Storia della mia possessione

Nel 1623 suor Jeanne des Anges, madre badessa del convento delle Orsoline della città di Loudun, accusa il curato Urbain

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Italian Pages 196 Year 1986

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Storia della mia possessione

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Nella Nota conclusiva a questo volume, Angelo Morino elenca i numerosi casi di indemoniamento contemporanei a suor Jeanne des Anges, nei primi quarant'anni del Seicento in Francia; e osserva che a una tal frequenza, e una tal pubblicità di intimi misticismi e di visioni, hanno contribuito certamente cause storico"psicologiche (le convulsioni della lotta tra ugonotti e cattolici) e un propagandismo diffuso nella fede. Ma a contrassegnare la diversità del caso di J eanne des Anges - che ebbe risonanze e lasciò la memoria di una vera e propria affaire - conclude: « Diversamente sono andate le cose a Loudun, dove suor Jeanne des Anges ha aggiunto alla durata del suo vivere la durata del suo scrivere. È il motivo per cui, dalla parte di suor Jeanne, ci tocca un in più di desiderio». Questo « in più di desiderio » si presta alle molte 1potesi - un in più di voluttà, un in più di malinconia, o d'ansia d'assoluto, o di esibizione: e i commentatori, dai coevi ai recentissimi, non sono, nell'interpretazione, benevoli. Suor Jeanne aveva occhi splendidi ed era viziata da una certa deformità; l'intervento di « una santa maliziosa - scrive un critico - preservò in extremis di vederla un giorno figurare sul calendario »; « dotatissima, come tutte le isteriche » ne dice un altro; ed Aldous Huxley chiama le sue visioni « inconfessabili fantasie ... un demone di curiosità ... un incubo di concupiscenza » e le collega a un Urbain Grandier, curato colto e di successo, anche mondano, che in quegli anni conduceva la lotta politica nella città: a lui, Jeanne, senza averlo mai visto, attribuisce trame e ne rimodella una figura. Mente, anche, suor Jeanne: afferma che i superiori le hanno imposto di scrivere il resoconto della sua possessione, mentre invece lei stessa ne aveva implorato il permesso. È un pudore ironico, questa menzo-

In copertina:

Allegoria degli elementi: l'aria, disegno di R. Godron. Da « 300 Art Nouveau Designs and Motifs », New York 1983.

La diagonale 11

Jeanne des Anges

Storia della mia possessione A cura di Angelo Marino

Sellerio editore

1986

© Selleria editore via Siracusa 50 Palermo

Titolo originale: Histoire de la possession de la Mère Jeanne des Anges Traduzione dal francese di Angelo Morino

Indice

Storia della mia possessione Relazione di quanto occorso durante la possessione delle monache Orsoline di Loudun, tratta dal manoscritto di suor Jeanne des Anges madre superiora della suddetta comunità

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Estratti dalle lettere che suor Jeanne des Anges, madre superiora delle Orsoline di Loudun, scrisse al reverendo padre Saint-Jure della Compagnia di Gesù, suo direttore spirituale

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Poteri del nome di Angelo Marino

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Nota bibliografica

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Storia della mia possessione

Relazione di quanto occorso durante la possessione delle monache Orsoline di Loudun, tratta dal manoscritto di suor Jeanne des Anges madre superiora della suddetta comunità

Avendo ricevuto ordine dalla superiora di mettere per iscritto quanto accaduto durante la sua possessione, per spirito di obbedienza suor ]eanne des Anges vi si sottomise ciecamente e scrisse quanto segue. 1

Per la maggior gloria di Dio e per soddisfare l'obbedienza che mi è stata imposta, riferirò con stile semplice le misericordie che la divina bontà si è compiaciuta di riversare sulla mia anima da nove anni a questa parte, per distoglierla dai vizi e dalle imperfezioni che la dominavano. Dirò pure i diversi impulsi che quella bontà mi ispirava di tanto in tanto per convertirmi a lei e per farmi abbandonare ogni legame con le creature che mi rendevano loro schiava. Ho trascorso i primi anni della mia giovinezza in condizioni assai normali, secondo l'uso delle giovani del mio rango. Pronunciai i voti 1'8 settembre 1623, giorno della natività della santissima e gloriosissima Vergine, mia buona madre e avvocata. Fu nel nostro convento di Poitiers, dove trascorsi i primi tre anni. 2 1 Il testo autobiografico di suor Jeanne des Anges è stato pubblicato per la prima volta a cura di G. Legué e G. de la Tourette, con una prefazione di M. J.-M. Charcot e col titolo Autobiographie d'une hystérique possédée (Charpentier, Parigi 1886) ed è quest'edizione che ho seguito nel mio lavoro di traduzione. Ho, però, eliminato tutte le note dei curatori tese, per la maggior parte, a individuare nel racconto della monaca i sintomi e gli sviluppi di un tipico caso di isteria - e ho ripristinato il titolo originale dell'opera, secondo le indicazioni del manoscritto conservato presso la biblioteca municipale di Tours e ampiamente e scrupolosamente descritto da G. Legué e G. de la Tourette in una nota introduttiva al loro volume. Questo, non solo perché le note assumevano un sapore troppo datato rispetto ai successivi studi sull'isteria, ma soprattutto per restituire indipendenza alla voce di suor Jeanne des Anges e al racconto della sua esperienza. 2 Suor Jeanne des Anges era nata il 2 febbraio 1605, figlia di Louis de

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Quando penso alla vita che vi ho condotto, vedo bene che ho gran motivo di arrossire dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini, per via dei libertinaggi di mente cui mi sono lasciata andare. Se l'obbedienza me lo permettesse, descriverei in dettaglio con grande piacere tutte le mie perversità, le mie ipocrisie, la mia doppiezza e la mia arroganza, l'alta stima di me stessa e la vanagloria, insieme a tutti i miei altri vizi, per indurre quanti potranno vedere questo scritto a implorare la misericordia della divina giustizia per me, che mille e mille volte l'ho offesa. Oh, mio Dio, ho bisogno quant'altri mai che le vostre grazie superino la vostra giustizia nei miei confronti e che non badiate alle mie colpe, ma al merito del vostro prezioso sangue e alla volontà che ora voi mi ispirate di essere interamente vostra. Ho quindi trascorso quei tre anni in grande libertinaggio, senza applicarmi mai in presenza di Dio. Non c'era tempo che io trovassi lungo quanto quello che la Regola ci prescrive di passare in preghiera. Allorché trovavo un pretesto per sottrarmi a quest'obbligo, ne approfittavo con entusiasmo e non me ne sentivo affatto colpevole. Mi dedicavo alla lettura di ogni sorta di libri, ma non col desiderio di perfezionare la Belcier, barone di Cozes, e di Charlotte de Gourmard, entrambi imparentati con le più illustri famiglie della Guascogna. Fra i quattro e i cinque anni, Jeanne era stata mandata presso una zia materna, Françoise de Foix, badessa dell'abbazia reale di Saintes, retta secondo l'ordine dei benedettini. Pare che i genitori avessero inviato Jeanne in un convento per indurla, fin da bambina, a nascondere sotto il velo la sua deformità fisica: era molto piccola di corpo, quasi una nana, e probabilmente affetta da una forma tubercolare delle ossa. Alla morte della zia, nel 1611, un'altra parente, anche questa monaca nell'abbazia di Saintes, si era occupata della giovane, senza però risparmiarle rigori, al fine di imbrigliare una natura che già si rivelava incline a stravaganti tendenze mistiche. Di Il a poco, restia all'idea di rinunciare alle sue curiosità per le cose di Dio, Jeanne aveva ottenuto il permesso di ritornare in famiglia. Se l'accoglienza del padre fu calorosa, non altrettanto lo fu quella della madre. Donna severa, Charlotte de Gourmard avrebbe presto manifestato il desiderio di tenere Jeanne separata dalle sorelle, per sottrarre agli occhi del mondo la vista della sua deformità. Nonostante questo regime di segregazione, venne presentata una proposta di matrimonio da parte di un giovane gentiluomo. Ma il consenso del padre non fu sufficiente a vincere le resistenze della madre, sicché il pretendente dovette ritirarsi. Prigioniera di questa situazione conflittuale, Jeanne decise infine di entrare in convento, presso le Orsoline di Poitiers, nel 1623.

mia anima. Era solo per potermi esibire come una giovane dotata di spirito e di conversazione brillante e divenir capace di superare le altre in qualsiasi compagnia. A tal fine, mi impegnavo il più possibile per farmi apprezzare da chiunque conversasse con me. Inoltre, poiché ho una certa facilità naturale nell'ottenere quello che voglio, me ne servivo per guadagnarmi l'affetto della gente e, in particolare, di chi aveva qualche autorità su di me. Miravo a procurarmi una libertà maggiore per soddisfare le mie tendenze e, anche, per farmi assegnare i lavori della comunità che più mi erano grati, in modo da non essere troppo soggetta alle regole esteriori. Avevo una stima tale di me stessa, da credere che la maggior parte delle altre fossero assai inferiori a me. Per questo le disprezzavo spesso nel mio cuore. Mi ingegnavo con ogni mezzo per suscitare una buona opinione di me nelle persone religiose con cui potevo avere qualche contatto. Malgrado tutti questi disordini, Nostro Signore non mi abbandonava e la sua misericordia era cosi grande verso di me, che non concedeva tregua al mio cuore. Ogni volta che mi trovavo dinanzi a lui per fare un esame di coscienza, avevo grandi turbamenti che non so esprimere. Ero cosi malvagia con la bontà divina, da preferir sopportare le mie pene piuttosto che mutare tendenze e abitudini. Ero spesso colta dal terrore di essere dannata, ma lo soffocavo con qualche svago che ricercavo apposta. Cosi il tempo trascorreva senza che mettessi ordine alle cose della mia anima, né che mi decidessi a mutare le mie consuetudini viziose. Al contrario, per quanto la mia condizione poteva permettermelo, cercavo di procurarmi piaceri, pur non trovandone mai. Ero sempre preda dei rimorsi di coscienza e, sebbene facessi tutto ciò che potevo per soffocarli, mai la divina bontà permise che vi riuscissi. Al contrario, quei rimorsi crescevano di giorno in giorno. Mi confessavo e non ne traevo alcuna quiete, perché non lo facevo nel giusto modo. Ah, mio Dio, ho un gran bisogno che le vostre misericordie abbiano superato le mie perversità, perché altrimenti già da lungo tempo la vostra giustizia mi avrebbe schiacciata. Siate quindi ringraziato, mio Dio, per le bontà che avete 15

elargito alla più infedele delle vostre serve e non permettete più, ve ne prego, mio caro Amore, che il mio cuore si discosti per un solo momento da voi. Mentre continuavo a seguire le mie tendenze malvagie e perduravo fra i miei vizi, cercando quiete e non potendone trovare, mi proposero di fare una fondazione in questa città di Loudun. Chiesi con grande insistenza di essere fra quelle che sarebbero state inviate a fare la fondazione, allontanandomi cosi dalla pratica delle buone monache che si lasciano condurre in ogni cosa senza la pretesa di scegliere.3 Mi vennero poste certe difficoltà, ma non mi arresi dinanzi ad alcuna. Al contrario, impiegai ogni sorta di furbizia per ottenere quanto desideravo. Vi riuscii e fui del numero di quelle che vennero a stabilirsi qui. Mi ero persuasa che, mutando luogo, sarei riuscita a mutare me stessa, in una piccola casa con poche persone più facilmente che in una grande, dove non avevo quiete. Ma come mi ingannavo! Invece di adoperarmi a mortificare le mie passioni e ad adempiere le mie regole, passavo il tempo a indagare sul carattere della gente del luogo e a intrecciare rapporti con molti di loro. Cercavo sempre di starmene in parlatorio fra discorsi più che inutili. Badai a rendermi necessaria presso i miei superiori e, poiché noi monache eravamo poche, la superiora fu costretta a mettermi in mano tutti gli affari della comunità. Avrebbe ben potuto farne a meno, visto che c'erano altre 3 Il convento delle Orsoline di Loudun era stato fondato nel r626. Vi risiedevano diciassette monache di nobili natali, che, nei primi mesi, avevano dovuto rassegnarsi a vivere in stato di grande indigenza: non possedevano suppellettili, erano costrette a dormire sul pavimento, si nutrivano soprattutto grazie alla carità pubblica, dovevano occuparsi di tutte le incombenze domestiche... Inoltre, si erano ritrovate a vivere in una città con alta percentuale di popolazione ugonotta, spesso in conflitto con i cattolici. Le monache di Loudun avrebbero raggiunto un certo benessere, dopo gli stenti iniziali, aprendo le porte del loro convento alle giovani figlie della borghesia locale. Dietro pagamento di una modesta retta, le aristocratiche religiose garantivano un'educazione che badava particolarmente all'insegnamento del buon francese e all'arte della conversazione mondana. Quando, nel r627, a un anno dalla fondazione, Jeanne des Anges arriva venticinquenne a Loudun, nelle vesti di superiora della nuova comunità, i tempi grami erano già trascorsi per il convento. L'afflusso di pensionanti e di allieve esterne aveva permesso l'assunzione di domestiche per i lavori pesanti, l'acquisto dei mobili più indispensabili, un'alimentazione non più affidata all'intervento di persone caritatevoli.

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sorelle più capaci e migliori di me, ma io la ingannavo con mille sottigliezze di spirito per rendermi necessaria a lei. Seppi assecondare tanto bene il suo carattere e conquistarla, che non trovava alcunché di ben fatto se non quello che facevo io, al punto da credermi buona e virtuosa. Il mio cuore se ne senti talmente lusingato, che non faticavo a compiere molte azioni che sembravano degne di stima. Sapevo dissimulare e ricorrevo all'ipocrisia, affinché la mia superiora serbasse i buoni sentimenti che nutriva per me e fosse favorevole alle mie tendenze e ai miei voleri. Mi concedeva ogni sorta di libertà di cui abusavo e, trattandosi di una persona molto buona e virtuosa, convinta che io intendessi raggiungere Dio in stato di perfezione, mi faceva spesso conversare con buoni religiosi. lo obbedivo per compiacerla e per passare il tempo. Le nostre regole ci obbligano a fare ogni anno un ritiro spirituale. Dopo avervi mancato per parecchi anni, chiesi alla mia superiora di farlo e lei me lo concesse volentieri. Mi consigliò di prendermi per direttore della mia anima il reverendo padre priore dei Carmelitani di questa città.4 Era un gran servo di Dio, assai esperto nella guida delle anime. Cominciai quindi il mio ritiro, ma senza il progetto di mutare vita. Tuttavia, il nostro buon Dio, che non voleva perdermi, fece sì con la sua amorosa bontà che fossi colta da grande inquietudine, da tristezza, da angoscia, da rimorsi di coscienza, sicché non sapevo cosa fare. · Non riuscivo a concentrarmi sugli argomenti di meditazione che quel buon padre mi aveva assegnato. Mentre mi trovavo in quella solitudine e con molto tempo a mia disposizione, piangevo di continuo. Non potevo risolvermi a rivelare le condizioni della mia coscienza e a decidermi a mutare 4 Il priore dei Carmelitani è Antonin de la Charité, che, insieme ai padri Eusèbe de Saint-Miche! e Pierre-Thomas de Saint-Charles, sarà il primo a esorcizzare suor Jeanne des Anges, nel 1631, quattro anni dopo il suo arrivo a Loudun. In quello stesso anno, era deceduto il canonico Moussaut, direttore spirituale delle Orsoline. Jeanne des Anges aveva, allora, scritto una lettera a Urbain Grandier, curato di Saint-Pierre-duMarché e canonico prebendario della chiesa collegiale di Sainte-Croix, chiedendogli di assumere la guida spirituale del suo convento. È dopo il rifiuto di Grandier, che ha inizio la possessione diabolica.

vita, al punto che, senza il rispetto umano che mi dominava assai più del timore di Dio, avrei abbandonato quel ritiro fin dal primo giorno. Nostro Signore non me lo permise e indusse quel buon padre a parlarmi severamente delle sciagure che accadono alle anime delle monache che compiono i loro obblighi solo per sgravio di coscienza. Dio mi concesse la facilità di aprirgli il mio cuore, affinché riuscisse a intravvedere le condizioni della mia anima. Il buon padre mi ordinò allora di cominciare gli esercizi con una confessione generale fìn dal momento in cui avevo preso i voti. Grande era la mia difficoltà, ma mi risolsi, spinta dalla mia stessa coscienza che non mi concedeva tregua. Dopo la confessione, la divina bontà mi infuse una grande consapevolezza di averla tanto mal servita e un desiderio tale di applicarmi altrimenti in avvenire, che, a poco a poco, cominciai a prender gusto a pregare, senza più tentar di sottrarmi. Nostro Signore, che conosceva bene le mie debolezze, mi attraeva dolcemente come un bambino, sicché i conforti che provavo mi facevano rimanere in quel luogo più che il suo amore. Continuai i miei esercizi senza troppa pena, per tredici o quattordici giorni. Durante questo periodo, presi molte buone decisioni, ma, a dire il vero, non le osservai a lungo. Tre o quattro mesi erano trascorsi e già mi sentivo stanca di mortificarmi la mente e il corpo. A poco a poco ripresi senza troppe difficoltà le mie piccole abitudini, che erano in me vive come il primo giorno. Non le avevo affrontate nel modo giusto per combatterle. Non le avevo attaccate alla radice e avevo fatto troppo affidamento sulla mia buona volontà e sul mio zelo. Infatti, serbavo una grande stima per me stessa e badavo a ispirarla negli altri. Era più spesso il pensiero della gente che quello di Dio a guidare le mie azioni e, siccome l'influsso del suo amore non agiva dentro di me, ben presto mi tediai della preghiera e persi le attrattive che la divina bontà aveva voluto farmi scorgere. Per colmo di mia sventura, mi legai con affetti sregolati a certe persone sotto il pretesto della pietà. Debbo dire che mi spinsi così innanzi, da trascorrere le giornate interamente in parlatorio fra chiacchiere assai vane. Dio permise che, durante questo periodo, la nostra ma18

dre fosse eletta superiora in un'altra casa del nostro ordine e io fui messa al suo posto. All'inizio ne trassi un grande dispiacere e mi sarei ben augurata che la sorte fosse ricaduta su un'altra. Non perché mi ripugnassero le cariche e non mi andasse a genio di essere considerata necessaria alla comunità. L'amore per la mia libertà prevaleva sull'amore per gli onori, poiché vedevo bene che avrei dovuto dipendere molto dagli umori delle mie consorelle. Inoltre, avrei dovuto prendermi carico della loro coscienza. Queste considerazioni mi spinsero a fare tutto il possibile per evitare di essere eletta superiora, ma non ci riuscii. Senza badare a questi motivi, le mie superiore mi ingiunsero di accettare la carica e io, seppure molto controvoglia, dovetti cedere. Vedendomi legata a questa carica pur essendo così giovane, senza esperienza e senza avere mai ben praticato le mie regole, ne fui molto afflitta e caddi in un'estrema malinconia. Ogni cosa mi disgustava e la mia coscienza mi rimproverava senza tregua di non essere come Dio voleva. D'altra parte, mi vedevo nell'impossibilità di poter esercitare onorevolmente la mia carica. Comunque, mi risolsi, per quanto a malincuore, a trascorrere quei tre anni come avrei potuto: soprattutto a ingeniarmi con ogni sorta di umano artificio per conquistarmi la mente e il cuore delle mie sorelle, affinché accettassero tutti i miei voleri. Tuttavia, stavo un po' attenta a vivere esteriormente irreprensibile secondo le regole, anche se dentro di me ne ero assai lontana. Non pensavo quasi mai a Nostro Signore, che però, nella sua bontà, non si stancava di toccarmi molto spesso il cuore. Molto spesso faceva sì che accadessero cose che mi provocavano grande dolore da parte della gente, per costringermi così a ricorrere a lui. Io, però, non ne approfittavo mai. Al contrario, passavo tutto il mio tempo in parlatorio con quelle persone cui mi ero legata. In tal modo, blandivo le mie piccole noie per breve tempo, ma, quando mi ritrovavo sola, la pena si rinnovava e assai spesso cresceva fra vivi rimorsi di coscienza. Vorrei che l'obbedienza mi permettesse di dire qui tutte le colpe che ho commesso e che ho I9

fatto commettere durante quelle chiacchiere tanto inutili. Di qui si può vedere con chiarezza il pericolo che c'è quando si lascia che le giovani si intrattengano alla grata, per quanto i colloqui possano sembrare spirituali. Se le mie sorelle non fossero state buone monache, il mio cattivo esempio avrebbe fatto correr loro un gran rischio di perdersi. Oh Signore! Quando penso a tutto quello che è accaduto durante quelle chiacchiere davanti alla grata, come potrei non ammirare la vostra bontà, che mi ha attesa cosl a lungo e che mi ha tollerata con tanta dolcezza. Vi benedico per aver fatto sì che trovassi amarezza nell'amore per la gente. Altrimenti, se vi avessi trovato quella gioia che ricercavo, non mi sarei mai salvata. Voi mi avevate dato, mio Dio, un carattere portato ad amarvi se solo avessi voluto farvi ricorso. Il mio cuore non sapeva vivere senza legarsi a qualcuno. Eppure, Voi non avete mai permesso che, in un solo giorno della mia vita, io provassi gioia in tutti questi affetti. Vi ringrazio, mio caro Salvatore, e vi scongiuro in nome del vostro prezioso sangue di non permettere mai che io ami altri tranne Voi. Siete l'unico cui io debbo offrirmi, l'unico che possa appagarmi. È più o meno cosl che ho trascorso i miei primi dieci anni in religione. Sono grandi i motivi per vergognarmene e molto il bisogno di fare penitenza, affinché la divina giustizia sia soddisfatta. Dopo questo periodo, Nostro Signore permise che alla nostra comunità venisse fatto un malefizio da parte di un sacerdote che si chiamava Urbain Grandier, curato della principale parrocchia della città.5 Quel miserabile fece un patto col s Cresciuto nel collegio gesuita di Bordeaux, dove era stato brillante allievo, Urbain Grandier arriva ventisettenne a Loudun. Gli era stato assegnato l'importante beneficio ecclesiastico di Saint-Pierre-du-Marché e, di Il a poco, grazie all'influenza dei suoi maestri gesuiti, sarebbe anche stato fatto canonico della chiesa collegiale di Sainte-Croix. Attraente, ambizioso, disinvolto parlatore, amante delle lettere, Grandier si lascia presto trascinare in una serie di avventure femminili: mette incinta l'adolescente Philippe Trincant, figlia del procuratore del re Louis Trincant, e vive in concubinato con Madeleine de Brou, discendente da una delle migliori famiglie della provincia. A giustificazione di questa convivenza nota a tutti gli abitanti di Loudun, avrebbe scritto un trattatello contro il celibato del clero e, sempre più convinto della propria condotta, non avrebbe esitato a celebrare lui stes20

diavolo per farci dannare e trasformarci in donne di mala vita. Inviò, infatti, i demoni nel corpo di otto monache di questa casa perché le possedessero.6 La storia è interamente registrata nei processi verbali che sono stati compilati. Il malefizio fu tale, che tutte le monache della comunità ne furono coinvolte, talune per possessione, talaltre per ossessione, in meno di quindici giorni. Ci ritrovammo in un disordine impossibile da immaginare e, se la divina bontà non ci avesse assistite con grazia particolarissima, quell'uomo avrebbe fatto dannare ognuna di noi cento volte. Poiché io ero fra le più travagliate, mi ritrovai a pensare alla mia coscienza. Non credevo che si potesse essere posseduti senza aver acconsentito a un patto col diavolo, ma in questo mi sbagliavo. È cosa che può accadere anche alle più innocenti e alle più sante. Io non mi consideravo fra le più innocenti, perché mille e mille volte mi ero già abbandonata al diavolo, peccando e facendo resistenza di continuo alla grazia. Ritenni quindi di dover fare una confessione straordinaria, ma, poiché i demoni mi avevano avvinta fra molti vizi e continue imperfezioni e non mi risolvevo una volta per tutte a sbarazzarmene, Dio permise al diavolo, rinvigorito dalla mia stessa perversità, di farmi sprofondare tra angosce e accecamenti cosl grandi, so, segretamente, il proprio matrimonio con Madeleine de Brou. Allo scandalo suscitato da questa situazione, si aggiungeva l'astio che gli ordini monastici - dei Cappuccini, dei Carmelitani, dei Cordiglieri - della città nutrivano nei confronti di Grandier, che, ai loro occhi, era colpevole di essersi accaparrato troppi benefici ecclesiastici e troppe penitenti di rango, come pure di averli fatti oggetto di sarcasmi pronunciati dall'alto del pulpito. Quando suor Jeanne des Anges riceve da Grandier il rifiuto di occuparsi della guida spirituale delle Orsoline, è a padre Antoine de la Charité, priore dei Carmelitani, che si rivolge parlandogli di possessione diabolica. A padre Antoine de la Charité, poi, si affianca il canonico Mignon, nipote del procuratore Louis Trincant, cui Grandier aveva sedotto e ingravidato la giovane figlia. Una rete di rancori e invidie è pronta a serrarsi intorno al curato di Saint-Pierre-du-Marché: indicandolo artefice della sua possessione, suor Jeanne des Anges diviene il mezzo di cui i netnici di Grandier si serviranno per elitninarlo. 6 Fra le monache indemoniate non mancavano nomi illustri: Oaire de Sazilly, in religione suor Claire de Saint-Jean, parente del cardinale di Richelieu; la signora della Motte, in religione suor Agnès de Saint-Jean, figlia del marchese della Motte-Baracé; la signora d'Escoubleau de Sourdis, in religione suor Jeanne du Saint-Esprit, parente dell'arcivescovo di Bordeaux ... 2I

che non seppi decidermi sino in fondo. La feci a più riprese, prendendo diversi confessori, affinché nessuno di loro riuscisse a penetrare nei segreti della mia coscienza. Agli inizi della mia possessione, trascorsi circa tre mesi con la mente sempre sconvolta e non ricordo alcunché di quanto è accaduto durante quel periodo. I demoni agivano con pieni poteri e la Chiesa li combatteva giorno e notte con gli esorcismi.7 Durante un esorcismo fecero finta di uscire dal mio corpo e di lasciare il posto a Dio. Per sei mesi non si fecero più vivi, ma a poco a poco di nuovo si insinuarono nella mia mente e nel mio carattere, fino a riuscire, approfittando delle cattive disposizioni che trovarono, a fare di me una loro creatura e a impadronirsi della mia volontà. Ognuno dei sette demoni che avevo in corpo fece suo quanto ritenne più opportuno alla sua forza. In genere agivano secondo gli affetti che mi stavano a cuore e lo facevano così sottilmente, che io stessa non pensavo di essere guidata da demoni. Consideravo un'ingiuria ogni segno di mancanza di fiducia nei miei confronti e, quando mi parlavano delle loro possessioni, ero colta da grandi moti di collera verso chi me ne parlava, pur essendo incapace di manifestare il mio rancore. A poco a poco le cose di Dio cominciarono a disgustarmi, sicché interruppi quasi ogni sorta di preghiera, sia vocale sia mentale. Quando dovevo assistere alle funzioni della comunità, pativo grandissime angosce, ma non usavo la forza necessaria per resistere a queste inclinazioni. Fu in seguito a simile ignavia, che il mio cuore di nuovo si indurl e tutte le cose di Dio non riuscivano a toccarmi, neanche fossi stata di bronzo. Trascorsi circa due anni senza avvicinarmi ai sacramenti se non per sgravio di coscienza, ma senza alcun desiderio da parte mia. In tutto questo periodo, non feci mai gli esercizi 7 Gli esorcismi diventano presto uno spettacolo pubblico. Vengono aper. te le porte della cappella delle Orsoline e la folla si accalca all'interno sempre più fitta, per contemplare le monache possedute dal diavolo. Fra contorsioni e digrignar di denti, suor Jeanne des Anges e le sue compagne non cessano di indicare Urbain Grandier come responsabile del malefizio di cui sono vittime. Fra i presenti, non mancano fin dall'inizio gli scettici, poco inclini a vedere un intervento del sovrannaturale nelle esibizioni truculente delle monache e dei loro esorcisti.

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prescritti dalla mia regola con mente serena. Dopodiché, mi colsero grandissime tentazioni, tali che solo Dio le conosce. Del resto, solo la sua bontà mi ha impedito di soccombere, perché mille volte mi sono vista sul bordo del precipizio, pronta a lasciarmi trascinare dal male. Poi, d'improvviso, mutavo volere. Durante quell'epoca, il sacerdote di cui ho parlato si serviva dei demoni per suscitare in me amore nei suoi confronti. Quegli spiriti diabolici infondevano sempre in me desideri di vederlo e di parlargli. Molte mie sorelle si trovavano nella stessa situazione, ma non ce lo dicevamo. Al contrario, ci nascondevamo l'un l'altra il più possibile e, quando i demoni avevano ben eccitato la passione d'amore per quell'uomo, sempre calava la notte sulla nostra casa e sulle nostre celle per spingerci al peccato. Quando non lo vedevo, ardevo d'amore e, quando si presentava a mc e voleva sedurmi, il nostro buon Dio mi ispirava una forte avversione per lui.8 Sicché ogni mio sentimento mutava: lo odiavo più del diavolo e mi era cosi intollerabile, che mi sarei esposta a tutte le furie dell'inferno piuttosto che acconsentire alla sua minima richiesta. È vero che sono stata falsa quando si è trattato di combattere i pensieri e i moti impuri che provavo. È grazie a un'amorevolissima provvidenza di Dio, se sono stata preservata dal peccato durante gli attacchi di quell'infame uomo. A parte ciò, non avevo una forza d'animo capace di fuggire il peccato. Al contrario, e dico la verità, con mia grande vergogna, offrivo buona presa al diavolo con le mie cattive abitudini e seguendo le mie inclinazioni. Se mi fossi adoperata a mortificare ogni passione, mai i demoni avrebbero potuto creare un disordine tale in me. Avevo dunque sette demoni nel corpo, il cui capo era Asmodeo. La sua azione era continua in me, al punto da riempirmi mente e anima di cose immorali. Il pudore mi impedisce di descriverne i dettagli, che sono assai strani. Spesso quello sciagurato spirito si presentava a me sotto sembianze 8 Suor Jeanne des Anges non aveva mai visto Urbain Grandier. Si può solo pensare, assai verosimilmente, che ne avesse udito parlare durante le ore trascorse in parlatorio, a contatto con numerose personalità di Loudun. Doveva esserle giunta voce degli amori del curato di Saint-Pierre-du-Marché, che, del resto, erano di pubblico dominio.

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orribili e mi batteva con una violenza tale, da lasciarmi molte volte illividita da capo a piedi. Il secondo demonio era Leviatano, che si conciliava interamente col mio carattere. Quasi mai mi tormentava con grande violenza e, a dire il vero, non mi induceva mai a grandi sregolatezze esteriori. Al contrario, quand'era nella mia testa, volevo mettere in ordine ogni cosa, ma con tanta superbia che tutto avrebbe dovuto piegarsi sotto le mie leggi e la terra non mi sembrava degna di sorreggermi. Agivo in modo molto imperioso con le mie sorelle e tutti i miei pensieri ricercavano i mezzi per elevarmi nel mondo e per farmi risaltare in grande stima. Sentivo un'inclinazione per l'oro e per l'argento, anche se questa tendenza era contraria al mio carattere naturale. Il terzo demonio si chiamava Behemot. Agiva nella mia anima facendomi opporre a tutto ciò che concerneva il culto di Dio. Debbo confessare che la mia codardia aveva dato a quello sciagurato spirito grande potere sul mio cuore. Per due anni o più, mi ha costretta in una continua insensibilità spirituale, con una durezza di cuore inconcepibile. Passavo anche otto giorni senza fare un atto di adorazione. Se dovevo assistere alla messa o a qualche altra funzione, lo facevo senza mai applicarmi. La mia mente si ingegnava poi a far sl che pure le altre non servissero Dio. Quello spirito maledetto si insinuò così sottilmente in me, che non sapevo più riconoscere il suo intervento e non mi preoccupavo di allontanarmi da queste squallide condizioni. Tuttavia, ero sempre consapevole del grande pericolo in cui si trovava la mia salvezza, ma per sconforto mi risolsi a essere dannata e la mia salvezza mi divenne indifferente. Avevo spesso la mente piena di bestemmie e, certe volte, le profferivo senza riflettere su come avrei potuto impedirmelo. Provavo una continua avversione per Dio e nessun altro oggetto suscitava il mio odio quanto la vista della sua bontà e la facilità che ha nel perdonare chi vuole convertirsi. Il mio pensiero era spesso occupato da artifici per dispiacergli e per farlo offendere da altri. È vero che, grazie alla sua misericordia, non ero responsabile di questi sentimenti, perché quel demonio mi offuscava in modo tale che quasi non di-

stinguevo i suoi voleri dai miei. Inoltre, mi infondeva una grandissima avversione per il mio stato religioso, sicchl!, talvolta, quando mi occupava la testa, laceravo tutti i miei veli e quelli delle mie sorelle che riuscivo a ghermire. Me li cacciavo sotto i piedi e li rodevo maledicendo l'ora in cui avevo pronunciato i voti. Il volere di quegli sciagurati e il mio erano una sola cosa. Prigioniera delle loro suggestioni, facevo miei tutti i loro sentimenti e sposavo tutti i loro interessi come se fossero stati i miei. Avrei voluto fare altrimenti, ma non ci riuscivo. È vero che non facevo abbastanza sforzi, né perseveravo. Le difficoltà di questa lotta mi inducevano spesso ad abbandonare ogni buon proposito, perché basta assai poco per dare un grande potere al demonio quando possiede un corpo. L'esperienza mi ha insegnato che sa trarre grandi profitti da ogni moto sregolato del nostro carattere. Siamo proprio noi a fornirgli spesso le armi con cui ci combatte e, quando riesce a trovare in noi un appiglio per tentarci, non cerca mezzi altrove. Il quarto di quei maledetti spiriti si chiamava Isacaronne. Agiva in quanto all'impurezza, alla stessa guisa di Asmodeo. Chi si è preso cura di me sa le pene che quello sciagurato mi ha inflitto. La sua azione era violenta e furibonda. Era questa la differenza fra la sua e quella di Asmodeo: la prima agiva piuttosto per insinuazione e allettamenti in chi ama per natura ricercare gli agi e desidera farsi amare e stimare, ma quella di Isacaronne andava agli estremi e accecava la ragione. Comunque, badava sempre ad assecondare pure lui le inclinazioni naturali, approfittando di quanti sono legati ai loro agi e cercano il piacere. Il quinto di questi spiriti si chiamava Balaam. La sua azione era pericolosissima, proprio perché sembrava la meno dannosa. Si limitava a turbarmi un po' l'immaginazione e poi lasciava agire il mio carattere da cui sapeva bene come trarre grandi profitti. Non sono mai riuscita a distinguere bene gli interventi degli altri due demoni, anche perché furono scacciati per primi, quando io non godevo di sufficiente libertà per capire cosa facevano in me. Si chiamavano Gresil e Aman. I nostri mali sembrarono cosi grandi alla gente di fuori e

i disordini in cui i demoni ci gettarono furono tali, che diverse persone di rango ne ebbero pietà. Fra costoro ci fu il signor di Laubardemont, che, essendo stato testimone delle vessazioni dei demoni e del dominio che avevano assunto sul nostro corpo e avendoci viste prive di aiuto, fu mosso da gran carità e dal desiderio di soccorrerci.9 A tal fine, si risolse 9 Accusato dalle monache di averle stregate, Urbain Grandier aveva indirizzato all'arcivescovo di Bordeaux, che già in passato l'aveva protetto, una vibrante protesta. Cosl, esaminate dal medico dell'arcivescovo, le Orsoline erano state riconosciute come simulatrici e non come possedute dal diavolo. Di conseguenza, si era ingiunto che gli esorcismi venissero sospesi e che suor Jeanne des Anges e le sue sorelle fossero separate le une dalle altre. Ben presto, la stima di cui le monache godevano a Loudun e nei dintorni si era trasformata in spregio: le educande erano state ritirate dalle loro famiglie, il soccorso della carità pubblica si era interrotto e il convento si era ritrovato nelle ristrettezze, come ai primi tempi della sua fondazione. È in questo frangente che, sulla scena di Loudun, compare Jean Martin de Laubardemont, nell'autunno del 1633. Primo presidente della corte d'appello di Guyenne, membro del consiglio di stato, segreto quanto fidato collaboratore del cardinale di Richelieu, Jean Martin de Laubardemont si era già recato a Loudun due anni prima, per occuparsi della demolizione delle mura di cinta della città. Erano gli anni in cui il cardinale di Richelieu mirava a eliminare ogni potere degli ugonotti e dei signori feudali e, a tal fine, aveva persuaso Luigi XIII e il consiglio di stato a far demolire tutte le fortezze del regno. Quanto alle mura di Loudun, il progetto non era stato completamente portato a termine. Luigi XIII aveva, infatti, promesso a Jean d'Armagnac, governatore di Loudun, che il suo torrione sarebbe stato risparmiato. Era questo l'ostacolo dinanzi al quale Laubardemont aveva dovuto cedere, pur avendo tentato di far demolire, insieme alle mura di cinta, anche il torrione. Aveva impartito ordini categorici ai suoi uomini e si era allontanato dalla città con la speranza di ritornarvi a cose fatte. Quando, però, i demolitori si erano avvicinati troppo al torrione, Urbain Grandier, amico di Jean d'Armagnac e contrario ai progetti del cardinale di Richelieu, era intervenuto e, di sua iniziativa, aveva ordinato ai soldati del governatore di formare un cordone protettivo intorno all'edificio in pericolo. Jean d'Armagnac, intanto, aveva scritto a Luigi XIII, informandolo dell'abuso che si era tentato di compiere. Cosl, Laubardemont non aveva avuto altra scelta che interrompere la missione affidatagli dal cardinale di Richelieu. Ma, quando Laubardemont fa ritorno a Loudun nell'autunno del 1633, gli equilibri della città sono assai mutati. Intuisce che, schierandosi dalla parte dei nemici di Grandier e screditando, attraverso il curato di Saint-Pierre-du-Marché, il governatore Jean d'Armagnac, può prendersi la rivincita dello scacco subito in precedenza. Allora, si reca a visitare suor Jeanne des Anges, sua parente, e suor Claire de Saint-Jean, parente del cardinale di Richelieu. Poi, incontra i nemici di Grandier, all'epoca ridotti al silenzio dagli ordini dell'arcivescovo di Bordeaux, e conviene con loro che le monache sono possedute dal diavolo. Infine, mette al corrente della situazione Luigi XIII e il cardinale di Richelieu. Di Il a pochi giorni, arriva a Loudun il principe Henri de Condé, visita il convento delle Orsoline, assiste allo spettacolo delle religiose invasate e

a parlare col Re e col signor cardinale di Richelieu delle condizioni in cui versavamo. Si recò pure a trovare il signor vescovo di Poitiers per riferirgli il nostro bisogno di soccorsi spirituali. 10 Agirono in modo cosl efficace presso questi personaggi, che poco tempo dopo fummo provviste di esorcisti. Io fui messa sotto la guida di un padre recolleta di nome Gabriel Lactance, uomo molto sapiente e di grande pietà.11 Questo buon sacerdote aveva molto potere sui diavoli, li faceva obbedire come se fossero stati suoi schiavi e mi esorcizzava con grande fervore e con profonda fede. In meno di sei o sette settimane, scacciò dal mio corpo tre demoni, ossia: Asmodeo, Aman e Gresil. Tutto ciò al cospetto del monsignore di Poitiers e di oltre seimila persone.12 Come segno della loro avalla la versione di Laubardemont. Non trascorre molto tempo e gli esorcismi riprendono con virulenza maggiore di prima. Al tempo stesso, le accuse contro Grandier si fanno sempre più pressanti, finché il curato di Saint-Pierre-du-Marché non viene ufficialmente accusato di stregoneria e arrestato il 6 dicembre 1633. Altri due fatti, comunque, devono essere intervenuti in questo scioglimento della vicenda. Nel 1618, in occasione di una manifestazione religiosa cui partecipavano tutti i dignitari ecclesiastici della provincia, Grandier aveva offeso il priore cli Coussay, negandogli la precedenza nella processione solenne lungo le vie di Loudun. Il priore di Coussay era il vescovo di Luçon e il vescovo di Luçon altri non era che Annand-Jean du Plessis de Richelieu, il quale, quattro anni dopo, nel 1622, sarebbe stato cardinale e primo ministro di Luigi XIII. Inoltre, a nove anni dal primo incidente, nel 1627, era comparso un opuscolo diffamante nei confronti del cardinale di Richelieu, la Lettre de la cordonnière de Loudun, la cui paternità era stata attribuita a Grandier. 10 A differenza dell'arcivescovo di Bordeaux che non credeva nella possessione diabolica delle monache di Loudun, il vescovo di Poitiers era convinto che le monache fossero invasate e che Grandier fosse uno stregone. 11 Padre Gabriel Lactance è uno dei più attivi esorcisti implicati nella vicenda della possessione di Loudun. Si sarebbe distinto, soprattutto, per il suo accanimento durante le torture cui le autorità, per indurlo a riconoscersi artefice dei malefizi imputatigli da suor Jeanne des Anges e dalle sue compagne, avrebbero sottoposto Urbain Grandier. 12 La notizia della possessione si era diffusa molto in fretta, anche grazie alla pronta comparsa di opuscoli e foglietti di propaganda. Agli esorcismi, ora, assiste una folla sempre maggiore, proveniente da ogni provincia della Francia e pure dall'estero. Dapprima, le monache erano state esorcizzate nella cappella del loro convento. Poi, per soddisfare un pubblico di volta in volta più fitto, erano state trasferite ogni giorno nella chiesa di Sainte-Croix o del Chateau. Infine, anche in conseguenza alle accuse fonnulate dalle monache possedute nei confronti degli ugonotti in quanto amici di Satana e suoi fedeli servitori, Jean Martin de Laubardemont aveva fatto confiscare il collegio protestante della città e ne aveva adibito gli spazios,i fabbricati a scena della lotta fra esorcisti e invasate. Fra gli spettatori di

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dipartita, quegli spiriti diabolici mi aprirono tre piaghe sotto il cuore dinanzi alla vista di tutti i presenti. Fu per intercessione della Santa Vergine e dei buoni angeli che questa meraviglia accadde. Dio se ne servl per incoraggiare gli uomini di Chiesa, i quali, per la maggior parte, temevano di impegnarsi troppo in un'impresa cosl palesemente colma di difficoltà. Il monsignore di Poitiers ci assegnò quattro cappuccini che si adoperarono con molto fervore in aiuto delle nostre sorelle possedute. Padre Lactance, avendo avuto un esito cosl buono con la dipartita dei tre demoni di cui si è detto, continuò a esorcizzarmi con molto fervore e con assiduità dal mese di maggio al mese di settembre, quando Dio gli inviò una grave malattia per cui morl. 13 Ne ebbi molto dolore. Feci tutto il possibile presso i miei superiori per ottenere un direttore spirituale della stessa tempra, ma la Provvidenza non lo permise. Per tre mesi rimasi senza soccorso, anche se i miei superiori mi presentavano qualche sacerdote. Gemevo di continuo in fondo al cuore e chiedevo a Dio di darmi una persona che penetrasse nel fondo della mia anima e che sapesse scorgere i disordini che quei maledetti spiriti vi facevano. Sovente ero colta da un forte timore che la mia condizione di posseduta fosse causa della mia dannazione eterna. rilievo: John Maitland, in seguito duca di Lauderdale, Walter Montague, primo conte di Manchester, Thomas Killigrew, futuro commediografo, oltre a numerosi personaggi della nobiltà francese. 13 Padre Lactance muore il 18 settembre 1634. Si vuole che il suo decesso sia stato opera dei diavoli, che gli sarebbero penetrati in corpo senza concedergli tregua. Più interessante, comunque, è il fatto che, qui, suor Jeanne des Anges non accenni alla morte di Urbain Grandier, occorsa esattamente un mese prima, il 18 agosto 1634. Privato della libertà fin dal dicembre dell'anno precedente, Grandier aveva subito un lungo processo terminato con la condanna a essere arso vivo sul rogo. Era stato sottoposto a tortura straordinaria affinché si dichiarasse colpevole, e poi, vestito con una camicia impregnata di zolfo, era stato costretto a trascinarsi con le gambe spezzate dinanzi alle porte della chiesa di Saint-Pierre-du-Marché e del convento delle Orsoline per farvi onorevole ammenda. Caricato su un carretto, aveva infine raggiunto la piazza di Sainte-Croix, dove era stato fatto salire sul rogo. Padre Lactance si era adoperato per evitare che venisse strangolato all'ultimo momento dal boia, come sempre accadeva in simili casi. Così, Grandier era stato bruciato vivo dinanzi alla folla: in nessun momento, neppure mentre gli venivano spezzate le gambe, aveva mai ammesso la sua colpevolezza.

Non avevo quasi più forza per resistere alle tentazioni orribili che pativo. Il diavolo mi ingannava spesso, ispirandomi un certo diletto durante le convulsioni e le altre straordinarie cose che faceva nel mio corpo. Traevo un estremo piacere dall'udirne parlare ed ero contenta di apparire più travagliata delle altre. Ciò conferiva grande forza a quegli spiriti maledetti, perché quello che vogliono è costringerci a guardare i loro interventi. Cosi, a poco a poco si insinuano nelle anime e ne ottengono grandi vantaggi, perché evitano che si tema la loro perversità. Al contrario, si familiarizzano con la mente umana e, tramite questi brevi diletti, traggono un tacito consenso per agire nello spirito delle creature che posseggono. Il danno che ne viene è assai grave, perché imprimono in loro ciò che vogliono e fanno credere quello che vogliono, anche perché facilmente diviene strano considerarli nemici della propria salvezza. E, se le anime non sono fedelissime a Dio e attente alla loro coscienza, rischiano di commettere grandi peccati e di cadere in grandi errori. Dopo che quei maledetti spiriti si sono in tal modo insinuati nella volontà, persuadono le anime di una parte di quanto vogliono. Talvolta, rendono noti i loro disegni e poi, turbando l'immaginazione, provocano grandi disordini. È questo il comportamento che usavano spesso con me, sicché mi ritrovavo quasi sempre fra rimorsi di coscienza. Ne avevo ben motivo, perché il più delle volte vedevo benissimo che ero la causa prima delle mie angosce e che il demonio agiva solo secondo la possibilità che gli offrivo di penetrare in me. Quando ne parlavo ai miei esorcisti, mi dicevano che era il demonio a ispirarmi quei sentimenti, per nascondersi in me o per suscitare una piccola disperazione al vedermi tanto infame. Ma non ne rimanevo soddisfatta, perché, pur essendomi sul momento indotta a credere a quanto mi dicevano, la mia coscienza, ed era lei a farmi da giudice, non mi concedeva tregua. Sicché ogni loro assicurazione serviva ad accecarmi. Penso che per quegli esorcisti fosse difficile credere che io fossi tanto malvagia e pensavano che fossero i diavoli a ispirarmi quegli scrupoli.

A confermarli in questo parere era il fatto che, quando la mia passione si era acquietata e il mio furore era trascorso, davo loro prova di essere adirata per i disordini che avevo causato e facevo intendere che la mia attuale volontà ne era assai lontana. Non ero sincera nel dir loro come avevo potuto lasciare che i demoni penetrassero in me. Io non mi ritenevo colpevole delle bestemmie e degli altri disordini che i demoni mi hanno spesso causato. Il fatto è che, essendomi lasciata trascinare agli inizi dalla loro suggestione, si impadronivano di tutte le mie facoltà interiori ed esteriori per disporne a piacimento. Dopodiché mi spingevano fra quei grandi disordini. Per meglio farmi intendere, debbo dare qualche esempio, sia in quanto a cose importanti sia in quanto a piccoli fatti, affinché chi potrà leggere quello che scrivo sappia che cosa è necessario alle anime travagliate dai demoni per tenersi strette a Dio e diffidare di se stesse. Accadde, con mia grande vergogna, che nei primi giorni in cui padre Lactance mi fu dato come direttore spirituale ed esorcista, io disapprovassi il suo modo di comportarsi in certi particolari, per quanto fossero giusti. Ma il fatto è che io ero malvagia. Un giorno ci riunì tutte alla grata affinché ci comunicassimo. In quel periodo, siccome per la maggior parte eravamo molto scosse da turbamenti e da forti convulsioni, nel momento di distribuire il Santo Sacramento il sacerdote entrava nel nostro coro oppure ne venivamo fatte uscire per comunicarci nella chiesa. Io mi adirai che volesse introdurre una nuova consuetudine. Cominciai a mormorarne nel coro e fra di me pensai che avrebbe fatto meglio a seguire l'uso degli altri sacerdoti. Essendomi negligentemente soffermata su questo pensiero, mi venne in mente che, per umiliare quel padre, il demonio avrebbe compiuto qualche irriverenza al Santissimo Sacramento. Fui così abietta, che non opposi abbastanza resistenza a questo pensiero. Non appena mi presentai alla comunione, il diavolo si impadronì della mia testa e, dopo aver ricevuto la santa ostia e averla per metà inumidita, il 30

diavolo la gettò in faccia al sacerdote. So bene che non compii quel gesto in libertà, ma, con mia grande vergogna, sono sicurissima di aver dato al diavolo l'occasione di compierlo e che, se non mi fossi legata a lui, non avrebbe avuto quel potere. Ho sperimentato in diverse altre circostanze cose simili e, quando facevo una forte resistenza, sentivo che tutte quelle furie e quelle rabbie svanivano cosl com'erano venute. Ma, ahimè, accadeva troppo spesso che non mi facevo affatto forza per resistere, soprattutto quanto alle cose in cui non vedevo grave peccato. Ma è proprio qui che sbagliavo, perché, non trattenendomi nelle piccole cose, la mia mente veniva poi indotta a quelle grandi. I demoni che mi possedevano erano cosl scaltri, da non presentarmi il male tutto insieme, ma a poco a poco. Spiavano le inclinazioni del mio carattere, le turbavano un po' e poi mi lasciavano agire. È vero che, durante gli esorcismi, il loro intervento era diverso e che non sconvolgevano come in altri momenti. Essendo soggetti alla potenza della Chiesa, erano costretti a mostrarsi nella loro forza e ad agire secondo la loro natura. Pensavo sempre che non ero come Dio mi voleva, ma avevo difficoltà a decidermi a intervenire per liberarmi dai tormenti della mia coscienza. Isacaronne, che era quello che più agiva in me e che quasi non mi concedeva requie, traeva grande profitto dalla mia codardia per ispirarmi orribili tentazioni contro la castità. Interveniva sul mio corpo nel modo più furibondo e più strano che si possa immaginare. In seguito, mi persuase di essere gravida, sino a farmelo credere fermamente e ad averne tutti i segni che si hanno in questi casi. Tuttavia, io sapevo bene che, grazie a Nostro Signore, non mi ero mai abbandonata a chicchessia. Mi sembrava che avrei preferito morire di mille morti piuttosto che averlo fatto, ma, poiché da otto giorni interi vivevo in preda a continui turbamenti e molto spesso trascorrevo le notti nel nostro giardino, non sapevo se qualche mago avesse abusato di me, mentre ero fuori conoscenza, in preda ai miei turbamenti. Di continuo, quello sciagurato spirito mi sollecitava in ogni momento libero. Se Dio, nella sua pura misericordia, non mi avesse sorretta, credo che avrei commesso qualche abiezione,

come quella di perdere la speranza o abbandonarmi al peccato di impurezza. Ma quella divina bontà mi ha salvata dall'una e dall'altra, del che io le rendo mille atti di grazie. Ogni notte, durante i quasi sei mesi in cui l'intervento durò, quel demonio soffiava o parlava senza posa alle mie orecchie. Assumeva molto spesso sembianze e mi appariva sotto forma di drago, di cane, di leone, di caprone e di altre bestie. Talvolta, assumeva una forma umana per indurmi ad azioni delittuose. Poiché ero risoluta a morire piuttosto che dare il mio consenso in libertà a quanto mi proponeva contro la purezza, mi riempì di angoscia ispirandomi timore per quello che avrebbero potuto dire al vedermi gravida. Mi insinuava che la maggior parte delle persone oneste non avrebbe mai creduto alla mia innocenza, che sarei stata oggetto di vergogna per il nostro ordine e soprattutto per questa casa, e che, se avessi voluto, lui mi avrebbe liberata da quel frangente, purché accettassi quanto voleva farmi e facendo quello che voleva insegnarmi. Ero molto confusa e, senza una particolare grazia di Nostro Signore, non avrei saputo cosa decidere, ma la sua divina bontà non mi ha mai abbandonata, soprattutto in momenti tanto importanti. Sicché Nostro Signore mi concesse la grazia di rispondere con coraggio a quel serpente infernale. Gli dissi che il mio onore era fra le mani di Dio, che lui ne avrebbe disposto secondo la sua volontà, che non dal demonio mi aspettavo rimedio ai miei mali e che non sapevo cosa farmene delle sue imposture. A questa risposta, quel maledetto spirito si adirò talmente, da farmi temere che mi avrebbe uccisa. Mi picchiò con grandissima violenza, fino a ridurmi il viso sfigurato e il corpo illividito. Accadeva spesso che mi trattasse in tal modo, ma Dio mi concedeva un coraggio maggiore di quello che avrei mai osato sperare. Eppure, ero così malvagia da trarre vanità da queste piccole lotte, credendo di essere molto amata da Dio e di non aver motivo di temere i rimproveri della mia coscienza come avevo pensato. Tuttavia, non potevo soffocare i rimorsi, né impedirmi di credere che non ero come Dio mi voleva. Mi accadeva talvolta di pensare che avrei patito quelle 32

grandi pene finché non avessi cominciato a combattere contro me stessa, che la Chiesa si era molto adoperata per mc e, infine, che io dovevo sforzarmi per essere libera. Poco dopo, disprezzavo tali pensieri e non ne tenevo alcun conto. Quel maledetto Isacaronne non perdeva tempo, né mi concedeva tregua. Non sto qui a riferire tutte le violenze che mi ha fatto giorno e notte. Non avevo un esorcista 6.sso dopo la morte di padre Lactance. Mi recavo talvolta da uno, talaltra da un altro. Il signor di Laubardemont chiese allora qualche gesuita per esorcizzarci. Un giorno me ne parlò e io gli risposi che non mi sarei sottomessa alla loro guida. In effetti, feci tutto il possibile per evitarlo, ma Dio, nella sua bontà, non permise che ci riuscissi. Mi risolsi quindi a studiare il carattere di colui al quale sarei stata affidata e di comportarmi con lui il meno apertamente possibile, affinché non riuscisse a conoscere le condizioni della mia anima. Fui sin troppo fedele a questa decisione. Per qualche mese, fui messa sotto la guida di padre JeanJoseph Surin, alla 6.ne del settembre dell'anno 1634. 14 Era un uomo molto pio e molto saggio. Non appena mi ebbe vista, seppe che il mio male era grande dentro di me quanto lo era fuori di me. Dopo avermi parlato per qualche tempo di molte cose spirituali in generale, mi chiese qual era il mio metodo di preghiera. Gli risposi che la poca libertà che avevo e le grandi violenze che mi facevano i demoni non permettevano che mi applicassi e che il tormento dell'anima mi travagliava 14 Due mesi dopo la morte di Grandier, arriva a Loudun Jean-Joseph Surin, gesuita, autore di opere mistiche come la Guide spirituelle pour arriver à la per/ection e il Triomphe de l'amour divin. Era nato nel 1600 a Bordeaux e aveva frequentato lo stesso collegio gesuita dove Urbain Grandier aveva fatto i suoi studi. Padre Surin era tenuto in alta considerazione dai suoi confratelli, che ne ammirava.no l'austerità della vita e il fervore con cui perseguiva l'ideale di perfezione cristiana. Questa stima, comunque, era temperata da una certa inquietudine per gli eccessi di zelo cui si lasciava talvolta trascinare. Nel 1632, aveva dovuto interrompere la sua attività per motivi di salute: strette al cuore, emicranie, incapacità di leggere, tutti fenomeni che si erano già presentati, di tanto in tanto, nel corso della sua vita. Ai fini dei suoi rapporti con suor Jeanne des Anges, è importante ricordare che padre Surin, già prima Ji arrivare a Loudun, aveva scritto relazioni circostanziate sulle estasi e sulle visioni di due sue penitenti, di. mostrando un interesse marcato per gli interventi del sovrannaturale.

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molto. Bisognava quindi aspettare che mi trovassi m altre condizioni per parlarmi di preghiera. Da due anni non ne facevo. Parlavo volentieri con quel buon padre dei grandi tormenti che i demoni mi causavano dentro, ma non mi garbava affatto che volesse penetrare in me. Più mi parlava e più la mia anima era turbata e, poiché facevo il più possibile resistenza ai moti con cui Dio mi ispirava di seguire i consigli del padre, i demoni mi travagliavano continuamente sia dentro sia fuori di me .15 Mi fecero nascere una fortissima avversione per quel buon padre che nutriva una carità inconcepibile nei confronti del bene dell'anima mia. Non appena mi trovavo con lui, il diavolo risvegliava quell'avversione e non mancava mai di venire a sconvolgermi, sicché in quel periodo ero ben contenta quando riuscivo a evitare i colloqui con lui. Tuttavia, il buon Dio non mancava mai di sollecitarmi con le grandi pene e con le tentazioni che pativo, di sospingermi verso quanto desiderava da me, ma io gli opponevo resistenza. Trascorsi circa tre settimane senza parlare in libertà con quel buon padre. Lui ne era molto addolorato, perché capiva benissimo che non dicevo quanto mi opprimeva il cuore e che fingevo durante quasi tutti i nostri incontri. Decise allora di aggredire Isacaronne e si propose di non scoraggiarsi dinanzi ai miei modi, visto che gli manifestavo apertamente l'avversione che nutrivo per lui. La sua carità era tale, che attribuiva al diavolo quest'atteggiamento. Per questo aveva un grande desiderio di assistermi e pazienza nel sopportarmi, sicché in ogni circostanza ha messo a dura prova la sua virtù. Poiché non rivelavo i miei intenti, questi sempre più aumentavano, fino a suscitare in me un'angoscia tale a causa delle condizioni in cui mi ritrovavo e soprattut15 Se prima dell'arrivo di padre Surin gli esorcismi avevano una dimensione pubblica, ora vengono presto sottratti agli occhi della folla. All'inizio del 1635, viene fatta costruire una grata che divide in due lo spazio di una soffitta del convento delle Orsoline. Qui, attraverso le sbarre, padre Surin impartirà le sue istruzioni a suor Jeanne des Anges, per avviarla lungo il cammino di perfezione. E qui, attraverso le sbarre, suor Jeanne des Anges riferirà a padre Surin le sue tentazioni, le sue lotte contro i diavoli, le sue esperienze durante la meditazione.

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to del timore che nutrivo per la mia presunta gravidanza, che decisi di uccidermi. Se Dio, con straordinario effetto della sua bontà, non me l'avesse impedito, l'avrei fatto. Ero cosl insensibile alla grazia ed ero giunta a un accecamento tanto grande della mente, che decisi di uccidermi nel modo che ora dirò. Mi risolsi a trangugiare certi beveraggi e, a tal fine, trovai il mezzo per procurarmi delle droghe. Ma, poiché il buon Dio non voleva che mi dannassi, mi ispirò un grande timore per la perdita dell'anima della creaturina che pensavo di avere nelle viscere. Fu cosl che, alla fine, non volli servirmi di quelle droghe e le gettai via. Concepii allora un altro piano diabolicissimo, ossia di farmi un'apertura sul costato per trarmi dal corpo quel bambino che avrei battezzato e messo cosl al sicuro. Sapevo che avrei corso pericolo di morte e che bisognava pensare alla mia anima, ma preferivo darmi la morte piuttosto che subire le pene che immaginavo mi avrebbero fatto subire. Sicché mi disposi a confessarmi con la maggior esattezza possibile, senza tuttavia lasciar scoprire il mio piano al confessore. Il giorno dopo la confessione, che fu il 2 gennaio 1635, salii in una piccola stanza con l'intento di compiere il mio piano e di aprirmi il costato. Portai con me un grosso coltello e un po' d'acqua per battezzare quella creaturina che pensavo di avere in me. Non appena mi ritrovai in quella piccola stanza, mi gettai ai piedi di un crocefisso che c'era lì. e pronunciati molti atti di contrizione. Supplicai Dio affinché perdonasse la mia morte e quella della creaturina, visto che sarei stata omicida di me e di lei, decisa com'ero a soffocarla dopo averla battezzata. Con questa idea, cominciai a spogliarmi per attuare più facilmente il mio piano. Intanto, ero colta da piccoli timori di essere dannata, nel caso che fossi morta per quel gesto. Ma questi pensieri non erano abbastanza forti per distogliermi dal mio malvagio piano. Eppure, la misericordia di Dio ha sempre superato la mia perversità e io le sono assai debitrice per avermi salvata da quella sventura. Se la santa obbedienza non me l'avesse più volte ordinato,

non avrei mai potuto risolvermi a mettere per iscritto quanto segue. Il mio accecamento fu così grande e la tentazione così forte, che mi accinsi ad attuare il mio sciagurato piano. Aprii nella camicia una grande apertura con un paio di forbici, poi presi il coltello che avevo recato con me e cominciai a conficcarmelo sotto le costole, vicino allo stomaco, con ferma risoluzione di andare fino in fondo. Ma ecco che l'intervento della misericordia me lo impedì. D'improvviso fui scaraventata a terra con una violenza che non posso esprimere. Mi fu strappato il coltello di mano e mi fu messo dinanzi, ai piedi del crocefisso che si trovava in quella piccola stanza. Udii molto distintamente una voce che mi disse: « Che pensi di fare? Desisti dal tuo malvagio intento, ricorri al tuo Salvatore e convertiti a lui, che solo desidera accoglierti ». Allora volsi gli occhi verso quel crocefisso e una delle sue braccia si distaccò dalla croce e mi tese la mano. Il crocefisso stesso mi disse queste parole: « Non voltarmi le spalle e avrò cura di te. Vedi come i tuoi peccati mi tengono qui attaccato. Eppure ho più cura della tua salvezza io che te stessa. Il gesto che stavi per fare ti avrebbe scaraventata nell'inferno. Torna in te ed esci dal tuo accecamento ». A tali parole io rimasi esterrefatta. Subito i miei occhi si aprirono e presi a gridare misericordia a quell'infinita bontà dal più profondo del mio cuore. Implorai perdono per i miei peccati che, in un istante, scorsi in tutto il loro orrore. Il mio cuore fu vivamente toccato dalla contrizione e, subito, mutai volere. Poi il coltello mi fu rimesso in mano e mi fu detto: « Riporta questo coltello dove l'hai preso e, d'ora innanzi, adoperati solo a soddisfare la giustizia divina che tante volte hai offeso. Scruta nella tua coscienza e tieni segreta la grazia che hai ricevuto. Se ritornerai pienamente a Dio, avrà cura di te. Non angosciarti per la condizione in cui appari agli occhi del mondo. Devi soltanto sforzarti per conservare la tua anima sulla retta via, perché avrai molto da lottare».

Non appena quella voce ebbe terminato di parlarmi, udii molte grida che si levavano vicino a me e cosl dicevano: « Se non stiamo attenti, la perderemo ». Altre ancora dicevano: « Ci rimangono molte speranze, perché numerose sono le insidie che le tenderemo. Sappiamo bene come servirci del suo carattere indeciso e ombroso ». Grande era la confusione dentro di me e avevo il cuore trafitto dal dolore. I malvagi spiriti, però, tentavano di allontanarmelo, quel dolore. Debbo dire in verità che, a gloria di Nostro Signore, la mia anima mutò in quello stesso istante e, da allora innanzi, la sua bontà mi fece la grazia di voler cambiare vita del tutto e di convertirmi definitivamente. Ma, ahimè, ho mancato molto nei confronti di questa decisione, perché, con mia grande vergogna, debbo dire che sono piena di imperfezioni pur essendo trascorsi otto anni da quando è accaduto ciò che ho appena raccontato. Dio, nella sua misericordia, voglia perdonare tutte le mie ingratitudini e mi faccia la grazia di farmi mantenere in avvenire più fedelmente le promesse che feci allora e quelle che gli ho fatto in seguito. Dopo questa risoluzione, mi ritrovai in una grande lotta interiore. La vista dei miei peccati era cosl vivida in me, che giorno e notte non riuscivo a pensare ad altro. Fui molto addolorata per aver nascosto la tentazione che ho riferito e decisi fermamente di aprirmi al mio confessore. Da allora innanzi, nacque in me un forte terrore per il mio stato di possessione. Tutti i buoni propositi che avevo avuto da quando mi trovavo in quelle condizioni mi ritornavano e, dentro di me, sentivo una fretta tale di mutare vita, che non avevo tregua neanche per un istante. Intanto, i demoni non perdevano tempo e mi tormentavano molto. Non appena ebbero visto che Dio aveva infranto i loro disegni e che io cominciavo a pensare che la gravidanza che sembravo avere fosse un'illusione, una notte mi apparvero in forma orribile e vollero farmi prendere un piccolo impiastro per guarirmi, dicevano, dall'infamia in cui mi ritrovavo. Il primo pensiero che mi venne fu che non c'era alcun male, ma ben presto ebbi un impulso assai violento che mi fece vedere con chiarezza come 37

non dovessi aspettarmi soccorso da quei maledetti spmt1 e che dovevo affidarmi a Dio, sicché li respinsi. Allora si infuriarono molto e mi oltraggiarono con numerosi colpi. Mi minacciarono di portare nel mio letto un bambino morto, per far così credere a tutti che avevo abortito e che avevo soffocato quella creaturina. Ciò mi spaventò grandemente. I piani dei demoni erano di occupare la mia anima con tutte queste cose, per togliermi la possibilità di pensare alla mia coscienza. Ricorsero anche a un'altra impostura: mi tolsero completamente il ricordo dei pensieri e dei moti che Dio mi aveva ispirato per attrarmi a lui. Poiché la mia volontà non era ancora molto salda nella decisione di mutare vita, mi lasciavo spesso andare alle mie vecchie consuetudini e il mio carattere, unito alle tentazioni, aveva la meglio sulla ragione e sulla grazia. La notte di giovedì 24 gennaio, mi accadde quanto ora dirò. Verso le due del mattino, fui colta da grande turbamento e vidi nel mio letto una luce assai intensa. Il letto prese a tremare con molta violenza e ciò durò per quasi un'ora. Sentii come se una persona si fosse avvicinata a me. Mi prese la mano sinistra che tenevo sotto le coperte, me la strinse e me la baciò. Poi la lasciò andare e si mise a gemere tre volte. Questi gemiti furono uditi da tutte le mie sorelle che dormivano nella stessa stanza. Io le chiamai, pregandole di non alzarsi perché la stagione era fredda. Poco dopo i gemiti, sentii come se una persona mi avesse posato la mano sul cuore e, al tempo stesso, udii una voce chiedermi se non volevo più avere compassione di lui. Per qualche tempo non riuscii a rispondere. Sentivo in me dei moti che mi spingevano a consolare chi mi parlava, senza che sapessi cosa desiderava da me. Mi disse: « Rispondimi. Non voglio trascinarti al n-:iale. Voglio solo che tu accetti quanto ti verrà offerto ». Poiché il mio impulso di compassione cresceva, feci uno sforzo per rispondere a chi mi parlava. Gli dissi: « Non accetterò alcunché se non per ordine di chi regola la mia vita, ossia della Chiesa. Se la Chiesa me l'ordina, lo farò di buon grado ». La risposta che ebbi fu questa:

« Non c'è bisogno di alcun consiglio in merito. Non parlare a chicchessia di tutto ciò. Me ne vado. Devi solo badare ai moti che sentirai in te oggi ». Ci furono ancora molti rumori nella stanza e scosse nel letto. Per il resto della notte fui preda di una grande tristezza e, il giorno dopo, desiderai che la stessa cosa si presentasse a me. Ero combattuta all'idea di quanto avrei fatto se fosse accaduto. La notte seguente, verso mezzanotte, mentre dormivo, qualcuno venne a tirarmi per la testa. Mi svegliai e chiesi chi era. Ecco la risposta: « È quanto hai desiderato per tutto il giorno. Tu puoi accontentarmi senza che chicchessia ne venga a conoscenza ». Io risposi cosl: « Io voglio accontentare Dio e piacere a lui solo ». Subito qualcuno mi diede un colpo sulla spalla destra che mi fece molto male. Mezz'ora dopo, vidi sul letto, in un chiarore che si fece, un ramoscello di alloro e uno di rosmarino. Nello stesso tempo, mi fu detto perentoriamente: « Prendili in mano ». Di Il a poco, fui colta da un profondo assopimento e da grandi inquietudini. Di continuo era come se un animale corresse nel mio letto e mi toccasse in diversi punti del corpo. La cosa durò circa un'ora senza che riuscissi a trarmi da quell'assopimento. · Risvegliatami d'improvviso, mi accorsi che era giorno fatto. Mi sembrò di udire la voce di suor Sant'Agostino che diceva che Laubardemont chiedeva di me, che, avendo tardato tanto ad alzarmi, non mi muovessi finché non fosse venuto lui a togliere quanto era stato portato sul mio letto. Chiesi chi gliel'aveva detto. Mi fu data questa risposta: « Sono stata io, perché avevo visto che, mentre dormivi, stavi soffrendo molto. Sono venuta fino al tuo letto e, vista la tua sofferenza, mi sono consultata col signor di Laubardemont ». Per un po' di tempo rimasi molto tranquilla. Poi udii che qualcuno camminava nella stanza senza far troppo rumore. Mi sembrò di vedere vicino a me una monaca velata, che sollevava il mio letto dalla parte destra, su cui stavo cori39

cata. Mi sembrò anche di vedere, nella cella, il signor di Laubardemont e padre Surin, il quale teneva un libro in mano. Due monache velate stavano accanto al camino dove c'era un fuoco acceso e ognuna reggeva in mano un cero. Padre Surin cominciò a fare benedizioni sui ramoscelli di alloro e di rosmarino, mentre il signor di Laubardemont mi chiedeva chi me li avesse portati. Gli risposi che non lo sapevo, perché non avevo visto chi era stato. Lui disse allora a padre Surin che, a suo avviso, la cosa non avrebbe avuto termine se non si fosse preso qualche provvedimento e che riteneva opportuno farmi prendere quanto avevano pensato insieme. Mi chiese se ero d'accordo e io risposi che avrei fatto qualsiasi cosa avesse voluto. Allora il signor di Laubardemont andò verso il tavolo che c'era nella stanza, mentre padre Surin rimase vicino al mio letto, mi prese una mano e me la strinse come per dimostrarmi una particolare amicizia. Ne fui un po' stupita e ritrassi la mano. Poi il signor di Laubardemont si avvicinò di nuovo a me tenendo in mano una scodella col manico e mi disse: « Dovete berlo per poter vincere i nostri nemici. Dio ne sarà ben più lodato che offeso ». Parlando così, mi passò una mano sul viso, come per farmi una carezza. Fui molto stupita da quel modo di agire, che non si confaceva al suo di sempre, sicché presi a diffidare. Forse i demoni volevano ingannarmi sotto quelle sembianze. Mi volsi allora a Dio e pregai nel mio cuore la Santa Vergine, affinché non fosse permesso che venissi ingannata. Mi sembrò che padre Surin mi dicesse di non badare a tutti quei timori, che lui era Il per rispondere della mia coscienza e delle mie azioni, che dovevo seguire ciecamente il suo consiglio e vincere in quel modo le mie inclinazioni. Questo discorso mi fece temere ancor più che fossi in pericolo di essere ingannata. Per questo risposi che non avrei bevuto quanto stava porgendomi. Mi sembrò che il signor di Laubardemont mi dicesse che mi avrebbe fatto pagar cara quella ribellione e padre Surin che non voleva più occuparsi di me, visto che non volevo seguire i suoi consigli. Io risposi: « Non credo che questi consigli siano di padre Surin. Sa-

ranno piuttosto di qualche demonio che vuole ingannarmi. Prego Dio di volermi salvare da questa impostura». Nello stesso istante, tutto quel gran chiarore che c'era nella stanza svanì e, insieme, svanirono tutte le persone che erano apparse. Si levarono poi molti rumori intorno a me, fra scosse e lezzo che mi spaventarono fino alle sei del mattino, quando tutte queste cose scomparvero dalla mia mente. Per due o tre notti non udii più alcun rumore. Qualche giorno dopo, udii ancora molti rumori intorno a me. Sentii come se una persona soffiasse e udii una voce dirmi: « Non è più tempo di resistere. Non devi più ribellarti. Ritardando ad acconsentire a quanto ti è stato proposto, ti farai del male. Non puoi continuare a persistere in queste resistenze. Poiché Dio ti ha sottomessa a una natura, devi assecondarla in circostanze così urgenti ». Ebbi allora pensieri impuri nella mente e impulsi sregolati nel corpo. In fondo al cuore continuavo a dirmi che non avrei fatto alcunché. Mi rivolsi a Dio e gli chiesi forza per resistere in una lotta così straordinaria. Si levò poi un forte rumore nella stanza e, al tempo stesso, sentii come se una persona si fosse avvicinata a me e avesse passato una mano sul mio letto e mi avesse toccata. Al che mi alzai fra mille inquietudini che durarono ancora a lungo. Qualche giorno dopo, sempre verso mezzanotte, mi colse nel letto un leggero tremito in tutto il corpo, con una grande angoscia nell'anima che non sapevo da dove mi venisse. La cosa durò assai a lungo, mentre udivo rumori in diversi punti della stanza e intorno a me. Due volte tentarono di strappare via il mio lenzuolo senza riuscirvi. Poi qualcuno rovesciò l'inginocchiatoio che stava accanto al letto e io udii parlare vicino a me, dalla parte sinistra verso cui ero voltata. Mi fu chiesto se avevo pensato alle offerte vantaggiose che mi erano state fatte. E fu aggiunto: « Sono qui per sapere la tua risposta. Manterrò la promessa che ti ho fatto se acconsentirai. Altrimenti, se rifiuti, diverrai la più infame giovane del mondo. Ogni sorta di affronti ti verrà fatta ». 4I

Fu questa la mia risposta: « Se non esistesse Dio, avrei paura di queste minacce. Ma io gli sono consacrata ». Mi fu detto: « Non troverai grande aiuto in Dio. Al contrario, ti abbandonerà ». Io risposi: « Dio è mio padre. Avrà cura di me, poiché io ho deciso di essergli fedele ». Mi disse: « Ti concedo tre giorni per pensarci » . Mi alzai e mi recai davanti al Santo Sacramento, con l'anima sconvolta. Ritornata nella nostra stanza e seduta su una seggiola, questa mi venne tirata via da sotto e fui fatta cadere a terra. Da quel momento, mi sono accadute all'incirca le stesse cose. Ho udito la voce di un uomo che mi diceva parole lascive e lusinghiere per sedurmi. Insisteva affinché gli facessi posto nel letto e voleva toccarmi in modo scostumato, ma io gli opposi resistenza e glielo impedii. Chiamai alcune monache che si trovavano vicino alla mia stanza e la finestra, rimasta spalancata, venne richiusa. Per un certo periodo sentii forti impulsi amorosi e desideri sregolati per cose scostumate. Altre volte, durante la notte, mi è stato detto: « Dovresti manifestare a colui che ami le passioni che nutri nei suoi confronti. Se lo accontentassi, lui ti corrisponderebbe ». Queste impressioni non sono rimaste a lungo nella mia mente, ma mi hanno recato grandi tristezze e un disgusto per il ministero che questa persona esercitava. Per molto tempo rimasi libera solo di notte, sicché non potevo manifestare le condizioni della mia anima. Non avendo perso quella grande avversione che nutrivo per padre Surin, mi trovavo in preda a una continua angoscia. Da parte sua, Dio insisteva vivamente ispirandomi rimorsi di coscienza. Le condizioni esteriori in cui mi trovavo indussero chi si occupava di me a scegliere un prelato e alcuni medici affinché indagassero su cosa mi accadeva. Non starò a rife42

rire le circostanze in cui la cosa si svolse, visto che già i processi verbali ne fanno fede. Dirò solo una cosa straordinaria che mi aiutò molto a convertirmi a Dio e che mi infuse grande fiducia nella sua misericordia. Ed ecco l'accaduto. La Santa Vergine costrinse quello sciagurato spirito che aveva avuto l'idea di farmi sembrare gravida, a dichiarare durante gli esorcismi i suoi sciagurati disegni. Fu costretto a farmi vomitare dalla bocca tutti i grumi di sangue che aveva fatto nel mio corpo. Ciò accadde in presenza di un vescovo, dei medici e di molte altre persone che, insieme a noi, ne resero lode a Dio. Rimasi cosl libera da tutte quelle pene e, nello stesso tempo, i segni esteriori della gravidanza scomparvero. Tutto questo confortò molto padre Surin e gli fece sperare che Dio avesse pietà di me. Decise più fortemente che mai di far breccia nell'anima mia per vedere cosa vi accadeva. Io gli dicevo chiaramente i miei peccati, ma, quanto al resto, mi mantenevo estremamente riservata. Da questo mio silenzio i demoni traevano gran profitto e cercavano di preservare la mia durezza di cuore. Facevano tutto quello che potevano per convincermi che l'accaduto, ossia l'intervento di Nostro Signore che mi aveva impedito di aprirmi il costato per sbarazzarmi della mia presunta gravidanza, non era opera di Dio. Dovevo quindi considerare tutto come illusioni e starmene in pace senza affannarmi troppo per confessarmi. Tutto questo non mi soddisfaceva affatto. Sentivo sempre in fondo alla mia anima un rimorso per quanto avevo fatto, soprattutto durante la notte, quando avevo maggior libertà. Mi ritornava spesso in mente il pensiero che Dio mi avrebbe chiesto il conto di tutti i buoni impulsi che mi aveva ispirato. Circa tre mesi passarono senza che io riuscissi a svelare a padre Surin tutto il fondo del mio cuore e non so descrivere le violenze sofferte dal mio spirito durante quel periodo. Lo dico in verità: non credo che ci sia mai stata persona capace di resistere a Dio quanto lo sono stata io e che sia mai stata cosl tremendamente perseguitata. Lo dico a sua gloria e con tutta la mia vergogna, perché più mi allontanavo dall'intraprendere la via della mia salvazione e più quella 43

divina bontà mi perseguiva con violenza. Siatene eternamente benedetto, mio Salvatore. Nella vostra misericordia concedetemi la grazia di soddisfarvi e fate sì che il mio cuore sappia opporsi solo al vizio e che, dinanzi a voi, io sia sempre come cera molle, affinché lo modelliate come meglio vi piacerà. Verso la festa di Pasqua del 1635, mi ritrovavo preda di tentazioni orribili. Nella mia anima accadevano strane cose, perché i malvagi spiriti mi suscitavano impressioni così forti del loro abominio, che non potevo più distrarmene. Mi mettevano davanti agli occhi gli oggetti più impudichi che si possano immaginare. Mi ispiravano desideri molto cattivi e sentimenti di un affetto molto sregolato nei confronti di chi poteva aiutare la mia anima, per indurmi ad allontanarmi sempre più dal loro soccorso. Resistetti a queste tentazioni per la durata di quindici giorni, senza mai parlarne a padre Surin, in quanto lo riguardavano. Per questo ero ben risoluta a non rivelargli alcunché in merito. A poco a poco, la mia anima fu invasa da grandi timori e da spossatezze interiori, sicché potevo ben considerarmi come una persona dannata. I miei nemici non mi concedevano quasi il tempo di prendere una buona decisione e, quando ne prendevo una, mi impedivano di condurla a termine! Dio lo permetteva loro proprio perché io non mi comportavo sinceramente con chi si occupava della mia anima. Una volta caddi in tale abominio, che presi a urlare come una disperata. Padre Surin tentò di approfittare della mia angoscia per parlarmi e per tentare di farmi dire il motivo del mio male. Tuttavia, ne ottenne solo dinieghi. Ciò visto, si recò dinanzi al Santissimo Sacramento a pregare Dio per me e vi rimase tre buone ore. Quanto a me, durante quel tempo, non feci che urlare. Mi sembrava che l'intero inferno fosse nel mio corpo e che io fossi completamente abbandonata ai poteri dei demoni. Mentre quel buon padre diceva le sue preghiere, Nostro Signore gli concesse una chiara conoscenza delle mie tentazioni e delle pene che pativo. Gli fece vedere tutta l'anima mia e i tormenti che i demoni vi producevano. Ciò lo indusse

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a raggiungermi nel luogo dove mi aveva lasciata, per tentar di porgermi qualche conforto, tanta era la sua pietà nei miei confronti. Ma non mi trovò affatto disposta ad ascoltarlo, perché mi sembrava in parte causa della mia sofferenza. Lui, comunque, non ne rimase scoraggiato e mi disse che sapeva bene in cosa consisteva il mio male e che non dovevo esserne stupita. Si trattava di un artificio del diavolo per impedirmi in tal modo che lui mi assistesse con profitto. Il suo discorso mi meravigliò molto, ma volli ancora fingere come in passato. Allora lui mi disse: « Figlia, per quanto vi sforziate, non potete nascondere il vostro male. Consiste in tre cose che conosco con chiarezza. Quanto alle tentazioni infami che provate allorché siete vicina a me, non stupitevene. È una malizia del diavolo che non durerà. Sforzatevi e cercate di aprirmi il vostro cuore. Non è più tempo di fingere, perché il vostro nemico si serve del vostro carattere per meglio celare i suoi intenti. Se unirete la vostra volontà alla mia, vi assicuro che vi libererete dalle condizioni in cui vi trovate e, aiutata dalla grazia, avrete la meglio sull'inferno intero. Voi continuate a opporre resistenza a Dio, ma alla fine dovrete arrendervi. Grandi sono i disegni concepiti per voi dalla sua bontà». Se mai ci fu una persona esterrefatta, quella fui io nella circostanza che sto descrivendo. Non sapevo se essere contenta che padre Surin fosse al corrente della cosa o se dovessi esserne adirata. Non appena me l'ebbe detto, lui se ne andò perché era ormai tardi. Mi lasciò in un grande turbamento col mio demonio nella testa, che dava sfogo a tutta la sua rabbia per l'accaduto. Solo un po' dopo che il padre si fu ritirato, a poco a poco io mi sentii di nuovo libera. Verso le nove di sera, andai davanti al Santissimo Sacramento per dire le mie preghiere e poi ritirarmi. La mia angoscia per quello che mi era successo era grande. Mi prosternai ai piedi del Santissimo Sacramento e lo supplicai di rivelarmi qual era la sua santa volontà, perché mi sembrava di essere decisa a seguirla. Rimasi Il a lungo, implorando la misericordia di Nostro Signore. Lo pregavo di lasciarmi libera di aprire il cuore a padre Surin e di riferirgli il mio desiderio di mutare vita. In un moto improvviso, promisi a 45

Nostro Signore di compiere ogni sforzo per fare una confessione dell'intera mia esistenza. Avevo appena fatto questo voto, quando molti ostacoli al suo compimento si presentarono nella mia mente. Trascorsi il resto della notte in preda a una grande lotta interiore, ma la divina bontà assecondò la mia richiesta. Al mattino, mi ritrovai abbastanza tranquilla e cosl proseguii per tutta la giornata. Feci un breve resoconto delle condizioni della mia anima a padre Surin e degli impulsi che Dio mi infondeva per convertirmi a lui. Gli parlai del progetto di fare una confessione generale e gli esposi le difficoltà che vi scorgevo. Cercò per tutta la giornata di rinvigorirmi l'anima e mi manifestò la gioia che provava al vedere la libertà di cui godevo, perché non era mai accaduto da quando ero sotto la sua guida. Prese a nutrire molta speranza per me e credette che Dio mi avrebbe concesso la grazia di liberarmi dalle mie pene, se solo io avessi voluto sforzarmi un po'. Mi interrogò a lungo e fece tutto il possibile per farmi ritrovare la libertà, sia mediante esorcismi, sia mediante colloqui spirituali. I demoni, vedendo la risoluzione del buon padre e i desideri che Dio mi ispirava di convertirmi, mi sferrarono grandi attacchi interiori ed esteriori. Mi ritrovai cosl incapace di agire e, quando volevo, a tratti riuscivo a tenermi in presenza di Dio, ma provavo tali stordimenti, con offuscamenti e debolezze cosl strane, che talvolta pensavo che la testa mi girasse. Il timore che avevo di diventare pazza faceva sì che non volessi sentir parlare di preghiera, sebbene padre Surin me ne parlasse spesso. È che l'ora di Dio non era ancora giunta. Quanto all'aspetto esteriore, ero molto sconvolta da rabbie e follie pressoché continue. Mi vedevo quasi incapace di fare alcunché di buono, visto che non avevo un'ora di vera libertà per pensare alla mia coscienza e predispormi a una confessione generale, nonostante Dio me lo ispirasse e io ne avessi il desiderio. Un giorno, mentre mi trovavo in questa lotta, padre Surin mi disse che, a suo avviso, dovevo dimenticare ogni timore e abbandonarmi alla provvidenza di Dio. Mi propose di fare tutti i giorni mezz'ora di preghiera, vincendo gli ostacoli che avevo. Aggiunse:

« Confido nella misericordia di Dio che, se sarete fedele, acquisirete con tale mezzo la vera libertà ». Fui stupita dinanzi a quelle frasi. Tuttavia, dopo avergli detto tutti i miei impedimenti e tutti i miei timori, acconsentii. Lui mi promise di rendermi quell'esercizio il più facile possibile. Avrei dovuto soltanto affidarmi ai buoni pensieri e ai santi impulsi che mi suggeriva. Mi consigliò di rivolgermi al glorioso san Giuseppe, per ottenere da lui la grazia di riuscire ad applicarmi in quella pratica. Mi esortò molto affinché mi prendessi quel grande santo come avvocato particolare nel grande bisogno in cui mi ritrovavo. Lo feci molto volentieri, tanto più che avevo già nutrito per lui una certa devozione, ma questa crebbe assai e posso proprio dire a sua gloria che mi sono interamente messa sotto la sua protezione. Da allora non ho più avuto difficoltà nell'esercizio della preghiera. Al contrario, la mia anima vi ha trovato una forza tale, tanta luce e tanto conforto, che abbandonerei tutte le cose più gradevoli per passare un'ora pregando. Oh, mio Dio, sapete bene per quali vie intendete attrarmi a voi. Rimanemmo d'accordo, padre Surin e io, che non sarei rimasta senza trascorrere ogni giorno una mezz'ora in preghiera, anche se non fossi riuscita a combinare alcunché e avessi potuto soffrirne. Non avrei comunque interrotto di perseverare durante quella mezz'ora, per rendermi più facile il santo esercizio. Ricorse all'espediente che ora dirò. Mi faceva andare vicino a lui, per arrestare cosl l'opera dei demoni che di continuo mi turbavano. Per la maggior parte del tempo, la mia preghiera si svolgeva fra rabbia e furia, sicché mi sembrava di non pregare affatto. Stavo vicino a padre Surin, lui mi faceva legare sopra un tavolo e, tenendomi il Santissimo Sacramento sul cuore e sulla testa, mi suggeriva argomenti di preghiera e mi diceva all'orecchio i gesti che dovevo fare. Agli inizi tutto questo servl molto per catturare la mia immaginazione che era estremamente sregolata. La furia dei demoni veniva arrestata dalla virtù del Santissimo Sacramento: facevano tutto il possibile per interromperci. Talvolta, nel bel mezzo della preghiera, mi levavano ogni libertà e mi 47

lasciavano fra strane pene. Talaltra, sottraevano al buon padre il potere di parlarmi. Ma, alla fine, Dio bloccò a poco a poco la loro furia e mi permise di applicarmi a lui. Avevo sempre un grande desiderio di fare la mia confessione generale e mi sembrava che sarebbe stato un gran bene se ci fossi riuscita. Padre Surin lo desiderava quanto me, ma non mi vedeva abbastanza libera per fare un'azione così importante. Io ero persuasa che, se fossi riuscita a fare quella confessione secondo le piccole luci che avevo, ne avrei tratto molta forza contro i demoni. Per acquisire tale libertà, padre Surin si applicò molto a esorcizzarmi, non come si fa di solito, né con tutte le violenze che si usano, ma, tenendomi legata sopra una panca col Santissimo Sacramento in mano, parafrasava qualche salmo di David sulla vita spirituale. Rimproverava ai demoni la perdizione di cui erano responsabili per i loro peccati e la sciagura in cui erano caduti abbandonando Dio. Poi riferiva loro la felicità delle anime che possono godere di Dio, i profitti che si traggono dall'esercizio del santo Amore, le grazie e i favori che l'anima riceve comunicando con Dio. Durante gli esorcismi, ero in genere profondamente turbata e i demoni mi rendevano ben partecipe ai mali che soffrivano. Col loro adirato intervento mi facevano sentire la sventura di un'anima abbandonata da Dio per aver opposto resistenza alle sue ispirazioni. Pur essendo esteriormente in un grande turbamento, sentivo dentro di me una calma e una luce che erano effetto di quanto padre Surin diceva al demonio. Anche se io non capisco il latino e il demonio faceva tutto il possibile per sviare la mia attenzione, non potevo evitare lunghe riflessioni sulla sventura delle anime infedeli a Dio e sulla gioia di quelle fedeli. Mi sembrava che in fondo al cuore mi venisse detto che potevo scegliere fra l'una e l'altra di queste condizioni e che la cosa dipendeva da me. Al tempo stesso, mi veniva fatta vedere la felicità delle une e la sventura delle altre. Mi si diceva dentro: « Se vuoi, tu puoi prendere il posto di uno dei tuoi nemici». La mia mente si sentiva fortemente indotta a immagi-

nare le sventure che si riversano su un'anima che non sa trarre vantaggio dalle grazie di Dio. Mi veniva fatto vedere che a poco a poco la sua bontà l'abbandona quando rifiuta di seguirne i richiami. Queste idee mi suscitarono molte buone impressioni nella mente e spesso simili pensieri mi ritornarono nel corso della giornata. Talvolta dicevo fra di me: « È mai possibile che io possa prendere il posto di quei maledetti spiriti che provengono dalle più alte gerarchie angeliche? ». Mi sembrava di sentire una sicurezza interiore, la quale mi assicurava che non sarebbe dipeso dalla mia volontà, ma che bisognava prima che io mi sforzassi. Queste idee mi ispirarono un gran desiderio di applicarmi davvero alla preghiera. Avevo sempre molta voglia di ritornare a Dio, ma non sapevo quale cammino seguire per uscire da quel frangente. Oh, bontà infinita, sapevate bene per quali vie farmi giungere ai vostri piedi. Provavate piacere a farmi desiderare di uscire dalla mia prigionia per farmene così trarre un profitto maggiore. Infondevate nel mio cuore moti che lo volgessero dalla vostra parte. E poi permettevate ai miei nemici di frapporre ostacoli al compimento dei miei buoni desideri. Ma, che dico mai?, la mia natura con tutte le sue scaltrezze e il mio amor proprio mi servivano da demonio e, in verità, mi è stato più difficile assoggettarla, che per padre Surin domare i miei nemici. Infatti, debbo dire che quei maledetti spiriti sono assai deboli quando non gli forniamo armi per lottare contro di noi ed è vero che non c'è alcunché, per quanto difficile, che una buona volontà sorretta dalla grazia non possa superare, se vuole rimanere fedele a Dio. L'inferno intero non saprebbe come nuocere a un'anima che si vuole attenta agli impulsi della grazia e pronta a seguirli. I maledetti spiriti acquistano, invece, gran potere sull'anima che non si abbandona completamente a Dio e, in tal caso, la possessione è molto pericolosa. Non c'è moto nell'anima nostra che il demonio non spii per sorprenderci. L'esperienza mi ha pure insegnato che spesso è sufficiente un desiderio sregolato o un attaccamento a qualsiasi cosa, anche buona, 49

per suscitare grandi sconvolgimenti quando l'anima è preda di impetuosità naturale troppo forte. Io debbo rendere molte grazie alla divina bontà per le luci che mi ha concesso nelle condizioni in cui versavo. Nel mese di maggio, mi venne in mente che dovevo rivolgermi al mio glorioso padre san Giuseppe per ottenere da Nostro Signore la libertà di dispormi a fare una confessione generale. Esposi questo desiderio a padre Surin, il quale mi consigliò di fare una novena di comunioni, di dire ogni giorno il piccolo uffizio di san Giuseppe e di fare, nel frattempo, qualche penitenza, come flagellarmi e altre cose simili. Accettai volentieri le prime due proposte, ma temevo un po' l'ultima, perché amavo molto me stessa e da molto tempo non facevo alcuna penitenza. Ero persuasa che la mia condizione di posseduta ne costituisse già una assai grande. Cominciai la novena e Dio la fece seguire da molte benedizioni, anche se i demoni frapposero molti ostacoli. Debbo in verità dire, a gloria di questo gran santo, che ogni impedimento scomparve. La mia anima aveva un unico, grande conforto: quello di pregare. Quando mi sentivo libera, le ore mi sembravano brevi, quasi ci avessi trascorso non più di un quarto d'ora. Dio mi infondeva in quei momenti un piacere tale, che non desideravo altro. Rimpiangevo con dolore il tempo perduto senza pregare. Fu da allora che cominciai a pregare due volte al giorno e a fare con esattezza i miei esami di coscienza. Per un mese godetti di molta libertà in ogni esercizio. Sembrava che i miei nemici non avessero più il potere di impedirmi, con i loro turbamenti, di comportarmi come prima. Comunque, al difuori di quelle ore, non esitavano a farmi tutto il male possibile. Vedevo bene come si servivano delle mie inclinazioni in diverse circostanze. Un giorno del mese di giugno, mentre stavo davanti al Santissimo Sacramento, mi venne da pensare intensamente che non sarei mai stata libera dai miei turbamenti se non avessi eliminato da me tutto ciò che forniva occasione al demonio per suscitarmeli. Se avessi riflettuto bene su tutti gli impulsi dell'anima mia, avrei constatato che ogni disor-

dine aveva origine nella mia natura. Mi sembrava di vedere tutto ciò più chiaro del sole. Questa sicurezza mi stupl molto e mi procurò grandi timori per il modo in cui vivevo. Non potevo credere che sarei mai riuscita a mettervi ordine. Comunicai il mio pensiero a padre Surin, il quale mi disse che da lungo tempo aveva la stessa idea, ma che non mi aveva mai trovata abbastanza ben disposta per dirmelo. La cosa accrebbe il mio stupore e pregai il buon padre, dal più profondo del mio cuore, affinché mi dicesse tutto quello che credeva che Dio volesse da me. Padre Surin aveva nei miei confronti un comportamento ottimo, ma penso che quel comportamento non sarebbe stato utile a ogni tipo di persone. Lui faceva cosl perché non voleva affatto farmi luce su alcunché, se prima non avesse visto che Dio mi concedeva qualche barlume. Tutto ciò faceva sì che non mi assegnasse alcun esercizio particolare se non ne scorgeva in me le disposizioni. Avrei tanto desiderato che si comportasse diversamente, ma l'esperienza mi ha fatto vedere che mi ingannavo e che il buon Dio teneva per mano padre Surin. Cominciavo a confessarmi e a fare la comunione con maggior libertà e, ciò vedendo, padre Surin mi disse che dovevo far uso di quella libertà. Credetti che avrei dovuto servirmene per fare una confessione generale. È s~ato allora, mio Dio, che ricolmaste di misericordie la vostra povera serva. Infondeste nel mio cuore grandi impulsi a chiedervi misericordia. Non facevo altro notte e giorno e voi mi donaste la grazia di levarmi ogni difficoltà che sin Il avevo avuto, facendo piena luce sui miei peccati. Iniziai la mia confessione nei primi giorni del mese di giugno del 1635 e vi impiegai circa sei settimane. Mi sembra che Nostro Signore mi tenesse per mano. Durante tutto quel tempo, Dio mi fece vivere fra grandi sentimenti di contrizione e non so cosa non avrei desiderato fare, pur di soddisfare la giustizia di Nostro Signore. Ogni penitenza mi sembrava troppo lieve e quelle che facevo servivano solo a infondermi un grande desiderio di farne di più. Avrei voluto che tutte le creature si levassero contro di me per vendicare 51

i crimini da me commessi verso la divina Maestà. Avrei dichiarato volentieri i miei peccati dinanzi a tutti se l'obbedienza non me l'avesse impedito. Mi sembrava di essere io sola la colpevole della morte del figlio di Dio e lo pregavo di purificarmi dai miei crimini con profitto. Mi sembrava che non avrei mai potuto soddisfare quella divina giustizia, sicché imploravo Nostro Signore di soddisfarvi lui stesso nella sua persona. Non so quanto avrei desiderato soffrire pur di accontentarlo. Considerando la pazienza che Nostro Signore aveva avuto ad aspettarmi, mi si sconvolgeva il cuore fin quasi a sentirlo fondere di dolore. Per questo mi volgevo talvolta verso la sua bontà, esclamando: « Oh, gran Dio, ecco la pecorella smarrita che si getta ai vostri piedi. Accoglietela nel vostro gregge, ve ne prego ». Certe volte vedevo me stessa come una preda che Nostro Signore aveva strappato dalle mani dei diavoli. Facevo la comunione tutti i giorni. Non so esprimere le sensazioni di riconoscenza e d'amore che avevo per quel santo sacramento. Ero quasi sempre bagnata di lacrime. In quel periodo, i demoni mi facevano tutto il male possibile, nel corpo e nella mente, ricorrendo a molte tentazioni, ma con una differenza rispetto alle precedenti. Non riuscivano più a sconvolgermi spesso come prima e io mi sentivo più forte nel resistere a tutte le loro suggestioni. Nel corso di quelle sei settimane, dedicavo ogni giorno un'ora all'esame della mia coscienza. La luce di Nostro Signore mi faceva scoprire non solo i miei peccati, ma anche gli impulsi che mi avevano spinta ad agire in certi modi. Vedevo pure con chiarezza i miei disordini, quasi li leggessi su un foglio di carta. Quella luce perdurava finché non avevo messo a nudo i miei crimini. I demoni, durante quell'ora di esame di coscienza, esercitavano una grande violenza per allontanarmi da quella riflessione, ma ogni loro sforzo era vano. Mi apparivano sotto spoglie orribili per spaventarmi e per farmi interrompere quell'esercizio. Altre volte la loro violenza non esitava a picchiarmi malamente, vomitando intorno a me bestemmie e compiendo azioni abominevoli. Tuttavia, ogni loro scaltrez52

za era vana, sicché non riuscivano a turbare la mia mente. Un giorno, mentre stavo seduta, scorsi in fondo a un viale una bestia spaventosa, della forma e della grandezza di un leone. Aveva gli occhi scintillanti come fiamma e stava Il per impedirmi di raggiungere il luogo dov'ero solita fare il mio esame di coscienza. Non appena lo ebbi visto, quel mostro si mise a correre verso di me come se volesse divorarmi. Entrò sotto il pergolato, si scagliò contro di me, mi posò una zampa sul petto, mi scrutò con quei suoi terribili occhi e rimase per qualche tempo in quella posizione. Fui colta da una grande paura, ma, senza sconvolgermi, attesi con fiducia ciò che Dio aveva disposto per me. Il diavolo non guadagnò alcunché con quella prova, in quanto, il giorno dopo, alla stessa ora, tornai nello stesso luogo dove ricevetti, come prima, le luci grazie a cui Dio mi manifestava la straordinaria purezza verso la quale mi chiamava. Durante tutto quel periodo, padre Surin stava molto attento a trarre profitto dal tempo che Dio mi concedeva. Feci dunque la mia confessione generale e, quando l'ebbi terminata, Nostro Signore, nella sua bontà, continuò a ispirarmi il desiderio di accostarmi definitivamente a lui. L'impresa mi sembrava irta di ostacoli, ma ero colma di buona volontà. Quando provavo sentimenti di devozione, non mi costava molto vincermi. Ma, quando questi cessavano, mi ritrovavo sola col mio carattere e non avevo abbastanza coraggio per combattere le mie inclinazioni. Adducendo a pretesto la mia corporatura debole, malaticcia e fragile, mi dicevo che non mi era possibile fare troppi sforzi. Intanto, i miei nemici ne traevano grandi vantaggi, turbandomi e facendomi soffrire molto. Non sapevo come avrei fatto in avvenire per sottrarmi ai loro tormenti. Trascorsi due mesi in condizioni piuttosto buone, per una straordinaria grazia, ma temevo che non avrei continuato così. Sentivo che tutte le mie, antiche abitudini e le mie cattive inclinazioni mi seguivano ancora da molto vicino. Mi veniva spesso da pensare che dovevo combattere i miei nemici nel mio stesso carattere e assumermi la responsabilità di tutti i disordini che vivevo, senza badare a cause esterne. 53

Agli inizi, questi pensieri mi stupivano assai, tanto pm che non riuscivo a capire cosa potevo fare per risolvere quella situazione. Tutto ciò mi portava spesso a pregare Nostro Signore con grande insistenza durante la comunione e le preghiere, affinché rendesse manifesta la sua volontà a me o a padre Surin. Mi volgevo pure verso il mio glorioso protettore, san Giuseppe, per ottenere quella grazia. Intanto, la mia mente migliorava di giorno in giorno e Nostro Signore mi concedeva una grande facilità nel meditare sui divini misteri della sua vita. Non passava giornata senza che dedicassi almeno due ore alla preghiera. Il buon Dio, per effetto della sua misericordia, avvinceva con tale forza la mia mente, che non mi costava troppo tenerlo sempre presente. Tuttavia, ero consapevole di non essere come Dio mi voleva. Era come se, dentro di me, mi dicessero: « È ora che tu intraprenda con le tue sole forze il cammino della perfezione e che tu ti sforzi a combattere senza tregua i tuoi nemici in te stessa e nelle tue passioni ». Non sapevo ancora come dovevo comportarmi, ma, divina bontà, solo Voi potete illuminare la nostra mente quando lo volete. Siatene eternamente benedetta per i consigli con cui avete soccorso la mia anima. Un giorno, molto combattuta da una tentazione scostumata, mi recai dinanzi al Santissimo Sacramento per pregare Nostro Signore affinché me ne liberasse e avesse pietà di me. Poi, quando fu notte, non sapevo cosa fare, perché temevo molto le insolenze del maledetto Isacaronne, che me ne faceva di ben strane. Non potevo far altro che andare a coricarmi, ma, distesa sul letto, soffrivo molto, sicché mi alzai. Era circa mezzanotte e andai davanti al Santo Sacramento per riceverne forze e vincere cosl la tentazione. Dopo esserci rimasta per qualche tempo, caddi in un dolce sonno e mi sembrò che dormendo vedessi un bambino, il quale mi diceva: « Non ti sarà mai possibile vincere la tua carne se non combattendo contro di lei. Non pensare che Dio permanga sempre in una natura molle e fragile, che mira a ottenere ogni agio. Se vuoi avere tregua dai tuoi nemici, devi combatterli con aspre penitenze e non badare alla tua persona ». 54

Sebbene questa visione mi fosse apparsa solo in sogno, mi stupì molto. Non sapevo cosa fare. Trascorsi il resto della notte dinanzi al Santo Sacramento, continuando a riflettere su quanto avevo visto e udito. Ma, poiché non mi abbandonavo alla volontà di Dio per timore della sofferenza e per paure immaginarie, il demonio ne trasse grande profitto. Mi persuase che si trattava solo di un sogno, che non dovevo badarci e che ero troppo malaticcia e fragile per intraprendere dure penitenze. In tal modo, non fui avvantaggiata affatto da quella luce. Ma, bontà divina, mi concedeste gran prova del mio accecamento, perché quei maledetti spiriti ripresero a torturarmi. Non potevo più pregare, vivevo in continua sregolatezza dell'immaginazione e non avevo la libertà di riflettere su ciò che mi era accaduto. Rimasi in queste condizioni per più di otto giorni, nonostante padre Surin continuasse a esorcizzarmi. Non riusciva a rendere la libertà al mio corpo. Talvolta la sentivo nella mia anima, ma serviva solo ad addolorarmi, perché non sapevo come trasmetterla al mio corpo. Mi sembrava di vivere più che mai in schiavitù dei demoni e che non me ne sarei mai liberata. Tutto ciò suscitava in me profondissime angosce. Quei maledetti spiriti mi riconducevano alla memoria tutti i buoni impulsi che Dio mi aveva ispirato e il forte desiderio di amarlo che avevo sentito. Ma poi mi facevano vedere nitidamente la sventura di un'anima che, avendo ricevuto molte luci e molte grazie, si smarrisce per sempre. Mi davano a intendere con chiarezza che io ero una di queste a causa dei miei peccati e dei miei sotterfugi e, poiché mi tormentavano molto, mi convincevano di essere già dannata, infondendo in me la sensazione di essere separata da Dio e facendomi cacciare urla terribili. Chi mi udiva gridare mi manifestava molta pietà, vedendo che il mio dolore era estremo. Non potevo impedirmi di dire: « Perché mai ho conosciuto Dio, se poi dovevo perderlo? Sarebbe stato meglio se non ne avessi mai sentito parlare ». Quando padre Surin voleva recarmi qualche conforto, mi trovava incapace di badargli e il mio pianto aumentava mol55

to. Quando voleva indurmi a pregare, mi avvicinava al petto il Santo Sacramento e ciò mi era insopportabile. Fuggivo la presenza di Nostro Signore. L'eccesso della mia pena era causato dal fatto che, da un lato, Dio mi infondeva un amore per lui e un grande desiderio di possederlo e, dall'altro, i demoni mi convincevano che Dio mi aveva respinta e che non ne avrei mai goduto. Questo contrasto di sensazioni mi faceva talvolta pronunciare parole che esprimevano tutto il mio amore per Dio e, talaltra, biascicavo borbottii e profferivo bestemmie. Era una lotta così intensa nella mia anima, da poter dire con verità che allora soffrii il dolore più grande fra quanti soffrono i dannati: la privazione della vista di Dio. Eppure, sentivo un grande desiderio di amare Dio e di vederlo e, al tempo stesso, credevo di essere dannata per i miei peccati a non vederlo e a non amarlo più. Questo tormento purificò molto il mio cuore e durò circa otto giorni. Mi indusse a decidere di trascorrere tutta la vita ai piedi di Nostro Signore per piangere sui miei peccati. La sua bontà mi faceva vivere sempre in uno stato di devozione e così vissi ancora a lungo. Ebbi, in quell'epoca, un gran desiderio di virtù e di volgermi al puro amore. Tuttavia, i demoni avevano sempre il potere di tormentarmi. Non riflettevo mai sulle parole che mi erano state dette, durante l'apparizione che ho appena descritto, sicché, il più delle volte, ero impotente a fare alcuna cosa buona. Ma, poiché Nostro Signore mi aveva assegnato il progetto di compiere la sua volontà, mi infuse un giorno, mentre stavo pregando, un forte desiderio di intraprendere senza riserve una vita di sola penitenza. Mi sembrò che Nostro Signore mi dicesse interiormente: « La libertà dipende solo da te. Ma non pensare di poterne godere senza travagli. Se tu ti opponi con fermezza ai tuoi nemici e se ti punisci per i disordini che ti fanno fare, riuscirai presto a salvarti ». Sentii un grande coraggio nella mia parte superiore, ma, in quella inferiore, si levò una violenta opposizione contro questo disegno. Mi sembrava che volevo intraprendere cose impossibili, a causa della fragilità della mia natura. Tuttavia,

dopo avere a lungo riflettuto su di me e dopo aver sentito la lotta degli impulsi della grazia e della natura, mi decisi a parlarne con padre Surin. Lo feci venire e lui mi disse: « Credo che Dio voglia che facciate quanto vi ha ispirato. La vostra mente non sarà mai libera se non seguendo quella via. Vedo bene che gli esorcismi non vi sono di grande profitto. Se cominciaste con coraggio a mortificare le vostre passioni e a studiare la pratica delle autentiche virtù, spero di vedervi presto libera dai vostri tormenti e non più posseduta ». Queste parole mi colmarono di gioia e, poiché cominciavo a nutrire fiducia in quel buon padre, tanto era lo zelo con cui si occupava dell'anima mia e tante erano le luci che Dio gli concedeva per vedere meglio dentro di me, lo pregai con grande affetto affinché mi aiutasse a conquistarmi il cielo. Da allora innanzi, seguii ciecamente i suoi consigli e mi risolsi con fermezza a fare tutto ciò che mi avrebbe indicato. Dio, nella sua bontà, mi ha fatto la grazia di rimanere così decisa finché sono stata sotto la sua guida, sebbene spesso con grande avversione. Quel buon padre si rallegrò molto vedendomi così risoluta, ma trovò una gran resistenza da parte dei demoni. Non se ne stupì affatto, vedendosi padrone della mia volontà. Padre Surin si servì con profitto di quel lasso di tempo che Dio gli concedeva per coltivare la mia anima, esaminandone ogni impulso. Cominciò, contrariamente alla sua pratica, col farmi conoscere meglio cos'è la vita interiore. Intanto, Nostro Signore continuava a concedermi luci nella pratica delle virtù. Un giorno, durante la mia preghiera, mi sembrò che Nostro Signore mi facesse vedere le condizioni in cui si trovava ai suoi occhi la mia anima. Pur non essendogli completamente sgradita, era così piena di macchie e di sporcizia, da non poterla guardare senza che il cuore trasalisse. La cosa mi spaventò, tanto più che nutrivo qualche timore di non aver fatto bene la mia confessione generale. Mi ritenevo incapace di comportarmi meglio, ma mi sembrò che dentro di me mi venisse detto: « Pensa alla confessione solo per piangere i tuoi peccati. 57

Facendola, hai seguito i miei voleri. Le macchie e le ruggini che ora vedi, non sono peccati. Sono i tuoi attaccamenti alle cose, le tue cattive abitudini e le tue riprovevoli inclinazioni, che devi sradicare con violenza se vuoi essere grata al mio sguardo». Questo rinvigorì molto il mio coraggio e mi indusse a decidere di non badare più alla fragilità della mia natura e di accettare infine qualsiasi cosa Dio volesse da me. Non mancai di dire a padre Surin quanto mi era accaduto, perché cominciavo a rivelargli con piena fiducia ogni mio pensiero. Lui ne trasse occasione per dirmi che ora dovevo cominciare a mutar abitudini. Non bastava che recitassi bene le preghiere, che mi comunicassi e che piangessi sui miei peccati. In avvenire avrei dovuto lottare contro tutte le mie cattive inclinazioni. Non voleva più che dessi ascolto al demonio in me, perché, se volevo vincere la mia natura e liberarmi dalle mie sregolatezze, bisognava che cominciassi a punirmi. Non so dire quale timore mi colse, ascoltando questo discorso. Pensavo che fosse un'impresa impossibile, ma, essendo in accordo ai molti impulsi che Dio mi aveva ispirato, accettai volentieri ciò che il buon padre mi proponeva. Da parte mia, gli promisi di essergli ligia il più possibile. Lo supplicai di aiutarmi con tutte le sue forze e anche di andare contro la mia volontà, qualora lui la vedesse mutare. Debbo molto alla carità di padre Surin, che tanta cura si è preso di me, e imploro la divina bontà di ricompensarlo eternamente. Non so descrivere l'ira che i demoni scatenarono contro questa decisione e gli ostacoli che vi frapposero. Mai come allora mi fecero guerra senza alcuna pietà. Le loro tentazioni raddoppiarono con una violenza tale, che, se Dio non mi avesse sorretta con una particolare grazia, avrei lasciato perdere tutto. La sua bontà sia sempre lodata per i favori che mi ha fatto. Rimasi dunque, grazie a Nostro Signore, ben ferma nella decisione di assumermi la responsabilità di ogni tormento e di non considerare più i demoni come loro artefici. Fu con profitto che intrapresi questa via, perché, dopo avere ben esaminato le mie inclinazioni e dopo essermi un po' adden-

trata lungo i cammini della grazia, compresi presto che il male veniva da me e che i miei nemici si servivano della materia che io fornivo loro. Ciò che mi aiutò molto a divenirne consapevole, fu che padre Surin mi ordinò di fare, ogni sera, un'ora di preghiera per ben discernere gli impulsi della mia anima. Secondo il metodo che mi aveva prescritto di seguire, mi mostravo dinanzi a Dio per pregarlo di farmi sapere cosa dovevo fare. Inoltre, padre Surin voleva che mi applicassi con calma a considerare il principio che mi spingeva a compiere ogni mia azione. Debbo qui riconoscere che Dio è un gran maestro e che sa come istruire le anime quando vuole. Mi è impossibile descrivere le molte luci che quella divina bontà mi concedeva in quell'ora. Vedevo chiaramente le virtù e i difetti che regolano la vita spirituale in mancanza di buone fondamenta. Nostro Signore mi faceva vedere le impurità di mente che ci sono in quasi tutte le azioni della nostra vita. Mi sembrava che il mio divino Salvatore mi tenesse lezione in quell'ora, alla stregua di un maestro affezionato al suo discepolo. Non appena mi ritrovavo in sua presenza, mi sentivo dentro colma di luci sulle virtù. Mi stupivo grandemente dell'accecamento in cui ero vissuta sino ad allora. Non riuscivo a capire come avessi potuto essere tanto superba. Vedevo che la mia vita era stata solo impurità, ignoranza e perversione. Detestavo la stima che avevo avuto di me e chiedevo a Dio perdono per le mie ingratitudini trascorse. Detestavo la spiritualità vana e finta che avevo praticato in tutta la mia vita, scoprendo con piacere cos'era veramente la devozione. Era cosl che trascorrevo quell'ora di esame di coscienza e, il giorno dopo, ne rendevo conto al mio padre, il quale era stupito di vedere tanto forte e urgente la grazia nell'anima mia. I demoni facevano grandi sforzi per impedirmi quel1'esercizio, ma Dio non permetteva che ci riuscissero. Certe volte, suscitavano in me paure cosl grandi, che mi ritrovavo sul punto di interrompere tutto. Ma, ben presto, sentivo una potenza superiore che mi rimetteva sulla buona via. Una volta, uno di quei maledetti spiriti assunse le sem-

bianze di un grosso drago che vomitava fuoco dalla bocca. Aveva le narici e gli occhi scintillanti come fiamme e, correndo all'impazzata, si scagliò su di me. Mi colpl senza pietà, mi trascinò a terra e mi rivolse molte ingiurie. Ma Nostro Signore mi concesse perseveranza e, grazie alla sua misericordia, non interruppi i miei esami di coscienza. Molte altre cose, simili a questa, mi sono accadute, ma non starò a riferirle. Dirò, invece, come iniziai a combattere dentro la mia stessa natura i demoni che mi possedevano e a punirmi per tutte le mie sregolatezze. Tentai, con l'aiuto di padre Surin, di conoscere appieno ogni opera che quelle maledette creature compivano in me e a riconoscere per bene tutte le mie inclinazioni di cui si servivano per attuare le loro nefandezze. In verità, non fu impresa da poco difendermi dalle loro imposture, perché si erano talmente adattati alla mia natura, che un demonio e io eravamo la stessa cosa. Leviatano, che era il capo dei demoni che mi possedevano, si serviva della tendenza al compiacimento che mi spingeva a voler piacere a tutti e a farmi apprezzare per le mie buone qualità naturali, rinvigoriva il mio orgoglio e mi suscitava una grandissima stima di me stessa. Nutrivo in me il desiderio di ottenere qualcosa di grande, al punto che pensavo di abbandonare il mio ordine per ottenere onorificenze. Formulavo mille altri progetti di vanità e il tutto con bei pretesti per la gloria di Dio e per la salvezza delle anime. Questo spirito superbo aveva acquistato un potere tale su di me, da essere indomabile. Mi dava un umore altero e disdegnoso e faceva sl che schernissi tutto. Consideravo ogni altra persona al disotto di me. Il metodo che padre Surin ritenne che dovevo seguire per combattere questo spirito orgoglioso, fu quello di farmi continuamente praticare atti di umiltà e di espormi a grandi e dolorose vergogne. Lui stesso me ne forniva spesso il modo con le mie sorelle e, fuori del convento, in presenza di laici. In quest'ultimo caso, mi sentivo ferita più a fondo, ma ero così convinta della volontà di Dio su di me, che non me la sentivo più di lagnarmene. Pensai a lungo di farmi suora laica per il resto dei miei 60

giorni se le mie superiore me lo avessero permesso, per allontanare da me ogni speranza di raggiungere posizioni elevate. Badai il più possibile a mutare il mio aspetto esteriore ed eliminai molte affettazioni di cui mi compiacevo. Feci quanto mi fu possibile per diventare semplice nel mio conversare. Padre Surin mi assegnò i servigi più avvilenti. Mi mise agli ordini della nostra sorella addetta alla cucina e le raccomandò soprattutto di farmi fare le cose più basse. Poiché questa mia sorella era molto obbediente, eseguiva gli ordini del buon padre con grande semplicità e, talvolta, mi imponeva ottime penitenze se commettevo qualche errore. Quel maledetto spirito opponeva spesso resistenza a tali pratiche di umiltà e mi ispirava un disgusto tale, che non sapevo più come comportarmi. Uno dei miei dolori più grandi era quello di sottomettermi e di impedirmi di concepire alti pensieri e argomenti bislacchi in cui mi compiacevo. Vi ero talmente abituata che, molto spesso, mi coglievo nell'atto di assecondare questo difetto, persino durante le mie preghiere. Se Dio non mi avesse premunita con la sua grazia, avrei preferito almanaccare molto durante la meditazione, invece che riflettere dinanzi a Dio su qualche azione del mio Salvatore e offrendogli lo spettacolo dei miei difetti. Quando stavo a pregare da sola, quel demonio si sforzava in ogni modo per distrarmi con stravaganze inutili. Questo mi addolorava molto, perché vedevo bene che così perdevo ogni devozione, smarrendomi fra mille pensieri di vanità. Padre Surin fu costretto a proibirmi di elucubrare durante le preghiere e mi impose che, quando mi coglievo a scivolare lungo quella china, compissi atti di dolore e d'amore finché il mio cuore non si sentisse toccato da Dio. Da parte mia, tentai di seguire i suoi ordini. Il demonio, però, non rimase a lungo senza farmi sentire la rabbia che ne provava. Un giorno, avendomi il buon padre fatto iniziare, come al solito, la mia preghiera in un piccolo parlatorio, subito dopo avermi esposto l'argomento su cui dovevamo meditare, fu chiamato per qualche motivo. Si allontanò così silenziosamente, che io non me ne accorsi 61

e, durante la preghiera, il mio cuore si ritrovò come rinsecchito. Faticavo molto a formulare un qualsiasi buon pensiero. Vedendomi in queste condizioni, pregai padre Surin di suggerirmi qualche preghiera, come faceva spesso quando non riuscivo a farlo da sola. Quel maledetto Leviatano ne approfittò e, contraffacendo con grande naturalezza la voce del mio buon padre, prese a suggerirmi preghiere all'orecchio. A poco a poco mi insinuò nel cuore un compiacimento per quelle preghiere e mi suscitò in mente pensieri assai strani, per spingermi a trarre vanità dalle luci sui misteri su cui meditavo. Io mi accorsi di quel mutamento e dissi al demonio, credendo di parlare a padre Surin, che non potevo proseguire nella preghiera, perché mi sentivo lontanissima da quell'umiltà che Dio voleva da me. Quello spirito orgoglioso così mi rispose: « Non bisogna indugiare sempre fra questi piatti pensieri. Bisogna elevarsi al disopra di se stessi per contemplare gli oggetti divini. Tu sei rimasta troppo a lungo immersa nella contemplazione delle tue miserie. È ora che te ne allontani ». Questo discorso mi stupì molto, perché era assai diverso dalle idee che Nostro Signore mi aveva ispirato. Al tempo stesso, la bontà divina fece sorgere in me un grande timore di essere ingannata. Per questo risposi al demonio che quel genere di preghiera non mi si addiceva, che non avevo ancora vinto le mie passioni e che non intendevo mutare via. E quello spirito orgoglioso mi rispose: « Non sta a te sapere cos'è bene o male. Devi seguire ogni mio consiglio senza discutere ». Più mi parlava e più il mio timore cresceva. D'improvviso, mi venne da pensare che colui che parlava era uno dei miei nemici, che, prese le sembianze del mio direttore, voleva ingannarmi. Sicché, recuperando un po' di coraggio, dissi con sicurezza a quel demonio: « Non riconosco il mio padre spirituale. Tu sei un diavolo nemico di Dio. Non so cosa farmene dei tuoi consigli. Voglio rimanere in ginocchio davanti al mio Salvatore per detestare i miei peccati. Solo questa è l'altezza spirituale cui miro ». Quel demonio si scatenò allora con una furia così spaventosa, che non so descriverla. Mi colpì con violenza tale,

da farmi credere che ne sarei morta. In seguito, la mia mente si ritrovò in una grande quiete e Nostro Signore mi rinvigorl molto grazie alla pratica della preghiera. Mi ispirò un intenso desiderio di applicarmici e decisi di dedicarvi tutto il tempo che mi sarebbe stato possibile e di sottrarre una o due ore al sonno per trascorrerle in preghiera. Trovai una violenta opposizione da parte dei miei nemici, ma Nostro Signore, nella sua bontà, mi concesse la grazia di vincerli e, di Il a poco, i demoni furono costretti, per ordine di Dio, a lasciarmi libera. Il secondo demonio che iniziai a combattere fu l'infame Isacaronne. Il suo intervento consisteva nel suscitarmi senza tregua impulsi carnali e nell'ispirarmi desideri morbosi e sensuali, che, sorretti dalla mia debolezza, miravano solo a farmi dormire su un materasso di piume. Questo nemico di ogni purezza mi faceva, quasi ogni notte, cose abominevoli. Mi spingeva di continuo a ricercare tutti gli agi che potevo legittimamente procurarmi senza dare scandalo alla comunità. Agli inizi, non riflettevo molto su queste cose, perché credevo che fossero più che lecite alle persone fragili e malaticce come nel mio caso. Ma Nostro Signore mi fece vedere che ben altro si aspettava da me e che voleva che gli offrissi interamente la mia salute e la mia vita. Una notte, essendomi alzata per pregare, mi sentii grandemente oppressa da desideri impuri. Mi prosternai allora davanti a Nostro Signore e lo supplicai di farmi sapere cosa desiderava da me in quelle condizioni. Gli promisi di fare tutto quello che sarebbe stato in mio potere per accontentarlo. Dopo aver trascorso cosl qualche tempo, implorando misericordia e pregando la Santa Vergine e il mio glorioso padre san Giuseppe affinché intercedessero a mio favore, mi fu detto dentro di me: « Pensi forse di trovare purezza nei letti morbidi e di conservare la castità vezzeggiando il tuo corpo? Sappi che questa virtù dovrai acquisirla al prezzo di grandi sofferenze. Devi vendicare l'ingiuria che ogni giorno viene arrecata a Dio nella tua carne. Tu sei il suo tempio: devi purificarti se vuoi che abiti in te ». Queste parole suscitarono un'impressione tale nella mia mente, che mi indussero a lottare con lucidità contro di

me. Sicché cominciai da quel momento stesso a flagellarmi e promisi a Nostro Signore di non trascorrere alcun giorno senza fare qualche penitenza, a meno che non me lo impedisse l'obbedienza. Dopo essermi flagellata per circa un'ora, presi a riflettere sulle parole che avevo udito. Mi trovai allora completamente libera da ogni impurità. Pensai che Nostro Signore non voleva che mi fermassi a quel punto, ma che insistessi nel punirmi con maggiore zelo di quanto avevo impiegato per preservarmene. Mi risolsi dunque a non tollerare più in me alcun impulso sregolato, sia interiormente sia esteriormente, senza che me ne punissi. L'indomani, al mattino, raccontai al mio direttore spirituale tutto l'accaduto e le decisioni che avevo preso. Lui ne fu molto stupito. Dapprima, si mostrò esitante per via della mia fragilità, ma, dopo aver rimesso la cosa fra le mani di Dio, mi lasciò piena libertà di fare quanto avrei voluto. Io lo supplicai di aiutarmi in quell'impresa e di non badare affatto alla ripugnanza che avrei potuto manifestare per le penitenze. Mi promise ogni sorta di soccorso da parte sua e mantenne fedelmente la sua promessa. Non avrei retto le aspre e lunghe lotte che sostenni con i miei nemici, se quel buon padre non mi avesse fortificato la mente. Dopo questa libertà che padre Surin mi concesse, tolsi il mio materasso di piume e, al suo posto, misi delle assi ricoperte solo dalle lenzuola. Nonostante qualche indisposizione che soffrii, per un anno intero fu quello il mio giaciglio. In tutto questo tempo, i demoni mi causarono infatti molte malattie, che mi abbandonavano con la stessa rapidità con cui mi avevano colta. Non posso raccontare tutti gli artifici di cui si sono serviti per indurmi ad abbandonare l'impresa da me iniziata per mortificarmi. In quel periodo dovetti sopportare molte sofferenze e diverse tentazioni. I miei nemici hanno compiuto sul mio corpo grandi crudeltà e hanno fatto nella mia mente opere terribili con una furia estrema. Dio sia eternamente benedetto per gli aiuti straordinari che mi ha prodigato m quelle circostanze. Non appena Isacaronne ebbe visto che perseveravo in

quel genere di vita, cambiò tattica per qualche tempo. Mi tormentava non più di notte, ma di giorno, senza quasi mai lasciarmi libera la mente. Spingeva i miei sensi e la mia immaginazione verso grandi abominii, suscitando in me grandi angosce. Per difendermi da questi attacchi, tenevo quasi sempre il mio flagello in mano e spesso me ne servivo sette o otto volte al giorno, sempre molto a lungo. Nel corso di quell'anno, non me ne servii mai meno di tre volte al giorno, con violenza tale da rimanere sempre piena di sangue. Se Dio non mi avesse concesso il particolare aiuto della sua grazia, non avrei potuto resistere un mese in questa lotta. Ma Nostro Signore mi faceva vedere che era quanto desiderava da me, perché, mentre ero lacerata fìno alle ossa e mi sembrava di non poter più continuare a flagellarmi per via delle condizioni in cui avevo ridotto il mio corpo, subito mi ritrovavo sanata da ogni ferita. Offrivo a Dio la mia volontà e il desiderio che avevo di combattere i miei nemici ed era per questo che Dio mi risanava. Quanto sto raccontando mi è accaduto, senza esagerare, duecento volte e debbo dire, per la maggior gloria di Dio, che la sua bontà mi ha sempre concesso i mezzi per difendermi dai miei nemici, una volta presa quella decisione. La violenza che ha esercitato su di me quel maledetto spirito tramite le impurità e il fuoco della concupiscenza che mi faceva provare più di quanto posso dire, mi ha costretta a gettarmi sette o otto volte su braceri di fuoco dove rimanevo per anche mezz'ora, pur di spegnere quell'altro fuoco, sicché il mio corpo era interamente ustionato. Altre volte, durante i grandi freddi dell'inverno, ho trascorso parte della notte spogliata fra la neve o dentro tinozze di acqua gelida. Debbo confessare che in queste lotte la mia natura soffriva molto e che spesso mi sembrava di star per morire. Ma, d'altra parte, Dio mi infondeva una tale forza interiore e un coraggio così grande, che non potevo dubitare che così dovevo comportarmi. Inoltre, mi cacciavo spesso tra i roveti, sicché ero tutta dilaniata. Certe altre volte, mi rivoltavo fra le ortiche e passavo notti intere sfidando i miei nemici ad attaccarmi e dichiarando loro che ero ben decisa a difendermi con la grazia di Dio.

Il terzo demonio si chiamava Balaam. Mi fece faticare molto e avevo motivo di temere il suo intervento soprattutto perché era più conforme alla mia natura e sembrava meno pericoloso. Mi induceva a una certa allegria naturale e mi faceva vivere in una continua ridancianeria. Non mi induceva a compiere grandi violenze esteriori, ma soltanto a passare il tempo allegramente e senza raccoglimento. Mi provocava nell'immaginazione un grande bailamme che mi era molto dannoso, perché questo atteggiamento era assai lontano da quello che sapevo che Dio desiderava da me. Per questo faticavo molto a porvi rimedio. Pregavo sempre Nostro Signore di manifestarmi la sua volontà in merito. Chiedevo a padre Surin di intervenire per difendermi dalle sue opere, consapevole che mi allontanavano dai sentimenti di devozione che Dio mi ispirava e che mi impedivano di raccogliermi in me stessa. L'esperienza mi aveva dimostrato che, in molte circostanze, il flagello diminuiva questa ridancianeria ma non a lungo, perché, non appena mi si presentava l'occasione di rallegrarmi, mi lasciavo trascinare. Del resto, non potevo trascorrere tutta la giornata flagellandomi. Mi rivolgevo spesso a san Giuseppe, sapendo che è un santo particolarmente nemico di questo maledetto spirito. Lo pregavo di concedermi i mezzi per liberarmi dall'intervento di quel demonio. Un giorno, mentre stavo pregando, mi colse violentemente una gran voglia di spassarmela. Confesso che fìn dall'inizio non vi opposi molta resistenza e la scarsa attenzione che volgevo a me stessa permise al mio nemico di sconvolgermi. Mi fece bere e mangiare smodatamente e mi fece cantare certe canzonacce. Io mi vedevo cosl ridotta, ma non potevo farci alcunché. Mi sembrava che la causa fosse la mia negligenza e che avrei dovuto renderne conto. Tuttavia, queste riflessioni non riuscivano a rendermi libera, né a impedirmi di fare un gran numero di azioni ridicole e molto stravaganti. Giunta l'ora dell'esorcismo, padre Surin mi trovò in quelle condizioni. Faticò molto a restituirmi la libertà, ma infine ci riuscl in virtù del Santissimo Sacramento. Io ero molto stupita di essermi ridotta in quello stato 66

senza che fossi riuscita a porvi rimedio. Ma, quella notte, quando volli presentarmi dinanzi a Dio per recitare le mie preghiere, mi ritrovai con le stesse impressioni del giorno prima. La mia immaginazione era in uno stato di fermento tale, che faticavo a rimanere in presenza di Dio. Non riuscivo a soffermarmi su alcun argomento di preghiera, né a provare alcun buon sentimento. Trascorsi un lungo tempo in queste condizioni. Infine, vedendo che non cessavano e che nulla potevo fare per allontanarle, decisi di andare a flagellarmi dinanzi al Santo Sacramento. E cosl feci. Mi par proprio di ricordare che mi flagellai per circa due ore, perché avevo deciso di non desistere finché Nostro Signore non mi avesse concesso la grazia di vincere il mio nemico. La sua bontà mi infuse molta forza in quella circostanza e, dopo una lunga lotta, quel maledetto spirito abbandonò la mia testa. Si presentò dinanzi a me sotto forma di un grosso mastino, piangente e gemebondo, che cacciava grida orribili. Mi disse ingiurie e mi fece minacce per l'avvenire, ma Nostro Signore mi concesse la grazia di riuscire a pregare in grande raccoglimento. Mi illuminò molto e mi rassicurò sulla sua bontà, sicché ne fui molto rincuorata. Mi rimase, comunque, la paura di ricadere in quello smarrimento, senza sapere quale rimedio Nostro Signore voleva che vi ponessi. Io conoscevo le scaltrezze cui quel maledetto spirito ricorreva per impedirmi di pregare e supplicavo Nostro Signore affinché mi manifestasse la sua volontà in merito. Mi rivolgevo al mio glorioso padre san Giuseppe per riuscire a vincere, grazie alla sua intercessione, quel demonio. Sapevo, da un lato, che il vigore e l'allegrezza della mia mente infondevano forza a quel demonio ridanciano e che mi impedivano di godere della contemplazione con cui Nostro Signore cominciava a favorirmi, ma, dall'altro, temevo di incorrere in uno stato di malinconia col pretesto del ritegno. Anche perché un altro demonio, che si chiamava Behemot, faceva tutto il possibile per indirizzarmi lungo quella via. Indecisa, mi rivolsi quindi a san Giuseppe e lo pregai di soccorrermi in quel frangente che consideravo molto importante per il mio avanzamento spirituale.

Una notte, mentre recitavo le mie preghiere, sentii avvicinarsi quello sciagurato demonio e subito mi misi all'erta col mio flagello. Quella volta non fui troppo sconvolta, ma, un giorno o due dopo, lo stesso demonio decise di spossarmi e di farmi desistere dalla risoluzione che avevo preso di non tollerare in me alcun disordine. Infatti, sin dal mattino, si impadronl della mia testa e causò nella mia immaginazione sregolatezze tali, che non sapevo come moderarmi. Di continuo scoppiavo a ridere senza motivo e mi sentivo spinta a dire parole di beffa. Tuttavia, non ero cosl sconvolta da non poter trattenermi. Quel demonio era sempre pronto a sorprendermi e aspettava il momento in cui avevo commesso un errore. Per difendermi, pensai di tenermi in disparte. Avrei cosl evitato l'occasione di cadere in errore insieme alle altre possedute. Tentai di pregare, ma non mi fu possibile, sicché decisi di ricorrere al flagello per mutare atteggiamento. Dopo essermi percossa per circa mezz'ora, mi accorsi che la mia testa si sgomberava. Continuai ancora per un po' e, essendomi ripresa, cominciai a pregare con una certa tranquillità. Poco dopo, quel demonio mi assall di nuovo e io ne fui molto addolorata. Mi risolsi a flagellarmi ancora, per non cedere al mio nemico. Non ricordo di aver dovuto lottare oltre quel giorno, perché, senza esagerare, ricorsi al flagello per più di sette ore, a diverse riprese. Padre Surin, saputa la situazione in cui mi trovavo, ritenne opportuno lasciarmi lottare da sola, senza soccorrermi con esorcismi. Dio mi concesse grandi grazie durante quelle preghiere, perché ebbi la meglio sul mio nemico e, in ricompensa, venni guarita da ogni piaga che mi ero fatta, e non erano piccole. Tutto questo accrebbe la mia fiducia e mi indusse a sperare che, con la grazia di Dio, avrei recuperato la libertà. Ma temevo di non riuscire a protrarre oltre quelle grandi e frequenti mortificazioni. Allora continuai a chiedere a Nostro Signore, per i meriti del glorioso san Giuseppe, che mi fornisse qualche mezzo per assoggettare quel demonio e la mia natura. Una notte, mentre stavo davanti al Santo Sacramento in preghiera, mi ritrovai nella stessa situazione. Scoppiai a pian68

gere dinanzi a Dio, colta da una grande tenerezza, e lo implorai di liberarmi da quegli ostacoli. Dopo essere rimasta per un po' fra quei gemiti, vidi una grande luce e, subito dopo, udii una voce che mi disse: « San Giuseppe intercederà per te, ma tu devi mortificare quel demonio nella tua carne. Tutta la tua smodata allegrezza deve essere umiliata nella tua carne. Non stancarti e persevera, se vuoi che Dio ti conceda il suo aiuto ». Queste parole mi rinvigorirono molto e, in quel momento, decisi di portare sempre su di me qualche strumento di penitenza. A tal fine, mi feci fare, col permesso del mio confessore, una cintura di ferro piena di spunzoni che, per circa sei mesi, portai giorno e notte, senza mai togliermela. Mi penetrò quasi tutta nelle carni e, in seguito, faticarono assai a togliermela. Oltre a quella cintura, tre volte alla settimana portavo il cilicio. Grazie a queste durezze, mi ritrovai libera da ogni intervento di quel demonio e la mia mente si rinfrancò molto. Comunque, quando per spossatezza cedevo un po', quel malvagio spirito ne approfittava e tentava di sopraffarmi. Molte volte ci sarebbe riuscito, se la misericordia di Dio non me ne avesse preservata e se san Giuseppe non mi avesse particolarmente assistita, come si vedrà nel seguito di questa storia. Il quarto demonio che mi rimaneva da combattere era lo sventurato Behemot. Il suo intervento più consueto agiva infondendomi nell'anima sentimenti di odio nei confronti di Dio, inducendomi a pronunciare bestemmie, suscitandomi collera e odio verso le mie sorelle e provocandomi grande avversione per il mio stato religioso. Quando quel malvagio spirito mi tormentava, divenivo spesso molto violenta. Ero spinta a picchiare chiunque e persino me stessa. Laceravo con i denti tutti i veli che mi capitavano fra le mani e li riducevo in brandelli. Behemot mi infondeva una durezza di cuore così forte, che, in quelle condizioni, nulla poteva commuovermi. Le penitenze che facevo per combattere quello spirito non sortivano alcun effetto. Al contrario, mi sembrava che mi nuocessero, perché la mia mente veniva presa da una pena strana, da un disgusto e da una prostrazione così estrema, che

mi sembrava sempre di essere sul punto di lasciare tutto. Quel demonio mi toglieva ogni buon impulso che Dio mi aveva ispirato, tentava di infondermi diffidenza verso la sua bontà insieme a un ribrezzo per ogni cosa spirituale. Inoltre, mi serrava il cuore con una violenza tale, da non poter più render conto a padre Surin delle mie condizioni. Mi allontanavo dai sacramenti e dalla preghiera, perché mi sembrava che tutte quelle cerimonie contribuissero alla mia dannazione e, pur non essendo affatto sconvolta esteriormente, la mia mente rimaneva otto giorni interi in questa prigionia e mi sembrava di vivere in un piccolo inferno. Il mio buon padre faticava molto a scegliere il metodo secondo cui avrei dovuto comportarmi, in quanto quel maledetto spirito mostrava di non temere alcunché. Opponeva resistenza come all'inizio e, addirittura, mi ispirava violenze assai maggiori. Non vedevo come avrei dovuto comportarmi per vincerlo, sicché la mia mente se ne doleva molto, non credendo di ottenere alcun risultato. E avevo ben motivo di pensarla così, perché contavo solo sulle mie forze. Ma facevo un gran torto alla bontà di Dio abbandonandomi a simile diffidenza, dopo aver sperimentato tanti effetti della divina misericordia nei miei confronti. La sua clemenza voglia perdonare tutte queste mie mancanze. Vedendomi in quelle condizioni e comprendendo con chiarezza che ogni mio sforzo era inutile, mi slanciai con grande fiducia fra le braccia di Nostro Signore e lo implorai, per i meriti della Santa Vergine e del mio glorioso padre san Giuseppe, di concedermi la grazia di combattere quel maledetto spirito e di manifestarmi come avrei dovuto comportarmi a tal fine, promettendo che avrei fatto tutto il possibile per venirne a capo. Un giorno, dopo la comunione, col cuore stretto e colma di perversità verso Dio, fui colta da una grande compassione per me stessa, vedendomi così prigioniera e consapevole di non poter agire bene come avrei voluto. In quella confusione, mi volsi verso Nostro Signore e gli dissi gemendo e versando lacrime: « Fin quando, mio Dio, vorrete lasciarmi in questa prigionia? Non vedete quanto desidero servirvi? Perché non

me ne concedete la libertà? Se desiderate qualcosa da me, vi scongiuro per il vostro prezioso sangue di manifestarmelo e di concedermi la grazia di farlo, perché io lo desidero con tutto il cuore ». D'improvviso, mi ritrovai preda di un sonno che non so descrivere. Sono certissima che la mia parte esterna non era affatto addormentata e che ero ben attenta a ciò che mi accadeva dentro. Udii allora una voce in me che mi disse: « Di cosa ti lagni? Rifletti bene su te stessa e saprai con chiarezza di dove vengono gli impedimenti che ti ostacolano. Non badare troppo a quanto fanno i tuoi nemici e comincia a praticare le virtù che ti ho insegnato. Sappi che il sacrificio che mi farai della tua mente mi sarà molto più grato di quello del tuo corpo. Voglio che perseveri nel rigore della tua vita e che non perdoni alcunché ai tuoi sensi. Ma voglio pure che tu combatta contro la tua mente e che tu domi la durezza del tuo nemico con la pazienza, soffrendo in umiltà e mansuetudine quanto ti accadrà in queste condizioni. Devi praticare la carità sforzandoti per rendere il maggior numero di servigi a coloro verso cui più nutri avversione. Praticherai la sottomissione abbandonandoti senza riserva alcuna a colui che deve regolare la tua condotta. Devi abbandonare quei desideri di essere trattata con dolcezza e colui che si occupa di te non dovrà arrestarsi a quelle piccole ricercatezze spirituali che sono nutrite e fomentate dal tuo amor proprio, lì dove risiede il demonio. Devi esporti alla lotta e non tiiartene indietro con timori immaginari. Devi pure rinunciare ai divertimenti che ricerchi sotto buoni pretesti, perché sono solo lusinghe di natura e spreco di tempo. In breve, se vuoi spezzare la durezza di quel serpente infernale, devi essere malleabile, afflitta, paziente e caritatevole. Se farai questi sforzi, la luce della mia grazia non ti verrà mai meno e il tuo cuore ne verrà piegato ». Ciò detto, mi ritrovai desta e con un atteggiamento molto diverso da quello di prima. Sentii una gran fìducia in Dio e speravo che mi facesse la grazia di superare tutte le difficoltà che vedevo intorno a me. Cominciai a provare una grande gioia e una grande speranza all'idea di essere liberata, perché la misericordia di Dio mi aveva manifestato come 71

combattere tutti i miei nemici. In seguito, a poco a poco iniziò una grande lotta con quei maledetti spmtl e posso dire in verità che, per più di diciotto mesi, non mi hanno mai concesso tregua, né di giorno né di notte. Spesso mi sono ritrovata aggredita con una violenza tale, che pensavo che sarei stata costretta ad abbandonare l'impresa. Sono molto debitrice nei confronti della misericordia di Dio e dell'assistenza di padre Surin, se non ho mai ceduto dinanzi alle pressioni dei miei nemici. Mi sarebbe impossibile descrivere tutto ciò che è accaduto nel corso di quelle lotte, come pure i particolari soccorsi che mi furono concessi da Dio, e poche persone potranno capirlo da quel poco che ne dirò, a meno che non ne abbiano avuto esperienza. Dopo quelle luci, il mio buon padre stabilì regole che avrei dovuto seguire. Mi ordinò di trascorrere ogni giorno tre o quattro ore in preghiera, durante la giornata, e due durante la notte. Mi impose di confessarmi e di comunicarmi tutti i giorni, di continuare i miei esami di coscienza e di parlare con le mie sorelle più di quanto avevo fatto fino ad allora. Mi ordinò di essere più ligia nell'osservanza della mia regola e di fare ogni giorno qualche mortificazione esteriore per porre cosi rimedio in qualche modo ai disordini che avevo commesso. Nostro Signore fece sì che soffrissi molto durante le conversazioni con le mie sorelle, a causa dei demoni che le travagliavano. Per la maggior parte, mi manifestarono un grande odio per il cambiamento di vita in cui mi vedevano. Quei demoni le persuadevano che era il diavolo il responsabile del mio mutamento, al fine di indagare sulle loro disposizioni. Si arrivava al punto che, quando stavo in loro compagnia, i demoni ne spingevano sempre qualcuna a scoccarmi qualche frecciata e a beffarsi di tutto ciò che io dicevo e facevo, atteggiamento cui ero molto sensibile. Se avessi dato retta ai miei sentimenti le avrei battute, ma vedevo con chiarezza che era Dio a permettere tutto ciò e che io dovevo sottomettermi. Posso in verità dire che quelle circostanze mi hanno rinvigorita molto, perché contribuivano a spegnere le collere che Behemot mi suscitava. Quando mi recavo alle riunioni della comunità, riflettevo 72

molto su di me. Stavo attenta a ogni mio gesto e a ogni mia parola, più che se stessi pregando. Anche questo mi aiutò ad abituarmi alla presenza di Dio. La sua bontà mi tolse ogni desiderio di svaghi. Il maggiore di cui potevo godere era quello di trattare delle cose di Dio oppure di pregare. Mi ci applicai, il più seriamente possibile, per individuare gli impulsi della mia natura e per correggerli. Durante le mie preghiere, Dio mi concedeva molte luci. Sicché capivo che quanto un tempo mi era sembrato bene era in realtà colmo di difetti. La sua bontà mi infuse anche un grande desiderio di sottrarre al mio corpo tutto ciò che non sarebbe stato assolutamente necessario a sopravvivere. In questo dovetti affrontare grandi difficoltà, perché le mie inclinazioni e i demoni vi si opponevano con forza. Volevano spesso, col pretesto della necessità, farmi prendere cose superflue, costringendomi cosl a fare grandi astinenze. Usavo l'assenzio e talvolta il fiele per condire i miei pasti e, al tempo stesso, far morire in me ogni sorta di gusto. Ho trascorso quasi un anno o anche di più senza mangiare alcun tipo di frutta, né insalata, né formaggi, proprio perché ne ero molto ghiotta. Grazie all'esercizio di queste mortificazioni, Nostro Signore mi diede un grande potere su di me, perché raggiunsi una tale libertà di mente che potevo pregare quanto volevo. Non mi sentivo più soggetta alla tirannia dei miei nemici. Al contrario, perdevo ogni timore dei loro interventi e mi sembra che Nostro Signore li soggiogasse e li facesse dipendere dalla mia libertà. Mi immersi più che mai nella devozione per il mio santo protettore, san Giuseppe. Ricorrevo a lui in ogni circostanza, per ogni bisogno sia interno sia esterno. Questo grande santo ottenne da Dio che ricevessi il dono della preghiera e, per sua intercessione, la divina Maestà mi elevò al grado della contemplazione. Ricevevo quindi grandi luci e Nostro Signore comunicava con la mia anima in modo particolare. Non appena intuivo qualche ostacolo da parte dei miei nemici, bastava che mi ritirassi per un po' di tempo e mi rivolgessi a san Giuseppe. Sentivo subito una forza interiore che mi faceva vincere ogni difficoltà e mi dava la meglio sui miei nemici. Trascorsi molto tempo in queste condizioni, ma Nostro 73

Signore non mi lasciò senza il peso di una croce, perché il grande mutamento che si manifestava in me diede occasione a molte persone, anche fra quelle religiose, di mettere in dubbio che io fossi nel vero. Dubitavano che l'artefice di tante penitenze e di una così grande libertà di mente fosse proprio Dio. Ognuno la pensava a modo suo. Queste voci si sparsero nella nostra comunità e le altre possedute presero a chiamarmi, durante i loro tormenti, il diavolo pio. Quei malvagi spiriti fecero tutto il possibile per persuadere a fondo gran parte dei padri esorcisti e Dio permise che quel piano riuscisse assai bene. Tutto questo mi addolorò molto, ma ancor più ne fu addolorato padre Surin, perché il modo in cui mi guidava veniva molto disapprovato, soprattutto perché non voleva che considerassi il diavolo come l'artefice dei miei sconvolgimenti e anche perché non mi faceva molti esorcismi. I pareri si spartirono talmente su questo punto, che il superiore di padre Surin venne avvertito che io ero in pericolo e che la condotta che mi era stata imposta era stravagante e pericolosa. In merito vennero impartiti molti ordini e il buon padre mutò gran parte dei miei esorcismi. Comunque, riprese a esorcizzarmi senza concedermi tregua e, di continuo, i demoni gli dicevano con molta insolenza che avrebbero avuto la meglio su di lui. Leviatano gli diceva spesso: « Dovrai cedermi il tuo posto e fra non molto. Non potrai più impartirmi ordine alcuno. Farò sl che tu abbandoni smarrito questa giovane e poi, a poco a poco, riprenderò i miei diritti. Sopporterò tutti gli esorcismi che vorrai, pur di riacquistare i miei diritti. Ah, ho fatto bene il mio gioco! Perché cosl otterrò la vittoria. Ti rimane meno di quindici giorni per farmi guerra ed è per questo che ben presto dovrai interrompere ». Quel malvagio spirito si sforzò per tormentarmi durante gli esercizi di pietà e Nostro Signore permetteva che ci riuscisse spesso con le inquietudini che mi infondeva. Verso questo periodo, accadde una cosa che mi addolorò molto. Un giorno, dopo l'esorcismo, mi ritirai in parlatorio per pregare insieme a padre Surin, secondo la nostra consuetudine. Il buon padre non aveva, però, potuto raggiungermi 74

a causa di qualche incombenza e io, dopo averlo atteso per mezz'ora, cominciai le mie preghiere. Uno di quei malvagi spiriti assunse le sue sembianze e, chiamandomi, mi disse quanto segue: « Debbo esporvi, figlia, i pericoli che si trovano nella vita spirituale e gli inganni che più frequentemente vi accadono. Sono desolato, figlia, di dovervi affliggere, ma debbo dirvi una cosa che mi opprime il cuore e di cui Dio mi chiederà conto se io vi mancassi, dal momento che vi ha affidata alle mie mani. Voi siete davvero ingannata dal diavolo e io vedo con chiarezza che tutti questi sconvolgimenti interiori che avete sofferto si sono prodotti per suo volere. Ho avuto molto torto ad avervi lasciato condurre la vita che avete condotto da quasi un anno. Temo di esserne colpevole dinanzi alla divina giustizia. Dovete cambiare tutti i vostri esercizi e vivere nel modo più comune. Voglio che vi accontentiate dell'osservanza della vostra regola, quando sarete in condizioni di osservarla, perché adesso sarebbe difficile ». Dopo che il maledetto spirito ebbe fatto questo discorso, gli dissi che ero stupita di quanto mi aveva detto e che speravo che Dio avrebbe avuto pietà di me. Io desideravo soltanto piacergli e avrei sempre seguito i suoi voleri in tutto ciò che mi sarebbe stato possibile. Ma riprendere la mia vita di un tempo, da cui mi era costato tanto distaccarmi, non l'avrei mai fatto. Non pensavo che volesse consigliarmi questo, poiché spesso mi aveva detto che stavo scivolando lungo la china che porta all'inferno. Inoltre, col mio carattere, c'era bisogno di mezzi nient'affatto comuni per preservarmene. E cosl mi rispose: « Vedete, figlia, vi confesso che ho sbagliato in quanto alla condotta che vi ho fatto seguire e riconosco di avervi messa in pericolo. Sia ringraziato Iddio che mi ha illuminato! Non ha voluto che vi perdeste completamente. Sicché non serbatemi rancore e io vi indicherò la giusta via, ma prima voglio che mi facciate una nuova protesta di obbedienza. Dovrete serbare il segreto su quanto vi dirò. Sapete bene che io sono, quanto alla vostra condotta, l'inviato di Dio ». Ed ecco ciò che gli risposi. Chiesi qualche tempo per riflettere, dopodiché dissi: 75

« Poiché, caro padre, vi siete già ingannato una volta, non vedrete di cattivo occhio che io mi consulti con qualche altro esorcista ». Lui mi disse: « Ve ne chiamerò uno e lo farò venire con me quando vorrete». Lo pregai di aspettare e, intanto, cominciai a provare una forte diffidenza nei confronti della misericordia di Dio su di me e ne fui molto afflitta. Gli dissi che lasciassimo passare il tempo per fare una novena a san Giuseppe, che era sempre stato il mio protettore. Mi disse che non era di quel parere e aggiunse: « Poiché ora conosciamo la verità, non ci rimane che seguirla». Voleva assolutamente che per voto io mi costringessi a obbedire a tutto ciò che mi avrebbe detto e a mantenere segreta la mia condotta. Addirittura, non voleva che gli parlassi più di quel mutamento, né del colloquio che avevamo appena avuto, se non quando me ne avesse concesso la libertà. Gli dissi che non avrei fatto alcunché di ciò che mi proponeva e il mio atteggiamento lo fece infuriare molto. Mi minacciò della maledizione di Dio e aggiunse che sarebbe riuscito a vincermi. Mi venne il pensiero di far ricorso al mio buon padre san Giuseppe e al mio buon angelo custode. Lo dissi a quello spirito, protestando che non doveva trovare cattiva quell'idea. Ma, vedendo che la sua collera non sbolliva, gli dissi che mi stupiva un po' vederlo cosi e, al tempo stesso, pensai che era un diavolo che voleva ingannarmi e che dovevo stare all'erta. Lo guardai, allora, con attenzione e vidi una forma umana che di continuo mutava atteggiamento. Mi feci il segno della croce e gli dissi: « Tu non sei affatto il mio buon padre. Tu sei un diavolo. Non so che farmene delle tue parole ». Feci per ritirarmi, ma me lo impedi. Mi ritrovai avvinta alla grata e solo di li a qualche tempo mi lasciò andare, dopo avermi picchiata senza pietà. Da un lato, fui ben contenta che Nostro Signore non a-

vesse permesso che venissi ingannata, ma, dall'altro, fui addolorata per il potere che il demonio aveva su di me. Mi dicevo: « Se è capace di assumere la forma del mio direttore, come fare a difendermi, se tanta è la fiducia che nutro per il mio buon padre ». Allora feci chiamare padre Surin e gli riferii l'accaduto. Ne rimase esterrefatto e si sforzò per consolarmi e per rinvigorire la mia mente. Ero molto afflitta per via dei pericoli in cui mi trovavo. Ciò che era accaduto suscitò in me una paura tale, che, quando mi ritrovavo con padre Surin, temevo che fosse il demonio e mi arrovellavo su tutto quello che mi diceva. Lui stesso notava che non avevo più la stessa docilità di mente come in passato, sicché vigilava su tutti gli impulsi dell'anima mia e li esaminava da vicino. In fondo al cuore, gemevo e pregavo Nostro Signore che avesse pietà di me e mi mettesse in grado di poterlo servire fedelmente. A tal fine, mi rivolsi pure a san Giuseppe, pregandolo di farmi da padre e da protettore. Un giorno, mentre la mia mente era cosl angosciata, dopo la santa comunione, sentii nel cuore una grande pace. La mia mente fu colma di una luce chiarissima e mi sentii attratta verso la contemplazione. Allora, di Il a poco, mentre i miei sensi si erano spenti, mi fu detto interiormente: « Figlia, abbi fiducia in me e io veglierò su di te. Io sono colui che può salvarti ». Queste parole mi infusero una grande forza ed eliminarono tutti i timori che avevo avuto. Un giorno, durante le mie preghiere, stavo lamentandomi con Dio per gli smarrimenti della mia immaginazione, per la perdita di applicazione a meditare sulla santa Passione e per i grandi desideri che mi aveva ispirato di far penitenza. Gli chiesi perdono per gli errori che avevo commesso e che l'avevano costretto a punirmi privandomi di quelle buone disposizioni. Lo supplicai di restituirmele, assicurandogli che ero decisa a farne uso migliore. Mi ritrovai poi in una grande pace, con una completa crescita di tutte le mie potenze. Fu allora che mi furono fatte vedere le condizioni della mia anima. 77

Mi apparve incatenata dall'attaccamento a tutte quelle cose che ora si rivelavano un ostacolo alla divina unione, tanto più che si reggeva proprio su quelle cose e traeva qualche soddisfazione dal suo stesso travaglio. Non capivo ancora che tutto questo altro non erano che mezzi per raggiungere il mio fine e che, ora, Nostro Signore me li toglieva per elevarmi sino a lui. Fatto strano è che Nostro Signore concesse al contempo la stessa visione a padre Surin. Di Il a poco, il mio atteggiamento cambiò completamente rispetto alla preghiera. L'abitudine di fissarmi su argomenti di meditazione mi fu tolta. Smisi di moltiplicare molti atti di dolore e presi ad abbandonarmi completamente a Nostro Signore e a rimanere nella sua Santa Presenza in un'amorosa e tranquilla quiete. Di tanto in tanto ero spinta a contemplare le perfezioni divine e a rallegrarmi perché Dio è quello che è. Il tempo delle preghiere mi sembrava molto breve. Ritorno a quanto fecero i demoni per scacciare padre Surin da Loudun e impedirgli di guidarmi secondo i progetti di Dio fino al trionfo sulle creature infernali. I padri gesuiti, che erano stati inviati dal padre provinciale Jacquinot per esorcizzare le monache della nostra comunità, si accorsero che padre Surin non seguiva il loro metodo negli esorcismi e temevano che si sbagliasse quanto alla mia guida spirituale, come già si è detto. Sicché il padre provinciale ordinò che cessasse di occuparsi di me e che io venissi affidata a padre Ressés. Comunque, permise che padre Surin mi esorcizzasse ancora per otto giorni, affinché colui che avrebbe dovuto succedergli potesse rendersi conto delle mie condizioni. Quest'ordine mi addolorò molto, anche perché credevo che si trattasse di un intervento dei demoni. Tuttavia, mi rassegnai alla volontà di Dio e tentai di fortificare la mia fiducia nella sua bontà. La notte, durante le preghiere, mi venne un intenso pensiero di rivolgermi al mio protettore san Giuseppe per supplicarlo di umiliare quel demonio che aveva compiuto un'impresa così malvagia contro la mia salvezza e contro l'onore di padre Surin, il quale si era adoperato tanto per

me. Mi sentii spinta a promettere a Nostro Signore di recitare ogni giorno, per un anno, l'uffizio e le litanie di quel gran santo, di fare ogni settimana una penitenza in suo onore e di comunicarmi una volta alla settimana per ringraziare Dio delle bontà che gli aveva fatto. Feci questo voto a patto che fosse grato al mio buon padre. Non appena l'ebbi fatto, sentii una grande fiducia in Dio e credetti fermamente che Dio ci avrebbe aiutati, che quel superbo demonio sarebbe stato umiliato e che non ci sarebbe stato verso di trionfare sul ministro della Chiesa. Ero impaziente che venisse il mattino per riferire ogni cosa al mio padre, ma il demonio fece tutto il possibile per impedirmelo. Già da tre o quattro giorni mi aveva fatta ammalare, sicché non riuscivo a muovermi. In quel tempo, non fu possibile che mi esorcizzassero. Tuttavia, ero sicura che Dio avrebbe umiliato quel demonio, anche se non sapevo come. Chiedevo a Dio la grazia di potermi alzare, perché desideravo molto essere esorcizzata quel giorno, pur contro quanto ne pensava padre Surin. Non che credessi che il demonio dovesse uscire da me, ma sentivo una grande fiducia in Dio, che mi induceva a sperare che la verità sarebbe divenuta manifesta e che le malvagie arti di quello spirito sarebbero state smascherate. Spiegai al mio buon padre il voto che avevo fatto durante la notte. Lui lo approvò, sicché lo rinnovai in sua presenza. Padre Surin, vedendo il coraggio di cui avevo dato prova alzandomi, nonostante il grande dolore, si decise, dietro mia richiesta, a esorcizzarmi nel pomeriggio. Ne ebbi molta gioia. Quello stesso giorno, si riunirono in chiesa molte persone di rango per assistere al mio esorcismo. E ciò non accadde senza una particolare provvidenza di Dio. Poco dopo che fu iniziato l'esorcismo, Leviatano apparve in maniera straordinaria, vantandosi che avrebbe trionfato sul ministro della Chiesa e che gli avrebbe sottratto il posto. Diceva di essere giunto al termine della sua impresa e di non temere alcunché. Aggiunse diverse altre cose insolenti e in modo superbo. Udendo ciò, padre Surin si rivolse a Nostro Signore, lo 79

pregò di umiliare quello spirito altero e di costringerlo a obbedire alla Chiesa con una profonda adorazione del Santissimo Sacramento, e cosl pure di chiedere perdono, alla stregua di un criminale, per le sue malvagie imprese. Leviatano accolse quest'ordine con grande resistenza, ma Dio, nella sua divina bontà, lo costrinse a obbedire e ci concesse, nella sua misericordia, più di quanto avessimo sperato. Infatti, dopo che questo spirito ebbe fatto tutto ciò che padre Surin gli aveva ordinato, si prosternò ai suoi piedi, gli chiese perdono per le malvagie opere che aveva messo in atto contro di lui e, al tempo stesso, fece il segno della sua dipartita che gli era stato ordinato di fare, lasciandomi in piena libertà. Fu il 5 novembre 1635, quando Leviatano venne scacciato dal mio corpo. Nello stesso momento, ebbi una visione intellettuale del glorioso san Giuseppe, tramite la quale seppi che era stato lui a ordinare a quel demonio di andarsene. Tutto questo accadde in me mentre ero come rapita. Non so esprimere la gioia che il pubblico intero e io provammo per questo favore del cielo. Non starò ad aggiungere altro quanto a questo esorcismo. I processi verbali ne fanno fede. Rimasi segnata da una grande croce sanguinante sulla fronte, che durò tre settimane: era questo il segno imposto a quel demonio per manifestare la sua dipartita. Questo successo mi fece riflettere a lungo, perché era frutto del primo esorcismo fatto dopo l'ordine impartito dal padre provinciale Jacquinot. I padri della sua Compagnia ritennero che in nulla bisognava mutare la mia guida spirituale finché non avessero riferito al loro Superiore l'accaduto e, in attesa, padre Surin doveva continuare a occuparsi di me, come in effetti fece con sottomissione. Quanto a me, rimasi in gran pace dinanzi a Dio, tentando di rendergli i miei atti di grazie per il favore che mi aveva fatto. Mi sorse una grande speranza di essere completamente liberata. Imploravo ogni giorno Nostro Signore e il mio glorioso protettore san Giuseppe. Mi rivolsi ancora a lui per pregarlo di costringere Balaam a mutare il segno della sua dipartita, ossia di lasciar scritto So

il suo nome sulla mia mano, dove sarebbe rimasto per tutta la vita. Padre Surin mi consigliò di fare una novena di comunioni in onore di san Giuseppe e mi promise di dire nove messe per lo stesso motivo. Chiedevamo a Dio che volesse costringere quello spirito a imprimere il nome di san Giuseppe sulla mia mano, per indicare la sua dipartita, in quanto san Giuseppe era stato il suo principale nemico. Cominciammo la nostra novena con profonda devozione, non senza incontrare resistenze da parte di quello spirito. Interveniva in ogni modo possibile per impedirmi di continuare la novena. Una volta mi faceva ammalare, un'altra mi sconvolgeva la mente. Un giorno, volle impedirmi di comunicarmi affinché interrompessi così la novena. A tal fine, Behemot e lui si impadronirono della mia testa fin dal mattino e mi tormentarono in modo tale, che, pur volendolo, non riuscivo a dominarmi. Tutto quello che potevo fare era sottomettermi all'ordine di Dio e accettare quei tormenti in remissione dei miei peccati. Accadde dunque che quei demoni sopraggiunsero un'ora prima della messa e mi fecero mangiare così sregolatamente, che più non avrebbero potuto farlo tre persone per affamate che fossero. Padre Surin, arrivando alla solita ora, mi trovò in queste condizioni. Se mai ci fu una persona addolorata, quella fui io alla vista della mia novena interrotta. Inoltre, sapevo che il demonio avrebbe tratto grande gloria da questa sua impresa. Mi sentii vivamente spinta a dire a padre Surin che ordinasse ai demoni, in nome di Dio e di san Giuseppe, di farmi rigettare tutto ciò che aveva ingoiato. Padre Surin impartì l'ordine. Di lì a poco, il demonio tornò nella mia testa da dove si era un po' ritirato e, subito dopo, mi fece vomitare con un'abbondanza inconcepibile. Disse che erano costretti dal mio angelo custode e da san Giuseppe a farmi rigettare tutto quello che mi avevano fatto mangiare, finché il mio stomaco non fosse rimasto completamente libero. E così, alla fine, il mio corpo rimase svuotato. Il buon padre ritenne che ero in condizioni di comunicarmi. Mi avvicinai dunque alla Santa Mensa con tenera 81

devozione e mi fu possibile continuare la mia novena sino alla fìne. Verso gli ultimi giorni, durante gli esorcismi Balaam apparve con una furia straordinaria. Mi fece mordere a sangue una mano, sì da urlare come un cane. Disse che era costretto da san Giuseppe a mutare il segno che intendeva lasciarmi, ossia che, uscendo dal mio corpo, avrebbe scritto sulla mia mano il nome di san Giuseppe e non il suo. A questo proposito fece grandi giuramenti e poi mi lasciò in libertà, colma di grande fìducia in quel glorioso santo, il quale ha ottenuto per me molti favori da Nostro Signore, specialmente quanto alla mia anima. Dopo Dio e la sua Santa Madre, debbo a quel gran santo ogni mio bene spirituale. Ciò che accadde durante quella novena mi rese molto più fìduciosa nei miei poteri e mi indusse a chiedere senza tregua a Dio di essere liberata in virtù dei meriti del mio santo protettore. Sempre più mi consacrai al suo servizio. I tre demoni che rimanevano in me mi facevano quanto di peggio era loro possibile sia al corpo sia allo spirito. Mi maltrattavano notte e giorno, con molta rabbia, per farmi desistere dagli esercizi di penitenza e di preghiera. Dio, da parte sua, mi privava di quei conforti che avevo avuto in abbondanza e la mia mente si ritrovava come rinsecchita. Dio permetteva ai demoni di sconvolgermi e lo faceva per umiliarmi, per punirmi dei miei peccati e anche per farmi capire che i miei sforzi non erano gran cosa. Dovevo rassegnarmi a patire le mie pene. Rimasi oltre quindici giorni in queste condizioni, angosciandomi molto. È vero che ciò che mi consolava in queste condizioni era sapere che la mia anima non era del tutto preda delle opere dei demoni e che il mio cuore non cessava di conservare la vista della presenza di Dio. Sicché, se avessi fedelmente corrisposto alla mia grazia, avrei tratto grandi vantaggi da questo stato. Balaam si fece più innanzi. Si impadronì della mia testa per otto giorni, con una violenza tale da impedirmi di pregare e di compiere qualsiasi altro esercizio spirituale. Esteriormente ero di continuo sconvolta, notte e giorno, e, malgrado le penitenze che facevo e gli esorcismi che mi facevano, non ne traevo alcun sollievo. Tutto ciò mi immerse in una grande

tristezza, perché temevo di aver dato al demonio la possibilità di travagliarmi in quel modo. Un giorno, durante un breve intervallo di libertà, pregai padre Surin di fare una novena di messe a san Giuseppe per me e di farmi comunicare ogni volta. Avrei così interrotto le violenze di quel malvagio spirito e saputo quello che Dio voleva da me in quelle condizioni. Padre Surin accettò la mia richiesta, perché grande era la sua pietà al vedermi così ridotta e Dio gli aveva dato un cuore da vero padre nei miei confronti. Fece la novena con molta pietà e Dio gli concesse molte benedizioni, perché, il terzo giorno, quello sventurato spirito fu completamente scacciato dal mio corpo. Questo accadde durante un esorcismo che venne compiuto in presenza di numerose persone di rango, appartenenti alla Pretesa Religione Riformata, che, dopo aver visto questo miracolo, si convertirono.16 Il malvagio spirito fu costretto a scrivere il nome di Giuseppe sulla mia mano sinistra, in virtù dell'ordine che gli era stato impartito, e dichiarò che per opera di san Giuseppe usciva dal mio corpo. Questo venne confermato anche da Behemot, il quale, interrogato durante l'esorcismo su come Balaam fosse uscito dal mio corpo, rispose: « San Giuseppe l'ha fatto venire fuori perché voleva impedire alla monaca di pregare, di raccogliersi in sé e di fare penitenza ». Balaam uscì il 29 novembre di quello stesso anno 1635. Io cominciai a rallegrarmi per la dipartita di quei due demoni. Seguitai a implorare a Dio la mia completa liberazione e, a tal fine, cercavo notte e giorno di rimanere in presenza del Santissimo Sacramento. È vero che, in quel periodo, mi era molto dolce per via delle frequenti e amorose comunicazioni che avevo con Nostro Signore. La sua divina presenza si faceva talvolta così sensibile al mio cuore, che rimanevo rapita dinanzi alla sua divina Maestà e i miei sensi interiori non avevano la forza di sopportare gli accessi d'amore che provavo. Certe volte ero spossata da sofferenze interiori, 16

In realtà, a convertirsi, furono solo tre o quattro ugonotti.

che mi inducevano a rivolgermi a Nostro Signore per chiedergli una completa liberazione. Il primo giorno del mese di dicembre r 6 3 5, essendomi ritirata nell'oratorio per compiere i miei atti di grazia dopo la comunione, mi ritrovai colma della grandezza del mistero del Santissimo Sacramento. Sentii nel cuore una grande pace, senz'altro intervento che quello delle mie potenze interiori. Dopo essere rimasta così per qualche tempo, ebbi un forte impulso interiore che mi indusse a rendere particolari atti di grazia a Nostro Signore per quanto mi aveva fatto intendere del suo sacro corpo e anche per quel suo favore di espellere i due ultimi demoni. Mi fu concessa una chiara conoscenza degli ostacoli che costoro avevano arrecato alla mia anima contro il servizio di Dio. Mi fu fatto vedere il vincolo che le loro opere intrattenevano col mio carattere ed ebbi grandi moti di gratitudine verso la divina bontà che me ne aveva liberata. Al tempo stesso provai un desiderio ardente di poter praticare ogni virtù e, soprattutto, di amare più che mai Nostro Signore. Mi sentivo spinta a chiedere a Dio la mia completa liberazione in virtù dei meriti di Gesù Cristo, suo figlio, e per intervento della Santa Vergine e di san Giuseppe, per poter pregare la sua divina Maestà con meno impedimenti. Sentii allora che la pace del mio cuore cresceva. Non riuscivo a pronunciare alcuna preghiera, ma rimanevo davanti a Dio presa da un rispetto amoroso. Sentii poi formarsi dentro di me in modo intelligibilissimo una voce, la quale mi disse che Isacaronne sarebbe stato costretto al potere della Chiesa sotto i piedi della Santa Vergine nella chiesa di Saumur e che la durezza di Behemot sarebbe stata infranta sulla tomba di san Francesco da Sales. Dovevo dirlo a padre Surin e, nell'attesa, dovevo essere paziente e rassegnarmi agli impedimenti che i demoni mi avrebbero provocato. Comunque, se li avessi sopportati sottomessa a Dio, non mi avrebbero nuociuto. Mi fu pure detto che dovevo considerarmi felice di essere costretta a ricorrere ai ministri della sua Chiesa, perché Nostro Signore mi avrebbe così guidata lungo la via della salvezza. Mi sembrò che fosse Dio a parlare al mio cuore e ciò mi infuse un grande conforto insieme al desiderio di praticare la

virtù e di mortificarmi. Resi grazie a Nostro Signore per il favore che mi aveva fatto e, essendomi poi recata in refettorio, non riuscii a mangiare. Ritornai allora davanti al Santissimo Sacramento per recitare il rosario e, di lì a poco, vennero a chiamarmi perché raggiungessi padre Surin. Mentre mi recavo da lui, volli riflettere su quanto era accaduto per renderne fedelmente conto, ma, quasi subito, fui colta da un grande offuscamento di testa accompagnato da una tristezza, da una stretta al cuore e da un'impotenza a riferirgli i miei impulsi interiori. La cosa durò per tre giorni, durante i quali la mia mente fu agitata da diversi pensieri su ogni cosa, con un timore di renderli manifesti. Certe volte, quando non stavo con padre Surin, ritrovavo la mia libertà e supplicavo Nostro Signore di concedermi la grazia di aprirmi col mio buon padre, ma, non appena mi trovavo in sua presenza, la mia mente era turbata e non riuscivo a dir parola di quanto era accaduto. Mi veniva da pensare che, se avessi detto quelle cose, mi avrebbero risposto che si trattava di inganni del diavolo e che si sarebbero beffati di me. Io stessa, del resto, ero portata a credere che fosse tutto opera del demonio. Ero sicurissima che nulla proveniva dalla mia immaginazione, perché nessuna di quelle cose mi era mai passata per la testa. Il martedì mattina, padre Surin, vedendo che in parlatorio non riusciva a trarre alcunché di buono da me, mi ordinò di recarmi in chiesa. Io me ne rallegrai pensando di approfittare di quell'occasione per andare a mangiare qualcosa ed evitare così di comunicarmi. Sicché andai a prendere un po' di pane nel refettorio e, mentre ero lì, mi venne d'improvviso un forte pensiero di non farlo. Al tempo stesso, la mia testa venne liberata da ogni turbamento. Mi recai in chiesa, padre Surin mi mise il Santo Sacramento sulla testa e ciò mi rese più facile parlargli, sebbene il demonio continuasse a sconvolgermi. A poco a poco, in virtù del Santo Sacramento, quel malvagio spirito si ritirò e io rimasi completamente libera. Allora riuscii a dire al buon padre tutto quello che era accaduto nell'anima mia durante i giorni precedenti e lui ne trasse grande conforto, ormai persuaso che Nostro Signore volesse liberarmi completamente. Fu cosi che la mia fiducia 8.5

accrebbe e che mi indusse a implorare senza tregua Dio di rendermi libera. I demoni raddoppiarono allora i loro sforzi contro di me e mi tormentavano spesso, facendomi provare certe strane furie. Io opponevo resistenza, ma i miei sforzi erano inutili. Trascorsi l'intero mese di dicembre in queste condizioni. Intanto, venne esposto ai miei superiori e ad altre persone pie come la mia anima fosse stata liberata, cosl come ciò che i demoni avevano dichiarato in merito. Costoro ritennero che non bisognava dar facilmente credito a quanto era accaduto e che si sarebbe visto col tempo quale piega avrebbero preso le cose. Gli animi erano molto divisi nei loro pareri e io mi vidi abbandonata alla prudenza umana, che molto spesso è cieca nelle cose di Dio. È per questo che mi rivolsi con grande fiducia alla sua bontà, pregandolo in virtù dei meriti di Gesù Cristo, della Santa Vergine e del mio glorioso padre san Giuseppe, di concludere l'impresa per la sua maggior gloria e per i suoi disegni eterni. Feci voto a Dio, seguendo il consiglio di padre Surin, che, se mi avesse liberata da Isacaronne, avrei fatto una novena a Nostra Signora di Saumur, dopo la mia completa liberazione e col permesso dei miei superiori. L'intero mese di dicembre trascorse senza che fosse risolto alcunché a mio proposito, in quanto coloro da cui dipendevo non riuscivano a prendere una decisione unanime. Isacaronne dichiarava che la sua dipartita doveva servire alla giustizia e io pensavo che la cosa sarebbe andata per le lunghe. Cercavo, nel frattempo, di rinsaldare la mia fiducia in Dio e, negli intervalli di libertà che mi rimanevano, pregavo giorno e notte la sua divina Maestà di provvedere lui stesso alle mie cose e di non abbandonarmi alla prudenza umana. Padre Surin, da parte sua, faceva lo stesso e diceva messe a tal fine. Il nostro consueto colloquio verteva ora sulla fiducia che dovevamo nutrire nella provvidenza di Dio e nella protezione della Santa Vergine e di san Giuseppe. E le cose andarono proprio secondo i nostri desideri, perché, il primo giorno dell'anno 1636, verso le due del mattino, chiesi nelle mie preghiere, con molto fervore, la protezione di san Giuseppe 86

per quell'anno, supplicandolo di ottenere da Nostro Signore la grazia di essere liberata da tutti gli impedimenti interni ed esterni che mi allontanavano dal suo amore e dal suo servizio. Essendomi riaddormentata, mi sembrò di sentire una devozione particolare, accompagnata da un odore molto gradevole. Nello stesso tempo, udii una voce che mi disse: « Ecco colui al quale ti sei raccomandata ». Subito il mio pensiero si volse a san Giuseppe e il mio cuore si ritrovò colmo di un gran rispetto e di molto amore per lui. Mi sembra di aver visto una luce chiara, molto più splendente di quella del sole. Dentro questa luce, io vedevo un viso di grande maestà e di una bellezza cosl perfetta, che non so con quali parole esprimerla, né posso trovare confronto con cui suggerirne l'idea. Da quel bel viso provenivano una dolcezza e una modestia ammirevoli. Udii una voce che mi parlò, se ben ricordo, in questi termini: « Abbi fiducia, costanza e pazienza nelle prove che dovrai superare. Sopportale con rassegnazione e dimenticati di te stessa. Dio ti guiderà sulle vie del bene. Di' al tuo padre esorcista che, se gli uomini non si occuperanno della tua guarigione, Dio vi provvederà altrimenti. Deve continuare a esorcizzarti pazientemente, perché la sua opera è molto grata agli occhi di Dio. Digli che Nostro Signore scaccerà, tramite il suo ministero, il demonio che più sta ritardando la tua guarigione ». Poi tutto scomparve, tranne l'odore, che rimase ancora per qualche tempo. Infatti, risvegliatami, mi sembrò che il nostro dormitorio fosse tutto profumato. Il ricordo di quest'apparizione accrebbe la mia fiducia in Nostro Signore e nella protezione di san Giuseppe. Tuttavia, poiché si trattava di cosa accaduta durante il sonno, non pensai di parlarne, credendo che fosse solo un sogno. La notte dopo, mi accadde la stessa cosa mentre dormivo e tutto allo stesso modo già detto. Solo quel bel viso mi sembrò un po' più severo e mi chiese perché non avevo parlato col mio padre esorcista di quanto era accaduto la notte prima. Mi ordinò di non mancare di dirglielo e così io feci il giorno seguente.

Padre Surin ne fu molto confortato, sempre più sicuro che stava avvicinandosi l'ora in cui Dio avrebbe avuto misericordia di me e mi avrebbe liberata dai demoni. Sicché decidemmo di rinnovare più che mai la nostra fiducia in san Giuseppe e le nostre preghiere verso di lui. Padre Surin mi indusse ad aspettare con sottomissione gli ordini della provvidenza e mi chiese il permesso di parlare con gli altri padri esorcisti di quanto era accaduto. Io ero molto perplessa in merito, ma poi mi arresi alle sue ragioni. Proseguimmo con le nostre preghiere in onore del grande san Giuseppe. Io lo supplicavo affinché, avendomi già fatto l'onore di imprimermi il suo nome sulla mano, ottenesse la grazia di far imprimere anche quelli di Gesù e di Maria al posto dei segni che i demoni avevano proposto. Cominciammo, padre Surin e io, una novena per ottenere da Dio questa grazia. Il buon padre, durante gli esorcismi, ordinò in nome di Dio al demonio di seguire i suoi voleri e questi raddoppiò la sua furia contro di me. Il mio desiderio di avere sulla mano i santi nomi di Gesù e di Maria cresceva sempre più. Iniziai una novena di comunioni col consenso della mia guida, che, per assecondare il mio progetto, celebrò la santa messa a tal fine. In quel periodo, i demoni compirono grandi sforzi durante quattro giorni per opporsi al compimento del nostro progetto. Non c'è ira né rabbia che non abbiano scatenato contro di me. Cominciai la novena il secondo giorno dell'anno. Ecco ciò che mi accadde il sesto giorno. Mentre compivo i miei atti di grazie, verso le nove del mattino, fui d'improvviso colta da un grande turbamento esteriore. Intanto, dentro, mi sentivo piena di blasfemie e di grande rabbia. Rimasi in queste condizioni fino alle tre o alle quattro del pomeriggio. Padre Surin ritenne di dovermi esorcizzare. Diede ordine che mi conducessero in chiesa a tal fine e io vi entrai priva di sensi. Si impadronì poi di me una furia molto strana e il demonio profferì attraverso le mie labbra molte bestemmie e molte maledizioni contro Dio e contro la Santa Vergine. Accaddero molte cose che sono state registrate nei processi verbali, ma la più importante fu la dipartita di Isacaronne, che avvenne nel modo che ora dirò. Padre Surin, udendo le orti88

bili bestemmie che quel maledetto demonio vomitava contro Nostro Signore e la Santa Vergine e che facevano rabbrividire tutti i presenti, gli ordinò di adorare il Santissimo Sacramento e di fare onorevole ammenda alla Santa Vergine. È quasi impossibile esprimere le violente resistenze che quello spirito superbo fece dinanzi a tale ordine. Dirò soltanto che fu costretto a obbedire. Chiese perdono alla Santa Vergine e dichiarò che la sua potenza lo costringeva a uscire immediatamente dal mio corpo. Ciò dicendo, impresse nello stesso tempo il nome di Maria sulla mia mano, sopra quello di san Giuseppe. Io mi ritrovai colma di una grande consolazione, sentendo che cosl presto era stata mantenuta la promessa che san Giuseppe mi aveva fatto cinque giorni prima. A questa dipartita furono presenti più di cento persone. Padre Surin pensò allora di interrogare l'altro demonio che rimaneva nel mio corpo, per sapere in che modo Isacaronne ne fosse uscito, visto che aveva detto che l'avrebbe fatto a Saumur. Voleva pure sapere chi l'aveva costretto a imprimere il nome di Maria sulla mia mano. Dopo aver rifiutato per qualche tempo di rispondere, rispose che Isacaronne era uscito lì perché gli uomini non avevano voluto obbedire all'ordine impartito da Dio, che san Giuseppe aveva chiesto a Maria il suo consenso affinché Isacaronne fosse scacciato e che Maria vi aveva acconsentito in quanto gli uomini facevano ritardare la mia liberazione. Aggiunse poi che la Santa Vergine aveva fatto sentire a Isacaronne la sua potenza quando era stato costretto a chiederle perdono e che, dal cielo, gli aveva ordinato di uscire dal mio corpo. Disse pure che, quanto al segno di Maria, aveva avuto ordine di imprimermelo sulla mano dal mio angelo custode da parte di san Giuseppe due ore prima e che, quanto a lui, gli era stato ordinato di imprimere sulla mia mano quello di Gesù, quando fosse uscito. Ecco ciò che quello spirito sciagurato fu costretto a dichiarare. Sentii allora una profonda quiete nella mia mente e il desiderio di godere della grande misericordia che Dio mi aveva appena concesso. Volevo rendergli grazie ed è quello che tentai di fare per il resto della giornata.

Ed ecco quanto mi accadde durante le preghiere notturne. Essendomi riaddormentata verso le tre del mattino, mi ritrovai con l'anima riconfortata e un vivo pensiero rivolto al mio glorioso padre san Giuseppe. Al tempo stesso, sentii un soavissimo odore e vidi una forte e chiara luce da cui usciva una voce gradevolissima e dolcissima, che mi disse queste parole: « Di' al tuo padre esorcista che la santa Madre di Dio desidera che lui si rechi a Saumur con un altro padre per celebrare nella sua cappella qualche messa in ringraziamento della dipartita di Isacaronne avvenuta qui. Digli pure che si adoperi con ogni diligenza per disporre ciò che è necessario al resto della tua guarigione. Quanto a te, impara ad avere fiducia in Dio e a non lagnarti dei grandi impedimenti che permetterà al demonio di porti, perché ti soccorrerà tramite il tuo esorcista ». Ciò detto, tutto scomparve. I favori di questo glorioso santo non finirono comunque qui. In ogni mio altro frangente critico e nelle opere che ho voluto compiere per Dio e per il mio miglioramento spirituale, ho sempre sentito la sua particolarissima assistenza. Poco tempo dopo che quei demoni furono usciti da me, cominciai a nutrire un gran desiderio di fare gli esercizi dei dieci giorni. Da oltre sei anni non li avevo fatti e penso addirittura che non li avessi mai fatti per bene. Esposi questo desiderio al mio buon padre, che lo trovò saggio, pur temendo che il demonio che rimaneva nel mio corpo non mi lasciasse abbastanza libertà per esaudirlo. Infatti, bisogna dire che Dio gli permetteva spesso di tormentarmi. Tuttavia, padre Surin mi infuse una buona speranza e mi promise di fare quanto gli sarebbe stato possibile per assecondare il mio progetto. Il maledetto Behemot, vedendo la nostra impresa, raddoppiò le sue perversità contro di me. Non mi concedeva pressoché mai requie e io, così provata, non riuscivo quasi più a pensare ai miei esercizi. Un giorno, dopo la santa comunione, ebbi un impulso di offrire la mia volontà a Nostro Signore. Mi sembra che mi venisse detto dentro di me:

« Perché non ti rivolgi al tuo protettore? Sai benissimo che lui può aiutarti». Subito mi rivolsi al mio glorioso padre san Giuseppe e mi sorse una grande speranza di portare a termine il mio progetto. In effetti, pur essendo molto spesso sconvolta, tre giorni dopo non esitai a iniziare gli esercizi. Li feci per dodici o tredici giorni senza che venissi turbata, se non l'ultimo giorno e solo per un mezzo quarto d'ora. In seguito, quello spirito superbo dichiarò che i suoi interventi erano stati impediti grazie a san Giuseppe. Nel corso di quegli esercizi, Nostro Signore mi concesse molte grazie, perché mi diede una particolarissima conoscenza di me stessa che mi spingeva a una grande umiltà. Nei primi tre o quattro giorni, la sua Maestà mi mise sempre sotto gli occhi il mio nulla e una viva consapevolezza della mia vita trascorsa, sicché notte e giorno, per quanto mi era possibile, rimanevo prosternata ai suoi piedi implorando misericordia. Poiché trascorrevo la maggior parte della notte dinanzi al Santo Sacramento, ai piedi dell'altare, ecco ciò che mi accadde il quinto giorno. Dopo essermi flagellata come di consueto, cominciai a supplicare la misericordia di quell'infinita bontà e a implorarla di perdonare i miei peccati. Udii una voce che mi disse: « Figlia, i tuoi peccati ti vengono perdonati, ma bisogna che l'amore purifichi il tuo cuore, ancora colmo di ruggine. Preparati a soffrire molto, non discostarti da quel fervore che ti ho infuso e sappi che io dimoro volentieri in un cuore che si umilia ». Queste parole produssero grande impressione su di me e mi spinsero ad annullarmi dinanzi a Dio. Il giorno dopo, la sua divina bontà prese ad attrarre la mia mente verso un'altra sorta di preghiera, cui opposi, all'inizio, qualche resistenza. Ma, dopo essermi consultata col mio direttore, seppi che non dovevo opporre resistenza e che dovevo far sl che la mia mente dolcemente si abbandonasse. Cosl voleva Dio e fu quanto riuscii a fare con grande libertà. Dopo essere stata liberata da quei sei demoni come ho riferito, credevo che ben presto mi sarei ritrovata completa91

mente libera. Infatti, rimaneva in me solo quello chiamato Behemot. Ma mi ingannavo, perché l'esperienza dimostrò che non potevo disporre di completa libertà. Ho già detto che una voce interiore mi aveva comunicato che sarei stata liberata da quel demonio sulla tomba del beato Francesco da Sales e quello stesso demonio aveva confermato che sarebbe uscito da me solo in quel luogo. Essendo ciò stato riferito a monsignore il vescovo di Poitiers, ai padri esorcisti, ai loro superiori e alla stessa corte, molti impedimenti vennero posti a questo disegno. Bisognava che tutte le autorità spirituali e temporali concedessero il permesso. Veniva fatta presente la grande spesa che si doveva affrontare per quel viaggio e si ribadiva che bisognava diffidare di quella voce interiore potendo provenire dal demonio e insistere con gli esorcismi, spingendo il demonio a dipartirsene senza badare a quanto mi era stato detto. Padre Surin e io venimmo informati della decisione e iniziarono gli esorcismi. Il demonio rispondeva sempre che sarebbe uscito da me sulla tomba del vescovo di Ginevra e non altrove. Raddoppiò la sua rabbia con una testardaggine tale, che ogni sofferenza trascorsa ci sembrò nulla. Rivolse poi la sua ira contro padre Surin e prese a tormentarlo in modo incredibile. Quanto a me, fece cose assai perverse, aggredendomi incredibilmente la mente e spossandomi il corpo, in modo da farmi credere che stavo per morire. Ero quanto mai sottomessa ai voleri di Dio, ma mi sembrava che tutto mi venisse meno. Padre Surin fu molto stupito di questa nuova persecuzione. Ne temeva il seguito e, soprattutto, aveva paura che io cadessi in un completo sconforto e abbandonassi gli esercizi spirituali. Un giorno, mentre eravamo nel parlatorio, il buon padre mi chiese cosa ne pensavo delle mie condizioni. Gli risposi che la mia volontà era di fare tutto ciò che lui mi avrebbe ordinato, per difficile che avrebbe potuto essere. Allora padre Surin, volgendosi a Dio, gli chiese luci su quello che doveva fare. Sentl in sé un nuovo coraggio e, rammentandosi delle bontà elargite da Dio nei miei confronti, mi disse queste parole: « Siete davvero decisa ad agire con me secondo i nostri 92

progetti e a farvi ogni violenza necessaria pur di assecondare i disegni di Dio? ». Gli risposi che ero pronta a fare qualsiasi cosa e a soffrire qualsiasi travaglio. Padre Surin mi propose allora nuovi sforzi per combattere il nostro nemico, suggerendomi che mi ritirassi per flagellarmi finché Dio non avrebbe avuto pietà di me, liberandomi dall'oppressione del mio nemico. Il buon padre sperava che Nostro Signore mi avrebbe benedetta e fatta vincitrice. Fui stupita dinanzi a questa proposta, non credendo di avere abbastanza forza per flagellarmi. Ma, poiché Dio mi aveva ordinato una grande fiducia in padre Surin, mi risolsi a obbedirgli. Mi alzai allora a stento, muovendomi con molta pena. Trascinandomi, mi recai in fondo al giardino per non essere scorta da chicchessia e, lì, mi flagellai per un'ora. Non notai alcun mutamento nella mia anima. Intanto, padre Surin era rimasto in preghiera nel parlatorio e, a tratti, gli veniva il timore di avermi consigliata male. Pensava di mandarmi a cercare per timore che esagerassi nella penitenza. Ma Nostro Signore lo tratteneva. Trascorsa quell'ora, credetti che Dio fosse contento e che potessi far ritorno in parlatorio. Ma, mentre mi rivestivo, mi venne da pensare che dovevo continuare a rivolgermi a san Giuseppe con fiducia. Sicché mi tolsi di nuovo le vesti e continuai a percuotermi con coraggio. Di lì a poco, Nostro Signore, considerata la mia perseveranza, mi soccorse. Sentii uscirmi dalla testa qualcosa che mi opprimeva e vidi davanti a me un mostro spaventoso, simile a un drago. Subito mi alzai e, reggendo in mano il mio flagello insanguinato, corsi verso di lui per colpirlo. Immediatamente scomparve e io mi ritrovai libera e rinvigorita. Fu cosi che feci ritorno da padre Surin, il quale stava aspettandomi. Gli riferii tutto ciò che era accaduto e, in tal modo, fini quella lotta. Ne uscii con una gran pace interiore e mi sembrò che il diavolo fosse divenuto mio schiavo. Ebbi la libertà di pregare ogni notte e Dio mi consolava talmente, che, certe volte, ritiratami nel mio oratorio verso le nove di sera, mi ritrovai l'indomani alle cinque del mattino nello stesso luogo, come se ci fossi rimasta solo un'ora. 93

Quando mi accingevo a pregare, il demonio era costretto a uscire dalla mia testa e mi lasciava con Dio, mentre lui si metteva al mio fìanco in forma di un cane nero e immobile. Poi, terminate le preghiere, ritornava nella mia testa e ci faceva tutto quanto Dio gli permetteva di fare. In quel periodo ricevetti molte grazie da Nostro Signore e mi rinvigorii nella fede e nelle vie interiori per sette o otto giorni. Fu in quel tempo che le vessazioni di padre Surin, per opera dei demoni, accrebbero in modo tale, che il padre provinciale Jacquinot decise di richiamarlo dal suo incarico e di sostituirlo con padre Ressés. Costui era un sant'uomo, molto fervente e molto abile, che si occupò dell'impresa con grande zelo. Compiva gli esorcismi con vigore, persuaso che tutti i presenti ne ricevessero molto profitto assistendo al rispetto che i demoni avevano per il Santo Sacramento. Molti grandi peccatori, a quella vista, si convertirono. Quanto a me, soffrivo molto, sia a causa della mia debole salute tanto provata, sia per l'interruzione della dolcezza del riposo che sentivo. Un giorno, mentre era presente un gruppo di celebri personaggi, quel buon padre decise di compiere gli esorcismi per il loro bene spirituale. Poiché mi sentivo molto debole, feci notare a padre Ressés che gli esorcismi mi avrebbero nuociuto e che, nelle condizioni in cui mi trovavo, i suoi predecessori si erano astenuti dal compierli. Comunque, gli dissi che mi sottomettevo ai suoi voleri, poiché preferivo l'obbedienza alla mia stessa vita. Il padre, che desiderava molto fare gli esorcismi, mi disse di avere coraggio e di confidare in Dio. Dopodiché, iniziò l'esorcismo e i travagli che patii furono tali, da mettermi in pericolo di morte. Ciò accadde la notte del primo giorno dell'anno 1637. Mi venne una violenta febbre, insieme a un forte dolore al costato. Il dottore, che si chiamava Fanton, venne fatto venire e disse che soffrivo di una forma di pleurite, la quale perdurò nove giorni con febbre continua. Durante quel periodo, fui salassata tre volte e il medico mi prescrisse numerosi rimedi. Tutto fìnl con l'evacuazione di un flusso di sangue che durò sette o otto giorni. 94

Dopo tutto ciò, mi ritrovai abbastanza in buona salute fino al 2 5 del suddetto mese, giorno in cui mi ammalai di nuovo. Padre Ressés ritenne opportuno riprendere gli esorcismi, i quali mi produssero un forte mal di cuore, accompagnato da vomito. Ebbi poi febbre e un intenso dolore al costato destro, che fu seguito da sputi di sangue e da una grande oppressione al petto. Il dottor Fanton fu richiamato il 26 del mese e, constatando che si trattava di un'autentica pleurite, mi fece salassare altre sette volte e applicare diversi rimedi. Ma io ne fui sollevata solo per un'ora. Il quarto giorno di quest'ultima malattia, fui colta, verso le sette di sera, da grandi accessi di debolezza, preceduti dalla visione di un animale o mostro orrendo e spaventoso. Aveva lunghi artigli e una gola spalancata da cui uscivano fiamme di fuoco, come pure dai suoi occhi. Era completamente circondato dal fuoco quel mostro e mi disse: « Tu sei condannata alle fiamme eterne. Aspetto solo che la tua anima sia uscita dal corpo per trascinarti via ». Fui allora presa da un grande sconforto, ma mi rimasero abbastanza forze per recitare un atto di rassegnazione a Dio e dissi in presenza di diverse sorelle che mi udirono: « Sia fatta la volontà di Dio. Se gli garba che io finisca all'inferno, sono pronta a seguire i suoi voleri, purché non mi accompagni la sua maledizione e io possa mutare l'inferno in paradiso con le lodi che renderò alla divina Maestà ». Fui estremamente spaventata da questa visione e così prostrata dal mio male, che caddi in deliquio e, per oltre due ore, non riuscii a riprendermi. Mandarono a chiamare il padre esorcista, che posò su di me il Santo Sacramento, alleviando le mie sofferenze, anche se febbre, male al costato e oppressione perdurarono. Non appena mangiavo qualcosa, la vomitavo quasi subito e di continuo non riuscivo a prender sonno. La notte del giovedì, giorno 28 del suddetto mese di gennaio, patii un grande travaglio, dopo le ore nove, a causa di una voce che mi parlava interiormente e che rievocava tutta la mia vita, dall'età di sei anni fino a quel momento. Mi rimproverava tutti i miei errori e mi accusava di tutto ciò che 95

accadeva durante la mia possessione come se ne fossi stata colpevole. Quelle parole mi spinsero in un grande sconforto e vi risposi con un atto di fìducia in Dio, dicendo: « Nostro Signore è buono e misericordioso. Riconosco tutti i miei errori trascorsi e me ne sono umiliata in sua presenza. Spero che me li abbia perdonati ». Dopo quest'atto, mi ritrovai libera dall'importunio di quella voce, verso le quattro del mattino. Il mio cuore fu colmo di fìducia in Dio. Sentii poi la presenza del mio buon angelo e i nomi di Maria e di Giuseppe impressi sulla mia mano sinistra si rinnovarono in modo meraviglioso. Il guanto che porto su questa mano mi venne impercettibilmente tolto, senza che io me ne accorgessi e senza che se ne accorgesse nemmeno suor Agnese, che era allora presente. Subito sentii una più forte fìducia in Dio e come una certezza che non sarei morta per quella malattia, nonostante le mie forze fossero estremamente diminuite e le sofferenze aumentassero: Padre Bastide,17 uno degli esorcisti, venne da me e io gli dissi: « Gli uomini mi condannano a morire. Io mi sento in grande pericolo, ma non credo che morirò. È per questo che non chiedo l'estrema unzione». Nei due giorni successivi, la mia malattia peggiorò e, il terzo giorno, chiesi al dottor Fanton, che era venuto a visitarmi, di dirmi cosa ne pensava, assicurandogli che quanto mi avrebbe detto non mi avrebbe affatto afflitta, rassegnata com'ero alla volontà di Dio. Ed ecco ciò che disse il medico: « La vostra malattia è mortale, sorella, e la natura non l'aiuta affatto. Il vostro stomaco non funziona più. Medicine e cibi che vi ho prescritto non potranno minimamente giovarvi». La notte del martedl, sempre preda di dolori intensissimi, sentii in me una nuova e più forte sicurezza che non sarei 17 Poiché i diavoli non accennavano a diminuire i loro interventi malgrado la morte di Urbain Grandier, Jean Martin de Laubardemont aveva richiesto l'assistenza dei gesuiti. Oltre a padre Surin, erano stati inviat= a Loudun i padri Rousseau. Anginot e Bachellerie. A questi, se n'erano poi aggiunti altri sette, fra cui i padri Bastide e Rcssés.

morta in quella circostanza. Ne fui rassicurata da una voce interiore che mi comunicava come Dio permettesse che mi trovassi in cosl grande pericolo per manifestare la sua potenza sottraendomi alla morte e ridandomi salute. Tuttavia, vedendo che tutti coloro che venivano a visitarmi mostravano di pensare che non sarei guarita, decisi, la notte del giovedì, di chiedere l'estrema unzione e di comportarmi come una buona fìglia della Chiesa in punto di morte, sebbene la mia sicurezza fosse sempre più forte. Chiesi dunque l'estrema unzione, che ricevetti il giorno 7 del mese di febbraio. Verso le quattro del pomeriggio, chiamarono il medico e io, avendolo saputo, rivolsi questa preghiera a Dio: « Signore, ho sempre creduto che voleste dimostrare il vostro potere guarendomi da questa malattia. Se è cosl, fate sl che, vedendomi, il medico mi reputi incapace di ricevere qualsiasi rimedio ». Nostro Signore ebbe la bontà di esaudire la mia supplica, perché il medico, arrivato mentre cominciavano le preghiere per darmi l'estrema unzione, dichiarò che ogni rimedio era inutile e che mi rimanevano da vivere al massimo due ore. Tutto il mio corpo fu ricoperto da un sudore freddo e prese a contrarsi. Sentii pure una grande oppressione alla gola e allo stomaco, mentre un fìotto di muco mi scorreva in grande abbondanza dal cervello. Fu in queste condizioni, con la mente sempre libera e tesa verso Dio, che ricevetti l'estrema unzione. Subito dopo, il sudore freddo svanì, cosl come le contrazioni nervose, ma febbre, oppressione e fìotto di muco continuarono. Una forza interiore che poco prima mi era venuta meno e la sicurezza che non sarei morta per quella malattia mi ritornarono, dal che riconobbi la grazia concessami da Dio e pregai il mio confessore di non allontanarsi da me. Verso le sei e mezzo di sera, provai desiderio di riposarmi e, d'improvviso, persi ogni sensazione fìsica. Mi rimase solo l'uso dei sensi interiori, che erano rimasti sempre liberi in me. Ebbi allora la visione di una grande nuvola intorno al letto su cui ero distesa e vidi sulla destra il mio buon angelo. Era di una strana bellezza, simile a un giovane sui diciott'an97

ni, con una lunga chioma bionda e rilucente, che ricadeva sulla spalla sinistra del mio confessore. Quest'angelo indossava una veste candida come la neve e reggeva in mano un cero bianco, molto lungo, molto grosso e molto fiammeggiante. Vidi pure san Giuseppe in forma e figura di uomo, col viso più risplendente del sole e una lunga chioma. La sua barba era castana e mi sembrò, in tutto il suo aspetto, di una maestà assai più che umana. Mi si avvicinò e mi posò una mano sul costato destro, lì dove era sempre stato più intenso il dolore. Mi sembra che mi facesse un'unzione su quella parte del corpo e, di lì a poco, sentii che mi ritornavano i sensi esteriori e che ero completamente guarita. Dissi al buon padre e alle sorelle che si trovavano nella mia stanza: « Non sto più male. Per grazia di Dio sono guarita ». Chiesi le mie vesti e subito mi alzai dal letto per recarmi dinanzi al Santo Sacramento a rendere grazie a Dio per la mia guarigione. Cantai insieme alle altre monache il Te Deus laudamus in presenza di due padri gesuiti. Pregai quindi che fosse fatto venire il dottor Fanton e lo speziale che mi aveva prescritto certi rimedi, affinché vedessero quanto Dio aveva operato in me nella sua potenza. Quando fu giunto, il medico vide il mio letto vuoto, e credendo che fossi morta, chiese dov'era stato messo il mio corpo. In quel momento, io stavo in ginocchio accanto alla finestra che c'era nella mia stanza e di fronte al Santo Sacramento. Udendo la voce del medico, mi alzai, lo raggiunsi e gli dissi: « Signore, sono guarita. San Giuseppe mi è apparso e mi ha restituito la salute ». Quell'uomo fu talmente sorpreso da cascare a terra svenuto. Poi, tornato in sé, chiese se c'era stata qualche crisi o evacuazione. Gli fu risposto di no e lui, esterrefatto dinanzi a quel prodigio, disse: « La potenza di Dio è più forte dei nostri rimedi ». Comunque, pur appartenendo alla Pretesa Religione Riformata, non si convertì e non volle più occuparsi di noi. Io mi ritrovai senza febbre e senza più bisogno di alcun medicamento e moltissime persone vennero a farmi visita. Di Il a due giorni, rammentai che l'unzione con cui ero stata

guarita l'avevo asciugata solo con la mia camicia. Chiamai la madre vicepriora e la pregai di venire nella mia camera, affinché visitassimo il luogo in cui l'unzione era stata fatta. Mentre facevamo ciò, sentimmo entrare un odore dolcissimo. Io mi tolsi quella camicia e la tagliammo all'altezza della cintola. Trovammo cinque gocce piuttosto grosse di quel balsamo divino che emanavano un eccellente odore. Si tentò di lavare quella mezza camicia con cui era stata asciugata l'unzione. Nel timore che, lavandola, le cinque gocce di quel balsamo scomparissero, si badò che quel punto non venisse insaponato. Tuttavia, lo trovammo perfettamente pulito e bianco come se ci fosse stato passato sopra il sapone. Solo le cinque gocce spiccavano nel loro colore normale, che era giallognolo. Essendo questa cosa meravigliosa divenuta nota, è incredibile la devozione che il popolo mostrò nei confronti di questa santa unzione e i miracoli che Dio operò per suo tramite. La prima a goderne fu la signora di Laubardemont, che si trovava a Tours, molto malata, non riuscendo a liberarsi della sua gravidanza. Suo marito, afflitto per le condizioni in cui versava la moglie ed essendo stato informato della mia miracolosa guarigione, ottenne dal signor di Morans, viceamministratore del signor di Poitiers, che la camicia con l'unzione venisse subito portata a Tours. Ciò fatto, l'applicarono sulla malata, che, in breve tempo, si liberò di un bambino morto già da sette o otto giorni, secondo il parere dei medici. C'era motivo di temere che avrebbe causato la morte della madre, sicché questa guarigione fu attribuita alla reliquia. Dio ha operato così tanti miracoli tramite questa reliquia, che si potrebbe farne un libro, ma sarebbe una digressione troppo lunga. Si potrà farne un elenco in qualche altro luogo. Io fui interrogata su questa apparizione di san Giuseppe e sulla guarigione miracolosa che aveva operato in me con quel santo balsamo. Ne testimoniai, in presenza di Dio, davanti al giudice e a diverse persone che furono chiamate, nel seguente modo: « Io suor Jeanne des Anges, figlia del fu Louis Belcier, barone di Cozes, e di Charlotte de Gourmard, monaca professa di santa Orsola e superiora del suddetto convento, ivi dimo99

rante, all'età di trentadue anni, avendo prestato il giuramento di rito, firmo il giorno 13 del mese di febbraio dell'anno 1637 ». Ritorno a quanto accadde durante la dipartita di Behemot. Padre Ressés continuava a esorcizzarmi. Un giorno, mentre ordinava a quel demonio di uscire dal mio corpo, questi rispose che ne sarebbe uscito sulla tomba del monsignore di Ginevra. Il buon padre gli disse allora che, uscendo, doveva scrivere sulla mia mano il nome di Francesco da Sales ed è quanto quel demonio promise di fare. Padre Surin era andato a Bordeaux per ordine dei suoi superiori. I demoni lo perseguitavano stranamente e gli arrecavano grandi mali. Ma lui nascondeva, per quanto gli era possibile, quegli interventi diabolici e non si stancava di adoperarsi per la gloria di Dio, confessando e facendo qualche predica. Era stato chiamato dal vescovo di Bazas per predicare l'ottava del Santo Sacramento. Pur non avendo ricevuto alcun sollievo alle sue pene lontano da Loudun, padre Surin vi fu rimandato dai suoi superiori dietro preghiera della nostra comunità. Noi speravamo, infatti, che Nostro Signore avrebbe benedetto il suo operato e che avrebbe condotto a termine con me quello che cosl felicemente aveva iniziato. Venne dunque a Loudun, prostrato, ma colmo di fiducia in Dio. Il signor di Laubardemont era giunto pure lui a Loudun da Parigi e vi aspettava padre Surin, sperando che il demonio sarebbe uscito al primo esorcismo. Non appena il buon padre fu arrivato a Loudun, riprese gli esorcismi e trovò il demonio molto obbediente agli ordini della Chiesa e molto rispettoso nei confronti di quanto concerneva il culto del Santo Sacramento e la venerazione delle cose sante. Ma, quando padre Surin gli ebbe ingiunto di uscire, quel demonio continuò a dire quello che aveva detto fino ad allora, ossia che aveva ordine di uscire solo sulla tomba di Francesco da Sales, vescovo di Ginevra. Padre Surin ne parlò al signor di Laubardemont, dicendogli che secondo lui si trattava di un ordine di Dio e che solo Dio poteva cambiarlo. Scrisse in merito anche al suo padre provinciale. Da parte sua, il signor viceamministratore inIOO

formò monsignore il vescovo di Poitiers dicendogli che sembrava non ci fosse altra via per uscirne se non col viaggio in Savoia. Tutti questi personaggi non vollero assecondare questo volere di Dio. Padre Surin continuò a coltivare la mia anima, facendomi praticare la virtù e sperando che questo sarebbe valso più di ogni altro sforzo. Il giorno dell'Assumdone, dopo essermi comunicata, mi ritrovai in un grande raccoglimento interiore e udii una voce che mi disse: « Poiché gli uomini si oppongono a ciò che Dio ha disposto per la tua liberazione, padre Surin e tu dovete far voto di recarvi insieme a visitare il sepolcro di monsignore il vescovo di Ginevra. Tu non potrai essere liberata a Loudun e solo cosi le tue pene finiranno. Dillo al tuo buon padre». Io non mancai di riferire tutto a padre Surin, che a sua volta lo riferi ai suoi superiori. Quanto a me, scrissi ogni cosa a monsignore il vescovo di Poitiers e al signor di Laubardemont. Costoro approvarono il progetto e ci fecero sperare che avrebbero concesso i permessi necessari per questo viaggio. Fu cosi che decidemmo di fare quel voto e il giorno prescelto fu il 17 settembre, festa di san Francesco. Il voto venne da noi fatto nella nostra cappella in presenza del Santo Sacramento. Verso il ro ottobre, volli fare un ritiro. Lo feci e, durante quel periodo, padre Surin non mi esorcizzò. In segno della sua dipartita, fu chiesta a Behemot l'elevazione del mio corpo in aria. Ma quel demonio aveva già dichiarato da lungo tempo che, essendogli stato richiesto di imprimermi sulla mano il segno del nome di Gesù e di quello di Francesco da Sales, non si riteneva tenuto a elevare in aria il mio corpo. Il giorno di santa Teresa, 17 del suddetto mese, padre Surin, sebbene molto infiacchito, dopo aver detto messa portò il Santo Sacramento alla piccola finestra della grata per comunicarmi. Mentre diceva queste parole: « Corpus Domini Jesu Christi », io fui straordinariamente tormentata. Ebbi una furiosa contorsione che mi piegò all'indietro e il mio viso divenne orribile. In quel momento, padre Surin vide chiaramente formarsi sulla mia mano il nome di Gesù, sopra IOI

quelli di Maria e di Giuseppe, in bei caratteri vermigli e sanguinanti. Il nome di Francesco da Sales si formò poi senza che padre Surin se ne accorgesse. Furono certe mie sorelle che mi stavano vicino a vederlo formarsi. Bisogna dire che il nome di Giuseppe, essendo stato scritto per primo da Balaam sull'alto della mia mano, scese a poco a poco per lasciar posto a quello di Maria, formato da Isacaronne, e che quei due nomi scesero ancora per lasciar posto a quello di Gesù, impresso da Behemot. Uscito questo demonio, mi fu possibile ricevere il corpo di Nostro Signore e, da quel momento, sono sempre stata libera dalle opere dei demoni. Debbo dire che, quando il demonio fece la contorsione di cui ho detto, infuse nella mia anima una viva consapevolezza dei mali da lui arrecati, sicché mi sembrò di essere un'anima dannata. Ebbi un'intensa idea di Gesù Cristo presente come Dio, come giudice e mio più grande nemico. Sentii manifestarsi la sua collera e fui colpita dal marchio del suo sdegno, in modo così terribile, che l'inferno mi sembrava preferibile alla presenza di quel giudice. L'impressione non durò a lungo, perché, essendo il demonio stato costretto ad abbandonare il mio corpo, quest'idea svani e sentii subito una grande fiducia e una grande quiete in cui ricevetti la santa comunione. Ciò mi lasciò una vivissima impressione della terribile sventura di chi riceve da Dio la dannazione ed è scacciato dalla sua presenza. Si vorrà sapere in quale modo i nomi di Gesù, di Maria e di Giuseppe si rinnovano di tanto in tanto sulla mia mano. A poco a poco svaniscono e, nei giorni in cui si sono rinnovati, diventano vermigli e trasparenti. Questo loro rinnovarsi avviene tramite il mio buon angelo ed ecco ciò che mi induce a pensare che sia cosi: r. La cosa in genere succede il giorno prima delle feste solenni o la notte, quando sono in preghiera, o il giorno stesso della festa, mentre mi comunico. 2. Perché, in quei momenti, il mio pensiero è tutto volto verso Dio e la mia anima riceve un conforto interiore. 3. Perché, esteriormente, il fenomeno si produce con dolcezza. Sento come un lieve formicolio sulla mano e, certe voi!02

te, il mio buon angelo mi sfila addirittura il guanto che porto. Non è che io veda che mi sfila il guanto, ma me ne accorgo non appena mi è stato sfilato. Una volta, è accaduto che una delle nostre sorelle, di nome suor Agnese, era presente quando il mio buon angelo venne a rinnovare i segni. Allorché si accorse che il guanto mi era stato sfilato, posò una guancia sulla mia mano, sentl quel leggero formicolio di cui ho detto e vide che i caratteri erano stati rinnovati, belli e vermigli. 4. Accade talvolta che, rinnovandosi questi caratteri, si spandano odori dolcissimi nel coro della nostra chiesa e, ogni tanto, in tutto il convento. 5. Questi stessi caratteri sono profumati ed emanano un odore dolcissimo, simile a quello dell'unzione, suscitando grande devozione nelle persone che lo sentono. Costoro vengono cosl persuasi che il rinnovarsi si produce per virtù divina. Padre Surin, avendo portato a termine la sua impresa di scacciare Behemot, l'ultimo dei demoni che mi possedevano, se ne andò da Loudun per ordine del padre provinciale, che lo rimandò a Bordeaux, dove continuò a patire gli interventi demoniaci che lo ossessionavano. Dirò in seguito talune circostanze simili a quelle da me vissute. Ora, dirò quanto accadde durante il viaggio che feci ad Annecy, dove si trova la tomba del beato Francesco da Sales. Io mi sentii interiormente spinta a sciogliere il voto che avevamo fatto di recarci ad Annecy, sulla tomba del beato Francesco da Sales. Mi rivolsi al padre provinciale Jacquinot, per ottenere da lui il permesso necessario a padre Surin per recarsi in quel luogo. Mi rivolsi pure a monsignore il vescovo di Poitiers, il quale, avendomi concesso di tener fede al voto, permise che io partissi da Loudun lunedl 25 aprile 1638. Ero accompagnata da due mie sorelle e dal signor di Morans, nostro confessore. Passammo per Chinon, dove fummo accolte con grande carità dalle monache del nostro istituto. Di Il, su preghiera delle nostre sorelle del Relay dell'ordine di Fontevrault, passammo per il loro convento e, la sera, raggiungemmo Tours. Qui alloggiammo presso le nostre sorelle orsoline, dove ro3

fummo accolte con molti riguardi. Io le avevo avvisate della nostra partenza e le avevo pregate di prenotarci i posti sulla carrozza che doveva partire per Parigi, due giorni dopo il nostro arrivo. Le nostre sorelle, però, non l'avevano fatto, perché desideravano che ci fermassimo più a lungo nella loro casa. Non appena giunte a Tours, ci recammo di mattina a fare le nostre devozioni sul sepolcro di san Francesco da Paola. Nel pomeriggio, poi, il signor di Morans andò a riverire monsignore l'arcivescovo e a chiedere per noi la sua benedizione. La sera stessa, questo prelato inviò uno dei suoi sacerdoti per invitarci a fargli visita. Il giorno dopo, infatti, ci mandò uno dei suoi elemosinieri, sulla sua carrozza, affinché ci portasse all'arcivescovado, dove ci accolse con straordinaria bontà. Vedendomi ormai completamente libera e in buona salute, se ne stupì molto, perché rammentava le condizioni in cui mi aveva vista a Loudun, quattro anni prima, quand'ero come un giocattolo fra le mani del diavolo. Numerose persone di rango si trovavano nella sala e, fra le altre, monsignore il vescovo di Boulogne, nipote del suddetto arcivescovo. Monsignore il presidente Cottreau, uno dei giudici che avevano condannato Grandier, si trovava lì pure lui. Tutti ammirarono i nomi impressi sulla mia mano. Vollero poi sapere da me quali interventi compiono i demoni che posseggono un corpo sulle facoltà spirituali dell'anima. Io mi vidi costretta, per il rispetto che dovevo alla volontà di monsignore l'arcivescovo, a raccontare qualcosa. In merito, monsignore mi fece rivolgere molte domande da padre Grandami, rettore dei gesuiti. Io tentai di soddisfare tutti con le mie risposte. Due medici fecero poi un esame molto accurato dei nomi che porto sulla mano. La voce dell'impressione di questi nomi si sparse in tutta la città e il popolo accorse in massa per vederli. Ogni giorno, si presentavano da quattro a cinquemila persone. Il martedì, 30 aprile, padre Grandami condusse i due medici, insieme a un terzo, nel parlatorio delle Orsoline, affinché di nuovo esaminassero i nomi. Lo fecero con grande scrupolo e mi rivolsero molte domande sull'origine di quei nomi. Mi chiesero chi ne era l'autore, in quale periodo erano com104

parsi, in qual modo, in quale luogo, in presenza di chi e a qual fine. Scrutarono a lungo la forma e la bellezza dei caratteri, cosi bene impressi sulla pelle della mia mano. Mi chiesero ancora cosa li conservasse, di dove veniva il loro appannarsi e di dove la loro ricomparsa. Volevano sapere perché il nome di Gesù, che sta più in alto di tutti, aveva caratteri maggiori di quello di Maria, perché quello di Maria maggiori di quello di Giuseppe e perché quello di Giuseppe maggiori di quello di Francesco da Sales. Dopo aver risposto a tutte le domande e dopo che si furono a lungo consultati fra di loro, conclusero che quei nomi non potevano essere imputati né alle forze naturali, né agli artifici umani. Semmai, bisognava imputarli a un agente sovrumano. Qualcuno propose di lavare con acqua quei nomi, ma i tre medici risposero che l'acqua non avrebbe assolutamente fatto scomparire quei nomi. L'esame, divulgato in tutta la città, accrebbe l'ardore e la curiosità del popolo, che continuava, addirittura crescendo, a recarsi a contemplare il prodigio. Sicché, nei giorni successivi, arrivavano al convento anche settemila persone. Bisogna dire che, fra quei tre medici responsabili del1'esame, uno apparteneva alla Pretesa Religione Riformata. Si chiamava Toutlieu e espresse lo stesso parere degli altri. Il martedl, 4 maggio, i nomi che porto sulla mano vennero rinnovati mentre le monache, circa una sessantina, si accingevano a comunicarsi nel coro. Qualche giorno prima, si erano rinsecchiti, appannati, scoloriti e come screpolati. Ma, in quel momento, ridivennero belli, nitidi, rossi e vermigli come la prima volta che erano stati impressi. II 5 di maggio, il signor duca d'Orléans, fratello del re Luigi xnr, essendo stato informato della cosa, volle accertarsene di persona. Avvisato, monsignore l'arcivescovo mandò uno dei suoi elemosinieri e una delle sue carrozze a informarmi, ordinandomi di recarmi all'arcivescovado. Io mi ci recai. Il signor duca d'Orléans mi venne incontro fin sulla soglia della sala e mi fece una grande accoglienza. Si congratulò per la mia liberazione e disse: !05

« Una volta sono stato a Loudun. I diavoli che vi possedevano mi fecero molta paura. Mi sono serviti per correggere l'abitudine che avevo di bestemmiare. È stato allora che ho pure deciso di non allontanarmi mai dalla retta via ». Mi rivolse poi molte domande in merito alla mia possessione. Volle vedermi la mano, dove i santi nomi erano impressi e, da poco, rinnovati. Fu estremamente sorpreso dinanzi a tale meraviglia. Mi prese la mano, la esaminò con attenzione e chiamò il signor Pallu, medico, per chiedergli cosa ne pensava di una cosa tanto straordinaria. Il medico gli rispose che era un'opera di cui non potevano essere responsabili gli agenti naturali, né quelli artificiali degli uomini. Il giovedì, 6 maggio, partimmo per Tours. Una signora di rango, moglie di un consigliere del parlamento, che si chiamava signora del Tronchet, prese posto con noi nella carrozza e ci fece compagnia lungo il cammino. Passammo la notte ad Amboise, presso le nostre sorelle Orsoline. Qui il popolo accorse in folla per vedere i nomi impressi, al punto che bisognava tenere il parlatorio aperto fino alle undici della sera. Taluni entrarono addirittura nel giardino, scavalcando i muri di cinta, e io dovetti andar da loro a mostrare la mia mano. Il venerdì, 8 maggio, ci recammo a cena a Blois. Rimaste nella foresteria, poiché il cocchiere si era rifiutato di condurci presso le nostre madri, le porte vennero sfondate dalla gente che voleva vedere la mia mano. Il sabato, andammo a sentir messa e a comunicarci a Notre-Dame-de-Cléry e a dormire a Orléans, dalle nostre sorelle. Monsignore il vescovo di Orléans aveva dato ordine di essere avvisato del nostro arrivo. Fu così che ci raggiunse in quel convento, seguito da una grande folla composta dalle persone più in vista della città. Mi rivolse molte domande su quanto era accaduto nel corso della mia possessione, e così pure molti di coloro che lo accompagnavano, per vedere se mi contraddicevo in qualche punto. Nostro Signore, comunque, mi fece la grazia di rispondere sempre con fermezza. Visti i segni che reco sulla mano, tutti rimasero esterrefatti e si persuasero che non si trattava né di opera umana,

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né di effetto della mia immaginazione. Monsignore il vescovo, considerati con grande attenzione i santi nomi, esclamò tre volte: « Non bisogna nascondere l'opera di Dio. Bisogna soddisfare il popolo ». Mi ordinò poi di rimanere alla grata e di lasciar entrare la gente nel parlatorio. Le nostre sorelle della Visitazione mandarono il loro confessore a pregarmi di render loro visita col permesso di monsignore il vescovo. E questi, avendo acconsentito, mandò la sua carrozza affinché mi conducesse da quelle monache. Ci fu una tale affluenza di gente che si accalcava per vedere la mia mano, che le porte del monastero vennero chiuse solo alle undici della sera. Il lunedì, IO maggio, il signor di Laubardemont venne apposta da Parigi per accompagnarci. Fummo molto contente del suo arrivo, perché è sempre stato con noi un padre amorevolissimo, a Loudun come a Parigi e altrove. Arrivammo a Parigi il martedì delle Rogazioni, r r maggio, con la carrozza del signor di Laubardemont. Dapprima d recammo alla chiesa di Notte-Dame, dove sentimmo messa e ci comunicammo. Poi implorammo la protezione della Santa Vergine. Le nostre sorelle Orsoline e molte altre appartenenti a diverse comunità religiose ebbero la bontà di offrirci il loro tetto e insistettero affinché accettassimo quell'offerta. Il signor di Laubardemont volle, però, ospitarci a casa sua e così fu fatto. Ottenne il permesso da monsignore il vescovo di Parigi per costruire un altare in una stanza molto appropriata e assai confortevole della sua casa, affinché vi fosse celebrata la santa messa e noi potessimo recitare le nostre preghiere senza essere disturbate. Il giovedì, r3 maggio, giorno dell'Ascensione, i nomi si rinnovarono per un particolare favore di Dio. Essendo la cosa divenuta nota, molte persone di rango, amiche del signor di Laubardemont, vennero a farmi visita. C'erano consiglieri di stato, referendari al consiglio, dottori della Sorbona, religiosi di ogni ordine e molti medici. Tutti costoro, dopo aver guardato attentamente i nomi impressi sulla mia mano, e-

spressero diversi pareri, taluni favorevoli e talaltri no. Io sentivo tutti i loro discorsi e mi imponevo una gran pazienza per non esserne turbata. Le nostre sorelle della Visitazione mi fecero pregare affìnché andassi da loro, ma io mi sottrassi a quest'invito. Avevo infatti deciso col signor di Laubardemont di non uscire di casa sua e di non visitare chicchessia a Parigi, visto che il re e la regina erano assenti. Inoltre, volevamo ricevere la benedizione di monsignore il cardinale di Richelieu, cosa che fu possibile solo dieci giorni dopo il nostro arrivo. Il lunedì, 17 maggio, mi ammalai per un trabocco di umori che mi durò tre giorni e che fu così violento, da far diagnosticare al signor Infuns, medico di fama, che, se fosse durato ancora un po', ne sarei morta. Durante quei tre giorni il signor duca di Chevreuse e il signor principe di Guémenée, insieme a molte altre persone di rango, vennero spesso a farmi visita. Dopo che fui guarita, ci fu una tale affluenza di popolo che insisteva per vedermi, che la casa del signor di Laubardemont si rivelò troppo piccola per accogliere tutta quella gente. Furono, infatti, ventimila le persone che, ogni giorno, mi visitarono a Parigi. La cosa più fastidiosa era che non si accontentavano di vedere i santi nomi impressi sulla mia mano. Mi facevano pure mille domande su quanto mi era accaduto durante la possessione e l'espulsione dei demoni. Ciò mi costrinse a far stampare un riassunto in cui venivano descritte le cose più notevoli accadute durante l'arrivo e la dipartita dei demoni che mi avevano posseduta e quelle concernenti la comparsa dei santi nomi sulla mia mano. Il signor di Laubardemont si recò tre o quattro volte ali' arcivescovado per porgere i nostri ossequi a monsignore il cardinale di Richelieu e a chiedergli la sua benedizione. Non essendo riuscito a trovarlo, il giorno della Pentecoste andò nella chiesa di Notte-Dame, dove gli fu possibile salutarlo da parte nostra al termine della messa solenne. Lo supplicò di fìssare un'ora in cui avremmo potuto ossequiarlo di persona e quel prelato fìssò l'incontro per le tre del pomeriggio. A quell'ora, arrivate a casa sua, tramite il signor di Laubardemont ci fece chiedere se non consideravamo indeI08

cente che, essendo indisposto, ci salutasse mentre era a letto, temendo che la cosa potesse offenderci. Assicurammo di no, sicché il signor di Laubardemont ci introdusse alla sua presenza. Arrivammo accanto al letto e ci inginocchiammo per ricevere la benedizione. Io rimasi prosternata per parlargli, ma lui non lo volle. La protesta di cortesie da parte sua e di umiltà da parte mia durò assai a lungo, ma infine fui costretta a obbedire. Fece portare una poltrona e mi ci fece accomodare. Monsignore il cardinale iniziò il colloquio dicendomi che dovevo essere molto riconoscente a Dio per avermi scelta, in quello sventurato secolo, per servire alla sua gloria, all'onore della Chiesa, alla conversione di molte anime e all'onta dei malvagi. Aggiunse che doveva essere una grande gioia per me aver sofferto a tal fine gli obbrobri, le ignominie, i litigi, le accuse, le calunnie e tutti gli interventi in genere dei demoni, durante il corso di più anni. Risposi a sua Eminenza che ci aveva fatto da padre, da madre, da tutore, da ogni cosa, insomma, mentre quasi tutti ci avevano abbandonate e trattate alla stregua di pazze, bugiarde e malvage. 18 Sua Eminenza mi rispose: « Sono molto riconoscente a Dio per avermi manifestato la vostra innocenza fra così tante nubi di calunnie. È stato lui a indurmi a farvi del bene e vi assicuro che non mi stancherò mai di farvene ». Mi consolò poi per i grandi mali che così a lungo avevo patito, dicendo: « È la speciale provvidenza di Dio che ha voluto, in tutto ciò che è successo, santificare coloro che sono state vessate dai demoni e così pure contribuire al bene generale della Francia, che ne trae sì grande profitto ». Quel prelato disse tutte queste cose con una grazia affascinante e con molta dolcezza. Aggiunse: « Quando monsignor milord Montaigu mi riferì, due anni 18 Dopo l'intervento di Jean Martin de Laubardemont, il convento delle Orsoline di Poitiers aveva ricevuto una pensione annua versata dai fondi del tesoro reale grazie all'interessamento del cardinale di Richelieu.

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fa, che era presente allorché il nome di Maria fu impresso sulla vostra mano e addirittura che stava tenendo le dita della vostra mano con la sua, confesso che la testimonianza di quel signore inglese mi incoraggiò molto ad assecondare i miei disegni di proteggere le povere monache di Loudun perseguitate dai diavoli e dagli uomini ». Quel prelato disse ancora: « Non c'è bisogno di altre prove della possessione. Basta il rinnovarsi di quei santi nomi con grande nitidezza, allorché Dio ritiene necessario farlo. Sono testimonianze visibili e sicure della possessione reale e dei grandi disegni che Dio ha manifestato permettendola ». Alcuni presenti proposero poi a monsignore il cardinale di farmi infilare in un guanto la mano e di apporvi il suo sigillo, per proteggerla e per evitarle contatti impuri. Ma lui disapprovò la proposta, dicendo: « Bisogna essere folli o empi per occultare la vista di quei segni divini. Farlo equivarrebbe a nascondere l'opera di Dio». Quanto all'unzione che avevo recato con me, ci fu chi dubitò della sua autenticità, asserendo che non vi si vedeva alcuna prova reale dell'intervento celeste. A ciò fu risposto che sta scritto nella Bibbia che diverse cose provengono da Dio, come la spada che Geremia portò a Giuda Maccabeo molto tempo dopo la sua morte, dicendogli: « Prendi la santa spada, dono di Dio, con cui distruggerai i nemici del suo popolo ». Una santa ampolla fu recata dal cielo e, col suo contenuto, fu unto da san Remigio Clodoveo, nostro primo re, la vigilia di Pasqua. Questo re vide con i suoi occhi un angelo, sotto forma di bianca colomba, scendere con quell'oggetto dal cielo. Il miracolo è stato riconosciuto da numerosi storici, persino da quelli di Magdeburgo, che sono luterani nemici dei miracoli. Di ritorno a Parigi, il signor di Laubardemont mi comunicò che aveva ricevuto una lettera della regina di Francia, Anna d'Austria, moglie di Luigi il Giusto, tramite la quale sua Maestà gli ordinava di condurmi a Saint-Germain-en-Laye, dove lei si trovava in quel periodo. Avendo udito parlare dei nomi impressi sulla mia mano e del guarimento miracoloso IIO

che san Giuseppe aveva operato con l'unzione, desiderava molto vedermi e udirmi raccontare tutto quanto mi era accaduto durante la mia possessione. Certe persone che volevano far passare la mia possessione per un'impostura, fecero tutto il possibile per impedire quest'incontro. Temevano che venisse riconosciuto che avevano avuto torto di disapprovare quello che era successo a Loudun. Gli ugonotti, da parte loro, si scatenarono con grande violenza contro di me. Condannarono il comportamento degli esorcisti e di tutti coloro che si erano immischiati in quella vicenda. Non tolleravano quanto era evidente: la potenza che ha la Chiesa cattolica sui demoni, capace com'è di punirli e di costringerli ad abbandonare i corpi da loro posseduti. Per impedire la mia visita, si servirono di un raggiro. Poiché la regina era incinta di sei mesi, le fecero riferire dalle persone a lei vicine che la vista dei nomi impressi sulla mia mano poteva suscitarle uno spavento, per via che erano stati i demoni a scriverli. 19 Venne consultato il signor Séguin, medico della regina, e questi disse che potevo ben andare a Saint-Germain, perché la regina ne avrebbe tratto conforto vedendo con i suoi occhi i nomi impressi. Il suo parere si basava sul fatto che una cosa tanto santa non poteva danneggiare la regina. Al contrario, quella vista poteva essere capace di infonderle conforto, gioia e, persino, forza al suo corpo. Insomma, disse che gli sembrava un bene che l'intera corte fosse testimone di tante meraviglie, le quali tendono unicamente ad accrescere la gloria di Dio e la buona ventura delle anime. Ho dimenticato di dire che io avevo chiesto a monsignore il cardinale di Richelieu se riteneva opportuno che mi recassi a Saint-Germain, secondo l'ordine che due volte mi era giunto da parte della regina. Lui mi aveva risposto che doveva essere il re a decidere, in quanto molte persone si opponevano a quel mio viaggio. A tal fìne, il signor di Laubardemont avrebbe dovuto recarsi dal re, per esporgli il desiderio della regina e gli impedimenti che molti personaggi frapponevano a quest'incontro. 19 All'epoca, la regina, Anna d'Austria, era incinta di Luigi turo Re Sole.

XIV,

il fu-

III

Il signor di Laubardemont eseguì quest'ordine. Il re rispose che, quanto a lui, non vedeva alcun inconveniente in quel viaggio, che la visita di una monaca non doveva essere sospetta e che non bisognava privare la regina di quel conforto, visto che insisteva nel richiederlo. Partii quindi per Saint-Germain, accompagnata dai signori di Morans e di Laubardemont. La regina, avvisata del mio arrivo, mandò una delle sue dame di compagnia che mi condusse fin nella sua camera. Dapprima, la regina mi rimproverò per il mio ritardo nell'eseguire i reiterati ordini che mi aveva fatto comunicare. Io mi scusai, spiegando gli impedimenti che si erano presentati e i timori che molti avevano espresso temendo che sua Maestà fosse in qualche modo danneggiata dalla mia visita. La regina rispose ridendo: « Non sono io ad aver paura. È il re ». Poi aggiunse: « Madre, sono molto contenta che siate venuta. Desideravo tanto vedervi. Avvicinatevi, non c'è in voi alcunché capace di suscitar timore. Ci sono persone davvero malvagie. Cos'ho mai fatto perché invidino la mia gioia? ». La regina, dopo avermi fatta accomodare, mi rivolse molte domande e mostrò di essere soddisfatta delle mie risposte. In merito a quanto le raccontavo della mia possessione, ascoltò con piacere e disse: « Grande è la mia gioia nell'udire tutto ciò. Non mi infonde affatto paura ». La regina mi chiese se la nostra comunità si era trovata in grandi ristrettezze, sia in quanto a fattori spirituali, sia in quanto a fattori temporali. Ciò mi costrinse a farle questo racconto: « Signora, per soddisfare il desiderio di vostra Maestà, vi dirò che gli uomini e i diavoli ci hanno fatto una crudele guerra per molti anni. Dopo che si fu scatenata la possessione, ci ritrovammo in grande bisogno per le necessità del corpo. Spesso ci mancava il pane e, per più giorni, non avevamo da mangiare. Quando ci vennero a mancare le provviste, fummo costrette a nutrirci di cavoli e di legumi che crescevano nel nostro orto. Se persone caritatevoli ci davano qualcos'alII2

tro, non avevamo chi ce lo cuocesse, perché quelle che fra di noi erano possedute dai diavoli facevano tanto male a quelle che non lo erano, da renderle incapaci di provvedere ai nostri bisogni. Per liberarci da queste ristrettezze, Dio ci ispirò di metterci a filare lana e lino e, pur ignorando tale mestiere, lo imparammo, grazie al cielo. Ma i mercanti che ci davano da filare, approfittando del nostro bisogno, ci sottraevano un terzo del guadagno. Alle altre filatrici davano tre soldi, mentre a noi due. Le cause di questa grande miseria furono: 1. che i parenti delle nostre pensionanti le ritirarono dalla nostra casa, a causa delle voci orribili che i demoni spargevano attraverso quelle possedute; 2. che le persone che, prima della sventurata circostanza in cui ci ritrovammo più ci volevano bene, ci volsero le spalle; 3. che i nostri parenti ci rinnegarono e, addirittura, rifiutarono di pagare le piccole pensioni vitalizie che talune di noi ricevevano per i loro piccoli bisogni; 4. che i maghi e gli ugonotti si allearono per farci passare per scaltre, pazze, svergognate e maghe; 5. che il più crudele e insolente fra tutti coloro che ci hanno perseguitate, è stato Urbain Grandier, curato della città di Loudun. Questo sciagurato sacerdote fece di tutto per disonorarci. Senza che mai l'avessimo visto, che mai avessimo avuto a che fare con lui, i diavoli l'hanno sempre accusato di essere il responsabile della nostra possessione. Costui compose libelli diffamatori contro il nostro onore e li faceva affiggere alle porte della città di Loudun. Questo sciagurato sacerdote fu infine accusato di magia, condannato dalla sentenza dei giudici che il re aveva inviato per processarlo e arso vivo a Loudun. Essendosi poi sparsa la voce, dapprima nelle città più vicine e in seguito anche in quelle più lontane, di quanto accadeva durante gli esorcismi, accorse un gran numero di persone, di ogni età, sesso e condizione, spinte dalla curiosità. Nelle locande di Loudun c'erano persone cui era stato ordinato di screditarci e di farci passare per infami e per scaltre. Ma non basta. Non solo i malvagi si scatenarono contro di noi, ma anche persone oneste, male informate. A dire il vero, molti non ci condannavano, ma neppure ci difendevano, non volendo approfondire la questione e temendo di essere disapprovati se ci avessero difese. Sicché, considerato il credito di cui godevano in città, ci dannegIIJ

giavano molto. Dio, comunque, ispirò un canonico di Loudun, il signor Mignon, cui noi siamo e saremo sempre molto riconoscenti. Costui ci aiutò con i suoi saggi consigli e ci permise di sopravvivere per oltre un anno grazie alla sua carità.20 Taluni nostri parenti ci offrirono di accoglierci in casa loro, ma, nonostante le sollecitazioni, rifiutammo quel loro aiuto. Ecco, signora, un breve riassunto di quanto abbiamo sofferto esteriormente. Ma non so riferire a vostra Maestà quali furono le nostre pene interiori. Vivevamo, per opera dei demoni, fra indescrivibili ambasce, fra turbamenti, disperazioni e rabbie che solo Dio e i suoi angeli conoscono. Fu pure assai doloroso il fatto che, quando i giudici emisero il verdetto contro Grandier, ci separarono le une dalle altre e, divise a due a due, ci fecero dimorare nelle case della città. Fu allora che venimmo interrogate legalmente». La regina e tutti coloro che si trovavano nella sua stanza non furono affatto tediati da questo lungo racconto. Al contrario, c'era chi manifestava apertamente gioia e ammirazione dinanzi a eventi tanto sbalorditivi. La regina volle vedere la mia mano segnata dai santi nomi. Io gliela porsi e lei la prese e la tenne fra le sue per oltre un'ora, ammirando quella cosa che mai si era vista dagli inizi della Chiesa. Esclamò: « Come si può criticare una cosa tanto meravigliosa, che ispira profonda devozione? Solo i nemici della Chiesa possono vituperare e condannare una simile meraviglia, che contribuisce ad accrescere la gloria di Dio e la buona ventura delle anime». Poi aggiunse: « Esistono persone talmente malvagie da negare la verità di quanto vedono e di quanto è stato approvato da chi è veramente religioso? Ciò facendo, costoro si alleano col diavolo contro Dio ». La signora principessa di Condé, che era presente, condivideva i sentimenti della regina e, vedendo i nomi impressi sulla mia mano, disse: 20 Si trntta del canonico Mignon, il nipote del procuratore Louis Trincant, uno dei più irriducibili avversari di Urbain Grandicr.

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« Non mi stupisco di quanto mio marito il principe mi ha scritto di recente: che aveva visto e ammirato i nomi impressi sulla mano della madre superiora, che è stato informato del guarimento di questa monaca grazie a un'unzione miracolosamente prodotta da san Giuseppe, che ha lasciato a Loudun un biglietto con la sua firma dove dichiara che, assistendo all'esorcismo compiuto contro Isacaronne, questo demonio gli ha manifestato un pensiero segreto che aveva in cuore e che ha lasciato questa dichiarazione firmata: Enrico di Borbone, principe di Condé ». La regina mi chiese poi in qual modo il mio guarimento fosse avvenuto grazie all'unzione di san Giuseppe. Io le riferii l'accaduto in dettaglio. In seguito, due medici, l'uno del re e l'altro della regina, riferirono al sovrano quanto era successo durante quest'incontro fra la regina e me. Gli assicurarono che avevano esaminato la cosa con attenzione e che erano certi che l'artificio non era causa dei nomi impressi e che si trattava senza dubbio di un'opera di Dio. Questo racconto suscitò nel re il desiderio di vedere con i suoi occhi i santi nomi e di sentirmi parlare. A tal fine, venne dunque nel gabinetto della regina, il 2 9 maggio r 6 3 8. Dapprima mi salutò molto cortesemente e molto dolcemente, chiedendomi come stavo. Volle poi vedere la mia mano, di cui gli avevano parlato tanto. Guardò con attenzione e mostrò grande stupore alla vista dei santi nomi. Si vide una gioia spandersi sul suo volto. Poi disse ad alta voce: « Non ho mai dubitato della verità di questa meraviglia. Ma ora, vedendola, la mia convinzione ne è rafforzata». Si recò di persona a cercare nella camera della regina persone che, da molto tempo, si erano dichiarate nemiche della nostra comunità e dell'autenticità della possessione, fino a dichiarare al re che noi eravamo bugiarde e maghe. Il sovrano condusse costoro nel gabinetto della regina e, quando furono Il, mostrarono di persistere nel loro parere. Il re, allora, prese la mano e, per indurli a ricredersi, mostrò i santi nomi impressi da breve tempo. Disse poi: « Cosa ne pensate di questo? ».

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Quelle persone non vollero arrendersi. Il loro nome io non l'ho mai dichiarato, per spirito di carità. Il re mi fece l'onore di intrattenermi per un'ora buona. Di tanto in tanto mi prendeva la mano per guardare più attentamente i nomi. Mi rivolse pure molte domande sulla possessione e, soprattutto, sullo sciagurato Grandier. Mi parlò del viaggio ad Annecy che stavo facendo ed ebbe la bontà di consigliarmi di non passare per certi luoghi molto pericolosi. Mi consigliò la buona via da Parigi fino in Savoia e aggiunse: « La strada più breve, dopo Lione, è quella dritta che conduce a Grenoble. Ad Annecy vedrete, nella piccola chiesa delle monache della Visitazione, il sepolcro di monsignore il vescovo di Ginevra, di cui recate il nome impresso sulla mano ». Questo colloquio si svolse con grande familiarità e bontà del re nei miei confronti. Io ringraziai molto sua Maestà per tutte le gentilezze e le attenzioni che aveva dimostrato provvedendo ai bisogni della nostra comunità. Da parte mia, gli assicurai che avremmo sempre continuato a pregare per la sua santa persona e per tutta la casa reale. La regina prese la parola e riferì al sovrano la povertà in cui versavamo. Egli allora disse: « Continuerò a occuparmi del loro bene ». Poi, rivolgendosi al signor di Laubardemont, gli disse: « Avete reso buoni servigi a queste buone monache, tanto provate dal bisogno ». Il signor di Laubardemont rispose allora al re: « Quanto ho fatto, sire, è stato per ordine di vostra Maestà». « È vero » disse il re « che la vostra condotta è stata ottima in tutta questa vicenda. Sono molto contento dei vostri servigi ». Ciò detto, il sovrano si congedò dalla regina e mi disse: « Ho molto piacere sapendo che pregherete Dio per me ». La regina espresse poi il desiderio che mi recassi a far visita alla governante delle sue damigelle d'onore, la quale era ammalata, e che posassi su di lei l'unzione di san Giuseppe, come pure su uno dei suoi ufficiali, il signor di Comminges, anche lui malato. rr6

Fu la signora di Laubardemont che ricevette l'ordine di farmi questa proposta. Io non gradivo l'idea di recarmi da costoro, ma, essendovi sospinta, acconsentii. La regina espresse pure il desiderio che tagliassi un lembo della camicia dove c'era l'unzione, per ottenere da Dio, tramite le preghiere di san Giuseppe, un parto felice. Io mi opposi, dicendo che mi dispiaceva veder fatta a pezzi cosa tanto preziosa. Aggiunsi: « Non credo sia volontà di Dio che io acconsenta. Se l'ordine di vostra Maestà è perentorio, preferisco lasciare l'intera camicia fra le vostre mani. Oso, comunque, far presente a vostra Maestà che, permettendo di recare con me l'intera unzione, rendereste contenta un'infinità di persone, che, devote a san Giuseppe, trarranno molto conforto vedendola con i loro occhi. Inoltre, nella nostra chiesa abbiamo solo questa reliquia di san Giuseppe ». La signora della Flotte, che aveva udito il mio discorso, lo riferl alla regina, la quale ne fu soddisfatta, e disse: « Mi arrendo alle ragioni della reverenda madre. Porti pure con sé la reliquia, perché è un bene di cui non si può privare la gente. Fa bene a opporsi che venga fatta a pezzi». Il giorno dopo, mi recai a prendere congedo dalla regina nel suo gabinetto. Mi accolse con la stessa bontà dei giorni precedenti e volle vedere ancora una volta l'unzione di san Giuseppe. La guardò devotamente e vi appoggiò sopra alcuni rosari. Mi chiese poi di vedere ancora i santi nomi, benedisse Dio per questa grande meraviglia, si congratulò per lo zelo che mostravo nel conservare la reliquia di san Giuseppe e si raccomandò alle mie preghiere. Andai a congedarmi pure dalla signorina d'Orléans, dalla principessa di Condé e da molte altre persone di elevato rango, che accolsero i miei rispetti con molta benevolenza. Ritornammo a Parigi. Il giorno dopo, ci recammo al monastero della Visitazione di rue Saint-Antoine per comunicarci. I nomi si rinnovarono in presenza di molte monache, mentre la madre superiora mi teneva la mano fra le sue. Bisogna notare che, in meno di otto giorni, furono rinnovati tre volte. Dopo la cena, monsignore di Bellegarde, arcivescovo di Sens, venne alla Visitazione e mi fece l'onore di chieII]

dere di me. 21 Volle sapere le cose più importanti accadute durante la possessione e io gliene parlai per due ore. Il popolo mostrava un gran desiderio di vedere i santi nomi. Minacciò di infrangere le grate della Visitazione, dove mi trovavo, sicché dovetti mostrarmi a una finestra per accontentarlo. Ogni giorno c'erano trentamila persone che si presentavano per vedere i santi nomi impressi. Il nunzio del papa volle constatare di persona l'autenticità di questa meraviglia. Dopo averla scrutata con attenzione, disse che io ero una delle più belle cose che mai si fossero viste nella Chiesa di Dio, che ne aveva riferito per lettera al papa, che si stupiva che gli ugonotti perdurassero nella loro cecità dopo una prova così evidente delle verità contro cui lottano e che lui non riusciva a concepire quanto costoro dicevano contro un miracolo così grande. Volle vedere l'unzione di san Giuseppe, la quale esalò un dolcissimo odore. Egli ne fu affascinato e la baciò devotamente. Monsignori i vescovi di Alby, di Chartres, di Le Mans, di Meaux, di Nimes e molti altri vollero vedermi. Dovetti obbedire. Il signor di Laubardemont pregò due chirurgi, i più abili di Parigi, affinché esaminassero i nomi impressi sulla mia mano. È quanto fecero separatamente. Il primo, dopo aver scrutato i segni, disse che si sarebbe giocata la testa se quei santi nomi erano opera della natura o un'invenzione umana. Il signor di Laubardemont gli disse: « Non sono soddisfatto di questa testimonianza. Vi prego di fare prove con ogni esattezza e con ogni rigore si possa pretendere. Tutto questo per chiudere la bocca a coloro che denigrano e vituperano questo miracolo». Il chirurgo, per accontentare il signor di Laubardemont, fece le seguenti prove: 1. fece forti frizioni sulla mia mano con pezze caldissime, per vedere se la materia con cui erano formate quelle lettere fosse gomma artificiosamente applicata; 2. si servì dei liquidi più forti cui si poteva ricorrere, li 21 Monsignor di Bellegarde, arcivescovo di Sens, era zio di suor Jeanne des Anges.

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applicò sulla mia mano, ma pure questa prova fu vana; 3. applicò unguenti che non sortirono alcun effetto. Dopo tutti questi sforzi, i caratteri, invece di svanire o di deformarsi, assunsero nuova nitidezza e sembrarono più belli di prima. Ciò vedendo, quel chirurgo rese al contempo una duplice testimonianza: l'una con i suoi occhi che si scioglievano in lacrime di gioia e di devozione, l'altra con le sue labbra che dissero con voce alta e chiara: « Qui c'è il dito di Dio ». Rese poi nota ovunque la verità del miracolo. Monsignore il cancelliere, avendo saputo l'esito delle prove fatte dal chirurgo, volle udirlo riferire in merito e quegli lo fece con grande esattezza, dimostrando con inoppugnabili argomenti che né la natura né l'arte potevano sortire simili effetti. Parlò cosi bene, che monsignore il cancelliere ne fu soddisfatto. Il secondo chirurgo, che si chiamava Limprenet, fece pure lui il suo esame e, persuaso del miracolo, pronunciò un discorso assai erudito, con cui confermò quanto dichiarato dall'altro chirurgo. Questa duplice testimonianza indusse molti medici e chirurgi di Parigi a prendere atto di persona della verità. A tal fine, si accalcarono per vedere i santi nomi impressi e chiesero con insistenza di poter esaminare la mia mano. Ne vennero molti per sette o otto giorni. Tutti conclusero, come i primi due, che si trattava di un'opera senza artifici di sorta. Era Dio l'artefice, oppure qualche agente straordinario che era intervenuto in suo nome. Accadde pure che un miserabile volle imprimersi sulla mano e contraffare i nomi che porto sulla mia. Ma si produsse un'infiammazione tale, che temette di perdere il braccio, se non la vita, perché Dio aveva dimostrato l'impossibilità di produrre naturalmente quei segni. Il parere dei medici e dei chirurgi mise a tacere eretici e libertini e indusse più che mai le buone anime a credere, rispettare e onorare quel grande miracolo. Un po' prima di partire da Parigi, molte persone ci offrirono somme considerevoli, fino a centomila lire. Taluni ci fecero quelle offerte con cattivo intento, volendo screditarci. Noi, però, rifiutammo tutte quelle elemosine, contente dei II9

cinquecento scudi che monsignore il cardinale ci aveva dato. Il re ebbe la bontà di inviarci un brevetto indirizzato a tutti i governatori delle province e a tutti i magistrati delle città per cui dovevamo passare. Ordinava che ci fosse offerta ogni assistenza di cui potevamo aver bisogno, affinché il nostro viaggio non venisse in alcun modo disturbato né ritardato. Non ci fu mai necessario ricorrere a quest'ordine, tranne che a Lione, dove le porte erano severamente controllate e chiuse agli estranei che venivano di lontano, nel timore della peste. Ma, non appena fu visto l'ordine del re, ci lasciarono passare. Fui spossata da tutte le visite che ricevetti e da quanto dovetti soffrire mostrando la mia mano con i santi nomi impressi a tante migliaia di persone. Dopo il mio ritorno dalla corte, fui costretta a riposarmi per qualche giorno e prepararmi così a proseguire il nostro viaggio. Partimmo da Parigi la domenica, 20 giugno 1638. La signora Amaury, vedova di un consigliere del parlamento di Parigi, volle accompagnarci lungo il nostro tragitto. Passammo per Melun, dove si trovava monsignore il vescovo di Sens. Alloggiammo in un'abbazia dell'ordine di san Bernardo, dove la signora della Trémouille aveva ristabilito la regola. Vi trascorremmo una giornata e io ebbi un lungo colloquio su quanto era accaduto a Loudun con questa badessa. A Montargis passammo la notte presso le monache della Visitazione. Di lì, ci recammo a La Charité, dove i santi nomi si rinnovarono mentre stavamo ascoltando la santa messa in una piccola cappella di monache di san Giuseppe, riaccendendo così la loro devozione per questo santo. Da La Charité raggiungemmo Nevers e ci fermammo nel convento della Visitazione. Una grande folla si presentò per vedere i santi nomi e fu così compatta, che per poco non sfondò le porte. Monsignore il vescovo di Nevers mi fece l'onore di venire a visitarci, accompagnato dalle persone più in vista della città. I padri gesuiti e quasi tutti i religiosi ci fecero, pure loro, visita. Dovetti quindi mostrare la mia mano con i santi nomi e l'unzione di san Giuseppe e rispondere a tutte le domande su quanto di più straordinario era accaduto. 120

Non essendo lontane da Lione, monsignore il cardinale Alphonse di Richelieu, arcivescovo di questa città e fratello di monsignore il cardinale di Richelieu, ci inviò l'ordine di presentarci da lui. Arrivammo a Lione in buona salute, quattordici giorni dopo la nostra partenza da Parigi. Dapprima ci fecero qualche difficoltà nell'aprire le porte, per timore della peste, ma, non appena fu mostrato l'ordine del re, ci lasciarono entrare. Qui ci fermammo presso il piccolo convento della Visitazione. Ci dissero che monsignore il cardinale di Lione voleva che alloggiassimo nel grande convento della Visitazione, che si chiama di Bellecour, dove lui intendeva recarsi a farci visita. Entrammo, quindi, in quel piccolo monastero solo per salutare le sorelle che vi risiedevano, ma ci fermammo per pochissimo tempo. Monsignore il cardinale aveva ordinato che lo avvisassero del nostro arrivo. Non appena ebbe avuto notizia che ci eravamo fermate in quel piccolo monastero, mandò due ecclesiastici molto importanti a comunicarci da parte sua che eravamo le benvenute e che desiderava incontrarci a Bellecour, dove desiderava che alloggiassimo dopo aver soddisfatto il desiderio e la pietà del piccolo convento della Visitazione. Ci recammo quindi alla Visitazione di Bellecour, dove monsignore il cardinale ebbe la bontà di raggiungerci. Ci fece un'ottima accoglienza e, per un'ora buona, volle che gli raccontassi le opere dei diavoli, la loro dipartita dal mio corpo e i segni che mi avevano lasciato sulla mano nel momento di andarsene. Monsignore il cardinale mi rivolse molte domande. Da parte mia, tentai di soddisfarlo. Lui volle recidere i nomi impressi sulla mia mano con un paio di forbici, ma, avendo iniziato l'operazione, io mi presi la libertà di dirgli: « Monsignore, mi fate male ». Fece allora chiamare un chirurgo affinché tagliasse via quei nomi. Io mi opposi, dicendogli: « Monsignore, i miei superiori non mi hanno dato ordine di sottopormi a queste prove ». Monsignore il cardinale mi chiese chi erano questi superiori. Io gli risposi: I2I

« Monsignore, è monsignor il cardinale di Richelieu, vostro fratello. Ha avuto ordine dal re di prendere atto della possessione e, a suo tempo, ci ha inviato degli esorcisti. Passando per Parigi, ho avuto l'onore di poterlo salutare e lui mi ha ricevuta con grande benevolenza. In quella circostanza, gli ho chiesto se voleva fare prove per assicurarsi dell'autenticità di questi nomi impressi. Mi ha risposto che non lo riteneva necessario e che lui non dubitava minimamente di una cosa tanto sorprendente ». Alla fine, quel cardinale di Lione cedette e, traendomi da parte in un viale, mi disse: « Mi farete la cortesia di rivolgervi solo a me per i vostri bisogni. Vi servirò molto volentieri e vi prego di ripassare per Lione al vostro ritorno da Annecy ». Poi, si ritirò. Poco prima della nostra partenza dalla Visitazione di Bellecour, la madre superiora ci concesse la gioia di vedere il cuore del loro beato fondatore, Francesco da Sales, senza la consueta protezione di un vetro attraverso cui veniva mostrato.22 Presi quel cuore fra le mani e Io contemplai per un po' con molta devozione. In quel mentre, i santi nomi si rinnovarono sulla mia mano sotto lo sguardo di cinquantacinque monache. Si sentirono tutte colte da grande rispetto per i santi nomi e subito li adorarono. Essendo stato reso noto questo loro rinnovarsi, quasi tutta Lione accorse alla Visitazione. Io fui costretta a mostrare la mia mano a un infinito numero di gente. Ci fu una calca tale, che due persone ne furono asfissiate. Padre Surin, per ottenere la dipartita dell'ultimo demonio che mi possedeva, aveva fatto il voto di recarsi ad Annecy, col permesso dei suoi superiori, per render grazie alla divina Maestà di quel favore, qualora gli fosse stato elargito. Il padre provinciale Jacquinot gliel'aveva poi permesso e gli ave22 Francesco da Sales, vescovo di Ginevra, era improvvisamente morto il 22 dicembre 1622, a Lione, dove si era recato a salutare Luigi xur di ritorno dalla spedizione contro gli ugonotti della Linguadoca. Mentre il suo corpo era stato trasportato e seppellito ad Annecy, il cuore era rimasto a Lione, racchiuso in reliquiario d'argento, nella chiesa del convento della Visitazione di Bellecour.

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va assegnato per compagno padre Thomas, che era stato uno degli esorcisti a Loudun. Partirono insieme e si recarono direttamente ad Annecy. Padre Surin, che sette mesi prima era stato privato dell'uso della parola, era sempre muto.23 Raggiunsero Annecy il IO maggio dell'anno 1638. Fin dal giorno dopo, padre Surin iniziò una novena sul sepolcro del beato Francesco da Sales e, al termine, si sentl un po' meglio. Tuttavia, l'uso della parola non gli era stato reso e le monache della Visitazione, soprattutto la signora di Chantal,24 se ne addolorarono molto. Per ottenere tale favore da Dio in nome del loro beato padre, tramite l'applicazione di qualche sua reliquia, gli fecero inghiottire un grumo del suo sangue rinsecchito. Ciò fatto, dopo la comunione riuscl a pronunciare queste parole: « Gesù Maria » e null'altro. Partirono per Lione con l'intento di fermarsi Il finché non avessero avuto nostre notizie. Ma, dopo esserci rimasti per qualche giorno, decisero di non aspettare oltre. Stavano proprio per montare a cavallo, quando li raggiunse la notizia che eravamo arrivate in un monastero del quartiere di Fourvières. Padre Surin e il suo compagno vennero a trovarci. Dopo che ci fummo salutati, ci dissero che stavano intraprendendo il viaggio di ritorno, perché non avevano il permesso del padre provinciale di recarsi una seconda volta ad Annecy. Io mi presi allora la libertà di far notare a padre Surin e al suo compagno che monsignore il cardinale di Richelieu mi aveva ordinato, qualora non li avessi trovati ad Annecy, di riportarveli per sciogliere il voto che avevamo fatto. I padri ritennero di dover far deliberare in merito dai 23 Alla fine dell'ottobre del 1636, due anni dopo il suo arrivo, padre Surin era stato definitivamente richiamato a Bordeaux dai suoi superiori. I padri della Compagnia di Gesù non vedevano di buon occhio lo zelo del loro confratello, teso a trasformare l'indemoniata suor Jeanne des Anges in una santa. A essergli rimproverato, non era il metodo - irreprensibile - usato in quest'impresa, quanto le imprudenze e le stravaganze cui l'applicazione di tale metodo lo trascinavano. Al momento del suo nuovo incontro con suor Jeanne des Anges, padre Surin ha perso la capacità di parola. I malanni che l'avevano afflitto prima del suo soggiorno a Loudun, si erano sempre più acutizzati, fino a renderlo inabile a pronunciare qualsiasi suono. 24 Si tratta della futura santa Jeanne-Françoise Frémyot de Chantal, che sarebbe morta a Moulins il 23 dicembre 1642.

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membri di Lione della loro Compagnia. La cosa venne proposta e quei padri furono del parere di seguire l'ordine impartito da monsignore il cardinale di Richelieu, pensando che il padre provinciale non avrebbe visto di cattivo occhio la cosa nelle attuali circostanze. Sicché, di Il a due o tre giorni, partimmo insieme. Nel corso del viaggio, accadde una cosa straordinaria. Fino ad allora padre Surin era sempre rimasto muto, ma, durante il tragitto, padre Thomas, avendo intonato il Veni Creator, ebbe risposta da padre Surin, che da quel momento fu libero di parlare. Raggiungemmo insieme Grenoble e, quando vi fummo arrivati, la quantità di gente accorsa era incredibile. Tutti volevano vedere i segni sulla mia mano e venerare la santa unzione. I signori del parlamento e lo stesso presidente vollero vedere tali meraviglie. Noi, intanto, avevamo deposto la santa unzione fra le mani di padre Surin. Sicché, essendo accorse moltissime persone nella chiesa di quei padri per ottenere il conforto della vista di quella reliquia, padre Surin si mise in un punto elevato e la mostrò. Fece un discorso al popolo, raccontando quanto era accaduto durante la mia guarigione miracolosa. Si levò un grande grido causato dallo stupore dinanzi alla facilità con cui il buon padre parlava, perché, essendo passato poco prima in quella città e avendo molte persone saputo che era muto, tutti si sorpresero grandemente della libertà di parlare che miracolosamente gli era stata resa. Passammo qualche giorno a Grenoble e, per tutto il tempo che ci restammo, quasi l'intera città si recò da noi, con urgenza e ardore tali, che ne fui oppressa. Dio compl molti miracoli in virtù della santa unzione. I padri furono pregati di portarla nel secondo monastero della Visitazione, dove tutte le monache l'adorarono. Una di loro, malata di febbre, nel momento stesso in cui i padri arrivarono, fu liberata dal suo malanno e si recò nel coro a dichiarare l'accaduto e a renderne grazie a Dio. Una donna, che aveva ricevuto in testa un colpo di spada che le aveva intaccato e fatto contrarre i nervi, sicché da due anni non poteva aprir bocca né mangiare alcunché di solido, 124

essendo presente al racconto che padre Thomas faceva delle meraviglie che accadevano in virtù della santa unzione, fu commossa da quelle parole e prese a riferire la sua malattia. Padre Thomas le disse: « Se avrete fede, anche voi potrete guarire come a tanti altri è già successo ». Questa donna, ricolma di speranza, disse al padre con gran fervore: « Credo fermamente di poter essere guarita ». Padre Thomas la fece inginocchiare e le posò l'unzione sulla testa. Poi le disse di recarsi dinanzi al Santo Sacramento e di dire cinque Pater e cinque Ave, come lei fece. Mentre pregava, i nervi della sua testa si rilassarono. La donna apri la bocca e, la sera stessa, cenò senza difficoltà, mangiando carne comune. Il medico e il chirurgo le richiesero una testimonianza dell'accaduto e padre Thomas la conservò. Il giorno 9, arrivammo a Chambéry, dove l'intero parlamento venne a farci visita. Il signor presidente dei tesorieri ci offrì la sua casa di campagna, che si trova sulla strada per Annecy. Passammo di lì e vi fummo accolte con molta benevolenza. Il giorno 11, arrivammo ad Annecy. Ci recammo sul sepolcro del beato Francesco da Sales, dove io gli resi mille atti di grazie per tutti i favori ricevuti per suo intervento. Il giorno dopo, cominciai la mia novena sulla sua tomba per sciogliere il voto che avevo fatto. La signora di Chantal ci accolse con ogni onore che si può desiderare da un'anima santa. Parlammo spesso e a lungo di quello che era successo durante la possessione e, soprattutto, le raccontai con grande esattezza quanto era accaduto durante la comparsa di san Giuseppe, allorché ero stata guarita miracolosamente tramite la santa unzione. Il capitolo della cattedrale ci rese l'onore di farci visita, come pure il corpo della città. Tutti vollero vedere i santi nomi impressi. Mi costrinsero a raccontare come si erano prodotti quei santi nomi e, sempre sullo stesso argomento, fecero parlare i padri Surin e Thomas e il signor di Morans. Misero il tutto per iscritto, facendolo poi firmare dai suddetti padri, dal signor di Morans, da me e dalla mia compa125

gna. Ordinarono quindi che l'atto firmato venisse conservato nella cancelleria del municipio, per conservarne perpetuamente la memoria. Il popolo di Annecy e quello dei paesi circostanti, in un raggio di cinque, sei, sette e otto leghe, accorsero per vedere i santi nomi e l'unzione di san Giuseppe. C'era una calca impressionante che voleva toccare la reliquia con rosari, croci, medaglie, panni e carta e molti malati vennero guariti dal contatto con quelle cose. I padri Surin e Thomas trascorrevano la giornata intera a far toccare immagini e altre cose con la santa unzione. I diavoli si manifestarono poi in presenza dell'unzione di san Giuseppe, perché una giovane posseduta venne portata nella chiesa. La presentarono a padre Thomas, il quale, per alleviarla, le posò l'unzione sulla testa e parlò con fermezza ai demoni che la tormentavano. Questi gridavano, dicendo attraverso le labbra della ragazza: « Non sappiamo cosa farcene di questo cencio». I punti in cui l'unzione venne a contatto si insudiciarono. La signora di Chantal e le sue monache lavarono di nuovo la stoffa su cui c'era l'unzione, che rimase del suo solito colore. Finita la novena, ci preparammo per il ritorno. Partimmo da Annecy e ripassammo per Chambéry. Qui avvennero alcuni miracoli. Fra gli altri, una giovane di rango, divenuta paralitica, si recò ai bagni vicino a Chambéry e, di qui, si fece condurre al convento della Visitazione del luogo. Le fu posata l'unzione di san Giuseppe sulla testa e, immediatamente, ne fu rinvigorita. I suoi nervi si distesero, lei si mise a camminare senza difficoltà e sall un gradino. Vedendosi guarita, presa da grande gioia e da molta riconoscenza nei confronti di Dio, scoppiando a piangere esclamò: « Oh! Quale favore immenso! Sono guarita». E bisogna dire che quella giovane era stata molto mondana, ma, dopo il contatto con la santa unzione, fu toccata da Dio interiormente e mutò vita. Il tutto è confermato dal racconto che ne fece il signor marchese d'Urfé, mentre stava a Bordeaux. Assicurò che quella giovane, in quel tempo ormai morta, aveva vissuto dopo il miracolo in modo cosl edificante, che un sacerdote si era messo a scriverne la vita. 126

Proseguimmo il nostro viaggio con i padri Surin e Thomas e col signor di Morans fino a Briare. Passammo per Roanne, per Moulins e per Nevers. Il popolo accorreva sempre in massa da ogni luogo. Nel timore che, con le applicazioni che venivano fatte ai malati, la santa unzione svanisse, fu ritenuto opportuno metterci sopra una tela di seta. La tela venne a sua volta segnata come da un'ombra delle gocce di quel sacro balsamo con cui era venuta a contatto. Arrivati a Moulins, pernottammo alla Visitazione, dove la comunità si riunl per vedere i santi nomi e l'unzione. Una monaca che aveva interamente perso l'odorato, essendosi avvicinata e avendo fiutato il santo balsamo, fu guarita da quella malattia. La signora di Montmorency, che si trovava in quella casa, ci fece una grande accoglienza e si intrattenne a lungo con me. Le raccontai quanto era accaduto durante la possessione e durante il mio guarimento miracoloso per opera di san Giuseppe e dei santi nomi impressi, quando i demoni erano stati scacciati dal mio corpo. Questa signora, visto che la tela di seta era rimasta un po' segnata dal santo balsamo, mi pregò di fargliene dono. Io la accontentai volentieri, considerata la sua devozione per la santa reliquia. Continuammo il nostro viaggio dopo esserci separate, a Briare, dai padri Surin e Thomas, che se ne ritornarono a Poitiers. Quanto a noi, prendemmo la strada per Parigi. Volevamo soddisfare il desiderio della regina, che ci aveva fatto promettere di raggiungerla per il suo parto.25 Dopo qualche giorno trascorso a Parigi, ce ne ritornammo a Loudun e, di Il a poco, caddi gravemente malata. Si trattava di una febbre continua con infiammazione dei polmoni, che fece temere a parecchi la mia morte. Un gesuita, che era mio confessore, mi chiese cosa ne pensavo della mia malattia 25 Suor Jeanne des Anges aniva a Saint-Germain appena in tempo: le doglie cominciano la notte del 4 settembre 1638. La cintura della Beata Vergine era già stata portata da Notre-Dame du Puy. A questa reliquia, si aggiunge la camicia con l'unzione di san Giuseppe, che viene posata sul ventre di Anna d'Austria. La mattina dopo, la regina avrebbe felicemente p.1rtorito un maschio, che, di Il a cinque anni, sarebbe diventato Luigi XIV.

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e a quali rimedi bisognava ricorrere per guarirmi. Gli risposi: « Padre, se mi verrà applicata la santa unzione di san Giuseppe, recupererò subito la salute ». Qualche tempo dopo, quel padre mi chiese una seconda volta cosa bisognava fare per guarirmi. Gli risposi: « Nostro Signore mi ha ispirato un gran desiderio di salire in cielo, ma mi ha fatto sapere che, se rimanessi ancora un po' sulla terra, potrei rendergli qualche servigio. Sicché, padre mio, se mi applicherete la santa unzione, sicuramente guarirò». Il padre, vedendo che io parlavo con grande fermezza, credette che Nostro Signore mi ispirava a richiedere quel favore. Sicché si risolse a fare l'applicazione e, non dubitando che avrebbe avuto effetto, ne parlò a diverse persone e decise che l'avrebbe fatto la notte di Natale, che era assai vicina. Si accalcò una folla incredibile nella nostra chiesa, perché tutti volevano essere testimoni della mia guarigione. C'era una stanza, accanto alla mia, che fu quasi riempita dalla gente. In questa stanza, c'era poi una grata che si apriva su quella dove mi trovavo io. E, insieme a me, c'erano persone di altissimo rango. La notte di Natale, al culmine dei miei mali, padre Alange, gesuita, che doveva cantare la nostra messa solenne, rivestito degli abiti sacerdotali venne nella mia stanza recando la santa unzione. Dopo essersi avvicinato al mio letto, mi posò la reliquia sulla testa e iniziò le litanie di san Giuseppe, che volle recitare interamente. Non appena mi ebbe posato sulla testa quella santa stoffa, io mi sentii guarita. Tuttavia, non dissi alcunché e attesi che il padre avesse fìnito le litanie. Allora, resi noto l'accaduto e chiesi le mie vesti. Il padre scese in basso e, indossata la pianeta, cominciò la messa, cui io assistetti con tutti gli altri senza sentire alcun male. Feci la stessa cosa alla messa solenne all'alba e a quella delle nove. Durante tutte queste messe, cantai con grande gioia, mentre il popolo, vedendomi in perfetta salute, non cessava di ammirarmi. 26 26 Suor Jeanne des Anges inizia a scrivere la sua autobiografia nel 1644 e gli eventi da lei narraci terminano la notte di Natale del 1638, sei anni prima che cominciasse a redigere la storia della sua vita.

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Estratti dalle lettere che suor Jeanne des Anges, madre superiora delle Orsoline di Loudun, scrisse al reverendo padre Saint-Jure della Compagnia di Gesù, suo direttore spirituale

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ottobre I643

... Da oltre due anni,27 mi accade spesso che, quando i segni che porto si rinnovano, mi sembra di vedere accanto a me un giovane sui quindici o sedici anni, di incomparabile bellezza, il quale mi prende la mano e mi tocca i segni per rinnovarli. Mi ha spesso parlato delle cose che dovevo fare e, talvolta, mi ha messa in guardia sugli errori cui mi ero lasciata andare. L'ultima volta in cui lo vidi, fu il 15 di questo mese. Mi disse: « Non dimenticare mai le misericordie che hai ricevuto dalla tua completa liberazione dei demoni fino a oggi ». Ha poi aggiunto: « Sono il tuo angelo custode. Dio mi ha incaricato di badare alla tua anima » ... I2

novembre I643

... Una notte, Nostro Signore mi parlò interiormente e mi disse: « Figlia, voglio che tu ti occupi di quanto contribuisce alla mia gloria e di null'altro ». Un'altra volta, mi fu detto: 27 Gli estratti delle lettere di Suor Jeanne des Anges indirizzate al suo direttore spirituale sono stati riprodotti da G. Legué e G. de la Tourette secondo la versione originale del manoscritto di Tours, dove, fra un brano e l'altro, si inserisce la voce di un anonimo narratore - probabilmente un uomo di chiesa - che sintetizza gli eventi trascorsi nel frattempo. Anche in questo caso, ho preferito riprodurre la voce di suor Jeanne des Anges senza sovrapposizione di altri discorsi. Del resto gli inserti riassuntivi non tolgono né aggiungono nulla alla vicenda: hanno l'unica funzione di guidare il lettore da un evento all'altro lungo un percorso che, per il lettore, non è di alcuna difficoltà ricostruire da solo.

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« Figlia, voglio servirmi di te, ma prima devi aprirmi il tuo cuore ». Un'altra volta, mi fu detto: « Non voglio più che tu ti compiaccia nelle conversazioni umane, che ti allontanano dal mio servizio. Devi volgerti alle cose di Dio e degli Spiriti angelici. Trarrò volentieri delizie dall'anima tua, quando tutti i tuoi piaceri saranno volti verso di me. Se baderai a piacermi, avrò cura di te. Voglio che tu mi offra spesso le sofferenze della mia Passione, per convertire le anime da riscattare. Voglio che tu mi visiti spesso al Santo Sacramento dell'altare ». Per obbedire a quest'ordine, mi sono risolta a fare, ogni giorno, trentatre visite al Santo Sacramento. Mi sembra, caro Padre, che queste parole abbiano sortito il loro effetto nella mia anima, perché non trovo alcuna soddisfazione nelle creature, a meno che non si tratti di cose che mi aiutino ad avanzare verso Dio. Nutro spesso il desiderio di contribuire alla maggior gloria di Dio con le mie azioni, anche perché è quanto ho fatto voto di fare. Tuttavia, commetto ancora molti sbagli ... .. . Non intendo assolutamente affermare che è il mio buon angelo a visitarmi, sebbene io lo creda fermamente. Ciò che mi induce a crederlo sono gli effetti che queste visite producono in me: il timor di Dio, la pace interiore, la purezza di coscienza cui mi porta e gli insegnamenti virtuosi che mi dà. Per un anno, ho temuto molto di essere ingannata durante le visite che questo Spirito mi faceva. Ricorrevo a qualsiasi cosa, pur di evitarle. Non credevo affatto a quanto mi assicurava, di venire da parte di Dio. Infine, mi confidai con un padre della vostra Compagnia e questi mi consigliò che facessimo una novena, per ottenere da Dio luce sull'incertezza in cui mi trovavo. L'ultimo giorno della novena, di notte, questo Spirito che mi appariva venne a rassicurarmi che era il mio buon angelo, che era inviato da Dio e che non avevo alcunché da temere. Il padre ebbe, nello stesso tempo, la stessa assicurazione e venne a comunicarmelo la mattina dopo. Tutto questo mi tranquillizzò molto e, per il momento, mi allontanò ogni timore. Ma, qualche tempo dopo, fui ancora in preda al panico e, per porvi ri132

medio, ne parlai col padre provinciale Jacquinot, il quale, dopo aver riflettuto, mi disse che quello Spirito veniva da parte di Dio. Aggiunse poi che, in avvenire, dovevo comportarmi con maggiore docilità e che dovevo badare alle istruzioni che quello Spirito mi avrebbe dato. Da quel momento, sentii dentro di me, dopo la santa comunione, la certezza che era un buon Spirito a farmi visita. Da quel momento, mostro grande rispetto nei suoi confronti. Quando mi parla, lo ascolto con attenzione. Lo consulto sui miei dubbi, anche se la sua presenza non è visibile. Ogni giorno gli offro qualche preghiera e lo scongiuro spesso di assistermi in ogni mio gesto. Quando entro o esco da qualche posto, lo prego per rispetto di accomodarsi prima di me. Ma questo non accade dopo la comunione, perché mi ha proibito di farlo per il riguardo che ha nei confronti del Santo Sacramento. Insomma, non faccio alcunché che non sia di suo gradimento. Vi racconto tutto ciò, caro Padre, perché abbiate la bontà di ordinarmi cosa debbo fare in avvenire. Sono interamente risoluta a obbedirvi e persuasa che Dio voglia cosl. Il giorno in cui questo Spirito mi apparve, mi feci subito, non appena lo ebbi visto, il segno della croce e pronunciai i nomi di Gesù e di Maria, secondo il vostro ordine. Vi confesso che lo feci con qualche timore. Lui mi disse: « Perché temi? Non è forse il segno della tua redenzione? Obbedisci con semplicità e umiltà di cuore. Devi temere solo ciò che dispiace a Dio. I suoi santi nomi siano sempre nel tuo cuore e sulle tue labbra. Non saranno certo loro ad allontanarmi da te. Saranno semmai gli errori che commetterai contro Dio, se giungerai al punto da dimenticare tutto quello che gli devi ». Poi rinnovò i segni che porto sulla mano. Non scordai di raccomandarvi a lui e lo pregai, secondo il vostro ordine, di mettersi in contatto con voi. Mi ascoltò, con un'aria molto dolce e affabile. Mi disse che l'avrebbe fatto e se ne andò. Il giorno dei Santi, quel beato Spirito si mostrò a me e mi rinnovò i segni, ma non disse cosa alcuna ...

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24 dicembre I643

... Quand'ero posseduta, padre Surin mi faceva comunicare ogni giorno e, dopo la mia liberazione, mi consigliò di continuare a farlo. Solo una volta al mese avrei dovuto astenermene, per senso di umiltà. Mi sottometto al parere che vorrete esprimermi. .. .. . Sette anni e mezzo or sono, feci voto di contribuire alla maggior gloria di Dio. In ciò seguivo il consiglio di padre Surin e avevo ottenuto il consenso di padre Jacquinot. Ogni mattina, cerco dinanzi a Dio il modo migliore per tenervi fede e, molto spesso durante la giornata, ci ripenso. Quando mi si presenta qualcosa in cui non vedo con chiarezza quale può essere la maggior gloria di Nostro Signore o quando mi si presentano due cose al contempo, dopo aver elevato il mio cuore a Dio scelgo quella dove intuisco più difficoltà naturali. È una circostanza che mi suscita spesso scrupoli, ma mi comporto secondo quanto ho promesso in voto, ossia di cercar di contribuire alla maggior gloria di Dio, per quanto mi venga resa manifesta. Vorrei tanto che mi indicaste come debbo comportarmi.. . ...Dal 2 r novembre, il mio buon angelo mi ha visitata quattro volte e, sempre, per rinnovare i segni che porto sulla mano. Nel corso della seconda visita, quel beato Spirito mi disse: « Durante questo periodo dell'Avvento, devi meditare sul Dio fatto uomo e su come, in questo mistero, Gesù Cristo abbia annientato se stesso, per apprendere così a valutare ciò che Nostro Signore ha fatto per la tua Redenzione». In seguito, mi rimproverò per la scarsa obbedienza che dimostravo nei confronti di Dio in quanto alla mia vita. Il fatto è, caro Padre, che mi annoiavo un po' di non poter fare alcunché per via della mia indisposizione. L'angelo, comunque, mi fece vedere che si trattava di un grandissimo mio difetto. Durante l'ultima visita, questo Spirito mi disse: « Se vuoi meritare di ricevere il Bambino Gesù nel tuo cuore, nel periodo stesso in cui la Santa Vergine lo offrirà agli uomini, segui queste tre disposizioni: la prima è una grande purezza di cuore, la seconda un raccoglimento interiore che ti faccia scordare qualsiasi cosa possa allontanarti 1 34

da questo santo mistero e, la terza, un prosternarsi completo di tutte le potenze della tua anima, per sottometterle all'impero di questo Re Salvatore » ...

r4 gennaio r644 ... Durante questi ultimi tempi, le visite del mio buon angelo sono state assai frequenti. La prima fu la notte di Natale, verso le due del mattino. Questo beato Spirito si mostrò a me, ricolmo di gloria più di quanto l'avessi mai visto. Guardandomi con amorosa espressione, mi disse: « Oggi il tuo cuore deve smarrirsi nel nulla alla vista del tuo Dio fatto uomo. Contempla gli ammaestramenti che, sotto queste spoglie, ti dà. Solo le anime veramente pure li intendono e sanno come riunire l'idea della grandezza di un Dio onnipotente a quella della piccolezza di un bimbo tremante in una greppia. Impara da questo grande amore a non badare ad alcunché di questo vano mondo, poiché il tuo Salvatore inizia la sua vita pellegrina con un disprezzo tanto forte delle grandezze. Godrai la vera pace che reca agli uomini di buona volontà ». Dopo avere rinnovato i segni che porto sulla mano, è scomparso. Il giorno di san Giovanni l'Evangelista, questo beato Spirito mi ha di nuovo fatto visita. Mi ha molto esortata a non dimenticare mai i favori che ho ricevuto da Nostro Signore per intervento di questo santo. Ha poi aggiunto tali parole: « Dio si compiace in un'umile riconoscenza ». Per chiarire ciò, debbo dirvi, caro Padre, che ero estremamente tormentata da pensieri e da impulsi contro la castità, anche dopo la mia liberazione. Un giorno, dopo la santa comunione, teneramente me ne lagnavo con Nostro Signore. Udii dire dentro di me: « Figlia, prendi il mio discepolo beneamato, san Giovanni l'Evangelista, come custode della tua purezza». È quanto ho fatto da allora in poi e, da quel momento, Dio mi ha fatto la grazia di non sentire più nella mente né nel corpo alcun pensiero o impulso contrario a tale virtù. Sono ormai trascorsi sei anni... 135

... Il primo giorno dell'anno, questo Spirito beato venne a visitarmi verso le tre del mattino. Mi disse: « Devi badare a rendere onore al santissimo nome di Gesù Cristo. Fa' in questo giorno duecento genuflessioni, baciando la terra e dicendo queste parole: in nome Jesu, omne Jesuflectatur, celestium, terrestrium et infernorum. Nel corso dell'anno, devi pronunciare il più spesso possibile questa preghiera e devi continuare a farlo per il resto della tua vita. Se sarai devota a quest'adorabile nome, Dio non ti rifiuterà la grazia, già concessa a molte altre persone, di portarlo inciso nel tuo cuore ». Ha poi rinnovato i segni che porto sulla mano e, dopo aver ascoltato i miseri sentimenti del mio cuore, se n'è andato ... ... Il giorno dell'Epifania, il mio buon angelo si mostrò .a me verso le sei del mattino. Mi disse: « Oggi è il giorno in cui devi offrire doni a Nostro Signore, poiché vuol farti il favore di accettarli. Offrendogli il tuo cuore, gli offrirai pure il cuore e la buona volontà di coloro che spiritualmente vivono con te. Prega il Divino Bambino di accettarli in omaggio e in segno della tua obbedienza ». Poi ha rinnovato i segni e se n'è andato ... .. . Desidero che conosciate la mia anima. Sento un grande impulso di mostrarvela tutta. Ogni cosa che mi dite si imprime nella mia mente e mi reca una pace interiore. Debbo dirvi che, ogni notte, trascorro due ore in preghiera e, molto spesso, anche tre. Mi alzo sempre a mezzanotte e mi ricorico verso le tre. Mi è accaduto spesso che, non essendomi svegliata a quell'ora, mi sentivo tirare per un braccio finché non mi alzavo. Ho creduto che fosse il mio buon angelo custode. Trascorro due ore e mezzo in preghiera ogni giorno, senza contare il tempo della messa e dell'atto di grazie che dura una mezz'ora ... 4 febbraio r644

... Durante le mie preghiere, generalmente rimango in contemplazione dei divini attributi della grandezza di Dio, della sua immensità, della sua bontà, della sua giustizia. Me-

dito pure sull'unione delle tre divine persone e rifletto su come il Verbo si comunica all'anima. Talvolta, ho trasporti della mente e impeti di amore che mi legano al Verbo santo. Questa notte, consideravo quel Verbo divino come il seno e il petto del Verbo eterno, dove tutti i suoi eletti e beneamati si smarriscono e dove vivono e vengono saziati senza tregua da un godimento incomprensibile. La mia anima vi si perderebbe come nella sua fine, nella sua beatitudine, nella sua quiete e nella sua vita. Ebbi poi l'impulso di chiedere al santo Verbo, in virtù dell'unione che ha col Padre suo, di toccare con efficacia le anime dei cristiani, affinché abbiano conoscenza di questi santi misteri. Tutte queste cose me le ritrovo in mente senza che io le abbia ricercate, né che mi sforzi per conservarle. È una luce che penetra nel mio intelletto, la quale produce poi, nella mia volontà, atti d'amore e di unione assai violenti, pur non essendo molto numerosi... 9 febbraio r644

... Ho un desiderio molto intenso di morire. Chiedo a Nostro Signore di farmi questa grazia, per poter infine godere di lui senza impedimenti e anche per ritrovarmi in grado di non essergli mai avversa. Ho motivo di credere che non ci sia impurità alcuna in questo desiderio, perché il mio buon angelo mi ha consigliato di non desiderare mai alcunché per quanto mi concerne, se non il puro volere di Dio e la crescita della sua gloria. Mi piacerebbe molto conoscere la vostra idea in merito ... ... La domenica della Quinquagesima, mi fu detto, dopo la santa comunione: « Figlia, d'ora innanzi voglio che tu mi preghi molto per la salvezza delle mie anime e che, in mia presenza, tu dimentichi te stessa per prodigarti nella carità verso il prossimo ». Al contempo, mi sono sentita portata a interrompere diverse richieste che rivolgevo a Nostro Signore per me, soprattutto quanto alle virtù di cui credevo di aver bisogno. Vi supplico di volermi guidare: .. ... Quello stesso giorno, il mio buon angelo ha rinnovato i segni che porto e mi ha detto: 1 37

« Bada, durante questo periodo in cui il tuo Salvatore riceve tante opere dalle sue creature, a essere più attenta che mai alla sua divina presenza. Abbi il cuore trafitto di dolore e ricordati di chiedere perdono alla sua divina Maestà per i peccati enormi che vengono commessi contro di lui. Tenta di piegare la sua misericordia, affinché perdoni quelle anime ingrate e conceda loro una grazia efficace di convertirsi a lui. Così il suo prezioso sangue non sarà loro inutile » ... ... Questo beato Spirito mi disse tali parole in maniera che suscitava compassione e che era capace di recar dolore in un cuore che si volge verso le cose di Dio. Vi confesso, carissimo Padre, che ne sono stata toccata a fondo in quei tre giorni. Il 9 di questo mese, mi sono sentita investita da una grande luce. Di lì a poco, ho visto il mio buon angelo accanto a me, che mi diceva: « È giunta l'ora che accompagni il tuo Salvatore nel deserto. Ritrai la tua mente da tutte le cose della terra. Fuggi le conversazioni umane per quanto te lo permette la carità. Privati di tutto quello che non ti sarà assolutamente necessario, al fine di soddisfare in qualche modo la giustizia divina per i peccati che le vengono commessi contro ». Ho chiesto a questo Spirito se la volontà di Dio era che abbandonassi, in questa Quaresima, l'esercizio della mia carica. Mi ha risposto di no ...

25 febbraio I644

... Vi dirò, caro Padre, che da oltre due anni il mio buon angelo è di solito apparso visibilmente ed esteriormente agli occhi del mio corpo. Assume la forma di un bellissimo giovane, sui quindici anni, alto tre piedi e mezzo. La sua veste mi sembra bianca, colma di luce. I suoi occhi mi sembrano come due soli. Un grande chiarore lo circonda. Il suo viso è grave, eppure affabilissimo. Quando non mi parla, la sua visita è assai breve. Non dura più del tempo che richiede recitare con attenzione un Miserere. Quando vuole rinnovarmi i segni, mi prende la mano in modo molto dolce. Talvolta, mi sfila il guanto che la ricopre. Fa un gesto come se volesse scrivere sulla mia mano. Ini-

zia sempre formando il santissimo nome di Gesù. In quei momenti, sento come un piccolo bruciore sulla mano, ma dolcissimo, senza che mi faccia affatto male. In quei momenti, la mia anima è in un grande raccoglimento interiore. Una volta, questo beato Spirito mi diede l'istruzione seguente: « Sta' attenta a non fermarti alle cose esteriori, né a trarne piacere alcuno. Ciò facendo, forniresti allo spirito delle tenebre l'occasione di guidarti verso qualche illusione. Guarda a me come al ministro di Dio cui obbedisco. Eleva il tuo spirito al disopra delle cose sensibili e va' dritta verso Dio». Da allora, ho avuto cura di meditare molto su Dio durante queste visite. Quando mi parla, la sua visita dura talvolta un buon quarto d'ora. Mi lascia sulla mano un profumo gradevolissimo e il luogo dove è avvenuta la visita esala un buon odore. Io lo ascolto in ginocchio, con grande rispetto. Gli raccomando i bisogni dell'anima mia e di coloro cui mi lega un particolare affetto ... r6 marzo r644 ... Il mio buon angelo è venuto a visitarmi il primo giorno di questo mese, verso le dieci di sera. Io ero addormentata, ma lui mi scosse per un braccio e mi ordinò di alzarmi. Cosl feci e andai a inginocchiarmi davanti al Santo Sacramento. Di Il a poco, si avvicinò a me e disse: « Bisogna che la tua anima si spogli di tutti gli agi di cui può godere in questa vita, per comprendere e provare le amarezze e i dolori che Nostro Signore ha patito per te durante la sua Passione. Applicati in avvenire alla meditazione sui misteri della sua Passione. Bada a essere fedele e costante in tutti i tuoi esercizi ». Queste parole mi hanno infuso un po' di timore. Mi sono, comunque, offerta a Dio, a tutto ciò che più gli garberà, e mi sono interamente abbandonata ai suoi santissimi voleri... 20

aprile r645

... Ho trascorso, caro Padre, la settimana della Passione col desiderio di condividere le pene e i travagli del nostro buon Salvatore. Ho meditato a lungo sulle sue sofferenze e ho senI39

tito nella mia anima un forte desiderio di esservi unita. La vigilia della domenica delle Palme, verso le quattro del mattino, il mio buon angelo si è presentato a me e, dopo avermi rinnovato i segni che porto sulla mano, mi ha detto: « È giunto il momento in cui il tuo Salvatore manifesta il grandissimo amore che nutre per le sue creature. Cosa farai per essergli in qualche modo riconoscente per questo amore? ». Tali parole mi stupirono un po', ma cosl gli risposi: « Sono pronta a compiere tutto ciò che sua Maestà vorrà da me. Vi prego di istruirmi sui suoi voleri ». Mi ha risposto: « Devi rimanere unita nel cuore e nell'amore al tuo Salvatore. Seguilo nelle sue sofferenze, non perderlo di vista. Privati di ogni soddisfazione divina e umana per rendere onore alle angosce che il nostro buon Salvatore ha voluto soffrire per te. Unisci a quei dolori tutti i piccoli disagi che potrai procurarti. Ricorda i desideri che hai avuto di partecipare ai dolori della sua Passione ». Ciò detto, scomparve. Posso dirvi in verità, caro Padre, che da allora la mia anima è stata colta da una malinconia che mi è impossibile esprimere. Sentii una grande spossatezza. Tutto ciò che mi rimaneva era un'obbedienza ai voleri di Dio e un'attenzione per le pene di Nostro· Signore. Perdurai in queste condizioni fìno a. giovedì. Verso mezzanotte, mentre stavo pregando il Santo Sacramento nella nostra stanza, fui colta da panico. Vidi accanto a me la sagoma di due uomini estremamente orribili e sentii un forte lezzo. Ognuno teneva in mano alcune verghe. D'improvviso, mi afferrarono per un braccio con molta furia, mi spogliarono e mi legarono a una colonnina del nostro letto. Mi frustarono per una mezz'ora e anche di più. Poi apparve il mio buon angelo, li rovesciò a terra facendoli urlare come cani e li costrinse a fuggire via. Mi lasciarono il corpo lacerato dai loro colpi. In quel momento, questo Spirito beato non mi disse alcunché. Verso le tre del mattino, si ripresentò a me e mi disse: « È ora che il cielo e la terra si stupiscano alla vista di un Dio che soffre e patisce per le sue creature. È diventato misera spoglia di tutti i popoli. È stato abbandonato dai suoi

amici più cari. Tu vuoi essere fra quanti lo abbandonano o fra quanti lo seguono? ». Io gli ho risposto: « Voglio seguire il mio Salvatore. Lo prego di esaudire il mio desiderio ». Mi ha risposto: « Il tuo Sovrano ha accolto il tuo desiderio. Sentirai dentro di te parte dei dolori che ha patito durante la sua Passione e, per colmo di misericordia, imprimerà la sua croce nel tuo cuore. Non svelare il segreto di questo favore». Queste ultime parole mi hanno un po' stupita. Allora gli ho detto: « Poiché Dio mi ha dato un vero padre, troverete giusto che gli comunichi quanto mi avete riferito, per timore che il maligno non approfitti di questa circostanza al fine di ingannarmi ». Mi ha risposto: « Non intendo privarti della libertà di parlarne col tuo confessore. Ti assicuro che non sarai mai ingannata seguendo i suoi consigli. Ma non è necessario che altri ne siano al corrente ». Ha aggiunto: « Più le opere di Dio sono segrete e pm sono sicure ». Mi ha poi preso la mano e ha rinnovato i segni che vi porto. Dopodiché è scomparso. Di lì a poco tempo, ho sentito un grande sforzo interiore, insieme a dolori tanto violenti, che mi è impossibile esprimerli. Sono durati cinque ore. Erano dolori un po' in tutto il corpo, ma più vivi al cuore. L'effetto è stato così grande, che, fin dal primo giorno, vomitai quasi tre pinte di sangue e credetti davvero di morire. Il male al cuore non mi ha ancora dato tregua. Mi è rimasta una grande debolezza che fa sì che, quasi di continuo, io cada in deliquio. Quanto alla mia anima, in presenza di Dio è sempre quieta. Mi sembra che, sempre più, si volga e si unisca a Gesù Cristo ... r8 maggio r645

... Debbo dirvi, caro Padre, che la persona di cui vi ho scritto, era priva di abiti, tranne la camicia, che le venne rial-

zata sulle spalle e posata sulla testa. 28 Furono coloro che la flagellarono dalle spalle fino ai garretti a ridurla in quelle condizioni. La persona rimase coperta di sangue, sicché il pavimento della stanza ne fu insudiciato. Ebbe bisogno delle sue sorelle per pulire sia il pavimento, sia le vesti, e giurò a se stessa di non dire alcunché di quanto era accaduto. Preferl lasciar credere che si trattasse degli effetti di una flagellazione troppo accanita. Questa persona non ha voluto rimanersene a letto e si è sempre alzata per andare alla santa messa e per comunicarsi. È vero che, per quindici giorni o anche di più, trovava requie solo nel letto. Altrimenti, sveniva o si sentiva il cuore infiacchito per i dolori lancinanti che provava e per la debolezza in cui si ritrovava. Le sue piaghe non sono ancora guarite. Quando le venne riabbassata la camicia che aveva sulla testa, coloro che l'avevano legata la slegarono. Durante l'accaduto, non si è accorta che siano successe cose contro il pudore. Non si è affatto vista nella sua nudità ... ... Dopo la flagellazione, la croce le fu impressa in questo modo. Il suo cuore venne aperto in due e, da un lato, fu impressa una croce con la sua scritta e la forma di un crocefisso. Tutto ciò le causò per tre giorni un flusso di sangue ... ... In quanto all'esterno, nulla compare. Da quel momento, questa persona ha sempre vissuto con una grande spossatezza dentro e con un male al cuore che non l'abbandona mai ... . .. I suoi intenti la uniscono fortemente a Gesù crocefisso. Spesso lo prega di non fermarsi lì e di continuare a farle sentire i suoi dolori e a imprimerle nel cuore le armi della Passione. Si sente spinta a privarsi di ogni conforto spirituale e corporale, persino a rinunciare a tutte le dolcezze che talvolta sente dentro di sé in presenza del Santissimo Sacramento, da cui trae molta forza ... .. . Nel santo giorno di Pasqua, verso le quattro del mattino, i] mio buon angelo si presentò a me. Mi disse: « Partecipa alle gioie del tuo Salvatore che trionfa sulla morte». 28 Qui, come più avanti, suor Jeanne dcs Anges parla di se stessa in terza persona, secondo un modulo stilistico ricorrente nella scrittura mistica.

Subito dopo scomparve, senza rinnovare i segni. Il 25 dello stesso mese, questo beato Spirito mi visitò, verso le sei del mattino. Mi rinnovò i segni e, dopo, mi disse: « Bada a evitare di compiacerti per le cose che ti sono accadute. Ricorda sempre che Gesù Cristo ha parlato solo degli obbrobri che gli sono stati fatti. Un compiacimento volontario e una stima di te stessa possono far mutare i disegni di Dio su di te. Sei più che mai tenuta a vivere in purezza di cuore, per lasciar cosi posto alle opere di Dio ». Si noti che, due giorni prima di questa visita, io ero molto turbata da pensieri di compiacimento, che volevano far nascere in me una stima per quanto mi era accaduto e suscitare una vana gioia nella mia anima. Credo, tuttavia, di non essermi soffermata a lungo su queste idee, grazie alla misericordia di Dio, anche se ho sempre avuto timore della mia negligenza e della mia scarsa fedeltà ... ... Il giorno 3 di questo mese, il mio buon angelo si presentò a me, verso le sei del mattino. Mi disse: « Ebbene, cosa intendi fare in onore della croce del tuo Salvatore? È oggi che è stata fatta per la prima volta ». Io gli ho risposto: « Sono pronta a fare qualsiasi cosa garberà a Dio manifestarmi ». Mi ha cosi rimproverata: « Non puoi fare alcunché di meglio che offrirgli il tuo cuore. Lui stesso ti suggerirà quello che gli sarà più grato per esservi onorato insieme alla sua croce. Sii sempre unita ai dolori che ha sofferto e pronta a soffrire pure tu quanto più gli garberà ». Ha rinnovato i segni e, poi, se n'è andato. Mi sono ritrovata, per tutto quel giorno, con un violento male al cuore. Era come se avessi una piaga molto profonda, che mi causava un grande languore e una prostrazione estrema ... 2

giugno r645

... La notte fra il giovedi e il venerdì della settimana santa, due luci mi apparvero in maniera molto diversa. La prima era torbida e giallastra, come un sole che si eclissa. La se1 43

conda, che apparve quando vennero scacciati i nemici che mi flagellavano, era invece estremamente chiara. I miei languori e le mie debolezze interiori ed esteriori continuano sempre con quel male al cuore. Mi provocano, talvolta, àdiqui e svenimenti. Sarei felice se Nostro Signore mi liberasse da tutti questi effetti esteriori. Vi supplico, carissimo Padre, di chiedergli che mi conceda questa grazia, se è cosa che ritenete opportuna. Non potete immaginare la pena che me ne viene. C'è sempre qualcuno intorno a me che vuole affidarmi alle mani dei medici. Finora sono riuscita a evitarlo col pretesto della mia debolezza. Continuerò cosl fin quando non mi avrete espresso i vostri ordini in merito. Carissimo Padre, Nostro Signore mi avvince sempre più ai suoi dolori e, malgrado le pene che il corpo subisce, il mio cuore arde dal desiderio di soffrire. Chiedo a Dio Padre che termini la sua opera e che tracci dentro di me un ritratto di Gesù Cristo crocefisso. Notte e giorno, ho questo desiderio e, nel pensarci, sospiro di continuo. Qualsiasi incombenza mi occupi, mi ritrovo a pensare sempre la stessa cosa. Le preghiere che rivolgo a Dio, sia durante la santa comunione, sia in altri momenti, finiscono sempre per arrivare Il. Non posso occuparmi d'altro. Il venerdl prima della festa dell'Ascensione, il mio buon angelo si è presentato a me, verso le tre del mattino, recando tre chiodi nella mano sinistra. Mi ha detto porgendomi quei chiodi, che erano piuttosto grossi: « Non vuoi dare il tuo cuore a Dio affinché vi infigga questi chiodi, cosl come ha voluto che suo figlio Gesù Cristo venisse affisso alla croce? Non vuoi che ti faccia il favore di imprimere tutti i segni della sua Passione nel cuore? ». lo gli ho risposto: « Che la volontà di Dio interamente si compia in me. lo gli appartengo. Faccia di me e in me tutto ciò che gli piacerà». Mi ha avvisata: « Il tuo corpo dovrà soffrire molto, ma colui che con una mano ti abbatterà, con l'altra ti sosterrà. Non affliggerti e sii profondamente umile e obbediente. Bada a evitare ogni sorta di compiacimento esteriore e interiore. Vigila affinché i tuoi nemici non ti sorprendano. Comunica ogni cosa a 1 44

colui che Dio ti ha dato per sottrarti alle loro perversità. Tenteranno di sorprenderti quando meno ci penserai. Lasciati guidare». Io l'ho pregato di concedermi luce per sottrarmi alle imposture dei miei avversari e di comunicarvi quanto Dio vuole da me in questa circostanza. Dopo questo colloquio, ha rinnovato i segni e se n'è andato. Circa un quarto d'ora dopo, sono stata colta da un grande trasporto d'amore per Nostro Signore Gesù Cristo. Il mio cuore si è ritrovato con una grande oppressione e con una sofferenza come se l'avessero trafitto da parte a parte più volte e senza tregua. Il corpo ha sentito così vivamente quei colpi, che ho vomitato sangue in grande quantità. La mia anima era, invece, presa da Dio e smarrita nella sua santissima volontà. Ho trascorso ore intere senza muovere alcun membro e la mia anima era presa da Dio e smarrita nella sua santissima volontà. Ho un nuovo desiderio di partecipare ai dolori di Gesù Cristo, suo figlio. Non posso tenermi in piedi neanche per mezzo quarto d'ora, altrimenti subito svengo. È la perdita del sangue a provocarmi questi svenimenti. Il giorno dell'Ascensione, il mio buon angelo si presentò a me. Mi rinnovò i segni senza che mi dicesse alcunché ... 2r luglio r645

... Il giorno di sant'Alessio, il mio buon angelo si presentò a me, verso sera. Mi disse: « Nostro Signore intende proseguire il suo disegno di imprimere le armi della santa Passione nel tuo cuore. Ciò non può avvenire senza che tu senta grandi dolori. Vuoi dare il tuo consenso? ». Io gli ho così risposto: « Appartengo a Dio. Può disporre di me secondo il suo gradimento. Spero che, se mi darà dei mali, la sua bontà mi sorreggerà e mi aiuterà, con la grazia, a sopportarli». Questo Spirito mi ha detto: « Accetto da parte di Dio il tuo volere. Sii sempre in grado di fornirgli prove della tua fedeltà. Ringrazialo per le misericordie che ti ha fatto. Non adagiarti sulle grazie che 1 45

ricevi, perché devi pensare ai meriti di Gesù Cristo, suo figlio. Traine l'esempio per essere più ligia nella pratica delle virtù e più unita a lui. Qualsiasi favore tu riceva, non attribuirti mai alcunché. Bada a umiliarti e a confonderti spesso dinanzi a Dio. Sottomettiti ai consigli di colui che Dio ti ha dato per padre, perché il malvagio spirito tenterà di sorprenderti e di farti inciampare ». Ha rinnovato i segni ed è scomparso ... 30 agosto I645

... Il mio buon angelo mi ha visitata due volte. La prima visita si svolse senza alcun colloquio. L'altra, che era il giorno di sant'lgnazio, mi disse: « Tu ami troppo te stessa, col pretesto delle tue piccole infermità. Questo ti induce a distrarti facilmente. Non ti occupi abbastanza di Dio e, talvolta, ricerchi piccoli svaghi con le creature, andando cosl contro i disegni di Dio. Lui vuole che lo stato di dolore in cui ti trovi, ti distacchi sempre più da te stessa per legarti strettamente a lui e per essere simile a Gesù Cristo, suo figlio ». Ha aggiunto: « Una persona che si è offerta di portare la croce, come tu hai fatto, e di soffrire il marchio dei segni della Passione nel suo cuore, non deve più badare alla gioia né agli svaghi, ma solo a soffrire. Sicché ti ho avvisata e sta' attenta che, con i tuoi sbagli, tu non ti privi delle grazie di Dio ». L'ho supplicato di darmi qualche segno per farmi subito sapere quando non avrei fatto ciò per cui era venuto ad avvertirmi. Mi ha risposto: « Non devi aspettartelo da me. Devi sforzarti per essere ligia ai tuoi doveri, senza mai scordare Dio. Segui i consigli di colui che ti deve servire da luce sulla terra, per non essere indotta a seguire una condotta straordinaria, che potrebbe suscitare in te presunzione e troppo attaccamento ai tuoi sentimenti». Gli ho chiesto se i segni nel mio cuore erano reali. Ecco cosa mi ha risposto: « La croce, i chiodi e la corona vi sono incisi. Gli altri

strumenti non ci sono ancora, ma, se sarai fedele a Dio, te li metterà tutti. L'ultimo a essere inciso sarà quello della lancia che ti trafiggerà il cuore e causerà la tua morte. Quanto agli altri strumenti, ti verranno incisi a poco a poco, con quei grandi dolori che hai già provato ». Ha aggiunto: « L'ultimo non arriverà molto presto. Prima dovrai soffrire molto ». Ciò detto, rinnovò i segni e poi se ne andò ... . .. Il mio cuore sente un sapore di Dio cosl forte, che tutto il resto gli è insipido. Mi sembra che la mia anima sia rivestita dalle virtù di Gesù Cristo, che sia ricolma di luci delle sue divine perfezioni. Grido con ardore: « Signore, uniscimi a te, trasformami in te ». Mi sembra che questo amabile sposo stia nel mio cuore come sul suo trono. Sento che vi si compiace. Ciò che mi fa quasi cadere in deliquio d'amore e di ammirazione è un certo piacere che mi sembra provare mentre faccio scorrere tutto il mio essere nel suo, rendendogli con rispetto e con amore tutto ciò che mi ha dato. Talvolta, godo della libertà di parlare a Nostro Signore con grande familiarità, chiamandolo « amore mio », inducendolo a interessarsi di tutto ciò che gli chiedo, sia per me sia per gli altri... I4 settembre I645

... Mi sembra, da ciò che mi accade quando mi vengono rinnovati i segni sulla mano, che sia un effetto di ciò che mi ha detto il mio buon angelo. Ossia, che Nostro Signore mi avrebbe impresso nel cuore le armi della sua Passione, perché sento, in quella parte, dolori cosl grandi, che non so descriverveli. Più sono vivi e più li desidero. In qualsiasi modo il corpo si lagni, non posso impedirmi di scongiurare Nostro Signore affinché prosegua la sua opera e mi renda simile a lui nei dolori. In effetti, soffro con molto piacere e con una dolce impazienza di soffrire di più. Mi sembra che il mio Salvatore tardi troppo a terminare la sua opera e a rendermi simile a lui ...

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I6 settembre I645

... Un giorno, mentre rendevo il mio atto di grazie, dopo la santa comunione, mi fu detto interiormente: « Figlia, esaudirò i tuoi desideri e farò sl che tu ti renda conto che solo la mia forza potrà sostenerti ». Di lì a qualche giorno, sentii un grande desiderio di soffrire. Mi ritrovai spinta a chiedere a Nostro Signore, in nome dei dolori che ha sofferto, di continuare l'opera intrapresa nel mio cuore. Lo stesso giorno, verso le tre del pomeriggio, il mio buon angelo rinnovò i segni e, poi, mi disse: « Preparati a reggere quanto Dio vuole che tu patisca. Non pensare di ricercar conforti umani nelle tue pene. I tuoi dolori non debbono indurti a correre dietro gli svaghi delle creature. Ricorda che il tuo Salvatore è rimasto ed è morto nudo sulla croce ». Mi fece poi vedere molti strumenti, come fruste, spugna, lancia, scala, corda, martello, tenaglie e altri e mi disse: « Ecco quanto bisogna aggiungere nel tuo cuore. Quest'opera non si compirà tutta in una volta, perché bisogna che tu ne senta i dolori più volte e che ti servano a renderti più sottomessa a Gesù Cristo e a offrirgli il tuo sangue col flusso che sgorgherà quando ti verranno impressi quegli strumenti. Dimmi se vuoi accettarli, perché tu sei libera di decidere ». Io gli ho risposto: « Mi offro a Dio con tutto il mio cuore a tal fine, cosl come per tutti gli altri che desidererà da me. Non ho maggior desiderio che quello di piacergli e di soffrire per amor suo ». Questo Spirito mi disse: « Ricordati della tua parola ». Ciò detto, se ne andò. Quello stesso giorno, verso le sette di sera, sentii tali dolori al cuore, che non so descriverli. Avevo anche un deliquio esteriore che mi privava di tutti i sensi esteriori e che, tuttavia, non mi toglieva la lucidità. In seguito, ebbi un grande vomito di sangue. Il giorno dopo, le stesse cose mi accaddero di nuovo, causandomi incredibili debolezze. Poi, durante la festa della Santa Croce in settembre, le medesime cose mi accaddero di nuovo e durarono tre giorni.

Il giorno della festa di santa Teresa e i due giorni dopo, ebbi ancora lo stesso vomito di sangue, i dolori al cuore e i deliqui. Sicché mi ritrovai in una debolezza e in un prostramento tali, che sono rimasta quasi quindici giorni senza potermi muovere da sola, simile a un'immagine della morte e sempre senza poter parlare. La mia mente era del tutto libera. Mi occupavo della presenza di Dio e mi rivolgevo spesso a lui. Sono rimasta circa tre settimane senza poter recitare il mio uffizio e senza poter mai intrattenermi con le mie sorelle ... gennaio r646

... Verso le quattro del mattino, mentre me ne stavo ancora a letto, mi sentii tirare per un braccio e mi furono dette distintamente queste parole: « Alzati senza più indugiare e accingiti a ricevere nel tuo cuore le opere di Dio ». Queste parole mi stupirono, perché non sapevo cosa Nostro Signore si aspettava da me. La stessa voce mi rispose: « Vuole un cuore umiliato dinanzi a Dio, sottomesso a ogni suo volere, amante delle sofferenze di suo figlio e noncurante di tutto se non di Dio, per essere cosl unito a lui come al suo unico bene ». Dapprima queste parole accrebbero il mio stupore. Ma, a poco a poco, la mia mente si rassicurò. Mi volsi verso il Santo Sacramento e dissi a Nostro Signore: « Sapete bene che io non posso alcunché. Fate di me ciò che più vi piacerà ». Cominciai poi le mie preghiere e, di lì a poco, il mio buon angelo si presentò visibilmente a me, mi rinnovò i segni e poi mi disse: « Ecco un giorno in cui sentirai nuovi effetti dei dolori della Passione del tuo Salvatore. Il cuore ti verrà inciso da qualche altro strumento che è servito nella sua Passione. Offriti a lui ». Io gli ho detto: « Quale offerta posso mai fargli? Io desidero solo che abbia la bontà di fare in me e di me tutto ciò che vorrà. Non vede quali sono gli impulsi del mio cuore? ». 149

Mi ha risposto: « Pur vedendoli meglio di te, che puoi concepirli solo grazie a un particolare intervento da parte sua, si compiace che tu formuli atti del tuo volere in simili circostanze. Per questo devi offrirti a lui. Devi pregarlo di mantenere in te tutte le sue promesse, offrirti a lui per soffrire tutto quello che vorrà e stare attenta a riconoscere i buoni impulsi che vengono concessi alla tua anima per contribuire a concretizzarli, se è cosa che dipende da te. Altrimenti, i tuoi atti sarebbero troppo generici e, a poco a poco, ti condurrebbero a un'indifferenza che sarebbe nociva e intiepidirebbe la tua volontà». Io gli ho detto: « Vi prego di ispirarmi spesso pensieri che mi spingano a rammentare di eseguire i consigli che mi date ». Ho aggiunto: « Vi sembra bene che vi manifesti una pena che mi viene spesso in mente da quando accadono in me queste cose straordinarie? ». Ecco la sua risposta: « Vedo bene ciò che vuoi dirmi. La tua pena è un timore che hai che il diavolo ti inganni in queste cose e che, invece di seguire i consigli di Dio, tu ti offra a lui tramite questi atti. Ma, pensando ciò, ti inganni. Devi nutrire sempre una sincera volontà di abbandonarti unicamente a Dio, senza ricercare alcuna di queste cose. Sii umile sotto la mano di Dio. Abbi timore di dispiacergli anche nella minima cosa e segui sempre fedelmente i consigli del tuo direttore spirituale. In tal modo il tuo nemico non potrà nuocerti ». Io l'ho pregato di dirmi chi mi aveva fatta alzare il mattino. Mi ha risposto: « Sono io ». Dopodiché se n'è andato. Lo stesso giorno, verso le nove del mattino, mentre mi ero ritirata nella mia stanza, dopo l'atto di grazie della santa comunione, sono stata colta da un intensissimo male al cuore, al punto che non so descriverlo. Ho trascorso più di metà della giornata fra deliqui continui, che sono finiti con un grande vomito di sangue. Nel frattempo, non ho mai perso la 150

lucidità e mi sembra che la mia mente e il mio volere si unissero a Nostro Signore. Dentro di me, sentivo una grande gioia perché mi sembrava che compisse in me queste opere dolorose per un effetto del suo amore. Avrei tanto voluto essere capace di soffrire molte altre cose, per offrirgliele, ed ero come adirata di perdere così facilmente i sensi esteriori, perché in tal modo godevo di una qualche tregua nelle mie sofferenze. Mi sembrava che Nostro Signore mi dicesse in fondo al cuore: « Figlia, voglio farti sul cuore un mio ritratto ». Queste parole hanno fatto una forte impressione sulla mia mente e mi danno una grande facilità nell'osservare come Nostro Signore agiva in tutti questi atti esteriori. Mi sembra che, da quel momento, i miei movimenti esteriori siano stati molto più regolari. Dentro di me, sono unita a Dio. Ho provato un languore nell'anima alla presenza di Nostro Signore, che mi faceva sospirare e mi induce a dirgli: « Quando mai mi unirete inseparabilmente a voi, mio Dio?». Sentivo un ardente desiderio di essere trasformata in Dio e di vivere in lui. Il mio intelletto era colmo delle luci delle perfezioni divine, che me lo facevano desiderare con maggior ardore. Questo stato d'animo si è protratto per un lasso di tempo considerevole. Il giorno di santa Teresa, verso le sei del mattino, al termine delle preghiere, il mio buon angelo si è presentato a me. Dopo aver rinnovato i segni, mi disse: « Ti lasci troppo andare a piccoli svaghi durante le tue malattie. L'intento del tuo Salvatore non è questo. Non è nelle cose umane che devi cercar sollievo, ma solo nella meditazione sui misteri divini. Se il tuo corpo resta prostrato e infiacchito, è per dare maggior forza al tuo spirito. Ricordati che devi portare nel cuore l'immagine di Gesù crocefisso. Ti farà ancora oggi sentire qualche effetto dei dolori della sua Passione, incidendoti nel cuore alcuni strumenti che sono serviti per quel santo mistero ». Gli ho chiesto quali erano gli svaghi che dovevo evitare, perché ero così gretta da non rendermi conto degli errori che commettevo. Mi ha risposto: 151

« Ci sono soprattutto tre cose da cui devi guardarti. La prima è che non devi lasciarti blandire l'immaginazione dal canto di taluni versi che, seppure devoti, ami particolarmente. La seconda è che devi avere, più spesso di quanto la regola te lo permetta, qualche tua sorella che ti intrattenga sulle cose buone. La terza è che devi evitare con cura, anche nei momenti di ricreazione, i colloqui che ti vengono fatti per svagarti e che ti ricordi che Nostro Signore ha trovato gioia e conforto solo compiendo i voleri di suo Padre ». Mi ha poi avvertita di guardarmi da una certa piccola soddisfazione per mezzo della quale il mio cuore si lascia blandire quando mi compiangono, mi dimostrano compassione e parlano di me. Mi fece vedere in ciò una grande impurità. Dopodiché scomparve. Questo stesso giorno, verso mezzodl, dolori al cuore e deliqui mi presero con molta violenza e mi durarono quasi tre giorni, accompagnati da abbondante vomito di sangue. Dentro di me, mi sentivo libera di stare in presenza di Dio, dandomi tutta a lui e unendomi ai suoi divini voleri. Non mi stancavo di contemplare le bontà che mi concede. Lo scongiuravo di continuare a elargirmi grazie, affinché io compissi fedelmente tutto quello che voleva da me. La mia anima si è ritrovata colma di ardenti desideri di fare qualcosa per Dio, di agire per la sua gloria e di adoperarmi per la conversione delle anime, facendo tutto ciò che gli sarebbe stato grato. La mia mente era colma delle azioni che coloro che grandemente amano Gesù Cristo hanno compiuto nei confronti del prossimo. Tutto ciò mi ispirava un intenso desiderio di imitarli. Sono rimasta cosl sino alla festa di san Francesco Saverio, quando dolori e vomito mi ripresero. Mi affligge trovarmi in condizioni in cui posso essere contraria a Dio. Ciò fa sl che, talvolta, io appaia insopportabile a me stessa. Ritorno a quanto mi accadde nel giorno di san Francesco Saverio. La mattina, verso le otto, il mio buon angelo si presentò a me e rinnovò i segni che porto. Poi mi esortò a unirmi strettamente a Dio, senza badare a me stessa, senza curarmi dei miei interessi. Mi spingeva verso una quiete della mente in ogni momento della mia vita, a una sottomissione 152

della mia volontà alla volontà di Dio in ogni cosa e a una grande pazienza nei mali che mi sarebbero venuti. Il giorno dopo, mi ammalai ed ebbi una febbre continua. Durante questa malattia, mi sono trovata quasi sempre in presenza di Dio. Sentivo una grande pace nello spirito e una grande sottomissione ai voleri di Dio. Ad arrecarmi dolore era solo il fatto che non potevo comunicarmi ogni giorno. Il malvagio spirito volle approfittare di questa quiete. Si presentò a me sotto le spoglie del mio buon angelo. Mi propose di comunicarmi, dicendo: « Nostro Signore ha fatto questo favore a parecchi altri. Tu puoi ben goderne, poiché sei la sua prediletta». Gli effetti che queste parole suscitarono nel mio cuore mi fecero render conto che non provenivano dal buon Spirito. Allora così risposi a colui che mi parlava: « Se Dio volesse che io mi comunichi, mi concederebbe il mezzo per farlo secondo gli ordini della Chiesa, ma da parte tua non lo voglio ». Feci il segno della croce e quello spirito scomparve come un grosso toro ruggente ... 9 febbraio I646

... Il mio buon angelo ha rinnovato due volte i segni, senza dirmi alcunché. Non mi ha neppure lasciato vedere con chiarezza il suo viso, com'è solito fare. Se sapessi in cosa ho dispiaciuto a Nostro Signore o cosa vuole da me, sarei contenta e morirei, piuttosto che non rimediare. La mia maggior pena è il timore di avere dispiaciuto al nostro buon Dio. È per questo che non oso presentarmi a lui come una criminale che implori la sua misericordia ... 30 marzo I646

... Ieri ho comunicato al capitolo della nostra comunità la mia definitiva decisione di non voler più essere eletta madre superiora. Ci sono state molte proteste. Infine, la maggior parte della comunità è sembrata rassegnarsi. Mi è stato difficile ottenere da monsignore il vescovo di Poitiers la grazia, che gli avevo chiesto, di non partecipare più alle elezioni. 153

Le mie sorelle mi affliggono per l'attaccamento che mostrano di avere nei miei confronti. Mi sembra cosa assai esagerata ... I 2

aprile

I

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... Sono state fatte le nostre elezioni. Monsignore il vescovo di Poitiers non ha voluto accettare quanto gli avevo chiesto. Ho fatto di tutto per dimostrare alle mie sorelle che, in coscienza, non potevano più posare lo sguardo su di me. Sarebbe stato contrario alla regola e non c'era motivo di chiedere una dispensa per cosa tanto poco importante. Avevo tentato di indurle a posare lo sguardo su qualche altra sorella e mi aspettavo di essere liberata dalla carica. Si fecero le nostre elezioni e, delle diciassette che eravamo, solo sei votarono incondizionatamente per me, ma ce ne furono altre sei che mi votarono sotto condizione. Queste ultime desideravano che, se la regola ammetteva che venissi rieletta, lo fossi. Altrimenti, avrebbero eletto superiora la nostra attuale madre vicesuperiora. Fu in tal modo che costei venne eletta, anche perché aveva ricevuto altri quattro voti incondizionati. Monsignore il vescovo di Poitiers ha nettamente respinto questa scelta. Ha dichiarato che spettava a lui decidere se l'elezione andava contro la regola, che lui non intendeva togliere alla comunità la libertà di posare lo sguardo su chi preferiva e che proibiva che venissero emessi voti sotto condizione. Insomma, ha ordinato di procedere a nuove elezioni. Per obbedire a quest'ordine, il mercoledl dopo procedemmo a nuove elezioni. Tutte votarono per me, tranne una. Monsignore ha inviato la conferma, mostrando di essere contento del risultato e ingiungendomi di riprendere la carica. Ho commesso molti errori in questa vicenda, perché ho mostrato troppo attaccamento al mio volere. Lo spirito malvagio si è presentato a me sotto le spoglie del mio buon angelo. Mi ha rivolto parole di plauso e ha voluto darmi assicurazioni del perdono delle mie colpe e dell'amore di Gesù Cristo per me. Ciò che mi disse rese la mia anima inquieta. Questo mi indusse a credere che fosse il mio nemico e non il mio buon angelo, sicché mostrai disprezzo per 154

quello spirito. Si scagliò contro di me con grande violenza e, dopo avermi inferto molti colpi, se ne andò, strisciando per terra come un serpente e ululando come un cane. Verso le quattro del mattino, il mio buon angelo si presentò a me. Dapprima provai un certo timore per quanto mi era accaduto la sera prima. Mi feci il segno della croce e lui mi disse: « Rassicura la tua anima e sta' attenta a quanto ti dirò ». La sua parola fece effetto nel mio cuore e mi ritrovai tranquilla. Ecco cosa mi disse: « Tu affronti le cose con troppo ardore. Non hai abbastanza fiducia nei voleri di Dio. Vedi quanto ti sei affannata in tutte le cose trascorse. Vedi la quantità di errori che hai continuato a fare e il tempo che hai sprecato. Se continui cosl, ti renderai indegna delle grazie di Dio. Non addurre le tue buone intenzioni per lusingare te stessa. Avrai di nuovo la tua carica, ma ricorda che dovrai soffrirne in modo che non te l'aspetti. Chiedi spesso perdono a Dio per le colpe che hai commesso in tutta questa vicenda e implora il suo soccorso per non cadere più nelle circostanze in cui ti ritroverai». Dopo che mi ebbe detto ciò, mi prese la mano e rinnovò i segni. Lo pregai di continuare a soccorrermi e di infondermi spesso urgenti impulsi di offrirmi completamente a Dio e di non lasciarmi cadere in alcun errore che potesse dispiacergli ... 3 maggio I646

... Mi sono ritrovata dinanzi a Dio con grandi sentimenti di dolore per i miei peccati. Questa disposizione dell'anima è terminata. Mi è stato detto interiormente, dopo la comunione: « Figlia, perdono le tue colpe, ma in avvenire devi essermi fedele. Voglio che tu pensi di più a me». Queste parole, sul momento, mi infusero timore, perché avevo paura che si trattasse del malvagio spirito. Tuttavia, fecero il loro effetto nel mio cuore, perché, da allora innanzi, mi ritrovai distaccata dai pensieri su me stessa. Mi trovai unita a Dio con un ardente desiderio di piacergli in ogni cosa ed ero colma di uno spirito di generosità teso a superare ogni r55

ostacolo. Mi fu concessa luce per intendere i più lievi moti del mio cuore e ciò che dovevo fare per rendere le mie azioni più grate a Dio. Poco tempo dopo, mi sono trovata duramente aggredita dai demoni. Mi hanno attaccata con spettri, paure, parole ingiuriose. Hanno ricolmato la mia mente di scene orribili, che mi suscitavano nel corpo effetti capaci di farmi morire. Inoltre, mi hanno picchiata molto. Esprimetemi il vostro parere in merito, se debbo intraprendere qualche particolare penitenza ... 24 maggio I646

... Il giorno dell'Ascensione, il mio buon angelo si presentò a me. Mi consolò della troppo grande inquietudine in cui mi ero lasciata trascinare dalle tentazioni subite. Mi ha detto: « Sia tua massima che è meglio soffrire la tentazione con umiltà, piuttosto che difendertene con inquietudine. Sappi che la tentazione affrontata con osservanza è più grata a Dio che non i provvedimenti che possono essere presi ». Da allora, mi sento un po' più tranquilla. Non posso conciliare il mio stato d'animo con le sregolatezze che accadono attraverso i miei sensi. Nello stesso tempo in cui sto in presenza di Dio e lui mi fa sentire gli effetti del suo divino amore, succedono, persino durante la comunione, disordini cosl strani nei miei sensi e nella mia mente, che è cosa da spaventarsi. Il giorno della Pentecoste, il mio buon angelo mi disse: « Dovevi applicarti a meditare e a godere dei frutti dello Spirito Santo in un'anima, per disporti a riceverli. Nostro Signore non ama le troppo grandi tenerezze che nutri per te stessa. Impara a superare gli impedimenti. Ne hai ancora molti da affrontare ». Gli diedi questa risposta: « Sapete bene che da sola non posso alcunché, ma mi rimetto a tutto ciò che la divina bontà vorrà». Lui mi disse sorridendo: « Ricorda sempre queste tue parole ... ».

I giugno I646

... Quando il pensiero della morte mi viene in mente, dico a me stessa: « Abbiamo a nostra disposizione un'eternità per godere, mentre disponiamo di poco tempo per soffrire. In questo poco tempo dobbiamo renderci simili a Gesù Cristo ». Ciò che mi affligge nelle tentazioni è il timore di offendere Dio e di non essergli ligia ... ... Inizio a sperimentare qualcosa di ciò che il mio buon angelo mi ha detto, poco dopo la mia elezione. Ossia, che non avrei trovato motivo di gran soddisfazione nell'esercizio della mia carica, perché di continuo vengo ostacolata nei progetti che elaboro per il buon regolamento della nostra casa e ciò anche da parte di persone che sono reputate molto spirituali. Io guido le mie sorelle il più possibile verso il ritiro e l'allontanamento dalle persone secolari e anche da quelle che non possono essere utili alla loro condotta. Si lamentano molto per questo motivo. Se sono costretta a comportarmi così, è perché ho notato che, col pretesto di colloqui spirituali, passavano molto tempo in parlatorio. Sicché i nostri esercizi venivano interrotti e le menti distratte, al punto che le mie sorelle non erano più in grado di fare bene le loro preghiere. Inoltre, in talune sorgeva un desiderio di esibirsi e di farsi conoscere. Comunque, anche se la maggior parte di loro si è sottomessa di buon grado ai miei ordini, ci sono stati mormorii, soprattutto al difuori. Ho disposto, fra l'altro, che non appena scocca l'ora di una delle nostre funzioni, le mie sorelle si ritirino dal parlatorio, a meno che non si tratti di cosa impossibile da rinviare. Quanto alla gente secolare, faccio dire quasi sempre che siamo occupate, visto che vengono a trovarci solo per passare il tempo. Ciò dà motivo di mormorare e si dice che io sia troppo rigida ... ... Conosco una persona che ha sempre nutrito grande devozione per la santa e adorabile umanità di Nostro Signore Gesù Cristo. Nelle sue preghiere, si ritrova spesso a meditare sulle perfezioni dell'anima santa di Nostro Signore. Contempla le sue perfezioni e la sua bellezza e la sua gioia è simile a quella dei beati. Da qualche tempo, quando questa persona è 157

immersa in tali pensieri, viene aggredita contro la sua purezza. La sua immaginazione è preda di una sregolatezza che le rappresenta cose scostumate. Nasce in lei un desiderio poco casto e si sente portata a dire parole ingiuriose a quella santa Umanità. È, questa, una cosa che la tormenta estremamente. Ha fatto tutto ciò che le era possibile per porre rimedio al male. Si è flagellata a lungo e si è rotolata su spine e su carboni ardenti senza alcun sollievo. Alla festa del Santo Sacramento, le fu detto: « Desisti da queste violenze che ti fai. Non sono accompagnate da spirito di obbedienza. Bada a contemplare Dio più che a combattere. La sua grazia deve bastarti. Bisogna soffrire disprezzando e combattere fuggendo ». Questa persona chiese poi a chi le parlava se c'era qualcosa in lei che desse luogo a quei disordini, se poteva rimediarvi e se non era un castigo di Dio. Le fu risposto: « Bada a non trarre soddisfazione da questa domanda e a essere quindi meno umile. In risposta, ti dirò che non hai fornito con alcun gesto occasione a quanto ti succede. La volontà di Dio è che tu sia provata e tentata nelle cose che più ti sono care. Vuole da te una grande fedeltà e una diffidenza nei confronti di te stessa. A qualsiasi altezza tu venga elevata, devi imparare che puoi cadere e diventargli avversa ». Aggiunse: « Dovrai affrontare ancora altre prove. Non è tempo che tu ti lagni ». Questa persona chiese se Dio poteva essere glorificato tramite i disordini che le accadevano, perché le sembrava di non fare bene le sue preghiere. Le è stato risposto: « Dio non viene glorificato con disordini. Ma lo sarà se praticherai le virtù che puoi praticare. Sarà glorificato se trarrai profitto dalla tentazione e se ricorrerai a lui con fiducia». Questa persona chiese allora se doveva astenersi dalla comunione, perché, durante la notte, era stata assalita da cattive visioni che le avevano turbato la mente e sconvolto i sensi, pur avendo fatto il possibile per impedire quella sregolatezza. 158

Le è stato risposto: « Non mutare la tua condotta. Non evitare di comunicarti. Devi, invece, confidarti umilmente col tuo direttore spirituale e seguire punto per punto i suoi consigli, perché in lui c'è la luce di Dio ». Ha risposto: « Non posso comunicargli spesso ciò che mi accade. Ed è, questa, una delle cose che più mi affliggono ». Le è stato risposto: « Il dolore viene dalla fretta che c'è nel tuo carattere». Ciò detto, la voce scomparve. Questa persona nutre grandi desideri di unirsi a Nostro Signore nella comunione. Le sembra che sia tutta la sua vita. Già la sera, anela che giunga il mattino per poter ricevere il Santo Sacramento. Durante la notte, ci pensa spesso e scongiura Nostro Signore di permetterle di comunicarsi. Tuttavia, le cose orribili di cui vi ho qui sopra riferito, si presentano a lei e si fanno sentire vivamente, causandole grande inquietudine. Si sente sempre fortemente attratta da Dio lungo la via dell'amore. I demoni, però, continuano ad aggredirla ogni notte. La battono senza pietà, la gettano giù dal suo letto e la trascinano per la stanza. Da tre settimane dorme sempre vestita, perché hanno voluto farle delle insolenze. Di notte, mentre si flagella, fanno luce nella stanza e le appaiono in posizioni molto indecenti. Questa persona se ne discosta per quanto può e continua a flagellarsi. Certe volte, li attacca. Dice loro parole di disprezzo, che suscitano grande rabbia in quegli spiriti. Ma poi se ne vendicano con bestemmie e ingiurie. Dio le infonde molto coraggio, più di quanto ne avesse normalmente. Certe volte, questa persona dice loro: « Non vi temo affatto». Rimangono anche due ore accanto a lei per inquietarla, durante le sue preghiere notturne. Ma lei non si inquieta, né si lascia distrarre. Anzi, ciò le serve per concentrarsi di più in Dio. Quello che io temo per lei è che, certe volte, le vengono pensieri di compiacimento per le lotte che ha sostenuto e, siccome il suo carattere è portato a questi sentimenti, 159

ha motivo di temere qualche cedimento. La raccomando alle vostre cure. Sono felice del fatto che Dio abbia voluto legare a me questa cara sorella. Il giorno dell'Ottava del Santo Sacramento, il mio angelo apparve. Rinnovò i segni, ascoltò le raccomandazioni che gli rivolgevo per voi e mi disse: « Non dimentico mai di ricordare, con soddisfazione, il tuo direttore spirituale a Dio e di visitarlo spesso. Segui, senza alcun timore, la sua guida e rimanigli legata». Aggiunse: « Non trascurare mai il pensiero di Dio che nutri in fondo al cuore. Conserva la tua mente al disopra di tutto ciò che accade nei tuoi sensi. I disegni dei tuoi nemici sono di farti sprecare tempo altrimenti ». Da allora, la mia mente è rimasta meno inquieta, più sottomessa al dolore e più attenta a Dio ... 27 luglio I646

... Nostro Signore accresce i desideri del suo puro e perfetto amore. Ciò che mi addolora è che non trovo mai l'occasione per dimostrargli che lo amo. La mia anima non fa che sospirare Dio. Dopo la comunione, mi colgono ardori interni cosl forti, che fatico molto a trattenermi. Deploro la miseria di quanti non conoscono la bontà di Dio e non assaporano la sua dolcezza. Si formano, dentro di me, parole che sono come tizzoni ardenti che accendono l'amore divino e che mi fanno languire molto per Dio. Sospiro senza tregua perché sono priva di lui. Ecco le parole che si formano in me: « Sono nel tuo cuore, mi ci compiaccio, avrò cura di te, penserò a te, amo i tuoi languori, lascia che mi occupi di tutto ciò che ti concerne per accrescere cosl la mia gloria ». La mia mente scorge allora visioni delle perfezioni di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo. Ma tutto ciò accade molto velocemente. Mi rimane solo l'idea di ciò che Dio è e della purezza che un'anima sotto la tutela di Dio deve avere per far ritorno alla sua prima origine. Da qualche tempo, trovo molta amarezza nella conversa160

zione con persone del difuori, a qualunque rango appartengano. Se mi mostro tollerante, è solo perché mi ci costringe la mia carica e il pensiero che la volontà di Dio è che non ci rinunci ... .. . Il giorno della festa di santa Maddalena, il mio buon angelo mi disse che apparteneva alla seconda gerarchia, che Dio ve ne aveva dato uno della stessa gerarchia per guidarvi rettamente nelle scienze. Aggiunse: « Non intendo il suo normale angelo custode». Poiché gli raccomandavo le vostre opere, mi disse: « Quel padre è uno strumento in mano di Dio. Deve servirgli a tutto ciò che desidera. La sua Maestà vuol servirsi di lui per il bene di molte persone. Non dimentico mai di raccomandarlo spesso a Dio». Mi esortò a unirmi sempre più a Nostro Signore ... 5 settembre I646

... Più avanzo e più il mio desiderio di appartenere completamente a Dio cresce. Uno di questi giorni, mi fu detto interiormente, dopo la comunione: « Non stare a desiderarmi tanto. Tu già mi possiedi. Godi di me e, sciogliendoti da ogni cosa, mi conserverai in te ». Queste parole mi diedero un'alta idea di un'anima spogliata di tutto. Mi sembrava di sentire in me un desiderio molto sincero di volere solo Dio. Tiene il mio cuore unito alla sua divina presenza, che, da qualche tempo, mi induce a uno stato d'animo molto grave e lontano dalle cose sensibili. Nostro Signore mi dà una certa luce sull'immensità di Dio. Io sono come un piccolo atomo e tutte le creature mi sembrano un nulla. Quando mai godrò pienamente di Dio? Oh! Tutto il resto mi è assai penoso! I miei nemici invisibili mi tormentano ancora molto spesso. Mi picchiano con violenza e, per distrarmi, compiono gesti ridicoli durante le mie preghiere notturne. Non me ne ritrovo molto impressionata. Grazie alla misericordia di Dio, tutto quello che fanno serve solo a farmi stare in guardia. Certe volte, assumono la forma del mio buon angelo. Mi parlano di spiritualità, ma c'è sempre qualcosa che li tradisce. 161

Le visite del mio buon angelo sono state assai frequenti.

Mi appare, talvolta, senza rinnovarmi i segni. Durante il suo ultimo colloquio, mi spinse a dimenticare tutto ciò che non è Dio. Mi disse: « Non pensare troppo a me. Io sono solo il vassallo del Padrone che tu servi ». Aggiunse: « La maggior parte delle persone spirituali errano su questo punto. Devi tenere in maggior considerazione un'ora di preghiera ben trascorsa dinanzi a Dio, che un colloquio con me. Commetti molto spesso un errore di cui ti ho già avvertita: abbandoni Dio per volgerti verso di me. Bada in avvenire e ricordati che Dio è al disopra di tutte le cose. Un'anima che si lega soltanto a lui si protegge facilmente dalla scaltrezza dei demoni ». Gli ho chiesto come dovevo fare per sottrarmi a quella scaltrezza, perché quasi sempre il diavolo coglie il momento delle mie preghiere per presentarsi a me e per parlarmi. Sicché mi sarà difficile non ricadere nello stesso errore. Mi ha risposto: « Non devi volgerti troppo a me, né farmi alcun omaggio. Devi guardare Dio, dal quale io dipendo. Devi ricevere da parte sua quello che ti dico e rendergli i tuoi atti di grazie. Puoi scegliere un altro momento per farmi le tue richieste. Non hai bisogno della mia presenza visibile per farti intendere». Poi, se ne andò. Un'altra volta, che avevo un'amarezza in cuore per una cosa che mi aveva turbata, il mio buon angelo così mi parlò: « Non devi compiacerti in tenerezze con te stessa. Il pensiero che volgi verso quanto ti ha turbata proviene da una vanità interiore. Un'anima umile non si difende mai dentro di sé. Guardati da queste riflessioni, perché rendono la tua anima molle e fragile ». Un'altra volta, mi rimproverò per essermi lasciata trascinare da slanci verso le creature e mi fece vedere la facilità con cui il mio carattere indulge a questi incontri. Poi, siccome mi turbo facilmente quando accadono diverse cose cui bisogna porre rimedio, mi disse in merito: r62

« Non ti aspetti abbastanza aiuto da parte di Dio e ti adagi troppo sulla tua prudenza naturale. Vuoi trarre luce dalla tua stessa mente. Ciò che devi fare in quelle circostanze è chiudere gli occhi dinanzi a tutti gli espedienti che subito ti si presentano e ricorrere a Dio, restando con la mente in sua presenza e aspettandoti da lui la luce ». Io gli ho detto: « Ho uno straordinario bisogno del vostro aiuto per intraprendere la vita che mi consigliatè ». Mi ha risposto: « Non mancherò di aiutarti, se ti sforzerai di essere obbediente. Non ti abbandonerò finché i tuoi errori non saranno volontari e ti impegnerai a correggerti ». Accolse molto benevolmente le raccomandazioni che gli feci, prima di andarsene. Il giorno di sant'Agostino, mi ha detto: « Prepara il tuo cuore a ricevere molte cose che debbo dirti. Mentre ti parlerò, chiedi a Dio la grazia di obbedire per tutta la vita ai suoi santi voleri e di seguire le sue luci. Bada a far sì di non dimenticare mai, né quando scrivi, né quando parli, la presenza di Dio ». Io gli ho detto: « Come può questa presenza non interrompersi mai, m un caso come quello dello scrivere, che richiede l'intera applicazione della mente? ». Mi ha risposto: « In questi casi, devi tener presenti due cose: la prima è di volgere i tuoi pensieri a Dio e la seconda è di ricordare spesso la sua visione. Inoltre, puoi benissimo persuaderti di lavorare sotto gli occhi di Dio e di scrivere sotto la sua mano. Poi, agire secondo la sua visione ». Io gli ho detto: « Vi prego di insegnarmi come posso mantenere il voto che ho fatto di ricercare la maggior gloria di Dio e di tendere alla perfezione, perché accade talvolta che due cose sembrino ugualmente buone ». Mi ha risposto: « Sia tua regola generale non cercare mai di compiacerti in ciò che fai. Quando si tratterà di scegliere fra due azioni,

scegli quella che meno ti soddisfa. Evita quelle mollezze di spirito che ti producono il contatto con la gente. Cosa potrai temere, se riuscirai a volere solo Dio e se cercherai soltanto di piacergli? Non abbandonare quello spirito di penitenza interiore ed esteriore finché ti sarà possibile. Pensa sempre ai travagli di Gesù Cristo, che deve essere il modello delle tue azioni, sia quando si levò verso Dio suo Padre, sia quando agl in terra con le sue creature. Devi pensare il più spesso possibile che chi si familiarizza con la tua anima in un eccesso di bontà è il tuo Dio, che può ridurti in nulla. È da questo che potrai intendere cos'è la sua Maestà. Quando dipenderà dalla tua scelta, guardalo piuttosto nella sua grandezza, per adorarlo in rispettoso silenzio, piuttosto che osar rivolgergli la parola. Ci sono molte persone che, osando parlargli, dimentiche della miseria della loro condizione, e volendo familiarizzarsi con Dio, sono incorse nel peccato di presunzione e hanno costretto la sua Maestà ad abbandonarle. È per questo che devi stare attenta». L'ho pregato di dirmi a quale rimedio debbo ricorrere per preservarmi da una simile sventura. Ecco la sua risposta: « Non desiderando mai cose straordinarie. Quando la sua Maestà te le elargirà, pensa alla tua piccolezza e non presumere mai di essere abbastanza pura. Segui le luci di un saggio direttore spirituale, piuttosto che le tue». Gli ho chiesto: « Se il mio direttore mi dice qualcosa di contrario a ciò che mi dite voi, a chi debbo obbedire? ». Mi ha risposto: « Al tuo direttore, perché potresti essere ingannata da qualche forma angelica. Ma non potrai esserlo se obbedirai umilmente e sinceramente. È questa la via che Dio ha tracciato. Impara ad assaporare Dio con l'amarezza nel cuore e a rendere spesso omaggio alla sua giustizia, durante le tue sofferenze, i tuoi dolori e le tue spossatezze. Poche persone riflettono sugli effetti della giustizia divina in se stesse e non traggono profitto dalle sofferenze in cui si ritrovano. Per questo la loro purgazione non progredisce. Se tu potessi penetrare l'ardente amore che Gesù Cristo nutre per la sua creatura inginocchiata dinanzi al Santo Sacramento, il tuo cuore sarebbe colmo di

grande amore, di ammirazione e di riconoscenza per le misericordie che fa all'anima che le riceve » ...'19 ... Il 6 novembre 1660, fra le tre e le quattro del mattino, mi sono sentita fortemente spinta a chiedere a Dio di concedere misericordia alla mia buona sorella dell'Incarnazione e, qualora non stesse ancora godendo della sua gloria, di accordargliela, in virtù dei meriti di Gesù Cristo, suo figlio, e per intercessione della Santa Vergine. Ciò che mi ha indotta a fare questa richiesta è che, per tutta la notte, ho avuto la mente colma del pensiero di questa buona sorella. Da quando è morta, mi è accaduto spesso e, pur volendo credere che godesse di Dio, avevo grandi apprensioni in merito, quando pensavo a lei. Mi sono infine sentita spinta a chiedere a Nostro Signore che mi rendesse note le condizioni di questa buona madre. Di Il a poco, costei si è presentata a me in maniera dolcissima e con un viso che sembrava più umiliato che sofferente, sebbene vedessi che soffriva molto. Non appena l'ebbi scorta accanto a me, fui colta da una grande paura, ma, poiché non c'era in lei cosa alcuna che potesse suscitar paura, mi sono ben presto sentita rassicurata. Mi sono fatta il segno della croce e ho chiesto a Nostro Signore di non permettere che venissi ingannata in quell'incontro. Mi sono raccomandata al mio santo angelo custode e, poi, ho pregato quella sorella di dirmi cosa le accadeva e se noi potevamo renderle qualche servigio. Ecco la sua risposta: « Soddisfo la giustizia divina in purgatorio ». L'ho pregata di dirmi cosa la tratteneva in quel luogo, ammesso che Dio lo volesse e che fosse per nostra istruzione. Lei fece un profondo sospiro e poi mi ha detto: 29 Tenninano qui le lettere di suor Jeanne des Anges al suo direttore spirituale, padre Saint-Jure, riportate nel manoscritto di Tours e pubblicate nel volume a cura di G. Legué e G. de la Tourette. Le ultime testimonianze che seguono sono probabilmente appunti annotati da suor Jeanne des Anges durante gli ultimi anni della sua vita. Con quale funzione, l'anonima voce del manoscritto di Tours non Io spiega. Sembra, comunque, probabile che la monaca abbia continuato a lasciar traccia delle sue visioni con !',intento - più o meno consapevole - che i suoi scritti venissero un giorno pubblicati.

« È a causa di molte negligenze nei confronti delle comuni obbedienze della religione, di una facilità a imitare i sentimenti imperfetti delle mie sorelle e, soprattutto, della mia abitudine a tenere per me piccole cose personali, disponendone secondo il mio bisogno o secondo il mio umore ». Le ho replicato: « Eppure ne avevate il permesso! ». Mi ha risposto: « Sl, il più delle volte. Oppure supponevo che tale fosse la volontà dei superiori, ma tutto ciò non ha peso davanti a Dio. Il voto di povertà e l'obbligo alla perfezione religiosa richiedono ben altra esattezza. Dio vede le cose con un occhio diverso dal nostro e bisogna soffrire molto per espiare queste debolezze e queste codarde soddisfazioni. Merito maggiore è vincerle da vivi e seguire con fermezza le luci della grazia divina ». Io l'ho pregata di dirmi in cosa la nostra comunità e io potevamo porre rimedio a quel male. Mi ha risposto: « Vedo in genere molti difetti di sottomissione di spirito, di raccoglimento interiore, di poco soccorso verso il prossimo e di poca subordinazione all'obbedienza. Io stessa, da viva, ho commesso molte di queste colpe. Voi, cara sorella, guardatevi dal non lasciarvi indurre facilmente e naturalmente a prendere sollievo da tutti i piccoli cedimenti dei sensi. Dovete sforzarvi per distruggere nella comunità tutte le superbie per il rango natale, imporre uno spirito di semplicità e di docilità. Vi raccomando quelle che mi appartengono e che si discostano spesso dalle vie di Dio ». Le ho chiesto se potevamo renderle qualche servigio. Lei mi ha risposto: « Desidero ardentemente vedere e possedere Dio, ma sono contenta di soddisfare la sua divina giustizia finché gli garberà ». Le ho chiesto se le sue pene erano grandi. Mi ha risposto: « Sono inimmaginabili per chi non le prova ». L'ho pregata di farci da avvocata presso Dio e l'ho salutata da parte di una certa persona, raccomandandola alla sua carità. Mi ha risposto: « È un'anima devota a Dio. Ditele che preghi per me e anche voi pregate per la mia liberazione ».

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Mentre diceva queste ultime parole, la buona sorella ha avvicinato il viso al mio, come per congedarsi da me. Mi è sembrato che un tizzone ardente mi bruciasse, sebbene non mi avesse toccata. Poi, avendo il mio braccio sfiorato un po' la sua mano, me lo sono ritrovato bruciato e ne ho avuto molto dolore. Nello stesso tempo, la sorella è scomparsa. Lo stesso giorno, vidi il mio santo angelo. Gli chiesi se la visione che avevo avuto al mattino era autentica e se si era proprio trattato dell'anima della sorella dell'Incarnazione. Mi ha risposto: « Tutte queste numerose grazie Dio te le concede perché tu intenda che le colpe sono maggiori di quanto si creda. Quell'anima era di buona volontà. La sua purgazione sarà presto finita. Approfitta dell'occasione ». Il giorno di sant'Andrea, durante la notte, quella cara anima si mostrò a me. Mi fece capire che trascorreva gran parte del suo purgatorio fra di noi, che sperava di andar a godere di Dio nel giorno dell'Immacolata Concezione della Santa Vergine e che il suo purgatorio sarebbe stato più lungo senza l'intervento di quella Madre di misericordia e del glorioso san Giuseppe. Inoltre, mi disse che la maggior parte delle anime religiose erano molto in debito nei confronti di Dio nell'altra vita, perché non si erano rettamente applicate alle consuete azioni della religione. Disse che gran parte delle azioni che compiamo in vita si trasformano in una codarda abitudine che non ha scuse dinanzi a Dio. Inoltre, mi disse: « Molto spesso si trascura di penetrare nelle autentiche luci di grazia, per evitare gli impedimenti del corpo. Ogni singola anima non è priva di luce per distinguere in sé i disegni di Dio. Ma, poiché gli impedimenti del corpo e della mente si oppongono, ci sono poche anime che rispondono ai voleri di Dio. Ecco uno dei principali motivi per cui anime di monache finiscono in purgatorio ». Le ho chiesto cosa l'anima soffre in purgatorio. Mi ha risposto: « Sente in sé un desiderio ardente, come un fuoco divorante, che la induce a unirsi a Dio. Ma si vede legata e impedita da mille piccoli filamenti che glielo impediscono, men-

tre quel forte fuoco si consuma a poco a poco, molto lentamente. Il suo intelletto conosce i mezzi di salvezza che le sono stati concessi, perché sta per spezzare quei filamenti, e i rimproveri del suo cuore le manifestano che ha codardamente abbandonato la retta via per seguire quella della natura e dei sensi che l'hanno portata alla condanna. Vede il comportamento di Dio e i disegni che la sua Maestà aveva nutrito per lei, ma vede pure la sua scarsa corrispondenza. Tutto ciò la torme11ta, vedendo con chiarezza la bontà di Dio nei suoi confronti ». 1'8 dicembre 1660, fra le cinque e le sei della sera, la mia buona sorella dell'Incarnazione si è mostrata a me, chiara e luminosa. Avvicinatasi, mi ha detto: « La bontà di Dio mi permette di dirvi che sto andando a godere di lui. Addio, cara sorella. Adoperatevi per l'eternità cui aspirate e comunicate agli uomini che quanto non viene fatto, detto o sofferto per Dio serve solo da tormento nell'altro mondo. Ci sono molte anime che si ingannano nelle loro pratiche di pietà ». L'ho pregata di farci da avvocata dinanzi a Dio. Mi ha assicurato che l'avrebbe fatto e che avrebbe pregato per noi. Con bontà e con dolce attenzione ha ascoltato le mie richieste, senza dirmi altro. Si è poi avvicinata alla finestra della grata che dà sul Santo Sacramento. Ha fatto una profonda genuflessione e una grande riverenza al Santo Sacramento e alla santa unzione di san Giuseppe. Dopodiché il mio santo angelo, che stava con lei, l'ha presa per mano e si sono sollevati in alto. Tutto è scomparso dalla mia vista. Mi sono ritrovata colma di gioia per la gloria di cui godeva la cara sorella. Un dolcissimo e gradevolissimo odore è rimasto nella nostra stanza e sulla mia mano, che non ne aveva mai esalato durante il rinnovarsi dei segni. La vigilia della Pentecoste, il mio santo angelo si presentò a me, accompagnato dall'anima della mia cara sorella del Calvario, ricolma di grande gioia. Costei mi ha detto: « Nostro Signore mi ha permesso di esaudire il mio desiderio e la promessa che vi avevo fatto, in vita, di venirvi a visitare dopo la mia morte». La ringraziai per quel favore. Mi disse: 168

« Vi ringrazio, mia buona e carissima madre, per esservi presa cura di me. Avete contribuito molto alla gloria che ora posseggo. Vi prego di badare a mia sorella e di dirle che, se conoscesse la gioia e la gloria che Dio concede a un'anima che completamente si abbandona a lui, non potrebbe vivere un solo momento senza aver donato se stessa. Si guardi dal non essere ligia a sua Maestà in virtù della grazia della sua vocazione ». Io le chiesi se voleva che facessi chiamare quella sorella, affinché venisse a vederla. Lei mi rispose che questo non le era stato ordinato da Dio. Le chiesi quali erano le virtù che più avevano contribuito alla gloria che possedeva. Mi rispose che erano la purezza e l'innocenza di vita, insieme all'intera consacrazione di se stessa che aveva fatto a Dio. La pregai di darmi notizie della sorella Anna di Sant'Agostino e lei mi rispose che, questo, Dio non gliel'aveva ordinato. Il mio santo angelo prese allora la parola, e mi disse che quella sorella non aveva ancora finito di soddisfare la giustizia di Dio e che aveva bisogno delle nostre preghiere. Poi, tutto scomparve. Dimenticavo di dire che la mia cara sorella mi aveva assicurato di far da mia avvocata in cielo e di pregare molto Dio per me. Il giorno della festa del Santo Sacramento, chiesi al mio santo angelo cosa significava il rumore che era stato udito in una camera e la visione che aveva avuto la mia sorella di Laubardemont.30 Mi rispose: « Non affliggerti. È cosa finita lì, una penitenza che quella monaca ha portato a termine. Continua a pregare Dio per lei». Gli ho chiesto perché si fosse mostrata a quella giovane e se aveva qualcosa da dirle. Mi disse: « Se l'avesse interrogata, avrebbe avuto risposta e sarebbe stata esortata a offrirsi a Dio senza reticenze, perché trascura troppo le grazie e gli impulsi di Dio. Nostro Signore non permetterà che abbia tregua dentro di lei, finché non avrà eseguito i voleri che le sono ben noti ». 30 La monaca di cui qui si tratta era l'unica discendente sopravvissuta di Jean Martin de Laubardemont. Aveva preso il velo presso il convento delle Orsoline di Loudun dopo la morte del padre, occorsa a Parigi il 22 maggio 1653.

Gli ho chiesto se la sorella Sant'Agostino era ancora m purgatorio e lui mi ha risposto: « Non è necessario che tu lo sappia ». Gli ho chiesto a qual punto si trovava quella mia sorella morta da poco. Mi ha risposto: « Assistila con le tue preghiere per quanto potrai. È molto debitrice nei confronti della giustizia divina. La maggior parte delle anime che parlano di perfezione si svagano poi fra cose inutili e non si adoperano a purificarsi da molte imperfezioni cui potrebbero porre rimedio già in vita. A privarle a lungo della vista di Dio è proprio questo, perché bisogna purificarsi di tutto prima di godere di lui. Occupa con saggezza il tuo tempo ». Lunedì 8 maggio 1661, il mio santo angelo rinnovò i segni che porto. Gli chiesi notizie della mia cara sorella del Calvario. Mi rispose: « Possiede una gloriosa eternità. È stata sciolta dalle pene del purgatorio sabato, alle sei del mattino. Manterrà la promessa che ti ha fatto » ...31

31 Suor Jeanne des Anges sarebbe morta nel gennaio del 1665, all'età di sessant'anni. I segni sulla mano le erano stati rinnovati dal suo buon angelo nel 1662 per l'ultima volta. Allo scorcio della sua vita, la monaca di Loudun aveva ripreso con gioia la corrispondenza con padre Surin, a partire dai primi mesi del 1658, quando il gesuita si era ristabilito dopo una lunga vicenda di malattia e di angoscia. Dopo il ritorno da Annecy, se aveva recuperato la capacità di parlare, padre Surin era stato colto da una sorta di paralisi che gli impediva ogni gesto. Dal 1638 al 1657, non era più riuscito a leggere né a scrivere, sempre in preda al terrore di essere dannato per l'eternità. La situazione era precipitata il 17 maggio 1645, a Saint-Macaire, nei pressi di Bordeaux: dopo una notte trascorsa in bdia al desiderio di uccidersi, padre Surin si era buttato da una finestra del convento fratturandosi un femore. Negli anni successivi, l'ossessione del suicidio non aveva cessato di tormentarlo, al punto da dover vivere sorvegliato da un inserviente o legato sul letto. La ripresa era lentamente iniziata nel 1651, quando si era accinto a scrivere il suo Catéchisme spirituel, portato a termine nel 1655. Ma era stata soprattutto la corrispondenza con suor Jeanne des Anges a sottrarlo alla lunga, buia notte durata quasi vent'anni. Aveva ricominciato a dirigere la vita spirituale della monaca, esortandola sd addentrarsi sempre più lungo la via della santità mediante la pratica quotidiana dell'umiltà e della rinuncia. Quando nel gennaio del 1665 apprende la notizia della morte di suor Jeanne des Anges, padre Surin scrive: « Non potrò più comunicare con nessuno cOITie con lei». Sarebbe morto di lì a pochi mesi, nella primavera del 1665.

Poteri del nome di

Angelo Morino

« Dieci anni dopo i fatti Louis Coulon, autore di una delle prime guide" turistiche", descrivendo la città di Loudun dedica all'affare le seguenti poche righe: " La storia delle Orsoline di « Loudun, alla cui possessione hanno creduto le persone più sagge « [ ... ] è talmente conosciuta in tutte le province che non occorre « parlarne ". Nessuno dei drammi suscitati dalla stregoneria con« ventuale ha provocato tanti commenti quanto Loudun: " storie « della possessione", manoscritte o a stampa; opuscoli pro o con« tro, provenienti da protestanti, " libertini " o monaci che hanno « preso parte agli esorcismi (le biblioteche provinciali e parigine li « conservano quasi tutti). Intorno alla fine del secolo xx l'erudi« zione medica, venata di anticlericalismo, si è tuffata in questi « manoscritti, ricavandone a sua volta dotti studi e documenti « inediti. Più tardi l'abate Brémond consacra tre impegnati capi« toli della sua opera a padre Surin e alla sua difficile penitente. « E ancora ultimamente la pubblicazione della corrispondenza del « gesuita che per tanto tempo fu il direttore spirituale della ma« dre superiora delle Orsoline ha introdotto in questa oscura vi« cenda un' "angolatura " nuova » (Robert Mandrou, Magistrats et sorcières en France au XVII siècle). Testimonianze, esplorazioni, indagini hanno ormai posto Loudun al centro di un affare complesso, denso di implicanze. Agli inizi, c'è un intrigo fatto di rancori, rivalità e basse violenze, e, sullo sfondo, una città ai bordi dei grandi nuclei urbani familiari alle pagine della storia. Proprio qui - fra mura che, all'epoca, rinchiudevano i conflitti di una popolazione di quattordicimila abitanti in buona parte ugonotti -, esplode una vicenda destinata per più versi a divenire esemplare. Riassumendo e semplificando, gli eventi si susseguono sul filo di tre fasi: nel 1632 suor Jeanne des Anges, madre superiora del

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convento delle Orsoline della città, accusa il curato Urbain Grandier di averla indemoniata; iniziano gli esorcismi che saranno condotti a termine nel 1637 dal gesuita Jean-Joseph Surin; nel 1634 Urbain Grandier viene riconosciuto colpevole di stregoneria e condannato al rogo. C'è subito da notare che, per quanto fitto di caratteri e di caratteristiche peculiari, l'intreccio segue un andamento comune ad altre situazioni del tempo. Nel 1609, nel convento delle Orsoline di Aix-en-Provence, Madeleine Demandols de la Palud denuncia il suo direttore spirituale, Louis Gaufridy, di essere artefice dell'invasamento demoniaco di cui è preda; gli esorcismi vengono guidati per tutto l'autunno del 1610 dal domenicano Sébastien Michaelis; Louis Gaufridy viene arso vivo nel 16rr ... Trentaquattro anni dopo la possessione di Aix-en-Provence e undici dopo quella di Loudun: nel 1643, questa volta in Normandia, a Louviers, nel convento delle Ospitaliere di san Luigi e di sant'Elisabetta, Madeleine Bavent accusa il defunto curato Mathurin Picard di averla legata al demonio; gli esorcismi prendono laboriosamente l'avvio e, nel 1644, al nome di Picard si aggiunge quello del vicario Thomas Boullé; nello stesso anno, i due accusati vengono fatti salire sul rogo, l'uno cadavere e l'altro vivo ... A questi casi più noti, è poi facile ricongiungere la possessione di Elisabeth de Ranfaing a Nancy, dal 1618 al 1625, e quella delle otto giovani di Chinon, dal 1634 al 1640 ... Nella similitudine delle vicende, effetti di numerosi fermenti sono stati rintracciati e messi a fuoco. Citeremo, a mo' di esempio, la volontà politica di utilizzare le presenze diaboliche a fini di propaganda contro gli ugonotti, in un momento in cui, malgrado le garanzie dell'editto di Nantes, la libertà di religione era sempre meno gradita allo stato francese. Ma - al di là dei fermenti che determinano i processi della storia - a Aix-en-Provence, a Loudun, a Louviers hanno pure agito quei desideri bui dell'individuo che spesso faticano a lasciare traccia, che tendono a smarrirsi fra le opacità dei nomi minori, che suggeriscono un lavoro di costruzione facilmente corroso dal trascorrere del tempo ... È di uno di questi desideri che, adesso, qui, ci occuperemo: di uno di quelli che, pur essendo rimasti come impigliati tra le righe dell'affare di Loudun, ne hanno comunque assecondato l'accesso nella storia. Adesso, qui, presteremo orecchio alla testimonianza che, dell'affare di Loudun, ci ha lasciato suor Jeanne des Anges. Diremo subito che più difficile sa174

rebbe comportarsi analogamente con Madeleine Demandols de la Palud, quanto a Aix-en-Provence, o con Madeleine Bavent, quanto a Louviers, malgrado il ruolo comune svolto dai loro nomi e da quello di suor Jeanne des Anges. E, questo, perché Madeleine Demandols de la Palud e Madeleine Bavent non sono riuscite a emergere e a dominare la scena, se non per il breve spazio del loro vivere. Diversamente sono andate le cose a Loudun, dove suor Jeanne des Anges ha ,aggiunto alla durata del suo vivere quella di un suo scrivere. È il motivo per cui, dalla parte di suor Jeanne des Anges, ci tocca un più di desiderio che corrisponde al suo più di nome, quando per nome si intenda la cifra del desiderio che ha distinto e modellato una vita. « Il rifiuto cristiano di ammettere le donne al sacerdozio può ben essere alla radice del fatto che fin dai tempi dei Montanisti le pretese possessioni benefiche sono assai più numerose tra le donne che tra gli uomini. Poiché nella Francia del secolo XVII questo genere di pretesa - se dichiarata pubblicamente - era ormai fonte di gravi sospetti, uno dei modi migliori per una donna di conseguire la santità pubblica, influente e ascoltata, « consisteva nella possessione benefica mascherata da possessione « diabolica, o quantomeno nella combinazione di entrambe. Le in« demoniate francesi degli anni posteriori manifestano quasi tutte « energiche pretese a una santità attiva e pubblica. Ciò è vero di « quelle cui ho già accennato nei loro rapporti con la stregoneria: « Marie de Sains, Elisabeth de Ranfaing, Jeanne des Anges, e « altri esempi si verificarono fino agli ultimi anni del secolo » (Daniel Pickering Walker, Unclean Spirits. Possession and exorcism in France and England). Nel 1644, a sette anni dal termine del travaglio diabolico, in apertura alla storia della sua possessione, suor Jeanne des Anges dichiara che la superiora generale delle Orsoline le ha ingiunto di redigere un resoconto della sua esperienza. In realtà, sembra sia stata suor Jeanne des Anges stessa ad adoperarsi con padre Saint-Jure, all'epoca suo direttore spirituale, affinché le fosse permesso di mettere per scritto quel resoconto. L'ipotesi è verosimile: quella che ci viene data a leggere non è una testimonianza esemplare, contrita e sottomessa. È la storia di un desiderio caparbio che inizia a dipanarsi, a organizzarsi in uno scritto, a modellare un simulacro, una maschera, la compo-

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sizione in raccolto sembiante di un viso smarrito, incapace di fissarsi nelle linee dell'identità. Ed è cosl, sopraffatta da quest'immagine di smarrimento, che ci figureremo suor Jeanne des Anges negli anni in cui - anziché scrivere - si piegava pubblicamente ai gesti e alle parole degli esorcisti. Anche se, in quegli stessi anni, deve esserci stato l'intuito che un giorno sarebbe venuto il momento di scriversi nelle chiare lettere di un nome. Come se, in qualche modo, il ruolo di strumento degli uomini e dei diavoli fosse stato accettato con calcolata docilità, in attesa dell'ora in cui - scrivendone quello stesso ruolo si sarebbe fatto strumento per imporsi su uomini e su diavoli. Nel desiderio di suor Jeanne des Anges, l'invasamento è fase attraverso cui emergere dal buio alla luce nella gloria della santità. Invasamento benefico, quindi, a differenza di quello delle streghe, perché fenomeno che intende dimostrare la dirittura eccezionale di chi sa corrispondere all'amore di Dio accettando di cadere fra le insidie di Satana, capace di soffrirle e di vincerle. « Ci sono, da un lato, gli individui mosaici, senza consistenza, "illeggibili ", e, dall'altro, gli individui unitari, eccezionali, i « quali riescono a risalire all'idea fondatrice e a concretizzare la « coincidenza con se stessi. Solo questi individui vivono conformi « alla loro identità, alla loro base, alla loro particolarità, alla loro « idea-forza, cosl come al loro nome proprio: idem e totem [ ... ] « Il nome segna il tipo dell'individualità, sigilla la corrispondenza « della persona al suo principio, l'esclusività del loro contratto: il « nome è proprietà dell'Unico, ne esprime e costituisce la conso« nanza e l'armonia» (Charles Grivel, L'histoire dans le visage). Nel racconto di suor Jeanne des Anges si leggono, soprattutto, una coerenza nei confronti del nome e un desiderio che ha saputo sottrarsi alla deriva dello smarrimento ... Non è casuale che, sui suoi inizi, prima dell'entrata nel convento di Poitiers e poi in quello di Loudun, la monaca si mostri sbrigativa, che bruci in una frase i ventidue anni vissuti sotto altro nome: « Ho trascorso i primi anni della mia giovinezza in condizioni assai normali, secondo l'uso delle giovani del mio rango». Nulla ci viene raccontato di Jeanne de Belcier: nulla ci viene raccontato prima che sia assunto il nome cui va avvinto il desiderio. Per ricercare su Jeanne de Belcier - figlia del barone di Cozes, fanciulla dal corpo defor«

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me e dal viso di sconvolta bellezza, dalla mente già fervida di visioni dell'aldilà -, bisogna volgersi altrove. Bisogna, per esempio, consultare la Vie de la vénérable Mère Jeanne des Anges... , recueillie de ses propres écrits, et des mémoires des Révérends pères Surin et Saint-]ure, jésuites, et de ceux de nostre vénérable soeur du Houx che, verso la fine del secolo, le Visitandine di Rennes compilarono in un ricamo di meraviglie attonite e diligenti notizie. Ma, per noi come per lei, suor Jeanne des Anges nascerà nel convento delle Orsoline di Poitiers, 1'8 settembre 1623: creatura votata agli angeli, giovane donna sovrastata da una cifra azzurra, fitta di voli e di messaggi dal cielo alla terra e dalla terra al cielo. Perché, subito, in quel nome, c'è qualcosa che assomiglia alla forza di una predestinazione: il desiderio di legarsi agli angeli. Ma, più a fondo, c'è anche la fatica di reggere il desiderio degli angeli, perché gli angeli possiedono un doppio al negativo, forte di più immediati richiami e di più facili lusinghe. Scacciati dalla mano di Dio, precipitati dalle vette dei cieli fin negli abissi della terra, Asmodeo Leviatano, Isacaronne, Behemot, Balaam, Gresil e Aman saranno gli artefici dello smarrimento di suor Jeanne des Anges. Si aggiungeranno al suo nome sostituendone gli angeli e orientando il desiderio fra le tenebre della notte scura. « Il curato Urbain Grandier non aveva motivi, né professionali né personali, di visitare il convento. Non era direttore spirituale delle monache, non aveva parenti fra le educande. Le incombenze e i doveri parrocchiali non gli lasciavano tempo per chiacchiere futili o per i discorsi sulla perfezione, e le sue amanti non gli lasciavano voglia di imbarcarsi per nuove e azzardate avventure. I mesi si susseguirono, poi gli anni e suor Jeanne « des Anges non aveva ancora trovato occasione di esibirgli i suoi « occhi tanto belli. Per lei Grandier era rimasto solo un nome, « ma un nome potente, un nome che evocava inconfessabili fanta« sie, spiriti familiari e vergognosi, un demone di curiosità, un « incubo di concupiscenza» (Aldous Huxley, The Devils of Loudun). Smarrito, il desiderio di suor Jeanne des Anges non esita a versarsi sul nome di Urbain Grandier, imprimendovi marchi di tortura e di fuoco. Dietro questo nome, c'è un personaggio che la monaca non ha mai visto né mai vedrà: un uomo colto e intelligente, giovane e vigoroso, in lotta con i suoi concittadini di stam« « « « « «

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po conservatore, noto a Loudun per le frequenti avventure femminili malgrado l'abito sacerdotale ... Riferendo la storia della sua possessione, suor Jeanne des Anges riduce il personaggio di Urbain Grandier in un nome su cui, oscuramente, il suo desiderio si è riposto. Presa dallo scrivere, intenta a costruire la sua aureola di santità, non scende nei dettagli dello smarrimento, preferisce non ricordare troppo i travagli miseri, quando i diavoli si sono sostituiti agli angeli. O meglio, quei travagli, li ricorda non più come effetti di Urbain Grandier, ma come effetti di Satana. Mentre scrive e si costruisce secondo il desiderio del nome, suor Jeanne des Anges ha bisogno di raffronti più che umani: « Dopo questo periodo, Nostro Signore permise che alla nostra comunità venisse fatto un malefizio da parte di un sacerdote che si chiamava Urbain Grandier, curato della principale parrocchia della città. Quel miserabile fece un patto col diavolo per farci dannare e trasformarci in donne di mala vita. Inviò, infatti, i demoni nel corpo di otto monache di questa casa perché le possedessero. La storia è interamente registrata nei processi verbali che sono stati compilati». Fra i materiali oui suor Jeanne des Anges rinvia, abbondano le accuse virulente, le descrizioni di notti popolate dall'orrore e dal tormento. Ma quei materiali conservano pure ricordo di un episodio fra i più inquietanti, occorso poco prima della condanna e della morte sul rogo del presunto stregone: « Il giorno dopo che ebbe testimoniato [contro Grandier], mentre il signor di Laubardemont raccoglieva la deposizione della vicesuperiora, [suor Jeanne des Anges] si spogliò fino a rimanere in camicia, a testa nuda, con una corda intorno al collo e un cero in mano, e rimase così per due ore nel cortile del convento, sotto una pioggia scrosciante. Quando, poi, la porta del parlatorio fu aperta, si precipitò innanzi e cadde in ginocchio davanti al signor di Laubardemont, dicendogli che era venuta a fare ammenda della colpa commessa per avere accusato l'innocente Grandier. Quindi, dopo essersi ritirata, attaccò la corda a un albero del giardino e si sarebbe impiccata, se non fossero accorse le altre monache». Per i giudici, l'episodio fu considerato frutto di ulteriori istigazioni dei diavoli, che miravano a salvare in Urbain Grandier un loro alleato e a gettare subdolamente nel dubbio gli uomini di Dio. Ma, per noi, chi è questa donna con una corda al collo e un cero in mano, fradicia di pioggia, lacerata dalla colpa? Di questa donna non ri-

mane traccia nel racconto di suor Jeanne des Anges: è la donna senza nome, incapace di uscire dallo smarrimento del desiderio, debole di identità. È la donna che suor Jeanne des Anges ha dowto dimenticare di essere stata per poter scrivere sotto ali dai colori di luce vivida e dall'aroma di santità. « Si tratta di doppiezza o di malafede? Non è così semplice. « Jeanne avrà sempre il desiderio più sincero, quasi patetico, di « " mutare " riuscendo a " mutare luogo ". In seguito, muterà « personaggio; sarà la nuova Teresa d'Avila dopo essere stata la « nuova Madeleine Demandols, la " mistica " dopo essere stata « la "posseduta"; abbandonerà una maschera per un'altra. Be« neficiaria del ruolo che le ispirano le circostanze e che non la « trae mai completamente in inganno, fragile e come costretta a « difendersi con piccoli mezzi [ ... ] , mai identica ai suoi personag« gi neppure quando le assicurano una rivincita o un trionfo su « una cerchia più forte di lei, aspira a diventare vera, ma imma« gina una simile conversione come un altro luogo o un altro epi« sodio che sostituisca il precedente: e, ancora una volta, sarà un « viso estraneo a lei, modellato per gli altri e dagli altri » (Miche!

de Certeau, La Possession de Loudun). Fin dalle prime pagine del suo racconto, suor Jeanne des Anges si descrive sotto spoglie indegne: « Ho quindi trascorso quei tre anni in grande libertinaggio, senza applicarmi mai in presenza di Dio. Non c'era tempo che io trovassi lungo quanto quello che la Regola ci prescrive di passare in preghiera. Allorché trovavo un pretesto per sottrarmi a questo obbligo, ne approfittavo con entusiasmo, e non me ne sentivo affatto colpevole». Non prenderemo troppo sul serio queste denigrazioni di sé: assomigliano troppo a passaggi canonici della scrittura mistica e, in particolare, a quelli con cui Teresa d'Avila inframmezza il racconto della sua Vida. Di più: viene da pensare che Teresa d'Avila sia stata il nome sul cui modello il desiderio di suor Jeanne des Anges ha tentato di regolarsi dopo lo smarrimento. Un raffronto tra la Vida di Teresa - apparsa in francese nel 1601 e subito divulgata negli ambienti monastici - e l'abbozzo di vita redatto da suor Jeanne metterebbe in luce, al di là dei moduli stilistici ripresi da un testo all'altro, l'impulso di imitazione che ha agito da un nome all'altro. Suor Jeanne des Anges parla dei libri con cui si intratteneva nell'ozio inquieto delle ore conventuali: 179

« Mi dedicavo alla lettura di ogni sorta di libri, ma non col desiderio di perfezionare la mia anima. Era solo per potermi esibire come una giovane dotata di spirito e di conversazione brillante e divenir capace cli superare le altre in qualsiasi compagnia». Non è affatto inverosimile pensare che, fra quei libri, ci sia stata la Vida, anche se il titolo non compare mai nella trama dello scrivere. Comunque, in suor Jeanne des Anges possiamo scorgere solo una pallida duplicazione cli Teresa d'Avila: il desiderio dell'una raffrontato a quello dell'altra impedisce la coincidenza dei nomi. Nel vivere come nello scrivere, Teresa d'Avila passa attraverso spazi di luce fulgida, sempre sorda a richiami devianti. Suor Jeanne des Anges, invece, si perde nelle zone angosciose del buio, sempre sensibile a stimoli ambigui, poco curante della disciplina che il cammino di perfezione esige da chi vi ambisce. Inoltre, se scrivendo il desiderio di suor J eanne des Anges si muove sulla traccia di quello di Teresa d'Avila, vivendo si è smarrito nella suggestione di un altro modello. Piace immaginare che, fra le mani della monaca di Loudun, oltre alla Vida, sia passato anche il pingue tomo di Sébastien Michaelis, l'esorcista di Madeleine Demandols de la Palud - l'orsolina indemoniata di Aix-en-Provence -, apparso a chiusura di quel caso: l'Histoire admirable de la possession et conversion d'une pénitente, séduite par un magicien, la faisant sorcière et princesse au pays de Provence, conduite à la Ste Baume pour y estre exorcizée l'an r6ro au mois de Novembre soubs l'authorité du R. P. F. Sébastien Michaelis, prieur du couvent Royal de Ste Magdeleine à St. Maximin (1614). L'affare di Aix-en-Provence aveva inaugurato la serie delle possessioni conventuali e, in breve tempo, aveva fatto discutere la Francia intera. La similitudine di questo caso con quelli posteriori, di Loudun e di Louviers, può anche essere stata determinata da un impulso di imitazione contagiato da una protagonista all'altra. Il viso composto che suor Jeanne des Anges si costruisce è quello di Teresa d'Avila, ma il viso smarrito e stravolto dei giorni del suo invasamento assomiglia a quello di Madeleine Demandols de la Palud.

« Jeanne des Anges è rappresentata con una stola attorno al « collo, in estasi davanti a padre Surin che la esorcizza. Il duca « d'Orléans, la duchessa sua consorte, il cappuccino Tranquille e « il carmelitano Thomas figurano come spettatori della cerimonia. 180

C'è un'apparizione di san Giuseppe, circondato da luci di gloria e da un gruppo di serafini e di cherubini. Questo santo sta sulla scena con tre saette in mano, per virtù delle quali un'infinita « folla di diavoli e di diavoletti fugge via dalle labbra della mo« naca. Sullo sfondo del quadro c'è una larga e fìtta grata, attra« verso cui molte persone guardano la cerimonia » (Dumoustier de Lafond, Essais sur l'histoire de la ville de Loudun). Cosl com'è riuscita a ottenere il permesso di scrivere la storia della sua possessione, per due volte - nel 1638 e nel 1654 - suor Jeanne des Anges acconsente a farsi ritrarre con pennello agiografico. Qualcosa è accaduto: il desiderio, sottratto ai diavoli, si è volto all'ombra degli angeli e il nome ha acquisito definitivo carattere. A partire dal 1638 - dal primo consenso a lasciarsi ritrarre - e poi, soprattutto, dal 1644 - dall'inizio del suo scrivere -, la monaca ci appare nella volontà di imporsi. Ma quel desiderio smarrito, riversato sul corpo di Urbain Grandier infine spaccato dalle torture e arso dal fuoco, come ha trovato forza per orientarsi in armonia col nome? A Loudun, nel settembre del 1634, arriva il gesuita Jean-Joseph Surin, nuovo esorcista nominato per liberare dai triboli suor }canne des Anges, che di lui racconta: « Era un uomo molto pio e molto saggio. Non appena mi ebbe vista, seppe che il mio male era grande dentro di me quanto lo era fuori di me. Dopo avermi parlato per qualche tempo di molte cose spirituali in generale, mi chiese qual era il mio metodo di preghiera. Gli risposi che la poca libertà che avevo e le grandi violenze che mi facevano i demoni non permettevano che mi applicassi e che il tormento dell'anima mi travagliava molto.» E ancora: « Parlavo volentieri con quel buon padre dei grandi tormenti che i demoni mi causavano dentro, ma non mi garbava affatto che volesse penetrare in me. Più mi parlava e più la mia anima era turbata e, poiché facevo il più possibile resistenza ai moti con cui Dio mi ispirava di seguire i consigli del padre, i demoni mi travagliavano continuamente sia dentro sia fuori di me». Suor Jeanne des Anges deve avere intuito quasi subito di trovarsi dinanzi a un personaggio capace di porre fine allo smarrimento del suo desiderio. Quanto a padre Surin, rammentando lo stesso periodo nel Triomphe de l'Amour divin sur les puissances de l'enfer en la possession de la mère prieure des Ursulines de Loudun, et Science expérimentale des choses de l'autre vie, avec le moyen facile d'acquerir « « «

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la paix du coeur (apparso solo nel 1829), scrive: « Mi decisi più

che mai a seguire l'idea che Nostro Signore mi aveva ispirato, prima della mia partenza da Marennes. Avrei dovuto attenermi alla penitenza e alla preghiera, inducendo quelle povere monache a servire Dio con più fervore che mai. Mi fu affidata la madre superiora e per lei, considerandone l'anima come se mi fosse venuta dalla mano di Dio, provai un intenso spirito di carità. Vedendo le belle disposizioni di questa monaca, mi risolsi a guidarla con l'aiuto della grazia verso un'eminente santità». A pochi mesi dalla morte di Urbain Grandier, ancora sperduta fra le tenebre, suor Jeanne des Anges incontra chi si professa in grado di avviarla verso le luci della santità, di scrivere il suo nome accanto a quello di Teresa d'Avila. Prima, gli esorcisti l'avevano trascinata da una chiesa all'altra, esibendola allo sguardo di una folla avida di spettacoli truculenti. Adesso, padre Surin la sottrae ai clamori del pubblico e la inizia alla disciplina della preghiera e della meditazione. È questa la parte della sua vita cui suor Jeanne des Anges attribuisce maggiore importanza: quella su cui fonda l'atto del suo scrivere. Basterà notare che le pagine dedicate a Urbain Grandier scompaiono al confronto di quelle dedicate a padre Surin. Suor J eanne des Anges non ricorda neppure di dare notizia della morte di Urbain Grandier, là dove l'episodio - cronologicamente - dovrebbe comparire. Se ne ricorda solo molto più tardi, quando riferisce il suo incontro con Anna d'Austria, quando si descrive intenta a esporre le sue sventure alla regina di Francia. In realtà, quella che ci è giunta non è la storia di una possessione, ma di una liberazione. In un caso come nell'altro, comunque, il desiderio - posseduto, liberato - si posa sui nomi che gli vengono a contatto lasciandovi stimmate di morte. A Urbain Grandier era toccato il fuoco in carne viva, a padre Surin toccherà la follia in testa. « È noto che, sotto l'influenza di Surin, che del resto frequen« tandola divenne sempre più inquietante, Jeanne des Anges « avrebbe invertito il suo rapporto quanto all'estasi o all'isteria. « Strana conversione: una volta esorcizzata, guarita da Surin di-

« venuto malato, Jeanne des Anges, sino alla fine della sua vita, « cerca di diventare una santa. Dotatissima, come tutte le isteri«

che, per poco non ci riesce. Solo l'intervento di Jeanne de Chan-

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« tal, santa maliziosa, ci ha preservati, in extremis, dal vederla un

« giorno figurare sul calendario » (Jean-Noel Vuarnet, Extases féminines). Nel Triomphe de l'Amour divin ... , parlando di sé in terza persona, cosl padre Surin si descrive poco prima dell'arrivo a Loudun: « Da qualche anno, era oppresso da grandi sofferenze del corpo e dello spirito che lo rendevano pressoché incapace di compiere qualsiasi lavoro. Aveva il corpo talmente debole, che non poteva applicarsi a cosa alcuna senza provare intensi dolori e non riusciva a leggere nulla per via dei continui mal di testa. Del resto, il suo spirito era immerso fra sofferenze e oppressioni cosl estreme, che non sapeva cosa ne sarebbe stato di lui. Tutto questo gli veniva da un ordine che gli era ignoto e per motivi cui non poteva porre rimedio. Quelle angosce lo serravano soprattutto da due anni, al punto che la sua anima era rabbuiata, afHitta e dolorante, cosl come il suo corpo era impedito e stravolto. Non pensava di riuscire a vivere a lungo in quelle condizioni ». Quanto alla sua partenza da Loudun, verso la fine del 1636, lasciamo la voce a suor Jeanne des Anges: « Fu in quel tempo che le vessazioni di padre Surin, per opera dei demoni, accrebbero in modo tale, che il padre provinciale Jacquinot decise di richiamarlo dal suo incarico e di sostituirlo con padre Ressès ». Non abbiamo ripercorso in dettaglio la vita di Urbain Grandier e non lo faremo neppure per quella di padre Surin. Adesso, qui, ci importa indicare cosa è accaduto in suor Jeanne des Anges, cosa ha reso possibile avviare quell'impresa di costruzione del nome a partire dal 1638. Sembra di capire che, rinchiusi faccia a faccia, ognuno in cerca di sollievo nello smarrimento dell'altro, il gesuita e la monaca si siano affrontati nella complicità dei fantasmi più scuri. Che suor Jeanne des Anges abbia desiderato padre Surin, è lei stessa a raccontarlo, pur trasferendo la responsabilità del desiderio su Satana, come già avvenuto ai tempi di Urbain Grandier: « Verso la festa di Pasqua del 1635, mi ritrovavo preda di tentazioni orribili. Nella mia anima accadevano strane cose, perché i malvagi spiriti mi suscitavano impressioni cosl forti del loro abominio, che non potevano distrarmene. Mi mettevano davanti agli occhi gli oggetti più impudichi che si possano immaginare. [ ... ] Resistetti a queste tentazioni per la durata di quindici giorni, senza mai parlarne a padre Surin, in quanto lo riguardavano». E più oltre: « Gli feci vedere tutta l'anima mia e i tormenti che i demoni vi produceva-

no. [ ... ] Lui, comunque, non ne rimase scoraggiato e mi disse che sapeva bene in cosa consisteva il mio male e che non dovevo esserne stupita. Si trattava di un artificio del diavolo per impedirmi in tal modo che lui mi assistesse con profitto». Ma, che siano del diavolo o del desiderio, certi artifici possono rivelarsi letali, perché, affoscati di malattia, presumono il contagio. Dopo la partenza da Loudun, padre Surin attraverserà lunghi anni di tenebra, travolto dalla follia fino a tentare di uccidersi - il 17 maggio del 1645 a Saint-Macaire -, buttandosi dalla finestra di un romitaggio sulle alte rive della Garonna. E, scampato all'esperienza di morte, perdurerà ancora a lungo nel silenzio fitto della follia. Si, qualcosa è accaduto: un contagio di desiderio. I diavoli si sono trasferiti dal corpo di suor Jeanne des Anges in quello di padre Surin. La liberazione dell'una ha deciso la possessione dell'altro: scambio di ruoli, ma anche passaggio di nomi, perché il ritorno agli angeli di suor Jeanne passa attraverso il nome di padre Surin, cosi come la sua caduta fra i diavoli era passata attraverso il nome di Urbain Grandier. « È una donna, è una malata. Per quanto la sincerità non sia « stata la sua principale virtù, si commetterebbe una grave ingiu« stizia classificandola fra le avventuriere della vita devota. Ha « vissuto, è morta nel timore di Dio; ha voluto di più e spesso ha « avuto più delle sembianze della santità. Comunque, le dobbia« mo indulgenza, pietà, rispetto. Ma non è il caso di spingersi « oltre. Non so se, tempo addietro, abbiano davvero presentato, a « Roma, una proposta per la sua beatificazione. Ma si può benis« simo affermare, senza timore di vedersi smentiti dai fatti, che « sarebbe stata una causa persa. Ma perché, allora, sottoporre « quest'ombra scomposta a nuovi interrogatori che le ricorderan« no gli esorcismi trascorsi? Innanzitutto, perché non soffre più « e ha smesso di ambire un'aureola che ora sa bene di non avere « meritato. E poi, soprattutto, perché è intollerabile l'idea che si « voglia assimilare questa nevrotica alle sante autentiche, a quel« le di cui comprometteremmo in qualche modo la gloria umana « se ci mettessimo storditamente a correre verso dubbi altari »

(Henri Brémond, Histoire littéraire du sentiment réligieux en France). I giudizi severi per quanto venati di pietà, non mancano. Eppure, la coerenza del desiderio di suor Jeanne des Anges attrae,

chiama a volgersi verso altari di dubbia santità. Difficile immaginare una fine per gli interrogatori cui sottoporre il nome della figlia degli angeli e dei diavoli ... Suor Jeanne des Anges non nasconde che i superiori di padre Surin sono perplessi quanto alla sua condotta di esorcista: « ... il modo in cui mi guidava veniva molto disapprovato, soprattutto perché non voleva che considerassi il diavolo come l'artefice dei miei sconvolgimenti e anche perché non mi faceva molti esorcismi. I pareri si spartirono talmente su questo punto, che il superiore di padre Surin venne avvertito che io ero in pericolo e che la condotta che mi era stata imposta era stravagante e pericolosa». A questo punto, quando si profila l'eventualità di un allontanamento, il desiderio di suor Jeanne des Anges si adopera a sottrarre nome a padre Surin, fino ad abbandonarlo, muto, nei tormenti della dannazione eterna. Intanto, mentre, a uno a uno, i diavoli si allontanano, sempre più si staglia, salvifica, l'ombra di san Giuseppe: « Mi immersi più che mai nella devozione per il mio santo protettore, san Giuseppe. Ricorrevo a lui in ogni circostanza, per ogni bisogno sia interno sia esterno. Questo grande santo ottenne da Dio che ricevessi il dono della preghiera e, per sua intercessione, la divina Maestà mi elevò al grado della contemplazione. Ricevevo quindi grandi luci e Nostro Signore comunicava con la mia anima in modo particolare». E, il 29 novembre 1635, durante la cacciata del demone Balaam, il nome di san Giuseppe apparirà miracolosamente e indelebilmente scritto sulla mano di suor Jeanne des Anges. In una lettera, il futuro commediografo inglese Thomas Killigrew, presente all'esorcismo insieme a Walter Montague - figlio del primo conte di Manchester -, ha cosl descritto la scena: « A un certo punto, la monaca prese a urlare e a sussultare talmente, da far credere che si fosse spezzata in due. Poi la udii pronunciare una sola parola: " Giuseppe ". Al che, tutti i monaci trasalirono ed esclamarono: "Ecco il segno, guardate il segno". E tutti, vedendola afferrarsi il braccio, si misero a guardare. Anche Montague e io guardammo molto coscenziosamente. Sulla mano, le vidi salire un colore lievemente rosato, che si diffuse per la lunghezza di un pollice lungo la vena e formò tanti punti rossi con una parola distinta. Ed era la stessa da lei pronunciata: " Giuseppe ". Il gesuita disse che il demone aveva promesso di lasciare questo segno per quando se ne fosse andato». Al nome di san Giuseppe, si aggiungeranno, 185

durante la dipartita degli ultimi diavoli, quelli di Gesù, di Maria e di san Francesco da Sales, che, a intervalli regolari, si sbiadiranno e si intensuìcheranno fino al 1662, tre anni prima della morte di suor Jeanne des Anges. Ma, poco dopo la comparsa del primo nome, un altro miracolo: san Giuseppe - ancora - appare alla monaca, ridotta in fin di vita dagli scempi dei diavoli in fuga, e la sana con un'unzione destinata a perdurare sul tessuto della sua camicia da notte in cinque gocce di fragranza. Quanto ai nomi chiaramente impressi sul dorso della mano ed esibiti in tutta la Francia allo sguardo dei potenti e degli umili, Balthazar Monconys riferisce nel suo Journal des voyages (1665), descrivendo una visita a Loudun: « Con l'estremità dell'unghia portai via, facendo un leggero movimento, la gamba della M di Maria, cosa di cui la madre superiora si mostrò assai stupita». Certo, suor Jeanne des Anges racconta diversamente: durante il suo viaggio da Loudun a Parigi e da Parigi ad Annecy, i medici più scettici si arrendono all'evidenza dell'intervento divino che le ha agito sulla mano. Ma, suggestione o artilicio, qui non interessa. Interessa, piuttosto, che la comparsa del nome del santo protettore corrisponde alla perdita di nome cli padre Surin, agli inizi della sua follia. Perché san Giuseppe - saint-Joseph - riconduce, quasi nei contorni di un calco, al nome di battesimo del gesuita: JeanJoseph. « Tutto accade al difuori dello spirito, nella sfera dei muta« menti di suoni, che impongono assai in fretta un dominio asso-

« luto sullo spirito e lo costringono a seguire quel particolare « cammino che gli è stato tracciato dalla condizione materiale dei

«segni» (Ferdinand de Saussure, Cours de linguistique générale). La vicenda, fatalmente, un nome dopo l'altro, volge a termine ... A suor J eanne des Anges moribonda non compare solo san Giuseppe. Prima di lui, quasi ad annunciarne la venuta, si avanza verso il giaciglio dell'inferma il buon angelo: « Era di una strana bellezza, simile a un giovane sui diciott'anni, con una lunga chioma bionda e rilucente, che ricadeva sulla spalla sinistra del mio confessore. Quest'angelo indossava una veste candida come la neve e reggeva in mano un cero bianco, molto lungo, molto grosso e molto fiammeggiante». Agli esorcismi di Loudun, fra altri personaggi di rango, aveva assistito il duca di Beaufort, così giovane 186

e avvenente, illuminato da lunghi capelli d'oro, che suor Jeanne des Anges ne era rimasta assai colpita. È padre Surin stesso a parlare di questa somiglianza in una sua lettera. Ma, qualunque sia l'origine dei materiali utilizzati dal desiderio di suor Jeanne des Anges, non ha molta importanza. Il buon angelo ritornerà negli anni a rinnovare i nomi impressi sulla mano sinistra: sarà lui il garante dei segni che, ormai, orientano verso Dio. Le lettere a padre Saint-Jure sono costellate della sua comparsa e dei suoi messaggi. Niente più demoni, niente più smarrimenti. Un tempo, ricettacolo del diavolo, suor Jeanne des Anges si esibiva nel buio delle chiese di Loudun dinanzi a una folla dallo sguardo avido di contratture e di smorfie blasfeme. Ora, vaso di grazie, continua a esibirsi: questa volta dinanzi a un pubblico riverente, che vuole ammirare i segni impressi sulla sua mano e ascoltare la sua voce di profetessa ispirata dagli angeli. Uscito dai triboli della follia, negli ultimi anni della sua vita, padre Surin avvierà una copiosa corrispondenza con la sua antica penitente. È in questo scambio di linguaggio, alle soglie della morte, che il desiderio di suor Jeanne des Anges si rivela infine troppo intenso per garantire i tratti di un'identità senza sospetti. Quando la monaca di Loudun muore nel 1665, il gesuita derubato di nome scrive: « Non potrò più comunicare con nessuno come con lei». Ma, qualche tempo addietro, le aveva scritto: « Vi prego di porre le basi dell'autentica vita spirituale nella sincerità del cuore. Intendo dire che in voi sottigliezze e astuzie sono cosl numerose, che è difficile rintracciarvi uno spirito di verità. Sono tante le incoerenze nelle vostre rivelazioni e comunicazioni sovrannaturali ed è arduo prenderle sul serio». Allo sguardo severo di padre Surin, suor Jeanne des Anges appare troppo indaffarata sulla via della santità, cosi come troppo lo era un tempo stata su quella della perdizione. Il troppo di desiderio la domina sia che si scriva dalla parte dei diavoli, sia che si scriva dalla parte degli angeli ... Ed è per questo che, al termine del suo racconto, suor Jeanne des Anges non può evitare di apparirci figura del desiderio, travolta dai poteri del nome: rischiarata dalle fiamme di un rogo, rabbuiata dalle pene di una follia ... Maggio 1986

Nota bibliografica

Già subito, mentre gli eventi si susseguivano da una fase all'altra, la vicenda della possessione di Loudun è stata accompagnata da una rapida quanto fitta serie di scritti. Sfogliando fra i repertori bibliografici che registrano le pubblicazioni d'epoca, ecco taluni dei prolissi titoli che, coloriti dal tempo, emergono da una sommaria indagine sull'argomento: Arrh de condamnation de mort contre maistre Urbain Grandier prestre, curé de l'Église de Sainct Pierre du Marché de Lo:,dun, et chanoine de l'Église Saincte Croix dudit liett, atteint et convaincu du crime de magie, et autres cas mentionnés au procès (1634), Remarques et considérations servans à la ;ustification du curé de Loudun, autres que celles contenues en son factum (1634), Extrait des registres de la commission ordonnée par le Roy pour le ;ugement du procès crimine/ fait à l'encontre de Maistre Urbain Grandier et ses complices (1634), L'ombre d'Urbain Grandier de Loudun, sa rencontre et conférence avec Gaufridy en l'autre monde (1634), Le grand miracle arrivé en la ville de Loudun, en la personne d'Isabelle Blanchard, fille séculière recevant le S. Sacrement de l'Autel. Et le procez verbal faict par Monsieur de Laubardemont, avec l'exorcisme faict à la dite possédée (1634), La démomanie de Loudun qui montre la véritable possession des religieuses Ursulines et autres séculières; avec la liste des religieuses et séculières possédées, obsédées, et maléficiées, le nom de leurs démons, le lieu de leur résidence et signe de leur sortie (1634), Relation véritable de ce qui s'est passé aux exorcismes des religieuses ursulines possédées de Loudun en la présence de Monsieur, frère unique du Roy, avec l'attestation des exorcistes (1635), Représentation Sommaire des signes miraculeux qui ont esté faicts à la gioire de Dieu et de son Église, en la sartie des sept démons qui possédaient le corps de la Mère Prieure des Religieuses Ursulines de Loudun (1636) ... L'anonimità e la pronta comparsa di questi scritti sono - di per sé sufficienti a indicare che ci troviamo dinanzi a opere di sapore variamente pubblicistico, subito stampate al fine di rendere noto un caso

il cui interesse aveva presto superato i confini della città di Loudun, come pure quelli della provincia del Poitou. A queste testimonianze, poi, se ne affiancano altre, pubblicate sotto la tutela di un nome implicato nella vicenda, col chiaro intento di soddisfare curiosità e, al tempo stesso, rinvigorire tesi mediante l'avvallo di un diretto osservatore degli eventi. Anche qui sommariamente, indichiamo il Discours de la possession des Religieuses Ursulines de Loudun et au procès d'Urbain Grandier (1634) del medico Mare Duncan, la Véritable relation des ;ustes procédures observées au faict de la possession des Ursulines de Loudtm et au procès d'Urbain Grandier (1634) del cappuccino padre Tranquille, gli Elfets miraculeux de l'église romaine sur les estranges et elfroyables actions des démons et princes des diables, en la possession des religieuses ursulines et filles séculières de Loudun (1635) di monsieur de la Foucaudière, la Lettre escrite à Monsieur l'Évéque de Poictiers par un des Pères Jésuites qui exorcisent à Loudun. Contenant un bref récit de la sartie de Leviatan, chef de cinquante démons qui possèdent tant !es filles religieuses que séculières (1635) del gesuita padre Surin ... Dopo i primi interventi a caldo, la vicenda originaria ha cominciato a essere ripercorsa ed esplorata nella sua globalità alla fine del Seicento, con l'Histoire des diables de Loudun ou de la possession des religieuses Ursulines et de la condamnation et du supplice d'Urbain Grandier, curé de la méme ville. Cruels elfets de la vengeance du Cardinal de Richelieu (1693) di Aubin. Quanto all'Ottocento, citeremo il primo volume dell'Histoire du merveilleux dans les temps modernes (1860) di Figuier, le relative pagine della Sorcière (1862) di Michelet, i Documents pour servirà l'histoire médicale des possédées de Loudun (1874) e Urbain Grandier et les possédées de Loudun. Documents inédits de Ch. Barbier (1880) di Legué ... Infine, fra i contributi più recenti e più significativi, si leggano soprattutto The Devils of Loudun (1953) di Aldous Huxley e La Possession de Loudun (1970) di Michel de Certeau, cui si aggiungono gli altri titoli - specifici o di argomento inerente - dai quali ho tratto gli incipit dei vari pezzi della mia nota. A.M.

Finito di stampare il 10 luglio 1986 presso la tipografia Luxograph di Palermo

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Gilbert Keith Chesterton. Il bello del brutto Luciano Canfora. La sentenza. Concetto Marchesi e Giovanni Gentile Ludovico Antonio Muratori. Il cristianesimo felice nelle missioni dei padri della Compagnia di Gesù nel Paraguai Charles-Joseph de Ligne. I giardini di Beloeil Francis Scott Fitzgerald. La crociera del Rottame Vagante Gesualdo Bufalino. Cere perse Mary McCarthy. Il romanzo e le idee Simone Candela. I Florio Ludovico Maria Sinistrati. Demonialità Firmiano Arantes Lana, Luiz Gomes Lana. Il Ventre dell'Universo

gna, rivolto « ai lettori », una finzione decisamente narrativa, e in essa si cela forse qualcosa di quell'in più di desiderio: di essere autore più che documento, e dare vita letteraria ad avventure nel loro genere meravigliose.

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