Sangue e suolo. Le radici esoteriche del Nuovo Ordine europeo nazista 9788878147706, 9788878147713

«Un nuovo Eden». Così Adolf Hitler, nel luglio del 1941, descriveva lo stato dell’Europa dopo la prevista vittoria nazis

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Italian Pages 208/210 [210] Year 2016

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Sangue e suolo. Le radici esoteriche del Nuovo Ordine europeo nazista
 9788878147706, 9788878147713

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In copertina: Walther Darré a Goslar (13 dicembre 1937) ISBN 978-88-7814-770-6 e-ISBN 978-88-7814-771-3 © 2016 All’Insegna del Giglio s.a.s. via del Termine, 36; 50019 Sesto Fiorentino (FI) tel. +39 055 8450 216; fax +39 055 8453 188 e-mail [email protected] sito web www.insegnadelgiglio.it Firenze, dicembre 2016 Stampa, Tecnografica Rossi

SANGUE E SUOLO Le radici esoteriche del Nuovo Ordine Europeo nazista

Paolo Lombardi – Gianluca Nesi

All’Insegna del Giglio s.a.s.

Indice Introduzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 7 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14.

Parte prima. IL SANGUE L’ideologia del sangue di Adolf Hitler . . . . . . . . . 25 Le origini della destra etno-nazionalista . . . . . . . . . 29 Il misterioso potere del sangue germanico . . . . . . . . 32 L’accusa del sangue . . . . . . . . . . . . . . . . 40 Visione e progetto di un’aristocrazia del sangue . . . . . . 47 Gli ordini iniziatici antisemiti . . . . . . . . . . . . 52 Dai rituali di morte all’omicidio rituale . . . . . . . . . 57 Adolf Hitler e la nuova fede del sangue . . . . . . . . . 62 La visione dello spazio vitale a Est . . . . . . . . . . . 69 La nobilitazione della Weltanschauung . . . . . . . . . 75 Walther Darré e la nuova nobiltà di sangue e suolo . . . . 84 Heinrich Himmler e le nuove SS . . . . . . . . . . . 92 Verso un nuovo Reich di sangue e suolo . . . . . . . . 95 I fondatori di un nuovo inizio . . . . . . . . . . . . 101

Parte seconda. IL SUOLO Ostraum. Presupposti di un impero coloniale a Est . . . . 111 1. 2. Il Generalplan Ost e le sue trasformazioni . . . . . . . 130 3. Il territorio II/10/I GG . . . . . . . . . . . . . . . 155 4. Il piano. Genocidio e globalizzazione europea . . . . . . 167 a) Genocidio . . . . . . . . . . . . . . . . . . 167 b) Globalizzazione europea . . . . . . . . . . . . . 179 5. La fine . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 193 Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 197 Indice dei nomi . . . . . . . . . . . . . . . . . 203 Glossario e abbreviazioni . . . . . . . . . . . . . . 207

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Introduzione «Nessun popolo può perdurare se non nella misura in cui ammette che una cosa sola è eterna: sangue e suolo» Anton Emmerich Zischka (1938)

Nel 1938, il giornalista Anton Zischka richiamava il tema caro alla temperie nazista del “sangue e suolo” (Blut und Boden), individuando nel rapporto tra il sangue del popolo tedesco e il suolo della madrepatria, e nel suo armonioso dispiegarsi, la fonte a cui avrebbe dovuto ispirarsi la dottrina politica, giuridica e sociale del Terzo Reich. Questo rapporto, nelle teorizzazioni predilette da molti esponenti del regime, tra cui il ministro dell’alimentazione Walther Darré e il suo successore Herbert Backe, il capo delle SS Heinrich Himmler, il comandante di Auschwitz Rudolf Höss, solo per citarne alcuni (e lo stesso Hitler non era immune al fascino di queste teorizzazioni), aveva un carattere sacrale. Vi era un legame mistico tra il sangue posseduto dal popolo tedesco, e la terra destinatagli per nascita. Questa mistica affinità, se alimentata, avrebbe prodotto una fioritura della nazione tedesca, che avrebbe così conservato le proprie radici contenute nel sangue; viceversa, lo spezzarsi di questo legame avrebbe condotto a un deperimento della nazione germanica. Non c’è dubbio che molti esponenti del movimento nazista interpretassero il Trattato di Versailles, che aveva amputato territori ritenuti di diritto appartenenti al sangue tedesco, alla luce di questa dottrina. Non si trattava tuttavia di una concezione sorta con il movimento nazista, ma di una visione del mondo precedente ad esso, spesso connessa a idee legate all’esoterismo diffuse in Germania sin dalla fine del XIX secolo, e che il nazismo fece proprie. Il tema della rigenerazione del sangue, della purificazione del sangue inquinato, fu centrale nella visione di Richard Wagner che influenzò Adolf Hitler fin da giovanissimo. In altri esponenti dei movimenti occultistici tedeschi, come Rudolf von Sebottendorff, ritornava invece la visione della riscoperta del vero, autentico io, dell’antica stirpe ariana, come recupero del proprio sangue primevo.

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L’antica, divina condizione della razza ariana, che godeva di doni eccezionali grazie alla purezza del proprio sangue, simboleggiata nel sistema di scrittura delle rune, e in particolare dal “segno solare” della svastica, è andata perduta a causa delle degenerazioni del sangue che a loro volta hanno determinato contaminazioni culturali. É tuttavia possibile per l’ariano, in una sorta di ascesi mistica, riscoprire se stesso, se riconosce il proprio sangue. Si trattava di idee diffuse, deliranti e incoerenti, e tuttavia ben presenti nel settarismo völkisch (etno-nazionalista) da cui nacque il partito nazista. La storia che segue narra il modo in cui queste idee si diffusero e si svilupparono, pur senza giungere mai a formare un sistema coerente e unitario, e percolando attraverso il nascente movimento nazista, vennero a determinare la credenza che la nazione si basasse sulla razza, e che l’appartenenza al popolo coincidesse con l’appartenenza per nascita alla razza; e che l’appartenenza alla razza, a sua volta, fosse legata per via mistica all’appartenenza a un suolo. Questa certezza allignò in particolar modo nelle SS, le quali fecero proprie le idee di Darré secondo cui il legame con il suolo avrebbe determinato il sorgere di un’aristocrazia del sangue. All’interno dell’organizzazione delle SS nacquero appositi uffici che si impegnarono a scegliere le fattorie per le famiglie dei propri militi, in modo che si sviluppasse una classe di contadini-guerrieri destinati a divenire quella nuova aristocrazia. Significativamente, questi uffici furono in un primo tempo affidati proprio a Darré, il cantore di una visione secondo la quale erano i contadini l’espressione migliore della vitalità della razza nordica. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale, questa visione si ampliò, si radicalizzò e si modificò perdendo certe caratteristiche e acquisendone altre, fino a diventare un piano per l’intero continente europeo. Grazie alle vittorie guadagnate sui campi di battaglia della Polonia, della Danimarca, della Norvegia, dell’Olanda, della Francia, dei Balcani e della Russia tra il 1939 e il 1942, il Terzo Reich si ritrovò padrone di un immenso territorio che andava dalla Manica fino al Volga. Per questo impero le SS, mettendo a frutto la visione che si compendiava nella formula “sangue e suolo”, elaborarono un enorme piano, conosciuto come Generalplan Ost, che aveva al centro la costituzione di un vasto impero nell’Est, ma che in realtà coinvolgeva anche ampie parti dell’Europa occidentale. Esso prevedeva la formazione di un forte impero centrale dei tedeschi corrispondente più o meno alla Mitteleuropa; e la creazione di

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un territorio coloniale germanico esteso fino all’Ucraina e alla Bielorussia, comprendente anche i Paesi Baltici e la regione di Leningrado. Le popolazioni autoctone di questi territori sarebbero state evacuate coattivamente (termine che dall’inizio del 1942 assunse sempre più connotati sinistri) e sostituite da coloni di stirpe germanica che avrebbero ripristinato l’unità di sangue e suolo su territori che una volta, in un mitico passato, erano già stati sotto il dominio delle popolazioni germaniche, come ad esempio, al tempo dei Goti e dei Cavalieri Teutonici. Una fitta rete di fattorie tedesche avrebbe dovuto costituire una sorta di muro del sangue contro le orde asiatiche che avevano un tempo minacciato l’Europa. Una parte delle popolazioni autoctone sarebbe tuttavia rimasta nei territori colonizzati, in modo da fornire la necessaria forza lavoro al servizio dei colonizzatori; una classe di schiavi che avrebbe avuto il permesso di rimanere agli ordini della razza padrona. Il resto dell’Europa sarebbe stato integrato in un’unica economia sotto la supremazia tedesca. In tal modo l’unità dell’Europa sarebbe stata fatta e il continente, libero dal pericolo di ulteriori contaminazioni del sangue grazie all’allontanamento di tutti i nemici razziali, avrebbe conosciuto una nuova età dell’oro grazie al fiorire del sangue puro e alla libertà dalla dipendenza dall’estero. La  nuova, purificata unità europea avrebbe fornito, nel volgere di poche generazioni, la potenza necessaria per la competizione mondiale contro altri blocchi, come gli Stati Uniti. La storia narrata in questo libro è articolata su due parti: nella prima il lettore troverà le concezioni razziste pre-naziste relative al sangue e alla sua purezza; nella seconda parte sarà contenuto lo sviluppo di quelle teorie razziali sul sangue che, percolando attraverso il nazismo, divennero la spina dorsale di un grandioso piano che le SS concepirono per l’Europa dopo la vittoria bellica, e che fu vicino ad essere realizzato; solo la straordinaria resistenza dell’Armata Rossa a Stalingrado, l’alleanza militare tra le Nazioni Unite, ed enormi distruzioni, sofferenze, tragedie poterono impedire che il piano delle SS divenisse realtà. Esso rimase, in gran parte, sulla carta; e ancora oggi autorevoli storici ritengono che il Generalplan Ost sia stato poco più che una chimera nazista; persino uno studioso del calibro di Max Mazower ha reputato che il piano delle SS altro non fosse che «an exercise in utopianism» 1. In realtà, le terribili 1  M. Mazower, Hitler’s Empire. Nazi Rule in Occupied Europe, Penguin, London, 2009, p. 314.

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sofferenze delle popolazioni polacche ed ebraiche espulse dalle regioni annesse al Reich dopo la sconfitta della Polonia, e degli abitanti del distretto di Zamosc, oggetto tra il 1942 e il 1943 del tentativo delle SS di far partire la prima fase di attuazione del Generalplan Ost, imporrebbero maggior cautela. Per tutti costoro, il piano delle SS non fu un mero esercizio retorico, ma una terribile realtà. Inoltre, il gigantesco sforzo compiuto da Himmler per costituire un apparato che pianificasse e mettesse in atto quel piano che altro non mirava che alla purificazione razziale d’Europa e allo stringere dei legami tra sangue e suolo, non fu il mero inseguire un sogno. Himmler costituì appositamente uffici, organizzazioni burocratiche e apparati, nei quali si dispiegavano possibilità di carriera e di potere. Queste strutture reclutavano personale ed esercitavano un’autorità sui territori di propria competenza e sulle popolazioni che vi vivevano, e non è possibile obliterarle relegandole nei depositi dei folli sogni nazisti. Tra di esse ve ne erano alcune che si occupavano esplicitamente di selezione razziale, e che operavano nei territori conquistati in guerra identificando i soggetti dotati di valore razziale e quindi utilizzabili ai fini di una germanizzazione del continente rispetto a quelli biologicamente inutili e quindi da far sparire dai territori da germanizzare oppure da utilizzare, in condizioni di sicurezza razziale ossia di segregazione, come schiavi. Al lavoro di progettazione e di realizzazione del piano di unificazione razziale ed economica dell’Europa concepito dagli uomini di Himmler presero parte architetti, agronomi, economisti, pianificatori urbani, demografi, antropologi, (presunti) esperti razziali, sociologi. Un’intera fascia dei migliori cervelli usciti dalle università tedesche si arruolò nelle SS e prese parte a questo immane lavoro pianificatorio il cui risultato ultimo doveva essere nientemeno che la costruzione di un nuovo assetto continentale da realizzarsi nel volgere di venti-trenta anni dopo la conclusione della guerra. In taluni casi, ad aderire furono persino personaggi di formazione accademica che non erano neppure nazisti della prima ora, come Konrad Meyer, che tanta parte ebbe nella storia che segue. Non c’è dubbio che il Generalplan Ost, lungi dall’essere semplicemente un innocuo esercizio intellettuale per il dopoguerra (come in effetti fu giudicato durante i processi di Norimberga), fu un elemento importante per la costruzione del consenso al regime tra le classi intellettuali. È nostra opinione che il segreto di quel consenso si trovi appunto nelle correnti intellettuali precedenti al nazismo, al quale il nazismo si

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rifece abbeverandosi: l’insistenza sull’identificazione della nazione con la razza; l’importanza del tema della purificazione del sangue; e soprattutto il legame tra l’appartenenza alla stirpe germanica e la proprietà del suolo. Ciò che contraddistinse il piano delle SS fu infatti la relazione tra il nazionalismo e la germanizzazione dei territori. A  differenza di altre posizioni, pur presenti all’interno del regime, come quelle di Walther Funk sulla necessità di un Nuovo Ordine Europeo che prevedesse l’unità economica dell’Europa sotto l’egemonia tedesca, le tesi delle SS prevedevano che tale unità si realizzasse sotto il segno della germanizzazione e della purezza razziale. In un nazionalismo vivamente tinto di venature razziste, le SS proponevano un’Europa che non solo fosse dominata dall’economia tedesca, ma che al contempo avesse realizzato il progetto di uno spazio vitale tedesco completamente riempito di sangue germanico, in cui i nemici razziali fossero scomparsi o convenientemente ridotti di numero e quindi facilmente tenuti a bada tramite la segregazione. Era questo il Nuovo Ordine cui le SS pensavano per il dopoguerra; e a quanto pare, era proprio questo l’elemento che maggiormente attirava le classi intellettuali che si riunivano attorno alla bandiera del Generalplan Ost arruolandosi nelle SS. E tuttavia questo passaggio non sarebbe comprensibile senza tenere presente il lascito costituito dalle teorie pre-naziste legate alla völkische Weltanschauung e alla teoria del legame tra sangue e suolo. Per ammissione dello stesso Konrad Meyer durante il processo che subì a Norimberga, fu per il tramite di Walther Darré, il maggior sostenitore del legame Blut und Boden, che egli entrò nelle SS; e il caso di Meyer non fu certo isolato. Ci corre tuttavia l’obbligo di fare una precisazione; ripercorrere i fili che portarono dalle dottrine esoteriche pre-naziste alle idee che sostanziarono la preparazione (e anche la prima attuazione) di un piano per unire, dal punto di vista razziale ed economico, il continente europeo allo scopo di aprire una nuova età dell’oro della razza ariana (o, come preferiva esprimersi Hitler, un eden), non significa sostenere che quella nazista fosse una crociata di occultisti alla conquista del mondo. Altri lo hanno sostenuto, ma non è questa la nostra opinione. Occorre fare qui una puntualizzazione riguardo all’alluvione di scritti che si occupano del cosiddetto “esoterismo nazista”, e che si lasciano affascinare dai presunti misteri del nazismo cadendo facilmente nella fantastoria. Si tratta nella maggior parte dei casi di una paccottiglia occultista che indugia su potenze oscure, superiori incogniti, centri

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segreti di potere, e altre amenità di questo genere, finendo in molti casi per condividere, più o meno consapevolmente, l’orizzonte mitologico nazista 2. Di questo filone non fanno parte studi più seri come quello di Giorgio Galli che si mantiene entro la narrazione storica, e tuttavia con il limite di esibire rimandi che rimangono fini a se stessi, e affastellando fatti che non hanno relazione tra loro, dagli assassini di Jack lo squartatore ai presunti contatti tra Hitler e il mago Aleister Crowley. Il rischio degli scritti che si occupano di questa materia sta nell’assumere uno specifico aspetto ideologico come l’unica lente attraverso cui guardare l’intera storia del nazismo guidati più dalla fascinazione dell’argomento che da un serio impegno storiografico con il risultato di generare un climax orrido-tenebroso in cui gli eventi vengono trasfigurati in una dimensione sovra umana, e Hitler in una figura demoniaca tale da avallare la fisionomia sovrastorica che il nazismo pretese di possedere 3. Le credenze esoteriche devono invece essere comprese per quello che furono, ovvero moventi irrazionali di azioni criminali. I nazisti avevano ben poca conoscenza della mitologia germanica e scandinava, e il loro apparato mitologico era un’accozzaglia aberrante dominata dal balbettio terrorizzato, e terrorizzante, di una cerchia di sradicati giunti improvvisamente al potere con l’assenso di un’ampia parte della società tedesca provata dalla recessione economica. È alla realtà della Germania degli anni Trenta e Quaranta che occorre guardare piuttosto che alla “terra dell’ombra” cui si rivolgono gli pseudo storici dell’esoterismo nazista, consapevoli che dietro l’aura del segreto non vi è nulla se non l’aura stessa che il segreto pretende di emanare. Sono ben poco esoterici i testi nazisti, così monotoni e ripetitivi fino alla nausea di uno stesso schema: gli ebrei cattivi che hanno distrutto l’eden originario, e i nazisti buoni 2  Il filone fantastorico sull’occultismo nazista è stato inaugurato da Louis Pauwels e Jacques Bergier con Le matin des magiciens nel 1960. Tra i testi più noti di questa vulgata vi è Hitler e la lancia del destino di Trevor Ravenscroft; ma non pochi sono quelli scritti da ex nazisti o neonazisti, come ad esempio: Götzen gegen Thule dell’occultista e membro delle SS Wilhelm Landig; Wolf Zeit um Thule dell’ex tenente colonnello delle SS francesi Marc Augier, alias Saint-Loup, o la trilogia su Hitler di Miguel Serrano. 3  G. Galli, Hitler e il nazismo magico, Rizzoli, Milano, 1989; Id., Hitler e la cultura occulta, Rizzoli, Milano, 2013. Tra le opere dello stesso genere segnaliamo: P. Levenda, Satana e la svastica. Nazismo, società segrete e occultismo, Mondadori, Milano, 1995; M. Dolcetta, Il nazionalsocialismo esoterico, Cooper & Castelvecchi, Roma, 2003; P. Tombetti, I grandi misteri del nazismo. La lotta con l’Ombra, Sugarco, Milano, 2005; F. King, Satana e la svastica. Il nazismo e l’occulto, Edizioni L’Età dell’Acquario, Torino, 2008.

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che devono risalire verso quell’eden. Questo è lo schema ripetuto fino all’ossessione e, senza farsi prendere troppo la mano dalle configurazioni ideologiche, va piuttosto rivolta l’attenzione alla paura e all’odio che in esse vennero ad espressione, così come alle conseguenti decisioni e azioni che da esse presero corpo. Il contenuto dell’ideologia è in fondo meno importante della forma. Ciò che va colto non sono chissà quali “verità metafisiche” celate in quell’ideologia quanto la modalità con la quale quest’ultima venne espressa tramite il ribaltamento del significato delle parole, lo stravolgimento della lingua tedesca fin nella sintassi, la destrutturazione del linguaggio sotto la spinta di una irrefrenabile volontà di potenza che si spinse fino al delirio omicida 4. Non c’è inoltre motivo alcuno di pensare che gli intellettuali che aderirono al progetto delle SS per l’Europa post-bellica lo facessero in nome di quelle strampalate idee esoteriche. A differenza dei nazisti della prima ora, come Himmler e Darré, che si erano formati nell’epoca in cui andavano per la maggiore le associazioni, le società segrete, le conventicole esoteriche della destra völkisch, i nuovi membri delle SS, come ad esempio Alexander Dolelazek, venivano dall’università, dalla Hitlerjugend, se non dall’apparato educativo che le SS si erano date nel corso della loro crescita. In questi spazi educativi, le idee di cui si discuterà nella prima parte di questo lavoro trovarono poco spazio. Ciò che trovò spazio, persino nelle università tedesche, fu l’idea della purezza del sangue, che a sua volta apriva a un diritto al suolo. Le concezioni stravaganti dei vari Bünde, ridotte e addomesticate con lo sviluppo delle SS e delle politiche del regime, divennero il nucleo di un piano che non si rifaceva più a un glorioso passato fantastico fatto di Germani, puri e schietti abitanti delle foreste, ma prevedeva una globalizzazione economica su scala continentale. Ciò che convinse ad aderire alle SS i nuovi membri non furono i retaggi di un passato medievale grandioso, innocente e puro da un punto di vista razziale a cui tornare (e a cui lo stesso Hitler non credeva), quanto invece il progetto di un futuro spazio continentale a disposizione della stirpe germanica, da costruire e

V. Klemperer, LTI. La lingua del Terzo Reich. Taccuino di un filologo, Giuntina, Firenze, 1975. Johann Chapoutot ha notato la torsione impressa dai nazisti alla lingua tedesca negli ordini militari relativi all’Operazione Barbarossa, in quanto «il discorso nazista ha già esaurito le risorse della lingua tedesca». Cfr. J. Chapoutot, La legge del sangue. Pensare e agire da nazisti, Einaudi. Torino, 2016, p. 235. 4 

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da inventare. Fu una forma di nazionalismo razziale quello che emerge dalle carte relative al Generalplan Ost, non la continuazione su scala planetaria di una segreta dottrina esoterica. A  sedurre questi uomini fu l’attrattiva di poter rifare le carte geografiche europee, in cui intere nazioni venivano cancellate, e uno immenso spazio vuoto veniva a disposizione perché potesse essere riempito dal sangue tedesco. Non c’è dubbio che la dottrina che legava la fioritura del suolo alla purezza del sangue fosse alla base di molta della cultura esoterica pre-nazista; ma questo non significa che gli architetti, gli urbanisti e i demografi che lavoravano a questo progetto sposassero questa cultura in toto. Forse ciò può essere detto a livello di qualche personalità del regime, come Himmler 5 e Darré, ma certo non è vero per altri protagonisti di queste pagine. La diffusione delle dottrine occultistiche pre-naziste fu importante nel preparare questo terreno, ma non coincide del tutto con questo terreno. Questo non va dimenticato. Su questo punto, è opportuno richiamare l’articolo che nel maggio 1941 Konrad Meyer pubblicò sulla rivista Raumforschung und Raumordnung, e in cui ripercorreva i principali presupposti teorici che sottostavano all’elaborazione del piano per l’Est e il suo significato. All’epoca, una prima versione del piano già esisteva, e ulteriori lavori di ampliamento e approfondimento fervevano; Meyer parlava dunque di un progetto in pieno sviluppo, anche se limitato ancora ai territori polacchi conquistati dal Reich. Meyer parlava della colonizzazione dei territori a Est come di una delle grandi epoche della storia tedesca, da realizzare attraverso i principi della pianificazione nazista: il Führerprinzip; il servizio nei confronti del popolo inteso come comunità razziale (im Dienste am Volk), e soprattutto l’affidarsi alle forze del sangue e del suolo 6. Per raggiungere questo scopo, nelle parole di Meyer, la pianificazione nazista avrebbe dovuto ispirarsi a nuove modalità di pensiero; non si trattava più di utilizzare i vecchi schemi del colonialismo tedesco, ma di fare appello alle forze creative (Gestaltungskräfte) che si esprimevano nella razza e nello spazio. La forza creativa contenuta nel sangue di un 5  È ben accertato che all’inizio degli anni Venti Himmler si dedicasse a letture su argomenti come lo spiritisimo, la trasmigrazione delle anime, la comunicazione con i defunti, l’astrologia, l’antisemitismo. Cfr. P. Longerich, Heinrich Himmler, Oxford University Press, New York, 2012, pp. 77-80. 6  C. Madajczyk (a cura di), Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, Saur, München, 1994, p. 402 (l’intero articolo di Meyer è alle pagine 399-416).

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popolo, si esprimeva nella modellazione dello spazio che quel popolo abitava; il piano per l’Est altro non era che un tentativo di delineare lo sviluppo dello spazio, del paesaggio e del territorio come futura patria dei tedeschi. Germanizzazione dell’Est non significava solo trasposizione di coloni tedeschi nei territori conquistati dall’esercito tedesco, ma significava trasformazione di quel territorio perché diventasse l’espressione del sangue tedesco, nel quale ogni tedesco avrebbe potuto riconoscere la propria patria 7. Meyer non faceva più riferimento ai miti esoterici cari alla destra nazionalista pre-nazista, ma l’idea di una forza creativa legata al sangue che avrebbe dovuto modellare lo spazio e renderlo tedesco era in lui assai forte. Si trattava pur sempre di un modo di pensare mitico, che però permetteva di abbozzare la possibilità di una grande epoca tedesca, nella quale pianificatori e architetti sarebbero stati chiamati a rappresentare il nuovo spazio vitale a partire dalla purezza del sangue. Né si trattava di un tema caro al solo Meyer; in uno scritto del suo collaboratore e sottoposto Erhard Mäbling, si affermava che «le popolazioni che hanno un rapporto interiore più ristretto con il suolo e con la sua vegetazione, con una disponibilità più debole o una minore inclinazione alla sua cura, con una protezione insufficiente del ceto contadino o con una minor comprensione per le esigenze vitali in ambito organico… tramite il proprio operato effettuano uno sfruttamento eccessivo, attraverso cui la sostanza biologica diminuisce oppure va del tutto perduta» 8. Se il rapporto tra popolo e suolo è meno cogente, la biologia vegetale finisce compromessa, in una conclusione che avrebbe persino un sapore ecologico se non si fondasse sulla dottrina razzista del Blut und Boden. Uno dei corollari di questa dottrina era che le popolazioni slave, inferiori per razza, non avrebbero mai potuto condurre il suolo che abitavano ad una produzione efficiente; toccava al popolo tedesco germanizzare quelle terre e condurle alla loro piena fecondità, allontanandole dall’arretratezza in cui versavano. Quest’inciso rende inevitabile affrontare il problema del rapporto tra nazismo (e genocidio) e modernità, su cui molti autori, come Hannah Arendt e Zygmunt Bauman, hanno attratto l’attenzione. Non Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 412. Cit. in O. Linets, Der neue deutsche Osten. Aus umwelthistorischer Perspektive und mit besonderer Beachtung des Generalplan Ost, Grin Verlag, München und Ravensburg, 2012, p. 13. 7  8 

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c’è dubbio che ciò che la storia del Generalplan Ost insegna, é che la pianificazione nazista, che albergava in sé un’intenzionalità genocida, non fosse la semplice espressione delle vecchie prese di posizione della destra nazionalista pre-nazista. Il  nazismo non si concepiva come un ritorno al passato, ma come una rivoluzione. Lo stesso impressionante apparato burocratico allestito da Himmler per la concezione e per la realizzazione del Generalplan Ost appare a prima vista un’impresa terribilmente moderna, che in uno stato pre-moderno non sarebbe stata neppure concepibile. E tuttavia sembra lecito domandarsi se quest’aspetto terribilmente moderno non sia, dopo tutto, che un carattere accidentale dell’impresa nazista, lo strumento che i nazisti forgiarono ma che obbediva a logiche mitiche. In fondo, per compiere un genocidio non è neppure necessario un grande apparato burocratico e neppure un sistema integrato di polizia, trasporti e campi di sterminio; la storia recente del XX secolo, ad esempio in Rwanda, si è incaricata di farci sapere questo. Il moderno apparato di sterminio rischia quindi di essere il carattere meno essenziale del genocidio; più essenziale sembra essere la convinzione legata alla necessità della purezza del sangue, da proteggere dalle contaminazioni dovute al sangue estraneo, senza la quale il legame con il suolo e con lo spazio avito si perde e si disgrega, compromettendo così quella forza creatrice che a tale legame è indissolubilmente connessa. Era questo il mondo ideale nel quale si aggirava la mente di Konrad Meyer, quando pianificava fin nei minimi particolari il tipo di vegetazione da trapiantare nei territori a Est; acribia che a noi pare (e ai giudici di Norimberga parve) pignoleria nata da una mente contorta, ma che invece obbediva alla segreta e totalizzante forza che si esprime nel sangue e a cui il suolo fa necessariamente eco. Era il mito politico nazionalista e razziale nato dalla vecchia mitologia esoterica che sosteneva e dava corpo allo sforzo di pianificazione del nuovo spazio vitale tedesco a Est e alla violenza nazista. Il partito nazista del resto era stato tenuto a battesimo da una setta esoterica, la Thule-Gesellschaft, e si era formato all’interno di quella mitologia, e sulla base di essa aveva intrapreso l’attività terroristica a fianco dei Freikorps contro i comunisti e i socialdemocratici negli anni convulsi dell’immediato dopoguerra. La mitologia esoterica non costituì però la causa della violenza, bensì fu semmai la configurazione che quella violenza assunse, e i cui risvolti più esoterici non furono certo accessibili alla base del partito. Inoltre quella mitologia neppure rimase

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uguale a se stessa, ma si modificò così come si modicarono le condizioni dello scontro politico. Una volta che il partito giunse al potere nel gennaio del 1933 la violenza venne istituzionalizzata, e alle aggressioni teppiste delle Sturmabteilung si sostituì la più efficace repressione da parte dell’apparato poliziesco passato gradualmente in mano alle SS, mentre l’intera società tedesca, non senza un ampio consenso, fu nazificata e mobilitata contro le minoranze e le nazioni confinanti. La violenza nazista si estese così all’Austria e alla Cecoslovacchia, e quindi con l’invasione della Polonia scatenò una guerra che in cinque anni ha provocato circa settanta milioni di morti e più del doppio di feriti, cambiando irrimediabilmente il volto di intere nazioni con lo sradicamento di intere comunità e la distruzione di centinaia di città e di paesi che hanno perduto per sempre la fisionomia lentamente acquisita nel corso dei secoli. Le ragioni di questa violenza e le decisioni cruciali che condussero a tale immane massacro e distruzione possono in parte essere fatte risalire al nazionalismo, al razzismo e alle mire di conquista imperialiste che hanno condotto le potenze coloniali a non meno terribili stermini di interi popoli nelle Americhe, in Africa, Asia, e Australia. Ma se tale paragone può essere appropriato finché si bada solo al numero delle vittime, esso è del tutto fuorviante per la comprensione dello sterminio nazista; e ciò non tanto, come viene comunemente sostenuto, per le sue modalità attuative tramite la pianificazione burocratica e l’industrializzazione. L’utilizzo di tecnologie avanzate di sterminio non può costituire un elemento che lo spiega sia perché di fatto la maggior parte degli eccidi furono compiuti con le armi da fuoco, sia perché di principio i fini non sono determinati dai mezzi, bensì è vero semmai il contrario: quando vi è l’intenzione e la volontà di uccidere il raggiungimento di quel fine viene portato a compimento anche se i mezzi sono di fortuna. Tantomeno si può considerare la burocratizzazione del processo di sterminio come un suo elemento determinante, e non solo perché anche qui si scambierebbe la forma con la sostanza, ma perché la burocrazia nazista fu assai poco efficiente. Il regime nazista fu ben lontano dall’essere una struttura monolitica e burocratizzata; esso, al contrario, si contraddistinse per un pullulare di agenzie in conflitto tra di loro in un’anarchia decisionale che lasciò ampia libertà nell’intrapresa delle scelte più radicali; e fu quindi semmai l’assenza di regole e di vincoli burocratici a determinare un incremento di violenza nei processi

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decisionali a fronte di un intento omicida condiviso a vari livelli 9. Se vi fu un carattere specifico dello sterminio nazista che lo distinse da tutti gli altri, questo risiede a nostro avviso in un tipo particolare di fanatismo che attingeva a un modo mitico di pensare che univa in maniera mistica il sangue al suolo; una modalità di pensiero, ma soprattutto delle concrete linee politiche, e un imponente lavoro di pianificazione e di imprese militari e genocide, che nelle pagine che seguono abbiamo provato a ricostruire. Non c’è dubbio tuttavia che, pur connesso a  un modo mitico di pensare, il Generalplan Ost avesse un importante versante moderno; in pianificatori come Meyer era forte l’intenzione di superare la vecchia economia contadina familiare basata sull’autosufficienza, e sul tentativo di realizzare un equilibrio tra industria e agricoltura, tale da evitare tutti i pericoli degenerativi legati all’iperindustrializzazione avvenuta in Germania. Un gigantesco piano per la costruzione di un’economia contadina moderna, dotata di infrastrutture al passo con i tempi (il che significava smisurati interventi su strade, ferrovie, canalizzazioni, ecc.), avrebbe condotto a un’economia ordinata, priva degli squilibri della disordinata industrializzazione liberista, che estesasi su tutta Europa dopo la vittoriosa fine della guerra, avrebbe condotto a una nuova età dell’oro. Questa finalità era appunto il vero nucleo moderno della pianificazione nazista, ma fu anche la parte del programma che rimase sulla carta mentre più spesso la parte che fu realizzata fu lo stupro e la spoliazione delle economie dei paesi conquistati allo scopo di procurarsi le risorse necessarie. Questa è, o almeno ci pare, la storia che racconta il Generalplan Ost; e che ci porta a concludere che i nodi tra nazismo, genocidio e modernità siano ancora da sciogliere. Senza dubbio gli storici dovranno interrogarli ancora a lungo. Se il punto di convergenza tra politiche del regime e ceti intellettuali fu costituito dal nazionalismo razziale, che convinse tutta una serie di studiosi e professionisti a lavorare a un progetto di germanizzazione di 9  Vale la pena ricordare che la sopravvalutazione della burocrazia nell’esecuzione dello sterminio e l’immagine del nazista come grigio burocrate fu avvalorata dalla filosofa Hannah Arendt che prese sul serio la deposizione di Eichmann nel processo tenutosi a Gerusalemme nel 1961 il quale, per deresponsabilizzarsi dalle scelte compiute, cercò di mascherarle dietro l’anonimia del ruolo burocratico e della necessità di obbedire agli ordini. Cfr. H. Arendt, La banalità del male: Eichmann a Gerusalemme, Feltrinelli, Milano, 2015.

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ampia parte del continente europeo ai fini del trionfo del sangue tedesco, allora quella convergenza divenne ancora più stringente quando il progredire della guerra fece intravedere l’opportunità del genocidio. Ci  sono pochi dubbi sul fatto che la dottrina Blut und Boden, nella sua declinazione da parte delle SS all’interno del Generalplan Ost, fosse intrinsecamente genocida. In fondo tale piano prevedeva la germanizzazione dell’Est, e quindi la sparizione dei nemici razziali, senza la quale il piano sarebbe rimasto insensato in quanto sarebbe rimasta perennemente in piedi la possibilità di una futura corruzione del sangue tedesco. I nemici razziali, per definizione, erano gli ebrei, che, come ricordò Himmler, recavano il pericolo di dissolvere il sangue ariano e inquinarne la razza. In quanto dissolutori razziali, gli ebrei non potevano non sparire da tutti i territori che fossero germanici. Questa sparizione totale e irredimibile il Generalplan Ost la sussumeva in sé, proprio perché non poteva non avere luogo se non in uno spazio vuoto da ebrei che sarebbe stato riempito da coloni di stirpe germanica. Anzi, come si vedrà in seguito, era previsto che i beni degli ebrei fatti sparire dallo spazio coloniale tedesco fossero utilizzati dai nuovi coloni che si sarebbero insediati al loro posto. Il genocidio degli ebrei era in qualche modo il presupposto di realizzabilità del Generalplan Ost, e quindi ne costituiva l’orizzonte preliminare. Le potenzialità genocide contenute nella dottrina del sangue e del suolo, tuttavia, non si limitavano a quelle dispiegate nel piano delle SS per il dopoguerra. Herbert Backe, dapprima vice di Darré al Ministero per l’alimentazione, poi suo successore quando Darré cadde in disgrazia con Himmler, fu incaricato alla vigilia dell’attuazione del Piano Barbarossa (l’attacco all’Unione Sovietica del giugno 1941) di preparare un progetto per estrarre il massimo delle risorse alimentari dai territori russi che via via la Wehrmacht avesse occupato. L’idea era che i tre milioni di uomini dell’esercito tedesco invasore avrebbero vissuto delle risorse russe, senza gravare sulle scorte alimentari del Reich. Backe preparò dunque quello che sarebbe passato alla storia come lo Hunger Plan, il piano della fame, che divideva la Russia in due zone; la prima, detta zona di surplus, comprendeva i territori ad alta produzione agricola (Ucraina, Caucaso, Russia meridionale); la seconda, la zona di deficit, (Bielorussia, Russia settentrionale) riguardava regioni a bassa produzione agricola e alta vocazione industriale. Il piano prevedeva che le zone di deficit fossero tagliate fuori da ogni fornitura alimentare, così che le

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eccedenze prodotte nella zona di surplus fossero tutte inviate nel Reich. E in effetti tra il 1941 e la fine del 1943, oltre 7 milioni di tonnellate di grano, 600.000 tonnellate di carne, 0,75 milioni di tonnellate di semi da olio presero la via di Berlino. Ciò naturalmente significava destinare alla morte per fame gli abitanti della zona di deficit, dove si calcola che siano decedute dai 4 ai 7 milioni di persone 10. Questa politica coinvolse anche i prigionieri di guerra russi, che neppure ci si preoccupò di nutrire, e che alla fine del 1942 avevano già superato i 3,3 milioni di morti. Non c’è dubbio che la scelta di riservare al sangue tedesco i prodotti del suolo avesse chiare conseguenze genocide. Eppure anche Backe condivideva l’idea che la conquista dell’URSS avrebbe permesso all’Europa di superare i limiti delle politiche liberali, e avrebbe gettato le basi per la creazione di un unico mercato continentale che avrebbe condotto a un aumento vertiginoso della produzione agricola. Grazie alle politiche naziste di unificazione del continente, l’Europa non avrebbe più sofferto la fame, come invece era accaduto alla Germania nel 1918. Per la raccolta degli alimenti russi, Göring istituì il 22 luglio 1941 un apposito ente, la Zentralhandelsgesellschaft Ost (ZHO). Eppure il piano fallì, perché il tentativo di fiaccare la resistenza russa impedendo l’accesso al cibo si scontrò con il fatto che i russi non intendevano minimamente cedere; nonostante un milione di morti per fame, Leningrado resistette. La zona di deficit resistette. L’unica parte del piano che ebbe successo fu quella che prevedeva l’eliminazione delle bocche inutili, gli ebrei. C’è motivo di ritenere che la politica di eliminazione dei ghetti obbedisse anche alla politica nazista di ridurre il consumo delle risorse alimentari. I sostenitori della teoria Blut und Boden si aggiravano insomma in un orizzonte dagli sfondi improntati al genocidio. Eppure ciò nonostante, o forse proprio per questo, intere file dei migliori cervelli usciti dalle università tedesche corsero sotto le bandiere di Himmler per partecipare alla stesura del Generalplan Ost. Non c’è dubbio che sotto l’unicità della sigla del piano si nascondessero idee diverse e dissensi; non c’è dubbio che Helmut Schubert nutrisse forti dubbi sul fatto che

Su Backe, che sopravvisse alla guerra ma si suicidò prima di essere processato a Norimberga, e sull’Hunger Plan, è da vedere G. Gerhard, Nazi Hunger Politics. A History of Food in the Third Reich, Rowman and Littlefield, Lanham, Boulder, New York and London, 2015; per la politica di sterminio per fame della popolazione di Leningrado, cfr. H.E. Salisbury, I 900 giorni. L’epopea dell’assedio di Leningrado, Il Saggiatore, Milano, 2001. 10 

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esistesse un numero di coloni germanici sufficiente a riempire i territori da colonizzare né c’è dubbio che altri enti ritenessero il piano delle SS del tutto irrealistico e campato per aria. Indipendentemente da ciò, tuttavia, non va sottovalutato il valore del piano nel costruire consenso intorno al regime. Può darsi che il piano delle SS fosse poco più che una fantasticheria; eppure la forza di questa fantasticheria assassina fu tale da convincere professionisti ben preparati e intelligenti a mettere i propri talenti al servizio di un’utopia genocida. Né l’eredità che essa ha lasciato all’Europa del dopoguerra, che scopriva attonita l’entità dei crimini di questa visione, andrebbe sottovalutata. La spinta all’integrazione delle economie europee è proseguita anche dopo la fine del Reich nazista, anche se non è andata nel senso di un continente autarchico e ripulito da un punto di vista razziale. Eppure alcuni degli uomini che si sono in seguito distinti tra gli architetti del Mercato Comune Europeo sono stati al servizio del regime nazista, come ad esempio, Hans-Peter Ipsen 11. Ma non si tratta solo di questo. La vaghezza dei progetti nazisti, che prevedevano un’unificazione del continente ma senza veramente saper dire come, e senza avere una cognizione esatta dei mezzi necessari che esulassero dalla semplice imposizione delle regole del vincitore, sembra un’eredità duratura in un’Europa che si vuole unificata in una sorta di super-nazione ma la cui integrazione è ancora tutt’altro che certa, e in cui le politiche nazionali e persino i confini nazionali ribaditi a forza di filo spinato risorgono alla più piccola delle crisi. La solidarietà europea e l’armonizzazione restano una chimera dichiarata necessaria per salvare l’unione monetaria; eppure la prima, nonostante la sua necessità, non si realizza e la seconda resta un presidio a difesa delle nazioni più forti mentre danneggia quelle più deboli. L’unificazione dell’Europa a suon di successi della Blitzkrieg e di leggi razziali non riuscì, e per buona fortuna; ma anche l’integrazione successiva mostra limiti preoccupanti, su cui occorre attentamente riflettere perché dopotutto il Generalplan Ost rischia di non essere l’unico tentativo di unificazione del continente a rivelarsi «an exercise in utopianism». Si avvisa il lettore che, data la ovvia presenza di numerosi termini tedeschi, si è deciso, al fine di non appesantire il testo, di mettere in 11 

M. Mazower, Hitler’s Empire, cit., p. 769.

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corsivo solo la prima occorrenza di ciascun termine ricorrente lasciando in carattere normale tutte le successive. Gli autori desiderano ringraziare il professor Paolo Fonzi e la dottoressa Doris Digeser per il loro aiuto, che in nessun modo li rende complici di errori e omissioni, da imputare a noi soli. Il libro è invece dedicato alla cara memoria del professor Paolo Rossi. Firenze, dicembre 2016

PARTE PRIMA

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1. L’ideologia del sangue di Adolf Hitler Con l’arresto di Adolf Hitler, e la messa al bando del partito nazista, per il fallito Putsch del 9 novembre 1923, terminava la sanguinosa stagione del terrorismo avviata dall’esercito e dai corpi paramilitari contro le forze politiche che erano state all’avanguardia nella costituzione della repubblica esattamente cinque anni prima, il 9 novembre 1918. Nel 1923 la destra nazionalista era ormai saldamente al potere in Baviera, e non aveva alcuna intenzione di farsi guidare in sconsiderate avventure dall’ex caporale che essa stessa aveva allevato per combattere i soviet degli operai e dei soldati di matrice comunista. Furono perciò sufficienti alcuni plotoni di polizia per disperdere i duemila disperati che si erano messi in marcia sulla Residenzstraße di Monaco con l’obiettivo di raggiungere il Ministero della Guerra. Tale mala parata non segnò però la loro definitiva sconfitta. Hitler trasformò il processo a suo carico in un’occasione di propaganda, e la detenzione in quella che lui stesso definì «una università a spese dello stato». Nella prigione di Landsberg, in cui trascorse meno di un anno rispetto ai cinque inflittigli, Hitler ebbe a disposizione un comodo alloggio dove riunirsi con i suoi camerati, ricevere la visita di influenti personaggi della vita politica e culturale bavarese, e mettere per iscritto un proprio manifesto politico. Il libro, dal titolo Eine Abrechnung (Una resa dei conti, 1925), che avrebbe poi costituito il primo volume del Mein Kampf (1930), è un testo di difficile lettura per il suo stile ampolloso, privo di un filo logico e pieno di ripetizioni; tuttavia, se affrontato con una certa pazienza, rivela tutto l’impegno del suo autore nel proporre il partito nazista come l’avanguardia della destra völkisch, e lui stesso come il Führer di quell’area politica 1. 1  Sulla carriera di Hitler da agitatore di birreria a tamburino della destra etno-nazionalista, cfr. I. Kershaw, Hitler. 1889-1936, Bompiani, Milano, 1999, pp. 197-319. Per un maggiore approfondimento sulla farsa del Putsch della birreria, cfr. R. Hanser, Putsch! L’ascesa di Hitler, Odoya, Bologna, 2015.

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Hitler presenta un’autobiografia in parte mistificata con la quale tenta di accreditarsi come una guida “politico-spirituale” inviata dal destino, secondo quelle che erano le aspettative della destra etno-nazionalista che, da almeno quattro decenni, auspicava la venuta messianica di un Führer capace di inaugurare un Reich coincidente con la Volksgemeinschaft (comunità di popolo) di puro sangue tedesco. Hitler considera come un segno del destino il fatto di essere nato a Braunau am Inn, paese di confine tra Austria e Germania, poiché in questo modo egli ha potuto, fin da adolescente, prendere consapevolezza della tragica separazione del sangue tedesco, e intraprendere il cammino verso la sua riunificazione. In maniera altrettanto precoce egli fu condotto alla scoperta che gli ebrei erano di ostacolo a quella missione. Essi erano presenti ovunque come «una pestilenza spirituale, peggiore della morte nera di una volta, con la quale si infestava il popolo»: nella finanza come nella stampa, nella politica come nell’arte. «Perfino nella lingua cominciava a sentirsi l’eco di un popolo straniero […]. Il significato complessivo mi si chiarì così avverso al germanesimo che non poteva non essere programmatico. Era soltanto una combinazione? Il dubbio sorgeva in me sempre più angoscioso». La presa di consapevolezza di questa terribile presenza si faceva sempre più drammatica. Gli ebrei si materializzavano come gli occulti artefici dell’intera storia umana, tanto da rendere legittimo l’inquietante interrogativo se il loro dominio sul mondo non fosse stato voluto dallo stesso destino. Ma ecco che questo interrogativo fu fortunatamente sciolto allorché egli scoprì, come per miracolo, che ebrei erano anche i fondatori e i capi del marxismo, un movimento volto non alla creazione del mondo, bensì alla sua distruzione: Mentre approfondivo la dottrina marxista, e sottoponevo così a un esame pacato e chiaro l’attività del popolo ebraico, ecco che il destino mi diede la risposta. La dottrina semita del marxismo rifiuta il principio aristocratico della natura, e pone al posto dell’eterno diritto della forza e della potenza il numero, col suo peso morto.

Con i toni ispirati del profeta Hitler rivela, nel capitolo XI dal titolo «Popolo e razza», la legge suprema che governa la natura, ovvero la «lotta per la sopravvivenza»; una legge implacabile che interessa tutti gli enti, e che vede la sconfitta di quelli che non sanno mantenere integro il proprio sangue: «Ogni bestia si accoppia soltanto con una femmina della stessa

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specie», e quando ciò non si realizza «la natura vi reagisce con tutti i mezzi rifiutando ai bastardi un’ulteriore capacità procreativa», e privandoli della forza di resistenza contro le malattie e gli attacchi dei nemici. I popoli che rinunciano alla purezza del proprio sangue sono destinati alla stessa sorte; e ciò è quanto è accaduto anche agli ariani che sono decaduti dalla loro originaria condizione di pienezza divina. L’ariano rinunciò alla purezza del suo sangue, e perse il suo soggiorno nel paradiso che lui stesso si era costruito. Si degradò con la mescolanza delle razze, perdette gradualmente le sue qualità culturali, finché cominciò ad assomigliare ai sottomessi, non solo spiritualmente ma anche fisicamente.

Se l’ariano ha dimenticato la legge del sangue, non così l’ebreo. Questi si è installato come «parassita nel corpo di altri popoli», e spacciando una religione che «è in primo luogo un metodo per mantenere puro il sangue del giudaismo», ha avvelenato il sangue delle altre razze. «L’ebreo è un autentico vampiro» che persegue da tempi immemori un occulto piano di conquista, che richiede un grosso impegno per essere smascherato: «per conoscere a fondo l’ebreo, conviene studiare bene le vie lungo le quali ha camminato nel corso dei secoli in mezzo agli altri popoli». Egli arrivò in Germania a seguito dei romani come mercante, e si installò presso le corti principesche al fine di giudaizzare l’Europa centro settentrionale. Da allora egli ha sempre incrementato il suo potere con una successione di conquiste avvenute senza che i popoli se ne potessero avvedere. La recente sconfitta bellica non è che l’ultima tappa del suo cammino millenario che potrà essere interrotto solo muovendo da quella parte di sangue rimasto puro, e che Hitler lascia intendere essere incarnato dal partito nazista al quale dedica l’ultimo capitolo del suo libro. Hitler qui racconta del suo incontro con la Deutsche Arbeiterpartei (DAP), e della sua intraprendente attività per trasformarla da minuscola associazione a «movimento di rinascita nazionale». Grazie a lui la DAP, rinominata Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei (NSDAP), è divenuta una agguerrita «comunità di lotta» in grado di combattere il marxismo, che dell’ebraismo costituisce l’avanguardia militante. Per riuscire a creare questa organizzazione egli ha dovuto emanciparla dal settarismo völkisch animato da quelli che lui chiama «i parrucconi della tradizione germanica», e verso i quali non risparmia parole di disprezzo.

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Queste mummie, che sognano ancora l’età degli antichi germani e non parlano che di asce di pietra, di scudi e di tempi preistorici sono poi in realtà degli incommensurabili vigliacchi. La stessa gente che va in giro cinta di spadoni di latta egregiamente imitati, e magari mettendosi in testa la pelle d’orso con le corna di toro, predica invece, per l’oggi, la lotta con armi spirituali, e scappa come la lepre di fronte al primo manganello comunista. Ho conosciuto troppo bene questa genìa, per non provare il più profondo ribrezzo di fronte ai loro mistici scenari.

Hitler sottolinea come «l’amicizia di simili profeti non aveva alcun valore per il nostro giovane movimento, anzi, gli fu sempre dannosa; in ciò sta il motivo principale per cui abbiamo deciso di darci il nome di partito» così da guadagnare l’adesione degli operai e respingere quei politicanti che «non sanno fare nulla, ma danno a intendere agli altri di possedere abilità misteriosissime». Egli chiudeva così il suo manifesto con il resoconto del comizio, tenuto il 24 febbraio 1920 alla Hofbräuhaus di Monaco, presentandolo come l’evento fondativo che rompeva i legami con le cerchie nazionaliste per inaugurare il «movimento di rinascita nazionale». Quel comizio, in cui egli espose i venticinque punti del programma di fronte a circa duemila partecipanti, segnò la sua decisiva affermazione come oratore, e consacrato nel sangue dei comunisti intervenuti per contestarlo, decretò la trasformazione di «una piccola associazione in un partito volto a risvegliare la nazione». E con queste parole concludeva: Si era acceso un fuoco, dalla cui fiamma doveva uscire la spada destinata a riconquistare al germanico Sigfrido la libertà; e alla Nazione tedesca, la vita. E accanto all’imminente rinascita, sentivo approssimarsi la dea della tremenda vendetta per lo spergiuro del 9 novembre 1918. La sala si vuotava lentamente. Il movimento cominciava il suo corso 2.

Con Una resa dei conti Hitler presentava un quadro in parte mistificato della sua biografia. La  sua ascesa politica non nasceva dal nulla, ma doveva moltissimo alle sette etno-nazionaliste da lui tanto bistrattate. Il  cospirazionismo antisemita, la visione di una mitica razza ariana, la credenza nel sangue come fonte del diritto, erano gli articoli di fede di

Il “Mein Kampf ” di Adolf Hitler. Le radici della barbarie nazista, a cura di G. Galli, Kaos, Milano, 2006, passim. 2 

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quella völkische Weltanschauung che animava il terrorismo nell’immediato dopoguerra quando Hitler ancora languiva in caserma incerto sul da farsi. Una sintetica esposizione di alcune tappe principali dello sviluppo della destra razzista, affiancata dalla parallela ricostruzione della sua ideologia, rende possibile comprendere il contesto in cui Hitler si muoveva, e quali fossero i caratteri identitari più profondi del nazismo, facendo emergere alcuni motivi ideologici che gettano luce sul suo successivo piano di espansione a Est, e forse addirittura su quello che potrebbe essere stato il ruolo dello sterminio degli ebrei all’interno di quel piano.

2. Le origini della destra etno-nazionalista La völkische Weltanschauung di cui Adolf Hitler nel 1924 si proclamò erede e innovatore, fu un insieme confuso di convinzioni che iniziarono a delinearsi durante gli anni della recessione economica che seguì il crack finanziario che coinvolse l’Europa nel 1873. Un’area della destra ritenne che il crollo delle borse europee fosse stato provocato ad arte da una fantomatica finanza ebraica per imporre il suo dominio sull’economia tedesca. Tale credenza fu rafforzata poi dalla massiccia immigrazione dall’Europa dell’Est di una massa di poveri, in gran parte ebrei, che furono percepiti, nonostante fossero diretti verso il nord America, come degli invasori il cui aspetto miserabondo li faceva assimilare a degli esseri subumani apportatori di virus e malattie. Fu così che andarono costituendosi i primi völkische Vereine (Associazioni etno-nazional-populiste) che attaccarono i partiti democratici e socialisti come forze politiche al servizio degli ebrei, questi ultimi a loro volta qualificati non più come una comunità religiosa, bensì come un’etnia in grado di decidere del destino della nazione. Agli ebrei vennero attribuiti tutti gli impetuosi cambiamenti politici e sociali degli ultimi decenni, interpretati come il risultato di una inarrestabile degenerazione della razza: dalla diffusione del parlamentarismo all’emancipazione delle classi lavoratrici, dall’urbanizzazione ai fenomeni

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migratori, dallo sviluppo di relazioni più emancipate tra uomo e donna fino alla diffusione dei centri commerciali. L’antisemitismo fece la sua prima apparizione sulla scena politica tra il 1878 e il 1879 durante la svolta antiliberale impressa da Otto von Bismarck, e il suo primo sviluppo avvenne all’interno della destra nazionalista di matrice fondamentalista protestante. Il primo partito antisemita fu fondato da Adolf Stoecker, consulente spirituale del Kaiser Guglielmo II, e la prima formulazione ideologica venne sviluppata dall’orientalista e integralista luterano Paul Anton de Lagarde che, in Deutsche Schriften (1878), qualificò il popolo germanico come il vero popolo eletto che disponeva di un rapporto con Dio e la natura più originario di quello degli ebrei. I promotori di questa svolta antisemita qualificarono la loro posizione come “metapolitica”, ma la loro critica alla modernità ebbe in realtà precisi e radicali obiettivi politici. Con la fondazione del Christlich-soziale Partei Stoecker inaugurò infatti all’interno della destra conservatrice una inedita posizione anticapitalista che veniva ad attaccare i partiti di sinistra sul terreno delle rivendicazioni sociali deviando nello stesso tempo il conflitto sociale verso un facile capro espiatorio. Ancora più radicali furono i partiti antisemiti di tipo laico che, abbandonati gli argomenti parareligiosi, si misero a qualificare gli ebrei come una razza di cui era lecito dubitare persino l’appartenenza al genere umano. I pionieri di questo filone razzista furono Wilhelm Marr e Karl Eugen Dühring, il primo un ex seguace di Feuerbach, e il secondo un ex hegeliano di sinistra. Fu dalle loro idee, e dal loro ulteriore sviluppo, che sorse una miriade di formazioni di estrema destra: dall’Antisemitenliga fondata dallo stesso Marr al Soziale Reichspartei di Ernst Heinrici, dal Deutscher Volksverein di Max Liebermann von Sonnenberg e Bernhard Förster, all’Antisemitische Volkspartei di Otto Böckel. Nonostante tale proliferare di gruppi, nel complesso l’estrema destra raggiunse il suo massimo risultato nel 1893 portando sedici deputati in parlamento, dopodiché iniziò un declino che la condusse ad essere pressoché riassorbita nell’alveo della destra tradizionale. L’ideologia völkisch ebbe però maggiore fortuna. Essa non rimase confinata tra gli estremisti, ma trovò diffusione anche nella destra più istituzionale. A  ciò contribuì soprattutto la Alldeutscher Verband (Lega pangermanica), fondata nel luglio 1894 da Heinrich Class, Alfred Hugenberg, e dal dirigente del movimento colonialista tedesco Carl Peters. La Lega funzionò da cinghia di trasmissione tra la destra radicale e quella

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istituzionale per il tramite di numerose associazioni corporative, tra cui quella del commercio, quella degli insegnanti, e il Bund der Landwirte, la potente associazione degli agricoltori guidata da Böckel, assicurando la diffusione delle idee dalle cerchie intellettuali verso i militanti, e viceversa. Il principale personaggio che fece da ponte tra tutte queste organizzazioni fu l’ingegnere Theodor Fritsch, che per circa mezzo secolo si dedicò a diffondere l’odio verso gli ebrei con molteplici iniziative, tanto da essere onorato da Adolf Hitler nel 1933 come «il grande vecchio dell’antisemitismo tedesco». Fritsch semplificò e divulgò il cristianesimo germanico di Lagarde, la pseudo-mitologia germanica di Richard Wagner, il vitalismo anticristiano di Friedrich Nietzsche, e l’antisemitismo razziale di Marr e Dühring; coinvolse il circolo wagneriano, con l’avallo non reso pubblico dello stesso musicista, nella firma della prima petizione antisemita, e tentò, anche se con minore fortuna, un avvicinamento a Nietzsche per il tramite del suo attivo collaboratore Paul Förster, che del filosofo era il cognato. Suo è l’Antisemiten-Katechismus (1887), una sorta di manuale per agitatori che ebbe decine di edizioni che si arricchirono ogni volta di nuovo materiale: vademecum con strategie e consigli operativi per la diffamazione degli avversari politici, comprensivi di liste e indirizzi di persone da perseguitare, manifesti, volantini, e gadget commerciali. Il libro pubblicato a partire dal 1907 con il titolo Handbuch der Judenfrage, comprese persino un capitolo del romanzo Biarritz dell’agente dei servizi segreti prussiani Hermann Goedsche che più tardi sarebbe stato utilizzato per comporre i Protocolli dei Savi di Sion. Nel 1930 Hitler scrisse una lettera a Fritsch in cui sottolineava l’importanza del suo libro: Già nella prima giovinezza a Vienna ho studiato in modo approfondito il Manuale della questione ebraica. Sono convinto che proprio quest’opera ha contribuito in modo particolare a preparare il terreno per il movimento antisemita nazionalsocialista.

Fritsch rilevò inoltre il catalogo della casa editrice Schneitzer, titolare della pubblicazione delle opere di Nietzsche; e sponsorizzò l’uscita di Varuna di Willibald Hentschel che negli anni Venti sarebbe divenuto il manifesto dell’Artamanenbund in cui avrebbero militato Heinrich Himmler, Walther Darré, e il futuro comandante di Auschwitz-Birkenau, Rudolf Höss. Nel 1904 Fritsch entrò a far parte del Deutschbund,

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una sorta di loggia massonica interna alla Lega pangermanica, e l’anno successivo chiamò a collaborare alla sua rivista Der Hammer l’ariosofo Jörg Lanz von Liebenfels e l’eugenista Alfred Ploetz, ponendo così le basi per la fusione delle visioni occultiste con quelle pseudo-scientifiche, centrate entrambe sulla purificazione del sangue 3. Questo coacervo ideologico costituì la völkische Weltanschauung a cui i nazisti avrebbero conferito un ulteriore sviluppo.

3. Il misterioso potere del sangue germanico Una lettura approfondita dei materiali ideologici della destra völkisch non può non riscontrarvi la costante presenza di un ossessivo richiamo alla qualità del sangue germanico. Per gli ideologi antisemiti il sangue è una sostanza che contiene un principio spirituale capace di dare forma all’intera civiltà umana se non addirittura alla “creazione cosmica”. Si tratta di un articolo di fede che ricorre in maniera non casuale dato che molti esponenti völkisch erano dei fondamentalisti protestanti dediti a una mistica incentrata sul culto del sangue quale sede del Geist (spirito) di origine divina. Ai loro occhi, il popolo tedesco era il portatore di un sangue superiore in quanto custode di quello spirito, e tramite quello spirito era in grado di proseguire l’opera di Dio. La forza creatrice (Schöpferkraft) celata nel sangue era però stata minata dal giudaismo con l’introduzione di un diverso principio spirituale; questo, avvelenando la preziosa fonte del sangue tedesco, aveva quindi anche messo a rischio la la sacra unione con la terra natale e la sua missione civilizzatrice. Secondo Lagarde, il Volk germanico è il custode del «principio creativo della vita», 3  M. Ferrari Zumbini, Le radici del male: l’antisemitismo in Germania da Bismarck a Hitler, Il Mulino, Bologna, 2001, passim; P. Pulzer, M. Ferrari Zumbini, German Antisemitism Revisited. Il problema delle origini: il caso Fritsch, Archivio Guido Izzi, Roma, 1999, pp. 35-61; G. L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, Il Saggiatore, Milano, 1997, pp. 50-76, 323-44.

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e a lui è riservata «una comunicazione col demiurgo più efficace di quella di altri popoli», perciò l’unica azione politica autentica è quella che mira a realizzare uno stato che sia adeguato alla sostanza spirituale del suo popolo. Attualmente però lo stato è solo un meccanismo politico che non corrisponde alla realtà del popolo poiché è fondato su di un ordine giuridico che ha le sue lontane origini nel legalismo ebraico, e quindi se vuole trovare corrispondenza con la volontà del popolo incarnata nella nazione non potrà farlo che tramite la preservazione della «forza vitale» del popolo minacciata dal giudaismo. Questa concezione fu trasformata in una vera e propria visione messianica da Julius Langbehn che, da iniziali posizioni luterane, si convertì al cattolicesimo 4. Secondo Langbehn, la triade popolo-natura-Dio non costituisce un dato di fatto, ma è il risultato di un’attività creatrice immanente alla natura stessa, e pertanto deve essere costantemente rianimata. Come egli sostiene in Der Geist des Ganzen: Colui che connette il termine di una cosa col principio di essa, chi in tal modo concorre a reintegrare la circolazione della vita, promuove e accelera l’evoluzione dell’umanità. Esso è effettivamente un sostenitore della civiltà. Poiché esso conserva e mantiene l’accrescimento organico dello spirito del mondo.

A disporre di tanto potere è l’artista che, quale incarnazione del genio del suo popolo, porta avanti l’opera creatrice del Salvatore venendo ad ingaggiare una lotta contro il demonio che lo ricongiunge alle supreme altezze. L’arte è l’antidoto contro il razionalismo astratto: «qui lo splendore dell’occhio significa lo spirito creatore», Cristo, ovvero la compiutezza dell’essere. La politica spirituale deve avvalersi dell’arte per avvicinare il popolo ai sacramenti, e in particolare a quello dell’Eucarestia, in cui si celebra il sacrificio di Dio, «vero nucleo vivente di vita spirituale»: «L’arte cattolica nel suo più ampio e più profondo significato, l’arte superiore, e pur ancella, costituisce un termine medio tra il mondo dell’Eucarestia e il mondo della cultura vagante». Dare forma vivente alla liturgia con l’arte «è un compito molto difficile ad effettuarsi, quasi difficile quanto quello 4  G. L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, cit., pp. 50-76. Su Langbehn, cfr. V. Pinto, Apoteosi della germanicità. I sentieri di Julius Langbehn, critico della cultura tedesco di fine Ottocento, I libri di Icaro, Lecce, 2009.

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di voler cacciare il diavolo dall’inferno», ma non impossibile. A questo fine Langbehn propone un «cattolicesimo atletico» che dovrà essere in grado di custodire e difendere la gerarchia spirituale contro il dogma diabolico dell’eguaglianza tra gli uomini. Questa impostazione spirituale che sola garantisce l’evoluzione del cosmo poggia sulle figure medievali del monaco e del cavaliere. Monaco e cavaliere stanno tutti e due sotto una stessa bandiera, ma il monaco è più custode e difensore, il cavaliere più protettore e assalitore. Monaco e cavaliere debbono essere tradotti in termini moderni in e con una nuova organizzazione, particolarmente per dare di nuovo, di fronte allo spettro comunista, una civiltà positiva. E una volontà e una forza creatrice, fondata su Cristo, un alito divino debbono permearla 5.

Questa stessa visione fu sostenuta da Richard Wagner nei suoi molteplici scritti, e da lui trasformata in un vero e proprio mito politico tramite le sue opere drammaturgiche ricche di richiami antisemiti. Wagner esordì nel 1850 come un oscuro autore di testi in cui identificava Cristo con Wotan, e per il resto della vita si dedicò a mettere in musica la mitologia germanica. Nella tetralogia Der Ring des Nibelungen portò a rappresentazione le gesta degli eroi nordici che, sostenuti dalle loro divinità, lottavano contro le forze del male fino all’estremo sacrificio, per poi risorgere nel Valhalla come semidèi con tanto di contorno di bionde valchirie. Nel corso degli anni i drammi wagneriani andarono trasformandosi sempre più in sacre celebrazioni per le quali il compositore fece costruire un vero e proprio tempio nella cittadina di Bayreuth che divenne presto meta di fanatici nazionalisti. Nel 1876 nel corso del primo festival nacque il Bayreuther Kreis, che nel 1878 si dotò della rivista Bayreuther Blätter alla quale Wagner chiamò a collaborare Lagarde su cui Nietzsche aveva attirato la sua attenzione. Profondamente misogino, Wagner identificava ebraismo e seduzione femminile, riteneva che le pratiche rituali degli ebrei costituissero la ripetizione di un atavico rito cannibalesco, e che il cibarsi di carne fosse all’origine della decadenza degli ariani, tanto che divenne un rigoroso vegetariano. Fu lui a coniare il termine Verjudung (giudaizzazione), e quando Stoecker fondò il suo

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J. Langbehn, Lo spirito del tutto, Morcelliana, Brescia, 1935, pp. 46, 87 sgg., 307, 313-16.

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partito, gli garantì il suo sostegno, e ugualmente fece, ma in maniera più defilata, con l’ala più radicale del movimento antisemita 6. In Religion und Kunst (1880) il compositore sostiene, al pari di Langbehn, il carattere sovra umano della facoltà artistica chiamata a proseguire il processo creativo della natura portato avanti dal Salvatore. Secondo Wagner, il martirio di Cristo riassume il dramma della degenerazione razziale. «Le più nobili stirpi e razze ariane raggiunsero la grandezza di semidei», e «come Ercole e Sigfrido, esse sapevano di avere origine divina»; ma persero la loro superiorità, allorché divenute «le dominatrici del grande impero semita-latino», mescolarono il loro sangue con le razze inferiori. La loro sofferenza che attraversa i secoli costituisce un segno di elezione: «la capacità di dolore consapevole è una speciale peculiarità del sangue della cosiddetta razza bianca»; e la stessa venuta del Salvatore è in relazione con quella sofferenza elettiva: «Il sangue nelle vene del Redentore potrebbe allora essere sgorgato, quale divino sublimato della specie stessa, dallo sforzo estremo della volontà che vuole la Redenzione in vista della salvezza del genere umano rimasto soccombente nelle sue razze più pure». Il rito eucaristico rientra all’interno di questa economia di salvezza centrata sul sangue: Il consumo del sangue di Gesù, quale si verifica simbolicamente nell’unico vero sacramento della religione cristiana, potrebbe giovare alle razze inferiori come purificazione divina. Questo antidoto si contrapporrebbe perciò alla decadenza delle razze dovuta al loro incrocio, e forse questo globo terrestre produsse creature viventi soltanto per servire a quel progetto salvifico.

Il mistero della carne e del sangue di Cristo che si trasformano in spirito deve essere messo al centro dell’attività artistica per liberarlo dall’inversione simbolica operata dall’ebraismo che, con la sua «smania di dominio» ha ricondotto il «divino crocefisso» al suo «Dio-irato-e-punitivo»: «là dove la religione diventa artificiosa, tocca all’arte salvare il nucleo della religione cogliendo nel loro valore simbolico i simboli mitici». Solo così sarà possibile compiere l’opera di redenzione e abbattere il «regno

M. Ferrari Zumbini, Le radici del male, cit., pp. 561-66; L. Poliakov, Storia dell’antisemitismo, La Nuova Italia, Firenze, 1976-1991, 4 voll., III, pp. 493-524. 6 

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dell’antinatura» costituito dall’inarrestabile progresso della modernità che altro non è che il frutto avvelenato dell’ebraismo 7. Wagner portò ad espressione queste idee in un vero e proprio mito con il Parsifal, un capolavoro sinfonico che ha innovato certamente la musica occidentale, ma che nelle intenzioni del suo autore doveva soprattutto liberare il cristianesimo dalla presa del giudaismo per ricondurlo al suo originario messaggio di salvezza. Scritto tra il 1877 e il 1882 dopo una lunga gestazione, il compositore lo definì una «azione scenica sacrale», e come tale volle che fosse rappresentato nel tempio di Bayreuth 8. Il dramma narra, come ogni concezione gnostica che si rispetti, la caduta da un superiore stadio di pienezza divina e il percorso iniziatico da intraprendere per risalirvi. Questo è lo schema entro cui si svolgono le vicende dell’ordine dei cavalieri del Graal, il sacro calice con cui Cristo celebrò l’Eucarestia e nel quale fu raccolto il suo sangue sulla croce. Nel monastero di Montsalvat l’ordine dei cavalieri, guidato dal re Amfortas, viveva in armonia con la natura grazie alla periodica celebrazione del rito del Graal, ma esso decadde dopo che Amfortas venne privato della sacra lancia di Longino, e con essa ferito al costato così come il soldato romano aveva fatto con Cristo. L’autore di tale misfatto è il malvagio Klingsor, un oscuro personaggio che, dopo essere stato rifiutato dall’ordine per la sua smisurata bramosia di potere, si è votato alla vendetta sprofondando nel lato oscuro della fede. Klingsor si è così impossessato delle arti magiche, e ha dato vita a un giardino di delizie; ha plagiato la bella Kundry, e grazie alla sua opera seduttrice, ha irretito Amfortas riuscendo a privarlo della lancia e ferirlo. Il rito del Graal è così messo in pericolo, e i cavalieri languiscono nell’impotenza e nella disperazione. Ma ecco che arriva Parsifal, «il puro folle», che resistendo alle seduzioni di Kundry, recupera la sacra lancia, e tracciando con essa il segno della croce, fa svanire nel nulla il falso mondo magico, sconfigge Klingsor, e viene a guarire la ferita di Amfortas tra le lodi dei cavalieri che lo proclamano loro nuovo re. Wagner delinea un percorso gnostico antisemita, che si può provare così a sintetizzare. Il sangue raccolto nel Graal rappresenta la sede di una vita spirituale che va oltre la morte, e che anzi nella morte trova la sua R. Wagner, Religione e arte, Il melangolo, Genova, 1987, pp. 47 sgg., 141, 145-48. Tra i vari studi sulla “dottrina della redenzione” di Wagner con il suo fondo antisemita si può vedere C. A. Defanti, Richard Wagner. Genio e antisemitismo, Lindau, Torino, 2013. 7  8 

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fonte di rinascita; la lancia incarna il simbolo della forza creatrice, e il rito del Graal l’atto che rinnova la creazione. Klingsor rappresenta l’ebreo che ha malcompreso il mistero della Creazione, e dominato dal desiderio di conquistare il potere sulla natura, cerca di appropriarsi del segreto del sangue, ma così compie un cattivo sacrificio che riduce Amfortas in uno stato di prostrazione, che è lo stesso in cui languisce il cristianesimo giudaizzato costretto in un senso di colpa che non porta a vera redenzione. La vita è avviluppata in un eterno ritorno senza la possibilità di ritrovare la via verso la salvezza, mentre il sangue malato minaccia di avvelenare le radici più profonde dell’essere. Come annuncia con sgomento il re ferito: «L’onda del mio proprio sangue peccatore in fuga folle, deve allora in me stesso refluire, nel mondo delle peccaminose mie brame con terrore selvaggio traboccare». Il  sangue chiede redenzione, e ad Amfortas non rimane che implorare di essere ucciso. Ai cavalieri che gli ingiungono di adempiere al rito, egli così risponde: «Eccomi qui, – ecco la ferita aperta! Il  sangue che m’avvelena, ecco ne scorre: fuori l’armi! Le spade vostre piantate a fondo – a fondo, fino all’elsa! Su, eroi: uccidete il peccatore e il suo tormento, – per se stesso allora il Graal vi splenderà!». Ma il messia ariano Parsifal, che si è mantenuto puro presso la natura, vera fonte originaria del sacro, intraprende un altro percorso di salvezza, che passa attraverso lo smascheramento del mago malvagio, e il recupero del principio creatore. Il giorno del Venerdì Santo, Parsifal sale al castello, e tocca con la punta della lancia la ferita di Amfortas che subito rimargina, dopodiché sale sull’altare, e ordina lo scoprimento del Graal finalmente liberato da ogni impuro sortilegio, mentre i cavalieri riuniti attorno a lui proclamano: «Redenzione al Redentore!» 9. La visione gnostica del Parsifal fu ulteriormente sviluppata in senso esoterico antisemita dal circolo wagneriano, e giunse attraverso vari canali fino ai circoli ariosofici protonazisti. Tra  i suoi principali divulgatori vi furono Ludwig Schemann e Houston Stewart Chamberlain. Il primo diresse i Bayreuther Blätter sui quali pubblicarono i principali leader antisemiti; collaborò alla stesura dell’Antisemiten-Katechismus di Fritsch; tradusse l’Essai sur l’inégalité des races humaines (1853) di Joseph Arthur de Gobineau, e fondò nel febbraio 1894 la Gobineau-Gesellschaft,

9 

R. Wagner, Parsifal, a cura di G. Manacorda, Le Lettere, Firenze, 2003, pp. 55, 149-53.

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che ancora nel 1914 era sostenuta da almeno cinquanta istituzioni ed esercitava una vasta influenza nella politica e nella cultura tedesca. Il secondo svolse un’intensa attività culturale presso il Neuer Richard WagnerVerein zu Wien a fianco del leader del pangermanismo austriaco Georg von Schönerer; nel 1908 sposò la figlia di Wagner, e l’anno successivo si trasferì a Bayreuth divenendo il capofila della Weltanschauung antisemita. In Die Grundlagen des neunzehnten Jahrhunderts (1899) Chamberlain sostenne che il cristianesimo originario era portatore di una concezione cosmogonica opposta al dualismo giudaico che opponeva Dio alla Creazione. Tale concezione non aveva il carattere di una dottrina metafisica, bensì consisteva in una «figurazione intuitiva e spontanea di un’esperienza cosmica generale, al contempo fisica e metafisica» che l’ebreo era incapace di comprendere. La  caratteristica principale della spiritualità ario-germanica era da cercarsi nell’immanenza del processo creativo del cosmo, mistero che l’ebreo aveva occultato introducendo con il suo Dio un principio alieno nel cuore dell’Io germanico: «Sulle breccie – non voglio dire sulle rovine – della nostra individualità egli ha piantato il drappo di quest’altra individualità che ci resta eternamente estranea». Il Kaiser Guglielmo II accolse il libro di Chamberlain come un nuovo vangelo, e scrisse al suo autore una lettera in cui lo ringraziava per averlo liberato dalle false credenze della gioventù mostrandogli il cammino verso la salvezza: «Così dunque l’arianesimo germanico originario che sonnecchiava nelle profondità della mia anima doveva affermarsi al prezzo di una dura lotta». Chamberlain divenne amico del Kaiser, e nel 1916 ottenne da lui il conferimento della Croce di Ferro. Sia Schemann che Chamberlain terminarono la loro parabola creativa nelle braccia del nazismo. Nel 1920 Schemann appoggiò il Putsch di Wolfgang Kapp, e nel 1933 i nazisti gli affidarono una cattedra all’università, e lo insignirono della medaglia Goethe «per i servizi resi alla nazione e alla razza»; mentre Chamberlain ricevette addirittura la visita di Hitler alla vigilia del suo Putsch, e ne ricavò una così buona impressione che si iscrisse al partito e venne a collaborare al suo giornale 10.

10  G. L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, cit., pp. 135-44; B. Hamann, Hitler: gli anni dell’apprendistato, Corbaccio, Milano, 1998, p. 243; L. Poliakov, Il mito ariano. Storia di un’antropologia negativa, Editori Riuniti, Roma, 1999, pp. 357-62.

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L’influenza di Wagner su Hitler non ebbe tuttavia bisogno di tanti intermediari. Egli stesso riconobbe in più occasioni il compositore come l’unico precursore della propria Weltanschauung. Fin da giovanissimo, come è noto, frequentò assiduamente la Hofoper di Vienna assistendo a decine di repliche delle sue opere e identificandosi con i suoi eroi. Appena diciannovenne leggeva e citava a memoria interi passi di Das Kunstwerk der Zukunft, e si diletteva ad abbozzare scenografie di opere wagneriane, che a partire dal 1933 poté permettersi di far allestire nei teatri tedeschi. Le scenografie di Wagner furono di ispirazione per le imponenti adunate del partito a Norimberga, e la sua musica introduceva l’ingresso di Hitler durante i raduni notturni secondo una precisa liturgia, così come accompagnò l’uscita e il rientro dai lager dei prigionieri per le massacranti corvé di lavoro 11. Nel Mein Leben (1928) Hitler definì Wagner come il fondatore di una nuova confessione religiosa 12; e in un celebre dipinto del 1935, Hubert Lanzinger raffigurò il Führer come un nuovo Parsifal, a cavallo, con indosso l’armatura, e stretta nella mano destra la bandiera con la croce uncinata. Il dipinto, una grottesca parodia de Il cavaliere, la morte e il diavolo di Dürer, è dominato da tre colori – il rosso, il nero e il bianco –, che sono anche i colori della bandiera nazista; ma anche gli stessi che dominano la scena finale del Parsifal wagneriano quando il “puro folle” fa scoprire il Graal affinché si proceda alla celebrazione del rito. Quanto di questo sapere esoterico, trasfigurato in un’ideologia del sangue, sia giunto fino ai nazisti, non è facile da stabilire; ma se ciò è possibile farlo, non è certo tramite le speculazioni che albergano nella vasta letteratura sull’esoterismo nazista, bensì seguendo lo sviluppo dei mitemi esoterici nel contesto delle sette che dettero vita all’ariosofia. Per intraprendere questo viaggio è però necessario soffermarsi su di un aspetto dell’ideologia völkisch che sembra determinarne la forma prima ancora che i contenuti; perché è da questa che occorre muovere se non si vuole appiattire una cultura esoterica che è stata assai multiforme nel corso dei secoli su quella wagneriana, pregna di un cupo pathos antisemita, e quest’ultima a sua volta sulla sua sinistra parodia che la corte nazista venne a trasformare in realtà.

11  12 

B. Hamann, Hitler: gli anni dell’apprendistato, cit. pp. 28-32, 62, 80-86. A. Hitler, La mia vita, Pegaso, Bologna, 1970, p. 238.

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Il dipinto di Hubert Lanzinger, Der Bannerträger (1935).

4. L’accusa del sangue Nella ricostruzione dei miti della destra tedesca non si può fare a meno di rilevare accanto alla credenza nel sangue come fonte di generazione cosmica, anche un’altra credenza che sembra costituirne la matrice. La reiterata rivendicazione di un’elezione del popolo tedesco, che va di pari passo con l’attacco alle radici giudaiche del cristianesimo, sembra essere debitrice più dell’immagine negativa del nemico che brillare di luce propria. Nell’immaginario völkisch non sembra dominare la figura del Sigfrido nordico quanto piuttosto il volto pauroso di un nemico immaginario

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ritenuto per davvero il depositario di un potere sovrannaturale; ed è in questo volto terribile, così evocato, che occorre guardare per cogliere i tratti più profondi dell’ideologia del sangue che verrà poi trasformata in pratica omicida dai nazisti. L’elezione divina del popolo tedesco si configura sul fondo di paurose visioni cui l’ideologia völkisch sembra essere la risposta difensiva, se non addirittura l’espressione sintomatico patologica. Il richiamo da parte degli ideologi nazionalisti a un principio creatore riposto nella natura non ebbe il carattere sereno che contraddistinse, ad esempio, la cultura classica, ma assunse la forma di una ossessione propria di una cerchia di decadenti borghesi tardo ottocenteschi in difficoltà con la loro rigida formazione luterana. Langbehn negli ultimi anni della sua vita giunse ad abbracciare la teosofia con i suoi miraggi di un recupero dei poteri extrasensoriali 13; l’attività compositiva di Wagner fu costellata da morbose crisi depressive e da accessi di megalomania che trovarono sfogo in imbarazzanti attacchi ai colleghi ebrei fatti oggetto di insulti e umiliazioni; per non parlare dell’ossessivo manicheismo di Nieztsche verso il giudeo-cristianesimo che lo condusse a identificarsi con i fantasmi da lui stesso evocati fino a precipitare in una grave forma di schizofrenia. Nei miti völkisch la rivendicazione di una primogenitura del popolo tedesco, e di un suo legame organico con la natura, è dominata in maniera inestricabile dalla visione terrorizzata, e terrorizzante, del giudeo-cristianesimo come una figura talmente potente da manomettere la vitalità e il sangue di un intero popolo. Gli ebrei avrebbero dato vita a un falso mondo dell’aldilà al fine di occultare al popolo tedesco il proprio legame organico con la natura, e in questo modo avrebbero avvelenato il suo sangue quale fonte della creazione cosmica. Ora, questa credenza non può che richiamare alla mente il mito più profondo e oscuro che ha turbato i sonni degli integralisti cristiani di tutti i tempi, ovvero la cosiddetta “accusa del sangue”. Secondo quest’accusa gli ebrei sarebbero dediti all’omicidio rituale dei cristiani al fine di procurarsi il loro sangue per occulti scopi magici 14. Si tratta di una credenza che fu formulata la prima volta nell’antica Roma G. L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, cit., pp. 63-67. Sul mito dell’accusa del sangue, e la sua fortuna, cfr. F. Jesi, L’accusa del sangue. Mitologie dell’antisemitismo, Morcelliana, Brescia, 1993; R. Taradel, L’accusa del sangue: storia e politica di un mito antisemita, Editori Riuniti, Roma, 2002. 13  14 

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dai pagani contro i cristiani accusati di compiere con il rito dell’Eucarestia un’oscura pratica cannibalesca. A  loro volta i cristiani, nel corso del medioevo, ribaltarono questa credenza sugli ebrei accusandoli di aver malcompreso il mistero eucaristico della carne e del sangue che si trasformano nello Spirito, e di aver creduto di poter accedere all’immortalità procurandosi il sangue dei cristiani per impastarvi il pane durante la loro Pasqua. Nell’immaginario degli integralisti cristiani, che ripresero questa leggenda nella seconda metà del XIX secolo, si agitava però anche lo spettro che gli ebrei, essendo comunque il popolo eletto del comune monoteismo, potessero per davvero disporre di segreti a loro sconosciuti, e che quei loro rituali di sangue avessero in qualche modo una efficacia sul piano magico. Da ciò ne derivava la credenza che gli ebrei fossero sì una stirpe eletta, ma perché legata al demonio, e come il demonio creata forse appositamente da Dio per un fine di salvezza. L’accusa del sangue fece la sua prima apparizione in Europa, in epoca moderna, a seguito del clamore suscitato dal processo tenutosi a Damasco a carico di un ebreo ritenuto colpevole di un efferato delitto a scopo rituale. Tra la fine del XIX secolo e il 1913 si tennero tra l’Impero austro-ungarico e la Russia ben dodici processi dello stesso genere che si conclusero per lo più con l’assoluzione degli imputati per mancanza di prove, o comunque senza riscontrare nei delitti implicazioni magicoreligiose. Essi innescarono però una ripresa e una rielaborazione del mito che ebbe esiti drammatici per le comunità ebraiche. Già nel 1868 Hermann Goedsche, con lo pseudonimo di Sir John Retcliffe, nel romanzo Biarritz mise in relazione l’accusa di omicidio rituale con l’idea di un complotto da parte degli ebrei presentati come degli stregoni fuori dal tempo. Il capitolo, stralciato dal romanzo, fu fatto circolare come un documento storico, e divenne una delle fonti su cui furono costruiti i Protocolli dei Savi di Sion. L’anno successivo in Francia il cavaliere Gougenot des Mousseaux dava alle stampe, con l’approvazione del papa Pio IX, Le Juif, le judaïsme et la judaïsation des peuples chrétiens in cui qualificava gli ebrei come vampiri che si alimentavano del sangue dei cristiani. Des Mousseaux portava a sostegno della sua tesi i risultati ‘scientifici’ del fondatore della statistica medica Jean-Christian Boudin il quale riteneva di aver dimostrato che «l’ebreo non nasce, non vive e non muore per nulla come gli altri uomini in mezzo a cui abita». Se questo popolo non era ancora scomparso dopo millenni era perché il suo sangue disponeva di una

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maggiore forza rispetto a quello degli altri popoli. Boudin non lamentava però l’atavismo degli ebrei bensì la loro laicizzazione, e concludeva profetizzando che «il popolo per sempre eletto, il più nobile e il più augusto dei popoli, il popolo uscito dal sangue di Abramo» sarebbe stato sottoposto alle prove più crudeli che lo avrebbero indotto a fare ritorno alla casa paterna per assumere il suo ruolo originario «per la salvezza e la meraviglia del mondo» 15. A questa visione dette un ulteriore supporto ‘scientifico’ il teologo August Rohling con Der Talmudjude (1871) sostenendo che il testo ebraico di commento alla Sacra Scrittura conteneva dei precetti per l’omicidio rituale dei cristiani trasmessi nella loro interezza solo per via orale. Questa visione trovò un impulso decisivo da parte soprattutto dei gesuiti per iniziativa di Giuseppe Oreglia che, sulle pagine de La Civiltà Cattolica, la fuse con quella del complotto giudaico-massonico-liberale e socialista. Ne nacque così una visione cospirazionista che venne rilanciata da numerose riviste, giornali e pamphlet con l’assenso del papa Leone XIII, della Segreteria di stato della Santa Sede, e del collegio degli scrittori cattolici. Tra i tanti autori che si fecero portatori di quella visione alcuni andarono anche cercando i significati esoterici dei presunti sacrifici ebraici, e qualcuno ritenne persino di averli trovati; come, ad esempio, il sacerdote cattolico Justinas Pranaitis, che interpretò la Qabbālāh come un insieme di precetti sacrificali volti ad accelerare la venuta di un messia ebreo. L’approccio esoterico più radicale fu sicuramente sviluppato da Léon Bloy in Le Salut par les Juifs (1892). Secondo Bloy, gli ebrei non sono semplicemente coloro che hanno sacrificato Cristo sulla croce, bensì sono anche gli inventori dello «spirito della croce» che mantiene i popoli sospesi in eterno. «Il rifiuto di quel canagliume immobilizzava nel tempo, spaventosamente, ogni minuto e ogni secondo anche degli episodi più trascurabili e di tutte quante le peripezie della Passione» costringendola a ripetersi all’infinito così come all’infinito la ferita di Cristo doveva sanguinare. «Niente aveva fine, perché niente poteva aver fine, e perché le cose, quando stavano per finire, subito rinascevano in ogni dove […], e perfino i bambini non ancora nati avevano un trasalimento d’orrore, nel ventre delle loro madri, quando si udiva il Martello del Venerdì Santo». Ma gli ebrei sono qualcosa di più

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L. Poliakov, Storia dell’antisemitismo, cit., vol. IV, p. 40; Id., Il mito ariano, p. 317.

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dei carnefici di Cristo; essi sono la sostanza stessa del sacrificio poiché il sangue del messia è il loro stesso sangue, «così come quello invisibile versato ogni giorno nel calice del Sacramento sull’Altare, è naturalmente e soprannaturalmente sangue ebraico – l’immenso fiume del Sangue Ebraico, che ha la sua fonte in Abramo». Qui sono all’opera «indecifrabili disposizioni di Dio» che i cristiani non sono in grado di comprendere. Essi neppure si accorgono che il loro stesso Padre è Geova, «la cui funzione divina sembra davvero essere, da seimila anni, quella di nutrire i porci cristiani dopo aver pascolato i maiali della Sinagoga». Ma se il Dio dei cristiani è ebreo, allora il vero Dio non può che essere il suo opposto. Attraverso una furiosa parodia dei richiami divini al popolo di Israele nella Bibbia, Bloy lancia un criptico messaggio volto a svelare il ruolo misterioso che gli ebrei avrebbero nell’economia della salvezza. Bloy invoca contro il cristiano «Vangelo di Sangue» l’avvento di un nuovo messia, il «Visitatore inaudito» che i cristiani da sempre temono e odiano. «Egli è a tal punto il Nemico, a tal punto coincide con quel LUCIFERO che fu detto Principe delle Tenebre, che separarli – foss’anche nell’estasi beatifica è quasi impossibile … Chi può capire, capisca». Attingendo a una tradizione gnostica che fa dell’angelo ribelle il demiurgo creatore, Bloy propone Lucifero come il vero messia, e la sua venuta come coincidente con qualcosa di terribile e di meraviglioso, un «ardente solstizio dell’estate del mondo» che vedrà «l’Essenza stessa del Fuoco» tuonare «nei bracieri dell’Amore vittorioso», e così conclude: Allora sarà davvero semplice per il Crocefisso scendere dalla Croce del suo obbrobrio, poiché essa è appunto, all’infinito, a immagine e somiglianza del Liberatore vagabondo che egli invocò per 19 secoli – e forse si capirà pure che sono anch’io, dalla testa ai piedi, quella Croce! … Giacché la SALVEZZA DEL MONDO È INCHIODATA SU DI ME, ISRAELE, e da Me deve “scendere” 16.

Questa concezione esoterica deve avere in qualche modo lasciato traccia anche nell’estrema destra tedesca, se lo scrittore Ernst Jünger, ancora nel 1997 accennava all’opera di Bloy in questa maniera: 16  L. Bloy, Dagli ebrei la salvezza, Adelphi, Milano, 1994, passim. Sul multiforme universo delle dottrine gnostiche cfr. A. Magris,  La logica del pensiero gnostico, Morcelliana, Brescia, 2012.

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Fu Carl Schmitt a consigliarmi la lettura di questo “chatolique intolérant”, come fu definito. Ho letto i suoi diari e almeno un paio di volte il libello Dagli ebrei la salvezza. È  un testo che introduce negli arcana di un potere magico, sacrale, in cui Bloy mi sembra un elettrotecnico che maneggia troppo disinvoltamente i cavi dell’alta tensione. Si ha l’impressione che in qualsiasi momento possa partire una scarica e mandare tutto in fiamme. Tra le sentenze di Bloy che mi hanno più profondamente impressionato ce ne è una stupenda che ho ripreso e commentato in Al muro del tempo: “Dieu se retire”. È un’affermazione che descrive in maniera concisa ma efficace ciò che accade con l’avvento del nichilismo, con l’allontanamento dell’uomo moderno da Dio. È una sentenza che va letta insieme all’affermazione di Nietzsche “Dio è morto” 17.

Cosa Jünger intendesse con questo sibillino richiamo può forse chiarirsi nel prosieguo della nostra storia. Per intanto non può essere ignorato il ruolo che l’accusa del sangue svolse nella propaganda e nella politica antidemocratica, antisocialista, e più tardi anticomunista, portata avanti dalla destra in tutta Europa. Essa trovò la sua più drammatica applicazione in Russia, dove venne utilizzata dal governo zarista per fomentare i pogrom contro gli ebrei al fine di contrastare i moti rivoluzionari. Il primo pogrom avvenne nel 1903 a Kišinev, capoluogo della Bessarabia, nel giorno di Pasqua, e ad esso ne seguirono fino al 1907 altri quarantuno, tra cui i più sanguinosi furono quelli di Kiev e di Odessa, con un bilancio finale di circa novemila vittime. I pogrom attuati in Russia costituirono un passaggio importante nell’evoluzione dell’antisemitismo in Europa. Fu infatti la polizia segreta russa a elaborare tra il 1894 e il 1899 i primi documenti che andarono a costituire i Protocolli dei Savi di Sion, la cui prima pubblicazione avvenne in seguito al pogrom di Kišinev, così come la successiva edizione definitiva fu realizzata in contemporanea con i moti di San Pietroburgo, a cura del fanatico prete ortodosso, nonché occultista, Sergej Nilus 18.

A. Gnoli, I prossimi titani. Conversazioni con Ernst Jünger, Adelphi, Milano, 1997, p. 91. L. Poliakov, Storia dell’antisemitismo, cit., vol. IV, pp. 98 sgg. Sui protocolli si veda C. De Michelis, Il manoscritto inesistente. “I Protocolli dei savi di Sion: un apocrifo del XX secolo”, Marsilio, Venezia, 1998; S. Romano, I falsi protocolli. Il  «complotto ebraico» dalla Russia di Nicola II ai giorni nostri, TEA, Milano, 2008. 17  18 

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Il racconto della cospirazione ebraica dispensato nei Protocolli ci dice molto sull’immaginario degli antisemiti. Gli ebrei sono presentati come una cerchia di «sanhedrin cabalistici» che attraversano i tempi sempre uguali a loro stessi, come attesta la presenza tra di loro di Aasvero, «l’eterno ebreo» che, non avendo riconosciuto la divinità di Cristo, è costretto a vagare nel deserto per l’eternità senza riuscire a morire. Ai piani di conquista del mondo raccontati in presa diretta da tali stregoni, fa da compendio la postfazione di Nilus che spiega come questi «agenti diabolici» stiano tramando fin dai tempi di Salomone contro l’umanità per la conquista del mondo usando l’oro per alzare i prezzi, e avvelenando il sangue di tutti i popoli. Il simbolo del loro piano è il serpente, la cui testa rappresenta la setta iniziatica che governa il corpo costituito dal popolo: «Questo serpente, penetrando a mano a mano nel cuore delle nazioni che incontrava, scalzò e divorò tutto il potere non Ebraico di questi stati». La sua ultima tappa è stata San Pietroburgo a cui seguiranno i «principali centri della razza Ebraica militante» di Mosca, Kiev, e Odessa; a quel punto «il Re nato dal sangue di Sion, l’Anticristo» terminerà il suo anello intorno all’Europa, e verrà a insediarsi «al trono della potenza universale» 19. Questo era il fantasma che si aggirava nelle fantasie della destra antisemita europea, compresa quella tedesca. Il  fondatore dell’ideologia völkisch Paul Anton de Lagarde fu anche colui che per primo rispolverò in Germania l’accusa del sangue attingendo al libro di Rohling; e lo stesso fece Theodor Fritsch che per primo pubblicò in Germania i Protocolli 20. Non è dunque peregrina l’ipotesi che l’accusa agli ebrei di avere interrotto il legame originario tra il sangue germanico e la natura sia stata concepita come una moderna riedizione dell’accusa del sangue. Agli occhi degli antisemiti, Wagner compreso, l’invenzione di un Dio universale e di un mondo dell’aldilà costituisce un atto rituale volto a occultare al popolo tedesco il proprio legame con la natura divina così da gettarlo nelle fauci di una terribile stirpe di avvelenatori e vampiri. Con l’introduzione del monoteismo, gli ebrei hanno interrotto il flusso 19  L’internazionale ebraica. i “Protocolli” dei “Savi Anziani” di Sion, La Vita Italiana, Roma, 1938, pp. 156-59. 20  M. Ferrari Zumbini, Le radici del male, cit., pp. 166-69; R. Taradel, L’accusa del sangue, cit., p. 240.

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del sangue che, venendo dagli avi giunge fino ai più lontani discendenti, per poi risalire verso le origini, in un eterno ciclo da cui il Volk trae la sua forza vitale. La  rivendicazione dell’unione organica tra il Volk tedesco e un cosmo divinizzato, la tensione verso fonti più originarie del sacro rispetto a quelle rivendicate dagli ebrei, e l’elaborazione di una pseudomitologia germanica, sono tutti sintomi di un tentativo di difendersi da un immaginario complotto giudaico attingendo alla rinfusa alle fonti più disparate di un sapere non contaminato dagli ebrei. L’invenzione di una ‘tradizione ariana’ rispose alla drammatica esigenza di stabilire un ‘prima’ più originario di quello ebraico, e attorno a tale ‘tradizione’ si coagulò un’area politica impegnata nella missione salvifica della rigenerazione delle fonti vitali del popolo tedesco.

5. Visione e progetto di un’aristocrazia del sangue I circoli che si costituirono attorno al mito del sangue come sede del Geist germanico si ritennero le cellule di una nuova aristocrazia che avrebbe dovuto rifondare il Reich su basi razziali. Questa concezione si alimentò delle idee pseudo-religiose di Lagarde, Langbehn e Wagner, ma soprattutto della visione di una nuova razza di superuomini profetizzata da Friedrich Nietzsche. Fu quest’ultimo a fornire la più sofisticata elaborazione teorica della caduta di un’originaria razza di signori ad opera del giudeo-cristianesimo, a profetizzare la morte del Dio giudaico-cristiano, e l’avvento di una rinnovata schiatta di superuomini guidata dall’occulto principio cosmico della “volontà di potenza”. Secondo Nietzsche nell’epoca immemorabile della Grecia presocratica, una razza di signori esercitò il proprio dominio sul resto dell’umanità ridotta in schiavitù tramite un sereno e distaccato uso della violenza che faceva tutt’uno con l’attività creatrice del cosmo. Questa beatifica condizione fu però sovvertita dagli schiavi che, nel tentativo di sottrarsi al dominio dei signori, attribuirono alla natura, caratterizzata esclusivamente

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dall’innocenza del divenire, un senso morale che essa non possiede. Fu così che nacquero i concetti di peccato, colpa, e pentimento, e quindi l’istituzione di un’aldilà ultraterreno nel quale gli schiavi speravano di trovare compensazione ai propri mali, demandando a un essere superiore quella vendetta, spacciata per giustizia, che essi non erano in grado di realizzare. Da questa visione, sviluppata in Zur Genealogie der Moral (1887), che faceva seguito all’annuncio della “morte di Dio” declamata in Also sprach Zarathustra (1885), il filosofo giunse quindi a prospettare in Der Wille zur Macht la nascita di una nuova aristocrazia di «esseri superiori, al di là del bene e del male» che avrebbe finalmente ripreso la via verso la «grande salute»: Diventiamo di giorno in giorno più Greci – dapprima come è giusto, nei concetti e nelle valutazioni, in un certo senso come degli spettri grecizzati; ma un giorno come è sperabile, diventeremo tali anche nel nostro corpo! Qui risiede (e sempre risiedette) la mia speranza per l’essenza tedesca!

Tale razza dovrà forgiarsi seguendo gli istinti naturali, attorno all’occulto principio cosmico della volontà di potenza: «Ciò che determina il rango, ciò che toglie il rango, sono unicamente delle quantità di potenza: e nient’altro»; «la guerra e il pericolo sono premesse perché un livello gararchico conservi le sue condizioni di esistenza». Una razza dominatrice può crescere soltanto da inizi terribili e violenti. Problema: dove sono i barbari del XX secolo? Evidentemente, si mostreranno e si consolideranno soltanto dopo enormi crisi socialiste: saranno gli elementi capaci della massima durezza verso se stessi, quelli che possono garantire la massima durata della volontà 21.

Queste idee trovarono calorosa accoglienza presso gli antisemiti, nonostante Nietzsche li ripagasse con espressioni di disprezzo per il loro spirito piccolo borghese. Fritsch riprese dalla sua opera molti articoli di fede già prima che la sorella del filosofo la spurgasse dei meno apprezzati 21  F. Nietzsche, La volontà di potenza, Rcs Libri, Milano, 2008, pp. 230, 469-70, 477-78. Per una puntuale ricostruzione dell’opera e dell’impegno intellettuale di Nietzsche nella lotta politica del suo tempo, cfr. D. Losurdo, Nietzsche, il ribelle aristocratico, Bollati Boringhieri, Torino, 2002. Sui rapporti tra il filosofo e la destra völkisch, e l’uso che quest’ultima fece delle sue idee, cfr. anche M. Ferrari Zumbini, Le radici del male, cit., pp. 553-610.

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passaggi contro il cristianesimo germanico; e la visione nicciana entrò a far parte della mitologia dei Bünde giovanili così come di molti circoli artistico letterari. Tutte queste conventicole ritennero di incarnare una nuova aristocrazia che avrebbe posto fine alla società borghese, ed inventarono persino dei rituali atti a cementare la comunione tra i loro membri. Una di queste cerchie fu il Kosmischer Kreis, fondato e animato da Alfred Schuler, Ludwig Klages e Stefan George i quali si dedicarono alla celebrazione di culti misterici di adorazione della “Madre Terra”, talmente benefici che Schuler tentò di farli praticare anche a Nietzsche per guarirlo dalla schizofrenia. Nel 1903 Klages e Schuler impressero alla mistica del sangue una svolta antisemita, che condusse il primo a divenire una figura di riferimento dello Jugendbewegung, e il secondo il “maestro spirituale” degli artisti del quartiere Schwabing di Monaco, proprio nello stesso periodo in cui Hitler, da fallito bohémien, ne percorreva le vie cercando di vendere i suoi bozzetti di paesaggi e architetture tedesche 22. La visione nicciana di una nuova razza di superuomini iniziò ad apparire un progetto realizzabile quando, agli inizi del Novecento, lo sviluppo delle tecniche eugenetiche fece intravedere alla destra etnicista la possibilità di manipolare le qualità biologiche degli esseri umani, e dunque di poter incidere su quella degenerazione del sangue che essa riteneva inficiasse la salute della nazione. L’antesignano dell’eugenetica razzista fu Ernst Haeckel, biologo, zoologo, filosofo, nonché fondatore dell’ecologia, e principale esponente dell’evoluzionismo in Germania. A partire da Die Welträtsel (L’enigma dell’universo, 1899), Haeckel elaborò una concezione pseudo-scientifica, denominata “Monismo”, secondo la quale i processi fisici che governano l’universo sono anche alla base dell’evoluzione della società umana. Questa visione venne a configurare l’unione tra il Volk e l’universo in termini ancora più radicali di quelli prospettati dai fautori del cristianesimo germanico. In un cosmo concepito come un complesso organico sussistente di per sé, e privo di intervento divino, era la legge della sopravvivenza a governare l’esistenza dalla più remota stella fino al più infimo organismo vivente. Nella catena degli enti che andava dall’inorganico all’organico era naturalmente il Volk tedesco a costituire l’incarnazione dello stadio più alto dell’evoluzione, e quando Haeckel si G.L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, cit., pp. 253-78, 310 sgg.; I. Kershaw, Hitler, cit., p. 120 sgg. 22 

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convertì all’antisemitismo, fu facile porre gli ebrei al polo opposto del processo evolutivo identificandoli con lo stadio del caos e dell’informe. I sacrifici della guerra convinsero infine Haeckel che era in atto una contro-selezione che faceva morire i forti e sopravvivere i deboli, e per invertire tale tendenza egli propose l’istituzione di un comitato che stabilisse periodicamente una quota di malati da condurre alla morte 23. Haeckel dette vita nel 1906 al Deutscher Monistenbund, e iniziò a tenere una serie di conferenze in cui metteva in scena una sorta di “sacra rappresentazione darwiniana” con tanto di macabre esposizioni di scheletri umani. La  Lega monista fu la prima organizzazione a elaborare i principi e le tecniche dell’eugenetica razzista. Tra i suoi fondatori vi fu, ad esempio, il botanico e biologo Raoul Heinrich Francé che teorizzò le cosiddette Lebensgesetze (Leggi della vita) alle quali si sarebbero in seguito richiamati i giuristi nazisti come fondamento per la legislazione del nuovo Reich. Ma non solo, le concezioni socialdarwiniste di stampo razzista sviluppate dai seguaci di Haeckel trovarono anche una fusione con la visione gnostica antisemita, dando così la stura all’elaborazione di progetti di purificazione del sangue che prefiguravano persino il recupero della facoltà demiurgica posseduta dagli avi primordiali. Nel 1904 il biologo e medico Alfred Ploetz, anch’egli tra i fondatori della Lega monista, iniziò a editare la rivista Archiv für Rassen- und Gesellschafts-Biologie, che ebbe come collaboratori non solo esperti di biologia ma anche ispirati visionari del legame occulto tra il sangue e la terra come Fritsch e Liebenfels. L’anno dopo Ploetz fondò la Deutschen Gesellschaft für Rassenhygiene al cui interno furono elaborati i principi della “scienza razziale” su cui si formò la successiva generazione di esperti che avrebbe collaborato ai crimini nazisti. La necessità di rafforzare il legame di sangue con la terra veniva adesso sostenuta non più con speculazioni astratte ma con argomenti che, nonostante fossero altrettanto irrazionali, presentavano una parvenza di scientificità. Fu così inaugurato un approccio progettuale alla rigenerazione della razza che coinvolse medici come Ludwig Wilser, antropologi come Karl Penka, e biologi come August Weismann o Willibald Hentschel. Il progetto eugenetico di quest’ultimo, che prevedeva la

G. L. Mosse, Il razzismo in Europa. Dalle origini all’olocausto, Editori Laterza, RomaBari, 1980, pp. 96-98; M. Ferrari Zumbini, Le radici del male, cit., pp. 526-27 23 

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creazione di insediamenti rurali concepiti come colonie di allevamento razziale, avrebbe avuto in seguito una notevole fortuna. Hentschel era stato assistente di Haeckel all’università di Jena, faveva parte della direzione del partito antisemita di Sonnenberg, ma soprattutto era il principale collaboratore di Fritsch fin dal 1887. Con Varuna (1901) Hentschel formulò una visione razzista che metteva assieme la teoria cosmogonica biologico razziale di Haeckel con la profezia nicciana di una stirpe di superuomini attingendo persino alla mitologia induista. Secondo Hentschel, il millenario cammino della razza ariana poteva essere ricostruito tramite i miti dell’induismo. Gli dèi di quella religione, naturalmente ario-germani, erano stati i capi della stirpe eletta, e tramite l’ordinamento castale avevano impedito la minaccia della contaminazione del sangue. Nel 1904 Hentschel però aggiustò il tiro. Con Mittgart. Ein Weg zur Erneuerung der germanischen Rasse i fondatori e i dirigenti della stirpe ariana erano adesso le divinità nordiche; e il loro regno, il Mittgart, doveva divenire il modello del futuro Reich. Questo regno sarebbe stato costituito, al pari di quello originario, da insediamenti rurali denominati «villaggi di allevamento» (Züchtungsdörfer), e sotto la guida di esperti razziali, ogni ariano avrebbe avuto a disposizione dieci donne appositamente selezionate per la riproduzione, mentre gli esseri inferiori dovevano essere macellati. Due anni dopo Hentschel tentò di mettere in pratica il suo progetto dando vita a una colonia in bassa Sassonia denominata Mittgartbund, che però non decollò e fu abbandonata nel 1914 24. Nel corso degli anni antecedenti il primo conflitto mondiale questo approccio eugenetico alla questione della razza maturò trovando una nuova formula organizzativa. Un nuovo ciclo di sviluppo e di benessere economico aveva costretto le leghe antisemite a rifluire nell’alveo della destra tradizionale, sostituendo all’attività politica quella cospirativa in forma semiclandestina. Si erano poste così le condizioni per la nascita di una sorta di massoneria antisemita che portò alla trasformazione della völkische Weltanschauung in una dottrina iniziatica con tanto di apparato mitico rituale.

24  M. Ferrari Zumbini, Le radici del male, cit., pp. 544-52, 605-8.; G. L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, cit., p. 165 sgg.; Id., Il razzismo in Europa, cit., pp. 88-91; H. Friedländer, Le origini del genocidio nazista, Editori Riuniti, Roma, 1997, pp. 15-17.

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6. Gli ordini iniziatici antisemiti Le prime sette che vennero a elaborare una teosofia ariana, detta ariosofia, nacquero in Austria nell’ambito della Alldeutsche Vereinigung, fondata e diretta dal 1896 da Georg von Schönerer che riuscì a raccogliere fino a centomila simpatizzanti suddivisi in 160 associazioni. I principali ariosofi che trasformarono l’ideologia etno-nazionalista in una dottrina iniziatica furono Guido von List e Lanz von Liebenfels, artefici rispettivamente nel 1907 della fondazione dell’Armanenschaft e del Neuer Templer-Orden (NTO) 25. List fu il principale mitologo della Lega pangermanica austriaca. Dopo aver iniziato la carriera di giornalista divenne autore di opere teatrali nel solco della mitologia germanica wagneriana, quindi germanizzò la liturgia cattolica con il plauso del vescovo cattolico della Boemia, e infine si auto elesse discendente di una immaginaria casta di sacerdoti ario-germanici. List si calò talmente nella parte che finì per dotarsi di una lunghissima barba e di un presunto abbigliamento antico germanico, e prese a ‘divinare’ le rune convinto di far riemergere un’antica sapienza perduta. A quanto pare fu preso sul serio, poiché almeno un centinaio dei più influenti personaggi della vita politica e culturale austriaca, per sostenere le sue ‘ricerche’, fondarono a Vienna nel 1905 la Guido-vonList-Gesellschaft, al cui interno due anni dopo nacque persino una cerchia, l’Armanenschaft, che si ritenne per davvero l’erede dell’antica casta sacerdotale immaginata da List. Nel 1908 l’ariosofo dette alle stampe Das Geheimnis der Runen vantando la dottrina ivi presentata come una suprema sapienza che gli antichi sacerdoti avevano tramandato di nascosto, per sfuggire alle persecuzioni giudaico-cristiane, lungo una catena iniziatica che andava dagli alchimisti ai rosacroce, ai templari, e ai cabalisti, per giungere fino a lui; e come se non bastasse, sosteneva di poter attingere ai più profondi segreti del cosmo tramite una ‘divinazione’ delle rune ispirata nientemeno che dal dio Wotan.

Su List, Liebenfels, e le loro organizzazioni esoteriche, cfr. N. Goodrick-Clarke, Le radici occulte del nazismo, Sugarco, Carnago, 1992. 25 

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Das Geheimnis der Runen consiste di fatto in una confusa e logorroica divagazione che salta di palo in frasca pretendendo di affrontare tutto lo scibile umano; ma con una certa attenzione è possibile rinvenire al suo interno quello che ci sembra il nucleo centrale della völkische Weltanschauung, ovvero una misteriosofica concezione cosmogonica posta in antagonismo a quella giudaico cristiana. Scrive List: Il punto fondamentale della visione del mondo ario-germanica primordiale (Weltanschauung alt-arische-germaniche) deposto nelle rune e nei segni di salvezza, e il suo riconoscimento teosofico-metafisico, si basa sul chiaro riconoscimento di un Essere spirituale più alto – Dio – che coscientemente e con intenzione ha creato la materia da se stesso per mezzo della forza della sua volontà e della propria potenza, nella quale si è rinchiuso (materializzato) inseparabilmente fino alla propria morte, continuando a dominarla e a formarla inseparato da essa, affinché la stessa non compia il proprio fine determinato e si disintegri di nuovo e l’Essere superiore – Dio – dopo essersi smaterializzato tornerà ad essere l’origine che fu prima della creazione del mondo 26.

Secondo List la stirpe ario-germanica costituisce lo stadio più avanzato dell’evoluzione cosmica legata in maniera organica al Dio che in essa si è ritratto. Due sono le modalità con cui si realizza questa unione: una «eroterica», espressa dalla runa Ge; e una esoterica, simboleggiata dalla runa Fyrfos, ovvero la croce uncinata. «La runa Ge, simbolo dell’altare di Gibor – Dio, il Creatore dell’Universo!» insegna che l’unione con Dio si mantiene conservando la purezza del sangue seguendo una rigida disciplina matrimoniale e riproduttiva; ben altro è invece l’insegnamento della runa Fyrfos, riservata solo agli iniziati: «la spiegazione della Fyrfos cerca – e trova – la conoscenza della divinità in maniera esoterica nel più profondo dell’uomo stesso; e tramite la comprensione della dualità quale unione-nella-separazione viene a riconoscersi come spirito umano unito con Dio». Mentre la runa Ge pone l’immortalità come un traguardo al Das Geheimnis der Runen von Guido List, Arktos, Carmagnola, 1992, p.  64. Diversi anni or sono, il germanista Furio Jesi, pur non disponendo dei testi ariosofici, rilevò in alcuni materiali mitologici della destra una serie di elementi che lo condussero ad intuire la presenza di una concezione cosmogonica di questo tipo. Sviluppando tale intuizione, Jesi giunse addirittura ad avanzare l’ipotesi che lo sterminio degli ebrei fosse stato concepito dai nazisti come la ripetizione di un atto cosmogonico che aveva le caratteristiche di una ritrazione creatrice. Cfr. F. Jesi, Cultura di destra, Garzanti, Milano, 1993. 26 

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termine della vita, la croce uncinata insegna a riconoscere l’immortalità nella vita stessa: Mentre l’eroterica insegnava che l’uomo è uscito da Dio e tornerà da Dio, l’esoterismo riconosceva la connessione inseparabile dell’uomo con la Divinità come contemporanea dualità di unione-nella-separazione e poteva dire in maniera cosciente: uomo sii uno con Dio!

La croce uncinata incarna in maniera simbolica e materiale «la legge ariana della trinità» (das arische Gesetz der Dreiteilung), che si articola negli stadi del nascere-essere-tramontare verso il rinascere, e nel contempo simboleggia anche l’atto creativo da cui quel processo trinitario scaturisce. List sembra dunque attribuire alla élite ario-germanica il potere di omologarsi alla ritrazione divina che ha fatto sorgere il mondo, e così facendo di promuoverne la sua evoluzione. Questo potere creativo l’ariosofo lo attribuisce ad una particolare pratica, espressa dalla runa Tyr, simbolo di Thor, il dio della guerra. Scrive List: «La Tyr era incisa su spade e lame come segno che concede la vittoria. Significava: non temere la morte, non ti può uccidere!». Il guerriero germanico iniziato al mistero della morte intraprendeva la guerra come un’imitazione del sacrificio di Wotan: «Tyr è il sole giovane che risorge di nuovo, […] simbolo del ritorno di Wotan nel corpo rinnovato dopo il suo autosacrificio». Ciò non significa che il guerriero non muoia, bensì che egli riesce, votandosi alla morte, a porsi nella dimensione del sacrificio originario. Grazie a tale disposizione egli viene a far parte della schiera degli Einherjer, gli eroi che muoiono cadendo «vittime delle loro idee nella convinzione del martirio» trovando nell’oltretomba «quella beatitudine che […] assicura loro una maggiore consapevolezza nel determinare la prossima reincarnazione in una nuova missione da eroe per la conquista della vittoria finale». Il guerriero iniziato alla comunione mistica con la morte viene così a riconoscersi tutt’uno con Dio: «Il wotanismo assicura ai caduti nella battaglia il Valhalla, chi trova la morte nella battaglia si unisce eternamente con la divinità senza più tornare ad essere un uomo» 27. 27 

Ibid., passim.

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Un altro fortunato erede dei saperi primordiali si ritenne Lanz von Liebenfels che arricchì la gnosi antisemita di un fondo biologico razziale. Liebenfels aveva esordito come monaco cistercense nel convento di Heiligenkreuz da cui fu cacciato nell’aprile 1899 per “condotta disdicevole”. Egli si legò allora al movimento Los von Rom di Schönerer, e venne a collaborare con le riviste di Fritsch, Ploetz, e della Lega monista. La visione del sangue come sostanza creatrice raggiunge nei suoi scritti un livello ancora più delirante che in List. In Theozoologie (1905), l’ex monaco cistercense sostiene che gli ariani decaddero dall’originario stato divino perché contaminarono il loro sangue con orribili pratiche di sodomia condotte con gli esseri scimmieschi da essi utilizzati come schiavi. Nel sangue della discendenza ariana è però rimasta una «scintilla divina elettrica» che può essere risvegliata. «Gli dei dormono in questi corpi umani imbastarditi, ma verrà il giorno in cui essi si desteranno nuovamente. Noi eravamo elettrici, noi saremo elettrici: elettrici e divini è la medesima cosa!». Dio vive in noi, ma vive sotto la pelle della scimmia antropomorfa, avvolto dal lino sodomita, come un cadavere nella bendatura di una mummia. Egli non è morto, dorme, ma sta arrivando il giorno, e non è lontano, che ancora una volta resusciterà, come Cristo, e allora sventura per le rocce sodomite che romperà e frantumerà per la costruzione della sua Chiesa. Dio è la razza pura!

La liberazione sarà intrapresa dalla «nuova razza sacerdotale dell’elettrone e del Santo Graal» che metterà la scimmia sodomita in catene, ricondurrà i raggi elettrici verso la «Grande Pentecoste dell’umanità», e farà risorgere il castello del Graal. Il giorno del giudizio verrà a inaugurare l’era della selezione razziale, e il regno dei cieli sarà compiuto come «istituzione razzialmente igienica». Per realizzare quest’opera occorrerà costruire «un profondo fossato che circonderà il Valhalla in modo che nessuna scimmia lo possa scavalcare». A questo fine si dovrà regolare la vita sessuale e riproduttiva, eliminare le creature degenerate tramite castrazione e sterilizzazione, e infine eseguire esperimenti sugli esseri inferiori per carpire nel loro corpo il modo in cui si è resa possibile la commistione del sangue. Per l’estrema importanza dell’argomento, converrebbe oggi tentare esperimenti con diversi bastardi (naturalmente sotto la direzione di scienziati esperti) al fine di verificare i racconti degli antichi. Tali

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Jörg Lanz von Liebenfels, fondatore del Neuer Templer-Orden.

esperimenti potrebbero essere più difficili oggi di quanto non lo fossero in passato per l’assenza di forme intermedie e di transizione. Comunque una maggiore possibilità di successo si potrebbe avere con l’incrocio tra le più alte forme di scimmie antropomorfe e il più basso tipo di umani (dove sia possibile dello stesso territorio), poiché dove sono presenti le scimmie antropomorfe si osserva che sia i nativi che i parenti rifiutano di mangiare la carne dei primati 28. Lanz von Liebenfels, Teozoologia ovvero la scienza delle nature scimmiesche sodomite e l’elettrone divino, Thule Italia, Roma, 2008, passim. 28 

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Sulla base di queste fantasie Liebenfels fondò il Neuer Templer-Orden istituendone il primo priorato il 14 febbraio 1907 nel castello di Werfenstein, da lui definito «luogo di sacrificio dei germani», e dotato sulla sua torre più alta di una bandiera con la svastica. Fino al 1937 fondò altri sei priorati tra Austria e Ungheria che accolsero almeno trecento adepti i quali, abbigliati con tonache bianche con la croce rossa al centro, furono dediti a ricerche sulla razza ariana, ricostruzione di alberi genealogici, celebrazioni di matrimoni razziali, ricerca di adepti e fondazione di asili, fattorie, e centri di istruzione per la formazione e la guida dei coloni. Al  pari di List, Liebenfels fece della gnosi antisemita una dottrina da apprendere tramite riti iniziatici che dovevano liberare gli affiliati dai veli dell’ebraismo per condurli alla riscoperta nel proprio sangue del principio creatore, qualificato in questo caso come «scintilla elettrica». Attorno a queste dottrine prese corpo in Germania un analogo ordine iniziatico che nell’immediato dopoguerra avrebbe tenuto a battesimo il partito nazista.

7. Dai rituali di morte all’omicidio rituale Il 21 giugno 1911, in occasione della celebrazione del solstizio, List fondò l’Höher Armanen-Orden (HAO), un ordine segreto che avviò fin da subito stretti legami in Germania con il circolo wagneriano di Bayreuth e con le Hammer-Gemeinden di Fritsch. Grazie al supporto di Philipp Stauff, presidente della Guido-von-List-Gesellschaft di Berlino, Fritsch ristrutturò la sua organizzazione sul modello di quella di List. Una prima Wotanloge (loggia Wotan) sorse a Magdeburgo sotto la direzione dell’avvocato Hermann Pohl, seguita poco dopo dalla fondazione di una Gran Loggia con Fritsch nella carica di Gran Maestro. Il  24 maggio 1912, in seguito alla vittoria elettorale dei socialdemocratici, una ventina di influenti pangermanisti si riunirono nella casa di Fritsch a Lipsia, e decisero la formazione di due organizzazioni: il Reichshammerbund, che federava tutti i gruppi Hammer,

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e il Germanenorden (GO) che riuniva le logge segrete sorte nel frattempo in varie città tedesche. Il primo era guidato da Fritsch, ed era rivolto ai militanti meno edotti sul fondo ariosofico dell’antisemitismo, mentre il secondo, affidato a Pohl con la carica di Maestro, era invece riservato ai personaggi di più alto rango della società tedesca, che vi accedevano previa iniziazione al lato esoterico della völkische Weltanschauung 29. Il rito iniziatico consisteva in una messa in scena di presunte celebrazioni antico germaniche. Il Maestro impugnava la lancia di Wotan davanti all’iniziato con contorno di svastiche e fiamme votive mentre un coro nascosto dietro i tendaggi cantava alcuni brani delle opere di Wagner 30. Alla luce del ‘mistero cosmogonico’ illustrato da List, si può ipotizzare che il rito di iniziazione simulasse un passaggio attraverso la morte. Il rito veniva ad abolire la vita profana dominata dall’ebraismo per introdurre alla ‘vera vita’ del mondo sacro incarnato dalla loggia. Se si considera che, per List, il vero mondo era il risultato della ritrazione di Dio in se stesso, ne consegue che la loggia era assimilata al corpo di Dio, e il rito all’atto che ripeteva quello cosmogonico. Il rituale doveva probabilmente condurre l’iniziato a identificarsi con una realtà superiore costituita dal sangue della stirpe, e a impegnarlo in una lotta contro un nemico che si presumeva stesse avvelenando quel sangue. Credenze e pratiche di questo genere vennero a definire una modalità identitaria particolarmente fanatica, che all’epoca si espresse in attività di lobbying, diffamazione degli ebrei, e nel sostegno all’ideologizzazione della guerra come crociata antisemita. Nell’aprile del 1916 il ramo bavarese dell’ordine, denominato Germanenorden Walvater vom Heiligen Graal, fu preso in mano dal barone Rudolf von Sebottendorff che, nel giro di pochi mesi a partire dall’autunno del 1917, riuscì ad affiliarvi millecinquecento tra i più importanti esponenti della politica, dell’economia e della cultura della Baviera. Sebottendorff era uno scaltro faccendiere: aveva lavorato per la Nestlé, e per le società impegnate nella costruzione della ferrovia da Istanbul a Bagdad; era stato segretario del latifondista turco Hussein Pasha, che lo aveva iniziato al sufismo, e poi dei Termudi, una famiglia di possidenti 29  Sulle vicende del Germanenorden e sul suo ruolo nella nascita del partito nazista, cfr. N. Goodrick-Clarke, Le radici occulte del nazismo, cit., pp. 183-222; I. Kershaw, Hitler, cit., pp. 207-10. 30  N. Goodrick-Clarke, Le radici occulte del nazismo, cit., pp. 191-93.

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ebrei di Salonicco, che lo avevano affiliato a una loggia massonica del rito di Memphis-Misraïm al cui interno aveva malamente appreso i ‘segreti’ della Qabbālāh. Convinto di una parentela tra l’islamismo e la mistica germanica, Sebottendorff fu attratto dal sistema runico elaborato da Pohl al quale si era rivolto per consulenze legali relative alla tutela del suo ingente patrimonio, e da lui aveva acquisito la direzione del ramo bavarese del GO. Durante le fasi finali della guerra l’ordine fu impegnato in attività cospirative per contrastare l’avanzata delle forze di sinistra, e per meglio occultare la sua attività, il 18 agosto 1918 Sebottendorff fondò nel lussuoso Hotel Vier Jahreszeiten di Monaco una loggia segreta denominata Thule-Gesellschaft, dal nome della mitica dimora degli Iperborei che le sette völkisch identificavano con gli avi ario-germanici. La sconfitta bellica, la fine dell’impero, e la proclamazione della repubblica travolsero il fronte etno-nazionalista, che si convertì prontamente alla lotta armata. La Thule si trasformò in un centro di coordinamento dei Freikorps costituiti da militari, ex militari e avventurieri di ogni genere che si dedicarono all’impari combattimento contro gli insorti guidati dai socialisti indipendenti e dai comunisti nelle città assediate dalla fame e dalla prostrazione. La pratica terroristica fu concepita all’interno di una visione della guerra che aveva indubbiamente caratteri rituali. Così infatti il 9 novembre 1918, poche ore dopo la proclamazione della repubblica, Sebottendorff spiegava agli affiliati la natura della lotta da intraprendere: Nostra divinità suprema è Walvater, il cui simbolo runico è l’aquila. La triade Wotan, Wili, We, procede dall’unità triadica e la costituisce. A causa della sua elementare e grossolana struttura nervosa, il cervello di un essere razzialmente inferiore non sarà mai in grado di percepire siffatta concezione di unità triadica, in cui Wili e We sono visti come proiezioni polarizzate di Walvater, mentre Wotan impersona la Legge divina immanente. La runa Ar assume il molteplice significato di ariano, fuoco primordiale, sole, aquila. L’aquila è stata assunta dagli ariani quale simbolo della loro identità etnica […]. Compagni di sangue, d’ora in avanti eleggeremo a nostro simbolo l’aquila vermiglia, affinché ci rammenti incessantemente che assurgere alla pienezza della vita non è possibile se non a condizione di passare attraverso la morte 31.

R. von Sebottendorff, Prima che Hitler venisse: storia della Società Thule, Delta-Arktos, Torino, 1987, pp. 58-59. 31 

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Il 21 febbraio 1919 il conte Anton Arco-Valley assassinava il presidente della repubblica della Baviera Kurt Eisner volendo con quest’atto guadagnare l’adesione alla Thule-Gesellschaft. Nello stesso tempo la Lega pangermanica, assieme alla Thule, sosteneva la nascita del Deutschvölkischer Schutz-und Trutzbund (DVST) che, muovendo dai militanti del Reichshammerbund, riunì l’intero fronte antisemita. Tra i suoi affiliati vi furono esponenti della Thule come Dietrich Eckart e l’influente editore Julius Friedrich Lehmann, così come futuri personaggi di vertice del partito nazista quali Reinhard Heydrich, Werner Best, Philipp Bouhler, Leonardo Conti, Bernhard Rust, e Julius Streicher. Quando ad aprile i Consigli degli operai e dei soldati insorsero e proclamarono una repubblica di matrice comunista, la Thule divenne il centro di coordinamento tra il governo socialdemocratico riparato a Bamberga, l’esercito, e i corpi paramilitari. Con una propria milizia, il Kampfbund Thule, sabotò le attività degli insorti e facilitò l’entrata in città dei controrivoluzionari, che repressero in un bagno di sangue il tentativo di governo dell’estrema sinistra. Da quel momento i corpi paramilitari assunsero una funzione d’ordine tenendo in scacco la repubblica, e lo stesso Kampfbund Thule si rese responsabile di altri trecentocinquanta omicidi. Nel corso del 1919 la Thule proseguì nel tentativo di creare una formazione politica in grado di infiltrarsi in quelle dei lavoratori per legarli alla propria causa. Già nel dicembre 1918 Sebottendorff si era recato a Berlino per definire la costituzione di quella che poi sarebbe divenuta la Deutsche Sozialpartei (DSP) sotto la direzione di Julius Streicher. Ma l’iniziativa che alla lunga ebbe più fortuna fu la fondazione della Deutsche Arbeiterpartei a partire da un circolo politico interno organizzato da Anton Drexler e Karl Harrer, entrambi membri della Thule. Hitler venne in contatto con la DAP il 12 settembre 1919, vi si iscrisse, e nel giro di due anni riuscì a prenderne la guida: escluse Harrer dalla presidenza, rinominò il partito, e impose il Führerprinzip avocando a sé tutte le decisioni in merito alla linea e alla strategia politica da seguire. Il ruolo della Thule venne progressivamente meno fino a ridursi del tutto quando la DSP di Streicher rifluì nella NSDAP. Essa aveva però svolto fino ad allora un ruolo fondamentale. Tra i suoi affiliati vi furono importanti esponenti della società monacense, e alcuni giovani che avrebbero fatto carriera nel partito: Rudolf Hess, che fu segretario di Hitler dal 1925, e suo vice nella carica di Führer dal 1933; Alfred Rosenberg che ebbe l’incarico della custodia della Weltanschauung

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nazista con il compito di estenderla allo stato; Hans Frank che nel 1940 fu a capo del Governatorato Generale in cui venne attuato lo sterminio degli ebrei; Wilhelm Frick, dal 1933 ministro dell’interno; Max Amann, all’epoca direttore della società detentrice del Völkischer Beobachter, e dal 1933 presidente della camera delle finanze per la stampa nazista; e molti ufficiali dei Freikorps e futuri quadri delle SA. Gli affiliati al GO si ritennero impegnati in una lotta contro gli ebrei che presentava indubbiamente dei caratteri rituali. Secondo Sebottendorff la fucilazione da parte dei comunisti di sette membri della sua loggia era stato un sacrificio rituale: «Non come ostaggi, in verità, sono stati soppressi, ma sacrificati a Giuda nell’intento di precludere adesioni al movimento di riscossa nazionale, essi sono caduti per il trionfo della croce uncinata». Si tratta di un sacrificio che gli ebrei praticano fin dai primordi tramite un collaudato rituale portato a perfezione dalla massoneria; e contro il quale è necessario opporre un rituale più originario e quindi più potente: Con avveduta lungimiranza costoro hanno incentrato riti e cerimonie intorno al precetto mosaico, in ottemperanza al quale il Massone è tenuto ad arrecare il suo contributo alla costruzione del Tempio di Sion, “reggendo la spada con una mano ed il martello di legno con l’altra”. Noi impugniamo la spada di ferro ed il martello di ferro e dedichiamo il nostro impegno all’edificazione del Halgadom Germanico 32.

Il GO ebbe un ruolo nella costituzione e nella copertura dell’Organisation Consul, un gruppo clandestino costituito da ex appartenenti della Marine-Brigade Ehrhardt, che si rese responsabile di vari omicidi, tra cui quelli del ministro delle finanze Matthias Erzberger e del ministro degli esteri Walther Rathenau. Poco prima che Rathenau venisse ucciso, l’ariosofo Ellegaard Ellerbek, seguace di List e Schuler e figura di riferimento del Bund der Landwirte, scrisse un articolo in cui interpretava in maniera esoterica un fregio della casa dello statista come un presagio di morte. Ma fu lo stesso Erwin Kern, uno dei sicari che uccise il ministro, a fornire al proprio complice Ernst von Salomon, una dichiarazione di fede omicida che rinviava al significato esoterico della morte come atto creatore.

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R. von Sebottendorff, Prima che Hitler venisse, cit., p. 31.

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Il nove novembre 1918 mi sono sparato, come ordinava l’onore, una pallottola alla testa. Sono morto; quello che vive in me non sono io […]. Sono morto per la Nazione e dunque ogni cosa in me vive solo per la Nazione […]. Poiché tutto quello che faccio è dedicato a quell’unica forza, tutto quel che faccio viene da quella forza. Quella forza chiede distruzione e io distruggo […]. Chi viene a patti con la Morte deve poter dire compare al Diavolo […]. Non mi rimane che consacrarmi al mio destino implacabile […]. Dobbiamo ritrarci nell’attimo in cui il nostro compito sarà assolto 33.

Il partito nazista nacque e si sviluppò nel contesto di questa fede omicida. Dalla Thule riprese il simbolo della svastica e dell’aquila, e il saluto Heil und Sieg (salute e vittoria), poi trasformato in Sieg-heil. Per quanto Hitler figuri nei registri della Thule solo come “ospite”, il suo apprendistato politico avvenne interamente all’interno di questo contesto, ed è quindi assai probabile che conoscesse e condividesse anche gli aspetti più esoterici della lotta contro gli ebrei.

8. Adolf Hitler e la nuova fede del sangue Durante il periodo trascorso a Vienna Hitler si era familiarizzato con le idee pangermaniste e antisemite di Schönerer, e persino con quelle ariosofiche leggendo Geheimnis der Runen di List e la rivista Ostara di Liebenfels 34; ma ancora nel dopoguerra le sue idee non avevano trovato una forma precisa. La sua prima formazione politica fu quella che ricevette nel corso organizzato dal 5 al 12 giugno 1919 dal comando militare di Monaco presso la locale università. Fu lo storico Karl Alexander von Müller, che insegnava nel corso, a far notare Hitler a Karl Mayr, capitano nello stato E. von Salomon, I proscritti, Baldini & Castoldi, Milano, 1994, p. 55. Il corsivo è nostro. B. Hamann, Hitler: gli anni dell’apprendistato, cit., p. 240 sgg.; N. Goodrick-Clarke, Le radici occulte del nazismo, cit., pp. 275-92. 33 

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maggiore e dirigente della sezione Ib/P per la stampa e la propaganda del Gruppenkommando 4 della Reichswehr. La sezione era incaricata del controllo dei partiti, e Mayr agiva di concerto con il capitano Ernst Röhm che era addetto alla sezione Ib per l’armamento e l’equipaggiamento della brigata fucilieri del colonnello Franz Ritter von Epp, a sua volta comandante di un proprio corpo paramilitare. A decidere per il trentenne Hitler fu il capitano Mayr, che ne notò le qualità oratorie nel gruppo dei suoi commilitoni sui quali si imponeva con un eloquio dittatoriale che non lasciava possibilità di replica. Mayr prese Hitler sotto la sua protezione, e il 12 settembre 1919 lo inviò ad assistere alla riunione della DAP presso la birreria Sternecker. Quella sera i venticinque membri del partito, tutti colleghi di lavoro di Drexler, erano impegnati nel seguire la lezione del membro della Thule, Gottfried Feder, sulla “schiavitù del tasso di interesse” che la finanza ebraica stava utilizzando per distruggere la Germania. Feder aveva già tenuto la stessa lezione nel corso seguito da Hitler, e quella sera sostituiva l’indisposto Dietrich Eckart, anch’egli affiliato alla Thule. Considerati gli stretti legami tra l’esercito e la Thule, probabilmente la missione di Hitler non ebbe solo un carattere spionistico, come è comunemente noto, ma potrebbe essere stata volta a mettere alla prova la sua abilità oratoria valutando nel contempo la possibilità di ingrossare le fila della DAP con l’afflusso dei suoi commilitoni. Comunque sia il trentenne caporale si fece presto notare per il suo talento oratorio; prese pratica con gli aspetti organizzativi lavorando a fianco di Drexler, e fece propri gli argomenti di Feder sulla cospirazione finanziaria; ma a contribuire più di tutti alla sua formazione fu Dietrich Eckart, che ne riconobbe le potenzialità, e lo prese sotto la sua protezione trasformandolo nel giro di tre anni in un leader politico. Eckart fu a tutti gli effetti quello che potremmo chiamare il “maestro politico-spirituale” di Hitler. Divenuto famoso come drammaturgo, Eckart si affermò nel panorama völkisch con la fondazione e direzione del giornale Auf gut Deutsch, il cui lavoro di redazione fu però svolto, a causa della sua dipendenza dalla cocaina e dall’alcol, dal suo fidato assistente Alfred Rosenberg. Al  giornale collaborarono anche Fritsch, Ellerbek, e Feder per la sezione economica. Eckart abbandonò il giornale quando la Thule gli affidò la direzione del Münchener Beobachter che, rinominato in Völkischer Beobachter, divenne nel 1920 il quotidiano del partito nazista, e tale sarebbe rimasto fino al 1945. Anche in questo caso Rosenberg dovette sbrigare la gran parte del lavoro: adesso Eckart era soprattutto impegnato

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nel formare l’ancora sprovveduto ex caporale, che neppure aveva concluso le scuole medie, e che ancora in tarda età avrebbe avuto problemi a scrivere in un corretto tedesco. Da drammaturgo gli insegnò le arti della retorica e i gesti da teatrante, e da ideologo consolidò il suo antisemitismo; tra il 1920 e il 1923 gli organizzò i comizi e gli fu accanto nelle declamazioni oratorie; nel novembre del 1920 lo accompagnò a Berlino per partecipare al Putsch di Kapp con un aereo privato, all’epoca cosa piuttosto rara; e quindi lo introdusse nei circoli dell’alta società tra cui quelli dell’editore Hugo Bruckmann e dell’industriale Edwin Bechstein. Eckart coniò il motto Deutschland erwache! (risvegliati Germania!) che entrò a far parte dei canti e degli stendardi nazisti; e la stessa scelta di Hitler di stabilirsi a Berchtesgaden fu probabilmente legata alla sua assidua frequentazione della pensione sulle pendici dell’Obersalzberg dove Eckart si era rifugiato nel 1921 per sfuggire alla giustizia, e dove morì il 26 dicembre del 1923 35. Hitler gli espresse la sua gratitudine citandolo a chiusura del Mein Kampf come «l’uomo che consacrò la vita al risveglio del suo, del nostro popolo […] con la penna e col pensiero e, in ultimo, con l’azione» 36. Nell’autunno del 1923 Eckart aveva scritto Der Bolschewismus von Moses bis Lenin. Zwiegespräche zwischen Hitler und mir, un testo rimasto incompiuto e pubblicato postumo a cura di Rosenberg nel 1924. Il libro consiste in un dialogo tra maestro e allievo che attualizza la Weltanschauung nazionalista rispetto agli eventi in corso, e sembra sollecitare il passaggio a  un nuovo genere di iniziazione sostituendo ai riti in costume la mobilitazione terrorista, e alle “spade di latta”, così chiamate da Hitler nel Mein Kampf, le pistole, i pugnali, e le mazze delle Sturmabteilung. Il libro è incentrato sull’occulta lotta per il sangue che gli ebrei conducono tramite immani sacrifici fin dalla notte dei tempi. Hitler sostiene che gli ebrei sono «una forza nascosta che fa in modo che tutto vada verso una determinata direzione», una forza che «c’è fin da quando è iniziata la storia». A Eckart che gli chiede un maggiore approfondimento del tema, Hitler risponde prendendo in mano l’Antico Testamento, e dopo aver gridato: «qui sta la ricetta con cui i Giudei cucinano da sempre la loro minestra infernale!», passa a citare una lunga serie di passaggi che spiegherebbero la 35  I. Kershaw, Hitler, cit., pp. 180-89, 207-10, 229-31; J. H. Tyson, Hitler’s Mentor: Dietrich Eckart, His Life, Times, & Milieu, iUniverse Inc., New York Bloomington, 2008. 36  Il “Mein Kampf ” di Adolf Hitler, cit., p. 521.

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rivoluzione in Baviera. Hitler proietta la rivoluzione del 1918 entro la cornice mitica dell’antica civiltà ariana – dall’Egitto alla Persia, dalla Galilea a Roma –, e viceversa trasfigura le vicende di quelle antiche civiltà nella Germania post bellica, con esiti a dir poco grotteschi: «L’assassinio di 75 mila persiani, nel Libro di Ester, ha senza dubbio lo stesso retroscena bolscevico»; «il fatto che ancora oggi, anno dopo anno, dopo tutto questo tempo, essi celebrino nelle sinagoghe, durante le festività di Purim le loro gesta eroiche dei 75.000 Persiani massacrati lo trovano del tutto in regola». Alla domanda di Eckart se gli ebrei siano nazionalisti o internazionalisti, Hitler risponde che non sono né l’uno né l’altro. «Cosa sono allora?» chiede Eckart; e Hitler risponde: «sono una sorta di escrescenza su tutta la terra, che talvolta procede lentamente, e talvolta si riproduce velocemente, a grandi balzi. Dovunque, succhia e succhia ancora». «Del resto», rincara Eckart, «da sempre il giudeo si è mosso a quattro zampe». A suo tempo il Faraone, Cristo e Lutero lo avevano già smascherato come «agente del diavolo». «Egli fu omicida fin dal principio», ammette Hitler, ricordando l’uccisione dei bambini egiziani e di quelli della pagana Galilea. «Quello fu un atto religioso», precisa Eckart, «un omicidio rituale su vasta scala […]. L’Antico Testamento è pieno di sacrifici umani e di prede di guerra vergini che servivano per il loro sangue puro». Hitler sottolinea che niente è cambiato da allora. Il tempo sotto il dominio degli ebrei sembra sempre ritornare su se stesso: Il gran maestro dei conti […] si trova interiormente ancora nello stesso posto di allora […]. E ciò che allora accadde in Egitto – ovvero, la lotta contro le sue orde bolsceviche accade anche oggi; nel frattempo, ci sono soltanto delle pause apparenti. Quando verrà presa la decisione?». Hitler si accarezzò pensieroso la fronte, e aggiunse: «Peccato che non si possa dire queste cose durante le riunioni. Certo, molti riuscirebbero a percepirlo, ma pochi riuscirebbero a rifletterci sopra. Non è ancora arrivato il momento per giungere a ciò».

Il dominio ebraico ha dimensioni tali che per combatterlo non è sufficiente bruciare le sinagoghe, ma va colpito più a fondo: «La volpe giudea ha costruito di proposito tutti i buchi della sua tana sia ricurvi sia rettilinei. Soltanto quando saranno stati tutti otturati la si potrà uccidere». A tal fine è inutile indugiare sulla mitologia germanica come fanno gli eccentrici che abbandonano Cristo per Wotan, quando invece in Cristo è già dispiegata per intero «la quintessenza dell’umanità». Allorché Eckart gli racconta degli

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orrori della rivoluzione bolscevica, Hitler lo interrompe. «Il deserto russo – egli gridò – è sulla profetica carta geografica che i Giudei avevano pubblicato già 25 anni fa! Su di essa ogni cosa è esattamente come è oggi», con i francesi sul Reno, le repubbliche tedesche, «e per quanto concerne la Russia, una chiazza marrone con la scritta: “deserto russo!”». Il giudeo-bolscevismo ha sterminato 30 milioni di nemici razziali con l’aiuto della «plebaglia di origine mista», e dopo la Russia toccherà alla Germania, per condurre infine all’annientamento del mondo. Certo, questo furore distruttivo finirà per distruggere anche l’ebreo, poiché essendo egli un parassita, una volta che avrà ucciso la sua vittima, sarà anche lui costretto a perire. E tuttavia non può sottrarsi, deve farlo, perché il suo bisogno di distruggere è più forte «in questo sta la causa. Se preferisci, è la tragedia di Lucifero». «A questo punto lo scritto di Dietrich Eckart si interrompe», faceva rilevare l’editore in data primo marzo 1924, perché Eckart in custodia cautelare per il tentato Putsch, con problemi cardiaci, morì poco dopo la sua scarcerazione, e così non poté completare la sua opera; «ma» – aggiungeva l’editore – «possiamo sperare che Adolf Hitler, dopo la fine del processo per alto tradimento attualmente in corso contro di lui a Monaco, avrà la gentilezza di assumersi il compito di portare a compimento quest’opera interrotta, riprendendola da dove essa si è per ora conclusa» 37. Giunto al potere meno di dieci anni dopo, Hitler fece ritirare tutte le copie reperibili del libro e ne impedì ogni ulteriore circolazione. Tra l’aprile e il dicembre del 1924, durante la detenzione nella fortezza di Landsberg, egli aveva ormai tracciato una propria autobiografia che, se letta in continuità con il libro del suo maestro, si rivela come il resoconto di un apprendista che ha concluso la propria iniziazione per prendere in mano il testimone della lotta. Il resoconto che egli fornisce della propria biografia si svolge infatti all’interno dello stesso quadro mitico che domina il libro di Eckart. Gli ebrei conducono in maniera occulta una battaglia millenaria contro i tedeschi, che l’aspirante Führer è però riuscito a smascherare fino a che, percorrendo la via indicatagli dal destino, non ha preso nelle proprie mani la DAP per trasformarla in un «movimento di rinascita nazionale». Nel dicembre 1924 Hitler uscì dal carcere, ed entro il mese di febbraio del 1925, ne riprese il comando in Baviera. Nel corso di quell’anno scrisse D. Eckart, Il bolscevismo da Mosé a Lenin. Un dialogo tra Hitler e me, in Dietrich Eckart. Una vita tedesca, Editrice Thule Italia, Roma, 2008, pp. 85-154, passim. 37 

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un secondo libro intitolato Die nationalsozialistische Bewegung che, riunito assieme al primo, sarebbe venuto a costituire il Mein Kampf. Qui Hitler ribadiva con forza il ruolo della NSDAP nella lotta contro il «centro supremo del marxismo» grazie all’operato delle SA. Queste, al pari dei Freikorps, sono addestrate militarmente e dirette da quadri provenienti dall’esercito, ma da questi ultimi differiscono perché il loro obiettivo è quello di sostenere un partito volto a conquistare la massa e rivoluzionare lo stato. Le SA sono preparate fisicamente alla lotta a differenza del DVST il quale ha comunque il merito di fornire un’organizzazione all’antisemitismo, che il partito nazista saprà condurre ad uno sviluppo più avanzato grazie alla sua più efficace azione di propaganda e di reclutamento presso le masse che le sette non sono in grado di attrarre: Solo pochi gruppi sono in grado, dopo selezioni durate anni, di organizzarsi in sette segrete: ma il loro esiguo numero non servirebbe per la causa del movimento nazional-socialista. Ciò di cui abbiamo bisogno non sono cento o duecento arditi settari ma migliaia di fanatici combattenti per la nostra Weltanschauung.

L’innovazione che Hitler apportava alla natura, agli obiettivi e all’organizzazione delle sette völkisch si estendeva anche alla loro concezione del mondo cui egli imponeva una analoga svolta radicale. L’ideologia etno-nazionalista non doveva essere più un oggetto di culto per i «sognatori dell’antichità germanica», ma la fede di una milizia impegnata in una lotta coincidente con la legge di natura. «La Weltanschauung che risponde al primordiale significato delle cose», ed è «fondata su principi eterni e di capitale importanza deve divenire la fede attiva di una risoluta comunità di lotta». La dottrina etno-nazionalista doveva insomma trasformarsi da “concezione metafisica” in una pratica terroristica attorno alla quale cementare una nuova élite di combattenti: La Weltanschuung è valida solo se viene organizzata e resa idonea al combattimento, cioè se riesce a trasformare l’ideale di una concezione del mondo esattissima in una comunità di credenti e di combattenti delimitata con precisione, rigidamente organizzata, univoca di spiriti e di volontà.

La trasformazione dei deliri ariosofici in assassinio politico, già avvenuta ad opera della Thule e dei corpi paramilitari, trovava ora espressione

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in una fede omicida comprensibile anche alla teppa da strada, che Hitler qualificava come «materiale umano» da reclutare e addestrare all’interno di un’organizzazione anch’essa, al pari delle sette ariosofiche, rigidamente verticistica. Non tutto infatti doveva essere detto alle nuove leve: «Non è necessario che ciascuno dei combattenti per questa concezione abbia una visione completa e una conoscenza precisa delle idee e dei pensieri ultimi dei dirigenti del movimento». Tuttavia, a ben cercare, non mancano nel Mein Kampf riferimenti al fondo esoterico della Weltanschauung. Lo stesso emblema del partito del resto era la svastica, simbolo di quell’atto creatore cosmico che il terrorismo di estrema destra aveva ormai già connotato di una valenza omicida. I termini con cui Hitler ne illustrava il significato non potevano che rimandare, pur in maniera eufemistica, a quel significato: Come nazionalsocialisti noi riconosciamo nel vessillo la nostra linea di azione. Nel rosso, riconosciamo l’idea sociale del movimento, nel bianco l’idea nazionalista, nella croce uncinata, l’impegno a combattere per l’affermazione dell’uomo ariano e per il diffondersi della tendenza al lavoro creativo, che fu e sarà sempre antisemita [il corsivo è nostro].

La convinzione di portare avanti un’attività creatrice su scala planetaria, e che essa fosse interrotta dagli ebrei, comportava la necessità di una lotta mortale che non lasciava alcuno spazio per una restaurazione del vecchio ordine, come pretendeva la destra tradizionale, bensì apriva una dimensione di guerra permanente destinata a non trovare mai soddisfazione e quindi a radicalizzarsi progressivamente. Nella «lotta titanica contro i tiranni avidi di sangue», che intendono instaurare «la sovranità dell’eterno impero ebraico», è richiesto un impegno del tutto particolare se si vuole riprendere «la via della salvezza dell’umanità ariana». La purezza del sangue conserva l’ebreo meglio di ogni altro popolo della Terra. Quindi egli proseguirà il suo fatale cammino finché non si opponga a lui un’altra forza la quale, in una formidabile lotta, respinga a Lucifero colui che dà l’assalto al cielo. Oggi la Germania è il prossimo campo di battaglia del bolscevismo, contro il quale occorre sollevare ancora il nostro popolo, scioglierlo dalle spire di quel serpente internazionale, e mettere fine all’intossicazione del nostro sangue 38. 38 

Il “Mein Kampf ” di Adolf Hitler, cit., passim. Il corsivo è nostro.

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La profezia di Hitler non si limitava alla lotta contro il marxismo in patria, ma prefigurava anche la visione di una futura battaglia che avrebbe visto la Germania andare alla conquista dei territori dell’Est caduti nelle mani del cosiddetto “giudeo-bolscevismo”. La genesi di quella visione, che quindici anni più tardi scatenerà la più grande guerra di sterminio della storia dell’umanità, va cercata nei sogni di conquista dei pangermanisti prima e durante il primo conflitto mondiale, ma soprattutto nella sanguinosa repressione in patria dei moti comunisti nell’immediato dopoguerra.

9. La visione dello spazio vitale a Est L’idea di colonizzare l’Europa dell’Est faceva parte dei sogni pangermanisti almeno dal 1912 quando il presidente della Lega pangermanica Heinrich Class, in Wenn ich der Kaiser wär (Se io fossi il Kaiser), invocò, assieme all’abolizione dei diritti civili agli ebrei, la necessità di una guerra contro gli slavi, la conquista delle loro terre, e la loro messa in schiavitù. Durante il primo conflitto mondiale questa visione sembrò farsi largo presso il governo e gli alti comandi dell’esercito tedesco. Nel 1916 l’intellettuale liberale Max Sering formulò il progetto di insediare duecentocinquantamila contadini tedeschi in Curlandia, una regione agricola della Lettonia; e nel 1917 nacque un ente denominato Vereinigung für deutsche Siedlung und Wanderung che a partire dal marzo 1918, dopo l’annessione di un terzo della Russia europea e l’istituzione del protettorato sull’Ucraina, iniziò per davvero a programmare i duecentocinquantamila insediamenti previsti 39. La vasta annessione territoriale a Est illuse i generali e i nazionalisti più del dovuto sulla reale forza dell’esercito, dimenticando che essa era il risultato di una cessione di territori che la Russia R. Rhodes, Gli specialisti della morte: i gruppi scelti delle SS e le origini dello sterminio di massa, Mondadori, Milano, 2007, p. 83. 39 

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era stata costretta a fare per affrontare la più urgente situazione interna. Tali annessioni erano inoltre tanto più effimere a causa del drammatico esaurimento delle risorse, comprese quelle alimentari, che avevano portato la Germania sull’orlo della guerra civile. Ma i vertici militari e il fronte nazionalista ritennero, proprio in virtù dell’enorme estensione assunta dal Reich, di essere stati vicini alla vittoria, e videro nel trattato di Versailles, siglato il 28 giugno 1919, lo smacco più clamoroso ai propri sogni di grandezza, e la prova più evidente della “pugnalata alla schiena” da parte del “fronte interno” democratico-socialista. Nell’immediato dopoguerra l’Est costituì per la destra il centro da cui proveniva la messa in pericolo della propria stessa esistenza; e non solo con la minaccia posta ai propri confini dal di fuori, ma soprattutto con i moti insurrezionali e con la repubblica, dall’interno. I gruppi paramilitari che combatterono contro i secessionisti in Alta Slesia, e al confine con la Polonia, così come contro l’estrema sinistra dal novembre 1918 fino al 1923, videro nella Russia sovietica il centro del giudaismo mondiale. Questa visione fu alimentata dai rifugiati politici russi e tedesco baltici che avevano assistito alla rivoluzione, e in alcuni casi avevano partecipato alle attività controrivoluzionarie. Molti di loro furono attivi nel partito nazista, e fecero parte di circoli esoterici; oltre al già ricordato Rosenberg, si possono citare: Pavlo Skoropadsky, ex capo del governo fantoccio tedesco in Ucraina; Georg Schwartz Bostunitsch, che da agitatore nella controrivoluzione russa divenne un importante pubblicista antisemita; e il nobile tedesco baltico Max Erwin von Scheubner-Richter, che procacciò al partito nazista ingenti finanziamenti grazie ai suoi legami con industriali, autorità ecclesiastiche, e membri della ex casa regnante dei Wittelsbach. Fu merito della sua intermediazione con la casata di Sassonia-Coburgo-Gotha imparentata con gli ex zar, che Hitler venne invitato alla manifestazione della “Giornata tedesca” a Coburgo nell’ottobre del 1922, trasformando quella che doveva essere la solita parata völkisch in una feroce spedizione contro i militanti di sinistra. Le aggressioni delle ottocento SA piombate su Coburgo segnarono una svolta decisiva nella lotta di strada e avviarono l’ascesa della NSDAP all’interno della destra nazionalista. Tutti questi personaggi condivisero senza dubbio la gnosi antisemita: Rosenberg era membro della Thule; Schwartz Bostunitsch lo era della Ariosophische Gesellschaft nata dallo NTO; e Scheubner-Richter frequentava il circolo esoterico di Mathilde von Kemnitz, la moglie

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dell’ex capo di stato maggiore dell’esercito Erich Ludendorff 40. Tra i molti testi nei quali si può trovare traccia della gnosi antisemita, uno particolarmente interessante è Tiere, Menschen und Götter (Bestie, uomini e dèi, 1923) dell’ex ufficiale dei servizi segreti del governo controrivoluzionario russo, Ferdynand Ossendowski. Ossendowski si era distinto nel trasferimento dei compromettenti documenti che dimostravano il sostegno dato dal governo tedesco ai bolscevichi durante la guerra; dopodiché era passato a fianco del barone russo di origine tedesca Roman von Ungern-Sternberg, un ufficiale dell’Armata Bianca che guidò una feroce campagna militare nelle steppe dell’Asia. Il “barone sanguinario”, così come fu chiamato, reclutò cosacchi e milizie tibetane, adorne di svastiche, che sottoposero le popolazioni locali a efferatezze di ogni genere concentrandosi in particolare su ebrei e commissari bolscevichi. Ossendowski offre un compiaciuto resoconto dei suoi massacri sullo sfondo di una visione apocalittica della guerra, configurata ancora una volta come uno scontro tra le forze cosmiche della creazione contro quelle della distruzione. Secondo Ungern-Sternberg, che si riteneva un nobile discendente dei Cavalieri Teutonici, la «Maledizione sconosciuta» vuole privare il mondo del suo principio creativo: «Durante ogni rivoluzione, l’intelligenza creatrice che si fonda sull’esperienza del passato, viene sostituita dalla giovane forza bruta del distruttore», gli istinti prendono il sopravvento e «l’uomo viene allontanato da tutto ciò che è divino e spirituale». La guerra contro il bolscevismo è necessaria per «proteggere il processo evolutivo dell’umanità […], perché sono convinto che l’evoluzione conduce a Dio e la rivoluzione alla bestialità». Contro le forze del male soccorre però «il Re del Mondo», una sorta di oscura divinità che domina il regno sotterraneo di Agarthi, dove in epoca primordiale si ritirarono le genti di Atlantide scampate al diluvio universale. Qui il Re del Mondo attende l’adempimento delle antiche profezie che prevedono la completa distruzione dell’impero del male: «La Russia dovrà lavare l’onta della rivoluzione, purificarsi con il sangue e la morte; e tutti coloro che accettano il comunismo devono perire con le loro famiglie affinché anche la loro discedenza sia annientata!». A quel punto il Re del Mondo potrà 40  R. Cecil, Il  mito della razza nella Germania nazista. Vita di Alfred Rosenberg, Feltrinelli, Milano, 1973, pp. 44-49; I. Kershaw, Hitler, cit., pp. 266-67, 404; L. Poliakov, Storia dell’antisemitismo, cit., vol. IV, pp. 361-63.

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finalmente riemergere dal sottosuolo, il regno della luce sarà ristabilito, e potra nascere «una nuova vita purificata» 41. Visioni di questo genere erano condivise nei circoli che appoggiavano la controrivoluzione, e naturalmente dai nazisti. Nel 1919 Rosenberg pubblicò una nuova edizione dei Protocolli; e in Totengräber Russlands (I becchini della Russia, 1921), scritto assieme ad Eckart, presentò una rassegna di caricature dei leader sovietici con i volti deformi denunciandoli come efferati carnefici dell’aristocrazia russa di ascendenza germanica. A quelle stesse visioni Hitler dava forma nei suoi comizi. Nel brogliaccio degli appunti tenuti come promemoria per quelle declamazioni ricorrono infatti, accanto a citazioni di passi biblici che trattano delle punizioni inferte ai nemici di Israele, scritte del tipo: «Bolscevismo», «L’ebreo sanguinario», «La casa dei morti russa (il Soviet. XDietrich EckartX)» 42. Hitler iniziò a sviluppare l’idea di una crociata antibolscevica probabilmente già durante la lotta armata contro i comunisti nei primi anni Venti, ma il passo decisivo per la sua formulazione teorica e programmatica lo fece durante la detenzione a Landsberg con il contributo di Rudolf Hess, che fu suo segretario personale fino al 1941. Rudolf Hess era stato affiliato alla Thule, aveva combattuto nella sua milizia, e poi nella prima SA, aveva partecipato al tentato Putsch di Hitler, e quindi era finito ad alloggiare insieme a lui a Landsberg, sobbarcandosi l’ingrato compito di scrivere sotto dettatura i suoi estenuanti monologhi per poi rielaborarli fino a dargli una forma sensata. Fu lui ad apportare a Hitler l’idea di Lebensraum (spazio vitale), che aveva appreso dal suo professore di geopolitica Karl Haushofer di cui era l’allievo prediletto. Secondo Haushofer, ogni nazione dispone di un suo spazio vitale che è dato dal rapporto tra popolazione, estensione del territorio e risorse disponibili. Siccome la Germania è sovrappopolata e povera di risorse, affinché essa possa sopravvivere, dovrà muovere verso un ampliamento del proprio spazio vitale a spese degli ampi territori dell’Est, che sono fertili e malamente

41  F. A. Ossendowski, Bestie, uomini, Dei. Il mistero del Re del Mondo, Edizioni Mediterranee, Roma, 2000, passim. Il corsivo è nostro. Su Ungern-Sternberg, cfr. W. Sunderland, The Baron’s Cloak. A History of the Russian Empire in War and Revolution, Cornell University Press, Ithaca-London, 2014. 42  W. Maser, Hitler segreto: lettere e appunti inediti, Garzanti, Milano, 1974, pp. 242, 251, 279.

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sfruttati dagli slavi. Hitler aveva probabilmente già conosciuto Haushofer, ma fu tramite Hess che ebbe modo di approfondire le sue idee 43. L’esperienza di cinque anni di guerra, e di altri cinque di lotta armata contro i comunisti, tra la frustrazione dei sogni imperialisti e i racconti da incubo degli esuli dalla Russia, condussero Hitler a formulare la visione di una futura alleanza con l’Inghilterra contro l’Unione Sovietica. Già in Una resa dei conti Hitler aveva lamentato come il governo tedesco dell’anteguerra avesse erroneamente perseguito lo sviluppo della Germania tramite miglioramenti economici che costituivano solo dei vani «tentativi di colonizzazione interna», mentre invece sarebbe stato più opportuno intraprendere la conquista dell’Est: Se si volevano territori in Europa, ciò non poteva avvenire che a spese della Russia, perciò il nuovo Reich avrebbe dovuto riprendere la marcia degli antichi Cavalieri dell’Ordine per aprire con la spada la strada all’aratro, e dare così alla Nazione il suo pane quotidiano.

A  questo fine la Germania avrebbe dovuto potenziare l’esercito e guadagnarsi nel contempo il consenso dell’Inghilterra con la rinuncia al predominio commerciale, alle colonie extraeuropee, e persino alla flotta. Nella visione di Hitler il sangue tedesco disperso nelle varie regioni europee avrebbe dovuto essere riunito in un forte impero centrale, che avrebbe visto la sottomissione delle potenze occidentali, in primo luogo la Francia, e quindi la conquista dello spazio vitale a Est. Questa è la visione che Hitler sviluppa nel libro scritto nel 1925, che costituisce il secondo volume del Mein Kampf. Qui appare per la prima volta la connessione tra l’ideologia del sangue, e l’individuazione dell’Unione Sovietica sia come il centro supremo del nemico da distruggere che come lo spazio vitale da conquistare. Scrive Hitler: Noi nazional-socialisti tiriamo una riga sulla politica estera tedesca dell’anteguerra, e la cancelliamo. Noi cominciamo là dove si terminò sei secoli fa. Poniamo termine all’eterna marcia germanica verso il Sud e l’Ovest dell’Europa, e volgiamo lo sguardo alla terra situata all’Est. Chiudiamo finalmente la politica coloniale e commerciale dell’anteguerra, e passiamo alla politica territoriale dell’avvenire.

43 

I. Kershaw, Hitler, cit., pp. 371-72.

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L’Unione Sovietica, secondo Hitler, è ormai una nazione in ginocchio dopo che gli ebrei hanno sopraffatto l’aristocrazia germanica che fondò la civiltà russa. La Russia fu forte fino a che sopravvisse l’elemento germanico che modellò la Nazione, ma da quando al suo posto è subentrato l’ebreo, il colossale impero orientale è diventato maturo per il crollo. «Noi siamo eletti dal destino a essere testimoni di una catastrofe che sarà la più poderosa conferma della teoria nazional-socialista delle razze». Il popolo tedesco dovrà riprendere la sua originaria missione civilizzatrice, e mettere salde radici sul suolo dell’Europa dell’Est tramite «l’alacre lavoro dell’aratro tedesco al quale la spada deve dare il terreno» 44. La visione delineata da Hitler era erede dei sogni imperialisti del pangermanismo di inizio Novecento, e fatti propri dai comandi militari durante la prima guerra mondiale, ma da essi si discostava radicalmente. Non si trattava più di uno scontro di nazionalismi, che poteva comportare inevitabili carneficine di civili come aveva insegnato il recente conflitto, ma di una guerra ideologica dai caratteri apocalittici, che opponeva gli eredi di una primordiale stirpe di esseri superiori a degli occulti artefici di enormi sacrifici umani. Secondo questa visione, il Drang nach Osten (la spinta a Est) si connotava come una missione che doveva riconquistare le terre appartenute agli avi germanici strappandole al bolscevismo ebraico, e quindi rivivificarle con il sangue germanico da legare alla terra tramite il lavoro contadino. La prospettiva di una futura alleanza con la Gran Bretagna contro l’Unione Sovietica fu dirimente per la stessa sopravvivenza del partito. Nel 1925, i fratelli Gregor e Otto Strasser, e il capo della propaganda Joseph Goebbels, che detenevano la guida del partito nei distretti occidentali e settentrionali della Germania, erano orientati in senso anticapitalista, dileggiavano “il piccolo borghese Hitler”, e sostenevano l’alleanza con l’Unione Sovietica, tanto che Rosenberg paventava il pericolo di un cedimento ai comunisti. Ma il 14 febbraio del 1926 Hitler riunì il partito a Bamberga, e mise ai voti la propria direzione e la linea politica riuscendo ad avere la meglio, e a conquistarsi la fiducia incondizionata di Goebbels. Furono così poste le basi per la riorganizzazione del partito ponendo tutte le sue componenti sotto la volontà del capo 45. Hitler sapeva bene Il “Mein Kampf ” di Adolf Hitler, cit., pp. 170-71, 497-98. I. Kershaw, Hitler, cit. pp. 411-16; H. Höhne, L’ordine nero: storia delle SS, Odoya, Bologna, 2008, pp. 62-64. 44  45 

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che l’anticomunismo e la visione del Lebensraum a Est non erano solo al centro dei pensieri dei völkische Bünde antisemiti, ma anche delle cerchie nazionaliste istituzionali che vedevano nei nazisti un utile strumento per combattere i “nemici della nazione”. A partire dalla seconda metà degli anni Venti il partito nazista assorbì i primi e venne legandosi sempre più ai secondi guadagnandosi così il sostegno delle élite intellettuali nazionaliste che dotarono l’ideologia nazista di un maggiore spessore intellettuale declinandola in progetti auspicabili per il futuro.

10. La nobilitazione della Weltanschauung Nella seconda metà degli anni Venti il partito guidato da Hitler non riuscì mai a raggiungere il 3% alle elezioni nazionali, e nessuno lo prese più in considerazione. Esso realizzò però proprio in quegli anni una poderosa ascesa nell’ambito del frammentato e rissoso fronte etno-nazionalista; ne prese la direzione, e nello stesso tempo si guadagnanò il consenso dei circoli dell’alta società. La Weltanschauung nazista era condivisa naturalmente dalle leghe etniciste, entro cui il partito era nato. La svastica come simbolo dell’atto creatore, con le sue valenze omicide, era stato infatti l’emblema della Thule, e di molti Freikorps come la Brigata Ehrhardt, così come del DVST che riunì tutte le leghe razziste fino al 1923. Nella seconda metà degli anni Venti l’intero fronte dell’estrema destra venne a essere assorbito dal partito nazista, e le stesse conventicole ariosofiche persero ruolo politico. Molti affiliati di quelle sette, come Rosenberg, Hess, Frank, Frick, Amann, erano divenuti importanti esponenti politici, e quanto restava di quelle cerchie costituiva persino ai loro occhi poco più che un fenomeno parareligioso di kitsch völkisch. Il partito avviò a stringere legami con i circoli nazionalisti frequentati dai membri delle classi dirigenti tedesche, e si crearono così le condizioni per un connubio intellettuale che avrebbe condotto all’egenomia culturale dell’estrema destra. Come ha sostenuto lo storico Ian Kershaw: «Le fondamenta di una levigata ideologia antidemocratica,

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antitetica a Weimar, non si crearono nelle rozze discussioni da birreria di “pensatori” e “filosofi” völkisch, ma furono poste da scrittori, giornalisti e intellettuali neoconservatori come Wilhelm Stapel, Max Hildebert Boehm, Moeller van den Bruck, Othmar Spann e Edgar Jung» 46. Filosofi, storici, giuristi, antropologi, etnologi, archeologi, biologi, genetisti, e molti altri membri della cultura tedesca, che in molti casi erano già su posizioni razziste e antisemite, vennero a piegare il sapere in direzione del nazionalsocialismo mantenendo durante la repubblica una sorta di doppia identità: da una parte sostenevano le istituzioni e si limitavano ad avversare gli ebrei tramite una critica ‘culturale’ dell’ebraismo, e dall’altra ampliavano la rete dei consensi alla NSDAP all’interno del proprio ambito sociale e professionale. La presenza dell’ideologia del sangue con il suo schema gnostico manicheo si può così rilevare, non solo nelle settantatre leghe völkisch allora esistenti, ma anche in molti circoli che afferivano alla destra conservatrice. Uno tra i più influenti fu quello patrocinato dalla moglie dell’editore Hugo Bruckmann, all’epoca una delle principali sostenitrici di Hitler. Tra le tante iniziative da lei organizzate vi fu nel 1922 il ciclo di conferenze tenute da Alfred Schuler. Dai testi di quelle conferenze è possibile farsi un’idea di quanto la Weltanschauung etnicista, comprensiva del suo fondo esoterico, avesse ormai ampliato il suo ambito di diffusione nell’alta società. Secondo Schuler l’esistenza si divide in due periodi: quello primordiale in cui l’intero mondo è compenetrato di splendore – l’Urzeit dove Ur=Ar=Luce – e quello attuale dominato da un processo di svuotamento verso l’oscurità. Da una parte la «vita aperta ricolma di luce», e dall’altra la «vita chiusa» che ne è priva. «Nella vita aperta non c’è nessuna religione, perché la vita in quanto tale è il fatto religioso»; nella vita chiusa domina invece la religione, ovvero l’ebraismo che, manipolando il sangue, ha «separato lo splendore reincarnante», rubato l’anima, confuso i linguaggi, scisso il tempo originario in cielo e inferno, reso trascendente lo spirito, diviso i sessi, e «condannato la cellula nella carne offrendola nelle mani di una potenza oscura». Il millenario lavoro di annientamento dell’ebreo finirà però per rivolgersi contro lui stesso, poiché nulla può ostacolare la forza del sangue. Il sangue è la «pietra psichica» che «nell’avvolgente 46  I. Kershaw, Hitler, cit., pp. 205-06. Sui legami tra il nazismo e il movimento intellettuale neoconservatore cfr. E. Collotti, La Germania nazista. Dalla repubblica di Weimar al crollo del Reich hitleriano, Einaudi, Torino, 1962, pp. 19-32.

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oscurità reca in grembo l’ermafroditico focolaio di elettroni dello splendore», la cui forza squassa continuamente l’ordine per condurlo a un nuovo equilibrio. Tale forza opera tramite il sacrificio, inteso come «fenomeno di assassinio», che costituisce un «atto conscio di autofecondazione creativa»; come ben sapevano gli antichi, che offrendo la loro vittima agli dei, «si fecero partecipi dello splendore del sangue dell’ucciso» 47. Analoghe concezioni animavano il Sera-Kreis di Jena i cui adepti praticavano esercizi spirituali e messinscene ispirate all’antichità greco romana, e il Tat-Kreis di Eugen Diederichs, l’influente editore del cosiddetto “neoromanticismo” ispirato a Nietzsche, alla mistica tedesca medievale e alle saghe nordiche. Diederichs sosteneva che una nuova élite custode del Geist germanico avrebbe dovuto guidare il Volk lungo «il sentiero che porta al centro cosmico-metafisico» dove è celata la forza creatrice; sentiero che però è stato interrotto da «un sentimento che muove da un centro di irradiazione statico» rappresentato dalla legge ebraica. All’interno del suo circolo si formarono vari ideologhi nazisti tra cui il filosofo Alfred Bäumler, che nel 1933 sarebbe stato tra i primi a promuovere i roghi dei libri, e il principale avversario di Martin Heidegger nella lotta per divenire il Führer della Weltanschauung nazista. Queste suggestioni trovarono spazio, pur senza cadere nelle immagini sanguinolente di Schuler, anche nei circoli legati a Alfred Hugenberg, deputato della Deutschnationale Volkspartei (DNVP), consigliere di amministrazione delle acciaierie Krupp, e titolare di un grosso colosso mediatico. Gli intellettuali aristocratici luterani come Wilhelm Stapel, e cattolici, come il dottrinario del corporativismo Othmar Spann, che facevano parte della sua cerchia, disprezzavano i parvenu nazisti, ma non si tirarono indietro nello sposare il proprio nazionalismo con la “rivoluzione spirituale” auspicata da Hitler, inaugurando un filone politico ideologico che più tardi sarà denominato “rivoluzione conservatrice” 48. Così mentre i circoli della destra ‘rispettabile’ si preoccupavano di formulare l’ideologia del sangue in termini acconci al loro livello culturale, le SA si incaricavano di metterla in pratica sul sangue degli avversari. I due piani andavano di pari passo, e sicuramente i primi avendo maggiore influenza politica, disponibilità economiche e risorse intellettuali, furono maggiormente responsabili della deriva antidemocratica inferta alla repubblica di Weimar. 47  48 

A. Schuler, Dell’essenza della città eterna, Edizioni di Ar, Padova, 2007, passim. G. L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, cit., pp. 79-98, 115.

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Fu da questi ambienti che prese corpo anche un filone ideologico pseudoscientifico, denominato “nordicismo”, che istituì una sorta di connubio tra la Weltanschauung nazista e il sapere scientifico. Questo filone sostituì alle confuse speculazioni sugli ariani della precedente generazione völkisch un’indagine ‘oggettiva’ sull’essenza del Dasein (esistenza), della razza e dello spirito germanico, contribuendo alla nazificazione delle élite tedesche. I pionieri del nordicismo furono lo psichiatra neuropatologo Alfred Hoche, l’antropologo eugenista Fritz Lenz, il medico eugenista e antropologo Eugen Fischer, e il botanico Erwin Baur. Hoche scrisse nel 1920, assieme allo studioso di diritto Karl Binding, Die Freigabe der Vernichtung lebensunwerten Lebens (L’autorizzazione alla distruzione delle vite che non meritano di essere vissute) che costituì il testo da cui si sarebbe sviluppata la legislazione sulla sterilizzazione dei disabili, e successivamente la pratica della loro eliminazione. Lenz, Fischer e Baur scrissero Grundriß der menschlichen Erblichkeitslehre und Rassenhygiene (1921), un testo che affrontava lo studio della cosiddetta “razza nordica”: dalla sua storia alle sue caratteristiche psicofisiche, dalle sue conquiste di civiltà fino all’eredità lasciata nelle varie regioni del pianeta, compresa la selezione dei semi, delle piante, e la costruzione del paesaggio. Secondo i tre studiosi, la razza nordica, in seguito alla rigida selezione affrontata durante l’era glaciale, avrebbe forgiato qualità morali superiori a tutte le altre, e ciò le avrebbe permesso di avviare la civilizzazione dell’intero globo terrestre partendo dall’estremo Nord per raggiungere l’India, l’Iran, il Tibet, la Grecia, l’Italia, per poi risalire verso la Germania. La visione di fondo non era molto diversa da quella del razzismo anteguerra, ma l’approccio adesso era scientifico: la questione del sangue veniva posta sul piano della biologia e dell’eugenetica; si potevano individuare in maniera sperimentale delle costanti fisiche e spirituali dei vari popoli, si potevano ricostruire precise tassonomie razziali, e soprattutto si potevano prospettare interventi di miglioramento. Il loro libro fu edito da Julius Lehmann, e da questi consegnato personalmente a Hitler durante la sua detenzione come supporto ‘scientifico’ per la redazione del Mein Kampf, e dieci anni più tardi sarebbe divenuto il testo di riferimento per la legittimazione scientifica delle leggi razziali. Tutti e tre i suoi autori fecero carriera nel corso degli anni Venti presso il prestigioso Kaiser Wilhelm Institut per l’antropologia, l’ereditarietà, e l’eugenetica (KWI), finanziato all’epoca dalla Fondazione Rockfeller. Erwin Baur detenne la cattedra di botanica, mentre Fischer vi fondò e diresse

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a partire dal 1927 l’Istituto di igiene razziale, divenendo poi nel 1933 direttore dell’intero KWI, e rettore dell’università di Berlino. Fritz Lenz occupò la prima cattedra di igiene della razza all’università di Monaco nel 1923, e nel 1933 divenne direttore del Dipartimento di antropologia del KWI, lavorando alla definizione e all’attuazione delle politiche razziali del regime assieme a Fischer, allo psichiatra e genetista Ernst Rüdin, e ai più giovani Otmar von Verschuer e Hans Günther. Tutti questi studiosi furono vicini ai nazisti fin dai primi anni Venti. Rüdin fu tra i fondatori con Fischer dell’Istituto per l’igiene della razza, e nel 1931 divenne direttore dell’Istituto di psichiatria presso il KWI di Monaco. Verschuer, che era il pupillo di Fischer, nel 1935 venne a dirigere l’Istituto di biologia ereditaria e igiene della razza di Francoforte, ed ebbe come suo principale allievo Josef Mengele a cui fece avere i fondi dell’ente nazionale di ricerca per condurre i suoi criminali esperimenti nella clinica di Auschwitz 49. Il principale centro dell’ideologia nordica negli anni Venti fu l’università di Friburgo dove furono attivi oltre a Fischer e Alfred Hoche, anche il filosofo Martin Heidegger. Questi era stato affiliato in gioventù al Graalbund, una setta cattolico integralista vicina agli ordini di List e Liebenfels; durante la guerra aveva collaborato alla rivista Deutschlands Erneuerung di Lehmann, e nell’immediato dopoguerra aveva costituito una Stosstrupp (truppa d’assalto) con una dozzina di suoi allievi affiliati alla Deutsche Studentenschaft, l’organizzazione studentesca delle SA. Il  suo Sein und Zeit (1927) costituisce un documento prezioso per ricostruire il percorso verso la nobilitazione della mistica nazista. Heidegger vi si propone come l’ispirato maestro della «domanda originaria dell’Essere» che una malvagia tradizione starebbe occultando da almeno due millenni. Tale tradizione ha imposto la questione dell’Essere a partire dall’ente inteso come «semplice presenza», e così ha condannato all’oblio la conoscenza del legame originario tra il Sein (Essere) e il suo Da inteso come Mondo quale si offre nel Dasein (Esistenza). Il Dasein gode di uno statuto ontologico superiore a tutti gli altri enti. Esso «non deriva da alcun sommo ente», bensì è radicalmente

49  B. Müller-Hill, Scienza di morte: l’eliminazione degli ebrei, degli zigani e dei malati di mente, 1933-1945, ETS, Pisa, 1980, pp. 45-60; É. Conte, C. Essner, Culti di sangue. Antropologia del nazismo, Carocci, Roma, 2000, pp. 57-82; H. Friedländer, Le origini del genocidio nazista, cit., p. 15 sgg.; E. De Cristofaro, C. Saletti (a cura di), Precursori dello stermino. Binding e Hoche all’origine dell’”eutanasia” dei malati di mente in Germania, Ombre corte, Verona, 2012.

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un «essere-nel-mondo». Le sue determinazioni originarie sono l’angoscia e la colpa per l’oblio del progetto originario, ma anche l’appello e la chiamata della coscienza, così come il risveglio e la ripresa del progetto per ristabilire la Cura (Sorge) come totalità dell’Essere. Al fondo di tutte queste determinazioni vi è la «decisione anticipatrice della morte», che il filosofo sembra qualificare come una ritrazione creatrice. La morte per il Dasein non ha niente a che fare con la «cessazione della vita» a cui sono sottoposti gli altri «enti semplicemente-presenti o semplicemente viventi»: «Il finire proprio del Dasein non significa un essere alla fine del Dasein ma un esser-per-la-fine». Se per la dottrina iniziatica völkisch il combattente che si decide per la morte ripete l’atto creatore di ritrazione in se stesso, per il filosofo: «nella decisione anticipatrice della morte, il Dasein si riporta “immediatamente” innanzi a ciò che è già stato prima di esso, e ciò in modo temporalmente estatico»; «La Cura è l’essere-per-la-morte che richiama il Dasein a ripetere le possibilità esistenziali autentiche a partire dall’eredità»; decidersi per la morte significa allora venire a far parte di una schiera di eroi determinata alla lotta con la massima fermezza. La ripetizione autentica di una possibilità d’esistenza essente-stata (il fatto che l’Esserci si scelga i suoi eroi) si fonda esistenzialmente nella decisione anticipatrice; infatti è in essa che viene primariamente scelta quella scelta che rende liberi per la lotta successiva e per la fedeltà a ciò che è da ripetere 50.

L’idealismo tedesco, la rivoluzione spirituale, la concezione metapolitica del Dasein germanico, erano tutte formule che identificavano la posizione politico ideologica non più del solo movimento bündisch di estrema destra, ma anche dei circoli intellettuali che favorirono l’avanzata del partito nazista. Vi sono due organizzazioni in particolare che sembrano aver avuto un ruolo importante nello sviluppo della Weltanschauung nella direzione di un progetto che, ulteriormente sviluppato, sarebbe venuto a mettere a ferro e fuoco l’Europa e il mondo intero: l’Artamanenbund e il Nordischer Ring 51. 50  M. Heidegger, Essere e tempo, Longanesi, Milano, 1976, passim. Per una ricostruzione della portata ideologica del pensiero heideggeriano cfr. E. Faye, Heidegger, l’introduzione del nazismo nella filosofia, L’Asino d’oro, Roma, 2012; e il nostro P. Lombardi, G. Nesi, Cercarsi nel buio. Cinque storie di nazisti, Le Lettere, Firenze, 2015, pp. 91-146. 51  Sull’Artamanenbund, cfr. G. L. Mosse, Le origini culturali del Terzo Reich, cit., pp. 133, 171 sgg.; M. Ferrari Zumbini, Le radici del male, cit., pp. 878-80. Sul Ring nordico, cfr. A. Bramwell,

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L’Artamanenbund fu fondato nel 1923 a Monaco da Willibald Hentschel, che tentava così di riproporre il precedente progetto abortito prima della guerra. Esso arrivò a contare fino a duemila giovani, e funzionò, pur con molte difficoltà, nel fornire un servizio di manodopera volontaria nelle fattorie della Sassonia e della Prussia orientale contrastando l’immigrazione dei lavoratori polacchi e facendo propaganda völkisch presso i contadini. Le prospettate fattorie autogestite che avrebbero dovuto costituire gli avamposti della “spinta a Est” non decollarono, ma il Bund fu il luogo di incontro e di formazione di alcuni personaggi che a quelle fantasie avrebbero dato nuovo slancio. Qui si conobbero infatti Walther Darré, l’ideologo di una “nuova nobiltà di sangue e suolo”; Heinrich Himmler, che improntò su quell’idea l’organizzazione delle SS; Horst Rechenbach, che sarà uno degli esperti razziali impegnati sul Generalplan Ost; e Rudolf Höss, il futuro comandante del campo di concentramento di AuschwitzBirkenau. Nel 1927 la Lega degli Artamani passò sotto il controllo del partito nazista, e trovò il sostegno di facoltosi circoli finanziari per il tramite di Wilhelm Schiele, che era l’esperto di politica agraria della DNVP. Quando i nazisti andarono al potere, essa fu l’unica organizzazione giovanile a non essere sciolta, e a godere del privilegio di essere aggregata alla Hitlerjugend. La natura e gli obiettivi della Lega furono esplicitati da Ernst Jünger, che ad essa fu vicino, in un articolo del novembre 1926, intitolato “Il movimento giovanile dell’azione”. Così scrive Jünger: «Negli organi dei soldati del fronte si dovrà ancora parlare a lungo del movimento giovanile armato come di un importante fattore di configurazione del futuro. Oggi è un gruppo particolare – quello degli Artamani – a distinguersi. Artamani, vale a dire “protettori della terra”. È una parola antica e fiera». Essi hanno fuso l’idealismo con il servizio del lavoro mettendo i loro salari a disposizione di «un fondo comune di battaglia, tramite il quale andrà acquistato del terreno per la colonizzazione dell’Est». Gli Artamani costituiscono una nuova aristocrazia che «ha trovato una grande via, una via ardua che passa attraverso il sacrificio», e che lo Stato dovrà valorizzare istituendo un anno di servizio obbligatorio per tutti i giovani affinché nasca «lo Stato dei soldati del fronte, che dovrà essere uno Stato di operosità Ecologia e società nella Germania nazista. Walther Darré e il partito dei verdi di Hitler, Reverdito, Trento, 1988, p. 74 sgg. Il libro della Bramwell è ben documentato, ma la sua tesi del nazismo come movimento ecologista e portatore di un ruralismo romantico è chiaramente revisionista.

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e sacrificio. Dimostreremo così non solo di saper fare piazza pulita di quanto si è guastato, bensì di volerlo rimpiazzare con qualcosa di nuovo. Impadroniamoci dei migliori tra i giovani, e creiamoci una discendenza di cui nessun altro movimento potrà disporre!» 52. Assai più influente della lega degli Artamani fu il Nordischer Ring, un club politico intellettuale fondato nel maggio 1926 dal funzionario ministeriale Henno Konopacki-Konopath e da lui animato assieme alla moglie, la principessa Marie Adelheid Reuss zur Lippe. Presso questo circolo si incontrarono tra gli altri: Hans F. K. Günther, il primo antropologo nazista; l’editore nonché ex membro della Thule, Julius Lehmann; gli intellettuali Jünger e Heidegger; l’allora funzionario ministeriale per l’agricoltura Walther Darré, e l’allora vicecomandante delle SS Heinrich Himmler. Qui si conobbero anche alcuni di coloro che avrebbero avuto un ruolo di primo piano come esperti razziali nella attuazione del Generalplan Ost: Horst Rechenbach, già militante degli Artamanen; Rudolf Jacobsen, egli stesso esperto razziale prima di diventare un comandante delle Waffen-SS; Lothar Stengel von Rutkowski, più tardi medico del RuSHA a Praga; e il celebre antropologo Bruno Schultz, già membro della Thule-Gesellschaft. L’opera di Günther ha un peso rilevante nella genesi dell’ideologia Blut und Boden di cui le SS divennero paladine. Egli era stato allievo di Fischer durante la prima guerra mondiale, e poi era divenuto professore in un liceo di provincia, finché nel 1919 pubblicò Ritter, Tod und Teufel. Der heldische Gedanke. Il libro fu notato dall’editore Julius Lehmann il quale ne rimase talmente affascinato che prese l’autore sotto la sua tutela, e lo incoraggiò a divenire un antropologo razziale inaugurando per lui una apposita collana. Nel suo primo articolo, dal titolo “La razza nordica e il sangue misto dei nostri vicini orientali”, Günther sostenne che la razza creatrice per eccellenza si era originariamente propagata in Asia dove aveva dato vita a tutte le antiche civiltà, per poi decadere in seguito allo sciagurato accoppiamento con le razze inferiori. Günther dedicò decine di volumi a sostenere questa tesi; ma sia che proponesse una tipologia razziale basata su costanti psicofisiche, come in Rassenkunde des deutschen Volkes (1922), o una formulazione dei caratteri del “pensiero nordico”, come in Der Nordische Gedanke unter den Deutschen (1922), al E. Jünger, Scritti politici e di guerra 1919-1933, Libreria Editrice Goriziana, Gorizia, 2005, pp. 110-14. 52 

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fondo vi era sempre lo stesso schema gnostico con gli ario-germani, ora ribattezzati razza nordica, che erano caduti dalla loro pienezza originaria, e che dovevano lottare per la riconquista del potere 53. Günther tuttavia mostrava una nuova sensibilità rispetto alla precedente generazione völkisch, in sintonia con quella guidata da Hitler di cui anch’egli faceva parte: non si trattava più di contemplare le antichità germaniche, ma di dare attuazione pratica alla Weltanschauung. Come egli scriveva: «la questione non è tanto se noi uomini dell’epoca attuale siamo o meno nordici; la domanda da porsi è piuttosto se abbiamo sufficiente coraggio da preparare alle generazioni future un mondo capace di purificarsi razzialmente ed eugeneticamente» 54. Günther, e molti altri suoi colleghi, portarono nelle istituzioni universitarie la “scienza della razza” che i vari Ploetz e Hentschel, avevano già fuso con la gnosi antisemita a partire dagli inizi del Novecento, e che il movimento bündisch aveva fatto propria, e trasformato in pratica terroristica nell’immediato dopoguerra. Questa ideologia circolò nelle università, e negli ambienti culturali, in maniera circospetta fino a tutti gli anni Venti, e poi sempre più scoperta e aggressiva dopo i successi elettorali del partito nazista a partire dal settembre 1930. Tra i molti testi in cui si può registrare la fisionomia assunta alla fine degli anni Venti dalla visione di una aristocrazia del sangue, Platon als Hüter des Lebens (1928) è forse uno dei più illuminanti. Secondo Günther, Platone era un nobile di origine nordica che dovette lottare contro la degenerazione razziale che affliggeva la sua stirpe nella Grecia repubblicana. Per contrastare la commistione del sangue, Platone risvegliò gli ideali nordici, formulando una dottrina teorico pratica atta a rifondare una nuova nobiltà in grado di risvegliare il popolo alla consapevolezza della sacralità del proprio sangue. Il filosofo individuò il bacino di questa nuova nobiltà nel «ceto rurale che oggi appare come uno strato inferiore», ma che all’epoca era il più vicino alla terra e il più puro di sangue: «la massima prosperità, cioè il massimo grado di virtuosità e di sostegno al vigore, Platone se l’attende da uno Stato autosufficiente costituito da agricoltori, il quale manterrà la pace essendo fondato sul 53  É. Conte, C. Essner, Culti di sangue, cit., pp. 57-82; H. Friedländer, Le origini del genocidio nazista, cit., p. 15 sgg. 54  C. Hale, La crociata di Himmler: la spedizione nazista in Tibet nel 1938, Garzanti, Milano, 2009, p. 134.

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mantenimento della misura di tutte le cose». Platone rinnovò la dottrina dello stato fondandola sull’ideale della purificazione del sangue e definì anche le misure atte a perseguirlo: dal controllo delle nascite alla politica matrimoniale selettiva, dall’allevamento razziale all’eliminazione dei soggetti degenerati. Grazie alla sua opera furono così poste le basi per la rinascita della nobiltà rurale perfezionata secondo l’ideale psicofisico della razza nordica, «la più nobile e creativa». La rigenerazione della stirpe «custode dell’ordine cosmico», tentata da Platone, fu però infranta dal cristianesimo, una sorta di seconda ondata del giudaismo, il quale rimosse le ascendenze nordiche dell’originario pensiero greco ed impose una concezione dell’uomo come «animale razionale» degradandolo così al fondo della gerarchia degli enti 55. L’antropologo autodidatta proiettava su Platone la propria ambizione al ruolo di istitutore di una nuova classe dirigente, e di fatto egli aveva all’epoca le carte per diventarlo essendo il leader del Ring nordico. La sua visione di una nobiltà di sangue fondata sulla terra trovò l’apprezzamento di due neofiti frequentatori del circolo, entrambi agronomi: Walther Darré e Heinrich Himmler. Il primo sviluppò quella visione in un progetto che il secondo riprese per farne il modello per le nuove SS.

11. Walther Darré e la nuova nobiltà di sangue e suolo La figura di Richard Walther Darré come ideologo non è tra le più studiate dalla storiografia nonostante il suo contributo alla Weltanschauung nazista sia stato rilevante 56. La sua carriera fu inizialmente piuttosto accidentata. Nato a Buenos Aires in una facoltosa famiglia di immigrati tedeschi, Darré abbandonò diverse scuole. All’inizio del 1914 sembrò aver 55  Hans F. K. Günther, Platone custode della vita. La concezione platonica della selezione e della educazione: la sua importanza per la nostra epoca, Edizioni di Ar, Padova, 2007, passim. 56  Su Darré cfr. A. Bramwell, Ecologia e società nella Germania nazista, cit.; G. Corni, H. Gies, “Blut und Boden”: Rassenideologie und Agrarpolitik im Staat Hitlers, Schulz-Kirchner,

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trovato la sua strada iscrivendosi alla scuola coloniale di Witzenhausen, che preparava amministratori di piantagioni e agricoltori specializzati per le colonie, ma scoppiò la guerra, e Darré scelse di partire volontario per il fronte. Quando tornò quattro anni dopo era decaduto economicamente e privo di un ruolo sociale. Si arruolò allora nei Freikorps e prese parte alla repressione dei moti insurrezionali. Nel frattempo si diplomò alla scuola commerciale di Wiesbaden, e si iscrisse di nuovo alla scuola coloniale di Witzenhausen, ma ne fu presto espulso per cattiva condotta. Durante l’apprendistato come direttore agricolo si familiarizzò con le dottrine di Haeckel e con la teoria dell’ereditarietà; nel 1922 si iscrisse alla facoltà di agraria dell’università di Halle-Wittenberg, e nel febbraio 1923 aderì alla Deutschvölkische Freiheitspartei (DVFP) tra i cui leader vi erano Fritsch e Ludendorff. Risale a questo periodo il suo interesse per l’idea di nobiltà razziale delineata da Günther, tanto da consigliare alla moglie il suo Rasse und Stil come guida per «allevare i nostri figli nordicamente». Laureatosi in agronomia con specializzazione nell’allevamento di animali, Darré affrontò la ricerca di dottorato sulla riproduzione dei cavalli facendosi nello stesso tempo una cultura sulle teorie di igiene razziale. La sua prima pubblicazione del febbraio 1925, “Migrazioni animali, sulle tracce della patria ariana”, testimonia già dal titolo quale fosse l’indirizzo delle sue ricerche. Nel corso dello stesso anno aderì all’Artamanenbund, e nella primavera del 1926 conseguì il dottorato in riproduzione animale presso la cattedra di eugenetica ed ereditarietà dell’università di Giessen. Tramite i suoi contatti universitari divenne rappresentante per la Società prussiano orientale dei cavalli di razza Trakehner, e in tale veste lavorò a stretto contatto con il settore agricolo dell’ambasciata tedesca a Helsinki, che lo coinvolse nelle trattative per guadagnare l’alleanza della Finlandia contro i sovietici. Dal 1926 al 1928 pubblicò numerosi articoli sulla rivista Deutschland Erneuerung di Lehmann sottolineando le possibili applicazioni alla società tedesca delle misure di carattere eugenetico apprese in ambito zootecnico. Con la pubblicazione di “Walther Rathenau und das Problem des nordischen Menschen” gli si aprirono le porte del Ring nordico: scrisse sulla sua rivista Nordische Blätter e avviò una intensa attività di conferenziere. Qui fece la conoscenza di affermati teorici impegnati Idstein, 1994; A. D’Onofrio, Razza, sangue e suolo. Utopie della razza e progetti eugenetici nel ruralismo nazista, Clio Press, Napoli, 2007.

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nel definire i principi del “diritto nordico”, come ad esempio, Evd Prinz zur Lippe von Vietinghoff-Scheel; ed ebbe modo di conoscere giovani in carriera come Johann von Leers, la cui moglie, convinta di essere una sacerdotessa dell’età del bronzo, si contornava di una cerchia di ariosofi capitanati da Karl Maria Wiligut, il futuro ‘consulente spirituale’ di Heinrich Himmler. Nel maggio 1928 Darré venne nominato rappresentante per il Baltico del Ministero prussiano dell’Agricoltura, e nell’estate fu a Riga come rappresentante della Camera agricola prussiano orientale. Nel frattempo era membro di otto organizzazioni agricole ed eugenetiche, e lui stesso tentò di fondarne una. Lehmann gli propose allora di promuovere la sua iniziativa presso Hitler, ma poiché il partito nazista era ancora minoritario, Darré che non intendeva danneggiare la propria carriera, preferì rimanere nell’area della DNVP. A partire dall’aprile del 1928 il Ring nordico si spostò però decisamente su posizioni antisemite: e quando nel dicembre 1929 il Ministero lo trasferì, a causa di sue malversazioni in un traffico illegale di sementi, Darré decise di puntare sui nazisti. Si dimise dal suo incarico, e iniziò a frequentare l’architetto del paesaggio Paul SchultzeNaumburg, principale sostenitore del ripristino della fattoria a trasmissione ereditaria, attorno al quale si riunivano personaggi come il leader degli Artamanen, Hans Holfelder; il suo vice Georg Kenstler, direttore della rivista Blut und Boden; il drammaturgo Hanns Johst; e gli intellettuali Jünger e Heidegger. Nel marzo del 1930 Darré pubblicò Neuadel aus Blut und Boden (Nuova nobiltà di sangue e suolo), uno scritto che formulava il progetto di una nuova nobiltà germanica in maniera tanto efficace da procurargli nel giro di poche settimane un incontro con Adolf Hitler, a cui seguì subito dopo l’affidamento dell’incarico per la creazione dell’ufficio politico agrario della NSDAP. Nel suo libro Darré riformula l’ideologia del sangue della tradizione völkisch individuando nel mondo contadino il centro propulsore di un nuovo ceto dirigente. Con sorprendente sicurezza Darré vanta la superiorità del suo progetto rispetto «ai piani e ai progetti che ovunque sorgono attualmente», e che egli passa in rassegna, compreso quello di Hentschel, rilevando per ciascuno di essi i punti di forza, ma cassandoli tutti per la mancanza di rilievo data al sangue come principio fondativo. Solo Nietzsche, nota Darré, comprese questo principio quando sostenne in Der Wille zur Macht che «non c’è nobiltà che per nascita e per sangue

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[…]. Lo Spirito da solo non nobilita, gli manca ancora ciò che nobilita lo spirito: l’ascendenza nobile!» 57. Ora, quest’ascendenza nobile è decaduta con l’introduzione del precetto giudaico cristiano della «eguaglianza di tutti gli esseri d’aspetto umano»; l’uomo nordico è stato sviato dalla legge naturale e vincolato a una vita conforme alle esigenze del Dio cristiano. «Il germano nobile si era fino allora considerato il custode dell’ordine divino, nato dalla forza, perpetuata in lui, delle azioni del suo antenato divino», ma la nuova religione gli impose il sacrificio di questa vita per conquistarne una illusoria nell’aldilà. La radice dell’antica nobiltà era costituita dal mondo contadino, e rimase salda finché il podere fu inalienabile e legato al ceppo razziale, come nell’antica Sparta, ma con l’insorgere dell’impero romano la trasmissione ereditaria del podere venne meno, e con essa cadde anche la separazione tra le etnie. Fu così che nacque il liberismo economico che ridusse la terra a fonte di guadagno avviando un parallelo processo di degenerazione razziale. Questa concezione mina le fondamenta stesse dell’esistenza tedesca: «Si tratta di una concezione che, con noncuranza e con dissennata leggerezza ucciderebbe quanto rimane della cultura tedesca, perché ogni cultura trae origine dal sereno sviluppo di una forza creativa radicata nel suolo». Ciò che garantisce il legame con il suolo, e dunque la disponibilità di questa forza creativa, è il «senso interiore» che possiede «la madre autentica», e che da sempre ha guidato tutti i grandi condottieri «con una sicurezza da sonnambuli». Il dono più divino dell’umanità, sembra svilupparsi solo a contatto con la Madre Terra […] in mezzo all’irraggiamento cosmico che la natura incontaminata distribuisce con tanta abbondanza […]. Il paesaggio agreste agisce così sull’anima, per ricevere a sua volta l’influenza della forza creatrice dell’uomo, quando quest’ultimo ha conservato il senso della razza.

L’indebolimento di questo legame ad opera del giudeo-cristianesimo può essere sanato solo muovendo dal ripristino della triade originaria popolo-contadinato-nobiltà, che i recenti sviluppi dell’igiene razziale 57  Il passo citato da Darré è il 942, che così recita: «C’è soltanto una nobiltà di nascita, una nobiltà del sangue. (Qui non parlo della particella “von” e dell’Almanacco di Gotha: osservazione parentetica per gli asini). Là dove si parla di “aristocrazia dello spirito”, di solito non mancano motivi per celare qualcosa: come è noto, questa è una locuzione comune fra gli ebrei ambiziosi. Lo spirito da solo, infatti non nobilita; ci vuole piuttosto, prima, qualcosa che nobiliti lo spirito. Di che cosa c’è bisogno a tale scopo? Del sangue». F. Nietzsche, La volontà di potenza, cit., p. 508.

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rendono finalmente realizzabile. Darré riprende l’idea di «feudo contadino» come centro di fondazione del «ceppo razziale», formulata da Fritz Lenz nel libro del 1921, e prospetta una riforma agraria che ridefinisca la tipologia e la dimensione dei poderi a fini eugenetici. Nuclei di contadini selezionati, ricchi di sangue puro, dovranno essere insediati su una unità di suolo anch’essa selezionata, denominata Hegehof (podere di conservazione o difesa) sul quale dovrà essere impiantata l’Edelhof, ovvero la fattoria nobile ideata dall’architetto Schultze-Naumburg. Ciascun podere sarà retto da un nobile, e tutti i nobili costituiranno una federazione che, affiancata a quella dei contadini, costituirà il nerbo del futuro Reich. Il loro compito non sarà solo quello di coltivare piante e allevare animali, bensì quello di coltivare e allevare tedeschi: «l’idea di Hegehof ha significato soltanto se si considerano gli Hegehöfe come il serbatoio del migliore sangue tedesco, in maniera che essi divengano nel corpo del popolo le sorgenti di un sangue di elevata qualità». La selezione dei cadetti atti a dirigere i centri di fondazione agricolo-razziali dovrà essere condotta valutando la purezza del loro sangue, e utilizzando i test attitudinali in forza presso la Reichswehr e la polizia. L’obbligo più importante dei cadetti è quello di procreare una nuova generazione liberata dal sangue impuro. A questo fine il matrimonio deve essere sottratto al cristianesimo che ne ha fatto un «atto legale di mercimonio sessuale», e ricondotto alla sua natura originaria di atto di eterna fedeltà al ceppo razziale: «la parola Ehe (matrimonio), è in relazione diretta, sotto il profilo linguistico, con ewig (eterno) nel senso di ohne Ende (senza fine)». Pertanto la scelta della sposa è di rilevante importanza. Purtroppo la salute delle donne in Germania non è delle migliori. Come risulta dallo studio di Gifhorn Winkel, Frauenkunde, solo il 14% ha organi sessuali che sono in grado procreare, e tra di esse tra l’altro ve ne sono di slavo polacche e di affette da cattive disposizioni ereditarie. A tale disperata situazione soccorrono però i dati sperimentali sull’allevamento dei cavalli. Nel XVIII secolo la qualità razziale dei cavalli era ugualmente degradata, ma grazie a due secoli di oculatate selezioni, questa è stata completamente recuperata. La  premessa per avviare un analogo lavoro con il Volk germanico sta dunque nella preparazione di esperti di selezione: «quello di cui abbiamo bisogno, è una nuova classe di specialisti, la cui preparazione sia affine a quella dei medici». Tali specialisti, attualmente denominati eugenisti, ma che meglio sarebbe chiamare Zuchtwart

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(custodi di selezione), dovranno collaborare con i medici in un ufficio centrale del Reich, con articolazioni a livello regionale e locale, nella tenuta di un quadro genealogico aggiornato per ciascun membro del popolo, inventariarne il protoplasma, e sulla base di questo concedere i diritti di cittadinanza. A fini riproduttivi le donne dovranno essere divise secondo quattro categorie: quelle per cui è auspicabile il matrimonio sotto ogni punto di vista; quelle per le quali non vi sono elementi di opposizione in via di principio, ma che sono di livello inferiore; quelle di ridotta qualità che si possono sposare solo se sterili; quelle che non devono procreare e neppure sposarsi. I nobili a capo dei poderi di custodia e difesa dovranno sposarsi solo con donne della prima classe, e al limite con quelle della seconda, previa approvazione della federazione dei nobili. L’elemento di forza del progetto di Darré, rispetto agli altri che erano allora diffusi, stava nell’istituire con la felice formula “nobiltà di sangue e suolo”, uno stretto legame tra la visione di un’aristocrazia da creare tramite misure eugenetiche e un concreto progetto di riforma agraria che veniva incontro alle esigenze di un ampio ceto di agricoltori schiacciato tra i latifondisti e la concorrenza del mercato. Ma non solo, quel progetto si poneva come modello per la costituzione di una élite in termini botanici, che Himmler condivise e adottò per le sue SS. Scrive Darré: La nobiltà supera la Razza in quanto la Razza rappresenta per essa solo la materia elementare indispensabile all’estrema selezione delle capacità ed alla preparazione dei Führer […]. La  nobiltà si comporta verso la Razza da cui essa è nata come la parte gemmifera innestata nei riguardi del soggetto dell’innesto. La Nobiltà si situa, in ogni caso, all’interno della Razza, esprimendone una capacità particolarmente selezionata.

Darré stabiliva la superiorità della nobiltà sulla razza in virtù di «qualità spirituali» come l’amore per la responsabilità, la disposizione creativa, e la capacità di comando. Queste erano le virtù che dovevano essere poste alla base del nuovo Reich impostato sui «principi platonici» già formulati da Günther. Lo stato prussiano, rilevava l’agronomo specializzato in zootecnia, dispone già di alcune caratteristiche che fanno ben sperare per la sua trasformazione in senso razziale: la qualità organizzativa, l’efficienza e il rigore dei suoi funzionari. Coloro che criticano la sua impersonalità burocratica come un ostacolo per la

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realizzazione della comunità di sangue, non conoscono da vicino i meccanismi dello stato, e soprattutto ignorano la capacità di autonomia decisionale del funzionario prussiano che può facilmente essere implementata grazie al «nuovo umanesimo germanico». «Insieme con l’idea nordica di Günther, potrebbe così nascere un’idea tedesca di Stato e formarsi un umanesimo tedesco di perfezione spirituale e materiale. Da questo umanesimo, integrato nel servizio del popolo, nascerebbe lo stile del Tedesco futuro». Questa è l’unica strada da percorrere affinché «il tedesco possa compiere verso l’umanità la missione che egli ritiene di avere. Altrimenti, verrà posta un giorno sul suo cadavere la pietra tombale» 58. Nel marzo 1930 Kenstler e Naumburg proposero a Hitler di dare vita a un istituto di politica agraria all’interno del partito sotto la direzione di Darré. Hitler aveva letto di quest’ultimo, su segnalazione dei Bruckmann, Das Bauerntum als Lebensquell der Nordischen Rasse (1929), e lo aveva apprezzato nonostante la mancanza di una esplicita posizione antisemita. Poche settimane dopo i due si incontrarono per il tramite di Frick e della moglie di Schultze-Naumburg. A maggio Darré si iscrisse al partito, e a giugno si trasferì a Monaco dove fondò l’Istituto di politica agraria con il supporto di Lehmann e dell’ideologo agrario nazista Hans Severus Ziegler. Il Ring nordico divenne a quel punto un centro di attività naziste, e ospitò conferenze a cui presero parte Darré, Goebbels, Rosenberg, Frick, Göring, Günther, Baldur von Schirach, e Konopath, il quale però poco dopo scomparve dalla scena mentre la sua rivista Die Sonne venne rilevata dallo Skald, un ordine esoterico vicino al partito. A  Monaco Darré frequentò l’editore Bruckmann, e lavorò con Gregor Strasser alla fondazione dell’Amt für Agrarpolitik nell’ambito del Dipartimento del Lavoro della NSDAP. Essendo il solo competente in materia di politica agraria, e non avendo concorrenti, Darré poté godere di ampia autonomia avvalendosi di collaboratori di estrazione socioculturale superiore alla media dei membri del partito. La sua linea politica teneva insieme statalismo e liberismo: da una parte appoggiava la divisione dei latifondi per creare nuovi insediamenti, regolare il sistema degli affitti, e limitare le fluttuazioni del mercato; e

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W. Darré, La nuova nobiltà di sangue e suolo, Ritter, Milano, 2010, passim.

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dall’altra apriva alla possibilità di sfruttare il podere senza concessioni statali per stimolare il mercato interno, guadagnando così il sostegno di una intraprendente giovane generazione di agricoltori a discapito dei vecchi latifondisti rappresentati dalla DNVP, da Hugenberg, e dal circolo di Diederichs. Darré iniziò il sodalizio con Himmler probabilmente nello stesso periodo. Entrambi avevano frequentato l’Artamanenbund, il Ring nordico e il circolo di Schultze-Naumburg. Nel 1930 Darré scrisse a Konopath riguardo a Himmler, che all’epoca era anche ufficiale di collegamento tra il partito e gli Artamanen: «Molta gente ride di lui, ma la sua influenza su Hitler è più grande di quanto non si creda». Maggiore di sette anni su Himmler, e più competente in materia agraria, Darré divenne il suo principale alleato. Agli inizi del 1931 fu lui a istituire all’interno delle SS il Rasse und Siedlungshauptamt (RuSHA), ovvero l’Ufficio Centrale per la Razza e l’Insediamento. L’ufficio aveva il compito di definire i criteri di selezione per l’ammissione delle reclute delle SS, ma come lasciava intuire il termine Siedlung (insediamento) vi era già l’idea di insediare le famiglie SS nei poderi e nelle fattorie modello da lui prospettate. Dal 31 dicembre dello stesso anno l’ufficio divenne competente per l’indagine sulle origini razziali delle aspiranti spose dei militi SS, comprese le visite mediche e la valutazione del patrimonio genetico. Nel giugno del 1933, grazie probabilmente al sostegno di Himmler, Darré scalzò Hugenberg come ministro dell’agricoltura e divenne Reichsbauernführer (Capo dei contadini del Reich). Una volta insediatosi al rinominato Ministero dell’Alimentazione e dell’Agricoltura, Darré reclutò i suoi ex colleghi del Nordischer Ring, e avviò la promozione della trasmissione ereditaria dei poderi, portando avanti nello stesso tempo il piano di Himmler per fare delle SS una organizzazione improntata secondo i principi di Blut und Boden. Il 21 settembre 1934 Himmler emanò un decreto che abilitava il RuSHA all’educazione ideologica delle Schutzstaffeln in contatto con il mondo contadino, e dispose che ogni suo reparto avesse al proprio interno un rappresentante dei contadini. Le SS che facevano parte di questo settore sarebbero in seguito state riconoscibili per la presenza della runa Odal sulle mostrine della divisa, simbolo esoterico del legame di sangue che univa i membri di uno stesso clan, e Odal fu anche il nome della rivista del Consiglio contadino del Reich diretta da von Leers.

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12. Heinrich Himmler e le nuove SS Nell’aprile del 1925 Hitler, dopo aver ripreso in mano le sorti del partito, era preoccupato dall’autonomia delle SA, gestite da militari che non rispondevano a lui, ma a Ernst Röhm. Egli ordinò allora a Julius Schreck di formare una nuova organizzazione che sostituisse le SA nella protezione dei comizi e che funzionasse da sua guardia personale. Fu così che nacque la Schutzstaffel (Milizia di protezione), composta da squadre di dieci uomini tra i 23 e i 35 anni, guidati da un comandante e dediti al culto della violenza 59. Il  4 luglio del 1926 Hitler affidò in custodia alla SS lo “stendardo insanguinato” che aveva sventolato alla testa dei putchisti il 9 novembre 1923, ed essa ne fece una reliquia ritenuta capace di trasmettere il potere del sangue dei martiri alle nuove schiere di combattenti. Fino al 1928 le SS tuttavia non superarono i trecento effettivi, e rimasero subordinate alle SA, finché il 6 gennaio 1929 Hitler nominò alla loro dirigenza Heinrich Himmler, che le trasformò in breve tempo in una milizia atta a sorvegliare le attività del partito, e punire coloro che si discostavano dalla linea ufficiale. Himmler riversò nel suo nuovo incarico tutte le energie che stavano al fondo dei suoi sogni infantili. Figlio del precettore del principe Enrico di Wittelsbach, Himmler fu attratto fin da giovanissimo dagli ordini cavallereschi medievali e dal desiderio di avventura nei vasti spazi dell’Est europeo. Quando era ancora adolescente aveva seguito con morbosa attenzione l’andamento della guerra sul fronte orientale, e nel luglio 1919, terminati gli studi liceali, si era iscritto alla facoltà di agraria con l’intenzione di prepararsi a colonizzare l’Oriente come contadino guerriero. Ma nel settembre del 1919, dopo solo due settimane di apprendistato come agricoltore in una fattoria, contrasse il paratifo e fu ricoverato in ospedale. A fine ottobre, sempre animato dalle stesse fantasie, Himmler si trasferì a Monaco per frequentare l’indirizzo agrario presso la Technische Hochschule. Come annotava nel suo diario l’11 novembre 1919, a un anno esatto dalla capitolazione

Su Himmler e le SS, cfr. P. Longerich, Heinrich Himmler, cit.; H. Höhne, L’ordine nero, cit.; R. Rhodes, Gli specialisti della morte, cit. 59 

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tedesca: «Lavoro perché è mio dovere, perché nel lavoro trovo la pace, e lavoro per il mio ideale di donna tedesca con cui, un giorno, trascorrerò la vita nell’Est e combatterò le mie battaglie da tedesco lontano dalla bella Germania». E ancora nel dicembre 1921: «Se all’Est scoppia di nuovo la guerra, ci vado anch’io. L’Est è il settore più importante per noi. L’Ovest morirà presto. È  all’Est che noi dobbiamo combattere e colonizzare» 60. Durante gli studi frequentò il Bund Apollo i cui iscritti erano giovani nazionalisti dediti alla pratica del Mansur, una parvenza di duello, che con lievi ferite permetteva di vantare l’appartenenza ad antiche tradizioni cavalleresche. Nel 1922 conseguì il titolo di agronomo e fu assunto in una ditta di fertilizzanti di Schleissheim presso Monaco; nel frattempo si iscrisse alla NSDAP e alla Reichsflagge di Röhm, prese parte al Putsch della birreria, e dopo il suo fallimento, fu costretto a darsi alla clandestinità. A quel punto la sua situazione era talmente disperata che all’inizio del 1924 scrisse all’ambasciata sovietica per informarsi delle prospettive di lavoro in Ucraina. Ma a giugno dello stesso anno avvenne la svolta. Il  farmacista di Landshut, Gregor Strasser, a quel tempo il più intraprendente Gauleiter del partito, lo assunse come suo segretario, e Himmler si installò nel suo ufficio sopra la farmacia. Strasser si occupava tra le altre cose della politica agraria del partito, e Himmler mise a frutto le sue competenze di agronomo scorrazzando in lungo e in largo con la sua moto nelle regioni rurali a tenere comizi ai contadini. Nello stesso tempo entrò a far parte degli Artamanen, e consolidò la sua formazione völkisch leggendo le opere di Chamberlain, Eckart, i libri di Rudolf Bartsch sui feudatari tedeschi nelle terre slave, e Il cavaliere, la morte e il diavolo di Günther. Nel 1926 conobbe Hitler che lo mise a capo delle SS della bassa Baviera, l’anno dopo lo nominò vicecomandante a livello nazionale, e il 6 gennaio del 1929 Reichsführer-SS. Nel successivo mese di aprile Himmler presentò a Hitler un progetto che prevedeva che l’arruolamento fosse basato su criteri razziali. Era un’idea che si era consolidata con la frequentazione del Ring nordico, e che di lì a poco avrebbe trovato una fortuna del tutto inaspettata. Nell’ottobre del 1929 le borse crollarono, e gli investitori esteri reclamarono i capitali prestati alla Germania, il marco divenne carta straccia, e la recessione investì il paese. Per molti sbandati della media e alta

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R. Rhodes, Gli specialisti della morte, cit., pp. 83-84.

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borghesia, in particolare ex ufficiali laureati rovinati dall’inflazione e disoccupati, le SS, che si presentavano come una nuova nobiltà di sangue, divennero a quel punto una attraente opportunità di redenzione per il prestigio sociale perduto. Queste nuove reclute cambiarono profondamente il volto dell’organizzazione, fino ad allora costituito da una base piccolo borghese, e portarono al suo interno un atteggiamento più duro e aggressivo. Mentre le SA erano composte da proletari disoccupati reclutati nelle code degli uffici di collocamento, che avrebbero fatto ritorno alla vita civile appena le condizioni lo avrebbero permesso, le SS formarono un ordine militare i cui quadri erano costituiti dagli uomini dei Freikorps, i quali fin dal dopoguerra avevano abbandonato la vecchia disciplina militare, e dato vita ai tribunali della Vema fucilando «i traditori della patria come forma di autodifesa giuridica». Il loro motto «dare la morte e sottrarre alla morte» divenne quello delle SS 61. Himmler organizzò le nuove leve facendone una milizia fondata sull’idea di Darré, e a quest’ultimo affidò la definizione dei criteri per la loro selezione. Considerato che nel 1930, oltre al libro di Darré, fu pubblicato anche il Mein Kampf, è probabile che Himmler venisse già allora a fondere la visione di una nobiltà feudale fondata sul contadinato con la visione di Hitler dello spazio vitale a Est. Comunque sia nel giugno del 1931, con l’ascesa del partito e l’aumento degli effettivi SS, Himmler non temette di esporre ai suoi Führer la visione del legame tra sangue e suolo, e la connessa lotta contro il bolscevismo, facendo ricorso a un paragone con la piantumazione. Non si trattava però di una metafora: i termini di paragone si sviluppavano su di un identico piano simbolico inteso in senso letterale: Per noi, che ci innalziamo sublimi al di sopra di ogni dubbio, è la carriera del sangue la sola capace di fare la storia; la razza nordica è decisiva non soltanto per la Germania, ma per il mondo intero. Se riusciremo a insediare di nuovo questa razza nordica proveniente dalla Germania e dai suoi dintorni e a indurla a mettere radici nella terra, e da questo semenzaio a produrre una razza di 200 milioni di uomini, allora il mondo sarà nostro. Se vincerà il bolscevismo, sarà la distruzione della razza nordica … la devastazione, la fine del mondo … Noi siamo pertanto chiamati a gettare le fondamenta sulle quali la prossima generazione potrà costruire la storia 62. 61  62 

H. Höhne, L’ordine nero, cit., p. 57. R. Rhodes, Gli specialisti della morte, cit., p. 93.

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Il 14 giugno Himmler conobbe Reinhard Heydrich, e gli chiese di abbozzare un progetto per la creazione del servizio segreto delle SS, cosa che questi realizzò seduta stante 63. Heydrich aveva militato nella DVSP e nella Marina nera del Reich, un’organizzazione terrorista diretta dall’ex capo di stato maggiore della flotta imperiale, Adolf von Trotha. Himmler rimase folgorato dal suo aspetto fisico, che corrispondeva all’immaginario dell’uomo nordico: alto, biondo, e con gli occhi azzurri; e trovò nella sua determinata capacità di sintesi il perfetto complemento alla sua altrettanto tenace capacità di analisi. Tra i due iniziò una proficua collaborazione che li portò nel giro di cinque anni a prendere il controllo dell’intero apparato poliziesco, e nel giro di altri tre, alla vigilia dell’invasione della Polonia, alla disponibilità di un corpo addestrato sul piano ideologico e militare per la conduzione di un nuovo genere di guerra.

13. Verso un nuovo Reich di sangue e suolo Con la presa del potere nel gennaio del 1933 i nazisti avviarono, parallelamente alla brutale eliminazione degli avversari politici, una frenetica nazificazione dell’apparato burocratico in gran parte già su posizioni ultranazionaliste. Non si trattò però di un’occupazione delle istituzioni guidata da un intento programmatico per farne i bastioni di un monolitico regime totalitario, quanto piuttosto di un assalto scomposto da parte di settori e Führer del partito in competizione gli uni contro gli altri, che determinò semmai una destrutturazione delle già malconce istituzioni repubblicane. Ministeri, enti, e uffici, si trasformarono così in veri e propri feudi personali ai quali si affiancò la nascita scomposta di nuove agenzie della NSDAP che surrogarono le funzioni dello stato. L’apparato burocratico nazista vide quindi la coabitazione della vecchia burocrazia,

Su quest’episodio, cfr. P. Longerich, Heinrich Himmler, cit, p. 125; É. Husson, Heydrich e la soluzione finale. La decisione del genocidio, Einaudi, Torino, 2010, pp. 22-23. 63 

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che si allineò prontamente al nuovo corso, con un pullulare di nuovi organismi del partito in cui imperava il pressappochismo e l’improvvisazione, ma anche la determinata volontà di fare dello stato lo strumento per creare una Volksgemeinschaft legata al suolo. L’instaurazione del Führerprinzip nell’amministrazione pubblica incoraggiò le iniziative dei singoli verso quest’obiettivo generando un crescendo di misure sempre più radicali. «Lavorare incontro al Führer» 64 significò anticipare le decisioni di Hitler per fare del proprio settore di competenza la punta più avanzata della lotta razziale. Baldur von Schirach si adoperò per istituire tramite la Hitlerjugend uno stato della gioventù; Robert Ley, il capo dell’organizzazione politica della NSDAP e del Deutsche Arbeitsfront (DAF), si impegnò nel trasformare il corpo dei suoi funzionari in un ordine nazionalsocialista; e Alfred Rosenberg puntò a fare del sistema educativo un apparato capace di formare i futuri Führer del Reich. Un partito che si identificava con una mitica nobiltà nordica di sangue puro non poteva limitarsi a instaurare un regime totalitario. Il suo obiettivo era assai più ambizioso: costruire una comunità di sangue e suolo in grado di riprendere la via civilizzatrice della razza nordica che l’ebraismo aveva interrotto in un lontano passato. Le linee guida di questa missione, prefigurate dalla destra völkisch da inizio Novecento, e poi rafforzate attraverso le violenze della guerra civile, prevedevano: l’istituzione di una rigida disciplina sessuale e matrimoniale volta a impedire la commistione del sangue, la sterilizzazione dei soggetti di sangue indesiderato, l’eventuale eliminazione degli elementi degenerati, e la lotta contro gli avvelenatori ebrei. Tutto ciò non faceva parte di un piano definito, ma neppure si trattava di una visione utopistica come lo era stato per la destra dell’anteguerra. La prospettiva di dare vita a  un nuovo Reich improntato su questi principi attirò una nuova generazione di funzionari ed esperti di ogni ambito del sapere e delle professioni che si iscrissero in massa alla NSDAP per occupare posizioni dirigenziali nei nuovi enti che nascevano a questo scopo. Il 7 aprile 1933 fu varata la legge per l’arianizzazione dei pubblici uffici, che veniva ad escludere gli ebrei dalla pubblica amministrazione; e il successivo 14 luglio furono emanate la “Legge del Reich sulle nuove 64  Per l’espressione “lavorare incontro al Führer”, cfr. I. Kershaw, “Working Towards the Führer: Reflections on the Nature of Hitler’s Dictatorship”, Contemporary European History, 2, 2, 1993, pp. 103-18; I. Kershaw, Hitler e l’enigma del consenso, Laterza, Bari-Roma, 2006.

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forme del contadinato tedesco” ad opera dell’ufficio ministeriale per la politica agraria di Darré, che istituiva il podere ereditario; e la “Legge per la prevenzione della discendenza affetta da malattie ereditarie”, che istituiva la sterilizzazione dei disabili e dei malati di mente. Come affermò uno degli estensori di quest’ultimo provvedimento, il medico eugenista delle SS Arthur Gutt: Poiché la scienza dell’ereditarietà ci permette di conoscere le leggi della trasmissione ereditaria naturale […], noi dovremmo avere il coraggio di fare quello che, per semplice intuizione di razza, era apparso come un’evidenza ai nostri antenati germanici durante i millenni che hanno preceduto l’era cristiana 65.

Per i nazisti adesso il diritto poteva essere fondato su basi scientifiche. La scienza veniva a statuire ciò che era stato intuito, non certo dai mitici abitanti del nord Europa (giusto qualche sparuto gruppo di homo sapiens a stare ai tempi rivendicati dai nazisti), quanto piuttosto dalla precedente generazione völkisch, giusto qualche decennio prima. Secondo questo nuovo filone “metapolitico”, la scienza della natura, finalmente liberata dai mascheramenti dell’ebraismo, riportava adesso alla luce il legame tra il sangue e il suolo come principio su cui impostare una nuova giurispudenza. Si trattava quindi di avviare la rimozione della tradizione liberaldemocratica del diritto quale espressione esteriore della dottrina ebraica del sangue. Il primo passo da compiere non poteva che essere nella direzione di una statuizione dei diritti di cittadinanza sulla base del sangue tedesco, e nella contemporanea esclusione dalla comunità degli elementi indesiderati, primi fra tutti i suoi avvelenatori. Una prima legislazione antisemita era stata proposta già nel 1930 quando la rappresentanza nazista al Reichstag, guidata da Frick, tentò di far passare un disegno di legge che distingueva tra tedeschi ed ebrei come due razze distinte. Una bozza circolava al Ministero degli Interni fin dal 1933, e quando con la presa del potere ogni Ministero si dotò di uno Judenreferat (ufficio ebraico), le proposte di provvedimenti anti-ebraici si moltiplicarono a tutti i livelli. Ogni agenzia governativa si fornì di esperti che studiarono l’impatto della legislazione anti-ebraica emanata dalle 65 

J. Chapoutot, La legge del sangue, cit., p. 36.

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altre agenzie, e si riunirono in conferenze inter-governative per chiarire il punto di vista della propria struttura di appartenenza. Agli inizi di maggio del 1934, presso l’archivio Nietzsche di Weimar, fu istituita la Commissione per la filosofia del diritto che condusse all’elaborazione dei principi della nuova giurisprudenza del Reich legando tra loro i concetti di Führer, stato e razza. Questo istituto, che faceva parte della Akademie für Deutsches Recht diretta da Hans Frank, aveva come suoi intellettuali di punta Carl Schmitt, Alfred Rosenberg, Julius Streicher, Martin Heidegger, Erich Rothacker, e Hans Freyer 66. Il loro compito non era indifferente. Si trattava, nella loro ottica, di ribaltare un ordine giuridico di durata millenaria, che aveva la sua origine nei precetti biblici resi universali dal cristianesimo e quindi dal diritto romano. Come aveva infatti dichiarato già nel 1931 il giurista nazista Helmut Nicolai: Da una parte, paragrafi giuridici rigidi, dall’altra, il diritto della vita. Da una parte lo Stato, dall’altra, il popolo. Da una parte, la lettera, dall’altra, la coscienza. Da una parte, un diritto statico, dall’altra, un diritto dinamico […]. Il giorno in cui la NSDAP prenderà il potere non segnerà solo l’ascesa al potere di un nuovo governo. Quel giorno vedrà il rovesciamento della concezione ebraico-romana del diritto. L’idea tedesca del diritto, conforme alle leggi della vita, sarà ristabilito nel suo diritto 67.

Tutte queste iniziative giunsero a maturazione nel settembre del 1935 con le leggi di Norimberga, composte da tre provvedimenti: la legge sulla bandiera, quella sulla cittadinanza, e quella per la protezione del sangue tedesco. La prima stabiliva che solo i tedeschi avevano il diritto di tenere la bandiera; la seconda divideva gli abitanti della Germania in Reichsbürger (soggetti dello stato), e Staats-angehöriger (estranei allo stato); la terza disciplinava i rapporti sessuali e i matrimoni tra ebrei e persone di sangue tedesco. Hitler accelerò la redazione di queste leggi in modo da annunciarne la promulgazione durante il congresso del partito a Norimberga che quell’anno fu denominato Reichsparteitag der Freiheit (raduno della libertà) perché celebrava la reintroduzione della leva obbligatoria, e la 66  Sull’iter che condusse alla redazione delle leggi razziali, cfr. P. Lombardi, G. Nesi, Cercarsi nel buio, cit. p. 25 sgg. 67  J. Chapoutot, La legge del sangue, cit., p. 40.

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creazione della Wehrmacht istituita il precedente 16 marzo in violazione del trattato di Versailles. Nell’ottica nazista la contemporanea promulgazione delle leggi antisemite dovette probabilmente costituire un passo decisivo verso la creazione di una Volksgemeinschaft finalmente impostata sui principi di Blut und Boden. Già la scelta come sede dei propri raduni della città di Norimberga, in cui per secoli si erano tenute le diete imperiali, attestava la volontà di porsi in continuità con il sacro impero germanico. Ma era la modalità stessa della celebrazione dell’evento conclusivo che lascia intuire la portata storica che i nazisti attribuivano alla promulgazione della normativa antisemita. Il 15 settembre, a conclusione del congresso del partito nella Luitpold Arena, Hitler marciò tra decine di migliaia di militi delle SA e delle SS schierati in assoluto silenzio e, giunto presso l’Ehrenhalle (sala dell’onore) dove erano sepolti i caduti del fallito Putsch del 9 novembre 1923, sostò in silenzio davanti alla fiamma che ne incarnava il sacrificio. Quindi, riattraversata in senso inverso la spianata, salì sul podio, e da qui scagliò le sue urla contro il nemico responsabile del millenario avvelenamento del sangue germanico. La battaglia che quelle urla evocavano richiedeva una disposizione per la morte che l’intero apparato mitologico rituale era volto a sostenere e rafforzare: dalle aquile stilizzate e dalle bandiere con la svastica alla rigida liturgia di gesti, formule, e richiami che si chiudeva con l’urlo collettivo di Heil, ripetuto tre volte in risposta alla Sieg gridata dal palco. La notte, nell’enorme spianata dello Zeppelinfeld, tra decine di migliaia di fiaccole, fu effettuata per la prima volta l’esecuzione, e sarebbe divenuta una consuetudine, de I maestri cantori di Norimberga di Wagner mentre potenti riflettori lanciavano per dieci chilometri la loro luce verso il cielo trasformando il podio nazista, costruito su modello dell’altare di Pergamo, in una spettrale costruzione di ghiaccio 68. La grande opera di fondazione passava attraverso la disponibilità di un principio creatore strettamente legato alla guerra contro gli avvelenatori del sangue. Come sostenne Heidegger in un ciclo di conferenze iniziato due mesi dopo:

C. Rossetti, “Lo Stato-teatro. Il  rituale politico del nazionalsocialismo”, Intersezioni, XX, 2, 2000, pp. 229-60; É. Conte, C. Essner, Culti di sangue, cit. 68 

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Giuramento dei cadetti delle SS in adozione dal 9 novembre 1935.

Il principio generatore (ciò che produce lo schiudersi) ma (altresì) la predominante custodia fa apparire gli uni come dèi, gli altri come uomini, fa essere gli uni schiavi, gli altri liberi. Ciò che viene qui denominato πόλεμος è un conflitto che emerge prima di ogni cosa divina e umana. Non si tratta di una guerra di tipo umano 69.

Per questa guerra di tipo non umano, ricca di potenzialità creatrici, si stava giusto allora preparando una schiera di combattenti adeguatamente addestrata. Il 9 novembre 1935 fu istituito il nuovo cerimoniale del giuramento delle SS che riprendeva quello adottato l’anno prima dalla Wehrmacht. Il milite alzava la mano destra con le prime tre dita rivolte in alto ad imitazione del gesto in uso nella tradizione cristiana per indicare la Trinità. Il gesto delle 69 

M. Heidegger, Introduzione alla metafisica, Mursia, Milano, 2010, p. 72.

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SS non alludeva però a quel tipo di trinità, bensì molto più probabilmente a quella triade ariana che gli ariosofi avevano concepito come ciclo cosmico di nascita-morte-resurrezione racchiuso nell’atto creatore di cui la svastica costituiva, ai loro occhi, il simbolo vivente. Entrare a far parte delle SS implicava necessariamente consacrarsi a quell’atto creatore: una disposizione alla morte capace di ristabilire l’immacolato ciclo del sangue interrotto dagli ebrei; una decisione per la morte capace di attingere alle fonti originarie dell’Essere.

14. I fondatori di un nuovo inizio Quando i nazisti conquistarono il potere nel gennaio 1933 le SS erano giunte ad avere cinquantamila effettivi. Gli ambiti di intervento che adesso si aprivano richiedevano però una nuova selezione, che Himmler concepì ancora una volta in termini botanici: «Come un giardiniere, che in un vivaio cerchi di riprodurre una buona, vecchia specie, adulterata e degradata, noi siamo partiti dai principi di selezione delle piante e abbiamo proceduto, senza remore, a tagliare gli uomini che ritenevamo di non poter utilizzare per potenziare le SS» 70. A partire dal 1933 la fisionomia delle SS cambiò radicalmente con l’afflusso di una nuova leva di giovani nati nel Novecento che non avevano fatto la guerra, e che erano quasi tutti laureati, per lo più in legge, seguiti da economisti e ufficiali dell’esercito; i primi e gli ultimi cresciuti nel movimento giovanile e maggiormente ideologizzati rispetto ai secondi, ma tutti animati da grandi ambizioni di carriera. Queste nuove leve, socialmente sradicate e lontane dal socialismo di trincea e dal nazionalismo piccolo borghese, costituirono il modello del freddo tecnocrate che trovò una perfetta coniugazione con gli ambiziosi obiettivi e la meticolosa organizzazione portata avanti da Himmler. L’organizzazione delle SS veniva così improntata secondo criteri di efficienza tecnocratici, e

70 

R. Rhodes, Gli specialisti della morte, cit., p. 94.

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tuttavia manteneva al suo fondo un aspetto irrazionale che rinviava a principi, concezioni, e credenze assolutamente antimoderne. Himmler strutturò le SS come un ordine secondo i principi di sangue e suolo. Gli aspiranti dovevano presentare un albero genealogico che attestasse le origini nordiche, che per i graduati si spingeva fino al 1800, e per i Führer fino al 1750. Il RuSHA diretto da Darré elaborò i criteri per l’arruolamento dei candidati ed effettuò la conseguente selezione valutando l’aspetto somatico, le condizioni fisiche e il comportamento, basandosi sulla classificazione dei gruppi razziali di Günther: il gruppo nordico puro, quello prevalentemente nordico, quello composto dagli individui formati dalla fusione dei primi due, il gruppo con prevalenza di caratteri di origine alpina, e il gruppo dei misti di provenienza extraeuropea. Nella SS entravano solo i candidati compresi nei primi tre gruppi, ma Himmler auspicava «che nel giro d’un paio d’anni i posti di responsabilità nello stato avrebbero potuto ricoprirli soltanto uomini biondi, e nel giro di 120 anni al massimo il popolo tedesco sarebbe ritornato al tipico aspetto germaniconordico di sangue puro» 71. Himmler scelse come modello organizzativo la Compagnia di Gesù, e per la costruzione dell’apparato mitologico rituale si servì della consulenza di Karl Maria Wiligut, un ex colonnello in pensione dell’esercito austro ungarico, con un curriculum quanto mai bizzarro. Terminata la guerra, Wiligut aveva avviato un’attività di faccendiere per la Cassa di risparmio di Hallein rendendosi responsabile dell’ammanco di 235 milioni di corone. Prima di essere chiamato in giudizio, la moglie che da anni ne subiva le violenze, lo denunciò, e Wiligut venne arrestato e interdetto. Il tribunale di Salisburgo lo riconobbe affetto da “psicosi parafrenica” e ne stabilì il ricovero in ospedale psichiatrico. Qui Wiligut trascorse tre anni dal novembre 1924 fino al gennaio del 1927 rivendicando di essere l’ultimo degli atlantidi della stirpe di Thor, il maestro di Chamberlain, l’ideatore dei Freikorps, e di aver tenuto un comizio davanti a ventimila contadini nel paese natale di Hitler. Appena dimesso dall’ospedale, Wiligut, che era stato seguace di List e Liebenfels, riprese i contatti con il Neuer Templer-Orden, e nell’autunno del 1932 entrò clandestinamente in Germania con il supporto del “fratello” dello NTO Friedrich Schiller e di sua moglie Emma Schiller-Dellbruck, all’epoca impiegata nel RuSHA.

71 

H. Höhne, L’ordine nero, cit., p. 126

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Wiligut fu riconosciuto come “maestro spirituale” da vari circoli, tra cui la Società dell’Edda, la principale setta erede del Germanenorden; e a lui si rivolsero decine di occultisti e strampalati ricercatori, come ad esempio: Herman Wirth, che tra il 1935 e il 1937 diresse il centro di ricerca Ahnenerbe delle SS, e che lo consultò per avere lumi sul “regno di Uralinda”; o come Werner von Bulow e Ernst Rudiger della Società dell’Edda, che si recarono a Goslar in cerca del “Krist germanico” dopo che il “Maestro” ebbe visualizzato quella cittadina come la “Gerusalemme nordica” primordiale. Himmler conobbe Wiligut nel 1933 tramite il “fratello” dello NTO Richard Anders, e rimase affascinato dai suoi ‘poteri medianici’ con i quali faceva riemergere l’antico passato germanico. Nel settembre dello stesso anno entrò nelle SS, e Himmler gli affidò la direzione del Dipartimento di preistoria e protostoria del RuSHA con sede a Monaco. Qui Wiligut, che assunse lo pseudonimo di Weisthor (il sapiente Thor), svolse numerose ricerche, ma soprattutto elaborò l’apparato mitologico rituale delle SS: dai rituali del battesimo, del matrimonio e del funerale, comprensivi delle relative iscrizioni runiche, fino all’anello con il teschio per i comandanti delle SS, e alla spada per gli Obergruppenfürhrer-SS, nonché un decalogo con “i comandamenti di Got”, e diversi manuali di esercizi spirituali. Le visioni di Wiligut erano prese per buone sia da Darré che da Himmler. Il primo fece di Goslar la sede del Consiglio contadino del Reich con l’intenzione di trasformarla nel “centro della rinascita contadina germanica”; mentre il secondo decise di fare del castello di Wewelsburg la sede della Hohe Schule (alta scuola) dei Führer-SS dopo che l’ariosofo gli ebbe vaticinato il suo ruolo difensivo in una futura battaglia contro le orde dell’Est. Nella primavera del 1934 Wiligut, alias Weisthor, ricevette il grado di Standartenführer-SS, e a giugno iniziò a collaborare come consulente alla ristrutturazione del castello assieme all’architetto Hermann Bartels e alla sorella di Darré, il cui marito, Manfred von Knobelsdorff, era stato nominato da Himmler direttore della fortezza. I lavori di ristrutturazione, finanziati da Darré, furono realizzati dai prigionieri di un campo di concentramento appositamente costruito a Niederhagen. Il castello di Wewelsburg costituisce una rappresentazione materiale della Weltanschauung e dell’universo mentale nazista. Himmler vide nella sua forma triangolare, e nella sua posizione al termine di uno sperone di roccia rettilineo, la riproduzione su grande scala della punta della lancia di Longino/Parsifal, e fece costruire alla sua sommità, ovvero laddove nel suo immaginario la lancia affondava nel costato di Cristo bagnandosi del suo

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Pianta dell’area del castello di Wewelsburg con indicate le aree di intervento che mostrano in maniera evidente la forma di un lancia.

sangue, una torre circolare con all’interno una grande sala. Qui i dodici Obergruppenführer delle SS si sarebbero riuniti per praticare esercizi di addestramento spirituale attorno a una “ruota solare” incastonata nel pavimento, denominata Schwarze Sonne (Sole Nero). Al piano sottostante, in corrispondenza della sala, Himmler fece ricavare nella roccia una cripta concepita come l’occulto «centro del mondo» dando disposizione di esservi seppellito alla sua morte. I sinistri richiami al sacrificio presenti nell’architettura del castello trovarono fin da subito una corrispondenza nella realtà dato che circa milleduecento prigionieri impiegati nei lavori di ristrutturazione vi persero la vita. L’applicazione di quella simbolica omicida si sarebbe estesa ben oltre le colline della Vestfalia 72. Nel dicembre del 1935, tre mesi dopo la promulgazione delle leggi razziali, Heydrich scrisse in Wandlungen unseres Kampfes (Trasformazioni della nostra lotta), che la battaglia aveva preso il giusto indirizzo. Nel corso dei sei mesi successivi Himmler riorganizzò le forze di polizia in due settori: la Sicherheitspolizei (Si.Po.) e la Ordungspolizei (Or.Po.), portando uomini del partito nella polizia, e viceversa funzionari di quest’ultima nelle SS. Nello stesso tempo attirò nella propria orbita coloro che si dimostrarono più determinati ad intraprendere la guerra razziale: dal N. Goodrick-Clarke, Le radici occulte del nazismo, cit., pp. 255-74; C. Hale, La crociata di Himmler, cit., pp. 93-109. Sui rituali delle SS, cfr. É. Conte, C. Essner, Culti di sangue, cit., pp. 145-54. 72 

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L’ariosofo Karl Maria Wiligut (primo a sinistra) accanto a Heinrich Himmler nel castello di Wewelsburg.

gruppo della polizia criminale di Berlino guidato da Arthur Nebe, a quello della polizia criminale di Monaco guidato da Heinrich Müller e Reinhard Flesch. Heydrich intanto era stato nominato capo della Si.Po, e avviò una parallela riorganizzazione dello SD, elevato da Hitler a servizio segreto del Reich, facendovi affluire giovani e preparati funzionari di polizia con grandi ambizioni di carriera, come Otto Ohlendorf, Franz Six, e Walter Schellenberg. Il processo di selezione così avviato dall’alto, ma assecondando le spinte dal basso, condusse nel giro di un paio di anni a definire la catena di comando che avrebbe gestito le prime operazioni di sterminio in Polonia, e poi quelle più ampie in Unione Sovietica. Nel giugno del 1936, terminata la ristrutturazione dell’apparato poliziesco, Heydrich pubblicò su Deutsches Recht un articolo dal titolo «Die Bekämpfung der Staatsfeinde» (La lotta contro i nemici dello stato) in cui sosteneva che la fusione tra SS e polizia inaugurava una cesura storica che segnava la fine del liberalismo, e la trasformazione dello stato in uno strumento della comunità popolare secondo gli obiettivi del Mein Kampf. Adesso poteva finalmente iniziare la lotta contro il nemico principale: «Costui è sempre lo stesso, eternamente uguale a se stesso. È l’avversario della sostanza razziale, nazionale e spirituale del nostro popolo». La polizia rivoluzionata secondo gli ideali nazionalsocialisti poteva finalmente divenire una comunità di lotta: «Gli uomini della polizia di stato devono quindi avere tutti il medesimo atteggiamento spirituale. Devono sviluppare la consapevolezza

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di essere un corpo fatto per combattere» 73. Con l’affidamento allo SD della preparazione ideologica e dell’addestramento delle forze di polizia si realizzò una ulteriore tappa verso l’avvio della missione fondativa del nuovo Reich di sangue e suolo. Himmler illustrò i futuri compiti della polizia a un convegno dell’Accademia per il diritto tedesco con questi termini: Noi nazionalsocialisti – sembrerà strano che vi dica questo qui, davanti all’Accademia per il diritto tedesco, ma voi comprenderete –, noi ci siamo messi al lavoro, non senza rispettare il diritto, perché noi lo portiamo in noi, ma senza rispettare le leggi. Ho deciso subito che se un paragrafo della legge si metteva di traverso alla nostra strada, non ne avrei tenuto alcun conto e che per adempiere il mio compito al servizio del Führer e del popolo, avrei fatto ciò che la mia coscienza e il buon senso popolare mi dettavano. C’erano persone che in questi mesi e in questi anni in cui in gioco era la vita o la morte del popolo tedesco, si lamentavano della “violazione delle leggi”: ciò mi era totalmente indifferente. All’estero […] si parlava naturalmente di uno stato di non diritto. Parlavano di non diritto, perché ciò che facevamo non corrispondeva a ciò che essi intendevano per diritto. Ma in verità, tramite il nostro lavoro, noi ponevamo le fondamenta di un nuovo diritto, il diritto alla vita del popolo tedesco, altrimenti detto il diritto più elementare più antico, dimenticato da secoli […]. Noi ci limitiamo semplicemente a rimettere in vigore il più antico diritto del nostro popolo: ecco ciò che fa la polizia 74.

Si era ormai messo in moto un meccanismo che, pur senza un vero piano, anzi forse proprio in virtù della sua assenza, conduceva a scelte sempre più radicali. A fare da guida era uno smisurato desiderio di potere incarnato nel progetto di una Volksgemeinschaft che assumeva dimensioni sempre più sinistre. Quella visione si era molto evoluta da quella delle leghe e delle sette razziste di inizio secolo. Tra il 1937 e il 1939 il regime recise gli ultimi legami con gli ariosofi, mise al bando le sette neopagane, ed emarginò i loro esponenti. Le SS disponevano adesso di dipartimenti di ricerca sulla protostoria e la runologia dotati dei migliori esperti provenienti dalle università che non sapevano che farsene dei visionari völkisch. Lo stesso Wiligut perse il suo incarico presso il RuSHA, nonostante avesse intanto acquisito il grado di Brigadeführer-SS, e fu costretto a una sorta di esilio. Darré, con 73  74 

É. Husson, Heydrich e la soluzione finale, cit., pp. 28-29. P. Longerich, Heinrich Himmler, cit., p. 205.

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la sua politica di ruralizzazione che prefigurava un ritorno alla Germania preindustriale, veniva intanto in conflitto con molti ministri del Reich, e nel settembre del 1938 dopo aver espresso il suo dissenso a Himmler rispetto ai piani per l’Est, dovette dimettersi dalla dirigenza del RuSHA. Alla vigilia dell’invasione della Polonia, ai vertici delle SS operava ormai una generazione di giovani e preparati tecnocrati desiderosi di contribuire alla creazione di un Nuovo Ordine Europeo. Quell’ordine andava realizzato secondo i principi di Blut und Boden, ma questi non erano più espressi con il linguaggio dell’occultismo völkisch, bensì con un dettato che faceva uso di ben altre risorse intellettuali. Tale dettato segnava anche il nuovo corso che quella missione fondativa andava assumendo: aprire un nuovo spazio in terre lontane tramite il ricorso a una violenza che, per alcuni iniziati, coincideva con la disposizione di un oscuro principio creatore. Un grande errare dovrà sopraggiungere per creare ancora spazio contro la piattezza e l’assenza di spazio. Coloro che errano, che si lasciano alle spalle, a uguale distanza, tutte le esattezze e le inesattezze, sono i soli capaci di misurare il gioco di spazio e di tempo dell’Essere con quella passione e continuità e risolutezza che sono necessarie affinché l’Essere diventi affatto la radura nella quale, aperto, esso si nega e così, tramite questo urto del ritrarsi, colpisce i creatori là dove per essi si dischiude l’ente in quanto custodia dell’Essere.

Coloro che errano sono i «frantumatori dell’ente», dalla cui essenza scaturisce l’essenza della lotta; a essi è affidato il compito di subire l’urto dell’Essere, e di lasciar vibrare il suo tremore attraverso l’ente affinché «nella nobiltà dell’appartenenza-appropriazione all’evento», la storia si ricongiunga al suo inizio. Essi sono i fondatori che, sottomessi alla morte, si pongono oltre l’umano. I fondatori. – Essi devono essere persino superiori agli dei; perché a costoro e alla loro infaticabile buona riuscita l’abisso (l’Essere) resta negato. Solo quelli che lo conoscono, che ne hanno insistentemente conoscenza, sono in grado di essere fondatori e lo sono anche solo fintantoché si mantengono in una simile posizione di superiorità rispetto agli dei […]; soltanto per loro il tramonto è conservato 75. M. Heidegger, Quaderni neri 1938/1939 (Riflessioni VII-XI), a cura di P. Trawny, Bompiani, 2016, pp. 46-47, 76. 75 

PARTE SECONDA

IL SUOLO

«I nazionalsocialisti sognano di conquistare il mondo un giorno. Sono assolutamente favorevole… ma sono convinto che dobbiamo farlo per tappe. Al momento non avremmo i numeri per popolare neppure un’altra provincia, una zona o un paese grande metà della Germania. Dovrebbe essere ovvio che non possiamo semplicemente rilevare una popolazione, che se dobbiamo prendere il controllo di una provincia che non sia etnicamente tedesca, allora dovremmo eliminare sino all’ultima nonna e all’ultimo bambino e senza misercordia alcuna. Spero che non ci siano dubbi al riguardo. Spero anche che non ci siano dubbi sul fatto che avremmo bisogno di una popolazione di alta qualità razziale, allo scopo di essere in grado di insediarla e di nutrirla, così che possiamo iniziare a circondare la Germania di cento milioni di contadini tedeschi. Questo ci metterà allora in grado di avviarci ancora una volta verso il dominio del mondo, e organizzare sul serio la Terra in base ai principi ariani» Heinrich Himmler, 18 febbraio 1937

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1. Ostraum. Presupposti di un impero coloniale a Est Con la rapida vittoria bellica sulla Polonia, il regime nazista si trovava, nella seconda metà del 1939, padrone di un ampio territorio e di oltre venti milioni di persone. Sull’impiego di questo vasto bottino di guerra, tuttavia, non esistevano direttive precise. Tutto ciò che i nazisti avevano a disposizione, erano una serie di linee generali abbozzate da Hitler nel Mein Kampf: un forte impero centrale di tutti i tedeschi, riuniti in un’unica comunità razziale grazie alla comunanza del sangue; una sottomissione delle potenze occidentali (Francia in primo luogo) deprivate della loro forza militare; la costituzione di uno spazio vitale a Est. L’Est, come territorio che una volta era stato sottoposto al dominio dei popoli di stirpe germanica, costituiva il futuro serbatoio della grandezza tedesca, la vasta zona nella quale i tedeschi, ormai troppi per la loro patria, si sarebbero riversati come un tempo, colonizzando e portando civiltà. Queste vaghe linee però potevano nella migliore delle ipotesi essere considerate un programma politico di massima; altra cosa era l’attuazione pratica di quel programma, che si scontrava con mille difficoltà, non ultimo il fatto che la conquistata Polonia costituiva un mosaico di gruppi etnici; oltre ai polacchi e agli ebrei, che costituivano comunque una forte componente degli abitanti della Polonia, vi erano anche rappresentanti di etnie minori, come i Kashubi, i Gorali, i Bielorussi nonché una minoranza ucraina non trascurabile. Per trattare questo mosaico, il regime aveva come propria risorsa la filosofia legislativa messa in pratica nel Reich a partire dalla presa del potere nel 1933; ossia il fatto che, stante la disuguaglianza razziale esistente tra persone di discendenza diversa, il principio dell’uguaglianza di fronte alla legge doveva essere abbandonato. Persone di lignaggio e di sangue tedesco non potevano né dovevano essere equiparate a persone di discendenza aliena; i non-tedeschi non potevano essere ricondotti a una legge

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comune con gli appartenenti alla comunità tedesca, ma dovevano essere sottoposti a una legge speciale 1. L’applicazione del principio della disuguaglianza razziale, e la sottoposizione di tutti i soggetti ritenuti a vario titolo non tedeschi a una legge diversa da quella in vigore per i cittadini della comunità razziale, comportava in primo luogo l’annullamento dei diritti di tali soggetti dal punto di vista della legge tedesca. Era il percorso che aveva riguardato in primo luogo gli ebrei del Reich, che l’implemento della legislazione aveva via via privato non solo dei diritti, ma anche di buona parte delle basi dell’esistenza materiale. Questo percorso non si era ancora del tutto concluso nel 1939, ma indicava con chiarezza la direzione che avrebbe portato il regime nazista a imboccare senza ripensamenti la strada del genocidio; e indicava ancora una possibile bussola nel trattamento delle persone residenti nello stato polacco, che ora si trovavano improvvisamente e in circostanze drammatiche nelle mani dei nazisti. In realtà, nelle alte sfere del regime non vi era la tendenza a considerare quella slava una razza a sé stante, come invece erano ritenuti gli ebrei. Come aveva chiarito Heinrich Himmler in un opuscolo del 1937 (ma originato da un discorso tenuto a Goslar nel novembre 1935 e che attinge con abbondanza alle pagine di Dietrich Eckart) intitolato Le SS quali organizzazione di lotta antibolscevica, vi è un conflitto che risale a tempi molto antichi tra ebrei e popolazioni ariane, nel quale gli ebrei si sono spesso appoggiati a popolazioni inferiori quale proprio strumento di guerra. Tale lotta, che Himmler riteneva un fatto naturale, iscritta nella natura razziale in modo ineliminabile, così come il bacillo combatte per istinto naturale contro un corpo sano, si esprime in primo luogo con l’indebolimento e la dissoluzione dei caratteri razziali ariani. In questo senso, le stirpi inferiori sono uno strumento nelle mani del complotto ebraico, che se ne serve per decomporre l’unità degli ariani e solverne la fibra razziale indebolendola. La pericolosità degli ebrei, osservava Himmler, sta in questo complotto contro tutti i popoli; per i popoli di livello più basso, come appunto gli slavi, essi non costituiscono un pericolo in sé e per sé, eccezion fatta per la tendenza a lasciarsi dominare e a costituire una potenziale fonte di 1  Per un primo orientamento sul trattamento della popolazione polacca durante l’occupazione, indispensabile E. Collotti, “La politica di occupazione nell’Europa centro-orientale: lo statuto dei polacchi”, in Id., L’Europa nazista. Il progetto di un nuovo ordine europeo (19391945), Giunti, Firenze, 2002, pp. 113-87.

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inquinamento razziale. Nelle mani degli ebrei, che mirano a dominare queste popolazioni e a servirsene come arma biologica, queste stirpi rappresentano una minaccia; nelle mani degli ariani, e con le opportune misure di segregazione, esse possono costituire una potenziale riserva di forza-lavoro a disposizione della creatività di cui è dotata la razza ariana. Nel discorso della fine del 1935 e poi nell’opuscolo del 1937, Himmler dava voce a parecchie delle idee che avrebbero poi dato corpo al tentativo nazista di costruire un impero a Est; l’identificazione tra ebraismo e bolscevismo, come dominazione di popolazioni inferiori volte contro le etnie ariane allo scopo di cancellare queste ultime; la necessità di imporre severe misure di segregazione e isolamento nei confronti delle potenziali minacce biologiche contro il popolo tedesco; l’identificazione degli slavi come persone di minor valore razziale da utilizzare come lavoro ridotto in schiavitù. Himmler non era certo l’unico rappresentante delle idee che circolavano nella leadership nazista; ma non c’è dubbio che molte delle idee che poi vennero a sostanziare e a dare corpo all’implementazione di un impero coloniale a Est datassero ben prima dell’inizio della seconda guerra mondiale. Le prime decisioni di Hitler a proposito della Polonia annunciarono la direzione verso cui si doveva andare; nel suo discorso al Reichstag del 6 ottobre 1939, il Führer annunciò la dissoluzione dello stato polacco. Ciò lasciava i suoi abitanti in uno stato ibrido; essi non erano cittadini di nessuno stato, né dunque difesi da alcuna delle convenzioni internazionali che riguardavano cittadini e soldati delle nazioni occupate da potenze nemiche. La perpetuazione di questa strana zona grigia del diritto continuò con la sistemazione del territorio operata dal regime nazista; parte dei territori polacchi, la regione di Posen, Danzica, la Gdynia e la Prussia Orientale vennero direttamente annessi dal Reich e diventarono Gaue sotto la formale autorità di dirigenti del partito nazista in qualità di capi regionali (Gauleiter) e governatori del Reich (Reichsstatthalter), ben oltre i vecchi confini tedesco-polacchi del 1914. Ciò corrispondeva al programma del Mein Kampf di ricostituire il territorio un tempo abitato da popolazione di sangue tedesco e poi mutilato dal Trattato di Versailles, anche se le annessioni furono più abbondanti. Queste regioni vennero dunque incorporate nel Reich, quella di Posen sotto il nome di Warthegau. Il resto della Polonia costituì il cosiddetto Governatorato Generale affidato a Hans Frank, l’ex avvocato di Hitler, che restò in una situazione di sospensione; non fu mai formalmente considerato un territorio del Reich,

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e tuttavia innegabilmente si trovava in una condizione di sottomissione alla Germania nazista. In questo senso, rispetto ai nuovi Gaue costituiti e di solito chiamati, nella fraseologia nazista, i “territori annessi a Est”, il Governatorato Generale era più simile a una colonia, pur non attingendo mai a uno status coloniale. Si trattava di una formazione ibrida, un territorio che doveva essere considerato, come chiarì Hitler, la piattaforma per l’attacco all’Unione Sovietica e uno spazio a totale disposizione della Germania e del suo sforzo bellico, principalmente come riserva di forzalavoro. Hitler non aveva nessun interesse per la definizione di uno status costituzionale per il Governatorato Generale; si trattava di un territorio che era lì per esserne disposto per quanto occorresse e basta. Quale doveva essere dunque il destino che attendeva i non-cittadini dello scomparso stato polacco? A decidere di questo destino, oltre alle direttive generali del Führer, concorrevano le decisioni di molte autorità che, nel consueto caos amministrativo nazista, erano spesso in lotta tra loro. Vi erano in primo luogo i Gauleiter dei territori annessi a Est, autorità del partito, che ritenevano comunemente i territori che amministravano come propri feudi personali, e che erano di solito pochissimo inclini a prendere direttive o anche solo a collaborare con altre autorità. Vi era naturalmente il Ministero degli Interni, formalmente competente per tutte le questioni riguardanti la cittadinanza; il Ministero della Giustizia per quanto riguarda gli adempimenti giuridici e la legislazione civile e penale; e il governatore generale Hans Frank. Nella proliferazione delle autorità, ognuna delle quali lottava per espandere le proprie competenze ai danni altrui, si aggiunse, il 7 ottobre 1939, un giocatore assai temibile e tale da non poter essere ignorato. Nel discorso del 6 ottobre 1939, Hitler aveva annunciato la volontà di riorganizzare le relazioni etniche in Europa attuando trasferimenti di popolazione. Si trattava dell’attuazione delle vecchie idee del Mein Kampf; la costruzione di una zona corrispondente più o meno alla Mitteleuropa saldamente in mano a popolazione di sangue tedesco e la costituzione di uno spazio vitale a Est. Anche l’idea di un trasferimento delle popolazioni non era un’idea nuova; provvedimenti del genere erano già stati adottati durante la prima guerra mondiale, così come l’idea di colonizzare territori a Est era stata accarezzata dal comando tedesco durante la Grande Guerra. Ripercorrere la vecchia fraseologia pangermanica e coloniale, tuttavia, velava appena la novità e la radicalità delle intenzioni del Führer, come fu chiaro fin da subito, quando a interpretare

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quelle intenzioni fu chiamato Heinrich Himmler, nominato, con il decreto del 7 ottobre 1939, Commissario del Reich per il Rafforzamento del Popolo  Tedesco (RKFDV). Himmler, che già assommava la carica di capo delle SS e di tutte le polizie, titolare di un servizio segreto proprio (il Sicherheitsdienst, o SD, affidato a Heydrich), veniva quindi ad assumere una nuova e importante posizione di potere. Si trattava dell’uomo scelto da Hitler per l’attuazione di quei trasferimenti di popolazione ventilati dal Führer nel discorso al Reichstag del 6 ottobre; allo scopo di attuare quell’impero centrale delle popolazioni di sangue tedesco, occorreva che tutte le popolazioni di lignaggio tedesco della diaspora, che in seguito alle vicissitudini storiche e alle conseguenze del trattato di Versailles si erano trovate tagliate fuori dal corpo centrale del popolo tedesco in regioni come la Volhynia, i Paesi Baltici, la Galizia, fossero ora riunificate alla madrepatria e riportate nel Reich opportunamente ampliato grazie ai territori annessi a Est, e quindi in grado di accogliere i tedeschi perduti, i “tedesco-etnici” (Volksdeutsche). Una circolare del 29 marzo 1939 del Ministero dell’Interno definiva i tedesco-etnici come «persone che si riconoscevano appartenenti al popolo tedesco», purché tale riconoscimento fosse supportato da fatti come uso della lingua tedesca, familiarità con la cultura tedesca, ecc. Di converso, le popolazioni di sangue non-tedesco non potevano mai essere riconosciute come parte della comunità germanica; esse dovevano essere deportate dai nuovi territori del Reich per far posto all’arrivo dei tedesco-etnici, in particolare quelli provenienti da quelle regioni che, secondo il protocollo segreto al patto Molotov-Ribbentrop, dovevano entrare dopo la spartizione della Polonia nella zona di influenza sovietica, come i Paesi Baltici. Il luogo di deportazione scelto da Himmler era il Governatorato Generale, sorta di discarica biologica nel quale far rifluire dal Reich tutti coloro che erano razzialmente indesiderabili. Il decreto del 7 ottobre 1939 autorizzava il Commissario del Reich per il Rafforzamento del Popolo Tedesco a riportare definitivamente nel Reich tutti i Volksdeutsche residenti nei paesi stranieri; ad eliminare l’influenza nociva degli individui “alieni” (ossia non-tedeschi) che potessero rappresentare una minaccia per il Reich; e infine a promuovere la formazione di nuovi stanziamenti tedeschi nei territori annessi tramite il cosiddetto “insediamento” (Ansiedlung). Per lo svolgimento di un tale incarico, il Commissario era autorizzato a intraprendere tutte le misure che riteneva necessarie. Questo era il compito affidato a Himmler dal Führer, ciò che nella terminologia nazista costituiva

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la “politica delle popolazioni”, la Volkstumspolitik. Himmler era l’uomo che avrebbe guidato la Volkstumspolitik nazista. L’esecuzione di questo incarico comportava tuttavia due ordini di problemi. In primo luogo, occorreva riempire il Commissariato affidato a Himmler di strutture che permettessero di eseguire il compito. In secondo luogo, occorrevano chiare direttive e criteri per stabilire chi fosse di sangue tedesco e dunque meritevole di essere riportato nei territori del Reich; e, di conseguenza occorreva anche un criterio chiaro per stabilire chi non fosse di sangue tedesco e dunque meritevole di deportazione fuori dai confini del Reich. Trovare criteri univoci in un territorio come la Polonia, dove minoranze etniche convivevano da generazioni, e dove gli incroci genetici si erano moltiplicati senza remissione, sembrava, dal punto di vista nazista, un compito estremamente arduo. Himmler applicò a entrambi i compiti il suo talento organizzativo. L’organizzazione del Commissariato si sostanziò nella creazione di strutture burocratiche nuove e nel riadattamento di alcune esistenti. Tra le strutture nuove, Himmler previde la creazione di un apposito quartier generale di staff (Stabshauptamt), che fosse il centro di coordinamento dei vari uffici ma che avesse anche il compito specifico di insediare i tedesco-etnici giunti nel Warthegau e negli altri territori annessi a Est. Almeno, secondo l’interrogatorio di Konrad Meyer a Norimberga condotto il 26 giugno 1947 dall’investigatore alleato Fred Rodell (Meyer ricoprirà un ruolo di primo piano in questa storia), tali erano i compiti dello Stabshauptamt, la cui direzione fu affidata da Himmler a Ulrich Greifelt, un uomo delle SS. Greifelt fu poi tra gli imputati a Norimberga durante il processo detto “del RuSHA”, ossia dell’Ufficio Centrale per la Razza e l’Insediamento (Rasse und Siedlungshauptamt). Il RuSHA era uno degli uffici già esistenti per il quale Himmler previde una nuova funzione. Originariamente, questa struttura si occupava di accertare le origini razziali dei candidati SS, per stabilire se coloro che presentavano domanda di iscrizione alle SS incontrassero i requisiti genetici necessari per entrare a far parte di quella che Himmler voleva l’“aristocrazia razziale”. A causa di questo compito, questa modesta struttura della SS si era accreditata di una expertise razziale. In quanto (presunti) esperti accertatori delle caratteristiche razziali degli individui, i membri del RuSHA erano i periti di cui Himmler aveva bisogno per le ispezioni sull’appartenenza (o non-appartenenza) al sangue germanico delle persone da reinsediare nel Reich o da espellere. In realtà, il RuSHA aveva anche un altro

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compito, come indicava chiaramente il titolo dell’ufficio: si occupava anche di insediamenti. Nell’ideologia razziale appresa da Darré, Himmler, che in fondo era un agronomo, si era convinto che l’appartenenza all’aristocrazia razziale andasse di pari passo con l’appartenenza alla terra e la coltivazione del suolo. Il contatto con il suolo, l’appartenenza alla terra segnava la parte migliore del sangue tedesco, così come espressa dal motto Blut und Boden, di contro alla popolazione urbana, molle e decadente, già marchiata dalla degenerazione. Grazie all’influenza delle teorie razziali di Darré, Himmler era giunto a desiderare che le SS fossero una sorta di ordine di contadini guerrieri, che traevano la loro forza dalla vicinanza con quel suolo che manteneva mistici legami con la continuità del sangue. Ovviamente ciò non esauriva la totalità delle convinzioni di Himmler riguardo alle SS, che furono assai più esaustive e complesse. Eppure, l’istituzione di un ufficio come il RuSHA, destinato a occuparsi dell’insediamento dei membri delle SS, ossia di provvedere fattorie nelle quali questi membri, assieme alle loro famiglie, potessero vivere e ritrovare la continuità del Blut und Boden, acquisendo al contempo qualità marziali, dice qualcosa sulla forza che queste suggestioni giocarono sulla mente di Himmler. Del resto, il primo capo del RuSHA fu proprio Walther Darré, poi caduto in disgrazia presso Himmler nel 1938, e rimpiazzato tra il 1940 e il 1943 da Otto Hofmann, Obergruppenführer delle SS. Anche Hofmann fu tra gli imputati di Norimberga. È appena il caso di sottolineare come gran parte dei beni con i quali l’Ufficio Siedlung del RuSHA si sforzava di provvedere alle famiglie SS provenissero dal saccheggio dei beni appartenenti agli ebrei viennesi e praghesi. L’ex-capo dell’ufficio Siedlung, von Gottberg, diventato capo del Bodenamt (l’Ufficio delle Registrazioni Terriere) a Praga, che doveva espellere ebrei e cechi dalle fattorie per sostituirli con famiglie SS, compì un tale efferato saccheggio nel 1938 (ma non senza l’ausilio del Ministero degli Interni del Reich), che Himmler stesso fu costretto a sospenderlo e a inviare alcuni dei suoi uomini in campo di concentramento. Dunque fin dall’inizio, nell’ideologia razziale di Himmler, insediamento e affermazione della razza ariana facevano un tutt’uno. Vi era qualcosa, in questa mentalità intrisa del concetto di un legame mistico tra il sangue e il suolo, che rendeva l’idea di colonizzazione un orizzonte invalicabile, un proposito inevitabile. Il passaggio del RuSHA da semplice ufficio che si occupava di controllare l’albero genealogico degli aspiranti SS e che trovava loro sistemazioni in fattorie rubate agli ebrei o agli

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slavi, a ufficio centrale di attuazione della Volkstumspolitik all’interno del Commissariato di Himmler, segna non soltanto un’ascesa burocratica, ma anche lo svolgimento di un programma che, nato da piccoli inizi, trovava via via motivi che lo alimentavano e lo spingevano in direzioni inizialmente forse neppure previste. Tuttavia, se nel RuSHA Himmler aveva trovato gli esperti razziali necessari al suo programma di reinsediamento, occorrevano ancora altri strumenti perché quel programma diventasse pienamente operativo. Ulteriore anello della catena che Himmler stava forgiando nel suo Commissariato, fu un terzo ufficio, la VolksdeutscheMittelstelle (o VO-MI), che in origine non era neppure un ufficio delle SS, bensì del partito nazista. Si trattava di un ufficio fondato nel 1937, che doveva occuparsi delle necessità delle popolazioni di etnia tedesca che, dopo la conclusione del trattato di Versailles, erano rimaste separate dal corpo del popolo tedesco. Con le vittorie conseguite nella Blitzkrieg, tuttavia, l’obiettivo di una riunificazione dei popoli germanici divisi si avvicinava, e l’ufficio poteva venir adibito a nuove funzioni. Himmler lo rese suo infiltrandolo con membri delle SS, fino a che non riuscì a controllarlo pienamente. Il VO-MI, guidato dall’Obergruppenführer delle SS Werner Lorenz (imputato a Norimberga assieme a Greifelt e a Hofmann) era organizzato in nove uffici; nell’Ufficio I, Direzione Generale, militarono soltanto membri delle SS. Il nuovo scopo del VO-MI era occuparsi del reinsediamento dei tedesco-etnici provenienti dai Paesi Baltici, dalla Volhynia, dalla Bessarabia, ecc. o insediandoli in fattorie un tempo possedute da ebrei o polacchi espulsi nel Governatorato Generale, oppure ospitandoli in campi di raccolta in attesa che il reinsediamento diventasse possibile. Nel frattempo, per il personale tedesco-etnico ospitato nei campi, il VO-MI aveva anche compiti di educazione ideologica; in fondo si trattava di persone che, benché tedesche, erano vissute divise dal resto della comunità germanica e che potevano essere state corrotte ideologicamente. Un periodo di rieducazione ideologica non era dunque fuori luogo. Tuttavia, il VO-MI non fu l’unico agente di controllo dei campi in cui veniva raccolto il personale da reinsediare; nell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich (RSHA) fu costituito un apposito dipartimento, l’Ufficio III, detto Inland (Interni), incaricato di processare le persone da reinsediare affidandole al Centro per l’Immigrazione (Einwandererzentralstelle, o EWZ) che era stato costituito dapprima in Gdynia, poi nel dicembre 1939 a Posen e infine, con l’aumento delle persone da reinsediare, con un terzo centro a Lodz. Anche Himmler, come Hitler, credeva nella

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competizione tra uffici e nella creatività derivante dalla disorganizzazione amministrativa; la tendenza del regime nazista a creare un proprio apparato burocratico per svolgere le finalità prefisse ma confuso dal punto di vista delle competenze e in perenne competizione si affermò anche nel campo del reinsediamento. L’apparato burocratico che Himmler stava creando per attuare le disposizioni di Hitler sulla sistemazione razziale dei territori annessi a Est, tuttavia, non sarebbe stato completo senza il controllo incondizionato della polizia. La deportazione delle persone da espellere nel Governatorato Generale richiedeva infatti azioni di polizia. Nella prima metà del 1939, tuttavia, benché Himmler riunisse in sé le cariche di capo di tutte le polizie del Reich e di capo delle SS, l’integrazione tra polizia e SS non era completa, e anzi le due entità vivevano tra loro una forma di competizione. A titolo di esempio, l’SD, il servizio segreto delle SS affidato a Heydrich, si trovava in chiara posizione di soggezione rispetto alla polizia politica, la Gestapo, a favore della quale aveva perso il diritto di fare arresti all’interno del Reich. Persa questa potestà, l’SD si era ridotto alla compilazione di rapporti e dossier sulla situazione interna tedesca, sulle possibili sacche di resistenza al regime, e sullo stato del morale della popolazione rispetto allo sforzo bellico. La Gestapo, a sua volta, non era completamente fusa con le SS; Robert Koehl ha calcolato che, su 20.000 agenti della Gestapo, solo 3000 fossero contemporaneamente membri delle SS 2. Questa situazione era però destinata a cambiare con le opportunità che si aprivano a Est, dove l’SD era lo strumento adatto a infiltrarsi nelle comunità dei tedesco-etnici. Nella costruzione dello strumento organizzativo destinato ad essere il dispositivo a servizio delle ambizioni imperial-coloniali tedesche, con la quale le SS uscivano, per così dire, dalla funzione mitizzante improntata alle idee di Darré come guardiani della continuità tra sangue e suolo, per diventare membri attivi e proponenti dell’istituzione di un nuovo ordine razziale continentale in Europa (che però rimase legato alla tradizione “sangue e suolo”), si segnava anche una trasformazione organizzativa che non sarebbe stata senza conseguenze dal punto di vista del compimento di un altro tratto sulla via del genocidio. I nuovi uffici istituti da Himmler, e quelli vecchi e trasformati, avrebbero svolto un ruolo essenziale nel tentativo di imporre il nuovo

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R. L. Koehl, The SS. A History, 1919-45, The History Press, The Mill, 2012, p. 262.

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“ordine nero” europeo che prevedeva da un lato l’eliminazione di tutti gli ebrei d’Europa; dall’altro l’eliminazione di buona parte delle razze inferiori (per la maggior parte, popolazioni slave) o tramite l’annientamento o tramite l’assorbimento all’interno della comunità costituita dal popolo di sangue tedesco, e la riduzione in stato di schiavitù della restante quota a vantaggio della “razza padrona”. Tutto ciò non era però ancora avvenuto nel 1939, quando Himmler varò una riforma delle SS che aveva lo scopo di fondere opportunamente SS e forze di polizia. La riforma previde la creazione dell’Ufficio Centrale per la Sicurezza del Reich (Reichssicherheitshauptamt, o RSHA), avvenuta il 27 settembre 1939, cui afferivano come singoli uffici il personale della Gestapo (che divenne l’ufficio IV dell’RSHA e fu affidato a Heinrich Müller), quello della polizia criminale (ufficio V dell’RSHA, con a capo Arthur Nebe), e dell’SD, che confluì nell’Ufficio VI e che fu affidato a Walther Schellenberg. L’intero RSHA fu posto sotto la guida di Reinhard Heydrich. La  riorganizzazione delle varie forze di sicurezza e la loro riunificazione in un’unica catena di comando non fu tuttavia l’unica mossa di Himmler; la fusione piena di SS e forze di polizia fu infatti completata con la creazione degli HSSPF (höherer SS und Polizeiführer, o Comandante supremo delle forze di SS e polizia), comandanti regionali che riunivano in sé il comando tanto sulle SS quanto sulla polizia 3. Il sistema fu esteso ai territori a Est; gli HSSPF furono assegnati alle nuove regioni del Reich create con l’annessione dei territori polacchi, e anche al Governatorato Generale. L’esatta collocazione degli HSSPF all’interno della catena di comando delle varie autorità era quanto mai problematica. Istituendone la figura, Himmler aveva emesso un decreto datato 25 agosto 1939 che ordinava loro di fare rapporto ai Governatori nominati dal Reich – quindi ai Gauleiter dei territori annessi a Est e al governatore generale Hans Frank –; ma in realtà, più spesso gli HSSPF agivano come autorità indipendenti sul territorio di loro competenza, tra le proteste delle autorità civili. Ciò fu particolarmente vero per l’HSSPF della regione di Lublino, Odilo Globocnik, che ebbe frequenti e vasti scontri con il governatore civile di Lublino, Ernest Zörner. Questi conflitti preoccupavano Himmler in maniera soltanto parziale; egli non esitò alla fine del 1942 a fare di 3  La nomina del primo HSSPF avvenne il 12 marzo 1938; cfr. P. Longerich, Heinrich Himmler, cit., p. 249.

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Polacchi espulsi dai Territori annessi a Est.

Globocnik lo strumento di un piano importante, la prima realizzazione dei progetti per la costituzione di un impero coloniale a Est, su cui torneremo con ampiezza. La forgiatura degli strumenti burocratici necessari alla realizzazione degli scopi del Commissariato di Himmler, tuttavia, non era di per sé sufficiente. I tempi andavano in fretta; l’8 ottobre 1939 fu decretata l’annessione dei nuovi Gaue (Warthegau, ecc.) al Reich; il 12 ottobre fu istituito il Governatorato Generale, e nella seconda metà di ottobre cominciarono a giungere le prime navi che portavano dall’Estonia i tedesco-etnici da reinsediare all’interno dei nuovi confini del Reich, cui sarebbero seguite le ondate provenienti dalla Galizia e dalla Volhynia. Come identificare i tedesco-etnici meritevoli di reinsediamento? Come scegliere coloro da deportare nel Governatorato Generale per far posto ai nuovi venuti? Le cifre erano immense; il 25 novembre 1939, l’ufficio di politica razziale del partito nazista inviò a Himmler un memorandum, che prevedeva che, nei territori annessi a Est, fossero presenti 6,6 milioni di polacchi oltre a 530.000 ebrei, e che di questi fossero da deportare nel Governatorato Generale 5,3 milioni di polacchi oltre, ovviamente, all’intera popolazione ebraica. Himmler aveva tuttavia idee proprie sui criteri

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razziali che dovevano accompagnare quest’operazione di trasferimento di quote massicce di popolazione. Durante una celebrazione tenuta a Monaco l’8 novembre 1938 assieme ai Gruppenführer delle SS, Himmler aveva espresso la convinzione che il compito storico del regime nazista fosse quello di riunificare l’Europa dietro la Germania e quella del recupero del sangue tedesco perduto 4. La Germania era impegnata in una lotta razziale senza quartiere contro il nemico storico, gli ebrei. Se essa non avesse vinto questa lotta, non ci sarebbe stato alcun futuro per i tedeschi. La vittoria sarebbe stata però sicura, se la Germania fosse riuscita a riunire tutto il sangue tedesco, perché quest’ultimo creava guerrieri. Di qui la necessità di rimettere assieme tutto il sangue tedesco disponibile in Europa, attingendo anche a quello di nazioni che, benché formalmente non tedesche, avevano nelle proprie vene sangue nordico; compreso quello dei tedeschi che erano emigrati oltremare. La riunificazione di questo sangue, disperso per tutto il mondo, era la precondizione per la vittoriosa lotta contro gli ebrei e il compito che Himmler, in quell’incontro di novembre 1938, demandava ai suoi Gruppenführer. Le idee di Himmler sulla riunificazione del sangue tedesco, che in fondo obbedivano alla visione hitleriana espressa nel Mein Kampf dell’accorpamento di tutti i popoli germanici in un’unica entità comunitaria, la Volksgemeinschaft, si evolvevano nel confronto con quel mosaico etnico che era la Polonia. Himmler era convinto che un tempo le stirpi germaniche, in un passato mitico e favoloso, ad esempio quello dell’Ordine dei Cavalieri Teutonici, avevano dominato l’Est con le loro virtù militari e razziali. Dunque popolazioni di sangue germanico avevano popolato l’Est, e tracce di quella preziosa eredità razziale dovevano essere ancora presenti, al di là del fatto che si erano mischiate, con il passare dei secoli, con il sangue slavo. Tuttavia per inquinato che fosse, quel sangue germanico doveva ancora esistere almeno in tracce; e doveva essere recuperato. Allo scopo di rintracciare le vestigia dell’antica dominazione germanica a Est, Himmler aveva fondato nel 1935, assieme a Darré, un’apposita fondazione, la Forschungsgemeinschaft Deutsches Ahnenerbe (Società di ricerca per l’eredità ancestrale), meglio nota come Ahnenerbe, la cui missione consisteva nell’approfondire da un punto di vista antropologico e razziale 4  Sull’incontro di Monaco del novembre 1938, cfr. R. Breitman, The Architect of Genocide. Himmler and the Final Solution, The Bodley Head, London, 1991, pp. 50-52.

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il passato della razza ariana. Le ricerche pseudo-scientifiche dell’Ahnenerbe, uno degli organi delle SS, consistevano nel ritrovare tracce della presenza della razza ariana ovunque fosse possibile, anche se non è probabile che alcune delle missioni più stravaganti commissionate dalla fondazione, come la spedizione del 1938 di Ernst Schäfer in Tibet alla ricerca delle origini della razza ariana, fossero, al contempo, missioni di spionaggio nei confronti di territori facenti parte dell’impero britannico 5. Alcune spedizioni dell’Ahnenerbe, specie dopo l’invasione dell’Unione Sovietica del giugno 1941, si muovevano assieme alle truppe di occupazione con il compito specifico di recuperare le tracce dell’originaria dominazione ariana nei territori dell’Est. A titolo di esempio, nel luglio del 1942, l’archeologo Jankuhn, Karl Kersten e il barone Wolf von Seefeld, tutti membri della fondazione, si recarono in Crimea sulle orme della divisione SS Viking per cercare i “tesori dei Goti”, che nelle fantasie di Himmler erano stati un tempo i padroni della Crimea. Non di rado, queste spedizioni si concludevano in una razzia e in un colossale saccheggio dei cosiddetti “beni ancestrali”, che gli esploratori si dedicavano a ‘recuperare’ in nome del popolo ariano. Restava il fatto che il ritrovamento degli antichi territori di insediamento a Est delle popolazioni germaniche (Siedlungsgebiete) furono una delle priorità delle SS. In questa visione, Himmler maturava le sue decisioni per la sistemazione razziale dei territori. In un discorso tenuto nel marzo del 1940 ai capi delle armate del fronte occidentale e della Luftwaffe, parlò apertamente della politica polacca da attuare, consistente nello sterminio di tutta la classe dirigente polacca, così che i polacchi fossero ridotti alla condizione di masse senza cultura e senza capi; e al recupero e alla rigermanizzazione (Eindeutschung) del sangue tedesco tralignato a causa dei contatti con le popolazioni slave, o “polonizzato”, ma ancora recuperabile. A ciò si aggiunse un decreto del 9 maggio 1940, che fu citato tra i documenti di accusa a Norimberga nel processo a Greifelt e ai suoi accoliti, in cui Himmler parlava apertamente della “rigermanizzazione” del sangue tedesco perduto. La rimozione degli ebrei e delle persone di razza aliena dai nuovi territori del Reich annessi a Est, decretava Himmler in qualità di Commissario del Reich, era uno dei compiti più importanti da adempiere, anzi il compito centrale della politica delle popolazioni 5  Sulle attività dell’Ahnenerbe, cfr. H. Pringle, The Master Plan. Himmler’s Scholars and the Holocaust, Hyperion, New York, 2006.

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(Volkstumspolitik) intrapresa dal regime. Allo scopo di adempiere a tale compito, lo strumento da utilizzare era quello della selezione razziale, così da individuare gli individui razzialmente indesiderabili e impedire loro di vivere accanto ai portatori di sangue tedesco. Al contempo, tuttavia, era indispensabile riguadagnare alla comunità germanica il sangue tedesco che esisteva in questi territori, anche nei casi in cui la persona in questione fosse “polonizzata” quanto al linguaggio e alla religione (ossia, persone di ascendenza tedesca che però non erano più in grado di parlare il tedesco e che appartenevano alla chiesa polacca). Himmler si riferiva qui a individui che, originariamente appartenenti alla stirpe germanica, avevano finito, con il passare dei secoli, per mischiarsi alle popolazioni slave e “polonizzarsi”. L’ordine di Himmler era quello di passare al setaccio razziale gli interi territori annessi a Est (e, più tardi, anche il Governatorato Generale) allo scopo di rendere di nuovo il sangue tedesco disponibile per la comunità germanica. Era possibile, e Himmler teneva di conto questa ipotesi, che individui di sangue tedesco, ma “polonizzato”, fossero diventati rinnegati, ossia non volessero rientrare nel seno della comunità germanica cui appartennero un tempo i loro ascendenti. In tal caso, almeno i loro figli non dovevano più appartenere alla Polonia; Himmler ordinava di deportarli in Germania e affidarli a famiglie tedesche perché fossero ri-germanizzati 6. Assieme al decreto sulla ri-germanizzazione, Himmler sintetizzò ulteriori idee sulla questione in un breve memorandum del maggio del 1940 intitolato Riflessioni sul trattamento delle popolazioni aliene all’Est. In una lettera di accompagnamento del 28 maggio 1940, Himmler stesso racconta di averlo sottoposto al Führer, il quale lo trovò “buonissimo e corretto” 7. Il  Commissario del Reich iniziava ammettendo il mosaico etnico costituito dalle popolazioni residenti nel Governatorato Generale, e riteneva che il maggior interesse tedesco fosse nel suddividere questi gruppi etnici in particelle frammentandole il più possibile. Non risiedeva nell’interesse del Reich ricondurre tali gruppi a unità dotate di coscienza nazionale, ma anzi isolarli sciogliendo così quel conglomerato di popoli. Himmler fissava in 4-5 anni il tempo con il quale ogni singolo gruppo 6  Il testo del decreto si trova in Trial of War Criminals before the Nuernberg Military Tribunals under Control Council Law n. 10, XV voll., IV, The Einsatzgruppen Case. The RuSHA Case, Nuernberg, 1946-1949, pp. 762-765. 7  Il testo completo di Himmler si trova in Vierthelhefte für Geschichte, 2, 1957, pp. 194-98.

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etnico avrebbe perso il proprio concetto di sé, così che in Polonia si sarebbe addirittura perso il ricordo di un popolo Kashubo, Gorale, ecc. Ciò che valeva per questi frammenti di popolo, doveva valere, anche se su scala enormemente più vasta, anche per i polacchi. La prima arma in quest’opera di frammentazione delle popolazioni polacche doveva essere l’impedimento all’educazione; per tali popolazioni non doveva essere previsto alcun ciclo di studi oltre una scuola elementare quadriennale, che non doveva andare oltre capacità matematiche e alfabetiche rudimentali. Eventuali supplementi educativi, per i bambini meritevoli, dovevano essere decisi dal locale HSSPF, l’autorità di SS e polizia. Qualora l’alunno meritevole soddisfacesse ai criteri genetici richiesti dalla comunità di sangue tedesco, sarebbe stato avviato ai successivi studi in Germania, purché, come scrisse Himmler, sia da noi «riconosciuto come un bambino del nostro sangue». Ciò avrebbe comportato un ulteriore vantaggio; privati dei propri figli più promettenti, prontamente germanizzati, questi «subumani dell’Est» (Untermenschenvolk des Ostens) non avrebbero dato origine a una classe dirigente pericolosa per il Reich. Allo stesso modo, Himmler raccomandava un vaglio razziale per tutti i bambini del Governatorato Generale in età tra i 6 e i 10 anni in maniera da distinguere i “valutabili per sangue” da quelli privi di valore. In tal modo, concludeva il Commissario del Reich, entro il lasso di tempo detto si formerà una popolazione priva di leadership e anonima, tale da fornire ogni anno alla Germania la necessaria manodopera da impiegare per la costruzione di strade, cave, lavori edili despecializzati. Eccezion veniva fatta per la popolazione ebraica, che Himmler non prendeva in esame in quanto riteneva che entro breve tempo sarebbe stato possibile liberarsene deportandola in blocco in qualche colonia africana. Erano quelli i tempi in cui SS e Ministero degli Esteri si baloccavano ancora con l’idea di deportare tutti gli ebrei d’Europa nell’isola di Madagascar 8. Hitler, che si rendeva conto del carattere estremo delle misure proposte da Himmler, suggerì che il documento in questione restasse segreto e circolasse in pochissime copie tra i Gauleiter dei territori annessi a Est, il capo della cancelleria del Reich Lammers, e il capo dell’ufficio principale di staff dello stesso Himmler, Greifelt, il quale a sua volta doveva darne copia ai cinque HSSPF dell’Est e ai capi degli uffici centrali delle 8  Sul favoloso Progetto Madagascar, uno dei passi avanti sulla via dell’attuazione del genocidio, cfr. P. Lombardi, G. Nesi, Cercarsi nel buio, cit., pp. 174-79.

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SS, secondo una complicata procedura di notifica che mostra quale fosse l’importanza che Himmler annetteva a questo documento. In tal modo, Himmler aveva ricevuto la sanzione del Führer all’applicazione della Volkstumspolitik a Est, in posizione di forza persino rispetto al governatore Hans Frank, che Hitler aveva consigliato Himmler di incontrare al più presto per informarlo dell’approvazione ricevuta. Ciò che restava ora era una questione di dettagli. A Himmler occorreva avere la disponibilità su terreni e proprietà nei territori annessi a Est e nel Governatorato Generale per poter controllare pienamente l’insediamento dei tedesco-etnici provenienti dai Paesi Baltici, dalla Galizia, dalla Volhynia e dalla Bessarabia. In effetti, in una lettera del 15 febbraio 1940, Himmler annunciava di essere stato delegato per l’amministrazione dei beni fondiari requisiti a polacchi ed ebrei 9. Dunque anche questa difficoltà era stata risolta, dal suo punto di vista. Secondo la testimonianza di Ulrich Greifelt a Norimberga, il decreto del 9 maggio 1940 di Himmler non era stato l’inizio della procedura di germanizzazione, né il Commissario del Reich aveva atteso l’esplicita approvazione del Führer per procedere alle operazioni di espulsione e reinsediamento. Le direttive sulla germanizzazione esistevano già a marzo, mentre a gennaio del 1940 Himmler aveva già ordinato la deportazione dal Warthegau al Governatorato Generale di 40.000 tra ebrei e polacchi, allo scopo di far posto ai tedeschi provenienti dai Paesi Baltici. Quest’ordine fu oggetto di una conferenza tenutasi a Berlino il 30 gennaio 1940 sotto la presidenza del capo dell’RSHA, Heydrich, alla presenza di Arthur Seyss-Inquart in rappresentanza del governatore generale Hans Frank e dell’HSSPF del Governatorato Generale Krüger. Il verbale dell’incontro, cui prese parte anche Adolf Eichmann, fu tra i documenti di accusa mostrati a Norimberga. Scopo della conferenza era coordinare l’espulsione in questione, cui doveva seguire un’ulteriore operazione riguardante circa 120.000 polacchi più 30.000 zingari da deportare dall’inizio di marzo 1940 per fare spazio alla successiva ondata dei tedesco-etnici provenienti dalla Volhynia. Di fronte alle resistenze dell’amministrazione del Governatorato Generale, si decise che il numero dei deportati sarebbe stato ridotto in quanto una parte delle persone trasferite sarebbe stata avviata Cfr. D. Majer, “Non-Germans” under the Third Reich. The Nazi Judicial and Administrative System in Germany and Occupied Eastern Europe, with Special Regards to Occupied Poland, 1939-1945, Texas Tech University Press, Lubbock, 2013, p. 229. 9 

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al lavoro agricolo forzato in Germania o negli altri territori annessi a Est. Decisioni del genere, secondo la testimonianza di Greifelt a Norimberga, a metà del gennaio 1942 avevano coinvolto più di mezzo milione di persone; 507.000 tedesco-etnici erano infatti stati reinsediati nei nuovi confini del Reich alla data del 15 gennaio 1942, di cui 289.000 nel solo Warthegau. Altri 92.480 erano stati inviati in Germania come lavoratori coatti. Il resto si trovava nei campi gestiti dal VO-MI. Un’ulteriore disposizione assunta da Himmler riguardava la pratica della registrazione dei tedesco-etnici da reinsediare e quella delle popolazioni non-germaniche tra le quali poteva annidarsi qualche goccia di sangue tedesco da ri-germanizzare. Già nel Warthegau vi erano state pratiche di registrazione secondo criteri di disuguaglianza razziale; la medesima pratica fu adottata dagli uomini di Himmler, tanto che alla fine la situazione fu sanata con un decreto del Ministero degli Interni del 4 marzo 1941 che altro non era che una legalizzazione di attività già ampiamente utilizzate: l’istituzione della Lista di classificazione etnica tedesca (Deutsche Volksliste o DVL). La lista veniva compilata dagli esperti razziali del RuSHA e distingueva gli esaminati in quattro categorie: gli appartenenti alla categoria I e II erano tedesco-etnici che già prima dell’occupazione tedesca erano conosciuti come filo-germanici e attivi nel mantenere un legame con la cultura tedesca; nel gruppo III venivano ricompresi coloro che erano “polonizzati” ma ancora germanizzabili. Al gruppo IV, infine, appartenevano coloro che erano in qualche modo di ascendenza tedesca, ma che erano ritenuti ostili alla Germania e portatori di elementi anti-tedeschi, dunque in qualche modo inaffidabili. Ai membri dei primi due gruppi venivano concessi documenti blu e la cittadinanza tedesca ai sensi delle Leggi di Norimberga del 1935; i membri del terzo gruppo ricevevano documenti verdi ma non la piena cittadinanza. I membri del quarto gruppo non ricevevano niente, ma erano rivedibili ai fini di un’eventuale riclassificazione. Coloro che non appartenevano alla DVL, in primo luogo gli ebrei, erano ovviamente non-tedeschi e dunque di nessun interesse ai fini del reinsediamento. La posizione nella lista non obbediva a criteri puramente razziali, ma anche a valutazioni politiche, in particolare nei confronti di un atteggiamento favorevole nei confronti del Reich anche prima dell’invasione avvenuta nel settembre 1939. L’iscrizione nella DVL in una categoria particolare era dunque di grande importanza ai fini delle selezione delle famiglie polacche capaci di rigermanizzazione, dell’inserimento nelle liste dell’Ufficio Immigrazione

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(EWZ), e tuttavia, dato che i criteri di appartenenza a un gruppo rispetto che a  un altro erano variabili, oscillando da criteri puramente etnici a criteri etnico-politici, esisteva un certo grado di confusione. La questione era importante anche dal punto di vista della concessione della cittadinanza tedesca ai sensi delle Leggi di Norimberga del 1935, e quindi esisteva, oltre che un’indiscussa competenza del personale delle SS, anche una pertinenza da parte del Ministero degli Interni. Dunque l’intero processo rimase fluido e contribuì all’ampio caos che caratterizzava l’amministrazione nazista. Il destino di coloro che erano stati dichiarati come “germanizzabili” veniva deciso in seguito, di solito nell’Ufficio Immigrazione (EWZ) di Lodz, il più attivo, ove le persone in questione venivano raccolte e sulla base di ulteriori esami, venivano classificate in liste contraddistinte da singole lettere a seconda della destinazione finale: la lettera O accomunava tutti coloro da insediare nei territori annessi a Est; la lettera K coloro che erano destinati a reinsediarsi in Carinzia; le tre lettere Ost riguardavano coloro che sarebbe stati inviati nella Stiria superiore. Alla A di Altreich, restavano coloro cui, trovati privi di valore razziale o che, pur provvisti di opportuna ascendenza tedesca, erano considerati politicamente inaffidabili, toccava l’avvio al lavoro coatto in Germania 10. Era appunto qui che veniva a saldarsi la prassi dello stato nazista con le correnti ideologiche pre-naziste. La necessità di impedire l’inquinamento del sangue ariano, tema caro alla Thule-Gesellschaft e tramite essa recuperato da Hitler nel secondo libro del Mein Kampf, diventava inversione della tendenza storica alla contaminazione, tramite il riscatto e la ripulitura del sangue ariano contaminato ma ancora esistente. L’operazione di recupero e depurazione di questo sangue equivaleva a invertire la propensione al meticciato e a riportare i caratteri germanici, laddove esistenti, alla loro primitiva purezza. Tutto ciò però non poteva avvenire senza un’attenta opera di decifrazione dei caratteri razziali per identificare quelli ariani e una ripulitura da quelli acquisiti dai tedesco-etnici durante la loro vita fuori dal Reich e dunque tra popolazioni non-germaniche. Le strutture burocratiche dell’RKFDV e le procedure amministrative da loro effettuate, così come Himmler le aveva volute, obbedivano esattamente a questa logica mitica del sangue 10  Trial of War Criminals before the Nuernberg Military Tribunals under Control Council Law n. 10, cit., XV voll., IV, The Einsatzgruppen Case. The RuSHA Case, cit., p. 655.

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e del suolo. Scelta delle destinazioni, trattenimento nei campi del VOMI (dove i tedesco-etnici venivano sottoposti ad opportuni corsi di rieducazione ideologica) avevano il compito di far decantare i tratti razziali non-germanici e di eliminare comportamenti e peculiarità apprese durante la vita in territori dove si praticava il meticciato. È noto che i tedesco-etnici della Slovenia che chiedevano di aderire al partito nazista venivano sottoposti preventivamente a un periodo di osservazione da scontare in organizzazioni politiche locali come l’Unione patriottica in Stiria o l’Unione popolare in Carinzia 11. Dislocazioni, classificazioni razziali, assegnazioni e identificazioni non avvenivano in modo casuale ma obbedivano a una precisa logica mitica del sangue, della sua purezza e del suo tralignamento. Questi criteri, creati per la germanizzazione dei territori annessi a Est e la gestione del mosaico etnico costituito dal Governatorato Generale, restarono validi anche dopo che il 1940 ebbe portato ulteriori conquiste territoriali con la vittoriosa campagna sul fronte occidentale. L’estensione della DVL ai territori occidentali conquistati e ritenuti germanizzabili, come l’Alsazia-Lorena e il Lussemburgo, fu solo il primo passo. Nel luglio del 1941, Himmler ordinò a Lorenz, capo del VO-MI, di prendere tutte le misure necessarie per registrare i tedesco-etnici presenti nei territori invasi della Wehrmacht durante Barbarossa, in modo da gettare le basi della futura germanizzazione. Con le ulteriori conquiste nei Balcani, prima del lancio dell’Operazione Barbarossa e l’attacco all’Unione Sovietica, ampie possibilità di recuperare sangue tedesco si aprivano anche nella Stiria superiore e nella Carniola. Il 4 gennaio 1941, Himmler firmò il decreto n. 34/I riguardante la germanizzazione delle popolazioni di ascendenza tedesca in Stiria e Carinzia. Ormai la germanizzazione dell’Ostraum andava ben oltre i territori dell’Est, e comprendeva anche vaste regioni poste a Ovest. I presupposti giuridici erano stati creati, e le strutture amministrative destinate a gestire questo processo rodate e approntate. Era ormai tempo che le misure prese in un primo momento per alcuni, limitati territori dell’ex stato polacco, diventassero ora un ampio piano continentale.

11  Su questo punto, cfr. Y. Durand, Le nouvel ordre européen nazi. La collaboration dans l’Europe allemande (1938-1945), Complexe, Bruxelles, 1990, pp. 99-101.

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2. Il Generalplan Ost e le sue trasformazioni Il primo documento che indica l’esistenza di una vivace attività pianificatoria da parte delle SS nei confronti di una sistemazione post-bellica dei territori annessi a Est è un memorandum databile intorno ad aprilemaggio 1940 e intitolato Fondamenti di pianificazione per la costruzione dei territori a Est. Si tratta di un documento non firmato, ma opera del Reparto pianificazione del Commissariato del Reich per il Rafforzamento del Popolo Tedesco che faceva capo a Himmler. Il Reparto Pianificazione era uno delle quattro divisioni in cui era articolato lo Stabshauptamt (A, B, C e Z). La divisione B, Ufficio di direzione, era affidata a Greifelt. Il Reparto pianificazione costituiva la divisione C, e la gestione ne toccava al professor Konrad Meyer, sopravvissuto alla guerra, e imputato al processo di Norimberga che aveva coinvolto anche Greifelt. Interrogato a Norimberga dall’investigatore Fred Rodell, Meyer aveva rievocato i propri trascorsi. Nato nel 1901, docente di economia agraria a Göttingen, Meyer si era iscritto al partito nazista nel 1932 ed era entrato nelle SS nell’inverno 1933. Sarebbero stati i contatti con il Consiglio Agricolo del Reich a porre in relazione Meyer con le SS, come egli disse in una testimonianza d’aula a Norimberga nel novembre 1947, e in particolare Walther Darré ad aprirgli la strada che lo avrebbe condotto a Himmler. Non è inverosimile che Meyer, che si occupava di economia agraria, avesse contatti con Darré, il teorico del mistico legame tra Blut und Boden. Con Himmler, però si attuava un passaggio da questa mistica alla pianificazione razionale, alla progettazione di un Est conquistato e da disporre secondo i bisogni e le esigenze del Reich. L’incontro con Himmler avvenne nel dicembre 1939, e il Commissario del Reich offrì a Meyer la possibilità di mettere a frutto le sue competenze nella disciplina della pianificazione, nella Planungswissenschaft. Scopo generale del Reparto pianificazione era infatti sviluppare criteri generali per la progettazione del dopoguerra. Secondo Meyer, il Reparto pianificazione era a sua volta diviso in sei sottoripartizioni, ognuna con un compito specifico; si andava dall’ordinamento etnico alla pianificazione dello spazio, dalla costruzione dei villaggi a quella del paesaggio. Date le competenze, e

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la direzione del reparto, gli studiosi che si sono occupati della materia hanno considerato unanimemente il documento della primavera del 1940 come il primo Generalplan Ost di Konrad Meyer 12. Che dal 1940 cominciasse a esistere una pianificazione complessiva per la sistemazione dell’Est conquistato, lo prova il documento della primavera del 1940; ma che tale pianificazione fosse solo agli inizi, è palese dall’esame stesso del memorandum, in cui, in ogni caso, il termine Generalplan Ost non compare mai. Meyer, a Norimberga, negò che quel termine fosse suo, e ne attribuì il conio allo stesso Himmler 13, avanzando anche rimostranze circa la denominazione. Meyer fu uno degli intellettuali tedeschi che si pose al servizio delle SS e dei fini di Himmler. Allo Stabshauptamt del Commissariato vi erano l’architetto Udo von Schauroth; all’Ufficio pianificazione dell’Ufficio di staff per l’Insediamento aperto dalle SS a Lodz c’era Alexander Dolezalek, tenente colonnello delle SS; ancora nell’Ufficio Umsiedlung dello Stabshauptamt vi era Helmut Schubert. Si trattava di uomini che avrebbero ricoperto un ruolo importante nello sviluppo del Generalplan Ost e che, al pari di molti altri colleghi, avevano abbracciato le SS, attratti dalla fama di queste ultime di reclutare solo il meglio, e dalla vastità dei compiti (e, di converso, delle opportunità) che esse proponevano. Si trattava nientemeno che di ridisegnare la carta d’Europa, di spostare popolazioni a piacimento, di porre le basi di un grande impero coloniale. Questo enorme disegno eccitava le ambizioni degli intellettuali che, sedotti dai piani di Hitler e di Himmler, avevano l’emozionante impressione di stare aprendo una grande e nuova pagina di storia. Nè l’impegno che le SS chiedevano loro era soltanto di tipo intellettuale; molti di loro, come avvenne ad esempio a Schubert, dovettero completare turni di servizio sul fronte orientale dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa e del conflitto con l’Unione Sovietica. In una lettera del 21 giugno 1942, Schubert confessava il proprio sollievo per essere stato riportato dal fronte russo all’Ufficio di Staff del 12  C. Madajczyk, “General Plan East. Hitler’s Master Plan for Expansion”, in Polish Western Affairs, 1962, III, 2, pp. 391-442; G. Aly, S. Heim, Les architectes de l’extermination. Auschwitz et la logique de l’anéantissiment, Calmann-Lévy, Paris, 2006; C. Ingrao, Credere, distruggere. Gli intellettuali delle SS, Einaudi, Torino, 2012; S. Dahmen, Die Entwicklung des Generalplan Ost, Grim Verlag, München und Ravensburg, 2013. 13  Mimeografia, Interrogation No. 1245, Institut für Zeitgeschichte, München, Archiv, s. 1948/56, fol. 5.

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Commissariato di Himmler 14. Il  vincolo che Himmler demandava ai suoi studiosi non era dunque solo quello riguardante i compiti pianificatori; essi dovevano anche fisicamente contribuire alla realizzazione di quei piani. Allo stesso Meyer, più attempato, fu richiesto di compiere sopralluoghi e ispezioni in Ucraina nel 1943. Ricordare ciò è importante sia per capire le motivazioni che spinsero molti intellettuali tedeschi ad aderire alle finalità delle SS, sia per tenere conto del fatto che i piani delle SS non erano mere esercitazioni a tavolino; nel loro dispiegare progetti e piani di ogni tipo, alcuni dei quali, come il favoloso progetto Madagascar, possono apparire ampiamente velleitari al lettore moderno, si esprimeva una caratteristica tipica del nazismo; quella di considerare possibile ogni cosa se la bussola ideologica indicata dal capo e una volontà d’acciaio sostenevano lo sforzo. Nel discutere i possibili intrecci tra genocidio e formazione della burocrazia dello stato totalitario, va tenuto presente che i burocrati che, per ordine di Himmler, lavorarono al Generalplan Ost, furono veramente di un tipo particolare 15. In realtà, capi del RuSHA ed esperti razziali che poi operarono realmente le selezioni razziali di cui si parla in questa storia, non provenivano dagli stessi percorsi né da ambienti omogenei. Laddove i vertici del RuSHA, come Darré e Hofmann, erano esponenti della generazione nata prima del 1900, che aveva avuto l’esperienza della Grande Guerra e dei Freikorps, e che si era legata alle organizzazioni della destra nazionalistica völkisch, una seconda generazione, nata tra il 1900 e il 1910, era stata reclutata via via che le SS si sviluppavano e i loro uffici giungevano lentamente al loro assetto definitivo. Circa una cinquantina di nuovi aderenti era arrivata al RuSHA intorno alla metà degli anni Trenta, e molti di costoro avevano una formazione universitaria; alcuni erano antropologi o medici, oppure erano studiosi delle Scienze dello spirito, anche se in buona misura erano contadini o periti

14  Il documento si trova in Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., pp. 137-38. Alla raccolta edita da Madajczyk si farà riferimento per i documenti relativi al Generalplan Ost, salvo se diversamente indicato. 15  A questa conclusione era già pervenuta I. Heinemann, Rasse, Siedlung, deutsches Blut. Das Rasse- und Sielungshauptamt der SS und die rassenpolitische Neuordnung Europas, Wallstein, Göttingen, 2003, che aveva rilevato che gli esperti razziali del RuSHA non erano giuristi come Werner Best, né assassini degli Einsatzgruppen, né tecnocrati del genocidio come la cricca di Eichmann, e neppure uomini ordinari nel senso proposto da C. Browning, ma teorici del razzismo e praticanti della selezione razziale.

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agrari. Questi ultimi arrivati non avevano preso parte alla guerra, ma spesso avevano frequentato gli ambienti delle sette esoteriche völkisch: Horst Rechenbach, che fu uno degli esperti razziali del RuSHA, fu membro dei Freikorps e della Lega degli Artamani; Rudolf Jacobsen, egli stesso esperto razziale prima di diventare un comandante delle Waffen-SS; Lothar Stengel von Rutkowski, medico del RuSHA a Praga; Bruno Schultz, il celebre antropologo, furono tutti collaboratori nel Nordischer Ring (e Schultz anche della Thule-Gesellschaft). Anche Horst Bartholomeyczik, per un periodo capo del Bodenamt di Praga, proveniva dal mondo delle volkische Bünde. Per tutti costoro, la temperie della destra esoterica era l’ambiente di formazione, anche se l’appartenenza alle SS li stava volgendo verso una diversa direzione; il succo del Generalplan Ost, come si vedrà, stava nella progettazione e, in seguito, nella realizzazione di un nuovo ordine continentale razziale ed economico, più che nell’attuazione di un sogno di sapore reazionario come quello di una nuova aristocrazia del sangue e della terra vagheggiato da Darré. Eppure ancora in questi esponenti della seconda generazione qualche eco del vecchio sogno di Darré era ancora avvertibile; nel Generalplan Ost del maggio 1942 di Konrad Meyer, che non era passibile di simpatie verso le dottrine esoteriche della destra nazionalista dell’inizio del secolo, tornava la visione delle istituzioni feudali nella proprietà della terra. Questi echi erano ormai del tutto sbiaditi nella terza generazione di esperti, nati dopo il 1910, che si erano uniti al RuSHA alla fine degli anni Trenta o all’inizio dei Quaranta. Costoro avevano una formazione universitaria, oppure si erano formati all’interno del sistema educativo che le SS avevano ormai ampiamente sviluppato. Lo sviluppo delle strutture delle SS andava di pari passo con il reclutamento di nuove leve sempre più lontane dalle esperienze dei vecchi combattenti. Un tipico rappresentante di questa generazione fu Alexander Dolezalek, che aveva compiuto studi di filosofia, e che diventò capo dell’Ufficio Pianificazione delle SS a Posen nel marzo 1940. Quest’ultima generazione si era ormai affrancata dalle vecchie idee della generazione di Darré, che ormai le SS consideravano paccottiglia ideologica, e si volgeva allo sfruttamento sistematico delle proprietà contenute nel sangue puro e incontaminato. Con il passaggio da una generazione all’altra, e con lo sviluppo dell’impalcatura burocratica delle SS, la vecchia dottrina del Sangue e del Suolo perdeva i suoi connotati ‘romantici’ e si

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radicalizzava nella pratica delle selezioni razziali e dello scarto di tutti coloro che erano etichettati come “razzialmente indesiderabili” 16. Di questo sviluppo è testimone la successione dei vari piani etichettati come “Generalplan Ost”. Il documento della primavera 1940, considerato il primo Generalplan Ost, si riferiva perlopiù ai territori annessi a Est (Warthegau, Prussia orientale, ecc.) per una superficie complessiva di 87.000 chilometri quadrati con una popolazione, all’ingrosso, di 9 milioni e mezzo di persone. Le finalità che il documento assumeva riguardavano, in primo luogo, la germanizzazione del territorio; poiché nelle province di Posen e della Prussia orientale la quota di popolazione tedesca, nel 1914, era al 50%, si prevedeva che, nel volgere di pochi anni, fosse necessario raggiungere nuovamente quella percentuale, il che avrebbe innescato una “germanizzazione crescente” dell’intero territorio. Ciò significava aumentare la popolazione tedesca dagli attuali 1,1 milioni fino a 4,5 milioni di abitanti. Allo scopo di creare lo spazio necessario per questi coloni tedeschi, il piano del 1940 proponeva di deportare tutti gli abitanti polacchi che vi si fossero stabiliti dopo il 1918. Per sviluppare e aumentare una tale quota di popolazione, era necessaria la costruzione di un’economia, che nel piano veniva proposta come un’economia mista agricolo-industriale. Il piano prevedeva l’insediamento di 1,46 milioni di agricoltori di ascendenza tedesca, da distribuire sul territorio non casualmente; a costoro non solo dovevano essere riservate le terre migliori, ma essi dovevano essere dislocati secondo opportuni criteri razziali. In particolare, lungo il confine con il Governatorato Generale, doveva essere edificato un vero e proprio “muro di popolazione”, nella forma di una profonda cintura di fattorie tedesche. La formazione di questo muro di confine aveva lo scopo dichiarato di dividere definitivamente dall’entroterra i polacchi che vivevano ancora nei territori annessi al Reich 17. A questo muro di popolazione da costituire a Est, doveva seguire l’edificazione di un’ulteriore “ponte di popolazione” tedesca sull’asse Est-Ovest dal confine con il Governatorato Generale e il Reich. Lo scopo di questi movimenti di popolazione e di organizzazione del territorio obbediva a uno scopo razziale ben preciso: la separazione della popolazione polacca, che si sarebbe così trovata isolata e 16  Il tema della radicalizzazione degli esperti razziali con il volgere delle generazioni che entravano nelle strutture del RuSHA è già stato sottolineato con vigore da C. Ingrao, Credere, distruggere, cit.; I. Heinemann, Rasse, Siedlung, deutsches Blut, cit., pp. 561-88. 17  Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 5.

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frammentata, la riduzione dei polacchi a “isole di popolazione”, a comunità separata senza un retroterra comune e quindi facilmente travolta dalla germanizzazione. Non può qui non venire in mente il convincimento di Himmler espresso nelle Riflessioni sul trattamento delle popolazioni aliene sulla necessità di frammentare le popolazioni polacche. Evidentemente la prima stesura del Generalplan Ost si preoccupava di obbedire con scrupolo ai desiderata del Commissario del Reich. Nel documento si trovano ampi riferimenti alle concezioni coloniali del passato tedesco, eppure veniva messa bene in chiaro la novità della pianificazione nazista; non si trattava semplicemente di ampliare il Reich, ma di costituire un «retto ordinamento della terra e del suo possesso», in modo che i territori annessi a Est non fossero il semplice luogo in cui una popolazione contadina, degenerata e succube nell’impari confronto con la città, riproduceva un’esistenza sfibrata e residuale. Al contrario, quei territori dovevano essere il cuore di una nuova classe contadina, nucleo centrale di una vera comunità di popolo (Volksgemeinschaft). La costruzione di un impero coloniale a Est, per quanto ancora geograficamente ristretto, rimandava al sogno segreto di una rinascita e di un rinnovamento del popolo tedesco. Questa dimensione di rinascita del popolo tedesco era fortemente presente nel Generalplan Ost fin dalle sue origini. Non si trattava soltanto di conquistare nuovi territori, sottometterli e sfruttarli, ma di gettare le condizioni storiche perché il destino della razza ariana fosse compiuto. Forse era questo senso dell’adempimento di un gigantesco compito storico che seduceva intellettuali come Meyer. Una forte rivendicazione della nobiltà dell’agricoltura e della sua centralità, in cui è facile riconoscere l’impronta delle idee di Darré, non significava tuttavia che i pianificatori nazisti fossero dei fautori dell’abbandono dell’industria. Al contrario, l’agricoltura delineata dal documento della primavera 1940 è un’agricoltura moderna, che ha bisogno di una forte industria edile, di una moderna rete di trasporto. In nessun senso la densa progettazione agricola contenuta nel primo Generalplan Ost deve essere letta come il ritorno a un nostalgico passato arcadico. I successivi documenti noti riguardanti la pianificazione a Est, risalgono a un periodo posteriore all’inizio dell’Operazione Barbarossa. Non c’è dubbio qui che parte della documentazione sia andata perduta; una nota di Alexander Dolezalek del 19 agosto 1941, fa riferimento al Piano generale di insediamento n. 3 (Generalsiedlungsplan) della Bessarabia e della Bucovina, territori non ricompresi nel primo piano di Konrad Meyer.

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Oltre a ciò, secondo la nota di Dolezalek, gli insediamenti dei tedescoetnici provenienti dalla Galizia e dalla Volhynia erano stati attuati in modo così precipitoso, che non era stato possibile completare del tutto il piano generale. La nota di Dolezalek testimonia della confusione in cui avvenivano gli spostamenti di popolazione, e del corrispondente stato di disordine nella pianificazione, tanto che l’autore segnalava la necessità di integrare il Generalsiedlungsplan 18. Il termine Generalplan Ost non era ancora in uso tra i collaboratori di Himmler, o forse Himmler non lo aveva ancora inventato. Esisteva però una riflessione nazista sul Nuovo Ordine Europeo, ora che le prime vittorie sul fronte orientale avevano moltiplicate le possibilità che si dispiegavano di fronte al Reich. Tracce di questa riflessione si colgono nel discorso che Reinhard Heydrich tenne a Praga il 2 ottobre 1941. Heydrich non nominò mai il Generalplan Ost nel suo discorso; tuttavia, egli era ben informato su quanto gli uffici di pianificazione di Himmler venivano elaborando per il grandissimo spazio che ora il Reich aveva occupato nel continente. Heydrich indicava una via: dominare i territori conquistati e fonderli assieme al Reich. Per fare ciò, occorreva recuperare le popolazioni di ascendenza germanica vissute a Est, che sviate da cattive guide e dalla perniciosa influenza ebraica, si erano piegate ed erano tralignate dalla loro eredità razziale. Heydrich disegnava un anello centrale, corrispondente alla Germania, alla Norvegia, all’Olanda e Fiandre, dominato dalla razza germanica e dai suoi alleati, a cui, in prospettiva, si sarebbero unite Svezia e Danimarca. A questo forte nucleo centrale, si associavano i territori annessi a Est, in gran parte popolati da slavi, spazio da dirigere e conservare tramite la riduzione in condizione di schiavitù dei popoli (o, come diceva Heydrich con reminiscenza classica, di iloti) da parte dei coloni tedeschi. Non si trattava secondo Heydrich di una mera colonizzazione, ma di un grande “compito di civiltà” (Kulturaufgabe), isolando l’Europa dall’assalto asiatico mediante un “muro di difesa” costituito da una milizia contadina; una volta assicurato il perimetro difensivo orientale, si trattava di suddividere trasversalmente l’intero Est in modo da travolgere gradualmente le popolazioni aliene che vi abitavano. La filosofia era ancora quella dei “ponti di popolazione” del primo Generalplan Ost; isolare le comunità di sangue non-tedesco per dominarle e soffocarle lentamente.

18 

Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 19.

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Questa opera di germanizzazione doveva essere totale fino ai confini dei territori annessi a Est. Fin qui Heydrich concordava con il piano della primavera 1940. Tuttavia, soggiungeva il capo dell’RSHA, a questo spazio germanico dovevano essere uniti i Paesi Baltici; era opportuno valutare, presso i lettoni, gli estoni e i lituani, quanti di costoro fossero passibili di un ritorno alla razza germanica. Su quest’ultimo punto, Heydrich aveva le sue idee; il popolo di minor valore razziale, ai fini della costituzione del nuovo ordine europeo, erano senz’altro i lituani. Restava il Governatorato Generale, territorio anch’esso da germanizzare gradualmente, e infine l’Ucraina, che nell’esposizione di Heydrich doveva essere staccata dallo spazio geopolitico granrusso, ed essere attratta nell’orbita tedesca. Heydrich non era uno dei pianificatori del Commissariato di Himmler, e non aveva intenzione di scendere nei particolari. È tuttavia chiaro dal suo discorso praghese che sebbene i canoni ispiratori della pianificazione delle SS non mutassero, gli obiettivi si erano enormemente ampliati; si trattava di costituire in Europa un nucleo centrale di stati dominati dalla razza tedesca e dai suoi alleati per sangue, cui corrispondeva un secondo blocco di territori a Est germanizzati ed estesi ben oltre i confini tedeschi, entro quelli russi. Che gli orizzonti si ampliassero e che occorresse uno sforzo supplementare che eccedesse i limiti del piano del 1940, lo prova un documento del 18 ottobre 1941 dell’Ufficio pianificazione di Posen, firmato da Dolezalek, che delineava un progetto di lavoro pianificatorio distinguendo tra le priorità e gli scopi di medio termine; dava indicazioni pratiche sul lavoro da compiere (ad esempio tramite un uso più esteso della cartografia); indicava le riserve di coloni da impiegare sui territori a Est per ottenerne la germanizzazione. Su quest’ultimo punto, il documento indicava la possibilità di attingere anche ai popoli olandesi e fiamminghi, facendo rinascere in loro lo spirito coloniale 19. Si accennava qui a uno dei problemi che graverà sempre più sull’intero processo pianificatorio; via via che lo spazio coloniale si ampliava grazie alle conquiste belliche, la possibilità di riempirlo con coloni di ascendenza puramente tedesca diventava sempre più impalpabile. Semplicemente, non esistevano abbastanza tedeschi per riempire spazi così immensi. Di conseguenza, i criteri razziali dovevano venir meno stringenti; non solo si trattava di aumentare la quota di elementi dichiarati germanizzabili, ma anche di allargare lo

19 

Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 33.

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20 marzo 1941: Konrad Meyer (primo a destra) con Reinhard Heydrich (terzo da destra), Rudolf Hess (primo a sinistra), Franz Todt (quarto da sinistra) e  Heinrich  Himmler (secondo a sinistra).

spazio coloniale a popolazioni che, per quanto non abitanti in Germania, potevano essere dichiarate affini per sangue, come appunto olandesi e fiamminghi. Questa tendenza ad aumentare il più possibile i coloni tedesco-etnici condusse a esiti paradossali; si verificarono casi in cui si teorizzò la necessità di dislocare minoranze etniche tedesche presenti in altri paesi (ad esempio in Tirolo) come possibili coloni adatti alla germanizzazione, ad esempio, della Crimea; o altri casi in cui come indici di una ascendenza germanica da parte di individui “polonizzati”, oltre alle caratteristiche fisiche che la RuSHA ricercava (come gli occhi blu, i capelli biondi o la forma del cranio) venivano valutati anche la tendenza alla pulizia o persino la geometria della costruzione della casa di abitazione. Che esistessero opinioni diverse, conflitti di competenze, rivalità burocratiche a complicare la strada dello sviluppo del Generalplan Ost, lo mostra anche la riunione che fu tenuta il 4 febbraio 1942 al Ministero per l’Est, istituto nel luglio del 1941 e affidato a Alfred Rosenberg (futuro imputato a Norimberga). Per riempire le caselle del suo Ministero, Rosenberg aveva arruolato SS scontente, esperti veri e presunti in materie

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razziali, e così via, probabilmente nel tentativo di affermare le proprie competenze di fronte alla macchina di potere costituita da Himmler. Tra i funzionari arruolati da Rosenberg, c’era Erhard Wetzel, nato a Stettino nel 1903 ed entrato nel partito nazista nel 1933 (non proprio un nazista della prima ora, quindi), ove aveva dapprima fatto parte dell’Ufficio per la politica razziale, per poi passare alla struttura di Rosenberg. Fu proprio Wetzel, che assistette alla riunione del febbraio 1942, assieme a Bruno Peter Kleist per il Ministero di Rosenberg, Helmut Schubert per il RKFDV di Himmler, a delegati del RuSHA e al professor Eugen Fischer, antropologo del Kaiser Wilhelm Institut, a redigere una sorta di verbale della riunione, nel quale cita per la prima volta il termine Generalplan Ost 20. Oggetto della riunione era il problema della germanizzazione dei Paesi Baltici, al cui proposito emersero due linee: quella più blanda del Ministero di Rosenberg, che riteneva che i criteri razziali stabiliti per la patente di germanizzabilità fossero troppo stretti; e quella più severa di Schubert in nome del Commissariato di Himmler, che riteneva che solo il 3% dei polacchi fin lì esaminati aveva rivelato un qualche valore razziale ai fini del recupero del sangue tedesco. Ai rappresentanti del Ministero, che protestavano che solo una piccola percentuale di polacchi era stata esaminata per determinarne il valore razziale, Schubert replicò che era ben possibile evacuare in Siberia tutti gli individui indesiderabili dal punto di vista razziale; e che una presa di possesso della terra resasi disponibile dopo la deportazione dei non-tedeschi non sarebbe stata impossibile. Alle obiezioni del Ministero che una simile politica nei territori conquistati a Est avrebbe reso impossibile mantenere l’ordine pubblico e la sicurezza, Schubert replicò con sicurezza che la competenza sulla politica delle popolazioni spettava al RKFDV di Himmler; e che il Führer aveva già approvato le deportazioni. Il verbale di Wetzel dimostra due cose; da un lato lo sviluppo del Generalplan Ost era oggetto di discussione tra agenzie diverse; dall’altro, il piano espandeva i nuovi confini. Non si parlava più di deportazione nel Governatorato Generale ma addirittura in Siberia, con una vaghezza che gettava inevitabilmente sul progetto l’ombra del genocidio 21. L’esistenVom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., pp. 38-41. Nel verbale superstite della conferenza di Wannsee del 20 gennaio 1942, un passo importante sulla via del genocidio, si parlava, altrettanto genericamente, di evacuazione degli ebrei a Est. Sulla conferenza di Wannsee, cfr. C. Browning, The Origins of the Final Solution. The 20  21 

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za di una discussione non deve tuttavia far concludere che esistesse una forma di nazismo ‘moderato’; se è vero che i membri delle strutture che facevano capo a Himmler cercavano di imporre una linea più severa sulla questione razziale, ciò non significava che i membri delle varie agenzie non fossero d’accordo sui fini ultimi, ossia la germanizzazione del territorio conquistato dal Reich. Le varianti riguardavano al massimo le svolte tattiche per arrivare nel modo più rapido alla realizzazione di quei fini. Non a caso, con il mutare delle condizioni belliche e della disponibilità di riserve di coloni, variarono anche le posizioni dei partecipanti alla discussione. Furono talora le stesse SS chiamate a partecipare al Generalplan Ost a richiamare la necessità di allargare i criteri di germanizzabilità della popolazione polacca. In una lettera del presidente della provincia della Slesia superiore, datata 9 giugno 1942 e mostrata a Norimberga, venivano specificati i principi cardine della scelta razziale: erano da ritenersi di ascendenza tedesca tutti coloro che erano eminenti per operosità, pulizia personale, portamento e salute. Inoltre erano tali anche coloro che davano un’impressione equilibrata dal punto di vista mentale, anche se non parlavano tedesco 22. Dunque i criteri su cui si fondava la presunta ri-germanizzabilità erano quanto mai elastici, e finivano per alimentare un curioso paradosso; se il segno di una sicura discendenza nordica era l’attività, la capacità di distinguersi, la fermezza morale e la capacità di agire con prontezza, i polacchi più impegnati nella resistenza contro l’invasore erano i più probabili portatori di sangue tedesco… Che tuttavia Himmler, nonostante una ferrea volontà di mantenere saldamente nelle proprie mani la direzione del lavoro pianificatorio (e ovviamente della successiva esecuzione a vittoria ottenuta), dovesse mantenere una sorta di equilibrio con le altre agenzie governative e con le altre autorità sul territorio, lo mostra la sua agenda; il 13 e il 14 marzo 1942, Himmler si recò a Cracovia per incontrarsi con Hans Frank, cui presentò i piani delle SS che prevedevano una preparazione per la germanizzazione prevista per l’anno successivo della regione di Lublino e in particolare della circoscrizione di Zamosc, dove Himmler progettava di insediare i

Evolution of Nazi Jewish Solution, September 1939 – March 1942, University of Nebraska, Yad Vashem, Lincoln and Jerusalem, 2004; C. Gerlach, Sur la conférence de Wannsee. De la décision d’exterminer les Juifs d’Europe, Liana Levi, Paris, 1999; M. Roseman, The Villa, the Lake, the Meeting. Wannsee and the Final Solution, Penguin, London, 2003. 22  Trial of War Criminals before the Nuernberg Military Tribunals, cit., IV, pp. 766-67.

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tedesco-etnici provenienti dalla Transnistria, la regione al confine occidentale dell’Ucraina. Himmler si era impegnato a promuovere quest’operazione senza turbare il raccolto (la prima preoccupazione di Frank). Ancora una volta i piani di germanizzazione di Himmler sottoposti a Frank riguardavano l’isolamento delle comunità polacche, da rinserrare in una sacca circondate dagli insediamenti tedeschi. Questo modo di accerchiamento, nelle idee di Himmler, avrebbe condotto nel modo più rapido all’assorbimento degli elementi desiderabili da un punto di vista razziale 23. La stessa terminologia impiegata e relativa alla chiusura in una sacca (eingekesselt) delle popolazioni non-tedesche rimandava alla fraseologia militare della Blitzkrieg, fondata appunto sull’accerchiamento di ampie forze nemiche in una sacca e la loro successiva distruzione 24. Il lettore di queste pagine trae veramente l’impressione che Himmler intendesse la germanizzazione come la prosecuzione e il completamento delle operazioni militari sul campo, e che la guerra guerreggiata fosse soltanto il primo tempo di un confronto che, una volta conseguita la vittoria sul campo, avrebbe visto il definitivo consolidamento del trionfo tedesco dal punto di vista della colonizzazione. Era questo il compito di civiltà cui aveva alluso Heydrich nel discorso di Praga del 2 ottobre 1941. In ogni caso, nel 1942, c’erano altre strutture assieme all’Ufficio pianificazione diretto da Konrad Meyer a lavorare alla progettazione del Generalplan Ost. Il 14 aprile 1942, l’architetto Udo von Schauroth, membro dell’Ufficio II dello Stabshauptamt del RKFDV assolveva con un proprio memorandum al compito affidatogli da Himmler di effettuare un calcolo dei costi economici della progettata colonizzazione dell’Est. Von Schauroth aveva fatto i conti per i territori ex-polacchi annessi al Reich, ma, come egli stesso avvertiva, era possibile ampliare la contabilità per ricomprendervi anche la Crimea e l’Ingermanland (come i pianificatori delle SS chiamavano la regione di Leningrado, oggi San Pietroburgo). Come territori un tempo dominati dai tedeschi, in particolare la Crimea, antico possedimento dei Goti, anche questi territori conquistati potevano venir 23  Vom Generalplan Ost zum Generalplanungsplan, cit., p. 44. Himmler parlava anche di accerchiamento (Umschliessung). C’è da credere che la politica delle popolazioni proposta da Himmler fosse appunto la prosecuzione della guerra con altri mezzi; o, per meglio dire, i rapporti espressi nella politica delle popolazioni erano appunto di natura bellica. 24  Sulle tattiche belliche tedesche in Russia, cfr. C. Bellamy, Guerra assoluta. La  Russia Sovietica nella seconda guerra mondiale, Einaudi, Torino, 2010; D. M. Glantz, Operation Barbarossa. Hitler’s Invasion of Russia 1941, The History Press, Brimscombe Port, 2011.

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ricompresi nella progettata colonizzazione dello spazio tedesco. Secondo le memorie di Felix Kersten, il massaggiatore di Himmler, fu quest’ultimo a suggerire a Hitler il 6 luglio 1942, subito dopo la caduta di Sebastopoli in mani tedesche, un progetto per l’insediamento dei coloni tedeschi in Crimea, osservando: «I tedeschi, una volta, erano un popolo di agricoltori, e devono diventarlo di nuovo. L’Est aiuterà a rafforzare il lato agricolo della nazione germanica» 25. E, in effetti, nell’ottobre 1942, un insediamento di coloni tedeschi, secondo Kersten, ebbe luogo davvero. Più di 10.000 ucraini furono cacciati dalle loro case, e al loro posto vennero insediati coloni tedesco-etnici che ricevettero 14 acri di terreno ciascuno dagli specialisti agricoli delle SS. La sconfitta subita dalla Wehrmacht alle porte di Mosca nel dicembre 1941 sembrava non aver lasciato traccia sui piani delle SS, che fidavano nel buon esito della nuova offensiva tedesca (che in effetti avrebbe portato la Wehrmacht fino alla riva del Volga e a Stalingrado) e nella conquista definitiva di ampi territori una volta russi; e il Generalplan Ost sembrava uscire dalla vaghezza per entrare in una nuova fase operativa, bisognosa di conoscere esattamente sia i costi di una simile operazione, sia le fonti di finanziamento disponibili. Di questa nuova fase operativa, c’è traccia nella lettera scritta il 14 aprile 1942 da Konrad Meyer all’Oberführer delle SS Hans Kammler, membro dell’Ufficio centrale delle SS per l’amministrazione economica, in cui Meyer annunciava l’intenzione di Himmler di calcolare i costi per la germanizzazione entro il decennio successivo alla guerra, dei territori annessi a Est; dei nuovi territori di insediamento a Occidente (Lussemburgo, Alsazia-Lorena, alta Carniola e Stiria), oltre che alla Crimea e all’Ingermanland, dove sarebbero state costitute due “marche territoriali” 26. Si trattava di un territorio coloniale che abbracciava, secondo i calcoli delle SS, 364.231 chilometri quadrati, che, unito ai 583.408 km² di estensione del Reich costituiva un territorio enorme, che andava dai confini con la Francia fino alla Crimea. Questo intenso lavoro deve aver prodotto un piano, che disgraziatamente non ci è pervenuto. È tuttavia possibile farsene un’idea grazie a un ampio memorandum redatto da Erhard Wetzel e datato 27 aprile 1942. Grazie ai suoi contatti con Hans Ehlich, capo dell’ufficio IIIB dell’RSHA, che si occupava della politica delle popolazioni (Volkstumspolitik), Wetzel 25  26 

H. Pringle, The Master Plan, cit., Kindle edition, pos. 4424. Vom Generalplan Ost zum Generalplanungsplan, cit., p. 47.

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aveva avuto modo di vedere l’esito delle elaborazioni che evidentemente l’RSHA stava conducendo (dunque anche uffici di questa struttura erano al lavoro su questo piano) e di relazionare ampiamente in merito al Ministero cui apparteneva 27. Secondo la testimonianza di Wetzel, le carte esaminate riguardavano ormai la deportazione di 31 milioni di persone, benché i nuovi piani non comprendessero anche Ingermanland, Crimea e Tauride. Queste parti, tuttavia, sarebbero state aggiunte; e Wetzel notava che il personale addetto alla pianificazione della colonizzazione era in aumento. Ciò corrispondeva a un aumento delle risorse impiegate da Himmler per la stesura dei piani coloniali, la cui estensione si allargava ormai a un orizzonte trentennale dopo la fine del conflitto. Secondo Wetzel, adesso le SS prevedevano che 14 milioni di non-tedeschi rimanessero comunque nel Lebensraum germanico; e che il resto del territorio fosse riempito di coloni tedeschi e tedesco-etnici. Proprio qui iniziavano i dubbi di Wetzel, il quale riteneva (a ragione) che la disponibilità dei tedeschi a insediarsi a Est fosse assai scarsa; che il tasso di natalità dei tedeschi fosse di gran lunga inferiore rispetto alla mostruosa forza biologica riproduttiva delle popolazioni slave 28; che la cifra totale dei coloni tedeschi, prevista dai pianificatori delle SS di circa 10 milioni di coloni allo scadere del trentennio, fosse irrealistica. Nemmeno le più favorevoli prospettive demografiche facevano pensare che fosse possibile raggiungere una quota simile (Wetzel riteneva più verosimile una quota di 8 milioni). Restava il fatto che questi 8 milioni di tedeschi si sarebbero trovati di fronte una realtà di 45 milioni di slavi, di cui 31 milioni da deportare. Prendendo in esame come territori coloniali anche le province russe, la popolazione saliva a 51 milioni di persone, e inevitabilmente anche la quota di persone da deportare sarebbe salita di svariati milioni di unità (Wetzel calcolava fino a 45 milioni); senza contare il fatto che nel trentennio previsto come orizzonte temporale di sviluppo del piano coloniale, queste cifre sarebbero salite ancora, dato che ucraini, bielorussi e polacchi erano tra i popoli con l’indice di natalità più alto d’Europa. Wetzel calcolava che alla fine la popolazione slava nei territori dello spazio coloniale tedesco sarebbe ammontata a 60-65 milioni di persone. Le previsioni del Generalplan Ost sembravano dunque del tutto erronee, e di conseguenza le difficoltà Vi è chi, come S. Dahmen, Die Entwicklung des Generalplan Ost, cit., ha chiamato questo “il Generalplan Ost dell’RSHA”. 28  Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 52. 27 

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per la realizzazione del piano sarebbero state enormemente maggiori di quanto preventivato. Wetzel riteneva come campati in aria anche i calcoli relativi alle quote di individui dotati di valore razziale, e dunque germanizzabili. Per essere dotati di valore razziale, questi individui (ragionava Wetzel) devono avere qualche caratteristica, o nella loro conformazione fisica o nella loro complessione del carattere e del morale, che sia distintiva della razza nordica. Per sapere quanti individui siano portatori di questi caratteri, sarebbe necessario uno screening razziale delle popolazioni che vivono a Est, che però non è stato eseguito se non in piccolissima percentuale. Ma del resto, quale criterio adottare per decidere sull’appartenenza o meno alla razza nordica? Se si dovevano prendere come vincolanti i criteri stabiliti nel Gau di Danzica e Prussia orientale per identificare i tipi appartenenti alla razza nordica, si poteva essere certi che nemmeno una parte della popolazione del Reich avrebbe superato la prova. Le verifiche razziali del RuSHA venivano dunque derise da Wetzel, che ribadiva come le deportazioni della parte di popolazione razzialmente indesiderabile avrebbero comunque sollevato i turbamenti e le resistenze anche di quella quota di popolazione ritenuta germanizzabile. Wetzel profetizzava appunto quest’esito nei Paesi Baltici, così come derideva i piani delle SS per la deportazione dei polacchi non-germanizzabili nella Siberia; a prendere per buone le cifre fornite dall’RKFDV nei territori annessi a Est, secondo cui solo il 3% della popolazione era germanizzabile, ciò significava che i polacchi da deportare in Siberia si sarebbero aggirati tra i 19 e i 23 milioni di persone. Una tale massa di popolazione, deportata in territori spopolati come quelli siberiani, avrebbe facilmente assorbito le etnie locali, e costituito una grande Polonia nella Siberia 29. Lo stesso valeva per la popolazione ucraina, da deportare secondo i pianificatori SS nella misura del 65%. Nella relazione di Wetzel, il Generalplan Ost si stava ampliando fino a raggiungere dimensioni gigantesche. Gli spostamenti di popolazione contenuti in esso si gonfiavano fino ad abbracciare cifre misurabili in decine di milioni di persone. Dai suoi modesti inizi nel 1940, quando non aveva nemmeno un nome preciso, il Generalplan Ost era ormai un piano ambiziosissimo, cui lavoravano numerosi uffici e addetti, e per il quale erano state create apposite strutture burocratiche di sostegno. Né

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Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 62.

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Himmler temeva le conclusioni critiche delle agenzie governative rivali, come appunto il Ministero dell’Est cui apparteneva Wetzel, dato che i suoi piani godevano senz’altro dell’appoggio del Führer. La profondità di quest’appoggio è rivelata da una fonte terza, l’ex ministro degli armamenti del Reich Albert Speer, che nel 1947, durante la prigionia nel carcere di Spandau seguita alla condanna a vent’anni inflittagli a Norimberga, rievocava un episodio avvenuto a metà agosto 1942, quando Hitler discusse con lui i piani per la costruzione di un impero coloniale tedesco dopo la vittoriosa conclusione della guerra. Hitler avvisò Speer che Russia e Ucraina sarebbero state riempite di coloni tedeschi (dopo tutto, nel momento in cui Hitler parlava con Speer la Wehrmacht avanzava trionfante verso il Caucaso), e che a tale scopo si sarebbero spostate 100 milioni di persone. Tra i coloni tedeschi, Hitler annoverava anche i norvegesi; gli abitanti del Lussemburgo e dell’Olanda; parte degli svizzeri, dei danesi, dei fiamminghi e degli alsaziani e lorenesi. A loro si sarebbero uniti gli individui di ascendenza tedesca del Tirolo, della Slovenia, dei Balcani e dei Paesi Baltici. Mentre Speer prendeva faticosamente appunti, Hitler gli spiegava che tramite la riunione di tutti gli individui di sangue tedesco si sarebbe arrivati alla fatidica soglia dei 100 milioni di coloni, per i quali Speer avrebbe dovuto costruire autostrade, linee di trasporto, infrastrutture, case, in modo che essi potessero prendere possesso dei territori che il Reich avrebbe loro assegnato 30. Era, a ben vedere, la dimensione gigantesca dei piani delle SS, che evidentemente Hitler conosceva e appoggiava. Lo stesso riferimento a norvegesi, olandesi, lussemburghesi e fiamminghi come popolazioni di sangue germanico da impiegare come coloni nello spazio vitale tedesco rimandava con chiarezza alle pianificazioni degli uffici del RKFDV, che Hitler a quanto pare sosteneva contro le critiche delle agenzie rivali. Pur con il sostegno del Führer, Himmler era molto attento a muoversi nel groviglio burocratico di competenze sui territori conquistati in guerra. Ben sapendo che alcune competenze relative alla pianificazione rurale toccavano anche al Ministero per l’alimentazione e all’Ufficio del Reich per la politica agraria, Konrad Meyer si incontrò nel giugno del 1942 con Herbert Backe, segretario di stato di quel Ministero, per discutere di un incarico unitario relativo alla pianificazione coloniale. Meyer ne dette notizia

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A. Speer, Spandau. The Secret Diaries, Pocket Books, New York, 1977, p. 53.

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1941: Himmler mostra a Rudolf Hess e Franz Todt (a sinistra di Himmler) un plastico delle nuove fattorie coloniali previste per l’Est.

in una lettera del 5 giugno 1942 a Greifelt, mentre a sua volta Backe scrisse il giorno successivo a Himmler per sottoporgli una bozza di decreto che avrebbe messo Meyer stesso a capo della ricostruzione dell’agricoltura nei territori coloniali. In questo modo le SS si sarebbero assicurate la posizione dominante nei piani per l’Est rispetto a questi uffici, da cui non avrebbero dovuto temere intralci. Stante la deferenza con la quale le agenzie rivali si adeguavano ai desiderata di Himmler, non c’è da stupirsi che il 1942 vedesse un fiorire delle attività pianificatorie dell’RKFDV che si allargavano sempre più. Ne dà un esempio il memorandum vergato l’11 gennaio 1942 da Alexander Dolezalek su carta intestata dell’Ufficio Pianificazione Südmark di Posen, con il titolo Allegato al Piano generale di insediamento della zona di confine della Stiria inferiore (verosimilmente, si tratta di un allegato al piano visto da Wetzel e scomparso) 31. L’ampio documento 31  Copia mimeografica del dattiloscritto di 23 pagine di Dolezalek si trova sul sito www. gotschee.de.

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ripercorreva i fini fondamentali dei piani della SS, che Dolezalek fissava in due punti: indagare la struttura biologica, sociale ed economica dei gruppi da insediare nei territori coloniali; stabilire la zona coloniale più adatta alle caratteristiche razziali di ciascun gruppo di coloni. Secondo Dolezalek, tutti gli spostamenti compiuti nel 1940 e 1941 erano stati effettuati senza tener conto delle esigenze dei coloni là insediati. Di qui l’assoluta necessità, ai fini di un riordino economico dei territori conquistati e della costruzione in essi di una società funzionante, di scegliere con cognizione di causa chi inviare come colono in quale territorio. Dolezalek prendeva in esame i coloni provenienti dalla città di Kočevje (Gottschee nella denominazione tedesca), che erano stati insediati in Slovenia nell’ambito di una delle operazioni di germanizzazione pianificate dagli uomini di Himmler. Per fare posto a questi coloni, 34.000 sloveni erano stati deportati nel Reich; un memorandum del 26 giugno 1942 e indirizzato allo Standartenführer delle SS Ellermeier del VO-MI per la consegna di questi deportati agli HSSPF di diversi distretti del Reich, fu citato con il numero di registrazione NO-5306 tra i documenti di accusa al processo di Norimberga contro il RuSHA 32. L’esame di Dolezalek riguardava l’aspetto biologico e razziale, le caratteristiche economico-sociali della zona di insediamento in Stiria (il 40% del territorio della zona era coperto da boschi), la qualità della terra. Tutte queste indagini erano necessarie per stabilire quali abitanti, inquinati da un punto di vista razziale, era necessario deportare nel Reich come lavoratori coatti; quali tipi di colono era preferibile impiegare nell’insediamento da realizzare (Dolezalek notava che la struttura del suolo era più simile a quella della Bessarabia, e ciò poteva incidere sulla scelta dei gruppi di coloni per costituire l’insediamento in Stiria). Allo stesso tempo, Dolezalek valutava la qualità dei tedesco-etnici di Kočevje come possibili coloni per altre zone. Non è necessario scendere nei particolari del lungo testo di Dolezalek, per farsi un’idea del tipo di progettazione che le SS stavano effettuando nel 1942. Non si trattava più, come nel 1940, di una semplice germanizzazione dei territori ex-polacchi annessi al Reich. Ormai il lavoro abbracciava una sorta di antropologia razziale, una pseudo-scienza nazista (ciò spiega la presenza dell’antropologo Fischer alla riunione del febbraio 1942 di cui aveva riferito Wetzel), l’attento esame degli elementi agricoli

32 

Trial of War Criminals before the Nuernberg Military Tribunals, cit., IV, pp. 897-98.

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La famiglia Gliebe, proveniente da Kočevje (Gottschee) viene sottoposta all’esame razziale per l’inserimento nella Deutsche Volksliste.

presenti e quelli da inserire durante l’insediamento; la tenuta di conto della composizione sociale che sarebbe risultata dopo l’arrivo dei coloni designati per una zona; il bilanciamento tra le attività agricole e quelle industriali nella nuova colonia in modo che essa raggiungesse l’autosufficienza senza dover dipendere dal Reich; lo stabilire le quote di popolazioni da deportare nel Reich quali lavoratori coatti, dove comunque sarebbero stati sottoposti a segregazione per impedire che potessero inquinare il pool genetico ariano. Tutto ciò costituiva ciò che le SS chiamavano la costruzione dei territori a Est (Ostaufbau): un’opera colossale, gigantesca, di riprogettazione di ampie zone dell’Europa da ricostruire secondo criteri razziali ed economici, in cui le popolazioni (in qualche modo) di ascendenza tedesca sarebbero state germanizzate, e quelle ritenute nontedesche sarebbero state in parte asservite per il lavoro coatto, mentre il resto sarebbe scomparso dal continente tramite una vaga deportazione in Siberia, sul cui esito non si approfondiva mai e che si ha ragione di considerare l’anticamera del genocidio. Per realizzare questo gigantesco compito, Himmler aveva costruito un’enorme struttura burocratica, che

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faceva capo agli uffici centrali del RKFDV, ma che era sparsa sul territorio tramite le sue propaggini soprattutto in Polonia. Ciò indica il carattere particolare della burocrazia nazista, che era sui generis; i vari capi del regime tendevano a costituire i propri uffici allo scopo di realizzare i propri fini, spesso in competizione tra loro, e adeguavano strutture e organici via via che l’attuazione di quei fini cambiava secondo le condizioni sul campo 33. In ogni caso, il piano di colonizzazione pensato dalle SS non riguardava più esclusivamente l’Est, ma abbracciava anche regioni occidentali, come il Lussemburgo: secondo una lettera a Himmler di Friedrich Wilhelm Krüger, l’HSSPF del Governatorato Generale di stanza a Cracovia, lettera che fu mostrata a Norimberga, 133 famiglie provenienti dal Lussemburgo furono deportate in Polonia, 36 capifamiglia delle quali furono inviati in campi di concentramento come prigionieri politici, e 11 giustiziati immediatamente per ragioni politiche 34 Il prodotto più importante di questo ampio sforzo di pianificazione fu senz’altro il Generalplan Ost prodotto da Konrad Meyer nel giugno del 1942 35, probabilmente la variante nota del piano di colonizzazione più completa ed esauriente. Anche solo le dimensioni del piano di Meyer, un centinaio di cartelle dattiloscritte rispetto alle poche pagine del piano del 1940, mostrano quanto il progetto coloniale fosse lievitato in un biennio. Lo stesso progetto di Meyer era assai ambizioso: il sottotitolo recava “Fondamenti giuridici, economici e spaziali della costruzione dell’Est”; e il presupposto era che questi territori, ormai definitivamente sottomessi al dominio del Reich, dovessero essere trasformati in regioni all’altezza degli standard tedeschi. Né mancava un riferimento all’istituzione in essi di una “sana tradizione agricola”, spia del fatto che il legame mistico tra sangue e suolo e il suo mantenimento, indispensabile ai fini della nascita di una popolazione tedesca pienamente sviluppata in senso spirituale oltre che economico, era ancora la bussola che guidava il lavoro pianificatorio

33  Cfr. ad esempio le conclusioni di Z. Bauman, Modernità e olocausto, Il  Mulino, Bologna, 2010, dove l’olocausto è un prodotto della società moderna e della sua burocrazia. Tuttavia, a seguire la storia delle strutture burocratiche che produssero il Generalplan Ost, si ha l’impressione che i rapporti siano invertiti e che sia piuttosto la burocrazia ad essere un prodotto dell’olocausto progettato; le strutture burocratiche nascevano dove c’era un disegno già prefigurato e per mettere quest’ultimo in atto. 34  Trial of War Criminals before the Nuernberg Military Tribunals, cit., IV, p. 660. 35  Il dattiloscritto di Meyer è conservato al Bundesarchiv di Berlin-Lichterfelde con segnatura R 149 e numero d’archivio 157a.

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delle SS. Meyer rivendicava apertamente per Himmler la completa competenza per la costruzione dell’Est, che, come abbiamo visto, abbracciava quasi ogni aspetto della pianificazione e dunque il documento rappresentava l’aperta rivendicazione delle SS del monopolio nella costituzione del Nuovo Ordine Europeo. I coloni per l’Est avrebbero dovuto essere scelti secondo i criteri razziali stabiliti dalle SS; la terra da conferire loro sarebbe appartenuta al Reich, rappresentato appunto dal Commissario Himmler, che l’avrebbe conferita al colono con una sorta di investitura feudale settennale, mediante la quale il colono avrebbe contratto un debito di insediamento, da ripagare tramite il raccolto. Allo scadere del settimo anno, il terreno concesso sarebbe stato trasformato in un feudo a vita, oppure sarebbe stato disdetto se il colono si era dimostrato incapace o inaffidabile. Assieme a una colonizzazione rurale, Meyer prevedeva tuttavia anche una colonizzazione urbana, per quanto pur sempre collegata alla terra. Il piano abbracciava la costituzione di marche di insediamento come compito speciale del Reich, ossia territori che costituivano lo spazio di insediamento tedesco in un ambiente completamente alieno. Queste marche, oltre che assicurare la sicurezza delle frontiere del Reich, avevano dunque il compito di difendere i coloni tedeschi e permettere loro di consolidarsi impedendo inquinamenti genetici da parte delle popolazioni non-tedesche che le circondavano. Meyer prevedeva che durante tutta l’opera di colonizzazione, queste marche, costituite dalla Crimea (che Meyer chiamava Gothengau), dall’Ingermanland e dalla regione di Memel in Lituania, fossero sottoposte all’autorità dell’RKFDV e solo dopo la completa germanizzazione fossero assorbite nel corpo del Reich. Per la costituzione di queste colonie a Est, Meyer prevedeva un particolareggiato piano di interventi: una codifica del paesaggio tramite un’ampia riforestazione; la creazione di un’ampia rete che permettesse la circolazione; la costruzione di un’economia agricola e di una urbana, oltre che interventi di rimodellazione delle città. Il piano scendeva in minuti particolari; Meyer calcolava che circa il 40% delle superfici agricole patisse il ristagno delle acque, e dunque progettava tutta una serie di interventi idraulici (costruzioni e regolazione di canali, ecc.) nonché la costruzione di circa un milione di nuove abitazioni tra costruzioni ex novo e ristrutturazione di edifici già esistenti. Non si trattava di pedanteria; Meyer scendeva nei particolari anche più minuti della progettazione perché Himmler gli aveva chiesto una stima dei costi di tale impresa. Su un orizzonte temporale trentennale dalla fine della guerra, nel quale sarebbe avvenuta

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la colonizzazione, Meyer stimava un onere totale di oltre 45 miliardi di marchi, da ripartire tra il bilancio statale e gli investimenti privati. Per quanto riguardava la germanizzazione del territorio, Meyer proponeva che il collegamento tra le varie colonie e marche di insediamento fosse mantenuto costituendo 36 punti di sostegno (Stützpunkte) delle SS e della polizia, a circa 100 km di distanza tra di loro lungo le vie di comunicazione, fino a coprire un territorio di 2000 km². In tal modo, le SS sarebbero diventate la spina dorsale dell’impero coloniale tedesco. Meyer chiariva che, nelle intenzioni dei pianificatori, il Nuovo Ordine Europeo sarebbe stato l’ordine delle SS. Il piano di Meyer fu inviato da Greifelt a Himmler il 2 giugno 1942. Himmler rispose il 12 giugno, giudicando il piano assolutamente buono e rivelando l’intenzione di sottoporlo al Führer; tuttavia riteneva il lavoro di Meyer ancora troppo settoriale. Si doveva approntare un piano complessivo (Gesamt-Siedlungsplan) 36 che comprendesse tutti i territori annessi al Reich, Boemia e Moravia oltre che i nuovi Gaue ex-polacchi, così come l’Alsazia-Lorena, l’Ucraina e la Stiria. Anche l’orizzonte temporale del nuovo piano globale doveva essere ridotto a vent’anni dai trenta precedenti. Né la proposta dei punti di sostegno incontrava i favori di Himmler. Ciò innescò un nuovo, intenso lavoro pianificatorio in cui gli uomini di Himmler si gettarono ognuno secondo le proprie competenze; Helmut Schubert calcolando il fabbisogno di coloni necessari e indicando i mezzi per trovarli; Udo von Schauroth chiarendo le questioni relative alla germanizzazione dei territori, e così via. In una nota del 28 luglio 1942, furono ripartiti esattamente i temi che ciascun ufficio doveva svolgere per arrivare al nuovo piano globale richiesto da Himmler: SD, RuSHA, VO-MI, oltre che ovviamente le strutture dell’RKFDV, furono tutti pienamente coinvolti 37. Alla fine di luglio 1942 era già pronta una prima bozza del piano, nella quale si discuteva l’impiego dei prigionieri di guerra come lavoratori schiavi e che distingueva una nuova zona di costruzione (i territori ex-russi) dove l’edificazione delle colonie tedesche esigeva un intervento radicale di riassetto territoriale; una zona di ricostruzione, e una zona di integrazione (per i territori più avanti nella colonizzazione, che soltanto dovevano essere integrati nel Reich), diversificando il lavoro da svolgere già a livello di progettazione. 36  37 

Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlusngsplan, cit., p. 134. Ibid., pp. 156-59.

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La situazione a metà di agosto 1942 fu discussa nel Quartier generale del Führer in una riunione cui presenziarono Himmler, il generale delle SS Karl Wolff, Ulrich Greifelt, il segretario di stato agli Interni Stuckart e Konrad Meyer. Al momento, in Ucraina si trovavano 45.000 tedescoetnici sparsi su 486 villaggi presi in carico dal VO-MI 38. Tuttavia, la progettata colonia ucraina stentava a partire, a differenza della Transnistria. Ciò che preoccupava di più Himmler era l’attività dei partigiani, che prendevano di mira le colonie tedesche e contro i quali alcune comunità tedesco-etniche aveva cominciato a formare una milizia difensiva; il Commissario del Reich suggeriva di concentrare i coloni in 100 villaggi, abbandonando quelli più isolati e meno facilmente raggiungibili, in maniera che ne fosse più facile la difesa. Nonostante le crescenti difficoltà sul campo, Himmler credeva ancora nella possibilità di realizzazione del piano coloniale. In un discorso tenuto il 16 settembre 1942 agli HSSPF, i capi regionali delle SS e delle forze di polizia, a Hegewald, egli tuonò: Il problema: terra e suolo per gli uomini! In questi 20 anni, noi dobbiamo colonizzare le attuali province tedesche a Est, dalla Prussia orientale fino alla Slesia superiore, e l’intero Governatorato Generale; noi dobbiamo germanizzare e colonizzare la Bielorussia, l’Estonia, la Lituania, l’Ingermanland e la Crimea.

Nelle parole di Himmler, le colonie sarebbero state spinte sempre più avanti, via via che la Wehrmacht avanzava, fino al Don e al Volga, e forse, un giorno, sino agli Urali 39. Alla fine dell’intero percorso, il destino storico del popolo tedesco (Schicksal Europas), che le SS erano chiamate ad adempiere, si sarebbe avuta l’intera Europa sotto il dominio del sangue germanico, i cui rappresentanti sarebbero passati, nel volgere di 4-5 secoli, dai 120 milioni di individui attuali, a 500-600 milioni di persone. Oramai dagli inizi modesti del 1940, gli orizzonti del piano globale voluto da Hitler e progettato da Himmler si dipanava su scala continentale e su tempi secolari. Era il sogno del Reich millenario nazista, un blocco continentale che andava dalla Francia agli Urali interamente omogeneo 38  Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlusngsplan, p. 164. Sulla situazione bellica in Crimea e sugli spostamenti di popolazione che ne derivavano, cfr. R. Forczyk, Where the Iron Crosses grow. Crimea, 1941-44, Osprey, Oxford, 2014. 39  Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlusngsplan, cit., pp. 172-73.

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dal punto di vista razziale, in cui già si prevedevano future guerre con gli altri continenti per il dominio del mondo… Una nuova bozza di quello che di lì a breve si sarebbe chiamato Piano Generale per l’insediamento, abbandonando la vecchia denominazione di Generalplan Ost (si era ormai andati oltre) fu elaborata nello Stabshauptamt del Commissariato di Himmler in data 5 ottobre 1942. Grande importanza in queste elaborazioni era data alla materia economica, sotto la direzione di Udo von Schauroth, il che, come vedremo, non era senza significato. Il  piano tuttavia era in ritardo; si era previsto per la fine di ottobre 1942 di sottoporlo a Himmler, ma ancora il 21 ottobre l’Ufficio III dello Stabshauptamt sollecitava gli uffici inadempienti ad affrettarsi; il 22 ottobre Konrad Meyer ordinava a tutti gli addetti alla pianificazione di sospendere tutte le altre attività per concentrarsi sulla redazione del piano richiesta da Himmler, e sospendeva tutte le licenze, le aspettative e le missioni. Il 9 novembre 1942 veniva redatto l’indice definitivo del piano. Il 12 novembre, l’aiutante personale di Himmler sollecitava di nuovo Greifelt circa l’invio del piano a Himmler. Il 18 novembre la parte del piano relativa alla Volkstumspolitik era ormai pronta. Nella nuova impostazione di fine 1942, la politica di insediamento era sempre più legata all’analisi economica; mentre in precedenza, e fino al piano di Meyer del giugno 1942, si era molto insistito, pur all’interno del riconoscimento che la futura economia coloniale doveva avere un carattere misto agricolo-industriale, sul valore della pianificazione agricola per lo sviluppo di una società sana e fiorente; nelle elaborazioni di fine 1942 il carattere preminente era dato da una pianificazione economica a trecentosessanta gradi, che entrava nel dettaglio dello sviluppo dei commerci e delle industrie, nonché di un ceto di professionisti indigeno e non semplicemente da trasferire dal Reich alle colonie. Questa attenta e capillare pianificazione economica attraversò i mesi di novembre e dicembre 1942, finché, il 23 dicembre 1942, Ulrich Greifelt poté finalmente inviare a Himmler i materiali preparatori del piano e le cartine allegate predisposte dai pianificatori delle SS. L’incontentabile Himmler non accolse il piano come definitivo. In una lettera del 12 gennaio 1943, scrisse a Konrad Meyer che nel piano dovevano essere ricomprese esplicitamente Lettonia, Estonia, Bielorussia e Ingermanland, così come l’intera Crimea e la Tauride 40.

40 

Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlusngsplan, cit., p. 256.

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La richiesta di un nuovo e più ampio piano richiese un convegno a Bernau, organizzato dall’Ufficio IIIB dell’RSHA, il 31 gennaio 1943, di tutte le agenzie interessate. Di questo convegno ci sono rimasti gli appunti per una relazione vergati da Hermann Krumey, tra il 1940 e il 1943 capo dell’Ufficio Emigrazione (UWZ) di Lodz e in seguito membro del Sonderkommando Eichmann che provvide alla deportazione degli ebrei ungheresi ad Auschwitz. Si tratta solo di frammenti ma utili per capire in che direzione si orientava la discussione: Razza e popolo (caratteristiche estranee). Spirituali – psicologiche – peculiarità del carattere. Scolarizzazione degli uomini per le questioni relative alle popolazioni. I problemi relativi alle popolazioni non devono essere risolti durante la guerra… Due possibilità: 1) assimilazione 2) sterminio 41.

Lo stesso Meyer, il 15 febbraio 1943, scrisse a Himmler, accusando ricevuta dell’incarico di ampliare quello che ormai era diventato il Piano Generale di Insediamento (Generalsiedlungsplan) e chiedendo precisazioni su come effettuare le aggiunte richieste degli elaborati del Piano, inviati il 23 dicembre 1942 a Himmler. Solo che, comicamente, gli elaborati non si trovavano più. Una fitta corrispondenza tra uffici accompagnò la primavera 1943, nella vana ricerca degli incartamenti (ogni ufficio negava di esserne in possesso). Ancora il 10 giugno 1943, Meyer non aveva ricevuto risposta da parte di Himmler sulla maniera di rielaborare il piano, mentre i preziosi incartamenti continuavano a non ricomparire. Era ormai chiaro che l’interesse di Himmler per la pianificazione stava venendo meno; la  tremenda sconfitta subita dalla Wehrmacht a Stalingrado forse non aveva fatto venire meno nel Commissario per il Reich la fiducia nella vittoria finale, ma era chiaro che l’esercito tedesco non era più all’offensiva nella campagna di Russia, né lo sarebbe stato mai più con esiti vittoriosi; e che i piani per l’espansione coloniale erano ormai alquanto compromessi. Non si trattava più di espandere i piani, come Himmler aveva richiesto a Meyer, ma di difendere, se possibile, i territori conquistati. In secondo luogo, l’attenzione di Himmler era ora diretta, più che alla produzione di piani da attuare, all’attuazione pratica di quanto pianificato. 41 

Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlusngsplan, cit., p. 262.

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3. Il territorio II/10/I GG Durante il processo subito a Norimberga, gli imputati che avevano in qualche modo avuto a che fare con il Generalplan Ost tesero a minimizzare in ogni modo la portata di quel piano. Su questo tema, in particolare, insistette Meyer, sia durante l’interrogatorio subito da Rodell, sia durante il dibattito processuale in aula. Meyer si dipinse come un mero studioso, un accademico il cui unico interesse era la preservazione della classe contadina tedesca e della base rurale della Germania 42. Lo scopo del suo lavoro all’Ufficio Pianificazione dell’RKFDV era piuttosto sviluppare criteri generali per la pianificazione della costruzione dei territori annessi al Reich nel dopoguerra. Nulla sapeva dello sterminio delle popolazioni non-tedesche, né ciò riguardava le sue competenze. Del resto, il suo lavoro si limitava a fornire limitazioni di zone e a occuparsi della questione, ancora non chiara all’epoca della redazione del piano, di che cosa fare con le popolazioni tedesco-etniche in Ucraina, e se fosse necessario trasferirle oppure no. Per il Governatorato Generale invece Meyer rifiutava di assumere alcuna responsabilità, e neppure sulla germanizzazione dei polacchi, tanto più che, come disse a Rodell, i suoi compiti erano puramente teorici, senza alcuna applicazione pratica (praktischen Ausführung). L’accusa aveva idee confuse sul Generalplan Ost; ne identificava la prima parte con le Riflessioni sul trattamento dei popoli stranieri di Himmler del 1940, e fu ulteriormente disorientata dal gioco di squadra degli imputati e dei testimoni nazisti. Hans Ehlich, amico di Erhard Wetzel e capo dell’Ufficio IIIB dell’RSHA, riuscì a rendere la situazione ancora più confusa quando distinse il Generalplan Ost in due sottopiani distinti, uno a breve e uno a lungo termine, e datò la compilazione del piano al 1940, con ciò revocando in dubbio la genuinità delle elaborazioni del 1942, ricondotte a un mero esercizio teorico. In tal modo egli oltre a sé protesse Meyer, cui Himmler aveva invece affidato il coordinamento dei vari uffici per la redazione di un piano globale. Meyer aveva tutto da guadagnare, nel processo, a ritrarsi come un tranquillo accademico. Eppure, le sue pianificazioni andrebbero viste nel contesto delle dottrina razziale che Himmler aveva già cominciato 42 

Trial of War Criminals before the Nuernberg Military Tribunals, cit., V, p. 75.

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a delineare a metà degli anni Trenta e che qui abbiamo chiamato con la formula Blut und Boden e che riuniva in sé il concetto di Razza e quello di Insediamento. Prima della guerra, l’idea di una colonizzazione e di una germanizzazione dell’Est poteva essere solo un’idea, per quanto assai ben sviluppata. Come si trova scritto nel numero 6 del 1940 dei libretti-guida pubblicati mensilmente dalle SS principalmente per i propri ufficiali, i cosiddetti SS-Leitheft, «Nei nuovi villaggi, e nelle nuove fattorie crescerà un ceto contadino, che nella propria successione delle generazioni, sarà una sorgente inesauribile di sangue tedesco e pertanto un sostegno del Reich» 43. Il sogno di un’Europa colonizzata e germanizzata a Est esisteva già ben prima di Barbarossa; il compito degli esperti razziali del RuSHA, tra cui Meyer, era quello di far uscire tale sogno dalla sua dimensione teorica e avviarlo a una fase operazionale, come ha giustamente rilevato Isabel Heinemann. Meyer riuscì a far credere ai suoi giudici che questo ruolo operazionale non era mai esistito; e salvò la pelle. Non riuscendo a dar corpo alle accuse di genocidio mosse a Meyer per il suo ruolo nella redazione del Generalplan Ost, le autorità di Norimberga non poterono che abbozzare; Meyer uscì assolto da tutte le accuse e condannato per la sola partecipazione alle SS, condanna per la quale aveva già scontato la pena durante la carcerazione preventiva (Greifelt, invece, su cui c’erano più abbondanti fonti di prova, fu condannato all’ergastolo). Tuttavia, il Generalplan Ost era stato ben più di un’esercitazione teorica. Non c’è dubbio che esso avesse l’approvazione di Hitler; il 12 novembre 1942, un ordine segreto di Himmler avviava la realizzazione della prima fase del piano coloniale nel Governatorato Generale. Il territorio scelto era la circoscrizione di Zamosc, che Himmler dichiarava come primo nucleo tedesco di insediamento nel Governatorato Generale. Il territorio, nelle mappe tedesche, era indicato come zona II/10/I GG; ivi sarebbero state trasferite popolazioni tedesco-etniche provenienti dalla Bosnia e dal Governatorato Generale. L’operazione avrebbe dovuto essere compiuta entro il termine temporale dell’estate 1943, periodo in cui la città di Zamosc e il suo distretto dovevano diventare una colonia tedesca. Le popolazioni polacche evacuate per fare posto ai coloni sarebbero state affidate all’Ufficio Emigrazione di Lodz (Umwandererzentralstelle o UWZ), che si occupava dell’espulsione degli indesiderabili che dovevano

43 

cit. in I. Heinemann, Rasse, Siedlung, deutsches Blut, cit., p. 29.

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lasciare il posto ai coloni tedeschi. L’attuazione pratica dell’operazione era affidata all’HSSPF di Lublino, Odilo Globocnik 44, che iniziò le operazioni di deportazione il 6 dicembre 1942. Le SS arrivavano all’alba nei villaggi da evacuare, li circondavano, radunavano tutta la popolazione del villaggio in una piazza centrale. L’intera operazione di deportazione durava più o meno fino a mezzogiorno, dopo di che i deportati polacchi venivano di solito avviati all’Ufficio Emigrazione di Lublino, che ne decideva la destinazione finale. Nel frattempo arrivavano le colonne dei coloni, trasportate su autocarri, che prendevano possesso delle abitazioni e dei beni lasciati dai polacchi. Questa procedura riguardò circa 120.000 polacchi. La scelta di Zamosc come luogo in cui avviare il Generalplan Ost non era sorprendente. Lo stesso Hitler, come svela una trascrizione dei Discorsi a tavola datata 5 aprile 1942, aveva acconsentito a scegliere la regione di Lublino assieme a Cracovia come luogo ove far partire la prima fase della germanizzazione della Polonia: Secondo Himmler, la storia prova che i polacchi hanno nel sangue la loro nazionalità. Bisogna dunque tenerli a bada inquadrandoli col maggior rigore possibile e tentando di farli travolgere dagli elementi tedeschi. È stato convenuto con Frank, governatore generale della Polonia occupata, che tanto il distretto di Cracovia (con la sua capitale puramente tedesca) quanto il distretto di Lublino verrebbero popolati da tedeschi. Saldamente assicurati questi due punti strategici, dev’essere possibile respingere lentamente i polacchi 45.

Quando si riferiva all’assenso prestato da Frank, mentre conversava con i suoi ospiti, Hitler alludeva all’incontro tenutosi a Cracovia il 13 e il 14 marzo 1942 tra Frank stesso e Himmler, per discutere l’inizio della colonizzazione tedesca nel Governatorato Generale, del quale è sopravvissuta una sintesi compilata da Friedrich Siebert, capo del reparto Amministrazione interna nell’amministrazione centrale di Frank ed egli stesso membro delle SS. Si era effettivamente parlato dei lavori di ristrutturazione degli edifici che, a Lublino e a Zamosc, avrebbero dovuto ospitare 44  Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlusngsplan, cit., pp. 211-12. Sull’attuazione di questo ordine, cfr. J. Poprzeczny, Odilo Globocnik, Hitler’s Man in the East, Mc Farland and Co., Jefferson, N.C. and London, 2004; H. Mentzel, Die erste Realisierungsphase der GPO in der Zamojszczyzna, Grin Verlag, München und Ravensburg, 2003. 45  Conversazioni a tavola di Hitler 1941-1944, prefazione di Hugh Trevor-Roper, Goriziana, Gorizia, 2010, p. 377.

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i coloni tedesco-etnici al loro arrivo, e dell’arrivo dei coloni provenienti dalla Transnistria, una regione della Moldavia, che si sarebbero installati a Zamosc. Himmler si era impegnato a non turbare l’esito dei raccolti con questi spostamenti di popolazione, da effettuare entro il 1942 46. La tattica era dunque quella già stabilita nel primo piano della primavera del 1940; si trattava di travolgere gli elementi polacchi tramite l’inserzione di colonie tedesche che spezzettassero il territorio abitato dalle comunità polacche e le isolassero. Già nell’aprile 1942, Hitler condivideva l’idea che la regione di Lublino, dove Zamosc si trovava, rivestisse un ruolo strategico in tale gioco. A  Norimberga, citando un rapporto di Helmuth Müller indirizzato al generale delle SS Hofmann, datato 15 ottobre 1941 e relativo alle attività del RuSHA nella regione di Lublino, fu avanzata l’idea che Globocnik, HSSPF di Lublino che agiva con una forte autonomia, quasi fosse uno stato nello stato (con gran dispetto delle autorità del Governatorato), e che aveva costituito organi di pianificazione propri a Lublino 47, avesse suggerito egli stesso a Himmler di iniziare a Zamosc l’applicazione pratica del Piano per l’Est. Globocnik aveva l’intenzione di germanizzare l’intera area di Lublino, a iniziare da un’unica porzione, stabilendo una connessione da Lublino fino alla Transilvania (i famosi ponti di popolazione del primo Piano del 1940) e ai Paesi Baltici, a loro volta germanizzati. In tal modo, fu sostenuto a Norimberga, i polacchi che rimanevano nel Governatorato sarebbero stati isolati e lentamente spezzati dal punto di vista economico e razziale. Himmler avrebbe assentito a quest’idea, così come avrebbe assentito all’intenzione di Globocnik di riempire la zona di Zamosc di contadini di ascendenza tedesca 48. La scelta di Zamosc come punto di partenza della germanizzazione della Polonia era insomma stata caldeggiata già in precedenza, e forse suggerita dallo stesso Globocnik a Hitler e a Himmler. Secondo un calcolo effettuato nell’ottobre 1942 da Hermann Krumey, il capo dell’Ufficio Emigrazione (UWZ) di Lodz, l’intera operazione doveva riguardare 140.000 persone da deportare, da dividere in quattro gruppi, seguendo i criteri razziali già stabiliti per l’appartenenza Von Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., pp. 43-44. In particolare, nel 1941, Globocnik aveva creato a Lublino il Forschungsstelle für Ostunterkunfte, che si occupava della germanizzazione dell’Est e che aveva a sua volta preparato un piano che prevedeva piazzeforti di polizia e delle SS che si sarebbero sviluppate assieme agli insediamenti, una sorta di antesignani degli Stützpunkte. 48  Trial of War Criminals before the Nuernberg Military Tribunals, cit., V, p. 865. 46  47 

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alla DVL; i primi due gruppi sarebbero stati in gran parte costituiti da individui dotati di valore dal punto di vista biologico e germanizzabili, che però, nei conteggi di Krumey, avrebbero coperto solo una quota del 5% della popolazione da espellere dalla regione di Zamosc. La maggior parte dei 140.000 individui da deportare sarebbe rientrato nella terza categoria, da avviare come forza lavoro coatta alla deportazione nel Reich, nei territori annessi a Est o anche ad altre regioni del Governatorato Generale. Il restante 21% della popolazione, circa 17.000 persone, avrebbe dovuto essere registrato nella quarta categoria, ossia gli individui senza alcun valore biologico o politicamente inaffidabili. Costoro avrebbero dovuto finire (e infatti ci finirono) in campi di concentramento 49. L’ovvio esito dell’avvio della prima fase del Generalplan Ost fu la fuga di decine di migliaia di famiglie contadine polacche, che scappavano sia per scansare la deportazione, sia per evitare la propria dispersione (nei campi dell’UWZ a Lodz spesso le famiglie venivano smembrate e i vari componenti avviati a destini diversi), sia per scongiurare la perdita di tutti i loro beni; le autorità tedesche permettevano infatti ai deportati nell’azione in svolgimento a Zamosc di portare con loro soltanto un bagaglio a mano di 30 kg e 30 Zloty (in seguito sia peso del bagaglio che somma di argent de poche furono diminuiti). I fuggiaschi cercavano di raggiungere i distretti confinanti, riparando da parenti e conoscenti, e si portavano dietro tutto il possibile, compreso il bestiame. Le fughe avvenivano persino durante il trasporto in colonna verso Lodz, ed erano facilitate dal fatto che i nazisti, per mancanza di personale, impiegavano quali agenti di sorveglianza poliziotti ausiliari spesso di nazionalità non-tedesca. Un altro esito fu l’intensificarsi della resistenza polacca, soprattutto a partire dal dicembre 1942. Ovviamente parte dei contadini fuggiti o deportati non ebbero altra scelta se non diventare partigiani e andare a ingrossare le fila della resistenza. Tra il novembre 1942 e il marzo 1943 erano già stati espulsi 41.000 polacchi da 116 villaggi. Non mancarono i tentativi dei deportati di ritornare indietro; secondo un rapporto dell’HSSPF del Governatorato Generale di stanza a Cracovia, Krüger, datato 28 gennaio 1943, alcuni contadini polacchi avevano cercato di rioccupare il villaggio di Ciesyn. Tutto ciò andò a vantaggio delle Ulteriori considerazioni di Krumey sulle deportazione dei polacchi dalla circoscrizione di Zamosc e datate novembre 1942 si trovano in Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungplan, cit., pp. 493-95. 49 

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bande partigiane. In alcuni casi, le bande partigiane erano più numerose e meglio armate delle forze di polizia a disposizione di Globocnik, ciò che costrinse SS e poliziotti ad operare in gruppi concentrici, e spesso a richiedere anche l’aiuto della Wehrmacht, che fu coinvolta nelle operazioni di deportazione. Quando l’attività dei partigiani, che giungevano a attaccare i villaggi coloniali e i tedesco-etnici che vi si erano insediati, divenne un reale pericolo, a Globocnik non restò altro che varare un’azione di pacificazione del territorio, chiamata operazione Lupo mannaro (Wehrwolf ), cui seguì poi una Lupo mannaro due. All’operazione presero parte circa 16.000 uomini, con lo scopo dichiarato di spingere le bande partigiane nei boschi di Bilgoraj, e ad essa concorse anche la Luftwaffe con operazioni di bombardamento dei “villaggi dei ribelli”, assieme a gendarmi, prigionieri di guerra russi passati ai nazisti, squadroni di cavalleria SS, reggimenti di polizia. La dottrina razziale SS non venne meno durante quest’azione di “pacificazione” del territorio; i figli dei partigiani catturati durante le razzie nei villaggi venivano, se ritenuti germanizzabili, avviati nel Reich e adottati da famiglie tedesche 50. Gli attacchi della resistenza e le rappresaglie naziste durarono fino a tutta l’estate 1943 e comportarono un prezzo spaventoso per la popolazione; nel giugno 1943, 16.000 persone erano state inviate nei campi di Majdanek e Auschwitz in seguito agli esiti dell’operazione Lupo mannaro. Tuttavia, gli sforzi di Globocnik non valsero ad eliminare i gruppi della resistenza. Al contrario: il risultato fu quello di precipitare la regione in un caos ancora peggiore. Fin dall’inizio, all’azione di insediamento di Zamosc aveva preso parte la nutrita minoranza ucraina della regione di Lublino. Blanditi dai tedeschi, gli ucraini immaginavano che i nazisti avrebbero permesso loro di realizzare una sorta di autonomia se non di riunirsi all’Ucraina stessa. Di qui il contributo ucraino allo sforzo tedesco; dalle fila ucraine uscivano le guardie dei campi di Treblinka e Majdanek. Del coinvolgimento della minoranza ucraina nell’operazione Zamosc parlava, in un rapporto citato a Norimberga, anche il governatore civile del distretto, Ernst Zörner, protagonista di furiosi scontri con Globocnik:

50  Si trattava di una pratica non limitata alla sola Polonia. Per la testimonianza della figlia di un partigiano ritenuta germanizzabile e deportata dalla Slovenia, cfr. I. von Oelhafen and T. Tale, Hitler’s Forgotten Children. My Life inside the Lebensborn, Elliott and Thompson, London, 2015.

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Gli ucraini che vivono perlopiù nelle aree di insediamento delle regioni nordorientali e orientali della circoscrizione di Zamosc sono stati provvisoriamente reinsediati nella parte occidentale… del distretto di Hrubieszow. Al momento, si trovano insediati in 35-40 villaggi razzialmente misti che diventeranno ucraini al 100% attraverso l’espulsione dei polacchi 51.

Zörner, che era molto critico nei confronti dell’operato delle SS a Zamosc, concludeva così il suo rapporto: «Zamosc è dunque diventata un inferno che allunga le sue ombre ben oltre i confini della zona di insediamento e della circoscrizione». Un partito filo-ucraino era ben presente nelle prime file del regime nazista. In un incontro tenuto il 16 luglio 1941 presso il quartier generale del Führer, di cui sono rimaste le minute realizzate da Martin Bormann, e al quale presero parte Hitler, Lammers, Keitel, Göring e Rosenberg, Hitler annunciò la propria determinazione nel non esitare di fronte a nessuna misura, fucilazioni, deportazioni, ecc., pur di fare propri i territori conquistati militarmente nell’Operazione Barbarossa, in particolare nella germanizzazione della Crimea. Hitler riteneva che i territori conquistati a Est dovessero essere per il Reich una sorta di “giardino dell’eden”. Rosenberg, però, parteggiava per un trattamento più mite verso l’Ucraina, la cui coscienza nazionale e la cui cultura riteneva in qualche modo più favorevoli alla causa tedesca. L’opinione di Rosenberg non trovò sponde in quest’incontro; alla sua osservazione, subito Göring ribatté che in primo luogo veniva solo l’interesse tedesco, e che ogni altra considerazione era secondaria 52. L’incontro del 16 luglio serve a informare il lettore di due cose; che Hitler conosceva e approvava i massacri a Est in corso con l’inizio dell’Operazione Barbarossa; e che ai vertici del regime, almeno Rosenberg pensava di staccare l’Ucraina dallo spazio politico russo e di inserirla in un’orbita culturale filotedesca. Che la posizione del Ministero per l’Est di Rosenberg fosse filo-ucraina, lo mostra anche il già citato memorandum di Wetzel dell’aprile 1942, nel quale si ventilava la possibilità di operare una divisione nel corpo del popolo russo ripartendo le varie regioni in veri e Trial of War Criminals before the Nuernberg Military Tribunals, cit., IV, p. 657. La minuta di Bormann si trova in Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., pp. 15-18. Per un esame delle posizioni filo-ucraine presenti all’interno del nazismo, cfr. M. Mazower, Hitler’s Empire, cit., pp. 231-240. 51 

52 

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propri organismi politici autonomi. Wetzel dedicava molte pagine ad analizzare la situazione razziale delle popolazioni siberiane, suggerendo di fomentare uno spirito nazionalista in quelle popolazioni tramite l’introduzione di un’autorità tedesca, un Commissariato degli Urali 53 che fosse diverso dall’autorità imposta alle popolazioni di ceppo russo. Il frazionamento amministrativo dello spazio sovietico era dunque l’arma con la quale i nazisti pensavano di impedire un rafforzamento del popolo russo. Gli altri frammenti territoriali cui Wetzel pensava in funzione anti-russa erano lo spazio caucasico e quello ucraino. Con questo tuttavia si toccavano i limiti della politica filo-ucraina proposta da Rosenberg e dai membri del suo Ministero; come chiariva Wetzel, sviluppare le aree siberiane, caucasiche e ucraine doveva servire ad arginare e indebolire la grande forza biologica del popolo russo, che i nazisti temevano molto, ma in nessun senso si trattava di sostituire la potenza biologica russa con una ucraina. L’Ucraina sognata come territorio dell’eden dai nazisti non doveva diventare una terra ad alto tasso di natalità per il popolo ucraino. Su questo Wetzel era molto chiaro. Le idee e le proposte provenienti dal Ministero di Rosenberg erano però vissute con molto fastidio da Himmler, il quale si riteneva l’unico depositario della competenza sulla politica delle popolazioni. Come scrisse in una lettera a Lammers dell’agosto del 1942, nella quale rigettava il verbale di un incontro tenuto con Rosenberg il 7 luglio 1942, egli ribadì come la questione dell’insediamento, e in particolare quella relativa alla scelta dei territori da colonizzare, fosse una propria prerogativa 54. Himmler insomma non intendeva cedere posizioni di fronte ai tentativi di Rosenberg di inserirsi nel grande gioco che si teneva a  Est. In altre occasioni, la tattica di Himmler per depotenziare il rivale Rosenberg fu più sottile; alla fine del gennaio 1942 offrì al vice di Rosenberg, Lohse, la carica di proprio vice al Commissariato per il Rafforzamento del Popolo Tedesco. Lohse preferì tuttavia raccontare tutto a Rosenberg, e la cosa finì lì. In ogni caso, la politica di Himmler di coinvolgere gli ucraini nella questione dell’insediamento di Zamosc testimonia del cinismo della Volkstumspolitik nazista; gli attacchi dei ribelli polacchi agli ucraini 53  Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 69. Come nota opportunamente il curatore del volume, un simile commissariato non era mai stato previsto da Hitler; si trattava di farina del sacco del Ministero di Rosenberg. 54  Ibid., p. 85.

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insediati sfociò in un conflitto etnico che fu, per certi versi, una sorta di guerra dentro la guerra. Erano gli esiti tragici del gioco nazista sul destino delle popolazioni. All’insediamento di Zamosc dovevano prendere parte anche i deportati sloveni ritenuti germanizzabili, e che in attesa di essere trasferiti all’Est erano stati presi in consegna dal VO-MI in alcuni campi del Baden. In vista della prima fase della realizzazione del Generalplan Ost a Zamosc, questi futuri coloni erano stati trasferiti nell’area di Lublino, ma gli attacchi armati polacchi avevano forzato la sospensione dell’operazione, e si era aperto il problema di che cosa fare di questi deportati. Greifelt riteneva che si dovesse disperdere questa massa di presunti coloni nei campi esistenti nell’area di Lublino e di impiegarli nella costruzione di una serie di trincee e di fortificazioni che i nazisti chiamavano Ostwall. Questa soluzione spiaceva però a Globocnik, il quale riteneva di avere una sorta di prerogativa speciale sulle opere difensive. Non poteva essere Greifelt a spiegare a Globocnik come operare per le opere difensive a Lublino e con quali maestranze. L’operazione Zamosc fu funestata quindi da rivalità personali tra gli stessi membri delle SS, oltre che da quelli tra Globocnik e le autorità civili del Governatorato Generale. Le cattive premesse sotto le quali l’operazione Zamosc era iniziata peggiorarono ancora quando, il 28 gennaio 1943, la telescrivente di Krüger, l’HSSPF di Cracovia, annunciò che il villaggio di Citszyn era stato attaccato da polacchi che erano stati espulsi da Zamosc, e che 45 coloni erano stati uccisi. Himmler ordinò un’immediata rappresaglia, ma questa fu soltanto l’inizio della storia. Nonostante gli attacchi, alla fine del gennaio 1943, circa 8000 coloni erano stati insediati, anche se in realtà molti di costoro provenivano da circoscrizioni vicine e alcuni perfino dalla stessa circoscrizione di Zamosc. Ciò indica come i piani per un impero coloniale tedesco, benché attentamente stesi, faticassero anche durante le prime fasi di realizzazione; persino nelle regioni polacche annesse al Reich, benché (all’inizio del 1943) vi fossero stati insediati circa 400.000 coloni tedescoetnici a fronte di circa un milione di ebrei e un altro mezzo milione di polacchi deportati, i non-tedeschi costituivano ancora una maggioranza di tre ad uno rispetto ai tedeschi e ai “germanizzati”. Le difficoltà relative all’insediamento aumentarono ancora nella seconda metà del 1943, non solo per i continui attacchi polacchi nella regione di Zamosc, ma anche a causa dei rovesci di guerra. Le popolazioni tedesco-etniche dell’Ingermanland, infatti, erano ora sotto la minaccia dell’avanzata

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dell’Armata Rossa, e dovevano venire spostate in zone più sicure al riparo dell’Ostwall. Himmler stesso scrisse a Frank nel luglio del 1943 chiedendo di reinsediare i tedesco-etnici evacuati dall’Ucraina nella circoscrizione di Bilgoraj e di fare di Lublino una città tedesca deportando 20.000 polacchi altrove nel Governatorato Generale. Nel frattempo, Globocnik lavorava alacramente alla realizzazione delle strutture previste nel Generalplan Ost di Meyer del 2 giugno 1942 a iniziare dai famosi “punti di sostegno” delle forze di polizia. Nel febbraio del 1943, furono requisite ampie tenute, e nel corso dell’anno furono realizzati dodici punti di sostegno (alla fine del gennaio 1944, ce n’erano diciassette). Analogamente, per la città di Zamosc venivano messe in atto le idee di Himmler circa la strategia globale della colonizzazione; l’abitato, opportunamente ribattezzato con nomi tedeschi (la città stessa avrebbe dovuto infine prendere il nome di Pflugstadt oppure di Himmlerstadt), era previsto senza quartieri separatati tra loro, che potessero essere occupati da gruppi etnici diversi, ma doveva costituire un agglomerato unitario. Furono costruiti un nuovo ospedale, due scuole tedesche e un’estensione del palazzo comunale. La situazione dei continui attacchi dei partigiani polacchi fu aggravata anche dalle conseguenze inattese della Volkstumspolitik nazista; l’avere messo a disposizione dei tedesco-etnici i territori più fertili e produttivi della regione, spossessandone gli originari proprietari, determinò una caduta nella produzione agricola, appesantita dal fatto che vi era la necessità di provvedere anche ai coloni che si trovavano ancora nei campi attorno a Lublino e che non si era ancora riusciti ad insediare. La soluzione escogitata dalle autorità naziste fu quella di gravare sulla popolazione polacca, tramite la confisca dei seminativi, degli accessori agricoli e così via. Ben presto la diminuizione dei raccolti e il conseguente malcontento divennero intollerabili e minacciarono di andare oltre i confini della circoscrizione di Zamosc, estendendosi ad altre zone del Governatorato Generale. Ciò convinse Hans Frank a rivolgersi direttamente ad Hitler; il 25 maggio 1943 egli scriveva un lungo rapporto indirizzato al Führer, in cui accusava l’insicurezza della popolazione rurale nel Governatorato Generale dovuta alle politiche di insediamento quale causa di una futura caduta verticale nei raccolti, ciò che avrebbe causato un grave problema anche nelle forniture di derrate alimentari al Reich. Frank riteneva di non poter escludere una carestia nel Governatorato, tale da causare una situazione che si sarebbe ben presto rivelata ingovernabile. La situazione era aggravata dal fatto che le terre maggiormente fertili erano state

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concesse ai coloni, e tolte all’economia polacca. Inoltre, Frank lamentava il fatto che le rappresaglie di Globocnik non avessero avuto altro esito che rafforzare il movimento di resistenza. Frank richiedeva che ulteriori esperimenti di trasferimento fossero posposti al dopoguerra. La reazione di Frank produsse i suoi effetti a Berlino. Con la situazione sul fronte orientale che era ormai in continuo peggioramento, non si potevano certo auspicare problemi di natura militare nelle retrovie. Il 3 luglio 1943, Himmler stesso scrisse a Frank, concedendo che ogni tentativo di insediamento, attuato prima della fine del conflitto, non poteva avvenire che in un modo tale da non pregiudicare la produzione agricola. Himmler ribadiva la scelta della regione di Lublino e della Galizia come luoghi di germanizzazione; e che le fattorie “liberate” durante l’attuazione dell’operazione Wehrwolf (l’operazione di “pacificazione del territorio” condotta da Globocnik) sarebbero state comunque oggetto di insediamento da parte di nuovi coloni. Quest’insediamento avrebbe però avuto carattere amichevole, e anzi sarebbe stata una forma di compenso per la buona condotta delle minoranze ucraine. In tal modo, scriveva Himmler, si sarebbe colto un doppio risultato; la collera dei polacchi si sarebbe volta contro gli ucraini anziché contro i tedeschi; e in secondo luogo, la maggioranza polacca si sarebbe annacquata grazie a massicce dosi di coloni ucraini. Ciò avrebbe finito per dare alla regione un assetto razziale misto, e l’avrebbe resa più facilmente dominabile da parte dei tedeschi. Con il consueto cinismo, Himmler non rinunciava ai propri scopi razzisti neppure nella difficoltà della situazione, usando coloni e popolazioni come pedine nel suo grande gioco di costruzione di una Ordensland dominata dall’ordine “nero” delle SS. Nelle fattorie rimaste vuote dallo spostamento di ucraini e polacchi, si sarebbero insediati pacificamente i tedesco-etnici provenienti dall’Alsazia-Lorena e dalla Stiria (i famosi coloni sloveni parcheggiati intorno a Lublino) 55. Nella medesima lettera, Himmler annunciava i suoi piani per la germanizzazione della città di Lublino, che nell’intenzione del Commissario del Reich avrebbe dovuto raggiungere, nella primavera del 1944, una quota di popolazione tedesca tra il 30% e il 40%. La necessità di Himmler di trovare un abboccamento con Frank non significava dunque la rinuncia alla colonizzazione e alla germanizzazione della zona. Vi fu effettivamente un’interruzione temporanea degli

55 

Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 276.

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insediamenti a partire dal marzo del 1943, ma ciò può essere interpretato come un espediente tattico per tranquillizzare i polacchi, più che come una rinuncia agli scopi previsti dalla realizzazione della prima fase del Generalplan Ost, visto il tenore della missiva di Himmler del successivo 3 luglio. O forse si trattava di un modo del tortuoso Himmler di salvare la faccia di fronte a Frank; il Commissario per il Reich non poteva prendere le distanze da un progetto come quello di Zamosc, che egli aveva espressamente ordinato di mettere in esecuzione; e fingeva di dettare le future linee di realizzazione di un’operazione che, nell’estate del 1943, era chiaramente arrivata al capolinea. Nel luglio 1943, gli attacchi partigiani in Galizia si erano estesi agli oleodotti e alle ferrovie e si rendeva necessario spostare truppe da Zamosc a queste zone di intensa attività partigiana. Dall’agosto 1943, gli insediamenti furono definitivamente sospesi e nel novembre 1943 anche Globocnik, per ordine di Himmler, abbandonò Lublino per un nuovo incarico quale comandante della lotta anti-partigiana a Trieste. Con la partenza dell’uomo scelto da Himmler per l’operazione Zamosc (così come Hitler aveva scelto Himmler come uomo destinato alla realizzazione della politica delle popolazioni voluta dal Führer), la prima fase della realizzazione del Generalplan Ost si chiudeva, con un bilancio a dir poco tragico. Dei giardini dell’eden previsti da Hitler nel luglio 1941 e fedelmente registrati da Bormann, nulla si era realizzato. Al contrario, il Generalplan Ost, persino in questa sua primitiva e parziale realizzazione, si era rivelato una grandiosa macchina per cospargere di lutti e di immani sofferenze le infelici terre oggetto delle attente pianificazioni delle SS. Persino coloro che si limitavano a perdere i beni e non anche la vita nella costruzione dell’eden nazista, finirono nei campi attorno a Lublino dove furono classificati dagli esperti razziali del RuSHA. Qui genitori e figli venivano separati e avviati a destini diversi: alcuni vennero avviati al lavoro coatto nel Reich; altri furono deportati fuori dalla regione di Zamosc; i bambini ritenuti germanizzabili furono inviati nel Reich per essere adottati da famiglie tedesche (si calcola che questo destino sia toccato a circa 4500 bambini polacchi nell’operazione Zamosc). Questo fu l’esito della volontà nazista di costruire un “muro razziale”, il primo della lunga serie che doveva costituire l’attuazione del Generalplan Ost. Alcuni ebbero persino un destino peggiore. Almeno due trasporti delle persone cacciate dalla circoscrizione di Zamosc furono indirizzati ad Auschwitz. Nel volgere di un anno, l’intera zona era caduta nelle mani dei partigiani polacchi.

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4. Il piano. Genocidio e globalizzazione europea a) Genocidio Molte delle energie degli imputati nel processo di Norimberga al RuSHA, in particolare quelle di Konrad Meyer, furono indirizzate al tentativo di prendere le distanze dalla spiacevole faccenda del genocidio. Meyer attuò come strategia processuale quella di presentarsi come un tranquillo accademico, un difensore del carattere agricolo radicato nella storia tedesca, che si era limitato a rispondere ad alcune domande che gli venivano poste da Himmler sul modo di sistemare il paesaggio, di sviluppare un’economia misto agricolo-industriale che fosse rispettosa del legame con la terra, e di costruire i villaggi. Tenuto conto del nesso mistico con il sangue, Meyer si era limitato a dire come doveva essere organizzato il suolo. Era questa l’unica responsabilità che Meyer si era addossato a Norimberga. Durante l’interrogatorio condotto da Rodell, Meyer negò di sapere qualcosa dello “sterminio delle popolazioni straniere” (Ausrottung der fremden Völker), cosa che non rientrava nelle sue competenze; negò che quello che le SS avevano pianificato fosse un annientamento delle popolazioni a Est; negò persino di essere a conoscenza della deportazione di ampie parti delle popolazioni polacche e comunque di averla pianificata. L’intero Generalplan Ost (Meyer negava anche di avere preso parte alla creazione del termine, che attribuiva totalmente a Himmler) era stato, almeno per quanto riguardava Meyer, soltanto una discussione accademica sulla questione dei tedesco-etnici, se dovessero essere trasferiti e come. Ad esempio, i tedesco-etnici del Mar Nero dovevano essere lasciati nelle loro regioni storiche, sparsi sul territorio, o dovevano essere accorpati e reinsediati in modo da formare un corpo compatto di popolazione? Ma anche questo, era avvenuto solo a livello teorico; l’ufficio guidato da Meyer non aveva competenza sullo spostamento dei tedesco-etnici, parte dei quali (qui Meyer si riferiva ai tedeschi del Baltico e della Volhynia) era già stata trasferita nel Warthegau quando il lavoro di pianificazione era iniziato. La strategia difensiva di Meyer consisteva dunque nello staccare le diverse parti dell’attuazione della politica delle popolazioni nazista, in maniera da ridurre al minimo le proprie responsabilità. Le deportazioni

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e i reinsediamenti avvenuti fin dal 1939 nelle nuove province annesse al Reich non avevano, nella difesa di Meyer, nulla a che vedere con le pianificazioni iniziate nel 1940 (quasi che queste ultime non fossero invece la logica conseguenza delle idee maturate nel periodo precedente circa la creazione di un Reich concorde dal punto di vista razziale e di una vasta zona coloniale da omogeneizzare). La  corte probabilmente non sapeva che Meyer non si era limitato a compulsare testi nelle biblioteche e a redigere pareri per Himmler, che egli aveva compiuto almeno un viaggio di ispezione nel territorio coloniale ucraino (Siedlungsgebiet Ukraine) tra il 28 giugno e il 10 luglio del 1943, dove si era preoccupato di trattare con le autorità locali per far valere gli ordini di Himmler circa la politica delle popolazioni che gli uomini del Commissariato del Reich per l’Ucraina intendevano ignorare. In alcune zone di insediamento la deportazione della popolazione ucraina non era stata soddisfacente (ad esempio nel territorio di Kalinowka); in altre le eccessive mire delle autorità locali, che prevedevano di germanizzare al cento per cento i villaggi di propria competenza, anziché passare attraverso una fase intermedia di progressiva germanizzazione, ritardavano la partenza delle operazioni di reinsediamento (era questo il caso dell’Hegewald) 56. Dunque a metà dell’estate del 1943, mentre si profilava il fallimento dell’operazione Zamosc, gli sforzi per la prosecuzione del Generalplan Ost erano ancora in corso; e sembra difficile poter credere che Meyer non sapesse nulla delle deportazioni in atto. Il contenuto del rapporto di questo viaggio di ispezione lo prova. Più difficile era la posizione di Greifelt, per il quale la corte aveva in mano documenti che lo legavano ai crimini di guerra attuati tramite la deportazione delle popolazioni nei territori occupati dai nazisti. Egli aveva difeso più volte la politica del suo capo, Himmler, ad esempio in un opuscolo intitolato Il rafforzamento del carattere germanico come compito principale all’Est (che, purtroppo per Greifelt, era ben noto alla corte di Norimberga) in cui si esprimeva in questo modo sulla questione dello spazio vitale a Est: Senza queste aree di insediamento, il nostro popolo, già affollato per lo spazio vitale, non avrebbe potuto continuare ad esistere, perché tramite l’annessione di queste aree abbiamo ottenuto il necessario spazio vitale per insediare centinaia di migliaia di compatrioti tedeschi che

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Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., pp. 277-78.

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un tempo vivevano nella Germania pre-bellica. Assicurare per sempre questi territori alla Germania non è soltanto un urgente problema nazionale, ma anche una necessità europea… Tra  gli altri, due compiti principali ne nascono come conseguenza: 1) deve essere attuata senza compromessi una netta segregazione tra il popolo germanico e quello di sangue straniero; 2) è necessario insediare senza eccezione questi territori di antica civiltà, che erano una volta appartenuti alla Germania, insediarli ancora una volta di tedeschi – e con i tedeschi migliori, per giunta 57.

La difesa di Greifelt si imperniò sul fatto che, come funzionario statale, egli operò nell’ambito delle politiche stabilite dallo stato; la politica che egli attuò era quella dello stato, non la sua, e dunque fu lo stato nazista a essere responsabile di quei crimini. Inoltre Greifelt si disse innocente, sostenendo di non essere a conoscenza del vasto quadro della politica delle popolazioni attuata sotto il comando di Himmler; la segretezza imposta dal regime, e la rivalità tra i vari uffici fecero sì che molti fatti rimasero nascosti a Greifelt, ed egli li scoprì soltanto durante il processo. Evidentemente la corte non gli credette: Greifelt fu condannato all’ergastolo. Più successo egli ebbe tuttavia nel sostenere che non vi erano basi legali per sostenere che egli avesse preso parte a «un programma sistematico di genocidio» 58. Il Generalplan Ost non fu considerato tale a Norimberga; nella sentenza che mandò assolto Meyer, si legge che un esame del Generalplan Ost non rivela nulla di natura incriminatoria, tanto più che il piano non fu mai adottato, né alcuno sforzo fu mai fatto per realizzarlo concretamente 59. La  conclusione raggiunta dalla corte di Norimberga ha forse avuto un ruolo nello stabilire una convinzione che è comune a molti degli studiosi che si sono occupati del Generalplan Ost; che si trattasse di una sorta di fantasticheria, un folle piano nazista pensato per il dopoguerra, quando la vittoria bellica avrebbe messo a disposizione del Reich il desiderato spazio vitale a Est. Questa vittoria non venne mai, e il piano rimase confinato a livello teorico, il parto di cervelli infettati da idee razziste e ingolositi da vittorie straordinarie, finché la macchina della Blitzkrieg non si era infranta contro l’ostinata resistenza russa e l’intero piano era evaporato come un sogno strano e malvagio. In fondo, anche 57  58  59 

Trial of War Criminals before the Nuernberg Military Tribunals, cit., IV, p. 651. Ibid., IV, p. 701. Ibid., V, p. 156

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esponenti del regime la pensavano così, in particolare al Ministero per l’Est di Rosenberg. Si sono già viste le irrisioni di Wetzel contro il cosiddetto piano dell’RSHA; il direttore generale dello stesso Ministero, Bruno Peter Kleist, ebbe a dire che «Al momento, la vittoria bellica è più importante delle utopie, che pongono in pericolo la vittoria bellica» 60. La conclusione raggiunta a Norimberga, secondo cui il Generalplan Ost non costituì un “programma sistematico di genocidio”, resta valida per molti autori. La storia del genocidio perpetrato dai nazisti contro la popolazione ebraica d’Europa e contro gli zingari, così come fu attuata dapprima in maniera “selvaggia” durante le prime fasi dell’Operazione Barbarossa, e poi in maniera coordinata tra le varie agenzie naziste dopo la conferenza di Wannsee del gennaio 1942, non coincide con quella del Generalplan Ost, che restava un piano per il dopoguerra e che dopotutto non ha molto a che vedere con quanto accadeva nei campi di sterminio. Se genocida fu il piano, si trattò di un genocidio pensato, e non di un genocidio attuato. Questa la conclusione raggiunta dai giudici di Norimberga. Eppure quei giudici non sapevano tutto, e forse non avevano una comprensione piena di quale fosse il significato pieno di quella pianificazione. Resta il fatto che Himmler, dietro diretto ordine di Hitler, non lesinò sforzi immensi per giungere al Generalplan Ost, costituendo appositi organismi burocratici, strutture di comando, arruolando professionisti e intellettuali, attuando ristrutturazioni urbane e rurali, costruendo campi di transito per i presunti coloni. Si trattò di un’impresa gigantesca, dai costi colossali anche solo nella fase di progettazione, che non può essere liquidata semplicemente come il parto di cervelli oppressi da sogni deliranti. Forse quei sogni erano deliranti, ma vi era certamente del metodo in quella follia. Il regime mirava a qualcosa, che andava oltre la semplice produzione di documenti. Nelle prove documentali di Norimberga erano tuttavia già presenti tracce che legavano, in maniera sottile ma ferma, la pianificazione delle SS al genocidio. In primo luogo, come ha opportunamente ricordato Mark Roseman, Ulrich Greifelt fu tra coloro che erano stati invitati alla Conferenza di Wannsee; non vi prese parte, forse perché era in missione in Tirolo, ma resta il fatto che la sua presenza era prevista 61. L’ufficio B dello Stabshauptamt del Commissariato di Himmler, quello diretto da 60  61 

H. Mentzel, Die erste Realisierungsphase, cit., p. 24. M. Roseman, The Villa, the Lake, the Meeting,, cit., p. 66.

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Greifelt, era una delle agenzie la cui collaborazione era stata ritenuta necessaria per il varo del genocidio coordinato. Vi era tuttavia una seconda, significativa coincidenza che avrebbe dovuto mettere sull’avviso la corte di Norimberga. Gli uomini chiamati ad attuare le prime fasi di realizzazione del Generalplan Ost erano i medesimi che ebbero un ruolo chiave nell’attuazione del genocidio. Odilo Globocnik, oltre a recitare un ruolo chiave nella tentata colonizzazione della circoscrizione di Zamosc, fu l’uomo scelto da Himmler per avviare l’Aktion Reinhard, ossia l’assassinio degli ebrei della regione di Lublino per compiere il quale furono costruiti i campi di Belzec, Sobibòr e Treblinka. Anche altri personaggi che ebbero un ruolo sinistro nella realizzazione del genocidio svolsero una funzione importante nella storia del Generalplan Ost, in primo luogo Hermann Krumey, l’Obersturmbannführer delle SS che, dopo aver diretto l’Ufficio UWZ di Lodz, fu uno dei membri del tristemente noto Sonderkommando Eichmann che si occupò dello sterminio degli ebrei ungheresi nel 1944. Certo, la pianificazione delle SS per l’Europa del dopoguerra non aveva relazione diretta e immediata con l’attività dei campi della morte nazista; ma resta il fatto che, allorché si decise il passaggio dalla fase teorica a quella realizzativa, le persone chiamate all’attuazione furono le stesse che operarono con un posto di rilievo nella realizzazione del genocidio. Altri legami erano meno impalpabili, a patto di tenere conto del fatto che il Generalplan Ost non era un unico documento compatto e diviso in parti uguali. La pianificazione delle SS si era sviluppata nel tempo, e aveva seguito le dinamiche del regime nel suo tortuoso approdo finale al genocidio. Ripercorrere i passaggi e le trasformazioni del Generalplan Ost, nel suo diventare da piano regionale per i soli territori annessi a Est a progetto globale per una colonizzazione a livello continentale, che andava dal Lussemburgo e dall’Alsazia-Lorena fino agli Urali, significa in una certa misura cogliere gli spostamenti e le traslazioni attuate nelle politiche del regime nazista via via che la strada verso il genocidio veniva compiuta. Ciò scontava il fatto che ancora nel 1940 non esisteva l’idea di un’azione coordinata tra tutte le strutture del Reich per l’assassinio degli ebrei europei; la prima versione del Generalplan Ost, quella della primavera del 1940, rispecchia questo stato di cose. In questa versione, il destino della popolazione ebraica del Warthegau, di Danzica, della Prussia orientale, ecc., che ammontava, secondo i calcoli di Meyer, a 560.000 persone circa, non veniva preso neppure in considerazione. Tutta la popolazione ebraica si supponeva già espulsa da queste regioni; Meyer si augurava anzi che tale popolazione

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abbandonasse nella totalità i territori annessi a Est già nel corso dell’inverno 1940-41 62. I metodi da usare per facilitare l’abbandono ‘spontaneo’ dei territori da parte degli indesiderati ebrei erano quelli, collaudati, usati da Eichmann a Vienna nel 1938. Su questo punto, Meyer non si esprimeva, ma due cose erano chiare; che l’orizzonte entro il quale fin dai primordi la pianificazione nazista si situava era quello di uno spazio razzialmente puro, un Volksraum abitato solo da popolazioni di sangue germanico, entro il quale non c’era posto per i soggetti di scarso o nessun interesse razziale, che anzi avrebbero costituito una minaccia per il popolo tedesco. La preoccupazione, segnalata già dal 1940 e costante in tutte le fasi di sviluppo del Generalplan Ost, per una possibile minaccia razziale costituita dalla presenza di individui appartenenti a una razza inferiore e passibili di un potenziale inquinamento del sangue puro tedesco, attraversò tutti gli scritti legati in qualche modo al piano. Persino quando si trattava di ri-germanizzare soggetti dotati di una qualche ascendenza tedesca, la strategia indicata dai pianificatori delle SS verteva sempre sulla separazione e sulla segregazione. Lo stesso valeva per i lavoratori coatti importati all’interno del Reich, dei quali non si poteva fare a meno dato l’alto numero di maschi tedeschi reclutati ai fini militari. L’esistenza di individui “polonizzati” o addirittura di razza non-tedesca era possibile e prevista all’interno del Reich, date le esigenze belliche, ma solo in condizioni di sicurezza; identificazione, separazione e segregazione costituivano le circostanze entro le quali costoro potevano essere tollerati all’interno del Volksraum. Si trattava, in fondo, delle stesse condizioni che improntavano la legislazione del Reich verso i non-tedeschi, e non può sorprendere che questi principi informassero di sé anche il Generalplan Ost. L’eliminazione della popolazione ebraica dai territori annessi a Est, ancora nel 1940, si poteva pensare di effettuarla tramite l’emigrazione ottenuta con i metodi alla Eichmann, o tramite l’attuazione del favoloso piano Madagascar, che nell’estate 1940 era ancora ritenuto realizzabile. Il piano di Meyer della primavera 1940 non ha ancora esplicitato una piena scelta genocida, nel senso dell’assassinio sistematico quale iniziò a essere realizzato dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa e, in maniera coordinata, dopo la conferenza di Wannsee del gennaio 1942. Il successivo piano, esaminato dal funzionario dell’Ostministerium di Rosenberg, Wetzel, nell’aprile del

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Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 3.

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1942 e chiamato il Generalplan Ost dell’RSHA, annunciava per la popolazione ebraica una più sinistra novella. Wetzel derideva questo piano, che annunciava una disponibilità di 10 milioni di coloni tedeschi. Ammesso e non concesso che vi fossero milioni di tedeschi disponibili ad abbandonare la madrepatria e a stabilirsi in regioni come il Warthegau, il Governatorato Generale, la Bielorussia, l’Ucraina occidentale, e che questi tedeschi raggiungessero la sbalorditiva cifra di 10 milioni, restava il fatto che, per realizzare la germanizzazione prevista dalle SS, occorresse deportare verso la Siberia da quei territori, i cui abitanti originari ammontavano a 45 milioni di persone, almeno 31 milioni di slavi, altrimenti la percentuale di popolazione tedesca sarebbe rimasta sempre minoritaria di fronte ad ampie masse slave dotate del tasso di natalità più alto d’Europa. Ma anche qui, osservava Wetzel, le cifre fornite dalle SS erano false e peccavano di ottimismo. Come ritenere, difatti, che l’intera popolazione dello spazio coloniale previsto dal Generalplan Ost ammontasse a soli 45 milioni di persone, laddove la sola popolazione polacca superava i 30 milioni di persone? Wetzel calcolava che il numero di persone da deportare arrivasse infatti a 51 milioni di persone. Come spiegare la differenza rispetto a quanto calcolato dalle SS? La risposta di Wetzel era agghiacciante; evidentemente dal calcolo effettuato dalle SS erano rimasti fuori 6 milioni di ebrei, abitanti di queste regioni, che a quanto pareva non si pensava minimamente di deportare in Siberia 63, proprio perché sarebbero scomparsi prima che il piano, che aveva un orizzonte trentennale, fosse realizzato. Wetzel non osservava nulla più su questo punto, ma era chiaro che il nuovo piano dell’RSHA aveva introiettato al proprio interno la decisione di liquidare l’intera popolazione ebraica prima della fine della guerra. Era questo il motivo per cui milioni di persone non venivano calcolate nei trasferimenti di popolazione da effettuare a guerra finita e dopo la vittoria tedesca; quei milioni di persone sarebbero stati eliminati nei campi di sterminio prima della fine della guerra e quindi non sarebbe stato necessario deportarli altrove. I calcoli dei pianificatori delle SS possono sembrare ambiziosi piani basati sul nulla, giochi fine a se stessi, ma la logica genocida su cui si basavano veniva facilmente decostruita da Wetzel. Se nel 1940 non è detto che il Generalplan Ost avesse assunto su di sé lo sfondo di un genocidio su scala continentale, il piano esaminato

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Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 54.

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da Wetzel aveva senza dubbio sussunto la prospettiva del genocidio. Lo spazio che le SS avevano il compito di ricostruire dopo la fine del conflitto sarebbe stato privo di sangue alieno, se non nella misura in cui ciò era necessario per assicurare una classe di schiavi al servizio della razza padrona. E questa liberazione non sarebbe stata rimandata alla fine della guerra, ma avrebbe dovuto essere realizzata prima di tale fine; mentre i conti con la popolazione slava, meno pericolosa in quanto non costituiva una razza a sé stante, sarebbero stati definitivamente regolati alla fine della guerra. Nel 1942, come ha giustamente notato Christian Ingrao, il genocidio non solo era ormai integrato con la pianificazione, ma era diventato la condizione stessa della germanizzazione 64. Non c’è dubbio che se la corte di Norimberga avesse conosciuto questi testi, il suo giudizio sul Generalplan Ost avrebbe potuto essere diverso. Nel 1942, dunque, genocidio e piano coloniale delle SS non erano più su binari distinti, uno per l’attuazione durante la guerra, l’altro riservato per la messa in atto entro trent’anni dalla fine del conflitto. Essi non coincidevano in senso materiale, ma si connettevano sempre più strettamente, in maniera che l’uno diventava la precondizione dell’altro e non era più possibile comprenderli se non nella loro stretta interdipendenza. Considerato al di fuori di quest’intreccio, il Generalplan Ost diventava una chimera, un’utopia prodotta da cervelli balzani, una stranezza della storia, come in fondo fu giudicato a Norimberga. Per le martoriate popolazioni di Zamosc, della Slovenia, dell’Ucraina, del Warthegau, questa chimera diventava invece una realtà letale. Ciò spiega tra l’altro la strategia che prese corpo nella testimonianza di Ehlich a Norimberga; facendo risalire la stesura del Generalplan Ost al 1940, egli spostava la pianificazione a un momento in cui l’intreccio con il genocidio non era ancora così stringente. Interrogato durante l’ottavo processo di Norimberga del 1947, Ehlich, che era stato capo dell’ufficio IIIB dell’RSHA, quello da cui, come abbiamo visto, uscì il piano esaminato da Wetzel nell’aprile del 1942 e che aveva carattere chiaramente genocida, definì così le proprie competenze: insediamento, espulsione, ri-germanizzazione, questioni relative alla Deutsche Volksliste, e questioni relative alla cittadinanza e alla ri-naturalizzazione. Ehlich ammise i rapporti con Greifelt, responsabile principale della classificazione razziale operata dagli esperti di Himmler, ma sfumò molto quelli

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C. Ingrao, Credere, distruggere, cit., p. 181.

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con Meyer, sostenendo che l’RSHA era interessato al lavoro di Meyer, e che quindi occasionalmente vi dette un’occhiata, ma che non vi fu alcuna negoziazione con lui 65. Ehlich era anche l’uomo che, l’11 dicembre 1942, aveva tenuto a Salisburgo una conferenza sul trattamento delle popolazioni straniere, di cui si era già occupato Himmler, e durante la quale si era dilungato sull’atteggiamento da tenere verso le popolazioni che vivevano nei territori da germanizzare. Ehlich aveva descritto quattro possibili modalità di trattamento: con i popoli più simili da un punto di vista razziale, una possibile convivenza; l’assimilazione per gli individui che presentano tratti nordici; l’espulsione o lo sterminio per le etnie razzialmente indesiderabili. Queste etnie Ehlich non riteneva che potessero convivere con i tedeschi; non restava che espellerle dallo spazio tedesco, oppure sterminarle. L’ombra sinistra del genocidio si era dunque già allungata sulle formulazioni dell’ufficio IIIB dell’RSHA, capitanato da Ehlich. Eppure Ehlich riuscì a confondere la corte di Norimberga. Quando gli fu chiesto se era a conoscenza del Generalplan Ost, egli ne ammise la conoscenza; e come avrebbe potuto negarla? Ehlich distinse però un piano a breve termine da uno a lungo termine, il primo correlato ai territori annessi all’Est, ossia alle ex province polacche incorporate nel Reich (Warthegau, Prussia orientale, ecc.); il secondo ai territori conquistati a  Est dopo l’avvio dell’Operazione Barbarossa. Solo il piano a breve termine fu secondo Ehlich attuato, mentre tutte le misure prese nel Governatorato Generale furono eseguite non nell’ambito della realizzazione del Generalplan Ost, bensì come misure speciali. Qui ci si stava avvicinando pericolosamente alla questione di Zamosc e all’evidente correlazione con il genocidio che emergeva, come vedremo, nelle azioni di Globocnik; quindi Ehlich scelse, con una strategia difensiva impeccabile, di distinguere le due cose; gli avvenimenti polacchi sono avvenuti, ma non nell’ambito dell’azione del Generalplan Ost. Su questo punto la corte, che evidentemente non aveva le idee chiare sull’accaduto, non replicò. Dopo avere coperto le proprie basi e dato una mano alla difesa di Meyer, affermando che a sua conoscenza l’ufficio di Meyer non aveva avuto nulla a che fare con la questione dell’insediamento, Ehlich sfoderò la sua carta migliore, affermando che il Generalplan Ost fu concepito nel 1940, suscitando su questo punto la sorpresa della corte, che era stata evidentemente colta

65 

Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 315.

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in contropiede. Ehlich proseguì affermando che la realizzazione del piano del 1940 era stata effettuata dall’ufficio IV dell’RSHA, mentre oggi si attribuisce generalmente tale piano a Meyer. Certo erano esistiti altri piani, ma erano stati redatti da altre agenzie, soprattutto negli uffici del Commissariato di Himmler, e in ogni caso avevano carattere meramente teoretico. La strategia processuale di Ehlich fu efficace; la corte si perse nel labirinto costituto dalle varie versioni del Generalplan Ost e rimase con l’impressione che l’RSHA, cui l’imputato apparteneva, fosse responsabile del solo piano del 1940. Ehlich aveva avuto successo nel distaccare la propria posizione dal pericoloso piano esaminato da Wetzel nel 1942, e fu ricompensato: la corte non ritenne di imputare Ehlich nello stesso processo, nel quale era entrato da testimone. Nonostante le sue colpe, Ehlich non fu imputato in nessun processo se non in quelli della denazificazione, dove ebbe una condanna molto mite, un anno e nove mesi, pena che peraltro aveva già scontato agli arresti preventivi in attesa del processo. Tuttavia, la corte di Norimberga aveva pur avuto a disposizione le carte di Globocnik, citate come prova durante il processo. In un rapporto di Globocnik, non datato ma esibito come prova con il numero di registro NO-059, l’uomo di Himmler a Lublino faceva un rapporto completo sullo “sviluppo amministrativo” dell’Aktion Reinhard. Tra il 26 settembre 1942 e il 9 dicembre 1943, Globocnik aveva accumulato un favoloso bottino tratto dal patrimonio rubato agli ebrei assassinati a Sobibòr e Treblinka. Il rapporto riguardava appunto le cifre di questo bottino; solamente i vestiti delle vittime di Globocnik avevano richiesto più di 1900 vagoni ferroviari per essere trasportati nel Reich. La cifra può sembrare sbalorditiva eppure non comprendeva tutti gli abiti degli ebrei assassinati. Quelli di maggior valore e in stato migliore erano stati trattenuti dagli uomini di Globocnik, assieme alle scarpe in condizioni migliori e, su ordine di Himmler, tutto ciò era stato messo a disposizione dei tedesco-etnici (Volksdeutsche) 66. In altri termini, i beni degli ebrei assassinati diventavano la fornitura dei nuovi coloni. Come aveva scritto Wetzel nell’aprile 1942, era difficile credere che milioni di tedeschi sentissero sorgere in sé l’ardore coloniale a meno che non vi avessero trovato un’ampia convenienza economica. Grazie alle fattorie, agli appartamenti, ai vestiti, alle scarpe, ai beni rubati alle proprie vittime ebree, Himmler aveva trovato una soluzione al problema

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Trial of War Criminals before the Nuernberg Military Tribunals, cit., IV, p. 727.

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della convenienza senza gravare sulle casse del Reich. Del resto, era stato Himmler stesso, in una direttiva agli HSSPF dell’Est emanata il 15 dicembre 1942, a ordinare che tutti i beni immobili sequestrati agli ebrei durante l’esecuzione dell’Aktion Reinhard, dovevano essere messi a disposizione dei coloni tedeschi 67 Il genocidio diventava la gamba economica sulla quale si poteva appoggiare il programma coloniale. La pulizia del sangue alieno diventava il sostegno grazie al quale si poteva avviare la ricostruzione del suolo. Non si trattava più, come era stato nel piano del 1940, di mettere in sicurezza le popolazioni tedesche, minacciate dal proprio isolamento all’interno dei confini stabiliti dal trattato di Versailles, invertendo il processo storico e mettendo le comunità polacche esse stesse in uno stato di isolamento, in maniera che non potessero più minacciare il corpo del Volk; con il crescere degli appetiti coloniali, con il gigantismo che ormai affliggeva il Generalplan Ost diventato Generalsiedlungsplan, la logica omicida era diventata l’unico scenario possibile per la realizzazione di un piano che ormai identificava il predominio continentale con la salvezza del prezioso sangue tedesco. L’unità di sangue e suolo poteva essere salvaguardata soltanto sulle salme di milioni di persone. A legare la sistemazione razziale, sociale ed economica del continente europeo prevista dai pianificatori delle SS al genocidio in atto dopo l’inizio dell’Operazione Barbarossa, vi era anche un altro filo, anch’esso rimasto involuto durante i processi di Norimberga. Gli uomini del VO-MI e del RuSHA erano a seguito degli Einsatzgruppen che, dopo l’invasione della Russia, si muovevano nelle retrovie dell’esercito tedesco ripulendo il territorio dai nemici rimasti, in primo luogo gli ebrei. Gli uomini del Commissariato di Himmler, riuniti in Sonderkommandos, in squadre speciali, avevano il compito di effettuare le necessarie classificazioni razziali per la sistemazione del territorio e l’evacuazione dei tedesco-etnici che sarebbero stati utilizzati come coloni secondo i piani voluti da Himmler. Christian Ingrao ha recuperato il diario di uno dei questi esperti razziali, l’Untersturmführer Wallrabe, un antropologo che fu assegnato dietro precisa richiesta al Sonderkommando R nella regione dell’Ingermanland 68, e 67  D. Majer, “Non Germans” Under the Third Reich, cit. p 296. Ciò causò la furiosa indignazione di Frank, che reclamava la propria competenza su quei beni e che non sopportava l’idea di lasciare tutto il bottino nelle mani di Himmler. 68  C. Ingrao, Credere, distruggere, cit., pp. 186-88. Wallrabe fu il destinatario di un ordine inviato tramite telescrivente dal VO-MI di Berlino all’Einsatzgruppe B il 3 marzo 1943, poi mostrato a Norimberga con il numero di protocollo NO-5332, nel quale si chiariva che alla

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che esprimeva per la propria missione un significato morale assai elevato nel ricostruire, in maniera salvatrice, lo spazio della Volksgemeinschaft. Tutto questo (l’assegnazione di Wallrabe iniziò nel gennaio 1942) in un momento in cui il genocidio all’Est procedeva a pieno ritmo 69. La coincidenza temporale tra l’esecuzione del genocidio e la preparazione del terreno per la colonizzazione dell’Est è un chiaro indizio che ripulitura del territorio dai nemici razziali e costruzione del nuovo spazio tedesco non erano operazioni distinte. Esse erano complementari nella realizzazione di un’egemonia razziale su scala continentale; solo, le scale temporali erano diverse. Il genocidio, come fu reso chiaro alla conferenza di Wannsee doveva essere attuato prima della fine della guerra; la costruzione dello spazio di insediamento a Est non poteva che essere compiuto che anni dopo la fine del conflitto, data la vastità dell’operazione. Nessuna delle due cose aveva però senso senza l’altra. La coincidenza temporale tra l’approntamento del piano dell’RSHA e la preparazione della conferenza di Wannsee era già stata sottolineata da Czeslaw Madajczyk 70, l’editore dei documenti sopravvissuti e relativi al Generalplan Ost; a tenersi alla scansione cronologica, l’RSHA dovette finire i propri lavori alla fine del 1941 o all’inizio del 1942, più o meno in sincronia con la proposta per una soluzione finale standardizzata di sterminio della popolazione ebraica avanzata da Heydrich alla citata conferenza (in un primo momento, occorre ricordarlo, programmata per il 9 dicembre 1941). Certo, resta il fatto che si trattava di due piani che presentavano pur sempre differenze sostanziali tra loro; la soluzione finale coordinata così come attuata nel dopo Wannsee era una strada senza ritorno, messa in atto comunque al di là di tutte le esigenze belliche (ma del resto l’eliminazione definitiva dei nemici del sangue tedesco era essa stessa un’esigenza bellica), mentre la base del reinsediamento delle popolazioni non stava una adesione volontaria, ma un ordine di Himmler. Pertanto l’esame razziale e la classificazione nella Deutsche Volksliste erano di carattere compulsivo. Se un tedesco-etnico classificato secondo la DVL si opponeva alla germanizzazione (o ri-germanizzazione) e al successivo trasferimento doveva essere immediatamente privato dei documenti di identità. 69  Per le attività delle Einsatzgruppen, cfr. R. Hilberg, La distruzione degli Ebrei d’Europa, II voll. Einaudi, Torino, 1995, I, pp. 289-416; C. Browning, Uomini comuni. Polizia tedesca e soluzione finale in Polonia, Einaudi, Torino, 2004; D.J. Goldhagen, I volonterosi carnefici di Hitler. I tedeschi comuni e l’Olocausto, Mondadori, Milano, 2006, pp. 193-294; C. Browning, The Origins of the Final Solution, cit. 70  Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p.  XV, ove Madajczyk parla di zeitliche Übereinstimmung.

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realizzazione di un piano definitivo per la colonizzazione dell’Est era di là da venire, visto che ancora Himmler, il 12 gennaio 1943 (un anno dopo Wannsee) chiedeva a Meyer un supplemento di pianificazione. Eppure, nonostante le differenze che vi sono e che restano, genocidio e pianificazione coloniale obbedivano a un unico orizzonte politico e ideologico seppur attuato in momenti diversi; erano piani non coincidenti, ma complementari. L’ordine nero previsto dalle SS per l’Europa non avrebbe mai potuto sorgere senza l’eliminazione radicale dei nemici del sangue tedesco e senza la diffusione di quel sangue, trionfante sui propri avversari, in tutto lo spazio a Est nuovamente germanizzato. b) Globalizzazione europea L’orizzonte genocida non era l’unico a dare senso al Generalplan Ost. Hitler si era più volte espresso sull’importanza di riunificare l’economia europea come mezzo di liberazione di capitali immensi e di forze economiche gigantesche. Quando parlavano della conquista dello spazio vitale a  Est come condizione per la rinascita dell’Europa e come apertura di un nuovo giardino dell’eden, i vertici nazisti non stavano dando vita a sogni puerili e ubbie infantili; avevano invece ben presente quale fosse la posta in gioco. Hitler stesso, nelle conversazioni tenute con i suoi ospiti durante i pasti comuni, scrupolosamente fatte registrare da Bormann, tornò più volte sull’argomento, a dimostrazione di quanto la questione della creazione di un impero coloniale a Est gli stesse a cuore e quanto, in fondo, la forza propulsiva dietro gli sforzi pianificatori dell’apparato creato da Himmler fosse la volontà del Führer. Nella conversazione della notte tra il 5 e il 6 luglio 1941, Hitler, che credeva ancora che l’Operazione Barbarossa potesse spingersi fino agli Urali, magnificava il ruolo delle autostrade nell’abolizione delle frontiere, annunciando la decisione di costruire un’autostrada fino in Crimea, come la prima ad abolire i confini tra le nazioni europee 71. La conversazione del 27 luglio 1941 faceva invece riferimento all’Ucraina, da costituire come «colonia esclusivamente tedesca». Per raggiungere questo fine, Hitler si disse pronto «a scacciare la popolazione che vi si trova», come si disse pronto a utilizzare negli 71  Conversazioni a tavola di Hitler 1941-1944, cit., p. 43 (a questa edizione si farà riferimento per le conversazioni successive di Hitler).

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Stati Baltici olandesi, norvegesi e persino svedesi quali coloni, in quanto popolazioni dotate di sangue tedesco. Il  colono tedesco perfetto, nelle parole del Führer sarebbe stato il soldato-contadino. Ciò è sufficiente a mostrare come l’impostazione data dalla convinzione del mistico legame tra sangue e suolo fosse radicata anche in Hitler, e a indicare l’origine delle scelte pianificatorie dell’RSHA esaminate poi da Wetzel (aumento della popolazione da deportare, dei territori da germanizzare, ecc.). Non c’è dubbio che la visione di Hitler fosse la forza motrice dietro alla gigantesca impresa del Generalplan Ost. Nelle conversazioni verso la fine dell’estate 1941, il Führer rivelava quanto fosse grande in lui il vigore della convinzione razzista; ancora nella notte tra il 3 e il 4 agosto 1941, si disse convinto che l’Europa fosse un’entità non geografica ma razziale, da costruire mediante la realizzazione di un muro umano che proteggesse il continente contro le masse asiatiche. Si tratta di concetti che accompagneranno tutte le varie redazioni del Generalplan Ost, e che traevano la propria origine dai desiderata hitleriani. Accanto alla preoccupazione razziale, di un’Europa che finalmente si fosse liberata dai propri nemici biologici che ne arrestavano lo sviluppo e che tramavano contro di essa nell’ombra, in Hitler si rivelava anche l’assillo di giungere a un’economia continentale riunificata, quale contrappasso del raggiungimento di una comunità di sangue purificata e ripulita: «Non avremo più la preoccupazione di cercare in Estremo Oriente sbocchi commerciali per i nostri prodotti. Perché il nostro mercato è nei territori dell’Est. Dobbiamo assicurarcelo. Forniremo cotonati, utensili domestici, tutti gli oggetti di uso corrente. Il bisogno ne è tale, che non riusciremo da soli a produrre tutto quanto sarà necessario. Scorgo qui le più grandi possibilità di un impero di importanza mondiale…» – discorreva il Führer la sera del 25 settembre 1941 – «Assoceremo i paesi che lavoreranno in comunità con noi a tutto ciò che quelle regioni ci forniranno di positivo» 72. E qualche giorno dopo, discorrendo con Funk la sera del 13 ottobre 1941, «I paesi che inviteremo a partecipare al nostro sistema economico dovranno avere la loro parte delle ricchezze naturali delle regioni dell’Est, e ivi trovare un mercato di consumo per la loro produzione industriale… Non avremo che da farne intraveder loro le prospettive perché esse si vincolino al nostro sistema». Si trattava di concetti che ritornarono nel già citato discorso

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Conversazioni a tavola di Hitler 1941-1944, cit., p. 75.

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praghese tenuto da Heydrich il 2 ottobre 1941 e che trovavano la propria scaturigine dalle convinzioni di Hitler. La creazione di un grande impero coloniale a Est era per Hitler la precondizione per attrarre i paesi nordici e occidentali in un sistema economico dominato dall’economia tedesca. Grazie alle ricchezze conquistate a Est e ai mercati aperti in quelle regioni, le economie europee avrebbero trovato il loro vantaggio nell’unirsi a una compagine economica continentale imperniata sul predominio tedesco. Era questa la “nuova Europa” la cui nascita Hitler annunciava a Sepp Dietrich nella notte tra il 4 e il 5 gennaio 1942. Ancora nella conversazione avuta durante il pranzo del 26 febbraio, il dittatore tedesco espresse la convinzione che «i piccoli Paesi cominciano a vedere in noi i garanti dell’ordine». Hitler sembrava fermamente persuaso del fatto che attorno alla Germania si sarebbe formata una coalizione di nazioni unite dalla convenienza dello sfruttamento delle risorse dell’Est, e che in tal modo si sarebbe formata una potenza continentale che avrebbe potuto rivaleggiare con gli Stati Uniti per potenza economica e demografica. Come Hitler ebbe a dire a Himmler stesso nella conversazione durante la cena del 5 aprile 1942, «Di fronte agli Stati Uniti, la cui potenza è di poco superiore alla nostra, la nostra forza risiede nel fatto che i quattro quinti dei nostri sono di razza germanica». Vi sono motivi per ritenere che, una volta conquistato il continente, Hitler meditasse una competizione con gli Stati Uniti per conseguire il potere mondiale. Eppure, non si trattava di una chiara visione politica di quello che avrebbe dovuto essere l’Europa dopo la vittoria bellica. Si trattava solo di riconquistare all’Europa tutte quelle risorse e quelle materie prime che si trovavano a Est, e che finora erano state usate, nel giudizio di Hitler, contro l’Europa dalla “minaccia asiatica”. Queste ricchezze sarebbero dovute andare, in primo luogo, a beneficio del Reich, in virtù del suo sacrificio di sangue nel conquistarle, e solo le briciole sarebbero toccate alle altre nazioni sotto la guida tedesca. Nella convinzione del Führer non c’era posto per un vero progetto politico per l’Europa che sarebbe dovuta sorgere dalla guerra, al di là del dominio tedesco, con le proprie priorità, su tutto il continente. Le riflessioni dei pianificatori SS su quello che doveva essere il futuro del continente dopo la vittoriosa conclusione del conflitto non restavano uniche. Nel 1940, soprattutto dopo la caduta della Francia, erano in atto numerose valutazioni su quale dovesse essere il nuovo ordine europeo. Così, ad esempio, lo definiva Walther Funk, capo della banca centrale del Reich, in un saggio uscito in quell’anno e intitolato Il nuovo

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ordine economico d’Europa (Wirtschaftliche Neuordnung Europas) 73, in cui veniva auspicato un consolidamento dei vincoli economici tra i popoli europei. Grazie alla rinnovata collaborazione economica, i popoli continentali avrebbero saputo vincere la dipendenza dall’estero e sarebbero ritornati al centro della scena politica mondiale. Alla crisi seguita alla depressione e al fallimento delle politiche liberiste, naufragate nella grande inflazione e nella disoccupazione dei primi anni Trenta, il nazismo additava una via d’uscita nella politica di autarchia fondata sul predominio tedesco, una nuova, possibile pratica che avrebbe reso ancora una volta grande l’Europa. Funk non era il solo a ragionare così; Joseph Goebbels, il ministro della propaganda del Reich, non si stancava dalle colonne della rivista Das Reich di sottolineare come la guerra fosse la ribellione dei popoli europei contro la politica economica dell’impero britannico e delle potenze extraeuropee, Stati Uniti in testa 74. Il senso della guerra in corso, per alcuni dei vertici nazisti, aveva il senso di un rovesciamento delle posizioni di forza sullo scenario internazionale; la Germania, maltrattata e umiliata dal trattato di Versailles, rovesciava il piano e si poneva a capo di un ordine economico fondato su principi del tutto diversi da quelli precedenti. Il nuovo grande spazio (Großraum) nato dalle ceneri del trattato di Versailles, doveva essere appunto ristrutturato e riformato secondo gli intendimenti nazisti. Era questo ciò che Funk intendeva per Nuovo Ordine Europeo; la riforma di uno spazio che andava oltre i confini geografici nazionali secondo le nuove regole annunciate dalla dottrina nazista 75. Nella discussione in corso in Germania su come questo Nuovo Ordine dovesse venir attuato in Europa, come ha mostrato Paolo Fonzi, vi era spazio per opinioni diverse. Eppure è difficile sottrarsi Sul saggio di Funk, cfr. P. Barbieri, L’impero ombra di Hitler. La guerra civile spagnola e l’egemonia economica nazista, Mondadori, Milano, 2015, p. 285 sgg. 74  Sulla posizione di Goebbels, cfr. E. Collotti, “Goebbels, Das Reich e il Nuovo ordine europeo”, in Id., L’Europa nazista, cit., pp. 79-112. Per l’Europa sotto il Nuovo Ordine nazista, cfr. anche Y. Durand, Le nouvel ordre européen nazi, cit. In ogni caso, il concetto di autarchia rimase problematico e vago per il regime nazista; cfr. P. Fonzi, La moneta nel grande spazio. Il progetto nazionalsocialista di integrazione monetaria europea 1939-1945, Unicopli, Milano, 2011. 75  Sul concetto di Großraum e sulle relative discussioni, da vedere l’importante lavoro di P. Fonzi, “Nazionalismo e Nuovo ordine europeo. La discussione sulla Großraumwirtschaft in Germania durante la seconda guerra mondiale”, in Studi storici, XLV, 2, 2004, pp. 313-65; mentre sul concetto di Nuovo Ordine Europeo, cfr. P. Fonzi, “Il Nuovo Ordine Europeo nazionalsocialista. Storia e storiografia”, in M. Fioravanzo, C. Fumian, 1943. Strategie militari, collaborazionisti, resistenze, Viella, Roma, 2015, pp. 101-19. 73 

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all’impressione che al di là di un orientamento generale, non vi fossero idee completamente chiare su come attuare e come far funzionare il previsto nuovo ordinamento. È noto il fatto che Goebbels riteneva che fosse addirittura meglio non dire esattamente in che cosa questo Nuovo Ordine dovesse consistere 76. Se, come ha sostenuto Pierpaolo Barbieri, vi era divergenza tra le idee di Hjalmar Schacht, predecessore di Funk alla Reichsbank, e quelle di Funk stesso, il dibattito restava però nel vago; se la guerra avesse portato all’unione dell’Europa sotto l’egida tedesca, come, esattamente, ciò sarebbe avvenuto? 77. Che sarebbe accaduto degli stati neutrali indispensabili ad integrarsi? E del resto, anche la discussione sul Nuovo Ordine Europeo rimase a un livello teorico; una volta che le sorti della guerra iniziarono ad essere avverse, tutta la discussione sulla confluenza delle varie economie si ridusse alla realtà di un massiccio sfruttamento da parte della Germania ai propri fini bellici, avvenuto di solito tramite la formula dei costi di occupazione che la Wehrmacht metteva in conto alle nazioni occupate. Si trattava insomma di formule vaghe, la cui traduzione in atti resta ampiamente problematica. Come ha notato Mazower, ciò che Funk realmente intendesse per Neuordnung, per un’economia europea unificata sotto la leadership nazista, restava nell’ambiguità; e forse ciò in fondo era in conformità ai desideri di Hitler, cui non piaceva l’idea di legarsi le mani su questi temi con annunci vincolanti 78. Proprio qui si inseriva il progetto delle SS, per le quali l’unione europea non avrebbe dovuto essere semplicemente una convergenza di economie sotto le condizioni di una vittoria bellica, ma una ricostruzione razziale del continente che avrebbe a propria volta generato i presupposti per una rinascita economica. Il fallimento di Versailles, prima di essere un fallimento economico, era una catastrofe razziale, in quanto aveva fatto sorgere nuove nazioni e creato minoranze minacciate da un punto di vista etnico. Il riassorbimento delle minoranze, ora riportate nell’alveo della nazione tedesca, e l’allontanamento di tutte le minacce biologiche avrebbe consentito al continente di ripristinare le condizioni per un felice sviluppo sociale ed economico. Il Generalplan 76  Goebbels espresse quest’opinione sulla stampa tedesca il 5 aprile 1940. Cfr. M. Mazower, Hitler’s Empire, cit., p. 198. 77  P. Barbieri, L’impero ombra di Hitler, cit., pp. 286-87. 78  M. Mazower, Hitler’s Empire, cit., pp. 201-02.

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Ost, nelle intenzioni dei pianificatori delle SS, non era il semplice processo di avvicinamento di economie diverse, una sorta di Gleichschaltung su scala paneuropea, ma l’epifania del principio della purezza del sangue che a sua volta garantiva l’esistenza di una comunità compatta e duratura. Tra le varie idee di Nuovo Ordine Europeo, quello delle SS era quello che aveva più probabilità di spuntarla, sia perché si rifaceva con coerenza alle visioni di Hitler, sia grazie alla potenza che Himmler aveva assunto a  Est nella sua veste di Commissario del Reich. Come avevano con estrema nettezza indicato i pianificatori delle SS, non c’era dubbio che il nuovo, grande spazio fornito dalla vittoria bellica mettesse la Germania trionfante di fronte a enormi compiti economici; questi ultimi erano però sussunti come strumento della politica delle popolazioni. Era questa preminenza degli obiettivi razziali su quelli meramente economici che dava per le SS legittimità alla loro visione per il nuovo ordinamento dell’Europa. Ancora una volta, anche l’economia era di per sé una variabile il cui valore dipendeva da quello del sangue. Ciò non significa che la politica della germanizzazione fosse coerente e compatta. È  noto che gli standard razziali utilizzati nel Warthegau per l’iscrizione alla DVL erano più severi (e proprio per questo furono derisi da Wetzel) di quelli in uso in altri Gaue, ad esempio nella Prussia orientale. Tuttavia, non c’è dubbio che la preferenza di Himmler per una Germania estesa ben oltre i vecchi confini del 1914 e resa coesa da una comunità razzialmente solidale incontrasse, in fondo, i desiderata hitleriani prevalendo sulle teorizzazioni che si limitavano confusamente a intravedere nel Nuovo Ordine Europeo una convergenza economica di paesi diversi. Nell’ottobre del 1941, si era svolta a Posen una mostra intitolata “Pianificazione e Costruzione nell’Est” (Planung und Aufbau im Osten), ove erano esposti i plastici dei villaggi e delle fattorie destinate ai coloni tedeschi, chiaro indizio del consenso del regime all’operazione di conquista e germanizzazione dei territori orientali. E nel luglio del 1942, secondo la testimonianza di Felix Kersten, Himmler gli annunciò che il Generalplan Ost aveva ricevuto l’approvazione di Hitler. In effetti, molte delle indicazioni buttate là da Hitler durante le conversazioni a tavola furono fedelmente tradotte nei piani per l’Est. In un documento datato 22 ottobre 1942, redatto dall’Ufficio II dell’Ufficio Principale di Staff del Commissariato di Himmler e intitolato Generalplan Ost, si identificavano gli attori della futura politica mondiale

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(dopo la fine del conflitto) in un blocco continentale europeo, un blocco grandasiatico e un blocco panamericano 79. Grande parte del documento era dedicata alla politica economica come mezzo di attuazione della politica delle popolazioni e ai mezzi per arrivare alla formazione di questo blocco continentale europeo, che consentisse uno sviluppo che fosse al contempo razziale-biologico (völklich-biologische Entwicklung) e produttivo. Le due cose, nelle intenzioni dei pianificatori delle SS, erano collegate; la condizione dello sviluppo economico era la purificazione razziale. Ad esempio, per le industrie a basso tasso innovativo e bisognose di una forza-lavoro a basso livello salariale, come l’industria tessile, si poteva prevedere uno spostamento dai territori del Reich a quelli dell’Est, ad esempio da Berlino a Lodz. Ciò avrebbe permesso un’industrializzazione anche dei territori a Est, in maniera però condizionata dalle necessità dell’economia tedesca, giacché, come il documento sottolineava, «lo spazio economico europeo continentale che è in gestazione, richiede la guida dell’economia tedesca» 80. La convinzione delle SS, condivisa con il Führer, era che il passaggio a un’economia continentale, mettendo a disposizione le enormi risorse naturali dell’Est e un’inesauribile riserva di manodopera a bassissimo livello salariale, priva di cultura e di leadership (opportunamente eliminata dagli Einsatzgruppen) e quindi incapace di lottare per i propri diritti, avrebbe liberato enormi energie economiche. In ciò risiedeva il particolare legame su cui i pianificatori insistevano con particolare puntiglio tra Volkstumspolitik ed economia; finora, gli interessi economici delle regioni germaniche sono rimasti confinati a zone particolari del continente europeo, in parte collegandosi ai Paesi Bassi, in parte ai paesi marittimi o interessati all’export oltremare (Danimarca, Svezia). Per attuare invece una vera politica delle popolazioni, e arrivare all’unità auspicata di sangue e suolo, era necessario che le tendenze economiche non contrastassero una tale unità, ma che anzi fosse attuata una politica economica che favorisse l’espansione razziale del miglior sangue disponibile nel continente; quello tedesco. Le SS chiamavano l’attuazione di questa politica economica con finalità razziale come i “compiti relativi al grande spazio” 81 (grossräumige Aufgaben) che la Germania avrebbe dovuto attuare con la fine del conflitto di integrare 79  80  81 

Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 188. Ibid., p. 194. Ibid., p. 197.

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sotto di sé l’intera economia e la vita del continente. I presupposti di questa integrazione erano i seguenti: la convinzione che il ciclo economico di ciascun territorio corrispondesse al livello di sviluppo razziale della popolazione che lo abitava; l’idea che la vita economica di ciascuna popolazione europea potesse migliorare, a condizione di rimanere integrata nell’economia del Reich; il desiderio che il territorio economico europeo-continentale fosse autosufficiente e indipendente dall’estero per le forniture fondamentali (alimenti, vestiario, armamenti), e che fosse dunque al contempo impermeabile alle influenze straniere e alla possibile contaminazione razziale. Molto del citato documento datato 22 ottobre 1942, e a dire il vero molti degli elaborati di questo periodo, si fondavano su questi principi per delineare la costruzione di un’economia articolata a livello continentale. Una simile costruzione doveva strutturarsi su tre ampli cerchi; il primo cerchio, costituito dal Volksraum, lo spazio nazionale, corrispondeva più o meno allo spazio dei tedeschi nella Mitteleuropa, così come lo aveva delineato Hitler nel Mein Kampf; la riunione di tutte le popolazioni tedesche in un unico bacino territoriale in cui i nemici razziali erano stati banditi, salvo quelli meno pericolosi cui era permesso di rimanere quali classe di servitori ma in condizioni di sicurezza razziale (e quindi di chiusura e di segregazione). Il secondo cerchio era invece designato come spazio di insediamento (Siedlungsraum); il territorio un tempo appartenuto ai tedeschi e ora di nuovo colonizzato grazie alla ri-germanizzazione del sangue tedesco perduto e agli opportuni spostamenti. Non era un mistero per nessuno che Hitler stesso, durante la conversazione del 2 luglio 1942, avesse apertamente approvato il progetto del Gauleiter Frauenfeld di utilizzare i tedeschi del Tirolo come coloni in Crimea 82. Ovviamente, le colonie progettate dai nazisti nulla avevano a che vedere con le colonie vecchio stampo. Come aveva osservato lo stesso Hitler, «Non appena arriviamo in una colonia, vi istituiamo asili di infanzia, ospedali per gli indigeni. Tutto questo mi rende furibondo!» 83. Per territori di insediamento, nel Generalplan Ost si intendeva un tipo nuovo di colonia, razzialmente omogeneo e tale da essere annesso, alla fine, al territorio del Reich. Himmler stesso si era preoccupato di mettere in rilievo che il nuovo piano coloniale nazista

Conversazioni a tavola di Hitler 1941-1944, cit., p. 496. Ibid., p. 306. Per analogie e differenze tra il vecchio colonialismo guglielmino e quello del Terzo Reich, cfr. B. Kundrus, “How Imperial was the Third Reich?”, in B. Naranch and G. Eley (editors), German Colonialism in a Global Age, Duke University Press, Durham and London, 2014, pp. 330-46. 82 

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nulla aveva a che vedere con il colonialismo del vecchio tipo, quale quello praticato dalla Germania del Kaiser 84; sul Deutsche Arbeit del giugno/luglio 1942 ebbe a dire: «È nostro compito germanizzare l’Est non nel vecchio senso – ossia insegnare a quelle popolazioni la lingua tedesca e il diritto tedesco –, ma provvedere a che solo popoli di sangue puro germanico vivano all’Est». Il terzo cerchio era lo spazio economico di influenza tedesco (Wirtschaftsraum), costituito dalle nazioni che sarebbero state attratte nell’orbita tedesca grazie al Generalplan Ost, come l’Ucraina, e da quelle che si sarebbero volontariamente integrate all’economia tedesca attratte dalla distribuzione del bottino di un continente. Era questo il Reich millenario cui pensava Himmler osservando che di lì a quattro-cinque secoli l’Europa sarebbe stata popolata da centinaia di milioni di tedeschi. E questa era la base con la quale Hitler già progettava future espansioni: «Di fronte alle innumerevoli popolazioni dell’Est, possiamo sussistere alla sola condizione che tutti i Germani siano uniti. Essi devono costituire il nucleo intorno il quale si federerà l’Europa. Il giorno in cui avremo organizzato solidamente l’Europa, potremo volgerci verso l’Africa. E, chi sa?, un giorno forse potremo avere altre ambizioni» 85. Al contempo, Hitler escludeva che il Nuovo Ordine Europeo, razziale ed economico, potesse essere un ordine tra pari: «È da escludere che si conservi con metodi democratici ciò che si è conquistato con la forza… Sottomettere un paese indipendente con l’intenzione di restituirgli in seguito la libertà, è una cosa che non sta in piedi. Il sangue versato conferisce un diritto di proprietà» 86. Ancora una volta, il legame tra sangue e suolo diventava dirimente. È il sangue che si è versato che conferisce il diritto al suolo e a disporne secondo i propri divisamenti. L’unione tra il miglior sangue e il miglior suolo non è possibile che non generi una prosperità mai vista prima, quella potenza continentale che poi potrà contendere per il dominio del mondo. Non sarà un caso che tra le industrie che i pianificatori delle

84  Sui vecchi piani coloniali tedeschi a Est prima del nazismo, oltre al testo di Naranch e Eley citato alla nota precedente, cfr. B. Martelli, “La Shoah e il suo contesto. Riflessioni critiche sui danni di astigmatismo e ipermetropia in materie storiche”, in D. D’Andrea, R. Badii (a cura di), Sterminio e stermini: Shoah e violenze di massa nel Novecento, Il Mulino, Bologna, 2010, pp. 227-44. 85  Conversazioni a tavola di Hitler 1941-1944, cit., p. 313. Il centro dell’attenzione nazista si fissava sull’Est; nondimeno, progetti coloniali per l’Africa esistevano. Su questi ultimi, cfr. M. Mazower, Hitler’s Empire, cit., pp. 192-98. 86  Conversazioni a tavola di Hitler 1941-1944, cit., p. 335.

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SS ritenevano indispensabili e vitali, ci fosse, anche dopo l’attesa fine del conflitto, quella degli armamenti. Tuttavia, era il sangue a rendere un popolo quello che è; è il suo sangue a rendere eroici e conquistatori, cosa che Hitler credeva fortemente del sangue germanico e, curiosamente, non di quello del popolo statunitense 87. Il valore connesso al sangue è quello fondante una supremazia sul suolo; il suolo diventa ciò che il sangue è, se viene ricostruito attorno ai valori che il sangue esprime. In questa affinità tra sangue e suolo stava la radice dell’ispirazione che spinse i pianificatori delle SS, sulla scorta delle suggestioni del Führer, a disegnare il percorso verso una globalizzazione dell’economia europea e, in prospettiva, mondiale. L’unità del sangue richiedeva l’abbattimento delle frontiere, e l’unificazione dei mercati. Non si trattava di semplici parole, o di teorie. I nazisti si erano volti veramente in questa direzione. Nel 1940, l’economia della Boemia-Moravia era stata totalmente integrata in quella tedesca tramite l’abolizione delle barriere doganali. Dall’ottobre del 1939 iniziò anche l’integrazione dell’economia polacca, in gran parte mirata non a distruggerla del tutto, ma a ridurre la popolazione locale a una massa di forza lavoro a buon mercato a disposizione del Reich. Il primo provvedimento adottato in questo campo fu il decreto del 26 ottobre 1939 sul lavoro coatto, che aboliva il vecchio sistema polacco dei salari per stabilire una nuova struttura salariale variabile e del tutto priva di elementi di welfare. Quindi impresa e produzione polacche furono rilocalizzate secondo le esigenze del Reich, e le frontiere economiche abbattute. Rimase in piedi soltanto la differenza salariale e dei prezzi; la manodopera polacca, ope legis, aveva salari di gran lunga più bassi di quelli tedeschi 88. È possibile che i piani economici di Hitler per l’Est fossero addirittura anteriori alla guerra; Richard Overy ha sostenuto che Hitler aveva già nel 1936 manifestato scopi di conquista su scala continentale, e che la tendenza

87  «Non crederò mai che un soldato americano possa battersi come un eroe», disse Hitler a Sepp Dietrich e Fritz Todt al pranzo del 5 gennaio 1942. Conversazioni a tavola di Hitler 1941-1944, cit. p. 192. 88  I livelli salariali dei lavoratori tedeschi e di quelli non-tedeschi si trovano pubblicati in quadro sinottico in E. Collotti, La  Germania nazista, cit., pp. 271-72. Sull’integrazione dell’economia polacca, cfr. S. Lenstaedt, “The Incorporation of General Government in the German War Economy”, in M. Boldof, T. Okazaki (edited by), Economies under Occupation. The hegemony of Nazi Germany and Imperial Japan in World War II, Routledge, Abingdon, 2015, pp. 147-60.

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a costruire un’economia in grado di sostenere la guerra che fu avviata in quell’anno fosse una scelta irreversibile in tale senso 89. La politica nazista indirizzata alla creazione di un sovvertimento dell’ordine globale a favore della Germania tramite una guerra di aggressione, era una scelta economica e al contempo legata ad un’ideologia razziale basata sulla purezza del sangue. La guerra scatenata dalla Germania a Est con l’Operazione Barbarossa e l’attacco all’Unione Sovietica non era una semplice campagna militare: era una guerra genocida per attuare la soluzione definitiva, a livello continentale, di un nuovo ordine, basato sull’integrazione di tutti gli stati nello spazio tedesco, il loro conseguente spopolamento di tutti i nemici del sangue, e il ripopolamento con coloni di sangue tedesco. Questo piano razziale era tuttavia al contempo un progetto economico, che prevedeva massicci investimenti per quella che Meyer aveva chiamato la ricostruzione dell’Est e che avrebbe gettato le basi per lo sviluppo e la fioritura economica dell’intera Europa. L’attuazione del piano si sarebbe basata su un doppio genocidio: quello delle popolazioni ebree d’Europa, da far definitivamente sparire dallo spazio tedesco in quanto nemici razziali; e delle popolazioni slave, il cui numero doveva essere convenientemente diminuito e i cui superstiti dovevano essere avviati al lavoro schiavo a vantaggio della razza padrona. Quest’ultimo genocidio era già probabilmente partito, nelle sue prime fasi, già nella seconda metà del 1941; dei tre milioni e mezzo di prigionieri di guerra russi catturati durante le prime fasi di Barbarossa, alla fine del 1941 solo poco più di un milione sopravviveva, gli altri essendo stati sterminati per fame. L’attuazione del piano economico delle SS, che prevedeva l’utilizzo di tutti i beni disponibili a Est, in primo luogo delle derrate alimentari del suolo, ad esclusivo vantaggio del sangue tedesco, esitava necessariamente in un genocidio per fame 90. L’insistenza degli uomini di Himmler sull’attenta pianificazione economica, la discesa nei dettagli di ogni singola progettazione dell’economia futura (sin dal Generalplan Ost della primavera del 1940, Meyer aveva persino quantificato quanti fossero i capi di bestiame necessari ai coloni previsti, divisi secondo le specie ovine, bovine, suine, ecc., distinguendo 89  R.J. Overy, War and Economy in the Third Reich, Oxford University Press, Clarendon Press, 1995. 90  Le cifre sullo sterminio dei prigionieri russi vengono da A. Tooze, The Wages of Destruction. The Making and Remaking of the Nazi Economy, Penguin, London, 2007, che sottolinea come per Hitler la conquista dell’Est equivalesse alla conquista dell’America in cui una civiltà superiore aveva soppiantato una inferiore generando una società più moderna e ricca.

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persino tra gli animali adulti e quelli cuccioli 91), colpisce il lettore della documentazione relativa alla progettata colonizzazione nazista. È questa precisione maniacale, questa acribia sconfinata, su territori che in fondo i nazisti neppure controllavano pienamente (come la vicenda di Zamosc si incaricò di far comprendere a Globocnik), che avvolge l’intero Generalplan Ost e pressa il lettore a respingerlo nel regno delle chimere naziste. Tuttavia questa cura persino morbosa nel disporre i dettagli della organizzazione del suolo conquistato non si comprende davvero (e si finisce per ritenerla un’utopia insensata) se non si tiene conto della legge del sangue cui essa, in fondo, obbediva. Se le SS si sentivano in dovere di pianificare nel più piccolo dettaglio la futura composizione della popolazione che avrebbe abitato il Siedlungsraum; l’esatta quota degli appartenenti alle diverse classi sociali che avrebbero dovuto costituire la cittadinanza delle future colonie; l’esatto numero degli addetti all’economia agricola e silvestre e degli addetti a commercio e industria in ciascuna provincia dell’impero coloniale a venire, ciò non era in loro il segno di una tendenza ai sogni utopici e al piacere classificatorio fine a se stesso, ma costituiva l’attuazione di un preciso compito razziale e biologico che la storia aveva posto di fronte al popolo tedesco. In fondo l’attrazione che portò tanti intellettuali, professionisti e accademici a prendere parte e a dare vita all’intento di Himmler, fu questo preciso senso di stare facendo la storia. Le teorie discusse nelle aule universitarie, gli abbozzi tracciati sulla carta, le dispute astratte sembravano ora sul punto di diventare l’attuazione reale di quella nuova Europa come entità razziale che Hitler aveva promesso, così come il centro della città di Zamosc veniva rifatto secondo i divisamenti urbanistici dei conquistatori. La stessa cura maniacale nella progettazione della futura economia delle colonie obbediva allo stesso impulso; la politica economica era infatti concepita come lo strumento principe con cui attuare la politica delle popolazioni 92. La globalizzazione dell’economia europea era, da un lato, il risultato del trionfo del sangue tedesco sul continente, dall’altro la promessa di ulteriori, futuri trionfi, dato che in tal modo, come aveva osservato il Führer nella notte tra il 17 e

Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 12. “Politica economica quale mezzo della politica delle popolazioni” (Wirtschaftpolitik als Mittel der Volkstumspolitik), si intitolata un intero paragrafo del documento del 22 ottobre 1942 già citato; cfr. Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 193. 91 

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il 18 settembre 1941, sarebbero state resuscitate le forze che sonnecchiano nel sangue tedesco 93. L’unificazione dell’economia europea, ciò che i nazisti chiamavano creazione di un blocco economico continentale, era al centro di un altro documento, datato 18 novembre 1942 e intitolato anch’esso (Parte del) Generalplan Ost, che era stato dedicato al futuro ordinamento economico dal punto di vista della politica razziale. Nel documento si leggeva: Il livello produttivo dei restanti popoli europei [ossia quelli che non erano compresi né nel Volksraum né nel Siedlungsraum, dunque i paesi europei indipendenti ma presenti nello spazio di influenza economica tedesca] deve essere sviluppato in conformità al loro posto nei confronti del popolo tedesco e alla collocazione del loro spazio rispetto al Volksraum. I popoli che aderiscono volontariamente alla guida del popolo tedesco, e gli spazi che confinano con il territorio del Reich, devono essere sviluppati più degli altri, che possono essere pericolosi per l’unità europea e che si trovano ai margini del blocco. Tramite una simile strutturazione, sarà incentivata l’unità del blocco e un suo allineamento alla guida del popolo tedesco 94.

Dunque l’intero blocco faceva pernio sul nucleo centrale di stirpe tedesca, attorno al quale i paesi confinanti sarebbero stati più integrati, mentre i paesi meno filo-tedeschi sarebbero stati quelli geograficamente più distanti. Questi ultimi erano destinati a svilupparsi meno da un punto di vista economico, proprio per non pregiudicare l’unità del blocco continentale. Tra gli spazi più sviluppati nel documento venivano apertamente citati la Francia settentrionale, la Svezia meridionale, l’Italia del Nord, i territori danubiani; questi territori avrebbero dovuto essere congiunti tutti all’economia del Reich, così da costituire il mezzo con cui il regime tedesco avrebbe indirizzato la propria influenza sui popoli europei, costituendo un forte baricentro. Ciò può sembrare curioso; l’idea di un’Europa a due velocità, che oggi noi ben conosciamo, trovava una sorta di precursore nelle teorie dei pianificatori delle SS. Vi sarebbero stati un nucleo di territori ben integrati nell’economia del Reich, che avrebbero costituito un centro di gravità economico destinato a diffondersi e a

Conversazioni a tavola di Hitler 1941-1944, cit., p. 68. E, poco oltre: «Il popolo tedesco si innalzerà al livello di questo impero». 94  Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 216. 93  189

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imporsi; e un resto di paesi periferici, che costituivano un qualche pericolo per l’unità continentale, e che erano destinati a restare ai margini di questo movimento. Questa riunificazione delle economie e dei popoli europei attorno alla Germania era descritto nel documento in questione come una comunità di destino (Schicksalsgemeinschaft): Il popolo tedesco può prosperare soltanto a condizione che tutte le popolazioni europee siano riunite ad esso nel collegamento in una comunità di destino, in un unico blocco sotto la guida tedesca. Questo fine sarà sostenuto da parte dell’economia, che anch’essa vi aspira, riunendo le economie popolari europee in un’unica struttura economica continentale 95.

L’appartenenza a questa comunità era dunque sentita come l’attuazione di una sorta di destino. Essa rispecchiava la naturale superiorità del sangue tedesco, che dominava l’intera economia continentale ma a vantaggio di tutti, anzi i vantaggi sarebbero stati maggiori per coloro che più strettamente aderivano al modello tedesco. Trattandosi di un legame voluto dal destino e con un’orizzonte comune, ritirarsi non era possibile. Non si trattava di aderire volontariamente a una comunità di pari tra loro; si trattava piuttosto di abbandonarsi al destino che si adempiva nelle forze che scaturivano dal sangue tedesco, oppure di opporvisi e venire travolti. In nessun modo i nazisti concepivano questo blocco continentale come una costruzione costituzionale; il linguaggio stesso di questi documenti testimonia il fatto che i concetti ispiratori della globalizzazione nazista erano mitici. Lo stesso destino che accomunava la nuova Europa era il destino del sangue, il destino nascosto nel sangue tedesco che, per adempiersi, richiedeva il suolo necessario all’espansione della stirpe germanica e il coagularsi attorno ad esso delle restanti popolazioni europee; beninteso quelle restanti, perché quelle nemiche del sangue tedesco sarebbero state spazzate via, mentre quelle che minacciavano la purezza di quel sangue sarebbero state convenientemente ridotte di numero e mantenute in uno stato di schiavitù a vantaggio della razza padrona. L’attuazione di un’unica economia su scala continentale era appunto l’attuazione di questo disegno.

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Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., p. 220.

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5. La fine Alla fine del 1942, i lavori pianificatori ancora fervevano. In un documento del 30 novembre 1942, l’architetto Udo von Schauroth aveva preparato uno studio per il fabbisogno di coloni necessari a realizzare i piani coloniali a Est. Schauroth calcolava che al momento in cui scriveva lo spazio nazionale (il Volksraum) contenesse 80 milioni di persone. Per i prossimi trent’anni, egli prevedeva una crescita demografica di circa 700.000 unità per anno fino all’anno 1960. Proiettate su uno spazio temporale di ottanta anni, ciò permetteva di ipotizzare una popolazione nello spazio nazionale e in quello di insediamento, di 88 milioni di persone, così suddivise: 77,05 milioni nello spazio nazionale di cui 5,88 nei territori annessi a Est, ora chiamati zona di ricostruzione (Umbauzone), e 10,95 milioni in quello coloniale. Schauroth valutava che la popolazione nei territori di insediamento sarebbe stata, per la regione di Lodz e di Cracovia, al 40% rurale e al 60% urbana, mentre per la regione di Varsavia, inadatta al pieno sviluppo di un’economia agricola, le percentuali sarebbero state invertite 96. Migliori prospettive per l’economia rurale si dipingevano nei distretti di Lvov e di Lublino, per cui la prevista quota di popolazione rurale saliva in questi distretti al 45%. Nei successivi materiali per la redazione del Generalsiedlungsplan richiesto da Himmler, che furono approntati a dicembre 1942, veniva proposto un calcolo del numero di coloni necessari per riempire lo spazio di insediamento al netto dei Paesi Baltici. La popolazione attuale di quei territori ammontava, secondo i calcoli delle SS, a 36 milioni e 323.000 persone e doveva essere ridotta (con i mezzi noti) a 23 milioni e 149.000 abitanti. Le SS computavano che la Germania avrebbe potuto avere a disposizione, nel giro di venti anni, 8.291.000 possibili coloni, a fronte di un fabbisogno di 12.407.000. Ciò lasciava un saldo negativo di 4.116.800 coloni richiesti ma non disponibili, che però sarebbe stato recuperato e quasi azzerato nel decennio successivo. Tutti questi dati danno un’idea delle scale sia temporale che di popolazione sulla quale lavoravano gli uffici di Himmler. L’orizzonte temporale del Generalsiedlungsplan, tuttavia, era ventennale, come richiesto da Himmler, anziché trentennale come nell’originario 96 

Vom Generalplan Ost zum Generalsiedlungsplan, cit., pp. 226-27.

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piano del 1940 e in quello dell’RSHA esaminato da Wetzel nell’aprile 1942. Nel ventennio, il piano prevedeva che le province ex-polacche ora annesse al Reich, sarebbero state germanizzate al 100%, Cracovia solo all’80%, Lublino al 60% e Bialystok al 38%. Come già detto, Himmler apprezzò il piano ma chiese a Meyer una sua estensione che tenesse conto anche dei paesi Baltici, della Russia Bianca, della Crimea, dell’Ingermanland e della Tauride. Tuttavia, nonostante la volontà di Himmler di tenere fede alla pianificazione della futura, nuova Europa, le difficoltà per questa stessa attività pianificatoria aumentavano. Lo stesso gruppo di fedeli di Himmler che aveva costituito il nucleo di direzione del Commissariato del Reich per il Rafforzamento del Popolo Tedesco si sgretolava sotto la pressione delle difficoltà belliche e delle rivalità interne. Otto Hofmann, il capo del RuSHA, fu rimosso dal suo incarico nella primavera del 1943; lo stesso Greifelt, che iniziava a incorrere nello stesso sfavore di Himmler che travolse Hofmann, ebbe una lettera di biasimo da quest’ultimo il 3 dicembre 1942. I motivi di insoddisfazione di Himmler erano molti; nonostante gli ordini dati da quest’ultimo sull’inizio della prima fase di realizzazione del Generalplan Ost a Zamosc, ancora alla fine del 1942, poco era stato realizzato. I 27.000 coloni che dovevano costituire la prima ondata di insediamento non erano ancora disponibili, quelli disponibili che erano di origine urbana non erano entusiasti dell’idea di diventare coloni agricoli e resistevano al reinsediamento, mentre gli esperti del RuSHA, che non erano in numero sufficiente, non riuscivano a far fronte a tutte le richieste di screening razziale. Il  30 dicembre 1942, Greifelt si presentò a rapporto da Himmler a Berlino; nell’incontrò sorse una disputa così accesa, che Greifelt ebbe un attacco di cuore e fu ricoverato a Dresda fino al maggio del 1943. Con Greifelt incapacitato, Hofmann rimosso e Heydrich assassinato a Praga il 4 giugno del 1942, dell’originario nucleo stretto di collaboratori del Commissario per il Rafforzamento del Popolo Tedesco restava solo il capo del VO-MI, Werner Lorenz. A queste difficoltà interne, corrispondevano anche le difficoltà sul campo. L’inversione delle fortune belliche dopo la gravissima sconfitta di Stalingrado, segnavano un punto di non ritorno per le aspirazioni coloniali naziste. Le fortune del Generalplan Ost erano dipese dalle vittorie conseguite e dal continuo allargamento dei territori conquistati, che diventavano oggetto di futura colonizzazione. Ancora a gennaio 1943 Himmler pensava di allargare i piani coloniali rispetto a quelli già redatti.

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Eppure già nel 1943 il problema non era più quello di pianificare nuove colonie, ma di concentrare i tedesco-etnici minacciati dall’avanzata dell’Armata Rossa che non era possibile difendere se si trovavano sparsi sul territorio. Talora non bastava nemmeno concentrarli, ma era necessario spostarli a Ovest, verso la Germania, per allontanarli dalla linea del fronte. Tra i primi tedesco-etnici che fu necessario spostare vi furono quelli dell’Ucraina, di cui il Commissario del Reich per l’Ucraina, Koch, rifiutava di occuparsi se ciò significava sottomettersi all’autorità di Himmler. Al  VO-MI non restò che trasferirli alla regione al confine occidentale dell’Ucraina, la Transnistria; ma ben presto fu necessario spostarli ancora più a Ovest, in Galizia, quando nel maggio del 1944 fu la regione della Crimea a cadere, e si rese necessario evacuare tutta la Transnistria. Il 23 marzo 1944, il Ministero degli Esteri, nella persona di Wilhelm Stuckart, richiese l’evacuazione da Lublino di tutte le persone di ascendenza germanica, cosa che indispettì enormemente Himmler, geloso delle proprie prerogative. I sogni coloniali tedeschi finivano nella confusione e nel caos; tra l’estate 1943 e l’inverno 1943/44, l’intera popolazione tedesco-etnica dell’Ucraina fu in continuo movimento. I coloni tedesco-etnici che, come abbiamo visto, nel luglio 1943 Himmler chiese a Frank di poter collocare a Bilgoraj, erano appunto quelli provenienti dall’Ucraina. Con una serie ininterrotta di sconfitte sul fronte orientale, il compito delle strutture del Commissariato di Himmler non era più preparare la base delle future colonie, ma occuparsi della messa in sicurezza delle popolazioni tedesco-etniche via via che il fronte si spostava ad occidente, anche se in realtà in gran parte fu la Wehrmacht ad occuparsi dell’evacuazione dei coloni; le strutture del VO-MI li prendevano in carico una volta spostati in una zona in cui esse potevano operare. Ormai la Germania si preparava a dichiarare la guerra totale e a reinviare ogni lavoro di pianificazione per il periodo post-bellico. A giudicare dai documenti sopravvissuti alla guerra, l’interesse di Himmler per la realizzazione del nuovo piano commissionato a Meyer declinò rapidamente. Se le fortune del piano erano in chiaro regresso, quelle di Himmler invece erano in salita; nell’agosto 1943 fu nominato nuovo ministro dell’Interno al posto di Wilhelm Frick (più tardi impiccato a Norimberga), mentre al Ministero per l’Alimentazione l’ex amico e adesso rivale Darré fu sostituito dall’amichevole Herbert Backe, Obergruppenführer delle SS. L’ascesa personale del Reichsführer delle SS aveva però come contrappasso la riduzione del

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suo potere come Commissario per il Reich per il Rafforzamento del Popolo Tedesco. Un tempo, Himmler aveva potuto affermare una enorme autorità sui territori dell’Est proprio grazie alla sue competenze come Commissario, dando filo da torcere alle autorità rivali, come il Ministero per l’Est di Rosenberg, il Commissario per il Reich dell’Ucraina Erich Koch, il governatore generale Hans Frank. Ora, via via che quei territori venivano evacuati, il potere di Himmler si allargava, ma su un territorio più piccolo. Il 12 aprile 1944 fu iniziata l’evacuazione di tutto il personale non combattente dalla Crimea, un altro dei territori di insediamento; nel giro di un mese l’intera Crimea sarebbe caduta in mani russe. Pochi altri mesi, e di tutto l’orgoglioso piano di una nuova Europa saldamente dominata dal sangue della razza padrona, non sarebbe rimasto nulla, tranne le ampie distese di cenere umana intorno ai campi di sterminio, le immani sofferenze delle popolazioni deportate, il dolore delle famiglie separate (quelle che erano ancora vive, almeno), un saccheggio di beni di proporzioni mai visto prima, distruzioni che avrebbero richiesto anni per la ricostruzione. L’eden preconizzato da Hitler era svanito, lasciando una scia di enormi sofferenze, ferite aperte e un’eredità problematica che vincitori e vinti avrebbero dovuto affrontare.

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Indice dei nomi A Aly, G., 131n., 198 Amann, M., 61, 75 Anders, R., 103 Andresen, S., 198 Arco-Valley, A., 60 Arendt, H.. 15, 18n., 198 Augier, M. alias Saint-Loup, 12n.

B Backe, H., 7, 19, 20 e n., 145, 146, 195 Badii, R., 187n. Barbieri, P., 182n., 183 e n., 198 Bartels, H., 103 Bartholomeyczik, H., 133 Bartsch, R. , 93 Bauman, Z., 15, 149n., 198 Bäumler, A., 77 Baur, E., 78 Bechstein, E., 64 Bellamy, C., 141n. Bergier, J., 12n. Best, W., 60, 132n. Binding, 78, 79n., 198 Bismarck, von O., 30, 32n., 199 Bloy, L., 43, 44 e n., 45, 197 Böckel, O., 30, 31 Boehm, M.H., 76 Boldof, M., 188n. Bormann, M., 161 e n., 166, 179 Bostunitsch, G.S., 70 Boudin, J.-C., 42, 43 Bouhler, P., 60 Bramwell, A., 80n., 81n., 84n., 198 Breitman, P., 122n., 198

Browning, C., 132n., 139n., 178n., 198 Bruck van den, M., 76 Bruckmann, H., 64, 76, 90 Burgio, A., 198

C Cecil, R., 71n., 198 Chamberlain, H.S., 37, 38, 93, 102 Chapoutot, J., 13n., 97n., 98n., 198 Class, H., 30 Collotti, E., 76n., 112n., 182n., 188n., 198 Conte, É., 79n., 83n., 99n., 104n., 198 Conti, L., 60 Corni, G., 84n., 198 Cristofaro de, E., 79n., 198 Crowley, A., 12

D Dahmen, S., 131n., 143n., 198 D’Andrea, D., 187n. Darré, R. W., 2, 7, 8, 11, 13, 14, 19, 31, 81 e n., 82, 84 e n., 85, 86, 87n., 88, 89, 90 e n., 91, 94, 97, 102, 103, 106, 117, 119, 122, 130, 132, 133, 135, 195, 197, 198 Defanti, C.A., 36n., 198 De Michelis, C., 45n., 199 Diederichs, E., 77, 91 Dietrich, S., 181, 188n. Dolcetta, M., 12n., Dolezalek, A., 131, 133, 135-137, 146 e n., 147, 197

D’Onofrio, A., 85n., 199 Drexler, A., 60, 63 Dühring, K. E., 30, 31 Durand, Y., 129n., 182n., 199 Dürer, A., 39

E Eckart, D., 60, 63, 64 e n., 65, 66 e n., 72, 93, 112, 197, 201 Eichmann, A., 18n., 126, 132n., 154, 171, 172, 198 Eisner, K., 60 Ehlich, H., 142, 155, 174-176 Eley, G., 186n., 187n., 200 Ellerbek, E., 61, 63 Epp von, F. R., 63 Essner, C., 79n., 83n., 99n., 104n., 198

F Faye, E., 80n. 199 Feder, G., 63 Ferrari Zumbini, M., 32n., 35n., 46n., 48n., 50n., 51n., 80n., 199, 200 Feuerbach, L., 30 Fioravanzo, M., 182n. Fischer, E., 78, 79, 82, 139, 147 Flesch, R., 105 Fonzi, P., 182 e nn., 199 Forczyk, R., 152n., 199 Förster, B., 30 Förster, P., 31 Francé, R. H., 50 Frank, H., 61, 75, 98, 113, 114, 120, 126, 140, 141, 157, 164-166, 177n., 195, 196

204 Frauenfeld, A., 186 Freyer, H., 98 Frick, W., 61, 75, 90, 97, 195 Friedländer, H., 51n., 79n., 83n., 199 Fritsch, T., 31, 32n., 37, 46, 48, 50, 51, 55, 57, 58, 63, 85, 200 Fumian, C., 182n. Funk, W., 11, 180, 181, 182 e n., 183

G Galli, G., 12 e n., 28n., 197 George, S., 49 Gerhard, G., 20n., 199 Gies, H., 84n., 198 Gerlach, C., 140n., Glantz, D., 141n. Gliebe, famiglia, 148 Globocnik, O., 120, 121, 157 e n., 158 e n., 160, 163-166, 171, 175, 176, 190, 200 Gnoli, A., 45n., 199 Gobineau de, J. A., 37 Goebbels, J., 74, 90, 182 e n., 183 e n. Goedsche H., alias Retcliffe, J., 31, 42 Goldhagen, D., 178n., Goodrick-Clarke, N., 52n. 58nn., 62n., 104n., 199 Göring, H., 20, 90, 161 Gottberg von, C., 117 Greifelt, U., 116, 118, 123, 125-127, 130, 146, 151-153, 156, 163, 168, 169, 170, 171, 174, 194 Guglielmo II, (F.W.V.A. von Hohenzollern), 30, 38 Gutt, A., 97

H Haeckel, E. , 49-51, 85 Hale, C., 83n., 104n., 199 Hamann, B., 38n., 39n., 62n., 199 Hanser, R., 25n., 199

Sangue e Suolo Harrer, K., 60 Haushofer, K., 72, 73 Heidegger, M., 77, 79, 80n., 82, 86, 98, 99, 100n., 107n., 197, 199 Heim, S., 131n. 198 Heinemann, F., 199 Heinemann, I., 132n., 134n., 156 e n., 199 Heinrici, E., 30 Hentschel, W., 31, 50, 51, 81, 83, 86 Hess, R., 60, 72, 73, 75, 138, 146 Heydrich, R., 60, 95 e n., 104, 105, 106n., 115, 119, 120, 126, 136-138, 141, 178, 180, 194, 199 Hilberg, R., 178n., 199 Hillgruber, A., 199 Himmler, H., 5, 7, 10, 13, 14 e n., 16, 19, 20, 31, 81, 82, 83n., 84, 86, 89, 91, 92 e n., 93, 94, 95 e n., 101-103, 104 e n., 105, 106 e n., 107, 109, 112, 113, 115, 116-119, 120 e n., 121, 122 e n., 123 e n., 124 e n., 126-132, 135-140, 141 e n., 142, 143, 145-158, 162-171, 174-176, 177 e n., 178n., 179, 181, 184, 186, 187, 189, 190, 193-200 Hitler, A., 5, 7, 9n., 11, 12 e nn., 13, 21n., 25 e n., 26, 27, 28 e n., 29, 31, 32n, 38 e n., 39 e nn., 49 e n., 58n., 59n., 60, 61n., 62 e n., 63, 64 e nn., 65, 66 e n., 67, 68 e n., 69, 70, 71n., 72 e n., 73 e n., 74 e nn., 75, 76 e n., 77, 78, 81n., 83, 84n., 86, 90-94, 96 e n., 98, 99, 102, 105, 111, 113-115, 118, 119, 125, 126, 128, 131 e n., 141n., 142, 145, 152, 156, 157 e nn., 158, 160n., 161 e n., 162n., 164, 166, 170, 178n., 179 e n., 180,

181, 182n., 183 e nn., 184, 186 e n., 187 e nn., 188 e n., 189n., 190, 191n., 196-201 Hoche, A., 78, 79 e n., 198 Hofman, O., 117, 118, 132, 158, 194 Höhne, H., 74n., 92n., 94n., 102n., 199 Holfelder, H., 86 Höss, R., 7, 31, 81 Hugenberg. A., 30, 77, 91 Husson, É., 95n., 106n., 199

I Ingrao, C., 131n., 134n., 174 e n., 177 e n., 199

K Kapp, W., 38, 64 Keitel, W., 161 Kemnitz von, M. , 70 Kenstler, G., 86, 90 Kern, E., 61 Kershaw, I., 25n., 49n., 58n., 64n., 71n., 73n., 74n., 75, 76n., 96n., 199 Kersten, F., 142, 184 Kersten, K., 123 King, F., 12n. Klages, L., 49 Kleist, B. P., 139, 170 Klemperer, V., 13n., 199 Koehl, R. L., 119 e n., 200 Koch, E., 195, 196 Konopacki-Konopath, H., 82, 91 Krüger, F. W., 126, 149, 159, 163 Krumey, H., 154, 159 e n., 171 Kundrus, B., 186 n.

J Jacobsen, R., 82, 133 Jankuhn, H., 123 Jesi, F., 41n., 53n., 199 Johst, H., 86

205

Indice dei nomi Jung, E., 76 Jünger, E., 44, 45 e n., 81, 82 e n., 86, 197, 199

L Lagarde de, P.A., 30-32, 34, 46, 47 Lammers, H., 125, 161, 162 Landig, W., 12n. Langbehn, J., 33 e n., 34 e n., 35, 41, 47, 197, 200 Lanzinger, H., 39, 40 Leers von, J., 86, 91 Lenstaedt, S., 188n. Lenz, F., 78, 79, 88 Leone XIII, papa, 43 Levenda, P., 12n. Ley, R., 96 Liebenfels von, J. L., 32, 52 e n., 50, 55, 56 e n., 57, 62, 79, 102, 197 List von, G., 52 e n., 53 e n., 54, 55, 57, 58, 61, 62, 79, 102, 197 Lohse, H., 162 Lombardi, P., 80n., 98n., 125n., 200 Longerich, P., 14n., 92n., 95n., 106n. 120n., 200 Lorenz, W., 118, 129, 194 Losurdo, D., 48n., 200 Ludendorff, E., 71, 85 Lutero, M., 65

M Mäbling, E., 15 Madajczyk, C., 14n., 131n., 132n., 178 e n., 197, 200 Magris. A., 44n., 200 Majer, D., 126n., 177n., 200 Manacorda, G., 37n. Marr, W., 30, 31 Martelli, B., 187n. Maser, W., 72n., 200 Mazower, M., 9 e n., 21n., 161n., 183 e n., 187n., 200 Mayr, K., 62, 63 Mengele, J., 79

Meyer, K., 10, 11, 14 e n., 15, 16, 18, 116, 130-133, 135, 138, 141, 142, 145, 146, 149 e n., 150, 151, 153-156, 164, 167, 168, 171, 172, 174-176, 179, 189, 194, 196, 197 Mentzel, H., 157n., 170n., 200 Mosse, G. L., 32n., 33n., 38n., 41n., 49n., 50n., 51n., 77n., 80n., 200 Mousseaux des, H-R. G., 42 Müller, H., 105, 120 Müller-Hill, B., 79n., 200 Müller von, K. A., 62

N Naranch, B., 186n., 187n., 200 Nebe, A., 105, 120 Nesi, G., 80n., 98n., 125n., 200 Nicolai, H., 98 Nietzsche, F., 31, 34, 45, 47, 48 e n., 49, 77, 86, 87n., 98, 197, 200 Nilus, S., 45, 46

O Oelhafen von, I., 160n. Ohlendorf, O., 105 Okazaki, T., 188n. Oreglia, G., 43 Ossendowski, F., 71, 72n., 197 Overy, R., 188, 189n., 200

P Pasha, H., 58 Pauwels, L., 12n. Penka, K., 50 Peters, C., 30 Pinto, V., 33n., 200 Pio IX, papa, 42 Ploetz, A., 32, 50, 55, 83

Pohl, H., 57-59 Poliakov, L., 35n., 38n., 43n., 45n., 71n., 200 Poprzeczny, J., 157n., 200 Pranaitis, J. B. , 43 Pringle, H., 123n., 142n., 200 Pulzer, P., 32n., 200

R Ravenscroft, T., 12n. Rechenbach, H., 81, 82, 133 Reuss zur Lippe, M. A., 82 Rhodes, R., 69n., 92n., 93n., 94n., 101n., 200 Rodell. F., 116, 130, 155, 167, 197 Röhm, E., 63, 92, 93 Romano, S., 45n., 200 Roseman, M., 140n., 170 e n., 201 Rosenberg, A., 60, 63, 64, 70, 71n., 72, 74, 75, 90, 96, 98, 138, 139, 161, 162 e n., 170, 172, 196, 198 Rossetti, C., 99n., 201 Rothacker, E., 98 Rüdin, E., 79 Rust, B., 60

S Saletti, C., 79n., 198 Salisbury, H.E., 20n., 201 Salomon von, E., 61, 62n., 198 Sassonia-Coburgo-Gotha, casata di, 70 Schacht, H., 183 Schauroth von, U., 131, 141, 151, 153, 193 Schäfer, E., 123 Schellenberg, W., 105, 120 Schemann, L., 37, 38 Scheubner-Richter von, M., 70 Schiele, W., 81 Schiller, F., 102 Schiller-Dellbruck, E., 102

206 Schirach von, B., 90, 96 Schmitt, C., 45, 98 Schönerer von, G., 38, 52, 55, 62 Schreck, H., 92 Schubert, H., 20, 131, 139, 151 Schuler, A., 49, 61, 76, 77 e n., 198 Schultz, B., 82, 133 Schultze-Naumburg, P., 86, 88, 90, 91 Sebottendorff von, R., 7, 58, 59 e n., 60, 61 e n., 198 Seefeld von, W., 123 Sering, M., 69 Serrano, M., 12n. Seyss-Inquart, A., 126 Skoropadsky, P., 70 Siebert, F., 157 Six, F., 105 Sonnenberg von, M. L., 30, 51 Spann, O., 76, 77 Stapel, W., 76, 77 Stauff, P., 57 Stengel von Rutkowski, L., 82, 133

Sangue e Suolo Stoecker, A., 30, 34 Strasser, G., 74, 90, 93 Strasser, O., 74 Streicher, J., 60, 98 Stuckart, W., 152, 195 Sunderland, W., 72n., 201

T Tale, T., 160n. Taradel, R., 41n., 46n., 201 Termudi, famiglia, 58 Todt, F., 138, 146, 188n. Tombetti, P., 12n. Tooze, A., 189n., 201 Trawny, P., 107n., 197 Trotha von, A., 95 Tyson, J.H., 64n., 201

U Ungern-Sternberg von, R., 71, 72n.

V Verschuer von, O., 79

Vietinghoff-Scheel von, E. P. L., 86

W Wagner, R., 7, 31, 34, 35, 36 e nn., 37n., 38, 39, 41, 46, 47, 58, 99, 198 Wallrabe, dr., 177 e n., 178 Weismann, A., 50 Wetzel, E., 139, 142-147, 155, 161, 162, 170, 172174, 176, 180, 184, 194 Wiligut, K. M., alias Weisthor, 86, 102, 103, 105, 106 Wilser, L., 50 Winkel, G., 88 Wirth, H., 103 Wittelsbach, casata dei, 70 Wittelsbach, E. von, 92 Wolff, K., 152

Z Ziegler, H. S., 90 Zischka, A., 7 Zörner. E., 120, 160, 161

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Glossario e abbreviazioni Akademie für Deutsches Recht (Accademia per il diritto tedesco) Amt für Agrarpolitik (Ufficio per la politica agraria) Antisemitische Volkspartei (Partito popolare antisemita) Alldeutsche Vereinigung (Associazione pangermanica) Alldeutscher Verband (Lega pangermanica) Ariosophische Gesellschaft (Società ariosofica) Armanenschaft (Associazione degli Armanen) Artamanebund (Lega degli Artamani) Bayreuther Kreis (Circolo di Bayreuth) Bund der Landwirte (Lega degli agricoltori) Christlich-soziale Partei (Partito cristiano sociale) DAF (Deutsche Arbeitsfront),  Fronte tedesco del lavoro DAP (Deutsche Arbeiterpartei), Partito tedesco dei lavoratori Deutschbund (Lega tedesca) Deutsche Studentenschaft (Associazione degli studenti tedeschi) Deutschen Gesellschaft für Rassenhygiene (Società tedesca per l’igiene della razza) Deutscher Monistenbund (Lega monista tedesca) Deutscher Volksverein (Associazione popolare tedesca) DVST (Deutschvölkischer Schutz-und Trutzbund), Lega etno-nazionalista tedesca di difesa-offesa DNVP (Deutschnationale Volkspartei), Partito popolare nazional-tedesco DSP (Deutsche-Sozialpartei), Partito social-tedesco DVFP (Deutschvölkische Freiheitspartei), Partito della libertà del popolo tedesco DVL (Deutsche Volksliste), Lista di classificazione etnica tedesca EWZ (Einwandererzentralstelle), Centro per l’Immigrazione

Forschungsgemeinschaft Deutsches Ahnenerbe (Società di ricerca per l’eredità ancestrale) Forschungsstelle für Ostunterkunfte (Centro di ricerca per gli alloggi nell’Est) Freikorps (Corpi franchi, o volontari) GO (Germanenorden) Ordine dei germani Germanenorden Walvater vom Heiligen Graal (Ordine dei germani di Walvater del sacro Graal) Gobineau-Gesellschaft (Società Gobineau) Graalbund (Lega del Graal) Guido-von-List-Gesellschaft (Società Guidovon-List) Hammer-Gemeinden (Comunità del martello) HAO (Höher Armanen-Orden), Ordine superiore degli Armani Hitlerjugend (Gioventù hitleriana) HSSPF (höherer SS- und Polizeiführer), Comandante supremo delle forze di SS e polizia Kampfbund Thule (Lega di lotta Thule) Kosmischer Kreis (Circolo dei cosmici) KWI (Kaiser Wilhelm Institut), Istituto Kaiser Wilhelm Judenreferat (Ufficio ebraico) Jugendbewegung (Movimento giovanile) Marine-Brigade Ehrhardt (Brigata di marina Ehrhardt) Neuer Richard Wagner-Verein zu Wien (Nuova associazione Richard Wagner di Vienna) Nordischer Ring (Circolo nordico) NSDAP (Nationalsozialistische Deutsche Arbeiterpartei), Partito nazionalsocialista tedesco dei lavoratori NTO (Neuer Templer-Orden), Nuovo ordine templare Or.Po. (Ordungspolizei), Polizia d’ordine Reichsbauernführer (Capo dei contadini del Reich) Reichsbauernrat (Consiglio contadino del Reich)

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Sangue e Suolo

Reichsflagge (Bandiera del Reich) Reichshammerbund (Lega del martello del Reich) Reichsparteitag der Freiheit (Raduno della libertà) RKFDV (Reichskommissar für die Festigung deutschen Volkstums), Commissario (o Commissariato) del Reich per il Rafforzamento del Popolo Tedesco RSHA (Reichssicherheitshauptamt), Ufficio Centrale per la Sicurezza dello Stato RuSHA (Rasse und Siedlungshauptamt), Ufficio Centrale per la Razza e l’Insediamento SA (Sturmabteilung), Reparti d’assalto Schutzstaffel (Milizia di protezione)

SD (Sicherheitsdienst), Servizio di sicurezza Si.Po. (Sicherheitspolizei), Polizia di sicurezza Soziale Reichspartei (Partito sociale del Reich) Tat-Kreis (Circolo-azione) Thule-Gesellschaft (Società di Thule) UWZ (Umwandererzentralstelle), Centro per l’emigrazione VO-MI (Volksdeutsche Mittelstelle), Direzione generale per i tedeschi etnici ZHO (Zentralhandelsgesellschaft Ost), Società commerciale centrale per l’Est