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Italian Pages 647 [327] Year 1935
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Officine Grafiche G. Principato -- Messina. — 1:935
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Tre anni or sono, quando apparvero il mio saggio sofocleo e la mia tracluzione delle Tmchinie, la necessita d’una ampia rnonografia su Sofocle era un bisogno generalmente sentito. Da allora, sono apparsi su questo poeta tre volumi, dei quali uno italiano. I1 rnio Jibro é stato soritto, almeno in gran parte, ooontemporaneamente ad essi: di essi ha potuto giovarsi solo fino a .1111 certo punto. Ma non mi é sembrato, dopo di essi, inutilez le ragioni sono dette ne1~ l’u1timo capitolo. Anzi non mi dispiace che i1 mio libro appaia oggi, nel pieno rifiorire degli studi sofoolei. Le opere del poet-a sono esarninate tutte, in otto capitoli distinti. I1 mio scopo era soprattutto quello di studiare 1’arte del poeta. Ho dovut-0, percio, lasciar da parte
i frammenti, troppo brevi, anche quelli de11’Ee/wigbilo, perché possano daroi luce sulla poesia diSo:Eoo1e. Sarebbe stato possibile ricostruire, tu’tt’a1 pifl, in molte pagine, 1’argomento mitico di alcuni drammi; irnpossibile sarebbe stato ad ogni modo 1'1cost1'ui1"e la poesia. Solo un vano desiderio di compiutezza esteriore avrebbe, dunque, potuto indurmi ad aggiungere un capitolo sui framrnenti. Di questi ho parlato incidenta1men"te, ogni Volta che se ne presentava 1’occasione. In compenso, un capitolo intero é declicato a1 gram de frammento del dramma satiresco, che i critici non tengo~ n-0 generahnente, come opera d’a1"te, nella giusta considerazione. L’111timo acapito1o.co11tier1e'u1'1 bl‘_6ViSSi1'I1O cenno di storia della critica sofoclea e una breve sintesi della mia critica sul poeta. % I1 primo capitolo del volume é una Vita di Sofoole. Questo capitolo biografico, in 11:1 libro di critica ohe vuol esser moderno, sembrera oggi a molti, se non proprio un’in-
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genuita, un residuo della vecchia maniera. Ma a torto. Tanto pin che una Vita di Sofocle, a non tener conto del libro di Adolfo Scholl, cosi pieno di congetture e di fantasie, non _e stata mai scritta. Lessing comincio a scrivere una biografia di Sofocle, che rimase soltanto un irammento. Wilamowitz, se ha trattato brevemente 1e qnestioni biografi— che relative ad Eschilo e a Euripide, non ha mai fatto altrett-anto per Sofocle, un poeta -cl1’eg1i non amava abbastanza. Natnralmente io so bene che una Vita di Sofocle, come quella di qualsiasi autore antico, tranne forse Cicerone, non puo essere una vera biografia: e, in gran parte, una serie di questioni. Eppure, la rnia fatica non mi sembra inutile: di Sofocle sappiamo assai pi1‘1 che di Eschilo e di Euripide, e la pagina che scrisse su di lui il suo contemporaneo Ione di Chio ci permette d’intnire la personalita del1’uomo. Comunqne, era una necessita discutere criticamente 1e testimonianze, accresciute in questi ultimi tempi dalle epigrafi. I1 mio libro e uno studio su11’arte di Sofocle, non e una summa di questioni sofoclee. Solo incidentalmente, soltanto cioe quando hanno relazione con 1’arte, si accenna alle fonti mitiche che il poeta segue. Sono invece trattate di proposito, in appendici distinte, la cronologia e la tecnica delle tragedie. I non filologi faranno bene a non leggere le appendici, troppo strettamente filologiche. Eppure anch’esse hanno i1 fine d’i11uminare 1’arte del poeta: esse mirano a fissare, senza pregiudizi e apriorismi, attraverso lunghe e pazienti osservazioni, un ordine cronologico, che finira per rivelarsi i1 miglior ordine ideale. E io non dubito che la mia appendice Le due Elettre giovera a far intendere a pieno 1’arte di alcune scene de11’EZettm sofoclea. c Qualche volta ho dovuto ripetere cose gaa dette nei miei libri precedenti. Ne domando scusa a1 lettore. Ad ogni modo, quelli che mi biasimeranno per qnesto, troveranno certo conforto in quegli altri casi nei -quali ho mutata opinione. Ma 1e idee generali che ispirarono il mio saggio sofocleo, mi sembrano uscire da questo libro, appunto perche corrette in qualche particolare, confermate e rafforzate.
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l Dopo la lmttaglia di Salamina i Greci inalzarono un 'lrol'uo; iI'11.‘0I‘110 al trofeo, un coro di giovinetti canto il peana (‘). Guidava il coro un adolescente bellissimo, ig1fl_1lCl.OI danzava e sonava la cetra e dava i1 segnale del canto. Quell’ac1o1escente era Sofocle; (2) a lui dettero gli dei la fortuna singolare di salutare giovinetto con la lira il pin bel giorno della Grecia. Era la fine di settembre del 480: -Sofocle aveva diciassette anni. Era nato nella seconda meta del 497 (“) ad .
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GENNARO PERROTTA
Firenze, 3 novembre 1934- XIII
CAPITOLO PRIMO
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(I) Ch". Timoteo, Persiani, vv. 21:0-214. (2) Vim, 3. La fonte principale per la biografia di Sofocle _e una Vita anonima, di valore un po’ superiore a quello solito delle Vite antiche (pin omogenea e meglio informata, per esernpio, di quella d’Euripide), .dov1.1ta a un letterato che non compila troppo meecanicarnente, ma si permette qualche congettura e riflessione sua (Leo, Die gwiechisch-wfimisclze Béograp-Me, 22 sgg.). -La Vita e posteriore a Caristio _di Pergarno (vissuto verso :11 IIO av. Cr.), che e 1'autore pifl tarclo in essa citato, Fonti principali sembrano Satire, il peripatetico vissuto sotto Tolomeo Filopatore (22r-204), e 10 scolaro di Callimaco, Istro. 1}‘. probabile che i1 Leo abbia ragione nel sostenere (of). cit.) che Ateneo leggesse 1a stas-sa Vita, che abbiamo noi, in una redazione pin ampia. Altre fonti per 1a biografia di Sofocle sono: alcune iscrizioni, tra cui i1 11/Iimnor Prwiiam (che danno i dati cronologici pin si-curi), parecchi passi di Ateneo, dei quali uno importantissilno {perche trascrive un lungo frammento di Ione di Chio, contemporaneo e amico di Sofocle), un breve articolo di Suida, e finalmente notizie sparse in vari autori (specialmente in Plutarco), negli Scolii, -negli. Argomenti delle tragedie. . (3) Naturalmente l’ann_o_ di nascita é sempre dedotto nelle
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Atene; () apparteneva alla tribti Egeide, (2) a1 demo di Colono ( ). I1 nome di Colono Ia pensar subito alla co]linetbl
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fonti, e pero i1 meno sicuro. Ma nel caso di Sofocle non sembrano possibili dubbi. I1 Marmor Pm/ium ci da due notizie crono1ogiche autorevoli e tra loro coerenti: i1 poeta riporto 1a sua prima vittoria nelle rappresentazioni tragiche nel 469-468 a 28 anni, e morl nel 406-405 a 92 anni. La leggera differenza che e tra i due dati si toglie di mezzo facilmente, ammettendo che i1 primo esc1uda 1’anno in corso, i1 secondo lo includa (jacoby, Das Ma1'm_q1* Parium, I8I, 56). L’anno di nascita e, dunque, i1 497-496. Ma si puo, io credo, precisare meglio. L’anno della morte e i1 406405; ma i1 poeta era certo morto prime, del‘ gennaio-iebbraio 405, cioe delle Lenee nelle quali furono rappresentate 1e Rama di Aristofane. D’a1tra parte, i brevi e irettolosi cenni che la commedia dedica a Sofocle (vv. 76 egg.) sono indizio sicuro che 1a. morte del poeta era avvenuta da poco: si ha Pimpressione che Aristofane 1i abbia aggiunti a11’u1timo momento, sorpreso dalla morte di Sofocle quando gia la commedia era scritta. Tutto porta a credere che il tragico sia morto ne11’inverno del 406. Ora, poiche i 92 anni di vita attestati dal Marmor Parium devono essere almeno 91 compiuti, 1’anno di nascita non puo essere che i1 497: naturalmente, nella sua seconda meta. La. data 495-494, che i1 fdiog ci da per la nascita, si spiega. Iacilmente: si a fatto vivere Sofocle, in cifra tonda, 90 anni. Questo calcolo normalizzatore e rispecchiato in Apollodoro (fr. 37 jacoby); come 1’approssimazione opposta, per eccesso, si trova in Ps. Luciano, Macr0b., 24 (95 anni), e in Valerio Massimo, VIII, 7 ext. 12 (I00 annil). ' Secondo Suida, i1 poeta sarebbe nato ward 'c1‘1v OI‘ ’O?»."u|Imcifiu, cioe nel 488-487. Ma e ovvia 1a correzione del Dindori di OI‘ in OA, che ci conduce al 496-495, a un anno intermedio, cioe, tra quello del Marmor Pamium -e quello della Vita. E inutile osservare che anche questa datazione presuppone il calcolo approssiinativo di 9o anni (406 - 405 _|_ 90 = 496 - 495). (I) Istro (Vita, I) afiermava che Sofocle non era di Atene, ma» di Fliunte. L’au"core della Vital non gli presta fede; aggiunge che Istro e isolato nella sua affermazione; inclina, pero, a. conciliare tutto, ammettendo che Sofocle sia nato ad Atene, e che‘ 1a sua famiglia sia originaria di Fliunte. Ma a probabile che Iatroabbia confuso: egli deve aver Irainteso 1111 verso d’un epigramma. famoso di Dioscoride in onore di Sofocle (A. P. VII, 37): 6;; .
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pa 12>» ex Moi'1v'cog {non parla Sofocle, ma un corifeo che rappresenta la tragedia; e non Sofocle, ma 1a tragedia e nata aj I
Fliunte). (2) Androtione in Schol. /lristicl. III 485 Dind. (3) Vita, 1:; Suida; C. I. /1. I, 237; Cicerone De fin., V, 3-
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"ta che sorge nella pianura del Cefiso, a1 luogo maraviglio. so dove fioriva il narciso e gli usignuoli cantavano, esaltato dal poeta novantenne in nn sno stasimo dolcissimo. La tradizione ha ritenuto che Sofocle abbia celebrato i1 demo nat1vo: ch’eg1i fosse nato nel demo agreste di Colono, distante poco pin d’nn miglio dalle mura di Atene. Ma tre demi avevano 11 nome d1 Colono: uno d1 ess1 era cittadino, uno dei pin popolosi: I1 nome della tribti, conservatoci per un caso fortunato, c1 assicura che Sofocle nacque in citta, in un qnartlere dov’era mtensa 1’attivita industriale e commerc1a1e:"resta cosi escluso il demo agreste con 1’incanto dei suoi boschi, dei suoi santuari, della sua pace (1). I1 padre di Sofocle, Sofillo, era un ricco arm-aiolo (2), che doveva avere, come sappiamo che 1’aveva un altro armarolo, 11 padre d1 Demostene, urfofficina con parecchi schiavi. I1 poeta apparteneva, dunque, alla borghesia ricca;
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(I) I tre demi erano: il demo cittadino di Colono "A'yo@0n“C0g, nppartenente alla tribfi Egeide; 11 demo campagnolo di Colono "I7m'~°9: (M6110 de11’Edz'j:0 ca COZOMO, Eippartenente alla tribii Leonlulu; 1I'1fiI16, an terzo_ Colono, d’ubicazione sconosciuta, appartem-nte alla tr1b-1‘: Antiochide (judelch, Topog. mm Aiken”, 168, u. 4). Ora, non e lecito affatto dubitare della testimonianza di /\mIr‘c'l'1.one che Sofocle apparteneva alla seconda tribfi, a11’Egei1"‘. Iapglr era, .dunque, del demo cittadino di Colono ’Ay0Q0;1j@;. Del ""1111. 1uI.I1v1"la). commerclale del padre di Sofocle si spiega assai ""1411" IIPI qunrlicre dei fabbri e dei lavoratori del ferro che sor-
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mm.“-' mruln. .‘m/I/lm'lm.-_ (2) (fuel 1'm1tu1'v w.).Da11a correzione si possono trarre conseguenze importanti: 1:2) la conferma che Sofocle nacque veramente -nel 497, non 1101 4.95-4.94; 2°) la conierma che Euripide nacque‘ veramente nel 485, come attesta i1-Ilflczrmor Parium, non nel 48o. (3) Si ripete comunemente che Sofocle concorse la prima vuliu 11:-1 468. Ma e arbitraria interpretazione di_P1utarco, (Jim. 8. (‘lav Helm-Iv "Ins-so u i1 nuovo poeta», non vuol dire affatto che
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I.'u-1-.-mu ml>_1>1*1~:u>11"In1'o allora i1 suo primo dramma. (.1) Lo tIl‘HlllIII(1 gift i1 Lcssing, e prima di lui il Fabricius, cozifrontcndo con Pliniu, N. H. 18, 65. Plinio colloca i1 Twittelnmo 14.5 anni primn della morte d'A1essandro: 3234-r4.5=4.68. AI1'autore Ionte di Plinio interessava la prime. menzione 1ettera-
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(3) Istro gli attribuiva d’ aver riportato corone anche nelle gare ginnastiche; forse esagerava: un'invenzione che colorisse
rneglio i1 racconto non gli doveva dispiacere. (4) Ateneo, I, 20 e Vita, 3.
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(5) Aristosseno, secondo Plutarco, De mus. 31:. (6) Ateneo, XI, 44. d. (7) Ctr. Albert in Wissowa R. E. s. 1). Lampros. (8) Ateneo, I, 2o cf; Vita, 5. I due testi non sono del_tutto chiari. Ma i dubbi di Rupprecht (Philol. I920, 2r3 sgg.) mi
sembrano eccessivi, e insoddisfacente la sua soluzione. I
(I) Vita, 4. I (2) Io correggo facilmente il passo della Vita, 2, in cui le ciIre sono errate. I1 passo e tramandato: ifiv 6’Aig);=69.@1,I *yg(f)'1;'3QQg
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(2) Vita, r: aw.?.rI)g 1:’ éaaroewifli] maul. érooiqm iv eiinooiq.
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1, ci dice il biograIu (‘). Certo queste parole devono essere intese nel senso pit) largo: egli molto dovette a1 poeta che aveva ventiset‘lo anni piti dilui (2) e che della tragedia fu a tutti maestro. libbe il primo successo quand’aveva poco piu di ventotVanni, nel 468; non sappiamo se avesse concorso gia prima agli agoni drammatici, ma e probabile (2). Della tetralogia presentata da Sofocle faceva parte i1 Trittolemo (2). Sofocle aveva contro di lui Eschilo nel pieno dell’attivita artistica e della gloria; e c’era molta agitazione e mo1t’aria d'intrigo tra i partigiani del vecchio e quelli del nuovo poeta. L’arconte Apsefione, imbarazzato, non estrasse a sorte i giudici del concorso; ma quando Cimone e gli altri straIeghi s’avanzarono nel teatro per offrire a Dioniso le 1ibagioni di rito, li trattenne, fece loro prestar giuramento, 1i costrinse a sedersi e a giudicare (2): erano dieci, uno per
ria del Irumento italico, e cosi egli si compiacque di fissarla con prccisione, ricorrendo alle didascalie, che certamente gli erano acrn-ssil>ili (Pohlenz, Griech. Tmgn, II, E1’Z66ut.,- 45). I1 fem accanto ul numero degli anni non mi pare difficolta grave: dev’essere ag;.;Iuuta errata di Plinio, che non comprese che la sua fonte aveva ruumlltato le didascalie. (5) L’aneddoto e in Plutarco, Cim. 8. Non vi e nessuna mgioxw per non credervi. La difficolta cronologica obiettata dai pm non regge: e vero che la spedizione di _Scir0' e anteriore di setto anni al 468, ma Plutarco non dice affatto che Cimone torna-
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ogni tribu, e rappresentavano, dunque, bene il pubblico ateniese (2). Gli strateghi dettero la vittoria a Sofocle. ' I Che Escl1i1o, indispettito per la vittoria del giovane rivale, si sia recato in esilio volontario in Sicilia, a inven2i0ne di tardi biografi, che tentavano di spiegare un sincronismo molto approssimativo 1 I
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Nel 467, un anno dopo la
Vittoria _di Sofocle, Eschilo era primo ne1l’agone drammatico con i Sette contro Tebe: questo basta ad escludere ogni relazione del viaggio di ESCIIIIO in Sicilia con la Vittoria di Sofocle. Non una sconfitta, ma la vittoria riportata con i Persiani nel 472, condusse Eschilo in Sicilia, dove certo lo invito Ierone. E negli anni 471-470 si devono collocare l’Et1m, la tragedia scritta per la fondazione della nuova citta, (2) e la rappresentazione siciliana dei Persicmi (2). I I X In realta noi non sappianio nulla pdelle relazioni personali tra i1 vecchio e il nuovo poeta. Ch’esse debbano es-
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va dalla spedizione di Sciro quando dette la viirtoria a Soiocle. Tm i1 racconto dei fatti di Sciro e quello del1’ag0ne drammatico del 468 0'0, nel racconto plutarcheo, uno iat0: vedi, per Pinterprotaziono giusta, Wilamo-witz, Aristoteles zz. At]/um,“ I, 1:46, nota. (1) Porcio sono infondate le obiezioni di I-Iaigh (The tragic drama of the Greeks, I28, n. 2), che pure non crede alle difficolta cronologichc. , La violaziono del cerimoniale delle Dionisie non era affatto grave: gli stra'l;0gl1i rappresentavano 1e tribfi di Atene almeno
quanto i giudici estratti a sorte; e, come si iaceva con quest’u1ti-
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mi, Iurono obbligati a giurare. Inoltre, Plutarco non dice afiatto che Sofocle rappresentava allora i1 suo primo dramma (v. pag. 5), e percio si spiega benissimo l’agitazi0ne del pubblico che all’I-Iaigh sembra inspiegabile: Sofocle non era uno sconosciuto, ma aveva gia rappresentato qualche tetralogia. i . (2) Vita di Eschilo, 6. Che la-notizia sia soltanto una congettura, ci mostra la variante che ci da 10 stesso passo della Vita: Eschilo sarebbe andato in esilio perche vinto da Simonide in un concorso per un carme elegiaco in onore dei morti di Maratona. (3) La fondazione di Etna. e del 476-475. Ma questo‘ non vuol dire che la tragedia di Eschilo debba essere dello stesso anno; la. Pitica primal, che esalta la citta nuova, e del 470 (in quest’anno Ierone fece suo figlio _Din0mene re di Etna). Del. 470 puo essere anche la tragedia di Eschilo. (4) I/Vilamowitz, Aischylos Iaterpretatioozen, 242; la rappresentazione siciliana dei Pea/sicmi e attestata dalla Vita di Eschilo, I6, e da Eratostene ed Erodico in Sahel. ad Ram, 1028. Q‘.
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sere state buone, lascia supporre una testimonianza, in questo caso particolare, di molto valore: quella delle Rams aristoianesche (2). I1 comico immagina che Sofocle riconosca modestamente la superiorita del suo predecessors e lo baci e gli stringa la destra e gli lasci il trono della tragedia senza voler gareggiare con lui. Un’invenzione di questo genere non avrebbe senso, se la rivalita tra i due poeti durante la loro vita non fosse stata scmpro nobile e dignitosa. A Sofocle fu anche attribuito un giudizio critico sull’arte del suo predecessore: Eschilo faceva poesia bella senza saperlo (2). U11 giudizio simile, si puo anche trovar10 profondo; e perlino scoprirvi un barlume del riconoscimento del , si limita a dire Aristotele. Ma ire innovazioni sono verarnente importanti: Paumento del numero dei coreuti da dodici a quindici; Yaggiunta del terzo attore; 1a composizione di dramrni indipendenti, liberi dal leganie della trilogia.
rifeo veniva -ad essere staccato dal Coro: questo poteva dividersi in due sernicori, di sei coreuti ciascunoii con a.capo 1111 ,,wQ(w-|;.' Questa e idea gia aristotelica, e alla Poeiiccz risale 1a notizia che attribuisce Finnovazione a Sofocle. Sembra naturale pensare che Aristotele abbia costruita un po’ a priori 1a storia della tragedia intorno a1l’idea che Eschilo ne fu i1 creatore, Sofocle il massimo perfezionatore: a11a grande autorita di Aristotele essa deve se e diventata canonica, ha dominate _fino ai nostri giorni, e penetrata in tutti i manuali di letteratura greca. Ora, Aristo—-?
tele, come afferma egli stesso, consideravai tre attori come un elemento della tragedia nella sua cc fornia naturale >>, nel suo pieno sviluppo. Basta rileggere, per convlncersene, i1 passo della Poetica; cc E 1a tragedia, dopo aver avuto rnolti mutamenti, piu non ne ebbe, quando raggiunse _1a sua forma naturale. E 11 numero degll attori porto Eschilo per i1 primo da uno a due, e diminui la parte del Coro e fece protagonista i1 dialogo. E Sofocle adopero tre attori e la decorazione della scena >>. Ora, se 1a tragedla con tre’attori e la tragedia nella sua cc forma naturale >>, e se, d altra parte, Sofocle e i1 tragico tipico ed eseinplare, S1 > deriva certo dalla terminologia ellenistica (‘), nella quale cc trilogia >> e cc tetralogia >> non stavano a signifiC&1‘@ 1’i1'1Si6II11 della trilogia e della tetralogia, nonostante la tendenza greca cosi diffusa a ricercare di tutte le cose gli efioetui. SOfOCl8 ElVI8bbe, dunque, secondo Suida, per il primo, rotto 1’unita del-
la tetralogia, presentando ai concorsi q_uatl:ro_ drammi indipendenti, di argomento diverso. Pur cosi interpretata, la notizia di Suida non pub essere accolta senza dubbi e riserve. Nel 472, quando Sotocle era ancora molto giovane e forse non aveva ancora
nemmeno cominciato a far rappresentare tragedie, Eschilo» taceva rappresentare i Peacsiami, una tragedia di argomentoc attuale, che non aveva nessuna relazione con gli altri drammi della tetralogia (3). Ed e piu che verosimile supporre che gia Frinico, con la Pccese dd ll/Iileto, staccasse un dramma dal resto della tetralogia. Molto probabilmente Soiocle si limito a far divenire una regola quella ch’era soltant-o una rara eccezione, limitata ai drarnmi di argornento storico, attuale. D’altraparte, la notizia di Suida dev’essere interpretata con molta larghezza anche in un altro senso: un’iscrizione scoperta re-
centemente (‘) prova che Sotocle almeno una volta fece -ii.-_._,i_
(11) I1 nome cc trilogia >1 cs a.t'l;estat0 per 1'etc). ellenistica da. Sahel. ad Rcm., I124. (2) Kaibel, Elektm, 47, nota. (3) Cioe col Ficceo, col Gicmco dd Potm'a, col dramma satiresco Pacometeor i titoli ci sono dati da11’A1/gomemio. (CI1-., per la data, _I. G. II, 971). I_Persicm£ erano il secondo dramma. _ (4) Scoperta e pubblicata dal Papagiannopoulos - Palaios (1'Io7cép.ow, I929, I62); ctr. Arvanitopoulos (£b., I81 sgg.); Wilamowitz (Hewm, 1:930, 243-245), Guarducci (Riv. it. dz’ fil. cZass., I930, 202 sgg.; I931, 243 sgg.), _]'ane11 (Wash. f. klass. Phz'Z.j.
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rappresentare una trilogia, -o una tetralogia di dramrni appartenenti alla stessa storia mitica, una Telefea. cc Sofocle iece rappresentare la Telefea >1, dice l’iscrizione: non conosciamo i titoli dei drammi. Si e supposto che la Tele-8 fee risultasse delle tre tragedie Aleadi, ll/Iisi, Telefo, e di un dramma satiresco intitolato anch-’esso Telefo (quest’,ultimo sul iondamento d’un’altra iscrizione pubblicata dal Kaibel (1) da una trascrizione di Filippo Buonarroti). Io preierisco supporre una trilogia Aleedi, Misi, I.’admz.eta degli Achei, seguita dal drarnrna satiresco TeZe]‘o: poco probabile mi sembra lo stesso titolo dato a una tragedia e, insieme, a un drarnma satiresco della stessa tetralogia. Ma non si puo concludere nulla di sicuro: i trammenti degli Aleadcl e dei ll/Iisi sono scarsi, e non se ne pub dedurre nulla per ricostruirne Pargomento; del Telefo, non abbiamo nessun frammento. " -. . _“ Facile e naturalmente l’ipotesi che la Telefea apparte-inesse al periodo giovanile dell’attivita poetica di Soiocle, -quand’egli non aveva ancora staccato i drammi dal legasme della tetralogia. Ma nemrrieno questo si puo conclude"re con sicurezza: non puo non‘ indurre a esser cauti l’esempio di Euripide, Il novatore Euripide, che spesso si compiaceva di arcaizzare di proposito, nel .415 fece rappresentare una tetralogia di drammi appartenenti allo stesso ci-clo mitico: Alessandro, Pelcmcede, Troicme, Sisifo (il lega-
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I932, 587). L’iscrizione e stata trovata sulle pendici occidentali -dell’Imetto, nel luogo corrispondente all’antico demo di Aixone, E del principio del IV secolo (Papagiannopoulos), o della fine del V (Guarducci). (1) Hermes, 1888, 268 sgg. = I. G. I. M. /1., 1:, I25. L’iscrizione e pubblicata tra 1e rodie, ma non e di Rodi, ne 1e rap-presen_tazi'oni di cui essa parla turono tenute tut-te a Rodi (Wilhelm, Ucrkcmd. dram. Aufiilhm, 207); e del roo circa av. Cr. Certo, oltre il grands Sotocle, vi sono altri due poeti tragici di que-sto nome: Soiocle i1 giovane, nipote del primo, e un altro Soiocle fiorito al principio -del I sec., noto da un'iscrizione di Orcomeno -(I. G. VII, 3197). Sono spiegabili, dunque, le riserve del Bethe -(Prolegom. 2'. Gesch. d. Therm, 245), che vorrebbe escludere il _-pin celebre Sozfocle, e inclinerebbe a identificare il poeta dell'isorizione col terzo Sofocle, ritenendo poco probabile una rappresentazoine a Rodi ne1_ I secolo (Piscrizione attesta esplicitamente che Soiocle fu rappresentato a Rodi) di un dramma del Sofocle del "V secolo. c . ‘ '
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zme del dramma satiresco col resto _c‘-1 meno stretto di quelilo delle tragedie tra loro, come, del resto, avveniva nell’Orestea). Il poeta, che nel 438 e nel 4.31 aveva fatto rappresentare insieme drammi di argomento differentissimo, que-sta volta eccezionalmente riprende un uso arcaico: spur-troppo, non e possibile dire, per la perdita delle prime due tragedie, quali particolari fini artistici si proponesse (1). Si puo pe11Sa.1fe,‘i1'1 conclusione, con molta verosimi-glianza, che solo molto raramente I-Trinico ed Eschilo interrompessero l‘uso della tetralogia di drammi dello stesso argomento; che, invece, Soiocle ed Euripide, salvo qualche -eccezione, dovuta a deliberate proposito arcaistico o ad altra lragione che a noi siugge, rimanessero ferrni nella regola di rappresentare insieme drammi di contenuto diverso. La nortizia di Suida, non vera formalmente, E: vera, pero, nella sua sostanza.
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(I) Un’altra trilogia, se non proprio sicura, molto probabile, e quella composta dei tre dramrni Enomaco, C1'i$ij>jJ0, Fenicie, -che e del 41:0 0 del 409. I . I E
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2 Lo scioglimento (della tragedia dal vincolo della trilogia,-c delle tante inriovazioni attribuite a Sofocle, e senza conironto la piu importante. Esso corrisponde in tutto al carattere dell’art'e sofoclea, che ama concentrare fortemente -l’azio‘ne attorno a un personaggio, con contrasti violenti. I1 dramma separato diventa davvero un brano di materia -mitica, rappresentato e sentito dal poeta com’egli vuole; la trilogia esigeva una trattazione piii continuata, piu vicina ac quella de]l’epos. Un contenuto mitico esteso aveva -piu facilmente momenti stanchi, meno drammatici, meno poetici, per il poeta che doveva cantarli; il dramma separato segna il perfetto dominio del poeta sul mito. Nessun tragico greco fu libero dalpeso della materia mitica piu di Sofocle, che pure nella materia mitica innovava cosi poco. Queste considerazioni rendono giustizia a Sofocle e alla sua innovazione, della quale sarebbe assurdo nascen-dere o diminuire l’imp0rtanza. L’arte del dramma separato era arte moderna, di ironte a quella della trilogia, divenuta, dopo l’innovazione sofoclea, arte arcaica. Ma e graV1SS11'I1O errore considerare Tinnovazione senz’a1tro come un progresso. Purtroppo quest’err-ore e ancora molto diftuso, perche e ancora diffuse il pregiudizio che la tecnica
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costituisca 1’eccellenza e la perfezione d‘el1’arte. In realta. la trilogia non era per Eschilo soltanto un vincolo. Pin; ancora che un vincolo, era cuno stimolo: il legame trilogico, piu spesso che ostacolo alla poesia, era ionte di poesia. Cosi, dall’Aga;mermo¢c.e alle Eumcenidi c’e una linea ‘sola, 'un’azione tragica sola, che si prepara lentamente nell’attesa angosciosa della épiu -gran parte rdell’Agame1mone,. scoppia con iorza irresistibile alla fine di questo dramma e nelle Coefore, dove tocca la -sua acme, poi lentamente *s’acquieta re si risolve, trova la sua catarsi nelle Eumecnidi. Ma tra l’uno e l’altro dramma non we soltanto continuita-, c’e contrasto. A1l’Agm/neamone liastoso, ricco di grandi scevne, e perlino, da ultimo, di rapide Isorprese, segue la sobrieta cupa delle Coefore, accentrate intorno a un solo motivo drarnmatico, scarne fino ad apparire monotone a chi giudichi superficialmente. Alle Coefoze segue una tragedia ricca di elementi v-ari, modernistica almeno quanto sonodrammi arcaistici 1e Coefore e l’Aga:me11, non dice soltanto una bella trase; dice una verita proionda. Ma c) una verita cosi accentuata e colorita, che diventa, cosi c:cm1'0 csprossa, inaccettabile. Nel primo stasimo del1’Aniigcme, c) inncgabile la presenza di idee sofistiche, che il
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~ La rinunzia di Sofocle alla trilogia in certo necessaria
alla sua arte,- che non sapremmo neppure immaginare legata da qu-el vincolo. Ma nemmeno sapremmo imrnaginare sc-iolta da queliq vincolo l’arte di Eschilo, che non e certoinieriore. E giusto considerare logica e fatale la dissoluzione della trilogia; ma sarebbe semplicistico vedere in es-sa soltanto un progresso. Altrettanto errato sarebbe considerare il verso libero semplicisticamente un progresso rispetto alla poesia rimata. Nella sua lunghissima vita, Sofocle vide i piu grandi avvenimenti della storia della Grecia antica: la vittoria sulla Persia, il sorgere e 1’espandersi e il finire dell’impero ateniese, i cinquant’anni di pace prospera e potente, ‘e quasi tutti i trentianni di guerra dolorosa. iL’uomo che
poeta combcclle. It vero, d’a1tra parte, che nelle tragedie successive non vi c3 pin no discussione, ne lotta; e non ha iondamento l'opiniono che vecle in ogni tragedia di Sotocle una battaglia, sia pure indirotta, contro 1e idee della Soiistica: l’Edc'gbo re non e un’ cc opera di tendenza, un’opera apologetica )1 (2). E nella stessa Antigone bisogna guardarsi dal considerare Creonte come un illuminista e un so-
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(I) Psyche, II, 245. ' _ (2) Questfidea e 1e seguenti sono sostenute da Class. Phil. I;9IO,~ I29 sgg. ' ' ,
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iista: peggio ancora, veder traoce d’illuminismo e di sofistica in Giocasta (1). II Per le idee del primo stasimo dell’A1ctigone_e per quelle del penultimo monologo di Aiace (vv. 669 sgg.), si e "Iatto il nome di Archelao di Mileto, l’unico filosofo di cui si abbia notizia che effettivamente abbia avuto rapporti personali con Sofocle. Ad Archelao il poeta rivolse un’elegia, se davvero al discepolo di Anassagora si deve riferire il pentametro citato da Efestione (2). _ Che Sofocle, in un dramma satiresco, i1 Giudizio, adombrasse, nel contrasto tra Atenex e Afrodite, il celeberrimo bivio di Eracle, ‘la lotta nell’animo dell’eroe esitante tra il vizio e la virtu, che, attraverso l’apologo di Prodico, ebbe un cosi straordinario infiusso su tutta l’antichita, non sembra credibile: e probabile che si tratti d’un iraintendimento di qualche critico antico (“). 3 . Certo, anche piu della rettorica siciliana, della scienza ionica, della iilosofia sofistica e socratica, influi l’esperienza di lunghi anni, influi soprattutto la guerra con i suoi disastri e i suoi orrori, a modificare nel poeta il modo di giudicare gli uomini e di sentire la vita. Sofocle, gia vecchio, vide crollare il mondo di pace e di splendore nel quale era vissuto cosi a lungo; pote vedere le viti e gli ulivi ch’egli amava distrutti dalle annuali invasioni. dell’At-tica, la peste distruggitrice di uomini, l’eccidio empio di Mitilene, la vittoria di Stacteria, le sconfitte di Tracia; poi, dopo la tregua brevissima, la. spedizione di Sicilia cosi grandiosa e cosi miserarnente finita, e i mutamenti interni dalla dem-ocrazia integrals a1l’oligarchia -"violenta dei Quattrocento, all’oligarchia temperata dei Cinquemila, per ritornare poco dopo al punto di partenza, e le vittorie di Cizico e delle Arginuse, ultime giornate gloriose di Atene prossima alla rovina; e soltanto non vide, perche glie1’irn-
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(I) Cosi, non e vero, come sostiene Nestle (art. cit, 1:56), che Sofocle sia i1 primo scrittore ‘nel quale la parola crocpcfig ha cattivo senso. I1 frammento dell’AleIE"e (ror Pearson) ch’egli cita: '_cc Un animo "benevolo e che pensa il giusto trova la verita piu di qualunque saggio >>, non dimostra quello ch'egli orede. Dire che il carattere e la rettitudine valgono pin della saggezza, non vuol dire disprezzare quest’ulti.1:na, e tanto meno" dare un senso cattivo a qocpég. (2) p. 3, 2o sgg. Consbr. (3) I1 risoontro e osservato in Ateneo, XII, 510 c.
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pedi la sorte benigna, l’estrema distatta di Egospotami, e Lisandro incoronare d’una corona d’oro l’Atena di Fidia, e’ la violenza dei Trenta dar di piglio nel sanguee negli averi dei cittadini. . 5 A I . Di ironte a tutti questi avvenimenti, grandiosi e terribili, disastrosi e gloriosi, noi non sappiamo come Sofocle si comportasse. Noi non sappiamo se il poeta piu che ottantennet aprl il cuore alle speranze Lfolli degli Ateniesi in quella primavera fatale del 4.I5 che vide le triremi d’Alcibiade‘ salp-are alla conquista d’un Iavoloso irripero d’0ltremare; o se condivise i timori sterili e la saggezza Iriste di Nicia. Inquella maravigliosa Atene del V secolo, cosi prodigiosamente ricca di contrasti, si pote vedere il pio Nicia partire per la guerra con una schiera d’indovini, molti anni dopo che Anassagora aveva investigate le cose della na-
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Noi non sappiamo se Sofocle siosse illuminate comeAnassagora, o superstizioso come Nicia. Certo dovette deplorare nel suo cuore gli episodi piu ferocidella lunga guerra: la strage dei Mitilenesi e il processo degli strateghi vittoriosi alle Arginuse. Erano colpe troppo gravi contro la ooaq>ooocIw].c * ' Vero uomo politico Sofocle non fu cmai. Ebbe cariche importantic, che éfuna cosa diversa. Che il poeta non prendesse troppo sul serio le sue cariche, e idea, certo esagerata, dei critici moderni. Al tempo dell’A'nIfigo¢ze, il poeta si occupava di politica con serieta: altrimenti le massime politiche, il prograrnma di governo che Creonte espone con oloquenza, non si spiegherebbero: nell’economia della trageclia come opera d’arte, sono un elemento perturbatore. S’inlc:nclc: che, ai tempi di Cleone, di politica Sotocle avra prc.~Ic.~1'itc> non oczouparsi piu. Arrivo a bandire dai suoi
clrammi il 1‘I'll0SSO cI'ogni roalta attuale. Soltanto negli ultimlissimi anni, qualche volta il cuore del poeta si rivela con un lamento. cc La guerra >1, dice Filottete, cc non porta via nessun malvagio, ma sempre i migliori n. Come non pensare che il poeta qui pianga accoratamente i morti della guerra del Peloponnese? , _Delle sette tragedie conservate, soltanto l’AmfiigocIze e lecace sono anteriori alla guerra. Per quanto queste tragedie siano cupe, ‘sono pur sempre irraggiate dallo splendore d1 Diche. E Aiace e Antigone rompono la cfoschia degli eventl tragici con ilfeterna bellezza del loro eroisrno.' Le ,
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alt_re‘cinq‘ue tragedie, scritte durante la guerra, sono fosche e irrimediabilrnente tristi: il poeta _e divenuto piu pessimista,.e c1 presenta ormai un mondo senza Diche e senza catarsi. Naturalmente il dolore di Sofocle e Weltschmerz, non dolore patriottico p'er i mali d’Atene. Ma certo i mali d’Atene dovevano affi-iggergli il cuore: per un)Ateniese come lu1 che non volle mai, iuori che per la strategia, per nessuna I&g“10I16, allontanarsi dalla sua citta (1)-, Atene era il mondo. I ' _ , Dopo il 468, per venticinque anni non abbiamo pin nessuna notizia di Sotocle. Ma certo ne molto prima ne molto dopo 11 460 egli deve avere sposato l’Ateniese Nicostrata, dalla quale ebbe un figlio, Iofonte, 4 (2) che divenne poeta tragico. anche 1111, concorse col padre (3) e con Euripide, e nel 428 ebbe 11 secondo premio dopo l’I)oj>oZito-eu1ipideo, che tu messo al primo posto (“). Nel 443 fu eletto ellenotamia, cioe amministratore del tesoro della Coniederazione attcca, per -1’anno 443-442, oome c1 attesta un iscriaione (ii). Era una carica importante; potevano esservi eletti ‘solo 1 cittadini I della prima classe, i pentacosiomedimni. PartI_colarmente- importante fu quellanno, perohe. avvenne 11 riordinamento dei tributi degli alleatli commcio allora la d1v1s1one in" cinque distretti, ma certo.la I'l£OI'1'Jfl8. dovette contenere qualche cosa di piu sostanziale (). Tanto fu 11 lavoro. d1 quell’anno e dell’anno successive, che s1 dovette nommare, eccezionalmente, oltre al solito segretario, un segretario. aggiunto (QUYYQQHH |.I._0crsug). Sofocle in non solo ellenotamia, ma presidente dei Cl18Cl ellenotamiz percio troviamo 11 suo nome -nell’iscrizione. Nel 442-441 al suo posto c’era un altro: la carica non ammetteva una rielezione come la strategia. ’ Nella pri1navera_del 442 Sofocle fece arappresentare lA1etc.g0ne, la .p1u.ant1ca delle sette tragedie rimasteci, con la quale ebbe 11 primo premio. Ma non e vero, naturalmente, che la vittoria nella gara drammatica gli facesse otten—_¢-i_i._..i?_i‘
-__(;I:) -. (2) (3) (4) (5) (6)
-T/ita, 10. ' Vita. 1:3, Suida s. v. Vita, 18. Argomento dell’Ippolito. C. I. A., I,. 237. Ed- M93781‘. Forsch. 2. alt. Gesch. II, 82 "sgg.
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nere la nomina a stratego per il 441-440 (1). Qufista e illazione arbitraria di chi sapeva che l’elezione a strategoera avvemita. poco dopo. la rappresentazione deH(A.nt§gone (“)-Gli Ateniesi elessero stratego non 11 poeta V1IIIOI‘lOSO nelle gare di Dioniso, ma l’ellenotam1a dell anno prima, la:mico personale e politico di Pericle (“). L’anno della strategia e indubbiamente il 441-4.4.0 ("); l’anno della .rapp1;.e-
-sentazione dell’Amiigovce non puo essere che 11 442 (). ii , I
(1)A1cgOme1zi;0 dell’/lntigone, attribuito Bisanzio.
ad Aristoiane
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, (2) I grammatici antichi conoscevano la data dell’Antigo_-. ace e quella della strategia. Ragionarono, come spesso iacevano: post hos, ergo propter hoe. In fondo, pareva Strano anche ed -essi, come a molti moderni, che un poeta tragico potesse 688.61‘ nominate stratego: di qui la curiosa deduzione. S’intende che quei critici non Iavevano, cosi come molti- moderni non hanno, nessuna intelligenza della civilta greca del V secolo. ‘ (3) Che Sotocle sia stato amico personals e politico di Pericle per me non e afiatto dubbio. Proprio del 442 e l’ostracismo -di Tucidide di Melesia, l’ultirno oppositore di Pericle: questi -Ida allora divento i1 dominatore incontrastato di Atene. E naturale che un anno dopo, per il 441-440, siano eletti amici fidati -dell’uomo politico riuscito vittorioso nella lotta dei partiti. 1 (4) Da Androtione -in Aristide, III, 485 Dind. conosciamo i norni dei clieci strateghi che andarono tutti-a Samo per 1a- secon-da spedizione (ctr. Tucidide, I, 116).'Peric1e salpo per Samo, la seconda volta, nella primavera del 440: i dieci strateghi erano, -dunque, quelli del 441-440. Tucidide, in I, r17, nornina tre altri slzrateglii, non compresi nei dieci di Androtione, che portarono aiuto a Pericle durante il blocco: sono strateghi del 440-439. Pericle era ‘state rieletto, ma non tutti gli altri nove. (5) Gli strateghi per il 441-440 erano stati eletti, ‘ secondo 1e regole, nel Icebbraio-marzo (Antesterione) del 44:1: (per il mess del1'e1ezione, ctr. Aristotele,'A0'I]‘v.rI:0?c.'4.4.,4., che ha fatto giustizia -de11’0pinione errata, corrente prime. che Iosse ritrovata 1’0pera aristotelica) . Se 1’e1ezione alla strategia e posteriore, come i.o credo, alla rap-presentazione de1l'Ant£gone (io tengo iede al post hoe, se non al propter hoe), l’anno della tragedia non pub essere il 44r (le Dionisie si celebravano in Elafebolione, cioe nel marzo-aprile, dopo l’elezione clegli strateghi). Tanto piii che abbiamo una notizia sicura, conservataci dal Marmor Pamcm: proprio nel 441 Euripide ‘riporto la sua prima vittoria. Per conservare all’Amfi(gone la data del 44r, s’e fatta la solita comoda ipotesi delle Lenee: Euripide avrebbe vinto in quests, Sofocle nelle Dionisie.
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L’Amfiig01ze era il trentaduesimo ~dram1'r1a. fatto .rappresentare dal poeta (‘). i I E I Eanteriore solo di qualche anno a11’AvmIgone 1’a111ici-z1a con Erodoto (2). * ' Verso il 445 1-0 storicio di Alicamasso era venuto ad Atene e aveva tenuta la famosa recitazione della sua sto--I ria~ne11e Panatenaiche di que11’a1'1I1o (3). De11’amicizia di: Sofocle con Erodoto, sono documento, com’e universal"mente riconosciuto, i famosi versi 904-913 de11’Antig0ne, ispirati al1’episodio erodoteo de11a moglie dilntaferne (“‘). I1_ragio11amen’to, che e logico ed coerente nel caso della Per— siana, e assurdo in bocca ad Antigone, che non ha ne marito ne figli. I1 poeta si lascio indurre a quest’offesa contro» la-coerenza logica e "poetics. 11011 dal desiderio puerile di fa-re I111 complimento ad Erodoto, come qualcuno ha s1ippo--
cale per 1e>gue tragedie (1), in tutto g‘l'€che per amizlentfi" tumi arria i suoi racconti come favo1e.e111ent altro» ihgoiavole, e 1i accarezza con la Ianiasia, e_]i‘c011f.0I1fZ1¢; quasi senz’acco1"ge1"se11e, con 1e pfopne C1‘6ElZ101'11. Eschilo,. del. resto, aveva attinto anche liu ad uno etoiicor avegla lefto Ecateo, se pure in modo d_1"verso. Ma e smgolare oe Sofocle cojnservo per tutta 1a vita non ’so1ta1ito _1am1C1Z1& e i1 ricordo de11’11omo, ma i1 ricordo e 1.a1‘nm1raz1oi1e della sua opera. Ne11’Ediy‘>o re, vi e una rem1n1scenza slcura d1 Erodoto (2); e un’a1tra reminiscenza~£2 ne11’EcZ?j20 fz Colono, la tragedia de11’es"trema vecchiezza (’). Pm siiigolare ancora é che‘ quesete allusioni sono sempre f11_01‘ C11 P°§t°
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come quella de11’zlntigovze. Ne11i’Ecii;'2-0 1'6. G10C&S’i& C1166‘ a1 marito; u Tu non ‘ti spaventare delle nozze oo1'1_ tua. madre. Molti 1-nortali gia nei loro SOQIII S1 §OI10 C01181u11h_°°n
gto, (5) ma dal fascino del racconto erodoteo, che dovette-
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straordinaliamente piacergli. I3 curioso e divertente imma-~ ginare Sofoole mentre ascolta ansioso 1e strane sto1"ie_orient_a1i dello storico periegeta, e, se 11011 gli echiede i1 c-olore 10-
1a madre n. I1 rag"ionamento"_€=~. COS1 lllogico, che IJ.(gI1tS1_. ca-H
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Ma nelle Lenee furono irappresentate 1:ragedie.so1’canto dopo" i1 440 (Capps, A. ]. A., IV, 86); 1e stesse commedie soltanto versoj quella. data. (Capps, A. f. Ph. XXVIII, I86). L’unica data possibile per 1’Aozt£g0ne e, dunque, :11 442. Osservare, come fa i1 Wile.mowitzh (Awlstoteles u. Aiken, II, 298), _che nel _443~442 Sofoc1e~ aveva troppo da fare come ellenotannia per pensare a scrivere an gone, non ha molto peso. Un 1nd1z10 Gl11‘lOSO de11’i.ncertezza dei. critici e in Bethe (Grriech. Dichtmzg), che a. pag. I99 eolloea; la. tragedia nel 442, a pag. 212 la data. dal 441:. Ma 1e i1:1cerI:ezze-non hanno ragion d’essere. (I) Argomento airtribuito ad Aristofane di Bisanzio. . (.2) Per i rapporti tra Erodoto "e Sofoele, 1a i:ra1:1:azion_e plfi eompleta e quella di Rasch (Sophocles quid debeat Herodoto in 1/ebus ad fabulas exh0ma.1zda,s' a4i'hibiti.§, Lipsia, 1:913). Cfr. anche Howald, Hermes, I923, I44. u ' __ (3) Plutarco, De Her. moi. 26, che attinge a. Diillo, 11110 513.. nco de11’eta, dei Diadoohi. L’a11no é in Eusebio i1 446 0 il 445' (4) Erodoto,‘ III, I19. I1 passo sofoeleo ha dato origine a. infinite discussioni, -e rnolti sono stati gli errori*. da q uello d er.' _ tantl _che_. per ottempera1'e_ a un desiderio che i1 Goethe sent-1 da poeta, _s’affa’cicaro:no inutilmente a vedere nel passo un’inte 0» , . IP lazione, -a quello del Kaibel (De Sophoolis Antigone, Gottingen. I8 97 ) , che mvece ' ' scopnre ' 111 ' esso quasi' 11 ' noco1o1o ' " 1110--' vuole e 11 tivo principals della "tragedia. " ’ (5) Ewald Brllhll. Antigone ed. W'eidm_a1111, 40. " 11A
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pirebbe nemmeno, se non s1 tenesse presente I-Bro o 0. Se non si ricordasse i1 sogno che, secondo Erodoto, ebbe IRpia poco I prima della ba’_ctag1ia_d1 Maratona. ’AIlCOI.8. pljl strana e lareminiscenza de11’E011450 as Ciolcmot 11 protagom" sta, per biasimare i figli che 1’ha111'1o a:bba'.odonato,’me11tre 1e ifigliuole 1’hanno pietosamente segulto 11e]1a sven1:_u1‘8:, esclamaz \-2.-_1-?‘
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tace, e gli spefcatori gridano! >1 (1). E cosl conobbe -Sofocle a C1110, in casa di Ermesilao suo ospite. Ma senfiamo» lo 1"acco11"tare: 1 (‘). E Sofo» cle, ridendo di Eretrieo: l§a1. K IO m,e asaputo conqmstare 11 ragazzo. . 0 QC‘ P _ 1 ,ha deb sercito; miei cari, nella stra’ceg1a, perche -.er1c e I1'l ‘ p to che nella poesia sono valente, ma nella stra“ceg1a 110. Non 8 nusclto Plfopno bane J1 mlol Stratigfgl e (dire con Molte cose d1 ques-‘co genere so eva p _ If n igrazia, (2), quando beveva -o scherzava. Nella po 1 1061 110 ' I ee_11e ' I occupava or I co111e~11n valeva molto, ne ‘erg a’tl11\;pt.. V pp altro q1J_a_11111q1l€ de1 110111 I er11es1 >1. ‘ p _ _. _ . __‘ ,, _. ~-_,..,» d1 I cr1t1c1 sono so11t1‘verlere _11el_(be111?11n?o f1§m$;I1SQac_ Ione soltanto una s’po1‘1ell'=i1 1115181'1115:1£3'*’=‘~11‘-‘f Ofhe ram di um corgono che qul abb1amo 11 -CELSO1:E11J_lt‘11I.11IFOdg un suo Con“ Greco del V secolo -osservato 11el,_111 ap di S ifito ml temporaneo, ch era 1111 u_011:1O C1 1ne511? i_ b P efigi sul poeta ionioo dalla mente 111o1da e dagh occ 1‘ en ap p mondo, che si rivela 1 (“). , I I . I I Per trovare qualche cosa d1 analogo, brsogna pensare ai dialoghi platonici. I1 grands filosofo e arhsta mo-ltpl p111 ' ‘ ’ =1 “I128. grande d1 Ione, ma scnve sempre 1n vlsta cl una 1:111 > (2). Di solito i 011t1c1 mettono 1’aece11to sull’ir011ia spiritosa della risp0-
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1 sta del poeta: g1usta111e11te. Ma le parole del poetauloannr anche, ‘pur nel loro attico sorrlso, 1111 Slgnlficato Pm Pro" £01-1d0 ; e forse espri111o110, piil che la serenita 1 (t). Ma che cosa vuol dire come cc devono essere >1: Non puo voler dire: cc come clevono essere inoralmente >1.‘ gli Aiaci, glitlidipi, gli Eracli sotoclc-:1 sono troppo nemici. della _ocoq3@oo'1‘ivr] C116 11 Poejia amflvfli Per P°t@‘1'€11 Parere modelli n1-orali. Deve voler C11I'(3.Cl1.1_I'1F_(L1GI cc come devon es-
te di rettificare la tradizione. Nelle Dionisie del 406, quan-
bile che i1 poeta pensassc questo d1 se._ Questo. non_ (4). Quit facile riconoscere la satira comune e po-
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(1) Aristotele, Poet, 25. i _ ' (2) 507102. Ewip. Phoen. 1. ' ' ‘ (3) Giovanni Damasceno in‘ Stobeo, FZ01/. Gwisford IV, APpen-(Z. p. 75. _' ' ‘ (4) /lrgom. (5) Argom. de11’Edij>0 re. ' (6)Ne1 431;, i1 prirno anno della guerra del Peloponnese,
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Sofocle fu secondo; prime In Euforione figlio di 1?-Sc11i10; £61720,
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Euripide con 1a tetralogia Medea, Filottete, D1‘-tti, I mietitori: (A-rgom. della Medea). _ Nel 428, Sofocle non :Eece rappresentare nessun drarnma. P111110 £11 Euripide col secondo Ip;_b0Z£to,' secondo Iofonte (Argomk. de11’I;b3b0Z£to). Nel 41:6, £11 primo Agatone (Ateneo, V. 217 a). Ne1 415, Sofocle non fece rappresentare nessun "dramma; prime in Xenocle, secondo Euripide con l’AZessancZr0, i1 Pala-
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(I) 50fO01e é detiio _cp|.7tu6"r|vm61:c1rog (Vita, Io); Euripide§s'v0q1u?»0'11:o11:og (Vita di Ewipide, II). _ (2) Vim di Euripide, 5. (3) Della storicita essenziale di questi tratti non e lecito dubitare. Che quello che Platone racconta sia avvenuto in questo 0 quel banchetto, poco iniporta. Molto pin importa che Platone 10 creciesse possibile e verosimile. _. (4) Ateneo, XIII," 557. _ '
tam, 16 Troadi, 11 Sisifo (Eliano, V. H- II. 8)-
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(7) Ateneo, XIV, 638d, che cita un frammento di Cratino.
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“'42” pensare che la ressa dei poeti -fosse grander. i concorrenti
arnrnessi alla gara non potevano essere pin di tre. Nel 428-427 (1) il poeta fu nuovarnente stratego, questa velta collega di Nicia. Plutarco ci racconta un gra2ioso aneddoto. Sofocle era ail pifl vecchio degli strateghi, e Nicia ].o prego in una certa occasione di dire per primo il
suo parere. Sofocle corteseniente si schermi: cc Io sono il pi1‘1 vecchio, ma tn sei il pin degno d’ono_re >>. cc F11 scelto stratego nella guerra contro gli Anei >>, c’inforn1a la Vita (2). Gli Anei sono gli abitanti d’una citta della Carla che alla fine del 428 uccisero lo stratego ateniese Lisicle (“), (1) L’anno ci e dato indirettamente da Tucidide, III, 1:9, 2; III, 32, 2; IV, 75, 1:, e dal conironto con Vita, 9, che parla della guerra contro gli Anei. Ma e possibile desumerlo direttarnente, _io credo, proprio cla Vim, 9, il tonnentatissimo passo che tutti credono gravemente corrotto, ma che e possibile renclere intelligibile con una leggera correzione. I1 passo e trarnandato: Kai.
°At]*qvc1'iIo1. 8’cm°>'c€>v EB’ e-_|:_c?>v Eivrcr oroarnvov e'£?tov1:o 11:96 r6I>v 1Ie?c.o~ :n:0vv11o1c1>co'(>v §~cec>"w C’, év "ccjfi aroog ’A'vc>u’Iouc; vcoltéucg. ' Si e riferito il passo alla strategia di Samo (che sarebbe, in questo caso, 1’ unica di Sofocle); si sono carnbiate percio tutte e clue le cifre (Et)’ in vs’, Q’ in 6’ ); peggio ancora, si e pensato che gli Anei siano -nominati invece dei Samii, perche loro alleati (Dindorf), o si e introdotto 2oc|.1.[o'ug nel testo invece di ’Avou‘Iong. Ognuno vede quanto sia probabile tutto questo. Io leggo il passo senz’alterarlo, soltanto integrando 'v> dopo IIe?coa1:0vv1]-
ow.%c'6v.Introducend0 oa1:ov666v nel testo, tutto diventa intelligibilez l’anno della strategia contro gli Anei e il 428, e gli Anei sono nominati in Tucidide per il 428; la Vita attribuisce a Sofocle 69 anni, quanti ne aveva infatti quell’anno; tutto s’accorda, infine, con la notizia di Plutarco che Sofocle era i1 pin vecchio clegli strateghi e cl_1e era collega di Nicia (che nel 428-427 Nicia fosse stratego, e attestato da Tucidide, III, 51:). E inutile insistere sulla facilitét 0118 aveva osro'v6c}3v di cadere: la caduta e stata agevolata proprio dal fatto che rd. IIe?c01roW"r|oLc1.%d'c, rd. 1IeQ_owcci. erano espressioni usuali per dire cc _1e guerre del Peloponnese >>, -cc le guerre persiane >> (la prima e assai pin tarda della seconda). " La seconda strategia cii Sofocle e, dunque, sicura; le ragioni addotte dagli stbrici per non credervi non hanno peso. Per esernpio, Busolt (Griech. Gesch., III, 2, 576) non crede alla seconda strategia perche Sotocle avrebbe fatto cattiva prova nella prima! E inutile dire ch’eg1i prende troppo sul serio quanto dice Sofocle stesso secondo Ione di Chio. (2) Vita, 9. . (3) Tucidide, III, I2, 2.
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e nel luglio del 427 niandavano messi ad Eteso da Alcida, navarco spartano (‘). _ " c _ Per quattordici anni non sappiamo pin nulla d1 Sotocle, nennneno delle sue rappresentazioni teatralr. Durantecquesto periodo, prima Cleone, poi Alcibiade dorninano ‘la vita politica ateniese. Ma non _é possibile dire quali relaz1oni il poeta abbia avuto con questi clue .1J@1?_SQ1}?-Lggli 11011 >, 11~ spose Sofocle. cc Ebbene, non la trovavi detestabfle? >> cc Si >>, rispose ancora Sofocle. cc Allora tu l1a1 con1messo 11n’azione cletestabile? >>. cc Si; ma non c’era nulla d1 meglio da fare >> (“). 4 _ _ Dall’aneddoto si deduce che Sotocle fece partedei dieci probuli norninati nel setternbre 41:3, quando gninse la notizia del disastro di Sicilia; che prepare con 1 S1101 collegl1i il governo dei Quattrocento (maggio-settembre. 4111:) e dette voto favorevole a quella costituzione; che p11‘1 tardi critico gli atti arbitrari e violenti di quel governo, e P1sandro cerco di ridurre al silenzio la sua opposiz1one(“). i..-—|1p|.---uni:-1-I
(1) Tucidide, IV, 75, I.
(2) Aristotele, Rhea, III, 18. (3) Alcuni critici credono che i1 probulo del 413 non sia i1 poeta tragico, ma Sofocle figlio di Sostratide, stratego in Sicilia nel 425 ed esiliato nel 424 perche accusato di corruzione (Tucidide, III, II5, 5 e IV, 65, 3), oppure il Soiocle nominate da Senoionte (Hell. II, 3, 2) nel1’elenco dei trenta tiranni. Ma: 1:) e probabtile che il Soiocle che "Eece parte del governo dei Trenta sia proprio lo stratego del 425. 2) non e probabile afiatrto che ii Sofocle di cui parla Aristotele divenisse poi un oligarca dei Trenta. Percio l’unico Solfocle a cui si adatti la notizia di Aristotele e proprio il tragico. (4) Foucart, Revue de Philologie, I893, 1: sgg.»
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‘ La eondotta. di Sofocle puo apperire debole e contra.-
diftoria. a chi tenga. presente soltento i1 passo di Aristotele, 11011 a. chi ricordi gli avvenimenti confusi e tumultuosi di quegli armi (1);
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Subito dopo l’a.1munzio delle. disfarta, gli Ateniesi, vedendo i porti vuoti dip nevi e 1e casse dello Stafco vuote di danaro, si credettero I perdufi; e tale £11 1o sbigottimento profondo da. cui furono presi, che, oi racconta. ,Tucidide (2), temevano di veder Icomparire da 1m momento all’a.11:ro' i nemici davanti al Pireo. Fu costituito allora un governo di dieci probuli, scelti tre. gli anziani,
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(I) La cennessione si pub spiegare in vario rnedo. _NB1 passo citate della Vita, i1 reelamo di Iefonte é III?-SS0 111 17613-Zlone con 1'a-[Tetra del poeta per il nipote Sofeele i1 giovane. Ora, pro-
prie Sofecle i1 gievane fece rappresentare nel 401, certo per la '1'
prima volta, 1’Edz'j;o a Celene.
Oppure qualche critice antice, Satire 0 un altro, deve aver -creduto di trovare nel vielento cliverbio tra Eclipo e Po11n1ce che s ne11’Edipo a. Celene un’ece della discerdia tra Setecle e Iofonte. 'L’esempio date da Robert e molto istruttivo: se Robert inter-preta ancer oggi (Oidipus, I, 4.75 sgg.) cesi stranamente _1a scene -di Polinice, non si pub davvero escludere che Tinterpretasse co-si un critico antico. Cesi Robert dirnostra involontariamente proprie i1 contrario di quello che vuol dimostrare: che, in realta, la 3storia petrebbe essere anche inventata da cima a fondo. (2) Rama, 73 egg. h 1 i l
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,-v.> cc Bene. Ma gli accade una cosa straerdinaria >>. cc Che cosa? n cc Da Sefocle che era, s diventato -Simonide >>. cc Simonide? E come mai? >> cc Divenuto vecchie e rancide, per un quattrine s’a1“fiderebbe a1 mare sopra un fuscello >>. Se 1a_ maldicenza di Aristofane ha qualche fondamento, pub darsi-p che 1’avarizia senile del poeta, evidentemente del tuttornerbesa (“), sia state un argomento per 1’aziene di I0f0nte' davanti alla fratria (4). Degli ultimissimi anni abbiame una sela notizia: la. vittoria drarnmatica del 409 col Filettete (‘). Sofecle aveva ottantotto anni; e posteriori al Filettete sono forse 1e Tmch-z'm'e, e certo 1’EcZz'pe a Celene. Nessuna di queste tragedie mostra tracce di fiacchezza e di senilita; i1 genie di Sofecle resta maravigliesamente lucido, come se potesse vielaro 1e leggi della vita umana. I
I1 poeta rneri nel nevembre 0 nel dicembre del 406. (T), sazio d’anni e-di gloria, come un antico patriarca. Certo la morte gli apparve una liberaziene: con troppo dolore egli deplore. ne11’Ed2Ipe a Celene i mali della vecchiezza squallida. Ferse.1’u1ti1rio avvenimento che vide in i1 supplizio atroce e i11ega1e degli strateghi delle Arginuse, un episodic tristissimo di superstizione e di "ferecia faziesa. In que11’occasione Socrate tentb nobilmente, Ina inutilmente, di far rispettare 1a legge. Soiocle, meriture, avra biasimato quel-
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1’u1tima pazzia dei suoi cencittaclini ch’eg1i amava, e gli
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sara parse che anche 1a morale dell’/lntigene poteva essere pericolesa. Ferse avra ripetuto il Core che aveva composto proprio allora per la sua nueva tragedia: cc La serte migliere e non nascere. Dope, la serte migliere e ternare subite, non appena apparsi alla luce, di dove si e venuti >>. E seltante i1 poeta dove esser centente che gli dei gli mandarono la morte ch’eg1i aveva cantata per Edipo, quasi presago della sua. Anche 1a morte del poeta) somigliava molto a un dileguare. 1 . I Leggende indegne re sciocche raccentareno gli antichi intorno a questa morte, come, del resto, sulla morte degli altri due grandi tragici. I1 poeta sarebbe morte seffecato da un chicco d’uva acerba (2); eppure, sforzando la voce nel leggere un lungo passo de]l’Am§ige1ze dove non c’erano
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(I) Caratteristico e i1 caso di Cicerone (Cate major, 7, 22) ': Sophocles ad summam senectutem tmgeedies feoitz queci prepter stadium cum 1/em azeglegeace familierem eideretmc, .2 flléis in eludiaium 'u0cat_us est. Cicerone imrnagina che a Sefocle sia avvenuto=proprio quello che. avveniva a 111i, che per i dolci etéa non seppe mai am1ninistrare_i1 sue patrimenie. Ed e inutile osservare che e romana, non greca, la selita opposizione di etiwm a ezegetium. (2) Pace, 695-699. (3) Aristofane parla esplicitamente di un mutamentog esc1ude, dunque, che Sofocle sia stato sempre avare. (4) L'ip0tesi- recente (Oldfather, in Amer. foam. of PhilI926, 358-360) che Seiocle, perche erede della fabbrica d’arrni -del padre, fosse considerate come un profittatere di guerra, nonmerita considerazione. Comenon va prese sul eerie .1’auteschtdiasma dello Scoliasta. di Aristefane che accusa Sofocle d.’aver rubate alla. guerra di Same. _ (5) Argomente del Filottete.
(I) L‘anno della morte e i1 406-405., cen:1’b attestato dal Manner Parémn. Le Rene (gennaio-febbraio del 405), determinande 1'e#-ate quem crenologice, perrnetteno di precisare meglioz S0-
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Iecle non pub esser morte che tra i1 luglio 406 e i1 gennaio 405. Gli scarsi accenni delle Rcme a1 poeta, evidentemente morte» poche scttimane prima, rendono prebabile un tempo assai pin vicino al gennaie 405 che a1 luglie 4.06. La data probabile e, dunque. i1 novembre-diconibre clel 406. ‘ (2) I/ita, 14.. Sone ienti per questa versiene Istre c Neante. I quali sapevane anche chi aveva mandate a regalare i1 grappolo a Sofoclez 1’attore Callippide. E in che occasions: tornando da
Opunte da una recita, i1 secondo giorno delle Antesterie. Alcuni critici hanno preso sul serio (pare incredibilel) la steriella. Oltre a tutto, c’e una difiicolta cronologica insuperabile. Sefocle non pub esser morte nelle Antesterie del 405, perche 1e Rene mostrano che prima delle Lenee di quell’ anno era; gia morte. E neppure ‘ pub esser ‘morte nelle Antesterie del 406, perche esse appartengono a11’anne attice 407-406, e invece e attestato dal Marmer Pemiuggq 1’anno de11’arconte Callia, il 406-405. '
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pause (‘); eppure, 10 avrebbe ucciso 1a gioia irnprevvisa per 1a netizia d’ una vittoria drammatica (2). Natura1n1ente, sono sterielle che non rneritano d’essere discusse: tanto varrebbe discutere se Euripide sia stato veramente iatte a pezzi dalle donne ("'). I Una leggenda abbe11i anche i tunerali del poeta (4). Mentre gli Spartani assediavano 1a citta, a Lisandro che cornandava 1’esercito deg].i assedianti comparve Dionise in sogno, e gli ordinb di permettere i1 seppellimente del merto. Lisandro non tece nessun conto del sogno; ed ecco di nuovo apparirgli Dioniso e rinnovargli 1’ordine. Lisandre domandb a]1ora- ai disertori ateniesi chi fosse morte; saputo che i1 morte era Sefocle, mandb per un aralde i1 permesso di seppellire i1 poeta. La leggenda non ha nessun tondamento storico, anche se si mettono da parte i sogniz 1’assedio di Atene non ce-
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niincib che ne11’autunno del 405, quande Sotocle era morte da quasi un anno. Dope 1a morte, Sotocle ebbe culto di eroe. L’eroizzazione non b dovuta per nu11a alla tama del poeta; ma seltanto a speciali ragioni religiose. Gli Iu inalzato un sace110, e fu venerato col nome di Dexiene in ricorde de11’ospitalita data a1 die Asclepio (‘). Ai piedi de11’Areopago sono stati scoperti dal Dbrpteld i resti d’un santuario 1e cui
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iscrizioni non lasciano piu nessun dubbie sul culto de11’eroe Dexiene e sui suoi stretti rapporti ce1 culto di Asc1epio. C’erane due tempietti nelle stesso recinto: 1’uno con-
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(I) Vita, I4. La Iente per questa versione e Satire. Cir. Pseudo-Luc., Macr0b., 24. (2) Vita, I4. Questa veita 1a tents non e citata: oi. 5b.... Cir. Diodore, XIII, I03; Plinie VIII, r-80;_ Valerie Massimo, IX, I2. (3) Soltanto della seconda versions e chiara 1’0rigine: si tratta dello scherzo d’un cornice che trovb a ridire sopra un passo di Sofocle, terse sulla lunga rnonodia senza pause di Antigone ne11’E_di;_ee an Celene. Della prima versione l’origine potrebbe essere, come vide i1 Piccolomini (Sulla morte faeelesa cli Eschilo, Sefeele, Emcigfiide, II sgg.), i1 traintendimento d’ un epigramma attribuito dalla tradizione a Simonide (A. P., VII, 20): cc Tu sei morte, 0 vecchio Sofocle, fiore dei cantori, mangiando 1’uva d1 Dioniso c010re.de1 vino >>. Inutile ricordare che Simenide era morte sessant’anni prima. . E impossibile, poi, dire come sia nata la terza versione. Se e meno sciocca delle altre, nemmeno essa pub essere Vera per 1e censiderazioni gia ‘tatte a p. 51:, n. 2: nei rnesi in cui Sofocle dev'esser morte, non c’erano concorsi drarnmatici. Curioso, ma assolutamente inaccettabile, s i1 tentative dei Piccolornini di scoprire un nesso tra queste tre storielle, attribuendo loro un’origine comune. (4) Vita, 11:5. Plinio, N. H. VII, 1:09. Pausania, I, 21:, 2. Plutarce. Nu-m. 4 dice solo: cc si raccenta che, quando Sofocle mori, un altro dio_ cc (cioe, non Asclepio, di cui ha parlato poco prima), cc ne curasse 1a sepoltura >1. c
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sacrato a Dexiene, 1’a1tre ad Asclepie e a11’eree Amino (“). L’espita1ita data a1 die Asclepie si riterisce al trasperto solenne del die da Epidaure ad Atene, che avvenne nel 420 durante i Grandi Misteri (”): Sefecle ricevette 1a sta: tua del die nella sua casa, deve prebabihnente gli eresse un altare. Egli era sacerdote di Alone (“), probabilmente i1 vecchio die d’una tonte associate a1 cu1te di Asclepio: Cosi si spiega 1’enere concessegli, terse da lui rivendicate, di ospitare i1 die nella sua casa. ' (11) Aeigicmv da béxouuc, :e. M. 256, 6, che e per 1’eroizzaziene la principale testirnonianza letteraria. Nella Vita (I7) i1 ricordo del culte do-po 1a morte b molto impalliditez cc Istro dice che gli Ateniesi, per 1a virtu de11’u0m0, iecero un' decreto che gli si ofirissero saerifici annuali n. Naturalrnente nessuno credeva alla notizia de1l’E. M. prima degli scavi del Dbrpield. (2) Athen. Mitteil. 1896, 299. I1 Korte pubblica un decreto del IV secolo in onore degii asseciati nel culto cc di Amino, di Asclepio e di Dexiene >1. (3) Abbiamo i1 raccontb particolareggiato de11’arriv0 di Asclepio do. Epidauro ad Atene in un’iscrizione iatta incidere nel-
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1’Asc1epiee da Tclcmaco di Acarne, che tiene a ricordare c0m’eg1i sia stato i1 prime a inalzaro un tempic e a consacrare un altars al dio (C. I. /1., II, 14.12, 1650; Dittenberger, Syllege, 388). (4) Vila, rr. I coclici hanne "Aikcnvecg. Si soleva correggere ”A?».%ewec; col Meineke, che conirontb con Sahel. Apoll. Rhed. I, 1.
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27, e la correzione e ancora accelta dal Masqueray: Alcone, padre di Falero, e molto prebabilmeute un semidie della salute. (Ma, contro 1a correzione, ctr. 'Wi1amowitz, Isylles, I88). Dope la scoperta del tempietto di Asciepio e di Amine, i1 Kbrte, seguito da rnolti, vuol correggere addirittura ’Ap.{w0u (art. cit... 311:). Ma sara, invece, da conservare “'A?cecwog, come mostra Ernesto Schmidt (Atleen. Mitte‘il., I913, 73-77). Egli osserva che"A?tcev (da dig) e nome -naturalissimo per, qualche divinita d’un’acqua salata salutare; che una tale ronte esisteva vicino
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L’anno dell’introduzione del culte di Asclepie, immeCll8.'t8.lT1G1'llZB seguente a1l’a1leanza tra Atene e Sparta, immediatamenjte precedents alla guerra, suscitata da Alcibiade, di Argo contro Epidauro, _l1a fatto supporre giustamente (‘) che l’introd_uziene in Atene del die d’una citta alleata di Sparta fosse unatto politico; e si s. citata 1’ana1ogia di Clistene, tiranno di Sicione, ave materno del legislators, che, trovandosi in guerra con Argo, sostitui il culte del-_ 1’eree argivo Adrasto con quello de]1’eroe tebano Melanippo, perche era state acerrimo nemico di Adrasto. Ma, se Pintroduzione del nuovo culte in Atene fu dovuta quasi certamente a ragieni politiche, questo non infirma per nulla la religiosita di Sofocle: certo, degli credette di compiere, piu che un atto" politico, un atte di pieta religiosa. Che, poi, con la sua religions, rendesse un servigio alla sua cit-
ta, certo non poteva dispiacergli.
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In que11’occasiene, Soiocle compose in onore delnuovo die un peana che si cantava ancora al tempo di Filo-
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strate i1 giovane; sit e anche ritrovata, inlatti, una copia del carmo tatta inciclcre 11el1’cta imperialez non resta che il no-
me del poeta c il prime verse (“). . cc Rcligiesissimo come nessun altro n (“) Soiocle e detto nella Vila, che riierisce un altre episodio della sua religiesita. Un giorne lu rubate. sul1’Acropo1i una corona d’ero. Apparve in segue a Sotecle Eracle, che g1’indicb la casa dov’cra stata nascosta la corona. Soiocle denuncib la ce-
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veg ieeooiilmv, bg iieeog 'i"|"v uerci. °Ao%M]:ruo1'J' need Xaieovi, ibebvy 011 b‘imb ’Iocpfi'wr0g 1:06 uiofi uere. tirv telceutifiv. Ma a me non par dubbio che i1 soggetto di ibeiivbn sia Setocle, non Alone. Soltanto e-. certo che nel teste e caduto qualche cosa.
(I) Schadewaldt (Meneleg ‘ll. Selbslgespwificli, 72, n. 2). Per (.Tlinl.0ne, cfr. Erodoto, V, 67. _ I (2) (.3. I. /l. aclcl. p. 4.90; cfr. /lnth. Lye. I, 67 Diehl.
(33 l/ilcz, I2. Clr. Sahel. Elealr. 83r.
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(I) Vita, I2, che cita la fonte: il peripatetice jeronimo di Rodi. Lo stesse aneddoto, abbellite, in Cicerone, De diam. I, 54: 1e ‘apparizioni di Eracle in segno diventano parecchie; della que"stione s’interessa 1’Are0pago; 1’oggetto- rubate non s pin una corona, ma una patera d’or0. ' (2) Vim, rr. I1 passo e confuse: boys be eel. rip’ 1:06 "’A?.c0-
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a1l’Asc1epieo e deve identificarsi con quella presse la quale (Pausania, I, 2r, 4) tu ucciso Alirrotio, figlio di Posidone; che molto probabilmente Alene b Kcwzqzacme di Alirrotie; che, infme, dopo Pintroduzione del culte di Asclepio nel 420, il vecchio Alone sarebbe -scernparse, asserbito da Asclepio. L’unica difficelta rests.‘ sempre il fatto che Sofocle, divenuto eroe, non iu espitato nel santuarie cli Asclepie, ma in quello di Amine. Comunque si voglia spiegare la cosa, eanche se '10 Schmidt non avesse ragiene in tutto, b pure arbitrio quello del Kbrte correggere "A?~.ewog in ’Au'15v0'u. Tutte consiglia a mantenere "A?cecrver;: Alone sara stato un vecchio die simile ad Amine, senza essere Amine. -
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sa_,a1 pepolo ed ebbe in premio un talento; col danaro edi. ficb un tempietto a Eracle cc denunciatere >> (1)., I1 santuario in onore di Sefecle tu inalzato da Iofonte (2), che, s’era eccupato anche dei funerali e de1l’iscrizione sulla tomba ("). (Essa pub essere stata quella cosl semplice, eppure, nella sua semplicita, caratteristica, che riferisce la Vita: cc Io nascendo in questa tomba Soiocle, bellissimo d’aspetto, cl1’ebbe 11 primate ne11’arte tragica >> (“). Una cc tomba di Solfocle >> s1 mostrava a II stadi dalle mura, sulla via di D‘ece1ea (“): evidentemente, s1 volle che il poeta lfosse morte a Celene come il suo Edipe. Sulla tomba era scolpita una Sirena (P), simbole della morte, pin tardi interpretata poeticamente come simbole de11’ecce11enza de11’arte del poeta. ‘ _ Al culte de]l’eree Dexiene non si deve attribuire troppa importanza: la legislazione attica ammetteva culti privati, associazieni private che avessero un loro culte particolare. Molto probabilmente per i niembri di un’associazio-
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(1) Bernoulli, Gacleelc. Ikenegcc, I, 1:23 sgg. (2) L’ic0n0grafia sofoclea e stata, in questi ultimi tempi, molto discussa, ed e stata anzi," causa d’una vivace polemica tra S. Reinach (jemcn. of Hell. Stc.ccl., I922, 50 sgg.; I923, I49 sgg.) e F. Studniczka (foam. of Hell. .S'tclcl., 1:923, 57 sgg.; I924, 285 sgg.).
(1) Vila /11). VIII. 7. 8. (2) Aristoiaue, fmgm. 581 Keck; Suida s. e. Eocpo:~c.?n'fig:
cc In soprannominato 1'ape per 1a sua dolcezza >>. S0l’lOl-. Accistoph.
sl parle. nella Vila sarebbe del1'eroe cc Alcone >1, non cli Seiocle. Ma al Reinach ha risposto esaurientemente F. Studniczka _(]eum. of I-Iell. Stuck, 1923, 66). (6) Pseudoplutarco, T/’c'l"ae X eral"er., VII, rr. (7) I, 2:. r.
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lezza ideale che il classicismo dei Goethe e dei ‘Winchelmann attribuiva a Soiocle, perche si rinunziasse a sceptire nella compostezza della iigura, nella nobilta misurata del gesto, nei giechi eleganti della veste, le tracce del1’ottimismo e della serenita del poeta. Oggi noi sappiamo cheil Sofocle del Laterano s soltanto il Soiocle del classicismo del IV secolo, che gia s’imm'aginava i1 poeta non molto-
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Veep. 462; Sahel. Seph. Oecl. Col. 1:7, Al. I199. L0 stesso particolare e nella l/lie, 7; che perb lo spiega in un altro modo: Sciocle avrebbe, come l’ape, raccolto il suo miele da molti fiori, imitande il meglio dei suoi predecesseri. Naturalmente la sciocca spiegazione b inventata. _ (3) Diogenel Laerzio, IV, 20; il peripatetico Polemone era della stessa opinions di Frinico. _ (4) Vita, 5. (5) Vila, 3. Dell’esistenza stessa di questa statua ha volute dubitare chiamandola un cc mite >1, ma senza tondamento, S. Reinach (jozmzal of Hell. sl'ucl., I922, 50): la statua di cui
Non possiamo aver piu nessun’idea del dipinto della. Pecile. L’icenografia ha riconosciuto nei ritratti di Seiocle conservati due tipi diversi: i1 tipo del Laterano, .rappresentato specialmente dalla larnesa statua di Terracina; il tipe cc iarnesiane >>, rappresentato specialmente da un’er-ma del British Museum (1). La cemmmzis epivzle riconosce nel Seiecle del Laterano una copia della statue. del teatro di Dioniso; nel Sotocle di Londra, inclina a vedere una riproduzione della statua consacrata da Ioionte (’). » La statua del Laterano e Pidealizzazione dell’Ellenobelle ed elegante, digniteso e serene. E incredibile quant’abbia contribuite questa statua al culte classicistice di Sefecle e al mite della cc serenita greca >>. La sua stessa
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I1 Reinach ha sestenuto che i1 Seiocle del Laterano non avrebbenulla a che tare con Sofocle, ma sarebbe, invece, il ritratto d’un oratere: molto probabilmcnte una copia della statua in bronze di Selene che era ne11'e.gora di Salamina. Ma i1 Reinach e stato ceniutato esaurientemente dallo Stuclniczlca, che ha ribadita 1’opiniene tradizienale (ctr. anche Zeitsclzr. bilcl. K., I928-I929, I32). I1 problema. pin importante de11’iconegraiia soioclea b di stabilire se i due tipi riconosciuti dal Bernoulli sono» indipendenti, come questi riteneva, _o se l’une dipende dall’a1tro. 1?. probabile ch’essi siano indipendenti; in ogni case, il tipo cc larnesiane >1, rappresentato dall’erma di Londra, e il piu antico, e da esso deriva l’a1tro. I-Ia cercato di dimostrare il centrario E. Lbwy (BeZvefiiete. I925. VIII, Heft 37, I sgg.), ma non riesce a convincere: per i1 Lewy i1 tipo piu antico sarebbe quelle rappresentato dal. Sefecle del Laterano, di cui il tipo cc ifarnesiano >1 sarebbe Inodificazione pesteriore.
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diversamente da come 1o immagineraril classicismo del secolo XIX. Classicistigzamente £11 concepito il poeta dallo scultore prassitelico o lisippeo che scolpi la statua per i1 teatro di Dioniso; classicisticarnente Sofocle era conoepito da Aristotele.
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CAPITOLO SECONDO
La statua da cui i1 Sofoole -del Laterano deriva, tn fat» ta evidentemente per glorificare :11 -poeta, che ebbe, peroio. la bellezza irnpersonale d’un dio. Questa idealizzazione in resa certo pi-fl facile dalla bellezza de11’uo1no, da]l’amore che ebbero per lui i suoi concittadini, dal culto per 1’eroe DeXione. Cosi noi non abbiamo nessuna probabilita di conosce— re, a’ctraverso la statua dellaterano, is lineamenti del poel ta. Che la statua sia apparsa non di Sofocle, Ina di un oratore, e un errore; ma on errore istruttivo: essa non ha in-1
L’ANTIGONE I.
dividualita, e non e per nulla on ritratto. E una costruzione
puramente ideale, e 1’espressioned’nna rappresentazione spirituale, come i ritratti di Omero, di Esopo, dei Sette Saggi. D’a1tra parte, 1’idea.1izzazione e di rnaniera. Una ‘formula gia fatta zfu acloperata per dare a1 popolo un’im-, magine da onoraro. E vero che noi possediamo soltanto una copia; ma in essa e cosi evidente la ricerca de11’e1eganza, della nobilta, della bella posa, che possiamo esser sicuri che anche nc11’origina1e predominassero 1’-abilita e i1 freddo virtuosismo, piuttosto che un sentirnento sincero. I1 Sofocle di Londra mostra, invece, ne11’artista una certa intenzione di fare un ritratto. La statue rappresenta 1’aspetto di un vecchio triste: non o a Colovzo, che rriorire é meglio che vivere, perche la vita urnana e insopportabi1mente dolorosa. '
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A1 centro de11’A1ztig01ze e una questione morale e re1i~ giosa, o11e sembra dorninare tutta 1a tragedia. Creonte, re di Tebe, ha proibito di dar sepoltura al cadavere di Polinice, traditore della sua citta; Antigone crede suo dovere, dovere religi-oso ed eterno, sseppellire nil fratello rnorto e infrangere il decreto C1i' Creonte. Chi ha ragione? Chi ha torto? Vedremo che la questione non é ail Leitmotiv poetico della tragedia: 1’Amf1Ig0ne non e un dramrna a tesi, e i1 poeta, pin che sostenere una tesi, voleva. oreare azioni e caratteri e creature poetiche, confera naturale che volesse fare unttpoeta. Egli era anche maestro del suo popolo; ma era soprattutto poeta.
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E certo, ad ogni modo, che la questione morale e religiosa é legata intirnamente a1 drarn1:na:_ di modo che e necessario, per giudicare 1’arte stessa del poeta, prospettarsi, con'i’eg1i se la prospettava, quella questione. Non manoa, é vero, chi (1) invita a metterla da parte come inutile e ozio—
sa. Ma esortazioni di questo genere non possono essere ao—~ colte. Se Antigone, per i1 poeta, ha assolutamente ragione, se i1 poeta 1’ha ciroondata di tutta la sua sirnpatia e di tutta la sua pieta, e evidente che 1a sua figure. poetica dovra apparirci diversa che ne11’ipotesi opposta rl’un’Antigo-= ne proterva e in parte colpevole di fronte a un Creonte te— nace e irreprensibile, se pure unilaterale, assertore del diritto (2). Se bisogna respingere 1e esagerazioni inte]lettua1i~ _
(I) Per esernpio, XV. Schmid in Philologus, I903, 7. (2)1_3ene i1_ Iebb (Antigone, Im31*0d'uct., 22): F01’, obviously, according as'we adopt one or other of t7ze_w'ews, ow estimate of the play as a work‘ of art must be vitally affected. I )
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stiche dei filosofi, che vedevano, come l’Hege1, ne1l’Antigone, esclusivamente un confiitto tra due idee opposte, nemmeno si possono accogliere 1e_ pretese iperestetiche di chi vorrebbe giudicare il valore artistico di nn’opera di cui rinuncia per partito preso a intendere il senso. Trattare, dunque, la questions morale de1l’Aiztigo1/ie e il primo dovere d’ogni ' ‘interprets. Tentare d’inter1dere com’essa era veramente sentita da Sotocle, se non vorra dire interpretare esteticamente la tragedia, vorra dire pre-
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pararsi a tale interpretazione, eliminando errori altrimenti
inevitabili. La trattazione é tanto piii necessaria, perche, se un giorno i critici giunsero a celebrare come nn progresso la definitiva liberazione dall’interpretazione hegeliana (1), recentemente non e mancato chi di quel1’interpretazione (ossia, de11’interp1"etazione del Boeckh sostanzialmente identica) ha tentato una nnova dimostrazione (2), oppure chi é intimamente dominate da essa, anche se crede di esserseno liberato ("). L’intcrpretazione errata di un grande spiri-
che pin volte Teucro fa risonare (v. rrro e v. I125); > ripete Odisseo (I342), ammonenclo Agamennone: qnando questi ha cecluto, gli dice (r369): 1. E poi conclude (vv. I036-I039): >. Qui non parla piii Tsucro, ma Sofocls, che manifssta attraverso Teucro, s nel modo piti accentuato che pub, la sua rsligiosita proionda: proprio come Eschilo, in un celsbre canto dsllflgameimoize, faceva esporre dal Coro s rivendicava come opinions personals, msttendola fortsmente in rilisvo, la crsdenza che-non l’sccesso di prosperita, ma la colpa degli uornini provochi l’ira degli dei. Sofocls da ragione, dunqus, a Tsucro, ss gli attribuisce la sua stessa rsligiosita. E Teucro, nel sostenere i diritti del fratello, si richiama a ragioni rsligiose. E c c Quando Menelao-dice (V. II28): ' cc Un dio m’ha salvato; ma per costui sarei morto >>, Tsucro ribatte subito: cc Allora, non offenders gli dei, se sei stato salvato "dagli dei >>. E, quando l’altro domanda: cc Io, dunqus, disprezzsrei ls leggi della divinita? >>, Tsucro risponde: cc Si,‘ perchs non permetti con la tua pressnza di ssppellirs i morti n. Mcnclao, dunquc, offends gli dei non facenclo ssppsllirs Aiace; scl cgli stesso non sa ribattsrs ssriamsnts, s dsvia
subito i1 dialogs: cc Ma io non permetto di ssppellire i miei ncmici.... >>, riconosccndo cosi la propria dsbolezza. Como Toucro, Odisseo stesso (v. I332 sgg.) prsga Agamcnnonc cc per gli dei n chc non si taccia vincers dalla violcnza c c1a11’odio cc in modo cla calpsstars la g‘lL1StiZia.J>. E hnisco per dirgli (v. 134.3): cc Tu non oltraggeresti costui, ma ls lcggi degli dei >>. Odisseo invoca, cios, prssso Agamennons proprio quelle cc leggi degli dei >> che Tsucro ha ricordats inutilments a Msnslao. E Agamennons e co-
mi taglio questa ciocca di capslli >>. E ancora, quando il seppellimento s stato concssso, Teucro rnalsdics gli Atridi (1389 sgg.); cc Psrcio il padre signore ds1l’Olimpo s la memore Erinni e Diche che compie i castighi mandino 1n ro-_ vina missramsnte qussti malvagi, com’essi_ volsvano gettar via, senza tomba, con oltraggi indegni 1’sros>>. l La questions in-orale e rsligiosa della seconda parte del1’Aiace non puo lasciars, dunque, nessun dubbio: Msnelao e Agamennons hanno torto, Teucro c Odisseo hanno ragione. E Sofocls sostisne che Aiacs, i1 nemico, l’smpio, ha diritto alla sepoltura, perchc‘-: cc ls lcggi degli dei >> vogliono che i morti siano sepolti (‘). Sofocle non poteva pensare cliversamente. Se la sua Elettra dice al tratello che sta per ucciders Egisto (EL, vv. I487 sgg.); cc Ma uccidilo al piii presto, e, uccisolo, aifidalo ai ssppellitori cl1e si msrita, lontano dai nostri occhi n; se, cioe, essa vuole abbandonare il corpo di Egisto agli uccslli e aicani, questa appars la pena eccezionals didelitti eccszionalmsnts gravi. Gia in Omero, se Achille maltrattava orribilments il cadavers di Ettore, gli dei prei ‘servavano miracolosamente il cadavers (2) da ogni _corru-zions, perche da ultimo potesss ricevers a Troia gli onori dovuti; com’e stato detto giustaments, questa favola bslla. e commovsnte esprimeval mirahilrnsnts il sentiments greco (“). I Greci del V secolo rispsttarono l’uso di concedere al vinto di seppellirs i morti: cosi iecero gli Atsniesi ‘a Ma-c ratona, e fecero anche i Persiani alle Tsrmopili. . L’unica sccezione e quella di Lisandro a Egospotami,. che uccise settemila prigionieri ateniesi s non concssse loro-
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stretto a confessarc (v. I350) che cc a chi ha il potere assoluto essere pio non _s facile n; s costrstto, cios, a riconoscers la‘ propria empieta. I1 parallslismo non potrsbbe essere piu slgnificativo; s, se per Teucro si poteva anche pensare che l’aEfetto per il fratsllo lo spingesse a un giudizio unilaterale, s certamsnts spassionato il giudizio di Odisseo, che sun nemico s contessa d’avsr odiato Aiacs. Infine, non puo stuggire il significato profondamsnts religioso del1s- maledizi-oni di Teucro (vv. I175) sgg.), che, disponsnclosl a scavar la fossa per il fratsllo, fa con Tecmessa ed Eurisace ls offsrts al morto, e dice al bambino: cc Se qualcuno clel1’esercito ti strappasss a forza da qussto morto, possa qussto missrabils malaments perirs, e il suo cadave-
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Jigioso ns]l’Am§£go'1ze, si Iosss potuto limitaro 0. quests lJ3.I1E1li'. osssrvazioni :1. Pitt strana. ancora 1’a1tra ipotesi del Pohlsnz chela non spisgata dssignazions di Creonts come o'1:Qo.1:~1]y6g in Ant. 8 (ma ctr. pag. 171:) sia cc11n’invo1ontaria rsminiscsnza 2) di passi dell’/lz'ace, dove qussta parola e adoperata naturalrnsnte nel suo senso solito. (2) Il. 24., 411 sgg. ) (3) Jsbb, Introd. cit.
tutta la sua stirpe sia mietuta fin dalle radici, cosi com’io
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s certo postorioro all’/l1m'gcmo, vccli 1'/1f)f)07IdiCO I. Appare strano quello che dice i1 Pohlonz (Z. c:it.): cc Mi somb-ra escluso psico1ogicamente che Soiocls, dopo la tra‘Lt'aziono cs-toss del problems rs-
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rs essere scacciato dalla sua patria s non aver tomba, s
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(1) So Yaspotto religioso della questions non s svolto ulteriormceirlo. c_[u0sl:c> awviono soltanto psrchs ssso era gia stato svo1to clillciszmicmto nc:ll'/l¢m'gcm0. I-‘or lo. cronologia dell’/liace, che-
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sepoltura; ma l’omissione era considerata ancora sscoli dopo do. Pausania (IX, 32, 6)‘ una macchia indslebile per il
suo nome. Ed e sempre istruttivo ricordare, per intsnders quanta importanza desssro i Greci del V secolo alla sepoltura dei cadavsri, la condanna --a morte illegals degli strateghi vittoriosi alle _Arginuse, rei di non aver raccolto i propri morti dopo-la battaglia. Una tragedia d’Euripide, ls Supplici, e tutta tondata ‘S11ll’ccantiCa leggs panellenica 1: (Suppl. 527) che i cadaveri, anche quslli dei nsmici, e giusto che siano sepoltiz 'Tssso, il rappresentante della pieta ateniess, impone quecsta legge con ls armi in pugno agli smpi Tebani. E lo stesso soggetto era gia stato trattato da Eschilo negli Eleusc-— vii: in questa tragedia, Tssso riusciva a vincere i Tebani non con la forza, ma con la psrsuasione (1). Se, in essa, -dunque, i Tsbani non apparivano smpi, la tragedia era pur sempre un inno in gloria di Tesso e d’Atene, della pisca ateniess, dell’antico costume pansllsnico. A questo costume rendera omaggio, con parole di orgoglio, nel IViseco—
lo, Isocrate (2).
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ll caso di Polinice, nella tragedia sotoclea, e, fino a un certo punto. cliverso: egli non e soltanto un nsmico,
ma pus esser considerate un traditors della patria. Vocliamo, ora, come Sofocle prospstta la questions nell’/lntigonc. Naturalmente sara necessario esaminare tutti
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i passi dove la responsabilita di Antigone e quella di Crsonte siano in gioco, non soltanto i giudizi del Coro. Psrchs i1 poeta parla per bocca di tutti i suoi personaggi, e il Coro
is un personaggio come un altro. Fin nel prologo, nel suo colloquio con Ismsne, Antigone definisce chiaramente la sua azione: cc un’smpieta san"ta >> (v. 74), cioe un’smpista apparente che e effettivaments un’0pera di pieta e di giustizia, e rimprovera a ilsmene, criluttants ad aiutarla, di disprszzars cc gli ‘onori -dovuti agli dei >> (v. 77). E qui s molto significativo che
(r) La leggs citata da Euriptolomo nel suo discorso in clifesa degli strateghi delle Arginuse (Senotonte, I-IOZl., I, 7, 22) ordinava che i cadavsri dei traditori della patria e dei ladri sacrilsghi
non fosssro sspolti in tsrra attica. E il decreto di Cannons, pure
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(r) I-Iauvette, Mdlcmges Wail, I69. La difisrsnza principals
sspolto, e che il suo cadavers sia divorato dagli uccelli e
-dai cani, orribile a vedersi >>. ~ 6 ' Creonte non sostisne mai ls sue ragioni cosi bsns come nell’sditto ufiiciale: qui eglinsga la sspolturai a Poli;-nice perche s nsrnico della patria. Ora, se anche egli in tutta la tragedia si iondasss su qussto argomento, nsppure allora riuscirsbbe a rnostrars d’ aver ragione: ls leggi ateniesi del V secolo non concedevano “che i traditori della patria tossero sepolti dentro il territorio dsll’Attica, ma non vis-tavano alle loro famiglie di ssppsllirls di la dai confini. (1) Tanto s vero che si conforma pisnamsnts alla legge attica il -Creonte delle Fenicie euripidee quando ordina (v. I629): @1.
Ismene non nsghi qusllo che dice la sorslla: essa ricono-
sce i dovsri verso glidei, ma soltanto confsssa la propria debolezza di non poter compisrs qussti dovsri (vv. 78-79):
cc Io non li disprszzo;“rna non ho la torza di agirs contro i1 volsre dei cittadini >>. Essa ha gia detto (vv. 65-66) che vuol prsgars quslli di sotterra di psrdonarls, psrche e co-stretta a forza ac obbedire a quslli che sono al poters. Per la sorella non ha nsssuna parola di biasimo: soltanto teme che non riesca a nulla, e che inutilments vada incontro allamorts. E ls ultims parole che dice sono afisttuosissims (vv. 98-99): cc Sappi quest-o, che tu parti per un’impresa tollej ma che sei davvero amica a quslli che tu ami >>. Subito dopo la parodo, Creonte stesso viene sulla scena a bandire l’editto davanti ai vecchi del Coro (vv. I942o6): cc Etsocle, che combattendo per questa citata, e morto, dopo aver compiuta ogni prova di valors, io ordino che sia sepolto, e che gli siano consacrate tutts ls offsrte che vanno sotto terra ai morti pin illustri. Ma il fratsllo di lui, Polinice, che, ritornando dall’ssi1io, voleva distruggers dalle fondamenta col tuoco la sua patria e gli dei della sua casa, e voleva saziarsi col sang-us dei suoi s ridurre i superstiti in schiavitii, costui s pubblicarnsnte ordinato a quests. citta di non onorarlo s di non piangerlo, ma"di lasciarlo in-
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tra 1'azione del dramma eschileo e quella del dramrna suripidso at dccluco da Plutarco, Thea, 29. (2) Pcmogywa, 55, Pmccctlcem, x69.
-citato da1l’orators (I, 7, 20) s da lui giudicato cc severissimo n, prescriveva che chi cc commsttssss ingiustizia contro i1 popolo ateniess n e fosss riconosciuto colpsvols, dovesse esser gsttato nel ~cclJm'£L't1‘0n. I cadaveri, nel cc baratro », non avevano le libagioni -rituali; ma non erano preda delle fisrs ‘e degli‘ uccslli, some Orson-Crsonte vuole che avvsnga di Polinice. -
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cc Gettate insepolto il corpo di Polinice fuori dai coniini di qussta terra >>. Generahnents i cadavsri degli Ateniesi traditori erano sspolti in territorio rnegarsse: l’uso s provato alnieno per nn periodo posteriore al V secolo (1), s non v’e ragione di non supporlo anche per il V secolo, tanto sembra naturals. Per il V secolo, due tatti s’accordano complstamente col divieto del Crsonte euripideo: il dscrsto di non seppellire Archeptolemo e Antifonte cc ns in Atene, ne in tutto il dominio ateniess -n, (17) s il decrsto contro Frinico» morto, dichiarato rso di alto tradirnento, cc di disseppellire ‘ls sue ossa s gettarle tuori dell’Attica >> (1). ' L’editto di Crsonte non s’accorda.c dunque, ns con la leg-gs positiva ateniese, ne col modo di sentire dei Greci del V -secolo (‘1). Ma perche Sofocle ha voluto qussto contrasts? Egli avrebbe pur potuto formulare l’editto come fara poi,
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lita di qusllo che ta. Tanto e voto che subito dopo, quando Crsonte vuol incaricarlo di vegliare a11’esecuzione dell’ordine, risponds (v. 216): cc Aflida quests peso a qualcuno piu giovane >>; e, quando Crsonte nbatte (v. 21:9). ordinando di non mostrar debolezze verso 1 trasgressori, r1-
sponds ancora 'l1‘(-3ClClc'~.11'1’l81'1'tG (v. 220): ccNess11I10 £3 C081 £01-
Euripide nelle Fenicle. Ma ha voluto mostrar chiaramsn-
ts che Crsonte ha torto e il suo dscreto s ingiusto. Ad ogni modo, nel tradimento di Polinice Crsonte ha certo un buon argomento in suo favors, che potrebbe lino a un certo punto scusarlo, se non certo giustificarlo completamente. Ma non s stato osssrvato che l’unico buon argomcnto che Crsonte abbia, _e da lui assolutamente dimenticato in tutto il seguito del drarnma. E la ragione cs una sola: il poeta vuol far apparire Crsonte nella luce pin stavorcvole. Potcva scmbrars eccessivo, ma non assolutamsnte iniquo, ncgaro ogni sepoltura a un traditors della patria;
ma la colpa di Polinice e dimenticata, poichs Crsonte non. fara che appellarsi continuaniente alla ragion di Stato, identiticata col proprio poters e strapoters. Cosi 1’ editto. diventa, per lo spettatore s per il lsttore, soltanto un attoodioso di prepotsnza e d’ingiustizia. Che Sofocle non apprezzi ns Crsonte as il suo editto, mostra subito la fredda accoglienza che il Coro fa all’ordins sovrano. Subito dopo la sua promulgazione, il Coro dice (vv. 211;-214): cc Questi sono, dunque, i tuoi vo\
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(I) Tslsts in Stobso-, Flora, 40-, 8.
(2) P-seudoplutarco, Vitae X o:vet., 834 b.
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(3) Liourgo, Conlro Leocac, I13. I (4) La -questions e gia veduta chiaramente nel vscchio articolo del Vischsr, (Rh. Mus. 20, 4.4.4. sgg.), che, se fosse stato pin letto e tenuto in conto, avrebbe evitato errori psnosi s discussio-
ni inutili ag1’interpreti succsssivi.
leri, o Crsonte figlio di Msnsceo, riguardo al nemiCO B E111’amico di questa citta. Tu puoi usare la legge che vuoi tanto sui morti, tanto su noi che siamo vivi >1. Quests sembrano, e sono anche, parole di sottomessa ubbidienza; ma Yubbidisnza s adornbrata d’una gelida riserva: il Coro ha l’aria di dire che Crsonte e il padrone e puo tar qusllo che vuole, ma che assume sgll stesso la responsab1-
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le da desiderare 1a morte >>. _ Quando poi la guardia viene a raccontars che 11 decreto s stato violato, che una persona sconoscruta ha cosparso di polvere 11 cadavers, 11 Coro non s1 associa alle impazienze e alle smanie d1 Crsonte_, anzi ascolta impassibile il lungo racconto della guardia. _Po1 dice gravemente (vv. 278-279): cc O slgnore, 11 mio ammo ’da tempo dubita che questo avvenirnento non sia opera degli del >>. Corns potrebbs mostrare meglio la sua 111t1ma disapprovazions ds1_ l’ordine regale? Tanto e vero_ che Crsonte risppnde con acerbissims parole, accusando 1lCoro (v.282) d 1rnbec1l11ta senile. _ ‘ , , . . Intanto, per rmtuzzare lopinione esprsssa dai vecchi . . 1' ' ' ° \ ‘ Tebani, sgh afferma (vv. 282 sgg.) 11mpos_s1b1l1ta_ ‘che gh dei si occupino di P-olinics, proprio di quel Pohmce che voleva disctruggere i loro templi e bruciare 1 ,don1 sacri e rovinccro il loro suolo e ls loro lsggi. Qui gia 1 argomento del1’c:cliLlc> a nu po’ mutato, ossia, pur non sssendo troppo divcsrsca (lit qprixnu, scunlara prondere una nuova dirszionez Eoliniczcs, piic unczonc. che cm ncmico della patria, e un empio, un nczniczo clogli clc)i. Si clira che Crsonte ha soprattutto in mente gli dei della patiia, gli clsi tobani che Pohmcs o1traggiava (gia 1’editto accennava brsvsments a O'.l1l1GSG.€tgl1 dei della casa): non dice, dunque, _nu11a che sia sostanzialniente chverso da1l’ed1tto. Non e possibile, pero, non rilevars 11 ‘tono di evidente esagerazione delle parole d1 Crsonte: Pol1n1co voleva regnare sul trono d1 Tobe, non voleva distruggsrs tutti i tsmpli e 1 ClOIl1 sacri. Le parole d1 Crsonte sembrano dovsrsi considerare, piii che altro, un’1mprovv1sa, vlolenta, adirata protesta contro la supposizione del Coro.
_-es-I Ma Crsonte stesso c’in£orrna (vv. 289 sgg.) che ilsuo editto e stato male accolto: che i cittadini, dopo averlo ascoltato, hanno morinorato contro di lui, cc scotsndo la tests. cli nascosto >>, s non vogliono piegarsi al giogo some sarebbe convenients. E arriva perfino a supporre ch’essi abbiano corrotto ls guardie per seppellirs Polinics. I Nel primo stasimo, i1 Coro biasima l’ignoto trasgressore del1’editto c: esso e ‘ tutto spaventato della sua audacia incredibile, com’e spaventato, in generals, della straordinaria natura dell’uomo, vincitore. della terra, del mare, delle fiere, dominatore con la parola e col pensiero, ma che nella sua audacia insolente puo essere spinto al male pin che al bene: tanto piu pericoloso, quanto piii potente e audacs (11). c I
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' Per i1 trasgressore dell’editto ha parole di chiara riprovazione (vv. 370 sgg.): cc E nsmico della citta colui al quale s’accompagna per la sua audacia la colpa. Non si segga al mio tocolare necabbia un pensiero in comune con me colui che coslagisce >>. Qui i1 Coro as un giudi2io- reciso; pin tardi, si mostrera incerto, e 1’incertezza continuera fin quasi alla fins: solo la rovina di Crsonte, inostrando shia-
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ramsnte il volere degli dei, 10 tara decidere def1nitiva1nents contro di lui, nel piu netto contrasts col giudizio dato nel primo stasimo. Quest’osci11ars del Coro ha clisorientato gli interpreti; ed e la causa primissirna, se non unica, delle molte false interpretazioni che sono state date dalla questione morale dell’/lnligone e di tutta la tragedia stessa. Non e stato osservato che, a1l’apparire di Antigone accompagnata dalla guardia, il biasimo del Coro subito s’attenua. I1 Coro, nei soliti anapesti con i quali annunzia 1’ arrivo d’un personaggio sulla scsna, si rivolge ansiosaments ad Antigone, non crsdendo ai propri occhi nel vedsrla colps-
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(I) Per 1'inte1ligenza di qussto stasirno cosi discusso e cost
vnrlnmonto intorpretato, s di fondamentals irnportanza l’osssrvaziono cli U. v. Wilamowitz (Griech. Verslacmst, 516-51:7) che nelle
parole inlxluli clollo stasimo (;1;Q?c?.c3c rcic Sswcic notiosv iicvtlocimou finivornqov cttltnc) Bscvog eignifica cc terribile, inquietante >> come am7t?tc‘;,,... I'}1',1.'wi,cl(‘l prhnu stasimo delle Coe]‘o1'e,' da cui l'inizio cIc~l czcmtca clc~ll'/Inliggcmo cs imitate. Lo stasimo sofoeleo non I1, cluuclnv. nu olngin clolln civilttc (Bless), e tanto meno un inno ccllu. %~Ic>liul|c:n, 11011111 pure o stato tcntasticato. I1 poeta con-
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'll!IIl]IlIl. con npzwonlo 1'uuclucic1. cloll'uomo: audacia che s, in fonclo, clul':olcw.u, lacrrclzb non 1'ic.esc:u :1. vincoro la morte, ed e colpa.,
so clisgiuntn clnlle lsggi morali; alla colpa. essa induce facilmente, porcho pm‘: furs scumbinru i1 bone col male. .l1 Iaonsioro principals dello stasimo, composto di due coppis cll H'l..1'0ltI, ta no]1'u1tima parte, nella seconda antistrofe: tutto i1 res-to ta una a1:Q6'c:c:coc.c;. I1 nuovo pensiero (pericoli dsll’audacia del1'u0mo), in contrasto col precedents (manifsstazioni vittorioss di quest'audacia) appare nell’ultir.na “parte delle due coppie: quests s composizione tipica dello stasimo sofocleo, ben diverse dal tipo preferito da_ Euripide, che chiuds ogni pensiero in una coppia (Kranz, Stasimon, I98). ' ' L’analogia della prima parte dello stasimo sofocleo col discorso sul progresso urnano che Platons attribuiscs a Protagora (Prom, 52d) ha fatto pensare giustan:1ente che Sofocle miri a
combattsre dottrine sofistichs esaltanti la potenza de1l’uo1no sopra 1e lsggi irnposte dalla religions e dallo State. Ma precisare non ta possibile: e inutile proporsi i1 problerna se Soiocls abbia di mire. Protagora, com’e stato suppcsto, oppure Archslao. E prolmhilo che il poeta abbin cwuto clavanlzi a se una fonts sofistica; cl! plic, non b possibile (lire. Corto, il pensiero non e sofistico, ma ma|,.lrcc>liccl.lc'.o. cc Scflielictb n c‘>, invece, la disposizione sottile e sche-
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rnatica che il poeta ha dato al suo pensiero (Kranz, Slasimon, I496); Nelle stasimo, il Coro non biasima Crsonte, s neppurs Crsonte e Antigone insieme, ma Antigone soltanto: 0, per esser precisi, l’ignoto violators dsll’edittto (se il Coro sapssss che 1’editto e stato violato da Antigone, sarebbe assai meno rsciso nella sua condanna). Pensars a Crsonte, ha ragions i1 Wflamowitz, e un controsenso. Ed e _ strano che recentissimarnente il Kranz (Stasimon, 219) ritenga lo stasimo rivolto a biasimars Crsonte. Difficile est longccm cleponere ...e1croscem. In realta, nel v. 367 (vénoug vsgcctgccw [Rsisks per nagstgmv trarnandato] xtiovog flsciw '17‘§'VOQ%0'V Blwqv), cc ls lsggi del p'é1.E:Sen_ s cc il dirit-to giurato poi‘ gli clei >1 sono un'endiadi, non sono clue cose diverse, come
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spcssc: n'ic1l_c:1'p1'c:"ta: costituiscono la fsdelta alla a1:67cc.g e alle sue lsggi, cslm I1 c‘.it!:ulino atonicse era tenuto ad afferrnare col giu1'amouto per gli clot. I .o cc loggi clivlno », alle quali tars. appello Antigone, qui nun lmnno nulls. cc che lure. 1'1 Iicn:o?c1,g e colui cc al quale s’accompagncc, per In sun auclnein, In colpa n: cioe 1’ignot0 trasgressore dsll'sditto, non Crsonte.
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flexioaz bei Sophokles, I52), non risolvs nulla. I1 Pohlenz (Griech.
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L’ironia tragica, alla quale pensa i1 Wolf (Sentenz cc. Re»-
*‘is$t §;_‘:“.*._-;I1 (v. 383) che ls ha tatto disobbedire alle cc lsggi regali >> (v. 382). 3 Ed eccoci, dopo il racconto della guardia, che anch'essa ha pieta per Antigone (vv. 435-436: cc essa non negava: cio mi taceva piacsre e dolore insiems n), al grands contrasto tra Antigone e Crsonte, cioe al centro della questions morals della tragedia. Antigone coniessa: contessa di aver seppsllito Polinice, confsssa di aver conosciuto il dscrsto di Crsonte e di avsrlo trasgrsdito. A Crsonte, che ls domanda stupito (v. 44(9): cc E tu hai osato, dunque, trasgrsdire quests lsggi? >>, Antigone risponde (vv. 450 sgg.): cc Si, poiche non Zeus ha emanate qusst’editto, s nemmeno Diche, quella che abita con gli dei sottsrranei, stabili mai tali lsggi tra gli uomini; e io non pensavo che i tuoi sclitti avsssero tanta torza, che un mortals potssss in{rangers ls lsggi non scritte e immutabili degli dei: poichs non sono no di oggi ne di isri, ma vivono sterne, s nes- 3 suno sa cla quanclo esistono n. E conclude, afterrnando che essa non potova violate quests lsggi, per esser punita poi dagli dei; essa sa bone di dover aflrontare la morte, ma la
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1I1()1'lU cl cm male cla nulls: i1 male vero sarebbe stato di sotIrirc: che il liglio cli sua inadrs rirnanesse insspolto. Quunclo Soloctlce scrissc 1’Eclc'j;o re, rnolti anni dopo 1'/lnligcme, si ricordo di qucsti vorsi, in uno dei suoi cori pin tamosi, e fecc invocare dai vscchi cornpagni di Edipo di polnr avers con loro la santita in tutts ls loro parole e uzioni, sotto il govsrno di cc lsggi sublirni, generate nell’store celesto, c l’O1impo solo _e loro padre, ne la natura mortals degli uomini le ha generate, ne mai l’oblio ls tara evanirs: un grands dio s in esse, e un dio non invscchia >>. L’aspirazions alla santita in tutts ls parole ed azioni non e dei vecchi Tebani pin che non sia di Sotocls: di Sofocls che qui esprime i suoi sentimsnti piii profondi per mezzo del Coro. E Sofocls, dunque, parlava gia per bocca di Antigons in difssa delle lsggi non scritts ed stsrns. Ma che cosa risponde Crsonte in qussto memento dscisivo? Che cosa oppone alle parole di Antigone, che avrebbsro dovuto scuotsre qualunqus anima? Un lungo sermo-
ns, che comincia con 1’osservars che gli spiriti troppo rigidi 'lacilments si lasciano abbattcrs, accusa Antigone di aver t1'asg1'c:clit0 i cvéuoc {IIjQ()'}{,B(l,l,(§’\»'Q[, cc ls lsggi stabilite >>, e ineltro cli vcuitarsi della trasgressione, finiscs col minaccia-
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re la morte non solo ad Antigone, ma anche ad Ismens, si chiuds con due sentenzs banali. A questo punto par di sognars: Crsonte non dice nsppure una parola di giustificazions; neppurs una volta nomina l’interssss dello Stato, -di cui pure si s vantato custods nel cosi detto cc discorso della corona n; neppure una volta ricorcla l’unico suo forts argomento, che Polinics e un traditors. Evidentsmsnts Sotocle avrebbe potuto tar parlare Crsonte con assai piu eloquenza, se davvero avessc voluto bilanciare i1 dibattito e assistervi come spettatore imparziale. Ma egli vuol dare tutta la ragione ad Antigone 0 tutto i1 torto a Crsonte: cosi quest’ultimo deve mostrarsi nient’altro che un prspotsnts e un prssuntuoso, e non puo neppurs difsndere seriaments i1 suo operato. A I1 Coro, subito dopo il discorso di Antigone, ha mostrato di biasimarla (vv. 471-472): esso osserva che la glovinetta si mostra cc fisra tiglia d’un fisro padre n e ch’slla cc non sa csdsrs ai mali n: qusst’ultima frase non pub, che sonare rimprovsro. Ma quando, poi, Antigone (vv. 504-505) affsrma: cc Tutti costoro direbbero di approvare il mio atto, ss la paura non chiudssss loro la bocca >>, il Coro non protssta contro qussta affsrmazions. Chi ribatts, e Crsonte: cc Tu sola tra qussti Tsbani hai qusst’opinione >>. Ma Antigone ancora risponde: cc L’hanno anch’sssi, ma tengono la bocca chiusa per ts >>. Crsonte, ostinatissimo, ribatte ancora: cc Ma tu non ti vsrgogni di pensare diversamente (la qussti? >>; Antigone risponde che non si vergogna affat-» to di onorare suo fratsllo, s cosi il dialogo dsvia. Ma, tra lo clue atfermazioni di Antigone e ls due smentite di Crsonte, sccrcl certo da credsre alle prime: il Coro, ch’s presents, non clice nulls, montre ci aspettersmmo che, almeno clavanti cc (.I1'cco11te, s'cclf1'c:ttc1sss a dar ragione a lui. Ccintinucuiclo la slicoinilia, Crsonte osssrva (v. 517) che Polinico v luvs clisil1‘l1ggc!1'e la patria, mentre Etsocls la ditendsva; iiza non si giova alfatto dello spunto, psrche subito, a1l’osssrvazione di Antigone (519): cc Ma Ads dssidsra lsggi uguali n, subito devia (v. 520): cc Ma, dunque, i1 buono deve avers la stessa sorts del cattivo? n. E all’osssrvazi-one profonda di Antigone (v. 521:): cc Chi sa ss laggiti quests rsgole sono sante? n, risponde con una banalita, cambiando ancora, ossia psggiorando 1a sua linsa di ditesa (v. 522): cc Il nsmico non- mi e mai amico, nearlche quando e morto >>. U
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Crsonte rivsla qui il suo animo :1 non il bsns dello Stato, ma inimicizia s desidsrio di vendetta lo spingonoc a esser cosi crudsle contro un morto. Egli parla proprio come Agamsnnons nsll’Az'a:ce, che domanda a Odisseo (v. I356): cc Che farai mai?1Vuoi rispettare cosi un nsmico rnorto? >>. Ma Odisseo risponde nobilmsnts _(v. I357): cc In ms il valore vince di gran lunga l’inimicizia >>. E ha gia detto qualchs cosa di ancora piii significativo (v. I344); cc Io, si, l’odiavo,,ma quando odiarlo era una cosa nobile >>. Nessuno dire. che Sofocle dia ragions ad Agamennone, o che resti neutrals tra Agamsnnons s Odisseo. E nemmeno rssta neutrals tra Antigone e Crsonte: perche fa dire da Antigone il grands verso (523): cc Io non sono nata per condividsrs l’odio, ma l’amore >> (1); Antigone, come
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calamita pronts a rovssciare il suo trono (vv. 531-533). Qui colpisce, piu ancora che la sciocca esagsrazione (come si potsva, seppsllsndo un morto, rovesciare un trono?), Finsensibilita assoluta di Crsonte davanti ai motivi che incitano Antigone. Pur non approvando il suo atto e pur condannandola, avrebbe potuto considerare ch’essa -agiva mossa da un impulso nobile, del rssto palese ,a tutti. Ma invscs si abbandona ai pin bassi sospetti, oltrs ogni limits di ragionsvolszza s di buon senso. Ismens qui atfsrrna la giustiziai e-la santita dsll’att0 di Antigone anche piii chiaramente che nel prologo: essa dice parols commoventissims (vv. 544-545): .~.. E msntiscs nobilmsnts per seguire la sorslla nella morte, noncurante del disprezzo di Antigone. Schernita dalla sorella con acerbissims parole, la ditende contro Crsonte,
Odisseo, rappresenta, dunque, la norma etica superiors: se
ancora il Grsco comune del V secolo potsva godere della rovinu 0 della morte del nsmico, Sofocls sapsva ‘che anche la sventura d’un nsmico dev’essere rispsttata e compianta. Antigone non puo non amare suo tratello, anche ss e nsmico della patria: essa dice che sa soltanto amare, s non odia-
(.c) 11 v. 523, lcucto cliscccccccci, non dsv'sssere certo frainteso, com'e ccvvcccccrtca, per tccro cll Antigone una martirs cristiana: sarebbe eclocco 0 cli cattivo gusto. Ma ha cortaments un senso asscci pic‘: nmpio cll quanto protcnclono molti. Prima di tutto, esso non clov'essc:1'o intcso some 1'intends jsbb (ad loc.): cc Anche se i micl Imtcclli si ocliano 1’ un l’altro, la mia nature mi spings non a unlrmi con Etsocle nell'odiars Polinice, ma ns1l’ama:rs' tutti s due 1 l'rate11i com’sssi amano me >1. E‘ nemmeno sembra giusta l’interpretazione del Fests (Atene e Rome, I903, 1:34): cc La mia natura non mi lsga a nsssuno ne1l’odio contro Polinice, anzi mi porta a congiungsre nsll’a£fetto i due tratelli >1. La prima intsrpretazions non s possibile, perche Antigone non p-no pensare a unirsi nell’amore o nsll’odio con Etsocls, che s morte-. La ssconda ha il difstto di spiegare onvéxfisrv in un modo (cc unirsi a qualcuno ne1l’odio contro P0liI1ice>>), -o~up,cpc.?cs'c‘}v in un altro (cc congiungers nell’a£fetto i due fratslli >1), mentre e evidento che devono essere intssi, data la forte antitesi, del tutto parallolaments. I1 Festa, mi pare, ea sostanzialmente la stessa interprotcczione del jebb; ma ha vsduto Terrors del jsbb s lo ha sliminutn: soltanto, e incorso in un1altra diflicolta.
I1 pnccso pus soltanto significare cc Io sono disposta per nature. ncl [I.HHOCl{lI'IIll non nel1'odio, ma ns11’amore >1. Antigone rispondo allo parole cli Crsonte, che dice di odiare i nemici anche quando
re. Crsonte risponde con parole indegne, con inrams sarcasmo (vv. 524-525): cc Va, dunque, laggiii; se dsvi amare,. ama quslli di laggiu. Ma, tinche vivro, non mi comandera una donna >>.Nslla scsna ssguente, quando Ismens irmocsntissima e chiamata a comparire davanti al rs per essere interrogata, Crsonte la chiama vipsra che bevs il suo sangue, e afferma come cosa sicura di nutrire nella sua casa due
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e ha ragions _ . _ _11:,;- .
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del -tiranno,
colpsndolo abilrrisnts nel
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affstto patsrno. Quando Crsonte dice, a proposito d.el iidanzamento di Emons (v. 571): cc Ls donns cattive, per i misi figli, ls dstesto >>, Ismens ribatts rapida (v. 571:): cc Caro Emons, some ti disprezza tuo padre! n. Quests Volta, l’inso11sibile tiranno si sents frustato a sangus, s prorom-
pc, irritate (v. 572): cc Troppo m’annoiats tu s il tuo matrimoniol n.
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sono morti. E risponde c11‘essa non pus odiare. cc Condiviclers 1’odio >> e detto genericaments; equivale, dunque, a cc odiare J); e
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cc condividere 1’amors n squivale ad cc€.LI1'1a.I‘G>>. S'intende che ls parole hanno un valore specials per Crsonte: Antigone vuol direch’sssa si unirebbe a Crsonte, se Crsonte amasss; non puo unirsi a lui, psrche egli sa soltanto odiars. Ma, se non si deve allargare troppo il senso del verso, neppure si deve rsstringerlo troppo. E questo uno dei rari casi in cui un’intsrpretazions volgare, popolare, risulta quasi pin giusta di quelle ingegnoss s lambiccate dei dotti.
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N01 secondo stasimo, il Coro piange la sorte della easa dei Labdacidi dominata senza rimedio da Ate: una generazione non libera la seguente, e non e libera neppure 1'u1ti1na, quella delle sorelle, n1ti1ne della stirpe, perche e I1‘1iOtl.1'[21 (v. 603) dalla cc polvere iooncessa agli dei internali, dalla stoltezza delle parole e da un’Erinni del pensiero >1. I1 senso della seconda strofe e della seconda antistrofe e assai meno chiaro per i1 testo assai incerto. Ad ogni modo, senza nessun dubbio i1 Coro qui celebra 1a potenza di Zeus, che nessun orgoglio umano puo arrestare, e afferrna solennemente una legge divina, che dorninera nel futuro, come ha dominate nel passato: cc Nessuna prosperita eecessiva giunge alla vita dei niortali senza la sventura >>. E, dopo aver parlato della speranza, Ache per molti e un bene, per
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molti e un male, finisee con un’a1tra sentenza, espressa-
mente citata come cc "famosa >>: cc i1 male sernbra bene a11’nomo a cui un dio conduce 1’anin'io alla rovina >>. La seconda strofe e la seconda antistrofe, adfierenza della prima strofe e della prima antistroie, non contengono nomi, non 1"igua1'clcmo esplicitainonte 1e sventure d’una famiglin, mu c~spri1ncmc: massimo generalissime ed eterne. E uvidulilu, pcrro, calm cesscz si riferiscono alla situazione del cl1'cc1c11mc. ‘l=l cost, so ad Antigone non si dovra riferire la Inccssilmc clccllcc 1n'c:s1>ce1'ielc\ eccessiva, che genera sventura, ad Amigcmc: si 1'ifc:ri1'c1 certo 1'aletra massima del male che sembm benc: per 1’ingnnno d’un dio che ottenebra 1’ani1no del1'11omo (‘).
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(I) I1 Pohlenz (Griech. Tmg., II, Ecclc,'iut., 571:) nega riso1utamente che 1’u1tima strofe dello stasirno si riferisca ad Antigone, ma senza ragione. Il critico non trova adatta ad Antigone la frase della speranza che cc per molti e inganno di desideri leggeri n (e da notare, innanzi tntto, che i desideri leggeri sono causa delle speranze,» non 1a speranza dei desideri. leggeri, come interpreta i1 Pohlenz). Ma non e necessario affatto che tntto si adatti in particolare ad Antigone: i1 poeta ama esprimersi con niassime generali, soprattutto a principio della strofa. cc Felici quelli che hanno una vita priva di malil » comincia la prima strofe dello stasimo; poi, a poco a poco, scende a cantare la sventura di Antigone. Lo
HIUHHO avvicne ne11'u1tima strofe. I1 poeta comincia eon la masnlum: cc L’erranto speranza per molti dei mortali e un guadagno,
Ma la cautela con la quale i1 Coro evita, questa volta, ogni allusione, e Pinsistenza speciale eon 1a quale si assicura che 1a prosperita generera sventura nel future come nel passato, {anno pensare che queste massinie saranno applicate, in realta, di la da ogni intenzione del Coro, anche pin che ad Antigone, a Creonte. A chi, se non a Creonte, si adatta 1a sentenza del male che sembra bene per un inganno divino? Proprio Creonte e un accecato da Ate, come rieonoscera egli stesso alla fine della tragedia (ctr. sop1"attutto i vv. I273 sgg.). I1 Coro, naturalmente, intende riferirsi soltanto ad Antigone; ma qui i1 poeta ricorre a11’ironia tragica, perche-10 spettatore intenda le parole dc-:1 Coro ben diversamente. Nel contrasto che segue tra Creonte ed Emone, Creonte si perde in elogi banali de11’affetto e del rispetto che i iigli debbono ai padri e del dovere ch’essi hanno di avere gli stessi amici e gli stessi nemici dei padri, e nella 1"accon1andazione a Emone di non lasciarsi allettare da]l’an1'ore per Antigone, che e una donna cattiva. Ma ecco che appare ancora un nuovo rriotivo de11’inflessibi1ita del tiranno: egli dice (vv. 655 sgg.) che, poiche ha sorpreso Antigone, inentre apertarnente, sola di tutta la eitta, disobbediva a11’editto, non vuole apparire bugiardo davanti alla eitta, risparn1iando 1a colpevole. E arriva alla bestemmia (V. 658): cc Per qnesto, essa invoehi pure Zeus che protegge i legami della famiglial >1 Come si vede, qui non severita e inflessibilita, ma il tirnore di non apparire severe e infiessibile abbastanza, determina l’atteggian"1ento di Creonte. Tutto i1 resto del suo discorso e un’aoco1ta di luoghi comuni sulla sneeessita de11’o1jbedienza e sui mali -de]la disobbedienza, che culmi-
na nel noto verso (672): cc Non vi e nessun male peggiore del disordino n. ' Q ".2""'
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umana senza SVGI1'|J111‘£1.>). Ad Antigone si riferisce. invece, la massima successiva: cc I1 male sembra bene a colui a cui 1a divinica spinge 1'animo alla sventura ». Chi e spinto dalla divinita alla sventura, se non Antigone? Basta rieorrlare i vv. 584.-585 a prineipio dello stasimo: oig ycico fiv oewflfi Ueéflev Béuog, Eirccg oefioev
é?\,?ce£:n:e|,, e ivv. 596-597. 0136’ datcflckdcooec cyevecic yévog, d’c7c,7t’ éoeiscnsi 0e63'v rug, o1’:6”§)¢e|,?c.'c'3cr1,"v. Questi si riteriscono certo ad Antigone, non 10 nega) neppure il Pohlenz. E allora, come mai sfugge 1a rispondenza con questi versi di cpoiévccg Bsog ciiyel, crcoog c‘iw.'v?
]H'I' mulli, invece, O un inganno proclotto da desideri leggeri >1:
cmcccc. nl 1'lcc'l.lcceec|, alle nmesinm immccliatamente precedents, che clxiuclcwn lcc nlrnfu: ccN0smu11n p1'ospe1'ita eccessiva tocea a11a vita ';,;_Q3__. 4 _...‘__._t.t_‘,;
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I1 Coro approva cautamente (vv. 681-682) Creonte;
se pure non sara da vedere nella strana riserva cc se non sono indebolito da1l’eta )) una punta di malizia contro i1 tiranno che (vv. 280 sgg.) gli ha rimproverato aspran1ente la sua imbecillita senile. A Emone, che, appena arrivato (vv. 635 sgg.), subito atterma il suo attaccamento al_ padre e i1 suo rispetto della volonta paterna,pi1‘1 forte di qualunque desiderio di nozze, parla alto e chiaro. era 1e prime parole della risposta a1 padre sono, nonostante quello che pensano g1’interpreti, molto significative. cc O padre >>, egli dice (vv. 683-684), cc gli dei hanno data la ragione agli u-omini, che e i1 rnaggio-= re di tutti i beni n. Questo vuol dire ch’eg1i ritiene suo padre un dissennato: non 10 dice espressarnente percrispetto, per i1 desiderio di non irritarlo, per 1a speranza di convineerlo con 1e sue ragioni; ma certarnente 10 pensa. E abilmente insinua a Creonte che egli puo non essere il solo saggio, che anche qualchc altro puo pensare assennatarnente, ch’eg1i allontana tutti da se, col tirnore che ispira (quest’u1tirna affcrmazione ricorda quelle che ha detto Antigone). Poi dico :11 paclrce c:11c': "lutta la citta piange 1a giovinetta, perche (vv. (Sc)4,-695) ccpin innocente di tutte 1e donne, inuore in modo inc1c:;_;no per i1 suo atto gloriosissimo n, e che perfino si dice ncslla cittc) clfcssa mieritcrcbbe una corona d’oro (v. 699). Tntto i1 discorso di Emone >; ha piena ragione Emone, i1 giovane, 1’inesperto, davanti a Creonte iiero della sua saggezza, ‘della sua esperienza, ch’eg1i crede d’aver acquistate con g11 anni, quando gli rimprovera di parlare come un uomo troppo giovane, cioé con arroganza e follia. E, alla nuova doniianda di Creonte (v. 736): cc Per un altro, non per me, devo io, dunque, regnare su questa terra? n, Emone ribatte trionialmente A-(v. 737): cc Non esiste citata che appartenga
a un uomo solo >>. E, quando ancora Creonte domanda se la citta non appartiene legittimmnente a1 suo padrone, Enione risponde con scherno (v. 739): cc Tu potresti regnar bene, solo, in un paese desertol ». 6 Ora, a chi poteva dar ragione lo spettatore, 1’Ateniese
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del V secolo: a Creonte o ad Ernone? E ac chi poteva dar u-.,_:,- _, ->. E arriva piu in la: quando i1 padre dornanda (v. 744); cc Comrnetto, forse una colpa, se rispetto 1e rnie prerogative reali? 1), ribatte (v. 745): cc No,’ tn non 1e rispetti, calpestando gli onori dovuti agli dei >>. Dunque, Creonte, non che difendere lo State, non difende neppure le sue prerogative realiz chi e re, puo esser re soltanto per grazia divina. Con 1’offendere gli dei, Creonte perde ogni leglttirnita e ogni rispettabilita del suo potere. Egli non potrebbe essere pin forteniente battuto proprio sul terreno
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pin geloso, a lui pin caro: da questo contrasto con Emo-
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ne, egli esce dialetticamente annientato. Soltanto 1a sua incredibile ostinazione, soltanto 1a sua incredibile cecita [anno sl c11’c":g1i non s’:1cc0rga della distatta. Come a1 solito, crgli devia il discorso: accusa i1 figlio di essere asservito ad Antigone (v. 7.c|.8):_ ccTL11;[0 1e tue parole sono per lei n. Ma Ernone gli da una risposta malinconica e protonda (v. 74.9); cc E per te e per me e per gli dei iniernali n. Poi conclude apertamente (v.- 755) che i1 padre non ragiona: ch’e quelle che ha gia detto assai pin cautarnente nelle sue primissinie parole. E Creonte besternniia ancora una
Volta: riafferrnando ferocernente la propria empieta, dira che Antigone, morendo, (vv. 779-780), cc riconoscera a110ra che e inutile fatica venerare 1e cose de11’Ade >>.
gone, e contro 1a citta. Per qucsto, ha piena ragione Emone di rimproverargli la sun "follia (v. 735): cc Vedi che hai parlato come-un uomo Y‘?-A-. e.‘:"-'.!B%\4—éF“‘
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Nel terzo stasimo it Coro, invocando Eros invincibile di potonza, considera Emone come un colpevole, come un giusto che 1’amore ha travolto nelt’ingiustizia (v. 791). Emone e nn vinto d’arnore: Pinvincibilita di Eros sembra scusare la sua colpag essa non cessa, per questo, d’essere una colpa. Ma subito dopo, a11’apparire di Antigone condotta a rri-orte, i1 Corifeo: non puo trattenere 1e lagrime (v. 803), e perfino si sente trascinato a ribellarsi a Creonte. cc Mi sento trascinare fuori delle leggi >>, egli dice (v. 801); ed é 1’e-
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spressione pin forte che mai usi in questa tragedia i1 Coro.
Qui rive1a,- rneglio che altrove, tutto i1 suo imbarazzo e 1a sua incertezza: i1 contrasto intimo tra i1 voler "essere suddito obbediente e i1 non poter assistere alla morte di Antigone, sentita, pin che giudicata, come un’ingiusti— zia intollerabile. Ed e notevole che proprio unmomento prima questo stesso Coro ha deplorato che Emone sia sconvolto e t1‘a.viato da11’amore. Qui i1 Coro sembra lasciarsi trascinare (come vedremo, esso non cessa di consi-
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derare Antigone colpevole), se non dalla ginstizia, dalla pieta. Ma e stranissimo i1 modo di comportarsi del Coro durantc: il comrno. Esso consola Antigone (vv. 816 sgg.) col pensiero della gloria e della lode che Taccompagnano nella tomba, c la celebra pcrche, non consnmata da malattie ne colpita da "fcrro, spontaneamente essa discende, viva, nella casa dei morti, A E il paragone con Niobe trasfonnata in pietra, che balena alla mente di Antigone (vv. 823 sgg.), g1’ispira una nuova celebrazione (vv. 836 sgg.) della fanciulla, che ottiene in vita e in morte 1a stessa sorte di Niobe, ch’era una dea. Se Antigone (v. 839) crede d’esser derisa, essa non intende bene i1 pensiero del Coro (1). Ma in questo stesso commo, subito dopo (vv. 853 sgg.), i1 Coro dice ad Antigone: cc Giunta a11’estremo de11’audacia, tu hai urtato con i piedi (2), o figlia, 1’a1to trono Adi
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(2) I1 senso del passo, pin volte discusso, non puo essere che questo: come intendeva nella sua traduzione il Boeckh. I1 sen-
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so supplex procccbzcisti (davanti a1 tribunale di Diche), sostenuto, tra gli altri, dallo Sehrnid (Philol. 1:903, 27), e reso impossibile dal quelle che segue: cosi tutte 1e spiegazioni afiini. S’intende che io non mi dissimulo Pimportanza delle difficolta linguistiehe sollovatcc c:.c>n11‘o un use di :n:Qoon:£:m1:cn non giustificato da altri esern-pt (cfr. cmclw Sclxmicl, Phil. H/;0r:Iz., I927, 990, n. 6). Ma nemmeno
cmxmcettc-1'cvl mm cm'rul.lc~1n: corrotto c> invece nzohiv. che non glow» CO1'I‘c!gg(e1'u in crcoini: per rccgioni motricho (Wi1amowitz,
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(1) Bene interp-reta i1 pensiero del Coro i1 _)'ebb (ad 100.): it Coro vuol consolare, non schernire Antigone. Cir. anche P. Roussel, Les '/imzyailles cZ'I-Iaimon et cl’/lntigone (Revue des études. grecques, I922, 78).
Diche: tu ‘espii qnaiche colpa paterna n. La condanna di Antigone qui sembra chiara: essa ha offeso la giustizia, @non 1a giustizia 1lI118.11€L, come qualcuno ha voluto sotti1izzare, ma la giustizia divina. Che la colpa di Antigone sia, poi, derivata delle vecchie colpe di Edipo, e una scusa a1-1a quale il Coro pensa per attenuare 1e responsabilita di Antigone, ma che ha 1’effetto drannnatico d’anrnentare la disperazione della ianciulla co1 ricordo delle sciagure della sua casa (vv. 856-871:). Alla fine, i1 Coro riconosce, in qualche modo, la buona intenzione di Antigone, ma riconosce ugualmente in Creonte i1 diritto di punire (vv. 872875): cc_Onorare Polinice e, certamente, un atto pio. Ma i1 potere, chi ha it potere nelle sue mani, non puo permettere che. sia offeso. I1 tuo carattere, che non prende consigli da nessuno, ti ha rovinata >1. Di modo che Antigone ha ragione di tar risonare i1 suo pin arnaro lamente(vv. 876-882): ha ragione di dirsi abbandonata, senza amici, e di piangere 1a sua morte non pianta da nessuno,. Ma, prima d’esser condotta via, nel. lungo discorso in trimetri, -ancora si domanda (v. 92I): cc Quale giustizia degli dei ho trasgredita? >>; e afferma risolutamente (v. 924): cc Essendo pia, mi sono acquistata fama d’ernpieta >> (1). Essa non tiene nessun conto, dunque, dei rimproveri in-3 coerenti del Coro: sostiene 1’asso1uta giustizia e santita. del suo atto. E, prima di partire, si rimette in tutto agli
Griech. T/arslc. 520, n. I), 0, io aggiungerci, anche di senso. Accettabile mi pare la vecchia C011g0iZilU1'fl7CO60t'V: riproposta da Wilarnowitz. (I) I1 modo come vuole interpretare questo verso 10 Schaclewaldt (Neue W/Bge rm Antike, VIII, 85) e evidentemente erra-
to. Egli vuole intendere -c:1"|v Bvooétiecccv eiioefiofio’ é':c'c:noci.p.11v cc pur essendo pia, sono divenuta empia J). Ma che senso avrebbe allora 1a dornanda del v. 924? Questo verso e univoco, non equivoco. C1“:r., per "la. confutazione dello Schadewaldt, Pohlenz, Griech. T:-ca-g. II, ErZc3ut., 53. Bene interprets. Reinhardt (Sophokles, 263).
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dei e impreca centre Creente (vv. 925-926) 5: cc Ma, se dunque questo trattamente e giuste per gli dei, ie riconoscero, dopo averlo sofferto, di essere stata colpevele. Se, invece, i rniei nemici sono colpevoli, non soffrane mali maggieAri di quelli che fanne ingiustamente a me! n. I1 Core s’accontenta d’osservare ' (vv. 929-930) che Antigone e rirnasta sempre la stessa. E l’eroina, prima d’esser trascinata via, ~.si appella ancora al Core (vv. 940 sgg.) ai signeri di Tebe. perche vedano come cc l’ultin'1a superstite delle principes— -se >> e rnaltrattata cc per aver compiuta un’opera santa >>.
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-Creente ad annunziargli i prodigi sinistri degli dei, sdegnati perche Polinice e rirnasto insepelto, Creente dapprnna non fa che irritarlo, piu ostinate cl1e mai, e accusarlo d1 menfzegna e di cupidigia. Atlora Tiresia, sdegnate, precisa 1’ac:-cusa centre Creente e gli predice la morte di Emone (vv. I064 sgg.): cc Ma tn sappi bene che non vedrai ancora mel-
ti giri di sole prima di dare in cambio, cadavere contro caI
cc Santita >> e 1’ulti:cna parola che Antigone dice prima
-di morire; e non a caso. ' Nelle stasimo quarto (vv. 944-987) il Core sembra riternare ai pensieri e ai sentimenti che ha espressi nel-la prinia parte del commo. Vuol censolare Antigone (1) ccon i grandi esempi del mite; e la paragona a Danae, a Licurgo, a Cleopatra: (") tutti fureno imprigionati come Antigone. I1 centre lirico dello stasime e tutto nel v. 951:: cc Ma il potere del destino e terribile >>: queste si applica anche ad Antigone, e pue, secondo il Core, farla rassegnare, so non consolarla. Ma certo il paragone con Antigone dei tre pcrsenaggi del mite e esterno: tanto pin che Danae :~\c:m1)1n al Core innocente, e innecente parrebbe essere 11110111! (llcaepalra, mentre Licurgo e insolente ed einpie (vv. 9(>c1-961i). Ma 1e clifficolita a intendere questo core sono tutto risolte, so si pensa al prime stasimo delle Ceefore, dove sono rc1cconte.ti tre delitti solo fine a un certo punto simili cc quelle di Clitemestra: la ferocia di Altea, il tradimente di Scilla, 1o scempio delle denne di Lemme. Certe Sofocle si ricordo di quelle stasinio, ch’eg1i evidentemente imita anche a piineipie del suo stasimo prime Quando, poi Tiresia, 1’infal1ibi1e indovino, va da
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I1 Core consiglia (vv. IIO0-IIOI) di obbedire a1l’indo-
vine; e manifesta tinalrnente la sua aperta condanna di -Creente: cc rapidi i danni mandati dagli dei raggiungeno ~i colpevoli (v. IIO4). E finalmente,‘ Creente, Tinflessibile, cede. cc Non si pue lottare centre la necessita >1, egli dice
(v. I106).
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(I) A lei -.si rivolge direttarnente a v. 949: as s'1:ec.'E, miefi. Na-turalmente poco imperta che Antigone sia gia stata condotta via e non possa pin ascoltare. (2) A Cleopatra, non ai suoi due figli, come intende erre-neamente il Masquerav (ad 100.). Cleopatra in abbandonata dal marito Fineo, e anche irnprigionata, come preva Diodere,-"IV, 44. Iiene i1 Jebb (ad 100.). (3) D0l1'imitazione nelle stasimo prime si sono aeeorti Pevtcereon (Die attische Tmgddie, 396), U. _v. Vitilamowitz (Griech.
~davere, un essere nato dal tuo sangue: poiche tu hai gettato -sette terra un essere che viveva sopra la terra, indegnamente hai chiuse un essere vivente in una tomba, e inoltre tu tieni un morte lontano dagli dei setterranei, senza -onori funebri, cadavere impure. Queste cose non puoi tarle tn, e nemmeno gli dei celesti; questa e una violenza che tu commecttti >>. Tiresia non parla a suo nome: egli e 1a voce del dio. Precisa, dunque,p1_’-accusa con lurninesa chiarezzaz Creente e colpevele non solo d’aver lasciate Polinice insepolto, ma d’aver condannate a rnerire Antigone. ‘Creente e i1 sole colpevele: egli solo ha terto, non Antigone. E le parole de11’indevino sono Afortissime: non, che -Creente, neppure gli dei del cielo potrebbero lasciare Pelinice insepolto. Egli appartiene ad Ade. Que11’Ade, che Antigone venerava, attirandosi cosi gli scherni di Creente, vuol vedere rispettati i suoi diritti: Peliniee sara sepolto, e -"Creente, 1’en1pio, sara punite. . .
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,Vursl-nmst, 517), Kranz (Stasimon, I95).
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11 Core canta allora un iporchema (vv. :1:II5-11:52), e invoca Dioniso, il dio protettere di Tebe, perche venga a salvare la cittcl dai mali u cui 1’ha condotta Creente. Quando, poi, i1 inessaggero viene a raccontare il sui-cidio di Antigone e di Emone, Euridice, la madre di Emene, senza dire una parola, corre a uccidersi anch’essa. E Creente, tornato sulla scena col cadavere del figlio, e ac-colte dal Core con parole iredde ed ostili (vv. I257-I260): cc Ed ecco che viene i1 re stesso: egli ha nelle sue braccia una preva insigne, se mi e lecito dirlo, che la sventura non gli viene dagli altri, ma e che lui i1 colpevele >>. Queste parole del Core potrebbero sigillare la questio-
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no morale della tragedia come una sentenza senza appello:
i1 Core é giudice spietato. . 4 . 0 Ma ecco che Creente stesso, con le sue prime parole, riconosce la sua colpa (v. I261): cc O errori della mia dissennata saggezza, ostinati, niortalil Voi potete vedere, nella stessa famiglia, uccisi e ucciseri. O miei erdini sciaguratil Ahirne, figlie, gievane, ahime, sei morte, sei sparite, per la mia, nonper la tua steltezza! >1. E il Core risponde amaramente (v. I270): cc Ahimel Sembra che tuiveda tardi la giustizia! >>. Un secondo messaggere raccentala morte di Euridice: essa e merta, cc imprecande ogni male contro l’assassin0c
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dei suoi figli >> (1). Creente si riconosce ancora una volta colpevele (vv. I319-20); poi inveca cdisperatamente la merte (vv. I328-I333)- Il=Core e d’una durezza incredibile (vv. I334-I335): cc Ma queste e oil future. Ora bisogna occuparsi del presente. I1 future sta a cuore a quelli cui deve >>. E ancora (vv. I337-I338): cc Non fare nessun Votol Non e possibile ai mortali liberarsi da una sventura assegnata dal destine n. E nelle ultime parole, negli ana-
pesti che chiudono la tragedia, esso ci mostra ii fabula docct del poeta: ccBiS0g1'1a. non essere empi verso gli dei >>
(v. I349).
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Chi considcri senza prcgiudizi tutto il dramma, non puo esitare un istante a giudicare: il sole colpevele e Creente. Cosi sostiene Antigone con parole indimenticabili; ma quelle che dice Antigone lo contermano tutti i persenaggi della ‘tragedia: Isrnene, Emone, Euridice; e "seprattutto lo conierma Tiresia, la voce degli dei. Due velte ci e detto, prima da Creente stesse, poi da Emone, che i Tebani sono ostili a1 decrete di Creente e che danno ragione ad Antigone. Alla fine,‘ anche Creente riconosce la sua colpa. c lSoltanto il Core e incerto; ed esso ha fuerviato melti
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interpreti, perché su qnesti ha sempre pesato e continua a pe-
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sare il pregiudizio schlegeliane del Core considerate un: cc personaggio ideale >>. Non imperta che oggi Schlegel non _%
si legga quasi pin: qualche cosa del suo pregiudizio e rimasto. Ma chi veglia intendere davvere una tragedia greca, deve ricerdarsi che il poeta non parla soltanto per mezzo del Core, ma per mezzo di "tutti i personaggi. Abbiame vedute che nell’Aiace Sefecle incarica una velta d1 esprimere i suoi sentimenti Teucre, non i marinai di Salamina.
Quante al Core de11’Ant£gone, restano incontrovertibili tre fatti:
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a) esso non approve mai i1 dccreto di Creente; b) sente pieta per Antigone;
c) non dice neppure una parola di pieta per 1e sven-
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ture di Creente. .| 'I
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I1 Core, dunque, non ha nessuna simpatia per Creente. Del reste, qualunque cosa avesse detto prima, ogni sue giudizie precedente e annullate da quelle che dice dalla predizione di Tiresia in poi. Dope che Tiresia ha parlato, il giudizie del Core diventa» chiaro e ceerente: Creente se10 e colpevele. A spiegare le escillazieni e le incertezze di prima,_ petrebbe giovare la spiegaziene di Antigone: i vecchi del Core‘ sono con‘ lei, e non esprimone il loro vero sentimento perche ternono Creente (1). cMa la spiegazione, pin che risolvere, sposta il problema: perche mai Sefocle avrebbe immaginato un Core cosi timeroso? I1 Core dei vecchi dell’Agamen/none sestiene I con ben altro ardire e ben altra dignita le sue opinioni centre Clitemestra, e la tragedia tlnisce con una scena vielenta, nella A quale i cereuti stanne per venire alle mani con Egiste.“ E non si pue fare a meno di esservare che proprio durante il cemmo di Antigone che piange la sua sorte, proprio mentre Creente
non e sulla scena, i1 Core dice ad Antigone le sue parole pin dure. Ma qucst’ultima osservazione dal la chiave del problema. Alla fine del comme (vv. 876-882), Antigone si lamenta di essere stata abbandenata da tutti: essa e senza amici e nessune piangera la sua morte. Ecco, dunque, perche il Core e (0 si mostra) contrarie ad Antigone: perché Antigene deve sentirsi abbandenata. E veramente 1e escillazieni e le incertezze del Core trevano la loro ragien d’essere nel-
(I) Ella pensa non soltanto ad Emone, Ina anche a ‘Megaree.
N01 non sappiamo quale Iosse la colpa di Creente nella morted1 Megareo. I1 poeta ricorda in un verso sole (1303) cc la gloriesa sorte del gia morte Megareo ».
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(I) E la spiegazione prepesta da Ullrieh (Uber die religiose cc. sittliche Bedeutung d. Antigone, 26). 5 3
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1’iselamento di Antigone, che e stato tenacemente veluto dal
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Quande in una tragedia greca e protagenista una denna, e di regela che il -Core sia composto di donne. Unica eccezione, eon l’AZces2fi, je l’Am§ige1ze. Sofoele ha seguite la censuetudine altrove, nelle Tvcachinie e nell’]_-Zlettm: Elettra stessa, la ferrea sorella di Antigone, trova nelle fanciulle del Core inceraggiamento e contortoMa Antigone ha intorno a se i vecchi Tebani: nessun legame d’a£Eetto e di confidenza puo avere con lore. I1 poeta ha_.voluto isolare ‘Antigone, per far apparire in una luce sevrumana il suo eroismo. Antigone e sola dalla prima al-
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l’u1tima scena. Ismene deve rifiutarle il suo aiuto, il Core
deve pin biasimarla che ledarla, perche meglio appaia il confront-e tra 1’umanita ereica di Antigone e l’umanita comune. Cosi nella scena del prelego, cesi nel commo di An-
tigone condotta a morte.
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Una versiene del mite, quella accolta da Iene di Chie, assecia Antigone a Ismene nella morte, e certo doup I
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Veva associarle anche nel seppellimento di Polinice. Soto-
cle stacca lfsmene da Antigone: dopo il rifiuto .d’Isrnene, due volto Antigone respinge fieramente la sorella, e non vuole in nessun modo ch’e1la partecipi alla sua sorte. Ancora. Emene ditende Antigone davanti al padre con elequenza e saggezza; ma per Antigone non ha mai neppure una parola. La cosa si e voluta spiegare con ragioni meraliz la morale di Sotocle non permetteva che si portasse l’amore sulla scena. Ma, perche Emene ricerdasse qualche velta Antigone, non era necessarie affatte ereare una scena d’amore. A La ragione e sempre la stessa: il poeta ha veluto isolare Antigone. Ernene la ditende, e vero, ma quand’essa e assente: il poeta riesce cosi a dare l’im'pressione de1l’ise1amente, anche quando Antigone e difesa. Una velta spiegare il motive de1l’atteggiamento del Coro, appare evidente che non bisognera pin attribuirgli la difesa delle leggi della citta, come fa ancora un’opinione molto diffusa: delle leggi della citta, verarnente, esso si preoocupa poco. Soltanto nel prime stasimo, e un accenno,
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(I) Come s’aocerse gia i1 troppo spesso dimentieato Schlegel
(Vorles. dram. Kcmst, I, I87).
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e soltanto un aceenno, al -male cempiuto contro la citta; ma; quando canta il prime stasime, il Core sa soltanto che il decrete di Creente e state intrante, non sa che 1’ha inifranto Antigone, e non puo, dunque, g"iudicare:- non puo centrapperre alle leggi scritte di Creente le leggi immortali di Antigone. In tutti gli altri casi, il Core, se anche biasima Antigone, la biasima con parole generiche: soprattutto le rimprevera (deboli rimproveril) cc la stoltezza >>, cc la audacia >1; ma delle leggi della citta non si preeccupa pin afiatto. La cosa pin grave che dica contro Antigone e nel comme, quando le rirnprovcra d’avere cc urtato l’a1te treno di Diche >>. Ma anche qui non si parla delle leggi della citta. Come, dunque, s’e potuto sostenere che il Coro, pur dande torto a Creente in nome delle leggi divine, dia contemporaneamente torto ad Antigone in nome delle leggi della citta? c 5 . _ 1 I critici hanno errato, oltre che nel sopravvalutare, come s’e gia vednto, -il pensiero del Coro, nel cercare di rendere cie ch’era incoerente e confuse, chiaro e coerente. Ma di quale ceerenza! I1 Core riterrebbe, dunque, ingiu: sto il decreto di Creente; giusto che Polinice si dovesse seppellire. Ma contemperaneamente riterrebbe ingiuste che Antigone la seppellisse; giusto che Antigone fosse punita. Si direbbe che il Core, allora, volesse lasciare agli dei il compito di seppellire Polinice. Ognuno vede come sia pericoleso attribnire al Core il pensiero... di Hegel: Hegel, interpretande l’Amiigone secondo la luce della sua dialettica filosofica, in una maniera errata, ma geniale e ‘profonda, puo dar ragione e torto ad Antigone e a Creente insieme; il Coro, trevandosi di ironte a an preblerna pratico, di fronte al quale dovrebbe decidere un si o un ne, una cendanna o un’assoluzionc, non puo dar ragione e torto ad Antigone e a Creente insieme, senza cadere in un’insensatezza."
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Delle leggi della ace. si preeccupa poco anche Creente. Come s’e veduto, ad esse egli ha soltanto un accenno quando promulga l’editte. Ma poi, quando dovrebbe sostenere la sua tesi contro Antigone, contro Emone, contro Tiresia, si perde in varie direzioni senza logica e senza coe-
renza, e soltanto sembra dominare in tutti i suoi ragionementi la consideraziene della sua autorita e del suo potere. Egli dice, in sestanza: sic vole, sic ic/cbee. I
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Emone 10 smaschera chiararnente: egli non puo seste-
11°1'° 1 di1‘i1'l'i della noklg, perché he egli stesso centre -la :n:c57tc,g, Davvero appare strano come l’H_ege1 sia arrivate a considerare_Creonte cc una forza morale >>. r o _ 1\~Tell’Avmgcme, non bisegnera, dunque, vedere un contlitte ideale tra due principi opposti, che i critici pin diverS1.h-8.11110 dlversampente individuate 0 nei diritti della famiglia opp0st1.a1_ dinttndelle State -(Hegel, Beeckh, Schadewaldt), e nella rehgione appesta allo State (Weinstock), 0 -I191 yavog oppesto allo State, (Robert), e nella prevale’L|J’U)(LOL d1,Ant1gone,1.epposta alla g.w(p@0qq3\-,4 di (jreonte e Iismene (Schmid) ().. Ed anche p11‘1_ errato e vedere nell41ntcgone_laIfennaz1one d1 una‘ tes1,_de]la. superiorita del veveg, magari 111 contraste con la tesi opposta della supe-riorita dello State, che Eschile avrebbe sostenuta nei Sette contro Tebe ("‘). Oppure cercar di vedere nel contraste tra Antigone e Creente il conilitto tra tradizione e sefistica, tra rehgiosita ELIIIICH. e scetticismo delle _nueve generazieni (W. Schmld) Queste sene‘esceg1taz1on1-pin o meno ingegnose, che non giovane a intendere Sofocle; anzi, :fatalmenLe nuecc1onc_>. E non d1 rado e avvenute che i sesteniteri di qucste tesi mtellcttualistiche abbiano finite essi stessi invelelitarcamento per criticarle e dimestrarne l’infendatezza' Ennc quanclo 11 Berglc: (‘) 1'iconosceva che lo State aveva in reonle, cosi mesclnne e tiranmco, un cattive I‘a.ppI‘eS8I1tanto: pur fermo nel1’interpre"tazione hegeliana e beeckhianib 9811 T1011 sapeva_ persuadersi come mai Creente, il rapp1e_sentante d un prmcipio cesi legittime e sacro, £955,-5 COs1_ mleriere ‘ad Antigone, che rappresentava 1’altre P1'i_11(;i_ P10. E 11 cr1t1ce notava acutamente e rimpreverava a Setople ch: Creente manca d1 vera grandezza egnobilta di senlmell . che non s1 appella mai alle leggi, ma pfegenta ’(I) COHJFTO 10 Schmid (W7? 6515-), Sone giuste 1e Osservazioni del1_A—né8T'B (5°29h°@.l@, 398 sgg.). Un errore dello Schrnid e, in 08111 C6150, quelle d1 eeniondere la ocoqiooewfnrq con la 0'0 {Dc (cc; lasciamo stare che Creente non e, per il poeta no q(,5q,QZ4, 11,5
eeq>6gl).
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(2) >. Seno parole di Carlo Robert, Oidijms, I, 332, (3) Ugualmente erra il Pohlenz (Griech. Tmg. I, 202), quan, do vede ne1.lAvztzgene cc la tragedia dell’idea.1e periclee dello State n. (4) Grzeah. Lat.-gescla, III, 399 sgg. -
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csempre il sue editto come un atto del sue arbitrio (t), che, non ha la cenvinzione della giustizia dei suoi attl, ma, a mane a mane che precede l’aziene, scende sempre pin a livello d’un tiranne comune, diventa sempre piu piccelece debole. Come si vede, queste sono tutte osservazioni giuste; ma ilc rimprevere non tecca per nulla il poeta, che non ebbe mai le intenzieni che il critice gli attribuisce. il Bergk, credende di criticare il poeta, linisce per criticare e centutare, sen2’accorgersene, la propria tesi.
Centre tutte 1e intorpretazieni intellettualistiche di quelli che in -ogni opera d’arte sono sempre pronti a scoprire cc un’idea >>, cc un concetto >>, cc una "lilesofia >>, e ad ammi-rare la loro sceperta e ad esaltare un poeta per quella, mostrandosi in sestanza i pin incapaci a sentire la peesia, giovera ricordare la protesta d’un poeta. Il Goethe, nel colloquio con l’Ecl>.. E si puo esser sicuri che, se Antigone non fosse creatura. \
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artistica, individualita poetica tra le pin grandl che abbia. mai create il genie di Sefecle, l’entusiasme morale destato da questi versi sarebbe molto minere. Se 5 vere che 11 pa-~ thes morale ha ingrandito Antigone nei C1l0I'l‘Cl6gl1 nomini, e vero anche che proprio la grandezza poetica dell eroina ha contribuito a creare quel pathos. E. S6 1'1101’f1SS1Ifi1, negati a1l’arte, senteno i1 bisegno di_a1nm1rare come arte-
la morale, e credono d’intendere Anugone esaltandos1.unicamente per la sua fierissima rivendicazienc delle leggi d1vine, molti altii segueno opposite caxnmino, e proprio attraverse l’ardore ereice di Antigone, attraverse la ‘P068121. che emana da lei, sentone il fascino dell’idea da ‘l ’:-31 affermata con la morte. Questa seconda via e la sola enticemente giusta. 11 giudizio artistice e una cosa diversa dall entusiasnie morale che Antigone ha sempre ispirate e non petra nen_ ispirare. I _ A Cosi, bisognera riconescere che la questlone morale ha tolto al dramma la sua unite. perfetta. Tutta la tragedia culmina in Antigone: a lei soltanto pensa il lettore, perche a lei soltanto ha .pensate il poeta. Ma, dopo che Antigone e trascinata via dalle guardie per andare incontro. alla prigienia e alla morte, dopo che Antigone ha riafferrnato con le sue ultimissime parole che essa seffre ing1nstiz1a cc per aver praticata la santita >> (v. 943), la tragedia continua ancora per altri quattrocento versi. Un messaggere _c informera, poi, in due versi (vv. I22I—I222), che Antigone s’e impiccata facendo un laccio della sua cintura. Ma certo, in questa lunga fine del dramma, l’ereina non pue aver pin parte: la tragedia di Antigone diventa qui la tragedia della revina di Creente. E questo_ e dovuto alla questions morale: una velta pesto il contraste tra il principio affermato da Antigone e la velenta ‘estile di Creente, la questione morale esigeva la sua seluzione definitiva: esigeva, ciee, che gli dei, con la revina di Creente, dessere torto a. Creente e ragione ad Antigone. A questa esigenza morale devone la lore esistenza le scene finali della tragedia. Le quali si compongene, dunque, in unita legica col resto del dramma: a1l’Amf'£go12.e si puo riconescere unita legica perfetta. Ma non e certo perfetta l’unita estetica della tragedia: pno attestarlo qnalunque lettere che non sia prive di senso di peesia: egli non petra fare a meno di sentire che," scornparsa Antigone, la tragedia e finita. E lo attestano, a pensarci bene, gli stessi errori di alcuni critici.
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Quando i1 Bethe (1) vede nell’Av>ztigene, pin che la tragedia di Antigone, la tragedia di Creente, e perfine ammira, "tra la prima e la seconda parte del drammia, uno sviluppo di carattere ir1 colui ch’eg]i crede i1 vero protagonista, il critico c-omrnette, e vero, un errore che gl’impedisce d’intendere la tragedia. Ma la celpa non at tutta del critico: se l’unita estetica del dramma fosse perletta, un critico ceme il Bethe non -avrebbe potuto errare; anzi, nessun fraintendimente sarebbe stato possibile. 1 . I ' S’intende che‘ affermare la non perfetta unita, non vuol dire affermare che nella fine del dramma manchi la peesia (2). Ma e un’altra peesia, diversa .da quella di prima-5.. e la non raggiunta unita si sente appunto in questo , passaggie da un tone a un altro tonodi peesia. E io non neghero certo che siano da ammirare qualche scena e parocchi tratti: l’abilita e il vigore con cui e I rappresentate il contraste Ira Tiresia e Creente; lo splendido raeconto che fa il messaggero della morte di Emone; lo strazio di Creente che inveca la morte liberatrice, col cadavers del iiglio tra
le braccia.
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Tircsia cemincia a parlare pacata-mente e solennemente, Racconta subito gli spavcntosi prodigi (vv. 999 sgg.): cc Scdondo sul mio vcccliie seggio d’augure, che e per me il ricettacc>lc> cli tutti i presagi, scntii un clamere confuse di uccelli, che gridavano con ardore tunesto, inintelligibili, e m’accorsi che si dilaniavano tra lore con 1e zampe e si uccidcvane: io sentivo distintamente il rumore delle lore ali. Subite, impaurite, cercai di sacrificare sull’altare ardente; ma dallo offerte non si levo la fiarnma di Efeste..~.. >>. I1 racconto e ammirevele: il poeta non si dimentica che e il racconto d'un cieco, anzi sa trarre vantaggio da questa circostanza, per renderle pin paureso. Tiresia racconta tutto come se avesse veduto con i prepri occhi; poi aggiunge una spiegaziene rapida. che rende il quadro pin terribile
ie grandiose: cc io sentivo distintamente il rumere delle lore ali>>. E poco dopo (vv. IOI6.-IO2I)_> 11 1'ElCc0nt0 diventa sempre pin paureso: cc I nostri altari efocolanp sono‘ tutti 4 riempiti di brani di carne strappati dagli uccellr e~ dai cam ~all’infelice figlie di Edipe cadute. G11 dei non ricevono piu
-da noi. ne le ‘preghiere dei sacrifici ne_1a fiarrilut} F1611‘? vittime; c 115
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(r)'G1cieoh. Dichtzmg, 202; cesi pure Meyer-Benfey Sophocles’ Antigone, 8r sgg., che prima del Bethe tento di questa tesi una lunga dirnestrazione. ' (2) Meno ancora si vuol negare il valere teatrale di quelle scene: un giudiee autorevele, il Remagnoli (Sefocle, II, 24r), ne ha sperimentato il successo nelle rappresentazioni di"Siracusa. E notevele che lapstessa cosa i testimeni pin diversi, da Libanie al Jebb, assicurino delle ultimo scene de11’Ac'ace. 1 1
uccello mai manda gridi 1ntell1g1b111: essi
si sono pasciuti di grasse, di sanguo uniane >>. Nonostante tutto, il vecchio indovino e benevelaverse Creente (v. r023), e 10 scengcura a cedere‘ agli dei. Ma Creente lo tratta come un nemice avido d1 guadagne; e prorompe in invettive lolli, e si lagna d1 essere abbandonato * e venduto dai suoi, 0 non_es1ta a bestemmiare Zeus (vv. 1:037 sgg,); cc Arricchitevi, acquistate tutto‘ lelettro di Sardi, se velete, e l’ero dell’Ind1a; 1I1EL.COS1Z1J.1 non ‘lo metterete nella tomba. Se anche le aquile d1 -‘Zeus vorrelil-0 no strappare e portare fine al trone di Zeus 1_ pezzi del sue cadavers, neppure allora, senza timore d1 questa contaminazione, io lo lascere seppellire >1 (1). l ~ _ Di fronte a tanta ostinaziene, 1’indevino, \accusato di cupidigia e di menzogna, si adira, e non pue trattenersi dal rivelare quelle che aveva pensato d1 nascondere. Allera diventa spietate, e predice a Creente la sua» rovina (vv. 1:064 sgg.): "cc Ma sappi bene che non vedrai ancora molti giri di sole, senza pagare con la morte d’uno nate dal tuo sangue, un’altra merte.... >>. E rlmprevera aspiramente al re le sue due colpe, che saranno perseguitate -dalle Erinni vendicatrici; e aggiunge con feroce sarcasrno (v. I077): cc E questo cose, guarda se le dice perche sono state cerrotto dal clanaro >>. Poi si lancia contro Creente per un ultimo attacco: (vv. r080 sgg.): cc Centre di te s1 sollevano nemiche tutte le citta di iquanti hanno seppelliti le strazio dei caclaveri, o i cani, o le fiere, o qualche alato uccello, portando l'edere impure nella citta che connene i focolari dei morti >>. Qui il vecchie cieco pare davvero un arciere che saetti implacabilmente il nemico; e a un
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(I) L’aggiunta cc Poiehe so bene che nessun uome ha il potere di contaminare gli dei >1 non annulla la bestemmia precedents. Pin che il segue d’una religiesita superiere di Creente,» che qualche critice vorrebbe vedervi, questa frase per Creente e soltanto un argomento 0ppor_tuno,_ un sofisma. . 3 1
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arciere, infatti, si paragona eg]i stesse (vv. I084 sgg.) -prima di andarsene, laneiande un ultimo sarcasme centre Creente che si era lamentate (vv. I033-r_e34) che tutti,_ uCO1'1'1G arcieri >1, 10, prendevano di mira._ In questa seenai critici segliene vedere quasi se1tantei1 medelle e 1’abbezze de]l’a1tre assai pin celebre contraste fra Tiresia ed Edipe ne1l’EcZi;;b0 we. Ed e un grave errore; se, scrivender 1’EcZigbo, indubbiamente Sefecle si ricerde della scena de]l’A1z2iig0v/ae, questa en pur degna di essere apprezzata e ammirata in se e per se. Io non neghere che la scena dell-’EdeIpa0 sia un capelavere. Ma e ginstizia esservare che, se essa e pin svelta psicelegicarnente, se pin abil-1-1 mente neseno caleelati gli effetti, se e cestruita con pin raifinatezza, 1a scena de11’Amiig0ne non 1e a per nella inierie-g re: essa e, in cambie, pin rapida, pin appassienata, pin _
conosce la vece del figlie; allera, pianoge e si dispera. Tutti cerrene in gran fretta: trevane Antigone mortairn fende dalla caverna. Emene cc stretto a lei 1a sesteneva a mezze il corpo, e, piangeva la morte della sua spesa e 1a eru-a delta di sue padre e 1e sue nozze infelici. Creente, come lo vede, geinende deleresamente, entra, si slaneia verse di lui, e gridande 1-0 cliiarna; -- O11, infelice, che hai fattel Qual pensiero £11 i1 tuo? Per quale sventura hai perduta 1a
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ragione? 11-Esci, figlio mie, ti supplico, to ne scongiuro. -_ I1‘. i1 figlio lo guarde con occhi selvaggi, gli spate in faccia, e, senza dire una parola, trasse tueri la spada dal doppio taglio; i1 padre fnggi ed egli lo rnance. Allera 1’infe1ice, velta 1’ira centre se stesso (‘]+, subito, gettandesi con tutto i1 sue peso sulla spada, se 1a caccie a meta nel fiance e, ancora vive, abbraeeie con en debele abbraecie 1a vergine, e, spirande, esale un fiette irnpetuiese di sangue e spruzze 1e resse gecce sul bianee vise lei >>., p Vane ebiezieni di critiei antiehi e rnederni hanne fat» te sfuggire 1a grande bellezza del raecento: da Aristete~ 1e (2), che, fraintendende i1 poeta, sembra biasimarle per aver fatte recedere imprevvisamente Emene dal tentative di uecidere i1 padre, a quei critici rnoderni, come i1 Patin (“) e altri, che hanno tentate viceversa di escludere che Emone veglia uccidere i1 padre, - e alrnene di escludere, con un’in~
vielenta. Del resto, rispecehia una situaziene molto diver-.
sa: Tiresia ne11’EcZij20 e mandate a ehianiare dal re per salvare con i suoi censigli 1a citta; ne11’A1ztig0ne, si presenta da sé ad ammonire i1 re, perche altrlrnenti la‘ eitta andra. in rovina. Nelle scena de11’EcZz'j20, pur cesi potente, non manca qualche piccolo tratto di realisme ineppertune e anacrenistico: Tirosia (lira (v. 4.11) di non essere un rnetece, e di non avcrc, percie, bisegne di Creente per wceeorci-mg. L’aeccnne al diritto attico é qui una stenatura; e stonature di questo genere mancane asselutamente nella scena del» 1’Amiigone, che e meno psicolegica, ma ferse artistica1nente pin salda e cempatta. Quande Creente, minacciate da Tiresia, supplicato dal Core, ha ceduto, e si allentana per liberare Antigone e seppellire Pelinice, per un memente- la tensiene dramrnatica e allentata: i1 terrere per 1e predizieni di Tiresia vanisce nelle velute graziese de11’iporchema, e i1 Core invoca Dionise, >, >, perche 'venga a purificare e a salvare Tebe, 1a sua eitta. I1 Core spera che Creente arrivi a tenripe per salvar tutto. Ma la speranza dura sole an istante: sepragglunge subito i1 1n'essaggero,, che racconta a11’ansiesa e spaventata Euridiee 1a morte di Antigone e di Emene. I1 raecento del messaggere a stupendo di evidenza, di rapidita, di vigere. Come Creente e i suoi s’avvicinane alla caverna di Antigone, qualcune sente un gride lentane, poi gemiti acuti; cerre ad, avvertire Creente. Creente, a mane a mane che s’avvicina, sente gerniti ancora centusi, poi ri-
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terpretaziene addernesticata del v. Igj-32, che risale alle
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Sceliasta, 1a 5 che Ernone sputi in faeeia al padre. 1 » i Le ebiezieni senor da respingere e i tentativi sono vani. Ma seprattutte irnperta intendere e apprezzare nel sue insieme 1a scena, tragicissima e cennneventissima. Emene non pue rispondere alle affettuese parole del padre, non pue che guardarlo con occhi selvaggiz perche 8-: merta An~ tigene. Questo spiega i1 suo cambiamente ‘irnprovviso; questo spiega 1’insu1te centre i1» padre e i1 tentative di ucci-a derle. Ma 1a turia del giovane, cie che non cemprese Ari.1_a.;-.__-1
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(I) I1 teste greee non pue avere altro sense. Settile, ma inaccettabile, e la spiegazione prepesta da Kurt v. Fritz (Haimcms Liebe zu Antigone in Philol. I234, 26), in un artieelo che pure non manca di buone esservazieni. F (2) Poetica, I4, ‘r454 a. (3) Sophocle, 274.
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-94-—" stotele, e assai pin desiderio di .1-norire che d’uccidere. E, pur nella sua ztollia, non a veramente bestiale, ne solvaggio: egli muore abbracciande i1 corpo di Antigone, spruzza del sue sangue il bianco vise di lei. Quande e pin tremendo, e tremendo per tenerezza: amore l’ispira anche nella sua fellia. E la sua morte, associata a quella di Antigone, ta pensare alla morte di .Romeo e di Giulietta. La scena sofoclea, sentimentale e romantica nelle stesse sense della scena di Shakespeare, e 1 davvere unica nella tragedia greca. Tutto a ardito, forte, concitato nel raccento del nunzio: e ie non so perche alcuni ammirine tanto i1 false racconto della morte di Oreste, ne1l’EZeZtrQ, che, nella sua innegabile cornpiutezza ep perfezione, non pue non apparire un po’ artificioso, e non apprezzino molto di ‘pin questo racconto dell’Amiigo1/ze. i 1 ’ A , i _ A 1 La scena di Creente che piange 1a sua celpa e la sua rovina e assai piii eomune: la tragedia greca 'finiva, did solito, con tali 1-amentazioni: basta ricordare i due Edigbi. Pure, se il Core e spietato, non é possibile non sentire un po’ della nostra pieta per Creente. I1 poeta lo aha sempre rappresentato come un personaggio odioso. Ma, quando Creente piange (vv. 1328 sgg.): u Che venga, che venga, che appaia la pin bella delle morti che avro cagionata, 1’u1tima, quella che condurra il mio giorno supremo! Che venga, che venga, perche io non veda piu un altro giorno! n, nei sent.iamo che i1 lamento non a convenzionale: la frase di Creente, che vede la sua morte come la necessaria consegnenza delle tre morti da lui cagionate, come l’u1time ane'1le d’una catena, e sintetica e potente. 1 , ' 4
Arnmirare queste e altre simili bellezze ne1l’u1ti1na par-
te del dramma, e lecito e doveroso; ed e anzi da lamentare che non lo facciano proprio i critici pin zelanti sesteniteri de11’. Ma la vera elpiu grande peesia de]1’Amfiig0ne e altrove. Sela mancanza d’una perfetta unita e generalmente poco sentita, questo fatto e dovuto al1’ardore col quale ifureno concepite e sentite anche 1e scene della seconda parte. In realta, un’ispirazione impetuesa, sdegnosa di effetti particolari, S6I11bl'EL accendere 1’Antigone dal prime al1’ultimo verso. .. Tutta la tragediae dominata da una silnmetria di contraste. Le scene pin belle e pin significative sono violente, ardentissime; e quelle piu pacate e pin lente non sono fatte che per prepararne altre ardenti come 1e prime.
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A1 prolego ansiese e triste, che scopre un ‘contrastepetente tra 1’un"ianita ereica d1 Ant1gone e lumanita cornune e femminea _d’Ismene, segue la parola gioiosa dei vecchi Tebani che salutano i1 sole nascente, e, col sole, 1&1 11-. berazione della loro citta, la vittoria contro 11 nemico: la loro gioia si colora d’immagini eschileo; nel loro canto e l’eco de1l’esaltazione guer1'ie1“a dei Settle. ~ .
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Maecco un nuovo cont1'asto:_ alla parodo s’oppone 11
lungo discorso di Creente, che c1 fa r1torna1:e alla situazione del prologo. E la sitimziene del prologo vista da un altra parte: i1 lungo, sontenziese discorso del re, con la sua ireddezza, con 1a sua compostezz-1, ci ta sentrre che Antigone avra di tronte un estinatissimo avversarie. La scena, ufficiale e solenne, nella quale Creente parla da11’alto della sua regalita, ha certamente un effetto ritardante; ma essae costruita soprattutto per le scene seguent1;.Qreente deve apparire sicure di se, perche, abbia tutto il r1l1evo poss1b11e la sua scenfitta. Egli ha appena finitob di parlare, che la guardie. "viene ad annunziargli che"1’ed1tto _e stato violate. Questa un’altra scena iortemente drammatica: Creente vacilla nella sua sicurezza, si adira, minaccia. I1 tentativeche fa il poeta di caratterizzare la guardia, per quanto interessante, ritarda, perb, leggermente 1’azione: gli scherzi della guardia vanno un poi’ per le lunghe. Lo stasime conclude, esprimende tutto lo smarrimento del Core per quanto e avvenuto: 1’ardire dello sconosciuto appare incredibile, cosi incredibile, che il Core pensa ai pin grandi ardi"menti di quella creatura inquietante che e, 1’ uemo: del1’uomo che vince le iiere selvagge e i mostri del mare ed e signere della parola e del pensiero, ma che e capace, pin
che del bene, del male. Ma ecco un nuovo contraste: ritorna la guardia con 1a colpevele. Qucsta velta, Creente sembra trionfare. Ma soltanto per un istanto: i1 tempo che la guardia impiega a fare il suo racconto. Questa velta, anche la guardia, a1trettanto lieta quanto prima era addolorata, ha pin fretta e-non si perde in inclugi. Quando troviamo Creente a faccia a faccia con Antigone, subito i1 tiranno e moralmente battute: dinanzi alla fermezza de]1’eroina, egli non pue che dimostrare la sua incemprensione e la sua crudelta. E, ad Antigone, cl1e diventa a sua velta sempre pin dura e sprezzante, egli non pue opporre che la sua volonta brutalei
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~ch’essa muoia, dunque, e vada a raggiungere qiielli che ama ne11’Ade. Ancora un contraste nella scena seguente. Ismene, la timida Ismene del prologo, arrestata per ordine di Creente, -si confessa colpevele, pur non avende aiutato in nulla la sorella: essa e pentita del sue rifiuto e vuol morire con la -sorella, perche 1’a.ina e perche vorrebbe onorare anch’essa il fratello morte. Antigone la respinge cone fierissime parole. La scena, come il prologo, ha lo scope d’ingrandire, 0
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cedente, prevede il siiicidio di Emone e. 1a catastreie del dra-nima. H * . Ma ecco apparire Antigone sola, menti: e condotta ale la prigionia e alla morte. Essa si sente sola, come ]__3I‘1II1' (v. 31), essa lo
do 1a'petenza invincibile di Eros, svolge liricamente un
motive che non poteva trovar altro svolgimente nella tra— gedia‘ (2), ‘e, affermande che conduce alla rovina, attraverse 1 ingiustizia, anche i giusti, piii che concludere la scena pre-
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(I) Come gia notava acutaniente Aristotele (Rhet. III, 17). (2) Come ben osserva il Pohlenz (Griech. Tmg., :13, _I9i:). _Su
questo stasimo, vedi anche v. Fritz, Phil. I934, 27.
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chiama con ironia amara. Quando ha espesto in pochi versi i1 divieto iniquo di Creente,‘ essa non crede neppure necessario ricordare alla sorella ildovere di seppellire Pelinice. Queste dovere e per lei naturale, percio indiscutibile. Essa dice soltanto (vv. 37-38): cc Tu mestrerai subito se sei nobile, eppure prele ignobile di nobile stirpe >>._ Essa . Quande, poi,‘Ismene (vv. 49 sgg.) le ricorcla 1’obbrobrio e la sventura di Edipe, il suicidio di Giocasta, la morte dei tratelli, e femminilmente la vuol p(3I‘S1‘1{l(.l(:I‘(.‘ clic: lo donne non possoiie lottare con gli uemini, 0 dice cl1'cssa prcghcrc). i1 fratello morte di perdonarle,. Antigone non dice una parola sola per convincere la sorella. Anzi, lo dice subito (vv. 69-72): cc Ma io non voglio" incitarti; e dopo, so tu volessi aiutarmi, non mi faresti piacere. Sii quale tu vuoi; ma mio iratelle, ie lo seppelliro. E belle per me merire facendo" questo >>. E si esalta all’idea. della morte (vv. 73-75): cc Io giacero con lui, cara a unessere care, avendo compiute un’empieta pia: piu lungo e il tempo che bisogna piacere ai morti che ai vivi >>. E conclude con disprezzo (vv. 76-77): cc Laggiu in eterne io giacero- Ma tu, se credi, disprezza pure 1e cose pregiate dagli dei >>. Qrmai essa non vedra piu in Ismene un esseredel suo sangue: 1’ha ripudiata una velta per sempre. Per questo, vedra sé stessa sempre in opposizione a Ismene; Quando questa dice di non‘ aver la ferza di opporsi ai decreti della citta, essa risponde (vv. 80-81): cc Tu adduci pu-
re questi pretesti. Io andro a inalzare una tomba al mio» ¢:m'isSimo fratello >>. Quando Ismene teme .per la .vita della H01‘(:1lfl, Antigone ribatte (v. 83): cc Ma non temere per me;
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tu Vivi prospera la tua vital >>. E, quando Ismene racco-
manda cautele Se promette essa stessa it segreto, _‘Antig.one proronipe (vv. 86-87): cc Ma parla pure. Melto piu odiosa tu mi sarai tacendo, se non raccenterai questo a tutti >>. L’eroina ha una sicurezza aiiimirevele, non contaminata da illusioni neda vana iattanza. A Ismene che 1’accusa di desiderare l’impossibi1e. 1'i5P°11-de fl50111’E’E&I11@if1‘E8,
con seniplicita davvero eroica, (v. Q11): ccA11ora. qiiando
non avre pin forza, desistero >>. E "finalmente minaccia al-
la sorella (vv. 93-94) 1’odio sue e quelle del morte, e s’a1-
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lontana da lei con parole pieno cli iroddo disprezzo (vv. 9596): cc Ma lascia che io e la mia iollia corrianio questo pericolol >>. _ O Questa breve e amplissima scena contiene in germe tutto i1 dramma. Dope questa scena,...tu1iQ....f11161lQ__..Ch.6..S@gue acquista carattere, dip necessita ineluttabile: il grande contraste tra Antigone e Creo'1ite,*"‘i1*)'secondo contraste tra Antigone e Ismene, tutto derive. necessariamente, quasi tatalmente, da questa prima scena. I1 poeta hapginflpvoclii Yersi sapute disegnare un carattere: dato gvquestowcagragttere. ancglieh i1 dramma e dato, perche ad esso soltanto deve la sua ragion c1’essere. . _ . Col contraste tra Antigone re Creente, siamo proprio nel cuore della tragedia. A parte i versi celeberrimi sulle leggi divine, bisogna soprattutto osservare ilmodo di comportarsi d:’Antigone in tutta questa scena. Alla domanda d1 Creente se e colpevele, risponde seccamente (v. 443): cc Si, coniesso di averlo fatto; non lo nego >>. E quando Creente 1e doinanda se conosceva il suo editto, ribatte subito con iinpazienza (v. 448): cc Lo conoscevo. Come non 1’avrei conosciuto? Esso era pubblicol >>. I1 suo discorso per esa1tare lo leggi divine e asprissimo: ogni sua parola e iat-
ta per colpire Creente, per ferirlo profendamente nel suo Y
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senso Cl'£L1.1‘lOI‘i'lfit, nella sua vanilla, nella sua avidita di cemando. Cosi essa dice a Creente (vv. 453-455): >. E rincalza subito (vv. 458-459): cc Di questi decreti io non dovevo pagare i1 fie agli dei per tiinore della velenta di ,qua1siasi uomo >>. _La morte non la spaventa affatto (vv. 460-461): cc Io sapevo di dover morire, come no?, anche se tu non avessi iatto l’editto >>. Nessun disprezzo per 1’autorita di Creente potrebbe essere mag-
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. Alle parole di Creonte essa non ha datoproprio nessuna importanza. E alla risposta feroce di Creonte che la morte gli basta, inoalza (vv. 498-501): >.>1-Essa 0, come sempre, assoluta: da una parte c’e i1"l:>e11e, da1l’altra il male. E non c’e posto per aocon10da—nienti, per transazioni, per disoussioni: 0011 Creonte essa non vuole aver nulla di comune. Quando, poi, Creonte 1e fa balenare 1’idea che onorare Polinice V1101 dire offendere Eteocle, nettamente la respinge: Eteocle non fara questa testimonianza nel regno dei morti (V. 51:5); e, d’altra patte, Polinice e11 fratello, non e lo sohiavo di Eteoole (V. 517),
._.
e Ade vuole leggi uguali per tutti" (v. 519). E alla risposta di Greonte che il nemico, anohe niorto, non -sara n1a1 pin amico, ribatte semplicemente (v. 523): >. Le parole bellissime provocano il ferooe sarcasmo cli Creonte (vv. 524525): *>. _
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La scena tra Antigone e Ismene a11a presenza ‘d1
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Creonte fa spiccare ancora n1aggior1nente'1’uma11ita erolca di Antigone e le imprime un carattere 1nde1eb11e : queste sono le parole meno aspre che Antigone dice alla sorella. Poi ritorna in lei 1’id_ea ¢11’es'se lson'o”diVise idaiun incolma-. bile abisso: da una parte Ismene, dall’altra Antigone, in nn’opposizione invincibile. >. >. >. Infine, concludono la scena it maravigliosi Versi 559-560, che ribadiscono l’0pposizione irriducibile:
role del tiranno che suo iiglio potra sposare altre donne, cl1’eg1i non vuole clonne cattive per i suoi figli, risponde con una battuta cli tenerezza ineffabile (V. 572): > e una forte re-strizione); ancora molto dopo, al rirnprovero di Creonte ch’eg]i s’é fatto 1’a11eato d’una. donna, risponde (v. 741:): cc Si, se tu sei una donna: di te io mi preoecupo! >>. Ma .1a dissirnulazione innocente sparisce, quando Creonte aper-
to questo tuo discorso e in favore di coleil >>, accoratamente risponde (v. 749): cc Si, e anche di te, e di ntie, e degli dei infernali n. A I. ' E subito dopo, poiche Creonte gli dice che Antigone deve morire, svela con una parola sola tutto 1’amore che ha nel cuore (v. 751): >. La poesia di Emone é
tutta in queste sue due ultime battute: esse danno un malinconieo fascino a questo personaggio debole, che sembra aver qualche cosa di trasognato. Egli potrebbe pensare a salvare Antigone, e invece pensa ad uccidersi. Piit che agire, egli sembra contemplare le cose di lontano, con occhi 1na1inconici. Anche 1a sua ribellione estrema e la ribellione d’un essere debole: i1 suo mutamento somiglia rnolto a quello di un altro essere debo1e,~ d’Isrn'ene. E non si ha nessuna ragione di lamentare ch’eg1i non sia piil forte, piit franco e ardito col padre: egli non deve, non puo assomigliare rad Antigone. I1 poeta ha voluto isolare Antigone da tutti, anche da Emone: di fronte ad Antigone, Emone si trova in una posizione non molto diversa ‘da Ismene,. Ma, come Ismene, Emone non era indifferente a1 poeta, che seppe dargli una sua poesia (1). A o I1‘ personaggio meno riuscito de11’Armfig01ze é, nonostante certe apparenze, Creonte. Se Antigone e stata train-; tesa, interminate e interminabili sono state’ 1e diseussioni su Creonte: rappresentato dai critici a volta a volta come un eroe della virtii politica e della ragione, oorne un dottrinario fanatico, come un tiranno ipocrita e inalvagio, perfino come la personificazione de11’i11uminismo sofistico (2). In realta, Creonte e un personaggio che sembra ricchissimo
di note e di caratteristiche; ma, non appena si cerca di far -,1
Adi esse un quadro, una sintesi, esse spariscono improvvisamente ad una ad una, e non si riesce mai ad avere un’immagine complessiva chiara. La colpa, dunque, non e tutta dei critici, anzi, non e prevalentemente dei critici. A-A-.pii1.
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(I) Lettem a Monsieur Chan-vet. r 1
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(1)Diversa1:nente Emone e giudicato nei miei Tmgici, I32 sgg. _ V (2) Quest'u1tima, piii strana -interpretazione e dello Schrnid (Philologus, I903, (8 sgg.)'. _ ' p
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~ Per esempio: Creonte. intutti i suoi discorsi, Ina specialmente nel cosi detto discorsodel -trono, pronunzia Inelte belle sentenze sull-’obbedienza' dei cittadini allo Stato, sui pericoli _del1’anarchia, sui doveri di. un. re saggio. Esse non solo dovevano parere irreprensibili agli Ateniesi del V secolo, ma incontrare-la loro pin viva approvazione. Di modo che, .a voler credere che Creonte con quelle sentenze esprimesse davvero il suo pensiero, bisognerebbe vedere in lui un fedele se1".vitore.dello Stato. Ma poi il suo contrasto con Emone rivela chiararnente che egli non si preoc-
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potere di contaminare gli dei >2
ditore e quasi sempre della parte di chi ha parlato per ultimo >>. E Goethe concludeva che, da giovane, Soiocle doveva avere studiato rettorica. Ora, lascianclo cla parte la conclusione di Goethe, che e molto discutibile, e amn1ettendo pure una certa esagerazione nell’espressione goethiana, bisogna riconoscere in quello cl1’eg1i dice una verita irnportantissima. E Goethe parlava proprio a proposito cli Creonte. Noi abbiamo veduto che Creonte, a differenza di quello che credeva Goethe, non difende la sua causa nel mode migliore; abbiamo anche veduto perche il poeta vuole che cosi avvenga. Ma certo le innumerevoli e irreprensibili massimeche pronunzia Creonte non devono servire ca caratterizzarlo. Egli -non é, “dunque, un ipocrita; piuttosto si po-trebbe vedere nella sua sentenziosita una certa vanita, i1 desiderio di far pompa della sua fragile saggezza (1).
ziose, alle quali Antigone sarebbe attaccata. Questi sono errori dei critici. E appena urtile osservare che i1 v. I043 ll
non puo avere un sense religioso proiondo: proprio a v-. I040 Creonte ha bestemmiato Zeus. E cosi gli scherni e il disprezzo per Ade e le sue leggi (vv. 524, 575, 581:, 654), la convinzione che e inutile venerare i inorti (v. 780), provano evidentemente l’empieta, non la pieta di Creonte. Ma resta pur sempre il fatto che il v. I943 _s inspiegabilei: reiii
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Creonte. Osservare, come fa Schadewaldt, che la sentenza, per un Greco, era espressione naturale, forrna essenziale del pensiero, é giusto; osservare, come fa T. v. Wilamowitz, che una certa. disposizione per le espressioni generali, per le sentenze, e eomune a tutti i personaggi di Sofocle, e pure giusto. Ma/Creonte esagera: si direbbe eltfegli non parli che per sentenze; Non e vero, come 'I'. v. Wilamowitz afferma" e come Sehadewaldt ripete, che le sentenze abbondino soltanto nel cc discorso della corona», dove sarebbero al loro posto. Basta leggere la dissertazione sui rnali che cagiona il danaro a v. 295 sgg., 1’altra dissertazione sui caratteri troppo rigidi a v. 473 sgg., il contrasto con Ernone, ehe _e tutto un tessuto di massime (in continuazione i vv. 641-652; 661-6801). Perfino davanti a Tiresia, Creonte non perde la sua abitudine (vv. 1104.5-104.7, v. I055, vv. II73-1174). A T. v. W'i1an:1oWitz bisogna opporre che ‘tutti i personaggi del1'A¢m'g0ne riuniti insieme non di-
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cono tan-te massime quante ne dice Creonte, e che Antigone non
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dice mai una sentenza. E come si Ia n. negare la vanita di Creonte
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per la sua saggezza, so proprio questa gli rimprovera Emone,
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(r) Cosi giustamente E. Bruhn, Antigone, 21:; Ma i1 Br-uhn esagera il motivo della >, nella quale vorrebbe vedere 1'.erigine d’ogni agire di Creonte: esso -e, invece, un motivo secondario. Esagerano, pero, ugualmente Tycho v. Wilamewitz (Dram. TecIm., 447 e Schadevvaldt (Neue Wage zw Amfike, VIII, 65), quando vogliono togliere ogni importanza alla-" sentenziosita di
E si e insistito sul di-
sprezzo di Creonte per gli onori ai morti, interpretandolo come il superamento delle forme tradizionali, ancora supersti-
cupa affatto del bene dello Stato, rna soltanto del suo potere
personale. . ‘ ~ A Bisogna, dunque, concludere che e un ipocrita? Cosi parrebbe; ma, d’altra parte, 1’ipocrisia tdi Creonte non e rnai messa in chiara 1uce"dal poeta: Creonte appare-piuttosto un violento e L1I1.iI1'ipU.lSiVO che -un ipocrita. E allorap viene in mente una finissima osservazione del Goethe nel colloquio con lickermann gia citato: cr I personaggi di Sofocle hanno tutti avuto i1 clone del1’e1oquenza; tutti sanno cosi- bene esporre i motivi del loro modo d’agire, che .1’u-
Ancora. Creonte esprinie occasionalmente qualche pensiero che gli ha fatto attribuire niente ineno che una religiosita superiore, perfino piu pura di quella di Antigone. E si e insistito sul carattere > (1) di una massima come quella del v.. I043: cc Io so che nessun_-uomo ha il
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(vv. 707 sgg.), ricordandogli che non e egli il solo a essere intelli-
gente _e saggio? D'a1tra parte, E. Wolf, nel suo libro Sentenz u. Reflexion bei Sojzhokles, se ha ragione di sostenere che 1e sentenze caratterizzano Creonte, ha torto certamente quando vuol sostenere la stessa cosa per gli altri personaggi delle altre tragedie. _ (I) Schmid, art. cit, 9. _ ' (2) Nessun valore hanno i vv. 282-283 e i1 v. 288, in cui e strano che lo Sclimid -voglia trovare traece di religiosita superiors. i W ' A
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Sta pur sempre strano che Creonte,
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sembri accogliere un senso religloso pin puro del comune, sia pure per servirsene come d’un argoinento poleniico e sofistico. 8 A 1?. cosi certi atteggiamenti illogici, contradittori, avventati del tiranno restano‘ inspiegabili-. Si puo ben comprendere com’egli, quando la guardia gli annunzia i1 sep-
pellimento di Polinice, l’accusi, con i suoi compagni, d’essersi lasciata corrompere da cittadini nialcontenti e riottosi (v,. 293~sgg.). Ma gia meno si comprende com’egli sospetti Ismene, la mite Ismene, di complicita con Antigone, soltanto perche 1’ha veduta aggirarsi srnarrita e fuori di se per il suo palazzo (vv. 49:11-492). Questo soltanto gli basta per un’accusa forrnale: non si dovrebbe, dunque, vedere in Creonte la facilita al sospetto che e caratteristica del tiranno? Non si comprende affatto, poi, come mai egli chiami Ismene, accusandola con cosi fragile fondamento, una vipera che beveva il suo sangue (vv. 531:532). E soprattutto non si comprende come mai, dopo aver condannate tuttc 0 due le sorelle, nonostante 1’innocenza cviclontc d'Ism0ne (vv. 578-5719), dopo aver riaffermato' ancora. dopo il cnlloquio con Emone, che tutte e due le fanciullo devono Inorirc (v. 769), per una semplice, timida ossc1'vazio11c del Core (vv. 770): u Tutte e due, dunquc, tu pensi di farle morire? >>, egli si decida senz’a1tro a salvare la vita d’Ismene (v. 771): u Non quella che non ha fatto nulla: tu hai ragione >>. Cosi l’ostinatissi1no Creonte, Gilt! non vuol ascoltare consigli da nessuno, rneno che mai dal Core, e che una volta, per una seinplice supposizione di esso, lo ha rimproverato e schernito aspraniente, un’altra volta, una sola in tutta l"Antigcme, si decidea seguire il parere del Coro senza nemmeno discutere. Bisogna vedere, in questo suo contegno, un segno di debolezza sotto la forza apparente? -In ptutto il resto della tragedia Creonte sa bene quello che vuole, ed s fermo, risoluto,
ostinato. O bisogna vedere, in questa contraddizione, una trascuratezza ‘del poeta, a1 quale non importavano rnolto ne Creonte, lie la sorte finale d’Ismene? Comunque, i1 problerna e oimbarazzante. ‘ Ciosi’ a poco a poco 1e molteplici caratteristiche, che da pnnclp-10 parevano determinare la figura di Creonte, si v_edon0 svanire; e si ha un’i1npressione generale di confus1onc, mentre da principio le cose parevano chiare. In
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realta le note sono molte e discordanti, non incisive e decisive: per questo, non aiutano, ma disorientano. . _ _ ' Indubbiamente altre caratteristiche sono assai p1i1 chlare. Creonte e ostinato, geloso del suo potere, crudele. Soprattutto mi par necessario insistere sulla sua crudelta, spes-5; so trascurata dagl’interpreti. Antigone e compianta da tut-. ti: ne hanno pieta Ismene, Emone, il Coro, perfino la guardia. Creonte non ha rnaiiuna parola ne di pieta-, ne .d’u1nanita, ne d’indu1genza: egli non fa che irriclere al sacnficio d1.»
Antigone. Egli potrebbe condannare mille volte Antigone a morte; ma potrebbe, pur condannanclola, avere una pa-
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rola di riconoscimento per la purita delle sue intenzioni, o almeno una parola di semplice, urriana compassione. . Ma queste caratteristiclie da una parte sono incontra-_ sto con le altre, piu confuse e piit discutibili, accennate priiria; dall’altra, non bastano a fare di Creonte un personaggio poetico. In fondo, anche la ragione profonda della» sua ostinazione mal s’intende. Egli non agisce per odiof contro Polinice, come sosteneva i1 Goethe e come sosteme poi il Kaibel (1). Ma 1’ errore del grande poeta e del grande filologo e istruttivo: essi cercavano un rriotivo; per l’osti-: nazione di Creonte, pin soddisfacente di quello che risulta evidente dalla tragedia. I1 dispetto di vedersi disubbidito: é ttroppo piccola cosa, e crea intorno a Creonte un’aria di grettezza e di piccineria non poetica, ne tragica. Creonte non ha nulla di magnanimo: per questo, non e personaggio tragico ne poetico. E, in fondo, un malvagio; ma quasi senza saperlo; e non e mialviagio abbastanza, o almeno la sua malvagita non appare chiara. Non e un tiranno tipico come quelli di Euripide, inverosimilmente malvagi er cruclelit non somiglia ne a Lico ne a 1\/Ienelao. Ma e soprattutto privo di ogni grandezza: e meno alto e poetico» dei tiranni aliieriani, ai quali meglio si potrebbe avvicinare. Perche non e ti tutto regno an come i tiranni aliieriani, per quanto l’arnbizione del regno sia forse la sua caratteristica pin: irnportante. Del resto, ne Sofocle ne Euripide furono fmai grandi nel rappresentare la rnalvagita urnana; So-~ focle, tranne una volta sola, nemmeno se lo propose. A . Molti anni dopo l’Amfig01ze, egli seppe creare un carattere veramente malvagio, disegnato con lucidita e vigoreg;
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(I) De-Sophoclis Antigone, Gottinga, I897.
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ma, tratteggiando Clitemestra, egli seguiva le orme di Eschi-; lo, e alla Clitemestra eschilea rimaneva molto inferiore, per-che assai meno profonda ecomplessa, la sua. La verita e che Creonte, nell’A.miig0ne, b soprattutto l’antagonista. Egli -deve soprattutto opporsi ad Antigone, -contrastare violentemente con Antigone. _Per questo, non ha una sua fisionomia. Personaggio non sentito dal poeta, TII8. costruito intellettualisticamente, esso non pub appar"tenere nb alla psicologia ne alla poesia. E, dunque, un personaggio sbagliato: benche, quando si dice sbagliato, psi -debba sempre ricordare che e sbagliato da un poeta grandissimo qual era Sofocle, non da un poeta qualunque. Quando e piu violento, Creonte riesce ad essere vigoroso ed efficace, -come nella scena di Tiresia: allora parla con impeto e senza sentenze. 1 Ma sopratutto bisogna iguardarsi dal rimproverare seriamente al poeta. la mancanza di poesia ch’-e in Creonte. "Se Creonte fosse personaggio poetico, Antigone ne sarebbe impiccolita: la nostra attenzione sarebbe divisa tra due protagonisti. E Antigone soprattutto, Antigone quasi esclusivamente interessava al poeta: per lei e fatta tutta la tragedia. Desiclerare che ;tutto sia perlettc in un’opera d’arte. e 1’intollerabile pretcsa della pill ottusa mediocrita critica. Nessun poeta vero ha mai scritto un drainma curando che tutti i personaggi siano ugualmente interessanti e poe-
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Ed ella la rinnega una volta per scmpre, la respinge co-
me un°estranea: ‘Ismene non e pin sua sorella. Nelle sue ultimissiiiieiiparolej "dira di essere cc l'ultima superstite delle principesse reali >>. - (Per Creonte non ha odio, ma disprezzo sempre: non tiene nessun conto della sua autorita e delle sue parole; lo provoca, lo irrita dall’a1to del suo e1'ois1n.o,.__g>. Antigone sa anche odiare, se minaccia il suo odio alla sorella dolce e debole (v. 93), cli nient’altro colpevole che della sua debolezza, e se, prima di morire, lancia 1e imprecazioni contro Creonte (vv. 925-926), chicclenclo agli dbi di punirlo (°).
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tici. Un Creonte poetico avrebbe nociuto alla grandezza di Antigone. . I Antigone e un’anima gigantesca agitate‘. da una passione gigantesca. Essa e l’eroina (del dovere religiosoz ma il dovere religioso e sentito con irresistibile slancio: tutto quello cl1’essa fa e dice, esprime quello ch’essa sente. Ede trac-sportata da una forza sovrumana: come una freccia che voli diritta al segno. Appassionata d’una sola passions, non pub dire neppure una parola ‘d’amore per Emone. E cc la pin rsororale delleanime >>, secondo la definizione goethiana," ma a patto che alla definizione si tolga il senso di tenerezza, »di dolcezza che pub esservi dentro (1): Antigone ama Polinice non ‘in quanto Polinice, ma in quanto e suo fratello. Il figlio d1 sua madre deve avere la sua sepoltura: Antigone non vuol esser €II1pl8. verso gli dei. Nel suo amore per Po-
linice e quasi esclusivamente 1’amore per. la stirpe, il senso religioso del yévog, Elettra dira per 11 fratello parole piene di tenerezza materna. Antigone non ha parole pd1(te11§— rezza: due sole volte chiama 1 Polinice. cc O mia £3,139, sorellai-Isrn5ene'i$> e11 prinio verso che dice Ant_igon*e,.. 6il prinio della trageidia; ma con questa espressione ogni tenerezza- per la sorella sembra niorta. ‘ I
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(I) Lessing non era certo uno spirito volgare. Pure, non ammirb ne compress Antigone, che gli pareva troppo ferrea, troppo
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stoica, troppo poco umana. E cosi scrisse una Irase veramente indegna di lui: che, per Antigone, cc rnorire era. come bere un bic-chier d’acqua. :1 (I-Iamb. Dmmah, I). (2) W‘. Schmid (art. cit.) ha magerato enormemente la. cp|.7t0-bogfe. di Antigone, facendo addirittura de1l’a1nore per la. gloria 1a. nota fondarnentale del carattere dell’_eroina.. La cp1.?co50Ei0n, in-
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(I) Cosi giustainente il _Weinstock,_ Sophokles, ror.
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g. "--/_>, come Antigone. Ma forse gia nelle sue parole e
un’Antigone troppo tenera; e piit tenera ancora diventa per quelli. che citano le parole di Shelley senza ricordare quale tempra d’eroe fosse Shelley. A Dell’Antigone inzuccherata cad mum scholamm, magari
dovute a- Creonte troppo contrasta 1’Antigone del coinmo,
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rappresentata come una maitire cristiana, non e il caso di I
occuparsi; a un’Antigone simile sara -ancora da preferire 1’Antigone feroce del Kaibel: il quale, pur sostenendo una tesi fondanientalmente errata, pur negando ingiustamente. ad Antigone ogni altezza d’idea1e, rimaneva pur sempre interprete meno infedele del poeta, quando scorgeva in Antigone l’asprezza, l’ini'lessibilita, l’ardore che il. poeta -le~
diede.
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In Antigone e come un’ondata di passione irrigidita in un blocco monolitico, e come una fiainrna che arda inesauribile; Antigone e la vita concentrata tutta in un punto: sentita, percib, con ardore infinito. Cosi ci si presenta, irreale e gigantesca, questa eroina che non intese rnai altro cuore che il suo. . Molti anni dopo, alla fine della sua vita, il poeta condurra sulla scena una fanciulla cenciosa e scalza, che sorregge il padre, vecchio, cieco e mendico. Sara una nucva Antigone; sara la cc greca sorella n della pia Cordelia; sara una creatura di tenerezza e d’a1nore. Essa intercedera presso i1 padre per Polinice; e parleraa Polinice con tenerezza materna. Conoscera la dolcezza del dolore e del. pianto. Somigliera all’Antigone di quasi quarant’anni prime. soltanto nell’eroica fermezza con la quale cbmpie un dovere santo. Sara un’Antigone pin femminea, pin tenera, meno grande. Un’Antigone sentita con la sensibilita euripeda: sul1’Antigone delle Femlcie, Sofocle modellb la sua nuova An--
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La‘ sposa di Ade si larnenta a lungo di non poter esse-
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re sposa sulla terra: il corteo funebre le ricorda: con insi-
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che lamenta davanti a1 Coro la sua giovinezza troncata cosi presto. Antigone, cc rnatura vergine senz’amore >>, non s’accorda con l’Antigone gigantesca che Soiocle ci ha‘ tatta apparire. Osservare banalmente che Antigone non e un essere idi ferro, ma una donna van Fleisch zmd Blot (“), e giustificare Sofocle con cosi ingenuo realismo (“), non giova a nulla: si pub risponclere che proprio ferrea e, anzi, l’Angone delle prime scene. Soprattutto ha valore questo: se anche, com’e stato gla osservato (“), Antigonesentisse sentimenti simili a quelli della scena del commo, non dovrebbe esprimerli come li esprinie. 5 I suoi sentimenti sono, infatti, ‘quelli comuni, quelli‘ che potrebbe avere qualunque fanciulla davanti alla‘ morte.
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vece, is motive secondarissimo. Bene, contro lo Schrnid ill FeSta (Mt, cit” I33)‘ ' ’
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(-1) Non so come fascia il jebb (Antigone, XXVII) a giudicare la prirna Antigone di Sofocle cc interamente all’-unisono >1 con '1’Antigone de1l’EcZig50 a Coloazo. Ma il jebb s’in1rna.-"gina, come s’e veduto, un’Antigone tenera. e affettuosa:- egli ha frainteso 1’-eroina
sotoclea.
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(2) La Irase e del Corssen (Die Antigooie, 62); e dispiace cli
trovare una simile banalitb. in uno scritto cosi fine. Ma non sara state. clotta la prime volta dal Corssen; certo e ripetuta da1'Robert (Oid. I, 34.1), o cla altri. Con assai pin finezza, un vecchio filologo, l’_]aco1:, nelle suo Suphocrlvcw Qccaestioncs del 1821, osservava (362 egg.) che i1 commo era. nccc.-ssario per clestare in noi la pieta per An"tip;onc:. (3) Cosi E. lirul1n., op. city, 26; e, con 1e stesse parole, Robert, Oidijms, I, 34.1. Con piu finezza i1 Festa (art. cit., 236): cc Ora che non 0'1‘: piil da lottare, ora. che tutto sta per finite, ella sente che la vita ha pure la sua dolcezza, e che e troppo duro morire quando si e giovani e forti >>. Ma Posservazione e psicologistica: l’Antigone delle prime scene b troppo grands per subire cc crisi >1 cli questo genere. . (4) U. v. Wilamowitz-. Die gicieciz. Tmgbdie, 5o, n". I.’
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stenza il corteo nuziale (1). Quslla che prima era fiera della sua solitudine, ora della solitudine sente soltanto l’angescia-: sembra un povero essere bisegnoso d’appeggie e di preteziene. Periine arriva a rimprovsrare (vv. 870-8711:) al fratello di averla uccisa: di aver cagionato la sua merte con ls nozze funeste d’Argia. Essa ‘dssidsra soprattutto di suscitare la compassione, d’ssser compianta da tutti (vv. 876-88x). Proprie all’ ultimo, quando Creonte si lamenta della lentezza di quelli che devono condurla via, essa esclama ancora (vv. 933-934): cccAhime, questa tua parola giunge molto vicina alla morts! >>. Tanto che, appars spiegabils, se non giustificabile, il. tentative di alcuni critici (2) di togliere questi due versi ad Antigone per attribuirli al Core: esso e ancora una prova della dissonanza che molti vorrebbsro negare. 1 Non gieva a spiegars il mutamento 1’ esempio dell’ Alcesti euripidea. Alcesti s una, creatura di dolcezza (3), una donna tenera e affettuosa: davanti alla morte,1b come una bambina. S’intende che, all'ultimo memento, ls tetre immagini dell’Ade la sbigottiscano; che ella senta il terrore del barcaiolo d’Acherente, del mostro alato che
afferra e trascina. Ma Antigone non e Alcesti. Neppure giova il tentative recentissime (“) cli' attribuire §i
(I) Parecchie affinita c’era.ne davvero tra certeo funsbre e certso nuziale (Artemidero, Oneia'00r., II, 49): il colors bianco delle vesti, le corone erane elementi cornuni. Dell-‘uno e del1’altro ‘rite faceva parte un'ab_1uziene solenne; facsva parts del cerimoniale delle nezze il itenroeqneeetv, che si usava anche per i funerali di quelli che morivano ssnza. avers sposato (Pelluce, VIII, V66; Arpocrazione, s. v.); s “sono numerese leraffignrazieni de1l’idria. sulle tombs; Cosl non ssmbra. aver torte chi, rapprssentandesi scenograficamsnts il certeo di Antigens, attribuiscs proprio a. quests affinita la singelars insisteriza. dell’sreina nel. rieorrere a 5-immaglni nuziali (Al. Patin, fist]/zetiscii - kritische Stnciien z. Sophokles, 4 sgg.), ns chi vsds nelle parole d’Antigons, sia pur adembrato s ince-nseio, il riflesse -dsll’idea mistica che eencspisce la... rnorts come uno spesalizio, ancora viva nelle credsnze popolari della Grseia moderna (Lawson, Modem Greek Folklore anci-ancient,_G1*eek religion, 547 sgg.; cfr. anche Roussel (Revue cies ét gin, 3:922, 7o sgg.). . (2) Cosi il Lehrs e il Na.uclr.__ ' (3) Vedi i misi Tccagici greci, 21:0 sgg. . _ _ ' (4) Sehadewaldt, Nene _T»I/ege zinc Antike, VIII, _82,.sgg.
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ad Antigone una vera crisi di cescienza, sostenendo che l’eroina" dubiterebbe anch’essa, alla fine, della giustizia della prepria causa, e passerebbe dalla A durezza di prima a un atteggiamento pin umano e pin equo, alla comprensions ch’essa non ha in tutto ragione, ma ragione e torte insisme. I1 tentative e state ceniutato molto esaurientements (1), ed e riconfutate implicittamenltc cla quanto he gia detto sulla questions morale (lGll'/l9'!'l'igO?"16. ,
La dissonanza e, dunque, innegabile; e va tanto piu riaffermata per il fatto che, prima di Sefecle, un poeta aveva fatto piangere con piu ceerenza psicolegica da una glovans donna la sua intelicissima sorts. Anchs la Cassandra di Eschilo piange la rovina della sua faniiglia e il suo trists clestino di vittirna. Ma a un certo punto s’interrompe e si demanda (v. I285): cc Ma psrchs piange, avende compassione di me stsssa? >>. E poi s’insbbria a1 pensiero della vendetta che verra inevitabile, e si augura con fermo cuors una buonagmorts, con un colpo solo, che colga giusto. cc Io non "sono un uccelle che genie impaurito presso un csspuglio >>: ella dice fieramente (v. I316). E ancora (v. I322): cc Io non voglie cantars -il lamsnto su di me >>. Poi finisce _ in questo Antigone ls rassemiglia --con ls imprecazioni centre i su-oi uccisori. Naturalmente io non dice che Antigone devrebbs piangere la sua sorts come la Cassandra di Eschilo: voler insegnare qualche cosa a un grands poeta sarsbbe pretssa folle. Ho volute soltanto mettere in rilievo come, gia prima di Sefecle, Eschilo sapeva serbare 1’unita psicologica e poetica d'un persenaggio. Queste non ha fatte Sefecle nell’Antigone: inclubbiamente egli ha sacrificate i1 carattere della
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pretagenista a11’aziene. I-Ia volute rappresentare Antigone cendetta a merte, s ha volute ottenere il massiine effette drammatico e scenico:
ha rappresentate cesi un’Antigene atterrita, scenvelta, desiderosa di pieta: un persenaggie che non e piu quello di
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prima. La scena e in se molto bella, e il commo s un bel tratte di poesia; ma, non armenizzando col resto del dramma, resta un irammento. I1 poeta ha pur serripre commesso» un errors di psicelogia, e piu ancora di poesia: da un tone si passa a un altre ton-o di poesia. E noi sentiamo che la peesia pin grands del1’Anz5igone b in altri versi, in altre scene. @*
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(r) Dal Pohlenz (op. cit., II, Erl6int., 53).
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Ma s'intende che i lamenti di Antigone rempone l’unita del caratters _del.l’sroina soltanto fine a un certo punto. Ucna -volta _chiarita la ragione che spinse il poeta a creare la scena delle lamentazioni, si pub pur sempre rimansre sconcertati davanti al suo mode di procedsrs; ma non si ,p,u€> dare _a quslla scena eccessiva importanza per intendsre il gcarayttere d’Antigons. Antigone resta, in realta, come 1’ avevamo vedutap1*ima. E "la prova migliors di quello ch’ie dice. pub darla qualunque spassienato s ingenuo letters: bastsra -iricordargli Antigone, sd egli av-ra subito presents al suo anime ,l’eroina quals appare nel preloge, o quale appare dpavanti a Creonte; della scena dei lamenti, da principio, non si ricerdera nsppurs. Antigone ci balza davanti agli occhi, fin dalla prima scena del dramma, come una sta.tua gigantesca, come una creazione di forza e di bellszza incemparabili; e ormai il peetastesso, dopo quslla scena, non petrebbe pin meditlcarla. Ogni letters, quando leggs i lamenti d’Antigene, avverte la stenatura; ma -egni letters intends che la vera Antigone e la prima, non la secenda. Melto mono impertanza ha il problema dei vv. 904 sgg.,
sui quali si b cliscusse, veramente, pin del necsssario. Nel cliseerse giamhice che segue al commo, 1’ereina dice: cc Se ie lessi state maclre di figli, o se mie marite iesss morte, ie non avrei aflrontata quest’imprssa centre il volsre della citta. Per quale ragione io dice questo? Psrchb, rnorto mie
rnarito, avrci petute avsrne un altre, e cosi un altrofiglio da un altre uemo, _se lo avsssi perduto; ma peichs mia rnadrc 0 mie padre sono chiusi nella casa di Ads, nessun fratello pelrebhe piu nascermi. Per questa ragione io he amato to pin che qualunque altre... >>. Gib. a Goethe i1 cc calcolo dialettice n pareva ricsrcato s fuori pesto; .ed egli si paugurava che un buen filolego potesse} dimosuars non autsntico il passe ('). Goethe era un poeta, e, da poeta, aveva psrfettamsnts ragione: tanto pin che il suo divine buen sense non gli faceva invaders il campo della filolegia: egli non nsgava l’autenticita del passe, ma si rimetteva (a1l’aute_ritb. dei filologi. I Ma il desidsrie di Goethe non ha potuto essere esaudi-
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che qualcuno, un atters e il selito Iefente cesi comode per i critici, intsrpolasse un passe cesi singelare (‘). Piuttosto importa fare una distinziene necessaria: l’enti1nema di Antigone s sconvsnients perche Pelinics e morte, s psrcib appare vane e strano il ragienamsnto che si pub prsnders 'un altre marite e avers un altre figlie, ma non si pub avers un altre fratello. Il ragionamente, per esser logice, suppone che il fratello sia vive, come avviene -nel racconto erodoteo. In Eredote, la meglie d’Intaferns deve scsglisre tra la vita del fratelle, del marito, dei figli: tutti sono stati condannati -a morte, e il rs Dario le ha concssso la vita Adi -una sola persona. Allora la donna sceglie il fratello, e gin-
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' (I) Dope il jebb (ad. Zoe.) e il Cerssen (Die Antigone des Sophokles, Io-I5), sspungo-no ancora il passe lo Schrnid (art. cit.) s il Taccone (sdizione commsntata, ad Zoc.). Da dsplorare s soltanto che l’opinione dello Sehmid riappaia nella sua Gesch. -cl. Grieah. Lit., I,‘ 2, 355, n. 2): l’auterita tradizionals ‘di quel"-1ibro pub imporsi ai principianti, inducsndeli in errors. E vero che, in cempenso, nella stsssa steria della le’c:tsratura,- si pub imparare che le scene finali dei Sette cont-ace di Tebe sono prepriohdi Eschile l (2) Jtlwi. III, 16, 9. Aristotele cita i vsrsi 911: e 912: certo
leggeva tutte il passe come noi 10 lcggiame. (3) III, 119. La climestrazione e chiarissima in E. Bruhn (I')2l§1'0(l. cit., 4.0): il liruhn Ia clcrivare giustamente Edipo ca Colono, 337-338 da Ereclete, II, 35. (4) Nsppure sen riusciti i tentativi di censervare il passe, mutandene il significato con carnbiamenti del teste-. Cesi il Fe-
sta (op. cit., 235) vorrebbs porre punto interregativo dope il 1)):
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(I) Quanclo Goethe parlava, nel 1827, non sapeva che la filologia aveva gia appagato... in anticipo il suo clesiderie: nel :r82r, A. L. W. jacoh, nelle sue Sophocleae Qnaestiones, avsva sostenuto che il passe non era sefoclso! A
to. Se, purtroppo, non e proprio vero, comssi ripsts, che tutti siame d’accordo nel ritsnsre autsntico til passe (1), e. vere che non si posseno ripeters all’infinito ls vscchis dirnostrazioni e ti vscchi argomenti che dimostrane _inconfutabilments l’autenticita: la citazione d’Aristetels (2), la derivazions del pajsso da Erodeto (“), la dithcolta, una volta ammsssa l’_interpolazione, di legare quello che precede a quello che segue, soprattutto 1’asse1uta inverosimiglianza
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v. 207. Ma cosi il passe non s piic chiaro. Ineltre, é molto probabile, una volta ammessa la derivaziens erodotea, che '\I6p,()g, a v. 208, abbia proprio lo stssso valore che 'v'v(,i)p:1] nel passe di Erodoto; che, dunque, non significhi cc lsggs >>. Assolutamsnte inaccsttabili sono poi, la proposta s l’in’csrpretaziene del Murnphy (Class. Rev. I918, I411). _
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stifica la scelta con le Ltaniosetparele: (( O re, un altre marite, se i1 destino vuole, e altri figli posseno tocearmi, quand’io abbia perdnti qnesti; ma, non essende pin vivimie padre e mia madre, 1m altre fratelle non mi pue nascere pifl >>. I1 1"agionamento,'1ogice per la meglie d’Intataferne, non e pin logice per Antigone. Ma non la scorrettezza formale Goethe, e dopo Goethe, niolti altri rimpreveravane a1 ragionamento di Antigone. In‘ fendo la scerrettezza ;Eorma1e sarebbe facilmente sanabi1e: basterebbe che Antigone, dope i1 v. 907, dicesse in for» ma generica che nessun vincole e pin strette di quello iraterno, e che desse ferma generica a quello che segue: invece di dire >, dicesse: u una donna.... >>, o qualehe espressiene simile. Ma -Goethe criticava la sestanza stessa del ragienamente: ct Dope che 1’ereina ha, durante i1 dramma, esposto tanti eccellenti me~ tivi dei suoi atti, dopo c11e ha mestrate 1a pin pura generositzl d’anime, essa dice, nel memento in cui vac incentre
alla morte, un motive che e pessime e che rasenta quasi iI comico >>. In questo, Goethe e quanti hanne pensato come lui, hanne torto: qui Antigone non sostituisce un motive cattive ai melivi ecceileiiti detti prima, ma svelge in ferma razienalislicn 10 stcsse unice motive di prima: I’attaccamento al yéveg. Per devcre verse 11 yéveg, non per afietto
verse Pelinice, Azitigene sacrifica 1a vita. Percie. se i1 passe nen e addirittura (>, cem’e state detto con un’iperbe1e che ha finite di aumentare la cenfusiene (‘), é perfettamente ceerente col resto della tra» gedia, e aiuta a intendere meglie, chi non ne fesse gia cenvinto, i1 motive che spinge Antigone ad agire. Cosi il ragionamente d’A.ntigone non rasenta afifatto i1 comico; ed é veramente esagerato 1e scandale ch’esse ha provocate. , Opportunamente sono stati ifatti riscentri con canti moderni cretesi e di Cos, eon canti indiani ed epica persiana, con una ballata scozzese (2). Cesi Lady Margaret, nella
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True lovers I can get many an ane, but a father I can never get mair.
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E 1a principessa persiana Gulbadan sul cadavere dei fratelle diceva cese assai pin singelari di Antigone: >. Ma Teemessa non vuel afiermare la celpa di Aiace; vuel mestrare che gli Atricii non hanne ragione di gieire nb d’insuperbire. . _ .i. ll
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un nome superiere che sa guardare eltre il mende chiuse della sua fede. I./empie Aiace, che la sua tede condanna»va, parlava tertemente al sue cuere. Cesi egli fini per esaltare non la religiene pur cesi amata, ma la magnanimita, sia pur celpevele, di Aiace. E, dopo aver? espressa nel prolego la sua religiesita prefonda, credb di peter abbandenarsi ad esaltare la grandezza del sue eree. E terse non" s’accerse nemmene che il drarnma, annunziate come dramma religiose, diventava un dramma soltanto umano: che la religiene s’eclissava davanti ‘alla poesia.
del Core (vv. 565 sgg.), di preteggere Eurisace e ‘d1 c,endurlo in patria, presse Telamone. Il Core non esegurra lordine; ma Teuere, nella secenda parte del dramma (vv. 1:17.12 sgg.; vv. 1:409 sgg.), si eccupera del bambine, preclamandesi sue pretettere. Infine, vi e un persenaggie, Odisseo, che, come Emone nell’A1/itigene, sembra avere i1_ cemp1te_ 1
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cenda parte del dramma alla prima. Egli appare in due
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scene": nel prelege e ne1l’esede; e 1e due scene ev_1dentemente si rispendene. Nelle prima, egli mostra. preta ch Aiace ielle; nella secenda, letta perchb siane resi gli enen tunebri al sue cadavere. Nella prima, assiste a1l’umi1iazie—
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ne del sue nemice; nella secenda, egli stesse 1e enera e 1e
I1 prime preblema che si presenta inevitabihnente a1 lettere dell’A1Iace _e quello dell’unita della tragedia. A v. 865 Aiace muere; e il dramma continua ancora" per pin di cinquecente versi con i centrasti _per la sepeltura dell’eree. I1 lettore ingenuo ha innegabilmente Fimpressiene che, con la scemparsa di Aiace dalla scena, l’interesse maggiere della tragedia sia finite, e che questa contenga, in realta, due drammi cliversi: il dramma di Aiace vive e il dramma di Aiace merte.
rivendica dope 1a"1nerte. E certo non e senza motive, cem’e state esservato (1), che Aiace, merende, maledica gli Atridi, ma non cemprenda piu nelle sue imprecazieni quelll’Odissee gia tante insultate prima. La CllIIl8I:‘LI1CELIlZ8t’P'LI(I). parer singelare, ed e intenzienale: il poeta, scrlvende l ultime menelege di Aiace, pensa gia al generese mtervente Adi Odisseo nell’esode. I _ _ _ Queste censiderazieni bastane certo a far giustrzia delle seluzieni vielente in altri tempi p10p0S’EB, 0581 ilbbam donate» da tutti e quasi da tutti: da quella estremac che negava addirittura 1’-autenticitai della secenda parte, attnbuendela a Iefente (1), a quella mene vielenta, ma 8.1‘l)1ilIEUTl8.' eincentrellabile, di chi attribuiva la secenda parte al poeta stesse, che l’avrebbe, perb, scritta a melti anni di distanza dalla prima, in eccasiene d’una secenda rappresentazieno (1'), a quelle. infine, pin complicate, ma ugualmente fallaci, che velevano distinguere, nella stessa secenda parte, tra scene 1‘i1x1a11cggia'te e scene lasciate intatte dal presunto riiimmr|.;giuto1'u (").
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Qui ancora una volta, come nel case del1’Ami£geae,
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bisogna distinguere tra unita legica e unita estetica. L’unita legica e innegabile e indiscutibile. Basta intitolare la tragedia, cem’e state esservate (1), anziche Aiace, La mette (ZiAiace, che e anch’esso un titele antice, attribuite a Dicearce. La merte dell’eree e, infatti, il centenute della tragedia: la morte, con tutto quello che la precede e la segue, e la sacra histeria che il poeta ha presa a trattarei Ed b giusto esservare cl1e la prima parte del dramma presuppene gia la secenda. Aiace, prima di merire (vv. 824 sgg.), chiede a Zeus ill favere che‘ il suercadavere non sia date in paste agli uccelli e ai cani, ma sia sepelte enorevelmente. La; preghiera de1l’eree lega la secenda parte della tragedia alla prima. Ancera. Aiace erdina as sue fratelle Teucre, per mezzo
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(1) Dal .lml|m~_v¢lu, H11-mm due dmdes gr-eeqzws, 1933, re. Ma ora. git» H'iH.'lU uHH:'l'VHln > del dramma non sarebbe nella morte di Aiace, ma nella decisions relativa ai tunerali, nel giudizie che salva Aiace dal disenere: il vere -argemente della tragedia non sarebbe la merte di Aiace, ma la" sua censacraziene ad eree. Centre affermazieni paradessali del genere, e facile esservare che della censacra-_ziene ad eree, del culte dell’eroe Aiace, nella tragedia non
-si parla aftatte; e che Aiace, prima di merire e con lapsua stessa morte, ha rivcndicate egli stesse il suo enere. Ma, so 1'unita legica e indiscutibile, non si pub dire lo
stesse de1l’unitc‘t estetica. Quande si dice che cc soltanto il
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rnerte dell’eree, il poeta cade nella trigidita e perde il pathos tragico >>. Non si poteva dir meglie: questo non e il giudizio di un Bizantine; ma rispecchia certamente la grande critica alessandrina. Ed b il giudizie di ogni qlettere -che legga la tragedia senza precencetti (1), senza pprepersi fin da principie di ditendere il poeta a qualunque ceste. La secenda parte del dramma b veramente una melancholy ianticlimax, cem’e stata giustamentc: clelinita ("). La stessa diversita e speciesita dei metivi adcletti clai critici per dimestrare l’unita, preva che essi sentene, sia pure incensciamente, di aver terte: si e perline settilizzate che, dope la merte di Aiace, lo stesse attere che taceva la parte cli Aiace, il pretagenista, deve tare la parte di Teucre, di me-
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do che Aiace stesse, morte, centinuerebbe a difendere se
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sentimcrnte moderne pub negare l’unita del dramma >> (2),
si dice cxesn. non vere, e si cenfencle cleplerevelmente unita legica (1011 nnila csstetica. Preprie la mancanza d’unita estetica. 1'in11>revc:1nve, invece, al poeta gia 1’antice sceliasta. Egli annolcwa a v. 1:123: cc Questi sofismi non sono prepri -della tregcclie; dcsiderande prelungare £l’aziene dopo la
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10 stile cli Sefecle, ha pienamente ragione centre l’I-Ieadley nel -sestcncre 1’autenticita dei centrasti. Ma non cenvincene, inveee, lo ragieni cla lei addette per sestenere non autentice 1’ esede, che b sefecleo in tutta la. sua essenza. ' ' (I) jebb (Aiax, Introd., xxrx sgg.). I1 paradesse del jebb provocb la discussiene sul cc punto culminante della tragedia gre~ca >1 (Campbell, in Mélafnges T/Veil, 3:7 sgg.). La discussiene era, mal poeta, perche confendeva. la climax de11’aziene con la climax estetica., che posseno ceincidere Q non ceincidere. Anchs i parageni shakespeariani del Campbell sono infelici: la noble passion di Macdufi nel Macbeth cemmuove prefondamente, mentre lasecenda parte de1l’Aiace lascia ireddi. Il Campbell vedeva, perb, -assennatamente cc il punto culminante >1 nella mette del1’eree; e cesl l’Olivieri (Stadi it. del Fil. class. I899: I85 sgg.), il quale aderiva addirittura all’epiniene del van Leeuwen sul rimaneggia-
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(2) Pehlenz, op. cit., I, :r8I..
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stesse (1). E veramente gli stessi difenseri piu tervidi del1’unita parlane poi anch’essi d’una cc prima parte n e d’una cc secenda parte >1 del dramma. Non e proprio questa1div.isibilita in due parti diverse una preva della mancanza d’unita? Ie non negherb che nella secenda. parte della tragedia manchi ogni poesia: sarebbe ingiuste. Ma v’b un’altra peesia, assai minere di quella della prima parte. Gli argementi validi per dimestrare l’unita logica, non sono certo sufficienti pa dimestrare l’unita estetica: perchb il dramma, nella sua prima parte, e tutte fatte per la figura di Aiace, e proprio il dramma dell’anima di Aiace. Le stesse titele La mette di Aiace, in sb legittime, sarebbe infinitamente mene giuste di quello di Aiace, che era il titele delle didascalie, cerri'b detto espressamente nell’Argeme1tto della tra-gedia. La secenda parte del dramma, con i suoi tre centra¢
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(1) L'IInigl1 (‘Hm tmgic.: Immccz of the Greeks, 188), giustamente clava mgicmu alle scoliccsta e giuclicava i celrtrasti eratori
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-della secenda parte, nenestante il lere incliscutibile ellette teatrale, inferieri el livelle erdinarie della poesia sefeclca. . 1(2) La deliniziene b di A. Platt (CZ. Rev., rgrr, rer). Non e perb, accettabile 1’epiniene del Platt che ritiene la secenda parte clevuta alla necessita di pertare nuevamente sulla scena ‘Odisseo, dande cesl sviluppe, alla fine del dramma, a1 suo carattere. Tra 1’-Odisseo del prelege e l’Odissee dell’esede non c’e, in trealta, nessune sviluppe, ne centrasto. ' ' (3) Friedléinder, /lntilae, r925, 31:3. 1 '
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sti (tra Menelao e Teucre, Agamennene e Teucre, Agamennone e Odisseo), e pin scenica, piu messa, della prima, e certo cerca di centrastare proprio con questo mevimente alla staticita della prima parte, dove l’azione e quasi nulla, perchb il dramma b tutte intime e psicelegice. E non si nega che le scene della secenda parte pessano censervare intatte fine alla fine l’interesse delle ispettatore, perfine del-le spettatere mederne: non si ha motive, per esempie, di. non credere all’esperimente d’una rappresentaziene tenuta al1’Universita di Cambridge nel I882 (1), come non si nega tede a Libanie (2), quando ci attesta che quelle scene iacevane piangere la gente in teatre. Ma soltanto bisogna ricenesbere che esse sono infinitamente mene peetiehe di quelle della prima. ' A I1 commo fra Tecmessa e il Core dope la merte del1’eree, pur non treppe superiere, nell’insieme, alle lamentazieni usuali del genere, centiene ancora qualche tratte di straordinaria bellezza. Cesi Tecmessa conclude il sue prime lamento con parole altissime (vv. 923-924),: cc O infe11ce Aiace! Quale tu eri e quale sei era! Anche dai tuei
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di viltae di tradimente, scacciate dalla sua patria, esule e ramingo (1). E le ultimo parole del sue discorso (vv. I028 I‘'1E4?I;':'=¢
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nemici S81 degne d'essere piantel >>. Ed essa dimestrera di cemprendere Aiace,
dope ch’e morte, assai meglie che
non lo cemprenclesse quand’era vive (vv. 965-967): cc Egli emorte, dande pin dolore a me che gieia ai suoi nemici, ma seddisfattez peiche ha ettenute quello che desiderava, la merte ch’egl1 veleva >>. Queste e simili bellczze si trevane ancora nel commo,
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come pure nella scena seguente, nella lamentaziene di Teucre sul cadavere del lratclle: ma queste due scene chiude-no veramcnte la prima parte del dramma, non iniziane la. secenda, che cemincia a v. I047 con l’apparire sulla scena.
d1 Menelae. Quande Teucro dice (vv. ree6-ree7): cc Dove
cintura denatagli da Aiace, di Aiace tralitte dalla spada denatagli da Ettore, sono piene di scenselata tristezza. Gl’interpreti hanne consiclerate il passe quasi come un luege cemune, esservancle che il poeta veleva illustrare la neta massima sui deni dei nemici, detta da Aiace a v. 665 (2); eppure hanne tentate di espungere i versi, esservande incoerenze e centradizieni molto centestabili (*1). E sfuggite il tene del cempiante umanissime, certamente sefeclee, che accemuna insieme i due avversari d’un tempo. I1 sentimente ispiratere di Teucre e quello stesse che ispira Odisseo nel prelege, quando dice che gli uemini non sono che vani fantasmi. It/Ia qui Teucre cerca negli dei la spiegaziene d’un destine che egli non sa spiegare (vv. 1035-1036): tutte e opera degli dei. La tristezza .diventa, cesi, rassegnaziene. E, peichb qui, dietre Teucro, sfiaffaccia l’immagine stessa del -poeta, noi intravediame quanto fesse semplice e profenda insieme la fede di Sefecle, per il quale erafede anche la super-
stiziene.
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(1) E-ic>|'c>clc~rc‘c lu. nmlcrcliziene paterna, c‘-1 un'al1usiene sicura, ingfligfiif‘ _;q; -q
tc-m'.ie:mlc', ccl1'.‘|-uliggcnze. E cesl pure i vv. r437 sgg. del Filer‘-tel-"e sono c.l:iura cclllmicme a una tragedia anteriere di Sefecle, eggi
pcrclule. il Iclloltutc a Taceia. (2) i'-.)(UQ(i'1'v fibceoe. bciaee.
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(I) L’esempie e citate dal Iebb (op. cit, xI'.v, neta).
sgg.), che metteno in rilieve la seniiglianza delle merti di Ettore e di Aiace, di Ettore legato a1 carre cli Achille con la
Nelle scene seguenti, che cestituiscene la secenda parte clel cl1':im1nn., si petra certo ammirare l’abilita del poeta
posse andare, tra quali uomini, ie che non ti he portate neii tuer mal1 nessun soccerse? >>, egli cemmueve pre;Eenda-mente. Ede felicissima la rappresentaziene del vecchie Te-. lamene, d1 cui teme l’ira (v. IOII)I cc nemmene quando egh b fehce, ha liete il serrise >>. E un verse sole; ma un verse nel quale il poeta ha rappresentate un ueme con“ un tratte solo, indimenticabile. Qualche verse dope, la rappresentaziene e cempletata (vv. IeI7-1:018): cc un ueme
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iracendo, inasprito dalla vecchiaia, che per nullagsi adira e viene a centesa >>. Queste vecchio Telam-one, presentate cosi di scercie, si rivela davvere simile ad Aiace sue figlie; e Sefecle, psicelege finissime. L’embra del destine ancora incerte che gli pende sul cape, ma cl1’egli prevede con anima presaga, daa Teucre una sua atmestera poetica: egli sa che b un bastarde, e si vecle gib. accusate dal padre
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(3 Coal R. Morstadt (Beitrfiige ear Exegese u. Kyitik cl.
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Sepia. /lies, 30 sgg.); Nauck; M. Nersa (op. cit., 339, neta).
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nel tral;teggiare due centrasti in sb quasi uguali con" celori clifferenrti. Menelae eAgamennene veglieno la stessa cosa: impedire che Aiace sia sepolto. Ma appaiene alquante diversi e si servene di ragieni diverse. Menelae cl: molto pin odioso: egli si mestraseprattutte vile, quando si dice centente di peter cemandare ad Aiace morte, non avendo petute comandare ad Aiace vive (vv. I067-I068); e quando si vanta (vv. I086-1:087) che, come una volta Aiace era insolente e prepotente, cesi era pub esser lui altero a sua volta. E le massime, sulle leggi che devono essere fendate sul timere caratterizzane bene lo Spartane, il cittadine d’ una citta che al Timere aveva elevate un tempio (1). Aleune di queste massime non-sono in sb cattive; ma il Core scepre subite l’ipecrisia di celui che le pronunzia (vv. 1:091Ie92): cc O Menelao, dope aver pesto saggi precetti, non ti rendere tu stesse celpevele di oltraggie ai merti >>. Agamennene e terse anche piu vielente _di Menelae: minaccia di frustare Teucre, con parole di ferece sareasme (v. I255). Ma non b vile; anzi rivendica il suo valere con fiere e non inclegne parole (v. I237): cc Ma dev’e andate, e state Aiace, clfie non oi lossi? 1.. E s’appella alla ginslizia, el veto clate centre Aiace dalla maggieranza dei gin-
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nice. L’imprevvisa appariziene di Odisseo, che viene quasi come un csleas ex machine a riselvere l’insolubile centrasto, bun altre abilissime colpo di scena. A A Rieonosciuta la grande abilita del poeta, bisegnera perb affrettarsi a ricenoscere che da queste scene la poesia b assente: esse sono fatte unicamente per il palcoscenico. Poteva piacere alle spettatore ateniese del V secole che Aga-
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mennene, proprio come se si trevasse in tribunale, rifiutasse a Teucre il diritte di discutere, effettando di censiderarlo uno schiavo e invitandelo a tar cemparire al sue pesto un sue :rcQ0e17(l1I1'|g (vv. 1:259-1261). Al medcsimo spettatore ateniese sara certo pieciute che Agamennone, nmproverando a Teucro di parlare la lingua di sua madre, lo consi-
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deri un barbare e afletti di non intendere una lingua barba-
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clici, c1ll’inte11igenzci che deve valere piu della statura e delle. lerza brute. Tutte queste ragieni potevane valere centre Aiaee vive, non valgone certo centre Aiace morte, nb c1imestre.ne cl1’egli non ha diritto alla sepoltura. Ma e evidenote che il poeta riesce nel difficile cempite di ripetere due velte lo stesse centraste cambiando leggermente lei tinte. Il motive delle sdeppiamente b state chiaramente vedute dai critici (“)1 l’effetto drammatico e scenico sarebbe state melte maggiere, se Teucre, dope un centraste con esite per lui sfaverevele, riusciva fmalmente a vincere, con 1’aiuto di Odisseo, in un altre centraste. I due centrasti, separati da un canto cerale, mettene in assai maggier rilievo che non avrebbe tatte un centrasto solo, la devozione e l’ereica tenacia di Teucro. La ragione delle sdeppiamente b, dunque, la stessa che spinse il poeta a sdeppiare le scene della guardia nell1Amiig0ne, cioe a tar seppellire due velte Poli-
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Melte cemmevente, e, invece, la breve scena che separa i due centrasii, come a staccarli e a remperne la menotenia: in essa, Teucre ta avvlcinare il piccolo Eurisace al caclavere, gli ta pesare la mane sul capo del padre, mentre egli stesse, Tccmessa e il bambino, supplici, si tagliano una cioeca cli capelli per l’efferta rituale al merto. Qui la cemm()?.l1 (vv. I411-I412). Qui non c’e poesia, ma seltante errere; e si pensa non senza stupere che i Greci sepportaveno queste scene, pur non soppertando di vedere sul tealre le merti e le uccisieni. Evidentemente soltanto una
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ragione religiesa, il pensiero che la morte tesse una contaminaziene, non umanita ne delicatezza di sentimente, li spingeva a evitare tali spettaceli. Ma la scena finale dell’Aiace, come quella finale dell’Ecli[>o re, o 1’accecamento di Pelimestere ne]l’Ecaba euripidea, dovrebbero bastare a disingannare una volta per sempre quanti parlano ancera della bellezza maestosa e scultorea, del pathos armonioso della tragedia greca. Molte superiere poeticamente ai due contrasti b la scena di Odisseo che viene a riselvere la contesa. La nebilta morale dell’eree da elevatezza alla fine della tragedia: l’e__sode ha la poesia del pathos morale. Odisseo dice subito parole indimenticabili (v. I347): cc Io,‘ si, l’od.iave, ma quando odiarle era una cosa nebile >>. Questo basta a cendannare gli Atrldi definitivarnente. Infatti, l’eroe ammenisce severamente Agamennone, che si maraviglia com’egli non s’affretti a trientare del morte: cc Non godere, 0 Atride, di vantaggi indegni >1 (v. I349). Perfino Agamennone diventa piu nobilmente umane: cc A chi e signe-
re asselute, non b "facile essere pie 1: (v. 1350). Ed
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perennemente posta dall’etica grcca comune tra i due mon-di chiusi degli amici e dei nemici. Per queste, il suo Odisseo e profondamente uinane. E dalla sua umanita, dalla
sua moralita superiere, tree la sua poesia 1’esede della tra-gedia.
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simo il seguito della sticomitia (vv. I354.-I357): Ae. Ricerdati a quale nome tai queste beneficie. On. Egli era mie nemice. ma era valerose. AG. Che cosa farai mai? Rispetti cesi un nemice merte? 1012. Il suo valere vince, per me, di gran lunga la sua inimicizia.
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E Odisseo, dope che Agamennone ha cedute, annunzia solennemente a '1‘eucro che egli -e, ermai (v. I377), tanto amico di Aiace quanto, prima, gli e state nemice. Questo suo sentimento nebilissime e umanissimo non e grece, ma b sefecleo. Per intendere fine in tendo il centraste tra queste parole di Odisseo e l’etica greca comune, bastera ricerdare un passe della C111/opeclia di Senefonte (1): il padre di Ciro insegnera al figlio che per vincere i nemici l’uom'e deve abituarsi ad essere cc insidioso, simulators, ingannatere, fallace, ladro, rapinatore >1; e alla maraviglia di Ciro, il padre rispondera che, cesi agende, egli sara cc giustissimo.» verso 11 nemice. Ancera per l’etica senetontea, dunque, era cc pgiustizia >1 fare il male, e in mode cosi ignobile, ai prepn nemici. Sefecle, se proprio non anticipa in tutte l’etica
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di Platene, certamente la precorre: non era certo ancora legge per lui che patire un’ingiusti2.ia e meglio che farla, che non bisogna mai rendere il male neppure quando s1 e ricevuto. ~ Ma tra la sua morale e quella comune, c’e un abisso: egli ha gia cemprese che il valore, la sventura, la morte esigeno rispette sempre; che la debelezza e la caduare umana accemunane gli uomini, superande l’antitesi
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Ma ricenoscere questi prcgi non deve distogliere da cio che nel dramma b essenziale e che ha un valore poetico pin grande. In "fondo, come la celpa, cesi la rivendicaziene di Aiace, e un elemente secendario per il poeta; Odisseo stesse e un persenaggio secendarie. " Il dramma e tutte in Aiace, nell’anima di Aiace. Con un tratte geniale il poeta ha respinto il giudizio delle armi, la‘ tollia, la strage delle greggi, nell’antetatto del dramma. La sua tragedia e la tragedia di Aiace savio, non quella di Aiace telle: Aiace telle ci apparira per un memento, e per un memento soltanto, nel prelege. Cesi il dramma c‘-1 quasi senz’aziene: esse b il dramma grece piu libero dal peso della materia mitiea. Anche nell’Ecii;g5o re, parecchi anni
dopo l’A1Iace, il poeta respingera tutta la materia mitica nell’antefatte della tragedia: argomento dell’Eciipe we non saranne i delitti di Edipo, ma i suoi sentimenti quan.do s'accerge a poco a poco d’averli commessi. Pure, nell’Edi750, 1’incl1iesta, con le sue vicende, con i testimoni portati sulla sccann e mcssi a confrente, e pur sempre un intreccie cl1'a111'1n1rlic:c:, 1111 cc latte >>, che cestituisce la trama del
dramma. I.’/lnligcmc stessa, che pure b tutta cestruita interne a un pc:1‘sc'111c1gp;ic1, c‘: ricca estc:rie1'mente di avvenimenti, di se1'p1'c:sc:, cl‘intreccie: e. un lettere un pe’ serdo alla poesia pub avvenire che 1’intreccie, le vicende del dramma, lo distolgane dalla contemplazione di cib ch’e essenziale, e cl1’egli non intenda fine in tonde la smisurata grandezza cl’Antigene. Nell’./lciace, queste non pub avvenire. In questa tragedia senz’intreccio, il lettere piu disattente sente che il dramma di Aiace e tutte intimo e spirituale. 1 Aiace e, "come Antigone, chiuse nel sue eroismo; an-
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cora piii chiuso, se é possibile. Se Antigone ancora contra+ stava col tirannop, Aiace non sente i1 bisogno di contrastare con Tecmessa e col Coro. A Tecmessa 11011 rivolge mai nemnieno 1a parola, se non per darle. ordini, 0 per respingere i suoi lamenti come un fastidio. Cosi la passione d’Aiace ci si rivela in quattro monologhi: si ha i1 diritto Eli chiamarli rnonologhi, anche se 1’eroe parla in presenza di Tecmessa e del Coro, e prende tra 1e braccia i1 bambino, perche tali sono veramente: Aiace parla per se, non per gli altri. Agli altri, 1’eroe non ha nulla da dire. Aiace non sa esprimere la sua anima se non col 11'io11o1ogo. In questi quattro monoioghi sta, dunque, tutto i1 dramma. Tutto i1 resto e secondario. i Secondario e perfino :11 bellissimo prologo, che per Ia-— pidita, concitazione, ardimento, merita di essere paragonato a quello de11’Amf2Igone. I1 poeta ci presenta tre -figure tra loro contrastanti: Atena impassibile nella Wsua maesta divina, lieta che un empio sia stato punito; Aiace folle, crudele nella gioia della vendetta che crede d’aver com» piuta; Odisseo assennato e pic, che ha compassione della rovina del suo nemico. Tutta la scena e grandiosa; anche ale frasi del poeta hanno un loro particolare ardimento: O~ disseo spia 1e orme del suo nemico >; i1 suono della voce c1i Atena risuona nel suo cuore come quello della tromba guerriera. Nella scena dominano i contrasti: contrasto de11’infinita potenza divina con 1’in"f111ita debolezza degli uomini, anche degli uomini straordinarialioelite forti come Aiace; contrasto tra la gioia chiusa di Atena, itonica fino a pater crudele, e 1a gioia aperta,
folle,
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di Aiace;
contrasto tra Odisseo, 1’eroe della misura e della saggezza, e Aiace,~ 1’eroe orgoglioso ed empio. Ne si creda. che que~ st’u1timo contrasto sia tutto a vantaggio di Odisseo, se pur sigilla la sua figura d’un’impronta sublime di nobilta. Quando 1a dea invita Aiace a uscire dalla tenda, Odisseo 1e raccomanda di non farlo uscire (v. 74), e poi due volte (vv. 76 e 80) ancora ripete che gli basta che Aiace resti nella tenda, e soltanto si aa pace quando la déa gli promette che 10 rendera invisibile. Odisseo ha paura di Aiace; anche la déa gli dice (V. 75): >. E crede di aver fatto prigioniero Odisseo, e V1101 legarlo a una colonna e fargli sanguinare il dorso con 1e frustate, prima. di farlo morire. E, prima d’a11darse11e, dice ancora alla (lea (vv. 1I5~II6): >. L’eroe cosi ci appare degno» soltanto di simpatia e‘ di pietai: la sua colpa sembra gia svanita. Dopo ch’eg1i ea rientrato nella tenda, Atena stessa smette i1 tono cli scherno e 'd’irrisio11e, e soltanto esalta so» lennemente la potenza degli dei (vv. I18-I20): >. Essa ha’ fatto allontanare il banibino, affidandolo alla custoclia dei servi, per paura che Aiace, nella sua iollia, 11011 gli facesse male; ma teme ancora, come se 11011 fosse lontano abbastanza. Finalmente Aiace invoca il fratello (VV. 341-3422):cc Teucro io chiamol Teucro doV’e? Sara sernpre a tar preda?' Ma io son roVi11at0! >>. Allora Tecrnessa, un po’ rassicurata, apre la tenda (1),
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e appare Aiace 1 disteso tra i corpi a111111uccl1iati ‘delle bestie. Ancora delira un poco: egli parla cl’un‘o11dat-a. cli sangumosa tempesta che gli gira i11"tor11o e lo aVVo1ge. Subito chiede a_1 marinai, ai suoi fecleli, cli ucciclerlo. E tornato a poco a poco in se,‘ a]lo11ta11a11do gli ultimi assalti del delirio. _E. dice con crudele sarcasmo contro se stesso (VV. 364 sgg.): cc Tu Vedi 111e, l’u0111o ardito, il Valoroso, l’intrepiclo nelle
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Atridi e su Odisseo: qucst’u1tin1o e per lui cc perpetuo artefice cli tutti i n1a1i>>, cc il peggior rijiiuto dell’esercito >1 (VV. 379-381): Vorrebbe averlo clavanti agli occhi: lo ucciclerebbe, anche cosi riclotto! (V. 384). E invoca Zeus, 1’a11tenato clei suoi antenati (V. 387 sgg.): Vorrebbe uccidere Odisseo e gli Atricli, e poi n10rire. Poi ancora piu ardentemente i1iVoca la tenebra, c11’egli chiarna cc la sua luce >>, invoca 1’Ereb0 perche lo prenda per suo abitante. Egli si sente clisonorato senza riinedio, per sempre (VV. 397400) :3 cc ne Verso la stirpe degli dei ne degli 11on1ini effimeri io sono clegno piu cli Volgere lo sguardo per attenderne ainto >>. Infine, saluta il mare, le grotte, le rive che 1’ha11no trattenuto cosi a lungo presso Troia e che non lo Vedranno pitc ViVo; saluta le correnti dello Scarnandro, che non Vedranno piu un eroe, egli dice orgoglicosamente, 4 cc come Troia non ne Vide n1.ai 1’uguale Venuto dalla terra e1le11ica >>. Ma il Vanto ricorda subito all’eroe, per contrasto, il ciisonore p1'ese11te: cc ma ora, ecco che io giaccio a terra, clisonorato >>. Con queste parole it commo finisce. . L'Aic1c0 clcl commo e quello cl1e restera nel resto della tragcclicc. ligli ha. git) t11ttc 1e caratteristiclie c11e i1 poeta ha Voluto clcirgli: 111. L‘.t11Ji.L ruclczza, 1’org0g1i0, 1’ardore della Vendetta i11c1ppc1.gc1:tc1., 1’ocTic1 co11t1'0 i nemici, 1’amore per i1 figlio, i1 tono ccltcrca c sclc:gnos0 Verso '.[‘ccrnessc1, un singolare attacc:1m'c11L’0 ai luoghi che sono stati 'testi111oni delle sue iI‘1‘1p1'CSO. In c_1uc:st0 commo é gia tutto Aiace, come nel prologo c1e11’A1m'go11e 1 J ‘-
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sgg.), quando il Corifeo ordina di cc aprire >1 la tenda (V. 344). La. macchina gira ancora, facendo sparire Aiace, quando 1’eroe orclina. di cc chiudere >1 la tenda (V. 593).
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pronunzia, non fara che confermare l’in1pressione gia aVuta, che presentarci un Aiace ancora piu orgoghoso, ancora pin forte e piu rude. N011 mai 1111 procedimento tc-:c11ico ha giovato a11’arte come qui: l’abitudi11e dei tragici, e_ in modo specialissimo di Sofocle, di svolgere pin a111piamente, nel piu pacato ritmo giambico, i1 pathos gia Vibrante nei ritmi agitati del commo, qui maravigliosamente si adegua al rinsavimento graduale di Aiace. Nel monologo, l’-orgoglio e il desiderio di gloria dell’eroe acquistano contorni piu netti. Suo padre Telamone, ritornando da Troia, riporto, giusto compenso al suo Valore, Esione in moglie e gloriosa fama. Aiace, che a Venuto a Troia cc con forza non minore >>, che ha compiuto col suo braccio cc imprese non minori >1 di quelle del padre, e, inVece, ingiustamente disonorato. Contro il disonore cl1e lo ha colpito, 1’er0e reagisce con tutte le sue f0r2;e:. egli afferma c11e, se Achille, Vivo, avesse Voluto offrire le proprie armi come premio di valore, non le avrebbe date ad altri cl1e a lui. Ma questo 11011 puo bastare a consolarloz il suo Vanto e troppo in contrasto con la realta delle cose. G11 Atridi hanno dato il premio cc a un uomo capace di tutto >>; Atena gli ha impeditto di fare contro di loro la sua Vendetta, e anzi gli ha tolto il senno e lo l1a reso oggetto di scherno col massacro delle greggi: cc Ed ora cl1e cosa fare? >>, conclude Aiace tristemente (V. 457 sgg.). cc I0 sono manifestamente in odio agli dei; mi odia l’esercito dei Greci, mi odia tutta Troia, tutta) questa terra >>. La sua disperazione si appunta in un angoscioso dilemma. Tornera alla sua casa, di la dall’Egeo? Ma -quale Viso mostrera a suo padre Telamone? Come questi potra Vederlo priV0 di quegli onori che riporto un giorno egli stesso? Oppure assalire 1e difese troiane, gettarsi solo nella mischia, per compiere una grande impresa e morire? Troppa gioia ne aVrebbero gli Atridil L-’una e l’altra alternativa sono, dunque, da respingere. N011 resta che morire: questo 1-. l’ur1ico mezzo col -quale potra provare a suo padre ch’egli e Veramente suo figlio. Sarebbe degenere, se preferisse Vivere una lunga Vita in mezzo alla sventura. Tutto il monologo si riassume e concludecnegli ultimi due Versi (479-480): cc O gloriosamente Vivere, o gloriosamente morire, 1 il dovere di ogni Valoroso. I-Io detto tutto‘ >>. 1 . Queste ultime parole propongono al suo spirito un tragico dilemma, al quale 11on si puo sfuggire. Gia i1 commo
faceva -prevedere la decisi011e estrema, la morte. l\t[a nel 001111110 Aiace ancora piangeva la sua infelicita; e n01 poteVamo ancora credere che la decisione deriVasse soltantodalla disperazione, cl1’essa non fosse definitwa. Dopo‘ 11 mo11ol0go, nessun dubbio piu e possibilet Aiace ha deciso, er per sempre. Nel monologo 1’eroc ragiona calmo, tranquillo, serrato: si 11a l’i111pression0 c11’cg11 11011 sia stato mai cosi lucido, cosi logico, cosi savio, come dopo la. sua fol-
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lia. In questo breve discorso 1 tutto Aiace: 10 osserva subito anche il Coro (vv. 481-482): cc Ncssuno an-1 mai. O Aiace, c11e tu abbia fatto 1111 discorso non tuo: esso V1@1'1@' proprio clallagtua a11i11'1c1>>. Prima del n1on0log0, noi potevamo ancora credere che
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i11ca11c:cr]1c1bi1c, Dopo il 111o11o1ogo, siamo convinti ch’egli ha ragione cli ucciclersi, e c11e non potrebbe non uccidersi. Egli si uccide soprattu"tto perche la sua Vita, dopo il disono-re, non avrebbe piu contenuto:.egli non saprebbe piu chofare. La gloria era tutta la sua Vita. N011 molto diVersamente da Aiace, Socrate rifiutera di Vivere, perche la sua Vita in esilio, fra i Tessali avidi di gioie sensuali, priva. della sua divina missione, non avrebbe avuto piu co11te11uto. Se si deve credere a Platone, i ricordi eroici dell’Achil1ec omerico consolarono gli ultimi suoi giorni. Ma egli avrebbel potuto ricordarsi anche di Aiace e del suo eroico dilemlmaz 0 ;.{Io1'i0san1e11te Vivere, 0 gloriosamente morire. Lu iclcc pitagoriche sul suicidio, condannato come un_a.. clisc-1'r.icmcv, non tturbarono Sofocle. Per il poeta, esso non. 1) cm 111‘ci11]c\111c1. morale: 0g11uno e padrone della propria
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sccecm 1m c-mu c~mi1:iclc*c1, ilclmczlca, 0111: vuolc uccidersi per 1:1 slccssu. i'i1|.;icnu' cli M11120: egli 11:1 ciificiag clci iigli cl1e ha uc-crisi pur In lcaliill. uccmclcctcigli da una clea. E dimostra lun}.',',tll!ll!llic! (vv. c'.:_*§_*;-+13 1:0) che ormai per lui e meglio morircc. c*hc~ In rcuu. vilcc c) state. tutta dolorosa fin dalla nascita.‘ Nlcc. poi, cl'u1c :l1'u;l.tu, si pente (VV. I347 sgg.): cc Io 110 conr~1iclc'mlu, pm‘ 1101111 sciagura nella quale mi trovo, se non c'_ilci1'l‘i in 111111 Viltc) lascianclo la Vita. Chi non sa cedere alle :+Vc:l1ll11‘c*, 11c:1mnc:1'1o saprebbe affrontare il dardo del ne-
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-—I-c4—.—mico. Io saro forte, dunque, centre la morte >1 (1). '1\'[olto probabilmente Euripide opponeva con piena c0nsapeVolezza il suo Eracle all’ Aiace sofocleo perche dicesse sulla scena una parola nuoVa: Vivere e piu doloroso e piu eroico che morire. E si ha ragione did ammirare l’eleVatezza e la nobilta cli questa nuova concezione: Eracle, che pure Vede cosi prefondamente i dolori e la Vanita della Vita, credeche lasciarla Volontariarnente, sia una Vilta, sopportarla, un dovere. Tuttavia Aiace e un eroe assai piu grande dell’Eracle euripideo: quest’ultimo e umano, troppo un1an0,~ -e piange e s’intenerisce sul suo doloroso destine. Le parole davvero eroiche e magnanime attribuitegli da Euripide nei pechi Versi che he citati sono eccezionali in tutta la tragedia: esse rappresentano un memento solo, il piu eroico, di Eracle. ~Aiace _e un’anima rupestre: la sua concezione della TVlt€i. che deV’essere posposta all’onore e eroica quanto quella cli Eraczle, e- soltanto piu primitiva. E Aiace e eroe ascsai piu grancle, perche la sua anima aderisce tutta al suo sentimento, fa tutt’uno con esso. 3 . La scena che segue al monologo, col discorso affettuoso cli Tecmessa e con 1’adclio di Aiace al figlio, ca stata giustamente paragonata da tutti i commentatori, a comin-ciare clallo scoliasta, con 1’adclio di Ettore ad Andromaca in Omero (2). La derivazione di Sefecle clall’episodi0 omerico e innegabile. Ma i critici hanne osservato quasi soltanto le somfiglianze, mentre piu assai importano let differenze. Nell’addio di Ettore ad Andromaca e il pieno unisono di due anime; sicche il canto diventa u11’elegia a due Voci. Ettore V rimpiange il padre e la madre, la moglie e il figlio che orniai e sicuro di perdere, con la stessa tenerezza con
la quale Andromaca piange la morte di lui, sempre temuta ~e Vicina. Soltanto, in Ettore e la coscienza del dovere da compiere, della nobilta e necessita del suo sacrificio, che pur prevede inutile. Se si toglie questo superiere eroisme, -che Andromaca non puo avere, ella sente e pensa in tutte come il marito. N011 appena s‘i11co11trano, Ettore sorride al bambino; ella piange e scongiura i1 marito di non esporsi al pericolo._ Quando Ettore le risponde, le sue prime parole
sono: cc Anche a me stanno a cuore queste cese, e donna >1. Quando, poi, Ettore si protencle Verso il bambino, e Astia-
natte si mette a gridare, spaventato dal suo cimicro, ridono insieme il padre e la madre. Dopo averlo palleggiate e baciato, dopo aver pregate Zeus per lui, Ettore lo da alla madre, c11e 1’acceglie al seno, e piange, e sorride. Allora 1’eroe cc la comprese e ne ebbe pieta >1 (V. 484): ‘allora le -clisse parole cli Iiducia e di speranza, diverse dalle prime, nelle -quali prevedeva la sua morte e la schiavitu di A11clromaca. I In Sefecle, abbiantio, invece, due monologhi: un'111cnologo di Tecmessa e uno di Aiace. Tecmessa incomincia (V.'485): cc O Aiace, mie padrone..... >>, e si rivolge a lui
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(I) Leggo éyxdoreowfiom tlc§vve:c:0v- tramandato dai codici, che -e la. lezione giusta (Kranz, -Phil. W,e_c:h.,_ 1927, I38; ctr. anche ‘Stasimon, 308), non éywugreofiom piorov di Wecklein e_'VVi1amo"witz. Mi pare strano -che Pohlenz (op. oit., I, 3:15 e II, ErZc'mt., --88) conservi ancora questo emendamento e assicuri, anzi, che da -esso dipenderebbe 1’ interpretazione di tutte il dramma. GiustaInente Parmentier conserva Uciwccrov. Confronta, del resto, An.--d1'om., 262 éyxdoreoeig at Ociwoc-c:ov a principio del Verso, come -nell’EmcZe. ~ _ (2) Esagera pin di tutti il Masqueray (Sophoole, I, 32, nota.) :‘ cc Sophocle ne fait que transcrire pour le theatre l'épis0de de 1'1liade >>.
piu Volte in tutte il suo discorso; ma Aiace non risponde nulla. Dopo ch’essa ha finite, dopo che i1:Coro s’e associate alla preghiera di lei, Aiace parla di Tecmessa in terza persona (VV. 527-528): cc Certo, essa avra molta lode da me, se soltanto eseguira i n:1iei‘ordi11i>>. L’eroe non ha per la sua schiava neppure una parola di compassione. Tccmessa e certo modellata su Andromaca: tutte il suo discorso 1 ispirato a" quello de11’eroi11a omerica. Ma e
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scliiccvcc, 11011 111 meglio, di Aiace. I1 ricordo delle gioie d’a1110111 1:1cmc'cc, c:c>m’c\ zlactumle, in Andromaca; 10 troviamo, invcace, in '.l.‘c~c+111c~:cscc; mac: 1), pcro, brevissimo e pudico (VV. 530-521): (‘) cc hiscaggncc. che 1111 1101110 si ricordi, se ha avuto qualclue ;;ic1iu.>>.dM‘c1 soprccltcitto 0 clct netare che Tec-
messa dice 11011 soltcuito quello che cliceva Andromaca, ma anc11e quc.-110 che diceva Ettore. L’eroe omerico giuraVa di non a111a1'c: no il padre, ne la maclre, ne i fratelli quan-
to amava la meglio; poi, con sublime, improvviso passag---.--i-1-0-utu
(I) Bone i1 Masqueray (op. c:1't.. 31): cc Tecmesse reste cha-
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ste. et £1 coté cl'e1le la Vieille I-Iécube ressemble a une entremetteuse (Hécmbe, 826 sqq.) >>. V ' ‘Pennorra - Sefecle
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l "‘I46_: gio, immaginava Andromaca prigioniera in Grecia, schiava dei vincitori, piangente, nientre qualcuno avrebbe detto: u Questa é la moglie dill-Ettore! >>. In Sotocle, questopensiero non e sulle labbra di Aiace, che non si pI‘€OCG11p?l della sua schiava, ma su quelle di Tecmessa: 1e parole, essa dice, cl1e un giorno sentira dai suoi padroni: tr Eccela compagna di letto di Aiace! >> sara1111o' 1111 obbrobrio per l’e_roe e per til suo Vyévog. _ Ancora pitt notevoli sono le differenze nel discorso di Aiace. Vi sono tratti che nettamente e consapevolmente contrappongorio al racconto omerico. Se Astianatte era spaventato dal cimiero del padre, Aiace dira, invece (vv; 545-547): u Egli non avra paura nel vedere il sangue da poco 'versato,ese veramente e mio figlio >>. Ma pit) di tutto e notevole un’altra discordanza. L’amor paterno di Ettore
i-——I47—padre sei nato n. Per il bambino ha parole dolcissime: esse rivelano che Aiace non e un’a11irna arida, ne rozza (vv. 557-558): . L’affetto per il figlio lo induce perfino a quest’unica espressione non imperiosa ne aspra per Tecmessa. Ma si direbbe che
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1’eroe non dia con le parole: risparniiare al comando, col
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culmina nella preghiera a Zeus di dare al figlio la gloria
e 10. forza che ha date a lui, e nell’immaginazione che i Troiani dicano un giorno, vedendolo tornare dalla battagliat >. Nessun padre fece mai prcghiera né augurio piit nobile. Aiace prega, irivcce (vv. 550-551): >. I..':mgurio dc1l’oroc sofocleo e ugualmente nobile, come quello dc1l’croc omorico, ma pifi triste: egli augura 2.11 figlio di avcrc la fortuna c11’eg1i non ha avuta. Soltanto, Aiace non pub ammettere che il figlio lo superi in valore: é troppo orgoglioso. Ammettera che il figlio lo uguagli, come ha. ammesso che Telarnone suo padre 1o uguagli: rria dice chiaramente che a Telamone non si riconosce interiore, e neppure potrebbe ammettere di essere interiore a suo figlio. Di fronte a Ettore umanissimo, Sotocle ha voluto creare un eroe, pur in una scena simile, infiriitamente pi1‘1 forte. Anche Aiace prende il figlio tra le braccia; ma e molto: meno tenero: egli vede nel figlio quasi soltanto i1 futuro guerriero che onorera il padre morto. (( Ma subito bisogna; educare la sua pgiovinezza nei rudi costumi del padre; bi»sogna che a lui somigli 1) (vv. 548-549). Egli 11011 rnanca di tenerezza: invidia i1 figlio di essere per la sua eta insensibile ai mali (vv.) 554-555): u nel non pensare a nulla e dolcissima la vita, finché non imparerai a gioire _e a soffrire >5. Ma la tenerezza e subito vigilata e sopraffatta dall’orgoglio del guerriero (vv. 556-557): u Quando arriverai a questo, bisognera che tu mostri in mezzo ai nemici chi sei e da qual
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tempo a11’affetto di cspanclersi, cli esprimersi subito dopo, lo clomina la prooccupazione di figlio gli oltraggi dei Greci. Cost, in tono cli bambino ancora tra 10 braccia, incarica £1
Coro che raccornandi a Toucro di proteggerlo, da le ultime disposizioni per le armi che devon esser sepolte con lui, lascia al figlio soltanto i1 settemplice immenso scudo. Per il bimbo non ha pifi nessuna parola affettuosa; in silenzio lo restituisce alla maclre. A Tecmessa dice soltanto di chiudere la tenda, e di non piangere ne gernere (v.4 579); aggiunge con superbo disdegno (v, 580): ct le donne sono molto amiche dei lamenti >>. E conclude con una se11te11~ Za che scolpisce bene i1 suo carattere (vv. 581-582): >. » . Cosi finisce questa scena di tono profondarnente diverso da1l’addio di Ettore e Andromaca: la scena nella quale Aiace dovrebbe essere pit: tenero, e tal e infatti, ma soltanto t-come puo essere tenero 1111 Aiace. I1 Coro ha ben ragione di essere spaventato (v. 583), e di dire chiaramente (v. 584): u Non mi piace la tua lingua affilatai». Ma Aiace, di quello che pensa il Coro, non fa nessun conto, e con 'l'c, ma differisce da essa per una fondamentale differenza. . ‘ - l ~ 7 L’> e inconscia: il personaggio dice qualche cosa in unsenso, e lo spettatore intende, oltre che in quel senso, in un altro senso piu riposto, pieno di pathos tragico. Qui l’ironia d’Aiace e consapevole: egli dice‘ parole che per Tecmessa e il Coro possono avere un senso, nella sua mente e per lo spettatore ne hanno invece un altro, e uno solo. Per esempio,‘ egli dira (v; 690): . Tecrnessa e il Coro intenderanno che l'er0e andra nella sua tenda. L0 spettatore intende, invece, quello che Aiace vuol dire: ch’egli andra a uccidersi. -Infine, il poeta attribuisce ad Aiace due piccole liriche, che in realta appartengono piu a lui che all’eroe.. La prima, che inizia i1 monologo, e soltanto uno spunto: sono i versi gia citati sul tempo. La seconda, piu estesa, vuol affermare, a giustificare il pentimento di Aiace, una legge universale della natura (vv. 669-680): u Le cose piu forti e potenti cedono ad altre forze: gl’inverni nevosi cedono all’estate feconda; il cielo tenebroso della notte-si ritira perche i1 giorno dai bianchi cavalli arda della sua luce;_ il soffio dei venti violenti si acquieta sul mare rnugghiante; e il
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ziare da Aiace, l’eroe sarcastico e teroce, questa splendidef religiosa lirica, e come rimproverare allo Shakespeare d1 tar recitare da Banquo, 1.111 uomo d1 guerra ambrzroso e ardito, l’altra splendida lirica, vera vanazrone poet1ca,sulla rondine, cc q_uest’ospite de11’estate frequentatrlce dei templi, che ha appeso alle mura del castello 1lsuo letto'pendulo e la sua culla ieconda n; o che perlino Macbeth, 11 ter-
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ribile Macbeth, climentichi per un 1stau;te se stesso per ncordare il volo del pipistrello intorno £1} > e della >. Rimproverare a Sofocle ch’egli faccia pronun-
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zio sonnacchioso dello scarabco, t, se non ‘rinunmassero a. lnterpretare queste parole. come tutto il rnouologo, per il pregiudizio‘ della mancanza di psicologia in ‘Sefecle. 8 ~
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"luturo nemico o il nemico come uu future amrco, non so-no equivoche, ma univoche. Se 1e parole > sono ironiche, come amtmette lo Schadewaldt stesso, non e possibile poi ritenere che queste parole siano dette sul serio, in un senso piu profondo, com’era opinione del ]ebb ed e opinione dello Schadewaldt: che, cioe, Aiace riconosca la sua colpa verso il enowov >, che e una pausa piena di fierissima amarezza. _ 3 Cosi pure, il non avere staccato l’elemento poetico dei vv. 669 sgg. induce il jebb e lo Schaclewaldt 111 altri er-
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rori: essi non possono persuadersi come mai una legge cosi generale e profonda, una cosl alla poesia, pessano esse-
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re impiegate a servizio d’una finzrone. Dunque, essi pen-
sano, davvero Aiace e rrurtato, non e pin quello >. Il sarcasmo, gia notato dallo scoliasta, e innegabi-le :nel1’espressione rt venerare gli Atridi >>, opposta
bigue: i1 lavacro e un lavacro di sangue; la purificazione e la morte; i1 modo cli sfuggire al1’ira della dea, e ancora la morte. ~AnCl1G il modo della morte e precisato: egli dice che and-ra in un luogo deserto, e scppellira la spada sotto terra: si augura che la Notte e Ade la conservino nelle loro tenebre. Egli finge, cosi, di dar la colpa di tutto alla spa-
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(I) Op. cit, II, E1'Zc'iut., 46-49. ('2) Op. cit, I76. _ -
(I) Verso 651:
(3) Op. cit., 63 sgg.
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da (1), di aclottare la procedura che si faceva contro (
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6E1|;-uxa, punendo la spada come quella che i u re n delle tribu ateniesi gettavano fuori del paese (2). 'Ef_Fettivamente seppellira, poi, la spada sotto terra; ma su quella spada si uccidera: l’invocazione ad Ade e significativa. I1 ricordo che l’arma e un dono di Ettore," il suo peggiore nemico, e che essa gli ha sempre portato sfortuna, perche, dopo quel dono, non ha avuto dai Greci che oltraggi, e la citazione del proverbio che i doni dei nemici sono sempre funesti, sono ancora un’a]lusione alla inorte. 4 " La conclusions di tutto il ragionamento e tortemente ironica: cc Percio, da orain poi sapro cedere agli dei, e imparero a venerare gli Atridi. Essi corriandano; dunque, bisogna cedere. E perche no? >>. Dire che cc io sapro cedere agli dei >> non pub aver senso ironico (3) perche Sofocle non pub bestemmiare, non ha valore: qui bestemmia non Sofocle, ma Aiace, che contro gli dei ha gia avuto una frase pin chiara: >. » ' ' Ma il ragionamento, finito nel sarcasmo, ricornincia con
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la lirica dei vv. 669 sgg., che inizia come una seconda parte del monologo. L’eroe enunzia una legge generale, che domina tutta la natura, e l’applica anche a tutti gli l.101'l1l11l in generale. Ma, quando deve applicarla a se stesso, sembra esitare (”'). _>. Ed é tutto; poi l’eroe cambia bruscamente strada, e lega a quell’>, che resta in aria, la massima di Biante. Essa e detta con iro11ia ; l’ironia si appunta nell’espressione: tr perche ho imparato da poco... >>. Come, del resto, la massima »di Biante poteva piacere ad Aiace? 4
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ra, che si ricordi di me, e che insieme sia benevolo verso di voi. Io andro dove bisogna che vada. Voi fate quello ch’io"dico, e presto lorse saprele. anche se ora sono infe1ii
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(r) Wilamowitz, Hermes, I924, 250. _ ' (2) Polluee, VIII, I20. Ctr. Dernostene, Contra Aristocmte, 76: >. E cfr. pure Eschine, Contra Cresifonte, 244: di dove risulta che gli oggetti, se erano condannati, erano puniti con L .
1’esi1io, cioe si getrtavano di la dai confini ( fmegoofigsw:
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(r) Weinstock, Sophokles, 5o sgg. '|
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che si. son fatti, cosi, ingannare da Aiace. Ed e certo falsa, ma ha qualche cosa di vero in un senso profondo, l’interpretazione di un moderno (1), secondo la quale, nel monologo, Aiace verrebbe a conflitto con se stesso: l’Aiace forte, aspro, rude, con un Aiace mite, savio, pronto a cedere: insomma, 1'Aiace vero contro un Aiace impossibile, dew Aias contro dar Nicht-Aias. Naturalmente, l’Aiace vero finirebbe per vincere. A un coulrasto del genere Sofocle non penso certo: egli parti da1l’idea d’unu lluziorie 0 a quella rimase fedele. Ma tece Aiace fmgere, come so clavvero 1’oroe tosse a conflitto con un altro se stesso piu mite e lo mettesse in fuga per sempre. Alle grandi leggi universali che gl’imporrebbero di cedere, Aiace oppone le sue ironie tremende: l'impara-
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pure in Polluce). ' ._ _ (3) Schadewaldt, op. c£t., .74. ' (4.) Ben osservato da U. v. Wilamowitz (art. 'a£t.).
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ce, che mi son salvato >>. Qui 1’ironia e cosi scoperta, da giustificare l’osservazione del Welcker che a Sofocle non si doveva rimproverare di aver composto un simile monologo, ma, se mai, di aver reso Tecmessa e il Coro troppo creduli. E veramente l’ironia ea unita a tutto il discorso. Esso e quasi tutto fatto d’ironia; ma l’ironia e inserita in una iinzione. I tratti non ironici sono pochissimi: la finzione e ridotta, cosi, al minimo. Aiace non tinge troppo bene, com’e stato detto; ma finge meno che puo. Due volte egli si are a principi generali: quando deve applicare il principio ass stesso, quando, cioe, dovrebbe ‘fingers piu. apertamente, esita. I1 monologo dimostra che Aiace non sa fingere; che ogni iinzione e contraria alla sua natura. Egli si comporta come se per la prima volta veramente gli si' affecciassero pensieri di mitezza e di moderazione, ed egli 1i respingesse. Cosi si spiega, se anche non si giustifica, l’errore dei critici che gli hanno attribuito davvero una crisi,
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La fine del discorso e tutta ironica: ogni frase contie-» ne un’ironia (vv. 684-692); tr Ma per queste cose tutto andra bene. Tu, 0 donna, rientra e prega gli dei che si conipia cio che il mio cuore desiclera. Voi, o amici, fate onore a me, facendo come lei, e (lite a Teucro, quando ver-
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re a cc venerare n gli Atridi, e la rnassima di Biante ch’egli schernisce. Cosi il monologo lascia intatta l’unita del carattere dell’eroe: dopo questa strana iinzione, noi abbiamo l’impressione cl1’egli sia Aiace come prima e piu di prima. Ch’egli voglia fingere, non e certo per un Greco una rnacchia: una finzione di questo genere doveva apparire soltanto un mezzo utile, uno stratagemma di guerra. I Greci arnmirarono sempre Odisseo, l’eroe del senno astuto e dell’inganno; e anche nel Filottete di Sotocle i marinai di Neottolemo non esitano, per ingannare Filottete, a invocare per la n'ienzogna del loro capo la testimonianza santissima di Gea, Ma qual e il motivo della finzione P Aiace non finge certo per fare i suoi preparativi in pace (‘). Certo cosi vuol far credere il poeta che sia: Aiace vuol distogliere la vigilanza di Tecrnessa e del Coro, per poi uccidersi in un luogo deserto. l\/Ia qui non bisogna prendere il poeta sulla parola: egli non me caduto, per evitare u11a piccola inverosirniglianza, in un’inverosimiglian-
per rnanitestare la sua gioia, si mette a danzare un iporchema. Questa sostituzione di un iporchema allo stasimo tradizionale non si trova che in Sotocle; e i quattro canti, soflusi d’un lirismo gioioso e lcggero, si assoniigliano. tutti. Naturalmente la libera gioia cli quei canti non puo che accentuare il contrasto con la situazione successiva, che ritornera ad essere dolorosa, dopo che la breve illusione e svanita. In due tragedie (/liczce, Edi;/Jo re), la situazione e torzata: il rasserenamento C: artificialc; nell’/lvtztigone e nel-
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le Tmchinie, esso sorge davvero dalla situazione.
za maggiore. Sofocle avrebbe potuto, abolendo il monolo-
go della finzione, far comparire Aiace sulla scena per uccidersi: nessuno si sarebbe domandato come aveva fatto l’eroe a sfuggire alla vigilanza di Tecmessa. Per tar allon_ta-
nare i1 Coro, bastava il messaggio mandate da Teucro: dopo i1 racconto del messaggcro e l’uscita del Coro, Aiace_potrcbbc uccidersi. Bastercbbe cl1’eg1i dicesse d’essere sfug-
gito in qualche m'oclo a Tecinessa, con l’astuzia o anche a torza: la schiava non avrebbe saputo impedir nulla ad
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Aiace. Basterebbe anche che non dicesse nulla. Nemmeno puo sostenersi (2) che Aiace inganni Tec-
rnessa perche ha pieta di lei e non vuol uccidersi in presenza: questo, Aiace non dice quando potrebbe e vrebbe dirlo, nell’ultimo monologo, dove per Tecmessa ha neppure una parola; e non si- ricava affatto dalla gedia.
sua donon tra-
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Resta una sola spiegazione possibile. In quattro delle sette tragedie -conservate (Antigone, Aiace, Edipo re, Tmchime), poco prima della catastrote, la situazione a un certo punto sembra vicina a risolversi felicemente, e il Coro, ..._._...._._._.........
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(I) Come ritiene i1 Pohlenz (op. 051%., I, I76). (2) Come ritiene U. v. Wilamowitz (art. c£t.).
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Naturalmente 1’iporchema dell’/liazce e nato da quello dell’A1ztigone. Ne1l’1lntig0ne, era comprensibile che il Coro s’abbandonasse alla danza in onore di Dioniso, quando vedeva Creonte disposto a salvare Antigone e a seppellire Polinice. Il puro lirismo dell’iporchema torma un contrasto potente col racconto doloroso del messaggero e con le terribili scene finali del dramma. Nell’Aiace, per determinare un simile oontrasto, bisognava forzare la situazione: bisognava che Aiace -fingesse. Si otteneva, cosi, un rallentamento dell’azione: ossia, in un dramma quasi senz’azione come la prima parte dell’/liace, s’introduceva una certa azione. L’iporchem'a, anche piu gioioso di quello dell’Am§igo1ze,, contrasta con lo stasirno precedents, improntato al pessimismo pin cupo, dove il Coro arrivava a dire ch’era meglio che Aiace morisse. Il monologo di Aiace contrastava, in certo modo, sia pure piu apparentemente che realmente, col primo monologo e con la scena dell’addio. Inoltre, il monologo della finzione e l’iporcl1ema contrastavano fortemente con la scena seguente: il messaggero, col racconto delle rivelazioni di Calcante, riaccende la tensione drammatica, ta ritornarc 1’ansiu per Aiace in Tecmessa e nel Coro. Anche la scena del 11icss:Igge1'o I‘: ispirata c'lall’A1zt£go'n.e: in essa domina, come nclI’ulli1na parte clell’/lvtztigovze, la tragicita del 1: uell'uno e nell'altro caso, i mezzi umani sono tardivi per scongiurare 1a catastrote. I1 poeta ha ottenuto un grande effetto drammatico senza nuocere al1’unita del carattere del protagonista. Allo spettatore basta sapere soltanto che Aiace vuol ingannare Tecmessa e il Coro,: non importa che sappia perche vuole ingannarli. Col suo sarcasmo, col suo non saper mentire senza lasciar intravedere la verita, Aiace resta lo stesso Aiace di prima. Perfino la facilita con la quale ritorna, nel
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monologo, sulle sue labbra la parola bswog, una parola che doveva piacere ad Aiace, lo caratterizza come l’uomo di prima. Paragonare, percib, il monologo di Aiace alla scena di Antigone piangente, e ritenere che, come la scena di Antigone, anche il monologo di Aiace, per ottenere un eflfetto dramniatico, rompa l’unita d’un carattere, I e un errore. Antigone ci appare radicalmente mutata; Aiace e imniutato e immutabile. , ' 8 _ Dopo la scena del messaggero, dopo che Tecmessa ha scoperto l’inganno diAiace e il Coro e. uscito a cercarlo, l’eroe ricompare per 18’ ultima volta. Egli ha gia piantato tra i cespugli, con la punta in alto, la spada che dovra ucciderlo. Al discorso di prima, non fa neppure un- accenno: l’accenn0 non potrebbe mancare, se egli avesse davvero avuto una crisi. Invece, egli adopera meno parole che pub: non ha compassione di se stesso, non appare nemmene commosso. Anzi, si ferma sul1’idc-:-a della morte con un compiacimento teroce: rassicura se stesso che tutti i preparativi sono stati benfatti. La spada e quella datagli cla Ettore, il pin odiato dei suoi nemici; e piantata nella terra nernic-a; e stata affilata da poco; e stata piantata nel modo migliore per tagliare. Superstizione e abilita di un uomo d’armi che sa il tatto suo si uniscono qui insieme per assicurare ad Aiace che il colpo non pub tallire. cc Cosi, sono pronto >1 (v. 823): con queste parole Iinisce la prima parte del monologo. I Comincieno, allora, lc invocazioni rituali. L’eroe invoca Zeus, E1‘l1”10S, le Erinni, il Sole, Tanato. Queste invocazioni henno fatto credere ad alcuni ch’egli muoia riconciliato con gli dei. Nulia b pin Ialso: per 1a riconciliazione, occorrerebbe ch’egli dicesse qualche cosa ad Atena; e invece proprio ad Atena non rivolge la parola. Che preghi gli dei, non é maraviglia: Aiace non e un ateo come sara il Bell-orofonte euripideo, e neppure un empio allo stesso modo di Capaneo e di Mezenzio; egli e empio soltanto per
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colo tavore >1 (1). Poi invoca Ermes psicopompo perche lo addorrnenti con una morte rapida: come la Cassandra di Eschilo (Ag, 1264), egli vuol morire d’un colpo solo, che lo uccida subito. Poi, ancora, le cc vergini eterne che vedono tutte le sofferenze degli L101'1'1i11i>>, cc le sante Erinni dal piede veloce >>, perche pcrseguitino gli Atricli malvagi,
che sono stati la causa della sua morte, A questo punto, lo
sdegno e l’odio diventano giganteschi: centondono insieme
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orgoglio. Del resto, anche la sua preghiera estrerria a Zeus I I
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non e molto pia: egli dice che gli chiede (v. 825) cc un dono non grands >1: mandare un messaggero che porti a Teucro la notizia della morte, in modo che questipossa salvare il cadavere dai cani e dagli avvoltoi. Com’b possibile non sentire, nelle parole cc un dono non grande >>, un tono d’ironica arnarezza? Dopo la: preghiera, l’eroe conclude (v. 8313): cc Di questo, o Zeus, ti prego >1; e 1’insistenza ci mostra ch’eg1i vuol dire: cc di questo solo, di questo pic-
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colpevoli e innocenti (vv. 843-844): cc Andatc, 0 rapide punitrici Erinni, divorate, non risparmiatc l’esercito intero >>. A questo punto, 1’ira cl’Aiace somiglia a quella cl’un dio: l’eroe ricorda l’Apol1o omerico che saetta implacabile per nove giorni la pesto su tutto 1’esercito greco perche Agamennone ha offeso Crise, il suo sacerdote. Aiace muore maledicendo; e questo non pub stupire: un Greco non poteva rinunziare alle maledizioni rituali. Ma e impossibile adunare tant’odio in cosi poche parole come ta qui Aiace. Le maledizioni di Antigone erano meno tremende. Ma Aiace non maledice soltanto; sembra, anzi, che, sfogato l’odio, egli voglia accogliere sentimenti assai meno aspri nel suo cuore. Cosi egli prega il Sole perché, quandovedra la terra paterna, annunzi la sua sventura _e la sua morte al vecchio padre, alla madre infelice. Per un istante, l’i1nmagine della -madre commuove 1’ eroe: essa lancera un grands ululo per tutta la citta. Ma e un attirno: subito dopo Aiace é ridiventato Aiace (vv. 852-853): cc Ma a nulla giova lamentarsi vanamente cosi; bisogna che io compia l’epera con una, certa rapidita >>. A _Un’invocazione a Tanato, brevissima. Un ultimo saluto comrnosso al sole che vede per 1’ultima volta e non 'vedra pin mai; un saluto a Salamina, ad Atene, alle fonti, ai fiumi, ai campi troiani. Poi Aiace conclude bruscamente, e sono singolari, nella loro brevita eroica, 1e ultime parole (vv. 864.-865): cc Quests e 1’ultima parola che Aiace rivelge a voi; il resto, io lo dirb ne1l'Acle a quelli di laggiu >>. E, tornato tra i cespugli, si gotta sulla sua spada. Quest’eroe aspro c selvaggio non e privo di umanita,
come pub parere a prima vista. Perche egli sente quegli 11-Inna-i-n.—n-1|-1-4
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(I) B6110 traduce il Masqueray
Cit, 42): cc ]'e 1;1’a,i antra-
chose, Zeus, £1. implorer de toi >>. Mano chiararnente il jebb (Aicw, I29): cc For thus much, 0 Zeus, I entreat: thee >>. c '
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aftetti che ogni uomo sente; ma li ricaccia in fondo al cuore, perche sa che essi non possono ne debbono prevalere. Non e vera lotta: non si pub parlare di lotta, perche l’eroe ha gia deciso in anticipo, e nessuno pub dubitare della fercmezza della sua decisions. Aiace e un magnanimo, ed e
L’/liace, scritto a pochi anni di distanza dall’Antigone, ricorda questa tragedia in molte cose. La struttura della secenda parte e tutta ispirata all’AntcTgone,' e all’Antigo1c.e devono la loro esistenza, come s’e veduto, l’iporchema' del Coro, e, di conseguenza, la fmzione di Aiace. Non mancano
tutto qui il fascino che questo eroe sofocleo esercita su qua-
altre sorniglianze, gia notate dai critici
lunque lettoreabbia il senso dell’eroico. La sua durezza, la .sua inflessibilita, il suo invincibile orgoglio, sono magnanimita. Sofocle ha amato questo suo eroe e gli ha dato una personalita gigantesca, in modo che dominasse assoluta-
la morte del protagonista precede cli parecchio la fine della
ntiente nel dramma. Tecmessa non ha. personalita vera,
perche Aiace e tutto. E soltanto la madre, la donna affettuosa, una reminisccnza dell’Andromaca omerica. Ha qual-che cosa di gentile e di tenero, che e quasi un’anticipazipne - ma come lontana! — di Deianira. Tanto Aiace domina il dramma, che il poeta, violando .la nota regola del dramma greco ne pueros populo coram Medea trucidet,
ta morire Aiace -quasi sulla scena (1), invece di far raccontare la sua morte da un nunzio, come avveniva nelle Tracie di Eschilo. Il poeta s’allontanb dalla regola, non per desiderio di novita, ne per commuovere maggiormente gli spettatori, come suppone lo scoliasta; ma per una ragione pin profonda: il dramma di Aiace era troppo intimo, perche bastasse a narrar la sua morte il racconto d’un nunzio, per necessita sempre esterno. -
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(1) E quasi certo che gli spettatori non vedevano morire Aiace. Egli piantava la spada in un voicnzog (v. 893), dietro la. scena: cir. Rhet. ad Herema, I, r. /liax in silva postqzmm rescivit guae per inscmiam feoisset, glaciio occnbuit. Dopo i1 monologo, Si I‘i’EiIa»VH- I181 vcimog per uccidersi. Molto probabilrnente gli '8Sp6’E‘IIa.IIO1‘i non vedevano pin ne Aiace ne la spada. Si e discusso a lungo come dovesse avvenire i1‘ cambiamento di scena. L’ipo8tes1 dell’é'mcn‘i:»c?t.'np.oc, proposta dal Bethe (Proleg. 2. Gesch. cl. Theat” I26 sgg.), e stata confutata esaurientemente dal Robert (Hermes, I896, 530 sgg., specialmente 538). Ma neanche soddista. la soluzione del Robert, che ricorre agli cc scalini di Caronte >>, nonostante l’approvaz:ione di _'I‘. v. Wilamowitz (op. cit, 65, n. I). Piu probabilmente Aiace entra per la parodo, e il cc cam,biamen8I;o di scena » e apparente (Pohlenz, op. cit, II, 48),.
In tutte e due,
tragedia: -il seguito contiene ne11’una la nemcsi di Antigone, ne1l’altra la rivenclicazione cli Aiace. Cosl 1'unita delle
-due tragedie e indebolita. I1 mcssaggero dell’/liace che riporta la profezia di Calcante ha un ufficio simile a quello che esegue, nell’/lmigc:::c.!, Tiresia in persona. Per passare
ai particolari tecuiei, tutte e clue 1e tragedie hanne ancora la paroclo con gli unapesti; tutte e due hanno un prologo staccato clal 1'esl.o del1’azione, di modo che, dopo la paroclo, l'aziene sembra cominciare da capo. 8 Ma, piu di queste somiglianze esterne e" strutturali. vi e tra le due tragedie una somiglianza molto pin intima. Tutte e due i drammi turono concepiti con un ardore che Sofocle non ebbe piu nelle sue tragedie posteriori. Il poeta imparb, seguendo soprattutto 1’esempio di Euripide, un’arte piu duttile, seppe comporre una tragedia con pin abilita -e pin finezza, evitando le disuguaglianze dell’A'n2figone e del1’Aiace, e anche le altre disuguaglianze che Euripide non sapeva e torse non voleva evitare. Ma non raggiunse piu la forza dell’A1/wigovce e dell’Aiace; non disegnb pin figure ~d’eroi di cosi smisurata grandezza. Antigone soniiglia in tutto ad Aiace; e la sorella di Aiace, come l’Amazzone di Policleto e la sorella del Doritoro. L’implacabilita di Aiace, la maguanimita di Aiace infuse nelle membra gracili d’una vergine: ecco Antigone. Sollanto, il clranuna di Aiace e anche pin intimo e profcmclca elm quello cl’Antigone. Un critico recente (”) saluta come il p1'i1uc> .%'c:crlc:mZw'm2za la Mcclca cli Euripide. Io non larei certo clcvl -'>'c:c:ZemZmmca una catcgoria estctica specialez ogni clrainma b sempre un .S‘ccZcmZmma. Ma, a voler dare alle parole un valore relative, b Seeleitzclmma per eccellenza, quanto la Mecifea: di Euripide, 1’/liace sofocleo. Piu giusto del critico moderno, un pittore antico, Timo(I) Sono ben riassunte dal Campbell (Aiax, c). (2) Pohlenz, op. cit. I, 258 sgg.
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Jriaco, aveva clipinto due quadri famosi: nell’uno, Medea meditante 1’uccisione dei figli; nel1’altro, Aiace disteso tra la strage delle greggi rinsavito e disperato (1). Egli s’ispirb evidentemente, per il primo, al celebre monologo della tragedia d’Euripide;' per il secondo, al primo monologo sofocleo.
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In un epigramrna di Dioscoride, un passante e davanti alla tornba di Sotocle: sulla tomba, E: rappresentata una figure. che ctiene una maschera di donna in rnano. cc Checosa e questa rnaschera? >> domanda il passante. E l'imrnagine scolpita sulla tornba risponde: cc E la niaschera di Antigone, o quella di Elettra. Tu puoi scegliere. L’una e l’a1tra tragedia sono il capolavoro di Sofocle >> (”). Se un critico moderno potesse esprimere le proprie preferenze con la liberta d’un antico poeta, io sarei d’acc'ordo soltanto a meta con Dioscoride: ad Antigone ed Elettra, sostituirei Antigone e Aiace] E direi, con l’elegante (Ales-. sandrino: cc Tu puoi scegliere. L’una e l’altra tragedia sono i1 capolavoro cli Sofocle >>. (1) lc‘iIostra8to, I/it. /Ij;0Zl., II, 10. (2) /hath. I-'al., VII, 37.
APPENDICE I
LA CRONOLOGIA DELL’/II/ICE 'Riccardo Iebb (‘) e Tycho v. Wilamowitz (2) avevano raccolto elementi importantl in "Iavore della priorita crono1ogica_-del-
1'1l1-ztigone rispetto all’/liace. Ma i critici posteriori sono quasi8tutti unanimi (“) nel ritenere 1’.-Mace anteriore: con piu calore e compiutezza, i1 Pohlenz (4'), aggiungendo argomenti nuovi a quelli antichi in favore d’una tesi trradizionale, sembra dare di questa tesi una vera e propria dimostrazione. Non sara inutile riesa:minare tutta la questions: poichb per me non e dubbia 1’anteriorita de11’Am§'ig0ne. . _ _ I H Gli argornenti addotti dal Pohlenz, tra i vecchi e i nuovi, sono molti. Ma e proprio i1 caso dl rieordare il vecchio monito ritschliano che molti argornenti mediocri non .n_e valgono uno buono. .E, purtroppo, i nuovi argomenti, non che Inigliori dei vecchi, sono forse anche peggiori (5). _ Io non vedo, per esempio, perche l’energia con la quale Ate@ii1uu-plat!-I
(1) /liccce, Introd., LII sgg.
(2.) Die cI1'c:1::rm'scIw Teclmile (Ies Sophokles, n. r. (3) (‘cant il YIIol:c~rt ((JicIc'[ncs, I. 344), M. Norsa (op. cit., 351), I1 Mcvcc1c1c~c'c|.y (.S'uj1Imc8lc'. 6 ugg.), ll Dalmeyda (Revue ales émdes );ym:qccu.c-, .1c_);;3, I egg.) (cc Max cat, sans doute, la plus ancienne do nos eept 8t1'agc'.:clic-s clu Soplreele )1), il ltelnlrarclt (Sopholcles, 22 e 245). Anche il l31umen1.8hal (Wissowa R. 13., art. Sophocles), pur incerto, incline alla. stessa conclusions. » (4) Op. cit., I, 175; e specialmente II, _Erlc'£ui'., 49. (5) I1 Pohlenz ha ragione soltanto quando nega valore all’argomento di U. v._ Wtilamowitz (Berl. Klassikertexte V, 2, 7r) per dimostrare che i vv. r2958 sgg. del1’Aia'ce sarebbero una reminiscenza. delle Cccetesi euripidee, rappresentate nel 438. I1 P011lenz osserva giustamente che la leggenda dell’aclu1terio di Aerope non fu certo inventata da Euripide _e che un particolare sta in-
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na, nel prelogo, ci rnostra essa stessa il fabula doeet della tragedia, clebba essere un segno d’arcaismo. Nel1’esodo del Filottete, che b una tragedia tardissirna, Eracle fa la stessa cosa. Nell’Ant£g0ne, il fabulaa docet e’e rnestrato pin indirettamente da Tiresia. Che cosa se ne pub concludere per la questions cronologicaP (1) Cosi al Pehlenz sembrano arcaici i colori cc troppo crudi 2) con i quali sarebbe rappresentata Atena; ma l'Atena del1’Aiace e proprio la dea della saggezza, che punisce un eroe empio, come dice essa stessa nel prologo, come spiega e centerma, dopo, Calcante (vv. 75 sgg.), e come riconosce il Pehlenz stesse. Dire che il v. 79 cc non e belle in bocca alla dea >>, e ingiustificato: la dea dice a Odisseo: cc Riders dei propri nemici non e it rise pin delce? >>, ed esprime un pensiero caratteristicamente greco. che non poteva scandalizzare nessune; inoltre, some dice il Pohlenz stesse, la demanda della dea non serve che a preparare la risposta immediata -di Odisseo: cc Ma a me basta che egli resti nella sua dimora >>. Odisseo ha paura della follia dell’eroe, e Atena vuole inceraggiarlo: il v. 79 non ha nessun accento specials.
La tecnica de11’episodio in cui, tra due oanti corali, Aiace parla a Teomessa e al Core senza cl1’essi dicane una sola parola,
sarebbe arcaica. Ma b da notare che quest’episodio e il famoso monologo clella finzione di Aiace, cosi diflicile a intendersi e cosi singolare, che e pericoloso trarre da esso argomenti del genere; che i1 Core commenta subito le parole cli Aiace ed esprime i1 suo sentimento nel1’iporchema; che certo una ragione artistica, il _voler isolare Aiace, non 1'incertezza della tecnica arcaica, ha spinto i1 poeta a ridurre l’episodio a un monologo. E nemmene sara un segno d’arcaisrno che il messo narri due velte lo stesse racconto, la prima al Coro (v. 7r9 sgg.), la secenda a Teemessa (v. 784). Quests reduplicazioni sono caratteristicamente sofocleo, come Tycho v. \Vlilan1owitz ha mostrato nel suo , » .
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dubbiamente contro l’a8ffermata dipendenza: nelle Cretesi, come gia in Esiodo, fr. 98, il rnarito di Aerepe-b Plistene; nell’Aiace. invece, come piu tardi in Euripide stesse (Elena, 390 sgg.; Oreste, I6 sgg.), il rnarito di Aerope e Atreo. Resta, perb, intatte l’argomento wilarnowitziane della dipendenza dal Telefo, che e pure del 438 88(c:Er. p. 1:83, n. 2). ' (I) Meno giustificato ancora e il tentative del Reinhardt (Sophokles, 22 sgg.), che vuol avvicinare cronelogicarnente l’Aiace ai dramrni di Eschilo per 1’-aftinita ch’-egli vede tra la tragedia sofoclea e il nuovo framrnento della Nz'obe.'_Ma, per tacere d’altre, quanti si convinceranno che ~l’ignoto personaggio del framrnento
sia Latona? Io lo escluclerei.
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libro: servono al poeta a preporzionare e acerescere i suoi efietti; Direbbe il Pohlenz cc arcaici >> i due contrasti tra Teucro e Menelao, tra _Teucro e Agamennone, che iermano anch’essi, in un certo senso, un doppieneP ‘
cc Che l’ira di Arena >>, scrive il Pehlenz, cc clebba durare un solo giorno (v. 756), e certo necessario al poeta, ma arcaico >>. Ma Sotocle, se davvero il date b arcaico o non inventate dal poeta per giustificare l'accorrere di Teuere, e, cluindl, uuire la secenda alla prima parte della tragedia, l’av1'a certo tolto dalla sua Iontez dalla Piaaolcc. Iliade o dalle Tmciu cll Eschilo. Che, poi, Teucro a v. 974 entri in scena e si rivolga ad Aiace, senza tare attenzioue a Teemessa, e che a v. 985 1e dia l’incarico di cendurre Eurlsaco senza chiamarla per nome, sono cose senza importanza. Teemessa b una schiava; e.1o stesse Aiace, quando essa gli parla lungarnente con le parole pin‘ tenere e aflettuese (vv. 485 sgg.), non si degna nemmene di rispenderle. Restano gli argomenti vecchi: cioe gli elementi epici ed eschilei dello stile, la forma arcaica della parodo, Pinesperienza che il poeta rnostrerebbe nell’adoperare il terzo attere. Ma questi argomenti non valgono pin dei prirni. Alcune parole e trasi eschilee sono state notate nei commenti del Wolf (1:40) e del jebb (LII): soprattutto sono stati esservati parecchi parallelisrni eon i Pewsécmi: cosi éongtlgce (Pei/s. 425;, Ac’. 56); orcioor ci.?ciQoot)oc._(Pers. 367; -45- 412); 7~81J'r¢6v1IE117~0¢3 (P@“’$~
386; Hi 476); ciareoaravcouévov (Pears. 489; 1% 740); 1’e1>i0 II @0(Ai. 172, 954), usato solo una volta nei Persiani (386), e poi non mai altrove nella tragedia; il plurale epico rot (rf-Ii. I404). 118:-1’C0 cla Eschilo (Pers. 584 etc.). Altre irasi rnostrano colorito omen-
co: cost vclturclw evcigcciv (I77) éitiaecev Bevei
£374)». %?w1'TcmaQ Ocimooa wiip.’ 6.721., 1:8: |u)v nlwov li.Mo 6’6.nfQe1. rqtxukov, 3 040.1. anegi nmitwcw atékewe m~1.')¢M.i,’,m, I-I nun rmm hmlilu 1'icurZ'£c'£,' Persicmi, /lgamcrmmw). Ma O arcaica. anche la pa-
rodo de11’Antigone, clove gli anaposti non rnuncano, se pure interoaiati tra 1e stroie. Dire elm In laztrmln dell’/liacc a piil arcai-
ca, ha una certa apparenza di ragione; o questo D Pargomcnto che
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si e sempre ritenuto pin Iorte pur nostcnoro In priorita dell’/Mace. Ma si e dimenticato, ed e stmno, che lo Coojoru e 10 Emncm'di,
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due tragedie del 4.58, avovano gia una pZl1‘0(l0 pin moderna sia di
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Pohlenz che Soiocle, in una tragedia come 1’Az'ace, cc non e ancora siouro del suo stile»? "Oltre a tutto, Sofocle, quando scrisse l’Aia,1-1 i----_¢----—-—-1
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(I) E sono certo‘ anche artifici arcaioi:o1:eQbcpQo.81‘]g 6’w'1‘|@ (v. 347), che chiude, nel primo stasimo, enfaticamente un lungo periodo, e 1e rispondenze tra i1 sesto verso della strofe seconds. (360) e i1 sesto verso de11’a11tistrofe (370): nel primo,o1:cw1:0rrc6V@0g'
quella dell’/Mace, sin di quella de11'Antigone. E proprio Eschilo ci da la prova migliore che un poeta, per sue speciali ragioni artistiche, poteva scrivere contemporaneamente una parodo pin arcaica e una parodo meno arcaica: nello stesse anno egli faceva. rappresentare 1’Agamem-zone, con una parodo dove 1e strofe sono precedute da un numero d’-anapesti molto maggiore di quelli delle stesse Supplied. Ma non basta: Euripide, nel 438, quattro anni dopo l'A.ntigone, in due tragedie fa precedere ancora dagli anapesti 1e strofe della parodo: tale e la parodo dell’/ilaesti, e ci sono conselvati anche gli anapesti della parodo delle Cretesi (1). . L’ argomento del terzo attore non vale pin di quello della parodo. Ad esso si suol ricorrere anche in a1tri'casi; ma non sempre con la dovuta delicatezza. Per esempio, con esso si pretendedimostrare 1’arcaicita delle Tmchim'e; ma e inutile fatica. Io non nego che si possa arrivare a cogliere Finesperienza del poeta nel servirsi di un progresso tecnico che fosse ancora una novita; ma de11’inesperienza si pub esser sicuri soltanto quando, dei tre attori sulla scmla. parlano duo soli con vero danno de11’azione, perche sa-
rebbe pru_p1'iu l1l?C0t%!lIl1‘iO che parlassero tutti e tre. Gia, quando Sofoclo scrlvova 1'/lnt1';,'mzu u 1'/Jiacu, i1 torzo attoro non era piti una vera novila: 1.11:). nol 458, sedici anni prima de1l’Antigone,
Eiotogog (awmtorniégog chiude un periodo, c’i:n:0Q0g ne inizia an a1trp), a cui rispondono, nel secondo, 'fi'L1Ji:n:0?t1,Z1e1m§k1 (01% 61¢-, I40). U11 po’ pie libera c1e11’Aiace, ela, Medea; ma d1 poco.. (2) U11 esempio di minore severitét ci ea 1’AZcest£ con i Suoi (8 anapesti. (3) I casi di eazjambement sono, inveee, un po.’ Pi-£1 numerbgi 11e11 Antigone che 1:1e11’Azace (I21 contro I08). Ma, la. tendenza al-, . . 1 nyambement, non esohllea, non eur1_p1dea,, carattenstlca 111 Sof0G1§, Si. itoanifesta. quasi ugualmente forte nei primi 'drammi e negh ultlmlz cosi la sua. irequenza, e quasi uguale nellfiilmiigotne e" nel Filotte te, cioé in due drammi certamente scritti at trentatre atttnl dz d1st’anea: 1’u:oo da1l’a.1trol E dubita i1 Siese stesso (op. 61 -, 48) dell utzlhté, 1 dell’/liczce al periodo in cui questo ritmo ebbe voga, a.nzic11e a 1.111 esempio isolato di circa. tren't’anni prima. (3) Cir. Wilamowitz, Herakles, I, I47: i1 quale, pero, inteso a fissare la. c1'ono1og"ia, de1l’EmcZe, non trae 1e eonseguenze per 1’Aiaae. ’ "
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)5. nature. diversa riconducono l’AfZace alla stessa data, per non farci concludere con sicurezza. Nelle ripetizioni di una stessa parola nelle parti 1iriche,' dovute esclusiv-amente a ragioni musicali, e facile riconoscelfe l’influsso euripideo. Ora, queste ripetizioni mancano nell’/lzntigone (tali non si possono considerare no 6') ;n:e,"|; awji, ne “iron ‘fi"r(o),- coIninciano a comparire ne11’Aiace. Si osservi, per esempio: v. 232: aeifiev xeiflev; v. 3601 oé “COL oé "com; v. 396: §?.eo0’ Eksoflé pf oi.'m‘|--
do la. consuetudine, ma sepolto u per 1’ira c_1e1 re an (1). Le Tmcfie di Eschilo per-1a questione del seppellimento di Aiace non avevano assolutamente posto: poiche il suicidio de11’eroe era raccontato da urn messo (2), questo racconto par benc dovesse essere, come d’uso, alla fine dclla tragedia (F). Meno ancora si poirrebbe sostenere che i1 contrasto per Aiace morto avesse luogo nel terzo dramrna della trilogia, L0 SaZmm'm'0 ("): qui la scena, ritorno di Teucro. Sofocle potova d1111q1u.:, togliuro clalla Piccolo Iliacie soltanto i1 dato che Agnmonnono, pur non vietando di seppellire Aiace, gli avcva negsrli i solili onori del rogo. Ma,
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v. 8671. n:§. 1:6} s1:§.; v. 9I2ta1: pév elm?) che corrispondono in 'tut"to al seconclo esempio dell’/liace. Ma e possibile ammettere influenza euripidea in Sofocle prima del 438? Proprio 1’/lntigone ci assicura di no. L’Aia-ce presuppone, dunque, almeno 1’/1Zcestz'. Ma non mancano altri argomenti, oltre quelli formali e oltre 1’imitazioneesc11i1ea nei cori de11’Ant£gine. Jlfiporchema checanta i1 Coro de11’Aiace, ingannato c1a1 monologo de11’eroe, in. onore di Pan (vv. 693-716), sembra dovere la sua esistenza soprattutto a11’iporchema in onore di Dioniso (vv. III5-I152) can’ca1:o dal Coro de11’Antigone (cf. p. I57)". Ognuno vede che 1a situazione, naturalissima nell’/lntig01ze, clove i1 Coro ha ragione di sperare che Creonte arrivi in‘ tempo per evitare ogni sventura, e, invece, forzata ne11’Az'ace, per ottenere lo stesso effetto drammatico gia ottenuto nel primo dramma. Ma v’e di pin: tutta la seconda parts de11’A'£ace sembra Inodellata sull’Ant£gone. I1 contrasto per ‘i1 seppellimento d’Aiace~ e invenzione del poeta. Egli poteva trovare nella Piccola Iliade soltanto uno spunto: che Aiace non era stato arso sul rogo secon-
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(1) Fesischrift Gomiberz, I31.
come fa subito intendere 10 stesso titolo, 6 a Salamina, dopo i1
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1:oQon,§7£so6ép.'; v. 414: aokfiv suolwiv; v. 4151. ofixérn pf ofmé"c’;».
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(I) Eustazio a I2. 2, 557 (p. 285). (2) Schol. Soph.-Ad. 815. (3) Se i1 Coro delle Tracie biasimava Menelao, come risulta dallo scolio all’/Mace, I34, non lo biasimava per aver negato 1a sepoltura ad Aiace; ma certo per la parte avuta ne11’assegnaziono delle armi a Odisseo (I2 giudizio clelle mmi era i1 prime dramma della ‘trilogia eschilea). (.1) Che i1 GimZz'.:'io drills av-:m' 0 1e Tracie facessero parte della stessa trilogia, e sicuro. C110 lo SaZmm'm'c Iosscro il terzo dramma della trilogia, E5 congottura probabilissima clul Welcker. (5) Corssen ha 'ten'ta'to di dimostrare (Div /lnligrmo, 24-28) che il mito e invenzione di Sofocle; della stessa opinione e \1V. Schrnid (PMZ. 1903, 3). Ma T. v. ‘W-ilamowitz (op. cit" 7-17) ha mostrato chiaramente che il poeta presuppone negli spc't'ta'tori 1a conoscenza della saga; Bruhn (Antigone, Ein1., 6 egg.) ha pensato a una fonte in prosa; Robert (OicZ., I, 367-371) ammette una leggenda locale, ma ritiene inventato da Sofocle 1’episodio di Emone. Io non posso qni "trattare 1’argomento; ma per me non e dubbio che Sofocle deriva la sua tragedia da una fonts epiea. Non si e osservato che i1 nome d’un personaggio molto secondario, Efiovfiixw], incomodo per i1 trimetro giambico, e, invece,
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lire i nemici caduti in battaglia sia anteriore a Sofoclez era gia negli Eleusini di Eschi1o,'coIne riapparira nelle Supjblici eu1:ipidee, e in queste ultime Teseo dovra imporre con la" guerra il crispetto diella (V. Io52)! Evidentemente egli non direbbe le parole che dice, se. Creonte, nell’Amfigone', non avesse, nel oontrasto con Emone, gia cosi parlato (vv. 663 sgg.): >.' . Qui Sofocle sembra anticipa1‘e' i1- tibullianoz ‘ Quis tuit horrendos prilnus qui protulit enses? quam ferns et vere ferreus ille fuitl ' _
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Ma per Tibullo era un abusato luogo comune, cl1’eg1i riesce a rinnovare con la dolcezza della sua anirna idillica. _ Per Sofocle, invece, deve rispecchiare un evento che com-
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muove fortemente 1'animo del poeta: se Soiocle maledice 1’inventore dcllu guerra (“), 0 con tanto ardore, difficilmente sara da credere a un motivo 1'0"Llo1‘lcu. I1 Polllenz, Iermo nel pregiudizio di una cronologia molum elm 1.1011’/liaco, pensa nlla situazione di Atene verso i1 450, dope la dietruzione della "flotta in Egitto. Ma la sconfitta d’Egi'l;to o del 4 56: so cssa, essendo la. prima disfatta
dope una serie inin'terro'I;"I;a di vittorie, dove irnpressionare molto gli_ Ateniesi, ogni suo ricorclo doloroso dove esser cancellato pri-
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ooinodissimo per 1’esametro. Ecco, dunque, provata la fonte epica. Inoltre, Euridice presuppone Emone: neppnre 1’episodio ' del fidanzamento, e della morte di Emone e invenzione sofoclea "(come, del resto, giustamente, per altre. ragioni, sosteneva, contro i1 Robert, il Roussel, Revue des ét gw. I922, 78 sgg.)._ ' '
galmente, sia pnrelegalmente soltanto, ha ussai pin ragione di Menelao: egli e il re, 1’unico lcgittimo signoro ali Tobe, e richie-
Ina dalla tregua quinquennale con Sparta de11’estate 4.5:, poi dalla
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(I) Op. 0it., II, E1'Zc'iut., 49. ' (2) E proprio Pinventore dellah guerra, non Paride: i1 verbo é'8s1,§evu'1e|w1.' trig at Mimfivrig 'i'||.w‘i nell’Amiig01ze. -Naturalrnente, non esistono cc niodelli ideali >>, come, del resto, non esistevano ne1l’intenz.ione di Sefocle. Nessuna tragedia greca avrebbe il diritto a questo titelo piu d’un’altra: l’EcZig5e we non ha questo diritto piu dell’Agame4m0ne,. 0 dell’/111.iigo'2/z.e, 0 della Medea. Ela irase non pub essere adoperata neppure in un sense piu lirnitato, per indicate un’ecce11enza d’arte maggiore, un pin perfetto capolavoro: l’xlga'men2z0ne e le Ceefere, anche a veler lasciar da parte l’Antigene e 1'/liacc, non sene certe inieriori al1’EcZij2o.
Un’ammiraziene quasi unanime, durata interi secoli, che ne fa ancer eggi i1 clramma grcce piu lotto, piu celebrate, piu spesso rapprescntate, non e affatte garanzia, ce-
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me si potrebbe credere, d’un’esatta interpretaziene e valu) I. 1 -4 u
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tazione. Avviene, anzi, il contrarie: la tragedia giunge a noi sovraccarica, quasi soffecata, per infinite impressioni *—|1‘
(1) Anche l’autere del Sublime (33, 5), giudicando Sofocle superiore a Iene, dice che un solo dramma di Soiiecle, l’EcZ1.'p0, vale piu di tutte le epere di Iene. Egli sernbra, dunque, considerare l’EcZipo il capolavoro di Sefocle. ,
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e infiniti commenti, che restano, orrnai, inseparabili, nella nostra memoria, dall’epera stessa, e spesso dirnpediscono di discernerne i veri lineanfienti. Ad allontanare queste stratificazioni, non bastano talvolta ne acunie ne dottrina: le opinieni tradizionali orrnai da secoli agiscono segretamente su qualunque lettore, e
spesso avviene, di frente a un passe di cui si conosca l’esatta interpretazione, di sentirsi ritrascinati da una vaga, e percio .pii1- pericolosa, suggestions, verso Tinterpretazione comune, che pur si sa bene che e errata. L’Edip0 e cosi conosciuto e popolare, appunto perche questa tragedia puo facilmente, nella mente di qualunque lettore, acquistare il signiiicato d’un siniholo. La storia di Edipo, a differenza di quella di Antigone, di -quella di Aiace, di quella di ogni altro eroe tragico, e, in un certo sense, la storia di un uomo qualunque. Quest’ uomo si crede, ed é anche effettivamente, felice; e a on tratto scopre di essere infelicissimo, di aver cornrnesso orribili delitti. Nella storia di Edipo qualunque essere umano potra riconoscere la propria storia: qualunque essere umano potra scoprire facilniente un giorne, se non di aver ucciso il padre e sposato la madre, di aver commesso, senz’acco1'gerse11e, errori 0 colpe 0 delitti che lo rendano irriniediabilrnente infelice. L’interpretazi0ne cornune di Edipo e quella che ne fa un uomo in assoluta balia deldestino: piu l’eroe cerca di sfuggire al suo destino, pin e legato con una catena infrangibile a queste inesorabile potere. Interpretato cosi, l’Edip0 rispecchia poeticamente un’intuizione del rnondo antica quanto l’uo1no, che non puo essere destinata a rnorire se non con l’uo1no: quella dell’uon1o che vede se stesso infinitamente debole di fronte a una potenza superiors infinitarnente forte, si chiami essa Case 0 Fate o Divinita 0 Provvidenza, abbia un potere ingiustificato, oppure giustificato da una teodicea. Esiste, e svero, un’altra- intuizione del mondo, anch’essa antica quanto 1’uorno,
anch’essa
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mortals: quella che esalta l’uo1'no come forza, come attivita, come volonta, che attribuisce all’uon1'o l.a facolta di liberaniente agire e di liberarnente potere. Naturalmente anche questa intuizione pub essere poetica, e non rneno dell’altra. Ma nell’Eciz'po questa seconda intuizione sembra inancare del tutte, o quasi del tutte, e sembra dorninare, 1IlV6C6, la prima. Ora, quale uomo non considera se stesso
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inielice, e infelice per colpa del destino? Cosi ognuno rivedra nel destino di Edipo se stesso. Ecco perche questa tragedia parla ancora cosi fortemente, oggi dope tanti secoli, al cuore degli uornini: essi vedono, di la dall’uccisione del padre e dall’incesto, nella sorte di Edipo, la sorte di tutti; e hanno per Edipo compassione profonda, perche egli e innocents, eppure infelicissimo. liedremo poi lino a che punte quest’interpretazione
4, 2:
sia giusta, fine a che punte, ciee, corrisponcla al mode di
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pensare e di sentire cli Sefecle. Qui irnporta soltanto osservare che un’interpretaziene del genere diventa facilmente sinibolica: e troppo facile finir per veclere in Edipo non un uonio, ma l’Uorno; in Apollo, non un die, ma il Fate. Ma i simboli si possono moltiplicare, e sono stati moltiplicati, infatti, specialmente dai poeti. Edipo, che risolve l’enigma della Siinge, diventa facilmente il simbolo d“"ell’urnana saggezza, che si rivela, alla f1ne,' cecita e ignoranza; oppure dell’umana saggezza condannata all’infelicita e al dolore. Cosi si puo spiegare l’Edipe, come ha fatto un critico recente (1), con le parole di Goethe: Dev’ Hcmdelnde ist immer gewissenlos; e intendere, esagerando anche il sense delle parole di Goethe, che ogni agire umano sia colpa, e soltanto la contemplazione sia senza colpa. U11 poeta, ch’era anche un ellenista, Federico Nietzsche, vedeva in Edipo u l’uon1o nobile, che e destinato, malgrado la sua saggezza, all’errore e all’infelicita, mache alla fine, in virtii del suo innnenso soffrire, esercita intorno a se una rnagica ferza benefica, etficace ancora di la dalla sua scemparsa >1. Questa concezione il Nietzsche attribuiva a Sofocle; e puo avvenire che molti lettori ancora subiscano il fascino di queste. poetica immaginazione nietzschiana. Ma importa anche rilevare che questa immaginazione, con Sofocle e col suo dramma, non ha nulla a che fare; che il poeta antice era lontanissimo dai pensieri che il poeta moderno, in veste di critice, gli attribuisce. Chi veglia intendere davvero il dramma sofocleo, deve allontanare queste e altre Slllllll interpretazioni, e tener conto soltanto delle parole del poeta. Non gli e vietato di rirnpiangere quelle interpretazioni ;
(I) Weinstock, Sophokles, 11:75.
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conrie pin 0 meno postiche e affascinanti; nscessario s soltanto che ls respinga. La grands poesia sofoclea non ha bisogna d’ssssre abbellita no adornata dalla poesia delle interprstazioni. Anzi, potra avvenire che, quando si sia arrivati a psnetrare la poesia ssmplice e profonda del poeta antico, quelle interprstazioni, per poetiche che siano, sembrino non abbellirla, ma sciuparla e dsturparla. I] prime problema, che deve affrontare ogni letteredella tragedia sofoclsa, e quello dell’innocsn2a di Edipo. Esso e state piu volts dibattuto, in vario sense (’). 4
ch’essa dsv’sssers giudicata con i criteri del tempo di Sofocle: per il diritto attico, l’uccisione di Laio e un ssempio indiscutibile di (pow/og xczrd rein; 'V6|J.OUg, di omicidio legittimo che sfuggs a ogni pena (‘), secondo la legge udi Draconen a cui accsnna Demestene (23, 53). Ne Edipo si rimprovera mai d’avsr uccise lo scenosciuto; ne alcuno penssrsbbs a rimproverarglielo, so iosss informato del fatto; nemmeno Giocasta lo biasima, quand’sg1i glielo confida. Meno che mai e pessibile vederc, nelle altre azioni di Edipo, alcuna colpa. Per sluggire alle turpitudini predettegli, sgli ha fatte il possibile. Uccidendo lo sconosciuto, non poteva mai supporre cl1’cgli iesss suo padre; sposande la vedova del rs Laio, non poteva mai supporrs cl1’essa fosse sua madrs. Quando, dope molti anni ch’egli e re, Tebs e dssolata dalla pests, sgli ubbidisce subito all’oracolo, ordinando cl1e si ricsrchino e puniscano gli uccisori did Laio: cosi facsndo, agisce, come dice sgli stesso, cc in favors del die es del morto >>. Si e voluta giudicars colpevols la sua curiosita; Plutarco vsdsva in lui un ssernpio di ;n;gQ1,3Q'Yi,()¢ colpevols; ma, come giudicava ottimaments gia Pietro Metastasis (2) combattsndo Plutarco e c< tutti i suoi dotti copisti >>, u la sua impaziente curiosita di conescer se stesso non solo e innocents e naturals, ma meritoria, come religiesa prsmura 'd’ubbidire all’oracolo >>. E neppure sono colpevoli i suoi sospetti s ls sue ire centre Tiresia e Creonte.-'Bisogna ricordare che Tirssia l’accusa dell’uccisione di Laio, d’un delitto del quals sgli si crede innocsntissimo; eppure, sgli non punisce Tirssia: si contenta d'accusarlo. E, se poi vuol far morirs Creonte, facilmsnte gli muta la psna nsll’ssilio; e della sua ingiustizia neppure Creontc, ne1l’ultima scsna, si lagna, ns gli ssrba rancore. In ogui case, tuttc queste prssunts colpe (curiosiota, so-
, Edipo s davvero innocents? Qussto problema si ri-
connstts all’altro: Edipo e libero delle sue azioni? (2). Edipo s state allevato alla certs di Corinto da Polibo. e Merops che l’ha11no considerate un lore figlio; e tale si s sempre crsduto. Un giorno, in uu banchetto, un compagno che ha troppo bsvuto lo insulta, dicsndegli ch’egli non. e figlio di Polibo. Edipo, indignatc, si contiene a stsnto; poi intsrroga quelli che crede suo padre e sua madrs. Essi si adirano centre l’autore dsll’oltraggio, ma non gli danno una smentita formale. Edipo, non rassicurato, fugge s va a intsrrogars l’oraco10 di Dslfo: domanda ad Apollo chi sono i suoi gsnitori. I1 die non gli risponds, ma soltanto gli annunzia ch’egli e destinato a uccidsrs il padre e a sposare la madre. Allora Edipo si esilia volontariamsnte da Corinto, si condanna a non rivedsr pin quelli che crede ancera suo padre e sua madre, per evitare che la prsdizione si compia. Subito dope questa decisions, incontra Laio in un trivio: provocato e colpito con la sfsrza, uccide losconosciuto e i suoi servi. Nsll’uccisions di Laio un letters moderno s portato facihnente a veders una violenza e una colpa. Ma s evidente -in
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:11 "lvmpo d1- Esclnlo, V scwcolo, c~.c>1no nmmotto i1 Calhoun stesso (Op. Olin. 25)» Che P1113 nogci Ioclo c1110 tcstimonianze che 1’attr1bu1rebbero a1 Catalogo escodco e a11’I:‘ti0pida di Arctino.
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con la purificazione (1). Ma la scomunica, 1’a11011iar1ame11t1> dalle cerimonie religiose, aveva treppa importanza nel 111011do greco, per 11011 avere rifiessi mbrali. E vi era, naturalrnente, profonda differenza' tra una purificazione per una morte naturale e una purificazione per un omicidiog e ei faceva anche differenza tra omicidio volontario e omicidio involontario. Cosi esistevano purificaziorii proibite e purificazioni insufficienti. U;n’impurita coincepita in queste mode acquista, in an certo senso, valore morale. Cosi si spiega come mai, nel1’Edz:_p0 -a Colcmo, 1’eroe, dopo i saerifiei rituali della puri-
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e1der1 II32 egg.) ancera un pinipuro e tema di contaminare '1ese0 toccandolo. E si spiega anche come nella prinia tragedia Edipo arrivi a considerarsi quasi un e01peve1e: la sua d1sgrazia e soltanto una disgrazia, ma e pur sempre vlcma a una colpa. E cosi ei si rende c-onto del contrasto apparente tra 1a p1*ima e la seconda tragedia: Se nelia seconda Edipo rivendica fieramente la sua innocenza, egli 11011 e affatto 111 conetrasto con 1’Edipo della prima, che
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conosceuza del suo terr1b11e passato, e naturale che prevalga lidea de]1’i1npurita, della scomunica religiosa, e che 1quesfctidea ‘s1~ confonda con_ ..quella_ della_ colpa. Passat1‘ parecc111 anm, dopo che Edipo, vecc1'110, mendico, cieco, si e condannato a11’esi1io, ha evitato di contaminare la sua eltta, e stpa per celebrare 0 ha celebrate i sacrifici espiatori, e a1tretta11t0\ naturale che prevalga 1’1dea de11’i11nocenZa. In realta, Ed1PO era innocente 11e11a prima tragedia come nella seconda. 1 .pLa sua vcolpa era soltanto oggettivamente, esternamente, una colpa. E 11 poeta 11011 ha cambiato idea da11’u11o 8-M10 f1I&mm&,‘11011 ha avute una SVl1‘11pPO d1 'p61T1S1'é1‘O; 111a so tanto laa plegato 1 pe11s1er1 d1iEd1p0 verso 1’una 0 laltra COI1C6Z1OI18, verso 1’un0 0 1’a1tro polo, tenendo conto unicamente della srtuazione d1"a1'1111'1atica. L L 1rnpur1ta 11011‘ ciistrugge 1’asso1uta mnocenzap d1 Ed].po. Ora, se_Ed1p0 e lnnocente, se egli e state destinato a1 male e alla sventura anche prime. di nascere, e, dunque,
l’Edip0" una Schicksalstmgficlie, anzi i1 modello stesso della Sch-i‘cksaZstmg6dz'e, com’e ne11’0pir1i0r1e ceiornune? (‘) _ A Prima d1 tutte, b1sogna osseware che lespressione -siessa Schicksaistmgfidie e inefelicei i tragici grecl 11011 conobbero .1 0 conobbero solo cccezi011a1n1e11te, la potenza . * , . infinita del Fate, supenore a uo1r11n1 e :1 de1.(’)l ‘N911 d1 fag, dunque, b1sognerebbe parlare, ma d1 deLer1111n1smo e 1_ gico; non di 1111 astratto 1mpers01m1c dostmo, _n1a degi uomini, deboli e infe1iciss1m1 (“). _ ‘ Ma insomma, intcndc11(10 i1 fatahsmo _co.me deter1n1nismo teologico, e 1’EcZij>0 una 1traged1a fatahstica? A 1m11~,;,_ W116, per 11egz1r1o, osservare, com’e state fatro, che i1 cornpimento da11’ora.co10 nen sta nel drarun?-,n\;};1)H 11e11’antefatto del dran1ma: che_11 clrarnma coueis er- pse nella ricerca e nella scoperta d1 queS’E0 ¢0IT1P117P@11t? ()__Ouesti sono sofismi: in realta, tutta la sve11tura_ d1 Echpo e proprio nel compirnento degli o1"aco11, e d1 essi s1 parla sem—iI
(1) La vecchia opinione si pub vedere rispecchiata 111 A. Mailler, /Isthetisciwr Kowma-enter 2. cl. Tmg. cl. S0phokZ6$,_\933 1E" dipo e definite Schicksalstmgfidie 1. Ora chi chiamerebbe fatalistica una simile morale? Anche quelli che credencferinalnente al libero arbitrio umano, sanno bene che l’uon1o puo cadere dalla felicita nelfinfelicita senza sua colpa: forse i1 libero arbitrio implica i1 diritto alla felicita? F I1 libero arbitrie di Edipo verrebbe a mancare, se gli dei faeessero cli lui un malvagio e uno scellerato. Edipo resta, invece, un uemo onesto e pio. G11 dei fanno di lui soltanto uno sventurato. I1 sue libero arbitrio non 1 compromesso, come non e cempromesso il libero arbitrie di Giobbe
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dall’interminabile serie di sventure che gli manda jave-11: Giobbe resta un giusto, un pie. Cosi 1’Eteoc1e esclnleo e 1’erede cl’una stirpe maledetta; 111a la n1a1ediz1one del‘ padre e 1’odio di Apollo contro la sua st1rpe,11011 impedk‘-90*‘
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no ch’egli sia un eroe e un 111ag11an1n1o, e11 egli S18. 11 d11°en-1 sore forfissimo della. sua patria. E fatale cl1e 1 ‘clue fratelli si disputino con le armi in mane i bem paterm: questa e"
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la maledizione di Edipo. Quosto sole 1 latale che a1/xfenga; il reste e determinate dalla libero volonta deg11_ 1101111111.. Cosi, nella tragedia di Sofocle, e fatalo cl1e Edipo ucclda 11
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padre e sposi la rnaclre. Ma quande Edipo dice queste parole sublimi (vv. 830-833): 1, no1_sent1\a1no che qui 1’eroe 11a conservato piena ed intera la liberta del volerei e insieme tutta la sua nobilta e dignita d1 uon1o._ G11 dei non ascolteranno la preghiera commovente d1 Edipo; ma egli non é, per queste, ne rneno 1Il1'lOC(3I11I8, ne meno degno cli cempassione. ‘ _ ,1 Per intendere quante poco sia Schicksalstmgodze 1Edijao sofocleo, basta paragenarlo brevernente con qua1cl1_e Schicksalstmgodie che volle essere 1’irn1taz1ene dellEd1por per esernpio, con la B1/am? ocm ll/[essma dello Schiller, o col Ventiguattro febbmio di Zaccaria Werner. Allora s1 vedra con1e nella tragedia schilleriana tutti i persenaggi siano dominati dall’ idea di u11Fato che tutto regela e a tutto sovrasta, e, anche q_uando agisceno, par1"ebbe,.l1berarnente, si considerano schiavi del Fate; e perfino v1 appaione inn:1n1'ora‘ti cl1e non si stancano di ripetere continua-
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(:1) Esse sene da at"t1'ibuire proprio a1 Core, non a Edipo-, come voleva lo Sooliasta e come vogliono Vvilamowitz (H.ermes,‘34, art. cit.) e Po111enz_(0p. cit, I, 222 e II, Erléiui‘, 62). I1 Inotzivo ad-
dotto dal Pohlenz, il risoontro rli tr}. xitelv’-aiviyiraro. di 'v. 1525 co1v.,8 detto da Edipo-, 6 mic» 11181111; 0161:1011; 11111101111.-11101;, non significa nulla. Neppure ha valore che Euripide, nelle Fenicie, faccia dire a Edipo, non al Core, versi molte simili a questi, oerto imitati da questi. La tragedia greoa si conclude sempre con parole del Core: cosi al Core, 11en~a I110, si devono attribuire i versi -finali delle Tmcizinie. Certo lo Sooliasta dev’essere state ingennato c1a1l’espressione Oidivtoog 55$, so non forse dal rioordo delle Ffiflifiifii‘ 1118- per Oioficmeug 658, e per espressioni di queste genere dette_'dal Core, si dove tener presente Kranz, Stassimon, 205. I1 quale ha anc_l:1e_ ragione di sostenere-, contro I/Vilamowitz (Berk. Sétz. - Bean, I903, 594), che l’a11tore dei trochei finali delle Femicie, ispirati da quelli finali de11’EcZ£j>o, sia Euripide, non un interpolatore. I1 Kranz spiega anche bene perche Euripide atrtribuisee a Edipo, anziohe al Core, quei verei: 11 poeta voleva far dire a1 Core la solita formula finale in anapesti; cesi attribui i trochei a Edipo.
mente che il lore amero non deriva c1a una libera scelta, ma
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dal segrcto disogno del Falto. E tulttavia, nella stessa Bmwt eon Messina, 111111 line, on suicidie, cl1o 1‘: atte di libero volere, cem'o dello os1>lici1:11no11to nella tragedia, rompe la catena fatalo; o sombre giusta vendetta della ragione e. della logica, dope lento imperversare del Fate, e sta a s1gn1ficare che 1'1> H1l|>|>n:1li1, 1-luv, :'.i:>1‘», 1’o1ueo1o 111 Apollo s1a,.per S0— 1.011111, In Hl1‘HH1i rho 1'.¢>1mH1'.uvu110 Eschile ed Eur1p1de. N111 vv. 1111;‘-11185, Edipo, subito dopo cl1e_l1a scoperlo tulle, 1'i:1e:+1111u> i tragici errori della sua vita: (1>ssa vederti per l’u1ti111a volte! I0 6116. 001116 si seo1>1'o, some nato da quelli da cui non dovevo nascere, in‘-sp
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(I) C051, per esernpio, YVilan1'owitz, "H.e1*mes, I899, 55 8 G1’i907’t-
Tmg. I‘, 14..
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(2) Questi versi si riferiscono a Giocasta e a Laio, non a Giocasta e a Edipo (bene i1 Mazen ad 100.).
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ho vissuto insieme con quelli con i quali non dovevo vi e re, e ho ucciso quelli che non dovevo uociderel >> Edipo dun ~ questo 11— pnrno - ' errore,’ L £1ue non L _ do vewfa nascere.- e. {we 0 1 a1o e Gloeasta, da oul sono nati gli altri due l1'lC€SlZO e il arrici ' 1 * * ‘Z Sofocle aveva]? ro 5113111 lzjasso cl asslcqra Che romcolo ch e dihEuriPide' fO¥maal dl queuo Sta _ - }(;I‘&I?.1Il _ _ d'a'SteSSa 1v1e 0 de1_d1o, quale La1odl e Eschilo Gioea~ anno d1subb1d1to. Cosl pure nei vv. I360-1:361: Edipo dira: >. Togllendo d1 mezzo 11 sollto plwalis pro si¢zgu1a,,; la fm 2 ildgalig esseri elmpflr >> si I'1f61‘iSC6-8Vid611’E8I11€Illi€ 111 loadrie - 1a Glocasta . 1 :1’ fl a H Ii come a ase che segue s1- rlferrsce V
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nocente, rna sono, invece, la punizione di due eolpevoh vo— luta da una divinita giusta. 1 Edipo non e che lo strumento di questa clivina giustizia. Ma non uno strumento senza volonta e personalita; anzi, un uomo che con tutta la sua volonta ripugna dal parricidio e dall’incesto. Certo, a noi rnoderni puo non parere giustizia quella di Apollo, che, per punire un colpevole, "la cli nn innocente un omioida e un impure. Lo spettatore antico non ave» va dubbi: la colpa di Laio cloveva essere scontata da tutta la stirpe, e 1’Eteoc1e esehileo sapeva benissirno che Apollo perseguitava l’intera stirpe, la stirpe che non sarebbe rnai dovuta nascetre. Ma 1’Eteoc1e eschileo non protesta afiatto contro 1’ ingiustizia d’una sirnile maledizione divina: egli lamenta la rovina della sua stirpe, ma non pensa affatto a rriettere in dubbio che questa rovina , sia giusta. Esohilo sentiva ancora il yévog come un’unita molto stretta: per lui era, dunque, giustizia che i figli fossero infelici perche i padri erano stati colpevoli. A * E vero che di solito quesfi infelioi di Esohilo sono anche colpevoli: oosl Agarnennone, Eteoele, Polinice. Ma 1e 10ro oolpe inclividuali non sono che conseguenza della prima colpa: cc delitto genera delitto n, e idea fondamentale di Eschilo. E di qnale colpa si rnaochia il suo Oreste, a11’infuori del matrioidio impostogli da un dio con le pin fiere minacoe?
Di quale colpa si macohiava i1 suo Edipo? (1) Essi sono innocenti, non meno c1e11’Ec1ipo sofocleo. Ma gli dei, per puniro, non conoscevano g1’inc1ividui; conoscevano le famiglie. Sollanto, ], nelle altre sei tragedie posteriori non parla piii ne dell’eredita della colpa, ne dei figli intelici per le colpe del padre: evidentemente egli dubita che iqueste idee siano giuste. Della giustizia degli dei, non puo e non vuole dubitare, e neppure vuol far apparire gli dei ingiusti. Cosi, preferisce farli apparire lontani e misteriosi, raggianti della loro onnipotenza e santita, giusti ma d’una giustizia con gli umani intelletti incommensurabile, piuttosto che manifestarnente ingiusti. Per queste, egli mette nell’on1bra pio che puo, nel1’EcZij20, la colpa cli Laio; soltanto, essa tresparisce a stento, come abbiamo veduto, da qualche fr-ase. Che questa interpretazione sia giusta, mostra nel modo pin evidente i1 confronto con l’EZeZZ"m, scritta certa1nente a pochissimi anni cli clistanza clall’Ed2Ij1o. Nell’EZettm, si parla ben poco, il meno possibile, de1l’oracolo di Apollo; ed esso nemrneno irnpone il matricidio, ma soltanto insegna a Oreste come deve fare acorripierlo: l’eroe, infatti, aveva domandato ad Apollo come cloveva vendicarsi, non se doveva vendicarsi. La responsabilita divina e, dunque, messa nell’ombra: l’o1"acolo non e pin il motivo fondamentale, se non unico, della vendetta di Oreste, come nelle Coefo-re, ma nn motivo secondario, senipre dimenticato: sembra quasi soltanto una sopravvivenza del mito, e nient’altro. In realta il rnatricidio di Oreste sembrava a Sofocle soltanto un delitto odioso: egli non osa, dunque, attribuirlo agli dei. E tanto potere ebbe qnesta ripugnanza morale nell’animo del granclissimo poeta, ch’_eg1i sacrifico perfino alla morale la poesia, trattando troppo rap-idamente la vendetta di Oreste, invertendo l’ordine tradizionale dei due omicidi, ricl11~ cendo il matricidio a una scena brevissima e scolorita, afa-
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, 1"Li?,GZ’ . $.74’?16£.% bell POCO . . ' oendo terrmnare la tragedla C011 un Q drainmatica. _ _ , . .. 11 ‘d morali L’indebol1rs1 nell ammo ch Solocle de e 1 86 . 1 . » ~ at con EI‘0d0’E0- Quesfi 1;1'3d1_Z1O1TéLl1 e. proviato daluconlron _ ' h p Onta, ll e 1sod1 c edei 1acc p non rnostra d1_ SJEli1P111.:)1 11i11S1(;1'(1J> perfino 1’Amfzg0ne e 1’A1IaceP Questo strano iraintendimento afcesta soltanto, nei critici e nei letterati,- poca di-
rava i1 gia citato Erancesoo I-?1orent1no,1 quando, 11} (11111?-
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prolusione '&CC8.d6IIl1C£L dell annio r87I, () 13611 lui“-Slt *1 ' 1’interpre’care nfatahsticamente 1Edzj)o _soiocleo e a s esia Orestea di Eschilo; salutava con entusiastiche parole 1a = 1‘ ifesa che ne11’Edzp0 a Colono 1 eroe fa della sua nmooenza. o da Anstotele al Voltaire, dal Voltaire ai critici del Novecento. Lia naturalmerl: lu vzulono anche tutte 1e difese fondate sugh stess1 p1'11"1c11a1 clvllu an-mac, sottili e psicologisticlie‘ corrie 1e accuse. Csosr, ]1m'u vulv n!4&%u1'v{1.1'c banalmente che, nella V1’EEL{\1€ cose 1:111 inw~m».imili qn:\l>. Egli sosteneva, invece, che jogni grande opera dran1matica‘_dovesse finire tranquillarnente, cc estinta ogni passione >>. Ma,‘ lasciandro da parte i gusti del_ Tennyson, assai discutibili, la sua trase ci fa comprendere subito perché 1’Edz'gb0_ sia il dramma piu celebrato dai moderni. In questa tragedia, si resta a lungo cc sulla cima di un’-onda che mai non si rompe >>. La frase del poeta, detta a tutt’altro proposito, sembra detta soltanto per 1’EcZi_7_5o_. 1 tanto é adatta a questa tragedia. Dal prineipio alla fine clell’azione lo spettatore o il lettore ha ill cuore sospeso:' sa che cleve avvenire un’irreparabile sciagura, e quella sciagura é senipre imminente, 111a sempre ritardata: ogni memento si avvicina per riallontanarsi subito dopo. Piu volte Edipo e vicino alla verita, e I1'18.1 non la scopre. La tragedia potrebbe, tcosi, definirsi il dramma de1l’ang=t>scia.. Quando i1 lettore o_ lo spettatore
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giungono alla scena dei due pastorl, C106 F-1119» 5C‘l_‘Perta def“nitiva della ifierita, non possono tare a meno d1 trarre 1111 res iro di so ievo. , . P.U11a sola analogia si puo itrovare nella tragedia grew. con una simile drammaz la prune P8116 dell {1€“m‘m"'O”6' Anche qui una tragedia, che s1 presents contlnuamente, continuarnente ritardata, si aaddensa come una _nuvola, $19061’ come -una nuvola sernbra allontanarsi, per P01 ritoruare pesare sull’a11iu1o del lettore. q 1 j _ Ma nel1’Edig50 ' quest’aspettaz1o11e, p quest angoscia domina addirittura non una sola parte: ma tutta. 181 ’fi_1‘§-8ed19~_' Essa chiude la tragedia i11_una sua 111{Jlr8-llglblle 11111151» Pelche questo solo sentimento la dornlna tutta. x . _ Le scene finali del_dran1n1a restano, pero,ptuor1 d1 quesfunita. Se ne accorgeva gia, col consueto acurne, P1etro Metastasio, quando osservava (-1) che col v. -12:21, con lap scoperta di Edipo d’essere incestuoso e parrlcida, con,1o stasimo che lamenta 1’ uuiversale infelicita uu1’ana,_' c>. Restano piu di ltrecento V61-"$1 Per 1% I9-C“ conto che ta il nunzio del suicidio di Giocasta e dell accecarnento di Edipo, e per 1e scene finali d1 Ed1po.che_ p1aI1ge la sua sventura e cerca, brancolando, le 1‘igl1e.\ Q11@S’ti-1' scene dovrebbero essere, per la loro stessa atrocita, _co1:n— rrioventi; eppure,. cornmuovono infinitamente meno d1 tutte le scene che precedono. 1 _ 1 p _ E s’intende benissinio come dispiacciano a1 mOd@l‘l11> non ccrto per la stessa ragione per la quale dispiacevano E11 (‘.c>rnc-illc, che lo biasimava (2) perche cette eloqucmte ‘er c?m'ic'm.'n cZc'.'cc:rci{>tir>n ale la mcmiére dent cm. mfzlhemcewx pranc‘r‘ we‘ 1*-n‘~:>c* Inc ycrux fcrait soulever Zrdélzcatesse de .1101 clumr.-.' qui c-c>>n/>c>.-.-ml Icz Mus bcllc pczrize ale naive acvcZ1t0.>rv. Mu pm‘ In mp-_lu1u> mollu 1>i1‘1 :1ce1'1u 0110 la Vera tragcdla tc lmilu, 1' c'lcc~ lc~ m'c'uc~ ch-I lccncvuli cli .|"Ic,lipn, per [)i1'[C'l;1Cl1G c~ c'c>lm11c>\'c*nll c'lu> cciulm, mm |>c>.~4:cc111c1 nun .~cc>n1l>1':11'c> prol1sH11 clnlm 1m'nv.icmc~ 11111111vl};liuH:1111c\11'lc! c'.c>11ctc>11ll1‘c1"tu e maravi_|,'lic>s:|1>1c-::lc- 1i.~cc>lulc|.. _ i (‘ml c[llc':-11:1, mm si 1111:1111 calm 1:111 scene cnicssero, alla 1'app1'c>sc-1clcczicmcs, 1,-1'cmclo 01101110: 1’cIfcLtc_>, anzi, pare 111-
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'(I) Of). cit. _ (2) Nella preiazione al suo Oeclzpe.
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grande attore, i1 M01111et-S1111y, quando ricompariva c011 gli occhi spenti nelle -orbite straziate, col viso coperto di sangue, 1e vesti in disordine, e trascinava dietro di se come 1111 sudario le lunghe pieghe del s1i0 111a11te110, "Jfaceva correre Per 1’11dit0ri0 1111 brivido di pieta e di terrore (1). E certo 111d11sse i1 poeta a scrivere quelle scene, oltre a1 1010 i11d11b— ‘D10 eiietto teatnale, anche u11’a1tra ragione: poiche la 111018.1111 del dramma era che 1’110m0 pi1Z1 felice pub dive11taremfelicissimo, egli ha voluto imostrare q11est’i11ie1icita nei suoi aspetfi pi1I1 terribili. Ma ne. 1’effett0 scenico, ne la ri~ spondenza alla moralita, a11’idea del dramma, possono far disconoscere che queste scene 1s0110 troppo lunghet qu_;m_ to pificrudeli ed atroci‘, “canto meno coinmoventi. N011 si 11e~ ga la 10170 unita logica col dra111'111a ver0 e proprio; si 0sserva che 11011 a perfefta 1a 1010 1111ita estetica c011 la tragedia. U11 c1"1tic0-teatrale 1110der110 (2) ha scrittoz Sophocle a voulu, aprés des ém0;'§i011s $21 rfemlbles, ag51'és des amgoigses si séches, ouw'i1' la sowce des Zarmes. Ma egli 11011 s’e accorto c11e 1e sue parole v01eva110 essere 1111 elogio, e finiscono per 'sembra1'e 1111 epigran1n1a. 1iSSiHll\g01;1Hs1 nega che 1 lamenti di Edipo abbiano "trateti _be1‘ poesla. cosi quando egh, con 1n'1mag1naz10ne suggenta al poeta dall’/lgameamone eschileo (°), si d0n1an618- ,(VV_ I371 sgg.) con quale sguardo avrebbe guardato, 11e11Ade,_su0 padre 0 1a sua madre sventurata; oppure, q11a11d0.r1c0r_da (vv. I394 sgg.) i1 s110 passato felice nel palalzizo d11P011b0 a.C01'111to: >. Q cquando S1 rivolge a1__ le cose lnammate (vv. 1398 sggx), a1 trivio fatale, a1 bosco che fur0110 _testi111o11i del suo de1itt0,c0111'e se esso, da queste 90115535510116, da questa proclamazione potesse essere" a11eg-
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gerite (1): 0 il contrasto dornina
clrammi c1’una trilogiaz Laio ed Edipo. E, poiche in Eschi10 la scoperta par bone non avvenisse sulla scena, ma si supponesse avvenuta tra 1’una e 1’a1tra tragedia (2), porre, invece, tutto i1 dramrna proprio nella scoperta, era novita grancle_ed ardita: per essa, i1 poeta nuovo si staccava completamente dal niodello del suo predecessore. Ma non tanto 1 questi motivi, pur apprezzabili, indussero il poeta alla sua innovazione -geniale, e nemmeno 1’al-
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to! >>, 0 corru ad uccidersi, Edipo non comprencle nulla e si proclama orgogliosamente figlio della Fortuna; e i1 Coro -canta un gioioso iporchema, accarezzando 1e speranze del re. Ma ecco c11e arriva il pastore tebano, e un suo contrasto -col messo di Corinto scopre tutta la verita. Edipo e precipitato 11e11’estren1a sventura; e i1 Coro canta. 1o stasimo
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che piange Pirrirnediabile infelicita urnana. Infi11e, la seena di Edipo cieco e piangente fa 1111 potente contrasto col prologo, nel quale Edipo apparhra al colrno della "Eortuna e della gloria, sovrano benefico e felice; _ La tragedia e cosi tutta governata da una sua. St-3]Ilpll— ce simrnetria: Sofocle ta obbedire 1e scene a un paralleli-1 smo di contrasti, che riesce a una sua singolare, inimita; bile armonia. 1 ' 1 ~ I1 prologo, scenografico e tastoso come in nessun’altra.. trageclia sofoclea (1), e anche ammirevole per forza poetlca e clrammatica. Vecchi, 1 giovani, bambini, sono inginocchiati davanti a un altare: in mezzo ad essi, in piedi, e un vecchio, i1 sacerdote di Zeus. Edipo parla subito nobilmente e benignamente: la sua prima parola _e_: tr figli 51. Egli stesso descrive la citta piena del fumo clell’incenso, di peani,'
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scorso come un segreto, inconscio accenno a quello che avverra: tre volte il sacerclote accenna a11’ai1.1to clivino: con l’aiuto divine Edipo ha gia salvato Tebe, con 1’ai.uto divino la salvi ancora una volta. I1 lettore non "puo tare a meno di
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pensare a quello che sta per avvenire: le parole del sa-
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(I) E anche pin scenografico e tastoso del prologo dei Sette, che certo dette a Sofocle Pispirazione per il suo-. 'A11_che_ nel prologo eschileo v’e uno spet-tacolo di masse: Eteocle parla at vecchi e ai fanciulli rimasti nella citta, mentre 1’esercito combatte. Tjimitazione e sicura. (Wilamowitz, Aischylos, 60; Pohlenz, op. cit, L214). I1 Pohlenz nota anche giustarnente riscontri fonmali: i Sette cominciano: Kc?.' e i rirnproveri! ' ' :
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ci1:ta,_e queste. non riesce a salvarsi: 111a _>. I1 poeta, che pur aveva certo vivo i1 ricordo della peste del 430-429, preterisce qui i colori del niito, come se la realta non fosse abbastanza s'pa—ventosa, e toglie a prestito da Erodoto (1) i1 rriotivo dell’in— tecondita della terra, degli) anirnali er degli uomini. I1 discorso del sacerdote, tutto pieno di rispetto e cli gratitudine per Edipo, ci ea, come meglio non si potrebbe, 1’idea della potenza e della gloria del re: u Io e "questi fanciulli qui intorno al tuo focolare non ti considerialno uguale a un dio, ma certo il primo degli uomini....>> (vv. 31:-33). Pure, il poeta ha saputo introclurre -anche in queeto di-
di gemiti. Vuol sapere la ragione della comparsa dei sup-
plicit u io sarei insensibile al dolore n, conclude (vv. I2I3), u se non avessi compassione cli queste vostro supp1i~ care >>. P000 pill di clieci versi sono bastati al poeta per pre» sentarci un Edipo umanissimo, vero padre affettuoso del suo popolo. Da quesrto memento, il lettore comincia ad amare Edipo, e fino alla fine tutta la. sua simpatia e i1 suo interesse sono per lui. Vicne in mente il prologo c1e1l’/lmiigone, dove, dai primissimi versi, balzava intero il carattere c1e1l’eroina. 1 I1 sacerclote cli Zeus fa una breve e potente; deecrizione della peste: essa e un gorge sanguinoso che sornmerge la
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mj, >. rc Quello per eui sene venuto n significa soltantor cc quello per cui tu mi hai chiamato >>, come bene spiegano ‘T. v. Wjilamowitz (op. cit. 77, nota) 'e il 11/Iader (art. c£t., 8). E, si puo aggiungere, e anche naturals che Tiresia, nell ira, rivendichi a se stesso un‘iniziativa che era partita, invece, da Edipo.
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ma queste violentissime contrasto ha qualche (cosa cli esterne e di forzate. Certo esso non nasce da1l’,an.ime"~ dei personaggi, non appare tatale e irrimediabile, resta, un po’ ar-bitrarie. Si resta stupiti de1l’accensione e della violenza del centraste, ma piu stupidi e serpresi che cemmessi; e ‘quelYaccensiene A e quella violenza non riescone a nascendere una certa intima freddezza." Cosi non é maraviglia che appaia qualche tone razionalistico, che e una vera stonatura poetica: per esempie, la dichiaraziene d1 T1res1a cl1egl1 non e servo di Edipo, ma di Apollo, e che percie egli non avra mai bisogne di Creonte come I :n:@oe"cd1:1]g (vv. 4104131). Tiresia qui parla come parlerebbe davanti ai trlbunali un cittadino ateniese di piene diritte, che naturalmente non vuel esser considerate, un meteco. Ma non l’ana_cronismo de1l’accenne al diritte attice colpisce; bensi la frigidezza del tone, in un centrasto cosi aspro, insopportabile. I1 ricorde della scena analogs. del1’Amf£g0ne, assai piu ceerente (ctr. p. 91), spiega qualche sferzatura di questa celebre scena de11’Edigbe. Anche »nell’A2t'£gene, Tiresia prima era benevolo verso il re, poi da1l’ira di lui si lasciava trascinare a dir tutto senza aver pifl nessun riguardo, Ma nel1’Amfigene 1’ira di Tiresia era assai pifl giustifieata: Findovino veniva a cempiere un devere e a rendere un servigio: spentaneamente avvertiva Creonte dell’ira degli dei per gli errori da lui commessi. L’estinaziene e 1’empieta di Creonte spingeno, poi, Tiresia a trasformare l’avvertimente nella predizione minacciosa delle sventure. Tutto e piu legate e coerente, com’einatura1e, nella scena del prime dramma. Sofocle, imitando se stesso, ha costruito una scena certamente pin ampia e cemplessa, ma che risente delle sterzature, nelle imitazieni, quasi sempre inevitabili. Un core bullisssime scpara il centraste con Tircsia da quello seguentc ceu C1'eunlu: i cori t1cl1'Ez1i1)0 sene tra i piu belli che Solecle abbia scriitli, nun in1e1'ieri e terse superieri alle stesse parli diulegiche. Inellre, i cori d011’Edi;bo hanne carattero unitarie: sene tutti strettalncnte legati al dramma: in tutti, i vccchi Tebani cemmentano gli avvenirrienti, esprimene i lore sentimenti di delere, di terrere, di gioia. Cesi queste prime stasimo rappresenta con vigoresa immaginaziene, nella prima coppia di sttrete, la vita angesciosa del celpevele sconosciute, contro i1 quale >.Créon’ Ma e aumll ugua men e vero, ‘e Z SIrina_ che _ _ non lo esservi il Voltaire stesso, che. SQ £11 argomeng 11153:: Valgono POGO, non SQnQ.P1ll tendatl gli argomen _. ac di cui si serve Edipo: il pm forte e che Creonte gli ha suggerite di consultare Ti_resia._ Un argominte simile lppn fitillé mostra nulla; Edipo dimentrca che lo s esso consig d g t -state date dal Core (vv. 284-236). 13,0$1_affe17t1'1°5P\e eigtg da non indurl-o mai 1n sespette, e ch egli stesso s1_e vgrn di aver precorse il cons1gl1o‘ del Core. I11E1I1
perche ha. fafrto dire ode. Creonte a Edipo (vv., 675—6{76):.’ a Caratteri come il tuo sono cause giustamenfe di gr:-11}d1' dolori per se stessi >>. E ogni lettorre sente che Edipo gh e simpafcico, benche abbia torto;' Creonte gli e 7:-111tipa-tico, benche abbia ragione.
diventa pifi caldo e vibrante: _
Ed. Parli come se non dovessi ne cedere ne obbedire? Cr. Vedo che ’cu non giudichi con sen1:1o'. ' Ed. Per quel -che mi riguarda, si. .Cr. Ma bisogna che 1:11 lo fascia anche per quel che rig11a.rda me. _Ed. Ma vtu Sei un_'Ina1_vag_io. ' C4’. E se til sba.g1iP ‘ u Ed. Bisogna obbedire ad ogni modo. Cr. Niente afiatto, se chi comanda comanda male. c Ed. O citte. Acittézl " . - ' C1’. Arlche io faccio parte della 'citi"2L; 11011 sei 1:11 solo! -
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Quando l’intervento di Giocasta. e del Coro ha. fatto
graziare Creonte, e la pena di 11:-Lorte gli e commutata I1€l~ 1’esi1io, cominciano le rivelazioni: la. scena tra. Edipo e Giocasta, la cosi detta. u scena. della doppia conficlenza >>, e la pifi belle. e la pi1‘1 dramniatica della tragedia. ~
Ma anche qui non trovian1o che l’eco di 1111 altro assai p111 drammatlcoe poetico contrasto: quello tra Creonte ed
Emone nell’Amfzg01ze. Diceva Emone ac Creonte (V. 755): u Se tu non fossi rnio padre, direi che tu non g1udichi,co11 senno >>. E, quando Creonte aveva domandato (V. 736): >, limone aveva nsposto (v. 737): uN011 vi e citté. c11e.s1a c11 un uomo solo >>. Cosi 11 > cl: Echpo (v. 628) ncorcla. 1:-.1 massima di Qreonte (vv. 61.06-.667): >. U11 momento, e soltanto per un momento, Edipo 1‘i— COI‘ClE.-lhll Creonte del1’Amfzgo1ze: tutto il passo é una pallida remlnlscenza del girande contrasto de11’Am52§go¢ze. Sulla su-7 penorltécdl qu_esfc’u1timo per interesse dramnmtico e V8.1011? pOe_t1co, e mutlle 1ns1stere,' tanto é evidente. ‘ ’Nemmeno s1 deve, pe1_'o. ‘negare che il poeta, facendo sego1re al contrasto, con T1res1a. un secondo contrasto cosl cllverso, abbla dato una. prove. d1, grande abflitfi, e finezza. Se .Creonte fosse stato un vlolentoe un 1mp111s1vo come Ti»res1a., avremmo as/uta. la. ripetizione d’una stessa. scena Tnvece Creonte, raglonatore, calcolatore, impassibile, fa. appenre la. seconda. scena. profondagente diverse dalla prima: con lo sua. calma. egll mette Edipo in maggicor imbarazzoche non facesse l’ira. dell’indovi11o. E con la frecldez» 7 za.-_d1 Cfeonte fanno lconfrasto lfimpulsivitéx e 1’ardore_ di Edlpo. 'la1e contrasto e d1segnato dal poeta. con finezza; edl egh stesso ha voluto" ch esso fosse osservatocdallo spettatore,
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Edipo e Giocasta posseggono ciascuno una parte del-
la veritfi: Giocasta conosce il primo oracolo, quello di Laio; Edipo conosce il secondo, quello che ha. avuto egli stesso. Giocasta sa vagamente coimfe morto Laio; Edipo ne conosce tutti i partico1ari,perche egli stesso e Fuccisore, mac non sa. che l’ucciso e Laio.‘ Ognuno dei due dice tutto quello che sa.: si clovrebbe avere la. rivelazione definitive. Invece, 1111 particolare, Lmo solo, 1’ar1‘esta: Giocasta race-ontla, co»me lee stato rife1"ito,‘ohe Laio e stato ucciso da pii1 persone, dai briganti; Edipo sa bene che l’uccisore dello sconosciuto era. egli solo. Questo particolare, come giéu i1 {>11/z~ mlis pm singulawi di Apollo, illuclendo e facendo sperare Edipo, ritarda. la scoperta della verité, cioec la catastrofe. La scena e costruita con grande intuizione psicologica e drammatica. Giocasta vuol rassicurare -Edipo da. ogni preoccupazione, distoglierlo cla1l’idea del complotto di Creonte (‘), svalutare la. SELplE31'lZEL-' profetice di Tiresia. Racconta, cosi, 1’oraco1o ricevuto da. Laio: egli doveuq-~u-mi-—q---inuill
(I) Non aver intoso queste Ia. trovare a. Tycho v. \/V:i1a,mo-
witz (op. c£t., 81) (lifl'1col'ta1 che non oi sono in questo primo intervento di Giocasta cmrlzm 1':u'to clivinatrico. I1 critico dice che Edipo non avevu laisogno cli ussc1'o I‘£l.SHi(‘.\1I‘{l'LO, porchb, non aveva mai creduto ax Tircsiu. ll mgimlmmexllo a troppo so'l;'ti1e
per, essere concludente: Edipo urn. udimto u 1>rcocc11pa'to: preoccupato d’un'comp1otto di Tiresia. 0 Croonto, non dc1l'uccisione di Laio. Giocasta vuol rassicurarlo e togliergli 1’i (v. 716). Basta q11est’ultim_o accenno nelle parole di Giocasta, che volevano e dovevano soltanto rassicurare, per gettare il turbamento ne1l’ani1r;o di Edipo. Egli e subito colpito da quelle Parole, si ricorda ‘del trivio dove ha ucciso lo sconosciuto, interroga la moglie sul luogo, sul tempo, sull’eta di Laio, sul numero delle persone che lo accompa-
paiono a poco a poco senza riuscire a comporsi in unite. e far balzare la verita intera. , S’inte11de benissimo come Edipo", dominato da una curiosita invincibile, parta da Corinto senza dir nulla a quellr 7 che crede suo padre e sua madre; come vada a Delfo a interrogate Apollo; come, dopo il responso evasivo, ma tremendo,ide1 dio, si allontani da Corinto per sempre, telriendo di. macchiarsi dei delitti predetti dall’oracolo. Segue il racconto ‘dell’uccisione di Laio, che e esempio tipico d’un omicidio cagionato dai motivi piir futili e giustificato
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gnavano. Molto drammatico e l’accenno di Giocasta che,
dopo aver descritto Laio, grands della persona, con lateSta L111 P0’ grigia, aggiunge (v. 743): ,>. Tutto coincide, tranne un partlcolare. Edipo e agitato e sconvolto-: 'eg1iracconta -a sua volta tutto quello che sa: -l’oracolo_ avuto a Delfo e l’uc-clsione dello sconosciuto. , 3 3 t ' Il racconto di Edipo, soprattutto nella prima parte, e un capolavoro di psicologia. Edipo viveva felice a Corinto con Pollbo e Merope, che credeva suo padre e sua madre. U11 g1orr1o, gli avvenne un "fatto >, dice Edipo (v. 777), ma che >. In un ban» -chetto, un convrtato, ubbriaco, lo insulto clicendogli cl1’egli non era figlio di Polibo. _ Naturalmente, Edipo si adiro, ma si contenne per quel grorno a stento; il giorno dopo, interrogo prima sua madre, po1 suo padre. Tutti e due si sdegnarono contro 1’offensore, ma non dettero nessuna-spiegazione chiara a Edipo, nessuna smentita formale al; suo compagnc di mensa. u Ed 10 >>, agglunse Edlpo (vv. 785-786), at ebbi piacere di quel loro modo d1 fare; e tuttavia l’insulto mi pungeva sempre: m era entrato molto dentro >>. * Tuttl questi particolari sono stati inventati dal poeta con coerenza‘ psicologica veramente mirabile: Edipo non lia rag1one‘d1 credere alle parole d’un ubbriaco; avrebbe, mvece, ragione d1 rass1curarsi per quelle del padre e della madre. Ma queste ultime non sono troppo rassicuranti: cosi ,l’ins11lto dell’ubbriaco gli penetra PI‘0f011da;me11te- 1161
dalla legittima ' difesa.
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Tutti i particolari coincidono, tra il racconto di Giocasta e quello tdi Edipo. Uno solo e profondamente diverso: l’unico testimone superstite, il servo di Laio che sfuggi alla morte, ha detto che gli uccisori erano parecchi. E-
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842-847) si afferra disperatamente a questo par-
ticolare), che at la sua salvezza; ma comprende lucidamente la necessita d’interrogare il servo: se -questi insisted nella sua versione, egli e salvo; se, invece, attrib11isce)l’omici.dic a uno solo, egli e irrimediabilmente colpevole.' , Giocasta risponde che il servo ha detto proprio che egli uccisori erano parecchi, che tutta la citta, non essa sola, ~1o ha sentito, e percio egli non puo piir negate quello che ha detto. Ma poi aggiunge parole strane, ingiustificabili con qualunque psicologia (vv. 851-858): >. Le parole di Giocasta sono illogicho c incomprensibili, com’e stato osservato giustamentc (‘): a lei non dovrcbbc importare
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che si sia compiuto, o no, 1’oracolo avulio da Laio; ma che ." -a '1
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-(I) Da Tycho _v. \Vilamowi'tz (op. c:z't., 82) e dal Weinstock (015. cit, I67). Non sono accettabili lo spiogazioni psicologistiche
del Festa (Introd. cit., XLVIII): >. I1 Festa non sihnasconde, anzi vede cliiaramente il problemaz ccPossibi1e che ella non senta quello che egli 1e dice in forma cosi plastica: kéjm as "cofi tlcwévrog fiv xegoliv éuatv xoaivm, §1.’> I’ P1'0p1'iO queste é 18domanda che si fa ognilettore. Ma non e accettabile la spiegazione del Festa che Giocasta si preoccuperebbe soltanto di mostrarsi dignitosa e corretta in pubblico, rivelandosi cosi la vera sorella di Creonte. ~ ~ ' (I) 'l‘ycho‘v. Vilrilamowitz (op. 0%., 82) da due ragioni delle parole di Giocasta: esse farebbero risaltare Inaggiormente la _veridicita degli oracoli, afiermata. dal poeta, preparando lo stasimo che segue immediatarnente, tutto ‘ispirato a queste terna. In secondo luogo, 1e parole di Giocasta preparerebbero la sua gioia rie1l’episodio- seguente,- a11’a11nunzio della morte di Polibo. Io» non nego che in queste spiegazioni, specialmente nella prima, sia qualche cosa di‘ vero; ma‘ esse sono insutficienti. -Non occ'orreva110,- in realta, le ultime parole di Giocasta a preparare lo stasimo: bastava 1’ incredulita gia .da- lei apertamente manifestata nel suo racconto- Quelle parole hanne uno ‘scopo assai piu importante.
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iquesta nuova azione, l’uccisione_
Laio scornpare, per far
posto al parricidio e all’incesto‘d1 Edipo. ’ 3 3 . Comunque, le parole di Giocasta 1T'é:LSS1CllI‘8.IlO’, almeno fino a un certo punto, Edipo. I1 ragionamento ch.essa-sottintende e questo: ab wee disce 014/mes: se un oracolo
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false, sono talsi tutti, se e stato false l’oracolo di Lalo, ‘e ii \
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.__. Questa volta, 1n due versi, Sofocle si st mostrato psicologo profondo: egh ha saputo rappresentare in Edipo l’uorno one vorrebbe credere a tutto quello che gli si dice per rassicurarlo, eppure non riesce a credere, che vorrebbe trovar ad ogn1,costo la pace e non riesce a trovarla, perche e vinto da on angoscia che sempre risorge. 3 I _ Cosi finisce quests. mirabile scena, che pareva, ad ognl memento, dovesse decidere ogni cosa, Ltacendo precrpitare la catastrofe, e invece non risolve nulla, raddoppiando l’attenzione e Pansieta dello spettatore. Aumenta la , tensione del drarnma; aurnenta 1’ angoscia della vittima. E si resta ancora . 3 Lo stasimo prende lo spunto da alcune parole‘ di Edipo. Egli, a v. 823, si e domandato, dopo 6SS61‘S1 quasi convinto di essere l’uccisore di Laio: tr Non sono io, dunque, tutto impuro? >>. Cosi il Coro comiucia con l’augurarsi di peter aver in sorte la purita in tutte le sue parole e in tutto lo sue azioni: dvowvog Si 1E11'11@11’E9~V1=1 di @556-’1'@ Edipo, e il Core domanda agli dei 1’ clyvsflot. Per le parole e 1e azioni pure sono stabilite u lo leggi sublimi. generate
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tura morlale rlegli uomini lo he ge11e1'ate, no mai 1e avvo1gera l’ob1io: on ;.;1':u1 dio e in esso, 1m dio che non invecchia >>. Esse sono 1e leggi non s(:1‘i'Lto, divine, immutevoli, eterne dell’/lntigovzc: dopo "lanti anni, il poeta esalta ancora quello leggi per lo quali la sua Antigone giovinetta era morta. L’ —b’[:lQrg , cioe la violazione delle leggi divine, genera la tirannide (‘); 1’ -fifigtg precipita in un abisso di
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main-qui-nuuinlnn
(I) Ne Edipo 6 accusato c1i'fi["3QLg (ctr. p. I89), Edipo e 11 rfigawog. L’interpretazione del jelob (ad 100.), che rrtiene tutto
i1 Coro diretto contro Edipo e Giocasta, e errata. ¢. -Q.‘-w_e.;=, ,_ ;» 1.i ,! l» 4I .
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mali. I1 Coro si augura che l’i:’BQtg B 1’e1r1pieta (‘) siano-pi1nite. Esse sono cause d’ogni colpa: ac quale uomo s1 augme&%~lii
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(r) Questo coro e stato interpretato nelle maniere pin diverse: a volta a volta svalutato perche non avrebbe vera relazione col dra1:nma( non manca nemmeno un infelicissirno tentative di atetesi: vedi Nusser, Sophokles’ Kfiinig Odipus, Progr. Wiirzburg I904, 16 sgg.), oppure esaltato addirittura come i1 u cuore della tragedia 5), come lo definisce il Sudhaus (op. cit, Io), che ripets una irase di Oeri: la frase e rlpetuta poi da Nestle (Class. PhiZ., art. cit., e‘ Griech. Religiositcit, II, 95), che -fa dell’EcZ£po addirittura un dramma a tesi. Sul fondamento di questo stasimo, si suol afierrnare a torto la colpevolezza di Edipo, faceudo del1’eroe 1111 empio e un tiranno. _‘ _ - Recentemente lo Sheppard, nell’intreduzione alla sua edizione commentata dell’Ec£ipo (XLI-LVIII), si e proposto con grande ohiarezza il problema e lo ha discusso lungarnente. Con ragione il critico rivendica l’ir1nocenza di Edipo. Ma e inaccettabile la sua soluzione conciliativaz il Coro ternerebbe che Edipo sia un uomo cattivo, un tiranno-, come certe sue parole e azioni clovrebbero Iargli pensare;'1r1a spererebbe ancora nella bonta del1’eroe. ‘L’interpretazione non e possibilez i1 coro non e un monito, come vorrcbbe lo Sheppard, ma un biasimo.
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Fondamentale e per 1’intc11igenza dello stasimo un’osservazione di Kranz (Stasz'm0n, 205):
16.58. a v. 901, non si riteri-
see agli oracoli, com’e interpretazione generals, ma a11’empio coritegno di Giocasta.- L’interpre'tazione di Kranz e sicura, perche Iondata sul senso di 16.56 ed espressioni simili in altri cori cli Sofocle, dov'esse sempre si riferiscono a quello che e avvenuto nella scena precedents. Cosi e stata trovata la chiave dello stasimo: i1 Coro biasima Giocasta, non Edipo: esso dice che non vuole piu recarsi ac a venerare il sacro ornbelico della terra n, se non sara segnato a dito da tutti i rnortali 1’e:u1pio contegno di Giocasta. I1 biasimo della regina trova la sua espressione i11,un ampio canto sull’fi[3Qtg nemica degli dei, generatrice della, tirannide, attraverso pensieri generali -(Kranz, 219): soltanto nella seconda aritistrofe, secondo un use caro a Sofocle (si ricordi i1 primo stasimo dell’Antig0ne), ritorna stretta la relazione col dramma. " Molto acutamente avevano intuito, senza peter dame la dimostrazione, che lo stasimo era rivolto contro Giocasta, non contro Edipo, il Robert (Oidipus, I, 3o-I) e i1 Pohlerlz (op. 0it., I, 225). _ _ ' ' L’interpretazione di Kranz dev’essere integrata dalla mia osservazione che con 1e sue prime parole il Coro prende lo spunto da una Irase di Edipo. Cosi non solamente alla fine lo stasimo s’ispira alla situazione drammatica, ma anche da principio: nel mezzo, sono i concetti morali che la trascendono.
ra piu, in queste circostanze, di tener lontano dalla propria vita i dardi della sua passione delittuosa ? (1). Se tali. azioni sono onorate, perche io dovrei pin tormare .i cori? >>.Qui oi siamo allontanati dal dramma: qui non parla piu il Coro, ma il poeta, che si larnenta dell’empieta del suo popolo: ti’. Ssi as xogsrjgtv ; e detto, assai piu che dal Coro, da Sofocle. ll/Ia l’u1tin'1a strofe ritorna, come sempre nei cori del poeta, alla situazione del dramrna. I vecchi Tebani sono atterriti e sgomenti che agli oracoli Giocasta non creda. Essi invocano disperatamente Zeus: . Se gli oracoli si compiono, Edipo é colpevole; ma il Coro ‘non si preoccupa pin, come nel primo stasimo, dell’innocenza o della colpevolezza di Edipo. E necessario che gli oracoli si compiano: il Coro s troppo religioso, come ilsuo poeta, per pensare diversamente. E cosi si dimentica, in questo stasimo, della sorte di Edipo. " La scena che segue, spesso fraintesa o trascurata dai critici, e una delle pin belle del dramma. Giocasta s’incammina, portando nelle mam lee corone e l’incenso, verso i templi degli dei. Dinanzi all’altare di Apollo Liceo, si fer-
ma, clepone le offerte votive, e prega (2). Edipo, essa dice, s’empie 1’animo di mille inquietudini e paure: non deduce, come tarebbe un uomo assennato, la vanita degli oracoli nuovi dalla vauita di quelli antichi, ma s’abbaudona Q-pp;-Q‘.-|-_-.n.n..L-an-=._:_ 3
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(1) Leggo ll 1:.':::uo con E. liruhn o Wilrunowitzz 1:0; F5171. nor’ sv 1:o'fio6' dvfle (lu|:.u£i (!l"7t1| rziilgnzrru '\pm(:’i e con lo Sheppard, Usdiv (con) gut lh~:‘nmun); 1) 1lt'l‘.(‘:lHH.1‘iil., invucu In correzione eiifiereu. clvl Mlmgravu tli 1'FQl.;‘;|'.tr1.l. zlvi cmlici. 'l‘raducendo, segue 1'inl1-rp1':+1:mim:o del Wilrmmwitz, che mi pare la sola giusta (contro l’ol\lruv., ufl. r;z't., I1, 02). (2) Da qm~sl:|. :-act-nu dell’]3dz'jJ0 deriva una scena analoga dell’EleH;a'a. Anche in quests tragedia, una donna, Clitomestra, sup-
plica Apollo perche la liberi dai suoi tirnori e dalle sue inquietudini. E la scena linisce nello stesso mode: appare un messaggero che da principle sombra recare con se il cotnpimento -della pregliiera, ma che, invece, e causa de11’estrema rovina. Ma 1’eth0.s' di Giocasta e proiondamente diverse da quello di Clitemestra.
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tutto a chiunque gli parli, purche gliparli di cose paurose. Allora, ella prega il dio perche dissipiogni con'ta1r1'i11azione e apporti la salvezza: le inquietudini di Edipo l1anno_ vinto un po’ anche lei. c1, essa dice (vv. _92.2~,—9f-53).: >. E viene Edipo. Questa volta il messaggero deve subire un interrogatorio piu lungo: Edipo domanda pin par-
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lissima, tutta femminile. la domanrla (v. 973): (I Non te i
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(I) Spesso sono stati dati apprezzamenti erronei dell’atteg-giamento di Giocasta in questau scena. Secondo il Bruhn (Oedipus, Einleit, 29), essa direbbe che fa le ofierte solo perche non e tranquillo il marito, ma vorrebbe, con esse, alleggerire la propria colpa. Attribuire. a Giocasta un'ipocrisia di questo genere, e as-. surdo assolutamente. E nemmeno e da esagerare il contrasto tra Tincredulita agli oracoli, e la preghiera e le offerte ad Apollo, s da vedere in queste contrasto un segno" della irivolezza, della legge-rezza di Giocasta, come fa U. v. Wfilamowitz (Griech. Tmg., I, Einleit, 23). on il Patin (Sophocle, 178) voleva spiegare il contrasto jmr ems incoseséguence naturelle an maflwur et peat.ét1_'e at la Zégéreté cie son sexe. Giudica rettarnente, invece, Tycho v. 'Wilarr1owitz (Op. cit, 83), il quale sostiene che bisogna contentarsi della spiegazione che cla Giocasta, cioe Sofocle, e non cercarne altre. Ma sfuggono anche a questo critico la bellezza e la psieologia profonda di questa scena soioclea. ‘
ticolari. Anche queste e psicologicamente ben osservato: Edipo era assai pin inquieto di Giocasta; _e giusto, dunque, -che voglia saper le cose con piu precisione. Poi conclude proprio come Giocasta: gli oracoli di Apollo non signifi-cano pin nulla (vv. 964-972). Giocasta trionfa: e naturalo predicevo io da tanto tempo? >>. Naturals e anche ch’essa esageri, che generalizzi: la Fortuna e signora di tutto, l’uon1o non ha 1a previdenza di nulla; dunque, la miglior cosa e vivere come uno puo, abbanclonandosi a1 caso. Ma Edipo teme. ancora: ancora una volta da ragione alla moglie (V. .986), ma teme che l’oracolo s’avveri nella -sua seconda parte, che prevede l’i11cesto con la madre. Che proprio questi tirnori di Edipo spingano il messaggero a volerlo rassicurare, aggiungendo cosi al suo messaggio una parte improvvisata, e invenzione felice. Ma soprattutto e tragico che chiunque voglia rassicurare Edipo, non taccia che accrescergli i dubbi e le inquietudini, non iaccia che far avanzare l’incl1iesta tremenda: cosi il messaggio corinzio, -cosi, prima, Giocasta. ‘ Per diciassette versi (da v. I002 a v. I018), i1 messag-gero tiene in ansia Edipo dicendo e non dicendo, e la sticornitia si presta a giuochi di queste genere, abituali nella tragedia greca; ma per noi sono troppi, e rimpiangiamo cl1e E-dipo dia prova di troppa pazienza. Finalmente, il messo parla: ha trovato egli stesso Edipo bambino sul Citerone, dove pasceva le greggi, gli ha sciolto i piedi trafitti da parte a parte. lo ha portato a Corinto, lo ha salvato. Interrogato insistentomente da Edipo, completa e precisa il racconto: non lo 11:1 tmvato, lo ha avuto in dono da un altro, da un pasture tli T.:u'o. A quvslo punlu, (iiocusla he compreso tutto: essa non poteva nun munp1'¢~1u‘le1'u, Qxmtlro volte insiste, islintiva-
meiite, cioenurwrilu ('), pt-1' im1w:li"l.'o 1’i11uvi:tn.l>ilc: prime cer-ca di sviare lizlipu elm lu. i11lur1'oga sul pasture di Laio:
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dei due pastori. e, quindi, la rivelazione della verita, continuare
a vivere con Edipo. ormai rassegnata e acquiesce-nite a1l’incesto -(Brulm, Oidijms, Einleiiu, 4.2). Ma 1'accusa 6 talsissima: ‘Giocasta agisce istintivamente, disperatamente, per impedire che‘ Edipo conosca la verita trernenda. Essa non e immorale, ma generosa: dice: 1. Sono, pero, inutili 1e discussioni di Tycho
v. Wllunmwhv. (up, city, 85) e di Kleemann (op. ci_t., 43), per
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