Poteri e strategie familiari di Volterra: Il caso di una comunità etrusca nel mondo romano 9781407357881, 9781407357898

Questo libro intende fornire una nuova interpretazione della città romana di Volterra contribuendo a far emergere l’impo

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Title Page
Copyright
Di relativo interesse
Ringraziamenti
Indice
Lista delle figure
Lista delle abbreviazioni
Altre abbreviazioni
Abstract
Un’introduzione al caso di Volterra
1. ‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’ Società e amministrazione della città romana
1.1. Proposte per una stima di demografia, estensione, peso politico della comunità di Volterra in età romana
1.1.1. Popolazione, città e territorio in età romana
1.1.2. Volterra e la tribù Sabatina
1.1.3. Problemi storiografici sull’ordinamento istituzionale della comunità romana
1.2. L’amministrazione locale
1.2.1. L’ordine dei decurioni
1.2.2. Quattuorviri iure dicundo e quinquennales
1.2.3. Quattuorviri aediles
1.2.4. Questori
1.2.5. Sacerdozi cittadini: Pontefici e Seviri Augustali
1.2.6. Sicurezza pubblica: il personale ausiliario
1.2.7. Attestazioni di collegia nel territorio di Volterra
1.2.8. Il Curator
1.2.9. Il Patronus: Cicerone, i Cecina e le virtù civiche dei Volterrani
1.2.10. Il Praefectus iure dicundo: Caius Pompilius Cerialis e i Cecina
1.3. Vecchi e nuovi gruppi di potere: l’amministrazione della comunità tardo-antica
1.3.1. Le élite tradizionali
1.3.2. Le élite cristiane
1.4. Strategie di controllo e accesso al potere locale: amicizie, parentele, fazioni a Volterra
2. ‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’. Élite, proprietà privata e gestione delle risorse nell’ager Volaterranus: strategie familiari a confronto
2.1. L’ager Volaterranus e le scelte economiche delle élite al potere
2.1.1. Potentes etruschi e attività produttive
2.1.2. Potentes di origini non etrusche e attività produttive
2.1.3. Altre famiglie di produttori
2.1.4. Altri produttori
2.2. La proprietà privata nell’ager Volaterranus
2.2.1. Le proprietà dei domini etruschi
2.2.2. Le proprietà dei domini di origini non etrusche
2.2.3. Altri proprietari nell’ager Volaterranus
2.3. Supra-local potentes a Volterra. Cecina e Venulei, strategie familiari a confronto
2.3.1. I Cecina domini etruschi e strategie economiche di lungo periodo
2.3.2. I Venulei. Strategie di un’élite “effimera”
2.4. Potentes, distribuzione delle proprietà e strategie familiari nel Volterrano
3. ‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’. Modelli d’insediamento e strategie elitarie nell’ager Volaterranus
3.1. Dinamiche critiche. Il popolamento dell’ager Volaterranus: verso una sintesi?
3.1.1. La crisi dell’insediamento d’età ellenistica e lo sviluppo dell’ager (secoli II-I a.C.)
3.1.2. L’insediamento tra I e II secolo d.C.
3.1.3. Dalla fine del II alla metà del III secolo d.C.: le premesse per lo sviluppo del paesaggio tardoantico
3.1.4. Archeologia urbana: lo sviluppo della città romana
3.2. L’apporto dell’inedito: aggiornamenti archeologici sull’ager Volaterranus
3.2.1. Il sito archeologico in località La Villana (Rosignano Marittimo, Livorno): i resti di una ‘villa grandiosa’
3.2.2. Il sito archeologico in località Capodivilla (Rosignano Marittimo, Livorno): una “villa rustica” nei pressi del quartiere di San Gaetano di Vada
3.2.3. Il sito archeologico in località Vallescaia (Rosignano Marittimo, Livorno): l’invisibilità di un sito produttivo
3.2.4. Il sito archeologico in località Orceto (Lari): una fornace nella val d’Era romana
3.2.5. Il sito archeologico in località Pian di Selva (Ponsacco, Pisa): un insediamento rurale nella val d’Era romana
3.3. Aree “marginali” e proprietà pubblica: un approccio alternativo per la ricostruzione delle tendenze del popolamento nell’ager Volaterranus
3.3.1. Il ruolo del sacro: aree di confine e proprietà pubbliche
3.3.2. Centuriazione e distribuzioni terriere nel Volterrano: per una definizione delle aree di ager publicus
3.3.3. Quando le reti convergono: l’importanza archeologica delle aree “marginali” per la ricostruzione dell’insediamento
4. ‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’. Élite etrusche di Volterra,
identità, memoria familiare, strategie culturali di lungo periodo
4.1. Identità e autocoscienza etrusca. I motivi di una superiorità costruita, riconosciuta, tramandata
4.1.1. Etnogenesi e costruzione di una memoria storica familiare
4.1.2. I caratteri dell’etruscità fra stereotipi letterari e propaganda. Il perché di una superiorità riconosciuta
4.2. Romani a Roma, Etruschi a Volterra. Élite locali fra acculturazione e difesa delle tradizioni
4.2.1. Selezione di temi e costruzione di un’identità etnica elitaria a Volterra
4.2.2. Il ruolo della cultura materiale nella costruzione dell’identità comunitaria a Volterra
4.3. La forza della memoria e delle tradizioni familiari nella costruzione di strategie culturali di lungo periodo. Il caso dei Cecina (I a.C.-VI d.C.)
4.3.1. La costruzione identitaria fra etica e strumentalizzazione della superiorità morale. La gravitas di Cecina Severo
4.3.2. Strategie familiari di strumentalizzazione ideologica e diversificazione politica. I Cecina fra Claudio e Domiziano
4.3.3. L’adattamento di nuovi valori a una nuova identità. I Cecina dal II secolo d.C. all’Impero tardoantico
4.4. Volterra: una comunità etrusca nel mondo romano
Epilogo. Il paradosso di Volterra
Autori Classici
Bibliografia
Crediti fotografici
Indice dei nomi
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Poteri e strategie familiari di Volterra: Il caso di una comunità etrusca nel mondo romano
 9781407357881, 9781407357898

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B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 3 0 4 1

2021

Poteri e strategie familiari di Volterra Il caso di una comunità etrusca nel mondo romano VA L E N T I N A L I M I N A

B A R I N T E R NAT I O NA L S E R I E S 3 0 4 1

2021

Poteri e strategie familiari di Volterra Il caso di una comunità etrusca nel mondo romano VA L E N T I N A L I M I N A

Published in 2021 by BAR Publishing, Oxford BAR International Series 3041 Poteri e strategie familiari di Volterra isbn  978 1 4073 5788 1 paperback isbn  978 1 4073 5789 8 e-format doi https://doi.org/10.30861/9781407357881 A catalogue record for this book is available from the British Library © Valentina Limina 2021 cover image Volterra, Teatro urbano. The Author’s moral rights under the 1988 UK Copyright, Designs and Patents Act are hereby expressly asserted. All rights reserved. No part of this work may be copied, reproduced, stored, sold, distributed, scanned, saved in any form of digital format or transmitted in any form digitally, without the written permission of the Publisher. Links to third party websites are provided by BAR Publishing in good faith and for information only. BAR Publishing disclaims any responsibility for the materials contained in any third party website referenced in this work.

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BAR International Series 1251

Ai miei genitori che mi hanno sostenuto e incoraggiato lungo il cammino A mia nonna senza la quale non avrei mai intrapreso la strada delle antiche pietre parlanti

Ringraziamenti Il libro nasce come rielaborazione della mia tesi di dottorato discussa presso l’Università di Pisa nel 2019. Questo lavoro non avrebbe mai visto la luce senza il sostegno e il prezioso aiuto di quanti mi hanno in questi anni stimolato allo studio e alla ricerca, a partire dalla Prof.ssa Simonetta Menchelli, che mi ha seguito con costanza e affetto in questi anni, e dal Prof. Giovanni Salmeri, mio tutor al dottorato. Un doveroso ringraziamento va alla Prof.ssa Marinella Pasquinucci, senza la quale non avrei mai intrapreso il percorso accademico in Topografia antica. Fondamentale per lo sviluppo della ricerca è stata la disponibilità della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno nella persona della Dott.ssa Claudia Rizzitelli. Si ringraziano la Dott.ssa Linda Cherubini e la Dott.ssa Antonella Del Rio per avermi messo a disposizione i materiali provenienti dalle loro ricognizioni e la Dott.ssa Edina Regoli, nonché il personale del Museo Civico Archeologico di Rosignano Marittimo, per lo studio dei materiali in esso conservati. La mia gratitudine va poi al Dott. Giulio Ciampoltrini per avermi concesso di analizzare la documentazione relativa agli scavi d’emergenza nei siti della val d’Era, nonché al personale del Museo Archeologico di Villa Baciocchi a Capannoli per la disponibilità dimostrata durante i mesi di studio presso la struttura. L’aiuto del Dott. Massimo Tarantino è stato fondamentale ai fini della consultazione della documentazione presso l’Archivio Storico della Soprintendenza a Firenze. Si ringraziano la Prof.ssa Anna Anguissola per la disponibilità dimostrata nel discutere i problemi relativi all’identificazione iconografica dei reperti statuari analizzati, i colleghi del Laboratorio di Topografia Antica dell’Università di Pisa per gli utili momenti di confronto. Il periodo trascorso in Belgio come visiting scholar ha rappresentato un’occasione unica di incontro, dibattito e riflessione, aiutandomi a migliorare molti dei punti del precedente lavoro. A tale proposito la mia riconoscenza va al Prof. Jeroen Poblome e al suo gruppo di ricerca che mi hanno calorosamente accolto a Leuven. Un doveroso ringraziamento al Prof. Frank Vermeulen e al Prof. Koenrad Verboven per la disponibilità e per gli spunti metodologici in occasione degli incontri a Ghent. Un grazie anche alla Dott.ssa Elizabeth Jane Shepherd, alla Prof. ssa Maria Letizia Gualandi e al Prof. Paolo Liverani che mi hanno fornito spunti di riflessione per migliorare la ricerca e la presentazione dei dati. Un doveroso grazie va anche al Prof. Marco Cavalieri che in questi anni mi ha fornito nuovi e fondamentali stimoli di ricerca. Ringrazio inoltre gli anonimi revisori che con i loro preziosi suggerimenti mi hanno stimolato a migliorare la precedente versione di questo lavoro. Si ringraziano inoltre la Dott.ssa Elena Sorge, funzionario archeologo della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno competente per Volterra, il Dott. Fabrizio Burchianti, direttore del Museo Guarnacci di Volterra, la Dott.ssa Edina Regoli direttrice del Museo archeologico di Rosignano Marittimo, per la disponibilità nell’uso delle immagini di reperti archeologici di loro competenza. Ultimo, ma non per ordine d’importanza, grazie alla mia famiglia, perché mi ha sempre sostenuto, e a Jacopo, che in questi anni di studio e ricerca condivisi, mi ha stimolato a dare il massimo.

v

Indice Lista delle figure................................................................................................................................................................. ix Lista delle abbreviazioni.................................................................................................................................................... xi Altre abbreviazioni............................................................................................................................................................ xi Abstract............................................................................................................................................................................. xiii Un’introduzione al caso di Volterra.................................................................................................................................. 1 1.

‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’. Società e amministrazione della città romana......................... 5 1.1. Proposte per una stima di demografia, estensione, peso politico della comunità di Volterra in età romana.......... 5 1.1.1. Popolazione, città e territorio in età romana................................................................................................... 6 1.1.2. Volterra e la tribù Sabatina.............................................................................................................................. 7 1.1.3. Problemi storiografici sull’ordinamento istituzionale della comunità romana............................................... 7 1.2. L’amministrazione locale........................................................................................................................................ 8 1.2.1. L’ordine dei decurioni..................................................................................................................................... 8 1.2.2. Quattuorviri iure dicundo e quinquennales................................................................................................... 11 1.2.3. Quattuorviri aediles ..................................................................................................................................... 13 1.2.4. Questori......................................................................................................................................................... 14 1.2.5. Sacerdozi cittadini: Pontefici e Seviri Augustali ......................................................................................... 14 1.2.6. Sicurezza pubblica: il personale ausiliario .................................................................................................. 15 1.2.7. Attestazioni di collegia nel territorio di Volterra.......................................................................................... 15 1.2.8. Il Curator....................................................................................................................................................... 16 1.2.9. Il Patronus: Cicerone, i Cecina e le virtù civiche dei Volterrani................................................................... 16 1.2.10. Il Praefectus iure dicundo: Caius Pompilius Cerialis e i Cecina................................................................ 19 1.3. Vecchi e nuovi gruppi di potere: l’amministrazione della comunità tardo-antica................................................ 21 1.3.1. Le élite tradizionali....................................................................................................................................... 21 1.3.2. Le élite cristiane............................................................................................................................................ 22 1.4. Strategie di controllo e accesso al potere locale: amicizie, parentele, fazioni a Volterra..................................... 23

2.

‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’. Élite, proprietà privata e gestione delle risorse nell’ager Volaterranus: strategie familiari a confronto.......................................................................................................... 33 2.1. L’ager Volaterranus e le scelte economiche delle élite al potere......................................................................... 34 2.1.1. Potentes etruschi e attività produttive........................................................................................................... 35 2.1.2. Potentes di origini non etrusche e attività produttive................................................................................... 38 2.1.3. Altre famiglie di produttori........................................................................................................................... 40 2.1.4. Altri produttori.............................................................................................................................................. 41 2.2. La proprietà privata nell’ager Volaterranus......................................................................................................... 42 2.2.1. Le proprietà dei domini etruschi .................................................................................................................. 42 2.2.2. Le proprietà dei domini di origini non etrusche........................................................................................... 46 2.2.3. Altri proprietari nell’ager Volaterranus ........................................................................................................ 48 2.3. Supra-local potentes a Volterra. Cecina e Venulei, strategie familiari a confronto.............................................. 51 2.3.1. I Cecina domini etruschi e strategie economiche di lungo periodo.............................................................. 51 2.3.2. I Venulei. Strategie di un’élite “effimera”..................................................................................................... 60 2.4. Potentes, distribuzione delle proprietà e strategie familiari nel Volterrano.......................................................... 63

3.

‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’. Modelli d’insediamento e strategie elitarie nell’ager Volaterranus................................................................................................................................................ 69 3.1. Dinamiche critiche. Il popolamento dell’ager Volaterranus: verso una sintesi?................................................. 69 3.1.1. La crisi dell’insediamento d’età ellenistica e lo sviluppo dell’ager (secoli II-I a.C.)................................... 71 3.1.2. L’insediamento tra I e II secolo d.C.............................................................................................................. 74

vii

Poteri e strategie familiari di Volterra 3.1.3. Dalla fine del II alla metà del III secolo d.C.: le premesse per lo sviluppo del paesaggio tardoantico........ 76 3.1.4. Archeologia urbana: lo sviluppo della città romana..................................................................................... 78 3.2. L’apporto dell’inedito: aggiornamenti archeologici sull’ager Volaterranus........................................................ 80 3.2.1. Il sito archeologico in località La Villana (Rosignano Marittimo, Livorno): i resti di una ‘villa grandiosa’...................................................................................................................................................... 81 3.2.2. Il sito archeologico in località Capodivilla (Rosignano Marittimo, Livorno): una “villa rustica” nei pressi del quartiere di San Gaetano di Vada...................................................................................................... 85 3.2.3. Il sito archeologico in località Vallescaia (Rosignano Marittimo, Livorno): l’invisibilità di un sito produttivo......................................................................................................................................................... 87 3.2.4. Il sito archeologico in località Orceto (Lari): una fornace nella val d’Era romana...................................... 87 3.2.5. Il sito archeologico in località Pian di Selva (Ponsacco, Pisa): un insediamento rurale nella val d’Era romana..................................................................................................................................................... 89 3.3. Aree “marginali” e proprietà pubblica: un approccio alternativo per la ricostruzione delle tendenze del popolamento nell’ager Volaterranus..................................................................................................................... 90 3.3.1. Il ruolo del sacro: aree di confine e proprietà pubbliche ............................................................................. 91 3.3.2. Centuriazione e distribuzioni terriere nel Volterrano: per una definizione delle aree di ager publicus.......................................................................................................................................................... 93 3.3.3. Quando le reti convergono: l’importanza archeologica delle aree “marginali” per la ricostruzione dell’insediamento.................................................................................................................................................... 95 4. ‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’. Élite etrusche di Volterra, identità, memoria familiare, strategie culturali di lungo periodo....................................................................... 125 4.1. Identità e autocoscienza etrusca. I motivi di una superiorità costruita, riconosciuta, tramandata...................... 126 4.1.1. Etnogenesi e costruzione di una memoria storica familiare....................................................................... 127 4.1.2. I caratteri dell’etruscità fra stereotipi letterari e propaganda. Il perché di una superiorità riconosciuta........................................................................................................................................................... 128 4.2. Romani a Roma, Etruschi a Volterra. Élite locali fra acculturazione e difesa delle tradizioni........................... 135 4.2.1. Selezione di temi e costruzione di un’identità etnica elitaria a Volterra..................................................... 136 4.2.2. Il ruolo della cultura materiale nella costruzione dell’identità comunitaria a Volterra .............................. 139 4.3. La forza della memoria e delle tradizioni familiari nella costruzione di strategie culturali di lungo periodo. Il caso dei Cecina (I a.C.-VI d.C.)............................................................................................................... 140 4.3.1. La costruzione identitaria fra etica e strumentalizzazione della superiorità morale. La gravitas di Cecina Severo................................................................................................................................ 140 4.3.2. Strategie familiari di strumentalizzazione ideologica e diversificazione politica. I Cecina fra Claudio e Domiziano............................................................................................................................................ 143 4.3.3. L’adattamento di nuovi valori a una nuova identità. I Cecina dal II secolo d.C. all’Impero tardoantico............................................................................................................................................................ 145 4.4. Volterra: una comunità etrusca nel mondo romano............................................................................................ 151 Epilogo. Il paradosso di Volterra................................................................................................................................... 159 Autori Classici................................................................................................................................................................. 163 Bibliografia...................................................................................................................................................................... 165 Crediti fotografici............................................................................................................................................................ 187 Indice dei nomi................................................................................................................................................................ 189

viii

Lista delle figure Fig. 1.1. Volterra nel Mediterraneo.................................................................................................................................... 25 Fig. 1.2. Volterra e i centri della Toscana settentrionale.................................................................................................... 25 Fig. 1.3. L’ager Volaterranus. I confini................................................................................................................................ 26 Fig. 1.4. Distretti geomorfologici del Volterrano................................................................................................................ 26 Fig. 1.5. Epigrafe in marmo attestante il titolo di ‘Colonia’.............................................................................................. 27 Fig. 1.6. Volterra, Teatro Romano (particolare della cavea).............................................................................................. 27 Fig. 1.7. Élite locali e posti riservati nella proedria del teatro urbano.............................................................................. 28 Fig. 1.8. Statua di togato detta del “Prete Marzio”........................................................................................................... 28 Fig. 1.9. Urna di un magistrato, MG 4647 (fronte)............................................................................................................ 29 Fig. 1.10. Sella curule dall’urna MG 4647 (laterale)......................................................................................................... 29 Fig. 1.11. Meridiana donata dall’edile Quintus Poena Aper (fronte)................................................................................. 29 Fig. 1.12. Iscrizione di dedica di Quintus Poena Aper....................................................................................................... 29 Fig. 1.13. Volterra, vista del Teatro Romano...................................................................................................................... 30 Fig. 1.14. Epigrafia e Cariche pubbliche............................................................................................................................ 31 Fig. 1.15. Élite locali e cariche pubbliche.......................................................................................................................... 31 Fig. 2.1. Potentes etruschi a Volterra.................................................................................................................................. 66 Fig. 2.2. Potentes non-etruschi a Volterra.......................................................................................................................... 66 Fig. 2.3. Ipotesi ricostruttiva dell’assetto proprietario nell’ager Volaterranus.................................................................. 67 Fig. 2.4. Iscrizione di dedica del teatro di Volterra............................................................................................................ 68 Fig. 3.1. L’insediamento nel II secolo a.C........................................................................................................................ 101 Fig. 3.2. L’insediamento nel I secolo a.C......................................................................................................................... 102 Fig. 3.3. L’insediamento nel I-II secolo d.C..................................................................................................................... 103 Fig. 3.4. L’insediamento nel II-III secolo d.C................................................................................................................... 104 Fig. 3.5. L’insediamento nel III-IV secolo d.C.................................................................................................................. 105 Fig. 3.6. L’insediamento nel IV-V secolo d.C................................................................................................................... 106 Fig. 3.7. L’insediamento nel V-VI secolo d.C................................................................................................................... 107 Fig. 3.8. Volterra, il centro urbano................................................................................................................................... 108 Fig. 3.9. Volterra, Teatro urbano (particolare della scena).............................................................................................. 109 Fig. 3.10. Mosaico da una domus nei pressi di Porta Fiorentina.................................................................................... 109 Fig. 3.11. Mosaico dalle terme di San Felice................................................................................................................... 110 Fig. 3.12. Materiali da La Villana. Selezione....................................................................................................................111 Fig. 3.13. Bolli di produzione su frammenti di sigillata da La Villana............................................................................ 112 Fig. 3.14. Frammento di statua femminile da La Villana................................................................................................. 112

ix

Poteri e strategie familiari di Volterra Fig. 3.15. Frammento di testina femminile in alabastro da La Villana............................................................................ 113 Fig. 3.16. Materiali da Capodivilla. Selezione (anfore)................................................................................................... 114 Fig. 3.17. Materiali da Capodivilla. Selezione (ceramiche fini da mensa)...................................................................... 115 Fig. 3.18. Materiali da Capodivilla. Selezione (ceramiche comuni, produzioni africane, laterizi)................................. 116 Fig. 3.19. Materiali da Vallescaia. Selezione (anfore e laterizi)...................................................................................... 117 Fig. 3.20. Materiali da Orceto. Selezione......................................................................................................................... 118 Fig. 3.21. Materiali da Orceto. Selezione (anfore, ceramica fine da mensa, ceramica comune, produzioni africane, laterizi)............................................................................................................................................................... 119 Fig. 3.22. Materiali da Pian di Selva. Selezione (anfore, ceramiche fini da mensa)........................................................ 120 Fig. 3.23. Materiali da Pian di Selva. Selezione (ceramica comune, laterizi)................................................................. 121 Fig. 3.24. Materiali da Pian di Selva. Selezione (laterizi)................................................................................................ 122 Fig. 3.25. Materiali da Pian di Selva. Selezione (small finds).......................................................................................... 123 Fig. 3.26. Tracce di centuriazione nell’ager Volaterranus................................................................................................ 124 Fig. 4.1. Volterra, Porta all’Arco (le tre protomi)............................................................................................................ 152 Fig. 4.2. Assalto alle porte di Tebe. Urna MG 371........................................................................................................... 153 Fig. 4.3. Il cavallo di legno davanti la porta di Troia. Urna FMA 5766.......................................................................... 153 Fig. 4.4. Urna funeraria di Aulo Cecina Selcia (cassa)................................................................................................... 154 Fig. 4.5. Urna funeraria di Aulo Cecina Selcia (coperchio)............................................................................................ 154 Fig. 4.6. I Cecina del I secolo a.C. (selezione)................................................................................................................. 155 Fig. 4.7. I Cecina del I secolo d.C. (selezione)................................................................................................................. 156 Fig. 4.8. I Ceioni-Cecina (selezione)................................................................................................................................ 156 Fig. 4.9. I Cecina-Deci (selezione)................................................................................................................................... 157 Fig. 4.10. I Cecina e gli Anici (selezione)......................................................................................................................... 157 Fig. 4.11. Albero genealogico della famiglia Cecina (secoli I a.C.-VI d.C.) disponibile online: https://doi.org/10.30861/9781407357881.alberogenealogico

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Lista delle abbreviazioni Corpora epigrafici, collezioni di testi, repertori AE ATL. CIL CIE Consp. CUV EDCS EDR Gori Iscr. ILS LIMC OCK PIR PLRE R.Vol. Vt.

L’Année Epigraphique  Atlante delle forme ceramiche I; II, Enciclopedia dell’arte antica classica e orientale, Roma, 1958 Corpus Inscriptionum Latinarum, Berlin, 1862 Corpus Inscriptionum Etruscarum, Lipsia, 1893-95  Conspectus formarum terrae sigillatae italico modo confectae, edited by Elisabeth Ettlinger, et al. Bonn: Habelt, 1990 Corpus delle urne etrusche di età ellenistica Voll. 1-2 Epigraphic Database Clauss-Slaby Epigraphic Database Roma Gori, Anton Francesco, ed. Inscriptionum antiquarum Graecarum et Romanarum quae in Etruriae urbibus exstant pars tertia. Firenze: Typ. Viviano, 1744  Inscriptiones Latinae Selectae Voll. 1-3, edited by Hermann Dessau. Berlin: Weidmannos, 1892-1916  Lexicon iconographicum mythologiae classicae, Zürich-München: Artemis, 1981-2009  Corpus Vasorum Arretinorum, edited by August Oxé, Howard Comfort, e Philip Kenrick. Bonn: R. Habelt, 2000  Propopographia Imperii Romani saec. I. II. III., edited by Edmundus Groag, e Arturus Stein. Berlin-Leipzing: De Gruyter, 1933  Prosopography of the Later Roman Empire Voll. 1-4, edited by John Robert Martindale, et al. Cambridge: Cambridge University Press, 1971-1992 Regestum Volaterranum, edited by Fedor Schneider. Roma: 1907 “Volterra.” In Etruskische Texte. Editio minor, edited by Helmut Rix. Tubingen: Narr, 1991

Altre abbreviazioni1 C.C. Corpo ceramico diam. Diametro Fig. Figura h. Altezza ha Ettari largh. Larghezza lungh. Lunghezza M. Munsell soil color chart SABAP Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio sp. Spessore Tab. Tabella Tav. Tavola US Unità stratigrafiche

1

Le misure, qualora non specificate, si intendono in centimetri.

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Abstract Il libro intende fornire una nuova interpretazione sulla comunità di Volterra fra i secoli I a.C.-V d.C. analizzando le élite locali e le loro strategie familiari di lungo periodo. Così, il libro intende dimostrare come le locali élite etrusche si integrarono nell’Impero Romano. Prendendo in esame dati storici, archeologici, materiale epigrafico, toponomastica, il libro intende offrire un contributo allo studio dell’integrazione dell’Etruria settentrionale nell’Impero Romano. Ricostruendo le politiche familiari, la cultura e la società, nonchè lo sviluppo del territorio, il libro intende fornire un avanzamento nella conoscenza della comunità romana. Parentele, alleanze, strategie politiche e culturali, vincoli economici e preferenze religiose, ricostruite per alcune famiglie chiave, ricostruiscono il quadro di una comunità divisa tra tradizione e innovazione, in transizione nel più ampio contesto dell’Impero di Roma. Keywords: Archeologia, Storia Antica, Topografia Antica, Volterra, Etruria, Impero Romano, Paesaggio, Élite, Poteri, Strategie Familiari, Identità, Romanizzazione The book provides a new interpretation of Roman Volterra in the centuries 1st BC – 5th AD by analysing local elite families and their long-term, versatile strategies. Thus, the book aims to demonstrate how the local Etruscan families integrated in the Roman Empire. Combining historical written sources, archaeological and epigraphic materials, and toponymy, the book offers a contribution to the integration of Northern Etruria in the Roman Empire. Reconstructing family politics and culture, society, and the development of the ancient landscape, it develops our knowledge of the city’s archaeological and historical aspects. In addition, it highlights the role of local elites and their various strategies in shaping the development of the ancient landscape, advancing knowledge of the Roman community. Lineage structures, marriage alliances, political and cultural strategies, factional stances, economic entanglements, religious specialisms, cultural preferences, presented for some key families, provide the reconstruction of a community between tradition and innovation, in transition to the Roman Imperial world. Keywords: Archaeology, Ancient History, Ancient Topography, Volterra, Etruria, Roman Empire, Landscape, Powers, Family Strategies, Identity, Romanization

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Un’introduzione al caso di Volterra Nonostante inumerosi studi sulla città etrusca e medievale, mancava un lavoro di sintesi aggiornato che prendesse in esame la città romana e il suo territorio. Per far emergere l’importanza delle élite nello sviluppo del territorio antico è sembrato necessario comparare i dati disponibili delle precenti ricognizioni e scavi nel Volterrano. Dopo una sintesi sulle caratteristiche geomorfologiche dell’ager Volaterranus, la letteratura relativa ai temi affrontati nel volume, considerazioni di metodo, il lettore è introdotto ai quattro capitoli. Il primo capitolo è dedicato a società e amministrazione; il secondo tratta di proprietà e strategie economiche delle élite; il terzo analizza i dati archeologici per la ricostruzione del paesaggio antico; il quarto prende in considerazione le strategie culturali delle élite etrusche. Keywords: Volterra, Etruria, Impero Romano, Metodo, Letteratura, Archeologia, Storia Antica, Ricognizioni, Élite, Romanizzazione, Identità, Poteri Despite several studies about this Etruscan and Medieval city, there was a lack of an updated synthesis concerning the Roman city and its territory. It was necessary to compare data from the previous surveys and archaeological research to reinterpret the importance of elite families in the development of the ancient landscape. A synthesis of geomorphology, historiographical debate and methodology introduce the reader to the four chapters dealing with Society and Administration (I), Private Property and Elite Family Strategies (II), Archaeology and Settlement Patterns (III), Long-Term Cultural Strategies of the Etruscan Elites (IV). Keywords: Volterra, Etruria, Roman Empire, Methodology, Literature, Archaeology, Ancient History, Field Surveys, Elites, Romanization, Identity, Powers che prendesse in esame, con un approccio comparativo, le tre macroaree geomorfologiche in cui è tradizionalmente suddiviso il Volterrano (val d’Era, val d’Elsa, val di Cecina) e rivalutasse l’importanza della comunità romana nel più ampio contesto dell’Etruria settentrionale. Andrea Augenti e Nicola Terrenato avevano individuato una ‘lacuna principale nell’interpretazione storico-archeologica del caso volterrano nella mancanza di uno studio che prendesse in esame il lungo periodo e mettesse in relazione fattori sociali, economici, culturali come analisi di rapporti a lunga distanza fra élite’2. Questo libro intende così colmare, almeno in parte, tale lacuna interpretativa, e offrire una nuova chiave di lettura su Volterra durante il periodo in cui fu inclusa nell’Impero Romano. Analizzando le strutture economiche, politiche e sociali in stretta relazione alle élite che le avevano determinate, modificate e influenzate non si può prescindere dalla considerazione dal passato etrusco e dal destino medievale della città, come si può evincere da alcuni passaggi del testo in cui si trascendono i limiti cronologici prefissati.

Questo libro analizza le élite dell’ager Volaterranus nell’arco cronologico compreso fra i secoli I a.C.-V d.C. L’obiettivo è valutare l’impatto che ebbero sul territorio le strategie familiari di tali élite a livello politico, economico, sociale, culturale. Tramite un’abile formulazione e l’applicazione di tali strategie familiari, infatti, le élite di Volterra riuscirono a mantenere e gestire il potere locale sul lungo periodo inserendo la comunità all’interno di un complesso sistema di relazioni a livello sovra-locale. L’interesse e la fortuna delle ricerche sulla città antica, specie quelle relative all’età etrusca e quella medievale, hanno fatto sì che si consolidasse un’importante tradizione di studi locali. Allo stesso tempo, ciò ha determinato una sostanziale frammentazione delle conoscenze, in particolare riguardo alle fasi romana e tardo-antica. Le fonti letterarie che citano Volterra o che riferiscono vicende di individui che si legano alla città romana sono consistenti per una comunità che, in fondo, era solo una fra le tante all’interno del più ampio contesto dell’Impero Romano. Divenuta una potenza mediterranea alla conquista di nuovi spazi continentali, grazie a Roma le élite ebbero la possibilità di costruire le loro fortune anche al di fuori dei “ristretti” orizzonti d’origine. Alla luce dei nuovi rinvenimenti archeologici e prendendo spunto dai lavori dedicati a Volterra romana1, è sembrato necessario un aggiornamento sui dati disponibili

Nel più ampio panorama di studi dedicati alle gentes dell’Etruria3, il fortunato caso dei Cecina, cui anche Ronald Syme dedicò diversi studi rimasti inediti,4 è stato spesso messo in relazione con le vicende della città Augenti-Terrenato 2000: 298-289. Solo per citare qualcuno fra i numerosi contributi si citano Torelli 1969; 1982; 1991; 1995; Cecconi-Raggi-Salomone Gaggero 2017, Papi 2000. 4 Santangelo 2016: 10 e nota 24. 2 3

1 Per un’ampia rassegna bibliografica si veda Bonamici-Rosselli 2012. Fra i lavori dedicati a Volterra romana, Fiumi 1976; PasquinucciCeccarelli Lemut-furiesi 2004; Furiesi 2008; Bonamici-Sorge 2021.

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Poteri e strategie familiari di Volterra di contrattazione fra élite locali e Roma14. Il ‘negoziato e un duplice atteggiamento delle élite locali, esterno di adesione ai programmi politici e interno di mantenimento di una propria identità culturale’, sono stati considerati come la chiave interpretativa per spiegare la sopravvivenza stessa dei diversi gruppi sociali di una comunità15. Contemporaneamente, grazie alla contrattazione instaurata, le élite avrebbero mantenuto l’ampia libertà di movimento che permetteva loro di perseguire interessi personalistici e di rafforzare le basi del proprio potere a livello locale16. Fra i numerosi contributi che, negli anni, hanno trattato dell’Etruria romana, il caso di Volterra e delle sue élite in epoca successiva a quella etrusca è stato ritenuto, a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso, un eccezionale esempio di ‘sopravvivenza etrusca’17 e di ‘conservatismo religioso’18, aspetti considerati quali chiavi interpretative per spiegare la fortuna delle strutture economiche e insediative romane fino al periodo tardo antico19. Concordando con quanto evidenziato da Santo Mazzarino nello studio Sociologia del mondo etrusco e problemi della tarda etruscità (1957), in cui egli individuava la sopravvivenza culturale etrusca come l’aspetto alla base della continuità dei modi di gestione della terra in Etruria fra l’età arcaica e quella longobarda20, è sembrato necessario riflettere ulteriormente sulla sopravvivenza di tali strutture economiche e insediative di cui Volterra sarebbe stata espressione esemplare21. Alla luce delle teorie sul negoziato delle élite con Roma è sembrato necessario trovare una giustificazione a tale ‘immobilismo’ e, soprattutto, riscontrarne traccia a livello archeologico.

romana di Volterra e, soprattutto, con l’identità etrusca della comunità5. Tuttavia, mancava un lavoro aggiornato che prendesse in considerazione la storia della gens sul lungo periodo, evidenziandone i legami con le famiglie dell’Impero, le relazioni con il territorio e con le élite locali di Volterra. Lo studio prosopografico dedicato alle famiglie volterrane rimaneva infatti legato ai lavori di Luigi Consortini6, di Renato Bacci7, nonché ai fondamentali contributi di Mario Torelli8, Massimiliano Munzi, Nicola Terrenato9. L’analisi delle élite di Volterra necessitava di puntuali aggiornamenti e di una considerazione unitaria dell’epigrafia locale all’interno di un generale ripensamento teorico volto alla ricostruzione dei rapporti fra i gruppi di potere nel territorio di Volterra e nel più ampio contesto dell’Impero. A tale proposito si è deciso di fare proprie le definizioni proposte da Daniëlle Slootjes sui local potentes10 dal momento che sono sembrate utili per lo sviluppo di un nuovo approccio allo studio dell’élite di Volterra. A livello teorico, la Slootjes ha proposto la distinzione fra basic local potentes, e supra-local potentes. I basic local potentes erano essenzialmente i membri dei consigli cittadini che, spesso autoctoni e/o possidenti all’interno del territorio municipale, esaurivano all’interno dei confini della comunità d’appartenenza il loro raggio di influenza. I supra-local potentes erano individui non necessariamente originari del territorio in cui detenevano proprietà, ma che influivano sul funzionamento della comunità estendendo la portata delle loro azioni a livello sovra-locale. Abbinando un’analisi prosopografica alla distinzione proposta dalla Slootjes, a un’indagine onomastica partendo dallo studio delle epigrafi è stato possibile ricostruire la composizione delle élite locali. Ciò ha permesso di proporre nuove teorie sulla gestione dei poteri e sulle politiche di amministrazione delle risorse nell’arco cronologico d’interesse, nonché di ricostruire l’esistenza di strategie familiari di lungo periodo che furono alla base dell’integrazione della comunità romana di Volterra nel più ampio contesto dell’Impero.

A partire dal South Etruria Survey Project fra il 1950 e il 1970, si sono moltiplicati i progetti di ricognizione sistematica e di scavo che hanno permesso di riscrivere in buona parte la storia dell’antica Etruria22, mettendone in luce le dinamiche di state formation a partire dall’epoca etrusca23 mentre alcuni lavori di sintesi hanno recentemente preso in considerazione le ville e i mosaici dell’Etruria romana24. Nell’area settentrionale dell’Etruria scavi e ricognizioni sistematiche per lo studio del territorio sono stati effettuati a partire dagli anni Ottanta del secolo scorso nei territori di Pisa25, Lucca26, Firenze27, Populonia28, Siena29. Per quanto riguarda

Il libro inserisce, dunque, Volterra nel più ampio dibattito storiografico sulla cosiddetta ‘Romanizzazione’, specie in relazione al ruolo delle élite locali in qualità di mediatrici dell’integrazione all’interno delle nuove forme politiche e culturali11. Già Ronald Syme aveva definito la storia romana come storia degli ambiziosi membri della governing class12 e, di recente, i lavori di Nicola Terrenato, che si è particolarmente interessato all’Etruria, e a Volterra13, hanno sottolineato l’importanza dello studio dei sistemi

Terrenato 2011; 2014; 2019. Terrenato 1998: 112-114 e 2019. 16 Terrenato 2007 e 2014. 17 Mazzarino 1957. 18 Capdeville 1997: 309. 19 Cfr. Augenti-Terrenato 2000. 20 Mazzarino 1957: 98-122. 21 Fra i contributi sulla ‘Transizione tardoantica’ Vera 1983; 1994; 1995. Sui centri urbani d’Etruria si vedano: Cavalieri 2011; Cantini-Citter 2010. 22 Per una rassegna dei progetti di ricognizione in Etruria si veda Launaro 2011. 23 Stoddart 2020. 24 Cavalieri-Sacchi 2020; Bueno 2011; Marzano 2007. 25 Per una rassegna Pasquinucci 2002; Menchelli-Vaggioli 1987; Anichini et Al. 2013. 26 Fra i numerosi contributi dedicati alla città e al suo territorio si vedano: Ciampoltrini-Andreotti 1993; Ciampoltrini 2004a. 27 Capecchi 1996; Schmiedt 1989; Shepherd 2008; D’AquinoGuarducci-Nencetti-Valentini 2015. 28 Numerosi sono i risultati pubblicati nella serie Materiali per Populonia; si vedano pure Fedeli-Galiberti-Romualdi 1993; Gualandi 2005; Cambi-Pagliantini-di Paola 2015; Di Paola 2018. 29 Cristofani 1979; Acconcia 2012; Ascheri 2013. 14 15

5 Hohti 1975: 409-410; Hall 1984, Capdeville 1997: 253-254; Furiesi 2008: 149-168, si vedano inoltre Nicolet 1974; Demougin 1992. 6 Consortini 1931; 1934a; 1934b; 1938. 7 Bacci 1974. 8 Torelli 1969; 1982. 9 Munzi-Terrenato 2000. 10 Slootjes 2009. 11 La ‘Romanizzazione’ è stato uno dei temi più dibattuti degli ultimi quarant’anni. Per recenti considerazioni sul tema e un’ampia disamina dei problemi si rimanda a Wallace-Hadrill 2008; Mattingly 2011; Terrenato 2019; Dommelen 1997 e 2012; Witcher 2006; Wisemann 1981. 12 Syme 2014. 13 Terrenato 1998.

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Un’introduzione al caso di Volterra il territorio di Volterra è sembrato necessario comparare i dati provenienti dalle tre macroaree del comprensorio antico (val d’Era, val di Cecina, val d’Elsa), i cui confini rimangono sostanzialmente coincidenti con quelli individuati da Enrico Fiumi (Fig. 1.3)30. Il territorio controllato da Volterra in età romana era delimitato dalle vallate fluviali del Cecina (a ovest), dell’Era (a nord), dell’Elsa (a est); l’ager si estendeva dalla città alla fascia costiera, dal bacino del fiume Fine (a nord) fino a Bolgheri e alle colline metallifere (a sud) e si presentava ricco di corsi d’acqua minori (fra cui Chiecina, Egola, Staggia, Sterza) (Fig. 1.4). Confinavano con l’ager Volaterranus (Fig. 1.2) le comunità di Lucca, Pisa e Firenze (a nord), Siena (a est), Chiusi e Populonia (a sud)31. La val d’Era a nord, la val d’Elsa a est, la val di Cecina a sud-ovest, costituivano, oltre alla fascia costiera, importanti vie di comunicazione all’interno di un sistema integrato di itinerari terrestri, fluviali, marittimi, lagunari. Ciascuna di queste aree si presenta, oggi come in passato, con caratteristiche fisiche e geomorfologiche che ne hanno condizionato lo sviluppo, la fisionomia, le attività economiche32. Sicuramente, come ha notato Marinella Pasquinucci, ‘i tre comprensori hanno garantito alla città di Volterra, grossomodo posta in posizione centrale, notevoli risorse agrarie, minerarie, boschive’33 consentendo ‘un popolamento urbano di particolare stabilità e durata’34. Del resto, dato che il territorio presentava caratteristiche così dissimili, è stato necessario prendere consapevolezza dell’utilità di analizzare il Volterrano in modo ‘parcellizzato’ così come sostenuto da Laura Motta35. Da oltre trent’ anni l’ager Volaterranus, specie nella sua fascia costiera, è oggetto di ricerche e studi diretti da Marinella Pasquinucci e da Simonetta Menchelli, e che sono promossi nell’ambito dell’insegnamento e delle attività del Laboratorio di Topografia Antica dell’Università di Pisa, i cui risultati sono confluiti in numerosi contributi36. Ricognizioni e scavi in ambito volterrano sono legati ai nomi di Stefano Bruni37, Marco Castiglioni e Alberto Pizzigati38, Giulio Ciampoltrini39 per la val d’Era; di Nicola Terrenato40, Roberta Mirandola e Sergio Fontana41, Linda Cherubini e Antonella Del Rio42 per la val di Cecina e l’area costiera; di Giuliano De Marinis43, Valeria Acconcia44, Marco Cavalieri45

e Federico Cantini46, per la val d’Elsa e il Valdarno inferiore. Gli studiosi si sono dunque abbondantemente occupati del popolamento nel Volterrano offrendo spesso definizioni controverse sugli insediamenti dei tre distretti geomorfologici (val d’Era, val d’Elsa, val di Cecina). Le definizioni impiegate a tale proposito sono varie: ‘insediamento sparso sui rilievi collinari’47, ‘sistema di unità insediative/produttive di maggiore estensione convenzionalmente definite ‘ville’ e ‘insediamenti rurali minori’48, ‘sistema di oppida’49, ‘sistema integrato’50. Tutto ciò crea non pochi problemi nel realizzare una sintesi sul popolamento dell’ager Volaterranus. Appare dunque fondamentale non soltanto riflettere sulla classificazione teorica relativa alla definizione degli insediamenti, ma anche sulla oggettiva difficoltà di confrontare dati appartenenti al medesimo territorio che hanno ricevuto diversa classificazione51. Per aggiornare il quadro delle evidenze archeologiche sull’ager Volaterranus questo libro integra ai dati disponibili provenienti dai risultati delle ricerche condotte sul territorio, l’analisi di contesti archeologici inediti individuati nelle aree settentrionale (val d’Era) e costiera (val di Cecina)52. L’integrazione dei dati inediti, sebbene talvolta essi si riducano a brevi note o a notizie che è spesso difficile mettere in relazione con le altre evidenze del territorio di pertinenza a causa delle diverse tecniche di rilievo, si rivela utile ai fini della ricerca storica, nonché per contribuire alla valorizzazione e alla fruizione di contesti spesso dimenticati. In questo caso, si sono rivelati inoltre significativi per un ripensamento del popolamento antico permettendo di avanzare nuovi spunti interpretativi per spiegare le differenti dinamiche insediative nelle tre macroaree dell’ager. L’aggiornamento dei dati storici e archeologico-topografici relativi al territorio e le recenti scoperte effettuate nel centro urbano53 ne hanno migliorato la conoscenza determinando la necessità di una nuova riflessione riguardo i gruppi di potere locali. In questo senso, i dati archeologici vengono interpretati Cantini-Salvestrini 2010. Cfr. Castiglioni-Pizzigati 1997. 48 Da ultimo Menchelli-Genovesi-Sangriso 2018. 49 Bruni 2008: 171. 50 Terrenato-Saggin 1994. 51 A tale proposito, si vedano le riflessioni in Attema-Bintliff et Al. 2018. 52 Lo studio, autorizzato dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio, ha interessato i siti archeologici inediti di Orceto (Lari) e Pian di Selva (Ponsacco) in Val d’Era, La Villana (Rosignano Marittimo), Capodivilla (Vada), Vallescaia (Vada) in Val di Cecina. I siti sono stati analizzati mediante lo spoglio della documentazione conservata presso l’Archivio Storico della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio a Firenze e l’analisi in laboratorio dei relativi materiali archeologici presso il Laboratorio di Topografia Antica dell’Università di Pisa, il Museo Civico archeologico di Rosignano Marittimo e il Museo archeologico di Villa Baciocchi a Capannoli. Tutti i disegni dei materiali analizzati presentati sono stati realizzati dall’autore. 53 Il centro di Volterra è da diversi anni ormai oggetto di scavi presso l’acropoli condotti dalla Prof.ssa M. Bonamici nell’ambito dell’insegnamento di Etruscologia dell’Università di Pisa. Le attività di monitoraggio e intervento della Soprintendenza hanno poi permesso di mettere in luce parte dell’anfiteatro individuato al di fuori di Porta Diana, mentre i risultati dai diversi scavi e sondaggi effettuati nel centro di Volterra sono stati oggetto di pubblicazioni nei Notiziari della Soprintendenza (2012; 2014; 2016) e di presentazioni all’interno degli annuali convegni e giornate di studio presso il Centro Studi Maria Maddalena a Volterra. 46 47

Fiumi 1968. Pasquinucci-Ceccarelli Lemut-furiesi 2004: 29-30. I confini del territorio volterrano rimangono sostanzialmente quelli riconosciuti ed individuati da Enrico Fiumi nel suo studio del 1968. 32 Pasquinucci-Mazzanti 1983; Pasquinucci-Menchelli 2011; Morhange et Al. 2015; Romanò-Susini 2019. 33 Pasquinucci-Ceccarelli Lemut-Furiesi 2004: 13-17. 34 Motta 2000: 20-21. 35 ‘si evince come il territorio volterrano abbia caratteristiche ambientali estremamente eterogenee che offrono opportunità di sostentamento molto diverse a seconda delle aree’. Motta 1997: 245-246. 36 Per citarne alcuni fra i principali, Pasquinucci-Del Rio-Menchelli 2000; Iacopini et Al. 2012; Pasquinucci-Menchelli 2002; 2015; Pasquinucci-Menchelli 2017; Sangriso 2017; Menchelli-GenovesiSangriso 2018. 37 Bruni 1997 e 1999. 38 Castiglioni-Pizzigati 1997. 39 Ciampoltrini 1997; 2004; 2008. 40 Terrenato-Saggin 1994; Terrenato 1998. 41 Mirandola-Fontana 1997. 42 Cherubini-Del Rio 1995; Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006; Pasquinucci- Menchelli 2006 e 2012. 43 De Marinis 1977. 44 Acconcia 2012. 45 Cavalieri 2009 e 2016. 30 31

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Poteri e strategie familiari di Volterra dell’élite locale e prendendo in considerazione: la consistenza demografica e l’estensione della comunità antica, la datazione della deduzione della colonia romana, il mantenimento delle cariche municipali nel nuovo apparato istituzionale della colonia, la comunità tardoantica. Il secondo capitolo ricostruisce la distribuzione della proprietà privata nell’ager Volaterranus impiegando dati epigrafici e archeologici, la toponomastica prediale, la prosopografia per inserire le élite di Volterra nel più ampio dibattito circa le strategie economiche familiari in età imperiale. Il terzo capitolo presenta una sintesi delle dinamiche di popolamento nell’ager Volaterranus comparando i dati toponomastici, letterari, epigrafici, nonché nuovi dati archeologici inediti58, per i tre distretti geomorfologici (val d’Era, val d’Elsa, val di Cecina) con quelli disponibili per il centro urbano. Con l’obiettivo di una nuova interpretazione dei modelli di insediamento che tenesse conto delle peculiari politiche di gestione del territorio, è stata proposta nel capitolo l’analisi dei rapporti fra centro e periferia in relazione alle aree proprietà pubblica a partire dalla rivalutazione delle aree “marginali”59. In questo senso si intende delineare lo sviluppo di specifiche strategie politiche territoriali nel negoziato fra le élite locali e Roma, per verificare se e quanto esse influirono sulla determinazione dello status giuridico delle cosiddette “aree marginali” ai confini della comunità. L’ultimo capitolo tratta le versatili strategie culturali di lunga durata messe in atto dalle élite di Volterra. Nello specifico si mette in rilievo l’importanza del ruolo della memoria e della trasmissione familiare di un patrimonio culturale etrusco in quanto aspetto fondamentale all’interno dei processi di formazione identitaria60, promozione, ostentazione e rivendicazione del potere delle élite di Volterra nei confronti di quelle di Roma e dell’Impero.

come guida fondamentale per comprendere le dinamiche di strutturazione del paesaggio antico. L’integrazione tra i dati archeologici e le fonti letterarie, epigrafiche, toponomastiche, prosopografiche consente di avanzare proposte alternative sulla gestione del territorio e delle risorse a Volterra, interpretandole come risultato di scelte mediate dalle élite a capo della comunità e, al contempo, come riflesso dei rapporti delle élite locali con l’Impero. Tutto ciò implica far emergere gli aspetti costitutivi di quelle che furono vere e proprie strategie di lungo periodo messe in atto dalle élite per il mantenimento del proprio potere. All’interno di tali strategie, anche gli aspetti culturali avevano un ruolo tutt’altro che secondario. Dato l’importante passato etrusco di Volterra è sembrato necessario riflettere sulla percezione dell’identità etnica etrusca come frutto di costruzione sociale legata allo specifico territorio della comunità54. Concordando Stéphane Bourdin quando afferma, ‘L’identità etrusca di una città è relativa. Alcune città assumono identità diverse in funzione di diversi periodi della loro storia e alcune città possiedono una popolazione multietnica’55, si è cercato di evidenziare come Volterra avesse legato le sue sorti all’identità dei suoi più eminenti esponenti che agivano da intermediari per l’integrazione nel nuovo apparato socioeconomico e culturale dell’Impero. Per una disamina delle strategie familiari delle élite di Volterra, particolare attenzione viene quindi riservata al caso dei Cecina, per i quali si è in possesso di un cospicuo numero di informazioni storico-letterarie, epigrafiche e archeologiche che coprono l’intero arco cronologico del lavoro. Per una migliore comprensione delle strategie dei Cecina è stato fondamentale tentare una ricostruzione dei legami familiari e realizzare un albero genealogico (Figg. 4.6-4.10 e 4.11)56. La potente gens Cecina i cui membri erano riconosciuti come leader civici, gli optimi viri del centro urbano, garantirono il potere alla comunità grazie a forti alleanze e reti sociali, versatili strategie economiche, un forte senso di identità elitaria basata su una memoria familiare gelosamente custodita e tramandata. Il presentarsi ed essere riconosciuti come i migliori, insieme all’importanza “dinastica” della gens, induce a riflettere sui cosiddetti aspetti ‘signorili’ della famiglia a livello locale. Tali aspetti, secondo quanto teorizzato per le élite tardoantiche dell’Impero da John Percival e Chris Wickham, sarebbero stati alla base del naturale sviluppo al sistema politico, economico, sociale dell’alto medioevo57. Il libro è suddiviso in quattro capitoli. Il primo capitolo intende ricostruire società e amministrazione di Volterra romana mettendo in relazione la prosopografia e lo studio dell’epigrafia locale al fine di definire le componenti 54 Hall 1997. Su identità e autorappresentazione in Etruria si veda anche il recente Strazzulla 2018. 55 Bourdin 2012: 612-613. 56 L’albero genealogico è stato realizzato a partire dalle attestazioni epigrafiche registrate nei corpora digitalizzati Epigraphic Database Roma (EDR) e Epigraphik-Datenbank Clauss-Slaby (ECDS), della Prosopographiae Imperii Romanii (PIR) e dei volumi della Prosopography of the Late Roman Empire (PLRE) e di Capdeville 1997; Chastagnol 1956; 1961; Demougin 1992; 2008. 57 Cfr. Percival 1969; Wickham 1984.

Per quanto riguarda la realizzazione grafica dei materiali è stata curata da chi scrive. Le mappe di distribuzione dei siti tengono conto non di tutti i siti nell’ager Volaterranus, ma quelli per cui è stato possibile individuare la localizzazione a partire dai dati pubblicati e disponibili. 59 Sulle aree “marginali” si vedano Traina 1988; Perassi-Vanotti 2004; Di Paola 2018. 60 Bourdin 2012. 58

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1 ‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’1 Società e amministrazione della città romana Il capitolo, suddiviso in quattro parti, intende ricostruire il contesto politico e sociale della comunità romana di Volterra prendendo in esame dati archeologici, epigrafici, letterari, proposografici. Nella prima parte si propone una stima relativa all’estensione e alla popolazione dell’ager Volaterranus, poi vengono riesaminati i problemi storiografici relativi alla comunità romana. Nella seconda parte, si ricostruisce l’amministrazione della comunità romana. La terza parte presenta un quadro di sintesi sull’amministrazione locale dopo le riforme di Diocleziano e fino all’epoca tardoantica per evidenziare il ruolo dei nuovi gruppi di potere, ossia i membri della comunità cristiana, che progressivamente si sostituirono alle élite tradizionali nella gestione della città. Nell’ultima parte del capitolo viene proposta una sintesi dei dati per evidenziare l’esistenza di dinamiche di accesso al potere e di fazioni locali fortemente influenzate dalle élite civiche. Keywords: Volterra, Impero Romano, Politiche locali, Magistrature, Sacerdozi, Alleanze, Fazioni, Élite tardo-antiche, Cristianizzazione, Poteri The chapter, divided in four parts, aims to reconstruct the social and political context of the Roman community of Volaterrae through the integration of archaeology, epigraphy, literary data, and prosopography. In the first part, it provides projections related to demography and the territorial extent of Volterra’s political weight within its voting district. In the second part, the chapter analyses the changing institutional order from municipium to colony and the civil and religious offices attested by Latin epigraphy. The integration of prosopography profiles and onomastic analysis presents local policies to access powers and climb the social hierarchies. Local elite groups succeeded in managing these policies through extended friendship, kinship, and clientship ties. In the third part, it provides an analysis of the city in Late Antiquity and the new elites. Finally, the chapter stresses how local power dynamics related to the crucial role of members of the local elites. Keywords: Volterra, Roman Empire, Local Policies, Magistratures, Religious Offices, Alliances, Factions, Late-antique elites, Christianization, Powers Il capitolo intende ricostruire il contesto sociale e politico della comunità di Volterra nel periodo della sua inclusione nell’Impero Romano (Fig. 1.1). Nonostante i numerosi studi dedicati a Volterra romana2 è mancata finora una considerazione unitaria che prendesse congiuntamente in esame le magistrature locali e l’aspetto prosopografico in relazione alla consistenza demografica dell’ager Volaterranus. Rimanevano inoltre insoluti problemi storiografici quali la datazione della deduzione della colonia3 e il mantenimento delle cariche municipali nel nuovo apparato istituzionale4. Il capitolo è suddiviso in quattro parti. Nella prima parte si propone una stima relativa all’estensione e alla popolazione dell’ager Volaterranus, poi vengono riesaminati i problemi storiografici relativi alla comunità romana. Nella seconda parte, il capitolo ricostruisce

l’amministrazione della comunità romana a partire dalle epigrafi latine rinvenute in città e nel suo territorio mettendo in relazione le magistrature civiche e religiose attestate a livello epigrafico, le fonti letterarie, i profili prosopografici. La terza parte del capitolo intende fornire un quadro di sintesi sull’amministrazione locale dopo le riforme di Diocleziano e fino all’epoca tardoantica per evidenziare il ruolo dei nuovi gruppi di potere, ossia i membri della comunità cristiana, che progressivamente si sostituirono alle élite tradizionali nella gestione della città. Nell’ultima parte del capitolo viene proposta una sintesi dei dati per evidenziare l’esistenza di dinamiche di accesso al potere e di fazioni locali fortemente influenzate dalle élite civiche, a dimostrazione che, proprio grazie ai suoi leader, la comunità di Volterra fu inserita all’interno di reti di potere di portata sovra-locale sul lungo periodo.

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1.1. Proposte per una stima di demografia, estensione, peso politico della comunità di Volterra in età romana

1 Cic., Dom., XXX, 79-80: ‘I Volterrani non sono solo cittadini, ma ottimi cittadini’. 2 Su Volterra in età romana ci si limita a citare solo alcuni fra i numerosi contributi: Consortini 1940; Fiumi 1968; Fiumi 1976; Pasquinucci, Ceccarelli Lemut, Furiesi 2004; Munzi-Terrenato 1994; Terrenato 2008; i Quaderni del Laboratorio Universitario Volterrano (1996-2018); Bonamici-Sorge 2021. 3 Mommsen 1883: 161-213; Pais 1884; Munzi-Terrenato 1994: 31-42. 4 Degrassi 1971: 67-98; Laffi 2007.

La ricostruzione di modelli demografici relativi alle comunità dell’Italia romana è stata oggetto di dibattito da parte di storici e archeologi che, a partire dagli anni 5

Poteri e strategie familiari di Volterra le ricostruzioni demografiche relative alla comunità in età moderna con la capienza stimata per monumenti quali il teatro e l’anfiteatro, nonché con altre città romane.

Sessanta del XX secolo, si sono confrontati su metodi di ricerca, uso e interpretazioni delle fonti archeologiche e letterarie, senza arrivare a conclusioni univoche e condivise5. La difficoltà di comparazione dei dati a livello macroregionale si riconduce alla loro intrinseca qualità, nonché alla diversità di metodi di raccolta e rielaborazione6. Tuttavia, si concorda sull’importanza da attribuire alla diversità locale, sul ruolo fondamentale di prospettive diacroniche, sulla necessità di un metodo quanto più possibile standardizzato e che consenta di sviluppare analisi comparative e di sintesi7. Sebbene l’esatta ricostruzione di un modello demografico per Volterra romana non sia l’obiettivo di questo studio, è sembrato opportuno provare a suggerire almeno una stima della popolazione dell’ager. Nella consapevolezza che una stima è un dato approssimativo che non permette di desumere una ricostruzione che tenga adeguatamente conto delle variazioni diacroniche, comparando alcune informazioni desumibili dall’archeologia urbana con quanto analizzato per la città d’epoca moderna è possibile raggiungere alcuni interessanti risultati.

Elio Lo Cascio considerava il caso volterrano come un esempio di entità demografica non del tutto dissimile fra epoca romana e preindustriale13. Secondo stime effettuate sulla popolazione di Volterra (compresi i borghi limitrofi)14 in età basso medievale e moderna, si evince che il totale degli abitanti della città nel 1428-1429 oscillava, tra i 3.360 abitanti (Fiumi) e 3.342 (Klapisch-Zuber), contava 5.052 abitanti nel 1552, raggiungeva i 5.742 abitanti nel 174515. Prendendo in considerazione anche i centri del distretto16, la stima della popolazione volterrana oscillava nel 1428-1429 fra 6.764 abitanti (Fiumi) e 7.206 (Klapisch-Zuber), quella del capitanato nel 1552 era stimata in 14.160 abitanti, in 14.798 nel 162217. Sembra quindi possibile dedurre che gli abitanti del centro urbano oscillassero fra un minimo di 3.000 e un massimo di 5.000 abitanti, e quelli del suo territorio fra un minimo di 5.000 e un massimo di 15.000 abitanti. Fra i vari modelli interpretativi relativi alla demografia e all’estensione delle comunità dell’Italia nel primo impero, i dati riportati da Luuk De Ligt si rivelano convincenti per avanzare alcune riflessioni in merito al caso volterrano. Secondo De Ligt, il centro di Volterra compreso all’interno della cinta muraria urbana (30-33 ha) era uno dei più estesi in Etruria settentrionale: si presentava più grande di Firenze (20 ha), simile a Pisa, notevolmente più grande rispetto a Pistoia (9 ha) e Siena (4,2 ha). Era invece più piccolo di Arezzo (46 ha), Cortona (35,6 ha), Lucca (35,5 ha)18. Prendendo come termine di paragone Pompei (66 ha) pari a circa il doppio dell’estensione del centro di Volterra in età romana19, poiché il numero degli abitanti di Pompei si aggirava attorno ai 9.900-10.000 abitanti20, si potrebbe ipotizzare, con le dovute cautele, che la popolazione urbana di Volterra dovesse contare, approssimativamente, tra i 4.000 e i 5.000 individui. Se poi si accetta il rapporto proposto da De Ligt di 1:4 fra abitanti della città e quelli delle campagne si dedurrebbe che la popolazione dell’ager Volaterranus dovesse attestarsi fra i 16.000 e i 20.000 abitanti (8-10 abitanti/kmq)21. È interessante notare come tali numeri non siano così diversi dalle stime della popolazione volterrana in età basso medievale e moderna oscillante fra 3.000 e 5.000 abitanti, nel centro urbano, e

1.1.1. Popolazione, città e territorio in età romana In epoca etrusca, Volterra occupava un’area di circa 100 ha8 ed esercitava il controllo su un territorio pari a 2.700 kmq9. In epoca romana poi, l’ager Volaterranus si contrasse, probabilmente a 2.000 kmq circa (Fig. 1.3), a seguito dello scorporamento di alcune zone a favore di Siena, nell’area orientale (Fig. 1.2)10. Anche lo spazio urbano dovette subire una contrazione (circa 30-33 ha) e, dalla cinta muraria di tardo IV secolo a.C.11, arrivò a essere compreso entro una cerchia più ristretta, grossomodo corrispondente a quella della città medievale12. Sebbene la stima della popolazione a partire dall’estensione dell’area urbana sia un dato da prendere in considerazione con precauzione, può essere utile per fare chiarezza confrontare 5 Per l’accurata disamina del dibattito storiografico sulla ricostruzione della popolazione dell’Italia Romana si veda Launaro 2011. 6 Numerosi sono stati i progetti di ricerca e ricognizione condotti nel territorio volterrano, a tale proposito infra paragrafo 3.1. 7 Per approfondimenti metodologici e casi di studio in area Mediterranea si rimanda ai fondamentali: Bintliff-Sbonias 1999, Bowman-Wilson 2011; De Ligt 2012; Hin 2013. 8 Anche in Redhouse-Stoddart 2014: 166. 9 Stoddart 2020; Anche in Redhouse-Stoddart 2014: 163, fig. 8.1. 10 È inoltre possibile confrontare l’estensione di massima dell’ager Volaterranus con i dati desumibili dagli studi demografici relativi al comprensorio nell’età basso medievale e moderna. In particolare, nel 1428-1429, il territorio di Volterra, costituito dalla città, dalle ville del contado, dalle comunità della Val di Cecina (Montecatini V.C., Monteverdi, Pomarance, Castelnuovo) si estendeva per un totale di 836 kmq con una densità di 8,6 abitanti per kmq. (Fiumi 1949; Fiumi 1968; Ginatempo 1994; Della Pina 1994). Se si considera che mancano dal computo l’intera area settentrionale (val d’Era), orientale (val d’Elsa) e parte della val di Cecina attribuibili all’ager della città in periodo romano (Fiumi 1968), l’estensione dell’area controllata da Volterra viene approssimativamente raddoppiata in circa 2.000 kmq. 11 La più estesa cinta muraria d’età ellenistica, realizzata nel tardo IV secolo a.C. comprendeva infatti circa 116 ettari, con un percorso di circa 7280 km che includeva anche numerose sorgenti, terreni coltivabili o lasciati a pascolo. Per ulteriori approfondimenti riguardo le mura etrusche di Volterra si veda Pasquinucci-Menchelli 2003. 12 Si vedano Fiumi 1947 e 1976. Sull’estensione della città romana d’età imperiale compresa entro le mura: Citter-Vaccaro 2003; Alberti 1999; De Ligt 2012: 310, appendice I; infra Fig. 3.8.

Lo Cascio 1994: 92 e nota 3. Ovvero S. Stefano, S. Giusto, Montebradoni. Fiumi 1949; Cherubini 1973. 15 Fiumi 1949 e 1972; Ginatempo 1994; Della Pina 1994. 16 Canneto, Castelnuovo, Gello, Leccia, Libbiano, Lustignano, Micciano, Montecatini, Montecastelli Montecerboli, Montegemoli, Monterufoli, Monteverdi, Pomarance, Querceto, San Dalmazio, Sassa, Sasso, Serrazzano, Sillano. Fiumi 1949; Cherubini 1973. 17 Della Pina 1994: 327-331. 18 Nella Regio VII augustea De Ligt individua 19 medium-sized towns mentre solo Arezzo era una large town (46 ettari) De Ligt 2012: 318-322 e appendice II. 19 De Ligt 2012: 310, appendice II. 20 Riguardo il computo relativo alla popolazione di Pompei De Ligt 2012: 233-235. 21 A tale proposito De Ligt 2012: 243-244. 13 14

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’ fino a un massimo di 15.000 nell’intero territorio ad esso soggetto. Chiaramente, tali cifre riflettono un’estrema semplificazione e, tuttavia, possono essere comparate con le stime sulla capienza massima del teatro cittadino che, seppure non dovesse accogliere l’intera popolazione, fino al III secolo d.C. poteva contenere fino a 3.500-3.700 spettatori22. Per l’anfiteatro di Volterra, recentemente scoperto, la capienza massima è stata calcolata fra gli 8.000 e 10.000 spettatori23.

Sabatina, Saturnia raggiungeva i 24 ha e una popolazione di 500-700 abitanti, Mantova aveva soli 7,5 ha abitati, Heba si estendeva per 14 ha, Cosa doveva contare circa 13 ha e 500 abitanti nel I secolo a.C.29, mentre per Visentium e Vulci non sono disponibili informazioni specifiche30. Dunque, Volterra era la comunità più strutturata all’interno della tribù Sabatina e, secondo quanto affermato da Lily Ross Taylor, almeno fino a quando il potere politico delle tribù non cadde in declino e i magistrati di Roma cominciarono a essere eletti in base alla commendatio dell’imperatore, la città doveva probabilmente avere un ruolo preponderante nelle scelte politiche della Sabatina31.

1.1.2. Volterra e la tribù Sabatina Per quanto approssimative, tali stime relative a popolazione ed estensione di Volterra in età romana risultano significative in relazione al peso politico della comunità all’interno della tribù Sabatina24. In quanto parte del territorio romano, Volterra e i suoi cittadini erano infatti iscritti all’interno di una tribù amministrativa – a fini censitari, militari, politici, elettorali – il cui nome veniva incluso nella nomenclatura ufficiale di ogni cittadino25. Le tribù riunivano comunità ubicate in aree geografiche spesso non contigue26, e di fatti erano iscritte alla tribù Sabatina: Saturnia, Visentium, Volaterrae, Vulci, Heba, forse Cosa27, appartenenti a quella che Augusto avrebbe nominato Regio VII Etruria, ma anche Mantua, ubicata nella Regio X Venetia et Istria, dal 49 a.C.28. Ogni anno, le tribù votavano per l’elezione dei magistrati di Roma e per l’approvazione delle leggi proposte, avendo così un potere diretto nel processo decisionale. Tuttavia, ogni tribù esprimeva un solo voto e, almeno fino a quando fu obbligatorio recarsi a Roma per le votazioni, erano quasi esclusivamente i più ricchi a prendere parte attiva alle assemblee. Secondo le ricostruzioni di De Ligt, fra i centri iscritti alla tribù

1.1.3. Problemi storiografici sull’ordinamento istituzionale della comunità romana Sebbene gli studiosi non abbiano ancora fatto chiarezza sul rapporto tra Volterra e Roma prima del 90 a.C., il prodigium verificatosi, come riportato da Giulio Ossequente, durante il consolato di Gaio Claudio e Marco Perperna quando ‘Volaterris sanguinis rivus manavit’32 ed espiato solennemente a Roma nel 92 a.C. 33, confermerebbe che stretti legami dovevano già esservi prima della concessione della cittadinanza con la Lex Iulia34. Cicerone per primo riporta informazioni relative all’ordinamento istituzionale di Volterra romana. In alcune delle sue lettere ad familiares del 45 a.C., egli definiva infatti Volterra un municipium35, inserendola quindi a pieno titolo tra le civitates romane. Nel 1989, poi, la scoperta di un’iscrizione a Montecatini Val di Cecina che attesta il titolo di ‘colonia’ per Volterra ha riacceso il dibattito storiografico circa l’ordinamento istituzionale della comunità in epoca romana36 (Fig. 1.5). Fino a quel momento gli studiosi erano infatti convinti che il regime municipale, ottenuto da Volterra in seguito alle guerre sociali, fosse rimasto invariato fino all’epoca imperiale37. Ciò trovava riscontro nella carica di quattuorviro, attestata epigraficamente a Volterra tra la fine del I secolo a.C. e l’inizio del secolo III d.C. La persistenza del quattuorvirato, magistratura tipica dei municipi, aveva quindi portato a escludere un cambiamento a

La capienza del teatro romano di Volterra viene calcolata in un totale di 3700 posti considerando che la proedria poteva ospitare fino a 130 spettatori, l’ima cavea 1036, la media cavea 1483, la summa cavea 1055. Contando poi un 5% di spazio che poteva eventualmente esser stato lasciato libero, i posti sarebbero scesi a 3500. È stato proposto di considerare il 28% e 28,5% come la percentuale di occupazione del primo e dell’ultimo settore della cavea, mentre al mediano spettava il 40% e solo il 3,5% alla proedria. Munzi 2000a: 57-58. Per approfondimenti sul teatro si rimanda a Fiumi 1955; Cateni 1993, Munzi-Terrenato 2000. Dal 2016 è inoltre attiva la Detroit Fundation con interventi di reality capture che hanno portato all’acquisizione di nuove informazioni sul teatro romano. In quest’ambito, recenti studi di Fuchs propongono una progettazione del teatro romano di Volterra, per cui la capienza viene calcolata in 2800-3500 posti, come fortemente improntata all’utilizzo del nuovo sistema metrico del piede romano. Cfr. Fuchs 2021. 23 Sorge 2021. 24 La tribù di voto Sabatina era stata creata, insieme alle tribù Arnensis, Stellatina, Tromentina dopo l’annessione del territorio di Veio all’ager Romanus, nel 387 a.C. Sulle tribù, le loro funzioni e il loro sviluppo storico si vedano: Taylor 1960; Luciani 2018: 175-184. 25 Sul legame tra tribù, clan gentilizi e nomenclature si veda anche Smith 2006. 26 Riguardo la mancanza di contiguità territoriale fra le comunità iscritte in una medesima tribù e l’importanza delle élite locali, è significativo quanto detto da L. R. Taylor “The tribe was as important in the vote as the state is in American elections, but it was much harder to become acquainted with the 35 tribes than it is with the 50 States of the Union, for, by Cicero’s day, the majority of the tribes were not continuous geographical units; instead they were divided up in various parts of Italy, and the politician must have had to do hard work before Italia tributim discripta was firmly in his memory”. Taylor 1960: 27. 27 Luciani 2018: 179 28 Cfr. Taylor 1960: 116-117, 128; 274; Deniaux 1991: 220-1; Furiesi 2008: 15. 22

Luciani 2018a: 175-183. De Ligt 2012: 300; 320-321. 31 Taylor 1960: 117. 32 Obseq., 53. 33 Ruoff Vaananen 1975: 33-67. 34 Sul precedente ordinamento istituzionale di Volterra in età etrusca, e in generale delle città etrusche, le notizie sono scarse. Quasi sicuramente le città erano rette da una sorta di oligarchia e le principali cariche, non chiaramente definibili, probabilmente annuali, erano quelle di zilath, purth, maru menzionate in diverse iscrizioni. Una caratteristica delle città etrusche era quella di avere un’ampia sfera d’influenza all’interno della quale rientravano anche città più piccole. I territori erano sotto l’effettivo controllo di gruppi familiari delle città. In merito cfr. BarkerRasmussen 2000: 99-101; Naso 2017; Maggiani 1996. 35 Nello specifico Cic., Fam., XIII, 4-5. Sulla comunità di Volterra nel I secolo a.C. si veda Zambianchi 1978. 36 Sull’epigrafe Munzi-Terrenato 1994: 31-42; Ristori-ristori 1993. 37 Dopo la guerra sociale, quando la cittadinanza venne estesa a tutte le colonie latine e alle comunità federate, le singole comunità vennero riorganizzate secondo lo schema del quattuorvirato e le norme riguardo la composizione dei senati locali e l’ordinamento giuridico vennero unificate per tutte le comunità di cittadini romani, distinte in municipia, coloniae, praefecturae, fora, conciliabula. Cfr. Laffi 1981: 59; 70. 29 30

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Poteri e strategie familiari di Volterra livello istituzionale tra la fine della Repubblica e l’inizio del Principato. A rafforzare tale tesi concorrevano le testimonianze di Cicerone e di Plinio, che nella redazione di un elenco con le quarantasei colonie triumvirali o augustee, trascritte direttamente da una lista ufficiale di Augusto, non menzionava Volterra38. Pertanto, gli storici erano stati portati a considerare errato quanto riportato nel Liber Coloniarum, dove Volterra veniva definita ‘colonia triumvirale’39. Secondo gli editori dell’epigrafe rinvenuta a Montecatini val di Cecina, l’assenza di Volterra all’interno dell’elenco pliniano renderebbe difficile una creazione ex novo negli anni del principato augusteo, ma non esclude la possibilità di integrazione di una colonia già esistente. La testimonianza epigrafica non creerebbe, invece, alcun problema se si trattasse di una deduzione tardo-cesariana, triumvirale o post-augustea40. In particolare, gli editori dell’epigrafe propongono di integrare l’iscrizione con il titolo di Colonia Iulia Augusta perché questo potrebbe essere un titolo composito, nato da una stratificazione. A una colonia Iulia, forse originata dopo una ripresa triumvirale post-Filippi, sarebbe stato aggiunto il titolo di Augusta dopo il 27 a.C. come privilegio onorario o a seguito di un’ultima immissione di coloni41.

della civitas fossero i principali costruttori dell’ambiente sociale, politico ed economico tramite logiche di interessi personali, ma anche di beneficio nei confronti dell’intera comunità. Allo stesso tempo, i leader civici agivano nel rispetto di norme e convenzioni sociali dettate dal fatto di essere inseriti all’interno del contesto imperiale romano45, ma per Volterra il passato etrusco giocò un ruolo fondamentale. 1.2. L’amministrazione locale Ogni civitas, per essere definita tale, doveva essere almeno in potenza autosufficiente in termini economici e demografici, avere sia un territorio rurale sotto la propria giurisdizione46, sia una costituzione fedelmente modellata su quella di Roma circa la composizione, il reclutamento, le competenze delle magistrature. Erano ovviamente previsti adattamenti alle esigenze particolari47, ma i governi locali godevano di una notevole autonomia48, generalmente rispettata dalla riorganizzazione augustea, sebbene in linea generale la tendenza era quella di “correggerla” mediante l’istituzione di funzionari nominati dal governo di Roma49. Grazie all’epigrafia in lingua latina, per lo più relativa a monumenti funerari o iscrizioni di dedica, è possibile ricostruire in buona parte l’ordinamento istituzionale della comunità romana di Volterra.

Se il problema relativo alla cronologia della deduzione della colonia Volaterrana sarebbe così risolto, resta da considerare un altro aspetto: l’organizzazione interna della comunità romana rimase infatti invariata nonostante il cambiamento istituzionale. Solitamente, il passaggio da un ordinamento municipale a uno coloniale comportava invece un cambiamento nell’organizzazione istituzionale, ossia l’adozione della magistratura dei duoviri in luogo di quella dei quattuorviri municipali. Tuttavia, alcune città mantennero il quattuorvirato al momento del loro innalzamento allo statuto di colonia. È stato dimostrato ad esempio che in Italia conservarono il loro precedente sistema di magistrati: Aquileia, Falernum, Sora, Tingi, Teanum Sidicinum42. La presenza di tali eccezioni è significativa dal momento che la maggior parte di queste colonie, dove continuarono ad essere attestati come magistrati supremi i quattuorviri iure dicundo (in luogo dei duoviri), come Volterra erano state fondate fra l’età di Cesare e quella di Augusto43. Si può quindi intuire che la scelta di un ordinamento diverso da quello canonico fosse indotta, o per lo meno condizionata, da situazioni o contingenze locali44.

1.2.1. L’ordine dei decurioni Le iscrizioni rinvenute nella proedria del teatro urbano (Fig. 1.6) consentono di ricostruire, sebbene parzialmente, la composizione dell’ordine dei decurioni di Volterra. Esse offrono, infatti, uno spaccato della composizione del senato locale fra il II e la prima metà del III secolo d.C.50. I membri dell’ordine decurionale potevano essere reclutati tra gli ex magistrati51, o essere cooptati senza aver Verboven 2002: 350. Garnsey-Saller 1989: 37-39. 47 Laffi 1981: 60-69. 48 Grande era l’autonomia delle civitates specie in ambito giurisdizionale. Si ritiene che fossero esclusi dalla competenza dei magistrati municipali unicamente i processi di libertà e le cause infamanti, nonché una serie di provvedimenti detti atti magis imperii quam iurisdictionis. Successivamente l’imperatore si sarebbe presentato come la suprema istanza nei confronti dei cives, nella cui civitas egli era costituzionalmente integrato. In merito Talamanca 1979: 539-575. 49 Per quanto concerne l’aspetto delle istituzioni locali, nemmeno l’editto di Caracalla (212 d.C.) comportò alcuna modifica diretta del sistema di amministrazione locale, mentre con la riforma dioclezianea delle strutture amministrativo-burocratiche si assistette a un generale livellamento fra gli organismi locali con la scomparsa delle assemblee popolari e una riduzione delle sfere di competenza per i magistrati. Cfr. Talamanca 1979: 539-649. 50 Le epigrafi rappresentano una stratificazione di circa due secoli. Certamente avvenivano degli aggiornamenti nella realizzazione dei loca, ma non sappiamo se in occasioni particolari. È probabile che i posti potessero essere ereditati, ma le epigrafi testimoniano una situazione abbastanza dettagliata della classe dirigente che per ultima utilizzò il teatro. Munzi 2000b: 111-137. 51 Le norme fondamentali regolanti la composizione e i poteri dei senati locali risultano esplicitamente documentate dalla tabula Heraclensis. Laffi 1981: 59-70. Coloro che avevano maturato il loro anno di carica e avevano quindi acquisito il titolo per l’ingresso nel senato, dovevano comunque attendere per la nomina effettiva la lectio quinquennalis. Essi erano tuttavia ammessi a partecipare alle riunioni del senato con ius sententiae dicendae. 45 46

Rimane difficile ricostruire con chiarezza tali contingenze, tuttavia, per Volterra è possibile avanzare, grazie all’integrazione fra fonti letterarie, epigrafiche, onomastica e prosopografia alcune considerazioni relativamente alle logiche per l’accesso al potere locale e alle alleanze familiari. Ciò implica accettare che gli individui a capo Plin., N.H., III, 46. Lib. col., I, 214. Per ulteriori approfondimenti: Pais 1920; Pais 1924; Settis1993; Campbell 2000. Sulla centuriazione infra paragrafi 1.1.3; 3.3.2. 40 Munzi-Terrenato 1994: 35. 41 Munzi-Terrenato 1994. 42 Degrassi 1971, 67-95.; Laffi 2007: 55. 43 Laffi 2007: 58; 145-148. 44 Laffi 2007: 145-148. 38 39

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’ mai ricoperto una carica pubblica, oppure essere nominati in sovrannumero per particolari meriti o servigi resi alla comunità52. Essi godevano di svariati privilegi53, ma per l’accesso all’ordine dei decurioni, oltre al versamento di una summa honoraria, contributo di entità variabile nelle varie comunità, era necessario possedere dei requisiti fondamentali: età (il cui limite minimo variava nel tempo)54, domicilium e una casa di proprietà all’interno della città o in uno dei suoi immediati sobborghi, soglia di censo minimo (variabile)55. Il numero dei decurioni non era fisso, ma cambiava a seconda delle capacità della comunità56.

Perugia: i Sentii62, i Vibii63, i Petronii64. I Gavii65 e gli Herennii66 possono essere considerati come membri di famiglie etrusche di origine incerta. I Caecinae67, i 65

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62 I Sentii sarebbero una famiglia di origine etrusca che, per il grande numero di attestazioni, potrebbe provenire da Chiusi (Torelli 1969: 304). Secondo Bacci, ‘nulla vieta di riconoscervi una famiglia autonoma di Volterra’ (Bacci 1974: 108). Secondo Munzi l’iscrizione del teatro, che è datata al II d.C., è probabilmente da mettere in relazione con i Sentii noti nel chiusino (Munzi 2000b: 131-132). 63 La gens dei Vibii Gallii, quella di appartenenza dell’imperatore Treboniano Gallo (251-253 d.C.), è ben attestata a Perugia. Il gentilizio molto probabilmente è derivante dall’etrusco Vipe-Vipi. La famiglia dei Vibi Galli sarebbe ascesa al rango consolare tardivamente e non prima del consolato del futuro imperatore nel 245 d.C. (Torelli 1969: 302303). A Volterra il gentilizio latino è noto anche dall’iscrizione CIL XI, 1759 rinvenuta a Palazzo Maffei e oggi al Museo Guarnacci n. 24, che ricorda una Vibia Profutura. 64 La gens Petronia possiede un locus nella proedria del teatro di Volterra. L’iscrizione viene datata tra II e inizio III d.C. Non sappiamo tuttavia se dovesse riferirsi a un membro della famiglia equestre e senatoria dei Petroni Volusiani o di quella senatoria dei Petroni Umbrini (Munzi 2000b: 130). Per ulteriori informazioni sulla gens cfr. Torelli 1969: 298. A Volterra il gentilizio ha un solo altro confronto con una Petronia Hetaera ricordata nell’iscrizione del CIL XI, 1787 rinvenuta presso la necropoli delle Ripaie. Si nota a tale proposito un legame della donna con un Traulus Quadratus. Il gentilizio compare nella forma etrusca Petruni sia a Perugia, che a Chiusi, che a Siena mentre ad Arezzo è citato un Petrni, a Volsini un Petrunie. A riguardo Hadas-Lebel 2004: 264266. A Volterra non sembrano attestati titoli in etrusco riferibili a questa famiglia, anche se Consortini vi ricollega un’iscrizione su un cinerario in terracotta di forma cilindrica del museo Guarnacci dove a caratteri etruschi è scritto Hasti Petru. M. Torelli ricorda l’iscrizione CIE 293 dove è citato il gentilizio Petrna. Sarebbero secondo Torelli volterrani anche il cos. suff. M. Petronius Q.f. Sab. Umbrinus dell’81 e il console del 261 L. Petronius L. f. Taurus Volusianus e suo figlio L. Publius Petronius Volusianus; cfr. Torelli 1969: 290. Secondo Hall, il gentilizio latino potrebbe anche derivare dall’etrusco Petru. Per ulteriori attestazioni di Petronii latini, Hall 1984: 341-346. 65 I Gavi sono noti a Volterra dall’unico membro che nelle lastre della proedria reca i tria nomina: Lucius Gavius Celsus. L’iscrizione è datata fra I e II secolo d.C. La gens è attestata a Verona, Calatia, Firmum Picenum nel II d.C. è probabile una provenienza da Chiusi secondo gli editori. Si nota a tale proposito che altri Gavii conosciuti epigraficamente nella Regio VII sono il duumvir aretino Q. Gavius L.f. (CIL XI, 1845) e i militi del I-II d.C. ricordati nelle stele dell’Empolese (CIL XI, 1736 e Ciampoltrini 1982: 48 nn. 2 e 11) che forse potrebbero avere qualche legame di parentela, considerando la concordanza cronologica e il ripetuto uso dei prenomina Lucius e Quintus (Munzi 2000b: 116). Un altro L. Gavius Vescennianus equo publico ex quinque decuriis viene poi ricordato nell’iscrizione CIL III, 430 da Efeso, insieme a L. Vetina Priscus, come volterrano. Per quanto riguarda l’origine del gentilizio si nota che esso è attestato nell’etrusco Cauius a Chiusi nelle iscrizioni CIE 1857, 1860, 4785 (Hadas-Lebel 2004: 325 e nota 74). Consortini individua il gentilizio etrusco dei Gavii a Volterra nelle iscrizioni CIE 44 e CIE 29 dove vengono rispettivamente ricordati: Tana Cauinei Tuzl e Lautni V. Cauial. (Consortini 1934b: 58-59). Anche Hall individua l’antecedente etrusco Cavinei per il gentilizio Gavius (Hall 1984: 284285). 66 La gens Herennia, trova con l’Herennius Secundus nel teatro di Volterra la sua unica attestazione. L’uso del cognomen Secundus compare nell’onomastica del console suffetto di ignota origine del 183 d.C. M. Herennius Secundus, inoltre un ramo degli Herennii è attestato a Lucca nella prima metà del I secolo d.C. dove è imparentato con i Vibii locali. Munzi 2000b: 114; Furiesi 2008: 174. Sebbene a Volterra non siano state rinvenute iscrizioni in etrusco recanti il gentilizio di questa famiglia, è nota un’iscrizione in etrusco da Chiusi di una Lartia. Herennia (CIE 2303) che Hadas-Lebel inserisce fra le iscrizioni ‘latinographes’ dell’era di transizione al latino (Hadas-Lebel 2004: 309). Per ulteriori considerazioni sugli Herennii, Hall 1984: 292-293. È altresì nota l’esistenza di un ramo degli Herennii nel Piceno i cui interessi economici e commerciali si estendevano alla pianura padana, l’Istria, la Carinzia, la Grecia e l’Africa settentrionale. Su questi Herennii cfr. Deniaux 1979; Menchelli-Ciuccarelli 2009. 67 Per le iscrizioni in etrusco a Volterra che riguardano la famiglia Cecina si rimanda a Capdeville 1997: 270-285. Sulla famiglia cfr. infra paragrafi 1.2.10; 2.3.1; 4.3.

La capienza stimata per la proedria del teatro di Volterra è stata calcolata in circa 130 posti57. Tuttavia, questo non può essere considerato il numero totale dei decurioni dal momento che nella proedria avevano diritto di sedere anche alcuni sacerdoti della comunità, coloro che avevano ottenuto il privilegio di posti riservati come onorificenza, e anche alcune donne appartenenti all’élite cittadina, come dimostrano le epigrafi recanti i nomi di Caeciniae e Persiae58. Analizzando i gentilizi ricostruibili a livello epigrafico si ricava un dato complesso, significativo per comprendere la distribuzione del potere all’interno della città (Fig. 1.7)59. Il senato di Volterra sarebbe stato composto da almeno trentadue membri, un numero ragionevole in quanto i membri dell’ordine dei decurioni erano variabili. Fra le gentes sicuramente identificate60, sono presenti famiglie etrusche61 attestate pure a Chiusi e Campedelli 2018a: 142-147. Fra i privilegi: il diritto di posti d’onore a teatro, nell’anfiteatro e nei banchetti pubblici, il diritto di usufruire gratuitamente dell’acqua pubblica, l’esenzione dalle pene di crocifissione, lotta con le belve, lavori in miniera e lavori forzati, non potevano essere né picchiati né torturati. A tale proposito, Campedelli 2018a: 145; Talamanca 1979: 563. Per quanto riguarda i privilegi delle élite in materia di diritto, Garnsey 1970. 54 L’aspirante decurione avrebbe dovuto ottemperare alle caratteristiche richieste per l’assunzione delle magistrature: integrità morale, non aver subito condanne, non essere un attore né un gladiatore. 55 Campedelli 2018a: 144-145. 56 Si faceva divieto assoluto di ampliare il numero di membri del senato, senza tuttavia fissare una cifra valida per tutte le comunità. Il numero dei membri del consiglio dei decurioni era fissato nelle singole comunità dai rispettivi statuti. Normalmente i decurioni erano 100, ma nelle comunità più piccole il numero poteva essere inferiore. A Castrimoenium, ad esempio, il consiglio dei decurioni si componeva di 30 membri. Laffi 1981: 73 e nota 90. 57 Il numero massimo dei loca attestati è CXII-CX. Cfr. Munzi 2000b: 110. 58 In merito, Furiesi 2008: 77; Munzi 2000b: 137; Viccei 2016. 59 Considerando che gli Aelii e i Laelii avevano più posti riservati (rispettivamente tre e sei), mentre i Caecinae, Persii, Herennii ne avevano, in ordine, quattro, cinque, due, ciò implicava che le famiglie attestate più di una volta nel teatro fossero quelle maggiormente integrate nella nobiltà d’età imperiale mentre le altre risultano partecipare più sporadicamente ai ludi teatrali. Cfr. Munzi 2000b: 138 e infra Fig.1.7. 60 Vi sono anche sei casi di incerta lettura fra cui ‘GRAC, TER, AMON, TITI’. Cfr. Munzi 2000b: 138. 61 Le famiglie definite genericamente etrusche sono quelle gentes attestate nell’epigrafia etrusca in altri centri dell’Etruria e che appaiono integrate nel corpus municipale volterrano. Si intende definire come Volterrana una famiglia che è attestata a Volterra in epigrafi sia in latino che, precedentemente, in lingua etrusca e che non appare frequentemente in altri centri dell’Etruria. Le famiglie di origine non etrusca sono quelle latine o di origine non ulteriormente definibile. 52 53

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Poteri e strategie familiari di Volterra del teatro. Infine, non sono quasi certamente di origine etrusca le gentes Aelia72, Allia73, Liguria74, Laelia75 e forse Tertia76.

Persii68, i Saufeii69, i Graecinii70, gli Arminii71 possono essere definiti di origine volterrana dal momento che i loro nomi compaiono nell’epigrafia locale in lingua etrusca già durante l’epoca precedente alla realizzazione 72

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Sembrerebbe possibile concludere che all’interno del senato locale, nella sua articolazione di II-prima metà III d.C.77, il numero di membri appartenenti a famiglie d’origine etrusca (Arminii, Caecinae, Graecinii, Gavii, Herennii, Persii, Petronii, Saufeii, Sentii, Vibii) dovesse essere superiore a quello di esponenti di gentes d’origine non etrusca (Aelii, Allii, Laelii, Ligures, Tertii). L’analisi dettagliata della composizione del senato offre ulteriori spunti di riflessione. In primo luogo, la proporzione tra etruschi e il resto delle famiglie, era di 18 a 14, quindi le due componenti erano quasi equivalenti. Poi, si può notare una sostanziale differenza tra la distribuzione dei seggi. In senato, tra i non etruschi, i seggi erano concentrati in poche famiglie, ma le gentes etrusche risultavano maggiormente rappresentate. Dal momento che l’ordine dei decurioni rappresentava il luogo adibito allo scontro politico locale e al controllo dei processi decisionali da parte delle élite cittadine, il peso delle famiglie etrusche al suo interno doveva essere rilevante, sebbene l’integrazione dei non etruschi fosse assicurata (Fig. 1.7).

La gens Persia, una fra le più antiche e nobili di Volterra, è nota soprattutto per il celebre Aulo Persio Flacco poeta satirico nato nel 34 d.C. ‘Volaterris natu, eques romanus, sanguine et affinitate primi ordini coniunctus’ (Vita Persii, 1-2): ‘Nato a Volterra, cavaliere romano, congiunto per parentela diretta e indiretta al rango senatorio’. Nelle lastre della proedria il nome ricorre per ben cinque volte e associato per due volte alla gens degli Aelii, con la quale dovevano essere imparentati. Si rimanda a Bacci 1974: 106; Munzi 2000b: 134-138; Furiesi 2008: 169-171. Per quanto riguarda l’attestazione in etrusco a Volterra, si ricorda l’iscrizione MG. 231 di ‘V. Persu V.’ ricordata da Consortini 1938: 65. Altre due iscrizioni che ricordano la gens Persia a Volterra: CIL XI, 1784 oggi murata presso via Guarnacci 22, il cui testo ricorda ‘A(ulus) Persius/A(uli) f(ilius) Severus/v(ixit) ann(os)/ VIII m(enses) III/5 d(ies) XIX’ e la perduta CIL XI, 1785 rinvenuta a Capannoli che ricorda ‘D(is) M(anibus)/Vergiliae/Saturn̂ inae/A(ulus?) Persius Se/verus uxori/optimae’. Cfr. infra capitolo 2. Si discute poi sulla pertinenza o meno all’ager Volaterranus di un’altra epigrafe che ricorda un Persius iscritto alla tribù Galeria. Cfr. Ciampoltrini 1995a: 596-597; AE 1995, 501. 69 La gens Saufeia è nota a Volterra anche da un titolo dipinto in nero su una piccola urna in tufo rinvenuta presso la necropoli di Ulimeto, datata tra I a.C. e I d.C. Oggi l’urna è dispersa insieme a molti altri materiali. L’iscrizione è edita in Consortini 1938: 69; CUV: 83, nota 18. Secondo Munzi l’iscrizione del Saufeius ricordato nel teatro è da datare al II-prima metà III d.C. (Munzi 2000b: 131). 70 Proponiamo di leggere nell’epigrafe una gens Grecinia, attestata due volte nelle lastre della proedria. A testimonianza di una famiglia per la quale si hanno poche notizie, Munzi sottolinea la possibilità che si tratti di un gentilizio da sciogliere come Graccius, Graconius, Gracileius, Gracinius, Gracius, oppure di un cognomen Gracchanus, Gracchus, Gracilis, Gracilianus. Le due lastre nella proedria sono contigue e numerate in progressione, simbolo che alla famiglia erano riservati due posti vicini (Munzi 2000b: 120). Il gentilizio potrebbe provenire dall’etrusco Crac, Cracnei, Cracnal che si trova attestato a Volterra nell’urna 356 = CIE 71 e nelle iscrizioni delle urne MG. 374 e 171. A tale proposito, le iscrizioni vengono associate al gentilizio Gracina da Consortini (Consortini 1934b: 61). Si ricorda inoltre che un altro personaggio legato a Volterra porta il gentilizio latino, si tratta del pretoriano Caius Gracinius Priscus della III coorte dei Pretoriani che visse intorno al 159-161 d.C. (CIL VI, 2379; AE 1968, 1999 e Antonielli 1928: 635-642; Gatti 1923: 247-255). 71 La gens Arminia è attesta a Volterra dalle lastre della proedria, dove il nome compare in associazione alla gens Caecina. Il gentilizio, derivante dall’etrusco Armne-i compare in etrusco a Volterra per 3 volte (CIE 29, 30, 52), ma anche in altri centri come Orvieto, Volsinii, Vulci. Sebbene l’origine della famiglia rimanga incerta secondo Torelli, bisogna anche ricordare che egli considera come verosimile la provenienza da Volterra del C. Arminius leg. Pro. Pr. Provinciae Asiae del 100 d.C. (Torelli 1969: 324-325). Per ulteriori considerazioni sulla gens Arminia si veda anche Hall 1984: 195-196. Fra altri personaggi che portano tale gentilizio e di provenienza volterrana anche il Tubicen C. Arminius Probus Volaterris della VII coorte pretoriana che visse intorno al 159161 d.C. (CIL VI, 2379, AE 1968, 1999 e Antonielli 1928: 635-642; Gatti 1923: 247-255). 72 Gli studiosi sono concordi sul fatto di non considerare di origini etrusche la gens Aelia. Il nome ricorre nelle lastre della proedria per ben tre volte e in associazione con la gens Persia. Munzi considera improbabile un accostamento agli Aelii Tuberones di rango senatorio di Veio e propongono una discendenza dalla Familia Caesaris dal momento che Lucius è il prenomen utilizzato da L. Aelius Verus e Commodo. Se così fosse l’iscrizione si daterebbe al II d.C. Viene anche proposta però un’origine ingenua di una famiglia di I secolo d.C. (Munzi 2000b: 117-118). 73 Gli Allii rappresentano una famiglia di ambigua origine di cui Torelli individua membri a Ferento, ma il cui nome non appare derivato dall’etrusco. A tale proposito, Torelli afferma che probabilmente si tratta di una famiglia romana entrata nel territorio dell’Etruria meridionale in seguito ad una delle numerose deduzioni. Cfr. Torelli 1969: 310-311. Munzi ritiene improbabile il legame della famiglia volterrana ricordata nell’iscrizione datata tra fine II e prima metà III d.C., con quella ferentina e propone invece il confronto con un legionario di età augustea che cita come origo Lucca, ricordato nell’iscrizione CIL III, 2911 da Zara. Si nota inoltre che la gens Allia doveva essere imparentata con gli Herennii (Munzi 2000b: 114). 68

Le competenze dei decurioni erano svariate: in materia religiosa e di culto avevano l’autorità di avallare le proposte dei magistrati iure dicundo; erano competenti nell’amministrazione finanziaria della città, garantendo una gestione virtuosa del bilancio, nominavano i patroni e gli ambasciatori78, definivano le cause di incapacità e indegnità79, 74 La gens Liguria non è altrimenti conosciuta a Volterra. Nella Regio VII l’unica attestazione proviene da Visentium, dove si ricorda il figlio di un C. Ligurius e di una Gavia. Gli editori fanno notare che nelle lastre della proedria del teatro di Volterra, le gentes Gavia e Liguria hanno posti contigui (Munzi 2000b: 116). 75 La gens Laelia il cui nome ricorre sei volte nelle lastre della proedria, è una famiglia per la quale in realtà non si hanno altre notizie, se non quella relativa ai legami parentali di una Laelia M f. Broccha con Pompilius Cerialis dell’iscrizione CIL, XI 7066 già ricordato in precedenza. Per ulteriori considerazioni sulla famiglia infra paragrafo 1.2.10. 76 La gens Tertia viene ipotizzata dagli editori che non escludono tuttavia la possibilità che si tratti di un Terentius o di un cognomen. A Volterra il gentilizio Tertius ricorre però anche nell’iscrizione CIL XI, 1783 che ricorda una Tertia Scaeva. L’iscrizione era stata rinvenuta a Vada presso il podere Le Saracine. È stato recentemente notato da S. Genovesi che il gentilizio Tertius, a proposito di un bollo laterizio di un Tertius Papus a Portus Pisanus, è noto in Etruria a Perugia da un’urna funeraria che menziona una Tertia Salvia. In merito, Genovesi 2009: 74. 77 L’ultimo intervento epigrafico si data fra II e prima metà del III secolo d.C., dal momento che lo smantellamento della proedria precedette l’abbandono definitivo del teatro avvenuta tra la fine del III d.C. e l’età costantiniana. Come affermato da Massimiliano Munzi ‘tutte le iscrizioni dovettero convivere nella fase finale della proedria, pertanto quella più documentata’ Cfr. Munzi 2000b: 111, citazione p.137. 78 A tale riguardo sappiamo che nella Roma repubblicana gli ambasciatori di una città venivano scelti fra i decurioni dal consiglio e nominati ufficialmente dal magistrato superiore. Nella Lex Irnitana datata alla fine del I secolo d.C., ma forse risalente alla lex municipalis di età augustea, è espresso un sistema di elezione degli ambasciatori del municipio basato sul sorteggio fra i decurioni. Il Digesto tuttavia riporta anche la possibilità di deroga a questa disciplina nei casi in cui la comunità per l’ambasceria ritenga, nonostante l’ordine del sorteggio, di dover eleggere personaggi di primo rango ‘de primoribus viris desideret personam’ (Dig., L, 7, 5, 5). A tale proposito Maffi 2001: 137-138. 79 Erano esclusi dalle magistrature locali e dal decurionato praecones, dissignatores, libitinarii. Laffi 1981: 73 e nota 93.

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’ concedevano onorificenze80 e contratti di ospitalità. Inoltre, i decurioni si occupavano di finanziare, tramite il versamento di munera, lavori di manutenzione del suolo pubblico e delle acque, lavori edilizi in ambito pubblico e privato81. La spesa pubblica veniva in pratica sostenuta dai più ricchi cittadini, motivo per il quale l’iscrizione al decurionato tendeva spesso ad essere evitata dai possidentes82. Tuttavia, era obbligo di ogni città mantenere il numero legale dei decurioni e, qualora si fossero creati dei vuoti, i magistrati cittadini investiti delle operazioni di censo (quinquennales) avrebbero dovuto reclutare forzatamente nuovi membri nell’ambito della revisione del senato che aveva luogo ogni cinque anni83. Nel corso del Principato si modificò progressivamente il procedimento per la nomina a decurione, che divenne un ufficio obbligatorio: tutti i possidentes di una comunità dovevano far parte, automaticamente, del senato locale84. Spettava probabilmente ai decurioni, almeno in alcune fasi della storia dell’Impero, l’elezione dei magistrati iure dicundo85.

l’ingenuitas (esser nati liberi), l’origo87, non essere stati perseguiti per infamia, un census minimo che fosse sufficiente a coprire la summa honoraria88, almeno 25 anni89. Qualora un cittadino benemerito fosse stato eletto quattuorviro, egli avrebbe potuto ricoprire la carica a titolo gratuito. I quattuorviri iure dicundo detenevano inoltre lo ius edicendi e le funzioni giurisdizionali in materia di controversie relative alle operazioni commerciali svolte nei pubblici mercati90, dovevano adoperarsi per la città, e godevano di alcuni privilegi, fra cui il diritto di essere preceduti da due littori, la sella curulis e una scorta notturna. Ognuno dei quattuorviri iure dicundo poteva bloccare i provvedimenti del collega e porre veto alle decisioni dei magistrati inferiori. Sebbene i quattuorviri iure dicundo avessero numerose mansioni, la loro attività era soggetta all’approvazione preventiva dell’ordine dei decurioni. Le epigrafi in latino91 rinvenute in territorio volterrano attestano sette individui che ricoprirono la carica di quattuorviro iure dicundo (Fig. 1.14). Alcune iscrizioni rimangono poco chiare data la loro frammentarietà92 o

1.2.2. Quattuorviri iure dicundo e quinquennales La massima autorità amministrativa a Volterra era rappresentata da un singolo collegio composto da quattro membri (quattuorviri) la cui carica era annuale e iterabile. All’interno di questo collegio, le competenze erano ripartite tra due magistrati iure dicundo e due aediles, i colleghi di rango inferiore86. I candidati a ricoprire una posizione di magistrato dovevano avere alcuni prerequisiti:

87 Si ha l’origo in una città in quanto si nasca, come figli legittimi, da padre che vi abbia l’origo stessa, mentre per i figli illegittimi è decisiva la condizione della madre. L’origo determina l’appartenenza ad una città per quanto riguarda il diritto e il dovere di assumere honores e di subire munera nella stessa, e comunque per i rapporti fra la città e i soggetti che ne vengono a contatto. L’adlectio indicava la nomina straordinaria, ma non infrequente, fatta dai decurioni stessi, di un cittadino esterno alla comunità in modo da fargli acquisire, assieme o no al decurionato, la cittadinanza locale. L’acquisto di una nuova cittadinanza poteva produrre l’effetto della doppia cittadinanza, ma lasciava intatta l’origo. Durante il Principato era sufficiente anche il semplice incolato, cioè il domicilio stabile in un luogo, per assumere honores e munera. Ciò ha portato ad un’eterogenesi di significato della categoria origo, la quale nel tardo-antico non indicava più tanto l’appartenenza di un soggetto a un territorio, quanto quella ad una classe sociale. Cfr. Talamanca 1979: 574; Campedelli 2018a: 138-139. 88 Per l’entrata in carica il magistrato era infatti tenuto a corrispondere alla comunità una somma in denaro detta appunto honoraria. 89 Talamanca 1979: 559. Laffi 2007: 64-65. Il cap. LI della Lex Flavia municipalis, concessa da Domiziano e conservata in due tavole bronzee rinvenute a Malaga, stabiliva che qualora il numero dei candidati fosse stato inferiore a quello dei posti da coprire si potessero nominare d’ufficio come candidati i soggetti idonei a rivestire le singole magistrature. A loro volta i candidati già scelti e proscripti potevano nominare ulteriori candidati in possesso degli stessi requisiti. Cfr. Laffi 2007: 69. 90 Rimanevano materie riservate all’amministrazione centrale: la politica estera, la difesa, il mantenimento dell’ordine pubblico, la giurisdizione, la viabilità e le comunicazioni, nonché la riscossione delle tasse finanziarie e patrimoniali. Le civitates erano tuttavia spesso coinvolte a collaborare in posizione strumentale nell’assolvimento di tali funzioni. Laffi 2007: 81-117. Sulle competenze dei magistrati iure dicundo si veda da ultimo Campedelli 2018a: 147-152. 91 Per quanto riguarda l’utilizzo della lingua latina nell’epigrafia volterrana, è stato notato nei lavori Kaimio 1975, Nielsen 1975, e da ultimo Hadas-Lebel 2004, come Volterra sia di fatto la città più tardiva nel panorama etrusco a completare la transizione dall’etrusco al latino epigrafico, all’incirca intorno al 10-20 d.C. Per ulteriori considerazioni sulla sopravvivenza della lingua etrusca in età imperiale cfr. infra paragrafo 4.1.2. 92 Tra le più antiche iscrizioni in lingua latina rinvenute vi è un’epigrafe, databile a livello paleografico fra 100 a.C. e 1 a.C., che secondo gli editori attesterebbe un quattuorviro. Il testo viene così ricostruito: ‘[---] lius [---]/[---]ius [---]/[--- IIII?]vir(i) d[---]/5 ------?’. Cfr. Bacci 1974: 40-41; EDR078635. Altrettanto poco chiara è l’iscrizione rinvenuta a Volterra presso il vicolo del Mandorlo che probabilmente ricorda un ‘-----?/[---IIII vir i(ure?)/d(icundo?)[---?]/[---]+ sac(rum?) [---?]/------?’. Cfr. EDR106609.

80 A tale proposito, l’iscrizione CIL, XI 1743 che meziona un ‘L(ucius) Caecin[a ---(?)]’ e un ‘L(ucius) Vola[senna ---(?)]’ potrebbe essere prova di una qualche onorificenza ottenuta per decreto dei decurioni. Si ignora il luogo di rinvenimento dell’iscrizione che è oggi conservata al museo Guarnacci. Per quanto riguarda l’interpretazione, M. Torelli non ha dubbi riguardo al fatto che L. Volasenna dovesse essere un magistrato municipale (Torelli 1969: 328). I Volasennae, il cui nome deriva dall’etrusco Velusna/Velasna sono attestati a Volterra da diverse iscrizioni sia in etrusco CIE 52, 164 in un’urna del museo fiorentino che cita Velusna L. Funulal Ril, oltre che da una patera a vernice nera conservata al museo Guarnacci dove vi è graffito Velusna (Consortini 1938: 75); sia in latino CIL, XI 1788, 1793; 1794. Per altre iscrizioni in etrusco dei Volasenna si vedano Pasquinucci 1972; Shepherd 2008: 251-368. La gens è attestata una volta ad Arezzo CIL XI, 1878 (cfr. Torelli 1969: 328 e Torelli 1982: 290). Hall ricorda che C. Volasenna fu proc. Asiae fra 62 e 65 d.C. e una sua parente, Volasennia C. f. era stata moglie del senatore M. Nonius Balbus (Hall 1984: 422). I due fratelli C. Volasenna Severus e Publius Volasenna furono rispettivamente console suffetto del 49 d.C. e console suffetto del 54 d.C. A proposito dei Volasenna, J. Hadas-Lebel nota che questa gens è fra le poche, insieme ai Cecina, Spurinna, Vetina a sopravvivere ai primi due secoli dell’impero continuando ad utilizzare un gentilizio terminante in “-na”, tipicamente etrusco, testimoniando un forte conservatorismo a livello onomastico (Hadas-Lebel 2004: 321; 334). Cfr. Torelli 1969: 291-292; Torelli 1982; Hall 1984: n. 102; Furiesi 2008: 175; Shepherd 2008: 251-368; infra paragrafo 2.1.1. 81 In aggiunta agli oneri “statali” i governi cittadini dovevano infatti regolarmente sobbarcarsi il peso dei lavori di amministrazione della città. Cfr. Garnsey-Saller 1989: 38-39. 82 Non tutti i possidentes erano infatti interessati a partecipare alla vita pubblica della città e molti erano quanti preferivano condurre una vita appartata. Cfr. Demougin 1981: 281; Talamanca 1979: 651. 83 Campedelli 2018a: 142-147. 84 Il possidente non può rifiutarsi di far parte del consiglio cittadino, e a questo saranno legati anche i suoi figli fino al compimento del diciottesimo anno di età. Si veda a proposito Talamanca 1979: 650. 85 Sul dibattito relativo alla nomina dei magistrati iure dicundo da parte dei decurioni si veda Campedelli 2018a: 147-149. 86 A proposito dell’elezione del collegio dei magistrati locali e la ripartizione delle competenze si veda anche Laffi 2007: 53-54.

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Poteri e strategie familiari di Volterra di voto101, conquistando progressivamente maggiore influenza a livello politico ed economico a livello sovralocale102.

non consentono di stabilire con sicurezza la magistratura rivestita93. Fra le attestazioni certe di quattuorviri iure dicundo, c’è quella del magistrato deposto in un’urna in alabastro conservata al museo Guarnacci di Volterra, datata alla metà del I secolo a.C.94. Il testo dell’iscrizione sull’urna reca inciso: ‘C(aius) Caesi[liu]s S(exti) f(ilius) IIIIvir iu[re dicund]o / iter[um] vixsit(:vixit) annos LXII [---]’. Purtroppo, non è noto il luogo di rinvenimento. Tuttavia, riguardo il personaggio in questione si può notare che la scelta del prenomen Caius rimanderebbe al più diffuso dei nomi romani, mentre per quanto riguarda il gentilizio Caesilius, l’interpretazione è controversa. Secondo Luigi Consortini95 sarebbe riconducibile alla gens Caesia/Cisie, ricordata a Volterra nell’iscrizione CIE 6096. A parere di Renato Bacci sarebbe da escludere l’origine etrusca97, infine Hall ha sostenuto, ricollegandosi a quanto scritto da Schultze, la derivazione del gentilizio dall’etrusco Ceisi98. Poco si può aggiungere su questo magistrato di Volterra se non che sono attestati in Italia altri due Caius Caesilius Cai fili ricordati come quattuorviri aediles nonché quaestores in Umbria e nel Sannio99. Interessante notare, infine, l’esistenza di un L. Caesius L. f. duoviro quinquennale attestata da un’iscrizione rinvenuta nei pressi di Viterbo, a soli venti chilometri da Visentium100. Questo duoviro risultava iscritto alla tribù di voto Sabatina, la stessa cui appartenevano sia Volterra sia Visentium. Sarebbe suggestiva l’ipotesi per cui membri appartenenti alla medesima gens tentassero di allargare le proprie reti clientelari alle città che facevano parte della stessa tribù

Risulta, poi, attestata a Volterra per tre volte la carica dei quattuorviri quinquennales o censoria potestate103. Ogni cinque anni i magistrati iure dicundo assumevano le funzioni di censor con il compito di portare a termine il censimento dei cittadini e dei residenti, dei loro patrimoni e la lectio del senato locale104. A un anonimo quattuorviro iure dicundo quinquennalis apparteneva il cinerario in marmo reimpiegato presso la necropoli di Badia con raffigurazione di una sella curulis, fasci e ghirlande, la cui datazione è stata proposta da Schäfer in base alla decorazione, fra 1-50 d.C. (Figg. 1.9; 1.10)105. L’epigrafe su una lastra in tufo (CIL XI, 1752) rinvenuta, senza ulteriore indicazione, nell’area delle terme106, ricorda ‘------/[---]D IIIIvir(:quattuorvir) i(ure) d(icundo) pont(ifex) quinq(uennalis) primum [---]/[--- e] x d(ecurionum) d(ecreto) in honorem Perperniae N[--]/-------?’107. Un altro quattuorviro quinquennale, sul quale sarà necessario soffermarsi in seguito, fu Caius Pompilius Cerialis. A lui si riferisce l’iscrizione su tavola marmorea rinvenuta nel 1844 durante gli scavi nell’area delle terme di San Felice108. Un’altra iscrizione per la quale non è noto il preciso luogo di rinvenimento, ma che fu recuperata nei pressi della villa del puntone a Donoratico109, è quella dedicata dal liberto Autumnalis al cavaliere Marcus Anenius Pharianus morto tra la fine del II e il III d.C.110 che aveva ricoperto numerose cariche pubbliche a Volterra, fra cui quelle di quattuorvir iure dicundo e quinquennale. Per quanto riguarda l’onomastica è stato notato che il gentilizio Anaenius/ Anenius è molto raro, non altrimenti attestato a Volterra, così come il cognome111.

93 Alle attestazioni certe di specifiche magistrature, ma per cui non è possibile stabilire il tipo di carica rivestita, si aggiunge l’epigrafe CIL XI, 1746, databile intorno alla fine del I a.C., rinvenuta nel foro, che ricorda ‘C(aius) Cilnius C(ai) f(ili)/Varus IIIIvir’. Riguardo la gens Cilnia è possibile affermare che dovesse essere collegata alla nota famiglia etrusca d’antica nobiltà, originaria di Arezzo, legata al nome di Mecenate, probabilmente estinta nel II secolo d.C. Sulla gens Cilnia cfr. Hall 1984: 343-346; Torelli 1969: 291-292; Maggiani 1986; MenchelliSangriso 2017. Non è possibile invece stabilire con certezza se il Cilnius menzionato fosse un magistrato iure dicundo o un edile. 94 L’urna in alabastro MG 177 = CUV 2.3 n.13, è stilisticamente datata da Maggiani intorno alla metà del I secolo a.C. L’iscrizione è pubblicata in CIL XI, 1744. L’urna reca sul coperchio la figura di un recumbente maschile riccamente vestito con in mano una cornucopia, mentre sulla cassa vi è un fregio con il mito di Pelope e Ippodamia. Maggiani ha notato che nell’urna del quattuorviro il carro raffigurato nella scena mitologica richiamerebbe apertamente quello dei magistrati forse in maniera consapevolmente indirizzata a un’allusione alla Volterra indipendente. Rafforza secondo lo studioso tale ipotesi l’analisi di un’altra urna funeraria in cui erano rappresentati tribunal, bisellium, fasces. Maggiani distingueva in base al modo di portare la toga i magistrati superiori, completamente coperti, dagli edili. Infine, queste urne vengono considerate fondamentali esempi del mantenimento di una tipologia funeraria locale in un’epoca di ‘piena romanizzazione’. Cfr. Maggiani 1996: 131-132. 95 Consortini 1934b: 57. 96 Si legge nell’iscrizione ‘A. Cisie Armnl Carcnal’. 97 Bacci 1974: 92;104. 98 Hall 1984: 228-229. 99 CIL I, 3372 = CIL XI, *491pertinente alla Regio VI, rinvenuta a Otricoli. ‘C(aius) Caesilius C(ai) f(ilius) / L(ucius) Clovius L(uci) f(ilius) / IIIIvir(i) aediles; CIL XIV, 3655 = CIL I, 1491 rinvenuta a Tivoli, C(aius) Caesilius C(ai) f(ilius)/ C(aius) Heiulius T(iti) f(ilius) q(uaestores) / mr(os) c(raverunt) d(e) s(enatus) s(ententia)’. 100 CIL XI, 2914a: ‘L. Caesio L. f. Sabatina Cestio Balbino patri II quinquennali’.

A tale proposito si vedano le considerazioni in Farney 2007: 14-20. Cfr. Duncan Jones 1976: 12; Terrenato 2014: 53. 103 CIL XI, 1752; CIL XI, 7066; AE 1982, 356 e infra Fig. 1.14. 104 Ogni cinque anni i cittadini maschi maggiorenni erano obbligati a dichiarare sé stessi e le loro proprietà ai censori. La procedura avveniva direttamente a Roma fino al 45-44 a.C., quando Cesare introdusse la pratica decentralizzata così come la troviamo descritta nella Tabula Heracleensis. De Ligt 2012: 81 e nota 10; Talamanca 1979: 559; Campedelli 2018a: 147-152. 105 L’urna, oggi al museo Guarnacci è pubblicata in CIL XI, 7067; Schäfer 1989: 318-320, nr. 36, Tavv. LVI,1-2 e LVII,1. 106 A tale proposito anche Consortini confessa di non sapere a quali terme vada riferito il rinvenimento, ‘se a quelle di San Felice o se a quelle fuori porta Fiorentina’. Cfr. Consortini 1931. 107 CIL XI, 1752. 108 CIL XI, 7066. 109 Riguardo il rinvenimento dell’epigrafe è stato possibile consultare la documentazione conservata presso l’ex archivio storico della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio a Firenze. Datata all’ 8 gennaio 1969 (Pos. 9 Livorno 13), la relazione di Giorgio Monaco contiene anche un’illustrazione dell’epigrafe, rinvenuta durante lavori del terreno insieme ad ‘una concentrazione di fittili e pietre squadrate’. Nella relazione non si esclude che l’epigrafe potesse provenire dalla villa romana di Segalari, distante dal luogo del rinvenimento circa 2-3 km. 110 AE 1982, 356: ‘M(arci) Anaeni M(arci) f(ili)/Sab(atina) Phariani/eq(uo) publ(ico) ex V d(ecuriis)/ pont(ificis) quaesto(ris)/aed(ilis) IIIIvir(i) i(ure) d(icundo)/q(uin)q(uennalis) ex testamen/to ipsius cura(m)/agente /Autumnale liberto/Quisque viat/or transis et/hunc titulum/leges dices Aneni Phariane/sit tibi terra/levis’. Terrenato 2000: 89. 111 Pack 1981: 249-270. 101 102

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’ 1.2.3. Quattuorviri aediles

a.C.123. Il gentilizio etrusco equivalente, Perpna, si trova attestato a Volterra in iscrizioni come la CIE 89124. HadasLebel evidenzia il mantenimento della terminazione in ‘-na’ dell’etrusco, piuttosto che la normalizzazione in latino125.

Dai magistrati iure dicundo dipendevano i due aediles cui spettava la cura urbis112, la cura annonae113 e la cura ludorum114. Per espletare le loro funzioni gli edili avevano limitati poteri di coercizione e di repressione115 dal momento che i magistrati loro superiori potevano porre il veto sulle loro decisioni. Rimanevano in carica un anno, dovevano pagare la summa honoraria, a magistratura ottenuta avevano diritto alla sella curule e alla toga pretesta. Potevano essere scortati di notte, potevano contare sulla collaborazione di personale ausiliario pagato dalla comunità116. A Volterra si riscontrano quattro attestazioni certe di quattuorviri aediles (Fig. 1.14)117.

L’iscrizione CIL XI, 1749 probabilmente destinata a un luogo pubblico, rinvenuta sul retro di un orologio solare in marmo di forma emisferica (Fig. 1.11)126 cita ‘Q(uintus) Poena/Aper IIIIvir/aed(ilis) d(e) s(ua) p(ecunia) f(aciendum)/c(uravit)’, (Fig. 1.12)127. La scelta del prenomen Quinctus, uno fra i meno attestati in Etruria settentrionale prima della Lex Iulia Municipalis128, e allo stesso tempo la resa in latino del gentilizio Puinei, attestato a Volterra nell’epigrafia in etrusco129, testimoniano secondo Hadas-Lebel quella fase di transizione dall’etrusco al latino che si verificò tra la metà del II a.C. e il I secolo a.C. L’uso del latino per un gentilizio che tuttavia mantiene la terminazione in ‘-na’130 sarebbe indice di ‘conservatisme onomastique’131 rispetto alla formula tradizionale latina che avrebbe previsto la terminazione in ‘-ius/us’132. Anche il cavaliere Marco Anenio Phariano, che poi aveva raggiunto la carica

La perduta CIL XI, 1745118, rinvenuta nel territorio di San Miniato e datata dagli editori tra l’1 e il 50 d.C., ricordava un G. Celtus Severus che aveva ricoperto diverse cariche locali a Volterra, fra cui quella di edile. Riguardo questo individuo non si dispone di ulteriori informazioni, ma l’analisi onomastica spinge a osservare come la scelta di Caius/Gaius seguisse la moda del più diffuso fra i prenomen latini119, mentre il gentilizio Celtus, non altrimenti attestato nel Volterrano, lascerebbe supporre che non fosse d’origine etrusca120.

Torelli 1969: 325-326. Cfr. Consortini 1938: 65; Bacci 1974: 106. 125 Hadas-Lebel 2004: 321. 126 Gli orologi erano importantissimi strumenti molto diffusi, sia in Oriente che in Occidente, specie nei luoghi pubblici frequentati da magistrati e cittadini. La diffusione degli orologi pubblici nelle città dell’Impero si accompagnava spesso alla diffusione di cultura e costumi romani. Escludendo i casi di orologi destinati ad edifici templari e di quelli destinati a un uso militare, i doni di orologi provengono essenzialmente da persone implicate nella vita municipale come i magistrati. Gli edili in particolar modo erano ‘adatti’ a tale tipo di dono, essendo l’orologio parte delle realizzazioni architettoniche civiche. Un dono del genere alla comunità significava non solo decorare ulteriormente un luogo pubblico, ma anche affermare che la misura del tempo s’istallava ufficialmente nella città. In questo senso, è possibile leggere l’orologio come uno strumento di acculturazione o dominazione e quindi come marcatore culturale. Per ulteriori approfondimenti sull’argomento si veda Bonnin 2015; Talbert 2017. L’orologio solare conservato a Volterra rientrerebbe nella tipologia proposta da Bonnin ‘a quadrante di tipo sferico’ (Bonnin 2015: 100). Si tratta di una delle tipologie più rappresentate, spesso con base ornata da zampe di leone e gnomone sulla parte superiore, che non era così semplice realizzare dal momento che fra gli orologi di questo tipo rinvenuti pochi sono realmente precisi. L’orologio volterrano, oltre le zampe leonine sulla base, presenta la tipica decorazione geometrica realizzata da due rosette a sei petali sulle faccette laterali (per i motivi decorativi Bonnin 2015: 149). 127 L’iscrizione CIL XI, 1749 venne donata al Museo Guarnacci nel 1806 dalla famiglia Maffei. 128 Hadas-Lebel 2004: 165-166. 129 Oltre l’iscrizione CIE 52 relativa alle lamine in piombo rinvenute nel 1747 presso il colle di Ulimeto recanti una lunga serie di nomi ricordata da Bacci, Consortini cita l’urna volterrana al museo archeologico di Firenze che reca l’iscrizione CIE 160 ‘Thana Puinei Laucinasa Atatna’. Egli inoltre sottolinea i legami fra la famiglia Puina/Poena e la gentes Spurinnia, Arminia, Velania. Cfr. Bacci 1974: 107; Consortini 1931: 16-18; Consortini 1938: 66-67. 130 Hadas-Lebel sostiene inoltre che la pratica di deroga dei censori nei casi di nomi non “normalizzati” doveva essere accordata con grande parsimonia e probabilmente solo ad alcune famiglie di particolare prestigio. Hadas-Lebel 2004: 334. 131 Fra gli altri gentilizi riscontrati a Volterra aventi la medesima caratteristica, Hadas-Lebel nota come delle famiglie degli Aulinna, Cecina, Vetina, Volasenna solamente Cecina, Vetina e Volasenna sembrano sopravvivere durante l’Impero. Cfr. Hadas-Lebel 2004: 334. 132 Riguardo la questione del suffisso ‘-na’ come indice di bilinguismo Hadas-Lebel 2004: 333-335. 123 124

A un membro della gens Perperna si riferisce l’iscrizione CIL XI, 1748 con dedica a ‘------/[--- Pe]ṛperna[e? ---]/ [---]ati aed[ili?---]/-----’121. Il gentilizio Perperna, già incontrato nell’iscrizione volterrana CIL XI, 1752, era diffuso a Roma già nel II a.C., e viene attribuito da Mario Torelli a una famiglia di rango senatorio di origini incerte122, forse proveniente dall’Etruria settentrionale, che ottenne la cittadinanza romana già alla fine del III a.C. e probabilmente estinta entro la metà del I secolo 112 La cura urbis implicava poteri di vigilanza e di polizia da parte di ognuno degli edili sulla viabilità, i luoghi pubblici, gli acquedotti, gli edifici aperti al pubblico come osterie, lupanare, terme, nella città e nell’immediato circondario nonché la direzione delle misure antincendio e della nettezza urbana. 113 La cura annonae comportava la sovrintendenza sui mercati e il controllo delle misure ponderali e volumetriche. Campedelli 2018a: 150-152. 114 La cura ludorum consisteva nell’organizzazione delle più solenni feste pubbliche diventando spesso uno strumento non secondario di propaganda personale. 115 Tra questi, coercitio, multae dictio, pignoris capio. Talamanca 1979: 189-190. 116 Campedelli 2018a: 150-152. 117 CIL XI, 1745; CIL XI, 1748; CIL XI, 1749; AE 1982, 356. 118 CIL XI, 1745: ‘G(aius) Celtus G(ai) f(ilius) Sab(atina)/Severus/ q(uaestor) aed(ilis) pont(ifex)’. 119 Il prenomen Caius/Gaius sembra essere stato introdotto nell’onomastica e nell’epigrafia etrusca volterrana in una fase ‘recente’ che Hadas-Lebel data fra i secoli V-I a.C., ma ricorre in una sola iscrizione (Vt. 2. 13). La grande diffusione di questo prenomen in Etruria può essere seguita nel caso di Arezzo e Chiusi nel periodo in cui il prenomen latino corrispondente, Gaius/Caius, ottiene un grande successo proprio in relazione ai successi di Roma e alla forte pressione esercitata dalla città sulle comunità italiche. Il prenomen Gaius/Caius, diventerà così sinonimo di romanitas. In merito Hadas-Lebel 2004: 81-99 e tav. 169-173. 120 Cfr. Kaimio 1975: 216; Hadas-Lebel 2004: 337. 121 CIL XI, 1748; l’iscrizione è oggi conservata al Museo Guarnacci. Si tratta di una lastra di un tipo di marmo non reperibile nel volterrano, inventariata nel 1883. 122 Hall 1984: 335-340.

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Poteri e strategie familiari di Volterra riservati agli spettacoli142. Avevano rivestito la carica di pontefice a Volterra, Caius Celtus Severus (CIL XI, 1745); l’anonimo dell’iscrizione di dedica CIL XI, 1752; Caius Pompilius Proculus, figlio di Caius Pompilius Cerialis dell’iscrizione CIL XI, 7066; il cavaliere Marcus Anaenius Pharianus (AE 1982, 356).

di quattuorviro quinquennale, aveva prima ricoperto l’edilità a Volterra133. 1.2.4. Questori L’epigrafia volterrana attesta poi per due volte la figura del quaestor, ufficiale di cassa alle dipendenze dei magistrati iure dicundo, che veniva solitamente eletto nelle città con una maggiore complessità di affari134. Al tempo della Repubblica i questori amministravano l’erario, vigilavano sull’adempimento degli oneri tributari, procedevano all’erogazione di fondi necessari per le spese decise secondo le direttive del senato, vigilavano sull’adempimento degli oneri tributari secondo le liste del censo, avevano competenze nel campo della repressione criminale135. Solitamente erano due e potevano occuparsi anche della realizzazione di opere pubbliche.136 Erano questori a Volterra C. Celtus Severus, che poi sarebbe divenuto edile (CIL XI, 1745), e Marco Anenio Phariano (AE 1982, 356), che avrebbe ricoperto l’ufficio come primo incarico del suo cursus honorum locale137.

Al senato locale spettava anche l’elezione annuale dei seviri augustali, addetti al culto imperiale la cui carica poteva essere iterata143. L’istituzione del collegio dei seviri augustali rappresentava per la classe dei ricchi liberti il vertice della propria carriera pubblica144. I facoltosi liberti avrebbero dovuto pagare una summa honoraria, o sostenere la spesa di giochi pubblici, o restaurare edifici in città all’entrata in carica. Come benefattori, essi ricevevano in cambio dal senato locale onori come statue realizzate a spese pubbliche in memoria della loro generosità145. Gli augustales non avevano diritto alle insegne dei magistrati, ma potevano avere l’onore del bisellium o dei fasci, se particolarmente onorevoli146. La perduta iscrizione CIL XI, 1747 menziona la dedica dei collegiati al liberto e seviro augustale Aulus Novius Pliconti147. Tale iscrizione è stata spesso associata alla base della statua togata in marmo148, conosciuta tra i volterrani come “Prete Marzio”149 (Fig. 1.8). Altri membri dei Novi sono attestati a Volterra nell’epigrafe CIL XI, 1781, rinvenuta in via Sarti, nella quale vengono ricordati Novia Veneria, Novius Honoratus, e un L. Novius Panther150. I cognomina, Pliconti e Panther associati ai due Novii rimanderebbero a un’origine greca di questi individui151.

1.2.5. Sacerdozi cittadini: Pontefici e Seviri Augustali Il senato locale aveva anche il compito di eleggere i collegi sacerdotali138 depositari del diritto sacro che amministravano assistiti dal senato139. Le epigrafi rinvenute attestano a Volterra quattro individui che avevano rivestito la carica di pontefice (Fig. 1.14)140. Il pontefice, che aveva piena competenza nel campo della scientia interpretandi e in quello della legis actiones, veniva designato annualmente e poteva intervenire in materia di diritto e di rapporti tra privati, in particolare per quanto riguardava diritto di famiglia e diritto ereditario141. Per diventare pontefice era necessario possedere alcuni requisiti: essere nati liberi, avere l’origo nella comunità, possedere il domicilio nella città o entro il primo miglio da essa, o impegnarsi a ottenerla entro i cinque anni dall’assunzione della carica – che doveva essere probabilmente a vita – ed essere illibati. I pontefici godevano inoltre di diversi privilegi: esenzione dal servizio militare, esenzione dai munera, diritto di indossare la toga pretesta, diritto a posti

Un altro membro del collegio degli augustali volterrani era Caius Traulus Phoebus, menzionato nell’iscrizione CIL XI, 1750 rinvenuta presso la porta a Selci152. Il nome Campedelli 2018b: 164. Il coinvolgimento degli augustali nel culto imperiale deve aver avuto la funzione di rafforzare la lealtà verso l’imperatore istaurando così un equilibrio sociale e politico utile non solo localmente. Cfr. Fabiani 2002. 144 Per quanto riguarda la presenza del collegio dei seviri augustali in Etruria settentrionale, sono stati studiati da Fabio Fabiani i casi di Luni, Lucca, Pisa. In questi tre casi, l’istituzione del collegio degli augustali venne a sostituire quello dei mercuriali. L’autore mette in relazione la fortuna dei collegia alle attività economiche in cui erano impegnati coloro che di fatto rappresentavano, con le loro attività, le principali fonti di reddito per la comunità. Per ulteriori approfondimenti si vedano Taylor 1914: 231-253; Fabiani 2002: 99-112. 145 Taylor 1914: 232. 146 Campedelli 2018b: 163-168. 147 CIL XI, 1747: ‘Sodales/A(ulo) Novio A(uli) l(iberto)/Pliconti/seviro/ Augustali’. 148 Ciriaco D’Ancona, nel resoconto del suo viaggio a Volterra del 1442, descrive l’epigrafe come ‘pertinente una grande statua marmorea priva di braccia, generalmente identificata col cosiddetto ‘Prete Marzio’ adesso conservato nel giardino del Museo Guarnacci’. Cfr. Consortini 1923; Cateni-Parenti-Sarri 2010. 149 La statua raffigurante un togato con toga fusa, stante, affiancato da una capsa presso il piede sinistro, doveva probabilmente essere posizionata in una nicchia dato che il retro non si presenta lavorato. La statua, stilisticamente datata ai decenni centrali del I secolo d.C. (età TiberianoClaudia), rappresenta una delle poche sculture romane dell’antica Volaterrae. Sulle vicende della statua e il recente restauro si vedano: Consortini 1923; Cateni-Parenti-Sarri 2010. 150 CIL XI, 1781: ‘D(is) M(anibus)/L(ucio) Novio Pan/their/Novia Veneri/ coniugi B(ene) M(erenti)/et Novius Ho/noratus pa/ṭri B(ene) M(erenti)’. 151 A tale proposito cfr. Cateni-Parenti-Sarri 2010. 152 CIL XI, 1750: ‘C(aius) Traulus C(ai) l(ibertus)/Phoebus sexvir/ Aug(ustalis) v(ixit) a(nnos) XXXVII/Pergonia Prima’. 142 143

AE 1982, 356. Talamanca 1979: 559-560. 135 Talamanca 1979: 188-189. 136 Campedelli 2018a: 152. 137 Quest’ultimo era stato inoltre iscritto alle cinque decurie di giudici. Sull’aggiunta di una quinta decuria di giudici alle quattro già esistenti, Suet., Calig., 16. 138 Laffi 2007: 71-73. La Lex Coloniae Genetivae (cap. LXIII) prescrive che i pontefici e gli auguri fossero eletti con le stesse procedure con cui erano eletti i duoviri. Dalla prima età imperiale troviamo traccia epigrafica di pontefici e auguri nominati dai senati locali ma l’intervento dei decurioni non era sempre richiesto. 139 Il sacerdozio era una questione di status sociale. Dato che gli atti religiosi erano celebrati a nome della comunità, solo coloro che erano destinati dalla nascita a rappresentarla svolgevano le funzioni sacerdotali. Bisogna inoltre considerare che tutti i magistrati dovevano svolgere alcune mansioni sacerdotali. A riguardo a Haack 2003; Scheid 1989: 48-79. 140 CIL XI, 1745; CIL XI, 1752; AE 1982, 356; CIL XI, 7066. 141 Talamanca 1979: 324. 133 134

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’ della comunità. Nei confronti dei servi pubblici, le città avevano una serie di obblighi, fra cui la fornitura di vitto, alloggio, vestiario167. Da una lettera di Plinio a Traiano168 sappiamo che essi venivano generalmente impiegati come guardie in città e come ausiliari nell’amministrazione delle finanze pubbliche. A Volterra il questore aveva eretto un monumento funebre, nell’avanzato II secolo d.C., per un servo pubblico morto all’età di quarantaquattro anni senza essere stato manomesso169.

della gens non avrebbe origine etrusca, mentre il cognomen rimanderebbe anche in questo caso a un’origine greca. Un’altra iscrizione, la CIL XI, 1787, rinvenuta a Volterra in località le Ripaie, menziona un Traulus Quadratus che dedicava il monumento funerario all’optima uxor appartenente alla gens Petronia153. È difficile seguire le vicende di questa famiglia. Gli unici Traulii noti, a parte i due a Volterra, ricorrono in bolli laterizi in Pannonia, a Roma, nella Regio X154, e in due monumenti funerari a Roma155. Tuttavia, è interessante notare come il nome dei Traulii potrebbe associato alle vicende di individui imparentati con i Cecina di Volterra, a Roma156. Negli Annales di Tacito157 e nell’Apolokyntosis di Seneca158, si riferisce dell’esistenza di un cavaliere Sextus Traulus Montanus condannato a morte nel 48 d.C. dopo esser stato annoverato tra gli amanti di Messalina insieme al Caius Silius console designato, verosimilmente imparentato con Caius Cecina Largus console del 42 d.C. che aveva fatto realizzare la porticus pone scaenam del teatro di Volterra159.

1.2.7. Attestazioni di collegia nel territorio di Volterra A Volterra non si trova traccia di collegia a livello urbano170, ma sembrerebbe invece provata archeologicamente nel territorio ad essa soggetto a partire dal rinvenimento di una schola, sede del collegium171, presso il sito di San Gaetano di Vada. Qui era attivo un quartiere retroportuale funzionale allo smistamento delle merci e la gestione dei flussi commerciali di uno dei maggiori poli del sistema dei Vada Volaterrana172. I Vada Volaterrana citati da Cicerone173, da Plinio174 e da Rutilio Namaziano175, da portolani come l’Itinerarium maritimum Antonini Augusti176, e da itinerari

1.2.6. Sicurezza pubblica: il personale ausiliario Per quanto riguarda la sicurezza pubblica, rientrava nei compiti delle civitates quello di occuparsi dell’ordine pubblico entro i confini del proprio territorio160. I compiti di polizia spettavano ai magistrati iure dicundo161 per quanto riguardava il rispetto delle leggi e le procedure giudiziarie come inchieste, arresti, scorte, incarcerazioni, detenzioni e pene162, mentre nella Lex Irnitana (XIX, I, 7)163 veniva specificato che, in caso di necessità, gli edili avrebbero potuto organizzare delle pattuglie composte da abitanti della città, di condizione servile o meno, per garantire la sicurezza notturna164. Generalmente, gli anziani che avessero o meno prestato servizio militare avrebbero potuto essere mobilitati per svolgere funzioni di polizia insieme ai cosiddetti servi publici165. Questi ultimi, di cui si ha un’attestazione Volterra166, erano schiavi di proprietà

Luciani 2018b: 162-163. Plin., Ep., XIX, 20. 169 Sul monumento e l’iscrizione si veda Ciampoltrini 1982: 6. 170 Si trattava di associazioni volontarie che avevano interesse a rafforzare i loro legami attraverso la condivisione di norme, regolamenti, sanzioni, ed erano importanti gruppi di potere considerati utili dalle élite per il controllo di determinate professioni e mobilizzarne gli sforzi per servizi pubblici o privati. Specie in situazioni d’emergenza le città romane mobilitavano uno dei tria collegia principalia (centonari, fabri, dendrophori) come forza pubblica di vigilanza e polizia Per una visione d’insieme relativa alle attestazioni di collegia in Italia ci si è avvalsi del database e delle informazioni gentilmente fornite dal Prof. K. Verboven. Su 49 attestazioni di collegia in Etruria, i dendrophori ricorrono solamente nei casi di Fiesole (CIL XI, 1551 e 1552), Luni (CIL XI, 1355b), a Volsinii (CIL XI, 2723). Altre attestazioni di dendrophori in Italia ricorrono unicamente nella regio I (Latium et Campania), dove sono ricordati dendrophori Allifarum Allifae (AE 1927, 5), Bovillae (AE 1927, 00115), Cumae (AE 1971, 90); CIL X, 3698; CIL X, 3700), Gabii (CIL XIV, 2809), Lavinii (AE 1998, 282), Ostiae (AE 1948, 24; AE 1987, 198; CIL XIV, 33; CIL XIV, 40; CIL XIV, 45; CIL XIV, 53; CIL XIV, 67; CIL XIV, 69; CIL XIV, 71;CIL XIV, 97; CIL XIV, 107; CIL XIV, 280; CIL XIV, 281; CIL XIV, 282; CIL XIV, 283; CIL XIV, 295; CIL XIV, 309; CIL XIV, 324; CIL XIV, 326; CIL 14, 364; CIL XIV, 409), Priverni (AE 2012, 337), Puteolis (CIL X, 1786; CIL X, 1790; CIL X, 3699), Salerni (CIL X, *124; CIL X, *125), Signiae (CIL X, 5968), Suessulae (CIL X, 3764), Tusculi (CIL XIV, 2634), Venafri (CIL X, *618[dubium]; CIL X, *620), Verularum (CIL X, 5796). Per approfondimenti a riguardo Verboven 2011: 187-195; Verboven 2017: 173-202. 171 L’identificazione del collegio dei dendrofori è stata proposta dopo il rinvenimento di una statua a grandezza naturale del dio Attis, divinità venerata dal collegio in altre comunità, e per la presenza di un alloggiamento del cosiddetto ‘pino sacro’ che veniva tagliato e portato in processione durante la festa del dio. Sangriso 2011; Sangriso 2017. Sui dendrofori cfr. Verboven 2017. 172 Il sistema portuale di Volterra si appoggiava su numerosi approdi e scali naturali, fra cui quello in prossimità dell’attuale pontile della Società Chimica Solvay protetto dalle secche fra Punta del Tesorino e Punta di Pietrabianca. In quest’area, specie a partire dagli inizi del I secolo d.C., si sviluppò il quartiere retroportuale identificato in località San Gaetano di Vada, connesso con le attività di distribuzione e stoccaggio delle merci da e per Volterra. Pasquinucci 2007; Pasquinucci-Menchelli 2017; Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006; Sangriso 2011; Sangriso 2017. 173 Cic., Quinct., XXIV, 4. 174 Plin., N.H., III, 50; III, 80. 175 Rutil. Nam., I, 453-462. 176 Giunto in una copia di VI secolo d.C. ricorda le distanze di alcuni dei principali porti fra cui ‘a Vadis portu Pisano mpm XVIII’. Sui problemi di metrologia delle distanze. Cfr. Cuntz 1929; Pasquinucci 2007; Sangriso 2011. 167 168

L’iscrizione è anche pubblicata in Consortini 1938: 66; Bacci 1974: 79, n.11. 154 CIL III, 12010,07; CIL III, 14371,07; CIL XV, 03453; CIL V, 08110,207; EDCS-68100008; EDCS-68100019. 155 CIL VI, 38992; CIL VI, 28256. 156 Sull’appartenenza a Volterra dei Trauli si vedano Consortini 1934b: 70; Ciampoltrini 1983: 270. 157 Tac., Ann. XI, 36-37. 158 Sen., Apocol., XIII, 4. 159 Sul teatro di Volterra e l’evergetismo dei Cecina Cfr. infra paragrafi 1.2.10; 2.3.1; 3.1.4. Sui rapporti fra Cecina Largo e Claudio infra paragrafo 4.3.2. 160 De Ligt 2012: 56-57. 161 In caso d’emergenza i magistrati della città potevano decretare una mobilitazione generale degli abitanti e costituire una truppa essendo temporaneamente investiti di poteri di cui solitamente disponeva il tribuno militare. La disposizione è nota grazie alla Lex Ursoniensis CIII (Crawford 1996, n°25) regolamento della colonia cesariana di Urso in Betica. Brélaz 2004: 203-205. 162 Brélaz 2004: 187-209. 163 Si tratta del regolamento di epoca Flavia del municipio di Irni in Betica. 164 Brélaz 2004: 187-210. 165 Cfr. Buckland 1908: 327-331; Ando-Du Plessis-Tuori 2016: 345416; Luciani 2018b: 161-163. 166 Il luogo di rinvenimento dell’iscrizione riportato è il magazzino di un lavoratore di campagna presso l’area delle Balze di Volterra. CIL XI, 1751: ‘D(is)·Manib(us)/urbico vilico pu/blico D(ecreto) O(rdinis) cuius/ multa b(eneficia) habem(us)/Q(aestor)Ac(ta) Eg(it) Anni/s XLIIII sine ull(a)/macula vixit’. 153

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Poteri e strategie familiari di Volterra come la Tabula Peutingeriana177, nonché dall’Anonimo Ravennate178, nonostante fossero distanti circa 40 km da Volterra non dovevano rappresentare una realtà territoriale del tutto indipendente dal punto di vista amministrativo. L’importanza del litorale per la città e il notevole contributo economico dovuto alla presenza di infrastrutture di carattere commerciale sono prive di dubbio179. La presenza dei dendrofori, collegio fra i tre principalia meno caratterizzato a livello professionale e maggiormente legato ad un’identità religiosa180, è stata interpretata in relazione allo svolgimento di mansioni relative all’organizzazione, allo stoccaggio e alla veicolazione delle merci da e per Volterra, forse all’esazione dei portoria181.

Probatus, oltre che la supposta parentela con una delle famiglie dell’élite di Volterra aveva legami con il territorio cittadino. Questi erano probabilmente rafforzati dalle proprietà che, come accadeva di solito, i curatores avevano nelle comunità di cui erano a capo. 1.2.9. Il Patronus: Cicerone, i Cecina e le virtù civiche dei Volterrani Il patrono era un importante intermediario fra le realtà locali e Roma187. Nel I secolo a.C. Marco Tullio Cicerone era patrono di diverse comunità, fra cui Volterra188 per la quale svolse il ruolo di patrocinatore legale189. La prima evidenza concreta di un legame fra Volterra e Cicerone è costituita dall’orazione Pro Caecina190, tenuta nel 69 a.C. in occasione del processo in cui difese Aulo Cecina191 contro Sextus Aebuthius192. Aulo Cecina era un proprietario terriero di ordine equestre, il cui ramo familiare si era trasferito da Volterra a Roma all’inizio del I secolo a.C. e definito ‘amplissimo totius Etruriae nomine’.193 Sesto Aebutio, difeso da Gaio Calpurnio Pisone, era il procurator della defunta moglie di Cecina, Cesennia. Rivendicando il possesso sulle terre di Cesennia a discapito del vedovo,

1.2.8. Il Curator A Volterra è attestata la carica del curator, importante intermediario con Roma. Tale carica fu istituita nel corso del I secolo d.C., e si trattava di un commissario di nomina imperiale inviato da Roma, dietro richiesta di città che si trovavano in difficoltà finanziarie e/o amministrative. Inizialmente la sua presenza in città era occasionale e di durata non prefissata182, tuttavia, nel III secolo d.C. era diventata una carica fissa. Il curator era il capo dell’amministrazione locale e poteva talora coincidere con il patrono183, aveva la responsabilità dell’ordine pubblico, doveva provvedere alla formazione dell’elenco dei contribuenti e dell’approvvigionamento della città184. In molti casi la scelta del curator era determinata dalla conoscenza personale con i membri delle comunità e l’elezione avveniva spesso su indicazione del senato locale185. Per Volterra, fra 250-260 d.C. si conosce il caso del curator di rango senatorio, L. Publilius Probatus, parente dei Petroni Volusiani entrati in senato all’epoca di Gallieno186. Il curator volaterranorum L. Publilius

del 270 e patrono di Pozzuoli. L. Publilius Probatus curator a Volterra, secondo A. Furiesi fu l’ultimo discendente della famiglia. Cfr. Furiesi 2008: 171; Eck 1999: 323-252, infra paragrafo 4.3.3. 187 Per i legami fra comunità locali e Roma cfr. Eck 1999: 204-205. Sul patronato Woolf-Garnsey 1989. 188 Fra le altre comunità di cui Cicerone difende gli interessi, spesso perché richiesto dalle stesse o in virtù di legami d’amicizia, oltre alla città natale Arpinum, Atella (Cic., Fam., XIII, 7; Q. Fr., II, 14, 3), Buthrotum in Epiro (Cic., Att., XV, 14; XVI, 16.), Sparta e Paphos nell’isola di Cipro (Cic., Fam., XIII, 48). Dopo il processo a Verre, Cicerone diventò inoltre patrono e difensore dell’intera Sicilia. In merito Grimal 1988; Boissier 1988: 156; Deniaux 1991: 217-220; Deniaux 1993: 244. 189 Difendere qualcuno in un processo sicuramente costituiva una fonte di reddito e, sebbene Cicerone criticasse i mercenari dei patrocini, egli stesso veniva considerato come mercennarius patronus avendo ricevuto da P. Sulla un prestito di due milioni di sesterzi in cambio della difesa contro l’accusa di complicità nella congiura di Catilina. In merito Verboven 2002: 90-92. 190 Sul processo, tenutosi a Roma in ius praetorium è stato spesso detto che la presenza dei recuperatores fosse chiaramente segno di un processo fra un romano e un non romano. Tuttavia, in questo caso la procedura era stata richiesta in quanto si trattava di un processo per l’interdetto de vi armata concernente la violazione della sicurezza pubblica. In questi casi era infatti previsa la presenza dei recuperatores. Cfr. Hohti 1975: 422 e nota 39. 191 Nicolet 1974: 812-813. L’appartenenza al rango equestre viene esplicitamente affermata da Plinio (N.H., X, 34, 2). La famiglia Cecina fu tra le prime gentes di Volterra a trasferirsi a Roma. In merito, Hohti 1975: 416-7. In conformità al proprio status, Aulo si era sposato in seconde nozze con Cesennia, appartenente a uno dei più antichi lignaggi etruschi di Tarquinia. La donna, ‘summo loco nata’, era prima sposata a M. Fulcinius tarquiniese. Marco Fulcinio era un appartenente al rango equestre e si era stabilito a Roma come banchiere; aveva poi fatto ritorno a Tarquinia dove aveva comprato della terra. 192 Cesennia aveva diviso per volontà testamentaria la sua proprietà destinando 23/24 al marito Aulo Cecina, 1/72 al suo procurator e amico Sex. Aebuthius, e 2/72 al liberto del primo marito Fulcinio, Aebutius, sulla vita del quale non sappiamo molto, decise di intentare la causa contro Aulo Cecina. Cfr. Hohti 1975: 420-421; Capdeville 1997: 288-9 e note 233-245; Deniaux 1991: 221; Firpo 2017: 139-140; Santangelo 2007: 176-178; Verboven 2002: 193. 193 ‘hominem singulari pudore, virtute cognita et spectata fide, amplissimo totius Etruria nomine’, Cic., Caecin., 104: ‘Uomo di singolare pudore, di cui la virtù è conosciuta, la fedeltà è nota, il cui nome è famoso in tutta l’Etruria’. Per l’analisi sistematica del linguaggio di Cicerone si vedano alcune considerazioni in Cébeillac-Gervasoni 1981. Sui Cecina si veda il fondamentale Capdeville 1997: 286-289 e nota 241; Santangelo 2007: 176-178.

177 Copia del XII-XIII secolo di un itinerarium pictum romano risalente alla metà del IV d.C. è formata da 11 fogli sui quali è disegnato il mondo conosciuto con la rappresentazione della rete stradale romana e l’indicazione delle distanze e delle stazioni viarie. La Tabula ricorda nel settore di strada fra il Cecina e Castiglioncello tre stationes: Vada Volaterris, Velinis, Ad Fines. Cfr. Levi-Levi 1978; Degrassi 1985; Prontera 2003. 178 Composto fra VII e IX secolo d.C., si tratta di un itinerario che cita Badis Volatianis. 179 Sangriso 2011: 207-208; si veda inoltre Pasquinucci-Menchelli 2017: 299-321. 180 Verboven 2017: 173-174. Si tornerà in seguito sul problema relativo all’identità religiosa, basti al momento tenere a mente che potrebbe non essere stato un caso la scelta di un tale collegium. Cfr. infra paragrafo 4.3.2. 181 Per una descrizione dettagliata delle evidenze Sangriso 2017: 2-5. 182 Dig., XXII, 1, 33; L, 10, 5. Con Diocleziano i poteri del curator furono notevolmente accresciuti. L’imperatore dotò ogni città di un curator permanente e ne fece il capo dell’amministrazione locale con poteri giurisdizionali limitati alla sola fase istruttoria per i processi di competenza del governatore provinciale. Spesso i curatores potevano essere scelti dalla comunità come patroni. Cfr. Talamanca 1979: 649; Camodeca 2008: 507-521; Eck 1999: 195-231 e appendice 1; Luciani 2018c: 172-174. 183 Christol 2008: 531-532; Talamanca 1979: 649. 184 In merito Camodeca 2008: 511-521. 185 Eck 1999: 207. 186 AE 1976, 183; Camodeca 1974; Munzi-Ricci-Serlorenzi 1994: 643. Si ricorda a tale proposito che la gens Petronia è citata anche nelle lastre della proedria del teatro di Vallebuona. L. Petronius l.f. Taurus Volusianus fu prefetto dei vigili, prefetto del pretorio, console ordinario nel 261 d.C. e prefetto urbano nel 267-8 d.C. Suo figlio, L. Publius Petronius Volusianus era stato questore, seviro, pretore, console suffetto

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’ Calpurnio Pisone costruì il capo d’accusa sostenendo che Cecina, essendo privo della cittadinanza romana, non avrebbe avuto il diritto di ereditare i beni della moglie. Cicerone, da parte sua, fondò la difesa su due punti. Il primo fu l’interdetto de vi armata, ossia l’illegalità dello spossessamento violento da parte di Aebutius nei confronti del suo cliente. Il secondo punto fu l’inconsistenza della contestazione relativa alla cittadinanza di cui Cecina sarebbe stato privo. Aulo Cecina, come gli altri volterrani, avrebbe perso la cittadinanza dopo l’assedio sostenuto da Volterra contro Silla negli anni 81-79 a.C. nel contesto delle guerre civili194, tuttavia, sosteneva Cicerone, privare qualcuno della cittadinanza sarebbe stato incostituzionale, d’altronde Volterra manteneva lo ius commercii con Roma che includeva il diritto reciproco di eredità. Questo importante dettaglio rivela che in quel periodo la condizione giuridica di Volterra non fosse chiara o a tutti nota. Secondo quanto sostenuto da Capdeville riguardo la scelta di Cicerone come avvocato da parte di Cecina, per quest’ultimo si trattava ‘di attaccarsi ai servizi di un grande avvocato di Roma195 e questo gli procurò probabilmente la vittoria nel processo; per Cicerone si trattava di costruirsi una clientela politica in Etruria attraverso la difesa di un importante rappresentante di Volterra’196. Da quel momento Cicerone si legò sempre di più a Volterra, come è possibile desumere dai riferimenti contenuti in alcune delle sue lettere.

sostenendolo nella campagna elettorale per il consolato198. Sarebbe stata questa la necessitudo che legava Cicerone alla città di Volterra a cui egli fa riferimento nella lettera inviata a Quinto Valerio Orca nel 45 a.C.199. Probabilmente in cambio del supporto ricevuto, i Volterrani beneficiarono dell’intervento dell’Arpinate dopo la cosiddetta ‘sullana calamitatem’200. Nel 63 a.C., anno del suo consolato, Cicerone intervenne in occasione della proposta agraria di Rullo201 e i Volterrani grazie alla sua peroratio sfuggirono alle confische previste202. La situazione si mantenne tale fino al 59 a.C., quando fu promulgata la Lex Iulia agraria203, ma Cicerone dovette intervenire nuovamente in favore dei Volterrani se, come scrisse nel 45 a.C., ‘hanc actionem meam C. Caesar […] agrumque Volaterranum et oppidum omni periculo in perpetuum liberavit’204. Le terre di Volterra furono però oggetto di una nuova minaccia di espropriazione nel 46-45 a.C. e Cicerone, indirizzando due lettere all’ incaricato delle distribuzioni cesariane, Quinto Valerio Orca, intervenne ancora una volta chiedendo per i Volterrani l’esenzione collettiva dalla confisca205. Cicerone intervenne in nome dei vincoli di patronato che lo legavano alla comunità e all’amicizia personale nei confronti di alcuni esponenti dell’élite di Volterra, fra cui Curtius206 e i Cecina. Con un vocabolario encomiastico nei confronti dei Volterrani, Cicerone intendeva esaltare la comunità, e soprattutto persuadere Quinto Valerio Orca affinché intercedesse a sua volta presso Cesare. Sottolineando come il summum beneficium che Orca avrebbe dovuto accordare alla città, avrebbe significato

È dunque probabile che Volterra, come le altre comunità a lui legate, avrebbe favorito il suo rientro dall’esilio197, poi Assunto il titolo di Ultor, nel novembre dell’82 a.C. Silla fece affiggere un editto di proscrizione seguito da elenchi di nomi con cui si decretava la morte di quanti erano menzionati. Con la Lex Cornelia dello stesso, l’editto venne esteso ai figli dei proscritti. Al proscritto erano inoltre negati soccorso e asilo, pena la morte (Brizzi 2004: 157-164). Appiano ricorda che in tutta Italia furono molte le confische e le uccisioni fra quanti avevano obbedito a Carbone, Norbano, Mario (App., Bell. civ., I, 96, 445), ma oltre i singoli proscritti Silla perseguì anche le città che avevano prestato rifugio ai mariani e le punì, abbattendone le rocche, demolendone le mura, imponendo multe o esaurendole con gravissime contribuzioni (App., Bell. civ., I, 96, 447). Volterra, per la posizione geografica isolata a nord divenne ultima roccaforte da abbattere. Qui, infatti, si ritirarono le ultime truppe di mariani (Hohti 1975: 409-433). La città venne quindi cinta d’assedio e Silla in persona si occupò delle operazioni militari che si protrassero per due anni (per la presenza di Silla a Volterra, Cic., Rosc. Am., 20). Infine, con un accordo (Strab., V, 2,6), la città probabilmente a causa della fame si arrese. Riguardo i provvedimenti punitivi le informazioni sono contraddittorie. Granio Liciniano, infatti, parla di espulsione ed eliminazione dei proscritti ad opera dei consoli Claudio e Servilio (Gran. Licin., XXXVI, 8-9) mentre Cicerone informa su una serie di provvedimenti di natura giuridica e relativa alle distribuzioni di terre che pare non vennero attuati a pieno (Cfr. Cic., Caecin., 18; 33, 95; 102; Dom., LXXIX; Att., I, 19, 4). Volterra divenne l’ultima roccaforte dei mariani dopo le liste di proscrizione dell’81 a.C. Silla stesso condusse parte delle operazioni militari volte all’assedio della città che si protrasse per ben due anni. Strabone, Granio Liciniano, e le perioche di Livio riportano informazioni sull’evento. L’assedio si concluse nel 79 a.C. in seguito ad un armistizio. Per un’analisi dettagliata dell’assedio di Volterra, Limina 2020. 195 La famiglia Cecina fu una delle prime famiglie di Volterra a spostarsi a Roma. Qui il giovane Aulo Cecina corrispondente di Cicerone aveva completato il suo ciclo d’istruzione. 196 Capdeville 1997: 288-9; Harris 1971: 216 n. 214. Di tale parere sono Deniaux 1991: 220-1; Taylor 1960: 116-117. Sul peso politico di Volterra all’interno della tribù Sabatina infra paragrafo 1.1.2. 197 Cicerone stesso si vanta del fatto che tutte le città italiane avrebbero proposto decreti che reclamassero il suo ritorno (Cic. Dom., XXVIII, 75). 194

Nel Commentariolum Petitionis, Quinto consigliava al fratello Cicerone di legarsi ai più importanti municipali (Com. pet., 24). 199 ‘Cum municipibus Volaterranis mihi summa necessitudo est. Magno enim beneficio adfecti cumulatissime mihi gratiam attulerunt; nam nec in honoribus meis, nec in laboribus unquam defuerunt’ Cic. Fam., XIII, 4: Con i cittadini di Volterra io ho relazioni molto strette. Li ho colmati di benefici e loro mi hanno contraccambiato con favori ancora più grandi’. Per uno studio sui necessarii di Cicerone fra i suoi corrispondenti e commendati Deniaux 1993. 200 Cic., Fam., XIII, 5, 2. Con la Lex Cornelia, Silla avrebbe punito le città mariane prevedendo la deduzione di colonie sulle terre confiscate ai ribelli e la privazione o limitazione dei diritti civili. E. Deniaux sottolinea il fatto che Cicerone effettivamente ammetteva che Silla avesse il diritto di impadronirsi delle terre di una città vinta, ma si opponesse invece al suo arrogarsi la facoltà di privare gli individui della cittadinanza. Cfr. Deniaux 1991: 223. Cicerone, del resto, in una lettera ad Attico specifica che Silla ‘Volaterranos et Arretinos, quorum agrum Sulla publicarat neque diviserat’ Cic., Att., I, 19, 4 ‘i territori dei Volterrani e degli Aretini che Silla aveva reso pubblico, ma non diviso’. 201 Migliorati 2001. 202 Cic., Fam., XIII, 4. 203 Grazie alla Lex Iulia agraria, votata nel 59 a.C. Cesare intendeva procedere alla distribuzione di terre ai suoi veterani. Appiano (Bell. civ., II, 94) e Svetonio (Caes. 38, 1) riportano che si sarebbe trattato per lo più di assegnazioni individuali in lotti di ager publicus, che Cesare si sarebbe astenuto dal fare confische e avrebbe utilizzato unicamente l’ager publicus delle città o delle terre la cui attribuzione rimaneva incerta o acquistando nuove terre dai singoli proprietari (Deniaux 1991: 216-217; 222-223). 204 Cic., Fam., XIII, 4, 2: ‘[Gaio Giulio Cesare con la legge agraria del suo primo consolato] confermò la giustezza di questa mia azione politica ed esentò definitivamente il territorio e la città di Volterra [da ogni eventualità di provvedimenti legislativi del genere]’. 205 Cic., Fam., XIII, 4, e XIII,5. 206 Per quanto riguarda l’identificazione di C. Curtius: Syme 2014: 73 e note 3 e 4; Hall 1984: 263-269. Sulle confische e la centuriazione nel Volterrano infra paragrafo 3.3.2. 198

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Poteri e strategie familiari di Volterra in Sicilia216, Cecina si rivolse a Cicerone per intercedere con Cesare e ottenere il perdono217; a tale proposito scrisse un liber quaerelarum riparatore (probabilmente mai pubblicato)218. Nonostante la consolatio di Cicerone per l’amico, dopo la partenza di Cesare per la Spagna era stato revocato a Cecina il permesso di soggiornare in Sicilia; la grazia venne poi rimandata sine die. Cicerone cercava intanto di rafforzare la propria vicinanza al potere219, così si rivolse a Balbus e Oppius220, uomini di fiducia di Cesare, e Cecina ottenne il permesso di soggiornare nell’isola fin quando avesse voluto. Aulo Cecina fece comunque ritorno dall’esilio solo dopo la morte di Cesare221.

per lui stesso un ritorno di benefici in perpetuum207, frequentemente ricorrono termini come necessitudo, mutua benevolentia, familiaris a sottolineare l’importanza della solida base di fiducia reciproca nei confronti di Volterra, i cui abitanti erano già stati definiti in un passo dell’orazione De domo sua (57 a.C.) ‘non modo cives, sed etiam optimi cives’208. Grazie alla probitas, alla firmitas, nonché alla secolare tradizione religiosa dei Volterrani, gli dèi stessi li avevano protetti209. Così le virtutes dei Volterrani venivano enfatizzate e Volterra veniva definita ‘tam grave, tam firmum, tam honestum municipium’210. Nonostante ciò, l’esenzione collettiva richiesta per i Volterrani non venne concessa211. Per comprendere a pieno il fallimento della peroratio di Cicerone è necessario correlarla al contemporaneo coinvolgimento di membri della famiglia Cecina nella fazione anticesariana.

Esaminando i passi delle lettere fra Cecina e Cicerone, quelli dell’orazione in difesa di Aulo Cecina, quelli nelle lettere riferite a Volterra risulta evidente come venissero adoperati i medesimi aggettivi per definire la comunità e i suoi leader civici: i membri della famiglia Cecina. Il Cecina dell’orazione del 69 a.C. era stato definito ‘spectatissimus prudentissimunque hominem, summo studio, summa virtute, summa auctoritate domestica praeditum’222, l’Aulo “aruspice”, padre del corrispondente di Cicerone veniva ricordato come ‘nobilissimo atque optimo viro’223

Nelle epistole ai familiari sono presenti quattro lettere che costituiscono la corrispondenza tra Cicerone e Aulo Cecina, figlio dell’omonimo cliente difeso dall’oratore nella causa ereditaria descritta in precedenza212. A queste si aggiungono altre due lettere di raccomandazione di Cicerone per l’amico volterrano213. Aulo Cecina, attivamente coinvolto nella politica di Roma, durante le guerre civili appoggiò Pompeo, scrisse un criminosissimo libro contro Cesare214, prese parte alla battaglia Thapso (46 a.C.) dopo la quale venne risparmiato215. Confinato

216 È stato notato a tale proposito da Hohti come Cesare sia stato clemente nei confronti di Cecina. Il volterrano venne infatti condannato all’esilio in Sicilia, ma non a morte. Cfr. Hohti 1975: 429 e nota 6. Non è noto il luogo in cui Cecina trascorse il suo esilio siciliano. Tuttavia, è interessante notare che in Sicilia, a Termini Imerese, è conservata un’iscrizione appartenente ad una Caecinia ‘D.M/ Caecinia Sozusa/vix. Ann. L’. Si tratta dell’unica attestazione del gentilizio Cecina in Sicilia. Per ulteriori approfondimenti cfr. bivona 1994. 217 Riguardo le reti di amicizie nel periodo di Cesare e il ruolo di Cicerone si veda Citroni Marchetti 2000: 68; 266. 218 Dai riferimenti fatti nelle lettere Fam., VI, 5, 1; VI, 6, 8; VI, 7 apprendiamo che il testo venne inoltre corretto ed emendato dallo stesso Cicerone. 219 L’atteggiamento di Cicerone fu in parte condizionato dalla situazione politica di Roma dato che, per l’influenza recuperata nei confronti di Cesare, doveva necessariamente prendere le distanze da un ex pompeiano come Aulo Cecina. La timida difesa nei confronti di Cecina rientrava in questo cambiamento di posizioni operato da Cicerone che, nel 56 a.C., aveva appoggiato i nuovi triumviri a causa della magnanimità e della mitis clemensque natura di Cesare. Citroni Marchetti 2000: 271-273. Sulla condotta politica di Cicerone: Cic., Fam., VI, 6,4; VI, 10. Si veda inoltre Hohti 1975: 429-430. Cfr. Cic., Fam., I, 9, 21; Att., IV, 5, 1 e Habicht 1990: 55. Cicerone era così sceso a compromessi segnando la propria fortuna. Nonostante il fatto che egli fosse costretto a giustificare l’esilio di Cecina, tuttavia aveva riconosciuto che appoggiando Cesare egli stesso aveva tradito i propri ideali, come ammesso all’amico Attico (Cic., Att., VIII, 3, 1-4.), confidando il pentimento per le proprie scelte. Si evince quindi il perché Cicerone fosse al contempo colpito e ammirasse l’amico Aulo Cecina che, avendo difeso fino a Thapso i propri ideali e sopportando l’esilio fino alla morte di Cesare, si presentava come un uomo dotato di ‘ben altra statura morale’ Bacci-Torcoli 1981: 10. 220 C. Oppius apparteneva ad una delle più importanti famiglie romane di banchieri mentre L. Cornelius Balbus era il leader della città punica di Gades e ottenne la cittadinanza dopo aver servito durante la guerra contro Sertorio. Per ulteriori informazioni sui personaggi si veda Syme 2014: 72. 221 In una lettera del 43 a.C. di Cicerone a Furnio troviamo infatti citato Aulo Cecina come ospite di Cicerone ‘Haec eadem locutus sum domi meae, adhibito Q. fratre meo et Caecina et Calvisio, studiosissimis tui, cum Dardanos, libertus tuus interesset’ (Fam., X, 25): ‘è esattamente quello che ho detto in casa a mio fratello Quinto, a Cecina e a Calvisio, perone assolutamente devote a te, alla presenza del tuo liberto Dardano’. Hohti 1975: 430. 222 Cic., Caecin., 102: ‘uomo rispettabilissimo, prudentissimo, dotato di somma sapienza, somma virtù, somma autorità’ 223 Cic., Fam., VI, 6, 3.

Cic., Fam., XIII, 4, 2; Deniaux 1991: 224. ‘An vero Volaterranis, cum etiam tum essent in armis L. Sulla victor, re publica recuperata, comitiis centuriatis, civitatem eripere non potuit, hodiaeque Volaterrani, non modo cives, sed etiam optimi cives fruuntur nobiscum simul hac civitate’ (Cic., Dom., XXX, 79): ‘Ma Silla, pur essendo ancora in armi e vincitore, essendo stata ripristinata la repubblica, nei comizi centuriati non potè togliere la cittadinanza ai Volterrani, che non solo solo cittadini, ma ottimi cittadini e oggi godono con noi di questa cittadinanza’. Nella definizione dei volterrani come optimi cives il superlativo sembra tributare un riconoscimento di merito e qualità morali a chi gode del legittimo diritto di essere considerato cittadino romano Bacci-Torcoli 1981: 4-5. 209 Cic., Fam., XIII, 1; 3. 210 Cic., Fam., XIII, 2. 211 Che l’esenzione collettiva dalle confische non fosse stata concessa si apprende dalla lettera Fam., XIII, 5 sempre indirizzata a Quinto Valerio Orca in favore di Caius Curtius, che rischiava di perdere la sua proprietà nel volterrano e il rango senatorio recentemente acquisito. Cicerone cercò di fare leva sul contradditorio comportamento di Cesare. Quest’ultimo avrebbe infatti in un primo momento, cercando il favore della città che aveva accolto ai tempi di Silla i proscritti di Mario, dichiarato esenti dalle confische le terre volterrane. Deniaux 1991: 22. 212 Cic., Fam., VI, 5; 6; 7; 8 213 Cic., Fam., VI, 9; XIII, 66 214 ‘Aulique Caecinae criminosissimo libro et Pitholai carmininibus maledicentissimis laceratam existimationem suam civili animo tulit’ (Suet., Caes., 75, 5): ‘[Il divino Giulio] sopportò civilmente che la sua reputazione fosse stata fatta a brani da un velenosissimo libro di Aulo Cecina e dai versi diffamatori di Pitolao’. Da questa evidenza, Capdeville desume che il libro sia stato redatto in prosa (Capdeville 1997: 294 e nota 269). Non bisogna trascurare la notevole incidenza della letteratura serio-comica sull’opinione pubblica romana, specie di scritti come quello di Cecina che mettevano in dubbio la reputazione morale di Cesare (Bacci-Torcoli 1981: 15). 215 Dopo la sconfitta della coalizione pompeiana a Thapso (Tunisia), Cesare concentrò nella sua persona una serie impressionante di magistrature supreme e poteri straordinari. Già dal 49 a.C. gli avversari di parte pompeiana erano stati condannati ed esiliati. Per gli altri pompeiani risparmiati con Cecina a Thapso, Caes., BAfr., 89. 207 208

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’ e ‘claro homine, forti viro’224; il figlio dell’esiliato Cecina, che si trovava a Roma ‘constantissimo atque optimo’225. Ancora nella lettera ad Aulo Cecina del 45 a.C.226, Cicerone lo definisce come uno dei boni cives227. Quasi per estensione i valori e le tradizioni dei Cecina passavano a caratterizzare l’intera comunità dei Volterrani, di cui essi erano i più eminenti esponenti. A ben vedere, nonostante il clima elogiativo delle virtù civiche dei Volterrani, i Cecina non vengono menzionati nelle lettere di Cicerone in favore della comunità. Certo sarebbe sembrato scomodo menzionare apertamente un ‘nemico politico’ quale l’ex-pompeiano Cecina. Il carattere encomiastico nei confronti dei Volterrani, certo giustificato in primis dai beneficia ottenuti dall’Arpinate, avrebbe potuto avere indirettamente la funzione di perorare la causa del suo più eminente cittadino, l’esiliato Aulo Cecina. In questo senso, la scelta dell’ager Volaterranus come oggetto delle distribuzioni cesariane, così come il fallimento dell’intervento ciceroniano in favore dei Volterrani nella richiesta dell’esenzione dalla confisca228, sembrerebbero connesse con la volontà da parte di Cesare di ledere le basi di potere locale dei Cecina.

Caio Pompilio Ceriale cavaliere che era stato non solo quattuorviro iure dicundo e quinquennale, ma anche praefectus Drusi Caesaris e tribunus della XXI legio Rapax232. Gli editori, in base alla carica di praefectus Drusi Caesaris rivestita da C. Pompilius Cerialis, e quindi sulla sua probabile morte intorno alla metà del I d.C., hanno datato l’iscrizione fra 31 e 70 d.C. Dunque, è possibile ricostruire che a Volterra, verosimilmente tra il 21 e il 23 d.C., Pompilio Ceriale sostituì Druso minore, figlio di Tiberio, nella più alta carica politica locale233. Per comprendere a pieno il significato di tale nomina a Volterra è necessario esaminare il profilo prosopografico di Pompilio Ceriale e poi metterlo in relazione alle vicende che coinvolsero i Cecina, nello specifico quelle relative ad Aulo Cecina Severo e Caio Cecina (Silio) Largo, evergeti del teatro urbano (Fig. 1.13). Pompilio Ceriale discendeva da una famiglia il cui il gentilizio non è attestato a Volterra nelle iscrizioni in lingua etrusca, ma che potrebbe derivare dalla normalizzazione del gentilizio Pumpli attestato a Vulci (CIE 5316)234. Anche Hall, seguendo l’interpretazione di Schultze, concorda con la derivazione del gentilizio dall’etrusco e ricorda due individui d’età repubblicana: Sex. Pompilius tribuno della plebe nel 420 a.C., e un Pompilio di rango equestre citato da Cicerone che, a suo parere, potrebbe essere collegato con il cavaliere volterrano del I d.C.235. Effettivamente Quinto Cicerone ricorda Pompilio come uno dei cavalieri amici di Catilina e lo cita insieme a un altro cavaliere, Vettius236, il cui gentilizio è ricorrente anche in Etruria (e a Volterra). Avendo probabilmente sofferto a causa delle confische di Silla237 e vedendo in Catilina, che nel 66 a.C. si era avvicinato a Cesare e Crasso, un continuatore delle politiche di Mario, si spiegherebbe perché Pompilio e Vettio ricordati da Cicerone fossero annoverati fra quanti in Etruria appoggiarono la rivolta degli anni 6362 a.C.238. È importante sottolineare che lo stesso Catilina avrebbe ispirato la Lex Servilia proposta da Rullo per la redistribuzione delle terre, fra cui quelle dell’ager Volaterranus239 Tuttavia, come già ricordato, l’intervento di Cicerone, patrono dei Volterrani e dei Cecina, consentì di mantenere lo status quo. L’eliminazione di Catilina avvenne per mano degli optimates fra cui i numerosi exsostenitori di Silla. È fondamentale tenere a mente che i Cecina avevano probabilmente parteggiato per Silla, come ricostruibile dalla clientela nei confronti di Publio Servilio Isaurico, generale sillano, menzionata nelle lettere di

1.2.10. Il Praefectus iure dicundo: Caius Pompilius Cerialis e i Cecina La prefettura iure dicundo di Pompilio Ceriale a Volterra ha ricevuto un limitato interesse da parte degli studiosi229. Si trattava di una magistratura straordinaria che veniva attribuita dai senati locali, o in casi in cui non era stato possibile di eleggere i magistrati iure dicundo, oppure quando questi erano costretti ad assentarsi, o ancora se alla magistratura iure dicundo erano stati eletti, a titolo onorario, membri della Domus Augusta e questi, nell’impossibilità di adempiere alle loro funzioni, avessero appunto delegato un prefetto230. In quest’ultimo caso, alla prefettura iure dicundo venivano eletti membri delle élite locali nominati dall’imperatore stesso, che spesso sceglieva in base a pregresse conoscenze personali231. I praefecti Caesaris assumevano un ruolo fondamentale in qualità di intermediari fra le élite locali e Roma. L’epigrafe funeraria in marmo rinvenuta a Volterra nell’area delle terme di San Felice ricorda la carriera di Cic., Fam., VI, 9. Cic., Fam., VI, 6, 13; Haack 2003. 226 Cic., Fam., VI, 5. 227 ‘ut non possit ista aut tibi aut ceteris fortuna esse diuturna neque haerere in tam bona causa et in tam bonis civibus tam acerba iniuria’ (Cic., Fam., VI, 5, 2): ‘la natura delle cose e il corso degli eventi sono tali che questa sorte toccata a te e a tutti gli altri non potrà durare a lungo, come l’altra parte un’ingiustizia tanto crudele non può marchiare per sempre una causa così giusti e cittadini tanto onesti’. 228 Che l’esenzione collettiva dalle confische non fosse stata concessa si apprende dalla lettera Fam., XIII, 5 sempre indirizzata a Quinto Valerio Orca in favore di un Caius Curtius, che rischiava di perdere la sua proprietà nel volterrano e il rango senatorio recentemente acquisito, si apprende tuttavia che l’esenzione collettiva richiesta da Cicerone per i volterrani non venne concessa. Per quanto riguarda l’identificazione di C. Curtius: Syme 2014: 73 e note 3 e 4; Hall 1984: 263-269. 229 Cfr. Pizzigati 2020: 25-53. 230 Campedelli 2018a: 147-152. 231 A tale proposito si vedano i fondamentali Didu 1983, Mennella 1988; Rossignano 1991. 224 225

CIL XI, 7066. Per una sintesi delle magistrature rivestite da Pompilio Ceriale si veda Fig. 1.14. 233 Cfr. Pizzigati 2020. 234 Bacci 1974: 107. 235 Hall 1984: 346. 236 Cicero., Comment. pet., 3, 10. 237 Sull’assedio di Silla Limina 2020 e infra paragrafi 1.4; 3.1.1; 3.1.4. 238 Plut., Vit., Cic., 10-14. Plutarco annovera fra i partigiani di Catilina anche i veterani di Silla che erano stati spossessati o che si erano indebitati poiché le loro terre non ne consentivano la sussistenza e sostiene che la maggior parte di questi si trovassero fra le città dell’Etruria. Cfr. Osmond 2000. 239 Deniaux 1991; Migliorati 2001. 232

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Poteri e strategie familiari di Volterra Cicerone240. Se i membri della fazione sillana di Volterra241, guidata dai suoi più eminenti cittadini, passarono in blocco dalla parte di Pompeo242 seguendo l’operato dei Cecina e subendo gravi conseguenze all’affermazione del regime di Cesare, come dimostrato dall’esilio di Aulo Cecina corrispondente di Cicerone, verrebbe a delinearsi un quadro complesso all’interno del quale inserire le vicende di Pompilio Ceriale. Quest’ultimo viene infatti ricordato nella sua epigrafe funeraria come marito di una Laelia Marci filia Brocchilla appartenente ad una famiglia, quella dei Laelii, il cui nome ricorre per ben sei volte nelle lastre della proedria del teatro volterrano, a testimonianza di una piena integrazione nell’ordine municipale mantenuta per i primi due secoli dell’Impero243. Sebbene non sia possibile ricostruire esattamente le vicende della famiglia dei Laelii di Volterra, sarebbe suggestivo legare almeno parte della famiglia alla fazione pompeiana dal momento che membri dei Laelii erano il pompeiano Decimo Lelio, tribuno del 54 a.C. e che la stessa Cornelia, moglie di Pompeo, era una discendente della Lelia figlia di C. Laelius, console del 140 a.C.244. Se così fosse, il matrimonio di Pompilio con una Lelia e la sua eventuale appartenenza alla ‘fazione pompeiana’ di Volterra245, capeggiata dai Cecina, potrebbero rappresentare gli esiti positivi di un processo di avvenuta riabilitazione dei Pompilii a livello locale dopo le precedenti simpatie catilinarie di alcuni membri della gens in “opposizione” ai leader civici di Volterra. A ogni modo, è verosimile che i Cecina avessero favorito l’ascesa di Cerialis nel cursus honorum locale. Sembra possibile intravedere una strategia di controllo delle cariche pubbliche di Volterra da parte dei Cecina. I più eminenti cittadini del centro urbano avrebbero potuto influenzare direttamente le politiche interne tramite individui loro legati da vincoli di clientela o d’amicizia. Che membri dei Cecina avessero avuto legami diretti con Pompilio Ceriale sarebbe provato dal tribunato militare246 di Pompilio nella legione XXI Rapax247. La XXI legione era stata infatti stanziata a Vetera (Xanten) in Germania. Aulo

Cecina Severo, evergeta del teatro di Volterra, generale al seguito di Germanico, più volte aveva avuto modo di interagire con i militari della XXI legione durante il suo incarico di legatus Germania Inferior248. Per comprendere l’importanza della praefectura iure dicundo di Pompilio Ceriale a Volterra fra 21 e 23 d.C. è necessario soffermarsi sul ruolo militare rivestito dai Cecina di origine volterrana in Germania. Sotto il comando di Tiberio, tra il 10 e il 12 d.C., venne riorganizzato il sistema difensivo lungo il Reno. L’esercito fu diviso in due grandi gruppi. Le legioni I, V, XX, XXI, con base a Castra Vetera, erano poste sotto il comando di Cecina Severo. L’altro gruppo, costituito dalle legioni II, XIII, XIV, XVI, costituiva l’esercito della Germania Superior affidato al fratello di Cecina Severo249, Caio Silio Cecina Largo. 250 Nel 13 d.C. il comando delle operazioni sul Reno passò a Germanico. Nel 14 d.C., alla notizia della morte di Augusto, si ebbero disordini e ammutinamenti in alcune legioni e Germanico fu costretto a intervenire direttamente. Lo stesso Cecina Severo fu impegnato nel fronteggiare i tumulti scoppiati all’interno delle legioni V e XXI251. Tacito ricorda un suo comportamento esemplare nelle successive campagne al seguito di Germanico. Nel corso delle operazioni militari contro i Marsi, nel 14 d.C., Cecina Severo condusse una missione nella foresta con truppe armate alla leggera per tendere un’imboscata al nemico e nel 15 d.C., quando Germanico dovette arretrare e allontanare quattro legioni dal fiume, Cecina ebbe il compito di guidarle sul Reno attraverso le paludi252. La sua fermezza nel comando e il suo valore vennero in seguito premiati da Tiberio, che concesse a Cecina, così come ai colleghi Lucio Apronio e al fratello Caio Silio Cecina Largo, gli ornamenta triumphalia253. La carriera di Caio Silio Cecina Largo secondo Velleio Patercolo era stata favorita dallo stesso Tiberio254, e del resto egli era stato assistente di quest’ultimo e di Saturnino nel 4-6 d.C. in occasione del comando eccezionale per riordinare lo spazio del Reno255. Tuttavia, dopo il rientro in Italia, Cecina Largo e la moglie, Sosia Galla, vennero coinvolti nella congiura pisoniana e nel seguente processo per la morte di Germanico. Nel 21 d.C. Cecina Severo tenne un discorso in senato, un anno dopo il processo di Pisone e Plancina, probabilmente con il tentativo di rientrare

Cic., Fam., XIII, 66. Per quanto riguarda i sostenitori di Silla a Volterra, sembra interessante notare che la madre di Aulo Persio, per il quale è noto il legame di parentela con i Cecina, si chiamava Sisennia. È stato ipotizzato che la donna fosse la figlia di Sisenna storico di Silla. Si potrebbe in questo senso intravedere la politica matrimoniale fra gentes che condividevano i medesimi “ideali politici”. Sui rapporti fra Silla, Sisenna e il mondo etrusco in generale Cfr. Candiloro 1963; Rawson 1979; Keaveney 1982; Keaveney 1984: 114-150; Marastoni 2008. Per ulteriori considerazioni Limina 2020. 242 Sul fenomeno delle fazioni politiche nel mondo romano si vedano i contributi in Zecchini 2009. Sull’eredità delle clientele nel I secolo a.C. cfr. Badian 1962; Keaveney 1984. 243 Munzi 2000b: 138. 244 A tale proposito si veda Hemelrijk 1999. 245 Se l’esistenza di una fazione pompeiana a Volterra fosse provata, ad essa potrebbero verosimilmente appartenere anche i Persii, i cui nomi ricorrono in teatro in associazione ai Laelii. I Persii erano inoltre imparentati con i Cecina almeno dalla metà del I secolo a.C. come dimostra un’epigrafe in etrusco su un’urna funeraria volterrana ora conservata al Getty Museum. Cfr. Nielsen 1986. 246 La carica del tribunato militare di Pompilio viene ricostruita da Demougin 1992. 247 La XXI legione era stata inquadrata dopo Azio da Ottaviano. Partecipò alla conquista della Rezia sotto il comando di Druso maggiore e dopo la disfatta di Teutoburgo venne inviata in Germania inferior dove condivise il campo di Xanten con la legio V alaudae. 240 241

Sulla carriera di Cecina Severo, di cui parla anche Tacito negli Annales, si vedano in particolare Mrozewicz 1999; Roberto 2018; Barret 2005 e infra paragrafo 2.3.1.; 4.3.1. 249 Roberto 2018: 148-150. 250 Caio Silio Cecina Largo, spesso definito semplicemente come Caio Silio, sarebbe da indentificare con il fratello stesso di Cecina Severo adottato dai Silii. Si tratterebbe di un A. Cecina Largus adottato da P. Silius, console del 20 a.C. partigiano di Ottavio e tra i suoi collaboratori più stretti. Testimone di questi legami di parentela sarebbe il polionimo C. Silius P.f. P.n. (Nerva) A. Caecina Largus del console del 13 d.C., morto suicida nel 24. Cfr. Valvo 1998: 187-203; Pizzigati 1997; Munzi 1994; infra paragrafo 4.3.1 e Fig. 4.11. 251 Tac., Ann., I, 31-49; Vell. Pat., II, 125. 252 Tac., Ann., I, 63-68. Cfr. Roberto 2018: 166-175. 253 Tac., Ann., I, 55-56. 254 Vell. Pat., II, CXXX. 255 Roberto 2018: 49; 82-83. Silio Cecina aveva probabilmente seguito il padre adottivo nel 16 a.C. nella sua spedizione contro i Rezi. Demougin 1992: 222. 248

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’ nelle grazie Tiberio, ma si trattò di un tentativo fallito256. A Volterra, intanto, era stata incrementata l’attività evergetica dei due fratelli Cecina, che avevano già intrapreso dall’1 a.C. la realizzazione del teatro urbano. È possibile che, nel tentativo di riabilitare le sorti della famiglia agli occhi dell’imperatore, commissionarono anche la realizzazione di un ciclo statuario imperiale nel teatro cittadino. Il senato locale di Volterra decise inoltre di rendere omaggio a Tiberio e dimostrare lealtà alla casa imperiale conferendo la massima magistratura urbana a Druso minore, suo figlio. Come sostituto per la carica venne scelto Caio Pompilio Ceriale che aveva verosimilmente fatto ritorno in patria al seguito di Cecina Severo e svolse la prefettura iure dicundo a Volterra fra 21 e 23 d.C.257. L’attribuzione personale della carica da parte di Tiberio assume un’importanza fondamentale. Tiberio aveva probabilmente avuto modo di conoscere personalmente Pompilio Ceriale, tribuno militare della legione XXI. Secondo la ricostruzione di Keppie, infatti, nel 6 d.C. la legione XXI Rapax era fra quelle sotto il comando di Tiberio diretto a sconfiggere Merobaudo prima della rivolta di Pannoni e Dalmati258.

antica per evidenziare il ruolo dei nuovi gruppi di potere locale, ad esempio i membri della comunità cristiana che, progressivamente, si sostituirono alle élite tradizionali nella gestione della città. 1.3.1. Le élite tradizionali Con la riforma amministrativa di Diocleziano, Volterra divenne parte del distretto di Tuscia et Umbria che comprendeva le precedenti regiones augustee VII Etruria e VI Umbria. All’inizio del IV secolo d.C., l’Italia divisa nei distretti dell’Italia Annonaria a Nord, dell’Italia Suburbicaria a sud, il cui confine si spostò progressivamente verso sud. Nel 395 il confine fra i due vicariati passava fra Volterra e il Rubicone, nel 398 fra Volterra e il fiume Esino262. Con la riforma dioclezianea, a capo di ogni distretto venne posto il suo governatore, il corrector, che in Tuscia aveva sede a Firenze263. Sebbene tale provvedimento sottopose a tassazione gran parte delle terre appartenenti ai ceti dirigenti non sembra che vi furono malcontenti. Secondo Giardina il provvedimento di provincializzazione e fiscalismo di Diocleziano sarebbe stato visto dalle élite imperiali come un rafforzamento delle alleanze verticali fra colonus e dominus in contrapposizione ai rappresentanti del potere imperiale, cementando così le clientele.

Così, il prestigio dei Pompilii a Volterra si accrebbe; Intanto, Cecina Severo pagava le simpatie nei confronti di Germanico e i legami del fratello, Caio Silio Cecina Largo con Sosia Galla, Agrippina, Livia e Augusto. Accusati di appartenere al cosiddetto ‘partito di Agrippina’, Silio e Sosia Galla vennero processati. Sicuro della condanna, Silio preferì addirittura suicidarsi nel 24 d.C., Sosia Galla venne esiliata, i loro beni in buona parte confiscati259. Cecina Severo scontava anche a livello locale la momentanea “disgrazia” della famiglia, forse anche in conseguenza della sua condotta contraria a Tiberio durante la guerra260. La fortunata ascesa dei Pompilii figli di Ceriale, di cui uno, fu pontefice a vita, l’altro possedeva un cavallo fornito dallo Stato (equo publico)261 sembrò tuttavia non aver seguito dal momento che la famiglia dovette presto estinguersi.

Da un imperatore attento agli interessi del senato ci si aspettava che tenesse positivamente conto, quando nominava un governatore, della sua provenienza (nel senso che provenienza e ambito territoriale dell’incarico dovevano preferibilmente coincidere)264. La correlazione fra l’assunzione della carica in un distretto e il possesso di interessi economici privati nel medesimo luogo, per la Tuscia et Umbria sembra provata archeologicamente dal caso di Vettio Agorio Pretestato che era stato corrector Tusciae265 prima del 362 d.C. e praefectus urbi nel 384 d.C.266. Sebbene non attestato a Volterra267, il nome di Vettio Agorio Pretestato compare infatti in un’iscrizione, datata tra III e V d.C., che è stata portata alla luce negli scavi alla villa dell’Oratorio (presso Limite in Valdarno)268 in un’area al limite fra gli agri

1.3. Vecchi e nuovi gruppi di potere: l’amministrazione della comunità tardo-antica Non è affatto semplice seguire in dettaglio le vicende relative all’amministrazione locale per l’intero arco cronologico dei secoli I a.C.-V d.C.; tuttavia, appare fondamentale cercare di avanzare qualche considerazione sulla gestione amministrativa della comunità tardo-

262 Cod. Theod., IX, 1, 8; Cfr. Giardina 1999: 561-566; Cracco Ruggini 1964 e 1961; Cambi-Citter-Guideri-Valenti 1994. 263 Chastagnol 1963; Clemente 1969: 619-644. 264 Giardina 1999: 565. 265 Non esiste consenso sulla data d’introduzione dei correttori regionali che aggiungevano al titolo anche la denominazione della circoscrizione. Quando sotto Diocleziano comparvero come governatori in determinate regioni, di fatto riassumendo in sé tutti i ruoli dell’amministrazione civile fino a quel momento distribuiti fra diversi incaricati imperiali, l’Italia venne di fatto equiparata alle province. I distretti amministrativi in cui venne suddivisa l’Italia furono: Liguria/Aemilia; Tuscia/Umbria; Lucania/ Bruttii; Transpadana; Flaminia/Picenum; Apulia/Calabria. A riguardo Eck 1999: 7-8; 259; 274-275. Clemente 1969; Chastagnol 1963. 266 Per il quale sappiamo che esercitava la sua autorità in un territorio in cui aveva delle proprietà; Simmaco scrive che Vettio Agorio Pretestato oziava nei suoi possedimenti in Etruria (Symm., Ep., I, 51). Per le proprietà di Simmaco cfr. Vera 1986. 267 Sono tuttavia noti a Volterra Vettius Iustus, un Vettius Iulianus, un Vettius Marcellus, un L(ucius) Vettius L(uci) l(ibertus) Philonicus. Cfr. CIL XI 1789, 1790, 1792. 268 Su Vettio Agorio Pretestato infra paragrafi 2.2.1, 4.3.3.

Barrett 2005 e infra paragrafo 4.3.1. Druso minore morì nel settembre del 23 d.C. 258 Le altre legioni sotto il diretto comando di Tiberio nel 6 d.C. vengono identificate con la XX, XVI, XIII, VIII, XIV, XV. Cfr. Keppie 1984: 140; Syme 1933. 259 Tac. Ann., IV, 18-19. Sosia Galla e Silio Cecina vennero probabilmente coinvolti per le loro simpatie nei confronti di Germanico e la vicinanza ad Agrippina. Sull’esistenza del ‘partito di Agrippina’ cfr. Shotter 2000; Rogers 1931, Pani 2003. Sul processo, l’esilio di Sosia Galla e la confisca dei beni di Silio: Flower 1998; Shotter 1967; Sumner 1965. 260 Velleio Patercolo confermerebbe che le critiche alle lentezze di Tiberio nella condizione del conflitto provenissero dall’esercito sobillato dai generali, fra cui Cecina Severo. Cfr. Valentini 2019. 261 Demougin 1992: 212-213, nr. 244; infra Fig. 1.14. 256 257

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Poteri e strategie familiari di Volterra volterrano e fiorentino269. Verosimilmente, Pretestato doveva essere il proprietario del notevole complesso residenziale270. Inoltre, sono attestati i legami d’amicizia fra Vettio Agorio Pretestato e l’élite di Volterra, tramite un Caecina, Publius Ceionius Caecina Albinus271. Entrambi erano pontefici in carica nel 380 d.C. e vennero citati nei Saturnalia di Macrobio a impersonare, Pretestato, la scienza religiosa pagana, Cecina l’erudito senatore rifugiatosi nella tradizione, in un mondo sempre più cristianizzato272. Dall’analisi dei 19 correctores/ consulares noti fra 306-459 si evince che sette di essi avevano legami di parentela con i Cecina di origine Volterrana; altri due ottennero la carica dopo essere stati coinvolti in affari controversi col sostegno di membri dell’élite imparentati con i Cecina, o comunque legati alle vicende che coinvolgevano Simmachi, Pretestati, Ceioni, proprietari in Tuscia, legati da vincoli di amicizia e parentela273. A conferma del ruolo fondamentale di queste famiglie nella gestione delle risorse, nonché nelle trattative di negoziato delle politiche regionali, i proprietari di Tuscia ebbero il privilegio di poter corrispondere in denaro all’arca vinaria consentendo, almeno per il periodo 344-365, un maggiore afflusso di prodotti agricoli locali nel mercato mediterraneo274. Fra la fine del IV secolo e l’inizio del V secolo d.C., non solo le élite volterrane erano attive nel territorio, ma si trattava di famiglie che risultavano ancora fortemente radicate tramite le proprie basi di potere locale e che vantavano orgogliosamente le antiche ascendenze etrusche, sebbene ormai in un mutato contesto.

costituzione in Toscana278 non può certo escludersi l’esistenza di una comunità organizzata clandestinamente in epoca precedente279. Le prime informazioni relative ad una ‘Vulterranae ecclesiae’ e l’organizzazione di una cura animarum nelle aree rurali sono relative alla fine del V secolo d.C.280. In una lettera, Papa Gelasio (492-496) si lamentava del cattivo stato in cui versavano i beni della chiesa di Volterra, e dei precedenti vescovi, Eumazio e Opilione, che avevano gestito in modo sconsiderato le proprietà ecclesiastiche. Il papa affidava all’arcidiacono Giustino, e a Faustino difensore la chiesa volterrana con il compito che i campi fossero di nuovo coltivati, restituiti i beni sottratti e i servi. Il patrimonio restaurato sarebbe servito al vescovo, alla chiesa, ai poveri281. Per comprendere come si fosse formato questo patrimonio di beni mobili e immobili della chiesa volterrana sarà necessario analizzare, ad esempio, i fenomeni di continuità fra il modello amministrativo della villa e il sistema delle pievi alto-medievali282, ma al momento è necessario riflettere su come la presenza di nuovi gruppi di potere avesse influito nel dialogo con le élite tradizionali. Come affermato da Werner, i primi vescovi delle comunità acquisirono progressivamente competenze significative a livello locale ‘non soltanto su iniziativa “privata” o su richiesta della popolazione, ma anche in virtù della missione affidata loro dalle autorità’283. Le nuove élite cristiane dovevano configurarsi come potenti interlocutori e/o antagonisti delle superstiti élite tradizionali. A tale proposito risultano particolarmente significativi due episodi relativi alla fine del V secolo d.C. che potrebbero suggerire a Volterra la sopravvivenza di una certa influenza da parte dei gruppi di potere tradizionali sulle ‘nuove’ élite cittadine. Papa Gelasio, nel 496, aveva destituito il vescovo di Volterra, Eucaristio, probabilmente poiché supportava l’Arianesimo284, che egli invece osteggiava285. Si trattava del resto della religione dei “barbari” Odoacre e Teodorico. La contemporanea presenza di senatori dei Cecina Deci, che forse dovevano ancora possedere la villa ai Vada Volaterrana286 fra i loro principali collaboratori potrebbe essere una coincidenza, ma il richiamo papale al neoeletto vescovo di Volterra,

1.3.2. Le élite cristiane La presenza di individui di fede cristiana nel territorio di Volterra è sicuramente attestata dal IV secolo d.C., in città275, in val d’Elsa276, in val di Cecina277 e, sebbene la diocesi volterrana risulti essere fra le più tardive in quanto a A tale proposito, si deve sottolineare come di fatto sia rimasto insoluto il problema dell’attribuzione a una delle due città. Cfr. Ciampoltrini 1981; Ciampoltrini 1997; Alderighi-Cantini 2011; sulla villa di Limite cfr. infra paragrafo 3.1.3 e 3.3.3. 270 ‘[---Ve?]tti Praetextati/[--- i]nmensi operis aeri[---]/ur magnus et/[--toto d]iffunditur or/ =[be---]+/c. 7+/----’. Per la villa di Limite e l’epigrafe cfr. Alderighi-Cantini 2011; Berti-Cecconi 1997: 11-21. 271 Fino agli inizi del V secolo d.C. i Cecina possedevano infatti una villa nel territorio di Volterra, presso i Vada Volaterrana, dove venne ospitato Rutilio Namaziano. Cfr. infra paragrafi 2.3.1; 4.3.3. 272 Per ulteriori informazioni si rimanda a Kahlos 2002. 273 Clemente 1969; Chastagnol 1963. Legami di parentela fra i Ceioni e i Cecina sono attestati almeno a partire dalla metà del IV secolo d.C. Cfr. infra paragrafo 4.3.3. 274 A tale proposito Menchelli-Pasquinucci 2015 e infra paragrafi 3.1.3; 3.3.3. 275 In particolare, è stata datata alla metà del IV secolo, o all’inizio del V d.C. un’epigrafe funeraria rivenuta presso l’area cimiteriale di BadiaMontebradoni il cui carattere cristiano è stato individuato nella formula in pace. Il defunto è definito ‘Dulcissimo filio Florentio’. La seconda epigrafe cristiana rinvenuta presso l’area di San Giusto, e probabilmente pertinente al cimitero cristiano, è stata datata tra V e VI secolo. Il defunto era un militare probabilmente in uno dei numeri di comites fra i corpi di cavalleria stanziati in Italia. Per ulteriori approfondimenti in merito cfr. Augenti-Munzi 1997: 39-43; Bavoni-Furiesi 2009. 276 Per la val d’Elsa è stato ipotizzato per il sarcofago di Pestina Apricula rinvenuto a Scorgiano l’appartenenza ad una donna cristiana Cfr. Casini 1957 e infra paragrafi 2.2.3; 3.1.3; 3.3.3. 277 Nei dintorni di Cecina è stata rinvenuta un’iscrizione cristiana di IV secolo d.C. in località Campo ai Ciottoli pertinente ad una necropoli con tombe a cassa e alla cappuccina. Cfr. Motta 1997: 250-251 e per altre epigrafi funerarie di IV secolo d.C. nell’ager Volaterranus costiero infra paragrafi 2.2.3; 3.3.3. 269

Cfr. Christie 2006: 94. Cfr. Cavallini 1972; Ceccarelli Lemut 2001 e 1991; Furiesi 2008: 46-47; Pasquinucci -Ceccarelli Lemut-Furiesi 2004: 45-53. 279 Secondo Alessandro Furiesi la fede cristiana dovette arrivare a Volterra già nei primi decenni del II secolo d.C. e fu probabile che il processo di cristianizza zione avesse coinvolto solo alcune fasce della popolazione. Cfr. Furiesi 2008. 280 Decretum Gratiani II, 12, 2, 23-25. 281 Decretum Gratiani II, 23, 8, 26. 282 Il dibattito storiografico è consistente. Per citare solo alcuni fra i più recenti contributi: Ripoll-Arce 2000; Brogiolo 1996 e 2001; Cantino Wataghin 2013; Ciampoltrini 1995b; Francovich-Felici-Gabrielli 2002; Wood 2006; Bowes 2008. Per ulteriori considerazioni in merito infra paragrafo 3.3.3. 283 Werner 2000: 354. Per ulteriori approfondimenti su aspetti dell’ ingerenza ecclesiastica nell’amministrazione civile si veda Liverani 2011. 284 Bocci 1980: 14-17; Francovich-Felici-Gabrielli 2001; Cantino Wataghin 2013: 194. 285 Davis 2010: 41-42. 286 Sulla villa di San Vincenzino a Cecina attribuita ai Cecina e le sue fasi di vita infra paragrafo 2.3.1; 3.3.3; 4.3.3. 278

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’ Elpidio, per essersi recato a Ravenna a rendere omaggio a Teodorico287, potrebbe suggerire l’esistenza di un’influenza dell’élite tradizionale sulle élite cristiane. A conferma di tale proposta, e dell’influenza dei Cecina Deci sulle politiche locali tardoantiche potrebbe essere letto il supporto del vescovo Elpidio a Papa Simmaco fra 501 e 502, ma per comprendere meglio i meccanismi alla base di simili scelte sarà meglio inserire tale episodio all’interno delle più complesse strategie familiari che verranno analizzate successivamente288.

gentilizi di origine etrusca (Arminii, Caecinae, Gracinii, Gavii, Herennii, Persii, Petronii, Saufeii, Sentii, Vibii) predominano su quelli di origine non etrusca (Aelii, Allii, Laelii, Ligures, Tertii)292. Ciò sembra suggerire una tendenza, nell’accesso alle magistrature della città, limitata a gentes di origine locale o di famiglie etrusche integrate nel corpus civico293. Le gentes note dalle lastre nella proedria del teatro sono poi attestate in epigrafi provenienti dal territorio volterrano. Dall’analisi e dall’incrocio dei dati relativi è possibile desumere che le famiglie di origine etrusca integrate nell’ordo municipalis si legassero a lignaggi forestieri. Gli Herennii erano infatti imparentati con gli Allii, i Petroni/con gli Aelii, i Pompilii con i Laelii294; i Gavii forse con la gens Liguria. Quasi certamente per gli Allii, gli Aelii, i Ligures, di origine non etrusca, il legame con famiglie etrusche doveva sancire l’avvenuta integrazione nella scena politica e all’interno dell’élite di Volterra. Di contro, famiglie d’origine volterrana come Persii e Arminii tendevano a imparentarsi fra loro295 e soprattutto, con la più importante delle gentes, i Cecina296. Quest’ultimi seguivano una chiara politica matrimoniale rivolta verso famiglie che, sebbene esterne al corpus civico volterrano, rimanevano pur sempre d’origine etrusca e, come nota Capdeville, preferivano non legarsi con lignaggi non etruschi297. Se si considera che i nomi dei membri del senato locale di Volterra fra II e III secolo d.C. comprendono i gentilizi di alcune famiglie in forte ascesa politica a Roma, è verosimile ipotizzare che si trattasse di un tentativo delle élite tradizionali di stringere nuove alleanze esterne per rafforzare così il proprio potere all’interno della comunità298.

Dopo la fine dell’Impero, alle élite tradizionali che, progressivamente, si “cristianizzarono” si affiancarono nuovi gruppi di potere Goti, prima289, Bizantini poi290. Sebbene sia difficile comprenderne chiaramente l’interazione sul territorio, le élite continuarono a gestire il potere a Volterra, ma in un nuovo contesto politico, economico, sociale. 1.4. Strategie di controllo e accesso al potere locale: amicizie, parentele, fazioni a Volterra Da quanto detto finora è possibile dunque elaborare alcune considerazioni relative alle strategie di controllo e accesso al potere locale. Sembra verosimile ipotizzare che il successo dell’élite etrusca di Volterra fra la tarda Repubblica e il primo Impero fu legato all’abilità di rafforzare base di potere locali all’interno dei centri appartenenti alla medesima tribù di voto in vista dell’ascesa politica ed economica. Analizzando l’onomastica a partire dalle epigrafi latine attestanti magistrature si può notare come, su sette gentilizi attestati, gli individui che ricoprirono le cariche civili fossero appartenenti a gentes volterrane e, più genericamente, di origine etrusca (Fig. 1.15). Le gentes volterrane (Anaenia/Caesia/Poena) e quelle di origine etrusca (Cilnia/Perpena/Pompilia) integrate nell’ordo municipalis si equivalgono con tre presenze ciascuna e portano al prevalere della componente etrusca su quella non etrusca, che conta una sola attestazione, quella di C. Celtus Severus, che rivestì magistrature subordinate ai magistrati giusdicenti. Ciò sembrerebbe confermare che l’accesso alle magistrature municipali fosse quasi monopolizzato dalle gentes etrusche che si preoccupavano di regolarne l’accesso limitando la presenza forestiera solo a quegli individui provenienti da gruppi familiari di spicco residenti nell’ager Volaterranus291.

Per quanto riguarda il sevirato, seppure citato da iscrizioni perdute, è stato dimostrato come il culto imperiale fosse affidato ai liberti Caius Traulus Phoebus e Aulus Novius Pliconti, verosimilmente di origine greca299. Il fatto che Cfr. infra paragrafo 1.2.1 e Fig. 1.14. Si ricorda che si definisce come Volterrana una famiglia che appare attestata a Volterra in epigrafi anche in lingua etrusca. Le famiglie che definiremo genericamente etrusche sono quelle gentes per le quali sono attestate origini etrusche e che appaiono integrate nel corpus municipale volterrano. Le famiglie di origine non locale sono quelle latine o di origine non ulteriormente definibile, ma che non possono vantare alcun tipo di origine etrusca. 294 Si tratta del legame fra Laelia M f. Broccha e Pompilius Cerialis attestato dall’iscrizione CIL XI, 7066. 295 La gens Arminia fu legata alla famiglia Caesia/Cisie ricordata a Volterra nell’iscrizione CIE 60 ‘A. Cisie Armnl Carcna’. Si tratterebbe della gens cui sarebbe appartenuto il IVvir Caesilius dell’iscrizione CIL XI, 1744. Il legame familiare dei Persi con i Cecina è realizzato tramite Cecina Peto, marito di Arria Maggiore madre di Arria minore, definita come ‘cognatam’ di Persio. Cfr. Nielsen 1986; Consortini 1934a; Ramelli 2003: 72; infra paragrafi 2.3.1; 4.3.2 e Fig. 4.11. 296 Capdeville ha inoltre ricostruito la politica matrimoniale della gens Caecina di III-I a.C. concludendo che essa si era legata per via femminile alle famiglie Supni, Ultace, Masve, Flave, Velane, per via maschile con Fulmui, Heraci, Pacinei, Penthrei. Tutte queste famiglie sono attestate a Volterra dove costituivano l’élite locale (Capdeville 1997: 269-270). 297 Capdeville 1997: 273 e nota 128. Un altro Cecina ricordato da Consortini, che riprende il CIL XV, 267 ricorda un Giusto Cecina che avrebbe sposato un’Aurelia Callista (Consortini 1931: 20). 298 Cfr. infra paragrafo 4.3. 299 Del resto, come notato da Ilaria Ramelli, gli Etruschi avrebbero preferito ricoprire fra i sacerdozi il quindecemvirato e l’augurato, entrambi connessi con l’Etrusca disciplina. Cfr. Ramelli 2003: 75 e nota 151. 292 293

Passando all’analisi della composizione del senato locale a partire dalle lastre della proedria del teatro cittadino, i Decretum Gratiani II, 23, 8, 26. Cfr. infra paragrafo 4.3.3. 289 Nel territorio tardoantico erano presenti anche le élite gote come dimostrato a livello archeologico dal tesoro di Galognano. In merito, Hessen-Kurtze-Mastrelli 1977. Per ulteriori informazioni relative all’insediamento e ai rapporti fra le élite, infra paragrafi 3.3.3;4.3.3. 290 In età bizantina, Volterra mantenne lo status giuridico di città e una struttura amministrativa di cui facevano parte publici iudices, magistrati preposti all’amministrazione civile Agath., I, 11, 6; Proc., Goth., III, 5, 6; IV, 29, 33. Pelag., Ep., 21. 291 Cfr. infra paragrafi 2.1; 2.2. 287 288

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Poteri e strategie familiari di Volterra C. Traulus Phoebus fosse imparentato con una Petronia Hetera, famiglia di origine etrusca, e che Novius Pliconti portasse un prenomen, Aulo, tipicamente etrusco300, potrebbero essere indice di un tentativo di emulazione e di integrazione nell’élite etrusca di Volterra.

imparentati con i Persii310 e allargata poi ai Volasennae311, e membri del senato locale quali i Laelii ed eventualmente i Pompilii. L’analisi dei gruppi di potere e delle fazioni politiche locali appare ancora lontana da una chiara definizione. A ogni modo, da quanto finora detto, si evince come sia fondamentale integrare i dati prosopografici ed epigrafici locali e connetterli con il più ampio scenario politico-militare per comprendere a pieno l’importanza delle dinamiche dei poteri locali all’interno delle quali il concetto d’identità e cultura giocarono, come si vedrà in seguito, un ruolo tutt’altro che secondario. L’abilità e il prestigio dei leader civici, dei migliori e dei più virtuosi cittadini determinavano di fatto il successo e la fortuna di una comunità, così come l’estensione di reti sociali a livello sovra-locale. Già prima di Cicerone, e almeno fino ai tempi di Rutilio Namaziano, Volterra e i Volterrani, grazie ai propri leader si erano affermati a livello regionale e imperiale. In questo modo, l’identità tra Cecina, Volterra, Volterrani ed Etruria si mantenne immutata per secoli: dall’ ‘amplissimo totius Etruriae nomine’ di Cicerone312, a Rutilio che nel V secolo d.C. lodava l’amico Albino Cecina e una regione, l’Etruria, che ‘gratia bonis priscos retinet provincia mores, dignaque rectores semper habere honos’313. I potentes volterrani dal I secolo a.C. al V d.C. erano quindi caratterizzati dal possedere un prestigio loro riconosciuto, tradotto con un vocabolario di termini: honos, virtus, dignitas, mores. Nei capitoli successivi si evidenzierà l’importanza del forte senso identitario che le élite etrusche avevano costruito e modificato nel corso dei secoli, a seconda delle esigenze esterne314. Bisognerà adesso esaminare in dettaglio le basi di tali poteri e le strategie familiari che accompagnarono i successi delle élite di Volterra, nel più ampio contesto dell’Impero di Roma.

I principali leader civici, i Cecina, a quanto è dato sapere, non ricoprirono alcuna carica politica o sacerdotale a Volterra, ma non si può certo escludere tale possibilità dal momento che membri della famiglia furono magistrati in altre comunità della Penisola301. Del resto, il legame mantenuto con la città d’origine e archeologicamente provato, conferma l’interpretazione di Capdeville che osservava come ‘l’importanza [della famiglia] non dipendesse per niente da una carica occupata temporaneamente da tale o talaltro membro, ma fosse legata alla famiglia stessa, al suo nome e alla sua “etruscità” conservata con gelosa cura’302. Grazie a estese reti di amicizia, parentela, clientela i Cecina avrebbero comunque potuto orientare e controllare le politiche locali, ad esempio promuovendo le carriere di individui come Pompilio Ceriale e, vincolando a sé un insieme di famiglie per la condivisione di interessi economici e/o ideali politici, fungevano da veri e propri agenti di pressione all’interno di “fazioni locali”303. Non sembra un caso che, nel 79 a.C., l’assedio di Silla a Volterra ebbe termine in seguito ad un accordo304, una resa che venne probabilmente mediata da membri di una locale fazione filo-sillana fra cui sarebbe da annoverare almeno parte della famiglia dei Cecina305. Tale gruppo doveva in qualche modo bilanciare la fazione filo-mariana i cui principali esponenti gravitavano attorno ai Perpernae e Carrinates306. La maggior parte delle famiglie attestate in lingua etrusca nell’epigrafia locale non è attestata nelle iscrizioni in latino diffuse a Volterra a partire alla metà del I secolo a.C. È stato quindi ipotizzato che queste scomparvero dopo gli eventi del I secolo a.C.307. Se ciò fosse provato, si potrebbe dedurre, per quelle famiglie etrusche che si riscontrano anche nell’epigrafia in latino308, un loro successo nel mantenere le proprietà e il potere a livello locale dopo la ‘sullana calamitatem’. Significativamente, è possibile riscontrare per queste famiglie l’esistenza di legami clientelari, d’amicizia o parentela proprio con i Cecina309. Successivamente, l’esistenza di una “fazione locale” pompeiana potrebbe essere rappresentata da membri delle élites locali gravitanti attorno all’Aulo Cecina corrispondente di Cicerone e a parte dei suoi familiari rimasti a Volterra, Infra paragrafo 1.2.5. L’iscrizione CIL I, 2515, databile fra gli ultimi anni della repubblica e i primi del regno di Augusto, ricorda a Volsinii un L. Caecina L.f. fu ‘questor, tribunus plebis, IVvir iure dicundo’. 302 Capdeville 1997: 283. 303 Sul tema dell’opposizione nel mondo antico si veda anche Sordi 2000. 304 Infra paragrafi 3.3.2; 4.2.1. 305 Cic., Fam. XIII, 66; Luchi 1977; infra paragrafo 4.2.2. 306 Harris 1971; Keaveney 1982. 307 Luchi 1977: 144-145. 308 Arminii, Caecinae, Caspo, Gavii, Persii, Poenae, Pupienii, Tlabonii, Vettii, Vibii, Volasennae, Flavii. 309 Fra queste famiglie si annoverano infatti: Arminii, Tlabonii, Volasennae, Caspo, Poenae, Persii. 300 301

Infra paragrafi 1.2.10; 2.2.1; 4.3.2. Per i legami fra membri dei Volasenna e Pompeo infra paragrafo 2.1.1. 312 Cic., Caecin., 104. 313 Rutil. Nam., I, 595-600: ‘Grata ai probi, questa provincia mantiene i costumi antichi degna così di governanti sempre probi’. 314 In particolare, infra paragrafi 4.2; 4.3. 310 311

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’

Fig. 1.1. Volterra nel Mediterraneo (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana).

Fig. 1.2. Volterra e i centri della Toscana settentrionale (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana).

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Poteri e strategie familiari di Volterra

Fig. 1.3. L’ager Volaterranus. I confini (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana).

Fig. 1.4. Distretti geomorfologici del Volterrano (elaborazione QGIS, source: Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana).

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’

Fig. 1.5. Epigrafe in marmo attestante il titolo di ‘Colonia’ per Volterra, Montecatini Val di Cecina, Chiesa di San Biagio.

Fig. 1.6. Volterra, Teatro Romano (particolare della cavea).

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Poteri e strategie familiari di Volterra

Fig. 1.7. Élite locali e posti riservati nella proedria del teatro urbano.

Fig. 1.8. Statua di togato detta del “Prete Marzio”, Museo Etrusco Mario Guarnacci Volterra.

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’

Fig. 1.9. Urna di un magistrato, MG 4647 (fronte), Museo Etrusco Mario Guarnacci, Volterra.

Fig. 1.10. Sella curule dall’urna di un magistrato, urna MG 4647 (laterale), Museo Etrusco Mario Guarnacci, Volterra.

Fig. 1.11. Meridiana donata dall’edile Quintus Poena Aper (fronte), Museo Etrusco Mario Guarnacci, Volterra.

Fig. 1.12. Iscrizione di dedica di Quintus Poena Aper (meridiana retro), Museo Etrusco Mario Guarnacci, Volterra.

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Poteri e strategie familiari di Volterra

Fig. 1.13. Volterra, vista del Teatro Romano.

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‘Volaterrani, non modo cives, sed optimi cives’

Fig. 1.14. Epigrafia e Cariche pubbliche (civili e religiose) a Volterra.

Fig. 1.15. Élite locali e cariche pubbliche.

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2 ‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’1 Élite, proprietà privata e gestione delle risorse nell’ager Volaterranus: strategie familiari a confronto Il capitolo, diviso in quattro parti, analizza la gestione delle risorse e l’assetto proprietario dell’ager Volaterranus. Integrando dati epigrafici e archeologici con le testimonianze storicoletterarie e la toponomastica prediale si intende dimostrare come le élite locali, seguendo politiche e interessi economici privati ebbero un ruolo fondamentale nella strutturazione del paesaggio antico e nell’inserimento della comunità in un contesto sovra-locale. La prima parte del capitolo è dedicata all’analisi delle famiglie per le quali è noto il coinvolgimento in attività produttive e manifatturiere, nonché il possesso di fundi nell’ager Volaterranus. La seconda, analizza la distribuzione sul territorio di proprietari per i quali non è nota alcuna attività svolta a livello imprenditoriale. Casi paradigmatici di strategie familiari sono quelli dei Cecina e dei Venulei il cui studio comparativo è proposto nella terza parte del capitolo. Nell’ultima parte si propone una sintesi sulla distribuzione delle proprietà e le strategie familiari delle élite di Volterra. Keywords: Volterra, ager Volaterranus, Strategie familiari, Economia, Archeologia, Storia Antica, Epigrafia, Toponomastica, Proprietà Privata, Attività Produttive, Poteri Divided in four parts, the chapter analyses the management of resources and the private ownership structure of the ager Volaterranus between the 1st century BC to the 5th century AD, aiming to include it in the broader debate on the economic strategies of Roman elites. Through the integration of epigraphy, archaeological data, literary evidence, and toponymy, it is possible to highlight the evolution of the private ownership structure within macro-historical trends as well as to deepen the analysis of local elites’ family strategies. The first part deals with the families whose properties and involvement in manufacturing activities are attested. The second part analyses the distribution of the properties of families for whom no business activity is known at the entrepreneurial level. The third part provides a comparative study of the Cecina and Venulei family strategies. In the end, an analysis of private property distribution and elite family strategies is provided. Keywords: Volterra, ager Volaterranus, Family Strategies, Economy, Archaeology, Ancient History, Epigraphy, Toponymy, Private Properties, Productive Activities, Powers Dopo aver preso in esame il contesto politicoamministrativo di Volterra in età romana ed evidenziato l’importanza delle élite locali, è necessario analizzare la gestione delle risorse e l’assetto proprietario dell’ager Volaterranus fra i secoli I a.C.-V d.C. L’incrocio dei dati epigrafici e archeologici con le testimonianze storicoletterarie, nonché l’apporto della toponomastica prediale si rivelano fondamentali per evidenziare le dinamiche evolutive della proprietà privata in relazione a tendenze e fenomeni macro-storici di portata regionale o imperiale. Alla proprietà privata si collega lo studio delle strategie delle élite al potere, il cui successo era spesso dettato da norme politiche e sociali, piuttosto che unicamente dalla razionalità economica2. Grazie alla ricostruzione dell’assetto proprietario sarà possibile poi avanzare considerazioni sull’organizzazione del territorio e sulla gestione delle risorse contribuendo a suggerire proposte interpretative riguardo la correlazione fra le

differenze riscontrate nell’insediamento dell’ager e la produttività delle differenti aree, le contingenze di natura politico-economica e le strategie familiari dei potentes. In questo modo, si intende inserire il caso di Volterra all’interno del più ampio dibattito relativo alle scelte economiche delle élite in età imperiale3. Il capitolo è suddiviso in quattro parti. La prima è dedicata all’analisi delle famiglie per le quali è noto il coinvolgimento in attività produttive e manifatturiere, nonché il possesso

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Il dibattito storiografico relativo alle scelte economiche delle élite imperiali si è sviluppato in passato nel segno di una bipolarità fra due strategie tendenzialmente opposte: l’una fondata sulla sicurezza privata e la prudenza, dall’altra la teoria del guadagno, del rischio e di una concezione più razionale dell’economia. Recentemente J. Andreau ha sostenuto che un tale bipolarismo non ebbe mai luogo nelle scelte economiche delle élite imperiali e che, invece, diverse strategie potessero concorrere. L’obiettivo comune era comunque il mantenimento del patrimonio, ma anche il suo accrescimento; se un lato era necessario produrre e vendere una parte della produzione, dall’altro bisognava essere attenti e adeguarsi a usi e costumi del luogo e della regione senza sacrificare gli impegni della vita pubblica. A tale proposito Andreau 2004: 71-85. Per ulteriori considerazioni circa il coinvolgimento delle élite nelle attività di produzione e distribuzione si vedano inoltre i fondamentali Andermahr 1998; Bruun 2005; Chausson 2005; Nonnis 2015.

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Cic., Fam., XIII, 4: ‘I loro focolari, le loro dimore, i beni e le proprietà’. Whittaker 1985: 49-50.

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Poteri e strategie familiari di Volterra scelte economiche e le relazioni tra le famiglie coinvolte in queste attività. Le élite dell’Etruria settentrionale, e in particolare quelle dell’ager Volaterranus coinvolte nell’attività manifatturiera, erano proprietarie non solo dei terreni in cui erano localizzate le materie prime (argilla, acqua, legname), ma anche delle strutture connesse alla produzione9.

di fundi nell’ager Volaterranus. La seconda, analizza la distribuzione sul territorio delle famiglie di proprietari per i quali non è nota alcuna attività svolta a livello imprenditoriale. Emergeranno dall’analisi le differenti strategie economiche dettate dall’élite di Volterra. Casi paradigmatici di strategie familiari sono quelli dei Cecina e dei Venulei il cui studio comparativo è proposto nella terza parte del capitolo. Nell’ultima parte si propone una sintesi dei dati relativi alla distribuzione delle proprietà e alle strategie familiari delle élite di Volterra.

Cercando di riassumere le principali risorse del comprensorio volterrano, la presenza di ricchi giacimenti minerari e la disponibilità di acque erano stati fondamentali per determinare la distribuzione dell’insediamento già dall’età del Ferro, ma riflettendo sul passaggio di Livio relativamente agli ‘interamenta navium et frumentum’10 forniti a Scipione dai Volterrani durante le guerre puniche, si evince che le attività produttive svolte nell’ager si basavano sui prodotti dell’agricoltura e sulle attività legate alla presenza di ampie aree boschive, localizzate in special modo nella val di Cecina11. La produzione di olio e vino12, quella di sale13, così come l’attività estrattiva di materiale lapideo (alabastro, selagite, panchino e calcare di Pignano) da poter impiegare nell’edilizia e per l’artigianato artistico14, nonché la manifattura di vasellame e laterizi, erano ulteriori fonti di reddito per le élite volterrane che ne erano a capo.

2.1. L’ager Volaterranus e le scelte economiche delle élite al potere L’ager Volaterranus può considerarsi a pieno un modello per lo studio delle politiche economiche delle élite che dirigevano non solo l’amministrazione, ma anche l’economia dei centri d’appartenenza. È noto che le famiglie dell’élite locale dirigessero le scelte in ambito di amministrazione locale, puntando allo stesso tempo a favorire i propri interessi privati4. I potentes a livello locale coincidevano sostanzialmente con i detentori del potere economico e, in alcuni casi, anche di quello militare e religioso5. La reale differenza fra gli individui che Danielle Slootjes definisce ‘basic-local’ e ‘supra-local’ potentes consiste nel raggio d’influenza delle loro attività; i primi agivano a livello strettamente interno alla comunità mentre i secondi si muovevano su un piano regionale e/o imperiale6.

Il diretto coinvolgimento delle gentes di Volterra a livello imprenditoriale, in particolare nelle attività manifatturiere, è attestato dai rinvenimenti archeologici recanti incisi o graffiti bolli, o tituli picti15, che danno informazioni sui

Nella società romana, la produzione agricola costituiva la principale forma di reddito e l’acquisto della terra era la forma d’investimento più sicura. Insieme all’agricoltura e al commercio dei prodotti derivanti, vi erano numerose altre fonti di reddito che Jean Andreau ha classificato in ‘attività non-agricole’, ossia l’attività bancaria, l’affitto di immobili, le attività manifatturiere e quelle commerciali, ‘attività derivanti dal rivestire cariche politiche o militari’, ‘attività professionali legate al mondo della cultura’, ‘gestione delle amicizie e delle parentele’ mirate spesso a considerevoli eredità attraverso specifiche strategie matrimoniali7. I ‘basic-local’ e i ‘supra-local’ potentes di Volterra potevano essere coinvolti nelle medesime attività, ma cambiando il raggio d’azione dei due gruppi venivano sostanzialmente mutate le strategie funzionali alla loro gestione.

Menchelli 2001: 192-195. Liv., XXXVIII, 45, 13-18. 11 Il taglio del bosco ha costituito un’attività economica primaria dal momento che carbone e legna risultavano essenziali per attività artigianali come la cottura di materiali fittili, la metallurgia, la produzione del sale e la raffinazione dello zolfo e dei minerali. La presenza di ampie aree boschive consentiva inoltre la caccia e l’approvvigionamento per il foraggio degli animali, oltre che la raccolta di frutti selvatici che contribuivano alla dieta (Motta 2000: 16-19). 12 Per quanto riguarda la viticoltura essa era praticata soprattutto sui rilievi collinari della val d’Era e nelle pianure costiere della val di Cecina e val di Fine (Motta 2000: 20). 13 Il territorio volterrano era ricco di giacimenti di salgemma, ma le prime informazioni relative allo sfruttamento dei giacimenti minerali sono relative a un uso delle moiae regis donate al Vescovo di Volterra nel 974. Sappiamo tuttavia che già nell’età del Bronzo nella costa dell’Etruria settentrionale a Coltano (PI) si produceva sale mentre la testimonianza tardo antica di Rutilio Namaziano attesta la presenza di saline marittime nel litorale presso Vada (Motta 2000: 22-23; Del Rio 2000: 82-84). Riguardo l’importanza del sale come strumento di pressione politica o economica, sui conflitti e la “strategia del sale” nell’organizzazione dell’Impero Romano cfr. Giovannini 1985. Per ulteriori informazioni riguardo la produzione di sale nel volterrano cfr. Fiumi 1968; Bulzomì 2018: 32-35; e infra paragrafo 2.3.1. 14 Sono questi i materiali ad esempio impiegati per la realizzazione delle urne funerarie e per la decorazione e struttura del teatro di Volterra. Cfr. Pizzigati 1995: 1417. Sulle cave d’alabastro nel Volterrano RomanòSusini 2019. 15 Il significato della bollatura, sebbene vi siano alcune incertezze, è da ritenersi funzionale alle esigenze produttive di strutture sempre più complesse in un’ottica “commerciale” e non più unicamente rivolta al consumo in loco. A partire dall’età Augustea si diffondono bolli nei quali vengono menzionati in modo distinto l’officinator e il dominus proprietario della figlina. I domini potevano spesso gestire più officine secondo strutture più o meno complesse che riuscivano a commercializzare i prodotti su scala regionale e/o provinciale. Per ulteriori approfondimenti Aubert 1993; Aubert 1994; Menchelli 2001; Menchelli 2003. 9

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I prodotti delle attività manifatturiere dell’Etruria settentrionale (anfore, vasellame, laterizi) erano ben inseriti nei traffici a lunga distanza fino al II d.C. 8, ma erano destinati, soprattutto e fino alla tarda antichità, ad un mercato a piccolo o medio raggio rispecchiando le 4 La nobilitas della tarda Repubblica concepiva la res publica come una proprietà privata, nel senso che le magistrature e il potere politico venivano considerati come strumento di dominio personale, fonte di autorità e prestigio quindi sostanzialmente volte al vantaggio delle private strategie familiari a livello locale, e a Roma. In merito, Syme 1986: 2-3. 5 Slootjes 2009: 416-432. 6 Slootjes 2009: 421-424. 7 Andreau 2004: 75-76. 8 Questi viaggiavano spesso come carico terziario accanto a prodotti nord-etruschi di maggiore rilevanza economica e frequentemente erano destinati a navigazioni di cabotaggio e di tipo fluviale. Cfr. Menchelli 2001; Menchelli 2003.

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ rapporti gerarchici esistenti fra gli individui coinvolti nella produzione e quindi sull’organizzazione e gestione del lavoro. Per analizzare il ruolo delle élite nelle altre attività imprenditoriali si fa ricorso all’epigrafia e ai testi storico-letterari, in mancanza di dati archeologici. Risulta quindi fondamentale analizzare il caso volterrano alla luce del principio di ‘connectivity’ impiegato da Horden e Purcell16, dal momento che le risorse del territorio, specie quelle agricole e manifatturiere, travalicavano spesso i limiti geografici dell’ager Volaterranus, e che la gestione delle attività imprenditoriali spettava ai potentes della comunità che, agendo in qualità di agenti pubblici, avrebbero potuto influenzare e orientare le scelte economiche della città privilegiando al contempo interessi privati17. Possono essere sicuramente considerate parte dell’élite di Volterra quelle famiglie di cui sono note le cariche politiche rivestite all’interno della comunità, e per le quali è nota l’appartenenza al collegio decurionale (Sentii e Appii, Cassii, Tertii)18, o alla classe senatoria (Rufii, Saenii, Vettii, Volasennae) o equestre (Anaenii), o per i legami con le più importanti gentes di Volterra (Lecu). Prendendo spunto dall’affermazione di Cicerone, il quale affermava che solo grazie alla probitas, alla firmitas, e alla centenaria tradizione religiosa etrusca, gli dei immortali avevano preservato ai Volterrani domicilia, sedes, rem, fortunas19, si è deciso di operare una distinzione fra gentes etrusche e non etrusche nell’analisi delle élite coinvolte in attività produttive così da valutare se eventuali differenti incidenze culturali nella conduzione delle strategie familiari potessero essere alla base di un maggiore o minore successo delle stesse. Verrà quindi distinta l’analisi delle gentes di origini etrusche (Anaenii, Lecu, Rufii, Saenii, Sentii, Vettii, Volasennae) da quella delle famiglie di origini non etrusche (Appii, Cassii, Tertii). Comprendere quale fosse il tipo di attività in cui le élite erano coinvolte potrebbe suggerire l’esistenza di specifiche strategie politiche e alleanze familiari in vista di mutui benefici economici. L’analisi, dunque, terrà conto anche della tipologia delle attività imprenditoriali in cui tali famiglie erano coinvolte. Sebbene non risulti agevole stabilire se le attività manifatturiere in cui erano coinvolti i potentes di Volterra fossero ospitate nelle loro proprietà dell’ager Volaterranus, lo studio della toponomastica prediale viene proposto per localizzare i fundi che, essendo di proprietà di queste famiglie, avrebbero potuto ospitare parte delle attività produttive attestate e/o avere legami con le attività imprenditoriali da esse gestite altrove (Fig. 2.3).

Una delle più antiche famiglie di origini etrusche coinvolte nel primo tipo di attività è la gens Lecu attestata nell’area settentrionale del territorio volterrano. Nella necropoli di Scannicci a Terricciola (Pisa), infatti, una piccola tomba a nicchiotto, oltre a numerosi oggetti di corredo di produzione locale, ha restituito un’anfora greco-italica di tipo tardo, databile alla metà del II secolo a.C. L’anfora oggi esposta presso il Museo Archeologico di Villa Baciocchi a Capannoli (Pisa), reca sulla spalla dei caratteri etruschi, incisi prima della cottura, in cui è leggibile il gentilizio ‘LECV’20. Secondo Stefano Bruni, dunque, nell’area prossima alla necropoli dovrebbero trovarsi i possedimenti della famiglia21. Purtroppo, non è possibile avanzare ulteriori ipotesi riguardo l’attività imprenditoriale della famiglia, tuttavia il ruolo non secondario di membri a essa appartenenti, e legami con l’élite di Volterra possono essere provati dalla figura di Aule Lecu, rappresentato in un’urna funeraria rinvenuta a Volterra (databile al I secolo a.C.)22, in qualità di aruspice nell’atto di esaminare un fegato animale. La rarità del soggetto nel repertorio delle urne etrusche confermerebbe la singolarità del personaggio. Aule Lecu, detentore di un potere economico e religioso per tradizione familiare23, doveva avere un ruolo non irrilevante nella compagine elitaria volterrana almeno fino al I secolo a.C., periodo dopo il quale la famiglia sembra estinguersi24. Un’altra famiglia di local potentes nel Volterrano, coinvolta nella produzione di anfore e/o commercializzazione di vino, era quella dei Rufii, definita da Mario Torelli come ‘una fra le gens più illustri d’Etruria’25. Rinvenimenti effettuati negli anni 1980-1982 presso la foce del Fine, al confine fra il territorio pisano e volterrano, hanno infatti portato alla localizzazione di relitto navale databile all’età tardo-repubblicana con un carico di anfore vinarie Dressel 1 bollate da ‘M’ Rufius M. f.’. La gens risulta attestata epigraficamente specie in Etruria meridionale (Arezzo, Perugia, Volsinii)26, ma il legame della famiglia con il territorio di Volterra è provato dal pretoriano della metà del I secolo d.C. ‘Aulus Rufius A. f. Sabatina Verus Bruni 1997: 170-171 e note 146-148. Bruni 1997: 170-171 e note 146-148. 22 Urna MG 136. 23 L’aruspicina era infatti un sapere elitario destinato ai figli della migliore aristocrazia etrusca. Per ulteriori considerazioni sulla religione etrusca infra paragrafo 4.1.2; 4.2.1. 24 Luigi Consortini collega invece il gentilizio latino Laecanius all’etrusco Lecu ricollegando così alla famiglia etrusca anche il senatore etrusco Marco Porcio Leca. Leca, citato da Cicerone nella prima orazione contro Catilina, secondo l’episodio ripreso anche in Sallustio (Cat., XXVII, 3), avrebbe ospitato in casa sua i partigiani di Catilina che il 6 novembre del 63 a.C., a Roma, avevano deciso di uccidere Cicerone. Consortini collega, di conseguenza, anche i Lecu/ Laecanii e i Caecina dal momento che l’iscrizione CIL XI, 39 rinvenuta a Brindisi ricorda il diciannovenne ‘C. Laecanii C. f. Sabatina Bassi/Caecinae Flacci IIIviri Aere Argento Auro Flare Feriundo’. (Consortini 1934b: 62). Quest’ultimo sarebbe stato il figlio di Caius Laecanius Bassus Caecina Paetus, senatore e console suffetto del 70 d.C. sotto Vespasiano, adottato da C. Laecanius Bassus, console del 64 d.C., che avrebbe rivestito la carica di proconsole d’Asia nell’80-81 d.C. oltre alla carica di curator aquarum a Roma. Cfr. Salomies 1992: 115f; Capdeville 1997: 299. 25 Torelli 1969: 307. 26 Massa 1981: 232. 20 21

2.1.1. Potentes etruschi e attività produttive Le attività manifatturiere nelle quali erano coinvolti i potentes etruschi di Volterra (Fig. 2.1) risultano essenzialmente di due tipi: la produzione di anfore e/o la commercializzazione dei prodotti in esse contenuti, la produzione di laterizi e la loro diffusione sul mercato. Horden-Purcell 2000. Cfr. Terrenato 2014: 45-60; Terrenato 2011; Zuiderhoek 2015. 18 Cfr. infra paragrafo 1.2.1. 19 Cic., Fam., XIII, 4, 3. 16 17

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Poteri e strategie familiari di Volterra Volterra35. A tale proposito stato notato da Giulio Ciampoltrini che vi è una corrispondenza fra la presenza dei Cilnii aretini a Volterra e, per contro, di famiglie come i Volasenna attestate nel Volterrano, ad Arezzo36. L’alleanza dei Volasenna con i Cecina sembrerebbe inoltre provata dall’iscrizione CIL XI, 174337. Queste famiglie sembrano quindi attuare delle strategie matrimoniali, garanzia di mutue alleanze politico-economiche. Elizabeth Shepherd ha ipotizzato che rapporti di clientela legassero i Volasenna a Pompeo38 e che fossero alla base della commercializzazione dei prodotti della gens a medio e ampio raggio39. Come già precedentemente notato, anche l’Aulo Cecina corrispondente di Cicerone apparteneva alla fazione pompeiana, motivo per il quale venne esiliato da Cesare nel 46 a.C.40; è quindi possibile che interessi economici e politici di membri dei Cecina e Volasenna fossero reciprocamente in dipendenza dalla cura annonae esercitata da Pompeo nel 57 a.C.41 La presenza dei Volasenna a Volterra può quindi trovare giustificazione per diversi motivi: autoctonia della famiglia, necessità del dominus di controllare le attività produttive ospitate su fundi di sua proprietà negli agri vicini, vincoli d’amicizia utili allo smercio dei prodotti42, vicinanza agli scali portuali lungo la costa tirrenica che avrebbero favorito la commercializzazione dei prodotti lungo le rotte di piccolo e medio cabotaggio43. L’ascesa politica e sociale dei Volasennae cominciata in età Augustea grazie alle alleanze matrimoniali con gentes come quella di M. Nonius Balbus, proconsole di Creta e Cirene e patrono di Ercolano, continuò sotto Claudio con l’acquisizione del rango senatorio da parte di C. Volasenna Severus cos. suff. nel 47 d.C., e raggiunse l’acme con la nomina di un Volasenna come procos. Asiae fra 62 e 65 d.C.44. Come attestato per altre gentes di rango senatorio, un ramo dei Volasenna si trasferì definitivamente a

Volaterris’27, nonché dalla presenza di toponimi nei dintorni di Montecatini val di Cecina28 (Fig. 2.3). In base a questi forti legami sarebbe quindi verosimile ricollegare attività produttive e/o gestione dei traffici commerciali di un ramo dei Rufii in ambito volterrano. L’esistenza di proprietà in contiguità territoriale con quelle della famiglia dei Cecina, potrebbe inoltre essere riflesso delle strategie matrimoniali che portarono all’associazione dei due gentilizi in età tardoantica29. Fra le famiglie appartenenti all’élite di Volterra coinvolte nel secondo tipo di attività manifatturiera, ossia nella produzione di laterizi, sono da annoverare gli Anaenii, i Saenii, i Sentii, i Vettii, i Volasennae. È noto che i Volasennae, probabilmente originari di Volterra30, possedevano fundi in un’area grossomodo compresa fra Frascole (Firenze)31, Fiesole, Arezzo, Volterra32, e che producessero laterizi nelle fornaci del Vingone a Scandicci (Firenze), la cui attività era strettamente connessa all’opera di deduzione coloniaria e centuriazione del territorio fiorentino in età triumvirale33. Tuttavia, non sono attestati esemplari di laterizi bollati che potrebbero far ipotizzare la presenza nel Volterrano di officine gestite dai Volasenna. La presenza della famiglia, testimoniata epigraficamente nel centro urbano, e di sue proprietà nel territorio circostante, così come la probabile autoctonia, trovano comunque giustificazione nei legami parentali e politici stretti con le élite etrusche come i Cecina e i Cilnii34 entrambe attestate a L’iscrizione CIL VI, 2587 cita ‘Aulus Rufius A. f. Sabatina Verus Volaterris miles cohortis V praetoriae centuria Rutili, militavit annos XVI’. 28 Il toponimo Rufione (>Rufius), è attestato presso Montecatini Val di Cecina. Cfr. Pieri 1969: 82. 29 Il legame fra le due famiglie dovrebbe collegarsi al matrimonio di Cecinia Lolliana, sacerdotessa di Iside e nipote del senatore del 316 d.C. Antonius Caecina Sabinus, con Caius Ceionius Rufius Volusianus Lampadius praefectus urbi nel 365-366. Cfr. Capdeville 1997: 303-304; Chastagnol 1956; Chastagnol 1961; infra paragrafo 4.3.3; Figg. 4.8; 4.11. 30 Il gentilizio Volasenna, dall’etrusco Velasna/Velusna, secondo HadasLabel mostra anche durante i secoli dell’Impero un forte conservatorismo onomastico nel mantenere la terminazione in “-na”, tipica dell’etrusco (Hadas-Lebel 2004: 321; 334). Sulla gens Torelli 1969: 328-329. Cfr. Infra paragrafo 1.2. 31 A Frascole, uno scavo sul poggio di Dicomano, ha messo in luce delle strutture interpretate come resti di una residenza fortificata dei Volasenna, attestati a livello epigrafico, in lingua etrusca, nei dintorni. Tale struttura, distrutta e abbandonata nel III secolo a.C. sorgeva in posizione strategica a controllo di un importante valico dell’Appennino verso la pianura emiliana. A tale proposito Shepherd 2008: 258. 32 Sulle attestazioni epigrafiche della gens Volasenna a Volterra infra paragrafo 1.2. 33 I bolli ‘C. Volasenna Romanus’ e ‘M. Volasenna [Romanus]’ sono stati rinvenuti su tegole e su un mattone sesquipedale. Cfr. Shepherd 2008: 258. 34 Per quanto riguarda la famiglia dei Cilnii, di cui un membro era quattuorviro a Volterra (CIL XI, 1746), forse fra la fine del I a.C. e l’inizio del I d.C., è probabile che fossero titolari di un’officina di terra sigillata ad Arezzo. La base economica della famiglia rimaneva comunque in gran parte legata all’attività agricola e ai prodotti derivanti dai numerosi fundi di proprietà in Etruria. La gens, già nel III secolo a.C. aveva avviato una politica matrimoniale nei confronti delle altre famiglie etrusche. Donne attestate in diverse epigrafi in etrusco in Valdichiana, a Tarquinia, a Sovana, testimoniano questa politica. In Etruria settentrionale erano noti legami con l’area fiesolana dal momento che è stata rinvenuta una dedica presso Frascole-Dicomano, residenza dei Volasenna. La gens Cilnia, di antichissima nobiltà, acquistò grande credito a Roma grazie alla figura di 27

C. Cilnio Mecenate, celebre consigliere d’Augusto. Il famoso rifiuto del rango senatorio da parte di Mecenate fece sì che solo nei primi decenni del I d.C., C. Cilnius C.f. Pomptina Paetinus entrò ufficialmente in senato. Cfr. Maggiani 1986: 191; Torelli 1969: 291-292; MenchelliSangriso 2017; 35 Per ulteriori informazioni sulle attestazioni a Volterra delle tre famiglie e sui loro legami, infra paragrafi 1.2; 4.2. Tali legami di parentela sarebbero riflessi anche nella contiguità territoriale delle proprietà dei Volasennae e dei Saenii e Vicirii nel territorio fiorentino e senese. Cfr. Shepherd 2008: 260. 36 Ciampoltrini 1983. 37 Infra paragrafo 1.2.1. 38 La clientela viene proposta sulla base di un’epigrafe funeraria rinvenuta a Roma datata alla metà del I a.C. (CIL XV, 23971), in cui un liberto di L. Volasenna è associato a liberti di Peticii, Attii e di una liberta di Pompeo. Cfr. Shepherd 2008: 259 note 114-115. 39 Bolli su terra sigillata di M. Volasenna (OCK 2497) sono poi stati ritrovati nel relitto navale di Ladispoli il cui carico, comprendente dolia e anfore Haltern 70 di produzione betica, era probabilmente destinato ai rifornimenti di Gallia e Tarraconense. Gli stessi bolli dei Volasenna sono stati rinvenuti su esemplari a Roma e ad Ampurias, indicando una commercializzazione dei prodotti della famiglia ad ampio raggio. Cfr. Shepherd 2008: 259 nota 116. 40 Per ulteriori considerazioni in merito infra paragrafi 1.2.9; 3.3.2. 41 Infra paragrafo 1.2.10; 1.4; 4.2.1. 42 Dallai-Ponta-Shepherd 2006: 179-190. 43 A tale proposito è interessante notare che la famiglia dei Volasenna è attestata anche ad Ostia e a Cartagine, fra i principali porti del Mediterraneo. Shepherd 2008: 260 note 124-128. 44 Shepherd 2008: 258.

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ Roma45, mentre altri membri della famiglia rimasero ad amministrare i fundi in Etruria settentrionale46. Dal momento che le attestazioni di interessi imprenditoriali della gens cessarono in corrispondenza con l’ingresso in senato, si dovrebbe ipotizzare che il venir meno di determinate condizioni politiche, o di alleanze, avesse determinato un cambiamento delle politiche familiari e un ridimensionamento delle strategie della famiglia fino alla sua estinzione, probabilmente entro il I secolo d.C.47.

Per gli Anaenii, famiglia di rango equestre che aveva probabilmente la sua base di potere locale nell’area interna dell’Etruria54, è comunque nota la produzione di laterizi in un’area dell’agro fiorentino limitrofa alle fornaci del Vingone55. Il rinvenimento dell’epigrafe di Anaenius Pharianus presso la villa del Puntone di Donoratico (Castagneto Carducci-Livorno) databile fra la fine del II e l’inizio del III d.C.56, nonché il toponimo Mont’Aneo (>Annaeus/Anei) presso Montecatini val di Cecina57 attesterebbero la presenza di proprietà della famiglia nell’area sud-occidentale dell’ager Volaterranus, in prossimità della linea di costa e dell’importante rete fluviale del bacino idrografico del Cecina (Fig. 2.3). Bisogna riflettere dunque sull’eventualità che tali proprietà potessero essere funzionali alla commercializzazione dei prodotti provenienti dalle officine gestite dalla famiglia sul mercato regionale e sovraregionale. Tali attività, insieme ai proventi derivanti dai prodotti agricoli delle proprietà, avrebbero garantito l’ascesa politica della famiglia almeno a livello locale, come testimoniato da Anaenius Pharianus che aveva rivestito tutte le cariche amministrative a Volterra58.

I Sentii, probabilmente provenienti dall’Etruria meridionale e attestati in particolar modo in area chiusina48, appartenevano all’élite di Volterra dal momento che un ‘C. Sent[i---]’ era titolare di un posto riservato nella proedria del teatro cittadino nel II d.C.49. Risulta a questo proposito molto interessante notare che un ‘L. Sentius L. f.’ è attestato in un’urna in travertino di I d.C. rinvenuta in località Senzano (Monteriggioni). Il toponimo Senzano (Fig. 2.3), insieme alla presenza dell’urna iscritta, confermerebbe che i Sentii avessero la proprietà del fundus in quest’area orientale dell’ager Volaterranus50. Il coinvolgimento della gens nella manifattura di laterizi sarebbe poi provato da un bollo su tegola di ‘L. SENT.’ (CIL XI, 6689, 81) rinvenuto a Castelfiorentino, oggi purtroppo disperso51. Sebbene non siano localizzabili le officine pertinenti a questa produzione, non è inverosimile che queste dovessero trovarsi in prossimità delle proprietà dei Sentii nel Volterrano.

Per i Saenii non si hanno certezze riguardo il coinvolgimento nella produzione laterizia. Famiglia di rango senatorio già nel I secolo a.C.59, i Saenii potrebbero essere collegati alle produzioni bollate di terra sigillata di un ‘L. Sae(--)Sat(---)’ o ‘Sta(---)’ datate al 15 d.C. e provenienti da officine genericamente localizzate nell’Italia centrale60. Il legame di L. Saenius Faustus e Umbricia L. l. Helena (CIL VI, 38884) renderebbe d’altronde verosimile una produzione di sigillata dei Saenii dal momento che gli Umbricii erano noti proprio per le loro officine di terra sigillata ad Arezzo tra 40 a.C. e 50 d.C.61. Sebbene non sia possibile ricostruire con certezza la localizzazione delle proprietà dei Saenii nell’ager Volaterranus, è verosimile che i loro interessi gravitassero nell’area orientale del territorio, confinante con quelli di Firenze e Siena, dove probabilmente la gens aveva la sua base di potere locale62. L’inserimento all’interno del senato locale di

Anche i Saenii e gli Anaenii, famiglie la cui presenza è attestata nell’ager Volaterranus fra II e III secolo d.C.52, erano coinvolti in attività manifatturiere. Fra i bolli rinvenuti presso le fornaci del Vingone a Scandicci (Firenze) uno, purtroppo frammentario, è infatti stato letto alternativamente come ‘Saenii’ o ‘Anaenii’, provando il coinvolgimento nella produzione laterizia di almeno una di queste gentes53. Torelli 1982: 290; Shepherd 2008: 259-260. Nelle iscrizioni da Volterra sono ricordati membri dei Volasenna che non sembrano d’elevata estrazione sociale, come indicano i prenomina Lupus, Lupa, Ianuarius/a, Cornelianus, Verus figli o fratelli di un Volasenna (CIL XI, 1793); rimangono ignoti alla storiografia anche L. Volasenna Novianus e sua madre Volasennia Pyramidia (CIL XI, 1794), nonché Volasenna Iustus (CIL XI, 1788). Shepherd 2008: 260 note 124-128. 47 Torelli 1969: 329. 48 Torelli 1969: 304. 49 Cfr. Munzi 2000b: 131 e infra paragrafo 1.2. 50 Il rinvenimento in località Senzano portò in luce una tomba a catino con due urne protette da tegole. L’urna di Sentius aveva come corredo frammenti di terra sigillata, tre balsamari vitrei, uno strigile e un unguentario in bronzo. L’altra urna anch’essa con iscrizione, ma illeggibile, aveva a corredo due strigili, due vasetti in bronzo, una coppetta in vetro e ceramica acroma. De Marinis 1977: 96. 51 De Marinis 1977: 97. 52 A Volterra il gentilizio dei Saenii ricorre nell’iscrizione CIL XI, 1742 rinvenuta a Roncolla e datata al 101-200 d.C. che ricorda un Saenio Luci filius Restituto e un Saenio Romano della XI coorte urbana. Il gentilizio Anaenii è invece attestato dall’epigrafe del cavaliere, magistrato, pontefice di Volterra, iudex delle cinque decurie, rinvenuta presso Donoratico e datata fra II e III d.C. Per le cariche rivestite da Marcus Anaenius Pharianus e ulteriori considerazioni sull’epigrafe si veda Pack 1981 e infra paragrafo 1.2 e Fig. 1.14. 53 In realtà E. Shepherd sottolinea come per la lettura del bollo frammentario ‘ [---]aenius’ possa essere sciolta in diverse letture. La limitazione ai gentilizi possibili in Saenii, Anaenii, Caenii è proposta sulla frequenza delle attestazioni a livello epigrafico delle famiglie in prossimità dell’area del Vingone. In merito, Shepherd 2008: 254-256. 45 46

Il gentilizio Anaenii è infatti attestato in epigrafi etrusche in molte località del territorio compreso fra Arezzo, Chiusi e Siena. È nota poi la stele del militare senese L. Anaenius L.f. della prima metà del I secolo d.C. (AE 1927, 108). A tale proposito Shepherd 2008: 255 e nota 59. 55 Si tratta di laterizi con bolli in cartiglio circolare che citano ‘Cela(di/ti) Anaeni o Anaeni Cela(di/ti’. Cfr. Shepherd 2008: 255 e nota 60. 56 Terrenato 2000: 89. 57 Il toponimo è ricordato anche in R.Vol. 63 nel 1168; Pieri 1969: 58. 58 Cfr. infra paragrafo 1.2 e Fig. 1.14. 59 Nel 63 a.C. il senatore L. Saenius ricevette a Fiesole notizie relativamente all’insurrezione di Catilina (Sall., Cat., XXX, 1); Torelli 1969: 300. 60 OCK 1733 e Shepherd 2008: 255 nota 57. 61 Il legame ricondurrebbe nuovamente all’Etruria settentrionale dal momento che gli Umbricii erano probabilmente di origine fiesolana o fiorentina, che membri della famiglia rivestirono magistrature locali a Firenze e che uno di loro, Umbricius Melior, fu l’aruspice di Galba e venne citato da Tacito, Plutarco, Plinio per aver scritto un libro sull’etrusca disciplina. Per ulteriori approfondimenti sugli Umbricii cfr. Shepherd 2008: 255 e note 57-60; Torelli 1969: 290. 62 Da qui proveniva il cos. suff del 32 a.C. L. Saenius L. f. mentre un C. Saenius colonus adlectus dedicò un monumento nel centro di Firenze (CIL XI, 7031). Altri membri legati alla gens dei Saenii sono attestati in epigrafi rinvenute a Greve (Fi) (CIL XI, 1613); Firenze (CIL XI, 1652); Arezzo (CIL, XI, 1886); Chiusi (CIL XI, 2423); Careiae (Galeria-Roma) (CIL XI, 3769=CIL VI, 25749). Cfr. Ciampoltrini 1981: 48; Shepherd 2008: 254-255; Torelli 1969: 299-300. 54

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Poteri e strategie familiari di Volterra fondiarie. Tali famiglie, tramite strategie di lungo periodo nonché vaste reti di amicizie e clientele, erano riuscite a ritagliarsi uno spazio per l’azione politica a livello locale, integrandosi all’élite di Volterra come provato dai gentilizi nella proedria del teatro urbano71.

Volterra e conseguenti legami con le élite locali dovevano verosimilmente favorire gli interessi della famiglia, ma in modi che tuttavia rimangono di difficile lettura. Per quanto riguarda i Vettii63, gens i cui legami con la città di Volterra sono rappresentati dalla presenza in città di personaggi legati alla famiglia64, si può ipotizzare il coinvolgimento in una produzione laterizia in Etruria settentrionale presso officine la cui localizzazione non è purtroppo chiaramente identificabile. Presso la necropoli di San Martino in Collinaia (Livorno), è stato rinvenuto un laterizio con bollo in cartiglio rettangolare in cui si legge M(arci) Vetti/Felicis65. Questo bollo laterizio, apparentemente senza ulteriori confronti, testimonia l’esistenza di un individuo legato ai Vettii a capo di un’officina di questa gens, che è d’altronde nota per la produzione di laterizi anche a Roma, dove sono stati rinvenuti alcuni esemplari bollati. Sebbene sia difficile ricostruire la collocazione delle proprietà e le attività imprenditoriali di questa gens in Etruria settentrionale, a livello toponomastico il prediale Vetius/Vettius è attestato nell’area senese66 e forse deriva dal gentilizio anche il toponimo Vecchienna (>*Vett-Vetlenna) presso Castelnuovo val di Cecina67. Questi dati, insieme al legame fra l’epigrafe di Vettio Agorio Pretestato e la villa di Limite (Firenze), di cui egli era probabilmente proprietario68, proverebbero gli interessi della famiglia in un’area confinante con la val d’Elsa volterrana. Inoltre, confermerebbero che i Vetti avrebbero avuto accesso alla costa e ai suoi scali portuali tramite le proprietà nel Volterrano e grazie alle alleanze strette con le élite locali, specie con i Cecina69. Il rinvenimento di laterizi prodotti nell’ager Volaterranus costiero nella villa dei Vetti a Limite70 proverebbe del resto che il mercato regionale fosse alimentato dalle manifatture locali forse sotto l’influenza di legami di amicizia e parentela fra le principali gentes dell’Etruria settentrionale.

Fra le famiglie di origini non etrusche verosimilmente attestate a Volterra figura quella dei Cassii, di cui è possibile leggere il gentilizio nella proedria in un’iscrizione datata fra II e III d.C.72. É assai probabile che la famiglia, grazie alle sue strategie, fosse riuscita, a partire dall’età tardorepubblicana, ad acquisire proprietà in Etruria settentrionale. Nella seconda metà del II secolo a.C. il console C. Cassius Longinus era stato infatti promotore della realizzazione della via Cassia che collegava Roma a Firenze73. La costruzione di infrastrutture pubbliche in connessione con le deduzioni coloniarie avrebbe quindi agevolato ‘l’acquisizione di nuovi spazi economici nei territori dell’Etruria settentrionale’74. La gens Cassia è nota per il coinvolgimento nella gestione di diverse attività manifatturiere: produzione di laterizi, di terra sigillata italica, di anfore vinarie Dressel 2/4 e, forse, la commercializzazione del vino in esse contenuto. Produzioni laterizie gestite da diversi membri della famiglia con officine dislocate in Italia, lungo il Tevere e in Umbria, e in Macedonia, furono attive dall’età Augustea all’età di Adriano75. In Etruria settentrionale, i Cassii bollarono laterizi presso le fornaci del Vingone a Scandicci (Firenze) e, forse, anche anfore Dressel 2/476. In aggiunta a ciò, i Cassii erano coinvolti nella produzione di terra sigillata italica, negli anni 20-10 a.C., di cui purtroppo rimangono ignoti i centri produttivi77. La presenza di numerosi toponimi prediali derivanti da Cassianum fra Arezzo ed Empoli78, nonché nel Volterrano presso Riparbella, Certaldo, Montecatini val di Cecina, Casole d’Elsa79, induce a ipotizzare in queste zone fundi di proprietà della famiglia (Fig. 2.3). Sebbene non sia quindi possibile attestare con certezza produzioni dei Cassii nel Volterrano, il ricorrere del gentilizio nel teatro di Volterra lascerebbe supporre che la famiglia, ancora nel II secolo d.C., mantenesse interessi imprenditoriali in Etruria settentrionale80.

In base a quanto detto finora è possibile rilevare una tendenza per la quale le attività produttive gestite dai potentes di origine etrusca erano attestate con più frequenza al di fuori dell’ager Volaterranus, mentre la proprietà di fundi nel territorio rientrava probabilmente nelle strategie matrimoniali delle famiglie, talora coincidenti con quelle imprenditoriali.

Infra paragrafi 1.2. e Fig. 1.14. Sulla lastra si trovano incise le lettere ‘Cas(---) Ter(---)’ separate da un segno di interpunzione triangolare, che sono state interpretate come gentilizio e cognome. In merito Munzi 2000b: 117. 73 Shepherd 2008: 254 nota 47. 74 Genovesi 2009: 72. Potrebbe a tale proposito essere fatto un parallelo con la situazione dei Valerii e degli Aurelii per quanto riguarda la realizzazione delle vie consolari lungo la costa. Cfr. Dallai-PonteShepherd 2006. 75 Il dominus figlinarum P. Cassius Secundus console suffetto dell’anno 138 d.C. ricorda che i suoi antenati nel I secolo d.C. bollavano in Italia settentrionale. Cfr. Shepherd 2008: 254 nota 47. 76 Bollo ‘Cassi(us)’. L’ipotesi viene avanzata con qualche cautela dal momento che il bollo è frammentario e lo scioglimento potrebbe in realtà contare varie opzioni. Shepherd 2008: 253-254. 77 Shepherd 2008: 254 note 42-48. 78 Per i singoli toponimi si rimanda a Shepherd 2008: 253 nota 34. 79 Pieri 1969: 100; Chellini 1997: 386. 80 Molto interessante è il caso dell’urna che riporta l’iscrizione bilingue di ‘C. Cassius C.f. Saturninus/v. cazi c. clan’ (CIL XI, 1855 = CIE 378). L’urna è il più tardo esempio di bilingue proveniente da Arezzo ed è datata al 10-15 d.C. L’urna, rinvenuta in associazione a piattelli di sigillata bollati dai Rasinii, attesta l’esigenza di C. Cassius di tradurre il proprio nome dal latino all’etrusco. Cfr. Benelli 1994: 16; Shepherd 2008: 253 nn. 32-33. 71 72

2.1.2. Potentes di origini non etrusche e attività produttive Nell’ager Volaterranus erano presenti anche gentes di origine non etrusca (Fig. 2.2) che possedevano proprietà Luchi 1977: 142-144; Kalhos 2002. infra paragrafo 1.2. 65 Cfr. Marini-Genovesi 2009: 93-127. 66 Pieri 1969: 88. 67 La località è citata anche in R.Vol. 176 nell’anno 1234. Altra attestazione del toponimo è presso Massa Marittima. Pieri 1969: 47. 68 Alderighi-Cantini 2011: 48-81; Berti-Cecconi 1997; infra paragrafi 1.3.1; 3.1.3. 69 Si ricorda infatti che Vettio Agorio Pretestato era pontefice nel 380 d.C., insieme a Publius Ceionius Caecina Albinus. Cfr. Kahlos 2002; infra paragrafi 4.3.3 e Fig. 4.9. 70 Volpe 2020: 169-174. 63 64

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ Se si accetta, con le dovute cautele, la lettura proposta da Massimiliano Munzi del gentilizio Tertii su una delle lastre della proedria del teatro di Volterra datata al I-II d.C.81, ciò attesterebbe l’inclusione di questa ignota gens di origini latine fra l’élite del centro urbano. È noto che dei Tertii fossero coinvolti nella produzione di laterizi con officine ubicate nel territorio di Pisa, presso Portus Pisanus, dal momento che nel quartiere artigianale di Casa Campacci (Livorno) sono stati rinvenuti laterizi bollati da ‘Tertius Papus’. I laterizi dei Tertii venivano indirizzati verso un mercato regionale e lungo le coste tirreniche, come dimostra il rinvenimento di un esemplare bollato a Luni82. Tuttavia, il bollo dei Tertii ricorre anche su due coperchi di dolia provenienti, uno dal giacimento di Pisa-San Rossore83, l’altro dal relitto navale del Grand Ribaud D naufragato durante la rotta verso la Gallia narbonese84. Ciò proverebbe quindi una circolazione più ampia per alcune produzioni dei Tertii. Il rinvenimento dell’iscrizione funeraria CIL XI, 178385, che ricorda una Tertia Scaeva presso Vada in località podere Saracine, lascia ipotizzare che proprietà di questa famiglia potessero essere qui collocate. L’esistenza di proprietà presso i Vada Volaterrana86 e giustificherebbe l’inserimento dei Tertii all’interno dei membri del senato locale di Volterra, ma la prossimità allo scalo portuale, forse funzionale all’agevolazione/gestione in loco di negotia, potrebbe allo stesso tempo provare collegamenti con la famiglia dei Tertii produttori di laterizi nell’ager Pisanus. Se così fosse, bisognerebbe riflettere sull’eventualità che alleanze o legami potessero sussistere fra i Tertii e i Cecina che proprio in quest’area erano proprietari di fundi87.

nell’ager Lucensis91, all’isola d’Elba92, a Luni e Sarzana93, ad Arezzo94, nella costa orientale della Sardegna95. La famiglia possedeva diverse officinae attive tra la fine del I secolo a.C. e il II d.C.96 che dovevano essere localizzate nel retroterra di Portus Pisanus e, molto verosimilmente, lungo la valle dell’Arno al confine con la val d’Era volterrana97, dove effettivamente il prediale Appiano, attestato a Ponsacco e Palaia, potrebbe essere prova di proprietà fondiarie della famiglia98. Le formule riportate nei bolli laterizi permettono di conoscere parzialmente l’organizzazione del lavoro presso le officine degli Appii. Sono infatti attestati i nomi di due officinatores Bareaeus ed Euhemerus che gestivano due diverse officine, e dei loro sottoposti, rispettivamente i fictores Hilarus, Theotimus, Diodorus, Sosia e Carsimarus, Diodorus, Salvius, Epaphra99. Portus Pisanus e Vada Volaterrana erano funzionali alla redistribuzione e allo smercio dei prodotti degli Appii, ma per quanto riguarda il sistema volterrano è difficile comprendere in che modo. La localizzazione di officine produttive in prossimità di Portus Pisanus si giustifica nell’agevolazione della commercializzazione degli stessi, ma per le attestazioni di laterizi rinvenuti a Vada l’associazione Appi/Bradui nei bolli potrebbe essere indice di una produzione urbana piuttosto che locale, dal momento che altri esemplari simili sono stati rinvenuti a Ostia e Roma100. La presenza di questi bolli a San Gaetano di Vada, il fatto che il cognomen Bradua fosse portato da alcuni esponenti degli Appii di rango consolare vissuti tra il secondo quarto del II d.C. e l’età Severiana, la lastra della proedria dove sarebbe citata la gens, datata fra fine II e metà III d.C., attesterebbero comunque la continuità delle attività imprenditoriali della gens, la sopravvivenza di interessi economici in Etruria settentrionale, il successo di strategie familiari che avrebbero permesso l’inserimento della gens nell’élite di Volterra101.

Caso simile a quello dei Tertii appare quello degli Appii. Secondo Munzi, il gentilizio degli Appii sarebbe da ricondurre, con le dovute cautele, al locus 20 delle lastre della proedria del teatro di Volterra88. È noto che la gens fosse coinvolta nella manifattura di laterizi che venivano poi commerciati all’interno di un mercato prevalentemente regionale lungo le coste tirreniche, come attestato dal rinvenimento di esemplari bollati dagli Appii presso Portus Pisanus89, San Gaetano di Vada90,

Da quanto finora detto circa le famiglie di origini non etrusche coinvolte in attività produttive, si evince che sostanzialmente la loro ascesa a livello economico si dati fra l’età tardo-repubblicana e quella Augustea, in connessione con le deduzioni coloniarie d’età triumvirale I laterizi, rinvenuti al Chiarone di Capannori (Lucca), provengono da uno strato di livellamento i cui materiali sono databili fra I e II d.C. Cfr. Ciampoltrini-Andreotti 1991: 162-163. 92 L’impiego dei laterizi bollati dagli Appii nella villa di Capo Castello è relativo alla prima fase edilizia della villa datata al 30-20 a.C. Cfr. Dallai-Ponte-Shepherd 2006: 180; Genovesi 2009: 69-70. 93 Frova 1973: 535, n.2; CIL XI, 6689. 94 Genovesi 2009: 73. 95 Genovesi 2009: 73. 96 Cfr. Ciampoltrini-Andreotti 1991: 162-163; Dallai-PonteShepherd 2006: 180; Frova 1973: 535; Genovesi 2009: 69-73. 97 L’area era infatti abbondante in materie prime come acqua, argilla, combustibile nonché integrata in un sistema di vie di comunicazioni fluviali e terrestri. 98 Pieri 1919: 116; Ciampoltrini-Andreotti 1991: 162; Menchelli 2001: 188; Genovesi 2009: 72. 99 Per ulteriori considerazioni riguardo la distribuzione del lavoro e la gestione della produzione si vedano Menchelli 2001: 183-184; Menchelli 2003: 167-168; Genovesi 2009: 68-72. 100 Genovesi 2009: 72 nota 117 e Menchelli materiali in cds. 101 Una dinamica simile è del resto attestata anche per altre gentes di origine latina come gli Aurelii e i Valerii nell’ager Populoniensis. Cfr. Shepherd 1985; Pasquinucci 1995: 311-317; Pasquinucci-Menchelli 2006: 221; Dallai-Ponte-Shepherd 2006: 179-190. 91

Munzi 2000b: 132; Cfr. infra paragrafo 1.2.1. Genovesi 2009: 73-74. 83 Genovesi 2009: 75-76. 84 Il relitto del Grand Ribaud D, armato in Lazio o Campania, è stato ritrovato lungo la rotta che collegava l’arco tirrenico alle coste galliche. Per quanto riguarda la datazione dei bolli, il relitto rappresenta il contesto datante per eccellenza (ultimo decennio del I a.C.), dal momento che il resto dei materiali bollati dai Tertii proviene da ricerche di superficie o attestazioni decontestualizzate. Genovesi 2009: 75-76 e nota 159. 85 CIL XI, 1783. Il testo ricorda: ‘[---] Pedanius P(ubli) f(ilius)/[---]f(ilia) Tertia Scaeva’. 86 Il legame attestato nell’iscrizione fra Tertia Scaeva e un Pedanius potrebbe far riflettere sul coinvolgimento del mondo militare nelle attività produttive e commerciali. 87 Per le proprietà dei Cecina infra paragrafo 2.3.1. 88 Munzi 2000b: 113-114. 89 Laterizi bollati dagli Appii sono stati rinvenuti presso Casa Campacci, La Paduletta, San Martino in area livornese. Cfr. Genovesi 2009: 68. 90 Genovesi 2009: 72 nota 117; Menchelli materiali in cds. 81 82

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Poteri e strategie familiari di Volterra e poi con il boom economico promosso da Augusto102. L’integrazione vera e propria all’interno dell’élite locale sarebbe forse seguita in una fase più tarda, nel II secolo d.C., e all’interno di un più generale fenomeno di riassetto del potere a livello locale103.

un’attività manifatturiera gestita con diverse produzioni in un areale tutto sommato circoscritto e comunque di portata regionale110. La presenza del toponimo Popogna (>Pupi, Pupuni) presso Rosignano Marittimo (Livorno)111 potrebbe provare l’esistenza di proprietà della famiglia in prossimità della costa, mentre la gestione di officine poste su agri di diversa pertinenza (lucchese e pisano) a livello politico-amministrativo avrebbe forse favorito la commercializzazione dei prodotti. Si tratterebbe, quindi, di una vera e propria strategia familiare. Sebbene non sia provata al momento una produzione dei Pupii nel Volterrano, il rinvenimento del bollo su tegola di Treggiaia indica negotia della famiglia anche nel territorio di Volterra e dunque rapporti, purtroppo non chiaramente definibili, con le gentes del territorio. Risulta, poi, interessante l’esistenza di un Lucio Pupio l. f. Presenti iscritto alla tribù Sabatina, attestata da un’iscrizione rinvenuta a Perge (Lycia Pamphylia) che ricordava: ‘trib(uno) milit(um) prae/fecto equitum alae / [Pi]centianae proc[u]/[ra]tori divi Claudi / [et Ne] ronis Claudi / [Caes]aris Aug(usti) Germa/ [nici] provinciae Ga/lati{c}ae et Pymphy/liae et a loricata / Ti(berius) Claudius divi Clau/di l(ibertus) et sacerdos Plo/ camus amico suo / h(onoris) c(ausa)collegam’112. Sarebbe infine interessante indagare ulteriormente questo caso per comprendere gli eventuali legami fra il mondo militare e la commercializzazione dei prodotti manifatturieri, come del resto noto in altri esempi113.

2.1.3. Altre famiglie di produttori Sono infine attestati epigraficamente nell’ager Volaterranus, Pupii, Murrii, Baebii, famiglie per le quali non è possibile affermare con certezza che appartenessero all’élite di Volterra non essendo provato il loro ruolo all’interno della comunità. Del resto, essendo noto il coinvolgimento di queste gentes in attività imprenditoriali al di fuori dell’ager Volaterranus, la loro attestazione epigrafica indicherebbe la presenza di interessi e legami con le élite locali, oltre al plausibile possesso di fundi nel volterrano. Anche in questo caso si procederà operando una distinzione fra le famiglie di origine etrusca (Pupii, Murrii) e quelle non etrusche (Baebii). I Pupii, di probabili origini etrusche, sono attestati in età Augustea come appartenenti all’ordine dei decurioni di Pisa104. La famiglia gestiva una produzione di laterizi tramite diverse officine, di cui una è attestata nella piana del Bientina (ager Lucensis)105, come testimoniato dal rinvenimento di un frammento laterizio che conserva il nome di un officinator di una Pupia106. Nella val d’Era volterrana, presso la necropoli d’età Giulio-Claudia in località Treggiaia (Le Pescine), è stata rinvenuta una tegola con bollo ‘PVP’107. I reperti archeologici datano la produzione di laterizi di questa famiglia tra l’età Augustea e la metà del I secolo d.C. 108. L’ipotesi di un collegamento fra i Pupii e Marcus Pupius, produttore di sigillata italica nell’ager Pisanus109, potrebbe confermare

I Murrii, famiglia di origini etrusche attestata in Etruria settentrionale, erano noti per le officine che detenevano a Pisa, dove gestivano la produzione di terra sigillata italica fra l’1 e il 30 d.C.114. La famiglia, forse originaria di Fiesole, dove alcuni Murrii rivestirono cariche amministrative locali, era probabilmente legata alla fazione di Silla dal momento che non sembrò soffrire durante il periodo della repressione inflitta da quest’ultimo, uscendo indenne dalle confische del I secolo a.C. In età triumvirale e Augustea i Murrii sembrano addirittura ampliare il proprio patrimonio115. Poiché la produzione di terra sigillata dei Murrii iniziò fra l’1 e il 30 d.C., con qualche anno di ritardo rispetto ai principali produttori a Pisa (Ateius e Rasinius), è stato attribuito a questa gens un atteggiamento di tipo conservatore ‘anche dal punto di vista degli investimenti come se, da buoni cittadini romani, [i Murrii] avessero pensato che l’unica fonte di guadagno potesse essere quella derivante da prodotti della terra’116. Per quanto riguarda le proprietà

Giua 1996: 35-44; Menchelli 2011: 21-28; Menchelli-Sangriso 2017. 103 Cfr. infra paragrafi 2.4; 3.1; 3.3. 104 CIL XI, 1420. 105 Il rinvenimento è stato effettuato presso Corte Carletti di Orentano. Il laterizio frammentato è stato rinvenuto in un contesto di non facile datazione dal momento che i reperti archeologici si datavano tra la tarda età repubblicana e la metà del II d.C. Cfr. Ciampoltrini-Andreotti 1991: 161-165. 106 Il bollo ‘Pupiae/Primus’ ricorda un personaggio responsabile della produzione di laterizi presso una officina di proprietà dei Pupii. Ciampoltrini-Andreotti 1991: 163-164, fig. 6. La gestione delle officine era infatti affidata a servi in stretta dipendenza dai domini. Per ulteriori approfondimenti circa l’organizzazione del lavoro e della filiera manifatturiera si rimanda a Menchelli 2001: 183-184; Menchelli 2003: 167-168. 107 Il bollo è pertinente ad una tegola rinvenuta nella tomba III dove la fossa rettangolare era scandita in due settori da una copertura di tegulae e imbrices disposti a proteggere la vera e propria deposizione dei resti del rogo. Per quanto riguarda il bollo, l’altezza delle lettere è di cm 3,6-2,4. La ‘P’ con l’occhiello ‘aperto’ rimanderebbe secondo gli editori, all’età tardo-repubblicana. Il reperto si trova oggi esposto presso il museo archeologico di Villa Baciocchi a Capannoli. Cfr. Ciampoltrini 2008b: 23 e Tav. VI A-D. Per approfondimenti sulla necropoli de Le Pescine e per l’attribuzione alla stessa del monumento funerario del Petriolo di Ponsacco cfr. Ciampoltrini 2008b; infra paragrafo 3.1. 108 Cfr. Genovesi 2009: 78-79; Ciampoltrini-Andreotti 1991: 163-164. 109 Il collegamento è stato proposto sulla base del reiterato uso del praenomen Marcus fra i membri della gens Pupia. CiampoltriniAndreotti 1991: 164; Genovesi 2009: 79. Interessante ricordare che fra quanti nella gens portarono il praenomen Marcus vi fu anche Marco Pupio Pisone legato di Pompeo fra 67 e 62 a.C. Sarebbe suggestivo poter, 102

ancora una volta, legare lo sviluppo e il successo delle attività produttive dei Pupii a partire da legami della famiglia con la fazione pompeiana. Infra paragrafi 1.4; 4.2. 110 Genovesi 2009: 79. 111 Pieri 1969: 80. 112 AE 2008, 1428. 113 Cfr. da ultimo Menchelli 2011; Menchelli-Sangriso 2017. 114 Per i produttori di terra sigillata pisana si rimanda a Menchelli 1997; Menchelli 2004: 1095-1104; Menchelli et Al. 2001: 89-105; Pasquinucci-Menchelli 2006: 217-224; Menchelli-Sangriso 2017; Sangriso 1998: 919-932; Sangriso 2006. Per ulteriori considerazioni sul legame fra produzione ceramica, politica religiosa, mondo militare si veda anche infra paragrafi 2.4; 3.3.2. 115 Cfr. Menchelli-Sangriso 2017; Sangriso 2013: 216-222; Sangriso 1998: 919-932. 116 Sangriso 1998: 919-932.

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ di questa famiglia, ricordate nella toponomastica dai prediali Moriano/Morriano, esse erano dislocate in numerose zone dell’Etruria settentrionale117 e, per quanto riguarda l’ager Volaterranus, nei pressi di San Miniato dove è attestato il toponimo Morriano, nelle vicinanze della Pieve di Quarrazzana118. Conferma delle proprietà e, forse anche degli interessi economici di questa gens nell’ager Volaterranus (almeno fra il II e la metà III secolo d.C.), è l’epigrafe funeraria rinvenuta a Roma che apparteneva a ‘Q. Murrius Pudens domo Volaterris’, milite nella XIII coorte urbana119.

sovra-locali era chiaramente fondamentale per garantire il successo dei negotia. 2.1.4. Altri produttori Per completezza d’informazione si riportano, infine, i casi di alcune produzioni bollate pertinenti all’ager Volaterranus, ma per le quali non è possibile elaborare alcuna ricostruzione prosopografica. Il rinvenimento di attestazioni di questi ignoti produttori al di fuori dell’ager Volaterranus consente di ricostruire però la circolazione di merci a livello sovraregionale.

I Baebii, gens di origine non etrusca attestati epigraficamente a Volterra120, costituiscono l’ultimo caso per il quale si abbiano notizie rilevanti. La gens Baebia apparteneva all’élite di Luni dal momento tra i suoi membri è annoverato un duoviro giunto al rango equestre in età Augusteo-Tiberiana121, mentre il lunense Salvius Baebius Iustus compariva in un’epigrafe fra i pretoriani congedati nel 172 d.C.122. La sigla ‘BAE’ sui semilavorati delle cave lunensi, mai attestata in associazione alle sigle di liberti della casa imperiale o con il nome della colonia, ha indotto ad avanzare l’ipotesi di un coinvolgimento imprenditoriale privato dei Baebii nelle attività di lavorazione e/o commercializzazione del marmo123. È assai probabile che i Baebii avessero proprietà e/o interessi a Volterra dal momento che l’epigrafe CIL XI, 1759 citando L. Baebius Aurelianus, Baebius Novianus, Baebius Secundinus, proverebbe la presenza di individui legati alla famiglia in città. Bisogna quindi riflettere sull’eventualità di legami fra individui dell’élite lunense e l’élite di Volterra dal momento che marmo proveniente da Luni venne impiegato per la realizzazione del teatro cittadino124.

Un timbro in bronzo, rinvenuto negli anni Cinquanta del secolo scorso in località Stradello del Lupo presso Vada, attesta un tale ‘G. VERE’ che probabilmente gestiva una fornace per la produzione di laterizi e anfore; la fornace venne rintracciata durante le ricerche di superficie effettuate fra le valli del Fine e del Cecina negli anni Ottanta del XX secolo125. Alla fornace venne ad affiancarsi, in un momento non precisabile, una fattoria abitata tra la prima metà del I a.C. e il IV-V secolo d.C. Sebbene non siano stati rinvenuti scarti di produzione relativi alle anfore, i numerosi frammenti di anfore vinarie Dressel 2-4, nonché l’attestazione di bolli ‘VER’ su alcuni esemplari rinvenuti a Roma e del bollo ‘VERI’ su anfore a Lione e Treviri, consentirebbero di legare il ‘G. VERE’ di Vada ad un’attività imprenditoriale i cui prodotti erano indirizzati ad un mercato non strettamente limitato all’Etruria settentrionale126. Un altro produttore operava nel volterrano nei pressi della località Cotone a Rosignano Solvay (Livorno), dove aveva una fornace per laterizi identificabile con i resti di un edificio dotato di vasche per la decantazione dell’argilla individuati, insieme ad uno scarico di frammenti fittili, durante le ricognizioni di superficie degli anni Ottanta del XX secolo. L’impianto è stato associato al sigillo in bronzo, rinvenuto nella medesima località, con su scritto ‘REGVLE VIVAS’ segnalato dal Repetti127.

Non sfugge quindi, sulla base di quanto detto, l’esistenza di interessi delle famiglie di produttori per quelle aree caratterizzate da un’ampia disponibilità di materie prime, nonché poste in vicinanza di reti fluviali e/o scali portuali che avrebbero agevolato la commercializzazione dei loro prodotti verso i mercati regionali e sovraregionali. L’importanza di solidi legami fra le élite locali e quelle

Un altro impianto produttivo si trovava nei pressi de La Mazzanta, in val di Cecina. In questo sito, databile fra la fine del I a.C. e il II-III d.C., un certo ‘FELIX’ produceva laterizi e anfore vinarie Dressel 2-4128. Il rinvenimento degli stessi bolli su anfore vinarie rinvenute in diverse località italiane, ma anche sul limes reno-danubiano, a Cartagine e in Britannia129, indicherebbe che tale produttore fosse

La ricostruzione dei fundi murriani è basata sull’attestazione di toponimi come Moriano e Morriano. Questi sono effettivamente numerosi in Etruria, specie nei dintorni di Firenze (località di Rupecanina, Borgo San Lorenzo, Scarperia, Vicchio e Barberino del Mugello, Cerreto Guidi), ma anche a Massa (Incisa Valdarno) e a Troghi (Rignano sull’Arno), nonché nella zona di Lucca sia nei suoi dintorni che nella valle del Serchio (Ponte a Moriano, S. Cassiano a Moriano, S. Concordio di Moriano, S. Gemignano di Moriano, SS. Lorenzo e Michele a Moriano, S. Maria a Moriano, Moriano presso S. Quirico, Trepigliano di Sesto a Moriano, Moriano presso S. Stefano). La variante Moriana si trova invece attestata a Ponzano di Empoli e Prata di Moriana (PI), mentre una forma Muriana è presente in Garfagnana. Cfr. Sangriso 2013: 209-210. 118 Sangriso 2013: 209-210. 119 Cfr. Gatti 1923: 247-256. Del tutto particolare sembra il legame dei Murrii con il mondo militare. Essi sono inoltre ricordati a Tarragona in quanto donatori di un orologio al collegio dei fabri, di cui probabilmente facevano parte. Cfr. Sangriso 2013. 120 CIL XI, 1759. 121 AE 2000: 555; Frasson 2014: 306. 122 Frasson 2014: 401-402. 123 Cfr. Pensabene 2013; Paribeni-Segenni 2014: 332; ParibeniSegenni 2015. 124 Cfr. infra paragrafi 1.2.10; 2.3.1; 3.1.4; 4.3.1. 117

125 Durante le ricerche vennero rinvenute nell’area monete oggi disperse, tracce di terra bruciata e frammenti di laterizi. In merito, CherubiniDel Rio 1995: 359 e nota 46; 369-370; Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006. 126 Cherubini-Del Rio 1995: 359 e nota 46; 369-370; Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006. 127 Cherubini-Del Rio 1995: 359; Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006. 128 Le analisi di laboratorio hanno confermato la produzione locale per un frammento di Dressel 2-4 bollato ‘FELIX’ rinvenuto in questa località. Cfr. Cherubini-Del Rio 1995: 373 nn. 93-94; Cherubini-Del RioMenchelli 2006; Genovesi 2009. 129 Cherubini-Del Rio 1995: 373; Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006.

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Poteri e strategie familiari di Volterra inserito all’interno di un mercato sovraregionale per la commercializzazione a medio e lungo raggio dei contenitori e, probabilmente, del relativo vino in essi contenuto.

ricostruire, almeno in parte, ricolloca i domini del territorio volterrano all’interno di un contesto proprietario fortemente caratterizzato da strategie parentali e alleanze matrimoniali (Fig. 2.3).

In ambito urbano, infine, sono state rinvenute tegole bollate recanti la sigla ‘TSITPO’, per la precisione all’interno del teatro cittadino e nella domus rinvenuta al di sotto del Centro Studi Santa Maria Maddalena130. Rimanendo non di chiara comprensione il bollo, non è possibile avanzare alcuna ipotesi circa l’ignoto produttore.

2.2.1. Le proprietà dei domini etruschi Un primo gruppo di famiglie etrusche appartenenti all’élite di Volterra e proprietarie di fundi nell’ager Volaterranus comprende i Calisna Sepu, i Carrinates, i Flave, i Cure, i Curtii, tutte famiglie accomunate dal fatto di essere attestate nel Volterrano entro il I secolo a.C.

2.2. La proprietà privata nell’ager Volaterranus

I Calisna Sepu erano proprietari dell’ipogeo monumentale presso il campo della Malacena nella necropoli del Casone a Monteriggioni132 ed erano, fino agli inizi del I secolo a.C., la famiglia dominante nell’area orientale dell’ager Volaterranus. I Calisna Sepu intrattenevano rapporti con le élite di Volterra come dimostrato dai modelli artistici delle produzioni locali rinvenute nella necropoli a Monteriggioni e fedelmente ripresi dai canoni volterrani133; purtroppo non è possibile dire molto altro sulle loro proprietà.

Dopo aver esaminato le proprietà e le gentes direttamente coinvolte nelle attività produttive si analizza di seguito l’assetto della proprietà privata nell’ager Volaterranus per quelle famiglie che, a quanto è dato sapere, non furono coinvolte in attività manifatturiere a livello imprenditoriale. Tali famiglie dovevano comunque avere un ruolo nella gestione delle risorse in quanto erano sicuramente proprietarie di fundi, requisito fondamentale per essere parte del senato locale, o in quanto occupavano una posizione di rilievo all’interno dell’élite di Volterra. Anche in questo caso si è scelto di operare una distinzione fra i potentes di origine etrusca e quelli di origine non etrusca, per evidenziare eventuali differenze e/o meccanismi di alleanze e parentela in rapporto all’area delle loro proprietà.

I Carinei/Cerinei-Carrinates ottennero la cittadinanza romana prima della guerra sociale. Il noto generale antisillano, pretore nell’82 a.C., C. Carrinas, era di Volterra134. La vittoria di Silla e la resa di Volterra causarono l’allontanamento della famiglia dall’Etruria settentrionale e il trasferimento a Roma, dove i Carrinates si inserirono nell’élite amministrativa rivestendo cariche politiche135. La gens, che possedeva ipogei a Volterra presso la necropoli del Portone (Marmini)136, doveva avere probabilmente avere interessi e/o proprietà nell’area costiera, al confine con l’ager Pisanus perché a Castiglioncello è stata rinvenuta l’urna di Velia Cerinei datata ai primi anni del I secolo a.C. e attribuita a un’officina volterrana137. In seguito al trasferimento del ramo principale della famiglia a Roma, vennero meno i legami con l’Etruria settentrionale e la gens non risulta più attestata nel territorio volterrano in epoca romana138.

È stato possibile rilevare che vi furono tre momenti fondamentali nello sviluppo dell’assetto della proprietà privata nel Volterrano. Il primo è individuabile nel I secolo a.C. quando all’estinzione di diverse famiglie etrusche locali, probabilmente a causa delle parziali confische e repressioni sillane, seguirono i progetti di deduzioni coloniarie d’età Cesariana e Augustea. Il secondo momento, tra la fine del I e il II d.C., riflette le difficoltà delle famiglie dell’élite cittadina in relazione alla fine della dinastia Giulio-Claudia e all’avvento della dinastia Flavia, da una parte, e l’ascesa a livello locale di nuove gentes, dall’altra. Il terzo momento, tra la fine del II e la prima metà del III secolo d.C. vide legarsi alle contingenze macro-storiche le sorti di vecchie e nuove gentes di Volterra in un generale riassetto del potere a livello locale.

La tomba, che conteneva 105 sepolture, venne abbandonata agli inizi del I secolo a.C. Il nome dei Calisna Sepu compariva in tre urne conservate nella tomba. Cfr. De Marinis 1977: 65-67; De Tommaso 2007: 182-184; CUV I.1, pp. 162-191. 133 De Marinis 1977: 65-67; De Tommaso 2007: 182-184. 134 Torelli 1981: 270. 135 Il figlio di C. Carrinas fu pretore nel 46 a.C., consul suffectus nel 43 a.C., governò la Spagna nel 41 a.C. Nella guerra contro Sesto Pompeo (36 a.C.), egli occupò l’isola di Lipari. Sono poi note le vicende di Carrinas Secundus, retore del I secolo d.C. che fu esiliato da Caligola nel 39 d.C. per aver declamato contro i tiranni e che morì ad Atene in estrema povertà. Cfr. Carrinas, in DRH, ad vocem. 136 Consortini 1934b: 57-58. Consortini cita inoltre due iscrizioni in latino del Museo Guarnacci, rispettivamente la n. 35= EDR153789 e la n. 36= EDR153791 dove sono ricordate una Carrinatia Prima e Carrinas C.L. Chrestus. Le due epigrafi, tuttavia, sono giunte da Roma tramite mercato antiquario. 137 L’urna in alabastro, considerata fra i migliori esemplari della Val di Cecina, è stata rinvenuta in una tomba a nicchiotto facente parte della necropoli compresa nell’area fra il Castello Pasquini e Via Martelli a Castiglioncello. Gli scavi, condotti nei primi anni del Novecento, portarono in luce circa 300 tombe databili tra il IV a.C. e il I secolo d.C. La scelta del tema dell’urna di Velia Cerinei, il ratto di Elena nella versione di Licofrone, confermerebbe inoltre il rango nobiliare della famiglia. Per approfondimenti, Massa 2000: 50-56. 138 Luchi 1977: 142-144. 132

In mancanza di informazioni rilevanti, la ricostruzione delle proprietà di individui che sicuramente dovevano essere titolari di fundi è stata affidata alla toponomastica prediale nonché all’evidenza archeologica ed epigrafica specie relativa a monumenti funerari che, posti in prossimità delle vie di comunicazione solitamente vicino alle residenze e alle proprietà terriere, erano espressione di nuclei gentilizi131. Il quadro che è stato possibile Cfr. Munzi-Terrenato 2000; Furiesi 2008: 57-60. La realizzazione di un monumento funerario presupponeva infatti l’acquisto di un terreno per la sua edificazione (a tale proposito si ricorda la testimonianza di Cicerone riguardo le disposizioni per la tomba della figlia (Cic., Att., I, 12, 30). Per ulteriori considerazioni sui monumenti funerari, la loro ubicazione, l’eredità dal tumulo orientalizzante e l’indicazione di status di controllo all’interno di una zona da parte di un lignaggio si vedano Augenti-Terrenato 2000; Ciampoltrini 2008b: 25; Zifferero 1991.

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ conseguenza delle confische del 45 a.C.149. Non è nota la localizzazione della proprietà di Curtius nel Volterrano, ma Elizabeth Deniaux ha notato che l’espressione ‘possessionem’ usata da Cicerone indicherebbe ‘une occupation sans titre de propriété sur l’ager Volaterranus devenu ager publicus’150. A livello toponomastico, secondo Riccardo Chellini, il prediale Cortennano presso San Gimignano deriverebbe proprio dal gentilizio Curtius, così come i toponimi Corsano e Corsanello nel Senese151. La proprietà volterrana di C. Curtius potrebbe allora essere eventualmente localizzata nell’area nord-orientale dell’ager Volaterranus, dove sono effettivamente state trovate tracce di centuriazione, e che sarebbe dunque da identificare come parte dell’ager publicus della comunità152.

I Flave erano una delle più antiche famiglie etrusche di Volterra, dove erano giunti, probabilmente dall’Etruria meridionale, attorno al IV-III a.C.139. I Flave già allora strinsero alleanze matrimoniali con le principali famiglie etrusche, i Cecina, i Volasennae, i Cure. La gens, oltre al possesso in città di un monumentale ipogeo presso la necropoli del Portone140 aveva proprietà nel Volterrano, come attesterebbe il toponimo Fibbiano/Flabiano, che ricorre a Villamagna, Lari, Belforte141. La famiglia, attestata ancora alla metà del I secolo a.C.142, dovette probabilmente estinguersi poco dopo. Un’altra famiglia dell’élite etrusca di Volterra erano i Cure. Ciò è reso evidente dalle iscrizioni CIE 19 e 113, visibili su due urne esposte al museo Guarnacci, nelle quali nomi di donne dei Cure compaiono, in qualità di congiunte, assieme a membri dei Flave e dei Cecina. La famiglia possedeva quasi certamente alcune proprietà nell’ager Volaterranus, come attestato dal prediale Coiano (>Curial/Curius) attestato presso Villamagna e Castelnuovo d’Elsa143. A ulteriore conferma di alleanze matrimoniali con le famiglie dell’élite di Volterra, le proprietà dei Cure sembrano localizzate in prossimità di quelle dei Flave nell’area orientale dell’ager Volaterranus. La contiguità delle proprietà terriere era spesso alla base di alleanze matrimoniali, secondo una strategia familiare attestata in diverse epoche144. Tale sistema, che per l’età moderna è stato definito come ‘isole di proprietà delle parentele’, era funzionale alla condivisione di interessi economici e politici per mezzo dei vincoli di amicizia e/o parentela creati o rinnovati145.

Un secondo gruppo di famiglie dell’élite di Volterra comprende coloro che dovevano essere proprietari di fundi nell’ager Volaterranus in quanto membri del senato locale o magistrati della città. Il gruppo comprende gli Herennii, i Gavii, i Petronii, i Vibii, gli Arminii, i Graecinii, i Caesii/ Caesilii153. La distribuzione delle proprietà di queste famiglie nell’ager Volaterranus è ricostruibile, in parte, tramite la toponomastica. Quella degli Herennii è una delle famiglie di origine etrusca attestate epigraficamente nel teatro di Volterra e per la quale si hanno meno informazioni. È plausibile supporre che potessero avere delle proprietà nel Volterrano nei pressi di Casole d’Elsa, dove ricorre appunto il prediale Camporignano (>Herennianu)154. Anche la distribuzione delle proprietà dei Gavii155 potrebbe essere ricostruita a partire dai toponimi Cabbiano, Gabbiano, Gabbialla (>Cavius/Gavius) attestati presso i comuni di Casole d’Elsa, Castelnuovo d’Elsa, Palaia, Volterra156.

Un certo C. Curtius è noto tra i proprietari dell’ager Volaterranus alla metà del I secolo a.C., grazie alla lettera inviata da Cicerone a Quinto Valerio Orca146. Al padre di C. Curtius, il Curtius citato nella Pro Roscio147, erano stati confiscati i beni come conseguenze delle proscrizioni di Silla. È probabile quindi che il figlio, avesse investito nell’acquisto di nuove terre e, d’altronde, Cicerone stesso lo conferma scrivendo ‘is habet in Volaterrano possessionem, cum in eam tamquam e naufragio reliquias contulisset’148. C. Curtius era entrato in senato tramite l’intervento di Cesare, ma tale status non sarebbe stato mantenuto nel caso in cui egli avesse perso la sua proprietà nel Volterrano in

Per quanto riguarda i Petronii, toponimi come Montepetruzzi (Montescudaio), fonte Petri in Maremma157, ma soprattutto Perolla/Petrolla (R.Vol. 331 1297)158 e Petrognano (presso Certaldo-Barberino val d’Elsa)159 potrebbero indicare la presenza di proprietà della famiglia in queste zone. Deniaux 1991: 224-225. Sulla diversa proprietà nei casi di fundi all’interno dell’ager publicus si vedano anche le considerazioni in Smith 2006 : 246. 151 Chellini 1997: 385; Pieri 1969: 104. 152 Sulla presenza in quest’area dell’ager publicus soggetto alle distribuzioni cesariane. Cfr. Ristori-Ristori 1993: 492. Riguardo la centuriazione e le distribuzioni di terre nel Volterrano e il caso di Curtius infra paragrafi 3.3.2; 3.3.3 e Fig. 3.26. 153 I nomi sono attestati nelle lastre della proedria del teatro di Volterra e nell’iscrizione CIL XI, 1744. Cfr. infra paragrafo 1.2.1. 154 Pieri 1969: 109-110. 155 Su questa gens cfr. infra paragrafo 1.2.1. 156 Chellini 1997: 383. Giulio Ciampoltrini segnala inoltre un particolare addensamento delle epigrafi di questa gens nel territorio di Empoli (Ciampoltrini 1981). Si ricorda anche l’epigrafe CIL III, 430 da Efeso in cui L. Gavius Vescennianus viene definito ‘domo Volaterras’. Su questo personaggio e i legami con i Vetinae, infra paragrafo 1.2.1. 157 Pieri 1969: 80. 158 Pieri 1969: 32. 159 Interessante notare che in questa località vennero rinvenuti materiali d’età romana e nelle vicinanze del torrente Agliena uno scarico di terra sigillata. Cfr. De Marinis 1977: 96. 149 150

139 La provenienza della famiglia dall’Etruria settentrionale è ipotizzata in base al tipo di rituale funerario (sepoltura entro sarcofago in pietra) che è propria di grandi centri come Tarquinia, Vulci, Orvieto (Maggiani 2007: 138). I Flave a Volterra sono attestati da numerose iscrizioni in etrusco (CIE 112; 113, 115; 164) e dall’urna volterrana al Museo di Firenze n. 113. 140 Consortini 1934b: 59-60. 141 Chellini 1997: 386. 142 L’urna in alabastro MG 191 (CUV 2.3 n°19) con l’iscrizione CIE 115 ‘f.]lave.ls. Felmuial.r.XXI’ è datata al primo quarto del I a.C. mentre l’urna MG 502 (CUV 2.3 n° 58) con l’iscrizione CIE 113 ‘ls. Flave.ls. curial. Ril .IIL’ è datata entro la metà del I a.C. 143 Chellini 1997: 386. 144 Cfr. Shepherd 2008: 260. 145 Cfr. Casanova 2009: 30; Merzario 1983; Razi 1993. 146 Cic., Fam., XIII, 5. Cfr. Deniaux 1991; Infra paragrafo 1.2.9. 147 Cic., Rosc. Am., XC. Su questo personaggio e sui legami fra C. Curtius e C. Rabirius Postumus si veda Deniaux 1991: 224-225; Nicolet 1974, nn. 126-129. 148 Cic., Fam., XIII, 5, 2.

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Poteri e strategie familiari di Volterra in lingua etrusca di un’urna in alabastro oggi conservata al Getty Museum171. Oltre a proprietà in prossimità della località Persignano (>Persius) a Guardistallo (Pisa)172, i Persii dovevano avere proprietà anche in val d’Era, come attestato dall’epigrafe CIL XI, 1785173, dove il gentilizio ricorre in associazione a quello della gens Vergilia174. Proprietà dei Persii al di fuori dell’ager Volaterranus, confermano poi l’importanza di questa famiglia all’interno delle élite imperiali nella seconda metà del I secolo d.C.175.

I Vibii dovevano possedere delle proprietà nel Volterrano, ma l’unico toponimo che può essere ricondotto a loro potrebbe essere Bibbona (Livorno), in quanto derivante dall’etrusco Vipi poi passato al latino Vi(b)bius160. Le proprietà degli Arminii, la cui più tarda attestazione è della metà del II secolo d.C. relativamente al pretoriano C. Arminius Probus Volaterris161, si situavano forse nelle zone ai confini orientale e meridionale dell’ager Volaterrranus; ciò è riscontrabile dalla presenza dei toponimi Arména e Armenella, nonché dall’idronimo Armnine-o in territorio senese e grossetano162.

Un terzo gruppo di famiglie comprende i casi degli Aulinnae, dei Pompilii, degli Spurii e di Squaetinia Maximina, dei Vetinae, dei Pupienii, di Pestina Apricula, titolari di monumenti funerari extra-urbani posti in prossimità delle vie di comunicazione176. Le proprietà di

Anche i Graecinii in quanto membri del senato locale, almeno fra II e III secolo d.C.163, dovevano avere proprietà nel Volterrano, come confermato dalla presenza del pretoriano C. Graecinius Priscus definito ‘Volaterris’164. Proprietà della famiglia dovevano forse essere ubicate nell’area orientale del territorio di Volterra, nei pressi di Colle Val d’Elsa, come attestato dal toponimo Gracciano165, località in cui sono stati effettuati rinvenimenti archeologici a testimonianza di una frequentazione del sito dalla metà del I secolo d.C. fino alla metà del III secolo d.C.166.

171 Importante notare che si trattava di una parentela per via femminile. Cfr. Nielsen 1986. 172 Pieri 1969: 124. 173 CIL XI, 1785. L’iscrizione, oggi perduta, venne rinvenuta a Capannoli su cinerario in marmo. Il testo ricorda: ‘D(is)M(anibus)/Vergiliae/ Saturn̂ inae/A(ulus?) Persius Se/verus uxori/optimae’. È stato notato che il personaggio citato potrebbe essere il padre dell’A. Persius Severus nominato nell’epigrafe rinvenuta nei dintorni di Volterra e affissa al 22 di Via Guarnacci a Volterra (CIL 11, 1784): ‘A(ulus) Persius/A(uli) f(ilius) Severus/v(ixit) ann(os)/VIII m(enses) III/d(ies) XIX’. 174 Il nome della gens riporterebbe ad origini latine. Per ulteriori considerazioni in merito, Consortini 1938: 74; Luchi 1977: 142-144. 175 Oltre alle proprietà nel volterrano i Persii avevano possedimenti e/o interessi nel territorio di Populonia, dove un’epigrafe funeraria attesta la presenza di liberti della gens. L’epigrafe venne rinvenuta reimpiegata in località Casone a Piombino. Il testo ricorda: ‘V(ivus) C(aius) Persius A(uli) f(ilius) Gal(eria),/v(iva) Gallonia M(arci) f(ilia) Quar(ta?),/ L(ucius) Persius C(ai)f(ilius), f(ilius),/Persia C(ai) f(ilia) Polla’. Cfr. Ciampoltrini 1995a, fig. 6; Aulo Persio Flacco era invece proprietario di praedia a Luni. Nella satira VI, indirizzata all’amico Cesio Basso, Persio infatti scriveva: ‘mihi nunc Ligus ora intepet hibernatque meum mare, qua latus ingens dant scopuli et multa litus se ualle receptat.’ [7-8]’ Qui ora intiepidisce per me la spiaggia di Liguria e sverna il mio mare, dove gli scogli mantengono aperta un’ampia insenatura e il lido si ritira con una curva profonda’; e poi ‘hic ego securus uolgi et quid praeparet auster infelix pecori, securus et angulus ille uicini nostro quia pinguior’ [13-14] ‘qui me ne sto al sicuro dalle chiacchere della gente, senza preoccuparmi di ciò che prepari l’Austro tanto funesto ai greggi, e del tutto tranquillo anche se il terreno del mio vicino è più ferace del mio’. Cfr. Harvey 1981: 180-202. Altra proprietà di Aulo Persio Flacco era un podere sulla via Appia, a otto miglia da Roma, dove sarebbe morto a circa trent’anni per malattia di stomaco (Vita Persii, II; IX). 176 Oltre ai casi attribuibili alle gentes note, vi è il caso del monumento funerario presso località Sburleo a Spedaletto. Non è noto a quale nucleo gentilizio debbano essere riferiti i resti archeologici qui rinvenuti, ma doveva trattarsi di un monumento funebre lungo una via pubblica che portava da Volterra alla bassa val d’Era. Il toponimo Sburleo, rimasto nella cartografia storica e attuale, coincide con il toponimo riportato dai documenti medievali relativamente a diverse località, come ‘Musleum’, ‘campus ad Musleo’ o ‘Muslleum’. Secondo Enrico Fiumi erano almeno quattro i monumenti funerari che sorgevano presso arterie stradali di notevole importanza. Due sorgevano in val d’Era, gli altri due erano in prossimità della città di Volterra (Musleo de Silice citato in una disposizione statutaria redatta fra 1320 e 1340; Podere Sburleo fuori da Porta all’arco descritto nel Cinquecento dal Falconcini). È noto poi da un atto del 1004 (R.Vol. 95), un ‘loco ad Musuleo prope Urtiuni’, ma rimane ignota l’ubicazione della località (Fiumi 1947: 374-375). Le ricognizioni di superficie effettuate nell’ambito delle attività del Laboratorio Volterrano nel 2006, congiuntamente allo studio di documenti d’archivio medievali, hanno portato ad individuare il toponimo Sexto/Sesto nella valle superiore dell’Era in due documenti del 1005 e 1007, non lontano dai resti del monumento funerario di I d.C. Il toponimo Sesto avrebbe quindi indicato una strada pubblica presso la quale sarebbe poi sorto il monumento funerario di un membro dell’élite volterrana, lo Sburleo presso Spedaletto ricordato nella toponomastica locale (PasquinucciGenovesi 2006: 113-130). L’importanza della rete stradale continuò in età medievale quando vennero fondati, in prossimità di Spedaletto, due spedali, uno dei Templari, l’altro dei cavalieri di S. Iacopo d’Altopascio

Infine, la gens Caesia, cui sarebbe appartenuto il magistrato volterrano dell’iscrizione CIL XI, 1744167, avrebbe forse avuto possedimenti nell’ager Volaterranus sud-orientale e in val di Cecina dove ricorre il toponimo Ciciano/Cisiano (>Caesius)168. Per la famiglia dei Persii le evidenze toponomastiche sono rafforzate da rinvenimenti epigrafici. I Persii, gens di origine etrusca e fra le più importanti in città, faceva parte del senato locale di Volterra169 e poteva vantare di aver dato i natali al celebre poeta Aulo Persio Flacco. Alleanze matrimoniali stringevano i Persii con la più importante famiglia di Volterra, i Cecina; Aulo Persio Flacco definì infatti Arria minor come sua parente170, ma la più antica attestazione di parentela fra le due famiglie risale alla prima metà del I secolo a.C., come dimostra l’iscrizione Pieri 1969: 47. Anche il toponimo Bibbiena (>Viplnei, Vibulenus) potrebbe essere ricondotto al gentilizio. 161 CIL VI, 2379. L’iscrizione è datata fra 159-161 d.C. Su questo individuo si veda infra paragrafo 1.2.1 e Gatti 1923. 162 Pieri 1969: 7. Forse anche lo scomparso toponimo Armugnano (>Armunia) potrebbe essere ricollegato ai possedimenti della famiglia (R.Vol. 48, a. 971. Chellini 1997: 385). 163 Questa è la datazione dell’epigrafe in cui è citato il gentilizio della famiglia nella proedria del teatro di Volterra. Cfr. Munzi 2000b: 120. 164 CIL VI, 2379. L’iscrizione è datata al 159-161 d.C. Su questo individuo infra paragrafo 1.2.1 e Gatti 1923. 165 De Marinis 1977: 69; Ristori-Ristori 1993: 491. Il Pieri fa derivare il toponimo Gricciano presso Manciano (Gr) dal gentilizio Grecius/ Graecianus. Cfr. Pieri 1969: 109. 166 Nella zona furono rinvenute monete di Claudio, Nerone, Agrippa, Faustina iunior, Alessandro Severo, Gordiano, Massimo, Onorio, Maggioriano nonché diverse tombe, purtroppo non datate dagli scopritori. Cfr. De Marinis 1977: 69; 93. 167 Infra paragrafo 1.2.1. 168 Il toponimo è inoltre documentato in R. Vol. 283 (1277) e in Val di Cecina. Cfr. Pieri 1969: 98. 169 Munzi 2000b e infra paragrafo 1.2.1. 170 Vita Persii; Capdeville 1997: 298 e nn. 299-306. Per ulteriori approfondimenti su Aulo Persio Flacco e la parentela, cfr. infra paragrafi 1.2.1; 4.3.2. e Fig. 4.11. 160

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ queste famiglie appartenenti all’élite etrusca di Volterra vengono ricostruite a partire dall’esistenza di monumenti funebri che sorgevano in vicinanza delle loro residenze e proprietà terriere177, in alcuni casi rafforzate da attestazioni archeologiche e/o epigrafiche.

faciundis attestato nei giochi secolari del 204 d.C.185. Le proprietà della famiglia potrebbero essere quindi localizzate nell’area meridionale dell’ager Volaterranus, in prossimità del luogo dove, fra la fine del I ed il II secolo d.C., sorgeva la tomba di Didia Quintina, moglie del senatore L. Vetina Priscus186.

Gli Aulinnae dovevano possedere un monumento funerario, probabilmente a pianta circolare, del tipo a edicola, dato che l’epigrafe che li ricorda è stata realizzata su una lastra curva178. Anche in questo caso non è possibile stabilire con sicurezza dove questo monumento fosse ubicato. Verosimilmente si trovava in prossimità delle loro proprietà fondiarie che, su base toponomastica, si può ipotizzare si trovassero in val d’Era e/o in val d’Elsa, in quanto lì ricorre il toponimo Ulignano179.

Caso interessante è quello degli Spurii, che possedevano un monumento funerario di cui rimane traccia nell’iscrizione CIL XI, 1791 rinvenuta presso Montevoltraio (podere Fornacchia), datata fra la fine del I e gli inizi del II d.C.187. Il defunto Quinto Spurio Firmino doveva appartenere a una nobile gens di origini etrusche che non ha tuttavia lasciato traccia nella toponomastica del Volterrano188. Incisa all’estremità destra della stessa lapide, si può poi leggere una seconda dedica, quella del liberto Squaetinius Grapthus per la sua padrona, Squaetinia Maximina189. In sostanza, ammalatasi la figlia di Squaetinius Grapthus della stessa malattia della padrona, il liberto aveva fatto voto che avrebbe provveduto a sue spese alla realizzazione della tomba di Squaetinia, se la bambina fosse sopravvissuta. Sebbene non siano noti legami tra gli Spurii e Squaetinia Maximina, è stato ipotizzato da Brunella Michelotti che, una volta estinta la gens Spuria, fosse subentrata nella proprietà un’altra famiglia probabilmente tra II-III d.C.190.

I Pompilii, famiglia di rango equestre i cui membri rivestirono diverse magistrature a Volterra180, nonché imparentati con eminenti famiglie locali181, possedevano un monumento funerario circolare secondo quanto ipotizzato da Ciampoltrini. A conferma di ciò la curvatura della lastra sulla quale è riportata l’iscrizione che ricorda la famiglia. Sebbene non sia possibile stabilire dove fosse localizzato il monumento funerario della gens, Ciampoltrini ha ipotizzato si trattasse di ‘un monumento aperto ed eretto sul piano di campagna’, secondo un uso diffuso a partire dall’età augustea e, in particolare, in seguito ai nuovi assetti proprietari generati dalle deduzioni coloniarie del secondo triumvirato182.

L’iscrizione sepolcrale di Pupiena Cethegilla (CIL XI, 1740)191, rinvenuta a Vada presso il podere Saracine, attesta lungo la costa volterrana fra 200-238 d.C. la presenza di proprietà della famiglia d’origine etrusca dei Pupaini192, cui apparteneva l’imperatore Clodio Pupieno Massimo193.

Dovevano possedere un monumento funerario anche i Vetinae183, famiglia i cui legami con i Gavii e con Volterra sono noti a partire dall’iscrizione efesina CIL, III, 430184. L. Vetina Priscus marito di Didia Quintina fu leg. proc. Asiae nel II secolo d.C. L. Vetina Priscus era forse imparentato con Vetina Mamertinus XVvir sacri

Torelli 1969: 299. L’iscrizione CIL XI, 1773, oggi dispersa, venne rinvenuta in un’area non precisamente localizzata nelle Maremme senesi. Datata al 150-200 d.C., l’epigrafe viene attribuita dagli editori al territorio volterrano. Il testo è il seguente: ‘N(---) III Id(ibus) Nov(embribus)/Diìs/Manibus/ Didiae Q(uinti) f(iliae)/ Quintinae/L(ucius) Vetina/Priscus/uxori optimae/v(ixit) a(nnos) XXVII’. 187 CIL XI, 1791. 188 L’iscrizione di Quinto Spurio Firmino, su cinque versi, è in esametri e presenta errori ortografici che sono stati considerati opera di un lapicida poco esperto. Nell’epigrafe vengono ricordati anche la madre e il fratello del defunto. Quest’ultimo avrebbe voluto sancire l’appartenenza del defunto, quasi sicuramente un figlio illegittimo, in seno alla gens Spuria (fecit socium). L’epigrafe si configura come un vero e proprio atto giuridico di quella che sembrerebbe una gens nobile di origini etrusche se si accetta la derivazione del gentilizio dall’etrusco spur. È stato proposto da Brunella Michelotti che la gens Spuria si fosse trasferita a Volterra in età imperiale, o che vi si fosse insediata già in epoca precedente. La studiosa avanza l’ipotesi che forse uno degli Spurii fosse un veterano delle guerre civili divenuto assegnatario di praedia dopo l’intenzione di Augusto di rimandare parte dei veterani nei municipi d’origine. Cfr. Michelotti 2015: 59-82. Per ulteriori considerazioni cfr. infra paragrafi 3.1; 3.3. 189 CIL XI, 1791. 190 Michelotti 2015: 59-82. Per ulteriori considerazioni cfr. infra paragrafi 3.1; 3.3. 191 CIL XI, 1740. L’epigrafe ricorda la figlia o la nipote dell’imperatore Clodio Pupieno Massimo. Il testo è il seguente: ‘Pupieniae Cetĥe/ gillae c(larissimae) p(uellae) R̂ H/Pupienius Euty/chianus et Pupi/enius Philumenus/Nutritores’. 192 L’attestazione della famiglia a Volterra sarebbe confermata dall’iscrizione CIE 94, su un’urna volterrana conservata a Lione e da un’altra che cita S. Pupaina. Cfr. Consortini 1938: 68. 193 M. Clodius Pupienus Maximus, di estrazione senatoria e console per la seconda volta nel 234 d.C. salì al trono nel 238 d.C. Per il legame particolare di questo personaggio con la cultura etrusca cfr. Ramelli 2003: 108-109 e nota 12; Syme 1971; Syme 1983; infra paragrafo 4.1. 185 186

(Fiumi 1947: 375). Un altro Sburleo è riportato nella carta del 1812 da Luigi Campani appena fuori porta San Felice a Volterra. È possibile collocare questo toponimo all’incrocio tra la Ss. 68 e la strada che conduce a Porta san Felice (Pasquinucci-Genovesi 2005: 37 e nota 18). Un ultimo Sburleo è poi attestato presso Sant’Ottaviano lungo la via che portava a Firenze. Il toponimo è citato negli Statuti del Comune di Volterra negli anni 1238-1241 come ‘Muslleum de Sancto Octaviano et Eram’ (Fiumi 1947: 374, nn. 18). Il percorso di questa strada, la cui importanza sarebbe attestata dalla presenza della chiesa medievale di San Ottaviano, doveva attraversare i centri di Mommialla, il Castagno, Gambassi per giungere infine a Firenze (Fiumi 1947: 374-375). 177 Ciampoltrini 2008a: 25. 178 CIL, XI, 1758. Il testo ricorda: ‘Q(uintus) Aulinna Sex(ti) f(ilius)/ Sab(atina)’. 179 Chellini 1997: 385; Ciampoltrini 1983: 269. 180 CIL XI, 7066 ritrovata a Volterra presso l’area delle terme di San Felice. Cfr. infra paragrafi 1.2.10; 3.1.4. 181 Il legame più evidente è quello con i Laelii. Cfr. Ciampoltrini 1983; Munzi 2000b. 182 Cfr. Ciampoltrini 1983. 183 Il gentilizio Vetina, derivante dall’etrusco Vetna-i non è attestato a Volterra in etrusco, mentre se ne conoscono diversi esempi a Perugia, Chiusi, Cortona Torelli 1969: 299; Hadas-Lebel 2004: 267. Vale per la gens Vetina lo stesso discorso fatto per i Cecina e i Volasenna relativamente al conservatorismo onomastico rappresentato dalla terminazione in “-na” del gentilizio, tipicamente etrusca. A tale proposito: Hadas-Lebel 2004: 321; 324. 184 ‘L(ucio) avio Sab(atina) Vescenniano domo Volaterras / equo publico ex quinq(ue) decuriis / comiti L(uci) Vetinae Prisci legati’. Su questa gens e sui legami con Volterra infra paragrafo 1.2.1.

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Poteri e strategie familiari di Volterra accompagnarsi a ulteriori fenomeni di riassetto del potere a livello locale201.

Poiché diverse epigrafi nel Volterrano testimoniano, nel passaggio tra II e III secolo d.C., l’avvento di individui non attestati precedentemente nel territorio, bisognerà riflettere sull’eventualità che un generale fenomeno di riassetto del potere locale si sia verificato in quel periodo. Difficile stabilire se tale fenomeno possa essere stato indotto dalla contingenza di fattori, fra cui, forse, la famigerata peste d’età Antonina con la concomitanza dell’estinzione di alcune famiglie e la conseguente affermazione di nuovi proprietari194.

2.2.2. Le proprietà dei domini di origini non etrusche Fra i proprietari di terre nel Volterrano è possibile individuare alcuni membri appartenenti a famiglie di origini non etrusche che erano parte dell’élite locale dal momento che rivestivano cariche politiche in città o facevano parte del senato cittadino, perché erano imparentati con le più importanti famiglie di Volterra, o perché avevano dei rapporti con queste ultime. L’analisi dei toponimi prediali aggiunge in qualche caso informazioni circa la probabile localizzazione delle proprietà di queste gentes.

Fra i più tardi esempi di proprietari etruschi di Volterra si può menzionare Pestina Apricula, il cui sarcofago in marmo venne scoperto nel 1900 a Scorgiano (Siena), in una località prossima al tracciato dell’antica via Cassia195(Fig. 2.3). Sebbene non siano pervenute informazioni esaustive riguardo la gens Pestina, il gentilizio potrebbe derivare dall’etrusco Pestiu196. Il sarcofago doveva essere ospitato in una tomba monumentale in prossimità delle proprietà della famiglia. L’iscrizione posta sul sarcofago è oggi quasi del tutto deteriorata, ma è possibile ricostruirla grazie ad alcune foto scattate prima della Seconda Guerra Mondiale197. Confronti stilistici con due sarcofagi conservati a Roma presso il Museo Nazionale Romano e Palazzo Corsini, hanno portato a datare il sarcofago di Pestina Apricula fra la fine del III secolo e l’inizio del IV d.C.198. L’iscrizione sul sarcofago presenta le ultime due righe abrase e la tipica dedica ai Mani nella prima riga, così vicina alla seconda da far pensare che essa sia stata aggiunta. Nadia Casini ha però ipotizzato che le abrasioni e l’aggiunta della dedica agli dèi Mani fossero state effettuate all’inizio del IV secolo, o in seguito a discordie familiari, o nel tentativo dei discendenti di Pestina Apricula di sfuggire alle denunce per l’appartenenza alla comunità cristiana199. L’eventuale appartenenza di Apricula alla comunità cristiana e le aggiunte/abrasioni nell’iscrizione sul sarcofago potrebbero riflettere dunque nel territorio di Volterra gli esiti dell’ultima persecuzione sotto Diocleziano (303 d.C.). Quello che interessa al momento sottolineare riguardo al caso di Pestina Apricula è che, come rilevato anche da Nicola Terrenato, ‘ancora in età tardo-imperiale, buona parte dei proprietari terrieri dell’ager Volaterranus poteva vantare un’origine etrusca’200. La comparsa di nuove élite legate alle proprietà della comunità cristiana dovette chiaramente

Il primo gruppo di gentes appartenenti all’élite di origini non etrusche, che sicuramente dovevano avere delle proprietà nell’ager Volaterranus, comprende le famiglie di C. Celtus Severus, A. Novius Pliconti, C. Traulus Phoebus, che avevano rivestito cariche politiche o religiose a Volterra. Nella prima metà del I secolo d.C., Caius Celtus Severus, era stato questore, edile, pontefice a Volterra, come ricordato dalla perduta iscrizione CIL XI, 1745202. L’iscrizione, rivenuta nel territorio di San Miniato, doveva appartenere a un monumento funerario nei pressi delle proprietà di C. Celtus Severus nel settore nord-orientale dell’ager Volaterranus. Per quanto riguarda i due seviri augustali, individui di origine libertina il cui ruolo all’interno dell’élite di Volterra era sancito dall’essere incaricati al culto imperiale, non si hanno molte informazioni che consentano la certa localizzazione delle loro proprietà. Le epigrafi che ricordano i due individui, infatti, sono state rinvenute nel centro urbano203. La toponomastica può tuttavia essere d’aiuto per avanzare qualche considerazione aggiuntiva. Al sexvir augustalis Aulus Novius Pliconti è possibile collegare il prediale Nubiano (>Novianus/Novius) in val di Cecina204, dove probabilmente aveva delle proprietà, mentre Caius Traulus Phoebus205, doveva avere dei possedimenti al confine meridionale del territorio volterrano, forse attestati dal toponimo Tragoli (>Traulus)206. Un secondo gruppo di proprietari nel Volterrano comprende Aelii, Allii, Laelii, Ligures, tutte famiglie di origine non etrusca i cui membri facevano parte del senato

Sull’impatto della peste in età Antonina, Lo Cascio 2012; Ciampoltrini 1994a: 225-239. Per ulteriori considerazioni in merito infra paragrafi 3.1; 3.3. 195 Per le vicende relative alla scoperta del sarcofago e la sua descrizione si rimanda a Casini 1957: 76-87. 196 Terrenato 1998: 102. 197 Il testo dell’iscrizione è il seguente: ‘D.M./Pestiniae Apriculae/ Matrimerenti/[----------]/[--------].’. Casini 1957: 86-87, Tav. XLVI, 2. 198 Caratteristica del sarcofago di Apricula è quella di recare una decorazione incisa piuttosto che in rilievo. Sembrerebbe che il sarcofago fosse stato realizzato a partire da un cartone di derivazione orientale e, probabilmente, da un disegno creato per mosaici. Uno degli elementi importanti per la datazione del sarcofago è il ritratto della defunta entro un clipeo. La donna è raffigurata in posa ieratica e con una capigliatura propria dell’età post-severiana che fa datare il sarcofago fra 280 e 300 d.C. Cfr. Casini 1957: 77-86. 199 Casini 1957: 77-86. 200 Terrenato 1998: 102. 194

201 Le origini della comunità cristiana a Volterra sembrerebbero alquanto antiche in quanto la tradizione agiografica riporta che il volterrano San Lino sarebbe stato secondo papa dopo San Pietro. Le persecuzioni cristiane nel Volterrano ai tempi di Diocleziano sono poi ricordate nell’agiografia locale dalle vicende delle sante Attinia e Greciniana martiri (Furiesi 2003; Fornaciari et Al. 2004). Per ulteriori considerazioni sul cristianesimo a Volterra cfr. infra paragrafi 1.3.2; 4.3.3.; 4.4. 202 Infra paragrafo 1.2 e Fig. 1.14. 203 Infra paragrafo 1.2.5. 204 Pieri 1969: 122. 205 Infra paragrafo 1.2.5. 206 L’attestazione è nel Grossetano. Cfr. Pieri 1969: 86.

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ locale. Di queste, solo per gli Aelii207 e gli Allii è possibile avanzare qualche considerazione sulla localizzazione delle relative proprietà, mentre nulla è possibile ipotizzare sulle proprietà dei Laelii208 e dei Ligures209. Tuttavia, come prerequisito per l’ammissione all’ordine dei decurioni, dovevano essere proprietari di una residenza all’interno della città o nell’ager di sua pertinenza210.

attribuibili ai Marii nel Volterrano, secondo Riccardo Chellini, sono da localizzare a Chianni e Villamagna, dove ricorre il prediale Maiano (>Marius)217. Le proprietà del primipilare A. Resius L. f. Maximus218, che ebbe un sepolcro presso Fatagliano219, potrebbero essere localizzate, oltre che nei pressi del monumento funerario, nell’area orientale dell’ager Volaterranus, presso Monteriggioni, dove ricorrono i toponimi Monteresi (>Resius) e le varianti Riciano-Risciano220.

Gli Aelii potrebbero forse essere stati proprietari di fundi nei pressi di Guardistallo, dove ricorre il toponimo Montieri (>Mons Aelii)211. La localizzazione in questa zona di proprietà degli Aelii potrebbe d’altronde essere rafforzata dalla presenza nella medesima area delle proprietà dei Persii, gens con la quale dovevano esservi dei legami, forse parentali, dal momento che i gentilizi delle due famiglie appaiono in associazione anche nei loca della proedria del teatro212. Anche in questo caso, la contiguità delle proprietà terriere potrebbe quindi riflettere una strategia familiare simile alla già citata ‘isole di proprietà delle parentele’ dell’età moderna, e funzionale alla condivisione di interessi economici e politici tramite vincoli di amicizia e/o parentela213.

La famiglia dei Papii, attestata a Volterra nel terzo quarto del I a.C. come testimoniato dall’urna MG 756221, manteneva ancora proprietà nel territorio come dimostrerebbe l’epigrafe di Sextus Papius Sex. f. Severo Volaterris un milite della XIV coorte urbana222. Le proprietà della famiglia potrebbero essere localizzate in prossimità di Pomarance, dove ricorre il toponimo Poggio Papi223, e nei dintorni di Volterra dove si trova una località detta Papignano224. Infine, le proprietà del pretoriano L. Sextilius L. f. Probus225 potrebbero essere localizzate al confine orientale dell’ager Volaterranus, nei pressi di Sovicille, dove ricorre il toponimo Stigliano (>Sextiliano)226.

Gli Allii dovevano forse possedere fundi in prossimità di Monteriggioni, dove a livello toponomastico ricorreva infatti il toponimo Alli, località oggi non più rintracciabile214.

Fra le più tarde attestazioni di proprietari non etruschi nel territorio di Volterra si fa menzione del nobile Vittorino, nato nella seconda metà del IV secolo d.C. a Tolosa, in Gallia. Vittorino aveva ricoperto l’incarico di vicarius britanniarum fra 395 e 406 d.C. e, successivamente alle devastazioni di Ataulfo a Tolosa (413 d.C.), era stato costretto ad abbandonare le sue proprietà in Gallia e si era trasferito nella campagna toscana dove possedeva una villa. La villa di Vittorino doveva essere nel territorio di Volterra, a poca distanza da quella di Albino Cecina presso Vada Volaterrana227. Nel suo racconto, Rutilio Namaziano

Un terzo gruppo di proprietari di origine non etrusca nell’ager Volaterranus comprende Marii, Papii, Resii, Sextilii, gentes di rango equestre. Per queste famiglie le attestazioni epigrafiche e la toponomastica sono d’aiuto per avanzare ipotesi circa la localizzazione dei fundi di proprietà. Il cavaliere Sextus Marius Montanus, sulle cui origini non è possibile dire molto215, è attestato nell’ager Volaterranus nel II secolo d.C., come è possibile leggere nell’iscrizione rinvenuta al piano di San Sisto vicino Pomarance216. Fundi

217 Il toponimo è inoltre attestato anche a Montelupo, Castelfiorentino e Tavernelle Val di Pesa. In merito Chellini 1997: 387. 218 Anche Luigi Consortini collega con cautela il gentilizio Resii all’etrusco Resnai, che sarebbe stato attestato a Volterra dalla perduta iscrizione CIE 78. Si è deciso pertanto, di inserire il primipilare fra i possessores di origine latina. Considerando poi che il prenomen del padre è Lucius, raro nelle attestazioni dell’Etruria settentrionale e meridionale (Hadas-Lebel 2004: 99-116), è possibile forse che questo personaggio fosse uno dei coloni che beneficiarono della centuriazione triumvirale del Volterrano. La scelta del nome etrusco Aulo per il figlio, era forse un tentativo di integrazione nel corpus della comunità. Cfr. Infra paragrafo 4.1.2. 219 CIL XI, 1741. L’epigrafe è datata al 67-100 d.C. Il testo è il seguente: ‘Dis Manib(us)/A(uli) Resi L(uci) f(ili) Sab(atina)/Maximì p(rimi) p(ilaris)’. Cfr. Ciampoltrini 1983: 268. 220 Il toponimo Resi, con le varianti Ressiano-Resciano-Rexiano, è attestato anche nel Senese. Cfr. Pieri 1969: 82; 128. 221 Sull’urna in tufo, cfr. CUV 2.3, 212; 272. Sul fronte l’iscrizione in latino ‘Papia’, sul listello anteriore ‘[---]via. C.f. an[nis---]’. 222 L’epigrafe CIL VI, 32720 è datata 1-130 d.C. Cfr. Gatti 1923. 223 Pieri 1969: 78. 224 Pieri 1969: 123. 225 CIL VI, 37195: ‘Lucius Sextilius Luci filius/ Sabatina Probus/Volaterris miles cohortis I praetoriae/centuria Proculi militavit annos VIII, vixit annos XXIII fratri bene merenti fecit’. Datata 1-130 d.C. Cfr. Gatti 1923. 226 Il toponimo ricorre anche nel senese con alcune varianti. Cfr. Pieri 1969: 133. 227 Donati 2012: 70-71.

Il probabile legame di questa famiglia con il mondo militare potrebbe essere provato da un’epigrafe rinvenuta a Turkmenli/Alexandreia Troas nella provincia d’Asia dove è ricordato un ‘C(aius) Aelius C(ai) f(ilius) Sab(atina) / Rufus / centur(io) leg(ionis) VI Ferrat(ae)’, AE 1997, 1418. 208 A livello toponomastico il prediale Laelianu, riflesso in Lilliano/ Liliano è attestato nel senese. Cfr. Pieri 1969: 110. 209 Unico collegamento, peraltro considerato dubbio dagli editori, sarebbe il toponimo Gusciane (>Ligustiana, Ligustius) presso Rosignano M.mo e Chianni che viene messo in relazione con i Ligures. Cfr. Pieri 1969: 113. 210 Infra paragrafo 1.2.1. 211 Cfr. Pieri 1969: 325. 212 Munzi 2000b: 134-136. 213 Cfr. Casanova 2009: 30; Razi 1993; Merzario 1983. 214 Pieri 1969: 58. 215 Un altro individuo noto da un’epigrafe rinvenuta a Miseno e databile al 151-250 d.C. porta lo stesso gentilizio e cognome del cavaliere volterrano, si tratta di ‘C. Marius Montanus miles classis praetoriae misenensis quadriere venere natione Cilix’. Purtroppo, non è possibile aggiungere alcun tipo di considerazione circa eventuali rapporti fra i due individui. 216 L’iscrizione AE 1982, 32 conservata a Volterra al Museo Guarnacci, ricorda ‘S. Marius Montanus L. f. Sabatina Eques Romano’, insieme alla moglie Veratia Aufidia e al figlio Caius Marius Aufidianus. Riguardo l’epigrafe cfr. Terrenato 2000: 77. Bisognerebbe a questo punto interrogarsi sulla pertinenza o meno della “fattoria” di Podere San Mario (Pomarance). Sulla fattoria di Podere San Mario: Motta-CaminTerrenato 1993; Motta 1997. 207

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Poteri e strategie familiari di Volterra riferisce infatti che l’amico Vittorino228, fatto chiamare dall’ospite Albino Cecina, giunse alla villa presso i Vada Volaterrana nella stessa serata229. Data la rapidità con la quale Vittorino raggiunse la residenza dei Cecina è probabile che la villa del nobile di origini galliche sia da identificare con i resti archeologici presso il sito di Pieve Vecchia a Casale Marittimo (Pisa). In questo sito infatti è stata rinvenuta una villa che, dotata di impianti produttivi per vino e olio, nonché di un complesso termale, venne abitata almeno fino al IV-V secolo d.C.230.

probabile che possedimenti degli Axu si trovassero nella bassa val d’Elsa, dove sono attestati i toponimi Cognano (Belforte) e Cugnanello (Colle Val d’Elsa). A due km dalla località di Cugnanello, nella necropoli di San Martino ai colli, il rinvenimento di una ciotola con iscrizione in etrusco ‘Axu’ potrebbe confermare un interesse della famiglia nell’area sud-orientale del Volterrano232. Ai Fulnei, gens che è attestata nella CIE 52 insieme alle nobili famiglie etrusche di Volterra del III a.C., e il cui nome compare anche su un’urna volterrana oggi conservata presso il museo di Firenze appartenente a Sethra Fulnei233, e sull’urna MG 373 datata alla prima metà del I a.C.234, andrebbero ricollegate proprietà nell’area di Palaia, Laiatico, San Gimignano dove sono attestati i prediali Fognano e Fugnano (>Folnios/Fulni-Fulnei)235.

Da quanto detto finora, emerge che i local potentes di origine non etrusca (Fig.2.2) avessero proprietà localizzate per lo più nell’area settentrionale e orientale dell’ager Volaterranus, per lo più in conseguenza di vincoli matrimoniali e/o di alleanze politiche.

I Macunial erano attestati nel Volterrano unicamente in etrusco, come si può vedere da un’iscrizione su un’urna esposta al Museo Guarnacci236 e dalla CIE 165, rinvenuta in una località imprecisata. La famiglia aveva forse dei possedimenti presso Colle val d’Elsa, dove ricorre il toponimo Megognano (>Magonius/Macunial)237.

2.2.3. Altri proprietari nell’ager Volaterranus Erano proprietari nell’ager Volaterranus anche individui per i quali non è possibile evincere chiaramente il ruolo all’interno della comunità. Per queste famiglie, sulla base della toponomastica prediale, o per la presenza di monumenti funerari attestati dalle epigrafi che ne ricordano i nomi, è possibile ipotizzare le aree in cui dovevano avere possedimenti. Un gruppo di proprietari a sé stante è infine costituito dai liberti della familia Caesaris. Costoro, pur appartenendo alla classe dei liberti, costituivano un gruppo d’élite per la vicinanza alla casa imperiale. Analizzare le aree in cui si possono ricostruire proprietà per questi individui può essere utile per riflettere sull’eventuale ingerenza nel Volterrano della casa imperiale, a un livello più o meno mediato.

Per i Laucumnii, famiglia quasi sicuramente proveniente dall’Etruria meridionale e attestata a Volterra dall’iscrizione CIL XI, 1788238, è possibile ipotizzare su base toponomastica la presenza di proprietà nell’area sud-occidentale del territorio volterrano grazie al prediale Lugugnano (> Laucumnianu) presso Castagneto Carducci239. La famiglia etrusca dei Pumpna/Pomponii, attestata a Volterra dall’iscrizione CIL XI, 1768 rinvenuta presso il foro urbano, aveva legami di parentela con i Cecina240. La famiglia doveva verosimilmente avere alcuni possedimenti nell’ager Volaterranus per i quali non è tuttavia possibile avanzare alcuna ipotesi certa. Occorre poi notare che la vicinanza di come toponimi Cerginano (>Cecina) ai prediali Pumpuna e Pòmpana nel Senese e nel Chiusino, potrebbe lasciare ipotizzare l’esistenza di proprietà contigue delle due famiglie241.

Il primo gruppo è costituito dalle famiglie di origine etrusca degli Axii, Axu, Fulnei, Macunial, Laucumnii, Lauselii, Pomponii. Gli Axu furono una famiglia di origine etrusca che probabilmente si estinse nel corso I secolo a.C.231. È 228 La figura di Vittorino è introdotta da Rutilio dopo che, rinfrancato dall’ospitalità di Albino Cecina, si affaccia a osservare il paesaggio circostante la villa. Servendosi di una contraddizione, Rutilio introduce l’arrivo dell’amico intendendo dimostrare come, da una circostanza infelice (il suo naufragio), possa nascere una grande gioia (rivedere l’amico Vittorino). ‘O quam saepe malis generatur origo bonorum!/ Tempestas dulcem fecit amara moram:/Victorinus enim, nostrae pars maxima mentis,/congressu explevit mutua vota suo./Errantem Tuscis considere compulit agris/et colere externos capta Tolosa lares./Nec tantum duris nituit sapientia rebus;/pectore non alio prosperiora tulit’. (Rutil. Nam., I, 491-498): ‘Oh quanto spesso il male genera un germe di bene! Tempesta amara diede dolce dimora: infatti Vittorino, della mente mia massima parte, qui mi raggiunse, e esaudì i voti di entrambi. Quando Tolosa è caduta, costretto a migrare si è fermato nelle terre di Tuscia dove ora venera Lari stranieri. Ne solo nelle sventure la sua saggezza poté splendere, con animo non diverso affrontò sorti più liete’. 229 Sul legame fra i Cecina di Volterra, Rutilio, Vittorino e, più in generale con il mondo culturale e intellettuale pagano, cfr. infra paragrafi 1.3; 4.3.3. 230 La villa di Pieve vecchia era sorta in età tardo-repubblicana e subì nei secoli varie fasi di ristrutturazione e ampliamento, specie fra II e III d.C. Successivamente alla spoliazione dell’edificio, viene impiantata sul sito una pieve con annessa area cimiteriale. Cfr. Donati 2012: 70-71; Shepherd 1998: 427-450; Donati 2001: 62-65. 231 Cfr. Luchi 1977: 142-144.

Gli Axii sono attestati da un’epigrafe in latino rinvenuta a Roncolla nei pressi di Volterra (CIL XI, 1742)242. L’iscrizione cita un Sextus Axius Philadespotus legato a Varia Luci libertae Severa. Per Axius, probabilmente di Chellini 1997: 383; De Marinis 1977: 56; 232; Maggiani 2007: 139. Consortini 1934b: 60. Si tratta dell’urna inv. 934, cfr. CIE 117. 234 CUV 2.3 n° 85. CIE 127: ‘l.fuln[ai---]ri]l. XXI’. 235 Chellini 1997: 385. 236 L’iscrizione CIE 107 che compare sull’urna MG 229= CUV 2.2, 96 ricorda una ‘Raunthu Titi A. Macunial’. 237 Il toponimo ricorre anche a Tavernelle val di Pesa, al di fuori dell’ager Volaterranus. Cfr. Chellini 1997: 385. 238 CIL XI, 1788: ‘D(is) M(anibus)/Plagallo/Maximino/Laucûmni/a Felicitas/coniugi/b(ene) m(erenti)’. 239 Pieri 1969: 112. 240 CIL XI, 1768: ‘Caecinia L(uci) f(ilia)/Prima v(ixit) an(nos) XIII/ Pomponia mater/Filiae’. 241 Proprietà della famiglia dovevano essere nel chiusino e nel senese cfr. Pieri 1969: 32. 242 CIL XI, 1742. 232 233

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ rango libertino origini etrusche possono essere suggerite dall’esistenza del gentilizio etrusco Achsi243. Riguardo la localizzazione di proprietà degli Axii, il toponimo Asciano riscontrato in due distinte località (Tegoia e Certaldo) potrebbe provare l’esistenza di proprietà ai confini orientali dell’ager Volaterranus244.

e Fistive/Marcianus254, titolari di monumenti funerari nei pressi della villa dei Cecina a San Vincenzino. Non si hanno dati a sufficienza per stabilire dove fossero le proprietà volterrane della maggior parte di queste famiglie, mentre è possibile avanzare qualche ipotesi sui casi di Laberii, Papirii, Pedanii, Publicii, Nummii, Murtii.

La famiglia etrusca di rango libertino dei Lauselii245 è attestata unicamente da un’iscrizione su una stele marmorea (CIL XI, 1734)246 proveniente da Corniano in Valdegola e datata al II secolo d.C.247. A livello toponomastico il nome dei Lauselii sarebbe inoltre attestato dal prediale Usigliano derivante da Lauselianu/Usilius (>Uslnies), nei comuni di Palaia e Lari248, qui dovevano forse trovarsi le loro proprietà.

Sextus Laberius Quietus viene ricordato dall’iscrizione CIL XI, 1779 rinvenuta a Volterra255. Alla sua famiglia sarebbero da collegare predia nelle vicinanze di Pomarance, Villamagna, Micciano, Chianni dove ricorre il toponimo Lavaiano256. Non è possibile stabilire quale fosse il ruolo dei Papirii nella compagine sociale volterrana tuttavia la famiglia, di probabile origine libertina, è attestata a Volterra in due iscrizioni la CIL XI, 1782 e la CIL XI, 7071, in quest’ultima con l’associazione al cognomen Etrusca. Secondo Massimiliano Munzi sembra che non si possa escludere del tutto che il destinatario di uno dei loca della proedria del teatro di Volterra, fra il II e la prima metà del III d.C., sia da riconoscere in un individuo che impiegava un cognomen, Etruscus, attestato a Volterra proprio dalla gens Papiria sopra menzionata257. Sebbene il gentilizio Papirius risulti diffusissimo sia in Italia sia nelle province dell’Impero, bisogna notare che in Etruria settentrionale, durante la prima età imperiale erano noti un Papirius Phileros, membro del collegio dei mercuriali a Pisa258, un L. Papirius Mandatus, augustale a Pisa e a Lucca e coinvolto nella produzione di armi259, una Papiria a Luni260. Poiché il legame di questi Papirii con il territorio pisano è anche attestato a livello toponomastico dalle Fosse Papiriane ricordate nei pressi del lago di Massaciuccoli261 e che l’appartenenza all’élite di Pisa e Lucca è accertata, la presenza di donne che portano il gentilizio Papiria a Volterra potrebbe forse suggerire l’esistenza di politiche matrimoniali volte a rafforzare gli interessi economici della famiglia in Etruria settentrionale262. Al momento non sembra però possibile chiarire ulteriormente gli eventuali legami della famiglia con il territorio volterrano.

Fra le famiglie di origine non etrusca attestate epigraficamente a Volterra, per le quali non è noto il ruolo sociopolitico all’interno della comunità, ma per cui è verosimile ipotizzare avessero proprietà nell’ager, sono i Caecilii249, i Cornelii250, i Laberii, i Papirii251, i Pedanii, i Publicii. Erano invece sicuramente di rango libertino i Calpurnii252, i Nummii e i Murtii ricordati in alcune iscrizioni rinvenute nell’ager e le coppie Aquilinus/Macrothymia253 243 Bacci ricorda il nome della città etrusca Axia (Bacci 1974: 103). Un ‘castellum Axiam’ viene citato da Cicerone come luogo della contesa fra Aebutius e Aulo Cecina (Cic. Caecin., 18). Infra paragrafo 1.2.9; Cfr. Bacci 1974: 103 e Consortini 1931: 20. A tale proposito sarebbe suggestivo ipotizzare un’estraneità degli Axii al corpus civico volterrano e il loro trasferimento e/o inurbamento dall’Etruria meridionale. 244 Chellini 1997: 385. 245 L’origine libertina della famiglia viene proposta da Ciampoltrini in quanto il tipo funerario della stele era impiegato in Etruria dai liberti durante l’età imperiale. Cfr. Ciampoltrini 1982: 7. 246 CIL XI, 1734: ‘D M/M.Lauselio Maxsimo/et Cauliae Thyche/M. Lauselius/Tacitus/et Lauselia Tacita/parentibus et/Faesonia Sabina/et M. Lauselius/Sabinus/neptes bene merentibus/posuerunt’. Si tratta di una stele con frontone triangolare e specchio epigrafico limitati da un doppio listello; nel frontone compare una patera ombelicata. Cfr. Ciampoltrini 1980: 164-165 nota 25. 247 Ciampoltrini 1997: 71. 248 Si nota inoltre che il gentilizio Lausenna è attestato a Florentia (CIL VI, 2684); a tale proposito Ciampoltrini 1980: 165 e Chellini 1997: 387. 249 ‘D.M./Q.Caecili Cerelis et/Naeviae Iadis’ (Bacci 1974: 87 n. 33 e 103). Questi dovevano forse essere proprietari di terre nel senese dove è attestato il prediale Ciciliano/Ceciliano, e anche Nebbiano/Nobbiano (>Naevius/Naevianu). Cfr. Pieri 1969: 98; 121. 250 Attestati su un’urna marmorea che ricorda una Cornelia Q.f. Sympherusae (Cfr. Bacci 1974: 97, 32). Proprietà della famiglia potrebbero essere localizzate in area grossetana dove ricorre il prediale Corneliano. Cfr. Pieri 1969: 103. 251 La famiglia poteva forse vantare legami con il mondo etrusco. Cfr. Hadas-Lebel 2004: 318. 252 CIL XI, 1769 attesta una liberta della gens nell’area di San Miniato. 253 L’epigrafe CIL XI, 1800 venne rinvenuta nei pressi della villa di San Vincenzino a Cecina (Livorno). Il testo è il seguente: ‘Macrothymiae coniugi inco(m)parabîl(i) inextì/mabili dilectissim(a)e castissim(a) e sanctissi/m(a)e univyrie invituperabili inaccusabili/quae vixit mec(um) sine dolo sine fraude ann(os) XX/ m(enses) VI d(ies) XV quam abstulit nefanda dies et atr/a petitio sua funere mersit immeritam an/te tempus benemerit(a)e coniug(i) Aquilin/us testimonium reddens statui titulum/huic sepulchro eius et parentium nn. Cum/quibus voti mei est morari in pace (a)etern̂ a’. Zarker ha evidenziato la ripresa del verso virgiliano che ebbe particolare fortuna nelle epigrafi funerarie e per due volte nella stessa Eneide (VI 429 e XI 28), in riferimento a morti recenti (Zarker 1961: 112-116). Secondo Alessandro Costantini, Aquilinus e Macrothymia sono individui appartenenti ad un contesto pienamente cristiano con radici colte. Cfr. Costantini 2012: 82-83; Donati 2012: 17.

Ai Pedanii apparteneva Pedanius P.f. legato alla famiglia dei Tertii, come attestato dall’epigrafe CIL XI, 1783, rinvenuta presso Vada in località podere Saracine. 254 Nei pressi della villa venne ritrovata anche un’altra iscrizione CIL XI, 1778: ‘Ben(e) mer(entibus)/Iuventati/sorori Fis/tive con(iugi)Ma/rcianus fecit’. L’iscrizione, datata all’età tardo-imperiale venne osservata da Gori e Targioni Tozzetti che la descrivono ‘inter rudera Caecinae’ e ‘a mezza strada tra la Cecina e le Ferriere’. Cfr. Donati 2012: 16-17; Costantini 2012: 82-83. 255 CIL XI, 1779: ‘[------?]/Sex(tus) Labe[rius]/Quietus/Sex(tus) Laberiu[s ---?]’. 256 Chellini 1997: 387; Pieri 1969: 110. 257 Munzi 2000b: 126. 258 CIL XI, 1417. Cfr. Fabiani 2002: 105. 259 CIL XI, 1446 e 1528. Cfr. Fabiani 2002: 106. 260 Fabiani 2002: 107 nn. 80. 261 Ceccarelli Lemut-Pasquinucci 1991: 121. 262 Fabio Fabiani rileva il permanere di significative tradizioni familiari nella storia dei Papirii noti a Pisa e Lucca. Nell’ambito dello stesso gruppo gentilizio erano infatti diversi i membri della famiglia che rivestivano cariche corrispondenti per funzione e ruolo sociale. Cfr. Fabiani 2002: 112.

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Poteri e strategie familiari di Volterra CIL XI, 1753 rinvenuta nel territorio di San Miniato273. Domitius Lemnus appare legato a un’altra schiava di Nerone, Domitia Phyllis274. Si avrebbe così prova della proprietà di un individuo la cui carriera era cominciata come schiavo di Nerone ed era proseguita con la manumissio prima dell’adozione di Nerone nella famiglia di Claudio. Il liberto Domitius Lemnus nel periodo 5054 d.C. venne nominato ‘procurator’ di Nero Claudius Caesar Drusus Germanicus, vertice della carriera per un liberto della casa imperiale275. La presenza di proprietà dei Domitii in val d’Elsa potrebbe essere provata dal toponimo Dometaie, segnalato da Giuliano De Marinis, in una località nei pressi della quale venne rinvenuta una strada selciata a lastre276. Allo stesso modo, l’esistenza di proprietà della famiglia nel cuore delle colline metallifere volterrane, potrebbe trovare conferma grazie all’idronimo Domezzanum attestato presso Montieri277.

L’epigrafe lascia ipotizzare che proprietà di questa famiglia potessero essere qui collocate. Il fatto poi che altri Pedanii noti in Etruria settentrionale fossero dei veterani d’età imperiale potrebbe essere interessante in vista di eventuali legami fra il personaggio di Volterra e il mondo militare263, nonché con le attività imprenditoriali dei Tertii264. I Publicii, attestati dall’epigrafe CIL XI, 1789 in associazione ai Vettii265, potrebbero essere stati proprietari di terre nei pressi di Radicondoli dove ricorre il toponimo Pulicciano266. Per quanto riguarda le famiglie di rango libertino, i prediali Mommialla (Villamagna) o Mugnana (Palaia/ San Gimignano), derivati rispettivamente da Mummius e Munius267, potrebbero forse essere ricollegati ai Nummii, che sono attestati a Volterra dall’urna del liberto C. Nummius Apelles rinvenuta presso la necropoli del Giardino (S. Girolamo)268.

L’ara dedicata a Bellona dal mensor Donax, tra la fine del I e il II secolo d.C.278, rinvenuta nei dintorni di Monteverde Marittimo, attesta la presenza di un liberto della casa imperiale ai confini meridionali dell’ager Volaterranus. Il suo ruolo di mensor conferma l’elevato livello sociale del liberto che doveva essere impegnato nell’amministrazione del patrimonio fondiario imperiale279, mentre la divinità dedicataria dell’iscrizione, Bellona, in cui era identificata la Grande Madre, potrebbe secondo Ciampoltrini, indicare un’origine orientale del dedicante280. Dal momento che, cronologicamente, l’epigrafe si colloca in contemporanea alla generale riorganizzazione delle proprietà imperiali nell’Etruria centro-settentrionale, Ciampoltrini ha ipotizzato un eventuale coinvolgimento di Donax in queste attività. D’altronde la presenza di liberti della casa imperiale era attestata in Etruria, nelle epoche precedenti, specie in aree di confine dove ‘ai margini degli agri centuriati

Infine, l’iscrizione CIL XI, 1780 rinvenuta a Peccioli e datata fra II e III secolo d.C.269 ricorda la famiglia di Murtius Verianus270. Verosimilmente di rango libertino, Murtius Verianus possedeva un terreno nelle vicinanze del luogo di rinvenimento dell’epigrafe, sul quale realizzò un monumento funerario per le due figlie Verina e Floriane271. A proposito di questa epigrafe, Giulio Ciampoltrini ha proposto di collegare la morte delle due ragazze a una più generale situazione di crisi alimentare e disagio che avrebbe portato le defunte a beneficiare degli alimenta pubblici, le cui attestazioni Italia si moltiplicarono proprio fra II e III d.C.272 Un ultimo gruppo di proprietari attestati nel Volterrano comprende i liberti riconducibili alla familia Caesaris, Donax e Domitius Lemnus. La presenza di Domitius Lemnus, procurator di Nerone, nell’ager Volaterranus sarebbe confermata dall’iscrizione

273 CIL XI,1753: ‘Domitiae Phyllidis/C·C·Domiti·Lemni/Procur/ Germanici·Caesaris’. L’ iscrizione, su un’urna in marmo decorata a rilievo, è oggi conservata presso il Museo Archeologico di Firenze. Il Bormann dice che venne rinvenuta presso Montevarchi (San Miniato), De Marinis ne riporta la scoperta in una località imprecisata presso San Miniato (Cfr. De Marinis 1977: 88). Recentemente è stata messa in discussione l’appartenenza dell’epigrafe al territorio volterrano e proposto invece l’acquisto nel mercato antiquario (Cfr. scheda EDR104901). 274 Cfr. Weaver 1972: 38-9; Weaver 1965. 275 Domitius Lemnus nelle epigrafi veniva in quel periodo ricordato come Proc. Germanici Caesaris omettendo lo status Neronis Caesaris. Cfr. Weaver 1965. 276 De Marinis 1977: 94. 277 Chellini 1997: 389. 278 CIL XI, 1737: ‘Bellonae sacr(um)/Donax Aug(usti) lib(ertus)/me(n) sor d(ono) d(edit)’. L’ara venne poi reimpiegata come fonte battesimale nella pieve di Sant’Andrea a Monteverdi Marittimo. 279 I liberti e gli schiavi della casa imperiale, la Familia Caesaris, costituivano una classe privilegiata in quanto il loro padrone e patrono era l’imperatore stesso. Fra i liberti della casa imperiale e l’imperatore vi erano vincoli di patronato e fra i vari liberti sussisteva una sorta di gerarchia dovuta alla particolare branca del servizio imperiale cui appartenevano a seconda del grado professionale e d’avanzamento acquisito in un determinato servizio. Molti dei liberti della casa imperiale erano facoltosi ed erano soliti investire in terreno e attività commerciali. Per approfondimenti Weaver 1972. 280 Sono inoltre questi i secoli in cui si diffondono i culti orientali e la riorganizzazione dei beni imperiali in Etruria settentrionale. A riguardo Ciampoltrini 1997: 601-602.

Cfr. Todisco 1999; Ricci 2010. Infra paragrafo 2.1.2. 265 CIL XI, 1769: ‘D(is)M(anibus)/Publicie Mar/celle Vetti/us Iulianus/ coniugi be/ne merenti/et Vettius Mar/cellus matri/piissime vix(it)/an(nis) XXIIII men(sibus)/III diebus XV’. Sui Vettii cfr. infra paragrafi 1.2; 3.1. 266 Il toponimo è ricordato nell’AD 806 e ricorre anche in area senese come Rigopulciano. Cfr. Pieri 1969: 126. 267 Chellini 1997: 387. 268 A tale proposito Consortini 1938: 66. 269 L’iscrizione CIL XI, 1780 venne rinvenuta nel 1797 a Peccioli durante la demolizione di una casa in cui era stata reimpiegata. Il testo è il seguente: ‘D(is) M(anibus)/Murtius Verinus pa/ter/Murtie(Murtiae) Verine(:Verinae) et/Murtie(:Murtiae) Florianeni/ filiabus male merent/ ibus crudelis pater tit/ulum iscripsit(:inscripsit) Verina/percepit m(ensibus) X vicxit(:vixit) an/nos XII menses V Fl/orianes percepit m(ensibus) XII/vicxit(:vixit) annis VIII m(ensibus) III in/nocentes acceperunt/[a] ṣuo patre quod e(i) debueran[t]’. Riguardo la lettura di questa epigrafe, ai vv. 8 et 10 è incerto cosa percepirono le due ragazze se alimenta, munera, o il battesimo. Le figlie defunte vengono dette ‘male merentes’ per evidenziare la malvagità della sorte che ha sovvertito l’ordine naturale degli eventi. Cfr. EDR113250. 270 Cfr. Ciampoltrini 2004b: 92-93. 271 Ciampoltrini 2008b: 17-29. 272 Ciampoltrini 2004b: 92-93. 263 264

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ si stavano creando delle aree di proprietà imperiale’281. Da qui l’ipotesi che, forse, anche il monumento curato da Donax fosse testimonianza di beni imperiali nel territorio compreso fra Volterra e Populonia282, formati con l’acquisizione di proprietà appartenenti a famiglie di rango senatorio o equestre283.

famiglie volterrane definibili come parte dei supra-local potentes (Figg.2.1; 2.2), si è preferito scegliere i casi dei Cecina e dei Venulei. Queste famiglie avevano diversa origine, ma entrambe di rango senatorio e coinvolte in attività produttive in Etruria settentrionale che, essendo in parte già stati analizzati a livello prosopografico dalla storiografia, agevolano la comparazione ai fini di avanzare considerazioni sull’adozione di strategie familiari a livello sovraregionale, in ambito politico, economico, sociale.

I casi di Domitius Lemnus e di Donax, le cui epigrafi sono state rinvenute ai confini orientale e meridionale dell’ager Volaterranus, inducono a riflettere sull’eventuale presenza di proprietà imperiali nel territorio di Volterra in zone definibili come “marginali” o ‘liminal landscapes’284, tanto più che toponimi come Pietragosta (>Petra Augusti), presso Castellina Marittima285, Fontegusciana (>Augustiana), presso Montecatini val di Cecina286, Palazzuolo (>palatium), presso Monteverdi Marittimo287, sembrerebbero avvalorare tale ipotesi. Tale aspetto verrà affrontato nel capitolo seguente, tuttavia è utile sottolineare che l’Etruria settentrionale, specie nella fascia costiera, rimase limitatamente interessata dalle ingerenze della casa imperiale288. Questa situazione, profondamente diversa rispetto a quella dell’Etruria meridionale, può trovare spiegazione per Volterra nella presenza di un forte gruppo elitario che continuava, ancora in età tardoantica, a gestire politica ed economia grazie a vincoli parentali e un costante negoziato con le élite dell’Impero, il cui esito positivo poteva essere stato agevolato da un’aura di prestigio derivante dall’appartenenza al genos etrusco289.

2.3.1. I Cecina domini etruschi e strategie economiche di lungo periodo291 La famiglia dei Cecina rappresenta uno dei casi più significativi fra le élite di Volterra di origine etrusca coinvolte nella gestione di attività produttive e commerciali. A differenza delle altre famiglie per le quali sono, al momento, note unicamente attività manifatturiere legate alla produzione di laterizi e/o anfore nonché, forse, alla commercializzazione dei prodotti in essi contenuti (vino e olio dalle terre di proprietà), gli interessi dei Cecina erano indirizzati a livello imprenditoriale anche verso altre attività. Analizzarle in dettaglio sarà utile per comprendere: quanto fosse importante il peso economico della gens all’interno della comunità di Volterra; quanto eventuali agevolazioni e/o integrazioni di prodotti in un sistema di mercato a raggio più o meno ampio fossero dipendenti da alleanze politico-economiche o matrimoniali con altre famiglie di produttori; quanto gli interessi privati interagissero nel più ampio contesto imperiale.

2.3. Supra-local potentes a Volterra. Cecina e Venulei, strategie familiari a confronto Seguire le vicende delle singole famiglie finora analizzate tramite le attestazioni epigrafiche in Italia e nelle province imperiali sarebbe risultato poco rilevante ai fini di questa ricerca290. Sebbene fossero diverse le

Alle proprietà dei Cecina a Volterra292 dovevano affiancarsi fundi293 dislocati nell’ager Volaterranus, come testimoniato dai toponimi Cecignano (Colle Val d’Elsa) e Cecina di Lamporecchio (San Miniato) lungo il corso del fiume Cecina294, nonché in prossimità della linea di costa presso Vada, come attestato dai rinvenimenti epigrafici e, in età tardoantica, dal racconto di Rutilio

281 La presenza di liberti o discendenti dei liberti della casa imperiale nelle città dell’Etruria interna è provato dalla dedica dalle colline del Chianti di T. Claudius Glyptus e dal monumento funerario del figlio o liberto di un procurator di Tiberio da Cappiano nel Valdarno inferiore. Cfr. Ciampoltrini 1997: 591-604. 282 Che in quest’area potesse esservi stato un saltus imperiale formatosi tra secoli I e II d.C. sarebbe provato, secondo Ciampoltrini, dalla presenza di proprietà regie longobarde nella Val di Cornia (waldum domini regis). Tali proprietà avrebbero quindi ricalcato lo statuto giuridico delle terre di epoca precedente. Cfr. Ciampoltrini 1997: 602-603. Riguardo il territorio di Populonia in età romana cfr. Gualandi 2005 oltre ai volumi della serie Materiali per Populonia. 283 Ciampoltrini 1997: 591-604. 284 Cfr. Di Paola 2018. 285 Pieri 1969: 60. 286 Pieri 1969: 95. 287 Pieri 1969: 352. 288 In risposta a Celuzza 2015, G. Ciampoltrini ha sottolineato come alla graduale acquisizione da parte della casa imperiale di strutture e insediamenti produttivi lungo la linea di costa dell’Etruria meridionale, sembra corrispondere una situazione diversa in Etruria settentrionale. In questo senso si sottolinea la condizione quasi ‘privatizzata’ della costa settentrionale, come proverebbe il caso di Rutilio si soffermò solo brevemente nei porti strutturati dell’Etruria meridionale, mentre in Etruria settentrionale trovò amici pronti ad accoglierlo in ogni porto. 289 Per ulteriori considerazioni in merito, infra paragrafi 4.1; 4.2. 290 Un tale studio sarebbe stato risultato ostico data la notevole quantità di epigrafi per casi in cui un gentilizio è molto comune, con

la conseguente impossibilità di stabilire effettivi legami per un ampio numero di personaggi; essendo la maggior parte delle iscrizioni frammentarie, o non databili, ricostruire dati prosopografici in un lungo arco cronologico (I a.C.-V d.C.) in assenza di ulteriori dati avrebbe portato a errori grossolani. 291 Per le relazioni familiari della gens cfr. infra Fig. 4.11. 292 Le iscrizioni in latino che ricordano la gens a Volterra a parte le lastre della proedria del teatro, sono per lo più relative ai monumenti funebri della famiglia in città. Fra queste: CIL XI, 1762 ‘Caecina L. f. CaspoVix(it)·anno(s) X[---]’; CIL XI, 1763: ‘A.·Caecina·Cesa(u)la/ Annor·LXX’; CIL XI, 1764: ‘A·Caecina·Selcia·annos·XII’; CIL XI, 1765: ‘L.·Caecina·L·F·Tlaboni·vix(it) annos XXX’; CIL XI, 1766: ‘L.·Caecina Nic/epor·hic’. Iscrizioni pertinenti ad ambito funerario sono anche la CIL XI, 1760: ‘Sex·Caecinae/ex·testamen[to]’ e CIL XI, 1768: ‘Caecinia L.f./Prima V. A. XIII/Pomponia Mater filiae’ rinvenuta presso il foro della città romana. Fanno riferimento a liberti della famiglia CIL XI, 1761 e CIL XI, 1774. Sulle tombe della famiglia Cecina cfr. Oleson 1974; CUV I.1; infra Fig. 4.11. 293 Forse altre proprietà al di fuori del Volterrano potrebbero essere testimoniate dalla diffusione dei gentilizi Caceina/Caceinei a Lilliano presso Castellina in Chianti. Cfr. Acconcia 2012: 291. 294 Cfr. Capdeville 1997: 309.

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Poteri e strategie familiari di Volterra Namaziano295 (Fig. 2.3). Tali proprietà costituivano la base del potere locale e delle attività economiche dei Cecina che da queste traevano prodotti agricoli come olio e vino per la sussistenza e per il commercio. Presso la villa di San Vincenzino a Cecina (Livorno), considerata di loro proprietà296, sono stati infatti rinvenuti una mola olearia e parte di un torcular. L’impianto rustico venne istallato nella prima metà del I d.C. per la produzione su ampia scala di vino, poi commercializzato per il mercato di Roma in contenitori da trasporto le cui officine erano probabilmente ubicate lungo il corso del Cecina. Al vino era associata anche la produzione di olio, almeno per il consumo interno, e successivamente di grano297. Rientrava fra le più importanti attività gestite dai Cecina nel Volterrano la produzione di sale298, che garantiva sicuramente introiti notevoli. La presenza di saline private299 nella villa di Albino Cecina presso Vada Volaterrana300 è attestata da Rutilio Namaziano301, d’altronde l’esistenza di diverse

saline lungo la costa è confermata dalla toponomastica storica302 e dall’archeologia303. Sebbene tale attività sia quindi sicuramente attestata in età tardo-antica, è verosimile che la famiglia possedesse delle saline costiere già nei secoli precedenti. Fra le attività imprenditoriali gestite dai Cecina vi era anche la manifattura laterizia, come attestato da esemplari bollati ‘A. Caecin(a) Sever(us)/C. Caecin(a)Larg(us)’ impiegati nella costruzione del teatro di Volterra304. È stato ipotizzato da Munzi che i Cecina disponessero di una figlina nel Volterrano approntata esclusivamente per la produzione di laterizi destinati alla realizzazione evergetica del teatro, tuttavia non è chiaro dove fosse localizzato l’intero polo produttivo305. La Steinby aveva notato come fosse comune che gentes proprietarie di centri produttivi per laterizi appositamente nati al fine di realizzazione opere d’evergetismo, qualora tale materiale non fosse stato impiegato completamente, avrebbero potuto facilmente smerciare le eccedenze grazie ai loro legami di amicizia e clientela306. Il rinvenimento di tegole bollate da ‘[A.

L’iscrizione CIL XI, 1767 che ricorda ‘A·Caecinae/A·F·Superstiti/ Orbatus nato/hoc monumentum/sua mandaret/ossa senis una viginti / primum cum /iianci pieriso vite /in florei /iuventa’ venne ritrovata presso i ruderi di un monastero a Vada distrutto prima del 1454. L’epigrafe testimonierebbe l’abitudine di realizzare un monumento funerario in prossimità delle proprietà della famiglia. A tale proposito: Zifferero 1991; Augenti-Terrenato 2000; Ciampoltrini 2004b; Ciampoltrini 2008b. 296 La villa di San Vincenzino, sorta alla metà del I secolo a.C. subì interventi di restauro fra la fine del II e la metà del III secolo d.C. e nel IV secolo d.C. Tra la metà del IV e il V secolo d.C. il complesso assunse un aspetto monumentale e tipico dei centri tardoantichi per poi subire la rifunzionalizzazione di alcune aree interne fra fine V metà VI d.C. Dopo la metà del VI secolo e fino al VII l’area viene frequentata, ma in modo svincolato dal complesso residenziale. Per ulteriori approfondimenti circa le fasi di vita del sito e l’attribuzione della villa cfr. Donati 2012: 55-79; Menchelli-Genovesi-Sangriso 2018; infra paragrafo 3.1.3. 297 Donati 2012: 264-272. 298 Il sale ha da sempre costituito un cespite di primaria importanza, nonché cospicua fonte di reddito e potere. Indispensabile per la conservazione dei cibi, per l’alimentazione e la preparazione del foraggio, era un elemento fondamentale nell’economia del mondo antico e il territorio volterrano ne era ricco, specie a livello minerale (salgemma), nelle zone fra Saline di Volterra e Ponte Ginori (Motta 2000: 22). Erano poi note fin dall’antichità diverse sorgenti salate nel territorio di Volterra, di cui alcune erano sfruttate probabilmente già nel 3000-2000 a.C. Tali polle d’acqua salate erano dette in latino ‘muria’, termine impiegato da Sallustio e Persio e perpetrato poi nel volgare ‘moie’. La produzione di sale nel volterrano a partire da sorgenti salmastre rimase viva nell’alto medioevo grazie alla disponibilità di boscaglie da utilizzare esclusivamente per rifornire le moie del combustibile. Per ulteriori informazioni circa la produzione del sale a Volterra dall’antichità al medioevo si vedano: Battistini 1920; Borelli 2000; Hocquet 1990; Filaroni 2010. 299 Il problema relativo alla questione della proprietà pubblica o privata delle saline nel mondo romano sembra essere risolto dalla fondamentale distinzione fra i diversi tipi di produzione: estrazione mineraria ed evaporazione da saline di mare. L’attività estrattiva di sale dalle miniere rientrava nella sfera della proprietà pubblica di una comunità (e quindi dell’Impero), al pari dei metalla (Dig., XXXIX, 4); Hirt 2010: 91; 9798; 287. Per quanto riguarda invece le saline marine, esse potevano rientrare fra le proprietà private di coloro che possedevano residenze lungo la costa, o essere appaltate privatamente da una comunità. Per il diritto romano, infatti, si considerava litus communis genium, la parte della spiaggia raggiunta dalle acque in inverno, ma le saline marittime e le lagune costiere impiegate a questo scopo non erano raggiunte dalle acque e potevano quindi essere considerate res privatas in patrimonio. Cfr. Marzano 2013: 138-141; Carusi 2015: 337-355. 300 Infra paragrafi 1.3.1; 4.3.3. 301 ‘Subiectas villae aspectare salinas/Namque hoc censetur nomine salsa palus/qua mare terrenis declive canalibus intrat/multifidosue lacus parvula fossa rigat. /Ast ubi flagrantes admovit Sirius ignes,/cum pallent herbae, cum sitis omnis ager,/tum catatacturm claustris excluditur aequor,/ut fixos latices torrida duret humus./concipiunt acrem nativa coagula Phoebum/et gravis aestivo crusta calore coit’ (Rutil. Nam., I, 475-484): ‘inganno il tempo osservando ai piedi della villa le saline: 295

è questo il nome che si assegna a quella salsa palude in cui discende il mare per canali di terra ed una piccola fossa irriga specchi divisi in bacini. Ma quando Sirio avvicina le fiamme del suo incendio, l’erba ingiallisce e ogni campo ha sete, con chiuse e cateratte è escluso il mare perché la torrida terra induri le acque ferme’. In merito si vedano anche i successivi passi 485-490. In sostanza, spiega Rutilio, l’acqua di mare circolava all’interno di canali che alimentavano bacini suddivisi in diversi compartimenti. Giunti al culmine dell’estate l’azione del sole, chiuse le cateratte, si raggiungeva la massima concentrazione di salinità, il sale cristallizzava e formava una crosta sulla superficie dei bacini. Cfr. Moinier-Weller 2015: 30-32 e fig. 1. 302 Riguardo le attestazioni di saline a Vada è noto che enti ecclesiastici come i monasteri di Monteverdi Marittimo (luglio 754), di San Savino (aprile 780), Sesto (aprile 1020) e il vescovo di Pisa (marzo 1031), nonché piccoli e medi proprietari laici, furono proprietari di saline. Queste erano misurate in ‘alape’, unità di misura di cui non si conosce l’effettiva corrispondenza, ed erano dotate di cateratte per regolare l’afflusso dell’acqua in argini in muratura (Ceccarelli Lemut 2000: 154), sistema che sembrerebbe simile a quello descritto da Rutilio. Probabilmente a causa del progressivo impaludamento dell’area, a Vada lo sfruttamento delle saline cessò nel corso del ‘200 (Filaroni 2010: 109-164 e nota 21). La presenza di saline è attestata anche nella cartografia settecentesca dove il toponimo ‘padule delle saline’ ricorre nella zona a sud del Cecina (Donati 2012: 66-68), mentre la dicitura ‘terra soda e salinosa’ è attestata nei documenti settecenteschi dell’Archivio arcivescovile di Pisa per un’area a sud del Fine, alle spalle della torre di Vada (Sangriso 2011: 199, note 121-122). Altre saline marittime lungo la costa citate da documenti medievale erano quelle presso la curtis di Asilacto/Bibbona e quelle pertinenti nel 1014 all’ ecclesia sancti Mamme in Cornino poste in prossimità della chiesa stessa (cfr. Filaroni 2010; Galoppini 2012; (Sangriso 2011: 202). 303 Convincenti tracce di attività di produzione del sale già in età protostorica sono stati individuati a Isola di Coltano (Pisa), Puntone Nuovo di Scarlino e Duna Feniglia (presso Grosseto). Nei pressi di Vada in località Galafone, durante i lavori di arginatura del Fine sono stati inoltre rinvenuti contenitori grossolani e barre refrattarie destinati alla produzione del sale per evaporazione. Bulzomì 2018: 30-35. 304 La distribuzione delle tegole bollate rinvenute nel teatro non permette di identificare chiaramente la loro appartenenza a specifiche fasi edilizie. Per lo più le tegole provengono dalla porticus pone scaenam; una è stata rinvenuta nella basilica, una nelle terme, due probabilmente dalla terrazza situata alle spalle della summa cavea. Dal momento che probabilmente la massima domanda di tegole si ebbe in relazione alla realizzazione della copertura della porticus in età Claudia, è possibile che parti di una produzione laterizia del primo cantiere fossero state impiegate in seguito. Cfr. Fiumi 1955; Munzi 1994: 394-395; MunziTerrenato 2000; Pizzigati 1995; Pizzigati 1997. Sul teatro urbano, infra paragrafi 1.2.10; 3.1.4. 305 Munzi 1994: 395. 306 Steinby 1981: 227-237.

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ CAEC.CL(?)AR]’ presso l’isola d’Elba prova, tuttavia, uno smercio di parte della produzione dei Cecina al di fuori dell’ager Volaterranus negli stessi anni in cui era in costruzione il teatro a Volterra307. Le tegole da copertura bollate ‘[A.CAEC.CL(?)AR]’, costituiscono la principale attestazione sui bolli laterizi rinvenuti presso la villa delle Grotte all’isola d’Elba308 identificata come residenza di L. Aurelius Cotta Maximus Messallinus309, personaggio legato a quella che Syme ha definito ‘Augustan aristocracy’310. La formula onomastica riportata sui bolli laterizi è di difficile lettura e presenta un’abbreviazione anomala311. Se questo bollo fosse riconducibile al’Caecina A.f. Largus che appare nell’iscrizione dedicatoria del teatro di Volterra312 (Fig. 2.4), personaggio identificato con Caio Silio Aulo Cecina Largo precedentemente all’adozione nella famiglia dei Silii avvenuta tra 8 e 12 d.C.313, l’attestazione potrebbe suggerire diverse implicazioni. In primo luogo, sarebbe provata l’esistenza di una produzione laterizia dei Cecina

nel Volterrano che, almeno dall’epoca in cui cominciarono i lavori per il teatro di Volterra (1 a.C.), riforniva anche il cantiere elbano della villa delle Grotte314, prova di produzione, quindi, non strettamente limitata all’opera evergetica. In secondo luogo, analizzando i bolli dei Cecina rinvenuti all’isola d’Elba e quelli del teatro di Volterra si rileva una sostanziale differenza: mentre nella villa delle Grotte vennero infatti impiegati laterizi bollati da un unico personaggio, per la realizzazione del teatro di Volterra i bolli attestano in associazione due membri della famiglia, Aulo Cecina Severo315 e Caio Cecina Largo316. Ciò potrebbe far ipotizzare un coinvolgimento di membri della famiglia nella produzione, a diverso livello, a seconda che si trattasse di attività commerciali o di opere evergetiche317. Un eventuale coinvolgimento dei Cecina nella produzione di sigillata all’inizio del I secolo d.C. potrebbe essere provato da due bolli in planta pedis menzionanti C. Cae( ) Sev(), a Roma318 e a Corinto319. Tuttavia, non è possibile al momento avanzare ulteriori considerazioni in merito data la frammentarietà e la mancanza di consistenti riscontri archeologici.

Dallai-Ponta-Shepherd 2006: 179-190. La villa venne realizzata in età Augustea con materiali in parte provenienti da Roma e dal Lazio (lastre campana con soggetti legati alla propaganda augustea e laterizi impiegati nella costruzione del quartiere termale), in parte con materiali locale (calcare grigio, rocce ofiolitiche e serpentini dall’Elba, tegole di copertura dal vicino agro volterrano). Questi ultimi erano rappresentati in maggiore percentuale nell’edificio. Cfr. Dallai-Ponta-Shepherd 2006: 179-181; Casaburo 1997: 28. 309 Cotta Massimo era il figlio minore di M. Valerius Messalla Corvino, oratore e amico di Augusto promotore di un circolo letterario, e di una Aurelia degli Aurelii Cottae, sposata in seconde nozze. È noto che Cotta Massimo venne raggiunto nella sua residenza elbana da Ovidio in partenza per l’esilio nell’8 d.C. Per ulteriori approfondimenti cfr. Dallai-Ponta-Shepherd 2006: 179-190. 310 Syme 1986. 311 Casaburo 1997: 28 e tav. 29f. 312 L’epigrafe di dimensioni monumentali (m. 2,98 di lunghezza max. per 0,42 di h.), è disposta su due registri allineati e ricorda ‘A. Caecina A.f. Severus co(n)s(ul) [--- ?]/C. Caecina A.f. Largus co(n)s(ul) [ ---?]’. I due Caecina, Aulus Severus e Caius Largus, vengono detti entrambi Auli filii, in connessione con i loro mandati consolari. Caius Cecina Largus, essendo contemporaneo di Aulus Severus non può essere identificato con il Cecina Largus di età Claudia. L’identificazione proposta è invece con C. Silius Aulo Cecina Largus adottato dalla gens dei Silii. La scelta di omettere il nome della famiglia adottiva nella dedica può essere stata indotta da questioni di “visibilità” della famiglia Cecina a livello locale. Accettando questa identificazione emerge il ruolo simbolico del teatro di Volterra strettamente connesso alle vicende familiari dei suoi dedicanti. Cfr. Munzi 1994: 389; Pizzigati 1995; Pizzigati 1997: 125 e nota 2; Pizzigati 2020; infra paragrafi 1.2.10; 4.3.1; Fig. 2.4. 313 La gens dei Silii era di recente nobiltà e la sempre più frequente pratica dell’adoptio testamentaria consentiva non solo di rinsaldare i vincoli di amicizia e di alleanze fra famiglie, ma anche di salvaguardare gli interessi patrimoniali di gentes prossime all’estinzione. L’adoptio testamentaria prevedeva solo la condicio nomini ferendi; l’adottato, in pratica, diventava automaticamente erede del patrimonio della famiglia adottante, ma non entrava sotto la patria potestà del testatore, mantenendo la linea di discendenza agnatica, compresa la vecchia filiazione, continuando a vivere in seno alla famiglia di origine e salvaguardando la propria clientela. Cfr. Pizzigati 1997: 140. È probabile che legami fra i Silii e i Cecina furono stretti in occasione delle campagne militari di Augusto nell’ultimo quarto del I a.C. cui presero parte P. Silius Nerva, console del 20 a.C. e A. Cecina Severus la cui carriera militare cominciò probabilmente nel 26 a.C. Nel 3 d.C. la gens Silia era a rischio d’estinzione, dal momento che A. Licinius Nerva Silianus era stato adottato tra i Licinii pleno iure, e il figlio di P. Silius Nerva, era ancora in tenera età. Il problema venne quindi risolto con l’adozione testamentaria di A. Cecina Largus, probabilmente fratello di A. Cecina Severo, persona adulta e fidata che avrebbe rappresentato i Silii e tutelato il nipote fino alla maggiore età. I Cecina avrebbero d’altronde guadagnato da una simile adozione, rafforzando la propria posizione, ma soprattutto potendo disporre di nuove risorse economiche utili al mantenimento dei requisiti di censo e per costose iniziative quali la realizzazione del teatro di Volterra. Cfr. Pizzigati 1997: 146-147; Roberto 2018 e infra Fig. 4.6. 307 308

L’uso di materiali locali per la realizzazione del teatro di Volterra come il calcare di Pignano, la selagite di 314 Per le cronologie riportate cfr. Munzi 1994: 394; Pizzigati 1997: 130131; Dallai-Ponta-Shepherd 2006: 188. 315 Si tratta dell’Aulo Cecina Severo famoso per il discorso tenuto in senato nel 21 d.C. riportato da Tacito (Tac., Ann., I, 33-34) relativo alla sconveniente presenza di donne sul campo di battaglia al seguito dei mariti. Cfr. Syme 1986; Barrett 2005; infra paragrafi 1.2.9; 4.3.1. 316 Tacito non ricorda alcun legame di parentela fra i due personaggi, Pizzigati tuttavia nota che ‘in un momento di tensione tra le legioni in un settore di grande importanza strategica come la regione renana […] occorrevano persone scelte non solo per esperienza e qualità personali, ma anche per l’attaccamento al comune vincolo familiare nonché all’affiatamento e dedizione nei confronti di Germanico e Augusto’. Cfr. Pizzigati 1997: 149 e nota 83). C. Silius rimase in Germania dal 14 al 21 d.C. mentre Severus dal 14 al 16 d.C. In sostanza, questo legame di parentela fra Aulo Cecina Severo e C. Silio, li univa anche nello stretto rapporto con Germanico, loro generale sulla frontiera renana. Germanico era destinato ad essere successore di Augusto dopo la morte prematura di Marco Claudio Marcello e dei giovani Caio e Lucio Cesari e l’adozione da parte di Tiberio (suo zio) nel 4 d.C. Secondo Svetonio (Calig., 3) Germanico riuniva in un grado mai raggiunto da nessuno tutte le qualità fisiche e morali. Era bello e valoroso senza paragoni, possedeva doti superiori di eloquenza e cultura, era straordinariamente buono e sapeva conciliarsi la simpatia e l’affetto di chi lo circondava. La morte di Germanico avvenne ad Antiochia nel 19 d.C. dove era stato inviato da Tiberio a condividere il comando dell’esercito con il proconsole di Siria, Calpurnio Pisone. Quando Germanico venne trovato avvelenato si sospettò un delitto politico. Il sospettato coinvolgimento di Tiberio nell’assassinio del nipote giustificherebbe l’atteggiamento di reciproca ostilità nei confronti dell’imperatore da parte di Cecina Severo e C. Silio che, come molti, erano legati al defunto, tanto più che si aprì a Roma un contrasto politico fra l’imperatore e la moglie di Germanico, Agrippina, per la successione al trono. Per ulteriori considerazioni in merito cfr. Roberto 2018; Pizzigati 2020, infra paragrafi 1.2.10; 4.3.1. 317 Un fenomeno analogo è quello dei laterizi bollati dei Venulei che, per quanto riguarda la realizzazione di attività evergetiche, presentano in associazione due membri della gens, mentre per tutti gli altri casi d’impiego e per lo smercio sul mercato, citano un unico esponente della famiglia. 318 CIL XV, 5071 1; Guagliumi-Petriccione 1978: 111, no. 203. 319 Per ulteriori riferimenti bibliografici sul frammento attualmente nei depositi del museo di Corinto si rimanda alla scheda del 190621 del Samian Research Project consultabile alla pagina https://www1.rgzm. de/samian/home/frames.htm

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Poteri e strategie familiari di Volterra Montecatini320, induce anche a riflettere sul legame dei Cecina con la gestione delle risorse del territorio volterrano e con le maestranze impiegate per le attività di costruzione del teatro. L’impiego di marmo bianco lunense nel teatro di Volterra321 induce, poi, a una serie di considerazioni di fondamentale importanza per comprendere a pieno alcune delle relazioni fra gentes che operavano a livello sovraregionale. L’attestazione del toponimo Cecina in due località in area apuana322 e di Cecina di Bardine in Val di Magra (Lunigiana)323, lascerebbe ipotizzare, secondo Alberto Pizzigati, ‘una presenza dei Cecina in area apuana in quanto proprietari di cave di marmo e dei vantaggi economici derivanti dallo sfruttamento economico delle stesse’324. Sebbene non sia possibile provare con sicurezza la proprietà di cave lunensi dei Cecina, oltre all’attestazione toponomastica, nei pressi di Campo Cecina a Fivizzano (Massa) è stata rinvenuta un’epigrafe di dedica all’imperatore Nerone (54-68 d.C.) da parte di L(ucius) Titinius L(uci) f(ilius) Gal(eria) Glaucus Lucretianus325. Diventa a questo punto fondamentale riflettere sul legame dei Cecina con le élites di Luni ed in particolare con i Titinii, il cui gentilizio326 ricorre forse su una delle lastre della proedria del teatro volterrano327. Ciò testimonierebbe un’alleanza familiare a beneficio di scopi politici e/o economici condivisi dal momento che anche

i Titinii, come i Cecina, avevano interessi manifatturieri e mercantili nel campo dei laterizi328 e, probabilmente, anche nel campo dei marmi destinati alle opere evergetiche e all’esportazione329. L’ascesa politica ed economica dei Cecina fu garantita in età Augustea e, successivamente, sostenuta dalla vicinanza all’etruscologo Claudio a C. Caecina Largo, collega al consolato nel 42 d.C. e fra i familiarissimi dell’imperatore330. Interessi dei Cecina nella commercializzazione e/o nell’attività estrattiva del marmo lunense dovrebbero essere precedenti rispetto a questa fase, dal momento che la realizzazione del teatro di Volterra con materiali dall’area apuana si concluse entro il 25 d.C.331. Il coinvolgimento della famiglia Cecina nella commercializzazione del marmo lunense a livello provinciale è attestato poi in età Flavia da quattro epigrafi rinvenute a Tarragona332. Queste ricordano l’attività evergetica di L(ucio) Caecinae C(ai) f(ilio) Gal(eria) Severo, flamen del culto imperiale e praefectus fabrum333, nel foro sull’acropoli di Tarragona, in Spagna. Poiché durante i lavori di restauro dell’acropoli di Tarragona fu ampiamente usato il marmo lunense, è stato evidenziato da Pensabene come il reperimento e la messa in posa di tale materiale, nell’arco di appena un decennio (60-70 d.C. circa), ‘dovette sicuramente implicare rapporti circostanziati tra le élite a capo della gestione dell’estrazione e commercializzazione dei materiali lapidei’334. A tale proposito è interessante notare alcuni elementi. In primo luogo, dal 63 al 65 d.C. L. Titinius Glaucus Lucretianus, individuo per cui sono stati messi in luce i legami con i Cecina, si trovava proprio in Spagna come praefectus pro legato insularum baliarum e tribunus militum nella legio VI Victrix335. In secondo luogo, gli unici individui noti per i quali il prenomen Lucius è abbinato al gentilizio Cecina, oltre al caso citato di Tarragona, sono attestati a Volterra, dove un L. Caecina è ricordato nell’epigrafe CIL XI, 1743336, e a Volsinii, dove un Lucius Caecina L. f. è ricordato in età augustea come questor, tribunus plebis, pretor, proconsule, quattuorvir iure dicundo nonché promotore di un’opera evergetica337.

Cfr. Munzi-Terrenato 2000; Pizzigati 1995; Pizzigati 1997. Nel teatro di Volterra i marmi bianchi coprono in percentuale l’80% circa sul totale, mentre il 15% è costituito dai bardigli e il restante 5% dai colorati. Sebbene nell’ager Volaterranus fosse nota una zona estrattiva nell’area del Campigliese (località Campo alle buche, Botro ai marmi, valle del Manienti), dove l’estrazione fu però non regolare nel tempo, le analisi di petrologia effettuate su campioni di marmo prelevati dal teatro di Volterra hanno confermato che il marmo impiegato per la realizzazione del teatro romano presenta caratteristiche geomorfologiche vicine ai campioni provenienti dall’area apuana (località Campo CecinaMassa). Cfr. Pizzigati 2007: 71-74; Per ulteriori informazioni sui marmi e l’apparato decorativo nel teatro volterrano si veda il recente Pizzigati 2019; 2021. 322 Il toponimo ricorre in località Campo Cecina a Carrara (Massa), una zona non interessata da alcuna attività estrattiva dal momento che la roccia non è marmifera, e in località Cecina a Fivizzano (Massa), situata a nord della zona di estrazione. Ricognizioni di Alberto Pizzigati su materiali marmorei rinvenuti nei dintorni hanno evidenziato, a un riscontro oculare, le stesse caratteristiche delle grandi cornici a modanature lisce ricollocate nei podi del I ordine della frontescena volterrana. Cfr. Pizzigati 2007: 74-75. 323 Capdeville 1997: 309. 324 Pizzigati 2007: 75-76. Riguardo le cave lunensi, è noto che già dall’epoca augustea suscitarono gli interessi della casa imperiale e il marmo bianco venne usato per i grandi progetti urbani. È controversa la datazione del passaggio delle cave sotto il demanio imperiale. Il decreto di Tiberio del 22 d.C. rendeva di proprietà imperiale le attività estrattive, ma fu forse solo in età neroniana che le cave lunensi passarono all’imperatore. È verosimile che solo parte delle cave passò sotto il controllo dell’imperatore e che all’amministrazione imperiale si affiancarono l’amministrazione della colonia e l’imprenditoria privata delle classi dirigenti locali. Queste ultime riuscirono ad arricchirsi grazie agli appalti per le attività estrattive, ma anche grazie alla gestione del trasporto dei materiali via mare o con il subappalto a privati di origine libertina o servile. Quella di Luni era quindi una gestione mista e partecipata per lo sfruttamento delle risorse. Cfr. Pensabene 2010: 2426; Hirt 2010, Paribeni-Segenni 2014: 307-328; Frasson 2014: 70-73. 325 Sull’epigrafe CIL XI, 1331 si rimanda a Frasson 2014: 38-49. L. Titinius Glaucus Lucretianus aveva svolto la carriera equestre sotto Claudio e Nerone e ricoperto le maggiori cariche amministrative nella colonia di Luni grazie all’appoggio degli imperatori e, forse, dei Sulpicii Scribonii che erano fra i maggiori proprietari di cave lunensi. 326 Il gentilizio viene classificato come di origine etrusca forse proveniente dall’Etruria meridionale. 327 Munzi 2000b: 134. 320 321

Tegole bollate da Titinius Glaucus Lucretianus sono state rinvenute anche a Cosa nello strato di crollo di una delle domus. Aggiornamenti sono stati in merito forniti durante il convegno “Mediterraneo Toscano (MediTo). Paesaggi dell’Etruria romana”, Civitella Paganico (GR), 2930 giugno 2018 i cui atti sono in corso di stampa. 329 Tegole bollate da questa gens sono state rinvenute infatti nel teatro di Luni come in altre località in Etruria meridionale. 330 Capdeville 1997: 297. 331 Munzi-Terrenato 2000. 332 Sebbene le epigrafi siano da riferire ai lavori iniziati in epoca Flavia, Tacito (Tac., Ann., I,78) riporta l’autorizzazione concessa da Tiberio ai Tarraconensi già nel 15 d.C. per la costruzione di un tempio al Divo Augusto che fosse d’esempio per le altre province. Con Vespasiano il culto imperiale assunse poi carattere, provinciale e importanti lavori edilizi vennero ripresi nell’acropoli di Tarraco (Pensabene 2010). 333 Sulla praefectura fabrum si rimanda al recente Cafaro 2021. 334 Pensabene 2010; Pensabene 2013. 335 La presenza di Titinio Lucreziano in Spagna, sotto il comando di Galba, sarebbe stata una strategia della casa imperiale data la necessità di un uomo di fiducia in un contesto dove era noto che molti cavalieri e militari erano coinvolti nella congiura dei Pisoni, volta all’eliminazione dell’imperatore Nerone. Cfr. Ciampoltrini 2015: 63-67. 336 CIL XI, 1743. 337 CIL I, 2515. Sul personaggio si veda anche Capdeville 1997: 300 nota 315 e infra Fig. 4.11. 328

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ Infine, nelle epigrafi tarraconensi Lucius Caecina Severo è ricordato come appartenente alla tribù di voto Galeria e non alla Sabatina, cui apparteneva la città di Volterra. La tribù Galeria era notoriamente quella in cui era iscritta la città di Pisa e la stessa cui era iscritto il liberto dei Cecina, Aulo Cecina Aulo Quadrato, la cui stele funeraria, risalente alla seconda metà del I secolo d.C., venne rinvenuta nei pressi di Portus Pisanus338. Sembra possibile piuttosto ipotizzare forti legami fra L. Cecina Severo a Tarragona e il territorio pisano-volterrano. Del resto, è verosimile che liberti dei Cecina, a Pisa come a Tarragona, si occupassero di curare gli affari commerciali della famiglia339. Il fenomeno per il quale un membro di una gens fosse iscritto a una tribù differente da quella della città di provenienza o che, al contrario, fosse presente anche in un altro centro afferente alla medesima tribù di voto340, indicherebbe tuttavia non solo l’esistenza di proprietà in un altro territorio o interessi gestiti in loco da persone di fiducia, ma forse una vera e propria strategia familiare per garantire la propria presenza in alcuni centri, assicurando i propri interessi economici radicati nel territorio. Poiché a Tarragona il marmo lunense venne impiegato anche nella realizzazione del monumentale tempio dedicato al Divo Augusto, la cui realizzazione si pone in età Tiberiana (14-37 d.C.)341, sarebbe suggestivo ricollegare il coinvolgimento dei Cecina di Volterra anche in questo momento storico con la fornitura di materiali per la realizzazione del monumento e, forse, nel tentativo di captatio benevolentiae nei confronti di Tiberio, dopo la morte di Germanico e l’ostilità dimostrata a Cecina Severo e a C. Silio dall’imperatore342. Se così fosse, le realizzazioni evergetiche tarraconensi di L. Cecina Severo in età Flavia sarebbero state esito di interessi commerciali già stabiliti nei decenni precedenti, poi favoriti dalla forte ascesa della famiglia in età Claudio-Neroniana e, forse, dal legame con i Titinii lunensi343.

ai Pontes longi, decise trasferire l’esercito sul territorio usando le vie d’acqua in modo da agevolare gli spostamenti delle truppe e dei rifornimenti 344. I tre legati consolari Anteio, Caio Silio e Aulo Cecina Severo ebbero il compito di allestire una flotta di mille navi345. La classis allestita da Cecina, Silio, Anteio, avrebbe dovuto contare diversi tipi di imbarcazioni atte alla navigazione marittima e fluviale346. Sebbene non si abbiano ulteriori informazioni a riguardo, la scelta di Germanico di affidare proprio a Cecina Severo e Caio Silio, insieme ad Anteio, la realizzazione delle imbarcazioni fu sicuramente dettata dagli stretti legami di fiducia intercorrenti data l’importanza del progetto. L’ipotesi che l’incarico fosse stato inoltre loro assegnato per il possesso di specifiche competenze tecniche potrebbe essere valido nel caso di Aulo Cecina Severo dal momento che la lavorazione del legno e il taglio del bosco erano fra le attività economiche tradizionali dell’ager Volaterranus347 e che Livio, ricordando gli interamenta navium forniti a Scipione durante le guerre puniche348, avrebbe provato l’abilità artigianale e la specializzazione della manodopera reperibile in loco349. Un’altra attività in cui erano coinvolti i Cecina a livello manifatturiero era la produzione di salse di pesce come testimonia un titulus pictus ‘Sperato A. Caec. Largo’ rinvenuto sul collo di un’anfora betica Dressel 8 presso le cetarie identificate all’interno dell’insediamento di Poggio 344 Per l’analisi dettagliata delle operazioni militari in Germania e il caso di Cecina Severo si veda Roberto 2018: 166-176. 345 La strategia di Germanico prevedeva: ‘diat si mare intretur, promptam ipsis possessionem et hostibus ignotam, simul bellum maturius incipi legionesque et commeatus pariter vehi; integrum equitem equosque per ora et alveos fluminum media in Germania fore’ (Tac., Ann., II, 5): ‘Scegliendo invece la via del mare, l’occupazione poteva risultare rapida per loro e imprevista per i nemici; si poteva anticipare l’inizio della guerra e procedere a un contemporaneo trasporto di legioni e rifornimenti; cavalieri e cavalli sarebbero giunti, attraverso le foci e il corso dei fiumi, con le forze intatte, nel cuore della Germania’. Cfr. infra paragrafo 1.2.9. 346 ‘Igitur huc intendit, missis ad census Galliarum P. Vitellio et C. Antio. Silius et Anteius et Caecina fabricandae classi praeponuntur. mille naves sufficere visae properataeque, aliae breves, angusta puppi proraque et lato utero, quo facilius fluctus tolerarent; quaedam planae carinis, ut sine noxa siderent; plures adpositis utrimque gubernaculis, converso ut repente remigio hinc vel illinc adpellerent; multae pontibus stratae, super quas tormenta veherentur, simul aptae ferendis equis aut commeatui; velis habiles, citae remis augebantur alacritate militum in speciem ac terrorem’ Tac., Ann., II, 6: ‘Punta, dunque, a tale obiettivo e delega a Publio Vitellio e a Gaio Anzio il censimento delle Gallie, mentre Silio, Anteio e Cecina sovraintendono alla costruzione della flotta. Parvero bastare mille navi, subito messe in cantiere: alcune corte, strette a poppa e a prua, ma larghe ai fianchi, per reggere meglio alle onde; altre a chiglia piatta, per arenarsi senza danno; la maggior parte coi timoni alle due estremità, in modo che, invertendo improvvisamente la manovra dei remi, potessero approdare a prua o a poppa; molte fornite di ponte per il trasporto di macchine da guerra ma adatte anche a caricare cavalli e viveri; predisposte tutte all’uso della vela e rapide coi remi, apparivano più imponenti e terribili per l’ardore dei soldati’. Secondo Roberto ‘l’esperienza navale degli ingegneri romani si adattò alle esigenze del clima e del Mare del Nord. Si costruirono navi da guerra, munite di artiglieria che tenesse lontani i nemici, navi da trasporto per uomini, cavalli e vettovaglie, si studiarono gli scafi perché fossero adatti ai fondali e alle operazioni di sbarco, si cercò di rendere le imbarcazioni quanto più manovrabili. La flotta doveva incutere terrore alla sola vista’ (Roberto 2018: 174). 347 Ampie aree boschive nell’ager Volaterranus erano presenti nella Val di Cecina (Motta 2000: 16-19). 348 Liv., XXVIII, 45, 15. Cfr. Sangriso 2011: 177-178 e note 25-27. 349 Paolo Sangriso sostiene che la manodopera volterrana era ‘abituata da tempo ad affrontare i problemi tecnici delle costruzioni navali’. Cfr. Sangriso 2011: 178.

Un’altra attività nella quale erano stati coinvolti membri dei Cecina fu la realizzazione di navi da impiegare nel corso delle campagne militari sul Reno. Nel 13 d.C. Germanico aveva assunto il comando delle operazioni in Germania e preparando la campagna del 16 d.C., specie dopo l’agguato abilmente fronteggiato da Aulo Cecina Severo nel 15 d.C. Ducci-Pasquinucci-Genovesi 2006; Ciampoltrini-CianferoniRomualdi 1983. 339 Pensabene a proposito dei Cecina delle quattro iscrizioni tarraconensi ipotizza che liberti della famiglia si fossero trasferiti in Spagna nel corso del I sec. d.C. per curarne gli interessi. Cfr. Pensabene 2013: 296-297. 340 Volsinii infatti afferiva, come Volterra, alla tribù Sabatina. Infra paragrafo 1.1.2. 341 Tacito riporta l’autorizzazione concessa da Tiberio ai Tarraconensi, nel 15 d.C., per la costruzione di un tempio al Divo Augusto che fosse d’esempio per le altre province (Tac., Ann., I, 78). Le prime fasi relative al tempio d’età tiberiana hanno effettivamente riportato in luce frammenti architettonici in marmo lunense. Cfr. Pensabene 2010. 342 In questo senso è stata interpretata anche la realizzazione del teatro di Volterra e soprattutto la lettura dell’apparato decorativo della frontescena teatrale con la ‘panoramica dinastica’ delle sculture in marmo ricostruita da Alberto Pizzigati. Cfr. Pizzigati 1995; Pizzigati 1997 e 2019. 343 L’evergetismo di L. Cecina Severo in questo periodo avrebbe però potuto avere anche l’intento di riabilitare la famiglia agli occhi di Vespasiano, dopo le congiure in cui erano stati coinvolti alcuni membri della famiglia nel 68-69 d.C. Per ulteriori considerazioni cfr. infra paragrafi 1.2.10; 4.3. 338

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Poteri e strategie familiari di Volterra del Molino a Populonia350. L’insediamento, sorgendo in vicinanza del lago di Rimigliano, poteva contare su un approdo funzionale alla commercializzazione dei prodotti manifatturieri lungo le rotte tirreniche. Secondo gli ultimi aggiornamenti la produzione del garum a Poggio del Molino cessò nella seconda metà del I secolo d.C. quando l’intero edificio fu trasformato in villa marittima. Sembra ragionevole l’ipotesi di attribuire la manifattura al Cecina Largo console del 13 d.C. e fratello di Cecina Severo. A tale riguardo è molto interessante notare che un altro titulus pictus di ‘CCA+CP+, C. Ca+c( )P+(---)’ su un’anfora Dressel 7/11 provenienti dalle stratigrafie individuate nell’area del teatro romano di Volterra, è stato interpretato come pertinente a un Cecina351.

membri della famiglia in altri contesti non esclude la possibilità che la gens avesse interessi o affari altrove nella Penisola. Analizzando le attestazioni dei Cecina nelle province dell’impero356, si possono cogliere elementi interessanti relativamente alle loro strategie familiari. Già nella prima metà del I secolo a.C. è noto che Aulo Cecina, corrispondente di Cicerone, fosse coinvolto in Asiaticae negotiationes357 e che si fosse recato in Asia più di una volta358. L’insistenza di interessi dei Cecina, provate dalle attestazioni epigrafiche, su aree dotate di scali portuali poteva d’altronde essere funzionale all’agevolazione della commercializzazione dei prodotti manifatturieri e della gestione in loco dei negotia. In sostanza, una vera e propria strategia economica della gens coinvolta in reti di alleanze politiche e di mercato a livello sovra-regionale, come sembrerebbe confermato dagli interessi dei Cecina a Vada, a Luni359, Portus Pisanus360, Tarragona. La presenza in loco di agenti di fiducia e/o di membri della famiglia avrebbe agevolato le operazioni commerciali, fungendo da garanzia per la buona riuscita dei negotia grazie al prestigio di cui godevano i Cecina fra le élite dell’Impero. Può in questo modo trovare giustificazione l’iscrizione funebre a ‘Caio Caecina Fidenti’ nel I d.C. ritrovata ad Aquileia, noto porto dell’Adriatico361 mentre un’altra epigrafe datata fra 51 e 75 d.C. ricordava una dedica a C. Caecinae362. A Caio Caecina Fidens era forse legato il cavaliere ricordato nell’iscrizione a C. Caecinae Hermaes Aquileiensis che aveva combattuto in Germania sotto il comando di P. Sulpicio Scribonio Proculo, come attestato da un’epigrafe rivenuta in Pannonia inferior, a Negoslavci, sulle rive del Danubio363. Nella vicina Moesia, provincia dove era stato governatore Aulo Cecina Severo, nel 5-6 d.C., l’ara del cavaliere Marcus Antistius Caecina eques alae

Dopo quanto finora scritto circa le attività imprenditoriali e gli interessi dei Cecina, si dovrà infine notare che le attestazioni di proprietà lungo la costa dell’ager Volaterranus in prossimità dei Vada Volaterrana352, potrebbero far ipotizzare un controllo più o meno diretto della famiglia sulle strutture portuali, cui erano legate le strutture del quartiere di San Gaetano, tramite l’istituzione del collegio dei dendrophori, per il quale è stato del resto ipotizzato un finanziamento da parte di un ricco patrono353. La presenza del collegio dei dendrophori poteva giustificarsi nel legame con il settore del legno, che ben si addiceva quindi a un porto, ma non sembra un caso che fosse stato scelto proprio il collegio la cui identità religiosa era l’elemento caratterizzante e, allo stesso tempo, quello meno definito a livello professionale354. Il legame con i Cecina a questo punto potrebbe rivelare qualcosa in più. Il collegio sarebbe stato istituito da Claudio e, dati gli stretti legami fra C. Cecina Largo e l’imperatore, è verosimile che fossero stati proprio i Cecina a promuovere l’istituzione del collegio a Volterra, cui fece seguito una rivitalizzazione e monumentalizzazione delle strutture del quartiere portuale di San Gaetano a Vada.

Delle 52 epigrafi che attestano Cecina nelle province dell’Impero Romano sono da considerare come appartenenti a liberti le epigrafi che ricordano: Cecinia Sozusa in Sicilia (Bivona 1994 e infra paragrafo 1.2.9) Tiberius Caecina Aper e Tiberius Caecina Celer in Macedonia (Philippi) EDCS-49500003; EDCS-23800502; in Dalmatia (Zara), un ignoto Aulus Caecina dedica alla moglie AE 1993, 1273. In Pannonia Superior un Caius Caecina Florus (EDCS-11301071). Altre attestazioni di individui putroppo ignoti sono in Africa Proconsularis (Leptis Magna) dove sono attestati, C. Caecina Artemas, Caecinia Glyce Pusinna, Caecinia Pusinna Artemae (EDCS-06000671) e forse anche di Caecinae Q. f. di un’iscrizione rinvenuta a Ghigtis Boughrara (CIL VIII, 22723). In Mauretania Caesariensis un’epigrafe rinvenuta a Sour El-Ghozlane ricorda una Didia Caecinae (CIL VIII, 9075). In Numidia è ricordata a El ma Labiodh/Kherbet una Flavia Caecina (CIL VIII, 16681). A Lambaesis una Maria Caecina, la cui tomba venne realizzata dal marito Rasinius Postumus (CIL VIII, 3901), a Timgad un defunto C. Caecina (EDCS44900073). Probabilmente erano di rango libertino, ma erano riusciti a raggiungere posizioni di spicco a livello locale in Norico (Atrans), Gaius Caecina Faustinus (CIL III, 5135). In Pannonia Superior (Poetovio) un Caius Caecina Calpurnius, secondo Capdeville magistrato ai tempi di Traiano, fu evergeta promuovendo a proprie spese il restauro di un tempio (CIL III, 1434,28). Cfr. Capdeville 1997: 301 nota 329. Sempre in Pannonia, a Scarbantia, Caius Caecina Atimetus faceva poi parte dei Magistri Larum (EDCS-54501016). 357 Cic., Fam., VI, 8, ,2 XIII, 66, 2. 358 Per i viaggi di Aulo Cecina in Asia cfr. Cic., Fam., VI, 6, 2; VI, 7, 5; XIII, 66, 2. 359 Cfr. infra paragrafi 2.1.2; 3.1.4. 360 Il riferimento è alla stele del liberto Aulo Cecina Aulo Quadrato. Una liberta dei Cecina è invece attestata a Pisa nel I d.C. dall’epigrafe CIL XI, 1741. 361 CIL V, 8631. 362 AE 1991, 780. 363 AE 1978, 658. 356

In Italia, al di fuori dell’ager Volaterranus, testimonianze riconducibili a membri della gens Cecina sono state rinvenute oltre che in Etruria, anche in Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Campania355. La mancata attestazione di L’insediamento di Poggio del Molino era nato come una fortezza in età tardo-repubblicana ed era stato poi abbandonato nella seconda metà del I secolo a.C. Qui sorse poi una villa rustica con quartiere residenziale e uno produttivo per la manifattura di salse di pesce. Cfr. MegaleGenovesi 2016; Megale 2018. 351 Cfr. Marletta 1994. 352 Il riferimento è alla villa di Albino Cecina e al monumento funebre di A. Cecina rinvenuto a Vada (CIL XI, 1767) da attribuire ad un monumento funerario sorto in prossimità delle proprietà della famiglia. 353 La presenza di questo collegio professionale sarebbe provata dalla presenza di una schola fra le strutture del quartiere portuale di San Gaetano di Vada, oltre che dal rinvenimento di una statua di Attis, legata alle cerimonie religiose del collegio. Cfr. Sangriso 2017; Valeri 2007: 273-291. Cfr. infra paragrafo 1.2.7. 354 Cfr. Verboven 2017: 173-174; Verboven 2011. 355 Sono da considerare liberti gli individui menzionati nelle iscrizioni funebri a Caiazzo (Caserta), Caecina Marciano figlio di un Caecina Iucundus, a Salerno, Caecina Saturnina (AE 1997, 290), da Roma Caio Caecina Sotherico, Caecina Agathe, Caius Caecina Menander (CIL VI, 13865), Aulus Caecina Peregrinus insieme ad Aulo Caecina Fausto (CIL VI, 34708), Aulus Caecina Gigantis (CIL VI, 6030), Caeciniane Privatae, Caecinis Silano, Caeciniae Heliadi (AE 2003, 249). 350

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ proveniente da Roma in cui si trovavano citati Ceionius Rufius Volusianus vir clarissimus et inlustris e Caecinia Lolliana, clarissima et inlustris femina deae Isidis sacerdotis376. L’avere stretto legami matrimoniali con i Ceionii Rufii, famiglia di appartenenza di Gaio Ceionio Rufio Volusiano governatore in Africa Proconsolare nel 305-306 d.C.377, e l’aver stabilito rapporti d’amicizia con l’élite intellettuale di cui Quinto Aurelio Simmaco378, governatore in Africa proconsolare nel 373-374 d.C., sono esempi paradigmatici di ciò che consentì ai Cecina di rafforzare le proprie reti d’interesse. Caecinia Lolliana e C. Ceionius Rufius Volusianus Lampadius ebbero quattro figli maschi379 fra cui Publio Ceionio Cecina Albino (consulare di Numidia)380, Ceionius Rufius Albinus, forse il Quinto o Publilio Ceionio Cecina Vero ‘viro clarissimo curatore alvei Tiberis et cloacarum sacrae urbis’, ricordato dall’epigrafe ostiense del 324 d.C.381.

I Dardanorum Antoninianae rinvenuta a Troesmis, rivela gli interessi della famiglia in quest’area tra il mar Nero e la foce del Danubio, ancora nella seconda metà del II secolo d.C.364. Da Minturno, città sulla costa tirrenica del Lazio provengono due dediche a Silvano di C. Caecina Paetus365 e C. Caecina Talaticus366 insieme a quella, sempre rivolta a Silvano, del servo Theseus ‘pro salute C. Laecani Bassi Caecinae Paeti liberorumque eius’367. A Ostia tre iscrizioni ricordano Aulo Caecina Paetus nel 37 d.C.368, Quintus Caecina Primus nel 53 d.C.369, Publilio Ceionio Caecina nel 324 d.C.370. A Cecina Largo console del 42 d.C. si riferisce invece un’iscrizione da Rocca di Papa nei pressi del Lago Albano371. Scavi nell’edificio termale al di sotto del monastero di Santa Chiara a Napoli hanno infine portato al rinvenimento di una fistula in piombo bollata ‘Caecinae Albinii’ e datata fra 360-400 d.C.372. Poiché la maggior parte delle attestazioni epigrafiche dei Cecina risale ai secoli IV-V d.C. e risulta concentrata nelle province africane373, se ne deduce che qui la famiglia dovesse avere notevoli interessi e/o proprietà. Non è possibile definire chiaramente quali dovessero essere tali interessi e dove fossero localizzate le proprietà africane dei Cecina, ma il fatto che la carica di consolare di Numidia fosse stata tramandata a livello familiare, e le opere evergetiche realizzate dai Cecina in diverse città delle province africane, confermerebbero il particolare interesse della famiglia per quest’area. Più difficile è invece stabilire con certezza quando la famiglia avesse avuto la possibilità di dirigere i propri interessi verso le province africane che, ricche di risorse agricole e manifatturiere, erano in forte ascesa economica dal II d.C. È altamente probabile che gli incarichi militari ricoperti da alcuni membri della famiglia, come l’Aulo Cecina Severo ricordato da un’iscrizione da Sabratha (Africa Proconsularis) proconsole d’Africa e comandante della legio III Augusta374, avessero posto le basi per degli interessi nella provincia375.

La carriera di Publius Ceionus Caecina Albinus, consolare di Numidia nel 365 d.C.382 e quella di suo figlio, Caecina Decius Albinus, consolare di Numidia fra 383 e 392 che fu anche prefetto dell’Urbe nel 402 d.C., ricordato nelle iscrizioni come iunior383, confermano che nei secoli IV-V secolo d.C. i Cecina consolidarono il proprio potere in Nord Africa, riuscendo a ritagliarsi un proprio spazio in Numidia e, al tempo stesso, mantenendo forti legami con Roma. Publius Ceionus Caecina Albinus, ricordato da un’iscrizione in Mauretania Caesariensis384, fu impegnato attivamente in qualità d’evergete in Numidia; vengono infatti a lui attribuite: a Lambaesis385 opere di restauro386, fra cui quella di una porticus387 e di un aedem fontis cum porticu et antis et propylis388. A Cirta389 si occupò di generici lavori di fondazione di monumenti390, di lavori per l’ampiamento di un tempio391, della realizzazione o CIL VI, 512: ‘[M(atri) d(eum) M(agnae) I(deae) et Attidi Menotyranno dis magnis e]t/[t]u[t]atoribus suis/Ceionius Rufius Volu[si]/anus, v(ir) c(larissimus) et inlustr[is],/ex vicario Asie et Ceio/ni Rufi Volusiani, v(iri) c(larissimi)/etinlustris, ex praefecto [prae]/torio et ex praefecto ur[bi]/et Cecine Lolliane, clar[issi]/me et inlustris femin[e],/deae Isidis sacerdotis fi[lius],/iterato viginti annis exp[le]/tis taurobolii sui, aram constitu[it]/ et consecravit X kal(endas) Iun(ias) d(omino) n(ostro) Va[len]/tiniano Aug(usto) IIII et Neoterio conss../’. 377 Cfr. Broughton 1951-1952. 378 Cfr. Macr., Sat., I, 2, 15; Capdeville 1997: 304 nota 348. 379 CIL VIII, 25990: ‘Rufi Volusiani et Caeciniae Lollianae C. f. et filiorum e ccc vvvv thiasus proc. Fecit’, rinvenuta in Tunisia a Teboursouk. 380 Figg. 4.8; 4.11. 381 CIL VI, 40770a/b. 382 Su questo personaggio si veda anche Capdeville 1997: 303-304. 383 Quest’ultimo ebbe un figlio, Caecina Decius Acinatius Albinus, proprietario della villa di Vada e ospite di Rutilio Namaziano. Cfr. Capdeville 1997: 304; infra paragrafo 4.3.3 e Figg.4.9; 4.11. 384 AE 1909, 220. Da Tasbent, Ceionius Caecina Albinus viene ricordato come ‘vir clarissimus consularis sexfascalis’. 385 Lambaesis era nata come accampamento militare sotto Adriano per il controllo delle tribù nomadi. Da Lambaesis poi i soldati si spostarono a fondare Timgad. Cfr. Lennox Manton 1988. 386 CIL VIII, 2735; AE 1917/18, 58. 387 AE 1987, 1062. 388 CIL VIII, 2656. 389 Cirta era stata a lungo la capitale del re di Numidia, sorta in posizione strategica su una via di comunicazione principale. Lennox-Manton 1988. 390 EDCS-08100174. 391 AE 1926, 134. Lavori in un tempio sono attestati anche da CIL VIII, 19502. 376

La famiglia si era intanto imparentata con i Rufii, come attestato da una perduta iscrizione del 390 d.C. AE 1980, 822. AE 1908, 84. 366 AE 1908, 85. 367 AE 1908, 86. 368 CIL XIV, 4535. 369 Bargagli-Grosso 1997: 25. 370 CIL VI, 40770a. 371 CIL XIV, 2241. 372 AE 2008, 365. 373 Per ulteriori considerazioni in merito cfr. infra paragrafo 4.3.3. 374 AE 1987, 992. Per oltre 400 anni la Legio III Augusta fu l’unica legione permanente in Africa. Spesso rinforzata da unità ausiliarie, il suo nerbo contava circa 13.000 uomini. Il ruolo della legione fu fondamentale per potenziare alcuni centri di controllo lungo le tratte carovaniere e per realizzare infrastrutture e strade. Sulla legio III Augusta nelle province africane. Cfr. Le Bohec 1989; Raven 1969; Di Vita Evrard 1979. 375 Fra le attestazioni dei Cecina in Africa, una è databile al III secolo d.C. e, rinvenuta a Chellah/Sala in Mauretania Tingitana ricorda un Aulo Cecina Tacito (CIL VIII, 10988). Su questo individuo Capdeville osserva che potrebbe trattarsi dello stesso Caecina Tacitus che compare nell’iscrizione CIL VI, 37118 dopo un Caecina Sabinus in un elenco di persone che avevano partecipato al finanziamento di lavori sotto Diocleziano, o di uno dei suoi figli. Cfr. Capdeville 1997: 303 note 338339 e infra Fig. 4.11. 364 365

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Poteri e strategie familiari di Volterra restauro di uno spelaeum cum signis et ornamentis392. A Djemila/Cuicul393, Publius Ceionus Caecina Albinus fu impegnato in lavori di costruzione e dedica394, nonché nella realizzazione e nell’ornamento di una nuova basilica395, e nella dedicazione agli imperatori Valentiniano e Valente di una basilica vestiaria396; a Timgad/Thamugadi397 fu attivo nel restauro e dedica di quattro porticus nel capitolium398. Egli avrebbe inoltre avuto un ruolo fondamentale nella ricostruzione di Khenkela/Mascula399 dopo le incursioni delle tribù barbare alla metà del IV secolo d.C. con la realizzazione di nuovi edifici400 e il restauro delle terme401. Altre opere evergetiche sono a lui attribuite a Kherbet/ El Abiod402, a Macomades, dove realizzò a sue spese un arco403, a Skikda/Rusicade404, dove realizzò horrea ad securitatem populi Romani405. Anche suo figlio, Caecina Decius Albinus Iunior è ricordato in qualità di evergete specie in Numidia, provincia per la quale rivestiva il titolo di consularis fra 383 e 392. Egli fu impegnato in una serie di opere fra cui, come attestato da un’epigrafe a Tebessa/ Theveste406, la realizzazione di un arco407, mentre a Cirta è ricordato per il finanziamento a sue spese di lavori pubblici408, e per la realizzazione di una fontana pubblica409, a El Announa/Thibilis per opere di restauro410, a Djemila/ Cuicul per il restauro e l’ampliamento della basilica già dedicata dal padre Publio Ceionio Cecina Albino411. In sostanza i Cecina sono attestati in Numidia in punti strategici posti lungo le principali vie di comunicazione e/o in corrispondenza di centri di controllo militare lungo il limes (Cirta, Cuicul, Lambaesis, Mascula, Timgad), nonché presso Rusicade, scalo portuale di Cirta e nei noti

centri portuali di Sabratha in Africa proconsularis412 e Sala in Mauretania. L’acquisizione di un nuovo spazio economico in Numidia venne sancita dalla carica di consolare, mentre legami stretti in precedenza con le famiglie al potere nelle province vicine avrebbero potenzialmente potuto agevolare interessi economici dei Cecina. La vicinanza di una gens alla sede del potere, a Roma, sanciva di fatto l’importanza di una famiglia inserendola all’interno dell’élite dell’Impero. Una parte della famiglia si era trasferita da Volterra a Roma già nel I secolo a.C., e nell’Urbs membri dei Cecina dal I d.C. al V d.C. risultano attestati dalle fonti epigrafiche, archeologiche, letterarie. L’inserimento dei Cecina fra le più potenti famiglie dell’età imperiale è testimoniato dalla domus urbana che possedevano sul Palatino413. Questa era la residenza di C. Caecina Largus, collega al consolato dell’imperatore Claudio, e suo consigliere, nel 42 d.C. Secondo Andrea Carandini la villa, famosa per avere ereditato dai precedenti proprietari (M. Emilio Scauro e L. Licinio Crasso), un giardino di bagolari, era passata alla casa imperiale sotto Augusto414. A quest’epoca si datano importanti lavori di restauro della villa urbana che venne ridimensionata, dotandola di un ingresso direttamente dalla Sacra Via, di un impianto termale potenziato e di cisterne per il rifornimento idrico415. È quindi possibile ipotizzare che in una data imprecisata durante il principato di Augusto la villa fosse stata la residenza del Cecina volterrano ambasciatore di Ottaviano416. Augusto aveva d’altronde destinato residenze di sua proprietà sul Palatino ad altri aristocratici suoi sostenitori come Agrippa e Messalla417. È probabile, pertanto, che i Cecina fossero subentrati nella proprietà alla casa imperiale sul Palatino e che avessero trasmesso la residenza ai discendenti nei secoli successivi. Oltre alla villa sul Palatino i Cecina dovevano possedere altre proprietà a Roma. È possibile trovare conferma di ciò nel racconto di Tacito che nelle Historie riporta l’episodio, avvenuto nel 69 d.C., dell’imperatore Vitellio che si trovava malato nella sua residenza ‘Servilianis hortis’ da dove poteva vedere l’abitazione di Caecina Tuscus418 illuminata a festa419. Poiché i giardini Serviliani, famosi per le numerose statue ricordate da Plinio420, dovevano trovarsi a sud-ovest della città, in quest’area si dovrebbe localizzare anche la residenza di Caecina Tuscus421.

CIL VIII, 6975. Djemila fondata dai soldati della Legio III Augusta sotto Nerva, era posta a controllo fra due valli. Lennox Manton 1988: 94-97. 394 AE 1946, 110. 395 AE 1946, 107; AE 1946, 112. 396 CIL VIII, 20156. La basilica vestiaria dedicata da Publio Ceionio Cecina Albino si trovava alle spalle dell’arco di Caracalla. Cfr. Graham 1902: 284; Lennox Manton 1988: 94-97. 397 La città di Timgad, fondata dai soldati della Legio III Augusta e divenuta colonia sotto Traiano, era sorta in posizione strategica per il controllo delle tribù berbere che vivano nelle vicine montagne e colline. Cfr. Lennox Manton 1988: 97. 398 CIL VIII, 2388. È dubbio a tale proposito se si trattasse della realizzazione dell’ingresso monumentale al capitolium o se si trattasse invece dei porticati del tempio stesso. Cfr. Graham 1902: 93-94. Un’altra generica opera d’evergetismo è a lui attribuita dall’epigrafe AE 1895, 108. 399 Mascula, considerata come la chiave per il Sahara, era stata fondata all’inizio del II secolo d.C. e divenne poi luogo di stanza per la Legio VII. La città divenne poi un’importante sede vescovile dell’Africa tardoantica. Cfr. Graham 1902: 88. 400 CIL VIII, 2242. 401 AE 1987, 1082; Cfr. Graham 1902: 88. 402 AE 1909, 222. 403 CIL VIII, 4767. 404 Rusikade era lo scalo portuale di Lambaesis. Cfr. Lennox Manton 1988. 405 CIL VIII, 7975; cfr. Graham 1902: 284. 406 Tebessa si era sviluppata in relazione al posizionamento di un accampamento della Legio III ed era collegata a Cartagine da una rete viaria di circa 120.000 miglia. Cfr. Lennox Manton 1988. 407 AE 1989, 784. 408 CIL VIII, 19506; CIL VIII, 7035. 409 CIL VIII, 7034; AE 1902, 166. 410 EDCS-13100077. 411 AE 1913, 23; AE 1913, 35. 392 393

Il sito di Sabratha, città di origine punica posta sul mare, basava la sua economia sulla pesca, la coltivazione di olivi e grano, i commerci lungo le tratte carovaniere trasmarine. Cfr. Lennox Manton 1988: 75-79. 413 Interessante notare che il lotto abitativo sui cui sorgeva la residenza di Cecina Largo era prossimo alle residenze di M. Tullio Cicerone e del fratello, Quinto Cicerone. Presso le residenze dei Tullii Cicerones era stato a suo tempo ricevuto Aulo Cecina, parente di Cecina Largo (Cic. Fam., X, 25, 3). Cfr. Carandini 2010: 83-85. 414 Carandini 2010: 103. 415 Carandini 2010: 109-110. 416 Capdeville 1997; infra paragrafi 1.1.3; 3.2.2. 417 Carandini 2010: 110. 418 Su questo personaggio Cfr. Capdeville 1997. 419 Tac., Hist., III, 38, 1 e infra Fig. 4.11. 420 Plin., N.H., XXXVI, 36-38. 421 Cfr. Cima-La Rocca 1998; Richardson 1992: 204. 412

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ Negli stessi anni a Roma era console un altro membro della famiglia A. Caecina Alienus. Un individuo forse a lui parente, Tiberius Alienus Caecina, aveva bollato una fistula in piombo rinvenuta a Roma in via Nomentana in un’area dove è attestata la presenza di una proprietà imperiale, purtroppo non chiaramente attribuibile422.

porti del Mediterraneo e le alleanze strette con le varie élite dell’Impero costituirono i punti chiave di strategie economiche di successo gestite a livello familiare. Bisogna però chiedersi se l’apparente ‘invisibilità’ archeologica delle attività economiche dei Cecina non potesse essere collegata con la gestione imprenditoriale, verosimilmente con la mediazione di agenti, di attività estremamente redditizie, ma meno evidenti, come il commercio di materiali di lusso, spezie, di belve per i giochi, schiavi e gladiatori.

Ancora in età tardoantica, i Cecina mantenevano una notevole importanza a Roma dove furono prefetti dell’Urbs Caecina Decius Albinus (402 d.C.), e suo figlio, Caecina Decio Acinatius Albinus (414 d.C.). Per quest’ultimo è inoltre certo il legame mantenuto con il territorio di Volterra, dal momento che era proprietario di una villa presso i Vada Volaterrana423. I saldi legami all’interno dell’élite a Roma erano inoltre garantiti dal successo delle strategie imprenditoriali dei Cecina che, come è confermato dalle epigrafi del Colosseo databili fra 425 e 450 d.C.; queste ricordano i senatori Caecina Semptimianus e Rufi Caecinae Felicis Lampadi viri clarissimi et inlustris424, oltre ai nomi di altri senatori appartenenti alla famiglia all’inizio del regno di Odoacre fra 476 e 483, e che erano titolari di posti riservati nell’anfiteatro425.

A tale proposito, sembra significativo il legame dei Cecina con il mondo del circo e dell’anfiteatro. Tacito nelle Storie racconta dell’anfiteatro fatto costruire a Cremona dalla legione XIII per volere di Cecina Alieno, che poi lì avrebbe organizzato uno spettacolo di gladiatori429. Cecina Severo e Cecina Alieno avevano ricoperto cariche politiche e militari in Africa430. La gran parte delle attestazioni dei Cecina in epoca tardo-antica si concentrano Africa, provincia che costituì un secolare bacino d’approvvigionamento per gli animali feroci431. Se da una parte il legame con il mondo dell’anfiteatro derivava dall’essere parte di un ceto elitario, non è da escludere che un interesse circostanziato dei Cecina potesse essere legato al commercio di animali feroci o schiavi per i giochi a partire dalle zone in cui essi avevano proprietà o in cui gestivano affari. Interessanti informazioni potrebbero arrivare a partire dal complesso dell’anfiteatro attualmente in fase di scavo a Volterra432.

Fra 507-511 d.C. i Cecina vantavano fra i loro esponenti membri di rango senatorio attivamente impegnati in opere pubbliche ed evergetiche, fra cui è ricordato a Terracina ‘Caecina Mavortio Basilio Decio, viro clarissimo et inlustris’426, nonché individui che mantenevano contatti con l’élite intellettuale, come dimostra l’elogio di Cassiodoro427.

Si ha poi testimonianza del legame dei Cecina con il mondo del circo. Plinio433 cita un Caecina Volaterranum come signore di quadrighe solito gareggiare a Roma e famoso per inviare a Volterra rondini colorate rosse in caso di vittoria434. Ancora nel 509 d.C. membri dei Cecina Deci sono coinvolti in prima persona nei tumulti delle fazioni del circo a Roma435.

Le alleanze matrimoniali strette con le nuove élite bizantine, come attestato dal caso del senatore Caecina Decius Albinus prefetto del pretorio nel 510-514, sposato a una Glaphyra, sono garanzia della sopravvivenza della famiglia almeno all’inizio del VI secolo d.C. Forse fu il coinvolgimento proprio di Caecina Decius Albinus in un complotto contro l’imperatore Teodorico, nel 523, a decretare una fase di declino per la famiglia428.

Appare interessante la lettura di Fik Meijer che mette in evidenza come, lo stratagemma del Cecina Volterrano sarebbe stato funzionale a comunicare agli scommettitori a Volterra il risultato delle gare436. In altre parole, non si esclude che membri della famiglia nel corso dei secoli, si fossero arricchiti anche grazie ad attività ‘economiche’, talora altamente redditizie, ma non sempre del tutto ‘lecite’, come attesterebbe il caso riportato da Ammiano Marcellino di Volusiano Lampadio, marito di Cecinia Lolliana, nel

In sostanza è possibile affermare che, almeno fino agli inizi del V secolo d.C., uno dei rami del vasto gruppo familiare dei Cecina, il cui nomen era divenuto una sorta di ‘global brand’ manteneva una base di potere locale nel Volterrano, attestata dalla villa presso Vada Volaterrana, e forse un controllo più o meno diretto sul sistema portuale della città. Difficile, tuttavia, rintracciare indicatori archeologici consistenti, per le attività suddette, tali da giustificare l’enorme fortuna e l’alta reputazione sulle quali i Cecina basarono il proprio successo sul lungo periodo. Nel complesso, le proprietà terriere, diversificate attività imprenditoriali gestite a livello locale ed extraregionale, l’insistenza di interessi su alcuni dei principali

Tac., Hist., III, 3. Tac., Hist., I, 70. 431 Sul commercio di belve per l’anfiteatro si vedano: Bertrandy 1987; Deniaux 2000; Rea 2001, Lo Giudice 2008. 432 Sorge 2021. 433 Plin., N.H., 10,71. 434 L’aneddoto non è datato da Plinio, ma secondo Capdeville è da situare all’inizio del I secolo d.C. dal momento che la distinzione delle diverse squadre tramite colori risale all’ultimo secolo della repubblica. Cfr. Capdeville 1997: 301 nota 327. Sull’uso delle rondini come messaggeri cfr. Mynott 2018: 180. 435 Cracco Ruggini 2003: 376; Lim 1995; Cameron 1976; Infra paragrafo 4.4.3. 436 Meijer 2004: 141-142. 429 430

AE 1994, 117. Cfr. infra paragrafi 1.3.1; 4.3.3 e Fig. 4.11. 424 AE 1985,46. 425 Cfr. Capdeville 1997: 307; Orlandi 2004. 426 CIL X, 6850; 6851. 427 Cassiod., Var., III, 6, 2-3. Cfr. Capdeville 1997: 309. 428 EDR122890; Cfr. Capdeville 1997: 308-309; infra paragrafi 1.3.1; 4.3.3 e Fig. 4.11. 422 423

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Poteri e strategie familiari di Volterra IV secolo d.C.437. Fra altre attività che avrebbero potuto svolgere i Cecina è interessante anche l’ipotesi che, nella Roma tardoantica, essi potessero essere coinvolti nelle attività di commercializzazione e riuso di spolia come sembrerebbe attestato a livello archeologico438.

volta alle contingenze storiche e politiche dell’Impero, garantirono la sopravvivenza dei Cecina sul lungo periodo. Il loro successo venne probabilmente agevolato anche dal mantenimento di forti tradizioni familiari e di un’identità costruita attorno a valori culturali, religiosi, morali, che garantirono loro di mantenere le basi di potere nella città di origine444.

Infine, non sembra un caso che Macrobio nei Saturnalia faccia riferimento a materiali di lusso e spezie in relazione a membri della famiglia dei Cecina. Macrobio affida infatti agli esperti fratelli Cecina e a Rufio Albino, fra i vari temi affrontati, proprio quelli di lusso e raffinatezza dei tempi antichi, le curiosità su pepe, senape, vino egiziano439. Non si può escludere che si trattasse di un riferimento allusivo alle attività economiche dei Cecina. Del resto, la pratica di inserire nel testo riferimenti evocativi per una cerchia ristretta di lettori era stata impiegata da un autore a lui contemporaneo, Rutilio Namaziano, i cui vincoli di amicizia con Albino Cecina sono noti440. Ulteriore conferma in Aulo Persio Flacco, che dei Cecina era parente. Egli aveva insistito spesso sull’uso del pepe e sulla ricchezza derivante dal commercio della preziosa spezia441. Il pepe era elemento fondamentale della cucina di Apicio e divenne ben presto la spezia per antonomasia della cucina romana. Costando fra i sei e i sette denari a libbra, era un prodotto prezioso, uno status symbol che diede vita a un vero e proprio business e a contraffazioni, come attestato dallo stesso Plinio il Vecchio442. Sarebbe suggestivo quindi poter ricollegare buona parte della fortuna economica dei Cecina al commercio di spezie. A queste occorre forse aggiungere avorio o altri prodotti tipici della presunta thryphé etrusca443. Versatili e diversificate strategie economiche familiari, adattate di volta in

2.3.2. I Venulei. Strategie di un’élite “effimera” I Venulei erano una delle più importanti gentes di origine non etrusca445, le cui principali basi di potere erano ubicate nel vicino ager Pisanus. La famiglia era coinvolta in attività produttive e manifatturiere, e possedeva fundi anche nell’ager Volaterranus. Nel Pisano i Venulei promossero numerose opere evergetiche446 ed erano noti per la proprietà del complesso di Massaciuccoli (Lucca)447. In età tardo-repubblicana l’attività economica di un ‘L. Venulei’, che commerciava anfore, o il vino in esse contenuto, ad Ampurias in Spagna448, avrebbe posto le basi per la futura carriera del figlio, L. Venuleius Montanus proconsole in Ponto e Bitinia sotto il regno di Nerone449. L’acme dei Venulei fu raggiunta in età Flavia (69-96 d.C.)450, probabilmente in seguito all’ingresso in senato di L. Venuleius Montanus Apronianus, console suffetto del 92 d.C. e membro del collegio dei Fratres Arvales dall’80 al 92 d.C. Egli è ricordato in numerose epigrafi a Roma451 e forse era corrispondente di Plinio452. Un altro membro importante della famiglia fu L. Venuleius Montanus Apronianus Octavius Priscus, console del 123 d.C., promotore di opere evergetiche in Etruria settentrionale e forse patrono di Lucca; egli raggiunse il proconsolato d’Asia nel 138-139 d.C. Suo figlio, L. Venuleius Apronianus Octavius Priscus, forse console ordinario per la seconda volta nel 168 d.C., aveva rivestito la carica di legatus

Riguardo la prefettura urbica di Volusiano Lampadio, Ammiano Marcellino racconta: ‘Aedificia erigere exordiens nova, velvetusta quaedam instaurans […] si ferrum quaerebatur, aut plumbum, aut aes aut quicquam simile, apparitoresimmittebantur, qui velut ementesdiversas raperent species, nulla pretiapersolvendo’ (Amm. Marc., XXVII, 3, 10): ‘Allorchè si accingeva ad erigere nuovi edifici o restaurare i vecchi, non faceva coprire le spese con le solite entrate ma, sia che si cercasse ferro o piombo o bronzo, o materiali del genere, mandava dei funzionari subalterni che, fingendo di comprare, rapivano i vari articoli senza pagare un soldo, per cui a stento potè evitare, allontanandosi in fretta, l’ira dei poveri sdegnati per i ripetuti danni’. 438 Pensabene-Panella 1994; Marsili 2016. 439 Macr., Sat., III, 13-17; VII, 7-8. 440 Fo 2005. 441 ‘Mercibus hic Italis mutat sub sole recenti Rugosum piper et pallentis grana cumini, Hic satur irriguo mauult turgescere somno […] Tolle recens primus piper et sitiente camelo. Verte aliquid; iura’ (Pers., Sat., V, 5557): ‘C’è chi va a mutare in oriente mercanzie italiche con pepe rugoso e grani di pallido cumino […] Sii il primo a mettere le mani sul pepe, quando il cammello non ha ancora bevuto, muoviti spergiuro!’; Il pepe nel prosciutto é ricordato da Persio nella satira III, ‘Disce nec invideas quod multa fidelia putet / in locuplete penu, defensis pinguibus Umbris, /et piper et pernae, Marsi monumenta ciientis, maenaque quod prima nondum defecerit orea’ (III 73-76). Nella satira VI il pepe é ricordato come segno di mollezza nelle parole del romano tradizionalista: ‘Ita it: postquam sapere urbi / cum pipere et pal mis venit nostrum hoc maris expers, /faenisecae crasso vitiarunt unguine pultes’ (VI 38-40): ‘ è così, da quando è giunta a Roma la sapienza col pepe e i datteri, e la nostra che non ha mai conosciuto il mare, è caduta in disprezzo, i falciatori hanno guastato la polenta col grasso’. Per il commento di questi elementi in connessione al mondo etrusco Sordi 2001: 44-45. 442 Plin., N.H., I, 21. Per ulteriori informazioni sull’uso del pepe in Apicio, Introna 2018. Per ulteriori informazioni sul pepe, sulle aree di commercio e stoccaggio: Dalby 2003; Wilkins-Nadau 2015. 443 Sulla thryphé e sugli stereotipi legati al popolo Etrusco infra paragrafi 4.1;4.2. 437

Infra paragrafo 4.3. Riguardo l’origine latina dei Venulei si è espresso Mario Torelli sostenendo ‘non abbiamo in etrusco alcun nomen che si possa accostare con sicurezza a questo gentilizio latino: la seriazione di Schultze […] non appare comunque persuasiva. Esistono forse remote possibilità di collegare il gentilizio latino al prenome etrusco arcaico venel, mancherebbe in ogni caso il gentilizio etrusco intermedio’. Cfr. Torelli 1969: 289; Ciampoltrini 1980; Rapsaet-Charlier 1983. Contra Ramelli 2003. 446 L’esempio più famoso rimane quello delle cosiddette ‘Terme di Nerone’ a Pisa. Il complesso, riscoperto nel 1833 presso porta a Lucca, ha portato in luce l’iscrizione CIL XI, 1433 che allude ad un allargamento, o restauro, intrapreso e finanziato da L. Venuleius Octavius Priscus. Cfr. Pasquinucci-Menchelli 1989, Rapsaet-Charlier 1983, Genovesi 2009: 79-80. 447 Sul complesso di Massaciuccoli si vedano Ciampoltrini 1994b; Ciampoltrini 1998; Fabiani 2006; Parra 1995; Anichini et Al. 2012. 448 Shepherd 1985: 184-185 note 50-51. 449 Raepsaet-Charlier 1983: 152-155. 450 I principali membri della gens: L. Venuleius Montanus Apronianus, console suffetto del 92 d.C. e magister del collegio dei Fratres Arvales, L. Venuleius Montanus Apronianus Octavus Priscus, figlio del precedente che fu console nel 123 d.C. e proconsole d’Asia nel 138-139 d.C., forse patrono di Lucca; L. Venuleius Apronianus Octavius Priscus, figlio del precedente forse console ordinario per la seconda volta nel 168 d.C. e che aveva anche rivestito la carica di Legatus augusti pro pretore in Hispania Citerior, sodalis hadrianalis e poi sodalis antoninianus severianus. 451 CIL VI, 2059; CIL VI, 2069; CIL VI, 2071; CIL VI, 2064; CIL VI, 2065; CIL VI, 2066; CIL VI, 2067a; CIL VI, 2070; CIL VI, 2068 Cfr. Rapsaet-Charlier 1983: 152-155; Scheid 1990: 226; 235-237. 452 Rapsaet-Charlier 1983: 152-155; Syme 1968. 444 445

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ Sebbene non sia possibile definire con certezza la localizzazione e l’estensione dei praedia di questa famiglia, è altresì possibile affermare che in Etruria settentrionale i Venulei possedevano proprietà e avevano interessi non solo in diverse aree dell’ager Pisanus, ma anche nel territorio di Lucca e nell’area a nord dell’ager Volaterranus467. Il rinvenimento dell’iscrizione CIL XI 1735, datata in età Flavia e proveniente da Corniano in Valdegola468, confermerebbe infatti un interesse dei Venulei nel Volterrano proprio in un’area in cui, a livello toponomastico, si concentrano le attestazioni di prediali quali Prugnano-Pruniano, derivanti proprio dal cognomen Aproniano469. L’iscrizione CIL XI, 1735 della Valdegola rappresenta la dedica di un altare da parte di due membri della gens Venuleia (Montanus e Apronianus) e delle rispettive mogli (Laetilia e Celerina)470. La particolarità dell’epigrafe sta nel fatto che si tratta di una delle pochissime dediche alla Bona Dea in Etruria settentrionale e, per di più, da parte di due uomini appartenenti a una gens di rango senatorio. Legata al più antico sostrato religioso latino e al concetto di fertilità, Bona Dea era considerata protettrice dello Stato romano e garante del benessere della comunità, onorata tramite culti statali generalmente venerata da donne. Sono tuttavia attestate epigraficamente alcune dediche alla Bona Dea unicamente da parte di uomini, sia a livello ufficiale sia privato. Queste erano quasi sempre ex-voto di ringraziamento per guarigioni o invocazioni alla divinità a protezione di organizzazioni e/o proprietà nelle quali i dedicanti avevano interessi471. Bisognerà quindi interrogarsi riguardo la scelta di una simile dedica da parte dei Venulei. Da un lato potrebbe trattarsi di un richiamo della gens alle proprie origini latine, dall’altro l’epigrafe potrebbe rappresentare una dedica di ringraziamento per una guarigione ottenuta, o ancora, un’invocazione alla divinità per la protezione delle proprietà nel Volterrano (forse da poco ottenute)472. Probabilmente in quest’area dovevano localizzarsi alcune delle proprietà o delle figline dei Venulei, la cui attività produttiva è fra le più tarde di quelle attestate nell’ager Pisanus473. Tuttavia, in mancanza di ulteriori dati non è possibile avanzare ipotesi circa una produzione nel Volterrano. L’ascesa politica dei Venulei fra I e II secolo d.C. venne probabilmente accompagnata da un rafforzamento delle loro basi di potere a livello locale. È interessante notare che, secondo Mario Torelli, i Venulei furono fra le poche famiglie di rango senatorio in Etruria a non subire inflessioni d’importanza per l’intero II d.C.474 e che la loro presenza nel Volterrano è attestata in un periodo, appunto fra la fine del I secolo d.C. e l’inizio del successivo, per il quale invece non si hanno molte informazioni circa la

augusti pro pretore in Hispania Citerior453, come attestato da un’epigrafe rinvenuta a Valentia454. La prestigiosa carriera senatoria di alcuni membri della famiglia dovette quindi essere sostenuta a livello finanziario dalla disponibilità di praedia alla base di fiorenti attività manifatturiere, nonché da attività commerciali a medio e lungo raggio, che potevano essere state anche svolte mediante navi di proprietà455. Oltre alla già menzionata attività dei Venulei in età tardo repubblicana, fra l’ultimo quarto del I d.C. e l’inizio del II secolo d.C., membri della famiglia erano coinvolti nella produzione di laterizi, attività di cui rimane traccia in esemplari bollati provenienti dal complesso di Massaciuccoli (Lucca), impiegati nelle strutture dell’acquedotto pisano di Caldaccoli a Pisa456 e da tre esemplari facenti parte del carico di un relitto navale affondato tra Populonia e San Vincenzo457. È probabile, inoltre, che i Venulei abbiano giocato un ruolo non secondario nella cosiddetta ‘rivoluzione laterizia del 123 d.C.’458 e sebbene non siano chiare la distribuzione e la circolazione degli esemplari bollati da Venulei, un frammento di tegola bollato da un L. Venuleius Apronianus è stato rinvenuto, tuttavia reimpiegato, nella necropoli ostiense di Porto459. Dunque, come già attestato per i Cecina, anche per quanto riguarda la produzione laterizia dei Venulei è evidente la finalità evergetica, almeno parziale, dei materiali bollati mentre non è da escludere che parte della produzione fosse destinata alla commercializzazione su medio e lungo raggio. Per i Venulei, come già per i Cecina, può inoltre essere provato il coinvolgimento a diverso livello di membri della famiglia nelle attività produttive. I laterizi bollati dalla gens, sempre in cartiglio rettangolare, associano più membri della famiglia nei casi di Caldaccoli e del relitto navale tra Populonia e San Vincenzo460, o con esemplari bollati unicamente da L. Venuleius Apronianus a Massaciuccoli461. L’associazione di più membri nella produzione compare anche su una fistula in bronzo da Massaciuccoli462, mentre nelle anfore bollate dalla famiglia compare un solo Venuleius. La florida attività imprenditoriale della gens è attestata anche da bolli rinvenuti a Tous in Spagna463, in Gallia Narbonensis464 e in Aquitania465, nonché su anfore di produzione africana Almagro 50-51, che lascerebbero ipotizzare interessi dei Venulei in una delle province africane466. Rapsaet-Charlier 1983. CIL II, 3769. 455 Shepherd 1985: 184-185. 456 Pasquinucci 1990: 165-179. 457 Shepherd 1985: 184-186; Genovesi 2009: 78. 458 L’introduzione della data consolare sui bolli laterizi risale al 123 d.C. in cui era console L. Venuleius Apronianus. Si trattò probabilmente di un intervento governativo mirato a intensificare la produzione laterizia. Cfr. Bloch 1947: 320-327. Sui Venulei si veda anche Andermahr 1998: 472-474; Menchelli 2001. 459 Difficile attribuire chiaramente la bollatura a uno specifico membro della famiglia, data l’onomastica ricorrente. Il contesto del rinvenimento si data in età severiana. Cfr. Camilli-Taglietti 2018. 460 ‘Ve(nuleiorum) Apro(nianorum)’. 461 ‘L(ucii) Venu/l(ei) Apro(niani)o’. 462 CIL XI, 1433a: ‘L(uciorum)Venuleior(um)/Mont(ani) et Apron(iani)’. 463 EDCS-20900159. 464 EDCS-69500403. 465 CIL XIII, 10002,525; EDCS-52301058. 466 Shepherd 1985: 184-185 e note 50-51. 453 454

Ciampoltrini 1980: 162-163. Per la datazione dell’iscrizione CIL XI, 1735e un commento sull’epigrafe, cfr. Ciampoltrini 1980: 160-163. 469 L’area di concentrazione massima del toponimo è infatti la ristretta zona delimitata dalle valli dell’Era, dell’Elsa, dell’alto Cecina. Il toponimo risulta poi attestato in un ampio territorio fra le attuali province di Pisa, Livorno, Grosseto. Per l’associazione del toponimo alla gens: Pieri 1919: 116; Pieri 1969: 92; Shepherd 1985: 184-185 nota 47. 470 Cfr. Ciampoltrini 2008a; Rapsaet-Charlier 1983; Syme 1968. 471 Su Bona Dea e le particolarità del culto cfr. Brouwer 1989. 472 Cfr. infra paragrafi 3.1.2; 3.3.3. 473 Genovesi 2009: 80. 474 Torelli 1969: 288-289; 338-339. 467 468

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Poteri e strategie familiari di Volterra più importante famiglia di Volterra, i Cecina. È verosimile che un diverso atteggiamento tenuto dalle famiglie durante il cosiddetto “anno dei quattro imperatori” abbia causato la momentanea caduta in disgrazia dei Cecina nel contesto imperiale475 e, per contro, abbia determinato l’avanzata sociale dei Venulei. Sono note a tale proposito le vicende di alcuni personaggi legati alla gens Cecina. Aulo Cecina Peto, console del 37 d.C., era stato coinvolto nella congiura degli Scribonii ai danni dell’imperatore Claudio e costretto al suicidio476. Trasea Peto, genero di Cecina Peto e parente di Aulo Persio Flacco, venne a sua volta condannato a morte da Nerone perché sospettato di cospirare contro l’imperatore477. C. Caecina Tuscus fratello di latte di Nerone478 nel 69 d.C. fu implicato in una congiura ai danni di Vitellio479. A. Cecina Alienus coinvolto attivamente nelle lotte fra Galba, Otone, Vitellio e Vespasiano480, ricoprì alte cariche militari fino al 69 d.C., quando fu destituito per essersi schierato dalla parte di Vespasiano481; a causa di ciò fu infine ucciso per ordine di Tito, essendo sospettato di aver cospirato contro l’imperatore482. Una lunga serie di oppositori politici, dunque, avrebbe causato la momentanea ‘disgrazia’ dei Cecina, o quantomeno di alcuni rami della famiglia, ai più alti livelli del potere, determinando un ripiegamento sul Volterrano fra la fine del I secolo d.C. e il II d.C. A tutto ciò corrispose il successo dei Venulei. Se le ultime notizie riguardo i Venulei si esauriscono entro il II secolo d.C.483, membri della gens Cecina, che avevano

certamente mantenuto un saldo potere a livello locale nell’ager Volaterranus484, tornarono invece a rivestire cariche politiche a livello imperiale dall’età di Traiano485 per poi, nel IV-V secolo d.C., diventare nuovamente fra le più importanti famiglie dell’élite mediterranea. Lo studio delle epigrafi che attestano membri per i quali è possibile riconoscere legami con la gens dei Venulei, a confronto con il caso dei Cecina, permette di avanzare delle interessanti riflessioni. La maggior parte delle iscrizioni rinvenute in Italia e nelle province dell’Impero è purtroppo relativa a ignoti personaggi di rango libertino486, ma è possibile individuare alcuni Venulei che entrarono a far parte dell’élite militare figurando all’interno delle coorti pretorie487 e urbane488. La distribuzione delle epigrafi nelle province dell’Impero non consente di verificare per i Venulei una vera e propria strategia economica familiare sebbene in qualche caso essi sembrino ricalcare i luoghi in cui anche i Cecina risultano attestati a livello epigrafico. Qualcosa in più può essere osservata sull’iscrizione rinvenuta a Pisa che ricorda i titoli di L. Venuleius Apronianus Octavius Priscus, console nel 168 d.C., che fu anche feriarum Latinarum auguri, sodalis hadrianalis e poi sodalis antoninianus severianus Praetor Etruriae V489. La carica di Praetor Etruriae è stata analizzata da Bernard Liou490. Nonostante non ne siano chiare le competenze, Liou ha ipotizzato che si trattasse di una figura con competenze di tipo religioso, la cui carica poteva essere rinnovata e riservata alle famiglie di rango senatorio o equestre. La carica del Praetor Etruriae era quindi prestigiosa, a valenza culturale e religioso, verosimilmente nata sotto Claudio

Capdeville nota per i Cecina un ‘atteggiamento di ripiegamento sulla città d’origine a partire dalla fine del I d.C. Per molto tempo, con due sole eccezioni sotto Traiano e sotto Settimio Severo, non s’incontrano più Cecina nelle più alte cariche dello stato, e neanche nel senato’. Cfr. Capdeville 1997: 301-302. 476 Cfr. Capdeville 1997: 298. 477 Tac., Ann., XVI, 34. 478 Cecina Tuscus fu giudice e procuratore d’Egitto dal 63 al 66 d.C. Cfr. Suet., Ner., 35,10. Secondo Tacito (Tac., Ann., XIII, 20, 2), Nerone aveva deciso di conferire a Cecina Tuscus la prefettura del pretorio. Dissuaso da Seneca a tale proposito, in favore di Afranio Burro, Cecina Tuscus rimase esiliato e fece ritorno a Roma solo alla morte di Nerone. 479 Cecina Tuscus secondo il racconto di Tacito ricevette in casa sua Iunius Blaesus. Vitellio si trovava indisposto ‘Servilianis hortis turrim vicino sitam conlucere per noctem crebris luminibus animadvertit. sciscitanti causam apud Caecinam Tuscum epulari multos, praecipuum honore Iunium Blaesum nuntiatur’ (Tac., Hist., III, 38, 1): ‘negli orti serviliani, quando una notte vide brillare di mille luci un vicino palazzo. Ne chiede la ragione e gli riferiscono che Cecina Tusco dava un grande banchetto, con Giunio Bleso invitato d’onore’; Giunio Bleso, governatore della Gallia Lugdunense, viene così descritto da Tacito: ‘Blaeso super claritatem natalium et elegantiam morum fidei obstinatio fuit. integris quoque rebus a Caecina et primoribus partium iam Vitellium aspernantibus ambitus abnuere perseveravit. sanctus, inturbidus, nullius repentini honoris, adeo non principatus adpetens, parum effugerat ne dignus crederetur’ (Tac., Hist., III, 39): Alla nobiltà dei natali e alla signorilità innata, s’accompagnava in Bleso un senso granitico della fedeltà. Circuito, quando ancora non si profilavano ribellioni, da Cecina e da altri capi della stessa parte, ormai stanchi di subire Vitellio, persistette in un netto rifiuto. Uomo senza macchia, limpido nell’azione, sdegnava repentine scalate al potere e tanto meno mirava al principato, ma non aveva evitato abbastanza il pericolo di apparirne degno’. 480 Secondo Tacito, Cecina Alieno era nato a Vicenza (Tac., Hist., III, 8, 1). 481 Tac., Hist., II, 71, 2; III, 31, 4; III, 37, 2. 482 Egli venne ucciso al termine di una cena mentre usciva dalla sala da pranzo (Suet., Tit., 6, 3). Per ulteriori considerazioni prosopografiche: Capdeville 1997: 300-301 e note 311-312; 317-319. Per il coinvolgimento militare dei Cecina cfr. infra paragrafi 1.2.10; 4.3. 483 A tale proposito è stato notato come nel complesso di Massaciuccoli, dalla fine del II secolo d.C., si verificarono crolli importanti e dissesti a danno delle strutture, in coincidenza con il declino dei proprietari. Cfr. Anichini et Al. 2012. 475

Infra paragrafi 1.3.2; 3.1.3; 3.3.3; Per quanto riguarda i Cecina che rivestono cariche alla fine del II secolo d.C. si fa riferimento a un Caecina Calpurnius magistrato in Pannonia sotto Traiano che restaurò un tempio di Mitra (CIL III, 14354) e a un C. Caecina Largus, propretore in Tracia sotto Settimio Severo fra 195-6 e 198 d.C. (CIL III, 7418= 12337). Capdeville 1997: 301-302 e note 329 e 330. 486 Sono liberti i Venulei ricordati a Roma dalle epigrafi EDCS-20600613; EDCS-33200266; EDCS-33100443; EDCS-20600568; CIL VI, 38596; CIL VI, 36514; CIL VI, 30234; CIL VI, 28511; CIL VI, 28510; CIL VI, 28509; CIL VI, 28508; CIL VI, 28506; CIL VI, 28505; CIL VI, 28504; CIL VI, 28503; CIL VI, 28502; CIL VI, 28501; CIL VI, 28500; CIL VI, 28499; CIL VI, 28498; CIL VI, 28497; CIL VI, 28496; CIL VI, 28495; CIL VI, 28494; CIL VI, 28493; CIL VI, 28491; CIL VI, 28490; CIL VI, 28489; CIL VI, 28488; CIL VI, 28487; CIL VI, 28486; CIL VI, 28485; CIL VI, 28484; CIL VI, 28483; CIL VI, 28482; CIL VI, 28481; CIL VI, 28480; CIL VI, 28479; CIL VI, 28478; CIL VI, 28477; CIL VI, 28453; CIL VI, 25931; CIL VI, 22656; CIL VI, 20585; CIL VI, 18998; CIL VI, 18706; CIL VI, 16212; CIL VI, 15885; CIL VI, 15192; CIL VI, 11877; CIL VI, 9822; CIL VI, 9617; CIL VI 8552; CIL VI, 7833; CIL VI, 7759; CIL VI, 7519; CIL VI, 7518; CIL VI 5930; CIL VI, 5494; CIL VI, 4833; CIL VI, 1954; CIL VI, 1852; AE 1995, 156; CIL VI, 625; EDCS27801014; a Fiumicino: EDCS-35500571; a Tivoli: CIL XIV, 3681; a Volsinii: CIL XI, 2802; CIL XI, 2803; a Tuscania: CIL XI, 7411; a Pavia: CIL V, 6465; Pompei: CIL IV, 4413; a Nettuno/Astura: EDCS-71200557; a Ercolano: CIL X, 1403. Nelle province imperiali, Africa Proconsularis: CIL VIII, 16898; CIL VIII, 14843; Numidia: CIL VIII, 4131; Ponto e Bitinia: AE 1991, 1490; Moesia: AE 1984, 773. Erano liberti della casa imperiale in Galatia C. Venuleius Flaccinus (AE 1924, 45) e L. Venuleius a Roma (AE 1964, 74b). 487 CIL VI, 2369. 488 CIL VI, 2384. 489 CIL XI, 1432. 490 Liou 1969. 484 485

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ contestualmente alla ricostituzione della Lega Etrusca491, che intendeva richiamarsi ai tempi dei riti federali delle dodici lucumonie presso il Fanum Voltumnae. Adriano per rafforzare la magistratura, decise di portare egli stesso il titolo di Praetor Etruriae. Fregiarsi del titolo di Praetor Eturiae non era allora più motivo di fiera distinzione da parte dell’élite di origine etrusca custode delle antiche tradizioni religiose, ma si aggiungeva alla serie dei titoli politici e delle cariche rivestite. Nella seconda metà del II secolo d.C. che i Venulei rivestissero questa carica, pur non avendo origini etrusche, non costituiva affatto un problema. L’appartenenza di altri membri della famiglia al collegio dei fratres arvales492, nonché il fatto che Venulei erano stati detentori di titoli religiosi e legati al culto imperiale (feriarum Latinarum auguri, sodalis hadrianalis, sodalis antoninianus severianus), ne sottolineava il pieno inserimento nel sistema politicoistituzionale e religioso imperiale. Si tratterebbe quindi di un caso per certi aspetti opposto a quello dei Cecina che solo in due casi rivestirono, a quanto è dato sapere, sacerdozi legati alla tradizione propriamente latina e che, a differenza dei Venulei, non ricoprirono mai la carica di Praetor Etruriae. Ciò, essendo noto il profondo legame della famiglia con il mondo religioso etrusco, sembrerebbe quasi un’anomalia.

parte delle élite di Roma497, potrebbe allo stesso tempo giustificare il consapevole tentativo di ‘evitare’ i sacerdozi pubblici, forse nel tentativo di non alienarsi le simpatie dei più conservatori etruschi e volterrani, principali sostenitori del potere locale della famiglia, per i quali la totale integrazione religiosa dei Cecina nella religione di Stato avrebbe forse rappresentato, almeno in un primo tempo, quasi un rifiuto della tradizione e della stessa identità etrusca498. Solo successivamente, nel mutato contesto politico e sociale dell’Impero, i Cecina avrebbero promosso e rivestito sacerdozi legati ai culti misterici di derivazione orientale499. Ad ogni modo, l’unione dei fattori religioso, culturale, identitario alle strategie matrimoniali, tendenzialmente endogamiche dell’élite di origine etrusca, alle attività produttive e commerciali gestite a livello imprenditoriale, nonché allo sfruttamento delle cariche politiche ricoperte in vista dell’acquisizione di nuovi spazi economici, rese vincente la strategia familiare dei Cecina: strategia che avrebbe garantito la sopravvivenza e il successo sul lungo periodo. Caso diametralmente opposto quello dei Venulei che, dopo una fortunata fase, probabilmente in seguito ad alleanze matrimoniali poco fruttuose o a strategie economiche fallimentari, non riuscirono ad adattarsi alle contingenze storiche dell’Impero finendo per essere, anche su base locale, un’élite di ‘effimera’ durata.

In età Claudia, C. Caecina Largus fu magister dei fratres arvales, un collegio di cui sono stati messi in rilievo gli aspetti legati alla tradizione arcaica delle origini romulee493, mentre L. Caecina C. f. Severus494 venne ricordato come come flamen del culto imperiale a Tarragona. In entrambi i casi è possibile legare i sacerdozi alle vicende personali della famiglia. Amico intimo dell’imperatore, Cecina Largo non avrebbe potuto essere escluso dalla confraternita dei fratres ‘etroitement liés a leur frère, l’empereur, nouveau Romulus’495. L. Cecina Severo, flamen a Tarragona, era invece stato evergeta nel tempio del culto imperiale forse per un atto di captatio benevolentiae nei confronti della casa imperiale Flavia, anche se non si può escludere del tutto che l’altrimenti ignoto individuo fosse un ricco liberto della famiglia che curava in loco gli interessi dei Cecina496.

2.4. Potentes, distribuzione delle proprietà e strategie familiari nel Volterrano Riassumendo quanto finora detto, è possibile confermare in parte quanto rilevato già da Riccardo Chellini riguardo l’analisi dei toponimi, ossia che la maggiore concentrazione di prediali nel territorio volterrano è attestata nell’area fra la sponda sinistra dell’Elsa e quella destra dell’Era, mentre la densità diminuisce gradatamente verso ovest e verso sud, per subire quasi un crollo in vicinanza della costa, nell’immediato entroterra e nell’area montuosa delle colline metallifere500. Chellini concludeva che ‘la presenza di una serie onomastica latina presupponeva una variazione della componente etnica e dell’assetto fondiario volterrani consistenti, anche se non

I Venulei rivestirono invece più volte sacerdozi strettamente connessi al culto imperiale e si fregiarono di titoli legati alla tradizione religiosa romana ed etrusca, ma in un periodo in cui questi avevano, in un certo senso, perso la loro originaria connotazione distintiva legata all’identità di valori etnici e religiosi differenti. Per contro, il noto legame dei Cecina con il mondo dell’Etrusca disciplina e dell’aruspicina ne faceva detentori di un antico sapere riservato ai principes Etruriae. Ciò, insieme al prestigio posseduto e alla considerazione ottenuta da

Infra paragrafo 4.1.2. Ad esempio, è stato notato da Ilaria Ramelli che gli etruschi prediligessero fra i sacerdozi l’augurato e il quindecemvirato per la maggiore attinenza con l’Etrusca disciplina. Cfr. Ramelli 2003: 75 e nota 151 e infra paragrafo 4.2. 499 Sebbene l’adesione o l’interessamento di membri della famiglia per i culti orientali potessero forse risalire già al I-II secolo d.C., come potrebbero provare un eventuale coinvolgimento evergetico nel finanziamento per l’istituzione del collegio dei dendrofori, la cui presenza è attestata dalla schola rinvenuta a San Gaetano di Vada (Sangriso 2017), o la statuetta in alabastro di Iside rinvenuta presso la villa di San Vincenzino a Cecina (Donati 2009: 99), sacerdozi ad essi connessi vennero effettivamente rivestiti solo in una fase più tarda (IV secolo d.C.). Allora, fra le divinità associate a sacerdozi dei Cecina o a loro congiunti erano Iside, Mitra, la Magna Mater, Attis e, del resto, rivestire numerosi sacerdozi ed essere iniziati ai culti misterici di matrice orientale rispondeva da un lato a un nuovo rapporto uomo-divinità, dall’altro costituiva uno status, un codice d’appartenenza alla classe aristocratica tardoantica. Cfr. Kahlos 2002: 62; Mangiafesta 2008: 103-113; infra paragrafi 1.3; 3.1.3; 4.3.3. 500 Chellini 1997: 390. 497 498

Per approfondimenti in merito cfr. Briquel 2001. Cfr. Scheid 1990. 493 Scheid 1990: 699. 494 Per i legami fra i Cecina volterrani e Tarragona infra paragrafo 2.3.1. 495 Scheid 1990: 703. 496 CIL II, 4264; AE 1938, 16; AE 1938, 15. 491 492

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Poteri e strategie familiari di Volterra del tutto traumatici’501. Lo studioso che ha collegato tali variazioni alle confische di Silla, Cesare, Augusto e alle successive distribuzioni di terreno su zone ‘non sfruttate intensivamente o non ancora messe a coltura, oltre che a vaste aree di latifundium’502. Sebbene la situazione, specie per l’area costiera, come sostiene Chellini, possa essere ‘falsata’ dal pesante dissesto idrogeologico, prima, e di bonifica, poi, che avrebbe causato la perdita dei toponimi antichi503, l’analisi delle epigrafi conferma sostanzialmente la tendenza della distribuzione toponomastica. Almeno dalla metà del I secolo a.C., la proprietà privata delle principali famiglie appartenenti all’élite di origine etrusca insisteva per lo più sull’area costiera e la val di Cecina, nelle aree interne e settentrionali della val d’Era e della bassa val d’Elsa, erano attestati anche proprietari di diversa estrazione sociale, mentre membri appartenenti alla casa imperiale sarebbero attestati ai confini del territorio volterrano. È infine probabile che lo status giuridico dei margini settentrionali e orientali del Volterrano fosse quello di ager publicus, come sembrerebbe attestato dal caso di C. Curtius e dalla toponomastica prediale, che qui collocherebbe le sue proprietà, in un’area dove sono effettivamente state trovate tracce di centuriazione504. Il

processo di progressiva acquisizione di spazi economici nel Volterrano non è tuttavia chiaramente leggibile per l’area settentrionale. È stato ragionevolmente proposto dalla Menchelli che la presenza di laterizi anepigrafi prodotti possa essere da collegare alla presenza di officine prevalentemente a conduzione familiare, dove l’assenza di intermediari che si facessero carico della produzione, trasporto, vendita di prodotti, giustificava il mancato uso di marchi di fabbrica505. Dal momento che la toponomastica conserva traccia di gentes legate all’attività produttiva di laterizi e vasellame in quest’area del Volterrano506 è allora necessario pensare a strategie differenti. L’acquisizione di una proprietà nel territorio di Volterra, e specie nell’area settentrionale, poteva infatti essere stata frutto di negoziati suggellati da queste nuove gentes tramite matrimoni per potersi garantire diritti di transito e/o agevolazioni per merci prodotte altrove, ma da commercializzare usufruendo della rete di scali portuali lungo la costa, nonché della viabilità interna integrata da corsi navigabili507. In quest’area la toponomastica ha evidenziato l’esistenza di proprietà appartenenti per lo più ai cosiddetti local potentes di origine non etrusca, quasi sempre coincidenti con famiglie di produttori. La localizzazione di tali proprietà in questa zona fu probabilmente frutto di vincoli matrimoniali e alleanze politiche in seguito al programma di riorganizzazione economica dell’Etruria settentrionale e alle deduzioni in età Augustea, quando lo sviluppo produttivo aveva aumentato la richiesta di materiale edilizio nelle città e nelle campagne, determinando il processo di sviluppo delle attività agricole, manifatturiere e commerciali specie nella valle dell’Arno508.

501 Riguardo i prediali individuati da Chellini, non tutti trovano però riscontro a livello archeologico o epigrafico in territorio volterrano; fra questi, i prediali di origine etrusca sono Siggiano (>Seius) a Montaione, Tamignano (>Taminius) a Frosini, Ancaiano (>Anxari/Ancarius) a Tegoia, Ariano (>Arrius) a Volterra, Armugnano (>Armunia) oggi scomparso ma attestato nel R. Vol. 48 nel 971, Cusignano (>Cusinas/Cusnei) a Castelnuovo d’Elsa e San Gimignano, Venzano (>venzile) a Volterra. Per quanto riguarda invece i prediali di origine latina di cui non si ha riscontro a livello archeologico-epigrafico: Marciana (>Marcius) a Palaia e San Casciano Val di Pesa, Barbiano/Barbialla (>Balbius) presso Montecatini Val di Cecina, Pomarance, Castelnuovo d’Elsa, Fabbriciano (>Fabricius) a Colle Val d’Elsa e Monteverdi Marittimo, Iulliano (>Iulius) toponimo scomparso nel piviere di Radicondoli, Libbiano (>Livius) a Peccioli, San Gimignano, Micciano, Musciano (>Mucius) a Palaia, Ponzano (>Pontius) presso Casole d’Elsa, Montelupo, Certaldo, Tavernelle Val di Pesa, Pulicciano (>Publicius) a Certaldo e Castelfiorentino (Pieri ricorda anche un Pulicciano a Radicondoli), Rubiano/Camporbiano (>Rubius) a Castelnuovo d’Elsa e Castelfiorentino, Roglio (>Rullius) come idronimo, Sortoiano (>Sertorius) a Tegoia, Spicciano (>Sulpicius) a Rosignano M.mo e Tavernelle Val di Pesa, Terrenzana/Tirinzano (>Terentius) Riparbella, Castelfiorentino, Colle val d’Elsa. Cfr. Chellini 1997: 386387. Altre famiglie invece sono attestate a livello epigrafico unicamente a Volterra e, non essendo attestate né a livello toponomastico né epigrafico al di fuori del centro urbano, nulla si può aggiungere sulle loro proprietà. Si tratta delle nobili famiglie di origini etrusche degli Arruntii (CIL XI, 1788), Caspennii (CIL XI, 1770; 1772) e Tlabonii (CIL XI, 1765) rispettivamente in associazione ai Volasenna e ai Caecina, dei Poena (CIL XI, 1749), dei Cilnii (CIL XI, 1746), dei Perpernae (CIL XI, 7062), dei Ladinii (CIL VI, 2683), dei Volca (CIL XI,1790) in associazione ai Vettii. Stessa situazione per le famiglie di incerta estrazione sociale, ma di origini etrusche dei Laronii (CIL XI, 1777) e dei Pergonii (CIL XI, 1750), quest’ultimi imparentati con i Traulii di origini latine; e per le famiglie di origini incerte o non etrusche degli Agatinii (CIL XI, 1755; 1756), Antonii (CIL XI, 1757), Casticii (CIL XI, 1771), Cerficii e Velinii (CIL XI, 1772); Locerii (CIL VI, 30717), Octavii (Gori Iscriz. II, 161), Pollii (Gori Iscriz. II, 170). Sulla classificazione di queste famiglie cfr. Luchi 1977: 142-144 con alcune divergenze. 502 Chellini conta 210 toponimi fondiari limitandosi a quelli attribuibili a nomi di persona sicuri, ma ammette che il numero è suscettibile di aumenti dal momento che non sono conteggiati la maggior parte dei toponimi rinvenuti in archivio e quelli latini non appartenenti alla serie antroponimica. Chellini 1997: 388-389. 503 Chellini 1997: 390-391. 504 Ciò potrebbe confermare la presenza in quest’area dell’ager publicus soggetto alle distribuzioni cesariane. Cfr. Ristori-Ristori 1993: 492. Riguardo la centuriazione e le distribuzioni di terre nel volterrano. Per ulteriori considerazioni in merito infra paragrafi 3.3.2; 3.3.3.

Il quadro che è stato possibile ricostruire ricolloca i domini non coinvolti in attività produttive nel territorio volterrano all’interno di un contesto proprietario fortemente caratterizzato da strategie parentali e alleanze matrimoniali e dove la contiguità delle proprietà terriere era potenzialmente funzionale alla condivisione di interessi economici e politici per mezzo dei vincoli di amicizia e/o parentela, creati o rinnovati509. Alle strategie matrimoniali e all’importanza di solidi legami d’amicizia fra élite si accompagnava, specie per le famiglie coinvolte in attività economiche gestite a livello imprenditoriale, un interesse per quelle aree caratterizzate da un’ampia disponibilità di materie prime e/o poste in vicinanza di reti fluviali e/o scali portuali che avrebbero agevolato la commercializzazione dei prodotti sul mercato. L’ascesa politica e sociale dei potentes di origine etrusca era legata ad alleanze politiche ed economiche Menchelli 2001: 189-193. Infra paragrafo 2.2. 507 Forse in questo senso è anche da leggere la scarsa presenza di laterizi prodotti a Roma importati a Pisa, Lucca, Vada. Il rapporto fra i laterizi di produzione locale/produzioni urbane in questi centri è di 19/3. Allo stesso tempo le produzioni bollate in Etruria terminarono nel periodo fra Antonino Pio e l’età Severiana e, negli stessi anni, le importazioni di laterizi urbani registrano un netto calo per poi scomparire completamente. Cfr. Menchelli 2003: 170-172. 508 Menchelli 2001: 189-193. Infra paragrafo 3.1. 509 Cfr. Casanova 2009: 30; Razi 1993; Merzario 1983 505 506

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‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’ suggellate da matrimoni endogamici all’interno delle principali famiglie, mentre per i potentes di origine non etrusca, che avevano acquisito spazi economici in Etruria settentrionale a partire dalle opere di deduzione del I a.C., le strategie matrimoniali erano spesso indirizzate verso famiglie coinvolte in attività produttive e/o legate al mondo militare. L’integrazione vera e propria all’interno dell’élite locale sarebbe per questi potentes di origine non etrusca forse seguita in una fase più tarda, nel II secolo d.C., e all’interno del più generale fenomeno di riassetto del potere a livello locale510. Le attività economiche gestite dai potentes erano più frequentemente attestate al di fuori dell’ager Volaterranus, mentre solo per pochissimi produttori è possibile affermare con certezza che gestissero officine nel territorio di Volterra.

un forte nucleo elitario che manteneva un solido potere su base locale e che gestì l’integrazione con Roma, garantì a Volterra il pieno inserimento nelle dinamiche dell’Impero.

Bisognerà quindi cercare verifica, a livello archeologico, dei tre momenti evolutivi rilevati nell’assetto della proprietà privata volterrana. Il primo momento è individuabile nel I secolo a.C. quando all’estinzione di diverse famiglie locali, probabilmente a causa delle repressioni sillane, seguirono i progetti di deduzioni coloniarie delle età Cesariana e Augustea. Il secondo, tra la fine del I e il II d.C., riflette le difficoltà delle famiglie dell’élite cittadina in relazione alla fine della dinastia Giulio-Claudia e all’avvento della dinastia Flavia, da una parte, l’ascesa a livello locale di nuove gentes insieme ad una generale riorganizzazione delle proprietà imperiali nell’Etruria centro-settentrionale, ai margini degli agri centuriati, dall’altra. Tra la fine del II e la prima metà del III secolo d.C. 511, alle contingenze macro-storiche si legano le sorti di vecchie e nuove gentes di Volterra in un generale riassetto del potere a livello locale che sembra delineare i caratteri della fase tardoantica512. Evidenziare tali fasi anche nella distribuzione dell’insediamento porterebbe a verificare se una diversa collocazione di gruppi e/o singoli proprietari potesse essere in relazione alla minore o maggiore produttività di determinate aree dell’ager Volaterranus. L’esistenza di legami fra le élite dell’Etruria settentrionale e dell’Impero, come dimostrato dai casi più evidenti dei Cecina e dei Venulei inserisce l’ager Volaterranus in un contesto Mediterraneo. Più che ‘una società caratterizzata da un forte conservatorismo che riuscirà a mantenere intatta la sua struttura e i propri privilegi anche nel corso delle drammatiche vicende che segneranno il passaggio dalla tarda repubblica all’Impero’513, il caso dei Cecina sembra dimostrare che, al contrario, furono la forza di negoziato e il continuo e mutevole adattamento delle strategie familiari alle contingenze macro-storiche a garantire il mantenimento dello status a livello locale e la sopravvivenza della gens sul lungo periodo. La presenza di Infra paragrafo 3.1.2. A questo periodo sono databili le epigrafi di Murtius Verianus e di Squaetinia Maximina dove i cenni, rispettivamente, alle giovani morti e alla malattia farebbero effettivamente ipotizzare una probabile coincidenza con l’epidemia. Cfr. infra paragrafo 3.1.3. 512 Ciampoltrini 1994a: 225-239. 513 Carafa 1994: 118. 510 511

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Poteri e strategie familiari di Volterra

Fig. 2.1. Potentes etruschi a Volterra.

Fig. 2.2. Potentes non-etruschi a Volterra.

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67 ‘eorum domicilia, sedes, rem, fortunas’

Fig. 2.3. Ipotesi ricostruttiva dell’assetto proprietario nell’ager Volaterranus (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO database toponomastico RETORE, Regione Toscana).

Poteri e strategie familiari di Volterra

Fig. 2.4. Iscrizione di dedica del teatro di Volterra, Museo Etrusco Mario Guarnacci, Volterra.

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3 ‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’1 Modelli d’insediamento e strategie elitarie nell’ager Volaterranus Il capitolo propone una sintesi sui modelli insediativi nell’ager Volaterranus e intende rivalutare l’importanza delle cosiddette “aree marginali”. Il capitolo si divide in tre parti. Dopo una sintesi relativa alle dinamiche di popolamento nell’arco cronologico dei secoli I a.C.-V d.C., si propone la comparazione fra i dati archeologici provenienti dai tre principali distretti geomorfologici dell’ager Volaterranus (val d’Era, val d’Elsa, val di Cecina), e quelli del centro urbano. Nella seconda parte sono presentati i risultati dell’analisi di materiali archeologici inediti per un aggiornamento e una migliore comprensione sulle dinamiche insediative. La terza parte analizza le politiche di popolamento e di organizzazione del territorio, nonché i rapporti amministrativi fra centro e periferia, in relazione alle aree “marginali”. La loro migliore definizione consentirà non solo la rivalutazione della complessità insediativa, ma fornisce ulteriori spunti interpretativi per ricostruire la storia evolutiva del distretto volterrano e dei paesaggi sui quali insistevano le strategie elitarie. Keywords: Volterra, Impero Romano, Archeologia, Storia Antica, Ricognizioni di superficie, Paesaggio, Insediamento, Aree marginali, Centuriazione, Proprietà pubbliche, Spazio sacro, Poteri The chapter, divided in three parts, provides a synthesis of the settlement patterns of the ager Volaterranus based on the archaeological data from field surveys conducted since the 1880s. The integration of literary and historical sources, the comparative approach to the development in the main three areas of the ager (val d’Era, val d’Elsa, val di Cecina) and the urban centre, as well as the analysis of unpublished materials, updates the general frame for a better understanding of the landscape’s evolutionary dynamics. The first part of the chapter provides a synthesis of settlement patterns in the ager Volaterranus. The second part deals with the local policies of settlement distribution, administration of public areas, and the relationship between the city centre and its periphery. Finally, the chapter reassesses the importance of the so-called “marginal landscapes” to arrive at a better understanding of elite strategies and the management of resources. Keyword: Volterra, Roman Empire, Archaeology, Ancient History, Field Survey, Landscape, Settlement Patterns, Marginal Areas, Centuriation, Public Properties, Sacred space, Powers Il capitolo, facendo uso di dati toponomastici, letterari, epigrafici, nonché dei dati archeologici derivanti dalle ricerche di superficie condotte sul territorio a partire dagli anni Ottanta del XX secolo, intende proporre un quadro di sintesi sui modelli insediativi nell’ager Volaterranus e rivalutare l’importanza delle cosiddette “aree marginali” per una migliore comprensione delle dinamiche evolutive nella strutturazione del paesaggio antico. Il capitolo si divide in tre parti. Dopo una sintesi relativa alle dinamiche di popolamento nell’arco cronologico dei secoli I a.C.-V d.C., si propone la comparazione fra i dati archeologici provenienti dai tre principali distretti geomorfologici dell’ager Volaterranus (val d’Era, val d’Elsa, val di Cecina), e quelli del centro urbano. Nella seconda parte sono presentati i risultati dell’analisi di materiali archeologici inediti per un aggiornamento e una migliore comprensione sulle dinamiche insediative nell’ager Volaterranus. La terza parte del capitolo analizza le politiche di popolamento e di organizzazione

del territorio, nonché i rapporti amministrativi fra centro e periferia, in relazione alle aree “marginali”. La loro migliore definizione consentirà non solo la rivalutazione della complessità insediativa, ma fornisce ulteriori spunti interpretativi per ricostruire la storia evolutiva del distretto volterrano e dei paesaggi sui quali insistevano le strategie elitarie.

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3.1. Dinamiche critiche. Il popolamento dell’ager Volaterranus: verso una sintesi? Gli scavi archeologici e le ricognizioni di superficie nel Volterrano sono stati numerosi, specie a partire dagli anni Ottanta del XX secolo, e hanno fondamentalmente mantenuto la distinzione nei tre ambiti geografici delle valli del Cecina, dell’Era, dell’Elsa. Con l’eccezione dello studio di Enrico Fiumi che prendeva in esame l’intero ager Volaterranus2, gli studiosi successivi si sono infatti spesso concentrati su singoli aspetti dell’insediamento o

Strab. V, 2, 6: ‘Il territorio dei Volterrani è bagnato dal mare’.

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Fiumi 1968.

Poteri e strategie familiari di Volterra le zone interne a clima continentale della regione. La valle era caratterizzata da basse colline e numerosi corsi d’acqua, ed è stata nel corso dei secoli favorevole alla coltivazione di vigne, cereali, olivi. La presenza di vaste aree tenute a foraggio o pascolo e di ampie zone boschive ha rappresentato una risorsa notevole per la caccia e le attività di raccolta18. Spostandosi verso sud-ovest si incontra la val di Cecina. Qui i rilievi, coperti di boschi, degradano progressivamente a colline nella media valle fino a scomparire sulla costa. Il fiume e la rete stradale, principalmente costituita dalle vie consolari Aurelia e Aemilia Scauri, unitamente ai percorsi minori di raccordo che attraversavano la valle, consentivano il collegamento e la comunicazione fra il centro urbano, le valli minori19, le aree interna e settentrionale e gli approdi marini. La presenza di una fertile pianura costiera permetteva anche in val di Cecina l’agricoltura. Lungo la costa si sviluppavano poi attività più strettamente legate alla presenza del mare, come la pesca e la produzione di sale, mentre nelle aree boschive la raccolta di frutti selvatici e di legno che contribuiva alle attività economiche come la cantieristica navale e la lavorazione dei metalli20. Nelle zone boscose venivano praticate la caccia e la silvicoltura; nei fondivalle si coltivavano l’olivo, la vite, e i cereali nelle pianure21. Le zone collinari, così come le aree nelle strette vallate del bacino dello Sterza e nel comprensorio di Radicondoli lasciate incolte, erano adibite al pascolo soprattutto di ovini e di caprini, ma anche, in misura minore, di bovini, e di suini22. Contribuivano allo sviluppo dell’economia del territorio anche la presenza di giacimenti minerari23, le attività produttive legate al mare24, la commercializzazione e lo scambio dei

su specifiche aree dei tre distretti del territorio, o ancora su determinati periodi cronologici. Per l’analisi dei modelli d’insediamento nell’ager Volaterranus rimangono fondamentali le pubblicazioni di Stefano Bruni3, Marco Castiglioni e Alberto Pizzigati4, Giulio Ciampoltrini5 per la val d’Era; di Nicola Terrenato6, Roberta Mirandola e Sergio Fontana7, Linda Cherubini e Antonella Del Rio, Simonetta Menchelli e Marinella Pasquinucci8 per la val di Cecina e l’area costiera; di Giuliano De Marinis9, Valeria Acconcia10, Marco Cavalieri11, Federico Cantini12, per la val d’Elsa e il Valdarno inferiore, oltre ai numerosi contributi pubblicati sui Quaderni del Laboratorio Universitario Volterrano, i recenti volumi come quello edito dalla Soprintendenza Archeologica in onore di Giuliano De Marinis13, e le pubblicazioni curate dagli enti museali delle province di Pisa e Livorno14. Tuttavia, avanzare un tentativo di sintesi e di comparazione dei dati risulta ostico data la molteplicità di approcci impiegati nella raccolta delle informazioni dei diversi progetti di ricerca, nonché dalla mancanza di uniformità nella classificazione delle evidenze, causa prima di difficoltà nella proposta di un modello unitario di riferimento. Allo stesso tempo, un’analisi integrata del comprensorio, privilegiando l’ottica di lungo periodo, si rivela utile per un ripensamento di alcuni fra i più comuni “stereotipi” storiografici sul caso di Volterra, fra cui quello dell’eccezionale sopravvivenza del sistema insediativo in stretta connessione ad un sistema economico e sociale basato sul sistema della villa, quello sulla distribuzione dell’insediamento in relazione alle attività produttive, e circa i rapporti fra campagne e centro urbano15. Nel Volterrano si possono identificare tre aree dotate di caratteristiche geografiche proprie che, in età romana, favorirono lo sviluppo di attività economiche specifiche: la val d’Era, la val d’Elsa, la val di Cecina con la fascia costiera16. La val d’Era, delimitata da rilievi medio-bassi era ricca di sorgenti, specie nella parte sud-orientale. La fertilità del terreno e l’abbondanza di acqua permettevano di praticarvi con successo l’agricoltura estensiva nonché di sfruttare per il pascolo i terreni lasciati incolti. La valle era inoltre caratterizzata da un sistema di vie terrestri e fluviali, rappresentato oltre che dall’Era, dai corsi d’acqua minori come il Roglio e il Chiecina, che permettevano scambi e comunicazioni con la costa e il centro urbano17. Caratteristiche simili aveva la val d’Elsa, al confine con

De Marinis 1977: 13-16. Fra le valli minori la valle del torrente Sterza è stata oggetto di uno studio mirato che l’ha definita come ‘un’area ad economia marginale’ dove le attività principali risiedevano nella selvicoltura, l’estrazione e lavorazione dei minerali, la produzione di ceramiche e laterizi, la pastorizia. Cfr. Mirandola-Fontana 1997: 59-62. 20 Sulle risorse della val di Cecina si veda Motta 2000: 15-20. 21 Motta 2000: 18-19. 22 Cfr. Motta 2000; Mirandola-Fontana 1997. 23 Fra i minerali individuati nel Volterrano, oltre alle notevoli disponibilità di argilla, erano presenti: rame, argento, zolfo, argento, alabastro, allume. Giacimenti cupriferi sono presenti nel comprensorio in particolare nella Val di Cecina (Camporciano presso Montecatini, Montecastelli, Miemo), fra i torrenti Sterza e Trossa e le valli dell’Era e dell’Elsa (MontaioneGambassi). Giacimenti di lignite sono da individuare nella foresta di Berignone. 24 Oltre alla pesca era fondamentale la produzione di sale. Giacimenti di salgemma si trovavano nell’alta val di Cecina spesso identificabili sotto forma di acque salse fra Montecatini Val di Cecina, Querceto, e Saline di Volterra. L’estrazione del minerale per evaporazione e/o per ebollizione dalle cosiddette ‘moie’ viene ricordato in un documento che attesta l’uso di ‘moie regie’, donate al vescovo di Volterra, nel 974 d.C. Sulla costa erano invece le saline tardoantiche di Albino Cecina che producevano sale tramite l’evaporazione dall’acqua marina. Non sappiamo precisamente sulla loro ubicazione, tuttavia, documenti medievali citano saline a Vada. È probabile che le saline romane e quelle alto-medievali coincidessero. In alcune carte del XVIII secolo, comunque, appezzamenti di terreno situati a nord dell’attuale centro di Vada e a est del complesso di San Gaetano, sono contrassegnati dai toponimi ‘le saline’, ‘prato delle saline’ verosimilmente in ricordo delle saline altomedievali, se non addirittura romane, che qui dovettero essere impiantate. Cfr. Motta 2000: 22-23; Del Rio 2000: 82-84; Galoppini 2012: 99-140. Cfr. infra paragrafo 2.3.1. 18 19

Bruni 1997 e 1999. Castiglioni-Pizzigati 1997. 5 Ciampoltrini 1997; 2004b; 2012. 6 Terrenato-Saggin 1994; Terrenato 1998. 7 Mirandola-Fontana 1997. 8 Cherubini-Del Rio 1995; Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006; Pasquinucci-Menchelli 2006 e 2012. 9 De Marinis 1977. 10 Acconcia 2012. 11 Cavalieri 2009 e 2016. 12 Cantini-Salvestrini 2010. 13 Baldini-Giroldini 2016. 14 Pasquinucci 2009; Regoli 2018. 15 In merito cfr. Terrenato-Saggin 1994; Augenti-Terrenato 2000. 16 Infra Fig. 1.4. 17 Cfr. Alberti-Firmati-Telleschi 2001: 9; Castiglioni-Pizzigati 1997: 13-14; Bruni 1997: 152. 3 4

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ prodotti grazie al sistema portuale25. Favoriva infine poi l’insediamento la presenza di numerosi fonti, spesso aventi proprietà termominerali e curative26.

Le ricerche archeologiche e le ricognizioni di superficie degli ultimi cinquant’anni inerenti l’ager Volaterranus fra i secoli I a.C.-V d.C. hanno condotto all’elaborazione di teorie interpretative circa dinamiche insediative in cui le fasi di stabilità e i momenti di sviluppo individuati coincidono con il quadro ricavato dai dati epigrafici, prosopografici, storico-letterari e toponomastici circa l’assetto della proprietà privata30. Le tre fasi critiche dell’assetto proprietario e dell’evoluzione insediativa nel Volterrano sono rispettivamente da mettere in relazione: agli eventi del I secolo a.C., quando all’estinzione di famiglie locali conseguentemente alle proscrizioni di Silla seguirono i progetti di deduzione coloniaria delle età di Cesare e Augusto; a una fase di riassetto del potere locale tra la fine del I secolo d.C. e il II d.C., quando oltre all’avvento della dinastia Flavia, e all’ascesa di nuove gentes, si ebbe una generale riorganizzazione delle proprietà imperiali nell’Etruria centro-settentrionale; al delinearsi, tra la fine del II e la prima metà del III secolo d.C., di un mutato assetto territoriale da cui si sviluppò il paesaggio tardoantico. A causa dei diversi sistemi di classificazione, spesso non comparabili e la parziale pubblicazione di alcuni progetti di indagine sul territorio, uno dei problemi fondamentali per lo studio dell’insediamento del Volterrano rimane la classificazione teorica dei siti31. Si cercherà quindi di seguire quanto più possibile i punti saldi di riferimento rinvenuti in bibliografia distinguendo tra ville, fattorie/insediamenti rurali e tombe/necropoli32. Sarà utile cominciare con una disamina delle fasi di sviluppo evidenziate a livello archeologico nel popolamento del Volterrano.

La differenza sostanziale tra i modelli d’insediamento dell’ager Volaterranus nelle sue aree settentrionale, interna e costiera è stata frequentemente individuata nella presenza o meno di complessi residenziali con apprestamenti di lusso, le ville, quindi con l’esistenza di gruppi elitari posti a controllo del territorio. Tale struttura è stata fino a oggi considerata la chiave di lettura del successo di Volterra nei secoli. Riassumendo, dal I secolo a.C. al V d.C., la concentrazione di ville nell’area costiera con fattorie e villaggi da esse dipendenti, sarebbe stata collegata alla presenza di élite fortemente conservatrici a controllo del territorio e delle sue risorse. Le aree settentrionale e orientale dell’ager sarebbero state abitate, invece, da proprietari indipendenti27. Le ville rinvenute nelle aree orientali e settentrionali del Volterrano hanno tuttavia spinto a riconsiderare le precedenti ipotesi. La testimonianza ciceroniana che ricorda come Aulo Cecina si recasse personalmente a riscuotere l’affitto dai suoi coloni28 induce a riflettere sul rapporto che le élite di Volterra potessero avere con i ceti subordinati e/o con i proprietari indipendenti, nonché sull’ubicazione di tali insediamenti. Le caratteristiche dissimili delle aree geomorfologiche del distretto impongono del resto la presa di consapevolezza della possibile coesistenza di modelli d’insediamento differenti all’interno di una stessa area. Come si cercherà di evidenziare, non è sufficiente prendere in esame le dinamiche di popolamento privilegiando un’ottica di lungo periodo, ma bisogna anche verificare se esse potessero essere connesse alle strategie familiari delle élite locali, che dovevano certamente influire nelle politiche territoriali. Ancora una volta, data la maggiore quantità di informazioni disponibili, il caso della gens Cecina sarà d’aiuto per offrire spunti interpretativi che possano, almeno in parte, spiegare la chiave della resilienza dell’ager Volaterranus, almeno fino al V secolo d.C., come riflesso del successo di strategie familiari di lunga durata29. Diventa quindi cruciale comprendere il ruolo amministrativo della città nei confronti del suo ager, nonché i legami fra organizzazione territoriale e negoziato delle élite nei confronti delle politiche territoriali intraprese da Roma nella regione e/o come riflesso di quelle che interessavano l’intera penisola.

3.1.1. La crisi dell’insediamento d’età ellenistica e lo sviluppo dell’ager (secoli II-I a.C.) La comparazione delle tre macroaree del territorio volterrano permette di comprendere meglio l’evoluzione delle dinamiche insediative. Caratteristiche fondamentali per lo sviluppo del territorio furono: la presenza di importanti direttrici costituite dai corsi fluviali e dalla viabilità secondaria di crinale, la presenza del sistema portuale. Così scambi e traffici commerciali fra città ed entroterra33, con il resto d’Italia e con il Mediterraneo erano garantiti. Nei secoli III-II a.C. in val d’Era il popolamento si era concentrato attorno ad abitati sparsi34 e alcuni centri agricolo-pastorali35, la cui Cfr. infra paragrafo 2.4. Fondamentale la recente riflessione di Brulet che affronta il problema dell’approccio teorico e terminologico relativo alla ricerca storicoarcheologica nei risultati degli studi dei diversi paesi europei, dimostrando come la scelta di un vocabolario troppo rigido o volutamente troppo generico, ha di fatto bloccato la storiografia degli ultimi decenni nella comprensione di dinamiche storiche degli insediamenti. Cfr. Brulet 2017: 315-336. 32 Per una visione d’insieme dei siti citati in questo capitolo si vedano infra Figg. 3.1 a 3.7. 33 Cfr. Pasquinucci-Menchelli-Benvenuti 2001. 34 Secondo Bruni sono da considerare come abitati sparsi gli insediamenti presso Podere I Bufali, Macinella, Moricci a Fabbrica (Bruni 2008: 167174; Bruni 1997: 154-156). 35 Bruni individua questi centri principali della val d’Era ellenistica negli odierni: Peccioli, Legoli, Cedri (Bruni 2008) e Scannicci, Terricciola, Badia, Chientina, Casanuova, Morrona, Montefoscoli, Soiano, Soianella e Toiano di Palaia oltre a San Ruffino di Lari (Bruni 1997). Cfr. Ciampoltrini 1997: 61. 30 31

25 Il sistema portuale di Volterra, così come il Portus Pisanus, era inserito all’interno di rotte privilegiate per il commercio del grano che giungeva dall’Africa e, in generale, nella maggior parte delle rotte commerciali del settore occidentale del Mediterraneo. L’agricoltura garantiva l’autosufficienza e la produzione anche per il mercato esterno specialmente di vino, come dimostrano le manifatture locali di anfore vinarie. Fra i prodotti importati erano invece, dalla penisola iberica olio, vino, salse di pesce, dalla Gallia vino, cereali e sigillate. Cfr. CherubiniDel Rio 1995: 376; Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006: 69-74; Pasquinucci 2007; Sangriso 2011. 26 Motta 2000: 22-23; Pasquinucci-Ceccarelli Lemut-Furiesi 2004: 13-17; Cfr. infra paragrafo 3.3.1. 27 Terrenato 2000. 28 Cic., Caecin., 94. 29 Cantini-Salvestrini 2010: 71-90. A tale proposito cfr. infra paragrafo 2.3.

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Poteri e strategie familiari di Volterra rapina46. In età ellenistica il sistema insediativo si basava su ville, fattorie, villaggi47. La situazione del territorio più interno della val di Cecina fra la fine del II secolo a.C. e l’età sillana appare di difficile valutazione. Le presenze gentilizie sembrano diminuire progressivamente, mentre aumentano in maniera considerevole le sepolture riferibili a individui di bassa estrazione sociale48. In prossimità della costa, la realizzazione della via Aemilia Scauri alla fine del II secolo a.C.49 comportò, a partire dal I a.C., uno spostamento delle attività produttive e commerciali con il conseguente incremento degli insediamenti in prossimità di essa50.

presenza è spesso indicata unicamente dalla presenza di necropoli36 da cui dipendevano alcuni centri minori37 (Fig. 3.1). Tale sistema insediativo venne stravolto dagli avvenimenti dell’inizio del I secolo a.C., come provato dalla scomparsa degli insediamenti nella zona del fiume Roglio e dell’area collinare della media val d’Era38 (Fig. 3.2). Per quanto riguarda la parte più interna del territorio volterrano, comprendente parte del Valdarno inferiore e la bassa valle dell’Elsa, è possibile seguire uno sviluppo in parte assimilabile a quello della val d’Era. Punto di forza della val d’Elsa era il passaggio di importanti percorsi viari39 e in età ellenistica l’insediamento dell’area si basava su alcuni centri agricoli ubicati sui rilievi collinari40, collegati tra loro dalla viabilità lungo i crinali41. De Marinis notava che gli insediamenti della Valdelsa avevano mantenuto vive testimonianze culturali etrusche e lo sviluppo nell’area di insediamenti romani coincise con la ‘fine stessa dell’insediamento, o un suo estremo impoverimento economico e culturale misto ad un progressivo scadimento qualitativo e quantitativo’42. Per quanto riguarda la valle dello Sterza, interessata da campagne di indagini di superficie negli anni 1989199143 che hanno permesso l’individuazione di un modello d’insediamento intenso sulle terrazze fluviali44, le dinamiche di popolamento confermano l’ipotesi dell’importanza di quest’area che, sebbene “marginale”, si trovava in posizione strategica alla confluenza della viabilità in direzione verso la val di Cornia, e verso la bassa val di Cecina45. In val di Cecina, già dall’VIII-VII secolo a.C. un ceto aristocratico etrusco monopolizzava le attività agricole ed estrattive tramite il controllo di piccoli centri ubicati in posizioni strategiche, la cui ricchezza era forse basata anche su diritti di transito e

Una prima fase di crisi dell’insediamento nel Volterrano si verificò dunque in conseguenza delle guerre civili fra Mario e Silla che, oltre agli scontri a livello locale, furono causa della scomparsa di buona parte dei centri fondati nei secoli III-II a.C.51, comportarono l’inurbamento dei proprietari terrieri52 e una crisi demografica seguita all’assedio di Volterra53. I rinvenimenti dei tesoretti monetali che erano stati occultati a Santa Lucia di Scoccolino a San Miniato54, e a Cupi di Montiano, a Capalbio, a Carrara, testimoniano un generale periodo di incertezza e pericolo in Etruria, la cui causa è da individuare nelle guerre civili che perdurarono in Italia per quasi tutto il I secolo a.C.55 (Fig. 3.2). Lo stato di guerra semipermanente fece venir meno l’autorità di Roma in alcune aree e favorì lo sviluppo del banditismo56. Secondo Ciampoltrini ‘i disordini politici Terrenato-Saggin 1994: 470. Come già evidenziato per la val d’Era e la val d’Elsa, l’acme del popolamento d’età ellenistica è relativo alla fase di III-II secolo a.C., fenomeno certamente da leggere in connessione con la grande espansione culturale, economica, demografica della comunità e del centro urbano di Volterra. In val di Cecina aumentarono allora le dimensioni dei villaggi esistenti e sorsero nuovi siti. Contemporaneamente all’incremento e ampliamento dei villaggi vennero impiantate numerose fattorie per lo più nelle zone pianeggianti. L’ampia diffusione delle fattorie in questa fase ha indotto all’interpretazione di una nuova mobilità sociale e al rafforzamento di un ceto intermedio che ne gestiva la conduzione, pur mantenendo un forte legame economico e sociale con l’élite dei principes etruschi. Questo ceto intermedio sarebbe frutto dei movimenti sociali del II secolo a.C. Cfr. Terrenato-Saggin 1994: 471-2. 48 Palermo 2004: 70. 49 La via Aemilia Scauri venne realizzata per volere del censore Aemilius Scaurus nel 109 a.C.; si trattava di una variante con tracciato più interno rispetto a quello dell’Aurelia che collegava Vada Volaterrana con Pisa attaverso le valli dei fiumi Fine e Tora. Il tracciato della via Aemilia Scauri è documentato da miliarii rinvenuti a Rimazzano (CIL XI, 2, 6664) e Crocino (CIL XI, 2, 847) nonché da fonti itinerarie (Tab. Peut., IV, 3; Anon. Rav. 4, 32=5,2; Guido., 34). Per ulteriori approfondimenti cfr. Ceccarelli Lemut-Pasquinucci 1991: 113-117; Dallai-PontaShepherd 2006. 50 Già nel III secolo a.C. lungo la costa dovevano svolgersi attività cantieristiche, come dimostra l’aiuto fornito dai Volterrani a Scipione (Liv., XXVIII, 45); Pasquinucci 2007: 681. Lungo la viabilità principale erano ad esempio centri come la possibile mansio/statio in località Podere del Pozzo, o l’agglomerato individuato in corrispondenza del moderno centro di Rosignano Solvay, lungo l’Aurelia. Cfr. Cherubini-Del Rio 1995; Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006; Menchelli-GenovesiSangriso 2018. 51 Ciampoltrini 2008b: 17. 52 Maggiani in CUV II. 2: 62. 53 Marjatta Nielsen ha individuato il picco della produzione di urne funerarie in alabastro, negli anni 80-75 a.C., come indice di un elevato tasso di mortalità in relazione agli scontri fra sillani e mariani a Volterra. Cfr. Nielsen 1977: 137-141. 54 Ciampoltrini 2003. 55 Ciampoltrini 1993: 51-69. 56 Cfr. Sorge 2008; Catalli 2008. 46 47

36 Il diverso livello qualitativo dei corredi tombali è stato interpretato come indizio di una differenziazione sociale fra un’aristocrazia rurale, imparentata in alcuni casi con la nobiltà urbana di Volterra, e un ceto subalterno di meno facile collocazione sociale. Cfr. Ciampoltrini 1997: 68; infra paragrafi 2.1 e 2.2. 37 Bruni individua questi centri secondari negli odierni Fabbrica, Alica, Ghizzano, Montecchio. Cfr. Bruni 2008. 38 Castiglioni-Pizzigati 1997: 28. 39 Le principali direttrici erano il percorso da Volterra a Monteriggioni verso nord, che tramite Barberino e le valli del Pesa e Greve collegava anche Firenze e Siena e quello per raggiungere Lucca attraversando l’Arno tra San Miniato ed Empoli, passando per Fucecchio e Altopascio, seguendo un percorso che nel Medioevo sarà della Francigena. Cfr. De Marinis 1977: 114-115. 40 Fra i centri principali d’età ellenistica: Casole (con le necropoli e i gruppi di tombe presso Querceto, Rondinicchio, San Niccolò, Metato, Le Ville, Oli, Colonna, Monti), Santinovo, Mensanello, Gracciano-San Marziale dove è ipotizzabile un luogo di culto, Le Vene, San Gimignano, Bucciano, Gracciano, Poggibonsi, Boscone, San Martino ai colli, Certaldo, Sant’Appiano. Si ricorda inoltre il percorso che proveniva da Volterra e che giungeva fino a Monteriggioni passava per Villa Decimo e Dometaie incrociando la via che da Casole attraverso Campiglia, Mugnano, Il Piano, giungeva fino a San Gimignano. Cfr. De Marinis 1977: 116 e infra Fig. 3.1. 41 Ad esempio, nella zona di San Miniato nei pressi di Fonte Vivo sorgeva un insediamento all’incrocio di due percorsi, da una parte l’ultimo tratto dell’Elsa diretto ad attraversare l’Arno, dall’altra la via lungo l’Arno verso Pisa sulla riva sinistra del fiume. È probabile che l’insediamento fosse tra i costoni dell’attuale San Miniato. Cfr. De Marinis 1977: 122 e infra Fig. 3.2. 42 De Marinis 1977: 124. 43 Mirandola-Fontana 1997: 59. 44 Mirandola-Fontana 1997: 62. 45 Mirandola-Fontana 1997: 63.

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ insieme agli impopolari progetti di distribuzione terriera generarono o favorirono il banditismo che poteva anche adattarsi a strumento di lotta di fazioni o di tutela violenta di interessi privati’57. Tutto ciò, si può ben immaginare, instillò negli abitanti dell’ager Volaterranus un profondo senso d’insicurezza. Prova eloquente dei timori al momento dell’insurrezione di Catilina, negli anni 63-60 a.C.58, è l’occultamento, nella fascia settentrionale del Volterrano, di un tesoretto monetale rinvenuto a Peccioli59. Ancora nel 40 a.C. il banditismo imperversava in Etruria settentrionale come testimonia il tesoretto di Fornacette (ager Pisanus)60, probabilmente occultato in conseguenza di turbolenze nelle campagne fra i sostenitori del partito pompeiano e coloro che parteggiavano per i nuovi triumviri61. La sintesi dei dati ricavati dalle ricerche svolte sul terreno, oltre ai tesoretti, sembra globalmente evidenziare nel territorio di Volterra, la tendenza a una cesura della documentazione archeologica proprio fra il secondo quarto del I a.C. e l’età Augustea. Ciò è probabilmente da ricollegare alla generale riorganizzazione del territorio a seguito della centuriazione, uno degli eventi principali nelle dinamiche insediative dell’ager Volaterranus62 che, stando alle tracce archeologiche, sarebbe da individuare unicamente nella bassa val d’Elsa e nella val d’Era mentre la val di Cecina e la fascia costiera non furono interessate dalla limitatio63 (Fig. 3.26).

territorio. Queste modeste ‘fattorie’, inserite all’interno delle maglie centuriali67, erano presenti nelle valli interne dell’Egola68 e del Chiecina69 (Fig. 3.2). Si trattava di unità produttive a doppio regime, ossia i cui prodotti erano per la sussistenza dei proprietari, ma anche per la vendita sul mercato70. All’apertura verso l’importazione di ceramiche fini da mensa, attestata dai rinvenimenti di sigillate di produzione pisana, fa riscontro l’autarchia nei consumi di beni alimentari come sembrerebbe testimoniato dalla presenza, quasi impercettibile, di contenitori anforici per garum od olio71. In val d’Elsa un esame delle testimonianze materiali di età imperiale, limitate spesso a tombe isolate, mostra un’evidente soluzione di continuità tra la fine del II e gli inizi del I secolo a.C. quando vennero abbandonati diversi siti72. I rinvenimenti di terra sigillata italica e tardoitalica nei diversi siti della val d’Elsa possono soltanto fornire una datazione generica fra I e II d.C. o fra la seconda metà del I d.C. e l’inizio del II d.C.73. Globalmente i centri occupati dal I secolo d.C. suggeriscono scelte insediative differenti che sfruttarono le sommità di poggi, la mezza costa, le zone di terrazzi fluviali, con una occupazione a volte fino al II d.C. o al III d.C. 74, seguendo un progressivo accentramento delle proprietà che avrebbe portato alla nascita di grandi complessi residenziali. In val di Sterza la rete degli insediamenti d’età ellenistica registrò una forte trasformazione fra la fine della tarda età repubblicana e i primi decenni del I secolo d.C. con la scomparsa della maggior parte dei siti e la nascita di nuovi insediamenti in età Augustea75. Si trattava per lo più di fattorie con impianti per la trasformazione delle derrate alimentari, delle unità produttive autonome. In prossimità dei corsi d’acqua sono state individuate fornaci per la produzione di laterizi76. Soltanto due siti, Fontirosso e Faltona, ubicati in posizione strategica a controllo dell’unica via d’accesso dalla valle

Dalla seconda metà del I secolo a.C. secolo, poi, la val d’Era fu così oggetto di un rinnovato popolamento da ricondurre alla centuriazione del territorio cui seguì l’assegnazione delle terre. I principali centri abitati si distribuirono lungo la via Quinctia, che collegava Pisa e Firenze, attestati grazie rinvenimenti archeologici come il monumento funerario del Petriolo di Ponsacco64. Le fotografie aeree e le ricerche nei pressi del Podere dell’Olmo, lungo la strada provinciale della Fila, hanno mostrano tracce evidenti di interventi di bonifica e di regimentazione delle acque65 che sono stati ricondotti alla centuriazione66 (Fig. 3.2). I nuovi insediamenti distribuiti in maniera capillare erano di piccole dimensioni, realizzati con materiali deperibili (strutture lignee o argilla cruda), spesso provvisti di pavimenti e tetti in laterizio che erano stati presumibilmente prodotti dalle fornaci del

Fra queste fattorie nei campi pianeggianti vicini all’Era, sono annoverabili il complesso de La Scafa, Vivecchia alle porte di Capannoli, Orceto e Pian di Selva. La fase di vita di questi siti è databile fra I e II d.C. Cfr. Alberti-Firmati-Telleschi 2001; Ciampoltrini 2008b; Ciampoltrini-Alberigi 2012: 52-53; infra paragrafi 3.2.4; 3.3. e Fig. 3.3. 68 Riferimento ai siti di Palagina, La Serra, Casa Portico. Ciampoltrini 1997: 69. 69 Riferimento ai siti di Marti, Montopoli, Casa San Pietro. Ciampoltrini 1997: 69. 70 Alberti-Firmati-Telleschi 2001: 34. 71 Ciampoltrini 2008b: 24. 72 Vengono abbandonati nel I secolo a.C. la necropoli di Fontevivo, la fornace di Bellafonte (Montaione), il sito di Ponte all’Ebreo, la necropoli presso il Campo della Malacena e presso Bucciano. Si segnala inoltre in questo stesso periodo la distruzione di tombe a camera nel territorio di Montaione-Gambassi. Difficile definire la cronologia dei rinvenimenti sporadici in località Casone (Monteriggioni) di provenienza generica, così come stabilire l’esatta cronologia dell’insediamento di Gracciano (Colle Val d’Elsa) dove è stata rinvenuta una piccola necropoli con tombe a fossa genericamente datata al I secolo a.C. e in località Fugnano (San Gimignano) da dove provengono urne datate al I secolo a.C. Cfr. De Marinis 1977: 59-78; 125. Infra Figg. 3.2;3.3. 73 Cavalieri 2016: 109 fig. 3-4. 74 Cavalieri sottolinea che tali siti dovevano avere relazioni con l’area dove poi sorse la villa di Aiano che, stando a rinvenimenti di terra sigillata tardo-italica, ebbe una fase di vita anteriore a quella principale di IV secolo d.C. Cavalieri 2016: 108. 75 Dei 25 siti ellenistici 18, i più piccoli, scompaiono mentre solo 7 sopravvivono. A questi si aggiunsero 11 nuovi siti in età Augustea. Mirandola-Fontana 1997: 67. 76 In particolare, in località Tegolaia, a est della confluenza con il Cecina, e a Podere San Paolo venivano prodotti tegole e coppi anepigrafi. Cfr. Mirandola-Fontana 1997: 68. 67

Ciampoltrini 2008b: 18. Sall., Cat., 28. 59 Bruni 1999: 11. 60 Cfr. Sorge 2008; Catalli 2008. 61 Bruni 1999: 46-49; Alberti-Firmati-Telleschi 2001: 32-33. La vittoria di Agrippa, e quindi di Ottaviano, su Sesto Pompeo veniva così presentata come l’inizio di una nuova era di pace e stabilità per l’Italia intera e per i territori soggetti a Roma Cfr. Keppie 1983: 69. 62 Cfr. Ciampoltrini 1981; Ciampoltrini-Alberigi 2012; Ciampoltrini 2004b; Ciampoltrini 2008b: 20. 63 Ristori 1980; Ristori-Ristori 1993; Ciampoltrini 1981; Ciampoltrini-Alberigi 2012; Cherubini-Del Rio 1995: 350-388; Mirandola-Fontana 1997: 59-86. 64 Il monumento del Petriolo di Ponsacco è stato messo in relazione con la necropoli delle Pescine d’età Giulio-Claudia. Si tratta di un cippo etrusco di tipo acheruntico sezionato per accogliere il ritratto del defunto che stilisticamente si può datare al 10 a.C. Il rito che è attestato nella necropoli delle Pescine, quello del bustum sepulchrum, venne probabilmente diffuso in Etruria settentrionale dai coloni augustei. Cfr. Ciampoltrini 2008b: 20; Ciampoltrini -Alberigi 2012: 21-23. Infra Fig. 3.2. 65 Dani 2008: 93. 66 Cfr. Piludu 2008: 111; Dani 2008: 93. 57 58

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Poteri e strategie familiari di Volterra i vari scali del sistema portuale di Volterra, quello in prossimità dell’attuale pontile della Società Chimica Solvay, protetto dalle secche fra Punta del Tesorino e Punta di Pietrabianca, doveva essere ben avviato già in età tardo-repubblicana85. In quest’area si sarebbe poi sviluppato, specie a partire dagli inizi del I secolo d.C., il polo di San Gaetano fondamentale snodo nel sistema dei Vada Volaterrana86, che favorì la nascita di nuove fornaci nei piccoli e medi centri rurali dell’entroterra per sostenere la crescente richiesta di prodotti per l’esportazione87.

all’area costiera, ospitarono ville con terme e arredi di pregio, che furono frequentate fino all’età tardoantica77 (Fig. 3.2). Nell’area più interna della val di Cecina i materiali indicano una drastica riduzione del popolamento dopo i primi decenni del I secolo a.C., nonché il trasferimento degli abitati verso valle e sulla costa. Il dislocamento dei centri determinò poi il probabile collasso delle attività minerarie e delle lavorazioni connesse. La destrutturazione del distretto minerario interno rese quest’area marginale in età romana78. Lontana dalle principali vie di comunicazione della costa, della valle dell’Arno e della val d’Elsa, l’insediamento dell’area interna della val di Cecina79 fu caratterizzato per la maggior parte da fattorie isolate autosufficienti. Sebbene non siano accertate tracce di centuriazione nella bassa val di Cecina e nel retroterra dei Vada Volaterrana, la maggior parte dei siti, specie nella fascia costiera fra le foci dei fiumi Cecina e Fine80, sorse fra II e la metà del I secolo a.C.81. Caratteristica dell’insediamento dell’ager Volaterranus costiero è la presenza di ville82, generalmente collocate in area pianeggiante lungo la costa, specie tra la foce del Fine e quella del Cecina83 dove le terre erano facilmente coltivabili, o in aree più interne, forse lungo l’antico percorso dell’Aurelia. Oltre ai complessi residenziali di maggiore importanza esistevano insediamenti minori nelle campagne dove abitavano, verosimilmente, i lavoratori impiegati nelle attività agricole e manifatturiere, spesso individuati unicamente a partire dalle necropoli.84. Fra

3.1.2. L’insediamento tra I e II secolo d.C. Tra la fine del I secolo d.C. e l’inizio II secolo d.C., nell’ager Volaterranus si verificò la progressiva formazione di grandi proprietà e la crisi di una parte degli insediamenti nelle aree settentrionale e interna del territorio88, mentre nell’area costiera, dove si registrò unicamente una leggera flessione del numero di siti, ebbe inizio un’epoca di ristrutturazione delle ville in senso residenziale (Fig. 3.3). È possibile interpretare tali fenomeni come riflesso nella politica locale dell’avvento della dinastia Flavia89. Il trasferimento di gentes senatorie nelle città, il dissolversi dei precedenti ceti imprenditoriali, il diffuso abbandono degli insediamenti agricoli, la fine degli interventi evergetici privati da parte dei maggiorenti locali sono stati spesso considerati come indicatori “tipici” di questo periodo90.

A Fontirosso sono state rinvenute tegulae mammate tipiche degli ambienti riscaldati oltre a un’ara di frantoio. L’insediamento di Faltona ha invece restituito tubuli, tegule mammate, opus signinum e un frammento di statua in marmo pario probabilmente raffigurante Diana, oltre che ad una fuseruola e di un ago di crinale indice di attività pastorali nell’insediamento. Cfr. Mirandola-Fontana 1997: 67-68. 78 A tale proposito Luigi Palermo ha ipotizzato che l’intento del dislocamento fosse anche quello di colpire determinati gruppi gentilizi etruschi direttamente interessati al controllo delle attività minerarie. Cfr. Palermo 2004. 79 Così, ad esempio, il distretto di Riparbella conserva come unica testimonianza del periodo romano due tombe alla cappuccina (Belora Bassa e Noccolino) Una tomba alla cappuccina venne rinvenuta in località Belora bassa e scavata da Failli nel 1964. Si trattava di una sepoltura femminile databile al I d.C. attestazione rara di una pratica poco diffusa in Etruria, ovvero la sepoltura in una tomba alla cappuccina di un incinerato. Solo sporadici materiali raccolti nelle vicinanze e che difficilmente consentono di interpretare il quadro dell’insediamento. Cfr. Palermo 2004: 52-78. 80 L’area è stata interessata da diverse campagne di ricognizione che hanno condotto all’individuazione di circa 320 siti databili dalla preistoria all’età medievale. Di questi 320, 208 ricadono nella fascia cronologica III a.C.-V d.C. Questo settore, inserito nelle rotte mediterranee ancora nel VII secolo d.C., doveva essere caratterizzato da una pluralità di modi di abitare. Cfr. Iacopini et Al. 2012; Menchelli-Genovesi-Sangriso 2018. 81 La fase espansiva dell’insediamento si registrò in età tardo-repubblicana fra II e I secolo a.C. con la costituzione 30 fattorie e 6 ville localizzate sulle alture dominanti la piana di Rosignano e sulla costa a nord del Fine. Cfr. Cherubini-Del Rio 1995: 354; Iacopini et Al. 2012; MenchelliGenovesi-Sangriso 2018. 82 Le ville individuate nella bassa val di Cecina da Terrenato-Saggin sono complessivamente 19. Sette di queste sorsero nel II a.C.; 7 tra fine II e inizi I a.C.; 5 agli inizi del I d.C. è stato inoltre notato che differenza delle ville dell’Etruria meridionale, quelle della val di Cecina si presentano generalmente come aree di frammenti fittili con una estensione fra 2000 e 10.000 mq e notevole concentrazione di materiale, ma gli elementi di lusso sono molto rari. La scarsezza di quest’ultimi ha fatto pensare che le ville del Volterrano fossero meno caratterizzate in senso residenziale. Cfr. Terrenato-Saggin 1994. 83 Cherubini-Del Rio 1995: 355. 84 Menchelli-Genovesi-Sangriso 2018. 77

In val d’Era, la qualità dei materiali archeologici rinvenuti nelle necropoli91 e la rilevanza architettonica di complessi funerari come lo Sburleo di Spedaletto92, indicherebbero la presenza di interessi nel territorio da parte di gentes di tono sociale elevato e di insediamenti in connessione a una via pubblica che, seguendo il corso del fiume, portava a Volterra93. Dalla seconda metà del I secolo d.C. la val d’Era volterrana vide la crisi del sistema insediativo d’età Augustea, da una parte, e la nascita di nuove forme di insediamento, dall’altra94. Nelle aree collinari, dove la Cfr. Cherubini-Del Rio 1995; Pasquinucci-Menchelli 2003; Pasquinucci-Menchelli 2013; Menchelli-Genovesi-Sangriso 2018. 86 Pasquinucci 2007; Sangriso 2011; 87 Cfr. Cherubini-Del Rio 1995; Pasquinucci-Menchelli 2006; Pasquinucci-Menchelli 2013; Menchelli-Genovesi-Sangriso 2018; Sangriso 2017. 88 Ciampoltrini 1997: 71-72. 89 Cfr. infra paragrafi 2.3.2; 2.4. 90 Ciampoltrini 1981: 54-55. 91 Ad esempio, una tomba scavata nell’Ottocento a Borgaruccio di Peccioli aveva restituito una raffinata coppa in vetro databile in età augustea. Cfr. Ciampoltrini 2008b: 28. 92 Sullo Sburleo di Spedaletto cfr. infra paragrafo 2.2. Si ricorda che la tecnica edilizia e la conservazione del costume dell’incinerazione suggeriscono di riferire alla seconda metà del I secolo d.C. il monumento (Ciampoltrini 2008b: 25). 93 Per quanto riguarda la viabilità interna, è altamente probabile in val d’Era fosse presente una via publica indicata dal toponimo Sexto e in vicinanza della quale è stato identificato il monumento funerario dello Sburleo di Spedaletto. Cfr. Fiumi 1947; Pasquinucci-Genovesi 2006. 94 Ciampoltrini-Alberigi 2012: 58-59. Fra gli insediamenti noti, scompaiono entro l’inizio del II secolo d.C.: Treggiaia (Pontedera), Selvino (Terricciola), Strido (Riparbella), Podere Colline (Pontedera), Il Casino (Ponsacco), Tenuta Cerbana (Peccioli), Casa Belvedere (Terricciola), Casa Santa Lucia, Rattaione (Volterra); Casa Susinelli (Volterra), Pian delle Vigne (Lajatico). Cfr. Figg. 3.2-3.2. 85

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ continuità di vita è attestata seppure con dislocamento di sede rispetto ai nuclei originari95. Gli insediamenti che sorsero in questa fase, fra cui Santa Mustiola (Peccioli)96 e Santo Pietro-Tegolaia (Capannoli)97, erano in posizione strategica lungo le principali direttrici viarie verso est e verso l’interno, rimanendo poi occupati, sicuramente in modi differenti, fino all’alto medioevo98 (Fig. 3.3). In val d’Elsa i dati relativi al popolamento nei secoli I-II d.C. sono difficilmente interpretabili99; complessivamente sono pochi i complessi scavati e la maggior parte dei rinvenimenti effettuati nel passato da parte di De Marinis sono sporadici, o solo genericamente attribuiti al periodo romano imperiale100. Secondo i nuovi dati provenienti dalle ricerche nell’area della val d’Elsa, sono stati definiti o rintracciati nuovi siti tra cui, a Gambassi Terme, quelli identificati in località Pievina101, San Vettore102, Boscotondo103. In linea generale, tuttavia, l’insediamento di età romana nell’area constava di piccole unità sparse molto probabilmente da interpretare come fattorie realizzate

in materiali deperibili104. Nonostante l’idea tradizionale per cui le ville fossero localizzate unicamente nell’area costiera del Volterrano, proprio fra I e II secolo d.C., un complesso residenziale sorse presso Montecalenne (San Miniato). Nel sito (Fig. 3.3) vennero rinvenuti pavimenti musivi decorati con animali e fogliame, nonché monete coniate ai tempi di Augusto, Tiberio, Bruto, Germanico e Agrippina105. Nell’ager Volaterranus costiero le ville, il cui numero era quasi raddoppiato nel corso I secolo d.C.106, convivevano con insediamenti rurali minori107. Fra i secoli I-II d.C. erano attivi tredici centri produttivi specializzati in produzione di anfore vinarie108, vasellame, laterizi, dolia109. L’aumento delle commesse, l’accrescimento delle attività 104 A tale proposito viene fatto un confronto fra Podere Cosciano in Val di Cecina e il sito in località Il Monte. Cavalieri 2016: 108; Camin 2005. 105 Nel medesimo territorio furono rinvenuti altri materiali di pregio come una testa di imperatore romano, forse della famiglia dei Flavi, trovata durante uno scavo per una fognatura nella casa del dott. Vincenzo Risi addossata al Palazzo Imperiale, e di tre urne di marmo, decorate in rilievo e iscritte. Cfr. Cantini-Salvestrini 2010: 81-90. 106 Cfr. Iacopini et Al. 2012. Le ville della fascia costiera, associate a rinvenimenti di mosaici sono state individuate presso: Segalari (Castagneto Carducci), Pieve Vecchia (Casale Marittimo), San Vincenzino (Cecina), Podere Case Nuove-Conte Millo (Castiglioncello), Podere Pipistrello, Podere Lillatro/Villatro, La Villana, Capodivilla, Pieve San Giovanni Battista (Rosignano Marittimo). È stato possibile a tale proposito consultare la documentazione conservata presso l’archivio storico della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggi a Firenze. Molto utile la documentazione relativa alla carta archeologica della Provincia di Livorno contenente una lista delle aree di interesse archeologico interessate da scavi e ricerche fino agli anni Ottanta del Novecento (Pos. 9 Livorno 7, 11-02-1983). Per i siti citati cfr. infra Fig. 3.3. 107 Si tratta di un insediamento sparso dove viveva la manodopera impiegata che poteva potenzialmente servire più ville Cfr. TerrenatoSaggin 1994. A tale proposito sarebbe interessante riflettere sulla possibilità che vi fossero anche scambi di forza lavoro fra le ville. 108 In particolare, si tratta di anfore Dressel 2-4 e anfore tipo Spello e tipo Forlimpopoli. Cfr. Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006: 73. 109 Sul litorale in sinistra del Fine in località Galafone era attiva, fra I a.C. e I d.C., una fornace che produceva laterizi, ceramica comune da mensa e cucina, bacini e anfore vinarie Dressel 2-4. Vicina era un’unità insediativa occupata tra la fine del I a.C. e il IV d.C. Cfr. Cherubini-Del Rio 1995: 368; Thierrin Michael et Al. 2004. Recentemente il sito è stato scavato e sono state rinvenute anfore Dressel 2-4 bollate ‘Xenon’ (intervista a Edina Regoli, Direttrice del Museo Archeologico di Rosignano cui sono affidati i reperti, nella testata Il Tirreno del 10 giugno 2018). Un’altra fornace abbinata a una fattoria è stata individuata in località Stradello del Lupo a nord-est di Vada. La fattoria venne occupata dalla prima metà del I a.C. al IV-V d.C. mentre la fornace si affiancò ad essa per un periodo. L’area corrisponde a quella in cui negli anni Cinquanta venne rinvenuto il bollo ‘G. Vere’ probabilmente impiegato per laterizi o anfore. Anche in località Podere Canciana è stata individuata una fattoria abitata fino agli inizi del IV-V d.C. cui si affiancò per un periodo una fornace per la produzione di laterizi, greco-italiche, Dressel 1, dolia, ceramica comune anfore. Un’altra fornace era attiva fra I a.C. e II-III d.C. in località Mazzanta, a circa un km dalla foce del Cecina, in un’area pianeggiante coltivata a cereali dove il produttore Felix bollava anfore Dressel 2-4. In località Poggio Fiori è stato individuato uno scarico connesso a una fornace, mentre in località Vallescaia era ubicato un insediamento rurale databile dal I secolo a.C. all’età tardo-antica dove il rinvenimento di alcuni distanziatori ha fatto propendere per la presenza di una fornace anche in questo sito. Maggiormente articolata la situazione di Podere del Pozzo dove sorgeva un insediamento di vaste dimensioni abitato tra l’età ellenistica e il tardo-antico forse da interpretare come una struttura ricettiva, una mansio. Per ulteriori informazioni circa i centri produttivi e i produttori, e per il sito di Vallescaia Cherubini-Del Rio 1995; Repetto-Freitag-Pasquinucci et Al. 2018 e infra paragrafo 3.2.3. Sulle dinamiche del popolamento in Val di Cecina cfr. Iacopini et Al. 2012.

Il dislocamento di sede è attestato a Scannicci e alla Pievaccia di Chianni. Cfr. Ciampoltrini 2008b: 25. 96 Il sito di Santa Mustiola sorgeva lungo la strada per Castelfalfi, l’asse principale che collegava la val d’Era volterrana a Siena, Chiusi, Roma. Venne qui rinvenuta una cisterna, messa in opera nell’avanzato I secolo d.C. e poi sopravvissuta fino all’età moderna, che doveva fare parte di un complesso produttivo rurale afferente a un gruppo di disponibilità finanziarie non indifferenti. Cfr. Piludu 2008; Ciampoltrini 2008b: 26-28. 97 Alberti et Al. 2010. 98 Cfr. Ciampoltrini 2008b: 26-28; Alberti et Al. 2010. 99 Sono attribuiti a questi secoli i rinvenimenti di località Senzano (Monteriggioni) di una tomba a catino di I secolo d.C. con due urne, una con iscrizione di L. Sentius (in merito infra capitolo 2); località Bucciano (San Gimignano): tomba a fossa con materiali di II d.C.; Monti (San Gimignano): urna marmorea con festone tra teste di Ammone e aquile di epoca augustea. Cfr. De Marinis 1977: 94. 100 Fra questi: S. Miniato, da cui provenivano la piccola urna in marmo iscritta databile tra 35 e 50 d.C. (CIL XI 1769) di Calpurnia Heroidis liberta); e l’urna in marmo iscritta (CIL XI 1772a) di Cimarulina Onesimo; una non identificabile iscrizione in latino in località S. Genesio (De Marinis 1977: 89); Boscotondo (Gambassi) dove vennero rinvenuti materiali, poi dispersi, riferibili a tombe a fossa con copertura in tegole; a Campassini Monteriggioni venne portata in luce una tomba a fossa con tegoloni conservava una moneta bronzea con restitutio augustea di Tiberio (De Marinis 1977: 91); A Gracciano sono state rinvenute monete sporadiche Agrippa, Nerone, Alessandro Severo Gordiano; A Badia a spugna si ha notizia di resti di strutture e rinvenimento di materiali di pregio (colonne, marmi etc.) (De Marinis 1977: 91-92); in località le Morticce di Mensanello e le Borolle si parla del rinvenimento di tombe romane; nel comune di Colle val d’Elsa, nel comune di Monteriggioni (podere Felciai, Ceciale, Gabbricce, la Chiusina, Malacena, Pratolecchi, Rigoni, Serfignano) (De Marinis 1977: 89); in località Cellole (S. Gimignano) è stata rinvenuta una fistula acquaria con bollo illeggibile; Presso podere Castellaccio, località Pancole, Poggio alla città, podere Sferracavalli, Collemuccioli sono state rinvenute tombe a fossa e alla cappuccina; in località Dometaie, Sediciaccia dove venne rinvenuto un tratto di strada selciata a lastre. Da quanto emerso dalle recenti ricerche della missione belga dell’UCLouvain nel territorio del comune di San Gimignano, i diversi siti individuati (Montecarulli, Il Monte, Pietre Focaie) attestano una sostanziale continuità di vita tra II a.C. e II d.C. Cfr. Cavalieri 2016: 107 nota 8. 101 Dai materiali presi in esame il sito dell’antica pieve, probabilmente sorto nei pressi di una fattoria romana con un arco cronologico ampio, dall’età Flavia al tardo Impero. Cfr. Alderighi-Schӧrner 2016. 102 I rinvenimenti sono stati parzialmente messi in relazione con un tratto di strada lastricata di cronologia non definibile venuta in luce in località Castagno Osteria Vecchia Cfr. Alderighi-Schӧrner 2016. 103 Si tratta di un’area di sepoltura. Qui è stato possibile individuare una deposizione della seconda metà I d.C. e la prima metà del II d.C. Cfr. Alderighi-Schӧrner 2016. 95

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Poteri e strategie familiari di Volterra attestano la vitalità del territorio nell’avanzato II secolo d.C. Nell’area fra l’Era e l’Elsa i siti di La Catena-Bacoli, Stibbio, La Fornace hanno restituito materiali addirittura databili all’età di Teodosio (392-395 d.C.). I rinvenimenti di Petraio (Monteriggioni)118; Scorgiano119, Poggio dei Pini, podere Sovestro (San Gimignano)120 e, soprattutto, siti come Il Muraccio-Sant’Antonio (Montaione)121, Sant’AntonioPoggio all’Aglione, San Genesio122, testimoniano che anche la val d’Elsa non doveva essere del tutto spopolata fra II e III secolo d.C.123 (Fig. 3.4). Inoltre, ricognizioni recenti hanno portato a individuare una serie di nuovi insediamenti agricoli o a carattere produttivo, interpretati come fornaci per la produzione di laterizi e ceramiche; tra queste Redoli nel comune di Gambassi Terme, e Uglioni, nel comune di Montaione, dove si trovava un sito produttivo forse di un fabbro, nel III d.C. Sempre nel comune di Montaione, nei siti di Podere Poggio Giulia, Narciana e Vignale sono stati rinvenuti numerosi materiali edilizi databili al II-III d.C. che lasciano ipotizzare la presenza di insediamenti rurali124. Casi paradigmatici del modello insediativo della val d’Elsa in questa fase sono le ville del Muraccio (Montaione) e di Aiano (Torraccia di Chiusi). Per il Muraccio era già stato ipotizzato da De Marinis che la cisterna rinvenuta potesse essere collegata a una villa di grandi dimensioni

manifatturiere e della richiesta di manodopera attirò nuovi abitanti, causando l’espansione degli insediamenti. Pertanto, come confermato dal dato archeologico, il potenziamento di Vada Volaterrana agì da traino per l’incremento demografico sulla costa, all’interno di un sistema insediativo servito da una buona viabilità110. È possibile quindi affermare a ragione che l’area non fu travolta dalla cosiddetta “crisi dell’agricoltura italica” tra fine I e II d.C.111 e, anzi, le ville continuarono la loro attività mentre delle fattorie solo dieci vennero abbandonate. In sostanza, ben 51 siti erano occupati nella val di Cecina nel II d.C.112. Anche in val di Sterza la maggior parte degli insediamenti continuò a sopravvivere fino almeno fino alla fine del II secolo d.C.113. Il restauro della via Aemilia Scauri in età Antonina, testimoniato dal cippo rinvenuto a Rimazzano (CIL XI, 26664), e forse provato dalla presenza di un ponte in muratura sul fiume Cecina, fra Casalgiustri e Belora114, indica che la viabilità della val di Cecina era non soltanto pienamente funzionante alla metà del II secolo d.C., ma che venne addirittura potenziata e/o adattata a nuovi volumi di traffico commerciale115. 3.1.3. Dalla fine del II alla metà del III secolo d.C.: le premesse per lo sviluppo del paesaggio tardoantico Il terzo momento ben distinguibile archeologicamente nella storia del popolamento dell’ager Volaterranus si colloca fra la fine del II secolo d.C. e la metà del III secolo d.C. (Fig. 3.4). Nell’area settentrionale dell’ager Volaterranus le foto aeree hanno evidenziato un mutato equilibrio idrogeologico che alterò profondamente il reticolo centuriale e il sistema di bonifica precedente116.

Tomba a cassone con unguentari in alabastro e vetro di II-III d.C. Tomba a camera e due sarcofagi, uno di Pestina Apriculae di III d.C. Cfr. De Marinis 1977: 93 e Infra paragrafo 2.2. 120 Tomba alla cappuccina di incinerato di II-III d.C. De Marinis 1977: 95. 121 I rinvenimenti effettuati in quest’area erano stati considerati come appartenenti ad un complesso unitario. Una grande cisterna a tre vasche rettangolari in opera cementizia è stata datata alla metà del III d.C. così come resti attigui di una o più fornaci laterizie che da essa dovevano essere rifornite. La grande cisterna, con una capacità di oltre 200.000 litri, doveva captare le acque di una o più sorgenti. Con ogni probabilità si tratta di un serbatoio di decantazione, scolmo e distribuzione. Cfr. Castiglioni-Pizzigati 1997: 33; Alderighi-Schӧrner 2016: 94. Altri rinvenimenti provenienti dal territorio limitrofo furono un mosaico bicromo, sette monete bronzee datati da Gordiano a Teodosio, un torso marmoreo di Atena stante in marmo lunense, tombe a fossa alla cappuccina. Cfr. De Marinis 1977; Castiglioni-Pizzigati 1997: 33. Il torso statuario frammentario era conservato nella villa Da Filicaja a S. Antonio presso Montaione. Il marmo bianco di cattiva qualità, forse concepito per la collocazione entro nicchia, sarebbe databile in età imperiale. De Marinis 1977: 227. 122 L’importanza di Borgo San Genesio (noto come vicus Wallari nell’alto medioevo) è dovuta alla posizione all’incrocio fra gli importanti assi viari che collegavano Pisa a Firenze, a Volterra, a Lucca, a Roma, oltre che alla notevole vicinanza ai corsi fluviali dell’Arno e dell’Elsa. San Genesio era quindi, anche per la posizione leggermente rilevata dal piano, un luogo favorevole alla destinazione di centro di scambio e mercato e possedeva un alto potenziale di sviluppo determinato dalla reperibilità di risorse alimentari e di quelle utili allo sviluppo delle attività artigianali. Per quanto riguarda le forme dell’insediamento, il sito, frequentato già dal VI secolo a.C., si trova in corrispondenza del punto generatore di due assi della stessa centuriazione e numerosi residui di sigillata italica e tardo italica, alcuni esemplari di scodelle in sigillata africana (Hayes 5C, 6A, 14A), frammenti di anfore italiche (Dressel 2-4) e iberiche (Dressel 7-11 e 38), oltre ad alcune monete tra cui un asse di Augusto, uno di Tiberio, un denaro di Domiziano, un sesterzio di Adriano e un asse di Lucio Vero, confermerebbero sembrano la cronologia di un insediamento attivo tra la fine del I secolo a.C. e il II secolo d.C. Probabilmente doveva trattarsi di strutture semplici come quelle attestate nella val d’Era, in legno e argilla cruda, con zoccolo in muratura o fondazione e copertura in laterizio. È stata poi registrata, come nel restante insediamento nel territorio, una cesura nelle attestazioni materiali relativa al III secolo d.C. A questa fase di crisi seguì poi un più ampio sviluppo dell’area nel corso del IV e della prima metà del V secolo. Cfr. Cantini-Salvestrini 2010: 81-90. 123 De Marinis 1977: 127. 124 Cfr. Alderighi-Schӧrner 2016: 94. 118 119

Le più recenti ricerche e le indagini di superficie hanno permesso di ridimensionare il quadro di un fenomeno di abbandono diffuso degli insediamenti in val d’Era e nel tratto fra i fiumi Era ed Elsa. In val d’Era rimase infatti occupato il sito de La Rosa (Terricciola)117. Il complesso di Uglioni e la tomba di Montalbano in val d’Egola È probabile che oltre alle principali arterie consolari una via pubblica dovesse correre parallelamente ad un affluente di destra del Cecina dove ricorre il toponimo Botro di Decimo, effettivamente distante circa 15 km dal centro di Volterra. Tale asse viario collegava probabilmente Volterra con i centri costieri. Cfr. Chellini 1997; Pieri 1969. 111 Sulla “crisi” dell’agricoltura italica e le produzioni ceramiche si rimanda a: Vera 1994; Tchernia 2006. Per il Volterrano si vedano nello specifico Pasquinucci-Menchelli 1999; Cherubini-Del Rio 1995: 377. 112 Iacopini et Al. 2012. 113 Mirandola-Fontana 1997: 69. 114 Il ponte, per la tecnica edilizia, è stato attribuito al II secolo d.C. e insisteva in un’area dove documenti medievali attestano toponimi relativi alla presenza di una strada romana selciata. Cfr. Palermo 2004: 53. 115 Testimonianze di questo grande traffico commerciale sono i contenitori da trasporto di piccole dimensioni tipo Empoli (Ostia IV 279) che vennero prodotti negli insediamenti rurali della fascia costiera dal II secolo almeno sino a tutto il V secolo d.C. Cfr. Cherubini-Del Rio 1995: 379-380; Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006: 73-74. Per ulteriori informazioni sulla viabilità antica della val di Cecina cfr. PasquinucciCiuccarelli 2004. 116 Cosci-Spataro 2008: 33-40. L’abbandono della maggior parte dei siti individuati è datato dall’assenza di sigillate africane posteriori all’avanzata età Antonina o Severiana. Un elenco degli insediamenti della val d’Era in età romana è riportato in Dani 2008: 100-108. 117 La datazione è data dal rinvenimento di sigillata africana di III secolo d.C. Cfr. Ciampoltrini-Alberigi 2012. 110

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ situata a valle. Tale ipotesi è stata recentemente confermata in seguito al rinvenimento di strutture residenziali con annesso complesso termale, la cui datazione sarebbe da collocare intorno alla prima metà del III d.C., e che sarebbero rimaste occupate fino al IV-V secolo d.C.125. La villa e il suo impianto termale si trovano lungo la via volterrana, frequentata ininterrottamente dall’età etrusca a quella tardo-imperiale, come dimostrano anche i vicini rinvenimenti effettuati fra il Poggio all’Aglione, il Ponte all’Ebreo, il sito Sant’Antonio-Figline126 (Fig. 3.4).

d.C. rappresentò un momento di difficoltà, dal momento che è stato registrato un calo delle attestazioni a livello archeologico134 e a San Gaetano di Vada alcune sepolture interne al sito attesterebbero la perduta funzionalità di alcuni edifici135. In val di Sterza, 12 siti continuarono a essere occupati fino al II-III d.C., e addirittura sette vennero fondati ex novo136.

Le ville di Montaione e di Aiano, destinate a sopravvivere in quanto strutture residenziali fino al IV-V secolo d.C. (Figg. 3.4; 3.5),131 testimoniano lo sviluppo progressivo di grandi proprietà che, a partire dagli inizi del II secolo d.C., ebbe come conseguenza l’accentramento della ricchezza nelle mani di una ristretta classe di possessores che, specie dopo la riorganizzazione amministrativa dioclezianea, avevano reinvestito in questa parte del territorio le loro fortune132. Lungo la costa, fra la seconda metà del II e il III secolo d.C., si registra un’accentuata fase di restauro delle ville con l’aggiunta di complessi termali e apprestamenti di lusso133. Tuttavia, pure in val di Cecina il III secolo

Dopo la metà del III secolo d.C. e soprattutto nel IV secolo d.C., nell’area costiera si verificò una fase di ripresa che vide la nascita di nuovi siti e un rinnovamento edilizio nel quartiere di San Gaetano di Vada137, mentre la maggior parte delle ville residenziali, come San Vincenzino, continuò a essere occupata fino al IV-V secolo d.C.138 (Fig. 3.5). In val di Sterza solo nove siti hanno restituito materiali datanti di IV-V d.C.139. A causa della scarsa qualità e consistenza delle attestazioni (eccetto che per i complessi residenziali) è difficile comprendere chiaramente le vicende insediative delle aree orientale e settentrionale fra seconda metà del III e IV secolo d.C.140. Un momento più consistente di destrutturazione dell’insediamento nel Volterrano si registra a partire dal V secolo d.C. quando si verificò una selezione di siti che continuarono a sopravvivere (Fig. 3.6). Si trattò per lo più di ville e, in alcuni casi, di centri manifatturieri per la produzione di anfore tipo Empoli e vasi comuni141. È possibile affermare in linea generale una tendenza all’arretramento in zone elevate e a una certa distanza dal mare142, verosimilmente a causa delle ripetute incursioni delle popolazioni barbariche, che avrebbero causato l’abbandono e il conseguente impaludamento di alcune zone retro-lagunari nell’area costiera143. Le invasioni dei Goti di Alarico e Ataulfo lungo l’Aurelia (408-410 d.C.) aggravarono la situazione in Etruria che conobbe una fase d’instabilità politica fino al termine della guerra greco-gotica, quando Volterra si

125 Del complesso è stata indagata solo parte dell’area termale decorata con pavimenti a mosaico e rivestimenti parietali in marmo e paste vitree. Cfr. Alderighi-Schӧrner 2016: 94. 126 Cfr. Alderighi-Schӧrner 2016: 94; Castiglioni-Pizzigati 1997; De Marinis 1977. 127 Cavalieri 2016: 105. 128 La villa di Aiano, distante in linea d’aria 17 km da Volterra e 20 da Siena, si trovava a soli 3 km a nord dalla diramazione per Siena o Firenze della strada da Volterra a Poggibonsi. Un’altra via antica correva sul crinale in sinistra dell’Elsa e guardava il Foci passando a 2,7 km dalla villa. Questo percorso sembra coincidere con quella che sarebbe diventata la strada romea percorsa da Sigerico di Canterbury alla fine del X secolo. Cfr. Cavalieri 2016: 109-114. 129 Il riferimento è il particolare ai sectilia vitrei per i quali è stato possibile ricostruire il soggetto marino in più pannelli. Riferimenti e confronti sui sectilia vitrei decorativi sono presso la villa di San Vincenzino a Cecina e a Faragola in Puglia. A tale proposito era stata avanzata l’ipotesi di una matrice egiziana per le maestranze che realizzarono i sectilia. Anche la presenza di anfore africane e betiche databili al V secolo d.C. dimostra che ancora allora il sito fosse inserito in un contesto commerciale vitale. Cfr. Cavalieri 2016: 114-115. 130 Il sito di Aiano venne riorganizzato fra la seconda metà del IV e la seconda metà del V secolo d.C. e abbandonato, come struttura residenziale, fra fine V e metà VI secolo d.C. per essere impiegato come sito di produzione. Aiano venne definitivamente abbandonata nella prima metà del VII secolo d.C. Cfr. Cavalieri 2016: 110. 131 Castiglioni-Pizzigati 1997: 33. 132 Cavalieri 2016: 109. Infra paragrafi 1.3; 3.3.3. 133 Fra queste si segnalano le ville di Segalari, San Vincenzino, Pieve vecchia. Cfr. Cantini-Silvestrini 2010; Augenti-Terrenato 2000: 239. Per i siti citati cfr. infra Fig. 3.4.

134 Per quanto riguarda le fattorie, a fronte di due nuovi insediamenti, 11 vengono abbandonate. 135 Le sepolture sono state datate al 267-377 d.C. Cfr. PasquinucciMenchelli 2013: 143. 136 Mirandola-Fontana 1997: 69. 137 Cfr. Pasquinucci-Menchelli 2013 e Menchelli-Pasquinucci 2015. Del resto, le monete rinvenute negli horrea a San Gaetano di Vada testimoniano, essendo per lo più datate fra 330 e 403 d.C., una vitalità di traffici e commerci. In merito, Facella 2004. Interessante notare come questo periodo coincidesse con le grandi fortune dei Cecina in Africa. Cfr. infra paragrafi 2.1.3; 4.3. 138 Menchelli-Sangriso-Genovesi 2018. 139 Mirandola-Fontana 1997: 70. 140 Cfr. Ciampoltrini-Alberigi 2012. 141 Iacopini et Al. 2012. È stato a tale proposito notato che la manifattura delle anfore di Empoli nel Volterrano risultava chiaramente connessa alle attività imprenditoriali delle villae di grandi dimensioni come San Vincenzino. Cfr. Pasquinucci-Menchelli 2006; Pasquinucci-DucciMenchelli et Al. 2012. Per le ultime fasi di vita della “fattoria” di San Mario cfr. Motta-Camin-Terrenato 1993; Motta 1997. 142 Il rinvenimento di tesoretti monetali occultati in questo periodo a Orbetello, Sorano, Portus Pisanus, testimoniano l’instabilità dell’intera area dell’Etruria. Cfr. Pasquinucci-Menchelli 2013: 152; DucciPasquinucci-Genovesi 2006. 143 L’impaludamento di parte dell’area costiera fu probabilmente alla base dello spostamento rispetto ad alcuni siti frequentati nelle epoche precedenti. Del resto, che l’intera area fosse paludosa è confermato fino al periodo delle bonifiche lorenesi. Per ulteriori considerazioni sul territorio compreso fra le valli del Fine e del Cecina in età medievale e le bonifiche si rimanda da ultimo a Galoppini 2012.

Un’altra villa in quest’area orientale del Volterrano è stata portata in luce dalle ricerche condotte da parte dell’Université Catholique de Louvain-la-Neuve nel bacino idrografico dei torrenti Foci e Riguardi presso San Gimignano, in località Aiano-Torraccia di Chiusi127. Probabilmente sorta su un complesso di età precedente, la monumentalizzazione del sito rese la villa di Aiano un polo di controllo territoriale posto sul sistema viario128 in un contesto di altissimo prestigio che fece ampio uso di prodotti di lusso importati129, definitivamente abbandonato solo nel VII secolo d.C.130.

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Poteri e strategie familiari di Volterra arrese a Narsete (553 d.C.)144. Nel VI secolo d.C. lo stato di guerra semipermanente, le carestie, le epidemie145, portarono a compimento la destrutturazione del paesaggio consolidatosi in età romana146, sistema di cui rimasero eredi, all’interno di nuove condizioni, alcuni siti occupati nel VII d.C. e il polo di San Gaetano di Vada essenziale per il rifornimento del centro urbano e del suo territorio147 (Fig. 3.7).

devoti154, che sarebbe suggestivo ricollegare alle esigenze dei fedeli in seguito al pericolo delle confische di Silla e Cesare, prima, e alla riorganizzazione territoriale in seguito alla deduzione della colonia con Augusto, poi. Effettivamente nel santuario si praticava, fra gli altri, il culto di Demetra, divinità protettrice dell’agricoltura, del vivere civile, delle leggi che regolano la convivenza sociale, ma anche del dio semiferino Pan protettore delle attività agresti legate alla natura selvaggia come la caccia, la pesca, l’allevamento155. Le due divinità ben si prestavano a rispondere alle preghiere dei fedeli relative a richieste per i loro campi e le loro attività agricole in pericolo, oppure a ricevere il ringraziamento di quanti avevano mantenuto o acquisito nuove proprietà nell’ager. La promozione a colonia di Volterra ebbe tra le conseguenze la monumentalizzazione delle aree urbane correlate con la vita pubblica tramite interventi evergetici156, ma l’innovazione urbanistica manifestò una particolare attenzione per le tradizioni cultuali etrusche. L’acropoli venne parzialmente ristrutturata157 e dotata di una cisterna monumentale, la cosiddetta “piscina romana”158. Si tratta della cisterna più grande fra quelle rinvenute in città che comportò un massiccio intervento sui sistemi di drenaggio e captazione delle acque dell’intera zona159. La costruzione di un grande deposito d’acqua e di una vasca di raccolta per l’approvvigionamento idrico dell’intero settore orientale della città, rese necessario uno sforzo finanziario e organizzativo che, sebbene non si abbia alcuna informazione epigrafica a riguardo, probabilmente fu sostenuto da una o più ricche famiglie di Volterra160. Venne inoltre impiegata una tecnica edilizia “nuova” che impiegava opera cementizia con paramento in blocchi insieme a una tipologia di strutture complesse per realizzare ambienti sotterranei molto più ampi di quelli finora esistenti in città161. A questa fase di monumentalizzazione e innovazione si fa risalire anche lustratio publica menzionata in un’iscrizione rinvenuta nel pendio sottostante l’acropoli162. Dall’ 1 a.C.

3.1.4. Archeologia urbana: lo sviluppo della città romana Risulta cruciale l’analisi dello sviluppo del centro urbano (Fig. 3.8) in relazione alle dinamiche insediative evidenziate per il territorio148. Le mura urbane segnavano il confine tra civitas e paesaggio rurale probabilmente includendo al loro interno spazi liberi da edifici o solo parzialmente edificati149. All’esterno continuavano a essere usate le antiche necropoli etrusche della Badia, Portone, Ulimeto, Ripaie150. L’acropoli sacra, almeno dalla prima metà del VII secolo a.C., si configurava non solo come luogo di culto, ma come un vero e proprio polo identitario e aggregativo151. Proprio nel santuario si può trovare traccia della prima fase evolutiva di I secolo a.C. riscontrata anche nell’insediamento del territorio. Dal I secolo a.C. il santuario urbano registrerebbe una fase di ‘decadenza’152, un saccheggio153 e, dalla metà del I secolo a.C., un incremento dell’affluenza da parte dei Agath., I, 11, 6. Già nel 467 d.C. Sidonius Apollinaris definiva la Tuscia come una ‘pestilens regio’ (Sid. Apoll., Epist., 1.5.8), e del resto, dal 450 d.C. carestie e malaria sarebbero confermate in Italia come conseguenza del più generale periodo noto come ‘Late Antique Glaciation’ (450-700 d.C.). Durante il conflitto fra Goti e Bizantini carestie sono attestate da Procopio fra 538-539 d.C. (Procop., Goth., 2.20; 3.5-6; 4.29-34) epidemie nel 541 d.C. e nel 554 d.C. (Paolo Diacono, Historia Langobardorum, 2.4; 26; 27). Con l’invasione longobarda (568 d.C.) si verificarono nuove pestilenze negli anni 565-571, 590-591, 599-600 d.C. Instabilità climatica, carestie ed epidemie determinarono un cambiamento sostanziale nella configurazione del paesaggio tardoantico. Fra i numerosi contributi sull’impatto climatico e le epidemie nel mondo antico e tardoantico si rimanda a Harper 2019; McCormick-Büntgen et Al. 2012; Little 2002. 146 Cfr. Augenti-Terrenato 2000; Pasquinucci-Ceccarelli LemutFuriesi 2004. 147 Nel sito di San Gaetano di Vada è altresì attestata l’occupazione di parte dell’area indagata con una necropoli databile fra VI e VII d.C. Per quanto riguarda la vitalità delle attività commerciali, è noto che Teodorico si impegnò ad incrementare le attività economiche della Tuscia soprattutto in direzione del mercato della Provenza. Cfr. Pasquinucci-Menchelli 2013; Menchelli-Pasquinucci 2015; Facella 2004; Iacopini et Al. 2012. 148 Per una visione d’insieme dei siti citati per Volterra romana Fig. 3.8. 149 Munzi 2000c: 193. 150 Pasquinucci-Ceccarelli Lemut-Furiesi 2004. Per le necropoli di Volterra cfr. Fiumi 1976. Sulla necropoli delle Ripaie si rimanda al recente Rosselli 2018. 151 Il santuario nacque nella prima metà del VII a.C. come luogo di identificazione primario a suggello della nascita della comunità urbana. Inizialmente dedicato alla coppia fondatrice per eccellenza, Dis Pater (Papa) e Uni (Chia), ben presto il luogo di culto definì i suoi confini topografici ed estese il suo dominio sulle campagne. In questo senso si spiegherebbe l’introduzione del culto di Demetra, divinità che presiedeva il territorio come insieme dei campi coltivati, e delle divinità della natura selvaggia, Pan e Artemide, che abitavano la parte non urbanizzata del paesaggio e proteggono pascoli e boschi. Cfr. Bonamici 2010 e 2015: 31-36. 152 Maggiani in CUV II. 2: 62. 153 Rappresentato dal rinvenimento di un gruppo di armi e utensili in ferro e frammenti di vasellame in bronzo databili fra fine II e I secolo a.C. Cfr. Bonamici 2007: 210; Rosselli 2007: 219. 144 145

154 I livelli sono ricchi di materiali ceramici e numerose sono pure le numerose iscrizioni su materiali ceramici in lettere latine e lingua etrusca, o in lettere latine e lingua latina. 155 La compresenza del dio Pan è stata proposta da M. Bonamici in seguito al rinvenimento, nel 2008, di una gemma, forse originariamente incastonata in un anello come sigillo, recante incisa l’immagine del dio Pan, databile intorno alla seconda metà del I secolo a.C. La Bonamici, inoltre si interroga sui legami fra il culto di Pan e altri reperti individuati sull’acropoli come un piccolo gruppo statuario delle ninfe, abituali compagne di Pan, un’iscrizione inedita in lettere latine in cui si legge ‘PAN’ chiedendosi se un simile culto debba intendersi al servizio della comunità grecofona che frequentava il santuario, e attestata da ulteriori rinvenimenti epigrafici su ceramica. Cfr. Bonamici 2010: 245 e note 2425. Il coperchio su cui è inciso ‘PAN’ è databile al I a.C.; l’iscrizione ‘EROS’, attribuita a un grecofono è incisa su un’olla a caratteri latini. Per ulteriori considerazioni in merito si veda Bonamici 2010: 241-243. 156 Pasquinucci-Ceccarelli Lemut-Furiesi 2004: 44. 157 Una parte del pianoro rimase però non occupata. Nello scavo, infatti, il saggio R mostra l’edificio medievale impostato direttamente sul crollo di età tardo-repubblicana Cfr. Bonamici 2003: 84. 158 La vasca di decantazione dell’acqua venne realizzata in alzato ed è oggi visibile all’ingresso dell’area archeologica dell’acropoli, conservata in elevato per circa 50 cm. Furiesi 1999. Per ulteriori informazioni sulla cisterna romana cfr. Rosselli 2011. 159 Furiesi 2008: 133. 160 Cfr. Furiesi 2008; Furiesi 1999. 161 Furiesi 2008: 133. 162 Con lustratio si intendeva una cerimonia di purificazione di cose o persone per una destinazione sacra. Sulla considerazione delle lustrationes per le festività dell’inizio dell’anno o in memoria delle lustratio populi ordinarie si veda Gabba 1977.

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ cominciò la realizzazione del teatro nell’area di Vallebuona (1 a.C.-25 d.C.), monumento proprio di quelle città che desideravano offrire all’imperatore Augusto prima, a Tiberio poi, l’immagine della loro lealtà163 (Fig. 3.9). Nel teatro si materializzava infatti l’incontro fra la comunità cittadina e il principe, simbolicamente presente con i suoi signa marmorei, i temi iconografici condizionavano la ricezione di determinati valori ed esprimevano l’intento onorario nei confronti di Roma164. Concepito come un progetto unitario finanziato dalla famiglia dei Cecina, secondo Alberto Pizzigati il ciclo decorativo del teatro mostrerebbe delle caratteristiche tipiche dell’età Tiberiana165. Interessante sottolineare che per quest’opera i Cecina si servirono di maestranze provenienti dalla capitale e, solo in parte locali166. Il complesso fu poi ampliato in età Claudia con l’aggiunta di una porticus pone scaenam. Il teatro divenne centro nevralgico di un nuovo quartiere ristrutturato tra il foro, probabilmente situato nell’area dell’odierna chiesa di San Michele detta appunto in foro, e le mura, strettamente connesso al principale percorso viario in senso nord-sud, tra Vallebuona a ovest, Docciola a est167. La città romana era dotata anche di un anfiteatro, come ha dimostrato la scoperta nel 2015, di resti riconducibili a tale struttura nell’area sottostante il complesso cimiteriale urbano168. I dati preliminari provenienti dallo scavo del complesso ricostruiscono che l’anfiteatro, ubicato in prossimità della necropoli del Portone, fuori da porta Diana, venne realizzato intorno al I secolo d.C. con una struttura di tipo ‘misto’, in parte scavata naturalmente, in parte realizzata artificialmente169. La struttura (82 x 65 m) aveva una cavea suddivisa in tre settori e tre ordini per una capienza stimata in 8.000-10.000 persone170. Per la tecnica di realizzazione l’anfiteatro potrebbe essere stato realizzato dalle stesse maestranze che si erano occupate del teatro di Vallebuona171.

sono stati rinvenuti in località Ortino173, Pubblici MacelliSanta Chiara174 fuori da porta Fiorentina (Fig. 3.10), via Gramsci175, via Roma176, presso la chiesa di S. Francesco e nel vicolo di Belladonna, mentre per diverse cisterne individuate è possibile solo ipotizzare il loro collegamento a strutture residenziali177. Anche il teatro subì alcuni restauri fra i secoli I e II d.C.178. Nel corso del II secolo d.C. poi, quasi tutte le residenze urbane vennero restaurate179. Anche per la città fu cruciale il periodo fra la fine del II e il III secolo d.C. L’archeologia attesta una radicale trasformazione del centro urbano. Fino alla prima metà del III secolo d.C., il teatro rimase in uso dal momento che venivano assegnati posti riservati all’élite cittadine180. Il monumento subì poi una ristrutturazione consistente con il tamponamento di numerose aperture dell’orchestra, la chiusura di tutti gli accessi e delle porte della scena con setti in panchino e opera cementizia. Questo lavoro, collegato con lo smontaggio del palcoscenico in legno e il livellamento dell’area della scena a un’unica zona di calpestio, unito poi allo smantellamento delle lastre della proedria, come aveva già ipotizzato Fiumi, sembra collegato a un cambiamento d’uso dell’edificio di cui non è stato possibile interpretare la funzione181. Nello stesso periodo vennero infatti rasate le strutture a tre esedre che ospitavano le statue imperiali e fu costruito un muro a gradoni soprastante; tutti lavori questi che rendono difficile interpretare il cambio di destinazione d’uso dell’edificio182. Alla metà del III secolo d.C. si data l’obliterazione delle cisterne cittadine, nonché l’abbandono e progressivo crollo Il mosaico pavimentale a decorazione geometrica rinvenuto in questa domus è oggi visibile presso il Museo Guarnacci. Cfr. Bueno 2011: 162. 174 Qui è stata individuata una domus arredata con mosaici pavimentali databili stilisticamente al II d.C. 175 I resti sono stati portati alla luce da scavi d’emergenza condotti nel 1990 da un’equipe del progetto Volterra sotto la direzione della Soprintendenza. Nello specifico si trattava di resti di strutture murarie pertinenti ad edifici di età alto-imperiale. Munzi 2000c: 192. 176 I resti sono stati portati alla luce da scavi d’emergenza condotti nel 1990 da un’equipe del progetto Volterra sotto la direzione della Soprintendenza. Si tratterebbe di alcuni ambienti più volte ricostruiti, in vita tra l’età ellenistica e quella medio-imperiale. Munzi 2000c: 192. 177 In località Le Cetine sono noti resti di cisterne. Nella zona alle spalle del teatro sopravvivono, ora adibite a cantine, due cisterne cementizie con copertura a volte a botte databili orientativamente al I secolo d.C. situate una in via Guarnacci 33-41 e nel vicolo dei Lecci, l’altra sotto palazzo Viti, in via Sarti 39. Presso quest’ultima si trova una cisterna etrusca con una caratteristica copertura a falsa volta costituita da blocchi aggettanti ancora in funzione nel corso della prima età imperiale. Infine, una cisterna in cementizio a pianta rettangolare coperta con volta a botte situata all’esterno del circuito murario ellenistico appena fuori porta San Felice. La massiccia presenza di cisterne nell’area urbana sarebbe indizio dell’attenzione riservata al problema dell’approvvigionamento idrico. Non è poi improbabile, in una città caratterizzata da forti dislivelli come Volterra, che queste strutture in cementizio abbiano avuto qualche funzione sostruttiva. Le cisterne di palazzo Viti e Via Guarnacci sono ad esempio situati nei pressi della supposta area forense. La cisterna in via Guarnacci potrebbe inoltre avere una qualche relazione funzionale con il complesso teatrale appoggiato al sottostante pendio collinare. Cfr. Furiesi 2008: 102-103. 178 Munzi-Terrenato 2000. 179 Sulle caratteristiche decorative e cronologiche risulta molto utile il catalogo dei mosaici in Bueno 2011: 168. 180 Cfr. Munzi 2000b: 136. 181 Fiumi però individuava a questo proposito la trasformazione del teatro in un anfiteatro per giochi gladiatorii, ipotesi che oggi sembra da rivedere alla luce del rinvenimento dell’anfiteatro, prima ignoto, a Volterra. 182 Furiesi 2008: 102-103. 173

Passando ad analizzare la seconda fase di crisi insediativa evidenziata per l’ager, fra I e II secolo d.C., si evince in città la realizzazione di domus, lussuosamente decorate con mosaici, dotate di cisterne e ambienti riscaldati. La maggior parte degli edifici residenziali si trovava nel quartiere alle spalle della cavea teatrale172. Resti di domus Munzi-Terrenato 2000; Zanker 2002. Sulla lettura dell’apparato decorativo e i ritratti della famiglia imperiale nel teatro volterrano: Pizzigati 2019; 2021. 165 Sul teatro romano di Volterra cfr. infra paragrafi 1.2.10; 2.3.1; 4.3.1. 166 Pizzigati 2007; Munzi-Terrenato 2000. 167 Non è chiaro se alla monumentalizzazione della città in età Augustea si accompagnò un riassetto urbanistico su base ortogonale che rispettava l’impianto precedente incardinato su un percorso nord-sud che univa le due porte di Porta all’Arco e Porta Diana, e uno est-ovest che invece collegava la Porta a Selci alla scomparsa porta San Marco. Interessanti le interpretazioni di W. Fuchs relative al teatro urbano. Secondo Fuchs, l’impianto del teatro sarebbe basato su un reticolo geometrico la cui unità è pari a 10 piedi romani. L’uso di una misura romana come riferimento potrebbe suggerire l’adozione di un nuovo piano regolatore, mancano tuttavia al momento conferme a tale proposito. Cfr. Fuchs 2021. 168 Sorge 2021. 169 Sorge 2021. 170 Cfr. Il Tirreno 1 novembre 2015; Sorge 2021. Per i legami fra eminenti volterrani e il mondo del circo e dell’anfiteatro cfr. infra paragrafi 2.3.1; 4.3. 171 Sorge 2021. 172 Via Sarti e via Guarnacci, Fig. 3.8. 163 164

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Poteri e strategie familiari di Volterra dei templi183. Significativamente, all’obliterazione delle cisterne cittadine sembra far riscontro la realizzazione di terme pubbliche184 monumentali a San Felice, nel suburbio meridionale, cui sono attribuiti alcuni frammenti iscritti (CIL XI, 1939) forse riferibili al titolo dedicatorio dell’edificio che sembra legato al nome di Commodo o Gordiano III, in accordo con la datazione dei pavimenti a mosaico185 (Fig. 3.11) e anche a Vallebuona nella porticus pone scaenam del teatro186. A tale proposito, Massimiliano Munzi ha proposto di interpretare quest’impegno evergetico nell’edilizia monumentale in relazione all’ingresso dei volterrani Petroni Volusiani nell’ordine senatorio187.

VI secolo d.C., sepolture penetrarono all’interno del tessuto urbano, varcando il confine sacro della civitas segnando la nascita delle nuove forme dell’abitare nel paesaggio urbano tardoantico e altomedievale194. I dati preliminari provenienti dallo scavo ancora in corso dell’anfiteatro attestano una spoliazione delle strutture e un riutilizzo nel VI secolo d.C. Le nuove ricerche archeologiche e i dati dall’anfiteatro di Volterra saranno fondamentali in futuro per comprendere meglio lo sviluppo urbano. 3.2. L’apporto dell’inedito: aggiornamenti archeologici sull’ager Volaterranus Considerato il problema relativo alla parziale pubblicazione di ricerche e alle difficoltà di sintesi e comparazione dei dati, la grande quantità di informazioni inedite custodite presso i magazzini dei musei del territorio e presso gli archivi della Soprintendenza costituiscono un punto di riferimento cruciale per lo sviluppo di nuove prospettive di ricerca. Oltre allo spoglio della documentazione conservata a Firenze, presso l’archivio storico della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio, inerente scavi e ricerche condotti fra gli anni 1925-2010 in vari comuni pertinenti all’ager Volaterranus195, sono stati analizzati due lotti di reperti archeologici inediti selezionati in quanto provenienti da siti ritenuti rappresentativi per un aggiornamento dei modelli d’insediamento dell’area costiera e di quella settentrionale del territorio196. Il primo lotto comprendeva i reperti provenienti da ricognizioni effettuate in bassa val di Cecina negli anni Ottanta e Novanta197 nei siti di Capodivilla, La Villana, Vallescaia198. I primi due, come attestato dalla toponomastica, hanno ospitato dei complessi residenziali, il sito di Vallescaia era invece un sito produttivo. Il secondo lotto di materiali comprendeva materiali recuperati occasione di scavi di emergenza effettuati, nel 2010-2011, per la messa in opera del metanodotto SNAM Palaia-Collesalvetti nei siti di Orceto (Lari) e Pian di Selva (Ponsacco) in val d’Era199. Lo

Alla fine del III secolo d.C., probabilmente in seguito a un terremoto, crollò e venne poi abbandonato il teatro188 e consistenti strati di dark earth, spessi depositi di materiale organico verosimilmente formatisi per il degrado di strutture abitative in legno e di accumuli di rifiuti, si depositarono in via Gramsci, in Piazza XX Settembre e presso la posterula di San Lino189 (Fig. 3.8). L’abbandono delle terme di Vallebuona, avvenuto non prima della seconda metà del IV secolo d.C., segnò simbolicamente una seconda tappa nel percorso della destrutturazione urbana190 rappresentando la fine della civitas romana e lo sviluppo di quella cristiana191. Come emerge dal dato archeologico è questo il periodo cui risale la necropoli cristiana individuata nell’area di San Giusto come testimoniato da due epigrafi192. Continuavano a essere usate dai volterrani le necropoli extraurbane. La città tardoantica venne quindi a frazionarsi in diversi settori che continuavano a usare le antiche necropoli, mentre le aree, come l’acropoli, vennero frequentate sicuramente in maniera differente rispetto al passato, ma continuativamente come sembra attestato dalla presenza di anfore da trasporto provinciali databili a partire dal IV secolo d.C., che testimoniano un uso dell’acropoli fino al VII secolo d.C. e all’alto medioevo193. Tra la fine del V e il

Con la conquista longobarda Volterra divenne sede gastaldale. La configurazione della città antica venne frazionata. Due centri fortificati sedi ben separate e distinte una dell’autorità vescovile, erede delle magistrature coloniarie, l’altra probabilmente della nuova autorità politica longobarda, erano verosimilmente comprese fra il vecchio foro e la basilica vescovile di Santa Maria Assunta nominata per la prima volta nell’821 d.C. (R.Vol. 99) e la zona periferica del cosiddetto Prato Marzio con il Castellum Albuini, in prossimità delle chiese dei Santi Giusto e Clemente opera evergetica del gastaldo Alchis. Cfr. Augenti 1992; Munzi 2000c:194-195; Munzi-Ricci-Serlorenzi 1994: 649. 195 In particolare, sono stati presi in considerazione i comuni di Ponsacco, Pontedera, Terricciola, Chianni, Peccioli, Palaia, Pomarance, Montecatini val di Cecina, Rosignano Marittimo. 196 Lo studio di materiale inedito è autorizzato dalla Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio (Protocolli 74 35.31.07/02 del 10/01/2017; 0000364 del 12/01/2017; 1022 34.16.04/3.3 del 27/01/2017). Lo studio dei reperti è stato condotto presso il Museo Civico Archeologico di Rosignano Marittimo, dove parte di essi è conservata, e presso il Laboratorio di Topografia Antica dell’Università di Pisa. 197 Le ricognizioni sono state oggetto delle tesi di laurea di A. Del Rio, L. Cherubini, C. Guarguaglini, nell’ambito dell’insegnamento di Topografia antica dell’Università di Pisa. 198 Nell’odierna provincia di Livorno. 199 Lo studio è stato autorizzato previo consenso della Soprintendenza di Pisa e dietro concessione del dott. Giulio Ciampoltrini, direttore scientifico degli scavi. L’analisi dei materiali, provenienti dai siti di Orceto e Pian di Selva è stata condotta presso il Museo archeologico di Villa Baciocchi a Capannoli dove i reperti sono attualmente conservati. 194

183 Sul momento finale della vita del santuario, fissato alla metà del III secolo d.C. da Cristofani, gli scavi degli ultimi anni hanno consentito di individuare un lembo di obliterazione e la rasatura di un muro. Nello strato sono stati rinvenuti scarsi materiali che comprendono, oltre a scarsi frammenti di sigillata africana, una moneta di Alessandro Severo del 231-235. Bonamici 2003: 84-85. 184 Fiumi segnalava la presenza di un complesso termale anche in località ‘Pinzano/Pinzanone’. Riguardo questo complesso non sono noti i dettagli relativi a cronologia dell’impianto, né riguardo la sua interpretazione. 185 Bueno 2011. 186 Le terme di Vallebuona vennero inserite nella porticus pone scaenam del teatro tra la metà del III e l’inizio del IV secolo d.C. cfr. Fig. 1.13. 187 Cfr. Munzi-Ricci-Serlorenzi 1994: 643; Ciampoltrini 1994a. Per ulteriori considerazioni infra paragrafo 1.3. 188 Munzi-Ricci-Serlorenzi 1994: 644. 189 Munzi-Ricci-Serlorenzi 1994; Motta 1997. 190 Cfr. Terrenato-Saggin 1994: 479; Munzi-Ricci-Serlorenzi 1994; Motta 1997; Augenti-Terrenato 2000. 191 Cfr. Furiesi 2008: 44-45. Infra paragrafi 1.3.2; 4.4.3. 192 Augenti-Munzi 1997: 39-40. 193 I recenti studi di materiale inedito proveniente dagli scavi dell’acropoli degli anni 1969-79 hanno permesso di meglio comprendere le dinamiche di occupazione-abbandono dell’acropoli. Durante l’età bizantina e longobarda l’acropoli doveva anzi costituire un polo nevralgico per la città. Cantini 2017; Cantini-Fatighenti-Tumbiolo 2018.

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ studio ha previsto il lavoro di classificazione e schedatura dei reperti, di cui si presenta una selezione di materiali diagnostici. Come si tenterà di dimostrare, l’apporto dei dati archeologici inediti si rivela fondamentale sia per lo studio dell’evoluzione del territorio in rapporto alle sue élite, ma anche per avanzare qualche considerazione sulla percezione del paesaggio antico.

che alla Villana vi fossero dei ‘ruderi di un’antica villa romana’202. L’interesse per il sito si accrebbe dal momento che, in occasione di un sopralluogo da parte dell’Ispettore Dino Agostini, in data 26 marzo 1955, vennero rinvenuti numerosi frammenti architettonici e statuari. La relazione del sopralluogo è accompagnata da un elenco dei rinvenimenti fatti ‘a circa 30 cm di profondità, durante i lavori di aratura’. Fra i reperti, conservati presso il museo di Rosignano Marittimo, spiccavano frammenti di colonne, un capitello ionico in marmo, un frammento di mosaico in tessere grigie, la parte inferiore di una statua in marmo frammentata. Non fu tuttavia possibile intraprendere una vera e propria campagna di scavi dal momento che la Soprintendenza era priva di mezzi finanziari203; così continuarono i rinvenimenti occasionali che, nel 1957, vennero segnalati sui quotidiani La Nazione (26 ottobre, 15 novembre 1957) e La Nazione Sera (15 ottobre 1957). In particolare, l’attenzione venne destata dal rinvenimento di ‘monete di indubbio valore. Una di queste porta l’effigie di Marco Aurelio’204. Nel 1959, sui quotidiani Il Giornale del Mattino e La Nazione (entrambi del 12 giugno), insieme alla notizia di scavi nell’area di San Gaetano di Vada, comparve una notizia: ‘nel corso di lavori agricoli è stata trovata la testa di una piccola statua raffigurante una divinità femminile, oggetto di ottima e delicata fattura’205. Nel 1962, l’Ispettore della Soprintendenza Giorgio Monaco, personalità molto attiva nella bassa val di Cecina fra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, insieme a Dino Agostini e Edilio Massa, allora curatori del Museo Civico Archeologico di Rosignano, si recò a La Villana ‘dove nel terreno coltivato affior[av]ano molti materiali antichi (cocci, tegoloni, pietre squadrate) e da dove vennero materiali di pregio ora al museo’. Riguardo l’ipotesi di un’identificazione della villa con quella di Albino Cecina della descrizione rutiliana, Monaco conclude affermando ‘non mi pare però che sia la posizione della villa dei Cecina a Vada ricordata da Rutilio Namaziano’206. Dopo i fortuiti rinvenimenti, la Soprintendenza decise di intervenire a La Villana nel 1969. Nel mese di aprile infatti:

3.2.1. Il sito archeologico in località La Villana (Rosignano Marittimo, Livorno): i resti di una ‘villa grandiosa’ Il sito identificato in località La Villana (Fig. 3.2) è ubicato alle pendici di una collina a circa 30 m s.l.m. e dista circa 5 km dal sito di San Gaetano di Vada. Eccetto le ricognizioni sul terreno degli anni 1986-1987, edite da Linda Cherubini e Antonella Del Rio200, il sito non è stato oggetto di ulteriori indagini sul terreno ed è rimasto sostanzialmente inedito. È tuttavia possibile ricostruire la storia degli scavi e delle ricerche a La Villana grazie alla documentazione d’archivio conservata a Firenze. Nel XVIII secolo Giovanni Targioni Tozzetti aveva notato dei resti affioranti a La Villana, attribuendoli a una ‘villa grandiosa’ e identificando il sito come la villa del famoso Cecina amico di Rutilio Namaziano. L’identificazione venne poi riproposta da Emanuele Repetti che lasciò nota del rinvenimento di numerosi reperti durante i lavori agricoli201. Eccetto le informazioni fornite da Tozzetti e Repetti, il sito de La Villana rimase pressoché dimenticato fino al secondo dopoguerra. Successivamente furono tre i momenti fondamentali nelle ricerche a La Villana: la riscoperta del sito e i rinvenimenti fra 1955 e 1957, i saggi di scavo e il rinnovato interesse per i reperti negli anni 1969-1970, le ricerche di superficie degli anni 1984-1987 nell’ambito delle ricognizioni della bassa val di Cecina condotte dall’Università di Pisa. Dopo la notifica alla Soprintendenza del rinvenimento di materiali archeologici da parte del Sindaco di Rosignano, in data 16 marzo 1955, e la relazione dell’Ispettore onorario Dino Agostini, due giorni dopo, venne accertato

‘durante i normali lavori di aratura […] fu rinvenuto un manufatto in muratura. Si è trovato un muro a forma semicircolare di circa 50 cm di spessore con un muro diametrale, congiungente questa semicirconferenza anche di 50 cm di spessore, come fosse una specie di vasca. Il pavimento che si trova ad un metro circa dal terreno di campagna è fatto a tesserine di mosaico in pietra scura di colore grigio e uniforme senza che vi siano disegni o altro. Sulla destra, guardando l’abside, manca un pezzetto di pavimento e anche di parete

Per quanto riguarda i materiali, già parzialmente classificati dopo le ricognizioni/scavi sul territorio, lo studio è stato condotto nel rispetto dei precedenti criteri di classificazione/siglatura. Per i siti della val d’Era sono state mantenute separate le indicazioni in cui al numero di Unità Stratigrafica fosse stata aggiunta un’ulteriore sigla riferibile ai picchetti posizionati lungo i margini dello scavo. 200 Cherubini-Del Rio 1995; Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006. 201 Repetti ‘La Villana’ sub voce: ‘Villa di Albino Cecina oggi detta la Villana fra Vada e Rosignano in Maremma. Villa celebrata da Rutilio Numaziano che vi passò una notte sbarcando a Vada nel 415. Le antiche carte geografiche la segnano presso la foce del fiume Cecina in pianura, mentre essere doveva in collina e assai vicino a Vada, siccome avvertito aveva Giovanni Targioni, appoggiato all’espressione dello stesso Rutilio, che la descrisse sovrastante alle salse paludi di Vada: Subiectas villae vacat adspectare salinas. Non vi è intorno a Vada altro poggio che quello di Rosignano, nelle cui ultime pendici meridionali presso la foce del fiume Fine trovansi avanzi di antiche muraglie, segnatamente in un podere denominato la Villana, che io credo peggiorativo di Villa, che ivi esistette, forse la Villa di Albino. Alla quale congettura accresce peso la scoperta di anticaglie romane e di vecchie costruzioni che in questo podere continuamente si scuoprono in occasione di qualche lavorazione agraria’.

Archivio SABAP Pos. 9 Livorno 30 1955. Comunicazioni 16 e 18 Marzo 1955. 203 Archivio SABAP Pos. 9 Livorno 30 1955. Comunicazioni 18 Marzo 1955. 204 La Nazione 26 ottobre 1957. Già dal titolo dell’articolo nella Cronaca di Rosignano Solvay, “Importanti rinvenimenti archeologici-Scoperti i resti della villa del prefetto romano Albino Cecina?”, si nota come stava consolidandosi l’idea che La Villana fosse il sito dove sorgeva la villa di Albino Cecina delle descrizioni di Rutilio Namaziano. 205 Appunto di Giorgio Monaco in Archivio SABAP 9 Livorno 16 anni 1961-1970. 206 Archivio SABAP Pos. 9 Livorno 16. Comunicazione 23 febbraio 1962. 202

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Poteri e strategie familiari di Volterra verticale e siccome il pavimento è in leggerissima pendenza farebbe pensare che ci fosse stato uno scarico in piombo poi asportato molti anni fa. Tutta questa buca di circa 5 m cubi era riempita di cocci e conci di varia natura e dimensione, non come se fosse franata, ma riempita appositamente per livellare il terreno’207.

Il Telegrafo venne pubblicata un’intervista a Giorgio Monaco, in cui si avanzavano ipotesi circa il complesso parzialmente scavato. Nell’intervista ‘il professor Monaco parla di un vasto edificio termale di cui solo una piccolissima parte di un vasto edificio termale è stata messa in evidenza. Potrebbe però anche trattarsi di un mitreo, edificio dedicato al culto orientale del dio Mitra, di cui la vasca potrebbe rappresentare il punto sacro in cui venivano immersi i neofiti del culto’212.

I lavori a La Villana, cominciati in maniera non ufficiale e bloccati in un primo momento, ottennero il parere favorevole della Soprintendenza nel luglio del 1969. Venne allora coinvolto negli scavi il Gruppo Archeologico di Rosignano capeggiato dal Prof. Dino Agostini e da Edilio Massa, con la supervisione dall’Ispettore Giorgio Monaco208. La prima notizia relativa ai rinvenimenti degli scavi è riportata dal quotidiano Il Telegrafo (25 settembre 1969)209. La relazione ufficiale dei sondaggi effettuati a La Villana giunse alla Soprintendenza e al Prof. Giorgio Monaco, il 3 ottobre 1969210. Insieme alla relazione, Agostini allegò un disegno dello scavo. In risposta a questa comunicazione Giorgio Monaco si recò a fare un sopralluogo a La Villana e in una comunicazione alla Soprintendenza dell’8 ottobre 1969 intitolata ‘Rosignano Solvay-Località La Villana edificio absidato d’età romana’, scriveva:

Nel mese di novembre del 1969 vennero effettuati nuovi saggi di scavo in località La Villana che, tuttavia, ‘ampliarono di poco la conoscenza, che già si aveva, dell’edificio bi-absidato’213. La più recente notizia archiviata relativa a La Villana è una comunicazione di Dino Agostini a Giorgio Monaco datata 26 novembre 1969. Importante a tale proposito la notazione ‘non abbiamo potuto continuare lo scavo iniziato per mancanza di mezzi e di tempo. Pensiamo di poter riprendere, sempre col vostro permesso, nella prossima primavera, così da avere una visione più esatta dell’insieme e poter iniziare un discorso su valori più reali’214. Non si hanno notizie più dettagliate in merito a quest’ultima fase di scavo. Nella rivista Studi Etruschi del 1970 Giorgio Monaco interpretò infine il sito come ‘una villa romana con apprestamenti idrici e materiali di ‘pregio’ fra cui: una statua femminile panneggiata in marmo, una testina femminile in alabastro, un capitello ionico in pietra, tessere di mosaico bianche e nere’215. Tali materiali vennero esposti nelle sale del Museo archeologico di Rosignano, gli altri vennero conservati nei magazzini216. I materiali provenienti dallo scavo del sito sono rimasti fino ad oggi sostanzialmente inediti mentre informazioni, divulgate a livello locale, relativamente a rinvenimenti effettuati nell’area successivamente agli anni Sessanta, rimangono purtroppo non verificabili.

‘l’edificio appare con due absidi, una a est con gradino discendente in una vasca pavimentata a mosaico; alcuni muri proseguono a est e a ovest; una seconda abside a ovest con pavimento a cocciopesto. A sud di A (abside a Est) resti di una fognatura profonda con fondo in mattoni. Lo scavo per scoprire questi resti è stato fatto dal comune di Rosignano, che ha finanziato. Esso è disposto ancora a finanziare lavori in posto. A me pare sia molto conveniente allargare lo scavo sia a sud che a nord per vedere a cosa si attaccano queste absidi e vasca. Il proprietario del terreno lascerebbe esplorare per tutto ottobre ma poi vuole che il terreno richiuso per seminare il grano’211.

Si presenta di seguito una selezione di materiali diagnostici provenienti dalle ricognizioni effettuate sul sito negli anni 1983-1986 e coordinate dalla Prof.ssa Pasquinucci217. I reperti, insieme allo studio dei materiali di pregio conservati al museo di Rosignano, sono stati fondamentali ai fini di una migliore comprensione cronologica del sito in quanto la

L’interesse mediatico per gli scavi a La Villana proseguì e, sempre nel mese di ottobre del 1969, sul quotidiano 207 Relazione di Dino Agostini a Giorgio Monaco del 21 aprile 1969; Archivio Storico SABAP: Rosignano Marittimo-ricerche archeologiche Pos. 9 Livorno 16 (1961-1970). 208 Archivio Storico SABAP: Rosignano Marittimo-ricerche archeologiche Pos. 9 Livorno 16 (1961-1970). Comunicazioni del 1, 7, 16 luglio 1969. 209 Nel quotidiano si parla di: ‘una vasca semicircolare con il fondo di tesserine di marmo bianco e grigio formanti disegni quasi simmetrici e dotata di scolature che collegate a un tunnel proseguono forse verso una grossa vasca di raccolta […] attaccato alla vasca vi è un pavimento in sasso. Dalle prime ipotesi sembra che la porta d’ingresso sia stata sulla sinistra guardando da nord e che intorno al muro esistessero delle colonne che molto probabilmente sorreggevano un “patio”. L’ipotesi delle colonne è avallata dal muro che a distanze regolari ha delle rientranze come se ci fossero state incastrati dei piloni’ 210 Dino Agostini affermava‘[…]in località La Villana come già ebbi a dirle abbiamo effettuato dei sondaggi su circa 200-250 mq e sono venuti in luce dei muri di fondamento e un piano in cocciopesto di circa 35-40 mq a forma di semicerchio; oltre a quella vasca a forma semicircolare di cui già ho avuto occasione di parlarle. Per questo sarebbe oltremodo gradita una sua visita a brevissimo tempo, dovendo poi procedere alla ricopertura di quanto venuto in luce perché comincino le semine […]’. 211 Archivio Storico SABAP: Rosignano Marittimo-ricerche archeologiche Pos. 9 Livorno 16 (1961-1970). Comunicazione 08 ottobre 1969.

Il Telegrafo 11 ottobre 1969. Archivio Storico SABAP: Rosignano Marittimo-ricerche archeologiche Pos. 9 Livorno 16 (1961-1970). Comunicazione di. Giorgio Monaco 21 novembre 1969 Rosignano Solvay-La Villana, saggi di scavo). 214 Archivio Storico SABAP: Rosignano Marittimo-ricerche archeologiche Pos. 9 Livorno 16 (1961-1970). Comunicazione 26 novembre 1969. 215 Monaco 1970: 252. 216 Fra i materiali da La Villana depositati nei magazzini dovrebbero trovarsi i seguenti ‘N. 4: Disco di pietra coniforme con al centro un foro per apposizione di un altro oggetto forse metallico come dimostra la piombatura esistente; N. 7: caminetto in pietra serena con sul frontone uno scudo avente nel campo scolpito un leone rampante e rombo con giglio fiorentino […] certamente appartenente ad una costruzione nobile medievale; N. 8: Settori in cotto per formazione di pilastri circolari, frammenti di colonna circolare in pietra con modanature oltre un mattone segmento per archi e cocci di anfore; N. 16 d: frammento di bassorilievo in terracotta oltre a frammenti di minerale di ferro’. Archivio Storico SABAP Pos. 9 Livorno 32 (1955-1960), Rosignano Marittimo. Museo storico, guida del Museo Civico di Rosignano Marittimo 217 Sintesi in Cherubini-Del Rio 1995. 212 213

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ mancata applicazione dei più moderni criteri di stratigrafia e di rilievo al momento dello scavo ne ha compromesso l’ottimale identificazione di fasi e strutture. I materiali sono stati suddivisi in classi e sottoposti ad un’analisi macroscopica dei corpi ceramici per una prima suddivisione in gruppi omogenei. Per alcune classi, è stato possibile il confronto con i corpi ceramici del database elaborato dal Laboratorio di Topografia dell’Università di Pisa.

riscontrate, due puntali rispettivamente appartenenti ad un esemplare di Dressel 2-4222 e ad un’anfora Empoli223, molto probabilmente prodotti nell’ager Volaterranus costiero, mentre altri due frammenti potrebbero essere stati appartenenti a un medesimo esemplare di anfora olearia Dressel 20 di produzione betica224. Sono stati individuati anche tre frammenti di fondi in terra sigillata italica, bollati. Si tratta di un frammento con bollo in cartiglio rettangolare ‘AT[E]’ databile fra 15 e 5 a.C. 225, un frammento con bollo in cartiglio rettangolare ‘UMBR’ prodotto fra 10 a.C. e 50 d.C.226; un frammento con bollo ‘XANTI’ in planta pedis databile fra l’età Tiberiana e Flavia227. Altri frammenti, in tutto 29, sono quelli attribuibili alla ceramica comune da dispensa e mensa. Si tratta per lo più di frammenti non diagnostici, caratterizzati da corpi ceramici mediamente o poco depurati, di cui alcuni con inclusi micacei tipici delle produzioni dell’ager Volaterranus costiero228, per

Fra i 19 frammenti di ceramica a vernice nera è stato possibile individuare cinque differenti produzioni218. Trattandosi per la maggior parte di pareti non è stato possibile identificare le forme d’appartenenza, sebbene si possa notare la presenza della produzione, tipicamente volterrana, della cosiddetta “pasta grigia” di epoca sillana219. Per quanto riguarda gli unici due frammenti diagnostici, si tratta di due fondi con piede ad anello a profilo arrotondato di forma non chiaramente definibile, essendo molto comuni fra le forme aperte della produzione liscia della vernice nera. Pertanto, la datazione è genericamente collocabile fra il IV e il I secolo a.C.220. Tra i 17 frammenti attribuibili ad anfore è stato possibile distinguere 8 differenti produzioni221. Fra le tipologie

di medie e grandi dimensioni per la scomparsa del degrassante e diversi inclusi chiari e semi-luminescenti di origine micacea. Rimangono tracce di un trattamento delle superfici sia interne che esterne. La colorazione è beige tendente al giallo-verde (M. 10R 6/4 light yellowish brown); c.c. 7: duro e compatto, con tendenza a sfaldarsi, presenta numerosi vacuoli per la scomparsa del degrassante vegetale. L’esterno, che presenta tracce di schiarimento superficiale, è ricco di inclusi di piccole dimensioni di colore nero e alcuni, rari bianchi di piccole dimensioni e opachi. Colore rosato (M. 5YR 7/6 reddish yellow) e schiarimento superficiale beige giallo (M. 7.5 YR 7/6 reddish yellow); c.c. 8: duro e compatto, presenta numerosissimi inclusi di colore bianco, opachi, di piccole e medie dimensioni di forma semicircolare. Sono inoltre presenti numerosi inclusi opachi di colore bruno, e altri tendenti al rosso di minutissime dimensioni. Colore rosso (M 5YR 5/8 yellowish red). 222 Si tratta di un puntale troncoconico pieno, con parte terminale piatta che trova confronti con un esemplare rinvenuto nella villa di San Vincenzino a Cecina, databile tra fine I a.C. e la fine del II d.C. (Fig. 3.12 n. 2); Genovesi 2012: 563, fig. 8 n. 22. 223 Si tratta di un frammento di corto puntale vuoto cilindrico caratterizzato dal fondo cavo che trova confronti abbastanza puntuali con esemplari rinvenuti presso la villa di San Vincenzino a Cecina, databile tra II e V/VI d.C. (Fig. 3.12 n. 4); Genovesi 2012: 567, fig. 12 nn. 58-61. 224 Si tratta di un orlo la cui tipica conformazione ingrossata con profilo quasi triangolare e solco interno rimanda agli esemplari datati tra l’età Flavia e quella Antonina. L’anfora trova confronti con esemplari rinvenuti ad Augst datati tra 50 e 70 d.C. Il puntale si presenta di piccole dimensioni, pieno (Fig. 3.12 nn. 1; 3); Martin-Kilcher 1987: 683, tav 37. 225 Cfr. OCK 267; Fig. 3.13. 226 OCK 2441, tipo 18 con legatura ‘UM’ relativo alle produzioni aretine lisce o decorate di Umbricius. Fig. 3.13. 227 OCK 2536, tipo 122 con punto in alto fra ‘A/N’ e ‘NT’ in legatura, relativo alle produzioni pisane lisce e decorate di Cn. Ateius Xanthus. Fig. 3.13. 228 c.c. 1: mediamente depurato si presenta leggermente poroso al tatto. Sono visibili numerosi inclusi opachi di piccole dimensioni di colore bruno e altri, leggermente più grandi, di colore rossastro talvolta di forma lamellare. Rari inclusi luminescenti di colore chiaro. Colore beige rosato (M. 5YR 7/6 reddish yellow); c.c. 2: duro e compatto, presenta numerosi inclusi opachi di minute dimensioni di colore bruno o grigio, altri di colore bianco, alcuni semi-luminescenti di colore grigiastro. Colorazione marrone arancio (M. 5YR 6/6 reddish yellow); c.c. 3: mediamente depurato, è tenero e liscio al tatto. Sono visibili numerosi inclusi opachi di piccole dimensioni di colore chiaro, insieme ad altri di natura micacea e colore tendente al dorato. Rari inclusi opachi di minute dimensioni di colore rosso o bruno. Colore rosso arancio (M. 5YR 6/6 reddish yellow); c.c. 4: poco depurato, duro e compatto presenta numerosi inclusi di piccole e medie dimensioni, alcuni bianchi e opachi, altri rossastri, altri di origine micacea. Colore arancio (M. 5YR 6/6 reddish yellow); c.c. 5: poco depurato, leggermente poroso al tatto. Sono presenti numerosi inclusi opachi di piccole e medie dimensioni di colore bruno e di colore nero mentre sono rari quelli di colore chiaro. Colore marrone rosato (M. 5YR 7/6 reddish yellow); c.c. 6: depurato e poco compatto, presenta alcuni inclusi luminescenti di minutissime dimensioni insieme ad altri, opachi, leggermente più grandi, di colore bianco e bruno. Colore marrone rosato (M. 2.5YR 6/8 light red).

218 c.c. 1: depurato, tenero e liscio al tatto con inclusi radi e di minutissime dimensioni di colore chiaro o opachi e bruni. Presenti anche numerosi inclusi luminescenti chiari minutissimi o tendenti al dorato. Colore rosso arancio (M. 2.5YR 6/6 light red). Vernice poco aderente e con difetti di cottura, colore opaco tendente al marrone (M. 2.5YR 3/1 dark reddish grey); c.c. 2: depurato, compatto e leggermente ruvido al tatto con numerosi inclusi chiari luminescenti di minutissime dimensioni e altri opachi, bruni o beige di dimensioni leggermente superiori. Colore beige rosato (M. 2.5YR 7/4 light reddish brown). Vernice compatta e con scarsi riflessi metallici. Colore nero (M. 7.5YR 2.5/1 black); c.c. 3: depurato, duro e compatto con rarissimi inclusi chiari, opachi, di minutissime dimensioni. Colore beige rosato (M. 10R 6/6 light red). Vernice esterna di buona qualità, lucida e con riflessi metallici. Colore nero (M. 7.5YR 2.5/1 black); c.c. 4: depurato, duro e compatto sono visibili minuti inclusi bianchi opachi. Colore rosato (M. 10R6/4 pale red). La vernice esterna è coprente, opaca, di colore marrone rossastro (M. 10R 4/2 weak red); c.c. 5: depurato, tenero e poco compatto presenta inclusi opachi bianchi di piccole dimensioni. Colorazione grigia (M. 7.5YR 7/2 pinkish grey) e rivestimento in vernice nero-bruna, opaca, sottile e discontinua. 219 In merito alla vernice nera volterrana a pasta grigia cfr. Palermo 2003: 288 (tipo III). 220 Fig. 3.12 nn. 5; 6. 221 c.c. 1: duro e compatto, ruvido al tatto, con tendenza a sfaldarsi in piccole scaglie lamellari. Sono presenti numerosi inclusi, la maggior parte neri opachi di minuscole dimensioni e altri, di dimensioni leggermente più grandi bianchi opachi. Sono poi visibili anche minutissimi inclusi micacei chiari e luminescenti. Il corpo ceramico presenta all’esterno un colore arancio rosato (M. 2.5 YR 6/8 light red) e segni di lisciatura a stecca; c.c. 2: duro e compatto, leggermente poroso al tatto presenta inclusi opachi bianchi di piccole e altri di medie dimensioni di colore bruno. Sono visibili alcuni inclusi rossastri di minute dimensioni e altri, rarissimi, chiari di origine micacea. Colore arancio (M. 2.5YR 7/8 light red); c.c. 3: duro e compatto presenta in superficie numerosi frammenti di cui alcuni, opachi, bianchi, di minute dimensioni, altri, di colore nero semi-luminescenti. Colore marrone rossastro (M. 2.5 YR 5/8 red; produzione betica); c.c. 4: duro e compatto si presenta ruvido al tatto per la presenza di numerosi inclusi opachi di piccole e medie dimensioni per lo più di colore bianco, di forma lamellare o circolare. In frattura sono visibili alcuni vacuoli probabilmente lasciati dalla scomparsa del degrassante vetegale in cottura. Sono inoltre presenti alcuni inclusi chiari e luminescenti di orgine micacea e colore chiaro. Colore beige rosato (M. 5YR 6/6 reddish yellow); c.c. 5 duro e compatto, presenta diversi inclusi di cui alcuni sono di minutissime dimensioni, chiari e luminescenti, altri chiari opachi. Sono inoltre presenti diversi inclusi bruno-rossastri di colore opaco e forma semicircolare. Schiarimento superficiale di colore beige rosato (M. 5YR 7/6 reddish yellow); c.c. 6: duro e compatto presenta numerosi inclusi opachi di medie dimensioni di colore bruno e altri di colore bianco. Sono visibili numerosi vacuoli

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Poteri e strategie familiari di Volterra statuario. Interessante quindi segnalare che la parte posteriore della statua presenta un aspetto sommariamente sbozzato ed è pertanto assai probabile che essa, di dimensioni poco inferiori al naturale, dovesse essere esposta in una nicchia, forse nell’esedra individuata nel corso degli scavi sebbene l’assenza di una certa localizzazione del rinvenimento all’interno dell’ambiente messo in luce e il carattere frammentario del pezzo, ne rendono difficoltosa l’interpretazione (Fig. 3.14). Prestando attenzione ad alcuni particolari della scultura è possibile, tuttavia, fare alcune considerazioni. Le forme delicate del corpo rimanderebbero a una giovane donna, il panneggio, un chitone lungo al ginocchio237 e il particolare, appena visibile, della piccola cintura all’altezza della vita, di un tipo forse ad incrocio, potrebbe rimandare al tipico abito delle ragazze vergini238. Il panneggio mosso dal vento e il tipo di movimento con la gamba destra leggermente avanzata rispetto alla sinistra ricordano le Aure e le Vittorie alate. Considerando la particolarità del puntello a tronco d’albero, sembra verosimile l’identificazione della figura rappresentata con Artemide, la dea vergine e cacciatrice, la cui raffigurazione era spesso comune nelle terme o nei luoghi con acqua. Per quanto riguarda i confronti, sembrerebbe trattarsi di una variante molto simile, guardando al panneggio, al tipo dell’Artemide/Diana Versailles, il cui archetipo sarebbe d’età ellenistica, nota dalle copie di II d.C.239. Circa il tipo di posa, il confronto più vicino è con alcune varianti di piccole dimensioni dell’Artemide/Diana Rospigliosi di II secolo d.C.240.

usi da dispensa, o con corpo ceramico depurato privi di rivestimento per le forme da mensa. Alla ceramica africana da cucina appartengono 73 frammenti per i quali si registra un alto indice di frammentazione, causa della difficile identificazione delle forme. È stato tuttavia possibile distinguere due differenti produzioni229 e identificare un frammento di casseruola Hayes 197, databile tra fine III e inizi IV d.C.230, un piatto coperchio Hayes 196, databile al III secolo d.C.231, un piatto coperchio di forma Hayes 185 variante, di III secolo d.C.232. Sono stati rinvenuti inoltre, cinque frammenti appartenenti a laterizi, realizzati con tre diversi tipi di impasti di probabile produzione locale233. Si segnalano due tipi di tegole, purtroppo non complete, ma che si distinguono per il diverso profilo dell’ala234. Fra i reperti provenienti dalle ricognizioni sono classificabili come materiali di pregio i tre frammenti di marmo di cui due di colore verde e uno di colore bianco, probabilmente appartenenti a lastre di rivestimento come confermerebbero le tracce residue di malta per l’allettamento. Fra i materiali di pregio esposti al museo di Rosignano provenienti da La Villana ci sono: un capitello in stile ionico, un frammento di mosaico a tessere bianche, un rocco di colonna in pietra e, soprattutto, un frammento di torso statuario in marmo nonché una piccola testa femminile in alabastro. Il frammento di statua interpretato come pertinente ad ‘una divinità pagana di buona fattura’235, dopo la descrizione di Dino Agostini236 non è stato oggetto di un’analisi iconografica per l’identificazione del tipo c.c. 1: duro e compatto presenta numerosi inclusi di colore nero di minutissime dimensioni talora luminescenti insieme ad altri chiari di dimensioni piccole, pure luminescenti. Colore rosso-arancio (M. 10R5/6 red); c.c. 2: duro e compatto leggermente poroso al tatto presenta diversi inclusi opachi di colore bruno e rossastro di piccole dimensioni e scarsi inclusi luminescenti di minutissime dimensioni. Colore arancio (M. 2.5YR 7/8 light red). Molti frammenti presentano schiarimento superficiale di colore beige giallastro (M. 5YR 7/6 reddish yellow). 230 Il frammento trova confronti puntuali con esemplari rinvenuti presso la villa di San Vincenzino a Cecina. Cfr. Fig. 3.12 n. 9; Bonifay 2004: 224, fig. 120, n. 5; Gagliardi 2012a: 537, fig. 3 nn. 11-14. 231 Il frammento trova confronti puntuali con esemplari rinvenuti presso la villa di San Vincenzino a Cecina. Cfr. Fig. 3.12 n. 7; Bonifay 2004: 226, fig. 121, var. 5; Gagliardi 2012a: 538, fig. 4 n. 18. 232 Il frammento trova confronti puntuali con esemplari rinvenuti presso la villa di San Vincenzino a Cecina. Cfr. Fig. 3.12 n. 8; Bonifay 2004: 228, fig. 122a n. 1; Gagliardi 2012a: 535. 233 c.c. 1: non depurato presenta inclusi opachi di medie e grandi dimensioni di colore bianco, altri bruni di dimensioni minori o di origine micacea luminescenti o tendenti al dorato. Colorazione arancio (M. 5YR 6/6 reddish yellow); c.c. 2: poco depurato presenta numerosi inclusi opachi di colore bruno o rossastro. Colore beige rosato M.5YR 7/6 reddisch yellow e schiarimento superficiale (M. 5YR 7/4 pink); c.c. 3: poco depurato, presenta numerosi inclusi di grandi dimensioni per lo più opachi, di colore rosso. Sono inoltre visibili inclusi bianchi, opachi, di medie dimensioni. Colore marrone rossastro (M. 5YR 6/6 reddish yellow). 234 Cfr. Fig. 3.12 nn. 10; 11; Wikander 1993: 30, fig. 4, D2; sp. 18. 235 Archivio Storico SABAP Pos. 9 Livorno 32 (1955-1960), Rosignano Marittimo. Museo storico, guida del Museo Civico di Rosignano Marittimo. 236 “parte inferiore di una statua femminile con abito trasparente mosso dal vento. Alt. 0, 85. Ha un puntello a tronco d’albero alla gamba sinistra. Frammentata al piede sinistro e alla gamba destra rotta al ginocchio. Il fianco sinistro è costituito di un pezzo lavorato a parte. La parte superiore della statua era ricavata da altro blocco di marmo. Nella parte superiore del pezzo ritrovato c’è l’incavo per un perno” Archivio SABAP Pos. 9 Livorno 30 (1955). Comunicazione di Dino Agostini dell’8 aprile 1955, Rosignano Marittimo, Podere la Villana, rinvenimento di frammenti architettonici. 229

La piccola testa in alabastro, definita dagli scopritori come ‘testa di una piccola statua raffigurante una divinità femminile, oggetto di ottima e delicata fattura’241, è stata anch’essa oggetto d’analisi. Il tipo della capigliatura e il particolare del cosiddetto ‘nodo liceo’ tipico delle acconciature dei gemelli nati da Latona, indica ancora una volta l’identificazione più probabile con la dea Artemide/ Diana (Fig. 3.15). Il particolare di un piccolo sostegno d’alabastro dietro la nuca242 ha poi permesso di trovare un confronto, per la tipologia della composizione, con un esemplare tardoantico in miniatura raffigurante Diana cacciatrice rinvenuto presso una villa a St. Georges-deMontagne a Bordeaux, anch’esso identificabile nel tipo dell’Artemide Rospigliosi243. Stando a quanto finora evidenziato, è possibile affermare che il sito de La Villana venne abitato, probabilmente a partire dal II secolo a.C.; la fase più rappresentata dell’insediamento è quella di I-II secolo d.C., mentre un uso continuativo delle strutture, o almeno parte di esse, è confermato dai materiali databili fra III e IV secolo d.C. 237 Per ulteriori considerazioni circa l’abbigliamento nell’arte greca antica cfr. Lee 2015. 238 Cfr. Lee 2015: 134-140. 239 Cfr. Limc Artemis nn. 251-263. 240 Cfr. Limc Artemis nn. 319-328. 241 La Nazione 12 giugno 1959. 242 Anguissola 2018: 88-94; 191-198. 243 Cfr. Anguissola 2012: 41, fig. 17. La statuetta (h. 76 cm), si trova a Bordeaux, Musée d’Aquitaine. Per ulteriori approfondimenti circa il tipo dell’Artemide Rospigliosi, cfr. Beschi 1959.

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ Il rinvenimento di materiali di pregio e materiali fittili d’importazione indica che il sito, una villa con ambienti di rappresentanza, era pienamente inserito all’interno delle dinamiche commerciali regionali. Interessante il doppio riferimento alla dea Artemide/Diana nei frammenti scultorei; la scelta della divinità potrebbe essere ricollegata a interessi del proprietario, ma non si esclude, data la vicinanza della villa all’ambiente lagunare dei Vada Volaterrana, un qualche riferimento a specifici aspetti legati al culto di Artemide/Diana in quanto protettrice di paludi e luoghi salmastri244.

Sono stati poi individuati dei piedi ad anello, semplici, a profilo arrotondato la cui esiguità e forma estremamente comuni consentono solo una generica attribuzione a forme aperte253. A contenitori da trasporto (Fig. 3.16) appartengono 24 frammenti associabili a differenti produzioni, fra le quali è stato possibile distinguere due varianti dell’anfora vinaria Dressel 1A, rispettivamente di produzione campano-laziale254 e dell’ager Volaterranus costiero255, e due frammenti, un orlo e un puntale, riferibili a due esemplari di una Dressel 1C256 databili fra la fine del II e il I secolo a.C., un frammento di ansa a doppio bastoncello parte di una Dressel 2-4 di produzione tirrenica databile dalla metà del I a.C. al I d.C.257; due frammenti di orli da attribuire rispettivamente a un’anfora Tripolitana I, databile fra I e II d.C.258, e a una variante dello spatheion tipo Keay 3B similis databile fra IV e V d.C.259. Sono state identificate inoltre delle produzioni africane fra cui, un orlo appartenente all’anfora Ostia IV, 263 databile dalla seconda metà del III secolo d.C. al IV secolo d.C.260, e tre puntali riconducibili allo spatheion di tipo Keay 26 databile al V secolo d.C.261, all’anfora Africana III C databile tra fine IV e V secolo d.C.262. Su 61 frammenti anepigrafi di terra sigillata italica (Fig. 3.17), solo 8 sono stati considerati utili a fini diagnostici. Le due produzioni individuate sono riconducibili alle

3.2.2. Il sito archeologico in località Capodivilla (Rosignano Marittimo, Livorno): una “villa rustica” nei pressi del quartiere di San Gaetano di Vada Il sito di Capodivilla, ubicato alle spalle di San Gaetano (Fig. 3.2), non è mai stato interessato da scavi, ma era noto come area di rinvenimenti archeologici già negli anni Ottanta245. Le ricognizioni di superficie effettuate negli anni 1983-1987, coordinate dalla Prof.ssa Pasquinucci, hanno permesso di individuare, all’interno di un’area di circa 100 mq, una dispersione di materiali eterogenei appartenenti ad un insediamento abitato a partire dal II a.C. e una piccola concentrazione di materiali databili fino all’età medievale rinvenuta in posizione leggermente dislocata rispetto all’insediamento precedente246. Le indagini geofisiche condotte nell’area nel 2018 hanno avanzato diverse ipotesi comparative circa le strutture evidenziate dalle anomalie magnetiche portando all’interpretazione del sito come un ‘insediamento rustico di media grandezza, composto da un edificio principale e un annesso di minori dimensioni’247.

Fig. 3.17 nn. 5, 6, 7, 8. Cfr. Olcese 2012: 51, fig. 1. Il frammento riportato in Fig. 3.16 n. 1 è infatti caratterizzato da un corpo ceramico duro e compatto con inclusi opachi di colore chiaro e altri neri e brillanti d’orgine vulcanica. Il colore è rosato (M. 2.5YR 6/6 light red), ed è presente uno schiarimento superficiale beige (M. 5YR 7/8 reddish yellow). Cfr. Corpo ceramico 4 delle Dressel 1 da San Vincenzino (Genovesi 2012: 558). 255 Cfr. Olcese 2012: 51, fig. 1. Il frammento di orlo riportato in Fig. 3.16 n. 3 è caratterizzato da un corpo ceramico duro e poco compatto in cui sono visibili numerosi inclusi fra cui alcuni opachi di colore bruno e altri chiari di origine micacea. Il colore arancio rosato (M. 5YR 6/6 light reddish yellow). Cfr. Corpo ceramico 2 delle Dressel 1 da San Vincenzino (Genovesi 2012: 558). Allo stesso tipo di anfora appartiene anche il puntale riportato in Fig. 3.16 n. 7 caratterizzato da un differente corpo ceramico con vacuoli superficiali e diversi inclusi opachi di colore bianco o rossastri, colore rossastro (M. 2.5 YR 6/8 light red) e leggero schiarimento superficiale rosato (M. 5YR 7/8 reddish yellow). 256 Cfr. Olcese 2012: 51, fig. 4. Il frammento di orlo riportato in Fig. 3.16 n. 4 presenta il tipico corpo ceramico delle produzioni di Albinia, caratterizzato da inclusi color crema e altri minutissimi di natura micacea. Il colore è variabile dal rosso al rosato (M. 10YR 5/6 e 5/8 red-M. 2.5YR 5/6 e 5/8 yellowish red). Il puntale invece è invece riportato in Fig. 3.16 n. 8. 257 Fig. 3.16 n. 11. L’ansa presenta un corpo ceramico duro e compatto con diversi inclusi opachi chiari. Colore marrone (M. 2.5YR 6/4 light reddish brown). 258 Fig. 3.16 n. 2; il frammento di orlo presenta un corpo ceramico compatto caratterizzato da inclusi opachi di colore bianco o grigio. Colore marrone rosato (M. 5YR 6/6 reddish yellow). Cfr. Bonifay 2004: 28, fig. 13, 6. 259 Fig. 3.16 n. 5. Il frammento presenta un corpo ceramico duro e compatto con numerosi inclusi chiari brillanti di minutissime dimensioni e altri, meno frequenti, opachi di colore grigio o bruno. Colore marrone rosato (M. 2.5 YR 6/6 light red). Cfr. Bonifay 2004: 128, fig. 69, B, 1-2. 260 Fig. 3.16 n. 6; Genovesi 2012: 575, fig. 18, 125. 261 Fig. 3.16 n. 9; il frammento presenta un corpo ceramico poco compatto, in complesso abbastanza depurato, nel quale sono visibili alcuni piccoli inclusi opachi di colore chiaro o tendenti al grigio. Colore arancio vivo (M. 10 R 5/8 red). Cfr. Genovesi 2012: 575, fig. 19, n. 130. 262 Fig. 3.16 n. 10; il puntale presenta un corpo ceramico duro e compatto caratterizzato da numerosi inclusi opachi di piccole dimensioni di colore beige o grigio e altri di colore chiaro e luminescenti. Colore marrone rosso (M. 10 R5/6 red) con leggero schiarimento superficiale (M. 2.5YR 6/8 light red). 253

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Lo studio dei reperti provenienti dalle ricognizioni diviene fondamentale per definire ulteriormente le fasi dell’abitato. L’analisi di 57 frammenti di ceramica a vernice nera (Fig. 3.17), sebbene per la maggior parte non riferibili a specifiche forme, ha permesso di distinguere due produzioni relative alle officine volterrane248. Fra le forme distinguibili, l’olla Morel 7222, databile tra fine III e II a.C.249, e una coppetta di più piccole dimensioni250, la coppa Morel 2538 tipica nelle produzioni volterrane di fine II a.C.251, la coppa Morel 2652-2653, databile nelle produzioni volterrane dalla metà del II a.C. al I a.C.252. Per ulteriori approfondimenti in merito cfr. Moinier-Weller 2015. Il sito viene infatti ricordato in una comunicazione dell’11 febbraio del 1983 come ‘area di rinvenimento di frammenti fittili a vernice nera’. Archivio SABAP Pos. 9 Livorno 14 (1971-1980), Rosignano MarittimoMuseo archeologico-museo storico. 246 Cherubini-Del Rio 1995: 355 nota 24. 247 Repetto-Freitag-Pasquinucci et Al. 2018: 45-52. 248 c.c. 1: depurato, duro e compatto, presenta rari inclusi luminescenti di minutissime dimensioni. Colore beige (M. 5YR 6/6 reddish yellow), vernice coprente con riflessi metallici di colore nero (M. 2.5 YR 4/1 dark reddish grey); c.c. 2: depurato, poco compatto e leggermente poroso al tatto, sono visibili diversi inclusi chiari e luminescenti di minutissime dimensioni e altri opachi di colore beige o grigiastri. Colore arancio (M 2.5YR 6/6 light red), vernice di scarsa qualità, poco aderente e con frequenti tracce dovute a difetti di cottura, colore nero-marrone (M. 2.5 YR 3/1 dark reddish grey). Cfr. Palermo 2003: 288-289. 249 Fig. 3.17 n. 4; Palermo 2003: 338 e fig. 25, 12. 250 Fig. 3.17 n. 2. 251 Fig. 3.17 n. 1; palermo 2003: 296 e fig 18, 9. 252 Fig. 3.17 n. 3; Palermo 2003: 297 e fig. 19, 1. 244 245

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Poteri e strategie familiari di Volterra officine della Valle dell’Arno263. Fra le forme individuate, il piatto di forma Consp. 5.2.2264, il piede di tipo Consp. B.2.5 verosimilmente parte di un piatto di forma Consp.12 d’età Augustea265 il piede ad anello tipo Consp. B.4.8, proprio delle coppe di forma Consp. 22-25 tipiche dell’età Augusteo-Tiberiana266, il piede tipo Consp. B.2.8, molto frequente nei piatti d’età Tiberiana e Flavia, probabilmente appartenente al piatto di forma Consp. 19267, il piede di tipo Consp. B. 3.7, forse parte di una coppa Consp. 14.4.1268. Dei 24 frammenti appartenenti alla sigillata africana, la maggior parte è risultata non utilizzabile a fini diagnostici. Sono state distinte due produzioni269, e la forma Hayes 91a, databile al IV secolo d.C.270. La ceramica da cucina di provenienza africana costituisce la classe maggiormente rappresentata, ma con solo alcune forme individuabili dato l’alto indice di frammentazione dei pezzi271. È stato possibile distinguere 4 diverse produzioni272 e fra le forme, i tegami Hayes 181 n. 1, databile al pieno II d.C.273, Hayes 191, datato tra la fine del I secolo a.C. e gli inizi del I d.C.274, i coperchi Hayes 185 C, databile fra la fine del II e la metà del III d.C.275, e Hayes 196276. Fra la ceramica comune (Fig. 3.18) si distinguono prevalentemente frammenti appartenenti a forme chiuse277, per le quali i confronti principali si trovano nel contesto della villa di

San Vincenzino (Cecina). È stato possibile distinguere 7 differenti produzioni278, mentre fra le forme individuate si segnalano: un frammento di brocca che trova confronti con un esemplare da San Vincenzino datato fra II e IV secolo d.C.279; un frammento di orlo a sezione quadrangolare con attacco d’ansa che non trova un puntuale confronto, ma che si avvicina ad un esemplare di bottiglia da San Vincenzino datata fra I e II d.C.280, un frammento di un bacile con decorazione a cordoni281. Fra i 12 frammenti laterizi, per lo più frammenti di tegola ad ala282, un mattone e un frammento di coppo. Nessuno dei pezzi è intero e quindi è difficile poter sviluppare considerazioni relativamente alle misure e alla tipologia. A ogni modo, è stato possibile distinguere 7 diverse produzioni283. Alcuni frammenti non diagnostici appartengono alla ceramica 278 c.c. 1: depurato e compatto, presenta alcuni minutissimi inclusi opachi di colore bruno, rossastri o grigi. Colore beige-giallo (M. 7.5 YR 7/6 reddish yellow); c.c. 2: semidepurato, presenta anima grigia, e numerosi inclusi opachi di colore bianco o bruno o rossastro. Visibili anche alcuni inclusi micacei dorati. Colore arancio (M. 5YR 7/8 reddish yellow); c.c. 3: depurato, compatto, frattura a margini netti, poroso per la presenza di alcuni vacuoli. Sono visibili inclusi opachi bianchi e altri micacei brillanti di minutissime dimensioni. Colore beige rosato (M. 5YR 7/6 reddish yellow); c.c. 4: depurato, presenta sporadici inclusi opachi di minute dimensioni di colore bruno. Colore arancio (M. 5YR 6/6 reddish yellow); c.c. 5: semidepurato, duro e compatto, presenta inclusi opachi di medie dimensioni bianchi, bruni o rossastri e alcuni sporadici inclusi bruni micacei. Colore beige arancio (M. 7.5YR 6/6 reddish yellow); c.c. 6: depurato, poco compatto, presenta inclusi opachi di medie dimensioni bianchi, bruni o rossastri, insieme ad altri, sporadici, inclusi chiari e brillanti. Colore beige rosato (M. 7.5 YR 7/4 pink); c.c. 7: depurato, compatto, presenta alcuni inclusi opachi bianchi opachi e bruni di minutissime dimensioni. Colore beige rosato (M. 5YR 6/6 reddish yellow). Appartengono alle medesime officine produttive gli 8 frammenti di pareti riferibili a un dolium. 279 Cfr. Fig. 3.18 n. 5; Gagliardi 2012a: 498, fig. 3, n. 18-20. 280 Cfr. Fig. 3.18 n. 6; Gagliardi 2012a: 496, fig. 2, n. 14. 281 Il frammento (diam. 14; h. 4,5; sp. 1,4) presenta un corpo ceramico poco depurato, duro e compatto con numerosi inclusi di mica dorata di forma lamellare e altri inclusi opachi chiari e altri grigi o bruni. Colore marrone rossastro (M. 7.5 YR 5/6 yellowish red). Cfr. Fig. 3.18 n. 7; Olcese 1993: 293-295, fig. 75, n. 325. 282 Cfr. Wikander 1993: 30, fig. 4, D2. 283 In particolare, i frammenti di tegole sono stati realizzati con i c.c. 1; 4; 5; 6; 7 mentre il mattone con il c.c. 2 e i coppi con il c.c. 3; c.c. 1: non depurato, duro e compatto, poroso per la presenza di numerosi vacuoli superficiali. Sono visibili numerosi inclusi opachi di medie dimensioni di colore bianco e altri di colore bruno. La superficie è accuratamente levigata da lisciatura a stecca. Alcuni pezzi presentano tracce di malta. Colore marrone rosato (M. 5YR 6/4 light reddish brown); c.c. 2: non depurato, duro e compatto, presenta numerosi inclusi bianchi di natura litoide e altri bruni, di dimensioni leggermente inferiori. La superficie è accuratamente lisciata sono visibili resti di malta per l’allettamento. Colore marrone arancio (M. 5YR 6/6 reddish yellow); c.c. 3: non depurato, duro e compatto presenta numerosi inclusi opachi di colore bianco e bruni, altri, meno frequenti, sono invece di minutissime dimensioni e di colore rosso o chiari e luminescenti. Colore beige arancio (M. 7.5 YR 6/6 reddish yellow); c.c. 4: non depurato, duro e compatto, presenta numerosissimi inclusi opachi di minutissime dimensioni di colore chiaro e altri, meno frequenti, di colore grigio o rossastro o chiari e luminescenti di origine micacea. Colore arancio (M. 5YR 7/8 reddish yellow); c.c. 5: non depurato, duro e compatto, presenta numerosi inclusi opachi rossastri ed alcuni chiari e luminescenti di minutissime dimensioni. Colore marrone rosato (M. 5YR 6/6 reddish yellow); c.c. 6: non depurato, duro e compatto presenta alcuni inclusi micacei di minutissime dimensioni di colore chiaro e rari inclusi opachi di colore bruno-rossastro. Colore marrone rosato (M. 5YR 6/6 reddish yellow); c.c. 7: non depurato, duro e compatto, poroso per la presenza di numerosi vacuoli superficiali. Sono visibili numerosi inclusi opachi di colore bianco di medie e grandi dimensioni, altri di colore bruno rossastri, altri, di origine micacea, di forma quadrangolare chiari o tendenti al dorato. Colore arancio rosato (M. 2.5 YR 6/8 light red). Con questo impasto sono realizzati anche i frammenti dei dolia.

263 c.c. 1: depurato, sono appena visibili alcuni inclusi chiari e luminescenti. Colore beige rosato (M. 7.5 YR 7/4 pink). La vernice è coprente, con riflessi metallici di colore rosso corallo (M.10R 5/8 red); c.c. 2: duro e compatto, leggermente poroso al tatto. Sono visibili inclusi opachi bianchi o bruni di minutissime dimensioni ed alcuni inclusi chiari e luminescenti. Colore beige-arancio (M. 10R 6/6 light red), vernice sottile e poco aderente alla superficie di colore marrone rossastro (M. 10R 4/6 red). I corpi ceramici sono affini ai c.c. 2, 12, 9 della tipologia della TSI della Banca Dati del Laboratorio di Topografia Antica Università di Pisa. 264 Fig. 3.17 n. 9. 265 Fig. 3.17 n. 10. 266 Fig. 3.17 n. 11. 267 Fig. 3.17 n. 12. 268 Fig. 3.17 13. 269 c.c.1: depurato, con numerosissimi inclusi chiari luminescenti di minutissime dimensioni e alcuni di colore dorato. Sono poi visibili alcuni inclusi opachi di colore bianco o grigio. Vernice coprente, sottile, ben conservata di colore marrone rosso (M. 10R5/4 weak red); c.c. 2: depuro, poco compatto e leggermente poroso, presenta numerosi inclusi di cui alcuni opachi bianchi e grigi, altri bruni o rossastri minutissimi. Vernice sottile, opaca, colore arancio (M.10R6/6 light red-M.10R5/8 red). 270 Fig. 3.17 n. 14; Bonifay 2004: 178, fig. 95, 1. 271 Su 144 frammenti, ben 127 sono pezzi non diagnostici. 272 c.c. 1: duro e compatto, ruvido al tatto per la presenza di numerosi inclusi in superficie di piccole e medie dimensioni. Sono visibili inclusi opachi di colore beige o marroni oltre a minuti inclusi brillanti. Colore arancio rosato (M. 2.5YR 6/6 light red); c.c. 2: duro e compatto, poroso al tatto, presenta minuscoli inclusi opachi di colore bianco o grigio e altri chiari e brillanti. Colore arancio vivo (M. 2.5YR 7/8 light red); c.c. 3: semidepurato, tenero e poco compatto, presenta minutissimi inclusi chiari e luminescenti, alcuni opachi beige o bruno rossastri. Le superfici presentano uno schiarimento superficiale. Colore arancio rosato (M. 2.5YR 7/6 light red); c.c. 4: ruvido in superficie per la presenza di numerosissimi inclusi di piccole e medie dimensioni, alcuni chiari e luminescenti altri brillanti di colore nero. Sono poi visibili inclusi opachi di colore beige o grigio o rossastri di minute dimensioni. Colore arancio rossastro (M. 2.5YR 5/8 red). 273 Un altro confronto potrebbe essere con un esemplare da San Vincenzino di forma Hayes 23A datato tra la seconda metà del II d.C. e il III d.C. Cfr. Fig. 3.18 n. 1; Bonifay 2004: 213 e 215 fig. 114 n. 1; Gagliardi 2012a: 536, fig. 1, nn. 3-4. 274 Cfr. Fig. 3.18, n. 2; Bonifay 2004: 223, fig. 119. 275 Cfr. Fig. 3.18 n. 3; Bonifay 2004: 222, fig. 118, nn. 8-9. 276 Cfr. Fig. 3.18 n. 4; Bonifay 2004: 226, fig. 121 n. 4. 277 Su 115 frammenti sono state conteggiate ben 87 pareti e 23 frammenti di anse.

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ comune con impasto grezzo da cucina284 e alla classe delle pareti sottili285.

Il sito, interessato dalle ricognizioni coordinate dalla Prof.ssa Pasquinucci (1983-1987), aveva portato a individuare a Vallescaia un insediamento rurale di I secolo a.C., che sarebbe stato abitato fino al tardo-antico291. Il rinvenimento di anelli distanziatori per la produzione di ceramica, ma l’assenza di scarti di lavorazione, aveva in un primo tempo reso dubbia l’identificazione di una fornace produttiva a Vallescaia292, lo studio dei reperti ha infine condotto alla interpretazione definitiva di Vallescaia come un sito produttivo per la ceramica comune293. Recentemente sono state condotte sul sito delle indagini geofisiche che hanno consentito di individuare delle anomalie magnetiche riferibili all’area della fornace294. Fra i materiali analizzati (Fig. 3.19) solo pochi frammenti sono stati considerati utili a fini diagnostici. Si segnalano in particolare due frammenti di un’anfora simile a una Dressel 9 tarraconense databile tra fine I a.C. e I d.C.295, il frammento di un puntale forse appartenente a una Dressel 1296, quattro differenti tipi di tegole ad ala297. Provengono dai materiali recuperati durante le ricognizioni di Vallescaia diverse pareti di ceramica comune da mensa, da fuoco e dispensa di produzione locale, numerosi frustuli laterizi e frammenti di dolia, un frammento di un chiodo in ferro, frammenti di ceramica africana da cucina, un frammento di bacile con decorazione a cordoni.

Fra i pochi frammenti databili in età medievale se ne segnala un frammento di ansa attribuibile al tipo delle cosiddette “anforette pisane a fondo piatto” con bollo “a graticcio”286. Altri frammenti relativi alla fase medievale sono un testello e un frammento di brocca che trovano confronti con esemplari rinvenuti presso la villa di San Vincenzino a Cecina, datati fra i secoli XII-XIII287. I frammenti di anfore e di ceramica a vernice nera confermano una prima fase insediativa a Capodivilla dal II secolo a.C., mentre le sigillate italiche e africane, la ceramica africana da cucina, così come le forme della ceramica comune, attestano che il sito era abitato fra I a.C. e II d.C. Le forme ceramiche databili fra III-IV d.C., testimoniano che l’insediamento era ancora abitato fino alla metà del III secolo d.C. La sporadica presenza di frammenti databili fra il IV e il V secolo d.C. potrebbero attestare un’occupazione del sito in quest’epoca che non è tuttavia possibile chiarire ulteriormente288. I reperti risalenti al periodo medievale, rinvenuti in una zona periferica rispetto a quella del sito d’età imperiale, testimoniano almeno una sua parziale rioccupazione fra l’XI e il XII secolo, sebbene ciò sia di non facile interpretazione289.

3.2.4. Il sito archeologico in località Orceto (Lari): una fornace nella val d’Era romana

3.2.3. Il sito archeologico in località Vallescaia (Rosignano Marittimo, Livorno): l’invisibilità di un sito produttivo

Si presentano di seguito i dati relativi all’analisi dei materiali archeologici inediti provenienti dai siti della val d’Era scelti come casi studio: Orceto (Lari) e Pian di Selva (Ponsacco), entrambi intercettati in occasione dei lavori per la messa in opera del metanodotto SNAM PalaiaCollesalvetti, che sono stati interessati negli anni 20102011 da operazioni di scavo d’emergenza, al termine delle quali sono stati re-interrati. A conclusione dei lavori lo scavo dei siti non si presentava concluso, rimanendo parte

In località Vallescaia, in un’area pianeggiante a sud rispetto a San Gaetano di Vada, è stata rintracciata una vasta dispersione di materiali (Fig. 3.3). Nella documentazione d’archivio, è stato registrato inoltre il rinvenimento di tombe alla cappuccina distrutte nella medesima area290. 284 Si tratta in totale di 14 frammenti caratterizzati da due differenti corpi ceramici. c.c.1: non depurato, presenta numerosi inclusi di medie e grandi dimensioni opachi e di colore bianco o bruno, micaei di forma lamellare e colore dorato. Colore variabile dall’arancio rossastro al marrone (M. 10R 5/4 reddish brown). Bruniture esterne e evidenti segni di esposizione al fuoco; c.c. 2: non depurato, sono visibili alcuni inclusi luminescenti di colore chiaro e numerosi inclusi opachi bianchi di minutissime dimensioni. Superficie esterna grigia per l’esposizione al fuoco (M 2.5YR 5/2 weak red). 285 È stato possibile distinguere due differenti produzioni: c.c. 1: depurato, presenta minuscoli inclusi di colore chiaro e luminescente. Colore grigio rosato (M. 5YR 7/4 pink); c.c. 2: depurato, sono visibili minuscoli vacuoli superficiali e numerosi inclusi luminescenti di minute dimensioni. Colore arancio (M. 5YR 6/6 reddish yellow). 286 Fig. 3.16 n. 12. Il frammento (diam. 10; h. 3,3; sp. 1) presenta un corpo ceramico depurato, tenero e poco compatto, presenta numerosi inclusi micacei chiari di minutissime dimensioni, oltre ad alcuni inclusi opachi di colore bianco o bruno-rossastri. Colore beige (M. 5YR 7/6 reddish yellow). Bolli del tipo “a graticcio” sono stati rinvenuti principalmente a Fauglia dove era attiva una fornace che produceva punzonando con tali bolli a partire dall’XI secolo. A tale proposito: Berti-Gelichi 1995: 200-235; Bruni 1993. 287 Gagliardi 2012b: 653, fig. 6, n. 25; 648, fig. 1, nn. 2-3. 288 Verrebbero così a trovare conferma anche le fonti orali e le pubblicazioni amatoriali chiaramente non verificabili, che testimoniavano tuttavia la presenza di materiali riferibili al V secolo d.C. Cfr. Sangriso 2011: 200. 289 Cherubini-Del Rio 1995: 355 nota 24. 290 Archivio SABAP, Pos 9 Livorno 14 (1971-1980), Rosignano Marittimo-Museo archeologico, museo storico. Comunicazione 11-021983.

Cfr. Cherubini-Del Rio 1995. Provengono da Vallescaia quattro distanziatori del tipo 6 individuato da Cherubini-Del Rio 1995: 374-375; 384; 387. 293 Cfr. Cherubini-Del Rio-Menchelli 2006: 74, sito 24. 294 Repetto-Freitag-Pasquinucci et Al. 2018: 52-58. 295 Fig. 3.19 n. 1; Corpo ceramico duro e compatto caratterizzato da numerosi inclusi opachi di grandi dimensioni di colore beige e altri di colore bruno. Sono inoltre visibili inclusi chiari e luminescenti. Colore rosa arancio (M. 5YR 7/8 reddish yellow) con schiarimento superficiale beige (M. 7.5 YR 7/6 reddish yellow). Cfr. Nolla et Al. 1982: 174, fig. 17, 1. 296 Fig. 3.19 n. 2; Il frammento presenta un corpo ceramico duro e compatto, leggermente poroso al tatto con numerosi inclusi di colore nero di minutissime dimensioni di cui alcuni semi-luminescenti. Numerosissimi sono anche gli inclusi opachi di colore chiaro. Colore arancio rosato (M. 2.5 YR 6/4 light reddish brown). 297 c.c. 1: poco depurato, compatto, presenta numerosi inclusi opachi di grandi dimensioni di colore bianco, marrone, grigio, rosso. Sono inoltre presenti numerosi inclusi micacei chiari o dorati. Colore variabile dal beige all’arancio rosato (M. 5YR 7/4 pink-5Yr 6/8 light red). Con il medesimo impasto venivano realizzati dolia; c.c. 2: duro e compatto, è caratterizzato da numerosi inclusi opachi rossi, bruni, bianchi di medie e grandi dimensioni. Il colore è arancio rosato (M. 2.5Yr 6/6 light red); c.c. 3: duro e compatto, presenta inclusi opachi di medie e grandi dimensioni, alcuni chiari, altri grigi o rossastri. Sono visibili anche inclusi di mica dorata. Colore arancio (M. 2.5 YR 6/8 light red). Cfr. Fig. 3.19, nn. 3; 4; 5; 6 e, rispettivamente, Wikander 1993: 30, fig. 4, A3; sp. 18; J1; L1. 291 292

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Poteri e strategie familiari di Volterra del metallo defluito da apposite aperture nel forno durante la lavorazione) e altre di raffinazione-forgiatura (forma irregolare, basso peso specifico e aspetto spugnoso prodotto dalle microporosità interne in seguito ai processi di forgiatura del metallo), indicano inoltre l’attività di fusione dei metalli all’interno del sito306 (Fig. 3.20).

di esso al di fuori dell’area di competenza. I due siti sono stati interpretati come piccole unità abitative rurali con annessa fornace per la produzione di laterizi. I materiali provenienti dalle prime ricerche sono conservati presso i magazzini del Museo di Villa Baciocchi a Capannoli. Nel 2010, durante le operazioni per la messa del metanodotto, in una sezione della trincea scavata per l’alloggiamento del tubo, vennero messi in luce in località Orceto (Lari, Pisa), un livello di terra rossastro e alcuni materiali archeologici che motivarono, nel mese di agosto, una campagna di scavo d’emergenza in un’area di circa 15,50 x 9,00 m (Fig. 3.4). Dalla documentazione preliminare e dalle relazioni degli operatori298 si evince che sono state individuate diverse fasi di vita del sito, purtroppo difficilmente ricostruibili dal momento che parte delle strutture individuate si estendevano oltre l’area di scavo. L’intero sito era ricoperto da uno strato argilloso in cui sono stati rinvenuti, decontestualizzati, numerosi reperti relativi alle diverse fasi del sito probabilmente sconvolto in seguito alle operazioni di aratura legate alla coltivazione dei terreni299. È stato possibile determinare che una prima fase di vita di Orceto era sicuramente legata all’unità produttiva di cui sono stati rinvenuti i numerosi scarti di produzione300, e gli strati di terra concotta e carbone relativi al piano d’uso della fornace301. Tale fornace, definita ‘etrusco-romana’, venne obliterata, in un’epoca non precisata, da uno strato argilloso sul quale poi venne realizzato un ‘edificio rustico romano’. Di tale edificio, di cui non risultava ricostruibile la pianta, vennero individuati dei muri, fra cui quello di una vasca, e due pilastri302. A una fase successiva, evidenziata da una differente tecnica edilizia, sono stati associati invece altri due muri303. La struttura venne infine abbandonata come dimostrano gli strati di crollo304, ma in un’epoca che non è stata individuata ulteriormente. Lo studio dei materiali rimasti, sostanzialmente inediti, è stato fondamentale per una migliore definizione della cronologia del sito.

Per quanto riguarda i frammenti diagnostici (Fig. 3.21), questi provengono dallo strato superficiale, un fondo di una forma chiusa in vernice nera non ulteriormente definibile, ma caratterizzata dal corpo ceramico grigio della tipica produzione volterrana degli inizi del I secolo a.C.307, e un altro fondo, afferente alla medesima produzione, forse di una piccola coppa308, il collo di un’anfora olearia Dressel 23 di produzione betica databile tra III e V secolo d.C.309, una coppa in ceramica acroma depurata che trova confronti con un esemplare da San Vincenzino di II-III d.C.310, due frammenti di vasetti potori databili fra II e III secolo d.C.311, un frammento di sigillata africana riferibile alla coppa Hayes 17 di III secolo d.C.312. Negli strati superficiali dello scavo sono stati inoltre rinvenuti un mattone manubriato della lunghezza di circa un piede romano313, frammenti di tegole ad ala e coppi314. Proviene dallo strato di disfacimento della fornace315 un orlo a tesa a sezione quadrangolare di una pentola, la cui forma rimanda a produzioni d’area campano-laziale diffuse tra la fine del I a.C. e il I d.C.316, mentre dallo strato di crollo dell’edificio rurale proviene un frammento di sigillata africana della coppa Hayes 14B databile alla prima metà del III secolo d.C.317. In base a quanto finora evidenziato è quindi possibile affermare che la fornace attiva nel sito di Orceto produceva laterizi (nello specifico tegole ad ala e coppi). Nel sito venivano poi svolte anche attività di lavorazione dei metalli. La dismissione dell’impianto produttivo avvenne probabilmente entro il I secolo d.C. e, dopo l’obliterazione della fornace, un edificio rurale, sul quale non è possibile dire molto, venne abitato fra II e III d.C. Il frammento di terra sigillata africana nello strato di crollo della struttura potrebbe spingere a datare l’abbandono dell’edificio non prima della metà del III secolo d.C.

I materiali eterogenei provenienti dallo strato più superficiale dello scavo danno qualche informazione più precisa circa la frequentazione del sito. Un raschiatoio in selce testimonia infatti la frequentazione più antica del sito di Orceto305, mentre il rinvenimento di alcuni frammenti di ceramiche invetriate, smaltate e maioliche ne attestano una sporadica in età medievale e moderna. Scorie di colatura (superficie corrugata in seguito allo scorrimento

Fig. 3.20 o; p; Giardino 2010: 63-256. Fig. 3.20 q. 308 Fig. 3.21 n. 1. 309 Fig. 3.21 n. 2. Il frammento è caratterizzato da un corpo ceramico duro e compatto in cui sono visibili numerosi inclusi opachi di colore bruno o bianchi e alcuni chiari e brillanti. Colore nocciola (M. 5YR 7/6 reddish yellow). 310 Cfr. Fig. 3.21 n. 3; Gagliardi 2012a: 495, fig. 1, n. 3. Il frammento presenta un corpo ceramico depurato, liscio al tatto, con diversi inclusi luminescenti di colore chiaro e altri opachi, bianchi o scuri. Colore marrone-rosato (M. 5YR 6/6 reddish yellow) 311 Fig. 3.21 nn. 4; 5; Gagliardi 2012a: 496, fig. 2, nn. 7-10. 312 Fig. 3.21 n. 6; Bonifay 2004: 158, fig. 85, 17. 313 Fig. 3.20 t. 314 Fig. 3.21 nn. 9;10;11; Wikander 1993: 30, fig. 4, B34. 315 Provengono dallo strato numerosi scarti di fornace alcuni con superficie completamente vetrificata (Fig. 3.20 r). 316 Fig. 3.21 n. 8. Il frammento presenta un corpo ceramico poco depurato, ruvido al tatto e con numerosi inclusi micacei e altri, opachi di colore chiaro o bruno. Orlo e superfici esterne sono anneriti in seguito all’esposizione al fuoco. Colore marrone bruno (M. 5YR 5/4 reddish brown). Il frammento trova confronto con esemplare da San Vincenzino rinvenuto in una stratigrafia più tarda (Gagliardi 2012a: 495, fig. 1, 2). 317 Fig. 3.21 n. 7; Bonifay 2004: 158, fig. 85, 6. 306 307

Relazione preliminare Orceto-Lari (PI). Picchetto 82/II. Tra i materiali rinvenuti nello strato, nella relazione si fa riferimento a un collo di Dressel 2-4 e a un frammento di Dressel 23. 300 Fig. 3.20 r; s. 301 Nella documentazione relativa al sito si fa riferimento a: US 102 come strato di disfacimento della fornace con frammenti di laterizi ipercotti; US 103, strato di carbone relativo al piano d’uso della fornace; US 111, canaletta in terra battuta probabilmente legata all’uso della fornace. 302 US 105, 114, muri in laterizi; US 108 e 113, pilastri di laterizi e tegole. 303 US 106 e 116 muri realizzati con frammenti di tegole, coppi e laterizi di medie dimensioni poco più larghi dei precedenti e legati da terra. 304 US 104, 107, 110 composti per lo più da tegole e laterizi. Tra i pochi reperti datanti vengono citati nella relazione preliminare, due frammenti di sigillata italica, provenienti dalla US 107. 305 Fig. 3.20 n. 298 299

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ 3.2.5. Il sito archeologico in località Pian di Selva (Ponsacco, Pisa): un insediamento rurale nella val d’Era romana

del II secolo d.C. Il sito purtroppo non venne interamente indagato dal momento che si estendeva al di là dell’area di scavo; rinterrato, dopo una parziale pubblicazione è rimasto sostanzialmente inedito.

Durante i lavori per la realizzazione del metanodotto (2011) venne intercettata una stratificazione archeologica in località Pian di Selva (Ponsacco), rendendo necessario lo scavo d’emergenza dell’area nei mesi di agostosettembre (Fig. 3.4). Si decise per l’apertura di un saggio (20x9 m) su quello che era ‘un piccolo rilievo di limitata grandezza, degradante dolcemente sia verso Est che verso Ovest […] che in antico doveva costituire un punto rilevato rispetto all’area circostante, probabilmente caratterizzata da pianure ricche di corsi d’acqua’318. Fasi più antiche di frequentazione dell’area (o delle sue immediate vicinanze) sarebbero confermate dal rinvenimento, nello strato più superficiale del sito319, di un cippo funerario in marmo bianco d’epoca etrusca320. Dallo strato sottostante, ricco in frammenti ceramici e laterizi, sono stati recuperati un anello in bronzo e un piccolo peso da rete in piombo, oltre ad alcuni chiodi in ferro321 (Fig. 3.25). Sono poi emerse, conservate a livello delle fondazioni, delle strutture murarie322, degli strati di crollo323 e i riempimenti324 relativi a differenti fasi del sito. Questo è stato interpretato come ‘un edificio rustico d’età romana realizzato con tecniche edilizie molto semplici ed in parte con materiale deperibile’325.

Si presenta di seguito una selezione dei materiali ritenuti utili per definire ulteriormente la cronologia e l’interpretazione del sito. Una prima fase di frequentazione di Pian di Selva è rappresentata dal rinvenimento di uno strumento in selce, oltre che da frammenti di bucchero e di ceramica a vernice nera di produzione volterrana, di cui alcuni con la caratteristica pasta grigia tipica delle produzioni dell’inizio del I secolo a.C.327. Fra i reperti più antichi rinvenuti si segnala poi l’orlo di un’anfora Dressel 1C databile tra la fine del II a.C. e la fine del I a.C.328 (Fig. 3.22). La maggior parte dei reperti proviene dai piani di livellamento delle fasi di vita precedenti e dagli strati superficiali. Sono stati rinvenuti negli strati di livellamento suddetti diversi frammenti di terra sigillata italica e tardoitalica (Fig. 3.22), prodotti in una delle officine della valle dell’Arno329, fra cui è stato possibile individuare una coppa assimilabile alla forma Consp. 7-9 (media età Augustea)330, Consp. 34.2 (età Tiberiana-Flavia)331, una Consp. 3.3.1 (seconda metà del I secolo d.C.)332, un piede probabilmente appartenente a una coppa Consp. 22-25 (età Augusteo-Tiberiana)333, e uno appartenente ad una coppa Consp. 31 (tarda età Augustea-Tiberiana)334. Dallo stesso strato provengono un piccolo unguentario piriforme in vetro databile al II d.C.335, una moneta in bronzo totalmente corrosa e illeggibile, frammenti di carbone e chiodi in ferro, due elementi in piombo336, e uno in pietra337, mentre dallo strato superficiale provengono scarti fusione relativi ad attività di lavorazione dei metalli non ulteriormente definibili. Dallo strato superficiale provengono inoltre un frammento di boccalino a pareti sottili338, un frammento di sigillata africana di una coppa Hayes 14a (fine II-inizi III d.C.)339 e diversi frammenti di ceramica africana da cucina fra cui è stato possibile distinguere le forme Hayes 23b (II d.C. alla metà del III d.C.)340, Hayes 181a (fine I-II d.C.) e 181 n.1 (II d.C.)341, Hayes 197 (fine II d.C.)342, piatti coperchio Hayes 196343,

A una prima fase di vita del sito, di epoca non definita, è stato attribuito un muro realizzato in pietre, frammenti di laterizi ipercotti e tegole. In una fase successiva venne realizzato, forse in parte riutilizzando parti dell’abitato preesistente, un edificio rurale di cui sono stati individuati muri e pilastri a scandire un’organizzazione razionale dello spazio che prevedeva un’area forse coperta da tettoie. Infine, il crollo della struttura determinò il livellamento dei piani di vita precedenti con materiali provenienti dalla distruzione del sito preesistente, probabilmente per la conversione in area agricola. L’abbandono è stato datato in maniera preliminare, grazie ai materiali contenuti nello strato, alla fine del II secolo d.C. come del resto provato dallo strato alluvionale accumulato sulle stratificazioni dell’abitato, interpretato da Ciampoltrini come testimonianza di insufficienti opere di regimazione delle acque326. La fase principale del sito rurale dovrebbe quindi essere datata ai decenni centrali

Frammenti provenienti da US 106. Fig. 3.22 n. 1. 329 Per l’attribuzione dei corpi ceramici si è fatto riferimento al database dei Corpi Ceramici della Terra Sigillata elaborato dal laboratorio di Topografia dell’Università di Pisa per i materiali dal sito di San Gaetano di Vada. Fra i numerosi frammenti individuati a Pian di Selva sono numerosi quelli non diagnostici sui quali sono riconoscibili le decorazioni tipiche delle produzioni più recenti della sigillata italica e di quelle della tardo-italica. 330 Fig. 3.22 n. 3. 331 Fig. 3.22 n. 4. 332 Fig. 3.22 n. 5. 333 Fig. 3.22 n. 6. 334 Fig. 3.22 n. 7. 335 Fig. 3.25 y. 336 Fig. 3.25 z; a.1. 337 Fig. 3.25 b.1. 338 Cfr. Fig. 3.22 n. 8; Atl. Tipo 280-281= Mayet XXI-XXII. 339 Bonifay 2004: 158, fig. 85, n. 3. 340 Fig. 3.22 n. 9; Bonifay 2004: 212, fig. 112, 2. 341 Fig. 3.22 n. 10; Bonifay 2004: 215, fig. 114, 1 e Tav. 7, n. 11; Bonifay 2004: 215, fig. 114, 2. 342 Fig. 3.22 n. 12; cfr. Bonifay 2004: 224, fig. 120 n. 2. 343 Fig. 3.22 n. 13; Bonifay 2004: 226, fig. 121, n. 1. 327 328

Relazione preliminare, Pian di Selva (Ponsacco, Pisa), Picchetto 5/II. Si tratta di uno strato definito nella relazione come ‘a matrice argillosa di natura alluvionale’. 320 Fig. 3.25 u; 321 Fig. 3.25 v; w; x. 322 In particolare, sono stati rinvenuti: la fondazione di un muro realizzato con frammenti di laterizi (di cui alcuni ipercotti) e pietre a secco (US 113-116); due pilastri realizzati con tegole e frammenti laterizi (US 115, US 117; US 120), la fondazione di un muro successivo al precedente (US 108). 323 Il disfacimento del muro 113 (US 107), i crolli della copertura dell’edificio (US 104 e 105); il crollo di un pilastrino (US 102). 324 In particolare, sono stati individuati diversi strati di riempimento per livellare diverse aree del sito (US 110; 111; 112) dei quali due (US 114 e 116) non sono stati del tutto scavati dal momento che si estendevano oltre il limite del saggio. 325 Cfr. Ciampoltrini-Alberigi 2012: 58-59. 326 Ciampoltrini-Alberigi 2012: 58-59 e fig. 14-15; 18-19. 318 319

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Poteri e strategie familiari di Volterra Hayes 185 b (fine II-metà III d.C.)344. Oltre a numerose pareti di ceramica acroma depurata345 e d’impasto grezzo per usi da cucina, sono state identificate alcune forme chiuse e aperte di produzione locale, già individuate al momento dello scavo come coeve alla fase principale dell’insediamento346 (Fig. 3.23).

granaglie, di un tipo la cui massima diffusione è databile fra I e II d.C.354 e un frammento di anfora probabilmente appartenente a un’anfora Dressel 9, di un tipo che trova confronti con un esemplare tarraconense di fine I a.C. e I d.C., rinvenuta nello strato di crollo del pilastro di cui faceva parte355.

Dagli strati di livellamento delle fasi di vita precedenti provengono poi un gran numero di laterizi fratti, per lo più tegole ad ala e coppi, di tipologia differente, per i quali sono stati distinti a livello macroscopico tre differenti corpi ceramici347. Alcuni laterizi dovevano essere stati impiegati per la copertura del sito, mentre altri, come un mattone e un laterizio a quarto di cerchio dovevano essere stati impiegati nella realizzazione dei pilastrini348. Alcuni laterizi presentano diversi livelli di cottura interna e spesso sono distinguibili le tracce lasciate dal luogo di posa dove venivano posti a essiccare prima della cottura, o i cosiddetti test d’essiccazione (linee concentriche, impronte digitali)349. La presenza di differenti scarti laterizi induce a riflettere sulla possibilità di una fornace nelle immediate vicinanze del sito (se non nella parte non scavata dello stesso). Il rinvenimento fra le tegole ad ala di alcuni esemplari con dente per l’incasso nella parte inferiore induce poi a riflettere sull’importanza della loro presenza in una zona che tradizionalmente predilige la tegola ‘a risega’350. Dal momento che l’insediamento di Pian di Selva rientra in una delle maglie centuriali individuate da Ciampoltrini come appartenenti all’ager Volaterranus351, si potrebbe forse collegare la presenza di tale tipo di tegole alla presenza di coloni romani, come sostenuto per altri casi dalla Shepherd352, insediati nella prima fase di vita del sito grossomodo databile fra l’età Augustea e quella Tiberiana353. Risultano di particolare importanza due frammenti di un mortarium per la macinatura delle

Riassumendo, il sito di Pian di Selva nacque probabilmente come insediamento rurale in connessione con la centuriazione augustea del territorio volterrano. Un nuovo edificio rurale venne poi a sostituirsi al precedente all’inizio del II secolo d.C., comportando il parziale riuso di alcune strutture precedenti e il livellamento di altre. Questa fu la fase di vita principale del sito, conclusasi con l’abbandono delle strutture fra la fine del II e l’inizio del III secolo d.C. Assume un significato rilevante lo strato limoso che sigillò le fasi di vita precedenti, interpretato da Ciampoltrini come ‘testimonianza di insufficienti opere di regimazione delle acque in seguito all’indebolimento, o rarefazione, del tessuto insediativo’356. 3.3. Aree “marginali” e proprietà pubblica: un approccio alternativo per la ricostruzione delle tendenze del popolamento nell’ager Volaterranus Per rendere evidente l’importanza dei dati archeologici inediti esaminati per un aggiornamento sui modelli insediativi dell’ager Volaterranus è necessario tenere a mente che l’analisi dei modelli insediativi a Volterra continua a essere un problema relativo alla classificazione teorica dei siti e, di conseguenza, permane la consapevolezza di una difficile comprensione delle dinamiche insediative dell’ager nonchè dei rapporti amministrativi fra centro e periferia357. Considerando necessario un approccio alternativo allo studio dell’insediamento nel Volterrano, è sembrato utile indagare in dettaglio le aree “marginali” del territorio, ossia quelle zone prossime ai confini della comunità che si differenziarono maggiormente a livello insediativo, specie dall’area costiera del Volterrano, fra i secoli I-II d.C., II-III d.C.; IV-V d.C. Uno dei leitmotiv riguardo l’eccezionale resistenza del sistema insediativo di Volterra fino all’età tardoantica è stato spesso legato alla sopravvivenza di forme di controllo e di gestione delle proprietà ereditate dal modello “conservatore” dell’epoca

Fig. 3.22 n. 14; Bonifay 2004: 222, fig. 118, nn. 4- 6. La maggior parte dei frammenti della classe presenta corpo ceramico abbastanza depurato, liscio al tatto, in cui sono visibili numerosi inclusi opachi di piccolissime dimensioni di colore bianco o nero e altri, meno frequenti, chiari e luminescenti. Colore beige rosato (M 5YR 7/8 reddish yellow). 346 Fig. 3.23 nn. 2-9. 347 c.c. 1: poco compatto, e poroso presenta inclusi opachi di piccole e medie dimensioni di colore grigio o marrone e altri, di dimensioni più piccole, bianchi. Sono visibili alcuni inclusi luminescenti di origine micacea. Colore arancio (M. 10R 5/8 red-M. 2.5 YR 7/8 light red); c.c. 2: duro e compatto con numerosissimi inclusi opachi di colore bianco o bruno di piccole e medie dimensioni. Colore marrone rosato (M. 10R 6/8 light red); c.c. 3: poco compatto e poroso presenta inclusi di natura litoide colore marrone o nero, insieme ad altri inclusi opachi di colore grigio o bianco o rosso e rari brillanti, dorati di piccole dimensioni. Colore marrone chiaro (M. 5YR 7/6 reddish yellow-M. 5YR6/6 reddish yellow). Per i tipi cfr. Fig. 3.23 nn. 10-14; Wikander 1993: 30, fig. 4, B34; H14; B56. 348 Fig. 3.25 c.1; d.1. 349 In merito cfr. Shepherd 2008: 174-176. 350 Fig. 3.24 e.1; e.2; f.1(con incastro); g.1; Shepherd 2015: 120-132; Shepherd 2008: 165-200. 351 Cfr. Ciampoltrini-Alberigi 2012. 352 Secondo la Shepherd la diffusione del tipo di tegola con incasso negli insediamenti di nuova fondazione romana delle province occidentali e nelle colonie cesariane e triumvirali in Italia è connessa alla presenza dell’esercito, sia diretta (costruttori militari), sia indiretta (veterani assegnatari). In merito Shepherd 2008: 276-278 e infra paragrafi 2.1; 3.3.2. 353 La centuriazione del volterrano dovrebbe del resto essere stata posteriore alla battaglia di Azio nel 31 a.C.; Cfr. infra paragrafo 3.3.2. 344 345

Il mortarium è afferibile al tipo Cap Dramont D1 e trova confronto abbastanza puntuale con un esemplare da Scoppieto (tipo M1.c) con parete a profilo convesso e molto svasata, superficie superiore leggermente concava, estremità ingrossata e arrotondata, leggero avvallamento precedente l’orlo a listello sporgente. Cfr. 3.23 n. 1; Bergamini 2007; Pallecchi 2002. 355 Il frammento presenta corpo ceramico duro e compatto, leggermente poroso al tatto. Sono visibili numerosi inclusi opachi di colore bruno e altri, meno frequenti, chiari e brillanti. Colore arancio rosato (M. 2.5YR 7/8 light red); Cfr. Fig. 3.22, n. 2; Nolla et Al. 1982: 174, fig. 17, 1. 356 Ciampoltrini-Alberigi 2012: 58-59 e fig. 14-15; 18-19. 357 Il dibattito storiografico relativo ai rapporti amministrativi cittàcampagna e riguardo gli “agglomerati secondari” nel mondo romano si è molto sviluppato, specie a partire dagli anni Settanta del XX secolo, con una consistente serie di contributi e differenti interpretazioni. Non essendo questa la sede per ripercorrere i termini della questione si rimanda ai numerosi lavori fra cui, per solo per citarne alcuni più recenti: Brulet 2017: 315-336; Capogrossi Colognesi 2002; Capogrossi Colognesi 2012: 193-197; Tarpin 1999: 279-297; Tarpin 2002: 248461; Todisco 2011. 354

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ etrusca358. Tuttavia, da quanto finora evidenziato, sembra possibile intravedere tendenze differenti per cui la società di Volterra in età romana fosse tutt’altro che “immobile”. I dati archeologici confermano l’inserimento del territorio all’interno di traffici commerciali di portata mediterranea. L’indefinita comprensione dei rapporti fra città, élite, territorio spinge ad affrontare l’aspetto insediativo da prospettive altre, finora solo parzialmente sviluppate. Riguardo l’apparente assenza del sistema della villa in alcune aree del Volterrano (settentrionale e orientale), non solo è necessario interrogarsi sulla possibilità di differenti forme insediative che abbiano causato una diversa conservazione delle strutture, ma anche la possibilità che nuove scoperte possano in futuro aggiornare il quadro delle evidenze. Inoltre, è possibile supporre l’esistenza di vincoli di colonato che potevano legare almeno alcuni fra gli ignoti proprietari nei centri rurali ai membri dell’élite di Volterra. Rimane da comprendere in che modo la lunga sopravvivenza di quelli che possono essere considerati, per l’importanza assunta nel territorio, come central places, ossia di polo aggregativo della comunità, si inserisse nel controllo più o meno diretto da parte dell’élite locale. Finora è stata poco sviluppata l’indagine relativa all’entità delle aree di proprietà pubblica, direttamente sottoposte al controllo della comunità. Una riflessione su queste aree si rivela funzionale a una migliore comprensione delle dinamiche di popolamento e permette di avanzare ipotesi circa la continuità di occupazione di alcuni siti rispetto ad altri, riuscendo, almeno in parte, a superare alcuni problemi di classificazione teorica. Per definire meglio le politiche di gestione del territorio di Volterra nei secoli I a.C.-V d.C. appare quindi cruciale una riflessione sullo status giuridico delle aree settentrionale e orientale dell’ager a partire da una riflessione circa il ruolo politico dei santuari nelle aree di confine della comunità.

Considerando la più generale tendenza distributiva dei luoghi di culto d’epoca etrusca, i santuari volterrani erano ubicati solitamente in prossimità dei principali assi viari360 e spesso legati alle acque correnti o alle sorgenti termali, come dimostrato dalla frequente presenza di vasche, cisterne, pozzi per le pratiche rituali361. Nella concezione etrusca, i santuari rappresentavano un lotto di terreno delimitato da confini che la comunità assegnava alla divinità per abitarvi362. Oltre a una funzione cultuale, i santuari avevano anche una funzione culturale363 ed economica o perché erano al centro di attività emporiche364 o per la produzione degli ex voto o per l’amministrazione di eventuali proprietà del dio e di tutte le attività volte alla periodica manutenzione e alla quotidiana vita rituale365. Il rinvenimento di bronzetti votivi, datati dal VI al III secolo a.C., alle pendici del colle di Volterra366 indica l’esistenza di luoghi di culto suburbani rapportati a un programma voluto dal centro urbano, per il controllo degli itinerari di collegamento con le campagne e con le città vicine. In connessione con la monumentalizzazione ellenistica del santuario urbano, le testimonianze di attività di culto nel territorio, specie nelle zone di confine, si moltiplicarono acquisendo così un’importante dimensione politica in quanto poli aggregativi 367. Istallazioni sacre sorsero in val d’Era (Ortaglia, Peccioli368 e Podere l’Inchiostro-Capannoli369), Confronti possono essere rinvenuti in Etruria meridionale, nell’area laziale, nel confinante territorio di Chiusi. Cfr. Zifferero 1995: 355; Colonna 1985. 361 La disponibilità di acque era essenziale per molte pratiche di culto sia presso gli Etruschi che presso i popoli italici a scopo purificatorio. Caratteristica della religione etrusca era anche il culto delle acque correnti testimoniato in molti luoghi dal rinvenimento di bronzetti votivi presso polle d’acqua formate da sorgenti. 362 Colonna 1985: 23. 363 In particolare, ci si riferisce ai santuari in quanto centri di cultura scritta, prevalentemente affidata agli ex voto. 364 È questo il caso di santuari gravitanti su aree portuali o su grandi direttrici e mercati. Per questi ultimi il santuario offriva la necessaria copertura giuridica a garanzia delle transazioni fra stranieri, traendone cospicui vantaggi. Cfr. Colonna 1985. 365 La proprietà di terre da parte di santuari era diffusa nel mondo greco mentre poche informazioni si hanno per il periodo romano. Cfr. DuncanJones 1976: 7-11. Per quanto riguarda le attività economiche legate alla manutenzione del santuario, si pensi agli innumerevoli laterizi per la copertura necessari, mentre per la quotidiana attività rituale erano necessarie costose forniture di animali per i sacrifici. Cfr. Colonna 1985: 25. 366 I bronzetti databili tra gli ultimi decenni del VII e i primi del VI a.C. e interpretati in connessione con la strutturazione del centro urbano, sono stati rinvenuti presso la fonte di San Felice, a Sant’Ottaviano, nel podere Colloreto, nel Botro Pagliaio. Cfr. Bonamici 2007: 201-207. 367 Bonamici 2007: 203-204. Cfr. Colonna 1985: 27; Stek 2009: 7071. 368 Il santuario di Ortaglia sorgeva a circa quattro km dall’odierno centro di Peccioli, in un’area elevata alla confluenza con il Roglio dei torrenti Filetto e Melogio. Il complesso è stato ritenuto come emanazione diretta della città di Volterra che avrebbe così marcato la sua presenza sul territorio presso il limite settentrionale. Il santuario si strutturava attorno a un grande edificio templare in connessione con un pozzo artificiale. La divinità tutelare era probabilmente Demetra. Dopo un incendio verso il 330-320 a.C. l’area di culto venne riorganizzata e abbandonata poi negli anni a cavallo del 200 a.C., in significativa coincidenza con la fase di monumentalizzazione dell’area di culto sull’acropoli volterrana. Cfr. Bruni 2007: 226-228. 369 In un’area strategicamente importante per la prossimità di una grande arteria di traffico verso Pisa e per la vicinanza del corso dell’Era, si localizza un santuario in cui si praticavano culti salutari documentato da fittili anatomici recuperati agli inizi degli anni Trenta dal conte Gotti Lega nel suo Podere L’Inchiostro a Capannoli. 360

3.3.1. Il ruolo del sacro: aree di confine e proprietà pubbliche Tracciare un quadro circostanziato dei luoghi di culto d’età romana nell’ager risulta alquanto complesso a causa della frammentarietà dei dati dovuti a rinvenimenti casuali e alla scarsità di scavi archeologici che si riducono sostanzialmente ai complessi sacri dell’acropoli urbana, di Sasso Pisano e della Giuncaiola (Pontedera)359. 358 Secondo Nicola Terrenato la lunga continuità insediativa delle ville costiere del Volterrano troverebbe giustificazione nell’adozione di ‘un sistema produttivo più saldo, maggiormente radicato nelle tradizioni agricole della zona, che quindi risent[iva] meno, per il fatto di non essere inserita nei grandi traffici commerciali, dei cambiamenti politici e delle trasformazioni produttive’. In sostanza, secondo lo studioso, nella regione costiera il modello romano della villa si sarebbe adattato a una gestione del territorio del latifondo affidata a lavoratori indipendenti piuttosto che a schiavi, sostanzialmente immutata dall’epoca etrusca (TerrenatoSaggin 1994: 473-474). Non si concorda in pieno con tale assunto, specie relativamente all’esclusione dell’area dai traffici commerciali che, come si è in parte già detto, interessavano invece attivamente il Volterrano anche oltre il VI secolo d.C. Inoltre, il collegamento fra strutture ed élite sembra avere qualche chance in più per meglio determinare gli aspetti della continuità insediativa. Cfr. infra paragrafi 2.2.3; 4.3. 359 Riguardo gli scavi dell’acropoli di Volterra, Bonamici 2003; Bonamici 2015. Per Sasso Pisano si veda Esposito et Al. 2009. Per la Giuncaiola cfr. Ciampoltrini 2014. Per ulteriori riferimenti agli scavi infra paragrafo 3.3.1.

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Poteri e strategie familiari di Volterra presso i rilievi collinari della fascia costiera370, in val d’Elsa (Le Vene-Colle val d’Elsa)371 in aree caratterizzate dalla presenza di risorse idrotermali e in significativo rapporto con le vie di collegamento tra i vari comprensori, mentre altri complessi sorsero su specifiche aree, posti a segnalare forse una fascia di delimitazione nei confronti degli agri delle città vicine372 (Fig. 3.1). Tali complessi sembrano comunque aver svolto la funzione di consolidamento di specifiche porzioni di territorio ai margini delle diverse aree d’influenza, esercitando un controllo sull’agro e sulle strutture produttive373. Sebbene non sia possibile provare l’effettiva entità dei singoli complessi, per i casi di Giuncaiola374 e Sasso Pisano375 è verosimile l’ipotesi che si trattasse di santuari di confine. L’impegno per la realizzazione di tali complessi sembrerebbe aver coinvolto un corpo sociale e politico di origine urbana, per una destinazione verosimilmente pubblica, aperta e accessibile a grandi comunità. Ciò sembrerebbe provato dal caso di Sasso Pisano, dove sono stati rinvenuti laterizi con bolli a caratteri etruschi, datati al II a.C., indicanti il santuario come una proprietà pubblica della città di Volterra376. Similitudini fra i complessi della Giuncaiola (Pontedera) e di Sasso Pisano (Castelnuovo val di Cecina) sono: la localizzazione in un’area di confine (con i territori di Pisa a nord377 e Populonia a sud378), la presenza di vasche e canalizzazioni connessi alle esigenze del culto e a un ciclo terapeutico delle acque379, la realizzazione agli inizi del II secolo a.C. e una frequentazione fino al IV

secolo d.C.380. Mentre i piccoli luoghi di culto sorti in età arcaica381, legati ai nuclei gentilizi posti a controllo del territorio, scomparvero entro il II secolo a.C., in relazione alla nuova configurazione del santuario urbano vennero realizzati i complessi sacri ubicati nelle aree di confine, vere e proprie emanazioni della città, tangibili e presenti sul territorio382. L’ubicazione di aree sacre ai confini topografici delle circoscrizioni amministrative, spesso coincidenti con una ‘frontiera ecologica’383, potrebbe essere stata una conseguenza della necessità di fornire protezione al popolamento più esposto nelle cosiddette aree di ‘crisi’384, nonché dalla volontà di controllo dei confini. Per l’ager Volaterranus, aree di frontiera ecologica sarebbero state costituite da quelle zone caratterizzate dalla presenza di sorgenti idrotermali e soffioni boraciferi per le quali è attestata una continuità dei fenomeni di culto fino al medioevo385. In queste zone di frontiera fra comunità differenti e fra proprietà pubbliche e private, la presenza di culti alle forze della natura selvaggia e alle divinità preposte alla tutela del mondo agreste e pastorale come Pan, Silvano, Minerva, Eracle, Demetra, ma anche Bona Dea e Bellona, si richiamavano a quella che era la configurazione di quelle aree (colline, boschi, paludi, fiumi, lagune, cave, miniere) che potevano, almeno

Per quanto riguarda la Giuncaiola, le indicazioni stratigrafiche forniscono una datazione intorno al 180 a.C. per l’impianto del complesso con la realizzazione di un muro di terrazzamento e di una struttura ipogea, pavimentata in pietra, con una cupola in tecnica poligonale probabilmente funzionale ad un ciclo cultuale delle acque salutifere. Cfr. Ciampoltrini 2014: 58. Fra i materiali esposti presso la sala romana del museo archeologico di Capannoli, è una selezione di reperti dalla Giuncaiola corredati da una sommaria classificazione. Fra questi, databili dall’età Augustea, i materiali più tardi sono costituiti da tre monete di cui una è genericamente datata al III secolo d.C., le altre due, identiche, sono due monete bronzee di Costanzo II e Costante con al rovescio due vittorie alate databili fra 340-350 d.C. Per la cronologia e le fasi di vita del complesso di Sasso Pisano: Chellini 2002: 173. 381 Nella maggior parte dei casi dovette trattarsi di luoghi di culto all’aperto il cui nucleo era probabilmente attorno ai cosiddetti “altari di zolle” ricordati da Tertulliano (Apol., XXV). 382 Giovanni Colonna aveva distinto i santuari dell’area cortonese, perugina e volterrana definendoli come ‘santuari di campagna territoriali’ che avrebbero perpetuato un modo di gestione del territorio anteriore alla città romana mantenendo una connotazione in quanto poli religiosi e sociopolitici. Cfr. Colonna 1985: 160. Per ulteriori attestazioni di luoghi di culto in aree di confine, si ricorda anche il caso delle Melorie di Ponsacco, nella val d’Era fra Pisa e Volterra. Per ulteriori approfondimenti si vedano: Pasquinucci-Guiggi-Mecucci 1994; Ciampoltrini 1997; Pasquinucci-Leone-Menchelli 2008. 383 Secondo la definizione di Ruiz e Molinos, la frontiera politica non è altro che la rappresentazione spaziale del limite di una formazione sociale ed economica all’interno di una compagine statale. Cfr. HodderOrton 1976; Zifferero 1995: 340-355. Sulla frontiera del sacro si veda anche Bourdin 2012. 384 Il fenomeno dei santuari di frontiera si trova ben documentato a Roma e in Etruria meridionale nel caso delle aree tra Tarquinia e Cerveteri per le quali Andrea Zifferero ha sottolineato come ‘il santuario extraurbano rappresenti una zona di tangenza tra sfere opposte, siano esse interne ad una stessa cultura (città e campagna), oppure esterne (indigeni, coloni). […] per estensione il santuario di frontiera sarebbe quindi la struttura al punto topografico di tangenza per normalizzare attività produttive svolte da corpi sociali politici o tecnici diversi tra loro’. Cfr. Zifferero 1995: 334-335; 342-348; Per ulteriori considerazioni si rimanda ai contributi in Cifani-Stoddart 2012. 385 Cfr. Di Paola 2018 per quanto riguarda le aree di confine fra i territori di Volterra e Populonia. 380

Belora, Bibbona; Bombolo, Casale Marittimo, Castagneto Carducci, Querceto, Pomarance, Rocca Sillana, Riparbella (Strido) Terriccio. Cfr. Figg. 3.1;3.2. 371 Il sito gravitava nell’area segnata da dalla presenza di consistenti nuclei funerari della zona di Morticce di Mensanello e in via ipotetica si può suggerire che il deposito segnasse a ridosso del Botro degli Strulli, l’area di pertinenza dei gruppi di popolamento facenti capo alla necropoli di Morticce di Mensanello e ai siti rurali circostanti. Cfr. Acconcia 2012: 290-291. 372 A tale proposito secondo Stefano Bruni il limite del territorio volterrano nord-occidentale con Pisa potrebbe corrispondere al rinvenimento di alcuni bronzetti nella zona tra Lorenzana e Fauglia al podere Casini a Luciana mentre il confine con il territorio di Populonia potrebbe essere stato segnato dal luogo di culto individuato a Sasso Pisano e identificato con le Aquae Populoniae della Tabula Peutingeriana. Cfr. Bruni 2007: 226-228; Acconcia 2012; Esposito et Al. 2009. Sul concetto di sacro e frontiera del sacro in Etruria si rimanda ai contributi di Gabriele Cifani, Letizia Ceccarelli, Simon Stoddart in Cifani-Stoddart 2012. 373 Acconcia 2012: 256. 374 Scavi d’emergenza in occasione della messa in opera del metanodotto SNAM in località Giuncaiola di Pontedera, a monte della provinciale delle colline per Legoli, hanno riportato in luce una struttura cultuale legata al culto di acque salutari oggi scomparse, ma di cui rimane traccia negli affioramenti di ‘putizze’ sulla faglia di Usigliano. Cfr. Ciampoltrini 2014. 375 Nella località Sasso Pisano, nota anche come Bagno della Leccia (Castelnuovo val di Cecina) e nelle fonti medievali indicata come aquae albule, sono stati rinvenuti reperti e strutture relativi ad un santuario con un sistema di vasche al servizio di pratiche di tipo salutare probabilmente sotto la protezione di Minerva. Cfr. Bonamici 2007: 204; Chellini 2002: 177; Esposito et Al. 2009. 376 Il bollo reca infatti i caratteri ‘SP:H’ sciolti come ‘SPURAL’ ovvero ‘cittadino, della città’. Cfr. Chellini 2002: 177. 377 Lungo l’asse costituito dalle colline alla destra del Roglio e dall’Era per poi raggiungere la via dell’Arno. Cfr. Ciampoltrini 2014: 53-54. 378 Chellini 2002: 177; Bonamici 2007: 204. Le fonti itinerarie citano poi Aquae Volaterranae (Tab. Peut., IV, 2). 379 Ulteriori confronti potrebbero essere le aree di Bagni di Baccanella e della Chiecinella, nonché il ciclo delle acque nel santuario orvietano di Campo della fiera. Cfr. Ciampoltrini 2014. 370

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ in parte, essere destinate all’uso comunitario386. A tale proposito risulta molto interessate notare che nel Volterrano le uniche due epigrafi con dediche sacre, datate fra I e II secolo d.C., sono ubicate nell’area settentrionale e meridionale del territorio, in due aree di confine387. In età imperiale, dunque, la struttura dell’ager Volaterranus sembra ancora individuare una fascia di confine, in cui l’esistenza di complessi cultuali extraurbani, da un lato, e l’assenza di ville, dall’altro, spingerebbero a concludere che il controllo del territorio e delle risorse potesse essere esercitato dalla città tramite i santuari (grossomodo fino alla fine del II d.C.). Questi siti, configurandosi come central places, avrebbero gestito il potere in queste aree considerate di pertinenza della comunità in qualità di reale emanazione dell’amministrazione cittadina388. A tale proposito risulta molto interessante notare che nelle aree del Volterrano in cui si affermò il sistema della villa si verificò un graduale abbandono dei luoghi di culto, in particolare di quelli arcaici in stretta connessione con nuclei gentilizi389. Le ville divennero per i potentes di Volterra uno strumento di gestione delle risorse e un simbolo di prestigio. La tendenza delle ville nel sostituirsi ai complessi sacri e l’assenza di complessi residenziali nelle aree “marginali” del Volterrano fino all’inizio del II d.C. potrebbe essere spiegata in relazione al precedente ruolo di controllo e gestione del territorio da parte dei complessi sacri.

sacralità della proprietà stessa391. Poiché la profezia sarebbe stata rivolta proprio ai domini, per i quali il richiamo ai valori dell’Etrusca disciplina poteva avere significato, si evince come, in congiuntura con determinati momenti storici, l’impatto di strategie familiari più o meno dirette, volte alla sopravvivenza del sistema e/o al vantaggio personale, potesse essere indirizzato su specifiche aree del territorio espropriate da Roma, concesse come ager occupatorius ai cittadini, o di incerta definizione proprietaria392. La comprensione delle complesse dinamiche riguardanti la centuriazione e l’assegnazione dei lotti a veterani o a generici coloni nell’ager Volaterranus393 è stata fortemente condizionata dall’esistenza di testimonianze storico-letterarie, nonché di rinvenimenti archeologici ed epigrafici frammentari, da cui è stato possibile desumere informazioni poco chiare e per alcuni aspetti addirittura contraddittorie. Come già notato, fino alla fine degli anni Ottanta, gli studiosi si trovavano divisi fra le opposte testimonianze del passo del Liber Coloniarum, che indicava Volterra come colonia di età triumvirale e il tuo territorio centuriato in lotti di diversa estensione394, e la lista delle colonie d’età Augustea fornita da Plinio, in cui non veniva menzionata Volterra395. Nel 1989, la scoperta a Montecatini val di Cecina di un’iscrizione marmorea reimpiegata recante il testo ‘Colonia [Iulia] Aug[usta] Volater[rae/ana/anorum]’396, ha spinto a riconsiderare la testimonianza del Liber Coloniarum397. Dalla titolatura riportata nell’epigrafe, integrata con i termini Iulia Augusta, la deduzione di una colonia a Volterra, e quindi la centuriazione del suo territorio, sono state datate cronologicamente almeno all’età del secondo triumvirato, in una data imprecisata tra la battaglia di Filippi (42 a.C.) e quella di Azio (31 a.C.) e la deduzione augustea delle 28 colonie riportata nelle Res Gestae e da Svetonio398. Keppie, tuttavia, ritiene che l’uso del titolo Augusta, introdotto solo

Risulta fondamentale a questo punto riflettere sull’ipotetica ubicazione in queste zone caratterizzate da un assetto proprietario fluido390 dell’ager publicus della comunità. Diventa quindi necessario affrontare il problema della centuriazione del territorio. 3.3.2. Centuriazione e distribuzioni terriere nel Volterrano: per una definizione delle aree di ager publicus

Grom. vet., 350-351. Conservata nei testi gromatici, si tratta della traduzione in latino di un testo in etrusco che faceva parte dei cosiddetti Libri Vegoici, conservati insieme ai Libri Sibillini nel tempio di Apollo sul Palatino. Cfr. Heurgon 1959: 41-45; Valvo 1988: 104-134. Alfredo Valvo ha sostenuto che la profezia poteva fare riferimento a spostamenti dei cippi di confine fra possessiones e proprietà private in un periodo coincidente con le proposte agrarie di Druso alla vigilia della guerra sociale. Nel testo della profezia sono menzionati servi che spostano i termini del fondo ‘posseduto’ a danno del vicino; Valvo sottolinea che essi ‘dovevano agire col consenso del dominus, il quale per consentirlo, avrà pure avuto il suo vantaggio’. Lo studioso, quindi, conclude affermando che la profezia fosse relativa al sistema dello spostamento dei confini per interposta persona, crimen di cui i servi si assumevano la responsabilità materiale consentendo al dominus di rimanere nell’ombra. Cfr. Valvo 1988: 104-134. 392 Nel caso della profezia di Vegoia il problema dello spostamento dei cippi di confine delle proprietà sarebbe stato relativo alla paura delle classi dirigenti di perdere i propri privilegi a discapito di un nuovo ceto di proprietari. Cfr. Valvo 1988: 104-134. 393 Sulla centuriazione romana Cfr. Gabba 1993: 2; Adam 1989: 13. 394 Lib. col., I, 214 e infra paragrafi 1.1.3; 1.2.9; Pais 1884: 33-66; Pais 1925: 345-512; Mommsen 1883: 161-213 395 Plin., N.H., III, 52. 396 L’iscrizione, in marmo bianco apuano di 8 cm di spessore, venne reimpiegata come lastra tombale presso l’altare della chiesa di San Biagio a Montecatini val di Cecina. Secondo Ristori essa andava probabilmente a comporre il frontespizio della porta principale di una città. Cfr. RistoriRistori 1993; Munzi-Terrenato 1994. 397 Munzi-Terrenato 1994; Cfr. infra paragrafo 1.1.3. 398 Res Gestae 28, 2; Suet., Aug., 46. 391

L’interesse per la delimitazione del territorio e la tutela della proprietà, sia pubblica sia privata, aveva da sempre costituito una componente fondamentale del patrimonio culturale etrusco, come testimoniato dalla profezia della ninfa Vegoia che sottolineava l’importanza dello ius terrae Etruriae riguardo l’inviolabilità dei confini stabiliti e garantiti da Juppiter Terminus, nonché la conseguente Cfr. Celuzza 1993: 151-155. Per ulteriori approfondimenti sul tema delle terre di frontiera e dei santuari nelle zone di confine StazioCeccoli 1999; Perassi-Vanotti 2004. 387 Le due iscrizioni su altari sono dedicate a Bona Dea e Bellona. Infra paragrafi 2.2.3; 2.3.2. 388 Nelle aree del Volterrano in cui invece si affermò il sistema della villa si verificò un graduale abbandono dei luoghi di culto e il dislocamento dei centri abitati in relazione ai nuovi poli residenziali e produttivi. Per il ruolo fondamentale dei santuari di campagna territoriali dell’area perugina, cortonese e volterrana si vedano le riflessioni in Colonna 1985. 389 Ad esempio, il sito dell’acropoli di Casalvecchio a Casale Marittimo (Livorno) declina nel momento in cui si rafforza la struttura residenziale di Pieve vecchia. La posizione strategica dell’acropoli avrebbe tuttavia giustificato la frequentazione del sito per le epoche successive. Cfr. Limina 2015. Per considerazioni sulle vicende del sottostante abitato d’età orientalizzante cfr. Burchianti 2009. 390 Cfr. infra paragrafi 2.2.3; 2.3.2. 386

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Poteri e strategie familiari di Volterra Volterrano nel 46-44 a.C.410. Secondo quanto scritto da Appiano e da Svetonio, Cesare, per evitare i malcontenti conseguenti ad assegnazioni collettive che ai tempi di Silla avevano generato disordini politici e sociali, preferì procedere con assegnazioni individuali411. Egli aveva stabilito che le terre non sarebbero state confiscate ai proprietari, ma acquistate, e che i beneficiari delle assegnazioni avrebbero occupato in alternativa, o aree di ager publicus delle varie città, o quelle terre per cui era incerto lo status giuridico. Al fine di evitare spoliazioni e conflitti i beneficiari di lotti sarebbero inoltre stati distribuiti in aree non vicine412. La peroratio di Cicerone in favore dell’esenzione dei Volterrani dalle confische non aveva ottenuto l’esito sperato413 e l’Arpinate tentò almeno di salvare le proprietà nel Volterrano dell’amico Caius Curtius, uno dei suoi familiarissimi414. È stato notato dalla Deniaux che l’espressione ‘agrum possideri’ usata da Cicerone per indicare queste proprietà di Curtius indicherebbe un’occupazione senza titolo di proprietà su una parte del territorio diventato ager publicus415. Effettivamente, la toponomastica prediale, come già notato prima, collocherebbe fundi attribuibili a un Curtius in un’area prossima alla val d’Elsa, dove sono state trovate tracce di centuriazione416. L’atteggiamento apertamente anticesariano di Aulo Cecina417 avrebbe forse causato la definitiva attuazione dei progetti di distribuzione terriera nell’ager Volaterranus contestualmente al suo esilio418. È comunque probabile che fossero state concesse assegnazioni individuali. Secondo Lawrence Keppie, il numero di coloro che beneficiarono di terre nel Volterrano doveva aggirarsi attorno a poche centinaia di uomini419 e la differenza nell’estensione di lotti avrebbe potuto riflettere una gerarchia di rango per la quale spettassero 25 iugeri ai milites gregarii, 35 a signiferi e aquiliferi, 50 ai centurioni, 60 ai tribuni420. A questo punto sembrerebbe possibile ipotizzare che le terre oggetto di distribuzione fossero state quelle appartenenti all’ager publicus nel

nel 27 a.C., venne spesso attribuito dopo quella data alle città che si erano distinte per particolari favori nei confronti del princeps, o alle colonie che ricevettero nuovi veterani nel 14 a.C.399. Si è anche ipotizzato che a una prima opera di centuriazione fosse seguita, in un’epoca successiva, l’attribuzione onorifica del titolo di colonia, che potrebbe giustificare un’eventuale integrazione del nome come omaggio a uno degli imperatori delle dinastie Claudia o Flavia400. Il problema relativo alla distribuzione dei terreni rimane quindi strettamente connesso alla cronologia della deduzione della colonia di Volterra401 dal momento che, almeno fino a quando l’attribuzione di tale titolo non diventò puramente onorifica402, a questa condizione era associata la centuriazione del territorio403. Le ricerche di superficie condotte nel Volterrano durante gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo hanno portato in luce nella val d’Elsa e nel Valdarno inferiore tracce di assi centuriali (Fig. 3.26), con orientamento divergente rispetto alle confinanti centuriazioni di Pisa e di Firenze, permettendo di metterle in relazione con Volterra404. Le prime informazioni letterarie relative alle confische e alle successive redistribuzioni di terre nel Volterrano sono riferite al periodo durante il quale Silla, allora dittatore, decise di punire i sostenitori di Mario dopo l’assedio di Volterra del 81-79 a.C.405. La presenza di famiglie di Volterra sia nello schieramento di Mario, sia in quello di Silla406, spinge a ipotizzare che, probabilmente, le confische interessarono solo una minima parte del territorio. È assai probabile che l’ager Volaterranus fosse stato parcellizzato e non assegnato ai veterani di Silla proprio per non ledere gli interessi delle locali famiglie filo-sillane come i Cecina407. Del resto, anche Cicerone, in una lettera inviata ad Attico, aveva specificato che Silla ‘Volaterranos et Arretinos, quorum agrum Sulla publicarat neque diviserat’408. Le conseguenze delle punizioni di Silla non dovettero quindi essere così disastrose almeno per alcuni fra i proprietari di Volterra409.

A tale proposito Migliorati 2001; Deniaux 1991: 216. Secondo Lawrence Keppie, il numero di veterani che avrebbe beneficiato delle distribuzioni cesariane in Italia sarebbe stato forse di 20.000 uomini in tutto. Le legioni smobilitate fra 47 e 44 a.C. sarebbero state 10 (legioni da V a XIV), ma il numero sarebbe stato ridotto a causa delle perdite delle guerre. Cfr. Keppie 1983: 50. Cfr. infra paragrafo 1.1.3. 411 Cfr. Deniaux 1991: 216; Keppie 1983: 54-55. 412 App., Bell. civ., II, 94; Suet., Caes, 38, 1. 413 Deniaux 1991: 219 infra paragrafi 1.2.9; 2.2.1 414 Cic., Fam., XIII, 5. Sui familiarissimi di Cicerone cfr. Deniaux 1993. Per questo Curtius vedi infra paragrafo 2.2. Cic., Fam., XIII, 5. 415 Deniaux 1991: 225. Effettivamente nell’ager publicus un privato non poteva avere proprietà, ma unicamente ‘possessio’. Cfr. Smith 2006: 243. 416 Questo potrebbe confermare la presenza in quest’area dell’ager publicus soggetto alle distribuzioni cesariane. Cfr. Ristori-Ristori 1993: 492. 417 Deniaux 1991: 221 418 Cfr. infra paragrafi 1.2.9;1.2.10. 419 I veterani assegnatari erano appartenenti alle legioni VII-X che avevano costituito le guarnigioni in Gallia. Queste, principalmente composte da italici rientravano fra quelle alle quali Cesare avrebbe dovuto pagare il premio di congedo. Probabilmente venne mantenuta una certa omogeneità nel loro dislocamento. Cesare, come notato da Appiano e Cassio Dione, manteneva infatti le legioni e le sue truppe in formazione e anche dopo il congedo, queste mantenevano una certa organizzazione probabilmente per coorti. Secondo Keppie gruppi della legio IX, per la quale sono state rinvenute epigrafi nel Piceno, ottennero terre in Etruria nei territori di Veio, Capena, Arezzo e Volterra. Cfr. Keppie 1983: 56-58. 420 Keppie 1983: 92 cita Siculo Flacco al passo 156, 9. 410

La necessità di appezzamenti da distribuire ai veterani di Cesare determinò la ripresa dei progetti sillani per il Keppie 1983: 85. Circa le varie ipotesi su cronologia e relativi problemi filologici e cronologici si vedano: Munzi-Terrenato 1994; Terrenato 1998. 401 Munzi-Terrenato 1994. 402 Ciò accadde in particolare dal II d.C. 403 Cfr. Munzi-Terrenato 1994; Terrenato 1998. 404 Sulle tracce della centuriazione di Volterra cfr. Schmietd 1989: tav. XXX. 405 Infra paragrafo 1.2.9. 406 Riguardo la presenza di fazioni opposte in città e l’espressione di disagio a livello di comunità e identità vedi infra paragrafi 1.2.10; 1.4; 4.2.1. 407 Riguardo i provvedimenti punitivi le informazioni sono contraddittorie. Granio Liciniano, infatti, parla di espulsione ed eliminazione dei proscritti ad opera dei consoli Claudio e Servilio (Gran. Licin., XXXVI, 8-9) mentre Cicerone informa su una serie di provvedimenti di natura giuridica e relativa alle distribuzioni di terre che pare non vennero attuati a pieno (Cfr. Cic., Caecin., 18; 33, 95; 102; Dom., LXXIX; Att., I, 19, 4). Cfr. Limina 2020. Per una ipotesi di ricostruzione di una centuriazione sillana nell’ager Volaterranus si veda Ristori-Ristori 1993. 408 Cic., Att., I, 19, 4. 409 Cic., Fam., XIII,4 e 5; Cic. Att., I, 19,4; Deniaux 1991: 223; Migliorati 2001: 71-78. Infra paragrafo 1.2.9. 399 400

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ confermare tale ipotesi la presenza di differenti tipi di laterizi tra i materiali provenienti dagli strati di crollo delle strutture di Pian di Selva 429, fra i quali è stato possibile individuare alcuni esemplari con dente per l’incasso. Il rinvenimento di tegole con incasso, verosimilmente di produzione locale, in una zona che tradizionalmente impiegava la tegola a risega, risulta interessante per due motivi: il loro impiego implicava l’acquisizione di un differente bagaglio di conoscenze tecniche rispetto alla tradizione locale, ciò avrebbe potuto rappresentare una consapevole scelta dettata da motivi meramente pratici o più “ideologici”430. La commistione fra metodi produttivi nuovi e tradizionali deve quindi far riflettere sulla possibilità che l’opera di assegnazione dei terreni fosse stata indirizzata a coloni allogeni piuttosto che a individui che avevano origine volterrana o etrusca, sebbene non si possa escludere le tecniche di produzione differente fossero state apprese in seguito al servizio militare. Il rinvenimento di tegole con incasso in aree che avevano differenti tradizioni produttive potrebbe essere collegato, secondo quanto affermato da Elizabeth Shepherd, alla presenza di soldati romani nelle aree centuriate431. Tale dato sarebbe in questo senso confermato ulteriormente dalla presenza di tracce di assi centuriali in prossimità del sito. Pur mancando a oggi una mappatura dei diversi tipi laterizi prodotti nelle singole aree dell’Impero432, Pian di Selva non era l’unico sito nell’ager Volaterranus dove sono state impiegate tegole del tipo a incasso. Materiali inediti conservati presso il magazzino di Villa Baciocchi a Capannoli testimoniano infatti che alcuni siti in val d’Era, fra cui il complesso sacro di Giuncaiola, impiegavano sistemi misti di copertura che prevedevano anche l’uso di questo tipo di laterizi con l’incasso433. Ciò è pure attestato in Val d’Elsa nella villa

Volterrano. Non si esclude che queste aree potessero corrispondere almeno in parte, a quelle confiscate da Silla. È anche possibile che la centuriazione di cui si rinviene traccia a livello archeologico fosse seguita in un secondo momento, quando Volterra divenne colonia. Il titolo ‘Augusta’ potrebbe essere stato attribuito da Augusto in relazione ai servigi resi al princeps da quel ‘Caecina Volaterranum’ inviato come ambasciatore a Cicerone nel 44 a.C., e da Antonio in Fenicia nel 41 a.C.421. Dopo Filippi, Ottaviano ebbe l’incarico di provvedere alla sistemazione in Italia dei soldati smobilitati dagli eserciti triumvirali422, ma a causa del gran numero di militari da collocare, le assegnazioni non potevano essere mantenute nei limiti delle diciotto città anticesariane che avrebbero dovuto ricevere i nuovi coloni423. Pertanto, è plausibile credere che la deduzione nel Volterrano fosse stata attuata per rispondere all’esigenza maggiore di terre. Poiché, in generale, la colonizzazione augustea venne attuata secondo criteri discrezionali, è verosimile che la centuriazione nel Volterrano non interessasse l’intero distretto, ma si limitasse, ancora una volta, alle aree di ager publicus, a quelle di incerta giurisdizione, o alle “marginali”424. Le tracce di centuriazione riscontrate sul terreno unicamente nella val d’Era e nella bassa val d’Elsa425 confermerebbero l’identità fra queste aree “marginali”426 e l’ager publicus. La limitatio insisteva dunque sulle medesime aree di confine dove erano attestati i santuari extraurbani427. Sarebbe interessante riuscire a comprendere se la centuriazione in queste aree “marginali” del Volterrano potesse essere il frutto di un negoziato più o meno favorevole (a seconda dei punti di vista) fra le élite locali e Roma, in relazione a una maggiore o minore redditività delle zone, alla base di una ricaduta più o meno diretta su interessi economici privati.

429 Si ricorda che erano fra questi, tegole piane con dente per l’incasso, un frammento di mattone a quarto di cerchio, un mattone bessale. A tale proposito è stato possibile notare che, sebbene non siano stati rinvenuti esemplari di tegole integre, il mattone rinvenuto aderiva alle misure romane. Per ulteriori approfondimenti sulle tipologie laterizie e la loro “standardizzazione” cfr. Adam 1989. 430 Shepherd 2008: 265-278. 431 Secondo la Shepherd la diffusione del tipo di tegola con incasso negli insediamenti di nuova fondazione romana delle province occidentali e nelle colonie cesariane e triumvirali in Italia è connessa alla presenza dell’esercito, sia diretta (costruttori militari), sia indiretta (veterani assegnatari). In Etruria settentrionale uno dei principali centri di produzione di tegole a incasso è stato individuato nelle fornaci del Vingone (ScandicciFi). L’attività di questa fornace era strettamente legata alla costruzione della colonia di Firenze e della centuriazione del suo territorio, in età augustea. A tale proposito la Shepherd conclude dicendo che i magistrati fondatori avrebbero allora inserito tra i coloni anche maestranze e/o clienti provenienti da territori in cui si usava un altro tipo di tecnica costruttiva per i sistemi di copertura. Cfr. Shepherd 2008: 276-278; Shepherd 2015; Shepherd 2016. Il legame di questo tipo di produzione laterizia con il mondo militare è inoltre provato dai casi in cui legionari erano preposti negli accampamenti alla produzione di tegole e mattoni. Oltre alla testimonianza di alcuni passi nelle lettere di Vindolanda (Tav. 155), numerosi sono i casi attestati di tegole bollate dalle legioni in Britannia, lungo il Reno, in Dalmazia. Cfr. Birley 2002; Warry 2010: 127-147. 432 Si veda da ultimo Shepherd 2018 e per il Mediterraneo orientale Hamari 2019. 433 È stato possibile verificare che oltre a Pian di Selva e Orceto, alcuni siti presso Pontedera (sito presso cimitero) e alla Giuncaiola di Treggiaia, sono state impiegate tegole con incasso (Ndi). Sarebbe molto interessante verificare la tipologia di laterizi prodotte dalle officine parzialmente pubblicate per analizzare quello che sembra un processo di innovazione tecnologica in un’area che tradizionalmente non utilizza questo tipo di laterizio.

3.3.3. Quando le reti convergono: l’importanza archeologica delle aree “marginali” per la ricostruzione dell’insediamento Alla luce di quanto detto finora circa l’ipotesi di identificazione fra le aree di ager publicus soggette a centuriazione e le aree “marginali”, l’analisi del sito rurale di Pian di Selva in val d’Era, in una zona dove sono state rinvenute tracce di assi centuriali appartenenti all’ager Volaterranus ha aggiunto dati significativi428. Potrebbe Cic., Att., XVI, 8; Capdeville 1997: 294-295. Gabba 1973: 459. 423 App., Bell. civ., III, 10. 424 Gabba 1973: 459. 425 Ristori 1980; Ristori-Ristori 1993; Ciampoltrini 1981: 48-50; Ciampoltrini-Alberigi 2012. 426 Per ulteriori considerazioni sull’uso delle aree di confine, il demanio e l’uso comunitario si veda Celuzza 1993: 151-155. 427 Terre di proprietà della comunità sono attestate in diversi casi. Lotti potevano in questi casi essere affittati in perpetuo a privati cittadini in cambio di un pagamento in denaro o in natura. Cfr. Finley 1976. 428 Cfr. Ciampoltrini-Alberigi 2012: 58-59; Ciampoltrini 1981: 41-55. D’altro canto, le ricognizioni condotte nel territorio fra i fiumi Arno, Era, Cascina a partire dal 1994 da équipes dell’Università di Pisa nonché le ricerche di Davide Brogi degli anni 2000-2006, confermavano che l’Era e il Cascina segnavano il confine volterrano con il territorio della colonia Iulia Opsequens Pisana Da ultimo Pasquinucci- Leone- Menchelli 2008: 41-74; Brogi 2007: 35-57. 421 422

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Poteri e strategie familiari di Volterra di Aiano434 e nella villa dei Vetti a Limite nell’empolese435. Nelle medesime aree insistono le tracce di assi centuriali mentre, significativamente, sembrano a oggi mancare tracce di laterizi con incasso nell’ager Volaterranus costiero436. Il fatto che questo particolare tipo di laterizi sia pressoché assente nelle zone costiere del Volterrano, dove non sono state finora rinvenute tracce della centuriazione, confermerebbe l’ipotesi di un’identità fra aree “marginali” e quelle centuriate. La marginalità dell’area settentrionale dell’ager Volaterranus, comprendente l’alta e media val d’Era, la val d’Egola e la bassa val d’Elsa, avrebbe motivato la scelta di questo settore ‘spopolato e lontano dal centro urbano per la centuriazione’437. Per quanto riguarda l’assenza di ville nell’area centuriata non si può escludere la possibilità che le proprietà delle élite cittadine, di cui rimane traccia nella toponomastica prediale e nell’epigrafia locale, fossero gestite da coloni o da nuovi proprietari che si erano ben presto alleati con i potenti vicini. Tale gestione a distanza dei potentes volterrani, residenti nelle ville costiere o nelle domus urbane, avrebbe potuto essere controllata all’interno di un contesto in cui la contiguità territoriale delle proprietà fra parenti e/o amici costituiva garanzia di gestione delle risorse in un quadro di mutuo profitto. Che tali legami fra proprietà contigue fossero poi ulteriormente stretti tramite la promozione di matrimoni fra i coloni sembrerebbe ragionevole, ma non provato. Non si può escludere che un’importante forma di controllo del territorio in queste aree di confine del Volterrano fosse rappresentata dai santuari che avrebbero potuto costituire l’alternativa alla villa fungendo da central place, polo aggregativo e amministrativo della comunità. A partire dai materiali archeologici inediti analizzati, integrandoli nel più ampio quadro delle dinamiche insediative nell’ager Volaterranus, è possibile avanzare ulteriori considerazioni riguardo la cronologia dei siti e le locali politiche di gestione del territorio interconnesse alle più ampie di portata sovra-locale.

la riorganizzazione delle proprietà imperiali439. Un eventuale momento di crisi in Etruria Settentrionale potrebbe essere testimoniato dall’epigrafe CIL XI, 1602 ritrovata a Montorsoli440 che, ricordando un donativo di alimenti da parte di un centurione a favore della gioventù di Firenze441, proverebbe per quest’area confinante con il Volterrano la pratica dell’evergetismo privato in connessione a momenti di crisi alimentare442. Nelle diverse aree del comprensorio si ebbero però risposte differenti. Nell’area costiera si verificò l’accrescimento delle attività manifatturiere, l’espansione degli insediamenti, il potenziamento del sistema portuale dei Vada Volaterrana443. Nell’area settentrionale del Volterrano, le evidenze archeologiche attestano che, a partire dalla seconda metà del I secolo d.C., si verificò uno sviluppo dell’insediamento rurale con la rivitalizzazione dei siti già esistenti nonché la nascita di fattorie e piccole fornaci444 in connessione alla viabilità interna verso il centro urbano e al sistema dei canali affluenti dell’Era445. Entro tale contesto deve essere letta l’evidenza dei materiali di Pian di Selva che datano l’impianto dell’edificio rurale all’inizio del secolo II d.C. Si potrebbe ipotizzare che, fra la seconda metà del I secolo d.C. e il II secolo d.C., fosse stata attuata una politica di rafforzamento degli insediamenti, forse diretta conseguenza dell’ingresso di nuovi proprietari nel territorio. Tale politica territoriale sarebbe stata verosimilmente promossa (o sostenuta) dalle stesse famiglie di Volterra, anche tramite l’alienazione delle aree periferiche spopolate o non abitate446. Significativamente, tale operazione coincise con un periodo in cui i Cecina avrebbero potuto focalizzare i propri sforzi e interessi sul rafforzamento delle basi di potere locali nell’ager, dato il progressivo incrinarsi dei rapporti con il potere imperiale dopo l’età Neroniana447, almeno per alcuni membri della gens. Inoltre, l’estinzione di alcune gentes senatorie coinvolte negli scontri degli anni 68-69 d.C.448, avrebbe potuto determinare l’ascesa locale Le proprietà imperiali costituivano notevoli fonti di reddito per la casa imperiale dal momento che, in particolari momenti, potevano essere messe in vendita o essere sfruttate per l’attuazione di politiche fiscali e agricole eccezionali (Crawford 1976: 35-70). 440 CIL XI, 1602: ‘[--- evo]c(atus?) ((centurio)) leg(ionis) XX[--- donatus donis?]/[mil(itaribus) coro]n(a) aur(ea) hasta [pura a divo]/[Vespasiano et divo Tito] divi Vespasiani f(ilio) [bello Iudaico?]/[pecunia s]ua tritici peregrini [modios --- municipibus]/[suis gratu]it(er) praestitit [item ad alimenta pueris]/[ingenuis per a]nnos XIIII puellis [ingenuis per annos --- ((sestertios)) ---]/[dedit] maceria de[---]’. 441 Lopes Pegna 1974: 379. 442 Mrozek 1994. 443 È probabile che oltre alle principali arterie consolari una via pubblica dovesse correre parallelamente ad un affluente di destra del Cecina dove ricorre il toponimo Botro di Decimo, effettivamente distante circa 15 km dal centro di Volterra. Tale asse viario collegava probabilmente Volterra con i centri costieri. Cfr. Chellini 1997; Pieri 1969. 444 Vivecchia, Montebicchieri-Casa San Pietro Stibbio, l’Imbrogiana, La Fornace di Peccioli, Agliati località Fornace, La Catena a Bacoli. In questi siti sono quantitativamente rilevanti i reperti databili dalla metà del I d.C. rispetto a quelli relativi ai secoli precedenti. Cfr. CiampoltriniMaestrini 1983: 17-28; Ciampoltrini 2004b: 87. 445 Testimonianza dell’esistenza di una via pubblica che seguiva il corso dell’Era potrebbe essere il mausoleo di Spedaletto, datato tra fine I e II d.C., posto in relazione ad essa. Cfr. Ciampoltrini 2004b; infra paragrafo 2.2. 446 Non è impensabile quindi che potessero essere fra i principali promotori di questa operazione. 447 È interessante la datazione delle epigrafi conservate nelle lastre della proedria del teatro volterrano che copre arco cronologico dalla fine dell’età claudia (68 d.C.) all’inizio del III d.C. Cfr. infra paragrafo 1.2. 448 Torelli 1969: 340-341. 439

Come precedentemente evidenziato, una delle fasi evolutive dell’insediamento nel Volterrano è quella tra i secoli I-II d.C., riflesso di un più generale momento di “crisi”438 che, dopo gli anni della guerra civile (68-69 d.C.) e l’ascesa al potere di Vespasiano, interessò l’intera Penisola ed ebbe come più generali conseguenze: il trasferimento di gentes senatorie dalle periferie alle città; l’avanzata del latifondo;

Dei frammenti laterizi rinvenuti nel sito, solo due sono pervenuti integri. Essi erano per lo più frammentati nell’area della grande vasca centrale o impiegate come copertura per le inumazioni. Comunicazione personale del Prof. Marco Cavalieri, direttore dello scavo di AianoTorraccia di Chiusi. 435 Alderighi-Cantini 2011; Cantini-Salvestrini 2010. Qui sono stati inoltre rinvenuti laterizi prodotti in località La Mazzanta nella bassa val di Cecina in fornace pertinente all’ager Volaterranus. Volpe 2020. 436 Bisogna notare che spesso è stata data scarsa importanza allo studio dei laterizi così, oltre a oggettive difficoltà di reperimento delle informazioni, molte volte ci si trova a dover fronteggiare problemi di errata definizione delle informazioni e/o a dover percepire la tipologia del laterizio a partire da documentazione grafica in cui non si tiene adeguato conto delle caratteristiche morfologiche dirimenti. 437 Ciampoltrini 1981: 49. 438 Vedi infra paragrafo 2.4. 434

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ di nuove gentes, divenute proprietarie di fundi nelle aree “marginali” settentrionali e orientali del Volterrano, come attestato dall’epigrafia449 e dall’archeologia. A tale proposito è significativa la realizzazione, tra fine del I e il II secolo d.C., di una villa a Montecalenne (San Miniato)450, segno di una progressiva espansione delle proprietà fra Era ed Elsa, in aree dove prima non c’erano complessi residenziali monumentali (Fig. 3.3).

consolidarono, pur nella loro complessità interpretativa, un assetto insediativo misto in cui accanto alle proprietà sacre della comunità, si stabilirono gli assegnatari dei lotti centuriati, piccoli proprietari indipendenti o coloni per conto dei grandi proprietari di Volterra o dell’imperatore. Le aree “marginali” si differenziarono sempre più a livello insediativo dall’area costiera del Volterrano fra la seconda metà del II secolo d.C. e la prima metà del III d.C. (Fig. 3.4). Le foto aree e le evidenze archeologiche hanno portato alla conclusione che in Val d’Era la destrutturazione del sistema insediativo coincise con una crisi demografica e con una sempre più difficoltosa opera di regimazione delle acque457. Questo quadro ben coinciderebbe con un momento più generale di crisi che sembrerebbe testimoniato da un’epigrafe rinvenuta a Peccioli (CIL XI, 1780) nella quale si ricorda la fruizione di alimenta pubblici458. Bisognerebbe chiedersi se all’interno di tali fenomeni possa aver inciso anche la diffusione della peste d’età Antonina459. Le difficoltà economiche e, forse, l’estinzione di alcune gentes460 causarono la fine della maggior parte degli insediamenti in val d’Era, fra cui Pian di Selva e Orceto461, e in val d’Elsa462. Una fase di cambiamento fra la seconda metà del II secolo d.C. e la prima metà del III d.C. è attestata anche nell’area costiera, dove avvenne il restauro delle ville con l’aggiunta di complessi termali e apprestamenti di lusso, in significativa correlazione alle dinamiche urbane. Alcune fra ville dell’area costiera, invece, secondo quanto emerso a Capo di Villa e La Villana, modificarono il loro uso in modo non chiaramente interpretabile; diverse fattorie vennero poi abbandonate463. Il rafforzamento del sistema della villa fra II-III secolo d.C. è provato anche dai due complessi residenziali nelle aree “marginali” settentrionale e orientale nel Volterrano. La villa di Montaione sorse agli inizi del III secolo d.C. in un’area già frequentata in precedenza464 il complesso di Aiano-Torraccia di Chiusi venne monumentalizzato

In età Flavia si verificò, inoltre, la più generale riorganizzazione delle proprietà imperiali nell’Etruria centro-settentrionale. A questo fenomeno potrebbe forse essere collegata l’iscrizione del mensor augustalis in val di Cecina, ancora una volta in un’area prossima ai confini meridionali della comunità451. L’ubicazione di proprietà imperiali nelle aree “marginali” del Volterrano potrebbe del resto essere provata dall’epigrafe d’età Neroniana rinvenuta al confine con la val d’Elsa452, così come dall’esistenza di toponimi che rimanderebbero alla domus Augusta453. L’acquisizione di spazi di ager publicus o saltus da parte della casa imperiale avvenne nell’area nord-orientale dell’ager Volaterranus e quella meridionale ai confini con Populonia454. L’insistenza di proprietà imperiali sulle aree “marginali” del Volterrano rientrerebbe pienamente nel fenomeno di progressiva acquisizione delle terre da parte della casa imperiale dopo l’età Augustea, spesso rivolta ai confini dei territori delle comunità455. Tali proprietà costituivano notevoli fonti di reddito per la casa imperiale dal momento che, in particolari momenti, potevano essere messe in vendita o servire per l’attuazione di politiche fiscali e agricole straordinarie456. Le aree “marginali” del Volterrano 449 La già citata epigrafe CIL XI, 1735 con la dedica alla Bona Dea da parte di membri della gens Venuleia, e quella attestante la presenza dei Lauselii di rango libertino (CIL XI; 1734), entrambe rinvenute nell’area settentrionale del Volterrano, proverebbero proprio questa connotazione mista tipica delle aree “marginali” per la quale accanto a proprietà di proprietari indipendenti o coloni, si stavano progressivamente espandendo aree di latifondo. In merito Ciampoltrini, 1980: 160-165. 450 La villa, sorta appunto tra la fine del I e gli inizi del II d.C., era dotata di pavimenti musivi decorati con animali e fogliame. Nel sito sono state, inoltre, rinvenute diverse monete e frammenti statuari di epoca Flavia (Cantini,-Salvestrini 2010: 81-90). 451 Cfr. infra paragrafo 2.2.3. 452 Cfr. infra paragrafo 2.2.3. 453 Si tratta di toponimi come Pietragosta (>Petra Augusti) presso Castellina Marittima, Fontegusciana (>Augustiana) presso Montecatini Val di Cecina, Palazzuolo (>Palatium) presso Monteverdi Marittimo. In merito Pieri: 60; 95; 352. Secondo G. Ciampoltrini, la presenza di proprietà imperiali nell’area prossima al confine fra Volterra e Populonia sarebbe inoltre provata dall’esistenza in Val di Cornia di proprietà regie longobarde, che avrebbero quindi ricalcato lo status giuridico delle terre di epoca precedente. Ciampoltrini 1995a: 602-603. 454 Riferimento alle epigrafi di Donax a Monteverdi Marittimo e Domitius Lemnus al confine con la val d’Elsa, nonchè alla toponomastica storica. Cfr. infra paragrafo 2.2. 455 Le proprietà imperiali, acquisite in diversi modi nel corso dei secoli (dono, eredità, conquista, confisca, acquisto) potevano essere gestite in maniera diretta tramite l’impiego di procuratores/vilici/conductores e lavoratori da essi dipendenti, oppure tramite il subaffitto a privati coloni, ma le situazioni potevano presentarsi in maniera molto diversa a seconda delle diverse aree in cui le proprietà imperiali si trovavano. Cfr. Crawford 1976:45; Maiuro 2014: 279-293. 456 Tiberio e Nerone sono ricordati per l’acquisizione di proprietà imperiali previa confisca. In caso di necessità le proprietà imperiali potevano essere vendute a private acquirenti e così fecero ad esempio Galba, Nerva, Traiano. Cfr. Crawford 1976: 36.

Cosci-Spataro 2008: 33-40. Ciampoltrini 2004b: 92-93. 459 Traccia di questo fenomeno potrebbe essere l’iscrizione CIL XI 1791, datata al II-III d.C. e rinvenuta nei pressi di Volterra a Montevoltraio, che ricorda la malattia di una domina, Squaetinia Maximina e della figlia del liberto Squetinius Graptus, autore della dedica funeraria alla padrona come voto per la guarigione della bambina. Cfr. Michelotti 2015: 5982; infra paragrafo 2.2. Sull’impatto della peste Antonina si rimanda ai contributi in Lo Cascio 2012. 460 Ciampoltrini 1994a: 225-239. 461 Interessante l’attestazione di località Tomba in val di Chiecina a ridosso di Casa La Tomba Balconevisi che trova confronti a Roma, in Sicilia e Siria, con tipologie di II-III d.C. Cfr. Ciampoltrini 1997: 72. 462 Cfr. infra paragrafi 3.2.4; 3.2.5. 463 Per quanto riguarda i siti di La Villana, Vallescaia, Casale Marittimo Cfr. infra paragrafo 3.2. 464 L’area lungo la via volterrana dove sorse la villa fu frequentata ininterrottamente dall’età etrusca fino al IV-V secolo d.C. come testimoniato dal rinvenimento di strutture produttive nei siti di Ponte all’Ebreo, Sant’Antonio-Figline, Poggio all’Aglione. La villa, con annessa struttura termale, è stata solo parzialmente indagata. Sono stati rinvenuti pavimenti a mosaico, rivestimenti parietali in marmo e paste vitree. La datazione delle strutture è stata fissata agli inizi del III secolo d.C., mentre l’ultima fase di occupazione della villa risale al periodo compreso fra IV e V secolo d.C. Si vedano: Alderighi-Schörner 2016: 94; Castiglioni-Pizzigati 1997: 13-38; De Marinis 1977. 457 458

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Poteri e strategie familiari di Volterra assumendo il suo aspetto tardoantico465. Fra Era ed Elsa le più recenti evidenze archeologiche dimostrano che all’abbandono di numerosi siti corrispose la nascita di alcuni insediamenti agricoli o per la produzione di laterizi e ceramiche. In queste aree, inoltre, la qualità dei materiali rinvenuti nelle necropoli proverebbe una costante presenza nel territorio di gentes di tono sociale elevato466. Nel centro urbano è attestato l’accesso al potere di nuove gentes e, al contempo, l’estinzione di altre, come sembra possibile evincere dalle iscrizioni della proedria del teatro cittadino che, significativamente, subì un importante restauro. Sembra verosimile ipotizzare una fase di riassetto del potere locale467 in cui le élite tradizionali mostrarono di aver fatto propri i valori e le forme degli status symbol romani.

che il provvedimento fallì o non venne del tutto attuato. Nonostante ciò, il passo testimonia il particolare interesse della casa imperiale per il rilancio economico dell’area471. Fra la fine del III e gli inizi IV secolo d.C. la riorganizzazione del sistema fiscale di Diocleziano (284305 d.C.) fu volano per la rivitalizzazione del sistema economico in Etruria (Fig. 3.5). Alla metà del IV secolo d.C. la ripresa economica dell’Etruria sarebbe confermata dal vinum tuscum citato nell’Expositio Totius Mundi472 fra le famose produzioni della penisola italiana473, nonché dalla florida produzione della cosiddetta anfora di Empoli. A ciò è possibile aggiungere che la presenza in Etruria di proprietari come Vettio Agorio Pretestato (che era stato corrector Tusciae et Umbriae prima del 362 d.C.), Simmaco, Orfito474, direttamente coinvolti nella gestione dell’arca vinaria e legati a famiglie dell’élite etrusca come i Cecina, non sembra essere un caso. I possidentes di Tuscia godevano infatti del privilegio di poter corrispondere in denaro alle prestazioni di vino fiscale cui erano tenuti per il pagamento della cassa imperiale. Tale pratica, come del resto dimostra la bassa percentuale di anfore di Empoli rinvenute a Roma e invece ampiamente diffuse nel bacino del Mediterraneo475, avrebbe favorito l’immissione di maggiori quantità di vino nel mercato mediterraneo476. È probabile che grazie all’accentramento della ricchezza, una ristretta classe di ricchi proprietari che aveva reinvestito in nuove proprietà riuscì a far fronte alle mutate contingenze storiche, economiche, politiche, continuando a gestire il potere e le risorse del comprensorio477. A riprova di ciò, nel Volterrano sia le ville interne che quelle costiere sopravvissero grossomodo fino alla metà del V secolo d.C. Proprietà, vincoli di parentela e amicizia legavano e proteggevano i principali esponenti dell’antica élite facente parte di un gruppo ristretto che, pur nelle mutate esigenze dell’Impero, godeva di reciproci vantaggi economici e politici garantiti dalla condivisione dei mores478. Sebbene sia attestata una generale tendenza alla destrutturazione del tessuto insediativo (Fig. 3.6), esso non si dissolse del tutto dal momento che alcuni siti

La metà del III secolo d.C. segnò un punto di svolta per il Volterrano. In città le cisterne vennero obliterate, e alla fine del secolo i templi, il teatro, forse anche l’anfiteatro, parzialmente crollati e abbandonati. Si realizzarono complessi termali pubblici probabilmente dietro un nuovo impulso evergetico in relazione all’ingresso nell’ordine senatorio dei volterrani Petroni Volusiani. Risulta difficile comunque interpretare chiaramente il periodo III-V secolo d.C. Si potrebbe pensare a fasi di crisi economica che avrebbero interessato alcune zone del territorio causando una progressiva destrutturazione del sistema insediativo468, come potrebbe provare un passo dell’Historia Augusta menzionante la presenza di terreni incolti lungo la costa d’Etruria durante il regno di Aureliano469. In Etruria, lungo il tratto dell’Aurelia, le terre incolte sarebbero state rilevate dallo Stato per volere dell’imperatore Aureliano (270-275 d.C.). Messe a coltura con l’impiego di prigionieri di guerra, avrebbero rifornito il popolo romano con vino gratuito; i proprietari che si fossero dimostrati disponibili alla vendita di terreno avrebbero usufruito della totale esenzione fiscale470. Pare

465 Probabilmente sorta su un complesso di età precedente, a poca distanza dalla diramazione verso Siena o Firenze della strada da Volterra a Poggibonsi, la villa di Aiano venne monumentalizzata nel III d.C. Il sito costituiva un polo di controllo territoriale e, dai materiali rinvenuti, è stato possibile dedurre che i suoi abitanti fecero ampio uso di prodotti di lusso importati. Riorganizzato nella sua struttura abitativa tra la metà del IV secolo d.C. e il V secolo d.C., venne abbandonato nel periodo compreso fra V e inizio VI d.C. per essere convertito a struttura produttiva. Aiano venne abbandonato definitivamente solo nella prima metà del VII d.C. A riguardo si veda Cavalieri 2016: 105-118. 466 Su questi siti si vedano: Ciampoltrini-Alberigi, 2012: 58-59; De Marinis 1977; Castiglioni-Pizzigati 1997; Cantini-Salvestrini 2010; Alderighi-Schörner 2016. 467 Augenti-Terrenato 2001: 298-303. 468 A San Gaetano di Vada alcune sepolture interne al sito attesterebbero la perduta funzionalità di alcuni edifici (Pasquinucci-Menchelli 2015: 139-152; Iacopini et Al. 2012: 55-64). 469 Nel passo si fa riferimento a terre incolte che, per volere di Aureliano, avrebbero dovuto essere affidate a prigionieri di guerra per la coltivazione in modo tale da poter rifornire il popolo romano con vino gratuito, mentre i proprietari avrebbero goduto della totale esenzione fiscale. Cfr. Pasquinucci-Menchelli 2015; Citter-Huyzendvelt 2007. 470 Hist. Aug., Aurelianus, 48; Pasquinucci-Menchelli 2013: 148. Solo fra la fine del III e gli inizi IV secolo d.C. il popolus romanus usufruì di vina fiscalia a prezzo ridotto, i cui proventi andavano alla cassa imperiale detta arca vinaria, ma il contributo della produzione agricola delle terre d’Etruria non dovette essere irrilevante alla rivitalizzazione economica.

Citter- Huyzendveld 2007: 73-74. Exp. Tot. Mun., LV: ‘Invenies enim in ipsa Italia vinorum multa genera: Picenum, Sabinum, Tiburtinum, Tuscum’. L’originale in greco risaliva probabilmente agli anni 350-365 d.C. 473 Cfr. Pasquinucci-Menchelli 2015: 148. 474 Cfr. infra paragrafi 1.3.1; 4.3.3. 475 Non è da escludere l’ipotesi che il vino arrivasse a Roma entro contenitori come le cupae, botti in legno di cui non rimane traccia archeologica. Cfr. Pasquinucci-Menchelli 2015: 148-150. 476 Pasquinucci-Menchelli 2015: 148-150. 477 Appare, inoltre, significativa la presenza in Tuscia, specie fra IV e V secolo d.C., di personaggi come Vettio Agorio Pretestato, probabilmente proprietario della villa di Capraia-Limite, a confine fra i territori di Empoli, Firenze e Volterra. (Alderighi-Cantini 2011) di Simmaco e Orfito per i quali è noto il coinvolgimento nella gestione dell’arca vinaria così come il possesso di proprietà nella regione, o del Vittorino citato da Rutilio Namaziano (I, 491-498) che forse risiedeva nella villa di Pieve vecchia di Casale Marittimo, prossima alla costa (Shepherd 1998; Donati 2001). Tale dato appare ancora più significativo dal momento che legami di amicizia o parentela legavano tali personaggi a membri della famiglia Cecina. 478 Cfr. Roda 1999; infra paragrafo 4.3.3. 471 472

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‘Τῶν δὲ Ὀυολατερρανῶν ἡ μὲν χώρα κλύζεται τῇ θαλάττῃ’ ubicati in posizione strategica in val d’Era e val d’Elsa479, insieme alla quasi totalità di quelli della val di Cecina, non registrarono una decisiva soluzione di continuità, come confermato ulteriormente dai materiali inediti esaminati provenienti dall’area costiera.

Volterrano. Nonostante ci siano solo labili riscontri a livello archeologico riguardo i più antichi edifici di culto cristiano487, l’insistenza delle prime chiese volterrane in queste particolari zone potrebbe essere ricollegata al loro legame con le aree di pertinenza pubblica o di proprietà imperiale oppure alle concessioni al tempo di Costantino alle comunità cristiane di terre che ricadevano all’interno di proprietà dell’imperatore, di templi e santuari, di terre incolte confiscate alle città488. Che poi le più antiche pievi del Volterrano (Bibbona nel 797, o La Nera, Sant’Ottaviano in Val d’Era nel 773) fossero ubicate ai confini del territorio in prossimità di quelle che erano state proprietà di santuari e di imperatori non appare un caso se si considera che anche le circoscrizioni territoriali bizantine e quelle longobarde, per quanto è dato sapere, insistevano grossomodo sulle medesime aree di confine489. Particolarmente interessanti i casi per cui è effettivamente stato provato che antichi edifici di culto sorsero sui preesistenti complessi residenziali490 e produttivi d’epoca precedente491. Fattori molto importanti per comprendere meglio le dinamiche di popolamento del Volterrano sono quindi l’adesione al cristianesimo dei proprietari e l’evergesia privata di luoghi di culto destinati a divenire centri di aggregazione all’interno delle proprietà492. Se dunque è possibile ipotizzare una fase di generale riassetto del potere a livello locale nel più ampio quadro della riorganizzazione amministrativa della Tuscia, bisogna anche interrogarsi sui modi d’interazione fra vecchi e nuovi gruppi d’élite. Sebbene diversi fattori abbiano contribuito alla progressiva destrutturazione urbana, risulta di primaria importanza riflettere sulle dinamiche che portarono all’abbandono del santuario cittadino, così come dei monumenti pubblici, e valutare se un qualche ruolo avessero potuto avere i nuovi gruppi di potere, nella

Analizzando l’insediamento nelle aree “marginali” è possibile avanzare ulteriori considerazioni riguardo un aspetto che, proprio fra i secoli IV e V d.C., dovette modificare la gestione delle risorse e del territorio: la presenza della comunità cristiana. Individui di fede cristiana sono attestati con sicurezza nel distretto di Volterra dalla metà del IV secolo d.C. 480, sebbene la diocesi risultasse organizzata dalla seconda metà del secolo successivo481. A tale proposito è interessante notare come le più antiche chiese nel territorio della diocesi, risalenti al V-VI secolo (Fig. 3.7), ossia quelle di Sant’Ansano di Galognano482, di Sant’Andrea di Cellole483, e quella dei Santi Ippolito e Cassiano484, fossero ubicate ai confini dell’ager485, in prossimità di quelle aree “marginali” che avevano ospitato in precedenza terre di proprietà imperiale, l’ager publicus, i santuari extraurbani. Il legame fra aree di pertinenza pubblica o di saltus di proprietà imperiale e ubicazione delle prime comunità ecclesiastiche, provato in diversi casi in Italia486, sembrerebbe verosimile anche per il caso 479 I siti di La Catena Bacoli, Stibbio, La Fornace vissero fino all’età Teodosiana (Ciampoltrini 1997: 72); in località Tegolaia, il sito sopravvisse probabilmente per la posizione strategica a controllo della via volterrana e alla confluenza delle due valli dell’Era e del Cascina; il sito di Giuncaiola-Treggiaia, a cavallo fra Pisa e Volterra probabilmente connesso al culto delle acque salutari sopravvisse fino al VI d.C. Cfr. Alberti et Al. 2010; Alderighi-Schorner 2016; Cavalieri 2016. 480 La presenza di individui di fede cristiana è attestata epigraficamente nelle necropoli urbane (Augenti-Munzi 1997) e nel territorio presso la villa di San Vincenzino (Costantini 2012: 88-98), e a Scorgiano in val d’Elsa (Casini 1957). 481 Cavallini 1972: 3-83. 482 Mori 1988; 1991; 1992; Augenti-Terrenato 2000. Per approfondimenti sul celebre tesoro argenteo di Galognano donato da Sivigerna e Himnegilda nel VI secolo d.C. cfr. Hessen-KurzeMastrelli 1977. 483 Bennati-Cianferoni et Al. 2016: 389. 484 Ai margini di un insediamento rurale d’età Augustea venne realizzato nei primi decenni del IV secolo d.C. un monumento funerario interpretabile come mausoleo pagano o martyrion cristiano caratterizzato da una vasta aula rettangolare con ampia esedra semicircolare. Nella seconda metà del IV secolo d.C. il mausoleo lasciò il posto a una chiesa ad aula rettangolare con abside semicircolare. Una nuova trasformazione si ebbe tra la fine del V e i primi anni del VI secolo quando venne realizzata una chiesa molto più ampia, plausibilmente a tre navate, con ambienti di servizio. Particolari tipi di lucerne a sospensione rinvenuti confermerebbero l’interpretazione di un luogo di culto almeno nel V-VI secolo d.C. Conosciuta a livello documentario dal 971, il sito nel 2007 e nel 2009 è stato oggetto di campagne di scavo. Ulteriore elemento di interesse è legato alla lunga vita della pieve, dovuta alla posizione in corrispondenza di importanti direttrici viarie lungo la via Francigena e nei pressi della via Volterrana. Cfr. Bennati-Cianferoni et Al. 2016: 389. 485 Ciampoltrini 1997; Fiumi 1968; Mori 1988 e 1991. 486 Una delle più antiche testimonianze dell’esistenza di un edificio di culto rurale in Italia è riportata in una lettera del 443 d.C. a papa Leone Magno. Il vescovo di Lilibeo (Marsala) ricordava un miracolo avvenuto nel 417 d.C. in una ‘vili opere constructa ecclesia […] Meltinas appellatur in montibus arduis et silvis densissimus constituta’ Leo. I, Ep., III, 2-3. Cfr. Cantino Wataghin 2013: 196. Se la descrizione di Paschasinus sembra collocare topograficamente una delle prime chiese in quella che avrebbe tutte le caratteristiche tipiche di un’area pubblica destinata alla silvicoltura, alla caccia, all’allevamento, è altresì noto che in Africa vaste tenute (saltus) di proprietà imperiale o senatoria non incluse nel territorio di nessuna città divennero nel V secolo sedi episcopali. Cracco Ruggini 1999: 426.

487 Il caso della pieve dei Santi Ippolito e Cassiano è paradigmatico. Oggetto di scavi, in origine il sito ospitava un monumento funerario interpretato come un martyrion cristiano. Nella seconda metà del IV d.C. il mausoleo lasciò il posto a una chiesa ad aula rettangolare che tra V e VI secolo venne ingrandita. Cfr. Bennati et Al. 2016: 386-389. 488 Per quanto riguardava i fondi ‘prestati’ alle chiese, l’imperatore li considerava come beni che rimanevano nell’ambito del pubblico e, sebbene concedesse ampie autonomie sulle nuove proprietà, la chiesa rimaneva un vero e proprio servizio pubblico. Cfr. Crawford 1976: 56; Duncan Jones 1976: 7-34; Francovich-Felici-Gabbrielli 2001; Werner 1998: 351-352. 489 Le unità amministrative bizantine e longobarde nel territorio di Volterra sono state così ricostruite da Mori e Fiumi: Coiano (val d’Elsa); Luppisci (San Gimignano); Morba (val di Cecina); Soriano (Montalcinello); Treschi-Magrugnano (Casole d’Elsa). Cfr. Fiumi 1968; Mori 1971. Per ulteriori approfondimenti circa le vicende della guerra fra Bizantini e Longobardi si vedano: Azzara 2003; Citter-Vaccaro 2003. 490 Ciampoltrini 1997: 71-72. In Toscana settentrionale spesso edifici religiosi vennero fondati su complessi d’età romana, soprattutto ville (San Bartolomeo di Triano, Santa Giulia a Caprona, Santa Felicita a Pietrasanta, San Lorenzo a Vaiano, Massaciuccoli, Casale Marittimo), ma per la maggior parte di queste non è assolutamente provata la continuità d’insediamento con la fase tardoantica. Cfr. FrancovichFelici-Gabbrielli 2001. Il sistema delle pievi strutturato ormai nel VI secolo d.C. prevedeva che ognuna di esse facesse capo a un territorio più o meno vasto (plebatus) all’interno del quale venivano a trovarsi villaggi definiti vici, poi villae. Gli abitanti del piviere pagavano al pievano una decima e dipendevano dalla chiesa battesimale per battesimi, matrimoni, funerali. 491 Ciampoltrini 1997: 56. Sul rapporto tra aree rurali e centri urbani fra IV e VII secolo d.C., Cantini 2011; 2013. 492 Sull’argomento cfr. Brogiolo 2003; Brogiolo-Chavarria Arnau 2005; Kurze-Citter 1995; Cantino Wataghin 2013; Bowes 2008.

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Poteri e strategie familiari di Volterra fattispecie la comunità cristiana, il cui apporto sarebbe stato determinante per la definizione del nuovo paesaggio tardo-antico e altomedievale. Come si è cercato di evidenziare, l’analisi dei modelli insediativi non può essere condotta separatamente da coloro che avevano l’effettivo potere economico, politico, religioso e in cui la comunità si identificava. A tale proposito una rivalutazione delle aree “marginali” è stata utile a una migliore definizione delle dinamiche di sviluppo del territorio. Fino a quando la città rimase campo franco di competizione fra gruppi di potere e teatro di adesione alle politiche imperiali negli spazi pubblici493, nonché centro amministrativo di riferimento per le proprietà pubbliche del suo territorio, le strutture del potere locale rimasero intatte494. I supra-local potentes mantennero ampia libertà di movimento e in virtù della loro influenza politica, economica, militare, religiosa e intellettuale495 rafforzarono le basi di potere locale perseguendo interessi personalistici anche al di fuori dei limiti dell’ager Volaterranus. Ciò fu possibile grazie alla capacità costante dei supralocal potentes di ridefinire di volta in volta le strategie adattandosi a interlocutori diversi. Il passaggio a nuove forme di controllo e gestione del territorio avvenne, a partire dal VI secolo d.C. 496, all’interno di un contesto naturale, storico, politico, sociale totalmente mutato, o come conseguenza del fallimento di strategie elitarie, o in seguito all’estinzione dei più eminenti volterrani, o per la totale integrazione dei gruppi di potere superstiti all’interno di un nuovo sistema di valori e strutture497. Dalla prima età imperiale al periodo tardo antico, piuttosto che un sistema estremamente chiuso e basato su un immutabile, autarchico, potere locale, il caso di Volterra dimostra come la strategia vincente delle sue élite sia stata quella di una costante ridefinizione e di adattamento alle mutate contingenze macro-storiche. Per le élite di Volterra i legami di amicizia e parentela stretti a livello sovralocale con le élite dell’Impero ne avrebbero salvaguardato gli interessi economici esterni e, al contempo, rafforzato il potere a livello locale. A ogni modo, non si trattò soltanto della formulazione e applicazione di strategie economiche e politiche funzionali alla sopravvivenza della famiglia e alla tutela del patrimonio, ma anche di strategie culturali, come si cercherà di evidenziare nel prossimo capitolo.

Cfr. Zanker 1989; Zanker 2002; Hӧlsher 2002. Augenti-Terrenato 2000: 302. 495 Slootjes 2009: 417. Pensando al caso dei Cecina volterrani, sappiamo che fra i membri della famiglia vi furono, un aruspice, un intellettuale anticesariano, ma anche evergeti, comandanti militari, ambasciatori e produttori di laterizi. Cfr. Capdeville 1997: 253-311 infra paragrafi 2.3.1; 4.3. 496 Augenti-Terrenato 2000. 497 Per quanto riguarda il dibattito sui nuovi modi di ostentazione del potere nel più ampio contesto delle élite tra tardoantico e alto medioevo è esemplare, per il territorio di Volterra, il caso del Tesoro di Galognano. In merito: Hessen-Kurze-Mastrelli 1977; Augenti-Terrenato 2000 e cfr. infra paragrafi 1.3; 4.1;4.2. 493 494

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Fig. 3.1. L’insediamento nel II secolo a.C. (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana). Siti citati: 1. Volterra, 2. Sasso Pisano, 3. Acropoli, 4. Giuncaiola, 5. Inchiostro, 6. Le Vene, 7. Palagina, 8. Montopoli, 9. La Serra, 10. Marti, 11. Casa Portico, 12. Bellafonte, 13. Ponte all’Ebreo, 14. Podere del Pozzo, 15. Podere i Bufali, 16. Macinella, 17. Moriccia di Fabbrica, 18. Peccioli, 19. Legoli, 20. Cedri, 21. Scannicci, 22. Terricciola, 23. Badia, 24. Chientina 25. Casanuova, 26. Soiano, 27. Soianella, 28. Morrona, 29. Montefoscoli, 30. Toiano, 31. San Ruffino, 32. Fabbrica, 33. Alica, 34. Ghizzano, 35. Montecchio, 36. Casalvecchio (acropoli), 37. Rondinicchio, 38. San Niccolò, 39. Metato, 40. Le Ville, 41. Oli, 42. Fonte vivo, 43. Colonna, 44. Monti, 45. Malacena, 46. Ortaglia, 47. Belora, 48. Bibbona, 49. Casalvecchio, 50. Castagneto Carducci, 51. Querceto, 52. Pomarance, 53. Rocca Sillana, 54. Strido, 55. Terriccio.

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Fig. 3.2. L’insediamento nel I secolo a.C. (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana). Siti citati: 1. Volterra, 2. Sasso Pisano, 3. Acropoli, 4. Giuncaiola, 5. Inchiostro, 6. Le Vene, 7. Palagina, 8. Montopoli, 9. La Serra, 10. Marti, 11. Casa Portico, 12. Bellafonte, 13. Ponte all’Ebreo, 14. Podere del Pozzo, 15. Podere i Bufali, 16. Macinella, 17. Moriccia di Fabbrica, 18. Peccioli, 19. Legoli, 20. Cedri, 21. Scannicci, 22. Terricciola, 23. Badia, 24. Chientina 25. Casanuova, 26. Soiano, 27. Soianella, 28. Morrona, 29. Montefoscoli, 30. Toiano, 31. San Ruffino, 32. Fabbrica, 33. Alica, 34. Ghizzano, 35. Montecchio, 36. Casalvecchio (acropoli), 37. Rondinicchio, 38. San Niccolò, 39. Metato, 40. Le Ville, 41. Oli, 42. Fonte vivo, 43. Colonna, 44. Monti, 45. Malacena, 56. La Villana, 57. Capodivilla, 58. Faltona, 59. Monterosso, 60. Pieve vecchia, 61. Segalari, 62. San Vincenzino, 63. Podere Lillatro, 64. Podere Pipistrello, 65. Podere Case Nuove, 66. Podere Conte Millo, 68. Santa Lucia Scoccolino, 69. Fornacette, 70. Cupi Montiano, 71. Capalbio, 72. Vallescaia, 73. San Mario, 74. Podere Cosciano, 75. Podere dell’Olmo, 76. Petriolo, 77. Le Pescine, 78. Podere Canciana, 79. La Mazzanta, 80. Poggio Fiori, 81. San Gaetano, 82. Galafone.

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Fig. 3.3. L’insediamento nel I-II secolo d.C. (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana). Siti citati: 1. La Villana, 2. Capodivilla, 3. Faltona, 4. Fonterosso, 6. Montecalenne, 7. Pieve vecchia, 8. Segalari, 9. San Vincenzino, 10. Podere Lillatro, 11. Podere Pipistrello, 12. Podere Case Nuove, 13. Podere Conte Millo, 15. Sasso Pisano, 16. Acropoli, 17. Giuncaiola, 18. Pian di Selva, 19. La Scafa, 20. Vivecchia, 21. Palagina, 22. Montopoli, 23. La Serra, 24. Marti, 25. Casa portico, 26. Podere del Pozzo, 27. Vallescaia, 28. San Mario, 29. Podere Cosciano, 30. Podere San Paolo, 31. Tegolaia, 32. Bucciano, 33. Belora, 34. Casalvecchio, 35. Santa Mustiola, 36. Treggiaia, 37. La Rosa, 38. Selvino, 39. Strido, 40. Podere Colline, 41. Tenuta Cerbana, 42. Case Santa Lucia, 43. Casa Susinelli, 44. Pian delle Vigne, 45. Rattaione, 46. Casa Belvedere, 47. Casino, 48. Casalgiustri, 49. Le Pescine, 50. Sburleo di Spedaletto, 51. Senzano, 52. Il Monte, 53. Podere Lillatro, 54. San Vettore, 55. Boscotondo, 56. Podere Canciana, 57. La Mazzanta, 58. Poggio Fiori, 59. La Catena-Bacoli, 60. Stibbio, 61. La Fornace, 62. San Gaetano, 63. Galafone, 64. Volterra.

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Poteri e strategie familiari di Volterra

Fig. 3.4. L’insediamento nel II-III secolo d.C. (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana). Siti citati: 1. La Villana, 2. Capodivilla, 3. Faltona, 4. Fonterosso, 5. Aiano, 6. Pieve vecchia, 7. Segalari, 8. San Vincenzino, 9. Podere Lillatro, 10. Podere Pipistrello, 11. Podere Case Nuove, 12. Podere Conte Millo, 13. Sant’Antonio, 14. Sasso Pisano, 15. Acropoli, 16. Giuncaiola, 17. Pian di Selva, 18. Orceto, 19. Podere del Pozzo, 20. Vallescaia, 21. San Mario, 22. Podere Cosciano, 23. Podere San Paolo, 24. Tegolaia, 25. Casalvecchio, 26. La Rosa, 27. San Pietro, 28. Casalgiustri, 29. Pievina, 30. San Vettore, 31. Boscotondo, 32. Podere Canciana, 33. La Mazzanta, 34. Poggio Fiori, 35. La Catena-Bacoli, 36. Stibbio, 37. La Fornace, 38. Uglioni, 39. Montalbano d’Egola, 40. Petraio, 41. Poggio dei Pini, 42. Podere Sovestro, 43. San Genesio, 44. Redoli, 45. Podere Poggio Giulia, 46. Narciana, 48. Scorgiano, 49. San Gaetano, 50. Galafone, 51. Volterra.

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Fig. 3.5. L’insediamento nel III-IV secolo d.C. (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana). Siti citati: 1. La Villana, 2. Capodivilla, 3. Faltona, 4. Fonterosso, 5. Limite, 6. Aiano, 7. Pieve vecchia, 8. Segalari, 9. San Vincenzino, 10. Podere Lillatro, 11. Podere Pipistrello, 12. Podere Case Nuove, 13. Podere Conte Millo, 14. Sant’Antonio, 15. Sasso Pisano, 16. Giuncaiola, 17. Podere del Pozzo, 18. Vallescaia, 19. San Mario, 20. Podere Cosciano, 21. Casalvecchio, 22. Pievina, 23. San Vettore, 24. Boscotondo, 25. Podere Canciana, 26. Poggio Fiori, 27. Uglioni, 28. Montalbano d’Egola, 29. San Gaetano, 30. Galafone, 34. Volterra, 35. San Genesio, 36. Scorgiano.

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Fig. 3.6. L’insediamento nel IV-V secolo d.C. (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana). Siti citati: 2. Capodivilla, 3. Faltona, 4. Fonterosso, 5. Limite, 6. Aiano, 7. Pieve vecchia, 8. Segalari, 9. San Vincenzino, 17. Podere del Pozzo, 19. San Mario, 20. Podere Cosciano, 21. Casalvecchio, 24. Boscotondo, 25. Podere Canciana, 27. Uglioni, 28. Montalbano d’Egola, 29. San Gaetano, 31. Sant’Ansano a Galognano, 32. Sant’Ippolito e Cassiano, 33. Cellole, 34. Volterra, 35. San Genesio.

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Fig. 3.7. L’insediamento nel V-VI secolo d.C. (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana). Siti citati: 5. Limite, 6. Aiano, 9. San Vincenzino, 19. San Mario, 20. Podere Cosciano, 29. San Gaetano, 31. Sant’Ansano a Galognano, 32. Sant’Ippolito e Cassiano, 33. Cellole, 34. Volterra, 35. San Genesio.

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Fig. 3.8. Volterra, il centro urbano (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana). 1. Acropoli, 2. Foro, 3. Teatro, 4. Anfiteatro, 5. Domus Ortino, 6. Domus Macelli, 7. Via Gramsci, 8. Via Roma, 9 Palazzo Viti, 10. Ripaie, 11. Ulimeto, 12. Pinzanone, 13. Montebradoni, 14. Badia di San Giusto, 15. Piscina Romana, 16. Porta all’Arco, 17. Porta a Selci, 18. Porta San Francesco, 19 Porta Fiorentina, 20 Porta San Felice, 21. Porta di Docciola, 22. Porta Marcoli, 23. Terme di Vallebuona, 24. Terme San Felice, 25. Portone/Marmini, 26. Poggio alle Croci.

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Fig. 3.9. Volterra, Teatro urbano (particolare della scena).

Fig. 3.10. Mosaico da una domus nei pressi di Porta Fiorentina, Museo Etrusco Mario Guarnacci, Volterra.

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Fig. 3.11. Mosaico dalle terme di San Felice, Museo Etrusco Mario Guarnacci, Volterra.

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Fig. 3.12. Materiali da La Villana. Selezione.

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Fig. 3.13. Bolli di produzione su frammenti di sigillata da La Villana.

Fig. 3.14. Frammento di statua femminile da La Villana, Museo Civico Archeologico, Rosignano Marittimo.

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Fig. 3.15. Frammento di testina femminile in alabastro da La Villana, Museo Civico Archeologico, Rosignano Marittimo.

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Fig. 3.16. Materiali da Capodivilla. Selezione (anfore).

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Fig. 3.17. Materiali da Capodivilla. Selezione (ceramiche fini da mensa).

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Fig. 3.18. Materiali da Capodivilla. Selezione (ceramiche comuni, produzioni africane, laterizi).

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Fig. 3.19. Materiali da Vallescaia. Selezione (anfore e laterizi).

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Fig. 3.20. Materiali da Orceto. Selezione.

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Fig. 3.21. Materiali da Orceto. Selezione (anfore, ceramica fine da mensa, ceramica comune, produzioni africane, laterizi).

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Poteri e strategie familiari di Volterra

Fig. 3.22. Materiali da Pian di Selva. Selezione (anfore, ceramiche fini da mensa).

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Fig. 3.23. Materiali da Pian di Selva. Selezione (ceramica comune, laterizi).

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Poteri e strategie familiari di Volterra

Fig. 3.24. Materiali da Pian di Selva. Selezione (laterizi).

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Fig. 3.25. Materiali da Pian di Selva. Selezione (small finds).

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Poteri e strategie familiari di Volterra

Fig. 3.26. Tracce di centuriazione nell’ager Volaterranus (elaborazione QGIS, base cartografica Google Earth; Dati Cartografici GEOSCOPIO Regione Toscana).

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4 ‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’1 Élite etrusche di Volterra, identità, memoria familiare, strategie culturali di lungo periodo Il capitolo, diviso in quattro parti, intende dimostrare l’esistenza di versatili strategie culturali che, unitamente alle strategie politico-sociali ed economiche, alle politiche matrimoniali, ai vincoli di alleanza clientelari, concorsero al successo sul lungo periodo di alcune famiglie dell’élite etrusca di Volterra. La prima parte introduce al concetto di identità etrusca e all’importanza della memoria familiare per la costruzione di un’identità elitaria. La seconda parte affronta il problema dell’identità etrusca a Volterra. Nella terza parte si prende in esame il caso della famiglia Cecina per analizzare nel dettaglio i meccanismi di funzionamento di strategie culturali di lungo periodo basate sulla strumentalizzazione di un’identità costantemente ridefinita. Nella quarta parte si sintetizzano i dati. Il caso di Volterra dimostra che nelle logiche di potere delle élite etrusche in relazione a quelle del resto dell’Impero la forte coscienza identitaria ebbe un ruolo fondamentale e che l’insieme delle strategie familiari garantì l’integrazione della comunità nell’Impero. Keywords: Volterra, Etruria, Impero Romano, Percezione, Identità Etrusca, Strategie familiari, Romanizzazione, Poteri, Cultura, Religione, Memorie familiari, Cecina The chapter demonstrates the existence of Volterran Etruscan elites’ long-term cultural strategies. Through which, together with the economic, social, and political ones, negotiation and robust adaptivity, some Etruscan families of Volterra succeeded in maintaining their local power bases, reaching the top hierarchies of the Roman Empire. Self-awareness and a sense of belonging to an ‘ethnic’ group were at the core of their cultural strategies. Family memory and identity were crucial elements in shaping powers. The chapter stresses how the members of local elites had a significant role in structuring the integration, of their community in the Roman Empire. The first part of the chapter provides the theoretical background of Etruscan Identity and the negotiation of powers with Rome. The second part analyses the traces of Etruscan identity at Volterra. The third part deals with the cultural strategies of the Cecina family attested in the territory of Volterra until the 5th century AD. The fourth part synthesizes data. Keywords: Volterra, Etruria, Roman Empire, Perception, Etruscan Identity, Family Strategies, Romanization, Powers, Culture, Religion, Family Memory, Cecina family Il capitolo si pone l’obiettivo di dimostrare l’esistenza di versatili strategie culturali di lunga durata che, messe in atto unitamente a specifiche strategie politico-sociali ed economiche, alle politiche matrimoniali, ai vincoli di alleanza clientelari concorsero al successo, e quindi alla sopravvivenza, di alcune famiglie dell’élite etrusca di Volterra nel più ampio contesto dell’Impero. Nello specifico si intende dimostrare che la condivisione di valori etici e culturali e i processi di autoidentificazione, riconoscimento, promozione personale, implicavano una forte costruzione d’identità, per alcuni aspetti definibile etnica. In questo senso, il ruolo della memoria e la trasmissione familiare di determinati valori individuati come fondanti per l’identificazione personale giocarono un ruolo fondamentale per la sopravvivenza dei mores. Al contempo fu solo l’adattamento alle contingenze storiche

e la fondamentale attività di negoziato a determinare una costante ridefinizione dell’identità fino all’appropriazione stessa di quello che prima veniva recepito come “altro” da sé. Si concorda con Mattingly quando, trattando il concetto di identità nell’Impero Romano scrive che ‘people lower down the social spectrum experienced a more diluted version of Romanization, a sort of trickledown effect, through emulation of their social betters’2. In questi complessi meccanismi di etno-genesi e costruzione dell’identità, strettamente connessi con i processi di acquisizione, giustificazione, mantenimento del potere, il ruolo delle élite fu fondamentale.

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Il capitolo è diviso in quattro parti. La prima parte introduce al concetto di autocoscienza etrusca e all’importanza della memoria familiare per la costruzione di un’identità elitaria soffermandosi sulla sopravvivenza di determinati aspetti

1 Pers., Sat., III, 28. ‘reputi più decoroso gonfiarti di vento i polmoni perché nella tua genealogia toscana stai in cima al millesimo ramo?’.

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Mattingly 2011: 206.

Poteri e strategie familiari di Volterra altri due aspetti fondamentali e strettamente legati alla costruzione, per affinità o contrasto, di identità ed ethnos, ossia la religione10 e la memoria11.

della cultura etrusca nell’Impero. La seconda parte affronta il problema dell’identità etrusca a Volterra, concentrandosi sul versatile atteggiamento delle élite etrusche a confronto con quelle romane in relazione alla cultura materiale. La terza parte prende in esame il caso della famiglia Cecina per analizzare nel dettaglio i meccanismi di funzionamento di strategie culturali di lungo periodo che erano basate sulla strumentalizzazione, più o meno consapevole, di una costruzione identitaria costantemente ridefinita, fondata su una memoria familiare e collettiva tramandata e periodicamente rinsaldata. La quarta parte sintetizza i dati, evidenziando come il caso di Volterra dimostri che le logiche di potere delle élite etrusche in relazione a quelle del resto dell’Impero agissero in maniera non sempre apertamente comprensibile, ma ben attive nel processo di negoziato del potere. La forte coscienza identitaria ebbe un ruolo fondamentale nel successo delle strategie delle élite di Volterra almeno fino al V secolo d.C., garantendo l’inserimento della città all’interno del più ampio contesto dell’Impero.

Il fatto che l’identità sia strettamente connessa con il potere nella strutturazione di relazioni economiche e politiche12 implica il fatto che non si possa considerare avulsa dal processo di negoziato del potere stesso. Nel momento in cui Roma impose il proprio dominio, l’esistenza di forti identità etniche avrebbe di fatto costituito una barriera per quelle élite desiderose di entrare a far parte del nuovo sistema13. Riguardo al presunto processo di ‘Romanizzazione’, sebbene sia stato recentemente messo a fuoco il fondamentale aspetto del ‘compromesso’ nell’adozione da parte delle élite di modelli e aspetti della cosiddetta ‘cultura imperiale romana’14, così come l’importanza di una definizione alternativa di discrepant identities15 o hybridity16 riguardo la natura culturale delle nuove classi dirigenti, non è stata ancora del tutto rimossa dal subconscio storiografico l’equazione secondo cui ‘the adoption of Roman culture has also been taken to reflect the adoption of Roman identity’17, e soprattutto non appare sfruttata a pieno la potenzialità della manipolazione personalistica dell’etnicità all’interno di un contesto politicizzato alla costante ricerca di dimostrare una superiorità culturale, aspetto fondamentale all’interno dei processi di negoziato del potere18.

4.1. Identità e autocoscienza etrusca. I motivi di una superiorità costruita, riconosciuta, tramandata Identità ed etnia sono concetti complessi da analizzare, specie in relazione alle società antiche per cui è possibile sviluppare approcci differenti impiegando tipi di fonti diverse, che non sono mai neutre3. Secondo quanto tramandato da Dionigi d’Alicarnasso relativamente agli Etruschi, ‘essi stessi si chiamarono Rasenna, dal nome di un loro condottiero’4. Ciò può essere assunto a prova dell’esistenza di una comunità etrusca che si identificava in quanto tale per la condivisione di tradizioni e di una coscienza di affinità e omogeneità culturale5. L’esistenza di una tradizione storica e culturale elaborata a partire dal VI secolo a.C. avrebbe di fatto distinto l’ethnos etrusco dalle comunità vicine e, secondo Luciana Aigner Foresti, ‘l’adozione di un alfabeto unitario dimostra che l’Etruria dovette formare un’unità ben più forte di quella della Grecia contemporanea’6. Ancora Dionigi d’Alicarnasso scriveva ‘le costumanze sono, insieme alla lingua alla religione, al nomos, i caratteri distintivi dell’ethnos’7, ma se è provato che gli Etruschi avessero una forte autocoscienza etnica di gruppo8, è anche vero che, come spiega Sian Jones, ‘ethnicity is just one form of identity that societies construct but it was not a constant in time and space’9. Se quindi risulta fondamentale sottolineare l’importanza di un processo di continua definizione e ridefinizione dell’identità personale e collettiva, bisogna considerare

A tale proposito, il caso di Volterra sembra dimostrare che il contatto con Roma, piuttosto che causare quella che è stata definita ethnic disintegration19, rafforzò anzi la 10 A tale proposito Mattingly riporta le affermazioni di Edwards e Insoll relativamente al fatto: ‘Religion is a key area of life in which communities define their identities at times in ways that associate them with others and at other times creating social distance between them and others’ (Mattingly 2011: 210). 11 Riguardo l’identità etnica personale e collettiva è stato evidenziato il fondamentale apporto della percezione e condivisione di habitus, esperienza di destino e discendenza comune e l’apporto decisivo dei miti familiari dei leader della comunità spesso in grado di indirizzare e convogliare l’azione collettiva nel supporto di interessi particolari, in nome di una superiorità riconosciuta. Cfr. Bentley 1987: 47; Jones 1997: XIII; 92. 12 Jones 1997: 28. 13 Isaac 2004: 8. 14 Terrenato 2008: 264. 15 In relazione al passo di Isaac, Mattingly afferma: ‘Isaac’s equation between Romanisation and decomposition of ethnic identity is clearly pertinent through I would substitute “discrepant identities” for “Romanization”. In any event what both of us are arguing is that ethnic distinctions that become large and significant during the process of imperial expansion and assimilation were later diminished as new multiplex strategies for displaying individual and communal identity were developed’. Cfr. Mattingly 2011: 215. 16 Per il concetto di ‘hybridity’ culturale e ‘Romanizzazione’ cfr. Dommelen 2010; Pelgrom 2018. 17 Cfr. Jones 1997: 33. 18 A tale proposito risulta molto interessante l’esempio fatto da Brumfiel 1994 e riportato da Jones come simile al cosiddetto processo di ‘Romanizzazione’. Nello specifico, lo stato Azteco pare impiegasse il motivo dell’etnia per perseguire specifiche politiche. Se da una parte, a livello interno, si cercava di eliminare o diminuire i fattori di eterogeneità etnica fra élite regionali, allo stesso tempo, in determinate situazioni, stereotipi etnici venivano promossi per rafforzare, specie all’esterno, la superiorità della cultura dello Stato. Cfr. Jones 1997: 28-29. Per approfondimenti su aspetti identitari e memoria collettiva in età romana si vedano: Salmeri 1999; Salmeri 2008. 19 Cfr. Jones 1997; Mattingly 2011.

3 Per una bibliografia sulla correlazione fra identità, etnia, cultura materiale, territorio nel mondo antico si rimanda ai fondamentali: Hall 1997; Alroth-Schaffer 2014; Cifani-Stoddart 2012, WallaceHadrill 2008; sull’Italia preromana, Bourdin 2012 e sulla Roma repubblicana, Farney 2007. 4 Dion., I, 30, 3. 5 In merito all’autocoscienza etrusca si vedano Aigner Foresti 1992: 93113; Neil 2016: 15-28. 6 Aigner Foresti 1992: 107. 7 Dion., I, 30, 1. 8 Aigner Foresti 1992: 93; 111. 9 Cfr. Jones 1997: 13; Mattingly 2011: 210.

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ diverso e comunque modellato a riflesso delle decisioni elitarie24.

consapevolezza delle élite locali di appartenere a un ethnos ben definito, la cui superiorità culturale, almeno per alcuni aspetti, era riconosciuta dalle élite latine. Naturalmente sarebbe stato necessario un adattamento di temi e valori, ma la strumentalizzazione e la manipolazione dell’etnicità20 al fine di mantenere una superiorità riconosciuta a livello locale e sovra-locale, rappresentavano la chiave del successo delle élite etrusche che agivano ‘as cultural brokers […] between the new global level created by the empire and the traditional ones’21. Si trattò di un reciproco dialogo di acculturazione in cui la selezione di determinati valori e temi, funzionali all’autoidentificazione elitaria, divenne fondamentale per il mantenimento di una superiorità in cui i legami individuo-comunità-cultura e territorio furono costantemente e progressivamente ridefiniti e riconosciuti almeno fino alla metà del VI secolo d.C.

A partire dall’età arcaica, le élite avevano svolto un ruolo determinante nei processi di costruzione identitaria all’interno delle città etrusche, programmando e modellando valori comunitari che erano in costante evoluzione25. In questo senso, l’etnicità è da considerare come parte integrante dell’identità individuale e collettiva. Seguendo le definizioni di Sian Jones su concetti quali identità etnica26, gruppo etnico27, etnicità28 appare fondamentale indagare sui termini del confronto con l’alterità per individuare i termini del dialogo fra cultura e potere. L’uso e il potere normativo della cultura per sistematizzare comportamenti sociali e perseguire interessi economici e politici che trascendono quelli del singolo individuo sono stati riconosciuti alla base dell’etnicità, mentre la continua ridefinizione identitaria e l’adozione di una specifica identità in relazione alle specifiche contingenze sono risultati funzionali a minimizzare le perdite subite29. Il riconoscimento della natura mutevole dell’etnicità implica anche indagare sui modi in cui cultura e tradizioni hanno influito nella costruzione dell’identità stessa. Un ruolo fondamentale a riguardo è quello svolto dall’invenzione e reinvenzione di storia e tradizioni nella mobilitazione e legittimazione dell’etnicità dal momento che, come afferma Barth, ‘ethnic groups only persist as significant social units if they imply marked difference in behaviour and ethnic identity is determined by origin and background’30. Alla continua ridefinizione dell’identità personale etrusca si legava una particolare concezione della storia come memoria e coscienza della tradizione, elementi cardine del popolo etrusco. Il richiamo alla tradizione, l’importanza dei maiores stavano anche alla radice del senso romano della storia31. In questo Etruschi e Romani trovarono un punto di convergenza a partire dal quale potersi confrontare.

È necessario quindi comprendere i meccanismi dei processi di etnogenesi, costruzione della memoria familiare e strumentalizzazione dell’identità etnica messi in atto dalle élite etrusche di Volterra. A tale proposito sarà utile prendere in esame le varie informazioni desunte dagli autori classici relativamente alla cosiddetta “etruscità” per comprendere quanto, e in che misura, il modello dei potentes di Volterra rientrasse in un più generale senso d’appartenenza al Popolo Etrusco per l’intero arco cronologico in esame (I a.C.-V d.C.). Sarà in questo modo possibile comprendere il peso reale dell’esperienza delle élite etrusche all’interno del cosiddetto ‘paradox of the Roman empire’ esplicato da Nicola Terrenato nel senso che ‘it resisted change and fostered such resistance in its subjects, at least as strongly as it embraces new ideas and fashions in other spheres and at other levels’22. 4.1.1. Etnogenesi e costruzione di una memoria storica familiare Durante l’imposizione del proprio dominio politico Roma incoraggiò l’adozione di stili e modelli di vita romani, tuttavia non rimpiazzava le culture locali essendo interessata a promuovere “valori comuni” che giustificassero il nuovo regime23. Inoltre, lasciare spazio alle autonomie locali, secondo politiche di adesione ai canoni ufficiali del Principato, poteva rappresentare un ottimo mezzo per garantirsi lealtà da parte delle élite municipali, desiderose di entrare in contatto e trovare metodi efficaci per guadagnarsi una certa libertà d’azione nelle loro terre d’origine, come nel nuovo dialogo con le élite imperiali. Questa strategia del compromesso, annoverabile all’interno dei meccanismi di negoziato del potere, sarebbe del resto alla base delle modifiche accettate in una serie numerosa di aspetti della vita comunitaria quali: politica, architettura, attività legislativa, arte, lingua. Bisogna al contempo ammettere che in altri aspetti come struttura sociale, tradizioni, cultura subalterna, culto e immaginario, lingua orale, l’impatto dovette certo essere

A partire dal periodo arcaico, l’adozione del sistema gentilizio da parte delle élite d’Etruria enfatizzava l’importanza della memoria degli antenati e il ruolo fondamentale delle linee di discendenza nelle relazioni familiari all’interno di un sistema sociale ed economico gerarchizzato32. L’elaborazione di una tradizione storica Cfr. Jones 1997: 34; Terrenato 2008: 264. Cfr. Neil 2016: 15-28; Ceccarelli 2016: 33; Farney 2007: 133-178; Bourdin 2012: 302-303; 612. 26 ‘Ethnic identity is that aspect of a person self-conceptualization which results from identification with a broader group in opposition to others on the basis of perceived cultural differentiation and or common descent’. Jones 1997: XIII. 27 ‘Ethnic group is any group of people who set themselves apart and or are set apart by others with whom they interact or co-exist on the basis of their perception of cultural differentiation and or common descent’. Jones 1997: XIII. 28 ‘Ethnicity: all those social and psychological phenomena associated with a culturally constructed group identity as defined. The concept of ethnicity focuses on the ways in which social and cultural processes intersect with one another in the identification of and interaction between the ethnic groups’. Jones 1997: XIII. 29 Jones 1997: 72-76. 30 Jones 1997: 78; Barth 1969. 31 Sordi 1989: 9. 32 Neil 2016: 16. 24 25

Cfr. Jones 1997: 90-92. Terrenato 2008: 263. 22 Terrenato 2008: 263. 23 Cfr. Terrenato 2008: 259. 20 21

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Poteri e strategie familiari di Volterra si fondasse una tale autocoscienza identitaria, e se questa avesse subito delle evoluzioni tra i secoli I a.C. e V d.C.

e culturale implicò una distinzione dalle comunità vicine a garanzia della continuità storica della comunità etrusca unita per la condivisione dell’esperienza del destino comune33. Esistono diverse testimonianze dell’importanza per le aristocrazie etrusche del ricordo degli antenati e delle genealogie34. Cronologicamente databili alla prima metà del I secolo d.C. sono per esempio i passi di Aulo Persio in cui sottolineava l’importanza attribuita dai nobili etruschi all’appartenenza a ‘stemmate Tusco ramum’, e in cui affermava di non vantare una discendenza di molte generazioni35. Un altro caso che testimonia come la storia familiare fosse tramandata, da un secolo all’altro, all’interno delle famiglie aristocratiche è rappresentato dai cosiddetti Elogia Tarquiniensia, epigrafi databili in età Claudia che ricordano le più antiche imprese legate ai membri degli Spurinna36.

4.1.2. I caratteri dell’etruscità fra stereotipi letterari e propaganda. Il perché di una superiorità riconosciuta L’analisi di testi letterari antichi presuppone una certa dose di criticità nella valutazione di eventuali motivi di propaganda e, in generale, del contesto storico-sociale di realizzazione dell’opera, dal momento che i fatti e i personaggi presentati avrebbero chiaramente preso le parti o denigrato le vicende, a seconda delle simpatie o antipatie personali degli autori. Nonostante ciò, risulta interessante considerare come rimanessero costanti alcuni caratteri per la definizione di un popolo e della sua cultura specie se in un arco cronologico estremamente ampio come quello di nostro interesse (secoli I a.C.-V d.C.). Chiedersi il perché di una tale costanza di valori nella definizione del genos etrusco, spesso rappresentato da nobili esponenti dell’ordine senatorio o equestre, implica il riconoscimento di un’identità persistente e di fatto riconosciuta.

Cicerone nelle sue epistole, l’imperatore Claudio nel discorso sull’Ordo LX haruspicum riportato da Tacito, ricordavano poi come gli insegnamenti dell’Etrusca disciplina venissero impartiti all’interno delle stesse famiglie aristocratiche che se li tramandavano da una generazione all’altra37.

Nel tentativo di evidenziare quali fossero i caratteri fondamentali e tipici di questo popolo risulta molto utile non solo leggere i testi degli autori non etruschi coevi, ma valutare pure le descrizioni realizzate da coloro che potevano essere annoverati tra gli Etruschi, almeno in quanto “discendenti” dall’antico popolo, sebbene ormai “romanizzati”.

La religione rappresentava quindi uno degli aspetti centrali della tradizione culturale degli Etruschi, in cui la memoria giocava un ruolo fondamentale in quanto valore primario per la costruzione dell’identità etnica. Gli Etruschi si consideravano “popolo eletto” per la rivelazione degli dèi e, condividendo i libri sacri e il patrimonio normativo annunciato loro dal mitico puer senex Tages, avevano una forte autocoscienza collettiva38. Anche l’aspetto normativo della religione fu un elemento di base del patrimonio culturale etrusco. Come è stato notato da Luciana Aigner Foresti ‘gli Etruschi formarono soprattutto una “comunità di religione”39, ma furono lo stretto legame con la politica e l’influenza della memoria aristocratica a determinare la sopravvivenza di un patrimonio culturale, nonché di un desiderio di distinzione anche dopo la ‘fine dell’indipendenza’40. Se ciò che univa il nomen Etrusco e ne consentì la sopravvivenza fino al tardoantico era ‘una fortissima autocoscienza di essere comunità etnica, culturale, di costume, religiosa’41, è pur vero che bisogna comprendere i meccanismi che portarono alla sopravvivenza di una così forte identità etnica in un sistema eterogeneo come fu quello dell’Impero Romano. Pertanto, è necessario definire i caratteri della cosiddetta ‘etruscità’42 per verificare attorno a quali principi e valori

Oltre al caso dei Cecina, di cui si parlerà diffusamente, esempi di importanti personaggi che vennero identificati e/o che si auto-riconoscevano in una serie di valori culturali propriamente etruschi furono Mecenate, Virgilio, Persio, Pupieno, ma anche Seiano, Otone, Vettio Agorio Pretestato. Sebbene con il passare dei secoli cambiassero le strategie e i valori attorno ai quali rimodellare la propria identità, il fatto che buona parte delle famiglie cui premeva identificarsi come etrusche fosse unita da vincoli di amicizia e di parentela rinforzava la condivisione di un patrimonio culturale familiare nella glorificazione di un passato la cui memoria veniva ricordata, ricostruita e strumentalizzata ai fini di giustificare un diritto a esercitare il potere a livello locale e sovra-locale. Nonostante l’integrazione nell’Impero, la presenza di una forte autocoscienza etnica e identitaria delle famiglie etrusche, nel pur mutato contesto del potere, è stata del resto individuata in alcuni fattori come, ad esempio la “latinizzazione” dei gentilizi che, pur mantenendo un forte legame sia fonetico sia etimologico, con la tradizione etrusca, mostravano la fedeltà alle proprie origini43. Se la rappresentazione dell’Etruria negli autori antichi era ambigua, ora filo-etrusca ora anti-etrusca44, emergeva però l’elemento comune che era riconducibile al

Aigner Foresti 1992: 101-102. Sull’argomento cfr. Ramelli 2003: 50. 35 Pers., Sat., III, 37-38; VI, 57. 36 Per quanto riguarda ulteriori considerazioni e approfondimenti sul dibattito interpretativo degli Elogia si veda da ultimo Torelli 1975 e 1995. 37 Cic., Fam., VI, 6,3; Tac., Ann., XI, 15. 38 Aigner Foresti 1992: 103-110. 39 Aigner Foresti 1992: 109. 40 Su tale argomento si vedano Sordi 2003; Ramelli 2003. 41 Cfr. Sordi 1992 e Sordi 2003: 133. 42 Il termine è stato impiegato da diversi studiosi, fra cui si segnalano i fondamentali contributi Mazzarino 1957; Ramelli 2001; Ramelli 2003. 33 34

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Hadas-Lebel 2004; 1998: 309. Cfr. Bittarello 2009: 211-233; Firpo 1997; Ramelli 2003.

‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ riconoscimento di prestigio dell’antica cultura etrusca di cui, in qualche aspetto, Roma era erede diretta45.

fatto riconosciuta dai romani. In particolare, gli Etruschi erano riusciti a rendersi indispensabili ai vincitori rispetto agli altri popoli e con un ruolo fondamentale all’interno della nuova organizzazione politica romana, ossia, tramite la religione. Valore fondante dell’identità etrusca, la religione fu la chiave della superiorità riconosciuta dai Romani52. Nello specifico, la religione etrusca era definita, per il suo complesso di pratiche e riti, ‘disciplina’ al pari di una vera e propria scienza53.

Plinio ricorda che a Cere si potevano ammirare degli affreschi ben più antichi della stessa Roma46, mentre secondo Livio, ‘Tuscorum ante Romanum imperium late terra marique opes patuere’47, e ancora ‘Etruria erat ut iam non terras solum sed mare etiam per totam Italiae longitudinem ab Alpibus ad fretum Siculum fama nominis sui implesset’48. Prima di Roma, l’Etruria aveva quindi rappresentato la potenza egemone nella Penisola e da qui la necessità romana non solo di una sostanziale “integrazione”, motivata dalla presa di coscienza del destino universale dell’Impero49, ma anche di un’appropriazione almeno di alcuni aspetti della cultura etrusca. La giustificazione di questa appropriazione culturale venne poi attribuita alla sapientia maiorum romana, favorevole al mutamento quando esso si rivelasse utile come dimostrato da Sallustio in occasione del discorso tenuto in senato da Cesare a favore della concessione della grazia ai complici di Catilina arrestati50.

Livio definiva gli Etruschi ‘gens ante omnes alias eo magis dedita religionibus, quod excelleret arte colendi eas’54. Allo stesso tempo, la realizzazione di un’etimologia per il termine ‘Tusci’ e il legame con l’etrusco θυειν (cioè “sacrificare”)55, indicherebbe il legame di questo popolo con l’atto centrale della religione antica, il sacrificio appunto56. Il fatto che ancora nel IV secolo d.C. l’anonimo autore dell’Expositio Totius Mundi affermasse ‘Tuscia quamplurime hoc a diis nomen maximus accepit unde enim aiunt ab origine inventam esse haruspiciam, et quod bonum deos esse dicebant. Nam et ipsa abundans omnibus bonis et hoc possidet maxime circa deos haruspicia multa, etenim huius rei certum ad eos esse dicitur’57, testimonia come ancora nel Tardo Impero, in un contesto religioso mutato radicalmente con la progressiva affermazione di culti misterici di matrice orientale e del cristianesimo, si riconoscesse agli Etruschi una superiorità e un legame particolare nel rapporto con le divinità. Di fatto, la religione etrusca aveva una superiorità tecnica rispetto a quella romana58, come del resto dimostrato dal fatto che, nell’interpretazione dei segni e dei prodigi, gli aruspici etruschi rivestivano un ruolo di primo piano rispetto agli auguri59.

All’appropriazione/integrazione del passato etrusco nella storia degli antichi romani si dovette collegare, in età ellenistica, la nascita di una cosiddetta “protesta intellettuale” che rivendicava l’autoctonia etrusca opponendola all’idea di una discendenza troiana dei Romani, che in questo modo legittimavano il diritto di possedere l’Italia51. Fra ciò che doveva essere integrato nella cultura romana in quanto effettivamente utile o funzionale alla giustificazione millenaristica dell’Impero esistevano alcuni aspetti culturali la cui superiorità etrusca veniva di

Considerando l’Etrusca disciplina come ‘l’unica religione rivelata, oltre a quella giudaica, nel bacino del Mediterraneo […] intrinsecamente legata alla storia perché è profezia, divinazione, è azione sulla storia, atto rituale teso a ottenere attraverso preghiera e espiazione il rinvio delle punizioni divine incombenti sulle città e sui popoli’60, si può comprendere il perché di una effettiva superiorità riconosciuta dai romani. Una superiorità che si basava non solo sull’aspetto pubblico e funzionale di pratiche volte al riconoscimento di segni, ma che su un rapporto di comunicazione privilegiato con la divinità, nonché su una garanzia di suscitare la risposta degli

Bittarello 2009: 212-213. 46 ‘durant et Caere antiquiores et ipsae, fatebiturque quisquis eas diligenter aestimaverit nullam artium celerius consummatam, cum Iliacis temporibus non fuisse eam appareat’ (Plin., N.H., XXXV, 18): ‘Sussistono a Cere delle pitture ancora più antiche; sicchè dovrà riconoscere chiunque le abbia diligentemente esaminate e valutate che nessun’altra arte è giunta così presto allo stato di perfezione quando è certo che al tempo di Troia la pittura non esisteva’. 47 Liv., V, 33: ‘Prima dell’egemonia romana la potenza etrusca si estendeva largamente per terra e per mare’. 48 Liv., I, 2: ‘Tanta era la potenza dell’Etruria che non solo per terra, ma anche per mare, per tutta la lunghezza d’Italia, dalle Alpi allo stretto di Sicilia, risuonava la fama del suo nome’. 49 Sordi 1989: 11. 50 ‘Maiores nostri, patres conscripti, neque consili neque audaciae umquam eguere; neque illis superbia obstat, quo minus aliena instituta, si modo proba erant, imitarentur. Arma atque tela militaria ab Samnitibus, insignia magistratuum ab Tuscis pleraque sumpserunt. Postremo, quod ubique apud socios aut hostis idoneum videbatur, cum summo studio domi exsequebantur: imitari quam invidere bonis malebant’ (Sall., Cat., LI, 37): ‘I nostri antenati, o padri coscritti, non difettarono mai nè di raziocinio né di audacia; non vi era superbia che impedisse loro di imitare istituzioni straniere, se erano buone. Dai Sanniti presero armi di difesa e di offesa; dagli Etruschi la maggior parte delle insegne delle magistrature; infine, ciò che presso alleati o nemici appariva utilizzabile, con grande zelo cercavano di realizzarlo in patria: preferivano imitare piuttosto che invidiare i buoni esempi’. 51 Si trattava di una rivendicazione etrusca che, per estensione, condannava il diritto di conquista di Roma. Questa nel IV secolo a.C. si era impadronita della tradizione secondo cui gli Etruschi discendevano dai Troiani. Si trattava di una tradizione etrusca ancora prima che romana. Cfr. Aigner Foresti 1992: 103; Alroth-Scheffer 2014; infra paragrafo 4.2.1. 45

Briquel 1997: 10. Briquel 1997: 5. Sugli Etruschi e la strumentalizzazione dell’Etrusca disciplina si veda anche Farney 2007: 144-145. 54 Liv., V, 1, 6-7: ‘Era, infatti un popolo più di tutti gli altri dedito alle pratiche religiose, perché eccelleva nell’arte di esercitarle’. 55 Cfr. Mazzarino 1957. 56 Briquel 1997: 11 57 Exp. Tot. Mun., LVI: ‘Tuscia, sua vicina. Essa ha ricevuto il suo grande nome dagli dei, perchè è qui che, si dice, fu scoperta in principio l’aruspicina, che si ritiene di origine divina. D’altra parte ha ogni bene in abbondanza e soprattutto dispone di una grande conoscenza di presagi inviati dagli dei, appunto per mezzo dell’aruspicina; si dice che questa conoscenza sia ben fissata in loro’. 58 Briquel 1997: 16. 59 Cfr. Briquel 1997; Haak 2003; Mazzarino 1966; Ramelli 2003. 60 Sordi 1995. 52 53

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Poteri e strategie familiari di Volterra dèi, di predire il futuro, di assicurare la pax deorum61. Del resto, l’importanza della religione etrusca e il suo profondo legame con la cultura romana delle origini si evince dal fatto che la stessa fondazione di Roma era avvenuta, secondo la tradizione, etrusco ritu62. Le norme della limitatio che Roma, con la sua fondazione a modello di città etrusca, attinse dall’Etrusca disciplina sancirono il riconoscimento della maggiore antichità dello ius terrae Etruriae rispetto allo ius terrae Italiae. Se si pensa poi al fatto che l’origine della limitatio veniva collegata con la creazione stessa del mondo, si comprende il perché fosse necessaria la fusione fra mores etruschi e romani. Roma aveva la necessità di appropriarsi della memoria dei prestigiosi antenati etruschi63. Così facendo, Roma di fatto si poneva in dipendenza, per un aspetto particolarmente delicato come quello del rapporto con gli dèi, nelle mani di un antico nemico, ed in questo senso è comprensibile, di conseguenza, la nascita di un’aneddotica d’opposizione nei confronti degli aruspici64. Se i romani guardavano con reale ammirazione e interesse al sapere tradizionale etrusco e cercavano di apprenderlo, le aristocrazie d’Etruria, cercando di integrarsi alle élite della tarda Repubblica per ottenere una nuova libertà di movimento, erano pronte a comunicare quello che restava un appannaggio geografico e un privilegio familiare65. Come spiegava Cicerone nell’orazione sul responso degli aruspici, il dominio romano sul mondo non era dovuto alla supremazia militare o all’astuzia ‘sed pietate ac religione atque hac una sapientia, quod deorum numine omnia regi gubernarique perspeximus, omnis gentis nationesque superavimus’66. È quindi fondamentale riflettere sulla progressiva appropriazione/integrazione fra le religioni etrusca e romana. Nel I secolo d.C., tale processo portò all’evoluzione concettuale per cui l’Etrusca disciplina divenne ‘vetustissima Italiae disciplina’67. Fu sotto Claudio, che avvenne la reale integrazione. Allora gli aruspici non erano più concepiti come specialisti di un’arte divinatoria “straniera”, ma esperti di religione romana68. Nonostante ciò, occorre sottolineare che alla grande diffusione dell’aruspicina nell’Impero Romano si accompagnò il fenomeno della sua cosiddetta ‘deetruschizzazione’. Aprendosi all’Impero, essa venne progressivamente perdendo quegli elementi legati alla tradizione familiare aristocratica propriamente etrusca69.

Proponendo le leggi dello stato ideale, Cicerone affermava nel de legibus ‘prodigia portenta ad Etruscos haruspices si senatu iussit deferunto, Etruriaque principes disciplinam doceto’70. L’istituzione augustea dell’ordo LX haruspicum, il cui reclutamento rimaneva appannaggio esclusivo delle più nobili famiglie etrusche71, e la riorganizzazione dell’ordine da parte di Claudio indicano la sopravvivenza di un’aristocrazia di specialisti della scienza religiosa etrusca, il cui legame con il potere politico non era venuto meno72, e la necessità dello Stato di istituzionalizzare la pratica religiosa per tenere sotto stretto controllo l’operato di queste aristocrazie di specialisti. Essere detentori di un sapere religioso come quello etrusco era di fatto considerato potenzialmente pericoloso, dal momento che l’azione rituale degli aruspici, all’interno della quale ricadeva l’intera determinazione della vita politica di Roma in ambito pubblico73, era percepita come capace di influenzarla mediante preghiere e riti74. Proprio per questo motivo, spesso, la descrizione di personaggi di ascendenza etrusca diventava connotata positivamente solo in relazione alla vita pubblica e ai ruoli di potere nel contesto imperiale, come se l’essere investiti di una responsabilità per l’Impero migliorasse e potenziasse le loro capacità 75. Accanto alla superiorità religiosa è necessario sottolineare il legame degli Etruschi con la propria cultura e con la tradizione storica del passato. Da questo punto di vista si può ben comprendere come mai Mecenate, che certo doveva conoscere la cultura e l’antica lingua etrusca in quanto appartenente alla nobile gens aretina dei Cilnii76, avesse spinto per una diffusione a Roma della religione dei suoi antenati. D’altro canto, la traduzione in latino dei libri dell’Etrusca disciplina del volterrano Aulo Cecina rappresentava insieme la volontà di integrazione e la salvaguardia di un patrimonio culturale che, altrimenti, sarebbe andato disperso. Accanto ai testi religiosi è nota, peraltro, la presenza di una vera e propria letteratura, purtroppo perduta, a testimonianza che esisteva un filone culturale etrusco attivo e interessato al ricordo di memorabilia. L’esistenza di una storiografia e di una letteratura etrusca pare confermata dalla menzione, in

Cic., Leg., II, 9 : ‘Riferiscano i prodigi, i portenti agli aruspici etruschi, se il senato lo comandò, e l’Etruria ammaestri nella disciplina gli ottimati’. 71 Briquel 1997: 21. 72 Briquel 1997: 27. 73 Ad esempio, riguardo la consultazione dei libri aruspicinali Festo afferma: ‘in quibus perscriptum est quo ritu condantur urbes, arae, aedes sacrentur, qua sanctitate muri, quo iure portae, quomodo tribus, curiae, centuriae distribuantur, exercitus constituantur, ordinentur, cetera eiusmodi ad bellum pacem pertinentia’ (Fest. 285): ‘in cui si prescrive secondo quale rito debbano essere fondate le città, consacrati gli altari e i templi, con quale diritto sacro le porte e le mura, in quale modo le tribù, le curie e le centurie debbano essere distribuite, l’esercito costituito, ordinato e ogni altra cosa pertinente alla pace e alla guerra’. 74 Sordi 1995. 75 È stato notato ad esempio che descrizioni biografiche su Mecenate, Seiano, Otone, sebbene puntassero egualmente a sottolineare alcuni aspetti negativi quali il lusso, le relazioni amorose extraconiugali e i vizi morali, tutti unanimemente ricondotti alle origini etrusche, erano parimenti bilanciati da una caratterizzazione del tutto positiva relativamente al loro rapporto con il sacro, all’ambizione e alle carriere politiche. 76 Maggiani 1986. 70

Cfr. Briquel 1997: 16; Haack 2003: 131-132. Riguardo i legami con la Roma delle origini si vedano Ramelli 2003; Firpo 1998. Per quanto riguarda la fondazione romulea di Roma e il ricorso ai dettami dell’Etrusca disciplina cfr. Briquel 1997: 20. 63 I rapporti fra religione romana ed etrusca sono spesso stati definiti conflittuali dal momento che i romani, particolarmente attenti alla conoscenza della volontà degli dèi, cercarono dal VI a.C. di appropriarsi anche con la forza, di esperti in materia di divinazione. Haack 2003: 15; 169; 220-225. 64 Briquel 1997: 21-22. 65 Haack 2003: 45-92. Farney 2007: 32-33. 66 Cic., Har. Res., XIX: ‘ma abbiamo superato tutte le genti e le nazioni per pietà e religiosità e per quest’unica sapienza che abbiamo appreso, che tutte le cose sono rette e governate per volere degli dei’. Sul rapporto fra le considerazioni di Cicerone e la religione romana dei maiores si vedano anche Giardina 1989; Mazzarino 1966: 174; Haack 2003. 67 Tac., Ann., XI, 5. Cfr. Farney 2007: 156-158. 68 Haack 2003: 161. 69 Cfr. Ramelli 2003; infra paragrafo 4.2. 61 62

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ numerosi autori greci e latini di historiae tuscae77. Le Historiae di Cornelio Sisenna, un etrusco filo-sillano che probabilmente aveva legami di parentela con la Sisennia madre del volterrano Persio, sebbene frammentarie, sono da inserire all’interno di questa storiografia etrusca78. Il fatto che esistessero presso gli Etruschi ricordi di avvenimenti antichi e che una storiografia etrusca potesse essere alla base delle Res Tuscae di Verrio Flacco e dei Thyrrenika di Claudio sottolinea l’importanza della trasmissione delle memorie familiari e l’esistenza di un patrimonio storico collettivo.

in quanto esponente e rappresentante dell’intero popolo etrusco nelle parole dello stesso Augusto riportate da Macrobio, che lo apostrofava come ‘ebur ex Etruria, lasar Arretinum, adamas Supernas, Tiberinum margaritum, Cilniorum smaragde, iaspi Iguvinorum, berulle Porsennae, carbunculum Hadriae’86. Properzio definiva Mecenate ‘eques Etrusco de sanguine regum’, il più nobile di tutti gli Etruschi, attento più a moralità e costumi che alla nobiltà di natali87. L’ostentazione e l’importanza delle tradizioni familiari, così come le specificazioni etniche e gentilizie degli Etruschi più eminenti vengono quindi riflesse nella definizione della Regio VII bacino di reclutamento per le coorti pretorie, che proprio l’etrusco Mecenate aveva avuto il compito di organizzare88. Per quanto riguarda i legami con lo stoicismo, invece Eliano di Preneste, retore di II-III secolo d.C., riporta la notizia che Mecenate ebbe come maestro Ario di Alessandria, filosofo stoico che era stato maestro, e amico, pure di Ottaviano89. Tuttavia, è noto che Mecenate aderì all’epicureismo, i cui precetti erano insegnati da Sirone a Posillipo e da Filodemo a Ercolano90. Il motivo della superiorità morale etrusca e il legame con lo stoicismo sono particolarmente evidenti nei casi di Persio, Musonio Rufo, Trasea Peto, che ci interessano in particolar modo per i legami con il territorio di Volterra e con i Cecina91.

Oltre alla concezione della storia intimamente legata alla religione, deve essere preso in considerazione il legame con le correnti filosofiche, in particolare con lo stoicismo, filosofia delle classi aristocratiche nell’Impero Romano, base del giusnaturalismo e del diritto di natura. Lo stoicismo si rivelò particolarmente legato a influenti personaggi della nobiltà etrusca del I secolo d.C.79. Secondo Marta Sordi ‘contribuiva a spingere l’Etruria verso lo stoicismo, il culto dei valori morali che gli Etruschi rivendicarono come propri già nell’ultima repubblica e che Virgilio riconosce come caratteristici della fortis Etruria’80. Pietas familiare, verecondia, fides, virtus, sono i valori che troviamo esaltati nel volsiniese Musonio Rufo, nel volterrano Persio, nel padovano Trasea Peto, definibile come un “etrusco d’adozione” in quanto imparentato con le gentes volterrane dei Persi e dei Cecina. Era etrusca anche la nobile famiglia aretina dei Cilnii, anch’essa legata ai Cecina di Volterra e nota per aver dato i natali a Mecenate81. Quest’ultimo poteva vantare la sua discendenza ‘avus maternus atque paternus olim qui magnis legionibus imperitarint’82 e, pertanto, a buon diritto poteva essere esaltato in quanto ‘Tyrrena regum progenies’83. È interessante notare come all’intera famiglia dei Cilnii venissero collegate le medesime virtù che Virgilio attribuiva ai Troiani (cioè gli Etruschi) nell’Eneide84, mentre Mecenate85 fu descritto

Aulo Persio Flacco, nato a Volterra nel 34 d.C. era stato educato a Roma, dove conobbe lo stoico Anneo Cornuto92, era parente dei Cecina di Volterra e di Trasea Peto93. 86 Macr., Sat, II, 4, 12: ‘avorio etrusco, silfio aretino, diamante adriatico, perla tiberina, smeraldo dei Cilni, diaspro dei vasai, berillio di Porsenna Cfr. Firpo 1998: 298; Maggiani 1986: 190-191. 87 Propert., III, 9: ‘Cavaliere etrusco di sangue reale’. L’importanza che la fides e la pietas assumono in Properzio, certamente il meno allineato tra i poeti augustei, e la stretta connessione che queste virtù rivelano con il mondo Etrusco, escludono un’interpretazione puramente propagandistica della rappresentazione virgiliana. 88 L’attivismo politico e la fedeltà dei militari Etruschi erano stati del resto da tempo provati, dal momento che fu l’Etruria a fornire nel 78 a.C. ‘arma et exercitus’ (App., Bell. civ., I, 13, 107) al console Lepido per una nuova insurrezione anti-sillana e fu l’etrusco Perperna, luogotenente di Lepido, a portare in Spagna a Sertorio e agli altri mariani ciò che restava delle forze lepidiane. Ancora nel 63 a.C. Catilina farà dell’Etruria la sua base di reclutamento. L’arruolamento di Ottaviano in Etruria che probabilmente diede origine alla prima coorte pretoria, corpo organizzato e comandato da Mecenate, venne secondo l’affermazione di Tacito ‘Etruria ferme Umbriaque…aut vetere Latio et coloniis antiquitus Romanis’ (Ann., IV, 5): ‘in Etruria, in Umbria o nell’antico Lazio e nelle colonie romane di più antica data’. La menzione accanto all’Etruria e all’Umbria, del Latium Vetus et coloniae antiquitus romanae’, dove la preferenza accordata alla regione etrusca come area di reclutamento sottolineava che l’Etruria e il Lazio formavano il nucleo più antico e autentico dello stato romano. Che la guardia pretoriana fosse costituita, almeno per i primi due secoli dell’Impero, da Etruschi, Umbri e soldati provenienti dal Latium Vetus, sottolineava da un lato l’abile mossa di controllo da parte di Roma, dall’altra rappresentava un insieme di riconoscimento e privilegio a quanti erano di fatto stati sostenitori del regime. Cfr. Sordi 1972: 3-12; Sordi 2000; Keppie 1983. 89 Ael., Var. hist., XII, 25. 90 Avallone 1962. 91 Per quanto riguarda il legame con lo stoicismo di Cecina Peto, si veda infra paragrafo 4.3.2. 92 Le informazioni sulla vita di Persio sono state tramandate da un commentario del grammatico Valerio Probo, contemporaneo del poeta. 93 Persio fu in rapporti molto stretti con Trasea Peto ‘cognata eius Arriam uxorem habente’. Si tratta di Arria minore, figlia di Arria maggiore, moglie di Caecina Paetus condannato sotto Claudio, e che aveva preceduto e incoraggiato il marito nella morte con la nota frase ‘Paete non dolet’ Cfr. Plin., Ep., III,14; Carlon 2009; Fig. 4.11.

77 Fra coloro che ricordano la tradizione storico-letteraria etrusca: Varrone ricorda historiae tuscae scritte fra 207 e 88 a.C., Claudio nel discorso del 48 d.C. parla di Tusci auctores, la Suda ricorda un’historia scritta da un etrusco sulle varie epoche della creazione e sui tempi assegnati all’umanità. A storie etrusche allude Plinio relativamente alla piramide di Chiusi (Plin., N.H., XXXVI, 19, 91-93). Storie locali etrusche si devono poi riconoscere anche nel racconto che Strabone introduce a proposito dell’Arno e dell’Auser (Strab., V, 2,5) e in quelle che Servio e lo scolio veronese a Verg., Aen., X, 200 attribuivano a Cecina e a Verrio Flacco sull’origine di Perugia o Mantova o a Catone su Pisa. Cfr. Sordi 1995. 78 Candiloro 1963: 212-226. A proposito dei legami di parentela di Sisenna e dei Persi si ricordano inoltre i legami dei Persii con i Caecinae. Che i Cecina fossero clienti di Publio Servilio Isaurico, generale di Silla, e che la madre di Persio fosse una Sisennia, probabilmente legata allo storico di Silla, potrebbe essere significativo per ricostruire l’esistenza di una compagine elitaria che sosteneva Silla a Volterra. Ideologia politica e legami familiari sarebbero stati così rafforzati dalla parentela e dal legame con le storie di famiglia. Cfr. infra paragrafi 1.2.9;1.2.10; 2.1; 2.2. 79 Cfr. infra paragrafo 4.3.2. 80 Sordi 1998: 238. 81 Sulle testimonianze epigrafiche in etrusco dei Cilnii. Cfr. Maggiani 1986: 171-196. 82 Hor., Carm., III, 29, 1. 83 Hor., Sat., I, 6, 4. 84 Sordi 1995. 85 Su Mecenate cfr. Avallone 1962; Harris 1981; Torelli 1969.

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Poteri e strategie familiari di Volterra I caratteri dell’Etruscità sono ben visibili anche nell’etrusco Musonio Rufo, filosofo stoico di Volsinii, che per ben due volte venne esiliato a causa del suo credo filosofico e, per questo, sarebbe stato successivamente celebrato da cristiani e pagani104. Musonio viene esplicitamente ricordato da Tacito come etrusco105, a conferma dell’importanza dell’identità etnica come identità culturale106. Sono stati evidenziati nel pensiero di Musonio il ruolo fondamentale attribuito alla donna, tipico della mentalità e della cultura etrusca, mentre erano propri alla sua persona l’alta moralità107e la religiosità108.

Recentemente, diversi contributi hanno evidenziato la permanenza in Persio di aspetti tipici della cosiddetta etruscità94. Fra questi aspetti il nome, Aule, forma ibrida fra l’etrusco e il latino; uno stile di scrittura aspro, involuto e sintetico che richiama la lettera di Aulo Cecina a Cicerone95; l’importanza dell’elemento femminile96 nella vita del giovane, definito come di ‘verginitas verecundia97; la scelta per le sue Satire di esempi costruiti facendo uso di personaggi e usi etruschi98. Attribuì molta importanza alle genealogie familiari99 e alla religione100 e, al tempo stesso criticò profondamente gli usi dei suoi contemporanei etruschi al fine di rispondere alle polemiche anti-etrusche, ancora vive ai suoi tempi, proponendo un ritorno al modello di sobrietà delle origini, all’immagine di un’Etruria severa, austera. Quanti come Persio condividevano i prisci mores si auto-identificavano come etruschi condividendo oltre al patrimonio religioso avito, strettamente legato alla morale101, anche saperi tecnici come la produzione ceramica, avvertiti come specialistici e familiari102. Tutto ciò costituiva la giustificazione di una superiorità che poneva quindi le élite etrusche, o almeno quelle davvero legate agli antichi costumi, in diritto di proporsi come modello da seguire per le altre famiglie. Soprattutto, queste si ritenevano investite di una missione moralizzatrice all’interno dell’attività politica, che giungeva fino a responsabilizzare direttamente l’imperatore per fargli capire che il potere doveva essere fondato sulla rettitudine morale. A tale proposito, la pratica della filosofia, intesa come etica, era fondamentale per scongiurare il pericolo della tirannide103.

Molto interessante la patavinitas di Trasea Peto che, sebbene non fosse etrusco, era estremamente vicino e legato a quel mondo mediante vincoli ideologici e familiari109. Strenuo oppositore al principato di Nerone110, mantenne fede alla sua gravitas (valore tipicamente etrusco e legato alla famiglia di Trasea)111 tanto da venire accusato da Capitone di tristitia112. Mantenne saldo il suo legame con lo stoicismo scegliendo come genero Elvidio Prisco, pure coinvolto nelle condanne del 66 d.C.113, e si suicidò, nonostante l’accusa di disdegnare il culto ufficiale degli dèi e quello imperiale114, libando a Giove liberatore115, divinità molto più simile al Tinia etrusco che al dio romano. Se fondamentale fu la capacità di Trasea di riunire attorno a sé una vera e propria corrente di pensiero attiva a livello politico, quello che interessa qui sottolineare è la strumentalizzazione della filosofia quale supporto ideologico da parte degli esponenti politicizzati delle élite in senato e la persistenza, al contempo, di una forte identità etnica etrusca, anch’essa strumentalizzata ai fini di un mantenimento di un prestigio essenziale nei termini di negoziato del potere.

Cfr. Sordi 1998: 339; Ramelli 2001; Ramelli 2003. Ramelli 2001: 41. 96 Il riferimento è alla madre, alle sorelle e alla zia paterna. 97 Vita Persii, VI-VIII. 98 Fra i costumi etruschi, ad esempio, l’uso di mettere il pepe nel prosciutto (Sat., III, 73-76) o quello di depilarsi (Sat., IV, 33), la ritualità legata alla nascita (Sat., II, 31), la ricerca quasi ossessiva delle antiche origini familiari (Sat., III, 37-38). Cfr. infra paragrafo 2.3.1. 99 Pers., Sat., III. 100 Pers., Sat., II, 71-75. 101 Per quanto riguarda la religione, Persio deride quanti si affidano alla religione intesa come superstizione. Ciò che Giove desidera infatti è l’impegno morale nel perseguimento della virtù. A tale argomento si lega poi la considerazione della nobiltà morale come nobiltà di stirpe (Cfr. Sat., II, 71-75; Sat., III). 102 Nella Satira II, Persio afferma ‘Aurum vasa Numae Saturniaque inplulit aera/Vestalisque urnas et Tuscum fictile mutat’ Pers. Sat., II, 59-69: ‘L’oro ha scacciato i vasi di Numa e i bronzi dell’età di Saturno e prende il posto delle urne delle vestali e dei cocci etruschi’. È stato notato che il riferimento ai vasi etruschi di terracotta dovrebbe indicare i prodotti del famoso artigianato etrusco. Un altro esempio che induce a credere che lo stesso Persio fosse familiare agli oggetti in terracotta e alla loro produzione, è relativo alla Satira III dove il poeta paragona un giovane da istruire nel modellare la ceramica dimostrando di conoscere i suoni diversi della terracotta quando i diversi pezzi vengono percossi (Sat., III, 21); Ramelli 2001; Ramelli 2003: 68 nota 113. 103 In questo senso la satira IV di Persio è stata definita dalla Ramelli come ‘manifesto programmatico della fondazione etica dell’attività politica di Persio’. Concepita come un sermone morale, il principio fondamentale è che per dedicarsi alla vita pubblica è necessaria una perfetta conoscenza della virtù. Sebbene Persio non venne direttamente coinvolto nella repressione degli oppositori al principato e morì di morte naturale, è noto dalla sua vita che il maestro Cornuto si adoperò, alla morte del discepolo, a modificare dei versi in cui Persio non solo celebrava Arria e il suo tragico suicidio, ma alludeva anche a Nerone esprimendosi dicendo ‘auricolas asini Mida rex habet’. Cfr. Vita Persii, VIII-X; Ramelli 2003: 71-73. 94 95

La persistenza di un tale senso identitario non venne meno, come invece sembrerebbe logico pensare, con la progressiva ascesa delle élite di provincia ai vertici Ramelli 2003: 74. L’ammirazione dei cristiani nei confronti di Musonio si spiega nella sua alta moralità nella lotta contro la tirannia. Giustino Martire proclama Musonio martire inconsapevole del logos seminale, Origene lo ricorda insieme a Socrate, Clemente Alessandrino attinge a piene mani idee ed espressioni di Musonio. Furono i punti comuni fra lo stoicismo e la dottrina morale del cristianesimo a favorire quell’incontro fra romani e cristiani che sfociò sotto Nerone e Domiziano nella persecuzione, pressoché contemporanea, di Stoici e Cristiani. Cfr. Sordi 1998. 105 Tac., Ann., XIV, 59. 106 Sordi 1998: 340. 107 A Musonio, Trasea e al seguito degli stoici loro legati veniva addirittura rinfacciato l’eccessivo rigore morale e la gravitas per controbilanciare i rimproveri rivolti dagli stoici a Nerone. Cfr. Tac., Ann., XVI, 22, 3. 108 Per Musonio etica e religione sono intimamente legati dal momento che la morale è obbedienza alla legge divina di Giove, dio onnisciente e benefico molto simile al Tinia etrusco. Cfr. Sordi 1998: 341. 109 Trasea aveva infatti sposato Arria, figlia di Cecina Peto console del 37 d.C. Dal suocero riprese infatti il cognomen. Cfr. infra paragrafo 4.3.2; Fig. 4.11. 110 Tac., Ann., XVI, 22, 1-3. 111 Infra paragrafo 4.3.1. 112 Essere definito tristis divenne a quanto pare un luogo comune della tradizione relativa agli stoici dell’opposizione a Nerone. Cfr. Ramelli 2003; Sordi 1998. 113 La dinastia degli oppositori ebbe ancora seguito fino al tempo di Domiziano. Per ulteriori approfondimenti in merito infra paragrafo 4.3.2. 114 Tac., Ann., XVI, 22, 1-3. 115 Tac., Ann., XVI, 35, 1. 104

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ dell’Impero. Anzi chi poteva vantare lontane origini etrusche non mancava di farlo notare, chi invece ne era privo cercava di appropriarsi di un antico retaggio identitario etnico e culturale.

etrusca, Herennia Cupressenia Etruscilla, e che chiamò i figli Herennius Etruscus e Hostilianus Perpenna125. Che l’importanza di essere etruschi non fosse venuta meno nel provincializzato Impero Romano è testimoniato dall’ascesa al trono di imperatori etruschi quali Pupieno126 e Vibio Gallo127 i cui casi si rivelano interessanti per i legami delle famiglie con il Volterrano. Per quanto riguarda Pupieno è interessante notare come, secondo Erodiano, egli ottenne grandi onori per i numerosi comandi militari rivestiti, e la sua prefettura urbana fu particolarmente ben accetta al popolo per la sua condotta sagace, ferma, onesta128. Cercando di rintracciare l’origo di Pupieno, Syme collega diversi elementi ossia: M. Clodius Pupienus Maximus ebbe un figlio Ti. Clodius M.f. Pupienus Pulcher Maximus, patrono di Tibur, che aveva cominciato la sua carriera come triumviro monetale ed essendo passato direttamente dalla questura alla pretura doveva essere un patrizio; la figlia, Pupienia Sextia Paulina Cethegilla, nella nomenclatura rivela i legami matrimoniali del padre con i più alti ranghi dell’aristocrazia romana quali le famiglie dei Sextii e dei Cornelii Cethegi; legato alla famiglia era anche L. Clodius Tineius Pupienus Bassus, il cui nome rivela che un Clodius Pupienus sposò una Tineia, famiglia che ebbe il suo primo console nel 128 d.C. e l’ultimo nel 219 d.C. con Q. Tineius Sacerdos129. La città d’origine della famiglia di Pupieno è stata pertanto individuata a Volterra130, mentre il gentilizio Tineius, chiaramente originato da Tinia, supremo dio del pantheon etrusco, indicherebbe il particolare legame con la cultura religiosa antica131.

Altri esempi di uomini legati all’Etruria sono: l’etruscologo Claudio; l’imperatore Galba per cui Silio Italico ricorda un antenato al comando di una legione composta esclusivamente da etruschi116; l’aruspice Umbricius Melior che avvertì l’imperatore Otone di una congiura contro di lui e probabilmente fu autore di un’opera sull’Etrusca disciplina117, lo stesso Otone discendente di una famiglia ‘vetere et honorata atque ex principibus Etruriae’118, probabilmente di Ferentum, che ebbe stretti rapporti con l’aruspicina119; Giunio Bleso, imparentato con élite etrusche e caduto vittima di Vitellio proprio a causa di questi legami; Vespasiano stesso venne educato in Etruria vicino Cosa, sotto la guida della nonna paterna120; diversi furono i senatori etruschi nel II secolo d.C.; era etrusco addirittura l’imperatore Lucio Vero, appartenente alla nobile famiglia dei Ceionii. Quello che pare opportuno qui segnalare è, poi, l’alta considerazione che sembra essere mantenuta nei confronti della cultura etrusca da parte degli imperatori Traiano121, Adriano122, Antonino Pio e Marco Aurelio123 e specie dalla dinastia dei Severi124, in un certo senso nel tentativo di appropriarsi di un retaggio culturale che potesse giustificare la loro provenienza esterna all’Italia, e ancora mediante vincoli di amicizia e parentela come dimostra il caso dell’imperatore Decio (249-251 d.C.), originario della Pannonia, che sposò una donna Sil., VIII, 468-473. Tac., Hist., I, 27; Suet., Galb., 19; Oth., 6; Plut. Galba., 24-25; Plin., N.H., X; XI. Cfr. Ramelli 2003: 75. 118 Suet., Oth., 1: ‘una famiglia antica e illustre di Ferento’. 119 Cfr. Ramelli 2003; Syme 1983: 189. 120 Suet., Vesp., 2. 121 Nonostante fosse di origini iberiche, l’imperatore tenne quasi a dissimulare un’origine italica, inoltre la sua attenzione nei confronti dell’Etrusca disciplina è testimoniata dal fatto che egli decise di farsi rappresentare in un rilievo marmoreo con una scena di extispici probabilmente prima di intraprendere una campagna militare a segnalare lo stretto rapporto di collaborazione e considerazione nei confronti dell’antica religione italica. È stato poi notato che l’ampliamento del pomerio di Roma sotto Traiano richiese certamente l’ausilio di aruspici. Cfr. Ramelli 2003: 88-89. 122 Adriano, ispanico e filelleno, secondo la Historia Augusta rivestì per primo la carica di Praetor Etruriae (Hist. Aug., Adrianus, 19, 1), una carica che ormai rivestiva un valore puramente tradizionale e religioso, mentre in senato sedevano diversi senatori etruschi. Il particolare riguardo per le aristocrazie etrusche sarebbe poi stato alla base dell’adozione di Lucio Aelius Caesar che apparteneva alla famiglia dei Ceionii il cui figlio, Lucio Vero divenne imperatore con probabili origini etrusche. Cfr. Ramelli 2003: 90-92; Liou 1969. 123 Antonino Pio era gallo per parte di madre mentre Marco Aurelio era ispanico. Nessuno dei due si dimostrò ostile all’aruspicina, anzi il riguardo nei confronti dell’aristocrazia etrusca sembra essere stato mantenuto. Soprattutto Marco Aurelio era noto per la sua avversione contro le superstizioni, maghi e indovini, tuttavia gli aruspici rientravano nell’ufficialità essendo interpreti dei segni divini. L’Historia Augusta (Hist. Aug., Marcus Aurelius, 1, 6) ricorda inoltre il particolare interesse dell’imperatore nella ricerca erudita delle origini che lo avrebbe di fatto avvicinato alla cultura etrusca. Cfr. Ramelli 2003: 93-94. 124 L’ascesa al trono dell’africano Settimio Severo poneva fine alla successione dinastica per adozione e tornò quindi ad essere importante conoscere, rendere nota la volontà degli dèi attraverso omina e prodigia giustificando così il potere. In questo senso, l’aruspicina, al pari di altre pratiche divinatorie come l’astrologia ebbero un grande successo e il legame con la casa imperiale ulteriormente rafforzato. 116

Successe a Decio (251 d.C.), C. Vibius Trebonianus Gallus, originario di Perugia, la cui famiglia aveva beneficiato della fioritura della cultura etrusca durante il regno dei Severi. Anche per la famiglia dei Vibi Galli, il cui nome compare a Volterra nelle lastre della proedria del teatro accanto ai gentilizi dei Cecina e dei Persi, è stato rilevato un atteggiamento tradizionalista a livello religioso132. Ciò era conforme alla cultura etrusca che, per alcuni membri della famiglia, si esplicò nel richiamo al pantheon etrusco nel mantenere nomi quali Veldumnius, chiaramente derivato dalla dea Voltumna133.

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Fra gli altri etruschi di clara fama, si annovera il successore di Gallieno, Publio Licinio Valeriano originario Cfr. Sordi 1998; Syme 1983: 195. Pupieno venne scelto dal Senato insieme a Balbino, poi associando anche Gordiano III per regnare nel 238. Secondo Erodiano (herod., VIII, 6, 6; 7, 8.) Pupieno era stato governatore in Germania superiore e inferiore, rivestì il proconsolato d’Africa, come dimostrato da un’iscrizione di Efeso (ILS 8839); fu inoltre console per due volte e praefectus urbi. Cfr. Syme 1983: 171. 127 Syme 1983: 195-197. 128 Herod., VII, 10, 4. 129 Syme 1971: 173-174. 130 Cfr. l’epigrafe di Sextia Pupiena Cethegilla rinvenuta a Vada (CIL XI, 1740). 131 Cfr. Syme 1971: 174; Syme 1983: 193; Ramelli 2003: 108-109; Montero 1991: 52. 132 A tale proposito l’imperatore Vibio Gallo avrebbe esiliato il vescovo di Roma, Cornelio. Cfr. Ramelli 2003: 110. 133 Syme 1983: 195-196. 125 126

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Poteri e strategie familiari di Volterra magic and theosophy’139. La cultura etrusca visse così un periodo di rinascita dalla metà del III secolo d.C., confluendo in quella che Briquel ha definito la ‘reazione pagana’ al cristianesimo140, anche tramite l’opera di Cornelio Labeone, imbevuto del neoplatonismo di Porfirio e Plotino. Egli scrisse quindici libri dedicati all’Etrusca disciplina141 nell’intento di illustrare e difendere la cultura etrusca nel rivalutare il paganesimo contro la cultura cristiana. Addirittura, gli aruspici ebbero spesso un ruolo fondamentale nel condannare i cristiani142. L’opposizione fra cristiani e pagani raggiunse l’acme con l’ultima grande persecuzione anticristiana nel 303 d.C., quella di Diocleziano, che peraltro era esperto di aruspicina e la cui vicinanza al mondo religioso etrusco è stata da tempo sottolineata143. Ancora più interessante da notare è il forte legame che la religione pagana aveva con l’Etruria nell’immaginario collettivo, ritenuta, come ben sintetizzato dal cristiano Arnobio ‘genetrix et mater superstitionis, Etruria’144.

di Falerii (253-260 d.C.). Anch’egli fu per certi versi un “tradizionalista” a livello religioso dal momento che continuò la politica di persecuzione contro i cristiani134. Dopo la fioritura dell’Etrusca disciplina dell’età Severiana, l’ingresso di nuove famiglie etrusche in senato inaugurava una nuova stagione di stretta collaborazione tra gli esponenti della divinazione etrusca e l’ordo senatorio. Sebbene apparentemente non pertinenti alla considerazione del caso di Volterra, i casi fin qui presentati, risultano di fondamentale importanza per comprendere il reale potere della compagine etrusca. In questo contesto è utile notare che i responsi si mostrarono sempre favorevoli agli imperatori etruschi o semplicemente filo-senatori, o legati alle tradizioni culturali etrusche (Pupieno, Decio, Treboniano Gallo, Valeriano, Aureliano)135; i vaticini furono invece ostili o neutrali agli imperatori (Massimino Trace, Filippo L’Arabo, Gallieno) che contrastarono il senato. A tale proposito, risulta molto interessante ricordare il caso di P. Licinius Egnatius Gallienus, imperatore dal 253 al 268 d.C., la cui condotta anti-senatoriale giustificò l’impronta negativa della descrizione della storiografia pagana nei suoi confronti, così come gli infausti presagi degli aruspici136. La cattiva condotta di Gallieno si esplicò nell’esclusione dei senatori dalle cariche militari e nella privazione del privilegio esclusivo del consolato, come dimostra l’elezione a tale carica, nel 261 d.C., del cavaliere volterrano L. Petronio Tauro Volusiano137. L’ostilità nei confronti di Gallieno è stata inoltre messa in relazione da Marta Sordi e Ilaria Ramelli al riconoscimento concesso dall’imperatore nei confronti dei cristiani138.

La persecuzione e gli editti di Diocleziano ebbero in occidente un’applicazione “limitata” in quanto, già i suoi successori Costanzo Cloro e Massenzio, concessero la libertà di culto nel 306 d.C. e nel 311 d.C. restituirono anche i beni ecclesiastici confiscati. A Milano, nel 313 d.C., Costantino figlio di Costanzo Cloro, promulgò l’editto di tolleranza. A partire dal 319, le misure restrittive prese da Costantino nei confronti dell’Etrusca disciplina, applicando alla tradizione religiosa pagana i termini che prima erano stati impiegati per il cristianesimo145, segnarono una rottura con il passato146. Allo stesso tempo, è probabile che la presenza in senato di elementi etruschi o comunque legati all’Etrusca disciplina, abbia comportato una certa rivalutazione dell’aruspicina pubblica, almeno in alcuni casi, come in occasione dei cosiddetti fulmina regalia147.

L’importanza “politica” dell’aruspicina metteva in diretto contrasto le antiche tradizioni con il “nuovo” culto, il cristianesimo, che acquistava ogni giorno sempre più seguaci. Come ha affermato Ronald Syme: ‘[t]o defend the old faith the high aristocracy, not content with Roman tradition and the Latin classics, fell back in retreat of haruspicina, on portents and prophecy, on the folly of

Significativamente, la fondazione di Costantinopoli nel 324 d.C. fu svolta Etruscu ritu148 e alla cerimonia era presente, come testimoniato da Giovanni Lido149, il senatore etrusco Vettio Agorio Pretestato esperto di aruspicina150. Syme 1983: 208. Briquel 1998: 349-350. 141 Ramelli 2003: 118-119. 142 A tale proposito sono numerosi i racconti riportati da autori come Lattanzio ed Eusebio relativi all’impossibilità di leggere i segni nelle viscere animali imputabile alla presenza di cristiani o a una mancata riuscita del rito a causa di imprecisioni dovute all’azione dei cristiani. 143 In tal senso Ilaria Ramelli considera l’iscrizione CIL VI 804, rinvenuta alla base di una statua di Vertumno nel vicus Tuscus. Ramelli 2003: 126 nota 17. 144 Arn., Adv. Nat., VII, 26,4. 145 Cod. Theod., IX, 16, 1. 146 Ramelli 2003: 141-143. 147 Cfr. Codex Theod., XVI, 10, 1; Ramelli 2003: 143; Montero 1991: 73-75; Briquel 1997: 163-164. 148 Cfr. Ramelli 2003: 144. 149 Lyd., Mens., 4,2. 150 Si ricorda che Vettio Agorio Pretestato era legato alle famiglie e al territorio di Volterra. Nato intorno al 310 e morto alla fine del 384, console designato per l’anno seguente, fu celebre fautore del paganesimo, insignito di numerose cariche religiose. La sua carriera politica iniziata sotto Costantino e proseguita brillantemente fino all’avvento di Giuliano, raggiunse il culmine nel 367-8 quando fu prefetto di Roma e si comportò con grande fermezza e oculata diligenza in situazioni non facili. Intervenne con azione imparziale nella contesa fra Damaso e Ursino per

Cfr. Ramelli 2003: 111; Syme 1983: 197. Sebbene Aureliano, imperatore dal 270 al 275 non fosse etrusco, è da notare il suo legame con il mondo pagano e l’aruspicina. È noto dall’Historia Augusta, infatti, che egli avrebbe favorito e caldeggiato la consultazione dei libri sibillini in un momento di particolare pressione di fronte alle invasioni dei Marcomanni (Hist. Aug., Aurelianus 18-19). Se per quanto riguarda poi l’atteggiamento nei confronti dei cristiani, Aureliano si adeguò alla legislazione di Gallieno, è anche vero che ricordò ai senatori che non essendo il Senato una chiesa, non doveva essere rifiutata la consultazione degli dèi tradizionali. Al tempo stesso, la precisazione dell’imperatore implica che già allora sedessero in senato dei senatori cristiani. Per quanto riguarda i legami di Aureliano e l’Etruria, infra paragrafi 1.3; 3.3.3. 136 A tale proposito viene spesso ricordato il caso degli aruspici che considerarono la catastrofica inondazione del Tevere in relazione all’elezione dell’etrusco Gallieno secondo quanto riportato da Aurelio Vittore (Caes., 32, 2-4). Cfr. Syme 1983: 197; Ramelli 2003: 111. 137 Dopo la carriera militare, Petronio Volusiano divenne praefectus vigilum, poi prefetto del pretorio, poi elevato al rango senatorio e nominato console, insieme a Gallieno, per l’anno 261. Nel 266 infine, rivestì la carica di praefectus urbi. Cfr. Ramelli 2003: 111; Syme 1983: 199. 138 Inoltre, pare che la moglie di Gallieno, Salonina, fosse simpatizzante del cristianesimo se non cristiana ella stessa. In merito, cfr. Ramelli 2003: 112; Sordi 1983: 128-129.

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ Nonostante ciò, la politica di Costantino fu ambivalente perché cercava di minare nel profondo l’unità tradizionale dei dodici (poi quindici) populi etruschi, come dimostrò nel concedere al sacerdote di Hispellum il permesso per l’organizzazione in loco dei tradizionali ludi, insieme alla dispensa di recarsi annualmente a Volsinii, come attestato dal cosiddetto rescritto di Hispellum (CIL XI, 5265).

and divergent interests. To some extent these divergent positions may be based on relations of domination embedded in the shared disposition of the habitus and as a result leaders’ whose personal identity myths resonate with evolving configurations of habitus, practice, experience, will gain support despite the fact that their interests do not correspond with those of the entire group’155. Si ritiene, tuttavia, che il caso di Volterra, grazie alle sue élite, possa fornire qualche spunto interpretativo sulla definizione identitaria della comunità romana.

Certamente alcuni fra i senatori etruschi guardavano con diffidenza a Costantino e alle sue politiche, ma ancora più dura fu l’opposizione alla tradizione da parte dei successivi imperatori. Costanzo II, in particolare, non faceva distinzione fra aruspicina e pratiche magiche. D’altro canto, l’Etrusca disciplina, ancora nel 408-409 d.C., pretendeva di avere un carattere pubblico e ufficiale, come dimostrato dal caso degli aruspici etruschi giunti al cospetto di Pompeiano e Papa Innocenzo per tentare di salvare la città in occasione dell’assedio a Roma di Alarico151.

Come già detto e in parte esaminato nei capitoli precedenti, la famiglia dei Cecina è un esempio calzante per analizzare le complesse strategie messe in atto sui piani politico, economico, culturale dalle élites locali a contatto con quelle di Roma e dell’Impero. La definizione ciceroniana di ‘amplissimo totius Etruriae nomine, in utraque fortuna cognitum multis signis et virtutis et humanitatis’156, evidenziava come la notorietà della famiglia Cecina si estendesse a livello regionale, ma come già osservato in precedenza157, le definizioni dell’Arpinate in alcuni passi delle lettere e delle orazioni riguardanti i Cecina e i Volterrani, implicano anche che le virtù della gens, tramandate di generazione in generazione, ed ereditate da tutti i componenti della famiglia, fossero di fatto patrimonio collettivo dell’intera comunità di Volterra, nonché motivo della giustificazione del favore degli dèi e dell’opinione pubblica di Roma nei loro confronti158. Che i termini impiegati per la definizione dei Cecina e dei Volterrani fossero i medesimi che ricorrevano per le definizioni dei personaggi di origine etrusca, così come l’onnipresenza dei temi di gravitas, firmitas, religio, implicava del resto l’esistenza di una identità etnica collettiva che, superando i confini delle singole comunità, ormai parte integrante dell’Impero, veniva tuttavia riconosciuta all’esterno.

In un contesto nuovo, all’interno del quale il richiamo alla religiosità antica non garantiva affatto una superiorità di tradizioni, era necessario ricercare nuovi modi di dialogo e alleanza con il nuovo gruppo dell’élite cristiana, in crescente ascesa. Certo, i matrimoni misti fra cristiani e pagani potevano costituire una soluzione, almeno fino a quando il paganesimo venne tollerato. In un secondo momento, la conversione fu l’unica strada possibile, insieme alla ridefinizione identitaria. Del resto, il termine fondamentale, oggetto primario che finalizzava il negoziato e l’adozione di strategie familiari più o meno complesse, rimaneva, ancora nel IV secolo d.C., il mantenimento e la gestione del potere, come dimostrato dalla risposta dell’etrusco ed esperto di aruspicina, Vettio Agorio Pretestato, a Papa Damaso: ‘facite me Romanae urbis episcopum, et ero protinus Christianus’152.

Anche a Volterra, come già evidenziato da Nicola Terrenato, la strategia del compromesso e del negoziato era fondamentale nel dialogo fra le élite locali e le classi subalterne per cui da un lato, si verificò una pronta adozione di alcuni caratteri ed aspetti della cultura latina da parte dei potentes in vista di una rapida integrazione con le nuove classi dirigenti; dall’altro il mantenimento elitario di determinati caratteri propriamente etruschi faceva sì che venisse lasciato un margine di autonomia per il dialogo con le classi subalterne159. A tale proposito, non sembrano sufficientemente evidenziati i termini della costruzione identitaria per il caso volterrano che, considerando l’importanza secolare dei Cecina, si prospetta come di rilevanza fondamentale per la comprensione delle dinamiche di interazione elitaria nel più vasto ambito dell’Impero. Al fine di enucleare gli aspetti costitutivi dell’identità elitaria dei Volterrani, e per sottolineare l’importanza dell’autocoscienza etnica comunitaria, si procederà all’analisi di alcuni aspetti artistici figurativi e

4.2. Romani a Roma, Etruschi a Volterra. Élite locali fra acculturazione e difesa delle tradizioni Tentare un’analisi dell’identità percepita all’interno di una comunità antica è tutt’altro che semplice. Si tratta di un fenomeno complesso, mutevole e, come affermato da Bourdin, una comunità poteva possedere anche più identità153. Secondo quanto affermato da Barth, ‘changes in individual ethnic identity leading to a flow of personnel across ethnic boundaries, are related to the economic and political circumstances of the individuals concerned’154. Inoltre, Bentley ha scritto ‘in many instances it is clear that members of an ethnic group possess different experiences l’episcopato di Roma. Restò lontano dall’attività politica nei successivi 15 anni fino alla morte di Graziano nel 383. Si occupò della restaurazione del culto pagano e coltivò studi teologici e filosofici traducendo anche Aristotele. Nei Saturnali di Macrobio venne presentato come massimo esperto di teologia e norme del culto pagano. Cfr. Kahlos 2002; infra paragrafi 1.3;4.3 e Figg. 4.9; 4.11. 151 Cfr. Ramelli 2003: 149-150. 152 Hier., Joan., I, 8: ‘Fatemi vescovo di Roma, e io diventerò subito cristiano’. 153 Bourdin 2012: 612. 154 Barth 1969.

Bentley 1987: 47. Cic., Caecin., 102. 157 Cfr. infra paragrafo 1.2.9. 158 Cfr. Cic., Fam., VI, 6,13; XIII, 1; 3; XIII, 2; infra paragrafo 1.2.9. 159 Cfr. Terrenato 1998; Terrenato 2008. 155 156

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Poteri e strategie familiari di Volterra Nel IV secolo a.C. si era infatti affermata la tradizione secondo cui Enea sarebbe giunto a Lavinio e da qui poi il primo uso politico, da parte di Roma, del mito troiano. Storicamente ciò avvenne nel trentennio post-gallico168. L’adesione di Roma al mito troiano e la decisione di sfruttarlo in chiave politica maturarono proprio dal contatto con gli Etruschi169. Nelle età di Cesare e Augusto, l’uso del mito troiano servì a giustificare i pretesi diritti della gens Iulia, diretta discendente di Enea attraverso Iulo. La versione presentata da Virgilio venne a inserirsi nella tradizione mitologica sulla nascita di Roma, nel dibattito relativo alle origini del popolo Etrusco all’interno della propaganda imperiale e dinastica di Augusto, nel più generale intento di normalizzazione di temi a livello ufficiale. Virgilio presenta nell’Eneide Tarconte, mitico progenitore degli Etruschi, come alleato di Enea e sdoppia allo stesso tempo Etruschi e Troiani come due aspetti di un solo popolo, conciliando nel mito di Dardano, originario di Cortona, e progenitore dei Troiani, la tradizione della provenienza asiatica degli Etruschi e della loro autoctonia. Il mito di Troia renascens si esplica nella profezia finale dell’Eneide: Giove consola i Troiani destinati a perire170. Se Troia, che simboleggia gli Etruschi, avesse accettato di morire cum nomine171, Giove avrebbe garantito imperium sine fine172. L’integrazione e la missione d’Impero affidata a Roma, trasposizione della città di Troia, sarebbe stata quindi frutto dell’elezione divina e insieme premio di un popolo superiore a tutti per la pietas. Se non si possono eludere i legami fra miti tebani e troiani173, risulta fondamentale comprendere l’importanza del mito troiano nella costruzione dell’identità etrusca nel I secolo a.C. Se Dardano è progenitore dei Troiani, a loro volta gli Etruschi lo sono dei Romani ed è l’eredità dei primi a fare dei secondi il popolo superiore a tutti174. Nel Volterrano, dalla tomba dei Calisna Sepu di Monteriggioni proviene un candelabro fittile con rappresentazione di Eracle e Scilla in combattimento, episodio conosciuto dai versi di Licofrone in cui si è visto un riferimento a sentimenti filoromani simboleggiati dal patto fra Enea e Ulisse alla presenza di Tarconte e Tirreno figli di Telefo e colonizzatori d’Etruria175. Questo patto di alleanza è un po’ quello che Virgilio, riecheggiando e correggendo Cicerone, fa promettere da Giove a Giunone. Il popolo che nascerà dalla mescolanza dei Troiani (etruschi) con il sangue ausonio ‘supra homines, supra ire deos pietate videbis’176. La correzione di Virgilio consiste appunto nel sottolineare la componente etrusca (troiana) depositaria e partecipe della promessa, destinata a sopravvivere in Roma, proprio nel momento in cui il nomen etrusco, secondo le sue stesse profezie, stava per scomparire come entità autonoma177. Quest’idea di superiorità, strettamente legata alla religione

della cultura materiale del Volterrano prestando particolare attenzione alla tradizione mitica. 4.2.1. Selezione di temi e costruzione di un’identità etnica elitaria a Volterra Il contatto con il mondo ellenistico aveva portato a una commistione fra il patrimonio mitologico greco e quello etrusco già nel IV secolo a.C. e, seppure le peculiarità di temi e stilemi rimanessero visibili in ambito artistico e produttivo, è stato notato come siano stati selezionati alcuni miti che divennero fondamentali nel patrimonio culturale etrusco. Il mito troiano fu ‘strumentalizzato’ dai Romani quale mito di syngheneia, ma soprattutto come giustificazione di un impero universale fondato su un diritto di discendenza da un capostipite mitico, Enea, nonché in quanto realizzava a pieno la promessa di aeternitas con Roma quale Troia renascens160. Questo processo di strumentalizzazione aveva alle spalle l’acquisizione del mito troiano da parte degli Etruschi e un’identificazione di questi ultimi con i Troiani. In particolare, gli Etruschi si posero come diretti discendenti di Dardano, originario di Cortona e, agli inizi del I secolo a.C. in ben tre iscrizioni in etrusco rinvenute in Tunisia, nella valle dello Oued Miliane, compare l’auto-identificazione con i Dardani-Troiani, a rivelare l’importanza in Etruria del mito troiano161, nonché del dibattito circa la loro autoctonia o la loro provenienza dall’Asia minore162. Per quanto riguarda la figura di Enea, l’apprezzamento che gli Etruschi dimostravano per il mito è stato sostenuto a partire dalla grande importazione in Etruria di vasi attici con tale soggetto163, e fu durante la dominazione etrusca nel VI secolo a.C. che i Romani conobbero, probabilmente da Veio, il mito di Enea recependolo quindi dalla tradizione etrusca. Nella seconda metà del V secolo a.C. il collegamento di Enea con Roma era così noto che Ellanico riteneva addirittura Enea fondatore di Roma164. Dionigi d’Alicarnasso nelle Antichità romane165 nel tentativo di smentire l’informazione, rivela un’importante testimonianza secondo la quale molti storici greci consideravano Roma come una ‘Thyrrena polis’, ossia una città etrusca166. Sallustio nel De Catilinae coniuratione indicava come momento fondamentale della nascita di Roma la fusione tra Troiani e Aborigeni che erano ‘genus hominum agreste, sine legibus, sine imperio, liberum atque solutum. Hi postquam in una moenia convenere, dispari genere, dissimili lingua, alii alio more viventes, incredibile memoratu est, quam facile coaluerint: ita brevi multitudo dispersa atque vaga concordia civitas facta erat’167. Sordi 1989: 17. Sordi 1991: 363-366. 162 Per il dibattito e gli autori antichi che presero posizioni a riguardo si vedano da ultimi: Firpo 1998; Ramelli 2003. 163 Sordi 1989: 20. 164 Sordi 1989: 21. 165 Dion., I, 29, 2. 166 Sordi 1989: 31. 167 Sall., Cat., VI: ‘popolo agreste, senza leggi nè magistrati, libero e indipendente. Questi, dopo che si raccolsero fra le stesse mura, diversi di razza, di lingua, di costumi, appare incredibile ricordare con quanta rapidità si fondessero: così, in breve tempo, la concordia di una turba dispersa e nomade fece una città’; Sordi 1989: 21. 160 161

Sordi 1989: 47. Sordi 1989: 63. 170 Sordi 1989: 27-28. 171 Verg., Aen., XII, 828. 172 Verg., Aen., I, 278-9. 173 Cingano 2004. 174 Cfr. Cic., Har. Res., IX, 19. 175 De Tommaso 2007: 184. 176 Verg., Aen., XII, 839. 177 Sordi 1989: 78. 168 169

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ è, quindi, propria del mondo etrusco-troiano, ed è questo di cui i Romani si appropriano propugnando l’integrazione fra i popoli, ma che di fatto, riconoscono come ‘eredità’.

episodio della storia locale trasponendo il mito, ma anche per sottolineare gli aspetti del fratricidio e dell’inganno (temi portanti dell’epopea tebana e troiana), adattandolo con dettagli peculiari. Davanti le mura della città, simbolo dell’identità della comunità184, si consuma il tradimento di quanti avevano sostenuto Silla nella locale fazione contro i concittadini assediati di parte mariana (Fig. 4.2). A conferma del fatto che si fosse trattato della rottura dell’ordine interno, in una delle urne è significativamente rappresentato un albero di fico divelto davanti alle porte di Troia (Fig. 4.3). Che un caprifico si trovasse presso le mura di Troia è confermato dall’Iliade185, ma nessun riferimento al fatto che esso era stato divelto o spezzato. Soltanto facendo riferimento ai poteri oracolari attribuiti a omina e prodigi connessi a questa pianta, come riportato da Plinio, Tacito, Macrobio e, soprattutto, al significato attribuito al deperimento del fico per la religione etrusca, cioè presagio della peggiore sciagura pubblica abbattutasi sulla comunità186, si può comprendere il senso della raffigurazione sull’urna oggi conservata a Firenze187. Il monito di queste urne volterrane era chiaro: l’alleanza dei nobiles non doveva mai essere spezzata188, pena la distruzione dell’identità etrusca in quanto comunità.

Tornando al territorio di Volterra, rientrerebbe in questa complessa dialettica di miti e tradizioni una lastra fittile con la rappresentazione di Enea conservata nei magazzini del Museo Guarnacci considerata come pertinente, sia a livello cronologico sia in merito al tema, al dibattito attivo in età Augustea relativo alla fondazione di Roma178. Secondo Marisa Bonamici, la lastra fittile volterrana faceva parte dell’apparato decorativo che raccontava la vicenda di Roma come novella Troia all’interno di una domus privata di una famiglia etrusca di Volterra, forse da identificare nell’area delle domus dell’Ortino prossime al teatro urbano179. La peculiare scelta del tema, da una parte si richiama ancora una volta al patrimonio figurativo di matrice greca impiegato per la realizzazione delle urne funerarie, e dall’altra sarebbe esplicito richiamo all’antico sentimento della fratellanza in nome della comune origine troiana e ancor di più, forse, ‘rivendicazione di parte etrusca e volterrana di una più antica ascendenza troiana’180. Fra i miti greci, gli Etruschi, in genere, i Volterrani in particolare, sembravano essere fortemente legati alle vicende della saga Tebana dei Sette a Tebe, spesso rappresentata nelle urne funerarie181. Soprattutto, risultano significativi i rilievi raffiguranti la scena dell’assalto alle porte di Tebe e di Troia su un gruppo di urne del primo quarto del I secolo a.C.182, definibili come un unicum volterrano fra il repertorio figurativo comune a Volterra, Chiusi e Perugia. La raffigurazione nelle urne della porta delle città mitiche con tre protomi simili a quelle che si possono ancora oggi vedere nella Porta all’Arco a Volterra (Fig. 4.1) ha permesso di interpretare le scene come appropriazione del mito per la rappresentazione di un evento storico realmente accaduto: l’assedio di Silla a Volterra183. Sembrerebbe comunque possibile interpretare la scena con un duplice senso: non solo a richiamare un

In realtà, la strategia del successo per una famiglia d’élite prevedeva adattamenti e spesso poggiava proprio su una consapevole e divergente presa di posizione da parte di rami differenti delle gentes più numerose, ma quello che risulta qui fondamentale sottolineare è che il mito tebano fosse servito quale strumento di identificazione e veicolo di messaggi e valori sentiti come propri dall’élite di Volterra. Che il mito fosse impiegato per veicolare determinati messaggi e valori particolarmente significativi per i Volterrani potrebbe essere provato dal fatto che Cicerone, in una sua lettera del 46 a.C. all’amico Aulo Cecina, facesse riferimento alle guerre civili fra i seguaci di Cesare e Pompeo paragonandosi ad un personaggio della saga tebana, al vate Anfiarao189. Allo stesso tempo, tuttavia, non si può negare che accanto alla lettura filo-etrusca era ben attiva in età Augustea una polemica di matrice italica relativa agli stereotipi e alle accuse contro gli Etruschi. Si rimproverava loro di non aver preso parte alla guerra sociale e quindi di aver fiaccato le speranze degli indipendentisti, causandone la sconfitta190. La defezione sarebbe stata un’anticipazione della rinuncia degli Etruschi a combattere contro Roma nel 90 a.C.191. Se spunti polemici contro gli Etruschi erano presenti nella storiografia greca già fra IV e III secolo a.C., essi ritrovarono attualità fra I a.C. e I d.C. dal momento che ancora Musonio

Bonamici 2011. Su Volterra romana si veda Fig. 3.8. 180 Bonamici 2011: 116-120. 181 Maggiani 1985: 70; Massa-Pairault 1975: 213-286; Nielsen 1977; 1985; 2007; Ronzitti Orsolini 1971. 182 Si tratta delle urne di tufo prodotte nella medesima bottega (MG 436 = CUV II. 3, 37= BK II, 1, 59, XXI, 2a; MG 643 = CUV I, 25-26) e di altre tre d’alabastro (MG 370 = CUV II. 3, 82 = BK II, 59 e tav. XXII, 4; MG 371 = CUV II. 3, 83 = BK II, 1, 63 e tav. XXII, 5; MG 372 = CUV II. 3, 84 = BK II, 1, 62 e tav. XXI, 3) tutte conservate presso il Museo Guarnacci di Volterra, e delle urne in alabastro rinvenute a Volterra, ma oggi conservate presso il Museo archeologico Nazionale di Firenze (FMA 5749 = BK II, 1, 58 e tav. XXI, 2; FMA 78483 = BK II, 1, 57 e tav. XXI, 1). Delle urne 436; 643 e 5749 non si conosce il coperchio. L’attribuzione dei coperchi raffiguranti un recumbente maschile velato e coronato con anello al dito per l’urna MG 370, e una recumbente femminile velata con melagrana, ricca parure e flabello per l’urna MG 372, è stata definita ‘probabile’. L’unico caso in cui è possibile attribuire l’urna al defunto è rappresentato dall’urna FMA 78483 rinvenuta nella Tomba Inghirami. L’iscrizione etrusca identifica il defunto con il settantaduenne Aule Ati. Per la descrizione dettagliata delle urne oltre alle concordanze sui volumi CUV e BK si vedano, Ronzitti Orsolini 1971; Nielsen 2007. L’urna con raffigurazione del cavallo di Troia è un esemplare in alabastro conservato presso il Museo archeologico Nazionale di Firenze (FMA 5766 = BK, I, 85-86 e tav. LXVIII, 2). 183 Limina 2020; infra paragrafi 1.2.10; 1.4; 3.2.3. 178 179

Isido., Eth., 1, XV. Hom., Il., VI, 433-435; XI, 165-167. 186 Tac., Ann., XIII, 58; Plin., N.H., XV, 20. 187 Si tratta dell’urna conservata al Museo Archeologico Nazionale di Firenze (inv. 5766). Per ulteriori dettagli sulla lettura dei rilievi e l’interpretazione del fico così come il suo legame con la cultura etrusca, Limina 2020. 188 Mazzarino 1957: 98-122. 189 Cic., Fam., VI, 6, 6. 190 Firpo 1997: 258. 191 Liv., X, 27, 6; Cfr. Firpo 1997: 255; Ramelli 2003: 15-16. 184 185

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Poteri e strategie familiari di Volterra di un lungo processo. Se a Volterra le iscrizioni in latino cominciarono a essere redatte attorno al 50 a.C., quelle in Etrusco sarebbero continuate ben oltre la morte di Augusto. Ciò implica che le due lingue coesistettero per un periodo pari a circa settanta anni. La scomparsa dell’etrusco nel I secolo d.C., non implicava affatto che la lingua fosse morta anche a livello orale196.

alla metà del I secolo d.C. si sentiva in dovere di confutare gli stereotipi negativi contro gli Etruschi. Le accuse erano solitamente incentrate sulla presunta tryphè, ossia la mollezza, il lusso, l’intemperanza, un’accusa che di fatto la storiografia ellenistica aveva rivolto, per diversi motivi, e circostanze diverse. Ancora in età Augustea si avvertiva quindi una forte avversione all’Etruria nei poeti di origine italica come Orazio e Ovidio ai quali si contrapposero Virgilio e Properzio, ma oltre che in ambito poetico si trovano ben delineate, sul piano storiografico, tendenze filo-etrusche e anti-etrusche. Risulta molto interessante considerare la testimonianza di Dionigi d’Alicarnasso che vuole evitare in modo più assoluto qualsiasi commistione fra il mondo romano e quello etrusco. Un greco come Dionigi poteva ammettere in effetti di aver ricevuto l’educazione a Roma solo a patto di considerare Roma stessa una città di cultura greca. Dionigi faceva parte di un gruppo di intellettuali ellenici e si rivolgeva a un pubblico ellenico; egli proponeva quindi una lettura tutta ellenica delle origini di Roma per legittimare il dominio romano anche sul mondo greco. In funzione anti-etrusca, Dionigi attribuisce ai Romani una duplice grecità sia etnica sia culturale192.

Tuttavia, alcuni fra i gruppi dell’élite interessati alla sopravvivenza del proprio casato avevano capito che bisognava adattarsi alle nuove condizioni. Da una parte, avrebbe avuto senso fare della propria “debolezza” uno strumento di potere economico; la supposta thryphè degli Etruschi avrebbe potuto costituire una garanzia di qualità e generare, quindi, notevoli introiti per quelle famiglie che se ne fossero servite essendo coinvolte in commerci di costose merci di lusso, sempre più richieste a Roma, e nell’Impero197. Dall’altra, bisognava sfruttare a proprio vantaggio il fatto che i Romani riconoscevano agli Etruschi una superiorità e fare leva sull’elemento che veniva sentito come distintivo: la religione. Nel I secolo a.C. gli Etruschi cominciarono a tradurre i propri libri sacri in latino. Sebbene il sincretismo culturale fosse stato ormai avviato, è anche vero che la superiorità religiosa rimaneva un aspetto peculiare della cultura etrusca. Se l’influenza dell’aruspicina non solo sulla cultura, ma anche sulla politica romana, era già notevole prima del I secolo a.C., essa svolse un ruolo decisivo nell’accentuare l’attesa di un rivolgimento, più o meno imminente, che avrebbe coinvolto la stessa potenza romana. Si connetteva il passato con un avvenire nuovo; gli oracoli tornavano a interpretare la storia198. Durante gli scontri contro Antonio, Ottaviano si diresse verso nord per tentare la ventura in Etruria e stabilì la propria base ad Arezzo, città di uno dei suoi sostenitori più eminenti: Mecenate199. Augusto aveva inoltre l’appoggio di influenti etruschi come Marcio Filippo e il volterrano Cecina200 e consultò più volte gli aruspici, un’usanza che si mantenne fino a quando l’Impero divenne cristiano e che garantì in un certo senso la sopravvivenza di aspetti culturali dell’ethnos etrusco per tutta l’epoca imperiale201. La strumentalizzazione politica dell’aruspicina aveva di fatto un notevole peso nelle scelte della casa imperiale. Interessante notare che i detentori e maggiori fiduciari delle pratiche divinatorie, non sempre identificabili con i sacerdoti del culto pubblico che sempre più vennero associati a ciarlatani, derisi quali esempi di superstizione, tenevano a essere associati a determinati

Se da una parte le polemiche anti-etrusche erano ben attive e basate su motivazioni di carattere più o meno personale, quello che importa sottolineare è che la corrente vincente fu di fatto quella filo-etrusca, certamente condizionata dalla vicinanza ad Augusto di personaggi di origine etrusca come Mecenate, il Cecina Volterrano, Virgilio. L’inserimento nel “canone ufficiale” della versione etrusca delle origini di Roma ebbe sicuramente un peso sostanziale nella considerazione dei valori fondamentali del popolo etrusco. L’ethnos degli antenati di Roma, pur corretto nella versione virgiliana, venne così glorificato e la sua importanza riconosciuta, ma si chiedeva al tempo stesso agli Etruschi di accettare la fine della propria stirpe al fine di una missione superiore: l’Impero. È proprio questo che rivendicavano e lamentavano almeno alcuni fra gli Etruschi, specie quelli che continuarono a impiegare la loro lingua nelle iscrizioni funebri. Fonteio Capitone narrava di una profezia fatta a Romolo, secondo cui la fortuna avrebbe abbandonato i Romani qualora essi avessero dimenticato la loro lingua d’origine, da intendersi come l’etrusco193 e, tra il 63 e il 43 a.C. almeno quattro annunci aruspicali parlavano di rivolgimenti relativi alla storia di Roma194. A Volterra, assai notevole è stato il rinvenimento di un alfabetario in lettere capitali latine del I secolo a.C., a riprova del fatto che la scuola di scrittura che operava nel santuario di età ellenistica manteneva la sua vitalità dopo il passaggio sotto lo Stato romano195. D’altro canto, la persistenza della lingua etrusca a Volterra è nota. Fra le città dell’Etruria, le ultime iscrizioni in etrusco sono proprio quelle di Volterra datate entro la metà del I secolo d.C. Nel centro urbano tutto sembra indicare che il cambiamento a livello linguistico fosse stato il risultato

Hadas-Lebel 2004: 297-301. Hall 1997: 20-30. Infra paragrafo 2.3.1. 198 Mazzarino 1966: 167. 199 Syme 2014: 141. 200 È stato notato come l’amicizia di Ottaviano e Mecenate, se non anche con Cecina, dovesse risalire addirittura ai tempi della loro istruzione. Pare che alla notizia della morte di Cesare, quando Ottaviano fece rientro a Roma, erano già accanto a lui Mecenate e Agrippa. Non è chiaro a quando risalga l’amicizia con il Cecina ambasciatore di Ottaviano, ma è altamente probabile che questa dovesse essere di data simile a quella degli amici d’infanzia se la missione che venne affidata a Cecina nel 41 a.C. è precedente a quella affidata a Mecenate di controllare la città durante gli scontri contro Antonio. Cfr. Avallone 1962; Maggiani 1986. 201 Ramelli 2003: 49 nota 1. 196 197

Ramelli 2003: 40-43. Firpo 1997: 265. 194 Firpo 1997: 267. 195 Bonamici 2010: 244. 192 193

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ valori legati all’Etruria che, a diritto, sono definibili come ‘Etruscità’. La presenza di etruschi e di diversi Volterrani fra i più importanti politici, militari e uomini di cultura dell’Impero implica la necessità di considerare, nel complesso sistema che si è fin qui cercato di delineare, i termini della sopravvivenza di un’autocoscienza identitaria ed etnica collettive, costantemente adattate e modificate, come alla base del successo delle strategie familiari delle élite locali.

posta all’interno dell’ipogeo di famiglia in una Volterra ormai pienamente romana a livello giuridico, dimostrando che la tradizione funeraria locale era ancora fortemente sentita a livello di autoidentificazione208. Tuttavia, come già accennato, bisogna notare che l’epigrafia mantenne formulari e gentilizi tipicamente etruschi, pur impiegando ormai anche la lingua latina209 (Figg. 4.4; 4.5). Quanti si erano integrati nel corpo civico locale, specie dopo riorganizzazione territoriale d’età Augustea, tendevano a non impiegare, come invece succedeva altrove, la stele come tipologia funeraria. La forte influenza del modello elitario etrusco faceva infatti sì che le nuove classi preferissero modelli tradizionali per adattarsi allo stile locale e per esprimere una volontà di appropriazione dei valori del passato, come dimostrato dalla persistenza di iconografie propriamente etrusche in prodotti delle officine locali, che erano pure in stretto contatto con le novità dell’Urbs210. Solo progressivamente le élite etrusche ostentarono l’acquisita cultura romana in monumenti funerari aperti sul piano di campagna e motivi decorativi che mantenevano comunque richiami all’arte etrusca211.

4.2.2. Il ruolo della cultura materiale nella costruzione dell’identità comunitaria a Volterra L’importanza dell’analisi della cultura materiale è stata da tempo messa in rilievo202, così come del resto è nota la veicolazione semantica e ideologica pluristratificata attraverso determinati soggetti della propaganda imperiale203. Per quanto riguarda l’aristocrazia dell’Etruria settentrionale e il suo coinvolgimento nella produzione della terra sigillata è stato recentemente messo in luce non solo il pragmatismo alla base dell’assenza dei cicli decorativi di stampo propagandistico sulle ceramiche pisane, ma anche il fondamentale lealismo mostrato dalle élite al princeps che non necessitava, quindi, di ulteriori evidenti manifestazioni204. Circa il territorio di Volterra alcuni aspetti della cultura materiale sembrano da un lato testimoniare una sorta di resilienza e progressivo adattamento alle nuove “mode”, dall’altro l’adozione di particolari tipologie e aspetti della cultura architettonica propriamente romana sarebbe indice del negoziato veicolato dalle élite locali, specie in relazione a specifici momenti storici.

In ambito di edilizia pubblica, la riorganizzazione urbana di Volterra romana rispettò quasi del tutto i canoni della propaganda augustea. Se il teatro cittadino era il massimo esempio dell’adesione elitaria alla politica del princeps212, il mantenimento contemporaneo di aspetti tradizionali della cultura materiale, l’adozione di tipologie e moduli romani è al contempo testimoniato dalle produzioni locali di tegole ‘a risega’ bollate dai Cecina e dai Venulei213, e dalla presenza di tegole ‘con incasso’ di tipo romano, attestate nell’area settentrionale del Volterrano, così come in altre aree dell’Etruria settentrionale214. Tutto ciò potrebbe del resto rientrare in un fenomeno di “difesa” della propria autonomia metrologica dal momento che, come rilevato da Bloch ‘la durata delle misure è strettamente collegata con i problemi della memoria collettiva’215 e che un valore sacro era loro attribuito dagli Etruschi, che vedevano nell’agrimensura, di cui erano esperti, un aspetto della religione antica rivelata216. Che disporre delle misure rappresentasse uno degli attributi

Analizzare in che modo l’identità etnica comunitaria a Volterra potesse essere influenzata e/o resistere alle novità esterne implica porre l’attenzione a diversi aspetti della cultura materiale nonché, in particolare, sulle tipologie architettoniche e tecniche edilizie. Le diverse ‘anomalie’ evidenziate fanno del caso di Volterra un unicum nel panorama dell’Etruria settentrionale; esse trovano spiegazione quando lette in relazione e interdipendenza con le vicende delle élite locali. Lo spazio urbano, chiaramente definito dalla presenza delle mura civiche, primo elemento dell’identità cittadina205, percepito come terreno di competizione fra potentes recepiva prontamente le novità esterne, mentre le campagne rimasero spesso più ‘conservatrici’206. Per quanto riguarda le pratiche funerarie, è noto che la sepoltura rappresenta un momento eminentemente politico e quindi l’urna di un magistrato cittadino207, seppur recante iscrizioni in latino, venne

Cfr. infra paragrafo 2.3.1; Oleson 1974. Hadas-Lebel 2004; Kaimio 1975. 210 Ad esempio, Giulio Ciampoltrini ricorda il caso aretino dell’augustale Apollinaris che, nella prima metà del I secolo d.C., scelse per la sua sepoltura un’urna piuttosto che una stele. Significativo nel territorio volterrano è il caso del rilievo funerario del Petriolo di Ponsacco che reimpiega un cippo etrusco per la realizzazione di un ritratto funerario che Ciampoltrini ha datato intorno al 10 a.C. Sulle officine artistiche a Volterra e l’influenza dei modelli urbani. Cfr. Ciampoltrini 1982; Ciampoltrini 1991: 329-336; Ciampoltrini 2002; Bonamici 2011. 211 Ciampoltrini 1991; infra paragrafo 1.2.10; 2.2. 212 Munzi-Terrenato 2000; Pizzigati 1995, 1997, 2007; infra paragrafi 1.2.10; 2.3.1; 3.1.4. 213 Riguardo le produzioni laterizie dei Venulei e dei Cecina si veda infra paragrafo 2.3. Nello specifico, le tegole bollate dei Venulei rinvenute a Massaciuccoli e presso il Golfo di Baratti presentano la risega come quelle dei Cecina rinvenute presso la villa delle grotte all’isola d’Elba. Non è invece possibile esprimersi riguardo le tegole rinvenute nel teatro di Volterra e bollate dai Cecina dal momento che esse si sono conservate solo parzialmente. 214 Cfr. infra paragrafo 3.2.5; 3.3.2; 3.3.3. Fondamentali i termini del dibattito in Shepherd 2008; 2015; 2017. 215 Bloch 1925: 73-83. 216 Sul concetto di misura nel mondo antico Kula 1987. 208 209

Mattingly 2004. Cfr. Zanker 1989; Hӧelscher 2002. 204 Menchelli-Sangriso 2017. 205 Neil 2016: 20; Pasquinucci-Menchelli 2003. 206 Un tale fenomeno è stato verificato ad esempio per la produzione delle urne in epoca ellenistica. Cfr. Acconcia 2012. 207 Si tratta dell’urna di C. Caesius quattuorvir iure dicundo del secondo quarto del I secolo a.C. in cui i personaggi rappresentati sono i magistrati supremi del municipio. Esiste un’altra urna probabilmente appartenente a un magistrato cittadino dove sono rappresentati il tribunal, un bisellium, una coppia di fasci. Cfr. Maggiani 1996: 131-132 e infra paragrafo 1.2.2. 202 203

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Poteri e strategie familiari di Volterra informazioni che si possono desumere dai testi storicoletterari e dalle epigrafi. La ricostruzione dei dati in nostro possesso consente di analizzare quelle che si potrebbero definire vere e proprie strategie di lungo periodo per il mantenimento del potere. Avendo considerato i Cecina come l’emblema dei supra-local potentes di Volterra, si prenderanno in considerazione membri della gens che apparentemente sembrano costruire i loro destini lontano dall’Etruria, ma che dovettero mantenere forti legami con il territorio della propria città d’origine, Volterra, come dimostra anche la presenza di proprietà loro attribuibili, e attestate archeologicamente, almeno fino all’inizio del V secolo d.C.

di potere dell’élite locale lo aveva già dimostrato il quattuorvir Quintus Poena Aper donando alla città un orologio solare, importante marcatore culturale nel senso dell’istallazione della nuova unità di tempo nella città romana217. Tutto ciò trova una giustificazione nel duplice dialogo delle élite nei confronti del potere di Roma e delle classi subalterne locali che, avevano necessità di legittimare il proprio potere in quanto membri del nuovo Stato, da una parte, proponevano una forte identità etnica comunitaria che avrebbe garantito loro il mantenimento del potere, dall’altro. Ecco che la ristrutturazione e monumentalizzazione delle residenze urbane e rurali fra II e III secolo d.C., così come la realizzazione delle terme pubbliche cittadine avvenne in significativa coincidenza con un più generale fenomeno di ridefinizione identitaria che puntava sempre più sull’appropriazione di aspetti propriamente “romani”. Un’ulteriore anomalia del caso volterrano è stata poi evidenziata riguardo la diffusione di schemi figurativi musivi e la presenza di maestranze itineranti. Mentre l’Etruria settentrionale, dal II al V secolo d.C. sembra mantenere e ripetere i modelli musivi diffusi a Roma, le influenze africane riscontrate nel tessellato delle terme di San Felice rimandano agli schemi decorativi delle province africane, implicando la presenza di maestranze formatesi in Africa settentrionale, o influenzate dalle botteghe di Numidia o Zeugitana218, nel momento in cui le élite di Volterra ridefinivano del resto la propria identità in relazione ai nuovi gruppi di potere emergenti e i Cecina rafforzavano le proprie basi di potere nelle province africane.

Oltre alle cosiddette strategie politiche ed economiche, in parte analizzate nei precedenti capitoli, risulta fondamentale comprendere i termini di una strategia familiare di tipo “culturale”, basata fondamentalmente sulla condivisione di un patrimonio identitario ed etnico costruito e ridefinito in base alle mutevoli esigenze interne ed esterne. Il caso dei Cecina dimostra che, anche in caso dell’estinzione del ramo familiare principale, la sopravvivenza e l’ostentazione del nome gentilizio avrebbero garantito l’inclusione all’interno di un gruppo di potere, il cui successo sarebbe stato garantito dalla reiterazione e dall’adattamento di strategie culturali per le quali la memoria storica e la glorificazione degli antenati di famiglia avevano un ruolo fondamentale220. Sebbene non sia possibile analizzare i singoli componenti della famiglia, dalla ricostruzione dell’albero genealogico e dai profili prosopografici (Fig. 4.11) emergono alcuni caratteri costanti condivisi dai membri della gens: la superiorità morale, nonché il forte legame con la religione tradizionale e con la filosofia. Tali caratteri furono alla base della costruzione identitaria dei Cecina, parte di una consolidata storia familiare tramandata, che non era solo gentilizia, ma come già in parte spiegato, anche propriamente etrusca.

Il caso dei Cecina, data la consistente quantità di informazioni a disposizione, appare quello più evidente e funzionale all’analisi dei termini del negoziato per il mantenimento del potere. Esempio più eclatante fra i supra local potentes di Volterra, data la lunga sopravvivenza della famiglia, la persistenza di specifici valori morali attribuiti ai suoi membri, l’impegno politico ai più alti livelli nello Stato romano, i Cecina possono essere definiti come esempio paradigmatico delle élite di Volterra. Essi legando il proprio nome all’Etruria, di cui erano di fatto fra i più eminenti esponenti in ambito politico, economico e culturale nell’interazione con le élite esterne, furono causa prima dell’eccezionale prestigio goduto dalla comunità d’appartenenza nel più ampio contesto dell’Impero.

4.3.1. La costruzione identitaria fra etica e strumentalizzazione della superiorità morale. La gravitas di Cecina Severo Nel capitolo 1 sono già stati presi in esame i testi nei quali Cicerone faceva riferimento alla famiglia dei Cecina definendo il suo cliente Aulo, ‘spectatissimus prudentissimunque hominem, summo studio, summa virtute, summa auctoritate domestica praeditum […] hominem singulari pudore, virtute cognita et spectata fide’221. Sono questi i termini che tornano di continuo nella descrizione di membri della famiglia, addirittura fino al V secolo d.C., a conferma di una identità familiare ereditata da una lunga tradizione. Si noti inoltre che, al motivo della virtù morale, si accompagnano le definizioni di ‘clarus homo, fortis vir’ e ‘nobilissimus atque optimus

4.3. La forza della memoria e delle tradizioni familiari nella costruzione di strategie culturali di lungo periodo. Il caso dei Cecina (I a.C.-VI d.C.)219 Non è sempre possibile ricostruire le vicende di gentes attive sul lungo periodo, tuttavia quella dei Cecina costituisce un esempio fortunato per la presenza di numerose Cfr. infra paragrafo 1.2.3 e Figg. 1.11; 1.12. Bonnin 2015; Talbert 2017. 218 Per approfondimenti sui mosaici e gli schemi decorativi cfr. Bueno 2011; Ciampoltrini 1990. Per il mosaico si veda Fig. 3.11. 219 Per una più facile comprensione dei legami di parentela fra i membri dei Cecina dal I a.C. al V-VI d.C. si rimanda all’albero genealogico della famiglia in Fig. 4.11. 217

Sull’importanza della memoria per la costruzione dell’identità familiare. Cfr. Farney 2007: 20-33. 221 Cic., Caecin., 102-104. Per l’analisi sistematica del linguaggio di Cicerone, Perelli 1990. Cfr. infra paragrafo 1.2.9. 220

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ mantenere un dialogo aperto con i nuovi gruppi di potere. Rimaneva comunque ben vivo il legame con la cultura tradizionale nella comunità d’appartenenza. Se buona parte delle iscrizioni in latino a Volterra sono relative alla gens Cecina, cui appartenevano tombe monumentali presso le necropoli dell’area urbana232, la maggior parte dei defunti della famiglia continuava a portare nomi etruschi, così come anche alcune formule epigrafiche per designare l’età di morte sembrano “adattati” dalle iscrizioni in etrusco, sebbene non appaiano forme di interferenza linguistica233. Risulta significativo il fatto che l’ultima fase di produzione delle urne funerarie volterrane preferisse, nella rappresentazione del defunto, la presenza di attributi come il rotolo librario o i dittici, chiaro simbolo della cultura e dell’impegno intellettuale di questi etruschi. Fra queste urne, ben due, appartenenti a membri della famiglia dei Cecina, recano iscrizioni in latino (CIL XI, 1762; 1770)234, testimonianza di una specifica volontà di rappresentazione di individui strettamente interessati alla cultura e che, come tali, erano stati del resto descritti da Cicerone. Mario Torelli notava infatti che nelle iscrizioni funebri dei Cecina a Volterra i prenomi latini impiegati sono unicamente Aulus, Lucius, Quintus, mentre mancano Caius e Sextus, i nomi dei Cecina senatori235, probabilmente a indicare quindi che coloro che si erano maggiormente integrati nel nuovo Stato, avevano in parte abbandonato i consueti modi funerari.

vir’222, il concetto di fides223, nonché la firmitas e il legame con lo ‘studio’ e, in generale, con l’educazione e la cultura etrusca224. Per quanto riguarda il corrispondente di Cicerone si è abbondantemente sottolineato che Aulo Cecina era noto all’interno degli ambienti colti romani come oratore e scrittore225, fama in parte acquisita per aver scritto un’opera in latino sull’arte di prevedere il futuro mediante l’osservazione dei fulmini226. Ciò è confermato dallo stesso Cicerone che, nel tentativo di confortare l’amico Aulo Cecina esiliato, ne sottolineava lo status di intellettuale apprezzato anche da Cesare per il suo ingenium227. A tutti questi motivi si univa chiaramente il forte legame dei Cecina con l’Etrusca disciplina, valore fondamentale dell’antico patrimonio culturale tramandato esclusivamente nelle famiglie dei principes etruschi228. L’importanza della famiglia a Volterra e il forte legame con la cultura e la religione etrusca si tradussero in un’identità di valori e virtù riconosciuti a livello regionale, da cui una sorta di identificazione fra la famiglia, la comunità d’appartenenza e l’intera Etruria intesa come compagine etnica. Sicuramente ebbe molta importanza, per la progressiva integrazione ed ascesa sociale dei Cecina nel contesto sociale e politico dell’Impero, il ruolo d’intermediazione e negoziato svolto da alcuni membri della famiglia al tempo di Ottaviano229. Per esempio, l’ambasciatore Aulo Cecina di Volterra fu inviato in Fenicia a incontrare Antonio230, poi per importanti comunicazioni, da Cicerone231 (Fig. 4.6). Nel “dialogo” fra élite etrusche e Roma, alcuni membri dei Cecina si impegnarono in prima persona per l’integrazione con le gentes romane mediante la traduzione in latino dei libri sacri dell’Etrusca disciplina. Si trattava comunque di un adattamento necessario e funzionale alla sopravvivenza di un patrimonio culturale religioso ancora saldamente controllato dalle famiglie etrusche. L’integrazione sociale e culturale era del resto necessaria per quanti, come i Cecina, aspirassero a ricoprire incarichi pubblici e a

Dopo gli eventi avversi della metà del I secolo a.C.236, la fortuna della famiglia Cecina si legò al regno di Augusto e alle vicende dell’evergete del teatro di Volterra, nonché console dell’1 a.C., probabilmente figlio dell’ambasciatore di Ottaviano: Aulo Cecina Severo237. Il cognomen, tipicamente latino, doveva in un certo senso essere legato alla sua gravitas, cioè alla severità morale dimostrata durante tutta la sua vita. Aulo Cecina Severo era un valente generale di Augusto, noto per aver servito come proconsole in Africa, per essere stato legato in Moesia nel 6 d.C., per l’onore di aver conseguito il trionfo al seguito di Germanico nel corso delle operazioni in Germania inferior e per aver prestato servizio per ‘quadraginta stipendia’238. Cecina Severo potrebbe essere identificato, forse, il quel Severo destinatario dell’epistola I, 8 che Ovidio scrisse nell’autunno del 12 d.C. durante il suo esilio a Tomi239. Ovidio era legato al proprietario della villa elbana delle Grotte, Cotta Massimo, dove si ricorda che sono stati rinvenuti bolli laterizi dei Cecina, forse impiegati nella costruzione in relazione ai vincoli d’amicizia che legavano le due famiglie240. Dati i legami fra i Cecina, Cotta Massimo e Ovidio, non appare inverosimile che potesse essere

Cic., Fam., VI, 9, 1; VI, 6, 3. Cic., Fam., VI, 5, 4. 224 Cic., Fam., VI, 6. 225 Viene attribuita ad Aulo Cecina anche un’opera storica che raccoglieva le tradizioni più antiche del popolo etrusco di cui rimangono alcuni frammenti. Cfr. Capdeville 1997: 291 note 253-254 e infra paragrafo 1.2.9. 226 Il trattato di Cecina viene anche citato da Seneca (N.Q., II, 39; XLIX, 56) e Plinio il vecchio (N.H., II, 140). 227 Cic., Fam., VI, 5, 3; VI, 6, 9. 228 Capdeville 1997: 293 e nota 263. 229 Per quanto riguarda il particolare legame di Ottaviano con l’Etruria cfr. Sordi 1972. In particolare, è noto che Arezzo, per la posizione ottimale sulla via per Ravenna e l’Adriatico, nonché per la fiorente attività siderurgica e di realizzazioni di armi e per l’appoggio della famiglia di Mecenate, venne scelta da Ottaviano come base delle operazioni nella lotta contro Antonio (App., Bell. civ., III, 6, 42). 230 Certamente la fiducia riposta da Ottaviano nel Cecina Volterrano era bilanciata da doti diplomatiche e oratorie, tuttavia il portare un nome importante che, almeno per Cicerone, poteva ricordare i vecchi legami d’amicizia, avrebbe costituito un’ulteriore garanzia di fides. 231 Cic., Att., XVI, 8, 2. Il Cecina volterrano inviato da Ottaviano a Cicerone aveva il compito di proporre al consolare tre alternative: Ottaviano era disposto a marciare su Roma, in alternativa avrebbe atteso lo scontro contro Antonio a Capua, oppure si sarebbe recato contro le legioni macedoni. Cicerone consigliò ad Ottaviano di recarsi a Roma, il colpo di stato. Ottaviano accettò, ma insistette perché Cicerone si recasse a Roma anche lui dal momento che con il suo appoggio in Senato avrebbe di fatto legalizzato il colpo di stato. Cfr. Sordi 1972. 222 223

Oleson 1974. Kaimio 1975: 215-216. 234 Nielsen 1975: 338-339. 235 Torelli 1969: 297. 236 Si ricordi infatti che l’Aulo Cecina corrispondente di Cicerone fu fra i pochi a non ricevere il perdono da Cesare e che rimase in esilio fino alla morte di quest’ultimo. Cfr. infra paragrafi 1.2.9; 3.3.2. 237 Si rimanda all’iscrizione di dedica del teatro riportata in Fig. 2.4. 238 Tac., Ann, III, 33. Su Cecina Severo e le imprese militari in Germania si veda anche infra paragrafo 1.2.10. 239 Ov., Pon., I, 8. 240 Infra paragrafo 2.3.1. 232 233

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Poteri e strategie familiari di Volterra Cecina Severo il destinatario dell’epistola241. Il Severo descritto da Ovidio era un grande proprietario terriero con possedimenti ad Alba e in Umbria e, per quanto riguarda le sue attività, sebbene fosse un frequentatore del Foro, non si può sapere se fosse un avvocato o un giudice, né vi è alcun chiaro riferimento ad una possibile attività poetica. Come già accaduto per Mecenate, definito di stirpe reale nelle parole di Properzio, anche per questo Severo, Ovidio scrisse: ‘At tibi, rex aevo, detur, fortissime nostro,/semper honorata sceptra tenere manu;/teque (quod et praestat quid enim tibi plenius optem?),/Martia cum magno Caesare Roma probet’242. La caratterizzazione del personaggio quale discendente di stirpe regale, definito come fortis, nell’animo e nel destino243, ben si adatterebbe a un etrusco come Cecina Severo, ma ancora di più è rilevante l’interesse per le descrizioni di eventi bellici che Ovidio rivolse, se così fosse, a un militare come Cecina Severo, la cui esperienza e valore erano indubbi244.

genere femminile in quanto saevus, ambitiosus, potestatis avidus, ma limitatamente alla loro azione all’interno dei campi militari. Probabilmente, Cecina Severo intendeva velatamente richiamarsi agli eventi del 14 d.C. quando lui stesso si era trovato coinvolto in una rivolta militare che, secondo molti, Agrippina al seguito di Germanico aveva contribuito a far scoppiare con la sua azione demagogica nei riguardi delle truppe249. La presenza di Agrippina sui campi militari è ricordata in altre occasioni250 e le preoccupazioni di Cecina corrispondevano a quelle manifestate dallo stesso Tiberio, che aveva affermato ‘nihil relictum imperatoribus, ubi femina manipulos intervisat, signa adeat, largitionem temptet’251. Tutta questa serie di fattori, cui si lega anche il rifiuto di Tiberio circa l’erezione di un altare della vendetta per Germanico proposta da Cecina Severo, assume rilievo nel più ampio contesto della congiura di Pisone. Cecina tenne il proprio discorso in senato a distanza di un anno dal processo di Pisone e Plancina per l’uccisione di Germanico. L’intento potrebbe essere stato quello di prendere le distanze da quegli eventi. Il fratello, Caio Silio Cecina Largo, e la moglie, Sosia Galla, erano stati infatti coinvolti nella congiura e condannati nel 24 d.C., verosimilmente a causa della vicinanza con Germanico e Agrippina, nonché, precedentemente, con Livia e Augusto252. Dal momento che l’avversione di Tiberio per Agrippina era nota, il discorso di Cecina in senato rappresentò quindi un tentativo politico, peraltro fallito, di rientrare nelle grazie di Tiberio253. Richiamando nel suo discorso la figura negativa di Plancina254, che solo grazie all’intervento di Livia era stata assolta dall’accusa di aver avvelenato Germanico, e attaccando Agrippina255, che era accusata di aver costituito una vera e propria fazione256, Cecina Severo tentava di allinearsi alla politica dell’imperatore e di riabilitare il nome della propria famiglia. In questo contesto, come già anticipato, andrebbe letta l’opera evergetica nella sua città d’origine, Volterra, tramite la realizzazione di un ciclo statuario imperiale nel teatro di Volterra e la concessione della massima carica cittadina al figlio di Tiberio, Druso minore257.

La gravitas e la severitas di Aulo Cecina sono tuttavia state rese famose dal discorso tenuto durante una seduta del senato nel 21 d.C. avente per oggetto la gestione della situazione militare in Africa, riportato da Tacito negli Annales245. Il suo intervento verteva sull’opposizione alla presenza delle donne al seguito dei governatori nelle province, a suo parere causa di corruzione morale e politica. I senatori, annoiati, lo interruppero con proteste, adducendo al fatto che l’argomento era fuori tema e non d’interesse generale. Sebbene ci fossero state altre occasioni in cui Cecina Severo si era espresso contro le donne, come ricordato nel IV secolo d.C. dal cristiano Tertulliano che lo citava come esempio di pudicizia e superiorità morale per la fedeltà ai prisci mores246, non si può non notare che l’atteggiamento del senatore era solo apparentemente misogino dal momento che egli era orgoglioso di dichiarare che la moglie, cui era fedele e devoto, non lo aveva mai accompagnato nelle sue numerose missioni al di fuori dell’Italia, dandogli al contempo sei figli247. È stato sottolineato, quindi, che l’intento di Cecina, piuttosto che riflettere una misoginia generica del suo tempo, fosse quello di perseguire l’interesse personale di riallinearsi alla politica di Tiberio248. In particolare, il suo dissenso era legato al

249 Agrippina si era infatti opposta alla distruzione del ponte di Vetera e impegnata attivamente nell’elargizione di cure e coperte ai feriti che avevano attraversato il fiume. In sostanza la brillante operazione di Cecina, nonché la sua autorità, erano stata adombrate dall’intervento di Agrippina. 250 Tacito parla delle scorte della imperatoria uxor (Ann., I, 41, 2) e la presenza nel 15 d.C. sul ponte sul Reno (Ann., I, 69, 2). 251 Tac., Ann., I, 69, 5: ‘Nessun potere restava ai capi dell’esercito, quando una donna passava in rivista i manipoli, andava incontro alle insegne, cercava di imporsi, ricorrendo ai doni’. 252 Sull’esistenza del ‘partito di Agrippina’ cfr. Shotter 2000; Rogers 1931, Pani 1968. Sul processo, l’esilio di Sosia Galla e la confisca dei beni di Silio: Flower 1998; Shotter 1967; Sumner 1965; Infra paragrafo 1.2.10. 253 Barrett 2005. 254 Nel 18 d.C. lo scontro tra Agrippina e Plancina, moglie di Pisone aveva complicato la situazione in Siria, di cui Pisone era legato. 255 Per quanto riguarda l’accenno al predominio delle donne nei tribunali nel discorso di Cecina Severo è stato sottolineato che forse Cecina voleva ricordare anche l’episodio di Urgulania, nobile tarquiniese amica di Livia che chiamata a giudizio da Pisone nel 16 d.C. non si presentò in tribunale costringendo Tiberio ad andare lui stesso di fronte al pretore per difenderla. Cfr. Sordi 1995. 256 Sul partito di Agrippina Pani 2003; Valentini 2019. 257 Pizzigati 2020; infra paragrafo 1.2.10.

Il destinatario dell’epistola I, 8 è un personaggio chiaramente distinto da un altro Severo, il poeta Cornelio Severo destinatario dell’epistola IV, 2. 242 Ov., Pon., I, 8, 21-24: ‘Ma a te che sei il re più valoroso della nostra epoca sia sempre concesso di tenere il tuo scettro con mano gloriosa; e a te (già lo fa – quale augurio più compiuto potrei formularti? esprima la sua approvazione la marzia Roma con il grande Cesare’. 243 Ov., Pon., I, 8, 63-69. 244 Sulla carriera di Cecina Severo cfr. Barrett 2005; Di Vita Evrard 1979; Roberto 2018; Syme 1986; infra paragrafo 1.2.10. 245 Tac., Ann., III, 33. 246 Tert., Pall., 4, 9. 247 Tac., Ann., III, 33. Riguardo il rapporto di Cecina e il mondo femminile Marta Sordi ha rilevato che ‘Ciò che distingue l’etrusco Cecina non solo dai greci ma anche dagli ateniesi e dai suoi colleghi del senato romano rivela ancora una volta, quasi paradossalmente, che il diverso modo con cui gli Etruschi consideravano la donna, è la diversa valutazione del rapporto familiare, la convinzione che la donna non ha bisogno della custodia praesens per essere fedele. Essa tende a tenere sotto tutela l’intera famiglia, mater familias dell’Etruria romana, legittime eredi di una tradizione di libertà, responsabilità, indiscusso governo familiare’ (Sordi 1995). 248 Cfr. Barrett 2005: 301-314; Sordi 1995; Valvo 1998: 187-203. 241

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ un interlocutore privilegiato dell’Etrusca disciplina261. Durante il principato del filo-etrusco Claudio262 la religione etrusca ebbe un riconoscimento ufficiale in quanto ‘vetustissima Italiae disciplina’263, opposta alle externae superstitiones. Si verificò allora una più generale ri-valorizzazione del patrimonio culturale etrusco mediante la riforma dell’ordine degli aruspici, e la nascita di scholae e collegia di aruspicina264. Claudio rinnovò la collaborazione fra Senato e aruspici, sancì l’importanza dell’aruspicina e riconobbe al patrimonio culturale etrusco il ruolo di prestigioso progenitore di quello romano265. Tuttavia, la scienza degli aruspici era destinata a perdere il suo carattere ereditario familiare per essere insegnata indipendentemente dai legami di stirpe. Così, la riforma avrebbe progressivamente comportato la de-etruschizzazione del patrimonio culturale, minando l’antico prestigio delle nobili famiglie266. In questo contesto non è priva di significato la vicinanza a Claudio di Caius Caecina Largus, console nel 42 d.C., che, ricordato fra i pochi intimi amici dell’imperatore, fu impegnato nella realizzazione della monumentale porticus pone scaenam nel teatro di Volterra e, forse, nella promozione dell’istituzione del collegio dei dendrophori a San Gaetano di Vada267.

La gravitas e la superiorità morale, tradizionalmente legati alla famiglia dei Cecina, ma anche al popolo etrusco, rappresentavano per Cecina Severo validi strumenti per rendere autorevole e giustificare in senato la mozione e il suo atteggiamento ostile nei confronti delle donne. In verità, Cecina Severo facendo proprie quelle che erano le polemiche dell’imperatore contro Agrippina, portava avanti gli interessi della famiglia tentando di riabilitare almeno parte di essa agli occhi di Tiberio dopo il presunto “tradimento” di Caio Silio Cecina Largo coinvolto nell’uccisione di Germanico. 4.3.2. Strategie familiari di strumentalizzazione ideologica e diversificazione politica. I Cecina fra Claudio e Domiziano La coesistenza all’interno della famiglia Cecina di rami che prendevano scelte opposte in ambito politico e socioculturale, già dalla metà del I secolo a.C., avrebbe continuato a costituire una delle fondamentali caratteristiche della loro specifica strategia finalizzata al mantenimento del potere e alla sopravvivenza del lignaggio. La presenza di membri di una stessa gens nelle diverse fazioni politiche era stata già evidenziata da Ronald Syme e, più recentemente, da Mario Pani, Smith, Farney. La scelta è stata identificata in discordie domestiche, ideologiche e generazionali, aventi per obiettivo la salvaguardia del patrimonio e la posizione della famiglia qualunque fosse l’esito degli avvenimenti258. Del resto, famiglie forti e prolifiche come i Cecina furono in grado, almeno fino alla fine del V secolo d.C., sia di aderire a una varietà di indirizzi politici senza schierarsi in blocco, sia di strumentalizzare ideologie filosofiche e religiose differenti che erano volte a rafforzare le proprie posizioni di potere tramite l’identificazione con esse fintanto che queste corrispondevano ai propri interessi259.

Dalla morte di Tiberio però, si erano infittite le trame di congiure e opposizioni politiche mentre aumentava l’importanza della consultazione degli aruspici per l’interpretazione dei prodigi connessi alla successione imperiale268. Una sorta di “etica della cospirazione”, tramandata all’interno delle famiglie senatorie, era entrata a far parte della storia gentilizia dei Cecina269. Nonostante la vicinanza a Claudio di C. Caecina Largus270 è noto che un altro membro della famiglia, Aulo Cecina Peto (console del 37 d.C.) rimase coinvolto nella cosiddetta “congiura Scriboniana”271. In risposta all’elezione di Claudio imposta dai pretoriani, le legioni della Dalmazia acclamarono come imperatore L. Arruntio Camillo Scriboniano che,

In questo senso, nella generazione successiva a quella di Cecina Severo e Cecina Largo assunse un’importanza fondamentale per le strategie culturali dei Cecina, oltre al mantenimento di un senso di superiorità morale e religiosa, la strumentalizzazione della filosofia, quella stoica in particolare, al fine di conservare il potere all’interno della cosiddetta “opposizione anti-tirannica” del I secolo d.C. (Fig. 4.7). La prevalenza dell’aspetto morale e la particolare importanza conferita alla divinità e alla divinazione facevano dello stoicismo romano260

Ramelli 2003: 58-59. L’imperatore Claudio, storiografo autore di Thyrrenikà ed eminente ‘etruscologo’, fu marito in prime nozze dell’etrusca Plauzia Urgulanilla. Nel 47 d.C. Claudio tenne in senato un famoso discorso per richiamare l’attenzione sull’importanza e l’antichità dell’aruspicina, sul suo carattere tradizionale per Roma, sul pericolo della sua decadenza. Cfr. Tac., Ann., XI, 5. Claudio ricorda che l’Etrusca disciplina veniva trasmessa all’interno delle famiglie; proprio in virtù di questa trasmissione Aulo Cecina era stato istruito dal padre. 263 Tac., Ann., XI, 15. 264 Molte informazioni a proposito dell’Ordo sono note grazie al rinvenimento dei cosiddetti Elogia Tarquiniensia. Cfr. Torelli 1975. 265 Ramelli 2003: 55-56. 266 Cic., Fam., VI, 6, 3. 267 L’importanza della specificità del collegio è legata al fatto che si tratta, fra quelli professionali, di quello meno legato a una specifica attività lavorativa avendo più le caratteristiche di una confraternita religiosa. Il particolare legame con Attis, rivelato dalla statua rinvenuta, si lega significativamente non solo al valore dato alla religione dalla famiglia dei Cecina, ma anche al successivo legame di membri della famiglia vissuti nel IV secolo d.C. con culti misterici e orientali ad esso connessi. Cfr. infra paragrafo 1.2.7; Sangriso 2017; Verboven 2011. 268 Ramelli 2003: 81-82. 269 Morelli 2009. 270 Tac., Ann., XI, 12,3. 271 Sulla congiura Scriboniana e le legioni in Dalmazia cfr. Parat 2016. 261 262

Cfr. Syme 2014: 72; Pani 2003. Sull’argomento si veda anche Morelli 2009; Smith 2006; Farney 2007: 32-33. 260 Lo stoicismo del periodo romano mostra in maniera evidente la prevalenza dell’interesse religioso, fondata sull’accentuazione dell’interiorità spirituale. Gli stoici romani fanno del ritorno a sé stesso dell’uomo uno dei loro temi fondamentali, tema che sarebbe poi divenuto fondamentale nel neoplatonismo. Cfr. Dominici 1985. Musonio Rufo di Volsinii, bandito da Nerone nel 65 d.C., ritornò in seguito a Roma e fu in rapporto con l’imperatore Tito. Dei suoi discorsi ci ha conservato numerosi frammenti Stobeo con il Florilegio. Musonio accenna ancora di più di Seneca il carattere pratico e moralizzatore della filosofia. Il filosofo è l’educatore e il medico degli uomini; deve guarirli dalle passioni che sono le loro malattie. Cfr. infra paragrafo 4.1. 258 259

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Poteri e strategie familiari di Volterra una volta sedata la rivolta, fu costretto al suicidio272. Il coinvolgimento di Cecina Peto inaugurò una stagione di attivismo politico tramandato per tre generazioni nel ramo familiare a lui legato. Un ruolo fondamentale venne ricoperto dalla filosofia stoica e dai legami familiari del ramo di Cecina Peto con seguaci dello stoicismo quali, Trasea Peto273 ed Elvidio Prisco, intellettuali come Persio274, e amici quali Musonio Rufo275. Costoro erano tutti legati da vincoli di amicizia e/o parentela276 e, sebbene non si trattasse di un vero e proprio partito politico, questa factio mantenne una certa coesione e identità sotto i regni di Caligola, di Claudio e di Nerone, probabilmente per il fatto di aver perseguito non meri obiettivi personali, ma per l’aver garantito alla compagine senatoriale una libertà di azione a discapito delle pretese dei principes277. Il buon governo era quello di un sovrano giusto, dall’indubbia moralità, consigliato da uomini virtuosi, ossia i senatori. In questo senso, la filosofia stoica costituiva un supporto ideologico fondamentale all’idea di un governo di pochi, dei migliori, a guida morale del princeps. Nonostante il coinvolgimento dei Cecina nella fronda antineroniana, la presenza di un Caecina Tuscus, addirittura fratello di latte di Nerone278, testimonia la relativa sicurezza almeno di una parte di questa famiglia negli anni che precedettero la fine della dinastia Giulio-Claudia. Contemporaneamente, alla sempre maggiore importanza assunta da Lucio Vitellio fu legata l’ascesa dei suoi figli Aulo, futuro imperatore, e Publio, fra i più intimi amici di Germanico nonché accusatore di Pisone. Forse proprio per questo un altro Cecina, il valente generale Cecina Alieno279, fu legato all’imperatore Vitellio. Negli anni delle guerre civili, Cecina Alieno passò dalla parte di Vespasiano, anch’egli cliente di Lucio Vitellio, mentre Caecina Tuscus, avendo garantito il suo appoggio a Otone, così come Giunio Bleso a lui legato, aveva suscitato le ire di Vitellio, fatto che lo portò alla rovina280. A ogni modo, anche il passaggio di Cecina Alieno dalla parte di Vespasiano non lo salvò dalla morte dal momento che, sospettato di tramare ai danni di Tito, venne invitato a un banchetto e giustiziato per volere dell’imperatore nel 69 d.C.281.

Dopo la morte di Cecina Alieno l’etica della congiura venne “ereditata” da membri acquisiti all’interno della famiglia. L’opposizione al principato in difesa della libertas, intesa come riforma morale dello Stato, continuò infatti con Elvidio Prisco, senatore e genero di Trasea Peto, che fu condannato nel 75 d.C. per aver messo sotto accusa Eprio Marcello e Vibio Prisco nel tentativo di vendicare la memoria del suocero Trasea. L’avvento della dinastia Flavia determinò il ricambio della classe dirigente dell’Impero con l’ingresso di nuovi senatori provinciali. Il malcontento senatorio aumentò sempre più e gli ideali filosofici e la memoria familiare vennero ancora una volta strumentalizzati a fini politici, mentre l’accentramento del potere portò al rigido controllo della censura282. L’attività di Domiziano diede il colpo di grazia alle polemiche senatorie. La persecuzione del 93 d.C. colpì ancora una volta personaggi legati da vincoli di amicizia e parentela con le precedenti generazioni di “cospiratori”, ma non si trattò solo della condanna di Erennio Senecione, Giunio Rustico Aruleno, Elvidio Prisco iunior, quanto piuttosto di una damnatio memoriae. Nello specifico, infatti, Erennio Senecione fu condannato a morte per aver scritto l’elogio di Elvidio Prisco, oppositore di Vespasiano, Giunio Rustico per essersi espresso in termini lusinghieri a proposito di Trasea Peto, Elvidio Prisco iunior, figlio dell’omonimo maior, per aver inserito in una sua pantomima allusioni esplicite negative sull’imperatore283. Insieme a loro vennero colpiti con le confische e l’esilio, il fratello di Aruleno e sua moglie, Fannia che era moglie di Elvidio e la figlia di Arria minor moglie di Trasea284 (Fig. 4.7). I crimini contestati erano di “natura editoriale”, come dimostra il capo d’accusa di Fannia che venne costretta ad ammettere di aver consegnato di persona il diario del marito a Erennio Senecione per la sua biografia285. Dunque, pare provata l’importanza assunta dai diari personali, fonti dirette di una storia familiare tramandata, così come è evidente il tentativo di Domiziano di cancellare la memoria individuata come potenziale pericolo sovversivo alla base di unità e coesione di gruppo. Nonostante le varie vicende, Caius Caecina Peto ottenne il proconsolato d’Asia nel 70 d.C., la più importante carica dell’Impero, rendendo verosimile il fatto che la corrente dei Cecina lealista alla casa imperiale assicurava comunque, almeno a parte della famiglia, la stabilità e la coesione interna. Considerando poi che la maggior parte delle informazioni per gli anni 69-93 d.C. deriva dagli scritti di Plinio e di Tacito, è utile notare che entrambi i personaggi ebbero dei legami d’amicizia e parentela con i Cecina. Plinio era infatti amico di Fannia, sua corrispondente, dalla quale ottenne le informazioni relative alle storie dell’eroico suicidio di Arria maior e Cecina Peto, i nonni, di Trasea suo padre, Elvidio Prisco, suo marito. I legami d’amicizia fra Tacito e Plinio sono stati recentemente oggetto di studi, mentre solo in pochi hanno dato seguito e messo in evidenza i legami parentali fra lo storico Tacito e la

Plin., Ep., III, 16, 7-12; Suet., Claud., 13, 2; 35, 2. Arria maior e Cecina Peto erano in Dalmazia con Scriboniano nel momento in cui egli decise di mettere in atto il suo piano di rivolta. Sull’argomento anche Carlon 2009. 273 Trasea Peto che aveva sposato Arria, figlia di Cecina Peto, assumendone anche il cognomen, era un senatore e aderente allo stoicismo, nonché punto di riferimento della cosiddetta fronda antineroniana. Cfr. Tac., Ann., XVI, 21-22 e Figg. 4.7; 4.11. 274 Su Persio e Musonio infra paragrafo 4.2. 275 Musonio Rufo era l’unico vero filosofo del circolo stoico durante l’impero di Nerone. 276 Altri nomi importanti erano quelli di Asinio Pollione, Barea Sorano, Rubellio Plauto. Quest’ultimo lontano discendente di Germanico. 277 Morelli 2009. 278 Capdeville 1997. 279 La figura di Cecina Alieno venne ricordata soprattutto per le operazioni militari in nord Italia, specie nella battaglia di Bedriacum. Relativamente al personaggio viene inoltre ricordata la moglie, Solonina, che pare andasse a cavallo vestita in maniera eccessivamente lussuosa ostentando il suo status. Per le opere evergetiche di Cecina Alieno si veda infra paragrafo 2.3.1. 280 Ramelli 2003: 76. 281 Suet., Tit., 6; Aur. Vict., Epit., 10. 272

Suet., Vesp., 15. Tac., Agr., II, 45; Suet., Dom., 10. 284 Plin., Ep., VII, 19, 4, 6; Fig. 4.11. 285 Plin., Ep., VII, 16, 5. Cfr. Carlon 2009. 282 283

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ famiglia Cecina. La parentela fu stretta probabilmente tramite una tale Cecinia figlia di Aulo Cecina Peto andata in sposa a Cornelio Tacito procurator di Germania e Gallia Belgica, dal cui matrimonio sarebbero poi nati lo storico Tacito insieme a un fratello altrimenti ignoto (Fig. 4.11). Stando a un’epigrafe funeraria rinvenuta a Roma, lo storico Tacito avrebbe mantenuto il nome del nonno ossia Publio (o Caio) Cornelio Tacito Cecina Peto286 (Fig. 4.7). Questo spiegherebbe perché i generali ideali avessero per Tacito i volti di Agricola, suo suocero, e di Cecina Severo e Cecina Alieno suoi antenati. La diretta conoscenza delle storie familiari tramandate da una generazione all’altra aveva costituito un modello esemplare da fissare nella narrazione delle vicende dei suoi congiunti nelle Historiae e negli Annales287.

Graecinii e dei Pupii, facenti parte dell’élite municipale di Volterra fra I e II secolo d.C., come dimostrato dall’esistenza dei loro nomi nelle lastre della proedria del teatro291. Si potrebbe forse ipotizzare che il legame di parentela fra Armini e Cecina fosse stato il risultato di un tentativo di controllo e gestione del potere a livello sovra-locale mediante l’ingresso di membri/sostenitori della famiglia all’interno della guardia pretoriana, la cui importanza specie nella nomina degli imperatori, si era progressivamente imposta quale nuovo potente strumento di gestione del potere. Le poche informazioni relative ai Cecina proprio tra la fine del I secolo d.C. e il II d.C., sono state più volte considerate dagli studiosi come indice di un sostanziale ripiegamento della famiglia sulla città d’origine. Ciò potrebbe rientrare nel complesso fenomeno di ricambio delle gentes senatorie che vide la progressiva ascesa di famiglie come i Venulei, e rese necessaria la ricerca di nuovi strumenti di controllo e gestione del potere all’interno di una più generale “crisi dell’Etrusca disciplina” fra i regni di Traiano e Marco Aurelio. Quest’ultima sarebbe esplicabile per lo più in conseguenza della de-etruschizzazione della religione tradizionale che ne minava l’originalità e il senso di appartenenza all’ethnos etrusco292. Dopo il regno di Domiziano, gli unici personaggi della famiglia Cecina di qualche rilievo che ricoprirono cariche pubbliche furono lo storico Tacito e un Caius Caecina Calpurnius, che fu magistrato in Pannonia nel 117 d.C. dove finanziò il restauro di un tempio di Mitra293. L’assenza di membri della potente famiglia dei Cecina ai vertici del potere sotto Adriano e Marco Aurelio, o il loro ripiegamento sulla città d’origine, non escludono poi il fallimento di strategie economiche e politiche, e indicano probabilmente al contempo la necessità di una nuova ridefinizione identitaria per far sì che il prestigio individuale non venisse meno e garantisse il mantenimento del potere. È chiaro perché, in primo luogo, sarebbe stato necessario rafforzare le basi di potere a livello locale in Etruria, e più specificatamente a Volterra.

L’importanza della memoria familiare e l’adesione alla corrente stoica furono fondamentali anche al momento della congiura contro Domiziano (97 d.C.). Allora erano consoli Silio Italico, padovano come Trasea, e Frontone; essi erano eminenti seguaci dello stoicismo, devoti alla memoria di Catone maior e del martire Trasea Peto288. La tradizione familiare dei Cecina e i fatti che avevano visto come protagonisti i suoi membri rivestivano ancora un’importanza fondamentale nelle vicende politiche della fine del I secolo d.C. Se la congiura che portò al potere Nerva venne in parte ordita dal senato stesso, fondamentale fu il ruolo della guardia pretoriana, diventata progressivamente un nuovo strumento di legittimazione da controllare e con cui negoziare il potere. 4.3.3. L’adattamento di nuovi valori a una nuova identità. I Cecina dal II secolo d.C. all’Impero tardoantico La nuova concezione di nobilitas, insieme all’apertura nei confronti dei provinciali, faceva sì che le antiche classi aristocratiche si adattassero ai nuovi mezzi di controllo e gestione del potere, anche mediante la mobilitazione di nuovi strumenti, diversi dalla filosofia.

Con Commodo venne promossa un’attenta attività di propaganda che rendeva nota la volontà degli dèi attraverso omina e prodigia: ritornò fondamentale la legittimazione del potere tramite la religione. Sotto la dinastia dei Severi l’aruspicina, insieme ad altre tecniche divinatorie, guadagnò nuovamente il favore di cui aveva goduto nel I secolo d.C., per rimanere in auge fino agli editti promulgati dagli imperatori cristiani contro gli aruspici294. Non sembra un caso che proprio sotto Settimio Severo, un certo Caius Caecina Largus ricoprì il ruolo di pro praetore in Tracia nel 195-196 d.C.295. Sotto Alessandro Severo296 fu console, forse nel 230 d.C., un Aulo Cecina Tacito297. Durante i regni degli imperatori filo-senatori o filo-etruschi, alcuni membri della famiglia rivestirono cariche pubbliche, come

È interessante a tale proposito ricordare i vincoli parentali fra i Cecina e gli Armini, famiglia di rango equestre della quale alcuni membri entrarono a far parte della guardia pretoriana fra la fine del I secolo e l’inizio del secolo successivo289. Ciò non era un caso e, anzi, pare fossero diversi i pretoriani originari di Volterra, come confermato dall’anonimo frammento di diploma militare rinvenuto nel 1976 all’interno del teatro urbano290, nonché dalle iscrizioni funebri ritrovate lungo la via Cassia. Fra questi pretoriani volterrani, oltre agli Arminii, vi erano anche esponenti dei Cfr. Birley 2000; Lewin 2005. Lewin 2005: 133-135. 288 Cfr. Mar., Epig., I, 8. 289 Per ulteriori considerazioni sulla parentela fra i Cecina a Volterra e gli Arminii si veda la scheda EDR078655 relativa alla lastra della proedria del teatro urbano che ne reca incisi i nomi. 290 AE 1993, 646. Il frammento in bronzo è stato datato, in base alla titolatura imperiale di Marco Aurelio, al 163-164 d.C. Cfr. Iozzo 1993: 173-180; Redaelli 2014: 99-100. Per ulteriori considerazioni si rimanda alla scheda EDR100352. 286 287

Cfr. infra paragrafi 1.2; 3.1.4; Munzi-Terrenato 2000. Cfr. infra paragrafo 4.1 Ramelli 2003: 150. 293 CIL III, 14354; Capdeville 1997: 301 nota 329; cfr. infra paragrafo 2.3.1. 294 Ramelli 2003: 95. 295 CIL III, 7418; cfr. infra paragrafo 2.3.1. 296 Per la politica filo-etrusca dei Severi si veda infra paragrafo 4.1.2. 297 CIL, VIII, 10988; Cfr. Torelli 1969; Capdeville 1997: 303. 291 292

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Poteri e strategie familiari di Volterra Caio Cecina Largo che fu prefetto dell’annona nel 250 d.C.298 sotto Decio. Nel 273 d.C., poi, fu console, sotto Aureliano, un altro Aulo Cecina Tacito299.

sacerdozi da essi rivestiti, sottolineano il fatto che tutta la famiglia era particolarmente devota ai culti della Magna Mater e Attis. Altri due monumenti simili sono quelli provenienti dal Phrygianum del Vaticano307 e dedicati, significativamente, da altri membri della famiglia, Sabina e Rufia Volusiana, figlie di Cecinia Lolliana e Ceionio Rufio Volusiano Lampadio308. Il battesimo taurobolico e criobolico impartito nello stesso momento a membri di una stessa gens dava alla cerimonia un aspetto familiare, o poteva accomunare membri di famiglie differenti309. L’importanza dei sacerdozi pagani nella famiglia dei Cecina-Ceioni di IV secolo d.C. non sembra irrilevante310. Per esempio, Ceionio Rufio Volusiano Lampadio rivestì prima del 370 d.C., le cariche di pontifex Solis, propheta Isis, pater hierophanta Hecatis311; sua moglie, Cecinia Lolliana, è citata come sacerdos deae Isis nel 390 d.C.312; la loro figlia, Sabina era già stata iniziata ai misteri di Demetra e Ecate al momento del taurobolio nel 377 d.C.313; Apollodoro, marito di Rufia Volusiana, altra figlia di Cecinia Lolliana e Lampadius, era pontifex Vestae, quindecemvir sacris faciundis et pater sacrorum dei Invicti Mithrae già prima del 370 d.C.314; l’altro figlio, Publilius Ceionius Caecina Albinus era pontifex Vestae e seguace di Mitra315; il prozio Rufius Ceionius Sabinus era pontifex, augur publicus populi romani quiritium, hierophanta deae Hecatae, pater sacrorum Invicti Mithrae prima del suo battesimo nel 377 d.C.316. Non si trattava evidentemente solo del mantenimento della religione etrusca tradizionale, ma un vero e proprio trionfo del paganesimo in cui si univano il culto solare, il misticismo greco e quello orientale, quasi un’ostentazione a difesa del patrimonio culturale del passato minacciato di fronte all’avanzata del cristianesimo317. La classe senatoria rappresentava generalmente l’aristocrazia pagana più tradizionalista, che non vedeva di buon occhio le politiche dell’imperatore Costantino nei confronti della religione pagana, così come non era favorevole alla creazione di un nuovo senato costantinopolitano. Molto più dura fu la serie di disposizioni prese contro l’Etrusca disciplina dagli immediati successori di Costantino, specialmente da Costanzo II che non faceva più distinzione fra aruspicina e pratiche magiche318.

La politica anti-senatoria e il rapporto di Gallieno nei confronti dei cristiani, insieme all’ascesa del cavaliere volterrano L. Petronius Taurus Volusianus, che era stato praefectus vigilum, praefectus praetorio e consul nel 261 d.C., praefectus urbi nel 267-268 d.C.300, inducono a riflettere sullo scontro ideologico aristocratico che andava sempre più profilandosi nei confronti dei cristiani301. Inoltre, si potrebbe ipotizzare che un mutato equilibrio di alleanze politiche a Volterra, avesse determinato l’ascesa al potere di nuove famiglie302 e la necessità imminente di un nuovo adattamento identitario nella competizione per la gestione del potere locale. In questo contesto devono necessariamente trovare ragione i cambiamenti nella topografia urbana di Volterra di cui precedentemente si è detto303. All’inizio del IV secolo d.C. Costantino riconobbe la libertà di culto per ogni fede dell’Impero affinché ogni divinità potesse essere propizia agli imperatori e ai sudditi. Il paganesimo cessò di essere l’unica professione di fede consentita304. Fra i senatori a Roma vi era ancora chi teneva alle proprie origini etrusche e a portare antichi nomi come dimostra il caso dei Cecina e i dei Ceionii Rufii, rappresentati in questo periodo dai consoli degli anni 311-316 d.C., legati fra loro da vincoli matrimoniali305. I consoli del 314 e 316 d.C., C. Ceionio Rufio Volusiano e i fratelli Antonius e Caecina Sabinus306 avevano rinsaldato l’amicizia fra le due famiglie tramite un doppio matrimonio, quello di Volusiana, figlia di Ceionio Rufio con Caecina Sabinus, figlio di Antonius Caecina Sabinus, e di C. Ceionius Rufius Volusianus Lampadius, nipote del Rufio Volusiano console del 314 d.C., con la nipote del console Cecina Sabino, Caecinia Lolliana (Fig. 4.8). Si trattava di rinnovare il legame d’amicizia fra due famiglie che vantavano origini etrusche all’interno di un contesto in cui la sopravvivenza del patrimonio culturale e dei mores antichi era sostanzialmente messo in pericolo dall’avanzata di nuove ideologie e culti. L’altare taurobolico di Rufius Ceionius Sabinus e quello di Ceionius Rufius Volusianus, menzionanti la serie dei

307 Per approfondimenti circa il Phrygianum vaticano e la topografia di Roma tardo-antica si veda Liverani 2008: 40-47. 308 CIL VI, 30966; CIL VI, 509. 309 Chastagnol 1956. 310 Appare rilevante notare che l’insieme dei sacerdozi rivestiti dai membri della famiglia è comune anche a Vettio Agorio Pretestato e alla moglie Aconia Paolina. Rivestire numerosi sacerdozi ed essere iniziati ai culti misterici di matrice orientale rispondeva da un lato a un nuovo rapporto uomo-divinità influenzato dalle dottrine neoplatoniche, dall’altra costituiva uno status, un codice d’appartenenza alla classe aristocratica. Cfr. Kahlos 2002: 62; Mangiafesta 2008: 103-113. 311 CIL VIII, 25990; CIL VI, 512; CIL, VI, 846. Cfr. Capdeville 1997: 303; Chastagnol 1956: 241-253. 312 Chastagnol 1961: 744-758. 313 CIL VI, 30966. 314 CIL VI, 509. 315 Hier., Ep., 107, 1. 316 CIL VI, 511; Cfr. Chastagnol 1961: 746; Fig. 4.11. 317 Chastagnol 1956. 318 Ramelli 2003.

CIL VI, 31849; Capdeville 1997: 302 nota 335. 299 L’iscrizione CIL VI, 37118 cita un Cecina Tacito subito dopo un Caecina Sabinus all’interno di una lista di persone che avevano partecipato al finanziamento di lavori sotto Diocleziano. Cfr. Torelli 1969: 297; Capdeville 1997: 303; Fig. 4.11. 300 Cfr. Torelli 1969; Chastagnol 1956. 301 Ramelli 2003: 102-103. 302 Cfr. infra paragrafi 1.3; 1.4. 303 Cfr. Bonamici 2003: 84-85; Munzi-Ricci-Serlorenzi 1994: 644; Munzi-Terrenato 2000 e infra paragrafo 3.1.4. 304 Ramelli 2003: 136-7. 305 Fig. 4.11. 306 Si ricorda che il console Antonio Cecina Sabino, probabilmente imparentato al ramo dei Cecina Taciti dal lato del padre (cfr. CIL XI, 6712; Capdeville 1997: 303) venne ricordato a Roma in una lista di senatori per la realizzazione di un edificio nei pressi della basilica della Santa Croce di Gerusalemme sotto Massenzio. Cfr. CIL VI, 37118; Vaglieri 1906: 430. Per ulteriori approfondimenti circa la basilica e la sua collocazione topografica cfr. Liverani 2007; Liverani 2005. 298

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ Molto interessante si rivela l’esame di una relazione di Simmaco319. Durante la sua prefettura urbana (384-385 d.C.) fu chiamato in qualità di giudice per un processo intentato dai burocrati palatini contro una famiglia di rango senatorio che, debitrice del cosiddetto aurum oblaticium320, era da tempo rappresentata solo da donne, nello specifico da una certa Lolliana e dalle sue nipoti Severilla e Catianilla; l’ultimo erede maschio era infatti morto nel 366 d.C.321. La Lolliana di Simmaco viene identificata con la figlia di Postumiano senior322, nipote di Antonius Caecina Sabinus e moglie di Caius Ceionius Rufius Volusianus Lampadius323. Sebbene il ramo maschile della famiglia Cecina sembrasse estinto, è pur vero che il gentilizio Cecina veniva ancora portato da diversi individui che tenevano quindi particolarmente a presentarsi come eredi di tutta una serie di valori e del prestigio derivante dal nome.

Cecina Albino sono ricordati per l’erudizione e la passione antiquaria328. Macrobio intendeva nella sua opera esaltare questo ambiente e far rivivere il passato e i suoi valori etici e culturali rievocando gli ultimi che si potevano ancora dire “romani” e per ‘conservare quella memoria che già cominciava ad essere oggetto, non solo di incuria ma anche di derisione’329. Il legame tra questi membri dell’aristocrazia senatoriale era inoltre rafforzato dal coinvolgimento nella reazione alle politiche imperiali antipagane di Valentiniano, Graziano e Teodosio330. Il caso dei Ceioni e dei Cecina dimostra che queste famiglie per un certo periodo cercarono di mantenere, almeno a livello privato, la loro fede. Oltre che per conservare un legame culturale, ciò era fatto verosimilmente per la necessità di salvaguardare interessi materiali legati ai sacerdozi e ai beni dei templi331. È noto poi che Pretestato, Simmaco e Nicomaco Flaviano si adoperarono attivamente tentando di ottenere l’abrogazione delle politiche antipagane intervenendo, più o meno direttamente, nel dialogo con i nuovi gruppi di potere332.

Legami di amicizia e parentela fra le famiglie senatorie di IV-V secolo d.C. portarono a un monopolio del potere nelle mani di pochi, mentre la condivisione del paganesimo324 era alla base dell’autoidentificazione (e riconoscimento) in quanto vero e proprio circolo di intellettuali d’alto livello. I legami fra le famiglie di Simmaco325, di Pretestato326, dei Cecina, dei Ceioni sono testimoniati anche dai Saturnali di Macrobio327, dove in particolare i fratelli Rufio Albino e

L’influenza del Neoplatonismo e gli insegnamenti di Elio Donato, cui furono legati discepoli come Simmaco, Pretestato, Nicomaco Flaviano, Cecina e Rufio Albino, ma anche Gerolamo, testimoniano come il principio di una entità suprema si poteva conciliare, per la sensibilità tardo-antica, insieme con i culti di origine solare, con la tradizione religiosa romana. È stato tuttavia notato dalla Kahlos che nel poema funebre di Pretestato ‘we can distinguish some germs of a later development, where philosophy became even more subordinated to religion where Philosophia became ancilla Theologiae’333. In pratica, la religione rimaneva l’aspetto fondamentale dell’attività intellettuale dell’uomo, manteneva il suo carattere di pubblica utilità per la salvaguardia dello Stato romano, rappresentava ancora un elemento fondamentale riguardo l’auto-identificazione personale e collettiva334.

Symm., Rel., XXX. Cfr. Chastagnol 1961: 747 ; Vera 1981. Si trattava di un’antica usanza secondo la quale il sovrano vittorioso veniva accolto con una ghirlanda d’oro. Questo contributo volontario era poi divenuto obbligatorio e si trasformò in vero e proprio pagamento che per la compagine senatoria andò a costituire l’aurum oblaticium, eliminato prima del VI secolo d.C., rimase tuttavia una forma di tributo rituale per la quale l’imperatore contraccambiava dando ai suoi ufficiali una somma di denaro equivalente o superiore agli oggetti. Cfr. McCormick1993: 265. 321 Chastagnol 1961: 744-758. 322 Per quanto riguarda la figura di Postumiano, a parte il padre di Lolliana è noto anche un Postumianus iunior, molto probabilmente cugino di Lolliana, che citato da Simmaco (Ep., VI, 22; 26), Macrobio (Sat., I, 1,7; I, 2). 323 Chastagnol 1961: 750. 324 Riguardo l’uso del termine “pagano” si ricordi che esso venne impiegato dagli apologisti cristiani che avevano necessità di etichettare i loro rivali e, allo stesso tempo, distanziarsi da essi auto-identificandosi come “altro”. Cfr. Kahlos 2002: 6-7. 325 Quinto Aurelio Simmaco, proconsole d’Africa nel 373 e praefectus urbi nel 384-385. Noto per essere illustre oratore, rinomato e uomo di cultura e difensore degli antichi ideali fu corrispondente di Caecina Decius Albinus iunior, figlio del coetaneo Cecina Albino (Symm., Ep., VII, 3541; 45-50). Famoso per la sua Relatio tertia in repetenda ara Victoriae, indirizzata ai tre imperatori Valentiniano II, Arcadio e Teodosio in cui sostenne la necessità di non abbandonare la religione tradizionale che aveva a lungo protetto lo stato (Symm., Rel., III, 3) nonché l’utilità della ricollocazione dell’altare quale esempio di tolleranza e dimostrazione della possibilità della convivenza di due culture (Symm., Rel., III, 10). Nel 402 venne poi inviato a Milano da Arcadio e Onorio a capo di una legazione per perorare, invano, la restituzione dell’altare e della statua della vittoria dopo la caduta di Eugenio e la definitiva rimozione da parte di Teodosio. Cfr. Capdeville 1997: 304; Mazzarino 1977; Mazzarino 1974. 326 Vettio Agorio Pretestato celebre esponente dell’élite senatoriale di IV secolo d.C. era stato praefectus urbano e pretorio, corrector Tusciae et Umbriae nonché insignito di numerose cariche religiose insieme alla moglie Paulina (CIL VI,1779; CIL VI, 1777; CIL VI, 1778, 1779a, 1780). Nei Saturnalia viene descritto da Macrobio come massimo esperto di teologia e norme del culto pagano. Per ulteriori approfondimenti su Pretestato cfr. Kahlos 2002; infra paragrafo 1.3. 327 L’attività di Macrobio si inquadra tra la seconda metà del IV secolo e la prima metà del V d.C. L’opera rifletterebbe il tentativo pagano di far rivivere l’antica tradizione culturale latina richiamandosi agli ideali del passato in una sorta di reazione anticristiana. 319 320

La disputa fra Damaso e Ursino, l’intervento di Pretestato e il successivo “accordo” fra le parti resero evidente che 328 Ceionio Rufio Albino è presentato da Macrobio come profondo conoscitore dell’antichità e intenditore di metrica virgiliana oltre che autore di un trattato di metrica in versi, mentre il fratello Publilio Ceionio Cecina Albino, presentato come coetaneo di Simmaco ed erudito nella scienza antiquaria, era il padre del Decio citato da Macrobio nel prologo (Sat., I, 2,3). In particolare, in Sat., I, 4, Macrobio scrisse: ‘hic cum omnes quasi vetustatis promptuarium Albini memoriam laudavissent’; per quanto riguarda i temi affidati ai fratelli Cecina e Rufio Albino durante le varie giornate ricorrono: la divisione del giorno legale; (I, 3); lusso e raffinatezza dei tempi antichi (III, 13-17); le imitazioni dai Romani di Virgilio nei versi (VI, 1-3), nelle parole (VI, 4-5); curiosità su pepe, senape, vino egiziano (VII, 7-8). Cfr. Macr., Sat., VI, 1, 1; I, 24, 19; Capdeville 1997: 304. Sul matrimonio di Cecina Albino con una donna cristiana si veda Fig. 4.11. 329 Macr., Sat., VI, 1, 5; I, 4, 17; III, 14, 2. 330 Chastagnol 1961; Ramelli 2003. 331 Chastagnol 1961. 332 Oltre all’intervento di Simmaco nella questione dell’altare della vittoria, si ricorda l’attività edilizia di Pretestato nel recupero di luoghi di culto pagani. Cfr. Kahlos 2002: 91-99. 333 Kahlos 2002: 105. 334 Kahlos 2002: 112.

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Poteri e strategie familiari di Volterra un compromesso con le nuove élite cristiane sarebbe stato di gran lunga conveniente335, mentre legami sempre più stretti avvicinavano le élite tradizionali alle nuove336.

suo scritto340. Ecco perché Macrobio, nei Saturnalia, non attaccò mai apertamente il cristianesimo, verosimilmente nell’intento di non compromettersi di fronte agli amici che, progressivamente, stavano imparentandosi con le nobili famiglie cristiane341.

Un momento fondamentale fu la prefettura urbana di Furius Maecius Graccus337 nel 376-377 d.C., durante la quale egli diede l’ordine distruggere le immagini delle divinità pagane, poi rivestendo le insegne e accompagnato dai littori, ricevette il battesimo cristiano338. Nel 377 d.C. Graziano concesse ai pagani una certa tolleranza, a condizione che il culto non fosse professato in pubblico, ma in privato339. Nel 380 d.C. il decreto di Tessalonica dichiarava il cristianesimo religione ufficiale dell’Impero, condannava l’arianesimo e i culti pagani. Poi, nel 391-392 d.C. i decreti di Teodosio inasprirono le proibizioni dando il via alla persecuzione del paganesimo. Con la caduta di Eugenio nel 394 d.C. e la proibizione della propaganda pagana stabilita da Teodosio, mantenuta poi da Stilicone dal 395 al 398 d.C., il paganesimo subì una sconfitta pesante. Tuttavia, della vecchia generazione di Cecina e Ceioni che si opponeva con fierezza al cristianesimo rimaneva poco o nulla.

L’adesione al cristianesimo e il rivestire un ruolo all’interno delle nuove gerarchie ecclesiastiche poteva comunque costituire un serio problema riguardo la successione patrimoniale e la discendenza. Se l’adesione alla nuova fede poteva essere tollerata ed essere in fondo funzionale in quanto strumento per l’avanzamento di carriera o per il mantenimento del potere342, bisognava allo stesso tempo evitare che il primogenito abbracciasse i nuovi ideali. Erano in pericolo non solo i beni materiali, ma tutta una storia familiare tramandata da secoli che era stata costruita intorno alla memoria di una stirpe che, in nome del nuovo Dio, si chiedeva di dimenticare. I primogeniti maschi avevano il dovere di mantenere il nome e trasmetterlo agli eredi343; in parte, avrebbero dovuto obbedire a tale regola anche le donne della famiglia che, almeno in una prima fase, potevano convertirsi ed eventualmente disporre parzialmente del proprio patrimonio solo in quanto vedove, dopo aver comunque garantito un certo numero di eredi344. La castità richiesta dall’appartenenza a un ordine monacale avrebbe compromesso di fatto il mantenimento e la trasmissione del patrimonio di famiglia, ma vi era un altro pericolo, ossia la castità matrimoniale concordata fra i coniugi, come potrebbe essere stata quella fra Paulina, figlia di Paola, e Pammachio, figlio di Ceionio Rufio Albino e fratello di Albina, che addirittura pare fosse stato il primo a vestire abiti monacali in senato (Fig. 4.11)345.

Guardando alle successive generazioni dei Cecina non possono passare infatti inosservati tre aspetti: i matrimoni misti, sempre più frequenti, fra membri della famiglia pagani e donne cristiane; il mantenimento della religione pagana da parte del primogenito maschio; la precoce adesione alla fede cristiana da parte della componente femminile della gens. Il primo caso di conversione nell’ambito della cerchia familiare dei Ceioni e dei Cecina di IV secolo è, forse, quello di Albina, figlia del console del 355 d.C., C. Ceionus Rufius Albinus. Le figlie Marcella e Asella furono infatti ben inserite nella compagine cristiana e in stretti rapporti con Santa Paola e Gerolamo (Fig. 4.11). Anche Ceionius Rufius Albinus, uno dei figli di Cecinia Lolliana, che era stato praefectus urbi nel 389-391 d.C. e citato da Macrobio nei Saturnali come amico di Pretestato, non solo sposò una donna cristiana, ma ebbe buoni rapporti con Sant’Ambrogio, vescovo di Milano, che nel probabile tentativo di convertirlo, gli indirizzò anche un

I matrimoni di Cecina con individui appartenenti alla comunità cristiana potevano essere motivati da strategie politiche volte ad assicurarsi appoggi all’interno delle nuove compagini elitarie in forte ascesa. Questo sembra verosimile per il caso di Publio Ceionio Cecina Albino, il pagano amico di Pretestato citato da Macrobio nei Saturnalia, che sposò una donna cristiana il cui nome è ignoto346, ma dalla quale ebbe tre figli: Caecina Decius Albinus, C. Ceionius Contucius Gregorius, Laeta. Per Caecina Decius Albinus, verosimilmente il primogenito, possiamo essere certi che fosse pagano in quanto è ricordato in varie iscrizioni in Africa, fra cui dediche e restauri di templi pagani in Numidia. Per Laeta sembra certo, invece, che fosse cristiana dal momento che sposò

335 Nel 366 erano stati eletti pressoché contemporaneamente vescovi di Roma, Damaso e Ursino. Gli scontri per il legittimo riconoscimento del potere si protrassero per diversi mesi fino a quanto Damaso venne dichiarato il legittimo pontefice. Cercando supporto da parte delle magistrature civiche, Viventio, prefetto urbano, decise di esiliare Ursino, ma seguendo le intenzioni di Valentiniano I di non interferire nei problemi interni della chiesa, egli non intervenne con la forza. Mentre a Roma la rivolta fra le due fazioni continuava egli abbandonò la città e l’incarico venne affidato nel 367 a Vettio Agorio Pretestato. Il nuovo prefetto urbano agì come alleato di Damaso quasi in una sorta di divisione del potere, la Kahlos sostiene ‘come se a Roma vi fossero due papi, uno, Damaso, papa dei Cristiani, l’altro Pretestato, papa dei pagani’. In virtù di quest’alleanza probabilmente Simmaco, amico di Pretestato venne scagionato proprio da Damaso dall’accusa di aver perseguitato i cristiani (Symm., Rel., XXI). Cfr. Kahlos 2002: 121; Cracco Ruggini 2003: 366-382; Raimondi 2009: 207-211. 336 Diversi sono i pagani corrispondenti e/o amici di eminenti ecclesiastici; Simmaco e Ambrogio, Volusiano e Agostino, Pretestato e Damaso, Paola e Gerolamo, quest’ultimo era fra l’altro segretario di papa Damaso. 337 Per i legami di Furio Mecio Gracco con i Ceioni e i Cecina Fig. 4.11. 338 Hier., Ep., 107, 2; Chastagnol 1962: 198-200. 339 Chastagnol 1961: 744-758.

Malfa 2009: 107-108. Riguardo il circolo culturale di Macrobio e per ulteriori approfondimenti circa il rapporto tra pagani e cristiani in epoca tardoantica si veda Cameron 2011. 342 Kahlos 2002: 60; Salzman 1992: 465-471; O’Donnel 1979. 343 Di tale parere sono anche Chastagnol 1956; Salzman 1992; Yarborough 1976. 344 I casi di Paola e di Melania, sante legate a Girolamo e alle famiglie dei Ceioni e dei Cecina sono calzanti a tale proposito. Cfr. Fig. 4.11. 345 Cfr. Girotti 2014. 346 Il primo Cecina a portare il gentilizio Decius fu Caecina Decius Albinus iunior, consolare in Numidia nel 388-392. Ragionevolmente quindi il padre, Publilio Ceionio Cecina Albino avrebbe sposato una donna dei Decii, altrimenti bisognerebbe ipotizzare un’adozione nella famiglia. 340 341

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ Tossozio, figlio di Santa Paola amica di San Gerolamo e sua corrispondente, fondatrice di un monastero in Terra Santa347 (Fig. 4.9). Ancora più significativo appare che la figlia di Tossozio e Laeta, nonché nipote di Ceionio Cecina Albino, Paola iunior, fosse stata secondo San Gerolamo votata dalla madre al Cristo ancora prima di nascere e destinata alla guida del monastero fondato dalla nonna paterna348.

di autodefinizioni e credenze religiose differenti, ma continuando a perseguire interessi personali355. Campioni esemplari dell’etruscità dai tempi di Cicerone e simbolo di una regione intera appare significativo il fatto che, ancora nel VI secolo d.C., esistessero individui che portavano il gentilizio Cecina, a sottolineare l’importanza assunta dal gentilizio in quanto veicolo di determinati valori. Sebbene non si trattasse di discendenti in linea diretta del ceppo originario di Volterra, il mantenimento del gentilizio rappresentava una consapevole ricerca e un tentativo di tramandare la memoria di un’antichità familiare, valore essenziale nel nuovo contesto storicopolitico della Penisola356.

Il battesimo di Rufius Antonius Agrypnius Volusianus praefectus urbi nel 417-418 d.C., nonché amico di Rutilio Namaziano e corrispondente di Sant’Agostino349, dimostra che, nel momento in cui non fu più possibile o non era semplicemente più conveniente essere pagani e mantenere in vita l’antica religione di tradizione familiare350, la conversione poteva essere funzionale al mantenimento del potere. D’altro canto, sembra essere stato ancora pagano Caecina Decius Aginatio Albino praefectus urbi del 414 d.C., nonché amico di Rutilio Namaziano, e suo ospite presso la villa a Vada Volaterrana351 (Fig. 4.9). Rutilio lo descrisse addirittura facendo espliciti richiami al mondo dell’Etrusca disciplina352. Ecco perché la testimonianza di Rutilio induce quindi a riflettere, ancora una volta, sulla possibile coesistenza di differenti credo religiosi all’interno della medesima famiglia, nonché sull’atteggiamento dei gruppi dominanti nei confronti dei cristiani. Rutilio, pur non amando il cristianesimo, lo condannava apertamente solo quando esso assumeva forme eversive di ritiro dal mondo, aspetto che a suo avviso metteva in pericolo la sopravvivenza stessa dei nobili lignaggi353. Del resto, che membri della famiglia Cecina fossero cristiani implica che Rutilio non potesse rischiare di offendere il suo amico e che lo ospitò. Il suo nostalgico sentimento verso il passato era dettato da un’estrema consapevolezza riguardo un mondo di tradizioni ormai mutate.

Durante il regno di Teodorico (474-526 d.C.) è noto che la stirpe dei Deci, legata da vincoli matrimoniali a quella dei Cecina, era stata fra i primi sostenitori del re dei Goti357. La famiglia venne esplicitamente elogiata da Teoderico in una sua lettera inviata al senato di Roma e trascritta da Cassiodoro358. Del resto, Cassiodoro descrisse Importuno, console del 509 d.C. e appartenente alla famiglia dei Decii, con termini che ricordavano i suoi antenati, specie quando affermava ‘meritorum laude preiudicia aetatis […] atque ideo instituti tui firma vestigium, ut qui primaevus gloria consecutus es florentibus annis gloriosis honoribus augearis […] de maturitate quippe tua multo debent venire meliora, qui in aetate tenera te novimus fecisse predicanda’359. Ancora a distanza di secoli, oltre a honos, virtus, dignitas, ingenium, l’importanza della memoria familiare era un aspetto fondamentale per l’auto-identificazione personale, nonché strumento di prestigio. In uno Stato in costante evoluzione e conquistato dai “barbari” non era più solo la religione a essere valore di coesione, ma anche il mantenimento di un gentilizio, di una nobiltà di sangue ereditaria, di una memoria storica familiare e di un patrimonio culturale antico: l’arma vincente era la tradizione. Solo allora si verificò la totale

La religione tradizionale era stata a lungo strumentalizzata quale valore coesivo di famiglie che continuavano ancora a condividere un’identità etnica. In questo senso è possibile interpretare la lode dell’Etruria di Rutilio354: la condivisione di tradizioni culturali e la costruzione di un’identità familiare, prima, nonché comunitaria e etnica, poi, basata su gravitas, firmitas, fortitudo. Tutto ciò rendeva stereotipata, da un lato, e vincente, dall’altro, la strategia di negoziato del potere dei Cecina e delle élite etrusche con le gentes dell’Impero. Solo nel momento in cui i contraenti del patto si trasformavano, la ridefinizione identitaria si adattava di volta in volta appropriandosi

Ad esempio, Flavius Caecina Decio Maximus Basilius iunior, primo console sotto Odoacre e prefetto del pretorio nel 483, dopo la morte di papa Simplicio venne inviato a Roma da Odoacre per rendere noto un decreto con cui si prescriveva che l’elezione di un papa dovesse d’ora in poi avvenire con la consulenza dei delegati regali. Dopo l’elezione di Papa Felice nel 483, Cecina Basilio si era schierato dalla parte del papa facendo approvare un regolamento che vietava l’alienazione delle suppellettili sacre e degli immobili appartenenti alla chiesa (cfr. Act. synhod. rom., III, 4-5; ‘Basilius Caecina’, in PLRE II, ad vocem). Interessante notare che il neoeletto papa era discendente della gens Anicia, con la quale i Caecina Decii erano imparentati e che certo appoggiare al soglio pontificio un parente, anche lontano, avrebbe certo rappresentato una notevole fortuna per l’intera famiglia. 356 Cfr. Azzara 2013. 357 Flavius Rufius Festus insieme a Albino, primo console di Teodorico e figlio di Flavio Cecina Decio Basilio Maximo iunior, furono inviati a Costantinopoli nel 490 d.C. per ottenere da Zeno e Anastasio il riconoscimento e la legittimità della sovranità del re ostrogoto. Cfr. Cracco Ruggini 2003: 378. 358 Cassiod., Var., III, 6. Nella lettera si faceva riferimento a elementi quali ‘sanguis […] qui tot annis continuis similis splendet claritate virtutis […] stemmate variata […] sanguinis decus […] felicissimus profecto studiorum labor cui priscorum carmen contigit discere per parentes et de avia laude primordia teneri pectoris erudire’. 359 Cassiod., Var., III, 5. 355

Hier., Ep., 23; 107; Girotti 2014. Hier., Ep., 107, 1. 349 Cfr. Aug., Ep., 132; 135; 137. 350 Ad esempio, nell’impero d’Oriente, un editto di Teodosio II del 416 d.C. stabiliva che solo i cristiani avrebbero potuto svolgere la funzione di giudice, rivestire cariche pubbliche, arruolarsi nell’esercito e, nel 423 d.C., si dichiarò che tutte le religioni pagane non erano altro che un culto del demonio. Cfr. Ramelli 2003. 351 Riguardo l’identificazione della villa di Albino Cecina con quella di San Vicenzino cfr. Donati 2012 e infra paragrafo 3.3. 352 Rutil. Nam., I, 470. 353 Cfr. Lana 1961 e 1975; Merone 1955. 354 Rutil. Nam., I, 579-582. 347 348

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Poteri e strategie familiari di Volterra Simmaco di adulterio365. Questi ultimi non vennero però condannati quando Teodorico rigettò i capi d’accusa contro Simmaco366. Flavius Caecina Decius Faustus Albinus iunior, prefetto del pretorio del 510-514 d.C., era un sostenitore di Papa Simmaco, tanto da invitarlo a dedicare la basilica di San Pietro costruita all’interno di una sua proprietà nei pressi di Roma367. Anche il vescovo volterrano Elpidio si era schierato a favore dell’elezione di Simmaco per ben due volte, nel 501 d.C. quando intervenne al sinodo per esaminare le accuse di adulterio e faziosità contro il papa, nel 502 d.C.368.

appropriazione di un patrimonio culturale e di valori intesi ormai come puramente romani. Divenuti cristiani, gli Etruschi si presentarono infine come gli ultimi Romani, garantendo in questo modo alle proprie famiglie una certa libertà di movimento in ambito economico e politico, nonché la sopravvivenza del lignaggio e il mantenimento del potere all’interno di uno Stato in cui l’eredità del passato era considerata fondamentale. Uomini di cultura ed evergeti in ambito pubblico360 e privato361, i discendenti dei Cecina continuavano a mantenere forti vincoli parentali, e a rivestire cariche pubbliche. Teodorico aveva necessità di avviare un dialogo volto a ottenere l’appoggio e la cooperazione con le élite romane e le aristocrazie ecclesiastiche. Tuttavia, il monarca aveva mantenuto la fede ariana per la volontà di salvaguardare l’identità della minoranza dei Goti, da una parte, perché essa costituiva una garanzia di non ingerenza della Chiesa negli interessi goti, dall’altra. I primi contatti di Teoderico con la Chiesa furono con papa Gelasio nel 494 d.C. Il pontefice aveva definito addirittura Teodorico difensore della chiesa e della religione cristiana, nonché degno erede degli antichi imperatori362. Proprio sotto Gelasio operarono i vescovi volterrani Eucaristio363 e, soprattutto, Elpidio richiamato dal papa per essersi recato a Ravenna a rendere omaggio a Teodorico prima di aver consultato Roma364. Il supporto dei Cecina Deci al re Goto, così come l’anomalo comportamento di Elpidio nei confronti di Teodorico potrebbero, in via ipotetica, far intendere una sorta di dirigismo politico a livello locale fra individui dell’élite che possedevano ancora proprietà nel territorio volterrano. I Cecina Deci continuavano, tuttavia, a mettere in atto le medesime strategie dei secoli precedenti, diversificate a livello di alleanze politiche e culturali, specie in relazione alle contese religiose e civili a Roma, nonché ai difficili rapporti fra Oriente e Occidente. Alcuni membri della famiglia erano stati sostenitori di papa Simmaco, in occasione del processo seguito alla doppia nomina papale a Roma. Altri avevano appoggiato invece la causa dell’antipapa Lorenzo, accusando

Allo stesso modo, nel 509 d.C., in occasione della severa repressione circa i tumulti scoppiati fra le fazioni del circo, il coinvolgimento dei fratelli Importuno e Teodoro, entrambi appartenenti alla famiglia dei Cecina Deci e riconosciuti colpevoli di aver istigato massacri contro i Verdi, non vennero condannati e anzi, i loro fratelli Abinus e Flavius Avienus (Fig. 4.10) furono onorati da Teodorico con l’incarico della scelta del mimo più adatto per la cosiddetta pars prasina369. Le politiche dell’imperatore Giustino indirizzate, a partire dal 518 d.C., a reprimere l’arianesimo furono all’origine di una crisi nel fragile equilibrio fra Oriente e Occidente. Fra le nuove misure adottate: la chiusura dei luoghi di culto, l’espulsione dalle funzioni pubbliche e da molte professioni qualificate, la limitazione dei diritti giuridici, confische patrimoniali, il carcere o la pena di morte. In Occidente, l’equilibrio politico che si era mantenuto tra 365 Il pretesto per la nuova presa di potere della fazione di Lorenzo fu un decreto ratificato pochi giorni dopo la morte del precedente papa Simplicio riguardante legittimità giuridica dell’elezione al soglio pontificio e il divieto di alienazione di beni ecclesiastici rivolto anche al clero stesso nel tentativo di riportare all’ordine quanti non rispettavano le gerarchie della chiesa. Accusato dagli oppositori, si aprì un lungo processo che si protrasse fino al 504 con l’arbitrato di un visitator, commissario ecclesiastico scelto da Teodorico. Il processo si risolse con la “ingiudicabilità del papa” e il reintegro di Simmaco sul soglio pontificio. Non essendo tuttavia universalmente accettate le risoluzioni del concilio, l’opposizione si riaccese e lo scisma ebbe effettivamente fine solo nel 506 mentre i rapporti politici fra Teodorico e Simmaco peggiorarono progressivamente. Cfr. Cracco Ruggini 2003: 377; Cassiod., Var., X, 11; 12. 366 L’elezione di Simmaco nel 498 avvenne in contemporanea con quella di Lorenzo, definito antipapa. Per risolvere il problema e per sedare i tumulti fra le due fazioni di sostenitori, le fazioni fecero appello al re ariano Teodorico. Teodorico si pronunciò in favore di Simmaco, forse perché pensava di poterlo usare come strumento contro le politiche di Costantinopoli o forse perché egli agì corrompendo qualche funzionario di corte vicino al re. Sulla corruzione di funzionari imperiali da parte di Simmaco si rimanda a Ennodius, Epistulae 3.10; 6.33; Richards 2014: 70; Davis 2010: 40-45. 367 Lib. Pont., Symmacus, 53, 10. I Cecina Deci possedevano il fundus Pacinianus sulla via Tiberina a circa 27 miglia da Roma. Nel liber, viene inoltre ricordata la moglie di Albino, Glaphyra. Cfr. Albinus, in PLRE II, ad vocem. Interessante notare a tale proposito che la realizzazione di un edificio di culto all’interno della proprietà era una pratica sempre più comune da parte delle élite tardoantiche. Basiliche private, oratori, edicole sacre, ma anche monasteri, ereditavano la funzione dei mausolei divenendo anch’essi monumenti per la gloria del proprietario in un nuovo contesto di competizione elitaria. Inoltre, il mantenimento di culti privati rimandava in parte al culto domestico dell’epoca pagana sebbene ormai trasferito in una nuova serie di valori e ideologie. Per ulteriori considerazioni in merito: Wood 2006; Bowes 2008. 368 Cavallini 1972: 8. 369 Cameron 1976; Cracco Ruggini 2003: 378.

In particolare, si ricorda Cecina Decio Basilio Mavortio impegnato nella bonifica di paludi a Terracina mediante la realizzazione di canali di drenaggio come ricordato dall’iscrizione CIL X, 6850 e da Cassiodoro nell’epistola II, 32. Molto interessante appare il fatto che Teoderico si presenti come colui che effettivamente aveva restaurato le opere pubbliche lungo la via Appia e a Decemnovium mentre Cecina era semplicemente colui che aveva effettuato i lavori per esaltare la gloria del monarca. Il regno di Teoderico intendeva effettivamente presentarsi come una monarchia che affondava le proprie radici nella tradizione della stirpe gota per trarre da questa legittimità, ma in Italia Teoderico aveva la necessità di essere riconosciuto in quanto erede della stirpe imperiale antica. Ecco perché, attraverso la propaganda, egli tendeva ad appropriarsi delle prerogative considerate tipiche del modello della sovranità imperiale, quale mecenatismo, amore per la cultura classica, ospitalità nei confronti degli intellettuali. Inoltre, Teodorico aveva concesso al patrizio Albino di costruire abitazioni private sulla vasta superficie utilizzabile al di sopra di un portico accanto al Foro e unito alla domus Palmata, nel centro di Roma, a patto che la nuova costruzione non offendesse la pubblica utilità o il decoro della città (Cassiod., Var., IV, 30). Per ulteriori approfondimenti su Teoderico e la sua politica culturale in Italia cfr. Saitta 1993; Azzara 2013. 361 Lib. Pont., Symmacus, 53, 10. 362 Azzara 2013: 68-69. 363 Decr. Grat., II, 23, 8, 6; cfr. infra paragrafi 1.3; 3.3.3. 364 Cfr. Cavallini 1972: 7-8; infra paragrafi 1.3;3.3.3. 360

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’ Goti e Romani s’incrinò progressivamente e Teodorico rispose alle persecuzioni contro gli ariani con identici provvedimenti contro i cattolici residenti nel suo regno. A ciò si unirono gravi problemi di politica estera che irrigidirono ulteriormente le posizioni di Teodorico nei confronti di Costantinopoli370. La scelta di Giovanni I come nuovo papa, esponente caro agli ambienti filobizantini, preoccupava non poco il re Goto che, a quel punto, coinvolse direttamente il senatore Albino, probabilmente da identificare con Flavius Caecina Decius Faustus Albinus iunior prefetto del pretorio del 510 d.C., e che aveva costruito con la moglie Glaphyra una basilica dedicata a San Pietro presso suoi possedimenti vicino Roma371 (Fig. 4.10). Il legame fra i Cecina Deci e questa Glaphyra assumerebbe particolare significato se si considerasse la donna come un’appartenente alla potente famiglia dei filobizantini Anicii372. Verrebbero così ad assumere una rilevanza particolare sia la condotta di almeno parte della famiglia durante il processo a papa Simmaco, sia il coinvolgimento in un complotto ai danni di Teodorico nel 523 d.C.373. A Verona, davanti la corte del re, si svolse un processo contro il patrizio Albino accusato da Cipriano di intrattenere rapporti segreti con l’Oriente, dal momento che avrebbe annunciato all’imperatore di Costantinopoli l’elezione di papa Giovanni I con lettere nelle quali erano probabilmente contenuti apprezzamento e sostegno per l’editto con il quale Giustino aveva bandito l’arianesimo dai suoi domini. La difesa di Albino fu assunta dal cristiano Anicio Manlio Severino Boezio374, console del 510 d.C. filosofo e magister officiorum di Teodorico, che accusò pubblicamente di calunnia Cipriano. Denunciato come “oppositore”, Boezio insieme ad Albino e a Simmaco, suo suocero allora capo del senato, vennero accusati di tradimento, collusione, lesa maestà e, infine, condannati con l’incarcerazione375. Politica, religione e filosofia si riunivano in quella che sembra piuttosto essere stata un’abile mossa concertata dai sostenitori di Teodorico per l’estromissione di un potente gruppo,

potenzialmente pericoloso per le sue alleanze con le gerarchie ecclesiastiche e l’Oriente. Se nulla è dato sapere sulle sorti di Cecina Decio Albino dopo l’incarcerazione, ciò non vieta di ipotizzare che egli fosse morto, oppure che fosse riuscito a fuggire trovando rifugio a Costantinopoli, o che possa essere stato infine dispensato dalla condanna; del resto, i cugini Importuno e Teodoro erano ancora nelle grazie del sovrano. È infatti attestata la loro partecipazione alla legazione di papa Giovanni I, inviata nel 525 d.C. da Teodorico, all’imperatore Giustino a Costantinopoli 376 . Gli studiosi hanno messo in relazione Anicius Faustus Albinus Basilius, console di Costantinopoli del 541 d.C., proprio con il console Cecina Decio Albino iunior, suo padre377 (Fig. 4.10). Sarebbe dunque suggestivo, anche se non provato al momento, ricollegare la resa di Volterra al generale bizantino Narsete (553 d.C.)378 alla mediazione di membri della famiglia stabilitisi a Costantinopoli dopo la conquista di Totila nel 546 d.C.379, ma che forse avevano ancora un’influenza nel territorio d’origine380. In ogni caso, dopo Cecina Decio Albino iunior nessuno, a quanto è dato sapere, mantenne il gentilizio Cecina381. Per preservare e gestire il potere non era più sufficiente, come in passato, fregiarsi di un gentilizio quale indizio di un’atavica eredità elitaria; era ora necessario appropriarsi di un diritto di sangue che, ereditato dagli antenati e garantito da alleanze matrimoniali, era concesso e sancito dalla grazia divina382. L’appropriazione di concetti quali la “nobiltà di sangue” si evolveva di pari passo con la ridefinizione identitaria, da una struttura familiare ancora legata al clan383 si passava a quella di un vero e proprio casato dinastico. 4.4. Volterra: una comunità etrusca nel mondo romano Il caso di Volterra e delle sue élite, attive a livello locale e sovra-locale, si rivela fondamentale per comprendere come esse si mostrino vincenti nel mantenere saldamente

370 Nel 522 era stato ucciso Sigerico, erede del regno burgundo e nipote di Teodorico; nel 523 Amalafreda vedova sorella di Teoderico venne uccisa in prigionia da Ilderico, cattolico e vicino alla corte di Costantinopoli e sempre nello stesso anno morì anche papa Ormisda leale alla corte ostrogota. Saitta 1993: 54. 371 Fig. 4.11. 372 Potrebbe essere stata sorella di Anicius Probus Faustus (console del 490 d.C.) e forse una degli indefiniti ‘figli’ riportati nell’albero genealogico del PRLRE 2.23: 1321. Sulle parentele dei Cecina Deci e gli Anici cfr. Cracco Ruggini 1994 e 1988; Cameron 2012; infra Fig. 4.11. 373 Cfr. Moorhead 1984: 107-11; Bjornlie 2010: 135-154. 374 Nato intorno al 480 d.C. alla morte del padre, Boezio venne accolto nella famiglia degli Anicii divenendo genero di Simmaco, allora prefetto di Roma. Nel 510 d.C. Boezio era console, ma anche un intellettuale cristiano impegnato politicamente, nonché lontanamente imparentato con i Cecina Deci. Teodorico aveva da sempre nutrito una grande ammirazione per Boezio che aveva ai suoi occhi unificato nelle sue opere la cultura orientale e occidentale, tuttavia il pericolo costituito dai legami di Boezio e dei suoi congiunti giustificò l’ostilità del monarca nei confronti del filosofo. Cfr. Fig. 4.11. 375 Altri gravi capi d’imputazione, che Boezio cercò di dimostrare falsi furono: sacrilegio, esercizio di arti magiche, evocazione degli spiriti. Nella Consolatio Philosophiae scritta da Boezio negli anni di prigionia, egli lamenta di essere stato condannato a morte e alla proscrizione da suoi colleghi senatori, senza potersi difendere in un regolare processo dalle accuse ingiuste. Cfr. Saitta 1993: 54; Fumagalli Parodi 1996.

376 Giardina-Cecconi-Tantillo 2004: 203-208; Cracco Ruggini 2003: 379. 377 Flavius Anicius Faustus Albinus Basilius console del 541 d.C. sarebbe il primo a portare la combinazione dei nomi Albinus e Anicius rispettivamente appartenenti ai Cecina Deci e agli Anici. La madre del console del 541 d.C., dunque, doveva ragionevolmente appartenere agli Anici e forse potrebbe essere stata cugina del marito Flavius Caecina Decius Faustus Albinus iunior. Cfr. Cameron-Schauer 1982: 126-145; Davis 2010: 57; Fig. 4.11. 378 Agath, 1.11.1-6, Agathias descrive la campagna in Toscana del 553 d.C. come senza scontri (ἀκονιτί). L’unica città assediata fu Lucca. Per ulteriori informazioni sugli eventi descritti da Agathias, Cameron 1970. 379 Anicius Faustus Albinus Basilius è stato considerato come il console inviato in qualità di ambasciatore a Giustiniano per congratularsi con il nuovo imperatore e portare simbolicamente segno della lealtà di Roma dopo la resa di Ravenna a Costantinopoli. Nel 546 d.C., dopo la conquista di Roma da parte di Totila, insieme ad altri senatori e aristocratici fuggì a Costantinopoli. Giustiniano li accolse come ‘pilastri della tradizione romana’ e si servì del loro supporto per le controversie religiose come quella dei Tre Capitoli. Cameron-Schauer 1982: 126-145; Davis 2010: 57. 380 Significativamente alla metà del VI secolo d.C. cambia la frequentazione delle strutture della villa dei Cecina a San Vincenzino, parzialmente abbandonata dalla metà del secolo precedente. 381 Fig. 4.11. 382 Werner 1998: 453-453. 383 Smith 2006.

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Poteri e strategie familiari di Volterra Ecco perché le élite di Volterra, di cui i Cecina sono il più fulgido esempio, si mostrarono vincenti nel mantenere saldamente il controllo sul loro territorio proprio in virtù di un’identificazione della famiglia nei valori etruschi e nella costruzione di una storia familiare accuratamente tramandata e propagandata. Il successo di una strategia culturale di lungo periodo implica però la necessità di evidenziare i passaggi, talvolta meno evidenti, di continue rinegoziazioni, nell’ottica di una continua ridefinizione delle identità personali in relazione alle contingenze storiche al fine di garantire la sopravvivenza del casato insieme alla cosciente strumentalizzazione di ideologie politiche, sociali, filosofiche funzionali agli interessi personalistici. Con l’evoluzione dall’Impero agli Stati territoriali del Medioevo si trasformava anche il concetto di élite. Dalla nobiltà d’animo, si era passati a considerare nobili coloro che potevano vantare l’appartenenza a stirpi antiche, poi alla nobiltà dinastica si aggiunse quella di valore morale sancita da Dio. Il caso delle élite di Volterra risulta particolarmente interessante perché la sopravvivenza di un’identità elitaria, seppur trasformata da etrusca e pagana, prima, a cristiana e romana, poi, motiva la sopravvivenza di forme di controllo del territorio, ma all’interno di una costante ridefinizione e adattamento dei valori e delle strategie familiari. Degli interessi privati delle élite locali beneficiò l’intera comunità di Volterra divenuta protagonista di molte vicende di portata sovralocale, integrata nell’Impero di Roma.

il potere in virtù di un forte senso di identificazione etnica e comunitaria basata sulla memoria storica familiare gelosamente custodita e tramandata. Il presentarsi ed essere riconosciuti come i migliori, gli optimi viri del centro urbano assicurava il potere ai leader civici, così come di riflesso lo assicurava alle famiglie con le quali venivano strette alleanze matrimoniali. Il caso di Volterra è il chiaro esempio di come non si possa assolutamente parlare di romanizzazione nel senso di una generale e completa adesione a modelli culturali e, al contempo, della totale scomparsa dei valori tradizionali della società. Allo stesso tempo non bisogna eccedere nel presentare il caso, seppure notevole, di resistenza e conservatorismo nel senso di un totale immobilismo e rigidità nei confronti del nuovo regime. Al contrario, come si è dimostrato, le élite mantennero un costante dialogo con le classi dirigenti di Roma e con le classi subalterne locali. Poiché la competizione diventò sempre più serrata e la lotta per la sopravvivenza, nonché la salvaguardia del patrimonio familiare coinvolsero un numero crescente di individui fu necessario mettere a punto strategie diversificate coinvolgendo parenti, amici, clienti. Il mantenimento di basi di potere a livello locale costituiva certo una fonte di sicurezza non indifferente, se è vero che il potere per essere gestito con successo deve essere non solo ostentato e negoziato, ma soprattutto riconosciuto.

Fig. 4.1. Volterra, Porta all’Arco (le tre protomi).

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’

Fig. 4.2. Assalto alle porte di Tebe. Urna MG 371 = BK II, 1 tavola XXII, 5 Körte, Gustav; Brunn, Heinrich von; I rilievi delle urne etrusche (Band 2,1), Berlin, 1890.

Fig. 4.3. Il cavallo di legno davanti la porta di Troia. Urna FMA 5766 = BK I, tavola LXVIII, 2 Körte, Gustav; Brunn, Heinrich von; I rilievi delle urne etrusche (Band 1), Berlin, 1870.

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Poteri e strategie familiari di Volterra

Fig. 4.4. Urna funeraria di Aulo Cecina Selcia (cassa), Museo Etrusco Mario Guarnacci, Volterra.

Fig. 4.5. Urna funeraria di Aulo Cecina Selcia (coperchio), Museo Etrusco Mario Guarnacci, Volterra.

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’

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Fig. 4.6. La famiglia. I Cecina del I secolo a.C. (selezione).

Poteri e strategie familiari di Volterra

Fig. 4.7. La famiglia. I Cecina del I secolo d.C. (selezione).

Fig. 4.8. La famiglia. I Ceioni-Cecina (selezione).

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‘pulmonem rumpere ventis stemmate quod Tusco ramum millesime ducis’

Fig. 4.9. La famiglia. I Cecina-Deci (selezione).

Fig. 4.10. La famiglia. I Cecina e gli Anici (selezione).

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Epilogo Il paradosso di Volterra Il libro dimostra, a dispetto delle precedenti interpretazioni di Volterra come una comunità caratterizzata da strutture estremamente conservative, come le élite locali riuscirono a fronteggiare la sfida dell’integrazione nell’Impero Romano. Grazie ai suoi leader civici Volterra riuscì ad integrarsi nel nuovo contesto politico e culturale. Mediante estese reti di parentela, amicizie, clientele, le élite strutturarono e modificarono progressivamente il territorio e le loro basi di potere a beneficio di privati interessi. Così la comunità romana di Volterra riuscì a beneficiare di un’interconnessione Mediterranea, nonostante il suo “isolamento” geografico e la minore importanza a livello regionale. Il caso dei Cecina dimostra, fino al V secolo d.C., il protagonismo di Volterra nelle fonti antiche. La resilienza di lungo periodo della comunità era legata alle vicende e alle strategie dei local potentes di Volterra. Costoro, agendo a livello sovra-locale, erano riuscite a creare una sorta di sistema antifragile che le nuove élite tardo-antiche fecero fatica a mantenere. Keywords: Volterra, Etruria, Impero Romano, Elite locali, Strategie familiari, Poteri, Archeologia, Storia Antica, Resilienza, Anti-fragilità, Paradosso Despite the previous interpretation of Volterra as a community characterized by conservative structures, the book demonstrates how local elites faced the challenge of integration in the Roman Empire. Through its civic leaders, Volterra succeeded in adapting to the new political and cultural context. Thanks to extended networks of kinship, friendship, and clientship, the elites of Volterra progressively structured and modified their local power bases to benefit private interests. The Roman community benefitted from a Mediterranean interconnection despite its geographical ‘isolation’ and its minor importance at a regional level. The case of the Cecina family attests, until the 5th century AD, the protagonism of Volterra in ancient sources. The long-term resilience of the community was strictly related to the vicissitudes and strategies of the local potentes. They acted at a supra-local level, creating a veritable anti-fragile system that the new elites struggled to retain during Late Antiquity. Keywords: Volterra, Etruria, Roman Empire, Local elites, Family Strategies, Powers, Archaeology, Ancient History, Resilience, Anti-fragility, Paradox Le parole di Enrico Fiumi condensano le peculiarità del caso Volterrano in età romana per cui ‘l’antica città non poteva aspirare, nell’economia generale dell’Impero, ad una posizione di rilievo’1 da un lato, e ‘non vi è altro centro della Toscana che possa offrire un così esteso quadro della civiltà romana’2, dall’altro. Volterra è stata considerata un caso esemplare di ‘conservatorismo di forme e strutture del potere’, all’interno dei rapporti tra le comunità etrusche e Roma e, sul lungo periodo, nel complesso sistema della transizione dal tardoantico all’alto medioevo3. Così come suggerito da Andrea Augenti e Nicola Terrenato, si è cercato di ‘mettere in discussione la gerarchia implicita nel discorso storico dominante che considera le dinamiche delle singole comunità di ordine inferiore rispetto a quelle dei regni e degli imperi’4. L’analisi delle dinamiche di lungo periodo nell’ager Volaterranus ha

permesso di ricongiungere strutture politiche, economiche, sociali alle élite che le determinarono, le controllarono, le modificarono mettendo in luce l’esistenza di complessi sistemi di alleanze, amicizie, parentele, che erano funzionali al mantenimento e alla gestione del potere. Considerando che la posizione geografica di una città ne condizionava fortemente le sorti ha costituito un notevole spunto di riflessione l’affermazione di Enrico Fiumi secondo cui ‘[l]a posizione geografica di Volterra che nel periodo etrusco fu un fattore di floridezza economica e politica, divenne, durante l’Impero Romano e l’età comunale, un coefficiente di decadenza5’. Effettivamente, la particolare configurazione di Volterra descritta da Strabone, la mancata citazione di Vada Volaterrana6 fra i porti dell’Etruria settentrionale che furono maggiormente valorizzati dalla politica economica augustea e interessati dagli imponenti traffici commerciali relativi alla monumentalizzazione di

Fiumi 1978: 6. Fiumi 1978: 7. 3 Per una sintesi del dibattito storiografico si veda Augenti-Terrenato 2000. 4 Augenti-Terrenato 2000. 1 2

5 6

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Fiumi 1968: 171. Menchelli-Sangriso-Genovesi 2018; Sangriso 2011.

Poteri e strategie familiari di Volterra Roma7, la distanza e il relativo isolamento del centro urbano rispetto ai grandi assi di comunicazione rappresentati dalle vie Aurelia, Aemilia Scauri, Quinctia, Cassia, indirizzano verso la ricostruzione di un contesto “subalterno” nel panorama economico regionale. Volterra era solo una fra le tante comunità d’Etruria, il cui centro urbano rispetto a Pisa, Firenze, Lucca, Siena, partiva però svantaggiato per il fatto di non essere attraversato direttamente dalle direttrici della viabilità consolare8. La città mantenne, in ambito regionale, un ruolo tutto sommato secondario a livello economico e politico, specie se confrontata alle dinamiche realtà di Pisa, Arezzo, Firenze o Lucca9. Nonostante ciò, Volterra vantava un centro urbano che era secondo solo ad Arezzo, Cortona, Lucca per dimensione10, ed era situata in una posizione strategica per il controllo delle valli fluviali del Cecina, dell’Era, dell’Elsa, dominando su un territorio la cui estensione era ben maggiore rispetto a quella delle altre città dell’Etruria11. Che la città di Volterra non fosse affatto inaccessibile è stato dimostrato dalla vitalità continuativa del sistema integrato di viabilità marittima, terrestre, fluviale che garantiva il pieno inserimento dell’ager nelle dinamiche economiche e politiche dell’Etruria settentrionale. Tuttavia, il centro rimaneva, a parità di condizioni geografiche e risorse naturali, solo una fra le tante comunità dell’Etruria, dell’Italia e dell’Impero. È interessante notare come Volterra non vantasse condizioni geografiche o risorse particolarmente rilevanti e partisse da condizioni di sostanziale parità rispetto ad altri centri dell’Etruria, se non addirittura sfavorevoli per alcuni aspetti come il non essere attraversata dalla viabilità consolare nel suo centro urbano. A dispetto di tutto ciò, la città aveva una particolare concentrazione di gruppi elitari che, dal I al V secolo d.C., erano attivamente impegnati ai vertici del potere nel più ampio contesto Mediterraneo. Risulta quindi evidente che le sorti e la fortuna delle strutture di gestione del potere a Volterra erano strettamente connesse alle straordinarie capacità delle sue élite di imporsi localmente e a livello sovra-regionale, ricoprendo prestigiose magistrature politiche e importanti cariche militari a Roma o nelle province, e addirittura a riuscendo a dare un imperatore a Roma, Pupieno.

etrusca e quelle non etrusche, ma anche una sorta di monopolio delle cariche magistratuali superiori esercitato dalle élite etrusche. Inoltre, la pratica endogamica fra le famiglie d’origine volterrana rafforzava la componente autoctona dell’élite locale, mentre il legame matrimoniale fra gentes non etrusche e membri di quelle a loro volta integrate nella compagine cittadina, ma che provenivano da altre città dell’Etruria, rappresentava un potente mezzo d’integrazione all’interno dell’élite civica. Aspetto comune a tutti i gruppi di potere, ‘in order to be a successful member of any elite one needed one’s peers and inferiors to acknowledge one’s position’12; anche a Volterra è così evidente l’esistenza di diversi livelli di potere locale, una sorta di gerarchia implicita, all’interno di una élite che, consapevolmente, non costituiva un gruppo unitario nemmeno agli occhi dei cittadini. Lo studio dei dati toponomastici e di quelli epigrafici ha permesso di accertare l’esistenza di alcuni casi di potentes etruschi che, imparentati fra loro, avevano proprietà contigue. In questa sede, è stato quindi proposto che la condivisione di interessi economici alla base della contiguità territoriale delle proprietà fosse una precisa strategia per la tutela dei patrimoni, mentre i legami di amicizia e/o di parentela venivano appositamente creati e periodicamente rinnovati per rafforzare i vincoli fra le famiglie13. Di contro, l’acquisizione, a seguito della deduzione coloniaria, di spazi economici e proprietà nel Volterrano da parte di famiglie di origine non etrusca si accompagnò spesso a strategie matrimoniali all’interno delle medesime famiglie coinvolte in attività produttive e/o legate al mondo militare, nell’intento quindi di rafforzare l’aspetto commerciale ed economico e aumentare così il loro peso politico a livello locale. Inoltre, le attività economiche gestite a livello imprenditoriale dai potentes di Volterra erano attestate con più frequenza al di fuori dell’ager Volaterranus. Solo per pochissimi produttori, per lo più appartenenti all’élite etrusca, è possibile affermare con certezza che gestissero manifatture nel territorio di Volterra. La capacità delle élite etrusche nel mantenere saldo il controllo sulle loro basi di potere territoriale è del resto stato dimostrato dalle evidenze archeologiche, epigrafiche e toponomastiche attestanti il sostanziale continuativo controllo dell’area costiera e della val di Cecina, a discapito delle aree interne e settentrionali della val d’Era e della bassa val d’Elsa. Che la determinazione dello status giuridico di queste ultime zone e la “concessa” ubicazione delle proprietà di famiglie appartenenti alle gentes non etrusche o a proprietari di ceto libertino fossero frutto di un compromesso interno fra i gruppi di potere di Volterra, esterno fra élite di Volterra e Roma, appare verosimile.

L’applicazione al caso di Volterra del modello elaborato da Danielle Slootjes sulle élite locali dell’Impero Romano e lo studio dei dati epigrafici hanno permesso di rilevare nel senato cittadino l’integrazione fra famiglie di origine Cfr. Giua 1996. Sulla viabilità nella Toscana settentrionale costiera si veda da ultimo Menchelli-Pasquinucci 2014. 9 Oltre alla notevole vitalità della realtà portuale e produttiva di Pisa e alla fortunata industria ceramica aretina, Firenze era stata scelta quale “capitale” regionale, mentre al III o forse IV secolo d.C. si fa risalire l’istituzione di una fabbrica imperiale di spade a Lucca, la cui importanza strategica verso il territorio lunense ne aveva da tempo determinato la fortuna. Per quanto riguarda le singole realtà toscane si rimanda in particolare a Ciampoltrini 1981; Citter-Vaccaro 2003: 310; Menchelli 2002; Menchelli-Pasquinucci 2014; Maetzke 1941. 10 Rispetto alle altre città dell’Etruria settentrionale, eccetto Populonia che viene considerata abbandonata seguendo la testimonianza di Strabone (V, 2, 6), il centro urbano di Volterra si presentava più grande di Firenze (20 ettari) e Luni (24 ettari), simile a Pisa, notevolmente più grande rispetto a Pistoia (9 ettari) e Siena (4,2 ettari). De Ligt 2012: 318-322 e appendice II. 11 Carafa 1994. 7 8

Nell’ager Volaterranus l’impatto e la persistenza delle strategie adottate da parte dei potentes etruschi dimostra Slootjes 2009: 428. Cfr. infra paragrafi 2.1; 2.2. Per quanto riguarda altri casi di contiguità delle proprietà terriere riscontrati in Italia nel periodo romano è stato fondamentale il lavoro Shepherd 2008. Per l’analisi del fenomeno in età moderna si rimanda a Merzario 1981. 12 13

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Epilogo incrementò notevolmente gli interessi e le proprietà all’esterno, rafforzando al contempo la solida base di potere territoriale nell’ager Volaterranus, pienamente inserito nelle complesse dinamiche politico-economiche del Mediterraneo. La presenza di una vasta rete di amicizie e parentele, nonché di fedeli procuratores all’esterno e specie nei principali porti del Mediterraneo garantirono la salvaguardia degli interessi economici, mentre la cosciente strumentalizzazione di ideologie filosofiche quali lo stoicismo e il neoplatonismo venne impiegata nella competizione per il mantenimento del potere politico e dello status all’interno delle più alte gerarchie dello Stato. L’abile formulazione e applicazione di strategie economiche e politiche di lungo periodo si accompagnava poi all’attenta costruzione di una memoria storica familiare e al mantenimento di una longeva tradizione di autoidentificazione in qualità di eredi dei valori culturali propri del popolo etrusco. Il successo di tale strategia culturale è attestato non solo dal fatto che in questo senso i Cecina legarono il proprio nome a Volterra fino al V secolo d.C., ma soprattutto dal riconoscimento esterno della famiglia in quanto fonte di prestigio, non solo per la comunità, ma per l’intera Regio Etruria. Furono poi la continua ridefinizione e diversificazione delle strategie familiari a garantire di fatto il successo dei Cecina. Nel momento in cui essi scelsero di mettere in atto, contemporaneamente, opposte strategie politiche, economiche, culturali all’interno della stessa gens, riuscirono nel salvaguardare sempre, almeno in parte, interessi, proprietà, famiglia. In questo modo i Cecina riuscirono a mantenere il potere e a garantire la sopravvivenza del loro nome almeno fino al VI secolo d.C.

il loro successo a discapito delle élite non etrusche. Solo all’interno di più complessi fenomeni quali la fine della dinastia Giulio-Claudia, l’ascesa al potere delle élite italiche e provinciali, la riorganizzazione delle proprietà imperiali in Etruria tra la fine del I e il II secolo d.C., è stato possibile interpretare i termini di una generale ridefinizione del potere provata da trasformazioni a livello insediativo e dall’ingresso e integrazione di nuove famiglie all’interno dell’élite locale. Se, come notato da Nicola Terrenato, ‘il compromesso e un duplice atteggiamento, esterno di adesione ai programmi politici dell’impero interno di mantenimento di una propria identità, rappresentano la chiave interpretativa per spiegare la sopravvivenza di gruppi di potere all’interno di una comunità’14, le élite di Volterra, non in maniera diversa dal resto delle élite italiche, si impegnarono attivamente nel negoziato con Roma formulando molteplici strategie familiari volte al mantenimento del potere e alla sopravvivenza del casato. Non fu quindi unicamente l’adozione di strategie politiche, matrimoniali, economiche a fare la differenza e a costituire la peculiarità delle élite di Volterra, quanto piuttosto l’importanza specifica di strategie culturali che si basavano sul patrimonio etrusco riconosciuto come superiore dai Romani che degli Etruschi si consideravano, in un certo senso, eredi. Del resto, che l’‘Etruscità’ fosse alla base del mantenimento delle forme di possesso e gestione della terra in Etruria fino all’epoca longobarda è un’ipotesi già avanzata da Santo Mazzarino15.

Il baricentro del mondo, dopo la nascita di Costantinopoli e ancora di più dalla seconda metà del V secolo d.C., si era spostato verso Oriente. In Occidente, la totale trasformazione del sistema economico-politico e sociale, e l’ascesa di nuovi gruppi elitari avevano contribuito alla progressiva regionalizzazione del potere e alla verticalizzazione delle strutture parentali insieme a una sostanziale transizione del concetto di nobiltà, sempre più concepita in quanto predestinata dal sangue e dalla grazia divina. Non si riesce a leggere e interpretare chiaramente l’eventuale ruolo dei Cecina nelle dinamiche volterrane dopo la metà del V secolo d.C., sebbene membri della famiglia fossero attivi in ambito mediterraneo fino alla metà del VI secolo d.C., né si può considerare lo ‘spostamento delle sedi del potere locale dalla città alla campagna’ nel senso di un ‘ritorno alle sedi originarie del potere’. Il caso dei Cecina ha dimostrato la consapevolezza della famiglia circa l’importanza del mantenimento di una forte base di potere a livello territoriale, sostanzialmente coincidente con la sua prima fonte di giustificazione elitaria, almeno dall’età arcaica. Erano invece completamente cambiate nei secoli le strutture statali, ma anche i valori costituitivi della società e, quindi, del potere.

Dell’élite etrusca di Volterra, attestata ancora nel III secolo d.C., si perde progressivamente traccia mentre, significativamente, solo i Cecina, la cui preminenza locale rappresentò una costante almeno fra i secoli I a.C. e V d.C., continuarono a legare il loro nome alla città. Supra-local potentes in quanto detentori di poteri politici, economici, religiosi, militari e culturali, aventi il potere di agire a livello sovraregionale, i Cecina erano considerati i principali leader della comunità, nonché eminenti interlocutori delle élite esterne e dell’Impero. Localmente un potere de facto era loro riconosciuto dalle élite e dalle classi subalterne, sia per l’appartenenza a una famiglia che manteneva viva l’identità etrusca sia per la fitta rete di alleanze, amicizie, fedeli sostenitori. Tutto ciò non solo rafforzava la base di potere locale, ma garantiva potenzialmente ai Cecina la capacità d’intervento all’interno delle politiche cittadine. L’amicizia e la protezione di eminenti politici romani nel I secolo a.C., così come le alleanze matrimoniali, i patronati, erano funzionali alla creazione di clientele sempre più numerose che, tramandate, avrebbero garantito alla famiglia una sostanziale libertà di movimento nel più ampio contesto imperiale con evidenti ricadute in ambito economico e sociale. Ricoprire alti incarichi militari e politici nelle province, nonché la vicinanza dei Cecina alla casa imperiale nel I secolo d.C. ne 14 15

Il complesso delle dinamiche di transizione dal tardoantico al medioevo deve, per il caso di Volterra, essere ulteriormente indagato in questo senso. Del resto, non si può evitare di notare che la reale assenza dei Cecina sul

Terrenato 1998. Mazzarino 1957.

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Poteri e strategie familiari di Volterra famiglia nella gestione del potere ai vertici dell’Impero, avendo legato la memoria storica familiare a Volterra, grazie al mantenimento in loco di interessi, prestigio e proprietà, avevano realizzato nella città una sorta di “signoria informale” che per alcuni aspetti richiama, solo suggestivamente, un altro caso toscano, quello della Firenze al tempo dell’ascesa dei Medici18. John Percival e Chris Wickham avevano del resto già individuato per le élite tardoantiche i cosiddetti ‘seigneurial aspects’ proponendo l’idea di un feudalesimo già esistente all’interno dell’Impero di Roma19. Volterra e i Cecina, in quanto esponenti più significativi della sua élite all’interno della quale i supra-local potentes costituivano una componente maggioritaria, rappresentarono un eccezionale caso di resilienza delle strutture del potere locale20 i cui aspetti sono stati meglio definiti e circoscritti all’interno di complessi fenomeni di adattamento e ridefinizione in rapporto alle contingenze macro-storiche. Tuttavia, sembrerebbe giunto il tempo per interpretare il caso di Volterra romana, non più seguendo unicamente il paradigma della resilienza, ma anche quello dell’antifragilità21, ossia di un sistema che, grazie alle sue élite, non solo si adattava e resisteva ma, soprattutto, si migliorava. In questo senso, si è consapevoli che futuri studi e ricerche potranno ampliare gli orizzonti della comprensione storica e modificare quanto fin qui prospettato. Come è emerso dall’applicazione di un approccio d’analisi sulle dinamiche di lungo periodo per una comunità come Volterra, che in fondo rimaneva solo una fra le tante realtà minori nel più ampio contesto dell’Impero Romano, ma che attraverso i suoi leader civici riuscì a conquistarsi un ruolo da protagonista nelle principali vicende politiche mediterranee, tutto ciò sembra assumere la connotazione di un vero e proprio paradosso.

territorio dopo il V secolo potrebbe in parte giustificare, e dall’altra essere giustificata, da fattori di carattere geomorfologico e climatico che avevano portato alla profonda trasformazione del paesaggio antico. Tutto ciò, insieme a motivazioni di ordine politico e sociale, avrebbe determinato la completa e definitiva destrutturazione dell’antica rete di rapporti che era stata alla base della lunga fortuna delle élite etrusche, e specie dei Cecina, insieme al completo distacco da un patrimonio culturale identitario che, seppur nei secoli trasformato da etrusco e pagano, a cristiano e romano, aveva rappresentato lo strumento per eccellenza dell’ontologia elitaria in quanto potente mezzo di coesione interna e di riconoscimento esterno. In Toscana, dopo la fine dell’Impero Romano, le guerre fra Goti e Bizantini, la conquista longobarda, emersero sempre più le città di Lucca, Pisa, Firenze, Siena. Nel 553 Volterra si arrese al generale Narsete e passò sotto il controllo bizantino. Solo poco tempo dopo, dal 574 o 576 l’area fra Era ed Elsa costituì l’area di confine in occasione degli scontri fra Bizantini e Longobardi; sebbene Volterra riuscì a resistere ai Longobardi fino agli inizi del VII secolo perse progressivamente gran parte del suo territorio. Lucca si appropriò dell’area a nord fra i fiumi Era ed Elsa. Populonia si espanse recuperando le aree costiere fra Bolgheri e San Vincenzo. Siena conquistò l’area fra San Lorenzo a Merse e quella compresa fra i fiumi Farma e Merse. Pisa ottenne l’area fra il Fine e il Cecina. Nel Volterrano il quartiere portuale di San Gaetano rimase attivo16 e le attività produttive continuarono in un paesaggio che, progressivamente, stava cambiando, così come i gruppi al potere. Sebbene non sia facile comprendere chiaramente le dinamiche del periodo goto, bizantino, longobardo di Volterra, la città continuò a ospitare una diocesi e fu anche sede di una curtis controllata da un gastaldus, dalla fine del VII secolo, visse una fase di rinnovo edilizio con l’operato del vescovo Gaudentiano e del gastaldo Alchis17. Tuttavia, nella transizione all’alto medioevo sembra che Volterra, pur mantenendo il suo status di città e sede vescovile, rivestisse un ruolo tutto sommato secondario rispetto agli altri centri della Toscana. Ciò fu in parte dovuto alle nuove dinamiche storico-politiche del contesto mediterraneo, ma anche alle nuove élite di Volterra che, nell’elaborare differenti strategie per la gestione del potere, non ebbero la capacità di replicare quelle versatili dei loro predecessori del periodo romano. I Cecina, dal I secolo a.C. al V secolo d.C., grazie alla straordinaria capacità attuativa di strategie di lungo periodo, mediante il coinvolgimento attivo di membri della

18 Riguardo l’aspetto secondario di Firenze, a livello geografico e demografico, nel panorama italiano ed europeo, e le politiche di Cosimo de Medici che furono alla base dell’ascesa al potere della famiglia si vedano: Padgett 2010, Hale 1977. 19 Percival 1969; Wickham1984. 20 Cfr. Augenti-Terrenato 2000. 21 Per un approccio alle teorie sulla resilienza applicate in ambito storicoarcheologico si veda Redman-Kinzig 2003, Redman 2005; Faulseit 2016. Si ritiene che concetto di ‘anti-fragility’ formulato da Taleb (2012) possa essere proficuamente applicato in ambito storico-archeologico per nuove prospettive interpretative.

L’Anonimo Ravennate cita Badis Volatianis ancora alla fine del VII secolo, (Ravennatis Anonymi Cosmographia, 336.4; 268.6) indice che le infrastrutture fossero ancora in attività sebbene con forme e funzioni probabilmente differenti rispetto al passato. Cfr. MenchelliPasquinucci 2015: 43. 17 Augenti-Munzi 1997: 43-46; Cracco-Ruggini 1994: 139; Munzi 2004: 293-294; Ceccarelli Lemut 1991: 26. 16

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Crediti fotografici Le figure presentate in questo volume sono state realizzate dall’Autore ad eccezione delle seguenti riprodotte per gentile concessione del: Ministero della cultura, Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Pisa e Livorno Figg. 2.4, Iscrizione di dedica del teatro di Volterra; 3.11, Mosaico dalle terme di San Felice Museo Etrusco Mario Guarnacci, Volterra, Pisa Figg. 1.8, Statua di togato detta del “Prete Marzio”; 1.9 e 1.10, Urna di un magistrato, MG 4647 (fronte e laterale); 1.11-1.12, Meridiana donata dall’edile Quintus Poena Aper (fronte e retro); 3.10, Mosaico da una domus nei pressi di Porta Fiorentina; 4.4-4.5, Urna funeraria di Aulo Cecina Selcia (coperchio e cassa) Museo Civico Archeologico Palazzo Bombardieri, Rosignano Marittimo, Livorno Figg. 1.15, Epigrafe in marmo attestante il titolo di ‘Colonia’ per Volterra; 3.14, Frammento di statua femminile da La Villana, Museo Civico Archeologico, Rosignano Marittimo Heidelberg University Digital Library Le figure 4.4 e 4.5, sono state tratte da G. Körte, H. Brunn, I rilievi delle urne etrusche, Berlino, 1870-1916, i cui volumi sono stati digitalizzati e resi disponibili con Public Domain Common Licence dall’Università di Heidelberg all’indirizzo https://digi.ub.uniheidelberg.de/diglit/ brunn1870ga

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Indice dei nomi∗ Aconia Paolina: 146. Adriano: 38, 57 n. 385, 63, 76 n. 122, 133, 145. Aebutio Sesto: 16. Aelii: 9-10, 23, 46-47. Aelio Vero Lucio: 10 n. 72, 76 n. 122, 133 n. 122. Afranio Burro: 62 n. 478. Agathia: 151 n. 378. Agostino (sant’): 148 n. 336, 149. Agricola: 145. Agrippa: 44 n. 166, 58, 73 n. 61, 75 n.100, 138 n. 200. Agrippina: 21, 53 n. 316, 75, 142-143. Alarico: 77, 135. Alchis: 80 n. 194, 162. Alessandro Severo: 44 n. 166, 75 n. 100, 80 n. 183, 145. Allii: 10, 23, 46-47. Ambrogio (sant’): 148. Ammiano Marcellino: 59, 60 n. 437. Anastasio: 149. Anaenio Phariano Marco: 12-14, 37. Anfiarao: 137. Anicii: 151. Anicio Basilio Fausto: 151. Anicio Manlio Severino Boezio: 151. Anicio Probo Fausto: 151 n. 372. Anteio: 55. Antio Caio: 55 n. 346. Antonio: 95, 138, 141. Antonino Pio: 64 n. 507, 133. Apicio: 60. Apollinare: 139 n. 210. Apollodoro: 146. Appiano: 17, 94. Appii: 35, 39. Apronio Lucio: 20. Aquilino: 49. Arcadio: 147. Ario di Alessandria: 131. Aristotele: 135. Arminii: 10, 23, 24 nn. 308-309, 43-44, 145. Arminio Probo Caio: 10 n. 71, 44. Arnobio: 134. Arria maior: 23 n. 295, 131 n. 93, 132 n. 103, 144. Arria minor: 23 n. 295, 44, 131 n. 93, 132 n. 109, 144 n. 273. Arruntio Camillo Scriboniano Lucio: 143, 144 n. 272. Artemide: 78 n. 151, 84-85. Asella: 148. Asinio Pollione: 144 n. 276. Augusto: 7-8, 20-21, 24, 36, 40, 45, 53-55, 58, 64, 71, 75-76, 78-79, 95, 131, 136, 138, 142.

Aulinnae: 44-45. Aure: 84. Aureliano: 98, 134, 146. Aurelii: 38 n. 74, 39 n. 101. Aurelii Cottae: 53 n. 309. Ateio: 40. Ateius Cneus Xanthus: 83 n. 227. Attico: 17-18, 94. Attii: 36 n. 38. Attinia: 46 n. 201. Attis: 15 n. 171, 56 n. 353, 63 n. 499, 143 n. 267, 146. Axii: 48-49. Axius Philadespotus Sextus: 48. Axu: 48. Baebii: 40-41. Baebio Aureliano Lucio: 41. Baebio Iusto Salvio: 41. Baebio Noviano: 41. Baebio Secundino: 41. Balbo Cornelio Lucio: 18. Balbo Nonio Marco: 11 n. 80, 36. Barea Sorano: 144. Bareaeus: 39. Bellona: 50, 92-93. Bona Dea: 61, 92, 93 n. 387, 97 n. 449. Bradua: 39. Bruto: 75. Catone: 131 n. 77, 145. Caecilii: 49. Caecinae: 9-10, 23-24, 35 n. 24, 64 n. 501, 131 n. 77. Caecinae Albinii: 57. Caenii: 37 n. 53. Caesilio: 12, 23 n. 295. Caligola: 42 n. 135, 144. Calisna Sepu: 42, 136. Calpurnii: 49. Calpurnia Heroidis: 75 n. 100. Calvisio: 18 n. 221. Capitone: 132, 138. Caracalla: 8 n. 49, 58 n. 396. Carbone: 17 n. 194. Carrinas Caio: 42. Carrinas Secundus: 42 n. 135. Carrinates: 24, 42. Carrinatia Prima: 42 n. 136. Carsimaro: 39. Cassii: 35, 38. Cassio Dione: 94 n. 419. Cassio Longino Caio: 38. Cassio Publio Secundo: 38 n. 75. Cassio Saturnino Caio: 38 n. 80.

L’indice non comprende i nomi degli Autori moderni riportati in bibliografia



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Poteri e strategie familiari di Volterra Cassiodoro: 59, 149-150. Catianilla: 147. Catilina: 16 n. 189, 19, 35 n. 24, 37 n. 59, 73, 129, 131 n. 88. Cecina Alieno Aulo: 59, 62. Cecina Alieno Tiberio: 59. Cecina Antistio Marco: 56. Cecina Aulo (protagonista dell’orazione pro Caecina): 16-17, 49 n. 243, 71. Cecina Aulo (corrispondente di Cicerone): 18-20, 24, 36, 56 n. 358, 94, 130, 132, 137, 141. Cecina Aulo Quadrato: 55, 56 n. 360. Cecina Calpurnio Caio: 56 n. 356, 62 n. 485, 145. Cecina Ceionio Publilio: 57. Cecina Ceionio Publio Albino (cons. Numidia): 57-58, 147 n. 328, 148. Cecina Ceionio Quinto Vero: 57. Caecina Decii: 22, 59, 149 n. 355, 150-151. Cecina Decio Aginatio Albino: 48, 57 n. 383, 59, 149. Cecina Decio Basilio Massimo Flavio iunior: 149. Cecina Decio Fausto Albino Flavio iunior: 150. Cecina Decio Mavortio Basilio: 59, 150 n. 360. Cecina Fidente Caio: 56. Cecina Hermaes Aquileiensis: 56. Cecina Largo Caio (cos. 42 d.C.): 15, 54, 56-57, 63. Cecina Largo Caio (pref. ann. 250 d.C.): 146. Cecina Largo Caio (Silio): 19-21, 53, 56, 58 n. 413, 142-143. Cecinia Lolliana: 36 n. 29, 57, 59, 146-148. Cecina Peto Aulo: 23 n. 295, 57, 62, 131 n. 93, 143-145. Cecina Peto Caio: 57. Cecinia Prima: 51 n. 292. Cecina Primo Quinto: 57. Cecina Rufio Lampadio Felix: 59. Cecina Sabino Antonio: 36 n. 29, 146-147. Cecina Semptimiano: 59. Cecina Severo Aulo: 19-21, 53, 55-57, 59, 140-143, 145. Cecina Severo Lucio: 54-55, 63. Cecinia Sozusa: 18 n. 216, 56 n. 356. Cecina Tacito Aulo: 57 n. 375, 145-146. Cecina Talaticus Caio: 57. Cecina Tusco Caio: 58, 62 n. 479, 144. Cecina Volaterranum: 59, 95, 141 n. 230. Ceionio Contucio Gregorio: 148. Ceionii Rufii: 57, 146. Ceionio Rufio Albino: 57. Ceionio Rufio Cecina Sabinus: 146. Ceionio Rufio Volusiano Lampadio Caio: 57, 146-147. Celerina: 61. Cerinei Velia: 42. Cesare Caio: 53. Cesare Caio Giulio: 8, 12 n. 104, 17-20, 36, 43, 64, 71, 78, 94, 129, 136-137, 138 n. 200, 141. Cesare Lucio: 53. Cesennia: 16 n. 191. Cesio Basso: 44 n. 175. Cicerone Marco Tullio: 7, 8, 15-20, 24, 35-36, 42-43, 49, 56, 58, 94-95, 128, 130, 132, 136-137, 140-141, 149.

Cicerone Quinto Tullio: 58 n. 413. Cilnii: 12, 23, 36, 64 n. 501, 130-131. Cilnio Mecenate Caio: 12 n. 93, 36 n. 34, 128, 130-131, 138, 141 n. 229, 142. Cilnio Paetino Caio: 36 n. 34. Cilnio Varo Caio: 12 n. 93. Cimarulina Onesimo: 75 n. 100. Ciriaco d’Ancona: 14 n. 148. Claudio: 15 n. 159, 36, 44, 50, 54-56, 58, 62, 128, 130131, 133, 143-144. Claudio Gaio (cos. 92 a.C.): 7. Claudio Marcello Marco: 53 n. 315. Claudius Glyptus Titus: 51 n. 281. Clemente Alessandrino: 132 n. 104. Clemente (san): 80 n. 194. Commodo: 10 n. 72, 80, 145. Cornelia: 20. Cornelii: 49, 133. Cornelio Labeone: 134. Cornelio Severo: 142 n. 241. Costante: 92 n. 380. Costantino: 99, 134-135, 146. Costanzo II: 92 n. 380, 135, 146. Costanzo Cloro: 134. Cotta Massimo Messallino Aurelio Lucio: 53, 141. Crasso Licinio: 19, 58. Cure: 42-43. Curtii: 42. Curtio Caio: 17-18, 19 n. 228, 43, 64, 94. Damaso (papa): 134-135, 147, 148 n. 355. Dardano (liberto): 18 n. 221. Dardano: 136. Decimo Lelio: 20. Decio: 133-134, 146. Demetra: 78, 91-92, 146. Diana: 74 n. 77, 84-85. Didia Quintina: 45. Diocleziano: 5, 16 n. 182, 21 e n. 265, 46 e n. 201, 57, 98, 134, 146. Diodorus (fictor): 39. Dionigi d’Alicarnasso: 126, 136, 138. Domitia Phyllis: 50. Domitius Lemnus: 50-51, 97. Domiziano: 11 n. 89, 76 n. 122, 132 nn. 104-113, 143-145. Donax: 50-51, 97 n. 454. Druso Livio: 93 n. 391. Druso maggiore: 20 n. 247. Druso minore: 19, 21. Ecate: 146. Eliano: 131. Ellanico: 136. Elpidio: 23, 150. Elvidio Prisco: 132, 144. Emilio Scauro Marco: 58. Enea: 136-137. Epaphra: 39. Eprio Marcello: 144. 190

Indice dei nomi Eracle: 92, 136. Eucaristio: 22, 150. Eugenio: 147-148. Euhemerus: 39. Eusebio: 134.

Ippodamia: 12. Iside: 36 n. 29, 63 n. 499. Juppiter Terminus: 93. Laberii: 49. Laberio Quieto Sesto: 49. Laeca Porcio Marco: 35 n. 24. Laecanio Basso Caio: 35. Laelia Broccha: 10 n. 75, 20, 23 n. 294. Laelii: 10, 20, 23-24, 45 n. 181. Laeta: 148-149. Laetilia: 61. Latona: 84. Lattanzio: 134. Laucumnii: 48. Lauselii: 48-49, 97 n. 449. Lecu: 35. Leone Magno (papa): 99. Lepido: 131. Liciniano Granio: 17 n. 194, 94 n. 407. Licinio Nerva Siliano Aulo: 53 n. 313. Licinio Publio Valeriano: 133. Licofrone: 42 n. 137, 136. Ligures: 10, 23, 46-47. Livia: 21, 142. Livio: 17 n. 194, 34, 55, 129. Lorenzo (papa): 150.

Fannia: 144. Faustino: 22. Felice (papa): 149. Felix: 41. Festo: 130. Flave: 42-43. Flavio Avieno: 150. Flavio Rufio Festo: 149. Filippo l’Arabo: 134. Filippo Marcio: 138. Filodemo: 131. Fistive: 49. Florentio: 22. Floriane: 50. Frontone: 145. Fulcinio Mario: 16-17. Fulnei: 48. Galba: 37 n. 61, 54 n. 335, 62, 97 n. 456, 133. Gallieno: 16, 133-134, 146. Gaudentiano: 162. Gavii: 9-10, 23-24, 43-45. Gavio Vescenniano Lucio: 9, 43. Gelasio (papa): 22, 150. Germanico: 20-21, 53 n. 315, 55, 75, 141-144. Gerolamo (san): 147-149. Giove: 132 nn. 101-107, 132, 136. Giunio Bleso: 62 n. 479, 133, 144. Giovanni Lido: 134. Giovanni I (papa): 151. Giuliano: 134. Giunone: 136. Giustiniano: 151. Giustino (arcidiacono di Volterra): 22. Giustino (imperatore): 150-151. Giustino (martire): 132 n. 104. Glaphyra: 59, 150 n. 367, 151. Gordiano: 44, 75 n. 100, 76 n. 121. Gordiano III: 80, 133 n. 126. Graziano: 135, 147-148. Graecinii: 10, 43-44, 145. Greciniana: 46 n. 201. Graecinio Prisco Caio: 10 n. 70, 44.

Macrobio: 22, 60, 131, 135 n. 150, 137, 147-148. Macrothymiae: 49. Macunial: 48. Maecius Gracchus Furius: 148. Magna Mater: 63, 146. Marcella: 148. Marciano: 49. Marco Aurelio: 81, 133, 145. Mario Aufidiano Caio: 47. Mario Caio: 17 n. 194, 18 n. 211, 19, 72, 77, 94. Mario Montano Sesto: 47. Massenzio: 134, 146 n. 306. Massimino Trace: 134. Melania: 148. Messalina: 15. Messalla Corvino Valerio Marco: 53, 58. Minerva: 92. Mitra: 62 n. 485, 63 n. 499, 82, 145-146. Murrii: 40-41. Murrius Pudens Quintus: 41. Murtii: 49. Murtius Verianus: 50, 65 n. 511. Musonio Rufo: 131-132, 137, 143 n. 260, 144.

Herennii 9-10, 23, 43. Herennia Cupressenia Etruscilla: 133. Herennio Etrusco: 133. Herennio Secundo: 9 n. 66. Hilarus: 39. Himnegilda: 99. Hostiliano Perpenna: 133.

Namaziano Rutilio Claudio: 15, 22 n. 271, 24, 34 n. 13, 47, 48 n. 228-229, 51 n. 288, 52, 57 n. 383, 60, 81, 98 n. 477, 149. Narsete: 78, 151, 162. Nerone: 44 n. 166, 50, 54, 60, 62, 75, 97, 132, 143 n. 260, 144. Nerva: 58, 97, 145.

Importuno: 149-151. Innocenzo (papa): 135. 191

Poteri e strategie familiari di Volterra Nicomaco Flaviano: 147. Norbano: 17. Novia Veneria: 14. Novius Honoratus: 14. Novius Panther Lucius: 14. Novius Pliconti Aulus: 14, 23-24, 46. Nummii: 49-50. Nummius Apelles Caius: 50.

Poena Quintus Aper: 13, 23-24, 64, 140. Pompeiano: 135. Pompeo Gneo: 18, 20, 24 n. 311, 36, 40, 137. Pompeo Sesto: 42 n. 135, 73 n. 61. Pompilio Ceriale Caio: 10, 12, 14, 19-21, 23-24. Pompilio Proculo Caio: 14. Pomponii: 48. Postumiano: 147. Probatus Publilius Lucius: 16 e n. 186. Properzio: 131 n.87, 138, 142. Plinio il Giovane: 15, 60, 144. Plinio il Vecchio: 8, 16, 22, 37, 58-60, 93, 129, 131, 137, 141 n. 226. Plutarco: 19 n. 238, 37. Porfirio: 134. Publicii: 49-50. Pupia: 40. Pupii: 40, 145. Pupienii: 24 n. 308, 44. Pupiena Sextia Paulina Cethegilla: 45, 133. Pupieno Massimo Clodio Mario: 45, 128, 133-134, 160. Pupieno Pulcher Massimo Clodio Tiberio: 133. Pupienus Tineius Clodius Bassus 133. Pupius Marcus: 40. Pupius Presens Lucius: 40.

Odoacre: 22, 59, 149 n. 355. Onorio: 44 n. 166, 147. Oppio Caio: 18. Orazio: 138. Orca Quinto Valerio: 17-18, 19 n. 228, 43. Orfito: 98. Origene: 132. Ormisda: 151. Ossequente Giulio: 7. Otone: 62, 128, 130 n. 75, 133, 144. Ottaviano (Augusto): 20 n. 247, 58, 73, 95, 131, 138, 141. Ovidio: 53 n. 309, 138, 141-142. Pammachio: 148. Pan: 78, 92. Paola iunior: 149. Paola (santa): 148-149. Papii: 47. Papio Severo Sesto: 47. Papiria: 49. Papirii: 49. Papirius Mandatus: 49. Papirius Philerus: 49. Paschasinus: 99 n. 486. Paulina: 148. Pedanii: 49-50. Pedanius: 39 nn. 85-86, 49. Pelope: 12. Perperna Marco (cos. 92 a.C.): 7. Perperna Marco (luogotenente di Lepido 78 a.C.): 131 n. 88. Perpernae: 13, 24, 64 n. 501. Persii: 9-10, 20, 22-24, 44, 47, 131. Persio Flacco Aulo: 10, 20, 23, 44, 52 n. 298, 60, 62, 128, 131-132, 144. Persio Severo Aulo: 10 n. 68, 44 n. 173. Pestina Apricula: 22 n. 276, 44, 46. Peticii: 36. Petronii: 9-10, 15-16, 23-24, 43. Petronii Volusiani: 9,16, 80, 98. Petronio Tauro Volusiano Lucio (cos. 261 d.C.): 9, 16, 134, 146. Petronio Volusiano Publio (cos. suff. 270): 9. Petronii Umbrini: 9. Plancina: 20, 142. Pisone Calpurnio Gaio (cos. 67 a.C.): 16-17. Pisone Calpurnio Gneo (leg. Siria 17 d.C.) 20, 53, 142, 144. Pitolao: 18 n. 214. Plotino: 134.

Rasinius: 40. Rasinius Postumus: 56 n. 356. Resio Massimo Aulo: 47. Rubellio Plauto: 144. Rufia Volusiana: 146. Rufii: 35-36, 57. Rufio Manio: 35. Rufio Vero Aulo: 35, 36 n. 27. Rufio Volusiano Agrypnio Antonio: 149. Rullo: 17, 19. Rustico Aruleno Giunio: 144. Sabina Volusiana: 146. Saenii: 35-37. Saenio Caio: 37 n. 62. Saenio Lucio: 37 n. 59. Saenio Lucio Fausto: 37. Saenio Restituto: 37 n. 52. Saenio Romano: 37 n. 52. Sallustio: 35, 52 n. 298, 129, 136. Salonina: 134. Salvius: 39. Saturnino: 20. Saufeii: 10, 23. Scilla: 136. Scipione: 34, 55, 72 n. 50. Scribonii: 54 n. 325, 62. Seiano: 128, 130 n. 75. Senecione Erennio: 144. Sentii: 9-10, 23, 35-37. Sentio Caio: 37. Sentio Lucio: 37, 75 n. 99. Seneca: 15, 62 n. 478, 141 n. 226, 143 n. 260. Servilio Publio Isaurico: 17, 19, 131. 192

Indice dei nomi Servio: 131. Settimio Severo: 62 nn. 475-485, 133 n. 124, 145. Severilla: 147. Severus Caius Celtus: 13-14, 23, 46. Sextilio Probo Lucio: 47. Sidonio Apollinare: 78 n. 145. Sigerico: 151. Silio Caio: 15. Silio Nerva Publio (cos. 20 a.C.): 20 n. 250, 53 n. 313. Silla Lucio: 17 n. 200, 18 n. 208, 19-20, 24, 40, 42-43, 64-65, 71-72, 78, 83, 94-95, 131, 137. Silvanus: 57, 92. Simmaco (papa): 23, 150-151. Simmaco (pref. urb. 480 d.C.): 151 n. 374. Simmaco Quinto Aurelio: 21 n. 266, 57, 98, 147, 148 n. 335 e 336. Sirone: 131. Sisenna Cornelio: 20 n. 241, 131. Sisennia: 20 n. 241, 131. Sivigerna: 99 n. 482. Socrate: 132. Solonina: 144. Sosia: 39. Sosia Galla: 20-21, 142. Spurii: 44-45. Squaetinia Maximina: 44, 45, 65 n. 511, 97 n. 459. Squaetinius Grapthus: 45, 97. Sulla Publius: 16 n. 189. Sulpicii Scribonii: 54. Sulpicio Scribonio Proculo Publio: 56. Stilicone: 148. Stobeo: 143. Strabone: 17, 131 n. 77, 159, 160 n. 10. Svetonio: 17, 53 n. 316, 93-94.

Trasea Peto: 62, 131-132, 144-145. Traulii: 15, 64. Traulo Montano Sesto: 15. Traulo Phoebo Caio: 14 n. 152, 23-24, 46. Traulo Quadrato: 9 n. 64, 15. Treboniano Gallo Vibio Caio: 9 n. 63, 133-134. Ulisse: 136. Umbricia Helena: 37. Umbricii: 37. Umbricius Melior: 37 n. 61, 83 n. 226, 133. Ursino (papa): 134 n. 150, 147, 148 n. 355. Urgulania: 142. Valerii: 38, 39 n. 101. Valerio Probo: 131. Valentiniano: 58, 147-148. Valente: 58. Varia Severa: 48. Vegoia: 93. Velleio Patercolo: 20, 21 n. 260. Venuleii: 34, 51, 53 n. 317, 60-63, 65, 97, 139, 145. Venuleio Lucio: 60. Venuleio Montano Aproniano Lucio (cos. suff. 92 d.C.): 60. Venuleio Montano Aproniano Octavio Prisco Lucio (cos. 123 d.C.): 60-61. Venuleio Montano Aproniano Octavio Prisco Lucio (cos. 168 d.C.): 60, 62. Venuleio Montano Lucio: 60. Veratia Aufidia: 47. Vere G.: 41. Vergilia Saturnina: 10 n. 68, 44. Verina: 50. Verre: 16. Verrio Flacco: 131. Vespasiano: 35 n. 24, 54 n. 332, 55 n. 343, 62, 96, 133, 144. Vetinae: 11, 13 n. 130, 43 n. 156, 44-45 e n. 183. Vetina Mamertino: 45. Vetina Prisco Lucio: 9 n. 65, 45. Vettio Agorio Pretestato: 21-22, 38, 98, 128, 134-135, 146 n. 310, 147-148. Vettio Iuliano: 21 n. 267, 50 n. 265. Vettio Iusto: 21 n. 267, 50 n. 265. Vettio Lucio: 21 n. 267, 50 n. 265. Vettio Lucio Philonico: 21 n. 267, 50 n. 265. Vettio Marco Felix: 38. Vettio Marcello: 21 n. 267, 50 n. 265. Vibii: 9-10, 23-24, 43-44. Vibio Prisco: 144. Vicirii: 36 n. 35. Virgilio: 128, 131, 136, 138, 147 n. 328. Vitellio Aulo: 58, 62, 133, 144. Vitellio Publio: 55 n. 346. Vittorie (alate): 84, 92 n. 380. Vittorino: 47-48, 98. Volasenna Corneliano: 37 n. 46. Volasenna Ianuario: 37 n. 46. Volasenna Iusto: 37 n. 46.

Tacito Publio Cornelio: 15, 20, 37, 53 n. 315, 54 n. 332, 55 n. 341, 57-59, 62, 128, 131-132, 137, 142, 144-145. Tarconte: 135-136. Telefo: 136. Tirreno: 136. Teodoro: 150. Teodorico: 149-151. Teodosio: 76, 147 n. 325, 148. Teodosio II: 149. Tertia Scaeva: 10 n. 76, 39 n. 85-86. Tertii 10, 23, 35, 39, 49-50. Tertius Papus: 10 n. 76, 39. Tertulliano: 92 n. 381, 142. Theotimus: 39. Tiberio: 19-21, 51 n. 281, 53 n. 315, 54 nn. 324, 332, 55 n. 341, 75 e n. 100, 76 n. 122, 79, 97 n. 456, 142-143. Tinia: 132-133. Titinii: 54-55. Titinio Glauco Lucretiano Lucio: 54 e n. 325-328. Tito: 62, 96 n. 440, 143 n. 260, 144. Tossozio: 149. Totila: 151. Traiano: 15, 56 n. 356, 58 n. 397, 62 e nn. 475-485, 97, 133 n. 121, 145. 193

Poteri e strategie familiari di Volterra Volasenna Lupo: 37 n. 46. Volasenna Noviano Lucio: 37 n. 46. Volasenna Publio: 11 n. 80. Volasenna Severo Caio (cos. suff. 47 d.C.): 11 n. 80, 36. Volasennae: 11 n. 80, 13, 24, 36-37, 43, 45 n. 183, 64. Volasennia: 11 n. 80. Volasennia Pyramidia: 37 n. 46. Voltumna: 133. Zeno: 149.

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BAR IN TERNATIONA L SE RIE S 3041

‘[It] represents a very significant advance in our understanding of the city of Volterra in Roman times. The main result of Dr Limina’s work is a fascinating fresco of family politics and culture in one Italian community.’ Professor Nicola Terrenato, University of Michigan

Questo libro intende fornire una nuova interpretazione della città romana di Volterra contribuendo a far emergere l’importanza delle élite locali per l’integrazione della comunità nel mondo Romano. Integrando dati letterari, archeologici, epigrafici, toponomastici, questo libro vuole ricostruire le strategie familiari economiche, politiche, culturali, la società e lo sviluppo del paesaggio antico per approfondire la conoscenza degli aspetti storico-archeologici della città romana e del suo territorio. Per il lungo arco cronologico dei secoli I a.C.-V d.C., parentele, alleanze matrimoniali, interessi economici, strategie politiche e culturali, vengono ricostruiti per alcune famiglie chiave. Il risultato è il quadro complesso di una comunità etrusca in transizione nel mondo imperiale romano, fra tradizione e innovazione. This book presents a new interpretation of the Roman town of Volterra from the 1st century BC to the 5th century AD. Combining historical written sources, archaeological and epigraphic materials, and toponymy, the author studies ‘Romanization’ through the local elite families. Valentina Limina, dottore di ricerca in Storia (2019, Università di Pisa), è un’archeologa specializzata in Topografia Antica. Ha partecipato a scavi e ricognizioni in Italia e all’estero. Attualmente collabora con il Laboratorio di Topografia Antica dell’Università di Pisa. Fra i suoi interessi di ricerca: Élite, Paesaggi, Produzione e Identità nell’Impero Romano. Valentina Limina, PhD in History (2019, University of Pisa), is an archaeologist who specialises in Ancient Topography. She has participated in archaeological projects and surveys in Italy and abroad. She collaborates with the Laboratory of Ancient Topography at the University of Pisa. Her research interests focus on Landscape, the Elites, Production, and Identity in the Roman Empire.

Printed in England