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Italian Pages 776 Year 1997
_R. Bonelli C. Bozzoni V Franchetti Pardo
Editori Laterza
©
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In sovraccoperta: Collaboratore di Meo da Siena, «Il vescovo Ercolano» (particolare della città di Perugia), XIV sec. Perugia,
Galleria Nazionale dell'Umbria.
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https://archive.org/details/storiadellarchit0000bone
Grandi opere
© 1997, Gius. Laterza & Figli
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Renato Bonelli Corrado Bozzoni Vittorio Franchetti Pardo
Storia dell’architettura medievale L’Occidente europeo
Editori Laterza
1997
Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel marzo 1997 nello stabilimento grafico della Uniongrafica Corcelli s.r.l. - Bari per conto della Gius. Laterza & Figli Spa CL 20-5184-2 ISBN 88-420-5184-5
Premessa
Già dalla seconda metà del III secolo erano apparsi i primi segnali di quel progressivo spostamento verso oriente del centro di gravitazione dell’impero romano che durerà circa due secoli. Ne è una tappa fondamentale la de-
cisione dell’imperatore Costantino il Grande di fondare sul Bosforo la sua città-capitale (Costantinopoli), poi definita la Seconda Roma, e di proclamarne ufficialmente, nel 330, l'atto di nascita. Circa un secolo e mezzo più
tardi, nel 476, si consuma anche formalmente la separazione tra la Roma d'Occidente, che era da tempo fortemente scaduta di rango, e la nuova splendente Roma d’Oriente. Una convenzionale periodizzazione, di marca occidentalistica, assume tale data come termine 4 quo dell’avvio di una nuova età della storia europea e mediterranea: ne fa cioè la data di nascita di quel Medioevo che si considera interposto tra l’età antica e la cosiddetta età moderna. Un effetto dell'adozione di questo schema storiografico è anche il precisarsi di una certa separatezza concettuale nell’analisi delle vicende che per più secoli hanno interessato i due ambiti, quello orientale e quello occidentale, dello spazio geo-politico e culturale fino ad allora unitariamente compreso nel concetto di impero romano. Questa separatezza, un Medioevo occidentale inteso quale mondo storicamente determinato e criticamente definito, non è peraltro soltanto una finzione storiografica; corrisponde infatti anche ad un dato storicamente accertabile: cioè al diverso modo di sentire la propria identità che già da prima, e più chiaramente a partire dal quinto secolo, si era andato via via simmetricamente e reciprocamente diffondendo nella coscienza dei componenti delle società della parte orientale e della parte occidentale del composito impero romano. E tale duplicità di sentimento, o se si vuole di atteggiamento mentale, è fattore di primaria importanza negli sviluppi storici delle due parti in questione: perché questo modo di sentire la propria identità andrà ad influenzare in misura sempre più estesa sia il precisarsi ed il divenire delle rispettive istituzioni, sia il pensiero laico e religioso (questo, in ‘entrambe le parti, centrato sulla cristianità) e dunque anche la qualità e le modalità di vita, individuale e collet-
tiva, delle popolazioni rispettivamente d'Oriente e d'Occidente. Una componente peculiare della cristianità d'Occidente è il progressivo emergere di una religiosità popolare e laica, che si affianca, e talvolta si contrappone, a
VII
Premessa
quella della Chiesa. Fenomeno, questo, che porterà con sé numerose conseguenze tanto sul piano delle organizzazioni religiose quanto su quello delle organizzazioni laicali: la contrapposizione tra clero regolare e clero secolare, il precisarsi di «compagnie» e «fraternite», il costituirsi sia di ordini religiosi (soprattutto i grandi «ordini mendicanti», ma anche gruppi e componen-
ti minoritarie che saranno dichiarate eretiche), sia di ordini laico-religiosi di
stampo militare-cavalleresco, spesso con risvolti assistenziali-ospedalieri (i
Templari, l'Ordine Teutonico, i Cavalieri di San Giovanni e loro ulteriori
partizioni e sviluppi, ecc.). E ne conseguirà, inoltre, una attenta distinzione tra verità rivelata e verità pensata che sfocerà nella scoperta della «coscienza» come espressione dell'individuo nella società. Nell’evolversi di questi elementi ha giocato un ruolo decisivo una delle espressioni principali e peculiari della storia dell'Occidente: la dialettica (che a seconda dei momenti e delle occasioni è stata di scontro o di omologazione) tra impero e papato. Dialettica i cui effetti, come è noto, si colgono non solo sul piano concettuale e culturale — ne è componente essenziale uno stretto collegamento e radicamento ad aspetti giuridico-istituzionali (dall’asse portante dello studio del diritto nasceranno, tra l’altro, le università) — ma che si estendono anche agli
aspetti politici generali e locali e, con questi, ai conseguenti eventi bellici. Mentre in Oriente tali fenomeni, e soprattutto la dialettica tra istituzioni religiose ed impero, presentano forme tutt’affatto diverse. Coscienza della propria identità e tema della romanità sono uno dei grandi contrasti tra Oriente ed Occidente. Per quanto concerne la pretesa alla legittimità giuridica e concettuale di sentirsi eredi di Roma, era infatti andato sempre più manifestandosi, in ciascuno dei due ambiti, un reciproco atteggiamento di sconfessione delle istituzioni dell'ambito opposto: se a Costantinopoli ci si sentiva Romani (ancora oggi tale appellativo resta in alcuni toponimi dell’area di Istanbul) e, grecizzando, ci si chiamava ot romzaioi, d’altra parte, nell'Europa occidentale, e soprattutto nella penisola italiana, si
indicava la corte costantinopolitana, e la sua cultura, come «greca» o «bizantina». Anche perché, se in Occidente si usava ancora il latino, invece in Oriente, dal V secolo in avanti, la lingua ufficiale era ormai il greco e non più
il latino. Così, in questo progressivo allargarsi del divario tra le istituzioni laiche e religiose delle due parti, si arriverà anche, nell'VIII secolo, a sancire l’esistenza di due diversificati imperi (in Occidente si avrà il Sacro Romano Impero ed in Oriente l'Impero Romano d’Oriente; e, parallelamente, vi saranno due serie di imperatori altrettanto distinte) che si consideravano entrambi contemporaneamente radicati nella tradizione (anche nel senso concettuale e letterale della traditio imperti) dell'impero romano. Ma diversità di atteggiamenti, e già nei primi decenni del IV secolo, si colgono anche nell’ambito della religiosità cristiana; anche se questa avrebbe dovuto costituire terreno di amalgama tra le due parti dell’impero in quanto i cristiani si ponevano come elemento di distinzione sia rispetto alle tradizioni religiose romane (anche negli sviluppi del culto imperiale), sia nei confronti dei culti misterici diffusi in vari ambiti e strati della società del tempo.
Premessa
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Questo sentimento dello sdoppiamento, politico, economico, culturale, sociale, e religioso, tra Oriente ed Occidente si è travasato anche nella sto-
riografia moderna, dando luogo ad un parallelo meccanismo di partizione specialistica nell'ordinamento e nell’orientamento dei vari campi di ricerca e di studio. Dunque, così come è avvenuto per la storia dell’arte e della cultura, la separatezza tra ambito occidentale ed ambito orientale è stata da tempo assunta come parametro storiografico anche dagli studi di storia
dell’architettura: che pertanto distinguono e periodizzano diversamente le linee di ricerca e di sviluppo individuabili rispettivamente nell’ambito orientale ed in quello occidentale dell'Europa continentale e del bacino mediterraneo. Anzi, con un deciso spostamento di accento a favore dell’area eurooccidentale, si è in genere finito per identificare l’idea stessa dell’unità culturale europea sia con l’espressione della capacità della civiltà occidentale di assimilare, omologare, e poi superare, più e diversificate componenti, sia
con la risultante del suo dinamico processo di espansione economica e politica. Effettivamente tale schema, che potrebbe essere riassuntivamente indicato come descrizione di un processo di «romanizzazione» (nel senso però della Roma d’Occidente) e di cristianizzazione (ancora una volta in senso
«romano») è, in qualche misura, legittimamente utilizzabile. Infatti, mentre nell’Oriente mediterraneo, sia anatolico sia balcanico, si sviluppa e si diffonde la linea «bizantina», parallelamente, in tutto il bacino mediterraneo meridionale e perfino nel meridione della penisola iberica ed in Sicilia, a partire dal VII-VIII secolo dell’era cristiana si afferma e diffonde la ricchissima e vigorosa componente culturale ed artistica connessa all'Islam. Ed è ben noto che la componente islamica e quella orientalistico-bizantina hanno dato luogo a prodotti architettonici improntati a principi e fondamenti sostanzialmente distinti (fanno eccezione le aree di sovrapposizione etnicoculturale ove si sono precisati fenomeni di reciproco sincretismo) da quelli cui si è richiamata la cristianità d'Occidente. Pertanto, nel sottotitolo di questo libro, l’accentuazione del termine Occidente rispetto alla mera definizione del quadro geografico indica una precisa delimitazione dell’ambito artistico-culturale, entro il quale è stato analizzato e descritto, nelle sue principali linee, il quadro architettonico delineatosi in Europa durante i secoli cosiddetti medievali. Però apportando, rispetto alle consuetudini e convenzioni storiografiche, due importanti e correlate modifiche: una di ordine geo-culturale, l’altra di ordine cronologico. Sul piano geo-culturale, infatti, per tener conto di quanto già rilevato, è apparso necessario prendere in conto soltanto quelle aree ove si sono andate precisando le linee della cultura architettonica che storiograficamente, cioè ex post, appaiono essere state l'ossatura portante del modo occidentale di rapportarsi all’architettura (linguaggi, tecniche, maestri e maestranze, valori, significati, simboli, ecc.). In altri termini sono state deliberatamente
escluse analisi di aree ed opere che, seppure geograficamente appartenenti all'Europa occidentale, per lungo tempo rimangono invece luoghi ed espressione da un lato della componente bizantina in senso proprio, dall’altro di
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Premessa
quella islamica: fatti naturalmente salvi gli occasionali e parziali riferimenti quando questi sono apparsi necessari.
Sul piano cronologico è stato poi spostato in avanti nel tempo, cioè alle soglie dell’VIII secolo anziché alla fine del V, il momento che può essere assunto come punto di cerniera tra il concludersi della continuità con l'eredità antica e l'emergere di un diverso ed innovativo quadro di ricerche. Con ciò non tenendo quindi conto della convenzione che fissa alla fine del V secolo l’avvio dell’età medievale e riconoscendo il perdurare dell’eredità del «tardoantico», del «paleocristiano» e del «protobizantino» appunto fino al VI e talvolta sino al VII secolo. Si deve tra l’altro osservare e sottolineare che dal V all'VIII secolo, a parte fenomeni locali anche di grande rilievo (e basterebbe pensare ad alcuni aspetti dell’architettura a Roma o a Milano, e soprattutto nell’ambito ravennate), tutta l’area europeo-cristiana d'Occidente è marcata in genere da una fase recessiva di lungo periodo: con una contrazione della vita sociale economica e politica i cui effetti sono leggibili nella riduzione dell’entità delle popolazioni e, conseguentemente, nel diradarsi e nel ridursi degli assetti insediativi; quindi anche nel modo stesso di servirsi del costruito e di prendere iniziative rispetto a ciò che, sporadicamente, si intendeva ancora costruire. Tale contrazione, per quanto attiene all’architet-
tura, si è in genere riflessa, in quel medesimo ambito temporale, o nell’adattamento del preesistente a nuove esigenze, oppure nel perpetuarsi, non sempre criticamente convinto, di schemi e modelli già sperimentati nel passato:
quasi una eco che perde di intensità sonora man mano che si allontana dal luogo e dal momento dell’emissione del suono originario. E soltanto a partire dalla ripresa constatabile tra VII e VIII secolo che, sotto l'impulso della Chiesa e di altre forze e componenti di matrice franco-germanica, compaiono opere architettoniche la cui significanza permette di proporle come segni e segnali del precisarsi di un nuovo corso di esperienze e ricerche. È dunque questo il momento che almeno per alcune aree, in particolare quella iberica, è stato assunto come punto di avvio della nuova realtà dell’architettura occidentale medievale. Altrettanto complesso è stato precisare il momento conclusivo dell’esperienza architettonica medievale. Anche in questo caso è infatti apparso necessario, per alcune aree europee, estendere il termine ad quer non soltanto al Quattrocento, ma anche ai primi decenni del Cinquecento; quando cioè, secondo la consueta partizione storiografica, avrebbe già avuto pieno avvio l’età moderna, e quando, inoltre, almeno per l’Italia, si era già largamente dif-
fusa ed affermata la cultura del Rinascimento. È invece apparso evidente, ed è questa in parte una innovazione nei confronti delle periodizzazioni e schematizzazioni consuete alla storiografia dell’architettura, ed in particolare di
quella italiana, che sia in Italia, sia, ed ancor più, altrove in Europa, durante
il XV secolo, ed in alcune zone appunto ancora nel XVI, la produzione architettonica si è spesso ancora riferita a temi e consuetudini che si radicano
in esperienze di epoche e stagioni culturali precedenti. Si è cioè qui messa in evidenza, proponendo la questione come problema critico da riaprire, la circostanza che in parallelo con il diffondersi, prima lento e locale, poi impe-
Premessa
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tuoso e di largo raggio, del sistema rinascimentale, continuano a trasmetter-
si, nei cantieri e nella cultura degli architetti europei, aspetti del sapere e delle tradizioni architettoniche non «rinascimentali»: con complesse reciproche intersecazioni ed interazioni con il Rinascimento che si colgono sia nelle tracce e nella scia del «gotico» internazionale, sia anche lungo autonomi ed autoctoni sentieri di ricerca; soprattutto di ordine linguistico. E non importa se queste tracce e questi sentieri sono poi stati obliterati dal nuovo quadro artistico, perché, come linfa sottile, o come fiumi carsici, molte di quelle tracce
e molti di quei sentieri di ricerca sono poi qua e là riemersi in tempi a noi più
vicini: talvolta, con un fenomeno metamorfico, se ne colgono ancora alcune
declinazioni e componenti nel tardo Seicento, talaltra essi riaffiorano dopo l’esaurirsi della spinta classicistica e neoclassica o in concomitanza con l'emergere delle inquietitudini del «moderno». Fissatiitermini a quo e ad quem entro i quali è stata condotta l’analisi, l’intera materia è stata poi ulteriormente suddivisa in tre partizioni cronologiche: per quanto detto anch’esse non necessariamente articolate in base alle sistematizzazioni delle fasi e dei periodi principali dell’architettura medievale europea consuetudinariamente accolte. Così la prima fase si avvia dall’VIII secolo e giunge alla metà circa del XII; la seconda fase, muovendo appunto dalla metà o fine del XII secolo, si estende sino ai primi decenni del Trecento; la terza fase, infine, mentre interessa gran parte del XIV secolo, com-
prende il XV secolo e si estende, per certe aree, sino ai primi anni del Cinquecento ed oltre. Però, logicamente, questa griglia non è stata applicata con rigidità schematica. Anche se essa recepisce ed accoglie nei suoi principali contenuti più consolidate partizioni e convenzioni (in vista di una più facile comunicazione con lettori che a quelle partizioni sono stati da tempo abituati), è sembrato comunque utile, talvolta, sfumare o sovrapporre taluni dei momenti di passaggio, o di cerniera, dall'una all’altra delle tre parti. Alla tripartizione cronologica così stabilita è stata fatta corrispondere la tripartizione del lavoro degli autori; ciascuno dei quali si è infatti assunto l'impegno di svolgere il proprio compito relativamente ad una soltanto delle tre Parti che compongono questo libro. Così, come si vede, Renato Bonelli si è occupato della Parte prima, Corrado Bozzoni della seconda, Vittorio Franchetti Pardo della terza. I tre autori hanno in comune una radice formativa romana, ed anzi Bo-
nelli è stato docente degli altri due autori. Ma la diversa età di ciascuno dei tre, nonché il loro peculiare percorso di studi, unitamente alle loro differenziate esperienze e frequentazioni accademiche, hanno dato luogo a maturazioni critiche distinte; che, dunque, potrebbero anche trovarsi riflesse, rispettivamente, nelle diversificate aggettivazioni e declinazioni del discorso critico proprio di ciascuna delle tre Parti di questo libro. Tale problema è stato esaminato dai tre autori fin dalle iniziali discussioni per l'impostazione del lavoro. E ne è stata subito accettata la valenza positiva: non soltanto perché la complessità ed estensione della materia proponeva di per sé la possibilità (ed eventualmente l’utilità) di trattazioni differenziate (vi è sempre una relazione abbastanza stretta tra materia da trattare e trattazione), ma anche
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Premessa
perché tale eventuale differenziazione poteva consentire più ampie prospet-
tive ad un discorso che, comunque, resta innestato su di un asse concettua-
le e disciplinare unitario. Nelle successive occasioni di scambievole consul-
tazione, i tre autori hanno infatti creduto di trovare conferma della validità
dell’ipotesi iniziale. Saranno semmai i lettori a rilevarne limiti e difetti. I tre autori però, pur coscienti del fatto che il loro lavoro non può certo pretendere di esaurire sistematicamente e completamente tutti i risvolti dei problemi affrontati, né, tanto meno, di descrivere tutte le opere che ne amplie-
rebbero il panorama critico-storiografico, ritengono peraltro di essere pervenuti ad offrire, di tale panorama, un quadro sufficientemente ampio e variegato: che tiene conto dei principali e più recenti aggiornamenti in materia. Ritengono cioè che il loro lavoro si proponga come prodotto fondamentalmente unitario anche in presenza di possibili diversità nell’angolazione delle analisi. Perché la diversificata collocazione e riproposizione critica di medesimi esempi, contribuisce a far prendere coscienza ai lettori della complessità e polivalenza dell’opera architettonica: sotto il profilo tecnico, sotto quello funzionale e, riassuntivamente, sotto quello dei suoi significati. Molte, tra le opere architettoniche esaminate, traversando diacroni-
camente ogni partizione o griglia critica, si propongono infatti come prodotti di lunga durata: cioè come organismi che mutano al mutare della loro vita, e che però, al variare degli eventi, continuano, fintanto che esistono, ad
esprimere dialetticamente un loro unico ed irripetibile messaggio. Le Schede, che completano ed integrano i saggi critici, e che sono state elaborate, oltreché dagli autori, da altri studiosi (che infatti le firmano), ten-
dono appunto a dare il senso dell’intrinseca unitarietà della vicenda peculiare che, anche nei suoi frequenti risvolti metamorfici, fa di ogni opera architettonica un fenomeno a sé stante: proponendo l’opera stessa come entità e valore che si colloca al di là ed al di sopra di ogni pur utile e possibile partizione critico-storiografica. A conclusione di queste righe, gli autori desiderano ringraziare i numerosi amici e tutti coloro che li hanno aiutati, con suggerimenti o indicazioni di saggi e contributi critici, che non sempre è stato possibile citare in bibliografia, e fornendo documentazioni iconografiche e fotografie originali, tratte dal loro archivio personale o prodotte per l’occasione. Il riferimento è ad Enzo Bentivoglio, Calogero Bellanca, Piero Cimbolli Spagnesi, Spiridione Curuni, Stefano Davino, Martino Piccinato, Massimo Roncella, Tommaso Scalesse, Elena Viva, nonché a Stefano Gizzi, Maria
Luisa Neri e Maria Margarita Segarra Lagunes che hanno anche firmato alcune schede. Un ringraziamento speciale va poi a Giorgio Rocco, per i molteplici contributi di ordine sistematico-organizzativo, da lui offerti in più fasi e momenti del lavoro degli autori. I quali si scusano comunque per la eventuale involontaria, anche se certamente colpevole, dimenticanza di ulteriori segnalazioni o materiali loro forniti da altri amici e colleghi. Infine, gli autori sono grati all'editore Laterza per il costante sostegno e l’incoraggiamento al loro lavoro.
Storia dell’architettura medievale L’Occidente europeo
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Parte prima
Dal secolo VIII al XII di Renato Bonelli
Introduziine
—’L’edificio chiesastico medievale
È anzitutto attraverso la liturgia — culto di Dio — che è possibile determinare le esigenze funzionali e di rappresentanza che dovevano trovare rispondenza e soddisfazione nell’edificio sede del culto, destinato ad ospitare le numerose azioni pertinenti al rito (preghiere, salmi, canti spirituali, inni, rendimenti di grazia); dove il momento primigenio e centrale è quello eucaristico, che è insieme sacrificale e conviviale. Ma prima ancora di designare l’edificio quale sede del culto, il termine ek&/esia indica in senso figurato la chiesa universale, e cioè l’intera comunità dei discepoli di Gesù, ed in senso proprio la comunità reale e delimitata in loco, riunita per il servizio divino. Ora, poiché tutto il popolo di Dio è «sacerdozio santo», che nell’impegno della vita cristiana si edifica a «tempio spirituale», l’esistenza cristiana diventa sacerdotale e tutta l’attività dell’ekk/esza risulta cultuale, così che culto cristiano e vita cristiana formano una unità inscindibile. Perciò in quest'ambito quello che importa è soprattutto l'esercizio dell'esperienza liturgica della comunità in quanto tale, nell’assemblea dei fedeli, riunita entro un edificio appositamente costruito. Questo è il motivo per il quale i committenti ed i costruttori dei secoli IV-VI hanno assegnato la maggiore rilevanza architettonica ed ornamentale agli interni delle chiese; riservando invece alle fronti esterne una relativa semplicità, secondo una scelta che indica nell'immagine dell’interno la figurazione protagonista dell’architettura chiesastica cristiana. Le fonti tardoantiche e medievali non trattano degli aspetti figurativi e delle strutture murarie costituenti le chiese e gli edifici annessi, restringendo l’attenzione agli aspetti della funzionalità pratica degli impianti in rapporto all’esercizio della liturgia; la letteratura tardomedievale sull’argomento assume invece come fondamentale il tema del significato religioso assegnato all’opera architettonica ed alle sue singole parti. Il prevalere di queste valenze simboliche indica il primato conferito ai valori di «contenuto» quale momento determinante della creazione, poiché l’uomo medievale trova nella propensione ad adottare il simbolo, la propria guida per intendere il mondo, e la sola definizione obiettivamente valida della realtà!. Il processo ! Cfr. von Simson, 1956.
Parte prima. Dal secolo VIII al XII
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formativo di tali connessioni significanti discende dall'adozione di contenuti ideologici assunti dal pensiero teologico e filosofico e dalle tradizioni religiose e letterarie: l’edificio della chiesa è considerato «la Casa del Signore»,
simbolo del regno di Dio sulla terra, soglia di accesso al Cielo; così come, ad
ad esempio, la cattedrale gotica è assunta ad immagine della «Gerusalemme celeste». In queste astratte similitudini il tema filosofico-religioso occupa una posizione dominante: la bellezza è verità — splendor veritatis — e perciò la forma architettonica non costituisce una immagine figurata, in sé distinta e di valore autonomo, ma rappresenta soltanto un pallido riflesso della realtà trascendente in quanto verità rivelata”; come tale, anch'essa risulta portatrice di contenuti, quale effetto secondario del concetto-significato assunto all’inizio. Nell'uomo del Medioevo, l’aspirazione ad una esistenza tesa alla salvezza della propria anima, insieme al predominio della visione mistica del mondo, respingono ai margini della cultura l’esperienza estetica ed oscurano la consapevolezza dei valori formali. Il problema riguardante l’interpretazione delle architetture chiesastiche medievali riguarda principalmente la determinazione del rapporto tra la forma architettonica ed il suo significato, sia nel caso in cui quest’ultimo risulti apertamente indicato, sia quando esso si presenti dissimulato o coperto; questo nell’intento di stabilire se l'assegnazione di un contenuto semantico all'immagine considerata sia dovuta ad una scelta preventiva e programmatica dei committenti e specialmente degli architetti e dei costruttori, oppure se si tratti di una attribuzione successiva, sovrapposta ed imposta all’opera. Ma le interpretazioni per simbolo-significato, dovute agli autori medievali e composte di elementi e soggetti di origine e carattere teologico, risultano dettate a posteriori, e costituiscono quindi delle esplicazioni inautentiche, fuorvianti ed improprie. A tutto questo occorre aggiungere che nessun elemento riguardante il pensiero degli artefici sul proprio lavoro, ed in particolare degli architetti, ci è stato trasmesso in modo diretto dalle fonti medievali; il mondo delle fabbriche e dei cantieri delle grandi chiese, cattedrali ed abbazie, con la sua continua ed intensa vita culturale, sede della creazione artistica e delle elaborazioni tecniche dell’edilizia monumentale, risulta ancora oggi sconosciuto alle nostre indagini.
Le interpretazioni per simboli-significati, che filosofi e teologi specialmente tardomedievali hanno dato dell’edificio-chiesa, sono varie, numerose
e ricorrenti; fra queste, la sola che si richiama direttamente alla forma architettonica delle chiese è quella che interpreta in senso antropomorfico la pianta della basilica con transetto ad ali sporgenti, intesa quale riproduzione della figura assunta dal Crocefisso, a volte con il presbiterio deviato a ricordare l’inclinazione della testa del Cristo morente. In altro modo, da Agostino alla Scuola teologica di Chartres del XII secolo, il pensiero medievale ha accordato la propria fiducia ai sistemi di interpretazione numerologica e
? Ibid.
Introduzione. L'edificio chiesastico medievale
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proporzionale dell’architettura, fondati sul concetto che lo strumento per
adeguare l’opera alla bellezza divina ed assoluta risiede nel riprodurre sull’edificio, applicati al proporzionamento reciproco delle sue diverse parti nella geometria dell’insieme, i rapporti metrici corrispondenti a quelli degli accordi musicali perfetti; ma tali rapporti armonici non risultano percettibili nella vista prospettica al vero dei monumenti, e perciò non sono in grado di definire e caratterizzare l'oggetto architettonico. Ed ancora numeri singoli, rapporti fra numeri e corrispondenti traduzioni in figure geometriche elementari, sono adoperati per significare valenze simboliche; più semplicemente, ad esempio, la elementare figura geometrica del cerchio rappresenta la perfezione, il regno divino, la speranza della vita futura, mentre il numero 12 indica gli Apostoli, il numero 8 le Beatitudini ed il numero 3 la Trinità. L'elenco relativo sarebbe molto lungo. Infine, la necessità di offrire ai fedeli la narrazione figurata della storia umana, assunta dalle fonti dell’ Antico e Nuovo Testamento origina, durante l'età romanica e gotica, la tendenza a considerare l’intero corpo di fabbrica delle chiese più grandi e monumentali come una superficie disponibile ad accogliere, all’esterno come nell’interno, grandi cicli scultorei e pittorici unitari, prefissati secondo precisi pro-
grammi iconografici. La concezione medievale della bellezza quale precisa rispondenza dell'oggetto architettonico singolo ad un concetto universale del bello, stabilito a priori come oggettivo e predeterminato, pone la necessità di ridurre l’o-
pera ad una proiezione materializzata di un pensiero astratto, e cioè ad una rappresentazione impropria di un ideale pensato fin dall’origine come intraducibile nella forma figurata. Tale posizione estetica di rigido intellettualismo consente una sola possibilità di conseguire la comprensione dell’oggetto: quella di risalire direttamente dalla forma al contenuto dichiarato dell’opera, ignorandone il valore d'immagine. Se il valore che deve essere acquisito risiede nella trascendenza divina, il simbolo relativo (la chiesa) nella determinazione del rapporto forma-contenuto diventa un semplice schema, un anonimo segno di riconoscimento, mentre ogni valore storico e formale si dissolve. Ora, questo stesso procedimento, rivolto alla individuazione del significato voluto dalle componenti attive della società medievale, è stato nuovamente adottato dalla storiografia contemporanea, ma senza introdurre nel nuovo processo di pensiero gli indispensabili concetti ed i nuovi strumenti di indagine forniti dal pensiero moderno: così, ad esempio, se la chiesa spirituale è il Regnum Dei e l’edificio-chiesa costituisce la manifestazione sensibile di tale concetto, qualunque edificio chiesastico, grande o minore, dev'essere inteso in senso spirituale e metaforico}; ma alcune chiese «materiali» sono invece la concreta raffigurazione della Civitas Dei4;quanto alla basilica cristiana, essa rappresenta la Gerusalemme celeste attraverso le sue strutture, che riproducono in dimensioni ridotte le singole parti di una città
è Cfr. Frank], 1962.
4 A. Stange, Das frihchristliche Kirchengebaude als bild des Himmels, Kòln 1950.
Parte prima. Dal secolo VIII al XII
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monumentale?; a sua volta la cattedrale gotica dev'essere invece letta come immagine visibile della città celeste, raffigurata nel suo carattere trascendente come città della luce®; essa è altresì espressione della sostanza immateriale della città di Dio, rappresentata secondo l’armonia delle proporzioni”. Qui, come altrove, l’impostazione del problema nei termini critici pertinenti poteva dare soltanto insoddisfacenti risultati. Il modo indiretto, mediato ed insieme astratto, di considerare le opere ar-
chitettoniche in quanto tali da parte della cultura medievale, trova ampia conferma nei procedimenti usati per considerare le «copie architettoniche» dei santuari celebri e più venerati, in particolare di quelli palestinesi; «copie» eseguite in Occidente, a seguito dell'esigenza dei paesi europei di poter disporre in loco delle riproduzioni dei maggiori monumenti consacrati al culto cristiano e specialmente del Santo Sepolcro di Gerusalemme8. In queste operazioni il significato dell'immagine non costituisce il punto di partenza del nuovo procedimento, anche se una determinata risoluzione architettonica risulta imitata non per se stessa, ma per quello che rappresenta; ma
tale processo si definisce invece per una evidente «indifferenza» rispetto alla presumibile richiesta di una fedele riproduzione del monumento prescelto. Infatti, le «copie» non erano dirette a riprodurre l’aspetto reale e concreto del modello assunto, ma solo a rappresentarlo come ricordo di un luogo santo, luogo della fede e simbolo della salvezza; lo stesso modello non risultava riprodotto in tutte le sue parti, bensì solo in alcune fra esse, associate e ricomposte secondo relazioni nuove e quindi con risultati diversi, sia nell’insieme come nel dettaglio. Per contro, l’importanza conferita alla dedicazione delle chiese, intesa quale precisa designazione a luogo di culto, ed il potere di evocazione esercitato dal pensiero dei luoghi santi, erano tali che poteva bastare l'assegnazione dello stesso titolo a due chiese fra loro in tutto diverse e lontane, perché esse fossero assimilate a copie fra loro autentiche, 7zemorie di un luogo venerato. Poiché qui il pensiero del tempo non è pervenuto a distinguere la connessione formale, visiva e figurativa, fra il modello architettonico e la copia, dalla convenzione estrinseca che affida il riconoscimento dell’oggetto alla imprevista casualità di un semplice nome. È ° L. Kitschelt, Die fraibchristliche Basilika als Darstellung des bimmlischen Jerusalem, Miin-
chen 1938. ° Cfr. Sedlmayr, 1950. ? Cfr. von Simson, 1956. 8 Cfr. Krautheimer, 1942.
Capitolo pimo
—L’Alto Medioevo: secoli VIII-X
L'architettura nella penisola iberica Lo sviluppo dell’attività edilizia nella penisola iberica dal VII al X secolo incluso risulta nel suo insieme sostanzialmente unitario, sia nella defini-
zione dei tipi edilizi che nella determinazione dei sistemi statico-costruttivi, e perciò tale da originare una evidente continuità e coerenza di risoluzioni architettoniche; pertanto, è possibile ed opportuno considerarne l’intero processo come una sola progressione storica, tale da richiedere una trattazione unitaria, sia pure articolata secondo la tradizionale distinzione in tre successivi periodi: finora, infatti, la storiografia ha convenzionalmente considerato, secondo trattazioni separate, l'architettura del regno dei Visigoti (metà secolo VII-inizio VIII), quella detta asturiana (inizi IX-inizi X secolo) e quella denominata mozarabica (ca. 900-ca. 1030)!. L'architettura chiesastica del regno visigotico prende inizio dalla conversione al cattolicesimo del re Riccardo I (587) e testimonia sia l'adozione del tipo basilicale ripreso dalle culture romano-cristiane dell’intero bacino mediterraneo, sia la creazione di organismi centrici singolari e fortemente caratterizzati. La scelta dell'impianto basilicale è attestata dal San Juan de Bafios, consacrato nel 661, organismo a tre navi (fig. 1.1a), che reca almeno tre importanti innovazioni: l'adozione dell’arco a ferro di cavallo (arco ara-
bo, qui 1/3 del raggio) nelle arcate della nave; i caratteri già decisamente medievali e quasi preromanici, nelle forme e proporzioni delle arcate, delle colonne e dei capitelli; la mancanza di impegno progettuale circa le fronti esterne, lasciate nelle condizioni di strutture casuali ed aformali?.
Quanto agli edifici centrici, essi presentano dimensioni molto ridotte, muri di pietra continui di enorme spessore e quasi privi di finestre, vani interni fortemente squadrati e larghi appena 3-4 metri lineari, coperture vol-
! J. Puîg i Cadafalch, A. de Falguera, J. Goday y Casals, L'arquitectura romanica a Catalunya, vol. I: L'arquitectura romana, l'arquitectura cristiana preromanica, Barcelona 1909; J. Puîg i Cadafalch, L'art wisigothique et ses survivances, Paris 1961. 2 P. de Palol, La basilica de San Juan de Baitos, Palencia 1988.
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tate a botte, archi a ferro di cavallo. Sono monumenti che sviluppano una poetica dello spazio chiuso, concentrato, serrato e compresso da pesanti mu-
raglie e volte, scandito da robuste arcate e da colonne angolari, marcato da
un forte senso della massa plastica secondo una dimensione metrica volutamente ridotta. La forma tipica di queste chiese è rappresentata da Santa Comba de Bande in Galizia (VIII secolo?) e specialmente da Santa Maria de Melque presso Toledo (inizio VIII secolo?), che presentano una pianta cruciforme fortemente accentuata nella lunghezza dei bracci e con vano presbiteriale distinto; lo stesso schema planimetrico è adottato nel San Frutuoso de Montelios (656?) in Portogallo (fig. 1.2), che però si distingue nettamente per ricchezza e varietà di dettagli, e per evidenti influssi bizantini (calotta sopra il vano centrale, trifori interni di separazione, partiture esterne). San Pedro de la Nave (San Pedro de la Mata) (612-680?), presenta invece tre navate con l’aggiunta di due vani alle testate del transetto (fig. 1.1b), e reca fregi, abachi e capitelli scolpiti, che insieme a quelli del superstite transetto di Quintavalle de las Vifias (fine VII secolo) presso Burgos, formano i migliori saggi figurativi dell’arte visigotica. La liberazione delle Asturie dal dominio arabo, attuata da Alfonso I il
Cattolico (739-757) e riguardante il territorio che si estende dalla Galizia all’alta valle dell'Ebro e si allinea sulla riva destra del Duero, realizza le con-
dizioni per l'avviamento e lo sviluppo di un'attività costruttiva che contraddistingue prima il regno di Alfonso II il Casto (791-842) e successivamente in special modo quello di Alfonso III il Grande (866-910). Si tratta di chiese che in generale mantengono alcuni fra i caratteri dei monumenti visigotici, quali specialmente l’uso di murature continue, di forte spessore e dotate di piccole aperture, l’adozione del presbiterio a fondo piatto, la casualità degli esterni, la copertura a volta. L'antica capitale Oviedo conserva due edifici singolari: la cosiddetta C4mara Santa (Santa Leocadia, 802?) cappella sepolcrale dei re, e la chiesa di San Julian de los Prados (detta Santullano, terzo e quarto decennio del IX secolo), organismo a tre navi su pilastri quadrati, transetto continuo, triplice
presbiterio a fondo piatto, copertura a tetto (fig. 1.3), interamente decorato con dipinti che richiamano la pittura illusionistico-romana e protobizantina. Diverso in tutto è San Miguel de Lillo (842-850), ora in gran parte distrutto (fig. 1.4), il quale realizza una risoluzione architettonica che è possibile definire preromanica: tre navi coperte con volte a botte ad anelli su colonne isolate, con rilevante sviluppo in altezza (rapporto 1:3). Più tarda è certamente Santa Cristina de Lena (905?), situata fra Oviedo e Leén, che nell’in-
terno è articolata su due livelli (fig. 1.5), con presbiterio fortemente rialzato e delimitato da una iconostasi a tre archi su colonne, di età mozarabica.
La soluzione planimetrica fissata in San Miguel de Lillo — atrio autonomo con vani laterali, tre navi, triplice presbiterio a fondo piatto (0 presbiterio, con cappelle laterali), assenza di transetto, corpi minori aggiunti in corrispondenza dell'ultima campata delle navate — è adottata in San Salvador de Priesca (consacrata nel 921) ed in San Salvador de Valdediés (consacrata nell’893). Quest'ultimo (fig. 1.6) riprende nel proprio interno, sviluppan-
I. L'Alto Medioevo: secoli VII-X
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do forme semplici e vigorose e nel contempo grevi e possenti, lo straordinario proporzionamento dei vani delle navate, altissime ed anguste (rapporto 1:3). E in generale, in queste ed in altre chiese asturiane, permane la tendenza ad ignorare la necessità di comporre le fronti esterne, dotandole di una forma architettonica adeguata alla qualità degli interni. Si conferma così la relativa indifferenza dei committenti e costruttori per la fruizione visiva degli esterni: contrafforti brutalmente addossati alle pareti di perimetro e corpi di fabbrica minori, a blocchi, non indispensabili alla funzione, situa-
ti a nascondere ed alterare la vista dell'impianto monumentale. Infine, monumento
veramente
singolare è Santa Maria
de Naranco
(consacrata
nell’848) presso Oviedo (fig. 1.7), sorta come edificio di rappresentanza civile e poi trasformata in chiesa, costituita da un’aula sopraelevata di m 12 x 5, coperta da una volta a botte ad anelli, e con due logge di testata (fig. 1.8); in questo interno essa introduce il motivo delle arcate a muro, qui sopra esi-
li colonne binate, quale elemento diretto a dare un’articolazione completa — strutturale e plastica — all’immagine architettonica, ormai totalmente armonica e compiuta). Gli ultimi decenni del IX secolo segnano l’esaurimento dell’architettura asturiana, e contemporaneamente registrano l’avvento dell’arte mozarabica,
la quale rappresenta l’ultimo ciclo autonomo della cultura artistica nella penisola iberica, precedente al processo unificatore della cultura romanica. Il termine mozarabico è generalmente usato per indicare la cultura figurativa ed architettonica delle collettività cristiane vissute in Spagna sotto la dominazione araba (che dalla invasione del 711 si prolunga fino alla riconquista di Granada del 1493), ma più propriamente si applica all’arte del X secolo e dell’inizio dell'XI nei tre regni liberati di Leén, Castiglia ed Aragona; arte dovuta sia alle comunità monastiche cristiane del Meridione, che avevano
scelto l’esilio rifugiandosi nel Settentrione della penisola per sfuggire alla repressione araba, sia alla parallela emigrazione di gruppi di maestranze e di compagnie di edili. Così che l’architettura mozarabica si definisce anche come un’architettura prodotta da collettività costrette all’esilio, che installandosi in terra straniera vi portano i modi e le forme praticate nelle regioni di origine, specialmente nell’ Andalusia. In questo quadro, le forti e dirette influenze culturali e più propriamente linguistiche dei grandi centri islamici di Toledo e di Cordova, sull’architettura delle terre liberate di Le6n, Castiglia, Navarra, Aragona e Catalogna, si accostano e poi si fondono con il patrimonio artistico e le capacità creative delle comunità emigrate nei regni cristiani. Ne consegue pertanto il formarsi di una cultura fortemente influenzata dall’arte araba dell’emirato la quale, ricca di intensi e variati rapporti con l’intero mondo mediterraneo, gode di una capacità creativa e di una forza di espansione certamente superiori, in quel momento storico, a quelle del mondo tardo-carolingio. In tal
modo, la cristianità spagnola del X secolo, nelle sue estrinsecazioni artisti-
che, assume di frequente quale proprio mezzo linguistico il lessico dell’ar> M. Gémez Moreno, Iglesias mozdrabes, Arte espaitol de los siglos IX a XI, Madrid 1919.
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chitettura islamica; ciò è chiarissimo nella generale adozione dell’arco a ferro di cavallo, nella forma data ai pulvini sovrapposti ai capitelli, nella fronte dei presbiteri spesso conformata come un rihrab (la nicchia aperta nella parete delle moschee rivolta verso la Mecca), nell’uso di 4/fz e nella forma di ajimez data alle aperture di finestre e porte*. Nello sviluppo dell’architettura mozarabica la costruzione delle chiese mostra una grande varietà di risoluzioni nella struttura e nella forma dell'impianto, così che non risulta possibile individuarne i prototipi e definirne la classificazione per tipologie edilizie. È invece facile osservare che, analogamente ai rilievi effettuati sull’architettura visigotica ed asturiana, anche nel mozarabico il complesso unitario dei valori formali dell’opera, e cioè la sua immagine figurata, resta chiuso e come inglobato nel vano interno, qualunque sia la sua conformazione o dimensione; così che non v'è nessuna vera corrispondenza fra il ritmo e l’orditura della stessa immagine e la configurazione esterna dell’edificio. Anzi, gli esterni delle chiese, con i loro corpi di fabbrica bassi, tozzi e grevi, spesso casualmente lasciati al rustico, mostrano
con evidenza la mancanza di aspirazione alla monumentalità ed alla qualità della forma. Qui l’intera capacità formativa resta pertanto concentrata nella creazione della figurazione interna, la quale si contrappone all’intorno urbano o paesistico dell’edificio, originando il distacco ed il voluto isolamento dell’immagine; quest’ultima si definisce come uno «spazio sacro» isolato dal mondo quotidiano e perciò chiuso in una chiesa-fortezza, sede di una religiosità raccolta e concentrata. La copertura a volta, costantemente usata, come si è visto, nelle architet-
ture della penisola iberica dal VII all'XI secolo, rappresenta la continuità di un fondamentale pensiero costruttivo che attraversa l'Alto Medioevo, per il quale l’edificio chiesastico deve costituire una fabbrica di spiccate qualità strutturali ed insieme formali; da qui l’adozione di intere coperture voltate, robuste e massive, dirette ad assicurare all'organismo edilizio assoluta solidità e continuità statico-strutturale fra piedritto e copertura, e a realizzare
vera unità di risoluzione linguistica al vano interno. Questo processo registra dall’inizio il frequente impiego delle volte a botte ed a crociera a spigolo vivo, cui seguono soluzioni più complesse, quali la volta a padiglione con falde a spicchio poggiata sopra quattro archi su peducci (Pefialba), la calotta a padiglione (San Tomés de las Ollas), la volta nervata da costole collocata a raggera (San Millan de laCogolla)?. Capostipite delle sedi mozarabiche è la chiesa rupestre di Bobastro (889 sgg., Malaga) scavata nel masso di arenaria e rimasta incompiuta: organismo
a tre navi, transetto nettamente distinto rispetto alle navate con pareti divi* [J. Fontaine], L'arte mozarabica, cristiani e musulmani nell'alto medioevo, trad. it., Mila-
no 1983. L’alfiz è la modanatura rettangolare che inquadra un arco, generalmente a ferro di cavallo; il termine aji7ez definisce due archi di questo tipo, accoppiati ai lati di una colonnetta centrale, a creare un’apertura piuttosto ampia. Vedi in fig. 1.9 la finestra ad ovest nel portichetto meridionale esterno. ae Galdiano, F. Iniguez Almech, Arte medieval, t. I, Arte preromanico, Pamplona 1
I. L'Alto Medioevo: secoli VIII-X
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sorie e vano presbiteriale cilindrico. Tipo organico subito importato nei regni cristiani e direttamente ripreso nella bellissima basilica abbaziale di San
Miguel de Escalada (Leén), eretta dall'abate Alfonso e dalla sua comunità, esuli da Cordova, e consacrata nel 913. Qui la distinzione fra nave e transetto è affidata ad un triforio arcuato su colonne — simile ad una iconostasi — situato a completare il peribolo delle arcate estese su tre lati, che avvolge l’intero grande vano (fig. 1.9): ritmo unitario che evidenzia le qualità figurative fornite dalla felice sintesi raggiunta nella essenzialità delle superfici e dei vo-
lumi. È questa un'immagine dove è evidente il ricordo del motivo dominante proprio alle basiliche paleocristiane e bizantine, quale la serie degli archi su colonne; singolare è invece la conformazione della zona presbiteriale, com-
posta da tre vani nettamente separati, di pianta circolare e copertura a calotta, ricavati nell’enorme spessore squadrato della muratura e senza formazioni esterne absidate. A sua volta San Cébrian de Mazote (Valladolid, ca.
915) che presenta elementi architettonici e caratteri stilistici molto simili (fig. 1.10), costituisce uno sviluppo ed un arricchimento della forma propria ad Escalada, sia per l'adozione del tipo basilicale ad absidi contrapposte, sia per la conformazione absidata delle testate del transetto, la quale, unitamente al-
l'abside, sembra prefigurare una struttura triconca. Il motivo delle due absidi contrapposte ritorna poi nell'organismo di Santiago de Pefialba (Leén, terzo decennio dell'XI secolo), che può essere definito una riduzione semplificata di Mazote ai suoi elementi essenziali: la navata con le due cappelle (formazioni absidali) alle estremità, l'ingresso laterale e non assiale, la calot-
ta — quasi cupola — sita sulla campata centrale in forma di padiglione con falde a spicchi senza pennacchi”. Ma la chiesa mozarabica più originale e si può dire unica per la conformazione del suo spazio interno è Santa Maria di Lebenia (Santander, ca. 930),
organismo su pianta rettangolare che testimonia il tentativo di associare fra loro navi voltate a botte longitudinali e trasversali su diverse altezze, mediante una ripartizione spaziale reticolata e simile a quella delle moschee; ma che, proprio per la inadeguata distinzione dimensionale e strutturale fra vani laterali minori e nave centrale elevata, mostra la mancata risoluzione del
tema proposto. Altri monumenti mozarabici che occorre ricordare sono San Miguel de Celanova (942?); il presbiterio di San Tomfs de las Ollas (consacrata nel 984) che consta di una sala ovale coperta da una calotta di undici falde ed ornata da una serie di arcate cieche sul piedritto; San Millan (Emiliano) de la Cogolla (consacrata nel 984), grande aula ricavata in alcune grotte, con una fila di arcate sull’asse longitudinale del vano. Infine il sorprendente eremitaggio di San Baudel de Berlanga (Vecchia Castiglia, fine X secolo) in cui la complessa e variata articolazione dello spazio interno (pilastro centrale e volte nervate con profilo di palma, tribuna su portico e grotta sovrapposta, chiosco, fig. 1.11) si richiama, attraverso forme di assoluta originalità, ad una forte destinazione simbolica dello spazio. ATE Fernandez Arenas, La arquitectura mozdraba, Barcelona 1972.
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Parte prima. Dal secolo VIII al XII
L'architettura carolingia
La restituzione, sia pure condotta in modo sintetico, del processo storico con il quale la cultura architettonica dell'Occidente ha sviluppato il passaggio dai tipi e dalle forme paleocristiane e tardoantiche ai monumenti dell’età carolingia e dell’Alto Medioevo, offre notevoli difficoltà, specialmente per la quasi totale mancanza di edifici superstiti, databili al periodo compreso fra la metà del VI e la metà dell’VIII secolo. Questa condizione ha ori-
ginato il convincimento, da tempo largamente diffuso, della mancanza di una reale e consistente continuità di sviluppo delle attività edilizie durante tale periodo; e ciò specialmente per quanto riguarda le chiese di forma basilicale, nei paesi dell'Europa meridionale. Ma l'ipotesi di una interruzione, totale o quasi, dell’attività costruttiva riguardante l'architettura chiesastica per un periodo di almeno due secoli, non è in linea di principio accettabile, poiché la stessa legge di vita di qualunque società storica, anche la più degradata, richiede una continua realizzazione o rinnovamento delle strutture di uso collettivo indispensabile alla propria esistenza materiale e spirituale, secondo un determinato ritmo di sostituzione e rinnovamento, e di nuovo
impianto: E questo è tanto più certo in una società come quella altomedievale, così fortemente legata ai valori offerti dalla religione, e proprio per questo prioritariamente rivolta ad esporli e rappresentarli nella riflessione filosofica, nelle arti figurative e nell’architettura. Per questi motivi risulta legittimo ritenere come possibile ed anche attendibile, pur nell’ambito di un naturale processo di mutamento e di sviluppo, una continuità di tipi edilizi organici e costruttivi, e di risoluzioni architettoniche nell'Europa del VI, VII ed VIII secolo. Non solo, ma poiché è veramente difficile ammettere la repentina scomparsa dell’architettura cristiana dei primi secoli in coincidenza con l’inizio da noi convenzionalmente fissato all’Alto Medioevo, risulta anche possibile ipotizzare fra il VI e VIII secolo la presenza di una esile linea di fedeltà al modello paleocristiano più diffuso, quello cioè della basilica a tre navi con arcate su colonne, copertu-
ra lignea e senza transetto; quale è, appunto, la chiesa di S. Salvatore a Brescia, probabilmente eretta nella prima metà del IX secolo (fig. 1.43), la quale rappresenta una tarda testimonianza di questa corrente fortemente tradizionale. Nello stesso periodo di tempo prende inizio il processo di lenta e graduale trasformazione della basilica cristiana nell'organismo della chiesa medievale; è un procedimento che conserva il tipo edilizio dell’impianto longitudinale a tre navate, abside e tetto, ma che nel contempo trasforma il modello aumentando fortemente lo spessore dei muri, riducendo le aperture e le luci, sostituendo i pilastri alle colonne e conformando l’insieme come un organismo massivo, dotato di una forte continuità nelle strutture, con la ten-
denza a realizzare una poetica dello spazio chiuso ed ombroso. Ne sono
esempi, in Italia, il S. Vittore di Ravenna (VI secolo), la Pieve di Bagnacavallo (VII secolo) e quella di Arliano (VIII secolo).
La traccia di queste due correnti architettoniche che sembrano svolgersi secondo due linee parallele fra il VI e VIII secolo si proietta sull’orizzonte
I. L'Alto Medioevo: secoli VIU-X
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dell'Occidente latino che, già dall’inizio del V, aveva conseguito la propria autonomia culturale, politica e religiosa; una civiltà nella quale il papato aveva da tempo decisamente assunto la guida spirituale e culturale. Ma la pro-
gressiva romanizzazione dell'Europa nell’assetto delle chiese locali, nelle
forme del culto e nella regola benedettina imposta a tutti gli ordini mona-
stici, non impedisce il trasferimento al Nord, al di là delle Alpi, del centro di
gravità di ogni importante decisione, dovuto al sorgere ed all’affermarsi, intorno alla metà dell’VIII secolo, del regno dei Franchi come potenza egemone. Ne consegue un confronto dialettico Nord-Sud, o Germania-Italia, che testimonia l’inizio e rivela l'autonomia della nascente cultura artistica europea. Il carattere e gli sviluppi dell’architettura dell’età carolingia, specialmente durante il lungo regno di Carlo Magno (768-814), non discendono da mutamenti sociali, innovazioni politiche o sviluppi economici, ma direttamente dal potere e dalla volontà imperiale, dall’impulso dovuto alla corte e particolarmente dall’azione esercitata da una ristretta cerchia di persone — la cosiddetta Scuola di corte — vero e proprio centro elaboratore di cultura; questo agiva nella chiara coscienza del proprio compito storico, con la sicura convinzione e la ferma volontà di fondere la tradizione culturale romano-classica, estetica e tecnica, con la civiltà e spiritualità cristiana; donde il
costante richiamo allo spirito ed alle forme del cristianesimo delle origini”. L'impegno innovativo della cultura architettonica carolingia trova il suo primo e più importante compito nell’interpretazione della tipologia basilicale delle grandi chiese, e questo sviluppo risulta realizzato in modo esemplare nell’abbazia di Fulda8. In questa grande chiesa, ora distrutta, la ricostru-
zione della modesta sede precedente in una basilica a tre navate, attuata dal 790-792 all’819, presentava una risoluzione architettonica contraddistinta da un grande transetto continuo situato sul lato ovest, fortemente sporgente rispetto alle navi minori e dotato di testate con pareti o intercolumni divisori (fig. 1.12). Un impianto cioè che, anche nel reciproco collocamento e proporzionamento delle diverse parti, si definiva come un richiamo diretto all'organismo del S. Pietro costantiniano di Roma: romano more, ripetono infatti i cronisti dell’abbazia. Così che questo rivela il preciso intendimento di creare al Nord, nel cuore dell'impero, una fedele immagine della basilica vaticana chiamata a rappresentare una forma ispirata dalla purezza e spiritualità dei primi secoli cristiani. E la risoluzione adottata a Fulda in modo così netto e deciso non costituisce un esempio isolato, poiché la forma del transetto continuo e sporgente compare già, timidamente ed in misura assai ri-
dotta, nell'abbazia di Saint-Denis, iniziata forse dopo il 754 e consacrata nel 775, e ritorna in numerose chiese di età carolingia (Paderborn, S. Salvatore 773-799; Hersfeld I, 831-850; Seligenstadt, 830-840) ed anche di età ottoniana?. 7 C. Heitz, L'architecture religieuse carolingienne, Paris 1980. 8R.Krautheimer, La rinascita dell’architettura paleocristiana romana nell'età carolingia, in Id., Architettura sacra paleocristiana e medievale e altri saggi su Rinascimento e barocco, trad. it., Torino 1993.
° Grodecki, 1958, pp. 21 sgg.
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Ma l’abbazia di Fulda (fig. 1.13) reca anche un’altra e più singolare innovazione, operata forse negli anni 817-819 insieme alla costruzione del transetto: quella dell’aggiunta di una seconda abside situata ad occidente, in immediato contatto con il transetto e dovuta alla necessità di poter disporre, in aggiunta all’altare maggiore situato sul presbiterio orientale e dedicato al Redentore, di un altro presbiterio quale santuario dove sistemare degnamente le reliquie di san Bonifacio, fondatore del monastero. Questa nuova e più importante modifica recata alla tipologia basilicale, incide direttamente e fortemente sui modi con i quali è possibile esercitare la fruizione visiva dell’opera architettonica. L'aggiunta della seconda abside, e la conseguente mancanza della porta d’ingresso situata sull’asse di simmetria dell’edificio, obbligano ad entrare attraverso altre porte situate sui fianchi o sulle testate esistenti a lato delle absidi. Tale diversa condizione di accesso esclude a chi entra la possibilità di afferrare immediatamente, nelle sue linee essenziali, l’immagine dell’interno, e cioè di godere il momento più concentrato ed intenso del possesso visivo, quello che si può cogliere unicamente lungo il percorso assiale di penetrazione nella navata. Cambiano pertanto sia il ritmo dell’accesso come il carattere e lo sviluppo della fruizione: chi arriva deve seguire un itinerario diverso dal consueto, entrando da una porta laterale o di testata, ed attraversando le navate minori per raggiungere la navata grande ed in essa l’asse di simmetria, meta finale della lettura in atto. Perciò da un percorso visivo programmato e previsto in modo preciso, si passa ad un itinerario composto da una successione di prese visuali occasio-
nali e libere, che alternano inquadrature architettoniche ora generali ed ora di dettaglio. Infine, l’esistenza delle due absidi contrapposte reca ancora alla fabbrica una nuova diversità, la quale riguarda la vista degli interni ed incide sull'effetto dato dalla fuga prospettica delle due file di colonne, o pilastri, allineati lungo la navata e dalle sovrapposte pareti; veduta prospettica potenzialmente dinamica, che presenta una direzione ed un «verso» dall’ingresso al fondale, od egualmente dalla facciata all’abside. L’aggiunta della seconda abside tende ad abolire il verso unico di lettura dell’immagine, data la presenza di una nuova fuga prospettica, collocata e diretta in senso inverso a quello della prima. In tal modo, se si prescinde per semplicità dalla presenza del transetto, questa nuova forma organica di chiesa-basilica richiede la sostituzione del consueto modo di fruizione visiva, semplice e monodirezionato, con una lettura multipla, bivalente ed alternata, che introduce ele-
menti di latente ambiguità figurale. L'accettazione della tipologia chiesastica a cori contrapposti e la sua conseguente diffusione sono testimoniate sia dalla fedeltà a tale modello, adot-
tato durante il IX secolo nelle abbazie di Paderborn e di Echternach, nelle
cattedrali di Colonia, Besangon, Auxerre, e nella conventuale di ReichenauOberzell, sia dalla notissima pianta di S. Gallo!9, fondamentale testimo-
'° Conant, 1959; H. Reinhardt, Der Karolingische Klosterplan von St. Gallen, St. Gallen 1952; B. Bischoff,J.Duft, W. Horn, Studien zum St. Gallen Klosterplan, «Mitteilungen zur va-
i
ey 1979.
Geschichte», 42, 1962; W. Horn, E. Born, The Plan of St. Gall, 3 voll., Berke-
I. L'Alto Medioevo: secoli VII-X
IIZA
nianza della cultura architettonica altomedievale, che è anche l’unico progetto del periodo pregotico che ci sia pervenuto (fig. 1.14). Questo prezioso documento, che Heito I, abate di Reichenau, inviava intorno all’820 a
Gozberto, abate di S. Gallo dall’816 all’836, affinché potesse giovarsene «nell'ordinamento degli edifici» della sua abbazia, consta di una pergamena di cm 112 x 77, sulla quale è disegnata a penna, in scala e con inchiostro rosso, la pianta di un intero complesso abbaziale, tracciata con il chiaro intento di fornire un modello dimostrativo; non si tratta perciò di un progetto vero e proprio, bensì di un programma edilizio completo e dettagliato, riportato graficamente sopra una pianta schematica. Il disegno raffigura la completa sistemazione di un’area rettangolare di 640 x 480 piedi di lato, tracciata secondo una geometria di ascendenza classica, ed espressa in un reticolo ortogonale in cui, intorno alla chiesa ed all’annessa area di clausura del convento, sono previsti ben 34 edifici destinati a sedi di tutti i servizi necessari all’insediamento; si tratta perciò di un impianto grandioso e razionale, dotato di una propria funzionalità e capace di assicurare alla comunità residente una completa autonomia rispetto ad ogni esigenza di vita. In questa vera e propria città monastica, l’edificio della chiesa costituisce la presenza dominante: corpo di fabbrica lungo 200 piedi e largo 80, absidi contrapposte con nartece esterno avvolgente, tre navate su nove arcate secondo un tracciato modulare, transetto forse coronato da una torre sull’incrocio con la nave, cripta orientale, due torri cilindriche isolate poste verso occidente.
La residenza claustrale vera e propria, che insieme alla chiesa forma un complesso edilizio unitario e centrale, è distribuito su tre lati del portico quadrato, secondo una tipologia che qui appare per la prima volta, ma che rivela, con il suo dispositivo architettonico pienamente risolto, una esperienza plurisecolare. La restituzione del funzionamento liturgico di questo impianto monumentale rimane però incerta, specialmente per quello che riguarda l’utilizzazione dello spazio nell'interno della chiesa, poiché il disegno non riporta quella che poi diverrà — specialmente dai Cistercensi in avanti — la consueta ripartizione degli spazi alle diverse categorie di fedeli: celebranti, coro, monaci, malati, conversi. Qui, invece, la superficie corrispondente alla navata, compresi i presbiteri, risulta suddivisa in otto recinti, e cioè due cori, il fon-
te battesimale, l’ambone e cinque altari, mentre le collaterali ricevono quattro altari ciascuna, che stanno a formare altrettante cappelle per le messe personali dei monaci. Questa forte tendenza a dividere tutto lo spazio disponibile in numerosi piccoli settori, assegnando a ciascun recinto una destinazione finalizzata e quindi una data funzione secondo un rituale prefisso, ha originato un dispositivo che rende impraticabile l’uso normale e libero delle navate ed impossibili le riunioni di numerosi fedeli; e ciò risulta in contrasto con i dati forniti dalla pianta, che riporta ben 75 letti nel dormitorio dei monaci, ciò che sta ad indicare, compresi novizi e conversi, una co-
munità di almeno 130 persone. La frammentazione dello spazio proposta dal disegno sembra dovuta all’intervento — magari indiretto — di una commit. tenza che con tale schema di funzionamento afferma una concezione elita-
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ria ed esclusiva nell’uso della chiesa, limitandone fortemente l’accesso. Perciò questa pianta non costituisce, come generalmente si ritiene, un prototi-
po largamente adottato nella costruzione delle abbazie benedettine altomedievali, ma piuttosto un modello di chiesa abbaziale singolare per le sue ar-
ticolazioni, elaborato e coltivato in una ristretta cerchia di ecclesiastici e di intellettuali, o in un ambiente di corte.
La forma bivalente delle basiliche a cori contrapposti non costituisce la sola innovazione adottata nell’architettura chiesastica dell'età carolingia, poiché ad essa occorre aggiungere una creazione certamente singolare e fortemente caratterizzata: il Westwerk!! (0 massiccio occidentale o triturriume). Si tratta di una «forma-struttura» nuova e del tutto diversa, conferita al cor-
po anteriore della chiesa, il quale visto dall'esterno appare costituito da un blocco imponente di alte torri — di solito due laterali ed una maggiore centrale — che includono tre o quattro piani fuori terra, con il piano terreno interamente destinato a vestibolo e conformato come un grande portico su colonne o pilastri. L’impulso formativo che ha ispirato questa risoluzione architettonica, specialmente per quanto riguarda le dimensioni e l’ubicazione del Westwerk, è con ogni evidenza quello di contrapporre alla consueta emergenza volumetrica della zona presbiteriale (crociera e transetto, tiburio o torre, coro ed abside) una concentrazione di masse murarie altrettanto im-
ponente, così da conferire all'insieme della fabbrica il profilo di un grande corpo allungato e rettilineo, rafforzato agli estremi dalla complessa e variata concentrazione di due possenti strutture, simili quasi a fortezze; una nuo-
va forma architettonica, tipicamente germanica, che i costruttori dell’impero hanno impiegato per almeno quattro secoli, fino alla costruzione delle grandi cattedrali renane. La sola abbazia che conserva quasi per intero il suo Westwerk è quella di Corvey (S. Stefano di Corbeia Nova) in Sassonia, che per questo è stata assunta come testimonianza certa degli impianti di questo tipo!?. Qui il massiccio occidentale, costruito negli anni 873-885 e sopraelevato circa alla metà del XII secolo, è stato realizzato innalzando sopra l’atrio di pianterreno una corte quadrata coperta, composta da due piani di logge arcuate disposte intorno al quadrum o coro di S. Giovanni, ed aperta attraverso una specie di transetto e un grande arco verso la navata. Si tratta quindi di un organismo architettonico distinto e quasi autonomo rispetto alla chiesa (figg. 1.15, 16 e 17), in quanto destinato a sede ufficiale del potere, con il seggio imperiale situato in posizione elevata nella grande loggia centrale del piano superiore, dal quale si domina tutto lo spazio interno del #riturriuz e della basilica. Pertanto, la principale funzione del Westwerk risulta quella di sede speciale per il culto a disposizione dell’imperatore e della corte, una «chiesa-ospite» per il sovrano e, considerati il carattere e la forma dell’impianto, un nucleo edilizio analogo ad una cappella palatina inserita nell'abbazia. Tuttavia, non si !! Grodecki, 1958, cap. VI. !? Grodecki, 1958; W. Effmann, Centula. Saint-Riquier. Eine Untersuchung zur Geschichte der Kirchlichen Baukunst in der Karolingerzeit, Miinster 1912.
I. L'Alto Medioevo: secoli VIII-X
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può nemmeno escludere, per questo tipo di edificio, un uso anche civico, quale sede di cerimonie, investiture, atti di omaggio, processi e sentenze. Struttura contraddistinta da una variata funzionalità, il Westwerk costituisce
nel contempo una duplice forma-simbolo, che unisce il «complesso glorificante» del potere sovrano costituito dalle logge interne del quadru77, alla imponenza delle possenti strutture che ne tracciano il perimetro esterno, forma simbolo di grande forza espressiva ed immagine di potenza. Le indagini archeologiche condotte mediante lo scavo degli insediamenti altomedievali più importanti, hanno consentito di restituire le planimetrie di numerose chiese abbaziali o cattedrali, ora distrutte o trasfor-
mate. Si è potuto così accertare la presenza del massiccio occidentale nell’abbaziale di Lorsch (774), nella cattedrale di Reims (862), in quelle di
Halberstadt (859), di Hildesheim (874), e in quella di Minden (952): rimane dubbia l’interpretazione che bisogna dare del corpo anteriore dell'abbazia di Saint-Denis (775); il Westwerk dell'abbazia di Werden (943,
fig. 1.18) appare ora trasformato in forme gotiche. Quanto alla abbazia di Centula (Saint-Riquier, Somme) del 790-799, è possibile, anche sulla base
di due vedute seicentesche (fig. 1.19), restituirne l'organismo originario: questo presentava all’esterno due transetti eguali e paralleli, situati ai due estremi delle navate, entrambi coronati da un tiburio cilindrico dotato di tetto conico e triplice lanterna; ma le fronti del transetto anteriore, in
realtà, nascondevano un grandioso Westwerk (cripta al piano di ingresso, fig. 1.20, e soprastante cappella, o tribuna, con altare dedicato al Salvatore), mascherandolo dietro una comune partitura.
La politica edilizia dell'impero carolingio trova il proprio fondamento in una concezione fortemente unitaria dello Stato, diretta a realizzare l’unifi-
cazione spirituale, culturale e materiale dell'Europa. In questa azione, come si è detto, la volontà operante è quella del sovrano, detentore di un potere che gli proviene direttamente da Dio, per cui egli è Vicario di Cristo in terra; donde
il carattere sacerdotale della monarchia, che si riflette nelle im-
prese architettoniche, e che conferisce ad alcune fra le opere edificate una speciale impronta nelle funzioni e nella forma, come avviene nel Westwerk. Quanto agli sviluppi della cultura, affidati in gran parte all’accademia palatina, essi comprendevano lo studio delle letterature classiche e paleocristiane (ma finalizzato alla interpretazione dei testi sacri), la lotta alle eresie, la riforma della scrittura, l’unificazione liturgica, il testo unico per i libri sacri,
e la riorganizzazione dell’insegnamento con la ristrutturazione delle scuole vescovili. Secondo quanto riportano i documenti e le cronache del tempo, l’attività costruttiva dell’impero risulterebbe straordinariamente intensa: fra il 768 e l’855, nei territori corrispondenti al dominio carolingio, sarebbero stati costruiti 27 nuove cattedrali, 417 monasteri ed un centinaio di palazzi reali (molti fra questi, probabilmente, dovevano essere modeste costruzioni in legno). Ma di tutto questo immenso patrimonio edilizio restano soltanto una decina di monumenti, fra i quali spicca, per la sua grande importanza storica ed architettonica, la Cappella Palatina di Aquisgrana (Aachen, Aix-la-
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Parte prima. Dal secolo VIII al XII
Chapelle), eretta da Carlo Magno dal 792 all’805!?, anno della consacrazio-
ne da parte del papa Leone III; essa faceva parte di un grande complesso al centro della nuova capitale, sorto quale sede del potere imperiale e composto principalmente da un grande atrio porticato situato sulla fronte della Cappella, di una lunga galleria che collegava l’atrio all’Aula Regia (delle dimensioni di m 47 x 20) e da un sistema di piazze con le sedi dell’amministrazione dello Stato, le residenze, i tribunali e le scuole (fig. 1.21). L’opera che è servita di riferimento, ma non di modello, all’autore, Eudo
(Oddone) di Metz, nel progettare la Cappella Palatina, è certamente la chiesa di S. Vitale a Ravenna (538-546), anch'essa cappella di palazzo. Le due cappelle hanno in comune l’impianto ottagonale, il peribolo anulare avvolgente su due piani con i trifori ad archi su colonne, e la doppia copertura, costituita da una cupola con tetto sovrapposto. Ma le differenze esistenti e riscontrabili fra le due architetture sono tali da determinare delle caratterizzazioni linguistiche profondamente diverse. Infatti, l'organismo del S. Vitale è costituito da una ossatura agile e relativamente esile, mentre quello di Aquisgrana risulta molto più robusto, con pilastri e muri di forte spessore (fig. 1.22). E analogamente, la cupola del primo si presenta come una struttura «leggera», composta da anelli di tubi fittili, dove l’altra è costituita da una normale calotta di muratura di medio spessore. Poi, molto evidente è la diversità nello sviluppo in altezza, poiché Eudo di Metz, seguendo la tendenza carolingia e poi germanica dello sviluppo in verticale delle torri del Westwerk e dei santuari, costruisce quattro piani di aperture (arcate, due piani di logge a trifore, finestre) aumentando l’altezza del vano fino quasi a renderlo turriforme (fig. 1.23), rispetto all’interno del S. Vitale che riceve so-
lo tre piani. Ma la vera e radicale differenza fra i due interni monumentali risiede nella conformazione data alle pareti dell’ottagono, che ad Aquisgrana sono allineate secondo i piani che formano l’invaso prismatico, mentre a Ravenna si incurvano in profondità a costituire le grandi nicchie forate dal portico e dalla loggia sovrapposta. Ed è proprio questa conformazione, che alterna marmi a mosaici, e forti pilastri a vani profondi ed ombrosi, a conferire al S. Vitale i valori cromatici delle superfici e gli effetti di dilatazione spaziale e di profondità atmosferica che definiscono quest'opera come la massima espressione dell’architettura bizantina nella sua versione ravennate. Del tutto diverso è invece il carattere figurativo della Palatina di Aquisgrana, dove gli effetti di immaterialità delle superfici e delle strutture ed il motivo di una indeterminata ed ampliata spazialità dei fondali sono rigorosamente banditi. Qui, infatti, il grande vano verticale si pone in forma di prisma eretto e misurato, nettamente definito e realizzato con i volumi esatti, il
taglio netto dei pilastri e degli archi, gli spigoli vivi, le cornici affilate (figg. 1.24 e 25). La scelta linguistica è quella di una massa muraria piena e forte, squadrata, semplice ed essenziale, cui si aggiungono in netto risalto gli ele1? J. Buchkremer, Do zu Aachen. Beitrige zur Baugeschichte, 3 voll., Aachen 1940-55; W. Braunfels, H. Schnitzler (a cura di), Karl der Grosse. Lebenswerk und Nachleben, III Karolingische Kunst, Dusseldorf 1965.
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menti classici dei loggiati a trifore. Si tratta quindi di una tematica figurativa che rappresenta un esplicito richiamo alle forme dell’architettura romano-classica, e con ciò alla raffigurazione spaziale fondata sulla geometria del reale. Monumento polivalente per le sue diverse funzioni, chiesa dell’imperatore e della corte, dedicata alla Vergine Maria ed al Salvatore, tomba del
sovrano, tempio del culto imperiale, simbolo della regalità e sede della legalità, la Cappella di Aquisgrana costituisce il monumento che testimonia il rifiuto della poetica e del linguaggio tardoantichi e bizantini, da parte della cultura occidentale nei secoli VIII e IX, e insieme il momento iniziale delle
nuove scelte architettoniche della età preromanica. Un altro monumento che mostra il fedele ricordo delle forme architettoniche romano-classiche è la Torhalle di Lorsch!4, edificio di ingresso dell’area dell'omonimo monastero reale, datata al 774 (fig. 1.26). Qui il portico del piano terra costituisce una diretta ripresa del motivo romano dell’ordine arcuato, con una semplice cornice al posto della trabeazione (Teatro di Marcello; Colosseo), e con una sorprendente imitazione del capitello composito, disformato ma aderente al modello. La fronte del piano superiore, radicalmente diversa, è invece decorata da un ordine di sottili lesene sor-
montate da timpani triangolari acuti, di gusto barbarico, sullo sfondo della parete ornata da una decorazione geometrica placcata. Nella «raffigurazione architettonica» del potere imperiale realizzata in numerosi edifici religiosi dalla cultura carolingia, la Cappella di Aquisgrana realizza l'adozione della forma centrica quale figura stereometrica meglio adatta a significare sia gli ideali religiosi della spiritualità cristiana, sia la volontà di potenza rivolta alla renovatio romanorum imperii. Le numerose imitazioni di tale monumento, ormai tutte perdute (Ludovico il Pio a Chionville, 830-840; Carlo il Calvo a Compiègne, 877; Liegi, 972-1008; Muizen e
Bruges, entrambe fine X secolo) confermano che l’uso di questa tipologia nei secoli IX e X era prevalentemente rivolta a fornire tale significazione; altri edifici di forma anulare ma con dimensioni assai ridotte, come il S. Mi-
chele di Fulda (822, poi rifatto) sono da considerare come «copie» del Santo Sepolcro. Perciò occorre rilevare che nel Nord Europa l’impiego dell’impianto centrico nell’età carolingia, risulta ridotto e limitato ai due tipi sopraddetti; la sola eccezione è costituita dalla chiesa o cappella di Germignydes-Prés!? sulla Loira, costruita nell'806 da Teodulfo vescovo di Orléans ed
abate di Fleury, personaggio vicino a Carlo Magno. Si tratta di un monumento (fig. 1.27) che mostra un impianto quadrato con croce inscritta, tre navi incrociate nei due orientamenti, quattro pilastri interni, quattro absidi due a due contrapposte più due minori sul lato orientale, torre lanterna al centro, vani angolari coperti a crociera, elementi decorativi carolingi. Di questo singolare edificio, evidente proiezione dell’ambiente di corte, risulta molto difficile restituire la genesi: l’opinione prevalente è quella che, pur rilevando nel monumento una concezione organica appartenente al mondo 14 E, Gall, L’abbaye carolingienne de Lorsch, Paris 1953. 15 J. Hubert, Gerzzigny-des-Prés, in «C.A.», 93, 1930.
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bizantino (fig. 1.28), lo pone piuttosto in stretto rapporto con alcune chiese costruite in Armenia nei secoli VI e VII; ma, considerata la difficoltà di am-
mettere una diretta trasmissione delle forme architettoniche lungo itinerari intercontinentali, sembra preferibile considerare la chiesa di Germigny-desPrés come una creazione prodotta in modo autonomo, sulla base dell’osservazione diretta e dello studio dei sistemi di strutture e dei complessi organici, realizzati nelle Gallie dall’architettura romano-imperiale. Le questioni riguardanti rispettivamente la ripresa del modello costantiniano di S. Pietro, l'innovazione costituita dal Westwerk, quella della basili-
ca a cori contrapposti e l’introduzione delle forme centriche, non esauriscono la problematica architettonica dell’età carolingia, dato che la cultura del tardo VIII secolo e della prima metà del IX sviluppa un continuo processo di ricerca, che riguarda specialmente i modi di comporre il nucleo centrale della chiesa, con i suoi elementi costitutivi: presbiterio e santuari, abside, co-
ro, cripta, crociera e transetto. In quest'ambito, il problema compositivo determinante è comunque quello del transetto, della sua dimensione ed articolazione, e specialmente dei modi impiegati per il suo innesto nel corpo delle navate e del coro. Pertanto, sotto questo profilo, tradizionalmente si distinguono: il transetto continuo, nettamente delimitato rispetto alle navate ed all’abside od al coro (Fulda); quello che, incrociato con una navata di pari altezza e larghezza, forma con essa la cosiddetta crociera regolare (S. Michele di Hildesheim, figg. 1.33, 34 e 35) e l’altro in cui lo stesso transetto, di minore altezza, resta limitato a due ali separate, sporgenti dalla crociera, detto «transetto basso» (S. Gertrude di Nivelles, fig. 1.36). Ma per quest’ultimo caso, appare legittimo considerare come transetto soltanto una risoluzione edilizia nella quale i due bracci siano completamente aperti verso l’incrocio, con l’intera reciproca visibilità, allo scopo di conseguire l’unificazione dello spazio fra le due ali e la crociera. Questa condizione non risulta ac-
quisita nella basilica di Steinbach in Alta Franconia, costruita da Eginardo nell’827, dove il presbiterio comunica con i due vani laterali autonomi e ben distinti dal coro, attraverso due arcate di ridotte dimensioni che segnano una netta cesura fra le tre parti. Perciò l'errore di considerare questo monumento quale modello archetipo e momento iniziale di una nuova tipologia chiesastica deve essere corretto, aggiungendo poi che il vero impiego della basilica con transetto basso si verifica soltanto più tardi, nell’età ottoniana!”. La varietà di tipi edilizi e di risoluzioni organiche proprie all’architettura chiesastica carolingia testimonia una costante ricerca di soluzioni innovative ed una forte volontà e capacità di rinnovamento. In proposito occorre ricordare l’abbaziale di Lorsch, priva di transetto e con un semplice coro piatto e profondo (760-774); l’abbaziale di $. Emmerano a Ratisbona, a tre navi su pi-
lastri, senza transetto ma dotata di tre absidi (768-791); la cattedrale di Co-
lonia a cori contrapposti, che intorno all’800 sostituisce quella merovingia e dove compare il coro quale vano intermedio fra la crociera e l'abside; la ba‘© Grodecki, 1958, pp. 45 sgg.; E. Lehmann, Der friibe deutsche Kirchenbau (Forschun-
gen zur deutschen Kunstgeschichte), Berlin 1938.
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silica abbaziale di Seligenstadt, dovuta anch’essa ad Eginardo (830-840), dotata di transetto continuo e navate sopra archi serrati e grossi pilastri. Ma i monumenti più interessanti e meglio conservati sono quelli del complesso di Reichenau sul lago di Costanza, grande centro di cultura e di ricerca, primario crocevia delle relazioni italo-germaniche dal IX all’XI secolo. Qui l’abbaziale di Mittelzell, dedicata alla Vergine Maria, presenta la forma di una basilica a tre navi, con due transetti e cori contrapposti, due piccole absidi appaiate sul presbiterio, pastofori ed una straordinaria risoluzione della zona di accesso; dove una gigantesca «torre delle reliquie» grava con il suo enorme carico sul vano dell’abside occidentale. La restituzione delle vicende costruttive di questo monumento dimostra che fra l’anno 724, data della fondazione, ed il 1048, anno della consacrazione, la chiesa è stata in gran parte
demolita e ricostruita almeno sei volte, per le nuove esigenze di culto e di funzionalità liturgica. Questo testimonia il dinamismo della vita religiosa nel Nord Europa durante l’Alto Medioevo, in dipendenza dell’incremento del patrimonio di sacre reliquie e della necessità della loro collocazione in luoghi adeguati, quali «centri di devozione» distribuiti nell’interno delle chiese. Le cripte
L'età carolingia segna per l'Occidente anche l’inizio ed il primo sviluppo della cripta, intesa come l’insieme di uno o più vani complementari alla chiesa—in origine una galleria con annesso vano centrale — ricavati nel sottosuolo in corrispondenza del presbiterio. Essa trova origine nelle tombe apostoliche realizzate nelle grandi basiliche romane di età costantiniana; più tardi, a partire dal VII secolo, assume, oltre alla funzione sepolcrale, quella di custodia di reliquie e di sacre memorie. Sotto il profilo architettonico, lo spazio corrispondente alla cripta tende con il passare del tempo a conformarsi nei modi più diversi e specialmente ad ampliarsi in misura sempre maggiore, fino ad assumere il carattere di una grande struttura di ampliamento dell’edificio, quasi una seconda chiesa, come si verifica in alcune cattedrali pugliesi dell'XI secolo, o nel duomo di Spira (1030 sgg.). Ma l'esigenza di assicurare alla cripta un’altezza adeguata e rispondente al motivo architettonico adottato provoca anche, a volte, il forte rialzamento del livello del presbiterio e quindi una rilevante modifica degli effetti prospettici nella vista dell'interno, e della disponibilità di spazio nel ripiano del santuario; quando poi non si arriva a riunire il vano della chiesa a quello della cripta, sopprimendo i muri e le gradinate frapposte, per rendere visibile dalla navata, in tutta la sua profondità, il porticato costituente la cripta, come in alcune cattedrali romaniche dell’area padana (Modena, S. Zeno a Verona). L'inizio della realizzazione delle cripte nell’Occidente europeo è indicacostruzione della cripta semianulare della basilica vaticana di S. Pienella to tro, che si ritiene dovuta all'iniziativa ed intervento di Gregorio Magno (590604), composta da un corridoio radente alla superficie interna della fonda-
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Parte prima. Dal secolo VIII al XII
zione absidale e da un altro corridoio rettilineo posto lungo l’asse della chiesa, che portava alla tomba dell’apostolo. Soluzione ripetutamente ripresa in
Roma durante tre secoli, nella cripta di S. Pancrazio (VII secolo), in quella
di S. Crisogono (VIII secolo), in quelle dovute rispettivamente a Pasquale I (817-824) nelle chiese di S. Cecilia e di S. Prassede, a Gregorio IV (827-844)
in S. Marco, a Sergio II (844-847) in S. Martino ai Monti, a Leone IV (847855) in S. Stefano degli Abissini e nei SS. Quattro Coronati. Questo stesso
tipo di cripta si diffonde rapidamente in Europa, e ne sono esempi a Saint-
Denis (775), a Saint-Maurice d’Agaune, nelle abbazie di S. Emmerano a Ra-
tisbona (dopo il 791), di Seligenstadt (828-830) e di Canterbury (IX secolo). Ma ancora prima, in Roma, si riscontrano altri tipi di cripta come quella di S. Valentino, costituita da un solo corridoio rettilineo trasversale (VII secolo), o l’altra di S. Maria in Cosmedin, realizzata in forma di piccola basilica
a tre navi su colonne (cripta a sala), transetto e copertura piana, e datata al tempo di Adriano I (772-795). Un maggiore impegno architettonico-compositivo ed un più qualificato effetto architettonico distinguono la cripta di Jouarre, ancora di età merovingia (635-640), e quella funeraria di Saint-Oy in Saint-Laurent di Grenoble (fine VIII secolo) su pianta rettangolare tetrabsidata e coperta a botte. La capacità creativa del Nord Europa si rivela in una ampia varietà e ricchezza di soluzioni, quali la cripta con pianta a triplice croce caudata della basilica carolingia di Steinbach (827), quella con planimetria a doppio pettine di Saint-Médard di Soissons (817-841, fig. 1.29a), quella dalle possenti ed articolate strutture di Saint-Philibert-deGrand-Lieu in Bretagna (836, fig. 1.29b) e l’altra di Saint-Germain ad Auxerre (841, fig. 1.30), complessa e grandiosa, con una basilica a tre navi a botte su colonne ed una rotonda anulare sull’asse; cui occorre aggiungere la cripta dell’abbazia di Saint-Pierre di Flavigny in Borgogna (864-878) altrettanto variata e complessa (fig. 1.29c).
L'architettura ottoniana
A datare dalla morte di Ludovico il Pio (840), le incursioni dei Vichinghi, che già avevano costretto Carlo Magno ad organizzare la difesa lungo le coste del Mare del Nord, diventano grandi imprese di veri e propri grossi eserciti, che si accampano in modo semipermanente sui territori dell'impero. I Vichinghi danesi — il Grande Esercito — attaccano ogni insediamento, saccheggiando città, distruggendo residenze, chiese e monasteri, devastando intere regioni: così sulle coste francesi e nell’interno (879-882), nelle Asturie ed in Portogallo (844), nella Spagna mediterranea e Baleari, in Provenza e Toscana
(859-862). Nel secolo seguente, sono gli Ungari ad irrompere nel cuore del-
l'Europa: in Borgogna (911), in Lorena (917), sulla Loira (917), in Lombar-
dia, effettuando trentatré grosse incursioni dall’899 al 935. Di qui il forzato esodo delle comunità monastiche, costrette alla fuga di fronte all’invasione, soprattutto per salvare il loro prezioso patrimonio di «sante reliquie», gelosa-
I. L’Alto Medioevo: secoli VIII-X
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mente custodite e moltiplicate attraverso successive frammentazioni; e questo perché il possesso di tali reliquie rappresentava per i monaci la sicura promessa della futura vittoria sopra il male. Tutto ciò, unitamente alla disgregazione dell’impero carolingio nella sua rapida e contingente frammentazione, ed alla sopraggiunta anarchia feudale, provoca il parziale ma rilevante arresto delle attività edilizie fra la metà del IX e la metà del X secolo, specialmente nell’impero germanico; soltanto la grande vittoria di Lechfeld (955) riportata da Ottone I sugli Ungari, risulta tale da cambiare le condizioni generali dell'Europa, così che la ripresa che ne deriva segna anche il risveglio delle costruzioni chiesastiche. In tal modo, dopo circa un secolo di silenzio e di inerzia, l'eredità culturale dell’impero carolingio passa direttamente all'impero germanico — il Sacro Romano Impero della nazione germanica — e cioè al Regnum Francorum degli imperatori sassoni o degli Ottoni (919-1024) donde la denominazione di ottoniano. Malgrado il lungo intervallo di tempo trascorso, la continuità di concezione, di caratteri, di tendenze e di forme è tale
che risulta unitario l’intero sviluppo dell’architettura del
Nord Europa, dal-
la metà dell’VITII secolo alla metà dell'XI; ed infatti, per iFranchi del tempo
degli Ottoni, il passato carolingio è una tradizione vivente!7. Il processo di sviluppo dell’architettura ottoniana trova anzitutto motivazione nelle nuove richieste d’ordine pratico riguardante l’esercizio del culto. Per le chiese, infatti, cambiano le condizioni d’uso: il culto risulta ormai «clericalizzato» e perciò legato all'impiego costante della lingua latina; di
conseguenza il ruolo dei fedeli diventa inevitabilmente passivo, mentre il rito registra dei cambiamenti, quali ad esempio la soppressione della processione dell’offertorio, che si riflettono in una diversa destinazione e ripartizione dello spazio fra clero e fedeli. I mutamenti e gli sviluppi della liturgia tendono a diversificare le diverse funzioni religiose, con dirette conseguenze sul dimensionamento e sulla destinazione degli spazi interni, mentre l’ormai diffusissima venerazione per le reliquie e l'espansione del culto per i santi si riflettono nella moltiplicazione degli altari da sistemare in ubicazione adeguata. L'esigenza di poter disporre di uno spazio più ampio ove ospitare il clero, divenuto molto numeroso, porta ad inserire un vano rettangolare e
profondo fra crociera ed abside, da allora chiamato coro. Nello stesso tempo però, le grandi chiese ottoniane perdono le funzioni politico-civili loro conferite ed espresse nel Westwerk carolingio, che ora si trasforma in Westbau e Westturm, complessi turriti posti a costituire la fronte occidentale, che
più tardi assumeranno la tipica forma della facciata a due torri, così largamente impiegata nell’età romanica e gotica. La forma architettonica delle grandi chiese ottoniane è fondata sopra una concezione geometrica dello spazio limpida ed essenziale, che nella sua versione più matura — il cosiddetto tipo a crociera regolare — reca il quadrato dell'incrocio fra nave, coro e transetto, delimitato da quattro archi uguali, ed 7 I caratteri e lo sviluppo dell’architettura detta ottoniana sono ampiamente e dettagliatamente esaminati da Grodecki, 1958. Sull'argomento v. anche: H. Jantzen, Ottonische Kunst, Hamburg 1959 e Conant, 1959.
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Parte prima. Dal secolo VIII al XII
assunto quale modulo compositivo dell’intero edificio, che perciò si estende a scandire tutti gli spazi della stessa navata e del transetto. Nel caso del transetto basso, l’incrocio è invece risolto con una aggregazione di volumi geometrici differenziati, mediante la riduzione dell’altezza nell’innesto delle due ali della nave traversa. La conformazione della fabbrica risulta sempre chiara e netta, esatta nelle ricorrenze e congiunzioni geometriche, precisa nella determinazione dei volumi proporzionati e cadenzati. A sua volta la concezione statico-costruttiva dell’impianto edilizio si rivela semplice, sicura, fondata sopra la continuità delle strutture murarie realizzate con esuberanti spessori, e direttamente ispirata alla coerenza con la lunga tradizione del tipo basilicale: copertura piana a struttura lignea, tetto e soffitto. Lo sviluppo dell’architettura ottoniana risulta contemporaneo al grande processo di elaborazione che impegna la cultura europea nella progressiva definizione dell’architettura romanica; perciò il quadro d’insieme riguardante l'architettura dell'Occidente registra, nei secoli X e XI, la netta distinzione, e si potrebbe anche dire la contrapposizione, fra l’arte del tempo degli Ottoni (propria all'area dell'impero germanico, ma estesa ad alcuni territori settentrionali adiacenti) e gli sviluppi dell’architettura preromanica e romanica nel resto d'Europa, specialmente nei centri più attivi della Francia meridionale e occidentale, della Borgogna, della Padania e della Catalogna. In tale confronto l'architettura ottoniana reca il proprio inconfondibile carattere di architettura aulica, semplice e solenne, connessa, come già
l’architettura carolingia, alle posizioni ideologiche ed alla volontà politica della corte imperiale. Quindi la realizzazione delle maggiori imprese edilizie è dovuta all’aristocrazia ecclesiastica della chiesa germanica, che è «chiesa di governo», ed al mondo privilegiato e colto dei grandi vescovi ed abati, cui si deve la fondazione e la costruzione delle grandi cattedrali ed abbaziali. Una situazione storica in cui le scelte linguistiche, di certo direttamente controllate dai committenti, sono rivolte a valorizzare la schietta essenzialità delle strutture e ad ottenere effetti di maestosa imponenza dal taglio deciso delle
alte pareti e dal ritmo delle pilastrate; gli effetti realizzati sono quelli di una forma architettonica esattamente proporzionata, fortemente composta e scandita, semplice e severa, di «alta dignità sacrale». Il monumento che oggi costituisce per noi, la prima importante opera architettonica dell’età ottoniana, è la conventuale femminile di Gernrode nella Bassa Sassonia, fondata nel 961 e parzialmente rifatta nel 1118-52, con
l’aggiunta di una seconda abside occidentale. S. Ciriaco di Gernrode (figg. 1.31 e 32) costituisce una fabbrica nella quale sono state introdotte numerose innovazioni e perciò risulta dotata di spiccata singolarità: il corpo delle tre navate presenta una lunghezza assai ridotta ed è diviso in sole quattro arcate, che poggiano alternativamente sopra pilastri o colonne; sulle collaterali sono ricavate delle tribune o matronei, aperti sulla nave in forma di doppio loggiato continuo, quale sede riservata alle monache; i fianchi sono ornati, in elevato, da una serie continua di arcate cieche, che rinnovano motivi lom-
bardi; i due bracci del transetto recano ciascuno una cappella semicircolare orientata. Ma l’opera più importante e rappresentativa, e nello stesso tempo
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ricca di qualità fisurali fortemente caratterizzate, della architettura ottoniana è senza dubbio la conventuale di S. Michele ad Hildesheim in Sassonia!5, in cui l'organismo edilizio, ovviamente simmetrico rispetto all’asse longitudinale, mostra anche una seconda simmetria ortogonale fra i due transetti eguali, situati all’estremità delle navate (fig. 1.33). Fondata nel 1010 dal grande vescovo Bernward e costruita dall'abate Goderamnus che ne fu l’ar-
chitetto, la grande chiesa era terminata nel 1033; essa è disegnata e composta secondo la matrice geometrica già detta della «crociera regolare», con la quale il quadrato perfetto dell'incrocio nave-transetto, assunto quale modulo per la definizione e composizione degli spazi, diventa la dimensione metrica che, ripetuta tre volte, determina la lunghezza della navata. Qui ognuna delle tre ricorrenze della stessa misura segna la posizione di un pilastro posto a sostegno del muro sovrastante; la collocazione di due colonne in ognuno di questi moduli genera un ordinamento ritmico con la successione alternata di due colonne e un pilastro, motivo tipicamente ottoniano. La grande nave resta definita dalla nuda stesura delle sue alte pareti (fig. 1.34), e si distingue per una luminosità chiara e diffusa, che in origine, per la luce versata dalle due torri-lanterna, doveva mostrare più forti contrasti di luci e di ombre. Il solo elemento di accentuato colorismo si trova nelle fasce zebrate che marcano le intelaiature degli incroci e la serie delle arcate. Più di ogni altro edificio contemporaneo il S. Michele risulta ideato e realizzato, anche negli esterni (fig. 1.35), come una vera immagine architettonica fondata sulla equilibrata e precisa definizione dei volumi murari, sul reciproco proporzionamento dei corpi di fabbrica e sullo straordinario effetto che trasforma l’astratta stereometria della composizione nella concreta forma materica del monumento. Tradizionalmente, il S. Michele di Hildesheim è accostato e posto a confronto con la chiesa del monastero femminile di Nivelles nel Brabante, de-
dicata a santa Gertrude e consacrata nel 1046!°; grandioso organismo su pilastri, dotato anch'esso di due cori con absidi contrapposte, due transetti e ingressi laterali, con l’aggiunta di un enorme massiccio occidentale, datato 1185. Ma, pur essendo composta dagli stessi elementi similmente disposti costituenti il S. Michele, la conventuale di S. Gertrude risulta profondamente diversa, poiché in essa ognuno di tali elementi appare differenziato e quindi mutato nelle dimensioni e nella forma, privando l’intero organismo della ritmica regolarità propria alle corrispondenze geometriche fondamentali. L'adozione dei transetti bassi (fig. 1.36), che rendono le vedute degli esterni casuali e come contingenti, discende da questo modo di comporre frammentato ed episodico che, qui come altrove, non consegue la dovuta qualità architettonica. Nell'ambito della cultura architettonica ottoniana il fascino e la suggestione esercitati dalla splendente immagine della Cappella Palatina di Aqui!8 L. Grodecki, Sur l'origine du plan d’église a transept double, in Urbanisme et architec-
ture. Etudes écrites et publiées en l’honneur de P. Lavedan, Paris 1954, pp. 153-160. !9 A. Mottart, La Collégiale Sainte-Gertrude de Nivelles, Nivelles 1954.
Parte prima. Dal secolo VIII al XII
28
sgrana, unitamente al suo costituirsi a simbolo della regalità e dei valori spirituali dell’impero, devono essere stati veramente imperiosi ed irresistibili se, oltre alle già citate e numerose imitazioni eseguite nei secoli IX e X ed ora scomparse, almeno altri due importanti monumenti sono stati costruiti con l’aperto intendimento di riprodurne le forme, in tutto od in parte. Copia fedele della Palatina è la chiesa di S. Maria delle Benedettine di Ottmarsheim in Renania (fig. 1.37), consacrata nel 1049 dal papa Leone IX, che riproduce il modello nel rapporto di 2/3 delle dimensioni metriche e che presenta soltanto alcune varianti secondarie rispetto all’originale. Ben diversa è la ripresa della partitura interna della Palatina attuata nel coro occidentale dell’abbaziale femminile della Trinità di Essen?9, assimilando l'abside ad un prisma verticale concavo su tre lati e sormontato da una grande calotta, che riproduce i tre piani sovrapposti di Aquisgrana (fig. 1.38). Soluzione realizzata nella ricostruzione dovuta alla badessa Theophano (1039-58), in cui sembra che la motivazione funzionale di riservare questa parte della chiesa alla frequentazione degli uomini si trasformi nell’intendimento di rendere visibile ed evidente al massimo tale distinzione d’uso, differenziando nel mo-
do più marcato l'architettura della grande esedra dall’ordinamento delle navate: presumibilmente in questo «trapianto» sono presenti il sentimento di nostalgia per la passata grandezza del tempo carolingio, la episodica ripresa del linguaggio e del gusto di due secoli prima, e la traccia di un possibile intervento imperiale. La sorprendente invenzione di Essen si definisce ancor più straordinaria quando si consideri che il nicchione di contrabside risulta ricavato entro le ardite strutture di sostegno di un grande massiccio occidentale (fig. 1.39), che include cinque piani sovrapposti, e si sviluppa all’esterno in forma di triplice torrione ottagono, rustico ed imponente. Proprio il passaggio chiave dal Westwerk carolingio al massiccio occidentale ottoniano ci è testimoniato da alcuni monumenti, fra i quali il S. Salvatore di Werden (Basso Reno), consacrato nel 943, e specialmente il S. Pantaleone di Colonia?!, costruito negli anni 966-980 (fig. 1.40), ma più volte alterato e rifatto. Qui le nuove e diverse esigenze d’uso, ormai ridotte e limitate, sono state espresse con semplicità e chiarezza, collocando verso oc-
cidente un corpo trasversale, quasi un transetto anteriore, che nella campata di centro s'innalza su due piani a formare un’antinavata con matronei, di carattere e forme schiettamente ottoniane; risoluzione linguistica in netto contrasto con la partitura ad esili lesene ed archetti, timida ed impropria imitazione di motivi lombardi, che adorna le pareti esterne dei tre bracci di fabbrica costituenti il massiccio occidentale. La serie delle grandi basiliche ottoniane coperte a tetto si chiude con le due abbazie benedettine di Hersfeld in Franconia, dovuta ad una ricostru-
2° W. Zimmermann, Das Mtinster zu Essen, Essen 1956; W. Braunfels, Die Kunst im Hei-
ligen Romischen Reich Deutscher Nation, vol. III, Minchen 1981. 2! H.E. Kubach, A. Verbeek, Romanische Baukunst an Rhein und Maas. Katalog der vor-
romanischen und romanischen Denkmdler, 4 voll., Berlin 1976-89: H. Fussbroich.
grabunger in S. Pantaleon zu Kòln, Mainz 1983.
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Die Aus-
I. L'Alto Medioevo: secoli VIII-X
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zione del 1037-40, e di Limburgo sulla Hardt, consacrata nel 1042. La prima?”, edificata da Corrado II il Salico ed ora ridotta ad una enorme rovina,
costituisce l'impianto più grandioso ed imponente di tutta l’architettura germanica altomedievale (fig. 1.41a). La sua struttura, realizzata con straordinaria facoltà di sintesi e secondo un proprio inconfondibile carattere, recava tre navi su colonne, massiccio occidentale, un altissimo transetto conti-
nuo e molto sporgente, e l’introduzione di un coro così ampio ed allungato da contrapporsi alla navata. Ancora una ripresa, dunque, dopo due secoli, del modello adottato a Fulda ed ispirato, specialmente per quanto riguarda il transetto, alla basilica costantiniana di S. Pietro in Roma; modello che due
decenni prima aveva trovato applicazione nella cattedrale di Strasburgo (1015-28), poi rinnovata. Quanto all’abbazia di Limburgo sulla Hardt??, oggi anch'essa nello stato di maestoso rudere, si tratta dell'organismo architettonico che più di ogni altro mantiene la tipologia e le forme della basilica cristiana a tre navi nel corpo longitudinale (fig. 1.41b); vi sono però le aggiunte di una torre-lanterna ottagona su pennacchi in corrispondenza dell’incrocio, della facciata a due torri, e specialmente, come ad Hersfeld, del
grande sviluppo assegnato alle finestre quali superfici illuminanti, per assicurare una eccezionale luminosità all’interno delle due chiese. Dall’VIII all XI secolo, lungo l’intero percorso dell’arte carolingia ed ottoniana, non è dato di rilevare momenti di cultura architettonica autentica-
mente prodotti e provenienti dai paesi del Mediterraneo orientale o più precisamente dal mondo bizantino, ma solamente deboli tracce, ricordi incerti
o frammentari, presenze ridotte o minime, indizi generici; perciò, dopo quanto è stato esposto, si può affermare che durante tale periodo storico il mondo occidentale, e specialmente le regioni dell'impero, hanno mantenuto una piena autonomia culturale e creativa rispetto al mondo orientale e bizantino. In tal modo, l'esordio dell’architettura europea si svolge secondo l’impulso dettato dalla interna coerenza di un unitario processo di sviluppo, senza il reale ed attivo intervento di componenti esterne. Le quali, tuttavia, erano presenti, come è provato dalla tipologia e dalle forme adottate nella cappella di S. Bartolomeo a Paderborn, datata al 1017, che presenta la struttura di una piccola basilica a tre navi su esili colonne isolate, volte a vela, ca-
pitelli con pulvino (fig. 1.42), e che pertanto risulta, nell’insieme come nei dettagli, opera di carattere schiettamente bizantino, unico esempio del genere nell’Europa continentale. L'Italia longobarda
L'invasione dei Longobardi negli anni 568-572 e seguenti determina la divisione della penisola in diversi stati, e principalmente: il regno d’Italia lon22 Grodecki, 19598, pp. 20 sgg. 2 Grodecki, 1958, pp. 103 sgg.
Parte prima. Dal secolo VIII al XII
30
gobardo (Nord e Tuscia), i ducati autonomi longobardi di Benevento e Spo-
leto, i territori rimasti all'impero bizantino (Esarcato di Ravenna, Pentapoli,
Salento, Calabria e Sicilia) e il ducato di Roma, di fatto Stato della Chiesa. La
durezza barbarica del dominio longobardo e la parallela frantumazione del potere limitano fortemente la produzione edilizia e ne riducono molto la varietà e qualità, almeno fino alla metà del VII secolo?*. Perciò pochi sono i monumenti di notevole interesse che possono documentare la cultura artistica ed architettonica dell'Alto Medioevo in Italia. Fra questi, al Nord, la chie-
setta triconca di S. Maria foris portas a Castelseprio (Varese)??, con preziosi dipinti della fine del secolo VIII; il cosiddetto Tempietto, ma propriamente
oratorio di S. Maria in Valle a Cividale del Friuli?°, costruito nel 740 circa e
decorato con stucchi di alta qualità intorno al 780: monumento singolare, con una rara ed ardita soluzione nella copertura del presbiterio (tre piccole volte a botte parallele su colonne) ed una volta a crociera in mattoni, costruita con tecnica romana sull’aula (fig. 1.44); la chiesa di S. Benedetto di Malles Venosta (Alto Adige), organismo costituito da un solo e semplice vano rettangolare. Certamente più importante è la presenza di un organismo basilicale su colonne, quale il già citato S. Salvatore di Brescia (prima metà del IX secolo; fig. 1.43) che rappresenta la continuità del pensiero classico attraverso il Medioevo, ed insieme il suo progressivo esaurimento?”. Ma è sempre nella Padania e più propriamente in Lombardia che nei secoli IX e X si manifesta, prende gradualmente sviluppo e si conclude il processo di rinnovamento di forme architettoniche elementari: si tratta della graduale trasformazione di modi e forme ravennati, relative alle fronti esterne
delle chiese che da elementi strutturali (finestre arcuate entro un incasso con arcata avvolgente concentrica, paraste e lesene esterne, cornici d'imposta) assumono col tempo carattere decorativo ed ornamentale (archetti pensili, archeggiature, partiture ritmiche, richiami decorativi, ricorrenze di cornici). Si
tratta di un processo formativo che prende lentamente inizio nell’esarcato durante il VI-VII secolo, come mostrano gli esempi di S. Michele in Arcevoli, S. Maria a Ronta, S. Giorgio ad Argenta e S. Pietro in Silvis presso Bagnacavallo; quest’ultima esemplifica anche il passaggio dalla partitura interna su colonne a quella sopra pilastri, e cioè dall’organismo tardoantico a quello preromanico. Di questo sviluppo sono certamente partecipi i cosiddetti mae24 P. Verzone, L'architettura religiosa dell’Alto Medioevo nell'Italia settentrionale, Milano
1942; A. Peroni, Architettura dell’Italia settentrionale in epoca lon gobarda, in «Corsi di cultu-
ra sull’arte ravennate e bizantina», 36, Ravenna 1989.
2 C. Bertelli, Castelseprio e Milano, in Bisanzio, Roma e l'Italia nell'Alto Medioevo, Atti
del Congresso (dal 3 al 9 aprile 1986), Spoleto 1988. 2° H.P. L'Orange, H. Torp, I/ tempietto longobardo di Cividale, in «Acta ad Archaeologiam
et Artium Historiam pertinentia», 7, 1-3, Roma 1977-79.
°° G. de Francovich, La chiesa di S. Salvatore in Brescia, in Atti dell'ottavo Congresso di
studi sull'arte dell'Alto Medioevo, Verona 1959; A. Peroni, S. Salvatore di Brescia, in «Arte Medievale», 1, 1983; G. Panazza, Le basiliche paleocristiane e le cattedrali di Brescia, Brescia 1990; Nea S. Salvatore in Brescia, in Studien zu mittelalterlichen Kunst 800-1250, Miinchen
I L'Alto Medioevo: secoli VII-X
5I
stri comacini, gruppi di maestranze e compagnie edili, forse originari del comasco e ricordati per la prima volta nell’editto di Rotari dell’anno 643. La formazione di questo linguaggio architettonico riceve la sua definitiva consacrazione in Milano, nell’abside di S. Ambrogio, eseguita intorno al 1040 secondo una esile partitura di sottili paraste sul muro di mattoni, corona di archetti pensili e nicchie a fornice sul coronamento, quale dispositivo tecnico di protezione. Simile formazione absidale presentano la basilica di S. Vincenzo in Prato a Milano (metà IX secolo) e le chiese di S. Pietro di Agliate Brianza, S. Pietro al Monte presso Civate (figg. 1.45 e 46) e S. Vincenzo di Galliano (ca. 1004-1007) presso Cantù. Durante l'Alto Medioevo la costruzione degli edifici centrici comprende sia l'edificazione di battisteri, in Italia sempre realizzati come edifici isolati, sia l'innovazione di cappelle palatine. Fra i primi possono essere ricordati quelli di Lomello (VII secolo, figg. 1.47 e 48), Settimo Vittone (879?), Biella (fine X secolo), Agliate (X secolo) e Galliano (ca. 1004-
1007), blocco murario chiuso e modellato, di formidabile potenza espressiva (fig. 1.49). Quanto alle cappelle palatine superstiti, la più antica è quella di Benevento, dedicata a santa Sofia? nel 760 dal duca longobardo Arechi e costruita secondo una planimetria stellare ed una irregolare struttura composta da un doppio anello di colonne e pilastri, arcate in laterizio, volte in muratura e con al centro un piccolo tiburio in forma di torrino. E una fabbrica in cui il ricordo dei grandi edifici anulari monumentali appare offuscato dalla mancata capacità di concepire un organismo unitario, regolarmente articolato e scandito; dove l’interno risulta composto per parti, in modo episodico ed a volte casuale e dove l’insieme si pone come la testimonianza di una cultura solo parzialmente autonoma, periferica, minore e provinciale. L'altra palatina importante è il cosiddetto sacello di S. Satiro?? in Milano, cappella dell'arcivescovo Ansperto (861-881), opera di vera qualità architettonica, che assume il tipo mediobizantino della chiesa a croce iscritta nel quadrato, con l’aggiunta di tre absidi. La sua originalità risiede nel modo straordinariamente ardito ed innovativo con il quale unisce ed unifica in una sola immagine la partitura costituita dalle quattro grandi colonne isolate che reggono le volte a botte e le dodici colonne minori addossate ai muri che le fronteggiano, delimitando i vani angolari; soluzione decisamente anticlassica e parabizantina, ottenuta con il semplice ma felice reciproco proporzionamento dei piedritti. Altre due rotonde anulari sono il S. Donato di Zara (801804?) composto da un duplice anello murario greve ed informe, ed il battistero di S. Severina in Calabria (seconda metà dell'VIII secolo). In questo quadro incompleto e frammentario per condizioni obiettive, la situazione di Roma risulta distinta e diversa da quella degli altri centri di cultura, sia per il peculiare carattere della produzione romana, sia per la neces28 A. Rusconi, La chiesa di S. Sofia di Benevento, in «Corsi di cultura sull’arte ravennate e bizantina», 14, Ravenna 1967. 1 29 G. Chierici, La chiesa di S.Satiro a Milano, Milano 1942.
Parte prima. Dal secolo VIII al XII
32
sità di definire l’importante e speciale rapporto fra il carattere delle opere romane e l’arte e la cultura bizantina?°. La penetrazione della cultura bizantina in Roma prende inizio nel VI secolo e si sviluppa progressivamente, favorita dai frequenti rapporti di scambio fra i due centri, dalla presenza di numerosi papi di nazionalità greca ed orientale e dall’esistenza di una forte colonia di Siri e di Greci. L'esame delle testimonianze relative alla produzione architettonica dei secoli VIII-X rivela che, nelle opere eseguite durante questo periodo, l'imitazione delle forme bizantine, quando si verifica, riguarda soltanto soluzioni pertinenti ai dettagli architettonici ed alle parti ornamentali, senza incidere né sulla concezione d’insieme dell’opera, né sopra l’organismo statico-costruttivo e sui caratteri figurativi della sua immagine. Perciò appare improprio qualificare, in tutto o in parte, come bizantina, l'architettura delle chiese ricostruite o costruite in Roma nell’età carolingia ed ottoniana; diversamente, per quanto riguarda la tipologia edilizia e le forme architettoniche della basilica cristiana, Roma e Bisanzio godono ed usano largamente la comune eredità paleocristiana. Ma nello stesso tempo, fra Roma e l'Oriente, insorge e si mantiene a lungo una radicale diversificazione riguardante il carattere, la varietà ed il ritmo del processo di rinnovamento. Infatti, mentre l’architettura dei paesi del Mediterraneo orientale sviluppa fra il IV ed il XII secolo una ricchissima e sempre rinnovata varietà di tipi organici e di risoluzioni architettoniche, per altrettanti secoli la Roma dei papi ripropone e ripete passivamente, durante l’intero Medioevo, il modello basilicale, senza recarvi alcuna inno-
vazione degna di rilievo; singolare fenomeno di immobilismo culturale, linguistico e creativo, sconosciuto nella storia dell'Occidente, che discende dal probabile intendimento di indicare, in un tipo architettonico consacrato dalla tradizione e dalla purezza dei primi tempi cristiani, l’immagine simbolo della vita spirituale e ultraterrena. La presenza e la speciale attività edilizia sviluppata dai pontefici, insieme alle singolari condizioni politiche, economico-sociali e culturali dello Stato della Chiesa, diversificano le condizioni che Roma offre alla operosità architettonica. Le imprese sono di tre tipi: chiese di nuova costruzione, ricostruzioni o ristrutturazioni di chiese esistenti, adattamento all’uso chiesasti-
co dei grandi spazi coperti negli edifici imperiali romani o tardo-antichi (S. Maria Antiqua nell’ Atrium Minervae, S. Adriano nella Curia del Senato, S. Maria dei Martiri nel Pantheon). Il monumento più importante realizzato nel primo Medioevo è la chiesa di S. Agnese fuori le mura, ricostruita da Onorio I (625-638) quale basilica con matronei ed archi su colonne sopra due piani ed endonartece, realizzata con perfetta tecnica esecutiva (fig. 1.50); il VII secolo registra anche l’edificazione di S. Giorgio in Velabro, do-
vuta a Leone II (682-683). L'età carolingia realizza la riedificazione delle due
?° H. Marucchi, Basiliques et Eglises de Rome, Paris-Roma 1902; C. Hiilsen, Le chiese di
Roma nel medioevo, Roma 1927; M. Armellini, Le chiese di Roma dal sec. IX al XIX, 2 voll.,
Roma 1942; Toesca, 1965. Per studi analitici: R. Krautheimer et al, Corpus Basilicarum Chri-
stianarum Romae, voll. I-V, Città del Vaticano 1937-77.
I. L'Alto Medioevo: secoli VII-X
Db
grandi chiese dovute aPasquale I (817-824): S. Maria in Domnica, con arcate su colonne che delimitano una navata eccezionalmente larga, tale da assumere l’aspetto di un’aula assembleare; S. Prassede, anch'essa basilica su
colonne architravate, transetto continuo e quadriportico antistante (fig. 1.51), poi gravemente alterata con l’innesto di arcate trasversali di consolidamento. E ancora: S. Marco, ad opera di Gregorio IV (827-843), in seguito rifatta; SS. Quattro Coronati, riedificata da Leone IV (847-855) e trasformata nel Duecento; S. Maria in Aracoeli (IX secolo) che più delle altre ha
conservato, pur nel totale rifacimento, l’aspetto e il carattere delle basiliche romane altomedievali?'. 31 Secondo recenti studi, la chiesa altomedievale di S. Maria in Aracoeli (S. Maria in Capitolio) era orientata sud-nord, cioè in senso trasversale rispetto alla attuale basilica, della quale occupava solo l’area del transetto; tale rimase ancora con i lavori condotti nel XII secolo. Vedi: R.E. Malmstrom, Santa Maria in Aracoeli at Rome, New York University Ph. D. 1973,
Ann Arbor 1993; Id., The Twelfth Century Church of S. Maria in Capitolio and the Capitoline Obelisk, in «Romische Jahrbuch fir Kunstgeschichte», 16, 1976, pp. 1-16. Soltanto nella ristrutturazione operata dopo il 1250 da parte dei Francescani, nel quadro della «rinascita» del Campidoglio quale sede dell’autorità cittadina, la chiesa fu ampliata, ma ripetendo il tipo della basilica a colonne, con impiego di materiale antico.
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1.89. Autun, cattedrale, navata.
1.90. Autun, cattedrale, parasta scanalata e capitello con cavaliere (S. Martino). 1.91. La-Charité-sur-Loire, Sainte-Croix, veduta da est. 1.92. La-Charité-sur-Loire, Sainte-Croix, coro.
1.93. Beaune, Notre-Dame, coro con il deambulatorio del XII secolo; il piano superiore gotico compiuto nel XIII secolo. 1.94. Vézelay, Sainte-Madeleine, pianta; nel riquadro piccolo, piano superiore del nartece. 1.95. Vézelay, Sainte-Madeleine, navata. 1.96. Vézelay, Sainte-Madeleine, portale del nartece.
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1.97. Fontenay, abbaziale, navata e vani laterali.
1.98. Fontenay, abbaziale, navata verso la parete di ingresso. 1.99. Fontenay, pianta dell'abbazia: sul lato est del chiostro la sala capitolare quadrata e lo scrittorio: al piano superio-
re il dormitorio dei monaci; sul lato meridionale la «fontana» e il refettorio (restituzione)
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1.100. Fontenay, chiostro e fianco della chiesa. 1.101. Pontigny, abbaziale, navata. destra: a) Cîteaux, con1.102. Piante di chiese cistercensi (restituzioni relative } alla seconda e terza fase). Da sinistra a lo: b) Clairvaux, 1135-1145, coro e deambulatorio, seco XII fine cappelle, e sacrata nel 1148, deambulatorio quadrato CAN SDa
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1.103. Aulnay-de-Saintonge, Saint-Pierre. 1.104. Poitiers, Notre-Dame-la-Grande, pianta, assonometria e sezione trasversale. 1.105. Poitiers, Notre-Dame-la-Grande, facciata e fianco meridionale.
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1.106. Saint-Joui n de-M arnes ’ facci ata. 1.107. Charroux, abbazi ale bj torre della crociera. 1.108. Neuvy-Saint
1.110. Poitiers, Saint-Hilaire, navata. 1.111. Dall'alto in basso: a) Cahors, cattedrale, pianta; b) Périgueux, Saint-Etienne-de-l a-Cité, sezione longitudinale. 1.112. Solignac, abbaziale, transetto e coro, da est.
1.113. 1.114. 1.115. INI
pianta. Dall’alto in basso: a) Angouléme, cattedrale, pianta; b) Fontevrault, abbaziale, Angouléème, cattedrale, navata. Périgueux, Saint-Front, sezione e pianta. Périgueux, Saint-Front, interno.
1.117. Piante di chiese alverniati. Da sinistra a destra: a) Orcival, Notre-Dame: b) Saint-Nectaire, abbaziale. 1.118. Clermont-Ferrand, Notre-Dame-du-Port, veduta da est. 1.119. Clermont-Ferrand, Notre-Dame-du-Port, torre sulla crociera, interno.
1.120. Issoire, Saint-Paul. 1.121. Saint-Saturnin, veduta da est.
1.122. Orcival, Notre-Dame. 1.123. Saint-Nectaire, capitello con i cavalieri dell'Apocalisse.
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Cerisy-la-Forét, abbaziale, interno, veduta del transetto verso la navata. Cerisy-la-Forét, abbaziale, coro. Lessay, abbaziale, coro, veduta da est. Lessay, abbaziale, navata.
1.141. Durham, cattedrale, navata.
1.142. Castle Acre, chiesa del priorato cluniacense, facciata. 1.143. Durham, cattedrale, volte a costoloni delle navate laterali del coro. 1.144. Durham, cattedrale, pianta con l’abside originaria restituita (sopra) e sezione trasversale sul corpo longitudinale
(sotto).
1.145. Piante di chiese inglesi. Dall’alto in basso: a) Gloucester, cattedrale (restituzione dell’edificio normanno); b) Saint Albans, abbaziale.
1.146. Peterborough, cattedrale, testata del transetto settentrionale. 1.147. Southwell, cattedrale, navata. 1.148. Winchester, cattedrale, transetto.
rale, navata. 1.149. Chichester b) catted o la)(O)(0) 249 IIS]O ssfd k=|Le 10. SÙ Rae 9a O G EE-R= Dda ST v dn IRIS) 0. Glouc Ss sd au 1.151. Hereford R D) SI o [esi D a TOMAS g oz E ]
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catted rale , fac ci at a ovest. cattedra Ie, fa cclata ovest, partico lare. 1.155. Norwich, cattedr ale, torre sulla crociera: a sinistra, veduta intern sud ove st (guglia, XV secolo).
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1.153. Ely, 1.154. Ely,
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esterno da
II. L'età romanica
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L'area germanica
I paesi germanici sono gli ultimi ad accettare le risoluzioni architettoniche del romanico, e ad adottarne i principi e i metodi, ed insieme il gusto e il linguaggio; nei territori dell’impero, per almeno un secolo, dalla metà del X alla metà dell'XI secolo, l'architettura ottoniana rimane saldamente anco-
rata alle sue motivazioni storiche e culturali, sviluppando la propria poetica figurativa. La distinzione fra ottoniano e romanico riguarda perciò sia la contrapposizione fra la concezione ideologica e socio-politica dell’edificio-chiesa — dettata da un forte potere centrale e da un’aristocrazia ecclesiastica — e la concezione della stessa chiesa quale valenza simbolica e figurazione del Divino; e sia il confronto tra il carattere tradizionale, aulico, severo e distac-
cato delle basiliche imperiali, e la nuova immagine resa dalla chiesa romanica, frutto di un lungo ed intenso sforzo espressivo. Ma nella concretezza del paragone direttamente eseguito sugli edifici, specialmente se considerati quali organismi statico-strutturali, la più evidente differenza risulta natural-
mente quella riguardante i sistemi di copertura; così che il trapasso dalla basilica alla chiesa romanica resta principalmente segnato dall’abbandono della copertura a tetto e dalla sua sostituzione con quella a volta. La prevalente influenza della cultura francese, unita a quella lombarda, determina in
Germania la trasformazione del sistema costruttivo e della stessa forma architettonica delle chiese; si tratta di un processo di sostituzione che si sviluppa lentamente, secondo un andamento discontinuo, irregolare per i luoghi e nei tempi, e fortemente ritardato rispetto alla cultura occidentale, così che le prime abbazie e cattedrali costruite o trasformate per ricevere le volte sono posteriori al 1080. Durante il periodo che comprende l’ultimo quarto dell’XI e la prima metà del XII secolo ed oltre, le correnti di cultura legate alla tradizione ottoniana mantengono una loro forte influenza sull’attività edilizia esercitata nei territori dell'impero, la quale sviluppa una copiosa produzione, ricca di numerose e differenziate soluzioni; produzione che
pertanto risulta contemporanea ed in un certo modo parallela al movimento di graduale conquista del mondo germanico da parte della cultura romanica. In questo ambito la tipologia impiegata risulta quella tradizionale della basilica a tetto su colonne, come nella collegiata di Quedlinburg in Sassonia (1070) di schietta fisionomia ottoniana; o nelle abbaziali di Sciaffusa
(1087 sgg.) e di Alpirsbach (1095-99, fig. 1.156) nella Svevia e in quella di Paulinzella (1105-19) in Turingia. Una più decisa caratterizzazione distingue la Liebfrauenkirche di Halberstadt (ca. metà XII secolo) su pilastri e tetto, la quale assume un profilo esterno simile a quello inaugurato nel duomo di Spira, con due coppie di torri collocate rispettivamente sulla facciata e negli innesti del transetto. Riassuntiva di una situazione di intensi scambi culturali è la grande basilica di St. Godehard di Hildesheim (Sassonia, 1133-72)
per la compresenza di una tipologia d'insieme ottoniana (basilica a cori contrapposti), di uno chevet alla francese (coro deambulato con cappelle) e di una ornamentazione di tipo lombardo (riquadri ed archetti pensili). Da ul timo, caso estremo di tenace tendenza conservatrice, è la costruzione del St.
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Parte prima. Dal secolo VII al XII
Jacob di Ratisbona, che dopo il 1180 ripete ancora, a distanza di oltre un secolo dal loro esaurimento, le forme del tipo ottoniano su colonne, archi e tet-
to*°. In questo medesimo periodo, e perciò contemporaneamente alla formazione del romanico tedesco, i centri ed i cantieri rimasti fedeli alle ten-
denze conservatrici, se proseguono ad usare le tipologie e le forme ottoniane nella realizzazione degli interni, sviluppano invece la ricerca di una nuova caratterizzazione formale nella ideazione e realizzazione delle volumetrie e delle fronti esterne. L'edificio, sentito come una massa muraria plastica, si trasforma nella contrapposizione di grandi corpi di fabbrica squadrati e sovrapposti, che ne accentuano i valori di purezza volumetrica e di essenzialità strutturale. Così, ad esempio, l'imponente e singolare Westwerk dell’abbaziale di Brauweiler (1141, fig. 1.157) risulta definito dal forte contrasto fra l'enorme torre centrale e gli esili torreselli affiancati; la fronte di Gandersheim (seconda metà dell'XI secolo) con due torri ottagone incorporate in un solo blocco murario, ed il torrione centrale di Minden (1062-71) en-
trambi in Sassonia, si distinguono per la prevalenza data all’addensamento dei valori di gravità della massa-struttura; ma il monumento che più di ogni altro testimonia questa tendenza è il formidabile massiccio occidentale di
Freckenhorst in Westfalia (1116-29), che realizza una eccezionale concen-
trazione di masse murarie nell’accostamento delle torri cilindriche al blocco centrale (fig. 1.158). In tal modo l’architettura dei paesi germanici, che durante parte del XII secolo rifiuta ancora di accettare la concezione dell’edificio-chiesa quale organismo-struttura coperto con volte, per altra via ed attraverso l'accostamento consentito da una comune aspirazione a valorizzare
negli esterni delle opere le valenze materiche e plastiche delle murature, si affianca all’architettura romanica nella ricerca formale basata sul criterio di assegnare alle vedute esterne dei monumenti una importanza e qualità paragonabili a quelle realizzate negli interni. La trasformazione del duomo di Spira*, eseguita tra il 1082 ed il 1106, segna il momento in cui la cultura dell'impero giunge ad aderire pienamente alla concezione organica, strutturale e figurativa sorta nell’Occidente europeo, accettandone pienamente i principi, i metodi ed il linguaggio. Il pri-
mo grandioso impianto, costruito dal 1030 al 1061 (fig. 1.160), presentava tre navi su pilastri, tetto, transetto sporgente, abside fiancheggiata da due torri e fronte su portico; la trasformazione di fine secolo comprende la ricostruzione del transetto e dell’abside e soprattutto il rinnovamento della partitura nella grande nave, operazione diretta a rendere possibile l’innesto della copertura a volta in sostituzione del tetto. La navata, che era composta da 12 arcate singole su pilastri, inserite sopra semicolonne addossate ed alte fino ad includere le finestre, motivo probabilmente ispirato al partito sviluppato sul fianco della basilica di Treviri, è stata rifatta nelle intelaiature con *° Hempel, 1949. ni R Kautzsch, Der Dom zu Speyer, in «Staedel Jahrbuch», 1, 1921; PW. Hartwein, Der
Kaiserdom zu Speyer, Speyer am Rhein 1927; H.E. Kubach, W. Haas, Der Dom zu Speyer, Miinchen-Berlin 1972. i
II L'età romanica
dale
l’aggiunta di un risalto ogni due pilastri, ricavando così un sistema alternato di sostegni principali e secondari (fig. 1.159). Quindi la serie dei pilastri principali diventa ossatura primaria, preparata a ricevere i contrarchi che accoppiano le arcate singole, gli arconi trasversali e le volte a crociera rialzata. Questo interno della cattedrale è dominato dalla grande nave, che appare marcata dal ritmo serrato ed imperioso delle altissime arcate, vero ordine colossale posto ad assicurare l’unità figurata dell’intero impianto, dove però le grandi dimensioni della partitura non trovano adeguata rispondenza nella qualità delle soluzioni di dettaglio e nelle forme dell’ornato (fig. 1.161). Nel duomo di Spira si manifesta poi chiaramente la tendenza del romanico tedesco ad assegnare la maggiore importanza alle fronti esterne, specialmente mediante l’accentuata ripresa di risoluzioni tipiche dell’architettura carolingia ed ottoniana, quali la collocazione di grandi volumi di fabbrica contrapposti — navi, torri, tiburio, massiccio occidentale, transetto, ecc. — cui si ag-
giungono elementi di provenienza lombarda come partiture su lesene, arcate, archetti pensili, gallerie, loggiati (fig. 1.162). In questo monumento, da una pianta semplice e compatta, s’innalza nello spazio un complesso architettonico variato e mosso, in cui lo slancio ascensionale delle quattro torri risalta sulle masse orizzontali delle navate, e dove il blocco costituito dal tran-
setto e dal coro con torri e tiburio si contrappone a quello del corpo occidentale, dotato di altre due torri e di un secondo tiburio. Il gruppo delle grandi cattedrali renane*8 comprende, oltre al duomo di Spira, la cattedrale di Magonza, l’abbaziale di Maria Laach, e più tardi il duomo di Worms; queste cattedrali mantengono tutte saldamente la pianta germanica a cori contrapposti ed accessi laterali, con la conseguente rinunzia ad acquisire la totale fruizione visiva dell’interno dall'ingresso e lungo l’asse di penetrazione, e la conseguente accettazione della visione parziale, graduale e frammentata. La ricostruzione della cattedrale di Magonza del 1009-32 è ancora oggi testimoniata solo dalle due torri cilindriche di tipo ottoniano, inalveolate alle estremità del massiccio orientale4?. La successiva riedificazione del 111037 riguarda il corpo delle navate ed il coro orientale, mentre l’attuale impianto del transetto occidentale e dell’annesso coro triconco, con il tiburio e la copertura a volta sono datati fra il 1181 ed il 1230 (figg. 1.163 e 164).
Qui l'architettura dell’interno riprende la partitura della navata di Spira, ma ne vanifica il motivo delle arcate lasciandole cieche e sopprimendo il ritmo alternato delle colonne, così che il grande vano, imponente per le dimensioni, risulta in realtà povero, disadorno e banale. La conformazione degli esterni, invece, nonostante le disarmoniche aggiunte posteriori (terminali delle torri), mostra qualità figurali autentiche ed incisive nei tipici valori plastici, esaltati dal rosso colore della pietra e specialmente espressi nell’imponente fronte orientale, dove il contrasto fra la nuda e possente parete, inquadrata dai torreselli, e abside centrale traforata, compongono e realizzano una pre48 R, Kautzsch, E. Nebb, Der Dow zu Mainz, Darmstadt 1919.
n
4 R. Kautzsch, Die romanischen Dome am Rhein, Leipzig 1922; M. Aubert, L'art religieux
en Rbénanie, Paris 1924; E. Gall, Dome und Klosterkircken am Rhein, Minchen 1956.
pi?
Parte prima. Dal secolo VII al XII
senza severa e solenne. Anche per l’abbaziale benedettina di Maria Laach (Sancta Maria ad Lacum)?® presso Coblenza, fondata nel 1093, voltata fra il
1130 ed il 1156 e terminata intorno al 1200, che presenta un interno così semplice ed anonimo da apparire privo di interesse, la maggiore attenzione riguarda la forma architettonica degli esterni (fig. 1.165), nei quali una complessa volumetria esattamente articolata fornisce un esempio perfetto di chiesa romanico-germanica con volte, che nello stesso tempo mantiene gli elementi tipici della tradizione ottoniana: transetto anteriore che include un massiccio occidentale e reca due torreselli laterali, torrione-lanterna sulla crociera, torri innestate fra coro e ali del transetto. Ma nonostante la felice
conformazione stereometrica, la presenza di una decorazione composta da ordini architettonici dalle esili intelaiature tracciate con gracili modi calligrafici, provoca alla vista lo sdoppiamento fra volumi architettonici ed ornamentazione.
La risoluzione del problema di stabilire il carattere delle fronti esterne dell’edificio chiesastico, così come è stato posto dai costruttori delle cattedrali renane, riceve una definizione determinante nella fronte occidentale
del duomo di Treviri (1039-66), la quale rappresenta l'esempio del nuovo modo di comporre le pareti esterne mediante la combinazione degli elementi architettonici assunti dalla cultura romanico-germanica (fig. 1.167). In quest'ambito la fronte d’ingresso, e cioè la facciata occidentale delle chiese, assume una Importanza sempre maggiore quale vero soggetto architettonico; ed egualmente si può dire per le fronti absidali: sarà sufficiente citare le facciate di Saint-Léger (St. Leodegar) di Gebweiler (1182 sgg.) e di Lautenbach (secolo XII) in Alsazia, e le fronti absidali con campanili delle cattedrali di Bonn (fig. 1.166), Bamberg (fig. 1.168), della parrocchiale di Andernach e del St. Kastor di Coblenza (fig. 1.170). La prevalenza del tipo basilicale nell’edilizia chiesastica dell’impero in età romanica non è però tale da impedire il sorgere e costituirsi di preferenze verso risoluzioni diverse, e cioè a favore di forme d’insieme disciplinate da due assi ortogonali di simmetria; preferenze avallate dai ripetuti richiami della cultura renana alla concezione architettonica degli edifici romano-classici di età imperiale, specialmente termali e palatini. La sede dove si svolge e giunge a maturazione questo indirizzo compositivo è la città di Colonia, ed il monumento che meglio rappresenta la problematica propria al tema e la principale risoluzione che ne è stata data è S. Maria in Campidoglio (St. Maria in Kapitol)?!. Costruita fra il 1040-49 circa (corpo basilicale) ed il 1060-65 circa (triconco) e più volte largamente rifatta, specialmente nelle coperture durante i secoli XII e XIII, questa chiesa rappresenta il riuscito tentativo di risolvere il fondamentale problema architettonico dell’innesto di un corpo 7° M. Aubert, Maria Laachy in «C.A.», 1922. 7! Hempel, 1949; K. Rahtgens, Die Kirche St. Maria in Capitol zu Kòln, Diisseldorf 1913: O. Doppelfeld, Santa Maria in Kapitol, in «Kélner Jb. fir Vor- und Friihgesc hichte», 7, Ber-
lin 1964; L. Grodecki, Architettura e decorazione parietale, in AA.VV., Il secolo dell’anno Mil: le, trad. it., Milano 1981.
II. L'età romanica
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centrico sopra un cotpo di fabbrica rettilineo, e cioè il tema della fusione in un solo organismo di un edificio composto e strutturato intorno ad un asse
verticale, con un altro edificio disteso orizzontalmente secondo un asse lon-
gitudinale (fig. 1.169). La pianta mostra la perfetta soluzione data nell’interno alia continuità spaziale di allineamenti e misure, fra il corpo delle tre navi e quello centrico delle tre grandi esedre deambulate, ottenuta senza differenziare il coro dalle due conche laterali; ma la risoluzione in alzato non presenta affatto una corrispondente qualità architettonica, ed anzi appare debole e discontinua per le ampie alterazioni apportate in tempi diversi, e risulta anche incongrua per la mancata rispondenza fra sistema interno e configurazione esterna, dato che l’organismo triconco non trapassa all’esterno, dove l’edificio ha assunto l’aspetto di una basilica con transetti absidati. Dopo la costruzione di S. Maria in Campidoglio, ed in ragione dell’influenza esercitata da questa, la tendenza a dotare la crociera e le strutture che la avvolgono di una conformazione centrica, comunque connessa al corpo longitudinale della chiesa, produce un gruppo di opere che esprimono e soddisfano in diversi modi questa richiesta??. La prima fra queste è la chiesa di S. Giorgio di Colonia (1056-75), che mostra una ancora debole tendenza ad inserire nell’impianto longitudinale un asse trasversale absidato alle estremità, ma le più importanti sono: il Gross St. Martin di Colonia (1150-72, torre ca. 1185-1200) a tre navi (fig. 1.171a), con crociera unica a tre absidi, sor-
montata da una gigantesca torre che insiste sullo stesso perimetro, così grande da identificarsi nel corpo stesso della chiesa (fig. 1.172); la sede dedicata ai SS. Apostoli in Colonia (1190-1219, fig. 1.171b), grande edificio a tre navi coperte a crociera, in cui il nucleo centrico orientale triabsidato con tiburio e torri (fig. 1.173) si contrappone ad un transetto occidentale dotato di massiccio con torre d’ingresso anteriore, secondo una composizione d’insieme che mantiene il carattere ottoniano, ma che nello stesso tempo introduce l’asse regolatore verticale; St. Quirin a Neuss (1209) con impianto simile. La tendenza a costituire intorno alla crociera un insediamento di volumi associati in una struttura dichiaratamente centrica, influenza anche monumenti dove crociera e coro, senza arrivare a costituire un regolare corpo centrico 0
raggiato, presentano tuttavia un impianto imperniato sull’asse verticale del tiburio o della torre-lanterna, come nella chiesa già cappella di Schwarzrheindorf (1127-51, figg. 1.174 e 175), nel duomo di Bonn (1126-69, fig. 1.166), nella parrocchiale di Sinzig in Renania (secolo XII). Più vicina al modello stabilito a Colonia è la soluzione adottata nella grandiosa cattedrale di Tournai nelle Fiandre (navate 1110-14; crociera 1165 sgg.; coro gotico 1243-55) che mostra il corpo centrico tricoro molto sviluppato sull’altezza di tre piani di aperture quale base ad una grande torre-lanterna (fig. 1.176), serrata fra le quattro altissime torri che delimitano l'elemento centrale”. L'architettura romanica dei paesi germanici produce poi altri tipi edilizi, 52 H. Eckstein, Die romanische Architektur, der Stil und seine Formen, K6ln 1975. 53 P. Rolland, La catbédrale de Tournai et les courants architecturaux, in «Revue belge d’ar-
chéologie et histoire de l’art», 4, 1934, pp. 229-280.
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Parte prima. Dal secolo VII al XII
come la chiesa «a sala» o Hallenkirche che, come già detto trattando del romanico in Francia, riguarda le tipologie di chiese con due o tre navate di pari altezza, o comunque con la nave centrale priva di illuminazione diretta, che pertanto proviene dalle pareti di perimetro. Un altro tipo edilizio è rappresentato dalle cappelle di palazzo costruite sopra due piani e con due grandi vani sovrapposti, comunicanti per mezzo di un’apertura centrale praticata nella volta intermedia, che consente a tutti l’ascolto delle funzioni re-
ligiose: così a Goslar, Spira e nella stessa Schwarzrheindorf. Poi, un argomento che è possibile delimitare con chiarezza, è quello riguardante l’architettura delle chiese cistercensi. La fondazione della prima sede dell’ordine nei territori dell’impero è quella di Camp in Renania, che risale al 1123; dopo questa data, in rapida successione, l’ordine procede ad altre numerose fondazioni, quali «figlie» di Clairvaux e Morimond. In quest'ambito, le opere più notevoli ed appartenenti alla fase ancora romanica del cistercense sono la chiesa a sala (nave cieca) di Walderbach in Baviera (seconda metà del XII secolo), di Maulbronn (1146-78) in origine a tetto, di Eberbach (117086) interamente coperta con volte, nuda e severa (fig. 1.177) e quella di Heisterbach (1202-37), organismo complesso ed elaborato, ricco di nuove articolazioni, ora allo stato di rudere?4.
Nel periodo compreso fra la metà del XII e la fine del XIII secolo, gli ulteriori sviluppi del romanico tedesco — tardo romanico — rappresentano il naturale svolgimento di un processo di cultura lungo, sostanzialmente omogeneo, abbondante e diffuso sopra un territorio molto esteso: esso manifesta caratteri e procedimenti propri al mondo germanico e si articola in un complesso di correnti potenzialmente autonome. Si tratta però di una produzione architettonica contemporanea a quella del primo gotico francese, dell’alto gotico e del rayorzant; i quali tutti, nonostante la facilità di contatti e di scambi fra i centri ed i cantieri dei due paesi, non riescono ad esercitare una determinante influenza sull'edilizia chiesastica dei paesi germanici, che mantengono molto a lungo, come si è detto, i tipi e le forme della tradizione romanico-ottoniana, con un ritardo di fase culturale che si prolunga per almeno un secolo. Specialmente nella Germania occidentale, il tardo romanico presenta una rilevante varietà di forme e numerose ed originali soluzioni architettoniche, diversificate secondo i luoghi. I tipi planimetrici si distinguono seguendo i criteri distributivi degli spazi disponibili: transetto sporgente o incluso, coro absidato semplice o triplice, coro rettangolare monastico 0 crociera tricora; due transetti contrapposti semplici o absidati; atrio, portico. Le partiture interne della grande navata constano di due, tre ed anche quattro piani sovrapposti (navatelle, galleria o matroneo, triforio, finestre); campate doppie, volte a crociera cupoliformi, a costoloni, a volte esapartite ed a sesto acuto, unica concessione al gotico. L'architettura degli esterni riprende e sviluppa la tradizione germanico-imperiale dell’edificio concepito come un poderoso blocco murario posto a dominare lo spazio in°4 H.P. Eydoux, L'architecture des églises cisterciennes d 'Allemagne, Paris 1952.
II L'età romanica
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torno, dall’alto di un pesante basamento che innalza verso il cielo e contro l'orizzonte le masse squadrate, raggruppate e contrapposte, delle navate e delle torri. Ne discende l’adozione di un linguaggio architettonico rivolto all'esaltazione dei valori plastici, secondo un processo in apparenza analogo a quello che in Francia aveva portato alla formazione del «sistema romanico», ma in realtà diverso per una differente motivazione: che in Francia risiede nell’esigenza di istituire anzitutto un organismo funzionante statico-costruttivo, mentre in Germania riguarda la richiesta di creare un'immagine espres-
sa nella poetica della massa-struttura; e ciò fin dal tempo dell’apertura del primo grande cantiere del duomo di Spira?. Come nella cattedrale di Magonza e nell’abbaziale di Maria Laach, anche l’ultima in ordine di tempo delle grandi cattedrali renane, quella di Worms, mantiene la tipologia germanica dei due cori contrapposti, e quindi pone l'obbligo del graduale apprendimento della sua immagine?©. Costruita durante un periodo di due secoli (1000-25 torri occidentali appartenenti al primo edificio; 1181 sgg. transetto, coro con torri e due campate; 1186-1200 navate e coro ovest) questa cattedrale testimonia una straordinaria originalità di concezione ed una vera capacità inventiva; nonostante la tradizionale presenza delle due absidi opposte, la composizione dell'insieme risulta mossa e variata (figg. 1.178 e 179): un solo transetto, due cori diversi in tutto, coro orientale distaccato. L’orditura dell'interno riprende con ben altro vigore l'ordinamento di Spira e Magonza, mediante una rinnovata e precisa de-
finizione delle poderose membrature. Tuttavia è negli esterni che si dispiega il maggiore sforzo espressivo, con la decisa concentrazione degli effetti plastici alle due estremità della fabbrica, che si risolve in motivi e sviluppi di vera qualità architettonica: verso oriente, innestando due torri cilindriche sui lati di un blocco cubico che si proietta sullo sfondo distaccato del transetto con sovrapposto tiburio (fig. 1.180); verso occidente sovrapponendo l’uno sull’altro due prismi ottagonali coronati da piramidi, dislocati in profondità ed in altezza e chiusi tra due campanili cilindrici (fig. 2.83). In contemporanea con la costruzione del duomo di Worms e fino a comprendere i decenni successivi la produzione del romanico maturo include importanti monumenti costruiti nelle diverse parti della Germania: organismi a quattro torri, senza tiburio-lanterna in Franconia e Renania, quali il St. Kastor di Coblenza (XIII secolo, fig. 1.170), la parrocchiale di Andernach (1206) e specialmente l'imponente duomo di Bamberg (1127-85) a cori contrapposti e torri multipiani altissime; sempre anteriori alla penetrazione gotica le chiese di Murbach (1156-75), di Maursmiinster (Marmoutier, metà XII secolo) in Alsazia, e di St. Patroklus a Soest in Westfalia (ca. 1200).
Quanto alle tipologie di forme centriche, il modello costituito dai SS. Apostoli di Colonia è ripreso nella Munsterkerk di Roermond con l'aggiunta di due torri sul corpo occidentale, e nel St. Kunibert di Colonia (XII secolo). 55 Kubach, 1972.
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56 R. Kautzsch, Der Dow zu Worms, Berlin 1939; M. Aubert, Carbédrale de Worms, in CA MEZ,
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Parte prima. Dal secolo VIII al XII
Il S. Gereone di Colonia (fine XII secolo) presenta un nucleo principale su pianta ellittica, poggiato sopra un edificio romano, un anello di tribune ed un’alta cupola, con l’aggiunta di un lungo coro absidato, fiancheggiato da due torri sporgenti a formare transetto. Questa varietà di forme sviluppate nella risoluzione dell’impianto tipologico d’insieme dell’edificio chiesastico si distingue dallo sviluppo osservato nell'ordinamento architettonico delle navate, che segue un proprio e diverso processo di sviluppo nel mutamento delle strutture interne: la successione prende inizio dalle nicchie a leggero incasso poste a metà altezza tra gli archi sottostanti e le finestre superiori nell’abbaziale di Werden (995-1063), motivo che trova seguito nelle arcate cieche ricavate nella stessa posizione nei SS. Apostoli di Colonia (1190 sgg.), per passare poi all’adozione di un triforio-galleria nel duomo di Bonn (1126-69; fig. 2.84) e nel Gross St. Martin di Colonia (1150-72). Quanto ai matronei o gallerie, essi sono introdotti più tardi, tra la fine del XII secolo ed i decenni successivi (parrocchiali di Sinzig e di Andernach; St. Quirin di Neuss), e lo sviluppo si conclude con l'unificazione della galleria e del triforio sovrapposto a formare una grande fascia orizzontale conformata a loggia, così come è stata realizzata nel duomo di Limburgo sulla Lahn (1220-35, fig. 2.86)?” dove la navata, pur essendo coeva delle cattedrali altogotiche francesi, ripete con un ritardo di almeno un sessantennio la partitura e le forme della cattedrale di Laon. Ma questo ritardo di fase, che contraddistingue la produzione tedesca di questo periodo, non incide in modo negativo sulla qualità architettonica del monumento, la quale si mantiene altissima: la facciata, composta da due enormi torrioni, è un blocco solido e compatto (fig. 2.87), mentre l’interno riceve dalle sue membrature fortemente articolate una spiccata caratterizzazio-
ne. L'esaurimento della cultura romanica è da tempo iniziato, quando nel terzo decennio del XIII secolo prende inizio l'introduzione diretta delle forme gotiche in Germania, con l’impiego di elementi del nuovo linguaggio per la traduzione di tipologie usate, ma senza l’intendimento di adottare l’intero sistema statico-formale dell’alto gotico; così nel duomo di Miinster e di Herford. E se quello di Magdeburgo (1209 sgg.) è già una chiesa gotica su ampie campate, il suo grandioso coro deambulato presenta caratteri linguistici ancora romanici (vedi Parte seconda, fig. 2.85). L'Italia settentrionale
Un preciso carattere distingue la produzione architettonica dell’età romanica in Italia da quella degli altri paesi dell'Occidente cristiano: gusto e linguaggio figurativi sono fortemente differenziati da luogo a luogo, per diversità di tradizioni, per connaturati caratteri propri alle diverse regioni, per differenti presenze ed influenze dall’esterno, variabili secondo i tempi e gli 77 Egle, Praktische Baustil- und Bauformenlehre, cit.
II L'età romanica
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avvenimenti politici ed economici’8. Ma nel grande quadro dell’architettura
romanica considerato nel suo insieme, l’Italia costituisce con evidenza terra
di confine, facilmente aperta ad ogni penetrazione, così che essa appare destinata anche a ricoprire il ruolo di filtro per la selezione delle diverse e numerose influenze mediterranee ed orientali (bizantine di varie provenienze,
siriache, anatoliche, armene, islamiche di varia origine e carattere), con la
funzione di valutare e mediare gli apporti esterni e di trasmetterli alle diverse sedi della cultura occidentale, dopo averne sperimentato l’applicazione. In questa duplice funzione di scelta e di rielaborazione da un lato e di autonoma produzione dall’altro, essa reca il condizionamento delle proprie realtà culturali attive ed operose: l’area padana, la quale costituisce parte integrante della cultura romanica, mediante costanti rapporti di scambio con la Francia ed il Nord e Centro Europa; le regioni centrali rimaste periferiche rispetto agli sviluppi del Settentrione, ma con alcune sedi ricche di nuove ed autonome energie creative, specialmente in Toscana; infine le terre del Mezzogiorno e la Sicilia, che devono considerarsi sostanzialmente estranee alla civiltà europea. Nella grande area padana, che comprende tutto il Settentrione
escludendo soltanto Venezia e la laguna, i maestri costruttori lombardi avevano da tempo elaborato e poi diffusi oltralpe, nei secoli IX, X e inizio XI, gli elementi caratterizzanti il linguaggio architettonico romanico, sperimentando anche largamente le relative tipiche strutture murarie??, Ma intorno alla metà dell’ XI secolo, mentre dall’ Aquitania alla Borgogna i maestri francesi realizzano compiutamente la costruzione dei primi organismi chiesastici coperti per intero a volta, gli architetti lombardi restano ancora fedeli alla tradizione dell'impianto basilicale coperto a tetto; e ciò forse per incertezze o timori sulle difficoltà di realizzare risoluzioni tecnico-costruttive sinora mai tentate, o forse anche per mancanza di convinzione sulla necessità tecnica ed estetica di adottare una copertura voltata. Questo ritardo si prolunga fino al-
l’ultimo decennio dell’XI secolo, ma non impedisce all’architettura lombarda di affermare il suo ruolo primario nella diffusione di un linguaggio architettonico ormai definito come romanico, da un lato nell’Italia media, dall’al-
tro nell’intera Europa. Nello stesso tempo si verifica la diffusione nell’area padana di motivi e tipologie impiegati oltralpe, quali l'abside deambulata (S. Stefano di Verona, inizio XI secolo) e con due torri (duomo di Ivrea, 1002)
ediltransetto anteriore (S. Carpoforo di Como, ca. 1025, fig. 1.181). Una fase intermedia, prima della costruzione delle volte sulla navata maggiore, è rappresentata dall’introduzione degli arconi trasversali posti a sostegno del tetto, quale struttura di collegamento murario fra le pareti verticali, embrione e primo elemento costruito della futura volta (S. Eustorgio di Milano, 28 Il quadro generale della cultura artistica ed architettonica in Italia nell'età romanicaè in Toesca, 1965; vedi anche H. Thiimmler, Die Baukunst des 11. Jabrbunderts in Italien, in «Romisches Jb. fiir Kunstgeschichte», 3, 1939; H. Decker, L'art roman en Italie, Paris 1958; Conant, 1959. 59 G.T. Rivoira, Le origini dell'architettura lombarda, Milano 1908; A.K. Porter, Lombard Architecture, New Haven 1915-17; C. Enlart, L'art ronzan en Italie, Paris 1924.
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Parte prima. Dal secolo VIII al XII
1040; SS. Felice e Fortunato di Vicenza, ca. 1000; S. Maria Maggiore di Lomello, ca. 1025, fig. 1.182). Questo sviluppo rallentato ed ancora contraddistinto da incertezze nelle scelte tipologiche ed organiche, offre tuttavia la realizzazione di monumenti originati da singolarità di concezione, quale è S. Abbondio di Como (fig. 1.183), costruito nel 1050-85 circa, privo di transetto,
che con le sue cinque navate su archi e colonne sembra ispirato ad un lontano ricordo delle basiliche costantiniane di Roma; influenze francesi sono nel
coro absidato e molto allungato, e germaniche nei capitelli cubici e nella loggia interna, riflesso del massiccio occidentale ottoniano; ma la sua vera qualità architettonica risiede negli esterni, dove il linguaggio figurativo romanico si dispiega pienamente nelle masse murarie grandiose e compatte dello chevet e delle torri (fig. 1.184), e nella plastica secondaria e decorativa®°. L'architettura lombarda raggiunge la completezza dell’organismo statico-costruttivo interamente coperto a volta fra il 1090 ed il 1120 ad opera dei maestri milanesi; e sono questi ultimi che vi introducono un nuovo elemento di importanza decisiva qual è il costolone squadrato posto a costituire gli arconi diagonali delle volte a crociera (od ogive); questo allo scopo di razionalizzare la struttura rialzandone il vertice, articolandola secondo i materiali ed il tessuto murario, e differenziando le funzioni statiche delle nervature
di sostegno da quelle affidate alle vele®!. Gli esempi superstiti confermano che l’impiego delle strutture a volta così perfezionate interviene anch'esso in ritardo; si tratta del S. Nazzaro di Milano (1093-1112), del S. Sigismondo a Rivolta d'Adda (1088-96, fig. 1.185), di S. Maria di Aurona a Milano (ca. 1095, distrutta), di S. Savino a Piacenza (ca. 1107). L'ultimo esempio della serie è proprio il S. Ambrogio milanese (coro 784 sgg., absidi ca. 940, atrio 1098) che presenta un corpo a tre navate iniziato intorno al 1080, ma coperto con volte solo dopo il disastroso terremoto del 1117 (fig. 1.186). Qui la partitura della grande navata impiega la tipologia delle chiese di pellegrinaggio «a nave cieca», in quanto bloccata dalle collaterali e dalle sovrapposte gallerie; ma nello stesso tempo ne modifica profondamente le proporzioni, rinunziando agli effetti dello slancio verticale impresso al vano negli esempi francesi, ed adotta invece una conformazione bassa, larga e quasi pri-
va di luci, delle arcate, delle volte e dei matronei (fig. 1.187). La forza delle
membrature che scandiscono con ritmo largo e grave la grandiosa successione delle campate cupoliformi risalta nella luce radente che penetra dagli arconi della facciata, in contrasto con l’ombra diffusa nelle navatelle e gallerie. La magistrale ed originalissima risoluzione della facciata (fig. 1.188), composta da una loggia su grandi arcate, corrisponde ad una pianta rettangolare, a tre navate senza transetto. Il secondo monumento veramente importante dell’area milano-pavese è S. Michele di Pavia (ca. 1120-ca. 1150) °° M.C. Magni, Architettura romanica comasca, Milano 1960.
© W. Arslan, L'architettura romanica milanese, in «Storia di Milano», III, Milano 1954, pp. 397-600.
°° F. Reggiori, La basilica di Sant Ambrogio a Milano, Firenze 1945.
& A. Peroni, S. Michele di Pavia, Milano 1967.
II. L'età romanica
9
che nel corpo delle navate ripete la tipologia ambrosiana, ma ne rifiuta la soluzione a nave cieca, rialzando i muri della navata sopra il livello della galleria, per aprirvi alcune finestre; l'impianto (fig. 1.189) presenta transetto sporgente, coro absidato profondo, tiburio ottagonale su doppi pennacchi a cono, presbiterio rialzato e cripta. Ma sono le fronti esterne a presentare gli elementi innovatori, con il nuovo tipo di facciata «a capanna» (fig. 1.190), che nasconde il vero profilo delle navate: la fronte, tripartita da pilastri a tutta altezza, appare ornata sugli spioventi da logge sopra colonnine ed archetti e da fasce orizzontali continue con rilievi irregolarmente collocati. Questo monumento costituisce il modello delle chiese milano-pavesi del XII secolo, e più largamente dell’intera Padania; la città di Pavia ne mostra due semplificate interpretazioni nelle chiese di S. Pietro in Ciel d'Oro (ca. 1132-80) e di S. Teodoro (fine secolo XII, fig. 1.191), entrambe con transetto incluso
nella pianta rettangolare, volte a crociera sopra campate semplici, schema basilicale senza gallerie. Durante lo stesso XII secolo, nei centri del comasco e nella stessa Como, pur così attivi nella costruzione di edifici chiesastici, gli impianti di maggiore importanza mantengono il rifiuto del sistema voltato. Coperta a tetto era infatti la grande basilica di S. Giacomo (1095-1117, ora quasi distrutta), che per alcuni elementi (coro triplice, torri in facciata, atrio)
ricorda Cluny II, e per altri testimonia la tendenza a conformare il capocroce come un sistema centrico triabsidato: le due testate del transetto risolte a semi-catino formano infatti tale sistema unitamente al vano del coro-abside. La medesima aspirazione a sviluppare l'incrocio fra le navate ed il transetto quale centro di un triconco absidato e deambulato caratterizza l'organismo poderoso del S. Fedele (iniziato alla fine dell'XI secolo e portato a termine intorno al 1120, fig. 1.192) che con evidenza risulta ispirato al tipo organico centrico fissato nel S. Lorenzo di Milano, e che si pone anche come un’opera che nel suo insieme ripete lo sforzo già compiuto a Colonia con la costruzione di S. Maria in Campidoglio. Qui, la differenza fra la maggiore profondità delle due esedre porticate rispetto al vano dell'abside tenuto a tutta altezza, genera una armonica contrapposizione di strutture con il vano rettilineo della navata, e configura un organismo, ora alterato, che segna uno
dei momenti iniziali dello sviluppo relativo al grande tema architettonico dell’organismo chiesastico centrico. Lo stesso tema è svolto in piccola scala ed in un solo vano coperto a tetto e triabsidato in S. Maria del Tiglio di Gravedona (ca. 1150-75, fig. 1.193). Le forme architettoniche lombarde ed i sistemi costruttivi milano-pavesi si diffondono nelle zone di Novara e Vercelli, e sono chiaramente visibili nel-
la cattedrale di Novara (1132), a S. Nazario Sesia (1125 sgg.), nel S. Pietro di Casalvolone (1118)®4, Poi, sul finire del XII secolo, l’audace volta nervata che
nasce dall’incrocio di due coppie di costoloni arcuati posti sopra il nartece della cattedrale S. Evasio di Casale Monferrato (fig. 1.194) fornisce una prova eclatante della perizia tecnica dei maestri milanesi. Ma i sistemi costrutti64 P, Verzone, L'architettura romanica nel Vercellese, Vercelli 1935; Id., L'architettura romanica nel Novarese, Novara 1935.
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Parte prima. Dal secolo VIII al XII
vi inaugurati a Milano ed a Pavia trovano il loro maggiore sviluppo nelle grandi cattedrali dell'Emilia occidentale ed in quella di Cremona, dove i nuovi impianti ne applicano le tipologie, adottandone i sistemi costruttivi, le partiture, gli elementi e modi stilistici, idettagli decorativi. Ed eccone il profilo: facciata a capanna, loggiato sopra tutte le fronti esterne, navate su pilastri con alternanza di campate, partiture con matronei e sovrapposte finestre, presbiterio rialzato e grande cripta, copertura a volta eseguita in ritardo, infine grosso transetto dalle grandi braccia molto sporgenti, con palese tendenza del capocroce ad assumere una conformazione centrica intorno al tiburio. Il duomo di Parma®, dovuto alla ricostruzione intrapresa dopo il terremoto del 1117 e proseguita per tutto il secolo, presenta una facciata di composta e precisa armonia (fig. 1.195), un felicissimo sviluppo esterno di masse murarie semplice e poderoso, ed un interno alterato (fig. 1.196a); il duomo di Piacenza (figg. 1.196b e 198), anch'esso ricostruito fra il 1122 ela metà dello stesso secolo, esibisce una possente struttura di altissimi piloni cilindrici con falsi matronei e volte di età gotica (fig. 1.197); ma qui il difficile problema di innestare organicamente sul corpo principale il transetto di tre navi elevate a tutta altezza e dissimmetrico rispetto al tiburio ottagono non è stato risolto. Il duomo di Cremona”, costruito nel 1129-43, poi profondamente trasfor-
mato con l'aggiunta di un enorme transetto nel 1288-1340 circa, quindi gravemente alterato nella fronte ed all’interno, è tipico esempio del gusto coloristico lombardo per il mattone rosso, che qui unifica alla vista la fabbrica originaria e le aggiunte. Poi, le forme lombardo-milanesi prevalgono anche nella Lombardia orientale, nelle absidi di S. Maria Maggiore di Bergamo (1137) e nella facciata di S. Ercolano di Maderno, e si diffondono nel Piemonte, an-
cora semplici ed elementari, in chiese minori coperte a tetto (S. Michele di Oleggio; S. Pietro, 1018, ed il duomo di Acqui, 1067, quest’ultimo con un corpo absidale tipo Cluny II); poi più grandi e complesse, in organismi a volta, realizzati nel XII secolo, come S. Fede di Cavagnolo Po, la badia di Vez-
zolano ad Albugnano d’Asti, ed anche la cattedrale di S. Evasio a Casale Monferrato, su cinque navi e tiburio, e la cosiddetta Sagra di S. Michele nella valle di Susa (fig. 1.200). Quanto alla Liguria”, si può dire che la cultura lombarda vi si combina con influenze provenzali e bizantine, come nel coro del S. Paragorio di Noli (inizio XII secolo, fig. 1.199), oppure con modi toscani, i quali rafforzano la tendenza a conservare il tipo basilicale su colonne e copertura lignea, con l'aggiunta di falsi matronei, come nelle chiese genovesi di S. Maria di Castello e di S. Donato (1118, fig. 1.201); l'organismo con
volte su pilastri si ritrova invece in S. Fruttuoso di Portofino (XII secolo), in
S. Giovanni di Pré di Genova (1180 sgg.) con copertura a costoloni, e nel duomo di Ventimiglia (fine XII secolo). © A.C. Quintavalle, La cattedrale di Parma e il romanico europeo, Parma 1974.
© A.C. Quintavalle, La cattedrale di Cremona, Cluny, e la scuola di Lanfranco e di Wili: gelmo, in «Storia dell’arte», 18, 1973.
°? P. Verzone, L'arte preromanica in Liguria, Torino s.d.; C. Ceschi, Architettura romanica genovese, Milano 1954.
II. L'età romanica
121
Il monumento più importante dell’area emiliana è il duomo di Modena,
eretto tra il 1099 ed il 1110 circa dal lombardo Lanfranco, forse cOMASco,
mirabilis artifex, mirificus aedificator: organismo semplice su pianta rettangolare (fig. 1.202), tre absidi, senza transetto, articolato su campate doppie di pilastri alternati a colonne, falsi matronei, grande cripta ed alto presbiterio, e nuovo tipo di facciata disegnato secondo il profilo basilicale della chiesa (figg. 1.203 e 204). L'interno è stato poi gravemente alterato mediante la sostituzione della originaria copertura ad arconi trasversali e tetto con pesanti volte a crociera a sesto acuto e costoloni e con l’inclusione di uno pseudotransetto basso e di un enorme rosone sulla facciata; le fronti esterne svi-
luppano il ritmo agile e slanciato di una serie continua di archi triforati, che quale grande fascia avvolgente inviluppa ed unifica facciata, fianchi ed absidi (fig. 1.205). L’originalità dell’opera di Lanfranco è quella di aver tradotto in linguaggio lombardo — cioè romanico — una concezione figurativa che non è più romanica, perché ha rinunziato alle motivazioni d’ordine statico-strutturale della forma architettonica e le ha sostituite con la poetica della rigorosa definizione stereometrica del vano, del solido spaziale cristallino, della sintesi volumetrica dell'oggetto. Riprendendo, all’inizio del XII secolo, e cioè prima della costruzione delle grandi cattedrali lombarde, il motivo degli arconi trasversali a sostegno del tetto (Lomello), Lanfranco rifiuta la copertura a volta, rinunziando così alla poetica romanica della massa-struttura, e vi contrappone una visione ritmica di spazi e superfici, priva di tessitura strutturale e senza primari e diretti riferimenti d’ordine statico e costruttivo; e questa scelta assume il significato di una alternativa posta alla cultura della Padania, nello stesso momento in cui l’architettura romanico-lombarda
tocca il suo apice. Le forme della cattedrale di Lanfranco si riflettono nell’abbaziale di Nonantola (1121 sgg.) e specialmente nel duomo di Ferrara (1135, totalmente trasformato all’interno) che nelle fronti esterne riprende direttamente la partitura modenese. L'area emiliana possiede anche altri importanti monumenti di carattere lombardo: Pomposa (1063) ed il suggestivo complesso detto di S. Stefano a Bologna (Crocifisso, S. Sepolcro, Trinità, chiostri, fig. 1.206) nel quale trova posto la piccola ma perfetta struttura a volta della chiesa dei SS. Pietro e Paolo (XI secolo, fig. 1.207). Sempre nell’ambito della cultura lombarda, imonumenti veronesi’ costruiti in questo
periodo manifestano influssi franco-normanni nell’impianto delle due chiese sovrapposte di S. Fermo (ca. 1100-30), e l'evidente ricordo delle chiese di pellegrinaggio nel S. Lorenzo (primo quarto del XII secolo, fig. 1.208), che pertanto riprende il dispositivo «a nave cieca» in un poderoso organismo coperto con volte a botte, dotato di un falso transetto, di un portico interno
anteriore alle navate e di due torri cilindriche in facciata. Sono invece modenesi le influenze che incidono sulla zona anteriore della grande chiesa be68 A.C. Quintavalle, La cattedrale di Modena: problemi di romanico europeo, 2 voll., Modena 1964-65; AA.VV., Lanfranco e Wiligelmo. Il Duomo di Modena, Modena 1984; A. Peroni (a cura di), Il Duomo di Modena. Atlante grafico, Modena 1988. 69 W. Arslan, L'architettura romanica veronese, Verona 1939.
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Parte prima. Dal secolo VIII al XII
nedettina di S. Zeno (1120, figg. 1.209 e 210), originando dopo il 1150 la co-
struzione di due arconi trasversali, motivo già adottato da Lanfranco, che
presumibilmente avrebbe dovuto estendersi all’intera navata; ma sia questa proposta, sia quella originaria, che poneva come soluzione naturale il completamento della partitura delle semicolonne addossate mediante una sovrapposta copertura a volta, sono state abbandonate, ed il grande vano ha ricevuto una copertura a tetto «a carena di nave» che si definisce quale un corpo rozzamente estraneo alla struttura ed alla forma del monumento. La suggestione esercitata dalle forme centriche, ed in particolare dagli impianti regolati da un asse verticale, sulla cultura architettonica lombarda, costituisce la causa prima della costruzione di numerosi battisteri ed edifici centrici nell’area padana: alla fine del X secolo sono datati i due battisteri di Biella su pianta quadriconca, tiburio ed archetti; di pochi anni posteriore è quello già citato di Galliano presso Cantù (ca. 1004-1007, fig. 1.49), dotato di una galleria superiore e di pilastri interni, e così solido e massivo da sembrare un fortilizio; meno frequente risulta il tipo a vano unico (Lenno presso Como) rispetto a quello con rotonda anulare, volte con matroneo e tiburio sopraelevato; ne sono esempi S. Tommaso
in Limine ad Almenno San Salvatore (Bergamo, XI secolo, figg. 1.211 e
212), il battistero di Arsago Seprio (presso Varese, XI secolo, fig. 1.213), il S. Lorenzo di Mantova, il duomo vecchio di Brescia (XI secolo), il San-
to Sepolcro nel già ricordato complesso di S. Stefano a Bologna (fig. 1.206), e il battistero di S. Pietro di Asti (XII secolo). Una versione in for-
me lombarde del battistero fiorentino è il grande battistero di Cremona (1167 sgg., fig. 1.214), con arcate e gallerie interne, cupola a padiglione a sesto acuto; il battistero di Parma, costruito a datare dal 1196, presenta
caratteri in gran parte gotici (vedi Parte seconda, figg. 2.88 e 89). L'Appennino tosco-emiliano segna quasi un confine fra l’intera area padana, sede del grande sviluppo dell’architettura romanico-lombarda, e le terre centro-meridionali, dove fioriscono le diverse produzioni regionali contemporanee, nelle quali la tipologia e le forme architettoniche lombarde risultano accolte ed accettate soltanto in alcuni luoghi e secondo singole circostanze, e nelle quali spesso l’adesione alle forme architettoniche del ro-
manico si associa alle tradizioni esistenti, combinandosi a tendenze e modi
locali. In questo quadro si può dire che la penetrazione romanico-lombarda si manifesta con forza in alcune chiese marchigiane: S. Maria di Portonovo (secolo XI, fig. 1.215), dall'impianto di tipo franco-normanno, S. Maria a Piè di Chienti, con due presbiteri sovrapposti e coro deambulato (figg. 1.216 e 217), il duomo di S. Leo (ca. 1200); con minore vigore e chiarezza in alcune chiese voltate dell'Umbria: S. Silvestro di Bevagna, S. Pietro di Bovara (presso Trevi, metà XII secolo), mentre la basilica di S. Eufemia di Spoleto (inizi
XII secolo), riprende la partitura interna con volte e matronei degli esempi
milano-pavesi (fig. 1.218), ma con una estrema semplificazione delle superfici e dei volumi. Nel Lazio, la sola chiesa coperta a volta in età romanica è S. Maria di Castello di Tarquinia (inizio 1121), che reca crociere costolonate e tiburio; v'è poi il singolare edificio del S. Flaviano di Montefiascone,
II L'età romanica
125
chiesa a due piani comunicanti attraverso una grande apertura centrale, che ricorda perciò la tipologia delle cappelle di palazzo germaniche ed il loro uso da parte di due distinte categorie di fedeli. In Toscana l'apporto lombardo è limitato all’interno della pieve di S. Maria di Arezzo (fine XII secolo, fig. 1.219), al duomo di Sovana (XII secolo) ed all’abbaziale di S. Antimo a Ca-
stelnuovo dell'Abate nel Senese (ca. 1118 sgg., fig. 1.220), insolito esempio
di chiesa deambulata e con matronei, ma coperta a tetto; nell'Italia meri-
dionale l'imitazione del modello francese dello chevet con deambulatorio e cappelle è accettata a Venosa (Vulture) nella grande abbaziale incompiuta della Trinità (1170-1210), nella cattedrale di Acerenza e nel duomo di Aver-
sa (fig. 1.221), entrambi di incerta datazione?0,
La Toscana
Posta a confronto con l’arte lombarda, l'architettura dell’età romanica in
Toscana si distingue nettamente, sia per la diversa concezione dell’oggetto costruito, sia per la disparità del gusto e del linguaggio esercitati, che nello stesso tempo differiscono fortemente dalle forme e risoluzioni adottate nelle altre zone del Centro-Sud”! Nella produzione architettonica toscana, che mantiene fin nell’età gotica la propria salda autonomia fondata sopra una inconfondibile poetica, il monumento più studiato e discusso fra tutti è il battistero (S. Giovanni) di Firenze”?, per il quale l’indagine storica non è ancora riuscita a fissare datazioni sicure ed a fornire una restituzione interpretativa storico-critica soddisfacente. L'edificio, su pianta ottagona, del diametro interno di m 25,6 (fig. 1.222), presenta all’esterno un rivestimento marmo-
reo sviluppato in tre ordini sovrapposti (basamento, piano intermedio arcuato, attico, fig. 1.223); l'interno, coperto da una cupola a padiglione, reca nel piedritto due ordini architettonici sovrapposti, dove quello inferiore risulta composto da lesene angolari e colonne isolate disposte a triforio, che si proiettano sulla parete di fondo, rimasta in posizione arretrata a formare la rappresentazione allusiva di una peristasi avvolgente, testimonianza di una presumibile aspirazione ad una forma centrica anulata per l’intera cerchia muraria (fig. 1.224). Il richiamo formale, chiarissimo, è all’architettura romano-classica; ma questo «protorinascimento fiorentino» si fonde integrandosi con il cromatismo degli intarsi marmorei, sviluppati e distesi secondo precise grafie di forme geometriche pure ed elementari, che ricoprono pareti esterne ed interne mediante rivestimenti di marmi bianco e verde di Prato. La datazione della fabbrica resta tuttavia incerta; l’ossatura muraria di so70 C. Bozzoni, Saggi di architettura medievale, Roma 1979; AA.VV., La cattedrale nella storia. Aversa 1090-1990, nove secoli d’arte, Aversa 1990. 71 M. Salmi, L'architettura romanica in Toscana, Roma-Milano 1928; W. Horn, Rormza-
nesque churches in Florence, in «Art Bulletin», XXV, 1943, pp. 112-131. 72 KU. Swoboda, Das Florentiner Baptisterium, Berlin 1918; C. Pietramellara, Battistero di S. Giovanni a Firenze, Firenze 1973.
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Parte prima. Dal secolo VIII al XII
stegno, in tutto o in parte, è forse di età tardoantica, mentre l’intero intervento di assetto architettonico, rivestimento e decorazione marmorea e mu-
siva, può essere collocato fra l'ottavo decennio dell'XI secolo ed il 1230 circa. Alcune evidenti discontinuità nelle forme architettoniche e decorative confermano la lunga durata dei lavori ed i mutamenti linguistici intervenuti; come le differenze formali e stilistiche fra il primo ordine interno colonnato, di alta qualità figurativa e sicurezza di disegno, ed il secondo ordine con bifore, privo di spessori e di aggetti e con forme povere e stanche; oppure il mancato allineamento fra le stesse bifore interne e le corrispondenti finestre esterne, con sgradevoli effetti nella vista dal basso. L'altro monumento fiorentino di primaria importanza è la chiesa benedettina di S. Miniato al Monte (1028-62), basilica a tre navi senza transetto,
composta da un telaio strutturale simile a quello ideato da Lanfranco per il duomo modenese: ogni tre archi su colonne, la partitura reca un pilastro composto quale sostegno di un arcone trasversale (fig. 1.225). Ma anche qui, come nel battistero, alla richiesta di riprendere e mantenere la continuità della tradizione classica, si sovrappone l’esigenza di realizzare una rigorosa definizione geometrico-spaziale del vano: la forza di gravità, e con essa il peso delle muraglie, non è più, come nel romanico, il fattore agente che porta a definire la struttura muraria nella figurazione, la quale trova invece la propria determinazione nella sintesi volumetrica dell'oggetto, sentito come solido spaziale cristallino, in una visione ritmica di superfici geometriche composte secondo una figurazione unitaria. Così, le murature costruite risultano tradotte e risolte in pure grafie architettoniche, nel cromatismo delle tarsie che assumono il ruolo di una definizione lineare del piano cromatico, secondo una risoluzione di matrice bizantina, perché risolve la profondità in superficie; ma che qui, nella concretezza della visione diretta e nell’ambito della cultura fiorentina, risulta totalmente rinnovato (fig. 1.226). L’interno
del S. Miniato sarebbe stato figuralmente perfetto, se l’altissimo e doppio presbiterio e l'ampia cripta sottostante, dovuti certo ad influenze lombarde, non avessero rotto la mirabile unità architettonica del vano, spezzando la continuità strutturale, spaziale e prospettica dell’immagine. Quanto alla facciata, la sua qualità formale risiede nelle singole parti, ciascuna considerata per sé stante, poiché esse non costituiscono unità, data la mancanza di rispondenza fra l'ordine inferiore delle arcate e l'ordine superiore tetrastilo, fra questo ed il timpano sovrapposto e gli spioventi laterali. Il confronto di questa facciata con la fronte della collegiata di S. Andrea ad Empoli, iniziata nel 1093 (fig. 1.227), mostra come quest’ultima, anche se più semplice e povera nei dettagli, risulti nel suo insieme unitaria ed armonica; altre picco-
le fronti, eseguite impiegando tali rivestimenti marmorei, sono quelle di S. Salvatore al Vescovo e della badia di Fiesole. L’incisivo ricordo del ritmo e delle forme classiche ritorna nell’interno basilicale della chiesa fiorentina dei
SS. Apostoli, di cui si hanno notizie dal 1075; il semplice ed aulico motivo delle grandi arcate a tutto sesto sulle colonne dai capitelli corinzi (fig. 1.228), completato dalla «bicromia fiorentina» (membrature di pietra scura e fon-
II L'età romanica
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do di intonachi chiari), ha verosimilmente suggerito al Brunelleschi l’elemento stilistico dei colonnati di S. Lorenzo e S. Spirito. Di fronte a Firenze, ed alla originalità della sua architettura, che trova la propria forma quasi esclusivamente nel battistero e in S. Miniato, il XII secolo reca in Toscana uno straordinario sviluppo quantitativo ed insieme di qualità nella costruzione di chiese che appartengono alla cosiddetta arte pisana; e questa nasce con la stessa edificazione della cattedrale di Pisa (fig.
1.229), che, fondata nel 1063, progettata e costruita da Buscheto, è consacrata, ancora incompleta, nel 11187? Più tardi, in una data imprecisata, il
corpo longitudinale delle navate fu prolungato di tre nuove campate, rinnovando anche la facciata, opera di Rainaldo (fig. 1.230). L’eccezionale carattere di questo monumento si rivela e distingue in diversi aspetti: v'è anzitutto l’aperta esibizione dell’opera nella pienezza della sua forma totalizzante, che si offre al possesso visivo come solidamente ancorata al centro di un grande spazio, dove essa trova la propria nativa collocazione secondo precisi rapporti di spazi e di volumi con gli altri due oggetti architettonici del complesso monumentale, il battistero ed il campanile (fig. 1.231); v'è poi che
tutte le fronti, quelle del corpo basilicale come quelle delle navi traverse e del coro, sono interamente fasciate da una ininterrotta serie di doppie arcate cieche su pilastri o semicolonne, alte e strette, agili ed ornate da losanghe inserite nel sesto (fig. 1.232): ed è questa la vera «invenzione» pisana, e cioè un motivo che si ripete ovunque, in tutti gli edifici chiesastici costruiti in gran parte della Toscana, nel XII e XIII secolo. Lo stesso motivo, reso più ampio e ricco di ornati, si estende nella zona inferiore della facciata, che ne-
gli ordini superiori reca la più felice risoluzione che l'età romanica abbia saputo dare al problema di comporre una fronte in perfetta armonia con l’organismo architettonico della chiesa: la parete piena scompare ed al suo posto, sui sovrapposti ripiani, si collocano altrettante serie di archetti traforati, che proiettano sul fondo un’ombra graduata; una trama che, se mantiene,
definendola con archetti e colonnini, l’unità geometrica della superficie allineata sul piano della fronte, nello stesso tempo realizza una profondità atmosferica con effetti pittorici; una facciata trasparente, invenzione sottile e raffinata. Se questi sono i caratteri ed i valori salienti degli esterni, l'interno del duomo pisano riserva la sorpresa di una tipologia organica e di una distribuzione spaziale veramente insolite, per quanto riguarda specialmente l’innesto del cosiddetto transetto sulla grande navata: qui infatti non v'è incrocio e reciproca confluenza spaziale, ma netta separazione fra la navata e le due braccia della nave traversa, dato che l'alta parete della grande nave non si interrompe in corrispondenza dell’innesto e prosegue invece in tutta la sua altezza chiudendo il vano laterale, con la sola variante di un’arcata più larga sulla mezzeria (fig. 1.233). In tal modo la separazione spaziale e prospettica fra la grande basilica a cinque navate e le due basiliche a tre navi ri73 P, Sanpaolesi, I/ Duomo di Pisa e l'architettura toscana delle origini, Pisa 1975; Id., Il Campanile di Pisa, Pisa 1956.
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Parte prima. Dal secolo VINI al XII
sulta completa; non si può quindi parlare di transetto, bensì dell’aggiunta di due organismi a tre navi, autonomi rispetto al corpo principale, che testimoniano l’intendimento di realizzare un edificio chiesastico multiplo, forse rivolto ad assicurare l’autonomo funzionamento di ciascuna delle tre sedi. Quanto alla forma architettonica attuata nelle cinque navate, si tratta di un interno che non è stilisticamente omogeneo: l'imponente colonnato, dove ritornano in modo grandioso il ritmo e le forme delle antiche basiliche, non trova rispondenza nella spigolosa durezza che caratterizza i pilastri del sovrastante matroneo, costituiti da filari di marmo bianchi e scuri, di ascendenza araba; un altro contrasto non risolto resta vivo nell’accostamento del-
le arcate a semicerchio poggiate sulle colonne classiche, con gli archi acuti ad altissimo piedritto, anch'essi di tipo arabo, delle navate minori. Ma il vero punto debole dell’intero monumento e della sua immagine figurata è la cupola, presenza intrusiva ed incongrua, forse non prevista in origine: impostata senza specifica giustificazione sopra una pianta ovale troppo allungata e sorretta all’interno da ingombranti arconi, mostra all’esterno un profilo ridotto, goffo e smagrito. Una perfetta unità di volumi architettonici, di forme figurate, di partiture parietali e di dettagli decorativi lega ed unisce in un solo armonico complesso il battistero ed il campanile di Pisa alla stessa cattedrale. Il battistero, iniziato da Deotisalvi nel 1153 come un grande volume cilindrico e situato di fronte al duomo sul medesimo asse di simmetria, ripete sopra la superficie esterna, nelle forme e dimensioni, la partitura esterna del duomo, isti-
tuendo così una rispondenza precisa e diretta fra i due monumenti; l’organismo possiede una struttura anulare articolata su due piani (fig. 1.234), e con il vano cilindrico centrale coperto da una cupola conica; il coronamento esterno e la semi cupola avvolgente sono il risultato di rifacimenti eseguiti nella seconda metà del XIV secolo, che, mediante l’inserimento di una esi-
le e frantumata decorazione gotico-fiorita, hanno profondamente alterato l'armonia originaria dell’opera (fig. 1.231). I lavori per la costruzione del campanile, iniziati nel 1173 da Bonanno e Guglielmo e condotti per i primi tre piani, risultano interrotti per cedimento del terreno nel 1185; vengono ripresi nel 1275 da Giovanni di Simone, che fino al 1281 esegue gli altri quattro piani; la cella campanaria è del 1350. Gli autori del campanile hanno adottato gli stessi temi figurativi ed elementi architettonici già realizzati nel duomo e nel battistero, associandoli nella medesima partitura: basamento con archi ciechi e logge arcuate e traforate nei sei piani superiori, ricavando i medesimi felici risultati, resi ancor più efficaci ed estesi dalla moltiplicazione degli effetti visivi dovuta alle trasparenze ed alle variazioni prospettiche e chiaroscurali generate dalla conformazione traforata e cilindrica della fabbrica. L'anello di congiunzione fra la cultura e le forme lombarde da un lato e l'architettura detta pisana dall’altro è rappresentato dalla basilica di S. Piero a Grado, eretta nella seconda metà dell'XI secolo sull’antica marina di Pi-
sa, unico esempio di chiesa con absidi contrapposte, che nelle fronti esterne
(fig. 1.235a) e nella torre campanaria mostra elementi padani (sistema delle
II L'età romanica
Mz)
absidi, partiture corrlesene, archetti pensili, ornati), mentre nell'interno ri-
prende la semplicità ed il ritmo degli organismi basilicali a tetto (fig. 1.235b). Ma le tre ampie navate, nel taglio vivo degli spigoli, degli abachi e del giro degli archi, nella precisa stesura delle pareti, nell’assenza di ornati in aggetto, registrano i segni di un diverso modo di immaginare e creare lo spazio architettonico, che in tal modo diventa spazio geometrico, chiaro, limpido e trasparente. Si tratta di una qualificazione formale affine a quella espressa da Lanfranco a Modena e dai maestri fiorentini nel S. Miniato; è un procedimento di estrema semplificazione delle forme adottate, che si diffonde largamente in Toscana, realizzando numerosi interni di chiese maggiori e mi-
nori: a Pisa, in S. Pietro in Vincoli e S. Paolo a Ripa d'Arno; a Lucca, in S. Pier Somaldi, S. Frediano (fig. 1.236), S. Cristoforo, S. Giovanni; a Pistoia
in S. Andrea; e ancora nella cattedrale di Prato. Se questo è lo sviluppo del tema riguardante la forma degli interni chiesastici, il tema parallelo della configurazione all’esterno degli stessi edifici, trova il proprio preciso riferimento nel duomo di Pisa: l'imitazione della tipologia e delle forme architettoniche inaugurate da Buscheto e Rainaldo, in particolare quelle della facciata, risulta generale in Toscana: nella stessa Pisa, tale adesione si realizza in S. Frediano, in S. Pietro in Vincoli ed in S. Paolo a Ripa d'Arno (1148), che riproduce il duomo in scala ridotta (fig. 1.237); ed inoltre nelle pievi di Cascina, di Calci e di S. Casciano e nel duomo di Massa Marittima. A sua vol-
ta Lucca allinea, oltre a numerose chiese minori, la fronte con portico della cattedrale di S. Martino (fig. 1.238) e l’aerea facciata a vela di S. Michele in
Foro (fig. 1.239), entrambe ricche di effetti coloristici e di profondità atmosferica; Pistoia mostra, in una visione coloristica, il duomo e la lunga fronte
laterale della chiesa di S. Giovanni Fuorcivitas (fig. 1.240). A tutto questo occorre aggiungere la diffusione delle forme pisane in Sardegna, anche se variamente combinate a modi lombardi: S. Maria del Regno di Ardara, S. Giusta di Oristano, S. Maria ad Uta, S. Gavino a Porto Torres con absidi con-
trapposte, e la SS. Trinità di Saccargia (fig. 1.241).
L'Italia centrale e meridionale
Il quadro d’insieme dell’attività architettonica sviluppata nell’Italia centrale?* durante l’età romanica offre, se si esclude l’area toscana, un panorama povero di interventi importanti e di originalità tipologica e linguistica; mentre occorre tener conto del fatto che per secoli, lungo la costa adriatica, la sedimentazione della cultura ravennate e l'afflusso della cultura lombardo-padana s'incontrano con le ricorrenti influenze orientali, prevalentemente bizantine; specialmente quest’ultima presenza stimola e favorisce il desiderio di rinnovamento e la ricerca del nuovo. Ma sono pochi i monu74 Alcune importanti e singolari ricorrenze fra monumenti toscani, laziali e pugliesi sono esaminate in W. Krénig, Toskana und Apulien, in «Zeitschrift fiir Kunstgeschichte», 1953.
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Parte prima. Dal secolo VIII al XII
menti che pervengono a soddisfare tale aspirazione: nelle Marche S. Vittore delle Chiuse e S. Claudio al Chienti (figg. 1.242 e 243) testimoniano la scelta di adottare l'impianto a blocco cubico, potenzialmente centrico intorno ad un asse verticale, coperto con una serie di 3 x 3 volte a crociera sopra quattro pilastri centrali; è una diversa tipologia, liberamente tradotta in termini romanici, seguendo il nuovo sistema strutturale adottato. Nella stessa regione e in fasi successive, la città di Ancona ricostruisce la cattedrale di S. Ciriaco, adottando una croce greca composta da quattro braccia absidate su tre navi e cupola centrale (fig. 1.244), dove alle fronti esterne conformate alla lombarda, corrisponde un interno coperto a tetto, chiaramente delineato
secondo strutture diverse ed agili, che dimostrano la capacità di nuove ed autonome risoluzioni. Il rifiuto di accettare la costruzione a volta, e con essa la concezione del-
l’opera architettonica quale organico sistema di strutture prima ancora che quale figurazione ed immagine, è il tratto distintivo della cultura artistica propria all’Italia media dopo il Mille e fino almeno alla metà del Duecento; e questa posizione costituisce il principale vincolo che da un lato pone il maggior ostacolo al rinnovamento dei concetti e dei metodi, e quindi delle tipologie e delle forme d’insieme del complesso edilizio, e dall’altro tende a mantenere l'adesione della committenza e dei costruttori alla forma tradizionale dell’edificio chiesastico: quella della basilica su colonne o pilastri, coperta a tetto, che in queste regioni, senza modificare la propria struttura, adotta gli elementi linguistici minori dell’architettura lombarda. In quest'ambito è opportuno ricordare alcuni monumenti, oggi isolate manifestazioni di problematiche locali: negli Abruzzi S. Liberatore alla Majella (Serramonacesca, 1080) basilica su pilastri in pietra, e S. Pelino, cattedrale di Corfinio (ca. 1100), singolare per la presenza di un corpo di fabbrica innestato sul fianco in forma di transetto isolato e con abside, coperto con crociere, titolato a sant'Alessandro, probabilmente destinato a chiesa o cappella del Capitolo (figg. 1.245 e 246); nel Lazio il S. Pietro di Tuscania, forse del X secolo, e più volte rimaneggiato ed ampliato, anche se reca alcuni elementi lombardi, non è prodotto di derivazione padana, ma piuttosto creazione autonoma ed originale (fig. 1.247), per la nuova disposizione e dimensione delle strutture componenti la crociera, rivolte a dare la maggiore solennità ed imponenza al presbiterio; la stessa chiesa, nella prima metà del Duecento riceve una nuova facciata dove il portale è opera di un maestro romano, la parte superiore è dovuta certamente ad artisti umbri e le ali presentano forme schiettamente pisane. La varietà di ricerche intraprese in questo periodo nell’Italia media, di evidente carattere locale, di limitata validità e comunque di modesto livello
innovativo e formale, è testimoniata dalle facciate del Duomo di S. Rufino ad Assisi, di S. Maria di Piazza ad Ancona, dei SS. Vincenzo ed Anastasio ad
Ascoli Piceno (fig. 1.248), di S. Pietro a Spoleto (fig. 1.249), del duomo di Foligno; nonché dall’interno del duomo di Narni, per le arcate a sesto scemo e le navate di S. Maria Maggiore a Tuscania. Questa attività non trova ri-
spondenza in Roma, dove a datare dall’età carolingia, e cioè dal pontificato
II L'età romanica
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di Pasquale I (817-824), il clima culturale permane povero, chiuso ed inerte, nella passiva ripetizione del modello basilicale paleocristiano-costanti-
niano, sostenuta dalla richiesta di rinnovare o ricostruire le vecchie chiese, e
favorita dalla disponibilità dei materiali di risulta. Quindi nessuna aspirazione al nuovo, e perciò nessuno sforzo rivolto alla innovazione di tipologie organiche o di partiture architettoniche, ma un immobile conservatorismo che si prolunga per l’intera età del romanico, e che non può trovare giustificazione nella prevalente volontà di esprimere il fervore religioso, ripetendo le stesse forme architettoniche consacrate dal Cristianesimo delle origini. Nemmeno la capacità di penetrazione della cultura lombarda si dimostra in grado di rompere l'isolamento culturale di Roma; ed infatti, in quest’ambito, l’unico contributo fornito all'ambiente architettonico della città è quello recato dall’area padana alla formazione dei campanili (dei SS. Giovanni e Paolo, S. Maria in Cosmedin, S. Silvestro, S. Lorenzo fuori le mura, S. Maria Nuova, S. Alessio), a parte l’isolato episodio del prospetto absidale dei
SS. Giovanni e Paolo (fig. 1.250); per il rimanente nessuna innovazione degna di rilievo è possibile cogliere nella ricostruzione di S. Clemente, dovuta a Pasquale II (1099-1118), in quella di S. Maria in Cosmedin (inizio XII secolo), di S. Crisogono (1129), di S. Maria in Trastevere (1140-48, fig. 1.251) e di altre ancora. Così che, per individuare il carattere proprio e determinato di altre opere eseguite prevalentemente durante il XIII secolo, occorre introdurre l'argomento dell’attività svolta dai marmorari romani per l'arredo e la decorazione dell’interno delle chiese. Si tratta dell'esecuzione della suppellettile liturgica (altari, tabernacoli, cibori, amboni, candelabri, cattedre, transenne), dei pavimenti a mosaico, ed anche della realizzazione di portali,
atri di chiese e chiostri, sviluppando composizioni ricche di effetti policromi. Fra i marmorari più attivi la famiglia dei Vassalletto lavora alla ricostruzione della basilica di S. Lorenzo fuori le mura, del relativo portico esterno (1216-27), e soprattutto esegue i due grandi chiostri di S. Giovanni in Laterano (1230-36) e di S. Paolo fuori le mura (tra il primo e il terzo decennio del XIII secolo, fig. 2.90). Jacopo di Lorenzo esegue il lato più antico del chiostro di S. Scolastica a Subiaco, proseguito e compiuto dal figlio Cosma e dai nipoti nel periodo 1227-42; a sua volta Pietro de Maria lavora al chiostro dell’abbazia di Sassovivo (Foligno) nel 1229-33. Lo stesso Jacopo di Lorenzo, insieme al figlio, termina nel 1210 il portico sulla fronte della cattedrale di Civita Castellana, secondo una consapevole ed eccezionale ripresa di partiture classiche, che nel radioso motivo dell’arco trionfale sembra precorrere le scelte di Brunelleschi per la cappella dei Pazzi. Il secondo centro di cultura che resta strettamente fedele alla conservazione e ripetizione del tipo basilicale è l'abbazia di Montecassino, situata a cavaliere dei confini fra l’Italia centrale ed il Mezzogiorno”. Desiderio, il
grande abate cassinense, ricostruisce la basilica nel 1066-71 (Mo tl0252) Ned
7 G. Carbonara, Jussu Desiderii, Roma 1979.
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Parte prima. Dal secolo VII al XII
alla consueta restituzione delle navate su colonne ed arcate aggiunge un vasto quadriportico e nel contempo realizza e sancisce una diversa soluzione per il transetto: questo risulta definito come un corpo unico, situato o quasi entro l'allineamento delle navate, amplissimo perché molto profondo, triabsidato, elevato a grande altezza, coperto da un tetto a due falde trasversali e con la linea di gronda fissata alla quota del colmo del tetto della navata. A questo modello di chiesa, definito proprio dalla dominante presenza dell’alto transetto rispetto alle navate, si richiamano i costruttori delle grandi chiese campane: cattedrali di Salerno (1077-1175), Amalfi (1060 sgg., rifatta), Ravello (1086) ed anche, in Sicilia, Messina (1086 sgg.). Perciò
sul finire dell'XI secolo la continuità della tradizione ancorata all'idea della basilica a tetto (fig. 1.253), e la presenza del nuovo tipo di nave traversa, costituiscono il sostrato culturale dell'edilizia chiesastica della Campania, nell'assenza di un adeguato apporto da parte della cultura romanico-lombarda. È il momento in cui il Mezzogiorno si apre alle influenze delle culture d’oltremare; l'influsso esercitato dalla cultura araba, mediato dai centri della Si-
cilia e trasmesso specialmente attraverso la città marinara di Amalfi, si manifesta in opere in cui gli elementi nuovi ed importanti risultano inseriti e spesso trasfusi in modi diversi, originando variate commistioni con le forme locali. Così avviene nel portico frontale di S. Angelo in Formis (rialzo del piedritto sopra il capitello, 1073, fig. 1.254) ed in casi analoghi, nella cattedrale di Caserta Vecchia (tiburio, fig. 1.255, e campanile, 1113-53), in quel-
la di Amalfi (rifatta, 1060) e di Ravello (1086) e nel campanile del duomo di Gaeta (1278): opere di carattere disomogeneo e di tipo frammentario, frutto di una produzione episodica. In altri casi, invece, il linguaggio architettonico arabo appare quasi integro e l’opera omogenea, come nel cortile e nell’ingresso-torre della casa Rufolo di Ravello, nei chiostri della cattedrale e di S. Francesco ad Amalfi, e nel quadriportico del duomo di Salerno, che presenta il carattere e le forme di una moschea. Quanto alla penetrazione delle forme e dei modi più propriamente bizantini, essa è maggiore e diretta nelle regioni ioniche della penisola, dove il tipo organico centrico su pianta quadrata, croce inscritta, quattro cupole angolari e la maggiore centrale, trova applicazione nelle due piccole chiese, della Cattolica di Stilo e di S. Marco di Rossano Calabro, di incerta datazione (fine XI secolo?). Negli altri casi l'influenza greco-basiliana si combina con le correnti islamiche provenienti dalla Sicilia, in monumenti nei quali il motivo bizantino centrale e determinante, e cioè quello della cupola, si fonde con le risoluzioni, di tipo benedettino-cluniacense, del coro multiplo absidato (S. Giovanni Vecchio di Sti-
lo, fine XI secolo). A sua volta la tradizione della forma basilicale sul mo-
dello cassinense torna a prevalere nelle grandi navate della cattedrale di Gerace (ca. 1095-1110, fig. 1.256), dove però la conformazione del transetto e del coro con cupola ed absidi mostra complessi richiami lombardi e anche
bizantini; v'è poi, monumento raro ed insolito, S. Maria della Roccella (co-
siddetta Roccelletta del Vescovo di Squillace, oggi allo stato di rudere, presso Catanzaro Marina), databile al secondo quarto del XII secolo, costituita
da una sola grande aula coperta a tetto e da un complesso presbiteriale do-
II. L'età romanica
131
tato di doppio transetto, con absidi di forme bizantine ed impianto che può essere riferito a caratteri e modi del romanico francese?6,
Puglie e Sicilia
L'edificio capostipite e quasi prototipo delle cattedrali e grandi chiese pugliesi nell’età romanica è S. Nicola di Bari (1087-1105)?” organismo a tre navi su archi e colonne, transetto ampio e profondo, gallerie a trifore e finestre superiori, absidi celate da muro esterno, tetto sulla navata e volte sulle late-
rali; a questo si aggiunge la «invenzione» della nuova partitura data alle fiancate, che sono sorrette da profondi arconi sormontati da loggiati coperti ed ornati da arcatelle (figg. 1.257 e 259a). La composizione dell’impianto presenta grande chiarezza ed obbedisce ad uno spiccato senso della spazialità geometrica, definito dal taglio ampio, semplice e sicuro dei volumi e dalla precisa stesura delle superfici. La sobrietà dell'insieme e delle parti, nel sicuro rapporto proporzionale fra navata e transetto, realizza l’essenzialità della struttura e la qualità della forma. Ma a questo occorre aggiungere che il carattere di quest'opera, e di tutte le altre che ne conseguono, mostra una innegabile affinità culturale e linguistica con le forme ed i modi usati dall’architettura lombarda, e che tale processo di adeguamento e di interpretazione insieme, che include la maggior parte delle opere sorte in quelle regioni, risulta così generale, persistente e continuo che può essere spiegato soltanto quale conseguenza di una scelta precisa e consapevole. E ciò perché è possibile supporre che, intorno alla fine dell'XI secolo, i grandi committenti ed i maestri costruttori delle Puglie, di fronte all’esigenza di un adeguamento delle loro attività ai livelli raggiunti ed alle innovazioni realizzate nei maggiori centri dell'Europa occidentale, abbiano rifiutato la troppo tradizionale e scontata risoluzione romano-cassinese, adottando invece le forme padanolombarde: partiture, elementi architettonici, linguaggio, senso della massa muraria e delle articolazioni strutturali; tutto questo, però, senza accettare il
sistema voltato (figg. 1.257 e 258). L'elenco delle cattedrali che in Terra di Bari prendono a modello S. Nicola comprende la stessa cattedrale barese (ultimo quarto del XII secolo), che reca una cupola-tiburio, falsi matronei e una rotonda-battistero collegata, detta la Trulla; quella di Bitonto (fine XII-XIII secolo, figg. 1.260 e 261), esemplare per la sua completezza; quella di Bisceglie (XII secolo), l’altra di Conversano, anch'essa con falsi matronei, e quella di Barletta (soltanto la zona anteriore, completata nei secoli XII e XIV). 76 Sulla produzione architettonica del Mezzogiorno italiano, vedi: E. Bertaux, L'art dans l'Italie méridionale, Paris 1904; H.M. Schwarz, Die Baukunst Kalabriens und Siziliens im Zettalter der Normannen, in «R6misches Jb. fitr Kunstgeschichte», 6, 1942-44; C. Bozzoni, Calabria Normanna, Roma 1974; G. Occhiato, La Trinità di Mileto nel Romanico italiano, Cosenza 1994. 77 P. Belli d’Elia, La basilica di S. Nicola di Bari, Galatina 1985; Id. (a cura di), Alle sorgenti del romanico. Puglia XI secolo, Bari 1975.
Io?
Parte prima. Dal secolo VII al XII
V’è poi la cattedrale di Trani (1099-1222), quasi una doppia chiesa perla presenza di una cripta equivalente ed in elevato, unico esempio di navate costruite sopra binati di colonne (fig. 1.262); essa sorge isolata sul mare, fiancheggiata dall’imponente torre campanaria, altissima e perfetta nella sua forma cristallina e nella straordinaria unità e semplicità delle sue strutture. Diverso in tutto è il duomo di Ruvo (fine XII-metà XIII secolo) che innova i consueti schemi con il grande slancio conferito alla navata stretta ed altissima (rapporto 1:3), e mediante la sostituzione delle colonne con pilastri compositi, l'abolizione del matroneo e l’introduzione della cornice sopra mensole, quasi un ballatoio. A sua volta la cattedrale di Troia (1093-1125) può essere definita un trapianto del modello pisano in «terra piana», con le sue fronti esterne che riprendono fedelmente il motivo delle arcate cieche e losanghe (fig. 1.263), e con il sintetico taglio netto degli archi delle navate; diversa e
singolare l'abside, ornata di colonne isolate, aggettanti e sovrapposte su due ordini (fig. 1.264). Tali forme pisane, facilitate nella diffusione dagli attivi scambi fra sedi diverse situate in zone marine, ritornano negli esterni di S. Maria di Siponto (1117 sgg.) e di S. Maria Maggiore di Monte S. Angelo. Le influenze bizantine sono nette per quanto riguarda le tipologie d’insieme realizzate adottando la copertura con cupole, mentre partiture e membrature mantengono di solito il carattere lombardo: gli esempi maggiori sono la cattedrale di Canosa con l'annesso Mausoleo di Boemondo (1111 sgg.); la cattedrale di Molfetta (figg. 1.259b e 265) con tre cupole in linea conformate a tiburio verso l’esterno, volte a semibotte rampante sulle laterali e due torri, ma di forme romaniche nelle membrature (metà XII-XIII secolo); la chiesa
dei SS. Nicola e Cataldo a Lecce (1180 sgg.), organismo a croce iscritta. La tradizione dell’organismo basilicale a tetto con arcate su colonne è a sua volta mantenuta nelle cattedrali di Taranto (1071) e di Otranto (1080)?3. La conquista normanna della Sicilia, durata trent'anni (1061-91) riporta l’isola in diretto contatto con la civiltà e la cultura occidentali: ma in quel momento storico, dopo due secoli di dominio arabo, la Sicilia si definisce de-
positaria di una propria cultura figurativa ed architettonica, sviluppata sotto l'influenza da un lato delle forme bizantine del tempo dei Macedoni e dei
Comneni, filtrate attraverso la Grecia e le sedi basiliane calabresi, e dall’al-
tro dai modi linguistici e decorativi arabi, provenienti dalle ricche fonti dell’Egitto fatimida e del Magreb; così che i conquistatori normanni, di fronte alle espressioni formali di queste civiltà mature e superiori, cercano e rie-
scono, incredibilmente, ad assimilarle in un sincretismo figurale espresso in
numerose opere di alta qualità artistica, fortemente caratterizzate e rappresentative, le quali si concentrano tutte nell’arco di appena un settantennio (ca. 1130-1200)??. Il primo monumento in ordine di tempo che più di ogni
altro reca nei dettagli i caratteri dell’arte araba e testimonia insieme l’in7 C.A. Willemsen, D. Odenthal, Apulien, Kòln 1958.
DI Stefano, 1955 ; H.M. Schwarz, Die Baukunst Kalabriens und Siziliens im Zettalter der ea in «Romisches Jb. fir Kunstgeschichte», 6, 1942-44; Id., Sizilien, Wien-Mii nchen 1961.
II L'età romanica
159
fluenza bizantina, è la chiesa di S. Giovanni degli Eremiti di Palermo (1142 sgg.) coperto con cinque cupole, due sull’unica nave e tre sul transetto (fig. 1.266): calotte emisferiche estradossate su pennacchi a nicchia multipla. Simile è il S. Cataldo palermitano con tre cupole poste in linea e crociere laterali (1161, fig. 1.267). Vi sono poi gli organismi che riprendono direttamente il tipo bizantino della pianta quadrata con croce inscritta e cupola estradossata sull’incrocio: S. Maria dell’Ammiraglio di Palermo (ca. 1143), SS. Trinità di Delia (Castelvetrano). Ma il tema architettonico che si manifesta
determinante nell’architettura siciliana del XII secolo è quello dell’innesto
della cupola sull'area del presbiterio (crociera, transetto, coro, bema ed ab-
side), in presenza del corpo longitudinale delle navate; innesto realizzato mediante un tamburo cilindrico esterno sormontato da una calotta estradossata. Qui torna il ricorrente problema, già citato, di fondere in una sola unità architettonica e figurativa due diverse forme-strutture, l’una composta secondo l’asse verticale, l’altra conformata in un andamento orizzontale. Ta-
le inserimento è già realizzato nella chiesa palermitana di S. Giovanni dei Lebbrosi (metà XI secolo?) ed è poi ripetuto in S. Maria di Mili (ca. 1090), nel S. Pietro di Itala (ca. 1093) ed in S. Maria Maddalena di Palermo (1187);
la chiesa dei SS. Pietro e Paolo di Agrò (presso Castelvecchio Siculo) presenta a sua volta due piccole cupole, al centro della navata maggiore e sul presbiterio (1172?). Anche la cosiddetta Annunziata dei Catalani di Messina (settimo-nono decennio del XII secolo) segue la stessa tipologia, ma con coperture voltate e una corona di elementi romanici nei loggiati esterni. Infine lo stesso tema compositivo concorre a determinare la risoluzione architettonica della Cappella Palatina, la chiesa del Palazzo Reale di Palermo, ese-
guita negli anni 1132-43, la quale associa il modello della basilica a tre navi con archi e colonne ad un presbiterio coronato da cupola con tamburo e calotta estradossati (fig. 1.268a). In quest'opera il modello mediobizantino della cupola risulta tradotto nella forma secondo modi e procedimenti arabi (apparecchio murario, pennacchi); di tipo musulmano sono anche le arcate a sesto acuto dell’altissimo piedritto costruito sopra i capitelli, ed egualmente il tipo e le forme del soffitto ligneo a stalattiti ed alveoli; colonne e capitelli sono di epoca classica; i mosaici che ricoprono interamente le pareti, le absidi e la cupola sono opera di artisti bizantini, l’ambone di scultori romanici. Questo complesso così variato e diversificato di partiture, motivi ed elementi stilisticamente diversi, si compone felicemente in una unità figurata, che meglio di ogni altra rappresenta il sincretismo normanno: la Palatina è una immagine nitida e splendente, densa e ricca di forme, carica di luci e colori armonicamente fusi in una atmosfera di aristocratica finezza e di perfetta armonia. Nell’ideazione delle tre grandi cattedrali siciliane dell’età normanna - Cefalù, Monreale, Palermo — il tema dell’innesto della cupola sul corpo
delle navate, tipico delle chiese di modeste dimensioni, si converte in un problema più generale e di maggiore portata: quello di rispondere all’esigenza di assegnare la maggiore importanza possibile alla crociera fra navata e transetto, e cioè al nucleo centrale dell'impianto, che include il santuario e con
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esso il coro, il bema e l’abside; questo perché costruire sull’incrocio una calotta, un tiburio, o meglio una vera e propria cupola, dovendo nello stesso tempo rispettare le nuove e grandi dimensioni dell’invaso, non era tecnicamente possibile. Perciò occorreva sostituire la cupola con un complesso architettonico di ampiezza ed importanza corrispondenti, mediante l’uso di grandi effetti prospettici e chiaroscurali nella vista dalle navate ed attraverso una presenza dominante sull’intero spazio interno. I maestri costruttori delle tre cattedrali hanno adottato questa idea: a Cefalù5° hanno puntato sull’effetto dovuto all’accentuato contrasto fra la grande altezza del coro e del transetto e la loro ridottissima larghezza nel vano (rapporto 1:4) ripiegato a T (fig. 1.269a); a Monreale! hanno mirato ad esaltare la grandiosa disloca-
zione in profondità dei quattro vani arcuati posti in successione dalla nave all’abside (fig. 1.269b), magnificata da un’imponente spazialità nella superba cornice dell’arco trionfale; a Palermo8 hanno adottato il criterio di tra-
sformare la crociera in una grande struttura rettangolare, divisa in due zone parallele (titolo ed antititolo, quasi un doppio transetto), lasciando in penombra l’area del santuario. Ma un altro dispositivo accomuna le tre cattedrali: si tratta del rapporto geometrico-proporzionale che lega le dimensioni della nave all’altezza ed all’ampiezza delle arcate laterali che delimitano la stessa navata. Nelle chiese dell’XI e XII secolo che seguono il modello cassinese o in quelle della Padania, le arcate presentano dimensioni ridotte, così che il piano verticale che le delimita rappresenta una superficie virtuale di separazione, che distingue e limita la grande navata rispetto alle collaterali. Nelle cattedrali siciliane, invece, questa condizione non si verifica, poiché le arcate sono così ampie, alte e slanciate da provocare l’opposta sensazione vi-
siva di una forte tendenza verso una fusione unitaria dello spazio, fra navata e navi minori. Si tratta delle prime manifestazioni della generale tendenza alla unificazione visiva degli interni, già molto evidente nella palermitana chiesa detta della Magione (SS. Trinità, 1191 sgg., fig. 1.268b) che si svilupperà nei secoli XII e XIV nelle grandi chiese mendicanti dell’Italia centrale. La cattedrale di Cefalù (ca. 1131-67) è quella che più delle altre reca, nella presenza delle due torri di facciata, il ricordo generico delle grandi chiese di Normandia. Essa conserva ancora una vistosa traccia del grandioso
progetto originario, nella presenza di un altissimo arco trionfale che sormonta il livello del tetto della navata, poi chiuso e sostituito da un arcone più basso. Le fronti esterne sviluppano una forte partitura composta di pilastri e lesene a tutta altezza, serie continua di finestre a triplice arcata e finti loggiati ad archi intrecciati collocati alla sommità; nell’interno, le navate semplici e nude compongono un vano rigoroso ed austero (fig. 1.270a). Ben di5° G. Samonà, I{ Duomo di Cefalà, Roma 1939; G. Di Stefano, I{ Duomo di Cefalù, Palermo 1960; W. Krénig, Cefalà, der Sizilische Normannendom, Kassel 1963; P. Héliot, La Catbe-
drale de Cefalù. Sa chronologie, sa filiation, et les galeries murales dans les églises romanes du midi, in «Arte lombarda», 10, 1965; 11, 1966.
3! W. Krénig, Il duomo di Monreale e l'architettura normanna in Sicilia, Palermo 1965.
82 G. Bellafiore, La cattedrale di Palermo, Palermo 1976; AA.VV, La cattedrale di Paler-
mo. Studi per l'ottavo centenario dalla fondazione, Palermo 1993.
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135
versa è la sontuosa immagine dell'imponente grandioso vano del duomo di Monreale (1172-89), interamente rivestito di marmi e mosaici come la Palati-
na, ricco di straordinari dettagli plastici e musivi, carico di effetti luministici e di colore (fig. 1.270b); la navata monregalese vuole essere una presenza regale, possente ed aristocratica; è anch’essa un capolavoro del sincretismo normanno, che trova uno splendido complemento nel celebre chiostro annesso. Da ultimo, l'originalità della cattedrale di Palermo (ca. 1172-1200) consisteva, oltre alla singolare sistemazione dell’area presbiteriale, nell’introduzione di pilastri tetrastili a sostegno delle navate, composti da quattro fusti di colonne ciascuno. L’interno della chiesa è stato però completamente trasformato negli anni 1781-1801; dell’antica cattedrale restano parte delle fiancate e la zona absidale (fig. 1.271).
Venezia
Caso unico nella storia dell'Occidente, una potenza economica primaria e insieme grande centro di vita e di cultura quale è Venezia nell'XI secolo, resta sostanzialmente estranea agli intensi sviluppi dell'edilizia chiesastica e dell’architettura religiosa nel proprio entroterra, ed ai processi in atto nella confinante Padania; così che, nel momento in cui si pone l’esigenza delle scelte culturali e formali riguardanti la costruzione del massimo tempio della Repubblica, la basilica di S. Marco, chiesa dogale eretta a partire dal 106483, le preferenze che si affermano indicano un modello vecchio di cinque secoli, situato in Oriente, lontano migliaia di miglia e privo di riferimenti in terra veneta: la basilica dei SS. Apostoli di Costantinopoli, eretta da Giustiniano a partire dal 536 sgg., rimaneggiata nel X secolo e poi distrutta dai Turchi nel 1469. Ed infatti l’odierna S. Marco mostra ancora oggi gli stessi caratteri delle grandi costruzioni bizantine del VI secolo: sopra una pianta a croce greca ed a tre navi (fig. 1.272), gli enormi pilastri quadripartiti ed i colonnati intermedi sviluppano un ritmo grandioso, che si sviluppa negli arconi di collegamento e nei pennacchi sferici sovrapposti, fino a culminare nella forma aulica e perfetta delle calotte sferiche (figg. 1.273 e 274). Nell’interno della basilica il gioco delle luci graduate ed i rivestimenti di marmi e mosaici a fondo aureo, che ricoprono interamente cupole, coperture, volte e pareti, portano a risolvere in superficie i tradizionali valori di profondità spaziale e di massa muraria ed a mutarli in valori pittorici, e cioè in sostanza coloristica della materia. La scelta compiuta dai veneziani, con il duplice rifiuto della tipologia propria alla basilica latina da un lato, e delle nuove e contemporanee soluzioni mediobizantine dall’altro, sacrificando inoltre le
esigenze liturgiche, non trova adeguata giustificazione nel quadro storico finora noto; si può soltanto ipotizzare una inettitudine ad intendere ed a vi8 O. Demus, The Church of San Marco in Venice, Washington 1960; S. Bettini, L'architettura di S. Marco, Padova 1946.
136
Parte prima. Dal secolo VINI al XII
vere l’attualità del problema architettonico della basilica quale problema culturale a tutti gli effetti, ed in sintonia con il momento storico, da parte
della oligarchia dei mercanti che deteneva il potere. Una riprova di questa incapacità a condurre un’opera simile secondo una vera coerenza storicoformale, oppure a realizzare un felice sincretismo, risiede proprio nella risoluzione data alla facciata di S. Marco; cinque grandi portali diseguali, arcuati a sesto scemo, di sgradevole effetto; piedritti e strombi irregolarmente addensati da colonne in due ordini sovrapposti; porte ora di tipo bizantino o moresco, ora di forme romaniche; zona superiore piatta ed amorfa. Accanto a S. Marco, alcune costruzioni chiesastiche riflettono variamente l’influs-
so bizantino: S. Fosca di Torcello, di impianto centrico (fig. 1.275), ed il duomo di Murano (metà XII secolo, fig. 1.276) che associa forme bizantine ad elementi e modi lombardi, in un insieme caratterizzato ed armonico.
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1.156. Alpirsbach, abbaziale, pianta e sezione longitudinale. 1.157. Brauweiler, abbaziale. 1.158. Freckenhorst, abbaziale, fronte occidentale.
1.159. Spira, duomo, sezioni e pianta.
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1.160. Spira, duomo, restituzione della navata prima della trasformazione e della costruzione delle volte. 1.161. Spira, duomo, navata. 1.162. Spira, duomo, prospetto orientale.
1.163. Magonza, cattedrale, fianco meridionale (restitui-
to) e pianta.
1.164. 1.165. 1.166. 1.167.
Magonza, cattedrale, fronte orientale. Maria Laach, abbaziale, veduta da occidente. Bonn, duomo. Treviri, duomo, coro occidentale.
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1.171. Da sinistra a destra: a) Colonia, Gross St. Martin, pianta; b) Colonia, $$. Apostoli, pianta. 1.172. Colonia, Gross St. Martin.
1.173. Colonia, SS. Apostoli, coro.
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1.174. Schwarzrheindorf, chiesa, veduta da sud-est.
1.175. Schwarzrheindotf, sezione e piantedella chiesa inferiore e superiore. 1.176. Tournai, cattedrale, crociera della navata.
1.177. Eberbach, abbaziale, navata. 1.178. Worms, duomo, sezione longitudinale e pianta. 1.179. Worms, duomo, veduta da nord-ovest. 1.180. Worms, duomo, facciata est, particolare.
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1.187. Milano, S. Ambrogio, sezione longitudinale (da De Dartein).
1.188. Milano, S. Ambrogio, facciata. 1.189. Pavia, S. Michele, pianta. 1.190. Pavia, S. Michele, facciata. 1.191. Pavia, S. Teodoro.
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1.199. Noli, S. Paragorio. 1.200. Susa, Sagra di S. Michele. 1.201. Genova, S. Donato, sezione e pianta.
1.202. Modena, duomo, pianta. 1.203. Modena, duomo, facciata.
1.204. Modena, duomo, navata.
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1.205. Modena, duomo, veduta da nord-est e, sotto a sinistra, particolare del fianco settentrionale. 1.206. Bologna, S. Stefano, veduta del complesso (chiesa del Crocifisso e S. Sepolcro)
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1.209. Verona, S. Zeno , pianta. 1.210. Verona , S. Zeno, facciata.
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1.218. Spoleto, S. Eufemia, navata. 1.219. Arezzo, Pieve di S. Maria, interno. 1.220. Castelnuovo dell’ Abate, S. Antimo.
1.221. Aversa, duomo, pianta del coro (da Torriero). 1222. Firenze, battistero (S. Giovanni), pianta e sezione. La tarda sistemazione dell’altare e del presbiterio (scarsella) che appare nel disegnoè stata modificata nel corso dei restauri. 1.223. Firenze, battistero (S. Giovanni), veduta esterna. 1.224. Firenze, battistero (S. Giovanni), interno.
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1.229. Pisa, cattedrale, pianta. 1.230. Pisa, cattedrale, facciata. 1.231. Pisa, battistero, cattedrale e campanile.
1.232. Pisa, cattedrale, fianco, transetto meridionale e coro. 1.233. Pisa, cattedrale, incrocio della navata con i bracci del transetto. 1.234. Pisa, battistero, interno.
1.235.M arina di Pisa, S. Piero aG ra do: a) veduta est (Sire na da nor d-est (sopra )e b) interno da una nav d ita laterale Ve rso le absidi (sotto a sinist ra Ji {256 luce 4, S. Fredi ano, navata.
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1.237. Pisa, S. Paolo a Ripa d’Arno. 1.238. 1.239. 1.240. 1.241.
Lucca, cattedrale, facciata. Lucca, S. Michele in Foro, facciata. Pistoia, S. Giovanni Fuorcivitas; fronte laterale. Saccargia, SS. Trinità, facciata.
1.242. S. Claudio al Chienti, cappella inferiore.
1.243. S. Claudio al Chienti, atrio e facciata.
1.244. Ancona, S. Ciriaco, pianta. 1.245.( ortinio , S. Pelino e S. Alessandro
1.246. Corfinio, S. Pelino, abside, particol
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1.247. Tuscania, S. Pietro, assonometria (da Raspi Serra). 1.248. Ascoli Piceno, SS: Vincenzo e Anastasio, facciata. 1.249. Spoleto, S. Pietro, facciata, particolare.
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1.250. Roma, SS. Giovanni e Paolo, abside, particolare. 1.251. Roma, S. Maria in Trastevere, navata. 1.252. Montecassino, restituzione del complesso abbaziale realizzato dall’abate Desiderio. 1.253. Caserta Vecchia, cattedrale, navata.
1.254. S. Angelo in Formis, portico della facciata. 1.255. Caserta Vecchia, cattedrale, tiburio. 1.256. Gerace, cattedrale, navata.
1.257. Bari, S. Nicola, facciata e fianco settentrionale.
1.258. Bari, S. Nicola, navata; archi trasversali quattro-
centeschi.
1.259. Da sinistra a destra: a) Bari, S. Nicola, pianta; b) Molfetta, cattedrale, pianta. 1.260. Bitonto, cattedrale, facciata e fianco meridionale. 1.261. Bitonto, cattedrale, interno.
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1.262. Trani, cattedrale, se zione e piant 1.263. Troia, cattedrale, f@ acciata. 1.264. Troia, cattedrale, abside.
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1.265. Molfetta, cattedrale, cupole della navata.
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1.266. Palermo, S. Giovanni degli Eremiti, veduta esterna.
1.267. Palermo, S. Cataldo, interno, particolare di una cupola.
1268. Dall’alto in basso: a) Palermo, Cappella Palatina, sezione longitudinale; b) Palermo, SS. Trinità (Magione), sezione longitudinale. pî,
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1.269. Da sinistra a destra: a) Cefalù, cattedrale, pianta; b) Monreale, cattedrale, pianta. 1.270. Cattedrali siciliane. Da sinistra: a) Cefalù, navata;
b) Monreale, navata.
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1.271. Palermo, cattedrale, absidi. 1.272. Venezia, S. Marco, pianta. 1.273. Venezia, S. Marco, interno, veduta di una cupola.
1.274. Ve ne zia n) 5 Marco, inte rno ) vedut 27580 r cello S. Fosca, interno. IZZO: Mur ano, duomo ) veduta da est.
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Capitolo terzo
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Proto-gotico Go gotico
La chiesa gotica La trasformazione della chiesa romanica, così come era stata concepita e realizzata nei suoi caratteri generali, nella cosiddetta chiesa gotica, comporta un lungo e composito processo di graduale conversione dell'organismo statico-costruttivo, che prende inizio nel terzo decennio del XII secolo e giunge a compimento nel nono decennio successivo. Si tratta di uno sviluppo in cui, nell’impianto dei nuovi cantieri, l’intera massa muraria della chiesa romanica, composta da una grande struttura continua, dotata di forti spessori e dimensioni e posta a costituire un «sistema statico» spingente ver-
so l’esterno, si trasforma gradatamente, attraverso varie fasi e successive modificazioni, in un organismo diverso, che realizza la propria stabilità seguendo un criterio opposto a quello adottato in origine. Il nuovo principio risulta quello di definire e specificare con sufficiente esattezza le forze agenti entro il sistema, individuando la positura, la direzione e l’entità delle sol-
lecitazioni portate alle singole strutture — spinta delle coperture voltate e arcuate, peso del tetto e di tutte le murature in verticale —; ciò allo scopo di situare l'ossatura resistente, destinata ad assicurare la stabilità dell’organismo, nei nodi vitali della costruzione, convogliando le forze lungo predeterminati percorsi, dal coronamento e dalle coperture fino al livello del suolo. In tal modo, la trasformazione della chiesa romanica in quella gotica, si profila come la graduale sostituzione di un sistema statico non sufficientemente definito perché resistente per massa materica, spessore e peso, con un organi-
smo che si libera delle parti superflue e tende a conformarsi come la raffisurazione muraria del sistema statico adottato: una trasformazione da blocco murario a «sistema scheletro». L’impulso che durante il secolo XII spinge gli architetti dell’Ile-de-France a realizzare gradatamente questa radicale trasformazione non discende in modo semplice, come potrebbe sembrare, dal contemporaneo e rapido sviluppo delle loro innovate capacità progettuali e teoriche, ma sorge da una spontanea potenzialità creativa insita nella stessa azione del costruire, che pertanto annunzia nello stesso tempo una propria qualificazione formale.
176
Parte prima. Dal secolo VINI al XII
Perciò anche nel caso dell’architettura gotica, in modo quasi analogo a quanto rilevato sul processo formativo della chiesa romanica, la compresenza della riflessione tecnica sulle strutture murarie e della loro interpretazione formale da parte di una embrionale poetica figurativa porta entrambe ad interagire in un rapporto dialettico che si risolve secondo scelte architettoniche ben determinate. La specificità figurativa perseguita dai gotici è complessa e presenta una scelta, graduata nel tempo, secondo diverse elezioni, che qui
per esigenze di chiarezza sono ricordate singolarmente: considerato che la vera figurazione della chiesa gotica — la sua vera immagine — è comunque l’architettura dell'interno, essendo gli esterni il retroscena di quell’immagine, la prima scelta che risulta compiuta riguarda la forma conferita al vano della grande navata, immaginata, prevista e realizzata come un corpo altissimo, con un rapporto fra larghezza ed altezza variabile da 1:2 ad 1:3,5; e qui si tratta di una tendenza ereditata da alcune importanti correnti architettoniche romaniche, espresse nelle chiese di pellegrinaggio, in quelle cluniacensi e nelle grandi costruzioni ottoniane. Questa preferenza formale, che poi diventa elemento compositivo, origina, dato l’accentuato sviluppo in altezza della navata, un modo di sentire e di immaginare lo spazio, e quindi di articolarlo, secondo una partitura in verticale che si manifesta quale tessitura geometrica del vano; e tale disponibilità di un piano-parete sviluppato in verticale non può essere scandito che secondo linee verticali. Donde una «parete-rigata», sulla quale verranno inseriti i pilastri a tutta altezza e le arcate, e cioè l'ossatura primaria dell’opera; nello stesso tempo il profilo archiacuto della volta accompagna, con i due lati arcuati ed inclinati, l’andamento verticale delle pareti.
Da Saint-Denis a Laon
Secondo una passiva convenzione storiografica, il monumento che segna l’inizio del sistema strutturale gotico è l’abbaziale di Saint-Denis presso Parigi (figg. 2.1 e 2), riedificata dall’abate Suger nel corpo frontale di facciata (1140) e nel nuovo coro, consacrato nel 1144, conformato come un doppio deambulatorio. Ed è proprio questo coro, poi rifatto nel XIII secolo, a rappresentare il primo esempio di un grande impianto caratterizzato dalla concentrazione dei pesi e delle spinte sopra una serie di sostegni isolati e relativamente esili, allo scopo di assicurare la possibilità di un libero e comodo afflusso delle folle di pellegrini; ed anche a testimoniare la scelta di un nuovo tipo di copertura, come la volta a crociera costolonata e rialzata, conformata a sesto acuto. Negli anni immediatamente successivi alla costruzione di questo coro, prende gradatamente inizio la formazione del sistema-scheletro: nel
nuovo assetto dato all’edificio chiesastico, la conformazione delle volte che
coprono la navata è diretta a realizzare la concentrazione delle spinte, che
tendono a rovesciare il piedritto, nelle ristrette zone d’imposta situate sulle pareti, contro le quali si ergono gli archi rampanti, che a loro volta scaricano
II. Proto-gotico e gotico
UGO
tali sollecitazioni sopra i contrafforti rastremati. Si tratta quindi di un sistema che riprende il tema statico-strutturale della chiesa romanica, risolvendolo però in un modo ben diverso, preciso ed adeguato alle nuove premesse e condizioni di uso. E la comprensione di questo tipo organico ed architettonico in quanto fatto storico ed al tempo stesso immagine figurale deve essere esercitata sulla unità integrata del monumento, respingendo la pretesa di restituirne il processo formativo come se questo fosse il semplice e lineare sviluppo di un pensiero logico e di un procedimento costruttivo. Contemporaneo al coro di Saint-Denis è quello della cattedrale di Sens (quinto decennio del XII secolo) il quale, pur mostrando nei pilastri angolari una robusta membratura di carattere romanico, rivela apertamente componenti e forme ormai gotiche nella risoluzione della volta esapartita; la scelta di questo tipo di copertura su pianta quadrata, con la conseguente accentuata diversità fra pilastri estremi e binato di colonne intermedio (fig. 2.14), genera una campata doppia, che si definisce come motivo architettonico complesso, accentrato e chiuso in se stesso; motivo che, adottato come
modulo e ripetuto a formare la navata, tende a porsi come figura autonoma anche nella prospettiva d’insieme dell’interno. Pochi anni dopo la cattedrale di Noyon (ca. 1150-70) ripete lo stesso tipo di partitura, accentuando anzi l'apparente distacco fra le doppie campate e portando a quattro il numero dei piani o zone sovrapposte sulle pareti della nave (arcate, galleria o matroneo, claristorio, finestre), mentre le testate del transetto, eccezionalmen-
te a terminazione absidata, recano cinque piani di aperture ed a sua volta il coro riceve l’introduzione dei fasci di colonnine salienti (figg. 2.20 e 22). Ma la vera innovazione architettonica e compositiva appare nella cattedrale di Laon, grande chiesa costruita fra il 1160 ed il 1205, con torre lanterna, quattro torri, coro ricostruito rettangolare nel Duecento, facciata divenuta pro-
totipo delle fronti altogotiche; la scelta compiuta a Laon è quella di realizzare una immagine dell’interno omogenea e fortemente segnata, riducendo l'ampiezza delle campate, marcando in modo deciso le linee verticali ed articolando tutto l’insieme, per ottenere una lunga fuga prospettica della navata, svolta secondo un ritmo scandito e serrato (fig. 2.15). La prevalenza di questa risoluzione è così marcata che la forma esapartita della volta e le differenze fra i fasci di colonnini — 3 e 5 — non riescono ad incidere sugli effetti d’insieme. Poi, l’ultima opera pregotica è la cattedrale di Parigi — NotreDame —, iniziata nel 1163 e modificata più volte, che nell’interno riprende la risoluzione esemplificata a Laon: volte esapartite, grosse colonne assimilate
a pilastri, tre piani compresa la galleria (fig. 2.8). In questa grande chiesa a cinque navi, la partitura delle navate gotiche non ha ricevuto ancora la sua forma matura, e si potrebbe dire definitiva; la quale compare quando, resa finalmente inutile e superflua la presenza della galleria, la composizione della parete risulta composta solamente da due piani (arcate e finestre-luci) e da un basso e minore triforio intermedio. È la soluzione che risulta adottata per la prima volta nella cattedrale di Chartres.
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longitudinale dello stato attuale. 3.65. Firenze, campanile della cattedral e di S. Maria del Fiore, veduta attuale.
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3.66. Firenze, cattedrale di S. Maria del Fiore, veduta interna della navata principale.
3.67. Firenze, cattedrale di S. Maria del Fiore, veduta interna verso la tribuna centrale.
3.68. Firenze, cattedrale di S. Maria del Fiore, veduta delle volte della navata principale.
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3.69. Firenze, cattedrale di S. Maria del Fiore, veduta esterna della terminazione orientale.
3.70. Firenze, Loggia della Signoria, dettaglio degli archi e delle volte.
3.71. Firenze, Loggia della Signoria, dettaglio dell’angolo
verso Palazzo Vecchio. 3.72. Firenze, Orsanmichele, veduta d’insieme.
3.73. Firenze, Orsanmichele, dettaglio di un arco e di altri elementi decorativi.
3.74. Firenze, Bigallo, veduta esterna.
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Pisa, S. Maria della Spina, veduta d’insieme. Pisa, Camposanto, veduta esterna. Pisa, Camposanto, veduta dell’interno e del cortile.
Bologna, Loggia della Mercanzia, veduta d'insieme.
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3.79. Siena, duomo, pianta dello stato attuale.
3.80. 3.81. tale. 3.82. 3.83. 3.84.
Siena, duomo, veduta esterna d’insieme. Siena, duomo, veduta interna verso la parte orien
Bologna, S. Petronio, pianta. Bologna, S. Petronio, sezione trasversale. Bologna, S. Petronio, veduta interna.
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3.85. Bologna, Collegio di Spagna, veduta esterna dall’ingresso. 3.86. Bologna, Collegio di Spagna, veduta del cortile. 3.87. Venezia, S. Maria Gloriosa ai Frari, pianta. 3.88. Venezia, S. Maria Gloriosa ai Frari, veduta dell’abside e veduta interna.
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3.89. Venezia, SS. Giovanni e Paolo, pianta. 3.90. Venezia, SS. Giovanni e Paolo, veduta interna. 3.91. Venezia, Palazzo Ducale, veduta esterna d’insieme.
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3.92. Venezia, Palazzo Ducale, veduta del finestrone principale. 3.93. Venezia, Ca’ d’Oro, veduta esterna dal Canal Grande.
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3.94. Pavia, castello visconteo, pianta (metà) e veduta esterna. 3.95. Ferrara, castello estense, pianta e veduta esterna.
3.96. Milano, duomo, pianta. 3.97. Milano, duomo, sezione: proporzionamento secondo Cesariano. 3.98. Milano, duomo, veduta esterna d’insieme. 3.99. Milano, duomo, veduta interna con i capitelli a edicola e con la parte inferiore dei pilastri.
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I 3.106. Avignone, Palazzo dei Papi, veduta esterna.
3.107. Anversa, cattedrale di Notre-Dame, veduta esterna da occidente e pianta.
3.108. Amsterdam, Nieuwe Kerke, veduta d’insieme (dipinto seicentesco). 3.109. Bruxelles, Notre-Dame-au-Sablon, veduta interna. 3.110. Bruges, palazzo comunale, veduta esterna.
3.111. Palencia, cattedrale, veduta interna. 3.112. Batalha, S. Maria della Vittoria, veduta esterna da 3.113. Batalha , S. Maria della Vittoria, veduta del chiostro.
3.114. Batalha, S. Maria della Vittoria b) pianta.
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Capitolo secondo
Il tardogotico «inter-nazionale»
nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
Valgono anche in questo caso le considerazioni di ordine generale già esposte nel primo capitolo. Che trovano anzi ulteriore conferma in un progressivo e tendenzialmente stabile coagularsi delle partizioni politiche e delle loro proiezioni territoriali. Nei secoli di riferimento si vanno infatti sempre meglio precisando i rapporti tra le istituzioni ed i centri di potere (dinastico, feudale, oligarchico, ecc.), da un lato, ed i rispettivi territori sui quali
essi esercitavano il loro dominio, dall’altro. Con una ovvia e conseguente gerarchizzazione tra centri di potere, e territori: maggiori e minori. Parallelamente, nel corso del XV secolo si vanno articolando i ruoli dei tecnici e gli specifici ambiti disciplinari di loro competenza: con effetti che si riverbereranno sia sulle scelte tecniche e di linguaggio, sia, anche, sulle condizioni dell’operare; cioè sui rapporti tra committenza e tecnico, sull’organizzazione del cantiere e, correlatamente, sulle strutture corporative di mestiere. Poiché il fenomeno, e le sue conseguenze in termini di opere architettoniche,
non si presenta in modo omogeneo nei diversi ambiti europei, è utile e necessario, anche per il periodo qui esaminato, procedere ad analisi che tengano conto delle differenti aree.
L'area britannica
Numerose turbolenze (sociali, economiche e dinastico-politiche) segnano, talvolta con violenti fiammate, la storia del territorio britannico (allora
distribuito al di qua ed al di là della Manica) durante il XV secolo. Va infatti considerato che le già gravi crisi locali si intersecavano, e talvolta ne erano anche conseguenza, con altri più generali motivi di crisi di portata internazionale. In tale quadro storico assumono particolare rilievo, per la storia dell’architettura, tanto le vicende che si riferiscono al dominio inglese in terra di Francia (all’inizio del XV secolo si era già avuta la crisi provocata dall’azione di Giovanna d’Arco), quanto il complesso intreccio delle relazioni politiche e militari; che, quale ulteriore proiezione degli interessi dinastici inglesi legati a quelle vicende, interessarono i rapporti tra Inghilterra e penisola iberica. Mentre attorno alla metà del secolo si va concludendo la guer-
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Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
ra dei cento anni, tra il 1450 ed il 1461 divampa violento lo scontro, la cosiddetta guerra delle due rose, tra la casata dei Lancaster e quella degli York per il diritto di sedere sul trono d'Inghilterra. Dal contrasto cruento, che coinvolge tutti i settori della vita economica e politica d’Inghilterra, escono vincenti gli York e soccombenti i Lancaster (che avevano dominato tra Trecento e metà Quattrocento). Dal 1461 al 1485, salgono sul trono ben quattro re: Enrico VI, l’ultimo dei Lancaster, e, successivamente, gli yorkisti
Edoardo IV, Edoardo V e Riccardo III Più tardi la casata degli York si trasformerà in quella dei Tudor. La breve durata, ad eccezione del caso di Edoardo IV, della permanenza sul trono di questi re, essendo legata a situazioni ed eventi traumatici, prova che in pieno XV secolo, per una crisi economico-finanziaria che durava da oltre un secolo, permanevano in Inghilterra forti elementi di instabilità. Per quanto qui interessa, i più significativi tra questi re inglesi sono Edoardo IV e Riccardo III. Un tema centrale della politica degli York era quello di presentare, del loro regno e della loro corte, un'immagine di magnificenza e di raffinatezza: un mezzo, ritenevano, per rafforzare il loro potere. Se Enrico VI era stato disprezzato per la sua povertà (gli si rimproverava di vestire sempre con il medesimo abito di velluto blu), Edoardo, malgrado la massima attenzione ai temi economici (era con-
siderato addirittura avaro), tendeva invece a proporsi come la punta più aggiornata dell'eleganza e della raffinatezza: presentandosi continuamente, come narra un cronista del tempo, con abiti assai costosi e di fogge inusitate. Perché un re, come scrive un altro autore del tempo, deve essere magnificente, in quanto ciò è indice della sua sovrabbondante liberalità". E improprio stabilire una correlazione diretta tra queste scelte di immagine e la parallela evoluzione delle forme architettoniche: molti sono gli elementi che intervengono in questo processo, e non tutti, certo, dipendono soltanto dalla committenza. È però vero che, coerentemente con il nuovo diffondersi della mentalità del lusso cui la corte si conforma e che usa per i suoi fini, la committenza di corte e delle cerchie ad essa vicine finiscono per favorire e promuovere anche negli architetti e nelle maestranze quelle scelte linguistiche e decorative che meglio corrispondono al nuovo clima artistico. E ciò soprattutto per quanto concerne gli edifici di particolare prestigio o specificamente destinati alle esigenze delle ritualità: che sono appunto i temi che caratterizzano gli episodi maggiormente significativi dell’architettura inglese tra la metà del Quattrocento ed i primi decenni del Cinquecento. Così, nel pieno del XV secolo, l'architettura inglese accentua ancora maggiormente quell’interesse per le componenti decorative che fin dal primo apparire del gotico aveva autonomamente sviluppato: proponendo, anche rispetto al «goti-
! Per queste annotazioni si fa riferimento a M.H. Keen, England in the Later Middle Ages (1973), London-New York 1993, pp. 508-512. Per quanto concerne i testi dei cronachisti, qui
riportati citandoli dal saggio qui indicato, essi sono: la Great Chrowicle of London (p. 215), la Croyland Chronicle (p. 563) e quanto figura in A.R. Myers, A History of England in the Late Middle Ages (Pelican History of England), 1952, p. 86. i
Il. Il tardogotico «inter-nazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
489
co maturo», innovative e qualificate soluzioni che, per la loro qualità formale e strutturale, vanno bene al di là di ciò cui si alludeva con il già riduttivo concetto di perpendicular. Perché nelle opere della seconda metà del Quattrocento, essendosi spostata la ricerca verso più complesse finalità architettoniche, se compaiono i temi decorativi del perperdicular, essi si combinano
con l'interesse a qualificare lo spazio interno inteso nella sua integralità: colto cioè come momento riassuntivo delle pur molteplici componenti ed articolazioni. Dunque ora è la consapevole ricerca della qualità dell’insieme a prevalere su ogni altra componente linguistica, ed a determinare e regolare, di conseguenza, anche il ruolo assegnato ad ogni elemento strutturale e decorativo. Infatti la nuova ricerca tipologica ed il nuovo linguaggio vengono proposti per dare consona e specifica risposta formale e funzionale al rinnovato interesse per le ritualità di vario ordine che si erano andate precisando. Si collega in genere, e giustamente, l'enfasi decorativa di queste opere, e l’intensità e frequenza delle realizzazioni, alla fine delle contese tra le casate di York e di Lancaster ed al ritorno dall'esilio di Edoardo IV nel 1480. La monarchia yorkista si produce infatti in programmi edilizi che presuppongono la durata nel tempo dell'impegno realizzativo e che si caratterizzano, oltre che per lo sfarzo, anche per la sistematica introduzione, nell’immaginario architettonico, di elementi connessi con le tematiche araldiche. Il termine perpendicular, come detto già di per sé riduttivo per le opere del tardo Trecento e del primo Quattrocento, sembra dunque assai poco idoneo a designare le realizzazioni inglesi del Quattro-Cinquecento. Il problema critico che così si pone è stato sempre ben avvertito dalla storiografia. In quella meno recente giudicando questa produzione architettonica come un momento di decadente ridondanza, in quella più recente adottando un criterio di sotto-periodizzazione. Per marcare, in termini cronologici e stilistici, la differenza tra queste opere e quelle del periodo precedente, si usa riferirsi alle opere di questo più tardo gruppo considerandole come appartenenti ad una seconda fase del modo perpendicular: che pertanto risulta prolungato sino ai primi decenni del XVI secolo. Pur non condividendo questo criterio, sarebbe infatti preferibile classificare autonomamente questa fase tarda del. l'architettura medievale inglese, tuttavia, per ragioni di ordine pratico, se ne accettano qui comunque i consueti parametri critico-storiografici. Vi sono
però numerosi elementi di diversficazione e di innovazione di cui è essenziale cogliere le principali valenze. Un episodio interessante di questa nuova fase si ha nella realizzazione della Lady Chapel della cattedrale di Gloucester (databile attorno agli anni Settanta del XV secolo). Vi si accede dal corpo principale tramite una zona ribassata (coperta con volta a struttura reticolare) situata al di sotto di una galleria (portata da archi tracciati con curve molto ribassate e di tipo policentrico) protetta da un sistema decorativo che rinvia a finestrature di carattere decorated. Ma prima e dopo questo esempio il tema principale del tardogotico inglese è quello dell’impiego della volta a ventaglio. Questa soluzione, già sperimentata in precedenza, trova infatti ulteriori e più raffinati sviluppi dal
490
Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
Quattrocento in avanti. Nel quarto decennio del secolo viene costruita una volta di quel tipo, in scala maggiore di quella di Gloucester che ne costituisce il prototipo, nella parte presbiteriale della chiesa abbaziale di Sherborne nel Dorset. Una realizzazione analoga, assai più impegnativa e grandiosa, è poi quella della cappella del King's College di Cambridge (fig. 3.115), che, iniziata nel XV secolo da Reginald Ely, venne completata da John Wastell tra il 1508 ed il 1515. Forse ancora al Wastell va attribuito l’impiego della volta a ventaglio in due opere che precedono di qualche anno (sono situabili attorno al 1504) quella di Cambridge. La prima è la copertura della torre centrale (al centro della volta compare anche una sorta di rosone con pendente che marca con una pausa il ritmo unitario ed unificante del prototipo) della cattedrale di Canterbury? (fig. 3.56); la seconda è il retrocoro della cattedrale di Peterborough (fig. 3.117): uno spazio situato al di là dell’abside romanica, ove, nella decorazione, si ripetono i temi di Gloucester aggiungendo dei pendenti nelle zone di risulta tra le curve dei ventagli. Un uso più complesso di queste soluzioni è poi la sistematica combinazione della volta a ventaglio con elementi di volta con pendenti: con un effetto spaziale che si direbbe alludere, schematizzandone gli elementi, ad una sorta di galleria di rami di foresta o ad una grotta con stalattiti. Una prima significativa applicazione di questo tipo di volta si ha nella Divinity School di Oxford; realizzata, forse nel 1480, dall'architetto William Orchard (fig.
3.116). Di questa vengono indicati da Dehio e da Frank] possibili referenti in opere già ricordate dell’architettura tedesca: per esempio nel chiostro della cattedrale di Magdeburgo}, dove un sistema di archi volanti separa la cappella (la cosiddetta Tonsura) dal chiostro vero e proprio, oppure nella cappella parleriana di Praga. Un ulteriore sviluppo in questa direzione si ha nel coro della cattedrale di Oxford (forse attribuibile ad Orchard), ove una
serie di archi (fig. 3.118), ciascuno trattato come un fascio di fibre incurvate che si prolunga in una terminazione semicilindrica sino alla base degli archi di navata, sembra proporre l’immagine di una serie di mensole: a partire dalla terminazione alta delle quali si intesse lo schema di volta a pendenti. La poca chiarezza di questo schema non ne fa, per la verità, uno degli esempi più riusciti. In questo caso, però, occorreva collegare gli elementi delle parti di nuova costruzione con le preesistenze di carattere romanico. Sotto questo profilo l’artificio adottato riesce a stabilire un rapporto equilibrato ed armonico tra le due componenti linguistiche: di qui il consenso e perfino il successo, forse non del tutto meritato, che quest'opera continua a registrare. Ben diverso è il caso della soluzione scelta dai fratelli Robert e William Vertue per la cappella di Enrico VII a Westminster (1502-12). La cappella, che a sua volta si apre nella zona est (figg. 3.119, 120 e 121) con terminazione a cinque cappelle tra i contrafforti, è impostata su tre navate. Però la navata principale, unitariamente coperta a botte ma con pendenti ? La struttura della torre, del tipo a lanterna, era stata peraltro completata attorno al 1497. ? In proposito vedi, nel capitolo precedente, il paragrafo relativo all'area germanica.
II. Il tardogotico «inter-nazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
491
che richiamano il tema delle volte a ventaglio, è assai più alta di quelle laterali; dunque, spazialmente, le navate laterali appaiono svolgere un ruolo quasi di corridoi di disimpegno. All’esterno sono presenti degli archi rampanti con torrette di controventamento; gli uni e le altre trattati secondo soluzioni formali molto cariche. Vi compare un particolarissimo gioco di curve e controcurve, unitamente ad ulteriori elementi, che attribuisce all’in-
sieme un valore essenzialmente decorativo: si perde quasi completamente il significato statico delle singole membrature. Infatti all’interno la navata principale è marcata da archi trasversali con profilatura degli intradossi a fiorettatura sporgente; ma tali archi scompaiono poi più in alto, verso la parte mediana della copertura che ha un andamento quasi piano, ove essi risultano assorbiti nel profilo dei pendenti disposti secondo tre linee (una centrale a marcare la direttrice della navata, più altre due simmetricamente disposte rispetto a quella centrale). Da un certo punto di vista si può considerare che la cappella di Enrico VII costituisca un logico e più complesso sviluppo della sala di Riccardo II, ma il risultato spaziale è decisamente diverso. La presenza di grandi vetrate che illuminano la navata centrale, che, come detto, risulta quasi una sala a sé stante, conferisce a tutto l'insieme un valore ar-
chitettonico unitario che riesce a ricomporre l’estremamente ricca complessità decorativa. Invece nella sala di Riccardo II, malgrado l’impressionante organizzarsi tridimensionale degli elementi della struttura lignea, e malgrado l'organico articolarsi dei supporti che si intersecano in un complesso sistema di travature ed arcature, il risultato d’insieme non riesce a superare l’immagine concettuale di una duplicità dei valori spaziali. Per quanto complessa ed articolata ne sia la carpenteria, pensata e realizzata in termini decorativi, essa, tuttavia, sembra proporsi come struttura autonoma rispetto al-
le zone sottostanti; non oltrepassa cioè il limite di proporsi quale elemento aggiunto all'ambiente e non quale sua integrata componente architettonica. Il risultato architettonico raggiunto nella cappella di Westminster appare perfettamente in linea con le esigenze simboliche e rappresentative delle ritualità di corte per le quali è stata costruita la cappella. In questa sua caratteristica si coglie l’essenza stessa della differenziazione tra il clima culturale che precede le crisi politiche, dinastiche ed economiche che si accompagnano allo scontro tra le casate York e Lancaster, ed il clima di maggiore equilibrio e stabilità che si stabilisce alla fine di tale scontro. In parallelo con la costruzione di questa cappella si colloca la integrale ricostruzione della abbaziale di Bath4. Anche in questo caso è stata adottata la volta a ventaglio. Opera dei fratelli Vertue, che erano riusciti a divenire gli architetti di Enri4 Vi era una primitiva chiesa sassone (il monastero, citato come importante in documen-
ti del X secolo, è presumibile che risalesse all'VIII secolo). La ricostruzione cinquecentesca fa seguito ad una precedente edizione della chiesa promossa dal vescovo Villula, e distrutta per essere sostituita da quella attuale. Per i documenti antichi si veda per esempio G. Jackson, Archives of Bath, London 1873. È da notare che quest'opera non è citata dal Frankl (1962) ma è invece ricordata nell’Enciclopedia Italiana (A. Popham, ad vocem Bath), ed anche in Grodecki, 1958 (p. 119) e Clifton, 1986 (p. 196).
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Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
co VII ed Enrico VIII, l’abbaziale era sicuramente terminata nel 1539 quando Enrico VIII soppresse i monasteri. La critica è in genere d’accordo nel giudicare quest'opera come la sola cattedrale inglese costruita interamente in linguaggio tardogotico perpendicular. AI solo William Vertue (anche se l’opera sarà terminata poi da Henry Redman) si deve poi la cappella di S. Giorgio a Windsor. In essa compaiono in diversa combinazione tanto il tema della volta a ventaglio, quanto quello delle volte a nervatura (le skeletor vaults), quanto, infine, altri tracciati di tipo stellare o con ulteriori combina-
zioni geometriche. Altrettanto importante dell’architettura religiosa è poi, in questo tardo Medioevo inglese, l’edilizia civile: in particolare nel settore dell'edilizia universitaria. Ciò dipende da un doppio ordine di circostanze: in primo luogo dal fatto che proprio tra la seconda metà del Trecento ed il quarto decennio del Quattrocento le principali città inglesi ottennero dalla corona il definitivo riconoscimento dei loro diritti”, in secondo luogo dall’interesse della corona, e, con motivazioni differenti, delle città di Cambridge ed Oxford (nel-
le quali si erano stabilmente fissate le principali istituzioni univesitarie inglesi) allo svilluppo delle infrastrutture universitarie. Particolare attenzione è così riservata alla costruzione delle sedi e dei college® ad esse correlati. In questo ambito, oltre ai già ricordati esempi della Divinity School di Oxford e della cappella del King's College di Cambridge, che per il loro impianto sono un parallelo delle ricerche e delle soluzioni formali dell’edilizia religiosa, vanno ricordati l’edificio del Corpus Christi College di Oxford, ad opera di William Vertue (senza il fratello) e soprattutto, ancora ad Oxford, il
Magdalen College, che si deve a William Orchard. Altro aspetto interessante è l'edilizia castellare fortificata. In questo settore si segnala il castello di Hermonceaux (nel Sussex) fatto costruire, attorno al 1440, dal tesoriere di
Enrico VI. Circondato da un vasto fossato attraversato da ponte, è caratterizzato da grosse torri prismatiche (porzioni di ottagoni) ed ha un portale protetto da torri cilindriche con terminazione a beccatelli e piombatoi per la difesa. A Norfolk, utilizzando il riscatto pagato per la liberazione del duca di Alencon, John Falstof poté costruire nel 1424 un complesso insediativo tra il residenziale ed il fortificato. Anche negli interventi promossi da Edoardo IV per migliorare le caratteristiche difensive del castello di Windsor sono state adottate le medesime soluzioni di Hermonceaux. È peraltro da sottolineare che questo modo costruttivo, esulando dalle necessità funzionali, si estende talvolta ad altri settori edilizi. Come, per esempio, accade nel già ricordato King's College di Cambridge ove compaiono soluzioni a torrette del tutto analoghe a quelle consuete nei castelli.
? Su questo argomento si rinvia a C. Platt, The English Medieval Town, London 1976 (con
riferimento alle varie epoche in cui questi diritti vennero riconosciuti); M. Weber, La città Milano 1979 (si afferma che fino all’epoca dei Tudor la città contava in quanto oggetto di tassazione). ° Per il rapporto che ad Oxford e Cambridge si venne a stabilire tra città e sedi universitarie si veda Franchetti Pardo, 1982, cap. III, pp. 365-378.
II Il tardogotico «internazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
493
Con questa serie di opere si conclude, in sostanza, l’esperienza tardogotica inglese. Più tardi, alla luce delle realizzazioni tardorinascimentali italiane e francesi, cominceranno infatti a filtrare, in combinazione o in alternati-
va con la tradizione inglese, i temi ed i linguaggi legati al classicismo. Ne scaturiranno, anzi, conflitti non soltanto di ordine linguistico e sintattico, ma
anche di ordine politico-religioso. Ma la conclusione dell’esperienza tardomedievale inglese appare di estrema originalità ed inventiva. Oltre a quanto specificato in rapporto alle opere citate, si deve infatti sottolineare che la ridondanza delle decorazioni e dei temi linguistici elaborati di volta in volta,
oltre a costituire di per sé occasione di arricchimento delle qualità spaziali delle singole architetture, anche per il gioco dei contrasti chiaroscurali cui danno luogo le molteplici scelte formali, risulta ulteriormente esaltato dal ricorso frequente all’accentuato cromatismo delle superfici: lignee, lapidee, ecc. E tutto ciò in perfetta sintonia con quanto avveniva contemporanea-
mente nelle opere pittoriche, scultoree, dell’oreficeria, delle altre arti decorative, dell’arredamento e dell’abbigliamento.
L'area francese, brabantina e fiamminga Tra gli ultimi decenni del Trecento ed i primi trent'anni del Quattrocento, il re Carlo V ed i suoi fratelli, Filippo l’Ardito duca di Borgogna, il duca di Berry e Luigi d'Angiò, promuovono in Francia (nei rispettivi loro domi-
ni), e nelle vicine aree del Brabante e delle Fiandre, un dinamico afflusso di scultori, di pittori, di miniatori, ecc.; i quali, con le loro opere, danno un’im-
pronta nuova a tutta l’arte francese gravitante attorno alle committenze delle corti più importanti. Più tardi, nel pieno del XV secolo, nel ruolo di promotori culturali ed artistici, si distingueranno Carlo VII e Luigi XI. Nel frattempo, per effetto di una particolare diversa distribuzione dei poteri politici, oltre a Parigi assurgono a rango di primaria importanza i centri di Bourges (che per un periodo sarà anche capitale), di Digione, di Bruges e di Gand. Nel folto gruppo di artisti che propongono fermenti innovatori in tutta la regione, si distinguono come figure particolarmente importanti lo scultore Claus Sluter (nelle chiese sue opere aggettivano e qualificano alcuni portali,
mentre altre, soprattutto imonumenti funerari, ne costituiscono il centro di
coordinamento concettuale e visivo di talune parti degli interni), i pittori Jan van Eyck (fiammingo, esordisce all’Aja ma dopo il 1425 passa al servizio del duca di Borgogna), Rogier van der Weyden, Jean Fouquet, e, per la miniatura, i fratelli Limbourg ed i loro continuatori. La loro opera, caratterizzata da reciproche integrazioni, influenze e sollecitazioni, dà un forte e vitaliz-
zante impulso ai corrispettivi settori della ricerca artistica, che si presenta così come un unitario quadro di ricerca globale sostanzialmente non diverso da quello che la letteratura del momento andava per suo conto elaborando e che si alimentava delle costumanze e degli ideali della cavalleria. La nuova temperie culturale si muoverà su più direttrici: da un lato alla ricerca
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Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
di effetti e di atmosfere di estrema ricercatezza (talvolta con punte di di-
chiarato esotismo orientale-bizantino, orientale-arabo, italiano, ecc.) e di
evasioni favolistiche. Da altro lato interessata invece alla presentazione e rappresentazione di componenti realistiche: che talvolta, nella crudezza che giunge volentieri anche al macabro, toccano livelli di massima scarnificazione e concentrazione concettuale: tali che oggi ci appaiono espressionistici.
Affiora infatti continuamente il tema della morte e della decadenza dei corpi; spesso indagati e rappresentati, questi, nella loro decrepitezza o nella loro moralistica immagine di scheletri”. Appartiene al medesimo clima di inquietitudine e di ricerca, ma anche di sollecitazione liberatoria della fantasia, l'interesse collezionistico per gli oggetti insoliti, esotici o tratti dalla natura o dal regno dei minerali, capaci di promuovere il sentimento della «curiosità».
Per l’architettura gli effetti del clima culturale sollecitato dalle eccezionali committenze di corte si avverte in ritardo. Il problema critico dell’origine del /lamzboyant, cioè di quella particolare stagione dell’architettura francese che si afferma a partire dagli ultimi decenni del Trecento, è stato 0ggetto di lunghe polemiche. Per primo Enlart, nel 1929, avanzò l’idea che le nuove tendenze fossero il prodotto di un processo di importazione di temi inglesi: proprio quale conseguenza della guerra dei cento anni®. Una tesi, la sua, che sarà poi ripresa e rafforzata da altri; tanto negli anni immediatamente successivi quanto più avanti nel tempo. Ma proprio negli stessi anni, de Lasteyrie?, per sostenere la tesi dell'autonomia delle ricerche francesi, ha
avanzato un'ipotesi opposta: quella di stabilire un parallelismo cronologico tra il curvilinear inglese ed il flarzboyant francese. Pertanto opportunamente anticipando di oltre mezzo secolo, rispetto all'ipotesi dell’importazione di modi inglesi, la comparsa in Francia del nuovo corso architettonico. Il tema critico, rimasto in sottofondo senza che nessuna delle due posizioni riuscisse a prevalere sull’altra, è stato poi ripreso a partire dagli anni Settanta: ma con posizioni altrettanto ondeggianti come quelle degli anni Venti-Trenta. Per Sanfacon!9, che contrariamente a de Lasteyrie risposta in data più tarda 7 Rimane sempre valida e centrata l’analisi in Focillon, 1954. Sullo stesso tema, e sui rapporti tra scultura ed architettura, si veda inoltre il più recente Recht, 1989, pp. 75-117. $ Enlart, 1929, pp. 642-644. L'autore spiega la precocità dei temi /lazboyants a Rouen e Bordeaux con i contatti di ordine commerciale ed economico stabilitisi tra quelle città e l’Inghilterra, e attribuisce la data altrettanto precoce, per la Francia, della ricostruzione (1434) della cattedrale di Nantes alla circostanza che l’inizio dei lavori corrisponde al periodo di regno di Giovanna di Navarra che aveva sposato Enrico IV d'Inghilterra. ? de Lasteyrie, 1927. Tutto il relativo dibattito è esposto nel XIII capitolo. Un passaggio importante è il seguente (p. 37) «a dire dello stesso M. Enlart lo stile curvilizear, che è per gli Inglesi ciò che per noi è illamboyant, era già passato di moda nel 1380, e lo stile perpendicular, che gli è succeduto, aveva fatto la sua apparizione verso il 1340 nella cattedrale di Gloucester ed era penetrato in tutta l'Inghilterra a partire dal 1360. Se dunque le circostanze hanno portato i nostri architetti a prendere ispirazione dall’arte dei loro vicini, perché mai allora, invece di copiare uno stile passato di moda, non hanno imitato lo stile perpendicolare?» (trad. mia). '° Sanfagon, 1971. Per il riferimento alla cappella di Riom, vedi p. 27.
II. I tardogotico «inter-nazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
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il precisarsi della nuova stagione architettonica, il primo vero avvio di quella che viene definita architettura a carattere flarzboyant (vi è chi parla addirittura di un ordire flamboyant)!!, si avrebbe in alcuni temi decorativi realizzati da Guy e Drouet Dammartin (1380-90) a Riom: nella Sainte-Chapelle del castello che ne è l’unica parte sopravvissuta. Qui infatti compaiono tracciati decorativi che, nel combinarsi ondeggiante di curve e controcurve, imitano appunto le fiamme. Per il Frankl, che in sostanza riprende le posizioni del de Lasteyrie, quest'opera sarebbe invece soltanto la seconda in ordine di tempo: il primo episodio del /lazboyant sarebbe la già ricordata realizzazione delle due cappelle fatte costruire ad Amiens dal vescovo de La Grange. Tracciati del medesimo carattere, quasi contemporanei a quelli di Riom, sono poi individuabili nella parte superiore della facciata della cattedrale di Rouen databile tra il 1370 ed il 1420!?. Ma, d’altra parte, nella facciata settentrionale della cattedrale di Auxerre, costruita tra il 1392 ed il
1401, non compare nessuno degli elementi innovativi che sono invece individuabili nella facciata sud: il progetto della quale, anche se la realizzazione è solo del tardo Quattrocento, potrebbe essere riferibile appunto al 1401". Nel 1418 Alessandro di Berneval viene chiamato a dirigere i lavori di SaintOuen a Rouen. Sarà lui ad introdurre nella facciata ed in alcuni dettagli dell’interno il nuovo linguaggio larzboyant con tracciati di derivazione britannica!* (figg. 3.122, 123 e 124). Più completo e maturo esempio è comunque la costruzione (in genere l’inizio si data al 1426, vi è però chi propone date precedenti) della chiesa di Notre-Dame a Caudebec-en-Caux, ad opera di Guillaume Le Tellier (figg. 3.125, 126, 127 e 128). Anche la pianta, a tre navate con deambulatorio ma con cappella assiale su pianta esagonale, contiene infatti elementi di novità. Singolare disposizione planimetrica della parte orientale è per esempio quella di far terminare il coro con un partito a due campate (cioè con un pilastro assiale). Queste, disposte in modo da formare un angolo ottuso, sono suddivise da un pilastro cilindrico che è dunque collocato sull’asse centrale, e che prosegue verso l’alto con una colonnetta a sua volta trasformata in nervatura della copertura a ombrello (a cinque bracci costolonati) della zona terminale. Si tratta di uno schema già adottato in Germania, per esempio a Friburgo in Brisgovia; ma per l’area francese questa disposizione era, a quell’epoca, del tutto insolita. Altrettanto nuova è la soluzione, che poi diventerà frequentissima, data al collegamento tra la configurazione dei pilastri cilindrici e l’insieme delle nervature che vi si innestano. Un collarino di forma ottagona, e con decorazione a fiorettature scolpite, funge da separazione tra la zona del pilastro vero e proprio, e la zona 11 Sul tema: E Cali, L'ordre flamboyant et son temp, Paris 1967.
!? Ancora più tarda, e del tutto /lamzboyant, è la torre destra, detta Tour de Beurre, eretta
dal 1485 al 1506. A questo medesimo periodo sono databili anche il completamento della tori quali re di sinistra, già impostata nei secoli precedenti, ed un'ulteriore serie di elementi tra il portale centrale e la cosiddetta scala della libreria. 13 Frankl, 1962, p. 178. 14 Enlart, 1929, p. 643.
Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
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di passaggio verso l’innesto delle nervature delle volte. Al di sopra del collarino è inserito un elemento leggermente conico; nel quale, quasi casualmente, si immettono, perdendovisi, le varie profilature che arricchiscono
l’intradosso degli archi ogivali di navata (iformerets). Inoltre, verso l’interno della navata maggiore, anche le colonnette che si collegano alle costolonature delle volte terminano al di sopra del collarino; dove, sporgendo in aggetto rispetto al fusto del pilastro, si concludono con un peduccio scultoreo a figure umane; proposte in funzione di piccoli telamoni. Anche all’attacco delle volte le costolonature estradossate delle volte si immettono sulla colonnetta semicircolare, mescolandosi l’una con l’altra per confondersi nel fusto cilindrico della colonnetta stessa. Sia per quanto concerne il pilastro di base, sia per quanto si riferisce alle colonnette, in questa chiesa viene abbandonato il principio di messa in evidenza dei teorici flussi delle forze lungo le varie membrature; principio che invece, fino a quel momento, aveva regolato le fasi principali dell’architettura gotica dell’Ile-de-France e dei suoi derivati. Queste scelte architettoniche sono dunque dettate da criteri formali innovativi; che, nota Frankl!, vanno considerati un peculiare prodotto del-
l'architettura francese di quest'epoca. Si può infatti osservare che ora viene privilegiato il riferimento, del tutto formale, a temi di fibre vegetali od a qualcosa di simile. Non è dunque forse improprio stabilire un parallelo tra questi riferimenti e le componenti «realistiche» e naturalistiche che caratterizzano la produzione artistica della Francia, e delle aree ad essa correlate, di quel tempo. Per tornare all’analisi delle altre parti della chiesa di Caudebec, costituisce invece soluzione tecnicamente meno aggiornata la circostanza
che la parete di navata sia articolata, procedendo verso l’alto, in tre parti: attacco verso la navata secondaria, alta galleria a triforio con balaustra e doppia finestratura bifora e terminazione trilobata, infine claristorio con ampie finestrature a decorazione fiammeggiante. Ed altrettanto consueta è la soluzione prescelta per l'esterno: in particolare nella terminazione orientale. Qui il sistema dei contrafforti con terminazione a setto murario libera una serie di coperture a tetto con falde fortemente inclinate; risulta così possibile portare le finestrature fino alla quota di copertura della galleria. Però, a differenza di quanto era stato più brillantemente risolto nel transetto e nella navata di Saint-Denis, a Caudebec-en-Caux non sono state sfruttate tutte le va-
lenze luministiche che questa soluzione poteva consentire. L’alta galleria a triforio, interposta tra la parte inferiore ed il claristorio, sposta quest’ultimo più in alto; dando quindi minor luminosità allo spazio della navata. La più tarda facciata, completata attorno al 1500 (fig. 3.126), offre invece tutta la sintassi del più maturo linguaggio /larzboyant. Elementi a gable, che si aprono liberi nello spazio anteponendosi ad ogni altra parte della facciata, completano verso l’alto, con tracciamenti a curva e controcurva, le strombature
riccamente decorate dei tre portali. Gli archi rampanti di sostegno alla na-
!5 Frankl, 1962, p. 190.
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vata principale si combinano nella parte superiore con membrature di rafforzamento strutturale completamente traforate. Due torrette con terminazione ad edicola; e coperte con tetti prismatici, si antepongono al fronte della navata principale che si apre con un vasto rosone a tracciati complessi (archi di cerchio che si collegano a formare sistemi triangolari curvi ed intersezioni stellari, ecc.). Le testate dei muri esterni si proiettano in avanti a formare due altre torrette prismatiche (anche con rotazione di profili) e ter-
minazione a guglie. Anche la parte alta della navata principale termina lateralmente con due altre torrette, i cui spigoli sono marcati da lesene ruotate di 45 gradi. Dappertutto sono presenti piccole edicole per l'alloggiamento di statue. Il risultato d’insieme è quello di un sistema linguistico e sintattico più che ridondante e che non tralascia alcuna occasione per proporre temi decorativi estremamente ricchi e fantasiosi. Lasciando ora da parte l’analisi delle facciate, che in Francia, non diver-
samente da altrove in Europa, sono in questo periodo quasi sempre qualcosa di autonomo rispetto alle altre parti del contesto architettonico, conviene tornare ad analizzare le componenti principali di quei contesti. Si constata così che molto rapidamente si diffonde la propensione a trovare inedite, e dunque «curiose», configurazioni dell’attacco tra nervature delle volte e pilastri; mentre diminuisce l'interesse a trovare soluzioni planimetriche e tipologico-funzionali del tutto nuove. Alla prima linea di ricerca appartengono moltissimi episodi. Ve ne sono in un gran numero in Normandia. Nella chiesa di Saint-Etienne a Fécamp, all’intersezione tra i bracci di croce, poderosi pilastri circolari di ampio diametro, con piccole colonnette cilindriche terminanti a riccio o meglio a stelo arricciato, si concludono alla sommità (si potrebbe parlare del sommoscapo di una colonna) con un sottile, ma sporgente, collarino circolare decorato con un altrettanto piccolo giro di fiorettature. Al di sopra di queste modanature è predisposta una sorta di solido a configurazione semi-ovoidale sul quale si concludono tutte le nervature degli archi di campata e di quelli delle volte. Ciascuno degli intradossi di questi vari tipi di archi è poi caratterizzato da ulteriori complesse modanature; le quali, a seconda dei casi, richiamano i tracciati di edicole o fine-
stre, di guglie o ghimberghe, o presentano anche altri dettagli (quasi piccole basi di colonna, o di capitelli, ecc.) che o fanno già parte del linguaggio
classicistico!S, 0, forse, sono ancora le tracce di quella sottile tradizione le-
gata all'antico che attraversa l'architettura francese durante tutto il Medioe-
vo. Nel medesimo filone, ma con differenti scelte, si colloca la chiesa della
Trinité a Cherbourg: in special modo con riferimento alla navata che è stata costruita tra il 1450 ed il 1475 (vi sono aggiunte più tarde come più tarda è la sistemazione dell’altare principale e dell’intero settore orientale). Massicci pilastri cilindrici, terminanti con collarini e proseguiti con l'elemento sedi mi-ovoidale, ricevono, così come a Fécamp, le modanature (assai ricche
16 «Piliers [...] déjà ornés de motif renaissants» (Sanfacon, 1971, p. 30).
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profili a gola od a configurazioni toriche contrapposte) degli archi a sesto acuto che immettono nella navata secondaria. Ma a Cherbourg è tutto l’impianto architettonico ad essere analizzato e risolto secondo una sintassi e secondo forme grammaticali del tutto peculiari. Sottili colonnette cilindriche, quasi completamente estradossate rispetto al muro cui sono appoggiate, marcano il ritmo del passaggio da una ad altra campata; si prolungano poi verso l’alto dopo essere state attraversate dal parapetto di una balaustra che si precisa poco al di sopra del cervello degli archi di navata. Come in antiche soluzioni cistercensi, queste colonnette non giungono fino a terra, ma si
arrestano alla quota dell’imposta degli archi per concludersi più in basso con un piccolo peduccio di forma del tutto particolare: che in qualche modo echeggia forme di matrice vegetale (boccioli o simili, ancorché, qui, di forma prismatica). Così la superficie a triangolo curvilineo determinata dallo spazio di risulta tra gli archi di campata e dalla sottolineatura chiaroscurata della base della balaustra, viene ad assumere una sequenza ritmica basata sul tracciamento ad quadratum. I fusti delle colonnette, alla quota di imposta delle nervature delle volte, ricevono tali nervature; che in parte vi si inseriscono, e che in parte le contornano proseguendo come sottili vene sporgenti rispetto al fusto stesso. Inoltre, come nelle soluzioni del gotico radiante e del corrispettivo svuotamento del muro, questo, alla quota della balaustra, si arretra lasciando emergere pilastri a sezione rettangolare che si propongono quasi come contrafforti interni. Ancora più complessa ed interessante la soluzione della zona verso il coro e dell’innesto del transetto. Qui quattro grossi piloni cilindrici ricevono direttamente, senza alcun collarino, le multiple e sottili modanature degli archi che sostengono la torre. Il contrasto tra la grafica linearità di queste modanature e la solida e nuda corposità dei fusti dei pilastri, dà a questa parte della chiesa una connotazione quasi aulica. In effetti in tutta la navata si registra il medesimo ordine di valori spaziali: da un lato una ricerca di sintesi formale tra figure geometriche e stereometriche semplici (figure quadrangolari, elementi cilindrici), e, dall’altro lato, sottili e raffinati graficismi; nonché (come nella balaustra) ulteriori elementi che sembrano richiamare la grafica araldica anche se poi questa, in concreto, qui non compare. Il risultato spaziale d’insieme, si direbbe, è quello di alludere ad atmosfere rarefatte: si direbbe «nobili». Di impostazione simile a quella della navata di Cherbourg è anche quella del coro di Saint-Malo a Valognes. Qui, però, l’attenzione progettuale è tutta rivolta alla corposità del muro che separa il coro dalle parti circostanti. Il suo forte spessore è ulteriormente evidenziato da una serie di sottoarchi, a profilo archiacuto,
che nel loro insieme ricordano il tema della strombatura di un portale di ingresso. Verso l’alto, inoltre, lo spessore murario sembra aumentare ancora. Vi si aggiunge infatti un aggetto a sguscio che prepara il piano murario da cui aggetta una balaustra riccamente decorata con tracciati complessi a più
curvature. Ed è sulla balaustra che terminano, con un piccolo peduccio, le
colonnette cilindriche a partire dalle quali, al di sopra della galleria ed in appoggio ai contrafforti interni, si diramano le nervature delle volte. A Bernay,
nella chiesa di Sainte-Croix, il gioco delle relazioni tra nervature delle volte
II. Il tardogotico «internazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
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e pilastri si fa ancora più fantasioso. Permane l’uso del pilastro cilindrico, tema costruttivo di lunga tradizione locale; con terminazione a ghiera decorata con fogliami scolpiti, e con prolungamento del fusto in un pignone anch’esso ad andamento quasi cilindrico. Ma le nervature delle volte, sottili e spigolute come se fossero intagliate nel legno, si intrecciano l’una con l’altra, ed ulteriormente con il fusto del pignone, terminando con piccoli peducci scolpiti a fogliami disposti a quote differenti. Soluzioni di questo tipo, ma con ulteriori varianti, si trovano a Saint-Etienne d’Elbeuf presso Rouen (dedicata nel 1454, si deve probabilmente a Jean-Louis d’Harcourt), ed a Notre-Dame di Alencon. Dove, alla ricerca della complessità delle intersezioni tra elementi architettonici, si somma quella del sistema decorativo delle finestrature fondato su tracciamenti /larzboyants. La ricerca di libertà delle soluzioni, cioè dell’effetto sorpresa che queste tendono a produrre, è problema progettuale che interessa più regioni e più opere. Ma questo approccio è comunque più spesso adottato in architetture promosse da esponenti delle corti o da membri delle alte gerarchie ecclesiastiche. Ad Orléans, nella chiesa di Saint-Agnan, patrocinata da Carlo VII
dopo che la città gli era stata consegnata da Giovanna d'Arco nel 1429, oltre al variato repertorio delle soluzioni delle nervature, si diversificano anche i profili dei pilastri. Ma poiché gli spigoli multipli che li qualificano non corrispondono a quelli delle nervature degli archi, l'insieme sembra produrre un effetto di rotazione dell’immagine; 0, per altro verso, sembra rappresentare un diagramma di sfibramento di un sistema di fasci nervosi: quasi che il pilastro, nella sua essenza, ne fosse la membratura riassuntiva. Ana-
logo effetto si ha nel caso che le modanature degli archi si inseriscano nel muro: di solito lasciato a superfici nude e severe proprio per marcare i contrasti tra la levigatezza dei piani e la vibrazione (grafica e luminosa) delle linee. In alcuni casi si constata che vi era interesse a mediare tra le scelte linguistiche della tradizione locale, in genere nel quadro di temi del gotico fiorito o radiante, e quelle innovative che emergevano dalla nuova corrente di gusto. Per esempio nella cattedrale di Saint-Pol-de-Léon (iniziata nel 1433) alla bicromia dei materiali (pietra più scura per le membrature, pietra più chiara per le vele delle volte), ed all'impiego di profili e tracciati consueti (in ciò si ravvisa una componente conservativa) si contrappone la scelta di in-
trodurre improvvisamente, qua e là, elementi (nervature, ghiere o peducci con figure antropomorfe o con fogliami) che si inseriscono in modo eversivo nei tracciati principali. Interferendo con questi, si direbbe in modo casuale, la diffusione puntiforme dei dettagli eteronomi dà luogo dunque ad un completo rinnovamento del linguaggio. Altri esempi di questo comportamento progettuale si hanno nella ricostruzione della cattedrale di Nantes (1434), a Cléry, presso Orléans (1440-83), ad Ambierle, presso Paray-le-Monial (iniziata nel 1440), nel coro della chiesa di Mont-Saint-Michel (1445),
nei pilastri della cattedrale di Rodez (1448). Un caso interessante della dialettica tra conservazione ed innovazione è, per questa metà del XV secolo,
la seconda fase (gli inizi si situano attorno al 1410, la ripresa è del 1445) dei
lavori nella chiesa di Notre-Dame de l’Epine (fig. 3.129), non lontano da
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Chalons-sur-Marne. Qui tanto l’impianto planimetrico (anche quello completato nella seconda fase dei lavori), quanto molti degli elementi linguistici, risultano collegati alla cattedrale di Reims; anche se qua e là compaiono dettagli tardogotici. La facciata risulta invece catratterizzata da una coerente combinazione di elementi tutti riconducibili al flazboyant. Tra questi, oltre al repertorio dei pinnacoli e degli archi rampanti, va segnalato il ricorso ai temi decorativi delle corone, che figurano da tempo tra i modelli adottati in area germanica ed anche a Strasburgo: una città, allora libera ed importante, che non è troppo lontana da Chalons-sur-Marne. Ciò che va dunque sottolineato è che facciata e terminazione occidentale della chiesa sono state realizzate nella medesima fase di lavori, ma che esse sono state concepite secondo un distinto criterio progettuale. All’interno è sembrato cioè opportuno non contraddire l’integrità ed unitarietà linguistica e sintattica, ed il suo proporsi come fattore di continuità; invece nella facciata, ove questa integrità e coerenza stilistica era già di per sé non richiesta, era possibile e logico esprimersi secondo le nuove tematiche e le nuove propensioni di gusto. Lo stesso procedimento è stato seguito nel completamento (1485-1506) della chiesa della Trinité a Vendòme (figg. 3.130 e 131): dove si completano le
campate più occidentali della navata principale (diversamente da quanto iniziato nel 1306) adottando la soluzione dell’arco le cui nervature si prolungano senza interruzione sino alla base del pilastro. E dove si realizza il fronte occidentale in pieno linguaggio tardogotico. Nella facciata della cattedrale di Toul, costruita nel 1460 e che il Frankl giudica una delle più importanti di questo periodo, compaiono molti elementi in comune con quelli di Notre-Dame de l’Epine. Anche con solo riferimento a singoli elementi, qui si incontrano temi linguistici di carattere propriamente flarzboyant. In primo luogo le configurazioni delle ghimberghe (le gables secondo il termine franco-inglese): sia le tre più grandi che, con tracciamenti a curva e controcur-
va, completano la decorazione architettonica dei tre portali, sia quelle più piccole che fanno parte delle finestre delle torri di facciata. In secondo luogo le decorazioni delle finestrature ed il disegno delle griglie decorative che ritmano i vari livelli della composizione. E comunque tutto l’impianto concettuale della composizione architettonica a determinare l’appartenenza della facciata di Toul alle nuove tematiche. Alla rigorosa intelaiatura ad quadratum, che costituisce la trama compositiva principale, ed alla subordinata presenza dei temi ad triangulum, adottati per le ghimberghe (la combinazione dei due sistemi è criterio progettuale che potrebbe rinviare a procedimenti del XIII e XIV secolo), si accompagnano infatti molte altre e più tipiche componenti flarzboyantes. Tra queste l’uso spregiudicato di membrature che, libere nello spazio, si antepongono ad altre retrostanti: dando luogo ad un dinamico gioco di slittamento e variazione di ruolo dei rispettivi piani a seconda del punto dal quale essi sono osservati. Alla visione statica, di un fronte occidentale che è sempre uguale a se stesso, si sostituisce ora una visione scenicamente mobile. Nella Francia meridionale esempi di notevole interesse si trovano, in particolare, ad Albi ed a Lione. Nella prima delle due città, nella cattedrale de-
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dicata a Sainte-Cécile (eretta, vedi Parte seconda, tra il 1282 ed il 1390) ver-
so la fine del Quattrocento viene costruito il torrione-campanile, alto ben 78 metri, che ne sovrasta il fronte principale (figg. 3.132 e 133). Questo completamento, che ha richiesto la realizzazione di quattro possenti torrioni cilindrici angolari, esalta il peculiare carattere fortificato (una costruzione in mattoni rossi caratterizzata da contrafforti semicilindrici situati tutt'intorno ai fianchi) che la chiesa già presentava fin dalle sue origini (effetto delle scelte politico-religioso che ne sono a fondamento). Vengono inoltre costruiti il ricco jubé (un tramezzo a cinque arcate che delimita il coro) e, tra il 1520 ed il 1535, il baldaquin: un antiportico dell’ingresso che è situato sul fianco destro (fig. 3.134). Opere, l’una e l’altra, ridondantemente decorate con elementi (pinnacoli, guglie, racemi, ecc.) del repertorio flarzboyant. A Lione, oltre alla piccola chiesa di S. Bonaventura, sono importanti la cattedrale, dedicata a Saint-Jean e la chiesa di Saint-Nizier. La prima, iniziata per la verità fin dal XII secolo, trova il suo completamento negli ultimi anni del Quattrocento. Oltre alla facciata (fig. 3.135), il cui impaginato è del tardo Trecento e nella quale compaiono temi decorativi (scultorei ed architettonici: forme di attacco a terra delle colonnette delle strombature dei portali, geometrismi evidenziati, ecc.) riconducibili alle fasi tardogotiche, è soprattutto
nella cappella dei Bourbons (1486-1500) che le tematiche costruttive ed il linguaggio dell’architettura /larzboyante si esprimono ai più alti livelli (fig. 3.136). Nella chiesa di Saint-Nizier, dove peraltro anche tutta la luminosità
calda dell’interno è segnale delle nuove propensioni di gusto, è soprattutto la facciata a costituire l’elemento di maggior interesse. Impostata secondo lo schema a due torrioni (ma quello di destra, in pietra, è completamento ottocentesco) vi compaiono nell’impaginato una serie di motivi a scudo araldico; vi è inoltre una ricerca tesa a valorizzare le qualità materiche e coloristiche nel contrapporre il tono della pietra della parte sottostante con la struttura laterizia della torre di sinistra che è quella originaria. In ciò si è anzi portati a pensare ad una preoccupazione di ambientamento paesistico: perché, nelle vedute da lontano, l'emergere del campanile sul paesaggio del tessuto edilizio cittadino permette di stabilirne i rapporti di dialogo all’interno dell'immagine complessiva di tale paesaggio". In questo criterio compositivo non riesce pertanto estraneo, anzi vi sembra perfettamente integra-
17 È una pura ipotesi interpretativa per la quale mancano supporti accertabili. Si deve pe-
raltro ricordare che fenomeni analoghi non sono rari nell’architettura europea: sia precedente, sia contemporanea al Saint-Nizier. Valgano due esempi italiani che hanno comunque una valenza non soltanto locale. Il primo è quello della cupola di S. Maria del Fiore a Firenze, ove il rivestimento laterizio delle otto facce del padiglione della cupola, del tutto in contrasto con la decorazione marmorea del resto della cattedrale, sembra proporsi come soluzione appunto intesa a stabilire un rapporto con i tetti dei palazzi e degli altri edifici cittadini. Il secondo a è il caso della cattedrale di Pienza, voluta dal papa Pio II, ove si registra un caso analogo del seguito a Quattrocento, del fine sulla proprio che presente quello lionese. Va infine tenuto diffondersi delle incisioni a stampa, sono numerose le vedute dall’alto e da lontano di paeforsaggi cittadini. Questo genere di vedute è dunque espressione di una nuova cultura della ma della città intesa appunto come paesaggio.
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to, il portale centrale in pieno carattere e linguaggio rinascimentale. Tardo
flamboyant e classicismo cinquecentesco francese trovano in questo esempio
(ed altri ne verranno segnalati per Parigi) un significativo punto di raccordo. Tra le opere più importanti della tarda età medievale francese si situa ai più alti livelli la chiesa di Saint-Maclou a Rouen. Iniziata nel 1434 o 1436, probabilmente su disegno di Pierre Robin, presenta la soluzione del pilastro d’asse nel coro (fig. 3.138). L'impianto planimetrico comporta un corpo longitudinale a tre navate (più cappelle laterali), un transetto, ed una terminazione orientale organizzata in un coro contornato da un deambulatorio costituito da quattro campate trapezie, e dalle corrispettive quattro cappelle su pianta esagonale. All’interno, la soluzione dell’innesto tra navate e transetto ripropone temi noti. Ma il modo di trattare i singoli elementi è nel pieno delle tematiche del /laboyant. Le complesse profilature, graficamente molto segnate da sottili lesene e profonde gole, degli elementi portanti (pilastri, archi di navata, nervature delle volte), fluiscono dall’alto sino alle basi dei so-
stegni verticali senza interposizione di capitelli, collarini od altro. Un chiaro e rigido geometrismo, proporzionato sostanzialmente ad quadratum, regola e definisce le singole parti della pianta e dell’elevato. La forte luminosità dell’insieme tende a proporre una interpretazione unitaria ed unificante dell’intero spazio chiesastico; almeno sino al coro. Inoltre i singoli dettagli sono realizzati secondo la tipica dialettica tra moltiplicazione minuta dei dettagli e risultato unitario dell’insieme. Ne sono evidente espressione, oltre alle modanature decorative delle finestrature ed in parte della galleria del triforio, soprattutto le basi dei pilastri. Qui il fascio delle nervature si completa con un affastellato sistema di singole, sovrapposte e contrapposte, piccole basi delle varie lesene: le quali, a loro volta, sono poi riassunte in un si-
stema decorativo di grado superiore (secondo modanature di «passo» più ampio) costituito da cornici, sgusci, cavetti e piedritti che si concludono al suolo. Questa soluzione non è certo tratto peculiare di Saint-Maclou; essa
appare infatti quasi un carattere invariante in molte delle architetture religiose del tardogotico: francese e non soltanto francese. Ma, certo, a SaintMaclou giunge ad un altissimo livello di integrazione con l’insieme e con le varie parti dell’edificio. Il massimo impegno espressivo è ad ogni modo riservato alla facciata occidentale. Costruita tra il 1500 ed il 1514, probabilmente su progetto di Ambroise Havel (che avrebbe modificato il precedente progetto di Pierre Robin), essa esprime al meglio le conquiste configurative dell’architettura flazboyante (fig. 3.137). Un portico a cinque partite, disposte come la metà di un allungatissimo poligono a dieci lati, introduce all'ingresso costituito da tre ravvicinati portali. Pertanto gli archi dei due lati estremi si concludono, con accentuato angolo acuto, contro la parete chiu-
sa. L'inflettersi poligonale del portico si ripropone sino alla quota di imposta del grande rosone centrale (questo, secondo Frankl!8, potrebbe essere stato realizzato nel 1487). La sua terminazione verso l’alto è costituita da tre !5 Per queste notizie e datazioni si rinvia a Frankl, 1962, p. 201.
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gables molto acute, decorate a motivi di curve e controcurve, che svettano li-
bere davanti al resto del costruito, e da una sorta di finta galleria, anch'essa libera nello spazio, che si combina geometricamente con le tre gables. Dietro, si propone l'elevato della navata principale (con il rosone già indicato), i cui contrafforti d'angolo sono ruotati di 45 gradi rispetto al piano frontale. Inoltre, a fianco della testata della navata principale, la serie dei doppi archi rampanti sovrapposti e collegati tra loro da una trama sottile di archetti archiacuti si compone con l’impaginato della facciata. Ogni elemento verticale è poi arricchito da edicole per l'alloggiamento di statue e da altri motivi decorativi. Lo schema del portico di Saint-Maclou è stato adottato anche in molti altri casi. Oltre ad esempi minori, in Fiandra oltre che in Francia, è
da ricordare, per la Normandia meridionale, la facciata di Notre-Dame di Alencon (tra il primo ed il secondo decennio del Cinquecento): ove il portico, attribuito a Jean Lemoine, è però a tre lati. Notevole, all’interno di questa chiesa, la soluzione delle finestre polifore, a tracciato flanzboyant, e so-
prattutto il sistema delle volte di copertura: per il moltiplicarsi dei t/ercerons, realizzati come sottili fibre estradossate, vi si avverte, inaspettatamente,
qualche assonanza con soluzioni inglesi riferibili al decorated style. Queste non sono state notate dal Frankl; che, invece, ne nota altre, ma assimilabili
al perpendicular style!?, nel tracciato decorativo della galleria sottostante le finestre. Infine, senza portico ma con impaginato a piani anteposti e conse-
guenti soluzioni a filtri tramati come a Rouen, è di notevole rilievo la facciata della Trinité a Vendòme databile tra il 1486 ed il 1506. In base all’ottocentesco pregiudizio che gli elementi dell’architettura gotica dovessero trarre il loro valore primariamente in rapporto alle componenti strutturistiche, la facciata di Saint-Maclou, e di quante altre vi si acco-
munano nelle soluzioni, è stata in genere giudicata negativamente. I suoi elementi più caratterizzanti svolgono infatti, in essa, unicamente ed essenzialmente un ruolo formale: ove la matrice statico-funzionale, cui essi devono la
loro configurazione originaria, è pertanto del tutto dimenticata. A quegli elementi si richiede ora di suggerire e far emergere la loro qualità di figure geometriche semplici, o di tracciati complessi, ma altrettanto geometricamente delineati: per evocare suggestioni decorative che si pongono in relazione con i coevi linguaggi di altre forme dell’arte religiosa (oltre alla scultura — soprattutto quella lignea — anche l’oreficeria e perfino aspetti del ricamo): forme però traslate, dunque reinterpretate, alla grande scala dell’architettura. Un fenomeno a sé stante, constatabile in più contesti ed occasioni, è l’affiorare, entro il vasto alveo dell’architettura /lanzboyante, di correnti regionali tradizionaliste. Nel giudizio generalmente negativo che fino a pochissimo tempo fa era stato dato a tutta questa fase dell’architettura, questa componente non era stata messa in risalto. È stata soltanto la più recente storiografia francese, nel progressivo processo di rivisitazione della tarda produ-
19 Ibid.
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zione gotica, ad individuare anche queste inflessioni localistiche: in particolare con gli studi di Sanfagon e di Durliat, sulla scia dei quali si sono poi via via messi anche altri. Il fenomeno è individuabile in modo più evidente nella regione parigina, nel Brabante, e nella Piccardia; ma tracce di questa propensione al radicamento locale, compreso il caso un po' a sé stante di Albi, già ricordato, sono anche presenti in Normandia, in Bretagna, ed in parte nelle aree meridionali. Nella chiesa di Coutances, promossa dal vescovo Herbert e costruita tra il 1479 ed il 1510, sono presenti precisi riferimenti alla locale cattedrale (soprattutto i dettagli della zona sotto le finestre e la forma dei peducci che interrompono le piccole colonnette). Ma è del tutto innovativo, tardogotico, il modo apparentemente casuale (in realtà sapientemente calibrato) con il quale le profilature degli archi di separazione tra navate e di quelli corrispondenti dell’innesto tra navata principale e transetto, si immettono nel fusto dei nudi pilastri cilindrici: perdendosi e svanendo nel suo interno. Situazione analoga si ha nella chiesa di Saint-Malo a Dinan (dal 1489 in avanti); dove è anche da notare la speciale configurazione esterna delle cappelle dello chevet: una terminazione cuspidata dei rispettivi fronti che richiama temi duecenteschi. Temi analoghi si trovano anche nella chiesa di Saint-Rombaut (prima collegiata, poi, dalla metà del Cinquecento, cat-
tedrale) a Malines. Questa, riedificata (dopo un incendio) a partire dal 1342, e completata soltanto nei primi anni del XVI secolo, presenta evidenti caratteristiche arcaizzanti. Il coro è del tipo con terminazione a sette cappelle radiali. Lungo il corpo longitudinale a tre navate, nei fronti interni della navata principale la sequenza in altezza ripete il tradizionale schema a tre livelli (archi di navata, galleria-triforio, finestrature polifore) che era stato in genere abbandonato dall’architettura rayonzante (è prevalente lo schema a due livelli). I pilastri sono del tipo cilindrico con capitelli a fogliame ed abaco ottagonale; inoltre le colonnette che partono da questi capitelli, marcando le campate della navata, giungono sino all'imposta delle volte distinguendosi dalle nervature delle volte. All'esterno le finestre (in particolare nel coro) presentano una terminazione a ghimberga archiacuta. Sono invece di carattere pienamente tardogotico alcuni altri elementi che richiamano temi del perpendicular. In particolare la circostanza che galleria-triforio e finestrature del claristorio occupano tutta la superficie tra colonnetta e colonnetta delle singole campate; secondo un tracciato nel quale, appunto come in Inghil-
terra, dominano le componenti verticali. E inoltre tardogotica la soluzione di porre lungo il fusto delle colonne cilindriche della navata principale una sequenza di statuette su peduccio molto sporgente. Vi sono altre varianti regionali. In molti piccoli centri rurali della Bretagna, per esempio a Loc-Envel ove è anche da segnalare un interessante jubé, nelle cappelle realizzate in quest'epoca compaiono soluzioni combinatorie tra l’uso di grandi pilastri cilindrici e di spessi e nudi muri in pietra, e coperture realizzate con carpenterie lignee configurate come carene rovesciate. Altre soluzioni arcaizzanti,
e regionalisticamente caratterizzate, si hanno nella cappella di Saint-Fiacre a Le Faouèt, in Saint-Nonna a Penmarch, e perfino in alcuni aspetti del ca-
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stello ducale di Nantes fatto costruire da Francesco II ed Anna di Bretagna nel 146620, Un rapporto assai stretto tra le ricerche architettoniche e quelle della scultura contemporanea si ha in numerosi esempi della seconda metà del Quattrocento: in genere nell’apparato decorativo della facciata o dello jubé. Tra le opere più significative di questa ulteriore evoluzione del tardogotico in area francese, brabantina e fiamminga, vanno segnalate la cappella di Saint-Esprit a Rue (1480), eretta con una donazione di Luigi XI (figg. 3.140 e 141), il Saint-Nicholas-de-Port a Nancy (1514-51), lo jubé della Madeleine a Troyes?!, la chiesa di Saint-Riquier (1511-36). Va infine ricordata la chiesa costruita (1513-23) a Brou, presso Bourg-en-Bresse (fig. 3.139), dall’ar-
chitetto fiammingo van Boghem su committenza di Margherita d'Austria. Il suo impianto distributivo, ed il sistema delle volte a liernes e Hercerons, appare in certa misura tradizionale; però la forma dei pilastri e, soprattutto, la forma delle loro basi, nonché la sistemazione architettonica della zona dello jubé (archi a tre centri, ecc.) ed una serie di monumenti commemorativi o
funebri che fanno parte della chiesa, esprimono la tendenza alla variabilità ed all’invenzione decorativa che è tipica del periodo. Analoghe soluzioni si trovano anche altrove. In Belgio se ne ha un esempio nella chiesa di SaintJacques a Liegi eretta tra 1513 e 1538, ed anche a Louviers. Qui, nel portico costruito nel 1510, è possibile intravvedere riferimenti a modelli olandesi°?. In questa regione il carattere inter-nazionale ormai raggiunto dall’esperienza tardogotica trova cioè collegamenti con più aree culturali. Un folto gruppo di chiese tardogotiche, in certa misura autonomo, è quello che è stato realizzato a Parigi e nei suoi dintorni? ove la tendenza ad un radicamento alle componenti locali è individuabile tanto nella fase di avvio quanto in quella conclusiva del /larzboyant. L'insieme delle opere realizzate in quest'ambito cronologico e geografico può essere articolato individuando al suo interno alcuni sottogruppi. Un esempio del combinarsi tra componenti che richiamano più antiche tematiche del rayorzant, ed altre che si collegano al flar2boyant, si ha nella Sainte-Chapelle del castello di Vincennes?*. Promossa da Carlo VI nel 1387 e condotta, in questa prima cam20 Questo il commento in Sanfagon, 1971 (pp. 72-73): «la rinascita dell’arte bretone toccò
Nantes verso il 1466. Il castello allora eretto [...] stupisce [...] per le ampie superfici nude dei
muri, bucati sobriamente, e con regolarità, dalle finestre». E ciò è tanto più sorprendente se
si pensa che «in precedenza il duca Giovanni V aveva partecipato alle costruzioni delle cat-
tedrali di Saint-Pol-de-Léon, di Tréguier o di Saint-Brieuc». Che inoltre «nel 1434, per dota-
re la sua capitale, Nantes, di una cattedrale che rivaleggiasse con le maggiori realizzazioni del XIII secolo si era rivolto a Guillaume de Dammartin-sur-Yèvre, membro della famiglia di architetti di Giovanni di Berry» (trad. mia). 21 In Sanfagon, 1971 (p. 184) se ne propone l’attribuzione a Jean Gailde, un allievo di Martin Chambiges. 22 Frank], 1962, p. 210. 2 È sintomatico che, fatta eccezione per i lavori specialistici già citati, nelle opere storio-
grafiche anche recenti (Frankl, Grodecki, Recht, ecc.) siano citate solo due o tre tra le opere
di questo folto gruppo, e che comunque anche queste siano sempre trattate marginalmente. 24 Il castello venne iniziato da Filippo VI nel 1334 e terminato da Carlo V nel 1370. Il suo impianto, che corrisponde alle più aggiornate tecniche fortificatorie del tempo, è caratteriz-
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Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
pagna di lavori, sino all’imposta delle finestre, l’opera fu però completata assai più tardi (nel secondo decennio del Cinquecento) per incarico di Francesco I. L'organismo statico dell’edificio, anche qui a navata unica come nella parte superiore del prototipo parigino, è basato sull’uso di contrafforti a pilastratura esterna. Ma a Vincennes il sistema è stato colto, quasi come «citazione», unicamente in relazione alle sue assonanze formali: senza cioè trar-
ne la logica conseguenza dello svuotamento dei muri d'ambito che invece permangono in tutta la loro corposità sino alla quota delle alte finestre. Tutti i partiti decorativi della facciata, un ampio rosone sotto un grande arco di scarico, le due gables sovrapposte ed anteposte, e perfino la decorazione del fronte timpanato (che richiama tematiche del perpendicular inglese) sono invece tipicamente /lamboyants. E va sottolineato che questi partiti sono stati realizzati a Cinquecento inoltrato, quando cioè le nuove tematiche rinascimentali erano già penetrate in Francia. Due importanti chiese, Saint-Ger-
main-l’Auxerrois e Saint-Séverin, situate rispettivamente sulla riva destra e sinistra di Parigi, hanno entrambe un impianto a cinque navate, con doppio deambulatorio e cappelle radiali; riprendendo dunque i temi distributivi della cattedrale parigina e dell’abbaziale di Saint-Denis. La chiesa di SaintGermain-l Auxerrois (iniziata nel XII secolo, profondamente modificata tra XV e XVI secolo) (figg. 3.142, 143 e 144), già parrocchia di corte, presenta nel portico a cinque campate (Jean Gaussel, 1435-39) sistemi di volte a /ternes ed a tiercerons con nervature molto pronunciate (e chiavi di volta sporgenti), che si immettono nei pilastri, a sezione scanalata ed ondulata (gole di diversa curvatura), alternatamente nelle parti incavate e lungo le creste. Sul fronte esterno gli stessi pilastri sono ulteriormente arricchiti dalla presenza di edicole per statue. Questa concezione ondulata dei pilastri ha avuto qualche eco nella vicina chiesa di Saint-Jacques-la-Boucherie di cui attualmente resta solo la cosiddetta Tour Saint-Jacques. Nel deambulatorio compare un tipo di pilastro a sezione ondulata: elemento che sarà più tardi impiegato da Martin Chambiges e da suo figlio Pierre Chambiges, rispettivamente, nella torre sud della facciata della cattedrale di Troyes (1506)?? e nella già citata (vedi Parte seconda) cattedrale di Senlis (1538)?°. La chiesa è preceduta da un portico a cinque navate di carattere nettamente tardogotico (la situazione attuale è peraltro frutto di recenti pesanti restauri). Più interessante è la chiesa di Saint-Séverin (figg. 3.145, 146, 147 e 148). Relativamente corta rispetto alla sua larghezza, l’effetto di dilatazione laterale è ulteriormente accentuato dalla presenza di cappelle laterali tra i contrafforti, la cui sequenza zato dalla netta contrapposizione tra le sue due parti principali: la recinzione fortificata con cammino di ronda su beccatelli e torrette angolari (si intendeva sfruttare la difesa piombante), e l’alto e possente dorjon. Questo, per la sua strutturazione con torrioni angolari cilin-
drici, richiama anche l’impianto del primo Louvre. E ?° A Martin Chambiges si deve anche il transetto della cattedrale di Sens (1494) e quello della cattedrale di Beauvais (a partire dal 1499). Martin Chambiges e suo figlio Pierre sono considerati tra i principali e più geniali architetti francesi di questo periodo. 26 Per queste analisi vedi Sanfacon, 1971, pp. 100-119.
Il. Il tardogotico «internazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
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si prolunga fino ad unirsi alle cappelle della terminazione orientale. Ciò consente di riassumere e di unificare, all’esterno, tutte le parti del livello infe-
riore della chiesa mediante la realizzazione di un muro (su cui si aprono le finestre delle cappelle) che corre lungo tutto il perimetro della chiesa. Si tratta di una soluzione, come già detto, diffusissima in tutta Europa già dai primi anni del XIV secolo, ma che in Francia, e soprattutto nell’area parigina, diviene consueta soltanto a partire dalla seconda metà del XV secolo. Gli aspetti più innovativi e sensazionali si hanno a partire dal coro; particolarmente per le complesse soluzioni del doppio deambulatorio. Questo, coperto con sistemi voltati a vele triangolari irregolari, che disegnano geometrie stellate, risulta infatti prolungato spazialmente nelle cappelle orientali (due per ogni intervallo tra i contrafforti; su pianta rettangolare e con volte a crociera). Come in altre soluzioni, per esempio nel ricordato portico di Saint-Germain-lAuxertois, anche a Saint-Séverin le nervature delle coperture sono fortemente estradossate e con chiave di volta sporgente. Ma poiché i pilastri di tutta la terminazione orientale hanno più configurazioni (a sezione circolare o su base poligonale, oppure a fasci nervati, ecc.), l'innesto tra membrature delle volte e pilastri dà luogo a soluzioni formali altrettanto diversificate. E particolare rilievo è dato alla speciale forma del pilastro d’asse: un fusto tortile (fig. 3.148)che poco prima dell’innesto con il fascio delle nervature delle volte si arricchisce di una decorazione ad intaglio allusiva, si direbbe, ad un intreccio di rami o di radici arboree. Il complesso articolarsi delle nervature delle volte che confluiscono sul fusto incontra inoltre in modo irregolare le varie parti del fusto stesso. Ma proprio per la multiforme configurazione delle varie coperture, e per l'articolazione degli spazi che si ricollegano l’uno con gli altri, l’intera terminazione risulta un insieme unitario: una specie di soluzione a sala, dove domina il senso delle rotazioni figurative e della pluralità dei valori spaziali. Coadiuva inoltre, all’ottenimento di questo risultato, l’artificio di alzare la quota delle volte verso le cappelle, per permettere una migliore illuminazione di tutto l’insieme?7. Ai due esempi ora citati si affiancano Saint-Nicholas-des-Champs (iniziata nel 1451 e modificata nel 1541), Saint-Merri (1512-52), che tra l’altro risulta oggi con insolito impianto a quattro navate, Saint-Laurent (già basilica merovingia, fu ricostruita e consacrata nel 1429 e successivamente modificata nel Seicento ed ancora restaurata nel XIX secolo), Saint-Médard (a tre navate, fu ristrut-
turata tra XV e XVI secolo) ed alcune altre minori. Di Saint-Médard va anche segnalata la imprevista (appunto della fase tarda) soluzione dei pilastri 27 Questo è il giudizio, un po’ enfatico, espresso in Sanfacon, 1971 (pp. 94-96): «Nel rivelare da parte a parte un ribollire di vita entro i pilastri, nell’avvicinare le tensioni dei prismi ed il gioco delle superfici dei pilastri, si manifestava tutta una concezione del mondo, il valore inesauribile di ciascun oggetto e di ciascun essere, la speranza di incontri armoniosi, liberi e comunque ricchi di significati». Sulla stessa linea, in tono più contenuto, anche Frankl, 1962
(p. 196), nel richiamare qualche analogia con le colonne della cattedrale di Brunswick e della cappella di Eichstadt, nota che la spirale che avvolge i pilastri, e che scompare nella volta, sta a simbolizzare «un movimento senza principio e senza fine» (traduzioni mie).
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Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
della parte orientale: a fusto cilindrico, essi sono scanalati lungo tutta l’altezza quasi a riproporre il tema delle colonne doriche?®. In queste scanalature si inseriscono le altrettanto articolate, e graficamente segnate, profilature degli intradossi degli archi tra le navate. Ma vi sono almeno altri tre episodi di particolare rilievo. Nel 1492 si avvia la costruzione della chiesa di Saint-Etienne-du-Mont sulla collina di Sainte-Geneviève (figg. 3.149, 150 e 151), il cui completamento si avrà soltanto con la costruzione della facciata nel 1622. La chiesa è un vero e proprio palinsesto stilistico. Ciò è del resto ben evidenziato anche sul fronte con il susseguirsi verso l’alto di tre diversi prospetti: al primo livello uno schema a prospetto templare classicistico con semicolonne di ordine rustico, capitelli compositi, trabeazione e frontone triangolare (il tutto arricchito da decorazioni scultoree), al secondo livello la parte terminale di una chiesa manieristica (con frontone incurvato e trabeazione spezzata da un rosone medievalistico), infine una terminazione cuspidata in cui si inserisce una finestra con timpano curvilineo spezzato. Sui fianchi sono in vista le strutture che contraffortano le volte della navata principale. L’interno presenta soluzioni ancor più sorprendenti. A tre navate, con transetto, coro, e deambulatorio, la navata principale è interrotta da un al-
tissimo e scenografico jubé del 1521-40. Riccamente decorato con temi rinascimentali, il suo piano superiore, a galleria con balaustra, è raggiungibile con due altrettanto scenografiche scale a vista precedute da portali anch’essi rinascimentali. Le volte della navata principale, nell’intersezione con il transetto e con la parte orientale, danno luogo a soluzioni con liernes e tiercerons, e sono ulteriormente arricchite da chiavi di volta in parte con decorazioni a motivi araldici. Anche lungo la navata principale le alte colonne cilindriche sono collegate tra loro da una galleria a balaustrata sopra le arcate. La complessità delle soluzioni dell'interno, esaltata da una forte luminosità che assume toni caldi per la qualità della pietra impiegata, amalgama tra loro le varie componenti linguistiche. Temi e decorazioni tardorinascimentali risultano così quasi una logica conseguenza dei temi tardogotici. Praticamente contemporanea alla precedente è la chiesa di Saint-Gervais, SaintProtais (situata di fronte all’Hòtel de Ville). Iniziata nel 1494, fu terminata
assai più tardi: addirittura nel 1616 o 1617 quando l’architetto Métezeau realizzò la facciata con caratteri barocchi. Anche in questo caso, fatta salva la facciata che si presenta come elemento autonomo, le trasformazioni seicentesche che hanno interessato anche parti dell'interno, trovano un buon equibrio nell’amalgama con i temi del tardogotico. La pianta della chiesa è stata spesso attribuita a Martin Chambiges (autore del transetto della cattedrale di Beauvais e delle facciate della cattedrale di Troyes). Mancano però effettivi riscontri a tale attribuzione. Altro episodio importante è la chiesa di Saint-Pierre a Caen (figg. 3.152, 153 e 154), costruita da Hector Sohier tra
°* A quest'epoca l'architettura della Renazssance era ben diffusa in Francia: tanto sotto il profilo delle realizzazioni, quanto, anche, sotto quello della trattatistica. Dunque vi è motivo di credere che l’allusione al nuovo gusto non fosse solo casuale.
II. Il tardogotico «inter-nazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
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il 1518 ed il 1545. Il coro, con deambulatorio e cappelle radiali, riprende schemi gotici; ma all’esterno, in luogo dei pinnacoli, compaiono elementi a candelabra di sapore rinascimentale. L'episodio più interessante per stabilire il grado di permanenza delle tematiche tardogotiche pur in contesti ormai classicisti è però quello della grande chiesa di Saint-Eustache (figg. 3.155 e 156). Questa fu iniziata nel 1532 su progetto di Pierre Le Mercier, uno dei più noti tra gli architetti del pieno rinascimento francese, forse anche con la collaborazione di Domenico da Cortona. È infatti stupefacente constatare come, questa volta, il Le Mercier si sia attenuto ad una soluzione struttura-
le e spaziale pienamente tardogotica: vi sono mantenuti gli archi rampanti esterni e tutto lo schema costruttivo e spaziale rinvia alle tematiche medievalistiche. In sostanza è soltanto il linguaggio architettonico prescelto per la realizzazione dei singoli elementi ad indicare che quest'opera appartiene ormai pienamente ad una cultura ormai rinascimentale (la più tarda facciata a grandi colonne e con profondo e possente nartece è del XVIII secolo); perché, invece, la sintassi e l’organismo sono chiaramente il prodotto di una lunga, radicata, ed ancora accolta, tradizione di matrice tardogotica. E addirit-
tura, per Biunt??, lo schema planimetrico riprenderebbe quello della cattedrale parigina. L'architettura religiosa è certamente il settore di attività edilizia ove sono state realizzate, ed in maggior numero, le più importanti opere architettoniche della cultura tardogotica dell’area franco-brabantina-fiamminga. Vi sono, non di meno, anche importanti ed innovativi esempi nel campo dell’edilizia civile privata e pubblica. Per quanto concerne il primo dei due ambiti operativi, oltre al già ricordato spettacolare episodio della sala e del camino del palazzo di Poitiers, che rientra nelle eccezionali committenze di corte, durante il XV secolo vi sono anche altre interessanti realizzazioni di residenze; le quali, pur sempre di élite, sono però dovute a committenti di minor rango sociale. Nella società del tardo Medioevo la componente rappresentativa è sempre molto avvertita: «se durante il periodo gotico l’architettura chiesastica si proponeva di simbolizzare l’uomo come frammento del regno di Dio, l’uso delle forme gotiche nell’architettura civile tendeva a simbolizzare l’uomo come frammento della società»?°. Soprattutto in area francese si va così diffondendo il tipo del cosiddetto hétel particulier. Esso consiste in un complesso edilizio chiuso attorno ad una corte, a sua volta protetta da alto muro con rappresentativo portale d’accesso. In genere a due piani, con struttura preferibilmente in pietra a vista, il complesso risulta sempre assai articolato da numerosi elementi: più torrette emergenti sul tetto a falde fortemente inclinate, al di sopra delle quali si apre una serie di finestre ad abbaino, torrette situate nelle posizioni d’angolo, torri scalari, anch'esse
in genere disposte nella corte in angolo tra due delle fronti interne, e che si prolungano con tetto conico o piramidale oltre il tetto. Inoltre, quando si trattava di una residenza per esponenti del clero, vi era anche una cappella. 29 A. Blunt, Art and Architecture in France. 1500 to 1700, Suffolk 1970, p. 30. 30 Frankl, 1962, p. 150.
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Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
Di questi allora diffusi tipi edilizi, sopravvivono oggi, a Parigi, soltanto due principali esempi: l’Hétel de Cluny (1485-98) e l’Hòtel de Sens (1474-1519). Entrambi erano le residenze parigine degli esponenti religiosi delle due rispettive sedi (gli abati dell'abbazia di Cluny, i vescovi della diocesi di Sens).
I due complessi (figg. 3.157, 158, 159, 160 e 161), eretti su lotti di forma irregolare, si caratterizzano per la forte accentuazione in senso /lazboyant degli elementi di dettaglio: finestre a crociera e portali d’ingresso con soprastante decorazione architettonica (proporzionata ad quadratum e ricca di stilemi a curve e controcurve), porticati con volte a nervature estradossate e spesso con vele triangolari, sottili colonnine d’angolo, doccioni in muratura o metallo decorati con elementi zoomorfi o fitomorfi fantastici, ecc. Negli angoli sono anche presenti, al piano superiore, torrette circolari che rinviano ai temi dell’architettura fortificata del tempo. Nel caso dell’Hòtel de Cluny, la cappella, che per lusso e magnificenza di decorazioni (fig. 3.159) rivaleggia con la Sainte-Chapelle parigina, va sottolineata l’originalità delle sue caratteristiche costruttive e formali (un grande pilastro centrale a fungo, riccamente decorato) che ne fa una delle più interessanti espressioni del flamboyant parigino. Un episodio a sé stante è l’H6tel de Jacques Coeur a Bourges (1443-51 o 1453). Il committente era tesoriere ed ambasciatore di
Carlo VIII, e, per questa sua qualità, godeva di speciali favori presso il papa (lo protesse anche quando era caduto in disgrazia): la sua capacità finanziaria interessava il pontefice. Oltre all’intero repertorio decorativo ed alla sintassi compositiva propri delle architetture più avanzate del momento, nella casa di Bourges (figg. 3.162, 163, 164 e 165) sono presenti singolari elementi scultorei (come lo stesso ritratto del committente che si affaccia da un pannello od altre figurazioni analoghe) tesi a far irrompere gli elementi del quotidiano (valenze culturali ed artistiche del peculiare umanesimo dell'Europa centrosettentrionale) entro le geometrie delle parti architettoniche. Le quali poi, a loro volta, si articolano e squadernano in soluzioni distributive che evidenziano la generale libertà compositiva dell'insieme. Ancora a Bourges è da segnalare la Maison de la Reine-Blanche, un edificio per abitazione costruito tra fine Quattrocento ed inizi Cinquecento (fig. 3.166). Esso costituisce infatti un interessantissimo esempio del sistema costruttivo ad intelaiatura portante lignea e pannellature in conglomerati di malte ed intonaco. Il piano superiore, leggermente in aggetto rispetto al piano di terra, ha pareti marcate da una tralicciato a losanghe lignee a vista ed è ritmato dai montanti dei pilastri che sono portati in aggetto rispetto al piano sottostante e che, a loro volta, portano altre mensole che sostengono la falda del tet-
to a falde ripide. Alla trama lignea del piano di abitazione si sovrappone poi un sistema decorativo costituito da linee curve (ancora in legno) cuspidate e decorate con fiorettature che ricordano il tema delle ghimberghe. Inoltre
tutti i pilastri e gli elementi a mensola sono riccamente decorati ad intaglio
con figure araldiche e con stilemi allusivi ai pilastri tortili ed altro. La trave inferiore di bordo, cioè quella che delimita verso l'esterno il solaio in aggetto del primo piano, è a sua volta trattata come elemento decorativo: in corrispondenza con l’appoggio sulla mensola si inflette infatti verso il basso con
II. Il tardogotico «inter-nazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
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una soluzione formale piuttosto insolita in quest'area ed in quest'epoca. Episodio analogo, seppure meno ricco, è anche il cosiddetto Aitre de Saint-Maclou a Rouen (fig. 3.169). Oltre a questi principali esempi, è comunque tutta l'edilizia abitativa a presentare, nell’area francese, brabantina e fiamminga, un quadro di generale rinnovamento. Lo sviluppo delle città e, al loro interno, il progressivo accrescersi delle potenzialità economiche dei ceti professionali ed artigianali delle borghesie locali, si traducono infatti in un notevole fervore edilizio: frequentissimo, in quest'ambito, il ricorso a tipi edilizi caratterizzati dalla struttura ad intelaiatura lignea. Ma, a seconda delle zone, ed a seconda dei singoli casi, tale intelaiatura è poi completata da pannellature di materiali diversi: laterizio disposto in varie apparecchiature, malte di varia composizione, od altro. Ne risultano ambienti urbani estremamente vari e ricchi di an-
notazioni decorative: ne sopravvivono esempi a Rouen, a Bruges, a Gand, ecc. Per quanto concerne il settore dell’edilizia pubblica, o di pubblico interesse, si è già fatto cenno all'importanza che fin dal Trecento è stata data alla costruzione di palazzi per le amministrazioni e le istituzioni. Un importante esempio del tardo Quattrocento è quello del Palazzo di Giustizia di Rouen. Costruito a partire dal 1499, fu ampliato nel corso del Cinquecento (ed ulteriormente ingrandito con trasformazioni ottocentesche). Anche in
questo caso l’edificio, ricchissimo di elementi architettonici e di motivi decorativi del lessico fiammeggiante (figg. 3.167 e 168), è disposto attorno ad una corte d’onore ed organizzato secondo gli schemi planimetrici e le articolazioni tipiche degli hétels particuliers: una prova del raggiunto grado di integrazione tra i vari aspetti della cultura architettonica francese del tempo. Altro tema molto frequentato era quello dei grandi orologi pubblici: generalmente posti o sugli stessi palazzi pubblici o su torrioni o parti significative degli ambienti cittadini principali. Ancora una volta si può citare il caso di Rouen. Il cosiddetto Gros-Horloge, costruito nel 1389, ed in collegamento con l’alta torre civica (il Beffroi), fungerà da elemento di innesco per una successiva sistemazione cinquecentesca dell’area cittadina circostante. L'area germanico-austriaca e sue protezioni
Si è già accennato al perdurare, fin entro il Quattrocento, dell’influenza delle innovazioni del gruppo parleriano, e dei suoi continuatori, in quasi tutte le aree dell'Europa centrosettentrionale. Tale influenza è avvertibile in Slesia, specialmente a Wroclaw (Breslavia), ed in Boemia: in particolare, ov-
viamente, a Praga. Tra l’altro in questa città, nei primi anni del Quattrocento, alla parleriana chiesa di Tynn vengono aggiunte, per completarne l’impianto, le due torri quadrate con la innovativa soluzione delle cuspidi: un gruppo di quattro guglie piramidali, poste in corrispondenza di ciascuno degli spigoli della torre, che si combinano con una aguzza guglia centrale, anch’essa di forma piramidale, a metà altezza della quale si inseriscono poi al-
Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
DI
tre quattro guglie analoghe alle quattro degli spigoli (fig. 3.170). Questa soluzione, che riprende temi già presenti nella Torre della Polvere ed in quella del Ponte Carlo, e che in questa chiesa si caricano anche di motivazioni simboliche religiose, ha avuto in seguito larga diffusione in tutta la Boemia; e qua e là anche in Austria. Più interessante è registrare l’influenza parleriana in Ungheria. Qui, infatti, nel cantiere per la ricostruzione (volte delle navate del 1440 circa, completamento della copertura del coro 1477 circa) della chiesa di Kassa, distrutta da un incendio attorno al 1380, è probabilmente attivo un esponente di un ramo svevo della famiglia dei Parler. Certamente di impronta parleriana è, per esempio, la soluzione della volta stellare con pendente del portico anteposto alla facciata meridionale del transettto che ricorda soluzioni adottate a Norimberga?'. E proprio qui è possibile che si sia stabilito un rapporto di mutuo scambio tra le componenti tardogotiche parleriane ed i nuovi fermenti rinascimentali italiani: Mattia Corvino, che in conseguenza delle sue scelte politiche aveva frequenti contatti con le corti italiane, ne aveva infatti introdotto gli elementi nel quadro culturale ed artistico della sua corte ungherese. Va anche detto che in area germanico-imperiale (e relative proiezioni
esterne) la struttura operativa dei cantieri edilizi??, i più importanti tra questi sono quelli delle cattedrali ancora in attività, era da tempo essenzialmente fondata sul sistema delle logge (le Hzifte secondo la terminologia di lingua tedesca); e che l’organizzazione tecnico-corporativa su cui si fondava tale sistema si era nel frattempo ulteriormente affermata articolata e specializzata. Appositi statuti, uno importante è quello dei tagliatori di pietra emanato nel 1459 a Ratisbona (Regensburg), nel 1462 ne venne emanato uno simile per Dresda, ecc. fissavano obblighi e prerogative delle varie categorie di addetti al cantiere. Il fenomeno dell’accrescersi di importanza e di incidenza del sistema delle logge nel processo produttivo dell’edilizia, è da mettere anche in rapporto con il parallelo processo di definizione e specializzazione, di ruolo tecnico e di rango sociale, che interessava le figure delle maestranze di vario livello implicate nella costruzione. Ciò riguardava in primo luogo, ovviamente, la figura dell’architetto: che sempre più andava assumendo il carattere di esperto della progettazione su base tecnico-geometrica; e che, pertanto, prima di ottenere la sua qualifica, era tenuto a passare attraverso un
preciso tirocinio formativo. Si giungerà così, a partire dalla seconda metà del Quattrocento, alla compilazione e pubblicazione di opere di tipo specialistico e pratico che assumono il carattere di veri e propri manuali per architetti. Una delle più celebri tra queste opere, per l’area germanica, è quella 3! Recht, 1989, p, 69.
2° I cantieri più importanti e le loro logge sono divenuti centri di accumulazione di conoscenze tecniche e di nuove sperimentazioni. Mentre permane la supremazia della loggia di Strasburgo, in questa fase sono importanti i cantieri di Vienna e di Berna. Anche la loggia di Colonia, malgrado il cantiere risulti interrotto conserva il suo prestigio. Meno significativo è
invece il ruolo del cantiere di Praga dopo l'interruzione dei lavori e soprattutto dopo la scomparsa del gruppo parleriano.
II. Il tardogotico «internazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
Dio
sui pinnacoli (Puechleîin von der Fialen Gerechtigkeit) dovuta a Matthias
(Mathes) Roriczer, il capomaestro della cattedrale di Ratisbona. Stampata appunto a Ratisbona nel 1486 (lo stesso anno, fa notare Grodecki??, della pubblicazione in Italia dell'edizione di Vitruvio), subito dopo venne aggiunta ad essa, dallo stesso autore, una parte definita come Geometria teut-
sch: considerazioni sul ruolo essenziale (per esempio i metodi per passare dal piano all'elevato di un progetto) che la disciplina geometrica era chiamata a svolgere nella pratica dell’architettura. Altre opere simili sono state redatte a Vienna, a Dresda, ecc. Nel 1516 Lechler, anch'egli capomaestro, pubblica
un altro trattatello (dedicato a suo figlio) nel quale fissa precise regole sui rapporti proporzionali tra le parti di un edificio chiesastico: tra larghezza e lunghezza di un coro di una chiesa (dovrà avere un rapporto di uno a due), tra la sua larghezza e la sua altezza (una volta e mezzo la larghezza), nonché tra lunghezza della navata e del coro (rispettivamente quattro a uno). Indica poi molti altri dati proporzionali sulla base di principi modulari legati anche allo spessore del muro. È evidente che queste opere sono una sorta di consuntivo di nozioni fondate su esperienze maturate da tempo. Infatti, nell’area, significative premesse al peculiare quadro innovativo che si definirà a partire dalla metà circa del Quattrocento, e che si prolungherà poi fin entro il Cinquecento, sono già individuabili nelle opere dei primi anni del XV secolo. E, come sempre nel Medioevo europeo, è l’edilizia religiosa nel suo insieme a costituire il campo privilegiato della sperimentazione architettonica. Nell'area germanico-imperiale le committenze più attive sono in particolare quelle degli ordini mendicanti, ed è proprio nell’ambito della loro azione che tra fine Quattrocento e primi Cinquecento si colgono i risultati più interessanti. Si potrebbe, in ciò, vedere qualche analogia con il quadro due-trecentesco italiano. Ma in ambito germanico-austriaco, dove, assieme a quella imperiale, è forte la struttura centralistica di ordine feudale, il grado di do-
minanza territoriale dei ceti cittadini, e delle loro rappresentanze ed organizzazioni (fatto salvo il sistema delle Hanse che dominano nell’area dell'Europa settentrionale) è invece relativamente meno forte che in Italia. Di conseguenza è anche diverso dall’Italia il grado di integrazione che gli impianti edilizi degli ordini mendicanti presentano nei confronti del tessuto cittadino e della configurazione dei suoi spazi fisici: il valore di innesco del processo di espansione o modificazione della forma delle città, attribuibile alla creazione degli insediamenti mendicanti, appare in area germanico-imperiale assai più basso che, appunto, in Italia. In questo contesto, se appare meno significativa, perché legata a schemi figurativi noti, la soluzione data alla facciata occidentale della cattedrale di Vienna (ca. 1430) (fis. 3.43), l'avvio del XV secolo fa però registrare molte novità in tutta l’area germanico-imperiale. È stato già ricordato come nei primi anni del Quattrocento la generazione di architetti che si pone al seguito del sruppo parleriano abbia ulteriormente introdotto significative novità 33 Grodecki, 1978, p. 150.
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nell’architettura chiesastica. Sia quanto avviato da Hans von Burghausen (anche conosciuto come Stethaimer) nelle due chiese di Landshut, sia gli sviluppi che ne sono derivati nel coro dei Francescani a Salisburgo, trovano così un seguito organico durante tutto il secolo. Nel 1421 viene eretta la chiesa di S. Martino ad Annaberg ove sono contemporaneamente individuabili temi della chiesa dell’ospedale a Landshut e di quella dei Francescani a Salisburgo. Della prima viene infatti adottata la soluzione dell’innesto tra pilastri e volte, della seconda lo schema del coro con contrafforti interni e galleria balconata alla base delle finestrature. In un certo senso questa è la prima di una serie di chiese di caratteristiche analoghe la cui diffusione riguarderà anche le aree dell’ Austria meridionale e le valli del Tirolo a nord e a sud dei valichi alpini. Tra il 1427 ed il 1438, probabilmente ad opera di Heinzelmann, viene costruita la chiesa di S. Giorgio a Nérdlingen. Qui il coro è
di minor larghezza rispetto al corpo longitudinale delle navate; e, dunque, sulla base di quei principi proporzionali che saranno formalizzati più tardi, anche la sua altezza risulta minore. Però la larghezza della navata principale corrisponde a quella del coro ed inoltre non muta la forma cilindrica dei pilastri che sembrano proseguire ininterrotti fino alla terminazione orientale. Di conseguenza, spazialmente, il coro (come a Landshut e, prima, a
Schwabisch-Gmiind) appare un prolungamento della navata principale. Anche il tracciato delle coperture, seppure oggettivamente diverso nelle due parti, contribuisce a rafforzare l'impressione di unità tra navata e coro: ciò perché la differenza nei tracciati delle nervature delle volte, rispettivamente della navata e del coro, passa otticamente in secondo piano rispetto alla accentuata bicromia che contrappone le nervature, stagliate in scuro, alle superfici, chiare ed intonacate, delle vele. Subito dopo il S. Giorgio, ed anche in questo caso, probabilmente, su disegni dello stesso Heinzelmann cui però fa seguito Konrad Roriczer (padre dell’altro), viene costruito (1439) il coro della chiesa di S. Lorenzo a Norimberga (fig. 3.171): in aggiunta e completamento della preesistente navata dalla quale, in questo caso, il coro si differenzia sia spazialmente sia per il lessico adottato. Vi sono invece analogie con lo schema del coro della chiesa francescana di Salisburgo; soprattutto nell’uso dei contrafforti interni, che, con la loro sporgenza, danno luogo alla formazione di una galleria balconata alla base delle alte finestrature. Lo schema geometrico delle nervature delle volte è estremamente variato. Vi compaiono (nelle varie parti del deambulatorio) schemi a losanghe distribuite in più campate, schemi stellari irregolari, e (nella copertura del coro propriamente detto) tracciamenti compositi ulteriormente differenziati lungo le tre campate del coro stesso. Situazioni analoghe si hanno inoltre nel più tardo (fu completato solo nel 1492) S. Giorgio di Dinkelsbiihl; che, malgrado la sua datazione molto tarda (si dovrebbe forse parlare di un episodio di sopravvivenza) viene comunque da tutti considerato come parte del gruppo precedente. Nel loro insieme, queste opere rappresentano, scrive Frankl4, 34 Frankl, 1962, p. 187.
II Il tardogotico «inter-nazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
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il più alto grado di armonia raggiunto dal tardogotico più maturo. L'interna tensione estetica delle forme che vi traspare, e che ne fa prodotti «classici»,
scaturisce dalla svalutazione degli elementi dello «stile dell’essere» e dal precisarsi dello «stile del divenire»: cioè del crescere, dello svolgersi e dello snodarsi dei singoli elementi; e, più in generale, del parallelo fluire della sequenza degli spazi architettonici. Ciò consente agli architetti una notevole disinvoltura nell’innesto di nuove parti ad edifici preesistenti. Ne sono esempi le aggiunte effettuate (1507) nella duecentesca chiesa di S. Leonardo a Norimberga, ed ancora nelle cappelle aggiunte (Heydenreich), nel 1509-24, alla Frauenkirche di Ingolstadt. Un ulteriore interessante passaggio si registra verso la fine del Quattrocento. Ne è un esempio centrale la chiesa di S. Anna ad Annaberg (Sassonia); che, avviata a partire dal 1499, fu completata tra il 1516 ed il 1522. L'e-
dificio (fig. 3.172), a tre navate con terminazione orientale triabsidata (nella terminazione i contrafforti in corrispondenza dei pilastri sono interni, quelli nelle parti finestrate sporgono all’esterno), si presenta come una sala unica; ove però, nelle navate laterali, i pilastri di contrafforte sporgendo all’interno danno luogo alla realizzazione di una galleria posta alla base delle piccole e strette finestre. Svoltando sulla retrofacciata a determinare un endonartece della profondità di una campata, tale galleria si prolunga poi per ulteriori cinque campate lungo i muri esterni. Due cappelle (anch'esse poligonali) contrapposte e situate in corrispondenza della penultima campata, quasi come piccole braccia di un transetto, anticipano il passaggio verso la parte terminale della chiesa. Si presume che il complesso tracciamento delle nervature delle volte sia databile a qualche anno prima del 1516. In tal caso esso sarebbe stato delineato contemporaneamente a quello delle volte della cappella del King's College di Cambridge. Ma la concezione è del tutto differente: prova evidente dell’autonomia delle linee di ricerca seguite dagli architetti germanici. Infatti ad Annaberg lo schema delle nervature (molto sporgenti ma, al tempo stesso, molto sottili: si direbbero lamine lignee) è frutto di un’originalissima ricerca grafica tutta basata sull’intersezione di linee sinusoidi. Per esempio, in rapporto a tale proiezione, al centro della navata principale compare un’unificante serie di schemi a petalo di fiore che, al confluire verso i pilastri vanno a trasformarsi in altra figura anch'essa allusiva di forme tratte dal mondo vegetale. Però, poi, nel passaggio alle navate laterali, l’intero sistema ripropone schemi riconducibili ad intrecci di laannodature 0 di arabeschi. Ma, proprio per la speciale configurazione a Inin come è, non emerge ne che spaziale mina delle nervature, il risultato ghilterra, quello di un intrico dietro al quale scompare la superficie della volta: ma, al contrario, è quello di proporre un armonioso ed equilibratissimo vagioco di interrelazioni tra i valori di superficie delle vele delle volte ed i medesila che inoltre notare Da lori linearistici dei tracciati delle nervature. collegano ma sintassi è adottata anche nel modo con il quale le nervature si che modo in disposti e ai pilastri ottagonali (a facce leggermente concave, une le scomparendo sia uno degli spigoli corrisponda all’asse del pilastro):
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negli altri e viceversa, sia avvolgendosi a spirale su di essi per terminare con piccolissimi peducci scolpiti. Altri due importanti opere di questo periodo sono, a Meissen, l’Albrechtsburg, cioè il castello (figg. 3.173 e 174) ed il duomo, costruiti a partire dal 1471 da Arnold di Westfalia, capomaestro dell’elettore di Sassonia. Di particolare inventiva sono le soluzioni adottate per la sala principale dell’ Albrechtsburg. Qui una serie di volte a profilo archiacuto si impostano quasi a partire dalla quota del pavimento. Terminano infatti con brevi tratti di piedritto, vere e proprie basi di pilastri che restano per così dire quasi come sola «memoria» strutturale. Molto scavati, tanto da apparire praticamente svuotati, di tali pilastri compaiono infatti pochi elementi (colonnette cilindriche o piccoli segmenti spigoluti) che si perdono nella massa delle reni delle volte e che si inseriscono nella base con soluzioni tortili e spigolose. Ad accrescere l’effetto di una architettura che si lega a modi della scultura lignea, la configurazione delle volte è determinata tanto da nervature molto profilate, e non sempre legate a linee costruttive, quanto da ripiegamenti a spigolo vivo delle parti lasciate ad intonaco: un primo apparire delle volte ad alveoli di cui si parlerà più sotto. Ne emergono valori spaziali imprevisti e quindi sorprendenti: perché centrati sul dinamismo e sulle qualità sollecitative di figure fantastiche che derivano da un uso inedito della combinazione tra solidi geometrici. Dunque, diversamente dal più generale giudizio di Grodecki?, che cioè non è possibile utilizzare anche per l’architettura tedesca di questo periodo, intesa nei suoi complessivi valori di spazialità, le categorie critiche elaborate per la scultura e pittura degli inizi del secolo (rispettivamente wercher Stil, stile fluido, ed eckiger Stil, stile angoloso), inve-
ce, almeno per la sala dell’Albrechtsburg, ciò è forse possibile. Per quanto osservato in merito al risultato spaziale che scaturisce dalla peculiare configurazione dei singoli dettagli, non sembra infatti improprio stabilire una qualche correlazione tra il lessico ivi adottato e le ricerche figurative dello eckiger Stil: evidentemente accolte con ritardo cronologico. Comunque, e qui il giudizio di Grodecki riprende tutta la sua importanza, all’ambito dello eckiger Stil appartengono numerosi esempi che riguardano soltanto parti aggiuntive, quindi elementi di dettaglio, di insiemi architettonici complessi. Si possono ad esempio ricordare il portale di S. Lorenzo (1495-1505) della cattedrale di Strasburgo, il cosiddetto Arco di Simperto (1492) nella chiesa dei SS. Ulrico ed Afra ad Augusta, ed altri numerosissime sistemazioni di altari, di cappelle gentilizie ecc. Ma il tema architettonico più interessante, e che fa maggiormente pensare a più meditati rapporti con il gusto dello eckger Stil, è quello della cosiddetta volta ad alveoli di stucco (Zellengewéòlbe). Consiste, questa, in un insieme di profilature a spigoli acutissimi che simulano le costolonature di un sistema a ziercerons e liernes; ma che, rispetto ad esso, non evidenzia alcuna costolonatura o nervatura, e che, inoltre, trasfor-
3 Grodecki, 1978, p. 148.
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DIL
ma le superfici delle vele in elementi fortemente incavati. Dall’insieme si ricava la sensazione di un ripiegarsi di superfici di carta (sul genere degli origami giapponesi), o, più pertinentemente, di intagli lignei. La qualità forte del segno diviene così un elemento di innovazione del gusto. Quel tipo di volta, osserva Recht?5, «è il logico sfocio di un processo alla cui origine si trova, dopo Peter Parler, Hans Stethaimer, che aveva proceduto alla reciproca commessura dei segmenti di volta [...] trasformati in un sistema autoportante [...] che implica un maggior frazionamento della volta». L'esempio più importante è quello della chiesa dei SS. Pietro e Paolo a Sobeslav (ca. 1500), dove il medesimo gioco di spigoli si ritrova nei pilastri ottagonali con lati leggermente concavi (fig. 3.175); ma altrettanto interessante è il caso di alcune delle volte della navata sud della chiesa di S. Maria a Danzica (1484-1502).
La volta ad alveoli avrà in seguito larga diffusione nelle aree settentrionali ed anche in Boemia. Su di un piano completamente diverso, che trova assonanze nel Saint-Séverin di Parigi, si colloca la soluzione adottata nel 1469 nella cattedrale di Brunswick (fig. 3.176). Qui compaiono pilastri tortili, le cui spire, alternatamente da pilastro a pilastro, si avvolgono in senso sinistrorso e destrorso; così moltiplicandone ed esaltandone il senso di rotazione. I pilastri terminano poi verso l’alto, all'imposta delle nervature delle volte, con un collarino costituito da una serie di sovrapposti abachi a pianta stellare. Anche in questo dettaglio sembrerebbe quindi potersi avvertire una propensione ad accogliere le suggestioni dello stile spigoloso. Ciò che domina, e ne è il significato spaziale primario, è però il senso di mobilità e torsione sprigionato dalla forma dei pilastri: un moto che si estende all’intero ambiente architettonico di cui i pilastri sono solo parte, anche se parte integrante essenziale. Agli inizi del Cinquecento sono poi da segnalare altre significative opere. La prima è la chiesa di Volklamarkt: un esempio di chiesa a due navate, con pilastri ottagonali, volte a trama ed un endonartece (fig. 3.177) con soprastante galleria. Più completo e raffinato è il caso di S. Maria a Pirna (1504-46): un’elegantissima chiesa (in pietra da taglio) parrocchiale su pian-
ta a tre navate divise da pilastri ottagonali a facce concave, coperta con una volta a trama fitta e regolare (fig. 3.178). Ma tale trama all’altezza delle reni della volta stessa si trasforma lasciando discendere solo le nervature che si innestano sui pilastri; però immettendovisi non lungo gli spigoli, ma sulle loro facce concave. E ne scaturisce un’ulteriore interessante soluzione: l’innesto tra le facce concave dei pilastri e le superfici coniche del quasi-fungo, alternandosi con l’innesto delle nervature sulle facce del pilastro, dà luogo ad una raffinata configurazione d’insieme che richiama forme a lancette o simili. Un caso anomalo è poi quello delle navate laterali della cattedrale di Ulm. Troppo vaste nella soluzione di Ulrich von Ensingen, ciascuna di esse venne più tardi suddivisa da Engelberg in due altre navate; le quali, senza
36 Recht, 1989, p. 72.
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che sia tentato alcun rapporto con la navata centrale, sono coperte con volte di tipo stellare sorrette da pilastri cilindrici che terminano in alto con un collarino traforato. Nella configurazione del tracciato della volta e nei dettagli dei pilastri si possono quindi intravvedere richiami alla chiesa di Gmiind?”. Molte altre chiese dell’alta Sassonia presentano soluzioni analoghe a quella di Pirna. Tra queste si colloca per esempio la chiesa di Zwickau. Un capitolo nuovo dell’architettura tardogotica di area germanico-imperiale si ha in Boemia dopo la fine delle sanguinose guerre hussite della prima metà del Quattrocento. La figura che più di ogni altra riesce a cogliere ed a far emergere le virtualità, statiche, spaziali e decorative, implicite nella poetica parleriana, di essa sviluppando ed indagando concretamente le più avanzate suggestioni, è senza dubbio quella di Benedikt Ried: il maggiore degli architetti operanti a servizio della corte imperiale tra fine Quattrocento ed inizi Cinquecento. Il quale tra l’altro, proprio per questa sua specialissima condizione di architetto reale, ha potuto svolgere la sua opera al di fuori dei condizionamenti che venivano invece posti agli architetti dalle corporazioni di mestiere (e dalle logge) del tempo. Il suo committente, Vladislao Jagellone, che diviene re di Boemia nel 1471 e re d'Ungheria nel 1490, lo nomina capo del cantiere della sede di corte (Hradcany) dove figura attivo a partire dal 1489. Qui viene realizzata la sua opera più importante e suggestiva: la grande sala destinata a varie attività di corte (fig. 3.179). Lungo ben sessantadue metri e largo sedici, l’ambiente è coperto con una volta che si estende da parete a parete senza sostegni intermedi. Riconducibile, nel suo schema geometrico di base, ad una volta a botte ribassata con unghie (tra i massicci contrafforti disposti lungo i due lati più lunghi della sala), tale figura spaziale e strutturale è però modificata e complicata dalla presenza di fluenti nervature ad intreccio. Le loro linee sinuose, che si disegnano come sottili lame lapidee sporgenti dalla superficie intonacata, rendono difficilissimo percepire l’esatta costruzione geometrica delle superfici delle volte. Risulta così anche impossibile discernere il ruolo, o strutturale o semplicemente grafico-decorativo, che esse sono chiamate a svolgere nell’intero contesto architettonico. Un elemento di chiara impronta parleriana, echeggiante dettagli della cattedrale, è comunque l’interrompersi improvviso delle nervature del sistema secondario dopo aver intersecato una nervatura appartenente al sistema primario. Vi è tuttavia differenza di opinioni sulla datazione di quest'opera ed anche sulla sua paternità. Recht propone una data successiva al 1490; successiva cioè, egli suppone, ad una visita a Budapest del Ried: dove l'architetto avrebbe conosciuto il lessico rinascimentale. Tale lessico è infatti presente qua e là nell’architettura della sala: parzialmente all’interno, almeno nel portale (con colonne e capitelli pseudocorinzi) che dà accesso alla scala dei cavalieri (che invece, fuori dalla sala, ripropone temi tardogotici quali le curve a carena di nave sul retroportale e le curve si» «I pilastri cilindrici ed i collarini circolari stanno a ricordare che Engelberg aveva familiarità con Gmind» (Frankl, 1962, p. 203, trad. mia).
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nuose sulla volta del'vano-scala stesso); ma soprattutto all’esterno, nel trat-
tamento della facciata prospiciente la cattedrale. Di diverso parere è Frankl: che propende invece per una datazione di avvio fissata al 1482 o 1484, e che sostiene che l’attuale copertura sarebbe stata eseguita solo nel 1502 in seguito a crollo della precedente copertura. Dunque non sarebbe sicura la paternità riediana della soluzione attuale?8. È però certo che nella facciata nord vi sono finestre che recano la data 1493, e che, per l'impianto, appaiono ispirate a temi urbinati (fig. 3.180). Un’altra opera di grande rilievo di Benedikt Ried è il completamento della cattedrale di S. Barbara a Kutn4 Hora (Kuttenberg). Questa era rimasta incompiuta dopo la morte, nel 1506, del
capomaestro Rajsek che aveva condotto il cantiere secondo l’impianto parleriano. Nel frattempo Kutnà Hora era divenuta un importante centro economico in ragione della sua fiorente attività mineraria. Vi era stata impiantata, tra l’altro, anche una zecca; un edificio quattrocentesco (di notevole li-
vello qualitativo, con finestre crociate e con un’elegante corte interna) che veniva talvolta usato come residenza provvisoria di corte. Ried firma nel 1512?° il contratto per la prosecuzione dei lavori della cattedrale, ma interviene nell’opera trasformandone gli elementi principali. Si stabilisce dunque un interessante parallelo con la situazione che si era creata nel cantiere del-
la cattedrale di Praga dopo la morte di Mattia di Arras. Così come Peter Parler vi aveva introdotto una nuova poetica, distinta da quella francese, ormai
divenuta tradizionale, altrettanto Ried, ponendosi a sua volta come innovatore rispetto alla tradizione parleriana, ne promuove il superamento. Sovrapponendo all’impianto del primo livello a cinque navate un secondo più alto livello a tre navate (sulla verticale della navata centrale e delle due prime laterali del piano sottostante), egli copre l'insieme principale (le navate più esterne del primo livello, coperto a tetto, sono scavalcate da archi rampanti) con un unico sistema voltato (figg. 3.32 e 33); che, come nella sala di Vladislao, si compone di nervature intrecciate con profilo a lama e con tracciato a rosoni intersecati l’uno nell’altro. In tal modo tutto l’insieme, percepibile in una veduta diagonale dal basso, acquista quasi, sorprendentemente, il valore spaziale di una chiesa a sala su due livelli. Al risultato unitario di uno spazio pluridimensionale e pluridirezionale contribuisce anche la configurazione dei pilastri che appaiono quasi come prosecuzione degli intrecci della copertura. Sono infatti caratterizzati da elementi verticali esili e nervosi che si alternano a gole profondamente incavate; entro cui vanno a confluire, perdendovisi, le nervature a lama delle volte. Al centro della navata
principale l'intersezione delle varie nervature forma tracciati a fiore che cul-
38 Recht, 1989, pp. 69-70; Frankl, 1962, p. 194.
39 Va sottolineato che tale data è posteriore di circa un ventennio rispetto a quella delle finestre della facciata settentrionale della Sala praghese, è quasi coincidente con la realizzazione del cortile rinascimentale (opera del fiorentino Francesco della Lora, morto nel 1516) del palazzo reale di Cracovia, ed è anche molto prossima a quella in cui, ancora a Cracovia, venne iniziata dal toscano Bartolomeo Berecci la cappella di Sigismondo (1519-31), di pieno carattere rinascimentale italiano.
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minano a guisa di corolla in corrispondenza della chiave di volta. La coper-
tura esterna, al di sopra delle volte, richiama l’immagine di una serie di ten-
de a padiglione, il cui montante centrale si prolunghi poi come guglia. Nello stagliarsi contro il cielo, tutto l’insieme assume così un carattere fiabesco ed esotizzante. L’opera di Ried si colloca proprio sul crinale di passaggio fra gli ultimi fantasiosi sviluppi del linguaggio tardogotico e la progressiva accettazione, in Boemia, delle tematiche rinascimentali italiane. E questo, cer-
tamente, un effetto della politica culturale avviata da Vladislao Jagellone durante il suo regno (1471-1516): politica che ha rinsaldato e rafforzato i molti e complessi legami che tra cultura italiana e cultura boema, sia in campo artistico-letterario, sia in campo scientifico, si erano già stabiliti a partire dalla seconda metà del Quattrocento. Ne è prova la presenza in Boemia di architetti civili e militari italiani, ma ciò traspare anche sia dagli scritti di Enea Silvio Piccolomini, che loda apertamente l’architettura chiesastica boema, sia dal ruolo di primo piano che tra Roma e la Boemia, proprio in quel clima culturale (poi anche nei più tardi sviluppi) ha giocato la figura e l’opera di Copernico. Il tardogotico germanico trova una larghissima diffusione, talvolta con soluzioni tipologico-formali autonome, anche nelle aree meridionali dell’impero: in particolare nell’insieme del territorio austriaco e nelle ulteriori proiezioni verso le valli tirolesi al di là ed al di qua delle Alpi. Ad Innsbruck, nel tardo Quattrocento, domina la figura di Niclas Turing il Vecchio (è al servizio del duca Sigismondo) che esegue varie opere: sia civili, per esempio la casa dal tetto d’oro detta Goldenes Dachl (fig. 3.181); sia religiose tra le quali si segnala la chiesa di S. Giovanni a Matrei. In seguito si porrà in luce anche Grigorig Turing (figlio di Niclas). Alla bottega dei Tiiring va riferita anche la cappella di S. Vito (distrutta alla fine del secolo scorso) ed altre case nella città vecchia di Innsbruck. Appartengono al gruppo delle più interessanti chiese di queste aree, la cappella di S. Leonardo a Kundl, la cattedrale di Lienz (navate consacrate nel 1457, il coro nel 1497) da attribuire ad Hans Huber, il coro della chiesa di Garmisch, il duomo di Bressanone (consacrato nel 1472), il cui coro è stato avviato a costruzione dal cardinal Nico-
la Cusano tra 1453 e 14639 (fig. 3.182), la navata della chiesa vescovile di Merano (fig. 3.183); inoltre, ancora a Merano, la chiesa dell’ospedale (ca.
1483), che nel tipo e nella disposizione dei pilastri richiama l’analoga chiesa dell'ospedale di Landshut e che potrebbe essere opera di Hans Feur, ecc. Si deve anche notare che in tutto il Tirolo il rapporto tra ricerca architettonica e ricerche delle arti figurative appare più stretto che in altre parti dell’impero; e che, pur nelle molteplici occasioni di contatti con le componenti culturali e figurative italiane (i pittori postgiotteschi, Altichiero, ecc.), per esem-
pio documentatissimi nel caso del celeberrimo pittore-scultore Pacher (è stato a Padova, ha avuto rapporti con Giovanni Bellini), le forme rinasci-
*° Per queste notizie si rinvia a Buchowiecki, 1952, pp. 349-359 (passim).
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mentali stentano a perietrare nella cultura di quei territori. Come è stato osservato da Weingartner*!, soprattutto nel Tirolo meridionale si continuerà a costruire in forme gotiche durante tutto il Cinquecento. E ciò, si deve aggiungere, in perfetta sintonia con le opere di scultura e di pittura: soprattutto nei temi di natura chiesastica e religiosa ma anche in complessi di tipo laico-cortese quali numerosi castelli feudali di quell’area. I valori localistici hanno posto cioè un filtro alla penetrazione di forme e mode provenienti dall'esterno. Nei centri minori dell’ Austria meridionale, e nel Tirolo setten-
trionale e meridionale*, tale fenomeno ha assunto caratteri peculiari. Si è infatti creato uno stretto collegamento tra le forme dell’arte popolare locale e quelle delle più generali linee dell’architettura tardogotica tedesca. Nel Tirolo meridionale, attualmente in territorio italiano, se ne hanno numerosi
esempi. Come già ricordato, tracce della scuola parleriana sono per esempio individuabili nel coro della parrocchiale (ora cattedrale) di Bolzano (tardo Trecento) (fig. 3.183), ed ulteriori tardi echi, nella medesima chiesa, sono
leggibili sia nella torre campanaria (inizi XVI secolo) sia, con più precisione documentaria, nel portale sud databile al secondo decennio del Quattrocento. Ma vi sono anche esempi minori. Un insolito episodio è il gruppo chiesastico di Dreikirchen nella val d'Isarco: un insieme costituito da tre chiese autonome, dedicate a tre diversi santi, che sono disposte quasi a contatto l’una con l’altra. Comunque il fenomeno interessa numerosissime chiese e cappelle, spesso di alto livello qualitativo, oltre che della val d'Isarco, anche dell’altipiano dello Sciliar, della val Sarentino, ecc.*.
Per suo conto l’edilizia civile dà altresì occasione ad importanti complessi in vari centri dell’area germanico-imperiale. Si segnalano qui, tra le altre opere, il palazzo pubblico di Praga, che risulta da più accorpamenti (fig. 3.184), ed in particolar modo quello di Wroclaw (Breslavia), databile a partire dal 1471, che è situato al centro della piazza cittadina (fig. 3.185). Di massiccio impianto e con struttura lapidea a vista (di colore piuttosto scuro), esso consta di corpi centrali coperti a tetto con falde fortemente inclinate e con terminazione frontale a pignone. Una serie di torrioni quadrati, con terminazione fortemente cuspidata, affianca il corpo centrale, modificandone l’im-
patto e l’immagine volumetrica. La decorazione dei frontoni dei pignoni è ottenuta con rilievi che richiamano consueti elementi del linguaggio decorativo fiammeggiante (colonnette ed archetti a curva e controcurva); mentre lungo i lati delle falde del tetto si innalzano numerose sottili guglie. La do-
4! In Buchowiecki, 1952, p. 353.
4 Fin dall’età romana ma poi anche durante tutto il Medioevo (vi sono importanti mo-
numenti di età carolingio-ottoniana) il Tirolo è stato un importante tramite di comunicazioni
e di interessi economico-politici (di qui la forte feudalità che ne ha caratterizzato la storia medievale) tra l’impero ed il territorio italiano. 4 Oltre a quelle citate, fanno parte di questo numerosissimo gruppo di opere anche la parrocchiale di Vipiteno (Sterzing), il cui coro (1469-73) è opera di Hans Feur,e le chiese di Fiè (Véls) e di San Valentino presso Siusi. Per queste e le precedenti notizie si rinvia a Buchowiecki, 1952, pp. 346 sgg.
D22.
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minante caratterizzazione in senso murario dell’edificio non
è nemmeno
contraddetta dall’apertura delle finestre: in genere di tipo cuspidato anche se non mancano (nelle parti aggettanti che complicano la stereometria dei torrioni) finestre di tipo a croce. In Boemia, a Cracovia, oltre a parti del vecchio palazzo pubblico del centro cittadino (il Rynek), è di notevole livello architettonico il quattrocentesco Collegium Maius dell’Università Jagellonica (che contiene un’importantissima biblioteca). Vi compaiono temi decorativi del tutto originali: in particolare, nel cortile (figg. 3.186 e 187), i pilastri cilindrici (a sezione quasi ellittica) che delimitano il porticato sono decorati con una fitta trama di losanghe a rilievo e terminano in alto con una sorta di collarino ad anelli rientranti. Gli archi di sostegno delle volte del portico stesso vi si inseriscono terminando su questi collarini con profili del tutto insoliti: quasi un sistema di lamine lapidee con sezione a croce. Nella decorazione dei parapetti (delle scale esterne e delle parti a balaustra), dei portali di ingresso, e delle finestre compare poi un vasto repertorio di cornici a carena di nave, o con soluzioni fondate su tracciati ad quadratum; mentre gli
stipiti terminano in basso con un articolato gioco di incastri prismatici. Il tardogotico nella penisola iberica Tra XV e XVI secolo la produzione architettonica delle aree ispaniche* della penisola iberica è molto vasta e ricca di fermenti; in parte anche autoctoni. Tale fervore edilizio si collega, e ne è un riflesso, ad un insieme di vicende di ordine politico, economico, sociale, religioso, etnico, che hanno
determinato profondi cambiamenti nell’intero bacino mediterraneo e, di conseguenza, in tutta l’area peninsulare. La prima metà del XV secolo è infatti marcata dalla fortissima ascesa, anche economica, del regno di Aragona. In un dinamico processo di espansione ed unificazione dei suoi territori, il regno aragonese si estende infatti a comprendere, via via, la prospera Catalogna, le isole Baleari (che per un breve tempo erano state un regno autonomo), ed infine, negli anni Cinquanta, l’Italia meridionale. In questo stesso periodo perde invece di dinamismo il grande regno di Castiglia; però, malgrado tale debolezza (o forse proprio per tale ragione), nel 1469 si uniscono in matrimonio, ed a pari diritti, Isabella di Castiglia e Ferdinando d’Aragona. La successiva loro ascesa al trono tra il 1474 ed il 1479 (verranno definiti iRe Cattolici), pone così in essere, con l’unione dei due regni, un vasto potentato politico-territoriale: prospero malgrado che, nel suo interno, non mancassero lotte tra i sovrani e la nobiltà e tra i vari esponenti della stessa nobiltà. D'altro canto, nella seconda metà del secolo, la caduta di Co-
stantinopoli nel 1453, e le successive mire espansionistiche dell’impero tur-
1 In questo paragrafo non si fa cenno all'ambito catalano, perché è oggetto di separata trattazione nel terzo capitolo di questa parte.
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co verso l’area danubiana (ne è parte centrale il tentativo peraltro risoltosi poi con un grave insuccesso militare di espandersi fin sotto Vienna) apparivano come una concreta minaccia portata dall’Islam all’intero universo dell'Europa cristiana. In tale nuovo quadro internazionale il fenomeno della Reconquista, cioè il più che bisecolare processo di riacquisizione alla cristianità dell’intera penisola iberica, conosce un’ulteriore accelerazione a partire dalla metà del Quattrocento. I Re Cattolici, sostenuti dalla Chiesa, si impegnano infatti per l'allontanamento dalla penisola iberica dei residui potentati arabi. Questa scelta strategica non dipendeva però soltanto da motivazioni, pur forti e sentite, di carattere religioso ed ideologico. Rientrava infatti anche nel più vasto disegno, contemporaneamente di Ferdinando e di Isabella, di puntare ad una sempre maggiore estensione dei territori dei loro regni e ad un accrescimento del loro imperio territoriale. Nel 1492, anno fatidico sotto più punti di vista, sarà sconfitto, ed incorporato, il regno di Granada (da allora ne comparirà anche il segno, il melograno, nell’impresa araldica dei Re Cattolici). Nel 1512 sarà annessa la Navarra. E facevano parte dell’impero spagnolo anche altre aree: in particolare la Sicilia e tutta l’Italia meridionale, nonché, oltre alle Baleari, anche parte delle altre isole tirreniche
maggiori e minori. Durante il Quattrocento la potenza terrestre e marittima della nuova formazione statale si era cioè enormemente accresciuta rispetto a prima; e ciò, nel nuovo quadro dell'Europa del tempo, portava anche a sviluppare una politica di nuove e più allargate rotte commerciali e di più intensi scambi di ordine economico: non più soltanto nell’ambito del bacino europeo-mediterraneo. Il conseguente insorgere di un nuovo interesse alla ricerca geografica, che condurrà alle sconvolgenti (sotto più punti di vista: religioso, etnico, sociologico, culturale, economico, ecc.) scoperte dell’esistenza di nuovi mondi, si saldava perfettamente con gli obiettivi prefissatisi da Fernando ed Isabella. In questo nuovo quadro, che può effettivamente proporsi come atto di nascita di una nuova era, è circostanza importante che uno spagnolo, il cardinale Rodrigo Borgia, già braccio destro di papa Pio II, assurga al soglio pontificio: con il nome di Alessandro VI regnerà dal 1492 al 1503. Durante il suo papato saranno infatti riconosciuti diritti e privilegi ulteriori alla politica espansiva degli spagnoli nelle terre delle nuove scoperte geografiche. Un importantissimo atto del pontefice ha infatti stabilito le aree geografiche all’interno delle quali i due maggiori stati navigatori cristiani di quel tempo, il regno di Spagna ed il regno di Portogallo (che si era via via formato come regno autonomo già dal XII secolo), avrebbero avuto diritto di esercitare le loro prerogative di ricerca e di eventuale dominio delle nuove terre cristianizzate. Laddove i Re Cattolici hanno esercitato la loro influenza politica ed economica, si constatano più interrelazioni tra l'affermarsi ed il precisarsi del loro imperio e le linee secondo le quali, in quei territori, si è poi sviluppata l'architettura tardomedievale. Anche perché a tali sviluppi non sono certo estranei, almeno in parte, i rapporti che si sono venuti a creare tra i principali gruppi etnico-religiosi, principalmente il gruppo cristiano-cattolico e quello di matrice arabo-moresca, insediati in quegli ambiti geografici ed in-
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teressati dalla mutazione politico-territoriale. Meno incisivi, per l’architettura, risultarono invece i rapporti tra il gruppo cristiano e le componenti del gruppo ebraico (vi sono peraltro interessanti sinagoghe a Toledo ed altrove). Giocherà infatti negativamente la politica religiosa, prima di contenimento e poi anche di espulsione, adottata ben presto dai Re Cattolici nei confronti di tali componenti. La cultura iberica del tempo ha ben registrato tale composita realtà. Già con relativa frequenza durante il XIV secolo, ma poi sempre nelle opere dei cronachisti e nei documenti della cancelleria dei Re Cattolici, si definiva infatti con il termine 774déjar quanto e chi apparteneva alla componente islamica-moresca sottomessa”. In seguito, tra fine Quattrocento ed inizi Cinquecento (in Castiglia ciò accade nel 1502, in Aragona ed a Valencia nel 1526, ecc.) si sono pertanto definiti con questo termine (è anche usato quello di arte zz0risco) quei prodotti artistico-artigianali che, in una sottile contaminazione tra matrici diversificate, venivano realizzati da
maestranze forzosamente convertite al cristianesimo. Il contatto tra le due etnie e civiltà artistiche principali, e la scambievole influenza dell'una sull’altra, ha giocato un ruolo essenziale nella vita medievale spagnola; con significative conseguenze quanto al modo con il quale la locale cultura artistica si è raccordata alle principali correnti e tendenze artistiche dell’Occidente europeo. Nei confronti delle quali si è proceduto non solo accettandone o rifiutandone alcuni elementi, ma anche promuovendo processi di metabolizzazione o contaminazione tra le diverse ed eterogenee matrici: spesso ottenendo, così, risultati del tutto originali e peculiari. In questo clima, verso la prima metà del Quattrocento, è già maturato un processo di intenso rinnovamento e, conseguentemente, di messa a punto di nuove tematiche. Si realizzano infatti importanti opere, che, seppur ancor inserite nell'ampio alveo del tardogotico, tuttavia si rendono autonomamente riconoscibili per la presenza di elementi, sia di ordine tipologico-funzionale, sia di ordine linguistico, tratti da una tradizione localistica. Ne sono significativa espressione le numerose cattedrali realizzate in varie città spagnole sino ai primi decenni del Cinquecento: con una sequenza di episodi la cui cadenza ed intensità richiama alla mente il fenomeno della costruzione delle cattedrali francesi dell’Ile-de-France. La vicenda si avvia, in verità, tra
il 1376 ed il 1389; cioè quando iniziano i lavori per la costruzione della cattedrale di Oviedo (sarà consacrata nel 1498 e completata nei primi anni del XVI
secolo). Pochi anni dopo, nel 1394, si dà corso alla edificazione della
nuova cattedrale di Murcia in sostituzione di quella esistente; cioè dell’edi-
ficio della moschea che da tempo, con la consacrazione del XIII secolo, era
divenuto tempio cristiano. L’opera verrà poi terminata tra il 1519 (quando
* Ciò valeva in generale ma ancor più in particolare per i regni sottomessi di Granada e
di Valencia. Ancora in un documento del 1569 si fa cenno alla distinzione tra Moriscos yMudejares, que moraban en la ciudad de Granada... asi como forasteros. Si veda L. Torres-Balbés, Arte mudéjar y arte morisco, in Ars Hispaniae-Historia Universal del Arte Hispdanico, vol. IV,
Madrid 1949, p. 237.
II. Il tardogotico «inter-nazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
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vi lavora l'italiano Francesco Fiorentino) ed una data successiva al 1522 (quando sarà costruita la torre). Nel 1397 si apre il cantiere della nuova cattedrale di Pamplona, dopo che nel 1390 era stata demolita quella romanica preesistente (la cattedrale verrà completata tra il 1486 ed il 1513). Nel 1401, poiché numerosi terremoti avevano devastato quella precedente, si delibera di costruire la grandiosa cattedrale di Siviglia: ne verrà posta la prima pietra nel 1402. Nei primi anni del Quattrocento si inizia anche la costruzione della cattedrale di Ciudad Real i cui lavori dureranno sino al 1580. Si deve anche richiamare l’interessante episodio, già ricordato nella Parte seconda, del completamento della cattedrale di Gerona a seguito della consultazione deliberativa del 1416. Nell’ultimo quarto del secolo verranno infine costruite la cattedrale di Astorga (1471-1559), dopo la demolizione di quella romanica e su disegni di Rodrigo Gil de Hontafién#9, e quella di Calahorra (1485inizio Cinquecento). Tra la fine del Quattrocento e la metà del Cinquecento si lavora alla nuova cattedrale di Saragozza. A partire dal 1498, su impulso del vescovo Gutierre Alvarez de Toledo, viene rifatta la cattedrale di Pla-
sencia. Nel 1513 iniziano i lavori per la costruzione della cattedrale di Salamanca e nel 1522 di quella di Segovia; tanto l’una che l’altra su disegni di Gil de Hontafién. Questa sequenza si conclude poi traumaticamente nel 1523 con la contrastatissima costruzione della cattedrale di Cordova. Che fu realizzata, con regolare autorizzazione di Carlo V (però forse l’imperatore non era stato sufficientemente informato dei propositi del capitolo) inserendola direttamente nel centro della prestigiosa moschea araba del X secolo: così stravolsendo completamente gli originari valori spaziali e armonici del preesistente complesso islamico. Considerata nel suo insieme, questa sequenza risulta guidata sia da considerazioni di strategia politico-religiosa, sia, contemporaneamente, da esigenze di carattere territoriale. Nel nuovo clima instauratosi a seguito dell’intensificarsi del fenomeno della Reconquista, non sembrava evidentemente più accettabile la permanenza di interi organismi islamici nel cuore stesso della religiosità cristiana. Nell’ansia politica ed ideologica dei Re Cattolici, di voler e dover riportare alla Croce i territori strappati alla Mezzaluna, non
si tollerava più, come invece era accaduto nel passato, che la cattedrale, il
principale luogo di culto cristiano cittadino, risultasse da un semplice processo di adattamento e sostituzione funzionale di un edificio che era stato luogo centrale del culto islamico. Il problema, che si era inizialmente posto soprattutto per la Moschea Maggiore delle città principali, si estese così via via ad interessare anche le moschee minori; cioè a quelle che erano state adattate a chiese parrocchiali. Nel processo di riacquisizione alla cristianità dei territori già dominati dall’Islam, si proponeva inoltre il tema dell’insediamento di conventi e chie-
4 È uno dei principali architetti spagnoli del tempo. À lui si deve anche (vedi Torresde Balbés, 1952, pp. 373-374) una parte del trattato di Sim6n de Garcia intitolato Compendio arquitectura y simetria de los templos.
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Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
se dei principali ordini mendicanti. Mentre, in parallelo, era necessario disegnare opportuni confini diocesani e parrocchiali per dare una nuova strut-
turazione all’area territoriale in continua espansione e riconfigurazione che costituiva il nuovo grande stato dei Re Cattolici. Oggetto del fervore nel rinnovamento edilizio sono anche le numerose opere di parziale modifica, o di più o meno incisiva riconfigurazione, di parti delle cattedrali esistenti, come nel caso delle volte nella cattedrale di Palencia il cui coro era stato iniziato nel 1321, o le vere e proprie parti aggiuntive, quali le cappelle nobiliari (una delle principali è la cappella del Connestabile della cattedrale di Burgos: realizzata forse a partire dal 1492 e completata nel 1532), o le cappelle ed edicole votive, od il cosiddetto cimzborrio, cioè la torre-lanterna di cui si è già più volte parlato, ed altri numerosi completamenti di carattere scultoreo o decorativo. Al gruppo potrebbe inoltre essere aggiunta la chiesa, non cattedrale, di San Esteban a Salamanca che ripete forme e modelli delle principali tra le cattedrali ora ricordate. Inoltre sono di qualche interesse le modifiche introdotte nel corso del Quattrocento nella chiesa di San Gil. Rispetto all’originario schema mendicante del transetto con cappelle orientali, le cappelle stesse vennero qui sostituite con altre più grandi: perché approfondite ampliandole verso est, e perché ciascuna di queste nuove cappelle si distribuisce sull’impianto di due delle precedenti. Ne è conseguita la decisione di adottare coperture a volta che, in base alle scelte del tempo, sono a schema stellare. Un dato insolito della vicenda della costruzione delle cattedrali è la circostanza che, malgrado il suo durare per quasi due secoli, salvo le eccezioni
di cui si dirà non si nota un’evidente differenziazione tipologica tra i primi e gli ultimi degli episodi ora ricordati. Dunque, mentre, come detto, si avverte un qualche parallelismo tra la vicenda spagnola e quella francese per l'ampiezza del programma di costruzione, ed in particolare per il ritmo delle realizzazioni, invece tale parallelismo manca del tutto per quanto concerne l'evoluzione tipologica e strutturale degli organismi. In Spagna, nelle cat-
tedrali realizzate tra gli ultimissimi anni del Trecento ed i primi decenni del Cinquecento, si nota infatti la tendenza a ripetere medesimi temi e medesime soluzioni: forse anche perché in un buon numero di casi nei diversi cantieri edilizi sono all'opera medesimi architetti. Per grandi linee si possono comunque distinguere due gruppi principali: un primo gruppo caratterizzato dalla permanenza di elementi 72udéjar, un secondo gruppo, senza dubbio il più importante, dove sono riconoscibili elementi linguistici che elaborano autonomamente temi di provenienza esogena (in particolare francese ed inglese). Ma i due gruppi sono poi accomunati da una medesima caratteristica tipologico-funzionale (la soluzione compare infatti praticamente in ciascuna delle cattedrali sia del primo che del secondo gruppo): la presenza di un'estesa area presbiteriale (un coro per i membri del capitolo) situata al centro dell’edificio e che risulta sottratta al resto dello spazio chiesastico. Questa zona è infatti quasi di regola realizzata inserendo nella navata maggiore grandi cancelli ed anche diaframmi murari che spezzano visivamente e ritualmente l’unità spaziale della navata stessa; e che, più in generale, pro-
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pongono una «lettura» per frammenti dei valori spaziali dell'intero complesso architettonico. Pure se questa disposizione ha dei precedenti più che secolari nelle chiese mendicanti*, ed anche, con più attinenza al nostro caso, nelle cattedrali gotiche inglesi, tuttavia, nelle cattedrali spagnole del periodo di cui qui si tratta, l’effetto di frantumazione spaziale è in genere molto superiore rispetto a quello di ogni altro esempio europeo. Tra l’altro, in Spagna, l’area presbiteriale è spesso ulteriormente suddivisa in due parti: l’una, verso oriente, destinata ai membri del capitolo, l’altra, verso occidente
(talvolta separata dalla prima da una campata che funge da disimpegno distributivo), destinata all’altar maggiore; a corredo e nobilitazione del quale viene sempre creato un altissimo retablo: un’alta superficie (a dossale) ricchissimamente decorata da un affastellarsi di sculture lignee, di pitture, e di eventuali elementi devozionali e decorativi. Il tutto con fastosi rivestimenti in oro ed argento e spesso con l’aggiunta di pietre preziose ed altri materiali pregiati. Si ha insomma quasi l’impressione di trovarsi di fronte ad una più piccola ed autonoma chiesa inserita nell'interno del grande ed avvolgente spazio dell'insieme ecclesiale. Per queste sue caratteristiche, funzionali e spaziali, la soluzione adottata nelle cattedrali spagnole ne appare un dato peculiare: esprime e soddisfa infatti i peculiari valori e le corrispettive costumanze della religiosità ispanica. Un edificio interessante, che in pratica non presenta analogie con altri esempi, è la cattedrale di Pamplona. Il suo corpo longitudinale, organizzato su tre navate e sei campate, ha una navata principale larga 11 metri ed alta 26. Le due dimensioni sono dunque legate da un rapporto di circa 1:2,4. Come di consueto in questo gruppo di opere, alle navate laterali si aggiungono inoltre le cappelle interposte tra i contrafforti. Vi è un transetto sporgente i cui bracci sono costituiti ciascuno da due campate: una prima, più stretta, che prosegue l’allineamento della navata laterale, l’altra, che ha pian-
ta prossima ad un quadrato, che sporge anche rispetto al profilo delle cappelle laterali. Sia il corpo longitudinale che i bracci del transetto sono coperti con volte a crociera semplice (la navata principale su campate rettangolari, le navate laterali su campate prossime al quadrato). Invece l’intersezione tra i bracci di croce è coperta con volta a liernes e tiercerons che scompartiscono la volta in vele triangolari. Nell’elevato la navata principale è priva di triforio, cosicché al di sopra degli archivolti a sesto acuto vi sono ampi tratti di muro liscio, suddiviso in pannelli quasi quadrati dal prolungarsi verso Palto delle colonnette dei pilastri, fino alla quota dei davanzali delle finestre (non molto ampie e comunque disuguali tra loro). É, questo, un carattere linguistico-sintattico che colloca l’edificio in una linea di ricerca sostanzialmente diversa da quella seguita nelle realizzazioni francesi ed inglesi: e che trova precedenti in area catalana o in Italia. Alla realizzazione della cattedrale hanno lavorato molti capimaestri. Si conoscono comunque i nomi di
47 Su questo argomento vedi la Parte seconda di questo libro.
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Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
«Johan Lome magonero» (un noto architetto che era al servizio della corte di Navarra almeno dal 1411, e di cui è documentata la presenza nei libri con-
tabili alla data del 1439), ed inoltre, nel 1487, quello di Juan Martinez de
Oroz. L'elemento che fa della cattedrale di Pamplona un caso unico in Spagna, è l’insieme della terminazione orientale a partire dall’incrocio tra navata e transetto. In prosecuzione dell’intersezione tra i bracci di croce si apre una cappella, a pianta pentagonale irregolare, coperta con volta stellare complessa: un tracciato principale di stella a cinque punte che diviene a sei punte nel tracciato minore, e che si arricchisce di chiavi di volta nei punti di intersezione delle nervature centrali. La cappella maggiore è aperta su tre dei lati del pentagono; invece, verso oriente, gli altri due lati sono chiusi da alte pareti che fungono da terminale visivo dell’asse longitudinale della chiesa. La conclusione orientale vera e propria è costituita da un insieme di quattro cappelle di cui due, quelle che si aprono sui bracci del transetto, sono a pianta esagonale irregolare, mentre le altre due sono esagoni regolari (uno dei lati di ciascuna coincide con quello a muro del pentagono della cappella maggiore). Questa disposizione fa sì che una metà di ciascuna delle quattro cappelle funga da deambulatorio: soluzione del tutto eteronoma rispetto ad ogni altro degli schemi gotici e tardogotici non solo spagnoli, ma, più in generale, europei. Nell'insieme delle opere del secondo gruppo l’episodio di maggior impegno è quello della realizzazione della cattedrale di Siviglia (figg. 3.188, 189, 190, 191 e 192). In una lettera di risposta alla delibera del 1401 il re dichiara con grande enfasi la propria soddisfazione a che si costruisca un tempio che sarà il più grande ed il meglio organizzato tra quelli dei suoi regni*5. Distrutta gradualmente la preesistente Moschea Maggiore, di questa venne mantenuta soltanto la grande torre del minareto, trasformato in torre campanaria. Il nome di Giralda, con il quale è conosciuta, dipende dal fatto che alla torre, poi aumentata in altezza con elementi di carattere rinascimentale, venne sovrapposta una struttura girevole a vento. Alla nuova cattedrale, iniziata dall’arcivescovo Alonso de Exea, partecipano numerosi capimaestri anche stra-
nieri. Tra questi vi è Ysambert, probabilmente un fiammingo, la cui presenza è documentata nel 1434, e Carlîn, forse un francese, il cui nome compare
sino al 1454. Più tardi figurano nomi di maestri spagnoli mentre numerosi altri artisti stranieri eseguono le vetrate, le opere di scultura ed altri elementi architettonici e decorativi. Nel 1494 era stata realizzata tutta la cattedrale ad eccezione del coro, ma il completamento definitivo (costruzione della cappella dell’altar maggiore e del cizborrio) si ebbe poi tra il 1504 ed il 1507. Tuttavia nel 1511 crollarono tre degli archi di sostegno della torre-lanterna e la medesima torre-lanterna. Per la ricostruzione del cizborrio vennero pertanto consultati vari maestri; tra i quali Juan Gil de Hontafién cui si devono #5 «Un nuevo templo, de grande magestad, e de rica labor de canteria, qual conviene a tan noble Catedral, que sea el mas grande, e mas buen dispuesto que haya en estos nuestros Reynos». Citato da Torres-Balbés, 1952, p. 281.
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i disegni esecutivi. L'edificio, di cui nel 1519 venne celebrato solennemente il completamento dei lavori, si configura in pianta come un rettangolo di ben 76 metri di larghezza per 145 di lunghezza. Una cappella, di carattere gotico, e con terminazione poligonale a tre lati, la cappella reale, avrebbe forse dovuto completare la terminazione orientale della cattedrale. Invece, in pieno Cinquecento, lo schema riassuntivamente semplificato della pianta generale venne completato con l’aggiunta di una grande cappella assiale, di carattere rinascimentale. Ulteriori parti vennero aggiunte, o modificate, in momenti successivi (fino al XIX secolo ed oltre). La cattedrale è organizzata in cinque navate (la maggiore larga sedici metri, le altre dieci) oltre alle cappelle disposte tra i contrafforti (tanto da dare l'impressione di ulteriori due campate laterali), ed ha un transetto che si legge per il suo elevato; ma che sporge assai poco rispetto al profilo rettangolare di base entro cui sostanzialmente si riassume l’intero impianto planimetrico. Questa sua caratteristica, assieme ad altri elementi decorativi minori, è stata letta da alcuni come espressione di un genius loci??: cioè quale effetto del permanere di un interesse verso temi che potrebbero avere i loro ascendenti in più antichi impianti chiesastici, ora scomparsi, esistenti nella città. Gli alzati delle navate e delle cappelle sono configurati a determinare una chiara impostazione volumetrica del complesso: secondo un armonico degradare dei vari elementi a partire dalle quote più alte delle coperture della navata principale sino ai volumi sempre meno elevati delle navate laterali e poi delle cappelle tra i contrafforti. Il proporzionamento interno, fatto uguale ad uno l’altezza della navata principale (ca. 36,40 m), è regolato dal rapporto rispettivamente di 3:4 per le navate laterali (ca. 27 m) e di 1:3 (ca. 12 m) per le cappelle. All’esterno sistemi di archi rampanti, poco inclinati, contribuiscono a graduare ulteriormente la gerarchia dei volumi, quasi legando visivamente gli uni agli altri, mentre una selva di pinnacoli marca tutti gli elementi verticali delle varie strutture di contraffortamento. All’interno alti pilastri a fasci polistili terminano alla base con il gioco, consueto specialmente all'architettura tardogotica francese, di piccoli plinti prismatici che si intersecano gli uni negli altri per essere poi tutti riassorbiti in un’unica piatta base a profilo poligonale semplificato. Una galleria disposta subito sopra al cervello degli archi di navata, funge, appunto nella navata principale, da livello di base per le grandi finestre cuspidate (una per campata) del claristorio. Questa soluzione sembra dunque voler alludere a temi dell’architettura radiante francese; ma i tracciati decorativi hanno
invece chiaro carattere fiammeggiante. Le volte sono in genere a semplice
49 In particolare, considerata la rappresentazione della chiesa che si trova nel retablo delvi la cappella maggiore (è ipotizzabile la derivazione da un modello ligneo allora esistente), sivicattedrale La Francesco. S. e Paolo S. di chiese sarebbero somiglianze con le scomparse sia gliana, oltre all'impegno culturale e religioso, testimonia anche la floridezza dell’Andalu dubbio senza esotico, totalmente edificio un «è cattedrale la poiché secolo, XV cristiana del in Grodecki, una creazione di progettisti stranieri» (Torres-Balbas, 1952, p. 287). Inoltre, tradizioni ispa1978 (p. 189), si accenna alla «persistenza di uno ‘spiritus loci” segnato dalle Torres-Balbés, un no-arabe», e si giudica il carattere generalmente «esotico», già segnalato da esterni». effetto della «varietà degli apporti
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struttura ogivale. Però nella zona di intersezione tra navata principale e transetto, cioè nella zona occupata dalla cappella dell’altar maggiore e dal coro del capitolo, il disegno delle nervature si complica ed arricchisce con sistemi a rete ulteriormente impreziositi dal fatto che ciascuno degli elementi delle singole nervature, di per sé già assai sporgenti e con un disegno quasi a trina, si caratterizza ulteriormente con trafori e con chiavi di volta poste nei nodi principali. Questo raffinato e ricco disegno si deve al già ricordato Juan Gil de Hontafién. La grande luminosità che pervade l'insieme produce all’interno un effetto di continua dilatazione spaziale: un elemento percettivo, questo, che, luminosità a parte, anch'esso potrebbe radicarsi nei valori spaziali
delle grandi moschee ispaniche e nordafricane: come quella ben nota di Cordova (con la quale la cattedrale di Siviglia intendeva deliberatamente rivaleggiare), o come quelle altrettanto significative del Cairo, di Fez, e così via. Stante la grandiosità ed il vasto respiro di quest'opera, stupisce constatare che ad essa il Frankl preferisca la cattedrale di Segovia; che ne è infatti un più tardo derivato (figg. 3.193 e 194). Interessante, invece, l'accostamento che il Grodecki propone tra la cattedrale di Siviglia e quella, quasi coeva, di Milano. Malgrado le profonde differenze che caratterizzano e distinguono le due opere, sia sotto il profilo dei valori spaziali, sia sotto quello degli elementi lessicali, in entrambe vi sarebbe infatti la volontà di «superare» tutte le costruzioni precedenti nelle dimensioni e nell’abbondanza decorativa delle parti. Sarebbe cioè l’intenzionalità progettuale dei rispettivi committenti (il Visconti da un lato, il capitolo ed il sovrano dall’altro), e la loro condizione di
elitarietà rispetto alla società cittadina (anche se coinvolta in varia misura nell'iniziativa) a fare di queste due opere una occasione di confronto e sfida con la cultura architettonica internazionale del tempo. A proporle dunque intenzionalmente, fin dall'impianto, come veri e propri «monumenti» politicoreligiosi. Un episodio altrettanto importante è quello della costruzione della nuova cattedrale di Salamanca agli inizi del Cinquecento. La città era giunta all’apice del suo sviluppo demico e del suo splendore, mentre la sua università si collocava tra le principali del mondo. La esistente cattedrale romanica non era dunque più dimensionalmente adeguata al forte incremento di abitanti che nel frattempo si erano insediati nella città, né veniva più considerata idonea a rappresentare nell'immagine il livello economico, politico e culturale cui la città stessa era ormai assurta. Tra l’altro proprio a Salamanca, più che in altre aree spagnole, si era ormai diffuso il gusto del cosiddetto plazeresco che mescola temi tardogotici con temi classicistici e motivi tratti dal mondo naturale: conchiglie, come nella Casa de las Conchas (fig. 3.195), ed altro°°. Proprio in rapporto a questi elementi, l'orientamento nel gusto decorativo prescelto in Spagna può forse dunque essere considerato come un parallelo a quello che, quasi contemporaneamente, presiedeva in Italia alla scelta di decorazioni «naturalistiche»: quali le rocce e le grotte artificiali, le 7° Il tema è molto usato soprattutto nell'edilizia civile. Oltre alla celebre ed importante cosiddett Casa a de las Conchas a Salamanca, si può ricordare anche il Palazzo dell’Infantado a Guadalajara, o il Palazzo (oggi Seminario) Javalquinto a Baeza, ecc.
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decorazioni con incrostazioni di vere conchiglie, di ciottoli di ghiaia, ed altro. Nella Cattedrale Nuova di Salamanca?!, con corpo longitudinale a tre navate, l’architetto Juan Gil de Hontafién interviene sull’impianto preesistente (nel 1513 come già detto) tagliando per il lungo la navata nord ed aggiungendo a ciascuna delle navate laterali una fila di cappelle: ottenendo il risultato illusivo di una chiesa a cinque navate. Ciò consente di dare alla sezione trasversale della cattedrale un profilo di graduata diminuzione delle altezze che richiama il caso della cattedrale di Toledo. Il grosso dell’opera venne completato sotto la direzione di Rodrigo Gil (figlio naturale di Juan). La terminazione orientale dell’edificio era inizialmente di tipo curvo; ma in seguito, dopo il 1589, forse su consiglio di Juan de Herrera e di altri, Juan de Ribero sostituì tale terminazione con quella, tuttora esistente, di tipo retto dotata anche di cappelle rettangolari. L'insieme dell'impianto non presenta sostanziali novità rispetto a schemi e consuetudini già assestate in Spagna a partire dai primi decenni del Trecento. Ma è il tracciato delle volte, su disegno di Juan Gil de Hontafién, a farne opera tipicamente tardogotica (fig. 3.196): e più precisamente a farne episodio significativo di quella versione hispanoflamenca che del tardogotico aveva dato Sim6n de Colonia? e che Juan Gil aveva da lui recepito accentuandone le componenti calligrafiche. A Juan e Rodrigo Gil, come già detto, si deve anche la cattedrale di Segovia (figg. 3.193 e 194) di cui sono state indicate le correlazioni con quelle di Siviglia e Salamanca. Ma, senza interferenze di altri maestri, l'impianto,
anche in questo caso a tre navate più cappelle laterali e con transetto sporgente (vi è anche qui una sezione trasversale tracciata con diminuzione proporzionale delle altezze), a Segovia risulta più omogeneo: più unitario ne è quindi il risultato spaziale e volumetrico. La terminazione orientale è del tipo ad abside con deambulatorio su cui si aprono sette cappelle radiali: con altezze delle varie parti proporzionate secondo valori gradualmente discendenti dalla quota alta dell’abside, a quella intermedia del deambulatorio, fino a quella inferiore delle cappelle. È stato cioè adottato, in sostanza, uno schema francese ormai plurisecolare, ma tale riferimento esogeno risulta poi molto attenuato dalla configurazione delle singole parti in cui esso concretamente si articola. In primo luogo le falde dei tetti, sia delle navate sia delle parti della terminazione orientale, non hanno, a Segovia, la pendenza vertiginosa di quelle francesi. Dunque, in pratica, il tetto non gioca un preciso ruolo nella caratterizzazione d’insieme. In secondo luogo, poiché lo scarto An51 L’avvio dei lavori è preceduto da un progetto preliminare predisposto nel 1510 da spagnoli. capimaestri molti fra (1512) ne consultazio una da e tonio Egas e Alfonso Rodriguez no Contrastavano da un lato la tendenza tradizionalista dei maestri toledani che si richiamava adedi desiderio il lato, dall’altro e purista», «quasi nto atteggiame con Toledo di cattedrale alla p. 93). rire ai più aggiornati temi delle chiese a sala di area germanica (Chueca Goitia, 1953, è pre52 Chueca Goitia, 1953, p. 94. Oltre che a Toledo ed a Burgos, Simén de Colonia Goitia, 1965, Chueca anche vedano si proposito In Valladolid. a anche ente probabilm sente of San Juan de pp. 595-561, ed il più recente saggio di S.L. Sanabria, A Late Gothic Drawing LI, n. 2 (giugno 1992), los Reyes in Toledo at the Prado Museum in Madrid,in «J.S.A.H.», vol.
contenute. pp. 161-181. Per le notizie più specifiche si rinvia alle note bibliografiche ivi
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di quota tra abside e deambulatorio non è molto forte, anche gli archi rampanti di contraffortamento dell’abside, che per la situazione geometrico-volumetrica sono oltre tutto poco inclinati, restano qui in secondo piano. Infine, ed è ciò che più conta, il trattamento delle parti murarie perimetrali evoca un diverso intento e clima figurativo. Esse sono infatti risolte con larghe
nude superfici, in cui si aprono poco ampie finestre archiacute, marcate e di-
vise da setti di contraffortamento di scarsa sporgenza, che terminano verso l’alto con pinnacoli decorati con fiorettature a rostro. L'effetto di delimitazione delle pareti che ne consegue è poi ulteriormente accentuato verso l’alto da una balaustratura continua (la cresteria secondo il termine spagnolo)
che copre la terminazione del tetto. Le pareti appaiono così come un complesso articolarsi di pannellature rettangolari incorniciate. E ciò accade anche nel corpo longitudinale, ove le navate secondarie sono illuminate da finestre archiacute come nell’abside, mentre la navata principale riceve luce da grandi oculi come nelle architetture catalane ed in quelle fiorentine. Questo chiaro geometrismo è tipicamente tardogotico. Ma, ovviamente, il carattere tardogotico più marcato è quello dell'interno. Anche qui, come a Salamanca ed a Siviglia, nelle volte domina il tipico tracciato decorativo, una specie di firma, dei due Gil, ed anche qui è presente la soluzione sivigliana della balaustrata invece del triforio. Sono inoltre pienamente tardogotici l’impianto ed i dettagli decorativi dei portali (particolarmente ricco ed esuberante quello detto del Nacimiento, ove figurano elementi a curva e controcurva, archi policentrici ribassati, interni di archivolti decorativi con motivi quasi a filigrana di origine r2déjar, stemmi araldici e raffinate decorazioni scultoree). E però da notare che a Segovia non mancano elementi del lessico classicistico: le nervature delle cappelle radiali terminano per esempio, sorprendentemente, con capitelli di tipo ionico. In questo tardo Cinquecento il Rinascimento italiano era già apparso in Spagna. Così Rodrigo Gil, cui si devono questi dettagli e che aveva maturato la sua formazione nel momento di trapasso dalla tradizione gotica alle innovazioni classicistiche, rivela una particolare capacità di usare, mescolandoli tra loro, elementi tanto dell’una che dell’altra delle sue due radici culturali di base. Ciò che, del
resto, facevano per loro conto anche alcuni scultori: ne è un eccellente esempio proprio il citato Portale del Nacimiento. Ma vi è un altro coevo ed ancora più emblematico esempio di questa duplicità di comportamento. Si tratta del complesso dell’Università di Salamanca, e, più in particolare, delle modifiche sostanziali che sotto i Re Cattolici vennero introdotte a quanto preesisteva. Anche in questo caso è ipotizzabile la presenza di Juan Gil de Hontafén; sia pure in compartecipazione con altri architetti, scultori, deco-
ratori, ecc.’?. Un elemento particolarmente significativo di questo comples? In proposito si veda Lozoya, 1934, t. III (1940), pp. 159-160. L'autore contesta le posizioni di Quadrado, Bertaux, Haupt, che «senza prove documentarie» attribuiscono il progetto d’insieme a Enrico de Egas. Ne propone invece la paternità appunto a Rodrigo Gil od a Juan de Alava però «coadiuvati dalla turba anonima di scultori che allora riempivano di grutescos gli edifici di Salamanca» (trad. mia).
Il. Il tardogotico «inter-nazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
933
so ne è la facciata (fig. 3.197): una sorta di schermo anteposto al complesso articolato dei corpi di fabbrica di cui si voleva dare un'immagine unitaria,
riassuntiva ed emblematica (le scene ed i dettagli decorativi, nonché i richiami araldici hanno appunto questa funzione). Si è detto che il risultato d’insieme è quello di un retablo pensato in funzione urbanistica?4. Tale affermazione, per quanto già indicato in un precedente capitolo, propone interessanti parallelismi tra l'episodio spagnolo ed altri episodi italiani precedenti e contemporanei: anche se questi, differentemente dal caso di Salamanca, riguardano per lo più edifici chiesastici. Un diretto rapporto tra le due vicende non è stato mai provato, e dunque non è lecito proporlo qui se non come problema da approfondire; va peraltro segnalato che molti scultori, intagliatori e scalpellini italiani erano al lavoro in Spagna, e che alcuni di essi hanno effettivamente lavorato all’opera in questione. Indipendentemente da ogni altra possibile interpretazione, è ad ogni modo evidente che si era diffuso anche in Spagna l’interesse a stabilire una correlazione precisa tra immagine architettonica e scena urbana. Le scelte di Salamanca troveranno così una eco importante anche nella Università di Alcalà de Henares fondata nel 1508 dal cardinal Cisneros: anch'egli in contatto con gli ambienti urbani italiani. L'architettura quattro-cinquecentesca spagnola si esprime insomma at-
tingendo a più componenti linguistiche, a loro volta riferite a più e diversificate matrici culturali. Un tema importante, e fonte assai ricca di suggerimenti formali, è quello della figurazione araldica: i cui elementi, nel mescolarsi al diffuso repertorio decorativo tardogotico internazionale, e specialmente di quello larzboyant, danno vita a soluzioni particolarmente suggestive. Un esempio molto significativo è quello della cappella del Connestabile nella cattedrale di Burgos (1482-94), che si deve a Simén de Colonia. Su pianta ottagonale, le sue alte pareti sono articolate su tre livelli. Al centro di ciascuna faccia, nei due livelli inferiori, campeggiano sculture a basso rilievo che espongono motivi di imprese araldiche. Gli spigoli dell’ottagono sono marcati da colonnette a fasci polistili che salgono sino a metà circa del secondo livello, dove essi si interrompono con una cornice. Di qui partono, intrecciandosi, le nervature che danno vita alla copertura a padiglione. Quest'ultima, che nell’insieme si propone come una volta stellare ad otto punte, propone poi la stella centrale come un motivo a traforo (ricorda i temi delle filigrane arabe o i ricami dei pizzi) che lascia penetrare la luce (fig. 3.198). L'ambiente è fortemente illuminato per la presenza di un doppio ordine di finestrature. La qualità della pietra chiara, che ben si presta a lavori di decorazione ad intaglio, contribuisce a dare alla cappella un carattere di sontuosità, però corretta in austerità. Ma i veri protagonisti dell'intero impianto architettonico sono soprattutto gli elementi decorativi aggiunti (scudi araldici, figure scolpite, ecc.). Di cui quelli più tipici del repertorio architettonico (fregi, infiorettature, archi cuspidati con controcurve d’apice od an-
54 Chueca Goitia, 1953, p. 97.
Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
534
che policentrici e ribassati) costituiscono l’intelaiatura logica. Ne è però soltanto la trama, destinata a rimanere in sottofondo, e non l’ordito: ed è quest’ultimo, cioè la somma degli elementi decorativi, che è invece destinato a primeggiare. Questo modo di fare architettura, ha sostenuto giustamente Lozoya, ha le sue radici nella sedimentata tradizione della cultura artistica mudéjar: caratterizzata dal fatto di essere più interessata alla tematica del decorativo che a quella della costruttività. Così, nel quadro d’insieme della produzione tardogotica europea, quel modo deve essere riconosciuto come tratto peculiare e distintivo dell’architettura spagnola: in una linea, si può aggiungere, che era destinata ad incontrarsi con quanto è racchiuso nel concetto di «barocchismo»??. Ed il cimzborrio è proprio l'elemento ove si combinano meglio le ricerche linguistiche delle due matrici figurative: nel caso di quello della cattedrale di Burgos (opera di Juan de Vallejo), al pari di molti altri esempi della cosiddetta «scuola burgalense», vi si combinano infatti sia i tracciati geometrici e gli elementi di dettaglio di carattere locale specifico, sia i temi arabi dell’incrocio di archi che determinano il tracciato stel-
lare ad otto punte (fig. 3.198). Un altro notevole esempio di architettura della «scuola burgalense» è la chiesa a navata unica della Certosa di Miraflores (a Siviglia), sostanzialmente dovuta a Sim6n de Colonia: anche se altri vi lavorarono prima e dopo di lui. Un caso a sé stante è quello della già segnalata trasformazione della cattedrale di Cordova (figg. 3.199, 200 e 201). Qui si è proceduto in modo combinatorio. Per un verso sono stati infatti prolungati i tracciati (gli schemi echeggiano quelli di Siviglia, di Segovia, ecc.) delle volte della zona centrale nelle navate e campate ad essa immediatamente adiacenti; quasi, si direbbe, nell'intento di stemperarne via via il dirompente impatto (come i cerchi creati da un sasso gettato in uno specchio d’acqua che, allargandosi, perdono di impetuosità) nei confronti con le preesistenze. Per altro verso è stata invece realizzata una cappella con caratteri e modalità costruttive e decorative di tipo schiettamente 724déjar. Sotto questo profilo le opere di trasformazione eseguite per realizzare la cattedrale di Cordova, fanno, della cattedrale stessa, una sorta di ponte culturale tra il primo ed il secondo dei tipi più sopra indicati. Del resto questo aspetto, combinatorio molto più che eclettico, è presente in modo preciso in moltissimi esempi dell'edilizia civile, privata e pubblica ed anche di corte, del tempo. Ad esempio il grande palazzo reale di Siviglia ne è uno tra gli esempi più significativi. In tutti questi casi la componente 77udé/ar è chiaramente avvertita come espressione di una tradizione locale, cioè come fattore e strumento di radicamen-
22Lozoya, 1934, t. II p.492;
°° Oltre ad episodi che appartengono direttamente alle modifiche ed aggiunte apportate alla cattedrale di Burgos, si possono ricordare come opere appartenenti a tale scuola le due cappelle della famiglia Velasco (di S. Chiara a Medina del Pomar, forse di Simén de Colonia, e di S. Chiara di Briviesca), la cappella della Natività nella chiesa di San Gil (1586), ecc. Aspetti dell’influenza della scuola burgalense sono stati individuati dal Torres-Balbés e da altri nell'architettura castigliana e perfino in quella delle regioni di Aragén e Andalusia.
II. Il tardogotico «internazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
555)
to culturale da contrapporre al prevalere di influssi stranieri: franco-inglesi per quanto concerne la linea tardogotica, o rinascimentali per quanto attie-
ne alle componenti italiane. Sul finire del Quattrocento, nella penisola iberica si vanno delineando
anche altre linee di ricerca. Secondo la ormai acquisita definizione del Bertaux, esse vengono rispettivamente definite come «stile isabellino» per la Spagna, e «stile manuelino» per il Portogallo. Anche se Lozoya le considera espressioni parallele, ed anche se altri (de Lasteyrie, Aubert, Frankl, Gro-
decki, ecc.) tendono a considerare i due «stili» come tra loro equivalenti (poco più che declinazioni locali e vernacolari del tardogotico europeo), tuttavia le due linee di ricerca presentano differenze linguistiche e sintattiche che vale la pena di sottolineare. Qui si è scelto di classificare come una variante estrema del lessico e delle tematiche tardogotiche europee soltanto lo «stile isabellino»: non, invece, lo «stile manuelino» di cui si parlerà nel successivo
terzo capitolo. In favore di questa scelta, opinabile come ogni altra, gioca proprio l'architettura della scuola burgalense che si intreccia con lo «stile isabellino». Secondo alcuni ne sarebbe anzi addirittura una parte: come appunto dimostrerebbero i caratteri, a Siviglia, della certosa di Miraflores. Lo
«stile isabellino», ma sarebbe più giusto dire il «modo» isabellino, accoglie infatti temi dell’architettura /lanzboyante, declinandoli in modo originale; aggiungendo cioè, a quelli più consueti, nuovi elementi lessicali tanto di matrice r2udéjar quanto di contaminazione rinascimentale. È certamente un prodotto della cultura di corte, o di committenze di alto livello signorile che si esprime con un linguaggio ricco, fastoso, carico di componenti decorative, e che è stato messo a punto da alcuni ben precisati ed importanti maestri. Principali fautori ed esponenti dello «stile isabellino» sono i Colonia, Juan Guas, Enrico Egas e Gil Siloe, maestri la cui formazione ed attività era
nutrita anche di esperienze dell’intaglio ligneo dei retablos. Torres-Balbés nota che mai come in questo ambito culturale i temi occidentali sono stati così vicini a quelli di ispirazione ispano-musulmana””. Si considera comunque che Juan Guas”5 sia la figura chiave del processo di modificazione dell'architettura spagnola; un processo che si avvia alla fine del secolo XV proprio con le componenti dello «stile isabellino», e che, attraverso le tappe del plateresco, si concluderà nel pieno Cinquecento con lo stile austero di Juan de Herrera. Chi sostiene che la scuola di Burgos sia parte integrante dello «stile isabellino» considera il già citato esempio della cappella del Connestabile come una delle sue maggiori espressioni: ma, come si è visto, dell’episodio si possono dare anche altre interpretazioni. Una delle opere significative del «modo isabellino»; invece, è sicuramente il convento domenicano
57 Torres-Balbs, 1952, pp. 323-324.
assu58 Bretone di nascita, e formatosi a Bruxelles, attorno al 1450 si stabilisce a Toledo
mendo al suo servizio un gruppo di artigiani fiamminghi. Dopo il 1480 è il principale architetto di Spagna. In proposito cfr. G. Kubler, M. Soria, Art and Architecture in Spain and Portugal and Their American Dominions, Harmondsworth 1959.
Parte terza. L'architettura del tardo Medioevo
536
di Santo Tomfs ad Avila. Patrocinato da alcuni funzionari di corte, e poi anche da Tommaso da Torquemada, il complesso ebbe inoltre finanziamenti reali ed altri che derivavano dalle condanne dell’Inquisizione. Se ne attribuisce la paternità al maestro Martin de Solorzano che vi lavorò a partire dal 1496. È una chiesa a croce latina, a navata unica con cappelle laterali, e con terminazione orientale retta. Le volte sono del tipo ribassato con tracciati a stella. Tutto l’impianto ha carattere di estrema e severa sobrietà: forse un portato della committenza del Torquemada. Molto più impegnativa e sontuosa è invece la chiesa francescana di San Juan de los Reyes a Toledo (figg. 3.202 e 203). Ne è documentata?? la paternità di Juan Guas anche se il disegno di progetto che gli viene attribuito (è datato prima del 1492 ed è conservato al Museo del Prado) non corrisponde a quanto è stato poi effettivamente realizzato. La chiesa commemora la vittoria ottenuta dai Re Cattolici nel 1476 e, da lettere e dichiarazioni, Torres-Balbés suppone che fosse quasi completata già nell’anno seguente. Invece Frankl data l’opera tra il 1479 ed il 1480. L'edificio, la cui parte orientale funge anche da mausoleo reale, è del tipo a navata unica, con ampie ma poco profonde cappelle laterali inserite tra i contrafforti. Vi è un transetto la cui sporgenza non supera quella delle cappelle laterali. Però la sua presenza determina una ricca ed interessante soluzione all'intersezione tra i due bracci di croce. Qui l'impianto quadrato di imposta, mediante l’uso di raccordi a tromba del tipo di quelli impiegati nel cirzborrio di Burgos, si trasforma nell’impianto ottagonale della torre-lanterna coperta con volte di complesso tracciato; e, dalle proporzioni dell’insieme e dal trattamento decorativo di tutta questa parte, viene a proporsi l’immagine di uno spazio centrico. L'effetto è incrementato dal fatto che la terminazione orientale risulta quella di un rettangolo ad angoli smussati, ove in corrispondenza di ciascuno degli spigoli si innestano i contrafforti di sostegno della volta di tipo stellare. Anche tutte le volte delle campate della navata hanno tracciati di tipo stellare con pannello quadrato centrale ruotato a 45 gradi rispetto all’asse della chiesa. Tale schema ha i suoi antecedenti nei tracciati parleriani: che sarebbero stati introdotti a Toledo dal fiammingo Hanequin di Bruxelles, Al di sopra degli archi che immettono nelle cappelle laterali corre una galleria che richiama l’immagine di un triforio: peraltro inesistente. Così, modificando lo schema a tre livelli previsti dal disegno del Prado, è stato possibile aprire grandi vetrate sul muro della navata ed ottenere una grande e diffusa luminosità in tutta la chiesa. Abbondano gli elementi decorativi, anche a carattere araldico (aquile imperiali ed altro) tanto da porre quasi in secondo piano quelli strutturali. Di particolare interesse sono i motivi a fascia corrente costituiti da ampie scritte in °° Una iscrizione scoperta da Cruzada Villamil negli anni Cinquanta del secolo scorso conferma la paternità dell’opera a Juan Guas. Il maestro era figlio di Pedro Guas che aveva lavorato nella bottega di Hanequin di Bruxelles. Per queste notizie vedi Sanabria, A Late Gothic Drawing, cit., pp. 162-163 (testo e note).
0 Sanabria, A Late Gothic Drawing, cit., p. 164.
II. Il tardogotico «inter-nazionale» nel pieno Quattrocento e nel Cinquecento
DOD
caratteri gotici: richiamano, lo sostengono molti storici dell’arte, i temi de-
corativi dell’architettura araba. Un dettaglio insolito è infine quello della presenza sui muri della facciata, ed anche altrove, delle catene che incatenavano gli schiavi: così la decorazione si fa componente simbolica ed ideologica. Il grande chiostro che affianca la chiesa è l’altra componente principale dell’opera di Guas. Alla ricca decorazione dei pilastri e contrafforti si accompagnano i tracciati spezzati delle curve degli archi del loggiato superiore. A Juan Guas si devono inoltre altre importanti realizzazioni. Di particolare impatto figurativo è il complesso (1480) del Palazzo dei Duchi dell’Infantado a Guadalajara (fig. 3.204). Va però sottolineato che l’aspetto odierno della facciata risulta da un insieme di modifiche introdotte nella seconda metà del Cinquecento (in particolare le caratteristiche rinascimentali delle finestre) che ne hanno alterato il linguaggio originario; e che permane invece nel cortile le cui caratteristiche sono comparabili con quelle del cortile dell’altra importante opera del maestro: il complesso di S. Gregorio a Valladolid dal decoratissimo portale d’ingresso (fig. 3.205). Altre opere dello «stile isabellino» sono poi il convento gerolomitano di Parral (inizialmente fondato nei dintorni di Segovia nel 1447 dal futuro Enrico IV, fu in seguito condotto su progetto di Juan Gallego e più tardi di Juan Guas), quello di Santa Cruz a Segovia, la certosa di Paular, la chiesa di San
Pablo, la cattedrale di Orihuela, la chiesa di Utiel e quella di Santiago di Villena. In tutte queste opere compare sempre, tra gli elementi decorativi, lo stemma dei Re Cattolici: ad un tempo soggetto araldico decorativo, ed anche chiarissimo segnale del carattere politico-religioso delle loro scelte culturali ed architettoniche.
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3.115. Cambridge, King's College, cappella, pianta. lo. Oxford, Divinity School, veduta interna della cap-
pella. 3.117. Peterborough, cattedrale, veduta del retrocoro. 3.118. Oxford, cattedrale, veduta interna del coro.
3.119. Abbazia di Westminster, cappella di Enrico VII, veduta delle volte. 3.120. Abbazia di Westminster, cappella di Enrico VII, sezione trasversale. 3.121. Abbazia di Westminster, cappella di Enrico VII, sistema strutturale delle volte.
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3.122. Rouen Saint-Quen, veduta della facciata © E cidentale e della zona absidale. 3.123. Rouen, Saint-Quen, veduta della navat da principale con i completamenti tardi. 3.124. Rouen, Saint-Quen, veduta interna all’inc rocio tra navata e transetto.
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3.125. Caudebec-en-Caux, pianta della chiesa di Notre-Dame.
3.126. Caudebec-en-Caux, chiesa di Notre-Dame, veduta della facciata occidentale.
3.127. Caudebec-en-Caux, chiesa di Notre-Dame, veduta interna della navata principale verso est. orientale. 3.128. Caudebec-en-Caux, chiesa di Notre-Dame, veduta delle volte della terminazione
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219. Palermo, S. Maria della Catena, veduta esterna, facciata occidentale. 220. Palermo, S. Maria della Catena, sezione assonometrica.
221. Palermo, S. Maria della Catena, veduta interna, navata principale. 222. Palermo, S. Maria della Catena, pianta. 223. Belém (Lisbona), chiesa dei Jerénimos (Gerolamini), pianta.
224. Belém (Lisbona), monastero dei Jer6nimos, veduta del cortile del chiostro. 225. Belém (Lisbona), monastero dei Jer6nimos, veduta del'chiostro.
226. Belém (Lisbona), torre portuale, veduta d’insieme.
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3.227. Tomar, Convento do Cristo,
dettaglio di finestra. 3.228. Brunelleschi, tavoletta prospettica (ricostruzione da Parronchi). 3.229. Dimostrazione prospettica da Vitellione e macchina prospettica brunelleschiana (da Parronchi). 3.230. Firenze, S. Maria del Fiore,
cupola brunelleschiana, veduta.
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3.231. Firenze, S. Maria del Fiore, disegni di Giovanni di
Gherardo da Prato per il tracciamento della cupola (Archivio di Stato di Firenze). 3.232. Firenze, S. Maria del Fiore, disegni di Giovanni di Gherardo da Prato, dettaglio (Archivio di Stato di Fi-
renze). 3.233. Firenze, Ospedale degli Innocenti, veduta esterna,
dettaglio della cornice. 3.234. Firenze, battistero, veduta esterna, sovrapposizione degli ordini architettonici medievali e dettaglio della cornice del secondo livello.
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di Firenze). 3.235. Firenze, S. Maria del Fiore, modello ligneo della lanterna (Opera del duomo Sangallo. 3.236. Firenze, S. Maria del Fiore, disegno della lanterna di Battista da
3.237. Firenze, schema costruttivo di cupola col sistema a spinapesce (da Gurrieri). (da AA.VV., Filippo Brunelleschi 3.238. Firenze, S. Spirito, ricostruzione assonometrica dello schema brunelleschiano p.143). [1979], s.d. Paris , 1377-1446 iccardiano (Biblioteca Riccardiana di Fi3.239-240. Due vedute del Palazzo Medici dalle miniature del codice virgilio-r renze).
(P___
3.241. Firenze, Palazzo Pazzi-Quaratesi, veduta esterna.
3.242. Villa del Trebbio (presso Firenze).
3.243. Firenze, convento di S. Marco, biblioteca, veduta interna.
3.244. Montepulciano, palazzo pubblico, veduta esterna e Pienza, Palazzo del Capitano, veduta esterna. 3.245. Firenze, Palazzo Rucellai, veduta esterna.
3.246. Firenze, Palazzo Rucellai, dettaglio, primo capitello del secondo livello. 3.247. Firenze, Palazzo Rucellai, dettaglio, secondo capitello del secondo livello.
livello. 3.248. Firenze, Palazzo Rucellai, dettaglio, terzo capitello del secondo corrispondente al portone d’ingresso (la maglivello secondo del campata , dettaglio Rucellai, Palazzo Firenze, 3.249. evidenzia la maggiore ampiezza dell’interasse finestra della dell'arco ghiera della sostegno di giore larghezza dei piedritti tra le paraste dell’ordine architettonico).
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3.250. Firenze, Palazzo Strozzi, Benedetto da Maiano, disegno della piazza e dei palazzi circostanti: in alto a destra
Palazzo Strozzi, in basso a sinistra Palazzo di Palla Strozzi (Gabinetto fotografico della Soprintendenza BB.AA. SS. di Firenze). 3.251. Firenze, Palazzo Strozzi, dettaglio della facciata e particolare di una finestra.
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Appendice
Schede
AVVERTENZA
Le schede qui raccolte hanno lo scopo sia di approfondire determinati aspetti di temi già presenti nelle tre parti del testo, sia di fornire, per alcuni edifici, una più ampia informazione diacronica sulle vicende che li riguardano. La selezione, necessariamente limitata, è stata operata con criteri esemplificativi e quindi senza aspirare ad un’otganica completezza, affiancando ad opere più significative altre interessanti per aspetti particolari. Imonumenti sono stati divisi in cinque grandi aree geografiche (area francese, inglese, germanico-imperiale, iberica, italiana) e all’interno di queste ordinati in base all'ordine alfabetico dei luoghi. Le schede sono state compilate dai seguenti studiosi, che qui si ringraziano: Lia Barelli (L.B.), Simonetta Ciranna (S.C.), Daniela Esposito (D.E.), Donatella Fiorani (D.E.), Stefano Gizzi (S.G.), Maria Luisa Neri (M.L.N.), Giorgio Ortolani (G.O.), Stefano Pittaccio (S.P.), Raffaele Pugliese (R.P.), Augusto Roca de Amicis (A.R.), Isabella Salvagni (1.S.), Marfa Margarita Segarra Lagunes (M.S.L.), Claudio Varagnoli (C.V.), Gabriella Villetti (G.V.). Le schede non firmate sono a cura degli Autori.
Area francese
ANGOULÉME, SAINT-PIERRE
L'attuale cattedrale è stata preceduta da ben tre edifici, di cui, tuttavia, non resta
traccia: una chiesa dedicata a san Pietro del IV secolo fu sostituita da un’altra voluta da Clodoveo, conclusa nel 566, alla quale fece seguito, probabilmente adattando quello precedente, un nuovo edificio sorto su iniziativa del vescovo Grimoard de Mussidan e consacrato nel 1015. Ad appena un secolo di distanza, verso il 1110, una nuova cattedrale fu impiantata nello stesso luogo, per ordine di Girard II, vescovo dal 1101 al 1130, studioso di teologia e legato papale. La dignità del fondatore e il prestigio della città spiegano la grandiosità della costruzione, la cui consacrazione fu celebrata probabilmente nel 1128. Anche questa cattedrale subì pesanti rimaneggiamenti. A partire dal XIV secolo, vi furono aggiunte alcune cappelle e introdotte modifiche all’illuminazione. Alle distruzioni causate dalle guerre di religione (1562, 1568), si pose riparo con lunghi lavori conclusi nel 1636. Particolarmente invasivi i restauri di Paul Abadie tra il 1850 e il 1875, che alterarono fortemente l’edificio, con ricostruzioni nella navata e nel transetto, manomissione della facciata, eliminazione
delle cappelle aggiunte. La cattedrale, come oggi visibile, comprende una navata unica di tre campate cupolate, transetto sporgente con due cappelle orientate (ricostruite), coro absidato con cappelle raggianti. Le cupole si impostano su pennacchi sferici e su arconi a sesto acuto, che scaricano su pilastri rettangolari. A questi sono addossate coppie di colonne connesse ad altrettanti sottarchi che irrobustiscono gli intradossi degli arconi. Faceva eccezione, prima dell'Ottocento, la campata d’ingresso, ritenuta generalmente anteriore rispetto al resto, con massicci pilastri rettangolari privi di colonne. Ai lati della navata, la tamponatura è rafforzata da arcate cieche duplicate da archi su colonne, sulle quali corre una galleria continua. Il sistema costruttivo rappresenta un perfezionamento delle coperture cupolate diffuse nel Sud-Ovest della Francia, soprattutto nella corretta definizione dei pennacchi, sulla scorta di quanto realizzato nell’abbaziale di Souillac (Quercy); la riduzione dei piedritti con l'inserimento di colonne richiama da vicino il dispositivo messo a punto nell’abbaziale di Fontevrault (Anjou, 1119) e rivela la preoccupazione di diminuire le masse eccessive dei sostegni nelle prime chiese con questo tipo di copertura. La crociera era sormontata da una bassa cupola, ricostruita su tamburo nell'Ottocento.
Alle estremità del transetto si innestavano le basi di due campanili; ne resta solo quello settentrionale, interamente ricostruito nel secolo scorso, impostato su una lanterna ottagona sostenuta da pilieri. Il coro presenta la stessa larghezza della navata ed è concluso da un catino absidale; per mezzo di arcate a doppia ghiera sostenute da co-
Appendice. Schede
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lonne, si apre in quattro cappelle raggianti — solo una resta delle originali — e, sull’asse principale, in una grande monofora. La facciata, tra i torreselli angolari (di restauro), è costruita da un solo corpo, come è frequente nelle chiese ad unica navata. Prima delle arbitrarie aggiunte ottocentesche, ad un breve zoccolo basamentale, faceva seguito un ampio campo centrale rettangolare, sormontato da un attico leggermente
arretrato e concluso da un cornicione rettilineo, probabilmente modificato nel XVI secolo. La superficie oggi visibile è ripartita in cinque campate da sottili semicolon-
ne sormontate da arcate; l’intervallo centrale, dove si apre il portale e l’unica mo-
nofora, è più largo e concluso da un arco rialzato su colonnine che invade l’attico. Al loro interno, le quattro arcate laterali ospitano, al primo livello, archi ciechi minori;
una serie di bifore inquadranti sculture ai livelli superiori. Lattico presenta un analogo motivo di archeggiature con pannelli scolpiti. La superficie è così animata da una complessa scansione, funzionale all'inserimento della decorazione scultorea. La
cattedrale di Angouléme rappresenta un innesto riuscito del sistema cupolato, caratteristico dell’ Aquitania, sull'impianto a navata unica. Rispetto agli esempi precedenti, come Cahors o Souillac, viene precisata la proporzione dei vani cupolati interni, che assumono sempre più il ruolo di vere campate, capaci di articolare fortemente l’ambiente. A confronto del modello di Saint-Front a Périgueux, completamente differente per impianto, la presenza di sottarchi e colonne nell’intradosso degli arconi accentua l’effetto prospettico, riducendo le cesure indotte dalle larghe pause tra gli spazi cupolati. CAV.
AVIGNONE, PALAZZO DEI PAPI
Sito nella zona settentrionale di Avignone, il Palazzo dei Papi sorge su un banco roccioso (le rochers de Dors), in posizione leggermente decentrata rispetto al nucleo centrale della città, ma adiacente alla cattedrale. Il complesso realizzato, per la maggior parte, in pietra giallo-grigiastra delle vicine cave di Villeneuve-les- Avignon, è formato da due complessi chiaramente distinguibili: il Palazzo Vecchio e il Palazzo Nuovo, il primo edificato da Benedetto XII (già monaco cistercense) dal 1336 al 1342, ed il secondo da Clemente VI, dal 1342 al 1352. Nell’Archivio Vaticano vengono menzionati ben otto architetti succedutisi nella progettazione od esecuzione dei lavori del palazzo. Per quanto possano essere distinte sommariamente due parti e due epoche di costruzioni principali, tra gli studiosi (Canron, Faucon, Duhamel, Ehrle) vi è disaccordo sulla successione di molti settori dell'insieme. Il primo palazzo è, allo stesso tempo, fortezza e convento, e comprende, da un lato, gli appartamenti del papa, e, dall’altro, la cappella e gli edifici per i «famigli» e per il conclave, disposti intorno ad un chiostro dalla planimetria irregolare. La parte più ragguardevole della vecchia costruzione è costituita da una serie di torri (degli Angeli, di S. Giovanni, delle Cu-
cine, della Ghiacciaia e di Trouillas). Sembra ormai accertato che il primo architetto del palazzo sia stato Pierre Poisson (originario di Mirepoix, città di cui Benedetto XII era stato vescovo), che avrebbe diretto i lavori almeno per un paio di anni (1335-
1337), e che poi venne sostituito per motivi non chiari. Non è ancora noto, invece, a
chi si debba la continuazione della prima fase sotto Benedetto XII. Sembrerebbe altresì che il primo palazzo sia sorto senza uno schema prestabilito, ma che si sia proceduto ad ingrandimenti e ad ampliamenti in corso d’opera, contemporaneamente alla demolizione di alcune parti considerate ormai inadeguate. Vengono proposti i
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nomi degli architetti Guillaume de Cucuron e Pierre Obreri. Totalmente differente appare l’aspetto dell’«addizione» di Clemente VI, progettata e diretta da un architetto dell’Ile-de-France, anche se non tutti concordano con tale provenienza geografica: Johannes de Luperiis o de Luperia (Jean de Louvres), «magister operum palacii apostolici», come viene definito in un documento del 1348. Sotto il papato di Innocenzo VI (1352-62), successore di Clemente VI, è attestata contemporanea-
mente la presenza di «Johannes de Luperiis» e di «Raymundus Guitbaudi». Jean de Louvres riprende all’esterno della costruzione «il motivo dei grandi pilastri congiunti» (Lavagnino). Sempre alla metà del 1300 è attestata la presenza del lapicida Jean Postier de Salon, ed è probabile quella dell’architetto Jacques Laugier, attivo nella chiesa degli Agostiniani. E anche possibile, nel medesimo periodo, l’apporto di altri due lapicidi avignonesi: Bertrand e Pierre Folcaud. L'impianto è abbastanza regolare, essendo impostato su una corte quadrata — platea claustri—(la cosiddetta cour d’honneur), con quattro grandi corpi di fabbrica disposti sui lati perimetrali, di cui due si identificano con le precedenti costruzioni di Benedetto XII. La novità compositiva è rappresentata dall’ala meridionale, dall'andamento rettangolare, composta da due vasti ambienti sovrapposti: in basso la sala dell’udienza, in alto la cappella clementina. L’ala ovest, a due piani, ospitava l’alloggio di funzionari di diversi gradi, mentre nell’ala est erano disposti i servizi alimentari. L'abitazione del papa era indipendente, situata in un’ala isolata del palazzo. Da alcuni elementi stilistici si nota l’estrazione diversa del secondo architetto. In questo senso appaiono significativi i profili dei pilastri polistili, la ricchezza delle nervature delle volte, nonché l’accentuato decorativismo e la raffinatezza dei capitelli e dei peducci dell’ala di Clemente VI. Tutto ciò contrasta con la nudità e con la semplicità della prima costruzione del cistercense Benedetto XII. Nella seconda parte della costruzione compaiono affreschi di un certo rilievo, databili in gran parte al XIV secolo — ora molto deteriorati — di artisti della cerchia di Simone Martini (che lavorò ad Avignone, ma non è certo se nel Palazzo dei Papi) quali Matteo Giovanetti da Viterbo. La data probabile dell’arrivo ad Avignone di Simone Martini, la cui presenza è, peraltro, problema tuttora aperto, è il 1336, cioè nel momento iniziale dei lavori di decorazione del Palazzo dei
Papi. Da allora Avignone divenne il punto di espansione artistica italiana oltralpe nel Trecento, soprattutto come luogo di diffusione della pittura senese. Con Urbano V (1362-70) vennero effettuati lavori minori diretti dagli architetti Bertrand Nogayrol (1361-76), Bertrand de Masse, contemporaneamente attivo nella ristrutturazione delle fortificazioni urbane, e da Henri Clusel, che effettua alcune opere di «restau-
ro» e di consolidamento. Vanno menzionati anche altri due ultimi architetti er #tre del Palazzo: Jean Garcia (1404-1405) — canonico di Cordova — e Diego di Navarra (1404-1405), che si occuparono però solamente di aspetti di dettaglio e di riparazioni. La decadenza del palazzo avignonese iniziò col ritorno della corte papale a Roma. Gravi furono i danni riportati dal palazzo nel periodo della rivoluzione francese,
quando venne saccheggiato. Fu trasformato in caserma, poi in prigione e, con un de-
creto di Napoleone, compreso, nel 1810, tra gli edifici pubblici di proprietà statale. Importanti campagne di consolidamento e di restauro (sia pure in stile) vennero intraprese a partire dal 1876. S.G.
BERNAY, CHIESA ABBAZIALE DI NOTRE-DAME
Frai beni di Giuditta di Bretagna, andata in sposa al duca Riccardo Il di Norman-
dia tra il 996 e il 1008, era compreso il territorio di Bernay, sul quale la duchessa fece
Appendice. Schede
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costruire un monastero. Alla morte di Giuditta (1017), il completamento dell’opera fu affidato da Riccardo all’abate Guglielmo di Volpiano, energico riformatore piemontese, chiamato in Normandia per risollevare le sorti del monastero di Fécamp. Al la morte di Guglielmo, nel 1028, l'abbazia di Bernay seguì le sorti delle altre dipendenze di Fécamp, fino all’elezione di Vital de Creully, menzionato nel 1061 come abate del cenobio. Il coro è attualmente la parte più antica della chiesa - come ha dimostrato Grodecki analizzando l’apparato scultoreo — e potrebbe risalire ad un periodo collocabile tra il 1008 e il 1028. Più complessa la datazione del resto della chiesa; se si ammette che per il completamento dell’opera fu decisiva l’azione di Vital de Creully, si può ipotizzare un periodo tra il 1040, data del probabile ingresso di Vital, e il 1075. Dopo un periodo di stabilità economica nel corso del XII secolo, nel 1249 un incendio ridusse drasticamente la presenza dei monaci. Nel XV secolo si ebbe una prima ricostruzione della navata laterale nord e dell’abside. Nel XVI secolo l’abbazia fu gradualmente abbandonata; tuttavia, nel 1618 si iniziò la ricostruzione del chiostro e più consistenti modifiche si ebbero nel corso del XVII secolo, con la realizzazione della
facciata e la conseguente eliminazione di due campate. Dopo la soppressione del monastero nel 1790, la chiesa fu danneggiata e utilizzata in modo improprio durante tutto il secolo XIX. La pianta originaria comprendeva una navata di sette campate rettangolari, con navatelle e terminazione absidale secondo lo schema benedettino classico: al transetto con cappelle orientate, faceva seguito il coro tripartito, concluso da un'abside e fiancheggiato da navatelleterminate da absidi minori. La disposizione non è oggi più leggibile, ma si trattava di uno dei primi esempi di chever échelonné, analogo a quelli di Déols (Berry) e Perrecy-les-Forges (Borgogna), modellati sull'esempio di Cluny II e databili agli inizi dell’ XI secolo. Le cinque campate esistenti presentano un elevato diviso in tre piani e copertura lignea a botte. Il primo livello è aperto sulle navate laterali con semplici arcate sostenute da pilastri a pianta composita; nell’intradosso, un profilo a toro si imposta su semicolonne addossate ad un breve risalto. Ne risulta una ghiera tripartita — confrontabile con analoghe disposizioni nelle cripte di Nevers e Auxerre (1030-1035) e nel Saint-Martin di Tours (seconda metà dell'XI secolo) — frutto tuttavia di un cambiamento di programma, come dimostra lo scarto fra i giunti del pilastro e quelli del toro. Il secondo livello si apre verso il sottotetto della navata laterale mediante bifore rafforzate da archi di scarico. Un tentativo di alleggerimento del muro è attestato dalla presenza di nicchie a fondo piatto, destinate forse a ospitare dipinti, alternate alle bifore. L’ultimo piano è aperto da monofore, fortementerimaneggiate. La navatalaterale nordè stata rifatta nel XV e nel XVI secolo, con crociere; quella sud è divisa in campate da risalti sui quali insistono volte a vela, databili forse al XVII secolo. La crociera, coronata in origine da una torre, è sostenuta da quattro archi a sesto sensibilmente rialzato, in una disposizione abbastanza rara in Normandia, ancorché non isolata (chiese di Acquéville e Tollevast). Lo slancio degli archi,
confrontabile con quelli di Jumièges, e alcuni caratteri della decorazione scultorea sembrano ricondurre questa parte alla seconda metà dell'XI secolo. Del transetto originario rimane il solo braccio sud, che presenta uno dei più antichi esempi di 7247 épats, cioè di una parete svuotata, nel proprio spessore, da un percorso generalmente sommitale. Nella chiesa di Bernay sono enunciati quindi tutti i temi dell’architettura ro-
manica di
Normandia, ma ancora contenuti in uno scheletro tradizionale. L’alzato del-
la navata indica che non c’è interesse per il valore connettivo della campata, come accadrà già a partire da Jumièges. L'attenzione è ancora tutta perla continuità del muro,
evidenziato nella sua valenza volumetrica di spessore da incidere e animare plasticamente. Manca una coerente sintassi strutturale che organizzi l'articolazione della parete, ma è posta con chiarezza la sua urgenza espressiva.
C.V.
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633 BOURGES, CATTEDRALE
La cattedrale di Saint-Etienne si deve all’iniziativa dell’arcivescovo Henri de Sully (fratello di Eudes, vescovo di Parigi), il quale fornì i fondi per l’inizio della costruzione insieme con il capitolo, che assunse l’amministrazione della fabbrica dal 1201; ma il progetto di rinnovare la preesistente chiesa dell'XI secolo, risaliva già al 1172. La conformazione del sito, a contatto del fossato della cinta muraria romana,
offrì la possibilità di realizzare una cripta. I lavori cominciarono nel 1195 dalla parte orientale, con il deambulatorio e le prime campate del coro sul lato destro (1208); entro il 1214 furono realizzati il triforio, le finestre e le volte del coro. In una seconda campagna (1225-55) venne completato il tratto anteriore della navata. La facciata, che presenta cinque portali, corrispondenti alle cinque navate, è una variante del tipo «armonico». La fascia continua dei portali, compiuti tra il 1260 e il 1280 con la loro decorazione scultorea (in parte distrutta al tempo delle guerre di religione) e sormontati da acute ghimberghe, tende a ricostituire l’unità della parete, profondamente incisa da sei grandi contrafforti verticali. Alla fine del XIII secolo fu realizzato dal maestro Michel il torrione di rinforzo sul lato destro a contrastare una rotazione della fronte e della torre meridionale, rimasta incompiuta. La grande finestra centrale venne aperta da Guy de Dammartin, architetto del duca di Berry, alla fine del XIV secolo, le cappelle tra i contrafforti laterali sono del XV; nel 1506 crollò la torre nord, ricostruita e terminata, ormai in forme dell’epoca, nel 1532, con il
portale sottostante, dedicato a S. Guglielmo. Le dimensioni dell’edificio indicano la volontà di superare quelle delle cattedrali precedenti: la lunghezza totale raggiunge 125 m, la larghezza del corpo delle cinque navate 50 m; l'altezza delle volte delle navatelle esterne è di 9,30 m, quella delle navatelle interne 21,30, la navata centrale si innalza a 37,159 m. Le crociere della
navata sono esapartite, come a Parigi, ma con costoloni molto sottili, che accentuano il senso di linearismo e l’estrema leggerezza che caratterizza tutte le membrature; la suddivisione in campate è quasi inavvertibile, come pure l’alternanza dei pilastri, fasciati da colonnine, che si realizza soltanto al di sopra dei capitelli delle arcate. Queste ultime sono altissime e producono un senso di grande unità spaziale, perché le navatelle interne, altrettanto alte, si proiettano attraverso di esse nel vano cen-
trale; idea che potrebbe essere stata suggerita dall’alzato di Cluny III (Kimpel, Suckale). Ugualmente unitario l’esterno, dove l’assenza del transetto ha consentito di configurare le navate laterali come due corpi continui gradonati che si addossano al volume più alto e si incurvano intorno al coro; la regolare successione degli archi rampanti, che si conformano rigorosamente alla struttura piramidale delle masse, contribuisce ad unificare l’insieme. Le cappelle del deambulatorio, non previste originariamente ed inesistenti alla quota della cripta, furono aggiunte verso il 1200, a sbalzo su contrafforti affiancati da colonnette libere. Sotto l’aspetto della tecnica costruttiva, Bourges rimane legata ai metodi di organizzazione del lavoro e di taglio della pietra caratteristici degli ultimi anni del XII secolo, con impiego di conci di piccola taglia e senza una sistematica normalizzazione dei formati, per cui è da presumere che i pilastri e i contropilastri siano stati realizzati sulla base di «sagome d’insieme», relative non ai singoli componenti, ma al profilo complessivo, assemblando opportunamente in fase di posa pietre diverse (Kimpel).
Appendice. Schede
634 BOURGES, HOTEL DE JACQUES COEUR
Nel 1224, una disposizione di Luigi VIII aveva permesso agli abitanti di Bourges di costruire sulle mura; in seguito a ciò, molte torri e tratti del circuito erano divenute proprietà private. Nel 1443 Jacques Coeur, tesoriere del re Carlo VII acquistò da Jacques Belin, per 1200 scudi, un possedimento comprendente due torri delle mura sulle quali realizzò il suo palazzo. Le fasi principali della costruzione, articolata intorno ad un cortile centrale irregolare, riguardano il periodo dal 1443 al 1453. Dopo tale data, caduto in disgrazia il tesoriere, il palazzo venne confiscato. Reso agli eredi nel 1457, subì varie alienazioni e passaggi di proprietà: fu dei Turpin, dei Laubespine e, nel 1679, di Colbert; infine, nel 1682, divenne municipio di Bourges. Dopo ulteriori trasformazioni a seguito di altre destinazioni, venne adibito, nel 1858, a Palazzo di Giustizia. Come si è detto, il palazzo riutilizza in parte il circuito difensivo gallo-romano: nella facciata occidentale, appoggiata alle mura, rimaneggiate durante il XIII e XIV secolo, si rileggono elementi che richiamano temi militari. In particolare, il prospetto sull’attuale piazza di Berry presenta sull’asse centrale un pignon a tetto acuto, e alle due estremità due torrioni cilindrici disuguali per dimensioni. Quello meno ampio (la Tour de Chaussée) è sormontato da un dorjon a base poligonale ed è fiancheggiato da una torretta contenente uno dei corpi scala. È paragonabile, per alcuni aspetti, al Palazzo di Bourg-Théroulde a Rouen. Chiara appare l’influenza dell’edificio su altre soluzioni adottate per ulteriori residenze a Bourges, quali l’Hòtel des Hechevins, la cui torre scalaria deriva appunto da quella dell’Hétel de Jacques Coeur. La disposizione delle mura della città, che seguono un angolo ottuso molto aperto, avrebbe obbligato l’architetto a dare un impianto che si riproduce nel cortile. Particolare interesse riveste l’insieme «scala-cappella» situata al di sopra dell’entrata. Proprio la presenza delle scale a chiocciola, che troverebbero nel palazzo uno dei primi esempi, è uno dei fattori testimonianti il mutamento rispetto ai precedenti esempi medievali (Focillon). Significativa è la decorazione scolpita, unitariamente legata all'architettura e consistente in finte finestre dalle quali si affacciano vari personaggi in scene di vita familiare. Nello stretto connubio tra architettura, scultura, mobilio, vetrate, tappezzeria, le funzioni degli am-
bienti principali sono sottolineate da soggetti scolpiti sul timpano delle porte. La corte che precede le abitazioni è circondata su tre lati da portici a doppia altezza. La cappella, situata al di sopra del vestibolo d’ingresso, dal lato opposto del cortile rispetto alla grande sala di rappresentanza del primo piano, è raccordata al resto dell’edificio, al primo livello, mediante una galleria di servizio ad L. È articolata in due campate coperte a crociera, con chiavi di volta decorate, le cui nervature poggiano su mensole, con decorazioni dipinte molto raffinate (figure di angeli che recano cartigli sui quali sono impressi brani dell'Antico Testamento). Dal lato opposto al suo ingresso, un’ulteriore galleria rettilinea mette in comunicazione la cappella stessa con altre sale. I corpi d’abitazione sono divisi in due gruppi. Le stanze principali sono servite da scale speciali e possono essere messe a volontà in comunicazione tra di loro o essere isolate le une dalle altre. L'insieme dei locali per le cucine è posto in posizione angolare. Ciò consente un collegamento diretto con l’esterno mediante dei duplici corridoi. Un solo ambiente ha una destinazione ben evidente: la grande
salle, accessibile alle due estremità tramite due torrette con scale a chiocciola, illu-
minata sui due lati, serviva per i banchetti e per le feste; vi si distingue anche la tribuna per l'orchestra. All’interno del cortile, sul lato lungo che raggruppa il corpo principale dell’edificio, si evidenziano i tre corpi-scala principali. Quello centrale, dalla planimetria ottagonale, che funge anche da cerniera di rotazione dell’intero
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corpo di fabbrica e che permette uno degli accessi, presenta su due delle facciate finestre binate su quattro livelli, rimarcanti l'andamento della chiocciola. Gli altri due corpi-scala, angolari, hanno una configurazione planimetrica più irregolare: quello di destra immette direttamente nel gruppo delle cucine, ed ha il timpano sulla porta d’accesso scolpito con scene relative a questa funzione; quello di sinistra è più semplice e reca in sommità una serie di arcatelle supportanti una balaustra decorata. Le finestre del fronte principale sul cortile sono di tipo crociato, con cornici marcapiano orizzontali decorate a losanghe quadrilobate. Il Frankl insiste sulle diversità delle varie parti della costruzione, di differente altezza, di libera combinazione con
le torrette che producono un insieme dal ritmo molto libero. Nota infatti che, per quanto l’Hòtel de Jacques Coeur sia stato costruito tutto al medesimo tempo, appare irregolare al pari di altri edifici gotici ove, invece, si sono verificate «addizioni» successive: quali la Town Hall a Breslau, o come il Palazzo dei Conti di Poitiers. Oggi, dopo le trasformazioni ottocentesche e dopo aver subito ulteriori adattamenti, con restauri in stile (Bovilly) e restituzioni è l’identigue di alcuni ambienti e di gran parte degli arredi, l Hòtel de Jacques Coeur ospita un museo di scultura medievale.
S.G.
CAEN, SAINT-ETIENNE
Le due abbazie di Caen, Saint-Etienne e la Trinité, sono strettamente legate alla
figura del duca Guglielmo il Bastardo, il Conquistatore del regno d'Inghilterra (1066), e di sua moglie Matilde di Fiandra. A causa dei rapporti di parentela fra i due sposi, le nozze erano state osteggiate dal pontefice; grazie alla mediazione di Lanfranco di Pavia, giurista insigne e abate del cenobio di Le Bec, il papa Nicolò II concesse il perdono in cambio della costruzione di due abbazie benedettine: SaintEtienne, destinata ad un monastero maschile e affidata da Guglielmo allo stesso Lanfranco (Abbaye-aux-Hommes); la Trinité, inserita in un cenobio femminile fon-
dato e retto da Matilde (Abbaye-aux-Dames). Al 1063 è tradizionalmente fissata la fondazione di Saint-Etienne, ma l’afflusso di ricchezze provenienti dalla conquista dell'Inghilterra determinò probabilmente un ampliamento dei propositi iniziali. La dedica solenne della chiesa, a lavori quasi conclusi secondo la maggior parte degli studiosi, ebbe luogo nel 1077 (lo stesso anno di Canterbury e di Bayeux) e nel 1087 vi fu sepolto il Conquistatore. A questa prima fase corrisponde l’impianto, derivato dal tipo benedettino di Cluny II: tre navate, di cui la centrale ripartita in otto campate scandite da pilastri alternati; transetto sporgente con cappelle orientate; coro di dimensioni contenute e senza deambulatorio. Ad una seconda campagna di lavori, attorno al 1130-40, risale la costruzione delle volte nella navata, in sostituzio-
ne del soffitto ligneo. All’inizio del XIII secolo, fu abbattuto il coro romanico e realizzato, dal maestro Guglielmo, un vasto coro gotico con deambulatorio e cappelle
raggianti, armonicamente inserito sulle strutture preesistenti. Altra aggiunta gotica
è la cappella Halbout, aperta nel XIV secolo nella navata laterale nord. Nel 1566, la lanterna che sorgeva sulla crociera crollò, distruggendo parte del coro; la base del-
la torre fu salvata da accorti restauri del 1599-1626. In Saint-Etienne, il senso sicu-
ro dell’articolazione plastica delle pareti si fonde con la ricerca di alleggerimento del
muro. Le proporzioni ampie, misurate da rigorose partizioni, non mancarono di in-
fluenzare le contemporanee esperienze inglesi. L’accento è tutto sugli elementi strutturali e sulla connessione fra le parti, più che sulla continuità muraria tipica delle
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prime costruzioni normanne. Decisivo il ruolo dell'apparecchio lapideo, con conci di medie proporzioni che non interferiscono con le linee architettoniche. La facciata è un esempio ben conservato del tipo «armonico» normanno (fagade harmonique), destinato a soppiantare la tradizione del Westwerk, ancora presente a Jumièges, e a diffondersi largamente in età gotica. Consiste in un blocco rettilineo alto tre piani, sormontato da torri corrispondenti alle navi laterali; il ricordo delle facciate carolinge di Lorsch e Corvey è superato grazie a proporzioni del tutto nuove e alla organica connessione con la partizione interna. Il prospetto è scandito dai contrafforti che sostengono le torri e da semplici marcapiani. I due altissimi campanili sono divisi in tre piani, progressivamente alleggeriti verso l’alto e conclusi, nel XII secolo, da guglie di pietra. La navata si presenta con un elevato diviso in tre piani: le ampie aperture del piano terra sono replicate, senza una partizione orizzontale, in cor-
rispondenza dei matronei, mentre all’ultimo livello corre una galleria ricavata nello spessore murario, denunciata in origine da quattro finestre, poi alterate al momento della costruzione delle volte. Resta dubbia l’organizzazione dei sostegni della navata centrale. Sulla parete scavata dai forti chiaroscuri delle arcate, si disegnano esili semicolonne, alternativamente innestate sul muro o su semplici risalti rettilinei. La differenza è appena percepibile, ma non è chiaro se fosse legata, in origine, alla presenza di archi diaframma (come inizialmente in Saint-Vigor a Bayeux e a Cérisy-laForét). Il sistema fu abilmente sfruttato al momento della realizzazione delle volte costolonate, che sono esapartite e disegnano campate quadrate solcate da nervature trasversali in corrispondenza delle «pile deboli». La presenza delle volte portò alla ridefinizione dell’ultimo livello, ove furono aperte finestre, affiancate alternativa-
mente a sinistra e a destra da piccole arcate cieche. Per il disegno delle nervature e il sesto ribassato nei costoloni diagonali, le volte di Saint-Etienne riprendono le prime esperienze di coperture costolonate apparse nell’architettura anglonormanna (Lessay dopo il 1080; Durham 1093-1104).
(ala
CAEN, LA TRINITÉ
La cerimonia della dedica della chiesa dell’abbazia femminile della Trinité si svolse nel giugno 1066, pochi mesi prima della fortunata spedizione del duca Guglielmo contro l'Inghilterra. A quella data, una parte dell’edificio era stata certamente completata: forse la cripta, che tuttavia presenta capitelli collocabili attorno al 1090 o, più probabilmente, secondo ricerche recenti, il coro. La fondazione dovrebbe risalire agli anni 1059-60; l’anteriorità rispetto all’Abbaye-aux-Hommes giustificherebbe alcuni caratteri arcaici. Anche in questo caso, il denaro proveniente
dall'Inghilterra dovette indurre ad ampliare il progetto iniziale, tanto che si ebbe probabilmente una seconda dedica nel 1077. Alla morte della moglie di Guglielmo, Matilde (1083), la chiesa doveva presentarsi con la sua navata allungata coperta da un soffitto ligneo o con travature in vista; il transetto molto sporgente con quattro cappelle orientate e coro formava un sistema absidale di ambienti con profondità decrescente (chever échelonné), presente a quella data, nella regione, solo a SaintEtienne e a Bernay. La facciata occidentale seguiva ancora l’arcaico tipo a portico, di ascendenza carolingia, esteso anche alla base delle due torri di prospetto e sormontato da una tribuna aperta sulla navata interna. Dopo la fase di anarchia seguita alla morte di Guglielmo, in un periodo collocabile fra gli inizi del secolo XI il
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1120, si ricostruirono la facciata e il coro. Entro il 1130, furono realizzate le volte sulla navata centrale, con la conseguente modifica dell’elevato. Nel XIII secolo, in aderenza al braccio destro del transetto, fu costruita la sala capitolare, con la di-
struzione delle cappelle che si aprivano su quel lato. Le dimensioni della Trinité sono più raccolte rispetto a Saint-Etienne. La nuova facciata, molto alterata da rifacimenti e restauri, ripete lo schema «armonico», ma la pianta delle torri non corri-
sponde esattamente all’ampiezza delle navi laterali. La navata si presenta appesantita dagli elementi decorativi. In elevazione, infatti, alle alte arcate del primo livello — sostenute, come a Saint-Etienne da una ghiera su semicolonne addossate ai pila-
stri — fa seguito un falso triforio realizzato con sei arcate cieche per campata. All’ultimo livello, il tradizionale corridoio perimetrale è aperto da un’alta finestra affiancata da due minori. La copertura della navata centrale rappresenta una tappa sperimentale nella messa a punto del sistema voltato. Si tratta di volte «falsamente esapartite», oggi analizzabili nella ricostruzione ottocentesca: le campate sono infatti raccolte due a due sotto crociere costolonate a pianta quadrata, formate in realtà da sole quattro vele, solcate da archi che diaframmano la navata. Malgrado riscontri con altre chiese normanne (Ouistreham, Bernières, Saint-Gabriel) e, per i profili delle modanature, con la sala del tesoro di Canterbury, resta difficile datare con sicu-
rezza questo sistema. Altre soluzioni originali sono nell’abside, dove cinque arcate su pilastri circolari, appena staccati dal muro di fondo, inquadrano altrettante finestre, su due livelli, in una sorta di falso deambulatorio che alleggerisce la parete e permette una copiosa illuminazione, in linea con precedenti analoghe disposizioni a Cérisy-la-Forét e Lessay. La cripta, l’unica esistente fra tutte le grandi chiese normanne, è a pianta rettangolare, divisa in cinque navate da sedici colonne e conclusa da una piccola abside. Il sistema rigoroso messo a punto nella chiesa di Saint-Etienne non trova, nella Trinité, un’applicazione altrettanto organica. Si manifesta un certo formalismo — simile a quanto si verifica nell’importante corredo scultoreo — che punta a risolvere il dato spaziale in apparato decorativo e rivela un atteggiamento conservatore riguardo a soluzioni ormai consolidate. CAV
CHARTRES, CATTEDRALE
Il 5 settembre 1134 un incendio distrusse il portico e la torre antistanti la cattedrale romanica dell’XI secolo, fatta costruire dal vescovo Fulberto; poco dopo, sul lato nord, in posizione avanzata rispetto alla precedente, si dette inizio alla costruzione di una nuova torre, intorno al 1150 ne fu aggiunta una seconda a sud, e tra le due venne eretta una fronte con tre portali (Portail Royal), collegata alla chiesa di Fulberto da un nartece. Nella notte tra il 10 e l’'11 giugno 1194 un nuovo incendio devastò la vecchia cattedrale, coperta a tetto, risparmiando soltanto la cripta, le due torri e la nuova facciata, protetta dalle volte del nartece. La ricostruzione, iniziata
subito dopo sulle fondazioni esistenti, fu piuttosto rapida, consentendo la ripresa del culto nella navata nel 1210; i canonici presero possesso del coro nel 1221; la consacrazione avvenne il 24 ottobre 1260. Nel 1316 si resero necessari restauri alla volta dell’incrocio, ma dopo questa data la cattedrale ha subito soltanto poche trasformazioni e rifacimenti: tra il 1324 e il 1349 fu aggiunta la sala capitolare con la soprastante cappella di Saint-Piat; nel 1417 venne aperta, sul lato sud della navata, la cappella de Vendéme su disegno del maestro dell’opera Geoffroi Sevestre; la guglia
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della torre nord, già accresciuta di un piano nel XIII secolo, fu eretta tra il 1507 e il
1513 da Jean Texier (Jean de Beauce), che realizzò anche la recinzione del coro. Nel 1836 un nuovo incendio distrusse la carpenteria delle coperture (che venne sostituita con l’attuale struttura metallica), ma senza compromettere la stabilità delle volte sottostanti.
L’edificio è lungo 130,2 m, largo 64 in corrispondenza del transetto, e l'altezza delle volte raggiunge i 37 m. Il disegno della pianta fu condizionato dalla necessità di adeguarsi alle preesistenti strutture della cripta e della facciata: il corpo longitudinale fino al transetto (sette campate, delle quali le prime visibilmente più strette, più altre due corrispondenti al nartece tra le torri) è a tre navate; il coro, di tre campate, ha cinque navate e un doppio ambulacro con cappelle. Perciò, allo scopo di raccordare i due corpi di ampiezza diversa, fu previsto il grande transetto sporgente, di sette campate per tre navate, concluso a nord e a sud da due fronti con portico e con torri laterali (rimaste incompiute). Poiché altre due torri vennero impostate all’inizio del deambulatorio, ed una era prevista sull’incrocio, la cattedrale avrebbe avuto sette torri più le due di facciata. La cronologia dell’edificio e lo svolgimento delle successive fasi edilizie non trova concordi gli storici della cattedrale: in genere si ritiene che il coro e il deambulatorio siano il risultato di una variazione del progetto originario, ma le opinioni divergono sull’entità delle trasformazioni. Per dare una spiegazione alle discontinuità riscontrabili nelle strutture murarie, in base ad un’analisi molto attenta, J. James ha espresso l'opinione che la fabbrica sia stata condotta da diversi gruppi itineranti di lapicidi, operanti sotto la guida di imprenditori, per periodi anche assai brevi, fino all'esaurimento dei fondi di volta in volta stanziati dalla committenza, senza un progetto esecutivo unitario e la soprintendenza di un vero e proprio architetto. La diversa profondità delle cappelle dell’ambulacro, dove quelle ai lati della cappella centrale si riducono semplicemente a una flessione della parete di fondo, si motiva con la necessità di adeguarne il perimetro alla sottostante struttura della cripta di Fulberto, ma si è osservato (Bony) che, al di là di tale esigenza, la diversa ampiezza tra gli interassi delle colonne intermedie del deambulatorio contribuisce, creando direttrici visuali preferenziali, all'effetto di dilatazione trasversale dello spazio in questa parte dell’edificio. Le facciate dei bracci del transetto, che forse in origine erano previste con un solo portale, sarebbero state iniziate dopo il 1204 e completate, con i portici antistanti intorno al 1225; le parti alte e la decorazione scultorea, opera di maestranze diverse, verso il 1235-40 (il rosone del transetto settentrionale, che sem-
bra il più moderno, ante 1236). Il programma iconografico della scultura sviluppa i temi che diverranno consueti sulle facciate gotiche: a nord il Trionfo della Vergine, e figure dell'Antico Testamento; a sud il tema del Giudizio, con le immagini degli apostoli e di confessori e martiri.
CLUNY, CHIESA ABBAZIALE
L’abbazia di Cluny fu fondata dal duca Guglielmo d'Aquitania, detto il Pio, con-
te di Alvernia, Velay e Macon, che donò a Berno (910-927), abate di Baume-les-Messieurs, una grande proprietà sulle rive del fiume Grosne, non lontano da Macon, con
campi e foreste ed al centro di una fitta rete di vie di comunicazione; è probabile che
la felice posizione geografica abbia favorito lo straordinario sviluppo dell’abbazia.
L'atto di fondazione (11 settembre 910) stabiliva che Cluny fosse retta dalla regola
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di san Benedetto e prevedeva la sua esenzione da ogni giurisdizione civile o ecclesiastica, rendendola soggetta alla sola autorità del papa. La prima chiesa abbaziale (Cluny I, consacrata nel 926, di cui non rimangono testimonianze archeologiche) probabilmente fu una costruzione modesta. Con il successore di Berno, Oddo (927942), Cluny ottenne l’annessione di alcune altre abbazie, ponendo le fondamenta del
futuro «impero»; a questo abate si devono le prime formulazioni della nuova spiritualità cluniacense, che trovò esito nella riforma dell'XI secolo. Dopo di lui, Aymard
(942-954) accrebbe ulteriormente il potere temporale dell’abbazia e iniziò tra il 955 ed il 960 (o a partire dal 948) la costruzione di una nuova chiesa (Cluny II). Il suo successore Mayeul (954-994), fu intimo di re e imperatori, brillante diplomatico, e consigliere di Ugo Capeto; portò avanti la politica di espansione dell’abbazia e sotto di lui venne consacrata, nel 981, Cluny II, ma solo con l’abate Odilone (994-
1049), considerato il «vero fondatore» della grandezza di Cluny, la nuova chiesa avrebbe avuto una copertura a volte sulla nave centrale. A quest’ultimo si deve anche la ricostruzione del monastero e, intorno al 1000, l'aggiunta alla facciata di un nartece di tre campate (galilea), preceduto da un atrio. La pianta di Cluny II è nota grazie agli scavi di K.J.Conant: il coro a tre navate, era concluso da un'abside e due absidiole in spessore di muro, ed aveva annessi due ambienti rettangolari comunicanti con il transetto e con il coro stesso; al di là del transetto, sul quale si aprivano altre due cappelle, il corpo longitudinale, a tre navate, si sviluppava su sette campate. Più problematica è la ricostruzione dell’alzato: probabilmente le ali del transetto erano basse, un’alta torre su pianta oblunga segnava l’incrocio, il coro era coperto a volte, la navata centrale a soffitto piano (forse, come si è detto, voltata al tempo di Odilone), e due campanili si ergevano all’ingresso della galilea. La complessa organizzazione presbiteriale (coro a gradoni o échelonné) venne ripresa in altre costruzioni dell'ordine e delle regioni circostanti, talora in versione semplificata (Romainmòtier). L’abate Hugues de Semur (1049-1109) fece di Cluny il centro della cristianità, seconda Roma, da cui dipendevano circa mille monasteri in tutta Europa. Nel 1088
iniziò la costruzione di una nuova chiesa (Cluny II), considerando quella esistente inadeguata alle esigenze dei monaci; nel 1095, quando il coro del nuovo edificio non era ancora completato, papa Urbano II consacrò l’altare maggiore e quello del mattutino, e altri tre furono consacrati dai vescovi che l’accompagnavano. Secondo Conant, responsabili della fabbrica furono due monaci: Gunzo, già abate del monastero di Beaune, psalzista praecipuus e probabilmente conoscitore di Vitruvio, ed Hézelon, chierico della chiesa di Liegi la cui competenza si estendeva a molteplici discipline tra cui la matematica; ma l’ipotesi non è accolta da tutti gli studiosi. Il coro di Cluny III fu compiuto quando era abate Ponzio di Melgueil (1109-21): attorno al 1118 vennero messi in opera otto dei dieci fusti di marmo del deambulatorio. A tale data forse risalgono pure i capitelli del presbiterio, di altissima qualità, attualmente nel granaio dell’abbazia, e la pittura su fondo d’oro dell’abside, raffigurante Cristo in gloria, di cui resta qualche frammento. Poco dopo si demolì la navata di Cluny II per ingrandire il chiostro. Infine sotto Pietro il Venerabile (1122-56), successore di Ponzio, dopo un parziale crollo della volta nel 1125 (a seguito del quale vennero realizzati contrafforti forati simili ad archi rampanti), il 25 ottobre 1130 si ebbe la solenne consacrazione della nuova chiesa, da parte di Innocenzo II.
La pianta di Cluny III presentava un impianto a doppio transetto. Tra i due tran-
setti, di diversa ampiezza, sormontati da quattro campanili, era compreso il coro di
due campate su cinque navate, che proseguiva a est con una campata su tre navate e con il deambulatorio dotato di cinque cappelle radiali. Il corpo longitudinale a cin-
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que navate aveva doppie navatelle di altezza decrescente, che, a differenza dello schema proprio alle chiese di pellegrinaggio, non si estendevano ai bracci trasversali. La lunghezza totale raggiunse i 187 m, con l’aggiunta di un nartece di cinque campate e delle due torri di facciata; il nartece, che è ammorsato alla facciata, fu certa-
mente deciso e iniziato insieme a quest’ultima, anche se la sua costruzione si protrasse fino al XV secolo. La navata centrale era coperta da una volta a botte a sesto
acuto, alta circa 30 m, su un’ampiezza di 10 m; la sottostante parete, separata dalla volta mediante una cornice, si articolava su tre piani: le arcate, alte oltre 15 m, tutte
a sesto acuto (per questa scelta si è ipotizzata l’influenza dell’abbazia di Montecassino, che Hugues visitò nel 1083); al di sopra una galleria di arcate cieche; infine tre
finestre arcuate per ogni campata. Circa la tecnica costruttiva, le pareti erano costruite con piccoli conci, secondo una tradizione ormai consolidata, mentre pilastri
e contrafforti vennero realizzati con un’opera muraria di grosso taglio, ben fatta e con commessure sottili. Le forme si arricchiscono di motivi derivati dal repertorio antico: paraste scanalate, capitelli ispirati a quelli dell'ordine corinzio, archivolti con ovoli cinti da nastri, cornici, basi di tipo attico.
Nel corso del XIV secolo una cappella a volte ogivali sostituì una delle absidiole del transetto maggiore, mentre all'abate Jean de Bourbon (1456-80) si deve l’aggiunta, al braccio meridionale del transetto minore, di un’altra cappella in forme tardogotiche. L’abbazia subì le guerre e le devastazioni dei secoli XV e XVI; l’istituzione della commenda e, nel XVII secolo, lo scisma che divise la congregazione,
accelerarono il processo di decadenza. Nel 1750 il priore claustrale Dom Dathoze demolì quanto restava di Cluny I e ricostruì gli ambienti conventuali con gusto neoclassico; nel 1774 il Consiglio di Stato pose l’abbazia sotto la giurisdizione del vescovo di Macon. La grande chiesa sopravvisse fino alla rivoluzione, quando l’abbazia fu soppressa e messa in vendita. Il portale occidentale fu abbattuto nel 1810; nel 1823 la chiesa era praticamente distrutta. Rimasero in piedi solo il braccio meridionale del transetto maggiore e la cappella Bourbon; è in corso una campagna di scavi e di restauri.
Rex
CONQUES, SAINTE-FOY
La fabbrica romanica, destinata ad accogliere le reliquie della santa, venne interamente rifatta dall'abate Odolrico (1031-65) a partire probabilmente dal 1041-50, su un sito già occupato da una chiesa del IX secolo. La grande omogeneità spaziale e formale della nuova struttura suggerisce che i lavori di costruzione abbiano seguito nel tempo un progetto unitario e che si siano conclusi entro gli ultimi anni del1XI e l’inizio del XII secolo. In questo periodo, infatti, l'abate Bégon (1087-1107) sovrintendeva esclusivamente alla costruzione del chiostro abbaziale. Sainte-Foy è, quindi, la più antica chiesa di pellegrinaggio ancora esistente: essa propone la tipologia già sperimentata a Saint-Martin a Tours, con il numero delle navate ridotto a tre e l'aggiunta di un ampio transetto. Nella zona presbiteriale, coro, deambulatorio e cappelle radiali sono disposti nel consueto sistema «sintetico» proprio delle chiese monastiche e delle grandi chiese di Normandia e Borgogna. La lunghezza complessiva è ridotta rispetto alla larghezza, ma la dimensione prevalente è quella dell’alzato: il rapporto larghezza-altezza delle pareti arriva ad 1:2,5. Come a SaintSernin a Tolosa, il sistema di coperture sfrutta sapientemente l’effetto di contro-
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spinta delle semibotti dei matronei soprastanti le due navatelle laterali e dell’alta volta a botte della navata centrale, favorendo la disposizione di un'illuminazione indiretta e contrastata dello spazio. L'incrocio fra navata e transetto è segnato da un tiburio-lanterna ottagono su trombe coniche, in origine coperto a cupola e poi da una crociera nervata, realizzata nel XIV secolo. L'abside presenta tre sole cappelle radiali e si articola su pilastri cilindrici, mentre altre cappelle e absidiole si aprono nel transetto. L'apparente omogeneità strutturale della chiesa, articolata nella successione di arcate su pilastri sormontate dalle bifore dei matronei che corrono per l’intero perimetro e ricompaiono leggermente modificate nello stretto ambulacro dell'abside, viene smentita da alcune difformità dimensionali, come la maggiore profondità della prima e dell’ultima campata della navata centrale o la diversa larghezza delle arcate. I materiali impiegati nella costruzione sono eterogenei: un grosso apparecchio regolare in arenaria rossa delle cave di Nauviale è presente nei muri orientali del transetto, nel deambulatorio, nelle cappelle e nelle basi dei pilastri e del coro; blocchi medi, tipici dell'XI secolo, di calcare delle cave di Lunel sono impie-
gati nelle parti più alte; la pietra scistosa reperibile nelle vicinanze è stata invece utilizzata nel conglomerato delle volte. La partitura interna ed esterna dell’edificio è realizzata con pilastri o contrafforti che sorreggono semicolonne. La facciata, contenuta da due torri quadrate e contraffortate (ottocentesche), è fortemente connotata dal portale d’ingresso, bipartito da un pilastro centrale e sormontato da un timpano scolpito con scene del Giudizio Universale (datato fra il 1120 ed il 1140). Un prezioso apparato decorativo è conservato nei numerosi capitelli interni. L'abbazia venne secolarizzata nel XV secolo e la chiesa subì seri danneggiamenti nel 1568; i restauri, conclusi nel 1879, comportarono la ricostruzione delle torri della facciata e la risistemazione delle coperture. DE
DIGIONE, SAINT-BÉNIGNE
Un primo impianto merovingio (535), forse una cripta e una soprastante basili-
ca cruciforme, preceduta da un atrio con nartece, sarebbe sorto sulla sepoltura di san Benigno (III secolo) nella necropoli sudorientale del Castrum divionensis; inoltre a est una cappella isolata darà luogo alla futura cripta esterna. La trasformazione carolingia (869-882) realizzò un nuovo coro, con cappelle di profondità decrescente, e una nave di quattro campate, che collegava la chiesa alla cella esterna. Nella ricostruzione dell’anno Mille, ideata e diretta dall'abate Guglielmo da Volpiano (una delle maggiori personalità monastiche del periodo, la cui attività, di riformatore e di costruttore, si estende dall'Italia settentrionale alla Normandia) le preesistenze sono rifuse in un impianto complesso, che integra lo spazio basilicale con un impianto centrico, rispettivamente a due e tre piani, con un ideale riferimento al Santo Sepolcro ed al Pantheon (un suggestivo rimando è offerto dalla dedicazione alla Vergine del secondo piano della ancora incompiuta rotonda guglielmiana il 13
maggio 1018, nella ricorrenza della trasformazione del Pantheon in Sancta Maria ad Martyres, avvenuta il 13 maggio 609 o 610). Evidenti sembrano anche i riferimenti alle cripte carolinge di Saint-Germain ad Auxerre e di Saint-Pierre a Flavigny. La fabbrica protoromanica subì un parziale rifacimento a causa dell’incendio della città (1137): in tale occasione (ca. 1160) fu eretta una torre sulla crociera ed aperto un portale assiale sul nuovo corpo longitudinale, prolungato di due campate. Il crollo
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definitivo di quest’ultimo (1271) portò alla successiva ricostruzione gotica (1281. 1341), con la quale fu trasformata l'originaria percezione spaziale dell’interno, rendendo indipendenti basilica e rotonda. Questa, a sua volta demolita nei due livelli superiori (1792), fu quindi scavata e restaurata (dal 1846). Alla luce di indagini recenti (1976-78, C. Marino-Malone), la chiesa di Guglielmo, alla quota della cripta, si articolava con due bracci a T tripartiti in navi di eguale luce (ca. 2,30 m), divise in campate e voltate con botti longitudinali affiancate. A occidente terminava con sostegni gemini, sulla scala che saliva alla basilica. Ad est,
un'originale rielaborazione del coro carolingio dava luogo a due coppie simmetriche di cappelle, innestate sul braccio trasversale, al centro delle quali un emiciclo archeggiato con deambulatorio retrostante realizzava un diaframma aperto sul piano inferiore della rotonda. Quest'ultima, ampia 18,30 m, articolava i primi due dei suoi
tre livelli con un doppio peribolo anulare, finestrato nella metà orientale e aperto al centro su un pozzo ottagonale (largo 5,90 m) che si innalzava invece per quattro ordini; l’ultimo piano della rotonda, un unico ambulacro coperto da una cupola con oculo centrale, fu forse realizzato dall’abate Halinard (1031-52). Il braccio longitudinale, a tre navate divise da pilastri o da setti murari e coperto a tetto, era concluso da un transetto continuo (Malone), oltre il quale l'abside si apriva sui due piani superiori della rotonda, con una soluzione simile a quella della cripta; solo questo settore dell’edificio sarebbe stato dotato di tribune (contro le ipotesi precedenti, che estendevano la presenza di gallerie e la copertura a volte all'intero corpo longitudinale). La nave centrale era conclusa a occidente da una controabside, avente dia-
metro più ampio di circa 1 m, pavimentata in opus sectile e che in alzato forse presentava un ordine interno di paraste; il piano di calpestio, più basso rispetto alle navatelle, si arrestava dinanzi alla scala che scendeva alla cripta. Mancano testimonianze documentarie e archeologiche circa i raccordi necessari a superare l’ulteriore dislivello (ca. 2 m) tra le navatelle e il coro, esteso sopra l’intera cripta. Malgrado le nuove rilevazioni, la cui interpretazione non è comunque accolta unanimemente,
l’elevato dell’edificio protoromanico resta poco noto: i deambulatoria super murum citati dalla Crorzaca di S. Benigno, che univano l'ingresso occidentale con la rotonda,
sarebbero ipotizzabili come una stretta galleria archeggiata all’interno dei muri di ambito, che raccordava le otto torri ugualmente menzionate dalla Cronaca. Di queste attualmente possono essere identificate con sicurezza solo le due torri scalari cilindriche che erano poste all’estremità del diametro trasversale della rotonda, decorate all’esterno con un sistema di archetti e lesene di gusto lombardo.
STE
JUMIÈGES, CHIESA ABBAZIALE DI NOTRE-DAME
La più grande e antica abbazia benedettina di Normandia fu fondata nel VII secolo da san Filiberto, nel territorio della diocesi di Rouen. Dopo un periodo di flo-
ridezza in età carolingia, l'abbazia fu devastata nell'841 dalle incursioni dei Vichin-
ghi, che causarono la fuga dei monaci. Nel corso del X secolo iniziarono già i tenta-
tivi di riprendere la vita monastica sulle rovine delle antiche costruzioni, ancora cospicue. Agli inizi del secolo XI, con l’abate Thierry (1017-27), fu introdotta nel cenobio la riforma apportata da Guglielmo da Volpiano. I primi lavori a Notre-Dame, registrati dalle fonti scritte si collocano però tra il 1040 e il 1067, con l’abate Robert Champart. I pareri degli studiosi divergono nell’attribuire al primo o al secondo
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abate la paternità della nuova chiesa; questa, comunque, fu inaugurata nel 1067. Alcune modifiche si ebbero già tra XI e XII secolo, con la realizzazione di una sala capitolare e di un chiostro, oggi scomparso. Altro intervento di rilievo, compiuto tra il 1267 e il 1278, fu il rimaneggiamento del coro, con cappelle raggianti, e del transetto. Dopo la rivoluzione e la dispersione dei monaci, l'abbazia fu utilizzata come cava di pietra fino al 1852; nel 1918 iniziarono i lavori di consolidamento dei ruderi ancor oggi visibili. L'impianto planimetrico di Notre-Dame presenta importanti novità: la navata è scandita in quattro grandi campate sostenute da pilieri compositi alternati a colonne. Nella facciata rivive la tradizione ormai obsoleta del Westwerk,
insieme ad anticipi del modello che sarà sviluppato organicamente nel Saint-Etienne di Caen: due torri, alte 46 metri e impiantate sulla prima campata delle navate laterali, fiancheggiano una tribuna sporgente per circa tre metri, sormontata da un timpano: un ritorno a soluzioni di età carolingia, che ha fatto anche pensare all’influenza di costruzioni preesistenti sul progetto. La navata alta e stretta era coperta a tetto, con crociere non solo nelle navate laterali, ma anche nei matronei, in modo da
contraffortare le alte pareti dell’invaso centrale. L’elevato è scandito in tre livelli. Ogni campata maggiore è composta da due arcate a doppia ghiera, sostenute da colonne con capitelli cubici, alle quali corrispondono, in alzato, una coppia di trifore aperte sul matroneo e due monofore al sommo della parete. Come a Bernay, ma in modo più organico, le arcate del primo livello sono irrobustite da una seconda ghiera con profilo a toro, che scarica su semicolonne addossate ai pilieri. Su questi si innestano anche le esili nervature, impostate su risalti rettangolari, che dividono le campate maggiori, correndo per quasi tutta l’altezza della parete; le distruzioni che ha sofferto la chiesa non permettono di capire se si arrestassero alla sommità del muro, come a Mont-Saint-Michel, o se fossero concluse da archi diaframma o da ca-
priate. La navata si conclude con un arcone a doppia ghiera impostato a grande al-
tezza dal suolo, pari all’ultimo livello della navata. L’alternanza dei sostegni, affer-
mata con perentorietà, manifesta l’importanza attribuita alla campata, in contrapposizione alla continuità volumetrica del preromanico. Ma è nuovo soprattutto il coordinamento logico dei sostegni e dei pesi, concepito come se l’edificio fosse voltato: ciò dimostra che il valore strutturale della campata si andava sviluppando anche negli edifici a copertura lignea, come Jumièges, dove pure non nasceva da necessità statiche.
(CIV:
LAON, CATTEDRALE DI NOTRE-DAME
La cattedrale di Laon si erge su uno sperone roccioso che domina la città, antica capitale carolingia, ed il paesaggio circostante. La ricostruzione dell’edificio si deve al vescovo Gautier de Mortagne (1155-74), che contribuì al finanziamento della nuova fabbrica; una prima campagna costruttiva riguardò il coro (di tre sole campate, concluso da un’abside semipoligonale, con ambulacro, ma senza cappelle ra-
diali) e la parete orientale del transetto, completato a partire dal 1180 insieme alla
navata; altri ipotizzano una costruzione più rapida, già conclusa entro tale anno, ma la sola data documentata si riferisce all’acquisto del terreno antistante la facciata (ca. 1178). Quest'ultima (su progetto di un secondo architetto) sarebbe stata compiuta verso il 1200 o il 1215: in tal caso si era già proceduto all’ampliamento del coro (1205-15), ricostruito con una pianta a terminazione rettilinea. Le dimensioni del-
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Appendice. Schede
l’edificio raggiungono 110,50 m di lunghezza, 30,65 di larghezza nella navata (alta 26 m) e 56 min corrispondenza del transetto. L'impianto è molto complesso, per la presenza dell’enorme corpo trasversale con navatelle e tribune; su entrambi i bracci del transetto si innesta una cappella orientata, sia alla quota della chiesa, che alla quota delle tribune. Caratteristica dell’esterno è la presenza di sette torri, delle quali
le due alle estremità orientali del transetto, non portate a termine; lo schema deriva
da quello realizzato nella cattedrale di Tournai, ma le torri di Laon, ampiamente aperte, anche a prescindere dalla mancata sopraelevazione di due di esse, risultano assai più spaziate. Dai torreselli angolari delle torri di facciata si protendono coppie di buoi, forse a ricordo dei generosi animali che consentirono di trasportare il materiale da costruzione in cima alla collina; le guglie soprastanti, documentate in stampe settecentesche e già accennate in un disegno di Villard de Honnecourt, furono demolite nel XVIII secolo. Nell’alzato interno, a quattro piani con volte esapartite, l'alternanza dei sostegni è presente soltanto al di sopra dei capitelli delle colonne della navata: gli abaci infatti risultano quadrati in corrispondenza delle pile forti e ottagonali in quelle deboli, e da essi si elevano rispettivamente gruppi di cinque o di tre colonnette verticali; ma nella penultima e nell’ultima coppia di sostegni forti prima dell'incrocio (che sono quelli più antichi), la colonna in muratura è serrata da colonnette in controvena, che ne sottolineano la particolarità. Molto chiara è la suc-
cessione verticale delle aperture: ad ogni arco della navata corrisponde una bifora nelle tribune, una trifora in corrispondenza del triforio, e ancora un’unica apertura
al piano delle finestre. Da queste ultime filtra una luce abbondante, che si aggiunge a quella proveniente dalle aperture presenti nelle gallerie, assai profonde ma bene illuminate, dalle grandi finestre della parete di fondo e dalla torre-lanterna. La facciata rivela l’intenzione dei costruttori di dinamizzare lo schema di base,
sia interrompendo volutamente la continuità dei ricorsi orizzontali, sia arretrando e avanzando le superfici e forandole con diverse ed enormi aperture, che creano contrasti luminosi accentuati. Il profondo portico anteriore, sul quale gravano parzialmente in falso i contrafforti delle torri, dette segni di cedimento, per cui furono chiusi i vani di comunicazione tra le arcate. Il piano intermedio, con al centro il rosone di 9 m di diametro, produce, nelle forme e nelle dimensioni, una variazione chiaroscurale sul medesimo tema. Il disegno della rosa occidentale (un oculo polilobato collegato da colonnine radiali ai vertici di dodici archi rovesci), è il primo esempio di un traforo a raggi, applicato a una finestra di tali dimensioni.
NOYON, CATTEDRALE DI NOTRE-DAME
La cattedrale di Notre-Dame venne ricostruita per la quarta volta, sul luogo dei precedenti impianti merovingi e carolingi, dopo un incendio (1131) che aveva danneggiato l’edificio allora esistente, iniziando i lavori dall’abside addossata all’esterno dell’antica cinta muraria gallo-romana; la cronologia generalmente accolta (Sey-
mour) individua tre successive fasi costruttive: dal 1145-50 al 1155-60, l'abside con
le cappelle radiali e il coro; fino al 1170, completamento dell’ambulacro, parete esterna della soprastante galleria e il braccio nord del transetto; dal 1170 al 1185 (in questa data si celebra già il culto nella parte realizzata), il braccio sud e la prima doppia campata del corpo longitudinale adiacente alla crociera. Kimpel e Suckale ritengono però che i lavori del coro possano essere cominciati subito dopo il 1131 e che abbiano subito un’interruzione intorno al 1146-48, con un cambio di progetto,
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suggerito dalla volontà di adeguarlo alla soluzione adottata a Saint-Denis; questa parte sarebbe stata completata nel 1157 (trasferimento delle reliquie di sant’Eligio), il transetto negli anni Sessanta. Tra il 1185 e il 1205 circa fu completata la navata, coperta con volte esapartite, abbattute e sostituite dalle esistenti (quadripartite) dopo l’incendio del 1293; secondo altre ipotesi (Deyres, Clark), le previste volte esapartite vennero modificate nella forma attuale già prima della realizzazione, e solo riparate dai danni del fuoco, per cui costituirebbero uno dei primi esempi di crociere su pianta rettangolare; in qualsiasi caso importanti lavori di restauro si resero necessari nel XV e poi nel XVIII secolo (archi rampanti del coro, 1722-23); infine le volte, gravemente danneggiate durante la prima guerra mondiale, sono state in gran parte rifatte con scrupolo filologico. Contemporanea alla costruzione iniziale è la cappella vescovile (1183, oggi semidiruta); il nartece, il portico d’ingresso e la facciata furono terminati nel 1221, la torre nord dieci anni dopo e quella sud soltanto nel XIV secolo. Le cappelle laterali delle navatelle furono aperte a partire dal XIV secolo; tra quelle del lato sud, che si sviluppano su più campate, la cappella di Notre-Dame de Bon-Secours (1528-32), ha ricchi trafori tardogotici e volte con chiavi pendenti. Nel coro, l’altare maggiore, con cupolino circolare su colonnine, e le recinzioni in ferro battuto, sono del XVIII secolo. Annessi alla chiesa sul lato nord, che era riservato al capitolo, si trovano un chiostro, la sala capitolare ed altri ambienti, cui si è addossata la biblioteca capitolare, costruzione lignea del 1507.
La pianta della chiesa è cruciforme, l’alzato a quattro piani (con gallerie nel coro e nella navata); i transetti hanno terminazione semicircolare, soluzione derivata
dalla cattedrale di Tournai e ripresa anche, verso la fine del XII secolo, nella cattedrale di Cambrai (completamente distrutta nel 1796); ma a Noyon l’assenza, nei due bracci, di ambulacro e tribuna permette di realizzare un alzato molto originale, nella successione dei piani (il triforio è posto immediatamente sopra il primo piano di finestre), con forte riduzione della superficie muraria (grazie all'impiego di colonnine er délit e all'uso della tecnica muraria della parete doppia) e con accentuazione della verticalità con il progressivo incremento della luminosità; il diverso trattamento della parete, rispetto al coro, dà luogo all’ipotesi dell’intervento di un nuovo architetto, ma probabilmente riflette anche il desiderio dei costruttori di caratterizzare le diverse parti dell’edificio nel loro differente significato funzionale e liturgico. La navata riprende il partito architettonico del coro, ma con importanti varianti nella tecnica costruttiva (adozione della parete doppia con passaggio murario interno alla quota del triforio, ed esterno in corrispondenza delle finestre), nell’alter-
nanza dei sostegni, e per altre sottili varianti nella forma delle aperture. La facciata, preceduta da un portico, è tripartita in orizzontale e in verticale, ma la parte centrale risulta costretta tra le due torri; alle sue spalle si eleva un massiccio corpo oc-
cidentale profondo una campata (1205-35), privo di tribune, per cui assume quasi l’aspetto di un transetto.
PARIGI, CATTEDRALE DI NOTRE-DAME
Intorno alla metà del XII secolo esistevano, sul luogo dell’attuale cattedrale di
Notre-Dame, due vecchie chiese (Saint-Etienne e Notre-Dame) e il battistero di
Saint-Jean-le Rond; la senescenza e la relativa modestia di questi impianti spinsero il vescovo Maurice de Sully (1160-96), a promuovere la ricostruzione di un unico grande edificio, più imponente di ogni altra cattedrale esistente, probabilmente su
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Appendice. Schede
diretta sollecitazione del re Luigi VII, in conformità al ruolo assunto da Parigi, capitale della monarchia capetingia in rapida ascesa; la ristrutturazione comportò anche importanti interventi urbanistici, con la realizzazione di un ampio sagrato e di un accesso assiale alla chiesa. Nel 1177 i lavori del coro erano a buon punto; l’alta-
re principale fu consacrato nel 1183 e nel 1198 veniva realizzata la copertura del transetto, grazie all’impegno del nuovo vescovo Eudes de Sully. Nel 1218, terminata la costruzione interna, si lavorava alla facciata e intorno al 1245 la fabbrica risul-
ta compiuta (il vescovo Guillaume d’Auvergne fa dono di una campana per la torre meridionale), ma quasi contemporaneamente iniziano i lavori di trasformazione. Notre-Dame misura 130 m di lunghezza, 48 m di larghezza in corrispondenza del transetto, 35 di altezza. La pianta dell’edificio è caratterizzata dalla presenza di doppie navate collaterali, che proseguono nel doppio ambulacro (per quest’ultimo aspetto Parigi è la prima cattedrale gotica a riprendere il modello stabilito a Saint-Denis); il transetto non sporge dal filo delle navate ed è privo di torri: da queste scelte risultano una volumetria molto compatta e la grande fusione dello spazio centrale interno. Tuttavia è necessario tenere presente che la forma originaria dell’edificio non è del tutto chiarita: Viollet-le-Duc supponeva l’esistenza di tre piccole cappelle sporgenti dal deambulatorio. L’alzato a quattro piani presentava la particolarità delle aperture tonde (oscure perché aperte verso il sottotetto), poi abolite per l’ampiamento delle finestre agli inizi del XIII secolo; Viollet-le-Duc ne ripristinò alcune, ma luminose. Le volte della navata maggiore sono esapartite, come a Sens, ma i sostegni principali invece sono tutti uguali (meno quelli della prima campata ad ovest). Una tendenziale uniformità è cercata anche nella dimensione delle arcate; a questo fine nel doppio ambulacro il numero dei pilastri della fila mediana si raddoppia, rispetto al poligono più interno, e le relative campate sono coperte con volte triangolari. Malgrado l’impressione di grande unità, un esame attento rivela alcune variazioni tra il coro e la navata (iniziata ca. 1178), che riflettono due diverse campagne costruttive, ma anche un radicale mutamento della concezione progettuale, espressa nella riduzione del risalto delle colonnette dal piano fondale e nella tecnica costruttiva (quelle della navata sono realizzate in controvena, anziché in conci). Altra novità è l’impiego di archi rampanti a vista, previsti in questa parte dell’edificio fin dall’origine, che giustifica l'alternanza dei sostegni nelle navate laterali (quelli rinforzati da una corona di colonnette corrispondevano ai supporti intermedi degli archi rampanti), e che, insieme agli altri miglioramenti tecnici, permette un ridotto spessore degli elementi portanti. La facciata organizzata secondo ricorsi orizzontali fortemente marcati ribadisce il gusto per le superfici poco rilevate e per un moderato effetto di chiaroscuro che distinguono questa soluzione da quella di Laon. Notevoli trasformazioni hanno interessato l’edificio dal terzo decennio del XIII secolo: furono ingrandite le finestre alte per migliorare l'illuminazione e si modificarono le aperture delle tribune, anche come conseguenza dell’inserimento di cappelle tra i contrafforti. Queste ultime offrono soluzioni differenti, che sono state messe in relazione con l’opera di diversi architetti attivi contemporaneamente, per quanto riguarda il disegno delle volte e dei trafori; quelle relative al coro e all’absi-
de, ultime ad essere costruite (i lavori si estendono sino al terzo decennio del XIV secolo) sono arricchite da ghimberghe. La loro realizzazione pose l’esigenza di avanzare le facciate dei transetti al filo del nuovo allineamento: la nuova fronte setten-
trionale (costruita da Jean de Chelles, ca. 1248-59), si propone l’obiettivo di evi-
denziare la zona d’ingresso, «simulando» una fascia di portali; perciò antepone alla parete inferiore un secondo muro e lo articola con ghimberghe molto sottili collocate su piani appena sfalsati; al di sopra, la relazione tra le parti (triforio e rosone) è
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governata da leggi diverse, riconducibili a rapporti proporzionali semplici. La facciata sud, compiuta da Pierre de Montreuil dopo la morte di Jean de Chelles, ripete lo stesso schema con piccole ma significative varianti: le corrispondenze verticali tra gli elementi della fascia inferiore e delle parti alte sono ricercate con più attenzione; i contrasti formali ridotti o annullati; il disegno diventa sempre più aguzzo, più sottile, privo di spessore; le residue superfici piane si riducono ancora; le forme si rinnovano sostituendo all’impiego della circonferenza il triangolo a lati curvi, in sintonia con l'affermazione del nuovo gusto rayonzant.
PARIGI, SAINT-ETIENNE DU MONT
Sita sulla collina dove si apre la piazza di Sainte-Geneviève (attualmente dominata dal Pantheon), appare come uno dei monumenti più singolari di Parigi. La costruzione dell’edificio sacro fu decisa nel XIII secolo, a fianco della chiesa abbazia-
le di Sainte-Geneviève di fondazione merovingia. Sulla data esatta d’inizio dell’edificazione di Saint-Etienne vi è disparità di vedute: viene fatta oscillare tra il 1219 e 11222;
L’afflusso di parrocchiani (per la maggior parte professori e studenti, data la presenza in zona dell’università) e l'aumento della popolazione e dei fedeli resero necessaria una ricostruzione nel 1492. I lavori proseguirono per tutto il XVI secolo ed oltre con modificazioni e poi con restauri (particolarmente importanti quelli di Baltard della seconda metà del XIX secolo) che conferirono all’edificio l'aspetto attuale. Le misure della chiesa sono di 68 metri di lunghezza e di 29 metri di larghezza. La volta centrale si eleva a 25 metri e mezzo. Sono stati identificati alcuni degli architetti, dei mzacons e degli artigiani che contribuirono ai lavori dell’edificio. Dal 1492 al 1494 è documentata la presenza di Etienne Viguier 724/tre d’oeuvre e di Philippe de Froncières 74g0n. Nel 1500 un registro di conti attesta che un fonditore, Pierre Samet, consegna due campane in bronzo; pertanto si suppone il compimento del campanile a quella data. Dal 1503 al 1518 l'architetto è Jean Turbillon, mentre dal 1530 al 1540 il 7z4c0r è Nicolas Beaucorps. Secondo alcune testimonianze, nel 1538 era terminata l’ala della navata verso Sainte-Geneviève, con sei cappelle. Nel 1541 i lavori dovevano essere in uno stato oltremodo avanzato se il vescovo di Mégare vi effettuò la benedizione degli altari. I lavori principali dal 1538 al 1545 riguardano la parte del coro: ancora dai libri dei conti sappiamo che dal 1538 al 1539 Gilles de Sénéguillon è charpentier del coro, e che nel 1545 Guillaume Charles e Thomas Fresnau coprono il coro stesso in piombo. I lavori proseguono con il completamento del deambulatorio e delle due cappelle, settentrionale e meridionale. Dal 1545 al 1548 Pierre Nicolle, 7z4cor, eleva la cappella nord, e dal 1565 al 1568
Thomas de Grenevèze è l’architetto di quella sud. Dal 1582 al 1584 Christophe Robin realizza le volte della navata. L’interno è irregolare, a tre navate e coro cinto da un deambulatorio su cui si aprono una serie di cappelle riccamente decorate. La percezione spaziale dalla parte antistante lo jubé è quella di una chiesa a sala, poiché le due navate laterali sono solo leggermente meno alte della centrale. Quest'ultima è divisa dalle laterali da pilastri sormontati da capitelli di tipo tuscanico, che sostengono volte nervate con un inconsueto elemento di passaggio posto al di sopra delle arcate della navata. Le intersezioni delle nervature sono rimarcate da chiavi decorate e pendenti (come a Saint-Pierre de Caen o a Saint-Gervais), ove si osservano anche dischi, girali, corone ed elementi floreali. Le nervature delle volte entrano «per
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penetrazione» all’interno di grandi pilastri cilindrici lisci nella zona del coro, mentre vengono accolte da pilastri «ondulati» nel deambulatorio. I pilastri cilindrici della navata e del transetto (non sporgente) sostengono arcate a tutto sesto, che sormontano la galleria e le finestre del secondo livello. All’incrocio col transetto, una volta molto riccamente decorata (con rose, girali e con i simboli degli Evangelisti)
reca una chiave pendente di ben 5 metri e mezzo. Le volte del coro, al contrario, si
impostano su archi ad ogiva, nelle campate dritte, e recano chiavi piatte; quelle del deambulatorio presentano sei ramificazioni costolonate che si raccolgono in chiavi anch'esse piatte. La tipologia del coro è stata da taluni autori (B. Mahieu, A. Devèche) paragonata a quella della cattedrale di Le Mans. Un elemento del tutto particolare e famoso è lo jub6, risalente probabilmente al 1545 (alcuni lo ritengono però edificato tra il 1525 e il 1535), finora attribuito a Philibert Delorme; ma in realtà,
studi recenti attribuiscono all’architetto solo un disegno preparatorio. E l’unico esempio di jubé rimasto nelle chiese parigine, tutti gli altri essendo stati distrutti durante la rivoluzione francese. Si presenta come una grande arcata di ben nove metri di luce, cui si accede da una scala a doppia rampa con balaustre ornate da motivi di gusto rinascimentale. Anche il coro, il deambulatorio e il campanile furono terminati alla metà del secolo, mentre la navata e il transetto furono condotti a termine
verso il 1585. I due portali laterali sono forse attribuibili a Pierre Biard, uno degli scultori che hanno lavorato alla Grand Galerie del Louvre. La prima campata della navata e la facciata sono posteriori. La facciata, di cui la prima pietra fu posta da Margherita di Valois (prima moglie di Enrico IV) nel 1610, rivela un’influenza indiretta di Philibert Delorme e di Germain Boffrand: condotta a termine nel 1622, ta-
le facciata unisce forme gotiche ad elementi rinascimentali. La parte centrale presenta tre frontoni sovrapposti, ciascuno arretrato rispetto a quello sottostante. La consacrazione della chiesa ebbe luogo il 15 febbraio 1626. Due anni dopo (1628) fu sopraelevato il campanile, su progetto di Claude Vellefaux, dal 724607 Jean Thierry. Nel 1653 Antoine Bailly, 724607, erige la cappella centrale dell’abside, denominata cappella della Vergine. Di un certo interesse è altresì un piccolo portale laterale in stile gotico, realizzato nel 1632. Durante la rivoluzione, Saint-Etienne divenne tem-
pio della Pietà Filiale, e servì per il culto teofilantropico fino al 1803. In quest’epoca la chiesa venne spogliata di tutte le sue ricchissime opere d’arte. Dal 1802 al 1807, il prospetto laterale fu danneggiato a causa della demolizione della limitrofa SainteGeneviève. Con l'eliminazione di tale chiesa e l’apertura della strada laterale viene a mutare profondamente l’assetto urbanistico della zona, e si realizza una sorta di «isolamento» monumentale di Saint-Etienne du Mont. Nel 1861 viene intrapreso il già ricordato restauro, diretto da Baltard e terminato nel 1868, con il quale fu ri-
montata la facciata, usando una pietra leggermente più scura di quella originaria, e rifacendo d l’identique tutti i bassorilievi. Il medesimo Baltard dirige contemporaneamente i lavori della cappella dei Catechisti, aggiunta «in stile» all'organismo tardogotico. Recentemente, dal 1986 al 1993 si sono condotti restauri di ripulitura alla facciata e alla chapelle d’accueil.
S.Gi
PARIGI, SAINT-SÉVERIN
Situata nel quartiere omonimo, compreso fra gli attuali boulevards Saint-Michel e Saint-Germain e la rue Saint-Jacques, la chiesa sarebbe sorta, secondo la tradizio-
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ne, sul luogo di un’antica cappella del VI secolo, per contenere la tomba di san Séverin, eremita parigino. Scavi recenti condotti nell’annessa area cimiteriale, con il ritrovamento di sarcofagi di epoca merovingia, dimostrerebbero che la chiesa doveva aver raggiunto già in tale periodo un certo rilievo. L'originaria cappella, distrutta durante l'invasione dei Normanni, venne sostituita, in epoca romanica, da una chiesa più ampia, che assunse una grande importanza come sede parrocchiale nel corso del XII secolo. A causa del continuo aumento della popolazione all’inizio del XIITI secolo, venne attuato un ulteriore rifacimento, su una maggiore superficie. Sembra che l’edificio duecentesco si presentasse con corpo diviso in sei campate, fiancheggiato da navate laterali più basse, e concluso da uno chevet piatto. Di tale manufatto architettonico rimangono, oggi, la parte inferiore del campanile e le prime tre campate della navata centrale e di quella laterale sinistra, inglobate nella chiesa successiva. Abbiamo testimonianza che già nel 1347 il papa Clemente VI aveva stabilito di concedere indulgenze a chi avesse contribuito al miglioramento e all’ingrandimento dell’edificio. In un momento imprecisato del XIV secolo i lavori furono iniziati, con la realizzazione di una seconda navata sul lato meridionale; probabilmente a causa di un incendio, a partire dalla metà del XV secolo, si dovettero ricostruire le cinque campate orientali della navata e lo chevet a deambulatorio duplice, così come le volte della prima navata laterale meridionale e della prima navata laterale settentrionale. Boinet riporta che il secondo pilastro della prima navata laterale sud recava un'iscrizione con la data del 1414 (distrutta durante la rivoluzione). La pianta della chiesa è irregolare, a causa delle aggiunte dei primi anni del XVI secolo. È articolata in cinque navate di otto campate, coperte a crociera, che proseguono in un deambulatorio doppio, coperto da volte a stella, circondato da cappelle non sporgenti, dalla forma irregolare. Manca il transetto, per cui è stato detto che «la concezione dell’abside trae ispirazione da quella di Notre-Dame a Parigi». Il sistema «pilastri tortili-volte» del coro di Saint-Séverin (databile al periodo 1489-94), che ricorda altri esempi europei, avrebbe ispirato altri partiti architettonici parigini del XVI secolo (Thompson). Le volte del coro sono arricchite da chiavi decorate rappresentanti scene dell'Antico e del Nuovo Testamento. La diversità tra le due parti (prime tre campate, duecentesche, e corpo successivo) è evidente. Le prime sono scandite da grossi pilastri cilindrici (con capitelli moderni, di restauro) che supportano grandi arcate. Il resto dell’edificio è, quasi interamente, del XV secolo; in questa seconda par-
te i pilastri sono formati da colonnettes, senza capitello. La navata centrale presenta anch'essa semplici pilastri cilindrici, un triforio (in origine cieco) ed «eleganti semi-
colonne» (Bu&mann). Nel 1673, Jules Hardouin-Mansart realizza, a sud dello che-
vet, una cappella dedicata alla Comunione, dalla planimetria ellittica. Si tratta di una
delle prime opere di Mansart, allora ventisettenne. Ulteriori lavori condotti (inizia-
ti nel 1681) furono incentrati sulla decorazione del coro, che perdette in parte (come altre chiese parigine) il carattere quattrocentesco, a causa di elaborate sovradecorazioni su disegni di Le Brun. Successivamente venne anche demolito lo jubé, del XV secolo. Sotto Luigi Filippo, il prospetto occidentale venne sormontato da un prgnon, che ne mutò la fisionomia, e venne inserito un portale del XIII secolo, smon-
tato da una chiesa della Cité (Saint-Pierre-aux-Boeufs), distrutta in quegli anni. Sulla sinistra della facciata si eleva il campanile, duecentesco nella parte basamentale,
ampiamente di restauro per il resto dello spiccato. Ha una pianta pressoché qua-
drata, «incorniciata» da colonnettes semicircolari, a due livelli; il coronamento (con
il clocheton e la balaustra) è databile al XV secolo. La parte inferiore del campanile forma una sorta di piccolo portale, che serviva come ingresso principale sino al 1839, sormontato da un interessante timpano recante un rilievo (rifatto nel 1853) che rap-
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presenta san Martino che spartisce il mantello. Il rosone del prospetto ha una notevole vetrata del Cinquecento (Albero di Jesse). La chiesa durante la Rivoluzione, venne ultilizzata come deposito di polvere da sparo e di salnitro, ed in seguito quale magazzino di foraggio. Riaperta al culto nel 1802, venne in parte restaurata «in stile» nel corso del XIX secolo. SiGi
REIMS, ABBAZIALE DI SAINT-REMI
I monaci dell’antica abbaziale benedettina dedicata a san Remigio, il quale, avendo battezzato Clodoveo, re dei Franchi, può essere considerato «secondo apostolo» della Gallia, iniziarono nel 1005 la costruzione di una vasta basilica, prevista a cin-
que navate, che sarebbe stata la più grande chiesa della Francia; ma il progetto originario fu poi ridotto. Nella chiesa realizzata rimaneva vivo il ricordo della tradizione carolingia: alzato a tre piani, con arcate, galleria e finestre, e copertura a soffitto piano; transetto, più stretto della navata, con navatelle sui tre lati di ciascun braccio;
abside affiancata da tre cappelle per parte. La consacrazione ad opera di papa Leone IX ebbe luogo nel 1049. Il processo di rinnovamento promosso dall’abate Pierre de Celle (1162-81), ricalca, forse programmaticamente, quello di Saint-Denis ad
opera di Suger: infatti alla navata romanica fu anteposta una nuova facciata (dove il partito della finestra centrale tra due arcate cieche e sormontata dal rosone, è, se-
condo Kimpel e Suckale, una «citazione» dell’analogo motivo nell’abbaziale sugeriana), e fu aggiunto, al di là del transetto, un nuovo coro, largo quanto la navata centrale, con ambulacro e cappelle radiali; in seguito (ca. 1200) furono rimaneggiati i sostegni verticali, e la copertura con volte quadripartite venne estesa all’intero corpo longitudinale. Il disegno del coro è di estrema regolarità: tre campate rettangolari, abside 5/10, impiantata sulla semicirconferenza, e cappelle a matrice circolare, con ampie aperture verso l’ambulacro, schermate da due colonne libere a rice-
vere le ogive delle volte; la cappella assiale, più profonda delle altre, inaugura il motivo del passaggio murale antistante le finestre, che viene definito passage champenoise. L'alzato è a quattro piani, per l'inserimento di un triforio integrato alle soprastanti finestre; l’impiego di colonnette er délit risulta quasi generalizzato e grandi aperture, in corrispondenza delle tribune e del claristorio, diffondono ampiamente la luce mediante sequenze continue di tre arcate da pilastro a pilastro: è, quest’ultima, una formula propria all’architettura regionale, ma la ricorrenza del numero tre assume probabilmente anche un significato simbolico, come pure la sovrapposizione, in ogni campata, di un’apertura al livello più basso, due nella galleria e tre al piano delle finestre. Caratterizzano inoltre la ricostruzione il particolare interesse verso l’antico e l’impiego delle preesistenze come «reliquie», a testimoniare la vetustà e la continuità del luogo di culto (Kimpel, Suckale)
REIMS, CATTEDRALE DI NOTRE-DAME
La cronologia dell’edificio, iniziato certamente dal coro e dal transetto, non trova ancora perfettamente concordi gli studiosi. I lavori di ricostruzione, a seguito del-
l’incendio del 1210, furono dapprima condotti con celerità, ma nel 1233, quando do-
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vevano essere già molto avanzati, una rivolta dei cittadini contro l'arcivescovo, portò per qualche anno alla chiusura del cantiere; nel 1241 il capitolo prende possesso del recinto del coro ormai completato (esteso alle prime campate del corpo longitudinale); solo nel 1252, o più tardi, essendosi assicurata la disponibilità del terreno, si sarebbe dato inizio alla facciata occidentale, per la quale però un precedente progetto era già stato approntato nel 1230. I lavori furono conclusi intorno al 1275. Nel labirinto, esistente fino al XVIII secolo sul pavimento della navata, erano ri-
portati i nomi di quattro architetti: Jean d’Orbais, Jean Le Loup, Gaucher de Reims e Bernard de Soissons, senza specificarne tuttavia la precisa successione nel cantiere e il contributo alla costruzione, che pertanto rimane ipotetico (salvo per l’ultimo che certamente realizzò il rosone). L’analisi architettonica ha individuato alcune distinte campagne costruttive, che sembrano confermare l’opera di diversi architetti (forse sei); ma più che delle singole personalità, il progetto risente della forte influenza esercitata dalle concezioni conservatrici del capitolo, e l'impianto di insieme dovrebbe essere rimasto quello già stabilito nel 1210 circa: lungo corpo longitudinale, transetto appena sporgente di tre navate per cinque campate, che proseguono nel breve coro rettilineo, abside ed unico ambulacro, con cinque cappelle. L'alzato riprende la formula chartriana, ma con proporzioni diverse, che poi furono ancora modificate in corso d’opera, aumentando l’altezza delle volte; altro pentimento è testimoniato dalle diverse misure dei pilastri incantonati, a est e a ovest della campata d’incrocio. Al momento della realizzazione delle parti alte, già nel coro rettilineo, venne abbandonato il partito del poligono absidale, con triforio collegato alla soprastante finestra da una colonnina in prosecuzione del montante centrale, presente nelle abbaziali di Saint-Remi e di Orbais; ma le variazioni più evidenti sono relative alle ultime quattro campate del corpo longitudinale, nelle quali cambiano la tecnica costruttiva e i dettagli della decorazione. Sotto l’aspetto della tecnica costruttiva il cantiere di Reims appare innovativo, con ampio impiego di elementi predisposti fuori opera, che legittimano l'ipotesi di un sistema basato sul lavoro invernale dei tagliatori di pietra nella loggia a vantaggio della rapidità dell’esecuzione; nelle pareti perimetrali appaiono realizzati dapprima gli elementi verticali (semipilastri incastrati) e quindi i tratti di collegamento orizzontale, ma i numerosi errori riscontrabili nell’assemblaggio dei pezzi prefabbricati denunciano un’organizzazione ancora sperimentale (in seguito perfezionata
ad Amiens); il coordinamento risulta invece ottimale nelle fasi più tarde del cantiere che riguardano le strutture di contraffortamento e le campate occidentali della navata (Kimpel e Suckale). In questa sede è impossibile anche solo accennare ai problemi della scultura, nella quale il cantiere di Reims raggiunse risultati eccezionali sia per la qualità artistica che per la varietà delle forme (in singolare contrasto con la standardizzazione razionalizzatrice delle soluzioni costruttive). La decorazione scolpita si diffonde ovunque, sui portali e nelle parti alte dell'esterno, come pure all’interno della controfacciata. Intorno al 1230 furono compiuti i due portali del transetto settentrionale, dissimmetrici (il transetto sud, verso il palazzo vescovile, è privo di ingressi), che svolgono il tema del Giudizio e la celebrazione dei santi locali, forse originariamente previsti per un primo progetto della fronte occidentale; agli stessi anni è attribuito anche il famoso gruppo della Visitazione (Sauerlander), impiegato nel portale centrale della facciata, il disegno della quale fu probabilmente rielaborato negli anni Cinquanta, a partire da quello della facciata di Saint-Nicaise, ma forse anche in base al modello stabilito nei transetti di Notre-Dame a Parigi (Kurmann), con i quali si riscontrano evidenti affinità nel disegno dei rosoni; in tale ipotesi la datazione
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tradizionale della facciata di Reims risulterebbe posticipata di qualche anno. Certamente i costruttori vollero attribuire un maggiore slancio verticale alla fronte, accrescendo l’altezza dei tabernacoli e dei pinnacoli sui contrafforti, rispetto a quelli delle fiancate, ed agendo su ogni altro elemento della composizione. Il completamento delle parti alte venne condotto molto lentamente nel corso del XIV e di tutto il XV secolo, alla fine del quale furono realizzate le sculture nei timpani dei due transetti; la rosa del transetto meridionale venne rifatta nel 1580.
ROUEN, SAINT-MACLOU
Situata nel cuore del centro storico, in posizione equidistante dalla cattedrale e da Saint-Ouen, all’esterno della prima cerchia muraria della città, fu edificata a partire dal 1434 (Frankl), o dal 1436 (De Faurcaud) e venne terminata nel 1521. L’edi-
ficio chiesastico attuale è il terzo elevato sullo stesso posto, dedicato al medesimo santo. È quasi certa l’attribuzione del progetto, all'architetto Pierre Robin, sergent d’armes et magon général du Roi, che vi avrebbe lavorato dal 1434 al 1470. I lavori del coro furono iniziati nel 1437, da Oudin de Mantes, e proseguiti dal suo «secondo», Simon Le Noir. L'opera venne compiuta da Jean Chauvin, ed aperta al culto nel 1446. Jean Chauvin iniziò anche le tre navate, proseguite, poi, da Ambroise Harel (che progettò, probabilmente, anche la facciata) e completate nel 1487. La torre campanaria fu realizzata dal yzaître d’oeuvre, Pierre Gringoire, e terminata nel
1516. La consacrazione solenne della chiesa ebbe luogo il 25 giugno 1521. La pianta è assimilabile ad uno schema cruciforme con l’aggiunta del deambulatorio e del coro che le donano uno sviluppo longitudinale. Divisa in cinque navate, di cui la centrale è quasi il doppio delle laterali, misura 47,50 metri di lunghezza per 24,60 di larghezza, ed ha uno sviluppo in altezza, sino all’intradosso delle crociere della navata centrale, di 22,80 metri. L'abside, con deambulatorio che si apre in quattro cappelle esagonali, presenta un pilastro centrale (soluzione che si ripete a NotreDame di Caudebec-en-Caux), al quale corrisponde, sempre in asse, il muro di separazione delle due cappelle centrali. L'elevato sviluppa una divisione in tre piani secondo il canone usuale del gotico maturo. Il primo livello è caratterizzato da arcate ogivali, inquadrate da pilastri compositi fascicolati, la cui parte interna forma essa stessa la cornice delle aperture archivoltate. Gli elementi frontali dei pilastri proseguono sino alla sommità, dando luogo alle nervature delle volte a crociera, senza alcuna interruzione. Al secondo livello è presente una galleria percorribile, assimilabile a un triforio. All’interno i capitelli vengono aboliti, scompare ogni cesura fra sostegni, arcate e costoloni. Rimarchevole il fronte esterno: la facciata è infatti preceduta da un avancorpo pentagonale, che si eleva su alcuni gradini, con un andamento «convesso», prodotto da cinque lati disuguali, ciascuno dei quali caratterizzato da un'alta arcata acuta sormontata da una grande cuspide triangolare, i cui elementi a traforo hanno decorazioni flamzboyant. L'arco centrale introduce alla grande porta principale. I due archi a sinistra e a destra corrispondono alle porte delle navate laterali, mentre quelli estremi corrispondono ai muri pieni delle cappelle. Alte e leggere balaustrate legano queste cuspidi e bordano il tetto che copre le volte del portico, a crociere ogivali. Malgrado l'altezza delle volte e degli ornamenti che le sormontano, l’avancorpo non preclude la vista della costruzione retrostante, di cui lascia percepire il rosone e i leggeri archi rampanti che contraffortano la navata. La torre campanaria, completata all’inizio del Cinquecento, è a base qua-
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drangolare con quattro torricini d’angolo e due finestre archiacute per lato. Questo impianto, procedendo in altezza, si trasforma poi in un tamburo a base ottagonale sostenuto da archi rampanti che porta a sua volta un’alta guglia elevata fino a 83 metri dal suolo. La parte bassa della torre (Ambroise Harel e Pierre Gringoire) è an-
cora quella originaria, mentre la cuspide in pietra fu ricostruita «in stile» nel 1868 dall'architetto Barthélemy, al posto di quella preesistente (del 1530), in legno ricoperta di piombo dorato. La chiesa risultò gravemente danneggiata dal bombardamento del giugno del 1944. Vennero in parte distrutti il coro, le volte del deambulatorio e risultò dissestata la torre-lanterna. I restauri, condotti inizialmente dal 1958 al 1965, sono proseguiti sino al 1980, quando la chiesa è stata completamente riattivata. Saint-Maclou può essere considerata un «manifesto» del gotico flarzboyant: «Il gioco di curve e di controcurve costituisce la principale caratteristica della decorazione tardogotica applicata alla chiesa di Saint-Maclou [...] Ciò che distingue Saint-Maclou da chiese come Saint-Urbain a Troyes è la profusione degli ornati. L'architetto è diventato un virtuoso che grava la struttura di una trama così ricca di decorazioni da farla quasi scomparire» (H.W. Janson). Frankl rimarca la forma concentrica dell’ambulacro, consistente in un mezzo ottagono regolare, e quella esagonale iscritta delle quattro cappelle che da esso si dipartono. I capitelli corinzi della tribuna dell'organo (1541) sono la prima opera attestata di Jean Goujon, il quale fu attivo a Rouen anche per la cattedrale, e rappresentano una delle prime manifestazioni in Francia di modi classicistici, sulla base delle prescrizioni vitruviane.
S.Gi
SAINT-DENIS,
CHIESA ABBAZIALE
Secondo Gregorio di Tours la prima chiesa di Saint-Denis venne fatta costruire da sainte-Geneviève nel V secolo, entro una necropoli antica, sul luogo della tomba
del primo vescovo di Parigi e dei martiri Rustico e Eleuterio, meta di devoto pelle-
grinaggio; secondo una leggenda nata nella stessa abbazia, Saint-Denis (Dionigi) era indicato come l’apostolo della Gallia e identificato con Dionigi lAreopagita, vescovo di Atene, vissuto nel primo secolo; per di più il santo patrono venne identificato anche con il cosiddetto Pseudo-Dionigi, un teologo siriano del V-VI secolo, autore di opere mistiche di carattere neoplatonico. I legami della comunità monastica di Saint-Denis con la dinastia regnante merovingia sono testimoniati dalla presenza di sepolture reali fin dalla metà del VI secolo; l’edificio sacro fu ingrandito all’epoca di Dagoberto (610-639), che istituì in favore dell’abbazia una fiera annuale e la elesse
a propria sepoltura; in seguito l'abbazia rafforzò i suoi legami con il potere politico, grazie a Carlo Martello e a Pipino il Breve, che vi fu incoronato alla presenza dei figli Carlo e Carlomanno (754) e confermò alla basilica il suo ruolo funerario privilegiato. L’abate Fulrad, personalità di rilievo della corte carolingia, procedette alla ri-
costruzione della chiesa, consacrata nel 775, dotandola di una cripta anulare per le
reliquie dei santi derivata dagli esempi romani. L'edificio di Fulrad era una basilica a colonne (otto per lato), relativamente corta (m 36 x 22.40), con un ampio transet-
to continuo poco sporgente; la facciata ovest si configurava probabilmente come un Westwerk: in essa si apriva una piccola controabside poligonale, forse per ospitare la tomba di Pipino. L’abate Hilduin aggiunse (832) alla cripta anulare una cappella con tre navate parallele (S. Mac Crosby), dedicata alla Vergine, che può avere avuto un ruolo nella creazione del tipo della cripta esterna carolingia; questo ambiente
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fu più volte rimaneggiato e quanto oggi ne rimane è riferibile a un rifacimento dei primi anni del XII secolo. SIE Dopo un periodo di decadenza, il grande rinnovamento dell’edificio si deve all’abate Suger, consigliere del re Luigi il Grosso e di suo figlio Luigi VII, che inoltre «riformò» la comunità monastica e provvide a rinsaldare i legami con la monarchia capetingia, perseguendo come un unico obiettivo il rafforzamento del potere della corona e l’accrescimento dell'importanza politica e dei domini territoriali dell’abbazia; fin dalla sua elezione nel 1122 Suger si dedicò a ricostituire le rendite finanziarie di Saint-Denis, in vista del suo programma di ricostruzione, al quale destinò parte del riscatto versato dalla città per acquisire le libertà municipali e dei proventi della fiera annuale del Lendit. Il suo intervento lasciò intatto l’antico corpo basilicale, limitandosi a restaurarlo, e si rivolse dapprima alla facciata; poi, quando i lavori di questa avevano raggiunto l’altezza delle torri (1140), al rifacimento del coro, che venne consacrato nel 1144; per unire le due nuove costruzioni, fu progettato un corpo longitudinale a cinque navate, con campate che conservavano lo stretto interasse del colonnato carolingio, ma questa parte non venne realizzata. La costruzione occidentale consiste di una massiccia facciata a due torri, ante-
posta a un profondo nartece di due campate; lo schema replica quello delle chiese normanne e in particolare ricorda la facciata di Saint-Etienne a Caen. Quanto oggi si vede corrisponde solo in parte all'edificio sugeriano, perché la torre nord venne rifatta nel 1219, aumentandone l’altezza e alterando la simmetria rispetto a quella meridionale; tuttavia si deve sottolineare che la simmetria del prospetto è comunque assai relativa, in quanto esistono tra le parti evidenti variazioni nelle misure, proporzioni e forme degli elementi architettonici. Altre alterazioni si devono ai restauri ottocenteschi, condotti, in base a una ideologia innovatrice da E Debret; dopo la sostituzione di questi con Viollet-le-Duc (1846) si rese necessaria la demolizione della stessa torre nord, già colpita da un fulmine, che non fu più ricostruita. Il prospetto si sviluppa su tre piani sovrapposti, conclusi, allo spiccato delle torri, da un coronamento a merli, che testimonia l’impiego di questa struttura a scopo difensivo, ma anche un intento simbolico, come espressione del potere temporale di Saint-Denis e del suo rango di abbazia reale; è evidente nella scelta del modello il riferimento al Westwerk carolingio, che trova conferma anche nella tradizionale dedicazione a san
Michele (e alla Vergine) della cappella posta al primo piano del nartece. Altre interpretazioni simboliche sono state proposte per questo prospetto: facciata come porta del cielo, da chi ha sottolineato in particolare la sua funzione di ingresso e l'affinità con le porte urbane classiche (von Simson); o come immagine del portico del tempio di Salomone (questo richiamo è suggerito da Suger stesso che pa-
ragona se stesso al re costruttore del tempio). Ma non mancano certamente, nelle in-
tenzioni del committente, ulteriori riferimenti importanti: per esempio l’impiego (insolito) di un mosaico, oggi perduto, nel timpano del portale nord, rimanda probabilmente alle chiese di Ronta; pure il rosone (il cui traforo rayonnant è una «invenzione» di Debret) aveva un significato simbolico. Panofsky ha fatto notare come Suger, che volle personalmente illustrare l’opera, nel suo commento, pur ricco di informazioni, non faccia alcun cenno alla presenza di un architetto. Da ciò si è voluto indicare nell’abate stesso il progettista dell’edificio: l'ipotesi è certamente valida, se si tiene conto di quanto le idee di Suger abbiano determinato le soluzioni realizzate, ma secondo l’opinione più accreditata egli dovette certamente avvalersi di esperti per l’effettivo disegno delle strutture. Ciò è soprattutto evidente nella ricostruzione del presbiterio. Al confronto delle forme massicce, ancora romaniche, del nartece, il coro si pre-
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senta come un edificio innovativo, sebbene sia stato sottolineato che l'impianto, con
deambulatorio e cappelle radiali ampiamente illuminate da grandi finestre, fosse già presente in altre esperienze: per esempio nel priorato cluniacense di Saint-Martindes-Champs. La novità del progetto di Saint-Denis consiste nella razionalizzazione apportata allo schema, con il mettere in comunicazione le cappelle, che assumono pertanto la configurazione di un secondo ambulacro, sicché le vere e proprie «cappelle» sono ridotte alla sola terminazione curvilinea (mentre nella cripta, che ingloba conservandola come una reliquia la precedente struttura, esse rimangono profonde); la separazione tra i due ambulacri risultanti alla quota del presbiterio rialzato ed il sostegno delle relative volte costolonate sono risolti con una sequenza di colonne monolitiche eccezionalmente esili, che non ostacolano la circolazione e il passaggio della luce. Suger ha giustificato questa scelta con una considerazione utilitaria: la necessità di facilitare nelle festività l'afflusso di grandi folle di pellegrini, desiderosi di accostarsi alle tombe e alle reliquie, che egli stesso aveva collocato nel presbiterio; ma la trasformazione della parete esterna in una superficie luminosa continua risplendente dei colori delle vetrate, così come la ricchezza degli arredi liturgici sfolgoranti di pietre preziose, hanno anche lo scopo di elevare il visitatore, mediante la contemplazione della bellezza materiale, all’intuizione della bellezza più alta, che è Dio. La bellezza della luce, di per sé la più immateriale tra le sostanze terrene, facilita questa trasposizione dal mondo fisico allo spirituale: il tema è già esplicitamente espresso nella iscrizione dei portali: «Nobile claret opus, sed opus quod nobile claret / Clarificet mentes ut eant per lumina vera / Ad lumen verum [...]»; probabilmente Suger ha trovato nella mistica della luce dello Pseudo-Dionigi Areopagita il sostegno, se non il suggerimento, per le sue concezioni (von Simson). La rapidità di costruzione del nuovo coro (finito in meno di quattro anni) e l’eccessiva snellezza delle strutture, produssero forse quei problemi statici che, insieme alla necessità di ricostruire l’antica navata carolingia, ne resero indispensabile il parziale rifacimento alla fine del secondo decennio del XIII secolo per iniziativa dell’abate Eudes Clement; in particolare nel coro furono sostituiti, con pilastri cilindrici
più robusti, le troppo esili colonne del giro interno del deambulatorio e l’intera parete soprastante le arcate; l'intervento fu condotto in sottomurazione conservando le volte originali degli ambulacri. Il nuovo alzato è caratterizzato da un accentuato senso di linearismo grafico, grazie alle colonnette che proseguono ininterrotte fino alle volte; la luce penetra abbondante attraverso le grandi finestre e le aperture del trifo-
rio interamente vetrato, le cui arcate sono spartite da colonnine che, senza soluzione
di continuità, diventano i montanti delle lancette delle soprastanti finestre; tutte le
membrature sono tese su un’unica superficie continua, quasi priva di rilievo, che crea
l’effetto di una membrana senza spessore. Il corpo longitudinale ripete il tipo di alzato impiegato nel tratto rettilineo del coro, con minime varianti nel disegno dei trafori; ma la larghezza della navata è maggiore di quella del coro sugeriano (per cui le campate ad est dell’incrocio assumono una forma trapezoidale), e, in rapporto all'altezza non eccessiva, rivela l'intenzione dei progettisti di abbandonare il verticalismo esasperato delle cattedrali di Amiens e di Beauvais; quale ulteriore novità viene adottato un tipo di pilastro, con nucleo interno eruciforme e dodici colonnette, tre
perlato (pilastro fascicolato). Tra il coro e la navata, allo scopo di dotare la nuova costruzione di uno spazio adeguato ad ospitare le tombe reali, fu costruito un transetto eccezionalmente ampio, esteso su cinque navate. Gli enormi rosoni, completa-
mente a giorno, poggiano direttamente sulle arcature del triforio, ma la superficie vetrata è arretrata rispetto agli archi perimetrali delle volte e si innalza sopra di questi per concludersi in una terminazione orizzontale; lo spazio residuo tra arco e rosone
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è coperto in piano. La soluzione, che denuncia con evidenza la distinzione tra sistema portante e parete-tamponamento e ne ribadisce l’effetto membrana, può essere messa in rapporto con la struttura muraria della cattedrale di Auxerre (Kimpel, Suckale, 1985). Questa osservazione riapre il problema della formazione e della personalità dell’anonimo architetto, che sembra riassumere componenti borgognone e parigine: caduta l’attribuzione del progetto a Pierre de Montreuil, che risulta menzionato come cerzentarius solo nel 1247, quando i lavori avevano già raggiunto la terza campata del corpo longitudinale, Branner ha suggerito che il «maestro di SaintDenis» provenisse dal cantiere di Troyes, dove avrebbe condotto la riparazione del coro, danneggiato da un uragano (1228), e progettato le finestre alte, effettivamente simili a quelle dell’abbazia reale. La consacrazione della nuova chiesa di Saint-Denis ebbe luogo nel 1281. Le vicende successive possono essere riassunte brevemente: colpita l'abbazia dalle guerre di religione nella seconda metà del XVI secolo, ne venne dispersa la biblioteca e scomparve il crocifisso di Suger; nel secolo successivo vi si insediarono i monaci di Saint-Maur e divenne un priorato dipendente da Saint-Germain-des-Prés. Tra il 1700 e il 1789 si ricostruirono i fabbricati conventuali: su disegno di Robert de Cotte i dormitori e il refettorio, il chiostro su progetto revisionato da Jacques Gabriel. La rivoluzione produsse ulteriori perdite e distruzioni: il tesoro venne fuso, le
tombe devastate, il tetto di piombo tolto e reimpiegato. Adibita a tempio della ragione e utilizzata come deposito di cereali e ospedale militare, l'abbazia per volontà di Napoleone, nel 1806, fu destinata a Scuola della Legione d’onore e a luogo di sepoltura della dinastia imperiale. I restauri della chiesa cominciarono immediatamente: gli architetti Cellerier e Fontaine rimaneggiarono la cripta e modificarono la quota del pavimento nella navata, mettendone in pericolo la stabilità; Debret (18131846) intervenne sulla facciata, aggiungendo pesanti decorazioni (in particolare imedaglioni degli evangelisti intorno al rosone, le incrostazioni di marmi bicromi, le archeggiature e le cornici dei contrafforti e le figure scolpite delle arcate cieche); successivamente Viollet-le-Duc riportò la navata allo «stato originale», ricollocandovi le tombe monumentali superstiti ed altre provenienti da chiese della regione parigina.
ie
SAINT-SAVIN-SUR-GARTEMPE, ABBAZIALE
Sull’abbazia di Saint-Savin, sulla riva sinistra della Gartempe presso Poitiers,
mancano precisi dati storici. Fonti di età carolingia attribuiscono a Carlo Magno la costruzione di una basilica intitolata ai santi Savino e Cipriano con annesso monastero, e importanti lavori sono attestati sotto Ludovico il Pio e Carlo il Calvo, ma di questo complesso non sembrano sussistere tracce e anche la datazione a tale epoca delle cripte è stata superata negli studi recenti. Dubbia è la notizia relativa a una fon-
dazione successiva finanziata da Aumode, contessa di Poitou, morta tra il 1005 e il
1010. Nella chiesa romanica è inglobato un lungo muro orientato nord-sud in blocchi irregolari di pietra da taglio, con alcune aperture poi tamponate, che conserva frammenti di decorazioni architettoniche in marmo. Questo muro, la cui datazione oscilla tra la fine del X e gli inizi dell'XI secolo, fu poi utilizzato come facciata della chiesa attuale, condizionando l’orientamento delle prime tre campate romaniche, diverso dal resto dell’edificio. Secondo gli ultimi studi, i lavori iniziarono intorno alla metà dell'XI secolo con la costruzione del transetto, seguito da sei campate, e forse
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dai muri perimetrali delle ultime tre, che furono saldati al muro preesistente. Sempre alla prima metà del secolo, ma a una fase successiva, apparterrebbero il coro con deambulatorio a cappelle radiali e il tiburio (per Crozet, il tiburio farebbe parte dei primi lavori). Tra il 1080 e il 1100 si datano i contrafforti esterni e i pilastri compositi delle prime tre campate a partire dall’ingresso. Più tardi, all’inizio del XII secolo, fu addossato alla facciata un portico-torre che nel XIV secolo fu coperto da un campanile di pianta ottagonale concluso da una guglia. Mentre la chiesa medievale non subì grosse trasformazioni, il monastero fu distrutto nel 1562 e ricostruito nel 1682 dall’architetto Frangois Leduc. Restauri volti soprattutto alla riscoperta degli affreschi medievali furono condotti a partire dalla prima metà dell'Ottocento. La chiesa, il cui impianto è rappresentativo dell’architettura romanica del Poitou, è costituita da tre navate di uguale altezza, di cui la centrale, coperta a botte con imposta immediatamente sopra le arcate, è priva di finestre. La chiesa è larga in totale 17,70 metri ed è lunga 74 metri incluso il portico-torre, mentre l’altezza delle navate è di 16 metri. Queste dimensioni le imprimono una forte accelerazione visiva accentuata dalla volta a botte della navata centrale, irrobustita nelle prime tre campate da anelli. Le navatelle, strette, alte e coperte da volte a crociera, contrastano con la navata cieca
per la loro illuminazione diffusa. Le prime tre campate hanno pilastri quadrilobati con capitelli molto semplici a foglie e volute; le rimanenti campate sono divise da colonne cilindriche rastremate, richiamo forse a forme tardoantiche riprese in età ot-
toniana, i cui capitelli sono invece elaborati con foglie carnose e rappresentazioni zoomorfe. Le navate incontrano un transetto con cappelline orientate, al centro del quale su quattro massicci pilastri si innalza il tiburio coperto da una volta a crociera. Alle sue spalle si estende il coro con deambulatorio e cinque cappelle radiali. Sulle colonne del coro, con ricchi capitelli a foglie d’acanto e animali, s'impostano piccole crociere. Sotto il coro sono due cripte, quella dei santi Savino e Cipriano e quella più piccola di san Marino, entrambe coperte a botte, contemporanee alla costruzione del coro. Nel complesso la ricca articolazione dell’interno della zona est contrasta con l'elegante semplicità dell'esterno, mentre la ritmica articolazione interna delle campate si riflette anche all’esterno nei contrafforti poco pronunciati. Sia il por-
tico-torre, sia la navata centrale, sia le cripte, sono rivestiti da importantissimi cicli pittorici (fine XI-inizio XII secolo) con scene della Passione, Giudizio finale, e sto-
rie bibliche e profeti. Anche i pilastri e le colonne delle navate sono rivestiti da intonaco dipinto a finto marmo di epoca incerta. RE:
TOLOSA, SAINT-SERNIN
La chiesa romanica sostituisce un edificio del IV secolo realizzato per custodire le reliquie del vescovo e martire san Saturnino. La ricostruzione, richiesta dall’afflusso di pellegrini provenienti da sud e diretti alla tomba dell’apostolo Giacomo a Compostela, venne favorita da ricche donazioni. I lavori iniziarono nel 1060 o negli anni prossimi al 1080 (in relazione con le date del cantiere di Santiago de Compostela o con il ritorno dei canonici nel complesso di Saint-Sernin, 1083-85). Il 24 maggio 1096 Urbano II consacrò l’altare maggiore, il coro, la parte orientale del transetto e le cappelle della chiesa. Poco dopo Raymond Gayrard, canonico di SaintSernin e amministratore della fabbrica, provvide probabilmente a completare le parle ti alte del coro e del transetto. Gayrard realizzò le navate entro il 1118, elevando
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pareti esterne fino alla quota delle finestre alte, e costruì i fabbricati adiacenti, ormai scomparsi, che ospitavano il monastero degli Agostiniani, istituito nel 1117. La chiesa venne completata con lentezza: la facciata, con un ampio portale binato e serrata fra due torri, venne realizzata fra il 1100 ed il 1300, ma non giunse ad una compiuta definizione formale; la torre della crociera centrale, della seconda metà del XIII secolo, fu modificata nel 1478; i capitelli delle tribune vennero compiuti solo
nel XVI secolo. Saint-Sernin rappresenta una delle cosiddette chiese di pellegrinaggio, destinate alla custodia delle reliquie dei santi e alla visita dei devoti. La pianta, simile a quella delle chiese di Saint-Martin a Tours (ormai scomparsa) e di Santiago de Compostela, si compone di cinque lunghe navate, un profondo transetto con cappelle orientate e coro lievemente declinato verso nord, circondato dal deambulato-
rio con cappelle radiali. Un accurato bilanciamento delle spinte delle volte di copertura delle navate e l’equilibrio delle fonti d'illuminazione definiscono la fabbrica all’interno. Lo spazio centrale risulta illuminato direttamente dalle sole finestre della facciata, mentre un chiarore diffuso, proveniente dalle tribune laterali, introduce, nella costante scansione delle campate, alla più vivace luminosità della zona
presbiteriale. L’incrocio fra navata e transetto è sottolineato da una calotta con nervature su trombe angolari, sorrette da pilastri rinforzati alla fine del XIII secolo per sostenere l’alto tiburio ottagono soprastante. Il coro, a due campate con tribune, è concluso da un’abside sormontata da un semplice corridoio cieco. Pilastri squadrati e colonne sostengono archi a pieno centro e separano il presbiterio e la sottostante «cripta» aperta dal deambulatorio; gli archi hanno imposta sopraelevata e ampiezza diversa, facilitando così il passaggio della luce e compensando al tempo stesso le variazioni d’intervallo dei sostegni, come avviene a Sainte-Foy Conques. L’accentuato verticalismo e la dilatazione dello spazio interno si arricchiscono della trama del tessuto murario, in mattoni o a ricorsi alternati di mattoni e di pietra. La ricchezza plastica dei capitelli diversamente scolpiti, dei portali ed i resti di dipinti completano il ricco apparato decorativo. All’esterno, la dilatazione del volume del coro prodotta dalla sporgenza delle cappelle viene ricomposta in alto dall’omogenea partitura di finestre ad arco separate da semicolonne sovrapposte, con diametro progressivamente decrescente. Oculi circolari sormontano le finestre del deambulatorio e quelle inferiori del transetto; la parete superiore è strutturata dalla medesima partitura di semicolonne e finestre ad arco. Contrafforti al posto di colonnine sono disposti nel transetto e nei fianchi laterali, là dove le murature denunciano,
con il progressivo prevalere dell’impiego del mattone sulla pietra, le fasi costruttive più tarde. I restauri, condotti da Viollet-le-Duc fra il 1860 ed il 1879, hanno modi-
ficato l’elevato, con l’eliminazione delle aggiunte più recenti e con generose reintegrazioni in pietra di Carcassonne; tali lavori sono stati negli ultimi anni parzialmente eliminati per riproporre il coronamento «gotico» dell’edificio.
DIE
VÉZELAY, CHIESA ABBAZIALE DELLA MADELEINE
Fondata nel secolo IX da Gerard de Roussillon per custodire le spoglie di santa Maria Maddalena, la chiesa abbaziale benedettina divenne rapidamente uno dei più importanti luoghi di culto dell'Occidente. Nel 1096 l’abbate Artaud diede inizio alla ricostruzione del monumentale santuario, avviata con l’elevazione del corpo orientale, compiuto nel 1104. Successivamente venne avviata la costruzione della na-
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vata, i cui lavori, interrotti a causa dell'incendio divampato nel 1120, furono porta-
ti a termine nel 1140. Sul fronte occidentale si aggiungeva il nartece, vestibolo aperto sulla navata, la cui datazione rimane tuttora controversa (1140/45-51 o 1128-32).
La coeva facciata principale ad ovest non venne mai completata. Il coro primitivo, distrutto da un secondo incendio nel 1165, fu ricostruito in forme gotiche tra la fine del XII secolo ed i primi decenni del XIII. Attualmente, assente ogni evidente traccia della chiesa carolingia, la chiesa conserva immutato l'impianto del corpo longitudinale romanico e del coro duecentesco. Maggiori trasformazioni ha subito l’alzato, oggetto di estensivi interventi di restauro, parzialmente eseguiti da Viollet-leDuc tra il 1840 e il 1859. Nonostante la dipendenza amministrativa dall’abbazia madre di Cluny, la Madeleine rimane estranea alle influenze cluniacensi, esprimendo altrimenti i caratteri particolaristici del localismo borgognone. In contrasto con il verticalismo cluniacense, la navata — prototipo per le chiese della regione di minori dimensioni — presenta un forte sviluppo longitudinale ed un effetto di orizzontalità determinato dalla larghezza accentuata e dal semplice alzato a due livelli. Per la prima volta in Francia in una chiesa di così vaste dimensioni, volte a crociera oblunghe e prive di nervature diagonali coprirono la serrata sequenza delle campate centrali, scandita dal succedersi degli archi trasversali (doubleaux), ribassati e fortemente aggettanti. La struttura ardita ed inconsueta della volta (tentativo isolato nella regione borgognona), rinunciando alla botte ogivale cluniacense e all’uso delle tribune laterali, permise l’apertura delle alte finestre a tutto sesto del claristorio. La conseguente intensa illuminazione che ne deriva accentua la percezione della ricca ornamentazione plastica e scultorea, concentrata negli elementi strutturali della navata. Le policrome ghiere degli archi — arcate ed archi trasversali costituiti da conci alterni di colore chiaro e scuro — e la fascia orizzontale alla base della zona delle finestre, so-
no profilati da nastri ornamentali recanti rose scolpite a bassorilievo. I capitelli compositi della navata, opera di scalpellini provenienti probabilmente da Cluny, sono istoriati con figurazione sceniche la cui funzione educativa e narrativa è coerente con il carattere di grande biblia pauperum, proprio delle maggiori chiese di pellegrinaggio. Vestibolo aggiunto alla navata preesistente, il nartece adotta un impianto a tre navate e tre campate, su due piani, quello superiore limitato alle navatelle e alla campata adiacente alla facciata interna (cappella di S. Michele); le volte sono a crociera, prive di costoloni, tranne nella cappella di $. Michele. Analogamente ai capitelli istoriati, i portali si configurano quali luoghi privilegiati della scultura monumentale, le cui fisurazioni scolpite a bassorilievo rivestono un ruolo divulgativo ed esplicativo di carattere teologico. La piatta facciata principale, che delimita il nartece sul fronte occidentale, è articolata dalla presenza dei tre profondi portali e del ricco timpano ad arco acuto che sormonta l’apertura centrale, decorato con statue e baldacchini entro nicchie. La facciata rimase tuttavia incompiuta: delle due tozze torri gemelle laterali venne completata solo quella meridionale mediante la costruzione dei piani liberi; la guglia, realizzata nel XVII secolo e distrutta da un incendio nel 1819,
non fu ricostruita nel restauro condotto da Viollet-le-Duc (1849). Il coro gotico si configura come corpo autonomo ed aggiunto, distinguendosi dalle preesistenti parti di fabbrica romaniche: esso adotta un impianto di tipo basilicale (con santuario di due campate concluso da un'abside semicircolare, circondato dal deambulatorio e da cappelle radiali parzialmente aperte) e alzato tripartito. La seconda campata del santuario, a sua volta articolata in due arcate da colonne più esili, è insolitamente coperta per una metà da una volta quadripartita, e per l’altra da una vela convergente hella chiave del catino absidale. Questa soluzione, aperta alle innovazioni tecniche gotiche, rimase tuttavia un'esperienza senza avvenire nella regione borgognona. ISS
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CANTERBURY, CATTEDRALE
Secondo la tradizione la chiesa venne originariamente fondata su una costruzione più antica dal vescovo Agostino (597); sostanzialmente rinnovato all’epoca dell’arcivescovo Odo (942-959) l’edificio andò a fuoco nel 1067. La ricostruzione, ini-
ziata nel 1070 dall’arcivescovo Lanfranco (che era stato abate di Saint-Etienne di Caen), presumibilmente sul modello di Jumièges, fu condotta a termine nel periodo relativamente breve di sette anni, ma la nuova chiesa apparve presto insufficiente e fu ampliata ad opera di sant’'Anselmo, sotto i priori Ernulf, cui si deve la cripta, e Conrad che portò a compimento il coro (1114-26); il nuovo edificio fu consa-
crato nel 1130. A seguito dell’incendio del settembre 1174 si dovette procedere al rifacimento del coro di Conrad; suggerirono la ricostruzione in forme ulteriormente ampliate verso est e con l’aggiunta di una cappella-santuario, anche la devozione suscitata dal martirio dell'arcivescovo Thomas Becket, assassinato pochi anni prima per essersi opposto alla politica religiosa di Enrico III Plantageneto, e l'afflusso di pellegrini conseguente alla sua canonizzazione da parte di Alessandro III (1173). L'architetto incaricato, Guglielmo, era francese, proveniente da Sens, ma a causa di
un incidente fu presto costretto a lasciare il cantiere nel quale gli successe un altro Guglielmo detto l'Inglese (1178). I lavori condotti dall'uno e dall’altro maestro nei primi dieci anni sono descritti con precisione dal monaco Gervaso; nel 1184 era già compiuta la volta della cappella assiale detta «corona di Becket». Risulta che il primo architetto abbia costruito il coro fino alla crociera e tutti i pilastri fino all’inizio del deambulatorio (Trinity Chapel); il secondo, oltre il completamento del coro, realizzò il deambulatorio, la cripta e la «corona di Becket». Ma alcuni studiosi ritengo-
no che il progetto di questa cappella, a pianta circolare, fosse già stato stabilito da Guglielmo di Sens fin dal 1174 (un possibile modello è la rotonda di Saint-Pierrele-Vif a Sens), mentre per la pianta del coro l'architetto non sembra essersi discostato dalla costruzione romanica esistente. Comunque se la concezione del nuovo organismo potrebbe essere attribuita al primo Guglielmo, le parti orientali differiscono dal coro negli alzati e nei particolari: il primo è su tre piani (come Sens, ma probabilmente come era anche la chiesa precedente), mentre a differenza di Sens, le volte non sono bombate e ricadono su pilastri cilindrici (come quelli di Parigi e di Laon); in corrispondenza del claristorio fu realizzato il passaggio murale tipico del sistema normanno (7247 épats). La Trinity Chapel, ugualmente su tre piani, pre-
senta supporti costituiti da colonne accoppiate (come sono i sostegni «deboli» di
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Sens), ed inoltre vi venne realizzato un passaggio in spessore di muro al livello più basso, nella parete dell’ambulacro. In tutta questa parte il numero e l'ampiezza delle finestre accentuano l’illuminazione interna. Tra il 1378 e il 1411, prima per iniziativa dell’arcivescovo Simon of Sudbury, poi sotto il priore Chillenden, la vecchia navata normanna fu ricostruita in forme goti-
co-perpendicolari, ripetendo la pianta precedente, ma con un assai maggiore sviluppo verticale e inondandola di luce attraverso le grandi finestre delle navatelle; autore del progetto fu l’architetto di corte Henry Yeveley. Successivamente si rese necessaria la ricostruzione della torre meridionale della facciata (tra il 1423 e il 1434; la torre settentrionale fu a sua volta demolita e rifatta sullo stesso modello nel XIX secolo), e del transetto occidentale; furono anche iniziati i lavori per il rifacimento della torre-lanterna al centro dell’edificio, in corrispondenza dell’innesto del coro; che però, interrotti a causa della guerra delle Due rose, trovarono una conclusione solo alla fine del secolo (1495-1503), quando, in base a un nuovo progetto, la torre fu innalzata a un’altezza eccezionale e coronata all’interno con una volta a ventaglio simile a quella del King's College di Cambridge (architetto John Wastell).
DURHAM, CATTEDRALE
La primitiva chiesa fu fondata nel 998 dal vescovo Aldhuno (990-1019); fu poi ricostruita e trasformata in cattedrale per volontà del vescovo di Durham, Guglielmo di Saint-Calais (1081-96), già prete secolare della chiesa di Bayeux e successivamente priore del convento di Saint-Calais. Ma secondo alcuni studiosi il progetto originario della nuova cattedrale sarebbe dell’epoca del suo predecessore, il vescovo Walcher, morto improvvisamente prima dell’inizio dei lavori (Chibnall). La ricostruzione fu cominciata nel 1093, dopo il ritorno di Guglielmo di Saint-Calais dal suo esilio in Normandia (1088-91). L'edificio, concepito presumibilmente sul modello di Bernay e di Cluny II, fu terminato nel 1133: configurato a croce latina con transetto dotato di una navatella lungo il fianco orientale, si presentava con termipazione triabsidata delle tre navate del coro (una profonda abside, corrispondente a quella centrale, e due absidiole laterali ricavate nello spessore murario). I lavori cominciarono dalla parte orientale della fabbrica; e proseguirono con la costruzione del transetto e delle prime due campate del corpo longitudinale. Il coro fu completato nel 1104. Fra il 1128 ed il 1133 i monaci provvidero alla realizzazione delle volte su costoloni nella navata centrale. In seguito fu completata la facciata, affiancata da due torri, poi integrata con la costruzione di un nartece (0 galilea) quando era vescovo Ugo di Puisac (1153-95). Delle due torri laterali (in linea con i modelli norsemanni) la parte inferiore, prossima all’imposta del tetto della navata, risale al XII
colo, mentre la parte superiore, costituita da quattro serie di arcatelle, corrisponde riad una sopraelevazione eseguita in epoca successiva. La torre centrale fu invece disdi sintomi costruita negli anni 1465-90. Nel 1235 le volte del coro presentavano dell'XI sesesto, sicché nel 1242 fu decisa la loro ricostruzione (un resto delle volte
il vecolo è rilevabile nel settore meridionale del coro). I lavori furono eseguiti sotto trasformala avviata fu periodo stesso Nello (1242-48). Farhnam scovo Nicola di zione della parte orientale del coro, con l'erezione della cappella dei Nove Altari, corpo trache comportò la distruzione delle tre absidi e la giustapposizione di un
L’interno delsversale alla parete di fondo, come a costituire un secondo transetto.
l’edificio è scandito da una successione di otto arcate per parte e da un'alternanza
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di pilastri cilindrici e compositi, con capitelli cubici, che definisce la successione di doppie campate coperte da volte a crociera con costoloni, ritmate da archi trasversali impostati sui serventi verticali dei pilastri compositi o su peducci pensili. I pilastri cilindrici sono decorati con motivi a spirale nella zona del coro, e con motivi geometrici diversi (alcuni, a zig-zag, altri a rombi) nel corpo longitudinale corrispondente alla fase di costruzione sotto il vescovo Ranulfo Flambard (1099-1129). L'alzato è costituito da tre livelli: le arcate sui pilastri alternati, il matroneo (serie di bifore sottese ciascuna ad un arco a tutto sesto) e, al di sopra di esso, la successione di aperture del claristorio, con antistante galleria, realizzata nello spessore murario. I muri perimetrali, in conci squadrati di pietra disposti secondo filari d’altezza non costante, presentano alla base, sul fronte interno, una successione di arcatelle cieche incrociate, che conferiscono un caratteristico effetto plastico alle pareti, elemento questo tipico del linguaggio architettonico anglonormanno; la ricca decorazione coinvolge anche i sottarchi, gli archi della navata centrale, del matroneo, della galleria superiore e i costoloni delle volte. Ma la peculiarità della cattedrale di Durham consiste prevalentemente nell’applicazione del sistema voltato su costoloni all’intero edificio, diversamente dalla tradizione costruttiva normanna che prediligeva la costruzione di volte a crociera sulle navate laterali e coperture lignee sulla navata centrale. Secondo Bilson, le prime volte sulle navate laterali del coro furono completate tra il 1099 ed il 1104. L'introduzione del sistema voltato su costoloni non rappresenterebbe comunque una novità assoluta in ambito inglese, poiché questo, come dimostrato da studi recenti, si riscontra già in alcune chiese costruite tra la fine dell'XI e gli inizi del XII secolo (Gem). Le volte sulla navata centrale del coro risultano contraffortate dagli archi a tutto sesto del matroneo, sui quali poggiano travi ed arcarecci del tetto ligneo, mentre quelle della navata centrale del corpo longitudinale sono contraffortate da un primitivo sistema ad archi rampanti, ugualmente compresi entro lo spazio della tribuna.
DIE
GLOUCESTER, CATTEDRALE DELLA HOLY TRINITY
La chiesa abbaziale, elevata al rango di cattedrale da Enrico VIII nel 1541, si
compone prevalentemente di due sistemi architettonici: la prima costruzione normanna (XI secolo), e le più tarde strutture gotiche a questa sovrapposte (secoli XIIIXV). Nell’ultimo quarto dell'XI secolo l’abate Serlo fondò il primitivo complesso monastico, i cui resti furono parzialmente reimpiegati nella nuova fondazione. L’incendio divampato nel 1089 e le conseguenti distruzioni permisero a Serlo di ricostruire l’edificio religioso, dedicato a Saint Peter nel 1100 e completato dopo la sua
morte (1104) nel 1126. Alle due fasi iniziali dei lavori (1089-1100; 1100-26) corti-
sponde l'elevazione della chiesa normanna, del coro e della bassa cripta sottostante il presbiterio. Nel 1242 venne realizzata la copertura con volte della navata maggiore. I problemi statici relativi alla sovrapposizione di una copertura di pietra sulle precedenti strutture normanne furono risolti con la costruzione di una volta a costoloni con nervature diagonali e trasversali su ciascuna campata, la demolizione e la ri-
costruzione del claristorio, con la medesima altezza del precedente, e la creazione di
contrafforti esterni. Dopo l’assassinio di Edoardo II (1327), l’abate John Thokey decise di custodirne il corpo in una tomba collocata sul lato nord dell’altare. L’abba-
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zia divenne immediatamente un centro di pellegrinaggio; la moltiplicazione delle offerte e l’interessamento di Edoardo III figlio del re assassinato diedero nuovo impulso alla ripresa dei lavori, avviati con la sistemazione del braccio sud del transetto (1331-36). Quest'ultimo (Saint Andrew Aisle) venne interamente ridefinito me-
diante la sovrapposizione di pannelli rettangolari, che compongono un disegno a rilievo sulle murature cieche e uno schermo trasparente in corrispondenza delle arcate e aperture. Il piatto muro terminale del transetto normanno venne in gran parte abbattuto e ricostruito per ospitare la grande finestra sud (attribuita a William Ramsey), che rappresenta il primo esempio del suo genere. Grandi e liberi contrafforti rampanti a vista intersecano le murature e le aperture lungo le pareti laterali, bilanciando il peso della torre centrale. Dai fasci di colonnine agli angoli e al centro del transetto si sprigionano i costoloni della volta, connessi tra loro sull’intradosso da corte nervature sussidiarie, che chiudono le maglie della rete. Non estraneo alla decisione di ristrutturare completamente il coro (1337-67) fu il violento contrasto tra l'oscurità del presbiterio normanno e la luminosità del braccio meridionale del transetto appena compiuto, inondato dalla luce policroma filtrata dalla grande finestra sud. I lavori iniziarono con la trasformazione delle parti orientali e della corrispondente galleria superiore; risale a questa campagna di lavori, o alla successiva realizzazione della Lady Chapel (1462-82) sul retro della zona absidale, l’abbattimento della cappella assiale. Una enorme finestra a tre «ante», scompartita all’interno da pannelli verticali, sostituì interamente la parete sul fondo della navata. Analoghe pannellature rivestono le superfici e le aperture interne, proseguendo superiormente nelle finestre dell’alto claristorio nuovamente realizzato. I costoloni delle volte si aprono a ventaglio al di sopra dei fasci di colonnine addossate ai supporti e si intrecciano con nervature secondarie con le quali compongono un disegno a rete. Tra il 1369 e il 1374 una nuova campagna di lavori interessò anche il braccio nord del transetto (Saint Paul Aisle). Conformemente alla volontà di ricomporre secondo un disegno unitario l’intera parte orientale della fabbrica, le superfici interne vennero ricoperte da pannellature continue e lo spazio del transetto venne concluso superiormente da una volta, analoga ma più elaborata della simmetrica sul braccio sud. Nel grande chiostro settentrionale, elevato sulle fondazioni del precedente di epoca normanna, è introdotto per la prima volta il sistema delle volte a ventaglio, già pienamente elaborato. All’insieme, chiuso all’esterno e permeato dalla quiete propria dei chiostri monastici, è conferito uno straordinario carattere di uniformità ed armonia, dalle caratteristiche proprie a questo tipo di volte. Sebbene i lavori potrebbero essere iniziati prima del 1364, gran parte della costruzione fu completata tra il 1381 e il 1412. I successivi interventi del XV secolo conclusero la sistemazione della chiesa gotica: vennero realizzati il portico sud (1430), l'alta torre (1450-57, già ricostruita dopo il 1104, nel 1122 e nel 1350), il fronte principale (1460) e la Lady Chapel (1462-82). Il rifacimento del fronte e delle due campate occidentali, seguito alla precedente demolizione delle più antiche strutture, fu probabilmente conseguente al collasso della facciata normanna, la cui forma originaria è sconosciuta. Una grande finestra e due laterali di minori dimensioni occupano gran parte della fronte. Ampie finestre e pannellature rettangolari schermano anche le superfici cieche e le aperture della Lady Chapel, che costituisce una libera versione a scala minore del coro. IS:
Appendice. Schede
664 LINCOLN, CATTEDRALE
Innalzata la città a sede vescovile dopo la conquista normanna, una prima cattedrale fu costruita tra il 1072 e il 1092 e trasformata a seguito di un incendio (1141); di questo edificio, dopo il distruttivo terremoto del 1185, rimangono solo, reimpiegati nella nuova costruzione, la zona dei portali e i piani inferiori delle due torri occidentali. I lavori di rifacimento ebbero inizio nel 1192, per iniziativa del vescovo Hugh (sant’Ugo), iniziando dal coro, che originariamente si concludeva con un’abside poligonale e cappelle radiali, innestata al transetto est (la soluzione si richiamava al modello di Canterbury); il transetto maggiore e la sala capitolare furono costruiti tra il 1200 e il 1235, la navata, la facciata occidentale e la torre sulla crociera
(crollata nel 1239) tra il 1225 e il 1255. Dal 1256 al 1280 si procedette al rifacimento della parte orientale con la realizzazione del nuovo coro (coro degli Angeli) a terminazione rettilinea. L’alzato dell’edificio, a tre piani, unisce alcune caratteristiche presenti a Canterbury (l’ampio uso di marmo nero di Purbeck) con altre della navata di Wells: da quest'ultima Lincoln si distingue per il minore spessore delle pareti e la maggiore ampiezza delle grandi arcate; per il triforio, che ha le proporzioni di una vera e propria galleria con due archi in ogni campata; per il disegno del claristorio, con le finestre schermate da archeggiature interne. Inoltre l’architetto prolungò i fasci di colonnine destinati a sorreggere le nervature della volta, impostandoli su mensole collocate poco sopra gli abaci dei pilastri. La divisione in campate, così accennata, non trova corrispondenza nel disegno delle volte, caratterizzate da una nervatura assiale continua (costolone di colmo) che sottolinea lo sviluppo longitudinale del vano interno: nel coro di S. Ugo, compreso tra i due transetti, che è la prima parte costruita, le nervature diagonali non si incontrano al centro di ogni campata, ma in due punti diversi del costolone di colmo, nei quali concorrono, alternativamente, due nervature da un lato ed una dall’altro rispetto all’asse. Questa particolare soluzione, che non ebbe seguito in altri edifici, e che non fu ripresa neppure nella successiva copertura della navata (ma è possibile che le volte del coro di S. Ugo siano state realizzate solo dopo il 1239), non è la sola insolita variante portata dall’architetto alle
forme tradizionali: a parte i fasci di colonnine del pilastro tra transetto e navata laterale, ornati con foglie ad uncino simili a quelle dei soprastanti capitelli (che Frankl connette al carattere «decorativo» del gotico inglese), le arcatelle cieche applicate alla zona basamentale, si articolano in due serie sovrapposte e sfalsate, di forma e di
altezza diverse, con un effetto illusionistico che è stato messo in relazione alle teorie sulla visibilità di Roberto Grossatesta. La volta della navata centrale, realizzata da
un nuovo architetto, è tra i primi esempi di applicazione sistematica dei costoloni supplementari (tiercerors); la facciata a schermo si sviluppa in larghezza, celando i piani inferiori delle due torti. Il coro degli Angeli è considerato un precoce esempio dell’affermarsi del nuovo gusto decorated: lo schema dell’alzato e della copertura non è diverso da quello della navata, ma ghiere e colonnette si complicano e la decorazione si estende su tutte le superfici, in particolare nei pennacchi degli archi; le differenze più notevoli riguardano il claristorio, con le ampie finestre schermate da un ricco traforo antistante il passaggio murario interno. Nella facciata est la grande finestra di chiara derivazione rayonnant, viene ripetuta, con qualche variante e in diverse proporzioni, al
fondo delle navate laterali e nel sottotetto; lo stesso motivo è usato anche nei trafo-
ri ciechi dei pignoni laterali. Tra le opere successivamente realizzate, la parete divisoria del coro (ca. 1320) testimonia la piena vitalità del decorated nella sua fase co-
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siddetta curvilinear. La torre centrale venne completata nei primi anni del XIV secolo, quelle di facciata intorno al 1400; tutte in origine erano concluse da altissime guglie, successivamente demolite.
LONDRA,
ABBAZIA DI WESTMINSTER
Fondata secondo la tradizione da saint Dunstan, l’antica abbazia venne intera-
mente ricostruita, prima della Conquista, da Edoardo il Confessore: fu perciò la prima grande chiesa «normanna» di Inghilterra, prescelta da Guglielmo il Conquistatore per la sua incoronazione (1066), e da allora sede di una lunga serie di analoghe cerimonie. Il rifacimento dell’edificio si deve a Enrico III, che tra il 1246 e il 1272 impegnò una somma ingentissima (ca. £ 45.000) per la costruzione di un grande coro con deambulatorio e cappelle radiali, sicuramente ispirato a quello della cattedrale di Reims, che si eleva a un’altezza insolita per le chiese inglesi; le volte sono contraffortate da una doppia serie di archi rampanti (sistema sino allora accolto con molte riserve dai costruttori dell’isola) e i trafori delle finestre presentano disegni rayonnant di derivazione francese, destinati a incidere profondamente sui futuri sviluppi dell’architettura gotica inglese. Nella nuova costruzione fu incorporata la cappella assiale (Lady Chapel), eretta nel 1220 circa a conclusione dell’abside romanica; il tratto occidentale della navata, al di qua del transetto, rimase inalterato anco-
ra per oltre un secolo (1375), dopoché fu ricostruito assai lentamente, riprendendo le forme impiegate nel coro di Enrico III Le torri della facciata, che nel 1534 avevano raggiunto solo l’altezza del claristorio, furono completate nel 1745 da Nicho-
las Hawksmoor. Per un breve periodo, tra il 1540 e il 1556, la chiesa fu elevata al rango di cattedrale; nel 1560 venne eretta a collegiata reale, esente dalla giurisdizio-
ne dell’arcivescovo di Canterbury e del vescovo di Londra. Ma già nei primi decenni del XVI secolo il coro era stato nuovamente ristrutturato, per la costruzione della sontuosa cappella di Enrico VII in sostituzione della duecentesca Lady Chapel. Opera votata alla legittimazione e glorificazione della dinastia dei Tudor, coerentemente con la consolidata tradizione inglese che durante il XV secolo aveva visto sorgere numerose cappelle funerarie quali realizzazioni autonome aggiunte ad imponenti edifici religiosi, la cappella, concepita come mausoleo reale per ospitare le tombe di Enrico VI e di Enrico VII, avrebbe dovuto oscurare in grandiosità tutte le precedenti ed analoghe realizzazioni (non esclusa la cappella di S. Giorgio nel castello di Windsor, nella quale originariamente dovevano collocarsi le tombe dei due sovrani). Sia la mancata canonizzazione formale di Enrico VI (il cui santuario, mai costruito, avrebbe dovuto occupare parte della navata centrale), che la presenza della tomba di Enrico VII in posizione privilegiata, nell’abside, fecero sì che l’edificio mutuasse il proprio nome da quello del suo fondatore. Fu forse Robert Vertue, architetto del re insieme a John Lebons e Robert Janyns, ad occuparsi del disegno per la nuova cappella, fondata il 24 gennaio 1502-1503. L'impianto previsto proponeva la duplicazione a scala più piccola del coro abbaziale, con navata principale fiancheggiata da due laterali e terminante în un’abside poligonale delimitata perimetralmente da cinque cappelle radiali, ma il risultato supera la parunitizione degli ambienti propria del gotico inglese, per dare luogo ad uno spazio deltario, fruibile visivamente con un unico sguardo. La funzione di unificazione
trina l’intera struttura è affidata agli elementi decorativi, costituiti da una specie di La volta. a copertura sovrastante la e pareti le e di pietra, che avvolge uniformement
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volta, realizzata da William Vertue (successo nella conduzione dei lavori al fratello Robert, deceduto nel 1506), o più probabilmente da Robert Janyns, rappresenta il
punto di approdo della ricerca architettonica inerente le coperture nervate, combinando in un'unica struttura volte pendenti (pendant vaulting) e volte a ventaglio (far vaulting). Il problema formale assume un’importanza prioritaria, facendo sì che la coerenza del sistema strutturale passi in secondo piano. I grandi archi trasversali ribassati, che scandiscono la sequenza delle campate rettangolari, scompaiono nei coni concavi delle volte a ventaglio (sostenute da nervature semicircolari di medesima curvatura ed impostate sui pilastri della navata) per riapparire al vertice dei coni capovolti in forma di «chiavi pendenti». Il motivo della «chiave pendente» compare nuovamente nello spazio quadrangolare definito dai margini esterni di questi ventagli, lungo l’asse longitudinale della navata. La decorazione, ottenuta grazie ad un elaborato e minuzioso lavoro di intaglio delle pietre connettive della volta, accentua l’effetto di chiaroscuro e profondità, annientando l’impressione di solidità e di pesantezza propria alle coperture voltate. Sui muri perimetrali i pannelli rettangolari di cui si compongono le finestre, si piegano a formare concavità lungo il corpo longitudinale, e angoli di differente ampiezza in corrispondenza delle cappelle absidali. In tal modo i vetri delle finestre presentano molteplici sfaccettature alla penetrazione della luce che inonda lo spazio, intagliato, dorato e policromo. Se l’interno della cappella di Enrico VII costituisce una delle opere maggiormente decorate dell'architettura religiosa tardogotica, l’esterno presenta il più ricco trattamento usato in una chiesa inglese. I supporti tra le finestre vengono sostituiti da torrette ottagonali che, congiuntamente alle vitree sporgenze poliedriche (b4y windows), costituiscono elementi architettonici della tradizione secolare militare e civile, e pannellature scandite da fitti elementi verticali avvolgono totalmente tutte le superfici esterne, fino a raggiungere le sezioni superiori delle torrette, sormontate da cupolette ogivali dalla caratteristica forma «a cipolla». RSS
WELLS, CATTEDRALE DI SAINT ANDREW
Negli ultimi decenni del XII secolo ebbe inizio la costruzione della chiesa sul luogo di una più antica cattedrale, fondata nel 909 ed abbandonata nel 1090. I lavori si svolsero in due principali fasi: quella relativa all'impianto originario, conclusa intorno al 1260, vide la realizzazione di una chiesa a croce latina a tre navate, con transetto pronunciato, coro di due campate e cappella assiale a pianta rettangolare.
L'ingresso principale era costituito dal portico sul fianco settentrionale (1210-15).
L’alzato della navata (ca. 1190-1240), rimasto tuttora inalterato, si compone di tre
ordini sovrapposti, costituiti dalle arcate su massicci pilastri rivestiti da un fitto gioco di colonnette, replicato nelle modanature degli archivolti; dalla fascia continua del triforio, che dà forte risalto alla «orizzontalità» di questo elemento: infine dal claristorio. Nonostante la presenza della copertura a crociere, la navata rinuncia alle partizioni verticali proprie del gotico francese, contribuendo ad annullare il senso di individualità delle campate. La «facciata-schermo», autonoma rispetto al corpo di fabbrica retrostante, si estende oltre l’ampiezza della navata. In successione si distinguono tre fasce orizzontali: un basso zoccolo continuo, un piano di arcate cieche alternate a finestre e l’altissima zona successiva. Il gioco ripetuto di arcate, ghimberghe e quadrilobi, snelle finestre a lancetta e la presenza di numerosissime statue,
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fa di questa facciata il prototipo per le successive cattedrali inglesi. I lavori subirono un brusco arresto in seguito al terremoto del 1248. La posa in opera della decorazione scultorea fu compiuta entro il 1280, ma successivamente la struttura venne completata secondo un programma diverso da quello originario. William Wynford, già maestro d’opera a Wells nel 1364, curò la realizzazione della torre sud (1365-98); solo nel 1424 venne portata a compimento la torre nord. Tra il 1285 e il 1293 ebbero nuovo impulso i lavori della Chapter House, interrotti dopo la costruzione della cripta. La volta, le cui fittissime nervature «a palma» si diramano dal supporto centrale, presenta nervature di identico profilo e raggio di curvatura, non differenziate secondo una specifica funzione strutturale. Intorno al 1290 fu intrapresa la seconda fase di lavori con la demolizione e l'ampliamento dell’intero braccio orientale: nella nuova sistemazione planimetrica si susseguono la zona centrale del santuario, il «retro coro», atrio-vestibolo alla Lady Chapel, e quest’ultima che chiude la composizione in posizione assiale. Unica in Inghilterra, la cappella della Vergine (1310-19) adotta una pianta ad ottagono irregolare, i cui tre lati occidentali, allungati, invadono la zona retrostante il santuario. Sugli spicchi del-
la «volta a stella» le nervature incrociate individuano motivi geometrici, che non hanno più alcun rapporto con la funzione strutturale. Nel «retro coro» (1320-45) l'assenza di limiti spaziali definiti e la moltiplicazione dei punti prospettici produce una sensazione di disorientamento e di sorpresa acuita dalla compenetrazione dei volumi e dal cambio di scala tra questo ambiente, basso e frazionato e la cappella, vasta e unitaria. Alla realizzazione (che presenta forme già definibili perpendicular) partecipò William Joy, architetto del cantiere tra il 1329 e il 1345. La copertura omogenea, impostata sugli esili supporti tra le campate, chiude lo spazio superiore e si configura quale esempio di volta nella quale l'introduzione di nervature diagonali e longitudinali — interrotte da figure quadrate ed ottagonali — tende ad annullare la frammentazione dello spazio interno in campate, restituendo altrimenti l’ininterrotta continuità di un «tunnel». Gli immensi archi «a forbice» nella crociera (1338) furono inseriti tra i pilastri per contenere la spinta della torre sul transetto, attribuita a Thomas de Witney (1315-22). Al complesso si aggiunsero i due chiostri est ed ovest, realizzati rispettivamente nel 1420-24 e nel 1460-80. Il chiostro annesso alla Lady Chapel è stato demolito.
IS:
YORK, CATTEDRALE DI S. PIETRO
La ricostruzione della cattedrale, probabilmente progettata sin dai primi anni
del XIII secolo, ebbe inizio dai due transetti (ca. 1230-41), che presentano tra loro caratteristiche differenti; i nuovi bracci emergevano decisamente dal corpo longitu-
dinale a nave unica della chiesa normanna e dal presbiterio (realizzato intorno al 1160), più stretto della navata. Seguì la costruzione della torre sulla crociera, poi crollata nel 1407, e quella della sala capitolare, annessa al braccio nord del transet-
to, impostata secondo forme connesse alla tradizione tipologica inglese, aggiornate sui modelli dell’architettura di corte degli anni Settanta (Old Saint Paul), con un eccezionale effetto di ampliamento spaziale, grazie alle enormi finestre, spinte verso l'esterno e collocate su un basamento, il cui duplice movimento, alternativamente
concavo (nicchie) e convesso (baldacchini e timpani) conferisce alla parete un cainrattere fantastico e irreale. La copertura, originariamente prevista in pietra, ma
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vece realizzata con una volta lignea che permise di abolire il pilastro centrale, fu completata intorno al 1286. La fase successiva, a partire dal 1291, riguarda il rifacimento del corpo longitudinale, per iniziativa dell’arcivescovo John le Romayn, che aveva insegnato all’Università di Parigi; la nuova fabbrica, a tre navate, mostra una
rigorosa corrispondenza ai modelli rayorzarz, insolita per l'Inghilterra: in particolare sono state sottolineate (Harvey, Bony) alcune affinità con le cattedrali della Francia meridionale attribuite a Jean de Champs (archi del triforio sormontati da ghimberghe; stretta connessione tra triforio e finestre del claristorio, serrate lateralmente, in ogni campata, da due strisce di parete piena), ma anche con la cattedrale di Regensburg e, per il tipo dei pilastri, con quella di Colonia. I rapporti con Colonia sono stati poi ulteriormente sottolineati e specificati da H. Boker, che ha avanzato l’ipotesi dell'impiego di un architetto proveniente o educato nella loggia di quella cattedrale (la scelta sarebbe da mettere in relazione con gli stretti legami tra la città tedesca e la monarchia inglese, in un periodo in cui York assume il ruolo di
sede della corte reale); ma le proporzioni dell’edificio rimangono schiacciate e prevalentemente orizzontali. Le volte della navata centrale (previste in pietra ma realizzate in legno intorno al 1350 e rifatte dopo un incendio nel 1840) sono impostate in corrispondenza della base delle finestre; l'esecuzione dell’alzato, con i costolo-
ni che non trovano una perfetta corrispondenza nelle strutture verticali, e il disegno delle vele, complicato dalla presenza di numerosi z/ercerons, testimoniano probabilmente una variazione del progetto iniziale. Ulteriori prove di trasformazioni in corso d’opera sono visibili in corrispondenza delle due torri di facciata, che sostituirono quelle più antiche (demolite ca. 1310); le quali probabilmente, nel programma originario, dovevano essere inglobate da una fronte a schermo come a Wells. Le nuove torri, compiute solo intorno alla metà del XV secolo, rendono la facciata di York
la più francese di tutte le facciate inglesi (Pevsner). L'effetto complessivo di orizzontalità, prodotto dalla veduta interna del corpo longitudinale, venne ancor più evidenziato con la ricostruzione del coro e del presbiterio, che raggiungono la stessa lunghezza della navata; per la costruzione di questa parte, iniziata intorno al 1361 dalle campate orientali (cappella della Vergine), venne mantenuto lo schema a tre piani, ma anteponendo ai trafori del claristorio una specie di schermatura esterna, che ricorda lo sdoppiamento della parete (interna) nel coro di Gloucester; il motivo fu abbandonato nelle campate successive, più vicine all’incrocio, dove fu invece realizzato un passaggio murario soprastante il triforio. Il già menzionato crollo della torre centrale nel 1407 dette l’avvio alla fase conclusiva dei lavori della cattedrale: in vista della ricostruzione vennero rinforzati i pilastri dell’incrocio e tra di essi si realizzò la decoratissima recinzione del coro, ma la nuova torre-lanterna, forse a causa dell'instabilità del terreno sottostante, dovette
essere mantenuta a un’altezza relativamente ridotta, minore di quella più antica.
Area germanico-imperiale
AQUISGRANA, CAPPELLA PALATINA
Carlo Magno fece costruire nella città romana di Aquisgrana in Renania un vasto palazzo dove si trasferì stabilmente dall’807. La cappella nacque come parte integrante di tale palazzo per permettere all'imperatore di prendere parte alle cerimonie religiose e per custodire reliquie; nell’814 accolse la sepoltura di Carlo, ma non è noto se sin dall’origine fosse stata concepita come mausoleo. Progettata dall'architetto
Odo (Eudo) di Metz, nel 798 era in costruzione e nell’800 o nell’805 fu dedicata da
papa Leone III. Un Westwerk precede la cappella; formato da un corpo a due piani con due torri scalarie ai lati, esso si affaccia su di una grande corte chiusa per le apparizioni pubbliche dell’imperatore. Tra la muratura delle torri e della cappella c'è una soluzione di continuità che ha fatto ipotizzare che il Weshwerk sia posteriore, ma potrebbe anche trattarsi di due fasi di realizzazione di un unico progetto. L'interno della cappella è oggi il risultato dei restauri eseguiti tra il 1869 e il 1912, che hanno eliminato le decorazioni del XVIII secolo. Al centro si trova un vano ottagonale, coperto da una volta a padiglione a otto falde rivestita da un mosaico rifatto nel 18791881 sulla base di documenti antichi. Intorno si situano un ambulacro e una sovrastante tribuna, i cui muri esterni invece che a otto sono a sedici lati. Il diametro com-
plessivo è di circa 33 metti. Il vano centrale è collegato con l’ambulacro e la tribuna da arcate a tutto sesto poggiate su robusti pilastri di pietra squadrata. Le arcate della tribuna, più slanciate, sono schermate da un telaio di colonne sovrapposte su due ordini. Ad est la cappella era conclusa da un coro rettangolare a due piani, che tra il 1355 e il 1414 fu sostituito da un grande coro gotico. Il collegamento tra l’ottagono interno e il poligono esterno a sedici lati determina complesse e originali soluzioni nella forma delle volte e dei pilastri, che anticipano i successivi sviluppi tecnici e figurativi dell’architettura romanica: l’ambulacro è coperto da una volta a botte spezzata che, per le lunette in corrispondenza degli otto lati del vano centrale, si avvicina ad una volta a crociera, mentre presenta soluzioni di raccordo triangolari nelle altre parti. Nella tribuna archi radiali individuano otto campate quadrate coperte da volte a botte, e otto campate triangolari sormontate da volticciole. Le volte della tribuna, forse di poco posteriori agli archi, sono salienti. Il sistema di copertura rivela capacità tecniche notevoli per l’epoca, che partono dalla conoscenza dell’architettura romana e bizantina, ma che presentano anche soluzioni costruttive originali, come l’uso di catene di ferro (anche se ne è controversa la datazione). L'esterno si presenta come sovrapposizione di nitidi volumi prismatici. La semplice stereometria doveva essere accentuata da un uniforme rivestimento di intonaco, di cui restano poche
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tracce. Il tamburo ottagonale che si innalza al centro presenta ad ogni spigolo una coppia di paraste con capitelli corinzi, che imitano quelli romani. In origine esso era coronato da un tetto piramidale ligneo. Nel 1224, dopo un incendio, il tamburo fu rialzato e su ognuno degli otto lati furono costruite sei arcatelle sormontate da un frontone triangolare; un’alta guglia coronava l’edificio, ma anche essa bruciò e fu sostituita nel 1664 con l’attuale copertura. La cappella è costruita in gran parte con materiale di recupero, non solo per i vantaggi pratici che ciò comportava, ma anche per il valore figurativo e simbolico attribuito all'architettura antica. Le colonne di marmo, porfido e granito, sormontate da capitelli corinzi sarebbero state portate da Roma e Ravenna con l’autorizzazione di papa Adriano I. Furono invece eseguite appositamente in bronzo le balaustre della tribuna e le porte che rappresentano una cosciente e raffinata imitazione di modelli antichi. La campata ovest della tribuna almeno dall’età ottoniana, ma probabilmente sin dal tempo di Carlo, conteneva il tro-
no imperiale; da essa, impreziosita da colonne di porfido, simbolo della maestà imperiale, si vedevano i punti significativi dell’edificio: il Cristo in trono sulla cupola, l’altare del Salvatore posto di fronte al primo piano e quelli della Vergine e di S. Pietro a piano terra. La cappella è stata accostata ad architetture bizantine come la chiesa dei SS. Sergio e Bacco a Costantinopoli o il S. Vitale a Ravenna. Però, nonostante le generiche somiglianze, è un’architettura più romana che bizantina (Conant): rispetto alla spazialità indefinita e dilatata di quest’ultima, in essa prevale la stereometria delle masse e la definizione geometrica degli spazi. Della cappella sono stati anche indagati i contenuti simbolici: rappresenterebbe il ruolo, conferito da Dio a Carlo, di guida del mondo cristiano: il Cristo in trono della cupola indica il vertice di una piramide che partendo dalla sfera terrena arriva a quella celeste, e l’imperatore si trova sul piano del Salvatore; prefigurerebbe inoltre la città celeste, specialmente per l’uso ricorrente di numeri simbolici. Nel XV secolo vennero aggiunte le due cappelle del settore settentrionale. LB:
COLONIA, CATTEDRALE DI S. PIETRO
Gli scavi, condotti dopo il 1946 (Doppelfeld) hanno consentito di rinnovare le conoscenze sull'impianto carolingio e altomedievale della cattedrale, originaria-
mente fondata nel IV secolo. La successiva ricostruzione merovingia era una chiesa
a nave unica, trasformata agli inizi del IX secolo, secondo una pianta simile a quella rappresentata nel noto disegno di S. Gallo; secondo Weyres si trattava di una basilica con pilastri, absidi contrapposte, transetto occidentale, presumibilmente con incrocio isolato da archi longitudinali. Dopo 1’870 l’abside occidentale, che ospitava more romano il principale centro liturgico, venne modificata e alle sue spalle fu collocato un grandioso atrio di forma trapezoidale. All'epoca del vescovo Brunone (fine X secolo) si ebbe un ulteriore ampliamento, con apertura delle pareti laterali, trasformate in un sistema di sostegni alternati, realizzando un corpo longitudinale a cinque navate. La prima iniziativa relativa al rifacimento della chiesa ottoniana si deve all’arcivescovo Engelberto I (1216-25), ma solo dopo l’incendio del 1248 si dette di fatto avvio alla costruzione in base a un progetto presumibilmente elaborato in precedenza, la cui evidente matrice francese manifesterebbe l'adesione del vescovo Corrado di Hochstaden alla politica di Luigi IX, in funzione antisveva. Si ignora il no-
Area germanico-imperiale
(YA!
me del primo architetto; dal 1252 a una data che oscilla tra il 1257 e il 1261 alla guida del cantiere è un maestro di nome Gerardo, che realizza le pareti laterali del coro e inizia a impostare le cappelle radiali; gli succede Arnoldo, che termina l’opera del precedente maestro, costruisce la navata orientale del transetto e copre le volte maggiori fino all'incrocio. Nella parte così realizzata, delimitata da una chiusura provvisoria, la chiesa venne aperta al culto; la consacrazione ebbe luogo nel 1322, mentre ancora proseguivano, con estrema lentezza, i lavori del transetto; nel 1350 si
comincia a lavorare alla facciata e nel 1437 la torre sud raggiunge la quota di spiccato dei piani liberi, che aveva ancora all’inizio del secolo scorso. Nel 1560 i lavori si interrompono completamente, quando i pilastri del corpo longitudinale raggiungono appena la quota dei capitelli; soltanto tra il 1842 e il 1880 si procedette al completamento, eseguito pressoché interamente sulle fondazioni medievali già tracciate nella fase iniziale, e in base a disegni originali. Lo schema generale dell’edificio riprende quello della cattedrale di Amiens, ma non senza differenze: innanzitutto il corpo longitudinale, a cinque navate, rese necessario l'ampliamento del transetto, che sporge di due campate; inoltre la cappella assiale del deambulatorio è uguale alle altre e, nell’alzato, il disegno del triforio luminoso, privo delle ghimberghe di Amiens, esalta con le proporzioni slanciate, l’effetto di verticalità. Ancora più significativo è l'abbandono del tipo di pilastro incantonato, per il pilastro polistilo, con colonnette che corrono ininterrotte sino all'imposta delle volte. La facciata, costruita nel XIX secolo in base a disegni trecenteschi (cosiddetto progetto F, ca. 1320), presenta due torri che si ispirano alla guglia di Friburgo; alle cinque navate del corpo longitudinale corrispondono solo tre portali, poiché le sezioni laterali del prospetto, isolate da sottili contrafforti, sono forate da grandi finestre. Contrafforti più robusti isolano il portale centrale, ma il rilievo in genere rimane piuttosto piatto, rispetto agli esempi francesi, giocato su sottili differenze di piani; soprattutto le linee verticali prevalgono rispetto alle orizzontali, anche perché ogni marcapiano è tagliato dalla ghimberga degli archi sottostanti, elemento ripetuto che diviene il motivo unificante del disegno complessivo. Nelle vedute laterali e absidali la superficie delle pareti praticamente scompare dietro un gioco estremamente sottile di decoratissimi pinnacoli, i quali a loro volta contribuiscono a restituire unità alla complessa ed articolata volumetria.
COLONIA, S. MARIA IN CAMPIDOGLIO
Fondato in età merovingia (714) sulla cella di un capitoli del I secolo d.C. e già rinnovato dal vescovo Bruno (ca. metà X secolo), l'impianto chiesastico fu rielaborato (ca. 1040) sotto la badessa Ida, nipote di Ottone II: la ricostruzione salica ebbe inizio da oriente (cripta e Osta trilobato), ma dopo aver ultimato il corpo basilicale, si lavorò di nuovo al completamento del triconco (1060) e poi alla trasformazione del Westbau ottoniano in un corpo triturrito con torre campanaria centra-
le (1065). Ulteriori interventi sull’Ostba (cappelle d'angolo, rimaneggiamento del prospetto della cripta e del primo ordine nel coro) furono resi necessari dalla realizzazione delle volte del transetto (metà XII-inizio XIII secolo); ad essi seguirono sulin epoca sveva (prima metà del XII secolo) la costruzione della cupola ribassata tardogoioni trasformaz l’incrocio e del sistema voltato nella nave centrale. Dopo le seguitiche e tardobarocche e i restauri in stile degli inizi XX secolo, il rifacimento
672
Appendice. Schede
to alle distruzioni belliche (1984) ha scelto la via del ripristino della veste romanica del triconco. La cripta presenta una pianta difforme da quella del coro soprastante, con un corpo centrale diviso in navi voltate a crociera e concluso da tre cappelle absidate; altre absidi orientate si aprono nei vani quadrati laterali. Lo schema rimanda all’abbaziale di Brauweiler, mentre le dimensioni (larghezza 27,50 m, profondità 28,70 m,
altezza centrale ca. 5,10 m) ricordano quelle della cripta nel duomo di Spira. Alla quota della chiesa gli ingressi per i fedeli sono posti sull’asse trasversale, sicché la percezione dello spazio triconco precede quella del corpo basilicale; a ovest, si trova l’entrata a servizio del convento, che attraverso la torre campanaria dà accesso alla navata mediante una parete schermata da un doppio ordine di trifori, motivo che echeggia la Cappella Palatina di Aquisgrana e il Westbau nell’abbaziale della Trinità di Essen. L’alzato della nave centrale (ancora coperta a tetto nell’XI secolo) era bipartito in un registro superiore con finestre e in un ordine inferiore di arcate su pilastri rettangolari (1,90 x 0,92 m). Le navatelle risultano rastremate verso est, per la
necessità di raccordarle al deambulatorio del triconco, che è meno ampio; probabilmente con lo scopo di dissimulare questa anomalia, i costruttori accentuarono in esse l'autonomia spaziale delle campate, facendo aggettare da entrambi i lati risalti murari e semicolonne con archi trasversali che ne scandiscono la successione. A causa della discontinuità delle fasi costruttive fu necessario, inoltre, livellare il piano d’imposta delle arcate interne, diversificando le altezze degli abachi nei capitelli, ed
innestare obliquamente le absidi del transetto sul corpo basilicale. Nel triconco, due campate rettilinee, in origine coperte con capriate, connettevano gli emicicli (articolati in uno pseudologgiato superiore e in un diaframma colonnare anteposto al deambulatorio) con lo spazio unitario della crociera quadrata (10,90 m). Su quest'ultima, per la fase salica, è incerta l’esistenza di un coronamento a torre, che sarebbe stato avviato, su pianta ottagonale, solo durante la ricostruzione sveva; ma in
corso d'opera abbandonato a favore di una cupola. La torre centrale della facciata si innalzava su quattro piani per un’altezza di circa 36 m (fase sveva), ed era fiancheggiata da due torrette laterali a sei ordini, costituiti da tamburi ottagonali frap-
posti al dado di base e ai coronamenti cilindrici (per un totale di 41,50 m).I fianchi,
su due registri finestrati sovrapposti (l’inferiore con specchiature arcuate, il superiore con aperture a duplice ghiera), erano distaccati dal terreno tramite uno zoccolo basamentale che assume valore plastico nel prospetto a nicchie piatte della cripta, preparando l’elevato del triconco. Quest'ultimo era scandito, nell'ordine inferiore, da paraste simmetriche tra semicolonne; gli ingressi e le cappelle d’angolo, mantenute più basse del deambulatorio, articolavano ulteriormente i prospetti degli emicicli del transetto. Lo sviluppo orizzontale del triconco era anche più evidente nel secondo ordine, che forse si raccordava alla direttrice verticale rappresentata dal Westbau mediante una copertura longitudinale continua, nell’ambito di un progetto unitario che proporzionava larghezza del corpo basilicale e del transetto e lunghezza dell’intero edificio in ragione del rapporto 1:2:3 (rispettivamente 25,75 m,
22,50 m e 77,20 m). Questa impostazione, come l'impianto trilobato, rimandano a
una matrice classica; tra imodelli inoltre è opportuno ricordare la chiesa della Na-
tività a Bethlehem, per il collegamento del triconco ad un corpo basilicale, mentre il percorso avvolgente continuo intorno al perimetro dell’edificio ha un precedente
nella abbaziale di Stablo, sebbene in questa, come nelle cosiddette chiese di pellegrinaggio, manchino le conclusioni absidate del transetto. 5.
Area germanico-imperiale
673 CORVEY, ABBAZIALE
L'abbazia di Corvey nella Germania settentrionale fu una filiazione dell'abbazia di Corbie in Piccardia. Secondo un diploma imperiale, la cui autenticità è però dubbia, fu fondata nell’816 da Adalardo, cugino di Carlo Magno ed ex abate di Corbie in esilio, per volere di Ludovico il Pio che avrebbe imposto che fosse costruita a im-
magine della casa madre. La chiesa fu realizzata tra l'822 e 1’844 da Wala, fratello di Adalardo. Non molto dopo, la parte terminale della chiesa fu ampliata e la notizia della consacrazione di un altare nell’867 potrebbe ricondurre a tale data almeno parte di questi lavori. Tra 1’873 e l’885, sotto gli abati Adalgar e Bovo, fu aggiunto un Westwerk. Nel secolo XVII la chiesa, escluso il Westwerk, fu ricostruita e le fasi precedenti sono note da scavi. Inizialmente essa era a tre navate e conclusa a est da un coro quadrato, seguito da una cappella absidata. Nella fase successiva fu aggiunto un transetto con ali poco sporgenti, dotate di absidi orientate; lo spazio del vecchio coro fu occupato dalla crociera del transetto, a cui fece seguito il nuovo coro absidato. Fu inoltre costruita una cripta esterna di forma complessa: intorno all’abside correva un deambulatorio che conduceva a tre celle parallele di cui la centrale sviluppata in forma di croce. La disposizione riflette la sperimentazione carolingia in materia di cripte, legata allo sviluppo del culto delle reliquie e al desiderio dei fedeli di essere sepolti vicino ad esse. Il Westwerk, oggi privato delle sovrastrutture barocche, è lunica parte fuoriterra superstite dell'abbazia medievale. In età carolingia si presentava come un blocco massiccio di pianta quadrata di circa 20 metri di lato, sormontato da una torre centrale rientrata e da due torri scalarie ai lati della facciata, que-
st'ultima caratterizzata da un piccolo corpo centrale aggettante. Le superfici esterne, in conci di pietra squadrati, si distinguevano per la prevalenza dei pieni sui vuoti. Gli originari valori di massa della costruzione sono stati alterati in epoca romanica, quan-
do Vibaldo, abate di Stavelot e Corvey (1146-59), fece modificare la parte alta del
Westwerk, che fu privata della torre centrale, rialzata sul filo della facciata e dotata di due piani di celle campanarie, cosicché oggi dall'esterno la fronte della chiesa sembra costituita piuttosto che da un corpo profondo, da una facciata priva di spessore.
Del Westwerk carolingio rimangono tre piani. A piano terra attraverso un atrio sl ac-
cede alla parte centrale, la cripta, divisa in campate coperte da volte a crociera; esse poggiano su pilastri squadrati e, al centro, su quattro massicce colonne sormontate da capitelli che imitano quelli classici di ordine corinzio. Sui lati nord e sud si trovano due navate con soffitto ligneo, mentre ad est uno spazio-diaframma separa la cripta dalle navate. Il piano terra risulta molto buio al contrario dei piani superiori, inon-
dati di luce, che costituiscono il cosiddetto coro di S. Giovanni. AI centro di esso si
trova un vano a doppia altezza, con un soffitto ligneo forse posteriore, su tre lati del quale si affacciano tramite arcate su pilastri navate laterali con logge soprastanti. Il di lato est non si apriva direttamente sulle navate della basilica, ma, tramite due file la arcate sovrapposte, immetteva in una specie di transetto stretto che sottolineava
centralità dello spazio. Il coro di S. Giovanni era arricchito da membrature architettoniche dipinte di gusto classicheggiante e da affreschi di contenuto mitologico. La per le campata centrale della loggia ovest si differenzia per la maggiore profondità e Dall’interpretacentrale. colonna di inoltre priva maggiori dimensioni dell’arcata, West zione dell'uso originario di questa campata deriva quella della funzione del inteso werk: per alcuni era destinato ad accogliere il trono, e il Westwerk andrebbe
Arcangecome chiesa imperiale; per altri conteneva un altare dedicato a S. Michele eratribune le dove chiesa, di generiche più funzioni svolto avrebbe Westwerk lo eil cantori. a no destinate a personaggi altolocati e dsx
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Appendice. Schede HILDESHEIM, ST. MICHAEL
La chiesa abbaziale di S. Michele fu voluta, e forse progettata, dal vescovo Bernward (993-1022), al suo ritorno nel 1001 da Roma dove aveva seguito l’imperatore Ottone III; la data del 1010, incisa su una pietra di fondazione di una torre, si ri-
ferirebbe solo a tale struttura, piuttosto che all'intera chiesa. Nel 1015 fu dedicata a Maria la cripta; la chiesa, incompiuta, fu consacrata il 29 settembre 1022 da Bernward, in previsione della sua sepoltura, avvenuta il 20 novembre. L'edificio fu
completato nel 1033, dopo un’ulteriore consacrazione parziale del 1026. Nel 1150 fu approvata la venerazione di Bernward, canonizzato nel 1193. Quale modello dell’edificio è stata indicata la cattedrale di Magonza, dove Bernward era stato suddiacono quando l'arcivescovo Willigis iniziò i lavori, condotti dal 978 al 1009. S. Michele fu in parte ristrutturata nel 1162 e nel 1186, con una nuova consacrazione sotto il ve-
scovo Adelog (1171-90); datano a questa fase il soffitto ligneo sulla navata e sull’abside, il recinto del coro e la decorazione dei capitelli (in origine cubici, con iscrizio-
ni dedicatorie a santi martiri, simili a quelli nella cripta del duomo di Spira). Opere murarie sono documentate anche tra il 1240 e il 1354, sotto gli abati Godescalco, Er-
nesto ed Enrico. Nel tardo XV secolo furono aperte più ampie finestre sulle navate laterali e realizzati gli avancorpi dei portali laterali. Danni al coro orientale si ebbero
nel 1650, poi nel 1662 al transetto occidentale e alla torre scalare nord-ovest. Nel 1679 fu terminata la nuova torre del transetto orientale, nel 1747 furono demolite le volte nel coro occidentale e, nel 1768, si realizzarono due massicci rinforzi sul lato
est. Nel 1822 fu danneggiata la navatella a nord, restaurata nel 1855-57. Restauri furono condotti nella cripta (1864 e 1893); infine dal 1907 al 1910, sotto la direzione
di C. Mohrmann, fu ricostruito il braccio meridionale del transetto occidentale. Ma
gravissimi sono stati i danni seguiti alla seconda guerra mondiale; il ripristino, terminato nel 1960, con la ricostruzione di gran parte del lato est, del tiburio e della parte superiore delle torri scalari, ha riportato l’edificio all'aspetto originario. La netta geometria della costruzione è espressa dai torrioni quadrati, posti all'incrocio dei due transetti simmetrici, con gallerie superiori e mediante quattro torri scalari ottagonali a terminazione circolare; all’interno tale geometria è evidenziata dalla bicromia dei conci bianchi e rossi (forse successiva alla fase originaria). Nell’ampia navata, con dieci finestre per lato, gli archi sono sostenuti da coppie di colonne alternate a pilastri (dreiachsigem Stiitzenwechsel), che suggeriscono una ideale suddivisione in tre campate; ma lo schema planimetrico (basato sul quadrato solo nei transetti, mentre le «campate» del corpo longitudinale sono leggermente rettangolari), non sembra presupporre l’impiego di una griglia regolare. L'ingresso avveniva dalle due porte della navatella meridionale, che fungeva così da nartece interno, in contrasto con l’as-
sialità basilicale dell’edificio, già contraddetta dall’impianto a doppio coro. Alle tre absidi orientali infatti si contrappone il presbiterio ad ovest, secondo alcuni studiosi derivato dal modello romano di S. Pietro e del Laterano; questo era rialzato sulla cripta a tre navate coperta da volte a crociera e circondata da un corridoio a ferro di cavallo con nicchie esterne. Bernward, il committente dell’edificio, possedeva una copia del De architectura, che poi lasciò in eredità alla chiesa e che fu usata dal maestro costruttore (caerzentarius) Goderamnus; a questa disponibilità si dovrebbe l’impiego nella fabbrica di proporzioni vitruviane. L’influsso dell’antico è evidente nelle imponenti porte bronzee (1015), ora nella cattedrale ma in origine poste nei due ingressi del lato meridionale, e ancor più nella colonna bronzea per il cero pasquale (1022, alta m 3,79), anch'essa ora nella cattedrale, che riprende nel fregio a spirale
con scene della vita di Cristo lo schema delle colonne coclidi romane.
GO!
Area germanico-imperiale
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KUTNA-HORA (KUTTENBERG), CATTEDRALE DI S. BARBARA
Intorno all'ultimo decennio del secolo XIV ebbe inizio la costruzione della cattedrale di Kuttenberg, dedicata a santa Barbara. Peter Parler e Benedikt Ried diressero le due principali campagne di lavori inerenti la fabbrica, protrattesi complessivamente per oltre un secolo, ed avviate rispettivamente nel 1388 (coro) e nel 1512 (corpo longitudinale). La distanza temporale intercorsa tra le varie fasi di realizzazione della chiesa e l'affidamento dei cantieri ad illustri «maestri d’opera» quali Parler e Ried, fanno sì che la Barbarakirche si presti ad una lettura differenziata, subor-
dinata alla specificità di ciascuna delle parti di cui si compone. Durante la prima fase dell'intervento, iniziata da Peter Parler nel 1388 e portata a compimento dopo una lunga interruzione da Matthias Rajsek nel 1506, venne realizzato il coro, provvisto di deambulatorio e cappelle radiali delimitate da contrafforti triangolari. Nella parete perimetrale, definita all’esterno da muri dritti e continui, Peter Parler (con il con-
corso di suo figlio Johann IV) costruì un numero pari di cappelle a pianta trapezoidale. Differentemente le arcate che chiudono lo spazio absidato centrale furono disposte secondo una figura poligonale con numero dispari di lati. In tal modo la coppia di pilastri centrali del poligono interno si trova ad inquadrare un numero doppio di cappelle, separate dal contrafforte sull’asse dell’edificio. Questa nuova soluzione apre alla ricerca di effetti sconosciuti traducendo tridimensionalmente la tendenza a privilegiare vedute oblique, già presente nel disegno incrociato delle nervature delle volte (Frankl). Lo spazio del coro, sovrastato dalla rete continua della copertura del deambulatorio e dal triforio sulle arcate centrali, diventa infatti fruibile specialmente tramite visioni diagonali. La seconda fase dell’intervento ebbe inizio nel 1512 quando Benedikt Ried, subentrato a Matthias Rajsek nella direzione del cantiere, ottenne l’incarico di condurre a termine i lavori nella chiesa. Nella soluzione adottata il breve corpo longitudinale si configura quale compenetrazione di due sistemi architettonici sovrapposti: all'impianto a cinque navate, impiegato nella parte inferiore fino al livello della copertura delle navate laterali, è sovrapposto uno schema a tre navate di uguale altezza, coperte da una volta dal disegno continuo. La rete delle nervature a tracciato curvilineo si sviluppa, sia in pianta che in elevato, secondo motivi circolari intrecciati, traducendosi tridimensionalmente in un’alternanza di spicchi concavi e convessi. La predominanza dei movimenti rotatori, provocati dai continui
mutamenti di curvatura delle nervature, nonché l’assenza di archi trasversali e di
qualsiasi direzione privilegiata, dilatano lo spazio superiore, che si configura come quello di una grande chiesa a Halle, introducendo alle commistioni e alle sperimentazioni successive. All’esterno la spinta della navata è sostenuta da archi rampanti raddoppiati e da contrafforti sovrastati da pinnacoli intarsiati.
TS:
PRAGA, CATTEDRALE DI S. VITO
La volontà di fare di Praga la capitale dell'Impero spinse Carlo IV ad avviare nel e 1344 la costruzione della nuova cattedrale. Simbolo tangibile del potere politico, la dominato avrebbe e cattedral la , luogo della legittimazione del potere imperiale la resicittà dalla Hradcin, la parte antica e più alta di Praga, dove era situata anche dopo che Cardenza del futuro imperatore. I lavori nel coro ebbero inizio nel 1344,
Praga dello di Lussemburgo ebbe negoziato ed ottenuto dal papa il trasferimento a
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Appendice. Schede
la sede dell’arcivescovado. Conformemente alla propria formazione culturale francese, il re volle che la direzione del cantiere fosse affidata a Mattia d’Arras, già architetto della cattedrale di Narbonne. Il progetto redatto da Mattia, riproponendo i modelli del gotico rayonzant, prevedeva un coro di tipo basilicale, con santuario centrale e deambulatorio circondato da cappelle radiali. All'esterno il coro si configura quale gioco di masse plastiche organizzate gerarchicamente intorno al volume maggiore, espanse orizzontalmente nella fascia più bassa e articolata delle cappelle perimetrali, e scandite verticalmente dal succedersi dei contrafforti con altissimi pinnacoli e degli archi rampanti intarsiati. Secondo il programma originario era previsto inoltre un alzato a tre ordini, con arcate a profilo acuto sormontate da un triforio (probabilmente cieco) e finestre. Alla morte di Mattia, nel 1352, l'impianto del coro
era già definito: le cappelle radiali compiute; nel tratto rettilineo, lungo il lato nord era stata costruita una sola cappella, due finite ed una terza iniziata sul lato sud; non
tutte le arcate erano state voltate. Nel 1353 Peter Parler venne chiamato a Praga per proseguire i lavori nella cattedrale. Divenuto yagsster operis nel 1356-58, Parler inizialmente si dedicò ai lavori riguardanti la sagrestia (1355-60/1362-68), per la quale riunì in un unico ambiente due cappelle a pianta quadrata sul lato nord, separando tale spazio dalla navata laterale mediante un muro; le due volte «a stella», munite di
«chiavi pendenti» vennero realizzate con disegni diversi. Al termine di questo lavoro vennero costruite le cappelle dedicate a san Sigismondo (contigua alla sagrestia) e a san Lorenzo (sul lato nord del coro), quindi la cappella di S. Venceslao (1366-67) la cui volta «a stella» su pianta quadrata presenta un disegno complesso di nervature incrociate. Il portico d’ingresso al transetto sud è del 1368: profondamente aggettante, si affaccia verso la città tramite tre aperture ed un doppio portale, diviso al centro da un pilastro, da cui partono sospesi «costoloni radiali» congiunti alle nervature triradiali della volta. La facciata meridionale, fronte rappresentativo rivolto alla città, venne arricchita nel 1370-71 con una decorazione musiva raffigurante il Giudizio Universale, affidata ad artisti italiani. Mentre venivano completati secondo il programma originario i pilastri, le arcate e le volte sulle navate laterali ancora mancanti, Parler modificò l’alzato nei due ordini più alti e la copertura precedentemen-
te stabilita. Nella zona del triforio (1374-86), all’interno del santuario, la dissoluzio-
ne della parete si attua mediante l’introduzione, sotto le grandi finestre, di una fascia luminosa che sostituisce il muro d’appoggio. Elementi angolati, di raccordo tra le piatte porzioni centrali di ciascuna campata ed i gruppi di colonnine di supporto alle nervature della volta articolano questa fascia conferendo alla parete un andamento ondeggiante. Nella volta a rete, alta 30 metri, Parler omette parzialmente l’arco trasversale (per la prima volta nelle contee di lingua tedesca), interrompendone la continuità nella porzione centrale dell’intradosso, in corrispondenza della quale i gruppi delle nervature incrociate disegnano un geometrico motivo di rombi che, an-
nullata la nozione di campata, ricompone in unità l’effetto di insieme. Il coro venne
consacrato nel 1385. Negli ultimi anni della sua vita, i figli di Peter, Venceslao e Johann, parteciparono alla realizzazione della torre sul transetto sud, fondata nel 1392 in concomitanza con la fondazione della navata. Anche dopo la morte del padre (1399) Johann proseguì i lavori riguardanti la torre, e realizzò parte del transetto sud edi pilastri della navata. La costruzione della cattedrale venne interrotta dalla rivoluzione hussita intorno al 1420; la fabbrica rimase incompiuta fino alla metà del XIX secolo e completata nella prima metà del XX. LSÌ
Area germarico-imperiale
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SCHWABISCH-GMÙND, CHIESA DELLA SANTA CROCE
Tra il secondo ed il terzo decennio del XIV secolo vennero avviati i lavori di ricostruzione della chiesa parrocchiale esistente. Le campagne di lavori, che si protrassero per circa due secoli e trasformarono il duecentesco edificio romanico in una Hallenkirche, si svilupparono con andamento ovest-est, interessando inizialmente la navata (1320/30) ed il fronte ovest (1320), per estendersi successivamente al coro (1351) e per concludersi con la sostituzione della copertura piana della navata con una volta a rete (1491); infine con la costruzione delle volte nel coro (1521). La re-
dazione del progetto e la relativa direzione dei lavori vennero probabilmente affidati ad Heinrich I Parler il Vecchio (non è esclusa la diretta partecipazione nell’intervento del figlio Peter). La sensibile differenza di concezione spaziale e trattamento formale che distingue il coro e la navata, rende controversa un’attribuzione univoca della paternità dell’opera: ad Heinrich vengono ascritti il solo coro ed il fronte principale (Frankl), o viceversa entrambi i corpi di fabbrica del coro e della navata (Bucher). La chiesa presenta un impianto allungato a tre navate, privo di transetto, con coro a deambulatorio ed una corona di cappelle radiali più basse, inscritte tra i contrafforti perimetrali e chiuse all’esterno da terminazioni rettilinee (1361). Seppur sopraelevato rispetto al livello della navata, il coro non si distingue particolarmente dal corpo anteriore di cui sembra una diretta prosecuzione. Nel corpo longitudinale l'annullamento della direzionalità predominante della navata centrale è ottenuto con la realizzazione di tre navate di uguale altezza e mediante l’uso di supporti esili e spaziati. Le pareti laterali diventano così il limite visivo dell’involucro architettonico, ed il carattere di uniformità è accentuato dalla luce che, fil-
trando dalle finestre strette e allungate delle pareti perimetrali, investe l’intero ambiente. La rete delle volte con nervature incrociate (che presenta un disegno particolarmente ricco nel coro) minimizza la presenza dell’arco trasversale, divenendo in tal modo (mediante il parziale annullamento della figurazione delle campate), coronamento unitario dello spazio sottostante. La rinuncia a contrafforti ed archi rampanti esterni, di contenimento della spinta della navata centrale, fu possibile grazie al reciproco equilibrio statico delle volte di altezza uguale e alla presenza di robuste murature perimetrali. Anche l’esterno è partecipe del carattere di semplicità e regolarità già avvertito all’interno, risolto visivamente in un volume architettonico compatto e non articolato. La facciata a frontone consiste in un semplice muro coronato da un ripido timpano (1220) ed è decorata con cinque trafori ciechi. L’articolazione della parete è ottenuta mediante una triplice partizione, che si sviluppa sia in senso verticale, che orizzontale. Il motivo dei contrafforti ravvicinati si ripete nelle pareti laterali, dove l’uso di finestre strette e allungate accentua la consistenza della muratura circostante. Particolarmente ricca è invece la decorazione plastica del coro, dove è proiettata all’esterno la differenza di altezza tra la zona delle cappelle ed il deambulatorio. Il muro poligonale è articolato dalle grandi finestre con trafori ed è concluso superiormente dalla balaustrata, che avvolge tutto l’edificio, correndo lungo la linea di gronda del tetto. L'adozione di un impianto a Halle, espressivo di una concezione spaziale tipicamente tedesca, è in rapporto con l'influenza esercitata dalla borghesia locale, e testimonia il superamento dei valori estetici propri del gotico francese e delle grandi cattedrali, introducendo cronologicamente alle sperimentazioni successive del tardogotico. JESI
Appendice. Schede
678 SPIRA, DUOMO
In posizione dominante sulla città e sul Reno, l'imperatore Corrado II il Salico fece iniziare nel 1029 la costruzione della cattedrale di Spira, consacrata nel 1061 ed eletta a sepoltura dinastica. Risale a tale periodo la cripta, estesa all'intera area del transetto e al presbiterio, che con la sua ripartizione in campate quadrate, individuate dai pilastri e dalle relative arcate, e ciascuna a sua volta suddivisa in nove unità minori da robuste colonne con capitelli cubici, imprime alla planimetria l'ordine rigoroso che sarà caratteristica dominante dell’intero edificio. La cripta produsse il rialzamento, rispetto alla navata, del piano pavimentale del transetto e del coro, che inizialmente presentava un perimetro quadrangolare. Furono inoltre realizzati due gruppi di torri alle estremità del corpo longitudinale molto allungato (134 m), maggiore del S. Pietro di Roma e superato solo da Cluny III. Per la navata centrale fu scelto un sistema di pilastri con altissime semicolonne addossate che sorreggevano un ordine di arcate, entro il quale si aprivano sia gli archi verso le navatelle coperte da volte a crociera, sia le finestre alte. Per tale motivo, di grandiosità «romana», si è
ipotizzata una derivazione dai fianchi esterni della basilica di Treviri, ma l’associazione di pilastro e colonna rivela una concezione plastica originale. In questa fase la copertura del vano maggiore era lignea, probabilmente con soffitto piano, fino all'incrocio del transetto, sulla cui campata si innalzava una torre aperta per tutta l’altezza; solo nella seconda fase, secondo Kubach e Haas, venne realizzata l’attuale tor-
re ottagonale. Il presbiterio era invece coperto con una volta a botte (luce 16 m), la cui spinta doveva essere assorbita dalle torri scalari agli angoli del transetto, ma per dissesti dovuti o all’arditezza della costruzione (Kubach), o ad un’alluvione del Re-
no, fu rimaneggiato con la consulenza di Benno vescovo di Osnabriick, esperto (di spositor) di opere edilizie. Il corpo occidentale era costituito da un portico sormontato da una torre ottagonale, con il portale «recesso» tra le torrette scalari, che da-
vano accesso alla loggia imperiale. La seconda fase costruttiva (1082-1106) venne avviata da Enrico IV, con una nuova abside che riprendeva all’esterno il partito di arcate su alte semicolonne adottato nella navata. Sotto alla gronda del tetto venne posta una galleria «nana» di tipo lombardo, poi estesa alle testate del transetto e ai fianchi del corpo longitudinale. Nel presbiterio e nel transetto la parete venne sdoppiata, al piano terreno, per l'apertura entro il sodo murario di spazi liberi schermati da colonnine; ma le trasformazioni più significative riguardano la copertura della navata: a ritmo alterno i pilastri furono rinforzati da risalti, ai quali vennero addossate semicolonne a sostegno degli archi trasversali e delle volte a crociera tese sulle sei ardite campate quadrate così ottenute. Ad ogni campata della navata centrale ne corrispondono due nelle laterali: è il cosiddetto «sistema obbligato», che sarà quasi la norma per le grandi chiese dell’area germanica e, nella variante con crociere esapartite, per le costruzioni normanne. I capitelli, ispirati al corinzio, sono decorati con foglie di acanto, e si accentua la presenza di un’ornamentazione (archivolti e cornici delle finestre del transetto), che sebbene limitata è di grande qualità, con un’attenzione per l’antico analoga ai contemporanei lavori di Cluny III. I lavori si protrassero nel corso del XII secolo, anche a seguito di incendi, nel 1137 e nel 1159,
con il rifacimento della torre e delle coperture sui bracci del transetto con crociere costolonate. Nel 1409, a sud del presbiterio, venne realizzata la sacrestia in forme
gotiche. Il corpo occidentale (Westbaz), «simile a una fortezza», anteposto alla fac-
ciata come un unico imponente blocco, e che in buona parte risaliva a prima del 1061, subì gravi danni dalle truppe francesi nel 1689. Esso venne restaurato, con la parte adiacente del corpo longitudinale (molti dei pilastri e la parete settentrionale) )
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tra il 1772 e il 1778 da I.M. Neumann, in forme corrispondenti al disegno originario; furono anche rinforzati i pilastri all’incrocio del transetto. Dopo altre distruzioni nel corso delle guerre napoleoniche, l'architetto H. Hiibsch ricostruì (1854-61) il Westbau in forme neoromaniche, che trasformarono in elaborato eclettismo accademico la poderosa semplicità della primitiva fronte; all’interno la parete della navata fu decorata con pitture di gusto romantico.
GO;
STRASBURGO, CATTEDRALE DI NOTRE-DAME
Nei primi decenni dell'XI secolo, per iniziativa congiunta dell’imperatore Enrico II e del vescovo Wernher, venne avviata la ricostruzione della cattedrale di NotreDame. Al termine della prima fase di costruzione (1015-76), l’edificio aveva assunto la veste architettonica di una basilica a tre navate, con transetto continuo fortemen-
te aggettante, cripta sottostante il santuario, coro e copertura lignea sostenuta da capriate. Le devastazioni subite a causa di una lunga serie di calamità naturali, convinsero ad intraprendere una nuova ricostruzione che conservasse l’impianto dell’edificio preesistente. La nuova fase dei lavori, affidata inizialmente a maestranze tede-
sche, prese il via dalle parti orientali con la sistemazione del transetto (11761230/40), nuovamente articolato in tre campate quadrate. L'uso delle tecniche romaniche si scontrò immediatamente con la volontà di realizzazione delle coperture voltate, per uguagliare in grandiosità le altre cattedrali dell'impero. Al conseguente ed improvviso mutamento del programma iniziale corrispose un graduale inserimento di maestranze gotico-francesi, che introdussero nel braccio sud del transetto grandi finestre e volte a crociera dal profilo ogivale, impostate su colonnine laterali di ricaduta e confluenti sul supporto centrale ottagonale circondato da colonnette di diverso diametro. La navata di Strasburgo (1230/50-75) è attribuita generalmente a Rudolph: in essa l'altezza ridotta e le insolite proporzioni sono dovute alla riutilizzazione delle fondamenta originarie, ma l'adesione ai nuovi principi si esprime nell’alzato, tripartito dal susseguirsi delle arcate ogivali, del triforio a giorno e delle alte finestre, dove sono impiegati pilastri fascicolati, poggiati frontalmente su basi diagonali. Le colonnette loro addossate, differenziate dimensionalmente in base alla specifica funzione portante, salgono senza interruzioni fino all'imposta delle crociere, legando in tal modo i due livelli superiori. All'esterno la spinta laterale è assorbita da archi rampanti a campata unica e da grandi contrafforti che articolano la parete mediante l'alternanza di sporgenze e rientranze nella muratura perimetrale. Un’abside semicircolare delimita a nord-est lo spazio del coro, prolungando visivamente la navata principale. Contemporaneamente si preparavano i progetti per la facciata con un progressivo allontanamento dai principi del gotico francese, in favore dell’affermazione di correnti gotiche più propriamente germaniche. I progetti preliminari conosciuti come «disegno A» (1255/70) e «disegno B» (1275), sono stati attribuiti rispettivamente a Rudolph ed a Erwin von Steinbach (Frankl). Maestro d’opera tra il 1277 e il 1319, Erwin costruì il fronte ovest fino alla cima del grande rosone e la cappella della Vergine, distrutta nel 1612. L'incendio divampato nel 1298 bloccò la costruzione dei livelli superiori. Alla morte di Erwin (1319), seguì un cambiamento di programma, attuato mediante l’introduzione di forti elementi orizzontali con la costruzione della galleria dell'Ascensione al di sopra del grande rosone, compiuta da Gerlachus che realizzò anche la sopraelevazione della torre nord (1365), fino al li-
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il1383, devello della terrazza superiore. Quindi Michael (Parler) di Friburgo, dopo
lo spacise di allontanarsi ulteriormente dal modello rinunciando alle torri, e chiuse e le accoglier ad zio tra i piani già realizzati di quelle con un corpo centrale destinato campane. Nel 1399 il cantiere venne affidato ad Ulrich von Ensingen, che, ripristi-
nando parzialmente il progetto originario, propose di terminare asimmetricamente la sola torre settentrionale. Alla sua morte (1419) era stato realizzato il grande ottagono, circondato da un'impalcatura di trafori e dalle quattro torrette ottagonali, costituite da spirali di gradini aperti, ma non riuscì ad iniziare la già progettata guglia con nervature concave, poi realizzata diversamente da Johannes Hiiltz in forma di piramide di gradini trasparenti, raggiungendo l’altezza eccezionale di 40 metri (1439). Il completamento della facciata fu seguito da un lungo periodo di rallentamento dell’attività del cantiere. I lavori ripresero consistenza alla fine del XV secolo conla realizzazione del portale di San Lorenzo (1495-1505), opera di Jakob di Landshut, aggiunto al braccio sud del transetto e si conclusero nel 1520 con la costruzione della cappella di S. Martino.
TEST
VIENNA, CATTEDRALE DI S. STEFANO
La cattedrale di S. Stefano deve la sua attuale veste architettonica prevalentemente agli interventi attuati sul precedente edificio romanico tra i primi decenni del XIV secolo e la fine del XV. Elevata a partire dal 1137, la chiesa primitiva fu integralmente ricostruita in forme tardoromaniche nella seconda metà del XIII secolo. Della fabbrica romanica è ancora conservata la facciata principale (1258), realizzata durante l’occupazione boema per volere di Ottokar II dei Prémyslidi. Nel 1304 ebbe inizio la ricostruzione integrale dell’edificio. Le principali fasi del rifacimento, sottoposto al controllo della borghesia e delle autorità locali, sono relative rispettivamente alla realizzazione del coro (1304-40), del corpo longitudinale (1340/591446) e delle torri laterali (1340/59-1492). Nel coro l'allontanamento dai modelli del gotico francese si risolve nell'adozione dell'impianto a Ha/le, nel quale la riduzione della sezione dei supporti, la copertura unitaria e la diffusione indiretta della luce unificano lo spazio architettonico. Al completamento di questa parte, consacrata nel 1340, seguì una seconda campagna di lavori riguardante l'abbattimento delle strutture preesistenti e l'elevazione della navata. L'intervento, reso possibile da una cospicua donazione ducale, era mirato alla trasformazione della chiesa, ancora par-
rocchiale, in cattedrale, destinandola ad ospitare il sepolcro degli Asburgo. La volontà di conservare la facciata preesistente, di minor ampiezza del corpo longitudinale, impose l'ampliamento del fronte mediante la realizzazione di corpi laterali a doppia altezza, in ognuno dei quali venne inserita una cappella (1340/50). Nel 1359 iniziò la sistemazione dei pilastri lungo le navate laterali, illuminate direttamente dalle alte finestre perimetrali. Al movimentato effetto interno concorre la presenza di 77 figure scultoree collocate in alti baldacchini di pietra, sorrette da colonnine addossate ai pilastri delle navate, e posizionate a diversa altezza sia frontalmente che diagonalmente secondo linee discontinue. La volta a rete (1446), impostata direttamente al di sopra delle arcate, presenta un complesso e continuo disegno di nervature incrociate. L'illuminazione, assicurata solo dalle alte finestre laterali, dà luogo,
per la sensibile differenza di altezza tra la navata centrale e le adiacenti, ad un forte contrasto tra le zone illuminate perimetrali e le più oscure zone centrali. All’ester-
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no, movimentato dalla sovrapposizione di alti timpani con ghimberghe e trafori sulle murature laterali, il ripido tetto con tegole multicolori ricompone il volume architettonico, inglobando parzialmente le torri romaniche in facciata. L’unitarietà della copertura si contrappone inoltre alla verticalità della imponente torre sud, che diviene elemento principale della limitrofa piazza e punto di cerniera baricentrico dell'intero complesso. La realizzazione delle torri, all'ingresso del coro, era già stata avviata contemporaneamente all’inizio dei lavori nella navata; in pianta le due torri risultano fuse al transetto, perché alla loro base furono ricavati i vestiboli degli ingressi laterali e due cappelle. La torre sud venne completata tra il 1399 e il 1404 con l’innalzamento della guglia, ai cui lavori probabilmente partecipò Wenzel Parler, architetto del cantiere nel 1404; ma dopo il collasso delle parti di costruzione sovrastanti l’annessa cappella di S. Caterina (avvenuto nel 1407), fu rifatta con l’allargamento della base: unica parte, fino all’altezza di 26 corsi di mattoni, riferibile all’in-
tervento precedente. La ricostruzione (1407-33) venne diretta da Peter von Prachatitz. Differentemente la costruzione della torre nord venne interrotta a metà altezza con la realizzazione della cappella di S. Barbara (consacrata nel 1492). Esternamente la torre è rivestita da arcate, ghimberghe e sontuosi trafori realizzati da Hans Puchsbaum, maestro d’opera a Vienna nel 1446 e già occupato nei lavori di completamento della navata. La cattedrale, danneggiata dai bombardamenti subiti durante la seconda guerra mondiale, è stata oggetto di estensivi e minuziosi restauri. LiS°
WORMS, CATTEDRALE DI S. PIETRO
Una prima costruzione a tre navate, del VI-VII secolo, fu restaurata dal vescovo
Samuele nell’852, ma ulteriormente danneggiata dai Normanni (891) e dagli Ungari (938). L'edificio fu ricostruito dal vescovo Burcardo (1000-25) come un corpo basilicale a doppio coro, con quattro torri e transetto orientale, e consacrato nel 1018
alla presenza dell’imperatore Enrico II; nel 1025 Burcardo fu seppellito nel coro occidentale (di S. Lorenzo). Nel 1110, secondo la tradizione, vi fu un’altra consacra-
zione, che non può essere messa in rapporto con alcuna parte dell’edificio attuale, e che è il risultato di una completa trasformazione condotta, a cominciare dal corpo orientale, nel corso del XII secolo con un'interruzione dopo la prima campata (nei restauri del 1980 furono datate dendrocronologicamente al 1132-37 alcune travature lignee nel coro e transetto, e al 1161-63 altre tratte dal muro sulle arcate della seconda e terza campata). La nuova costruzione, consacrata nel 1181 sotto il vescovo Corrado II, è caratterizzata da un accresciuto sviluppo verticale e da un generalizzato impiego delle volte, secondo un sistema derivato dalla cattedrale di Spira. Anche l'impianto ripete il modello «bicefalo» di Spira e Magonza: sui santuari contrapposti si innalzano tiburi ottagonali affiancati da torrette scalari. Tra le due torrette orientali (che rivelano una modifica progettuale, perché, sebbene di identi-
ca altezza, una è articolata in sei piani, l’altra in cinque), si stende una parete rettilinea, includente la curva dell’abside; qui, sopra tre finestre, si apre una galleria nana sormontata da un timpano, ed una fauna di animali e di mostri anima questa parete, in un fantasioso repertorio che testimonia i legami dei costruttori con maestri lombardi. A occidente venne realizzato il nuovo coro con abside poligonale, di controversa datazione: primo quarto del XIINI secolo o 1170-81 (quest’ultima datazione troverebbe conferma nella somiglianza tra i capitelli del coro e quelli dell’edicola sul
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Appendice. Schede
portale nord, datata 1184); ma solo nel 1263 vi fu consacrato l’altare maggiore. Su questo lato è assente un vero e proprio transetto: le torrette scalari circolari si affiancano alla campata del coro, sormontato dalla torre maggiore, in una composizione volumetrica molto serrata. Il corpo longitudinale a cinque campate (ca. 11861200) mostra alcune irregolarità nella conformazione dei sostegni e nel disegno del-
le pareti, interpretate come sintomo di incertezze originate da una ricezione parzia-
le del linguaggio gotico francese o dall’avvicendarsi delle maestranze: sul lato nord le arcate cieche che incorniciano valichi e finestre sorgono direttamente dai pilastri, mentre a sud iniziano solo dalla cornice rettilinea che corre a metà della parete. Nella terza e quarta campata il tratto di muro tra le arcate e le finestre è scavato da una specie di triforio cieco e le forme di dettaglio (cornici, imbotti, ecc.) variano sensibilmente. Le coperture sono a volta, in base al «sistema obbligato», ma le crociere delle navatelle rimangono a spigoli semplici e gli archi trasversali della navata presentano una sezione quadrangolare, mentre i costoloni diagonali sono modulati già con più complessi profili, che suggeriscono un embrionale linearismo. L'effetto però resta legato alla pesantezza delle strutture murarie; solo nell’abside occidentale si avverte una variazione: sottili colonnette isolate sostituiscono nell’articolazione della parete le piatte lesene e i sostegni compositi della navata, ed anche la profusa decorazione tende a infrangere la solidità della massa muraria, grazie soprattutto alla luce che penetra dalle grandi finestre rotonde. Il portale sud venne rielaborato in forme gotiche rayornant (ca. 1289-1325); ad esso, un trentennio più tardi, si affianca-
rono tre cappelle a est e la cappella di S. Nicola a ovest, articolata in tre campate su due navate. La cappella settentrionale di S. Egidio fu realizzata nel 1482, il chiostro e l’edificio capitolare nel 1484. La torre nord-occidentale, crollata nel 1429, venne
rifatta sopra lo zoccolo in forme gotiche nel 1472. Dopo i danni subiti nel 1689, l’edificio fu rinnovato (1710-11, il coro occidentale) e decorato con il ricco altar maggiore sormontato da ciborio di Balthasar Neumann (1741-42) e gli altari minori di Johann Peter Jager (ca. 1750). Il complesso fu restaurato dal 1902 fino agli anni Trenta: il ripristino del coro occidentale, smontato pietra per pietra, costituì un modello di salvaguardia, ma non fu possibile applicare lo stesso rigore in altre parti dove furono utilizzati nuovi conci in pietra. Dopo i bombardamenti del 1945, i tetti distrutti furono restaurati dal 1960 al 1967; seguì il restauro dei muri esterni e la pulizia delle pareti interne dal 1979 al 1982.
GiÒ!
Area iberica
BATALHA, S. MARIA DELLA VITTORIA
Il monastero domenicano di Santa Maria da Vitéria fu edificato da Giovanni I in adempimento ai voti fatti sul campo di battaglia e in memoria della vittoria portoghese sui Castigliani, ottenuta ad Aljubarrota il 14 agosto 1385, che restituì l’indipendenza al Portogallo e dette luogo all’ascesa al trono della dinastia degli Avis. Per la costruzione del monastero il monarca acquistò la Quinta do Pinhal, in un luogo non lontano dal campo di battaglia. La fondazione fu affidata ai Domenicani nel 1387-88 e, probabilmente, furono allora iniziati i lavori. Non si conosce il nome del-
l’autore del progetto originale, anche se si ipotizza (Lozoya) la presenza dell’architetto castigliano Juan Garcîa de Toledo, che godeva in quel periodo di prestigio presso la corte lusitana. Ma si ricorda anche il nome di Alfonso Domingues, originario di Lisbona, la cui presenza nel cantiere di Batalha è documentata a partire dagli ultimi anni del XIV secolo e fino al 1402, anno in cui diventò cieco. Nella prima metà del XV secolo (a partire dal 1402), maestro Ouguete o Huguet subentra nella direzione dell’opera. La sua presenza spiegherebbe i motivi per cui sono riscontrabili modifiche sostanziali al partito originale ed elementi estranei alla coeva produzione peninsulare. Huguet (morto intorno al 1437-38) conclude le volte a nervature multiple della navata, la facciata, il primo chiostro, la sala capitolare, la cappella
a pianta quadrata (detta del Fundador), e dà avvio alla costruzione della rotonda funeraria, a pianta poligonale, sotto il regno di don Duarte. Alla morte di Huguet, viene incaricato dei lavori Martîn Vasques, che muore nel 1448. L'impianto planimetrico e l’inizio effettivo dei lavori nella rotonda sono comunque databili al 1434. Qualche anno dopo, la costruzione fu interrotta per essere ripresa nel 1503, sotto il regno di don Manuel I il Fortunato (1495-1521), ma senza essere mai stata portata completamente a termine. Don Manuel aveva predisposto l’abbellimento del monastero e in particolare della rotonda; a tale scopo incaricò Mateus Fernandes il Vecchio (Frankl), morto nel 1515, che eseguì le decorazioni in stile manuelino e il por-
tale monumentale, ultimato nel 1509. Sembra anche attendibile l'ipotesi della contemporanea presenza di Joo de Castilho, presente in quegli anni anche nel cantiere di Tomar. L’anno dopo, Diego Boytac (Boutaca), originario probabilmente della Linguadoca e già attivo nel coevo monastero dei Jerénimos di Belém, avviò la tra-
sformazione del chiostro reale quattrocentesco. L'interno della chiesa, molto sobrio, è a croce latina a tre navate, con slanciati pilastri a fascio e volte a crociera ogivali, caratterizzate da nervature molto sottili. Il fronte absidale, di derivazione cistercen-
se, è costituito da una cappella centrale e da quattro più piccole, due su ogni lato di
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Appendice. Schede
quella maggiore, che si aprono sul transetto. Le dimensioni del complesso, molto ampie, sono di 79,29 metri di lunghezza, 22 metri di larghezza e 32,46 di altezza. La pianta presenta analogie con altre chiese cistercensi spagnole: Burgo de Osma, Sasamén, Santa Maria de la Huerta (Lozoya). Sembra che inizialmente fosse stata concepita secondo uno schema di chiesa «a sala», e cioè a tre navate di uguale altezza. In seguito, la sopraelevazione della navata centrale, attuata da Huguet, permise di illuminare la chiesa direttamente, attribuendo al complesso la snellezza e lo slancio che lo caratterizzano. La provenienza nordeuropea di Huguet sembra essere all’origine del carattere «inglese» dell’edificio, che presenta similitudini, nelle fronti, con Canterbury e York. Sempre di derivazione inglese sarebbe la complessa lavorazione delle volte a stella e l’impiego dell’arco coropial. Focillon riconosce nella struttura delle volte, nella snellezza degli archi rampanti traforati da aperture quadrilobe e nell’ampiezza delle finestre, tratti caratteristici del gotico rayonzant, adattati alla pianta di derivazione cistercense, e individua, inoltre, collegamenti con costruzioni francesi (Amiens e chiese della Francia meridionale). Da queste ultime, infatti, deriverebbe la forma delle coperture, non a tetto ma a terrazzo, che conferisce all’in-
sieme un’ampiezza paragonabile soltanto (Focillon) a quella di alcune chiese di Cipro e a quella della cattedrale di Palma di Maiorca. Il Lozoya, invece, fa derivare l’impiego delle coperture a terrazzo dall’architettura tradizionale iberica. La cappella del Fundador è situata sul fianco destro della chiesa; presenta un impianto quadrato ed è sormontata da una lanterna o cizborrio, a base ottagonale, con nervature disposte a forma di stella; il ciz220rrio è sorretto da otto colonnine molto snelle, le cui spinte sono contrastate da contrafforti semplici, collocati esternamente, alla
maniera inglese. Sull’asse principale della chiesa si colloca la rotonda funeraria: a pianta ottagonale, circondata da sette cappelle o absidiole profonde (le capelas îr2perfeitas) anch'esse a pianta poligonale e disposte in forma di stella. Si accede alla rotonda attraverso un vestibolo a pianta rettangolare, comunicante con l’abside della chiesa, e mediante una porta monumentale, collocata sul lato ovest dell’ottagono.
Il portale, alto 15 metri, ha una decorazione molto ricca che evidenzia influenze dell’arte castigliana e 72udéjar, unita a suggestioni esotiche derivate probabilmente dall’arte dell'India, sottoposta al dominio portoghese. Al centro della cappella si innalzano pilastri a fascio intersecati da anelli, rimasti incompiuti. La volta centrale non fu mai realizzata. All’esterno del monastero, molto decorato, gli archi rampanti e i contrafforti sono a forma di torretta, snelli e leggeri, e presentano coronamenti a forma piramidale, analoghi a quelli della cattedrale di Peterborough (Lozoya). La facciata è rivestita da un sottile paramento e risente dell’influenza dell’arte perpendicular, confermata dai legami politici, culturali e militari intrattenuti a lungo tra il Portogallo e l'Inghilterra. L'impianto del chiostro reale risale al XV secolo: è contraddistinto da archi ogivali e da contrafforti gradonati, coronati da pinnacoli piramidali. All’inizio del Cinquecento, Boytac munì tali archi di re/leros in stile manuelino, di marmo bianco, formando bellissime celosias (decorazioni lapidee traforate)
a ornare i vani delle quattro gallerie. Il suo stile è alla base dell’architettura manuelina e del «gotico oceanico», fiorente nel Portogallo negli anni di passaggio tra il XV e il XVI secolo, caratterizzato dalla ricchezza di forme ornamentali che combinano elementi di influenza orientale e naturalistica agli stemmi e simboli del regno marittimo: la sfera armillare, la croce dell’ordine di Cristo, le corde intersecate da anelli ;i iniziali della dinastia Avis; motivi che si ritrovano ugualmente nella torre di elém.
MESTIO
Area iberica
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BURGOS, CATTEDRALE
La cattedrale gotica di Burgos fu cominciata nel 1221, nello stesso luogo dove sorgeva la cattedrale romanica (iniziata da re Alfonso VI nel 1075 e ultimata nel 1096). Due anni prima, il Capitolo della Cattedrale aveva avviato le pratiche per l’acquisto di case da demolire per dare spazio alla realizzazione della fabbrica e, nello stesso 1221, il re Ferdinando III il Santo effettua una consistente donazione desti-
nata alla nuova costruzione. L’anno dopo, il vescovo Maurizio posa la prima pietra. Il papa Onorio III concede, nel 1223, indulgenze a chi contribuisca all’opera del duomo. La chiesa preesistente resta ancora in funzione per qualche tempo. Nel 1229 i lavori sono a buon punto, cosicché il Capitolo prepara la traslazione del culto al nuovo tempio. Nel 1238 risultano già completi il corpo della chiesa e i basamenti delle torri, mentre la realizzazione delle volte sembrerebbe successiva (Lampérez). Sono anche successive le facciate laterali, in corrispondenza del transetto, termina-
te tra il 1240 e il 1250, ad eccezione delle gallerie superiori. La consacrazione della chiesa avverrà nel 1260, tre anni dopo l’ingresso di Alfonso X il Saggio, che probabilmente è anche la data di ultimazione della copertura. Negli stessi anni vengono avviati ulteriori lavori, promossi da Alfonso X: un nuovo deambulatorio, più ampio di quello già costruito, le gallerie dei transetti e la facciata. E il periodo in cui si trova all'opera maestro Enrique, yagister operis, probabilmente proveniente dal cantiere di Reims, la cui presenza è documentata tra il 1261 e l’anno della sua morte, il 1277. Ad Enrique, che diresse altresì i lavori a Leén, si attribuisce la variazione del-
le cinque cappelle absidali presenti nel disegno originale, ispirato a quello del monastero cistercense di Las Huelgas (Lampérez) o al coro di Bourges (Karge); gli succedono nella direzione del cantiere Juan Sinchez Molina (m. 1396) e Martîn Fernandez (m. 1418). La costruzione della cattedrale si protrae durante tutto il XIV secolo e si ha infatti notizia che nel 1316 si acquistavano ancora case che ostacolavano la costruzione della sala capitolare. Verso la metà del Quattrocento, la fabbrica di Bur-
gos segna un notevole impulso promosso dal vescovo Alonso de Cartagena, il quale, al suo ritorno dal Concilio di Basilea nel 1431, porta con sé l’architetto Juan de
Colonia che dirige i lavori della cattedrale nel 1442 e costruisce le guglie delle torri della facciata: quella sud iniziata proprio nel 1442 e quella nord ultimata nel 1458, per le quali si sono indicati modelli tedeschi, da Friburgo in Brisgovia (Recht) a esempi della Germania meridionale. Juan de Colonia eseguirà altresì le cappelle della Visitazione e della Concezione (1447-88) e, nel 1468, sarà chiamato dal cardinale
Juan de Torquemada a lavorare nel convento domenicano di S. Pablo a Valladolid, lasciando il cantiere di Burgos a suo figlio Simén. A questi si deve la cappella della Purificazione o del Connestabile realizzata, tra il 1482 e il 1494, per don Pedro
Hernandez de Velasco e sua moglie. La cappella è considerata uno dei capolavori del gotico flamzboyant. La pianta a ottagono è determinata dalle trombe poste agli angoli d’ingresso che sorreggono la volta a stella ad otto punte, traforata, che presenta una sontuosa decorazione ottenuta attraverso la fusione di elementi tardogotici germanici e motivi di matrice r2udéjar. A Gil de Siloé, originario di Orléans, è attribuito il ciborrio, il cui profilo esterno, coronato da pinnacoli, conferisce un aspetto caratteristico alla cappella. Fino alla metà del XV secolo non si era ancora iniziata la costruzione di una cupola sul transetto; lo spazio era infatti coperto da una volta molto semplice. Quando il vescovo di Burgos, nel 1466, aveva cercato di
realizzarne una, affidandola a Juan de Colonia, i pilastri incominciarono a cedere.
I lavori furono ripresi, verso il 1502, da Simén de Colonia, che edificò una magnifi-
ca lanterna, senza tuttavia risolvere i problemi statici che poneva l’enorme peso sui
Appendice. Schede
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pilastri; tale inconveniente portò al crollo definitivo del manufatto, nel 1539. Lo spazio è oggi sormontato da un tiburio (cir2borrio) plateresco, attribuito a Juan de Vallejo e Juan de Castafieda, ultimato nel 1567, e che si innalza a 50 metri e ripete le forme di quello precedente ma con apporti del linguaggio rinascimentale. La pianta è ottagonale con due piani di finestre e gallerie ed è raccordato ai pilastri per mezzo di trombe coniche o cuffie. Il motivo a stella della volta traforata è ispirato a quello della cappella del Connestabile. Esternamente, mostra un profilo alto e snello, simile a una torre, enfatizzato da otto guglie alte e acute che lo circondano. Altri lavori di completamento si portarono a termine in questo periodo: la cappella della Presentazione, caratterizzata da una volta a stella, e il coro, collocato in origine ad
est del transetto, che sarà spostato al centro della navata centrale. L'impianto della Cattedrale è a tre navate: quelle laterali, più basse, formano nel coro, molto profondo, un deambulatorio poligonale a cinque lati, con cappelle, delle quali solo due conservano l’impianto stabilito da Enrique. Il transetto, a navata unica, è molto sviluppato e probabilmente è ispirato alla soluzione adottata a Las Huelgas. Lambert, Torres-Balbfs, e, più recentemente, Karge, hanno indicato nell’impianto di Burgos
una derivazione semplificata da quello francese di Bourges; altri da quello di Coutances; in particolare per la forma delle campate trapezoidali del deambulatorio e per la disposizione delle cappelle su quest’ultimo, anche se sembrerebbe che la costruzione del coro di Coutances non sia precedente a quella di Burgos. Il complesso manifesta alcuni elementi originali rispetto a questi modelli: la particolare situazione dell’edificio (collocato alle pendici di una collina) determinò infatti la differenziazione delle facciate del transetto e forse ne rese necessario il prolungamento mediante una campata aggettante rispetto al coro; è stata altresì sottolineata l’originalità del triforio, che si ricollega alla tradizione m2udéjar di Toledo (Grodecki), con
archi polilobati e con trafori a trilobi e quadrilobi. L'esterno della cattedrale si presenta come un insieme compatto, nel quale si integrano armonicamente le aggiunte delle diverse fasi successive: doppi archi rampanti contrastano le spinte della navata maggiore mentre il transetto è provvisto di massicci contrafforti sporgenti, coronati da pinnacoli piramidali; le testate del transetto hanno come caratteristica il coronamento orizzontale (e non a forma triangolare), arricchito da gallerie traforate. Il complesso conta due chiostri. Il più antico, situato a sud, è contemporaneo al corpo originario della chiesa. Pochi anni dopo il suo completamento nel 1265 fu iniziata la costruzione del secondo chiostro, alloggiato tra il coro e il braccio meridionale del transetto. MISTER
LEON, CATTEDRALE
La cattedrale di Le6n, pulchra leonina, sorge sui resti di un’antica costruzione re-
ligiosa, eretta sotto Ordofio II (914-924) sulle rovine delle terme romane e distrut-
ta durante la campagna militare di Al Mansur nel 987. Nella seconda metà dell’XI secolo, il vescovo Pelagio costruì una cattedrale romanica alla quale lavorarono Pedro Cebrian, maestro della cattedrale nel 1175, e Tomfs Archid, ricordato da un’i-
scrizione nel chiostro. Non si conosce la data d’inizio della cattedrale gotica, intitolata a Santa Maria de Regla, ma è certo che il cantiere resterà aperto per circa tre secoli e che l’opera fu avviata, essendo vescovo don Manrique de Lara, tra il 1198 e il 1204, durante il regno di Alfonso IX e Berenguela di Leén. Per la nuova costruzio-
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ne furono riutilizzati tratti di fondazione dei muri laterali dell’edificio preesistente anche se la maggior parte della fabbrica è di nuova edificazione: l’edificio venne infatti allungato considerevolmente verso est, tanto da scavalcare il circuito delle mura cittadine con le cappelle absidali. Non si conosce il nome del primo architetto. Dai documenti si desume, però, che, alla morte del vescovo nel 1205, i lavori erano
soltanto all’inizio: essi riguardavano le fondazioni della zona absidale. Poche notizie si hanno fino al 1254, anno in cui è nominato vescovo Martîn Fernandez, notaio rea-
le, che godeva del favore del re Alfonso X il Saggio e che riuscì ad ottenere dal monarca ingenti donazioni, tali da riuscire a portare la costruzione quasi interamente a termine in circa trent'anni; nel 1274, il Concilio di Lione concede indulgenze per l’ultimazione dell’opera, riferendosi all'edificio come «novo opere quamplurimum sumptuoso». In questi anni è documentata la presenza di Martino e Domingo Pérez, entrambi scalpellini, e del maestro Enrique, magister operis (m. 1277) che diresse i lavori anche a Burgos. Enrique era probabilmente di origine francese e si ipotizza la sua provenienza dal cantiere di Reims. Dopo la sua morte sembra sia subentrato a dirigere i lavori Juan Pérez, morto a Burgos nel 1296. La mancanza di documenti specifici e l’unità stilistica del complesso di Leén hanno reso difficile la datazione delle diverse fasi costruttive. Alcuni studiosi hanno però ugualmente ipotizzato una cronologia sulla base di indizi e testimonianze materiali, dando particolare rilevanza alla diversità cromatica dei due tipi di pietra impiegata (Rios, Lampérez). Il primo tipo, di tono rossastro, sarebbe stato utilizzato nel XIII secolo (costruzione del deambulatorio, delle cappelle absidali e delle loro volte, della cappella maggiore, del pilastro del transetto verso nord-ovest, della zona bassa dei muri laterali e della torre nord). A partire dal XIV secolo si utilizzò una pietra diversa con la quale vennero realizzate le volte e i pilastri del braccio maggiore della navata nonché quelli del transetto e, nella torre nord (ultimata all’inizio del Trecento), vennero aggiunti due piani traforati da bifore. La cattedrale fu completata verso la fine del XIV secolo (ad eccezione di alcuni coronamenti e di parti delle torri), ma non si conosce la data della consacrazione definitiva. Nel XV secolo fu eseguita la cosiddetta Silla de la Reina (la torre rimasta incompleta che si trova nel braccio sud del transetto) e i piani superiori con i rispettivi coronamenti della torre e della guglia meridionale. La torre sud, Torre Nueva o del Reloj, fu completata, verso il 1450, da maestro Ju-
squin (di origine francese o fiamminga) con decorazioni ispirate al gotico /larboyant. Lo slancio e la snellezza, che caratterizzano il complesso di Leòn, sono sta-
ti peraltro la causa dei dissesti statici che iniziarono a manifestarsi quasi immediatamente. Tra i primi interventi di rinforzo figurano i tamponamenti di alcuni finestroni. I dissesti statici si accentuarono col tempo fino a quando, nel 1631, crollò la volta centrale che sul transetto fu ricostruita assumendo la forma di una cupola barocca. Essa contribuì ulteriormente a indebolire la struttura e, nel 1743, fu necessa-
rio un altro intervento di restauro, che però si rivelò inefficace, rendendo necessari ulteriori interventi di puntellatura, consolidamento e rifacimento «in stile» verso la metà dell'Ottocento. Il complesso di Le6n appartiene al gruppo di cattedrali spagnole che deriva direttamente da quelle dell’Ile-de-France: l'impianto presenta notevole somiglianza con quello della cattedrale di Reims; in particolare per la disposizione del deambulatorio, per la presenza di doppie navate laterali nella parte diritta del coro, e per la disposizione del transetto. Ma qui, superate le difficoltà tecniche del primogotico, la struttura assume un profilo slanciato e snello, si assottigliano i pilastri e i contrafforti e si sopprimono i muri tra i pilastri, sostituendoli con vetrate. Questa soluzione costituisce uno degli elementi più significativi dell’edificio, contraddistinguendolo dal resto delle cattedrali spagnole. Al di sopra degli ar-
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chi della navata si apre un triforio illuminato da finestre esterne. Al livello superio-
re, un'immensa vetrata occupa tutto lo spazio tra i pilastri. Le navate sono coperte
da volte a crociera, analoghe a quelle francesi, contrastate da coppie di archi rampanti e da contrafforti molto sottili. Nel transetto, il prolungamento del coro, mediante una campata, richiedeva la soppressione degli archi rampanti; fu quindi adottata una soluzione analoga a quella sperimentata a Saint-Denis consistente nell’innalzare, ad ogni lato del transetto, due torrette (la Limona e la Silla de la Reina) per accogliere i quattro gruppi di archi rampanti. Un aspetto peculiare dell'impianto di
Leén è offerto dalla posizione delle torri di facciata, soluzione che deriverebbe da Amiens e dalla Sainte-Chapelle di Parigi. L'esterno della cattedrale non ha subito modifiche sostanziali nel corso dei secoli. Sia la zona absidale che la facciata nord si conservano libere da manomissioni o trasformazioni successive. Il prospetto sud fu rifatto in stile nel XIX secolo. Dall’analisi delle influenze stilistiche e tipologiche presenti a Le6n (Lampérez, Lozoya), è possibile ipotizzare che l’autore sia stato un francese, o uno spagnolo con buona conoscenza della scuola francese dell’Ile-de-France, che si è avvalso nell'esecuzione di aiuti francesi. Per alcuni autori (Solar, Redon-
do, ripresi da Lampérez) sarebbero invece individuabili nella regione presupposti tali da influire direttamente nel disegno della cattedrale. Vi sarebbero cioè analogie con le chiese di Sandoval (1167), di Gradefes (1177) e di Sahagùn (1183). Tuttavia,
la maggior parte degli studiosi concordano sul fatto che la cattedrale di Le6n restò un monumento unico, senza seguito, se non in qualche particolare riscontrabile nella cattedrale di Lugo (abside) o in Santa Maria de Castro-Urdiales (contrafforte con due pinnacoli). Il chiostro della cattedrale, addossato sul lato nord, è successivo
al corpo della chiesa (le arcate e le volte sono costruite su strutture gotiche preceo E attribuito a Juan de Badajoz (figlio) e fu completato in periodo rinasci-
mentale. MS
SALAMANCA, CATTEDRALE NUOVA
Negli ultimi anni del XV secolo, il Capitolo del Duomo delibera di erigere una
nuova Cattedrale a Salamanca, per far fronte alle crescenti esigenze del culto. I Re Cattolici chiedono l’autorizzazione a Innocenzo VIII, nel 1491, fondando la loro ri-
chiesta sulla considerazione che la Cattedrale esistente era «harto pequenna, escura e baxa». La costruzione non fu però intrapresa subito. Nel 1509, Ferdinando il Cattolico, informato delle difficoltà incontrate per l’avvio dei lavori, ordina ad Alonso Rodriguez (maestro di architettura della cattedrale di Siviglia) e ad Antonio Egas (di quella di Toledo), di andare a Salamanca a scegliere il sito e a tracciare i disegni per la costruzione del nuovo tempio. I due maestri maggiori presentano il progetto al Capitolo e al rappresentante del re il 2maggio 1510. Onde avere conferma della correttezza del progetto il Capitolo convoca «singulares e grandes maestros de canterfa» per sentire i loro pareri. Nel 1512 una commissione di tecnici, costituita tra gli altri da Antonio Egas (di Toledo), Juan Gil de Hontafién, Juan de Badajoz (di Legn), Alonso de Covarrubias (di Toledo) e Juan Campero (maestro del cardinale di Spagna), espresse parere favorevole. La relazione redatta dalla commissione è molto dettagliata e contiene posizione, dimensioni e forme sia del coro che di altre
parti della fabbrica. Il 6 settembre dello stesso anno, il Capitolo nomina maestro del-
la nuova cattedrale Juan Gil de Hontafién (già attivo nel cantiere di Siviglia), af-
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fiancato dal aparejador Juan Campero. I lavori iniziano l’anno dopo come attesta la lapide conservata sulla facciata ovest. Per l’avvio della costruzione fu necessario demolire alcune case di proprietà del Capitolo. La nuova cattedrale sorgeva accanto alla vecchia, che fu conservata per indicazione precisa della commissione, la quale
prescrisse inoltre di conservarne la torre campanaria, inglobandola nella nuova costruzione. Juan Gil de Hontafién cominciò i lavori dalla facciata principale, secondo una pratica ormai diffusa all’epoca. Nel 1520 le cappelle laterali risultano complete fino all’altezza delle imposte delle volte. Juan de Alava è incaricato di chiudere le tre prime cappelle sul lato dell’Epistola. Egli adotta volte a stella ma il suo linguaggio è già ricco di influenze rinascimentali. Juan Gil lavorerà invece sul lato dell’Evangelio impiegando uno stile più aderente alla tradizione. Rivalità e controversie sorte tra i due architetti rallentano l'andamento dei lavori. Juan de Badajoz e Francisco de Colonia vengono chiamati a Salamanca, nel 1522, per esprimere pareri sull’operato di entrambi. I loro pareri, anziché placarla, riaccenderanno la polemica. Alla morte di Juan Gil, nel 1526, i lavori furono proseguiti da Juan Gil il Giovane, che apportò diverse modifiche agli alzati delle cappelle laterali. Juan de Alava è di nuovo presente sul cantiere insieme a Alonso de Covarrubias intorno al 1529. Il loro intervento, che aveva lo scopo di controllare il proseguimento dei lavori, in-
sieme a quello di Enrique Egas e di Felipe Bigarni, dette luogo alla formulazione di un nuovo progetto, di cui si conserva soltanto la descrizione elaborata da Manuel Gémez Moreno. A partire dal 1529, Juan de Alava risulta incaricato dei lavori, fino al 1537, anno della sua morte. Dall’anno successivo, la fabbrica risulterà affidata a
Rodrigo Gil (figlio di Juan) che apporta ulteriori modifiche al progetto e completa le volte delle navate laterali e di quella maggiore, così come il coronamento della facciata principale. Egli introduce un linguaggio caratterizzato dall’uso di balaustrini, di finestre rettangolari e di oculi, oltre che di elementi platereschi, con frontoni arricchiti da cornucopie e candelieri con profili e lavori «toscani» (Camén Aznar). Nel 1550 si chiudono le volte della navata centrale e la cattedrale risulta compiuta fino al transetto; dieci anni più tardi, con la costruzione del muro a chiusura della parte
ultimata e la realizzazione dell’ultimo corpo della torre campanaria, la fabbrica è in condizioni di poter celebrare le funzioni religiose. Nel 1588, dopo un periodo di sospensione dei lavori per motivi economici, si avvia il dibattito, per iniziativa del vescovo Jer6nimo Manrique, su come la cattedrale avrebbe dovuto essere completata: erano infatti da ultimare il transetto e la zona absidale. Molti suggerivano di ricor-
rere allo stile antico, altri a forme rinascimentali. Prevalse il criterio di terminarla in
forme gotiche. Qualche anno dopo, il dibattito si riaprì quando il maestro di Leén, Juan de Ribero Rada, cambiò la forma dell’abside, che in base al parere della Com-
missione del 1512, avrebbe dovuto essere a pianta poligonale, adottando, invece,
una forma rettangolare con cappelle, ispirata alle soluzioni di Siviglia, di Jaén e di Astorga. Probabilmente la modifica va posta in relazione con la volontà di collocare due torri agli angoli. Nel 1713 Joaquin Benito de Churriguera completa la torre e si fa carico del progetto per la cupola sul transetto, che però non riuscì a portare
interamente a termine; essa fu compiuta nel 1733. Il terremoto di Lisbona, del 1755,
lesionò la cupola barocca, per la quale fu decretata la demolizione fino all'altezza dei pennacchi. L'anno dopo, Juan de Sagarvinaga iniziò la ricostruzione del secondo e del terzo corpo. Anche la torre del campanile della cattedrale vecchia minacciava rovina in seguito al terremoto e fu rinforzata inserendo catene di ferro e rifoderando con blocchi di pietra l’antica muratura del corpo basamentale. La pianta della cattedrale nuova di Salamanca, diversa dalle tipologie delle cattedrali coeve, è definita da un unico rettangolo che contiene le tre navate di altezza diversa (42 metri quella
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centrale, e 26 metri quelle laterali), e le cappelle laterali (capillas hornacinas), alloggiate tra i contrafforti. Il transetto, non sporgente, è a navata unica, leggermente più largo del resto delle campate, mentre il presbiterio è delimitato da un perimetro rettangolare, fiancheggiato da cappelle, anch’esse a pianta rettangolare. Le dimensioni dell’edificio raggiungono 105 metri di lunghezza e 50 di larghezza. La volta sul transetto è profusamente decorata, mentre le navate sono coperte da volte a crociera stellate che poggiano su pilastri modanati e arricchiti da colonnine addossate e da capitelli molto stilizzati. Il perimetro della chiesa è ribattuto da due gallerie sovrapposte: quella inferiore, trattata a forma di triforio, trapassa i pilastri e mostra un carattere gotico. Esternamente, le spinte delle volte delle navate sono contrastate da archi rampanti coronati da pinnacoli, così come lo sono anche i contrafforti. La facciata principale fu realizzata da Juan Gil de Hontafién a partire dal 1513. È fiancheggiata, a sinistra, da una torretta, coronata da merlature e pinnacoli gotici. Opera di Rodrigo Gil è il secondo corpo della facciata, in corrispondenza della navata centrale, leggermente arretrato. Appare fiancheggiato da due torrette rotonde sormontate da guglie, a coronamento dei grandi pilastri che delimitano gli archi del portale sottostante. NES
SIVIGLIA, CATTEDRALE
La cattedrale di Siviglia sorge nel luogo dove si trovava l’antica moschea, risalente alla ristrutturazione della città intrapresa dagli emiri almoadi, nel 1169. Sembra accertato che la moschea fosse ultimata nel 1178, mentre la torre del minareto, la Giralda, non fu iniziata prima del 1184. Due anni prima erano terminati i lavori
nel Patio de los Naranjos, caratterizzato dai muri merlati che lo circondavano. Convertito in cattedrale cristiana nel 1248, in seguito alla riconquista della città ad opera di Ferdinando III, l’edificio fu consacrato al nuovo culto, cambiando il suo orien-
tamento liturgico: alla moschea si accedeva da Nord, col z2ibrab collocato sulla facciata sud (in posizione atipica), mentre la disposizione della chiesa cristiana seguì l'orientamento dell’asse est-ovest. Il complesso si trovava, alla fine del Trecento, in
stato di forte degrado per la mancata manutenzione e soprattutto a causa dei frequenti terremoti. Risale al 1388 l’idea della costruzione di un nuovo tempio, ma è soltanto nel 1401 che fu disposto che si edificasse «otra iglesia tal y tan buena, que no haya otra igual». Fu allora posta la prima pietra e accordata la demolizione della chiesa preesistente, previo smontaggio di alcuni altari, da ricollocare nella nuova fabbrica. Non si conosce il nome del primo architetto, né sono del tutto accertati quelli dei successivi. Molti autori attribuiscono ad Alonso Martinez il disegno della pianta della cattedrale (Chueca Goitia, Madrazo). La nuova costruzione fu avviata nel 1402, dalla parte occidentale, probabilmente per la mancata autorizzazione da parte di Enrico IMI alla demolizione della Cappella Reale, situata ad est della vecchia
moschea; autorizzazione concessa poi nel 1433, da Giovanni II. Durante il XV se-
colo, le risorse per l’opera del duomo provennero dalle donazioni elargite in cambio di indulgenze. Fino al 1421 mancano i documenti attestanti i nomi degli archi-
tetti ma, a partire da tale data, ricorre il nome di Pedro Garcia, un muratore che
svolgeva il ruolo di maestro maggiore, come autore dei lavori eseguiti tra la cappel-
la di S. Anna e il nuovo Sagrario. Del 1434 è un documento in cui è citato un Maestro Isambert, fiammingo (Lozoya, Chueca Goitia), non residente a Siviglia, senza
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che però lo si indichi chiaramente come architetto del duomo. Nel 1432 i lavori risultano a buon punto (circa la metà della cattedrale secondo Zùfiga) e la cappella di S. Laureano appare ultimata. Ciò nonostante i lavori si protrassero ancora a lungo, riuscendosi a chiudere le volte soltanto verso la fine del secolo. L'assenza di ca-
ve di pietra, in prossimità di Siviglia, è forse all’origine della lentezza nella conduzione dei lavori; si dovettero infatti utilizzare pietre provenienti da luoghi diversi e lontani. Dal 1439 al 1449 ricorre nei documenti la figura di maestro Carlîn, di ori-
gine francese, e quella dell’aparejador Juan Norman (normanno?) impegnato, tra il 1446 e il 1472, nell’ultimazione di alcune volte. Nel 1496 Juan de Hoces è occupato alla modifica del coro e dell’altare maggiore e verso il 1498 traspare dai documenti una controversia, sorta a proposito del completamento dei lavori. Sembra che il vescovo Diego Hurtado de Mendoza abbia chiamato, nel tentativo di giungere a una rapida soluzione, Simén de Colonia, già attivo a Burgos e a Toledo. La sua presenza a Siviglia è documentata fino al 1502 nei pareri espressi per il proseguimento dei lavori e per la forma del cizborrio. Mentre alcune coperture (in particolare la volta della cappella maggiore) furono terminate tra il 1498 e il 1504, probabilmente sotto la direzione di Alonso Rodrfguez, l’ultimazione del cizborrio, di grande impegno anche economico, si protrasse fino al 1506. Progettato da Alonso Rodriguez (m. 1513), con l’aiuto dell’aparejador Gonzalo de Rozas, si innalzava fino all’altezza del-
le campane della Giralda e aveva pianta quadrata, con aperture ovali sul fronte e pinnacoli sugli angoli. Esso crollò nel 1511, per cedimento di uno dei pilastri del transetto. Il Capitolo della Cattedrale determinò allora di ricostruire la lanterna con una copertura in legno. Nell'edizione del 1517 il cirzborrio appare molto ribassato e tale forma fu riproposta nella ricostruzione, a seguito del nuovo crollo del 1882. Dal 1513 compare la figura di Juan Gil de Hontafién, chiamato per esprimere pareri sulla situazione statica dell’edificio e per il completamento delle volte del coro (1515) e del transetto (1517). Gil, che lavorava nella cattedrale nuova di Salamanca, si avvaleva della consulenza di Enrique Egas e di Juan de Alava. A partire dal 1517 furono avviati i lavori per il completamento della volta centrale e, tra il 1528 e il 1532, Diego de Riafio fu incaricato del proseguimento dell’opera, realizzando la decorazione rinascimentale delle cappelle iniziate in forme gotiche da Gil de Hontafiòn. Egli realizzò altresì la sagrestia dei Calici, ideata dai suoi predecessori, e progettò quella maggiore. Il suo disegno non fu portato interamente a termine e, alla sua morte, nel 1535, fu sostituito da Martîn de Gainza, suo stretto collaboratore, il
quale realizzò, nel 1551, la Cappella Reale, destinata ad accogliere le spoglie di Ferdinando III, di Beatrice di Svevia e di Alfonso X. La pianta della cappella, imposta a Gainza probabilmente dal Capitolo della Cattedrale, rispondeva a precise connotazioni di carattere simbolico: da un lato si cercava di riproporre lo schema del Santo Sepolcro di Gerusalemme, dall’altro si citava uno dei grandi monumenti dell’an-
tichità romana, il Pantheon. I particolari della cupola, disegnati da Hernan Ruiz il
Giovane, ne accentuavano il carattere classicista. Hernin Ruiz fu nominato dal Ca-
pitolo, alla morte di Gainza, responsabile del proseguimento dei lavori nella Cappella Reale e del completamento della torre della Giralda. L'impianto della cattedrale di Siviglia, di circa 140 metri di lunghezza, 90 di larghezza e 36 di altezza, è caratterizzato da un perimetro rettangolare a cinque navate con cappelle laterali ricavate tra i contrafforti. Un’ampia navata trasversale funge da transetto e determina la croce inscritta nel rettangolo. La cappella maggiore è a pianta quadrata con abside e due espansioni laterali. In merito all’impianto del complesso sono state formulate numerose ipotesi: la più accreditata suppone che, in fondo alla navata principale, fosse prevista la realizzazione di una doppia abside poligonale, destinata probabil-
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mente a mausoleo reale, come è visibile nel modello esistente nel corpo basso del retablo maggiore (opera realizzata da Jorge Fernandez tra il 1508 e il 1518) in cui appare un’abside poligonale a tre lati, e nel progetto datato 1537, dove appaiono due cappelle poligonali a tre lati, dall’una e dall’altra parte dell’abside centrale. Il profilo rettangolare della sezione trasversale è determinato dall’altezza delle navate laterali, alte quasi quanto la navata centrale e rinforzate da contrafforti e da rampanti quasi orizzontali e molto aggettanti. Un precedente di questo schema è riscontrabile, sempre a Siviglia, nella duecentesca chiesa di S. Anna di Triana (Lampérez). Per contrastare la poca rilevanza in altezza della volta sulla crociera, essa fu ricoperta da decorazioni. Lungo la navata principale, al posto del triforio, corre un passaggio sporgente a modo di balcone, che si interrompe in corrispondenza dei pilastri. NSA
TOLEDO, CATTEDRALE
La cattedrale di Toledo fu fondata nel 587 dal re visigoto Reccaredo I e da sant'Eugenio, primo vescovo della città. Durante la dominazione musulmana l’edificio fu trasformato in moschea e, in seguito alla riconquista di Toledo, la regina Costanza e il vescovo Bernardo riconvertirono l’edificio al culto cristiano. Nel 1227, il re Ferdinando il Santo avviò, insieme al vescovo Rodrigo Ximénez de Rada, la co-
struzione della nuova cattedrale. I lavori si protrassero per più di due secoli e furono ultimati soltanto nel 1493. Nel 1238 risultano compiute le quindici cappelle absidali e, verso il 1247, doveva già essere terminata la cappella di S. Eugenio. Riguardo all'identità dell’autore del progetto, sembra accertato (padre Esténaga) che il primo architetto fu maestro Martîn, di probabile origine francese. Pijoan attribuisce allo stesso vescovo Ximénez de Rada, un ruolo importante nelle soluzioni adottate. Successivamente, i lavori sarebbero stati affidati a Petrus Petri, magister ecclesie Sancte
Marie toletani, morto nel 1291, a cui, in passato, era stato attribuito il progetto originale e l’introduzione delle variazioni «ispaniche» nell’edificio di impianto francese. Street ha riscontrato somiglianze tra la pianta del coro di Toledo e un disegno del taccuino di Villard de Honnecourt, che reca la scritta: «Istud presbiterium invenerunt Ulardus de Hunecort et Petrus de Corbeia inter se disputando». Secondo Enlart tale Pietro da Corbie sarebbe stato il Petrus Petri, che avrebbe firmato talvolta
col patronimico, tale altra con il luogo di provenienza e sarebbe quindi il responsabile della seconda fase di realizzazione dell’edificio, caratterizzata dallo sviluppo del progetto originale e dall'adozione di forme proprie alla tradizione locale, riscontrabili, ad esempio, nella parte alta dei muri del coro, dove sono presenti elementi mudéjar. Verso il 1300, appaiono ultimate la navata del transetto, la facciata nord, la Porta dell’Orologio e probabilmente la cappella di S. Ildefonso, con la tomba del cardinale Albornoz. Durante il XV secolo vengono attuate modifiche rilevanti, che però non alterano l'impianto originale: la torre (l’unica realizzata), sul lato sinistro della facciata principale, fu iniziata nel 1380 da Rodrigo Alfonso e ultimata soltanto nel 1440 da Alvar Gomez. Il secondo corpo, attribuito al maestro Annequin (Lozoya ne ipotizza un'origine fiamminga identificandolo con Jan van der Eycken originario di Bruxelles) mostra decorazioni ascrivibili allo stile flazboyant. Nel 1442, don Alvaro
de Luna iniziò la costruzione della cappella di Santiago, caratterizzata dal notevole disegno dei trafori fiammeggianti nei tre archi di ingresso e dalla splendida volta nervata a disegno stellare. Allo stesso periodo risale la porta sud, opera fiammeggiante
di Pedro e Juan Guas insieme a Annequin Egas. Negli stessi anni Juan Guas risulta
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impegnato nella realizzazione della zona retrostante l’altare. L'ampliamento della cappella maggiore fu promosso, tra il 1498 e il 1504, dal cardinale Ximénez de Cisneros, vescovo di Toledo e confessore di Isabella la Cattolica, il quale affidò, nel
1504, a Enrique Egas la realizzazione della cappella Mozarabe, ove si celebravano le funzioni religiose secondo l’antico rito mozarabico. Tra il 1531 e il 1534, Alonso de Covarrubias, già presente nella commissione degli architetti per il duomo di Salamanca, realizza la Capilla de los Reyes Nuevos, a pianta rettangolare, per accogliere
le spoglie di Enrico II il Magnifico e di sua moglie, Giovanna. Tale realizzazione valse a Covarrubias la nomina di maestro maggiore della cattedrale. Il Sagrario, chiamato anche cappella della Virgen del Tabernàculo, è opera cinquecentesca, così come parte dell’edificio che alloggia la sagrestia, che fu però ultimata soltanto nel 1616, da Nicolas de Vergara. Sul deambulatorio si apre, di fronte alla cappella maggiore, il Transparente: un traforo rococò nella volta, realizzato nel 1732 da Narciso Tomé allo scopo di illuminare dall’alto l’altare maggiore. La facciata principale, fu iniziata nel 1418 e terminata all’inizio del Cinquecento. Sul fianco sinistro della cattedrale si apre il chiostro iniziato nel 1389 e ultimato nel XVI secolo. La cattedrale di Toledo ha un impianto longitudinale a cinque navate (120 metri di lunghezza per 59 di larghezza) con un vasto transetto non sporgente, analogo a quello di Notre-Dame di Parigi e a quello di Bourges. E caratterizzata da arcate relativamente alte e da collaterali di altezza degradante, come a Bourges. Le cinque navate danno luogo, nella zona del coro, a un doppio deambulatorio, con alternanza di campate a pianta rettangolare e triangolare. Sul perimetro esterno dell’ambulacro si addossano rispettivamente, alle campate a pianta rettangolare, cappelle absidali a pianta semicircolare, mentre a quelle a pianta triangolare, piccole cappelle di impianto pressoché quadrato. Lampérez riscontra, per la soluzione del coro, elementi derivati dalla pianta cistercense, caratterizzata dall’abside con cappelle disposte radialmente (come a Poblet, Veruela, Moreruela, Fitero) alternate a tratti retti con o
senza finestre. Tale derivazione verrebbe inoltre confermata dal carattere robusto e massiccio del complesso, che ricorda l'architettura monastica. Proprio in questo senso, infatti, il complesso di Toledo si discosterebbe dai modelli gotici francesi già menzionati, in particolare per quanto riguarda la larghezza delle campate, la pesantezza dei supporti e le proporzioni molto più basse (Grodecki). Lambert, invece, suggerisce per tali caratteristiche influenze di provenienza franconormanna: dalle abbazie di Fécamp e di Saint-Wandrille e dalla cattedrale di Avranches. Tuttavia, elementi di analogia con Bourges si riscontrano in alzato, sia nel triforio che nei contrafforti, così come nell’impianto, in particolare nelle piccole cappelle radiali e nella forma delle volte del deambulatorio, ispirate a quelle della cattedrale di Le Mans (Grodecki), e degli archi rampanti, che si biforcano ingegnosamente, seguendo l'andamento delle campate triangolari, proprio come nel coro di Le Mans. Il transetto manca di tiburio. La navata interna del deambulatorio presenta un triforio caratterizzato da archetti polilobati che poggiano su coppie di colonnine di marmo e soprastanti rosoni traforati, dall'aspetto moresco analogo a quello della sinagoga di S. Maria la Bianca a Toledo. Il carattere 72udéjar è ancora più accentuato nel triforio della cappella maggiore, costituito da archi intrecciati che costituiscono per alcuni la prova dell’origine spagnola dei costruttori, proprio perché è negli elementi decorativi che l’insieme toledano si differenzia dai modelli francesi. È da rilevare il contrasto che la cattedrale di Toledo mostra tra l’interno, molto ricco, e l'esterno, poco articolato e di non
chiara percezione per la complessa struttura viaria circostante.
M.S.L.
Area italiana
ASSISI, S. FRANCESCO
La basilica di Assisi, proclamata da Gregorio IX «caput et mater» dell’ordine (1230) sorge con l’adiacente convento sull’estremità occidentale del colle sul quale è posto l’abitato, in posizione distaccata da esso; la grande chiesa fronteggia la città e si pone come elemento dominante del paesaggio, oltre che come polo architettonico-urbano su cui convergono le strade della parte ovest di Assisi. La scelta del luogo, legata secondo la tradizione al desiderio del santo di essere sepolto sul Colle detto dell’inferno, trova anche motivo nella volontà dei Minori di imporre l’immagine architettonica della chiesa come forma-simbolo di una comunità ormai solidamente strutturata e al tempo stesso come roccaforte autonoma del francescanesimo, non
solo alla città e al contado ma a tutti coloro che giungevano di lontano e, tramite questi, al mondo intero. L’accentuata pendenza del terreno, la distanza, stabilita e mantenuta, tra basilica ed abitato, con l’esigenza di situare la facciata a una altezza
tale da assicurarne la prevalenza dimensionale e prospettica rispetto al nucleo urbano, comportarono la necessità di progettare una chiesa a due piani. L’atto di donazione del terreno, nel 1228, sembra riferirsi ad un oratorium vel ecclesia costitui-
to da una semplice aula, ma già un mese dopo, quando il pontefice ordinava la costruzione di una specsalis ecclesia, deve aver preso corpo l’idea di una chiesa doppia, il cui vano inferiore a pianta rettangolare semplice, destinato a chiesa-sepolcro, fu più tardi ampliato con l’aggiunta di un transetto per conferire all’organismo la forma a croce. In realtà le fonti documentarie sulla basilica sono eterogenee, indirette e spesso
oscure; la scarsa e lacunosa cronologia, che se ne trae, prende avvio dai citati due do-
cumenti del 1228; segue, nello stesso anno, la posa della prima pietra da parte di Gre-
gorio IX; nel 1230 la traslazione del corpo del santo; nel 1236 frate Elia, allora ministro generale dell’ordine, donò alla chiesa il crocifisso di Giunta Pisano; nel 1239 si
fusero due campane; nel 1253 Innocenzo IV consacrò la basilica e successivamente autorizzò la raccolta di elemosine per completarne le strutture e la decorazione «con nobiltà e ricchezza», espressione ambigua ed aperta a interpretazioni diverse. Su
queste basi la storiografia ha lungamente discusso sia il problema della datazione delle fasi della fabbrica, sia quello dei modelli architettonici dai quali avrebbe tratto origine il monumento. Per quanto riguarda la prima questione, le notizie disponibili, anche se sottoposte a una valutazione critica, non risultano di per sé illuminanti: la realizzazione della chiesa inferiore viene quasi concordemente assegnata agli anni 1228-30 e distinta da quella della chiesa superiore, ma quest'ultima viene attribuita
Area italiana
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da alcuni studiosi (Biebrach, Kleinschmidt, Krénig) agli anni del generalato di frate Elia, mentre altri autori ne collocano la costruzione in un periodo compreso tra quinto e sesto decennio del XIII secolo (Schoene, Hertlein, Héliot, Cadei). Sterili e talo-
ra devianti si sono rivelati gli studi sulle «origini» della basilica di Assisi: tra le indicazioni più significative, Krénig rileva la somiglianza della chiesa superiore con l'interno della cattedrale di Angers; Hertlein ed Héliot sottolineano rapporti con chiese del Nord della Francia; Schenkluhn richiama l’attenzione sul transetto come
autonomo edificio commemorativo, confrontandolo con quello di S. Pietro, situato anch'esso ad ovest. Recentemente Bonelli, attraverso un sistematico riesame del monumento, ha proposto una lettura storico-critica delle diverse soluzioni formali, met-
tendo in evidenza la complessità del processo costruttivo della fabbrica, soggetto a numerose incertezze, arresti, mutamenti di programma, già presenti nell’edificazione della chiesa inferiore. Questa fu concepita inizialmente come un’aula rettangolare, corrispondente alle sue attuali tre campate mediane, presumibilmente coperta con volta a botte; lo spessore dei muri perimetrali (ca. m 2,20), con contrafforti squadrati conferma che la chiesa doppia era prevista fin dal principio. Nel 1230, quando vi fu traslato il corpo del santo, la volta non era ancora realizzata e l’edificio coperto,
in tutto o in parte, da un tetto provvisorio. Tra il 1232 e il 1239, durante il generalato di Elia, che in precedenza aveva ricoperto la carica di dorzinus et custos ecclesiae, interviene il primo cambiamento di progetto: fu cioè presa e messa in atto la decisione, cui certamente non fu estraneo Elia, di ampliare la basilica inferiore per conferire monumentalità alla chiesa-sepolcro, secondo tarde forme lombardo-padane. Si costruirono il transetto e le quattro torri annesse, e fu iniziata la trasformazione del corpo longitudinale in funzione di una copertura con volte a crociera costolonate, costruendo i torrioni cilindrici addossati ai preesistenti contrafforti esterni, i pilastri interni, poi rimodellati in forma di pilieri trilobati, ed infine le volte stesse. Nel quinto decennio del Duecento, in seguito al rinnovamento della dirigenza dell'ordine ed
all'entrata dei Minori in una dimensione culturale europea, si ebbe il secondo mutamento di progetto, verosimilmente durante il generalato di Aymone di Faversham (1241-44). Fu presa infatti la decisione di adottare per l’interno della chiesa superiore le forme del gotico-angioino e la struttura a scheletro di matrice francese; le scelte progettuali dell’ignoto maestro che ebbe questo compito dimostrano la capacità di adottare un linguaggio aggiornato ed europeo, senza l'esibizione dei complicati congegni statico-strutturali transalpini, in sostanziale coerenza con la volontà delle gerarchie francescane di non ostentare l’immagine di un'architettura «eccezionale», estranea al luogo in cui sorge. Quando già era realizzato il transetto superiore «gotico» e la fronte absidale aveva definito il modello linguistico per l'architettura degli esterni, basato sul plasticismo e gli effetti cromatici della massa muraria, intorno al 1250, si verificò presumibilmente un terzo mutamento di progetto, frutto di un ripensamento di ispirazione rigorista, teso a realizzare la navata come un vano unico coperto a tetto; ma questa soluzione, poco dopo aver innalzato i muri perimetrali sino all’altezza del cammino di guardia, fu abbandonata e, nel sesto decennio, si procedette alla costruzione delle prime tre campate della chiesa superiore secondo la
struttura e le forme del transetto. Vennero pertanto addossati alle pareti i pilieri a fascio, eseguita la zona alta dei muri (alla quale i pilieri stessi sono strutturalmente con-
nessi) con le torri cilindriche, e costruite le volte a crociera. Nel decennio seguente,
probabilmente ad opera di maestri locali subentrati nella guida del cantiere, furono realizzati l’atrio della basilica inferiore e la corrispondente quarta campata della superiore, con la facciata di tipo umbro, e si dette inizio al campanile; da ultimo ven-
nero eseguiti il contraffortamento con archi rampanti, la sacrestia, l'ampliamento
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dell’atrio e le cappelle addossate ai lati della chiesa inferiore. Le vicende edilizie del grande convento si protraggono per più secoli e trovano compimento con I lavori di sistemazione della piazza inferiore nel 1547. G.V.
BARI, S. NICOLA
Nel 1087 le spoglie di san Nicola furono portate a Bari e per accoglierle fu iniziato un tempio nell’area del palazzo che prima della conquista normanna del 1071 era stato sede del governatore bizantino. Due anni dopo Urbano II consacrò la cripta e nel 1098 riunì il Concilio ecumenico nella chiesa, forse ancora limitata alla cripta. Nel 1105 Pasquale II usava per la basilica l’espressione «congrua iam aedificatione perfecta est», ma essa doveva essere lontana dalla conclusione e inoltre i lavori subirono numerose interruzioni. Fu consacrata nel 1197. Favorita dai re normanni, ebbe un ruolo importante anche durante il dominio svevo e angioino. E lunga 56 metri e larga 33 metri circa, ha tre navate separate da colonnati interrotti al centro da una coppia di robusti pilastri. Sopra le navatelle sono situati due matronei che si affacciano sulla navata centrale mediante trifore, al di sopra delle quali corre una
teoria di finestre monofore. A est, separato da un triforio posteriore, si trova un transetto leggermente sporgente con tre absidi; lo spazio della crociera è individuato da arconi trasversali che avrebbero dovuto sostenere una cupola su cuffie, mai realizzata. Sotto il transetto si estende un’ampia cripta a sala. L’interno ebbe nel tempo delle modifiche: nel 1456 nella metà ovest della navata centrale furono costruiti tre archi di rinforzo, per sostenere i quali fu necessario raddoppiare le colonne; nel 1593 la zona del presbiterio fu trasformata per accogliere la tomba di Bona Sforza, e tutta la chiesa ebbe una nuova veste decorativa in età barocca. Durante i restauri di ripristino condotti tra 1928 e 1956 sono stati eliminati i rivestimenti barocchi, ed è stata lasciata in vista la muratura in conci squadrati di pietra calcarea, che caratterizza anche le superfici esterne. La facciata ovest, tripartita da lesene che poggiano su robuste colonne, con coronamento di archetti pensili, rivela ascendenze lombar-
de. E affiancata da due torri, disposte asimmetricamente, di cui quella destra, dal basamento bugnato, è forse quanto resta del palazzo bizantino. In origine davanti alla facciata era previsto un portico, al posto del quale furono invece realizzati i portali e le arcate cieche attuali. Ad est le tre absidi sono mascherate da una parete rettilinea che presenta al centro una grande finestra con una cornice riccamente scol-
pita, corrispondente all’abside centrale, e ai lati i resti di due torri con finestre bifo-
re. Su questa parete e sui fianchi del transetto si trovano arcate cieche che lungo le navate vengono sostituite da arcate profonde. Queste ultime in origine erano destinate ad ospitare monumenti sepolcrali e i portali laterali; a partire dal XIII secolo erano state tamponate e aperte dall’interno, per creare delle cappelle e sono state ripristinate durante i restauri. Sopra le arcate, parallelamente ai matronei, corrono due gallerie ad esafore, che insieme a ballatoi su mensole disposti lungo la controfacciata e il transetto mettono in comunicazione tutte le parti alte della chiesa. Difficile è ricostruire l’esatta cronologia delle fasi costruttive: alla seconda metà del XII secolo vengono datate le gallerie ad esafore, i ballatoi su mensoloni, le torri orientali
incompiute, la parte inferiore della torre sinistra di facciata. Mentre l'impostazione planimetrica mostra rapporti con l'abbazia di Montecassino e la cattedrale di Saler-
no, alcune soluzioni, in particolare negli alzati, attestano un diverso carattere e si è
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pensato che dipendano da modifiche del progetto iniziale dovute a influssi prima normanni, poi lombardi e renani e persino orientali (Krautheimer). Secondo un’altra proposta interpretativa si tratterebbe di un progetto unitario, nel quale si fondevano più componenti, realizzato lentamente nell’arco di un secolo (Belli d’Elia). ID:
BOLOGNA, S. PETRONIO
La basilica petroniana è eretta a partire dal 1390, quale nuova sede per il culto del santo patrono della città. La sua costruzione è il risultato di un lungo processo che nasce dalla decisione del governo cittadino di farsi promotore e costruttore della più importante chiesa urbana, che non è la cattedrale né appartiene ad alcun ordine religioso: l’opera è realizzata (a spese della città e del contado) nel quadro di un nazionalismo municipale che deve siglare ripresa economica e rinnovata autonomia co-
munale. La sua realizzazione comporta una grossa operazione urbanistica su una vasta area (13.000 mq) prescelta nel centro politico-economico a sud della piazza Maggiore; su di essa si impone che prospetti la facciata principale, in sintonia con gli affacci di altri importanti edifici pubblici e nell'intento di riunificare simbolicamente ideali civili e fede religiosa. Del progetto è incaricato Antonio di Vincenzo (attivo a Milano, Venezia e Firenze), cui viene affiancato il frate servita Andrea da Faenza. Le ipotesi ricostruttive del progetto originario sono tema di ricca discussione critica. Sembra che esso si sia basato sull’uso di un modulo quadrato, che la pianta dovesse misurare m 183 x 137 e che fosse previsto un transetto con cappelle. Forse i vincoli delle preesistenze determinano l’inconsueto orientamento (nord-sud) e l’inizio dei lavori dalla facciata; in dieci anni sono completate le prime due campate con le cappelle laterali. Morto Antonio di Vincenzo (1401-1402), seri contrasti fra potere civico e legato pontificio determinano la sospensione dei lavori per circa un ventennio. Tra 1419 e 1469 si realizzano altre tre campate. Nel frattempo (1430-50), si dedica grande attenzione e impegno finanziario al portale maggiore: Jacopo della Quercia lo ingloba nel basamento ideato da Antonio di Vincenzo, al quale continuavano a lavorare scultori toscani, veneziani e d’oltralpe. Si pavimenta la piazza Maggiore e vi si costruiscono un portico e un edificio porticato addossato alla basilica. Alla fine del Quattrocento si interviene con ulteriori opere nella zona meridionale (cappelle e campanile), completata nel 1515. Dal 1507 al 1524 i lavori sono diretti da Arduino Arriguzzi (sistemazione della facciata con spostamento del portale). Di questo periodo si conservano numerosi progetti (Arriguzzi, Peruzzi, Andrea da Formigine e altri), inattuati, e un modello ligneo. Nella proposta Arriguzzi la basilica avrebbe assunto dimensioni enormi (m 225 x 158) e la zona meridionale (transetto, presbiterio e coro) sarebbe stata caratterizzata da una grande cupola: è probabilmente a causa di necessità tecniche ad essa legate che la sesta campata è più profonda delle altre di circa un metro. Per la soluzione della facciata sono banditi un concorso (1513) e poi interpellati i più grandi architetti del tempo (Michelangelo, Peruzzi, Giulio Romano, Vignola, Tibaldi, Palladio), la maggior parte dei quali ne propone una interpretazione in termini «gotici». Nonostante lunghe e vivaci discussioni, la questione rimane insoluta e si ripropone (1539) un vecchio progetto di Domenico da Varignana, vicino alla concezione figurativa originaria; mentre nel 1563 la realizzazione dell’Archiginnasio lungo il fianco orientale della basilica pone fine al progetto Arriguzzi. Il problema della copertura della navata centrale, già affrontato dal Terribilia (1587-
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1589), verrà risolto con la soluzione di compromesso di Rainaldi (1640-60); si completano anche la testata meridionale e le zone terminali dell’attuale edificio. Il tema
della facciata si ripropone, ancora senza esito, alla metà del Settecento, nel 1887 e nel
1933 (proposte di completamento in stile). L'impianto planimetrico consiste in un corpo privo di transetto (m 132 x 58), costituito da tre navate di cinque campate, a pianta quadrata quelle della navata centrale (lato m 19) e a pianta rettangolare le laterali, cui si affiancano le cappelle. L'ultima campata della navata centrale, a pianta rettangolare, coincide con il presbiterio (con ampio ciborio). Le navate sono suddivise da grandi pilastri ottagonali con basi modulate da eleganti linee curve e capitelli a foglie, affini a quelli della cattedrale fiorentina. Lo spazio geometrizzato della pianta, basato sul sistema ad quadratum, si propone in altezza secondo lo schema ad triangulum. 11 sistema di copertura è a volte a crociera ogivali costolonate, la cui spinta è assorbita all’esterno dai contrafforti posti in corrispondenza dei muri divisori delle cappelle laterali. L’edificio attuale rispecchia la concezione spaziale di Antonio di Vincenzo, senza precedenti per la coerenza tra impianto ed alzato, e tra struttura e luminosità. Pur ispirato a modelli coevi (cattedrali di Milano, Firenze, Pavia e chie-
se degli ordini mendicanti a Venezia), in esso il superamento di schemi tipologici tradizionali, il senso delle proporzioni, la particolare sensibilità all’aspetto luce-colore (dovuto anche all’orientamento), ne fanno una tra le più grandiose e singolari creazioni del tardogotico italiano. M.L.N.
Como, S. ABBONDIO
La chiesa di S. Abbondio venne costruita sul sito di una basilica del V secolo, a navata unica con transetto sporgente, intitolata ai SS. Pietro e Paolo. La fabbrica paleocristiana, sede vescovile fino al 1007, passò poco dopo ai Benedettini, i quali, grazie anche a lasciti (del 1027 e del 1063), costruirono l’attuale edificio, consacrato il
3 giugno 1095. La chiesa, a cinque navate e con un coro molto profondo, rivela un accentuato verticalismo e una compatta volumetria d’influsso germanico e borgognone. La navata centrale presenta una prima campata voltata a crociera, suddivisa in alzato da una tribuna e delimitata da pilastri cruciformi; le altre cinque campate, ritmate da pilastri cilindrici con archi a pieno centro, sono coperte a tetto, secondo un modello ancora attardato rispetto alle coeve realizzazioni francesi. Pilastri cruciformi delimitano la navata centrale, per sostenere l’alta volta a crociera che copre la campata d’ingresso al coro. La zona presbiteriale, con due ampie campate quadrate e voltate, è conclusa da un’abside semicircolare, scandita da semicolonne che
si trasformano, in corrispondenza del catino, in nervature a sezione quadrata. Le doppie navatelle laterali, suddivise da colonne, sono composte da campate quadrate e coperte a tetto, da un vano voltato a crociera e da un’absidiola in spessore di muro, di tipo normanno. Una sapiente distribuzione delle finestre, concentrate nel-
la zona absidale, accentua, nella penombra delle navate, l’illuminazione del coro ed
esalta l’apparato decorativo interno, con i ricchi affreschi absidali, la sobria linearità cromatica dell’intonaco, i capitelli cubici e la pietra a vista dei pilastri, derivati dalla cultura figurativa germanica e dal modello di Tournus. La facciata evidenzia, con la linea spezzata del coronamento e la scansione verticale a larghe paraste, la suddivisione interna delle navate; la parete continua, in bassi conci calcarei, si conclude
con una partizione a colonnine e con archetti ciechi ed è animata al centro da un ric-
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co portale. La successione di archetti ciechi continua lungo i fianchi dell’edificio,
nella parte presbiteriale e nei campanili; il motivo formale è impreziosito dall’inserimento di triangoli in cotto, nella ricerca di una policromia «progettata» nel tempo, in quanto la pietra di Moltrasio, di colore grigio scuro, schiarisce negli anni. I campanili sono disposti lungo i due fianchi del presbiterio secondo uno schema di derivazione ottoniana frequente nella Germania meridionale (Augsburg, Spira,
Murbach). Nella zona absidale, ripartita da semicolonne verticali e da una cornice orizzontale con fregio a denti di sega, si concentra l'apparato decorativo esterno dell’edificio, con ampi finestroni posti su due livelli e delimitati da ricche cornici. In base alla muratura l’edificio è stato datato alla fine dell’XI secolo (Porter, Frankl); la
differente ricchezza dell’apparato scultoreo di navate e presbiterio e del portale fa ritenere quest’ultimo posteriore (Krautheimer); le due fasi possono essere rispettivamente datate al 1050-70 e al 1085 (Magni). Più tardo era lo scomparso portico antistante la facciata, costituito da un nartece a tre arcate al livello inferiore, dell’inizio del 1200, e da una sala superiore, detta Paradiso, del XIV secolo. Sempre al XIII e XIV secolo risalgono le decorazioni pittoriche interne. Il cardinal Giovanni Castiglioni fece demolire l’atrio della facciata (1570), mentre Giovanni Antonio Piotti da Vacallo costruì nuove volte a botte nella navata centrale e a crociera in quelle laterali e realizzò nuovi altari e finestrature a partire dal 1586. Le trasformazioni cinquecentesche sono state eliminate nel 1863-65 dal ripristino di Serafino Balestra, che ricostruì anche il campanile settentrionale, parzialmente crollato nel 1784.
DE
FIRENZE, SANTA CROCE
I Minori si insediarono stabilmente a Firenze nel luogo di Santa Croce, situato fuori le mura, in un periodo imprecisato, certamente non molto anteriore al 1228; è
possibile supporre che la chiesa fosse un edificio di modeste dimensioni, forse una cappella, costruita in epoca anteriore all’arrivo dei Francescani, e che i lavori intrapresi dai frati, ancora in corso nel 1252, fossero rivolti alla sua ristrutturazione. La
recente ripavimentazione dell’edificio attuale (1966) ha permesso di stabilire che la chiesa costruita intorno alla metà del XIII secolo era un edificio molto meno ampio dell’esistente, orientato come questo e probabilmente dotato di un transetto, sul quale si aprivano la cappella maggiore e due altre cappelle per parte, a terminazione piatta; solo nel 1295 si posava la prima pietra di un edificio concepito ex rovo. Tempi e modi di avanzamento di Santa Croce risultano perciò simili a quelli della domenicana S. Maria Novella e confermano la successione di più fasi nel processo di costruzione delle chiese degli ordini mendicanti: nel ventennio compreso tra gli anni Trenta e Cinquanta del Duecento le comunità religiose si dedicano, salvo rare eccezioni, al rifacimento di chiese preesistenti o all’erezione di primi modesti edifici; nella seconda metà del secolo si costruiscono ovunque impianti su vasta scala, ma le opere architettoniche a carattere monumentale prendono avvio nell’ultimo quarto o nei primi decenni del Trecento. Santa Croce fu iniziata dalle cappelle absidali e dal transetto, che in origine dovevano avere lo stesso impianto dell’ampia cripta sottostante. Nel corpo longitudinale gli archi delle sette campate, a sesto acuto, di oltre 11 m di luce, sono sostenuti
da pilastri ottagonali; sui muri alti della navata maggiore, ritmati da semplici lesene, corre, lungo tutto il perimetro del vano centrale, compreso il relativo tratto della pa-
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rete absidale, un ballatoio su mensole di pietra. Cinque cappelle per parte, a pianta rettangolare, voltate a crociera, fiancheggiano l’abside poligonale, coperta con una volta a spicchi, mentre il tetto su capriate in vista della navata maggiore si estende senza interruzione sino alla parete di fondo; le capriate hanno una luce di 19,80m
e poggiano su mensoloni posti a 32 m di altezza sul calpestio del corpo longitudi-
nale. Le navatelle, mediante archi trasversali alti circa 19 m, sono divise in «settori»,
ognuno dei quali ha un proprio tetto a due falde con colmo perpendicolare all’asse longitudinale. I frontespizi triangolari che sovrastano all’esterno itetti di queste, e il ballatoio interno contribuiscono alla stabilità dell’edificio, rispettivamente con un’azione di ulteriore carico e di irrigidimento; tale organizzazione statica è perfettamente coerente con i valori spaziali e figurativi dell’edificio, che restano estranei ai temi basati sull’impiego di archi rampanti e sull’esibizione di robusti contrafforti. La costruzione della cripta, delle cappelle e del transetto fu certamente portata a termine tra primo e secondo decennio del Trecento, quando furono iniziate anche le prime due campate ad oriente, per cui intorno al 1320 la chiesa era già agibile; nel 1341 risulta compiuta la terza campata, dove si elevava il «tramezzo» o pontile, destinato a isolare la parte riservata al culto da quella dove si raccoglievano i fedeli. La parte restante dell’edificio fu portata avanti con regolarità fino al 1378; seguì un’interruzione fino al 1383, ma nel 1384 era terminata la sesta campata e iniziata l’ultima, compiuta verso la fine del secolo. La chiesa fu solennemente consacrata solo nel 1443, in presenza del pontefice Eugenio IV. Pur essendo possibile riconoscere all’opera una sostanziale coerenza progettuale, i lunghi tempi di costruzione e l’avvicendarsi di architetti e maestranze sono rivelati da incongruenze costruttive e discontinuità linguistiche, che si riscontrano già nel corpo absidale, tra la cripta e il piano soprastante; pertanto al primo maestro, indicato da Vasari (1568) in Arnolfo di Cambio, potrebbe essere attribuito, oltre al progetto di massima dell’intero edificio, la realizzazione della cripta e della sola cappella maggiore. Arnolfiano comunque, secondo alcuni studiosi (Salmi, Romanini, Toker), è l’impianto spaziale: l’interno della chiesa è assimilabile a un ampio vano unico, per l'eccezionale larghezza della nave centrale rispetto alle laterali e per la disposizione dei pilastri, che offrono all’osservatore la possibilità di abbracciare con lo sguardo le pareti perimetrali attraverso le enormi arcate; il tema architettonico dello spazio «unito e crescente», comune, con esiti formali diversi, all’edilizia «men-
dicante» e alle chiese più rappresentative del Duecento-Trecento italiano (duomo di Orvieto, S. Maria del Fiore, e il più tardo S. Petronio di Bologna), è qui risolto nel grandioso volume della nave maggiore, che ha come parete di fondo la parte centrale del fronte absidale (associata da White a una «facciata interna», o da Salmi ad
un «enorme trittico»), e la cui unità è rimarcata dal percorso del ballatoio. Prescindendo dagli interventi quattrocenteschi relativi al convento e agli annessi (chiostri e Cappella dei Pazzi), le principali vicende successive possono essere così riassunte: nel 1566 fu demolito il tramezzo e rimosso il coro, con una totale risistemazione dell’assetto interno della chiesa; nel 1765 venne rifatta una parte del tet-
to, crollato a causa dello stato di abbandono dell’edificio (dopoché già nel 1512 un vasto tratto era stato sfondato dal crollo del campanile, colpito da un fulmine). La facciata e il nuovo campanile, di fondazione cinquecentesca, non vennero mai portati a termine: la prima fu eseguita su progetto di N. Matas tra il 1858 e il 1886, men-
tre il secondo, disegnato ex novo da G. Baccani nel 1845, costituisce un esempio di
«mimetismo stilistico».
G.V.
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FIRENZE, S. MARIA DEL FIORE
S. Maria del Fiore è l’edificio-simbolo di Firenze che alla fine del XIII secolo raggiunge la massima espansione territoriale, economica e demografica: le nuove esigenze impongono rinnovo e ampliamento dell’antica S. Reparata. Nella concezione del nuovo impianto, realizzato con apposite imposte comunali, sembra sia stato determinante il battistero, con il quale la nuova cattedrale stabilisce rapporti fisici di assialità e, forse, simbolici di forma. L’opera inizia nel 1296 (su progetto attribuito ad Arnolfo di Cambio) e, salvo per la facciata, termina circa due secoli dopo. Alla prima fase si deve la realizzazione parziale della facciata e parte della parete sud: documentazioni fedeli si hanno nell’affresco trecentesco del Bigallo e nel disegno cinquecentesco di Poccetti. Morto Arnolfo (1301 o 1310), i lavori sono sospesi per circa un ventennio e riprendono per iniziativa dell'Arte della Lana, con la costruzione del campanile (1334-59) sotto la direzione di Giotto (1334-37), di Andrea Pisano (1340-48) e poi di Francesco Talenti. Dopo il 1355 si torna a lavorare alla chiesa: si realizzano modelli lignei della parte absidale e del pilastro, mentre si susseguono diverse proposte di sviluppo delle opere. E probabile che nel periodo talentiano (1350-69) si dia corpo ad un nuovo progetto, più aderente alle mutate esigenze della città e al nuovo gusto: il corpo rettilineo della chiesa è esteso di 34 braccia (22 m) verso est, diminuendo i sostegni, e si realizza il sistema voltato, la cui altezza è stabilita in relazione a nuove necessità statiche dell'organismo, adottando il modulo
formale di 72 braccia (nel 1366 risultano eseguite due volte grandi, quattro piccole ed è iniziata la terza volta grande). Mentre procedono i lavori nel corpo rettilineo, si imposta la soluzione della zona absidale e della cupola: fino ad allora, problemi di disponibilità dell’area (le demolizioni proseguono fino al 1374), problemi formali e problemi statici ne avevano impedito la costruzione. Ad essa ci si dedica dal 136667, quando si decide di ampliarne il diametro da 62 a 72 braccia e l'altezza da 144 a 154, adeguando il progetto alle varianti eseguite nel corpo rettilineo: secondo la decisione di una commissione di otto esperti (Maestri Dipintori), cui ci si dovrà attenere fedelmente nella costruzione della chiesa e della cupola (ma nella versione quattrocentesca saranno apportate modifiche strutturali). Tra il 1368 e il 1436 la costruzione è conclusa con il completamento dei lavori alle navate, al tricoro, al tamburo
e alla cupola a otto vele. I complessi problemi costruttivi di quest’ultima sono segnati da una ricca successione di progetti fino all’attribuzione dell’incarico a Ghiberti e Brunelleschi (i due modelli, uno ligneo e l’altro in mattoni, sono del 1417-
18). Sarà poi la personalità del secondo a prevalere nell’ideazione e nella progettazione del suo «meccanismo» costruttivo, nella scelta dei materiali, nel dimensiona-
mento delle strutture e nell’introduzione dell'apparecchio murario detto a spirapesce. Terminata la grandiosa opera restano da realizzare le cosiddette Tribune Morte e la lanterna (che Brunelleschi consiglia di costruire con materiali pesanti, per ottenere maggiore stabilità della cupola), completata nella seconda metà del Quattrocento. La facciata sarà realizzata solo nel 1866 dal De Fabris in forme neogotiche. La reale portata del contributo di Arnolfo alla cattedrale è una delle questioni storiografiche più controverse e dibattute. E inconfutabile il suo ruolo di architetto fondatore del duomo, e sostenibile sul piano figurativo che a lui si debbano progetto e realizzazione parziale della facciata (distrutta nel 1587). L'ipotesi è stata però messa in discussione da recenti rilievi e dettagliate analisi delle murature (Rocchi), postdatando la facciata al periodo talentiano. Altrettanto complessa è la questione che riguarda l’impianto attuale del duomo, caratterizzato dall’innovativa soluzione della cupola. Alcuni studiosi ritengono il progetto originario difforme da quello realîz-
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zato (Kiesow, Kreytenberg); altri sostengono l’inesistenza di un progetto (Saalman); altri ancora che esso consistesse in un’edizione semplificata e ridotta dell’attuale (Tocker, Pietramellara, Romanini): ipotesi confermata da recenti scavi che in parte ribadiscono le ricostruzioni di Boito e Paatz. L'impianto tipologico composito è costituito dalla fusione di un organismo longitudinale di tipo basilicale (tre navate di quattro campate, la centrale pressoché doppia delle laterali) che si innesta in uno a pianta centrale (corpo ottagonale e triconco con cinque cappelle minori a pianta quadrata per ciascuna delle tre grandi esedre poligonali), costituente la parte absidale. Sulla genesi di questo organismo e sulle scelte del modello tipologico sono state fatte più ipotesi: emulazione degli esempi di Pisa e Siena, appoggio a riferimenti tardoantichi, giustinianei e federiciani (Bruschi). Ma altri sostengono l’originalità dello schema arnolfiano, visto come reinterpretazione «gotica» di temi dell’architettura imperiale romana. La sua chiara definizione geometrica è basata sulla ripetizione modulare, in pianta impostata sullo schema ad quadratum e in altezza su quello ad triangulum. Il corpo basilicale è coperto con un sistema di grandi volte a crociera ogivali, le cui spinte sono assorbite da contrafforti leggermente sporgenti e le arcate sostenute da corposi e articolati pilastri, i cui capitelli costituiranno modello per il S. Petronio di Bologna. Il sistema costruttivo-strutturale della cupola (geometricamente corrispondente a una volta a padiglione, con diametro pari alla larghezza delle tre navate) rappresenta un enigma non ancora totalmente risolto. Superate alcune ipotesi ricostruttive (Sanpaolesi), recenti e più attendibili studi (Di Pasquale, Gurrieri) chiariscono il funzionamento del sistema statico, unitario e continuo, concepito a doppia cupola (sezione scatolare resistente). La sua realizzazione sem-
bra sia stata regolata mediante l'esecuzione di modelli in scala, applicando la teoria delle proporzioni, e si sia basata su una tecnica costruttiva particolare che non prevedeva armature di sostegno: probabilmente è stata costruita come struttura di rotazione, con il solo impiego di centine «volanti», innalzandola gradualmente e utilizzando un apparecchio di forma-struttura in grado di rendere la costruzione perfettamente in equilibrio e autoportante in ciascun momento della realizzazione. Nella cultura europea l’idea della grande cupola su base ottagonale presentava notevoli caratteri innovativi, per la concezione statica, per la determinazione spazio-formale (anticipatrice di modelli rinascimentali), per l'ampiezza dimensionale e per la complessa organizzazione del cantiere. M.L.N.
MILANO, DUOMO
L'idea di costruire la nuova cattedrale nasce dalla convergenza di più interessi (politici, religiosi e popolari), nel generale riassetto del potere visconteo in Lombardia. Il duomo è costruito nel centro della città su un’area di antica importanza civica, dov'era l’antica S. Maria Maggiore, che ne determinerà l'orientamento e il modello di riferimento. I lavori iniziano nel 1386, partendo dall’abside e dal transetto: dal 1387 l'edificazione è affidata alla Veneranda Fabbrica del Duomo e i lavori sono minuziosamente documentati. Nella lunga durata della costruzione (cinque secoli), le articolate controversie di natura tecnica ed estetica comporteranno una successione di progettisti, consulenti e direttori di cantiere (stranieri e italiani). Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, cessati i contrasti iniziali, sotto la direzione di Matteo da Campione e Simone da Orsenigo, si consultano maestri campionesi, esperti
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francesi (al parigino Nicolas de Bonaventure è attribuito il progetto delle tre finestre posteriori del coro, mentre le proposte di Jean Mignot sono respinte), tecnici italiani (il bolognese Antonio di Vincenzo e il matematico ed esperto in artis geometriae Gabriele Stornaloco), costruttori e artisti boemi e germanici. Sono presenti Lasse d'Ungheria e Anechino de Alemania (modello in piombo). Nel 1391-92 Heinrich Parler III di Gmind imprime un «nuovo volto» al duomo (collabora alla definizione di questioni fondamentali, prepara il modello in legno dell’edificio ed esegue disegni di finestre con Giovannino de Grassi). Quanto stabilito in questi anni sarà vincolante per i lavori successivi. In questa fase costruttiva è chiara la ricerca di far confluire nell’impresa del duomo le variegate correnti artistiche e i diversi linguaggi sperimentati in Europa, in coincidenza con l’idea statale di propagandare e diffondere, da Milano, un gusto «internazionale» che corrispondesse agli interessi europei del ducato visconteo. Nel 1401 terminano le controversie sui principi teorici e sulla dottrina architettonica, incentrate sul dibattito fra ars e scierzia, e iproblemi costruttivi
si concentrano su scelte compositive, proporzionali e spaziali: si passa dal metodo «a quadrato» al «retto ordine del triangolo». La costruzione ha un primo compimento nel 1418, quando vecchia e nuova cattedrale si congiungono. I lavori procedono con la sistemazione dell’impianto generale, salvo l'interruzione nel periodo tra la fine del ducato visconteo e l'avvento di quello sforzesco (1450), quando l’edificio acquista un nuovo ruolo sulla sua piazza con la realizzazione delle tre campate necessarie per raccordarsi al filo della facciata. Il presbiterio è terminato nel 1457, i lavori al coro saranno ripresi nel 1514, mentre il tiburio, per il quale sono contattati esperti italiani (Leonardo, Bramante) e stranieri, trova soluzione dopo il 1459 con l’opera di Guiniforte Solari. Particolari accorgimenti tecnici consentiranno nel 1500 la realizzazione della cupola e l'impostazione della struttura della grande guglia (1774). Alla concezione spaziale del duomo sottende una forte geometrizzazione, non solo concettuale, e di essa ci è fornita l’immagine in tre disegni (basati sul progetto Stornaloco) di Cesare Cesariano. A lui si attribuiscono un progetto per la facciata e l’inizio del dibattito cinquecentesco su di essa, contemporaneo alle polemiche su quelle di S. Maria del Fiore e S. Petronio. Le problematiche affrontate riguardano essenzialmente il
«principio di conformità», in cui si alternano tendenze legate ad una «costante gotica» e linee di sviluppo contrapposte, sostenitrici di una maniera «romana». Pur approvato un progetto di facciata nella seconda metà del Cinquecento (Tibaldi), questa sarà completata insieme ad altre parti dell’edificio solo nel XIX secolo, secondo stilemi neogotici. La pianta è a croce latina, con cinque navate (la centrale doppia delle laterali), transetto aggettante (tre navate), coro poligonale e deambulatorio. L’intero progetto è basato su un sistema modulare, in pianta articolato su una griglia quadrata e in alzato sullo schema ad triangulum: l'altezza degradante delle navate dal centro ai muri perimetrali, come tramandato da un disegno di Antonio di Vincenzo, raggiunge la massima verticalità nella torre-lanterna nel capocroce. Il duomo riassume aspirazioni e contraddizioni di diverse mentalità, ma non rinuncia all’originario impianto di tradizione nordica. Il suo carattere emblematico, legato a programmi di massima estensione spaziale e complessità formale, lo rende estraneo sia alla tradizione costruttiva italiana sia alle tendenze del gotico fiammeggiante. Sul piano iconografico si riscontrano analogie sia con le cattedrali tedesche di Strasburgo (corpo absidale, crociere, innesto della cupola sulle gallerie) e di Colonia, sia con quelle francesi di Chartres, Reims, Amiens (archi rampanti a doppio arco e doppio contrafforte con torrette e pinnacoli) e con quelle inglesi (trama decorativa delle facciate). Ma la corposità ed il ritmo serrato dei pilastri (a sezione ottagonale, con naturalistiche modanature agli spigoli) allontanano il duomo milanese da questi esempi; l’inven-
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zione degli inconsueti capitelli a edicola, citazione nordica attribuita a Giovannino de Grassi (ma realizzati nel tempo ed in più riprese), sviluppa il suggerimento plastico dei pilastri, divenendo il simbolo dell’originalità di questo edificio. M.L.N.
MILANO, S. AMBROGIO
L’attuale edificio sorge al posto della Basilica mzartyrum, consacrata dal vescovo Ambrogio nel 386, cui appartengono diversi elementi di reimpiego come le colonne porfiretiche del ciborio. Nel 784 l’arcivescovo Pietro fondò un nuovo cenobio benedettino e nel 789 ottenne l’affidamento della basilica. Il Capitolo, che conservò i diritti sulla chiesa, continuò ad occuparsi della fabbrica: l'arcivescovo Angilberto (824-859) commissionò all’orafo Wolvinius la realizzazione dell’altare in argento cesellato, ancora esistente, e il suo successore Ansperto (868-881) costruì un atrio, or-
mai scomparso ma testimoniato da un’epigrafe dell’882. L'ingresso dei Benedettini determinò presumibilmente la ricostruzione del presbiterio, completata nell’VIIIIX secolo con la disposizione dell’altare e la ripresa dei mosaici absidali. Le murature originarie vennero arretrate e la quota pavimentale fu innalzata per creare una cripta (Reggiori). Le navate dell’edificio paleocristiano, ancora in uso nel 1067, vennero sostituite probabilmente a partire dal 1080; le nuove strutture, già in parte edificate nel 1093, furono coperte con volte dopo il 1117 (Conant). Fra XI ed il XI
secolo si costruirono l’atrio (ca. 1093-1128) e il campanile dei Canonici (fra il secondo ed il terzo quarto del 1100), a nord della facciata, in posizione simmetrica ri-
spetto al campanile dei Monaci del IX secolo. Nel 1196 la volta dell’ultima campata della nave centrale crollò, danneggiando la zona presbiteriale; seguirono il consolidamento delle arcate e la ricostruzione di due nuove volte a crociera al posto di quella quadrata precedente. La chiesa ha tre ampie campate quadrate nella navata centrale e sei campate nelle navatelle e nelle tribune superiori; di conseguenza, i sostegni sono alternati. I pilastri maggiori s’innalzano fino a congiungersi, alla quota dei matronei, alle nervature delle volte a crociera della navata centrale, mentre gli archi
d'imposta delle volte circoscrivono la duplice arcatura longitudinale delle navatelle e delle gallerie. Le ampie superfici intonacate delle coperture, spartite da pesanti nervature in pietra, accentuano il senso di dilatazione dell'ambiente centrale; tale interpretazione che, per tale aspetto, risente ancora della matrice paleocristiana condizionerà diversi edifici romanici dell’alta Italia come, ad esempio, il S. Sigismondo
a Rivolta d'Adda. La presenza di matronei alti quanto la navata ha impedito l’apertura di un claristorio; l’illuminazione degli ambienti viene così demandata alle finestre dell'abside, del tiburio e della facciata. La zona presbiteriale è coperta da una cupola ad otto spicchi su pennacchi a tromba; la somiglianza dei pilastri di sostegno con quelli del resto della navata fa ritenere che il progetto iniziale prevedesse una chiusura con volta a crociera, sostituita da una copertura lignea durante la costruzione e poi sopraelevata (Reggiori). La compresenza di materiali diversi, tipicamente lombarda, adempie ad una funzione decorativa, assieme ai capitelli e alle basi dei pilastri, al mosaico absidale e agli intonaci affrescati. Conci di ceppo grosso, di un granito denominato serizzo, di calcare bianco d’Angera e di marmo di recupero appaiono nei fusti dei pilastri maggiori e negli arconi; le murature e i pilastri delle gallerie superiori sono perlopiù in mattoni rossi. La facciata ha un profilo a capanna,
perforato su due livelli da cinque arcate su pilastri, ed affiancato alle due estremità
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dai due campanili; il suo disegno a «schermo», inciso in profondità dalle arcate su pilastri e disegnato in superficie da semicolonnine su paraste e da cornici ad archetti,
è all'origine del tipo lombardo più diffuso fino al XIV-XV secolo. La partizione dell'ordine inferiore scandisce anche gli altri tre bracci che racchiudono un atrio rettangolare allungato, d’ispirazione paleocristiana e renana. I fianchi, il tiburio e il presbiterio, in mattoni, hanno un coronamento «lombardo» a doppie arcatelle, ripartite in gruppi di tre da lesene verticali nell'abside. Dopo la realizzazione del convento cinquecentesco e di cappelle, la fabbrica è stata consolidata e parzialmente reintegrata da parte di Francesco Maria Richino (1630), di Giovanni Domenico Richino e del Quadrio. La sistemazione della cripta risale al 1740. A partire dal 1857, Francesco Maria Rossi sostituì il pavimento (1813),
eliminò la doppia crociera rettangolare sulla terza costruì l’absidiola destra e completò il campanile no della zona presbiteriale ed il consolidamento guerra risalgono ai primi cinquant’anni di questo
campata della navata centrale, ridei Canonici. L'isolamento esterdelle strutture danneggiate dalla secolo. DE
MODENA, DUOMO
Il duomo di Modena venne iniziato sul sito dell’antica cattedrale nel 1099 su progetto di Lanfranco, definito «mirabilis artifex, mirificus edificator» nella Relatio translationis corporis Sancti Geminiani. L’arca con le reliquie del santo venne traslata nel 1106, ma la consacrazione della cattedrale avvenne solo nel 1184. I lavori di-
retti da Lanfranco dovettero iniziare dalle absidi e dalla cripta, seguiti a breve distanza dall’erezione della facciata. Tra le due parti venne realizzato il corpo longitudinale che si raccordò da ultimo alla zona absidale; cosa che sembra giustificare la contrazione dell’interasse che scandisce l’esterno nella probabile zona di congiunzione. Questo adattamento non deve però far escludere una ricerca di regole proporzionali. Ad esempio, il rettangolo del corpo di fabbrica (absidi escluse) sembrerebbe regolato da un rapporto in cui il lato maggiore è pari al lato minore sommato alla diagonale del proprio quadrato (a = b + bv2). L'organismo è a tre navate terminate da absidi, originariamente senza transetto,
e modulato in pianta da cin-
que quadrati per la navata maggiore e dieci di metà lato per le minori. La navata cen-
trale presenta un sistema alternato di sostegni maggiori e minori, inserito in un am-
bito d’elaborazione di ampia diffusione, come mostra la somiglianza con l’articola-
zione di Notre-Dame a Jumièges. I sostegni maggiori della navata terminavano in arconi trasversali che sorreggevano le capriate di un tetto ligneo, o più probabilmen-
te le travi di un soffitto piano, mentre le navi minori presentavano, in rispondenza degli arconi, diaframmi murari bucati da ampie bifore a sorreggere gli spioventi del tetto. Questo tipo di copertura sembra riecheggiare una spazialità basilicale paleocristiana, e un altro elemento confacente a tale modello è il sostegno minore, che as-
sume le forme di una compiuta colonna con capitello corinzio. Se la copertura lignea sorretta da arconi trasversali ha un indubbio precedente nella chiesa di S. Maria Maggiore a Lomello, è nel S. Miniato al Monte a Firenze che tale soluzione si esprime in una coerente sintassi volumetrica, unita all’uso di elementi classici. Partendo da tale riferimento, Lanfranco sembra istituire un’inedita sintesi tra un lessico pienamente romanico ed elementi di spazialità protocristiana, traducendo il sistema della campata in un linguaggio di volumi nettamente scanditi, svincolato dal
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meccanismo statico funzionale alla volta a crociera. Altro elemento di spicco è la presenza del falso matroneo, che si apre sulla navata centrale con un motivo di trifore racchiuse da un arco cieco maggiore. La terminazione del duomo è interamente occupata dalla cripta, posta ad una quota poco ribassata, con una forte sopraelevazione della parte presbiteriale. All'esterno viene adottato un tipo di facciata a salienti, già presente in S. Abbondio a Como, che denunzia le differenti altezze delle navate, oltre che la loro ampiezza. La facciata presenta un protiro nell’ingresso centrale
e una galleria orizzontale ritmata sul motivo della trifora racchiusa dall’arco maggiore, qui raccordato a slanciate semicolonne che partono da terra. Questa articolazione è presente in tutti i prospetti esterni, comprese le tre absidi. In tal modo si istituisce un legame con le consimili finestre dei matronei all’interno, rafforzando la coerenza dell’organismo, intesa non come meccanica corrispondenza, dato che i fianchi esterni sono suddivisi in quindici interassi in rispondenza delle dieci campate delle navate minori, ma come complesso sistema di assonanze formali. Inoltre con il potente scavo chiaroscurale delle trifore, l’articolazione dell’esterno assume una rilevanza inedita, quasi la traduzione sul piano-facciata della scansione volumetrica delle campate. La conduzione della fabbrica passò dal 1190 circa ad Anselmo da Campione e poi ai suoi eredi, attivi fino ai primi del XIV secolo, con sostanziali modifiche. Tra i primi lavori figurano la realizzazione del pontile, forse a rimpiazzare un pontile con le lastre scolpite da Wiligelmo, in tal caso poste in facciata in un secondo momento, e la sopraelevazione delle ultime campate delle navate laterali, a
segnalare in alzato un transetto non previsto in origine. Sempre a partire dalla fine del XII secolo, in facciata vennero aggiunti due ingressi minori laterali e un grande rosone sopra il protiro, rafforzando l'indicazione verticale dei contrafforti con torricini ottagonali, replicati anche sul lato opposto a inquadrare l’abside. Attorno al 1220 venne realizzata nel fianco sud la Porta Regia. La Ghirlandina, la monumentale torre campanaria iniziata su progetto di Lanfranco, venne completata dai Campionesi con l’ultimo piano e la guglia, terminata nel 1319. Una sostanziale alterazione del progetto originario si ebbe poi alla metà del XV secolo, sostituendo le co-
perture lisnee con volte a crociera a sesto acuto.
AR.
MONREALE, DUOMO DI S. MARIA ASSUNTA
Fondazione reale istituita nel tardo secolo XII da Guglielmo II, quale affermazione simbolica e tangibile della dignità e della potenza nuovamente assunti dalla dinastia normanna in Sicilia, il complesso sorse su una terrazza naturale a breve distanza da Palermo, successivamente denominata Monte Reale. L’ambizione di erigere un grande tempio dinastico si risolse nell'adozione dello schema «classico» della chiesa collegata al palazzo dei principi. Il fallimento del tentativo condotto in tal senso da Ruggero II, l'eccessiva vicinanza con la capitale del regno, già sede di arcivescovado, e la scala monumentale dell'intervento resero necessaria l’attuazione di
una politica accorta e sottomessa alla Chiesa romana, al fine di ottenere la necessaria dispensa papale. A tale esigenza di equilibrio tra i due poteri, spirituale e temporale, corrispose nell'impianto generale l'inserimento dell’abbazia, in posizione opposta al palazzo reale, ovvero il bilanciamento dei due corpi di fabbrica rispetto alla chiesa centrale. Il fronte est, caratterizzato dal prospetto continuo degli edifici affacciati sul pendìo, in direzione di Palermo, divenne la facciata ufficiale del com-
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plesso. L'ingente quantità di maestranze e mezzi economici impiegati nell'opera da Gugliemo II, fin dal momento della sua ascesa al trono (1174), contrassero fortemente i tempi dell’intervento, facendo sì che alla morte del re, avvenuta prematura-
mente nel 1189, la fabbrica poteva considerarsi quasi conclusa: rimanevano incompiuti parte dei cicli musivi che ricoprivano le pareti interne, la pavimentazione della navata e la sistemazione delle coperture lignee. Dopo un periodo di stasi seguì la parziale ripresa dei lavori e la definitiva consacrazione del tempio nel 1276. La lunga serie degli interventi attuati tra la fine del secolo XV e la seconda metà del secolo XIX provocò la graduale alterazione dei rapporti reciproci tra i singoli elementi del complesso, la trasformazione e la distruzione di parte dei corpi di fabbrica del palazzo reale e dell’abbazia, l'introduzione di costruzioni aggiunte ed estranee al-
l’impianto romanico del duomo (cappelle) e la perdita dell’arredo liturgico; ma rispetto alle altre parti del complesso il duomo ha subito cambiamenti meno radicali, riuscendo a conservare inalterate la struttura e la decorazione originarie. Gli in-
terventi più importanti sono la realizzazione del portico d’accesso al lato nord (1547), seguita dal completamento della messa in opera del pavimento con tarsìe policrome della navata ancora mancante (1570); la demolizione delle installazioni li-
turgiche dell’edificio romanico (1658) e la costruzione delle cappelle laterali (secoli XVI-XVII) già ricordate; la ricostruzione del portico a tre arcate sulla facciata principale (1770). Nel 1807 crollò la cuspide del campanile settentrionale, mai più ricostruita; l’incendio divampato nel 1811 rese necessaria una lunga campagna di restauri riguardante prevalentemente il corpo presbiteriale. L'ultimo intervento (1954) è stato rivolto al «ripristino» del paramento murario originario e al restauro di elementi isolati della decorazione del duomo e dell’annesso chiostro. L'impianto della chiesa si compone di tre corpi allineati lungo l’asse principale: facciata con portico, fiancheggiato da robuste torri quadrate, corpo longitudinale a tre navate; corpo presbiteriale tripartito e profondo; in questa parte un’ulteriore partizione e differenziazione degli spazi è ottenuta con l’introduzione di arcate longitudinali e trasversali e con la diversa quota delle coperture. L'organizzazione gerarchica degli elementi e la tensione dell’edificio verso l’abside, si manifesta proprio nel graduale innalzamento delle altezze e nell’intensificarsi ed arricchirsi degli elementi architettonici e decorativi. Colonne e capitelli corinzi e compositi figurati provengono dallo spoglio di antichi monumenti. Risultato della contaminazione con motivi islamici è il profilo acuto delle arcate della navata, impostate su alti piedritti, e degli archi ciechi (vere e proprie membrature architettoniche policrome) che decorano le pareti esterne. Il duomo presenta la più estesa decorazione musiva conosciuta dopo quella di S. Sofia a Costantinopoli (6430 mq di superficie coperta). Nel grande chiostro, che adotta una pianta perfettamente quadrata, l'ordine semplice e regolare è determinato dal succedersi delle 104 arcate tutte uguali e delle 228 colonne binate. Alla ricchezza dei capitelli si aggiunge la varietà dei fusti delle colonne, semplici o arricchiti da fasce intarsiate con tessere policrome, con andamento a spirale o a zig-zag.
IÈSÌ
PARMA, CATTEDRALE
Ubicato presso il sito della cattedrale del V secolo, il duomo di Parma venne iniziato a partire dal 1190 circa. La data della consacrazione, celebrata nel 1106, può preindicare l'avvenuta realizzazione di strutture essenziali quali la cripta e la parte
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sbiteriale, ma i lavori risultano completati solo entro il 1130. Indagini archeologiche hanno accertato che la fabbrica venne realizzata in maniera sostanzialmente unitaria in quest’arco di tempo, anche tenendo conto di eventuali danni causati dal terremoto del 1117. Si può quindi valutare come esito di un’unica concezione anche la principale caratteristica dell’impianto, ossia la dialettica tra il corpo longitudinale a tre navate e la parte terminale, un organismo centralizzante articolato con moduli quadrati e absidati posti ai tre lati della crociera, segnalata da un basso tiburio. La zona del coro ha un’abside di dimensioni maggiori, mentre le campate laterali presentano sia absidi terminali, che rafforzano la centralità dell’episodio, sia absidi parallele a quella maggiore, che riflettono l'orientamento longitudinale dell’organismo. La cripta si estende per tutta questa zona e in un primo tempo vi si doveva
accedere dalle navate scendendo per una scalinata ampia quanto il corpo longitudinale. È possibile che la parte terminale si rifacesse a precedenti quali la chiesa ambrosiana degli Apostoli di Milano, rinnovata dopo il 1075 con tre ampie absidi; soluzione in parte ripresa nel S. Giacomo a Como. La navata centrale si presenta con un'alternanza di sostegni polistili maggiori e minori, su cui si impiantava originariamente una copertura lignea, probabilmente a capriate sorrette da archi trasversali. Le pareti della navata sono animate dalle quadrifore d’affaccio dei matronei e da una fila di finestre superiori. La combinazione di un’articolazione alternata con una copertura lignea e l’uso degli archi trasversali ricordano, pur se con minor coerenza, la soluzione approntata da Lanfranco nel duomo di Modena. La facciata a capanna, dall’armoniosa configurazione inscrivibile entro un quadrato perfetto, presenta una galleria superiore che segna gli spioventi, come nel S. Michele a Pavia, ed è ulteriormente alleggerita da due file orizzontali di trifore. Nei lavori intrapresi tra il 1170 e il 1180, probabilmente con il contributo di Benedetto Antelami, viene inserita una
scala mediana tra il corpo longitudinale e la parte presbiteriale: è questo il primo di una serie di interventi che tendono gradualmente a escludere la cripta dal trasparente gioco di spazi e dislivelli originario. A partire da questi anni vengono voltati i
matronei, prima coperti dal tetto delle navate laterali, e la navata centrale, con volte a crociera a pianta rettangolare non congruenti con il ritmo alterno dei sostegni,
e viene rialzato il tiburio. All'esterno, a partire dal XIII secolo, il corpo longitudinale viene progressivamente occultato dalle cappelle laterali. Nel XV secolo vengono costruite due grandi cappelle poi attate a sagrestie a ridosso dei lati del coro, che celano in parte il potente gioco volumetrico della zona terminale. In facciata le modifiche più significative si devono a maestranze campionesi: il nuovo protiro del
1281 si raccorda con un secondo livello e con il rosone, trasformato in una bucatura arcata, imprimendo un'’assialità verticale alla spaziata fronte; tra il 1284 e il 1294
viene poi realizzato uno dei due grandi campanili previsti ad inquadrare la facciata. AR.
PAVIA, S. MICHELE
La chiesa di S. Michele, denominata Maggiore nel 902, presenta notevoli problemi di datazione. L'edificio viene citato spesso dal 642 al 1155 come sede dell’incoronazione dei re d’Italia, ma non esistono dati certi sull’epoca di costruzio ne e sul-
le modifiche subite in periodo medievale. Il primo riferimento all’architettura, relativo all’altare maggiore in legno scolpito, risale al 1383. Di difficile datazion e sono la stessa struttura muraria, realizzata con arenaria e mattoni, e il prezioso apparato
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scultoreo esterno, molto degradato. Le diverse ipotesi concordano con l’attribuire la fabbrica ad un progetto unitario e ad un cantiere di ricostruzione condotto fra il 1004 ed il 1155. Questo ampio intervallo cronologico viene spesso ridotto agli anni fra il 1120 ed il 1150, successivi cioè al grande terremoto del 1117; l’eterogeneità costruttiva segnalerebbe una ricostruzione, effettuata, con il reimpiego di materiale antico, nel terzo decennio del XII secolo.
S. Michele presenta tre navate ed un ampio transetto sporgente con coro ed abside semicircolare rialzati per la presenza di una cripta. La successione alternata dei pilastri verticali polistili grandi e piccoli sottolinea l'imposta della copertura delle due più ampie campate centrali e delle quattro corrispondenti volte a vela delle due navatelle. Tale motivo e la presenza di matronei al di sopra delle navate laterali rimandano a S. Ambrogio, ma la minore lunghezza delle navate e, soprattutto, il pro-
lungamento delle pareti al di sopra delle arcate delle gallerie accentuano la verticalità della struttura maggiore rispetto alla fabbrica milanese. Tale innalzamento, che ha consentito la disposizione di un claristorio lungo le pareti della navata (poi oscurato), ricorda esempi francesi (Saint-Etienne a Nevers) ed inglesi (cattedrale di Durham). La copertura della navata centrale, rifatta da Jacopo di Candia fra il 1488 ed il 1491 con una coppia di crociere rettangolari su ognuna delle due campate della navata, sostituisce per alcuni una volta a crociera singola e piuttosto depressa (De Dartein) e per altri una cupola, secondo una disposizione propria del modello aquitano (Sanpaolesi). L'architettura di S. Michele è contraddistinta da una sensibile irregolarità delle murature (transetto inclinato rispetto la navata, pilastri non pertfettamente allineati), dalla plastica dei capitelli e dalla cromia dei materiali (la pietra è prevalente nelle parti decorate, nelle basi e nei pilieri, mentre i tratti murari pieni sono in laterizio). L'illuminazione proviene dalle tre finestre absidali, dal tiburio, dalla facciata e, in misura minore, dai matronei. L'accesso ai matronei e il percorrimento
dell’intera struttura in quota sono consentiti da scale e da un sistema di corridoi creati nello spessore delle pareti. La facciata principale, tipicamente lombarda, ha un profilo a capanna, tripartito da alte lesene a fascio prive di capitelli e cornice. La parete è incisa da tre portali e da piccole finestre di forma diversa, raggruppate nel tratto centrale, ed è coronata da una galleria obliqua e scalare; la superficie muraria è arricchita da bassorilievi e da piatti di maiolica colorata. Le pareti laterali, scandite da contrafforti, culminano nelle testate del transetto (quella settentrionale con portale strombato); una loggia a bifore corona il fronte absidale, scandito da colonnine e fasci di semicolonne. I volumi esterni dell’edificio sono coronati dalla plastica del tiburio ottagono, con loggia sormontata da archetti. La doppia coppia di cappelle nella seconda e terza campata delle navatelle è rinascimentale, mentre la cripta venne trasformata nel 1612-14. L'edificio fra il 1800 ed il 1876 subì un radicale restauro ad opera dei fratelli Dell’Acqua, con il ripristino della finestratura antica, la ricostruzione di una volta interna e il completamento del campanile. DIP
PISA, DUOMO,
CAMPANILE,
BATTISTERO
I tre monumenti, duomo, campanile, battistero, e con essi la piazza (quest’ulti-
ma realizzata fra l'XI ed il XIV secolo), rappresentano parti di un insieme unitario, malgrado i diversi artisti coinvolti nei lavori e i tempi diversi d’esecuzione. Nel 1064 furono iniziati i lavori per la costruzione della cattedrale nell’area dove sorgeva l’an-
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tica chiesa episcopale di S. Maria (documentata fin dall'VIII secolo) ; tali lavori sono attribuiti a Buscheto, il quale seguì la costruzione fino al 1110 realizzando la navata (meno le prime tre arcate), il transetto e la cupola, originariamente estradossata secondo modelli arabi e persiani. A partire dal 1120 circa furono realizzati il prolungamento del corpo della navata e la nuova facciata, ad opera di Rainaldo edi maestro Guglielmo, presenti nel cantiere della fabbrica, rispettivamente fra il 1120 ed il 1125 circa il primo, e fra il 1130 ed il 1170 il secondo. L'opera fu forse attuata a seguito della distruzione dell’antica chiesa di S. Maria e della conseguente creazione di un’area libera prospiciente il nuovo duomo. Alla fine del XIV secolo furono realizzati alcuni lavori alla cupola, consistenti nell’aggiunta di una loggia a edicole cuspidate, poggiata su una serie di otto arcate cieche che nascondono, rivestendolo, il tamburo originario. Questo intervento fu eseguito per ragioni statiche e di consolidamento, fra il 1385 ed oltre il 1389, da Puccio di Landuccio, Zibellino da Bologna
e Lupo di Gante. Nella sua configurazione originaria il duomo era contraddistinto da un impianto planimetrico di tipo basilicale: corpo longitudinale a cinque navate, transetto sporgente a tre navate con absidi sulle due testate ed abside orientale più grande a terminazione di un profondo coro. Quattro pilastri individuano il vano rettangolare sul quale si imposta la cupola ellittica, su pennacchi doppi trasformati in pennacchi sferici nel XVII secolo. L’interno è caratterizzato dalla successione di alte colonne monolitiche di granito grigio della navata, con basi attiche e con capitelli corinzi portanti una serie di arcate a tutto sesto. I capitelli delle campate aggiunte da Rainaldo e Guglielmo si differenziano da quelli buschetiani per la maggiore complessità. Una cornice orizzontale segna il passaggio dalle arcate inferiori alla zona del matroneo, costituito da bifore su colonne sottese ad archi a tutto sesto, intervallate
da pilastri cruciformi; al di sopra di questo piano una serie di finestre si apre su ambebue i fianchi della navata centrale. Quanto al materiale da costruzione utilizzato,
esso risulta raramente di recupero: le murature, prevalentemente in blocchi squadrati a filari d’altezza non costante, e le sculture, risalenti all'XI e XII secolo, sono
di marmo, proveniente dalle cave della città, di calcare della Verruca (paramenti delle pareti) e di tufo di Livorno (riempimento a getto delle stesse pareti); le colonne monolitiche della navata sono di granito grigio proveniente dalle cave dell’isola d’Elba, di quella del Giglio e dalla Sardegna (solo alcune colonne sono di spolio); il laterizio è presente solo nella cupola, rivestita di lastre di piombo, così come il resto dei tetti della fabbrica. Poco si conosce dell’originaria finitura delle superfici interne della chiesa, della quale sussistono solo alcune tracce di pittura a fresco sull’arcone centrale e nel catino absidale. L'effetto luminoso dell’interno risulta ridotto a seguito della realizzazione del tamburo trecentesco della cupola, che ha occultato le
finestre poste alla sua base, e della costruzione, dopo l'incendio del 1595, di due am-
bienti adibiti a sacrestia presso il coro, che portarono alla chiusura delle due finestre sul fondo delle navatelle laterali. All'esterno i fianchi ripetono la partizione interna di tre ordini sovrapposti: arcate cieche con decorazioni a rombi e cerchi; lesene con ritmo più serrato corrispondenti ai matronei; infine, con ritmo ancora diverso, arcate a tutto sesto su colonnette. L'abside è contraddistinta da una variante, per l’inserimento di due sovrapposte loggette, una ad arcata e la seconda architravata. La facciata, opera di Rainaldo e Guglielmo (1120-70) si articola nella successione di arcate cieche di diversa ampiezza che permette l’inserimento dei portali; gli ordini superiori sono contraddistinti da quattro serie di loggette praticabili, separate da cornici decorate con intarsi marmorei. Gli elementi scultorei permettono di riconoscere l’opera di almeno due diverse maestranze, la prima corrispondente al primo livello (Rainaldo), l’altra relativa alla parte superiore (Guglielmo). Il battistero fu
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fondato, in asse con il duomo, nel 1152 da Diotisalvi; i lavori proseguirono con l’erezione, nel 1164, delle colonne interne, fino al compimento dell’intera fabbrica negli anni che seguirono. Nella seconda metà del XIII secolo fu realizzata, sul pro-
spetto esterno, una galleria con pinnacoli e cuspidi sotto la direzione di Nicola Pisano, poi coadiuvato da Giovanni Pisano; alla fine del secolo furono erette le volte
sulla galleria interna. Il battistero ha pianta circolare ed è costituito da un vano centrale e da un deambulatorio con galleria superiore (matroneo). Il vano centrale è coperto da un cono chiuso da un cupolino, in origine visibile anche all’esterno dell’edificio, sul modello del S. Sepolcro di Pisa, opera dello stesso Diotisalvi, a pianta ottagonale e cupola a spicchi inclusa entro un tetto piramidale; nella seconda metà del XIV secolo fu intrapresa la costruzione di una cupola che coprì parte del cono. Fra il 1358 ed il 1384 fu realizzato il tamburo di base, per la realizzazione del quale furono rialzate le volte del matroneo; il lavoro fu compiuto sotto la direzione di maestro Cellino di Nese e con il contributo di Zibellino da Bologna. La costruzione del campanile fu iniziata nel 1174 su progetto di Bonanno; la sua realizzazione seguì il progetto originario tranne che per l’altezza, limitata a quella attuale a causa dei dissesti statici, da attribuirsi alla natura alluvionale del terreno di
fondazione, composto di argille e sabbia e percorso da una falda freatica. I lavori, iniziati, come s'è detto, nel 1174, furono sospesi per l'insorgere dei primi evidenti segni di dissesto nel 1185 (la fabbrica era giunta a circa metà del terzo livello): la costruzione venne ripresa nel 1274; i nuovi livelli furono allineati rispetto al piano orizzontale, generando una curvatura dell’asse geometrico della torre opposta all’inclinazione per dissesto. Alla metà del XIV secolo Tommaso Pisano costruì la cella campanaria, di diametro inferiore rispetto agli anelli inferiori, riportando in orizzontale il piano d’appoggio, con un'ulteriore deviazione dell’asse geometrico: evidentemente il cedimento si era ripetuto e forse la realizzazione della cella coincise con una nuova fase di stabilizzazione del fenomeno. Nel tempo l’inclinazione della torre dovette progressivamente assestarsi e, forse, annullarsi, fino ai lavori di sterro eseguiti negli anni 1838-39, che provocarono un'alterazione della falda freatica ed un conseguente nuovo cedimento. La struttura della torre è articolata lungo un percorso ascensionale collegato ai sette livelli costituiti dalle loggette e dalla cella campanaria: ha pianta circolare e presenta, al livello inferiore, una successione di arcate cieche su semicolonne, in ripresa del motivo ugualmente adottato alla base del duomo e del battistero, mentre ai livelli superiori è costituita da ordini sovrapposti di loggette separate da cornici sagomate; la cella campanaria è infine decorata da una serie di arcatelle poggianti su mensole e su colonnine. DIES
TODI, S. FORTUNATO
La chiesa francescana di S. Fortunato (con annesso convento e chiostro) occupa grande rilievo nella città ed è realizzata per iniziativa del cardinale Matteo d’Acquasparta (francescano formatosi nel clima cosmopolita dell’università di Parigi) sul luogo di una precedente chiesa, in relazione ad un generale riassetto urbano. Edifi-
cata in più fasi su un progetto unitario, è completata in circa due secoli. I lavori, iniziati nel 1292, procedono senza interruzioni fino al 1303 e più lentamente nei due decenni successivi, con la costruzione del corpo absidale al posto dell’antica chiesa vallombrosana e del coro. Nel 1323 è presente in cantiere il magister Laurentius e
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Appendice. Schede
agli anni successivi risalgono la costruzione del campanile (1327-28) e le prime sistemazioni esterne (1339); tre anni dopo termina la metà posteriore della chiesa (comprendente due campate e mezzo e otto cappelle), copertaa tetto su archi e pilastri. Dopo una lunga sospensione, i lavori riprendono all’inizio del Quattrocento: l’ultimo ampliamento, iniziato nel 1405-1407 per volere del Vescovo Guglielmo de Calvi, riguarda l’inizio di costruzione del nuovo muro di facciata e poi di quelli la-
terali (tra 1414 e 1458 collabora alla fabbrica Giovanni di Santuccio). Nel 1453 è
completata la terza campata, mentre la quarta si può considerare conclusa al momento della demolizione del muro provvisorio (1461). Alla stessa fase costruttiva risalgono nuovi lavori alla facciata principale, con l’inserimento dei tre portali (14201436), probabilmente rispettando un progetto precedente, creduto del Maitani, ma secondo recenti studi (Grondona) non a lui attribuibile, data la sua limitata e parziale presenza in cantiere. Nel 1418 Jacopo della Quercia è consulente per alcune decisioni riguardanti la facciata. Tra 1457 e 1465 (dirige il cantiere Bartolomeo di Mattiolo da Torgiano) sono realizzati ulteriori lavori alle strutture periferiche e di sostituzione del tetto con le crociere costolonate, a sesto rialzato e poggiate su pilastri polistili. Alla facciata si lavora ancora nel XVI secolo (completamento in stile con uso di materiale di spoglio d’età romanica), quando si portano avanti le sistemazioni esterne, terminate nel XTX secolo (C. Bazzani), mentre i progetti per la facciata proposti nel XX secolo non avranno esito. L'impianto chiesastico è a sala (Ha/lenkirche), unico episodio francescano di questo tipo nell’Italia centrale, con tre navate (la centrale doppia delle laterali) di quattro campate ciascuna, senza transetto. Le dimensioni dell’edificio raggiungono i 58 metri di lunghezza, compresa l'abside, e i 25,2 di larghezza per il corpo delle tre navate, escluse le cappelle (due per ogni campata) poste fra i contrafforti dei fianchi di quelle laterali. In alcune soluzioni architettoniche è stata vista un’affinità con la coeva chiesa francescana di Gualdo Tadino, mentre analogie nel sistema di copertura sono riscontrabili con la chiesa domenicana e il duomo di Perugia (Krénig). Un complesso polimorfismo proporzionale sembra legare l’intero sistema architettonico (De Angelis d’Ossat). La sostanziale identità fra struttura muraria e forma architettonica, tipica dell’edilizia
mendicante del centro Italia, determina chiarezza spaziale e unitarietà dello spazio interno, ottenute con l'uniformità delle volte a crociera ogivale (tutte di uguale altezza: 22 metri) e la continuità di queste con quella absidale, ed esaltate sia dal particolare rapporto spazio-luce che si stabilisce all’interno, sia dall’approfondimento prospettico ottenuto con diversi accorgimenti visivi. La committenza, legata a cor-
renti internazionali della cultura europea ed alla corte papale, sembra incidere sulla generale concezione spaziale, che è stata messa in relazione a modelli architettonici della Francia occidentale (Wagner-Rieger, Krénig), ma che richiama piuttosto l'edilizia mendicante dell’area umbra e centro-italiana, soprattutto nella particolare ideazione di uno spazio semplice ma rarefatto, che si dilata in più direzioni, a dare soluzione alle esigenze ed alle aspirazioni francescane. I tempi lunghi di costruzione della chiesa sembrano non tradire le istanze dell’originario progetto due-trecentesco, né nello spazio interno né nella definizione architettonica esterna. Anche se
nell’interrotto impaginato di facciata, che rispecchia all’esterno la spazialità interna, con i tre portali dal contenuto iconografico complesso di suggestione orvietana, le paraste a duplice specchiatura e l’architrave, sono riscontrabili nuove declinazioni figurative. M.L.N.
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VENEZIA, S. MARCO
Sede del patriarca e cappella palatina, la chiesa fu iniziata sotto il dogato di Domenico Contarini nel 1063 in un momento di feconda rinascita culturale e artistica,
favorita da un complesso quadro politico e religioso, nel quale la città ereditava la sede patriarcale di Grado e rafforzava la sua posizione privilegiata nei rapporti con Costantinopoli. Questo clima ispirò la scelta di un tipo che trovava nell’Apostoleion di Giustiniano a Costantinopoli, anche se nel suo rifacimento dell’XI secolo, un mo-
dello prestigioso, dove le cinque cupole originarie erano state sostituite da altre su alti tamburi traforati. Tale richiamo «storicistico» sanciva le presunte origini aposto-
liche del patriarcato veneziano. Il cantiere si impiantò su di un edificio costruito intorno all’828-830 per accogliere le reliquie di S. Marco, trafugate dai veneziani; i resti della prima costruzione sono inglobati nelle fondazioni dei pilastri principali e dei muri esterni della chiesa attuale. Nel 1073 si ebbe una prima consacrazione della nuova chiesa a cui seguì quella definitiva nel 1094. Dopo il 1204 il nartece fu prolungato sui fianchi delle navate, le cupole furono rivestite da involucri lignei, svasati e con-
clusi da lanterne a bulbo con nervature, la cui tecnica costruttiva e la tipologia rimandano all’architettura musulmana. Dopo il 1230 i muri del nartece furono rivestiti da portali strombati, mosaici, colonne e sculture. Nel XV secolo furono aggiunti itimpani in stile gotico fiorito sulla facciata, mentre al XVII secolo appartengono i mosaici della parte superiore. La pianta è cruciforme, con il braccio ovest più lun90; la copertura è costituita da cinque cupole su pennacchi collocate in croce; una fila di finestre si apre alla base delle calotte. L'interno è potentemente scandito dalla successione di questi vani, dai quali piove la luce, che si diffonde nella zona superiore e si riflette sulle superfici rivestite di mosaici. I muri esterni sono in mattoni spessi, tipici del Nord Italia dall’età romana in poi. Il paramento laterizio è animato da timpani curvilinei, cornici a dentelli e arcate multiple. Stessa articolazione è stata rintracciata nell’angolo settentrionale, presso la porta di S. Alipio: pilastri alternativamente triangolari e curvi, semicolonne, archi ciechi, nicchie con calotte a motivi a vi-
mini in mattoni. Questi elementi permettono di ricostruire un involucro esterno plasticamente mosso e articolato, in linea con il lessico della coeva architettura medio-
bizantina. L’abside orientata in origine era all’esterno poligonale con due ordini di nicchie. Le cupole, costruite in mattoni disposti in filari concentrici secondo l’uso lombardo-occidentale (e non radialmente, come quelle bizantine), poggiano su solidi pilastri scavati e quadripartiti, che a loro volta delimitano un vano cupoliforme, e sono collegati da volte a botte. Diaframmi di colonne separano il nucleo principale cruciforme da strette navatelle, sulle quali corrono gallerie, ridotte nel XII secolo a semplici passaggi. Queste sono aperte, secondo una soluzione che ricorda il rifacimento di S. Irene a Costantinopoli della metà dell'VIII secolo, o la chiesa di Dere Agzi in Cilicia (fine IX secolo), e protette da parapetti marmorei con motivi iconografici di origine tardoantica e paleocristiana, rivisti secondo un’interpretazione tipicamente mediobizantina. Lo stesso gusto ritorna anche nei fregi delle arcate e nelle cornici a niello che chiudono le balaustre stesse. Oltrepassata la crociera si estendono, sopraelevati, il presbiterio, separato mediante l’iconostasi dalle navate, e l’ab-
side, movimentata da tre nicchie; a sua volta affiancata da altre due absidi più piccole, anche loro con nicchie e comunicanti con il presbiterio tramite ampie arcate. Sotto quest’ultimo è una vasta cripta d’impianto basilicale, a tre navate, coperta da piccole volte a crociera, sorrette da colonne marmoree con capitelli cubici, cui ne segue un’altra, più bassa e anch'essa con volte a crociera. La cripta principale, destinata a conservare le reliquie di S. Marco, costruita con spessi mattoni, è conclusa da nicchie con lunette a intreccio di vimini. L'architettura della basilica marciana assot-
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Appendice. Schede
tipici del VI be e riflette varie concezioni architettoniche e decorative. Giustinianei e secolo sono la pianta, la spaziosità delle campate, il ricco e prezioso rivestimento mar-
moreo e musivo, l’intrecciarsi di cavità e di masse costruite che dà vita ad una sotti-
le dialettica di ombre e di luci, pieni e vuoti. In linea con le tendenze mediobizantine sono la predilezione per i volumi definiti e netti,lapenombra delle navatelle ridottissime, gli apparati decorativi e mossi delle pareti. Romaniche sono invece le tecniche costruttive, l'allungamento del braccio ovest, forse riflesso degli schemi basilicali occidentali, il presbiterio e l’abside rialzati e la vasta cripta a tre navate.
RE
VENEZIA, SS. GIOVANNI E PAOLO E S. MARIA GLORIOSA AI FRARI: LE CHIESE DEGLI ORDINI MENDICANTI
Le due monumentali chiese conventuali, domenicana e francescana, sorgono pressoché simultaneamente (metà del XIV secolo) sul luogo di precedenti edifici chiesastici duecenteschi. Condividono, inoltre, il quadro cronologico ed il criterio
compositivo e figurativo. La basilica dei SS. Giovanni e Paolo (o S. Zanipolo, Frati Predicatori) è costruita fra 1336 e 1430, dopo la decisione, agli inizi del secolo, di am-
pliare il precedente edificio. I lavori, diretti dai frati domenicani Benvenuto da Bologna e Nicolò da Imola, iniziano dalla parte absidale, che conserva elementi archi-
tettonici della tradizione romanica (galleria). Dopo un’interruzione decennale (1345-55) il cantiere procede con il completamento delle tre navate (nel 1368 la chiesa è giunta fino all'organo) e l’aggiunta di un campanile (esistente nel 1384). Terminata la parte inferiore fino all’altezza degli archi ogivali (1395), all’inizio del Quattrocento si realizza il coro nello spazio fra le ultime quattro colonne (1420, demolito nel 1682). Consacrata nel 1430, nel XV secolo acquista la sua configurazione definitiva, con il completamento delle cappelle e della facciata (parzialmente danneggiata nel 1410, rimane la parte basamentale con le profonde archeggiature per i sarcofagi, secondo la consuetudine domenicana), nella quale è inserito il portale realizzato con lasciti testamentari e attribuito a Bartolomeo Bon, per la parte inferiore, e a Gambello (1458-64). La basilica è stata restaurata nel 1869 (abside) e nel 1922 in seguito ai danni bellici. La pianta è a croce latina con tre navate, la centrale doppia delle la-
terali (lunghezza m 101,60, larghezza m 29 alle navate, e m 45,80 al transetto, altez-
za m 32,20); quest'ultime scandite da cinque campate pressoché quadrate, segnate da altrettanti contrafforti esterni; sul transetto si aprono quattro cappelle e l’abside a pianta poligonale, coperta con volta costolonata. Dieci pilastri cilindrici sostengo-
no le arcate a sesto acuto e le volte a crociera, irrobustite staticamente con tiranti lignei. La facciata, tripartita da lesene, con rosone centrale e occhi laterali, doveva essere ricoperta con marmi policromi.
La basilica di S. Maria Gloriosa ai Frari (Frati Minori) è costruita fra 1340 e 1492 con finanziamenti ricavati da donazioni ed eredità. Decisa la sostituzione della pree-
sistente chiesa (fondata a sua volta su una precedente, nel 1250, sembra su disegno di Nicolò Pisano), inizia la nuova edificazione dalla parte absidale; i lavori si ferma-
no alla terza campata (1361) nel punto di contatto con la fabbrica duecentesca ancora in funzione. Tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo è costruito il campanile con coronamento ottagonale (1361-96, iniziato dal veneziano Jacopo Celega e terminato dal figlio), è ingrandita l’abside maggiore e sono completate le cappelle absidali (nel 1380 vi lavorano maestranze tedesche). Demolita la chiesa duecentesc a (1407), proseguono i lavori nelle navate (1407-20) e per il completamento del coro;
Area italiana
AD
alla fase quattrocentesca si devono probabilmente le modifiche apportate al progetto originario, riscontrabili nella non corrispondenza fra muri, pilastrate e cappelle absidali. Il complesso francescano è terminato nel 1443 e la chiesa consacrata nel 1492, dopo la realizzazione del portale in pietra (Bartolomeo Bon) e numerosi abbellimenti interni dovuti a grandi famiglie veneziane. In seguito all’allontanamento dei frati in età napoleonica la basilica subisce manomissioni, ma i restauri sono attuati solo nel XX secolo. La pianta è a croce latina, con navata centrale doppia delle laterali (lunghezza m 102, larghezza alle navate m 32 e al transetto m 48, altezza m 27,25). Dodici pilastri cilindrici, in ritmo serrato, scandiscono le sei campa-
te rettangolari e sorreggono volte a crociera. La facciata è tripartita da lesene corrispondenti alle navate, segnate da tre finestroni rotondi. Ambedue le chiese mendicanti sono organismi complessi ed improntati a funzionalità, praticità e chiarezza di impianto volumetrico, teso alla ricerca di una so-
stanziale unitarietà spaziale. Nell’impianto e nella concezione distributiva sono rispettate le consuetudini delle comunità religiose (ad esempio la pianta è interrotta da un septo entro cui si dispone il coro di fronte all’altare maggiore, così come ancora visibile ai Frari), ma la poetica figurativa tiene conto delle tradizioni locali sia nei sistemi costruttivi sia nella scelta e nell’uso dei materiali (pietra bianca d'Istria e mattone rosato) sia, infine, nel coinvolgimento delle maestranze. I pilastri rotondi
(con capitello tozzo) che dividono le navate si trasformano in pilastri a fascio all’incrocio del transetto; su di essi si impostano le volte a crociera che, tutte alla stessa
altezza, stabiliscono la continuità dello spazio. L’orditura orizzontale dei grossi tiranti lignei tra i pilastri (adeguamento strutturale a condizioni di terreno pessimo) consente di trovare quell’equilibrio statico capace di risolvere le particolari necessità spaziali con una forma-struttura adeguata. È da notare, inoltre, che soluzioni di questo genere sono largamente usate nell’architettura islamica del Cairo. Le due basiliche, pur simili nella pianta, nell’alzato, nella concezione spaziale e nella definizione del prospetto (sviluppo ascensionale, pinnacoli superiori, coronamento mistilineo, distribuzione degli occhi), trovano nel ricco vocabolario ornamentale e negli effetti cromatici declinazioni assai diverse. La raffinatezza delle soluzioni spaziali è il risultato di una forte mediazione fra sistemi tradizionali di chiara origine cistercense, particolarismi tecnico-formali italiani e introduzione di tematiche nordiche, come l’uso del principio dello Hochchor germanico. M.L.N.
VENEZIA, PALAZZO DUCALE
Il palazzo, simbolo della Repubblica per quasi mille anni, nasce come sede ducale (IX secolo). Al primo nucleo edilizio si aggiungono spazi riservati ai nuovi organi di governo e la chiesa (S. Marco), racchiusi da una struttura difensiva. Tra XI e XII
secolo sostanziosi interventi mutano il contesto urbano e il complesso edilizio, conferendogli caratteristiche «civili» con l'aggiunta del palatium ad jus reddendum e del palatium comune. In seguito alla riforma dell’organo assembleare, il palazzo comune viene totalmente ricostruito (1340-62), dopo l’accordo raggiunto sull’impostazione generale e sulle soluzioni statica ed architettonica (progetto attribuito a Filippo Calendario e Pietro Baseio). Decise le misure della grande sala, secondo precisi moduli proporzionali, si procede con le opere edilizie, particolarmente attive nel 1343-44 con i cantieri di scultori e scalpellini, mentre la facciata sul bacino lagunare è com-
pletata nel 1404 (balcone di Pietro Paolo e Paolo Delle Masegne). Dopo il 1422 si ri-
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Appendice. Schede
costruisce anche il palazzo ad jus reddendum (Sala della Libreria), la cui saldatura con la basilica è risolta dalla Porta della Carta (1438-43, Giovanni e Bartolomeo Bon). È
poi trasformata anche l’ala nord del palazzo: le sei campate sono coperte con volte a crociera (1440-45) e l’ultima si conclude con una sorta di arco trionfale (Arco Foscari, 1438-85, iniziato dai Bon e proseguito dai Bregno e dal Rizzo). In seguito alla distruzione della parte orientale (1483), se ne inizia l’opera di ricostruzione, che durerà fino alla metà del XVI secolo (progetto attribuito al Rizzo). I lavori, che introducono nuovi temi architettonici e figurativi, prevedono anche la realizzazione di una scala (detta dei Giganti, dopo la posa delle statue di Sansovino nel 1567). Oltre al Rizzo operano maestranze lombarde, tra cui Pietro Solari (proto di palazzo nel 1497-98) che segue le opere della nuova casa dogale e della cappella di S. Nicolò (1505-23). Durante la direzione dello Scarpagnino (1515-49) si attuano opere di manutenzione e restauro nella parte più antica (corpo orientale), e con il doge Francesco Donà (1545-53) si realizza una nuova riva sul canale. Nel 1554 è bandito un concorso pubblico per la soluzione della scala nel punto di unione dei due corpi di fabbrica (Scala d'Oro: progetti di Picolo, Palladio, Sansovino, Sanmicheli, Rusconi); l’opera termina nel 1561. Poco dopo lo smantellamento dei cantieri, tra 1574 e 1577, due incendi distruggono parte del secondo piano e il lato occidentale. La necessità e l’urgenza di restaurare questa parte dell’edificio vede contrapposte due tesi: da una parte chi sostiene l'opportunità della totale ricostruzione del palazzo, pur con diverse articolazioni d’intervento (tra gli altri, Palladio), dall’altra chi si adopera per il restauro delle strutture edilizie antiche e il ripristino dell’apparato decorativo. Sarà quest’ultima la linea vincente, con il progetto e l’opera di Rusconi (1578-80). Nuove
ristrutturazioni risalgono all’inizio del XVII (Manipola), al XVII e al XIX secolo (re-
stauri dal 1870). Il Palazzo Ducale ha un impianto quadrilatero, con corte-piazza centrale, corrispondente alla struttura originaria, amplificata. Il corpo di fabbrica verso il bacino ha un fronte lungo 75 metri: alle 17 arcate archiacute del portico terreno (colonne cilindriche e capitelli decorati) e alle corrispondenti 34 della loggia continua del primo piano (archi trilobati arricchiti da quadrilobi fra arco e arco) si sovrappone una grande superficie marmorea piena (pietra bianca e rosata, con mo-
tivi decorativi geometrici), coronata da merlature e interrotta da larghe finestre ar-
chiacute (in origine arricchite da trifore) e finestrelle rotonde quadrilobate. La facciata del corpo di fabbrica verso la piazzetta ripropone le stesse caratteristiche architettoniche e gli identici ritmi compositivi di quella sul bacino. Nel punto di giunzione tra i due corpi la serie dei quadrilobi si interrompe per far posto alla figura incoronata (Venezia), mentre la colonna sottostante è ingrossata a reggere le maggiori
spinte della struttura. La Porta della Carta, ideale trionfale del gusto aulico del tem-
po e în origine arricchita da dorature e preziosi fondi azzurri, stabilisce una soluzione di continuità tra il palazzo e la basilica, la cui connessione è sottolineata dalle linee delle cornici. La facciata orientale rispecchia la complessa e articolata opera di trasformazione subita, ma anche la maggiore libertà di linguaggio: ne sono espressione la quattrocentesca zona basamentale bugnata a punta di diamante, l’alternarsi
di finestre vere e finte, e la ricchezza di elementi ornamentali nella sua facciata inter-
na porticata, che costituirà modello di riferimento per i lavori successivi. L'edificio, affermazione del prestigio politico ed artistico del governo della Repubblica di Venezia, è frutto di un lungo e corale processo costruttivo. Per il suo particolare ruolo, strettamente legato all’attività politica, legislativa, amministrativa, giudiziaria e culturale, il palazzo nell'unità d'impianto e d'immagine, assurge a simbolo ed espressione della civiltà di uno Stato tra i più evoluti d'Europa.
M.L.N.
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