Sul bene (De bono)


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Collana Altra Conoscenza

Numenio di Apamea

Sul Bene De Bono Traduzione e note a cura di

Andrea Rossi Introduzione di

Chiara Ombretta Tommasi

l

Edizioni Ester

Collana: Altra Conoscenza Titolo:

"Sul Bene, De Bono"

Traduzione dal greco antico e note a cura di Andrea Rossi Introduzione di Chiara Ombretta Tommasi I Edizione italiana: Maggio 2020 Immagine di copertina: Octoechus variaque alia opuscula (Ms. B. V. 16 f. 53r): per gentile concessione della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino Impaginazione: InConception

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pieffe76@ic/oud.com [email protected]

Layout di copertina: Dario Pasqualini-

Questo testo è stato stampato presso Universalbook s.r.l., Rende

Edizioni Ester Via Traforo 32, 10053, Bussoleno, Torino.

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CS per conto di

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Tutti i diritti riservati sono dell'Editore. Ogni riproduzione, anche parziale e con qualsiasi mezzo, deve essere preventivamente autorizzata dall'autore. Nell'even­ tualità che testi o illustrazioni altrui siano riprodotti in questa pubblicazione, l'autore è a disposizione degli aventi diritto che non si siano potuti reperire. L'au­ tore porrà rimedio, dietro segnalazione, ad eventuali non volute omissioni e/o errori nei relativi riferimenti.

Indice

Introduzione

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Nota bibliografica Traduzione

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Libro Secondo Libro Terzo

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Libro Quarto (o Quinto) Libro Quinto Libro Sesto

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Note alla traduzione

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41 43

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Libro Primo

7

45 51 55 61 65

67 71

Introduzione

Originario, al pari del suo predecessore Posidoniol, della città di Apamea sull'Oronte, in Siria, vivace crocevia di culture2, Numenio sembra aver rappresentato al meglio l'incontro tra la filosofia greca platonico-pitagorica e le 1

È noto il fatto che Posidonio sia stato per la critica della fine dell'Ot­ tocento e dei primi del Novecento il personaggio cui attribuire in blocco la mediazione delle dottrine filosofiche greche al mondo lati­ no, in virtù del diffuso concetto che tendeva a sminuire la originalità romana rispetto a quella greca. Inoltre, Posidonio avrebbe sintetizzato nella sua dottrina concezioni platoniche e stoiche ad un tempo, giun­ gendo ad una fusione eclettica delle due scuole (per tacere di eventua­ li influssi orientali, stante la sua origine siriaca). Ad esempio, studiosi come Eduard Norden o Karl Reinhardt (Kosmos und Sympathie. Neue Untersuchungen ilber Poseidonios, Miinchen 1926) nelle loro interpre­ tazioni sono totalmente sensibili a questa tesi, che, soprattutto a ope­ ra di Pierre Boyancé, il quale attribuì invece ad Antioco di Ascalona questo ruolo di 'tramite', è andata ridimensionandosi, fino ad essere pressoché spenta nello studio di M. Laffranque, Poseidonios d'Apamée: essai de mise au point, Paris 1964. 2 Cfr. M. Facella, Languages, Cultura[ Identities and Elites in the Land of Mara bar Sarapion, in: AA.W., The Letter of Mara bar Sarapion in Context. Proceedings of the Symposium Held at Utrecht University, 10-12 December 2009. Edited by A. Merz and T.L. Tieleman, Leiden 2012, pp. 67-94. Che Numenio (il cui nome pare di origine fenicia) fosse originario di Apamea è attestato in tutte le fonti antiche, fino al lessico bizantino della Suda. Fa eccezione l'erudito di età giustinianea Giovanni Lido, che nel suo scritto De mensibus (4,80 e implicitamente in 4,53, accostan­ dolo a Tito Livio e Lucano) lo qualifica come "romano", forse per er­ rore, o forse alludendo al fatto che per qualche tempo il filosofo avesse insegnato anche in quella città.

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suggestioni provenienti da 'Oriente', esemplificate anche nell'idea di una verità presente in tutte le rivelazioni re­ ligiose3. Sfugge però il ruolo esatto giocato in questa tra­ sformazione, in quanto (come già per Posidonio, e forse in misura ancora maggiore) la sua opera ci è giunta solo in forma frammentaria, né della sua vita molto si può pre­ cisare. L'attività di Numenio, spesso legata nelle fonti (e già nel frammento 31 des Places) a quella di un filosofo anco­ ra meno conosciuto, il pitagorico Cronio4, si può appros­ simativamente collocare alla metà del secondo secolo d.C., l'epoca che Eric Robertson Dodds ha suggestiva­ mente definito "età di angoscia" per via dei fremiti di una crisi incipiente che andava attraversando un impero romano ormai giunto al massimo della sua espansione e della sua prosperità5• In quella stessa epoca, del resto, la diffusione della cultura all'interno del mondo greco-ro3 Su questo punto, cfr. già Posidonio (Sen. epist. 90,5-13, 20-25 e 30-32 fr. 284 Edelstein-Kidd). 4 Cfr. ad esempio Porph. v. Plot. 14 e 20; antr. 21; Eus. hist. ecci. 6,19,8; Iambl. de anim. ap. Stob. 1,375,14 Wachsmuth e 1,380,17, autore, se­ condo Nemes. 2,34,4, di un'opera sulla metempsicosi. Forse si deve identificare in Cranio il dedicatario dello scritto De morte Peregrini di Luciano. Cfr. K. Praechter, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., 11, coli. 1978-1982; J.M. Dillon, The Middle Platonists. 80 B.C. to A.D. 220, New York 1977, pp. 379 s. Interessante la menzione in Arnob. adv. nat. 2, 11 vas Platani, vas Cranio, vas Numenio vel cui libuerit creditis: nos credi­ mus et adquiescimus Christo (si ricordi che il secondo libro di Arnobio è fortemente influenzato dalla filosofia pagana e presenta singolari posizioni circa la dottrina dell'anima, attinte da più fonti: cfr. Ch.O. Tommasi, A la recherche des uiri noui: stratégies de la réfutation et enjeux polémiques chez Arnobe, in: AA.W., Exégèse, révélation et formation des dogmes dans l 'Antiquité Tardive, Actes édités par A. Le Boulluec, A. Ti­ motin, L.G. Soares Santoprete, Paris 2020, pp. 101-133). 5 Cfr. E.R. Dodds, Pagani e Cristiani in un 'epoca di angoscia, edizione italiana a cura di G. Lanata, Firenze 1970. =

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INTRODUZION E

mano è amplissima, grazie ad un alto grado di alfabetiz­ zazione e alla presenza di scuole, ovunque diffuse, sia in Oriente sia in Occidente, grazie a un evergetismo che si manifesta nel finanziamento delle scuole cittadine e nella creazione di biblioteche pubbliche. La massima parte della produzione letteraria è de­ centrata nelle città dell'impero, soprattutto quelle di lingua greca, dalle quali affluiscono verso la capitale personaggi e letterati, come Galeno ed Elio Aristide, nell'ambiente pagano, o Giustino tra i cristiani. Gli im­ peratori e i principali rappresentanti degli ordini su­ periori sono sostanzialmente bilingui; quasi tutti i let­ terati hanno la stessa competenza nelle due tradizioni letterarie: Svetonio, Frontone e Apuleio parlano il greco, il governatore e storico Arriano parla il latino, il celtico Favorino, originario di Arles, parla e scrive in greco e latino, il siciliano Panteno fonda la scuola catechetica di Alessandria; si eseguono numerose traduzioni dal greco in latino (ad esempio, Apuleio traduce il Fedone platonico e scrive manuali di filosofia basati essenzial­ mente su testi greci); a Roma si ascoltano conferenze in lingua greca di Massimo di Tiro, Favorino, Galeno e la lingua greca sembra che si sia imposta anche a corte, so­ prattutto con Adriano e Marco Aurelio, imperatori e let­ terati insieme6• L'espansione dell'Impero verso Oriente 6

Sul fiorire della letteratura nel II secolo si vedano almeno gli studi pionieristici di G.W. Bowersock, Greek Sophists in the Roman Empire, Oxford 1969; B. Reardon, Courants littéraries grecques des II e III siècle après f.-C., Paris 1971 ; più recentemente (nell'ambito di un revival degli studi dedicati a quest'epoca) S. Swain, Hellenism and Empire. Language, Classicism and Power in the Greek World, AD 50-250, Oxford 1 996. Sulla trasmissione della filosofia si vedano in particola­ re P.L. Donini, Le scuole, l'anima, l'impero. La filosofia antica da Antioco a Platino, Torino 1982; J. Whittaker, Platonic Philosophy in the Early

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e i contatti, sempre più messi in evidenza dalla critica, con civiltà non grecofone contribuisce ulteriormente ad allargare la visione della cultura e della società, come sarà dimostrato, ad esempio, nei secoli seguenti, da una ricca produzione in lingua siriaca7• Per restringere ulteriormente i termini cronologici della vita di Numenio, si può fare ricorso alla menzione (nel suo frammento 25, 1 7) di un filosofo di nome Mnase­ as, vissuto nel primo secolo d.C., e al fatto che Numenio è, a sua volta, citato negli Stromateis di Clemente di Ales­ sandria (1,22,150,4), composti agl'inizi del terzo secolo; mentre non del tutto chiarito è il rapporto di anteriorità o posteriorità rispetto alla raccolta degli Oracoli Caldaici, attribuita a due personaggi dai contorni semileggenda­ ri, padre e figlio, di nome Giuliano e vissuti all'epoca di Marco Aurelio8• Si può inoltre supporre che Numenio sia vissuto prima del platonico Attico, la cui attività pure Centuries of the Empire, in: ANRW 2.36.1, 1987, pp. 81-123; G. Kara­ manolis, Plato and Aristotle in Agreement? Platonists an Aristotle from Antiochus to Porphyry, Oxford 2006. 7 Cfr. G. Fowden, Gli effetti del monoteismo nella tarda antichità. Dall'Impero al Commonwealth, Roma 1997. 8 Cfr. H. Seng, Un livre sacré de l'Antiquité tardive: Les Oracles Chal­ dai'ques, Turnhout 2016; gli studi in: AA.VV., Die Chaldeischen Orakel: Kontext, Interpretation, Rezeption. Herausgegeben von H. Seng und M. Tardieu, Heidelbe,rg 2010; e in: AA.VV., Oracles Chaldai'ques: frag­ ments et philosophie, Edité par A. Lecerf, L. Saudelli, H. Seng, Hei­ delberg 2014. Per i rapporti tra Numenio e gli Oracoli si veda ora la ricostruzione di C. Elsas, Iranische und griechische Verstéindnismoglich­ keiten der Fragmente des Numenios von Apameia und der Chaldaeischen Orakel, in: AA.VV., Hierarchie und Ritual. Zur philosophischen Spiritua­ litéit in der Spéitantike. Herausgegeben von Ch.O. Tommasi, L.G. Soa­ res Santoprete, H. Seng, Heidelberg 2018, pp. 225-250. Pionieristiche considerazioni erano già state adombrate da E.R. Dodds, Numenius and Ammonius, in: AA.VV. , Les Sources de Plotin, Entretiens Hardt V, Vandoeuvres-Genève, pp. 3-61 .

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l NTRODUZION E

è da collocarsi all'epoca di Marco Aurelio, se si dà fede alla linea di successione di filosofi esposta da Proclo9; d'altro canto, alcuni frammenti dello stesso Attico sem­ brano presupporre Numenio10, e il discepolo di Attico, Arpocrazione, conosce l'opera del nostro. Benché i contorni biografici siano dunque assai nebu­ losi, indubbia è però l'importanza pionieristica rivestita da Numenio sugli sviluppi del platonismo posteriore. Essa risalta attraverso le testimonianze di autori succes­ sivi, tanto pagani quanto cristiani: Ammonio Sacca, Ori­ gene, Eusebio, Porfirio, Proclo, Siriano e i latini Calcidio e Macrobio, per non parlare di Plotino, che dovette persino difendersi dall'accusa di aver plagiato il suo predecessore di Apamea, come risulta dai passi di Porfirio, ove si ricor­ da l'opera scritta dall'altro discepolo di Plotino, Amelio,

Sulle differenze tra le dottrine di Plotino e quelle di Numenio11• Sempre a Porfirio si devono preziose indicazioni circa l'a­ bituale frequentazione di Plotino e dei suoi allievi con la 9 Procl. in Tim. 1,303,27-307, 19 Diehl. 10

Si vedano ad esempio i frr. 1-9 des Places di Attico, contro le ag­ giunte di elementi estranei al platonismo, da confrontare con i Jrr. 24-28 di Numenio; immagini di gusto letterario presenti in entrambi sono quella di Penteo (Att. fr. 1, 19 e Num. fr. 24,71 des Places) o la definizione del filosofo scettico Arcesilao come una seppia (Att. Jr. 7,78 e Num. fr. 25,77 des Places). Cfr. C. Moreschini, Attico: una figura singolare del medioplatonismo, in: ANRW 2.36.1, 1987, pp. 477-491. 11 Cfr. Porph. v. Plot. 17,1; che Amelio ammirasse Numenio e che al termine della sua vita si ritirasse proprio ad Apamea è ricordato sempre da Porfirio, v. Plot. 2 e 3. Al cap. 14 si narra come Numenio figurasse tra gli autori letti alla scuola romana di Plotino. Più in ge­ nerale, sui debiti filosofici di Porfirio nei confronti di Numenio si veda l'importante studio di J.H. Waszink, Porphyrius und Numenius, in: AA.VV., Porphyre, Entretiens Hardt XII, Vandoeuvres-Genève 1966, pp. 37-78, e l'ampia disamina di M. Zambon, Porphyre et le Moyen-Platonisme, Paris 2002. Altri aspetti sono discussi da E.R. Dodds, Numenius and Ammonius, cit., passim.

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lettura delle opere di Numenio: emerge quindi una con­ tinuità, ancora maggiore di quanto si solesse pensare, tra quei movimenti che la critica ha talora troppo recisamente distinto in medio e neo-platonismo. Similmente, se consi­ deriamo all'interno di questo dibattito di scuola anche la presenza di testi e autori appartenenti allo gnosticismo, si noterà come il quadro appare estremamente vivace e variegato: non a caso Numenio è stato talora ritenuto l'i­ spiratore di alcuni passi tra i più platonizzanti presenti nell'originale greco di scritti gnostici a noi pervenuti nella cosiddetta 'biblioteca' di Nag HammadP2• Ricordato ora come platonico, ora come pitagorico13, Numenio è autore di quella sintesi originale di pitagori­ smo e platonismo, che sviluppa spunti presenti nel pita­ gorismo del secolo precedente, in Eudoro e Moderato, e che sembra testimoniato anche dal coevo fiorire di scritti pseudepigrafi attribuiti a Pitagora o a filosofi pitagorici14• 1 2 Cfr. L. Brisson, The Platonic Background in the Apocalypse of Zo­ strianos: Numenius and Letter II attributed to Flato, in: AA.VV., Tradi­ tions of Platonism. Essays in Honour of J. Dillon. Edited by J.J. Cleary, Aldershot 1999, pp. 173-188. I testi platonizzanti di Nag Harnrnadi, cui accenneremo infra, sono stati oggetto di lunghi studi da parte di J.D. Turner, di cui si citi almeno il volume Sethian Gnosticism and the Platonic Tradition, Québec-Louvain-Paris 2001. 13 Platonico: Porph. v. Plat. 14, 12; Eus. Pr. ev. 11,21,7; Pitagorico: Orig. C. Cels. 1, 15; 6,51; 5,38; Porph. Ad Gaur. 34,20 ss.; Cale. in Tim. 297,8. Cfr. F. Jourdan, Sur le Bien de Numénius, Sur le Bien de Platon. L 'enseignement aral du ma'ìtre camme accasion de rechercher san pytha­ garisme dans ses écrits, 'XwQa' 15-16 (2017/2018), pp. 139-165; Ead., Numénius et Pythagare. Numénius: platanicien (pythagorisant) au pytha­ garicien (platanisant)?, in corso di stampa negli Atti della Giornata di Studi La Sacralisatian des figures pai(mnes à la fin de l'Antiquité, 12 juin 2018, a cura di L.M. Tissi. 14 Cfr. B. Centrane, The pseudo-Pythagarean Writings, in: AA.VV., A History af Pythagoreanism. Edited by C.A. Huffmann, Cambridge 2014, pp. 315-340; sulla fortuna, cfr. D.J. O'Meara, Pythagaras Revi-

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INTRODUZION E

Numenio pare aver sviluppato un sistema gerarchico di principi (àQxai.), che sembra preludere alle ipostasi plo­ tiniane di Uno, Intelletto e Anima del Mondo, non di­ sgiunto però da un dualismo con la materia di stampo plutarcheo15• Tale riflessione, si unisce a quella esegesi della antologia platonica, sviluppata dai membri della Antica Accademia e soprattutto dai medio-platonici, che, unitamente alle speculazioni neo-pitagoriche a proposito del sorgere della molteplicità dall'Uno, enfatizzò la de­ rivazione ipostatica delle realtà trascendentali e, infine, degli esseri. La tendenza predominante all'apofatismo si basò sulla lettura combinata di alcuni passi ormai cano­ nizzati tratti dal Timeo, dalla Repubblica e dal Parmenide (Tim. 28cl6, Resp. 50917, Parm. 137 ss. . ; ma anche Tim. 39e18; Soph. 248c-e19) e, secondo alcuni anche dalle "dottrine non

ved. Mathematics and Philosophy in Late Antiquity, Oxford 1998. 15 Agli sviluppi del concetto tra Platone e Platino è dedicato il denso e complesso saggio di H.J. Kramer, Der Ursprung der Geistme­ taphysik, Amsterdam 1967. 16 Sull'esegesi di questo celebre passo ("è un'impresa ritrovare chi sia l'artefice ed il padre dell'universo, e, una volta che lo si sia ritro­ vato, è impossibile parlarne a tutti") cfr. A. D. Nock, The Exegesis of Tim. 28c, 'Vigiliae Christianae' 16, 1962, pp. 79-86; più recentemente, J. Opso�er, To Find the Maker and Father. Proclus' Exegesis of Tim. 28C3-5, ' Etudes Platoniciennes' 2, 2006, pp. 261-283. 17 Ancora molto importante lo studio di J. Whittaker, EIT EKEINA NOY KAI OYI:IAI:, 'Vigiliae Christianae' 23, 1969, pp. 91-104; R. Mortley, From Word to Silence, Bonn 1986, I, pp. 73 ss. 18 Cfr. N. Spanu, The Interpretation of Timaeus 39e7-9 in the Context of Plotinus' and Numenius's Philosophical Circles, 'Studia Patristica' 63 2013, pp. 155-163. 1 9 Cfr. D. O'Brien, Le non ftre dans la philosophie grecque: Parmenide, Platon, Plotin, in: AA.VV. , Etudes sur le Sophiste de Platon. Publiées sous la direction de P. Aubenque, téxtes recueillis par M. Nancy, Na­ poli 1991, pp. 317-364.

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scritte"20, mentre la spuria seconda epistola va riguardata come un prodotto di quest'epoca21• Ma accanto alla linea ideale di continuità che si potrebbe tratteggiare partendo da Eudoro per arrivare ad Alkinoos e Numenio, tramite il neopitagorico Moderato, un posto rilevante è occupato altresì da uno gnostico come Basilide, il cui dio, secondo quanto ci testimonia lo pseudo-Ippolito (7,20 ss.) presenta notevoli relazioni con l'uno plotiniano22• A quanto si può ricostruire, Numenio è autore di opere che dovevano avere una certa estensione, oltre che una eleganza letteraria23: almeno sei libri del tratta-

20 Su quest'ultimo punto cfr. soprattutto H. Kramer, Platone e i fon­ damenti della metafisica, introduzione e traduzione di G. Reale, Mila­ no 2001. 21 Che la seconda epistola sia maturata in ambito medioplatonico è ormai acclarato, e del resto già E. Norden, Dio Ignoto. Ricerche sul­ la storia della forma del discorso religioso. Ed. italiana a cura di Ch.O. Tommasi Moreschini, Brescia 2002, p. 354, ne osservava la formu­ lazione stilistica profondamente influenzata dallo stile sacrale del tardoellenismo. Si vedano J.M. Rist, Neapythgoreanism and Plato's second Letter, 'Phronesis' 10, 1965, pp. 78-81; L. Brisson, The Platonic Background in the Apocalypse of Zostrianos: Numenius and Letter II attri­ buted to Plato, in: AA.VV., Traditions of Platonism. Essays in Honour of ]. Dillon. Edited by J.J. Cleary, Aldershot 1999, pp. 173-188. 22 Cfr. J. Whittaker, Basilides an the Ineffability of God, 'Harvard The­ ological Review' 62, 1969, pp. 367-371 e M. Jufresa, Basilides, a Path to Plotinus, 'Vigiliae Christianae' 35, 1981, pp. 1-15. Per la teologia ne­ gativa nel platonismo e nello gnosticismo cfr. R. van den Broek, Stu­ dies in Gnosticism and Alexandrian Christianity, Leiden 1996, pp. 42-55 (il capitolo intitolato: Apuleius, Gnostics and Magicians an the Nature of God); J.P. Kenney, Ancient apophatic theology, in: AA.VV., Gnosticism and later Platonism. Edited by J.D. Turner and R. Majercik, Atlanta 2000, pp. 259-276; e gli studi in: AA.VV., Arrhetos Theos. L'ineffabilità del Primo Principio nel Medioplatonismo. A cura di F. Calabi, Pisa 2002. 23 A titolo di esempio si veda H. Whittaker, Numenius' Jragment 2 and the literary tradition, 'Sy mbolae Osloenses' 68, 1993, pp. 96-99. Unanimemente gli studiosi concordano nel ritenere il fr. 26 des Pia-

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INTRODUZION E

to, in forma di dialogo di stampo platonico, Sul bene24, dedicato alla natura del primo principio e di cui viene qui presentata la traduzione italiana; due di quello Sul­ la incorruttibilità dell'anima25; più difficile da contes tua­ lizzare il testo Sulle dottrine segrete di Platone26, di cui resta solo un frammento, il n. 23, che si richiama all'Eu­ tijrone: forse Numenio vi proponeva una interpretazio­ ne allegorica dei dialoghi, o forse ricercava un'origine pitagorica delle dottrine platoniche27• L'idea di una interpretazione allegorica dei testi platonici e omerici, che sarebbe divenuta canonica nel tardo Neoplatoni­ smo, sembra suffragata anche dal frammento 35, una esegesi del mito di Er che conclude la Repubblica; si può ipotizzare che questo frammento facesse parte di uno scritto a sé stante, in cui veniva interpretato anche il mito dell'antro delle Ninfe (Horn. Od. 1 3, 1 02- 1 1 2; frr. 30-33), oggetto parimenti di una esegesi da parte di Porfirio, e non è chiaro se il fr. 37, che allegorizza un passo del Timeo sulla lotta tra Atlantide e Atene fosse derivato da un commento specifico a questo dialogo (di cui non si ha notizia) oppure fosse parte di un'al­ tra opera28• I riferimenti a vari dèi (Serapide, Apollo,

ces, dai toni di commedia, un pezzo di bravura alla Luciano. 24 Cfr. Eus. Pr. ev. 11, 18,22. 25 Cfr. Orig. C. Ce/s. 5,57. 26 Citato in Eus. Pr. ev. 13,4,4. 27 Cfr. J.M. Dillon, 'Orthodoxy' and 'Eclecticism'. Middle-Platonists and Neo-Pythagoreans, in: AA.VV., The Question of "Eclecticism". Stu­ dies in Later Greek Philosophy. Edited by J.M. Dillon and A.A. Long, Berkeley 1988, pp. 103-125. 28 Sulla base di un'allusione in Prad. in Remp. 2,96, 11 ss. Kroll. Cfr. K. F. Jourdan, Traditions bibliques et traditions égyptiennes au service d'une exégèse du mythe d'Er: Numénius et l'allégorie d'Homère dans le

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Hermes, Maia, Efesto e anche Jahvé) nei frammenti 5358 porterebbero a presupporre anche un trattato Sugli dèi, ma la notizia è tutt'altro che sicura. L'interesse per le vicende dell'Accademia platonica doveva animare un altro scritto, citato variamente nel libro quattordi­ cesimo della Preparazione al Vangelo di Eusebio, Sulla divisione degli Accademici da Platone, una sorta di storia della filosofia che andava verisimilmente da Senocra­ te fino ad Antioco di Ascalona: ivi si doveva annettere grande importanza alla seconda epistola pseudoplato­ nica e si critica la vena scettica che si era impadronita dell'Accademia, una polemica forse diretta contro al­ cune tendenze ancora in voga (riscontrabili ad esem­ pio in Favorino o nell'anonimo Commento al Teeteto); un lungo frammento adotta toni quasi da commedia per stigmatizzare Lacide, il discepolo di Arcesilao, vissuto nel III sec. a.C., divenuto scettico dopo essere stato gab­ bato dai suoi schiavi. Origene29 menziona altri tre titoli, che sono però puri nomi, Epops (l'upupa, ma non senza una assonanza con il termine di È7t07t'rELa, che indica una forma di divinazione), Sui numeri (probabilmente di ispirazione pitagorica), Sul luogo (in cui si dovevano presentare anche interpretazioni allegoriche dell' Anti­ co Testamento).

Jragment 30 des Places, 'Les Études philosophiques' 153, 2015, pp. 431452; M.J . Edwards, Numenius, Pherecydes and the Cave of the Nymphs, ' Classica! Quarterly' 40, 1990, pp. 258-262; K. Alt, Homers Nymphen­ grotte in der Deutung des Porphyrios, 'Hermes' 126, 1998, pp. 466-487. Più in generale, sui procedimenti della allegorizzazione omerica nel Neoplatonismo si veda R. Lamberton, Homer the theologian: Neoplato­ nist allegorica[ reading and the growth of the epic tradition, Berkeley-Lo­ sAngeles-London 1986. 29 Cfr. Orig. C. Cels. 4,51.

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INTRODUZION E

Il pitagorisrno di Nurnenio emerge nel considerare il filosofo di Sarno come capostipite di tutta la filosofia, che avrebbe uno statuto simile a quello delle religioni rive­ late; egli traccia così una linea Pitagora-Socrate-Platone (il cui deviare dalle dottrine pitagoriche sembra essere per Nurnenio responsabile dello scetticismo): nel primo frammento viene persino presentata l'idea di un cammi­ no quasi di ascesi che va da Platone a Pitagora. D'altro canto, il presunto legame tra Platone e Pitagora aveva in­ formato il dibattito nella antica Accademia, come risulta ad esempio dall'esempio di Senocrate, e in qualche caso aveva dato adito, ancora una volta, ad accuse di plagio: Diogene Laerzio ricorda che secondo alcuni detrattori il Timeo aveva tratto ispirazione da Filolao30• E al Timeo, unitarnente agli interessi per l'aritrnolo­ gia, sembra volgersi Nurnenio per lo sviluppo della sua metafisica, che si coniuga nelle due direttrici della anto­ logia e della teologia, in una netta distinzione, con forti accenti dualistici, tra mondo sensibile e intelligibile31• La speculazione di Nurnenio muove quindi da una struttu­ ra ascendente, che identifica al grado più basso le real­ tà sensibili, poi quelle intellegibili (comprese le Forme platoniche) e infine il Bene, inteso come il dio primo e sommo, da cui dipende tutto ciò che esiste. Il Bene dun­ que è il sommo principio, cui seguono ad un livello più basso gli dèi, principi della realtà. Sempre sulla base del Timeo (31bc e 33), gli elementi sono intesi come una sorta di "sillabe" costituenti il inondo, che possono ottenere la 3°

Cfr. v. Phil. 8,85, notizia presente anche in Geli. Noct. Att. 3,17,4. 31 Sul ruolo di Platone, cfr. G. Boy s-Stones, Numenius on Intellect, Soul and the Authority of Plato, in: AA.VV., Authors and Authorities in Ancient Philosophy. Edited by J. Bryan, R. Wardy, J. Warren, Cambrid­ ge 2018, pp. 184-201.

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loro esistenza grazie ad una potenza, ad esempio l'ani­ ma. Sembrano ormai decisamente abbandonate le ipotesi formulate in passato, a partire dalla interpretazione del fr. 21, che il sistema di Numenio prevedesse solamente due dèP2; viceversa, gli studiosi sono ora concordi nel ritenere che Numenio avesse postulato una gerarchia precisa di tre dèi (il primo dio o Padre, il secondo dio o Demiurgo, il terzo, ossia ciò che è stato creato, vale a dire il cosmo, come esplicitato nel fr. 1 1 ), basandosi su Tim. 39e, nella quale si risolve il dualismo dio-mate­ ria33. D'altra parte, il rapporto tra queste tre entità (che sembrano anticipare le ipostasi plotiniane e che furono intese dai cristiani come un precorrimento della Trinità) non resta nel vago, ma si precisa come rapporto di 'uso in aggiunta' (rrQOGXQflGLç)34, nel momento in cui tutti i membri di questa gerarchia si legano tra loro mediante funzioni determinate, che ne costituiscono la relazione vicendevole. Tale gerarchia è esplicitata nei frammenti 21 e 22, ove si impiegano anche metafore 'familiari' , non­ no-figlio-nipote. Come ha efficacemente sostenuto il grande studioso della filosofia islamica (e particolarmente delle sue ere­ dità platoniche o delle 'derive' gnostiche) Henry Corbin

32 Cfr. soprattutto P. Merlan, Drei Anmerkungen zu Numenius, 'Phi­ lologus' 106, 1962, pp. 137-145.

33 A favore di questa ipotesi va anche il fatto che un sistema di tre

dèi sia attribuito a Socrate nel fr. 24 des Places. 34 Il termine è poco perspicuo; esso appare comunque già in Plat. Tim. 28a. Cfr. J.-P. Kenney, Proschresis revisited: an essay in Numenian theology, in: AA.VV., Origeniana quinta. Papers of the 5th Internatio­ nal Origen Congress. Boston College, 14-18 August 1989. Edited by R.J . Daly, Leuven 1992, pp. 217-230.

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INTRODUZION E

nel suo Le paradoxe du monothéisme35, ogni speculazione su Dio e la progressione degli esseri può essere ricondot­ ta al Parmenide di Platone ed alla sua esegesi tardo-an­ tica, in quanto tale dialogo presuppone chiaramente il tentativo di connettere la pluralità all'Essere ovvero, in altre parole, a spiegare come la differenza tra le creature, in quanto immagini dell'essere, possano essere integra­ te nella unità suprema. È senz'altro vero che l'uso del Parmenide non appare ancora troppo accentuato, ma in Numenio, come in molti autori del periodo, si vedono i prodromi di questa futura riflessione (per l'Uno cfr. il fr. 5 des Places) . Unendo la nozione platonica d i uno-bene alla mona­ de pitagorica, il Primo dio e primo intelletto è dunque semplice, inoperoso, immobile, è auto-essere e riposa in compagnia di se stesso, è bontà assoluta, identico alla Forma del Bene, e fonte dell'essere. Analogamente a quanto presuppongono autori coevi (ad esempio Apu­ leio ed Alkinoos ), questo dio è naturalmente ineffabile e incomprensibile36, a stento raggiungibile per mezzo di

35 Paris 1981 (vd. l'edizione italiana Il paradosso del monoteismo, Casale

Monferrato 1986). Su questo stesso tema si veda già il fondamentale articolo di E.R. Dodds, The Parmenides of Flato and the Origin of the Ne­ oplatonic One, 'Classical Quarterly' 82, 1928, pp. 129-142. Per il caso di Numenio cfr. le riconsiderazioni recenti di F. Jourdan, Numénius a-t-il commenté le Parménide? Première partie: L'reuvre parvenue de Numénius et le Parménide de Platon, 'Revue de philosophie ancienne' 37, 2019, pp. 101-151; Numénius a-t-il commenté le Parménide? Deuxième partie: Nu­ ménius et le Commentaire anonyme au Parménide, ibid., pp. 209-277. 36 Cfr., e.g., Apul. Plat. 1,5; Alk. Did. 10, con J. Whittaker, Numenius and Alcinous on the First Principle, 'Phoenix' 32, 1984, pp. 144-154. Importante anche J. Mansfeld, Compatible alternatives: Middle Pla­ tonist theology and the Xenophanes reception, in: AA.VV., Knowledge of God in the Graeco-Roman World. Edited by R. van den Broek, T. Baarda and J. Mansfeld, Leiden 1988, pp. 92-117.

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S U L B E N E , DE B O N O N UM E N I O D I A PA M E A

una visione mistica, che permetta di contemplare la di­ vinità da solo a solo37• Dai frammenti si può comunque ricavare che se l'intelligenza prima è superiore all'essere e all'idea ed è dotata di pensiero, Numenio al pari di altri ha concepito le idee come pensieri prodotti dall'atti­ vità noetica della più alta intelligenza e originariamente contenuti in essa3 8 • Essere assoluto, vivente intellegibile, da un lato sormonta l'esistenza, dall'altra parte sembra connaturato ad essa, probabilmente come risultato di al­ cune discussioni tra i platonici se Dio vada identificato con l'essere o sia al di là dell'essere. L'apparente contraddizione, ossia come possa il primo dio essere causa delle cose se è inerte, e come può essere semplice un intelletto che pensa, è risolta postulando la presenza di un secondo dio o secondo intelletto, che equi­ vale al Demiurgo del Timeo, e del quale il Primo si serve per pensare. La contrapposizione tra monade (maschile) e diade indefinita (femminile) viene, già a partire dai pri­ mi Accademici, talora ulteriormente precisata nei termini

37 Cfr. il fr. 2 des Places. La stessa dottrina si ritrova più compiuta­

mente sviluppata in Plot. 6,9, 12. 38 D.J. O'Meara, Being in Numenius and Plotinus. Some Points of Com­ parison, 'Phronesis' 21, 1976, pp. 120-130; J. Holzhausen, Eine An­ merkung zum Verhiiltnis von Numenios und Plotin, 'Hermes' 120, 1992, pp. 250-255; J.M. Dillon, Numenius: Some Ontological Questions, in: AA.VV., Greek and Roman Philosophy 100 BCE-200 CE. Edited by R. W. Sharples and R. Sorabji, London 2007, pp. 397-402; A. Michalewski, Le Premier de Numénius et l'Un de Plotin, 'Archives de Philosophie' 75, 2012, pp. 29-48; F. Jourdan, Une mystique de Numénius inspirant celle de Piotin? Analyse du fragment 2 (des Places) du IlE QL Tàya8oD, in: AA.VV., Hierarchie und Ritual. Zur philosophischen Spiritualitiit in der Spiitantike. Herausgegeben von Ch.O. Tommasi, L.G. Soares Santo­ prete und H. Seng, Heidelberg 2018, pp. 195-224. Cfr. anche J. Hal­ fwassen, Geist und Selbstbewufltsein. Studien zu Plotin und Numenios, Stuttgart 1994.

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[NTRODUZION E

di una oscillazione tra la buvaf.uç, o potenza, costituita dal Primo principio, immobile e non contaminabile, e la sua ÈVÉQYEt.a, attività di tipo demiurgico, che si concretiz­ za in un passaggio dall'essere puro alla sua forma, dalla potenza all'atto, da quanto è celato a quanto è palese39• Tale distinzione venne recepita ed accolta dai Pitagori­ ci (e da Alkinoos ), ma anche dagli Oracoli Caldaici; anche quanti non adottano una distinzione in due dèi (ad esem­ pio Plutarco, Attico, o Filone), ugualmente però tendono a marcare la distinzione tra Dio e il suo Logos; sensibile ad essa, si mostra pure lo gnosticismo, particolarmente in quegli scritti sethiani maggiormente influenzati dal me­ dioplatonismo, rinvenuti a Nag-Hammadi, come in Mar­ sanes (NHC X, 1), ove l'Uno silenzioso si esteriorizza nel Tripotente Uno, cui sono demandate le funzioni di salvare e redimere l'umanità; inAllogenes (NHC Xl,3) questi tratti oppositivi sono ancor più marcati, in quanto l'essere è ca­ ratterizzato dalla stasi e la vita dal movimento; mentre ne Le tre Stele di Seth (NHC VII,S) è detto che l'Uno possiede in sé, in forma nascosta e potenziale, il moto, e viceversa l'Uno-molti racchiude la stabilità in forma nascosta: an­ che nel valentiniano Vangelo di Verità (NHC 1,3) 24,9-17, il Padre rivela il Figlio, che è nascosto in lui, affinché gli altri possano conoscerLo. Un'analisi congiunta dei frr. 1 1 e 21 permette di os­ servare come Numenio si richiami a questo schema, già presente in Moderato, di tre dèi, nel quale non sono as­ senti suggestioni dalla seconda epistola pseudoplatonica, in particolare il passo di 312e, "ogni essere sta intorno al re del tutto; tutto è per merito suo, ed è causa di tutte le 39 Plut. de Is. et Os. 376c, ed ancora Num. fr. 15 des Places; Max. Tyr. diss. 11; Alk. Did. 10. Per la teologia cristiana, cfr. Mare. Ancyr. fr. 121 Klostermann; ed anche il cap. 51 dell'adv. Arium di Mario Vittorino.

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cose belle. Le realtà del secondo ordine stanno intorno al secondo, e quelle del terz'ordine al terzo". Il primo Dio viene caratterizzato come Padre, il secondo come Fattore (Demiurgo) e il terzo come fattura. Un'ambiguità è pre­ sente nella caratterizzazione del Demiurgo come dupli­ ce (bL'r-toç), costituito dal primo e dal secondo Dio: non è chiaro se questo punto sia un errore di Proclo, che ci tramanda il frammento, giacché di norma il Demiurgo è ritenuto duplice, in quanto si volge alla contemplazione dell'Intelletto da un lato, e all'ordinamento della materia dall'altro (come ad esempio esplicitamente asserito nel.fr. 1 1 )40, oppure se non si possa supporre che Proclo volesse caratterizzare con la duplicità tra primo e secondo Dio un qualcosa di simile al rapporto tra un logos immanente e un logos esteriorizzato, analogamente a quella che sareb­ be stata la concezione della doppia diade (Padre/Figlio e Figlio/Spirito) in Mario Vittorino41 e che, di conseguenza, i due passi non siano necessariamente da leggere come contraddittori. La distinzione tra i due primi dèi, che ri­ corda molto da vicino il sistema degli Oracoli Caldaici42 è ribadita molte volte da Numenio, soprattutto nei termini di stasi e moto43• 40 Su questo ordine, designato come ac.Ytr]QLa (salvezza, nel senso di

preservazione) al fr. 15, cfr. H. Tarrant, Salvation from God in De mundo and Numenius, in: AA.VV., The Idea ofSalvation. Papers from the Confe­ rence on the Idea of Salvation, Sacred and Secular, St. Paul's College, University of Sidney, 22-25 August 1986. Edited by D. W. Dockrill and R.G. Tanner, Auckland 1988, pp. 24-30. Interessante è anche l'impiego di lXQf.lOVta al fr. 18 des Places, in cui l'immagine del timoniere e dei cicli cosmici è ispirata dal Politico di Platone (272e). 41 Cfr. Mario Vittorino, Opere Teologiche. A cura di C. Moreschini, con la collaborazione di Ch.O. Tommasi, Torino 2007. 42 Cfr. fr. 17d da confrontare con Or. Chald. 7 des Places. 43 Anche in questo caso si tratta di una immagine largamente diffu-

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Inoltre, caratteristica particolarmente interessante del Demiurgo di Numenio è il fatto che assommi in sé tutte le forme, mentre invece il primo intelletto pensa solo se stesso. Secondo Dillon, i frr. 16, 19 e 20 sembrerebbero presentare inoltre alcuni tratti di 'ignoranza', che lo av­ vicinerebbero al Demiurgo gnostico: il Demiurgo cree­ rebbe 'imitando' il Bene e sarebbe spinto da un impulso passionale per la materia. È però pienamente risponden­ te allo spirito greco il fatto che, allorquando il Demiurgo pensa le Forme e produce la creazione "aggiungendo" queste ultime alla materia, trasmette il bene al mondo cui dà esistenza (secondo l'interpretazione, corrente all'epoca, di una creazione nel tempo)44, in una armonia che è quella dell'anima del mondo del Timeo, immanen­ te nell'universo sensibile. Avremo così una terza intelli­ genza, attiva nel preservare e conservare il mondo nella sua esistenza, benché per certi aspetti questo terzo intel­ letto/anima non sia distinguibile dal mondo, anzi lo ten­ ga insieme. Poiché, in ultima analisi, deriva dal bene, il mondo della generazione è buono, trasmesso dal primo al secondo dio e realizzato mediante il terzo45• A parere di Georg Karamanolis, Numenio in questo modo voleva probabilmente evitare di rendere Dio corresponsabile del male. È però vero che Numenio presenta un forte duali­ smo dio-materia (che è quindi mero ricettacolo, mentre

sa: cfr. M.A. Williams, The immovable race, Leiden 1985. Cfr. M. Baltes, Die Weltentstehung des platonischen Timaios nach den antiken Interpreten, Leiden 1978. 45 Si vedano a questo riguardo gli sviluppi in Plot. 1,6; 3,8; 5,8. Utile sintesi in J. Opsomer, Demiurges in Early Imperia/ Platonism, in: AA.VV., Gott und die GOtter bei Plutarch. Gotterbilder - Gottesbilder - Weltbilder. He­ rausgegeben von R. Hirsch-Luipold, Berlin-New York 2005, pp. 51-99. 44

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solo ciò che è incorporeo non è soggetto a corruzione), come Plutarco e Attico, in ciò differenziandosi dai pita­ gorici come Nicomaco di Gerasa o Eudoro o Moderato, per i quali la materia era da identificarsi con la diade, ma in ultima analisi discendeva dall'Uno46• La materia non è creata, ma coetema e distinta da Dio, illimitata, senza forma e qualità, e dunque priva di logos, disor­ dinata e inconoscibile, secondo dei tratti condivisi con il platonismo coevo e parzialmente da assimilarsi alla Diade infinita47, come risultato di una speculazione che si fa risalire al noto frammento senocrateo48, ove si de­ finisce la monade maschile e principio di intelletto, e la diade infinita, datrice della vita, femminile, dal che sem­ bra evincersi ancora una sorta di dualismo, postulante i due principi indipendenti tra loro. D'altra parte, la linea speculativa in massima parte pitagorica - non esente, tuttavia, da una perdurante opera di esegesi di concetti platonici - che si sviluppò in tutta la prima età imperia-

46 Cfr. Nic. Geras. ap. Phot. Bibl. 143a24; Eud. ap. Simpl. in Phys.

181,10-30 Diels; Moderat. ap. Simpl. in Phys. 231,6-24 Diels. Cfr. la cri­ tica che Numenio formula nei loro riguardi, senza nominarli, nelJr. 15 des Places. 47 Una utile e intelligente discussione in J.M. Dillon, Female princi­ ples in Platonism, 'lthaca' l, 1986, pp. 107-123. Per i passi di Numenio e dei suoi contemporanei cfr. Cale. in Tim. 297,7-301,20, da confron­ tare cpn il fr. 52 des Places; Alk. Did. 12; Antioch. ap. Cic. Acad. 2,27. Cfr. E. des Places, La matière dans le platonisme moyen, surtout chez Numénius et dans les Oracles chaldai'ques, in: AA.VV., Zetesis. Album amicorum. Festschrift Prof. Dr. E. de Strycker, Antwerp-Utrecht 1973, pp. 215-223. 48 Cfr. Xenocr.fr. 15 Heinze 213 IsnardiParente. Anche Speusippo aveva espresso un concetto analogo: cfr. fr. 72 Isnardi Parente (ap. Iambl. de comm. math. se., nel cap. 4). Per ulteriori contrapposizioni tra monade e diade nella filosofia pitagorica, cfr. anche ps.-Hipp. Ref 1,2,6 ss.; Plut. de anim. pr. in Tim. 1012e ss. =

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le avrebbe stemperato i toni di tale rigida divisione, in base alla quale la Diade indefinita non veniva più intesa quale archè al pari della Monade, bensì era considerata derivata da essa, sfumando quindi la componente di ne­ gatività insita in tale secondo principio, e considerarlo solamente come l'altro lato di un'unica medaglia49• La stessa dottrina platonica non è del resto priva di elementi dualistici: ai vari gradi in cui è tratteggiato un principio di segno femminile, la caratteristica 'vitale' è sempre presente, sebbene con sfumature di volta in vol­ ta più o meno negative: a cominciare dalla materia, puro ricettacolo passivo, per giungere ai maggiori problemi posti dalla focalizzazione, nel libro decimo delle Leggi, dell'anima del mondo, che può inclinare tanto al bene quanto al male. Né, infine, è assente un principio generatore di natura superiore, equiparabile a quello che per i futuri seguaci 49 Sul dualismo come categoria storico-religiosa, si vedano gli studi fondamentali di U. Bianchi, Prometeo, Orfeo, Adamo. Tematiche religio­ se sul destino, il male, la salvezza, Roma 1976: cfr. p. 16, ove lo studio­ so definisce il dualismo in ambito storico religioso come qualunque dottrina che presenti due principi contrapposti, che non necessaria­ mente devono essere coeterni; e p. 25 in cui esamina il problema dei rapporti tra il tardo Platone ed il dualismo iranico; indubitabili invece sono le connessioni con il pensiero orfico-pitagorico. Dello stesso U. Bianchi, cfr. Selected essays on Gnosticism, Dualism and Miste­ riosophy, Leiden 1978 (in particolare le pp. 49-62; 58-59 sul dualismo in Platone). Per quanto concerne l'ambito filosofico, si veda J.M. Rist, Monism: Plotinus and some Predecessors, 'Harvard Studies in Classical Philology' 70, 1965, pp. 329-344; A.H. Armstrong, Dualism: Platonic, Gnostic and Christian, in: AA.VV., Neoplatonism and Gnosticism. Edi­ ted by R.T Wallis and J. Bregman, New York 1992, pp. 33-54; e la raccolta di studi in: Dualismes, Doctrines religieuses et traditions philo­ sophiques ('XwQa' Hors-série, 2015). Volume coordonné par F. Jour­ dan et A. Vasiliu. Su Numenio in particolare cfr. K. Alt, Weltflucht und Weltbejahung bei Plutarchos, Numenios, Plotin, Stuttgart 1993; C. Elsas, Iranische und griechische Verstéindnismoglichkeiten, cit., passim.

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dell'Accademia sarebbe stata la Diade. Più complessa è la posizione assunta da Plutarco in quel trattato perme­ ato di influssi greci, e non soltanto greci, che è il de Iside et Osiride: lo scrittore inclina infatti fortemente verso il dualismo, ma caratterizza Iside, sulla scorta di espres­ sioni derivanti dal Timeo, come vita e grembo universa­ le, volti al bene e alla parte migliore (372e); Iside appare pertanto qui una sorta di anima del mondo che deve es­ sere, per cosi dire, formata dall'intelletto50• Gli stessi temi ricorrono in un'opera di carattere meno sistematico, quali sono gli Oracoli Caldaici51• Benché non sia in alcun modo possibile provare se Numenio conoscesse o meno Filone, si può in ogni caso accennare al ruolo nella speculazione filoniana di un principio femminile che si ponga come tramite tra Dio e l'opera della sua creazione, o che persino giunga a raffi­ gurare il suo aspetto creatore, simile in ciò al Logos, ov­ vero alla Atena degli Stoici (o, che dir si voglia, a quella che poi sarebbe stata la Rea dei neoplatonici). Pur nella problematicità di inserire un principio femminile in un quadro rigidamente monoteista, accanto a formulazioni evidentemente paradossali, quali quella del Logos gra-

50 Un concetto simile in ambito medioplatonico si ripropone anche in Alk. Did., nel cap. 14. Sembra tuttavia che anche nella originale letteratura religiosa egiziana si trovassero già formulazioni di tale tenore (cfr. Ph. Perkins, Sophia as Goddess in the Nag-Hammadi Codices, in: AA.VV., Images of Feminine in Gnosticism. Edited by K.L. King, Philadelphia 1988, pp. 96- 112). 51 Cfr. al riguardo la discussione di H. Lewy, Chaldean Oracles and Theurgy, Nouvelle édition par M. Tardieu, Paris 2011, p. 341: . La �uvaf.Hç, fi­ gura mediana tra il Padre e l'Intelletto paterno, talora identificata con Ecate, rappresenta questo aspetto femminile generativo.

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vido52, Filone impiega a questo scopo la figura di Sophia, che media appunto tanto dalla filosofia del Portico quan­ to dal giudaismo (la Sapienza di Dio) . Egli infatti giunge ad unire le nozioni di logos e sapienza, considerandole ambedue tra le potenze di Dio53: determinanti sono in tal senso passi scritturistici quali Iob 12,13, e più in particola­ re Prov. 8,22, in cui la sapienza ordinatrice è detta essere la prima delle opere di Dio, ma soprattutto l'intero libro della Sapienza, che, come è noto, risulta profondamente imbevuto di filosofia ellenistica, e meritò l'appellativo di 'Salomone greco' . È dunque oggetto di discussione se Numenio inten­ desse la materia come animata da un qualcosa di ester­ no e malvagio, oppure se essa fosse da identificarsi con l'anima del mondo54• Della materia sarebbero permeate non solo le anime inferiori e passionali, ma anche gli dèi planetari, un tratto che i Neoplatonici successivi sembrano invece rigettare, con l'eccezione di Giambli­ co, In Tim. fr. 46. Ne consegue che Numenio oscilla tra il considerare il mondo stesso come malvagio, origi­ natosi a partire da rivolgimenti e cataclismi (al pari di molti sistemi gnostici), e kosmos, ordinato e dominato dal sommo bene55•

52 Cfr. Phil. Al. leg. ali. 1, 104. 53 Cfr. Phil. Al. leg. ali. 1,65. 54 Cfr. M. Baltes, Numenios von Apamea und der Platonische Timaios, 'Vigiliae Christianae' 29, 1975, pp. 241-270; W. Deuse, Untersuchungen zur mittelplatonischen und neuplatonischen Seelenlehre, Wiesbaden 1983, pp. 68 ss. 55 Cfr. E. Vimercati, La materia e il male in Numenio di Apamea, 'Fi­ losofia e Teologia' 26, 2012, pp. 77-92; F. Jourdan, La matière à l'ori­ gine du mal chez Numénius. Un enseignement explicité chez Macrobe? Première partie: la doctrine du corps astrai et des Jacultés produites par

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Del resto, la stessa anima del mondo non ha uno sta­ tuto del tutto chiaro: in parte essa potrebbe coincidere con il terzo Dio (designato come 'fattura', noLrn.ta), si­ milmente a quanto asserisce Plutarco, per cui l'anima del mondo sarebbe il corpo di Osiride56, e dunque sa­ rebbe un intelletto che proietta le forme sul mondo fisi­ co. In questo caso, la presenza di un'anima del mondo razionale verrebbe a coincidere con un logos immanen­ te. Viceversa, il fr. 52 sembra presentare due anime del mondo, una buona (sostanzialmente equivalente al ter­ zo dio) e una malvagia, che sembra trovare un parallelo nelle figure di Seth-Tifone o Ahriman del de Iside. Da ciò si può vedere come Numenio annetta particolare interesse alle dottrine sull'anima, tanto universale, quan­ to individuale, come parte del suo sistema cosmologico e metafisico che, in nuce, come si è detto, anticipa quella dei platonici posteriori. L'attenzione per lo statuto dell'anima, la sua condizione e il suo destino era comunque un tema comune a tutti gli autori dell'epoca, non di rado disgiunto dal senso di una crisi imminente, di un destino implaca-

lame lors de sa descente à travers les sphères planétaires, 'Revue de Phi­ losophie Ancienne' 31, 2013, pp. 41-97; Ead., La matière à l'origine du mal chez Numénius. Un enseignement explicité chez Macrobe? Deuxième partie: La doctrine de la matière affectant lame lors de sa descente vers le corps terrestre, ibid., 149-178; Ead., La matière à l'origine du mal chez Nu­ ménius (jr. 52 des Places, Calcidius; cf fr. 43 des Places, famblique), 'Phi­ losophie antique' 2014, pp. 185-235; Ead., Le fragment 43 (des flaces) de Numénius. Problèmes d'édition, tentatives d'interprétation, ' Etudes plato!.J.iciennes', 10, 2013; Ead., Materie und Seele in Numenios' Lehre vom Ubel und Bosen, in: AA. VV., Die Wurzel allen Ubels. Vorstellungen uber die Herkunft des Bosen und Schlechten in der Philosophie und Re­ ligion des 1.-4. Jahrhunderts. Herausgegeben von F. Jourdan und R. Hirsch-Luipold, Tiibingen 2014, pp. 133-210. 56 Cfr. de Is. et Os. 373a-b.

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bile che sovrasta l'uomo in questa vita terrena57• Anche in questo caso, le dottrine di Numenio saranno poi discusse nel neoplatonismo più tardo (in Porfirio e Giamblico, ma anche nel mondo latino, come mostrano i casi di Calcidio e Macrobio )58• I frammenti permettono di ricostruire una dottrina che applica tanto all'anima universale quanto a quella individuale la dottrina delle omeomerie di ascendenza anassagorea, per cui in ogni parte sono presenti tutti gli elementi, naturalmente nella misura appropriata a cia­ scuno di essi (cfr. fr. 41): per Numenio dunque il mondo intellettuale, gli dèi e i demoni erano collocati nell'anima divisibile (�EQtaTi)), in quanto non ammetteva una distin­ zione tra l'anima e ciò da cui essa ha origine. Secondo il fr. 45 l'anima sarebbe dotata di una facoltà che dà impulso a tutte le azioni, una sorta di principio razionale simile a quello stoico, ma che in ultima analisi risale al Protagora ed è attestata anche in Celso. Al tempo stesso, non sorprendentemente, Numenio si pone contro la concezione materialistica degli stoici. Più in generale, si può quindi affermare che per Nu­ menio la relazione che lega corpo e anima rispecchia quella tra sensibile e intellegibile. Benché non si abbiano

57 Cfr. LP. Culianu, Le val magique dans l'Antiquité tardive (quelques con­ sidérations), 'Revue de l'histoire des religions' 198, 1981, pp. 57-66; Id., Psychanodia: A Survey of the Evidence Concerning the Ascension of the Soul and Its Relevance, I, Leiden 1983. Forniamo una disamina più ampia in Ch.O. Tommasi, A la recherche des uiri noui: stratégies de la réfutation et enjeux polémiques chez Arnobe, in: AA.VV., Exégèse, révélation et formation des dogmes dans l'Antiquité Tardive, Actes édités par A. Le Boulluec, A. Timotin, L.G. Soares Santoprete, Paris 2020, pp. 101-133. 58 Cfr. J. Phillips, Plato's Psychogonia in later Platonism, 'Classica! Quarterly' 52, 2002, pp. 231-247; Id., Numenian Psychology in Calci­ dius?, 'Phronesis' 48, 2003, pp. 132-151.

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S U L B E N E . DE B O N O N U M E N I O DI APA MEA

notizie sulle sue dottrine etiche, è possibile supporre, a partire dalla psicologia, che egli inclinasse verso posizioni improntate all'ascetismo59• Se, senz'altro, per Numenio (jr. 16) l'anima universale si prestasse ad essere designata come 'fonte' o 'sorgente' delle anime individuali60; a proposito di queste ultime è controverso come intendere i riferimenti in Porfirio61, in base a cui Numenio postulava non già due (o tre) par­ ti dell'anima, ma due distinte anime, quella razionale e quella irrazionale, affermazioni corroborate da quanto gli attribuisce Giamblico62, che menziona una opposizione tra queste due anime, dal momento che l'anima razionale è di origine divina e partecipa dell'essenza divina. Non è dunque del tutto perspicuo se Numenio inten­ desse due anime indivisibili, invece che due parti all'inter­ no dell'anima, secondo una dottrina più vicina a quelle di 59 In generale per le tendenze coeve si veda G. Sfameni Gasparro, Le motivazioni protologiche della continenza e della verginità nel cristiane­ simo dei primi secoli e nello gnosticismo, Roma 1984. 60 Per concezioni simili cfr. Apul. Plat. 1,9; Tert. de anim. 20,6 e 27,9; successivamente Mar. Vict. adv. Ar. 4,5, 10-11; Macr. Somn. 1,12; Mart. Cap. 9,922. Negli Oracoli Caldaici Ecate-Rea è paragonata ad una fon­ te (52 e 56), e l'interpretazione di Ecate come fonte delle anime è esplicitata anche da Damasc. in Parm. 3, 181,17 W.-C., che si richiama del pari al krater platonico, come già Or. Chald. 42, e al krater del Timeo fa esplicito riferimento Arnobio al cap. 25 del secondo libro dell'Adversus Nationes, in cui la menzione di due intelletti gemelli (geminae mentes) potrebbe risentire anche delle dottrine numeniane. 61 Cfr. quanto scrive Porph. ad Gaur. ap. Stob. 1,350,25 ss. Wach­ smuth ( Num. fr. 44 des Places); contraddittorio sembra il fr. 47 des Places (Philop. in Aristot. de anima 9,35 ss.), per cui Numenio avrebbe distinto anche un terzo tipo di anima, quella vegetativa (la !riparti­ zione sarebbe conforme alla linea platonica). 62 Cfr. Iambl. de anim. ap. Stob. 1,374,21 ss. Wachsmuth. Due anime sembrano essere state presupposte anche dagli Ermetici, secondo Iambl. Myst. 8,6. =

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INTRODLIZILlNE

Platone, ma si potrebbero interpretare questi frammenti nel senso che l'anima, immortale, in quanto al suo interno contiene l'universo intellettuale, sia indivisibile, subendo però una differenziazione di funzioni nel momento in cui si unisce al corpo; ancora più problematico è intendere cosa Numenio avesse in mente quando estendeva la con­ dizione di immortalità non solo all'anima razionale ma anche a una non meglio precisata "condizione animata" (i:'r..npuxoç i'ç.Lç)63: e se l'immortalità propriamente detta è riservata all'anima razionale, le altre facoltà psichiche (ovvero, le anime irrazionali) diverrebbero dormienti o si dissolverebbero gradualmente nelle sfere da cui si sono originate una volta che venga meno l'unione con il corpo ifrr. 46 e 47)64; in linea con la tradizione platonica, infine, si accenna nel fr. 4965 a una sorta di metempsicosi Dalla dottrina dell'anima sembrano derivare anche i pochi accenni alla demonologia, di cui si parla ai frr. 37 e 50: Numenio menziona demoni dotati di un corpo ma­ teriale che si opporrebbero al ritorno dell'anima al cielo, ma anche una classe di demoni che impartirebbero la loro potenza alla materia e, infine, anime che compiono operazioni demoniche dopo la morte, forse dotate del medesimo corpo aereo66• 63 Cfr. fr. 46a des Places, ap. Damasc. in Phaed. 1, 177. Nel fr. 47 des Places si asserisce che Numenio è stato in ciò tratto in errore nell'in­ terpretare il noto passo di Plat. Phaedr. 245c, "ogni anima (o, meno probabilmente: "tutta l'anima") è immortale". 64 Cfr. Karamanolis, Flato and Aristotle in Agreement? Platonists on Aristotle from Antiochus to Porphyry, Oxford 2006, p. 292, per il quale questa dottrina sarebbe stata ripresa da Porfirio (ap. Stob., 1,384,19 ss. Wachsmuth fr. 453 Smith). 65 Cfr. anche Alk. Did. 25; Plot. 3,4,2; 4,3, 12; dopo Porfirio tale dot­ trina sarebbe stata gradualmente abbandonata. 66 Per una sintesi globale sulla demonologia nel medioplatonismo =

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La teoria più importante, ancora una volta comune al sentire coevo67, è però quella della discesa attraverso i pia­ neti, descritta nei frr. 12 e 30-33, che si accompagna all'in­ terpretazione del mito platonico di Er, e al brano di Tim. 41e, quando il Demiurgo assegna agli dèi inferiori (ossia, i pianeti), il compito di rivestire le anime con un 'veicolo' (oxrn..ta.), ossia l'involucro da cui l'anima sarebbe rivesti­ ta per evitare che si contamini con il corpo68• Una lunga sezione nel commento di Macrobio al Somnium Scipionis (1,12) sembra ispirarsi per larga misura a Numenio, per quanto non si possano tralasciare suggestioni porfiriane (e forse tramite esse derivava la conoscenza del filosofo di Apamea)69• Esso presenta, però, anche lo sviluppo di un modello metafisica geometrizzante, in cui ci si richia­ ma al Timeo per descrivere la progressione delle anime. Dopo essersi radunate nella Via Lattea, durante la discesa attraverso lo Zodiaco e le sfere planetarie, le anime acqui­ siscono le caratteristiche e le passioni proprie dei pianeti, acquisizioni che non ne mutano la natura, ma, anzi, sono essenzialmente negative (jr. 48) e rispecchiano l'idea che la materia sia essenzialmente negativa. Nel fr. 43 Numenio impiega il verbo TCQoacjn)o f.laL ("accrescersi"), un termine rimandiamo a A. Timotin, La démonologie platonicienne. Histoire de la notion de daim8n de Platon aux derniers néoplatoniciens, Leiden 2012. 67 Cfr. ad esempio Celso, ap. Orig. Cels. 6,21; similmente anche Orig. Princ. 1,4,8; 1,8, 1; 2,6,4; 2,9,7: l'anima umana è un intelletto ca­ duto nel corpo. In Corp. Herm. 1,24 ss. si presenta invece la risalita al cielo; mentre il trattato settimo è dedicato alle dottrine dell'anima. 68 Cfr. anche Leg. 899a. La dottrina del veicolo dell'anima sarebbe stata molto utilizzata dal tardo neoplatonismo e tracce di essa si ritro­ vano anche in autori del Rinascimento, ad esempio Marsilio Ficino. 69 Cfr. M.A. Elferink, La Descente de l'ame d'après Macrobe, Leiden 1968; H. de Ley, Macrobius and Numenius. A Study of Macrobius In Somn. I. 12, Bruxelles 1972.

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che ricorda molto da vicino la nozione della 'anima avven­ tizia' ( 7t Qoacp u� ç lJ;u xi]) attribuita allo gnostico Basilide. In tutta questa dottrina non sembrano assenti sugge­ stioni magico-astrologiche: del resto Proclo stigmatizza il fatto che Numenio "cucia insieme" elementi astrologici e termini platonicF0, allorquando riporta in dettaglio la co­ smologia numeniana, ove si identificano i fiumi inferi della letteratura con i pianeti e la Via Lattea con il luogo ove di­ morano le anime, i due baratri (xaa�arra), che corrispon­ dono alle porte dei poemi omerici, del Capricorno e del Cancro, e che sono posti una in basso verso la nascita, l'al­ tro in alto mentre i giudici infernali che inviano parte delle anime al cielo, parte alla terra, parte ai fiumi sotterranei. Era questa probabilmente una interpretazione della geo­ grafia omerica dell'aldilà, contaminata con motivi platonici sul volgersi tortuoso del destino (Tim. 43a). Si può quindi verisimilmente supporre che Numenio abbia sviluppato in maniera assai complessa anche sul piano della topografia uno spunto che fosse presente anche negli Oracoli Caldaici: più precisamente, l'identificazione dello Stige con le set­ te sfere permetterebbe di chiarire alcuni frammenti degli Oracoli, quelli in cui compare la nozione della corrente del destino (QEÙ�a rrf]ç d�aQ�ÉVT] ç), ossia 171 e 172. Il pessimismo che anima molto del sentire numenia­ no, con l'insistenza sul tema dell'infelicità dell'anima prigioniera del corpo e sul tema della fuga da esso per riguadagnare la patria celeste incrina dunque l'ottimismo puramente greco, e introduce motivi che sembrano deri­ vare da ambiti non ellenici, in combinazione di idee assai originale (benché non sempre coerentef1. 7° 71

Cfr. fr. 35 des Places (= Procl. in Remp. 2, 128,26 ss. Kroll). In questo senso si devono rivalutare le considerazioni, spesso cri-

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In questo stesso ambito, particolarmente interessan­ te è l'insistenza, in Numenio, sulle religioni dei vari popoli, che si ritrova, oltre che in Posidonio, anche nel suo contemporaneo Celso, ma già in Plutarco72• Per tale motivo, segnatamente per la conoscenza e rispetto ma­ nifestati nei confronti della cultura e della tradizione ebraica, Numenio fu impiegato anche da alcuni autori cristiani, Origene ed Eusebio73• Una delle caratteristiche del secondo secolo sta nel fortissimo rimescolamento et­ nico, che troverà una tangibile sanzione nella Constitu tio An toniniana del 212, allorquando Caracalla concederà la cittadinanza romana a tutti gli abitanti dell' impero. Ac­ canto alle culture dominanti, greca e latina, si collocano le culture locali (alcune di esse di grandissima antichi­ tà) : in Siria, nell'Asia Minore, in Egitto, che, mai sopite dalla diffusione della cultura greca durante la conquista di Alessandro Magno, dall'ellenismo e dalla successiva conquista romana, tornano a manifestarsi con grande vivacità . Inoltre, a quest'epoca risalgono una serie di

ticate o trascurate, di H.-Ch. Puech, Numénius d'Apamée et les théol­ ogies orientales au second siècle, in: AA.VV., Mélanges f. Bidez. Annuaire de l'Institut de philologie et d'histoire orientales, II, Bruxelles 1934, pp. 745-778; similmente, utili spunti sono già in E.R. Dodds, Numenius and Ammonius, cit., passim. Cfr. ora la riconsiderazione di C. Elsas, Iranische und griechische Verstiindnismoglichkeiten, cit., passim, e, più in generale, D.M. Burns, Apocalypse of the Alien God: Platonism and the Exile of Sethian Gnosticism, Princeton 2014. 72 Cfr. fr. 157,16-25. 73 Cfr. R. Somos, Origen and Numenius, 'Adamantius' 6, 2000, pp. 51-69; H.D. Saffrey, Un lecteur antique des cruvres de Numénius: Eusèbe de Césarée, in: AA.VV. , Forma futuri. Studi in onore del cardinale Michele Pellegrino, Torino 1975, pp. 145-153; F. Jourdan, Eusèbe de Césarée et les extraits de Numénius dans la Préparation évangélique, in: AA.VV., Lire en extraits. fratiques de lecture et de production des textes, de l'Antiquité au Moyen Age. Sous la direction de S. Morlet, Paris 2015, pp. 107-148.

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correnti di pensiero assai diversificate tra loro sia per l'entità delle testimonianze e la mole delle fonti, sia per l'impatto che ebbero sulla religione istituzionalizzata o sulle scuole filosofiche, sia per il loro eventuale essere - o essere percepiti - come contro-cultura, ovvero come forme che inglobano elementi di filosofia più popolare, o persino come sottobosco ("underworld", secondo l'ef­ ficace espressione di John Dillon) del Platonismo. Sono note, infatti, le interazioni che in varia misura questo tipo di letteratura ebbe con i principali movimenti del pensiero religioso tardo-antico, segnatamente il cristia­ nesimo e il neoplatonismo. Importante è ricordare come gli Oracoli Caldaici furono considerati una "Bibbia" per molti filosofi neoplatonici, e come all'esegesi di tali Aoyw: si affiancasse nella fase più tarda e maggiormen­ te caratterizzata dal misticismo quella della letteratura orfica. Al tempo stesso, si può fare riferimento all'inte­ razione fra gnosticismo e platonismo, sottolineata con forza sempre maggiore dalla critica più recente . Ca­ ratterizzata, fin dagli studi di Arthur Darby Nock sul­ la Conversione, da una tendenza sempre maggiore alla religiosità di tipo personale e al rapporto individuale e privilegiato con il divino, che si affiancano alle forme cultuali ufficiali, pagane e progressivamente anche cri­ stiane, la cultura del secondo secolo è dunque permeata da tendenze 'esoteriche', rubrica te talora dagli studiosi sotto il nome di ' Orientalismo platonico', in quanto l'O­ riente funzionava come un costrutto culturale, indipen­ dentemente dalla geografia reale e, per certi versi, era imbevuto delle caratteristiche di ' alterità'74• 74 Cfr. Ch.O. Tommasi, Some Reflections an Antique and Late Antique Esotericism: between Mainstream and Counterculture, in: AA.VV., For­ men und Nebenformen des Platonismus in der Spiitantike. Herausgege-

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SUL

B E N I: , DI: B O N O

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I Magi persiani, gli astrologi caldei, i brahmani india­ ni, i sacerdoti egiziani, i druidi celtici e alcuni saggi ebrei venivano paragonati ai filosofi greci e percepiti come portatori di una saggezza originale (benché imperfetta) e una rivelazione originaria alla quale poté attingere la stessa cultura greca: lo si vede chiaramente in quei testi che considerano Pitagora come un discepolo di Zaratas (cioè Zoroastro) o che ricordano i viaggi di Apollonia di Tiana in Egitto o in India. Tale penchant per le fonti 'orien­ tali' può servire a illuminare anche l'idea della dignità e del valore della 'filosofia barbara', un termine usato con orgoglio dai primi autori cristiani per designare la loro dottrina. Numenio ne è rappresentante esemplare: si ri­ ferisce apertamente ai filosofi orientali quali precursori della filosofia gr�ca e celebra Platone come "un Mosè che parla attico" . D'altra parte, molti degli autori menzionati da Wouter Hanegraaff come rappresentanti di ciò che de­ finisce 'Orientalismo platonico' erano in realtà nati nella parte orientale dell'Impero e in regioni vicine alla Siria, in particolare Porfirio e Giamblico: quest'ultimo è unanime­ mente riconosciuto come l'iniziatore di una linea misti­ co-teurgica impressa al Platonismo, mentre a Porfirio, che commentò tra l'altro gli Oracoli Caldaici e vide nell'oracolo una forma di sapienza rivelata da usare anche in contrap­ posizione al Cristianesimo, si deve la tendenza a fondere diversi aspetti delle tradizioni religiose dell'Impero, nel tentativo di trovare una via universale per la salvezza (la discussione di Porfirio, che significativamente escludeva

ben von H. Seng, L.G. Soares Santoprete, Ch.O. Tommasi, Heidel­ berg 2016, pp. 9-36; con riferimento a M. Pasi, The Problems ofRejected Knowledge: Thoughts on Wouter Hanegraaff's Esotericism and the Aca­ demy, 'Religion' 43, 2013, pp. 201-21; W. Hanegraaff, Esotericism and the Academy. Rejected Knowledge in Western Culture, Cambridge 2012.

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da questo orizzonte il Cristianesimo, trovò poi una confu­ tazione da parte di Agostino, de Civ. Dei 10,2). Il concordismo di Numenio si manifesta nella celebre definizione di Platone, di cui abbiamo già detto, come "Mosè che parla attico", che non deve essere interpretato, al modo degli scrittori cristiani, come una dipendenza di Numenio dalla sapienza ebraica, ma in ogni caso manife­ sta un grande interesse per forme e tradizioni non genui­ namente elleniche75; similmente, fr. 13 allude alla formula "io sono colui che sono" di Esodo 3,14 (oggetto di esegesi, tra gli altri, in Filone, De Vita Moys. 1,75) : a questo riguar­ do è interessante notare eone Numenio si sia rivolto al pensiero ebraico per designare per via positiva quello che la tradizione platonica descriveva invece in termini nega­ tivi, ossia il Bene superiore all'essere di Resp. 6,50976; il 10 presenta un riferimento a Gesù, e il 9 ai maghi egiziani Iannes e Iambres presenti nell'Esodo (Mark Edwards ha supposto che questa interpretazione di due figure altri­ menti note nei cataloghi dei maghi potesse derivare da ambienti gnostici)77; i versetti iniziali della Genesi sono 75 Cfr. M. Burnyeat, Platonism in the Bible, in: AA.VV., Metaphysics,

Soul, and Ethics in Ancient Thought. Themes from the Work ofRichard So­ rabji. Edited by R. Salles, Oxford 2005, pp. 143-169 e, in precedenza, M.J. Edwards, Atticizing Moses? Numenius, the Fathers and the Jews, 'Vigiliae Christianae' 44, 1990, pp. 64-73; pionieristico J. Whittaker, Moses Atticising, 'Phoenix' 21, 1967, pp. 196-201. 76 Cfr. H. Tarrant, Numenius' fr. 13 and Plato's Timaeus, 'Antichthon' 13, 1979, pp. 19-29, e soprattutto M. J. Edwards, Numenius Fr. 13 (des Places): A Note on Interpretation, 'Mnemosyne' 42, 1989, pp. 478-482 per la risoluzione di alcuni problemi testuali; _F. Calabi, L'agricoltura divina in Filone di Alessandria e in Numenio, ' Etudes Platoniciennes' 13, 2017 (la rivista è disponibile online alla pagina: https://journals. openedition.org/etudesplatoniciennes/1189). 77 Cfr. P. Merlan, Drei Anmerkungen zu Numenius, 'Philologus' 106, 1962, pp. 137-145.

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citati nel.fr. 30 (oltre all'immagine del "Sia la luce", citata anche da Longino nello scritto Sul Sublime, quella dello Spirito che aleggiava sulle acque, all'interno della allego­ rizzazione dell' Odissea) . Forse anche i passi di Calcidio in cui si nominano alcune auctoritates ebraiche possono essere ricondotti a N umenio78. Stando a dei riferimenti presenti nel Con tro Celso di Origene (1,15 e 4,51), Nume­ nio aveva impiegato una esegesi allegorica delle scritture ebraiche, e riteneva che anche i Giudei pensavano che Dio fosse da assimilarsi all'essere; gli scrittori cristiani, natu­ ralmente, sottolinearono come la dottrina dei tre principi potesse essere paragonata a quella della Trinità e come la distinzione tra dio supremo e creatore richiamasse quella tra Padre e Figlio79• Ma interessante è anche un passo ri­ ferito da Giovanni Lido, erudito vissuto all'epoca dell'im­ peratore Giustiniano, che, nel passare in rassegna le va­ rie interpretazioni date da autori greci e romani sul Dio degli Ebrei, cita anche Numenio, per il quale questo Dio è impartecipato, padre di tutti gli dèi, e giudica tutti gli altri indegni di ricevere i suoi stessi onori: è possibile che nella scelta di un attributo quale àxmvw1:tp:oç, Numenio volesse indicare sia la assoluta trascendenza di questa di­ vinità, sia il suo carattere esclusivista80• Lido aveva prece78 Cfr. Cale. in Tim. 250-256 o 219, con J.M. Dillon, The Middle Plato­ nists, cit., p. 378.

79 Cfr. Eus. Pr. ev. l l,praef. 3; 20,1-3; Orig. C. Cels. 7,42-44, con A.

Kritikos, Platonism and Principles in Origen, in: AA.VV., Greek and Roman Philosophy 100 BCE-200 CE. Edited by R.W. Sharples and R. Sorabji, II, London 2007, pp. 403-417. 8 ° Così É. des Places, Études Platoniciennes, Leiden 1981, pp. 300 ss. Il termine, attestato in greco classico con il senso di "che non ha a spar­ tire" attribuisce l'aggettivo proprio ai Giudei. Nella Settanta (Sap. 14, 21) l'aggettivo è invece riferito al nome di Dio, che è incomunicabile e da qui probabilmente deriva l'uso frequentissimo in Filone.

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dentemente menzionato Livio e Lucano, per i quali il Dio degli Ebrei sarebbe ayvwa'Loç e &bf] ÀOç (sconosciuto e incerto) forse derivando le sue informazioni dagli scolii81. A questo proposito, teniamo a sottolineare, di contro a certe interpretazioni iperscettiche, la presenza, in Nu­ menio, di vari elementi che possono essere ricondotti a dottrine non schiettamente greche e che evidentemente sono indizio di un'eclettica apertura a movimenti di ispi­ razione anche religiosa (gli Oracoli Caldaici) e a sugge­ stioni che tengano conto anche della sapienza barbara. Pensatore eclettico, a cui fa ombra la produzione frammentaria, Numenio rappresenta dunque un punto di snodo e un precursore della filosofia neoplatonica; animato da un pessimismo nei confronti della materia e del peregrinare terrestre dell'anima, che si contrappone alla superiorità della sfera intelligibile, è vero figlio del secondo secolo e, nel suo essere al crocevia tra Oriente e Occidente, testimonia inoltre il proficuo e affascinante incontro tra l'ellenismo e le suggestioni provenienti da movimenti misterici e religiosi che resero così vivace il panorama culturale del Tardo Impero.

Chiara Ombretta Tommasi

81 Per ulteriori dettagli cfr. Ch.O. Tommasi, L '"incerto Dio" degli Ebrei, ovvero i limiti dell'interpretatio, 'Chaos e Kosmos' 14, 2013, pp. 1-54.

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Nota bibliografica

Oltre ai singoli studi citati nel corso della trattazione, per la redazione dell'Introduzione (ed anche per parte del­ le note che accompagnano la traduzione dei frammenti) si è tenuto conto, in particolare, dei profili su Numenio presenti nell'edizione di É. des Places (Paris 1973); R. Beutler, Numenius, in: Pauly-Wissowa, Real-Encycl., Sup­ pl. VII, Berlin 1940, pp. 664-678; P. Merlan, Numenius, in:

The Cambridge History of Later Greek and Early Medieval Philosophy. Edited by A.H. Armstrong, Cambridge 1967, pp. 96-106; J.M. Dillon, The Middle Platonists. 80 B.C. to A. D. 220, New York 1977, pp. 361-379; M. Frede, Nume­ nius, in: ANRW 2.36.2, 1987, pp. 1034-1075; S. Lilla, Intro­ duzione al Medioplatonismo, Roma 1992, in particolare le pp. 100-1 1 0; P.P. Fuentes Gonzalez, Nouménios d'Apamée, in R. Goulet (ed.), Dictionnaire des philosophes an tiques. Publié sous la direction de R. Goulet, IV, Paris 2005, pp. 724-740; M. Edwards, Numenius of Apamea, in: The Cam­ bridge History of Philosophy in Late Antiquity. Edited by L.P. Gerson, Cambridge 201 0, pp. 1 1 5-1 25; G. Karama­ nolis, Numenius, in: Stanford Encyclopedia of Philosophy, pubblicato online alla pagina http://plato.stanford.edu/ entries/numenius; G. Staab, Numenios, in: Reallexikon fiir An tike und Christentum, XXV, 2013, coll. 1 1 72-1 197; F. Fer­ rari, Numenios von Apamea, in: AA.VV., Die Philosophie der An tike. Band 5/1 -3. Philosophie der Kaiserzeit und der Spéitantike. Herausgegeben von C. Riedweg, C. Horn und D. Wyrwa, Basel 2018, pp. 649-657. L'edizione CUF

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S U L BEN E , DE B O N O N U M E N I O DI APAMEA

di É. des Places, Numénius. Fragments, Paris 1973, sop­ pianta la precedente di E.A. Leemans, Studie aver den Wi­

jsgeer Numenius van Apamea met Uitgave der Fragmenten, Bruxelles 1937. Tra gli studi più antichi, cfr. F. Thedinga, De Numenio philosopho platonico, Diss. Bonnae 1 875; K.S. Guthrie, Numenius ofApamea, the Father of Neo-Platonism. Works, Biography, Message, Sources, and Influence, Lon­ don 1 9 1 7; G. Martano, Numenio d'Apamea, un precursore del neoplatonismo, Roma 1941 (seconda edizione Napoli 1960) . La traduzione dei frammenti (oltre a quella fran­ cese di É. des Places e a quelle italiane di E. Vimercati in Medioplatonici, Opere, frammenti, tes timonianze. A cura di Id., Milano 2015, pp. 1 353-1 391, di P. Impara, Il Trat­

tato sul Bene di Numenio. Saggio introduttivo storico-critico con traduzione e commento del TIEQL 'Làya8ou, Roma 1980, e di G. Martano, più datata e soltanto parziale) è dispo­ nibile in inglese (R.D. Petty, The fragmen ts of Numenius. Text, translation, and commentary, Diss. University of California, Santa Barbara 1993; G. Boys Stones, Platonist

Philosophy 80 BC to AD 250. An Introduction and Collection of Sources in Translation, Cambridge 201 7) e in spagnolo (F. Garda Bazan, Oniculos caldeos, con una selecci6n de te­ stimonios de Proclo, Pselo y M. Ittilico; Numenio de Apamea: fragmentos y testimonios, Madrid 1991). Una utile sintesi sui frammenti di Numenio Sul Bene è disponibile nella tesi di J.L. Langse, Knowing God: a study of the argument of Numenius ofApameia's On the good, Diss. Univ. lowa 2013.

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Traduzione

a cura di Andrea Rossi

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Il testo di riferimento è quello curato da É. des Places, Paris 1973.

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Libro Primo

Fr. l a (9a Leemans) (Eus. Pr. ev. 9, 7, 1 : p. 41 1 b-e Viger; l, p. 493, 22-494, 7 Mras) E dello stesso filosofo Pitagorico, Numenio, intendo dire, citerò queste parole dal primo libro Sul Bene: Sarà opportuno quindi, dopo aver esposto e suggella­ to1 quanto ci siamo proposti attraverso le testimonianze di Platone, fare ritorno2 a codesto problema3, collegarlo con gli insegnamenti di Pitagora4 e richiamarsi ai popo­ li di chiara fama, riportando i loro riti di iniziazione, le credenze religiose e le fondazioni di culto celebrate in modo conforme a Platone, ossia tutte quelle che hanno istituito i Bramani, i Giudei, i Magi e gli Egizi5• Fr. lb (9b Leemans) (Orig. C. Cels. l, 15: l, p. 67, 21-27 Koetschau; l, p. 1 14, 33- 1 1 6, 8 Borret) Di gran lunga superiore rispetto a Celso6 è stato Nu­ menio il Pitagorico, che, in molti casi, ha dimostrato di saper riflettere profondamente, ha esaminato con molta attenzione un numero più vasto di dottrine, e a parti­ re da più fonti ha riunito quelle che gli sembravano più veritiere. Egli, nel primo libro Sul Bene, parlando dei po­ poli che hanno definito incorporeo Dio, annoverò pure i GiudeF, senza indugiare a servirsi all'interno dei suoi

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scritti anche delle opere dei profeti8 e ad interpretarle in chiave allegorica9• Fr. le (32 Leemans) (Orig. C. Cels. 4, 5 1 : I, p. 324, 18-23 Koetschau; II, p. 316, 14-20 Borret)10 E so anche che Numenio il Pitagorico1\ in molti passi delle sue opere, cita12 i libri di Mosè e dei profeti, in­ terpretandoli in chiave allegorica13, non senza verosimi­ glianza, come nel libro intitolato Upupa14 e in quelli Sui Numeri15 e Sul Luogo16• Inoltre, nel terzo libro Sul Bene 17• Fr. 2 (1 1 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 21, 7-22, 2: p. 543 b-d Viger; It p. 48, 1 7-49, 13 Mras) A suo volta, Numenio, nei suoi libri Sul Bene, interpretan­ do il pensiero di Platone18, lo presenta in questi termini: Ci è, dunque, possibile cogliere la nozione dei corpi, de­ sumendola dalle loro somiglianze, e a partire dai segni di riconoscimento che sono insiti negli oggetti posti di fronte a noi; al contrario, per quanto attiene al Bene, non esiste alcun strumento che ci permetta di afferrarlo da un oggetto che ci sta davanti oppure da una realtà sensibile che gli somigli. Bisognerà, invece, fare così: come uno che, collocato su un punto di vedetta19, ed aguzzando la vista, scorge in un solo colpo d'occhio, solitaria, abbandonata e in preda ai marosF0, una piccola nave da pesca, una di quelle barchette, cioè, che si avventurano nel mare tutte sole, così è opportuno che l'uomo, tirandosi indietro dalle realtà sensibili, entri in intimo rapporto con il Bene, lui solo con Lui Solo2\ là dove non ci sono né uomini, né altri esseri viventi, né corpi grandi o piccoli, ma una sorta di

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ineffabile22 e assolutamente indescrivibile divina solitudi­ ne, là dove ci sono i domicili del Bene, i suoi passatempi e le sue feste23, e lo Stesso si trova in uno stato di pace, di benevolenza, Lui che è solitario e sovrano benevolo che trascende l'essenza. E se qualcuno, persistendo nelle cose sensibili, si illude che il Bene si involi verso di lui, e poi, compiaciuto, pensa di esservisi imbattuto, si sbaglia del tutto. Infatti, in realtà, per poterlo raggiungere è necessa­ rio un metodo non agevole, anzi divino; ed il più efficien­ te consiste nel trascurare le realtà sensibili, accostarsi con entusiasmo giovanile alle discipline e contemplare i nu­ meri, in modo da giungere, a forza di attenzione, all'og­ getto della scienza, che è l'essere. Queste riflessioni sono riportate all'interno del libro primo. Fr. 3 (12 Leemans) (Eus. Pr. ev. 15, 1 7, 1 -2: p. 819 a-b Viger; II, p. 381, 10-1 7 Mras) Ma cosa è, quindi, l'essere? Non lo sono, forse, questi quattro elementi24, ossia la terra, il fuoco e le altre due nature intermedie? E forse che codesti non sono esseri, presi tutti insieme o uno ad uno? - E come potrebbero esserlo, se, generati e soggetti a cambiamento25, siamo in grado di vederli nascere gli uni dagli altri, alternarsi vicendevolmente, e non sussistere né come elementi né come composti? - Questi corpi, quindi, proprio perché tali, non possono essere l'essere. Ma se non lo sono questi corpi, forse che può esserlo la materia? - Ma è una cosa del tutto impossibile, dal momento che non ha la capacità di rimanere nello stesso stato. La

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materia, infatti, è un fiume impetuoso e rapido26, indefi­ nito e illimitato in profondità, larghezza e lunghezza27• Fr. 4a (13 Leemans) (Eus. Pr. ev. 15, 1 7, 3-8: p. 819 c-820 a Viger; II, p. 381, 18-382, 19 Mras) E poco dopo aggiunge:

È corretto, quindi, il ragionamento secondo il quale, se la

materia è illimitata è indefinita, se è indefinita è irraziona­ le, se è irrazionale è inconoscibile28• E invero, se è incono­ scibile, è necessariamente priva di ordine, in quanto ciò che è ordinato è certo possibile conoscerlo con semplicità; ciò che, invece, è disordinato non ha stabilità, e ciò che non è stabile non può essere l'essere. Il punto su cui noi stessi ci siamo trovati d'accordo in precedenza era che at­ tribuire tutte queste caratteristiche all'essere è cosa empia. - Tutti dovrebbero trovarsi d'accordo; altrimenti, almeno io. - Affermo, dunque, che la materia né in quanto tale né sottoforma di corpi è l'essere. - E allora? Abbiamo forse qualche altra cosa, oltre a que­ sto, nella natura universale? - Sì; e non è complicato a dirlo, se, innanzitutto, cerchia­ mo di discuterne tra noi tutti insieme; visto che per loro natura i corpi sono morti, privi di vita, soggetti a moto continuo29 né sono in grado di rimanere nella medesima condizione, non è, forse, necessario un principio che li mantenga30? - Assolutamente sì. - E se non ci fosse, potrebbero forse mantenersi? - Assolutamente no. - Qual è, allora, il principio che riesce a mantenerli? E se anche questo fosse un corpo, mi sembra che anche esso, esposto a dissoluzione e dispersione quale sareb-

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be, sentirebbe la necessità di Zeus Salvatore. Ebbene, se per necessità questo principio si sottrae alle passioni dei corpi, al fine di poter allontanare la corruzione anche da quelle mistioni, e poterle preservare, esso non sarà altro, mi pare, se non l'incorporeo; giacché, fra tutte le nature, questa è l'unica a essere fissa, stabile e per nulla corpo­ rea. Senza dubbio non diviene, non cresce, non si muove di nessun moto altrui, e per questo è apparso ben giusto riservare il primo posto all'incorporeo. Fr. 4b (Test. 29 Leemans) (Nemes. De nat. horn. 2, 8-14: p. 69-72 Matthaei; P. G. 40, c. 537b-541 a) In generale, pertanto, contro tutti coloro che sostengono che l'anima è un corpo, sarà sufficiente quanto sostenu­ to da Ammonio31, il maestro di Plotino e del Pitagorico Numenio; ecco: Poiché i corpi, per loro stessa natura, sono mutevoli, dis­ solubili e del tutto infinitamente divisibili, e dato che in essi non rimane nulla di immutabile, è necessario un principio che li mantenga32, che li raccolga, e che, come dire, li tenga legati insieme e connessi: questo è ciò che noi chiamiamo anima. E se l'anima è un tipo siffatto, se anche è costituita da sottilissime particelle, che cosa, a sua volta, la mantiene? Si è visto, infatti, che ogni corpo ne­ cessita di un principio che lo mantenga, e così all'infinito, fino a che non si perviene all'incorporeo. E se dicessero, alla maniera degli Stoici, che intorno ai corpi si verifica un movimento tonico33, che nello stesso tempo si muove ver­ so l'interno e verso l'esterno, e che il moto verso l'esterno è produttivo di grandezze e qualità, e invece quello verso l'interno di unità ed essenza, bisognerebbe domandare loro, dato che ogni movimento è frutto di una qualche

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potenza, quale sia codesta potenza e in cosa risieda la sua essenza. Se, dunque, anche questa potenza è una mate­ ria, mi servirò nuovamente dei medesimi argomenti; se, invece, non è materia, ma materiale (è diverso 'materia­ le' da 'materia'; giacché, si dice 'materiale' ciò che prende parte alla mate�a), cosa è mai, allora, ciò che partecipa della materia? E forse anch'esso materia o è immateria­ le? Allora, se è materia, come può essere materiale e non materia? Al contrario, se non è materia, allora è immate­ riale; e se, invece, è immateriale, non è corpo; ogni corpo, infatti, è materiale. E poi, qualora sostenessero che i corpi hanno tre dimensioni, e che anche l'anima, attraversando totalmente il corpo, ne ha tre, e che, per questo motivo, è assolutamente anch'essa un corpo, obietteremmo che ogni corpo ha tre dimensioni, ma non tutto ciò che ha tre dimensioni è un corpo. Giacché, la quantità e la qualità, essendo di per sé incorporee, vengono calcolate per acci­ dente come dei solidi. In questo modo, pertanto, anche all'anima di per sé è proprio il non avere dimensioni, ma, accidentalmente, essendo insieme a ciò in cui essa si tro­ va, che ha tre dimensioni, anch'essa è considerata avere tre dimensioni. E poi, ogni corpo è mosso o dall'esterno o dall'interno: se dall'esterno, sarà inanimato; se, invece, dall'interno, animato34• Ora, se l'anima fosse un corpo e fosse mossa dall'esterno, sarebbe inanimata mentre, se dall'interno, sarebbe animata; però è assurdo sostenere che l'anima è sia l'animato che l'inanimato; l'anima, quin­ di, non è un corpo. E ancora, l'anima, se viene nutrita, viene nutrita dall'incorporeo; giacché, sono le dottrine a nutrirla; al contrario, nessun corpo viene nutrito da ciò che è incorporeo; l'anima, quindi, non è un corpo (così concludeva Senocrate)35; se, al contrario, non viene nutri­ ta, mentre ogni corpo di essere vivente viene nutrito, l'a­ nima non è un corpo.

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Libro Secondo

Fr. 5 (14 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 9, 8-1 0, 5: p. 525 b-526 a Viger; II, p. 25, 21 -27, 2 Mras) In molti, dunque, si sono dedicati allo studio di queste pa­ role; a me, invece, per il momento, basta presentare quan­ to detto da un uomo illustre, il Pitagorico Numenio, che, nel secondo libro del trattato Sul Bene, così si è espresso: Dunque, risaliamo, avvicinandoci quanto più è possibile, verso l'essere, e diciamo: l'essere né c'era una volta, né mai non ci sarà, ma sempre è in un tempo definito, ovvero solo nel presente36• Se poi qualcuno volesse chiamare que­ sto presente "eternità", anche io concorderei. Dobbiamo pensare che il tempo passato, una volta fuggito, è già tra­ scorso e si è già ritirato nel non essere; al contrario, quello futuro non è ancora, ma dichiara di essere in grado, un giorno, di giungere all'essere. Sicché, è irragionevole rite­ nere, in un modo o nell'altro, che l'essere non è, o che non è più, o che non è ancora, dato che, se si sostiene una cosa di questo tipo, nel ragionamento si origina una grande impossibilità, cioè che l'essere è e non è allo stesso tempo. - Ma se le cose stanno in questo modo, difficilmente po­ trebbe essere qualcos'altro, in quanto l'essere medesimo non sarebbe secondo lo stesso essere. - L'essere, allora, è eterno e stabile, ed esiste sempre secondo se stesso ed è uguale a se stesso. Non si può dire che è generato, né che si è corrotto, né che è aumen-

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tato, né che è rimpicciolito, né che è divenuto in più o in meno. E senza dubbio, non è soggetto a nessun altro tipo di movimento, nemmeno locale; giacché, non gli è consentito muoversi. L'essere non correrà né indietro, né avanti, né in alto, né in basso, né a destra, né a sinistra, e non si muoverà mai di moto circolare attorno al suo centro, ma, piuttosto, resterà saldo e immobile37, e sarà sempre secondo se stesso e uguale a se stesso. Fr. 6 (15 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 10, 6-8: p. 525 a-c Viger; II, p. 27, 3-14 Mras) E poi, dopo altre osservazioni soggiunge: Questo è quanto mi è parso utile dire. E, per quanto mi riguarda, non dissimulerò nulla, né dirò che non cono­ sco il nome di ciò che è incorporeo; si dà il caso, infatti, che ora sia più gradito parlame piuttosto che taceme. Invero, dico che il suo nome è quel termine che cerchia­ mo di investigare da lungo tempo. E nessuno si metta a ridere, se dico che il nome di ciò che è incorporeo è "essenza ed essere" . E la vera ragione di quello che chia­ miamo "essere" è che non è sottoposto né a generazio­ ne né a corruzione, che non subisce nessun movimento né cambiamento in meglio o in peggio, ma, piuttosto, è semplice e immutabile, è sempre nella stessa forma, e non si allontana mai, né di sua volontà né per costrizio­ ne da parte di altri, dalla sua identità. Del resto, anche Platone, nel Cratilo3 8, ha affermato che i nomi vengono attribuiti sulla base della loro somiglianza con le cose. Sia, dunque, così, e si riconosca che l'essere è incorporeo.

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TRADUZIONE

LI BRO S ECON DO

Fr. 7 (16 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 1 0, 9-1 1 : p. 526 c-d Viger; II, p. 27, 1 5-25 Mras) Poi, proseguendo, dice: Ho affermato che l'essere è incorporeo, e che questo è l'intelligibile. Dunque, le cose dette in precedenza, nella quantità in cui mi è permesso ricordare, sono, appunto, tali. Voglio, però, rassicurare chi cerca una spiegazione, aggiungendo soltanto questo, cioè che, se le dottrine in questione non accordano con quelle di Platone, sarebbe opportuno considerare quelle di un altro grande uomo, di molte capacità, come Pitagora. Dice, dunque, Platone (ebbene, vediamo se mi ricordo com'è che dice): «Cosa è che sempre è, e non ha generazione? E cosa è, invece, che diviene e non è mai? Il primo si apprende con il ragio­ namento mediante il pensiero; il secondo viene congettu­ rato per mezzo della sensazione non razionale, visto che nasce e perisce, senza mai essere davvero»39• Per questo, Platone si chiedeva che cos'è l'essere, dichiarandolo ine­ quivocabilmente ingenerato. Infatti, sostiene che la gene­ razione non si confà all'essere, dal momento che, se così fosse, muterebbe, e se mutasse, non sarebbe eterno. Fr. 8 (17 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 10, 12-14: p. 526 d-526 a Viger; II, p. 28, 1-1 1 Mras) E andando avanti, dice: Se, dunque, l'essere è totalmente e dovunque eterno e immutabile, e non potendo in nessun modo uscire in nessuna direzione da se stesso, ma permane nella medesima condizione e resta uguale a se stesso, non ci sono assolutamente dubbi sul fatto che sia questo ciò

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che viene appreso con il ragionamento mediante il pen­ siero. Al contrario, se il corpo scorre40 ed è soggetto al rapido mutamento, fugge e non è. Pertanto, non è una grande follia non ritenerlo indeterminato, sottoposto a una sola opinione e, come dice Platone, «che nasce e perisce, senza mai essere davvero»41? Ecco le parole di Numenio, quando, in un momento sol­ tanto, spiega con chiarezza le dottrine di Platone e del molto più antico Mosè. È ragionevole, quindi, che gli si attribuisca quel detto, per il quale la tradizione lo ricorda: Che cosa è effettivamente Platone, se non un Mosé che parla attico42?

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Libro Terzo

Fr. 9 (18 Leemans) (Eus. Pr. ev. 9, 8, 1-2: p. 41 1 d-412 a Viger; l, p. 494, 9-18 Mras) E anche nel terzo libro rammenta Mosé in questi termini: Poi, quando i Giudei vennero cacciati dall'Egitto, fu il momento di lannes e lambres43, sacri scribi egizi44, uo­ mini stimati non inferiori a nessuno nelle arti magiche. Dunque, quando a capo dei Giudei c'era Museo45, uomo divenuto assai potente nel pregare Dio, furono proprio loro ad essere considerati degni dal popolo egiziano di tenergli testa, ed essi si mostrarono capaci di porre fine a tutte le sciagure che Museo aveva inflitto all'Egitto46• E invero, con queste parole, Numenio testimonia gli straordinari prodigi compiuti da Mosè, e come egli fosse caro a Dio47• Fr. lOa (19 Leemans) (Orig. C. Cels. 4, 51 : l, p. 324, 23-27 Koetschau; II, p. 316, 20-24 Borret) Nel terzo libro dello scritto Sul Bene, questi racconta an­ che una storia su Gesù, pur senza nominarlo, e ne fornisce una interpretazione allegorica; se vi sia riuscito o meno, è una questione da rinviare a un'altra occasione. Menziona anche la storia di Mosè, di lannes e di lambres48•

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Fr. lOb = 52 (Test. 30 Leemans) (Cale. In Tim. 295-299: p. 297, 7-301, 20 Waszink)49

295. Dobbiamo esaminare, adesso, la dottrina di Pitago­ ra. Numenio, appartenente alla scuola di Pitagora, con­ futando la dottrina stoica dei principi sulla base della dottrina di Pitagora, alla quale, egli sostiene, si accorda bene quella platonica, afferma che Pitagora chiamò dio con l'appellativo di monade e la materia con quello di diade; e della diade dice anche che, in quanto indeter­ minata, non è generata, mentre, in quanto limitata, è ge­ nerata, ossia che prima di essere adornata e di ottenere forma e ordine, era senza nascita e generazione, ma fu generata in quanto adornata e resa bella dal dio ordina­ tore, e per questo, dal momento che la generazione è una circostanza posteriore50, quella sostanza disadorna e non generata dovrebbe ritenersi coetanea dello stesso dio dal quale ricevette l'ordine51• Ma dice che alcuni Pitagorici non compresero corretta­ mente il significato del concetto, e reputarono che anche quella diade indeterminata e immensa fosse stata crea­ ta dalla sola monade, la quale si era allontana dalla sua originaria natura di monade e si era avvicinata allo stato di diade. Sostenevano questo erroneamente, in quanto ciò che esisteva, cioè la monade, sarebbe venuta meno, mentre invece ciò che non esisteva, la diade, avrebbe ini­ ziato ad esistere, e dio si sarebbe così trasformato nella materia e nella diade immensa e indeterminata; e un'o­ pinione di questo tipo non si confà neanche a persone scarsamente istruite. Gli Stoici, poi, sostengono che la materia è definita e limitata per sua natura, invece Pita­ gora dice che è infinita e illimitata, e mentre quelli pen­ sano che ciò che per natura non può essere riportato a un ordine e a una misura52, Pitagora osserva che questo

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sarà facoltà e potere del Dio soltanto; Dio, infatti, com­ pie con facilità ciò che la natura non è in grado di fare, poiché è più potente e prestante in ogni cosa e la natura stessa ottiene da esso le sue virtù. 296. Anche Pitagora, dunque, afferma Numenio, ritie­ ne che la materia sia fluida53 e senza qualità, e tuttavia non crede, come fanno gli Stoici, che essa sia di natura media, a metà, cioè, tra il bene e il male, di quel gene­ re che essi chiamano indifferente54, ma del tutto nociva. Giacché, come pare opportuno anche a Platone, è Dio l'origine e la causa del bene, principio del male è invece la materia; mentre ciò che scaturisce dalla forma e dalla materia è indifferente, e non si tratta della stessa mate­ ria, ma del mondo, che presenta una mescolanza tra la bontà della forma e il male della materia; e infine, secon­ do l'opinione dei teologi antichi55, il mondo è generato dalla provvidenza e dalla necessità. 297. Dunque, tanto gli Stoici quanto Pitagora si trovano d'accordo sul fatto che la materia sia informe e priva di qualità, ma se Pitagora la considera anche cattiva, gli Stoici dicono che non è né buona né cattiva. E per que­ sto, quando procedono, per così dire, sul loro cammino, e si imbattono in un qualche male e viene domandato loro: «Da dove vengono, quindi, i mali?», essi accampa­ no la scusa che l'origine dei mali è la malvagità. E per giunta non espongono da dove scaturisca questa mal­ vagità, dal momento che sono due, secondo loro, i prin­ cìpi delle cose, il Dio e la materia, l'uno è bene sommo ed eccellente, l'altra, come credono, non è né bene né male. Pitagora però non ha timore di stare appresso alla verità, seppure con affermazioni singolari e contro l'opi­ nione degli uomini; costui, infatti, afferma che, se esiste la provvidenza, per necessità esistono anche i mali, pro­ prio perché esiste la materia ed è incline alla malvagità.

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Giacché, se il mondo nasce dalla materia, esso è scatu­ rito di sicuro da una natura maligna già esistente; per questo Numenio elogia Eraclito nel momento in cui bia­ sima Omero56; lui che desiderava l'annientamento e la rovina dei mali della vita, né capiva che voleva distrug­ gere il mondo, in quanto ne sarebbe conseguita la di­ struzione della materia, che è fonte dei mali. Numenio, poi, ammira anche Platone, poiché ritiene che il mon­ do abbia due anime, una massimamente buona, l'altra maligna57. Questa è la materia, che, per quanto fluttui confusamente, tuttavia, dal momento che si muove di un moto proprio e interno, è necessario che sia viva e vivificata da un'anima, secondo la legge che dà ordine a tutto ciò che si muove per un moto innato58• La stessa materia, poi, è generatrice e padrona della parte sensi­ bile dell'anima, nella quale vi è qualcosa di materiale, di mortale e di simile al corpo, così come la parte razionale ha origine nella ragione e nel dio. Dunque questo modo è nato dal dio e dalla materia. 298. Dunque, secondo Platone, il mondo ha ricevuto i suoi beni dalla liberalità del Dio, come da un padre59; invece i mali si congiunsero ad esso a causa dell'imper­ fezione della materia, che è sua madre. Per questo è pos­ sibile accorgersi come gli Stoici abbiano addotto come pretesto, e senza alcun fondamento, non so quale malva­ gità, affermando che tutto quello che accade, accade per il moto delle stelle. Ora, le stelle sono corpi e fuochi cele­ sti; e invero la materia è nutrice di tutti i corpi60, così che anche quegli stravolgimenti che il moto delle stelle pro­ voca inutilmente e nocivamente sembrano avere origine dalla materia, nella quale vi sono molta incostanza, moti imprevisti, accidenti e una agitata prefigurazione delle varie cose. E così, se il Dio l'ha raddrizzata, come dice Platone nel Timeo61, e «la ricondusse all'ordine dalla agi-

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tazione confusa e disordinata», senz'altro questa inco­ stanza priva di ordine era frutto di un qualche accidente e a una sorte infelice e non ai piani salutari della provvi­ denza. Dunque, secondo l'opinione di Pitagora, l'anima della materia non è priva di sostanza, come moltissimi pensano, e va a contrastare la provvidenza volendo op­ porsi ai suoi piani con la forza della sua malvagità; ma la provvidenza è invero opera e compito del Dio, mentre la cieca e casuale irrazionalità è figlia della materia, così che, secondo l'opinione di Pitagora, appare evidente che la massa dell'universo fu prodotta dall'unione del Dio e della materia, e parimenti della provvidenza e del caso62; ma dopo che si aggiunse l'ordine alla materia, essa stes­ sa diventò invero madre delle realtà corporee e delle di­ vinità generate, e la sua era per lo più una condizione felice, ma non in ciascuna delle sue parti, poiché il suo difetto naturale non poteva essere cancellato del tutto63• 299. E così il Dio, con il suo incredibile potere, riportava all'ordine la materia e ne correggeva i difetti in ciascuna delle sue parti, ma evitando di annientarli, affinché la natura della materia non andasse tutta in rovina, e non permettendo che si estendessero e che si dilatassero in ogni dove; ma ne mutò del tutto la condizione, renden­ dola illustre e adornandola, connettendo l'ordine alla disordinata smoderatezza, la misura alla sregolatezza, la bellezza alla deformità, in modo tale che, pur restan­ do la sua natura intatta, potesse essere richiamata e tra­ sformata da una condizione dannosa ad una felice. Infi­ ne Numenio dice - e dice bene - che la condizione degli esseri generati non è mai immune da difetti, né nelle membra degli uomini, né in natura, né nei corpi degli animali, ma nemmeno negli alberi e nelle piante, né nei frutti, né nell'aria, né nell'acqua, né nello stesso cielo, poiché in ogni punto si mescola con la provvidenza,

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quasi si contaminasse con una natura inferiore64. E Nu­ menio stesso, cercando di mostrare e, per così dire, di mettere in luce la nuda immagine della materia, sottratti ad uno ad uno tutti i corpi che, in seno alla materia, as­ sumono forme in modo alternativo e mutano aspetto vi­ cendevolmente, invita a considerare nella nostra mente ciò che è stato allontanato in seguito a questa azione di privamento65, e definisce ciò «materia» o «necessità». Da questa e dal dio si è costituito il meccanismo del mon­ do66, dove il dio agiva con la persuasione, e la necessità obbediva67. Questo è ciò che Pitagora afferma a proposi­ to delle origini del mondo.

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Libro Quarto (o Quinto)

Fr. 1 1 (20 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 17, 1 1-18, 5; p. 536 d-537 b Viger; II, p. 40, 9-41, 5 Mras) Numenio, nei libri Sul Bene, con grande rispetto per le dottrine di Platone, e parlando egli stesso a proposito della seconda causa, così si esprime: È necessario che chi intende conoscere bene il primo e il secondo Dio anzitutto definisca con metodo e ordi­ ne68 ogni cosa; poi, una volta che, secondo lui, tutto è ben disposto, allora è opportuno che trovi il modo di esprimersi in maniera corretta, e non vanamente; altri­ menti, per chi cerca di ottenere queste cose assai prima dei principi, il tesoro, come afferma il proverbio, diven­ ta cenere69. Quanto a noi, vediamo di evitarci una tale sventura; pertanto, una volta invocato Dio, affinché, fa­ cendosi interprete di se stesso, ci riveli con la sua paro­ la il tesoro dei suoi pensieri, iniziamo così: immediata­ mente è necessario pregarlo, poi è possibile passare alle definizionF0• Il primo Dio è semplice, poiché è in se stesso, e non è suscettibile di divisione, poiché è del tutto insieme con se stesso. Al contrario, il secondo Dio e il terzo sono uno solo: quando viene trascinato dalla materia, che è diade, da una parte la unifica, e dall'altra viene da essa diviso, poiché è concupiscente e fluida. Pertanto, poiché

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non si rivolge all'intelligibile (sarebbe, infatti, rivolto verso se stesso) e guarda la materia, preoccupandosene, si dimentica di se stesso. E dal momento che si è conces­ so alla materia, si lega a quanto è sensibile, lo tratta con rispetto, elevandolo alla sua stessa natura71• Fr. 12 (21 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 18, 6-1 0; p. 537 b-d Viger; II, p. 41, 6-22 Mras) E dopo altre osservazioni, dice: Infatti, se da un lato si deve considerare che il primo Dio non svolga la funzione di demiurgo, dall'altra è necessa­ rio considerare che egli sia padre del Dio demiurgo. Per­ tanto, se ricercassimo ciò che riguarda il demiurgo, un ragionevole punto di partenza del discorso sarebbe affer­ mare che colui il quale preesiste detenga un ruolo premi­ nente; invece, se il discorso non verte sul demiurgo e, al contrario, l'indagine riguarda il primo Dio, ritiro quanto ho asserito, e facciamo conto che io non abbia detto nulla. Pertanto, tomo a cercare il ragionamento da svolgere, ap­ procciandolo da un punto di vista differente. Ma, prima di carpirlo, troviamo un accordo tra di noi per compren­ derci senza ambiguità: il primo Dio è inoperoso in tutte le cose ed è re72, mentre il Dio demiurgo svolge la funzione di guida, percorrendo il cielo73• Mediante esso, anche noi compiamo il nostro viaggio, in quanto l'intelletto è inviato quaggiù, nel tragitto, a tutti coloro che insieme si mettono nella condizione di prendeme parte. Dunque, quando il Dio ci osserva e si rivolge a ognuno di noi, allora accade che i corpi prendono vita e si animano, in quanto si uni­ scono alle radiazioni del Dio; allorquando, però, il Dio si ritira nel suo luogo di osservazione74, quelli si estinguono, mentre l'intelletto fruisce felice della vita.

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T RA D U Z I O N E

li BRO QhJARTO (O QhJ I NTO)

Fr. 13 (22 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 18, 13-14; p. 538 b-e Viger; II, p. 42, 15-21 Mras) 75 Presta ascolto alle parole teologiche di cui Numenio si serve a proposito della seconda causa: E di nuovo, come esiste un rapporto tra contadino e piantatore, così il medesimo rapporto intercorre tra il primo Dio e il demiurgo. Il primo, che è76, semina la semenza di ogni anima in tutte le realtà che partecipano di luF7; il legislatore78, invece, coltiva79, distribuisce e trapianta in ciascuno di noi le semenze che in precedenza sono state gettate dal primo Dio. Fr. 14 (23 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 18, 15-19: p. 538 c-539 a Viger; II, p. 42, 22-43, 13 Mras) Poi, proseguendo, a proposito del modo in cui la secon­ da causa è scaturita dalla prima, si esprime così: Dunque, tutte le cose donate passano da chi le dona a chi le riceve (per esempio servi, ricchezze, metallo cesellato e coniato), ma si tratta di oggetti effimeri e umani, men­ tre i doni divini sono tali che, distribuiti dall'alto verso il basso, e giunti quaggiù, hanno giovato al beneficiario senza ledere il donatore, il quale ne ha tratto un ulterio­ re vantaggio grazie al ricordo di quanto era già a cono­ scenza. Questo bel possesso consiste nel bel conoscere, che avvantaggia chi lo riceve e non lascia chi lo dona. In maniera analoga, tu potresti vedere una lampada che, accesa da un'altra lampada, riceve la luce, senza che la prima ne venga privata, poiché la materia che è in essa è stata accesa dal fuoco dell'altra80• Tale è la ricchezza della

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sapienza, che, quando viene donata e ricevuta, permane in colui che ha donato e, allo stesso tempo, è presente in chi la ha ricevuta. La causa di questo, straniero, non ha niente a che vedere con la sfera umana, in quanto la condizione e l'essenza che possiede la conoscenza è la medesima in Dio che la dona, e in me e in te che la ab­ biamo ricevuta81. Perciò, anche Platone ha affermato che la saggezza è giunta agli uomini per mano di Prometeo, insieme a un fuoco splendentissimo82. Fr. 15 (24 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 18, 20-21 : p. 539 a-b Viger; II, p. 43, 15-21 Mras) E ancora, andando avanti, dice: Questi sono, dunque, i generi di vita del primo e del se­ condo Dio. È chiaro che il primo Dio sarà stabile, mentre il secondo è soggetto a movimento; l'uno riguarda gli intelligibili, mentre l'altro gli intelligibili e i sensibili83. E non stupirti se ho detto questo: infatti, ascolterai qualco­ sa di ancor più sorprendente. Giacché, rispetto al movi­ mento proprio del secondo Dio, sostengo che la stabilità inerente il primo consiste in un movimento innato84, dal quale l'ordine del cosmo, l'eterna permanenza e la sal­ vezza85 si diffondono in tutte le cose.

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Libro Quinto

Fr. 16 (25 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 22, 3-5, p. 544 a-b Viger; II, p. 49, 13-50, 8 Mras) Nel quinto libro, poi, dice: Se l'idea è un'essenza intelligibile e se ammettiamo che l'intelletto la precede86 e ne è la causa, allora riconoscia­ mo lo stesso intelletto essere, lui solo, il Bene. Giacché, se il Dio demiurgo è principio del divenire, è sufficiente che il Bene sia principio dell'essenza. E, in modo analo­ go, come il Bene sta al Dio demiurgo, che ne è imitatore, così il divenire sta all'essenza, essendone quello imma­ gine e imitazione87• Pertanto, se è vero che il demiurgo del divenire è buono, allora, di certo, il demiurgo dell'es­ senza sarà il Bene in sé88, congenito89 all'essenza. Infatti, essendo di duplice natura, il secondo plasma da sé90 la sua stessa idea e il cosmo, poiché è demiurgo e, in se­ guito, totalmente dedito alla contemplazione. Dunque, per concludere il nostro ragionamento, siano queste le quattro denominazioni delle quattro realtà: il primo Dio è Bene in sé91; demiurgo buono è chi lo imita92; circa l'es­ senza, l'una è del primo, l'altra del secondo; e infine, sua copia è il cosmo nella sua bellezza, che è reso bello dal suo partecipare al Bello.

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Libro Sesto

Fr. 1 7 (26 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 18, 22-23, p. 539 b-e Viger; II, p. 43, 22-44, 3 Mras) E a quanto sostenuto aggiunge nel sesto libro: Poiché Platone sapeva che presso gli uomini il solo a es­ sere conosciuto è il demiurgo93, mentre il primo intel­ letto, chiamato anche essere in sé, è totalmente ignoto a essi, per questo si è espresso come se qualcuno dices­ se94: "Uomini, l'intelletto che voi vi immaginate non è il primo, ma prima di lui ce n'è un altro, anteriore95 e più divino" . Fr. 18 (27 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 18, 24, p. 539 c-d Viger; II, p. 44, 4-13 Mras) E poi, dopo altre osservazioni, aggiunge: Provate a immaginarvi un timoniere che, sballottato in mezzo al mare dai flutti96, assiso come su di un alto tro­ no97, dirige98 la nave con la barra del timone, però i suoi occhi e la sua mente sono entrambi tesi verso l'etere, ver­ so le regioni celesti, e a lui, il quale naviga in basso sulla superficie del mare, la rotta proviene dall'alto attraverso il cielo; così, anche il demiurgo, tenendo unita la materia mediante l'armonia, affinché non si spezzi e vaghi er­ rabonda, è seduto su di essa, come su di una nave sul

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mare [della materia]99: egli ne regola l'ordine, dirigendo­ la per mezzo delle idee, rivolge al cielo il suo sguardo, in direzione del Dio superiore, che attira i suoi occhi, e dalla contemplazione trae la facoltà di discernere e dal desiderio l'impulso. Fr. 19 (27 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 22, 6-8, p. 544 c-d Viger; Il, p. 50, 9-18 Mras) E nel sesto libro aggiunge: Tutte le realtà che vi prendono parte non vi partecipa­ no in altro se non nel solo pensiero100; quindi, soltanto in questo modo, e non diversamente, hanno la possibi­ lità anche di trarre vantaggio dal loro riconciliarsi col Bene. Quanto al pensiero, è prerogativa del primo. È da lui, pertanto, che tutto il resto ha un colore ed è buono : se questa sia o meno l'unica caratteristica che gli ap­ partiene101, sarebbe stupido starne ancora a discutere. Infatti, se il secondo è buono non di per se stesso, ma per opera del primo, com'è possibile che questo non sia il Bene, per partecipazione al quale il secondo è buono e, in particolare, se il secondo vi prende parte come del Bene? Dunque, è in questo modo, che, partendo da un sillogismo, Platone, ha concluso con sguardo profondo che il Bene è l'Uno . Fr. 20 (29 Leemans) (Eus. Pr. ev. 1 1, 22, 9-10, p. 544 d Viger; Il, p. 51, 2-9 Mras) E poi, più avanti, dice: Che le cose stiano in questo modo, lo ha variamente esposto Platone ora in questo, ora in quel momento;

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T R A DU Z I O N E

LI BRO SESTO

nel dettaglio, infatti, nel Timeo, ha scritto riguardo il de­ miurgo: "Egli era buono"102; mentre, nella Repubblica, ha chiamato il Bene "idea del Bene"103, volendo signi­ ficare che il Bene è l'idea del Demiurgo che ci è appar­ so buono per la sua partecipazione al Primo e all'Uno. Giacché, come diciamo che gli uomini sono stati mo­ dellati dall'idea dell'uomo, i buoi dall'idea del bue, e i cavalli dall'idea del cavallo, così, giustamente, se il demiurgo è buono, perché partecipe del primo Bene, il primo Intelletto sarà idea «del Bene», essendo il Bene in sé104 Fr. 21 (Test. 24 Leemans; fr. 36 Thedinga) (Procl. In Tim. l, 303, 27-304, 7 Diehl) E Numenio, dopo aver proclamato105 che gli dèi sono tre, chiama il primo Padre, il secondo Creatore ed il terzo Creazione; a suo parere, infatti, il mondo consiste nel terzo Dio; per lui, quindi, il demiurgo è duplice, vale a dire il primo Dio e il secondo, mentre il terzo è prodotto del demiurgo106. E del resto è meglio esprimersi in questi termini piuttosto che, come egli stesso dice, esagerando con enfasi tragica107, di avo, figlio e nipote. Chi parla in questo modo considera non correttamente il Bene come prima tra queste cause; infatti, il Bene per natura non è aggiogato a qualcosa, né occupa una posizione che sia seconda rispetto a qualcun altro. Fr. 22 (Test. 25 Leemans; fr. 39 Thedinga) (Procl. In Tim. III, 103, 28-32 Diehl) Numenio fa corrispondere il primo Dio a "ciò che è vi­ vente"108, e dice che questi pensa utilizzando addizional­ mente109 il secondo; il secondo lo fa corrispondere, invece,

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all'Intelletto, e dice che svolge una funzione demiurgica adoperando in modo addizionale il terzo; infine, il terzo lo fa corrispondere all'intelligenza discorsiva110•

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Note alla traduzione

fr. l a 1 2

3 4

5

Il sigillo assicura l'esplicitazione del significato. Il verbo àvaxwQijaaa8aL non sembra indicare propria­ mente la necessità di un ritorno a una precisa fonte o alla saggezza tou t court degli antichi popoli, come vor­ rebbero molti degli studiosi (ad esempio, lo stesso des Places, Numénius, cit., pp. 22-23), ma a quello che è lo scopo ultimo a cui tende la ricerca dell'apamense, che consiste, appunto, nel fornire una definizione dell'esse­ re. Numenio intende stabilire in questo modo un legame tra le sue dottrine, le testimonianze offerte da Platone e i detti di Pitagora, senza tralasciare le usanze antiche che vi concordano. A tal proposito, cfr. Jourdan, Eusèbe de Césarée, cit., pp. 1 18-12 1 . Numenio intende il problema della definizione dell'essere. Sull' importanza della dottrina di Pitagora nel pensiero di Numenio, spesso chiamato non a caso nu8ay6QE LOç, cfr. Frede, Numenius, cit., pp. 1045-1 050. Utili ai fini di un approfondimento sul problema anche P.L. Donini, Le scuole, l 'anima, l 'impero, cit., in particolare pp. 140-141, e D. O'Meara, Pythagoras Revived, cit., pp. 9-14. I Bramani e i Magi, tradizionalmente identificati con gli Indiani e i Persiani, sono menzionati anche da Dio

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Chrys. or. 49,7, il quale ne rammenta, per gli uni, la tem­ peranza (ÈYKQcX'rE ta) e la giustizia (bLKaLOalJV fl ) nell'es­ sere devoti alle divinità (cfr. anche or. 35,22) e, per i se­ condi, una profonda conoscenza della natura e dei culti religiosi (cfr. or. 36,41 ). Sul tema della saggezza degli stranieri, cfr. A. Momigliano, Saggezza s traniera. L 'Elle­ nismo e le altre culture, Torino 1979; sull'impiego di ca­ taloghi dei popoli saggi e sui loro usi e significati negli autori antichi, cfr. M. Broze - A. Busine - S. Inowlocki, Les catalogues de peuples sages: fonctions et con textes d 'u tili­ sation, 'Kernos' 19, 2006, pp. 131-144.

fr. 1b 6

Le uniche notizie di cui disponiamo circa Celso, filoso­ fo medioplatonico del II secolo d.C., ci sono trasmesse dagli otto libri che Origene scrisse per contestare le sue critiche alla dottrina cristiana (in parte ancora leggibili grazie alle citazioni operate dall'Alessandrino nel corso della trattazione) . Celso, servendosi peraltro anche di fonti ebraiche ostili alla nuova religione (oltre ai Vange­ li, in particolare quello di Matteo ), screditò al massimo la figura di Cristo, riscrivendone le oscure origini - sa­ rebbe stato figlio di un soldato romano e di una mere­ trice - e in particolare smascherando l'ipocrisia del suo operato e la falsità della sua natura divina. In genera­ le, su Celso, la sua opera e la sua attività, si vedano C. Andresen, Logos und Nomos . Die Polemik des Kelsos wider das Chris ten tum, Berlin 1955; H. Dorrie, Pla tonica mino­ ra, Miinchen 1976, pp . 229-274; nonché, per una sintesi, M. Frede, Cels us philosophus Platonicus, in: ANRW 2.36.7, 1994, pp. 5183-5213, e Moreschini, Storia del pensiero cri­ stiano tardoan tico, Milano 2013, pp. 45-56, con bibliogra­ fia alle pp. 1296-1297.

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N OTE A L LA T R A D U Z I O N E

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Per altri tentativi di definizione del Dio degli Ebrei, cfr., per esempio, Lucan. 2,593 incerti Iudaea dei; Tac. his t. 5,5; Cass. Dio 37, 1 7,2; Phil. AL lega t. 353; lo stesso Numenio in fr. 56 des Places, tramandato da Giovanni Lido, che parla, invece, di un Dio àKO LV