Sogno, mito, simbolo 8833923509, 9788833923505

Karl Abraham applica qui la psicologia del profondo a temi mitologici, onirici e simbolici, confrontando tra loro sogni

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Italian Pages 154 [185] Year 2012

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Table of contents :
Indice......Page 185
Frontespizio......Page 4
Presentazione......Page 2
Prefazione......Page 6
Sogno e mito: uno studio di psicologia dei popoli1......Page 14
Stati onirici isterici......Page 103
Alcune osservazioni sul culto della madre e il suo simbolismo nella psicologia individuale e dei popoli......Page 142
Analisi di un sogno in Ovidio......Page 144
La valutazione narcisistica dei processi escretori nel sogno e nella nevrosi1......Page 146
Il ragno come simbolo onirico1......Page 151
1. Il significato simbolico del numero tre......Page 160
2. Il «trivio» nella leggenda di Edipo......Page 163
Note......Page 168
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Sogno, mito, simbolo
 8833923509, 9788833923505

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Presentazione «Quando a due formazioni psichiche che esteriormente mostrano differenze così rilevanti come accade nel sogno e nel mito è applicabile lo stesso metodo di ricerca, si può scorgere in ciò una nuova conferma dell’ipotesi che sotto differenze esteriori si nasconde un’intima affinità».

Biblioteca Bollati Boringhieri 216

Titoli originali Traum und Mythus. Eine Studie zur Völkerpsychologie (1909) Über hysterische Traumzustände (1910) Einige Bemerkungen über den Mutterkultus und seine Symbolik in der Individual- und Völkerpsychologie (1911) Eine Traumanalyse bei Ovid (1911) Zur narzisstischen Bewertung der Exkretionsvorgänge in Traum und Neurose (1919) Die Spinne als Traumsymbol (1922) Zwei Beiträge zur Symbolforschung (1923) I testi qui raccolti sono tratti da Opere di Karl Abraham, a cura di Johannes Cremerius, 2 voll., Boringhieri, Torino 1975 © 2012 Bollati Boringhieri editore Torino, corso Vittorio Emanuele II, 86 Gruppo editoriale Mauri Spagnol ISBN 978-88-339-7142-1 Schema grafico della copertina di Pierluigi Cerri www.bollatiboringhieri.it Prima edizione digitale maggio 2012 Quest’opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore. È vietata ogni duplicazione, anche parziale, non autorizzata

Prefazione Quello che ci manca oggi, e che forse è scomparso da tempo con la morte degli ultimi grandi maestri (Wilfred Bion e Jacques Lacan in particolare), è lo spirito di ricerca che ha caratterizzato la prima generazione degli psicoanalisti. Uno spirito che Karl Abraham ha incarnato in modo particolare e che l’ottima Introduzione di Johannes Cremerius alle Opere di Abraham mette in risalto con grande precisione.1 Negli scritti raccolti nel presente volume la tensione del ricercatore è particolarmente evidente. Certo, con gli strumenti intellettuali del suo tempo e avendo a disposizione il linguaggio ancora un po’ primitivo della psicoanalisi. Ma è proprio questo il punto nodale, e cioè che lo sforzo titanico di Freud e della prima generazione di analisti fu rivolto a dotare la nuova scienza di un suo linguaggio, con tutti i problemi che tale ricerca comportò. Nella seconda generazione già si fece meno ricerca, e si optò piuttosto, al di là delle intenzioni dei primi analisti, per un certo linguaggio consolidato, un gergo derivante da considerazioni su patologie e terapie. Si cercò in tal modo di dare credibilità a quella che si volle definire una nuova scienza medica, dimenticando che la psicoanalisi era una nuova scienza tout court, assai particolare.2 Molti fra gli psicoanalisti dell’epoca, quelli ancora legati alla prima generazione come Bruno Bettelheim o Siegfried Bernfeld, criticarono aspramente il nuovo corso. Nuovo e disastroso, se si tiene conto che gli analisti di terza generazione abbandonarono quasi interamente la ricerca, affidandosi ai libri dei maestri

per evitare la responsabilità dell’interpretazione, soprattutto nel timore di essere tenuti a distanza dalla categoria dei medici e da un contesto professionale che si rivolgeva a una società sempre più medicalizzata. Il passaggio è storicamente noto: la «psiche» scivolò in una «mente» in cui individuare la genesi di processi ridotti alla stregua di una malattia. Ma così, con l’interruzione dell’elaborazione e rielaborazione di quel linguaggio che legava la conoscenza della psiche alle istanze della cultura, la ricerca psicoanalitica s’incamminò verso la sua fine. Karl Abraham era particolarmente interessato alla filogenesi dei processi psichici relativi all’organizzazione della vita intellettuale e materiale. Questo il motivo del suo interesse per il sogno e per il mito. In essi rintracciava il significato più autentico delle azioni umane, e insieme verificava la giustezza delle teorie di Freud sulla sessualità. La sua ricerca prende un arco di tempo di diciassette anni, dal 1908 fino alla morte nel 1925. Erano proprio gli anni in cui la giovane scienza, come la chiamava Freud, poneva le basi della sua teoria. L’impronta data da Freud era eziologica; da questo non si discostava neppure Abraham, che era psichiatra. Il suo motore era il simbolismo. È vero che Abraham tenne fermo al causalismo che all’epoca era a fondamento della teoria psicoanalitica. D’altra parte lo stesso Freud si avvide solo nel 1920, nel saggio sull’omosessualità femminile, che la ricerca delle cause era infruttuosa nel caso della psicoanalisi: da lì incominciò un lavoro molto impegnativo di revisione della

teoria che lo accompagnò per il resto della vita.3 Vero è anche che Abraham trovava come modello esclusivo di interpretazione il simbolismo così tanto deprecato e avversato. Wittgenstein in filosofia e Nabokov in letteratura, per esempio, usarono parole pesanti contro il simbolismo e la conseguente interpretazione psicoanalitica. E con piena ragione. Ma per Abraham, come per tutti i pionieri della psicoanalisi, la cosa andava molto al di là dell’uso sconsiderato dei simboli che caratterizzò le generazioni successive. Certo, egli difese a spada tratta il diritto di usare la teoria del simbolismo nell’interpretazione. In Sogno e mito scrive che «Nessuna teoria di Freud, per quanto divergente dall’opinione accademica, viene attaccata con tanta veemenza come l’interpretazione del simbolismo. Proprio questa teoria però è di massima importanza …».4 Ma va notato che in Abraham il simbolismo non è che un mezzo, un viatico per la comprensione della sessualità, che è il vero centro d’interesse di tutta la sua ricerca. Non c’è testo di Abraham sui sogni che non concluda proprio con il ritrovamento dell’istanza sessuale come ragione essenziale del sogno. E si tratta proprio di quelle istanze sessuali della prima infanzia, di quando ancora non si è entrati nel linguaggio, e che continuano a operare nell’adulto, ma rintracciate in quei simboli ai quali Abraham dà così tanto valore. Acquistano però tale valore solo retroattivamente, come possibilità di esplicitazione e di chiarificazione della sessualità presente nell’infanzia – e a cui nessuno all’epoca volle dare credito –, stratificata nelle esperienze di crescita

del bambino attraverso le funzioni della rimozione e della resistenza. Nel simbolismo di Abraham non c’è nulla di quanto si rivelerà poi nella foga interpretatrice degli epigoni freudiani degli anni cinquanta del Novecento, che ne faranno un valore fine a se stesso; gli stessi per i quali Nabokov, ancora nel 1983, si chiedeva: «Ma questi pagliacci credono sul serio a quello che insegnano?».5 Il ritrovamento della pulsione sessuale, dell’assoggettamento dell’individuo alla sessualità, e in particolare della sessualità dell’infanzia (che non è mai infantile, come la si è voluta chiamare, inquinandone il senso, negli ambienti psicoterapeutici), con tutta la sua forza e anche la sua tragicità, ha mosso l’intera ricerca di Abraham intorno ai sogni. E lo stesso ordine si ritrova nell’analisi del mito. Per Abraham il mito è la rielaborazione dei desideri dell’infanzia dei popoli, esattamente come il sogno implica l’elaborazione dei desideri dell’infanzia del sognatore. Nella ricerca del contenuto latente dei miti di un popolo Abraham ritrova i «residui di ricordi dell’infanzia dei popoli»,6 il resto di un’esistenza preistorica in cui si ripresentano quei «desideri» che sono sessuali, e in primo luogo, come nella leggenda di Edipo, il desiderio verso la madre. E così giunge alla sua conclusione, secondo cui l’educazione dell’uomo non è altro che «una rimozione forzata e sistematica d’impulsi innati».7 Nel linguaggio dei miti Abraham rintraccia tutte le ipotesi elaborate nella preistoria dei popoli, esattamente come avviene nell’infanzia, sulle proprie origini. La costruzione del mito procede per condensazioni e

spostamenti, e anche per identificazioni successive del desiderio (non ultima la pulsione di sapere), per cui il mito non è altro che l’omologo nel linguaggio della formazione dei sogni e, in particolare, di quel processo di linguaggio chiamato «elaborazione secondaria».8 Attraverso una «trasmutazione di valori», Prometeo, per esempio, dall’iniziale «fuoco» si trasforma in «colui che prende il fuoco» e nel mito greco diventa colui che lo «ruba» fino a diventare «colui che provvede»,9 che dona il fuoco agli uomini e si umanizza come loro, peccando contro gli dèi diviene il rappresentante del genere umano. Abraham rintraccia, nello strato più antico della leggenda di Prometeo, l’«apoteosi della facoltà procreativa dell’uomo».10 Tutto ciò, è da notare, Abraham lo elabora a partire dalla nuova scienza che si sviluppa nell’antropologia e cioè l’antropologia comparata. Gli studi dei nuovi antropologi, così come di altre nuove correnti del pensiero scientifico o letterario, erano patrimonio di quegli psicoanalisti che stavano dentro la cultura del loro tempo e in essa elaboravano le loro teorie. Allo stesso modo possiamo ragionare intorno al principio delle «cause», che per Abraham sono sempre da riportare alle strutture del linguaggio; così la «causa» non è altro che una metafora dell’etimologia, che egli definisce «scienza dell’“autentico”, cioè della vera essenza degli elementi del linguaggio».11 Una tensione, quella di Abraham, tutta volta ad avvicinarsi quanto più è possibile alla verità della condizione umana, a fondare una nuova scienza

«dell’autentico» accanto ad altre, come la biologia, l’antropologia o la linguistica, che si pongono il medesimo fine. Ad assottigliare, fino a farle scomparire, le differenze fra patologico e normale, perché ciò che guida le azioni dell’uomo è il desiderio con tutte le sue manifestazioni di piacere e dispiacere. Giovanni Sias

Sogno, mito, simbolo

AVVERTENZA BIBLIOGRAFICA Edizioni originali dei testi qui raccolti: Traum und Mythus. Eine Studie zur Völkerpsychologie, Deuticke, Leipzig-Wien 1909 («Schriften zur angewandten Seelenkunde», vol. 4); Über hysterische Traumzustände, in «Jahrbuch für psychoanalytische und psychopathologische Forschungen», vol. 2, 1910; Einige Bemerkungen über den Mutterkultus und seine Symbolik in der Individual- und Völkerpsychologie, in «Zentralblatt für Psychoanalyse», vol. 1, 12, 1911; Eine Traumanalyse bei Ovid, in «Zentralblatt für Psychoanalyse», vol. 2, 3, 1911; Zur narzisstischen Bewertung der Exkretionsvorgänge in Traum und Neurose, relazione letta il 18 dicembre 1919 alla Berliner Psychoanalytische Gesellschaft, pubblicata in «Internationale Zeitschrift für ärztliche Psychoanalyse», vol. 6, 1, 1920; Die Spinne als Traumsymbol, in «Internationale Zeitschrift für ärztliche Psychoanalyse», vol. 8, 4, 1922; Zwei Beiträge zur Symbolforschung. Zur symbolischen Bedeutung der Dreizahl. Der «Dreiweg» in der Ödipus-Sage, in «Imago», vol. 9, 1, 1923.

Sogno e mito: uno studio di psicologia dei popoli1 1909 Non esiste il caso; e proprio ciò che ci appare solo cieca approssimazione scaturisce dalle fonti più profonde.

1. Oggetti e punti di vista dell’indagine psicoanalitica secondo Freud Le teorie psicologiche che si legano al nome di Freud si riferiscono a una serie di campi della vita psicologica umana, che all’apparenza esterna hanno pochi rapporti tra loro. Freud ha preso le mosse, negli Studi sull’isteria (1892-95) pubblicati in collaborazione con Josef Breuer, dai fenomeni psichici patologici. Il progressivo sviluppo del metodo psicoanalitico richiese uno studio approfondito dei sogni.2 Si dimostrò inoltre che, per la piena comprensione di questi fenomeni, si doveva introdurre l’esame comparativo di certi altri fenomeni. Freud si vide per questo indotto a introdurre nell’ambito delle sue ricerche campi sempre più vasti della vita psichica normale e patologica. Così nacquero i lavori su isteria, rappresentazioni ossessive e altri disturbi psichici, riuniti nella Raccolta di brevi scritti sulla teoria delle nevrosi (1893-1906),3 inoltre la monografia sul motto di spirito (1905),4

i

Tre

saggi

sulla

teoria

sessuale

(1905)

e

recentemente l’analisi psicologica di un’opera poetica,5 che costituisce il primo saggio di questa raccolta. Freud riuscì a considerare sotto punti di vista comuni questi prodotti della psiche umana apparentemente eterogenei: essi tutti hanno in comune le relazioni con l’inconscio, con la vita psicologica infantile, con la sessualità; comune è la tendenza a

rappresentare un desiderio dell’individuo come appagato, e comuni sono i mezzi della rappresentazione, di cui si servono a questo scopo. Chi non ha familiarità con gli scritti di Freud e con quelli dei suoi seguaci si stupirà che si cerchi seriamente di mettere a confronto dagli stessi punti di vista tutti quei prodotti. Si domanderà quali rapporti abbia il motto di spirito con l’inconscio. Dubiterà che una malattia possa contenere un appagamento di desiderio per il malato che ne soffre, e non comprenderà come si voglia, proprio per questo riguardo, metterla in parallelo con una composizione poetica. Non capirà quali relazioni generali debbano esserci tra i sogni dell’adulto e la psiche del bambino. E forse soprattutto si ribellerà al fatto che a tutti quei fenomeni psicologici vengano attribuite relazioni con la sessualità. Così le teorie proposte da Freud sembrano essere piene di contraddizioni e di assurdità; sembra che generalizzino acriticamente dati particolari. Di conseguenza, si sarà anche propensi a respingere a limine il metodo di ricerca, con l’ausilio del quale sono stati raggiunti risultati come quelli sopra citati.6 Se volessi subito qui tentare di dare una risposta alle diverse obiezioni, non potrei evitare una esposizione dettagliata di tutte le teorie di Freud e dovrei ampiamente travalicare i limiti di questo scritto. Nel corso della nostra indagine si presenterà l’occasione di toccare la maggior parte dei più importanti problemi, cui Freud ha dedicato il suo lavoro. Per il momento basti un’indicazione: tutti i

fenomeni che sopra abbiamo posti a confronto sono prodotti della fantasia umana. Non si respingerà in assoluto la supposizione che essi, come tali, possano presentare tra loro certe analogie. Ora, oltre ai prodotti della fantasia individuale, ce ne sono anche taluni che non possono essere attribuiti alla fantasia di un singolo. Mi limito qui a nominare, come formazioni di questo tipo, miti e favole. Noi non sappiamo chi li ha creati, chi li ha narrati per primo. Essi sono stati tramandati di generazione in generazione e hanno subito perciò molteplici aggiunte e modificazioni. Nelle leggende e nelle favole si manifesta la fantasia di un popolo. Freud ha già fatto di esse, fino a un certo punto, l’oggetto delle sue ricerche,7 e ha scoperto sotto molti riguardi analogie psicologiche tra esse e le opere della fantasia individuale. Recentemente un altro autore ha seguito le sue tracce. Riklin8 ha compiuto l’analisi psicologica di favole di diversi popoli. Il presente scritto rappresenta il tentativo di porre a confronto il mito con i fenomeni della psicologia individuale, in particolare con il sogno. Esso deve fornire la prova che le teorie di Freud si possono ampiamente trasporre nella psicologia del mito, anzi hanno tutte le qualità per creare un terreno del tutto nuovo per la comprensione delle leggende.9 2. Le fantasie dell’infanzia nel sogno e nel mito; applicazione della teoria del desiderio al mito Voglio subito prevenire alcune ovvie obiezioni di principio, che potrebbero essere avanzate contro l’impresa progettata. Si obietterà che il mito si genera da una fantasia

che lavora nella veglia, mentre il sogno deve la sua origine al sonno, quindi a uno stato di diminuzione della coscienza. Ma una più attenta considerazione mostra che qui non sussiste in alcun modo una differenza di principio. Noi non sogniamo soltanto nel sonno; ci sono anche i sogni da svegli. In questi noi ci poniamo in una situazione non reale e modelliamo il mondo e il nostro futuro secondo i nostri desideri. Molto presto ci risulterà che la stessa tendenza è insita nei sogni notturni. Parecchi uomini sono inclini in grado sorprendente ai sogni a occhi aperti; ci si accorge che sono immersi in pensieri. Passaggi impercettibili conducono a un’attività fantastica morbosa. I bambini si abbandonano particolarmente volentieri a tali fantasie di tipo onirico. Il fanciullo è, nei suoi sogni da sveglio, il re di un grande regno e il vincitore in sanguinose battaglie; oppure si distingue come capo degli indiani o in qualsiasi altro modo. Gradi patologici del sognare durante la veglia non sono affatto rari neanche nei bambini. Già da ciò vediamo che tra le fantasie diurne e i sogni non si possono tracciare confini netti. Ma noi sappiamo inoltre dalle ricerche di Freud,10 che i pensieri onirici non nascono durante il sogno, ma vengono preparati nella veglia. Nel sogno ricevono soltanto una forma che diverge da quella in cui noi siamo soliti esprimere comunemente i nostri pensieri. Un’altra obiezione, che parimenti ha soltanto una giustificazione apparente, è atta a costituire il punto di partenza per le nostre ulteriori considerazioni. Si farà presente che il sogno è un prodotto individuale, mentre nel

mito è depositato in certo modo lo spirito collettivo di un popolo. Si troverà perciò illecito il confronto. Questa obiezione si confuta facilmente. Se pure il sogno nasce da impulsi dell’individuo, ci sono appunto anche impulsi che sono universalmente umani. Questi si manifestano nei sogni da Freud chiamati «tipici». Freud è riuscito a ricondurre questo gruppo di sogni a certi desideri comuni a tutti gli uomini, ma anche contemporaneamente a provare che gli stessi desideri stanno alla base di certi miti. Quel che Freud ha scritto sui sogni tipici può perciò servire di base per le nostre ricerche. Tuttavia anche per altri motivi è opportuno, per i nostri scopi, prendere come punto di partenza l’analisi dei sogni tipici. Essi ci danno l’opportunità di addentrarci nella teoria del sogno come desiderio. Inoltre, come si dimostrerà, i sogni tipici presentano, per certi aspetti, situazioni più semplici della maggior parte degli altri sogni.11 Secondo la teoria di Freud, alla base di ogni sogno c’è un desiderio rimosso nell’inconscio. Ad ogni essere umano capitano vicende di cui egli in seguito non riuscirà più a ricordarsi senza un vivo senso di dispiacere. Egli cerca di eliminare dalla coscienza tali reminiscenze. Non riesce a cancellarle completamente dalla memoria; può soltanto rimuoverle nell’inconscio. I ricordi rimossi e i desideri a loro connessi sono apparentemente dimenticati; ossia sono sottratti al ricordo spontaneo. Ma non appena la funzione della coscienza è in qualche modo pregiudicata, ogni volta che la fantasia subentra al posto del pensiero ordinato

logicamente, come nel caso del sogno a occhi aperti, nel sogno e nelle più diverse condizioni patologiche, allora il materiale psichico rimosso diviene nuovamente libero. Nei sogni e nei sintomi di certi disturbi psichici emergono nuovamente i desideri rimossi. Il loro appagamento, una volta atteso ma mancato, viene ora rappresentato nella fantasia. Che una parte importante dei desideri rimossi derivi dall’infanzia è una realtà provata da Freud, su cui dovremo tornare più tardi. Per ora ci basta tener fermo che, secondo la concezione di Freud, il sogno rappresenta l’appagamento di un desiderio rimosso e che le radici più profonde di questo desiderio si trovano nell’infanzia del sognatore. Riguardo ai sogni tipici, secondo Freud, è particolarmente da sottolineare la loro origine dalle reminiscenze infantili. Straordinariamente istruttivi sono, in questo senso, quei sogni che trattano della morte di parenti stretti. Questi sogni sembrano, a prima vista, contraddire puntualmente la concezione di Freud che ogni sogno contiene un appagamento di desideri. Certamente chiunque una volta abbia sognato della morte di un vicino parente che amava opporrà energica resistenza all’ipotesi che egli abbia desiderato la morte di quel parente e abbia espresso nel sogno questo desiderio segreto. Sottolineerà anche come il sogno fosse accompagnato dai sentimenti più penosi, da angoscia e spavento, ed esprimesse quindi forse un timore ma non certo un desiderio. Ma la teoria non tratta affatto soltanto dei desideri

attuali, bensì mette in risalto con grande efficacia l’importanza dei primi impulsi infantili. Dunque, secondo la teoria di Freud, se qualcuno sogna della morte di un caro parente non si deve da ciò trarre la conseguenza che il sognatore abbia ora un desiderio del genere; basta soltanto che lo abbia avuto in un qualche momento, forse remoto nel tempo. Certamente neppure questo sarà facile da ammettere. Il bambino è, fino a una certa età, che varia notevolmente da individuo a individuo, ancora privo di impulsi altruistici. Egli vive in un ingenuo egoismo. Perciò è assolutamente erroneo presumere che i sentimenti del bambino nei riguardi dei suoi genitori e di fratelli e sorelle siano fin dall’inizio sentimenti di affetto. Al contrario, è presente costantemente tra i fratelli una certa rivalità. Il bambino, finora unico, mostra una gelosia evidente quando nasce il secondo che viene curato con sollecitudine avendo bisogno di essere aiutato in tutto. È cosa molto comune che un bambino invidi al minore il biberon, che la sua invidia si ecciti quando vede il nuovo arrivato stare in grembo alla madre, posto fino ad allora riservato soltanto a lui. Egli gli invidia il suo giocattolo, mette in rilievo le proprie priorità quando parla del minore con gli adulti. Il bambino più piccolo reagisce, non appena ne è in grado, in modo altrettanto egoistico. Vede nel maggiore l’oppressore e cerca di aiutarsi come può essendo il più debole. In condizioni normali, questi contrasti per una gran parte svaniscono a poco a poco. Nonostante tutti i provvedimenti dell’educazione, non saranno mai

completamente estirpati. Questi impulsi ostili del bambino contro l’altro trovano la loro espressione nel desiderio che l’altro possa essere morto. Naturalmente si contesterà che un bambino sia così «cattivo» da augurare la morte all’altro. «Chi parla in questo modo non considera che la rappresentazione infantile dell’“essere morto” non ha in comune con la nostra che l’espressione e poco altro».12 Il bambino non ha una rappresentazione chiara della morte di un essere umano. Egli sente forse dire che questo o quel parente è deceduto, è morto. Per il bambino ciò significa soltanto: quella persona non è più qui. L’esperienza quotidiana insegna come il bambino si consoli facilmente dell’assenza di una persona amata. Egli tende forse le mani nella direzione in cui la madre è andata via, piange un po’, poi si consola giocando o mangiando, e non si ricorda più spontaneamente della madre andata via. Anche i bambini più grandi, di costituzione psichica normale, si consolano facilmente della separazione. Nella prima infanzia il bambino identifica l’essere morto con l’assenza. Egli non può neanche avere la rappresentazione che qualcuno, di cui gli è stata riferita la morte, non ritornerà mai più. Noi comprendiamo ora come il bambino, in tutta innocenza, desideri la morte dell’altro (o comunque di una persona). Quello è il suo rivale, se non ci fosse sarebbe eliminata la causa della rivalità e della gelosia. Tra fratelli e sorelle il rapporto di rivalità si mitiga, a causa dell’attrazione sessuale, più facilmente che tra fratelli dello stesso sesso. Di questa questione ci occuperemo

ancora in seguito. Se consideriamo dal punto di vista suddetto anche il rapporto del bambino con i genitori, si presenterà una nuova obiezione. Come possiamo anche solo supporre che il bambino auguri la morte al padre o alla madre? Si ammetterà questo al massimo per quei casi in cui il bambino è maltrattato dai genitori, ma si aggiungerà che per fortuna si tratta di eccezioni, di cui non è accettabile una generalizzazione. I sogni di morte del padre e della madre, come si presentano ad ogni essere umano, contengono la spiegazione cercata. Freud fa notare che «i sogni della morte dei genitori si riferiscono in grande prevalenza al genitore che ha lo stesso sesso del bambino che sogna, di modo che il maschio sogna la morte del padre, la femmina la morte della madre».13 Freud spiega questo comportamento in parte con una precoce preferenza sessuale del figlio per la madre, della figlia per il padre. Questa preferenza genera una certa rivalità tra il figlio e il padre per l’amore della madre, è similmente tra la figlia e la madre per l’amore del padre. Prima o poi il figlio si ribella alla patria potestà, in qualche caso apertamente, in altri casi solo internamente. Nello stesso tempo il padre difende questo suo potere di fronte al figlio che sta crescendo. Un comportamento simile s’instaura tra madre e figlia. Per quanto l’uomo civilizzato, attraverso il rispetto per i genitori e l’amore per i figli, abbia mitigato o trasformato questo rapporto di rivalità, non è in grado tuttavia di cancellarne le tracce. Nei casi più favorevoli

quelle tendenze vengono rimosse nell’inconscio. Esse si manifestano poi appunto nei sogni. Bambini che sono predisposti alle malattie nervose o psichiche mostrano già precocemente un amore esaltato o un rifiuto esageratamente forte per uno o entrambi i genitori. Tali tendenze si manifestano in modo particolarmente evidente nei loro sogni, ma non meno nei sintomi della malattia successiva. Freud fornisce esempi molto istruttivi di questo tipo.14 Egli racconta fra l’altro di una ragazza malata di mente, che dapprima in uno stato confusionale espresse violenta avversione contro la madre. Quando la paziente divenne più serena, sognò la morte della madre. Infine non si limitò più a rimuovere i suoi sentimenti contro la madre nell’inconscio, ma arrivò alla ipercompensazione di quel sentimento attraverso la formazione della fobia, cioè del timore patologico che potesse accadere una disgrazia alla madre. L’avversione venne trasformata, quanto più la malata recuperava la calma esteriore, in una preoccupazione esagerata per la salute della madre. Io stesso ho osservato recentemente un caso del tutto simile. Si ricordi per completezza che non di rado i sogni degli adulti ruotano attorno alla morte di un bambino. Gestanti che soffrono del loro stato sognano un aborto. Padri e madri che nello stato di veglia amano teneramente il loro bambino sognano in particolari circostanze la sua morte, per esempio se la presenza del bambino intralcia il raggiungimento di uno scopo. I sogni tipici contengono dunque desideri che noi, nella

veglia, non ci confessiamo. Questi desideri segreti si esprimono nella vita onirica. Questi desideri comuni a molti o a tutti gli uomini li troviamo ora anche nei miti. Il primo termine di raffronto di cui ci dobbiamo occupare è quindi il contenuto comune di certi sogni e miti. Dobbiamo seguire ulteriormente quel che ha scritto Freud. Egli infatti, come si è detto, ha per primo analizzato un determinato mito – la leggenda di Edipo – a partire da punti di vista ricavati dall’interpretazione dei sogni. Citerò letteralmente il seguente passo di Freud.15 «Edipo, figlio di Laio re di Tebe e di Giocasta, viene esposto lattante perché un oracolo ha predetto al padre che il figlio non ancora nato sarà il suo assassino. Edipo viene salvato e cresce come figlio di re in una corte straniera, sinché incerto della propria origine, interroga egli stesso l’oracolo e ne ottiene il consiglio di star lontano dalla patria, perché sarebbe costretto a divenire l’assassino di suo padre e lo sposo di sua madre. Sulla strada che lo porta lontano dalla presunta patria, incontra il re Laio e lo uccide nel corso di una repentina lite. Giunge poi davanti a Tebe, dove risolve gli enigmi della Sfinge che sbarra la via; per ringraziamento i tebani lo eleggono re e gli offrono in dono la mano di Giocasta. Per lungo tempo regna pacifico e onorato, genera con la madre a lui sconosciuta due figli e due figlie, finché scoppia una pestilenza, che induce ancora una volta i tebani a consultare l’oracolo. Qui comincia la tragedia di Sofocle. I messi portano il responso che la pestilenza avrà fine quando l’uccisore di Laio sarà espulso dal paese… Ora, l’azione della

tragedia non consiste in altro che nella rivelazione gradualmente approfondita e ritardata ad arte – paragonabile al lavoro di una psicoanalisi – che Edipo stesso è l’assassino di Laio, ma anche il figlio dell’assassinato e di Giocasta». La tragedia di Edipo riesce a sconvolgerci ai nostri giorni tanto profondamente quanto scoteva i contemporanei di Sofocle, anche se noi non condividiamo la loro concezione degli dèi e del destino, la loro fede nei responsi degli oracoli. Freud ne conclude giustamente che la favola deve contenere qualcosa, che suscita in noi tutti sentimenti affini: «Forse a noi tutti era dato in sorte di rivolgere il primo impulso sessuale alla madre, il primo odio e il primo desiderio di violenza contro il padre: i nostri sogni ce ne danno la convinzione». Nella tragedia di Edipo noi vediamo appagati i nostri desideri infantili, mentre noi stessi, nel corso del nostro sviluppo, abbiamo sostituito l’inclinazione sessuale verso la madre, la ribellione contro il padre, con sentimenti di amore e di rispetto. Come osserva Freud, la tragedia stessa allude al sogno tipico nel quale il sognatore si unisce sessualmente con la madre. Il passo, nella traduzione, suona così: Quanti, prima di te, nei sogni loro Giacquero con la madre!

La tragedia contiene la realizzazione di due fantasie dell’infanzia e rispettivamente del sogno intimamente connesso: la fantasia della morte del padre e del rapporto amoroso con la madre. Le conseguenze della loro realizzazione ci vengono presentate in tutta la loro

terribilità. Il medesimo conflitto tra padre e figlio è rappresentato anche nel mito di Urano e dei Titani. Urano cerca di allontanare i suoi figli, perché teme da loro un pregiudizio al suo potere. Suo figlio Crono si vendica di lui, evirando il padre. Questa forma di vendetta allude proprio all’aspetto sessuale del rapporto di rivalità. Peraltro Crono cerca di difendersi dai suoi figli nello stesso modo: egli li divora, tranne il figlio più giovane, Zeus. Questi si vendica di lui, lo costringe a rivomitare i figli e poi caccia Crono e tutti gli altri Titani nel Tartaro; secondo un’altra versione anche Zeus evira il padre. 3. Il simbolismo nelle lingue, nel sogno e in altre formazioni della fantasia I due racconti di Edipo e di Urano e dei suoi discendenti non soltanto hanno un contenuto affine, ma mostrano anche nella forma esterna un’importante concordanza. A entrambi manca quasi completamente il travestimento simbolico. Noi veniamo a conoscere lo svolgimento dei fatti con parole nude e crude. È notevole che questo si possa affermare anche per i sogni tipici, che noi abbiamo introdotto per il chiarimento di quei miti. Anche qui – come osserva Freud – il travestimento simbolico si trova in una forma sorprendentemente povera. In generale, ci troviamo sempre di nuovo, nell’interpretazione dei sogni, di fronte agli effetti di un’istanza psichica che Freud ha definito censura. Di essa ci occuperemo ancora in seguito in modo dettagliato; qui la

caratterizzeremo brevemente soltanto nei tratti più importanti. La censura non permette che i nostri desideri segreti si mostrino nel sogno nella loro forma vera e scoperta, ma costringe a oscurare la vera tendenza del sogno attraverso la «deformazione onirica». Per aggirare la censura viene compiuto un «lavoro onirico» molto ampio. Ci occuperemo in seguito ampiamente delle sue manifestazioni. In questo momento ci dobbiamo occupare soltanto di una forma di deformazione onirica: il travestimento simbolico dei desideri. I sogni della morte del padre e dell’unione sessuale con la madre, di cui si è parlato sopra, costituiscono un’eccezione vistosa in quanto qui il desiderio, che certamente nello stato di veglia ci appare abominevole, viene rappresentato come appagato in modo del tutto aperto, senza travestimento simbolico. Freud spiega questo fatto attraverso due motivi. Da nessun altro desiderio ci crediamo tanto lontani quanto da questo; perciò la censura non è preparata a tali mostruosità. In secondo luogo il desiderio è in grado di celarsi molto facilmente dietro l’attuale preoccupazione per la vita della persona amata. Ora è estremamente interessante che anche la leggenda di Edipo e quella di Crono e Zeus siano molto povere di mezzi espressivi simbolici. Nella sua coscienza vigile l’uomo si crede infinitamente lontano dai misfatti di Edipo o da quelli di Crono nei riguardi dei suoi figli o di suo padre. Teniamo fermo per il momento che tra certi miti e certi sogni ci siano notevoli analogie. Sarà ora da indagare ulteriormente se a queste analogie spetti un significato

generale. L’analisi della maggior parte dei miti – come della maggior parte dei sogni – è complicata dal travestimento simbolico del contenuto reale. Poiché nella leggenda di Edipo, come nei sogni tipici affini ad essa per il contenuto, manca questa complicazione, essa si è mostrata particolarmente adatta a introdurre i problemi che ci interessano. Se i miti, nella loro maggioranza, mostrano un modo di rappresentare simbolico, devono allora in realtà contenere o significare qualcos’altro da ciò che la forma esterna indica. Essi hanno quindi bisogno, al pari dei sogni, di un’interpretazione. Ci serviremo, come esempio di mito simbolico, della leggenda di Prometeo. La sottoporremo a un procedimento d’interpretazione simile all’analisi dei sogni. Il lavoro di confronto verrà proseguito ulteriormente sulla scorta di questo esempio. So quali obiezioni incontrerò, se tenterò un’interpretazione del mito secondo il modello dell’interpretazione dei sogni e se sosterrò che, qui come là, domina lo stesso simbolismo. È grande merito di Freud aver studiato questo simbolismo. Grazie a questo studio siamo venuti a conoscere importanti relazioni tra le formazioni psichiche ripetutamente menzionate. Il valore di questa conoscenza, acquisita attraverso faticose ricerche, è stata contestata totalmente e spesso con passione dalla critica. L’interpretazione dei simboli è stata respinta come fantastica e arbitraria dagli avversari delle dottrine freudiane. Freud e i suoi seguaci sarebbero addirittura sotto

la coazione di un’autosuggestione, che fa loro interpretare tutto nel senso dei loro preconcetti. Ma essi eccitano lo sdegno della critica specialmente per il fatto che concepiscono il simbolismo del sogno e delle formazioni di natura affine come l’espressione di rappresentazioni sessuali. Nessuna teoria di Freud, per quanto divergente dall’opinione accademica, viene attaccata con tanta veemenza come l’interpretazione del simbolismo. Proprio questa teoria però è di massima importanza per il nostro ulteriore cammino. Perciò, prima di iniziare la spiegazione dei simboli di un mito particolare, voglio dare in questa parte un fondamento più ampio possibile alla mia ricerca. A questo scopo voglio provare che quel simbolismo studiato da Freud giace nel profondo di ogni uomo, ed è sempre stato dai tempi più remoti nell’umanità. Risulterà inoltre che si tratta prevalentemente di un simbolismo sessuale, dell’espressione di fantasie sessuali. Le argomentazioni che seguiranno si basano in parte sui pregevoli scritti di Kleinpaul.16 Anche questo autore si è visto nella necessità di far fronte a critiche moralistiche. Cito in proposito un’osservazione di Kleinpaul:17 «Noi vorremmo solo accennare al fatto che tali fantasie (sessuali) non appartengono soltanto alle epoche patriarcali, dove erano naturali, ma continuano a operare fino al tempo presente, in cui sono bollate come corrotte». Il simbolismo sessuale, affermo io, è un fenomeno psicologico che accompagna l’uomo attraverso lo spazio e il tempo. Ai primordi della nostra civiltà si manifesta con la massima evidenza, e in

forma meno vistosa ma sempre molto chiara si conserva nella vita psicologica dell’uomo fino al giorno d’oggi. Kleinpaul dice, con un’efficace espressione: «L’uomo sessualizza l’universo». Se gettiamo innanzitutto uno sguardo agli inizi delle arti figurative, troviamo raffigurazioni degli organi genitali umani in infinite varietà, ora in modo più nascosto, ora con un’evidenza che non lascia sussistere alcun dubbio. Ora le loro forme sono usate come ornamento decorativo, ora vasi, brocche e altri utensili di svariatissimo genere hanno la forma dei genitali. Nell’artigianato dei popoli più diversi troviamo oggetti che portano anche il nome conforme al modello da cui è presa in prestito la loro forma. Recipienti e utensili egizi, greci, etruschi e romani sono testimoni eloquenti di questo simbolismo sessuale vivo nei popoli di ogni epoca. Se esaminiamo le opere d’arte e gli utensili di popoli scarsamente civilizzati, facciamo la stessa osservazione, a meno di chiudere volontariamente gli occhi. La scienza dell’arte ha qui ancora davanti a sé un vasto e fecondo campo di attività, poiché le osservazioni di questo genere sono finora nella letteratura molto frammentarie. Un significato forse ancora più potente assume il simbolismo sessuale nel culto religioso di tutti i popoli. Innumerevoli cerimonie presentano un simbolismo sessuale. I culti della fecondità, diffusi presso molti popoli, danno luogo al simbolismo più sensuale, che non deve necessariamente esprimersi in maniera esplicita e grossolana (fallo ecc.).

Ma non abbiamo neppure bisogno di cercare allontanandoci troppo dalla vita quotidiana. La nostra lingua è la testimonianza migliore dell’importanza che la sessualità ha avuto in tutte le epoche nel pensiero dell’uomo. Tutte le lingue indoeuropee e semitiche possiedono (o possedettero in tempi più remoti) dei generi. È un fatto al quale comunemente si bada poco. Ma domandiamoci ora: perché le parole della nostra lingua hanno un genere maschile e uno femminile? Perché la lingua attribuisce a oggetti inanimati l’uno o l’altro sesso? Una parte delle lingue indoeuropee possiede addirittura un terzo genere; ad esso si ascrivono le parole che non trovano posto nelle altre due categorie o perché la fantasia cerca invano un’analogia sessuale o perché la neutralità sessuale deve essere sottolineata per uno speciale motivo. Certamente non è affatto sempre facile accertare il motivo per cui un oggetto nella lingua ha l’uno o l’altro genere. È da richiamare l’attenzione anche sul fatto che non di rado qualche sostantivo ha un genere diverso in lingue strettamente imparentate. Ci porterebbe troppo lontano, se volessimo esaminare con precisione questo problema estremamente interessante della linguistica. Qui ci riferiremo soltanto a certe regole, in particolare della lingua tedesca. Nella lingua tedesca tutti i diminutivi sono di genere neutro. La fantasia popolare li paragona all’uomo non cresciuto. Per bambini piccoli noi usiamo di preferenza il pronome personale es e li trattiamo come neutri; in qualche regione si usa ancora es per ragazze cresciute finché non sono ancora sposate. Mädchen [ragazza] e Fräulein

[signorina] sono diminutivi e perciò neutri, finché non si sposano! Per gli animali abbiamo alcuni nomi del tutto diversi a seconda che siano maschio o femmina. Altri animali però, maschi o femmine che siano, vengono assegnati a uno determinato dei tre generi grammaticali. In certi casi la causa è trasparente. Tra gli animali sono maschili quelli in cui l’uomo ritrova le qualità che gli sono note del maschio, come in particolare la forza fisica, il coraggio. Perciò nella lingua sono maschili le grosse fiere e gli uccelli rapaci. Usiamo generalmente al femminile il gatto; il suo modo di fare flessuoso, la sua grazia ed eleganza ricordano qualità femminili. Possano bastare questi esempi. Che nella lingua vengano sessualizzati anche esseri inanimati è fatto ancora più singolare. Ci sono oggetti che in diverse lingue regolarmente, o preferibilmente, vengono assegnati a un determinato genere. Deve qui essere presente un simbolismo sessuale comune ai vari popoli. Così nella lingua tedesca le navi sono di preferenza di genere femminile. Anche i nomi propri dati alle navi sono usati perlopiù al femminile, anche se comunemente sono maschili. Perfino la lingua inglese, che presenta soltanto i rudimenti di una differenziazione sessuale, tratta la nave come femminile; solo la nave da guerra è paragonata all’uomo guerriero e denominata man of war. È indicativo di questa concezione, che noi troviamo sulla chiglia di molte navi una figura femminile come decorazione. «Agli occhi del marinaio la nave ha non soltanto spalle e didietro, essa assomiglia anche all’arca che racchiude i germogli della vita, alla mistica

cassetta, che nelle feste di Demetra e di Dioniso era portata in processione dalle donne. Assomiglia alla sposa del dio indiano Siva, corre attraverso l’oceano con l’albero come un fallo» (Kleinpaul). Qui potrebbe entrare in gioco ancora un’altra rappresentazione. Il navigatore spesso vive per lungo tempo separato da sua moglie, mentre in quello stesso tempo è legato alla sua nave. Egli vive con la sua nave come colui che abita a terra vive con sua moglie e la sua famiglia. Così, metaforicamente, la nave diviene la moglie per il marinaio. La pupilla dell’occhio umano, che appare come un rotondo punto nero, viene nelle lingue più diverse sessualizzata in ugual modo. Pupilla significa in latino una ragazza; in greco ϰόρη, in spagnolo niña, in sanscrito kanna hanno lo stesso significato. L’ebraico ha due espressioni, una delle quali significa di nuovo ragazza, l’altra invece «ometto». Secondo l’opinione della maggior parte degli studiosi, quel che ha causato questa denominazione è l’esile immagine riflessa, che si scorge nella pupilla dell’altro. Kleinpaul contesta invece questa spiegazione poetica e ne dà una più naturalistica. Il punto rotondo nel mezzo dell’iride è, secondo Kleinpaul, paragonato da una fantasia ingenua a un buco, e trattato come simbolo grossolano del sesso femminile, proprio come avviene ad esempio anche con l’orecchio. Ora, quale che sia la giusta spiegazione, resta il fatto che una formazione in sé del tutto asessuale viene sessualizzata. In certi dialetti tedeschi, ganci e occhielli sono indicati

come maschio e femmina. Espressioni come madre, matrice, Patrize [punzone] si trovano nei mestieri più diversi; si tratta sempre di una cavità e di un perno, che s’inserisce in essa. In Italia vi sono chiavi maschi e chiavi femmine, a seconda che l’estremità che viene introdotta nella parte corrispondente della serratura sia piena o cava. Parliamo di città, anzi di intere regioni, come di personaggi femminili; quasi tutti gli alberi sono per noi femminili; chiaramente il fare frutti è il tertium comparationis. In latino il genere femminile degli alberi è addirittura una regola rigorosamente applicata. Mi limito a pochi esempi pregnanti. Se si approfondisce un po’ lo studio della propria lingua materna, ovunque si trova questo simbolismo sessuale. Ricco materiale a questo riguardo offre lo scritto di Kleinpaul Das Stromgebiet der Sprache. La fantasia umana attribuisce dunque anche a oggetti inanimati un sesso. Da ciò si dimostra l’enorme significato della sessualità per la fantasia umana. Da ciò risulta inoltre che l’uomo, di fronte agli oggetti inanimati, non sta affatto in un rapporto puramente oggettivo, bensì marcatamente soggettivo e personale, quale scaturisce dalla sua sessualità. È profondamente radicata nella natura dell’uomo la tendenza ad animare le cose che lo circondano: il bambino sgrida e picchia il tavolo contro cui ha urtato. L’uomo non si limita però ad animare le cose, ma le sessualizza anche. Con ciò arriviamo a comprendere l’opinione sopra citata di Kleinpaul che l’uomo sessualizza l’universo. È assai notevole

il fatto che la ricerca linguistica e quella medico-biologica conducano qui al medesimo risultato. Come Freud ha dimostrato,18 la pulsione sessuale è, in una fase precoce, autoerotica; l’uomo non conosce cioè all’infuori di se stesso ancora alcun oggetto, su cui possa concentrare la sua libido. Soltanto a poco a poco la libido si rivolge ad altri oggetti, ma allora non soltanto umani e viventi, bensì anche inanimati. Sarà tema di un’altra pubblicazione la trattazione esauriente di questo irradiarsi della sessualità, e specialmente anche delle anormalità in questo campo, che hanno una grande importanza per la comprensione di certe malattie mentali. Abbiamo stabilito che l’uomo fin dalle origini ha attribuito una grande importanza alle differenze sessuali. La sessualità dell’uomo mostra un bisogno di espansione che va molto al di là dell’oggetto del soddisfacimento sessuale. L’uomo pervade, impregna tutto l’ambiente che lo circonda con la sua sessualità, e la lingua è la testimonianza della sua fantasia sessuale sempre creativa. Di fronte a tali fatti appare molto singolare che si faccia rimprovero a Freud e ai suoi seguaci di sopravvalutare il ruolo della sessualità nella vita psichica normale e patologica. Molto maggiore mi sembra il pericolo della sottovalutazione. Un’obiezione che si sente spesso contro Freud dice inoltre che la pulsione di autoconservazione domina la vita umana molto più di quanto la domini la pulsione sessuale; il privilegiamento di quest’ultima sarebbe perciò un’esagerazione. L’indirizzo di ricerca inaugurato da Freud si compiacerebbe soltanto di

introdurre in tutte le cose un significato sessuale. Certamente nella coscienza la pulsione di autoconservazione con le sue irradiazioni può avere abbastanza spesso la preminenza. Gli avversari di Freud commettono però l’errore di considerare soltanto i processi coscienti. Freud non ha mai sostenuto che alle rappresentazioni sessuali coscienti debba attribuirsi la preminenza assoluta fra tutte. Proprio le rappresentazioni inconsce, rimosse, influenzano la fantasia nella misura più forte. Tutte le obiezioni avanzate contro la teoria sessuale di Freud si dissolvono nel nulla se soltanto prendiamo in considerazione la nostra lingua materna. La lingua scaturisce come nessun’altra cosa dall’essenza più intima del popolo. Attraverso di essa parla la fantasia del popolo; essa si manifesta in tutte le mille allegorie e analogie di cui noi siamo a malapena coscienti. Non c’è frase alcuna in cui non compaiano espressioni simboliche. Questo simbolismo è però, per una considerevole e importante parte, di tipo sessuale. Mi riferisco ancora una volta al fatto che, nella nostra lingua, ci sono parole maschili, femminili e senza sesso (neutre). Se hanno ragione gli avversari di Freud, cioè se realmente nella vita psichica dell’uomo è la pulsione di autoconservazione che ha il ruolo prevalente, e non la pulsione sessuale, allora deve sorprendere molto che la lingua distingua secondo punti di vista sessuali. Perché la lingua non distingue le cose piuttosto in base al fatto che tornino o no a vantaggio della pulsione di autoconservazione? Perché essa invece delle cose maschili,

femminili e senza sesso non distingue per esempio cose mangiabili, bevibili e come terza categoria cose non commestibili? Vi è una quantità di oggetti e di attività, che dai tempi dei tempi sono al servizio del simbolismo sessuale. Li ritroviamo sempre in questo significato nella Bibbia, nei Veda, nei miti greci e nordici, nei poemi dell’epoca storica, nei sogni ecc. In ciò rientra, per esempio, il serpente come simbolo del membro maschile. Nel Genesi esso è il seduttore di Eva. Nelle fiabe tedesche e nordiche ritroviamo il serpente nello stesso significato.19 Nei sogni delle donne il serpente ha un ruolo importante; il significato del simbolo è di solito trasparente. Il timore superstizioso dei serpenti è sicuramente in connessione con la stessa rappresentazione.20 Non di rado sentiamo dire da donne malate mentali che sono aggredite da serpenti, che questi strisciano nei loro genitali o nella bocca. Sappiamo che in questo senso la bocca è soltanto un sostituto della vulva (la «trasposizione verso l’alto» di Freud).21 Si veda a questo proposito anche lo scritto citato di Riklin. Un altro simbolo molto popolare è la mela, che rappresenta la fecondità femminile. Eva seduce Adamo con la mela.22 Quanto profondamente sia radicato nell’uomo il simbolismo sessuale si rivela in modo molto istruttivo nell’esperimento associativo. Si leggono a una persona certe parole stimolo, alle quali deve reagire con altre parole che le vengono in mente. La scelta della parola reazione, così come

certi fenomeni che accompagnano la reazione, indicano in molti casi che attraverso la parola stimolo si è colpito, per vie associative, un «complesso» di natura sessuale presente nella persona sottoposta all’esperimento.23 La disposizione ad assimilare anche la parola più innocente al complesso, a concepirla come simbolo nel senso del complesso, è spesso veramente enorme. Questa tendenza non perviene affatto alla coscienza della persona che si sottopone all’esperimento, mentre pronuncia la parola reazione. In qualche caso essa stessa può chiarire il nesso della parola reazione con un complesso sessuale, dovendo superare nel fare ciò inibizioni più o meno forti. In altri casi sono necessari duri sforzi analitici da parte dell’esaminatore per scoprire questa connessione. Chi ha una certa esperienza nella tecnica dell’esperimento e dell’analisi psichica troverà indicazioni a sufficienza nella reazione e nei fenomeni concomitanti per dare alle sue domande la direzione adeguata. Nella Clinica psichiatrica di Zurigo è in uso una lista di cento parole stimolo; la sua applicazione a moltissime persone ha fruttato, riguardo al simbolismo sessuale dell’inconscio, risultati interessanti, che del resto collimano perfettamente con le esperienze di Freud, ottenute per altra via.24 Possono servire di dilucidazione alcuni esempi. Una parola stimolo che con grande regolarità suscita sorprendenti fenomeni psichici è il verbo «arare». Come parola stimolo nell’esperimento essa produce nel soggetto che vi si sottopone tutti quei fenomeni che conosciamo per

esperienza come segni di un’emozione: prolungamento del tempo di reazione, non comprensione e ripetizione della parola stimolo, arresto nel pronunciare la parola reazione, gesti d’imbarazzo ecc. Chiaramente «arare» veniva inteso dal soggetto sperimentale come una denominazione simbolica dell’atto sessuale. È interessante che, tanto nella lingua greca e nella latina quanto in quelle orientali, «arare» venga usato molto comunemente in questo senso.25 Altre parole stimolo, come «lungo», «albero», «ago», «stretto», «parte», sono con sorprendente regolarità assimilate in significato sessuale. Noi quindi recepiamo frequentemente in senso sessuale parole che ci vengono gettate là senza nesso. Se è presente un forte complesso sessuale, tale tendenza è particolarmente accentuata. Di fronte a tali fatti mi pare assolutamente chiaro che il simbolismo, e specialmente quello sessuale, è patrimonio comune a tutti gli uomini. Cade, a questo punto, l’obiezione che il simbolismo o il significato ad esso attribuito esista solo nella fantasia di alcuni studiosi prevenuti. Kleinpaul26 esprime la sua opinione su questo punto con grande determinatezza e acume: «I simboli non sono creati, ma ci sono; non sono inventati, bensì soltanto riconosciuti».27 Non voglio limitarmi a rimandare alle esposizioni di Freud sul simbolismo e agli esempi di sogno da lui analizzati, ma voglio dare qui un frammento dell’analisi di un sogno, per quanto serve alla spiegazione del simbolismo; per brevità non mi soffermerò sul restante materiale del sogno. Il sogno che mi comunicò una conoscente è il seguente: «Sono sola in una stanza oblunga. Improvvisamente risuona un rumore

sotterraneo, che non mi meraviglia, perché mi rammento subito che, da un punto del pavimento, un canale sotterraneo conduce direttamente nell’acqua. Sollevo una botola sul pavimento e subito appare una creatura rivestita di una pelliccia brunastra, che somiglia all’incirca a una foca. Getta la pelliccia e risulta essere mio fratello, che esausto e senza fiato mi chiede di dargli ricovero, poiché è fuggito senza permesso e ha nuotato sott’acqua per tutto il percorso. Io lo conduco a sdraiarsi su un’ottomana che sta nella camera, ed egli si addormenta. Qualche istante dopo risuonano ripetuti rumori alla porta, molto più forti. Mio fratello balza in piedi con un grido di spavento: “Mi vogliono prendere, crederanno che ho disertato!” Si infila la sua pelliccia e cerca di fuggire attraverso il canale sotterraneo, ma ritorna subito indietro e dice: “Non serve più, hanno occupato il passaggio dalla parte dell’acqua!” In questo momento si apre la porta di scatto e parecchi uomini si precipitano dentro e s’impadroniscono di mio fratello. Io grido loro disperatamente: “Per carità, non ha fatto niente, voglio parlare in suo favore!” In quell’istante mi sveglio». La sognatrice è sposata da poco tempo e si trova all’inizio della gravidanza. Ella attende il parto non senza timore. La sera si è fatta spiegare dal suo medico varie cose sullo sviluppo e sulla fisiologia del feto. Già prima aveva qualche idea generale ricavata dai libri, tuttavia erano evidenti alcune concezioni erronee. Non aveva, per esempio, compreso esattamente il significato del liquido amniotico. Inoltre si immaginava la fine lanugine fetale (lanugo) come la folta peluria di un cucciolo di animale.

Il canale che conduce direttamente nell’acqua = condotto genitale. Acqua = liquido amniotico. Da questo canale arriva un animale peloso, come una foca. La foca è un animale peloso che vive nell’acqua, proprio come il feto nel liquido amniotico. Questa creatura, dunque il figlio atteso, appare improvvisamente: parto rapido, facile. Si rivela come fratello della sognatrice. Il fratello è in effetti notevolmente più giovane della sognatrice. Dopo la morte precoce della madre, ella dovette prendersi cura di lui, e aveva con lui un rapporto molto simile a un rapporto materno. Ella ama ancora adesso chiamarlo «il piccolo», come chiama il fratello e la sorella più giovani «i bambini». Il fratello minore sostituisce quindi il figlio atteso. Si augura la sua visita (ella

abita molto lontano dalla sua famiglia), attende quindi in primo luogo il fratello, in secondo luogo il figlio. Questa è la seconda analogia tra fratello e figlio. Ella desidera, per un motivo che qui non ci interessa, che il fratello lasci la sua dimora. Perciò egli nel sogno «diserta» la sua dimora. Quel luogo è situato vicino all’acqua; là egli nuota molto spesso. (La terza analogia con il feto!) Anche la dimora di lei si trova presso l’acqua. L’angusta stanza in cui si trova nel sogno si affaccia sull’acqua. Nella stanza si trova un’ottomana, che può essere usata come letto se arriva un ospite. Ella attende in questa stanza suo fratello come ospite. Una quarta analogia: la stanza dovrà divenire più tardi la camera dei bambini, il bambino dovrà dormire lì. Quando il fratello arriva è senza fiato. Egli ha infatti nuotato sott’acqua. Anche il feto, quando ha lasciato il canale, non può non ansimare. Il fratello si addormenta subito, come il bimbo subito dopo la nascita. Ora segue una scena in cui il fratello si trova in uno stato d’intensa paura, in una situazione dalla quale non c’è fuga. Una tale situazione, che incombe sulla sognatrice stessa, è il parto. Questo le cagiona già in anticipo angoscia. Nel sogno essa addossa la paura al feto e rispettivamente al fratello, che rappresenta il feto. Lo induce a coricarsi perché è così affaticato. Dopo il parto ella sarà necessariamente affaticata e dovrà stare sdraiata: nel sogno è attiva e fa coricare il fratello. Si trae d’impaccio anche in un altro modo: il fratello è giurista e deve fungere da difensore, deve «parlare in favore». Ella gli sottrae questo ruolo, parla in favore di lui. In

cambio gli attribuisce la sua paura. Il sogno contiene simboli che possono valere come esempi tipici. Tra un bambino e una foca, un canale sotterraneo e il canale genitale, c’è certamente soltanto una vaga analogia. Tuttavia nel sogno l’uno viene impiegato per l’altro. Il fratello della sognatrice subentra al posto del figlio, sebbene sia adulto da un pezzo. Egli è per lei appunto «il piccolo». Il sogno fa uso preferibilmente di parole che possano essere intese in diversi sensi. Gli appagamenti di desiderio di questo sogno sono in parte chiaramente manifesti: il desiderio di un parto facile, di cui non sia necessario aver paura, e il desiderio di poter aver cura del fratello. È probabile che il sogno, non interpretato tutto fino in fondo, includa in sé ancora un ulteriore, nascosto appagamento di desiderio. Per mostrare che lo stesso simbolismo è proprio di certi stati psicopatologici, voglio offrire soltanto un esempio. Le allucinazioni dei malati mentali, sia che persistano per molti anni o appaiano soltanto transitoriamente durante uno stato crepuscolare, assomigliano straordinariamente alle visioni oniriche. Risulta dall’analisi che non si tratta soltanto di una somiglianza superficiale. Una ragazza, all’età di dieci anni, viene violentata dallo zio, un ubriacone, nel fienile presso la casa dei genitori di lei. Egli l’aveva minacciata di dare fuoco alla casa se gli avesse resistito. Intimorita dalle minacce, aveva ceduto più volte alle voglie dello zio. Quando, qualche tempo dopo, si manifestò in lei un disturbo psichico, i ricordi dell’oltraggio sessuale e gli autorimproveri che ella si faceva a causa della sua arrendevolezza fornirono il contenuto essenziale della psicosi, cioè determinarono i fenomeni patologici. Questi fenomeni si celarono dietro un simbolismo sessuale che concorda completamente col simbolismo del sogno. Dalla descrizione completa del caso che ho dato in una precedente

pubblicazione,28 citerò i passi che qui interessano. La paziente soffrì per molti anni di visioni notturne, in particolare vedeva bruciare il fienile. Questa visione è chiaramente determinata da due fatti: lo zio l’aveva minacciata di appiccare il fuoco e aveva abusato di lei nel fienile. Oltre a questo, faceva sogni spaventosi. Una volta arrivò uno stormo di gufi; gli animali la guardarono attentamente, volarono verso di lei, le strapparono la coperta e la camicia e gridarono: «Vergognati, sei nuda!» Questa è chiaramente una reminiscenza dell’oltraggio. Tempo dopo vide in stato di veglia l’inferno. Le scene che vi vide erano a tinte fortemente sessuali. Vide «creature metamorfiche», mezze bestie e mezze uomini: serpenti, tigri, gufi. Si presentarono anche ubriaconi, che si trasformarono in tigri e si lanciarono sugli animali femmine.

Gli appagamenti di desiderio contenuti in queste visioni e in questi sogni si possono riconoscere soltanto in base a tutta la storia della malata. Qui basta comprendere i simboli. Particolarmente interessanti sono le “creature metamorfiche” incarnanti lo zio della paziente, che sono composte da un ubriaco e da una tigre. Il vizio del bere e la brutalità bestiale dello zio sono così riunite in uno stesso simbolo. I serpenti in una scena chiaramente sessuale non possono avere nessun altro significato che quello di cui già precedentemente siamo venuti a conoscenza. Certi tipi di animali hanno una grande importanza come simboli sessuali nel sogno e nella psicosi. Una mia paziente con un pronunciato erotismo, che soffriva di ebefrenia, aveva dato a questi animali, che apparivano nelle sue allucinazioni, il nome di «animali di bellezza». Un eufemismo che certamente non è affatto privo di erotismo! Riklin29 ha raccolto dalle fiabe di popoli diversi bellissimi esempi di questo tipo. Infine desidero rimandare anche al simbolismo presente nella novella di Jensen analizzata da Freud.30

4. Analisi della leggenda di Prometeo Mediante le più eterogenee immagini della fantasia umana si introduce la medesima simbologia che è in massima parte simbologia sessuale. Mi accingo ora all’analisi di un mito. Nella ricostruzione di questo mito non ci occuperemo soltanto della simbologia, ma anche di altre importanti analogie con il sogno. Secondo la concezione dei greci, Prometeo creò gli uomini e poi rubò il fuoco agli dèi per portarlo alle sue creature. Che l’uomo sia creato da un essere superiore è un’idea che incontriamo presso i popoli più diversi. Ma per quanto possa esserci familiare, richiede tuttavia una spiegazione. E parimenti richiede una spiegazione il racconto secondo cui il creatore degli uomini, che non ha una vera e propria natura divina e non è neppure un uomo, abbia rubato il fuoco agli dèi e sia perciò entrato in conflitto con Zeus. La nascita della leggenda dell’origine del fuoco ha trovato il suo relatore in Adalbert Kuhn.31 Kuhn è il fondatore della mitologia comparata; a lui la scienza deve una serie di studi fondamentali su diverse figure mitologiche. Egli partì dal fatto che certe leggende comuni ai popoli indogermanici sono contenute nei Veda indù in forma molto più originaria di quella conosciuta attraverso le fonti greche e altre fonti. Così egli giunse a ricondurre le figure di Atena, dei Centauri, di Orfeo, di Wotan e di altri dèi ed eroi del mito greco e germanico a fonti vediche, e attraverso ciò a spiegare il senso più proprio dei miti. La sua estesa trattazione Die Herabkunft des Feuers und des Gottertranks

(1859, nuova ed. 1886) divenne estremamente importante per la ricerca mitologica. Altri studiosi come Delbrück, Steinthal, Cohen, Roth, Max Müller, Schwarz seguirono presto le sue orme. Riferirò in quanto segue soltanto i risultati più importanti delle ricerche di Kuhn; inoltre, per ora, mi limito per ragioni tecniche al mito dell’origine del fuoco. Nel fare ciò mi attengo in parte al compendio del lavoro di Kuhn dato da Steinthal32 in una recensione critica; ho anche utilizzato le osservazioni generali che Cohen33 ha riallacciato alle conclusioni di Kuhn. Nel quadro di questa esposizione non è naturalmente possibile fornire integralmente per i singoli punti dell’analisi le documentazioni tratte dalla mitologia e dalla linguistica comparata. Per questo aspetto sono costretto a rimandare tanto all’originale quanto ai due scritti citati di Steinthal e di Cohen. Stando alle informazioni che le ricerche ci forniscono, tutti i popoli indoeuropei originariamente si procurarono il fuoco per sfregamento. Possiamo mostrare che questo metodo esiste ancora in epoca storica; ci sono persino noti i termini tecnici relativi ad esso. Presso popoli scarsamente civilizzati di altre razze incontriamo ancora oggi lo stesso procedimento. Il problema di come l’uomo sia pervenuto a produrre il fuoco mediante sfregamento può restare aperto. Secondo Kuhn in ciò sarebbe stata maestra la natura; l’uomo potrebbe aver osservato nella foresta vergine come un germoglio secco di una pianta rampicante mosso dal vento si sfregasse nella cavità di un ramo e andasse poi in fiamme.

Già Peschel34 fa osservare l’improbabilità di tale spiegazione; egli pensa che l’uomo, trivellando e compiendo altre attività manuali, imparò che due oggetti si riscaldano mediante sfregamento, anche senza aver osservato un evento analogo nella natura. Il primitivo strumento per accendere il fuoco consisteva in un bastone di legno duro e in un disco di legno tenero che aveva una cavità. Il legno era portato all’accensione mediante movimenti di rotazione e di strofinio del bastone nella cavità. Il fuoco così prodotto aveva la caratteristica di spegnersi dopo qualche tempo; si doveva allora riprodurlo nuovamente. La stessa osservazione l’uomo faceva però anche per un altro fuoco, e cioè quello celeste. Nel cielo ogni giorno gli appariva il fuoco del sole, caldo e luminoso, talvolta vedeva inoltre scendere dal cielo raggi di fuoco, luminosi e ardenti. Anche il fuoco celeste si estingueva dopo un certo tempo. Dunque anche in cielo doveva certamente esserci qualcosa che si accendeva e si spegneva. Secondo un’antichissima rappresentazione dei popoli indoeuropei le nubi erano viste come un albero: il frassino al centro del mondo che ritroviamo nei miti più svariati. Ma il legno del frassino serviva all’uomo proprio come strumento per accendere il fuoco. Se si vedeva il fuoco nel cielo, questo significava che anche il legno del frassino celeste ardeva. Il fulmine che cadeva dal cielo sulla terra era un fuoco che veniva giù dal frassino celeste. Da ciò nacque l’idea che il fuoco terrestre fosse un fuoco celeste disceso sulla terra. Il movimento rapido del fulmine attraverso l’aria ricordava il

volo degli uccelli; da ciò derivò l’ulteriore supposizione che un uccello, il quale aveva il suo nido nel frassino celeste, avesse portato sulla terra il fuoco del cielo. Nel mito di diversi popoli e di diversi periodi questo ruolo è assegnato all’aquila, al falco o al picchio. Certi tipi di alberi, per esempio il sorbo selvatico, che hanno frutti rossi, spine o foglie pennate, rappresentavano le metamorfosi dell’uccello del fulmine. In quegli elementi si riconoscevano il colore, gli artigli e il piumaggio dell’uccello. Accanto al fuoco celeste e a quello terrestre troviamo nelle rappresentazioni dei miti indoeuropei un terzo tipo di fuoco: il fuoco della vita. Incontriamo qui la stessa analogia in virtù della quale furono identificati il fuoco celeste e quello terrestre. Anche il fuoco della vita deve essere risvegliato. Fintantoché rimane nel corpo, il corpo è caldo. E come ogni fuoco, anche il fuoco della vita si estingue. Ma l’analogia più evidente è quella tra il concepimento e la preparazione del fuoco. Come il fuoco viene risvegliato mediante la penetrazione di un bastone in un disco di legno, allo stesso modo la vita umana è risvegliata nel grembo materno. Molteplici sono le testimonianze di questa concezione sia nel mito che nella lingua. Qui ricordo soltanto che le due parti fondamentali del primitivo strumento per accendere il fuoco hanno in varie forme gli stessi nomi dei genitali maschili e femminili. Tanto questa visione era divenuta carne e ossa per il popolo. E ancor più: troviamo la medesima identificazione nelle lingue semitiche. In ebraico le espressioni «maschile» e «femminile» significano proprio:

il perforatore e la cavità! Così la nascita del fuoco della vita, la creazione dell’uomo viene parimenti trasferita là in alto, al frassino celeste. Da esso deriva tanto l’uomo quanto il fuoco; perciò anche l’uomo come il fuoco è stato trasportato sulla terra tramite un uccello: la cicogna, che porta i bambini. Un’epoca più tarda, che per così dire costituisce una nuova stratificazione nella costituzione del mito, crea dèi simili agli uomini. Essa conserva l’antica analogia del fuoco con la vita; soltanto le dà una nuova forma: il dio del fuoco è anche l’uomo-dio. Nei Veda incontriamo un dio Agni (agni=latino ignis, fuoco) che personifica il fuoco, la luce, il sole e il fulmine, ed è però nello stesso tempo anche il primo uomo. Nei miti di diversi popoli Agni è ancora l’uccello del fulmine. Picus, il picchio, era nel mito latino più antico l’uccello del fuoco, il fulmine e l’uomo. Una versione più tarda del mito ne fa il primo re del Lazio; ma oltre a ciò egli rimase il dio protettore delle puerpere e dei lattanti, dunque il dio della vita. Con la progressiva personificazione degli dèi, tutto nella natura diventava loro prodotto o loro attributo. Così anche il fuoco non era più un dio, ma era prodotto da un dio. Un dio accendeva al mattino il fuoco del sole spento perforando il disco solare, e produceva il fulmine spingendo un cuneo nelle nuvole. Come il fuoco celeste, anche quello terrestre doveva sempre essere di nuovo prodotto. Se il fuoco si spegneva, Agni era scomparso; doveva essersi nascosto. Come in cielo era nascosto in una nuvola (nell’albero delle

nuvole) così sulla terra era nascosto in un disco di legno, dal quale si poteva di nuovo far scaturire mediante procedimenti di penetrazione e di sfregamento. Qui incontriamo nel mito una nuova figura, il cui nome più antico (nei Veda) è Matari ´svan. Matari´svan va a prendere Agni, che sta nascosto nella nuvola – o nel legno – e lo riporta sulla terra. Secondo un’altra versione trova Agni in una caverna. Egli porta agli uomini la luce e il calore di cui hanno bisogno per vivere. Il suo nome significa «colui che si gonfia o che agisce nella madre»: è di nuovo il fulmine o la verga perforante. A Matari´svan, portatore del fuoco, corrisponde nel mito greco Prometeo. In epoca storica il nome Prometeo, che aveva subito diversi cambiamenti, fu interpretato come «colui che si prende cura». Come forma più antica si può indicare tra l’altro «Pramantha». Questo nome ha un duplice senso. Significa innanzitutto «colui che trae fuori per sfregamento», cioè colui che tramite sfregamento produce qualche cosa. Qui è da osservare che matha designa il genitale maschile. Il secondo significato di Pramantha è colui che ruba il fuoco. Alla rappresentazione di PrometeoPramantha che produce il fuoco, si affianca l’altra rappresentazione di Prometeo che – come Matari´svan – va a prendere o ruba il fuoco dal cielo. Egli nasconde la scintilla del fuoco in un cespo di nartece, cioè un tipo di legno che serve a produrre il fuoco. Nel mito vediamo dunque apparire il fuoco in triplice forma: come fuoco (contemporaneamente dio del fuoco), come generatore del fuoco (oppure come colui che produce

il fuoco mediante sfregamento, oppure come colui che prende il fuoco dal cielo), e infine come uomo. L’uomo è nel mito identico al fuoco anche in quanto i primi uomini derivano dal fuoco e perché l’uomo racchiude in sé il fuoco della vita. 5. Gli infantilismi nella psicologia individuale e nella psicologia dei popoli; appagamento di desideri nel sogno e nel mito Quanto ho sopra brevemente esposto può dare soltanto un’idea incompleta della molteplicità delle fonti che confluiscono nella leggenda di Prometeo. L’indagine su queste fonti ha avuto un’enorme importanza scientifica; ha condotto all’abbandono della concezione tradizionale che il mito sia l’espressione figurata di un pensiero filosofico e religioso. Kuhn35 cercò di dimostrare che ogni mito si fonda su una concezione della natura. Egli dimostrò che ogni mito, al di là del contenuto immediatamente evidente nella sua espressione letterale, ha anche un contenuto latente, che si nasconde sotto espressioni simboliche.36 Chi conosce il metodo freudiano d’interpretazione dei sogni e la teoria del sogno, che ne è derivata, osserverà che tra l’interpretazione della leggenda di Prometeo di Kuhn e l’interpretazione dei sogni di Freud esistono ampie analogie. Quando a due formazioni psichiche che esteriormente mostrano differenze così rilevanti come accade nel sogno e nel mito è applicabile lo stesso metodo di ricerca, si può scorgere in ciò una nuova conferma dell’ipotesi che sotto differenze esteriori si nasconde un’intima affinità. L’esempio della leggenda di

Prometeo ci servirà ora a dimostrare l’affinità psicologica del sogno e del mito. Il mito di Prometeo, per quel che qui ci interessa, si può raccontare in poche parole. L’interpretazione, che ci ha svelato il senso più vero di queste poche parole, ha richiesto uno spazio molto più ampio. Nel sogno troviamo una situazione del tutto analoga: anche un sogno breve contiene molto di più di quanto noi potremmo supporre dal semplice racconto. Come Freud ha costatato per il sogno, analogamente anche nel mito si nasconde sotto un contenuto manifesto un contenuto latente. Per la determinazione di quest’ultimo è necessaria una tecnica d’interpretazione, la quale deve, in modo del tutto analogo all’interpretazione dei sogni, svelare tutto il materiale di rappresentazioni e di sentimenti che ha trovato nel mito la sua espressione. Le differenze più o meno rilevanti tra il contenuto latente e il contenuto manifesto del sogno chiariscono come colui che sogna solo raramente sia in grado di comprendere il suo sogno. Egli afferma che il sogno è senza senso, assurdo, e si oppone anche all’idea che in generale il sogno possa avere un senso; e se egli tenta di penetrare il significato del suo sogno, ne dà una spiegazione che risulta insufficiente, in quanto prende in considerazione soltanto il contenuto manifesto. Non diversamente si comporta il popolo! Non comprende il contenuto latente dei suoi miti, e ne dà una spiegazione insufficiente. Alcuni esempi lo chiariranno facilmente. I sogni della morte di parenti stretti di cui ci

siamo già occupati sono senza eccezione interpretati in modo falso dalle persone che li hanno fatti. In modo del tutto analogo i greci non discernevano il senso vero della leggenda di Prometeo. Essi fraintendevano persino il significato del nome Prometeo. Su questo punto dovremo ritornare ancora. Il fatto che il popolo creatore di miti si comporti di fronte al suo prodotto spirituale come il sognatore di fronte al suo sogno richiede una spiegazione. La chiave per risolvere questo enigma ci è data da Freud. La sua teoria del sogno culmina nella frase: «L’atto di sognare è un brano della superata vita psichica infantile».37 Questa affermazione non è immediatamente comprensibile. Freud arriva a tale concezione seguendo questa via: la nostra memoria conserva molte più impressioni di quante siano di solito accessibili al nostro ricordo. In particolare «dimentichiamo» volentieri alcune reminiscenze che sono legate a un sentimento penoso. Tali reminiscenze non sono però cancellate del tutto, ma soltanto non possono essere riprodotte volontariamente. Siamo già a conoscenza di questo processo di rimozione nell’inconscio. In particolare siamo soliti allontanare dalla nostra coscienza desideri rimasti inappagati o inappagabili per l’accentuata colorazione di dispiacere ad essi inerente. I sogni traggono la parte maggiore e più essenziale del loro materiale dalle rappresentazioni rimosse; soltanto una parte piccola e poco importante del contenuto del sogno è di natura attuale e recente. La stessa cosa ha luogo quando l’attività della coscienza è disturbata da processi patologici.

Anche in questo caso antiche reminiscenze emergono da una profonda rimozione. Possiamo osservare ciò particolarmente bene nell’isteria e nella dementia praecox. Il concetto di rimozione è indispensabile per spiegare i sintomi più eterogenei. I ricordi rimossi possono derivare da ogni periodo della vita. Tuttavia un’analisi esatta fornisce la prova che il fondamento ultimo di un sogno o di un sintomo delle malattie sopra nominate è una reminiscenza dell’infanzia. Il bambino appaga i suoi desideri, anche quelli attuali e non rimossi in quanto non sono realizzati, in fantasie diurne o in fantasie oniriche. In un’età più avanzata questa attività fantastica è rimandata di preferenza al momento del sonno. Nel sogno però l’adulto non conserva soltanto il modo infantile di pensare, ma anche gli oggetti del pensiero infantile. Solo apparentemente i desideri e le esperienze infantili giacciono dimenticati nel grembo dell’inconscio. Essi in certo qual modo sono lì in attesa, finché l’individuo non abbia un’esperienza che sia analoga a un’esperienza infantile. Allora il caso analogo viene assimilato al precedente. Il ricordo infantile subisce così nell’inconscio un rafforzamento. Quando ha raggiunto una certa intensità, arriva a manifestarsi, per quanto riguarda l’uomo sano nel sogno, per quanto riguarda il nevrotico o lo psicotico nei sintomi. Due condizioni sono necessarie: una riduzione dell’attività della coscienza, come si dà nel sogno e in certi stati morbosi, e un motivo attuale. In generale non si sarà disposti a concedere un effetto tanto ampio alle esperienze e ai desideri infantili, come lo concedo io insieme con Freud.

Si obietterà che gli interessi infantili furono repressi nella vita successiva da interessi completamente diversi. Questo è però, come si dimostrerà, un motivo contrario solo in apparenza. Il significato degli impulsi e delle reminiscenze infantili per la psicologia normale e patologica non è stato mai adeguatamente apprezzato nella sua portata fino agli Studi sull’isteria (1892-95) di Freud e Breuer apparsi nel 1895.38 È merito di questi due autori aver rivolto l’attenzione al significato delle reminiscenze infantili. Freud negli anni seguenti ha sempre ulteriormente elaborato questa teoria. L’idea che l’esperienza infantile sia significativa ha subito certamente dei mutamenti sostanziali, i quali però non hanno in nessun modo significato un abbandono della teoria degli «infantilismi psichici». Siamo in grado di chiarire adeguatamente che le prime reminiscenze infantili esercitano un così grande influsso sullo sviluppo psichico dell’individuo. Se anche molte delle esperienze che capitano al bambino derivano da situazioni esterne, e dunque non si fondano sulla sua individualità, tuttavia ce ne sono altre che derivano proprio dal suo carattere specifico. In due brevi saggi39 ho cercato di dimostrare questo per certe esperienze sessuali dell’età infantile. In termini generali possiamo formulare il risultato come segue: una parte delle esperienze del bambino e certamente quelle che lo hanno maggiormente impressionato, derivano dagli impulsi insiti in lui, innati. A ciò si aggiunge che il bambino nella prima infanzia non ha ancora imparato a subordinare per ragioni morali i suoi desideri ai desideri degli altri; che la sua

sensibilità non si è ancora attenuata, ma è ricettiva a tutte le impressioni; che il bambino perciò reagisce in modo intenso e disinibito. Ai ricordi dell’infanzia si assimilano quelli più tardi. In particolare sui desideri infantili rimossi si depositano quelli della vita successiva. Ricordo a questo proposito la predilezione infantile del figlio per la madre e la sua rivalità verso il padre e i desideri connessi a questi impulsi. Un’occasione attuale risveglia questi ricordi infantili. Essi trovano ora la loro espressione in un sogno. Questo unico esempio può bastare a spiegare in che senso Freud definisce il sogno come un brano della superata vita psichica infantile. Nel sogno dunque l’attività fantastica infantile continua a vivere insieme con i propri oggetti. L’analogia del mito con il sogno si rivela ora in modo evidente. Il mito ha la sua origine in un periodo della vita di un popolo, molto remoto, che potremmo indicare come l’infanzia del popolo. La fondatezza di questa analogia si può dimostrare facilmente. Un’espressione che Freud usa nell’Interpretazione dei sogni (1899), illustra molto bene lo stato delle cose. Freud definisce il periodo dell’infanzia, di cui abbiamo soltanto un ricordo oscuro, come il periodo preistorico nella storia dell’individuo. Sebbene le nostre reminiscenze di quel periodo siano molto indeterminate, esso non è tuttavia passato in noi senza lasciare impressioni. I desideri, che ci stavano a cuore in quel periodo e di cui ci ricordiamo tutt’al più in modo incompleto, non sono stati interamente estirpati, ma soltanto rimossi, e sopravvivono nelle nostre fantasie

oniriche. Tutto questo vale anche per i miti. I miti hanno la loro origine nel periodo preistorico dei popoli, del quale non sono a noi pervenute tradizioni precise. Essi contengono residui di ricordi dell’infanzia dei popoli. Ma si può trasferire dal sogno al mito anche la teoria dell’appagamento di desiderio? Io sostengo questa tesi, e appoggiandomi alla teoria freudiana del sogno formulo la mia opinione come segue: il mito è un brano della superata vita psichica infantile dei popoli. Esso contiene (in forma velata) i desideri infantili dei popoli. Siamo già venuti a conoscenza d’importanti prove relative a questa concezione, quando abbiamo paragonato certi miti a dei sogni «tipici». Abbiamo visto che nella leggenda di Edipo, in modo del tutto analogo a quanto avviene in certi sogni, trova espressione la sessualità infantile. Dalla traslazione sessuale del figlio sulla madre derivano desideri che come molti altri soggiacciono alla rimozione. L’educazione dell’uomo non è altro che una rimozione forzata e sistematica d’impulsi innati. Nel periodo dell’infanzia di un popolo, poiché c’erano ancora rapporti più naturali, poiché le convenzioni non avevano ancora assunto forme rigide, questi impulsi potevano realizzarsi. Un’età successiva li represse mediante un processo che possiamo senz’altro paragonare alla rimozione che avviene nell’individuo. Tali impulsi non scomparvero però del tutto, ma si conservarono nel mito. Si deve a questo processo, per il quale vorrei proporre il nome

di rimozione di massa, se il popolo non comprende più il senso originario dei suoi miti, proprio come noi non comprendiamo immediatamente i nostri sogni.40 Sembra che nei miti che riguardano la sua prima infanzia, un popolo esprima quei desideri che di solito rimuove nel modo più drastico. Consideriamo la descrizione biblica del paradiso. Freud l’ha caratterizzata con parole appropriate: «il paradiso non è altro che la fantasia collettiva dell’infanzia del singolo». Il Genesi racconta di Adamo ed Eva con particolare enfasi che essi erano nudi e non provavano vergogna di ciò. Sappiamo che il costume degli ebrei richiedeva rigidamente che il corpo fosse coperto. La violazione di questa usanza è sempre particolarmente biasimata nei racconti biblici. Alla fantasia collettiva della nudità dei primi esseri umani troviamo di nuovo un parallelo in un sogno tipico. Noi tutti occasionalmente sogniamo di andare in giro vestiti in modo molto sommario e d’incontrare persone che però non fanno caso al nostro stato. L’affetto di angoscia che solitamente accompagna questo sogno corrisponde alla drastica rimozione del desiderio infantile di mostrarsi nudi davanti ad altri. Freud ha ampiamente dimostrato che in questo sogno si tratta di una fantasia infantile di nudità.41 Egli ricorda che i bambini provano una grande gioia nel mostrarsi nudi davanti ad altri bambini o anche davanti ad adulti, oppure nell’esibirsi di fronte ad essi. Ci sono persone nelle quali questa deviazione infantile della pulsione sessuale si conserva con un’intensità eccezionale, e soppianta del tutto la loro normale attività; sono questi gli

esibizionisti. L’etica degli ebrei, molto rigorosa in materia sessuale, esigeva che la fantasia collettiva della nudità fosse confinata nella prima infanzia dell’umanità. I greci, che provavano assai minore vergogna della nudità, non hanno avuto bisogno di risalire tanto indietro nel passato. Freud ha richiamato l’attenzione sul fatto che la leggenda di Ulisse e Nausicaa tratta del medesimo tema. Egli l’ha perciò posta in parallelo con i sogni di nudità sopra ricordati. La leggenda greca di Prometeo corrisponde al racconto biblico della creazione del primo uomo. Come abbiamo visto, si differenzia da quello per la mancanza di un elemento corrispondente alla fantasia di nudità. Essa contiene invece il racconto del furto del fuoco, mentre nell’esposizione biblica non si trova nulla di analogo. Dobbiamo ora ricercare quali fantasie o desideri collettivi rimossi siano espressi in questa concezione greca della creazione dell’uomo e in particolare quale sia il significato che in essa ha il furto del fuoco. A questo fine dobbiamo però innanzitutto occuparci ancora di certe particolarità generali del mito e, per chiarirle, ritornare di nuovo alla teoria freudiana del sogno. Freud dichiara egoistico ogni sogno. Abbiamo dovuto imparare a reprimere tutte le nostre pulsioni egoistiche. Siamo stati costretti a rimuoverle per amore della maggioranza, per motivi sociali, familiari e per altre ragioni ancora. Quando, come nel sogno, l’inconscio riesce a parlare, quegli impulsi rimossi si fanno valere. Certamente essi debbono mascherarsi accuratamente, poiché nell’uscire

allo scoperto sono ostacolati dalla censura. L’egoismo del sogno si esprime nel fatto che il punto centrale del sogno è sempre il sognatore stesso. Ciò non è certo da intendersi nel senso che colui che sogna veda sempre se stesso al centro del processo onirico. Molto spesso egli segue lo spettacolo, per così dire, soltanto come spettatore. Allora però è rappresentato dall’attore che ha la parte principale. Questa parte tocca a una persona che ha in comune con il sognatore una caratteristica, un’esperienza, o qualcosa di simile. Il sognatore s’identifica con il personaggio principale del sogno. Così si produce l’impressione apparente che il personaggio principale del sogno sia anche il punto centrale del sogno. Di fatto l’identificazione significa un «come» (Freud, L’interpretazione dei sogni).42 Ma la particella «come» o «come se» manca al linguaggio onirico; il sogno può esprimere un paragone soltanto sostituendo una persona o un oggetto mediante un’analogia. Che lo scopo del sogno – un appagamento di desiderio – sia parimenti assolutamente egoistico, lo abbiamo già sopra costatato in accordo con le considerazioni di Freud. In pari senso egoistiche sono quelle altre formazioni psichiche che abbiamo posto in parallelo con il sogno. Dimostrare questo per quanto riguarda gli stati crepuscolari isterici ci porterebbe qui troppo lontano. Il rapporto è più chiaro per i disturbi mentali cronici accompagnati da formazioni deliranti. Anche la psicosi è assolutamente egoistica. Il malato è in ogni circostanza il punto centrale del suo sistema delirante. Egli è esposto ad ogni tipo d’intrighi, di pregiudizi,

di persecuzioni che da ogni parte sono messi in atto contro di lui. I suoi colleghi di lavoro vogliono eliminarlo, un esercito di poliziotti lo spia. Egli è l’unico, il solo, il giusto, a cui un mondo ingiusto e invidioso ha dichiarato guerra. Egli si pone in opposizione al mondo. Così ogni delirio di persecuzione contiene implicitamente un delirio di grandezza. La psichiatria invero suole parlare di delirio di grandezza soltanto se viene espressa una precisa idea di grandezza. Per questo noi preferiamo parlare, in un senso più generale, di un complesso di grandezza. Quando ascoltiamo un malato mentale che racconta il suo sistema delirante, la sua costruzione ci ricorda i cicli leggendari della mitologia, che si sono formati intorno a determinate figure. Il sistema delirante di un malato mentale è come un mito, nel quale egli celebra la sua propria grandezza. Ci sono malati mentali che sostengono di essere una precisa personalità storica famosa, come Napoleone o Bismarck. Un malato mentale di questo tipo, che trova tra sé e Napoleone una qualsivoglia analogia, s’identifica senz’altro con Napoleone, in modo del tutto analogo a come noi siamo soliti fare nel sogno. Alla psicosi – così come al sogno – manca il «come se». Se andiamo più nei particolari, troviamo molte prove della giustezza di questo paragone. Per esempio, le idee deliranti di molti malati mentali, soprattutto le loro idee di grandezza, riguardano spesso la loro infanzia. Mi riferisco in particolare alle idee deliranti sulla propria origine, poiché sono di grande interesse per l’ulteriore analisi della leggenda di Prometeo. Casi di questo tipo sono noti ad ogni

psichiatra. Un paziente sostiene per esempio che le persone di cui egli porta il nome non sono i suoi veri genitori; egli sarebbe infatti il figlio di un principe, avrebbe dovuto essere soppresso per un misterioso motivo e a causa di ciò sarebbe stato, da bambino, affidato ai suoi «genitori» perché lo allevassero. I suoi nemici vogliono ora mantenere la finzione che egli sia di bassa origine, per reprimere le sue legittime pretese alla corona o a delle grandi ricchezze. Queste idee deliranti sulla propria origine ci ricordano di nuovo i sogni a occhi aperti infantili, nei quali il bambino è un principe o un re e pone in ombra mediante le sue vittorie la gloria di tutti gli altri. Il desiderio di diventare qualcosa di grande viene soddisfatto attraverso la fantasia dell’origine regale. Infatti nella fantasia infantile un principe è senz’altro predestinato a destare l’ammirazione di tutti. La meta cui aspira ardentemente ogni bambino spiritualmente vivace, è diventare grande, nel doppio senso della parola. Mi sembra che chiunque da adulto compie o immagina di compiere qualcosa di speciale, da bambino ha nutrito nel suo animo un complesso di grandezza. Più tardi dimenticò le fantasie che ebbe nell’infanzia. Ma il complesso di cui quelle fantasie erano al servizio non muore prima dell’individuo. Se, una volta cresciuto, non vede realizzate le sue ambizioni, anche l’uomo sano non di rado ritrasferisce nell’infanzia l’appagamento dei suoi desideri e diviene un laudator temporis acti. Il complesso di grandezza così come è proprio dell’infanzia dell’individuo, allo stesso modo lo è dell’infanzia

di un popolo; e anche nell’epoca «storica» di un popolo non sparisce senza lasciare tracce, così come abbiamo potuto costatare anche nell’individuo. Anche nel mito ha luogo un’identificazione. Il popolo s’identifica con la figura centrale del mito. Anche ad esso è ancora estraneo il «come».43 Ogni popolo ha circondato l’inizio della sua esistenza con un mito, che ci ricorda in modo sorprendente le idee deliranti dei malati mentali sulla loro origine. Ogni popolo vuole discendere dal suo dio principale, vuole essere «creato» da lui. La creazione non è che un concepimento spogliato di sessualità. Questo risulta con meravigliosa chiarezza dall’interpretazione della leggenda di Prometeo di Kuhn.44 Prometeo «crea» gli uomini; egli è però, se indaghiamo sulla sua storia, colui che perfora, che concepisce, e allo stesso tempo il dio del fuoco. Dai Veda veniamo a conoscenza di molte generazioni di sacerdoti che erano al servizio di Agni, dio del fuoco, e tutti derivavano la loro origine dal fuoco. Anche i nomi di queste generazioni di sacerdoti (Angirasen, Bhrgu e altri) significano di nuovo fuoco o fiamma. Così l’uomo fa risalire la sua origine agli dèi che egli si è creato, al fuoco che ha divinizzato, al frassino celeste da cui gli è venuto il fuoco. Askr, il frassino, è nella leggenda nordica il capostipite del genere umano. Così in un tempo primordiale l’uomo ha proiettato nel cielo il suo complesso di grandezza. Quali insignificanti epigoni di questi uomini del passato sono i nostri malati mentali, che si contentano di discendere da un grande di questa terra, e noi

stessi, che facciamo la stessa cosa nelle nostre fantasie infantili! La leggenda di Prometeo è inoltre ricca anche di esempi d’identificazione. Basta soltanto ricordare l’identificazione tra colui che perfora, il fulmine e l’uomo. Se l’uomo è stato generato da un dio, anch’egli è divino, oppure il dio è nello stesso tempo umano. L’uomo dunque s’identifica con la divinità. Così è nella forma più antica della leggenda di Prometeo; soltanto in un’epoca più tarda la generazione viene sostituita dalla creazione. Solo apparentemente la storia della creazione del Vecchio Testamento costituisce un’eccezione. Il racconto del Genesi non fa certo discendere l’uomo dal suo divino creatore. Dio crea l’uomo a sua immagine; qui nel contenuto manifesto del racconto è introdotta una somiglianza al posto dell’identificazione. La discendenza di Israele viene fatta risalire ai patriarchi. Dalle ricerche di mitologia comparata risulta che i patriarchi sono figure di divinità pagane modificate. Dunque anche Israele discende originariamente da un essere divino. Questa concezione fu poi in seguito adattata al monoteismo, per cui gli antichi dèi originari entrano al servizio dell’unico dio. L’orgoglio nazionale dovette accontentarsi di porre una relazione particolarmente stretta tra i patriarchi e il loro dio. Dio entra con loro in un rapporto personale, parla con loro, e conclude con loro perfino un patto, che deve essere tramandato ai posteri; attraverso tutto ciò i discendenti si sentono di nuovo particolarmente vicini al loro dio.

6. Gli effetti della censura nel sogno e nel mito; il lavoro di condensazione Abbiamo già conosciuto il concetto di censura. Anche se nel sogno la rimozione esercitata dalla coscienza è messa da parte, i desideri liberati non possono tuttavia manifestarsi del tutto apertamente. La censura non permette alle rappresentazioni rimosse di esprimersi in termini chiari e univoci, ma le costringe a presentarsi sotto una veste strana e singolare. Mediante questa deformazione onirica il contenuto reale (latente) del sogno viene trasformato nel contenuto manifesto. I pensieri onirici latenti, come Freud ha mostrato, sono già preformati nello stato di veglia per mezzo delle attività di pensiero inconsce. Il sogno non crea nuovi pensieri, ma trasforma soltanto i pensieri preformati nella veglia conformemente alle esigenze della censura. Freud distingue quattro vie, lungo le quali si attua questo lavoro. Dobbiamo ora verificare se nel mito ci siano relazioni simili, se anche qui operi una censura e se il mito adoperi i medesimi mezzi di espressione del sogno per evitarla. Possiamo anche qui servirci della leggenda di Prometeo come di un modello paradigmatico, ma dovremo in certi punti introdurre nella trattazione anche altri miti. Tra i diversi processi del lavoro onirico prendiamo innanzitutto in considerazione la «condensazione». Siamo già venuti a conoscenza di questo processo nella leggenda di Prometeo, senza però allora approfondirlo maggiormente. Ci aveva colpito il fatto che la leggenda di Prometeo, che a un primo sguardo appare così semplice, esprimesse nelle sue

poche parole un gran numero di idee. Queste ultime costituiscono, come abbiamo già visto, il contenuto latente del mito. Un elemento del contenuto onirico manifesto contiene molto spesso non uno soltanto, ma più pensieri del sogno. In modo del tutto simile si pongono i rapporti nel mito. Se le poche parole della leggenda contengono tutte quelle idee che il già citato lavoro di Kuhn ci ha fatto conoscere, ogni parola deve per così dire essere «sovradeterminata», in modo del tutto simile a quel che accade nel sogno. L’interpretazione dei sogni è in grado di fornire la prova che una persona che compare nel sogno può rappresentare più persone reali. Per esempio non è affatto raro che uno dei personaggi del sogno abbia il viso di una persona nota al sognatore, ma per il resto abbia la figura di un’altra persona. Colui che sogna pone in tal modo quelle due persone in rapporto reciproco, forse perché esse coincidono in un punto importante. Ogni evento nel sogno può parimenti essere determinato in più modi. Nell’analisi del sogno dobbiamo perciò sempre prendere in considerazione la molteplicità dei significati; ogni parola del racconto del sogno può contenere in sé un senso duplice o molteplice. Come gli elementi del sogno, così anche gli elementi del mito sono sovradeterminati. La leggenda greca di Prometeo deve la sua forma a un grandioso processo di condensazione. La figura di Prometeo, come comprendiamo dall’analisi, è la condensazione di tre concezioni. Secondo la prima egli è il dio del fuoco, secondo la seconda il fuoco, secondo la terza

l’uomo.

Da

queste

rappresentazioni

è

derivata

per

condensazione la leggenda del furto del fuoco. Steinthal45 ha riassunto in modo assai pregnante questo risultato oltremodo importante dell’analisi di Kuhn in una frase: «Dopo che il dio del fuoco è disceso come uomo dal cielo, va, come uomo o come dio, a prendere sulla terra se stesso come dio o come elemento divino e fa dono di sé come elemento a se stesso come uomo». A chi è abituato ad analizzare i sogni con l’ausilio del procedimento freudiano, l’intima affinità del sogno e del mito risulterà evidente in particolare per la comunanza del processo di condensazione. Egli riconoscerà delle condensazioni in particolari apparentemente insignificanti del mito, in modo del tutto analogo a come le incontra nei sogni. L’analisi di Kuhn per quasi tutti gli elementi della leggenda di Prometeo e per ciascun simbolo fornisce la prova di determinazioni molteplici. Ricorderò soltanto a questo proposito come, per esempio, nell’uccello celeste siano condensate le più svariate funzioni simboliche. Al lavoro di condensazione devono la loro origine i neologismi inconsueti del sogno. Freud fornisce (L’interpretazione dei sogni)46 interessanti esempi di questo tipo di condensazione, e insieme la loro interpretazione. Neologismi del tutto simili forniscono i malati mentali.47 Ma anche l’uomo sano li produce nello stato di veglia quando «fa un lapsus». Esempi di ciò si trovano in particolare nella Psicopatologia della vita quotidiana (1901) di Freud.48 Del materiale lì raccolto vorrei comunicare soltanto un esempio.

«Un giovanotto dice a sua sorella: “Con la famiglia D. ho rotto ogni rapporto. Non li saluto più”. E la sorella risponde: “Proprio un rapporto da letto!” voleva dire eletto, ma nell’errore verbale essa comprime due idee: che suo fratello una volta avesse iniziato un flirt con la figlia di quella gente, e che la ragazza, secondo le voci che correvano, avesse ultimamente iniziato una relazione illecita». La leggenda di Prometeo ci offre le medesime condensazioni di parole che nell’uomo sano si ritrovano nel sogno e per «sbaglio», e che il malato mentale crea. Pramantha (=Prometheus) produce mediante sfregamento il fuoco, e l’uomo; secondo un’altra rappresentazione egli ruba il fuoco, per portarlo agli uomini. Entrambe queste visioni sono condensate nel nome Pramantha. Pramantha significa «colui che trae fuori mediante sfregamento», cioè colui che produce mediante sfregamento, e insieme colui che ruba (il fuoco). Questa condensazione è resa possibile dall’omofonia tra il sostantivo matha (=il membro maschile, vedi il latino mentula) e la radice del verbo math (=prendere, rubare). Tra l’altro è anche da considerare il duplice senso di fregare o sfregare. 7. Spostamento ed elaborazione secondaria nel sogno e nel mito Una grande parte delle differenze esistenti tra il contenuto latente e quello manifesto si spiegano tanto nel sogno quanto nel mito mediante la condensazione. Un secondo metodo, di cui si serve il nostro inconscio per la deformazione onirica, è quello che Freud chiama

spostamento. Anche questa parte del lavoro onirico trova nel mito il suo analogo. Per motivi che diverranno subito evidenti, tratterò lo spostamento insieme con una terza parte del lavoro onirico, l’«elaborazione secondaria». Quando iniziammo la nostra trattazione sulle analogie tra il sogno e il mito, ci premeva innanzitutto dimostrare la giustezza di un tale modo di procedere. Abbiamo potuto facilmente superare due obiezioni, mentre abbiamo lasciato la terza provvisoriamente in sospeso. Su questa dobbiamo ora ritornare. Il mito, si può obiettare, ha subito, secondo quanto risulta dalla ricerca più recente, significative modificazioni prima di assumere la forma nella quale ci è stato tramandato, mentre il sogno sembra essere una formazione molto fugace, che vive soltanto per un attimo. Ma questa è solo un’apparenza. Il contenuto del sogno è in realtà parimenti preparato da lungo tempo. Abbiamo paragonato i periodi della vita dell’uomo con quelli dei popoli e abbiamo trovato che sogno e mito hanno origine in un’epoca preistorica. Abbiamo visto che le componenti del sogno erano già preformate nella veglia. Aggiungiamo ora che lo sviluppo del sogno non si conclude con il risveglio del sognatore. Anche allora perdura la concorrenza tra le rappresentazioni e i desideri che formano il sogno e la censura. Mentre cerchiamo di richiamare alla memoria un sogno, ma specialmente quando lo raccontiamo a un’altra persona, la censura apporta altri cambiamenti supplementari, per rendere ancora più completa la deformazione onirica. Questa è quella che Freud chiama

«elaborazione secondaria».49 Essa è soltanto un proseguimento del lavoro di spostamento compiuto nel sogno. Questi due processi sono sostanzialmente uguali e servono al medesimo scopo: spostano il contenuto e l’affetto del sogno. Quegli elementi che nei pensieri onirici hanno un’importanza predominante ricevono nel sogno una funzione più secondaria, mentre una qualsiasi cosa secondaria viene trattata nel modo più ampio. In tal modo viene effettuato nel sogno, secondo l’espressione di Freud, una «trasmutazione dei valori». Quel che è insignificante viene messo al centro dell’interesse al posto di ciò che è significativo, e la colorazione affettiva legata ai pensieri onirici viene spostata da quel che è significativo a quel che è insignificante. Tutti e due questi spostamenti si ripetono ancora nell’elaborazione secondaria. Proprio i punti critici del sogno soggiacciono di nuovo, dopo il risveglio, molto velocemente e in massimo grado alla rimozione, per cui la loro riproduzione viene resa difficile. Anche l’affetto subisce in questo processo una modificazione simile alla precedente. Se alla base del sogno vi era un complesso d’intenso valore emotivo, lo stesso complesso suole farsi valere subito – nella stessa notte o in una notte seguente – in altri sogni. Questi altri sogni tendono al medesimo appagamento di desiderio del primo; solo utilizzano nuovi mezzi espressivi, altri simboli e nuove associazioni secondarie. Un forte complesso può esprimersi per anni nella forma di un sogno ricorrente. A questo proposito basti soltanto ricordare i sogni tipici che abbiamo prima ampiamente trattato, per

esempio il tipico sogno infantile di nudità. Di nuovo i sogni tipici servono da mediatori nel passaggio dalla trattazione del sogno a quella del mito. Mutatis mutandis, riconosciamo il medesimo processo psicologico in questi due fatti: che lo stesso sogno accompagna l’individuo attraverso diverse età della vita e si modifica a poco a poco mediante l’assimilazione di nuovi elementi, e che un mito subisce a poco a poco delle modificazioni in diversi periodi della vita di un popolo. Ora, naturalmente, i periodi di tempo nei quali si sviluppa un mito sono infinitamente più ampi che nel sogno. Inoltre, da una persona a cui vogliamo interpretare un sogno possiamo procurarci informazioni sui punti dubbi. Analizzare un mito è in confronto straordinariamente difficile, perché siamo costretti a penetrare, mediante un’opera di confronto e di combinazioni, in una formazione psicologica costituitasi da millenni. Dopo un tempo così lungo soltanto in pochi casi particolarmente favorevoli sarà possibile accertare quale parte del lavoro di spostamento spetta al tempo nel quale il mito si è fissato, e quale al tempo successivo in cui è stato tramandato oralmente di generazione in generazione. Nuove generazioni ebbero nuove concezioni. Poiché, dove una tradizione non corrispondeva più alle concezioni di una generazione, questa attuava un’«elaborazione secondaria» del mito. Non dobbiamo neanche dimenticare quale ampio influsso sulle tradizioni mitiche di un popolo esercitino i miti dei popoli vicini. Per tutti questi motivi significherebbe far violenza ai fatti voler operare nel mito una separazione

artificiosa tra spostamento ed elaborazione secondaria. Parlando del lavoro di spostamento nel mito, lascerò di volta in volta indeciso, in quanto segue, se si tratti di uno spostamento primario o di uno spostamento secondario. 8. Gli effetti del lavoro di spostamento nelle leggende di Prometeo, Mosè, Sansone Ci siamo già imbattuti ripetutamente lungo il nostro cammino negli effetti del lavoro di spostamento nel mito, senza dedicare ad essi una particolare attenzione. La leggenda greca di Prometeo reca tracce evidenti di un lavoro di spostamento. Come abbiamo appreso dalle ricerche di Kuhn,50 questo mito affonda le sue radici in un periodo nel quale le forze della natura non erano ancora venerate nella forma di divinità simili all’uomo. Con la progressiva personificazione delle divinità ebbero origine Agni e Matari ´svan. Il primo era il fuoco, il dio del fuoco; il secondo era il dio che traeva fuori il fuoco perforando e andava a riprendere Agni quando questi si era nascosto. Le due figure originariamente non sono separate; Matariśvan appare piuttosto addirittura un soprannome di Agni, e solo in seguito se ne distingue come essere indipendente. Matariśvan, al quale corrisponde il greco Prometeo, era dunque propriamente colui che prende il fuoco. Nel mito greco diviene colui che ruba il fuoco. Egli porta agli uomini il fuoco preso dal cielo contro la volontà degli dèi, e subisce perciò la sua punizione. Prometeo deve dunque sottomettersi alla volontà di Zeus; in ciò risiede lo spostamento più importante della leggenda. Al mito originario, secondo cui

Matari´svan-Prometeo va a riprendere Agni, manca la tonalità affettiva in forma di una riprovazione per questa impresa. La versione greca del mito opera qui uno spostamento affettivo. Prometeo, che pecca contro gli dèi, diviene il rappresentante dell’uomo, il quale anche si ribella abbastanza spesso contro la decisione degli dèi. Attraverso questa trasformazione della leggenda, il senso originario del nome Prometeo-Pramantha andò perduto. L’ingenuo tempo antico lo aveva designato come colui che genera, colui che penetra. Questa idea soggiacque alla rimozione, finché il popolo non ebbe completamente dimenticato il senso del nome. Esso venne un po’ aggiustato, e ora lo si interpretò secondariamente come «colui che provvede». Aveva pur portato il fuoco alle sue creature e si era perciò guadagnato onestamente un tale nome! La trasformazione del nome Pramantha in Prometeo e il mutamento del suo significato, ad essa legato, ci offrono un esempio molto istruttivo di spostamento. Il processo di spostamento presente nella leggenda di Prometeo acquista un interesse ancora più rilevante se volgiamo la nostra attenzione anche alla parte finora non considerata dell’opera di Kuhn. Kuhn tratta oltre ai miti delle origini del fuoco, quelli, ad essi molto affini, dell’origine della bevanda degli dèi. Non posso qui approfondire più esattamente l’origine comune di questi miti senza allontanarmi troppo dal tema. Mi accontento perciò di accennare soltanto che, fra l’altro, l’origine comune del fulmine e della pioggia dalla nuvola ha

costituito un motivo per riportare, nel mito, a un’origine comune il fuoco e la bevanda degli dèi. Ci interessa qui soprattutto un particolare risultato della mitologia comparata: il fatto che al Prometeo della leggenda greca (o rispettivamente indogermanica) corrisponde il Mosè della Bibbia. Se confrontiamo, sulla base della narrazione dell’Antico Testamento e della esposizione di Eschilo, il portatore di leggi Mosè con il portatore di fuoco Prometeo, le due figure sembrano certo avere molto poco in comune. Il racconto di Mosè reca tuttavia in sé, al pari di quello di Prometeo, le tracce di un notevole spostamento. Dobbiamo distinguere l’antico Mosè mitico da quello biblico. Il Mosè biblico sale, come Prometeo, in cielo, e porta giù la legge, come quello il fuoco. Egli sale fra lampi e tuoni; qui troviamo di nuovo il temporale. E certamente non è un caso che la legge venga chiamata «legge di fuoco». In generale vediamo Mosè sempre come servo fedele dell’unico Dio; mentre Prometeo con il furto del fuoco entra in conflitto con gli dèi, Mosè riceve le leggi dalla mano di Dio, cosicché qui non c’è alcun conflitto. La ribellione di Mosè a Dio si trova in un altro punto. La figura del mito pagano corrispondente a Mosè produce l’acqua dalla nuvola mediante il fulmine. Mosè è dotato di qualcosa di analogo al fulmine o al trivello del mito pagano: il bastone, simbolo sempre ricorrente in un numero infinito di leggende. Con questo bastone egli fa scaturire nel deserto l’acqua dalla roccia, contro il comando del Signore (Numeri, 20, 8-13). Per la sua disobbedienza Mosè viene punito: non gli è permesso di entrare nella Terra

Promessa. Mosè dunque non ruba l’acqua, ma percuote soltanto la roccia, e fa scaturire da questa l’acqua. Secondo l’ordine di Dio egli doveva parlare alla roccia; l’impazienza lo trascinò a colpire la roccia. Lo spostamento qui è straordinariamente ampio; non basta che Mosè divenga un semplice uomo, un servo di Dio: addirittura egli non compie neanche un furto, come Prometeo, ma fa scaturire soltanto in modo precipitoso l’acqua a lui promessa. Con ciò la colpa di Mosè è spostata su un peccato relativamente lieve. Contemporaneamente la potenza di Dio viene innalzata per il fatto che egli non lascia senza punizione neanche un peccato relativamente lieve. Ci si apre qui un’interessante prospettiva sull’insorgenza di certe idee patologiche. Un processo del tutto simile allo spostamento – chiamato da Freud «trasposizione» – lo troviamo nella genesi delle rappresentazioni ossessive. Secondo le ricerche di Freud,51 le rappresentazioni ossessive hanno origine dagli autorimproveri del paziente, che si riferiscono all’attività sessuale proibita. Il paziente cerca di compensare mediante la massima correttezza in altri campi i peccati che egli, secondo la sua concezione, ha commesso dal lato sessuale, come se effettivamente si fosse reso colpevole di qualche cosa in questo campo indifferente.52 A un processo molto affine nei disturbi psichici (dementia praecox, melanconia) ho recentemente fatto riferimento.53 Anche il delirio di peccato di questi malati si può riportare in modi molteplici ad autorimproveri di tipo sessuale. Tali pazienti spostano talvolta il senso di colpa da quelle

reminiscenze sessuali su una qualsivoglia irrilevante mancanza di altro tipo. Non si possono assolutamente distogliere da questa rappresentazione. Se si applicano le vedute di Freud anche a questi stati, si chiarisce il motivo del comportamento di questi malati. Essi vogliono eliminare il senso di colpa. Spostamenti come quelli che presenta il racconto di Mosè, ne incontriamo in grande quantità nell’Antico Testamento. Vi troviamo appunto molti miti originariamente pagani, che, man mano che il popolo passava al monoteismo, entrarono al servizio della nuova religione e dovettero subire a questo scopo spostamenti essenziali. Il fatto che il passaggio al monoteismo avvenne solo a poco a poco e con lotte violente, è provato da tutti i libri storici del Vecchio Testamento. Dèi o esseri simili agli dèi del mito antico dovettero scendere dal loro alto piedistallo, accontentarsi del ruolo di uomini, e sottostare all’unico Dio. In alcuni casi questo spostamento è tanto ampio che il dio di un tempo diventa, come uomo, un seguace particolarmente fedele, un eletto dell’unico Dio. Le figure dei patriarchi e di Mosè sono prodotti di questo processo di spostamento. Ma per lo studio di quest’ultimo è particolarmente adatta la leggenda di Sansone. Possediamo una magistrale elaborazione di questo materiale da parte di Steinthal.54 Ne comunico solo alcuni tratti principali perché essa porta a risultati simili a quelli dell’analisi della leggenda di Prometeo. Sansone, come risulta anche etimologicamente dal suo nome, è il dio del sole dell’antico paganesimo semitico, e

corrisponde all’Eracle della leggenda indogermanica. Anche questi è propriamente dio del sole o eroe del sole; la leggenda di Eracle somiglia a quella di Sansone in una serie di punti importanti. Sansone è il dio del sole dai lunghi capelli, come Apollo. È il dio che riscalda e che genera; l’astro benefico del giorno; in estate raggiunge il culmine della sua potenza. L’inverno e la notte sono così i suoi avversari naturali; essi trovano la loro personificazione nella dea della luna. Quando a sera il sole tramonta, secondo una rappresentazione diffusa presso molti popoli, è il dio del sole che fugge di fronte alla dea della luna che lo insegue. Se in estate raggiunge la sua massima forza, non se ne può rallegrare; poiché dal solstizio in poi egli la perde di nuovo. Viene vinto dalla dea della notte e dell’inverno, come un uomo forte soccombe a una donna. Sansone, il dio del sole che genera, appare, nella presentazione che ne dà il Libro dei giudici, debole di fronte alla donna. È molto probabile che Dalila sia una trasformazione della dea della notte e dell’inverno. Sansone perde la sua forza quando perde i suoi capelli; cioè il dio del sole perde i suoi raggi. Ma come il sole col finire dell’inverno riacquista di nuovo la sua forza, così anche a Sansone i capelli crescono nuovamente, sicché ancora una volta recupera la sua forza; invero solo per poco tempo. Egli cerca infatti la morte e la trova nella festa che i suoi nemici, i filistei, celebrano in onore del loro dio Dagon. Dagon è però lo sterile dio del mare e del deserto, nel mito una forza opposta al dio del sole, e perciò ostile. Sansone, eroe e dio solare, uccide se stesso. Questo è un

tratto che troviamo di nuovo anche nei miti affini. Nel racconto biblico il suicidio di Sansone compare – oltre che in occasione della festa di Dagon – anche una seconda volta, in una forma invero difficilmente riconoscibile. Il dio solare riunisce in sé due tendenze fra loro opposte. Da un lato è il dio che riscalda, che alimenta la vita, da un altro lato è il dio che brucia, che porta la sventura, che distrugge. In quest’ultimo aspetto viene rappresentato mediante il simbolo del leone; sotto il segno del leone il sole raggiunge in estate la sua massima forza. Come Agni e Matari´svan sono originariamente un solo essere, e successivamente però diventano due forze opposte fra di loro, così anche il calore del sole che distrugge – sotto il simbolo del leone – viene scisso dal dio del sole benefico. La prima azione eroica di Sansone e la prima fatica di Eracle consistono nel vincere un leone. Il dio del sole benevolo uccide quello che consuma e distrugge, in figura di leone, e in tal modo uccide se stesso. Un lavoro di spostamento oltremodo deformante ha fatto diventare il dio solare Sansone l’eroe devoto alla divinità. Gli sono rimaste solo poche tracce, di per se stesse non comprensibili, della sua natura originaria: la forza che risiede nei capelli, la debolezza di fronte alla donna, la fine mediante il suicidio. A causa dei lunghi capelli Sansone, nella leggenda successiva, divenne il «Nasir», il promesso di Dio, che libera il suo popolo dalla servitù. Probabilmente la questione determinante è qui l’identità di Sansone e di Eracle con il fenicio Melkart, che era un dio protettore del suo popolo. Come il dio del sole del periodo pagano diventi

un eroe devoto agli dèi non è spiegato in tutti i particolari; che però una tale trasformazione abbia avuto luogo, si può dimostrare sulla base di molte fonti. Israele dovette combattere per secoli contro i filistei e perse in queste lotte la sua libertà. L’antico dio del sole, che un tempo, come dio della fecondità e come nemico del calore che distrugge, rappresentava un desiderio del popolo appagato, doveva ora, come eroe nazionale, appagare un altro desiderio. Come Mosè egli diviene, da dio, servo dell’unico Dio, e viene destinato da Dio ad aiutare il suo popolo. Egli non compare come condottiero di eserciti, ma si muove sempre da solo, come il sole cammina solitario in cielo. Da solo colpisce i filistei con mascelle d’asino; anche quando è accecato, sta da solo di fronte alle migliaia di filistei; e li porta con sé alla morte. 9. I mezzi di rappresentazione del mito Dopo aver ritrovato nel mito il lavoro di condensazione e di spostamento del sogno, ci rimane da esaminare ancora un ultimo aspetto del lavoro onirico e rispettivamente il suo analogo nel mito. Non tutte le rappresentazioni sono senz’altro raffigurabili nel sogno; lo stesso vale per il mito. C’è però una differenza: il sogno drammatizza, mentre il mito ha la forma di un poema epico. Tuttavia entrambi devono avere gli stessi riguardi per la raffigurabilità tecnica del loro materiale. Il sogno per esempio deve trovare una rappresentazione figurativa per l’astratto. A questo scopo vengono di preferenza prese alla lettera espressioni linguistiche.

In

un

sogno

comunicato

da

Freud,55

la

sognatrice vuole per esempio esprimere che un musicista da lei amato «torreggiava» al di sopra degli altri. Nel sogno lo vede che sta su una torre, nella sala da concerto, e di lassù dirige. Anche le relazioni logiche del nostro linguaggio non sono come tali raffigurabili nel sogno. Abbiamo già appreso, in precedenza, come il sogno raffiguri mediante identificazione la relazione molto importante «come se», e che nel mito è visibile il medesimo procedimento. Un’altra relazione di questo tipo, «o-o», si trova espressa nel sogno in modi diversi. Un metodo è per esempio quello di mettere in fila le diverse possibilità; cioè, ognuna viene rappresentata figurativamente e poi posta come a scelta accanto alle altre. La mia attenzione è stata richiamata di recente su un’altra via. Il sognatore esprime le diverse possibilità, connotate da un o-o, in sogni diversi. I sogni di una notte servono abitualmente sempre al medesimo ap-pagamento di desiderio; secondo mie esperienze, mi pare che una serie di sogni nella stessa notte non di rado pone le une accanto alle altre le diverse possibilità di appagamento di desiderio, e corrisponde quindi a un o-o. In un caso questa spiegazione mi fu particolarmente evidente. Una donna che stava per sposarsi, ma che aveva da temere forti resistenze da diversi punti di vista, mi raccontò una volta cinque sogni che appartenevano tutti alla stessa notte. Potei stabilire, grazie alla precisa conoscenza che avevo delle circostanze della sua vita, che nei cinque sogni erano realizzate tutte le diverse possibilità future. La sognatrice si nascondeva il suo fidanzato in ogni sogno rispettivamente dietro un’altra

persona di sua conoscenza, che si era trovata in una situazione corrispondente al sogno. Molto interessante era in ciò l’abbondante uso di materiale infantile. Proprio allo stesso modo si comporta il popolo nei suoi miti. Anche il popolo rappresenta il medesimo desiderio in diversi miti. Veniamo a conoscere qui una delle cause dell’affinità di contenuto di molti miti. Se c’è un desiderio di particolare intensità, trova la sua espressione in diversi miti. Ogni singola rappresentazione prende posizione in modo nuovo verso di esso, gli vede un lato nuovo. Basti qui soltanto rimandare per esempio alle due storie bibliche parallele della creazione. Un rapporto stretto esistente fra due elementi del sogno si esprime frequentemente col fatto che questi due elementi (o i loro simboli) vengono messi in strettissima prossimità nel contenuto manifesto del sogno. La stessa cosa vediamo nel mito. Nella leggenda di Prometeo troviamo sempre il trivello in stretta vicinanza con il disco o con la ruota; nel Genesi troviamo parimenti uno accanto all’altro serpente e mela. La leggenda di Prometeo ci mostra inoltre molto bene come una persona si può nascondere dietro parecchi simboli: Prometeo è perforatore e fulmine. Un esempio oltremodo interessante di questo tipo lo incontriamo nella leggenda di Sansone. Il suicidio del dio solare Sansone viene rappresentato attraverso il fatto che l’eroe solare Sansone uccide il leone-sole. Le maggiori richieste alla tecnica raffigurativa si pongono però per eludere la censura. Abbiamo già parlato del

travestimento simbolico in generale. Nella leggenda delle origini del fuoco troviamo circonlocuzioni simboliche particolarmente per l’organo maschile generatore e per la funzione procreativa. Ci viene in mente con ciò la simbologia onirica. Il succhiello, il bastone o uno strumento simile, come rappresentanti dell’organo genitale maschile, sono simboli frequenti nel sogno. I sogni delle donne, nei quali esse sono trafitte da un uomo, sono evidenti appagamenti di desiderio. In altri sogni compaiono come simbolo maschile la spada o un albero o una specie di pianta di forma appropriata. Anche il corrispondente femminile si trova nella leggenda. È il disco solare o la ruota solare, o la nuvola, nella cui cavità si muove il Pramantha, o il fulmine, o il tuono; è anche chiaramente la caverna nella quale si è nascosto Agni. Il fuoco lo abbiamo incontrato in tre forme nella leggenda di Prometeo; come fuoco celeste, come fuoco terrestre, e come fuoco della vita. Nel sogno il fuoco significa molto spesso il fuoco sessuale, l’amore. Poiché Prometeo è il dio generatore, potremmo considerare come una quarta componente il fuoco dell’amore. 10. Gli appagamenti di desiderio nella leggenda di Prometeo Dopo che ci siamo convinti che la censura onirica e il lavoro onirico trovano nel mito un riscontro perfetto, ritorniamo al problema dell’appagamento di desiderio nella leggenda di Prometeo. Si tratta di accertare che cosa si nasconde dietro il travestimento simbolico. Si mostrerà che anche in questo punto del nostro cammino non possiamo

fare a meno di farci guidare dal procedimento freudiano d’interpretazione dei sogni. Un tentativo in questa direzione lo hanno fatto gli stessi greci. Il contenuto della leggenda era diventato a loro stessi incomprensibile; il nome dell’eroe si lasciò però facilmente aggiustare un po’, così da potersi rappresentare in esso qualche cosa. Così Prometeo diventò «colui che provvede». Una tale figura di semidio poteva – se è lecita l’espressione – essere usata molto bene. La sua esistenza veniva incontro a un desiderio sempre attuale dell’umanità: quello di un essere che si prende cura. Nell’interpretazione del nome «colui che provvede» è senza dubbio espresso un desiderio. Noi sappiamo però che questo senso è stato dato «secondariamente» al mito, e che il simbolismo della leggenda di Prometeo proprio non si accorda con questa spiegazione. Ci vengono in mente con ciò dei rapporti del tutto analoghi nella psicologia del sogno. Non di rado un desiderio è riconoscibile al primo sguardo del tutto alla superficie di un sogno. Il sognatore è in un tal caso assolutamente pronto a riconoscere questo desiderio come effettivamente presente. È ogni volta un desiderio del tutto innocuo! Ma allora ci si chiede a quale scopo in un tale caso è stato compiuto il lavoro onirico, se il desiderio, al cui occultamento sarebbe dovuto servire il lavoro onirico, è chiaramente evidente. Se si procede a un’analisi più precisa del sogno, ci si accorge che, dietro il desiderio attuale, se ne nasconde uno rimosso, che presenta una qualsivoglia analogia con il primo. Il desiderio attuale costituisce in certo

modo lo strato più superficiale del sogno; sotto questo giace un desiderio rimosso. Con ciò il lavoro d’interpretazione non è tuttavia terminato. In parecchi casi si arriva con tutta sicurezza a portare alla luce ancora un terzo strato. Questo strato più profondo è sempre costituito, nel sogno (come nella psicosi), dalle reminiscenze di desideri infantili. Ora si può mostrare una tale stratificazione anche nella leggenda di Prometeo. Sappiamo, dall’indagine di Kuhn,56 che lo strato più antico del mito presentava un’identificazione dell’uomo con il fuoco, dell’origine dell’uomo con l’origine del fuoco. Il secondo strato corrisponde a una visione più tarda, che conosceva divinità personali. In questo strato del mito il dio del fuoco è contemporaneamente il dio-uomo, da cui viene generato l’uomo. Nel terzo e più recente strato Pramantha non è più il generatore, ma il creatore dell’uomo e quello che a lui «provvede». Abbiamo già parlato della fantasia di desiderio contenuta nell’ultimo strato, la quale è già chiaramente evidente. In analogia col sogno possiamo aspettarci che entrambi gli strati più antichi incorporino anch’essi un desiderio. Del desiderio del secondo strato siamo però già a conoscenza. L’uomo deriva la sua origine da un essere divino ed è di conseguenza esso stesso divino. Egli si identifica con il Pramantha. Abbiamo potuto dimostrare che in ciò si esprime una tendenza simile a quella delle fantasie infantili dell’individuo, che derivavano dall’esistenza di un complesso di grandezza. Il desiderio del secondo strato della leggenda

di Prometeo sarebbe da precisare in tal modo: vogliamo essere considerati generati da un essere divino e noi stessi divini; ognuno di noi è un Pramantha. Segnalo il fatto che questa fantasia ha un’inequivocabile componente sessuale. Se però l’elemento sessuale costituisce nel secondo strato una componente relativamente subordinata, troviamo nello strato più profondo un contenuto puramente sessuale, un chiaro appagamento di desiderio nella sfera sessuale. Il secondo strato si differenzia dal più antico per una rimozione sessuale molto progredita. Il simbolismo dello strato più profondo è inequivocabilmente sessuale; esso esprime un complesso di grandezza sessuale. L’uomo identifica la sua facoltà procreativa con la capacità del succhiello di accendere il fuoco nel disco di legno, con l’azione del succhiello in cielo, del fulmine. La forma più antica della leggenda di Prometeo è un’apoteosi della facoltà procreativa dell’uomo. Ci siamo già sforzati in precedenza di provare che la sessualità costituisce il nucleo più profondo nella natura umana. È un antico e diffuso errore, quello di pensare che l’età infantile sia completamente indifferente dal lato sessuale. Non mi riferisco qui naturalmente a casi di maturità sessuale anormalmente precoce. Siamo stati spinti specialmente dalle ricerche di Freud57 a supporre che già nella prima infanzia esiste un’attività sessuale, la quale non è certamente presente in quanto tale alla coscienza del bambino, e che si discosta molto dall’attività sessuale dell’individuo sano e maturo. Molto precocemente si

risveglia nel bambino il piacere sessuale di guardare, con il quale si lega la brama di sapere circa le differenze tra i sessi, la procreazione ecc. Ogni bambino, prima o poi, domanda: da dove sono venuto? Quel che il bambino viene a sapere in questo senso fornisce ricco alimento alla sua fantasia. L’interesse per i processi sessuali produce, come nessun’altra cosa, una tensione nel bambino che sta crescendo. Una spiegazione ricevuta inaspettatamente ha non di rado come conseguenza delle emozioni violente. Anche i primi segni fisiologici della maturazione sessuale, che il bambino nota in sé, provocano non di rado angoscia e avversione. Abbiamo già visto ripetutamente come le formazioni fantastiche patologiche provengono dalle fantasie infantili. Abbiamo anche trovato analogie peculiari fra questi prodotti patologici e i miti. Il medico incontra di frequente fantasie derivanti dal piacere di guardare e dalla curiosità sessuale del bambino, quando penetra, per mezzo del procedimento psicoanalitico, nella vita psichica dei nevrotici e dei malati mentali. Rimando in questo senso particolarmente all’analisi fatta da Freud di un caso di disturbo psichico paranoico.58 Un’importanza del tutto straordinaria spetta alla curiosità sessuale nell’ambito dei fenomeni psichici ossessivi; questo vale particolarmente per la cosiddetta coazione a rimuginare. Coloro che sono affetti da questa particolare malattia sono costretti a rimuginare, contro la loro volontà, su cose trascendentali, come l’origine di Dio e del mondo, oppure sono costretti a rompersi la testa sul perché questa o

quella cosa nel mondo è così e non altrimenti. Un caso osservato da me, che vorrei comunicare molto brevemente, chiarirà quale importanza spetta, per la spiegazione di questi stati, al piacere sessuale infantile di guardare presente in persone con predisposizione nevrotica. Il paziente distingueva in se stesso due tipi di fenomeni ossessivi, in primo luogo la coazione a pregare, in secondo luogo l’ossessione a considerare ogni oggetto con la più grande precisione, e a rimuginare poi sulla sua origine, sulla sua fabbricazione, sulla sua composizione ecc. Dichiarò di essere stato soggetto fin dall’infanzia a questa ossessione, che invero talvolta per periodi ora più brevi ora più lunghi recedeva, ma ritornava sempre. Risultò dall’analisi che da bambino egli aveva tentato molte volte di denudare persone con le quali divideva la stanza da letto o il letto. Tutto il suo interesse era concentrato sulla vista dei genitali e del sedere, sulla nascita del bambino così come sui processi precedenti. A causa dei tentativi violenti con cui cercava di soddisfare questa curiosità indubbiamente patologica, egli si moveva violenti rimproveri e cominciò perciò a pregare Dio che lo facesse diventare una persona per bene. Il pregare acquistò rapidamente il carattere della coazione; si scriveva dei fogli di carta tutti pieni di litanie, e li leggeva quanto più spesso poteva. Aveva una grande paura di omettere anche soltanto una parola. Contemporaneamente al pregare si sviluppò la considerazione ossessiva degli oggetti. Si potè stabilire che il paziente aveva sostituito lo studio di tutti i possibili oggetti indifferenti all’osservazione, ritenuta peccaminosa, di certe parti del corpo. Gli interessava per questo aspetto particolarmente la parte posteriore degli oggetti e il processo della loro origine. Attraverso la riflessione sull’origine di oggetti indifferenti egli cercava di procurarsi un contrappeso alla riflessione sull’origine dell’uomo.

L’affetto d’angoscia fu «trasferito», come accade sempre in tali casi, su rappresentazioni indifferenti.59 Ciò che occupa in grande misura l’interesse di ogni bambino che cresce, e in misura anormale di questo bambino, è il medesimo tema che viene designato nella mitologia come antropogenia. La generazione dell’uomo, l’origine di un nuovo essere vivente offre un elemento così misterioso, che tali eventi, per questa ragione, attirano dai tempi dei tempi il particolare

interesse dell’uomo, e dovettero dare ricco impulso alla formazione di miti. A un’epoca che ancora era lontana da una considerazione scientifica della natura, la generazione doveva apparire come un fatto magico. Possiamo dare ancora un importante sostegno a questa ipotesi. Dappertutto, nella mitologia, nella fede nei miracoli ecc., ha un ruolo importante la bacchetta magica. Non può però sussistere alcun dubbio (per motivi che non posso discutere in questa sede) che la bacchetta magica significa soltanto un sostituto simbolico del genitale maschile. Un simbolo del tutto simile, il bastone che perfora il disco di legno, è il punto centrale della forma più antica della leggenda di Prometeo. Non ho accennato finora a una singolare particolarità della leggenda di Prometeo: il fatto che è una leggenda puramente maschile. L’uomo generatore compare in essa tanto in figura personale (Pramantha) quanto anche simbolicamente. La donna viene rappresentata soltanto dal simbolo del disco di legno e viene menzionata nella leggenda solo del tutto di passaggio. Eravamo poco fa pervenuti al risultato che la leggenda di Prometeo, nel suo strato più antico, sia un’apoteosi della facoltà procreativa. Questa idea riceve qui una conferma pienamente valida. La leggenda di Prometeo, nella sua forma più antica, ha la tendenza a proclamare la forza procreativa maschile come principio di tutta la vita. Questo è il delirio di grandezza sessuale di ogni essere di sesso maschile fino a oggi. 11. Analisi del mito dell’origine della bevanda degli dèi Strettamente collegata alla leggenda dell’origine del

fuoco, che possiamo ormai designare con maggiore diritto come leggenda della generazione, è quella dell’origine della bevanda degli dèi. Abbiamo già fatto accenno qualche volta a questa leggenda, ma finora non abbiamo condotto un’analisi di questo mito. Secondo quel che abbiamo appreso precedentemente, possiamo aspettarci che due leggende, che sono fra loro in stretta relazione, concorderanno anche nelle loro tendenze. Per l’analisi dei miti della bevanda degli dèi ci fa da guida di nuovo il fondamentale scritto di Kuhn.60 In un punto determinato dobbiamo invero battere una via nostra. La bevanda degli dèi è denominata, nelle fonti indiane più antiche, amṛta, in quelle successive soma, nello Zendavesta haoma. Sono universalmente note le denominazioni nettare e ambrosia della mitologia greca. Alla bevanda degli dèi sono attribuiti diversi effetti miracolosi e misteriosi: essa anima, entusiasma, dona immortalità. Quest’ultima proprietà si esprime chiaramente in amṛta e in «ambrosia», che gli corrisponde etimologicamente; anche in «nettare» è contenuto un significato simile. Fin dove si estendono le notizie tramandateci, tutti i popoli producono bevande inebrianti, il bere le quali provoca i sentimenti ingannevoli a tutti noti. L’uomo si sente animato, entusiasmato, sollevato; nello stesso tempo la bevanda gli fornisce un accresciuto senso di calore ed eccita il suo desiderio sessuale. I culti di Dioniso avevano sempre contemporaneamente un carattere erotico. La bevanda provoca dunque nell’uomo il fuoco in duplice senso: calore e

fuoco dell’amore. Si otteneva la bevanda inebriante spremendo determinati tipi di piante. Queste compaiono nel mito come piante di soma. Fra queste piante ci interessa particolarmente il frassino (e rispettivamente il sorbo selvatico), lo stesso albero il cui legno serve alla produzione del fuoco. Dai suoi rami viene spremuto un succo che viene chiamato soma. Accanto al soma terreno, il mito conosce ora il soma celeste ed entrambi sono identificati l’uno con l’altro, proprio come abbiamo visto avvenire col fuoco terreno e celeste. Sulla terra soma e fuoco vengono ricavati dal frassino. Ora, come secondo la leggenda di Prometeo il fuoco celeste viene acceso al frassino del mondo (albero delle nuvole), così anche il soma celeste deriva dal frassino del mondo. Esso viene prodotto perforando nel legno del frassino del mondo (cioè nelle nuvole). Il soma terreno è un soma celeste venuto giù dal frassino celeste. Un uccello che si annida nei rami del frassino lo ha portato sulla terra. L’analogia con la leggenda del fuoco è qui del tutto evidente. Come il fuoco celeste comprende il calore del sole e il fulmine, così anche il soma celeste ha una pluralità di significati; è contemporaneamente rugiada e pioggia e diviene inoltre anche bevanda degli dèi. L’albero delle nuvole è, in certi miti, descritto esattamente. Le sue radici stanno nei laghi; ai suoi piedi nascono delle fonti, che cadono sulla terra come pioggia. Dai rami cade giù la rugiada.61 Abbiamo stabilito precedentemente che nello strato più antico della leggenda di Prometeo l’accensione del fuoco

terrestre e celeste serve solo alla rappresentazione simbolica del processo generativo. Possiamo supporre a ragione che anche il soma terreno e celeste sia la rappresentanza simbolica di una terza cosa che invero ci è ancora sconosciuta. Sebbene l’interpretazione sia ovvia, Kuhn l’ha ignorata. Dobbiamo perciò andar oltre l’analisi di Kuhn per procurarci un chiarimento sul terzo, e più importante perché più originario, significato del soma. Il soma celeste viene ricavato perforando le nuvole, dunque attraverso un coito simbolico. Mi sembra perciò una conclusione ovvia scorgere nel soma una rappresentazione simbolica del seme maschile. Il seme ha un effetto vivificante, che dà l’immortalità, in quanto procrea; diviene fecondante, come il soma celeste che cade sulla terra in forma di pioggia e rugiada. Siamo ora in grado di comprendere perché le leggende sull’origine del fuoco e della bevanda divina sono connesse così strettamente tra di loro. La parte del corpo preposta alla generazione e il seme non si possono separare l’una dall’altro. A questo strato più antico del mito, il cui significato sessuale si pone chiaramente in luce, si sovrappone – proprio come nella leggenda del fuoco – un secondo strato. Esso si differenzia, anche in questo caso, dal primo, mediante la personificazione dei fenomeni naturali, cioè mediante la comparsa di figure divine simili all’uomo, e poi anche mediante un’intensa rimozione sessuale. Troviamo un essere semidivino, che porta il nome Soma. Soma è un genio della forza e della generazione; la nostra ipotesi riguardo alla vera

natura del soma, riceve qui una piena conferma. In certi miti al posto di Soma compare Agni a noi noto. È di grande interesse prendere in considerazione qui un mito greco nel quale è contenuta la rappresentazione dell’origine della bevanda degli dèi mediante perforamento, tanto più che questo mito ci dischiude la comprensione dello strato più recente della leggenda del soma. Zeus desidera raggiungere Persefone, che è nascosta nel monte delle nuvole. Egli si trasforma a tale scopo in un serpente e si insinua dentro il monte perforando. Questo simbolismo sessuale ci è senz’altro comprensibile. Dall’unione di Zeus e Persefone nasce Dioniso, il dio del vino, una personificazione della bevanda degli dèi. Dioniso viene allattato dalle Pleiadi; queste, in quanto dee della pioggia, sono parimenti una personificazione del soma celeste; come costellazioni governano il periodo delle piogge. Allo Zeus della mitologia greca corrisponde l’Indra della mitologia indiana. Anch’egli è il dio del cielo sereno, senza nuvole. Anch’egli assume un ruolo importante nella leggenda del soma. Egli diventa colui che ruba il soma. Come nel terzo strato della leggenda di Prometeo Matari´svan va a prendere Agni, così Indra va a prendere il soma da una caverna nella quale lo sorvegliano i Gandharvi.62 Questo furto Indra lo compie assumendo la figura di un falco. In parecchie leggende il furto del soma viene però anche attribuito ad Agni, che assume parimenti la figura di un uccello. In precedenza avevamo incontrato Agni in veste di uccello che ruba il fuoco. Ora lo conosciamo anche come colui che ruba

il soma, e ci troviamo con ciò di fronte a una notevole identificazione. Il falco deve lottare con i Gandharvi per il possesso del soma. Nella lotta perde una penna, che cade a terra e si trasforma nell’albero del soma. Già nell’analisi della leggenda di Prometeo abbiamo incontrato una storia del tutto simile. Proprio come quest’ultima, anche la leggenda del soma nel suo terzo strato è a tal punto deformata da fare a meno completamente del contenuto scoperto della sessualità. Dobbiamo approfondire ulteriormente il significato dell’albero del soma e troveremo, seguendo questa strada, nuove prove dell’identità del soma con il seme maschile. Il ramo dell’albero del soma, una rappresentazione simbolica del membro maschile, possiede qualità meravigliose. Esso non fornisce soltanto la bevanda del soma; ma serve agli usi e alle cerimonie più diverse. Dal sorbo selvatico viene tagliata la cosiddetta bacchetta magica, che serve tra l’altro a scovare l’acqua sotterranea. Secondo un’usanza molto antica, i pastori in primavera battevano il bestiame con un ramo di sorbo selvatico, per far aumentare la fecondità e la produzione di latte. Il ramo dell’albero del soma ritorna anche nel bastone magico, e similmente nel bastone di Ermes e in quello di Tirso, con il quale Dioniso fa scaturire vino dalla roccia. Già precedentemente abbiamo menzionato il racconto biblico in cui Mosè con il suo bastone miracoloso percuote la roccia facendone scaturire l’acqua; il significato simbolico di questo bastone diviene ancora più chiaro se ci ricordiamo che esso si trasforma davanti agli occhi del

faraone in un serpente.63 Dobbiamo interessarci ancora in particolare delle funzioni oltremodo molteplici del frassino nei miti e nei costumi. Con il legno del frassino veniva fabbricato il pestello di cui ci si serviva per preparare il burro. Questo legno proteggeva infatti contro ogni sorta di stregoneria a cui si credeva di essere particolarmente esposti facendo il burro. Secondo le fonti presenti non può esservi alcun dubbio che il processo di preparazione del burro, proprio come quello di preparazione del fuoco, era paragonato all’atto procreativo e messo simbolicamente al suo posto, e che inoltre il prodotto, il burro, era confrontato e rispettivamente identificato col seme come anche col soma. Una narrazione del Mahabharata descrive l’origine del soma come un processo assolutamente analogo alla preparazione del burro; la riporto in breve ricollegandomi a Kuhn.64 Gli dèi che desiderano l’amṛta e gli asura (demoni cattivi) prendono il monte Mandara come bastone da burro per frullare con esso l’oceano. Indra pone il serpente Vasuki come una corda intorno al monte, e ora gli dèi e gli asura cominciano a tirare. Dalle fauci del serpente tirato volano fuori fumo e fiamme che si raccolgono in dense nuvole e fanno cadere lampi e pioggia sugli dèi. Nello stesso tempo, mentre il monte viene così preso in un vortice, gli alberi che stanno sulla sua cima, strofinati tra di loro, si incendiano, e il fuoco così originatosi circonda il monte, come i lampi la nuvola densa. Indra spegne questo fuoco con l’acqua delle nuvole e tutti gli umori degli enormi alberi e delle enormi piante fluiscono nel mare, e dalla sua acqua così mescolata

con gli umori più squisiti, che si coagula in burro, s’innalzano il soma, che in questa leggenda viene identificato con la luna, e dopo di lui molti altri esseri mitici, e infine viene fuori Dhanvantari tenendo un bianco boccale in cui si trova l’amṛta. Gli dèi e gli asura lottano per questo e vincono i primi. Gli antichi poemi epici indiani contengono ancora molte altre rappresentazioni dell’acquisizione dell’amṛta. Nessuno di essi dice nulla che vada contro il significato del soma da me supposto. Ognuno dei tre strati che noi possiamo mostrare nella leggenda contiene un appagamento di desiderio che è assolutamente analogo a quello dello strato corrispondente della leggenda di Prometeo. Come lì la generazione o l’organo che serve ad essa, così qui è originariamente il seme che subisce la sua apoteosi. Sotto la rimozione del contenuto sessuale della leggenda, il seme si trasforma a poco a poco nella leggenda della bevanda degli dèi. Diviene il dono di un dio buono agli uomini. La leggenda del soma subisce dunque le medesime trasformazioni della leggenda di Prometeo e finisce, come questa, in un appagamento di desiderio attuale, non sessuale. 12. La teoria del mito come desiderio Ho cercato di fornire una teoria dell’origine del mito sulla base di una considerazione psicologica, e di dare ad essa un sostegno mediante un’analisi approfondita di esempi. È ora il momento di discutere il rapporto delle idee qui sostenute con altre teorie mitologiche. La teoria più antica, e ancor oggi, credo, la più popolare,

suppone che il mito sia l’espressione figurata di idee filosofico-religiose. Secondo un’opinione generalmente diffusa, idee di questo tipo debbono formare per così dire il fondamento di tutta la vita psichica dell’uomo. Io non posso aderire a questa opinione. Come il bambino non viene al mondo con un’etica altruistica, altrettanto poco è da supporre che gli uomini del tempo preistorico portassero in sé idee filosofiche o religiose, e le simboleggiassero successivamente in miti. Fu necessario un processo di rimozione straordinariamente faticoso prima che una tale etica diventasse patrimonio stabile di un popolo, e questo processo di rimozione si deve ancor oggi ripetere in piccolo in ogni individuo. È risultato dalla nostra leggenda di Prometeo che l’unico elemento che appare come un’idea etico-religiosa – cioè la concezione di Prometeo come di un essere che provvede – è di natura accessoria e secondaria, mentre idee e desideri di tutt’altro tipo si sono rivelati come la vera base della leggenda. Credo di aver dimostrato per la leggenda di Prometeo quel che Freud ha dimostrato per quella di Edipo:65 che essa ha tratto la sua origine non da una visione etica, religiosa o filosofica, ma da una fantasia sessuale dell’uomo. Gli elementi etico-religiosi del mito io li concepisco come sovrapposizioni successive, come prodotti della rimozione. Anche le altre leggende, sulle quali purtroppo non mi sono potuto soffermare così ampiamente, mi sembrano parlare assolutamente a favore di questa concezione. Quando cinquant’anni fa Kuhn diede inizio alla mitologia

comparata, la giovane scienza ruppe con la vecchia concezione dell’origine dei miti. Delbrück, ad esempio, espresse il rivolgimento delle vedute con particolare determinatezza.66 Egli spiegò che ogni mito è da ricondursi a una concezione della natura. Il mito sarebbe stato un tentativo ingenuo di spiegare un fenomeno naturale. Ora si riconobbe al mito uno sviluppo, e si confrontarono le singole leggende con leggende di altri popoli, affini per contenuto. Una teoria moderna vuole ricondurre tutti i miti dei popoli semitici e indoeuropei a un’unica fonte: alla contemplazione delle stelle. Le ricerche più recenti hanno dato come risultato che Babilonia è la patria dell’astronomia e che moltissimi miti risalgono a fonti babilonesi. Questa è la cosiddetta teoria astrale. Per un orientamento si rimanda a un breve scritto di Winckler.67 Se si assume come fonte di ogni mito una concezione della natura, se si scorge specificamente in esso l’espressione di una concezione astronomica, una tale teoria rimane tuttavia insoddisfacente per un aspetto. Non ci dà nessuna idea dei motivi della nascita dei miti. Non prende in considerazione il carattere egocentrico di tutte le creazioni fantastiche dell’uomo. Certamente le concezioni astronomiche possono aver avuto un influsso molto forte sull’elaborazione dei miti, ma il loro significato può essere soltanto secondario. Anche nel sogno entrano, come materiale, osservazioni che il sognatore compie nel mondo esterno; sembra perfino, se si trascura un’analisi precisa, che esse formino il contenuto essenziale del sogno. Il

sognatore ha usato questo materiale perché ha trovato in esso analogie rispetto al suo «Io»; esso gli serve al rivestimento simbolico delle sue fantasie di desiderio. Allo stesso fine il popolo usa concezioni astronomiche. Esso proietta le sue fantasie nel cielo. Al centro dei suoi miti sta il popolo stesso; esso sperimenta in essi l’appagamento dei suoi desideri. La teoria del mito come desiderio si può estendere senza difficoltà a una teoria della religione come desiderio. L’identificazione originaria dell’uomo col suo dio è diventata irriconoscibile nel mito e nella religione. Attraverso un lungo e faticoso processo di rimozione i popoli monoteistici sono giunti fino a subordinarsi al loro Dio come al loro creatore. Se grandi cambiamenti graduali hanno condotto a considerare l’unico Dio come un padre degli uomini – non più nel senso del padre generatore, ma del padre provvido – in ciò si trova di nuovo nient’altro che una fantasia di desiderio, la quale affonda le sue radici nell’infanzia. È la medesima fantasia di desiderio in virtù della quale i greci interpretarono il loro Prometeo come «il provvido». L’uomo desidera per sé una provvidenza che si prenda cura di lui; proietta questo desiderio nel cielo: là deve risiedere un padre che provvede a tutti gli uomini. In modo altrettanto chiaro il culto della Madonna appaga una fantasia di desiderio che affonda le sue radici nell’infanzia. Della madre che si prende cura, che sta accanto al figlio in tutte le traversie, neppure l’adulto vuole fare a meno nelle grandi traversie della vita. Perciò egli trasla le sue fantasie infantili,

rimaste intatte, sulla regina dei cieli. Nient’altro che appagamenti di fantasie di desiderio sono tutte le concezioni di sopravvivenza dopo la morte, sia che la fantasia si raffiguri un aldilà nel senso del cristianesimo, sia che si raffiguri un luogo di gioie sensuali nel senso dell’islam. Con l’aiuto della teoria del desiderio ho dato una spiegazione all’origine e alle trasformazioni del mito. Non resta che aggiungere qualche cosa sulla scomparsa dei miti. Che i miti scompaiano è un fatto sufficientemente noto, che racchiude in sé, per noi, una nuova analogia con il sogno. Ogni sogno subisce cambiamenti regressivi, il cui ritmo è ora più celere ora più lento. Tuttavia non si verifica una dimenticanza assoluta, ma i pensieri del sogno, con i loro accessori, rientrano nella rimozione. Così viene anche il tempo in cui il popolo dimentica i suoi miti. Poiché in ogni popolo giunge il momento in cui si libera delle sue tradizioni, in cui al posto delle antiche creazioni fantastiche subentra un modo di pensare spassionato. Questo sviluppo viene favorito innanzitutto dalla progressiva conoscenza delle leggi naturali, quindi anche dalla situazione generale del popolo, che soddisfa il suo complesso di grandezza. A questo processo involutivo partecipano anche le altre creazioni fantastiche del popolo, e non ultimo il simbolismo del linguaggio. Il simbolismo linguistico sessuale non subisce quasi più alcun accrescimento, mentre i simbolismi già esistenti scompaiono. Per questo aspetto, la lingua inglese è quella più «progredita», noi diremmo più esattamente «regredita». In essa le differenze dei generi sono ridotte a

tracce minime. Il simbolismo linguistico e mitico non è evidentemente una forma di espressione adeguata per la moderna anima del popolo, specialmente per quella inglese. Successi pratici permettono di fare a meno delle fantasie di desiderio. Un popolo si comporta altrimenti se è molto lontano dalla realizzazione del complesso di grandezza nazionale. Tipico è l’esempio degli ebrei. Essi hanno conservato per lungo tempo le fantasie di desiderio che provenivano dall’infanzia del loro popolo. Si pensi al sogno di desiderio del popolo eletto e della Terra promessa. La moderna scienza della natura indica col nome di principio biogenetico il fatto sperimentale che lo sviluppo dell’individuo rappresenta una ripetizione sommaria dello sviluppo della specie. Nei lunghi tempi della filogenesi si sono compiuti in ogni specie a poco a poco vari cambiamenti fisici. Anche l’individuo deve percorrere nel suo sviluppo tutti questi stadi evolutivi. Anche nell’ambito psichico si compie nel singolo un processo che ripete lo sviluppo filogenetico. Abbiamo conosciuto fenomeni molteplici, che sono in egual misura propri della vita psichica della collettività e di quella dell’individuo. Ma il parallelo più importante per noi è questo: il popolo, in epoca preistorica, elabora i suoi desideri in formazioni fantastiche, che trapassano come miti in epoca storica. Parimenti, l’individuo produce, nel suo periodo preistorico, formazioni fantastiche sulla base dei suoi desideri, le quali persistono nei sogni del tempo «storico». Pertanto, il mito è un frammento conservato intatto della vita psichica infantile del popolo e il

sogno è il mito dell’individuo. 13. Le forze determinanti della vita psichica dell’individuo e della collettività La ricerca analitica, i cui princìpi sono contenuti nelle opere di Freud, si applica ai fenomeni della vita psichica normale e patologica, della psicologia individuale e dei popoli. In tutti questi ambiti riesce a dimostrare che ogni fenomeno psichico è determinato da cause individuabili. La credenza nelle suggestioni oggi non ha più bisogno di essere confutata. La polemica deve dirigersi altrove. È concezione diffusa, anzi sostenuta persino scientificamente, che nell’ambito dello psichico domini il caso. Ci si rifiuta di riconoscere una determinazione dovuta a precisi fattori psichici per tutti i mille accadimenti della vita quotidiana, per associazioni, errori, dimenticanze ecc., per il contenuto dei sogni, per le manifestazioni individuali di un disturbo psichico. Ci si tiene così ostinatamente fermi al vecchio punto di vista dualistico. Si assegna all’accadere psichico una posizione speciale, considerandolo un’eccezione rispetto al determinismo delle leggi naturali. La concezione che assegna al caso effetti psicologici è completamente sterile, in quanto non può mai rendere ragione dei fenomeni individuali della vita psichica. Qui si colloca la dottrina di Freud. Essa considera ogni fenomeno psichico come un effetto, e ricerca la sua specifica causa psicologica. Le forze che determinano la vita psichica formano l’oggetto di questa linea di ricerca. Il bambino, come primo elemento determinante per il suo ulteriore comportamento psicologico, reca con sé nel mondo

la sua disposizione. L’aspetto di questa disposizione, che bisogna prendere in considerazione in primo luogo per spiegare tutte le formazioni fantastiche, è la costituzione psicosessuale. Questa si manifesta nel modo più genuino nell’infanzia, finché non comincia il processo di rimozione. Mentre il bambino si prepara a traslare la sua inclinazione su oggetti animati o inanimati, e a ritirarla da altri, gli influssi dell’educazione, dell’ambiente, premono su di lui e lo costringono a rimuovere una parte dei suoi impulsi naturali, in primo luogo quelli sessuali. Accanto alla disposizione innata, gli infantilismi sessuali rimossi esercitano un influsso potente e determinante. Materiale psichico infantile ci si ripresenta in tutte le formazioni fantastiche. Reminiscenze della vita successiva si aggiungono come terzo elemento determinante. Anch’esse soggiacciono in gran parte alla rimozione. Reminiscenze, che sono sottratte al ricordo spontaneo, sono considerate perlopiù come non esistenti. Solo Freud ha riconosciuto e valutato appieno l’importanza della rimozione e gli effetti determinanti del materiale psichico rimosso. Non vi è il caso nell’ambito dello psichico. Quello che appare esteriormente come prodotto del caso, ha la sua origine più profonda nella disposizione innata e nella rimozione sessuale infantile. Le esperienze dopo l’infanzia sono come affluenti che sboccano in questo fiume principale. Se attribuiamo, tra le forze determinanti, un’importanza così ampia alla sessualità, ciò non significa una sopravvalutazione della sessualità. Dappertutto nella vita

organica troviamo che la conservazione dell’individuo è subordinata alla conservazione della specie come al principio superiore. La pulsione, che serve alla conservazione della specie, dev’essere la più forte; altrimenti la specie dovrebbe scomparire. La ricerca analitica nel senso di Freud gode ancora oggi di cattiva fama presso i critici. Essa condivide questo destino con un ramo della linguistica, l’etimologia. Di questa si è detto una volta che è caratterizzata dal fatto che le vocali non hanno in essa alcun ruolo, e le consonanti un ruolo minimo. Un’interpretazione delle parole su basi scientifiche tuttavia si afferma; porta a ragione il nome di una scienza dell’«autentico», cioè della vera essenza degli elementi del linguaggio. La dottrina freudiana è un’etimologia dei fenomeni psichici. Anch’essa si affermerà, anche se questo può costare ancora una certa lotta con la pruderie e il pregiudizio della scienza moderna.

Stati onirici isterici 1910

In un saggio apparso recentemente sugli stati oniroidi e affini,1 Löwenfeld ha preso in esame disturbi particolari che si presentano nei nevrotici e che finora non sono stati sufficientemente valutati nella letteratura. Perché ci si possa orientare, cito la descrizione generale data da Löwenfeld di tali stati. «Il mondo esterno non fa l’impressione abituale, ciò che è ben noto e visto quotidianamente appare mutato, come ignoto, nuovo, estraneo, oppure tutto l’ambiente fa l’impressione di essere un prodotto della fantasia, un’apparenza, una visione. In quest’ultimo caso specialmente, i pazienti si sentono come in un sogno o nel dormiveglia, come fossero ipnotizzati o sonnambuli, e perlopiù essi dicono allora di sentirsi in uno stato onirico». L’autore afferma inoltre che tali stati possono essere molto diversi per grado e mostrano notevoli variazioni nella durata, che spesso sono collegati con l’affetto dell’angoscia e che accanto ad essi si riscontrano anche altri sintomi nervosi. Löwenfeld fonda la sua descrizione su un numero considerevole di storie cliniche. Anch’io mi sono imbattuto, in tutta una serie di pazienti che ho avuto in trattamento psicoanalitico, in stati di questo genere. Poiché i lavori psicoanalitici non si sono occupati finora degli stati onirici, comunico qui i risultati principali che ho riportato. Essi costituiscono un’integrazione di quelle informazioni che la psicoanalisi ci ha fornito sulla natura di altri fenomeni

episodici nel quadro clinico dell’isteria. Un semplice esempio mostrerà anzitutto fino a che punto possiamo comprendere la natura degli stati onirici se non facciamo uso della psicoanalisi. L’esplorazione di un paziente che potei esaminare una sola volta nel modo generalmente applicato, dette il seguente risultato nel senso che qui ci interessa.2 OSSERVAZIONE A Il paziente A, in età giovanile, è incline a fantasticherie a occhi aperti di grande vivacità. A suo dire, specialmente avvenimenti attuali lo stimolano a sognare da sveglio. La notizia della scoperta del Polo Nord, ad esempio, gli fece sorgere la fantasia di prendere parte a una grande spedizione. Se la raffigurava con tutti i particolari, specialmente riguardo alla propria attività. Fantasie del genere lo assorbivano quasi completamente già da lungo tempo. Bastava che per strada cogliesse dalla conversazione dei passanti una parola come Zeppelin perché la sua facoltà immaginativa si ponesse vivacemente in azione. Non appena queste immaginazioni hanno raggiunto una certa intensità, il paziente si sente sempre più rapito alla realtà. Viene sopraffatto da uno stordimento onirico. Poi per un breve tempo subentra un vuoto nella testa a cui segue rapidamente un senso di vertigine, al quale si accompagnano angoscia e tachicardia. Il paziente definisce piacevole questo stato finché non subentra il senso di vertigine. Oltre a tali fenomeni vi sono vomiti nervosi, diarree nervose, attacchi di mal di testa, e in più irritabilità, timidezza ecc.

Il caso comunicato – e, come si vedrà, anche quelli che seguiranno – permette di riconoscere con immediatezza il rapporto tra stati onirici e fantasticherie a occhi aperti. Sottolineo questo fatto perché Löwenfeld non vi ha prestato un’attenzione particolare. L’introduzione tipica dello stato onirico è costituita da uno stadio di esaltazione fantastica, il cui contenuto mostra un’impronta assolutamente individuale. Segue lo stato di rapimento onirico.3 In esso, l’ambiente ben conosciuto appare ai pazienti, come Löwenfeld descrive

efficacemente, irreale, estraneo, mutato. Essi stessi si sentono «come in un sogno». La definizione «stato onirico», che viene usata spontaneamente da molti pazienti, si basa sulla direzione fantastica dei pensieri nel primo stadio e sull’alterazione della coscienza nel secondo stadio. Distinguo in più un terzo stadio, quello del vuoto di coscienza. Esso è caratterizzato dall’«arresto dei pensieri» (chiamato anche «vuoto nella testa» o in modi simili). Uno stato depressivo ne segna la fine, e la caratterizzazione più importante è costituita dall’affetto dell’angoscia con gli abituali fenomeni concomitanti (vertigine, tachicardia ecc.). La maggior parte dei pazienti descrive inoltre fantasie di carattere depressivo. I confini tra i singoli stadi non sono assolutamente netti. Al contrario possono riconoscersi dei passaggi tra l’uno e l’altro. L’utilizzo pratico e l’importanza della suddivisione si rileverà solo esaminando i casi più da vicino. Anche la descrizione precedente, in termini sommari, dei singoli stadi sarà allora ampiamente completata. Il punto culminante di tale stato è senza dubbio costituito dal terzo stadio. In esso ha luogo, per così dire, la peripezia, non solo in quanto la produzione fantastica ha un’improvvisa interruzione all’inizio di questo stadio. Di altrettanto grande importanza è che il terzo stadio costituisce il confine tra due investimenti affettivi contrapposti. Non è particolarità specifica del caso appena delineato che lo stato onirico sia descritto come piacevole fino al terzo stadio, mentre all’ultimo stadio viene attribuito un intenso affetto

spiacevole. Noi riusciamo così, attraverso l’esplorazione del paziente, ad avere varie nozioni circa rappresentazioni e sentimenti nello stato onirico, la causa scatenante, le oscillazioni della coscienza. Se considerassimo una serie di altri casi nello stesso modo, potremmo anche arrivare a conoscere la molteplicità individuale sotto tali riguardi; potremmo altresì confermare le indicazioni di Löwenfeld sulle differenze circa l’intensità e l’estensione temporale degli stati stessi. In tal modo siamo però giunti al confine delle possibilità di conoscenza se ci soffermiamo a ciò che è cosciente al paziente come unica fonte del nostro sapere. Inspiegata resta la causa della comparsa degli stati onirici. In generale il nevrotico si accontenta di fantasticherie in stato di veglia. Resta oscuro perché queste abbiano talora un’intensificazione tale da divenire stati acuti, simili ad attacchi, collegati a una lieve alterazione della coscienza. Non chiara resta la natura dello stato di rapimento alla realtà, e specialmente del sentimento di estraneità, d’irrealtà. Completamente oscuri restano il temporaneo vuoto di coscienza e infine la comparsa dell’angoscia con i suoi fenomeni concomitanti. Tutti questi fenomeni sono in più suscettibili di variazioni individuali. Ogni caso singolo offre il suo enigma. In particolare le fantasie dello stadio iniziale (e anche quelle dello stadio finale) sono comprensibili, senza analisi approfondita, solo in misura molto limitata. La chiave per la soluzione di questo enigma ci è data dalla

nozione di vita fantastica del nevrotico, che abbiamo acquisito attraverso le indagini psicoanalitiche. Abbiamo imparato da Freud che le nostre fantasie sono notificazioni delle nostre pulsioni. La nostra forza immaginativa cerca di rappresentare come appagati, o sul punto di essere appagati, i desideri il cui appagamento sia impedito. Nel nevrotico tutta la vita pulsionale, tutte le pulsioni parziali sono d’intensità originariamente anormale. Allo stesso tempo è particolarmente pronunciata l’inclinazione alla rimozione pulsionale. La nevrosi deriva dal conflitto tra pulsione e rimozione. Corrisponde alla multiformità e alla potenza della vita pulsionale, alla quantità di desideri rimossi che il nevrotico sia un fantasticatore. Perciò, come insegna l’esperienza, egli è fortemente incline ai sogni a occhi aperti; anche il suo sonno è di solito ricco di sogni vivaci. La forza pulsionale dei suoi desideri rimossi è però così potente che il nevrotico trova inadeguati questi mezzi espressivi propri anche del normale. La nevrosi è interamente al servizio di queste tendenze. Lo stato onirico nevrotico, come dimostrerà questo lavoro, è solo uno dei molteplici fenomeni attraverso i quali si manifesta l’esercito dei desideri rimossi. Il caso clinico, della cui estesa analisi comunicherò anzitutto l’indispensabile per la comprensione degli stati onirici, permette di penetrare in maniera chiarificatrice nell’imbroglio dei moti pulsionali rafforzantisi a vicenda o tra loro contrastanti. L’analisi ci fa riconoscere il significato, dominante sopra tutto, della fantasia sessuale; diverrà del

tutto trasparente che le fantasie coscienti, non sessuali nell’apparenza esteriore, sono derivate attraverso il processo di sublimazione da desideri sessuali. Le fantasie ammesse alla coscienza servono soltanto a rappresentare desideri rimossi; la loro forza motrice è presa a prestito da questi ultimi. OSSERVAZIONE B Il paziente B soffre di un’isteria eccezionalmente grave con fobie e fenomeni ossessivi. Da cinque anni la sua angoscia di uscire di casa da solo lo rende incapace di esercitare la sua professione e in generale di quasi ogni attività sociale. Accanto a gravi stati d’angoscia, compaiono in lui con grande frequenza stati onirici. Il paziente ricorda di aver vissuto per la prima volta uno stato del genere, all’età di dieci anni, in un’occasione in cui si sentì trattato con disdegno. Fu preso allora da un «sentimento di dolore del mondo» a cui seguirono rapidamente rappresentazioni di contrasto: «Più tardi, quando sarò grande, vedrete di che cosa sarò capace». Poi cadde in un’esaltazione estatica e sperimentò un’alterazione della coscienza di tipo onirico. Da allora, ogni situazione nella quale egli si renda particolarmente consapevole della superiorità di altri e della sua propria inattività, gli provoca uno stato onirico. Dalla sua situazione è dunque continuamente disposto a tali stati. Basta, ad esempio, che si parli in sua presenza della bravura o dei successi di un coetaneo; immediatamente egli reagisce con uno stato onirico. Nel corso del tempo si è rivelata una maggiore variabilità a riguardo della causa scatenante. La vista di persone di sesso femminile, uno spettacolo teatrale, la musica, letture varie hanno l’effetto di suscitare nel paziente fantasie ambiziose o erotiche. Già meno facilmente comprensibile è l’effetto scatenante che deriva da un vivace movimento del corpo (ad esempio camminare per la strada) o dall’udire forti rumori (ad esempio, il passaggio di un treno su un ponte). Più di frequente lo stato compare quando è per strada. Tutte queste occasioni provocano anzitutto una vivace attività della fantasia e allo stesso tempo il proposito di lavorare con tutta l’energia per la realizzazione dei desideri fantastici. Il paziente ricorre a tutta la sua forza di volontà, come dice egli stesso. Al centro sta sempre il pensiero di uscir fuori un giorno dall’isolamento e di fare grande impressione su tutto il mondo. Un giorno susciterà sensazione per la sua grande sapienza, sarà chiamato alla ribalta come autore di un dramma e tutti gli sguardi saranno puntati su di lui; oppure diventerà un maestro nel gioco degli scacchi e al caffè passerà da un tavolo

all’altro giocando simultaneamente su più tavoli, spostando i pezzi sotto lo sguardo ammirato della gente. Altre volte si inventa la figura ideale di un grande generale, dietro la quale nasconde i suoi desideri ambiziosi. Gli energici propositi si dimostrano esteriormente nel fatto che il paziente cammina avanti e indietro per la stanza, oppure per strada prende un passo di corsa. Il paziente stesso parla del processo descritto come di uno stato di «entusiasmo» crescente. Da questo passa presto e impercettibilmente nel secondo stadio. La descrizione del paziente è molto indicativa: avviene un completo «rivolgimento verso l’interno», un’esclusione di tutte le impressioni esterne. «Fantasticando si perde il terreno sotto i piedi». Ciò sta a significare che egli perde il controllo sul volo dei suoi pensieri e si allontana completamente dal terreno reale. Ora si sente come in sogno, tutto l’ambiente, persino il suo proprio corpo gli appaiono estranei e sorgono dubbi sulla loro reale esistenza. Segue quindi il terzo tipico stadio: l’arresto dei pensieri. Rapidamente compare l’affetto d’angoscia e introduce il quarto stadio. Il paziente viene preso da vertigine; ha la sensazione che non può più andare avanti, non può più sollevare le gambe, come quando si scivola, si cade, si affonda. Tali sensazioni sono accompagnate da massima angoscia. Le persone gli appaiono stranamente grandi; e questo accade anche per gli oggetti che lo circondano. Ha l’impressione di essere lui stesso piccolo e ha altresì il desiderio di esserlo affinchè non lo vedano; vorrebbe «essere ignorato, sprofondare sotto terra». Dice poi di sentirsi come se dovesse andare a carponi per arrivare a casa. Il paziente definisce piacevoli i primi stadi; tuttavia dice che già durante l’entusiasmo compare una corrente secondaria contrapposta che si fa sentire dapprima con una sensazione di freddo. Parestesie e sintomi vasomotori si riscontrano qui come fenomeni concomitanti dello stato onirico, a cui non si è prestata finora sufficiente attenzione. Nello stadio del vuoto di pensiero il senso di freddo diventa intenso. Con l’angoscia subentra talvolta un’improvvisa «ondata di calore», una congestione verso la testa. Se infine l’angoscia lascia il posto al senso di debolezza, il senso di freddo è sempre molto vivo; allo stesso tempo vi è la sensazione che parti del corpo siano morte. Il verificarsi di uno stato onirico è gradito al paziente a causa del piacere che lo accompagna. Tuttavia egli tenta talvolta d’interrompere il processo prima che sia raggiunto il culmine, cioè il vuoto di coscienza. «Voglio staccarmi dall’entusiasmo, tento come di venir fuori da una nuvola». Si noti l’espressione «nuvola»; allude alla sensazione di un annebbiamento della coscienza, dunque al fantastico. In caso d’interruzione prematura subentra un sentimento di angoscia e di debolezza. L’ultimo stadio in questo paziente è molto protratto. Per liberarsi dell’angoscia che non vuole recedere, egli si serve di un mezzo particolare: si accende un sigaro. Peraltro il desiderio di fumare interviene già anche nello

stadio dell’entusiasmo.

Allorché mi inoltrai nell’analisi dei suoi stati onirici il paziente mi spiegò spontaneamente che già da lungo tempo considerava tali stati come una sorta di spiritualizzazione della pulsione sessuale. Le nostre investigazioni avrebbero assolutamente confermato questa concezione. Il paziente appartiene a quella categoria di nevrotici che si abbandonano alla masturbazione nella piccola infanzia e più tardi vivono in lotta costante con la loro inclinazione alla masturbazione. La dissuefazione all’onanismo, spesso non riuscita e sempre ritentata, ha recato al paziente le delusioni, gli autorimproveri e le preoccupazioni ipocondriache che conosciamo. Una serie di sintomi della sua nevrosi è soggetta all’influsso determinante di tale processo; ma non approfondiremo qui questo punto. Il conflitto tra desiderio e rimozione si è concluso, come spesso accade nella nevrosi, con un compromesso. Il paziente ha più volte rinunciato all’onanismo per un periodo prolungato. Egli evita allora l’autoeccitamento fisico insieme con la sua meta finale, l’eiaculazione. A un’osservazione superficiale egli ha così rinunciato all’abituale attività sessuale. Ma il suo inconscio richiede un soddisfacimento sostitutivo, la cui natura e la cui meta sfuggono alla coscienza, che perciò può procedere senza essere ostacolata da influssi inibitori. Freud ha dimostrato che certi fenomeni episodici dell’isteria significano un soddisfacimento sostitutivo della masturbazione abbandonata;4 dovremo volgere in seguito la nostra attenzione a questa opinione. Anche lo stato onirico è un soddisfacimento sostitutivo nel senso indicato. Prima di

spiegare il fondamento di tale concezione devo ancora accennare che il paziente, in particolare negli ultimi tempi, è soggetto a stati onirici anche in periodi in cui cede più spesso all’impulso onanistico. Ma solo apparentemente ciò confuterebbe la concezione che gli stati onirici siano un soddisfacimento sostitutivo. Proprio in questi periodi, infatti, sono presenti vive controrappresentazioni che impediscono al paziente di abbandonarsi all’impulso senza inibizione. L’intensità della pulsione è inoltre tanto grande che è difficile raggiungere un pieno soddisfacimento. Anche praticando spesso la masturbazione perciò non si può fare a meno di surrogati. Infine questi stessi costituiscono una fonte di piacere, e sappiamo come sia difficile per il nevrotico abbandonare nuovamente una tale fonte di piacere. Il paziente si è abituato nella prima giovinezza ad abbandonarsi a fantasticherie a occhi aperti e, al culmine di una vivace attività fantastica, a scaricare l’eccitamento accumulato attraverso la masturbazione. Quando cercò di disabituarsi alla masturbazione, le fantasticherie richiesero un’altra conclusione; da allora costituiscono l’introduzione allo stato onirico come in precedenza all’atto masturbatorio. Il secondo e terzo stadio – rapimento alla realtà e vuoto di coscienza – corrispondono al crescente eccitamento sessuale e al suo acme nel momento dell’eiaculazione. Lo stadio finale, con angoscia e debolezza, è assunto, immutato, dal processo masturbatorio; questi sintomi ci sono familiari come conseguenze, di volta in volta, della masturbazione

praticata da nevrotici. Tale concezione deve essere ulteriormente motivata relativamente al secondo e al terzo stadio. Uno stadio analogo al «rapimento» nello stato onirico si trova anche nell’atto masturbatorio. Il crescente eccitamento sessuale porta a uno sbarramento contro tutte le impressioni esterne. Nello stato onirico tale processo è più evidente nella sfera psichica. Il paziente esperimenta un assoluto «rivolgimento verso l’interno». Da questa chiusura autoerotica al mondo esterno gli viene il senso dell’isolamento. Egli «esce dalla comunità»; le sue rappresentazioni lo traspongono in un altro mondo, corrispondente ai suoi desideri rimossi. Tanto grande è la potenza dei desideri rimossi, una volta emersi dall’inconscio, che il loro appagamento fantasticato appare realtà, ma la realtà come una vana creazione onirica. Tutto l’ambiente e persino il proprio corpo appaiono al paziente estranei e irreali. Il sentimento dell’essere isolati è proprio di molti nevrotici che si ritirano dal mondo in un’attività sessuale solitaria. Il nostro paziente ricorda una delle fantasie predilette della sua prima giovinezza: immaginava di avere una stanza segreta, sotterranea, in qualche punto del bosco, dove poteva rifugiarsi con le sue fantasie. Al desiderio subentrò più tardi un’angoscia: l’angoscia di essere solo in una stanza chiusa, che lo domina ancora da adulto. La sparizione dei pensieri, propria del terzo stadio, il vuoto della coscienza, corrisponde allo «smarrimento della coscienza»,5 più o meno considerevole, che s’instaura in

maniera particolarmente spiccata nel nevrotico al culmine di ogni eccitamento sessuale. Contemporaneamente subentra un violento senso di vertigine o un’altra sensazione simile alla vertigine, ma difficile da descrivere. Il nostro paziente indica con precisione che subentrava lo stesso sentimento con la masturbazione nel momento dell’eiaculazione. La breve pausa di coscienza, corrispondente alla secrezione dei prodotti sessuali, si trova anche nell’attacco isterico. Non sorprende più oramai che lo stato onirico sia piacevole fino allo stadio del vuoto della coscienza. Non ne è in tal modo smentita la provenienza dalla masturbazione, che è piacevole fino allo stadio corrispondente, per poi produrre spesso nel nevrotico i più vivi sentimenti di dispiacere. È altresì molto interessante che il paziente, come si è detto, interrompa talvolta prematuramente lo stato onirico, cioè prima che subentri il vuoto della coscienza. Questo è per così dire un tentativo di disabituarsi agli stati onirici. Esattamente lo stesso fanno i nevrotici molto spesso quando vogliono disassuefarsi alla masturbazione.6 Essi sovente pensano che veramente dannosa nella masturbazione sia la perdita del seme, e perciò si accontentano di una masturbazione interrotta prima dell’eiaculazione. Si rassicurano allora con la rappresentazione di non essersi in realtà masturbati. In questo sofisma ci si può imbattere di frequente nei soggetti nervosi. Essi cercano di compensare la rinuncia al piacere finale con un più ricco godimento preliminare. Certo non riescono a sfuggire all’angoscia conclusiva. L’eccitamento

sessuale giunto fino a una certa intensità, a cui viene negata la scarica, si trasforma in angoscia. Ora, riconoscendo nello stato onirico il soddisfacimento sostitutivo di una forma di attività sessuale a cui si è rinunciato, siamo ancora ben lontani da una piena comprensione delle sue particolarità. Le fantasie nel primo e nel quarto stadio sono di natura tanto individuale, che potremo comprenderle solo in base a una precisa conoscenza della vita pulsionale del paziente. In questo paziente le inclinazioni infantili si sono a tal punto fissate sulle persone a lui più prossime, nel modo familiare allo psicoanalista, che nella pubertà non potè riuscire a distaccarsene. Nel caso presente si tratta di un’esplicita fissazione bisessuale. La componente eterosessuale della sua libido ha per oggetto la madre. Nei suoi confronti egli si identifica col padre (peraltro defunto). Con la componente omosessuale egli è attaccato al padre e nei suoi confronti si identifica con la madre. In generale il comportamento del paziente può definirsi estremamente passivo; egli si arrende alla miseria della sua nevrosi. Anche il suo amore per il padre, che era una personalità molto energica, ha il carattere della sottomissione a una persona assolutamente superiore. Il paziente mostra la gelosia tipica del nevrotico, che si protrae fin dall’infanzia. Da bambino considerava il padre suo rivale presso la madre, mentre la madre era d’intralcio alla sua inclinazione verso il padre. Ne derivarono desideri ostili che culminarono – come spesso accade in bambini nevrotici – nella fantasia di uccidere

padre o madre. Queste manifestazioni di sadismo incorsero in una massiccia rimozione. Del permanere di tali desideri nell’inconscio dà testimonianza un gran numero di sogni nei quali si verifica la morte del padre o della madre. In più vi sono frequenti fantasie a occhi aperti dello stesso tipo, come pure improvvisi impulsi aggressivi. La rappresentazione di essere un criminale, come anche una quantità di fenomeni ossessivi, si fondano su quegli impulsi rimossi e su alcuni casi di attività aggressiva in età infantile e nella pubertà. Le inclinazioni aggressive furono largamente sublimate. Esse potrebbero trovare utilizzo come energia impulsiva e come inclinazione a far piani grandiosi in un campo diverso da quello erotico. Ma questo baluardo non basta contro una tale spinta delle pulsioni. Per essere rese veramente innocue devono decisamente essere invertite nel contrario. Gli impulsi violenti contro la madre vengono sostituiti da una totale passività, da un’assoluta dipendenza dalla madre che perdura nel paziente adulto da molto tempo. Egli è vincolato a lei e alla casa come un bambino piccolo. Questa è la fonte più importante dell’angoscia che gli impedisce di uscire di casa da solo. Tale dipendenza da una determinata persona (o anche da più di una) non è mai disgiunta dalla paura della strada. Il tentativo di allontanarsi da casa da solo implicherebbe un’attività proibita al paziente, significherebbe simbolicamente un distacco dalla madre e contemporaneamente – come dimostra l’analisi – un avvicinamento (omosessuale) in direzione del padre. Se il paziente vuole distaccarsi dalle fantasie incestuose

eterosessuali, ricade in quelle omosessuali, che a loro volta sono energicamente respinte dalla coscienza. Avviene dunque un’estesa repressione pulsionale; ad essa corrisponde, nel nostro caso, la particolare violenza dell’angoscia nervosa. Ora, il paziente, come ogni nevrotico, corregge la realtà insoddisfacente con l’aiuto della fantasia. Di questo mezzo egli fa uso soprattutto quando un’occasione esterna gli fa vedere quanto si differenzi dai coetanei sani per la sua dipendenza infantile e il suo comportamento passivo, ma specialmente per la sua disposizione alla masturbazione. Già da ragazzo soffrì di questo sentimento; suo intenso desiderio era poter essere «come gli altri». Si tormentava rimproverandosi di essere diverso dagli «altri» per le sue inclinazioni, di non poter competere con loro a causa di esse. Particolarmente lo torturava il timore di apparire ridicolo o disprezzabile agli altri. Per questi motivi si spiega l’eccessiva sensibilità all’essere trascurato rispetto ad «altri». Nella trascuranza egli vedeva un segno del fatto che non lo si stimava. Ciò doveva sommuovere tutta la sua attività repressa. Le sue originarie inclinazioni aggressive lo avrebbero fatto reagire a una trascuranza con un atto di violenza. Ma già precocemente esse venivano rese innocue da una «formazione reattiva» e non osavano uscire che come fantasie segrete. A un danno che secondo lui gli era stato recato, reagiva con desideri sublimati di attività, con fantasie di grandezza, di cui trasponeva l’appagamento nel futuro: «quando sarò adulto…».

Quanto più procedeva negli anni, tanto più si affermava in lui il sentimento di essere rimasto bambino. Non riconosceva che il più forte desiderio del suo inconscio era mantenere questo stato infantile. La sua coscienza vi reagiva con la tendenza opposta. Ogni stato onirico era al servizio del desiderio di essere adulto. Il significato di ciò era per lui molteplice: essere indipendente, autonomo, energico (come il padre), libero dall’abitudine che lo dominava e soprattutto capace di attività sessuale. Infatti la paura dell’impotenza lo domina come ogni nevrotico che non riesce ad abbandonare l’attività sessuale infantile e gli oggetti della fantasia sessuale infantile. Con le fantasie di grandezza, che derivammo dalla sublimazione di impulsi «sadici», si collega regolarmente in questo paziente la rappresentazione di distinguersi di fronte a chi lo osserva, di attrarre su di sé gli sguardi di tutti. Essa si spiega per la sublimazione di desideri esibizionistici rimossi. In nevrotici che presentano un’ambizione d’intensità morbosa, ho sempre potuto addurre la prova che in questo tratto del carattere si cercano in un certo senso una comune via di scampo i desideri sadici ed esibizionistici rimossi. Nel nostro caso si può stabilire che nella fanciullezza vi sono state effettivamente azioni sadico-esibizionistiche dalle quali il paziente deriva gravi autoaccuse. La ricorrente necessità di rimuovere queste pulsioni è una fonte continua di angoscia. Ad esempio egli non può servirsi del tram perché spesso affiora improvvisamente l’impulso a esibirsi di fronte alle persone presenti o ad aggredire sessualmente una

donna. Impulsi simili compaiono anche in altre occasioni, ad esempio mentre conversa con delle donne. Il processo di sublimazione conduce a una rinuncia parziale o totale alla meta originaria della pulsione esibizionistica, il denudarsi. L’esibizione non permessa viene sostituita da fantasie che si accontentano di una meta assai più innocente. Il paziente attrae su di sé gli sguardi della gente, ma non gli sguardi sessualmente bramosi o curiosi, bensì di ammirazione. Avevamo identificato svariate impressioni che nel paziente danno luogo alla comparsa degli stati onirici. Il loro effetto si basa, possiamo ormai dire, sul fatto che risvegliano in lui desideri di aggressione sessuale o di esibizione che vengono portati a espressione in forma sublimata. Che la vista di persone di sesso femminile possa provocare uno stato onirico è quindi facilmente comprensibile. Se il paziente risente troppo la sua passività rispetto ad altre persone energiche, corregge allora la realtà trasformandosi, con l’ausilio della sua forza immaginativa, in un uomo molto attivo che attrae su di sé l’attenzione. Un vigoroso movimento del corpo può divenire la causa scatenante per il fatto che dà al paziente il senso dell’attività. Lo sferragliare di un treno suscita in lui il desiderio di dispiegare forza. Anche le fantasie che vi si associano appartengono alla sfera delle pulsioni citate. Passare in un caffè da un tavolo all’altro giocando a scacchi simultaneamente su più tavoli è certo un’occasione particolarmente buona per esporsi agli sguardi altrui. Lo stesso gioco degli scacchi inoltre offre ampiamente al paziente, come ha rivelato l’analisi, occasione di attivare

pulsioni sublimate. Sulla scacchiera combattono due avversari, si attacca, si colpisce, si demolisce la posizione nemica ecc.: queste sono tutte rappresentazioni che, a detta dello stesso paziente, lo affascinano moltissimo. Egli si profonde in queste espressioni tecniche; in solitarie esercitazioni agli scacchi egli soddisfa la sua pulsione aggressiva. Mentre l’appagamento fantastico dei suoi desideri ambiziosi, cioè il soddisfacimento di pulsioni sublimate, è collegato a sentimenti di piacere, lo stadio finale dello stato onirico mostra l’affetto opposto dell’angoscia. Si può quindi rilevare che anche il contenuto delle fantasie nello stadio finale sta in rapporto di contrasto con il contenuto delle fantasie iniziali. All’inizio dello stato onirico il paziente si eleva dalla sua abituale passività all’attività. Lo stadio finale riconduce nuovamente allo stato antico. In luogo dei piani grandiosi troviamo ora scoraggiamento e avvilimento. Il paziente, che prima si sentiva pieno di forza e camminava a passo di carica, si sente ora debole e inibito nei movimenti. Crede di non poter più andare avanti: efficace caratterizzazione simbolica della sua situazione effettiva. Diventa nuovamente un bambino piccolo che non può camminare da solo.7 La tendenza inconscia che vuole conservare lo stato infantile ha riportato la vittoria. Per questo il paziente si sente così piccino, le persone e le cose gli appaiono così grandi.8 Come un bambino che non ha ancora imparato a camminare, vorrebbe procedere carponi, verso casa, dalla mamma. Se

pochi minuti prima voleva ancora attirare su di sé gli sguardi di tutti, ora vorrebbe scomparire, sprofondare, pur di non essere visto. Il senso di debolezza molto intenso nel quarto stadio ha una determinazione molteplice. Significa anzitutto la temuta debolezza sessuale. Se all’inizio dello stato onirico il paziente prese slancio verso un’energica attività, ora ricade nuovamente nella passività; gli manca la forza virile. La sensazione di non poter stare in piedi per la debolezza contiene un cenno simbolico all’impotenza. Un’altra determinazione per tale fragilità è data dalle fantasie di morte che non mancano mai quando dovettero essere repressi piani aggressivi contro i familiari. Queste fantasie di morte dello stadio finale sono in notevole contrasto con l’energica vitalità nello stadio iniziale. Pulsione aggressiva e pulsione esibizionistica sono ora nuovamente incorse nella repressione. Dallo stato di depressione che permane il paziente cerca di liberarsi, come si è detto, fumando un sigaro. Ma non è tanto l’effetto della nicotina a cui la depressione cede a poco a poco. Anche il fumare per il paziente ha piuttosto il significato di un soddisfacimento sostitutivo. È un segno della virilità che gli manca.9 In questa situazione il fumare è per lui una consolazione. I fenomeni vasomotori e parestetici concomitanti richiedono un esame a parte. Il senso di caldo descritto da questo paziente (e anche da altri, come vedremo) è un normale fenomeno secondario dell’eccitamento sessuale;

dall’atto masturbatorio si è trasferito nello stato onirico. È altresì degno di nota che il paziente arrossisce facilmente; quando si trova in mezzo ad altre persone, entra in attività la sua fantasia sessuale straordinariamente eccitabile, e fisicamente si manifesta con l’ondata di caldo. Non può stupirci che questa ondata congestiva di sangue accompagni anche le fantasie di attività del paziente; infatti queste ultime non rappresentano che fantasie sessuali inconsce. Già durante l’esaltazione fantastica il paziente percepisce oltre al caldo ascendente una «sottocorrente» di freddo e di angoscia. Nello stadio conclusivo dell’angoscia è predominante il senso di freddo. In generale dunque il senso di caldo compare quando il paziente vorrebbe slanciarsi nell’attività sessuale, mentre il senso di freddo appare quando con la trasformazione dei moti pulsionali in angoscia la tendenza rimovente ha di nuovo il sopravvento. Il sangue non viene più spinto verso la periferia con la violenza precedente. Il senso di freddo che subentra allora ha però anche un’altra determinazione. Il paziente ha la sensazione che gli si atrofizzino parti del corpo; crede di crollare nell’istante successivo, di venir meno. Nel quarto stadio vi è dunque un morire simbolico, che tra l’altro trova espressione nella sensazione di freddo. L’analisi, proseguendo ulteriormente, rivela che anche questo morire ha un duplice significato. Un senso particolare gli è dato dall’impotenza temuta dal paziente; gli manca la vitalità essenziale. Se il primo stadio dello stato onirico serve alle fantasie di virilità e vigore, l’ultimo stadio mostra una condensazione di

due serie di rappresentazioni che sono contrapposte alle fantasie di virilità: 1) rimanere un bambino e 2) morire. L’uomo adulto con la sua energica vitalità sta nel mezzo tra infanzia e morte. Gli stati onirici di questo paziente ci fanno scorgere la lotta fra pulsione e rimozione quale si svolge in ogni nevrosi. Pulsioni rimosse d’intensità originariamente anormale si sprigionano dall’inconscio per soccombere di nuovo rapidamente alle forze rimoventi. Ognuno di tali stati di questo paziente rappresenta una rivolta contro la nevrosi, rivolta purtroppo sempre vana. Il caso seguente dimostrerà tuttavia che gli stati onirici non hanno la stessa tendenza in tutti i pazienti. OSSERVAZIONE C Gli stati onirici insorgono parimenti nella paziente C quando a causa di una situazione attuale a cui non può sottrarsi, si sente tormentata, depressa, avvilita. L’occasione può essere data da una conversazione dal contenuto penoso o da un’indisposizione fisica. Sotto questo riguardo particolarmente le mestruazioni hanno la funzione di causa scatenante. La paziente dice: «Durante le mestruazioni perdo ogni senso di realtà». Esattamente come per il paziente precedente, anche qui nello stato onirico si verifica un isolamento dal mondo esterno. Per analogia con l’altro caso ci si potrebbe quindi aspettare che lo stato onirico rapisca la paziente alla realtà tormentosa. Avviene invece il contrario. Di fatto la paziente si traspone con le sue fantasie in uno stato di ancora maggiore sofferenza, in assoluta passività, e ne consegue un piacere masochistico. Risalendo alla sua infanzia si rivelarono interessanti dettagli circa una reale attività masochistica. Ma anche ora è chiaramente riconoscibile questa direzione pulsionale. La paziente, infatti, sa provocare anche deliberatamente lo stato onirico, come ho potuto osservare anche in vari altri pazienti. «Talvolta qualcosa mi seduce a provocare lo stato onirico». A questo scopo essa recita a memoria un passo della Maria Magdalena di Hebbel (atto terzo, scena seconda). Sono le seguenti parole di Klara: «Io ti servirò, lavorerò per te e da mangiare non dovrai darmi nulla, io mi nutrirò da sola, durante la notte cucirò e tesserò per gli altri, patirò la fame se non avrò niente da fare, preferisco mordermi il braccio piuttosto che andare da mio padre, perché non si accorga di nulla. Quando tu mi

picchi perché il tuo cane non è a portata, di mano o perché tu non l’hai più tenuto, voglio piuttosto ingoiare la lingua che gettare un grido, che il vicino possa indovinare cosa succede. Non posso promettere che la mia pelle non mostri i segni della tua frusta perché questo non dipende da me, ma io mentirò, dirò che ho battuto la testa contro l’armadio o che sono scivolata sul pavimento perché era troppo liscio, lo farò prima che qualcuno possa chiedere quale sia l’origine dei miei lividi. Sposami; non vivrò a lungo. E se tuttavia sarà troppo a lungo per te e non vuoi sostenere le spese della separazione per liberarti di me, compra del veleno in farmacia e mettilo lì come fosse per i topi, io lo prenderò, senza che tu debba neanche fare un cenno, e morendo dirò ai vicini che l’avevo preso per zucchero in polvere!» La paziente, quando ha assorbito in sé queste rappresentazioni tipicamente masochistiche, entra in uno stato di sognante rapimento. Essa sente come piacevole da una parte la sottomissione masochistica di Klara con la quale si identifica, d’altra parte il proprio isolamento dal mondo. Essa sottolinea energicamente la piacevolezza di questa solitudine; nei sogni esperimenta situazioni simili. Il mondo è lontano da lei, il suo corpo le sembra mutato, la propria voce estranea. «La persona che parla mi è completamente estranea». Per aumentare ancora il tormento, tutte le cose assumono forme bizzarre, stravolte, tali da ricordare i disegni di Kubin. «Tutto è più crudele, più nero che nella realtà». Queste fantasie masochistiche culminano in rappresentazioni di morte, nell’idea di dover saltare dalla finestra ecc. Superato il punto culminante subentra una violenta angoscia. Vi si accompagnano rappresentazioni angosciose che variano a seconda della situazione momentanea. Se ad esempio la paziente sperimenta tale stato mentre è per strada, ha la sensazione di dover cadere, di non riuscire ad arrivare a casa da sola, di dover fermare un uomo qualsiasi. «Cadere» e «fermare un uomo» sono espressioni a doppio senso. Caratterizzano non solo lo stato di abbandono e di bisogno d’aiuto, ma indicano anche le fantasie di prostituzione10 così frequenti nelle donne isteriche, ma rigorosamente tenute segrete. La paziente prova l’impulso di darsi al primo uomo venuto, e in periodi in cui si presentavano crisi del tipo di quelle descritte, l’ha fatto veramente. I desideri di prostituzione appaiono qui solo come una forma speciale di masochismo; per la paziente, in generale orgogliosa, avida di dominio, esse rappresentano una profondissima degradazione. In questa paziente riscontriamo anche la presenza di stati onirici molto protratti come quelli a cui accenna anche Löwenfeld. In taluni nevrotici la sensazione di essere in un sogno, insieme con i dubbi sulla realtà dell’ambiente circostante, si protrae per dei mesi e anche di più. La paziente soffrì per molto tempo dell’impressione che tutto intorno a lei fosse solo una commedia, che lei stessa era fisicamente morta, che era solo un essere immateriale che osservava il

mondo reale senza aver niente in comune con esso. Essa dichiara che il protrarsi di tale condizione è stato realmente un tormento, ma proprio per questo le ha dato accesso a cose che altrimenti le sarebbero rimaste nascoste. Questi stati consentivano alla paziente di rifugiarsi in un mondo di sogni allontanandosi dal mondo reale che non poteva soddisfare i suoi desideri. OSSERVAZIONE D Il paziente D, uomo ancora in età giovanile, soffre fin dall’infanzia di una grave isteria che lo rende quasi completamente asociale. Ad esempio cerca di parlare il meno possibile con altre persone, ed evita di trovarsi a pranzo con estranei, perché in tali occasioni è preso da grave angoscia. Il suo stesso modo di vivere lo isola quindi dal mondo esterno. A tale tendenza sono soggetti anche i suoi stati onirici. Un tale modo stravagante di vivere da parte di un uomo così giovane è dovuto a una fissazione eccezionalmente intensa della libido ai familiari più prossimi. Il paziente è fortissimamente legato alla cerchia ristretta dei suoi familiari; ogni volta che se ne distacca è preso da angoscia. Esce di casa, vuole far visita a qualcuno, si propone di parlare con un superiore: sempre sopravviene l’angoscia. La fantasia sessuale del malato, eccezionalmente intensa, è ancorata alla sua famiglia, e cioè non solo i suoi desideri eterosessuali sono fissati su madre e sorella, ma in misura molto particolare i suoi interessi sono assorbiti in senso omosessuale-masochistico dalla persona del padre. Ora, se il paziente si avvicina a qualche persona estranea, questa diviene immediatamente oggetto delle sue fantasie sessuali. Il tentativo di una «traslazione» subisce però altrettanto rapidamente una repressione. Il paziente voleva per un attimo uscire dalla cerchia ristretta, ma la fissazione della sua libido ai familiari è troppo forte, e così ad ogni tentativo intrapreso in questa direzione segue immediatamente l’angoscia. Le fantasie sessuali accennate preludevano sempre alla masturbazione. La masturbazione è praticata in maniera raffinata, non vi è mai una brusca manipolazione ma una stimolazione leggera, continuata a lungo (lieve stringimento delle cosce, manipolazioni attraverso i vestiti). Fra queste stimolazioni fisiche e le fantasie che le accompagnano subentra lo stato di «rapimento» onirico. Il paziente non raggiunge mai l’eiaculazione; arriva invece a uno stadio molto pronunciato di vuoto della coscienza. In questo caso vediamo ancora gli stati onirici nel loro collegamento diretto e originario con la masturbazione. Tuttavia essi si presentano anche in modo del tutto spontaneo, e cioè particolarmente in presenza del padre. Sono allora eccitate proprio quelle fantasie che il paziente insegue nella solitudine. Queste introducono lo stato onirico, come avviene di solito per la masturbazione. Per anni, il paziente ha goduto questi stati, per lui altamente piacevoli, durante le ore di scuola. I suoi maestri notavano che durante le lezioni era

disattento e perlopiù con la mente altrove. Egli era assorbito da fantasie ben lontane dagli argomenti delle lezioni. Se veniva turbato nel suo assopimento da una domanda del maestro, sopravveniva un’intensa angoscia. Nel corso degli anni sotto questo aspetto nulla è cambiato in lui. Lo stato onirico gli serve anche ora per chiudersi in una totale solitudine. È completamente ripiegato su se stesso e gli riesce difficile concentrarsi su qualunque cosa si trovi al di fuori della cerchia delle sue fantasie. Se il paziente si trova in una situazione indesiderata, non di rado provoca deliberatamente lo stato onirico con un semplice mezzo, che simboleggia in maniera chiarissima la chiusura verso le impressioni esterne: chiude gli occhi. Durante le sedute psicoanalitiche chiudeva sempre gli occhi quando affrontavamo un argomento di cui non desiderava parlare. Non si riusciva allora a fargli pronunciare neanche una parola: il paziente stava seduto lì come irrigidito e spiritualmente assente. Quando gli spiegai che gli stati onirici richiedevano un preciso approfondimento psicoanalitico, sopravvenne immediatamente uno stato onirico che naturalmente rese impossibile dapprima un tale approfondimento. Peraltro il paziente è anche in grado di interrompere lui stesso lo stato onirico. Lo fa scrollando tutt’a un tratto la testa. Lo stato onirico viene inoltre utilizzato quando il paziente si trova a soffrire di un peculiare dolore di origine psichica. Egli provoca allora lo stato onirico con manipolazioni sessualmente eccitanti. Il dolore si trasforma così a poco a poco in sensazione piacevole. OSSERVAZIONE E Anche nel paziente E riscontriamo una traslazione sessuale infantile assai forte su entrambi i genitori, e insieme quei desideri di morte che sempre vi si accompagnano e sono severamente respinti dalla coscienza. Questi ultimi erano rivolti in particolare alla madre, ma trasformati col processo della formazione reattiva in un attaccamento eccessivo di carattere assolutamente infantile. L’essere adulto, e lo è ormai da lungo tempo, continua a fargli uno strano effetto; ha la sensazione di essere in realtà ancora un bambino. È da notare che il primo stato onirico si produsse in questo paziente alla morte della madre, con un decorso molto protratto nel tempo. Il paziente ebbe per molti mesi una costante sensazione di muoversi come in sogno; ma l’intensità di questa sensazione presentava grandi oscillazioni. Del tutto spontaneamente il paziente dice: «Non posso rappresentarmi la realtà se non sono a fianco a fianco con lei (la madre)». Al posto delle fantasie rimosse, che un tempo si erano dirette contro la vita della madre, è dunque subentrata nella coscienza la rappresentazione che la vita propria dipenda dalla vita della madre e abbia termine quando ha termine la sua. Le fantasie di morte si sono rivolte contro il paziente stesso. Egli inoltre dice letteralmente: «Allo stesso tempo c’è l’idea che tutto ciò che esiste non vale niente». Con la morte della madre il mondo ha cessato di avere valore per lui! La sua libido si ritrae temporaneamente dalle cose. Allora tutto gli appare estraneo,

come se non l’avesse mai visto, esattamente come abbiamo costatato negli altri pazienti. Le persone con le quali parla non gli sembrano affatto esistere veramente. Tutte le esperienze precedenti – cioè quelle che sono avvenute quando la madre era in vita – gli appaiono remote. «Se guardo all’indietro, tutto è avvolto come in un sogno, come fosse passato un tempo infinito». Lo stato descritto domina anche ora a più riprese, senza che il paziente si sorprenda particolarmente di questo suo andare e venire. Il paziente è generalmente anche in grado di compiere il lavoro intellettuale molto intenso richiesto dalla sua professione. Negli ultimi anni sono sopravvenuti stati onirici di breve durata e decorso acuto, con una genesi molto singolare. Il paziente soffre di periodici mali di testa d’intensità assai tormentosa sulla cui origine dirò qualcosa in seguito. All’incirca tre anni fa egli decise di ricorrere all’aiuto di un neurologo che si occupava specialmente di terapia ipnotica. Dopo una serie di tentativi non riusciti di produrre l’ipnosi, il paziente interruppe il trattamento, ma tentò egli stesso di mettersi in uno stato di coscienza diverso da quello abituale nella speranza di farsi passare così il mal di testa. Riuscì un certo numero di volte a provocare un tale stato massimamente piacevole, che egli stesso definisce come un’«autoipnosi». Però il mal di testa non ne fu influenzato. Il paziente ha espresso anche a me, ripetutamente e con grande insistenza, il desiderio di essere ipnotizzato. La subordinazione alla volontà di un altro è in linea con il suo masochismo. Dice egli stesso che il suo massimo ideale è di potersi comportare in modo totalmente passivo, che è un tormento per lui dover impegnare tutte le sue energie per continuare a vivere. La sua sessualità presenta inequivocabili tratti masochistici a iosa. Per lungo tempo si masturbò con fantasie masochistiche, finché, dopo aspre lotte, riuscì a liberarsi parzialmente dalla masturbazione. Ma un sintomo della passività sessuale, decisivo per la comprensione degli stati onirici, è la sua impotenza psichica, insorta in lui nello stesso periodo in cui incominciò a suscitare gli stati onirici. Peraltro il paziente, come dichiara egli stesso spontaneamente, già in precedenza ha desiderato di poter essere sessualmente passivo. Vorrebbe abbandonarsi al piacere sessuale passivamente come una donna. Lo stato onirico appaga questi ideali recando grande piacere. Al desiderio della fine di ogni attività corrisponde il fatto che il paziente, per procurarsi questo stato, si concentra con tutte le sue forze su questo: non pensare a nulla. La sua vita richiede in generale un affaticante lavoro mentale; egli richiama col desiderio il contrario di questo stato. Abbiamo già visto intervenire negli altri pazienti al culmine dello stato onirico un «vuoto mentale». Nel presente caso assistiamo a una tendenza del tutto conscia verso questo stadio, che corrisponde al momento del massimo piacere. Ascoltiamo ora la descrizione che lo stesso paziente ha dato spontaneamente, con segni d’intensa emozione; dopo ciò che abbiamo detto ci è immediatamente

comprensibile. «Dapprima è uno sforzo, come nel rapporto sessuale; se volessi farlo adesso dovrei sdraiarmi e dovrei lavorare. È la massima concentrazione sul fatto di non pensare a nulla. Chiudo gli occhi. Niente del mondo esterno deve penetrare in me. Poi viene il breve stadio della delizia, dei sentimenti di vita completamente rovesciati, la più grande modificazione fisica che io conosca. Credo di non poter trovare parole abbastanza forti per descriverlo. Il breve stadio del piacere è però come un infinito». Al culmine del processo di eccitamento – tale dobbiamo definirlo – il pensiero è interrotto. Il paziente completa la sua descrizione come segue: «Si ha l’idea che nella vita tutto si muova in avanti; voglio dire, ad esempio, la circolazione del sangue. A un tratto tutto è diverso; tutto rifluisce come se non andasse più avanti ma indietro. È come se si mettesse in atto una magia. Mentre di solito tutto tende a uscire dal corpo, ora tutto vi è riportato dentro. Anziché irradiare assorbo». Poi, dopo una piccola pausa, continua: «Regna allora una quiete assoluta, armoniosa, una passività benefica, in contrasto con la mia vita reale. Le onde affluiscono sopra di me. Mi viene fatto qualcosa. Se questo stato non cessasse non mi muoverei fino alla fine dei miei giorni».

Questi stati onirici servono al paziente per ottenere nella sua fantasia un piacere illimitato dalla passività sessuale. Vorrebbe essere una donna; nello stato onirico vive l’appagamento di questo desiderio. Egli ha pienamente ragione quando parla della «più grande modificazione fisica» pensabile. Non si può infatti pensare a una modificazione più profonda che la trasformazione in un essere dell’altro sesso. Per il paziente essa significa non solo un cambiamento del sesso, ma un rovesciamento di tutta la sua condotta di vita. Il desiderio di essere donna ci indica le componenti pulsionali omosessuali del paziente. Poiché già sappiamo dell’intensa traslazione della libido infantile sul padre, ci è suggerita la supposizione che il paziente quando vuole essere una donna si identifichi con sua madre per prenderne il posto presso il padre. Questa supposizione trova conferma per l’etiologia del mal di testa a cui abbiamo già accennato,

che in primo luogo serve all’identificazione del paziente con la madre. La madre soffriva di attacchi di mal di testa già quando il paziente era bambino, e a quelli i suoi assomigliano in modo evidente. Il mal di testa della madre coincideva sempre con le mestruazioni; per qualche giorno essa era inoltre molto sensibile ad ogni stimolo, e doveva riguardarsi con la massima cura. Anche nel paziente il mal di testa si ripetè per anni a intervalli di quattro settimane e durava ogni volta tre o quattro giorni. Durante il mal di testa egli è estremamente sensibile ad ogni stimolo, deve interrompere il lavoro e passare uno o due giorni a letto. Il paziente si identifica dunque mediante il mal di testa con la madre. Che avesse un’oscura intuizione di tale connessione si rileva dal fatto che una volta nei primi tempi del trattamento disse scherzando: «Al momento ho le mie mestruazioni». Attacchi di mal di testa e stati onirici servono al paziente alla metamorfosi in donna. Il ciclo di quattro settimane e la passività sessuale sono due caratteristiche della massima importanza nella vita sessuale della donna. Il paziente agiva per un giustissimo istinto quando cercava di scacciare il mal di testa con lo stato onirico o – come diremo ora più esattamente – per sostituirlo. Entrambi infatti servono allo stesso scopo, alla passività sessuale. Se il suo piano gli fosse riuscito, un fenomeno morboso spiacevole sarebbe stato sostituito da uno, di senso uguale, a tonalità piacevole. Possiamo certo anche spiegare che la sua aspettativa fosse delusa. Il mal di testa si basa infatti non solo sul motivo

accennato, ma è anche al servizio di altri desideri rimossi, che non avrebbero trovato un’espressione adeguata con lo stato onirico. Lo stato onirico poteva perciò solo sopravvenire a fianco del mal di testa, ma non al suo posto. Il paziente non è riuscito nell’intento di prevenire il dispiacere, ma ha acquisito una nuova fonte di piacere. Sebbene lo stato onirico non possa liberarlo dal suo male, tuttavia lo risarcisce con un piacere che gli fa dimenticare il dolore patito. Fantasticherie a occhi aperti e stati onirici veri e propri Accludo qui un frammento di un’altra psicoanalisi; questo caso non presenta stati onirici marcati nel senso di quelli descritti finora, ma ci fa conoscere una specie di stadio preliminare a questi. Dimostra in modo particolarmente illuminante l’origine degli stati onirici dai sogni della veglia, e oltre a ciò la stretta affinità esistente tra gli stati onirici nevrotici e i sogni notturni. OSSERVAZIONE F Il paziente F è dominato da fantasie, spesso ricorrenti, in grado tanto alto che ne parla definendole «idee ossessive». In particolare sono le sue letture a dare spunto alle sue fantasticherie. Egli si identifica immediatamente con il protagonista del racconto. «Quando leggo un romanzo d’amore credo di essere l’eroe che le donne adorano». In realtà l’attività sessuale del paziente è molto ridotta. Oltre alle fantasticherie erotiche il paziente coltiva fantasie di grandezza. Dopo aver letto di qualche personaggio storico, rappresenta se stesso come l’eroe. Vive quindi nella fantasia la parte del suo eroe. «Ad esempio leggo volentieri di Napoleone. Il giubilo che egli udiva, lo provo anch’io». Basta che egli pensi al giubilo, alla fama e all’applauso perché sia preso da un brivido. Anche la musica (ad esempio la musica militare) ha su di lui un effetto eccitante e gli suscita un «brivido». Nel sogno della veglia che viene provocato da tali occasioni eccitanti, il paziente, che di professione è commerciante, si immagina di diventare un uomo importante, o ricco, «un industriale, come Krupp». Egli si raffigura poi come procederebbe senza riguardi verso gli impiegati, come

imporrebbe loro la sua volontà (Napoleone!) Gli diviene difficile liberarsi da tali rappresentazioni. «Quando ho le idee ossessive (=sogni a occhi aperti), recito una poesia per distrarmi, perlopiù Lorelei, Heil dir im Siegerkranz, o qualche altra poesia imparata a scuola». Ma spesso deve recitare ripetutamente tali poesie prima di raggiungere l’effetto.

Al centro della creazione fantastica del paziente vi è o un eroe sessuale o un despota o un eroe di guerra privo di scrupoli. Si indovina senza difficoltà che il paziente in questi sogni da sveglio cerca di soddisfare quei desideri che derivano dal «rapporto incrociato» della pulsione sessuale con la pulsione aggressiva, dunque i suoi impulsi «sadici». Il paziente sente in generale che non dà l’impressione di essere un uomo, che lo trattano come un bambino. Tale sentimento si basa sulla repressione del sadismo. Nelle sue fantasticherie diviene un uomo energico, dispotico, per nuovamente trasformarsi dopo in un debole «bambino» dipendente. Le poesie imparate a scuola sono adatte a interrompere le fantasie, perché con esse il paziente si sente riportato all’infanzia. Salta immediatamente agli occhi la somiglianza di contenuto della fantasia di questo paziente con quella del caso B descritto prima. La somiglianza si estende peraltro anche a un particolare sintomo. Nel paziente B costatammo un’accentuata inclinazione all’arrossire. Il paziente F arrossisce facilmente e soffre di una marcata eritrofobia. In questo caso non si tratta di stati onirici col carattere prima descritto, poiché mancano il rapimento, il vuoto della coscienza e l’angoscia successiva. Anche il decorso è diverso. Ma si tratta di fantasticherie a occhi aperti molto intense, che vanno al di là dell’abituale, che con lo stato

onirico (sensu strictiori) hanno un importante tratto in comune. Il paziente perde, durante il suo fantasticare, il dominio dei pensieri; non può interromperli quando vuole. Come abbiamo visto in altri pazienti, egli dovette trovare un mezzo per poter interrompere le fantasticherie, e di questo deve fare abbondante uso prima che sia efficace. Va accennata ancora la grande vivacità visiva delle fantasticherie in questo caso; ne parleremo più minutamente in seguito. Lo stesso caso mostra inoltre in maniera eccellente che le fantasie diurne costituiscono anche gli stadi preliminari dei sogni notturni. Il paziente racconta alcuni sogni che ricorrono frequentemente fin dall’infanzia. In uno di questi sogni egli viene aggredito nel letto da un uomo con la barba. Questi gli conficca un pugnale. Lui sta coricato quietamente, come se le mani gli si fossero paralizzate. Si sveglia dal sogno con grande angoscia. Ancora più frequentemente il paziente, nel sogno, viene inseguito da un leone. Provando grande paura egli infine scappa via da una breccia nel muro, attraverso la quale il leone non può seguirlo.11 L’uomo con il pugnale (simbolico) è il padre, la cui «aggressione» sulla madre il paziente ha osservato da bambino. Il sogno tradisce il desiderio rimosso del paziente di prendere il posto della madre presso il padre. Anche il sogno del leone appartiene a tale complesso. Se a questo paziente, che fu in trattamento con me solo per breve tempo, chiedevo di comunicare, nel modo stabilito, tutto quello che gli veniva in mente, egli abitualmente

chiudeva gli occhi e descriveva immagini che gli comparivano davanti. Riguardo al sogno dell’essere pugnalato ottenni le dichiarazioni seguenti:12 «Vedo un uomo che viene pugnalato da un altro. L’uno è coricato sul divano, l’altro s’inginocchia su di lui e lo pugnala, al petto. Quello che sta coricato trattiene con la mano sinistra la mano destra dell’avversario. Quello che è inginocchiato può avere all’incirca trent’anni, ha un’aria molto selvaggia, ha una barba scura. Quello coricato ha un’aria distinta, come di antica nobiltà, ha un giubbotto di seta con un colletto di pizzo». Osserviamo immediatamente che queste immagini assomigliano nel contenuto ai sogni ricorrenti sopra accennati. L’uomo coricato è il paziente stesso; del resto durante la visione è sdraiato sul divano nel mio studio. È degna di nota la forma della descrizione al passivo: un uomo è pugnalato da un altro. Il paziente stesso è il soggetto. All’epoca in cui il paziente dormiva nella camera da letto dei genitori, il padre aveva all’incirca trent’anni e aveva la barba. Che il paziente qualifichi l’uomo coricato come uomo distinto e nobile è comprensibile in base alle tipiche fantasie circa la propria origine13 che compaiono con grande vivacità nei bambini nevrotici. Il giubbotto di seta l’ha tratto da un quadro appeso al di sopra del divano (Il cavaliere sorridente di Frans Hals); egli lo aveva contemplato fervidamente, prima di chiudere gli occhi, perché colpiva il complesso infantile della distinzione. Contemplandolo ora ancora una volta, egli osserva che l’abbigliamento gli ricorda un abito

femminile distinto. Il quadro aveva dunque toccato anche un altro complesso, quello omosessuale. Il giorno dopo il paziente, di nuovo disteso sul divano, produsse ancora le seguenti visioni: «Un centauro… adesso si aggiunge un bambino piccolo… un piccolo centauro». (Il padre e il paziente stesso. Da osservare il simbolismo sessuale nel paragone con il selvaggio centauro o lo stallone!) «Una corsa… i cavalieri saltano l’ostacolo». (La rivalità con il padre. Il paziente ha assolutamente il tratto di carattere che il paziente B definisce in se stesso come «sentimento di emulazione»). «Un cavallo caduto davanti a un carro». (Il paziente dice di aver visto, mentre veniva da me, un cavallo che era caduto. Il fondamento più profondo di questa immagine sta nella fantasia tipica della morte del padre).14 «L’uomo con l’elmo, il quadro di Rembrandt». (Questo quadro non sta appeso nella mia stanza; ma è un quadro che al paziente piace molto. Il padre del paziente era una figura imponente, energica; aveva partecipato a due guerre come soldato della guardia. Il paziente ha il desiderio di essere un guerriero come il padre; questi è anche il modello delle fantasie di Napoleone). Seguirono poi altri fenomeni di carattere analogo. Fantasie dell’infanzia del paziente danno ugualmente contenuto alle sue fantasticherie da sveglio e ai suoi sogni notturni. Persino le immagini allucinatorie sono comuni a entrambi. Una prestazione psichica analoga al «lavoro

onirico» dà forma anche negli stati onirici al contenuto manifesto in base al materiale di pensiero rimosso (latente). Rimando qui soltanto all’abbondante uso del simbolismo come pure al molto intenso lavoro di condensazione. Abbiamo incontrato numerosi esempi che dimostrano che un qualunque dettaglio dello stato onirico (e questo stesso, visto nell’insieme) serve a esprimere fantasie molto diverse o addirittura opposte. I sogni e gli stati onirici nevrotici non sono i soli derivati delle fantasticherie a occhi aperti. Possiamo ascrivervi due altre creazioni caratterizzate da un più profondo disturbo della coscienza. Dal sogno deriva il sogno sonnambolico; in esso il nevrotico trasforma le sue fantasie in azioni più o meno complesse, delle quali più tardi non serberà alcun ricordo. In rapporto del tutto analogo con gli stati onirici stanno gli stati ipnoidi e gli stati crepuscolari. In questi ultimi ritroviamo fenomeni che gli stati onirici ci hanno reso familiari; con le parole di Breuer nomino «rapimento», l’«oscurarsi della realtà circostante» e l’«arrestarsi colmo d’affetto del pensiero».15 Negli stati crepuscolari vengono spesso eseguite azioni complesse. Al grado di disturbo della coscienza corrisponde l’amnesia seguente agli stati crepuscolari; gli stati onirici da noi considerati non hanno tale caratteristica. Fra questi fenomeni episodici nel quadro clinico dell’isteria vanno classificati anche altri fenomeni affini, i cui rapporti con le fantasticherie a occhi aperti sono già stati

dimostrati da precedenti studi. Mi riferisco in primo luogo agli attacchi isterici. Freud ha recentemente riassunto in maniera molto concisa le sue vedute circa la loro natura.16 Dalle sue esposizioni a cui ho rimandato già in precedenza, cito, alla lettera, alcuni passi: «L’esame della storia d’infanzia dei pazienti isterici mostra che l’attacco isterico è destinato a sostituire un soddisfacimento autoerotico praticato in passato e poi abbandonato». Con l’analisi degli stati onirici siamo giunti a risultati analoghi. «L’anamnesi del malato mostra i seguenti stadi: a) soddisfacimento autoerotico senza contenuto rappresentativo; b) lo stesso, collegato a una fantasia che sfocia nell’atto di soddisfacimento; c) rinuncia all’atto, con mantenimento della fantasia; d) rimozione di questa fantasia, la quale poi s’impone nell’attacco isterico, sia immutata, sia modificata e adattata a nuove impressioni vitali; ed e) la fantasia ripristina eventualmente l’atto del soddisfacimento ad essa attinente e apparentemente tralasciato. Questo è un ciclo tipico di attività sessuale infantile: rimozione insuccesso della rimozione - ritorno del rimosso». I primi tre stadi evolutivi sono dunque comuni allo stato onirico e all’attacco isterico. «La perdita della coscienza, l’absence dell’attacco isterico, deriva da quel fugace ma inconfondibile smarrimento della coscienza che si può provare al culmine di ogni soddisfacimento sessuale intenso (compreso quello autoerotico)… Il meccanismo di queste assenze è

relativamente semplice. Dapprima tutta l’attenzione viene concentrata sullo svolgimento del processo di soddisfacimento e, col principiare del soddisfacimento, tutto questo investimento d’attenzione viene improvvisamente soppresso, cosicché ne deriva un momentaneo vuoto nella coscienza. Questa lacuna per così dire fisiologica della coscienza viene poi allargata al servizio della rimozione, finché è in grado di assorbire tutto ciò che l’istanza rimovente rifiuta». Derivati dagli stessi stadi iniziali e dalle stesse mete, lo stato onirico e l’attacco isterico differiscono nei mezzi di rappresentazione e perlopiù anche nel procedimento della coscienza. Mentre l’absence nello stato onirico è quasi sempre di breve durata, specialmente in confronto con l’estensione degli altri stadi del decorso, nell’attacco isterico la «lacuna della coscienza» si estende a seconda del bisogno. Per rappresentare le fantasie rimosse l’attacco isterico si serve del «meccanismo riflesso dell’atto del coito» e indica così «alla libido rimossa la via verso la scarica motoria». Nello stato onirico il processo si svolge sul piano della fantasia, se prescindiamo da talune manifestazioni motorie (come ad esempio il mutamento nel portamento o nel modo di camminare), che non hanno rapporto con l’atto del coito. Prossimi agli attacchi motori dell’isteria gli attacchi d’angoscia sono in stretto rapporto genetico con gli stati onirici. Anche in questo tipo di fenomeni isterici episodici dobbiamo scorgere processi di eccitamento sessuale trasformati.17 Vorrei accennare a questo punto che i pazienti

di cui ho descritto dettagliatamente gli stati onirici, soffrono tutti più o meno frequentemente di attacchi d’angoscia, ma non di attacchi motori. Sono qui presenti differenziazioni individuali del cui quadro clinico non abbiamo ancora acquisito sufficiente conoscenza. A questo punto voglio anche accennare che stati onirici di struttura del tutto analoga si presentano altresì in malati mentali (dementia praecox). Ho potuto recentemente stabilirne con certezza la genesi dai sogni di veglia di un giovane ebefrenico. In questo caso era particolarmente accentuato lo stato di rapimento; durante gli stati onirici al paziente sembrava che «tutto fosse un teatro». Ricordo che nel corso della dementia praecox si verificano anche stati crepuscolari che hanno importanti caratteristiche comuni con quelli isterici. Stati oniroidi a decorso prolungato con predominanza del sentimento di estraneità sono stati descritti da Wernicke,18 Juliusburger19 e altri autori.20 I casi analizzati possono classificarsi tra le psiconevrosi gravi. Non si deve però trarne la conclusione che nei nevrotici lievi non compaiano stati onirici. Certamente ne è affetto un grosso numero di malati lievi come di malati gravi. Alla fantasticheria a occhi aperti sono inclini tutti; essi non riescono a superare la nostalgia dell’attività autoerotica della loro infanzia. I semplici sogni di veglia o le complesse creazioni derivabili da questi servono loro per fuggire di tanto in tanto dalla realtà nel paese dell’infanzia. Se un individuo è disposto alla produzione di stati onirici, basta uno stimolo minimo, che tocchi i complessi rimossi, perché si

produca tale stato. Particolarmente nei nevrotici lievi gli stati onirici spesso sfuggono all’osservazione del medico, oppure non vengono riconosciuti nel loro vero significato. Non di rado una paziente ad esempio dichiara al medico – e certo non solo nella situazione psicoanalitica – che si sente ipnotizzata da lui. Questo è un trasparente fenomeno della «traslazione». La paziente è inconsciamente pronta a subordinarsi alla volontà del medico, cioè pronta a comportarsi passivamente di fronte a un’aggressione del medico, desiderata dal suo inconscio. La sua fantasia elabora intensamente l’appagamento di questo desiderio. Si verificano poi il rapimento onirico e gli altri fenomeni che conosciamo. La paziente, mentre si trova presso il medico, esperimenta uno stato onirico. Altre isteriche si sentono ipnotizzate dalla presenza di un uomo qualunque. Ebbi in trattamento una paziente che sul tram veniva sempre presa dall’angoscia. Aveva la sensazione di essere «trafitta» dagli sguardi di un qualunque uomo seduto di fronte a lei. Ne derivava ogni volta uno stato che essa definiva come una specie di ipnosi e che si concludeva nell’angoscia. Altre ragazze nevrotiche riferiscono che nel mezzo di una conversazione con un uomo si sentono improvvisamente rapite, ascoltano la propria voce come se parlasse un’estranea. Subentra poi il «vuoto della coscienza», a cui segue infine angoscia e un sentimento di vergogna. Dall’analisi si apprende che tali individui si trovano molto frequentemente assorti in fantasticherie a occhi aperti. In

particolare amano abbandonarsi a tali fantasticherie al mattino stando a letto. In un’occasione adatta viene nuovamente ripreso il filo di tali fantasticherie e seguono poi gli altri stadi tipici dello stato onirico. Nel saggio sopra citato, Freud ha trattato concisamente anche dell’occasione e dello scopo della comparsa di attacchi isterici. L’attacco isterico viene provocato per via associativa quando il complesso è richiamato da un collegamento della vita cosciente; per via organica viene provocato quando la libido, aumentata per ragioni interne o esterne, non ha scarica. È evidente che di regola entrambi i motivi occasionali concorrono allo stesso tempo. Gli stessi fattori scatenanti operano anche nella genesi degli stati onirici. Gli attacchi isterici servono in primo luogo, secondo Freud, alla tendenza primaria della malattia (fuga nella malattia), costituiscono dunque una consolazione per il paziente; inoltre essi sono funzionali alle tendenze secondarie della malattia quando l’essere malato ha un’utilità pratica. Degli stati onirici si può dimostrare esattamente la stessa cosa. Un esempio eccellente di fuga nella malattia ci è dato dal paziente E, il quale dopo la morte della madre entra in uno stato onirico di lunga durata. Che gli stati onirici servano anche a uno scopo pratico e attuale è dimostrato da ognuno dei singoli casi descritti. In molti pazienti lo stato onirico interviene «a proposito» in una situazione penosa. Va detto qui in particolare che molti pazienti lo provocano consciamente e intenzionalmente per sfuggire a sentimenti di dispiacere o per conseguire piacere.

La nostra attenzione è qui nuovamente richiamata sui rapporti genetici degli stati onirici con l’onanismo; anche a quest’ultimo il nevrotico ricorre spesso a scopo di consolazione, ad esempio per eliminare un umore depresso. In comune con il sogno gli stati onirici hanno la funzione di impedire il dispiacere.21 Ma questi ultimi servono inoltre anche positivamente al conseguimento di piacere. Il paziente B, che con lo stato onirico viene rapito dallo stato di passività, sfugge così non soltanto al dispiacere, ma nei primi stadi del processo ricava anche un piacere positivo dall’attività fantasticata. Un cambiamento della meta sessuale come si verifica negli stati onirici del paziente B non costituisce la regola. Vi è un altro tipo che è rappresentato, ad esempio, dal paziente C. Le fantasie si muovono qui nella direzione della passività già dominante. Ai sentimenti masochistici viene conferita in tal modo un’intensità straordinaria. Gli stati onirici offrono al nevrotico, esattamente come gli altri fenomeni della nevrosi, un sostituto di un’attività sessuale a lui negata. Il suo inconscio fa uso di questo surrogato fintantoché manca il soddisfacimento di determinati desideri. Se invece la libido riceve un soddisfacimento sufficiente, gli stati onirici recedono o scompaiono completamente. Ciò accadde a una signora lievemente nevrotica che ebbi in trattamento, non appena trovò soddisfacimento sessuale nel rapporto col marito. Nel caso di un uomo che era in cura da me per impotenza psichica, l’inquieta attività della sua fantasia sessuale ritornò

a una misura normale allorché ridivenne potente e potè raggiungere un soddisfacimento sufficiente. L’analisi degli stati onirici dimostra ancora una volta la straordinaria fecondità delle idee freudiane. Da quando esiste una ricerca psicoanalitica, non siamo più costretti a limitarci a descrivere semplicemente i sintomi delle nevrosi, ma possiamo anche comprenderne la natura e spiegarne l’impronta individuale nel singolo caso. Siamo in grado di comprendere le condizioni e i motivi del loro insorgere, di porre in evidenza le forze pulsionali in essi operanti e le tendenze in essi nascoste. Possiamo capire la peculiarità individuale di un caso patologico tenendo conto non solo della vita pulsionale presente del nevrotico, ma indagare i desideri rimossi dell’infanzia. Poiché la sua aspirazione più intima è di ripetere situazioni infantili di soddisfacimento, di cui il suo inconscio conserva il ricordo.

Alcune osservazioni sul culto della madre e il suo simbolismo nella psicologia individuale e dei popoli 1911

Dall’analisi dei sogni e delle nevrosi sappiamo che il corpo materno viene rappresentato spesso da certi simboli ricorrenti. Con particolare frequenza incontriamo due immagini: o una casa solitaria in un giardino o in un bosco dove si ritiene di aver vissuto in passato, oppure una stanza nascosta, con una stretta entrata, nella quale si vorrebbe rifugiarsi sottraendosi a una situazione angosciosa. Do alcuni esempi, ma per brevità rinuncio a una precisa motivazione analitica della mia interpretazione. Si tratta peraltro di fenomeni psichici che sono familiari ad ogni psicoanalista. 1) Il paziente A racconta di una fantasia sempre ricorrente fin dalla fanciullezza, di grande vivacità visiva. Egli si raffigura un’elegante villa situata in un grande parco del meridione. Ha la sensazione che deve aver vissuto in quel luogo quand’era bambino. 2) Il paziente B, che soffre di gravi stati d’angoscia, nelle sue fantasticherie a occhi aperti si traspone in un luogo nascosto. Nel fitto del bosco e sotto terra vi è una stanza che solo lui conosce. Suo sommo desiderio sarebbe poter inseguire là, solitario, le sue fantasie. 3) Il paziente C una volta sogna: egli si trova in una regione deserta, orrida, tra le rocce. A un tratto incominciano a cadere su di lui delle pietre. Mentre soffre di un’angoscia tormentosa, ha la sensazione che da qualche parte, nel suolo, ci sia un’apertura; dovrebbe scivolarvi dentro per poter essere al sicuro. «In quel momento ho una deliziosa sensazione di qualcosa di caldo, di materno». Il paziente da bambino fu punito spesso e violentemente dal padre molto tirannico. (La grandine di pietre che si abbatte su di lui). A queste scene si collegava sempre per il bambino la più grave angoscia. Nella sua fantasia viene sottratto a questa angoscia rifugiandosi nel corpo della madre.

Questi sono esempi di «fantasie del ventre materno» più o

meno facilmente riconoscibili. Tuttavia le osservazioni riferite non sono destinate ad arricchire la casistica di queste fantasie, ma solo a consentire un confronto con fenomeni affini della psicologia dei popoli. Accenno in primo luogo, molto brevemente, ai miti biblici della nascita e della rinascita del genere umano. Il primo mito contiene il giardino simbolico dell’Eden, il secondo la casa (l’«arca»). Noè abita in questa per un periodo di tempo che corrisponde esattamente alla gravidanza umana. Vorrei però in particolare richiamare l’attenzione a questo proposito su un culto religioso poco conosciuto del corpo materno. In Russia esiste una setta religiosa locale i cui adepti si chiamano Dyromol’p, cioè «adoratori del buco». All’interno della loro abitazione fanno un buco nella parete davanti al quale compiono il loro culto. La formula della loro preghiera è la seguente: Izba moja, dyra moja, spasí menja, cioè: «Casa mia, buco mio, salvami». Il ritmo di questa preghiera purtroppo si perde nella traduzione. In questo culto ritroviamo dunque lo stesso simbolismo che abbiamo incontrato nelle formazioni di fantasia citate in precedenza.

Analisi di un sogno in Ovidio 1911

Nel terzo libro degli Amores di Ovidio100 si trova come quinta elegia la minuta descrizione di un sogno. Quei versi, tradotti, suonano come segue: «Era la notte e il sonno chiuse i miei occhi stanchi; questa visione atterrì il mio animo. Sotto un colle aprico sorgeva un bosco sacro fittissimo di elci, e fra i rami stavano nascosti molti uccelli. Sotto vi era uno spiazzo verdissimo dal prato erboso, umido dell’acqua di un ruscello dal dolce mormorio. Sotto le fronde degli alberi io mi riparavo dalla calura, ma sotto le fronde degli alberi regnava tuttavia la calura. Ecco, cercando l’erbe miste a variopinti fiori, si fermò dinanzi ai miei occhi una candida vacca, più candida della neve quando è appena caduta e il tempo non l’ha ancora trasformata in acqua corrente, più candida del latte che ancora biancheggia di stridenti schiume e ha or ora lasciata la pecora munta. Le era compagno un toro, suo felice marito, e assieme alla sua sposa si adagiò sul molle terreno. Mentre stava disteso e ruminava lentamente l’erba riportandola in bocca e si pasceva per la seconda volta del cibo di cui s’era già prima pasciuto, mi parve che, togliendogli il sonno la forza di sostenerla, appoggiasse sulla terra la testa fornita di corna. Scendendo per l’aria con leggere piume venne verso di essi una cornacchia e gracchiando si posò sul verde suolo e col rostro ardito beccò tre volte il petto della nivea vacca e ne strappò col becco bianchi peli. Dopo lungo indugio quella abbandonò il luogo e il toro. Ma quando vide in distanza dei tori che pascevano in pascoli (in distanza dei tori pascevano grossi pascoli), corse rapida in quella direzione e si mischiò a quegli armenti e curvò la testa sul terreno dall’erba più ricca. Orsù dimmi, chiunque tu sia, interprete della visione notturna, che cosa preannunci, se contiene qualcosa di vero, questo sogno». Così io; e così disse l’interprete della visione notturna, ponderando ogni parola nel suo animo: «Quella che tu volevi evitare sotto le mobili foglie, ma evitavi male, era la calura d’amore. La vacca è la tua fanciulla: quel colore ben si adatta a una fanciulla; tu sei il maschio, e, essendo tua compagna una vacca, avevi forma di toro. Il fatto che la cornacchia beccava il petto col rostro acuto significa che una vecchia ruffiana cambierà i sentimenti della tua donna. La vacca, che dopo lungo indugio abbandonò il suo toro, vuol dire che tu sarai lasciato, freddo, nel letto vedovo. Il livido e le chiazze nere sulla parte anteriore del petto indicano che il petto della tua amica non è privo della macchia dell’adulterio». L’interprete aveva parlato; il sangue mi fuggì dal volto freddo come ghiaccio, e dinanzi ai miei occhi si stese una profonda notte.

L’interpretazione data in quei versi è incompleta dal punto di vista della nostra analisi scientifica del sogno. In particolare non è visibile l’intento del sogno (appagamento di desiderio). Sul contenuto simbolico dei primi sei versi (colle, bosco, uccelli, acqua) l’interprete sorvola senza prestarvi attenzione. Peraltro egli riconosce tanto compiutamente il significato dei simboli, che ne risulta una sorprendente concordanza con le nostre concezioni attuali.

La valutazione narcisistica dei processi escretori nel sogno e nella nevrosi1 1919

Una paziente, che si trova in trattamento psicoanalitico, sogna: Sono seduta su una sedia di vimini accanto al muro di una casa. La casa è in riva a un grande lago. La sedia sta immediatamente sull’acqua. Nel lago ci sono molte persone che nuotano, e ci sono anche delle barche. In una di queste barche vedo due uomini, uno più vecchio e uno più giovane. Mentre la barca viene verso di me, si alza un colpo di vento e provoca sul lago un’onda enorme, proprio dietro la barca. L’onda inghiotte l’imbarcazione con le persone che vi erano dentro. Anche le persone che nuotavano nel lago vanno sotto. Soltanto una donna si mantiene ancora al di sopra dell’acqua, viene a nuoto vicino a me e cerca di appigliarsi alla mia sedia. Io penso che potrei tendere verso di lei una gamba, a cui essa potrebbe tenersi, ma ho per la donna altrettanto poca compassione quanto per gli altri sventurati, e non faccio niente per salvarla.

Dall’analisi del sogno, per quel che ci interessa qui, risulta quanto segue. I due uomini nella barca, uno più vecchio e uno più giovane, sono il padre e il fratello della paziente; su entrambi è fissata la sua libido oltre misura. La donna che nuota è la madre. La costellazione psichica in base alla quale la paziente desidera inconsciamente la morte di tutti i parenti può essere qui tralasciata. Occorre invece rilevare per quale via avviene l’eliminazione della famiglia. Nei sogni e nei sintomi nevrotici della paziente, il cui erotismo genitale è rimosso con forza inusitata, si esprimono con estrema chiarezza l’erotismo anale e l’erotismo uretrale. Il presente sogno è dominato da queste tendenze. «Sedia», «vento» e «acqua» sono i suoi requisiti fondamentali. Vento e acqua distruggono la famiglia della sognatrice. La paziente stessa, per motivi di censura, è spettatrice apparentemente

non partecipe. L’insensibilità con la quale sta a guardare la catastrofe rende ovvio il sospetto che sia stata lei stessa a provocare la disgrazia. Il sospetto diventa certezza se si considera la conclusione del sogno. La sognatrice causa infatti la morte della madre, negandole il proprio aiuto. Nelle psicoanalisi dei nevrotici siamo abituati a riscontrare che i sentimenti anali e uretrali sono in stretta relazione con gli impulsi amorosi infantili. Anche l’analisi della nostra sognatrice offre un ampio materiale a prova di ciò. Corrisponde interamente alle nostre esperienze sull’ambivalenza nella vita pulsionale nevrotica il fatto che troviamo le funzioni e i prodotti intestinali e vescicali anche come portatori d’impulsi ostili. Raramente però l’espressione di tali impulsi ostili è così evidente come nell’esempio comunicato. Le funzioni intestinali e vescicali sono in questo caso esclusivamente al servizio del sadismo. Un’attenzione particolare merita l’effetto smisurato che la sognatrice attribuisce alle sue escrezioni. L’onnipotenza della funzione intestinale e vescicale può essere posta, sulla base del nostro esempio di sogno, accanto alla primitiva e a noi familiare rappresentazione dell’onnipotenza dei pensieri. In entrambe le rappresentazioni si esprime visibilmente la medesima autosopravvalutazione narcisistica. La rappresentazione che abbiamo mostrato qui sembra però essere la più primitiva delle due, anzi lo stadio preliminare all’«onnipotenza dei pensieri». Un secondo esempio rafforza ulteriormente questa impressione. Un nevrotico che durante gli anni della sua prima infanzia si immaginava sempre di essere un «principe», e giocava a fare l’«imperatore», e che durante

gli anni più tardi dell’infanzia si abbandonava a fantasie di dominio del mondo, a undici anni fece un cambiamento peculiare. Fino a quell’età era stato completamente legato alla madre, che l’aveva sistematicamente conquistato a sé contro il padre. Essa favoriva grandemente l’erotismo anale del bambino facendo un vero e proprio culto delle sue evacuazioni, la cui qualità e quantità erano la sua preoccupazione continua. Quasi ogni giorno gli praticava dei clisteri. Il figlio da parte sua si procurò un disturbo nevrotico allo stomaco, attraverso il quale costringeva la madre a proseguire i clisteri. Nel periodo ricordato fece un viaggio piuttosto lungo con i genitori. Una notte, nell’albergo, stette a spiare il rapporto sessuale dei genitori. Questo evento fece tanto più impressione su di lui, in quanto a casa i genitori occupavano da anni camere da letto separate. Il paziente si ricorda come questo evento gli sembrò insopportabile, e come decise del tutto consciamente d’impedirne la ripetizione. Per il resto del viaggio seppe disporre le cose in modo tale da dividere lui la stanza con il padre. Dopo l’osservazione del rapporto dei genitori s’identificò con la madre e trasferì sul padre la fantasia del coito anale. Fino ad allora egli aveva attribuito un pene alla madre, che era rappresentato dalla cannula del clistere. Ora, invece, assunse un atteggiamento femminile-passivo nei riguardi del padre.2 Poco tempo dopo dovette stare a letto per qualche giorno. In questo periodo rimase un paio di giorni senza evacuare l’intestino e avvertì un senso di pressione nel ventre. Durante la notte sognò di dover spremere fuori dal suo ano l’universo.

Anche in questo caso si trova con chiarezza inequivocabile la rappresentazione dell’onnipotenza della defecazione. Vengono in mente quei miti della creazione nei quali l’uomo viene creato dalla terra o dall’argilla, cioè da sostanze simili agli escrementi. Il mito biblico della creazione ha in questo senso due versioni diverse. Nella descrizione «elohista» Dio crea l’universo, compreso l’uomo, attraverso il suo «Sia!», dunque attraverso l’onnipotenza del suo pensiero, volere, o parola. Nei documenti «yahwisti» invece la creazione dell’uomo avviene da una zolla di terra nella quale Dio alita il suo fiato. In questa versione domina dunque ancora la rappresentazione più primitiva dell’onnipotenza della produzione intestinale. Non è questo il luogo per addentrarsi in altri paralleli mitologici.

Tornando al significato sadico della defecazione voglio ricordare che la paziente la quale in sogno uccide la famiglia con le sue escrezioni era affetta in misura notevole da diarree nervose. Dalla sua psicoanalisi risultò, accanto alle cause a noi familiari di questo sintomo, una radice sadica. Le diarree risultarono essere equivalenti di esplosioni di rabbia represse. Altri casi patologici analizzati mi hanno confermato questa connessione; ad esempio, conosco una nevrotica la quale parimenti reagisce con la diarrea ad ogni esperienza che le susciti ira o rabbia. Sembra strano che un’esplosione di rabbia trovi la sua rappresentanza proprio in questo sintomo nevrotico. Per spiegare questo fatto dobbiamo prendere in considerazione il comportamento del bambino nel primissimo periodo di vita. Nell’affetto della rabbia il bambino mostra la stessa congestione del viso, la stessa mimica, gli stessi movimenti del corpo di quando espelle le feci, ed emette nelle due circostanze gli stessi suoni gementi. Questa comunanza di mezzi espressivi fa scorgere una connessione stretta fra impulsi apparentemente eterogenei. Diviene così comprensibile il fatto che una evacuazione intestinale esplosiva possa offrire all’inconscio del nevrotico un sostituto di una scarica non avvenuta di affetti d’ira. La relazione più originaria e più profonda fra sadismo ed erotismo anale è da scorgere senza dubbio nel fatto che i sentimenti sessuali connessi con la zona anale insieme con gli impulsi sadico-attivi costituiscono una coppia pulsionale che rappresenta lo stadio preliminare della successiva

opposizione di maschile e femminile. L’ambivalenza della vita pulsionale particolarmente accentuata nel nevrotico ossessivo ha le sue radici in questa stretta connessione d’impulsi attivi e passivi. L’ulteriore connessione fra elementi sadici e anali messa in rilievo sopra non è in contraddizione con questa idea. Ci ricorda piuttosto che all’attività intestinale sono legati anche impulsi libidici di tipo attivo,3 e ci fa conoscere soltanto una sovradeterminazione di quella omogeneità. La sopravvalutazione narcisistica delle escrezioni è stata già da molto tempo presa in considerazione nella letteratura psicoanalitica. Già nel 1900 Freud ne ha fornito esempi nella sua Interpretazione dei sogni. Sogni nei quali il flusso dell’urina esercita effetti potenti si riscontrano specialmente in donne con un «complesso di virilità» fortemente accentuato. In un saggio precedente io stesso ho riferito di un bambino di tre anni nel quale si poteva facilmente scorgere la mania di grandezza narcisistica, ancora del tutto non rimossa, e la connessione di questa con le escrezioni. Una volta che orinò sulla riva del Mare del Nord cercò di provocare l’impressione che il mare fosse un suo prodotto. I due sogni che ho comunicato sono direttamente collegati con questa fantasia infantile. Mentre nei sogni di escrezione a noi noti da molto tempo i prodotti corporei vengono sopravvalutati semplicemente nella loro quantità, in questi due casi alle funzioni escretorie viene attribuito un effetto smisurato, perfino onnipotente, in senso produttivo o distruttivo.

Il ragno come simbolo onirico1 1922

È capitato ad ognuno di noi psicoanalisti d’incontrare occasionalmente, nei sogni dei pazienti, il ragno come simbolo. Mancano però quasi totalmente nella nostra letteratura comunicazioni utilizzabili sul significato di questo simbolo. Freud2 ricorda una volta che il ragno rappresenta la madre, e propriamente la madre cattiva, temuta dal bambino. Non è però molto chiaro perché debba essere proprio il ragno a simboleggiare queste qualità di una madre. Si potrebbe pensare al fatto che il ragno cattura e uccide animali più piccoli, e che questi animali più piccoli rappresentano spesso nel sogno i figli. Ma ci sono parecchi altri esseri viventi che danno la caccia a esseri più piccoli e indifesi; perché dunque elevare a simbolo della madre cattiva proprio il ragno? Il ragno appartiene così a quei simboli onirici di cui noi crediamo di comprendere il senso – almeno in un significato – senza tuttavia sapere perché tale significato gli venga attribuito. Nella pratica si sperimenta però che il significato del ragno ora ricordato non si adatta a tutti i casi, o almeno non basta da solo, e del resto la pluralità di significato dei simboli ci è anche altrimenti familiare. E ora cerchiamo invano nella nostra letteratura qualche altra indicazione. Stekel3 menziona, per la verità, il ragno come simbolo fallico; ma gli esempi di sogni da lui riportati sono trattati in modo così superficiale che non si ricava da quest’autore nessun ulteriore insegnamento. Soltanto in uno dei sogni

riportati le lunghe zampe di una specie di ragno vengono interpretate in modo plausibile come simboli fallici. Tuttavia è un ragno (phalangium) di quelli che non tessono la ragnatela. Rimane dunque oscuro il significato da attribuire a quei ragni che non hanno le zampe allungate; ma che pure costruiscono una ragnatela. In queste circostanze siamo costretti a registrare accuratamente ogni esperienza particolare. Parecchi sogni che mi ha riferito un paziente in diversi periodi del suo trattamento mi consentono di fornire un contributo alla spiegazione dei sogni in cui compare il ragno. Il primo sogno avvenne pochi giorni dopo l’inizio del trattamento. Un risultato delle prime sedute psicoanalitiche, che fece una fortissima impressione sul paziente, era stata la scoperta del suo atteggiamento verso la madre. Si mostrò che la sua fissazione alla madre si esprimeva in un’esagerata dipendenza dal suo volere e dalle sue opinioni. Ella aveva senza dubbio nella situazione matrimoniale una posizione di supremazia; si era anche assunta in parte il compito di provvedere al sostentamento della famiglia, e aveva un ruolo paterno in molti aspetti dell’esistenza del paziente. L’ambivalenza dei suoi sentimenti nei riguardi della madre si esprimeva, oltre che nella dipendenza già ricordata, in un rifiuto violento, che però fino al periodo della psicoanalisi si era tradotto in esplosioni affettive prive di conseguenze. Risultò in seguito che il normale atteggiamento edipico del paziente aveva subito un rovesciamento. La madre figurava nell’inconscio del paziente come un essere maschile, era

dunque dotata di attributi maschili, mentre egli, in questo strato delle sue fantasie inconsce, si poneva di fronte alla madre in atteggiamento femminile-passivo. Il primo sogno è questo: «Sono in una camera da letto che contiene due letti. Due cameriere stanno facendo pulizia. La ragazza che sta alla mia sinistra e io scopriamo improvvisamente un orribile ragno sul soffitto della stanza. La ragazza solleva una lunga scopa, e sebbene io le stia ancora dicendo che l’animale potrebbe essere eliminato anche in maniera meno violenta, lo schiaccia».

Il sognatore si ricorda che il giorno precedente al sogno un ragno era caduto nella vasca da bagno. Sua moglie voleva farlo affogare, ma egli salvò il ragno e lo lasciò uscire dalla finestra. Il sogno porta al risultato opposto: il ragno viene ucciso. Certo, nel contenuto manifesto del sogno la crudele uccisione non avviene per opera del sognatore, ma per opera della cameriera «a sinistra». In questa è da riconoscere la moglie del paziente, che il giorno prima voleva lasciar annegare il ragno, e che nella vita reale significa per il paziente ciò che si oppone alla madre. Attraverso il suo matrimonio con lei egli è diventato, per così dire, infedele alla madre. Nello stesso tempo possiamo riconoscere nelle due ragazze le due tendenze presenti nel paziente: quella ostile verso la madre (la ragazza a sinistra) e quella amichevole (la ragazza alla sua destra). Nel sogno ha il sopravvento la prima. Ora si rivela rapidamente il significato del ragno come simbolo materno. Il particolare tipo di uccisione – lo schiacciamento – si spiega in base alla teoria sadica del coito. Del resto certi sogni a occhi aperti del paziente culminano nell’atto di schiacciare una moltitudine di uomini. Risulta per via associativa che la lunga scopa ha il significato di un simbolo fallico, cosicché l’impulso di

desiderio latente di uccidere la madre nel coito emerge in modo inequivocabile. Il secondo sogno avvenne all’incirca due mesi dopo. È questo: «Sono in ufficio, con mia madre o mia moglie, vicino a un armadio. Mentre sto prendendo da questo armadio una pila di documenti, cade ai miei piedi un grande, oblungo, ragno peloso. Sono contento che non mi abbia toccato. Più tardi vediamo il ragno sul pavimento, ancora più grande e orrendo di prima. Poi si mette a volare verso l’alto e con una grande curva viene volando verso di me. Fuggiamo per la porta nella stanza accanto. Proprio quando voglio chiudere la porta, l’animale mi raggiunge all’incirca all’altezza del viso. Non so se entrò nella stanza accanto o se rimase nell’ufficio o se fu schiacciato dalla porta».

Nelle settimane che precedettero questo sogno, si erano messe in luce le resistenze del paziente verso il sesso femminile, o più esattamente, verso i genitali femminili, insieme con la tendenza a trasformare se stesso in donna, per mezzo delle fantasie di evirazione, e a fare invece della madre un uomo. Mi portò un disegno del ragno come gli era apparso in sogno, e rimase egli stesso sorpreso quando riconobbe, in questo disegno, da un lato la forma oblungaovale dei genitali femminili esterni e la loro pelosità, ma d’altro lato, nel centro (corpo del ragno), una forma che aveva una somiglianza innegabile col pene. Il ragno che nel sogno cade è il pene attribuito alla madre, che, quando il paziente si avvicina all’armadio (simbolo materno) si stacca da questo. La gioia del paziente di non essere venuto in contatto con questo genitale materno corrisponde alla paura che egli ha dell’incesto. Nella vita reale ha un’enorme paura di guardare il genitale femminile, e ancor più di un contatto manuale con esso. Il successivo ingrossarsi del ragno, che per di più si solleva e vola in

cerchio nell’aria, è un simbolo evidente dell’erezione. Il fallo materno assale il sognatore. Indicativo è il dubbio, che compare a conclusione del sogno, se il ragno sia stato spiaccicato nella fessura della porta. Troviamo qui una fantasia di schiacciamento del pene come quella che incontriamo parimenti nelle formazioni fantastiche di donne nevrotiche con accentuato complesso di evirazione. Inoltre questa particolarità ci ricorda il primo sogno, nel quale il ragno era stato schiacciato.

Perveniamo così all’idea che al ragno spetti un secondo significato simbolico. Esso rappresenta il pene attribuito alla madre, inserito nel genitale femminile. A sostegno di questa concezione posso citare il sogno di un altro paziente. Il sognatore tentava di penetrare in una determinata stanza oscura, nella quale si trovava una quantità di piccoli animali. Certe allusioni nel contenuto manifesto del sogno, ma soprattutto le associazioni del paziente, non lasciarono sussistere alcun dubbio sul fatto che la stanza rappresentasse il ventre materno. Entrando nella stanza gli venne ora incontro una farfalla. Per brevità ricordo soltanto che le ali della farfalla – in questo come in altri sogni – avevano il significato del genitale femminile; l’utilizzazione simbolica poggia in questo caso fra l’altro sull’osservazione

delle ali che si aprono e si chiudono. Il corpo della farfalla, che è nascosto in mezzo alle ali, era inequivocabilmente un simbolo del genitale maschile. Anche nelle fantasie nevrotiche di questo paziente si può mostrare la rappresentazione del pene femminile nascosto. La madre «cattiva», che secondo l’ipotesi di Freud è rappresentata dal ragno,4 ci si rivela ora come una madre mascolinizzata, del cui membro maschile e del cui piacere maschile di attaccare il ragazzo ha paura, proprio come accade in donne immature che hanno un atteggiamento di forte paura di fronte all’uomo. Il sentimento del paziente di fronte al ragno può essere descritto nel modo migliore come sentimento del perturbante. Ulteriori spiegazioni può fornircele un terzo sogno, che avvenne due mesi dopo il secondo sogno. Sono in piedi vicino a un letto. Al di sopra del letto pende nell’aria un ragno, appeso a uno o più fili. Il ragno porta ad ogni zampa un ciuffetto di peli gialli. Poiché il ragno si dondolava di qua e di là appeso al suo filo, c’era il pericolo che mi toccasse o che mi si arrampicasse addosso. Mi mise in guardia mia moglie, che era alla mia sinistra. Diedi allora con la mano destra un colpo al filo principale a cui era appeso il ragno, e impedii così che mi si avvicinasse. Ciò si ripetè parecchie volte, cosicché in certo qual modo giocavo con il ragno o lo stuzzicavo. Dicevo orgogliosamente a mia moglie: «Ora so come rimanere superiore al ragno!» Il ragno poi sparì dal sogno. Lo avevo eliminato definitivamente e appoggiai la mano sul letto. Mi accorsi allora con terrore che la mia mano si era posata proprio su una tela di ragno che si trovava lì, e che era grande come la mia mano, ovale e un po’ convessa. Era il nido di un ragno, forse pieno di ragni piccoli. Ritirai la mano e corsi in corridoio; non so se la mia mano sia venuta a contatto con i piccoli ragni o se questi si erano messi sulla mia mano. Nella fretta non riuscii a vedere, ma gridai a mia moglie che doveva andare lei a vedere.

Il ragno che pende e il filo rappresentano di nuovo il genitale maschile della madre; il movimento di dondolio e

l’avvicinamento al sognatore significano erezione e assalto sessuale, in modo del tutto simile a certi simboli del secondo sogno. Anche ai ciuffetti di peli spetta parimenti un significato fallico; la loro molteplicità è caratteristica come rappresentazione di qualcosa che in realtà manca. Nel corso della scena onirica il sognatore diventa poi attivo nei riguardi del ragno; la sua angoscia di fronte al pene fantasticato della madre sparisce. Non è necessario esaminare più da vicino altri particolari di questa parte del sogno. Segue subito dopo il contatto con il nido del ragno. La sua grandezza e la sua forma fanno riconoscere facilmente che esso rappresenta il genitale femminile. Ora subentra quindi, al posto dell’angoscia precedente per quell’attributo fantasticato, l’angoscia per il genitale femminile reale (cioè per la mancanza del pene). Riconosciamo di nuovo la paura del contatto con questa parte del corpo della donna. I ragni piccoli, che il sognatore suppone siano lì, sono simboli tipici dei figli; il paziente è il maggiore tra i fratelli e le sorelle. Riassumendo possiamo dire che i sogni sopra esposti ci possono fornire chiarimenti sul simbolismo del ragno in tre direzioni. Il ragno rappresenta innanzitutto la madre cattiva (mascolinizzata), e poi il genitale maschile a lei attribuito. La tela del ragno rappresenta la peluria pubica; il filo isolato significa il genitale maschile. Il fatto che ognuno dei tre sogni contenga un uso particolare del simbolismo del ragno, fa supporre che al simbolo spettano forse anche altri significati. Questa

comunicazione stimolerà forse alla pubblicazione di analisi simili a questa e integrative rispetto ad essa. Il significato del ragno nella psicologia dei popoli è stato finora scarsamente valutato dal punto di vista psicoanalitico. Il fatto che esso valga come segno sia fortunato sia sfortunato, può considerarsi espressione di un atteggiamento ambivalente, universalmente diffuso, verso questo animale. Per molte persone il ragno ha senza dubbio il carattere del «perturbante».5 Appare giustificata la supposizione che il sentimento del perturbante derivi qui dalle medesime fonti inconsce del nevrotico sopra descritto. Supplemento La supposizione, espressa a conclusione del presente saggio, che il significato simbolico del ragno non fosse stato trattato esaurientemente, ha trovato subito una conferma. Quando riferii i miei risultati in una seduta della Società psicoanalitica di Vienna, il dottor Nunberg, intervenendo nel corso del dibattito, comunicò quel che aveva appreso sul significato del simbolo dall’analisi di una fobia dei ragni. Anche nel caso da lui osservato il ragno era la madre pericolosa, ma in un senso particolare. Le fantasie inconsce del paziente erano dirette al pericolo di essere ucciso dalla madre in un rapporto incestuoso. Nunberg sottolineò che il ragno uccide la sua vittima dissanguandola, e che proprio questo dissanguamento serviva nel suo caso come simbolo di evirazione, esprimeva cioè la tipica fantasia della perdita del pene nell’atto sessuale. Noto che all’inizio ero sulla traccia di connessioni simili a

queste. Poiché però tali connessioni non si potevano documentare con le associazioni del mio paziente, mi limitai nella mia comunicazione a quel materiale che era incontestabile perché ottenuto per via associativa. La psicoanalisi del mio paziente è stata interrotta per motivi esterni; se in seguito proseguirà potrò forse confermare il risultato molto interessante ottenuto da Nunberg. Esso costituisce la necessaria e illuminante integrazione della mia analisi. Nella medesima discussione il professor Freud richiamò l’attenzione su un singolare fatto biologico che non mi era noto. Non so se il mio paziente ne fosse – consciamente o inconsciamente – a conoscenza, e per il momento non posso neanche accertarlo. Il ragno femmina è molto superiore in grandezza e in forza al ragno maschio. Il maschio perviene all’accoppiamento con pericolo estremo di essere ucciso e inghiottito dalla femmina. C’è dunque una coincidenza che colpisce fra il contenuto della rappresentazione della fobia analizzata da Nunberg e un fatto scientifico naturale. Devo rinunciare al tentativo di dare una spiegazione di questo fatto. Forse ricerche successive faranno nuova luce in tale contesto.

Due contributi alla ricerca sui simboli 1923

1. Il significato simbolico del numero tre Da lungo tempo ci è nota la frequenza del numero tre in tutte le creazioni della fantasia umana. Sappiamo anche che ad esso spettano diversi significati simbolici. Noto è particolarmente il significato del «tre» come simbolo del genitale maschile e inoltre l’allusione in esso contenuta alla triade padre-madre-figlio. Più volte ho incontrato nei sogni dei miei analizzati il numero tre in un altro significato meno conosciuto. Non ho qui intenzione di prendere in considerazione, ad esempio, le molteplici possibilità di una determinazione individuale del simbolismo dei numeri, ma ciò che ho in mente è una determinazione tipica, fondata su condizioni generalmente umane. Vi sono tre aperture nel corpo umano, che attirano in misura massima l’attenzione del bambino, perché servono sia all’immissione ed emissione di sostanze, sia anche perché possiedono le più importanti funzioni erogene: zona orale, anale e urogenitale. Queste mi sembrano essere rappresentate nei sogni dal numero tre particolarmente quando non è riuscito a stabilirsi il primato genitale e le tre zone erogene si contendono la preminenza. Una paziente nevrotica, i cui sogni mi hanno dimostrato in modo particolarmente efficace questo significato del numero tre, nutriva nel suo inconscio un’enorme quantità di fantasie di desiderio orali cannibalesche e anali. Ora, mi è sembrato interessante poter indicare questo

stesso significato del tre anche in favole e miti, la cui ampia concordanza psicologica con le fantasie individuali ci è stata svelata dalla psicoanalisi. Un parallelo molto suggestivo in rapporto al significato sopra accennato del numero tre è dato dalla favola dei Grimm L’asino d’oro. Un padre scaccia di casa i suoi tre figli. Ognuno impara un lavoro artigianale e riceve dal suo maestro artigiano, dopo che l’apprendistato è terminato, un regalo: il primogenito un tavolino, che a comando si apparecchia con le migliori pietanze che si possano desiderare; il secondo un asino, che alla parola d’ordine «briclebrit» butta monete d’oro davanti e didietro; il terzo un sacco, in cui è contenuto un randello: al comando del padrone il randello viene fuori dal sacco e bastona ogni avversario del suo signore, per poi tornare di nuovo nel sacco, al comando del padrone. Il primo regalo rappresenta una realizzazione di desiderio nell’ambito della zona orale. Ogni bambino probabilmente desidera che «l’onnipotenza dei suoi pensieri» sia in grado di procurargli in qualunque momento ogni cibo desiderato. Similmente il secondo regalo. L’apprezzamento delle feci e la loro identificazione con l’oro ci sono noti dalla psicologia infantile. Nel secondo regalo troviamo la realizzazione del desiderio di potersi procurare ricchezze a piacimento tramite la produzione anale. Il significato del terzo regalo non è del tutto trasparente, ma ci diventa più facilmente comprensibile se pensiamo al tipico significato simbolico del bastone. Il sacco col randello non può allora essere frainteso, e i comandi che il possessore

del regalo impartisce al bastone: «Randello, salta fuori dal sacco!» e «Randello, torna dentro il sacco!» lasciano chiaramente riconoscere il significato dell’erezione e dell’evento opposto. Il terzo figlio riceve così il dono di una potenza illimitata, che ubbidisce incondizionatamente alla volontà. La fiaba contiene dunque tre realizzazioni di desiderio che riguardano le tre zone erogene. È interessante notare che la loro successione è la stessa di quella delle fasi di organizzazione della libido scoperte da Freud.1 Nella prima fase spetta alla bocca un prevalente significato erogeno, nella seconda all’ano, nella terza, definitiva, al genitale. Inoltre è da notare che i due fratelli maggiori all’inizio della favola si beffano del più giovane. Il primogenito perde però presto il tavolino prodigioso per mano del padrone della locanda nella quale passa la notte durante il viaggio di ritorno, cosicché porta a casa una normale tavola. A casa viene deriso dal padre quando egli tenta inutilmente di ottenere dalla tavola i cibi prelibati. Non meglio vanno le cose al secondo fratello con l’asino. Anch’egli viene truffato dall’oste e deriso dal padre. Che l’oste e il padre rappresentino tutti e due il padre geloso è senz’altro ipotizzabile in base allo studio psicoanalitico delle favole. Solo il figlio più giovane vince l’oste con la sua virilità che il bastone simboleggia; ed è lui che a casa riceve l’approvazione del padre. Così la favola conferma l’esperienza reale, per cui non è attraverso le fantasie infantili di origine orale o anale che un

bambino diventa uomo, ma solo attraverso una riuscita realizzazione del primato genitale. La favola è però particolarmente istruttiva per noi per il suo simbolismo del numero tre. 2. Il «trivio» nella leggenda di Edipo In un breve articolo sul simbolismo di una fantasia nevrotica di salvataggio2 ho cercato di dimostrare che la fantasia del salvataggio del padre si accorda ampiamente non solo per il suo contenuto latente con il mito di Edipo. Ho cercato di dimostrare che entrambe le creazioni fantastiche per la rappresentazione di questo contenuto simile fanno uso anche di un simbolismo simile, che finora non ha destato la nostra piena attenzione. Nel contenuto latente delle due creazioni fantastiche il figlio diventa il testimone del rapporto sessuale dei genitori; egli cerca d’impedirlo uccidendo il padre e salvando così la madre. L’incontro del figlio con il carro del padre in piena corsa (simbolismo del coito!) si svolge, nel mito di Edipo, in un luogo particolare. Nelle diverse versioni della leggenda si parla di una «stretta gola» o di un «crocevia». La «stretta gola» come simbolo genitale femminile concorderebbe bene con il resto del simbolismo. L’interpretazione è più difficile nell’altro caso: ὁδὸς σχιστή significa, in senso stretto, non «crocevia», ma è da tradursi nel modo più corretto pressappoco con «partizione della strada». In una traduzione tedesca della tragedia di Sofocle troviamo l’espressione Dreiweg [trivio]. Mentre la «stretta gola» può bene adattarsi come simbolo alla nostra concezione, poco comprensibile

sembra a tutta prima il «trivio» dagli stessi punti di vista. Il professor Freud mi fece notare le difficoltà di adattare questo dettaglio, quando gli presentai l’articolo sopra menzionato chiedendogli di esprimere la sua opinione. Una certa possibilità d’interpretazione pareva invero essere ovvia. Il dipartirsi della strada poteva, similmente al mito di Eracle, rappresentare un dubbio da parte del viandante. Edipo, infatti, si trova in inquietante dubbio sulla propria origine quando incontra il re Laio. Ma una tale spiegazione sarebbe troppo razionale, sicuramente non esaurirebbe il contenuto latente di questo brano del mito, e inoltre non risponderebbe a un’obiezione. Il luogo ci viene descritto in modo tale per cui c’è posto solo o per Edipo o per il carro di Laio. Nel caso di una strada con diramazioni sarebbe invece dovuto essere facile per ognuno dei due «far largo» all’altro. Una spiegazione della ὁδὸς σχιστή ci potrà soddisfare solo se ci chiarirà anche questa stranezza del racconto. Considerando queste difficoltà, ho del tutto trascurato questa particolare questione nell’articolo citato; poco dopo, un sogno che dovevo analizzare con un mio paziente mi apportò una spiegazione del trivio che mi sembra adeguata ad ogni esigenza. Il contenuto del sogno è il seguente: «Mia madre è morta e io sono presente al funerale. La scena poi diventa indistinta. Io mi allontano e poi ritorno alla tomba. Ho l’impressione che ci si trovi in Russia e che dei bolscevichi abbiano profanato la tomba. Un buco è stato fatto nel suolo; io vedo qualcosa di bianco nel fondo, potrebbe essere il lenzuolo funebre. Poi il luogo cambia di

nuovo. La tomba di mia madre si trova ora in un punto in cui due strade convergono in una strada maestra più larga. La tomba sporge solo un poco dal terreno circostante, e perciò le vetture ci passano sopra. Queste scompaiono, e ora sono io che ci passo sopra andando su e giù». L’analisi rivela il carattere incestuoso del sogno. Nell’inconscio del paziente esistono marcate fantasie necrofile; solo se la madre fosse morta egli avrebbe potuto possederla. L’atto di violazione della madre (il fare il buco nel tumulo) viene attribuito, per ragioni di censura, ai «bolscevichi»; questi rappresentano spesso nei sogni dei nostri pazienti quegli impulsi di desiderio che insultano ogni morale tradizionale. Il lenzuolo funebre visibile nel fondo significa, in base alle associazioni libere del sognatore, che il corpo è scoperto; a «bianco» viene associato «scuro» (pelosità). Così, nel sogno, invece del desiderio inconscio del sognatore di violare la madre, troviamo questa azione già perpetrata da altre persone; è da notare ancora, riguardo al linguaggio, che si parla di «violare una tomba» come di violare una donna. Il numero indeterminato degli attentatori («bolscevichi») ritorna nel sogno ancora una volta sotto forma delle molte vetture che passano sulla tomba. Se già prima la tomba rappresentava la madre che viene violata da molti uomini, l’identificazione della madre con la prostituta diventa ora molto chiara. Il luogo in cui convergono più strade presenta naturalmente un traffico particolarmente animato. Ricordiamo qui che i luoghi di traffico più intenso vengono

spesso usati come simboli di prostituzione (stazioni ferroviarie, grandi magazzini ecc.). Contemporaneamente però pensiamo al significato della strada come simbolo del genitale femminile, e alla vettura come simbolo del genitale maschile. Parimenti inequivocabile è l’«andare su e giù» per quel luogo. Importante è anche un altro dato del contenuto manifesto del sogno, e cioè che la tomba sporge un po’ dal suolo. Questo si spiega dalle fantasie rimosse del nostro paziente di trovare nel corpo femminile una sporgenza (pene). In molti dei suoi sogni la madre si presenta nel ruolo maschile, ed egli stesso in quello femminile; nel presente sogno egli svolge la parte attiva, con il singolare presupposto, però, che la madre non è più in vita. La tomba della madre rappresenta dunque il suo corpo, in particolare però il suo genitale. Tutte e due le scene del sogno vi fanno allusione. Nella prima scena ci è divenuto chiaro in tal senso il buco nel tumulo, nella seconda scena la piccola sporgenza dal suolo. Il luogo in cui si trova questa piatta tomba ci fornisce però una particolare indicazione, ben difficilmente disconoscibile. Le due strade, che si riuniscono a formare un’ampia strada maestra, sono le cosce che hanno proseguimento nel tronco. Il punto in cui esse convergono è il genitale! Il sognatore dunque sopraggiunge quando un certo numero di uomini sta per profanare sua madre. Essi scompaiono, ed egli prende possesso di lei. Questo è esattamente ciò che avviene nella leggenda di Edipo. Edipo

incontra Laio (con un certo numero di altri uomini) al trivio, uccide lui e gli altri, e s’incammina per la strada che lo conduce verso la madre. Se noi interpretiamo il simbolismo del mito in questo senso, la lotta di Edipo con Laio è la lotta per impadronirsi del genitale della madre. Così comprendiamo perché né il padre né il figlio possono cedersi reciprocamente il passo. Giungiamo così all’inaspettato risultato, che il trivio ha lo stesso significato della gola. Nel primo caso si allude alla posizione del genitale femminile, nel secondo alla sua forma. Le due versioni contengono tuttavia una tendenza di tipo diverso. La versione del trivio (luogo di traffico intenso) racchiude in sé con particolare chiarezza la rappresentazione della madre come prostituta. L’incontro nella stretta gola esprime un’altra rappresentazione, cioè la fantasia d’incontrare, prima della nascita, il padre nel corpo materno (fantasia dell’osservazione intrauterina del coito). Ulteriori dettagli su questo argomento si trovano nel mio saggio prima citato.

Note Prefazione 1

Cfr. J. Cremerius, Introduzione a K. Abraham, Opere, a cura di J. Cremerius, trad. it., 2 voll., Boringhieri, Torino 1975, vol. 1. 2

Cfr. M. Ranchetti, Introduzione a S. Freud, Casi clinici, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino 1991. 3

Cfr. S. Freud, Psicogenesi di un caso di omosessualità femminile (1920), trad. it. in Id., Opere, ed. diretta da C. L. Musatti, 12 voll., Boringhieri, Torino 1966-80, vol. 9. 4

Vedi oltre.

5

V. Nabokov, Fuoco pallido (1983, 3a ed.), Guanda, Parma 1988, p. 218. 6

Vedi oltre.

7

Ibid.

8

Vedi oltre.

9

Vedi oltre.

10

Vedi oltre.

11

Vedi oltre.

Sogno e mito: uno studio di psicologia dei popoli 1

[Su questo lavoro Freud scrive ad Abraham il 7 giugno 1908 (S. Freud e K. Abraham, Briefe 1907 bis 1926, Fischer, Frankfurt a. M. 1965): «In queste piovose giornate di Pentecoste ho letto per intero il Suo lavoro corretto per gli Scritti di psicologia applicata, e voglio, come primo lettore, non privarla del ringraziamento e del pieno apprezzamento, specialmente perché non so se Le verranno da altra parte. È tutto così chiaro, così ben costruito e fondato, pienamente persuasivo ed esente da malintesi ed equivocità. Lo scritto mi è molto piaciuto. Lei ha ragione, non è un essai, è un trattato; ma in fondo questa è stata la Sua scelta, e l’insieme ci ha solo guadagnato in forza persuasiva. Mi ha molto colpito che Lei abbia trovato presso i grandi psicologi dei popoli concordanze così ampie con le nostre concezioni ed espressioni. Posso suggerirle alcune piccole cose? A proposito del bastone di Mosè davanti al faraone [vedi oltre] sarebbe da rilevare anche il particolare assai indicativo che la metamorfosi del duro legno nel flessibile serpente certo non è nient’altro che la raffigurazione scoperta (invertita) dell’erezione, in un certo senso il fenomeno più sorprendente nel quale l’uomo si sia imbattuto. Inoltre si potrebbero menzionare forse le mie parole sul mito nella conferenza Il poeta e la fantasia (1907), che concordano assai bene con la Sua concezione. L’effetto ristoratore del seme, per quanto ne so, trova diretta espressione nell’erotismo indiano. Su ciò conosco un accenno in Fuchs (Das erotische Element in der Karikatur, pp. 29-30). Inoltre soprattutto la bevanda del

soma ci fa nascere l’idea che tutte le nostre bevande inebrianti e gli alcaloidi eccitanti non siano che un sostituto di quell’unica, ancor più ricercata, tossina della libido, che eccita il trasporto amoroso»]. 2

S. Freud, L’interpretazione dei sogni (1899) [trad. it. in Id., Opere, sotto la direzione di C. L. Musatti, 12 voll., Boringhieri, Torino 1966-80 (d’ora in poi OSF), vol. 3]. 3

[I diversi scritti sono stati collocati singolarmente in ordine cronologico in OSF. Per l’elenco di tali scritti si veda l’Avvertenza editoriale a S. Freud, Prefazione alla prima edizione della «Raccolta di brevi scritti sulla teoria delle nevrosi 1893-1906» (1906), OSF 5]. 4

[Id., Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (1905), OSF 5]. 5

[Id., Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di Wilhelm Jensen (1906), OSF 5]. 6

Questa è all’incirca la posizione che la scienza medica assume nei riguardi delle teorie di Freud. Bisogna ammettere che le teorie di Freud possono, in un primo momento apparire strane a chiunque sia imparziale. Si deve sottolineare che un profondo abisso le separa dalla psicologia tradizionale. Questo tuttavia non dovrebbe essere un motivo per respingerle con un’alzata di spalle o qualche battuta di spirito, come avviene da parte della critica. 7 8

[Freud, L’interpretazione dei sogni cit.].

L’annunciato lavoro di F. Riklin, Wunscherfüllung und Symbolik im Märchen, Heller, Wien 1908, è apparso dopo che il mio lavoro era finito. Ho potuto utilizzare perciò

soltanto una breve comunicazione provvisoria dell’autore (Psychologie und Sexualsymbolik der Märchen, Psychiat. neurol. Wschr., vol. 9, 22-24, 1907). 9

Parimenti dopo che questo lavoro era compiuto, uscì un saggio di Freud (Il poeta e la fantasia, 1907 [OSF 5]), che esprime in forma concisa l’idea fondamentale del mio lavoro («per i miti, è assolutamente probabile che essi corrispondano ai residui deformati di fantasie di desiderio di intere nazioni, e cioè ai sogni secolari [continuati per secoli] della giovane umanità» [p. 382]). 10

[Freud, L’interpretazione dei sogni cit.].

11

Un’ulteriore obiezione, evidentemente molto importante, contro la prospettata comparazione tra sogno e mito, si riferisce al fatto che il mito si forma a poco a poco attraverso molte generazioni, mentre il sogno appare essere un prodotto fuggevole ed effimero. Questa obiezione troverà la sua soluzione nel corso dell’indagine. 12

[Freud, L’interpretazione dei sogni cit., p. 236].

13

[Freud, L’interpretazione dei sogni cit., p. 238].

14

[Freud, L’interpretazione dei sogni cit., p. 241].

15

[Freud, L’interpretazione dei sogni cit., p. 243].

16

R. Kleinpaul, Leben der Sprache und ihre Weltstellung, vol. 1: Die Rätsel der Sprache; vol. 2: Sprache ohne Worte; vol. 3: Das Stromgebiet der Sprache, Friedrich, Leipzig 1888-92. 17 18

Ibid., vol. 2, p. 490.

Vedi S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale (1905) [OSF 4].

19

Riklin, Psychologie und Sexualsymbolik der Märchen

cit. 20

Vedi per questo ibid., nota a p. 58.

21

[S. Freud, Frammento di un’analisi d’isteria (Caso clinico di Dora) (1901), OSF 4]. 22

Un simbolo della fecondità è la melagrana, evidentemente a causa dei suoi molti granelli. Essa è l’attributo di Giunone, dea delle nozze. La testa di papavero, ricca di semi, è un attributo di Venere. In una leggenda Venere si trasforma in un carpione; nell’antichità la ricchezza di uova della carpa femmina era proverbiale. In parecchi paesi nel giorno delle nozze si usa gettare riso sulla coppia di sposi. In molti luoghi ci sono usi analoghi; essi devono significare abbondanza di figli (vedi Kleinpaul, Leben der Sprache cit., vol. 2, p. 27). 23

Nei lavori della Clinica psichiatrica di Zurigo (in particolare nei Diagnostische Assoziationsstudien, a cura di Jung), l’espressione «complesso» viene usata per un complesso di rappresentazioni, con forte colorazione emotiva, che ha la tendenza ad essere separato dal conscio e rimosso nell’inconscio. 24

[Si allude associazione].

alla

tecnica

freudiana

della

25

Kleinpaul, Leben der Sprache cit., vol. 1, p. 136.

26

Kleinpaul, Leben der Sprache cit., vol. 2, p. 26.

27

libera

I critici di Freud disdegnano di occuparsi seriamente del simbolismo e della sua natura. Recentemente, per esempio, W. Weygandt (Kritische Bemerkungen zur

Psychologie der Dementia praecox, Mschr. Psychiat. Neurol., vol. 22, 1907) ha cercato di attribuire di proposito un significato il più possibile assurdo ai sintomi di uno stato crepuscolare. Egli credeva così di aver mostrato l’arbitrio e l’assurdità del processo d’interpretazione freudiano. Qui viene chiaramente alla luce l’errore fondamentale della critica. Si crede che il simbolismo sia escogitabile arbitrariamente, che sia producibile consciamente. Dagli scritti di Freud risulta invece che il simbolismo ha radice nell’inconscio. Ogni volta poi che il dominio della coscienza è del tutto o parzialmente abolito – quindi nel sonno, negli stati crepuscolari, nell’attenzione disturbata – emerge il materiale rappresentativo rimosso. Queste rappresentazioni vengono fuori in forma mascherata; si servono del simbolismo. Come specifica E. Bleuler (Freudsche Mechanismen in der Symptomatologie der Psychosen, Psychiat.-neurol. Wschr., 1906), il simbolismo si basa su una forma inferiore di attività associativa, la quale invece che di relazioni logiche fa uso di analogie vaghe. Di questo genere di attività associativa, in stato di chiara coscienza e di attenzione desta, non siamo affatto capaci. Il simbolismo non può quindi essere inventato arbitrariamente. 28

K. Abraham, Il significato di traumi sessuali della fanciullezza per la sintomatologia della dementia praecox (1907) [trad. it. in Id., Opere, a cura di J. Cremerius, 2 voll., Boringhieri, Torino 1975 (d’ora in poi OKA), vol. 1]. 29

cit.].

[Riklin, Psychologie und Sexualsymbolik der Märchen

30

[Freud, Il delirio e i sogni nella «Gradiva» di Wilhelm Jensen cit.]. 31

[A. Kuhn, Die Herabkunft des Feuers und des Göttertranks. Ein Beitrag zur vergleichenden Mythologie der Indogermanen, Dümmler, Berlin 1859; 2a ed., Bertelsmann, Gütersloh 1886]. 32

H. Steinthal, Die Prometheussage in ihrer ursprünglichen Gestalt, Z. Völkerpsychol. Sprachwiss., vol. 2, 1862. 33

H. Cohen, Mythologische Vorstellungen von Gott und Seele, Z. Völkerpsychol. Sprachwiss., vol. 5, 1868; vol. 6, 1869. 34

O. Peschel, Völkerkunde, Humblot, Leipzig 1875, p.

141; 6a ed. rielaborata da A. Kirchhof, 1885. 35

[Kuhn, Die Herabkunft des Feuers cit.].

36

Kuhn non ebbe timore di esprimere apertamente il carattere sessuale di questo simbolismo. Che una tale dottrina sia attaccata con l’accusa di essere non scientifica e immorale, l’abbiamo sperimentato a sufficienza ai nostri giorni. Steinthal, nel saggio citato, si assunse il compito di difendere Kuhn da entrambe le accuse. Non posso rinunciare a riportare qui le sue parole, perché sembrano dirette, quasi con un presentimento, agli avversari della dottrina freudiana: «Se con questa precisione, con la coscienziosità di un giudice, il peso di ogni motivo viene ponderato ed esposto senza alcuna forzatura e tanto sobriamente, allora ciò merita non soltanto un’approvazione scientifica, ma anche etica». 37

[Freud, L’interpretazione dei sogni cit., p. 517].

38

[S. Freud e J. Breuer, Studi sull’isteria (1892-95), OSF

1]. 39

Abraham, Il significato di traumi sessuali della fanciullezza per la sintomatologia della dementia praecox cit.; Id., Il trauma sessuale come forma di attività sessuale infantile (1907) [OKA 1]. 40

Che un popolo non comprenda più i propri miti non può essere ricondotto al fatto che esso in parte li ha ripresi da altri popoli. Può averli ripresi solo perché vi trovava i suoi propri complessi; ma proprio questi vengono rimossi. Inoltre ogni popolo modifica i miti adottati; dovrebbe allora almeno comprendere il significato dei cambiamenti: ma non è questo che accade. 41

Freud, L’interpretazione dei sogni cit. [pp. 226 sgg.].

42

[Freud, L’interpretazione dei sogni cit., p. 145].

43

Steinthal (Die Sage von Simson [Z. Völkerpsychol. Sprachwiss., vol. 2, 1862]) dice che la parolina gleichwie ha provocato il più grande rivolgimento nello sviluppo mentale dell’umanità. 44

[Kuhn, Die Herabkunft des Feuers cit.].

45

Steinthal, Die Prometheussage cit., p. 9.

46

[Freud, L’interpretazione dei sogni cit., pp. 274 sgg., 327-28 e in altri passi]. 47

C. G. Jung, Psicologia della dementia praecox (1907) [trad. it. in Id., Opere, sotto la direzione di L. Aurigemma, 19 voll., Boringhieri, poi Bollati Boringhieri, Torino 1969-2007, vol. 3]. 48

S. Freud, Psicopatologia della vita quotidiana (1901)

[OSF 4, p. 113]. 49

Considero qui soltanto quelle manifestazioni dell’elaborazione secondaria che compaiono nel tentativo di riproduzione del sogno; esse sono di particolare importanza per il confronto con il mito. Non approfondisco gli altri aspetti dell’elaborazione secondaria che già durante il sogno ne influenzano la forma. 50

[Kuhn, Die Herabkunft des Feuers cit.].

51

[S. Freud, Osservazioni su un caso di nevrosi ossessiva (Caso clinico dell’uomo dei topi) (1909), OSF 6]. 52

Non posso qui approfondire ulteriormente la dottrina di Freud in proposito, e rimando alla Raccolta di brevi scritti sulla teoria delle nevrosi (1893-1906) [vedi sopra]. 53

Abraham, Il trauma sessuale come forma di attività sessuale infantile cit. 54

Steinthal, Die Sage von Simson cit.

55

[Freud, L’interpretazione dei sogni cit., pp. 314 sgg.].

56

[Kuhn, Die Herabkunft des Feuers cit.].

57

Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale cit.

58

S. Freud, Osservazioni psicoanalitiche su un caso di paranoia (dementia paranoides) descritto autobiograficamente (Caso clinico del presidente Schreber) (1910) [OSF 6]. 59

S. Freud, Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans) (1908) [OSF 5, p. 581]. 60 61

[Kuhn, Die Herabkunft des Feuers cit.].

Un’altra rappresentazione che è documentabile nei miti indogermanici vedeva nelle nuvole un destriero volante,

dalla cui criniera la rugiada doveva scorrere sulla terra. Da questo destriero delle nuvole, portatore del soma inebriante, derivò nella mitologia greca il cavallo alato Pegaso. Altrove dalle nuvole volanti furono formate le Erinni persecutrici. Proprio da questo muovono le leggende dell’esercito furioso ecc. della mitologia germanica. Ritroviamo la rappresentazione di una nuvola che dà la caccia a un’altra, cercando di prenderla, in un quadro moderno: La raccolta del fieno di Segantini. È assai notevole che la fantasia di un artista, le cui opere personificano l’idea dell’unità della natura, vada nella medesima direzione della fantasia dei popoli nei tempi preistorici. 62

Kuhn ha dimostrato, in un particolare scritto, come dai Gandharvi, una schiatta di demoni, siano derivati i centauri della leggenda greca. 63

Il processo dell’erezione ha evidentemente sempre dato impulso in misura straordinaria all’attività fantastica; la trasformazione del bastone (fallo) nel serpente significa il ritorno del fallo allo stato di afflosciamento. 64

Kuhn, Die Herabkunft des Feuers cit., p. 219.

65

[Freud, L’interpretazione dei sogni cit.].

66

B. Delbrück, Die Entstehung des Mythus bei den indogermanischen Völkern, Z. Völkerpsychol. Sprachwiss., vol. 3, 1865. 67

H. Winckler, Himmels- und Weltenbild der Babylonier als Grundlage der Weltanschauung und Mythologie aller Völker, Hinrichs, Leipzig 1901.

Stati onirici isterici 1

L. Löwenfeld, Über traumartige und verwandte Zustände, Zentbl. Nervenheilk. Psychiat., vol. 32, 1909. 2

I casi patologici che riporto qui di seguito sono indicati in successione alfabetica con le lettere da A fino a F. Ho tralasciato tutti i dati circa età, professione e altri rapporti personali dei pazienti non indispensabili per comprendere la situazione. 3

Traggo il termine «rapimento» da Breuer (vedi S. Freud e J. Breuer, Studi sull’isteria (1892-95) [OSF 1, p. 364]. 4

S. Freud, Osservazioni generali sull’attacco isterico (1908) [OSF 5, p. 443]. 5

Freud, Osservazioni generali sull’attacco isterico cit. [p. 444]. 6

Si veda in proposito H. Rohleder, Über Masturbatio interrupta, Z. sex. Wiss., vol. 1, 1908. 7

Non voglio qui entrare nel merito delle ulteriori determinazioni dello «scivolare» e del «cadere». 8

Questa la causa più importante del sintomo descritto come «macropsia». Ho potuto osservarlo nello stesso modo negli attacchi d’angoscia di una paziente. 9

Per ragioni di brevità, non approfondisco le altre determinazioni del fumare (attività della zona orale, identificazione col padre). 10

Tali fantasie vengono assai chiaramente espresse in molti sogni della paziente, e si rivelano anche in atti sintomatici. 11

Simili sogni ricorrenti sono riferiti anche dal paziente

B. Non ho però inserito l’analisi di tali sogni nella descrizione del caso B per non appesantirne la sintesi. 12

L’interpretazione del sogno data sopra non era nota al paziente allorché egli comunicò le sue visioni. 13

Vedi il mio scritto Sogno e mito (1909) [sopra, pp. 15 sgg.], e O. Rank, Der Mythus von der Geburt des Helden. Versuch einer psychologischen Mythendeutung, Deuticke, Wien-Leipzig 1909. 14

La stessa fantasia del cavallo caduto l’ho recentemente ritrovata in un altro caso. Se ne trova l’analisi in un bambino, in S. Freud, Analisi della fobia di un bambino di cinque anni (Caso clinico del piccolo Hans) (1908) [OSF 5]. 15

Freud e Breuer, Studi sull’isteria cit. [p. 364].

16

Freud, Osservazioni generali sull’attacco isterico cit. [pp. 443-44]. 17

Vedi in proposito W. Stekel, Nervöse Angstzustände und ihre Behandlung, Urban & Schwarzenberg, Berlin-Wien 1908. 18

[C. Wernicke, Über Halluzinationen, Ratlosigkeit und Desorientierung in ihren wechselseitigen Beziehungen, Mschr. Psychiat. Neurol., vol. 9, 1901]. 19

[O. Juliusburger, Zur Lehre von den Fremdheitsgefühlen, Mschr. Psychiat. Neurol., vol. 36, 1912. Non si è potuto stabilire in che modo Abraham fosse venuto a conoscenza di questo lavoro. Non abbiamo trovato una pubblicazione precedente al 1910. Forse Abraham apprese di tali ricerche da una comunicazione orale (conferenza?)]. 20

Potei osservare recentemente in una paziente una serie

di attacchi catatonici. Erano introdotti da violenti movimenti della bocca come nel bacio, e nel prosieguo rappresentavano inconfondibilmente un atto sessuale. Anche qui dunque vi è analogia con l’attacco isterico. 21

Vedi Freud, Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio (1905) [OSF 5, p. 208].

Analisi di un sogno in Ovidio 1

[La traduzione è tratta da P. Ovidi Nasonis Amores, a cura di Franco Munari, La Nuova Italia, Firenze 1951].

La valutazione narcisistica dei processi escretori nel sogno e nella nevrosi 1

[Freud scrive ad Abraham su questo saggio il 15 dicembre 1919: «Il Suo contributo sull’onnipotenza degli escrementi mi ha molto divertito. Essi sono effettivamente delle produzioni, al pari dei pensieri e dei desideri» (S. Freud e K. Abraham, Briefe 1907 bis 1926, Fischer, Frankfurt a. M. 1965)]. 2

Anche nel periodo successivo il paziente rimase attaccato nelle sue fantasie alla rappresentazione della donna col genitale maschile; nel suo proprio corpo cercava invece di nascondere i genitali fra le cosce, per potersi considerare come donna. 3

Il doppio significato erogeno – attivo e passivo – della zona anale è stato già ampiamente discusso nel 1914 da P. Federn, nei suoi Beiträge zur Analyse des Sadismus und Masochismus, pt. 1, Int. Z. (ärztl.) Psychoanal., vol. 1, 1913; pt. 2, vol. 2, 1914. Qui si rimanda a pt. 2, p. 125.

Il ragno come simbolo onirico 1

[Nella presentazione più ampia da lui data della psicoanalisi, la Introduzione alla psicoanalisi (nuova serie di lezioni) (1932), OSF 11, lo stesso Freud nella parte sulla dottrina dei simboli prende ampiamente in esame questo lavoro, riferendone in parte il contenuto]. 2

[Id., Introduzione alla psicoanalisi (1915-17), lez. 10, OSF 8]. 3

W. Stekel, Die Sprache des Traumes. Eine Darstellung der Symbolik und Deutung des Traumes in ihren Beziehungen zur kranken und gesunden Seele, für Ärzte und Psychologen, Bergmann, Wiesbaden 1911, p. 135. 4

[Freud, Introduzione alla psicoanalisi, lez. 10 cit.].

5

Vedi S. Freud, Il perturbante (1919) [OSF 9].

Due contributi alla ricerca sui simboli 1

[S. Freud, Tre saggi sulla teoria sessuale (1905), OSF 4, pp. 505-06]. 2

K. Abraham, Salvataggio del padre e uccisione del padre nelle fantasie dei nevrotici (1922) [OKA 1]. Si tratta della fantasia di molti nevrotici di salvare il re (o un altro grande personaggio) nel momento in cui i cavalli della sua carrozza, imbizzarriti, lo mettono in estremo pericolo di vita.

Indice Prefazione, di Giovanni Sias

Sogno, mito, simbolo Sogno e mito: uno studio di psicologia dei popoli (1909) 1. Oggetti e punti di vista dell’indagine psicoanalitica secondo Freud 2. Le fantasie dell’infanzia nel sogno e nel mito; applicazione della teoria del desiderio al mito 3. Il simbolismo nelle lingue, nel sogno e in altre formazioni della fantasia 4. Analisi della leggenda di Prometeo 5. Gli infantilismi nella psicologia individuale e nella psicologia dei popoli; appagamento di desideri nel sogno e nel mito 6. Gli effetti della censura nel sogno e nel mito; il lavoro di condensazione 7. Spostamento ed elaborazione secondaria nel sogno e nel mito 8. Gli effetti del lavoro di spostamento nelle leggende di Prometeo, Mosè, Sansone 9. I mezzi di rappresentazione del mito 10. Gli appagamenti di desiderio nella leggenda di Prometeo 11. Analisi del mito dell’origine della bevanda degli dèi 12. La teoria del mito come desiderio 13. Le forze determinanti della vita psichica dell’individuo e della collettività

Stati onirici isterici (1910) Fantasticherie a occhi aperti e stati onirici veri e propri

Alcune osservazioni sul culto della madre e il suo simbolismo nella psicologia individuale e dei popoli (1911) Analisi di un sogno in Ovidio (1911) La valutazione narcisistica dei processi escretori nel sogno e nella nevrosi (1919) Il ragno come simbolo onirico (1922) Supplemento

Due contributi alla ricerca sui simboli (1923) 1. Il significato simbolico del numero tre 2. Il trivio nella leggenda di Edipo