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Italian Pages 166 Year 2021
DiAP print / dottorato
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Deborah C. Lefosse
Processi di insediamento informale Relazioni tra morfologia, tipologia e tecnologia
Quodlibet
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DiAP Dipartimento di Architettura e Progetto Direttore Alessandra Capuano
diap print
/ dottorato Collana a cura del Gruppo Comunicazione del DiAP
Sapienza Università di Roma
coordinatore
© 2021 Quodlibet srl via Santa Maria della Porta, 43 Macerata www.quodlibet.it
Andrea Grimaldi Dottorato di Ricerca in Architettura e Costruzione coordinatore
Dina Nencini
prima edizione comitato scientifico
luglio 2021
Roberta Amirante Loredana Ficarelli Ruggero Lenci
isbn
collegio dei docenti
Giulio Barazzetta Eliana Cangelli Alessandra Capanna Renato Capozzi Paolo Carlotti Stefano Catucci Domenico Chizzoniti Carola Clemente Anna Irene Del Monaco Luisa Ferro Maria Rosaria Guarini Luca Lanini Vincenzo Latina Marco Maretto Antonello Monaco Tomaso Monestiroli Pierluigi Morano Pisana Posocco Manuela Raitano Nicola Santopuoli Francesco Tajani Federica Visconti
Il Comitato Scientifico della Collana varia in funzione della Commissione che ha valutato la dissertazione finale dei singoli cicli di Dottorato ed è di norma composto dai tre docenti esterni all’Università Sapienza di Roma
978-88-229-0591-8 e-ISBN 978-88-229-1247-3 stampa o.gra.ro.
– Roma
in copertina
Barrio de Petare, Caracas (© Yann Arthus-Bertrand)
membri esperti
Lucio Barbera Nancy M. Clark Jean François Lejeune Attilio Petruccioli Francesco Purini Alberto Sobrero Giuseppe Strappa
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Todos nosotros sabemos algo Todos nosotros ignoramos algo Por eso, aprendemos siempre P. Freire
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Indice
9 Introduzione 19
1. Geografie territoriali e pratiche informali
2. Organismi urbani in evoluzione: Buenos Aires, Lima, Caracas 35
57
3. Informale a confronto
119
4. Processi in atto e trasformazioni future
135
Conclusioni
43 1 149
Appendice Intervista al Prof. Javier Fernández Castro Intervista al Dr. Pablo Vitale
157
Bibliografia
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Introduzione
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Villa Soldati, Buenos Aires, Argentina (© D.C. Lefosse).
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Le dinamiche evolutive che investono la città contemporanea pongono in discussione le discipline del progetto nella loro accezione più tradizionale, in particolare quando certi fenomeni superano il nesso tra luoghi, politiche urbane e strumenti d’intervento. La città non è più formalizzazione di modelli astratti, si presenta contraddittoria e liquida, continua la sua crescita anche in terreni inospitali, genera nuove terre di conflitto e marginalità, in cui convivono escludendosi la città della forma e il suo opposto. I dati relativi alla crescita mondiale mostrano come la città si produca in concreto per mano dei suoi stessi abitanti, capaci di comporre il paesaggio antropico secondo urgenza e possibilità. Ma è realtà informale difficile da decifrare, si esprime con codici che non si attengono all’ordine pianificato. Questa diversa modalità di crescita urbana, inconsciamente, ripropone morfologie e tipologie note che superano epoche e latitudini. La città si costruisce da sé e per sé, rifiutando o negando l’utilità e l’autorità insita nel ruolo dell’architetto, dell’urbanista o del pianificatore. Il fenomeno dell’informale, tanto impattante sul piano sociale, economico e culturale, quanto prolifico nella costruzione, pare inevitabilmente condurre all’insostenibilità urbana. Da queste premesse muove la ricerca in oggetto, volta a una riflessione più generale sul destino dell’uomo e sui modi di fare e abitare la città. La scelta del tema, lo studio dell’informale come prassi di insediamento spontaneo, diventa un pretesto per interrogarsi su un processo civile che segue rinnovandosi nel tempo, nel costume e nell’urbanità. La trattazione parte da una doppia ipotesi: se in questa temperie di crisi l’intervento del progetto risulta necessario e preminente, esso non può prescindere dalla coscienza e conoscenza del patrimonio esistente in tutte le sue manifestazioni; in secondo luogo,
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processi di insediamento informale
se il mondo costruito è realtà di processi, questa lettura deve valere non solo come strumento di conoscenza degli organismi edilizi e urbani, ma anche come modo di rendere l’innovazione dinamica e flessibile al pari del contesto in cui andrà a collocarsi. Nota la complessità dell’informale per le implicazioni che comporta in molti settori disciplinari, si affronta il tema per capire: a) come è cambiato il rapporto tra uomo e ambiente, a fronte di un bisogno di casa largamente disatteso; b) quali sono logiche, dinamiche e relazioni interne che caratterizzano gli insediamenti spontanei; c) come variano tali insediamenti, al variare delle condizioni al contorno, siano esse geografiche, economiche, sociali e culturali; d) quali sono le strategie e le azioni attraverso cui il progetto si propone di rinnovare la realtà non formale. Fine ultimo della trattazione non è l’esito ma il processo. Si individuano e interpretano le pratiche d’insediamento spontaneo come fatto antropico e culturale, per comprendere i futuri indirizzi dell’abitare e orientarli con un progetto unitario, coerente e continuo rispetto alla natura processuale e mutevole dell’ambiente in cui interviene. Dopo averlo inquadrato per dimensioni e caratteri in un contesto globale, il fenomeno viene letto come modo spontaneo ed esperienziale di percorrere lo spazio, occuparlo, organizzarlo intorno e per sé, condividerlo e aggregarlo. Per ricostruire l’iter evolutivo che dall’occupazione/fondazione conduce alla casa, al tessuto e alla città, ci si affida a tre categorie che attengono ugualmente alla lettura e al progetto: morfologia, tipologia e tecnologia. Attraverso questi criteri multiscalari si compie lettura, analisi e interpretazione dell’esistente. Dalla dimensione territoriale al dettaglio costruttivo si considerano i casi di studio per confronto. Il ragionamento, sostenuto da contributi grafici condotti in parallelo, è orientato prevalentemente a processi in corso e in divenire, rispetto ai quali si avanzano proposte possibili per un futuro più inclusivo e sostenibile. Se la città conflittuale è ovunque e l’informale è un fatto diffuso in tutto il mondo, perché concentrarsi sull’America Latina? Ci sono diversi motivi per considerare questa regione: lo stato di “occupazione” perenne da essa subito; la straordinaria varietà di situazioni paesaggistiche e territoriali che ha portato alla presenza di poche grandi città; il recente attivismo di un progetto urbano operativo e diretto ad ambiti informali.
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introduzione
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Da terra promessa a terra di conquiste, l’America Latina, ha subito e subisce in forme diverse l’occupazione abusiva. Quella storica dei conquistadores che speravano di replicare il Primo Mondo in geografie particolari e a loro estranee per dimensioni e connotati. Quella odierna, risultato di una crescita demografica incontrollata nell’ultimo secolo: in mancanza di una dimensione urbana intermedia, l’unica possibilità di sopravvivenza è la città. Qui l’informale trova terreno fertile da insediare, divenendo la realtà urbana prevalente in molte metropoli latinoamericane, come Caracas e Lima, prese a modello di studio, insieme a Buenos Aires, dove l’evento si manifesta in proporzione minore ma parimenti importante per risvolti sociali e ambientali. Assimilabili per vicende storiche e urbanistiche, queste tre città sono state adottate soprattutto per le loro specificità territoriali e paesaggistiche: deserto, pampa e cerros andini variamente influenzano conformazioni e modi degli insediamenti spontanei. Per diffusione ed estensione di questi ultimi, in ciascuna delle metropoli sono stati rintracciati tre ulteriori casi da esaminare in dettaglio1. A queste ragioni selettive se ne aggiunge un’altra di carattere progettuale: tra volontà politiche e programmi realizzati o ancora in fieri, l’America Latina rappresenta oggi il laboratorio più vivido in cui sforzi dall’alto e dal basso si uniscono per migliorare le condizioni di vita in contesti non formali. Questo generale dinamismo si registra attualmente come il dato effettivo di un leggero ma significativo rallentamento nella crescita dell’informale. Sebbene l’indagine abbia come presupposto un fatto tangibile come l’autoproduzione di architetture, città e territori, non si prescinde dagli studi teorici di settore. Essendo un evento complesso, sottoposto al vaglio critico di politica e sociologia, di urbanistica e geografia, di economia ed ecologia, l’urbanizzazione informale o spontanea è stata ed è oggetto di numerose analisi nell’ambito della letteratura internazionale come delle istituzioni governative2. Concentrandosi però sulle materie specifiche di architettura e urbanistica vengono di seguito presentati alcuni testi appro1 Si tratta di Villa 21-24 a Buenos Aires, del comparto Huaycán a Lima, del quartiere (barrio) San Agustín del Sur a Caracas. L’ordine di presentazione dei casi, qui menzionati e sviluppati poi all’interno del testo, segue ragioni territoriali e geografiche: secondo una sequenza ascensionale si procede da sud a nord, dagli insediamenti in pianura a quelli su versante. 2 Cfr. A. Clementi, F. Perego (a cura di), La metropoli spontanea. Il caso di Roma, Dedalo, Bari 1983.
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processi di insediamento informale
fonditi, fondamentali nell’orientare metodo e pensiero di questa investigazione. Essi compongono uno stato dell’arte in continuo aggiornamento, del resto, se non si può trascurare la storiografia, non si può neppure ignorare la natura di un fenomeno tanto presente nell’azione e nelle teorie contemporanee. A proposito della crisi come effetto di una storia ciclica e dell’architettura come processo, nonché espressione fenomenica di civiltà, risulta preminente il contributo offerto da Saverio Muratori, con la sua vasta teoria filosofica su territorio, uomo e civiltà3. Il suo approccio innovativo alla realtà e le sue intuizioni sul ruolo operante di lettura e progetto hanno ispirato intenzioni e metodo del seguente studio. A Muratori si deve, inoltre, la lezione sulle modalità di insediamento umano, soprattutto spontanee, e sul loro variare per tempi e necessità antropiche. Nello stesso filone che riconosce la processualità del mondo costruito si pone Gianfranco Caniggia4. Nella fattispecie, egli desume la forma urbana, la morfologia, come esito di un processo tipologico; chiarisce le principali tappe di formazione, evoluzione e sviluppo dello spazio in organismo costruttivo, quando le sue parti non rimangono vincolate da relazioni seriali, ma determinano legami più complessi, di necessità e gerarchia5. La storia della città è storia dell’uomo che, influenzato da un tipo6 a priori7, quale matrice spaziale elementare, costruisce l’abitazione secondo esigenze proprie, al variare delle quali cambia anche la tipologia e la sua nozione, relativa non solo al singolo alloggio, ma alla sua declinazione in forme diverse di tessuti e organismi urbani e territoriali. L’attualità della visione processuale del reale viene ribadita nelle ricerche contemporanee di Giuseppe Strappa8, che 3 Cfr. S. Muratori, Architettura e civiltà in crisi, Centro studi di storia urbanistica, Roma 1963. 4 Cfr. G. Caniggia, Strutture dello spazio antropico: studi e note, Alinea, Firenze 1981. 5 Cfr. G. Caniggia, G.L. Maffei, Lettura dell’edilizia di base, Alinea, Firenze 2008. 6 Per la nozione di “tipo” all’interno del testo si fa riferimento a quella fornita da Muratori e Caniggia, ma anche da Strappa. In particolare quest’ultimo intende per tipo: “il patrimonio di caratteri comuni trasmissibili che precede la formazione dell’organismo governandone dall’interno la struttura di relazioni, di rapporti di necessità che lo informano”. Cfr. G. Strappa, Unità dell’organismo architettonico: note sulla formazione e trasformazione dei caratteri degli edifici, Dedalo, Bari 1995. 7 Cfr. S. Muratori, Civiltà e territorio, Centro studi di storia urbanistica, Roma 1967. 8 Cfr. G. Strappa, Architettura come processo. Il mondo plastico murario in divenire, Franco Angeli, Roma 2015.
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introduzione
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estende la processualità dell’organismo architettonico e urbano al piano tecnologico-strutturale: una posizione approfondita, rispetto al contesto in esame, con l’opera di Julián Salas Serrano sulle pratiche costruttive più tipiche del Latino America9. Il tema degli insediamenti informali è stato esaminato tenendo conto delle interpretazioni storiche che hanno indirizzato nuove teorie. Nell’approccio al problema e nella concezione rivisitata del ruolo del progettista è stata adottata la prospettiva dal basso di John F. Turner10, figlio della tradizione britannica avviata da Geddes, che afferma la necessità da parte del popolo di riappropriarsi della città e del territorio. Scontrandosi con gli esiti fallimentari di una burocrazia che inquadra valori e metodi dell’abitare in standard assoluti, reinterpreta il sistema aperto dell’housing partendo dal diritto e dalla libertà di plasmare il proprio spazio, data la relatività di contesto e di esigenze personali. L’ottica storicista di Ramon Gutiérrez11 è stata, invece, determinante per collocare in un unico quadro i fenomeni urbani che negli ultimi decenni hanno caratterizzato l’America Latina: dalle azioni inadeguate di governi populisti alla prassi concreta di abitanti che, rivendicando un forte senso di appartenenza al luogo e alla società, costruiscono comunità e città parallele. Sotto il profilo morfologico, un interessante punto di partenza ha coinciso con le teorie di Cristopher Alexander sul “nuovo disegno urbano”12: una serie di principi votati all’organicità e all’unicità del processo urbano, riscontrati e riportati nella lettura critica dei casi di studio. Relativamente al progetto e alle sperimentazioni contemporanee, oltre che dalla concretezza delle opere già realizzate, molto si è appreso dalle ricerche di ultima generazione svolte da Jorge Fiori13 e J. Mario Jáuregui. Il primo, sociologo e urbanista, tra impegno in accademia ed enti internazionali da anni si occupa di sviluppo urbano e questioni abitative nei contesti più difficili dell’America del Sud. Il secondo, architetto e urbanista di origini 9 Cfr. J. Salas Serrano, Contra el hambre de vivienda: soluciones tecnológicas Latinoamericanas, Escala, Bogotá 2003. 10 Cfr. J.F.C. Turner, R. Fichter, Libertà di costruire, il Saggiatore, Milano 1989. 11 Cfr. R. Gutiérrez, Architettura e società: l’America Latina nel XX secolo, Jaca Book, Milano 1996. 12 Cfr. C. Alexander, Una nuova teoria del disegno urbano, trad. a cura di A. Barresi, Gangemi, Roma 1997. 13 Cfr. F. Hernandez, P. Kellett, L. Knudsen Allen, Rethinking the Informal City: Critical Perspectives from Latin America, Berghahn Books, Oxford 2010.
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processi di insediamento informale
argentine, può ritenersi pioniere tra gli interventisti per progetti di riqualificazione iberoamericani. La sua esperienza sul campo tra le favelas di Rio de Janeiro, avviata negli anni ’90 e ancora in corso, si fonda su un approccio pragmatico che ha come strumento e fine del progetto gli abitanti locali, le loro necessità e i caratteri propri del luogo. Con uno sguardo più dettagliato ai singoli casi, si è riconosciuto il contributo attuale dato dalla ricerca universitaria che, abbandonando posizioni ex cathedra, ritorna alla strada proponendo strategie e azioni concrete elaborate nel dialogo tra docenti e discenti14. Inoltre, nel rispetto dell’oggettività scientifica, sono stati raccolti dati, statistiche e rilevamenti. In tal senso è stato fondamentale il report delle Nazioni Unite 200315, in cui per la prima volta il fenomeno dell’informale è stato inquadrato a livello internazionale in tutte le sue accezioni e manifestazioni; un lavoro che continua ad aggiornarsi nelle versioni più recenti, entro cui si affronta la questione sul piano operativo. Proprio come commentario a questi documenti tecnici nasce la sferzante denuncia di Mike Davis, che attribuisce a miseria e responsabilità globale le cause di un pianeta fatto da slums16. Le pagine a seguire mostrano solo un compendio di teorie e pratiche, realtà e progetti, contenuti nell’originaria e più ampia tesi di dottorato sviluppata all’interno del Dottorato in Architettura e Costruzione (DrACo, XXIX ciclo), Dipartimento di Architettura e Progetto (DiAP), Sapienza Università di Roma, sotto la guida del Prof. G. Strappa (tutor) e della Prof.ssa R. Belibani (co-tutor).
14 Con particolare riferimento alle ricerche per una città inclusiva, condotte da J. Fernández Castro e G. Bandieri a Buenos Aires, da E. Sáez Giráldez a Lima, da T. Bolivar a Caracas. 15 Cfr. UN-HABITAT, The Challenge of Slums: Global Report on Human Settlements, Earthscan Publications, London 2003. 16 Cfr. M. Davis, Il pianeta degli slum, Feltrinelli, Milano 2006.
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introduzione
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Ringraziamenti. Questo libro narra storie di luoghi, di uomini e di vita, anche la mia. Testimonia un processo di crescita scientifica e personale lungo un triennio, esteso su due continenti, durante il quale ho dato molto, ricevuto di più. Colgo, dunque, l’occasione per ringraziare tutti coloro che, consapevoli o no, hanno avuto un ruolo nella realizzazione di tale progetto, lasciando un segno preciso dentro e intorno a me. Un doveroso ringraziamento va al Prof. Giuseppe Strappa, che ha guidato la mia formazione verso la morfologia urbana aprendomi a nuove visioni della realtà attraverso l’architettura. Ringrazio anche i tanti membri del Dottorato DrACo: i colleghi dottorandi, i docenti, gli studiosi esterni e in particolare il Prof. Jean-François Lejeune. Una menzione speciale va alla Prof.ssa Rosalba Belibani, mio mentore da anni, che mi incoraggia e mi ispira a guardare più lontano. Ringrazio chi mi ha accolto in terre lontane: il Prof. Luis Tosoni e il Prof. Javier Fernández Castro, che mi hanno sostenuto di persona, e gli altri docenti che hanno contribuito anche a distanza alle mie ricerche, così come i volontari delle ONG e i villeros che hanno permesso l’indagine sul campo. Un sincero grazie a Eride, amica prima che collega, per aver condiviso con me parte di questa avventura, oltreoceano; nonché, a Stefano e Paola per il prezioso supporto tecnico. Con altrettanta gratitudine dedico un abbraccio agli amici vecchi e nuovi, capaci di nutrire le mie giornate di gesti e di parole, di saperi e di emozioni che scorrono anche in queste pagine. Alla mia famiglia, tutta, per essere il mio sostegno da sempre e per accompagnarmi con amore sulla via della vita, a voi infini tamente grazie.
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1. Geografie territoriali e pratiche informali
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Grenoble Geo-graphique (© Fabrice Clapiès, 2013).
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1.1. Il territorio come processo L’uomo da sempre è mosso dal desiderio di scoprire il mondo, così lo percorre, lo attraversa, lo naviga. Al suo incedere continuo corrisponde l’analoga necessità di fermarsi, di stabilirsi in un luogo dove riconoscere se stesso, dove costruire una casa e un’identità. Nel termine “insediamento”, come già in altre lingue e con radici diverse (asentamiento, dallo spagnolo “asentarse”; settlement, dall’inglese “to settle”), è insito l’atto di permanere in uno stato o in un sito, ma anche di prendere sede, governare o possedere. Con questi intenti nasce la collaborazione tra uomo e natura che si fa materia nel territorio come supporto sensibile all’azione antropica. Leggere e interpretare il territorio è un modo di guardare se stessi, di conoscere il mondo, benché si tratti di una conoscenza momentanea. Nel territorio è il senso interno dell’uomo, un patrimonio inedito ma perdibile, che racconta la storia reale della civiltà, della natura, del mondo. La conoscenza della realtà diventa difficile quando la sua immagine si rivela in un palinsesto1 fatto da una lunga e lenta sovrapposizione di strati che occorre intendere bene prima di poter intervenire su un paesaggio culturale complesso e durevole, testimone delle scelte e delle trasformazioni dei popoli che lo hanno abitato. Il territorio è ambiente culturale, oltre la geografia fisica con cui l’uomo deve confrontarsi: ne asseconda e sfida l’impulso dinamico, quando si muove e lascia la sua traccia nei percorsi, ovvero quando si ferma e si stabilisce fondando un insediamento. Queste due manifestazioni temporali e areali inquadrano il territorio come esito e come processo. Il primo 1
Cfr. A. Corboz, Il territorio come palinsesto, “Casabella”, 516, 1985.
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processi di insediamento informale
contatto tra uomo e ambiente si realizza mediante attraversamenti con i quali l’uomo supera i limiti immanenti, conosce l’intorno e lo domina dall’alto. Ma le condizioni più favorevoli all’insediamento necessitano di una progressione verso i promontori, dove il suolo diventa un piano stabile su cui dimorare. Contestualmente all’evoluzione di strutture politiche, sociali e produttive, lo spazio antropico prende forma, seguendo un andamento discendente da monte a valle, da crinale a corso d’acqua. Eppure non è sempre questo il criterio con cui l’uomo compone il suo mondo. In America Latina le civiltà precolombiane avevano seguito lo stesso ordine di pensiero, stanziandosi sui rilievi andini, ma la loro logica spontanea è stata vinta dalla consapevolezza critica dei conquistatori spagnoli, i quali hanno fondato colonie a valle, strutturandole su tracciati regolari di tipi edilizi, evoluti in tessuti urbani prima, organismi urbani e territoriali poi. Il territorio è realtà di processi ma anche realtà di scale. Esse coincidono con classi di organismi e strutture conformi alle mosse dell’uomo secondo necessità di grado via via superiore. Materiali, elementi, strutture, organismi e individui edilizi costituiscono anche altri sistemi scalari altrettanto dePaesaggi di città. Caracas, Venezuela (© Rodolfo Barreto/ Unsplash).
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1. geografie territoriali e pratiche informali
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scrittivi della geografia antropica: morfologia, tipologia e tecnologia. Esse pervadono la realtà in tutte le sue dimensioni, giacché la forma attiene al territorio come al singolo elemento, il tipo è sintesi a priori2 di un organismo territoriale come di un individuo edilizio, la materia sostanzia le componenti di qualsiasi sistema. Con il termine “morfologia” si fa esplicito riferimento alle modalità compositive della città, alle sue variazioni, alle cause che determinano strutture e morfemi spaziali. Con “tipologia” si intende lo studio di tessuti edilizi come portato di un tipo residenziale riconoscibile che conforma l’edilizia di base3. Infine, parlando di “tecnologia”, si considera il rapporto di identità e pertinenza con il luogo, che segna la differenza tra culture elastico-lignee e plastico-murarie, tra sistemi lineari e organici4. Il territorio è materia flessibile a modificazioni naturali e antropiche, è risultato di un processo, forma di un prodotto, immagine di un progetto. 1.2. Paesaggi Il paesaggio ci determina, ci definisce. Tutte le manifestazioni dell’uomo sono esito di relazioni con l’intorno che egli abita. Se il territorio è processo e struttura dei luoghi, il paesaggio ne è immagine, l’aspetto riconoscibile della sua struttura, la sua forma che contiene un insieme di contributi. La difficoltà di trattare il tema deriva dalle recenti evoluzioni del concetto di paesaggio che tendono a una deriva totalizzante, come dimostra la definizione proposta dalla Convenzione Europea del Paesaggio: “paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni”. Essa include sia i paesaggi considerati eccezionali, sia i paesaggi della vita quotidiana o quelli degradati. Il paesaggio è ambiente, rimanda a ciò che circonda e a ciò che è circondato: la biosfera e i suoi equilibri, le piante, gli Cfr. S. Muratori, Civiltà e territorio cit. Cfr. G. Caniggia, G.L. Maffei, Lettura dell’edilizia di base cit. 4 Cfr. G. Strappa, Architettura come processo. Il mondo plastico murario in divenire cit. 2 3
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processi di insediamento informale
Slums, Port-auPrince, Cité Soleil, Haiti (© D.C. Lefosse/Google Earth).
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1. geografie territoriali e pratiche informali
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animali, gli esseri umani. Si parla allora di natura. E la natura si dimostra in tutto il suo carattere originale in America Latina: se la cifra del territorio qui è la variatio, essa diventa connotato manifesto nel paesaggio, così diverso e contradditorio tra foreste alluvionali dell’Amazzonia e lande ghiacciate della Cordigliera, tra aridi deserti del Cile e verdeggianti isole dei Caraibi. La Patagonia da sola è un mondo di contrasti tra rilievi, pianori e fiordi, , mentre ai suoi piedi la Pampa si estende nuda e sterminata. Ambiente e clima delimitano spazi che l’uomo occupa selettivamente. Per le sue componenti naturali può dirsi questa una realtà difficile da umanizzare. Tale vocazione escludente della natura latinoamericana si configura come un paesaggio di vuoti e di pieni, ambiti desolati e città sovraffollate. Sin dai tempi dei conquistadores, il paesaggio naturale rimane terra di conquista. Gli abitanti che informalmente lo insediano non lo scelgono, lo subiscono e lo sfruttano. In mancanza di alternative anche il luogo più sfavorevole diventa terreno fertile su cui costruire case e città. Se l’adattamento è una prassi antropica senza tempo, allo stesso modo addomesticare il territorio vale a delineare un nuovo paesaggio. Il paesaggio urbano, che non esula dalla componente naturale, si identifica con l’immagine della città, è in primo luogo paesaggio culturale: le città tanto producono quanto creano cultura attraverso forme che traducono il tempo, l’economia, la società. Per decodificare la complessità del paesaggio urbano non si può prescindere dalla sua condizione di spazio vivido, quell’insieme di valori e significati materiali e immateriali che identificano una società e la sua storia. Ciò si rende più evidente nel momento in cui l’oggetto di analisi coincide con il paesaggio latinoamericano, poiché le sue ragioni e configurazioni appartengono più a radici europee che amerindie. La morfologia urbana è, dunque, conseguenza di modelli. La grande dimensione, la sovrapposizione di culture eterodosse, il conflitto di morfemi contrastanti, l’impatto contro la realtà naturale dell’intorno, sono tutte costanti proprie delle grandi capitali latine, ma la cifra distintiva più forte si ritrova nel contrasto tra formale e informale. Il paesaggio urbano esprime due linguaggi di civiltà e le logiche che lo conformano non sempre si identificano con segni noti: percorsi, nodi, poli, margini, riferimenti. Ma mentre la città pianificata è ancora
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processi di insediamento informale
riconoscibile attraverso questi, gli insediamenti spontanei ne producono di nuovi o li rivisitano in un’ottica semplificata. La città si presenta compatta secondo il modello europeo nel centro e lungo gli assi strutturanti, diviene città di reti secondo il modello industriale e si disperde, infine, nel periurbano. La morfologia dell’informale viene variamente assimilata alle geometrie dei frattali, poiché rendono bene l’espansione infinitesimale e apparentemente caotica della città senza forma. Le logiche organiche che guidano le strutture sociali e organizzative proprie degli insediamenti spontanei si manifestano formalmente in un palinsesto di stanze esterne e interne contenute l’una nell’altra, non più disposte in successione lineare ma conformi al paesaggio. Eppure, un paesaggio simile non è poi troppo lontano dal nostro immaginario quando si pensa alle conurbazioni medievali arroccate tra versanti e crinali. La complessità del paesaggio urbano, dunque, non può risolversi nella mera dicotomia uomo/natura. L’immagine della città non risulta più quella pianificata dagli urbanisti, non è materia inerte confinata entro limiti prestabiliti, è sfuggente, prolifica, inRapporti incrementali tra popolazione urbana e rurale, 1950-2050 (Demographia World Urban Areas, 2016).
vadente, esclusiva. Alle difficoltà nell’analisi e nell’interpretazione della città contemporanea, quand’anche formale o canonica, dovute all’eterogeneità dei fenomeni che la determinano, si associano nuovi linguaggi e nuove idee, che diventano nuovi paesaggi urbani, per comprendere i quali occorrono altri strumenti e altri sguardi.
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1. geografie territoriali e pratiche informali
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1.3. Ipertrofie e dualismi urbani In tempi attuali e futuri il destino dell’uomo appartiene alla città. L’anno 2007 ha segnato un punto di non ritorno quando la popolazione urbana ha superato quella rurale. Le statistiche più recenti5 confermano l’equazione “uomo = cittadino”, con dati in crescita esponenziale. Oggi il 55% della popolazione mondiale vive in città sviluppate solo su un 2% della superficie del pianeta. Con altrettanta frequenza si stima che gli abitanti urbani aumenteranno di più di 2 miliardi entro il 2030 (fino a 10 miliardi nel 2050), mentre la popolazione rurale è destinata a stabilizzarsi e ridursi fino a 20 milioni6. Dette cifre diventano più significative laddove l’impatto di maggior crescita si registra nei paesi sottosviluppati, dove le fila della povertà continuano a ingrossarsi nel proliferare di realtà urbane informali. La crescita estensiva o intensiva delle città non è una novità, lo è tuttavia in termini di quantità e velocità del processo e soprattutto nella natura del suo incremento, svincolato dalle leggi economiche del capitalismo. Se un tempo l’ambiente cittadino era una chimera di fortuna per chi dalla campagna ambiva a miglior vita, oggi la traiettoria verso la città è una scelta ineludibile per la crisi rurale. Le grandi città, eredi di una crisi agraria mondiale, si fanno emblemi di un’urbanizzazione senza un’efficace ed equo progresso economico, assorbendo il surplus di manodopera contadina che diventa esubero di mercati informali e insediamenti spontanei. L’ipertrofia urbana è un carattere costante della nostra epoca. In questo l’America Latina, insieme ai Caraibi, nel periodo 1975-2010 ha ottenuto il primato, registrando la crescita urbana maggiore (+35%) pari a un tasso di urbanizzazione dell’80%. A livello mondiale il fenomeno della crescita urbana sta acquisendo diffusione geografica ma non spazio pubblico; la metropoli assorbe nuove forze sociali, economiche e culturali, ma perde di urbanità, mentre dal 1970 la crescita informale ha superato l’urbanizzazione pianificata. 5 Cfr. UN-HABITAT, Urbanization and Development: Emerging Futures, Earthscan Publications, London 2016. 6 Cfr. P. Garau, E.D. Sclar, G.Y. Carolini, Una casa nella città, Desiderio & Aspel, Roma 2006.
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processi di insediamento informale
È questa la realtà con cui si confrontano le megalopoli odierne, per lo più concentrate nell’emisfero meridionale. Tra esse le capitali a Sud dell’America, nate come colonie, diventano oggi città capaci di estendere le loro maglie formali e informali oltre il limite del visibile, entro le geografie più ostili. Poste a confronto, le metropoli iberoamericane denotano differenze in relazione al clima, alla caratteristiche geomorfologiche, al livello economico, al grado di urbanizzazione, al peso demografico, eppure rimangono accomunate da processi evolutivi simili che hanno come comun denominatore la dimensione. La cifra specifica del Latino America risiede nella presenza dominante delle capitali; come sostiene Harris, la loro predominanza non sta solo nella dimensione esagerata, ma soprattutto
Dualismi e convivenze urbane, São Paulo, Brasile (© Pedro Savério Penna/Wikimedia Commons).
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1. geografie territoriali e pratiche informali
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nella capacità di esprimere tutto il valore e il significato di una nazione7. Proprio con riferimento alle città latine i geografi da tempo hanno superato la nozione di metropoli, indirizzandosi verso quella di città-regione o regione metropolitana. Essa comprende il nucleo originario e tutti gli insediamenti medio-grandi che si incontrano lungo le sue principali traiettorie di uno sviluppo a duplice scala, urbano e regionale, secondo un processo apparentemente irreversibile. Oltre a gigantismo e dispersioni, gli effetti più evidenti di un processo evolutivo e degenerativo emergono come dualismi e segregazioni. Le grandi capitali del Sud America sono un laboratorio di pratiche sperimentali, scenari del glocal dove convivono escludendosi pratiche formali votate alla globalizzazione e culture spontanee ispirate alla tradizione locale. Questa doppia identità sembra essere un fatto ereditario. Le logiche della contrapposizione tra coloniale e moderno, spontaneo e civile, informale e formale da sempre caratterizzano il processo storico di questi ambiti urbani. Di varia natura sono le segregazioni che dividono la città: ciascuna vale come causa e conseguenza di se stessa. Così, gli squilibri economici generano esclusioni urbane: mancanza di capitali coincide con inaccessibilità a benefit urbani, da cui derivano deficit culturali e pregiudizi sociali, concretizzati in enclave spaziali. Dualismi urbani si palesano anche in morfologie urbane molto distanti tra loro per forme, altezze, tessuti e densità: il distacco è spesso segnato anche da infrastrutture o ostacoli naturali. Altra diade tipica delle città iberoamericane si intercetta nel binomio centro/periferia. Il centro città sull’impronta di un tessuto storico si avvale di una forza respingente, simbolo del potere nazionale che rimane accessibile solo alle attività politiche e finanziarie. Le periferie confinano mondi di povertà o di ricchezza inaccessibili e respingenti tra manifestazioni di informalità (favelas a Rio de Janeiro, barriadas a Lima, asentamientos informales a Buenos Aires) e urbanizzazioni lussuose alla piccola scala (country club, barrios cerrados, marinas). Altra forma di dualismo è il divario che si impone tra nord e sud della stessa metropoli, in cui sono i segni delle infrastrutture moderne a 7 Cfr. W.D. Harris, El crecimiento de las ciudades en América Latina, Marymar, Buenos Aires 1975.
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processi di insediamento informale
dividere in base alla posizione socioeconomica. Infine, la dicotomia formale/informale resta la più significativa e impattante in termini spaziali. La crescita prolifica entro, sopra e intorno a tessuti consolidati determina l’alta conflittualità che pone in crisi la metropoli latinoamericana rendendola una città di recinti. 1.4. L’informale Il tema dell’informale è oggetto d’indagine della letteratura da più di un secolo, da quando si attestano le prime manifestazioni di slum tra Dublino, Londra, Parigi e New York. Prima di informale il più accreditato e diffuso termine usato per identificare insediamenti spontanei è slum, definito da UN-HABITAT come “il luogo caratterizzato da sovraffollamento, strutture abitative fatiscenti e insufficienti nelle superfici, che manca di accesso ad acqua potabile, servizi igienici e sicurezza nella proprietà”. Suddetta nozione fa riferimento al disagio abitativo, mentre per segnalare l’evento urbano si parla di insediamenti informali come “aree residenziali in cui le unità abitative sono costruite per occupazioni illegali, in assenza di diritti di proprietà e nel mancato rispetto delle norme vigenti di pianificazione urbanistica e regolamentazione edilizia”8. Con attenzione alla titolarità del suolo o al processo urbanistico si diffonde una terminologia parallela e varia, che va da squatting a insediamenti illegali, da insediamenti irregolari ad anticittà o contro-urbanismo. Informale è l’appellativo più diffuso per distinguere la città spontanea da quella programmata, ma è un termine che sembra contraddirsi nel suo significante perché contiene quel principio di forma che il prefisso privativo va negando. La negazione o l’opposizione alla forma convenzionata non coincide con la mancanza di forma, bensì con una forma altra, per lo più rifiutata perché non rispondente a codici interpretativi noti. In questa trattazione viene usato anche l’attributo spontaneo per sottolineare il carattere identitario di una prassi che è espressione di civiltà, un fatto antropico poiché in essa si 8 Cfr. UN-HABITAT, The Challenge of Slums: Global Report on Human Settlements cit.
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1. geografie territoriali e pratiche informali
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forma e si riproduce la coscienza spaziale dei cittadini. Anche la nomenclatura varia a seconda delle realtà geografiche in cui si manifesta. Sul piano internazionale, informale diventa slums o bidonvilles, in taluni contesti assume invece nomi specifici, come in America Latina, dove si riconoscono: favelas brasiliane; villas miserias argentine; cantegriles uruguaiani; callampas cileni; barriadas o pueblos jovenes peruviani; precaristas messicani; ranchos venezuelani. Qui la genealogia del fenomeno si fa risalire al sec. XIX con la conversione del modello economico da agroesportatore a industriale e con la prima significativa ondata migratoria di provenienza rurale ed estera. In seguito i numeri del sovraffollamento sono diventati quelli della povertà e le condizioni del mercato immobiliare, eccessivamente restrittive, hanno allargato la forbice tra domanda e offerta. L’informale nasce allora come un fatto transitorio in attesa di risvolti migliori tra politica e mercato.
Favelas, São Paulo, Brasile (Larangeria, 2007).
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processi di insediamento informale
Le grandi utopie populiste si sono rivelate propagande fallimentari e il problema casa, che affligge l’America Latina da lungo tempo, rimane insoluto e cronico. Qui la popolazione priva di mezzi ha accesso alla casa secondo tre modalità dominanti: abitazioni in affitto (inquilinatos o conventillos); occupazioni di aree demaniali o private, dapprima con baracche poi con soluzioni stabili; lottizzazioni abusive. Attualmente gli abitanti informali nel mondo si attestano sui 900 milioni di unità. In America Latina nell’ultimo decennio la percentuale ha subito un lieve calo grazie a regolamentazioni di massa e controllo del numero di squatters, con significativi miglioramenti in Perù, Colombia e Nicaragua, mentre altrove la situazione è andata stabilizzandosi (Messico, Argentina,Venezuela) o peggiorando (Brasile, Haiti). I caratteri degli insediamenti spontanei variano non solo tra Paesi limitrofi, ma anche tra metropoli della stessa nazione e persino nella medesima città. Ciò deriva dalle condizioni ambientali, economiche e socioculturali. Il connotato comune riguarda l’assenza di titolarità del terreno su cui insiste l’insediamento e/o l’irregolarità rispetto alle norme urbanistiche. A ciò si aggiunge una serie di caratteristiche che ne definiscono la scarsa qualità abitativa: mancanza di servizi di base e infrastrutture; alloggi di bassa qualità; sovraffollamento e alta densità di alloggi monoambiente e multifunzione; condizioni di vita anti-igieniche con elevata esposizione a catastrofi naturali o fattori di rischio; violenza, criminalità, povertà, scarso livello di istruzione. Il vero connotato distintivo dell’informale sta però nella logica progressiva e ciclica con cui viene concepito. Come qualsiasi altro organismo urbano, un insediamento spontaneo si sviluppa a partire da una componente base, si adegua al territorio che occupa, resiste al variare delle condizioni al contorno e con ciò evolve. La natura processuale è insita in una specifica idea di casa e di città che pervade la logica sociale e spaziale. La collettività si cementa nel self-help che fa la differenza tra congiunto di abitanti e comunità. La città si determina dall’unione dei singoli e si produce con la ripetizione di cellule elementari moltiplicate in orizzontale e sviluppate in verticale. È architettura autocostruita e autogestita. Gli abitanti preferiscono una soluzione temporanea precaria, ma incrementale e potenzialmente realizzabile, a una più stabile
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ma limitata dalle prescrizioni statali. Da un’architettura aperta si produce una città aperta, come narrava Persico, la casa e la città si confermano “sostanza di cose sperate”9.
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Cfr. E. Persico, Profezia dell’Architettura, Skira, Milano 2012.
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2. Organismi urbani in evoluzione: Buenos Aires, Lima, Caracas
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Parte di Metamorphosis II (Maurits C. Escher,1939-40, © 2021 The M.C. Escher Company, Baarn, Olanda. Tutti i diritti riservati. www.mcescher.com).
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2.1. Da città di fondazione a megacity In una visione organica della città, un preliminare studio storico diventa necessario per intendere le dinamiche evolutive che condizionano il processo urbano. Se è vero che la città di ieri è presente in quella di oggi e che l’ambiente fisico influenza l’agire umano, si riflette ora su come l’habitus culturale, di importazione europea, abbia prevalso sui modi spontanei delle civiltà precoloniali. Le città di Buenos Aires, Lima e Caracas sembrano legate da un destino comune per dinamiche urbanistiche e territoriali sin dalle origini. La storia di una città inizia con la sua fondazione, spesso legata a storie leggendarie. È il caso di Buenos Aires alla quale si attribuiscono tradizionalmente due fondazioni. La prima risale al 2 febPlano general de Buenos Aires, Bermudez 1708 (Difrieri, 1980).
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braio 1536 ad opera di Pedro da Mendoza, che sarebbe approdato sulle sponde del Riachuelo dove sorgeva il porto de Nuestra Señora de Santa Maria del Buen Ayre. La seconda fondazione avvenne nel 1580 per mano di Juan de Garay. In entrambe le occasioni i conquistadores spagnoli stabilirono il primo insediamento in corrispondenza dell’attuale centro storico e in posizione strategica per l’accessibilità dal porto. Mentre si fondava il porto storico di Buenos Aires, Francisco Pizarro consolidava la prima fase di conquista del Perù. L’atto fondativo di Lima iniziò con una precisa selezione del sito, su cui esisteva già un pueblo inca. La decisione di spostare la capitale del Virreinato del Perù dipese così dalle favorevoli condizioni climatiche e dalla vicinanza al fiume Rimac. Il 18 gennaio 1535 è considerata la data ufficiale di fondazione di Lima. Meno mitica e più tarda risulta la nascita di Caracas (1567), istituita da un gruppo di 136 spagnoli comandati da Diego de Losada che conquistò il villaggio indigeno nella valle del Guaire, mantenendone il nome di Santiago de León de Caracas in versione abbreviata. Il sito selezionato si collocava in un ambito idrografico e geomorfologico irregolare, mentre il sistema orografico imponeva già non pochi vincoli alla struttura urbana e alla sua crescita futura. Le vicende di fondazione, sin qui distinte per anni e protagonisti, si connettono sotto il segno unificante di Lima, designata capitale di tutti i possedimenti spagnoli nel continente. Si impone come modello urbano dell’America Latina e segna la supremazia del vecchio continente sul nuovo, nonché il compromesso tra Chiesa cattolica e Corona spagnola nell’equa ripartizione dei singoli ambiti. Il modello che per primo Pizarro aveva tracciato sul territorio, noto come cuadricula spagnola, è il risultato rispettivamente dell’Ordenanza de Carlos I (1523) e dell’Ordenanza de Felipe II (1573). Si prefigura come un tessuto urbano disposto su tracciati rettilinei, reticula, a sezione costante e per lo più ortogonali, che inquadrano lo spazio urbano entro manzanas, isolati identici di forma quadrata, rettangolare o trapezoidale. Il centro del nucleo insediativo corrisponde a uno o più isolati vacanti per ospitare la piazza principale, plaza mayor, i cui lotti prospicienti sono occupati dai simboli del potere temporale e spirituale. La piazza è elemento ordinatore, polo e nodo centrale o disassato, nel caso in cui la città si collochi sulla costa del mare o sulla sponda di un fiume. Buenos Aires ancora oggi presenta quella geometrica impostazione di isolati (di lato 117x117 m) tagliati a 45° sugli spigoli vivi
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2. organismi urbani in evoluzione: buenos aires, lima, caracas
39 Reticula y cuadricula, progetto di F. Pizarro per Lima (Mazuré, 2011).
Plano de Juan Pimentel, Caracas, 1578 (AA.VV., 2012).
per traguardare prospettive di strade piuttosto ampie. È il caso in cui il modello urbano dei colonizzatori si realizza in misure e proporzioni più grandi, un impianto di 16x9 quadras1. La capi1 Cfr. H. Difrieri, Atlas de Buenos Aires, Municipalidad de la Ciudad de Buenos Aires / Secretaría de Cultura, Municipalidad de la Ciudad de Buenos Aires / Secretaría de Cultura, Buenos Aires 1980.
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tale peruviana era la città di fondazione più grande e maestosa del regno, anche più della storica Cuzco, per i suoi 117 (9x13) quadras, divisi in quattro lotti, orientati da sudest a nordest per disporsi a ricevere i venti del sud. Anche il primo piano della città di Caracas fu realizzato imponendo l’ideale spagnolo della Legge delle Indie alle forme irregolari che componevano il territorio nella realtà.
Legge delle Indie, variazioni nelle matrici spaziali di fondazione: geometrie reticolari, direzione di crescita, posizione e dimensione della piazza, antropizzazione di coste o rive (De Terán, 1997).
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2. organismi urbani in evoluzione: buenos aires, lima, caracas
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Dall’analisi storica congiunta tra Buenos Aires, Lima e Caracas emergono tratti comuni anche nelle successive fasi di espansione sul territorio. In epoca postcoloniale le tre città presentano superfici e configurazioni non dissimili dal nucleo di fondazione, strutturato su quattro elementi principali: piazza principale, edifici di rappresentanza politica e religiosa, quartieri popolari che proseguono indistintamente il reticolo storico, aree produttive. Crescono molto lentamente limitate da vincoli geografici e difensivi. Ottenuta l’indipendenza nei primi decenni del sec. XIX, le colonie latinoamericane si convertono in repubbliche autonome dal vecchio continente. Il paesaggio urbano si caratterizza con i Sviluppo urbano di Buenos Aires, 1664-1869 (Harris, 1975).
simboli nuovi e vecchi che anticipano la conversione al modello di capitale europea: la piazza rimane l’elemento ordinatore dello spazio urbano; il porto, emblema di economia e libertà mercantile dalla Spagna; i grandi edifici diventano nuovi luoghi di potere, cultura e arte. Buenos Aires nel lasso di un solo centenario assume la conformazione monocentrica e radiale che sarà alla base della sua crescita urbana fino ai tempi più recenti.
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Per un cambiamento altrettanto significativo Lima dovrà attendere la metà del sec. XIX, quando la città inizia ad espandersi oltre la sponda sud del Rimac verso la periferia agricola, favorita da tre diramazioni ferroviarie che dal centro raggiungono il porto principale di Callao e le coste nord e sud. La capitale venezuelana è la prima delle tre a intraprendere la trasformazione più evidente; sotto l’egida di Guzmán Blanco inizia la conversione da piccolo insediamento postcoloniale a moderna capitale in stile europeo. Il nuovo Plano Topográfico (1875) proponeva l’espansione lungo tutta la valle e verso la periferia. Il sec. XX segna il definitivo passaggio da città coloniale a realtà metropolitana. La prosperità economica e l’incremento demografico, naturale e indotto tra migrazioni di origine europea e rurale, determinano una crescita urbana incontrollata. Le capitali subiscono un doppio livello di crescita: in senso verticale, gli isolati si completano e si infittiscono svettando in altezza; in senso orizzontale, la città avanza rapidamente verso la periferia. Buenos Aires fa il suo ingresso nel nuovo secolo come la città più grande del mondo e la più importante dell’America Latina, proseguendo la sua crescita grazie al costante sviluppo del settore industriale. L’area urbana perde la sua conformazione radiale e conquista il territorio estendendosi a macchia d’olio, allo stesso tempo si moltiplicano le forme di segregazione socio-spaziale: in periferia, si produce un suburbio che ha per protagonisti i settori di minor reddito (lottizzazioni economiche); nelle zone consolidate del centro si sviluppa una densità urbana di cui è protagonista il settore medio/alto (appartamenti in proprietà orizzontali). Dalla seconda metà degli anni ’70 inizia la terza e ultima fase di crescita della città, in corrispondenza di un altro cambio nel modello economico, da industriale e neoliberale. Si compone, così, l’ultimo ring del conurbano bonaerense con insediamenti precari e autocostruiti. Il nuovo corso della storia urbanistica di Lima ha inizio nell’anno 1914, quando si liberalizza il canale di Panama e la città entra nel panorama economico internazionale con la prima trasformazione urbana da colonia a città diffusa, mantenendo il suo orientamento radiale. La vera metropoli, però, si consolida con le continue processioni migratorie dall’hinterland rurale, mentre lo spazio urbano si protende sul territorio invadendo il paesaggio agricolo delle valli con urbanizzazioni estensive. Solo una bassa percentuale dei nuovi residenti ha accesso al mercato immobiliare,
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2. organismi urbani in evoluzione: buenos aires, lima, caracas
43 Sviluppo urbano di Lima, 18621920 (Harris, 1975).
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Sviluppo urbano di Caracas, 18301930 (Harris, 1975).
mentre la restante parte ingrossa le file dei destinatari dell’edilizia popolare. Nonostante l’impegno profuso attraverso vari programmi statali, il deficit abitativo rimane irrisolto e la città trova spazio per crescere in luoghi inospitali (piane esondabili e pendici dei monti) e in modalità informali quali le barriadas e i pueblos jovenes. Si riscontrano fattori di trasformazione urbana assai simili anche nella storia di Caracas, ma la principale differenza che la discosta dagli altri casi studio risiede nella sua straordinaria crescita, tale da determinarne un assetto del tutto nuovo durante l’ultimo secolo. È ancora l’economia a dettare il cambiamento territoriale: quando nel 1920 si scoprono i primi giacimenti petroliferi inizia la febbrile ascesa al mercato internazionale e con essa l’attività industriale, le massicce ondate migratorie e l’espansione incontrollata che propone una visione radio-concentrica della città. Ma la prefigurazione più vicina a quella attuale si raggiunge con le grandi infrastrutture che stravolgono l’immaginario urbano: i nuovi tracciati interrompono la regolarità e slanciano la figura urbana verso la costa. A partire dalla metà degli anni ’50, Caracas assume funzioni e forme metropolitane. La popolazione urbana cresce esponenzialmente, addensandosi tra quelle pendici e quei monti che avevano sempre rappresentato un ostacolo allo sviluppo urbano. In mancanza di soluzioni abi-
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tative diverse, anche nella capitale caraqueña l’autocostruzione rappresenta l’unica possibilità, poiché i grandi blocchi intensivi risultano inadeguati a risolvere una domanda abitativa in costante crescita. La città contemporanea, eterogenea e contraddittoria, è difficile da classificare, perché nel tempo ha perso l’originaria identità precoloniale, ha superato la matrice spagnola, ha dimenticato il modello haussmanniano, ha compromesso funzione e forma dell’urbanistica moderna. Eppure dalle analisi storiche sviluppate si desumono alcune costanti che ne caratterizzano le attuali strutture territoriali: – posizione (prossimità rispetto alla costa o a un corso d’acqua); – presenza e permanenza della natura come vincolo all’evoluzione urbana; – centro (mantiene la morfologia ordinata dei tracciati di fondazione e la funzione rappresentativa delle origini); – reti e infrastrutture (orientano la forma urbana); – tessuti residenziali (distinti per provenienza e reddito della popolazione, centrali o periferici, a bassa o alta densità). A questi è da aggiungere un altro carattere intrinseco alla morfologia territoriale: la dimensione. Si parla in termini di megacity nel caso di Buenos Aires e Lima che superano di gran lunga i 10 milioni di abitanti, ma non di Caracas, che ad oggi registra 5.764.000 ab. e che “pur non essendo una città tanto simile per dimensioni, è una realtà metropolitana con gradi distinti di inclusione ed esclusione, globalità e sopravvivenza”2. Sul piano amministrativo questi grandi centri sono stati convertiti in distretti e aree metropolitane. Buenos Aires negli ultimi decenni ha subito diverse evoluzioni geopolitiche, da aggregato a congiunto di municipi, dalla Gran Buenos Aires all’odierna Area Metropolitana, comprensiva della CABA3 e di 42 partidos, distribuiti sul territorio in tre anelli concentrici che occupano 3.833 kmq, su cui risiede un terzo della popolazione argentina. A Lima, è ancora leggibile la sua storica vocazione radiale, sebbene appaia come una massa informe, ibrida in periferia con i suoi arcipelaghi urbani. L’Area Metropolitana di Lima, una realtà regionale 2 Cfr. C. Cariola., M. Lacabana, La metrópoli fragmentada: Caracas entre la pobreza y la globalización, “EURE”, 27, 2001. 3 Ciudad Autónoma de Buenos Aires (CABA): corrisponde alla distretto federale originario.
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di 43 distretti, cui si aggiunge la municipalità dell’antico porto di Callao, con una superficie totale di 33.820 kmq è ben 10 volte la capitale argentina, ma con una densità abitativa di quattro volte inferiore. Il Distretto Metropolitano di Caracas con le sue 41 unità governative, tra comuni e regioni, occupa una superficie a sviluppo lineare di soli 777 kmq, pur ospitando 1/5 della popolazione nazionale si distingue dagli altri casi per la densità più elevata4. 2.2. Città pianificata L’utopia di città ideale che in tappe diverse gli europei avevano tentato di realizzare svanisce nella realtà, fatta di conglomerati urbani sovraffollati che invadono il territorio disperdendosi in segmenti e isole connesse tra loro da arterie alla grande scala: un risultato più prossimo al modello anglosassone-americano che europeo. Tuttavia, la persistenza del modello coloniale si riscontra nei primi sviluppi suburbani. Sul consueto schema a scacchiera si compongono i due primi insediamenti satellite a sud di Lima, Miraflores e San Isidro. Ugualmente avviene nell’immediato intorno del centro bonaerense, dove i nuovi nuclei ripropongono il sistema “quadras, manzanas y calles”5 perché su quelle tracce era avanzata l’urbanizzazione della capitale argentina. L’altra importante ideologia urbanistica che si impone nelle terre dell’America Latina a partire da fine sec. XIX è il modello accademico proposto dall’École des Beaux-Arts che ai principi estetici della Parigi di Haussmann annette le esigenze igieniste risolte dai grandi sistemi di reti e infrastrutture. Le capitali latine subiscono un’impostazione volta a rompere con la tradizione coloniale attraverso grandi gesti: ampi viali che interrompono la serialità della scacchiera; sventramenti che allargano le sezioni stradali e le piazze; monumenti e istallazioni commemorative; giardini e viali verdeggianti. Quando nel 1911 Buenos Aires è definita “una grande capitale europea”6, il processo mimetico sembra compiuto. Il progetto Pari al doppio rispetto a Buenos Aires, a 20 volte Lima. Cfr. R. Gutiérrez, Buenos Aires: evolución histórica, Fondo Editorial Escala, Buenos Aires 1992. 6 Cfr. R. Gutiérrez, Architettura e società: l’America Latina nel XX secolo cit. 4 5
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politico avviato negli anni Ottanta dell’Ottocento è stato accompagnato dalla nascita di architetture fortemente rappresentative dell’idea di Stato, ma il vero processo di trasformazione urbana è da ricondurre a Torcuato de Alvear, durante il cui mandato si procede a un sostanziale ridisegno del centro storico, a partire da un complesso sistema di diagonali, realizzato solo parzialmente, e di cinte verdi. Lo spirito e lo stile di vita europeo giunge a Lima attraverso le compagnie mercantili francesi. La città si apre alle competenze tecnico-urbanistiche di scuola haussmanniana perché anche “Lima – come quasi tutte le città capitali americane – voleva essere Parigi”7. Molte delle architetture esprimevano la loro rilevanza in barocco francese, rococò e neoclassico. Da allora Lima è stata invasa da un clima di totale modernizzazione, che si fa più evidente con le opere infrastrutturali a partire dal centro storico. L’investimento di capitali dal vecchio continente stravolge il volto della città con strutture culturali e sportive, parchi e giardini volti a riproporre la green city anglosassone. Anche nel caso di Caracas l’influenza economica franco-anglofona è determinante per quel rinnovamento urbanistico cui tende la città in prospettiva internazionale. Il governo, sul leitmotiv di ordine e progresso, dichiara prioritarie infrastrutture e servizi, ingegneria e architettura sono asservite alla retorica modernista, espressa in stile anticoloniale. Artefici del grande cambiamento che investe la città a partire dagli anni ’30 sono accademici e urbanisti europei che propongono la grande Città con parchi, teatri, club, nonché comode e grandi arterie di rapida circolazione. Una menzione speciale merita l’impatto che il Movimento Moderno ha avuto nella trasformazione del territorio latinoamericano. L’International Style trova in America terreno fertile, libero dai retaggi culturali del vecchio continente che ne avevano limitato il corso verso sviluppi più maturi. Figura chiave di quegli anni è Le Corbusier. Giunto per la prima volta nel continente scopre un paesaggio nuovo, magnifico e grandioso (quello naturale), e un paesaggio senza speranza8 (quello urbano). Sviluppa così un atteggiamento contraddittorio tra l’attrazione per tradizioni che sente familiari e l’aspra critica per città 7 8
Cfr. J. Gunther, Lima, MAPFRE, Madrid 1992. Cfr. R. Gutiérrez, Architettura e società: l’America Latina nel XX secolo cit.
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dispersive, di geometrie alienanti perché ripetute all’infinito nell’uso generalizzato del tessuto a scacchiera. Jeanneret si associa agli urbanisti moderni nell’idea di fondare in Buenos Aires una “città mondiale”9. Insieme alla zonizzazione bilancia l’equilibrio urbano tendente alla pampa con la Cité d’affaire, un’isola artificiale su pilotis dominata da grattacieli cruciformi, protesa verso l’Atlantico e volta a slanciarne l’immagine contro la predominanza del piano orizzontale. Simboli ancora attuali del modernismo nella capitale porteña sono le sperimentazioni neoclassiche di Alberto Prebisch e i successivi innesti brutalisti di Clorindo Testa. La stessa corrente culturale raggiunge Lima sul finire degli anni ’40. Si deve attendere l’arrivo di Gropius e Neutra perché si pongano le basi al Movimento Moderno in Perù. Ma è nella costruzione delle residenze che si compie la traduzione del pensiero architettonico in langue modernista. In particolare, l’opera della Corporación Nacional de Vivienda tenta di risolvere il problema degli alloggi per la grande maggioranza della popolazione attraverso complessi residenziali dotati di sistemi di percorrenze e servizi propri. Il moderno limeño andrà poi consolidandosi come stile nazionale, evoluto rispetto agli esordi in versione brutalista o nell’International Style. In concomitanza con la monumentalità del piano proposto nel 1939 per la riqualificazione di Caracas in chiave moderna, tutte le grandi opere vengono concepite in stile internazionale. Stessa tendenza si conferma nel nuovo Plan Maestro del 1951, allineato ai principi del CIAM sul funzionalismo urbano e lo zoning. Protagonista indiscusso sulla scena urbana e architettonica caraqueña di quegli anni è Raúl Villanueva con il progetto per la Ciudad Univesitaria e i due congiunti residenziali progettati per il Banco Obrero (El Silencio, Unidad Residencial 2 de Diciembre) che ricalcano il modello delle Unità di Abitazione a Marsiglia di Le Corbusier. 2.3. Città spontanea Analizzare dapprima le ragioni che conformano la città pianificata aiuta a comprendere quanto siano state rifiutate o assorbite negli insediamenti informali. Essi rappresentano un feno9 Cfr. P. Carlotti, D. Nencini, P. Posocco, Mediterranei. Traduzioni della modernità, Franco Angeli, Milano 2014.
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meno urbano costante attraverso cui nell’ultimo secolo si sono realizzate in concreto e in totale autonomia le grandi capitali del subcontinente americano. L’Area Metropolitana di Buenos Aires (AMBA) esprime il suo alto grado di fragilità in manifestazioni diverse d’informale, la più diffusa e tipica della geografia porteña è la villa miseria. Con questa espressione si intendono insediamenti popolari non pianificati, di tracciato irregolare, sorti per occupazione illegale di terreni fiscali, interstizi, vuoti urbani, ambiti non qualificati o abbandonati. Le villas miserias caratterizzano la città dalle prime decadi del XX secolo, la cui posizione privilegiata nel centro città le ha rese ambiti di marginalità socio-economica e culturale. Nella loro centralità si ritrova non solo la rivendicazione del diritto alla casa e alla città, ma anche la storia dei migranti che hanno costruito la città: un popolo di lavoratori d’oltreoceano o delle campagne che forma tante identità o una sola, eclettica. Il più antico insediamento spontaneo di questo genere risale al 1932, in corrispondenza dell’attuale Villa 3110. In seguito il fenomeno prende piede nel settore sudorientale della città, dove si concentra la maggior parte delle strutture produttive, in cui i villeros vengono impiegati. Nel secolo scorso alterne vicende storiche ne hanno favorito la diffusione o la scomparsa. Negli anni ’60 si raggiungono i 200.000 abitanti informali e si rafforza la consapevolezza che la villa non sia più una condizione transitoria, ma un problema articolato su due dimensioni: una spaziale e l’altra culturale. Così, nel 1967 si dà avvio alla realizzazione del PEVE11 che prevede una prima fase di sradicamento delle villas e un successivo ricollocamento degli insediati in Nuclei Abitativi Transitori (NHT) in attesa di nuove abitazioni sociali. Col sopraggiungere della dittatura gli abitanti vengono espulsi violentemente e indirizzati in zone esterne alla capitale o addirittura nei rispettivi paesi d’origine, tramite un’azione militare che procede dal nord al sud della città lasciando sul suolo federale solo 11 villas e 2 NHT, per un totale di 12.593 abitanti12. Il ritorno della democrazia dà seguito a un evidente ripopolamento delle villas, per le 10 Oggi uno dei più popolosi e discussi casi per via della posizione centrale che suscita interessi multipli nell’ottica di una possibile regolarizzazione. 11 PEVE, Plan de Erradicación de Villas de Emergencia. 12 Cfr. A.L. Suárez, A. Mitchell, E. Lépore, Las villas de la Ciudad de Buenos Aires: territorios frágiles de inclusión social. Programa interdisciplinario sobre desarrollo humano e inclusión social, Educa, Buenos Aires 2014.
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Mappa degli insediamenti informali nell’Area Metropolitana di Buenos Aires (Cravino, 2009).
quali il governo introduce nuove disposizioni al fine di favorirne l’integrazione e la ridistribuzione delle proprietà tra organizzazioni vicinali. La crisi globale ha sortito effetti anche sulle villas e l’aumento della povertà ha coinciso con nuove esigenze di alloggio che hanno incrementato il mercato immobiliare informale, determinando la crescita in altezza dei comparti esistenti, quindi la formazione di nuovi insediamenti urbani. Nonostante i molti tentativi, le leggi di urbanizzazione e i programmi predisposti all’inclusione sembrano molto lontani dal compiersi. L’ultimo rilevamento di TECHO (2016) conferma la portata significativa di un fenomeno in ascesa: solo nella Capital Federal si contano 49 villas, 5 asentamientos, 2 NHT (73.300 famiglie, 163.587 ab.). Eppure la qualità della vita è piuttosto bassa: le villas mancano di infrastrutture e reti urbane, servizi primari, spazi pubblici, trasporti e accessibilità, un gap risolto con mezzi di fortuna e allacci impropri. Ancora il maggior numero di villas si concentra nella zona sud della capitale, a ridosso del fiume Riachuelo e di impianti industriali ormai dismessi, aumentando così il rischio di inondazioni, incendi e situazioni di emergenza. La processualità attraverso cui si compone l’organismo urbano di Lima dagli inizi del sec. XX ad oggi testimonia come il connubio tra formale e informale sia la chiave per interpretare le sue dinamiche evolutive. Dagli anni Venti del secolo scorso si costituiscono barriadas e pueblos jovenes. Due termini storici per identificare l’informale limeño che, per portata e
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proporzioni, rappresenta la più importante espressione di urbanizzazione illegale in America Latina. Detta terminologia risale agli anni ’40 sebbene i primi insediamenti informali che invadono Lima risalgano agli esordi del sec. XX: si tratta dei corralones, conglomerati interstiziali sorti negli ambiti centrali per le esigenze economiche di chi possedeva entro il proprio lotto una cellula abitativa in più rispetto al solo nucleo abitativo. I corralones possono considerarsi gli antesignani dei pueblos jovenes, insediamenti spontanei privi di infrastrutture e servizi benché collocati in zone interne alla città e perciò detti anche barriadas interiores. Questi ultimi delineano la soluzione informale prevalente fino agli anni ’50, momento in cui iniziano a costituirsi le barriadas externas e con esse l’intera periferia metropolitana. La formazione di una barriada inizia con gruppi di famiglie organizzate che eleggono un’area da occupare, una porzione di deserto ai margini del costruito e dal basso interesse economico. L’invasione, spesso mediata da promotori, risulta la fase più difficile fino a che non si concretizza con la costruzione dei primi recinti: una volta regolarizzata la titolarità dei suoli è possibile proseguire con le fasi di consolidamento e miglioramento dell’abitazione singola e dell’intero complesso. La politica ha assunto un ruolo più o meno connivente rispetto a tale prassi: già negli anni ’50 lo Stato ammetteva questo tipo di urbanizzazione marginale e autoprodotta come forma pratica per fronteggiare il problema della casa popolare. Mentre si autorizzava la costruzione del primo barrio obrero13 di Ciudad de Dios, fuori dai limiti della città, con la Ley 13517/61 iniziava la fase ufficiale di regolamentazione delle barriadas. Da quel momento non solo si diffondono in misura esponenziale nuovi quartieri informali ma, nella necessità di rispettare le prescrizioni indotte dalla legge su dimensioni di parcelle e percorsi, la loro morfologia tende a uniformarli. Con l’avvento della dittatura militare si considera questa forma di urbanizzazione come parte integrante delle strategie di sviluppo e mobilitazione sociale e, per scongiurare occupazioni ulteriori, si predispongono grandi aree in cui la fase dell’assegnazione di proprietà è conferita a priori, come un’urbanizzazione assistita. Nelle ultime decadi con l’aggravarsi delle condizioni economiche rurali non si è calmierata 13
Quartiere popolare legalmente autorizzato.
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processi di insediamento informale
Barriada Mendocida dagli anni della formazione all’inclusione entro la periferia, Lima (Clementi & Perego, 2009).
l’ondata migratoria dalle zone interne, tuttavia, non essendovi una disponibilità di terre come un tempo, l’occupazione ha riguardato aree private, vuoti urbani e soprattutto i versanti dei monti andini, dove si registra l’evoluzione più recente di insediamento spontaneo: las viviendas en laderas. Se il primo
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censo stimava in 139 il numero di insediamenti spontanei tra barriadas e pueblos jovenes, oggi superano il 60% delle soluzioni abitative per l’intera popolazione cittadina. Le norme introdotte a sanare il fenomeno hanno sortito l’effetto contrario, nonostante le condizioni geografiche piuttosto sfavorevoli. Per supplire alla mancanza di politiche efficaci di recente sono stati introdotti nuovi strumenti di pianificazione partecipata, destinati alle zone periferiche di Lima a maggiore vulnerabilità fisica e sociale. La fase evolutiva che maggiormente coinvolge e stravolge la città di Caracas si compie nell’arco di pochi decenni del sec. XX. Per tempi, dimensioni e limitato campo d’azione, più palesemente che altrove si assiste a uno sviluppo in parallelo della città pianificata e del suo opposto: la prima si protende fino ai limiti della valle, mentre la seconda si dispone lungo i versanti andini, da fondovalle a crinale, da periferia a centro. I barrios identificano i tessuti informali che si innestano tra le alture di Caracas e rappresentano il più interessante processo urbano attraverso cui la città si è conformata sul territorio. A fronte delle 650.000 abitazioni sociali si producono 2,8 milioni di case informali; così i barrios, in assenza di terreni a
Barrios de ranchos, Caracas, 1948-2003 (Jenks, 2000).
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disposizione, prediligono uno sviluppo verticale, incastrandosi e sovrapponendosi tra loro fino a renderne incomprensibili le logiche compositive. Gli artefici sono singoli e famiglie in cerca di lavoro e migliori condizioni di vita quando esuli delle campagne o i nuovi poveri quando cittadini incapaci di sostenere crisi finanziarie internazionali e nazionali. Benché la matrice compositiva dell’insediamento sia la cellula elementare, la sua proliferazione massiccia comporta problemi nell’accessibilità, le percorrenze sono esclusivamente pedonali mentre infrastrutture e servizi non raggiungono gli alloggi. Una scarsissima qualità della vita contraddistingue i barrios, un compromesso accettato per la vicinanza al lavoro e agli altri benefit urbani. Si registra la presenza di insediamenti spontanei sul territorio di Caracas già dalla seconda metà del secondo XIX e ben presto la loro presenza diviene tanto scomoda da risolversi durante la dittatura militare di Jiménez con una generale “ranchificación de la ciudad”: nel 1952 si formula un Piano Straordinario di Sgombero dei Cerros, volto a ridurre le abitazioni inadeguate a meno della metà. Il piano pilota diventa esecutivo con la realizzazione di grandi complessi intensivi disposti su tutta l’area metropolitana. Ma i migliori intenti vengono ben presto smentiti dal nuovo incremento demografico raggiunto negli anni immediatamente successivi alla caduta del regime dittatoriale. Nelle decadi a seguire la produzione edilizia informale si mantiene superiore quasi della metà rispetto alle soluzioni proposte dal mercato formale. Oggi le stime risultano ancora allarmanti: un milione di famiglie, pari al 63% della popolazione totale, vive nei barrios e la realtà informale costituisce il 33,5% delle costruzioni urbane. Di fronte a questi dati, la soluzione più auspicabile esclude sgombero e demolizione. Un’indicazione fatta propria dal CONAVI14 nel 2001 con il noto “Plan de Habilitación de Barrios”, che va dalla regolarizzazione dei titoli di proprietà alla dotazione di infrastrutture e pubblici servizi, dalla mappatura di quartieri interi all’individuazione delle situazioni a più alto rischio sismico e ambientale, dalla riorganizzazione della comunità sotto il profilo amministrativo agli interventi di riqualificazione delle strutture. 14 Consejo Nacional de la Vivienda, ente nazionale preposto a questioni sociali e abitative.
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Dall’indagine delle singole espressioni informali, che connotano Buenos Aires, Lima e Caracas, emerge come negli insediamenti spontanei rimanga costante l’aspirazione a quella formalità apparentemente negata e della quale, in un più forte senso sociale, si ripropongono abitudini, spazi e riferimenti.
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3. Informale a confronto
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Proyecto fachada para ciudad (Xul Solar, 1954, © 2021 Fundación Pan Klub – Museo Xul Solar, Buenos Aires. Tutti i diritti riservati. www.xulsolar.org.ar).
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3.1. I casi di studio: Villa 21-24, Huaycán, San Agustín del Sur Oltre un caos solo apparente, gli insediamenti informali mostrano una struttura e una logica precisa, conformata su un’organizzazione sociale gerarchica e su una legge progressiva che governa un processo continuo. Si tratta di un habitat dinamico per tempi e luoghi: flessibile al variare delle esigenze dei suoi abitanti; coerente con le caratteristiche del territorio; spontaneo non perché avverso alla coscienza critica dell’urbanistica moderna, ma perché la precede come espressione di una coscienza spontanea. Nelle pagine a seguire vengono presentati i singoli casi oggetto di studio come sintesi ed emblema delle realtà informali attraverso cui si modellano Buenos Aires, Lima e Caracas. In un’ottica storica se ne racconta la specifica formazione ed evoluzione, fino alla condizione odierna. Le peculiarità di ciascun caso vengono poi lette, analizzate e interpretate in un confronto parallelo dal quale emergono affinità e differenze sotto il profilo morfologico, tipologico e tecnologico. Lungo la sponda settentrionale del fiume Matanza che raggiunge Buenos Aires col suo estuario, il Riachuelo, si colloca Villa 21-24, una “città al sud della città”1, che rappresenta la più grande e popolosa manifestazione dell’informale entro i confini della Ciudad Federal. La rilevanza del caso è sia posizionale, perché Villa 21-24 si dispone nella zona sud della CABA dove si concentrano tutte o quasi le villas miserias bonaerensi, sia storica, perché in essa si ritrovano le logiche identitarie della capitale, come porto del Sud America per gli spagnoli, come meta di lavoro per gli emigrati europei. La 1 Cfr. P. Vitale, La ciudad al sur de la ciudad: historia sociourbana de los barrios Villa Lugano y Villa Riachuelo, “Cuadernos de Vivienda y Urbanismo”, 6, 2010.
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processi di insediamento informale
sua importanza attuale si legge invece nella dimensione e nei numeri di chi la popola e la costruisce: 50.0002 persone vivono su una superficie di 83 ettari. L’insediamento continua a crescere insieme alla densità della sua popolazione, la cui provenienza è da attribuire non solo alle regioni più interne della nazione, ma soprattutto ad altri Paesi Latini (Paraguay, Bolivia e Perù). Villa 21-24 si trova in una posizione strategica, ove si concentrano varie condizioni di marginalità: la vicinanza alla zona produttiva, a un corso d’acqua e ad un tracciato di collegamento. Lì dove tutte queste coincidenze si interpretavano come un vantaggio sul finire degli anni ’40 sorgeva il primo insediamento spontaneo. Nei suoi 70 anni di storia la villa ha assunto configurazioni diverse, strutturandosi su una crescita graduale nel tempo, secondo un modello urbano incrementale. L’origine dell’insediamento risale a quando 35 famiglie vi si stabilirono a seguito di un incendio divampato poco distante, sulle sponde limitrofe dello storico quartiere della Boca. In soli vent’anni la popolazione ha raggiunto le 12.000 unità. Dal 1967 si diede seguito al Plan de Erradicación de Villas de Emergencia (PEVE) che prevedeva la ricollocazione dei villeros e degli sfollati dalle zone più centrali della città in prossimità della periferia o in alloggiamenti temporanei (Núcleos Habitacionales Transitorios) in attesa di soluzioni abitative permanenti. In quest’ottica vennero realizzate le 560 case del NHT di Zavaleta che, divenute poi soluzioni abitative permanenti, sono attualmente presenti in Villa 21-24. Si trattava di case monopiano di due o tre stanze in media, raggiunte dai servizi minimi, benché i sistemi costruttivi fossero precari. A partire dal 1976 si compì a Villa 21-24 l’ultimo atto della campagna di Erradicación. Tra terrore, distruzioni e desaparecidos, furono sloggiati oltre 15.000 abitanti. I nuclei principali rimasero in piedi grazie alla forte resistenza opposta dalle organizzazioni vicinali. Tra misure proibizioniste dei regimi militari e sgomberi, Villa 21-24 arrivò a perdere quasi la metà della sua popolazione fino al ritorno alla democrazia, quando il numero di abitanti, che si era ridotto a 100 famiglie, cominciò a crescere in maniera esponenziale. Attualmente Vil-
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Dati relativi all’ultimo censimento del Gobierno de la Ciudad, 2014.
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3. informale a confronto
61 Villa 21-24, Buenos Aires (© D.C. Lefosse/ Google Earth).
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la 21-24 conta 57 manzanas3 che compongono un tessuto di geometrie irregolari fatte di strisce, dette tiras, di case in linea composte in progressione su un modello di cellula elementare che si ripete sviluppandosi prima in orizzontale poi in verticale. Pur nello stesso ambito, risultano evidenti alcune differenze nel grado di densificazione, consolidamento e dotazione di servizi. La crescita varia i tracciati dei tipici pasillos, percorsi interni che si aprono o cambiano direzione in base a nuove aggregazioni. Tanta prossimità all’urbe non solo corrisponde a segregazione culturale e sociale, ma anche a esclusione dalla rete delle urbanizzazioni primarie. Alla precarietà abitativa si aggiungono diverse carenze in termini di servizi di base (acqua potabile, elettricità, fognature, sistemi di riscaldamento, smaltimento dei rifiuti, illuminazione e trasporti). Incide sulla qualità della vita anche il basso livello di istruzione e il tasso di disoccupazione. Inoltre, un grande impatto ha la questione ambientale. La scelta del sito, così propizia in tempi passati, si rivela pericolosa per le frequenti inondazioni causate in fasi di piena dal Riachuelo, dato il punto di flesso che proprio in questo luogo configura un meandro lungo il letto del fiume. Utilizzato come discarica a cielo aperto dai villeros, il corso d’acqua presenta oggi un elevato grado di contaminazione. La questione è appannaggio del Gobierno de la Ciudad che riconosce il bacino idrico del Matanza-Riachuelo come entità metafisica4 da preservare. A maggior tutela ambientale è stata istituita la Autoridad de Cuenca Matanza Riachuelo che ha predisposto una serie di misure volte al risanamento, alla rettifica del corso delle acque e al consolidamento dei margini, sui quali grava pure il peso delle costruzioni spontanee di Villa 21-24, probabilmente destinate a un prossimo sfollamento. Le vicende storiche più recenti di Lima narrano un processo evolutivo sviluppato sul doppio binario formale/informale. Quando le esigenze abitative della popolazione diventano insostenibili per la pianificazione dall’alto, la risposta al bisogno di casa è data direttamente dai suoi utenti finali, mediante occupazione di siti periferici e autocostruzione di soluzioni prov3 Si definiscono manzanas gli isolati, anche se non presentano una tipica forma regolare e riconoscibile. 4 Cfr. J. Fernández Castro, El Proyecto Inclusivo en la Villa 21-24, “Revista Hábitat Inclusivo”, 2, 2013.
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Assetto attuale e divisioni interne, Villa 21-24 (© D.C. Lefosse).
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processi di insediamento informale
Processo evolutivo (19482015), Villa 21-24 (© D.C. Lefosse).
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visorie o stabili in momenti alterni. Il problema della casa è funzione di dinamiche territoriali e transizioni continue, così si cercano soluzioni sperimentali in cui conciliare intenti politici e necessità popolari. È quanto accade nel laboratorio sperimentale di Huaycán, un caso rilevante non solo come processo urbano – nato sotto un segno formale e poi degenerato in uno spontaneo –, ma anche come occasione partecipata nell’ottica di un progetto integrato.
Insediamento sul meandro del Rio MatanzaRiachuelo, Villa 21-24 (© Dario Alpern/Wikimedia Commons).
L’aggregato urbano insiste direttamente sul margine naturale del fiume Riachuelo, privo di un argine definito, Villa 21-24 (© Dario Alpern/Wikimedia Commons).
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processi di insediamento informale
L’area residenziale di Huaycán si sviluppa lungo il “Cono Este” nella periferia limeña, entro una gola desertica oltre la valle del Rimac. Il rapporto con il territorio rivela già nelle origini del nome5 la difficoltà di abitare una zona arida e rocciosa, eppure le pratiche di occupazione spontanea dal primo insediamento ancora si perpetuano, arrivando a contare oggi 200.0006 abitanti, in prevalenza originari del Perù (Ande e Sierra). Con i suoi 5767 ettari di superficie la gola desertica di Huaycán suggerisce comportamenti insediativi e dinamiche morfologiche differenti anche nel suo interno. Spostandosi dalla valle del rio Rimac si riscontra una certa congestione spaziale lungo il corridoio ecologico dei campi irrigati, che si perde in progressione verso le zone a valle più lontane e secche, ancor più trovandosi sulle linee di costa dei monti, dove la maglia urbana e la densità si dirada fino a disperdersi in soluzioni puntiformi. È il caso delle viviendas en laderas, la più recente manifestazione di informalità che contraddistingue la crescita attuale di quest’area e dell’intero suburbio di Lima. L’origine storica del comparto risale solo alla metà degli anni ’80. Era un momento di ondate migratorie massicce che configuravano la periferia limeña sotto forme organizzate di associazioni vicinali, ma già dagli anni ’70 il distretto era interessato dal fenomeno degli Asentamientos Humanos8. La presenza in situ di ben 18 gruppi familiari era molto forte e prima di ricorrere al consueto atto forzoso si tentò la via della mediazione. Dopo una serie di trattative, furono loro concesse le terre di Huaycán nell’intesa di regolamentarle attraverso un progetto partecipato tra tecnici statali e occupanti; così prese forma il Proyecto Especial Huaycán (PEH), poi inserito in un più ampio programma di sviluppo metropolitano. L’intenzione dell’ente pubblico era di adeguare gli 5 Huaycán deriva da “huayco”, termine in lingua indigena quechua, che significa “scivolamento”, a ricordo delle frequenti pioggerelle che dilavano i terreni. Cfr. X. Ricou, Huaycán. Una experiencia de habilitacion urbana, “Boletin lnstitucional del lnstituto francés de Estudios Andinos”, 1, 1988. 6 Cfr. UCL Centre for Advanced Spatial Analysis, The Bartlett Development Planning Unit, Transformative Planning for Environmental Justice in Lima, Michael Walls and Christopher Yap, London 2013. 7 Senza contare i 1.332 ha di terreni lungo i pendii degli altipiani (cerros). In questa sede si prende in esame un comparto pari a circa 110 ha (Zone H, K, L, M, S, T), per uniformità dimensionale con gli altri casi di studio. 8 Ovvero Insediamenti Umani (AA.HH.), una terminologia recente per indicare insediamenti spontanei strutturati su corporazioni vicinali popolose e coese tra gente di uguale provenienza.
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67 Huaycán, periferia del Cono Este, Lima (© D.C. Lefosse/Google Earth).
strumenti della pianificazione urbana a quella che era stata l’espressione spontanea di espansione delle città peruviane, durante gli ultimi quarant’anni. Non era il primo tentativo di controllo da parte dell’amministrazione9, ma questa volta si basava su un sistema modulare che avrebbe garantito uno sviluppo ordinato e progressivo nel tempo, partendo dalla sistemazione di 120.000 persone. Il 15 luglio 1984 si ricorda come la data in cui 4.500 famiglie dell’immediato intorno realizzarono un’occupazione pacifica “con giubilo, portando nelle braccia stuoie, pali, cartoni, tra il freddo della notte e l’intenso caldo del giorno, tra la polvere, le pietre e il vento”10. Si individua nell’Unidad Comunal de Vivienda (UCV) l’elemento ordinatore del disegno urbanistico e dell’organizzazione sociale. Su questa logica si sono composte le zone del distretto, divise in UCV di 60 lotti ciascuna disposti su una superficie totale di un ettaro. L’organizzazione dello spazio urbano rimane vincolata alla tradizione della cuadricula, una matrice semplice di tracciati rettilinei che incorniciano isolati regolari, già predisposti ad accogliere le future reti infrastrutturali. Pur rispettando un impianto spaziale indotto, la popolazione rivendicava 9 Altrove la municipalità aveva iniziato la regolamentazione delle barriadas già costituite o imposto prescrizioni di struttura del suolo al momento dell’invasione (Ciudad de Dios). 10 Cfr. F. Caso Vega, Sentimientos de mi pueblo de Huaycán, Adelh, Lima 2015.
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processi di insediamento informale
Area di studio parziale, assetto attuale e divisioni interne, Huaycán (© D.C. Lefosse).
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Processo evolutivo (19842015), Huaycán (© D.C. Lefosse).
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la sua autonomia e nel 1987 si costituì la Comunidad Urbana Autogestionaria, ancora vigente come entità politica ed economica indipendente. Nel nuovo regime di autonomia la gestione relativa alle successive fasi di sviluppo dell’insediamento rimane appannaggio della popolazione. Solo i primi comparti nella parte più bassa vengono realizzati secondo le previsioni, mentre le espansioni limitrofe mostrano quanto il processo informale fosse stato a lungo metabolizzato, tanto da alternare forme regolari in matrici atipiche. Gli anni ’90 segnano l’inizio di una decade di instabilità politiche e guerre civili, migrazioni e occupazioni continue, e così il PEH degenera in un’urbanizzazione incontrollata. Nelle poche zone in piano rimaste, e soprattutto lungo le pendici delle alture, su una topografia accidentata di quote con pendenze anche superiori al 40%, si collocano come tessuto disperso baracche e casette in legno, primo e provvisorio stadio dell’occupazione. Attualmente la metà del distretto si presenta nel segno dell’informale. Mentre la maggior parte delle zone soffre assenza o penuria di servizi essenziali e infrastrutture, la vita sui terreni aridi delle Ande si affronta con soluzioni abitative incapaci di fronteggiare gli alti rischi cui rimangono esposti gli insediamenti (acque e terreni contaminati, frane, smottamenti, dilavamenti, incendi e sismi). Nonostante tali condizioni di miseria e precarietà, l’esperienza di Huaycán segna una nuova tappa nell’urbanistica popolare e nell’inclusione urbana: un progetto pilota non solo per Lima e il Perù11. Nel processo di trasformazione sociale, economica e culturale che ha convertito Caracas da città semi-feudale a metropoli capitalista, il caso del quartiere San Agustín Del Sur si rivela interessante poiché in esso riverberano le stesse logiche evolutive che coinvolgono a scala maggiore l’intera città, nelle sue diversità ambientali e costruttive, ma soprattutto culturali. La segregazione socioeconomica che divide la classe benestante dai meno abbienti si realizza nello spazio ristretto di un barrio sviluppato su circa 110 ettari tra valle e versanti dei cerros limitrofi. Questa distinzione tra parti avverse è ancora leggibile nell’accostamento di tessuti urbani diversi. Le logiche formali della pianificazione coloniale e modernista si contrappongono alle regole non scritte dei ranchos popolari, che costituiscono il peso demografico maggiore in tutto il quartiere. Un valore in continua crescita, data la 11
Cfr. X. Ricou, Huaycán. Una experiencia de habilitacion urbana cit.
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3. informale a confronto
71 Zona A, Huaycán (© Sharif Kahatt/ Padiglione del Perù, XIV Biennale di Venezia).
Vivienda en laderas, Zona Z, Huyacán (© Fabrizio Garattoni/ Fondazione Solidarietà).
posizione favorita rispetto al centro città: San Agustín del Sur si colloca a sud dell’asse storico e accentrante Av. Bolivar e diviso dal suo omonimo San Agustín del Norte dal passaggio dell’autopista del Este e dal letto del fiume. Oltre le aree urbanizzate a valle, il quartiere è occupato per la sua maggior estensione da barrios informali, che si conformano a un’orografia discontinua di pendii anche molto ripidi ma ricchi di vegetazione.
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processi di insediamento informale
La sua origine risale al 1915 con la comparsa dei primi congiunti urbani (in corrispondenza delle attuali Marín, La Charneca e Hornos de Cal), ma acquisisce un’identità autonoma urbana e religiosa solo a partire dal 1926, quando si affranca dalla Parroquia de Santa Rosalía. Allora l’area si presentava disseminata di aziende agricole (haciendas), mentre già sul finire del sec. XIX sui fianchi collinari comparivano le prime case12. Alle popolazioni che provenivano dalle Ande e dalle zone rurali più interne si aggiunsero in seguito ondate straniere europee e asiatiche. L’utopia di una vita migliore di quella nelle campagne e lo slancio economico che la capitale stava subendo grazie alle scoperte petrolifere, calamitavano migrazioni continue, con il risultato di un boom edilizio formale e non. Una sostanziale differenza distingue questo caso dai due precedenti. Se nella nozione di informalità sussiste l’irregolarità giuridica, ciò non si verifica in questa circostanza. La maggior parte delle terre originarie erano regolarmente soggette a transazioni economiche, acquistate sotto forma di parcelle dai due principali proprietari terrieri. Il compenso, piuttosto basso, veniva reso sotto forma monetaria o in prestazioni lavorative: si diffondevano in zona forni di laterizio e gli abitanti costruivano la casa per sé e i vicini, per riscattare la proprietà assunta. È per le modalità con cui il quartiere si compone nel tempo (senza urbanizzazioni ufficiali, regolamenti edilizi o zonizzazioni) che esso rientra a pieno titolo tra gli insediamenti informali, conformato com’è su autogestione e autocostruzione. Le prime particelle occupate erano quelle delle zone a valle e qui si concentra ancora oggi la maggior parte degli spazi adibiti alle attività economiche e culturali del barrio. Esaurita la disponibilità di suolo in piano, si procedeva lungo i versanti più ripidi, dove con sistemi rudimentali si costruivano basamenti pianeggianti su cui elevare una cellula abitativa transitoria, affiancata da un lembo di terra da coltivare. Progressivamente si consolidavano le unità costruttive e i comparti con stradine sterrate e scalettate, data l’elevata pendenza dei versanti. Negli anni ’50 compariva già la metà del quartiere e vent’anni dopo si contavano oltre 20.000 abitanti per metà titolari dei lotti su proprietà acquisite con prezzi decrescenti passando dalla valle ai rilievi. 12 Cfr. I. De Sola, Contribución al estudio de los Planos de Caracas, Ediciones del Comité de Obras Culturales del Cuatricentenario, Caracas 1967.
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3. informale a confronto
73 Barrio San Agustín del Sur, Caracas (© D.C. Lefosse/Google Earth).
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processi di insediamento informale
Assetto attuale e divisioni interne, San Agustín del Sur (© D.C. Lefosse).
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Processo evolutivo (19302016), San Agustín del Sur (© D.C. Lefosse).
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Con l’avvento della dittatura militare e con le politiche di sfratto si crea un clima di tensioni interne che da una parte rinsalda i rapporti vicinali, dall’altra degenera in manifestazioni e repressioni violente. Gli enti governativi assumono negli anni posizioni divergenti, adottando politiche ora di integrazione ora di indifferenza: è il caso delle grandi urbanizzazioni del Centro Simón Bolívar13, che prevedevano per l’intero settore di San Agustín un paradiso di cemento dalle soluzioni tipologiche intensive, affiancato da una riserva verde14, lì dove sorgevano gli insediamenti spontanei. Le amministrazioni più recenti sono orientate alla regolarizzazione delle zone abitate su versante, fornendo materiali e componenti edilizi per il sostentamento dei barrios e per il miglioramento delle condizioni di vita. In quest’ottica rientra la recente opera urbana del Metrocable, un progetto del team internazionale Urban-Think Tank volto a risolvere i collegamenti da e verso il barrio su quote differenti. Nonostante l’attivismo e il fervore culturale che rende vivo il quartiere più che negli altri casi a confronto, soprattutto per la mixité di origini che fin dagli inizi connota la forte identità popolare, la qualità della vita rimane piuttosto scarsa, a causa di povertà, mancanza di mezzi e di infrastrutture adeguate che favorirebbero una più concreta integrazione al tessuto urbano circostante. A ciò si deve aggiungere l’elevato rischio idrogeologico cui sono soggetti gli abitanti dei ranchos con le loro abitazioni precarie, incapaci di resistere a sismi, smottamenti e dilavamenti frequenti. Non solo per ragioni storiche, posizionali e urbanistiche, ma anche per le sue intrinseche contraddizioni San Agustín del Sur si conferma un caso esemplificativo di una metropoli complessa e oppositiva, quale è l’odierna Caracas. 3.2. Morfologia Dall’osservazione diretta e indiretta dei casi di studio emerge un assetto complesso, apparentemente inorganico e disarticolato, come un’aggregazione di forme simili, variamente squadrate, anEnte tecnico municipale preposto a pianificazione, costruzione e miglioramento della realtà urbana di Caracas. Dagli anni ’60 predispone piani di rinnovamento per il quartiere di San Agustín, in parte realizzati. 14 Secondo un’ordinanza del 1971, valida ancora oggi, l’ambito dei rilievi di San Agustín si considera formalmente Area Verde di 37,5 ha. 13
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3. informale a confronto
77 Metrocable, San Agustín del Sur (© U-TT).
Ranchos, San Agustín del Sur (© U-TT).
nesse l’una all’altra per addizioni sintopiche e diacroniche. Non è chiara l’idea di città sottesa a questi sistemi urbani, non perché non ci sia ma perché l’azione antropica spontanea è sostanza civile ereditata15, non tende a modelli, mediazioni o programmi predefiniti, ma è frutto di scelte individuali, che diventano in un secondo tempo un bene per tutti. 15
Cfr. G. Caniggia, G.L. Maffei, Lettura dell’edilizia di base cit.
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processi di insediamento informale
Per interpretare le logiche compositive di organismi urbani indipendenti dalla metropoli che li contiene nel core centrale o in periferia, la lettura dell’esistente diventa fondamentale atto critico anteriore e paritetico al pensiero progettuale. Riconoscere gerarchie e componenti della realtà attraverso il confronto di manifestazioni concrete, diverse al variare delle condizioni al contorno, consente di capire come il fenomeno informale si esprima per forme multiple, non per mancanza di forma. La lettura è scalare perché parte dall’ambiente naturale come primo vincolo all’azione antropica, segue le transizioni dell’uomo e i segni originari dei suoi tracciati, del suo insediamento, dalle prime forme costruite come mero atto di occupazione a quelle più stabili, in fase di consolidamento. Questa stessa lettura si fa operante16 nell’analisi dei caratteri specifici del territorio, dell’insediamento fatto di tessuti e tipi edilizi, espressioni di un preciso momento storico e spaziale. Il reale costruito palesa senza troppi orpelli le dinamiche compositive e il grado evolutivo dell’unità abitativa, aggregata in tessuti più complessi che svelano relazioni di congruenza tra l’ambiente edificato e i suoi abitanti. La città spontanea, ancor più di quella formale, è fatta di tessuti sociali prima che di tessuti edilizi tipici; è una struttura determinata da ruoli riconoscibili e regole precise capaci di conformare brani di città come organismi unitari. Per intendere queste logiche interne, si ricorre alla morfologia in quanto studio della forma costruita. Sebbene la morfologia indaghi un principio di forma, non si ricorre al confronto tra i tre casi per individuare il morfema più frequente, ma, dall’analisi dello stato attuale, si cerca di ricostruire il processo formativo che è morfologico e tipologico allo stesso tempo. Dalla casa alla città, l’insediamento prende forma rispettando la geografia territoriale, le necessità contingenti e familiari o eventuali preesistenze: primi vincoli a determinare localizzazione, disposizione e configurazione del tessuto informale. Come da teoria muratoriana, il processo tipico di qualsiasi insediamento spontaneo è esito del rapporto tra soggetto pensante e oggettività concreta del suolo. Oltre contesti e culture differenti l’approccio antropico rimane il medesimo e si sviluppa per tappe sequenziali nel tempo: scelta delle aree a maggior disponibilità (vuote e non qualificate) e rendimento (prossimità a fonti economiche e di sostentamento); tracciato delle percorrenze ed edificazione progressiva con differenti gradi di stabi16
Cfr. S. Muratori, Civiltà e territorio cit.
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3. informale a confronto
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lità. Il processo si realizza per fasi distinte, ma in ognuna si ritrova la stessa ratio compositiva: il tessuto si ottiene per costruzione di unità spaziali minime, ampliate, ripetute e affiancate secondo una legge inizialmente seriale. Quando i volumi si associano in articolazioni più complesse si stabiliscono legami di necessità tra gli elementi che, ancora riconoscibili, diventano parte di un unico organismo. È possibile attribuire una logica alla spontaneità di un insediamento, la quale diventa cangiante in base allo stadio evolutivo contingente. Organicità, unitarietà e coerenza interna sono qualità di cui Christopher Alexander denuncia la scomparsa dalla città contemporanea; esse sono proprie invece delle città storiche antecedenti alla cultura urbanistica moderna, in cui ogni atto costruttivo è in relazione al suo precedente. Nei suoi studi sperimentali tendenti alla ricomposizione dell’organicità mediante il disegno urbano, Alexander propone come regola fondamentale il processo in cui “ogni nuovo atto di costruzione ha soltanto un obbligo basilare: deve creare attorno a sé una struttura continua di insiemi”17. È quanto avviene nei casi in esame, dove si ritrova un senso di organicità sociale e spaziale molto forte e la complementarietà è garanzia di uno sviluppo unitario, talora più evidente che nella città formale, dove i satelliti urbani pianificati sono votati a frammentare la città. La conoscenza della gradualità dell’azione antropica permette di comprendere la realtà nelle sue componenti: architettonica ed edilizia, urbanistica, territoriale. Il processo formativo che determina i tre casi viene di seguito presentato partendo dal sistema territoriale, con le sue caratteristiche dissimili per latitudini e climi. Si passa quindi all’analisi del tessuto edilizio composto sulla base di due elementi ordinatori: il percorso e la cellula spaziale elementare, che si specializzano in funzioni e forme divenendo polarità e riferimenti utili per la comunità locale. La forma di un insediamento spontaneo dipende in prima istanza dalla morfologia territoriale: l’uomo si adatta alle diverse condizioni del terreno, piano o con vari gradi di acclività, che oppongono maggiore o minor resistenza allo stanziamento. Strade e luoghi costruiti o aperti sono debitori alla plastica dei rilievi: il modo in cui lo spazio abitato si struttura come organismo solidale al territorio varia in ogni singolo caso, a seconda dei rispettivi caratteri geografici emergono differenti fisicità urbane. 17 Cfr. C. Alexander, Una nuova teoria del disegno urbano, trad. a cura di A. Barresi, Gangemi, Roma 1997.
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processi di insediamento informale
Come per l’intera area di Buenos Aires, Villa 21-24 si colloca in una piana alluvionale che in mancanza di interventi di bonifica e drenaggio tende ad essere inondata, ancor più in assenza di sponde strutturali in corrispondenza del meandro del Riachuelo. Nonostante il territorio sia prevalentemente pianeggiante, al suo interno si riscontra una leggera variazione di pendenze18 che si fa più accentuata nel quadrante nord orientale, non a caso il primo ad essere occupato. Il luogo fisico ha influito sulle scelte posizionali e formali d’insediamento in misura maggiore a Lima e Caracas, dove l’orografia è assai più varia. Huayacán si dispone da fondovalle a versante, in un’occupazione progressiva di circa 30 anni. La valle del Rimac accoglie i primi insediamenti produttivi legati a un’economia agricola. Gli occupanti si stabiliscono nelle aree pianeggianti di poco più elevate e asciutte, per spingersi fino a occupare l’intera gola desertica in piano prima, su versante poi. L’andamento di crescita del sistema insediativo procede dalle zone più basse a minor resistenza all’uso antropico fino ai rilievi più inclinati su versante e lascia presumere che l’espansione futura seguirà le stesse direttive, raggiungendo forse le linee di crinale ancora inviolate. Simili dinamiche compositive riguardano anche il Barrio di San Agustín del Sur, dove l’acclività si fa tanto più accentuata data l’estensione più contenuta dell’area. Il suolo di San Agustín è circoscritto, così gli abitanti ricalcano la stessa percorrenza nelle occupazioni da valle a crinale ma, essendo le zone piane di superficie minima, in misura sproporzionata finiscono per disporsi proprio dove il terreno si fa meno accogliente. Procedendo con un ragionamento contrario, si possono ripercorrere le dinamiche di insediamento variabili anche su uno stesso sito, confrontando il rapporto tra forma dei tessuti e territorio. La relazione tra spazio costruito e ambiente naturale determina aggregazioni diverse. Tale corrispondenza è più chiara con la lettura del testo urbano per parti e in sezione altimetrica: porzioni insediate a stratigrafie differenti assumono forme sempre più irregolari da valle a versante. Nelle aree di fondovalle una composizione di geometrie rettificate si adegua a un terreno poco vincolato e con grande disponibilità in estensione (Huaycán), oppure si adatta ai reticoli contigui esistenti (San Agustín). Procedendo in altezza si passa a configurazioni più complesse: tessuti lineari di spezzate e curve ricalcano parallelamente le isoipse, come i 18
Si veda la sezione corrispondente, il profilo varia tra i 5 e i 12m s.l.m.
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3. informale a confronto
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Morfologia territoriale e disegno fondiario preesistente alla formazione dell’insediamento, Villa 21-24 (© D.C. Lefosse).
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processi di insediamento informale
Relazioni tra andamento del territorio e variazioni morfologiche, Villa 21-24 (© D.C. Lefosse).
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3. informale a confronto
83 Processo di insediamento per fasi, Villa 21-24 (© D.C. Lefosse).
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Morfologia territoriale e traiettorie d’insediamento, Huayacán (© D.C. Lefosse).
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3. informale a confronto
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Relazioni tra andamento del territorio e variazioni morfologiche, Huayacán (© D.C. Lefosse).
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Processo di insediamento per fasi, Huaycán (© D.C. Lefosse).
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3. informale a confronto
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Morfologia territoriale e traiettorie d’insediamento, San Agustín del Sur (© D.C. Lefosse).
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Relazioni tra andamento del territorio e variazioni morfologiche, San Agustín del Sur (© D.C. Lefosse).
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Processo di insediamento per fasi, San Agustín del Sur (© D.C. Lefosse).
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primi percorsi tracciati. Le forme più compatte a valle diradano in altitudine in composizioni disperse di piccole abitazioni riunite in cluster o disseminate nel paesaggio naturale. Una situazione anomala si registra anche a Buenos Aires, dove prevale un assetto pianeggiante privo di vincoli geografici, per cui ci si aspetterebbe una coerente prosecuzione del reticolo che contraddistingue l’immediato intorno, eppure la morfologia è tipicamente irregolare perché in qualsiasi territorio persistono impronte di usi passati, tracce che agiscono come condizionamenti o possibilità di quanto si viene a realizzare sopra19. Le geometrie del tessuto urbano, tanto dissimili dalla cuadricula, rappresentano proprio il segno distintivo che affranca le villas dal resto della città. Le dinamiche di crescita proprie di un insediamento spontaneo prevedono uno sviluppo graduale e continuo, disomogeneo e parziale. La città informale può crescere con varie modalità: secondo una sequenza policentrica, in direzioni divergenti che ramificandosi finiscono per convergere nello stesso punto; come espansione progressiva di un’area consolidata seguendone tracciati e orientamenti; può disperdersi in uno spazio inviolato e naturale, privo di riferimenti se non l’andamento del terreno. Nella maggior parte dei casi questi stessi modi si manifestano come processo sintopico e diacronico: è quanto avviene in ognuno dei casi in oggetto. Consideriamo come l’impianto insediativo si sia formato strutturandosi per parti adeguate alle diverse geografie naturali, prima sotto forma di percorso quindi di aggregato e tessuto. Scomponendo la configurazione attuale è possibile rintracciare le fasi del processo formativo20, individuare gerarchie tra segni, tracciati e ambiente costruito. La lettura del tessuto di queste parti di città è stata condotta riconoscendo la differenziazione formale e funzionale dei percorsi, che condizionano l’orditura degli aggregati e l’orientamento delle unità edilizie, giustapposte su lotti rettangolari o quadrangolari, affacciati su uno stesso percorso. Quest’ultimo, che rappresenta l’elemento ordinatore di tutto l’insediamento, può essere rettilineo, mistilineo o curvilineo in funzione dei vincoli naturali, delle preesistenze riscontrabili sul territorio o delle fasi iniziali di occupazione. Cfr. Intervista al Prof. J. Fernández Castro, in Appendice. Si ricorre alla metodologia proposta da Caniggia per la lettura e l’interpretazione di un tessuto edilizio, strutturato sul sistema delle percorrenze e sulla variazione tipologica. Cfr. G. Caniggia, G.L. Maffei, Lettura dell’edilizia di base cit. 19 20
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Percorsi d’insediamento, Villa 21-24 (© D.C. Lefosse).
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Formazione dei tessuti edilizi, Villa 21-24 (© D.C. Lefosse).
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Villa 21-24 presenta come unico vincolo geografico il profilo sinusoidale del fiume che marca il limite di espansione verso sud. È stato individuato un primo percorso matrice dell’insediamento lungo l’asse est che divide l’area dalla zona industriale limitrofa. La vicinanza all’ambito produttivo è la prima delle ragioni che giustifica l’occupazione di un’area sfavorita dalle possibili esondazioni, ma strategica per la posizione interna al centro città. Il primo aggregato di alloggi di fortuna trova collocazione su un asse già urbanizzato e rettilineo in una porzione, come visto, di poco elevata, tale da non subire inondazioni. Altri due assi strutturanti l’insediamento sono rispettivamente il percorso parallelo al primo, che delimita il confine opposto (occidentale) dell’area, e il tracciato ferroviario, orientato come i due precedenti divide longitudinalemente l’area segnandone il centro. L’aggregato di abitazioni è spesso costituito da lotti lunghi e stretti, come da tradizionale formazione delle quadras bonaerensi, formati da angostos, lotto fronte-retro disposto ortogonalmente al percorso matrice su cui giace il lato più corto. La ripetizione di questa forma determina aggregati filiformi divenuti divenuti tessuti tipici, noti come tiras o tallarines21. Nella seconda fase di formazione si procede internamente tracciando percorsi d’impianto ortogonali alla matrice che in parte confermano il disegno fondiario già presente all’atto dell’occupazione, riproponendolo poi nei tracciati di collegamento. Per successive fasi d’intasamento e densificazione gli aggregati lineari rigirano nei percorsi interni richiudendosi in isolati variamente irregolari, attraversati in ultima istanza da percorsi di ristrutturazione, che diagonalmente impongono al tessuto nuove giaciture. Secondo quest’ordine i comparti interni costituitisi sul primo percorso matrice sono le aree 21 e 24, che di fatto hanno dato nome all’intero insediamento. Villa 21-24 è stata oggetto di politiche di erradicación, motivo per cui la crescita non ha seguito un andamento costante. Una traccia ancora visibile di quegli anni sono le 13 tiras del Nucleo Zavaleta, sorte come soluzione temporanea per opera dello Stato, oggi tessuti caratteristici di questa villa. Tra morfemi lineari o conclusi in se stessi spicca Cfr. AA.VV., El hábitat de la pobreza. Configuración y manifestaciones, Presidencia de la Nación Argentina, Comisión de Tierras Fiscales Nacionales, Programa Arraigo; Universidad de Buenos Aires, Facultad de Arquitectura, Diseño y Urbanismo, Secretaría de Investigaciones en Ciencia y Técnica, Laboratorio de Morfología, Buenos Aires 1996. 21
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Percorsi d’insediamento, Huaycán (© D.C. Lefosse).
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Formazione dei tessuti edilizi, Huaycán (© D.C. Lefosse).
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il Barrio El Ceibo. Si tratta di un intervento di urbanizzazione partecipata prevista dallo Stato sul finire degli anni ’90, predisposto nell’ambito di un più generale progetto di integrazione urbana delle villas miserias22. Nella fattispecie è chiara la definizione dei percorsi d’impianto e di collegamento su cui si dispongono ancora in filari i lotti lunghi e stretti delle unità abitative individuali o condivise, oggi ancora in fase di consolidamento perché realizzate per autocostruzione dagli stessi abitanti, in piena conformità – per modi e tempi – all’habitat circostante. Mentre il caso di Villa 21-24 vanta una certa uniformità di linguaggi e morfemi urbani, dalla lettura di Huaycán emerge una maggiore varietà di situazioni morfologiche, dovute tanto all’adattamento a un sito cangiante per quote differenti, quanto al processo di formazione o stabilizzazione in atto, nel singolo lotto come in interi isolati. L’area individuata, per quanto parziale rispetto all’intera Comunità Autogestita di Huaycán, fornisce dati sufficienti per rappresentare le due condizioni di insediamento prevalenti. Pur sviluppato entro una gola desertica, il comparto in esame si posiziona nelle zone più alte ancora pianeggianti, i cui occupanti dimostrano di sfruttarne l’orizzontamento attingendo a configurazioni spaziali regolari, impostate su tracciati ortogonali. Tale matrice compositiva non è solo un retaggio del modello urbanistico storico o un vantaggio in funzione di una regolamentazione futura, ma è esito di un processo culturale e tipologico: “a Lima la casa basica è un recinto”23, da cui si ottengono isolati chiusi e squadrati, che non negano i rapporti sociali di mutua azione, ormai cementati in una società autogestita dagli esordi. Il processo formativo è chiaro a partire dell’asse centrale strutturante, unico a essere pavimentato, che corrisponde alla percorrenza più importante, mentre il restante sistema viario rimane un tracciato sterrato sul deserto. Su questo percorso matrice si attestano ortogonalmente i vari percorsi d’impianto e collegamento. Il tessuto si conforma, come a Buenos Aires, su lotti rettangolari disposti sul fronte più corto. Accostando fronte e retro, medianeras a medianeras24, si ottiene un isolato compatto. Rispetto agli insediamenti in piano sono più recenti le so22 Programma di trasformazione delle villas, conforme alla legge d’integrazione del 1998, L. 148. 23 Cfr. AA.VV., Casas de infinitas privaciones. ¿Germen de ciudades para todos?, Ediciones Abya–Yala, Quito 2014. 24 Fronte laterale del lotto che nell’edificato rimane per lo più cieco, per adeguamento a logiche aggregative seriali sul fianco.
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Percorsi d’insediamento, San Agustín Del Sur (© D.C. Lefosse).
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Formazione dei tessuti edilizi, San Agustín del Sur (© D.C. Lefosse).
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luzioni abitative su versante, viviendas en ladera, eppure, rileggendone parti in dettaglio, anche qui si ritrova la stessa logica compositiva. I percorsi al piè dei monti seguono parallelamente le isoipse e rappresentano le matrici di un sistema che si sviluppa in verticale, con percorsi d’impianto scalettati e rocciosi, in corrispondenza delle linee di massima pendenza. A partire da essi si strutturano percorsi di collegamento o nuove matrici d’impianto, parimenti conformi ai profili curvilinei ma in quota. Le abitazioni, data la pendenza e la poca profondità disponibile, tendono a disporsi, però, con il lato lungo parallelo al percorso, mentre l’ingresso rimane defilato verso l’ambitus laterale. Rispetto ai casi precedenti, San Agustín del Sur presenta alcuni aspetti affini, ma anche una propria identità formale. A proposito dei ranchos di Caracas si parla spesso di processo tipologico ma non frequentemente di morfologia come forma di città, perché è difficile leggere una gerarchia di spazi aperti e costruiti laddove il territorio è un unicum coeso di uomo e natura o perché proprio la sua morfologia di casette arroccate, tanto divergente dalla città convenzionale, diventa indicatore socio-economico e necessita ancora di riconoscibilità e accreditamento. Eppure, seguendo lo stesso ragionamento, è possibile risalire al processo formativo: leggendo e destrutturando il tessuto urbano in tre tipologie di insediamento da valle a cerros perché tre sono le possibili situazioni geografiche che l’uomo deve adeguare a suo favore. A fondovalle il complesso pianificato dal Banco Obrero pensato per la classe operaia comanda tutto lo sviluppo dell’intorno piano, perpetuando sin dove possibile un principio rigoroso di compattezza e regolarità. Il tessuto si compone di blocchi paralleli ripetuti in serie nei pasaje d’impianto che incrociano ortogonalmente il percorso matrice; a valle, esso si densifica e si specializza pur non alterando il basso profilo originario. Salendo verso i piedi dei monti la sezione territoriale si eleva con pendenza costante e definisce nuove matrici che conducono verso l’interno su percorsi non più regolari, i quali si biforcano in nuovi impianti variamente inclinati, su cui ancora il tessuto di singoli lotti si dispone secondo un prevalente senso longitudinale. Infine, lungo i versanti compaiono gli insediamenti meno consolidati, dove si perde la traccia dei percorsi precedenti, non più veicolari e di facile accessibilità; ne rimane solo un corrispondente pedonale, una scala spesso ir-
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regolare anche nei rapporti tra alzata e pedata25. Come a Lima, lungo altimetrie complanari compaiono percorsi sterrati paralleli alle curve di livello, rispetto ai quali in base alla profondità a disposizione si pongono le abitazioni ora in parallelo ora in testata. Su tracciati pressoché curvilinei si compongono aggregati a prevalente sviluppo lineare e corpo singolo, strisce di tessuto edilizio, denominate tiras come a Buenos Aires. La risultante è una morfologia eterogenea e discontinua per il profilo territoriale e per i diversi gradi di evoluzione dell’unità abitativa, che qui si possono riscontrare anche nello stesso ambito di versante. Tra riflessioni scritte e graficizzate si confuta la posizione di chi associa agli insediamenti informali la fine della città, fatta di tessuti, piazze e strade, laddove “l’unica regola sicuramente rispettata è la legge della rendita”26. Non c’è un progetto di casa né di città, perché il codice non codice di un insediamento spontaneo non prevede lo spazio pubblico, specie a Buenos Aires o a Caracas, dove la disponibilità di spazi liberi è minima e occorre sfruttare ogni metro quadrato libero, anche nelle condizioni naturali più sfavorevoli, rendendo la densità abitativa più elevata. Se un insediamento spontaneo nasce per dare risposta concreta al bisogno primario di casa, lo spazio pubblico, di interesse secondario, può essere sacrificato o ridotto ai minimi termini. L’assenza di spazi pubblici convenzionalmente intesi è una caratteristica comune a tutte le occasioni urbane nate nel segno dell’autonomia, ma ne è allo stesso tempo la più vivida delle contraddizioni. Se queste altre forme di città si sostanziano e sostengono su relazioni di reciproca necessità tra abitanti che costruiscono socialità prima di comporre spazi urbani, come può la stessa comunità non esigere spazi in cui ritrovarsi e riconoscersi? Proprio dove il senso di civitas è più forte rispetto alla città formale, possono mancare i luoghi che rappresentano le associazioni vicinali? La morfologia si affida a percorsi, tessuti e polarità per interpretare i fenomeni urbani. Dopo aver individuato percorsi e relative gerarchie, i tessuti che da essi derivano tendono a specializzarsi e polarizzarsi col tempo. Come in qualsiasi altra forma di città, è possibile riconoscere negli insediamenti informali gli stessi costituenti, solo in dimensioni, forme e tempi di realizzazione differenti. 25 Cfr. T. Bolivar, Densificación de los barrios autoproducidos en la capital de Venezuela. Riesgos y vulnerabilidad, La Red, Caracas 1997. 26 Cfr. A. Clementi, F. Perego (a cura di), La metropoli spontanea. Il caso di Roma cit.
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In verità, gli abitanti informali, in quanto residenti già dei centri urbani o rurali da cui provengono, strutturano tracciati e lotti dei nuovi presidi pensando a modelli urbani vissuti: non rifiutano la città pianificata, ma tendono ad essa, ottimizzandone gli elementi su esigenze individuali o, al più, comunitarie. Dette componenti dello spazio pubblico non sono programmate, né strutturate con reti e servizi, ma si generano come risultanti di spazi interstiziali tra un alloggio e l’altro o come un loro raggruppamento, entro un processo che oggi li contempla come spazi vuoti e domani li nega per un nuovo passaggio o un’altra casa. Così, in una città in progressione continua, anche gli spazi comuni diventano dinamici, contribuendo a determinare sistemi urbani instabili. Gli elementi afferenti all’ambito pubblico si possono individuare in due categorie fondamentali: percorsi e polarità o riferimenti, concepiti come spazi aperti o costruiti. Come evidenziato dalle analisi precedenti, per necessità di collegamento o per intasamento nascono i pasaje o pasillos, sterrati in piano (Villa 21-24 e Huayacán) o scalettati in declivio
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Percorsi, spazi aperti e riferimenti, (da sinistra a destra): Villa 21-24, Huaycán e San Agustín del Sur. (Composizione grafica da fonti diverse). Villa 2124: a-b) © Adrián Escandar/Mundo Villas 162; e-h) (© D.C. Lefosse). Huaycán: c-f-i) © Fabrizio Garattoni/ Fondazione Solidarietà. San Agustín del Sur: d-g-l) Rauseo, 2012.
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(Huayacán e San Agustín del Sur). Essi evolvendo si stabilizzano e gerarchizzano. Ma il percorso, pur nascendo per collegare due punti, non assolve solo a funzione di percorrenza, bensì in questi casi coincide con il luogo per sostare. La strada costituisce senza soluzione di continuità il prosieguo naturale degli ambienti della casa, tanto ridotti da mancare a volte dei servizi minimi o da essere un’unica stanza monofamiliare e multifunzione. Si realizza spontaneamente il concetto di strada soggiorno27 proposto da Hertzberger, dove esprimere la socialità di un nucleo aperto e internamente coeso. Esso trova collocazione non tanto nei passaggi più angusti quanto nelle loro intersezioni, negli slarghi contenuti tra le abitazioni e nelle aree di pertinenza, dapprima inglobate nel recinto individuale, poi utilizzate come servitù di passaggio e spazio relazionale/condominiale nella fase di plurifamiliarizzazione. Come naturale tendenza urbana il tessuto, espandendosi in direzioni plurime, genera annodamenti e polarità, non tanto per ragioni posizionali, perché non collocate agli estremi di un percorso più o meno stabilizzato, ma perché divengono riferimenti per la comunità, che vive la città, grazie anche ai climi favorevoli, più all’aperto che al riparo di alloggi esigui. Gli spazi vuoti a maggior superficie vengono in genere occupati dalla cancha, campo da gioco che riquadra un perimetro vagamente definito a terra con tracciati a mano. Svolge al contempo la funzione di piazza e di parco, e nasce per celebrare il gioco del calcio, tanto connaturato alla cultura latinoamericana, ma all’occorrenza si converte in luogo di rappresentanza nei momenti di ritrovo e convivialità collettiva. Puntuali e diffusi, sia nel caso di Villa 21-24 sia di Huaycán, questi stessi riferimenti mancano invece nell’area di San Augustín d Sur. Qui le pendenze sono tali da non ospitare spazi simili per estensione, eppure ambiti vuoti da utilizzare a uso comune si riscontrano sporadicamente tra le curve di livello, così come a un uso simile sono dedicate strade e rispettivi incroci. Ugualmente incastrate nei rivoli del tessuto edilizio compaiono polarità come spazi costruiti, sorgono come sedi specialistiche, realizzate con le stesse dimensioni, strumenti e tecniche dell’abitato, occupano però più di una cellula elementare. Tali sedi ospitano presidi sanitari, mense comuni, centri culturali, servizi scolastici e di assistenza. Gli esercizi commerciali e le attività 27 Cfr. H. Hertzberger, M. Furnari (a cura di), Lezioni di architettura, Laterza, Roma-Bari 1996.
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di artigianato rientrano nei piani terra specializzati delle abitazioni, mentre ai luoghi di culto viene destinata una stanza poi ampliata in cappella e quindi in vera e propria chiesa. Espressione di una cultura pauperistica, celebra il ruolo chiave che da sempre la Chiesa e i sacerdoti hanno assunto in questi settori urbani ghettizzati, dove il senso del culto è ancora piuttosto vivo e rinsalda la comunità. La cultura pure riveste un ruolo importante, sia per preservare le tradizioni degli abitanti provenienti da paesi diversi sia come momento di aggregazione e sviluppo collettivo. Se nelle prime fasi a San Agustín del Sur i luoghi di incontro erano case private, spiazzi e strade, e tali sono ancora così nei versanti, a valle compaiono strutture specifiche, tra scuole e teatro. Nell’area di Huaycán, in fase iniziale di assegnazione dei lotti, la comunità decide quali ambiti destinare a specifiche funzioni pubbliche, che sovente corrispondono a costruzioni angolari negli isolati. Infine, a Villa 21-24, le polarità edificate più importanti, il centro culturale e le strutture educative di base, sono state realizzate solo in seguito grazie a interventi statali o di enti privati e con la collaborazione attiva degli abitanti locali. 3.3. Tipologia La morfologia urbana è esito di un processo tipologico. Se per tipo assumiamo la definizione muratoriana di sintesi a priori28, modello tipico astratto avente caratteri distributivi e formali costanti e riconoscibili, trattando di processo tipologico si intende “la successione nel tempo e nello spazio delle modificazioni avvenute nel tipo, nella progressiva differenziazione a partire da un tipo iniziale elementare, che può essere considerato all’origine del processo stesso”29. Come il tessuto è astrazione tipica dell’aggregato urbano, così il tipo è sintesi aprioristica dell’organismo edilizio. È nel tipo che si realizza l’organicità e l’unitarietà del processo urbano. L’edificio, perdendo di individualità, diventa espressione della civiltà che lo ha prodotto, ma è anche chiave per interpretare lo spazio a tutti i livelli. Esso, Cfr. S. Muratori, Civiltà e territorio cit. Cfr. G. Strappa, Unità dell’organismo architettonico: note sulla formazione e trasformazione dei caratteri degli edifici cit. 28 29
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infatti, si colloca alla scala intermedia tra materiali, elementi e strutture che lo compongono e la scala urbana e territoriale di cui è matrice spaziale di base. Analizzando un insediamento spontaneo è possibile cogliere nello stesso luogo, anche nello stesso comparto del tessuto urbano, varianti tipologiche sincroniche e diacroniche, che danno la misura effettiva della crescita progressiva familiare e comunitaria, del rispettivo grado di sviluppo culturale ed economico. In una città che si costruisce stanza su stanza e dove il grado di finitura è semplice o addirittura assente è più chiaro il processo compositivo che dall’occupazione di un terreno vacante tende all’aggregazione urbana. Il percorso è elemento ordinatore dell’insediamento come la cellula elementare struttura l’abitazione prima, il tessuto poi. Indagando ogni singolo caso, come nei più storici esempi di insediamenti spontanei, l’uomo fa corrispondere all’idea di riparo un tetto sopra la testa o un recinto: in entrambi i casi la formula spaziale autocosciente coincide con un vano a pianta quadrangolare30 di dimensioni minime, che troviamo inizialmente isolato, successivamente in forme congiunte e più complesse. Come da lezione caniggiana, “tutti i tipi edilizi hanno in comune una remota matrice, un tipo di base che seguita ancor oggi a condizionare l’edilizia”31. Anche nelle fasi di costruzione più evolute, attraverso le strutture murarie lasciate a vista, si coglie la logica compositiva dell’alloggio monoambiente, suddiviso, ripetuto o differenziato funzionalmente in base alle esigenze contingenti del nucleo familiare. Prima di entrare nel merito dei casi studio si individuano una serie di caratteri tipologici comuni a tutti. La prima considerazione riguarda il processo di formazione della tipologia edilizia. Le fasi possono essere più o meno dettagliate e variabili nel numero, ma sono sintetizzabili in quattro principali stadi evolutivi della cellula elementare e, dunque, dell’individuo edilizio: I FASE: Ad avvenuta occupazione dell’intero comparto destinato al nuovo insediamento e una volta divise le aree all’interno della comunità vicinale, il primo atto operato dal singolo gruppo familiare coincide con la toma (occupazione) del lotto assegnato, 30 Perché più facilmente aggregabile, anche se Gutiérrez riporta testimonianze di insediamenti informali in cui la soluzione abitativa iniziale è a pianta circolare. Cfr. R. Gutiérrez, Architettura e società: l’America Latina nel XX secolo cit. 31 Cfr. G. Caniggia, Strutture dello spazio antropico: studi e note cit.
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che può avvenire con un semplice tracciato a terra o con una recinzione vera e propria, bassa e muraria o realizzata con materiali di recupero, all’interno della quale si compone la prima cellula abitativa in forma transitoria. A seconda dei casi assume nomenclature differenti: a Buenos Aires si parla di casilla32, a Lima di choza33, a Caracas di rancho34. Si tratta di un primo ricovero realizzato come tenda o capanno composto con materiali di fortuna; viene collocato sul bordo e in corrispondenza del fronte stradale. Lo spazio costruito è dedicato al riposo, le restanti funzioni si svolgono all’aperto, al più su piani coperti, mentre i servizi sono collocati all’esterno in rudimentali latrine scostate dal nucleo abitativo. Un unico vano interrompe la continuità dell’involucro e segna l’accesso diretto su strada. Gli abitanti originari, di provenienza rurale, tendono a utilizzare il fondo a loro disposizione come piccolo orto, associandovi l’allevamento di uno o due capi di bestiame di piccola taglia; II FASE: L’abitazione inizialmente pensata come transitoria viene smantellata e attorno ad essa si costruisce una soluzione in materiali più stabili. Permane il tipo come cellula elementare, riprodotta e affiancata identicamente verso l’area interna del fondo o sul fronte stradale. In questa fase le cellule si specializzano per funzioni: quella più prossima alle servitù di passaggio è destinata alle attività commerciali, di piccolo artigianato o a servizi locali che garantiscono il sostentamento familiare; più defilato rimane l’ambiente monoaula in cui permane l’esclusivo uso abitativo. Le cellule possono essere separate o comunicanti, nella concezione tipica delle casa-bottega, ancora con prevalente sviluppo orizzontale. In questa fase di tabernizzazione quella che era solo una piccola abitazione precaria diventa una vivienda productiva35; III FASE: Con l’aumento dei componenti familiari, si moltiplica la necessità di nuovi spazi e con essa il numero di cellule da costruire. All’abitazione originaria si aggregano nuovi volumi in orizzontale fino a coprire gran parte del fondo, destinati a nuclei discendenti dal ceppo originario, a parenti prossimi oppure a sconosciuti, nell’idea di casa come bene immobile da affittare e non Cfr. AA.VV., El hábitat de la pobreza. Configuración y manifestaciones cit. Cfr. AA.VV., Casas de infinitas privaciones. ¿Germen de ciudades para todos? cit. 34 Cfr. N. Rauseo, La Gestión Comunitaria en la Autoproducción de su Hábitat: Los Barrios de San Agustín del Sur, “Ciudad y Sociedad”, 20, 2012. 35 Ovvero abitazione produttiva; così la definisce Saez Giraldez con riferimento a Lima. Cfr. AA.VV., Casas de infinitas privaciones. ¿Germen de ciudades para todos? cit. 32 33
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più solo come sede produttiva. Si stabilisce una gerarchia tra le parti. Il nuovo nucleo abitativo dipende da quello originario, per dimensione e posizione, e con esso condivide spazi serventi, ma nella maggior parte dei casi si colloca sul lato opposto, al limite della fascia interna del lotto. In questa fase di plurifamiliarizzazione non si registra variazione significativa rispetto al tipo già specializzato, rimanendo per lo più soluzione monopiano; IV FASE: Nell’ultimo stadio di formazione l’edificio si sviluppa soprattutto su asse verticale, per sovrapposizione di cellule elementari tendenzialmente monofamiliari e multifunzione. Lo spazio connettivo comune rimane prevalentemente all’aperto su fronte strada o interno al lotto. I nuovi spazi realizzati sono dedicati a famiglie allargate o ulteriori inquilini. A seguito di processi contemporanei di tabernizzazione e insulizzazione36 si assiste in questo caso all’evoluzione del tipo che tende ad assimilarsi alla tipologia a schiera o a corte. Come visto a proposito dei tessuti, la logica compositiva segue un principio seriale e lineare, le cellule singole o aggregate si affiancano ortogonalmente al percorso su cui si attestano e la loro variazione è vincolata all’orografia del sito. Spesso la sezione disassata dimostra come le singole cellule non si sovrappongano identicamente, ma estendano la rispettiva superficie utile fino a che il profilo inclinato del versante lo permette (vivienda abarcada). Eppure, la sezione in alzato diventa variabile anche nel caso di cellule isolate; ciò dipende dalla disponibilità areale per cui la dimensione in pianta al piano di campagna non sempre coincide con quella dei piani superiori. Si parla allora di tipologia a piramide inversa o contraria, particolarmente diffusa a Buenos Aires e Caracas, dove i lotti sono contenuti nelle dimensioni. La prevalenza tipologica rimane, dunque, quella del tipo elementare isolato e potenzialmente aggregabile. Gli accostamenti su lato lungo e cieco (medianeras) costituiscono il caso più frequente per ottimizzare gli spazi; si ottiene così l’evoluzione del tipo base in schiere. Come conferma Caniggia “l’addizione spontanea di unità abitative progressivamente accostatesi è preIn questi termini si esprime Caniggia per intendere rispettivamente: la specializzazione di cellule elementari in tabernae ad uso artigianale e/o commerciale (tabernizzazione); l’intasamento del lotto tramite aggregazione delle stesse metrici spaziali, prima sul piano orizzontale poi su quello verticale (insulizzazione o densificazione). Cfr. G. Caniggia, Strutture dello spazio antropico: studi e note cit. 36
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Processo tipologico, Villa 21-24. Varianti del tipo edilizio di base (A-C), con fasi di tabernizzazione e insulizzazione. Tipologie su progetto partecipato (D-E), Barrio El Ciebo (© D.C. Lefosse).
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Processo tipologico, Huaycán. Varianti del tipo edilizio di base (A-D), con fasi di tabernizzazione e insulizzazione (© D.C. Lefosse).
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Processo tipologico, San Agustín del Sur. Varianti del tipo edilizio di base (A-F), con fasi di tabernizzazione e insulizzazione (© D.C. Lefosse)..
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Riferimenti e simulazioni di crescita del tipo edilizio, Villa 2124, a-c) (© D.C. Lefosse); b) © Andres D’Elia/Clarín 03/07/2015.
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Riferimenti e simulazioni di crescita del tipo edilizio, Huaycán, d) Google Maps; e-f) © Fabrizio Garattoni/ Fondazione Solidarietà; g) (© D.C. Lefosse).
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Riferimenti e simulazioni di crescita del tipo edilizio, San Agustín del Sur, h) Brillembourg, 2005; i) Rauseo, 2012; l) (© D.C. Lefosse).
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rogativa della casa a schiera”37. Il riferimento a tale tipologia, più ricorrente nei casi di Villa 21-24 e di San Agustín del Sur, si giustifica per ragioni simili. L’indisponibilità di terre edificabili provoca una maggiore densità, a fronte di una domanda abitativa elevata e in costante aumento: sia a Buenos Aires sia a Caracas la scarsità di terre prossime al centro urbano obbliga a scelte tipologiche verticalizzate. Con la stessa logica in entrambi i casi si ricorre a lotti con impronta minima a terra, investendo su una maggiore resa in altezza. Inoltre, la prova più evidente si desume dall’analisi morfologica del tessuto che da essa deriva: gli aggregati di schiere tendono alla serialità, occupando isolati minori direzionati in forme oblunghe, proprio come si presentano tiras e viviendas en hilera38. In realtà sarebbe più corretto parlare in termini di protoschiere, perché trattasi di schiere atipiche non avendo pareti in comune; anzi le cellule sorgono e si mantengono autonome nelle loro componenti strutturali. Nel processo tipologico spontaneo non si esclude neppure l’attinenza al tipo a corte per chiari retaggi culturali. La casa con patio è stata imposta dagli spagnoli sotto forma di casa coloniale e nel tempo, anche per ragioni climatiche, si è confermata come il tipo edilizio più ricorrente. Nelle villas compaiono anche casi di questo genere che rievocano la tipologia porteña più tipica, la casa chorizo, ma forma e disposizione degli isolati – unitamente all’alta densità – la rendono l’opzione meno usitata39. Le primissime fasi di formazione dell’insediamento fanno riferimento pure a una tipologia con patio associata a soluzioni ancora transitorie. In seguito, però, quando il rancho viene sostituito da una tipologia più stabile, il patio scompare, sacrificato a favore di nuovi vani coperti. A Huaycán, invece, il riferimento tipologico alla casa a corte è del tutto chiaro, confermato non solo dalle fonti40, ma dall’analisi diretta di un tessuto ben diverso nel confronto con gli altri due casi. Si caratterizza per forme geometrizzate a bassa densità, poiché sorge su un deserto limitato solo dalla presenza dei cerros circostanti. Si compone “di isolati molto più grandi rigiranti su quattro fronti e direzionati in serie nella periferia”41: sembra proprio che Caniggia parli di Lima e dei suoi insediamenCfr. G. Caniggia, Strutture dello spazio antropico: studi e note cit. Ovvero strisce e casa in fila (o in linea). 39 Cfr. Intervista al Prof. J. Fernández Castro, in Appendice. 40 Cfr. AA.VV., Casas de infinitas privaciones. ¿Germen de ciudades para todos? cit. 41 Cfr. G. Caniggia, Strutture dello spazio antropico: studi e note cit. 37 38
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ti spontanei periferici, quando invece il riferimento esplicito è al tessuto comense. La corte nasce come ripartizione omogenea di un territorio da edificare; non si dimentichi, infatti, che proprio Huaycán sorgeva come insediamento semipianificato dai suoi stessi abitanti, i quali hanno assorbito le prescrizioni del progetto (PEH) previsto per quest’area, realizzato solo parzialmente. Esso prevedeva la divisione di ciascuna unità vicinale in lotti di dimensioni 10x20m, su cui realizzare una costruzione che occupasse solo il 60% dell’area: il riferimento alla casa a corte era allora inevitabile. Nei comparti costituitisi poi spontaneamente, non si riscontrano le stesse dimensioni, perché la cellula elementare si fa molto più contenuta, ma la sua naturale evoluzione tende a un recinto chiuso. Qui la stanza all’aperto rimane un elemento costante, anche in fase di specializzazione e plurifamiliarizzazione, al più perde la funzione produttiva iniziale e rimane solo un ambito connettivo scoperto per smistare le varie famiglie che abitano lo stesso lotto. Esaminati i vari casi, si propongono di seguito le varianti tipologiche che ripercorrono le fasi del processo formativo-costruttivo sopra evidenziate, a conferma che gli stessi tipi abitativi, elementari o evoluti, configurano la città informale come quella formale, perché è connaturato nella coscienza spontanea dell’uomo un tipo a priori di casa e di città. 3.4. Tecnologia Dopo aver analizzato gli insediamenti spontanei alla scala territoriale, urbana e architettonica, rispettivamente come organismi, tessuti e aggregati, si perviene alla scala inferiore, edilizia e costruttiva, composta da strutture, elementi e materiali, legati insieme da quelle relazioni di congruenza e necessità di cui ogni organismo è pervaso, qualunque sia il suo grado di definizione. Tale ragionamento deduttivo, dalla scala territoriale al dettaglio costruttivo, contraddice, però, quanto si verifica nella realtà informale, perché è proprio dal singolo componente e dal suo assemblaggio in un manufatto rudimentale che comincia la realizzazione della città spontanea. In questi contesti cambia il modo di pensare la città e la casa e con esso anche la tecnologia, che è semplice e povera perché ogni individuo edilizio è realizzato per autocostruzione, in base a mezzi e necessità proprie del relativo
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nucleo familiare. Il ricorso al termine “autocostruzione” richiede un più esplicito riferimento di senso. Una definizione sufficientemente generale da poter comprendere una serie di sotto-processi, realizzati o realizzabili, è quella suggerita da Ceragioli: “per autocostruzione si intende un processo edilizio in cui l’utente, in parte o in toto, è soggetto nelle diverse fasi del processo edilizio stesso, dalla fase di progettazione fino alla fase di gestione, passando attraverso costruzione, montaggio e manutenzione ordinaria e straordinaria”42. È importante sottolineare il ruolo principe dell’utente come “soggetto” attivo che interviene per tutto il processo edilizio, ma quasi mai da solo, perché la logica del mutuo soccorso si esplica a partire dalle necessità concrete della costruzione. Occorre, altresì, specificare che se Ceragioli fa riferimento anche a una fase progettuale, di fatto essa non sussiste nella città informale, perché gli utenti finali coincidono con progettisti ed esecutori. Questo genere di “architettura senza architetti” realizza in atto un’idea in potenza, una prefigurazione mentale retaggio di cultura spontanea ed esperienziale, legata al luogo di arrivo e/o di partenza43. L’autocostruzione è la prassi più utilizzata, non solo perché è l’unica possibilità percorribile, ma anche per la sua economicità ed efficacia, capace di rispondere con essenzialità al bisogno primario di una classe indigente. Per spiegare la realtà nel suo essere processuale, Muratori si esprime in termini di “cantiere aperto”44; ciò è ancora più valido nel caso degli insediamenti spontanei. Come per la morfologia e la tipologia, anche la tecnologia è esito e processo di un’evoluzione perenne. Le scelte tecnologiche dipendono dall’appartenenza geografica, dalla presenza e disponibilità di un certo materiale, dal livello socioeconomico e culturale della famiglia e dal portato civile, che, insieme all’esperienza, diventa la componente fondamentale di una coscienza costruttiva spontanea. Per spiegare come cambia progressivamente la tecnologia si può far riferimento a due principali momenti evolutivi: l’abitazione transitoria e l’abitazione stabile. L’abitazione transitoria è l’espressione più tipica della cultura locale, quella che maggiormente distingue i singoli casi di studio. Tuttavia, in questo Cfr. G. Ceragioli, N. Maritano Comoglio, Note introduttive alla tecnologia dell’architettura, CLUT, Torino 1985. 43 Le prime generazioni di abitanti informali, in tutti i casi in esame, sono di provenienza estera o rurale. 44 Cfr. S. Muratori, Civiltà e territorio cit. 42
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rimangono più assimilabili il caso di Villa 21-24 e di San Agustín del Sur. In essi la casa nel primissimo stadio coincide con una tenda o un capanno monoaula realizzato con materiali di recupero che godono di una certa rigidezza: legno, alluminio, plastica. Tessuti, lamine sottili e reti sono variamente impiegati per serrare i vani e le aperture, che rimangono in tutte le fasi poche nel numero ed esigue nelle dimensioni. Tra frontiere perimetrali e copertura non vi è grande differenza in termini di componenti e materiali. La pavimentazione non è prevista e corrisponde al piano di campagna battuto. Dal punto di vista strutturale prevale una cultura muraria, fatta di elementi continui, portanti e chiudenti. Soluzioni abitative transitorie si possono osservare ancora oggi, miste a fabbricati già consolidati e pluriplano: a Villa 21-24 si trovano in adiacenza al meandro del Riachuelo; a San Agustín del Sur compaiono tra i versanti naturali. Il caso di Huaycán si affranca dai precedenti per l’impiego diffuso di materiali naturali: legno e bambù, tipici delle fasce più interne del Perù, o terra cruda, propria di quelle centrali. Da essi derivano sistemi costruttivi, distinti a seconda del modo con cui vengono combinati tra loro gli stessi materiali. Si tratta di pannelli ottenuti con un intreccio di cannucciato, utilizzati direttamente (estera) o ricoperti di fango (quincha) per aumentarne le prestazioni meccaniche. I muri d’ambito possono essere realizzati con mattoni di argilla, sabbia e paglia (adobe), oppure si ottengono con blocchi simili in terra cruda irrigiditi al loro interno da canne o bambù (quincha). Questo genere di costruzioni è ancora visibile tra i versanti rocciosi delle viviendas en ladera. Nella successiva fase di stabilizzazione, l’abitazione necessita di una struttura duratura nel tempo, che coincide in tutti e tre i casi di studio. Stabile in termini materici, si traduce in mattoni e cemento armato. È la cultura costruttiva che contraddistingue la città formale, cui inevitabilmente si tende. Inoltre, gli abitanti informali costituiscono la manodopera che concretamente costruisce la città formale45; nei suoi cantieri acquisiscono le tecniche più evolute e le ripropongono negli insediamenti spontanei. 45 Era così agli inizi, quando la forza lavoro era richiamata dalle campagne per costruire le grandi metropoli. Ancora oggi la maggior parte degli abitanti informali è impiegata nel settore edile.
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La nuova costruzione si erge attorno o sopra la precedente, inizialmente a un solo piano, cresce poi in elevazione e allora occorrono ulteriori rinforzi, oppure viene completamente ricostruita con vere e proprie fondamenta in cemento armato: ciò si verifica in particolare a Caracas, dove bisogna contrastare l’accentuata acclività con un piano stabile. La struttura portante è pensata come telaio composto da elementi puntiformi e discontinui in cemento armato. I solai, concepiti allo stesso modo, sono piuttosto sottili. Le tamponature, con funzione chiudente ma non statica, sono realizzate in blocchi e mattoni forati di laterizio. La copertura può essere fatta di lamiere ondulate o corrisponde a un’ulteriore soletta. I collegamenti verticali sono ottenuti in opera quando in c.a., ma più probabilmente si tratta di componenti prefabbricati in metallo, recuperati o acquistati, come le serrature lignee o ferrose. Il grado di finitura è molto vario perché discende dalle possibilità economiche del nucleo familiare, quindi il rivestimento può essere del tutto mancante, minimo o ben definito (intonaco, tinteggiato o meno). Costruzioni del genere, con aggetti notevoli, componenti non opportunamente dimensionate, materiali di scarsa qualità, per quanto concepite come sistemi durevoli, espongono se stesse e i rispettivi abitanti a un elevato rischio strutturale oltre che ambientale, rendono le azioni di upgrading sull’edificato ancora più urgenti.
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Riferimenti e tecnologie costruttive, Villa 21-24, a) AA.VV., 2010; b-c-d) Bolivar, 1997.
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Riferimenti e tecnologie costruttive, San Agustín del Sur, i) AA.VV., 2014; l-m-n) Bolivar, 1997; o) Brillembourg, 2005.
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Riferimenti e tecnologie costruttive, Huaycán, e-f) © Fabrizio Garattoni/ Fondazione Solidarietà; g-h) Caso Vega, 2015;
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4. Processi in atto e trasformazioni future
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Caracas apocalipto (© Odart Graterolo/Designideas.pics)
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4.1. Processo inverso Analizzare insediamenti di carattere spontaneo come processi storici, geografici e socio-culturali è strumento utile per comprendere come i fenomeni urbani a tutte le scale, dal piccolo villaggio alla metropoli contemporanea, siano determinati dall’approccio mutevole che l’uomo naturalmente assume rispetto al territorio e ai suoi requisiti vocazionali. La città spontanea non è un sistema chiuso e indecifrabile, non è negazione o rifiuto assoluto della pianificazione, è un altro modo di fare città, a partire dalla casa o dalla cellula elementare come forma primigenia di riparo. Presenta una struttura chiara, un processo formativo leggibile e tipi edilizi evidenti, che non ne fanno un prodotto di fondi e case, quanto piuttosto un’espressione di fattori umani e fisici che modificano le regole d’uso e inducono a nuove tendenze. Per questo sul piano urbanistico l’informale può definirsi un processo inverso. Il modello di formazione e crescita urbana pianificata più consueto presuppone una sequenza regolata istituzionalmente. Essa contempla in un primo momento la predisposizione delle aree edificabili attraverso il frazionamento fondiario, quindi la fase di urbanizzazione che fornisce un sistema di reti e servizi di prima necessità, infine la fase di edificazione. Gli insediamenti spontanei, invece, nati per definizione sotto il segno dell’illegalità, sia essa dovuta alla titolarità irregolare o in deroga al piano, si caratterizzano per assenza di urbanizzazione nel momento in cui un’area viene invasa ed edificata. Pur con qualche sottile differenza tra i casi studio, questi sono accomunati da un analogo processo di formazione e crescita descritto in momenti consecutivi. Nella fase che precede l’invasione si costituisce il gruppo vicinale che si struttura internamente eleggendo un leader. Questi è responsabile di tutto il processo fino alla costruzione e stabilizzazione e viene affiancato da una giunta nella responsabili-
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tà delle scelte principali: dalla selezione dei terreni da invadere alla distribuzione dei fondi tra gli occupanti, come per tutte le regole da rispettare durante l’edificazione. Quando si tratta di terre pubbliche, compete al leader avviare la trattativa pacifica con le istituzioni1 per cercare di assicurarsi un appoggio politico, anche quando l’occupazione si verifica con modi forzosi. Una volta costituita la massa critica, predisposto il presidio, organizzati mezzi e modalità, si procede con l’occupazione vera e propria dell’area che si realizza generalmente di notte o in precedenza a un giorno festivo, quando le forze politiche si trovano in posizione passiva2. L’invasione coincide con la presa di possesso dell’area, delimitata con una perimetrazione unica o nei singoli presidi di ciascun nucleo familiare, che segnala la sua presenza con un tracciato a terra o un recinto più o meno stabile su cui sventola una bandierina nazionale. Dopo l’occupazione si avvia la fase di formazione e costruzione dell’insediamento. Quel che interessa sottolineare ora è la sequenza delle fasi relativamente alle modalità di regolamentazione e urbanizzazione. Da questo momento in poi si riconoscono una serie di tappe attraverso le quali, a distanza anche di decenni, si persegue il diritto alla città. Quando l’insediamento è in fase transitoria l’obiettivo principale diventa il riconoscimento posizionale per evitare lo sgombero ed è per questo motivo che le abitazioni hanno carattere precario. Ottenuto tale accreditamento si procede con la costruzione di strutture più stabili in materiali nobili. L’atto successivo coincide con la trattativa per il riconoscimento della titolarità del fondo, acquisita giuridicamente o di fatto, e di seguito avviene la lottizzazione legalizzata. In ultima istanza l’urbanizzazione si attua per collegamento e dotazione di infrastrutture e servizi pubblici, finora garantiti con allacci illegali alle aree urbane più vicine. Al di là della riflessione su tempi e modi che distinguono città formali e informali, spesso gli interventi di regolarizzazione e urbanizzazione a posteriori non forniscono la qualità urbana che caratterizza il resto della città, né garantiscono una integrazione paritaria ed effettiva3.
1 Come visto a Lima, per il caso di Huaycán, dove l’invasione delle aree libere individuate in periferia viene preventivamente accordata, dopo una lunga trattativa, con l’allora capo della municipalità, Barrantes. 2 Cfr. A.C. Battifora, Procedimientos típicos de la población desposeída para obtener o protegerse de vivienda, segun normas vigentes o al margen de estas experiencias, Federación Panamericana de Asociaciones de Arquitectos, Cusco 1987. 3 Cfr. Intervista al Dr. Pablo Vitale, in Appendice.
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Processi di urbanizzazione, formale e informale (© D.C. Lefosse).
4.2. Il progetto come strumento di conoscenza e trasformazione La lettura deve essere operante come il progetto. Dopo aver analizzato gli insediamenti spontanei tracciandone il percorso evolutivo nel dettaglio dei singoli casi, se ne valutano gli esiti attuali come processi di trasformazione urbana in atto e in divenire, da una lettura operante a un progetto operante. In tal senso l’intero subcontinente latino si organizza per rispondere ai suoi grandi problemi di abitazione e ambiente e si converte in un gigantesco laboratorio di partecipazione tra diversi ruoli sociali4. I risultati sono già visibili negli ultimi anni, dato un certo rallentamento del fenomeno grazie a politiche di investimento e a una più estesa regolamentazione. La dimensione progettuale assume nuovi significati quando calata in realtà informali, tanto problematiche quanto arroccate nei loro meccanismi consolidati. I fronti su cui agire si moltiplicano, ma generano allo stesso tempo un maggiore dinamismo di trasformazione in un habitat dalle potenzialità ed energie inespresse, che richiede supporto e incoraggiamento, non sradicamento5. In condizioni informali il progetto ha motivo solo se pensato come 4 Cfr. R. Gutiérrez, La otra arquitectura. Ciudad, vivienda y patrimonio, Conaculta, Barcelona 2000. 5 Cfr. F. Hernandez, P. Kellett, L. Knudsen Allen, Rethinking the Informal City: Critical Perspectives from Latin America cit.
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processo, il cui risultato non è determinato e univoco, ma cambia assecondando le necessità del luogo e dei suoi abitanti. Infine, un altro rinnovamento di senso si può ascrivere al progetto quando si carica, questo è il caso, di un più nobile valore educativo. Il progetto sovverte tempi e modi di creare socialità, allorché il rinnovamento spaziale innesca nuove dinamiche sociali e culturali, per realizzare quell’utilitas in grado di rigenerare l’immagine concreta della città insieme alla comunità. Gli interventi a più dimensioni e di vario tipo (ex novo, riqualificazione, recupero e riuso) sono finalizzati a integrare habitat urbani attualmente oppositivi, precari e non dignitosi per il genere umano. Il processo progettuale si realizza per volere e azione di molti attori: Stato, organizzazioni locali e internazionali, università, progettisti, utenti finali. Tutti partecipano, con ruoli e responsabilità distinte, al complesso iter di trasformazione degli insediamenti spontanei. I promotori più attivi sono gli enti di ricerca universitari e di volontariato che tentano di superare il gap cittadinanza/villeros. Una breve riflessione merita la figura dell’architetto, soprattutto in una realtà non autoriale: la comunità non rifiuta l’interesse degli addetti al mestiere, semplicemente li elide dal processo di autoproduzione per economie restrittive. Tuttavia, nel momento in cui si passa alla fase di rigenerazione dell’esistente, l’architetto assume un ruolo cruciale come garante dell’arte e della tecnica di tutti e per tutti. In funzione mediatica tra pubblico e privato deve accompagnare, orientare e assistere le varie fasi del processo progettuale. Le esperienze progettuali più interessanti possono essere valutate in base a diversi criteri. Una prima classificazione è riconducibile a provvedimenti dall’alto e dal basso. Nel primo gruppo rientrano le azioni governative top-down che prediligono l’aggiornamento on-site. In America Latina si parla di urbanizzazione per intendere legalizzazione giuridica e adeguamento urbanistico. In questa prospettiva si inquadrano i Programmi di Miglioramento dei Barrios realizzati mediante dotazione di infrastrutture e servizi di base, riqualificazione edilizia e regolamentazione dei titoli di proprietà. I buoni propositi di questi interventi falliscono quando rimangono incompiuti o non garantiscono gli stessi benefici di cui gode la cittadinanza formale. Le spinte più innovative, però, provengono da processi bottom-up avviati su iniziativa diretta degli abitanti. È il caso di Urbanxchanger, un programma sperimentale ideato e sostenuto dalla Deutsche Bank
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per rigenerare il paesaggio agricolo di San Paolo e risolvere la penuria di spazi verdi, infrastrutture e opportunità di lavoro. Analogamente a Città del Messico è stato reinterpretato a livello statale il problema del limite tra la città informale e il vulcano Miravalle riconfigurando il paesaggio come parco attrezzato. È possibile individuare una seconda categoria di processi progettuali, che assumono un carattere specifico a seconda della scala cui sono applicati. In ambito territoriale, un rinnovamento esemplare è stato realizzato a Rio de Janeiro e Medellín. Favela-Bairro inaugura a Rio una nuova generazione di progetti per la rigenerazione di slums6. Un programma integrato di interventi paradigmatico non solo per le favelas brasiliane, ma valido anche in altri contesti di miseria. La prima tappa coinvolgeva 14 comunità ed entusiasmò tanto l’opinione pubblica da invogliare il Banco Interamericano de Desarrollo al finanziamento della seconda fase, che interessava altre 73 favelas. L’originalità concettuale e metodologica del programma sta nel favorire nuovi approcci partecipati che attivino gli abitanti in tutto l’iter progettuale. Questo processo ha assegnato ai vari team aree specifiche da ripensare con azioni mirate volte a risolvere la proprietà dei suoli, a prevenire occupazioni future, a fornire infrastrutture tra servizi e nuovi alloggi, a ridurre il livello di povertà, criminalità e impatto
Riqualificazione strutturale e servizi sportivi, ante e post operam, Favela-Bairro, Rio de Janeiro, Brasile (Hernandez, 2010).
6 Cfr. F. Hernandez, P. Kellett, L. Knudsen Allen, Rethinking the Informal City: Critical Perspectives from Latin America cit.
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ambientale. Tra gli studi coinvolti, i risultati più interessanti provengono dai quattro settori riconfigurati dall’architetto argentino Jauregui, che, distribuendo semi di urbanità7, tenta di attrarre la città formale verso quella informale, riunite nel segno di nuovi simboli urbani. Agli stessi anni appartiene il PRIMED, ”Programa Integral de mejoramiento de barrios subnormales en Medellín”. È questo il primo segno di una significativa rinascita ideologica dell’architettura come strumento di rigenerazione urbana, in cui le comunità vicinali sono un punto di forza per l’attuazione dei Proyectos Urbanos Intregales. Si tratta di interventi su scala urbana che collegano vari settori informali tra loro con infrastrutture aeree, strutture culturali, sociali e sportive. L’intero volto della città cambia tanto da riconoscersi oggi attraverso queste nuove icone urbane. Il caso merita un ultimo riferimento positivo: la realizzazione di parchi urbani come progetti di recupero delle strutture idriche preesistenti8, risolvendo con un solo gesto il problema della sicurezza, dell’illuminazione e della copertura di acqua potabile in tutti i quartieri, oltre a modificare spazi e momenti per la socialità. I progetti di grande scala richiedono tempi lunghi per obiettivi complessi, ma è lodevole che l’attenzione si sposti dal progetto unidimensionale a quello plurivalente, in cui una certa sensibilità è rivolta alla scarsità delle risorse ambientali. A una scala intermedia tra urbano ed edilizio, si pongono le azioni così dette di agopuntura urbana9 che rappresentano la tendenza più praticata negli ultimi tempi tra le grandi metropoli latinoamericane e non solo. Uno dei contesti più attivi in questa direzione è Caracas, dove questi laboratori di sperimentazione discreta rinsaldano le dinamiche sociali, puntando a sanare le necessità più imminenti per ciascun gruppo vicinale. Laddove tra i ranchos uno dei problemi consueti è rappresentato dal sistema delle percorrenze, lo studio Arqui5 elabora per il barrio San Rafael Unido una nuova facciata urbana, in grado di stabilizzare il pendio offrendo sviluppo commerciale e servizi. Cfr. R. Gutiérrez, La otra arquitectura. Ciudad, vivienda y patrimonio cit. Cfr. G. De Francesco, Recupero di un ex-serbatoio dell’acqua a Medellín, Colombia, “L’industria delle costruzioni”, 461, 2018. 9 Terminologia introdotta da J. Lerner che, come sindaco di Curitiba (Brasile) e coadiuvato da M. Sola Morales, ha condotto per anni rigenerazioni urbane fondate su interventi puntuali in grado di migliorare la qualità di vita urbana. 7 8
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Serbatoi d’acqua come parchi pubblici, Medellín, Colombia. Progetto del Colectivo 720 (© Sergio Gómez/ De Francesco, 2018).
Barrio San Rafael Unido, La Vega, Caracas, Venezuela (Colegio de Arquitectos del Ecuador, 2004).
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Il limite dei processi a scala più ridotta è sia nella loro vocazione potenziale – per quanto semplici questi processi non si replicano con frequenza – sia nel rischio di diventare il palliativo di un cambiamento sostanziale mancato. Tenendo presente che la causa fondante di un insediamento spontaneo rimane ancora il deficit di offerta abitativa, l’architettura incrementale coincide con la strategia più adottata dai governi locali, sia perché appartiene alla cultura iberoamericana da oltre mezzo secolo sia perché consente di controllare le concrezioni informali, dotandole di una struttura urbana di base, una geometria semplice di strade e lotti come predisposizione per le urbanizzazioni future. Ciò non ha impedito, tuttavia, la deregolamentazione e la scarsa qualità degli insediamenti informali, su cui dal 1967 il CEVE10 sviluppa un programma di ricerca e sperimentazione per abitazioni sociali in Argentina. Esso si fonda su un modello residenziale aperto, con alloggi di uno o due ambienti e blocchi di servizio. Il Cile, pure, vanta una tradizione di architettura incrementale inaugurata con il Conjunto Andalucía da Fernando Castillo Velasco, oggi rivisitata in chiave contemporanea nei progetti residenziali di Aleja-
Quinta Monroy, Iquique, Cile (Aravena, 2012).
10 Il Centro Experimental de la Vivienda Económica (CEVE), composto da 27 tra tecnici e professionisti diretti da Horacio Beretta, fa capo al CONICET, organismo argentino per la promozione di scienza e tecnologia.
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ndro Aravena. La sua innovazione risulta dalla variante della tipologia a schiera pensata come palinsesto strutturale che fornisce blocchi di servizio e collegamenti verticali, da completare secondo risorse, tecnologie e gusti degli abitanti. Il vantaggio caratteristico dell’architettura incrementale giace nella stabilità costruttiva strategica, ma soprattutto nella flessibilità culturale di un’opera progressiva in piena continuità con la logica partecipativa degli insediamenti spontanei. Questa breve rassegna si conclude con una doverosa menzione alle proposte di trasformazione avanzate per i casi oggetto di studio. Non si tratta di processi già avviati, come in molti degli esempi precedenti, ma di utili punti di partenza per riflettere su quali processi di aggiornamento potrebbero innescarsi nelle aree ormai note. Per Villa 21-24 si guarda allo studio avviato dal Centro de Hábitat Inclusivo11 sull’intero comparto della Cuenca Matanza Riuchuelo. Alla macro scala territoriale, l’attenzione è rivolta al recupero del paesaggio per ridurne i rischi ambientali. Alla scala urbana l’inclusione è garantita da un asse centrale trattato a verde che induce verso un nuovo parco urbano. Opere di riqualificazione edilizia sono pensate per il tessuto esistente, ma la vera nota di merito della ricerca giunge dalla stima dei costi per la rigenerazione dell’intera area, pari alla metà di quelli necessari allo sgombero della stessa. Nell’ambito del PLAM3512 si colloca la proposta del team Gálvez, Muñoz e Rodríguez per Huaycán, rivolta a fronteggiare i quartieri informali en ladera. Le occupazioni su versante rappresentano le condizioni abitative più sfavorevoli tra le manifestazioni non formali, per la forte acclività che le espone ad alto rischio di frane e sismi. L’intenzione di progetto presuppone la riallocazione degli abitanti su versante aumentando la densità nelle aree piane e componendo nuove frontiere con tipologie intensive. A Caracas gli interventi di riqualificazione nei barrios de ranchos si moltiplicano. A San Agustín del Sur il progetto del Metrocable ha dato il via a un processo di trasformazione del barrio non ancora concluso. Con un probabile sguardo a Medellín, dove com11 Centro di ricerca nato in seno alla FADU_UBA. Un’équipe di docenti, ricercatori e studenti concorrono con le proprie esperienze e risorse alla formulazione di progetti per l’inclusione urbana. 12 Plan Metropolitano de Desarrollo Urbano de Lima-Callao, strumento tecnico di orientamento e garanzia di uno sviluppo urbano sostenibile per Lima nel prossimo futuro (2035).
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parivano già soluzioni analoghe, viene eletto un sistema funicolare per superare il dislivello naturale. Le stazioni a monte e a valle non fungono ancora da attrattori tematico-culturali come previsto, ma hanno scongiurato l’iniziativa statale di un piano per la mobilità pubblica che avrebbe sacrificato molte famiglie del barrio. 4.3. Proposte possibili Prevedere una città più inclusiva è possibile con un pensiero progettuale tanto audace da promuovere trasformazioni a lungo termine quanto pragmatico da risolvere problemi concreti in tempi brevi. Da questo principio comune parte la riflessione su un progetto possibile che sia rispettoso delle criticità locali ma altrettanto efficiente da potersi replicare in altre realtà informali. Se le città si caratterizzano per problemi contingenti, è anche vero che ognuna può apprendere qualcosa dall’altra. Indipendentemente dalla scala, il progetto è necessario e urgente per l’ambiente e la società: entrambi richiedono provvedimenti imminenti e sostenibili da tradurre in aggiornamenti tecnologici. La pertinenza di un intervento si misura non già nell’appartenere all’una o altra parte della città, ma nel fare della città una sola realtà urbana. Allo stesso modo ci saranno strumenti urbani, né formali né informali, da applicare per migliorare le condizioni di cittadinanza e abitabilità. Qualsiasi azione dovrà costituire un’opportunità positiva, un germe in grado di innescare cambiamenti virtuosi. L’unico progetto possibile è quello che modifica una preesistenza fisica senza intaccarne la struttura sociale, culturale e ambientale. Perché un progetto sia sostenuto e sostenibile in ambiente informale deve farsi processo, essere coerente con la realtà entro cui agisce, assorbirne logiche, modi e tempi, essere dinamico, progressivo e organico, indirizzare la crescita ma non determinarla in maniera univoca. Infine, per essere accolto dalla comunità, il progetto deve essere integrale e partecipato, esprimersi con un linguaggio dimesso, perché gli autori devono rimanere gli abitanti locali, agenti in tutte le fasi del processo: decisionali, costruttive e gestionali. Gli interventi pluriversi sono da auspicare in questi casi perché flessibili e multifunzione, cioè in grado di risolvere con un solo gesto più problematiche, soprattutto legate alla sicurezza. Focalizzando l’attenzione sui casi di studio si perviene a indicazioni di progetto urbano distinte su due livelli: si propongono
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interventi comuni e validi in tutti e tre i casi di studio (Villa 2124, Huaycán, San Agustín del Sur), quindi si suggeriscono per ciascuno di essi specifiche linee d’azione. A livello territoriale e paesaggistico sono necessarie azioni di ripristino degli equilibri ambientali stabilizzando i suoli esposti a cedimento con opere di contenimento e drenaggio, con terrazzamenti e modellazione dei pendii, ricomponendo ecosistemi vegetazionali che mantengano i terreni più coesi. Per contenere il rischio ecologico occorre liberare gli ambiti naturali più fragili, pensando per gli abitanti nuove soluzioni allocative. Alla scala urbana, la chiave più immediata per l’integrazione è data da infrastrutture e servizi in misura e qualità pari a una lottizzazione ex novo. Una sostanziale trasformazione dell’immagine della città deve iniziare con un progetto per lo spazio pubblico migliorando l’accessibilità e la connessione con l’intorno urbano. Ciò può realizzarsi sia con una maggiore definizione del sistema dei flussi sia con la collocazione di nuove centralità che ispirino identità e confronto. Gli spazi costruiti per la socialità devono diventare attrattori culturali per elevare il livello di istruzione, diffondere il sapere tecnico e generare microeconomie capaci di scongiurare occupazioni future. Alla scala edilizia gli interventi di recupero dell’esistente che si fanno più urgenti riguardano: consolidamento strutturale; adeguamento degli alloggi a condizioni standard di abitabilità e igiene; raccolta dei rifiuti condivisa per gruppi vicinali; dotazione di dispositivi passivi per la produzione di energia; finiture per aumentare prestazioni funzionali, comfort e qualità estetiche. Oltre queste indicazioni di carattere comune, si avanzano quelle operative adattate al singolo caso in esame. A Villa 21-24 la prima questione da fronteggiare riguarda le condizioni ambientali insostenibili in cui versa il meandro del Riachuelo. A tale scopo nelle aree più prossime alle sponde si ipotizza un parco naturale, volto alla ricomposizione degli ecosistemi originari, alla definizione dei margini, alla stabilizzazione dei terreni. Più che altrove si denotano già divisioni interne tra isolati, si tratta di sistematizzare i flussi per favorire una connessione più diretta con il resto della città attraverso la fornitura di reti, servizi e arredi, allargando e rettificando le sezioni stradali. La riqualificazione del tessuto esistente si può realizzare con l’inserzione di blocchi strutturali multipiano, lanterne urbane di irrigidimento che ospitano al piano terra servizi e ai piani più alti funzioni condominiali.
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Gli abitanti sacrificati da questi interventi vengono ricollocati nel tessuto industriale limitrofo, dove i volumi abbandonati possono convertirsi in strutture di controllo per tipologie incrementali a sviluppo interno. A Huaycán si prevede la stabilizzazione dei versanti con soluzioni di contenimento e terrazzamenti a verde. Ciò risolverebbe le condizioni critiche degli abitanti en ladera, riallocandoli in zone più basse dove è possibile aumentare la densità del costruito, ribaltando l’attuale logica di lottizzazione orizzontale in una verticale. Per prevenire le future migrazioni, si propende verso nuove strutture incrementali aperte, in legno e bambù tipici del luogo e più resistenti ai fenomeni sismici. Ma la trasformazione più significativa si attende con una rete integrata di infrastrutture, servizi e verde, al fine di articolare le percorrenze ancora abbozzate e di assegnare allo spazio a perdita d’occhio una dimensione più umana, definita dalle nuove centralità e da quinte edilizie più alte. A San Agustín del Sur, i rischi per l’ambiente possono affrontarsi con un contributo naturalistico. La prossimità al Jardín Botánico consente di porre i due paesaggi naturali in continuità ecologica. Tuttavia, considerando l’elevato rischio sismico cui sono esposti gli alloggi precari, si auspicano interventi di consolidamento sostanziali con infrastrutture ad hoc tanto sugli acclivi quanto sul tessuto urbano vallivo. Nonostante l’apporto positivo del Metrocable su lunghi tragitti, rimane il problema di accessi e collegamenti soprattutto su versante dove devono qualificarsi gli attuali passi sterrati per agevolare i mezzi speciali. Proprio lungo questa rete di percorsi si possono individuare occasioni spaziali pubbliche, polarità aperte e costruite, attrezzate per momenti ludici, sportivi, culturali o incubatori di economie locali. La questione abitativa viene concepita in modo duplice sia aumentando la densità nelle aree a valle con strutture incrementali aperte in c.a. e multipiano per conformità al paesaggio urbano circostante, sia reinterpretando la tradizione costruttiva e le tipologie più diffuse con tecnologie in muratura portante rinforzata in caso di sisma. Le strategie proposte non pretendono di essere esaurienti rispetto alla pluralità di scenari da fronteggiare. I progetti, quand’anche imperfetti, non compiuti o solo ipotizzati, possono, però, incentivare nuove idee e nuove pratiche.
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Tipologia abitativa incrementale, interpretazioni e applicazioni possibili, Villa 21-24.
Tipologia abitativa incrementale, interpretazioni e applicazioni possibili, Huaycán.
Tipologia abitativa incrementale, interpretazioni e applicazioni possibili, San Agustín Del Sur (© D.C. Lefosse).
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Conclusioni
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Il castello dei Pirenei (René Magritte, 1959, © 2021 The Israel Museum, Gerusalemme & © SIAE/ ADAGP, Roma/Paris. Tutti i diritti riservati. www.imj.org.il/en)
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Prima di trarre le conclusioni del lavoro fin qui esposto, occorre presentarne alcuni limiti. Come accennato in fase introduttiva, una ricerca di tale portata e ambizione implica uno studio più esaustivo sia per le tematiche in oggetto – dalle megalopoli contemporanee al singolo insediamento spontaneo – sia per l’individuazione dei casi e del metodo con cui sono stati trattati, parziali e plausibili come altri. Il primo limite è determinato, dunque, dalla vastità del tema e dal grado di approfondimento che gli è stato dedicato. Il fenomeno dell’informale, per sua natura variegato e composito, implica esiti plurimi, causa e conseguenza di se stesso, che coinvolgono diverse discipline affini alla ricerca, di cui si è accennato solo in parte. Tali ambiti riguardano la vita come l’architettura, perché “architettura è vita”1, è riflesso del reale, nelle pratiche e nelle teorie, è sostanza di diritto, politica e società nell’esprimere bisogni e libertà dell’uomo, si alimenta di economia ed ecologia, anche nell’insostenibilità dell’indigenza che pone a rischio uomo e ambiente, ma si ingegna a potenziare le sue risorse e diventa civiltà. Per quanto complesso e contraddittorio possa sembrare l’organismo urbano, esistono sempre più chiavi di lettura per interpretarlo. Quelle architettonico-urbanistiche adottate – morfologia, tipologia e tecnologia, relative alla lettura, al progetto e alla realtà – sono solo alcune delle tante possibili, scelte con la volontà di chiarire o contraddire le visioni negative e distorte che sovente si associano all’informale, solo perché la sua logica spontanea, scevra da condizionamenti e indottrinamenti, si affranca da quella più ortodossa dell’urbanistica moderna. Se diversità esiste tra le varie forme di città, è effetto, non causa, del costruire e dell’abitare non convenzionale. 1 Cfr. A. Piva, F. Bonicalzi., P. Galliani, Architettura e politica, Gangemi, Roma 2007.
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Altro limite riscontrabile concerne la natura del fenomeno indagato, un sistema dinamico, incontrollabile, in trasformazione perenne, difficile da cogliere o spiegare in modo univoco o assoluto. La relatività che gli appartiene rende qualsiasi dichiarazione o rappresentazione solo transitoria perché fondata su un’immagine impressa in un’istantanea, non valida già domani, pertanto, i risultati raggiunti sono solo contingenti. Si lascia, allora, aperta la possibilità a ulteriori approfondimenti di genere e grado. Le conclusioni, benché parziali e provvisorie, possono desumersi da una rapida guida dell’iter tracciato. Nelle tappe di questa ricerca si trovano storie di uomini, di città, di territori, vissute e studiate. Ripercorrendo le orme dell’uomo, i segni del suo andare alla ricerca del mondo, del suo stabilirsi in un luogo dove costruire la sua identità, si perviene alla lapalissiana verità che la storia rimane ciclica oltre luoghi, tempi e modi. Per raggiungere l’obiettivo precipuo di questo scritto, ossia per comprendere il rapporto tra uomo, territorio e città, si è deciso di analizzare il contesto urbano a partire da una specifica realtà, quella informale. Tale scelta si è rivelata strumentale e pretestuosa nel dimostrare quanto la città sia un processo organico continuo, retto su comportamenti umani destinati a ripetersi nel tempo. Al termine di un lungo percorso che ha attraversato un intero continente ricostruendo la storia di grandi città come risultato non solo di modelli pianificati ma anche di insediamenti spontanei, dopo aver esaminato l’informale nei suoi morfemi, tipi e tecnologie e dopo aver considerato il progetto contemporaneo ad esso applicato, si conferma la centralità dell’uomo, col suo modo costante di pensare e agire, di comporre città costruendo case. Da sempre le stesse ragioni, gli stessi gesti lo inducono a conformare la realtà concreta, che è realtà di processi. Cosa può esservi, allora, di più concreto e processuale di un insediamento spontaneo? L’abitante informale, di fronte a secoli di coscienza critica e ideali urbanistici imposti dal Vecchio Mondo, poi falliti nel Nuovo, si comporta come un soggetto pre-istorico, si lascia guidare dalla necessità, dalla tradizione e dal processo civile di cui egli stesso è artefice. Per assolvere al suo bisogno di riparo attinge all’esperienza sicura tramandata dai padri, fa riferimento alla matrice spaziale primaria, la cellula elementare, la più sintetica ma anche la più tipizzata e stabile delle forme costruite. Essa rappresenta il modello abitabile più facile da aggregare o da adat-
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tare anche alle geografie territoriali meno ospitali, alle peggiori condizioni economiche e sociali. Senza atti di fondazione, prende possesso dello spazio e dei suoi limiti, concreti e intangibili quando imposti dalla povertà. Costruisce e ricostruisce per sé e per i suoi cari una tenda, un recinto, una stanza. Addiziona ambienti e li specializza, replica gli spazi in orizzontale, poi li sovrappone in alzato. Intanto sottrae spazi aperti e si associa ai suoi vicini, grazie al cui aiuto possiede una dimora e con i quali mutua la prassi costruttiva nel tempo. Gli insediamenti spontanei prendono forma dall’unione di tipi che evolvono per fasi, condizionati da economia e cultura familiare. Se dal confronto dei casi emergono differenze, queste non riguardano l’idea di casa o di città, ma la loro configurazione che si adatta ai caratteri del territorio. Morfologia, tipologia e tecnologia testimoniano, alla grande e alla piccola scala, il processo compositivo che struttura l’urbe e la civitas. Tutto sembra indicare che l’informale proseguirà la sua crescita insieme alla metropoli che lo contiene. La città si conferma il luogo delle opportunità, dove si susseguono ondate migratorie che legano inevitabilmente il destino dell’uomo all’ambiente urbano. Le problematiche legate al futuro della città, per dimensioni e proporzioni, implicano una gestione difficile tra oneri condivisi, così l’unica strategia davvero auspicabile è che l’intervento integrato e congiunto tra forze locali e globali diventi presto atto concreto. Guardando avanti, ci si interroga su quale sarà la prossima tappa evolutiva dell’organismo urbano. Di certo l’azione antropica, formale o informale, programmata o spontanea, sarà ancora riflessa nel paesaggio, impressa nel territorio. Attraverso quest’ultimo si potrà comprendere una civiltà in evoluzione che con modi spontanei e del tutto personali tenta di riappropriarsi dei suoi spazi, di riequilibrare il rapporto tra uomo e natura a partire da una realtà semplice, fatta di uomini e di case. Non resta che comprenderne i codici, assorbirne la lezione, per formulare un progetto operante più attinente al vero, più coerente con la sua scrittura continua.
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Appendice
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Intervista al Prof. Javier Fernández Castro1 Buenos Aires, 2 aprile 2016
deborah c. lefosse Attraverso le parole di Jauretche2 lei afferma come non sia paragonabile il tessuto delle villas con quello medievale, perché sarebbe un accostamento diacronico. Eppure si riconoscono due forme principali e diverse di informalità, gli asentamientos informales3 che, pur essendo spontanei, seguono le regole della città, e le villas, che invece presentano tessuti dalle forme irregolari, pur non dovendo rispondere a particolari esigenze geografiche del territorio. Come spiega questa doppia forma di città spontanea e come si può realizzare l’inclusione tra forme così diverse di città, formale e informale? javier fernández castro Le villas costituiscono un modo particolare di produzione e appropriazione della città. La città è espressione fisica della struttura sociale riflessa nella sua eterogeneità. Lo sviluppo di questi insediamenti spontanei non è mai su territori vuoti. Per regola il vuoto non esiste in città: qualsiasi territorio è al più non in uso, ma persistono in esso impronte di usi passati, tracce che agiscono come condizionamenti o possibilità di quanto si viene a realizzare sopra. La villa potrà avere un tracciato più regolare, se si colloca su un 1 Titolare della cattedra in progettazione architettonica e urbana “Taller Forma&Projecto”, Universidad de Buenos Aires, Facultad de Arquitectura, Diseño y Urbanismo. Docente in corsi di specializzazione e postgrado, di ricerca e progetto, specializzati in habitat della povertà in America Latina, presso la FADU UBA (Buenos Aires) e la FArq UdelaR (Montevideo). Ricercatore presso il “Centro Hábitat Inclusivo (HI)”. Direttore e responsabile del progetto per l’urbanizzazione di Villa 31 e 31bis, “Barrio 31 Carlos Mugica” (Retiro, CABA); e del “Anteproyecto Cuenca Matanza Riachiuelo” (Villa 2124). Da anni è impegnato col progetto inclusivo per villas miserias come Villa 31, Villa 21-24, Villa Rodrigo Bueno. 2 Cfr. J. Fernández Castro, Barrio 31. Carlos Mugica, posibilidades y límites del proyecto urbano en contextos de pobreza, Buenos Aires 2010. 3 Tr. Insediamenti informali.
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terreno che lo permette, o potrà adottare un tracciato differente secondo le condizioni del suolo. Un esempio di questo genere si trova negli isolati di Villa 21-24, dove predomina un senso longitudinale, peraltro dovuto alla presenza del tracciato ferroviario, rispetto al quale si dispongono parallelamente. La differenza sostanziale tra la città ufficiale e l’hábitat de la pobreza4 non è necessariamente dovuta al tessuto geometrico ma piuttosto al volere degli attori che costituiscono tale habitat, alla scarsità di risorse e materiali, alla sua posizione interstiziale tra gli spazi della città. Si tratta in definitiva di una costruzione con altri significati, dove la forma risulta da molteplici adattamenti e aggiustamenti. I progetti volti all’inclusione socio-spaziale adotteranno allora strategie di articolazione distinte tra loro, non per omologare differenze tra le parti ma per stabilire spazi comuni, condivisi o da negoziare. In quest’ottica lo spazio pubblico, produttivo, di servizio o istituzionale funge da mediatore sociale e trasversale tra le classi, come è tipico nella tradizione latinoamericana. dcl L’hábitat de la pobreza può essere considerato come un modello di urbanizzazione con regole proprie. Quali sono le sue caratteristiche compositive, quali le modalità con cui si stabiliscono percorsi, forma e dimensioni dei lotti, divisioni di proprietà, numero di piani, in sintesi ciò che in genere attiene al regolamento edilizio? jfc Quando un insediamento a-normale (fuori dalla norma, dalla regola) diventa per dimensione ed estensione una porzione significativa della città non deve essere inteso come un’anomalia passeggera, o come un’eccezione da superare, ma come un elemento costitutivo. In una società che non prevede politiche abitative per il settore popolare e allo stesso tempo lo attrae e lo richiede come forza lavoro, non può sorprendere che quello stesso settore adotti una sua propria forma e dimensione di spazialità urbana. L’habitat popolare dà nuovi significati a brani di città che le modalità di produzione ufficiale hanno lasciato fuori dal mercato formale: sedi ferroviarie abbandonate, tessuti industriali, aree degradate, tutte quelle parti che i francesi definiscono “terrain vague”, terre che per diversi processi hanno perso il loro significato originale. Non
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Ovvero. Habitat della povertà.
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più appetibili per il mercato immobiliare e per lo Stato, esse divengono risorse per l’habitat popolare. Il processo costruttivo potrebbe riassumersi nelle seguenti tappe: toma de tierra (irruzione nel terreno, demarcazione, recinzione), ocupación (costruzioni precarie dei primi ambiti come garanzia materiale della presa di possesso del suolo), consolidación (costruzioni più definitive, inclusa l’autogestione popolare di reti di servizi precari), densificación (per la crescita naturale e anche per il sopraggiungere del mercato immobiliare informale, esso non è più espressione di povertà ma una replica dei fenomeni speculativi esterni all’insediamento, che ne sono a un tempo causa e conseguenza), re-urbanización (intervento dello Stato con politiche pubbliche volte all’integrazione). dcl Durante le attività di rilevamento condotte con gli studenti universitari sul campo e in varie villas, avete avuto modo di capire tipologia, tecnologia e materiali. Quali sono le dinamiche di crescita di un insediamento informale? Per esempio si parla di “tipologia a piramide contraria”, ce ne sono altre? Esiste uno studio tipologico su Villa 31, che la considera come evoluzione della casa a corte, casa chorizo; si trova d’accordo? Infine, si può definire un nucleo basico valido per tutti, sviluppato poi secondo mezzi e possibilità? jfc Ciascuna delle tappe sopra descritte può essere associata a un tipo edilizio. La casa in un insediamento spontaneo come la villa è generalmente un tipo compatto. La poca disponibilità delle risorse e la lotta per il possesso della terra contraddice l’opzione della casa a corte per la presenza del patio e lo sviluppo sul territorio che la rende tipologia estensiva per eccellenza. Si possono incontrare eccezioni in villas periferiche o nel periurbano. La costruzione dell’insediamento inizia dalla casa. Si comincia dall’accampamento, una tenda disposta come segnale di occupazione, lastre e tessuti appena fissati, poi rapidamente inizia la costruzione di una struttura indipendente di cemento, travi e colonne in situ e lastre leggere modulari di facile manipolazione e collocazione; le chiusure verticali di mattoni pieni o forati, in generale carenti di finiture e intonaco, presentano minime aperture per i loro costi troppo elevati. Nella fase di densificazione urbana si assiste a un rafforzamento di queste strutture per la successiva crescita in verticale fino al limite consentito (passare da due a cinque piani al massimo) mediante scale esterne, gene-
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ralmente blocchi prefabbricati in metallo ottenuti da materiale di recupero. Il riferimento al modello della piramide invertita è un’espressione derivata dalla riduzione del sedime della pianta al pianterreno, decisa per taciti o dichiarati accordi di garantire i passaggi (pasaje) sul piano di campagna, benché ridotti al minimo nella sezione libera, e gli spazi destinati all’uso pubblico: una volta assicurati quelli, si procede nella crescita in altezza trasgredendo a questa stessa regola. dcl Cosa si intende per Hábitat Inclusivo? È un nuovo modello urbano o è un metodo per formulare un modello urbanistico futuro? Pensando al progetto proposto per Villa 31, lo si può considerare un modello applicabile anche nelle altre villas e più in generale alla città informale dell’America Latina, o è un progetto valido hic et nunc? jfc Si tratta di utilizzare il progetto urbano come strumento di trasformazione delle condizioni socio-spaziali di particolari habitat popolari, nel tentativo di riequilibrare la struttura della città. Il caso di Villa 31 è emblematico perché il progetto di riqualificazione concerne un ambito urbano centrale, su cui vertono mire politiche ed economiche e nel quale la densità abitativa è molto alta. Sono stati formulati programmi d’intervento su come affrontare questo tema in aree periferiche (Pro Me BA, Plan Federal de Viviendas, ecc.), ma in Argentina non esistono ancora esperienze progettuali o politiche su settori informali prossimi o interni al centro città. In questo senso l’esperienza relativa a Villa 31 può ritenersi un modello replicabile, non già negli esiti o nelle scelte progettuali. dcl Se la città informale in generale e le villas in particolare si costruiscono da sole, per mano di chi, senza arte né scienza è guidato dal mero bisogno di casa, che ruolo hanno gli urbanisti e gli architetti nella costruzione e trasformazione della realtà urbana? jfc La professione deve prendere consapevolezza della molteplicità di modi di produrre e occupare lo spazio esistente nelle nostre città. Ancor più in Argentina, dove l’Università Pubblica è aperta, gratuita e massiva, a vantaggio di un importante numero di professionisti con cui confrontarsi. Questa copiosa presenza diventa vitale solo se si ha come obiettivo la totalità degli habitat, non solo nei ritagli di apparente prestigio: ad ogni forma di produzione corrisponde un approccio professionale diverso per intervenire in modo appropriato. Si può esercitare la professione con tale finalità nell’ambito dell’attività privata e pubblica, stawww.torrossa.com - For non-commercial use by authorised users only. License restrictions apply.
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tale, delle organizzazioni non governative, della didattica e della ricerca, del progetto e della costruzione. dcl La città informale rappresenta il fenomeno concreto con cui si costruisce la metropoli contemporanea. Come si può indirizzare tale evento in modo da ridurre al minimo successivi interventi di inclusione? È su questo che si orienta la sua ricerca titolata “Estrategias Proyectuales Para el Hábitat Popular. Instrumentos de justicia espacial para el territorio metropolitano”5? jfc Iniziando dal secondo quesito, la ricerca in corso deriva da una discussione politica sulla distribuzione dei beni che produce la società. Si perviene al concetto di giustizia sociale come obiettivo di maggiori equilibri: ciò assume qualità fisica nell’espressione fortunata cui certi autori ricorrono, la giustizia spaziale. Quali sono gli spazi di esercizio di questa spazialità condivisa, equa e giusta? Come immaginiamo e produciamo gli spazi che garantiscono il pieno esercizio della società? Queste sono le questioni che ci interessano, che trattiamo e proponiamo come specifico approccio progettuale e materiale all’eredità politica in genere. dcl “Le dinamiche e le capacità culturali, spaziali e produttive presenti nella cultura villera6 possono e devono assumersi come patrimonio di partenza in un progetto di urbanizzazione”7: quali sono i valori da cui non si può prescindere e che diventano fondamentali in un progetto di urbanizzazione? jfc Questa frase contiene due dimensioni. La prima è più pragmatica: tutto il costruito rappresenta un patrimonio da sfruttare. Se si considerano le preesistenze come mancanza o incompiutezza prima che come una contingenza o vincolo da estirpare, possiamo capitalizzarle mantenendole e completandole. Ciò diviene un risparmio di risorse se l’esistente si recupera prima di venire demolito o di farne tabula rasa. Questo approccio consente un risparmio fino al 50%, come testimoniano le nostre simulazioni di progetto e la realtà delle esperienze regionali, soprattutto quella brasiliana8. La seconda ha a che vedere con la 5 Ovvero ”Strategie Progettuali per l’Habitat Popolare. Strumenti di giustizia spaziale per il territorio metropolitano”. 6 Cultura propria del’ambito delle villas. 7 Cfr. J. Fernández Castro, Barrio 31. Carlos Mugica, posibilidades y límites del proyecto urbano en contextos de pobreza cit. 8 Nel caso specifico ci si riferisce al progetto di riqualificazione delle favelas, Favela Bairro.
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possibilità di appropriarsi del costruito. A fronte del trambusto di molti degli interventi ex novo, a partire dal miglioramento e completamento di quanto è già realizzato, qualsiasi azione risulta appropriata – perché costruita con gli sforzi degli abitanti – e diventa un’occasione di successo sicuro. In tal senso, quel che ancora si deve raggiungere è la possibilità di riconoscere come patrimonio gli spazi e i modi dell’abitare informale, preesistenze valide più dell’imposizione di parametri normativi. La presenza di organizzazioni locali, di saperi che costruiscono, di conoscenze precise, rappresentano un ricco patrimonio per il progetto e la gestione dell’esistente.
Si ringrazia il Prof. J. Fernández Castro per l’ accurata intervista concessa.
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Intervista al Dr. Pablo Vitale9 Buenos Aires, 3 maggio 2016
deborah c. lefosse Come nasce la sua passione per le villas – che oggi è diventata una professione – e perché? pablo vitale Tutto cominciò nel 1999 a Villa 3110, prima di terminare la carriera universitaria con un’esperienza extracurriculare, che divenne poi un incarico fino al 2010. Si trattava della collaborazione a un progetto educativo per bambini in età scolare, che una volta rientrati dalle lezioni venivano coinvolti in attività ludico-ricreative: “talleres de educación no formal y de fotografía para adolescentes en la Villa 31 de Retiro”11 (CAF Nº6 – DGNyA – Centros de Acción Familiar – DGNyA – Gobierno de la Ciudad de Buenos Aires). Dal 2010 sono impegnato nello stesso progetto anche a Villa 20 e nell’insediamento di Piedrabuena, in Villa Lugano. dcl In seguito proseguì con l’incarico di mappare le villas; come fu questa esperienza di lavoro insieme ai vecinos12, anche bambini? pv C’è stata sin dall’inizio molta collaborazione da parte di tutti nella villa. Il fatto che ancora oggi (ieri l’ultimo episodio) 9 Coordinatore dell’Area di Derecho a la Ciudad – ACIJ (Asociación Civil por la Igualdad y la Justicia), specialista in politiche sociali, da anni si occupa di urbanizzazione delle villas a Buenos Aires. 10 Villa 31 e 31bis costituisce il primo degli insediamenti di carattere spontaneo formatisi nella città di Buenos Aires. È oggetto di contesa tra abitanti insediati e Stato al fine di ottenere l’urbanizzazione e l’inclusione nella città formale. Per la sua storia dalle vicende sanguinose, per l’estensione, la popolazione e l’alta densità che nutrono un diffuso mercato informale, è noto come una delle villas più emblematiche della metropoli porteña. 11 Ovvero “laboratori di educazione non formale e di fotografia per i ragazzi di Villa 31, Retiro”. 12 È frequente per gli abitanti delle villas riconoscersi tra loro, e rispetto al sistema esterno, come villeros (abitanti delle villas) o vecinos (vicini di casa, del vicinato).
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esponenti della villa passino in ufficio chiedendoci di mappare il loro insediamento o andare a terminare un lavoro del genere, è un ottimo riscontro che ci motiva a perseguire gli obiettivi al meglio, ma soprattutto è sintomatico del loro vivo bisogno di essere riconosciuti e rispettati. Il primissimo lavoro di mapeo (mappatura) riguardava Villa 31, di cui già esisteva qualche rilievo; da allora molte versioni, parziali e complete, sono state prodotte. Le ultime mappature sono quelle realizzate dall’équipe di studenti e ricercatori che fanno capo al Prof. Javier Fernández Castro, successivamente sviluppate nel progetto che sembra condurre all’urbanizzazione della villa; ad esse si aggiungono quelle redatte da noi, da ACIJ13, nell’ambito del programma Camino de las Villas14. dcl A questo proposito come nasce il Camino de las Villas? Come viene percepito e utilizzato il servizio e l’insieme dei dati raccolti che rimangono a disposizione di tutti sull’omonimo portale online? pv Camino de las Villas nasce per dar voce a chi non ne ha, in sostituzione del servizio reclami istituito dal Gobierno de la Ciudad, BA147, che esiste per la città formale ma non per quella informale. Si tratta di un servizio usato dai cittadini per segnalare qualsiasi emergenza o necessità, che nelle villas rimane sistematicamente disattesa per mancanza di riferimenti concreti attraverso cui raggiungere i punti focali. Per questo motivo le mappature realizzate da Camino de las Villas non sono specifiche sul piano urbanistico e architettonico, quanto su quello stradale, si costruiscono a partire da elementi ordinatori che possano orientare meglio la viabilità all’interno di ogni singola villa. La mia partecipazione al progetto del Camino de las Villas risale solo a un anno fa, in verità avevo iniziato con le mappature già per altre organizzazioni, così con il mio ruolo oggi riesco a conciliare interessi di più enti volti allo stesso fine. Le mappature, in corso d’opera e già completate, vengono caricate sul sito dedicato, uno strumento a disposizione tanto dei villeros, che così rendono visibile e localizzata la loro richiesta, quanto degli enti che iniziano le pratiche per risolvere ciascuna segnalazione. Dunque, la nostra attività consiste di 13 14
Asociación Civil por la Igualdad y la Justicia. Cfr. domanda successiva.
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fatto nell’intermediazione, uno sportello virtuale a cui tutti i cittadini possono rivolgersi. Il lavoro, sul campo e sul portale online, è appannaggio di tutti e in continuo aggiornamento. Naturalmente tutto l’operato è finalizzato a fornire dati certi sulle villas al Gobierno de la Ciudad, per indirizzare e velocizzare le pratiche di inclusione della città informale in quella formale, un cammino molto lungo, ma già qualche sentiero è stato battuto. dcl In quale barrio siete al momento operativi con il lavoro di mappatura? pv In verità siamo attivi su più fronti in contemporanea, per completare, per aggiornare la mappatura che abbiamo già, perché non sempre gli strumenti di monitoraggio risultano fedeli al rilievo dal vero. Ciascun rilevamento deve essere approvato dal consiglio dei villeros, perché se da un parte si lotta per l’inclusione dall’altra non tutti sono concordi nel denunciare la loro “illegittima” posizione, benché questo apra loro migliori opportunità. La collaborazione dei villeros è molto viva, è la misura, la legge basica di una villa. Perché la mancanza di uno, è mancanza di tutti. La vera forza che rinsalda in questi contesti è la partecipazione e l’aiuto reciproco: per chi non ha mezzi l’unica ricchezza è l’aggregazione vicinale, la socialità. dcl Dal mapeo di una villa si può dedurre una regola base sulla quale si struttura e prende forma l’intero insediamento, definendone la trama: come potrebbe essere la traccia di un percorso matrice rispetto al quale vanno collocandosi le unità d’abitazione nella loro forma primigenia? pv Il consiglio dei villeros prende le decisioni fondamentali per tutto l’insediamento, dalla toma de la terra alle divisioni e al possesso dei lotti, dalla dimensione che assume l’insediamento alla sua direzione di espansione. A mo’ di esempio, Villa 31 ha iniziato la sua espansione verso l’attuale Villa 31bis che si arrestava per la presenza di un tracciato ferroviario dismesso; oggi è stato superato anche quello, che era considerato un limite infrastrutturale, per continuare le costruzioni a fronte di una forte domanda di casa. Nelle villas più grandi alcuni percorsi principali vengono lasciati liberi per favorire il passaggio dei mezzi esterni, ma in prevalenza le costruzioni vengono realizzate lasciando uno
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spazio minimo di rispetto tanto sul piano di campagna quanto in altezza: ciò determina spesso conflitti tra vicini, poiché si limitano le possibilità di riserbo altrui. Proprio per questo non credo ci siano delle regole a priori anche latenti, come quelle che caratterizzano invece gli asentamientos informales, strutturati su altri criteri compositivi. dcl Dopo aver collaborato e lottato con gli abitanti di Villa 31, crede che si realizzerà il progetto di inclusione proposto dal Prof. Fernández Castro, così come è stato pensato? Qual è oggi la posizione del Gobierno de la Ciudad rispetto all’urbanizzazione delle villas? pv Non so se si realizzerà. Di certo il fatto che oggi esista una legge di urbanizzazione ad hoc per Villa 31 e 31bis (Ley 3324/2009) costituisce un dato imprescindibile, un punto di non ritorno dal quale andare solo avanti. Il problema ora non è tanto se si farà o no, ma come. La qualità del progetto dipende dall’azione dei villeros, dalla loro voce, affinché non si realizzi l’ennesimo palliativo: migliorie di “serie b” che accontentano tutti, solo perché si devono fare, ma non in maniera efficace e risolutiva. La possibilità e la qualità della realizzazione dipende anche dall’opinione pubblica, da quanto interverrà perché si porti a termine la vicenda con successo. La posizione dell’attuale governo macrista è molto cambiata negli ultimi anni. Solo otto anni fa Macri15 sosteneva lo sgombero, mentre oggi propone scelte contrarie, a favore dell’inclusione. Non voglio entrare nel merito delle dinamiche interne di governance dell’una o dell’altra amministrazione che si sono succedute negli ultimi decenni, spero solo che l’attuale unità di intenti e di vedute tra Nación e Gobierno de la Ciudad porti a maggiori e più concreti risultati. Gli ultimi anni sono purtroppo stati caratterizzati da una notevole confusione tra soggetti attivi e reciproche responsabilità. In un solo momento agivano a favore di Villa 31 e del suo miglioramento ben quattro enti, che invece di collaborare tra loro destabilizzavano gli abitanti in un continuo rimando di azioni e ruoli. Un atteggiamento tutt’altro che costruttivo, quasi una strategia per depistare il nemico creando confusione. Oggi esistono tre enti,
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Mauricio Macri, attuale presidente argentino, in carica dal 2015.
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riconosciuti e incaricati in via ufficiale dal governo della città, che si occupano delle villas, cui si aggiunge nel caso di Villa 31 la Secretaría de Hábitat y Inclusión. Ad essa è affidato il completamento e la realizzazione del progetto proposto dal Prof. Fernández Castro, che ha portato alla legge di urbanizzazione cui accennavo in precedenza. Non va dimenticato, infine, tutto il corollario di associazioni e ONG che lavorano congiuntamente per migliorare le condizioni di vita dei villeros. dcl Il mapeo di una villa rappresenta sicuramente un passo importante, il primo e fondamentale atto verso l’integrazione urbana. Qual è il passo successivo per rendere la città informale come la città formale, perché esista un’unica realtà urbana e non due separate che si fronteggiano e convivono senza integrarsi? pv Il processo che conduce all’inclusione è lungo e complesso, vede coinvolti molti soggetti singoli o associati in organizzazioni. È necessario lavorare su due fronti. Sull’azione, su quello che si può e si deve fare, iniziando dalle mappature, mezzo di integrazione urbana e strumento per risolvere le questioni derivanti dalla mancanza di servizi e non solo. Sugli attori che intervengono. Da una parte c’è la pubblica amministrazione nella figura dello Stato e del Governo della Città, che oggi sono politicamente allineati, nella speranza che si realizzi più di quello che sinora è stato fatto. La legge per l’urbanizzazione delle villas esiste dal 1998, eppure ancora nessuna di queste è stata effettivamente integrata nel tessuto urbano. Le politiche attuali pongono la questione all’interno dei loro programmi, ma le azioni in atto riguardano per lo più la fornitura di servizi primari alle villas o qualche tratto di infrastrutture già realizzato, ma non nel modo in cui favorirebbe davvero l’integrazione, giusto per sedare gli animi dei rivoltosi e le apparenze di fronte alla comunità tutta. Questo spiega perché ogni villa reclami ancora il suo diritto alla città: così è stato per Villa 31 prima e per Villa 20 poi, capifila di un percorso ancora molto tortuoso. Dall’altra parte, un altro importante soggetto da coinvolgere è il resto della cittadinanza “formale”, senza il cui appoggio il governo non condurrà mai un’azione risolutiva. È un grande problema, infatti, riuscire a persuadere la popolazione che oggi osteggia l’integrazione per motivi vari: ignoranza, insicurezza, delinquenza, paura. È tut-
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to vero, come sono comprensibili tali sentimenti nei confronti dei villeros. Ma allo stesso tempo bisogna riconoscere loro due diritti fondamentali che sinora sono stati negati: il diritto alla città e alla casa. I più ritengono che la soluzione migliore sarebbe lo sfratto, ricollocando le popolazioni informali fuori dalla capitale federale (CABA), ma questo equivarrebbe a negar loro il primo dei diritti sopra citati, senza contare che esistono ancora molti territori e strutture vacanti o abbandonate nella fascia più a sud della CABA, che anzi rappresentano potenzialmente nuove condizioni entro cui l’informalità può svilupparsi. Oggi il problema affligge la città di Buenos Aires molto meno che altre metropoli del Sud America e parrebbe, pertanto, più risolvibile o gestibile che altrove. La crescita urbana è il risultato del forte e costante incremento della popolazione informale: è un dato che non si può negare. Preso atto di ciò, bisogna agire. Si annoverano molti programmi politici di vivienda nel conurbano, al di fuori della capitale federale, ma di fatto insufficienti a risolvere il problema. L’aspetto grave è che il governo, per ragioni diverse, sembra muoversi verso interessi economici prima che verso interessi sociali, relativi a temi annosi come l’inviolabilità di un diritto personale. L’aspetto più assurdo è che esistono molte case vuote, tante o quasi quanto la domanda abitativa da parte dei villeros. La questione, dunque, si riconduce al mercato immobiliare formale, alla speculazione che tramite esso si realizza rispetto a un bisogno fondamentale, come accade su altri beni di prima necessità. Il mercato della casa esclude gli ultimi, ma anche gli emigrati. Garanzie economiche stringenti e meccanismi complessi rendono difficile anche l’accesso ai cittadini connazionali: si può immaginare come il problema sia amplificato per gli stranieri, che rimangono esclusi da quel mercato. Per risolvere più alla radice la questione bisognerebbe cambiare le condizioni culturali, la mentalità ghettizzante dei più; le politiche del governo, perché siano più efficaci ed efficienti; le leggi che dominano il mercato, perché non siano tanto restrittive rispetto a un bisogno ancora così diffuso. dcl Che ruolo ha o dovrebbe avere oggi l’architetto, l’urbanista, il pianificatore o il sociologo e il politico per favorire l’inclusione urbana delle villas nel tessuto formale della città più tradizionalmente intesa?
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pv Indipendentemente dalla qualifica, a ciascuno di noi spetta la sensibilizzazione dell’opinione pubblica. Al di là dell’azione e/o partecipazione diretta, chiunque con il proprio ruolo professionale può favorire l’inclusione. Occorre prima di tutto contribuire all’interazione tra cittadini, intervenendo sul cambio di mentalità, perché se il richiamo da parte di tutti diventa forte e unilaterale non rimarrà inascoltato dall’amministrazione troppo a lungo, a prescindere dal colore o dalla posizione politica prevalente.
Si ringrazia il Dr. P. Vitale per l’ esausistiva intervista concessa.
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DiAP
volumi pubblicati
print
1
Tiziana Proietti, Ordine e proporzione. Dom Hans van der Laan e l’espressività dello Spazio Architettonico
2
Antonino Di Raimo, Mente‚ corpo, informazione. Per un’agenda dell’embodiment in architettura
3
Massimiliano Amati, Tempo e racconto nei processi creativi. Strategie narrative per l’architettura
4
Carla Molinari, Architettura in sequenza. Progettare lo spazio dell’esperienza
5
Sara Gangemi, Common Landscape. Processi di educazione, partecipazione ed empowerment in paesaggi ordinari
6
Alessandro Brunelli, Intuizioni sulla forma architettonica. Alessandro Anselmi dopo il GRAU
7
Luca Porqueddu, Dalla Grande Dimensione alla Bigness. Il progetto delle relazioni tra architettura, città e territorio globale
8
Domenico Ferrara, Tom Kundig e la meccanica romantica. Una lettura critica dell’architettura dei gizmo
9
Pia Marziano, Progettare nel paesaggio naturale. Il contributo dell’architettura cilena contemporanea
10
Chiara Roma, Le Corbusier e le suggestioni dei ruderi
11
Valerio Perna, L’attività ludica come strategia progettuale Regole e libertà per una grammatica del gioco in architettura
12
Luca Maricchiolo, Il Moderno e la città spontanea. Genesi e resilienza dell’habitat di Michel Ecochard in Marocco
13
Gaetano De Francesco, Architettura dell’acqua. L’emergenza idrica come occasione progettuale nella città contemporanea
14
Alessandro Oltremarini, Sulla modificazione. Il progetto di architettura tra idea e realtà
15
Francesca Addario, Composizione urbane. L’ordine elementare della forma
16
Deborah C. Lefosse, Processi di insediamento informale. Relazioni tra morfologia, tipologia e tecnologia
/ dottorato
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