che avviene attraverso il servizio on-demand integrato all’offerta Sky, il peso del time-shifted viewing raggiunge il 60%.8 Tabella 1 – Ascolti italiani di TWD (Fox, Fox+1 e Sky On Demand), stagioni 1-7 (fonte: Auditel) Ascolto Ascolto Ascolto Ascolto Sky medio medio lineare non-lineare On Demand (a 7 giorni) Stag. 1 (6 episodi)
229.904
340.238
340.238
–
–
% Ascolto differito 0%
Stag. 2 (13 episodi)
221.943
397.875
314.064
83.811
16.331
21%
Stag. 3 (16 episodi)
262.014
425.104
277.628
147.476
36.562
35%
Stag. 4 (16 episodi)
237.899
530.031
314.203
219.275
57.800
41%
Stag. 5 (16 episodi)
269.284
477.936
211.794
268.521
89.297
56%
Stag. 6 (16 episodi)
283.361
481.234
193.834
287.399
112.745
60%
Stag. 7 (8 episodi) (primo slot)
277.090
455.645
195.469
266.650
6.474
58%
Il grafico 1 riporta invece la composizione percentuale del pubblico di TWD sui canali Fox in Italia. Come si può osservare la prevalenza del pubblico maschile (57%), prevedibile sia per il genere che 8
Nel corso della settima stagione, la fruizione degli episodi attraverso Sky on-demand viene limitata dalla piattaforma.
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per il target abituale della rete, è controbilanciata da una presenza altrettanto consistente di pubblico femminile (43%), che rende TWD un prodotto comunque piuttosto “largo” e inclusivo. Il pubblico è composto inoltre soprattutto da giovani e giovani-adulti (il 26% nella fascia d’età compresa fra 35 e 44 anni), con uno status socioeconomico medio-alto (83% raccolto nelle fasce Auditel AA e MA, quelle più elevate) e una buona scolarizzazione. Pur in una dimensione quantitativa ovviamente differente da quella nordamericana, il pubblico italiano della serie si avvicina, nel suo profilo, tanto a quello raccolto da AMC negli Stati Uniti quanto al target privilegiato della rete, facendo di TWD – assieme ad altre serie, come Homeland – Caccia alla spia (Showtime, 2011-…), The Americans (FX, 2013-…) American Horror Story (FX, 2011-…) e, prima, Lost o Six Feet Under (HBO, 2001-2005) – uno degli appuntamenti più importanti del palinsesto della rete.
Grafico 1 – Composizione percentuale del pubblico di TWD (Fox, Fox +1 e Sky On Demand), stagioni 6-7 (fonte: Auditel)
Questi dati (simili a quelli raccolti dalle reti del gruppo Fox in altri mercati analoghi), la particolare coerenza fra un prodotto capace
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di dimostrarsi, allo stesso tempo, “di culto” e sufficientemente mainstream (cioè in grado di allargare il suo consumo oltre il confine degli spettatori fan del genere o della mitologia zombie), la visibilità e la viralità del fenomeno nelle discussioni online e attraverso i social media: ecco le ragioni che spiegano il massiccio investimento di Fox su TWD. Se, da un lato, l’aver puntato sulla serie di Kirkman e Darabont fin dalla sua messa in cantiere, nella prima metà del 2010, si rivela una scelta strategicamente riuscita, dall’altro lato proprio l’impegno per una distribuzione e per una promozione su scala globale, sfruttando sia i vantaggi di un hype che rimbalza da un paese all’altro sia delle economie di scala che si vengono a generare, finisce per giovare ulteriormente alla fortuna internazionale di TWD. Ricostruiamo ora più in dettaglio come questo processo di distribuzione e promozione abbia contribuito a fare di TWD un franchise dal successo planetario. 2. AMC e Fox: le ragioni di una partnership globale Le ragioni che guidano la strategia editoriale di Fox International Channels nell’investire su una partnership globale con AMC per TWD sono diverse, e producono una serie di risultati inediti nella distribuzione di un prodotto seriale americano. L’accordo siglato da Fox con AMC si gioca su almeno cinque piani differenti. Dal punto di vista della costruzione e del consolidamento del brand di rete, TWD consente a Fox di presentarsi come il distributore globale di un franchise pregiato, che, come si è visto, offre una serie di garanzie quantitative (relative cioè agli ascolti) e qualitative (relative alle caratteristiche socio-demografiche del pubblico di riferimento e alla capacità di creare con quest’ultimo un intenso engagement). In quanto partner globale, Fox esercita poi un controllo totale sui diritti di sfruttamento del prodotto e di tutto ciò che vi è collegato, nelle modalità e attraverso le piattaforme più disparate (la messa in onda live ma anche l’on-demand e le forme di catch-up, il web e l’home video). Anche sul piano del marketing di un prodotto seriale l’operazione TWD mostra importanti elementi di innovazione: promuovere il prodotto sfruttando la sincronia della messa in onda in un numero molto ampio di Paesi consente, da un lato, di beneficiare di una comunicazione che, attraverso Internet e tutta la serie di iniziative
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realizzate, finisce per essere globale, e, dall’altro lato, consente di coordinare i team creativi attivi in diversi mercati, di sollecitare uno scambio fra centro e periferia, di “localizzare” i messaggi veicolati in relazione alle esigenze dei diversi contesti. TWD rappresenta un terreno di sperimentazione, inoltre, in relazione all’impiego di social media per il lancio e il “mantenimento” della promozione su un prodotto di lunga serialità, destinato a svilupparsi negli anni e nelle stagioni. Il particolare appeal che il prodotto suscita fra gli appassionati dell’horror, da una parte, e della mitologia zombie, dall’altra, dà alla serie un alto potenziale di spreadability e l’attitudine a generare vaste comunità di fan online (e off-line: come ha dimostrato l’ampia partecipazione agli eventi organizzati sul territorio con la presenza di attori e produttori). Infine, la partnership globale con AMC offre una serie di vantaggi tecnico-strategici di primaria importanza: come si è visto, il posizionamento di Fox in Italia e, in generale, dei canali analoghi del gruppo negli altri Paesi, risponde alla promessa di portare allo spettatore il contenuto seriale americano di qualità, inedito, nel tempo più ridotto possibile. Quest’esigenza si inscrive nel dna delle reti Fox, che devono confrontarsi, almeno dall’inizio degli anni Duemila, con un ampio ricorso alla pirateria che incide in particolare sui suoi prodotti e sul suo modello di business. La discussione online e attraverso i social media delle serie di maggior successo della televisione free e cable negli Stati Uniti diventa progressivamente più intensa e istantanea: il rischio di spoiler e l’attitudine di un pubblico mediamente giovane e tech-savy a cercare online, attraverso streaming e downloading illegale, i prodotti più visibili e discussi (come Il trono di spade/Game of Thrones, HBO, 2011-…, o, appunto, TWD), rende cruciale la capacità di programmare quegli stessi prodotti, in versione originale ma anche adattata e doppiata nella lingua di destinazione, nel minor tempo possibile. Queste cinque ragioni spiegano non soltanto il contratto firmato fra Fox e AMC nella primavera del 2010, ma anche il fatto che i diversi team regionali di Fox International Channels, coordinati al centro dalla sede di Los Angeles, si possano mettere al lavoro per impostare la strategia promozionale per TWD fin dall’estate del 2010, a stretto contatto tanto col marketing nordamericano, coordinato da AMC, ma anche con la stessa produzione della serie: “lavoravo con Sharon Tal sul pitch che abbiamo presentato a AMC e, prima
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ancora che l’inchiostro sul contratto siglato fosse asciutto, abbiamo iniziato a impostare la campagna di marketing coordinandoci con la stessa AMC”.9 L’operazione di distribuzione e promozione globale di TWD, a partire dal 2010, rappresenta un primo terreno di sperimentazione per la stessa Fox, anche se poi questa strada diventerà più comune negli anni successivi, anche in relazione alle profonde trasformazioni in corso nell’industria audiovisiva statunitense (Netflix, ad esempio, annuncia nel 2011 l’intenzione di produrre una serie originale da distribuire in modalità watch instantly nei diversi territori in cui il servizio è già attivo: l’intera stagione di House of Cards viene resa disponibile sulla piattaforma a partire dal primo febbraio 2013). Come spiega Alexandra Marinescu, c’erano stati alcuni tentativi embrionali, per esempio sul finale di Lost, proprio in quello stesso 2010. Ma ciò che ci ha differenziato a partire dal caso TWD è il fatto che abbiamo potuto lavorare su una distribuzione sincronizzata su scala globale sotto un unico brand e all’interno della stessa compagnia. In quanto responsabile della guida del marketing a livello centrale, ho dovuto coordinare tutti i diversi team e sviluppare le strategie e la creatività a livello generale, cercando di coinvolgere attivamente tutti gli uffici nazionali e regionali, perché sviluppassero le loro specifiche campagne. Nel caso di Lost tutto era più frammentato, in certi paesi il prodotto era gestito da Fox in altri da altri player, e questo ha ovviamente influito sull’efficacia delle campagne, sul posizionamento, il marketing e la creatività...10
La gestione di questa vasta operazione di comunicazione – di questa enorme “nave da crociera”, come la definisce Marinescu – si sviluppa secondo un’ottica di interscambio costante fra centro e periferia, ovvero fra la dimensione globale della campagna e le esigenze locali dei singoli mercati, in una dialettica che include gli hub di Fox in sessantadue paesi, per un lancio che coinvolge 125 diversi Stati, per 33 lingue e un bacino potenziale di circa duecento milioni di spettatori. “Ciascuno dei nostri diversi uffici regionali – aggiunge Marinescu – è stato incoraggiato a partecipare al processo di pro-
9 Intervista a Alexandra Marinescu, op. cit. 10 Intervista a Alexandra Marinescu, op. cit.
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mozione, in primo luogo per aggiungere quel gusto locale, quelle specificità necessarie ai diversi mercati”.11 Che TWD rappresenti per i canali Fox una sorta di banco di prova per una distribuzione sincronizzata e globale è confermato anche da chi, da Roma, inizia a sviluppare la promozione del prodotto per il mercato italiano, in collaborazione con il centro di Los Angeles e le diverse succursali europee ed extra-europee: “Quel che ci sembrava più interessante in TWD, a partire dalla lettura degli script prima ancora di vedere il pilota e le puntate – sottolinea Luca Rochira, allora creative director di Fox International Channels Italia, oggi programming director della medesima azienda – erano le moltissime sfaccettature del prodotto. Difficilmente si riesce a inquadrare cosa sia TWD, e questa caratteristica offre molte opportunità per il lancio e la promozione: è certamente un prodotto ‘di genere’, quindi piuttosto ‘stretto’ (ovvero indirizzabile a un pubblico compatto ma limitato, nda), ma con l’ambizione di diventare una serie mainstream e globale. È certamente una serie di culto, ma al contempo riesce a interessare un pubblico più largo e generalista. È poi un prodotto che siamo riusciti a vendere come un ‘evento televisivo’: in quegli anni gli eventi televisivi erano soprattutto trasmissioni sportive oppure una certa, limitata tipologie di serie. TWD si presenta come un prodotto decisamente pop, perché gli zombie sono per definizione qualcosa da intrattenimento leggero e pop, ma allo stesso tempo ha un’anima politica ed esistenzialista, che ormai viene riconosciuta da tanti se si supera l’aspetto più superficiale della battaglia contro i non-morti”.12 La ricchezza di significati espliciti ed impliciti che la serie sviluppata da Kirkman e Darabont presenta costituisce una risorsa fondamentale per il lancio della serie, come si vedrà: “noi abbiamo cercato di creare uno storytelling promozionale – precisa Rochira – che fosse in grado di trasmettere al pubblico italiano e internazionale tutte le anime di questa serie, un vero e proprio primo banco di prova per una piattaforma globale”. L’organizzazione del lancio e della promozione di TWD procede quindi, fin dalla primavera-estate del 2010, con la creazione di un hub creativo internazionale, coordinato da Los Angeles ma improntato a raccogliere e sviluppare idee e iniziative dalle diverse sedi nazionali 11 Intervista a Alexandra Marinescu, op. cit. 12 Intervista a Luca Rochira, realizzata il 27 marzo 2017.
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di Fox: “abbiamo cercato di perseguire un concetto già sviluppato negli anni in particolare da Disney, quello di consistency: la ricerca di un nucleo comunicativo comune, valido a livello globale, declinabile allo stesso tempo in modi differenti per pubblici e contesti culturali in parte diversi.”13 In questa ricerca di consistency, e di una strategia comune finalizzata a cadenzare in diverse fasi la promozione della serie, la sede italiana di Fox svolge un ruolo di primo piano: “in Europa in quel momento, fatta eccezione per il caso inglese che aveva sue caratteristiche proprie, l’Italia rappresentava il gruppo più forte. E la sede italiana si è presa in carico un lavoro di promozione declinabile anche in altre regioni. Sia sul piano creativo che su quello concretamente produttivo, in Italia abbiamo creato parti importanti di una campagna utilizzabile anche in altri Paesi”.14 Quest’approccio insieme globale e locale risponde precisamente alle esigenze di un prodotto come TWD, come ricorda Marinescu: La serie è così unica e speciale perché certamente riesce a trascendere i confini e le culture, nel modo in cui ridisegna il genere horror e gli zombie. Al lancio, la preoccupazione principale era quella di individuare un posizionamento strategico in grado di raccogliere l’audience più ampia possibile: l’idea di una serie post-apocalittica con degli zombie poteva distanziare una parte del pubblico, ma in realtà il cuore dello show è rappresentato dal racconto di una natura umana, quella dei sopravvissuti, che è molto più minacciosa e pericolosa degli stessi zombie. Nel parlare a un pubblico globale, dovevamo tenere in considerazione differenze culturali rilevanti. Per esempio, in Asia, persiste una certa forma di superstizione sui non-morti. Inoltre, la componente di violenza ha ristretto talvolta le possibilità di programmazione della serie. Questi sono stati tutti i problemi che abbiamo dovuto risolvere, in particolare nella prima fase.15
Vediamo ora concretamente come è stata costruita la campagna promozionale per TWD.
13 Intervista a Luca Rochira, op. cit. 14 Intervista a Luca Rochira, op. cit. 15 Intervista a Alexandra Marinescu, op. cit.
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3. La promozione: dalla costruzione dell’evento alla celebrazione del fandom La strategia promozionale costruita per TWD da AMC negli Stati Uniti e a livello globale da Fox International Channels ha seguito un percorso articolato in quattro tappe, sviluppate dall’estate del 2010 fino alla messa in onda dei primi episodi nei mesi di ottobre-dicembre. La prima fase, quella che potremmo definire di teaser, inizia ufficialmente con la presentazione della serie al Comic-Con International di San Diego il 24 luglio 2010. Se negli Stati Uniti si punta sulla mobilitazione di un fandom già piuttosto consistente – appassionato di fumetti, di horror e di zombie e perfettamente a conoscenza del lavoro di Robert Kirkman – per il resto del mondo (e dell’audience potenziale) è necessario immaginare un avvicinamento graduale alla serie. Nel primo promo realizzato per la messa in onda, la strategia promozionale prevede di puntare sull’annuncio di un grande evento che “sta per arrivare”, o meglio, che “incombe come un pericolo sconosciuto”. L’idea di fondo definita nei brief di Fox si riassume nell’avviso “Stay in”: non uscire, qualcosa di importante sta per succedere e devi esserne consapevole!”. Come ricorda Rochira: Per la prima stagione abbiamo avuto a disposizione un budget internazionale e lo abbiamo utilizzato per una serie di teaser. Il punto centrale della campagna non era né il prodotto né gli zombie, nello specifico. Abbiamo girato dei filmati proprio a Roma – ingaggiando protagonisti e individuando location non troppo connotati e il più possibile “internazionali” – nei quali abbiamo ripercorso gli stereotipi tipici del genere horror. Ad esempio, una bambina che andava su e giù su un’altalena in una inquadratura e che poi spariva improvvisamente in quella successiva…
Questi primi teaser, che puntano sull’idea dell’annuncio ed evocano genericamente un immaginario horror, vengono programmati on air negli spazi promozionali previsti dal canale e dalle piattaforma per la serie, ma vengono anche utilizzati da subito per una circolazione online. Con questo percorso promozionale, si inizia a scommettere su TWD come su di un prodotto forte, in grado di parlare tanto agli spettatori effettivi di Sky e di Fox, quanto ai prospect, agli spettatori potenziali non sottoscrittori della pay, alla luce della ca-
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pacità della serie di comprendere e catalizzare un pubblico di appassionati e fan, ma, allo stesso tempo, di allargarsi anche a spettatori più numerosi e, per così dire, più “generici”. Nella seconda fase la promozione inizia ad appoggiarsi alle prime immagini del girato (footage) della serie: l’avvicinamento al cuore del racconto parte dai protagonisti e lascia ancora sullo sfondo gli zombie. Dopo aver introdotto gli spettatori nell’universo di una serie televisiva-evento di genere horror, l’attenzione si sposta sulla vicenda del protagonista, Rick Grimes, alla ricerca della sua famiglia in uno scenario post-apocalittico. L’elemento essenziale della presenza dei non-morti resta in secondo piano per una ragione precisa, come ricorda Rochira: Eravamo ancora in un momento in cui l’immaginario dei vampiri dominava la cultura popolare, la saga di Twilight riscuoteva successi e noi ci siamo mossi con grande cautela. Nonostante circolassero già diversi zombie, il confronto coi vampiri sembrava perdente: i vampiri sono glamour, sono sexy, in TV era andato in onda True Blood; gli zombie, d’altra parte, sono brutti, sono sgraziati, sono violenti, sono animaleschi… Temevamo potesse non esserci immediatamente una risposta adeguata a un prodotto così importante. Allora avevamo a disposizione brevi sequenze di footage che abbiamo utilizzato nella promozione: due o tre scene molto rapide incentrate su Rick Grimes svenuto sull’asfalto, sulla famosa porta (con la scritta: “Don’t Open. Dead Inside”, nda) senza ancora però le mani degli zombie che ne fuoriescono...16
La terza fase inizia quando, con l’avvicinarsi della messa in onda, si punta a promuovere massicciamente sia on air che sul web e, come vedremo, attraverso una serie di ulteriori iniziative. La specifica storia di TWD inizia a diventare il focus comunicativo della promozione: era necessario raccontare le peculiarità della serie, le ragioni che ne fanno uno show sui generis, dal valore superiore agli altri racconti di genere. Inizia ad emergere in questo momento uno degli aspetti più caratteristici della storia narrata da Kirkman: si tratta di un racconto epico, nel quale l’invasione del mondo da parte degli zombie costituisce solo una parte della minaccia, poiché i sopravvissuti sono spesso più pericolosi dei non-morti. In questa fase la scelta ricade sul mostrare il respiro cinematografico della serie: “abbiamo iniziato 16 Intervista a Luca Rochira, op. cit.
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a realizzare dei veri e propri trailer. Se la promozione televisiva vive su pezzature brevi, di 15, 30 o, al massimo, 45 secondi, con TWD abbiamo seguito una strada già sperimentata con Lost. Abbiamo realizzato trailer della lunghezza di un minuto e anche un minuto e 30 secondi, con l’idea di trasmettere la forza cinematografica della serie”.17 In effetti, le prime immagini che i professionisti di Fox hanno a disposizione dai set diretti da Darabont – ovvero le sequenze del pilot – mostrano un prodotto del tutto diverso da quello mediamente realizzato per la TV, realizzato da produttori e registi – lo stesso Darabont così come Gale Anne Hurd – che provengono da importanti esperienze per il grande schermo hollywoodiano. Per la promozione italiana, in questa fase, si decide di accentuare il più possibile il gusto pop della serie, anche per superare una certa diffidenza del pubblico più largo nei confronti del genere horror. In quel periodo abbiamo affiancato ai promo cinematografici anche delle operazioni più distoniche, che cercavano di dare respiro alla serie, di non appiattirla sui soli zombie. Uno dei tentativi meglio riusciti è stato l’accordo, fatto però solo per il territorio italiano per una questione di diritti, con la casa discografica che distribuiva il nuovo brano della band Arcade Fire, We used to wait. Avevamo già fatto qualcosa di simile per Grey’s Anatomy (ABC, 2005-…, nda) e per Lost: un pezzo musicale in anteprima su cui andavamo a montare le immagini più forti della serie. In questo modo la casa discografica lanciava il pezzo su una piattaforma diversa, e noi veicolavamo il nostro contenuto verso un pubblico differente ma potenzialmente interessante.18
Soltanto nell’ultima fase di promozione, a ridosso della messa in onda, l’elemento zombesco prorompe con tutta la sua forza, mentre TWD finisce per “invadere” letteralmente tutti gli spazi promozionali disponibili sulla piattaforma di Fox. Un’intensa attività di cross-promotion si arricchisce di promo, di spot, di bug, di bumper e di countdown tutti dedicati ad annunciare un messaggio univoco: TWD è l’evento televisivo dell’anno. L’elemento zombie viene lanciato, qualche giorno prima della messa in onda, nella maniera più spettacolare: seguendo alcune esperienze già sperimentate (per esempio per la serie Glee, Fox, 2009-2015), Fox, in accordo con AMC, 17 Intervista a Luca Rochira, op. cit. 18 Intervista a Luca Rochira, op. cit.
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organizza un grande flash mob nel quale gli zombie irrompono in 26 città e altrettanti luoghi di aggregazione in giro per il mondo. “Questo è stato il nostro approccio – spiega Marinescu – in primo luogo abbiamo galvanizzato i fan del genere e del fumetto, poi abbiamo allargato l’obiettivo rivolgendoci a una platea più ampia e annunciando un grande evento, in seguito abbiamo introdotto e “venduto” la storia e il personaggio principale e solo alla fine abbiamo inondato tutto quanto con l’apocalisse zombie”.19 A Roma, il 24 ottobre un’orda di zombie invade alcuni luoghi della capitale, come il Colosseo e lo Stadio Olimpico, durante la partita Lazio-Cagliari. Tutte le immagini registrate durante i flash mob che si svolgono un paio di giorni dopo in ventisei altre città – da Washington a Berlino e Londra e via dicendo – vengono montate proprio in Italia e diventano ulteriore materiale promozionale da far circolare, in particolare sul web. “L’idea del flash mob romano è molto piaciuta e a Los Angeles hanno pensato di sfruttarla al massimo. Si è coordinato un mega flash mob mondiale in tutte le regioni in cui Fox è presente, in contemporanea da est a ovest, da sud a nord. Questo è un buon esempio di quella sinergia locale-globale su cui abbiamo puntato”.20 Con la première di fine ottobre – inizio novembre che ottiene risultati d’ascolto molto importanti, come si è detto, non solamente negli Stati Uniti, ma anche nei diversi contesti nazionali, la comunicazione per TWD inizia a prendere strade più articolate e, talvolta, originali e provocatorie. La possibilità per spettatori e fan di “zombificare” le proprie sembianze viene perseguita con una serie di iniziative online e social, a partire dall’accordo fra Fox e il sito Dear Photograph (nel 2011) per arrivare all’app Dead Yourself sviluppata nel 2015. L’esperienza di risvegliarsi in un mondo post-apocalittico dominato dagli zombie è elaborata nella Facebook app Left Behind, lanciata nel febbraio del 2012, che consente al navigatore un’immersione in prima persona nell’universo di TWD. Fra le iniziative offline e on the ground (sul territorio) più significative si può senz’altro segnalare quella sviluppata per il lancio della quarta stagione: a partire da un’iniziativa pensata in Portogallo, viene inaugurato The Walking Dead Blood Store: un luogo dedicato alla promozione della
19 Intervista a Alexandra Marinescu, op. cit. 20 Intervista a Luca Rochira, op. cit.
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donazione del sangue, dove i fan vengono premiati con speciali oggetti di merchandising dopo aver donato in favore della Croce Rossa. Intanto, nel corso delle stagioni terza, quarta e quinta il tono con cui è possibile comunicare TWD cambia in maniera veramente sostanziale. La serie – anche grazie alle numerose iniziative che l’accompagnano, e in particolare ai tour mondiali con la presenza degli attori del cast, come Andrew Lincoln e Norman Reedus, ma anche di professionisti di primaria importanza, come Greg Nicotero – non ha più bisogno di far crescere la propria notorietà. Essa si è trasformata in un fenomeno culturale mainstream capace di generare un fandom fedele e ampio in tutto il mondo. Con la quinta stagione il focus promozionale si sposta dal prodotto al fandom, con un ritorno all’origine che però ha moltiplicato esponenzialmente la conoscenza della serie. Negli Stati Uniti, nell’ottobre del 2015, viene organizzato un grande evento dedicato ai fan che riunisce al Madison Square Garden migliaia di persone. Nel frattempo, Fox bandisce una sorta di gara interna fra le diverse sedi regionali, chiedendo di sviluppare una campagna creativa incentrata proprio sui fan e il fandom. Il pitch italiano vince la competizione internazionale e viene interamente realizzata in Italia la campagna “DEADicatedfans”, composta da uno spot e un promo che celebrano il fandom della serie evidenziandone la dimensione globale: “Non importa da dove vieni o cosa fai, noi parliamo tutti la stessa lingua”. “Questo è stato l’atto finale con cui abbiamo dato un senso all’operazione partita cinque anni prima: in Italia siamo tornati a lavorare su un pitch globale per un fandom altrettanto mondiale. A quel punto il concetto della campagna non ruotava più attorno agli zombie, a Rick Grimes o a Daryl. Il punto era raccontare un fenomeno di culto. Un fenomeno pop”.21 Come si è visto il caso di TWD è di certo particolarmente significativo anche sul piano della sua distribuzione e della promozione. La sua gestione globale e centralizzata segna una strada che sarà percorsa sempre più di frequente per la circolazione di prodotti scripted seriali di largo impatto, non solo di produzione nordamericana. La distribuzione e la promozione di un prodotto insieme mainstream e di culto deve confrontarsi con un varietà di elementi ormai imprescindibili nell’ecosistema mediale: la rapidità con cui si muove 21 Intervista a Luca Rochira, op. cit.
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la domanda cui deve far fronte l’offerta, anche alla luce dei rischi economici che provengono dalla pirateria; l’estensione globale dei fenomeni popolari, come dimostra il caso di TWD; il ruolo giocato dalla rete e dai social media, che rappresentano degli alleati importanti per il marketing dei prodotti, ma possono anche essere fonte di problemi di risolvere (la discussione sincronizzata che avviene sui social rende la tempestività della distribuzione ancora più cruciale); il costante confronto con un fandom che diventa il miglior ambassador per le reti e i distributori. L’ultimo paragrafo di questo capitolo incrocia queste tematiche attraverso lo sguardo all’esperienza dell’adattamento e del doppiaggio della serie, fattore altrettanto rilevante di successo soprattutto per mercati – come quello italiano – tradizionalmente legato alla fruizione audiovisiva nella lingua nazionale. 4. L’adattamento e il doppiaggio: zombie, vaganti, azzannatori, putrefatti, non-morti… Per un dubbing country com’è tradizionalmente l’Italia l’operazione di traduzione, adattamento e doppiaggio di una serie scripted d’importazione riveste un’importanza strategica: quando un broadcaster acquista o diventa partner distributivo – come accade per TWD – di una serie, “la prima necessità che emerge è quella di tradurre e adattare ogni puntata [in italiano], e poi realizzarne il doppiaggio, in modo da poter trasmettere il prodotto con il minor numero di barriere all’ingresso per il pubblico. Prima della prima messa in onda, così, si realizza la cosiddetta ‘edizione italiana della serie […] con vari processi che coinvolgono, oltre la rete, un gran numero di professionisti specializzati che operano nel settore del doppiaggio”.22 Come è stato mostrato, questo processo è tutt’altro che “neutro”, comporta al contrario l’assunzione di una serie di decisioni che influiscono in maniera decisiva sul risultato finale, nonché la risoluzione di una serie di problematiche che dipendono dalle caratteristiche del prodotto e dal suo genere di appartenenza, così come dalle 22 L. Barra, Risate in scatola. Storia, mediazioni e percorsi distributivi della situation comedy americana in Italia, Vita e Pensiero, Milano 2012, p. 198.
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scelte di distribuzione adottate dalla rete. Sotto tutti questi punti di vista, il caso di TWD risulta particolarmente interessante anche per le scelte adottate da Fox e per gli specifici problemi che ha presentato a chi si è occupato dell’edizione italiana, sia all’interno del broadcaster sia nella società di doppiaggio (la Video Sound Service) che l’ha curata. Non è la traduzione in sé – cioè il passaggio dei dialoghi originali nella lingua di destinazione – a costituire l’aspetto più rilevante nella preparazione dell’edizione italiana, quanto, piuttosto, le esigenze che derivano dalla distribuzione day and date, ovvero immediatamente a ridosso della messa in onda americana sul canale AMC. In quanto partner distributivo della rete basic cable, Fox è in grado di fornire un’edizione doppiata a 24 ore di distanza dal prime time statunitense: la disponibilità dello script e, poi, della puntata definitivamente montata con qualche giorno d’anticipo sulla messa in onda americana consente una lavorazione che, nondimeno, risulta molto impegnativa sotto il profilo professionale ed economico sebbene, come già sufficientemente illustrato, quest’operazione costituisca uno dei punti caratterizzanti la promessa e il brand di rete. Già per la puntata conclusiva di Lost, in quello stesso 2010, si era scelto di accelerare radicalmente tutto il processo di doppiaggio per arrivare ad un’edizione italiana in tempi record. Ma per TWD la partnership con AMC consente di poter offrire agli spettatori una versione doppiata a poche ore dalla messa in onda d’Oltreoceano per tutti gli episodi, fin dalla prima stagione: ciò comporta una profonda ridefinizione delle usuali routine del doppiaggio. Come ricorda Alessia Lanciano, direttore programming operations presso Fox, responsabile in particolare della “localizzazione” dei prodotti in lingua inglese, “le difficoltà con TWD non derivavano dalla traduzione dei dialoghi originali, come invece accade per le serie comedy, che richiedono di adattare e non banalizzare l’umorismo, ma dalle modalità distributive, ovvero dalla contemporaneità con la messa in onda americana”.23 La programmazione sincronizzata con gli Stati Uniti (e con gli altri Paesi nei quali Fox è presente con un canale) comporta ovviamente, in primo luogo, una contrazione di tempi normalmente più dilatati. I primi materiali relativi alla puntata in onda vengono resi disponibili per la lavorazione con circa una sola settimana d’anti23 Intervista a Alessia Lanciano, realizzata il 4 aprile 2017.
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cipo, e i giorni che precedono la messa in onda (in Italia con l’appuntamento nel prime time del lunedì) costituiscono un percorso progressivo di avvicinamento alla versione definitiva dell’episodio: dopo lo script (che viene immediatamente inviato alla traduzione per la preparazione del copione destinato alla sala di doppiaggio), dagli Stati Uniti viene inviato un video a bassa risoluzione e con elementi non ancora definitivi (pre-montato, con l’assenza di una serie di effetti sonori e grafici). Solo circa quattro giorni prima della messa onda è disponibile una versione sostanzialmente definitiva della puntata, che serve per verificare che l’adattamento e il doppiaggio ormai avviato sia effettivamente corretto, e su cui si apportano gli aggiustamenti finali. La rapidità cui deve attenersi il processo di preparazione dell’edizione italiana comporta una generale ri-organizzazione del processo produttivo: non è ovviamente possibile – come accade normalmente nel doppiaggio delle serie – “accorpare” non solamente più puntate, ma anche “condensare” in un unico turno l’impegno di un doppiatore per un personaggio secondario, che magari pronuncia poche battute, come sottolinea la direttrice del doppiaggio Anna Lanciotti.24 Si tratta perciò di un’edizione particolarmente complessa e impegnativa, dal punto di vista professionale ed economico: Per TWD non possiamo procedere doppiando almeno due o tre episodi per volta, cosa che comporta ovviamente delle economie di scala. Gli attori-doppiatori devono essere sempre in qualche modo “reperibili”, anche per venire a doppiare una o due battute, a seconda di come è costruita la puntata e dei personaggi che presenta. E naturalmente la disponibilità costante degli speaker ha un costo legato al loro gettone di presenza, che si aggiunge a quello per le righe di copione che vengono effettivamente lette. Dunque anche una sola battuta comporta il ricorso ad un turno pieno. Insomma, tutta l’organizzazione della società di doppiaggio deve essere piegata alle esigenze della serie.25
Una delle ulteriori questioni che si presenta nel caso del doppiaggio di una serie che viene adattata prima della sua messa in onda americana è ovviamente la sicurezza. Come hanno dimostrato i casi di hackeraggio e diffusione anticipata di episodi di Il Trono di spade, una serie di grande valore e prestigio necessita di particolari precau24 Intervista a Anna Lanciotti, realizzata il 12 aprile 2017. 25 Intervista ad Alessia Lanciano, op. cit.
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zioni tese ad evitare la circolazione illegale che precede la première sulle reti che l’hanno commissionata. Se per un breve periodo, durante la terza stagione, gli accorgimenti relativi alla sicurezza finiscono addirittura per prevedere la circolazione, ai fini del doppiaggio, di un video a bassa risoluzione con buona parte dell’immagine oscurata, onde evitarne l’illecita circolazione, un caso particolarmente singolare è quello relativo alla première della settima stagione, per la quale l’attesa della risoluzione del cliffhanger (chi avrà ucciso, Negan, con la sua mazza da baseball ricoperta di filo spinato, Lucille?) fa crescere l’interesse di fan e spettatori: dagli Stati Uniti arrivano video alternativi, nei quali le vittime sono diverse da quelle previste nel copione. “In quel caso – ricorda la direttrice del doppiaggio, Anna Lanciotti – non potevamo che preparare anche noi versioni alternative del doppiato, in attesa della risoluzione del mistero”.26 Lavorando letteralmente a ridosso della messa in onda americana, senza la possibilità di accumulare informazioni ulteriori sullo sviluppo della serie (che, come si è osservato più volte, gioca a spiazzare lo spettatore e il fan espandendo e modificando la narrazione originaria del fumetto), ma dovendone seguire le vicende episodio dopo episodio, l’adattamento e il doppiaggio di TWD è costretto inoltre a prendere talvolta decisioni estremamente rilevanti per l’impatto complessivo della serie. Se TWD non presenta particolari problemi di traduzione e resa in italiano, almeno una parola – centrale per il racconto – ha suscitato ragionamenti più articolati. Si tratta ovviamente della parola italiana utilizzata per tradurre i diversi termini con cui, nel mondo di TWD, ci si riferisce ai non-morti. La scelta lessicale utilizzata nell’edizione italiana durante la prima stagione “tradisce” in qualche modo l’intenzione della serie di non impiegare mai l’espressione “zombie”. Fra il principio della resa efficace e quello della fedeltà (o nella scelta fra domestication e foreignization),27 il doppiaggio italiano ha subito recentemente una profonda trasformazione: se un tempo, soprattutto per quanto riguarda la serialità, la televisione premeva soprattutto per un adattamento “forte”, tale da tutelare l’efficacia linguistica nell’idioma di destinazione, negli anni più recenti molte reti (e Fox è una di queste) hanno richiesto versioni più vicine alle originali, più capaci di adattare senza stravol26 Intervista ad Anna Lanciotti, op. cit. 27 Cfr. L. Barra, Risate in scatola, op. cit.
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gere il testo. L’appiattimento di tutte le espressioni impiegate nella prima stagione per definire i non-morti col ricorso alla parola “zombie” ha delle precise ragioni editoriali: Nella prima stagione abbiamo optato per la resa più efficace, più appetibile e più semplice possibile per il pubblico italiano. Il ricorso alla parola “zombie” rendeva più uniforme il doppiaggio ed era coerente con tutta la campagna di promozione e marketing, che aveva puntato, soprattutto negli ultimi giorni prima della messa in onda, sull’idea degli zombie. Nelle stagioni successive poi l’edizione italiana è passata, per questo specifico aspetto, ad un adattamento più fedele. Abbiamo iniziato a lasciare da parte la parola zombie e a tradurre, di volta in volta, i termini impiegati nell’inglese. Talvolta ci siamo trovati di fronte però a specifiche difficoltà: come quando, nel mondo di finzione i personaggi definiscono gli zombie con la sola espressione “morti”, rendendo un po’ difficile comprendere la differenza fra personaggi effettivamente deceduti e creature vaganti...28
E così, anche nella versione doppiata in italiano, una presenza centrale per l’universo di TWD si trasforma nel tempo, almeno sul piano linguistico: niente più zombie, soltanto vaganti, azzannatori, putrefatti, non-morti. TWD si conferma un oggetto vitale e cangiante, che cambia anche in relazione alle esigenze del marketing e della promozione, nella sua circolazione globale e nei suoi vari adattamenti nazionali. Queste progressive mutazioni non sono prive di una certa ironia: anche se la parola “zombie” è sparita dall’edizione italiana, il “contagio zombesco”, alla vigilia della centesima puntata della serie, non pare trovare (ancora) una cura.
28 Intervista a Alessia Lanciano, op. cit.
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SCHEDA TECNICA E SINOSSI THE WALKING DEAD
Ideatore Robert Kirkman, Frank Darabont Produzione AMC Studios, Idiot Box Productions, Circle of Confusion, Skybound Entertainment, Valhalla Entertainment, Darkwoods Productions Anno 2010 (in corso) Paese USA Canale AMC Stagioni 8 (in corso) Episodi 115 (in corso) Programmazione originale 31 ottobre 2010 (in corso) (AMC) Programmazione italiana 1 novembre 2010 (in corso) (Fox) Autori Robert Kirkman, Frank Darabont (showrunner stagione 1), Glen Mazzara (showrunner stagioni 2-3), Scott M. Gimple (showrunner stagioni 4-8) Charlie Adlard, Tony Moore, Angela Kang, Matthew Negrete, Channing Powell, Seth Hoffman, Corey Reed, Evan T. Reilly, Nichole Beattie, David Leslie Johnson, Heather Bellson, Curtis Gwinn, Charles H. Eglee, Adam Fierro, Jack LoGiudice, Sang Kyu Kim, Frank Renzulli, Ryan C. Coleman. Regia Greg Nicotero, Ernest R. Dickerson, Michael E. Satrazemis, David Boyd, Guy Ferland, Billy Gierhart, Michelle MacLaren, Tricia Brock, Seith Mann, Jeffrey J. January, Alrick Riley,
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Gwyneth Horder-Payton, Daniel Sackheim, Julius Ramsay, Michael Slovis, Jennifer Lynch, Kari Skogland, Frank Darabont, Johan Renck, Phil Abraham, Daniel Attias, Clark Johnson, Lesli Linka Glatter, Jeremy Podeswa, Stefan Schwartz, Michael Uppendahl, Larysa Kondracki, Stephen Williams, Avi Youabian, Darnell Martin, Rosemary Rodriguez, Larry Teng. Direzione della fotografia Michael E. Satrazemis, Rohn Schmidt, Duane Manwiller, David Boyd, Stephen Campbell, David Tattersall. Montaggio Julis Ramsay, Dan Liu, Hunter M. Via, Avi Youabian, Nathan Gunn, Rachel Goodlett Katz, Kelley Dixon, Evan Schrodek, Robert Bramwell, Enrique Sanchez, Sidney Wolinsky, Rodd Desrosiers, Orlando Machado Jr., Tiffany Melvin. Musiche Bear McCreary Interpreti e personaggi Andrew Lincoln Chandler Riggs Norman Reedus Melissa McBride Lauren Cohan Danai Gurira Steven Yeun Alanna Masterson Sonequa Martin-Green Josh McDermitt Christian Serratos Seth Gilliam Ross Marquand
Rick Grimes Carl Grimes Daryl Dixon Carol Peletier Maggie Greene Michonne Glenn Rhee Tara Chambler Sasha Williams Dr. Eugene Porter Rosita Espinosa Father Gabriel Stokes Aaron
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Lennie James Morgan Jones Emily Kinney Beth Greene Michael Cudlitz Sgt. Abraham Ford Scott Wilson Hershel Greene Austin Amelio Dwight Sarah Wayne Callies Lori Grimes Laurie Holden Andrea Harrison Tom Payne Paul “Jesus” Rovia Katelyn Nacon Enid Jeffrey Dean Morgan Negan Xander Berkeley Gregory Chad L. Coleman Tyreese Williams Austin Nichols Spencer Monroe Steven Ogg Simon Jon Bernthal Shane Walsh David Morrissey Il Governatore/Philip Blake Irone Singleton Theodore “T-Dog” Douglas Lawrence Gilliard Jr. Bob Stookey Jeffrey DeMunn Dale Horvath Michael Rooker Merle Dixon Tyler James Williams Noah Alexandra Breckenridge Jessie Anderson Tovah Feldshuh Deanna Monroe Merrit Wever Dr. Denise Cloyd Khary Payton Ezekiel Corey Brill Pete Anderson Andrew J. West Gareth Sinossi Dopo essere stato ferito gravemente in una sparatoria, il vice-sceriffo Rick Grimes si risveglia nel letto di un ospedale abbandonato, nella località di King County, in Georgia. Scoprendo attorno a sé un mondo post-apocalittico infestato di “vaganti” (morti rianimati che attaccano i vivi per fagocitarne la carne), Rick si dirige verso la sua vecchia dimora, dove conosce Morgan Jones con suo figlio; dopo questo incontro, egli si reca nella città di Atlanta, in cerca della famiglia. Trovandosi in pericolo, circondato da non-morti, viene sal-
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vato da un gruppo di sopravvissuti composto da Glenn Rhee, Andrea Harrison, T-Dog Douglas e Merle Dixon. Tutti, tranne Merle, tornano al campo che si trova fuori città; qui Rick ritrova la moglie Lori, il figlio Carl e il collega poliziotto Shane Walsh. Conosce inoltre altri sopravvissuti, come Dale Horvath, Carol Peletier e il fratello di Merle, Daryl. Un attacco da parte degli zombie distrugge l’accampamento, costringendo il gruppo a partire. I sopravvissuti trovano quindi rifugio nella fattoria di Hershel Greene e della sua famiglia, fra cui le figlie Beth e Maggie. Il gruppo di sopravvissuti guidato da Rick e la famiglia Greene si scontrano presto sulle modalità di gestione della comunità e sull’atteggiamento da tenere nei confronti dei non-morti, ma, nonostante tutto, Glenn e Maggie si innamorano. Dale viene morso da uno zombie e da questi sventrato. Sempre più violento e irrazionale, Shane – che nel periodo di assenza di Rick, credendolo morto, ha stretto una relazione con sua moglie Lori – cerca invece di uccidere Rick, che si salva accoltellando l’ex amico e collega. Con l’arrivo di una mandria di zombie il gruppo scappa di nuovo, abbandonando però Andrea, che vaga da sola. Dopo mesi di viaggio, il gruppo capeggiato da Rick scopre una prigione abbandonata e se ne impossessa, uccidendo tutti gli zombie rimasti all’interno. Un ex-prigioniero, però, fa penetrare degli zombie, che finiscono per uccidere T-Dog. Intanto Lori, incinta, inizia il travaglio, ma muore dando alla luce la piccola Judith. I fratelli Tyreese e Sasha Williams giungono alla prigione, diventata una comunità protetta, e chiedono rifugio. Nel frattempo Andrea conosce Michonne, una donna che viaggia accompagnata da due zombie tenuti per una catena e uccide i nonmorti con la sua katana. Le due donne vengono rapite da Merle e condotte nella comunità di Woodbury, dove il potere è gestito autoritariamente da un uomo che si fa chiamare il Governatore (il suo nome è in realtà Philip Blake). Quest’ultimo seduce Andrea, mentre Michonne, non fidandosi di lui, abbandona Woodbury, e compare davanti alla prigione. Un conflitto tra la comunità della prigione e quella di Woodbury scoppia quando Merle rapisce e tortura Glenn e Maggie. Mentre Rick e Michonne tentano di salvarli, i fratelli Dixon si ritrovano faccia a faccia. Il conflitto fra le comunità diventa così sempre più intenso.
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Nella prigione trovano intanto rifugio diversi altri sopravvissuti, fra i quali il medico Bob Stookey. Ormai solo, Il Governatore conosce Tara Chambler, con la sua famiglia, e decide un attacco decisivo contro la prigione, nel quale però perdono la vita sia Hershel che lo stesso Philip Blake. A causa dell’assalto, il rifugio della prigione non è più utilizzabile, poiché invaso dai non morti: il gruppo di Rick l’abbandona, ma si separa. Suddivisi in piccoli gruppi, i sopravvissuti sono attirati verso un luogo chiamato Terminus, che promette di essere un porto sicuro. Durante il viaggio verso Terminus, Beth viene rapita e caricata in un’automobile sconosciuta, mentre Glenn incontra il Sergente Abraham Ford con la fidanzata Rosita Espinosa: il gruppo di Abraham sta scortando verso Washington DC il dottor Eugene Porter, che afferma di possedere una cura per il virus che ha scatenato l’apocalisse zombie. Quelli che vi arrivano scoprono presto che Terminus è, in realtà, un luogo di orrori: un mattatoio gestito da un gruppo di cannibali maniaci, capitanati da Gareth. Carol, non vista dagli uomini di Terminus, si infiltra nel villaggio, lo distrugge e riesce a salvare e liberare i suoi amici. Una volta riunito, il gruppo di Rick riparte e finisce nei pressi della chiesa di Padre Gabriel Stokes. Alcuni sopravvissuti di Terminus, però, rapiscono Bob, e iniziano a mangiarne una gamba, scoprendo in seguito che l’uomo era stato morso da uno zombie. Mentre Bob muore nella chiesa, Gareth e i cannibali la attaccano, ma cadono vittime della trappola ideata da Rick, e vengono violentemente giustiziati. Il gruppo si separa di nuovo: alcuni rintracciano Beth presso un ospedale di Atlanta; gli altri procedono verso Washington DC, nella speranza di contribuire a trovare la cura per il virus che ha colpito l’America. Poco dopo, però, Eugene è costretto a confessare di aver mentito: non esiste alcuna cura. Nello scontro con i poliziotti dell’ospedale che gestiscono in maniera autoritaria il luogo, Beth si sacrifica per salvare il suo giovane amico Noah, che si unisce alla comunità. Rick decide di portare il gruppo alla ricerca della famiglia del ragazzo, in un paesino nelle campagne. Il villaggio, però, è già deserto e il viaggio risulta fatale per Tyreese, che viene morso da uno zombie. Per strada, il gruppo conosce casualmente Aaron, che conduce tutti verso Alexandria, una comunità fortificata nelle vicinanze di Washington DC. La cittadina è guidata da Deanna Monroe (ex membro del Congresso), mentre tra gli abitanti ci sono la dottoressa Denise Cloyd, la famiglia Anderson, e la giovane orfa-
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na Enid. Una missione alla ricerca di rifornimenti nelle vicinanze di Alexandria finisce male quando un gruppo di zombie divora Noah. Tornato a fare lo sceriffo entro le mura di Alexandria, Rick si scontra con Pete Anderson, responsabile di picchiare la moglie, Jessie. Ubriaco, Pete uccide il marito di Deanna per un tragico errore, e la donna, a capo della comunità, consente a Rick di giustiziarlo. Nello stesso momento arriva ad Alexandria Morgan, che da mesi sta inseguendo il gruppo. Alexandria viene salvata da una mandria di zombie che la minaccia, ma deve subire l’attacco di un gruppo di sociopatici, i Lupi, che finiscono per compromettere le mura del villaggio, facendo penetrare i vaganti. Mentre Abraham, Sasha e Daryl si allontanano, nella confusione, Deanna viene uccisa, e Jessie e i suoi figli vengono divorati. Ormai solitario, Daryl incontra Dwight accompagnato da due donne: questi lo ingannano e lo derubano. Riunito con Abraham e Sasha, Daryl incontra un gruppo di una comunità denominata i Salvatori, che li minaccia; egli però ha la meglio, e riesce a far saltare in aria gli antagonisti. Lo scontro si esacerba quando Dwight, che fa parte dei Salvatori, uccide Denise durante una missione alla ricerca di provviste. In maniera casuale Rick e Daryl conoscono Paul “Jesus” Rovia; questi li presenta alla sua comunità, che vive nel villaggio di Hilltop. La cittadina è sotto il diretto controllo dei Salvatori, che pretendono il pagamento di un “pizzo” regolare di provviste e armi. Gregory, a capo di Hilltop, offre scorte ad Alexandria come scambio per la liberazione dal giogo dei Salvatori. Rick e i suoi uomini armati si muovono segretamente e vanno a massacrare una base di Salvatori. Nel frattempo, Carol mostra segni di una forte crisi identitaria e fugge da Alexandria, segretamente seguita da Morgan. Ad Alexandria intanto Maggie è incinta, e la gravidanza le provoca problemi di salute. Un gruppo guidato da Rick la accompagna dalla cittadina verso Hilltop, dove un medico può prendersi cura di lei. Ma gli uomini di Rick vengono bloccati da altri Salvatori in armi, tra cui Dwight e una sorta vice-capo, di nome Simon. Finalmente sopraggiunge sul luogo il leader dei Salvatori, Negan, che si vendica dell’attacco condotto da Alexandria assassinando brutalmente sia Glenn che Abraham, e imponendo una tassa regolare anche a quella comunità. Quest’ultima viene così sottoposta al dominio di Negan,
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che compare puntualmente nel villaggio e usa violenza nei confronti dei suoi abitanti. Quando Spencer, figlio di Deanna, si oppone all’autorità di Rick e cerca di attivare un proprio rapporto diretto con i Salvatori, Negan lo sventra, additandolo pubblicamente come un codardo. Rosita tenta allora di sparare a Negan, che si vendica ammazzando un cittadino di Alexandria, e rapendo Eugene, che aveva fabbricato la pallottola usata da Rosita per l’attentato. Carol e Morgan finiscono nel frattempo in un’altra comunità limitrofa: il Regno, gestito da Re Ezekiel. Le comunità rappresentate da Rick (Alexandria) e da Jesus (Hilltop) chiedono al Regno un’alleanza politica. Il Re esita, ma dopo altri atti di violenza da parte dei Salvatori, cambia finalmente idea. Maggie, intanto, sfida la leadership di Gregory e prende il controllo di Hilltop, che si unisce nell’alleanza con le altre “colonie”, insieme a un ulteriore gruppo di sopravvissuti: i cosiddetti Scavarifiuti. Per vendicare Abraham, intanto, Sasha si infiltra nella città dei Salvatori, ma viene catturata. Negan cerca di usare la donna come pegno per negoziare, ancora una volta, con Alexandria. Ma Sasha, chiusa in una cassa, riesce a sacrificarsi e uccidersi, diventando uno zombie. Quando Negan apre la cassa, ne esce rapidissimo un non-morto che cerca, invano, di mordere con foga il leader dei Salvatori. Traditi dagli Scavarifiuti, la comunità di Rick si ritrova, ancora una volta, in balia della violenza cieca dei Salvatori. Gli uomini del Regno e di Hilltop, però, sopraggiungono in tempo per impedire un altro violento omicidio e per allontanare Negan.
NARRAZIONI SERIALI Collana diretta da Veronica Innocenti, Sara Martin, Valentina Re, Massimo Scaglioni Chiara Checcaglini, Breaking Bad. La chimica del Male: storia, temi, stile Federico Boni, American Horror Story. Una cartografia postmoderna del gotico americano 3. Sara Martin e Valentina Re (a cura di), Game of Thrones: Una mappa per immaginare mondi 4. Elisa Mandelli, In treatment. La serialità in analisi 1. 2.
Finito di stampare nel mese di ottobre 2017 da Digital Team - Fano (PU)