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Italian Pages [428] Year 2010
BAR S2055 2010
Pietre da Macina, Macine per Mulini
BOMBARDIERI
Definizione e sviluppo delle tecniche per la macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico
Luca Bombardieri PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI
BAR International Series 2055 2010 B A R
Pietre da Macina, Macine per Mulini Definizione e sviluppo delle tecniche per la macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico
Luca Bombardieri
BAR International Series 2055 2010
ISBN 9781407305448 paperback ISBN 9781407335858 e-format DOI https://doi.org/10.30861/9781407305448 A catalogue record for this book is available from the British Library
BAR
PUBLISHING
INDICE PREMESSA
i-iii 1
I. INTRODUZIONE 1. STORIA DEGLI STUDI 2. CENNI SUL CONTESTO GEOMORFOLOGICO E DEGLI AREALI DI DISTRIBUZIONE DELLE MATERIE PRIME LITICHE UTILIZZATE 3. NATURA E LOCALIZZAZIONE DEGLI AFFIORAMENTI BASALTICI E DEGLI ALTRI GIACIMENTI. STRATEGIE DELL’APPROVVIGIONAMENTO E CONTESTI DELLA PRODUZIONE 3.1. Localizzazione degli affioramenti e strategie di approvvigionamento in Mesopotamia settentrionale durante l’Età del Bronzo. I risultati degli studi di Lease e Laurent. 3.2. Localizzazione degli affioramenti e strategie di approvvigionamento nell’area del Levante meridionale, durante il Calcolitico e la prima Età del Bronzo. Gli studi della Amiran e della Porat e le recenti indagini di WilliamsThorpe. 3.3. Strategie dell’approvvigionamento e localizzazione degli affioramenti fra l’area del Levante e Cipro. I risultati degli studi di Xenophontos, Malpas e Elliott. 4. NATURA E APPROVVIGIONAMENTO DELLA PIETRA PER MACINE NELLE FONTI ANTICHE 5. L’APPROVIGIONAMENTO DELLE MATERIE PRIME LITICHE. CONSIDERAZIONI GENERALI
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1. CARATTERI GENERALI 2. MODELLI MECCANICI 3. MODELLI TECNOLOGICI GENERALI 4. IL MULINO A MACINELLO 4.1. DATI TECNOLOGICI. Morfologia e ricostruzione funzionale 4.2. DOCUMENTI ARCHEOLOGICI. Installazioni, contesti significativi 4.3. AREA E CRONOLOGIA DELLA DIFFUSIONE • Neolitico e Calcolitico • Età del Bronzo Antico (EBA I-IV) • Età del Bronzo Medio e Tardo (MBA I-II-LBA I-II) • Età del Ferro (IA I-III) 4.4. OSSERVAZIONI GENERALI 5. IL MULINO A MACINA SEMPLICE 5.1. DATI TECNOLOGICI. Morfologia e ricostruzione funzionale 5.2. DOCUMENTI ARCHEOLOGICI. Installazioni, contesti significativi 5.3. DOCUMENTI ARCHEOLOGICI. Riutilizzazione, contesti secondari 5.4. DOCUMENTI ICONOGRAFICI Analisi delle rappresentazioni 5.5. AREA E CRONOLOGIA DELLA DIFFUSIONE • Neolitico e Calcolitico • Età del Bronzo Antico (EBA I-IV) • Età del Bronzo Medio e Tardo (MBA I-II-LBA I-II) • Età del Ferro (IA I-III) 5.6. OSSERVAZIONI GENERALI 6. IL MULINO ASSIRO A SCANALATURA 6.1. DATI TECNOLOGICI. Morfologia e ricostruzione funzionale 6.2. DOCUMENTI ARCHEOLOGICI. Installazioni, contesti significativi 6.3. AREA E CRONOLOGIA DELLA DIFFUSIONE • Età del Ferro (IA II-III) e casi successivi di diffusione del
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II. LE PIETRE DA MACINA 1. CARATTERI GENERALI CLASSIFICAZIONE
E
DEFINIZIONE
DEL
SISTEMA
III. I MULINI
mulino assiro a scanalatura durante il I Millennio a.C. 6.4. OSSERVAZIONI GENERALI 7. IL MULINO DI OLINTO A TRAMOGGIA 7.1. DATI TECNOLOGICI. Morfologia e ricostruzione funzionale 7.2. DOCUMENTI ARCHEOLOGICI. Installazioni, contesti significativi 7.3. DOCUMENTI ICONOGRAFICI Analisi delle rappresentazioni 7.4. AREA E CRONOLOGIA DELLA DIFFUSIONE • La diffusione del mulino di Olinto a tramoggia durante l’Età del Ferro ed in epoca classica 7.5. OSSERVAZIONI GENERALI .8. IL MULINO A MORTAIO 8.1. DATI TECNOLOGICI. Morfologia e ricostruzione funzionale 8.2. DOCUMENTI ARCHEOLOGICI. Installazioni, contesti significativi 8.3. AREA E CRONOLOGIA DELLA DIFFUSIONE • Neolitico e Calcolitico • Età del Bronzo Antico (EBA I-IV) • Età del Bronzo Medio e Tardo (MBA I-II-LBA I-II) • Età del Ferro (IA I-III) 8.4. OSSERVAZIONI GENERALI 9. ALTRI MULINI E MIXING BOWLS 9.1. CIOTOLE IN PIETRA O MIXING BOWLS • I precedenti dell’Età del Bronzo Antico e la diffusione delle mixing-bowls fra l’Età del Bronzo Medio ed il Ferro Antico (MBA II- IA I) • La produzione delle mixing-bowls durante l’Età del Ferro (IA II-III) 9.2. ZOOMORPHIC STONE VESSELS E ALTRI MORTAI CONFIGURATI
IV. CONCLUSIONI 1. CONSIDERAZIONI SULLA DIFFUSIONE DEI DIFFERENTI MULINI IN PIETRA 1.1 MODELLI DI DIFFUSIONE E TRASFERIMENTO DELLA TECNOLOGIA NELL’AREA DEL VICINO ORIENTE ANTICO. Dal modello di “Percolation diffusion” di Oppenheim alle applicazioni di Moorey 1.2 ASPETTI SPECIFICI DELLA DIFFUSIONE DELLE TECNICHE DI MACINAZIONE. Convivenza di modelli avanzati e primitivi 2. MOTIVI PECULIARI DELLO SVILUPPO DELLE TECNOLOGIE DI MACINAZIONE. Nuove applicazioni per la teoria dei “Limiting factors” di Moritz . APPENDICI • APPENDICE A SCHEMA COMPLETO DI CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA • APPENDICE B TELL BARRI (Siria). Schedatura del lotto dei manufatti per la macinazione (aree B, G, J, A). • APPENDICE C NIMRUD (Iraq). Schedatura del lotto dei manufatti per la macinazione dalla survey, dalle Aree A1-A3 e dell’area del Forte Salmanassar..
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BIBLIOGRAFIA
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ELENCO DELLE ILLUSTRAZIONI
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TAVOLE
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PREMESSA “Acqua passata non fa macinare mulino” (Detto siciliano) "Stanco dell'infinitamente piccolo e dell'infinitamente grande, lo scienziato si dedicò all'infinitamente medio" (Ennio Flaiano, Diario Notturno)
Questo studio si propone di presentare una ricostruzione di caratteri e linee di sviluppo delle tecniche legate alla macinazione nell’area del Vicino Oriente e del bacino orientale del Mediterraneo in epoca preclassica. La ricerca è intesa a delineare il quadro d’insieme di un campo particolarmente sensibile nella storia della tecnologia antica che rappresenta, per l’area presa in esame, un orizzonte di indagine sostanzialmente nuovo. Considerandone le premesse – l’ampia varietà del campo di indagine, la quantità dei documenti e la novità del soggetto- era facile attendersi dalla ricerca al minimo qualche difficoltà preliminare, e infatti ecco che ben presto, in linea con le attese (e anzi con un certo elegante anticipo sui tempi) le supposte generiche “difficoltà” hanno preso velocemente la forma distinta d’un qui pro quo, di una sincera contraddizione che andava via via chiarendosi all’interno del corpo dei documenti. La larga diffusione di questa tecnologia, infatti, legata a processi primari di trasformazione alimentare, avrebbe dovuto produrre, ancora nelle aspettative, una altrettanto vasta documentazione archeologica (ricca e varia per contesti e culture). Al contrario invece ci si è trovati di fronte ad una realtà di segno opposto che da subito ci ha fatto scontrare con la generale, scoraggiante, scarsità della documentazione disponibile, scarsa nella qualità ma anche nella quantità. La contraddizione investe infatti anzitutto i manufatti legati a questa attività che devono costituire la base documentaria essenziale e ai quali invece nella tradizione degli studi (e nonostante la loro rilevante presenza fra i materiali di scavo) viene spesso riservata scarsa attenzione in sede di pubblicazione. Dal corpus disomogeneo dei documenti derivava dunque per conseguenza la necessità di ampliare la base dei materiali disponibili all’indagine, arrivando a vagliare, alla fine, materiali provenienti da oltre 40 siti, oltre ad alcune collezioni inedite e molto ricche cui si è potuto avere accesso. Fra queste si segnala il lotto raccolto dalle indagini del Centro Scavi e Ricerche per il Vicino Oriente e l’Asia a Nimrud/Kalhu (Iraq) e il ricchissimo lotto che proviene dagli scavi intrapresi dal C.N.R.-Istituto per gli studi Micenei ed Egeo-Anatolici e quindi dall’Università di Firenze e di Napoli “Federico II” a Tell Barri/Kahat (Siria). Oltre all’analisi dei manufatti ha avuto particolare rilievo lo spoglio di una serie di documenti di diversa natura, epigrafici ed iconografici in primo luogo, che hanno contribuito non poco al chiarimento di alcuni nodi controversi. Lo studio si articola infatti in tre sezioni, un’introduzione e due sezioni principali attraverso le quali si è potuto mettere a fuoco per gradi successivi i diversi aspetti connessi con lo sviluppo e la diffusione delle tecnologie legate alla macinazione. Nella sezione di introduzione, oltre a dare conto dei principali contributi che, a vario titolo e con diversa prospettiva, hanno indirizzato nell’ultimo secolo la storia degli studi dedicati a questo orizzonte di indagine, si introduce ai temi d’interesse generale legati alle materie prime utilizzate per la produzione dei diversi manufatti impiegati nei processi di macinazione. Si analizzano anzitutto i caratteri geomorfologici peculiari delle diverse regioni che rientrano nell’ampia definizione di Vicino Oriente e bacino mediterraneo orientale, ed in misura particolare la distribuzione dei giacimenti di calcari e degli affioramenti di basalti che nell’insieme costituiscono le due varietà maggiormente rappresentate all’interno dello strumentario. Si procede poi ad introdurre i temi principali legati all’analisi delle strategie di approvvigionamento delle materie prime necessarie alla produzione di questi strumenti, correlando i dati forniti da una serie di studi che, seppure limitati ad alcune regioni, ha
permesso in anni recenti di studiare le dinamiche di sfruttamento dei giacimenti destinati all’approvvigionamento della pietra impiegata per alcuni importanti lotti (si tratta degli studi condotti dalla Università Laval del Quebec nell’area del bacino del Habur, dall’Università di Tel Aviv nella regione del Negev e gli studi condotti nell’area del Levante meridionale e a Cipro). Con questi documenti si sono potuti incrociare infine i dati forniti dall’analisi di un’interessante collezione di documenti epigrafici, che hanno potuto offrire indicazioni circa le varietà e le differenti modalità di reperimento delle pietre da macina. La prima sezione è quindi dedicata allo studio specifico dei manufatti, ovvero delle macine, attraverso la stesura di una classificazione tipologica che le organizzi sulla base di due principi preliminari: secondo un unico criterio di base e all’interno di una struttura gerarchica costante e verificabile. Si è così studiata una classificazione su base morfologica ordinata gerarchicamente in famiglie, serie, gruppi, classi, tipi primari e relative varianti secondarie. La classificazione tipologica completa delle varianti proposte è riportata nell’Appendice A, in coda al volume. La stesura di una tipologia è utile soprattutto perchè permette di istituire una serie di associazioni interne, su base morfologica appunto, fra gli strumenti, ricostruendo le diverse “coppie” costituite da macina superiore e macina inferiore che costituiscono l’elemento funzionale di base di ogni mulino. La seconda sezione è dunque dedicata ai mulini, ovvero a tutte le macchine destinate alla macinazione, definibili dalla presenza di una coppia funzionale di due macine, una superiore ed una inferiore giacente, che funzionano di caso in caso secondo differenti modalità operative. Alla ricostruzione dell’assetto funzionale di un mulino contribuisce l’analisi di dati di natura diversa. In primo luogo lo studio dei caratteri morfologici delle macine; in secondo luogo lo studio dei dati relativi al contesto del rinvenimento, l’associazione con altri materiali, ma soprattutto i casi (naturalmente più rari) che documentino la presenza di una o più postazioni con mulini in situ. In terzo luogo si devono infine considerare i documenti iconografici, e dunque le diverse rappresentazioni di scene riferibili alle attività di macinazione, i casi noti (per quanto non numerosi) forniscono un immagine immediata, un fotogramma o in certi esempi una vera e propria sequenza, che può risultare determinante per ricostruire l’assetto funzionale di un mulino. Correlando questi differenti documenti è stato possibile individuare 5 tipi di mulini, alcuni dei quali distinti compiutamente per la prima volta (il mulino a macina semplice, il mulino assiro a scanaltura), che nell’insieme rappresentano il complesso delle macchine destinate alla macinazione diffuse nell’area del Vicino Oriente e del bacino mediterraneo orientale attraverso tutto l’arco cronologico preso in esame e di cui è certa la documentazione almeno fra l’Età del Bronzo Antico e l’Età del Ferro II-III o, in termini di cronologia generale, fra il III ed il I Millennio a.C.. Si sono distinti in questo modo il mulino a macinello, il mulino a macina semplice, il mulino Assiro a scanalatura, il mulino di Olinto a tramoggia, il mulino a mortaio ed una serie di mulini a mortaio configuarati e mixing-bowls Per ognuno dei mulini distinti è stato possibile ricostruire l’assetto tecnologico e dunque le modalità del suo funzionamento, verificando in molti casi la presenza di varianti funzionali dello stesso mulino, che, proprio per i loro caratteri specifici e per gli elementi che fra loro le distinguono, è probabile fossero destinate a differenti produzioni (farine di grana e varietà diversa). La ricostruzione dell’assetto funzionale si basa sulla sintesi di dati che vengono presentati in sezioni successive dedicate ai documenti archeologici (fra i quali si considerano in primo luogo le installazioni con mulini rinvenuti in situ, ma anche i contesti significativi di rinvenimento e di associazione ed i contesti secondari di riutilizzo) e ai documenti iconografici (fra cui si considerano le rappresentazioni sui documenti figurativi che riportino scene legate alla macinazione o direttamente riferibili ai diversi tipi di mulini).
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Per ogni mulino si procede quindi all’analisi puntuale della distribuzione, in modo da poterne delineare con maggior cura l’arco cronologico e l’area geografica di diffusione. L’interesse dei casi presentati infatti, che certo non vogliono né possono rappresentare un inventario completo dei documenti noti, risiede invece nelle informazioni che possono fornire in merito alla diffusione geografica e cronologica di ogni tipo di mulino. Si sono privilegiati dunque anzitutto documenti che provenissero da collezioni di siti che presentino una sequenza di occupazione ben databile, o da contesti significativi di rinvenimento; I documenti che si presentano sono infatti utili nel momento in cui costituiscano le tessere che vanno a comporre il quadro della diffusione del mulino ed in molti casi a questo fine risulteranno più interessanti piccoli lotti che possano colmare una lacuna nella distribuzione geografica o cronologica di un mulino piuttosto che lotti maggiori che provengano da contesti di datazione più incerta o si riferiscano a fasi ed aree per le quali la diffusione di quel mulino è altrimenti documentata ed accertata. Nel quadro che così si delinea della storia dei manufatti e delle tecniche della macinazione nell’area del bacino mediterraneo orientale e del Vicino Oriente preclassico, si possono riconoscere percorsi molto dinamici di derivazione ed influenza fra i diversi mulini, sullo sfondo di uno sviluppo generale che presenta tuttavia caratteri omogenei molto evidenti e sembra realizzarsi secondo principi costanti. §§§§ A Paolo Emilio Pecorella che mi ha portato a intraprendere questo studio va il mio più sentito ringraziamento, per aver saputo assecondare gli entusiasmi e seguire gli scoramenti alla giusta vicinanza, per l’affetto e i consigli che ha saputo darmi e per aver costruito la casa delle macine a Tell Barri (che è diventata anche la casa delle conversazioni del pomeriggio con vista sul tell). Ringrazio anche Paolo Fiorina che ha voluto affidarmi lo studio dello strumentario in pietra levigata dagli scavi italiani a Nimrud, Raffaella Pierobon-Benoit che ha seguito il lavoro fin dal principio, Stefania Mazzoni e Roberta Venco. Voglio ringraziare di cuore anche Anna Margherita. Jasink, per avermi incoraggiato ad aggiornare e completare questo studio nella sua veste definitiva. Senza la sua insistenza, pari almeno al suo affetto, questo studio non avrebbe visto la pubblicazione in tempi brevi. Il supporto ed i loro suggerimenti sono davvero stati preziosi per l’elaborazione finale di questo lavoro. Devo un ringraziamento particolare infine anche Fabio Martini e a Rafael Frankel con i quali ho avuto modo di discutere e chiarire molti aspetti legati alla classificazione tipologica. Grazie anche a Francesca Stefanini e Carlotta Forasassi che hanno curato una parte rilevante dei disegni dei materiali di Tell Barri e di Nimrud, e ancora grazie per l’interessamento, le indicazioni ed i suggerimenti che a vario indirizzo sono stati importanti per la stesura di questo libro Nancy Lease, Gabriella Micale, Oliva Menozzi, Riccardo Laurenza, Enrico Ascalone, Shamardan Amirov, Anacleto D’Agostino, Giacomo Biondi ed Emanuela Merluzzi.
L.B. Firenze, 3 Agosto 2009
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Nello studio di Moritz si possono rilevare tuttavia molti aspetti di novità nella struttura e nell'approccio generale, elementi che nel loro complesso indicano un punto di svolta importante nello studio dei manufatti e delle tecniche antiche di macinazione. Si rinuncia anzitutto alla necessità di una trattazione universale, riducendo l’interesse al mondo classico e con questo ad un orizzonte pur vasto ma al quale è legittimo riconoscere una propria omogeneità. In secondo luogo, e questo aspetto risulta di rilevanza ancora maggiore, nello studio di Mortiz si portano all’esame documenti di natura differente su un piano di analisi comune con il fine ultimo di aumentare gli elementi a disposizione per la ricostruzione di un quadro d’insieme che renda ragione dei diversi aspetti della storia della macinazione in epoca classica. I dati che Moritz presenta provengono dall’analisi di documenti archeologici, iconografici ed epigrafici, seppure la proporzione nella valutazione dei diversi documenti è differente e l’interesse più spiccato per l’analisi delle fonti scritte risulta evidente (e del resto in molti casi comprensibile data la particolare ricchezza dei dati utili all’indagine che provengono dalle fonti classiche). Seppure non è possibile riconoscere a GrainMills and Flour in Classical Antiquity un'effettiva uniformità nella struttura e nella trattazione e presentazione dei dati (spesso piuttosto disomogenea), tuttavia al Moritz si deve la prima definizione importante di alcuni tipi di mulino (ad esempio la prima ampia trattazione dei mulini di Olinto a tramoggia, che, per il dettaglio dell'analisi, è seconda soltanto allo studio di R. Frankel, pubblicato a quasi mezzo secolo di distanza), ma soprattutto la distinzione di alcuni aspetti generali che si possono riconoscere alla base dello sviluppo delle tecniche della macinazione (in particolare l’intuizione dei cosiddetti limiting factors, sulla cui definizione e precisazione si tornerà più volte anche nel nostro studio). La ricostruzione dell’assetto tecnologico dei diversi tipi di mulini, in particolare, alla quale è riservata molta attenzione in Grain-Mills and Flour in Classical Antiquity, rappresenta un aspetto di particolare interesse che in quegli anni, ed in misura crescente nei decenni successivi, trova largo spazio in alcune opere di natura generale dedicate alla storia della tecnologia antica. Alla macinazione, grazie alla definizione di mulini diversi e alla ricostruzione dei loro caratteri meccanici attraverso l’analisi di differenti documenti (secondo un modello ripreso dunque dal Moritz) viene dedicata una importante sezione negli Studies in Ancient Technology di R.J. Forbes e nella ponderosa A History of Technology di C. Singer, E.J. Holmyard, A.R. Hall e T.I. Willams, pubblicate fine degli anni ’50. In ambito orientale un approccio analogo si rileva nella trattazione riservata alla consultazione generale e così ad esempio la ritroviamo nella definizione delle voci dedicate alla macinazione del Reallexikon der Assyriologie und Vorderasiatischen Archäologie, realizzate nel 1995 da R.S. Ellis per la parte archeologica (che perciò prende in causa i dati caratterizzanti i manufatti ed i documenti iconografici che riportano scene relative alla macinazione) e da L. Milano per l’analisi dei documenti epigrafici. Simile, seppure per necessità meno dettagliata, risulta due anni più tardi la definizione di
I. INTRODUZIONE
1. LA STORIA DEGLI STUDI
Lo studio dei manufatti e delle tecniche antiche di macinazione è caratterizzato da una tradizione di ricerca orientata da interessi diversi. Nei primi studi dedicati alla macinazione nell’antichità si possono riconoscere, neppure troppo indistintamente, le sirene di una sorta di fascinazione enciclopedica per la ricostruzione e la classificazione delle macchine antiche. Con un simile spirito si arrivano a comprendere (e a giustificare) certi accenti definitivi con cui non di rado in queste opere si stabilisce la cronologia e si decrive il funzionamento di un certo mulino, i prodotti cui era destinato, le farine che produceva. Ogni conclusione è argomentata con una sicurezza assoluta che a noi –cauti ad appoggiare piano ogni conclusione sul vaglio completo dei documenti e portati inevitabilmente per abitudine a lamentarsene, a non accontentarsi mai della loro quantità e qualità (sempre scarsi, incompleti)- fa sorridere, prendere distanze e procura invidie ben nascoste. Questa tendenza iniziale negli studi si sviluppa attraverso gli ultimi decenni del secolo XIX e sfocia nella realizzazione di alcune opere, che per la mole ed in alcuni casi la felicità delle intuizioni si possono tuttavia a ragione definire studi basilari. Vi è generalmente condivisa, come si è detto, una tendenza alla trattazione universale che interessa la macinazione dall’antichità all’epoca moderna, da un lato, e, dall’altro, una particolare propensione per gli aspetti legati alla produzione dei diversi macinati e dunque per la preparazione dei cibi, che si potrebbe ricondurre ad un generale interesse condiviso in tutta quest’epoca ed oltre per gli aspetti della vita quotidiana degli antichi. Fra questi si deve certamente ricordare l’History of Corn Milling di R. Bennet e J. Elton, pubblicata nel 1898, e negli stessi anni Les Origines du Mulin a Grains di L. Lindet, uscito invece in più volumi tra il 1899 ed il 1900, entrambe opere di grande rilievo anzitutto per la ricchezza dei dati presentati il cui valore non può essere ignorato per la storia degli studi successivi sulla macinazione antica. In entrambi gli studi l’interesse è rivolto decisamente all’impiego dei mulini e alla varietà di prodotti ottenuti, nell’ottica dello sviluppo di innovazioni legate alla produzione di massa. Sullo sfondo si legge, più o meno esplicita, l’idea di un progresso tecnologico che si afferma lungo la linea (unica e imprescindibile) che salda l’antichità greca e romana all’Europa moderna, e cui partecipa e fornisce chiare prove anche lo sviluppo delle macchine per la macinazione. A questi studi deve molto il più recente Flour for Man’s Bread di J. Stork e W.D. Teague, uscito nel 1952 ed in realtà molto meno ricco e puntuale dei due precedenti lavori, ma soprattutto il più ampio Grain-Mills and Flour in Classical Antiquity pubblicato da L. Moritz qualche anno più tardi nel 1958.
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PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Rosen per la voce Ground-stone Industries della Oxford Encyclopedia of Archaeology in the Near East. Lo studio e la definizione dei manufatti e delle tecniche della macinazione nell’area del Vicino Oriente e del bacino del Mediterraneo orientale antico (ma del resto la considerazione è certamente valida per molti capitoli della storia antica), deve dunque fondarsi sul vaglio di documenti di natura differente. Ma se i compendi generali cui abbiamo fatto riferimento per obbligo di sintesi tendono a presentare questa varietà in modo omogeneo e a semplificare la trattazione, segnali di un interesse per aspetti più specifici o di maggiore approfondimento non si registrano se non marginalemnte nella tradizione degli studi orientali. Non si rileva alcuna diffusione degli studi che prendano in esame lo sviluppo delle tecniche di macinazione in un’area determinata, attraverso una data fase cronologica, ovvero lo sviluppo di un determinato mulino o di una serie di mulini nei loro reciproci rapporti di influenza e derivazione; lo studio dei singoli lotti è inoltre generalmente non organico e, anche se dettagliato nella presentazione degli strumenti, raramente è organizzato in una classificazione generale dello strumentario e, soltanto in casi rari, presenta un’analisi a più ampio raggio che comprenda il lotto in un’area più vasta e dunque ne determini eventuali rapporti con produzioni affini, soffermandosi sulla derivazione di tipi o varianti di tipi di mulini, sui loro caratteri innovativi, sulla natura della loro diffusione. Una rassegna, per quanto rapida, della storia degli studi dedicati alle tecniche della macinazione nell’area del Vicino Oriente del bacino del Mediterraneo orientale deve perciò fare riferimento necessariamente ad una serie di contributi non omogenei che, secondo percorsi di indagine differenti e spesso non correlati, ha interessato uno o più aspetti legati alla storia della macinazione. 1 - Fra questi risultano particolarmente interessanti dal nostro punto di vista anzitutto le diverse proposte di classificazione tipologica che sono state avanzate per l’analisi dei manufatti per la macinazione. Lo studio dell’industria in pietra levigata, ed in particolare dello strumentario per la macinazione, diversamente da quanto si è verificato nell’ambito dello 1 studio dei manufatti su pietra scheggiata o per molte differenti produzioni, in primo luogo la ceramica, soffre in generale per la mancanza di una codificazione realizzata a partire dall’analisi delle variabili morfologiche e tecnologiche e che produca dunque un sistema preliminare di registrazione sistematica dei dati. L’assenza di sintesi generali relative a questa produzione, 2 ha prodotto negli studi più recenti la diffusa urgenza di
definire criteri stabili di associazione e sistemazione ed un quadro di definizioni il più possibile esplicite e 3 condivise . Nella storia degli studi degli ultimi decenni si possono infatti contare alcune proposte di classificazione tipologica riservate sia a singole produzioni in pietra levigata che a complessi o più ampi lotti di manufatti destinati alla macinazione. Si può a questo proposito citare anzitutto il sistema tipologico proposto da Hole, Flannery e Neely per classificare i manufatti per la macinazione recuperati dallo scavo dei siti neolitici del Deh Luran (Hole et alii 1969). Questo sistema messo a punto inizialmente sul ricco lotto delle Ground Stones Industries di Tepe Ali Kosh e Tepe Sabz, è stato in seguito recuperato dalla Voigt per l’elaborazione della sua più ampia proposta di tipologia dei materiali in pietra levigata di Hajji Firuz Tepe (Voigt 1983: 247-248). Hole, Flannery e Neely per primi comprendono le possibilità rappresentate da uno studio tipologico riservato alle industrie in pietra levigata per la macinazione, intuendo il valore di queste produzioni, da un lato, come indicatori cronologici all’interno della sequenza di frequentazione del sito, e, dall’altro, come elementi utili alla valutazione delle relazioni esterne del sito, arrivando così a sostenere che in many cases, the grinding implements were as characteristic of a phase (or group of phases) in our sequence as the pottery or flint (Hole et alii 1969: 170). L’aspetto più interessante della classificazione di Hole, Flannery e Neely, dal nostro punto di vista, sta tuttavia nella definizione di quern, termine che era stato diffusamente impiegato in precedenza e che successivamente sarà sempre utilizzato in modo generico per indicare uno strumento piano per la macinazione. Hole, Flannery e Neely definiscono invece quern, properly refers to a pair of stones used in grinding, in questo modo distinguendo chiaramente una macina inferiore stabile definita grinding slab ed una superiore mobile definita handstone come i due elementi di una quern. Questa definizione è alla base di una classificazione che si articola su due elementi morfologici principali: il profilo, ovvero the shape of the grinding surface in section e la pianta, distinta in shape of the grinding surface in plan ed in the shape of the base. Questo sistema viene, come si è detto, in seguito adottato dalla Voigt per la stesura della tipologia dell’industria su pietra levigata del sito neolitico di Hajji Firuz Tepe. In questo caso tuttavia maggiore importanza è riservata, anche se non esplicitamente, al secondo degli elementi
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La tradizione degli studi paletnologici con l’introduzione dei metodi statistici ha determinato l'adozione anche in area orientale del sistema di categorie e relative definizioni di riferimento indirizzate ad una catalogazione che si fonda sulle variabili morfologiche, dimensionali e tecnologiche. Soprattutto gli studi tipologici sui manufatti in pietra levigata di epoca neolitica. Si veda a questo proposito in generale Ricq-de Bouard 1983.
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A questo sembra condurre anche la ormai generale applicazione di sistemi di gestione informatizzata dei dati materiali relativi ai manufatti; la creazione di archivi di condivisione dei dati non può che portare ad una normalizzazione della terminologia in funzione della gestione del materiale prima che della generale fruibilità generale. per un quadro generale delle problematiche connesse a questo aspetto si veda in generale Moscati 1996.
I. INTRODUZIONE morfologici isolati da Hole, Flannery e Neely, ovvero al profilo della base della macina, cui si riconosce una 4 rilevanza determinante . La preminenza di questo elemento sugli altri due si giustifica considerando gli obiettivi ultimi dello studio condotto dalla Voigt, che a differenza di Hole, Flannery e Neely non è interessata a valutare gli strumenti per la macinazione come indicatori cronologici all’interno della sequenza di Hajji Firuz, ma piuttosto si propone di ricostruirne the uso e funzione e dunque il carattere, la natura e l’assetto tecnologico di questi strumenti. Nell'analisi di questi strumenti si concentra l'attenzione sulle installazioni, osservando ad esempio che una macina a base piatta poteva essere portatile al contrario di una macina a base irregolarmente convessa, che doveva necessariamente essere sistemata su un’installazione fissa, e a questo aspetto morfologico dunque si attribuisce un valore determinante per poter ricostruire l’installazione dei diversi mulini, il loro carattere funzionale ma anche per conseguenza il tenore e la distribuzione delle differenti attività all’interno dell’insediamento. Un caso interessante di classificazione, anche questa volta su base esplicitamente morfologica, è rappresentato dal sistema tipologico realizzato da Wright (Wright 1992) per lo studio di un lotto di materiali in pietra levigata provenienti da alcuni importanti siti calcolitici del Levante. Il primo dato di rilievo in questo studio sta nell’eterogeneità nella provenienza dei materiali preso in esame. In questo caso dunque l’obiettivo è dichiaratamente quello di mettere a confronto le differenti produzioni dell’industria in pietra levigata della regione presa in esame. A fronte infatti dei molti studi rivolti a singole produzioni e fra questi in particolare dovremmo riferirci agli studi sui caratteri e la diffusione della cosiddette basalt bowls del Levante fra Calcolitico e prima Età del Bronzo appunto, condotti dalla Amiran (Amira, Porat 1984) e più di recente da Braun (Braun 1990), nel caso di Wright la tipologia è pensata per classificare non una singola classe di manufatti ma piuttosto l’intero strumentario su pietra levigata dei siti presi in esame. Con questa premessa Wright si propone di determinare termini tecnologici standard utilizzabili per descrivere i diversi tipi di manufatti, e categorie morfologiche e dimensionali correlate e stabili. Evidentemente, al di là della discussione in merito ai singoli principi di distinzione, si deve affermare che il metodo qui delineato raggiunge l’obiettivo di catalogare i materiali secondo criteri stabili e perciò verificabili ed in definitiva utili per studi affini. 4
Altre proposte di classificazione, in senso più ampio, hanno interessato lotti di manufatti per la macinazione, seppure in nessun caso si possa effettivamente parlare di sistemi tipologici. Fra queste si può citare il lavoro condotto sul ricchissimo complesso delle produzioni in pietra levigata di Ras Shamra-Ugarit da C. Elliott al principio degli anni ’90 (Elliot 1991a), e negli stessi anni da R. Leenders per lo strumentario proveniente Hammam et-Turkmann (Leenders 1988), nel bacino del Balikh, all’interno di una lunga sequenza cronologica, seppure non continua, dal Calcolitico fino ad epoca romana. Di particolare rilievo in questo senso è anche lo studio condotto da E. Merluzzi sulle industrie in pietra levigata (in cui grande parte riveste lo strumentario per la macinazione) proveniente da Tell Mardikh e Tell Afis (Merluzzi 2000a; 2000b; 2008); in questo caso l’interesse risiede in misura particolare nella possibilità pressoché unica di documentare e confrontare la diffusione di installazioni e tipologie di manufatti in contesti molto diversi fra loro (ufficiali, templari, domestici) attraverso un ampio arco cronologico. G. Summers ha condotto una sistemazione analoga per il lotto dei manufatti in pietra levigata del Bronzo Tardo da Tille Höyük (Summers 1993). A questi si può aggiungere la proposta di classificazione di M. van Loon, utilizzata inizialmente per il lotto dei manufatti in pietra levigata di Korucutepe e poi nuovamente adattata per lo studio del lotto di Selenkahiye, e la classificazione molto articolata di Ataman studiata per i manufatti per la macinazione di Kurban Höyük; entrambi le classificazioni di van Loon e Ataman recuperano, dichiarandone la derivazione diretta (Ataman 1986: 77; van Loon 1980: 137), le definizioni tipologiche proposte da Hole, Flannery e Neely, seppure in un sistema in parte differente: più semplice quello di van Loon, più articolato ma in definitiva meno funzionale quello di Ataman. Si può inoltre citare l’importante lavoro di classificazione realizzato da M. Trokay per il lotto dei manufatti provenienti dai livelli del Ferro II e III di Tell Ahmar, sull’alto Eufrate, messi in luce dai recenti scavi nella città bassa, e dal sito di Tell Beydar, nell’area del Habur (Trokay 2000, Trokay 2008). A Cipro si segnala, infine, la classificazione proposta da D. Frankel e J. Webb per la sistemazione del ricco strumentario in pietra levigata che proviene dal sito di Marki-Alonia (Frankel, Webb 1996: 72-87; Frankel, Webb 2006). Questo studio ha il merito, fra l’altro, di definire ad ampio raggio, grazie ai numerosi confronti presentati, i caratteri generali dei manufatti per la macinazione nell’isola attraverso il periodo Antico e Medio Cipriota. 2 - Una seconda serie di studi che ha interessato, seppure più marginalmente, la storia dello sviluppo dei manufatti e delle tecniche di macinazione è rappresentata dalle indagini rivolte alla ricostruzione dei percorsi e delle strategie di approvvigionamento delle materie prime utilizzate nella produzione dei manufatti (Bombardieri 2009). Questo filone di indagine è tuttavia assai poco sviluppato nella tradizione degli studi orientali e può avvalersi di un numero ridotto di studi di ambito regionale che hanno interessato piccoli lotti di strumenti. Si tratta essenzialmente di analisi di natura petrografica
Su questo criterio si fonda la distinzione dei primi due tipi (Types 1 e 2) di macine di Hajji Firuz. Le Slab Grinding Stones (Type 1) e le Boulder Grinding Stones (Type 2) presentano profilo e pianata della faccia superiore identica e differiscono solo per il profilo della faccia di base, piatta nel Type 1 e irregolarmente convessa nel Type 2 (Voigt 1983: 249250). I tipi identificati nella tipologia della Voigt sono in totale 14 (Voigt 1983: 249, Table 42).
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PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico che hanno permesso in alcuni casi di risalire all’affioramento di provenienza della pietra impiegata nella produzione di alcuni lotti di manufatti. Si può qui fare riferimento in particolare alle due serie di studi promossi tra il 1994 e il 1997 dalla Università Laval del Quebec (Lease, Laurent 1998; Lease 2000) e destinati all’analisi degli affioramenti basaltici dell’area dell’alta Mesopotamia ed in particolare della valle del Habur, e alla localizzazione della fonte di provenienza del basalto impiegato nella produzione di alcuni manufatti rinvenuti in contesti datati al Bronzo Antico a Tell Beydar e, sulla media valle del Habur, in modo particolare a Tell Atij e a Tell Gudeda. Una seconda ed analoga serie di studi ha preso in esame invece la produzione delle basalt bowls fra il tardo Calcolitico e la prima Età del Bronzo nell’area del Levante meridionale. Queste analisi, destinate anche in questo caso alla definizione degli areali di distribuzione dei basalti utilizzati in questa produzione, sono state inizialmente promosse da R. Amiran già alla metà degli anni ’80 (Amiran, Porat 1984) e sono state poi riprese in anni più recenti da G. Philip e O. Williams-Thorpe a partire dai primi anni ’90 (Williams-Thorpe, Thorpe 1993; Philip, Williams-Thorpe 1993; Philip, WilliamsThorpe 2000). La terza serie di studi del genere ha interessato, con intenti del tutto analoghi, la definizione della provenienza dei basalti a Cipro ed i rapporti di importazione di materie prime e manufatti dal Levante meridionale all’area cipriota, fino ad epoca classica (Bear 1971; e soprattutto Xenophontos et alii 1986; 1988). Studi del genere tuttavia, che hanno interessato in maniera specifica anche i basalti utilizzati nella produzione di macine, pur avvalendosi di tecniche di analisi affidabili, si basano su una campionatura non sempre affidabile e su lotti assai ridotti, non sono fra loro correlati e nascono essenzialmente come indagini accessorie a margine dello studio specifico di un sito o di una particolare produzione caratteristica di una fase e di un’area culturale. Questi aspetti ed in generale l’effettiva scarsità di analisi di questo genere impedisce in definitiva di ottenere dati fra loro correlabili per la definizione di un quadro dello sviluppo dei percorsi delle strategie dell’approvvigionamento e dunque limita fortemente la nostra possibilità di comprensione di questo aspetto fondamentale all’interno della storia della macinazione nell’area del Vicino Oriente
Si deve constatare infatti una generale difficoltà nel condurre analisi del genere su manufatti in pietra levigata, in primo luogo per la distinzione delle tracce di lavorazione e di uso, spesso non facilemente leggibili su certi tipi di pietra, quali il basalto, o altrimenti obliterate dal processo di levigatura successivo alla deposizione, ma anche per la complessità della riproduzione sperimentale degli strumenti in pietra levigata nel corso delle analisi 6 destinate alla definizione delle differenti tracce di usura . Questi studi devono infatti avvalersi di metodi che possono rientrare in generale nella definizione della archeologia sperimentale (Adams 2002, Poisonnier 2002). Sono molteplici le esperienze applicative che nel corso dei recenti studi sperimentali hanno contribuito in certo modo alla conoscenza dei processi di lavorazione e di 7 utilizzo anche di determinati strumenti in pietra levigata . Il raffronto per via sperimentale di manufatti provenienti da contesti archeologici con strumenti riprodotti può permettere di verificare le ipotesi funzionali formulate, e ricostruire con migliore approssimazione le sequenze operative in cui questi strumenti potevano essere coinvolti. Analisi sperimentali di questo genere non sono tuttavia diffuse in ambito orientale nello studio dei manufatti destinati alla macinazione aspetto questo che è in parte dovuto senz’altro alle difficoltà cui si è accennato, relative alla riproduzione di modelli sperimentali. Il risultato è la mancanza fino ad ora di una serie sperimentale che renda conto delle diverse tracce prodotte sui differenti strumenti nei diversi contesti della macinazione, uno strumento questo che potrebbe funzionare come un vero e proprio archivio utile per il raffronto fra i manufatti e la migliore definizione della 8 loro funzione .
3 - Una terza serie di studi legati questa volta alla definizione dei caratteri funzionali degli strumenti coinvolti nelle diverse attività della macinazione è rappresentata dalle analisi micromorfologiche della superficie, destinate all’identificazione delle tracce di lavorazione e d’uso. Indagini di questo genere sono tuttavia decisamente poco diffuse e soltanto in anni recenti sono state condotte su questo tipo di manufatti (Adams 2002), a fronte di una maggiore diffusione per 5 gli strumenti su pietra scheggiata . 5
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In generale riguardo ai metodi dell’indagine delle tracce d’uso si veda Grace 1989. Il primo a inaugurare studi del genere è stato Semenov, già alla fine degli
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anni ’30 (Semenov 1964); i suoi studi inizialmente in larga parte sconosciuti in Occidente sono stati più tardi alla base della formulazione, dalla metà degli anni ’60, dell’analisi delle tracce al microscopio (MicroWearAnalysis) studiata da Keeley; si è aggiunta quindi la costruzione di manufatti sperimentali attraverso i quali mettere a punto serie di riferimento. Per gli studio delle microtracce operato con microscopio metallografico (High Power Approach) si veda Keeley 1980. In ambito orientale studi simili di analisi delle tracce di usura rimangono poco frequenti anche per strumenti su scheggia. Si veda a questo proposito tuttavia dapprima Cauvin 1983. La realizzazione di un proototipo di strumento in pietra scheggiata a fini sperimentali è di gran lunga meno complessa e dunque più facilemente riproducibile e replicabile nel corso di successive prove. Studi del genere applicati a manufatti litici in pietra scheggiata sono noti da Keeley 1980, Richards 1988. Ma già precedentemente in particolare per i pivot di torni lenti; a questo proposito si veda in generale Amiran, Shenav 1961; Edwards, Jacobs 1986 e la sintesi preliminare dei risultati sperimentali sui pivot in Bombardieri 2004. A questo risultato sono indirizzati i recenti studi sulle tracce di uso rilevabili sugli strumenti in pietra scheggiata; si vedano a questo proposito in particolare
I. INTRODUZIONE Un caso particolarmente interessante di applicazione dell’analisi microscopica della superficie operativa di manufatti destinati alla macinazione è rappresentato infine dalla importante serie di studi promossi in anni recenti in modo particolare da H. Procopiou (Procopiou 1998; Formenti, Procopiou 1998; Formenti, Procopiou 2000; Procopiou, Treuil 2002; Procopiou et alii 2002; McLaren, Evans 2002). Si tratta della messa a punto di una serie di indagini microscopiche volte in questo caso non a rivelare e distinguere segni primari di lavorazione o tracce secondarie di uso, quanto piuttosto ad individuare la presenza sulla superficie operativa di residui organici relativi al processo di macinazione. Questi risultati sono stati ottenuti attraverso la calibrazione di un processo di analisi definito GC/MS (ovvero gas chromatography/ mass spectrometry) attraverso il quale è stato possibile rivelare la presenza sulla superficie operativa, grazie alla struttura vacuolare caratteristica di molte varietà di basalti impiegati, di residui di natura organica, in particolare di acidi grassi riconducibili ai diversi cereali messi a macinazione. Queste indagini, i cui risultati preliminari sono stati presentati già alla tavola rotonda di Clermont-Ferrand del 1995, sono state condotte su alcuni importanti lotti provenienti dalla Siria Occidentale (soprattutto un lotto di manufatti dalla sequenza del Neolitico di Tell Mureybet), dagli Emirati (dai livelli del Bronzo Tardo di Tel Abraq) e da Creta (dai livelli del Minoico Medio II di Symi, e dai livelli del Minoico Recente di Galatas e Syvritos), con risultati di grande rilievo che indicano la necessità di ampliare l’applicazione di questo metodo di indagine nello studio dello strumentario litico su pietra levigata, in modo da precisare con maggiore dettaglio il quadro generale dello sviluppo dei manufatti e delle tecniche di macinazione.
siro-palestinese e della Mesopotamia, comprende in termini geologici generali la prossimità meridionale della vasta zona orogenetica dell’Alpine-Himalayan belt e la prossimità settentrionale della cosiddetta Placca Arabica, la cui collisione con la Placca Euroasiatica è marcata dalla zona orogenetica del Tauro in corrispondenza dei 9 confini meridionali dell’attuale territorio della Turchia . Se considerata su scala più ridotta quest’area è caratterizzata da tre regioni ben distinte. 1 - La prima, ad Oriente, è la regione dell’alta Mesopotamia limitata da formazioni ad altipiano non caratterizzate da rilievi e che degradano orientate da SudOvest verso Nord-Est verso l’alto corso dell’Eufrate. Dal punto di vista della configurazione geologica l’area che si apre ad Oriente del corso dell’Eufrate è costituita da terrazze di formazione sedimentaria risalenti al Mesozoico o al Cenozoico. Generalmente queste formazioni sono suddivise sulla base della recenziorità di deposizione, che individua nell’area orientale prossima al corso medio del Habur e oltre fino al Tigri un’area di formazione più recente, e classifica invece come più antiche le sedimentazioni rocciose caratteristiche dell’area occidentale, il bacino del Balikh e dell’Eufrate settentrionale (Besançon, Sanlaville 1981: 12-15). L’inclinazione generale di queste formazioni segue in generale un orientamento verso Est, in direzione della bassa valle mesopotamica, con la sola eccezione, dovuta tuttavia a fenomeni di natura secondaria, dell’approfondimento del corso del Balikh o dell’opposto corrugamento del Toual al Aba che ha procurato l’innalzamento dei rilievi del Jebel Abd el Aziz e del Jebel Sinjar. I dati più consistenti disponibili per quest’area provengono da una ricognizione geomorfologica condotta 10 nei primi anni ’80 (Besançon, Sanlaville 1981) e che ha interessato una regione ampia ad Oriente ed Occidente della valle del corso siriano dell’Eufrate. L’indagine che è stata avviata con l’obiettivo di ricostruire il processo di approfondimento della valle dell’Eufrate attraverso la lunga fase di deposito della terrazza primaria (la 11 cosiddetta Ain Abou Jemaa formation ), presenta tuttavia
2. CENNI SUL CONTESTO GEOMORFOLOGICO E DEGLI AREALI DI DISTRIBUZIONE DELLE MATERIE PRIME LITICHE UTILIZZATE È interessante accennare, seppure naturalmente l’ampiezza delle tematiche coinvolte non permetta di esaurire in questa sede l’analisi né in definitiva queste rientrino se non marginalmente nell’ambito specifico di questo studio, ai caratteri generali del contesto geomorfologico di questa vasta regione e soprattutto alla caratterizzazione degli areali di distribuzione delle materie prime litiche utilizzate nella produzione dei manufatti per la macinazione, in modo tale da introdurre allo studio delle strategie dell’approvvigionamento, anche delineandone soltanto i tratti generali. La vasta area geografica del Vicino Oriente, che storicamente include le regioni dell’Anatolia, del Levante
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i risultati degli studi condotti da C. Lemorini (Lemorini, Grimaldi 1995; Lemorini 2000; Lemorini et alii 2001); di particolare interesse dal punto di vista dello sviluppo di questi studi in ambito orientale risulta il Workshop curato, fra gli altri, proprio da C. Lemorini che ha avuto luogo a Venezia nel 1998 (Caneva et alii 1999).
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In termini generali, due ed opposti sono i movimenti genetici propri della Placca Arabica:da un lato una spinta di distacco, segnata lungo la faglia del Mar Morto, e dall’altro un movimento costante di compressione, dovuto al collidere delle due Placche continentali a nord del Tauro. Dalla sintesi di questi due movimenti derivano le strutture geologiche esistenti Una seconda prospezione geomorfologica, seppure questa volta di raggio più ridotto, è stata più di recente condotta nella regione del medio Eufrate, nell’area di Terqa. Si veda a questo proposito Ozer 1997. Corrispondente alla terrazza principale formatasi in un momento di forte evoluzione geomorfologica, verificatasi con una crescita rapida della portata del corso a seguito di consistenti fenomeni alluvionali. La raccolta di ricognizione ha permesso di individuare un’industria dell’Acheulleano recente relativa a questa fase (Besançon, Sanlaville 1981: 10).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico dati di correlazione utili a più largo raggio per determinare i caratteri geomorfologici della regione. Risulta interessante anzitutto considerare che la prossimità occidentale della regione, relativa al corso dell’Eufrate e del Balikh, si presenta significativamente caratterizzata da affioramenti calcarei gessosi (Besançon, Sanlaville 1981: 6). Il carattere dell’area ad Est, per la quale il corso del Habur può costituire il limite, è invece in parte diverso. Quest’ultima infatti, e a conclusioni analoghe conducono anche i risultati di studi più recenti (Blackburn 1995; Courty 1994), presenta un sistema alternato di spessi banchi di roccia gessosa e di marne o di calcari (Upper Fars), che insistono su formazioni lacustri (Lower Fars) e di brecce e limi, secondo un contesto d’insieme che rileva un substrato tenero, per la presenza di gessi e marne, e reso in definitiva permeabile dai calcari e dai calcari marnosi.
L’altipiano orientale, inclinato da sud-ovest e da nord-est verso l’Eufrate, è invece costituito da una serie di rilievi minori allungati, fra i quali fa eccezione verso sud-ovest il solo massiccio vulcanico ed il sistema di affioramenti lavici del Jebel Druso (Bendet 1974). Questa area disposta tra i massicci dei rilievi costieri ed il corso meridionale e medio dell’Eufrate ha il nome locale di Shamiyyah. La prossimità settentrionale di questa regione si presenta ricca di formazioni calcaree, con soltanto piccoli banchi di affioramenti basaltici, ed è caratterizzata dalla presenta di numerose depressioni o wadi che possono delimitare bacini occupati da aree a palude o laghi salati, quali il lago Ğabbul. La prossimità meridionale di questa regione, come si è visto, è invece costituito, a sud, dal massiccio vulcanico del Jebel Druso e da ampie e diffuse formazioni basaltiche, e a nord dall’altipiano di Idlib e dall’Abu adDuhour ed il Jebel el-Hass, caratterizzato per la presenza di ampi e poco profondi banchi di affioramento basaltico. Questi banchi, disposti all’interno di un ampio plateau che si estende da Aleppo fino a Salamiyeh, sono costituiti da basalti datati al Miocene superiore, e, a causa degli intensi fenomeni di erosione cui è stata soggetto la superficie dell’altipiano, si presentano nella forma di 13 rilievi incoerenti, con rari affioramenti in posto .
2 - La seconda regione, ad Occidente, è l’area del Levante e della Siria interna occidentale, la cui configurazione è invece assai differente e costituita da altipiani interni tagliati da una serie di rilievi che si allungano da Nord a Sud, formando la catena montuosa costiera dell’Amano, i massicci del Libano ed Antilibano, e più a Sud, i rilievi del Jebel al-‘Arab adiacenti alla valle del Giordano. L’area del Levante costiero e delle regioni interne meridionali nel suo complesso è caratterizzata da una fascia costiera occidentale e da un vasto altipiano orientale. All’interno della fascia costiera, che ha ampiezza variabile fra 60 e 100 km., si individua, da Nord a Sud, una doppia serie di rilievi montuosi, separati da una bassa fossa meridiana (Bendet 1974). La serie occidentale dei rilievi della fascia costiera è interrotta da depressioni trasversali di natura sia tettonica che erosiva; tali depressioni, che fanno defluire verso la costa le acque prodotte all’interno della fossa meridiana, di fatto dividono i rilievi in tre porzioni distinte. La più meridionale delle tre è costituita dagli altipiani della Palestina e della Transgiordania, al cui interno di trovano le due profonde fosse del Mar Morto e della valle del 12 Giordano . Si tratta di una zona eminentemente vulcanica, che si estende fino all’attuale territorio iracheno e comprende l’altipiano del Jawlan, la bassa pianura dello Hawran ed i rilievi del Jebel al-‘Arab ad oriente fino al deserto di Harrah. La natura di queste formazioni vulcaniche si fa risalire al Miocene, attraverso un processo di accrescimento attraverso il Pliocene e fino all’Olocene, secondo un modello comune alle formazioni vulcaniche dell’intera regione (Huguet 1985: 7). La porzione mediana è costituita dalle catene del Libano ed Antilibano ed è delimitata a Settentrione da rilievi minori, quali il Jebel Ansariye ed il massiccio calcareo del Jebel Zawiye, disposti fra le basse depressioni del Ghab e del Ruğ che segnano il corso dell’Oronte. La porzione settentrionale è infine delimitata dal rilievo dell’Amano e a Nord-Ovest dalla grande piana dell’’Amuq, attraversata dal corso dell’Oronte. 12
3 - La terza regione è rappresentata dall’Anatolia, che corrisponde geologicamente, come si è visto, alla prossimità meridionale della vasta zona orogenetica dell’Alpine-Himalayan belt (Atalay 2002: 29). All’interno della penisola anatolica si distinguono due principali fasce orogenetiche, la prima, a settentrione, è costituita dal sistema di rilievi che corrisponde alla prosecuzione delle catene carpatico-balcaniche, la seconda, a meridione, è costituita dalla catena del Tauro. La fascia orogenetica settentrionale si estende secondo il profilo costiero del Mar Nero e si divide in tre catene giustapposte e separate da fosse tettoniche. La catena costiera comprende da occidente i massicci di Akcakoca, Kure, Canik e Giresun; la seconda catena, più interna, è costituita dai rilievi di Ilgaz, Kose, Otlukbeli e dai massicci di Mescit e Yaninizcam ed è a sua volta separata dai rilievi della terza catena interna costituita dal Koroglu (Atalay 2002: 29). A meridione si sviluppa, come si è detto, la catena del Tauro, geologicamente caratterizzata dalla presenza di profonde fosse che si estendono in direzione sud-est, prodotte da una serie successiva di movimenti tettonici verticali. Un altro aspetto caratterizzante l’aspetto geologico dell’Anatolia è la presenza delle cosiddette formazioni e di rilievi prodotti da movimenti tettonici verticali lungo le linee di faglia. Queste formazioni sono indicate dai geologi con il termine di fault-block mountains (Atalay 2002: 29). Esempi di queste formazioni sono caratteristici 13
Si veda a questo proposito e per una descrizione di maggior dettaglio anche Bender 1974.
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Alcuni dei modesti rilievi che si elevano sul piano di 10-15 m sono stati interpretati come i resti degli antichi massicci vulcanici di formazione miocenica che non si sono altrimenti conservati, ma di cui è nota l’attività (Huguet 1985).
I. INTRODUZIONE delle regioni occidentali e seguono un profilo da Est ad Ovest, i rilevi di Madra Yunt, Manisa, Aydin e Mentesi (Atalay 2002: 29). Queste formazioni sono intervallate da fosse tettoniche con una media di escursione di circa 1000 m. Ad Oriente si possono considerare fault-block mountains i soli rilievi che si estendono sui due fianchi della fossa tettonica che corre lungo la linea ErzurumPasinler . Un altro aspetto che caratterizza l’aspetto geomorfologico dell’Anatolia è infine la presenza diffusa di rilievi vulcanici. Materiale piroclastico e formazioni laviche risalenti al Miocene sono diffusi ampliamente nelle regioni della Anatolia orientale e centrale (Atalay 2002: 32), cui fanno seguito formazioni più recenti soprattutto nella regione sud-orientale, adiacente alla zona di contatto con la Placca arabica settentrionale, lungo il confine dell’attuale territorio siriano (Atalay 2002: 30). Questa seconda fase di attività, datata all’Olocene (Atalay 2002: 31), ha prodotto le formazioni laviche più recenti che sono particolarmente diffuse nei rilievi di Karaca, Nemrut, Kula e ad Oriente nella piana di Cukurova.
Per ciò che riguarda in particolare le regioni oggetto di questo studio (Ponikarov 1967: 162-175) si possono rilevare principalmente affioramenti sotto forma di falde di effusione in banco, secondo una tipologia che fa ritenere che l’effusione non sia stata preceduta da un periodo di differenziazione in una camera magmatica a bassa profondità (Lease, Laurent 1998: 84). Questo dato sembrerebbe confermato in particolare dai caratteri geochimici dei basalti diffusi in queste regioni, in grande maggioranza basalti alcalini a transizione (Lease, Laurent 1998: 84), ovvero basalti non evoluti; non sono che minimamente documentati infatti in tutta questa vasta area lave a carattere più evoluto (quali ad esempio l’andesite) e questo dato, confermato anche dai principali studi geologici di insieme (Ponikarov 1967: 162-175), suggerisce l’ipotesi di una formazione seguita ad una rapida risalita del magma in superficie e dunque esclude un processo di differenziazione preliminare nella composizione degli affioramenti basaltici dell’area. La localizzazione dei principali affioramenti risulta certamente molto utile, al di là del censimento geologico, soprattutto se intesa ad individuare strategie e percorsi di approvvigionamento della materia prima litica utilizzata per la produzione di manufatti per la macinazione. Non esistono allo stato attuale studi d’insieme che possano coinvolgere l’intera area qui presa in esame. Si può tuttavia fare riferimento, come abbiamo accennato al principio di questo capitolo, a tre serie distinte di studi dedicati all’indagine della provenienza dei basalti impiegati nella produzione di manufatti per la macinazione in quest’area. Questi studi, seppure di ambito essenzialmente regionale e rispettivamente rivolti alla regione della Siria interna settentrionale, all’ampia area meridionale del Levante e della Giordania, e al Levante meridionale e Cipro, hanno tuttavia prodotto risultati importanti in merito alla localizzazione degli affioramenti basaltici, alla natura specifica dei basalti impiegati e in parte alla ricostruzione delle strategie dell’approvvigionamento delle materie prime litiche utilizzate. A questo scopo e per introdurre agli aspetti generali connessi con questo tema di analisi risulta interessante presentare qui sinteticamente i risultati di questi studi 15 preliminari .
3. NATURA E LOCALIZZAZIONE DEGLI AFFIORAMENTI BASALTICI E DEGLI ALTRI GIACIMENTI. Strategie dell’approvvigionamento e contesti della produzione All’interno di questo quadro, di cui si è qui voluta dare una sintetica descrizione generale, può rivestire un particolare interesse lo studio della diffusione e localizzazione delle formazioni dei basalti. Queste formazioni rivestivano infatti una importanza rilevante nell’ambito dell’approvvigionamento antico della materia prima per la produzione degli strumenti destinati alla macinazione, ed è perciò utile accennare, seppure questo aspetto naturalmente non pretende di essere qui esaurito, ai caratteri delle formazioni basaltiche e alla loro localizzazione nell’area oggetto di questo studio, in modo da fornire una descrizione generale ed introdurre alle problematiche connesse con questo importante tema. Gli affioramenti basaltici, in termini generali, sono le manifestazioni in superficie di un vulcanismo attivo, risultante da processi magmatici localizzati a grande 14 profondità dal mantello . 14
Localizzazione degli affioramenti e strategie dell’approvvigionamento in Mesopotamia settentrionale durante la prima Età del Bronzo. I risultati degli studi di N. Lease e R. Laurent.
Il basalto in termini generali è una roccia che deriva dal magma primario, la cui composizione è data all’origine dalla fonte solida che lo ha generato per parziale fusione a grande profondità, ma che poi, una volta formatosi, subisce successive modifiche strutturali e di composizione nel corso della sua ascesa attraverso il mantello superiore e la crosta (Devoto 1985; Ponikarov 1967: 162-175). Al momento dell’estrusione e dell’effusione in superficie, per via di progressivo raffreddamento, si perde il contenuto di natura gassosa, frazionando i minerali già cristallizzati nell’ascesa e producendo raggruppamenti di cristalli o ad orientamento verticale, nel caso in cui prevalga l’effetto della forza di gravità, o ad orientamento orizzontale, in funzione dell’inclinarsi della colata
L’Università Laval del Quebec ha promosso fra il 1994 ed il 1997 (Lease, Laurent 1998) un’indagine organica che con cui si prevedeva di campionare i basalti provenienti dai principali affioramenti della Siria settentrionale mesopotamica ed insieme campioni da manufatti in basalto provenienti da contesti archeologici, soprattutto da siti del Bronzo Antico della valle del
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sulla crosta. Su questa base si differenziano primariamente le differenti varanti di basalti. Si veda in maggior dettaglio Bombardieri 2009.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Si è trattato inizialmente di appena 20 campioni raccolti che provengono da quattro affioramenti distinti geograficamente: l’area del vulcano Kaukab, la falda di lave del plateau di Ard esh Sheikh e due distinte colate dell’area nord-orientale, corrispondente alla regione di Tell Leilan. Successivamente nel 1997 questa operazione è stata completata da Laurent e Lease (Lease, Laurent 1998) con il prelevamento di nuovi campioni dagli stessi siti e selezionando altri affioramenti (per un totale di 12): a 80 Km a sud della città di Hassake sulla riva destra del Habur e sull’Eufrate nel vasto affioramento di Halabiye e Zalabiye, di cui si è detto. Una volta ottenuto questo campionario rappresentativo delle unità vulcaniche e dei singoli affioramenti si è proceduto a prelevare campioni rappresentativi da manufatti rilevati in contesti archeologici dell’area. Questa operazione ha avuto carattere sistematico per i siti 16 di Tell Atij e Tell Gudeda sul medio Habur (Lease, 17 Laurent 1998) e per Tell Beydar (Lease 2000), ma ha previsto l’analisi di materiali provenienti da tutta l’area del Habur e in particolare manufatti da Raqa’i, Tuneneir, 18 Brak e Leilan. L’analisi muove dallo studio petrografico delle sezioni sottili al microscopio polarizzante attraverso il quale è possibile identificare i minerali costituenti e definire le loro caratteristiche morfologiche; queste sono direttamente collegate alle condizioni di raffreddamento della lava e perciò sono determinanti per stabilire l’unità vulcanica di provenienza. Ciononostante questa variabile può essere condizionata dalla stratigrafia interna alla stessa unità ed è perciò in definitiva insufficiente. È possibile allora comparare la composizione chimica dei singoli minerali costituenti, e dunque la loro natura 19 mineralogica. Si valutano in particolare i Pirosseni che possiedono composizione chimica più variabile e di fatto offrono la migliore possibilità di distinzione. A questi parametri si aggiungono quelli relativi alla composizione normativa della roccia, ovvero i dati geochimici sulla roccia totale (Lease, Laurent 1998: 88), che permettono 20 di stabilire l’identità unica di ciascuna unità vulcanica .
Habur, con l’obiettivo di verificare la provenienza della materia prima utilizzata nella produzione di questi strumenti (TAV. 1: 1). Questa indagine è stata in seguito allargata ed ha incluso uno studio specifico, basato sul medesimo principio di analisi, che ha interessato un lotto proveniente dai livelli del Bronzo Antico di Tell Beydar, nell’alto bacino del Habur (Lease 2000). Il primo passo è stato quello di localizzare e descrivere gli affioramenti di formazioni basaltiche sul territorio. L’alto corso dell’Eufrate ed il bacino del Balikh presentano una serie di affioramenti basaltici circoscritti nelle valli che percorrono. I principali si trovano nell’area subito a Nord della moderna città di Deir ez Zor nell’area del Jebel Bisri. In questa zona si registrano due ridotte effusioni limitrofe nell’area già individuata come Ain Abou Jemaa e più a Nord il vasto affioramento in corrispondenza dei centri di Halabiye e Zalabiye. Quest’ultimo si presenta come un plateau realizzato da un effusione di notevoli dimensioni, solcata dal corso dell’Eufrate (Besançon, Sanlaville 1981: 10). Più a settentrione e poco a Sud della città di Raqqa si presentano affioramenti meno cospicui per estensione corrispondenti alle colate dei due rilievi gemelli del Jebel Mankar occidentale e del Jebel Mankar orientale. Certamente meno consistente la presenza di affioramenti basaltici nel corso alto dell’Eufrate a nord di Raqqa. In questa zona e fino al confine turco a Carchemish si segnalano alcuni affioramenti rilevanti prossimi al corso dell’Eufrate soltanto a Nord di Tell Halawa (Meyer, Pruss 1994: 205), sulla riva occidentale, e nell’area di Qara Quzaq in corrispondenza della depressione segnata dalla valle del Sajour, affluente di destra dell’Eufrate che corre poco a sud in prossimità di Tell Ahmar (De Contenson 1985: 157, fig.20; Trokay 2000: 1666). È allo stesso modo meno evidente la diffusione di affioramenti basaltici lungo il corso del Balikh, in particolare lungo la prossimità mediana laddove evidente l’assenza di fonti per il reperimento di basalti. Esplicito in questo senso è il caso del sito di Tell Sabi Abyad (Akkermans 1993: 28) che rappresenta un caso limite in tutta la Mesopotamia settentrionale e per il quale è stata stimata una distanza non inferiore ai 100 Km. dagli affioramenti meridionali (nella regione di Raqqa sull’Eufrate) e una distanza all’incirca analoga dagli affioramenti settentrionali (localizzati nell’area pedemontana ad Est di Urfa). Più a Nord, in territorio turco, non sono presenti affioramenti basaltici prossimi al corso dell’Eufrate, se si escludono piccoli banchi subito a Nord-Est di Tille Höyük (Summers 1993: 54), è invece possibile individuare alcuni affioramenti nella zona di Karadağ circa 75 Km. ad Est di Kurban Höyük, ed in particolare nell’area sud-orientale del distretto di Karakörpü, non distante dalla moderna città di Urfa (Ataman 1986: 77). Il secondo passo, successivo alla localizzazione e descrizione degli affioramenti, è stato lo studio dei sistemi dell’approvvigionamento. Si è così proceduto anzitutto, grazie alla prospezione operata dal Blackburn nel 1994 (Blackburn 1995), a creare un archivio di campioni prelevati da alcuni affioramenti dislocati nell’area.
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Si tratta di campioni di 24 manufatti, generalmente definiti “meules”, datati per associazione con la ceramica Ninivite 5 (Fortin, Cooper 1994). I campioni di Beydar, segnati BE1 e BE2, sono prelevati da pietre laviche del selciato della sede stradale prossima all’abitazione da cui proviene un lotto considerevole di tavolette amministrative (Lebeau 1997; Ismail et alii 1996) e con esso è datato al Dinastico Antico IIIB. Si veda a questo proposito anche Oates 2001: 266. Viene preso in considerazione il dato derivato del rapporto molare Fe:Mg, che indica il grado di evoluzione geochimica di un magma di origine. Per cui i Pirosseni che presentano un rapporto basso Fe:Mg sono cristallizzati da un magma più primitivo. Questa viene definita in base alla distinzione complementare di Elements Majeurs ed Elements Traces. Riguardo ai primi viene valutata la soglia di saturazione in Silicio, che agisce come barriera termica nel sistema e condiziona l’evoluzione mineralogica e chimica del magma. Per determinare i
I. INTRODUZIONE Dal complesso delle indagini e dall’impianto di comparazione fra le rocce è risultato dunque che le lave relative agli affioramenti del vulcano Kaukab mostrano la stessa composizione mineralogica di quella del basalto di molti dei manufatti presi in esame, ma tuttavia una struttura e tessitura fondamentalmente diversa. Contrariamente le unità vulcaniche dell’estremo NordEst, sono assai meno omogenee fra loro e decisamente diverse rispetto alla composizione e alla struttura dei basalti affioranti sul Kaukab, presentano una struttura di tipo trachitico che segnala una affinità relativa soltanto con parte dei campioni prelevati da manufatti provenienti da Tell Leilan , affinità che invece ci si sarebbe aspettati totale data la prossimità del sito con l’insieme di questi affioramenti (Lease, Laurent 1998). Gli affioramenti dell’Ard esh Sheikh presentano invece una tessitura identica a molti dei manufatti presi in esame e le stesse caratteristiche mineralogiche dei manufatti di Tell Atij e Tell Gudeda (Lease, Laurent 1998: 90) e affini al materiale di Tell Brak, Tell Tuneinir, Tell Shiekh Hamad, Tell Raqa’i, Tell Mashnaqa (Lease 2000: 171, fig. 4,5). Questo insieme di affioramenti si presenta quindi come la fonte più probabile per l’approvvigionamento dei basalti utili alla produzione di manufatti per la macinazione, per l’area del Habur (TAV. 1: 2). Il caso di Beydar è emblematico in questo senso, perché nonostante la presenza di un affioramento prossimo all’abitato, calcolato a meno di 2,5 Km dai limiti della città nel corso del Bronzo Antico (Lease 2000: 156), i campioni prelevati dai manufatti archeologici risultano del tutto affini ad un’unità vulcanica sempre dell’Ard esh 21 Sheikh ma collocata 17 Km a sud .
1959), sulle alture del Golan (Mor 1973) e nell’area della Transgiordania (Bender 1974). Questa prima serie di studi ha permesso anzitutto di stabilire che il gruppo più consistente di affioramenti basaltici della regione si può localizzare nell’area delle alture del Golan e sul vicino Jebel Druze, mentre le formazioni dell’area della Transgiordania, si presentano isolate e ridotte per estensione e diffusione. Soltanto in anni più recenti l’attenzione è stata rivolta con maggiore interesse alla determinazione specifica delle dinamiche dell’approvvigionamento antico dei basalti per la realizzazione di manufatti. Il primo studio è stato condotto nei primi anni ’80 da R. Amiran e N. Porat (Amiran, Porat 1984) ed ha interessato la vasta produzione delle basalt bowls decorate, nota da contesti del Calcolitco e del Bronzo Antico iniziale in una vasta area che comprende il Levante centrale e meridionale, 22 fino alla Galilea e al Negev (TAV. 3: 1) . L’obiettivo primario di questo studio era quello di stabilire la natura dei basalti impiegati per la produzione di questo gruppo di recipienti e quindi l’eventuale provenienza, e così verificare se la scelta della materia prima fosse più o mneno rigidamente prestabilita. I risultati delle analisi sulla composizione dei basalti hanno confermato, almeno per i 13 campioni selezionati da basalt bowls di varia provenienza, l’impiego di un analogo basalto di tipo olivinico (Amiran, Porat 1984: 14). La fonte di approvvigionamento del basalto impiegato in questa produzione si trovava all’interno dell’insieme delle formazioni localizzate sulle alture del Golan o nell’area della Galilea. Si devono escludere invece le formazioni minori dell’area meridionale, localizzate, come si è visto, presso Makhtesh Ramon. I basalti di queste formazioni sono infatti altered to chlorite and bowlingite (Amiran, Porat 1984: 14) e si presentano inoltre in affioramenti caratterizzati dalla compresenza di una ricca varietà di rocce magmatiche. Se dunque l’area di approvvigionamento fosse stata questa, all’interno del lotto delle basalt bowls si sarebbero verisimilmente trovati esempi di diverse rocce magmatiche. In tutti i campioni analizzati invece è stato riscontrato il solo basalto olivinico. Si può concludere dunque che la scelta del basalto per questa produzione sia costante; è inoltre stato ipotizzato che venissero utilizzati basalti provenienti da una ridotta serie di affioramenti che garantivano una pietra con caratteristiche migliori per la manifattura (Amiran, Porat 1984: 14). Il basalto delle piccole formazioni di Makhtesh Ramon infatti per la natura della struttura che presenta, doveva essere soggetto a più frequenti fratture durante la lavorazione (Amiran, Porat 1984: 14). Se dunque consideriamo la maggiore accessibilità e ricchezza degli affioramenti e la natura del basalto disponibile, possiamo facilmente comprendere la scelta
Localizzazione degli affioramenti e strategie dell’approvvigionamento nell’area del Levante meridionale, durante il Calcolitico e la prima Età del Bronzo. Gli studi di R. Amiran e N. Porat e le recenti indagini di O. Williams-Thorpe. La seconda serie di indagini, cui si è sopra accennato, ha interessato la regione del Levante meridionale ed ha coinvolto in particolare l’area dell’As Shamah all’interno dell’ampia area compresa fra i territori della Siria meridionale, della Palestina e Giordania settentrionale. Le prime e preliminari indagini in questa area, già a partire dagli anni ’60, hanno limitato il proprio obiettivo alla localizzazione e determinazione geologica degli affioramenti basaltici della regione, individuando e riconoscendo in particolare le formazioni nell’area di Makhtesh Ramon (Bonen 1980) e in Galilea (Oppenheim
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secondi esistono vari metodi (Wood 1980). Gli “Elements Majeurs” si calcolano mediamente spettrometria di emissione al plasma (ICP), gli “Elements Traces” si verificano per via di spettrometria di massa (Lease 2000: 157). L’affioramento è segnato nella campionatura come loc.7 (Lease 2000: 168, fig.1)
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Esempi provengono, fra gli altri, da Tell Turmus (Dayan 1969: Fig. 9: 11-14), Tel Kitan (Amiran, Porat 1984: 11), Jericho (Garstang 1936: Pl. 33: 17), Beer Sheva (Perrot 1955: Pl.18). Si veda in generale anche Hanbury-Tenison 1986 e Braun 1990.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico degli affioramenti del Golan e della Galilea come fonti per il reperimento della materia prima per questa particolare produzione (TAV. 3). I primi studi sull’approvvigionamento dei basalti nell’area hanno dunque condotto a questi risultati di massima. Questa area è stata tuttavia di recente oggetto di nuove indagini che hanno permesso di individuare altri giacimenti nell’area di Maqarin e sul versante sudorientale del Mar Morto (Ibrahim, Saffarini 1990). Particolare interesse riveste in questo ambito la serie degli studi condotti soprattutto da G. Philip e O. Williams-Thorpe a partire dai primi anni ’90 (WilliamsThorpe, Thorpe 1993; Philip, Williams-Thorpe 1993; Philip, Williams-Thorpe 2000) (TAV. 3: 2). L’obiettivo che queste nuove indagini si propongono è anzitutto quello di affinare il metodo della localizzazione della specifica fonte dei basalti impiegati, arrivando a distinguere con maggiore esattezza all’interno dei possibili affioramenti. Per ottenere un risultato simile è necessario superare le difficoltà, già incontrate e messe in luce dalla Porat (Amiran, Porat 1984: 13-15), legate ad un’indagine della provenienza fondata unicamente su base petrografica. Una distinzione del genere non consente infatti che ipotesi generali sulla provenienza dei basalti (Philip, Williams-Thorpe 1993). Un’analisi che combini dati petrografici e geochimici del basalto può invece garantire risultati di maggiore esattezza in merito alla determinazione degli affioramenti di provenienza. Williams-Thorpe e Philip utilizzano 23 questo nuovo metodo , simile nei principi generali a quello adottato negli stessi anni dai ricercatori canadesi in Siria settentrionale (Lease, Laurent 1998), per l’analisi di campioni prelevati da 52 differenti manufatti, provenienti da 10 siti dell’area (Philip, Williams-Thorpe 2000: 1382). I risultati più interessanti e più utili ai nostri fini, di queste nuove indagini riguardano senza dubbio la differente origine dei basalti impiegati per la produzione delle basalt bowls, da un lato, e dei processing tools, dall’altro. I manufatti campionati da Williams-Thorpe e Philip, infatti, a differenza del precedente studio della Amiran e della Porat limitato alle sole basalt bowls (Amiran, Porat 1984), comprendono un’ampia varietà di strumenti in basalto, compresi strumenti destinati alle attività di macinazione (qui indicati appunto come processing tools) (Philip, Williams-Thorpe 2000: 1380). È significativo il caso dell’importante insediamento calcolitico di Teleilat Ghassul (Philip, Williams-Thorpe 2000: 1383), che si trova nelle immediate vicinanze dell’affioramento basaltico di Sweimeh. Williams-Thorpe e Philip presentano 7 campioni prelevati da 4 bowls e 3 processing tools, provenienti da questo sito. I 3 campioni 23
dai processing tools presentano basalto compatibile con quello dell’affioramento limitrofo di Sweimeh, al contrario dei campioni prelevati dalle 4 bowls, che mostrano invece basalti che non trovano paralleli né nell’affioramento di Sweimeh né in alcun altra formazione circostante, localizzata sul fianco orientale del Mar Morto. È stato possibile invece individuare l’origine dei basalti delle bowls di Teleilat Ghassul in formazioni localizzate nell’area settentrionale della Palestina (Philip, Williams-Thorpe 2000: 1380). Una situazione analoga è nota dall’area degli Wadi Feinan e Fidan, sul fianco meridionale del Mar Morto (Philip, Williams-Thorpe 2000: 1382). In questo caso dei 5 campioni prelevati, uno soltanto proviene da un mortaio, dal sito di Wadi Fidan 4, e si distingue per un basalto proveniente da una fonte del limitrofo affioramento di Dana/Tafila. I restanti 4 campioni, prelevati da bowls, presentano invece caratteri che li avvicinano ai basalti degli affioramenti di Mujib/Kerak, presso Bab edh-Dhra’ (Philip, Williams-Thorpe 1993: 59; Philip, Williams-Thorpe 2000: fig. 1).
Strategie dell’approvvigionamento e localizzazione degli affioramenti fra l’area del Levante e Cipro. I risultati degli studi di C. Xenophontos, J. Malpas e C. Elliott. La terza serie di studi cui è qui possibile fare riferimento è stata condotta a partire dalla metà degli anni ’80 da Xenophontos, Malpas e dalla Elliott ed ha avuto come oggetto un ampio lotto di manufatti per la macinazione provenienti da Cipro (Xenophontos et alii 1986; 1988) (TAV. 4). L’obiettivo che questo complesso di indagini si proponeva era stabilire la provenienza e la natura dell’approvvigionamento dei basalti che sono comunemente impiegati in questa produzione soltanto a partire dal Bronzo Tardo, e più esattamente soltanto dalla fine del periodo Tardo Cipriota II. Si è infatti osservato che le rocce sedimentarie locali, calcarenitiche, calcaree ed arenacee, e le rocce locali eruttive, quali soprattutto i gabbri, sono largamente impiegate dal Neolitico finale e per tutta l’Età del Bronzo Antico e Medio, nella produzione dei manufatti per la macinazione diffusi comunemente in tutta l’isola. Data la larga diffusione di formazioni ed affioramenti di queste rocce sull’isola, si è così supposto che l’approvvigionamento della materia prima per questa produzione dovesse avvenire di volta in volta da fonti limitrofe all’insediamento (Xenophontos et alii 1988: 169; Elliott 1991b). La situazione tuttavia muta evidentemente con il Bronzo Tardo maturo, quando soprattutto per la produzione di mulini a macina semplice ma anche per la produzione di mulini a mortaio si ricorre ai basalti, di cui al contrario esistono scarsi affioramenti sull’isola riferibili unicamente a ridotte fonti di basalti di formazione antica, parte minore della cosiddetta Troodos ophiolite suite
L’analisi degli elementi in traccia, attraverso il metodo WDXRF (wavelenght-dispersive x-ray fluorescence), per 18 elementi e per Fe e Ti, è condotta secondo i criteri proposti da Potts e Webb (Potts, Webb 1992) ed adattato da Govindaraju (Govindaraju 1994). In merito alla distinzione di questi metodi ed ai risultati che possono assicurare si veda più diffusamente Philip, Williams-Thorpe 1993: 56-59.
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I. INTRODUZIONE 24
affioramenti localizzati a Santorini e, più probabilmente, 27 a Nisyros .
(Xenophontos et alii 1988: 176) , nella regione centrooccidentale dell’isola. Un’analisi di provenienza della materia prima poteva quindi permettere di risalire al nuovo sistema dell’approvvigionamento e alle fonti, cui da questo momento e poi fino ad epoca classica si ricorreva per il reperimento dei basalti per questa produzione. Prima di Xenophontos, Malpas e Elliott, soltanto Bear, al principio degli anni ’70 (Bear 1971), aveva preso in esame il complesso di questi manufatti, limitandosi tuttavia a distinguere all’interno del lotto su base petrografica i basalti dalle altre rocce eruttive locali (Bear 1971: 893). Le nuove analisi hanno invece fatto ricorso, come nei casi più recenti degli studi della Lease e di Williams-Thorpe, ad una duplice serie di indagini, petrografiche e 25 geochimiche, sul materiale . Xenophontos, Malpas e Elliott hanno proceduto alla campionatura di 18 frammenti di manufatti provenienti dai livelli del Bronzo Tardo di Kition, Maa/Palaeokastro, Erimi, Vasilikos e Kouklia/Evreti, e da mulini di epoca classica provenienti da Avdhimou, Peyia, NeaPaphos (TAV. 4: 2). Sono stati in seguito raccolti campioni provenienti da un complesso di 35 affioramenti differenti localizzati nell’area costiera della Siria, a Nord, nella regione di Tartous, fino agli affioramenti dell’area del Lago di Tiberiade e di Mafraq, a Sud, nel Levante interno meridionale. A questi si è aggiunto lo spoglio sistematico delle analisi dei basalti dell’area egea (soprattutto le formazioni di Egina, Melos, Santorini, Nisyros) (di Paola 1974, Innocenti et alii 1981) (TAV. 4: 2-3). I risultati hanno indicato le formazioni basaltiche recenti localizzate nel Levante meridionale e indicati come Levantine basalts, quali fonti per i basalti impiegati per i manufatti per la macinazione ciprioti del Bronzo Tardo; hanno invece indicato per i basalti impiegati per i mulini di epoca classica gli stessi affioramenti di Levantine basalts ed in più un gruppo minore di provenienza egea, indicato come Aegean basalts, caratterizzato anch’esso da 26 formazioni basaltiche recenti ma che comprende
4. NATURA E APPROVVIGIONAMENTO DELLA PIETRA PER MACINE NELLE FONTI ANTICHE. Di particolare interesse è il vaglio delle fonti antiche che possono fornire indicazioni utili, da un lato, all’identificazione della natura della pietra impiegata nella produzione dei differenti strumenti per la macinazione e, dall’altro, alla localizzazione delle fonti utilizzate per l’approvvigionamento (Bombardieri 2009). Uno studio del genere, per quanto qui limitato per necessità ad una rassegna non certamente completa, può tuttavia produrre dati di natura differente, che è possibile correlare con i risultati delle indagini geologiche ed archeologiche che si sono sopra descritte, con l’obiettivo di determinare se possibile un quadro più chiaro. Per ciò che riguarda l’area vicinorientale, oltre agli studi lessicali specificamente dedicati o marginalmente 28 interessati alla definizione di singole pietre , è possibile riferirsi in generale alle note del monumentale DAC (Dictionary of Assyirian Chemistry and Geology) di Campbell Thompson (Campbell Thompson 1936), ma soprattutto allo studio di Marten Stol, che offre una ricca rassegna di fonti, dedicando un’organica sezione alle pietre da macina (Stol 1979). Nella produzione di strumenti per la macinazione particolare rilievo, come si è visto da altro punto di vista, rivestono i basalti. Il termine più diffuso per indicare il basalto è in accadico atbarum (corrispondente al sumerico AD.BAR), che in alcuni casi viene considerato equivalente a sallamtum con il valore specifico di “pietra 29 nera” (Stol 1979: 84) . Il termine atbarum compare infatti nell’iscrizione (laddove si legge “fatto di atbaru, roccia della montagna”) che si trova sul fianco di un toro proveniente da Arslan-Tash realizzato appunto in basalto, una pietra
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Le formazioni basaltiche nel massiccio del Troodos sono alternate a giacimenti di altra natura, rocce sedimentarie in particolare. Si veda anche Belgiorno 2000: 79. Queste ultime si basano sulla valutazione degli wholerock major and trace element, e determinano gli elementi in traccia attraverso WDXRF, secondo un procedimento analogo a quello che abbiamo descritto nelle due serie precedenti di studi sulla provenienza dei basalti nell’area dell’alta Mesopotamia e del Levante Meridionale (Lease 2000; Philip, WilliamsThorpe 200). Per le tecniche di analisi si veda in generale Xenophontos et alii 1988: 173, ed in dettaglio Malpas 1976. Le formazioni basaltiche recenti di area egea e del Levante si distinguono sulla base della differente composizione geochimica della roccia, and can be distinguished using certain of their minor and trace element concentrations (Xenophontos et alii 1988: 176). Si veda in dettaglio anche Cann 1970.
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La piccola isola di Nisyros è legata alla produzione di mulini pompeiani in basalto da almeno due fonti antiche, come ha ricordato Moritz (Moritz 1958: 91, 131). È nominata dal geografo Strabone in età augustea, il quale cita molt altri centri attivi nella produzione di questi mulini, ma questo soltanto nell’area egea (Strab. X. 488); Nisyros compare inoltre in un componimento dell’Antologia Palatina, variamente attribuito ad Antipatro di Thessalonica o ad Antiphilus di Bisanzio, nel quale è citato “il concavo mulino di Nisyros”, chiaramente così indicando una produzione comune di mulini pompeiani con pietra basaltica dell’isola. Bisogna segnalare tuttavia che “Nisyros” è emendato nel testo (Moritz 1958: 131, nota 2). Si possono citare Kinnier 1962 (con note sull’alabastro, gišnugallu), Steinkeller 1987 (sulla cosiddetta pietra pirig-gùn), Dole, Moran 1991 (per i riferimenti al calcare marrone alallu). La voce sul CAD indica “a black stone, probably basalt”, Boson sul RlA lo indica come “black or green basalt?” (Boson 1923: 438).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico descritta giustamente dallo scavatore come le basalte gris de la region (Thureau-Dangin et alii 1931: 60). Diverso e più controverso è il caso dell’iscrizione di Lirīš-gamlum, figlia di Rīm-Sīn, su di un BI votivo, dove è riporta l’indicazione di una pietra Ú.ŠE (l'iscrizione recita “un BI fatto in pietra Ú.ŠE”), che è stata inizialmente tradotta come diorite da Sollberger e Kupper, seppure in seguito l’oggetto in sé si è riconosciuto essere di basalto (Stol 1979: 85). Altrove tuttavia vengono impiegati i termini kašurrûm e šimurrûm per indicare due varianti di basalti, rispettivamente dalla città di Gasur e di Šimurrum, localizzate sulle montagne ad Est del Tigri (Meissner 1922: 244); seppure in alcune liste lessicali gli stessi due termini sono associati, prescindendo da connotazioni di provenienza, con atbarum o con sallamtum. In ittita il basalto è indicato con ogni probabilità come pietra kunkunuzzi, secondo quanto ricostruito da Hoffner (Hoffner 1974), e con questo termine è riferito, almeno in 30 un testo , specificamente ad uno strumento destinato alla molitura, ad una macina, come sostiene Hoffner (Hoffner 1974: 134), o piuttosto ad un pestello, come suggerisce Landsberger (Stol 1979: 85). Nel complesso dunque si deve rilevare che indubitabilmente e al di là delle difficoltà di esatta attribuzione, sono ampliamente documentati molti e differenti termini riconducibili al “basalto”. Questi differenti termini possono ben rappresentare varianti locali, come nel caso di Gasur e di Šimurrum, ma anche di atbarum se ipotizziamo, come suggerisce Stol (Stol 1979: 84), che possa derivare da un toponimo finora non identificato, o possono altrimenti, anche se più difficilmente, indicare diverse varietà di basalti. In definitiva tuttavia è certo che nell’Oriente antico non esiste un termine generale che possa coprire il nostro 31 concetto di “basalto”, non esiste questa categoria . Del resto lo stesso Stol ricorda come ancora nel X secolo d.C. Ibn Hauqal, descrivendo le mura della città di Amida, Diyarbakir, indichi le pietre della costruzione 32 definendole pierres meulières , senza ulteriori specificazioni in merito alla natura della pietra, che si suppone facilmente essere basalto. Allo stesso modo oggi in arabo comunemente il basalto può essere indicato semplicemente come “pietra nera” o,
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nel caso di altro termine importato in veste impropria, come marmar (Dalman 1930: 337). Ciò che emerge in effetti dalle osservazioni di Stol (Stol 1979: 86) e di Dalman (Dalman 1930: 336-337) sul basalto è essenzialmente la possibilità che esistano diverse percezioni del materiale e di conseguenza diversi criteri per distinguerlo. Queste differenti percezioni del materiale, che si possono apprezzare ancora oggi, possono guidarci nell’indagine delle modalità antiche di scelta della materia prima da destinare a questa produzione. Una volta stabilita e compresa tale diversità è infatti possibile tentare di risolvere alcune contraddizioni, quali la presenza di molti termini destinati apparentemente ad indicare una stessa pietra e al tempo stesso di singoli termini utilizzati contemporaneamente per indicare pietre differenti. Già Piotr Steinkeller ha infatti giustamente sottolineato l’effettiva difficoltà che risiede nell’accordare the ancient stone terminology with the modern mineralogical nomenclature, descrivendo il caso della cosiddetta pietra pirig-gùn (Steinkeller 1987). L’esempio rappresentato dall’ambito e dall’utilizzo di questa pietra è per molti aspetti chiarificante. Il termine pirig-gùn, impiegato per descrivere una pietra utilizzata nella glittica e presente in una iscrizione dedicatoria su un sigillo sargonide, proveniente dalla regione del Diyala, è stata oggetto di approfondita indagine, con il risultato di determinare che con questo termine non si indicava in antico una sola pietra, ma un numero di differenti pietre che condividevano alcuni caratteri evidenti: il colore (bianco e nero) e l’aspetto (screziato, a chiazze) (Steinkeller 1987: 94). Queste pietre che nel complesso e a nostro discernimento sono pietre diverse, erano considerate in antico una sola pietra. Lo stesso può dirsi per la pietra nota come za-gìn, con il quale termine si indicava senza dubbio il lapislazzuli ma anche probabilmente tutte le pietre morbide la cui superficie variava nelle tonalità blueish e greenish; analogamente la pietra e-si indicava propriamente la diorite, ma copriva verisimilmente altre hard and dark rocks, forse anche il basalto (Steinkeller 1987: 95). Queste evidenze consentono di valutare quali potevano essere i probabili criteri di distinzione adottati e dunque chiarire il valore di molti dei termini impiegati per descrivere le pietre selezionate per la produzione dei diversi manufatti. Il colore è un criterio determinante di selezione, ma lo è soprattutto nella scelta della pietra destinata alla produzione di recipienti e altri manufatti cui si riconosce un valore di pregio, o anche semplicemente un significato non pratico e non quotidiano. Un esempio è evidente nello studio di Steinkeller, che si è sopra ricordato, a proposito dell’impiego della pietra pirg-gùn nella glittica (Steinkeller 1987), ma ancora più significativo in questo ambito è forse l’esempio delle differenti produzioni di recipienti in basalto. Nella vasta produzione delle basalt bowls diffuse fra il Calcolitico e la prima Età del Bronzo nel Levante meridionale, si sono riconosciute diverse fonti di approvvigionamento. Le recenti analisi sulla provenienza, che si sono sopra ricordate (Amiran, Porat 1984; Philip, Williams-Thorpe 2000), hanno consentito di ricostruire il
Si tratta del testo dell’incantation ritual KBo X 45 III (Hoffner 1974: 134). La prima attestazione di “basalto”si trova nella Naturalis Historia di Plinio il Vecchio (N.H. XXXVI 58, 147), qui trasportata all’accusativo basaniten o basalten e derivante da βασανιτησ. Il termine secondo Chantraine proviene dall’Egitto, dove è nota una pietra scistosa bahan impiegata come pierre de touche; lo stesso Chantraine sostiente anche che il termine arrivi invece in Grecia dalla Lidia, Bacchilide infatti la indica come Λυδια λιθοσ (Bacch. 22) (Chantraine 1968: 166). Evidentemente entrambre le possibilità sono insieme plausibili. Così nella traduzione di Kramers e Wiet: “Elle [la ville d’Amid] est cinte d’un rempart noir fait de pierres meulières” (Kramers, Wiet 1964 : 216).
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I. INTRODUZIONE sistema di reperimento della materia prima e hanno localizzato gli affioramenti sfruttati per questa produzione. È stato così possibile stabilire che l’approvvigionamento coinvolgeva essenzialmente formazioni basaltiche, con la sola eccezione di alcune fonti di Phosphorite, una pietra dai toni d’insieme grigio intensi o nerastri. La scelta della sola Phosphorite come alternativa al basalto suggerisce dunque che il colore fosse uno dei criteri determinanti nella scelta della pietra destinata alle basalt bowls del Levante, così che probabilmente “black stone bowls” more accurately reflects the way these products were understood among the user communities” (Philip, Williams-Thorpe 2000: 1387). Una condizione del tutto analoga si verifica per la meno nota produzione di recipienti in basalto dell’Età del Ferro II-III, diffusi durante il tardo periodo neoassiro finale e l’epoca neobabilonese caldea. in tutta la alta Mesopotamia fra l’VIII e la fine del secolo VI a.C. (Bombardieri 2003). Questa produzione comprende recipienti a bassa vasca caratterizzati dalla presenza di decorazioni a cordonatura continua o interrotta al di sotto dell’orlo, realizzati in una pietra basaltica a struttura compatta, simile in tutti i siti contemporanei da cui è nota questa produzione. Sebbene non siano state condotte analisi di provenienza specifiche che possano determinare le fonti dell’approvvigionamento, è tuttavia probabile che le formazioni di basalti dell’area del vulcano Kaukab, la falda di lave del plateau di Ard esh Sheikh, e, ad Occidente, gli affioramenti minori a Nord di Tell Halawa (Meyer, Pruss 1994: 205), nell’area di Qara Quzaq ed in particolare in corrispondenza della depressione segnata dalla valle del Sajour, affluente di destra dell’Eufrate che corre poco a sud in prossimità di Tell Ahmar (De Contenson 1985: 157, fig.20; Trokay 2000: 1666), rappresentino le principali fonti per il reperimento della materia prima per questa produzione. Si segnala tuttavia almeno un caso differente rappresentato da un recipiente frammentario (E.4901), proveniente da Tell Barri, dai livelli della ricostruzione neobabilonese del palazzo di Tukulti-Ninurta II. Questo esempio, sebbene si presenti tipologicamente affine (per 33 il profilo e la decorazione cordonata esterna) alla produzione di questi recipienti, è tuttavia realizzato in calcare compatto nerastro. È perciò in definitiva possibile che queste differenti pietre potessero essere considerate come un'unica varietà di pietra, sulla base di una diversa percezione e del diverso significato attribuito. Il colore non è invece ovviamente un criterio determinante nella scelta della pietra utilizzata nella produzione di manufatti per la macinazione, per i quali non viene considerato l’aspetto ma vengono naturalmente privilegiati altri caratteri. Dai dati analizzati emergono in questo caso due diversi criteri per la scelta: la provenienza della pietra e la funzione cui la pietra era destinata. Riferendosi alla 33
pietra destinata a questa produzione dunque non si sceglie una “pietra nera”, ma di volta viene indicata una “pietra di Gasur”, una “pietra di Šimurrum”, o piuttosto una “pietra da macina superiore”, una “pietra da macina inferiore”. Nelle cosiddette Lipšur Litanies ed in alcune serie lessicali infatti, ricorre il nome di una montagna chiamata Sag-gar, identificata da Stol con il rilievo del Jebel Sinjar, che viene indicata come “montagna delle macine” (Reiner 1956: 134). 34 Alcuni documenti provenienti dall’archivio di Mari indicano inoltre la presenza di aree specifiche, localizzate sull’Eufrate fra le città di Mari e di Emar, particolarmente indicate per il reperimento di pietra da macina. Queste aree sono indicate con il termine di lasqum, con il quale probabilmente si intende propriamente “affioramento” (Birot 1974: 261; Stol 1979: 86), in questo caso riferendosi certamente alle formazioni basaltiche del 35 Jebel Bišri, di cui si è sopra detto . Da questa area per via di fiume giungeva alla città di Mari, che poteva essere approvvigionata attraverso shipment of millestones, come veniamo a sapere da altri 36 documenti dell’archivio (Burke 1964: 75) . Altri due documenti utili in questo senso, anche se di natura particolare, sono l’epica Lugale ma soprattutto la cosiddetta Disputation between the Millstone and the gul.gul-stone. Quest’ultimo è un breve componimento letterario in lingua sumerica nel quale protagoniste sono le due macine, la macina superiore e la macina inferiore, di uno stesso mulino, che contendono, ognuna declamando le proprie qualità. Ciò che qui interessa in particolare è la diversa denominazione adottata per distinguere fra loro le due macine, attiva e giacente. La macina inferiore in questo componimento è detta na4.šu.gul.gul. Compare anche in alcune liste lessicali come na4.HAR.ad.bar.šu.gul.gul, in entrambi i casi con il 37 significato di “macina inferiore in pietra basaltica” . Viene altrove usato il termine generico erûm con il quale si indica sia la macina inferiore sia per metonimia il mulino in genere, in entrambi i casi tuttavia in
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Per la produzione di queste ciotole, o mixing-bowls, si veda oltre in maggior dettaglio.
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ARM 14 Nos. 26-29 (Stol 1979: 86). Si veda anche Bourke 1964: 76. Stol riporta altre due documenti che citano probabilmente il Jebel Bišri quale fonte per l’approvvigionamento di pietra da macina. Il primo è Gudea, Statua B, VI 5-8, dove viene indicata come “montagna degli Amoriti”, nel secondo, che risale invece a Samsu-iluna di Babilonia, viene allo stesso modo citata “la grande montagna della terra degli Amoriti” (Stol 1979: 87). Un documento fa riferimento ad una spedizione di 56 pierres de meules (Bourke 1964: 75, no. 90), un secondo documento da conto della spedizione di 20 récipient de pierre de meule, ovvero di mortai, su due trasporti fluviali (Bourke 1964: 75, no. 86). Nell’inno Innin-šagurra infine viene descritto un “un muro fatto di pietra gul.gul” (Stol 1979: 92), che ricorda la descrizione di Ibn Hauqal, molti secoli più tardi, delle mura di Amida a cui si è fatto cenno poco sopra.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico associazione con narkabûm con cui si indica la macina 38 superiore . La pietra gul.gul indica dunque la pietra di basalto ed è da intendere al tempo stesso come la pietra per la macina inferiore. La macina superiore nella Disputation between the Millstone and the gul.gul-stone è invece indicata con l’ideogramma na4.HAR, che deve intendersi come na4.sag.gar (Stol 1979: 89). Altrove, ma l’attribuzione è 39 meno sicura, viene indicata come sûm-stone , ed anche in questo caso alcuni testi lessicali permettono di ricostruire l’etimologia di questo termine, mettendolo in relazione con l’originale sumerico na4.su4.a, cui è attribuito il significato di “pietra rossa”. Si deve perciò concludere che la pietra sag.gar per la 40 macina superiore non sia basalto ma la pietra rossa della montagna Sag-gar, ovvero, come si è visto, del Jebel Sinjar. Le possibili attribuzioni sono quindi due: arenaria o calcare. Stol propende per la prima, dal momento che l’arenaria rossa è largamente diffusa sui rilievi alto mesopotamici, sul Jebel Hamrin (che deve il suo nome alle argille rosse e alle arenarie da cui è caratterizzato) e sul Sinjar. Non è possibile tuttavia naturalmente concludere con alcuna certezza, né in realtà è determinante stabilire se nel componimento ci si riferisse al calcare o all’arenaria. È invece importante provare che per la produzione di strumenti per la macinazione venissero selezionate pietre scelte per provenienza e caratteristiche specifiche.
alla funzione specifica cui lo strumento è destinato. Per questo le pietre laviche, ed i basalti in particolare, sono di gran lunga i più diffusi nella produzione di strumenti per la macinazione. Queste possono infatti rispondere, per la struttura porfirica massiccia o variamente vacuolare e per la durezza d’insieme che le distingue, alle esigenze principali delle differenti attività molitorie. La struttura porfirica e la durezza d’insieme dei basalti garantiscono che la superficie operativa non si scalfisca durante le operazioni di macinazione, evitando così di rilasciare detriti all’interno del macinato, e consentono al tempo stesso di produrre macine con superficie operativa più o meno scabra, grazie alla maggiore o minore vacuolarità dei diversi basalti, permettendo quindi di ottenere differenti gradi di macinazione (Trokay 2000). Grazie a questi caratteri strutturali dunque i basalti garantiscono maggiore durevolezza e versatilità. Di conseguenza l’impiego di altre pietre, sebbene sempre minoritario, è percentualmente più frequente ed accettabile per la sola produzione di mulini a mortaio. In questo caso si prevede infatti che lo strumento sia sottoposto principalmente a percussione piuttosto che a ripetuta frizione durante l’attività molitoria, e dunque si è certi di ridurre la possibilità che la superficie operativa 41 rilasci detriti nel macinato . 2. La seconda necessità legata alla scelta della materia prima litica utilizzata, come si è notato, è connessa invece all’accessibilità della fonte di approvvigionamento. La produzione di questi strumenti generalmente avviene nell’insediamento stesso per soddisfare le esigenze interne o altrimenti in un centro minore limitrofo, in qualche modo integrato in un sistema di scambi con il centro principale. È verisimile dunque che per questo tipo di produzione si impieghi preferibilmente materia prima reperibile entro un’area ridotta circostante al centro di produzione. Dalla composizione, ovvero dalla sintesi di queste due differenti necessità nascono alcuni casi di “adattamento”, come si è visto. Così ad esempio l’impiego di fossiliferous limestone a Korucutepe (van Loon 1980: 137) indica la possibilità di usare per un mulino a macina semplice una pietra che poteva funzionare come un basalto vacuolare e che, anche se senza dubbio doveva presentarsi meno efficiente, aveva il vantaggio di essere più facilmente reperibile. La fonte di approvvigionamento dei basalti per Korucutepe doveva essere infatti, secondo l’ipotesi di van Loon (van Loon 1978: 101), l’area del Karaca Dağ, che si trova ad oltre 100 Km dall’insediamento. Ciononostante la scelta fra i basalti e il più reperibile fossiliferous limestone nell’industria dei manufatti per la macinazione non è a vantaggio di quest’ultimo, come sarebbe stato possibile supporre, e nel complesso i basalti risultano comunque utilizzati con
5. L’APPROVIGIONAMENTO DELLE MATERIE PRIME LITICHE. CONSIDERAZIONI GENERALI. Correlando i dati di diversa natura che si sono qui raccolti è possibile avanzare alcune osservazioni generali con l’obiettivo di comporre un quadro delle strategie di approvvigionamento antico delle materie prime litiche per la produzione dei manufatti per la macinazione nella vasta regione oggetto di questo studio. In sintesi si può ipotizzare che la scelta della materia prima destinata alla produzione di strumenti per la macinazione sia sottoposta generalmente a due diverse necessità: 1. La prima necessità risiede nella natura specifica della pietra: i caratteri strutturali della pietra devono rispondere 38
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Si veda per questi valori in generale la voce erûm sul CAD. Allo stesso modo in greco µυλη viene impiegato per indicare la macina inferiore ma anche la macina nel suo complesso, in questo caso per indicare la macina superiore viene impiegato ονοσ (Stol 1979: 91). Sul valore di ονοσ si veda invece più diffusamente Moritz 1958: 10-13. Così in un gruppo di testi paleoassiri che presentano alcune difficoltà di interpretazione (Stol 1979: 94). Nell’area del Jebel Sinjar, come si è visto, non sono presenti affioramenti basaltici; questo esclude definitivamente ogni possibilità di identificare la pietra sag.gar con una varietà di basalto. Questa è anche l’opinione di David Oates, riportata da Stol (Stol 1979: 88).
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Significativamente l’impiego ad Enkomi, Kition e in altri siti del Bronzo Tardo a Cipro (Xenophontos et alii 1988: 169), di diabase e gabbri locali è mantenuto soltanto per la produzione di mulini a mortaio, mentre è quasi completamente soppiantato dai basalti importati per i mulini a macina semplice e gli altri mulini. Si veda in maggior dettaglio la sezione qui dedicata ai mulini a mortaio.
I. INTRODUZIONE maggiore frequenza. Analoga è la condizione, seppure in un contesto diverso, che vede l’impiego della locale ed accessibile beachrock accanto al basalto, nel già citato caso della fortezza di Mezad Hashavyahu, in Israele (Fantalkin 2001: 105). Restano tuttavia da spiegare i casi di importazione di pietra e di manufatti per la macinazione, su media e lunga distanza, di cui abbiamo qualche testimonianza, seppure scarsa e non sempre accertabile. Si è visto in primo luogo il caso dell’esportazione di basalti per la macinazione a Cipro dal Levante meridionale, nel corso del Bronzo Tardo, e dal Levante e l’Egeo fino ad epoca classica, su cui ci informano le indagini condotte su alcuni piccoli lotti di manufatti per la macinazione ciprioti, ed in secondo luogo il caso dell’importazione di manufatti per la macinazione lungo l’Eufrate dagli affioramenti presso Emar fino a Mari e da lì in Mesopotamia meridionale, di cui abbiamo testimonianza dai documenti di archivio di epoca paleobabilonese (Burke 1964: 75; Stol 1979: 86). Entrambi i casi tuttavia, se osservati nella prospettiva che si è qui delineato, sono ben riconducibili alle due necessità primarie che si sono sopra ditinte. Prendiamo a titolo di esempio il primo caso ed il più studiato, ovvero quello dell’esportazione di manufatti per la macinazione dal levante meridionale a Cipro, dal Bronzo Tardo fino ad epoca classica. Se consideriamo la natura della pietra localmente reperibile, infatti, possiamo osservare come le formazioni sedimentarie presenti a Cipro, essenzialmente arenariche, calcaree e calcarenitiche e le formazioni 42 eruttive , in maggioranza riferibili a gabbri, forniscano pietra locale poco adattabile all’impiego nella produzione di manufatti per la macinazione (Elliott 1991b). Ciononostante queste varietà locali sono utilizzate dal Neolitico e durante la prima Età del Bronzo, in ragione della loro facile reperibilità. L’adattamento non ha successo in questo caso, proprio perché il rapporto fra le due necessità è sbilanciato a favore della seconda. Le varietà di pietra disponibili non rispondevano alle necessità strutturali proprie di un mulino: non permettevano alcuna versatilità e durevolezza. Da qui nasce l’esigenza di equilibrare il rapporto, dunque di reperire altrove la materia prima per questa produzione e la scelta cade sulle formazioni del Levante meridionale, nella regione ricca di affioramenti del Lago di Tiberiade. Questa scelta è ancora guidata però da un criterio di accessibilità. Proprio dall’inizio del Bronzo Tardo sono infatti in evidente crescita i rapporti di scambio con il versante meridionale del Levante ed è possibile ipotizzare verisimilmente, come ha proposto per prima Carolyn Elliott (Xenophontos et alii 1988: 182), che dagli affioramenti dell’area di Maqarin o, più a Sud, di Karameh, la materia prima fosse raccolta e lavorata, possibilmente in un centro importante dell’area, il più
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probabile è Beth Shah, e da qui trasportata a uno o due 43 punti di raccordo sulla costa . Da questi porti i manufatti giungevano agli approdi orientali ciprioti ad Enkomi soprattutto, ed occidentali, a Maa-Palaeokastro, Kouklia-Evreti, che hanno restituito ricche collezioni di manufatti per la macinazione che, all’analisi di provenienza (Xenophontos et alii 1988: 180, 44 Tab. 6, 7), sono risultati di origine Levantina . A simili criteri, per quanto purtroppo non supportati da puntuali analisi di provenienza, potrebbe essere da ricondurre il secondo caso che abbiamo qui citato, ovvero quello dell’importazione di manufatti per la macinazione nell’area mesopotamica centrale e meridionale durante il Bronzo Antico e Medio. Di questo siamo soltanto in parte informati dalle fonti (Stol 1979: 84-86; Bourke 1964) e si attende un’analisi di più vasto raggio che permetta di collocare questi dati, interessanti ma fino ad ora non correlati, all’interno di un quadro più ampio e dunque di delineare con maggior chiarezza il sistema dell’approvvigionamento delle materie prime litiche, della produzione e della distribuzione dei manufatti, per poter in definitiva stabilire eventuali affinità rispetto al modello meglio conosciuto del Levante meridionale e di Cipro, o al contrario mettere in luce evidenze che indichino una condizione differente.
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I basalti non sono assenti del tutto a Cipro, come si è visto, tuttavia si possono trovare unicamente nel massiccio del Troodos, nella regione centrooccidentale dell’isola, ed in formazioni non accessibili e alternate con rocce sedimentarie. Si veda anche Belgiorno 2000: 79.
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I centri con questa funzione potevano essere, anche in ragione della ricca presenza di ceramica cipriota del Tardo Cipriota II-III presente in questi siti, Tell Abu Hawam e Akko. I basalti dei campioni provenienti dai mulini pompeiani di epoca classica di Avdhimou, Peyia e Paphos, che appartengono invece, come si è visto, a due diversi gruppi: il gruppo egeo (da Aegina, Nisyros e Santorini) e il gruppo levantino (dagli stessi affioramenti della regione del Lago Tiberiade). Per l’approvvigionamento di questi ultimi si è proposto un percorso simile a quello delineato fin dalla tarda Età del Bronzo (Xenophontos et alii 1988: 182). Dagli affioramenti a Sud e ad Est del Lago fino ai centri di raccolta di Tiberiade e Capernaum e di lì ad Akko (la classica Ptolemais), che doveva essere il porto di esportazione per Cipro. L’approdo orientale sull’isola doveva essere Salamis (Mitford 1980: Fig. 1). La Elliott esclude un percorso via Scythopolis (Beth Shan) per Cesarea Marittima (Xenophontos et alii 1988: 182-183).
La tipologia assolve in questo studio un ruolo fondamentale di sistemazione dei materiali disponibili, non si prefigura dunque come una costruzione fine a sé stessa, quanto piuttosto come uno strumento necessario per l’analisi più generale, utile per la ricostruzione delle tecniche antiche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del bacino orientale del Mediterraneo. In questo senso la classificazione tipologica, intesa come strumento, deve essere strutturata in modo tale da porre in immediata evidenza il complesso dei caratteri formali, nell’ottica di istituire una serie valida di corrispondenze interne, su base morfologica appunto, fra gli strumenti. L’analisi di queste corrispondenze è fondamentale perché permette di stabilire, sulla scorta della effettiva e verificabile complementarietà morfologica, quali siano gli strumenti che si possono fra loro correlare e consente quindi di ricostruire di volta in volta la coppia funzionale di base, costituita dalla macina superiore e dalla relativa macina inferiore di ogni mulino. I dati morfologici utili per questa operazione sono essenziali dunque per poter poi ricostruire la funzionalità e l’aspetto tecnologico dei differenti tipi di mulino. La classificazione tipologica così realizzata non può quindi essere di tipo descrittivo o di tipo funzionale, come erroneamente si potrebbe essere portati a ritenere3, ma è necessario che sia costruita piuttosto secondo un sistema gerarchico che permetta sempre di distinguere via via per importanza gli elementi morfologici più utili a stabilire poi la complementarietà fra le macine superiori e le relative inferiori. In questo modo è possibile distinguere preliminarmente gli attributi primari dagli elementi secondari, o subordinati, e su questa base comporre la struttura di classificazione. Ad una simile necessità risponde nel modo più utile un sistema classificatorio di tipo razionale o analitico, le cui applicazioni certamente più note si trovano nella classificazione analitica di G. Laplace, e che si basi appunto sul concetto gerarchico degli attributi4. Un sistema di classificazione del genere può avvantaggiarsi tuttavia anche di alcune applicazioni di diversa natura. Può risultare particolarmente utile la definizione per moduli di solidi geometrici, già applicata, seppure in ambito assai differente, allo studio della produzione ceramica di epoca preistorica in area italiana5. La correlazione del principio gerarchico degli attributi, di ispirazione razionale-analitica, con la classificazione caratterizzata dalla distinzione per moduli geometrici, sta infatti alla base di una recente proposta tipologicaelaborata da L. Sarti6 e destinata
II. LE PIETRE DA MACINA
1. CARATTERI GENERALI E DEFINIZIONE DEL SISTEMA DI CLASSIFICAZIONE.
Lo studio del complesso dei manufatti destinati, a vario titolo e funzione, alle differenti attività connesse con la macinazione, presenta alcune evidenti difficoltà preliminari. Già L. Lindet nei primi anni del 900, e qualche decennio più tardi con toni del tutto analoghi L. Moritz1, sottolineavano la evidente sproporzione che esiste tra la quantità dei documenti utili alla ricostruzione delle tecniche molitorie antiche e la quantità e qualità della loro pubblicazione e diffusione. Negli ultimi decenni la situazione è soltanto minimamente mutata e ne è un chiaro segno l’assenza ancora oggi di un sistema affidabile di definizioni o anche soltanto di una griglia indicativa di termini per descrivere questi strumenti, che possa dirsi più o meno generalmente accettata da quanti si occupano dello studio delle tecniche antiche della macinazione. Si deve perciò cominciare con il definire l’oggetto e con questo distinguere cosa intendere con mulino e cosa con macina, dal momento che i due termini comunemente in letteratura si estendono fino a sovrapporsi, a coprirsi o addirittura a sostituirsi a vicenda2. A titolo di definizione preliminare è bene da subito chiarire in quale rapporto si possano distinguere i due “oggetti”. Il mulino è uno strumento inteso alla riduzione, frantumazione o macinazione, costituito in ogni caso da due macine di cui l’una, inferiore, è giacente e l’altra, superiore, è attiva. Si procede dunque, secondo logica, partendo dai singoli elementi, le macine appunto, che costituiscono ogni mulino per così comprendere e analizzare in un secondo momento i differenti caratteri tecnologici dei diversi tipi di mulino e poterli distinguere nel loro sviluppo. Il primo passo è perciò quello di analizzare l’insieme delle macine note nell’area presa in esame attraverso la stesura di una tipologia che le organizzi sulla base di due principi preliminari, secondo un unico criterio di base e all’interno di una struttura gerarchica costante. Si è così studiata una tipologia fondata su base morfologica e ordinata gerarchicamente in famiglie, serie, gruppi, classi, tipi primari e relative varianti secondarie. L’individuazione del criterio morfologico, quale criterio base per formulare questo sistema di classificazione è una scelta funzionale agli obiettivi che ci si propone e alle necessità specifiche alle quali questa classificazione deve rispondere.
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Si veda per primo Lindet 1899: 413 e quindi Mortiz 1958. La produzione e riproduzione continua di definizioni generiche è amplificata ulteriormente anche dalla differente sensibilità delle varie lingue. Si veda a questo proposito anche Moritz 1958.
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Una classificazione puramente descrittiva o basata su criteri di definizione funzionale, non permetterebbe di mettere in evidenza il complesso dei caratteri formali dei diversi tipi di macina e quindi non garantirebbe di verificare le reali corrispondenze fra le macine stesse. Si veda a questo proposito dapprima la tipologia analitica, Laplace 1964, ma anche a migliore chiarimento Laplace 1963 e Laplace 1966. Si veda in dettaglio Vigliardi ed in particolare Sarti 1993: 144. Due casi di classificazioni di diverso orientamento, entrambe realizzate per lo studio sistematico della
II. LE PIETRE DA MACINA preliminarmente alla classificazione della produzione vascolare della preistoria recente nell’area toscana7. Della classificazione di queste produzioni, in sé evidentemente molto distanti dall’ambito e dai caratteri dello strumentario oggetto di questo studio, può risultare tuttavia particolarmente interessante recuperare il sistema dell’applicazione delle definizioni morfologiche e dei criteri di valore con cui vengono sistemate all’interno del sistema gerarchico. Questa proposta tipologica infatti, ad un’analisi del sistema e della struttura, sembra bene adattarsi all’applicazione, sotto forme diverse e ovviamente con differenti criteri di definizione, tanto alla classificazione dei nostri materiali in sé, quanto e soprattutto alle necessità alle quali il sistema deve poter rispondere8. Si procede quindi a descrivere il sistema di classificazione che abbiamo qui adottato per la sistemazione del complesso dei manufatti in pietra oggetto di questo studio. La struttura si presenta, come abbiamo anticipato, come uno schema a piramide nel quale al vertice della gerarchia si trovano le famiglie. La famiglia corrisponde alla categoria generale in cui classificare il manufatto. Si sono distinte 3 famiglie: recipienti, macine piane, macinatoi. Recipienti sono tutti i manufatti definibili come contenitori, ovvero caratterizzati dalla presenza di pareti che delimitino una vasca (uno spazio vuoto) centrale9. I recipienti presentano dunque formalmente un rapporto fra volumi pieni e volumi vuoti. Le macine piane corrispondono invece a tutti i manufatti che si presentino a volume pieno e a sviluppo orizzontale. I macinatoi infine corrispondono a tutti i manufatti che si presentino a volume pieno e a sviluppo verticale10.
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All’interno di ogni famiglia si possono distinguere un numero determinato di serie formali. Le serie individuano ad un livello ancora generale i caratteri morfologici dei manufatti di ogni famiglia. Ad un livello più basso si distinguono quindi un numero determinato di gruppi; i gruppi comprendono a loro volta, ad un livello più basso, un determinato numero di classi, e quindi di tipi primari, al cui interno possono distinguersi per differenti varianti11. I caratteri morfologici che distinguono ai vari livelli i manufatti all’interno del sistema di classificazione, sono determinati sulla base dei rapporti tipometrici tra le dimensioni assolute e non sono in nessun caso basati sulle dimensioni assolute del manufatto. Nella famiglia dei RECIPIENTI si distinguono 2 serie formali, determinate sulla base del carattere morfologico dello spessore della parete. Si individua così la serie dei: Mortai, recipienti a parete spessa (ovvero che presentano lo spessore massimo della parete ≥ ½ dell’altezza. Ciotole, recipienti a parete sottile (ovvero che presentano lo spessore massimo della parete < ½ dell’altezza. All’interno delle due serie si distinguono 3 gruppi, determinati in base alla profondità della vasca. Si possono così distinguere mortai o ciotole che si presentino: I: a vasca bassa, definiti dal rapporto: h. ≤ ⅓ Ø. II: a vasca media, definiti dal rapporto: ⅓ Ø < h. ≤ ½ Ø. III: a vasca profonda, definiti dal rapporto: h. > ½ Ø, Si possono poi determinare 4 classi sulla scorta della distinzione della base nei diversi casi in cui ciotole o mortai a vasca bassa, media o profonda, si presentino: A: a base semplice B: con base ad anello rilevato C: con base a disco rilevato e pieno D: con piedi
ceramica della preistoria italiana ed europea, sono rappresentati dalla tipologia di impronta analitica proposta da G. Guerreschi (Guerreschi 1980), da un lato, e dalla classificazione di M.R. Séronie Vivien (Séronie Vivine 1982), ispirata invece al sistema delle liste tipologiche per le industrie paleolitiche di F. Bordes e D. Sonneville-Bordes. Si veda in maggior dettaglio Sarti 1993: 144. Lo schema tipologico, proposto quale classificazione generale per la ceramica preistorica, viene poi esemplificato nell’applicazione alla produzione delle tazze troncoconiche dell’Eneolitco dell’area toscana. Si veda Sarti 1993. Per la discussione dei sistemi della tipologia analitica ed il chiarimento dei principali nodi relativi alle diverse applicazioni classificatorie nello studio delle differenti classi di materiali, devo un ringraziamento particolare a Fabio Martini, alle cui lezioni nei corsi universitari di Paletnologia, e alle cui indicazioni e alle conversazioni che ne sono poi seguite negli anni successivi, devo una parte davvero importante nella formulazione della classificazione tipologica che questo studio propone. Il concetto di contenitore è dunque qui applicato quale entità formale, secondo la definizione di L. Sarti, e non secondo una definizione di tipo funzionale. Naturalmente la definizione di sviluppo verticale o orizzontale di un strumento è basata sul riconoscimento della superficie operativa.
Si distinguono infine 6 tipi sulla base del diverso modulo geometrico, ovvero del solido geometrico cui il corpo del recipiente può richiamarsi. Nei diversi casi noti si possono così distinguere ciotole o mortai, a vasca bassa, media o profonda, con base semplice, ad anello, a disco o con piedi, che si presentino: 1: a corpo sferoidale 2: a corpo troncoconico 3: a corpo biconico 4: a corpo cilindrico 5: a corpo di parallelepipedo 6: a corpo poliedrico irregolare. 11
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Per uniformità si indicano i diversi livelli della classificazione con differenti convenzioni grafiche. Questo permette di regolare la definizione e soprattutto facilita la lettura. Si riporta la serie definendola ed indicandola in maiuscolo; i gruppi in ordine sono indicati in numeri romani; le classi con le lettere maiuscole dell’alfabeto; i tipi primari con i numeri arabi e le varianti con le lettere minuscole dell’alfabeto. Si indicano dunque per esempio tipi differenti utilizzando diciture del tipo MORTAIO II.A.2a o CIOTOLA I.B. 2d. che riportano naturalmente alla definizione tipologica.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Nella terza ed ultima delle famiglie che abbiamo qui isolato con la definizione di MACINATOI si possono distinguere 2 serie formali sulla base del differente indice di allungamento, ovvero sulla base del rapporto fra le due dimensioni piane; si determinano in questo modo le due serie dei: Macinelli, definiti dal rapporto: d.max/d.min < 1,5 Pestelli, definiti dal rapporto: d.max/d.min ≥ 1,5
Nella famiglia delle MACINE PIANE si possono determinare 3 serie formali, con le quali distinguere: Macine semplici, ovvero macine a volume pieno. Macine a scanalatura, caratterizzate dalla presenza di una solcatura longitudinale Macine a tramoggia, caratterizzate dalla presenza di una tramoggia centrale.
Si distinguono poi, ad un livello più basso, 2 gruppi che rendono conto della differente complessità morfologica: da un lato i macinelli o pestelli con corpo semplice, e dunque riferibile ad un modulo geometrico unico e ad un singolo solido geometrico di riferimento, dall'altro i macinelli o pestelli il cui corpo è composto di due solidi geometrici distinguibili14. Si possono così distinguere macinelli e pestelli: I: semplici II: composti
All’interno delle tre serie si possono isolare 5 gruppi, sulla base del profilo della faccia principale12, che nelle tre serie delle macine semplici, a scanalatura o a tramoggia può presentarsi: I: a profilo convesso-convesso13 II: a profilo convesso-retto III: a profilo retto-retto IV: a profilo concavo retto V: a profilo concavo-concavo Si distinguono poi ad un livello più basso 4 classi, sulla base del profilo della faccia secondaria, che nelle tre serie e all’interno dei cinque gruppi delle macine con differente profilo della faccia principale, può presentarsi: A: a profilo convesso-convesso (a calotta) B: a profilo triangolare C: a profilo convesso irregolare D: a profilo retto-retto
Si possono definire 10 tipi, distinti sulla base del modulo geometrico o dei moduli geometrici ai quali può essere riferito il corpo dei diversi macinelli o pestelli, che possono presentarsi: 1: a corpo globulare 2: a corpo subglobulare 3: a corpo subcubico 4: a corpo troncoconico 5: a corpo cilindrico 6: a corpo di prisma 7: con corpo costituito da due tronchi di cono 8: con corpo costituito da due cilindri 9: con corpo costituito da un cilindro e da un prisma 10: con corpo costituito da due prismi.
Si possono infine determinare 5 tipi, selezionati sulla base della pianta, che individuano fra le macine delle tre serie, con facce principale e secondaria a vario profilo, i tipi: 1: a pianta ellissoidale, definita dal rapporto: d.max/d.min < 1,5 2: a pianta ellissoidale allungata, definita dal rapporto: d.max/d.min ≥1,5 3: a pianta rettangolare, sub-rettangolare 4: a pianta circolare 5: a pianta irregolare.
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La classificazione, organizzata secondo la struttura tipologica sin qui descritta, con lo schema completo dei tipi e delle varianti è riportata nell’Appendice in coda al testo (APPENDICE A).
I concetti di faccia principale e di faccia secondaria della macina sono al tempo stesso ovvi all’osservazione e difficili da determinare sul piano della definizione formale. Non è infatti possibile definire un criterio morfologico univoco tramite il quale descrivere questi elementi. Si è così deciso, dopo vari tentativi, di risolvere (o aggirare) il problema definendo cosa intendere per faccia principale nelle tre serie formali delle macine. È così per convenzione: nella serie delle macine a scanalatura, la faccia principale è la faccia opposta a quella su cui è ricavata la scanalatura; nella serie delle macine a tramoggia, la faccia principale è la faccia opposta a quella su cui è ricavata l’apertura della tramoggia centrale; nella serie delle macine semplice infine, la faccia principale è la faccia con superficie totale minore. Per profilo si intende il profilo secondo i due assi principali della faccia. Perciò per profilo convessoconvesso si deve intendere convesso secondo l’asse maggiore e convesso secondo l’asse minore, ovvero secondo la lunghezza e secondo la larghezza.
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Un criterio del genere è stato applicato da L. Sarti per distinguere le classi formali all’interno della sua classificazione tipologica (Sarti 1993: 132). Nel nostro caso si utilizza questo criterio ad un livello più alto, lasciando la definizione sulla base del modulo geometrico del corpo dei macinelli e pestelli al più basso livello della distinzione dei tipi primari. Questa inversione è sembrata più adatta alla descrizione di questi manufatti.
Per ogni mulino viene dunque premessa una analisi dei caratteri tecnologici di base: il tipo di macina superiore e di macina giacente impiegata e la natura della pietra utilizzata per le macine. Si distinguono poi le varianti tecnologiche del mulino, elencando le diversità funzionali.
III. I MULINI
1. CARATTERI GENERALI Abbiamo già definito il mulino attraverso una distinzione preliminare che chiarisse anzitutto il rapporto fra i due concetti (e fra i due oggetti) generalemente indicati con i termini di "macina" e di "mulino".. La formulazione e sistemazione di una tipologia del complesso delle macine note nell’area presa in esame da questo studio, presentata nel capitolo precedente, ha l’obiettivo, come abbiamo anticipato, di mettere in evidenza i rapporti di complementarietà, evidenti su base morfologica, fra le diverse macine. Determinare queste relazioni di complementarità permette di ricostruire le coppie di macine, superiori e giacenti, nei differenti tipi di mulino. Si può così procedere per gradi: dalla classificazione preliminare dell’insieme delle macine, attraverso un processo di associazioni interne fra macine superiori e relative giacenti, fino alla determinazione dei principali tipi di mulini in pietra. Oltre ai dati che si possono ottenere attraverso l’analisi morfologica delle macine, altri documenti complementari contribuiscono a determinare una ricostruzione più circostanziata dell’aspetto funzionale e dei dettagli tecnologici caratteristici di ogni tipo di mulino. Fra questi sono naturalmente essenziali i dati archeologici, ovvero i dati relativi al contesto di rinvenimento, l’associazione con altri materiali utili alla datazione, ma soprattutto i casi in cui si possa osservare una o più installazioni con mulini in situ. Si devono inoltre considerare i documenti iconografici, ovvero le rappresentazioni che riportano sequenze relative o riferibili ad attività di macinazione. I casi noti (per quanto non numerosi) possono tuttavia essere determinanti per ricostruire l’aspetto funzionale di un mulino. Dall’analisi complessiva di questi dati di differente natura è stato possibile distinguere i diversi tipi di mulino diffusi nell’area del Vicino Oriente e del bacino orientale del Mediterraneo antico, e procedere poi a descrivere un quadro nel quale collocare i singoli tipi e così chiarirne sia i caratteri tecnologici che i rapporti reciproci di influenza e derivazione all'interno del generale sviluppo delle tecniche di macinazione. Si sono isolati in questo modo 5 tipi di mulini differenti: 1. 2. 3. 4. 5.
2. MODELLI MECCANICI Una volta stabilito in questo modo l’assetto generale del mulino è possibile ricostruire la sequenza funzionale attraverso cui doveva essere utilizzato. Si possono distinguere infatti due sequenze principali caratteristiche delle attività di macinazione e alle quali possono essere richiamati tutti i tipi di mulino, queste due sequenze sono: • •
la frizione (o rubbing) la percussione (o pounding)
Con la definizione di queste due azioni si intende comporre l'attività di macinazione nei suoi vari segmenti operativi, ognuno dei quali, per quanto non distinto dall’operatore e percepito all'interno di un’unica sequenza, è invece distinguibile come elemento singolo e come tale può essere meglio compreso1. Dal punto di vista puramente meccanico, l’azione in sé è condotta da un operatore per mezzo di uno strumento su una materia in lavorazione. Da ciò consegue che le forze da considerare per studiare l’azione sono semplicemente la forza operativa e la forza di reazione. La forza operativa, se si considerano azioni non prodotte da forze meccaniche di altra natura, risulta direttamente correlata alla Massa corporea e corrisponde dunque alla Forza Peso espressa dall’operatore. La Forza di Reazione è la risultante della forza di reazione prodotta dalla macina giacente del mulino. Dalla scomposizione di queste forze in contesti diversi si ottengono alcuni modelli utili a ricostruire la funzionalità e l’efficienza dell’operazione. La prima distinzione possibile risale alla modalità alternata o costante della azione. Nel primo caso si ottiene appunto una percussione (o rubbing), nel secondo una frizione (o pounding) (TAV: 8: 1)2.
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il mulino a macinello il mulino a macina semplice il mulino assiro a scanalatura il mulino a tramoggia (o mulino di Olinto) il mulino a mortaio 2
Ad ogni mulino è qui di seguito dedicata una sezione, che è stata organizzata secondo un criterio omogeneo di esposizione che renda ragione dei dati di differente natura che hanno contribuito a delinearne i caratteri tecnologici e quindi chiarisca il contesto del suo sviluppo cronologico e della sua diffusione geografica.
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In questo senso invece di considerare i vari prodotti che potevano essere macinati e da questi ipotizzare quali strumenti dovessero essere utili alla macinazione, si osserva lo strumento in sé per stabilire come potesse essere utilizzato fisicamente e una volta ottenuto di ricostruire la più probabile sequenza operativa si verifica quali prodotti si potessero ottenere per via di quella operazione. Per una analisi delle principali sequenze di azione ipotizzabili per questi strumenti si veda De Beaume 1989: fig.9. In questo caso si distinguono tre categorie: percussione perpendicolare lanciata diffusa, percussione obliqua posata circolare, percussione obliqua posata diffusa. Dalla composizione delle tre si realizzano le operazioni indicate. La definizione delle due sequenze di rubbing e pounding è già definita nei suoi caratteri generali da Moritz (Moritz 1958)
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico La percussione consiste perciò nel prodursi della Forza Peso dell’operatore ripetuta a brevi intervalli nel tempo dell’operazione, l’asse di percussione che consiste nella direzione della Forza Peso, può essere o meno perpendicolare alla superficie operativa giacente, la forza di reazione ne risulterà corrispondente (TAV: 8: 1). La frizione è il risultato di una forza costantemente impressa nel tempo dell’operazione che muta nella distribuzione in base al contesto in cui è prodotta (TAV: 8: 1). Un’analisi dell’assetto dei mulini che abbiamo qui isolato, volta alla definizione delle differenti sequenze di frizione e percussione cui possono prestarsi, produce sette possibilità (TAV: 9):
5. Frizione circolare In questo caso la forza è esercitata su un piano rettilineo o obliquo secondo una modalità circolare. L’operatore esercita una spinta contemporaneamente perpendicolare alla superficie operativa giacente e parallela ed essa. Si tratta quindi di una condizione di composizione simile a quella indicata per la frizione assiale 1, se non che in questo caso la spinta parallela si presenta circolare e continua e permette di distribuire uniformemente la forza con velocità costante. In definitiva quindi la frizione assiale 1 obbliga l’operatore ad invertire ripetutamente la direzione della sua forza peso e questo implica che alla fine della corsa, quindi al momento dell’inversione, la forza impressa sarà minima. Ciò è evitato dalla modalità circolare che invece garantisce la possibilità di esercitare sulla superficie operativa giacente una forza costante, maggiore soltanto al semiarco destro nel caso si presupponga un operatore destrimano.
1. Frizione assiale 1 In questo caso la Forza Peso è esercitata su un piano rettilineo, ed ha duplice direzione contemporaneamente perpendicolare alla superficie operativa giacente e parallela ad essa.
6. Frizione composita Si tratta del caso in cui la forza venga esercitata su un piano rettilineo o su un piano obliquo alternando le due modalità circolare ed assiale. La Forza Peso è così distribuita secondo le due direttrici che si sono viste parallela e perpendicolare alla superficie operativa giacente. La prima di queste è distintamente circolare e assiale presentando in alternativa nel tempo dell’operazione le due modalità che abbiamo visto separate.
2. Frizione assiale 2 Rappresenta questo il caso in cui la Forza Peso è esercitata su un piano obliquo. In questo caso la Forza ha singola direzione e dalla sua scomposizione si ottiene una componente Tangenziale, parallela al piano operativo giacente, ed una componente Normale, perpendicolare ad esso. Impressa su un piano obliquo nel tempo dell’operazione la velocità complessiva aumenta al decrescere dell’accelerazione e alla fine della corsa la componente tangenziale e normale saranno ridotte a zero rimanendo operativa la sola Forza Peso. Per questo la prima modalità risulta decisamente meno efficiente poiché a parità di forza esercita dall’operatore nel primo caso questa deve essere suddivisa secondo le due direttrici perpendicolare e parallela alla superficie operativa, nel secondo è esercitata univocamente dal momento che la spinta parallela è garantita ed anzi aumentata dal crescere della velocità nel tempo sul piano operativo obliquo.
7. Frizione e percussione composita Nel caso in cui le due principali modalità che si sono isolate partecipino alla stessa sequenza di azione in alternativa l’una all’altra nel tempo dell’operazione. Si può quindi concludere che la frizione esercitata su un qualsiasi piano obliquo risulta più efficace a parità di Forza Peso rispetto alla frizione su piano rettilineo. Questo implica che gli strumenti coinvolti in un operazione di frizione su piano obliquo permetteranno in generale maggiore efficienza all’operazione.
3. Frizione assiale 3 In questo caso la superficie ci si riferisce ad un modello che si realizza dalla composizione di due piani obliqui o da un piano retto ed uno obliquo che formino un ideale angolo ottuso. Questa è la condizione ideale nella quale al massimo della velocità ottenuta sul piano obliquo alla fine della corsa si imprima in un punto il massimo della Forza Peso riducendo a zero le due componenti Normale e Tangenziale di scomposizione della Forza.
3. MODELLI TECNOLOGICI GENERALI Una volta ricostruito l’assetto e la funzionalità dei vari mulini si può procedere a suddividerli all’interno delle categorie più ampie, adottate dagli studi generali di tecnologia antica3. Le tre categorie funzionali generali che possiamo qui adottare e alle quali ci riferiremo in ogni sezione sono (TAV: 10): 1. mulino a mano (o hand-mill) 2. mulino a leva, mulino a volano (o lever-mill) 3. mulino meccanico (o geared-mill)
4. Frizione semicircolare Questo è il caso di una frizione esercitata su un piano rettilineo secondo una modalità semicircolare. L’operatore è qui chiamato ad esercitare una spinta al tempo stesso perpendicolare alla superficie della macina giacente e parallela ad essa. Questa condizione è verificabile secondo una sequenza semicircolare soltanto a condizione che la macina superiore sia messa in finzione utilizzando una leva fissata ad una delle due estremità. È perciò una sequenza legata all’impiego del solo mulino a tramoggia di Olinto, come vedremo.
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La categorie cui riferirsi e che qui riportiamo sono già distinte negli studi di Forbes (Forbes 1962), Derry e Williams (Derry, Williams 1968) ed ancora dal Moritz (Moritz 1958) secondo una applicazione più precisa. A questa formulazione ci riferiamo qui in modo particolare.
III. I MULINI giacente; questo aspetto dunque indica una produttività relativamente scarsa del mulino nel suo complesso (TAV. 11). La macina superiore attiva nel mulino a macinello è infatti un macinello che può presentarsi a corpo variamente subglobulare o subcubico, in cui si possono individuare una o più facce piane che ne costituiscono la superficie operativa. Il macinello è destinato evidentemente ad essere utilizzato dall’operatore che lo tiene con una mano, disposto in modo tale che la faccia piana (ovvero la superficie operativa) sia opposta al palmo. La presenza di macinelli con più facce piane che, come abbiamo visto7, possono presentarsi parallele ed opposte o adiacenti, sta ad indicare che nel corso dell’impiego del macinello nella macinazione si sono utilizzate successivamente diverse superfici operative, semplicemente ruotando il macinello nella mano di volta in volta. La macina giacente di questo mulino è costituita da una lastra di dimensioni ridotte e che può presentarsi a pianta diversa. Sono documentati essenzialmente casi a pianta più o meno irregolarmente rettangolare accanto a tipi a pianta ellissoidale o ellissoidale allungata. La faccia principale, che corrisponde alla superficie operativa, in questo caso è tendenzialmente concava secondo entrambi gli assi principali, seppure sono noti casi con profilo differente rappresentati dai tipi con faccia principale a profilo concavo-concavo, a profilo concavo-retto o a profilo retto-retto. La faccia secondaria (che nel caso della macina giacente di questo mulino corrisponde alla superficie di appoggio della macina stessa e quindi determina sia la stabilità del mulino che l’inclinazione della superficie operativa rispetto al suolo) è in genere tendenzialmente convessa o parzialemente appiattita. Il profilo della faccia secondaria è diversamente realizzato in base alla installazione cui il mulino è destinato. Se infatti il mulino viene installato su una banchina, secondo un uso che vedremo diffuso per la postazione dei mulini a macinello, sia la stabilità del mulino che l’inclinazione della superficie operativa saranno determinati dalla installazione sulla banchina, ovvero dalla superficie del piano della banchina stessa; nel caso in cui invece il mulino a macinello sia destinato ad essere installato direttamente sul pavimento di un vano, o la postazione del mulino si trovi su un piano esterno, la superficie secondaria d’appoggio della macina giacente è determinante per assicurare stabilità al mulino e garantire la inclinazione richiesta alla superficie operativa. La scelta della pietra per le macine destinate ai mulini a macinello è piuttosto varia. In generale tuttavia si prediligono i basalti a struttura compatta o minimamente vacuolare. Queste varietà sono caratteristiche soprattutto delle macine giacenti; i macinelli possono presentarsi invece più variamente in pietra basaltica (in questo caso tendenzialmente a struttura compatta o minimamente vacuolare, come per le macine giacenti), ma anche in calcare a struttura massiccia; altri esempi sono costituiti
I cinque tipi di mulino che questo studio ha distinto e che rappresentano il complesso dei mulini diffusi nell’area dell’Oriente antico e del bacino orientale del Mediterraneo, sono da attribuire alle prime due categorie generali. In particolare i mulini a macinello, i mulini a macina semplice ed i mulini a mortaio rappresentano applicazioni tecnologiche differenti del concetto di mulino a mano (hand-mills). I più recenti mulini assiri a scanalatura ed i mulini a tramoggia di Olinto sono invece entrambi modelli a leva o volano (lever-mills). I mulini meccanici, che pure sono documentati in area orientale, fanno la loro comparsa, in epoca più recente e non prima dei primi secoli dopo Cristo, in linea con lo sviluppo di questi modelli anche in Occidente, durante l’età romana imperiale4.
4. IL MULINO A MACINELLO 4.1. I DATI TECNOLOGICI Morfologia e ricostruzione funzionale. Il mulino a macinello rappresenta il primo tipo di mulino in pietra. Il più antico per diffusione ed il meno evoluto per ciò che riguarda l’assetto funzionale che lo caratterizza. Questi due aspetti non conducono tuttavia, come sembrerebbe ovvio supporre, ad una sua rapida scomparsa nel corso più recente dello sviluppo delle tecniche per la macinazione; al contrario esempi di mulini a macinello si trovano in contesti recenti e la loro diffusione risulta attestata fino alle soglie dell’Età classica in tutto il Vicino Oriente ed il bacino orientale del Mediterraneo5. Il mulino a macinello è un mulino a mano (o hand mill)6 caratterizzato anzitutto dalle ridotte dimensioni generali sia della macina superiore attiva che della relativa 4
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Ai secoli II-III d.C. si fa risalire la diffusione del mulino verticale e del mulino orizzontale ad acqua (altrimenti noto come mulino di Vitruvio) (Forbes 1962: 110-115; Moritz 1958). I mulini a vento sono poi diffusi e documentati in Oriente soltanto dal VII secolo d.C., in area persiana. Si tratta di modelli ad asse verticale che, secondo alcune osservazioni, si differenziano dai modelli ad asse orizzontale diffusi invece più tardi in area egea e che a loro volta sembrano derivati dal principio ad asse orizzontale del mulino ad acqua vitruviano. Potrebbe in questo senso trattarsi di due sviluppi autonomi. Si veda a questo proposito Derry, Williams 1968: 294-296. Sugli aspetti relativi alla sovrapposizione di tipi più o meno evoluti nel corso dello sviluppo delle tecniche per la macinazione, si veda in maggior dettaglio la sezione qui dedicata nel capitolo delle conclusioni ai caratteri generali dell'evoluzione delle tecniche molitorie. Si veda dunque oltre. La definizione di hand mills riprende la partizione generale dei mulini (hand mills, lever mills e geared mills) proposta da Moritz (Mortiz 1958) alla quale si fa qui riferimento nei termini generali della descrizione del mulino a macinello. Si veda in dettaglio le sezione sopra dedicata ai caratteri generali del mulino.
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Per una descrizione completa delle possibili varianti dei macinelli subglobulari o subcubici, si vedano sopra in dettaglio le varianti dei tipi all’interno della classificazione qui proposta al capitolo precedente.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico da ciottoli di fiume o più in generale ciottoli non lavorati che presentano naturalmente corpo subglobulare e dunque una o più facce piane (TAV. 11: 2-4). Dall’analisi dei caratteri morfologici generali si può ricostruire l’assetto ed il funzionamento del mulino a macinello. L’impianto del mulino a macinello prevede senza dubbio che la macinazione si debba realizzare attraverso una sequenza di frizione ripetuta (o rubbing) del macinello superiore attivo sulla macina giacente (TAV. 11: 1). Se consideriamo anzitutto il rapporto relativo che esiste fra le dimensioni del macinello superiore e della macina giacente, si vede bene che il primo risulta di dimensioni molto più piccole della seconda, dalla qual cosa si può facilemnte dedurre che la frizione potesse in questo caso essere realizzata secondo una direzione effettivamente varia, circolare, assiale, ma anche in realtà secondo linee divergenti o anomale. Tale frizione viene condotta su un piano lievemente inclinato rispetto al suolo, realizzato su una banchina o direttamente sul terreno inclinando la macina giacente secondo un angolo necessario a garantire la più facile raccolta del macinato alla base del mulino. In questo modo il mulino a macina semplice viene quindi messo in funzione dall’operatore che si trova in ginocchio all’estremità più alta della macina giacente (sia che questa si trovi su una banchina sia che sia installata direttamente sul suolo), attraverso una frizione ripetuta secondo una modalità decisa dall’operatore stesso e che dunque può mutare continuamente sia di direzione che di intensità e pressione.
che muti tuttavia la natura dell’abitato, sempre costituito da abitazioni monocellulari di dimensioni assai rodotte (Duru 2002: 580-581) (TAV. 12: 1). Queste presentano generalmente un unico ambiente a pianta allungata, con ingresso su uno dei lati lunghi e un forno ed un piano di lavoro sulla parete opposta. Questa disposizione è caratteristica anche nell’edificio EN3A, laddove accanto al forno, disposto sulla parete di fondo si trova la postazione di un mulino a macinello, completamente conservato; sulla superficie operativa della macina giacente con faccia principale a doppia concavità8 si trova infatti il macinello subglobulare, che costituisce evidentemente la relativa macina superiore attiva (Duru 2002: 580, Pl.4) (TAV. 12: 2). Il mulino non è rialzato al di sopra di una banchina in mattoni crudi, ma è installato su una bassa piattaforma di alloggio, a sua volta disposta direttamente sul pavimento in argilla battuta del vano a ridosso della parete di fondo; la piattaforma in argilla cruda è sistemata in modo tale da permettere alla macina giacente di rimanere leggermente inclinata e così facilitare il processo di macinazione9. Diverso è il caso di un mulino a macinello che proviene dallo scavo dei livelli del Bronzo Antico II di Arad, nella valle del Negev. Un caso questo che offre un esempio per molti versi analogo da un contesto cronologico e soprattutto geografico molto differente. Si tratta nello specifico di un mulino costituito da una macina giacente con faccia principale a doppia concavità e a pianta ellittica allungata rinvenuta insieme al relativo macinello subglobulare10, all’interno del grande silos 1187 realizzato nella corte 1176a dello strato II (Amiran 1978: Pl. 155: 2-4). Per quanto naturalmente non si tratti della postazione di un mulino a macinello in situ, è tuttavia importante rilevare l’associazione dei due strumenti ed è plausibile ipotizzare si trattasse originariamente delle due macine dello stesso mulino a macinello (TAV. 13). Nel corso dei periodi più recenti, il Bronzo Medio ed il Bronzo Tardo, la diffusione di installazioni destinate a mulini a macinello rimane ben documentata. Di particolare interesse risulta la distribuzione dei mulini a macinello all’interno strutture di epoca paleobabilonese e mitannica messe in luce dallo scavo dell’Area HH a Tell Brak (McDonald 1997: 110-111). All’interno del palazzo mitannico i macinelli rinvenuti sui pavimenti provengono in maggioranza dall’ala orientale ed in particolare dal Workshop 7, un ambiente destinato ad ospitare una serie di diverse installazioni per la macinazione (Oates et alii 1997: 4: Fig. 12). Dal Workshop 7 provengono mulini a macina semplice e a
4.2. I DOCUMENTI ARCHEOLOGICI Installazioni, contesti significativi Un interesse particolare rivestono i casi che documentano l’installazione di mulini a macinello rinvenuti in situ. In questo senso sembra utile procedere qui ad un’analisi degli esempi più significativi, chiarendo tuttavia da subito che una trattazione del genere non può certo avere carattere di completezza, ma deve presentarsi necessariamente come lo studio di alcuni casi esemplificativi. La scelta è dunque frutto di una necessaria selezione e non vuole rappresentare un censimento completo delle installazioni per mulini a macinello note, ma intende presentare documenti che testimonino, da un lato, la diffusione geografica e cronologica di queste installazioni ed al tempo stesso restituiscano un campionario delle differenti installazioni e postazioni destinate ai mulini a macinello, come risultano dai contesti significativi di rinvenimento. Installazioni per mulini a macinello sono documentate e diffuse nell’area del Vicino Oriente e del bacino orientale del Mediterraneo dalle fasi più antiche del Neolitico. Un esempio di installazione domestica per mulino a macinello proviene infatti dall’insediamento di Bademağaci Höyük, nella regione del lago Burdur, l’area occidentale dell’antica e classica Pisisdia (Duru 2002). La sequenza dei livelli neolitici 4B-3 presenta uno sviluppo costante del quartiere Early Neolithic di Bademağaci, l’insediamento cresce in estensione senza
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Del tipo che abbiamo qui classificato come macina semplice V.C. Non è chiaro dalla foto di scavo pubblicata se il mulino si trovi realmente addossato alla parete di fondo; sembra in realtà più probabile, considerando l’inclinazione della macina giacente verso l’interno del vano, che fra il muro ed il mulino dovesse trovarsi uno spazio destinato all'operatore. Rispettivamente dei tipi che si sono qui distinti come macina semplice V.C.2b e macinello I.2b.
III. I MULINI mortaio, ma anche 6 macinelli, prevalentemente a corpo subcubico, per mulini a macinello11 Altri macinelli provengono dalla prossimità occidentale del complesso palatino, dalla Room 9 ma in particolare dalla Room 15 (Oates et alii 1997: 4: Fig. 12). Questo ultimo ambiente, in realtà non completamente conservato al momento dello scavo, ha restituito quattro macinelli, a corpo subcubico e subglobulare, in basalto ed in pietra calcarea. Nessun altro strumento proviene da questo vano. Si tratta dunque di due condizioni evidentemente differenti all’interno dello stesso edificio; da un lato, infatti, il Workshop 7 si presenta come un laboratorio destinato ad ospitare diverse installazioni e dunque a offrire differenti tipologie di macinazione; dall’altro, la Room 15, dove si trovano soltanto macinelli e che dunque poteva funzionare come un laboratorio con specifiche finalità, o, più probabilmente come un deposito, anche temporaneo, per strumenti destinati ad essere utilizzati altrove12. La distribuzione all’interno del tempio mitannico in HH, è in parte differente. All’interno di questa struttura, per quanto certamente di dimensioni inferiori rispetto al complesso palatino, provengono unicamente 2 macinelli, dalla Chamber 21 e dalla Chamber 22 (Oates et alii 1997: 4: Fig. 12), che insieme a pochi altri strumenti in pietra levigata, soltanto due mortai ed un pestello, stanno ad indicare in generale una modesta attività di macinazione all’interno del tempio, non organizzata in ambienti specificatamente destinati. La distribuzione degli strumenti per la macinazione all’interno degli edifici privati dei livelli 4 e 5b di epoca mitannica, indica in tutti i casi la compresenza di mulini differenti nello stesso ambiente, in generale un mulino a mortaio ed un mulino a macinello (come in HH442 o in HH444) (Oates et alii 1997: 33: Fig. 52), che dovevano pertanto essere utilizzati in alternativa con differenti finalità ovvero in serie. La condizione è analoga nei precedenti livelli 7 e 8 della tarda epoca paloebabilonese,; ed è sensibilmente differente soltanto nel caso del cosiddetto Vaulted Strine del livello 8, ascritto all’ultima fase del periodo paleobabilonese (Oates et alii 1997: 36: Fig. 56). Da questo edificio proviene infatti un lotto di 9 macinelli, quasi esclusivamente a corpo subcubico. Nessun altro strumento inteso alla macinazione proviene dal Vaulted Buliding, che dunque sembra caratterizzato dalla esclusiva presenza di mulini a macinello. Documenti relativi alla diffusione delle installazioni per mulini a macinello provengono da contesti più recenti e 11
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durante l’Età del Ferro Antico sono attestati ad esempio a Gezer (Dever 1986: 60-76)13, e poi durente il Ferro II e III, fino almeno al VII-VI secolo. Un esempio di attestazione recente di installazioni destinate a mulini a macinello proviene dall’area del complesso difensivo di Mezad Hashavyahu. Nella fortezza di Mezad Hashavyahu, situata sulla costa a sud di Jaffa, attualmente in territorio israeliano (Naveh 1962; Fantalkin 2001) e la cui costruzione ed abbandono sono certamente da collocare entro un ridotto arco di tempo durante gli ultimi decenni del VII a.C. (Fantalkin 2001: 128-133), è stata infatti individuata una possibile installazione per mulino a macinello. Questa postazione dovrebbe essere situata in corrispondenza dell’angolo meridionale del lungo vano di servizio scavato a Sud nell’Area G della fortezza. Per quanto non si tratti di un mulino completo, il macinello si trova sul pavimento in corrispondenza del locus 71 c, apparentemente in un contesto sicuro. Se dunque si dovesse immaginare qui una probabile postazione per un mulino a macinello, si dovrebbe concludere che all’interno della fortezza si trovavano distinte postazioni, con mulini a macinello, mulini a macina semplice e a mortaio14 disposte in differenti aree della struttura.
4.3. AREA E CRONOLOGIA DELLA DIFFUSIONE
Neolitico e Calcolitico Nell’area del Vicino Oriente il mulino a macinello, come abbiamo anticipato, risulta diffuso e ben documentato almeno dal Neolitico ed esempi di questo mulino sono attestati già nelle fasi iniziali del Neolitico aceramco in primo luogo da siti distribuiti nella regione della Mesopotamia settentrionale.Esempi interessanti che documentano la diffusione di questo mulino nelle fasi più antiche del suo sviluppo provengono tuttavia da una vasta area che comprende ad Est l’area di Urmia e si estende ad Ovest fino alla Anatolia centrale. Un lotto interessante di manufatti per la macinazione, al cui interno si possono riconoscere numerosi esempi di 13
Possiamo considerare in questo numero anche gli esempi che provengono dagli adiacenti Storeroom 5 e 12 e dal Corridor 6, che giustamente la McDonald ritiene possano essere stati trasportati secondariamente, forse a seguito del sacco dell’edificio (McDonald 1997: 111). Questa ipotesi è supportata dal fatto che all’interno della Room 15 non si trovano macine inferiori giacenti per mulini a macinello, ma soltanto macinelli e di diversi tipi. Diversa è la condizione dello Workshop 7, da cui provengono sia macinelli che macine inferiori (grinding slabs).
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Un caso particolare, per quanto non si tratti esplicitamente di una postazione con mulino a macinello in situ, si può segnalare dallo scavo del Granary 24000 a Gezer (Dever 1986: 60-76). In questo caso si segnala un mulino a mortaio disposto sul piano relativo strato 6B della Room 11 e sul pavimento del più recente strato 6A all’interno dello stesso vano si trova un macinello a corpo subglobulare (Dever 1986: Pl. 59:1). Naturalmente, per quanto riguarda il macinello, non si può escludere una casualità di ritrovamento, anche se sembra possibile che questo ambiente (Dever 1986: 64, Fig. 13) potesse essere stato destinato nel tempo ad ospitare differenti postazioni per mulini. Per le installazioni di mulini a macina semplice e a mortaio all’interno della fortezza di Mezad Hashavyahu si veda in dettaglio in seguito le sezioni qui dedicate al mulino a mortaio ed al mulino a macina semplice.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico macine destinate a mulini a macinazione, proviene infatti dal sito di Tell Maghzaliyah, situato a pochi chilometri da Yarim Tepe presso il fiume Abra sulle pendici del Jebel Sinjar, nel Kurdistan iraqueno (Bader 1993). Gli scavi sovietici, condotti a Tell Maghzaliyah dalla metà degli anni ’70, hanno permesso di mettere in luce un insediamento il cui complesso è databile al Neolitico aceramico. Questo insediamento si deve collocare dunque in una fase precedente allo sviluppo delle culture di Jarmo e poi di Hassuna, che sono state tradizionalmente considerate le prime culture basate interamente sull’agricoltura (Braidwood, Howe 1960), e testimonia dell’earliest stage in the development of food-producing economies in the Near East (Bader 1993: 7). È particolarmente interessante per questo, dal nostro punto di vista, verificare la presenza e la diffusione del mulino a macinello in questo e nei pochi altri siti di cui siano disponibili i dati relativi a questa fase 15. Per quanto riguarda i mulini a macinello a Tell Maghzaliyah sono documentate tre macine inferiori giacenti frammentarie e tre macinelli. Sia nel caso delle macine inferiori che dei macinelli la pietra impiegata è un basalto a struttura compatta (TAV. 14: 1-2). Le macine inferiori si presentano con faccia principale a profilo concavo-retto e a pianta ellissoidale o rettangolare (tipi macine semplice IV.C.2b e IV.C.b). I relativi macinelli sono a corpo subglobulare, a più facce piane d’uso (tipo macinelli I.2b o I.2c)16. Ad Oriente, un interesse particolare è rappresentato dalla serie ampia dei siti neolitici della valle di Solduz, nella regione a Sud-Ovest del lago di Urmia. Il lotto dei mulini a macinello dai livelli neolitici del VI Millennio a.C. di Yanik Tepe e Hajji Firuz Tepe rappresenta infatti, insieme a quelli provenienti dall’area di Yarim Tepe nel Kurdistan iraqueno, una delle testimonianze più antiche della diffusione di questo tipo di mulino nell’antichità. Questa industria è stata oggetto di uno studio approfondito, condotto dalla Voigt nei primi anni ’80, che ha portato all’elaborazione di una tipologia di Ground Stone Artifacts che comprende 14 gruppi. Di questi, 7 rappresentano strumenti destinati alla macinazione, in maggioranza riconducibili a macinelli o macine inferiori giacenti di mulini a macinello. Le Slab Grinding Stones (Type 1) raccolgono macine giacenti a pianta irregolare con faccia principale rettaretta o leggermente concava e faccia secondaria, ovvero base, flat; sono quindi analoghe ai nostri tipi macina semplice III.D.5 o IV.D.5. Le Boulder Grinding Stones (Type 2) sono allo stesso modo macine inferiori giacenti che si presentano a pianta 15
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irregolare con faccia principale retta-retta o leggermente concava, ma con faccia secondaria, ovvero base, bumpy and irregular; sono quindi analoghe ai nostri tipi macina semplice III.C.5 o IV.C.517. Le Palettes (Type 3) sono invece macine inferiori giacenti morfologicamente analoghe alle Boulder o alle Slab Grinding Stones, ma di dimensioni minori. Le Oval Handstones (Type 4) e le Amorphous Handstones (Type 5) corrispondono invece a macinelli a corpo subglobulare a una o più facce piane e sono dunque analoghi ai nostri tipi I.2b-c. Simili sono anche le Stone Balls (Type 7), che sono sempre macinelli a corpo subglobulare, che, almeno in un caso, mostrano però due depressioni per la presa che li rendono analoghi al nostro tipi I.2d (Voigt 1983: Fig. 117: a). I Cylidrical Rubbing Stones with tapered ends (Type 8) sono infine pestelli a corpo tendenzialmente cilindrico e dunque affini al nostro tipo I.5. Da Hajji Firuz Tepe provengono in tutto 12 macine inferiori giacenti di mulini a macinello, fra frammentarie ed integre, e 7 macinelli (TAV. 14: 3-6). Le macine inferiori giacenti sono realizzate sia in sandstone che in coarse-grained diorite. Sono documentati il tipo a pianta irregolare con faccia principale retta-retta o leggermente concava e faccia secondaria rettilinea, rappresentato da 9 esempi che sono quindi analoghi ai nostri tipi macina semplice III.D.5 o IV.D.5 (Voigt 1983: Fig. 115: a, b; Fig. 116: a; Pl. 34: a, b)18. I rimanenti 3 si presentano a pianta irregolare con faccia principale retta-retta o leggermente concava, e con faccia secondaria convessa irregolare; sono quindi affini ai nostri tipi macina semplice III.C.5 o IV.C.5 (Voigt 1983: Fig. 116: d)19. I 7 macinelli sono realizzati in sandstone, fine-grained gray diorite e calcite. Sono documentati i tipi a corpo subglobulare ad una o a due facce piane opposte (tipi macinelli I.2a e I.2b) (Voigt 1983: Fig. 116: e, f; Pl. 34: d, f), ed il tipo subglobulare con due depressioni opposte (tipo macinelli I.2d) (Voigt 1983: Fig. 117: a). I mulini a macinello sono ben documentati in numerosi siti del Neolitico nell’area. Esempi di macine inferiori giacenti a pianta irregolare con faccia principale rettaretta o leggermente concava e faccia secondaria rettilinea, analoghi ai nostri tipi macina semplice III.D.5 o IV.D.5, sono documentati anche dai siti del Neolitico finale di Shimshara (Mortensen 1970: Fig. 46: a) e da Tell esSawwan (al-Soof 1968: Pl. XIX: 2). Altri esempi del tipo a pianta irregolare con faccia principale retta-retta o leggermente concava, ma con faccia secondaria convessa irregolare, analoghi ai nostri tipi macina semplice III.C.5 o IV.C.5, provengono inoltre da siti contemporanei nel Deh Luran (Hole et alii 1969: Fig. 70; Hole 1977: Fig. 80: c), ed altri, di dimensioni minori, da Tepe Guran (Voigt 1983: 251), Jarmo (Braidwood, Howe 1960: 45), Telul eth-Talathat (Fukai et alii 1970: Pl. LIV: 3).
Bader riporta esempi provenienti dal sito contemporaneo di Shimshara (Mortensen 1970: 46). Altri Preceramic early agricultural sites sono noti in Iran, nel Luristan e in Khuzistan (Hole et alii 1969, Hole 1977) (Bader 1993: 7). Le foto pubblicate (Bader 1993: Fig. 2.11) non permettono tuttavia di stabilire con certezza il profilo della faccia principale, e non mostrano la faccia secondaria. Le attribuzioni tipologiche restano dunque indicative. Uno dei macinelli sembra presentare le depressioni o scanalature sul corpo, realizzate per facilitare la presa (tipo macinello I.2d).
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Particolare importanza è riservata al profilo della faccia secondaria. A seconda che questa sia piatta o irregolarmente convessa la Voigt distingue i Types 1 e 2, all’interno della sua classificazione. Corrispondono al Type 1 e al Type 3 della Voigt. Corrispondono al Type 2 della Voigt.
III. I MULINI Macinelli a corpo subglobulare ad una faccia piana o due facce piane opposte sono documentati da Jarmo (Braidwood 1967: 119), Matarrah (Smith 1952: Fig. 18: 1), Tell es-Sawwan (al-Soof 1968: Pl. XVIII: 3). Esempi all’incirca contemporanei provengono al tempo stesso da contesti geografici differenti. Un mulino a macinello completo proviene infatti, come si è visto, dal quartiere Early Neolithic dell’insediamento di Bademağaci Höyük, nella regione del lago Burdur (Duru 2002). Nel livello Neolitico 3A è stata rinvenuta una macina giacente in pietra basaltica probabilmente del tipo con faccia principale concavo-retto (tipo macina semplice IV.C. 3b), insieme al relativo macinello subglobulare (tipo macinello I.2) (Duru 2002: 580, Pl. 4). Esempi più recenti che documentano la diffusione dei mulini a macinello durante il Calcolitico nell’area della Mesopotamia settentrionale provengono dall’area della Giazira siriana. Interessante è a questo proposito il lotto consistente delle macine per mulini a macinello che proviene da Tell Beydar III (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003) (TAV. 15: 1-4). Dai livelli 1 e 2, relativi alla principale fase strutturale dell’insediamento, provengono 13 macinelli ed una macina giacente per mulino a macinello; un esempio proviene significativamente anche dal livello 4 relativo alla più antica fase dell’insediamento Ubaid di Tell Beydar III (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 539). Si tratta in tutti i casi di macinelli in pietra basaltica a struttura compatta o minimamente vacuolare, descritta come darkgrey compact basalt20. Sono documentati macinelli subglobulari nelle due varianti ad una faccia piana (tipo macinello I. 2a) (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 545, fig. 5: 7) e a due facce piane opposte (tipo macinello I. 2b) (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 545, fig. 5: 2, 3, 6).La macina giacente è del tipo con faccia principale a doppia concavità e a pianta ellittica allungata (tipo macina semplice V.A. 2b) (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 545, fig. 4: 1).
16 macine frammentarie alcune delle quali potrebbero essere ricondotte a mulini a macinello21. Più ad Occidente si possono citare i casi dei mulini a macinello che provengono dai livelli del Bronzo Antico di Tell Melebiya, sul medio corso del Habur All’interno dello strumentario di Melebiya è stata realizzata una distinzione fra pilons e broyons che si realizza separando i pilons “di forma oblunga con sezione generalmente ovale o ovale appiattita, le estremità sono convesse” dai broyons “di forma sferica, cubica, cilindrica, troncoconica” (Ciavarini Azzi 1993. 527). Fra questi naturalmente soltanto i broyons sferoidali e cubici, che corrispondono in generale ai nostri tipi I. 2 e I. 3, sono riferibili a mulini a macinello. Alcune macine giacenti per mulino a macinello sono invece comprese fra le cosiddette molettes e corrispondono ai tipi con faccia principale operativa a profilo concavo, giustamente definite dormantes (Ciavarini Azzi 1993. 527). Si tratta nel complesso di un lotto di 6 macinelli realizzati sia in basalto che in pietra calcarea o quarzite e si presentano a corpo sferoidale o subglobulare (corrispondenti ai tipi I. 1 e I. 2) o subcubico (del tipo I. 3). È inoltre ben rappresentato il tipo con prese o depressioni laterali, presente in almeno in tre esempi (tipo macinello I. 2d) (Ciavarini Azzi 1993: 569, Pl. 206: 5, 16, 17). Si tratta in questo ultimo caso di broyons “che mostrano bordi concavi per facilitare la presa dello strumento” (Ciavarini Azzi 1993. 527). A questo tipo corrispondono i due macinelli 910-M-2 e 904-M-4 cui si potrebbe assimilare (seppure non direttamente indicato) l’889-M-422 (Ciavarini Azzi 1993: 569, Pl.206:6). Per quanto riguarda le macine inferiori giacenti di mulini a macinello, si possono citare almeno tre esempi, tutti realizzati in basalto a struttura compatta, che presentano in due casi faccia principale operativa a profilo retto-retto e pianta ellittica allungata (corrispondenti al tipo macina semplice III.A. 2) e nel terzo caso invece faccia principale a profilo concavo-retto e pianta similmente ellissoidale allungata (del tipo macina semplice IV.A. 2) (TAV. 15: 5). Un ricco lotto di mulini a macinello proviene anche dallo scavo dei livelli del Bronzo Antico, corrispondenti alle Phases L-N nella sequenza di occupazione di Tell Brak (Oates 2001: 266). Si tratta di 66 rubbers in pietra basaltica o in calcare23, che provengono dallo scavo delle Aree SS, FS, ma soprattutto dalle Aree CH ed ER. Per quanto riguarda la tipologia, i macinelli di questi livelli sono distinti in spherical rubbers, e in questo caso li si deve ritenere analoghi ai nostri macinelli a corpo subglobulare (del tipo macinelli I.2), o cuboid rubbers, ed
Età del Bronzo Antico (EBA I-IV) Nell’area della Mesopotamia settentrionale la diffusione del mulino a macinello è ampliamente documentata anche attraverso tutta l’Età del Bronzo Antico. Particolarmente interessanti sono gli esempi che provengono dal monticolo di Tell Karrana 3, situato sul fianco di una collina naturale prossima allo Wadi Karrana, a nord della moderna città di Mosul. Questo sito ha restituito la sequenza di un single farm house settlement, con quattro successivi livelli di occupazione fra la fine del periodo Uruk e l’Early Ninivite V (Brautlecht 1993: 145). Da questi livelli provengono almeno 2 mulini a macinello certamente riconoscibili (Brautlecht 1993: fig. 3), all’interno tuttavia di un lotto di
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L’attribuzione della pietra non è in tutti casi possibile, nella maggioranza è descritta come compact stone (basalt ?) (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 539).
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Si tratta di macine assai mal conservate, delle quali la foto generale pubblicata non consente di stabilire il profilo della superficie operativa. Le dimensioni indicate sono in questo caso 6,8 x 6,8 x 6,9 cm. Nel numero, che in realtà comprende anche i polishers. i macinelli in basalto ed in calcare approssimativamente si equivalgono. Questa è la norma comunemente accertabile all’interno dello strumentario per la macinazione dei livelli del Bronzo Antico a Tell Brak (Oates 2001: 266).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico in questo caso li si deve avvicinare piuttosto ai nostri tipi subcubici (del tipo macinelli I.3). A Tell Barri un lotto interessante di macine giacenti e macinatoi riferibili a mulini a macinello proviene dallo scavo dei livelli del Bronzo Antico dell’Area B24 sul pendio occidentale del tell, ma soprattutto dall’Area G sulla prossimità sud-orientale del monticolo. Nel complesso si tratta di 9 macine per mulini a macinello semplice tutte in pietra basaltica più o meno uniformemente distribuite all’interno della sequenza del Bronzo Antico. In particolare 4 esempi provengono dai livelli più antichi datati al Dinastico Antico II e III (o Early Jazirah II-III), ovvero dagli strati 39-43 della sequenza dell’Area G, e dai contemporanei strati dell’Area B. Altri 5 casi riferibili a questo tipo di mulino provengono invece dai livelli del Bronzo Antico finale, relativi all’insediamento di epoca accadica e poi postaccadica, degli strati 38-35 della sequenza dell’Area G (TAV. 17: 1-2). Nei livelli più antichi, fra i macinelli si rileva la presenza dei tipi a corpo subglobulare che in questa fase sono in tutti i casi riferibili alla variante con due facce piane adiacenti e dunque presentano nel complesso corpo sensibilmente irregolare e profilo asimmetrico. Fra le macine giacenti per mulini a macinello si nota invece la presenza prevalente dei tipi con faccia principale a profilo concavo-retto e a pianta ellissoidale allungata; è interessante notare come il profilo della faccia secondaria in questi esempi più antichi si presenti in prevalenza convesso a sezione triangolare. La condizione muta in parte, seppure il lotto è nel complesso troppo ridotto per riconoscervi un mutamento accertabile, nei livelli del Bronzo Antico IV. Questo sviluppo si rileva soprattutto fra le macine giacenti con l’introduzione di tipi con faccia principale e dunque superficie operativa relativamente più ampia e a pianta sub-rettangolare (un esempio è rappresentato dalla E.3244 che proviene dallo strato 36); fra le macine giacenti che presentano ancora pianta ellittica si nota inoltre la tendenza ad introdurre tipi con faccia secondaria a profilo convesso irregolare. Si potrebbe correlare questi due aspetti alle modalità dell’installazione dei mulini a macinello in questa fase, l’aumento delle dimensioni della superficie operativa ed insieme la scarsa cura nel trattamento del profilo della faccia secondaria si possono infatti facilmente collegare alla possibilità che queste macine fossero installate su banchine in argilla cruda o altri supporti25. Esempi di macine per mulini a macinello provengono anche da Kurban Höyük, nell’area della diga di Karababa, sull’alto corso dell’Eufrate (TAV. 15: 6-7). Lo 24
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studio di questi mulini, e più in generale la classificazione dei groundstone tools di Kurban Höyük, è stata condotta, come abbiamo visto, da Ataman (Ataman 1986: 76-82). Nella classificazione di Ataman alcuni tipi si possono considerare senza dubbio elementi di mulini a macinello. Fra questi i due Types 8 e 9 degli Handheld pieces, definiti da Ataman rispettivamente handsize pieces roughly circular in plan with one or two working faces, e non-basalt handstones made from river cobbles, originally rougly spherical with at least one flat face caused by use, corrispondono ai nostri macinelli subglobulari ad una o a più facce piane (e dunque ai macinelli I.2). Nel complesso si tratta dunque di strumenti realizzati in pietra basaltica, ed in questo caso in genere a struttura sensibilmente vacuolare, definita vesicular basalt, a corse textured material filled with small holes which provide an abrasive surface (Ataman 1986: 77), o diversamente realizzati utilizzando semplici ciottoli di fiume, raccolti dal corso dell’Eufrate, che scorre nei pressi del sito, ed in questo secondo caso were most often used unmodified, except as a result of use (Ataman 1986: 77). Sul piano morfologico in realtà sono documentati due macinelli dei quali l’uno corrisponde al tipo semplice a corpo subglobulare con una faccia piana (macinello I. 2a) (Ataman 1986: Fig. 34: E), e dunque si adatta alla definizione proposta da Ataman; l’altro è invece un macinello con corpo composto da due prismi (del tipo dei macinelli II. 10). Questo ultimo esempio, assai particolare e nuovamente pubblicato in anni più recenti da Asliahan Yener (Aslihan Yener 1990: Pl. 165: U) proviene dalla superficie e trova confronti tuttavia da altri siti della regione e in generale da un’area più vasta circostante, da Korucutepe (van Loon 1980: 1341), Malatya (Pecorella 1975: Fig. 12: 9), Tille Höyük (Summers 1993: Fig. 66: 4-6) e Tarso (Goldman 1986: Fig. 415: 26). Un lotto importante di 21 differenti macine, e che comprende anche un numero non precisato di macinelli a corpo subglobulare (dei tipi 8 e 9 di Ataman), proviene dall’ala meridionale del complesso della Phase II, messo in luce nell’Area D sull’acropoli del monticolo principale (Ataman 1986: 79). Anche le Grinding Slabs del tipo 1 di Ataman, per quanto con minore certezza, potrebbero raccogliere esempi di macine, in questo caso inferiori giacenti, per mulini a macinello. Questo è il caso del solo esempio documentato di macina del tipo 1 che sembra analogo alle nostre macine semplici con faccia principale a profilo concavoretto e a pianta ellissoidale allungata (del tipo macina semplice IV.A. 2b) (Ataman 1986: Fig. 34: A)26. In un differente contesto esempi di mulini a macinello sono noti anche dai livelli del Bronzo Antico di Beycesultan. Nel lotto di 5 macinelli a corpo globulare si segnala un caso descritto come un “oggetto di forma cilindrica che poteva essere una testa di mazza
Per l’analisi della sequenza di insediamento del III Millennio sul pendio occidentale si veda Biscione 1982 e più di recente Biscione 1998. Non è stato possibile tuttavia individuare alcuna postazione del genere conservata in situ nello scavo di questi livelli del Bronzo Antico a Tell Barri. Installazioni del genere sono tuttavia documentate anche in epoca precedente da più di un esempio. Si veda in maggior dettaglio sopra la sezione qui dedicata ai documenti relativi ai significativi contesti di ritrovamento.
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Purtroppo le dimensioni non sono riportate, né è data la scala del disegno. Non è così possibile concludere con certezza riguardo al tipo della macina, che potrebbe anche essere di grandi dimensioni e quindi da considerare come macina giacente per mulino a macina semplice.
III. I MULINI miniaturistica” (Murray 1995: 174). Si tratta in realtà di un macinello a corpo sferoide con depressioni laterali (tipo I. 2d) (Mellart, Murray 1995: fig.028: 247) analogo a quelli all’incirca contemporanei provenienti da Melebiya e simile ai macinelli con depressioni più tardi documentati a Tell Barri e Nimrud. In tutta questa fase si ha ampia documentazione della diffusione dei mulini a macinello anche nell’area occidentale della Siria interna ed oltre fino al Levante costiero meridionale. Un lotto di mulini a macinello proviene infatti anche dai livelli del Bronzo Antico finale corrispondenti al periodo di Hama J (Fugmann 1958: 49-85) (TAV. 16: 1-2). Si tratta nel complesso soltanto di tre macinelli in basalto, a corpo subglobulare. Sono documentati i tipi ad una faccia piana (tipo macinello I. 2a) (Fugmann 1958: 64, Fig.4: 202) o a due facce piane opposte (tipo macinello I. 2b) (Fugmann 1958: 77, Fig. 98: 495; 80, Fig. 103: 496; Fig. 58: 331). Si conclude che la diffusione del mulino a macinello durante il Bronzo Antico ad Hama è relativamente scarsa, soprattutto se considerata in relazione all’ampio impiego negli stessi livelli di mulini a mortaio e a macina semplice27. Altri esempi di mulini a macinello provengono in una fase anche precedente dallo scavo dei livelli relativi all’insediamento del Bronzo Antico di Arad, nella valle del Negev (TAV. 16: 3-8). Si tratta di 5 macine giacenti per mulino a macinello, provenienti dagli strati I-II datati al Early Bronze Age II (Amiran 1978: 58). Le macine sono realizzate in tutti i casi in pietra basaltica. Presentano la faccia principale a profilo concavo-concavo o concavo-retto e sono documentati i tipi a pianta ellissoidale allungata (macine semplici IV/V.C. 2)28, a pianta subrettangolare (macine semplici IV/V.C. 3)29 e a pianta irregolare (macine semplici IV/V.C. 5)30. I macinelli relativi ai mulini a macinello da Arad provengono dagli strati II-III, datati al Early Bronze Age II (Amiran 1978: 58). In totale si tratta di 6 macinelli in calcare. Il tipo più comune è rappresentato dai macinelli a corpo subglobulare a due facce piane opposte (macinelli I.2b)31 e subglobulari con depressioni sul corpo (macinelli I.2d)32, altri tipi diffusi sono i macinelli subcubici (macinelli I. 3)33. Nella stessa area un lotto consistente di strumenti per la macinazione proviene da alcuni degli insediamenti 27
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stagionali del Negev che gravitano attorno a Tel Arad, nel periodo del Bronzo Antico finale (Saidel 2002). I siti satelliti di Rekhes Nafha 396 e Camel Site sono stati identificati come temporary settlements (Haiman 1992: 98) integrati in una rete di scambi con il centro di Tel Arad. Questo sistema di scambi coinvolge fra l’altro la produzione di sandstone grinding stones (Saidel 2002: 51)34. Il rinvenimento consistente di pietre da macina, complete e non finite, e di scarti di lavorazione inducono infatti a ritenere che tanto Rekhes Nafha quanto, ed in misura anche più evidente, Camel Site fossero sede di laboratori per la lavorazione della pietra per la produzione di macine che potevano servire appunto il vicino centro di Tel Arad. All’interno del lotto di strumenti per la macinazione da Rekhes Nafha 396 si segnala almeno 1 macinello in ferruginous sandstone (Saidel 2002: 51).
Età del Bronzo Medio e Tardo (MBA I-II-LBA I-II) La diffusione di mulini a macinello durante l’Età del Bronzo Medio e del Bronzo Tardo è ampliamente documentata per una vasta area e con una distribuzione analoga a quella che abbiamo delineato per il Bronzo Antico. Esempi provengono da Tell Zubeidi, fra i materiali provenienti dagli strati I e II, datati al XIII secolo (Boehmer, Dämmer 1985: 19, 79-80); dal contemporaneo e vicino sito di Tell Imilihiye, nell’Hamrin, provengono almeno 5 macinelli (Boehmer, Dämmer 1985: Taf. 26: 13, 13A; Taf. 147: 620, 622, 622E) riferibili a questo mulino. Si tratta di strumenti in pietra basaltica o calcarea che si presentano a corpo subglobulare a due facce piane opposte o subcubico, e perciò affini ai nostri macinelli I.2a e I.3 (TAV. 18: 1-5). Nell’area del Habur, un lotto interessante di macine per mulini a macinello proviene dallo scavo dell’Area HH al centro del monticolo settentrionale di Tell Brak. Lo scavo di questa area, condotto da David e Joan Oates a partire dal 1984 (Oates et alii 1997), si apre sul limite orientale della precedente trincea HH realizzata negli anni 1937-38 da Mallowan (Mallowan 1947). Le nuove indagini hanno permesso di rivelare una sequenza complessa relativa all’occupazione dell’insediamento durante il II millennio a.C., fra l’epoca paleobabilonese ed il periodo medioassiro (Oates et alii 1997: 1-38; 35: Table 1), caratterizzata dalla presenza di due importanti edifici pubblici, il complesso del Vaulted Shrine datato all’ultima fase paleobabilonese ed un complesso successivo più articolato a carattere palatino e templare, datato ad epoca mitannica. Lo studio dei manufatti per la macinazione provenienti da questi livelli è stato condotto da Helen McDonald, che ha isolato sette tipi all’interno del grinding equipment.
Non sono documentati esempi provenienti dai periodi L e K, e gli esempi provenienti da Hama J sono soltanto 3, come si è visto, a fronte delle numerose macine per mulini a macina semplice che provengono dagli stessi livelli e dei molto numerosi mulini a mortaio. Si veda oltre in questo capitolo la sezione qui dedicata ai mulini a macina semplice ed ai mulini a mortaio. . Si veda Amiran 1978: Pl.79: 5. Si vedano Amran 1978: Pl.79: 1-3. Si vedano Amiran 1978: Pl.79: 4,7. Si vedano Amiran 1978: Pl.80: 10, 11, 13, 19. Si veda Amiran 1978: Pl.80: 15. Si vedano Amiran 1978: Pl. 80: 9,14.
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Si veda a questo proposito in maggior dettaglio la sezione qui dedicata alle strategie dell’approvvigionamento delle materie prime per la produzione delle macine destinate a mulini a macinello, al capitolo 2. si veda dunque sopra.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico All’interno di questa classificazione (McDonald 1997: 109, Table 8) si individua una categoria di rubbers suddivisa in 4 tipi indicati come Types A-D. Il Type A raccoglie roughly cuboid rubbers with use wear on all surfaces e dunque indica un tipo analogo ai nostri macinelli semplici a corpo subcubico (macinelli I.3); il Type C definisce roughly rectangular rubbers with rounded ends allo stesso modo affini ai macinelli a corpo subcubico; il Type D raccoglie invece circular rubbers, varying from thick discs to squat cylinders, analoghi ai nostri tipi semplici a corpo subglobulare (macinelli I.2). Nella classificazione proposta dalla McDonald fra i rubbers sono inclusi un tipo di roughly conical pestles, le cui dimensioni medie di tuttavia indicano anche strumenti molto sviluppati in altezza, e dunque affini più propriamente alla nostra serie dei pestelli (McDonald 1997: 109: Table 8). In definitiva quindi se escludiamo il Type A per il quale è possibile una diretta corrispondenza con la nostra tipologia, la distinzione per gruppi realizzata dalla McDonald non permette di distinguere all’interno dello strumentario secondo criteri utili alla nostra classificazione. In particolare non risulta ben espresso un criterio univoco di distinzione (tutti i tipi sono definiti secondo distinzioni morfologiche ma al tempo stesso sulla base della localizzazione delle tracce di usura sullo strumento) e dove il criterio di distinzione su base morfologica risulta più evidente, questo non è espresso secondo parametri definiti. In questo modo non è possibile, come si è visto, distinguere fra macinelli e pestelli all’interno dell’unico Type B, né è dato isolare con sicurezza i macinelli rougly rectangular del Type C, dai rougly cuboid del Type A. Nel complesso il lotto è costituito da 57 macinelli, di cui 33 a corpo subcubico del Type A (affini a i nostri macinelli I.3), 16 del Type C e 8 del Type D (analoghi ai nostri macinelli I.2 in genere)35, realizzati in pietra basaltica o più generalmente in stone. I macinelli di Brak risultano in maggioranza realizzati a partire da questa generica stone (McDonald 1997: 110) che, per opposizione con l’altra categoria di basalt, si deve intendere probabilmente come pietra calcarea o conglomerato, pietre queste comunemente impiegate per questi tipi in tutta la regione del Habur. Esempi di macinatoi e macine giacenti per mulini a macinello sono ben documentati dallo scavo di Tell Barri. Il lotto proviene nel suo complesso dai livelli del Bronzo Medio e del Bronzo Tardo dell’Area G sul pendio sudorientale del tell. Dallo scavo dei livelli del Bronzo Medio provengono in particolare 8 macine, fra macinatoi e macine giacenti, in prevalenza in pietra basaltica a struttura più o meno segnatamente vacuolare. Queste provengono in maggioranza dagli strati dell’insediamento del Bronzo Medio II relativo all’insediamento del periodo 35
paleobabilonese amorreo corrispondenti agli strati 29-32 della sequenza dell’Area G. Soltanto 2 sono invece gli esempi che provengono dai livelli precedenti dell’inizio del II Millennio, relativi all’insediamento del Bronzo Medio I e corrispondenti agli strati 33 e 34 della successione dell’occupazione dell’Area G (TAV. 17: 36). Un solo macinello proviene dai livelli del Bronzo Tardo dell’Area G, dalla sequenza degli strati 28-2436, corrispondenti all’insediamento di epoca mitannica. Fra i macinatoi che provengono dai livelli del Bronzo Medio I-II si rileva la presenza prevalente di macinelli a corpo subcubico o di prisma irregolare a più facce piane. La pietra selezionata è in genere e anche per questa fase il basalto, che può presentarsi a struttura più o meno vacuolare. Le macine giacenti presentano di norma faccia principale a profilo concavo-retto e pianta ellissoidale allungata; la faccia secondaria può presentarsi invece a sezione triangolare o a profilo irregolarmente convesso, così da suggerire la possibilità che anche durante il Bronzo Medio, come già è documentabile dai livelli più recenti del Bronzo Antico IV, e dunque almeno dal periodo accadico, esistessero installazioni per mulini a macinello mobili accanto ad installazioni fisse su banchine. L’aspetto certamente più interessante da notare è rappresentato in questo caso tuttavia dalla diminuzione netta che si registra nella presenza di mulini a macinello nei livelli più recenti, ovvero durante il Bronzo Tardo; questo dato, seppure si debba considerare l’incidenza della casualità della scoperta, è tuttavia significativo e a maggior ragione determinante se consideriamo che sia l’estensione dell’area indagata che al tempo stesso il carattere dell’insediamento del quartiere di periodo mitannico, sono sostanzialmente analoghi rispetto a quelli della fase immediatamente precedente del Bronzo Medio II dell’insediamento paleobabilonese amorreo ed anche a quelli della fase successiva del Ferro Antico. Un dato del genere suggerisce di per sé dunque una effettiva flessione a Tell Barri nell’impiego del mulino a macinello durante il Bronzo Tardo; se consideriamo poi questo elemento in rapporto con il contemporaneo aumento dei tipi B e C di mulini a macina semplice, che come vedremo rappresentano le due varianti di mulini a macina semplice destinate alla produzione di farine a grana grossolana, si può concludere che i due dati, rappresentando due aspetti dello stesso fenomeno, indichino un generale aumento della richiesta di farine non depurate a scapito delle farine fini durante tutto il periodo mitannico a Tell Barri37. Sul medio corso dell’Eufrate siriano, alcuni esempi di mulino a macinello sono noti anche da Meskene/Emar. In questo caso si tratta di macinelli a corpo sferoide a una o più facce piane, descritti come broyeurs (Nierlé 1982: 36
Dal totale dei 74 rubbers pubblicati dalla McDonald è bene qui eliminare per prudenza gli esempi del Type B, ovvero i rougly conical pestles, all’interno dei quali, come si è detto, non è dato distinguere fra macinelli e pestelli.
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A questi corrispondono gli strati a partire dal 34 scavati a monte nei settori settentrionali A-D 7-10 dell’Area G. Gli strati a Nord sono stati correlati alla stratigrafia ricostruita a valle dallo scavo dei settori AD 1-6. Si veda in dettaglio Pecorella 1998. Su questo aspetto si tornerà più diffusamente oltre nelle Conclusioni.
III. I MULINI Korucutepe (van Loon 1978: 1341)38 e da Kurban Höyük (Ataman 1986: Fig. 34: D) e non ostacolano pertanto di per sé una datazione di questi macinelli al Bronzo Tardo finale o alla prima Età del Ferro. Da Tell Barri proviene un lotto interessante di macine per mulini a macinello dai livelli del Ferro Antico, relativi all’insediamento di epoca medioassira, corrispondente agli strati 30-33 dell’Area G39 (TAV. 2122). Dallo scavo di questi livelli provengono nel complesso 14 macine pertinenti a questo tipo di mulino, in larga prevalenza in pietra basaltica a maggiore o minore vacuolarità, due esempi sono realizzati in calcare a struttura compatta (E.1118, E.3283). Fra i macinatoi sono maggiormente diffusi i tipi con corpo subcubico e soprattutto subglobulare ad una o due facce piane (fra questi ultimi sono prevalenti le varianti con due facce piane opposte). Un solo esempio di macina giacente per mulino a macinello (E.1112) proviene da questi livelli; si tratta di una macina con faccia principale a profilo concavo-retto e a pianta subrettangolare; la faccia secondaria, a profilo irregolarmente convesso, suggerisce la possibilità che il mulino fosse installato su una banchina o su altra struttura fissa. Esempi che testimoniano la diffusione del mulino a macinello nell’area del Levante sono in questa fase documentati dal sito di Gezer. Un esempio di mulino a macinello è infatti noto anche dallo scavo congiunto israeliano ed americano condotto a Gezer dalla metà degli anni ’60. Questa indagine, che ha ripreso i primi scavi condotti dal Macalister nei primi anni del ‘900 (Macalister 1912), ha consentito di chiarire la sequenza di occupazione del sito in modo particolare durante l’ultima fase del Bronzo Tardo e l’Età del Ferro iniziale (Dever et alii 1970; Dever 1986)40. Particolarmente interessante in questo senso è lo scavo della upper terrace e della lower terrace del Field VI, grazie al quale è stato possibile mettere in luce un complesso ben organizzato e costituito da un grande edificio, noto come Granary 24000 ma già in precedenza come Cyclopean Complex, e da un sistema di piani esterni per la battitura dei cereali (Dever 1986: 60-76). Nell’area delle due terraces sono stati identificati cinque strati principali (strati 7-5A) che corrispondono ad una sequenza di occupazione che copre il periodo di transizione fra Late Bronze II e Iron Age I, e che è datata
132), e distinti tanto da i broyeurs-pilons e che dai pilonsbattoirs, nei quali si devono riconoscere rispettivamente i macinelli a corpo sviluppato, troncoconici o cilindrici, e i pestelli semplici o composti, entrambi relativi a mulini a mortaio (Nierlé 1982: 133, Fig. 2: b-d). Per ciò che riguarda la diffusione del mulino a macinello nell’area occidentale del Levante e della Siria interna si può citare il caso di Hama, da dove significativamente un solo esempio di mulino a macinello proviene dai livelli del Bronzo Medio di Hama H. Si tratta di un macinello in basalto, a corpo subglobulare del tipo ad una faccia piana (tipo macinello I. 2b) (Fugmann 1958: 104, Fig. 127: 582). Dai livelli di Hama H non sono documentati altri esempi riconducibili a mulini a macinello e questo dato è in linea con quanto già notato per i livelli del Bronzo Antico di Hama J, ed in generale conferma che il mulino a macinello, a fronte dei mulini a macina semplice e a mortaio, rimane scarsamente rappresentato nel complesso degli strumenti per la macinazione ad Hama.
Età del Ferro (IA I-III) La diffusione di esempi di mulini a macinello durante il periodo di transizione fra il Bronzo Tardo finale e l’Età del Ferro Antico è documentata da alcuni siti importanti che, anche in questo caso per la differente localizzazione, permettono di accertare la distribuzione di questi mulini in una vasta area anche durante questa fase di passaggio. Di particolare interesse può risultare in questo senso il sito di Tille Höyük nell’area della diga di Atatürk sull’alto corso dell’Eufrate (TAV. 19). Un lotto di 5 macinelli proviene infatti in questo caso dallo scavo dei livelli dell’insediamento datati alla transizione fra il Bronzo Tardo e la prima Età del Ferro (Summers 1993: 53; Fig. 66). Si tratta nel complesso di macinelli in pumice stone; sotto il profilo morfologico 3 esempi si presentano a corpo composto da due prismi (del tipo macinelli II. 10) (Summers 1993: Fig. 66: 4-6), di questi uno è caratterizzato da un foro passante orizzontale disposto sulla sommità della presa, che non trova confronti altrove (Summers 1993: Fig. 66: 4). Gli altri due esempi sono invece a corpo subglobulare a due facce piane opposte (del tipo dei macinelli I. 2b) e a corpo subcubico (del tipo dei macinelli I. 3). Questi macinelli provengono in maggioranza dal cosiddetto Post-Burnt Level, per quanto in nessun caso siano stati rinvenuti in situ, e in definitiva, secondo l’opinione dello scavatore, è possibile che si debbano attribuire alla fase precedente o addirittura a levels earlier then any which were excavated (Summers 1993: 53). Un’affermazione del genere non è tuttavia supportata da altro dato né si fa in particolare riferimento a materiali di altri siti che per confronto potrebbero indurre a retrodatare il lotto. A nostro modo di vedere i confronti più diretti per i più caratteristici tipi a corpo composto (macinelli II. 10) provengono dai livelli neo-hittiti, livello III, di Malatya (Pecorella 1975: Fig. 12: 9), da
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Da Korucutepe provengono due esempi, uno dai livelli del Bronzo Antico ed uno dai livelli del Ferro, che sono inizialmente definiti pintaderas, seppure in seguito lo stesso van Loon sembri propendere piuttosto per un’interpretazione come handstones (van Loon 1978: 105; Ataman 1986: 80). Questi strati della sequenza dell’Area G, corrispondono allo scavo dei settori settentrionali A-D 7-10 e in relazione diretta con i contemporanei strati scavati a valle nei settori A-D 1-6. In merito alle corrispondenze relative alla sequenza del Ferro Antico fra le due aree di scavo, si veda in generale Pecorella 2006a. Il sito di Gezer presenta un’occupazione almeno dal tardo Calcolitico e fino ad epoca romana (Dever 1970: 1).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico fra la metà del XIII secolo e la fine del secolo XII41. All’interno di questa sequenza il complesso del Granary 24000 rimane in uso fra lo strato 6B ed il 6A, e dunque durante tutto il XII secolo. Dallo strato 6A del Granary proviene un macinello in quarzite, a corpo subglobulare del tipo a due facce piane adiacenti (tipo macinello I. 2c) (Dever 1986: Pl. 59:1). Oltre al caso documentato si ha testimonianza di almeno altri 10 broken limestone and basalt grindstones non meglio identificati, provenienti dal vano 6 del Granary (Dever 1986: 211), alcuni dei quali potrebbero essere riconducibili a macine di mulini a macinello. La diffusione del mulino a macinello rimane ben documentata anche nella fase più recente del Ferro II e poi per tutto il Ferro III, durante l’epoca neoassira ed in seguito nel periodo post-assiro fino all’Età achemenide. Due esempi di mulino a macina semplice sono infatti stati recuperati durante i lavori condotti dalla missione congiunta siriana ed americana nei primi anni ‘80, nella città bassa di ‘Ain Dara, nella valle dell’Afrin, in Siria nord-occidentale (Stone, Zimansky 1999). I materiali provengono in maggioranza dalla raccolta di superficie condotta ai piedi del monticolo, ed in parte dallo scavo di una ridotta area nella prossimità nordorientale della città bassa. La sequenza messa in luce dallo scavo ha precisato quanto rilevabile dalla ricognizione di superficie, indicando che la città bassa è stata occupata senza soluzione di continuità dall’inizio del Ferro I fino almeno al Ferro III42. 41
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Dai livelli del Ferro II provengono due macinelli, di cui uno certamente in pietra basaltica e l’altro verisimilemente realizzato con un ciottolo di fiume (Stone, Zimansky 1999: 101, 105)43. Da quanto è possibile dedurre sembra plausibile si tratti in entrambi i casi di macinelli a corpo sub-globulare con depressioni circolari opposte (del tipo macinelli I. 2d). Esempi più recenti provengono dall’area dell’alto Eufrate siriano e sono documentati dallo scavo di Tell Ahmar. Si tratta in questo caso di un piccolo lotto che proviene dallo scavo degli edifici C1 e C2 della città bassa (Trokay 2000). L’attestazione di mulini a macinello si deve qui considerare poco significativa, soprattutto in rapporto alla maggiore diffusione dei mulini a macina semplice e dei mulini a mortaio, di cui vi è ampia testimonianza e di cui sono note numerose varianti. Ciononostante nella serie dei pilons è documentato un tipo a corpo cilindrico (Trokay 2000: 1671) le cui dimensioni variano fra i 5 ed i 10 cm in altezza e che si può assimilare ai nostri macinelli a corpo subcubico (del tipo I. 3) (Trokay 2000: Fig. 1: 2.2.2). A questi esempi si limita la documentazione delle macine per mulini a macinello a Tell Ahmr, durante la fase finale del periodo neoassiro e durante l’epoca post-assira neobabilonese, fra la fine del VII secolo a.C. e la metà del secolo successivo. Nell’area del Habur si segnala in misura particolare il caso di Tell Barri. Un lotto interessante di macine per mulini a macinello proviene infatti dai livelli del Ferro II e III, relativi all’insediamento dell’epoca neoassira e poi post-assira neobabilonese ed achemenide dell’Area G, sul pendio sud-orientale del monticolo, e dai contemporanei livelli dell’Area J sulla prossimità occidentale (TAV. 23). Nel complesso si tratta di 5 fra macinatoi e macine giacenti, che provengono dai livelli più antichi del Ferro II, corrispondenti agli strati 21-2944 della sequenza dell’Area G, e relativi alla fase dell’occupazione di epoca neoassira imperiale, fra il IX e la prima metà del VII secolo a.C. Un lotto analogo, 4 macine, costituisce il complesso più recente proveniente dai livelli del Ferro III, corrispondenti agli strati 15-20 della sequenza dell’Area G e ai contemporanei strati 9-14A della sequenza dell’Area J, relativi al periodo che ha visto il
È soprattutto la diffusione delle differenti classi di Philistine Bichrome ware all’interno della sequenza che consente di datare con relativa sicurezza gli strati delle due terraces e dunque collocare cronologicamente il complesso del Granary 24000. Gli strati 7 e 6C sono caratterizzati da ceramica di tradizione ancora del Bronzo Tardo, alcuni esempi di Cyprote White Slip e di ceramica Pre-Bichrome filistea. Lo strato 6B, che corrisponde alla fondazione del Granary, presenta un lotto cospicuo di Early Bichrome filistea. Nel successivo strato 6A aumenta percentualmente la ceramica bicroma, nella variante nota come Philistine Bichrome I nella classificazione della Dothan (Dever 1986: 77-87; Dothan 1982), cui segue negli strati 5 C-A la Philistine Bichrome II, variante tarda nella classificazione della Dothan, che corrisponde alla fase dell’abbandono del Granary (Dever 1986: 87-88; Dothan 1982). Il sito di ‘Ain Dara è sede dell’importante santuario neo-hittita dedicato al dio della tempesta (Monson 2000; Abou Assaf 1990), si hanno testimonianze di frequentazione del sito fino dal VI millennio a.C. e più tardi fino ad epoca islamica, con uno iato corrispondente verisimilmente all’epoca romana. Particolarmente utile per la datazione dei livelli del Ferro della città bassa di ‘Ain Dara, risulta la presenza di ceramica di importazione, soprattutto dall’Egeo e da Cipro in particolare. Dai livelli inferiori corrispondenti alla Phase XVII compaiono infatti esempi di Cypro-geometric wares, datati a partire dalla metà del secolo XI (Stone, Zimansky 1999: 40). Queste produzioni scompaiono progressivamente sostituite nelle intermedie Phases VIII e VII dalle Black-on-Red juglets cipriote, a loro volta datate attorno alla fine del secolo X (Stone, Zimansky 1999:
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49). I livelli più recenti, corrispondenti alle Phases II-I presentano infine, fra la ceramica di importazione, esempi di periodo Arcaico iniziale. Gli altri materiali, e fra questi soprattutto la serie delle bone kohl pins, provenienti dalle Phases II-I trovano paralleli da Deve Hoyuk e dalla necropoli di Yunus, Carchemish, (Moorey 1980: 394, Fig. 88) e dunque confermano una datazione intorno alla fine del VIII secolo per i livelli più recenti della città bassa (Stone, Zimansky 1999:54-55). Di entrambi i macinelli non è data alcuna foto o disegno. Per la determinazione è possibile riferirsi unicamente alla descrizione rapida dall’elenco dei piccoli oggetti (Stone, Zimansky 1999: 101, 105). La sequenza stratigrafica dell’Età del Ferro si riferisce allo scavo dei settori settentrionali A-D 7-10 dell’Area G, che sono stati correlati alla sequenza messa già in luce dallo scavo dei settori a valle. Per l’analisi di queste corrispondenze si veda in particolare Pecorella 1998 e poi Pecorella 2005.
III. I MULINI passaggio di Tell Barri sotto amministrazione neobabilonese caldea e poi achemenide. Fra i macinatoi del lotto più antico dei livelli neoassiri del Ferro II si rileva la presenza di tipi subcubici e subglobulari a due facce piane opposte; la macine giacenti relative presentano faccia principale a profilo concavo-retto o rett-retto e pianta ellissoidale allungata o subrettangolare. La condizione è analoga all’interno del lotto più recente che proviene dai livelli post-assiri del Ferro III, dove si registra tuttavia l’aumento dei tipi globulari e subglobulari ad una faccia piana (E.1324, E.1325), accanto ai tipi con due facce piane (E.1652). Dallo scavo dei livelli post-assiri dell’Area J proviene un caso interessante legato al rinvenimento di una macina giacente (E.2354) insieme al relativo macinello. La macina giacente presenta faccia principale a profilo concavo-retto e pianta subrettangolare (ed è perciò affine al nostro tipo IV.C.3b), il macinello è invece subglobulare a due facce piane opposte (del tipo I.2b). Non si tratta in questo caso di una postazione per mulino a macinello, dal momento che entrambi gli strumenti provengono dai livelli di riempimento dello strato 9 al di sopra dei suoli relativi al più recente insediamento di epoca post-assira, databile probabilmente alla prima Età achemenide. Le due macine, giacente ed attiva, si trovavano in condizione di associazione diretta ed è verisimile che fossero anche originariamente fossero utilizzate per lo stesso mulino. Nell’analisi della diffusione dei mulini a macinello a Tell Barri durante l’Età del Ferro, è interessante notare una distinzione evidente fra il Ferro II ed il Ferro III sul piano della pietra utilizzata per le macine e soprattutto per i macinatoi destinati ai mulini a macinello. Se infatti dai livelli del periodo neoassiro ci sono documentati soltanto esempi realizzati in pietra basaltica (con variazioni relative unicamente alla maggiore o minore vacuolarità del basalto selezionato), dai livelli del Ferro III dell’insediamento post-assiro neobabilonese e poi achemenide provengono in prevalenza esempi realizzati in calcare. Questo mutamento nella pietra selezionata non si ripercuote sul piano della tipologia dei macinelli che, come abbiamo visto, rimane sostanzialmente analoga attraverso le due fasi successive, ma sembra investire unicamente la scelta della materia del supporto. Purtroppo in questo caso non è possibile che riferirsi a due lotti assai ridotti di manufatti, la frequenza nell’impiego dei basalti e dei calcari risulta tuttavia invertita completamente entro un arco di appena due secoli. Sulle ragioni effettive di questo mutamento e sulla sua reale entità non è facile alcuna valutazione, anche per la mancanza di dati di conforto che provengano da altri siti almeno nell’area del Habur o più generalmente dalla Mesopotamia settentrionale45.
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Un interessante lotto contemporaneo di mulini a macinello proviene anche da Nimrud, ed in particolare dallo scavo italiano promosso dal Centro Ricerche Archeologiche e Scavi per il Vicino Oriente e l’Asia di Torino e condotto da Paolo Fiorina nella seconda metà degli anni ’80 (Fiorina 2001; 2004; Fiorina et alii 2005). Esempi di mulini a macinello provengono dalla ricognizione di superficie, ma soprattutto dallo scavo delle Aree A1 ed A3 e del Forte Salmanassar, da livelli databili, sulla base della ceramica e dei materiali associati, ad un periodo compreso fra l’ultima fase dell’Età neoassira e l’epoca neobabilonese, fra il VII e la fine del VI secolo a.C46. (TAV. 24). Si tratta nel complesso di 9 macinelli realizzati in maggioranza in pietra calcarea a struttura molto compatta, con differenti toni cromatici (calcare biancogiallastro, rosato, grigio scuro), due sono invece gli esempi realizzati in basalto, entrambi da basalto a struttura sensibilmente vacuolare. Per quanto riguarda la tipologia dello strumentario il lotto di Nimrud presenta una notevole varietà di tipi riferibili al macinello subglobulare; sono infatti documentati due esempi di macinelli a corpo subglobulare e ad una faccia piana (tipo I.2a) (89 P 97, 89 P 72), un esempio del tipo a due facce piane opposte (tipo I.2b) (89 P 107) e cinque esempi del tipo con depressioni laterali (tipo I.2d) (89 P 61, 89 P 70, 89 P 71, 89 P 96, 89 P 109). Quest’ultimo tipo, caratteristico per la presenza di differenti depressioni sul corpo destinate probabilmente a migliorare la presa dello strumenti, risulta particolarmente diffuso all’interno del lotto di Nimrud, con una frequenza che non si riscontra altrove47. La diffusione del mulino a macinello in questa fase recente dell’Età del Ferro è documentata nell’area del Levante da esempi che provengono da siti che presentano sequenze di occupazione relative ai secoli VII e VI a.C. Un caso è rappresentato, come abbiamo visto, da un lotto di mulini a macinello che proviene dalla fortezza di Mezad Hashavyahu, situata sulla costa a sud di Jaffa (Naveh 1962; Fantalkin 2001)48.
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Alcune interessanti osservazioni sul mutamento nell’impiego della pietra nella produzione di mixingbowls ed altri mortai teriomorfi sono state avanzate da P.Moorey a proposito dei due lotti delle necropoli di Deve Höyük I e II. Su tali osservazioni, per alcuni versi non completamente condivisibili, si veda in maggiore dettaglio Moorey 1980 e qui di seguito la
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sezione dedicata alle mixing-bowls ed ai mortai teriomorfi in conclusione di questo capitolo. Sulla datazione di questi livelli si veda in particolare Fiorina et alii 2005. Questo tipo è conosciuto e diffuso già dalla prima Età del Bronzo, per quanto in ogni caso in percentuali piuttosto basse. Così ad esempio da Melebiya durante il Bronzo Antico (Ciavarini Azzi 1993: Pl. 206: 6, 16, 17); da Tell Barri dai livelli del Bronzo Medio II del periodo paleobabilonese. La recente revisione condotta da Fantalkin (Fantalkin 2001) dei vecchi scavi realizzati a più riprese a Mezad Hashavyahu fra la fine degli anni ’60 e la metà degli anni ’80 da Naveh, Beck (Naveh 1962) e Reich (Reich 1989), ha permesso di stabilire, sulla base dei materiali e dei dati deducibili dalle fonti, la costruzione della fortezza ad opera di Psammetichus I o Necho II e dunque al massimo intorno al 620 a.C. e l’abbandono contemporaneo all’avanzare delle truppe babilonesi di Nabuchadnezzar II verso Ashkelon, la cui distruzione è riportata nel 604 a.C. (Fantalkin 2001: 128-134).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Il lotto degli strumenti per la macinazione proveniente dalla fortezza di Mezad Hashavyahu comprende quattro macinelli, dei quali due sono in pietra calcarea a toni chiari e a struttura olocristallina compatta e due sono in pietra vulcanica, in un caso definita propriamente basalt. Sono documentati certamente due esempi del tipo subglobulare ad una faccia piana (tipo macinello I.2a) (Fantalkin 2001: 107, fig. 39: 2; fig. 44: 5, 8), degli altri non è possibile stabilire con sicurezza il tipo49, lo scavatore è in dubbio si possa trattare in un caso di un hammer stone, e nell’altro di uno stopper (Fantalkin 2001: 118). Sembra invece più probabile si tratti di due macinelli del tipo standard subglobulare I.2.
nel complesso un’ampia variabilità dei gradi di macinazione e della farina prodotta (più o meno fine o grossolana) e un’altrettanto ampia variabilità dei prodotti messi a macinazione. Questi aspetti si legano al carattere primitivo del principio tecnologico alla base di questo mulino, nel quale ogni aspetto del funzionamento è affidato alla maggiore o minore perizia, abilità, volontà o capacità dell’operatore ed in nessun caso demandato al mulino e dunque predeterminato nell’assetto della macchina. L’operatore potrà dunque decidere di volta in volta il grado della macinazione cui sottoporre il prodotto, verificandolo in corso d’opera, e così utilizzare il mulino per macinare prodotti differenti, non potendo approfittare dei vantaggi legati ad un mulino destinato alla macinazione di un prodotto specifico, come sarà il caso del più progredito mulino a macina semplice. L’unico aspetto costante è la quantità del prodotto messo a macinazione, che è in ogni caso assai ridotta. L’apparente adattabilità di questo mulino segna la sua ampia diffusione nella fasi più antiche del Neolitico e durante il Calcolitico. Dai siti che hanno restituito insediamenti relativi a queste sequenze di occupazione è infatti evidente la diffusione prevalente dei mulini a macinello, che rappresentano in molti contesti il tipo di mulino maggiormente rappresentato. Questo è il caso ad esempio di molti dei siti neolitici dell’area di Yarim Tepe e più tardi è ben evidente a Tell Beydar III, nell’area del Habur. Una condizione del genere rispecchia naturalmente una fase iniziale nella diffusione delle tecniche legate alla macinazione, al punto che già da contesti del tardo Calcolitico e poi dal principio del Bronzo Antico, una prevalenza del genere non è più documentabile ed anzi si rovescia a favore del più evoluto mulino a macina semplice, già a sua volta presente da epoca protostorica, secondo meccanismi di sostituzione progressiva che vedremo in maggior dettaglio trattando della diffusione del mulino a macina semplice nell’area dell’Oriente antico. Ciononostante esempi di mulino a macinello sono ampliamente documentati anche in periodi successivi e, come abbiamo già visto, con continuità addirittura fino alla tarda Età del Ferro. Questo aspetto non stupisce tuttavia ed è comune, come vedremo, all’interno dello sviluppo delle tecniche e delle macchine destinate alla macinazione attraverso tutta la sua storia. In questo caso la presenza percentuale dei mulini a macinello all’interno dello strumentario per la macinazione, sempre e costantemente ridotta in lotti datati dal Bronzo Antico fino all’Età del Ferro, è un indice importante del contesto della loro distribuzione e del loro impiego. È significativo in questo senso il caso di Tell Barri, dove l’attestazione percentuale di questo mulino rimane compresa tra il 28% ed il 20%, all’interno di tutti i livelli della sequenza tra il Bronzo Antico II e l’insediamento di epoca neoassira del Ferro II; una lieve flessione fino al 12% si nota dai livelli del Ferro III e rivela la tendenza ad una progressiva diminuzione a seguito dell’introduzione dei più progrediti mulini di Olinto e prelude all’ulteriore riduzione, che non porta tuttavia alla scomparsa completa, in epoca ellenistica e poi partica.
4.4. OSSERVAZIONI GENERALI Dall’analisi complessiva dei dati che si possono raccogliere a proposito dei caratteri tecnologici ed della diffusione dei mulini a macina semplice è possibile giungere ad alcune osservazioni di natura generale. In primo luogo si deve rilevare l’ampio arco cronologico e geografico entro cui si sviluppa questo mulino, già noto dalle fasi più antiche del Neolitico ed ancora in uso fino alla tarda Età del Ferro, durante il periodo post-assiro, neobabilonese ed achemenide. Documenti della diffusione dei mulini a macinello provengono dall’area mesopotamica settentrionale, dalle regioni dell’Anatolia orientale e sud-orientale attraverso tutto l’ampio arco cronologico che abbiamo descritto; se ne ha testimonianza tuttavia, come abbiamo visto, anche dall’area interna della Siria occidentale e dal Levante, fino all’area del Levante meridionale costiero e a Cipro. L’ampia diffusione si accompagna tuttavia ad una relativa uniformità nella varietà dei tipi. Il mulino a macinello rappresenta infatti un tipo standard di mulino a mano che non presenta varianti funzionali rilevanti. Questo ci ha spinto a non distinguere tipi differenti di mulini a macinello, seppure evidentemente esistono macinelli differenti e così varianti di macine giacenti; tali variazioni tuttavia non indicano associazioni funzionali stringenti e ricorrenti, come sarà il caso che vedremo dei mulini a macina semplice, fra macine superiori e relative giacenti. È infatti evidente che la funzionalità di un mulino a macinello costituito da un macinello subglobulare ad una faccia piana ed una macina giacente con faccia principale a profilo concavo-retto sarà analoga ad un mulino a macinello che abbia il macinello superiore subglobulare a due facce piane o subcubico. In tutti i casi il mulino deve necessariamente funzionare allo stesso modo e potrà essere impiegato per una produzione analoga. Quest’ultimo aspetto, la funzione cui il mulino a macinello viene destinato e la natura dei prodotti messi a macinazione e delle farine prodotte da questo mulino, rappresenta un altro interessante elemento da valutare. Se infatti consideriamo l’assetto tecnologico e i caratteri meccanici del suo funzionamento, così come li abbiamo descritti, sembra evidente che il mulino a macinello si presti ad un’estrema variabilità. Si deve infatti dedurre 49
Non è pubblicato il disegno ma soltanto una foto generale (Fantalkin 2001: 119, fig. 44).
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III. I MULINI Dall’insieme dei dati disponibili si può dunque concludere che lo sviluppo del mulino a macinello probabilmente rimane legato ad una produzione legata alla necessità di piccoli nuclei e all’ambito domestico, oppure diversamente ad un contesto nel quale il fabbisogno maggiore veniva coperto dalla produzione di altri tipi di mulini (il mulino a macina semplice e più tardi il mulino assiro a scanalatura ed il mulino di Olinto) ed ai mulini a macinello, per la facilità d’uso e l’adattabilità che gli si riconosceva, veniva demandata la produzione di piccole quantità di prodotti vari per necessità quotidiane.
La faccia principale operativa presenta profilo tendenzialmente concavo secondo gli assi principali, anche in questo caso si hanno casi a profilo diverso ed in generale sono diffusi i tipi con faccia principale e quindi superficie operativa a profilo concavo-concavo, a profilo concavo-retto e a profilo retto-retto. La faccia secondaria, che in questo caso corrisponde alla superficie di appoggio della macina e quindi determina sia la stabilità del mulino che l’inclinazione della superficie operativa rispetto al suolo, è in genere tendenzialmente convessa o parzialmente appiattita. Il profilo della superficie di appoggio può naturalmente essere determinato anche dalla postazione nella quale il mulino veniva installato; nel caso in cui fosse installato su banchina o su altro differente supporto la stabilità del mulino veniva garantita dalla tenuta della banchina stessa e così l’inclinazione necessaria della superficie operativa poteva essere ottenuta sistemando la macina giacente sul piano della banchina; nel caso diverso in cui il mulino a macina semplice venisse sistemato direttamente a terra, sul pavimento di un ambiente o su un piano esterno, il profilo della superficie di appoggio della macina inferiore risultava invece determinante in sé per assicurare la stabilità del mulino e l’inclinazione necessaria della superficie operativa. Da questi aspetti può dipendere la maggiore o minore irregolarità che si riscontra nella faccia secondaria delle macine giacenti di questo mulino, ed in definitiva, proprio per questo, è necessario prenderli in considerazione nel momento in cui si procede a ricostruire l’aspetto funzionale del mulino a macina semplice. Il rapporto fra le dimensioni delle macine superiori e delle macine inferiori giacenti, come abbiamo anticipato, è particolarmente importante per ricostruire il funzionamento dei mulini a macina semplice. I casi di rinvenimento in situ di mulini del genere completi, in particolare, e più in generale la specifica analisi morfologica di queste macine permette infatti di stabilire che la dimensione piana maggiore delle macine superiori è analoga alla dimensione piana minore delle relative macine inferiori giacenti. Da questo si può stabilire che la macina superiore veniva sistemata perpendicolarmente alla giacente e così veniva messo in funzione il mulino (TAV. 25). La pietra selezionata per le macine dei mulini a macina semplice, infine, è, nella grande maggioranza dei casi, basalto51, del quale possono essere scelte varianti a differente vacuolarità in base al tipo di mulino a macina semplice cui le macine sono destinate. Si possono distinguere infatti tre tipi di mulini a macina semplice, sulla base del differente rapporto fra la superficie operativa della macina superiore ed inferiore. Dall’analisi di questo aspetto morfologico specifico infatti si possono ricavare tre coppie di macine in cui la macina attiva e la giacente risultano fra loro strettamente
5. IL MULINO A MACINA SEMPLICE 5.1. I DATI TECNOLOGICI Morfologia e ricostruzione funzionale. Il mulino a macina semplice rappresenta in assoluto il più comune e diffuso modello di mulino noto nell’area del Vicino Oriente e del bacino mediterraneo orientale antico. Si tratta in termini generali di un modello evoluto di mulino a mano (o hand mill) che deve la sua fortuna alla buona produttività che il suo impianto funzionale riesce a garantire50. Il carattere innovativo che viene introdotto dal mulino a macina semplice rispetto al precedente mulino a macinello sta senz’altro nello sviluppo della macina superiore attiva, che in questo modello raggiunge dimensioni rilevanti, ma soprattutto assume morfologia e proporzioni costanti e correlate strettamente alla macina inferiore giacente. Il rapporto stabile e la correlazione proporzionale fra le due macine, superiore ed inferiore, del mulino non è presente nel mulino a macinello, come abbiamo visto. Questo dato dunque è significativo ed indica un diverso impianto funzionale nel mulino a macina semplice. Questo mulino è costituito da una macina superiore attiva a pianta ellissoidale o ellissoidale allungata. La faccia principale operativa può presentare differente profilo secondo gli assi principali (sono documentati tipi a profilo retto-retto, a profilo convesso-retto, e a profilo convesso-convesso), allo stesso modo la faccia secondaria, che è in ogni caso a profilo convesso, può presentarsi a calotta, irregolarmente convessa, o in altri casi a sezione triangolare (TAV. 25). La macina inferiore giacente del mulino a macina semplice è costituita da una lastra di maggiori dimensioni che può presentare pianta differente. Sono documentati fra le macine giacenti di questo mulino, tipi a pianta rettangolare e angoli arrotondati e tipi a pianta ellissoidale allungata, questi ultimi risultano in generale meno frequenti.
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La definizione di hand mills riprende la partizione generale dei mulini (hand mills, lever mills e geared mills) proposta da Moritz (Mortiz 1958) alla quale si fa qui riferimento nei termini generali della descrizione del mulino a macina semplice. Si veda sopra in dettaglio le sezione dedicata ai caratteri generali del mulino.
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Riguardo ai casi nei quali si è fatto ricorso a pietre differenti, si veda in dettaglio la sezione dedicata alle materie prime e alle strategie dell’approvvigionamento nel capitolo 2. Si veda sopra.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico e direttamente complementari (TAV. 26). Se consideriamo infatti che nel mulino a macina semplice, come abbiamo visto, la macina superiore e l’inferiore sono disposte in modo tale che i rispettivi assi risultino perpendicolari, per valutare il rapporto di complementarietà delle superfici operative si dovrà di conseguenza mettere in relazione il profilo dell’una e dell’altra seguendo questo stesso principio. E dunque le due macine saranno complementari, ad esempio, se al profilo convesso secondo l’asse minore della macina superiore corrisponde un profilo concavo secondo l’asse maggiore della macina giacente e al profilo convesso secondo l’asse maggiore della macina superiore corrisponde un profilo concavo secondo l’asse minore della macina inferiore. Incrociando i profili con questo criterio si possono ottenere alcune associazioni basate sulla vera e propria complementarietà morfologica delle macine. Si determinano così tre tipi di mulino a macina semplice e si può escludere evidentemente ogni altra possibilità nella quale la superficie operativa delle due macine superiore ed inferiore risulti morfologicamente non complementare e dunque le due macine fra loro incompatibili (TAV. 26). I tre tipi di mulino a macina semplice che indichiamo qui di seguito sono:
Si tratta in questo caso di un mulino a macina semplice costituito da una macina superiore ed una inferiore entrambe con faccia principale, e dunque superficie operativa retta-retta. La pietra selezionata per le macine di questo tipo di mulino a macina semplice è in maggioranza, per quanto esistano casi di eccezione, una varietà di basalto a struttura sensibilmente vacuolare, con vacuoli anche di medie e grandi dimensioni. Nel complesso dunque questo tipo presenta la superficie di frizione minore fra i mulini a macina semplice ed una complementarietà meno accentuata; elementi questi che, se considerati insieme alla varietà vacuolare del basalto impiegato, possono indicare un tipo di mulino a macina semplice adatto per la produzione di farine a grana grossolana (TAV. 27: C). In conclusione dunque, sulla base dell’analisi dei caratteri morfologici si può ricostruire l’impianto del mulino a macina semplice ed i diversi tipi che sono distinguibili. L’assetto generale del mulino a macina semplice prevede che la macinazione sia realizzata attraverso un’azione di frizione ripetuta, o rubbing, condotta su una superficie concava, lievemente concava o retta. La frizione viene realizzata su piano che può presentarsi orizzontale al suolo ma anche leggermente inclinato. Questa inclinazione, come si è visto, è garantita dal piano di appoggio della macina inferiore naturalmente, e può essere determinata dal profilo della faccia secondaria d’appoggio della macina giacente stessa o diversamente essere realizzata inclinando la macina giacente sopra il piano di una banchina. Il mulino a macina semplice quindi viene messo in funzione dall’operatore che si trova in genere in ginocchio in modo tale da esprimere maggiore spinta con entrambe le mani sulla macina superiore. La macinazione procede dunque seguendo una sequenza di frizione assiale ripetuta avanti e indietro della macina superiore sulla macina giacente, che a sua volta può trovarsi sistemata sul suolo (il pavimento interno di un vano o un piano interno) o fissata su una banchina di supporto (TAV. 25). La presenza di banchine di supporto è largamente documentata ed offre altre indicazioni utili dal punto di vista della ricostruzione funzionale del sistema del mulino a macina semplice. Queste strutture infatti potevano, come sappiamo, ospitare più mulini a macina semplice e dunque potevano presentarsi come postazioni multiple in molti casi destinate a mulini a macina semplice di tipi diversi. Da ciò discende naturalmente la conclusione che questi diversi tipi fossero impiegati in alternativa con differenti finalità. D’altra parte abbiamo notato che l’impianto morfologico sembra indicare chiaramente che si tratta di mulini che, pure presentando lo stesso assetto e funzionando secondo lo stesso principio, avessero diversa destinazione e quindi potessero essere impiegati in alternativa o meglio in serie per la produzione di farine di qualità differenti. Si può quindi concludere che il mulino a macina semplice rappresenta un modello unico variato al suo interno in modo da rispondere a differenti esigenze di macinazione.
TIPO A. Si tratta del mulino a macina semplice costituito da una macina superiore con faccia principale e quindi superficie operativa a doppia convessità. La relativa macina giacente si presenta dunque a doppia concavità. Per quel che riguarda la pietra selezionata per le macine di questo tipo di mulino a macina semplice, si nota una generale tendenza a scegliere basalti a struttura compatta, ovvero minimamente vacuolare. Nel complesso dunque questo tipo di mulino presenta una ampia superficie di frizione (maggiore di quella degli altri tipi di mulino a macina semplice) e una forte complementarietà fra le due macine, che, se correlata alla scelta di un basalto a struttura molto compatta, rende questo tipo di mulino a macina semplice adatto alla produzione di farine molto fini (TAV. 26: A). TIPO B. Questo tipo di mulino a macina semplice è costituito da una macina superiore con superficie operativa a profilo convesso-retto e da una macina giacente che si presenta di conseguenza con superficie operativa a profilo rettoconvesso. La pietra scelta per le macine di questo tipo può variare ed è in generale un basalto a struttura vacuolare. Si tratta in questo caso di un tipo che si può intendere come un tipo intermedio di mulino a macina semplice, nel quale la superficie di frizione è inferiore a quella del precedente tipo A, seppure mantiene una certa complementarietà generale. Si potrebbe dunque ritenere questo tipo adatto alla produzione di farine a grana media (TAV. 26: B). TIPO C.
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III. I MULINI A questa duttilità principalmente si deve la fortuna della sua diffusione. La prima generale menzione di questo mulino compare fra le pierres a écraser descritte da Lindet alla fine del XIX secolo (Lindet 1899: 414-418), seppure soltanto in seguito il mulino a macina semplice viene compiutamente definito sul piano funzionale e più ampliamente descritto alla metà del secolo scorso da Moritz (Moritz 1958: 1923), il quale per primo intuisce il rapporto di stretta proporzione fra le macine superiori e le giacenti del mulino a macina semplice. A Moritz si deve inoltre l’identificazione del differente profilo delle superfici operative straight, concave, convex caratteristiche delle diverse macine di questo tipo di mulino (Morite 1958: 20)52. Scarsa attenzione è invece rivolta a questo mulino da Forbes, che nei sui Studies in Ancient Technology lo distingue fra i mulini a pressione con la sola definizione di saddle-shaped mill (Forbes 1962: 110-111). Per quel che riguarda il Vicino Oriente, la prima descrizione di questo tipo di mulino si deve ad Andrae e von Luschan, i quali distinguono le due macine attiva e giacente del mulino a macina semplice (ma anche e con la stessa definizione del mulino assiro a scanalatura), utilizzando i due termini di Mutter e Kind (Andrae, von Luschan 1943: 18). L’impiego di questi due termini, in sé di un certo effetto, segna in anticipo la distinzione del concetto di macina superiore ed inferiore che si imporrà nella descrizione di questo mulino soltanto in anni più recenti, come si è visto. A questa distinzione si arriva in modo chiaro soltanto molti anni più tardi, grazie alla tipologia proposta da Hole alla fine degli anni ’60 (Hole et alii 1969: 170), che viene in seguito adattata da van Loon per la descrizione dei manufatti per la macinazione di Korucutepe e poi di Selenkahiye. Sono qui distinte macine superiori definite hand grinders o manos e macine giacenti, dette grinding slabs o metates53. Questa distinzione di base viene negli anni seguenti diffusamente adottata nella descrizione del mulino a 52
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macina semplice, seppure con qualche eccezione in realtà marginale. In nessuna delle proposte di sistemazione o classificazione tuttavia si scende ad una distinzione ulteriore all’interno del mulino a macina semplice; le macine attive e giacenti rimangono nella maggioranza dei casi non distinte al loro interno e si propende per definizioni generali che richiamano l’aspetto morfologico comune senza individuare elementi utili ad evidenziare le differenze funzionali. In questo modo nella classificazione per tipi di Ataman realizzata alla metà degli anni ’80 per lo strumentario di Kurban Höyük si distinguono macine giacenti grinding slabs e macine attive, definite qui hand held pieces. Questa distinzione non viene tuttavia presentata all’interno di una tipologia che abbia una struttura gerarchica o un criterio distintivo di riferimento. Le grinding slabs del tipo 3, che sulla base della definizione proposta dovrebbero essere macine giacenti a pianta tendenzialmente rettangolare, non sono distinte chiaramente e per via di una definizione certa dalle grinding slabs del tipo 5 che invece, sulla base del disegno e a dispetto delle definizione di small round grinding slabs, risultano essere piuttosto macine superiori con faccia principale a profilo verisimilmente convessoconvesso e a pianta ellissoidale (Ataman 1986: Fig. 34: B). A loro volta gli handheld pieces del tipo 7, stanno allo stesso livello dei due tipi di grinding slabs e sono genericamente descritti loaf shaped54. Una condizione analoga si registra nella sistemazione del materiale di Tell Halawa (Waalke Meyer, Pruß 1994: 206). Qui ci si riferisce alla generica categoria Reibsteine, con cui si indicano due gruppi di strumenti distinti ma associati per utilizzo funzionale. Si tratta della distinzione di base di cui si è detto fra macine attive e giacenti per mulini a macina semplice. Anche in questo caso tuttavia si distinguono i Läufer o cursori attivi, descrivendoli soltanto con forma “a pagnotta”55. Lo stesso può dirsi per le macine superiori attive per mulino a macina semplice descritte da Summers, nella sua sistemazione dei materiali di Tille Höyük (Summers 1993), semplicemente come loaf-shaped, ed in un caso bun-shaped (Summers 1993: Fig. 73: 2); Diverso criterio di descrizione viene adottato per la descrizione dello strumentario litico lourd di Melebiya (Ciavarini Azzi 1993: 527). Qui si distinguono due gruppi di meules e molettes, differenti per le maggiori dimensioni delle prime rispetto alle seconde. Al loro interno tuttavia i due gruppi di meules e molettes sono ulteriormente distinti sulla base del profilo della superficie operativa.
Moritz riprende l’ipotesi di classificazione in 9 tipi proposta preliminarmente de Dörpfeld per le macine di Troia, e di questa conserva in modo particolare il criterio distintivo basato sul profilo della superficie operativa (Dörpfeld 1902: 399-400). Dei 9 tipi, distinti per partizione teorica, lo stesso Dörpfeld in realtà non può riconoscerne più di 6 fra i materiali di Troia, ma ciò che di certo rimane un’intuizione è appunto l’individuazione del profilo della superficie quale possibile criterio selettivo. L’impiego di questi termini è in parte mutuato dalla definizione di elementi simili in ambito classico e sulla scorta della nomenclatura antica. Il termine metates richiama le metae con cui si indicavano gli elementi inferiori giacenti dei mulini pompeiani ad asini. Per la discussione dei termini impiegati per il mulino pompeiano ed il loro contesto si veda in maggior dettaglio ancora Moritz 1958: 74-96 e Forbes 1962: 112-115. La definizione di manos viene in seguito adottata anche per la descrizione delle macine superiori per mulini a macina semplice che provengono dallo scavo della Jerusalem’s City of David (Hovers 1996).
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L’indicazione “loaf-shaped” è la più comune per segnalare in sintesi i caratteri morfologici principali di questi strumenti. Per il suo uso come termine di definizione si veda anche la voce “Ground-stone Industries” della Oxford Encyclopedia of Archaeology in the Near East (Rosen 1997: 380). Diversamente La voce “Mühle” nel RLA definisce questa forma “ovale o sub-rettangolare” (Ellis 1995: 401). La medesima indicazione “a pagnotta” è data a strumenti analoghi da Tell Chuera (Orthmann, Pruß et alii 1995: 129).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Risultano così indistinte in entrambi i gruppi macine con superficie operativa concava-concava e convessaconvessa. Si produce in questo modo una tipologia che non permette di isolare preliminarmente le macine inferiori giacenti e le superiore attive del mulino a macina semplice. Questa distinzione avviene soltanto a livello secondario nel momento in cui le macine con superficie operativa concava vengono indicate come dormantes e vengono genericamente distinte dalle macine con superficie operativa convessa, che si devono intendere attive. In anni più recenti la distinzione fra meules e molettes è stata nuovamente adottata dalla Trokay per la descrizione dei mulini a macina semplice di Tell Ahmar (Trokay 2000). In questo caso la definizione è più chiara e le molettes di Tell Ahmar (Trokay 2000: 1674, fig. 1: 1.2.1; fig. 3) sono descritte a corpo allungato e a sezione piano convessa. La superficie operativa è appiattita o d’une certe convexité56; le meules, di dimensioni maggiori rispetto alle molettes, sono descritte morfologicamente come strumenti a base convessa saddle shaped ed in particolare a fondo appiattito per mantenersi stabile. Un’eccezione è rappresentata dalla definizione tipologica dei mulini a macina semplice del Bronzo Medio e Tardo di Tell Brak, proposta dalla Mc Donald, nella quale non viene adottata neppure la distinzione fra macine attive e giacenti comunemente diffusa. In questo caso infatti si distingue all’interno del grinding equipment il solo tipo delle grinding slabs (Type E). Queste sono naturalmente da riferire a mulini a macina semplice. Per quanto la definizione grinding slabs richiami di per sé macine di grandi dimensioni e sia, come noto, comunemente impiegata appunto per indicare macine giacenti per mulini a macina semplice, in questo caso tuttavia è intesa come categoria generale che raccoglie evidentemente macine superiori e giacenti e dunque indica in generale tutti gli elementi di mulini a macina semplice. La Mc Donald non isola alcun tipo di macina superiore per mulino a macina semplice; nel complesso delle grinding slabs dunque si trovano sia macine inferiori che superiori e, per quanto questo aspetto non venga esplicitato, risulta tuttavia evidente dalle misure generali di riferimento per il Type E57.
vedere in precedenza, documenti che rendano testimonianza della diffusione geografica e cronologica di queste installazioni ma che al tempo stesso restituiscano un campionario dei diversi caratteri e dei differenti tipi di postazioni destinati a mulini a macina semplice, come risultano dai contesti significativi di rinvenimento. In conclusione si prenderanno qui in considerazione i casi della riutilizzazione ed i contesti secondari, che possono rivestire, come vedremo, un rilievo particolare nell’analisi di questo tipo di mulino. L’installazione per l’impiego di mulini a macina semplice nell’area del Vicino Oriente è nota da epoca protostorica. Un esempio interessante di mulino a macina semplice in situ proviene da Yümük Tepe, Mersin, in Cilicia (Garstang 1953: 136). Il mulino proviene dallo scavo del Middle Chalcolithic Level XVI dall’area delle strutture difensive datate al primo periodo Obeid (Garstang 1953: 131). La porzione di abitato identificata dallo scavo presenta un imponente muro perimetrale di difesa nel quale si apre a Sud Ovest un unico accesso affiancato da due torrioni laterali, leggermente avanzati (TAV. 27: 1-2). All’interno del grande muro perimetrale, ed immediatamente ad Occidente della porta si trova un piccolo ambiente aperto sulla strada di accesso che è stato interpretato verisimilmente come un small internal guard-room, alle spalle del quale si sviluppa un edificio, in parte non conservatosi a causa del dilavamento della china occidentale del monticolo, che, per le caratteristiche e l’articolazione, è stato possibile interpretare come un edificio di rappresentanza (Garstang 1953: 133). Sul fianco orientale invece, addossati al muro di cinta si trovano cinque edifici di più modeste dimensioni, fra loro affiancati e costituiti ognuno da un singolo vano direttamente in comunicazione con una piccola corte recintata antistante. Si tratta delle cosiddette barrack rooms (TAV. 27), ovvero di piccole unità abitative con vocazione domestica, interpretate al momento dello scao come alloggi di militari (Garstang 1953: 130, Fig. 79)58. All’interno di uno di questo ambienti (il vano 176 dell’unità centrale) sono stati rintracciati un bin in argilla cruda59, in corrispondenza dell’angolo Nord-Ovest, e 58
5.2. I DOCUMENTI ARCHEOLOGICI Installazioni, contesti significativi. 59
Si possono isolare alcuni casi relativi al rinvenimento di postazioni per mulini a macina semplice in situ. L’interesse di questi casi, che certo non vogliono rappresentare un inventario completo delle installazioni per mulini a macina semplice note, risiede piuttosto nella possibilità di vagliare, come abbiamo avuto modo di 56
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La convessità del profilo della faccia principale è dalla Trokay messa strettamente in relazione col processo di degrado e di usura della superficie operativa stessa (Trokay 2000: 1667). Tali misure variano ampliamente oscillando, ad esempio, fra i 16 ed i 68 cm. di lunghezza (McDonald 1997: 109: Table 8).
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The married soldiers’quartiers (Garstang 1953: 133), come sono stati identificati secondo un’ interpretazione attraente, anche se naturalmente soltanto probabile. Il bin è in questo caso certamente destinato allo stoccaggio della prima riserva domestica di grani che dovevano essere successivamente macinati nel vicino mulino a macina semplice. A proposito dell’impiego di bin con questa funzione si veda in particolare un caso da Tell es-Sweyhat, sull’alto corso dell’Eufrate, dove una struttura del genere è stata rinvenuta addossata all’angolo interno di un vano, parte del complesso artigianale dell’area IV. In questo caso dall’interno del bin proviene una grande quantità di semi carbonizzati a seguito di un incendio occasionale e un numero considerevole di piccoli ciottoli che dovevano servire ad assicurare la copertura dei grani stoccati, a practice still used today by the local farmers to protect their harvested crops (Holland 1976: 59). Un caso analogo di conservazione è noto
III. I MULINI sulla parete settentrionale un’installazione destinata ad un mulino a macina semplice (Garstang 1953: 130, Fig. 79; 136, Fig. 83)60. Questa installazione è costituita da una banchina in mattoni crudi addossata al muro settentrionale del vano in corrispondenza di una delle due slit windows che si aprono come feritoie attraverso il muro esterno. Si tratta di un mulino a macina semplice del tipo che si è qui definito C, ovvero costituito da macina inferiore e superiore con faccia principale retta-retta e a pianta tendenzialmente ellissoidale ed ellissoidale allungata (tipo macina semplice III.C. 2). La macina giacente del mulino è minimamente inclinata, ovvero disposta quasi orizzontalmente sul piano della banchina (Garstang 1953: Pl. XIX: a, b) (TAV. 28-29). La postazione di un mulino a macina semplice è nota anche dall’abitato protostorico di Güvercinkayasi, nella regione di Aksaray, sull’altopiano dell’Anatolia sudorientale (Gülçur 1999). All’interno Raum M5 dell’Edificio meridionale in 7H/Planquadrat 4J (Gülçur 1999: 71, fig. 2), datato fra l’ultima fase del periodo Obeid ed il periodo Uruk iniziale, sono state individuate due installazioni destinate alla macinazione: una destinata ad un mulino a macina semplice ed una ad un mulino a mortaio61. La postazione per mulino a macina semplice è disposta su una banchina addossata a sua volta ad un muro di tramezzo, che distingue un’area di lavoro nella parte sud-occidentale del vano (Gülçur 1999: 77-78, fig. 16, 20). La banchina in argilla, di poco rialzata sul pavimento del vano, è evidentemente conformata in modo tale da poter costituire l’alloggiamento di due distinte macine giacenti, e viene perciò giustamente descritta come Mahlbank in Form eines Stierkopfes (Gülçur 1999: 79, fig. 21) (TAV. 30: 1-3). Delle due macine giacenti collocate sulla banchina, una soltanto è conservata nel proprio alloggiamento, la seconda, originariamente disposta di fianco nella prossimità della banchina in parte danneggiata che si sviluppa oltre l’attuale limite di scavo ad Occidente, non si è conservata. Si deve così concludere che la banchina dovesse servire a due mulini a macina semplice differenti, affiancati e destinati molto probabilmente ad essere impiegati in serie (TAV. 30: 3). Diversamente sembra più improbabile che i due mulini affiancati fossero analoghi e dunque impiegati contemporaneamente per accelerare i lavori di macinazione; quest’ultima ipotesi sembra ulteriormente da scartare se si considera il contesto evidentemente domestico della produzione. I mulini della Raum M5 servivano il fabbisogno di una piccola comunità familiare, le cui esigenze quotidiane potevano essere
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certamente soddisfatte in quantità dal lavoro di un singolo mulino a macina semplice62. La presenza dunque all’interno dello stesso vano di due postazioni per mulino a macina semplice affiancate e di un mulino a mortaio, indica che doveva trattarsi di mulini impiegati con differenti propositi, per distinte produzioni. Questo tipo di installazioni destinate a mulini a macina semplice sono ben note, secondo una tipologia che per molti aspetti si mantiene simile a quella che abbiamo visto già documentata in epoca protostorica, e risultano diffuse durante l’antica Età del Bronzo in tutta l’area vicino orientale I due esempi che abbiamo sopra riportato testimoniano infatti della diffusione di installazioni analoghe per mulini a macina semplice provenienti da contesti simili, in entrambi i casi ambienti modesti a vocazione domestica. Questo aspetto non costituisce tuttavia una costante nello sviluppo legato all’impiego di questi mulini ed anzi dalla diffusione di queste installazioni durante il III Millennio a.C. ed in particolare dalla Età del Bronzo Antico finale, si possono rilevare due tendenze parallele: da un lato la sempre più ampia diffusione di queste installazioni in contesti differenti (domestici, ma anche pubblici, palatini, templari), dall’altro la tendenza a conservare tipologie di installazioni analoghe, che presentano spesso piccole variazioni tecnologiche ma che si richiamano ad un modello generale già realizzato compiutamente in epoca protostorica. Dalla composizione di queste due tendenze si ottiene come risultato che le postazioni per mulini a macina semplice che troviamo in ambienti domestici (e che dunque sono destinate ad una produzione ridotta al fabbisogno di un singolo nucleo familiare o ad un gruppo ristretto) risultano analoghe a quelle che troviamo in contesti a vocazione pubblica, nei laboratori di palazzo o negli ambienti templari, per i quali si deve supporre una differente tipologia di produzione. Lo stesso tipo di installazione e mulini del tutto analoghi a quelli delle abitazioni circostanti o contemporanee si trovano in ambienti palatini, con la sola differenza, neppure sempre verificabile in realtà, di venir eventualmente moltiplicati. Particolarmente interessante è in questo senso il caso di Ebla. Dall’analisi delle differenti installazioni artigianali destinate alla produzione e trasformazione dei cibi risulta infatti ben evidente una serie di mulini a macina semplice rinvenuti in situ, all’interno dei complessi abitativi del Bronzo Antico finale (BA IVA) di Mardikh II B.
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da Tell Bderi (Vano B dello strato 7B datato al Bronzo Antico, Pfälzner 1988: 242). Lo scavo e la ricostruzione dell’interno del vano 176 si deve a Seton Lloyd (Garstang 1953: 136, Fig. 80a). A proposito del mulino a mortaio della Raum M5 si veda più diffusamente oltre la sezione qui dedicata alle installazioni per mulini a mortaio in conclusione di questo capitolo, ed in generale Gülçur 1999: 63.
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Si vedano a questo proposito i risultati dell’analisi condotta a Tell Bderi in merito al rapporto fra la presenza di postazioni per mulini a macina semplice, mobili o su banchine, e la determinazione dei nuclei o delle comunità familiari nelle singole unità abitative (Pfälzner 1996). Si veda qui di seguito in maggiore dettaglio. Anche a Tell Bderi una banchina, il grinding-table di un nucleo familiare, può ospitare più mulini a macina semplice, plausibilmente impiegati in serie. Nel caso che stiamo qui descrivendo, anche se l’area di scavo è senz’altro troppo ridotta per poter giungere a considerazioni del genere, la condizione sembra tuttavia analoga.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Installazioni di questo genere provengono infatti dal Palazzo Reale G, sull’Acropoli, che da alcuni ambienti dell’Edificio P4, messo in luce più di recente nella Città Bassa settentrionale. All’interno del Palazzo Reale G, due unità di ambienti del complesso palatino, l’Unità Ovest e l’Unità Sud (TAV. 31), si segnalano in misura particolare per la presenza di installazioni destinate alla macinazione, L’Unità Ovest è costituita da una serie di ambienti di modeste dimensioni disposti su terrazze che crescono in direzione Nord; gli ambienti su terrazze differenti non sembrano trovarsi in diretta comunicazione, l’accesso diretto avviene secondo percorsi sullo stesso livello, mentre l’intera Unità é accessibile probabilmente da Est (Matthiae 1989: 77-78). Vi si possono riconoscere tre aree principali destinate ad attività di macinazione. La prima si trova sullla terrazza meridionale ed è costituita dagli ambienti L.3926, L.3932, L.3936 e L.4800. All’interno del vano L.3926, in corrispondenza dell’angolo Nord-Est di questo piccolo ambiente e dunque sul lato opposto rispetto ai due varchi di accesso, si trova una banchina in mattoni crudi con pianta ad L, poco elevata sul piano del pavimento (TAV. 32: 1). Sul piano della banchina si trovavano al momento dello scavo cinque macine giacenti di mulino a macina semplice, altre in frammenti sono state rinvenute sul pavimento del piccolo vano. Nel complesso, dati i frammenti rinvenuti e calcolando l’ampiezza della banchina si può stabilire che questa installazione fosse originariamente destinata ad ospitare otto postazioni differenti per altrettanti mulini a macina semplice. Il piano della banchina si presenta leggermente inclinato verso l’interno del vano ed è inoltre internamente delimitato de una sorta di bordo irregolare in in argilla rilevato sul piano in modo tale da separare tra loro i singoli mulini. Alla base della banchina si trova un piccolo muretto ad andamento curvilineo che aveva la funzione di isolare l’area immediatamente antistante la banchina. In questa zona si sono trovate tracce di fibre combuste da ricondurre con ogni probabilità ad una stuoia che doveva venire distesa sul pavimento per recuperare con migliore facilità la farina prodotta dalla macinazione. La presenza di una stuoia o di una incannucciata alla base della banchina, ma soprattutto la presenza sul piano della banchina stessa di una serie di bordi in argilla cruda destinati a separare i diversi mulini, indicano chiaramente che si evitava con cura che la farina prodotta da un mulino si disperdesse e si mescolasse sul piano di lavoro con la farina prodotta dal mulino collocato a fianco. Questa attenzione si potrebbe interpretare come indizio del fatto che la farina prodotta dai diversi mulini fosse diversa, perciò si tendeva ad evitare si mescolasse. Se così fosse e questa fosse la funzione del dispositivo sulla banchina si potrebbe facilmente concludere che i mulini di questa unica installazione erano destinati ad essere utilizzati in serie (mulini a macina semplice A, B e C) per la produzione di farina di differente qualità63. 63
Nel vano adiacente L.3932 si trovano invece tre distinte banchine in mattoni crudi, in corrispondenza delle pareti Nord, Est ed Ovest (TAV. 33). Ogni banchina è destinata a due o tre mulini a macina semplice e presenta generalmente lo stesso bordo in argilla per separare i diversi mulini sul piano. Al centro del vano in questo caso si trovano tuttavia tre cavità o vasche in cui base e pareti interne risultano rivestite di piccoli ciottoli di fiume. Queste installazioni, di certo collegate per funzione con i mulini a macina semplice disposti sulle banchine in argilla all’interno dello stesso vano, sono state variamente interpretate come contenitori o alloggiamenti di giare o forse canestri per la conservazione temporanea di granaglie pronte per la macinazione (Matthiae 1989: 76) o come dispositivi impiegati a titolo diverso nel processo di trasformazione alimentare (Dolce 1991: 329-330)64. Ciò che qui interessa maggiormente tuttavia è la presenza delle tre banchine distinte all’interno dello stesso vano nel quale si trovava un numero di mulini analogo a quello che proviene dall’adiacente vano L.3926, in cui tuttavia diversamente, come abbiamo visto, erano stati disposti su di un’unica banchina (TAV. 32-33). Installazioni del tutto analoghe si trovano, sempre sulla terrazza meridionale dell’Unità Ovest, negli ambienti L.3936 (dove si trova una banchina destinata a tre mulini a macina semplice) e L.4800 (da cui provengono numerosi frammenti relativi a macine di questo tipo di mulino). Dagli ambienti dellla terrazza mediana dell’Unità Ovest, é documentata una serie di installazioni per mulini a macina semplice dai vani L.4446 e L.4420, ma soprattutto dal vano L.3914 (TAV. 32: 2). All’interno di questo ambiente si trovano due banchine in mattoni crudi di dimensioni diverse; la minore, disposta in corrispondenza della parete settentrionale del vano, è destinata all’installazione di tre mulini a macina semplice, la seconda, collocata invece lungo il lato lungo occidentale del vano, poteva ospitare addirittura dieci mulini a macina semplice. Un numero inferiore di macine per mulini a macina semplice proviene dall’Unità meridionale del Palazzo G. Di particolare interesse qui risultano soprattutto le installazioni presenti all’interno del dei vani L.3512 e L.3532 (TAV. 31: 2). All’interno di questi ambienti infatti si sono potute trovare sia banchine in mattoni crudi, di piccole dimensioni analoghe a quelle già descritte a proposito dell’Unità Ovest del Palazzo, che alcune altre macine giacenti e superiori di mulini a macina semplice appoggiate alle pareti, ovvero contro il
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R. Dolce a questo proposito rileva come l’esistenza di differenti qualità di farine précieuse destinées au roi,
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à la reine et à certains dépendants, et du “pain pur”, dstiné en revanche aux offertes votives (Dolce 1990: 125), sia ben documentata nei testi dei piccoli archivi del vano L.2712 (a Nord del portico della Corte delle Udienze). Si veda in maggiore dettaglio Milano 1987; Archi 1982: 204-205. Nessuna delle due ipotesi sembra al momento maggiormente supportata dalle evidenze archeologiche, qualche indizio in più potrebbe venire dalla analisi dei resti organici e delle tracce interne alla vasca. A questo proposito si veda già Merluzzi 2000a: 83.
III. I MULINI muro dei vani. In questo caso è stato giustamente suggerito che possa trattarsi di macine conservate temporaneamente in questi ambienti, da considerare perciò piuttosto come magazzini. Le banchine sono inoltre qui addossate al muro e dunque di per sé non utilizzabili come installazioni per mulini a macina semplice. Del resto il complesso delle evidenze che si sono potute recuperare inducono ad interpretare quest’area come luogo di conservazione (immagazzinamento, stoccaggio di derrate) piuttosto che di lavorazione. Come anticipato una serie interessante di installazioni per mulini a macina semplice é documentata anche dallo scavo del grande Edificio P4, ai piedi dell’Acropoli, al di sotto della cosiddetta Piazza delle Cisterne nell’Area Sacra di Ishtar. Una installazione di questo tipo è stata rinvenuta nell’Unità centrale all’interno del piccolo ambiente L.5021. Si tratta, come di norma, di un mulino a macina semplice su una banchina in mattoni crudi posta in questo caso in corrispondenza dell’angolo Nord-Ovest del vano e dunque sul lato opposto al varco di accesso principale. Un caso differente è invece rappresentato dall’adiacente vano L.5220. é questo un vano di dimensioni maggiori, l’ambiente più ampio del complesso orientale dell’Edificio P4, nel quale si trovano due lunghe banchine in argilla cruda, disposte l’una parallela all’altra nell’area meridionale del vano. Sul piano di una delle due banchine si trovano alcune macine giacenti in basalto, morfologicamente affini ai tipi per mulini a macina semplice. Questa installazione viene interpretata come piano di lavoro e si esclude, nonostante la presenza in situ delle macine in basalto, la possibilità che si tratti di annessi destinati alla lavorazione dei cereali. A questa conclusione si è giunti osservando la collocazione delle due banchine, che non permetterebbero un utilizzo come installazioni per mulini65. Sulla base dell’analisi delle diverse installazioni disposte all’interno del vano e sulla scorta dei risultati delle analisi su campioni paloebotanici, si è piuttosto proposto che il vano fosse destinato alla lavorazione di ortaggi e altri prodotti vegetali, o in misura ipotetica alla lavorazione della carne66. Installazioni per mulini a macina semplice sono documentate anche in due ambienti dell’Unità occidentale del grande Edificio P4. Si tratta dei due 65
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ambienti L.6824 ed L.6278, all’interno dei quali si trovano due banchine in mattoni crudi di piccole e medie dimensioni destinate verisimilmente (per quanto non i mulini siano tutti conservati in posto) alla postazione di tre o quattro mulini a macina semplice67. Una serie interessante di dati utili nello studio delle installazioni per mulini a macina semplice, durante il Bronzo Antico, proviene anche da Hama. L’interesse risiede in questo caso, oltre che nella possibilità di verificare la tipologia delle installazioni per mulini a macina semplice grazie ad un numero ben documentato di esempi, soprattutto nella diffusione di queste installazioni in contesti prevalentemente domestici. In questo modo è possibile stabilire la stretta analogia che presentano durante il Bronzo Antico le installazioni per questi mulini in contesti anche differenti, come già abbiamo anticipato. Due postazioni con mulini a macina semplice in situ sono state messe in luce dallo scavo dei livelli più antichi di Hama K, datati al Bronzo Antico iniziale (Fugmann 1958: 48). All’interno dell’edificio disposto al centro del complesso meridionale sono state rinvenute due banchine in mattoni crudi, collocate l’una in corrispondenza del varco di ingresso (Foyer 26a) e l’altra in prossimità della parete settentrionale (Foyer 25) (Fugmann 1958: 30, Fig. 29b). Al di sopra della prima banchina si trova una macina giacente e la relativa macina attiva, entrambe frammentarie (Fugmann 1958: 33, Fig. 34), mentre sulla seconda banchina sembrano essere disposte almeno due macine giacenti (Fugmann 1958: 33, Fig. 35). Si deve perciò ricostruire che all’interno del medesimo piccolo vano si trovavano due distinte postazioni riservate ad ospitare differenti mulini a macina semplice: una postazione con un mulino a macina semplice A ed una con due mulini a macina semplice C disposti in serie. Una postazione per mulino a macina semplice è stata infatti individuata anche dallo scavo, condotto nei primi anni ’70 dalle Università di Amsterdam e Chicago, a Selenkahiye nell’area della Tabqa Dam, sull’alto Eufrate siriano (van Loon 2001). Lo scavo dei livelli del Late Selenkahiye Period, relativi all’insediamento della fine del periodo accadico o al principio dell’Ur III, ha permesso di identificare una installazione con un mulino a macina semplice in situ sul pavimento del vano V2 (van Soldt 2001: 449). Un’altra interessante postazione è stata individuata all’interno del contemporaneo vano X23, dove due macine giacenti si trovavano disposte sul pavimento l’una accanto all’altra, probabilmente ad indicare una postazione doppia68, dotata
Una conclusione del genere non è di per sé evidente, né facilmente comprensibile, almeno dalla lettura del rilievo della pianta. Del resto dall’angolo meridionale dello stesso vano, e dunque in prossimità delle due banchine, provengono tre macine superiori per mulino a macina semplice, che si sarebbe portati a considerare in relazione con l’attività svolta sulla banchina. Si è proposto che l’installazione qui descritta fosse piuttosto destinata alla lavorazione della carne, per la presenza sul piano di un osso animale e di una lama in selce al di sopra di una delle macine in basalto (Marchetti, Nigro 1995: 17). Ovviamente non sono molti i dati a supporto di un’interpretazione del genere che de resto non è in seguito accolta completamente neppure dalla Merluzzi (Merluzzi 2000a: 89, nota 34).
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Molte altre macine, frammentarie o a profilo continuo, si trovavano sul pavimento o nei livelli di riempimento all’interno di questi vani. Si dovrà considerare in casi del genere che possano anche essere precipitati dal piano superiore. In condizioni simili macine rinvenute sul pavimento o dai livelli di distruzione di vani adiacenti, potrebbero più probabilmente rappresentare casi di vani in cui tali macine venivano temporaneamente conservate. Esempi di postazioni doppie per mulini a macina semplice sono ben note, almeno dal Calcolitico (si veda sopra particolare il caso di Güvercinkayasi), ma
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico di due mulini da impiegare in serie (van Soldt 2001: 449)69. Si deve perciò presumere si tratti, almeno nel caso del vano del livello 2 dell’Area 2 in X23, di un mulino a macina semplice originariamente collocato sul suolo e non, come sin qui documentato, al di sopra di una banchina in mattoni crudi. Un’ipotesi del genere non può tuttavia dirsi del tutto certa e rimane la possibilità che il mulino fosse temporaneamente collocato in quel vano, senza che di necessità in quel vano venisse utilizzato, secondo una uso già documentato per alcuni ambienti del Palazzo Reale G e dell’Edificio P4 a Tell Mardikh. Interessante è anche il caso di Kurban Höyük, nell’area del Keban (Ataman 1986: 76-82). In questo caso una serie di rinvenimento in situ, indica l’uso di collocare mulini a macina semplice in piccoli vani, ma anche in corti aperte. La frequenza dei rinvenimenti, oltre alla presenza di macine frammentarie da l’intero insediamento inducono a ritenere che non vi fosse una gestione accentrata, ma che questa attività fosse, come è la norma, realizzata in ogni singola unità domestica. Non sono state inoltre rinvenute banchine in mattoni crudi o altre strutture di sostegno, è quindi certo che i mulini dovevano essere installati provvisoriamente sul pavimento probabilmente in modo da essere mobili (Ataman 1986: 79). Un caso analogo è noto anche dal contemporaneo insediamento del Bronzo Antico di Pulur (Koşay 1976). Nell’area del bacino del Habur, una serie interessante di installazioni destinate ad ospitare mulini a macina semplice sono documentate dallo scavo di Tell Bderi. Il sito, che si trova circa 20 Km a Sud della moderna città di Hassake, è stato oggetto di una serie di indagini di scavo durante la seconda metà degli anni ’80, nell’ambito del progetto degli scavi di emergenza per la costruzione della diga sul Habur. L’indagine di questo sito ha permesso di mettere in luce un insediamento rurale di medie dimensioni con una interessante sequenza di occupazione che segna la transizione fra il Dinastico Antico finale e la prima fase del periodo accadico (Pfälzner 1988; Pfälzner 1989; Kulemann, Pfälzner 1988). Il particolare rilevo che questo sito riveste per il nostro studio, al di là dell’importanza del lotto dei materiali
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recuperati da contesti di certa datazione, tuttavia si può riassumere in tre aspetti specifici. Il primo e più generale è la possibilità di verificare tipologia e caratteri delle installazioni per mulini a macina semplice in una regione diversa e così delineare un quadro più ampio della diffusione di queste installazioni durante il Bronzo Antico. Il secondo aspetto consiste nella possibilità di analizzare la natura di queste installazioni nel contesto di un insediamento rurale di dimensioni ridotte e dunque all’interno di nuclei abitativi di carattere domestico e a vocazione agricola. Questo aspetto è importante, come abbiamo già sottolineato a proposito di Ebla ed Hama, per verificare le analogie che queste installazioni presentano in contesti differenti. Il terzo aspetto di sicuro interesse è rappresentato infine dall’applicazione estensiva in questo sito di un’analisi specifica del ciclo delle attività svolte nei contesti domestici, volti a recuperare i legami fra lo sviluppo dinamico dei nuclei familiari ed il conseguente sviluppo nell’organizzazione degli spazi all’interno delle diverse unità abitative70. Questo approccio ha naturalmente l’obiettivo più ampio di chiarire i caratteri dell’organizzazione sociale dell’insediamento, ma richiede una strategia di scavo che consenta da subito di ottenere i dati necessari a comporre il quadro. In questo senso è necessario recuperare con cura la collocazione dei materiali e la disposizione delle installazioni all’interno delle singole unità abitative per poi procedere, sul piano sincronico, ad interpretare la diversa funzionalità degli ambienti, la destinazione degli spazi. Procedendo con metodo analogo per ogni fase architettonica dell’edificio si può verificare, questa volta sul piano diacronico, lo sviluppo funzionale dei contesti domestici e da questo arrivare a formulare, come si è detto, conclusioni in merito all’organizzazione del nucleo o dei nuclei familiari residenti. Un simile criterio di analisi offre, dal nostro punto di vista, evidentemente particolari vantaggi perché consente di verificare la disposizione delle singole installazioni per mulini a macina semplice e i loro reciproci rapporti in relazione alle unità abitative. Possiamo fare riferimento in particolare a due edifici messi in luce all’interno dell’abitato sulle pendici meridionali del monticolo: la House I e la House III, di cui è stata ricostruita una sequenza di occupazione attraverso alcune fasi strutturali successive (Phases 10-8) ed un livello di distruzione (Level 8), datato su base
anche in seguito. Contemporaneo all’esempio da Selenkahiye è il caso di Tell Bderi (Pfälzner 1996: 119, Fig. 1), casi analoghi sono noti anche da Korukutepe (van Loon 1980: 137), e da Mari (Margueron 1984: 27, Fig. 22). Tutti questi casi tuttavia, con la sola esclusione di Mari, presentano diversamente da Selenkahiye i mulini installati su banchine di sostegno. Altre 4 macine superiori attive provengono da contesti prossimi ai suoli di vani del Late Selenkahiye Period, tuttavia la loro collocazione rimane incerta, were lying in rooms and were more or less clearly associated with floors (van Soldt 2001: 448). Altri casi frammentari sono stati reimpiegati come materiale per la costruzione di forni e focolari (van Soldt 2001: 449).
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Queste analisi ed in generale l’affinamento di questo approccio si deve a P. Pfälzner, che attraverso una serie di studi successivi ha applicato questo metodo di indagine a diversi casi, giungendo a delineare un profilo delle strategie di organizzazione dei contesti domestici in Mesopotamia settentrionale durante l’Età del Bronzo Antico. Si veda in maggiore dettaglio Pfälzner 1996, Pfälzner 1994 e quindi Pfälzner 2001. Uno studio analogo, seppure differente nel metodo e basato sulla combinazione dei dati archeologici ed i documenti cuneiformi, è stato condotto da E.C. Stone per gli abitati di epoca paleobabilonese a Nippur (Stone 1987).
III. I MULINI ceramica al late ED III/early Akkadian (Pfälzner 1996: 118). La House I nella sua fase originaria (Phase 10) si articola intorno ad una corte a pianta irregolarmente rettangolare, sulla quale si aprono 5 vani (TAV. 34: 1-2); i vani settentrionali N ed O costituiscono un unico ambiente che è interpretabile come l’ambiente centrale dell’edificio (e così indicato come nuclear room); sul fianco orientale della corte si apre invece un piccolo vano allungato, la room BI, suddiviso da due piccoli avancorpi che distinguono due ambienti di dimensioni analoghe, uno esterno sulla corte, l’altro interno caratterizzato dalla presenza di un grinding table (TAV. 34: 3). La banchina è disposta longitudinalmente in corrispondenza del muro di fondo in modo da lasciare uno spazio sufficiente per l’operatore che poteva così collocarsi fra la banchina e la parete. Si tratta di una banchina in argilla coperta completamente sull’esterno da uno strato di rivestimento in calce o gesso. Sul piano della banchina, leggermente inclinato verso l’interno del vano, si trova l’alloggiamento per due macine giacenti per mulino a macina semplice, separate da solcature che hanno l’aspetto di channels e si trovano ai due lati delle macine giacenti (TAV. 34: 3). Le solcature che dunque sono tre in totale sul piano della banchina, servono evidentemente per separare le due installazioni dei due mulini a macina semplice ed insieme per facilitare il recupero della farina prodotta che doveva plausibilmente essere raccolta in contenitori, o più probabilmente sacchi, posti alla base della banchina stessa71. La presenza di due mulini sulla stessa banchina indica ancora una volta la possibilità che venissero utilizzati in serie per la produzione di farine differenti, come del resto sembra suggerire anche la netta ed evidente separazione fra i mulini sul piano della banchina, che si potrebbe mettere in relazione, come già si è fatto a proposito di alcuni casi da Tell Mardikh, con la necessità di non mescolare i diversi prodotti72. Questa organizzazione degli spazi all’interno della House I nella Phase 10 viene interpretata da P. Pfälzner come prova della presenza di un’unica unità domestica, destinata ad un unico nucleo familiare73; vi si riconosce 71
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infatti una singola nuclear room ed una singola grinding room. L’organizzazione generale degli spazi interni subisce alcune evidenti modifiche nelle fasi successive, fino a stabilizzarsi in un impianto sensibilmente differente nell’ultima fase (Phase 8)74. In questa fase la corte centrale diviene un ambiente plurifunzionale, ospitando un tannur ed alcuni piccoli piani di lavoro. Il vano settentrionale N è a questo punto distinto dall’adiacente vano O, seppure i due rimangono in comunicazione diretta attraverso un varco centrale. Dei due il vano N diviene l’ambiente centrale (nuclear room), caratterizzato dalla presenza di basse banchine su tre lati, utilizzate anche per deporre alcune olle ed altri contenitori per lo stoccaggio delle derrate, e da un focolare centrale. Il vano BI, ovvero la grinding room, viene a questo punto chiuso in modo da impedire l’accesso diretto dalla corte, ed il mulino a macina semplice viene smantellato, per destinare il piccolo vano a magazzino. Al tempo stesso all’interno del vano O sul fianco opposto viene delimitato un piccolo ambiente che in corrispondenza della parete settentrionale può essere nuovamente identificato come storage room, che non presenta alcun accesso diretto dal vano O. Una nuova installazione per due mulini a macina semplice viene collocata all’interno del vano O. Si tratta di una banchina con caratteri analoghi a quelli descritti per la prima fase della House I, disposta in questo caso perpendicolarmente alla parete meridionale del vano, in modo da permettere all’operatore di collocarsi fra la parete e la banchina stessa. L’aspetto più interessante non è tuttavia rappresentato dalla disposizione dei nuovi mulini a macina semplice all’interno del vano O, ma piuttosto dalla nuova destinazione assegnata al settore orientale della House I. In questa fase infatti il vano S ed il vano Y vengono a formare un unità omogenea. Nel primo ambiente in particolare viene installato un focolare circolare, il secondo viene invece destinato a magazzino. Nell’ambito di questa ridestinazione degli spazi trova posto una nuova installazione per mulino a macina semplice (TAV. 34: 1). Questa si trova appunto all’interno del vano S, in prossimità del focolare, dove sono state trovate due macine attiva e giacenti pertinenti allo stesso mulino a macina semplice; non si tratta di un’installazione su banchina come nell’adiacente vano O,
Una funzione si deve riconoscere anche al rivestimento in calce della banchina che probabilmente garantiva ulteriormente dalla dispersione del macinato, facilitando con una superficie più liscia il recupero della farina prodotta. P. Pfälzner riporta un caso di confronto con le cosiddette grinding tables utilizzate in tempi recenti nell’area di Kesana in Burkina Faso, dove two or more grinding stones on every table are used for different food to be ground (Pfälzner 1996: 118; 119, Fig. 2). L’ampiezza e i componenti del nucleo familiare sono naturalmente elementi ricostruibili soltanto per via ipotetica, seppure esistono studi che propongono modelli per ricostruire l’entità del nucleo familiare su base antropologica (Narrol 1962; LeBlanc 1971; Laslett 1972) o diversamente sulla base della comparazione etnografica. Tali studi sono in parte applicati da P. Pfälzner al caso di Tell Bderi. Uno studio etnografico generale realizzato sugli abitanti delle comunità di villaggio in Iran, residenti in
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abitazioni in mattoni crudi, ha potuto concludere che l’area riservata ad ogni individuo all’interno dell’unità abitativa è compresa fra i 7 ed i 10 metriquadrati (Kramer 1982). Se applicata per via di ipotesi alla House I di Tell Bderi una stima del genere indicherebbe che nell’edificio potevano abitare fino ad un massimo di 5 individui. Si veda in maggiore dettaglio l’analisi condotta da P. Pfälzner (Pfälzner 1996: 120). La disposizione relativa all’ultima fase di occupazione della House I è ricostruibile nel dettaglio grazie allo stato di particolare conservazione degli ambienti interni, sigillati dal crollo della copertura dell’edificio avvenuto per cause fortuite evidentemente in modo improvviso (Pfälzner 1996: 118).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico ma della postazione di un mulino a macina semplice sistemato sul pavimento, usato secondo l’interpretazione dello stesso scavatore come a mobile hand mill (Pfälzner 1996: 120). Queste modifiche strutturali che interessano l’organizzazione degli spazi interni dell’edificio sono da interpretare come segnali di una modifica della struttura familiare del nucleo che vi abita ed, in particolare la creazione di due sub-units nelle quali le attività sono duplicate (con la presenza di due nuclear rooms e la duplicazione delle attività di cottura, di preparazione dei cibi, di immagazzinamento) indica la presenza nella House I di due gruppi familiari. Probabilmente il secondo è costituito da un individuo appartenente al nucleo originario, adesso con una sua famiglia autonoma. Dal nostro punto di vista è inoltre molto interessante la possibilità di verificare all’interno dello stesso contesto domestico di due differenti tipologie di installazioni per mulino a macina semplice: la postazione doppia su banchina del vano O e la postazione mobile e singola del vano S. Questo caso naturalmente offre un punto di vista privilegiato per poter stabilire il carattere dinamico di queste installazioni, che potevano prestarsi ad adattamenti differenti sulla base della sola migliore funzionalità. Altre due postazioni per mulini a macina semplice sono documentate a Tell Bderi all’interno della House III (TAV. 35). Si tratta di due banchine, o grinding tables, in argilla con caratteristiche analoghe a quelle delle installazioni doppie della House I, sopra descritte. Si trovano entrambe in corrispondenza della parete di fondo, opposta al varco di accesso, nei due vani AC ed AH, rispettivamente nell’area meridionale e settentrionale dell’edificio. Dall’analisi complessiva degli spazi interni di questo edificio è potuto concludere che si tratti di un’unità domestica destinata ad un singolo nucleo familiare (Pfälzner 1996: 123). In questa direzione sembrano condurre infatti sia la presenza di un unico vano centrale, o nuclear room, che la disposizione degli ambienti che non prevede alcuna distinzione architettonica in due unità (TAV. 35). La presenza di due installazioni per mulini a macina semplice distinte all’interno dello stesso edificio non troverebbe dunque una effettiva motivazione e può interpretata soltanto sulla base della struttura familiare. In questo senso P. Pfälzner sostiene che the two grinding rooms could have belonged to two coresiding wives. Thus House III could have been the residence of a polygamous family (Pfälzner 1996: 123). Risultano particolarmente interessanti anche le installazioni per mulini a macina semplice documentate dallo scavo dei livelli del Bronzo Antico di Tell Brak. Si tratta anche in questo caso di banchine in mattoni crudi collocate all’interno di piccoli ambienti domestici, non addossate ad una parete ma libere su tutti i lati. Viene disposta sulle banchine una singola macina inferiore per mulino a macina semplice in pietra basaltica, ad una altezza tale che potesse essere utilizzata in ginocchio in corrispondenza di un lato breve della banchina. L’aspetto più interessante non sta tanto nella tipologia di queste installazioni, altrimenti nota in numerose varianti anche in periodi precedenti, ma piuttosto nella
distribuzione cronologica di queste installazioni all’interno della sequenza. Installazioni del genere sono documentate infatti esclusivamente a partire dal periodo accadico e poi per tutto il periodo post-accadico Ur III, corrispondenti alle Fasi M ed N. Nel periodo precedente, corrispondente alla Fase L, e dunque fino all’ED III, le uniche installazioni per la macinazione sono i cosiddetti grinding pits, destinate ai mulini a mortaio75. Un esempio di banchina in mattoni crudi per l’installazione di un mulino a macina semplice è documentato all’interno di una delle abitazioni del periodo accadico dell’Area ER (Oates 2001: 33: Fig. 33) (TAV. 36-37). In questo caso in particolare accanto al mulino a macina semplice si trova una seconda banchina sulla quale si trova un pottery tray la cui funzione si deve supporre legata all’utilizzo del mulino. Altre installazioni si trovano nei vani adiacenti (un tannur, alcune olle per lo stoccaggio incassate o collocate sul pavimento). In generale dunque si deve concludere che i mulini a macina semplice, pur documentati nei livelli del III Millennio a Tell Brak, venissero impiegati con installazioni mobili o direttamente sul pavimento del vano e che soltanto in seguito, con la crescita della diffusione di questo mulino si sia sentita l’esigenza di migliorarne la funzionalità attraverso l’impiego dei mudbrick supports. La condizione non muta sostanzialmente nel periodo del Bronzo Medio e Tardo, e nel senso della continuità di queste installazioni si collocano con chiara evidenza gli esempi che provengono da Ebla. La presenza di installazioni per mulini a macina semplice ad Ebla è ben documentata nel Bronzo Medio durante le fasi di Mardikh III A-B, sia all’interno dei maggiori edifici pubblici di Età Paleosiriana che nei contemporanei quartieri di abitazione (il quartiere delle case private dell’Area B ed, in misura meno rappresentativa, i nuclei delle Aree A, E, G, N e P disposti sull’Acropoli e in maggioranza a ridosso delle mura di cinta)76. Fra i grandi complessi pubblici di epoca Paleosiriana, l’area del Palazzo Settentrionale costruito nella Città Bassa immediatamente a Nord del Tempio P2, e da cui proviene un lotto consistente di manufatti in pietra destinati all’attività molitoria, ha tuttavia restituito scarse evidenze di installazioni fisse per la macinazione (TAV. 38)77. La provenienza di questi materiali si concentra in due ali del Palazzo: l’ala sud-orientale e l’ala 75
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A questo proposito si veda in maggiore dettaglio il sezione di questo studio dedicata ai mulini a mortaio. Si veda oltre. Si veda in maggior dettaglio a proposito dell’organizzazione di questi edifici privati BaffiGuardata 1988: 130-134 e Baffi-Guardata 1991. Si deve in ogni caso considerare che questo edificio è stato oggetto di ripetuti saccheggi ed una sistematica espoliazione che ha preso avvio già dalla Età del Ferro, al momento in cui quest’area viene utilizzata come cava per recuperare materiali da impiegare nella costruzione degli edifici sull’Acropoli, ed è poi continuata fino ad epoca moderna (Matthiae 1989: 171).
III. I MULINI settentrionale78. In quest’ultima in particolare si è potuto recuperare un piccolo ambiente, interpretato come laboratorio destinato alla macinazione. Si tratta del vano L.4015 all’interno del quale si trovavano alcune macine in basalto, rinvenute tuttavia all’interno del vano capovolte nel livello di riempimento, e dunque non riconducibili ad alcuna postazione fissa79. Più ricca risulta la documentazione che proviene dall’area del Palazzo Occidentale (TAV. 39). Questo edificio, che, per estensione ed organicità, rappresenta il maggiore complesso fino ad ora rinvenuto ad Ebla ed insieme l’apice dell’architettura di epoca Paleosiriana, sorge nella Città Bassa ad occidente dell’Acropoli al di sopra di un naturale rilievo costituito da una costa di roccia calcarea80. Anche questo edificio è stato oggetto di successivi interventi strutturali, che ne hanno modificato in parte l’impianto; sui livelli del riempimento relativi all’abbandono seguito al crollo delle strutture alla fine del Bronzo Medio II si rilevano poi, fino ad epoca romana e bizantina, una serie di interventi, in alcuni casi anche profondi, che hanno infine condotto alla distruzione di alcuni settori del complesso originario sottostante. Nonostante l’intervento di questi elementi e la conseguente difficoltà di ricostruire la funzione originaria dei diversi ambienti ed in definitiva il carattere specifico di questo complesso al momento della sua costruzione, è stato possibile, attraverso l’analisi puntuale delle evidenze e dei materiali, avanzare una serie di ipotesi ricostruttive che negli ultimi anni hanno portato ad identificare questo edificio come un ampio complesso plurifunzionale, in cui dovevano coesistere settori con differente destinazione: un settore di rappresentanza (costituito dal blocco centrale con la Sala delle udienze), alcuni settori destinati all’amministrazione (immediatamente a Nord del settore di rappresentanza), un settore di residenza (al piano superiore accessibile da numerose scale, e destinato ad ospitare anche il principe ereditario del sovrano di Ebla81) ed infine alcuni settori destinati evidentemente alla produzione e conservazione degli alimenti (collocati nelle aree a Est e Nord del complesso).
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In questi settori si possono riconoscere alcuni ambienti occupati da installazioni per la macinazione82. Da un’analisi complessiva dei settori impiegati nella trasformazione e conservazione dei beni alimentari risulta chiaro che le attività di macinazione venivano svolte in due aree distinte, nelle quali si svolgevano con due differenti modalità. La prima è rappresentata dall’area a Nord del grande ambiente L.3200. Si tratta di un blocco unico costituita da sei vani disposti in serie con un unico sistema di accesso ed un percorso fisso di comunicazione interna. Il vano più orientale di questa unità è il noto L.3135, altrimenti detto sala delle macine (Matthiae 1989: Fig. 88) (TAV. 40). All’interno di questo ambiente si trova un grande bancone con pianta ad L collocato a poca distanza dalle pareti, e disposto lungo il muro sul lato lungo opposto all’ingresso sul lato breve meridionale adiacente al varco di accesso (TAV. 40-41). Il bancone è realizzato con una serie di blocchi pietra giustapposti, di altezza analoga a quella delle banchine in mattoni crudi descritte altrove, e rivestiti di argilla. Sul piano del bancone si trovavano ancora in posto 16 macine giacenti di mulini a macina semplice in basalto e la maggioranza delle relative macine superiori. Le macine giacenti non erano semplicemente appoggiate sul piano del bancone, ma erano fissate utilizzando un certo numero di frammenti e piccole pietre impiegate come zeppe per assicurare la stabilità della macina di base del mulino. In alcuni casi il rivestimento in argilla copriva i lati delle macine giacenti, riproducendo un’immagine simile a quella delle note banchine in mattoni crudi, nelle quali le macine giacenti, come abbiamo visto, sono incastrate nel piano. Per quanto riguarda la tipologia, si può supporre verisimilmente si tratti in maggioranza di macine giacenti a pianta rettangolare ad angoli arrotondati con faccia principale, ovvero superficie operativa a doppia concavità o a profilo concavo-retto; le macine superiori relative sono generalmente a pianta ellissoidale allungata con faccia principale a profilo convesso-convesso o convesso-retto, e faccia secondaria (è questo un carattere molto comune e particolare) comunemente a sezione triangolare. Gli operatori addetti alla macinazione si disponevano in ginocchio nello spazio lasciato libero appositamente fra il bancone e la parete e mettevano in funziona il mulino che si trovava leggermente inclinato sul piano del bancone in modo da risultare in pendenza verso il centro del vano (TAV. 41: 1-2). Alla base del bancone si trovavano, come già altrove documentato ad Ebla, i sacchi in cui era raccolta la farina che via via veniva prodotta e più al centro nel pavimento in calce del vano era incassata un’olla di rilevanti dimensioni a larga imboccatura, che doveva verisimilmente essere destinata a raccogliere i resti non raccolti nei sacchi e dispersi sul pavimento (TAV. 41: 3).
A proposito della ricostruzione planimetrica e l’interpretazione funzionale degli ambienti del Palazzo Settentrionale si veda in dettaglio Matthiae 1987: 154-161; Matthiae 1990a: 405-410. Una interpretazione del genere rimane in dubbio seppure non si può escludere che il vano potesse ospitare una o più installazioni, adesso non conservate. si veda a questo proposito Merluzzi 2000a: 95. Per un’analisi dettagliata della sequenza dell’occupazione e della disposizione planimetrica dell’edificio si veda in particolare Matthiae 1980, Matthiae 1982, Matthiae 1989: 162-170. Si veda a questo proposito Matthiae 1984: tav. 87. In merito ad alcune cretule e ad un documento cuneiforme che permettono un’interpretazione del genere.
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Per l’analisi funzionale degli ambienti di servizio di questo complesso ed il loro contesto in rapporto alla tipologia della produzione elle strategie di immagazzinamento e conservazione si veda in dettaglio Dolce 1988: 42-44; Dolce 1990; Dolce 1991: 330-332.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Se dunque l’installazione ed il funzionamento dei mulini a macina semplice della sala delle macine L.3135 risulta ricostruibile in modo certo, rimane meno chiara la destinazione degli altri adiacenti vani del blocco, per i quali sembra di poter escludere fossero impiegati per la macinazione. Potrebbe trattarsi in questo caso di ambienti impiegati come magazzini, seppure il carattere delle installazioni, la scarsità della ceramica e l’analisi dei campioni paleobotanici non consentano di arrivare a conclusioni certe in merito alla tipologia e sistemazione dei prodotti stoccati in questi ambienti83. Altre e differenti installazioni per mulini a macina semplice si trovano in un’altra area questa volta a SudOvest di L.3200. In questo caso non si tratta di un ambiente unico equipaggiato ed organizzato con installazioni per mulini a macina semplice, ma di una serie di ambienti di dimensioni più piccole nei quali si trovano mulini a macina semplice ed altri mulini insieme ad installazioni di differente natura destinate all’immagazzinamento di beni diversi. Un caso emblematico è rappresentato dal vano L.3111, al cui interno si trova un piccolo ambiente ricavato nella parte meridionale attraverso un muretto di tramezzo in mattoni crudi. Sul pavimento di questo piccolo ambiente si trovano un mulino a mortaio incassato nel suolo ed un mulino a macina semplice entrambi disposti accanto ad un piccolo piano di lavoro. Il mulino a macina semplice non è completo tuttavia e la sola macina giacente superstite si trova sul pavimento e non su una banchina in mattoni crudi, come ci si potrebbe attendere. Non si può escludere che si tratti di una macina collocata temporaneamente e non dunque utilizzata nel piccolo vano, come abbiamo già altrove notato ad Ebla. E. Merluzzi tuttavia sostiene che sulla base della documentazione di scavo si può stabilire che la macina si trovava infissa nel terreno (Merluzzi 2000a: 99). Sembra perciò che si tratti di un mulino a macina semplice non disposto su banchina. Oltre ai due mulini all’interno del vano L.3111 si trovano numerose olle per la conservazione, incassate nel piano in prossimità dei due varchi di ingresso e in corrispondenza del muretto di tramezzo, altri recipienti in basalto provengono dal livello di riempimento e potrebbero provenire da ambienti al piano superiore o essere stati conservati nello stesso vano. Al centro del vano si trova infine una olla incassata al di sotto del pavimento, secondo una modalità che abbiamo già riscontrato nei vani del blocco settentrionale della sala delle macine. Dal complesso di questi dati si può dunque concludere che all’interno di questo ambiente (ed in misura del tutto analoga nei piccoli vani adiacenti) dovevano svolgersi più
attività diverse e fra queste la macinazione, che tuttavia poteva garantire una produzione al tempo stesso diversificata (come denuncia la presenza di mulini diversi) ma non elevata (come si deduce dalla presenza di un numero ridotto di installazioni). È quindi possibile che nelle due aree del Palazzo Occidentale che abbiamo qui distinto le attività di macinazione si svolgessero secondo differenti modalità, come si è accennato all’inizio. Fra i vani del blocco settentrionale la sala delle macine in particolare era organizzata per la produzione di grandi quantità da destinare, come è stato proposto, alle razioni giornaliere (Merluzzi 2000a: 100) per il personale dipendente del palazzo, i vani adiacenti erano allo stesso modo destinati alla produzione e all’immagazzinamento, mentre l’area dei piccoli ambienti e fra questi l’L.3111, erano più probabilmente organizzati per una produzione ridotta destinata al consumo interno. In questi vani si può rilevare una produzione più diversificata ma di portata inferiore riservata, come è stato proposto, ai funzionari dipendenti interni (coloro che gestivano la produzione e l’immagazzinamento per i dipendenti esterni) che risiedevano e dunque preparavano e consumavano i loro pasti in questa ala del palazzo; o in alternativa destinata alla produzione del cibo che veniva consumato poi nell’ala residenziale, al piano superiore del palazzo84. Altri documenti utili alla ricostruzione della diffusione e dei sistemi di installazione dei mulini a macina semplice ad Ebla durante la Media Età del Bronzo, provengono da un’altra importante area pubblica di epoca paleosiriana: il Forte Occidentale (TAV. 42: 1). Questo complesso, costruito sulla sommità ed in parte sul fianco del cosiddetto rempart Ovest, è costituito da una serie di edifici giustapposti con diversa funzione che rappresentano nell’insieme un articolato sistema difensivo, in cui si distingue una fortezza (destinata ad ospitare un arsenale e a costituire una struttura d’avvistamento) ed un ampio complesso di carattere palatino85. Le installazioni per mulino a macina semplice ancora conservate all’interno del Forte Occidentale provengono dal complesso della Fortezza V e dai settori meridionali del Forte (TAV. 42: 1). Una postazione per mulino a macina semplice si trovava all’interno del piccolo ambiente L.6516 della Fortezza V; in questo caso si tratta di una installazione di modeste dimensioni collocata a in corrispondenza del muro sudorientale, presso l’ingresso, e costituita da un muretto o piuttosto un cordolo con andamento curvilineo che delimita un’area al cui interno si trova una macina
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È stato proposto che vi fossero conservate bevande o altri liquidi commestibili (Dolce 1994: 303). Più di recente si è posto l’accento sulla presenza, nei due vani L.3238 e L.3152 dello stesso blocco, di giare incassate nel pavimento analoghe a quella della adiacente sala delle macine. Su questa base si potrebbe concludere che negli stessi vani potessero svolgersi attività differenti: lavorazione di prodotti ed immagazzinamento di beni alimentari (Merluzzi 2000a: 99).
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Per un’analisi di maggior dettaglio dei sistemi di immagazzinamento e distribuzione delle razioni alimentari ad Ebla durante l’epoca paleosiriana e, più in particolare dei sistemi gestiti dall’amministrazione del Palazzo Occidentale e del Palazzo Settentrionale, si veda in dettaglio Dolce 1990: 125-127. A proposito della disposizione planimetrica e dell’interpretazione funzionale degli ambienti del Forte Occidentale, si veda in dettaglio Matthiae 1996: 84-86; Matthiae 1997: 10-12.
III. I MULINI giacente, e quattro macine superiori per mulino a macina semplice. La macina giacente si trovava tuttavia con la faccia principale operativa rovesciata sul pavimento mentre le macine superiori stavano appoggiate alla parete, disposte in verticale. Non è perciò possibile ricostruire l’aspetto originario di questa installazione e se debba trattarsi di una postazione fissa per mulino a macina semplice o piuttosto di una sorta di piccolo ripostiglio nel quale potevano essere conservate temporaneamente le macine destinate ad un'altra postazione86. Dall’interno dello stesso vano proviene un lotto di pestelli e recipienti in pietra basaltica, rinvenuto sul pavimento e che doveva costituire lo strumentario di una seconda installazione per la macinazione (dotata in questo caso di un mulino a mortaio). Un mulino a macina semplice è stato rinvenuto in situ anche all’interno del piccolo vano L.6617 del complesso meridionale del Forte. In questo piccolo ambiente, direttamente aperto su L.6315, si trova un singolo mulino a macina semplice del tipo B disposto direttamente sul pavimento lungo la parete settentrionale in corrispondenza del varco di passaggio con il vano L.6634, dal cui riempimento provengono altre tre macine superiori per mulino a macina semplice (TAV. 42: 2). Esempi analoghi di installazioni per mulini a macina semplice sono noti anche dal Santuario B2, nella Città Bassa ad Ovest dell’Acropoli (TAV. 43: 1)87. Un lotto consistente di macine per mulini a macina semplice proviene dai livelli di riempimento all’interno delle celle secondarie in modo particolare. In un caso tuttavia è stato possibile rinvenire una postazione per mulino a macina semplice completamente conservata. Si tratta di un’installazione collocata all’interno del vano L.2137 sulla parete lunga nord-orientale, di fronte al varco di accesso, costituita da una larga banchina in mattoni crudi sulla quale sono collocati due mulini a macina semplice. I due mulini affiancati sulla banchina sono probabilmente di due tipi differenti88 e sono disposti in modo da lasciare sulla banchina uno spazio sufficiente a raccogliere la farina prodotta. In questo caso dunque il prodotto macinato non viene raccolto alla base della banchina e probabilmente in un sacco, come si è potuto ricostruire per la sala delle macine del Palazzo Occidentale, ad esempio, ma sulla banchina stessa (TAV. 43: 2). Sul pavimento dello stesso vano si trova anche la postazione di un mulino a mortaio. Entrambe le postazioni, seppure con differenti finalità dovevano servire ad una ridotta produzione, destinata con ogni probabilità alla confezione di offerte alimentari per il
tempio. Forse in questo aspetto si deve cercare anche la spiegazione del sistema particolare di un mulino a macina semplice in cui il prodotto non viene raccolto a terra, ma sulla banchina evitando proprio ogni eventuale dispersione e ulteriore passaggio89. Una macina giacente insieme ad alcune macine frammentarie per mulino a macina semplice si trova anche nel livello di distruzione della cella L.2113, ed è stata recuperata nell’area della pedana con le tavole sacrificali, nell’angolo Sud della cella. In questo caso si tratterà tuttavia di collocazioni secondarie e non legate all’installazione di postazioni per mulini a macina semplice. Le installazioni per mulini a macina semplice sono documentate, come si è accennato all’inizio, anche in contesti domestici, all’interno di abitazioni dei quartieri residenziali dislocati in diverse aree della città Paleosiriana90. Risulta particolarmente interessante in questo senso il quartiere dell’Area B, costruito ad Est del Santuario B2 sopra descritto (TAV. 44: 1). Alcune installazioni per mulino a macina semplice qui si trovano all’interno dell’abitazione B6. Nella corte L.1145 di questo edificio, infatti, si trovano due postazioni distinte destinate ad ospitare due mulini a macina semplice. La prima postazione è collocata nei pressi di un piano di lavoro in pietra, nell’angolo meridionale del vano, ed è costituita da una macina giacente, conservatasi in posto, collocata sul pavimento della corte (TAV. 44: 2-3). La seconda è invece collocata lungo il muro meridionale ed è costituita da un mulino a macina semplice singolo sistemato al di sopra di una banchina in mattoni crudi. Tra le due postazioni si trova una sorta di grosso mortaio, la cui postazione non è ben chiarita, ma che potrebbe costituire la terza installazione per la macinazione dell’abitazione91. In questo caso dunque all’interno della stessa abitazione e dunque per la produzione di base richiesta dal singolo nucleo familiare, si trovano mulini a macina semplice differenti, ai quali viene riservata una diversa installazione. Esempi di installazioni relative a mulini a macina semplice, rinvenuti in posto provengono anche dallo scavo dei livelli del Bronzo Medio di Hama. Un mulino a macina semplice rinvenuto in situ è noto dallo scavo del livello del periodo H messo in luce nei settori meridionali N14-15 (Fugmann 1958: 107, Fig. 131a). Il complesso delle strutture che si sono potute recuperare è assai modesto e mal conservato nell’insieme, al punto che non è possibile ricostruire con certezza l’impianto dell’abitato.
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Diversamente si può ritenere che il cordolo fosse utile a contenere il materiale macinato ed evitarne la dispersione nel vano (Merluzzi 2000a: 104), nel tal caso, e considerando l’assenza di banchine o altri supporti, si dovrebbe ritenere che il mulino fosse collocato sul pavimento. Per l’identificazione del Santuario e la sua interpretazione si veda in dettaglio soprattutto Matthiae 1984 e Matthiae 1990b. Si potrebbe ritenere del tipo B e del tipo A, sulla base delle foto pubblicate (ad esempio in Matthiae 1990: 360, Pl. 117 a).
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In merito al culto all’interno del Santuario ed in genere ad Ebla in epoca Paleosiriana, si veda tuttavia in dettaglio Baffi Guardata 1991. Per la disposizione e l’analisi dei quartieri residenziali di epoca Paleosiriana si veda Baffi Guardata 1988 e in dettaglio Matthiae 1997: 126-129. Le attività di preparazione dei cibi dunque si svolgevano in questo caso all’aparto entro la corte, la cottura avveniva in uno di piccoli vani adiacenti, una piccola cucina, all’interno del quale è stato ritrovato un focolare ed un bancone per la cottura con tracce di bruciato (Baffi Guardata 1988: 142-143).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico In corrispondenza della prossimità orientale, in un’area che verisimilmente doveva essere un’area all’aperto esterna ad un piccolo vano a pianta rettangolare, si trova una banchina (?) al di sopra della quale è disposto un mulino a macina semplice completo costituito da una macina giacente con faccia principale a doppia concavità e a pianta irregolarmente rettangolare (tipo macina semplice V.C. 3), che è stata rinvenuta insieme alla relativa macina superiore a profilo convesso-convesso e a pianta ellissoide allungata (tipo macina semplice I.A. 2) (Fugmann 1958: 108: Fig. 132). Si tratta quindi senza dubbio, per quanto non sia dato ricostruire la relazione con le strutture circostanti, di una postazione destinata ad ospitare un singolo mulino a macina semplice A. Un caso interessante proviene, ed anche in questo caso è in parte differente rispetto a quelli sin qui descritti, dallo scavo di Korucutepe. Da Korucutepe proviene infatti un esempio interessante di postazione multipla per mulino a macina semplice in situ. Sul pavimento del northeast postern gate, in corrispondenza del muro I, attribuito alla Fase H e datato dunque al Bronzo Medio II, è stato infatti messo in luce la postazione di un mulino a macina semplice (van Loon 1980: 137) (TAV. 45: 2). Si tratta del mulino costituito dalla macina attiva superiore 68-567A, del nostro tipo semplice I.A.2, rinvenuta in situ al di sopra della relativa giacente 68567B, del corrispondente tipo V.C.3. Si tratta pertanto senz’altro di un mulino a macina semplice del tipo A. La postazione era dotata almeno di un altro mulino, come si può dedurre dalla presenza della macina superiore attiva 68-568, rinvenuta nei pressi del mulino sopra descritto, sempre sul pavimento del northeast postern gate. Si può verisimilmente supporre che si tratti di quanto resta di un mulino a macina semplice di un tipo B o C, impiegato in serie e correlato al vicino mulino a macina semplice A. Un’ipotesi del genere non può tuttavia essere confermata92. I mulini a macina semplice di Korucutepe anche nei casi nei quali è possibile ricostruire una postazione doppia con due mulini in serie secondo un uso comune, sono tuttavia installati direttamente sul pavimento. L’installazione di mulini a macina semplice su banchine in mattoni crudi non scompare tuttavia durante il Bronzo Medio e Tardo ed alcuni esempi sono ben documentati. Dallo scavo di Tell Faqous, presso Meskené, è documentata ad esempio una installazione per mulino a macina semplice con caratteri comuni alla norma sin qui descritta. Si tratta in questo caso della postazione di un singolo mulino a macina semplice disposto su una banchina in mattoni crudi (TAV. 45: 1). La superficie superiore della banchina è inclinata verso il centro del vano, in modo da facilitare la macinazione ed in seguito la raccolta del prodotto macinato, sul pavimento alla base della banchina stessa, secondo un modello già noto almeno dall’Età del 92
Bronzo Antico, almeno ad Ebla, ad Hama e a Tell Bderi, e con caratteri analoghi, come sappiamo, da epoca protostorica. Nell’area del Habur, un contesto particolarmente interessante è offerto dal complesso palatino di epoca mitannica, messo in luce nell’Area HH di Tell Brak. Dagli ultimi livelli di occupazione del palazzo, ossia dai livelli 2 e 3 precedenti alla distruzione avvenuta ad opera di Salmanassar I al principio del XIII secolo a.C., proviene un lotto di 9 macine per mulini a macina semplice complete ed un numero di frammenti riconducibili ad almeno altri 20 esempi. Particolarmente interessante è la distribuzione delle macine per mulino a macina semplice all’interno del palazzo (TAV. 46). Risulta subito evidente infatti che la Workroom 7, disposta sul fianco orientale del complesso, costituisce un vano fortemente indirizzato alle attività di macinazione (Oates et alii 1997: 4: Fig. 12). Da questo solo ambiente, in realtà di dimensioni piuttosto modeste93, provengono infatti 3 esempi completi e tutti i frammenti di macine per mulini a macina semplice rinvenuti all’interno del palazzo. Altri 6 esempi completi provengono dall’adiacente Storeroom 5 e dal Corridor 6, dove tuttavia è possibile siano stati trasportati soltanto in un secondo momento, probabilmente durante il sacco e la distruzione dell’edificio (McDonald 1997: 110-111). Questa concentrazione di macine per mulini a macina semplice, insieme alla presenza all’interno del Workroom 7 di altri manufatti in pietra tutti riconducibili ad attività molitorie o connesse all’impiego di mulini in pietra, fra questi elementi di diversi mulini a mortaio e a macinello e pesi, suggeriscono la possibilità che si tratti di un ambiente fortemente specializzato (TAV. 46: 1). Si può in questo caso individuare nel Workroom 7 il principale laboratorio per la macinazione del palazzo di Brak, che per questo doveva ospitare un numero di istallazioni differenti, utile a soddisfare le esigenze del palazzo stesso. Nello specifico doveva trattarsi di almeno 10 mulini a macina semplice mobili, non disposti su istallazioni specifiche, oltre ad un mulino a mortaio e probabilmente ad un mulino a macinello (Oates et alii 1997: 4: Fig. 12). Il prodotto di questa attività di macinazione complessa veniva quindi controllato all’interno dello stesso ambiente, come indicato dalla presenza di alcuni pesi (McDonald 1997: 110). Casi analoghi sono ben diffusi anche durante l’Età del Ferro dalla transizione fra il Bronzo Tardo e l’Età del Ferro Antico fino all’Età del Ferro II e III ed in particolare fino ai secoli centrali del I Millennio a.C, corrispondenti all’epoca assira imperiale e poi post-assira, neobabilonese ed achemenide. Esempi interessanti di mulini a macina semplice rinvenuti in situ sono noti dallo scavo dei livelli di transizione fra Bronzo Tardo e prima Età del Ferro di Tille Höyük, nell’area della diga di Karababa (o di Atatürk) sull’alto corso dell’Eufrate. 10 macine riferibili a questo tipo di mulino sono state rinvenute in situ, in maggioranza sul pavimento del
La macina 68-568 non è infatti documentata da alcun disegno o foto che permetta di riconoscere di quale tipo si tratti.
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Un vano a pianta rettangolare piuttosto allungata, la cui lunghezza è tuttavia inferiore ai 5 m.
III. I MULINI centrali del I Millennio a.C. e si accompagna alla diffusione di strutture di supporto analoghe, in genere banchine in mattoni crudi variamente disposte e caratterizzate, come da lunga tradizione, impiegate per i nuovi modelli di mulino assiro a scanalatura94. Un esempio particolarmente interessante proviene da Tell Barri ed è stato messo in luce dallo scavo dei livelli del Ferro II dell’insediamento del periodo neoassiro imperiale dell’Area G (Pecorella 1999b: 60-84). Si tratta in questo caso di un’installazione per mulino a macina semplice del tipo A costituito da una macina giacente in pietra basaltica (E.2520) con faccia superiore operativa a doppia concavità disposta direttamente sul pavimento in argilla battuta del vano 705 dello strato 24. Il mulino in questo caso si trova sul fondo dell’ambiente centrale del grande edificio I, in corrispondenza dell’angolo Sud-Est ed in prossimità dunque del varco di accesso che mette questo ambiente in comunicazione con il vano perpendicolare 785, attrezzato con due banchine disposte a T (Pecorella 1999b: 67). E’ possibile quindi che la collocazione del mulino in questo punto fosse motivata dalla migliore accessibilità del vano 785, all’interno del quale potevano svolgersi anche attività connesse con la lavorazione dei cibi (la cottura poteva avvenire direttamente nal vano principale 705 al cui interno si trovano due tannur, il 661 ed il 702). Per quanto riguarda l’installazione di mulini a macina semplice si può fare infine riferimento ad un caso proveniente da Tell Barri e messo in luce dallo scavo dei livelli dell’Area J sul fianco occidentale del monticolo, relativi all’insediamento del primo periodo achemenide. La prossimità settentrionale di quest’area viene in questo momento occupata da un edificio, la cui costruzione è l’ultimo risultato di una serie di opere di ripianificazione edilizia dell’area originariamente occupata dal palazzo del sovrano neoassiro Tukulti-Ninurta II. Si tratta di un edificio particolarmente ben conservato del quale è stato possibile ricostruire per intero la planimetria, la disposizione e la funzione degli ambienti interni. L’edificio occupa un’area complessiva di almeno 5,50x9,00 m, è disposto secondo l’asse Nord-Ovest-SudEst (ed è dunque orientato come le strutture del sottostante palazzo neoassiro) (TAV. 49: 1-2). L’accesso al vano principale (vano 393) avviene da NordOvest attraverso il varco 394. Il pavimento del varco è costituito da un battuto ben compatto di argilla battuta e calce che si appoggia alle emergenze di alcune pietre piatte sottostanti, utilizzate così come pietre di soglia. A fianco delle pietre di soglia si conserva un mattone cotto con coppella, impiegato come ralla. Dal varco si procede in una sorta di disimpegno (vano 393), da cui si accede a Nord ad un piccolo ambiente (398) occupato da un tannur (396). A Sud-Est si procede ad un piano leggermente inferiore, attraverso un gradino, ad un secondo ambiente (vano 400), nel quale erano conservati contenitori ceramici per derrate (si conservano i resti almeno due dolii sul pavimento) (TAV. 50: 1).
cosiddetto Burnt Level¸ma anche sui suoli dei precedenti livelli 3 e 6. Risultano in particolare interessanti due casi di mulini a macina semplice completi rinvenuti in giacitura originaria, entrambi provenienti dal Burnt Level (TAV. 47: 1-2). Il primo mulino è costituito da una macina superiore in pietra basaltica, che si presenta con faccia principale a profilo retto-retto e a pianta ellissoidale allungata (del nostro tipo III.A. 2), rinvenuta al di sopra di una large flat siltstone slab, che si presenta dunque come la relativa macina inferiore giacente, secondo quanto afferma anche lo stesso Summer, it might have been the dormant stone (Summers 1993: 54; Fig. 23; Fig. 71: 10). Il secondo mulino del Burnt Level proviene dalla sommità del monticolo da uno strato di riempimento stratigraficamente riconducibile al Burnt Level, seppure in parte disturbato. Secondo Summers è possibile fosse originariamente collocato ad un piano sopraelevato (Summers 1993: 54). Questo mulino è, a differenza del precedente, costituito da due macine in pietra basaltica rinvenute insieme, di cui la superiore si presenta con faccia principale convessaretta e a pianta ellissoidale (e dunque affine al nostro tipo II.A. 1) e l’inferiore si presenta a con faccia principale a profilo concavo-retto e a pianta approssimativamente rettangolare (e perciò affine al nostro tipo IV.C. 3) (Summers 1993: 54; Fig. 73). La compatibilità morfologica delle macine superiori con le corrispettive macine giacenti per entrambi i mulini è quindi perfettamente evidente ed il rinvenimento in situ conferma l’associazione funzionale. Si tratta dunque, in conclusione, di due differenti mulini a macina semplice, il primo un mulino a macina semplice C ed il secondo un mulino a macina semplice B, utilizzati, in serie o in alternativa, per differenti scopi. Un caso analogo proviene da un’area assai distante ed è documentato dal sito di Mezad Hashavyahu, non molto noto alla cronaca archeologica ma particolarmente interessante per la breve e ben circoscritta sequenza di occupazione, che permette una datazione certa dei materiali associati. La fortezza di Mezad Hashavyahu, situata sulla costa a sud di Jaffa (Naveh 1962; Fantalkin 2001). All’interno della fortezza si riconoscono almeno 2 postazioni per mulini a macina semplice (TAV. 48: 1-2). Una installazione con un mulino a macina semplice A si doveva trovare negli ambienti settentrionali della Area B, da dove proviene una macina superiore attiva relativa a questo mulino rinvenuta sul pavimento nel locus 21 c; una seconda postazione per un mulino a macina semplice A doveva invece trovarsi in corrispondenza degli ambienti disposti nell’angolo orientale della fortezza, dall’Area C, da dove proviene una macina attiva di un mulino a macina semplice sul pavimento nel locus 31 c (Fantalkin 2001: 105). In entrambi i casi si tratta dunque di installazioni con mulini a macina semplice non disposti su banchine o altri supporti, ma direttamente sul pavimento, probabilmente destinate ad essere spostate per essere utilizzate altrove. La diffusione di installazioni fisse per mulini a macina semplice è tuttavia documentata anche durante i secoli
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Si veda a questo proposito in particolare il caso dell’edificio C sull’Acropoli di Sultantepe, descritto in dettaglio nella sezione qui dedicata al mulino assiro a scanalatura. Si veda oltre.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Un terzo ambiente si trova ancora a Sud-Est (vano 399). In quest’ultimo si trova una banchina in mattoni crudi (banchina 401) addossata al muro interno 397. Sulla banchina 401 sono disposti un mattone cotto, una pietra appiattita di foggia quadrata ed una macina giacente per mulino a macina semplice in basalto (E.5333), con faccia principale, ovvero superficie operativa a doppia concavità. Si tratta dunque in questo caso di una postazione composita che ospitava un mulino a macina semplice del tipo A accanto ad un piccolo piano di lavoro che, adiacente al mulino, poteva essere destinato ad attività differenti, legate alla preparazione dei cibi (TAV. 50: 2). Nel complesso si tratta dunque di un edificio con chiara vocazione domestica (un’unità domestica funzionale si direbbe)95, nella quale è presente una installazione singola per mulino a macina semplice.
Seppure con queste riserve, sembra tuttavia possibile individuare almeno due ambiti principali di riutilizzazione delle macine per mulino a macina semplice. Il primo ambito è quello dell’edilizia in senso lato, macine intere o frammentarie sono reimpiegate come materiale di costruzione con diverse finalità, come si chiarirà qui di seguito; il secondo tipo di riutilizzazione è quella per così dire strumentale, ovvero la riduzione di una macina intera o frammentaria che sia ad un diverso strumento, non più necessariamente destinato alla macinazione. Nel primo caso il riutilizzo di macine per mulini a macina semplice quale materiale di costruzione, prevede in genere il loro impiego come elementi per piani pavimentali esterni. A questo scopo sono naturalmente particolarmente indicate le macine inferiori giacenti, anche se frammentarie, che presentino però superficie operativa rettilinea, dal momento che questi tipi possono garantire in questo senso di poter rapidamente pavimentare anche aree di dimensioni rilevanti, mantenendo con facilità il piano. Strutture del genere sono ovviamente molto comuni e sono documentate ad esempio nei livelli di transizione fra il Tardo Bronzo e la prima Età dl Ferro dell’abitato di Tille Höyük. In questo caso a tale funzione specifica, definita paving re-use (Summers 1994: 54), si mette in relazione anche l’impiego per selciati di camminamenti o percorsi di strada. Per questo ultimo scopo si ricorre più frequentemente a macine superiori di mulini a macina semplice o a frammenti di modeste dimensioni di macine giacenti, con lo scopo probabilmente di ridurre la superficie esposta e dunque la possibilità di fratture al passaggio ripetuto di mezzi e persone (Summers 1994: 54). Un caso analogo è documentato più tardi a Tell Ahmar, dallo scavo dell’edificio C1 nella città bassa, che sulla base dei materiali associati è stato possibile datare fra la fine del VII a.C. e la metà del secolo successivo e dove è stato messo in luce un pavimento per la cui costruzione si sono utilizzati macine in basalto frammentarie, probabilmente in origine macine giacenti piane per mulini a macina semplice (Trokay 2000: 1665). L’impiego di macine per mulini a macina semplice come materiale da costruzione è tuttavia già noto dal Bronzo Antico anche per strutture analoghe, documentate ad esempio a Tell Halawa (Meyer, Pruß 1994: 205), dove si ha testimonianza del riutilizzo di macine di questo tipo anche per la realizzazione di strutture di sostruzione o soprattutto di drenaggio97. In quest’ultimo caso tuttavia non sempre gli strumenti sono in stato frammentario. In generale a Tell Halawa si verifica il caso di pavimenti afframmentati realizzati con lacerti di pietra di manufatti nei quali si rinvengono strumenti integri. In questo caso si deve pensare, come si è detto, che l’uso prolungato abbia modificato la superficie operativa tanto da renderla inutilizzabile allo scopo primario (Meyer, Pruß 1994: 205).
5.3. I DOCUMENTI ARCHEOLOGICI Riutilizzazione, contesti secondari. Un aspetto molto caratterizzante dello strumentario per la macinazione in genere, ma in misura particolare delle macine per mulino a macina semplice e delle macine per mulino assiro a scanalatura, come vedremo, è la frequenza con cui queste vengono impiegate con funzioni secondarie. Si tratta, e questo si deve intendere per impiego secondario, dei differenti usi con cui le macine vengono impiegate una volta che non le si possa più utilizzare secondo la loro funzione originaria. Questo avviene in genere perché si sono spezzate nell’uso, o ancor prima durante la lavorazione, perché difettose o danneggiate, o infine perchè sono ridotte ad un grado di usura superficiale che le rende ormai non funzionali. A seguito di una di queste cause le macine decadono dalla loro funzione effettiva, seppure può venir loro riconosciuta un’altra nuova utilità, secondaria appunto. In generale infatti la forte resistenza all’usura che caratterizza, come si è visto, nel complesso la materia prima impiegata per questi strumenti determina una vita funzionale prolungata e questo, oltre a contribuire all’effettivo conservatorismo di questa produzione96, indica anche la possibilità di una utilizzazione secondaria. La determinazione di queste funzioni secondarie non è sempre facile soprattutto per la difficoltà di distinguere usi secondari permanenti delle macine, da utilizzazioni invece improprie o sporadiche, queste ultime realizzate plausibilmente anche prima della destituzione dal loro impiego originario. 95
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La disposizione generale vede quindi un’area di passaggio (393) dalla quale si accede a tre ambienti disposti in serie sul fianco settentrionale dell’edificio (vani 398, 399, 400) con differenti funzioni, fra loro correlate. Diversamente dalla ceramica la cui materia plastica può essere indicazione diretta, restituzione immediata dell’insieme di cultura tecnologica ed estetica del gusto. Per questa distinzione sostanziale si veda, anche se da altra prospettiva, Leroi-Gourhan 1971: 37.
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Naturalmente anche come materiale edilizio per la muratura, nel caso di costruzioni murarie che facciano ricorso alla pietra, o per lo zoccolo, o per l’alzato dei muri.
III. I MULINI In 8 casi99 si tratta dell’impiego secondario di strumenti in pietra basaltica, primariamente utilizzati come macine. Su queste macine, in genere frammentarie, viene praticato un foro passante o una piccola coppella ad apertura circolare, collocati al centro sulla faccia principale. Le dimensioni e i caratteri morfologici sono analoghi in tutti gli esempi. In primo luogo le dimensioni di riferimento. Le ralle presentano un’altezza compresa fra gli 8 ed i 15 cm; la cavità di rotazione dell’asse della porta si presenta ad apertura circolare ed in tutti i casi ha diametro minore o al massimo uguale a 10 cm. La superficie interna di base della cavità presenta tracce di lucidatura conseguenti la rotazione del supporto in materia tenera della porta. Le dimensioni sono funzionali all’impiego come cardine, se si considera che un’altezza inferiore agli 8 cm. non avrebbe assicurato la salda tenuta strutturale richiesta e un’altezza superiore ai 15 cm. avrebbe richiesto uno scasso troppo profondo per porre in opera la ralla nel piano pavimentale ed avrebbe comportato in definitiva un dispendio eccessivo. Casi analoghi sono ben documentati dai livelli di tutti i periodi della sequenza di Hammam et-Turkmann, (Leenders 1988), sul medio corso del Balikh, al punto tale da indurre Leenders ad introdurre nella classificazione dei manufatti in pietra levigata di Hammam et-Turkmann una categoria a sé stante di door sockets (Leenders 1988: 629630). Per quanto sia in linea teorica opinabile la scelta di isolare come categoria autonoma un gruppo di strumenti che in realtà sono realizzati secondariamente a partire da una serie di macine, è tuttavia significativo della diffusione ad Hammam et-Turkmann dell’uso di impiegare questi strumenti come ralle. Tanto per le dimensioni limite di riferimento che per le tracce distintive, i dati riportati non differiscono in generale da quanto notato per Tell Barri. Diverso è il caso di Melebiya (Ciavarini Azzi 1993: 527). Dai livelli del Bronzo Antico di Melebiya, nel bacino del Habur, provengono infatti 3 crapaudines rinvenute in situ, di cui 2 in pietra basaltica. La 1064-M-1 (Ciavarini Azzi 1993: 565, Pl.204. 9; 606, Pl.LIII: 4) in particolare tuttavia solleva qualche dubbio di attribuzione. In primo luogo perché proviene da un ambiente del quartiere Nord Ovest che non presenta alcuna apertura o varco definito (Lebeau 1993: 172, Pl. 105). Questo dato se considerato insieme alla presenza di tracce di lustratura della superficie superiore che circonda la cavità e alla generale morfologia dello strumento fa propendere piuttosto per un’interpretazione come elemento di un pivot di tornio lento100.
Nel complesso dello strumentario per la macinazione di Tell Barri, le macine per mulini a macina semplice risultano le più diffusamente reimpiegate. Sono ben documentati tanto casi di riutilizzo come materiale da costruzione, quanto di reimpiego come strumenti con differenti finalità ed in generale si è potuto calcolare che gli esempi riutilizzate si attestano al 36% e al 28% del totale delle macine per mulino a macina semplice, rispettivamente per quanto riguarda le macine superiori e le macine inferiori giacenti. Questo dato indica di per sé la frequenza con cui queste macine venivano reimpiegate, ma è particolarmente interessante, analizzando le percentuali specifiche, notare che si rileva una effettiva distinzione che indica alcuni precisi criteri nella scelta dell’ambito cui destinare secondariamente le diverse macine. Si segnala a Tell Barri, quale esempio del reimpiego di macine per mulini a macina semplice come materiale destinato alla pavimentazione di piani esterni, il caso del pavimento della corte 1127 del quartiere artigianale dell’ultima fase dell’insediamento accadico (Pecorella, Pierobon 2004: 20-21, 27) (TAV. 51). In questo livello, che corrisponde alla ristrutturazione dell’insediamento allo strato 36, questa zona dell’abitato destinata ad area aperta viene pavimentata utilizzando mattoni cotti frammentari e pietrame insieme a frammenti di macine giacenti e superiori per mulini a macina semplice, disposte in modo da presentare la superficie operativa in alto sul pavimento (TAV. 52). Un caso particolare è noto da Tell Halawa, dove, oltre al riutilizzo come materiale edilizio generico o per la costruzione di piani o pavimenti, è documentato l’impiego di macine per mulini amacina semplice frammentarie per la realizzazione dei letti, ovvero dei piani di deposizione delle camere di cottura di alcune strutture utilizzate come forni. La pietra lavica, il basalto nello specifico, delle pietre da macina viene in questo senso considerato particolarmente utile a questo scopo, dal momento che garantisce una buona refrattarietà, resiste alle alte temperature ed inoltre immagazzina il calore e lo rilascia regolarmente mantenendolo così costante sul piano di deposito del forno (Meyer, Pruß 1994: 205). In questo primo ambito sono da considerare, in senso lato, anche i casi di macine per mulini a macina semplice impiegate secondariamente come ralle o cardini di porta (Leenders 1988: 630; Meyer, Pruß 1994: 205). Quest’ultima possibilità di impiego secondario è altrettanto comune e diffusa ed è ben documentata ad esempio a Tell Barri. Sono ampliamente testimoniate da tutte le fasi della sequenza, tra il Bronzo Antico e l’Età del Ferro, infatti, ralle realizzate a partire da frammenti di macine in basalto. Fra queste si segnalano 11 casi in cui è stato possibile rinvenire in situ le ralle, direttamente in relazione con varchi o aperture esterne di vani98.
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Si tratta dell’E.1658, E.1311, E.3229, E.3230, E.3154, E.2591, E.2522, E.2676, E.2778, E.2529, E.1512.
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A parte si devono considerare le sole ralle, realizzate originariamente da piccoli blocchi di calcare, che provengono dai varchi originari del palazzo neoassiro dell’Area J (Pecorella 1997; Pecorella 1998; Pecorella 1999; Pecorella 2003; Pecorella 2005). Si veda a questo proposito per il confronto e sui dispositivi a pivot per torni lenti in generale Pecorella 1975, Trokay 1989, Roobaert e Trokay 1990 ed infine Bombardieri 2004.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Un’interessante evidenza proviene inoltre da Tell Fisna, nell’area di Eski Mosul. In questo caso una macina superiore attiva in basalto, relativa ad un mulino a macina semplice, è stata rinvenuta in corrispondenza del varco di accesso della Stone Structure del livello 1 del Trench D datata, sulla base dei materiali associati, al tardo periodo Nuzi (Numoto 1990: 233). Questa macina è frammentaria, conservata per circa la metà, e presenta un foro passante con sezione a clessidra, praticato secondariamente al centro della faccia principale (Numoto 1990: 232, Fig. 19: 199). Il rinvenimento presso il varco insieme alla presenza del foro passante indicano naturalmente che questa macina sia stata impiegata come ralla, come già giustamente notato da Numoto, it was formerly used for a saddle quern, it was changed afterwards into a door socket (Numoto 1990: 233). Due casi analoghi provengono da Tell Khazna nell’area del Habur centrale, a Nord della moderna città di Hassake, ed in particolare dai livelli del Dinastico Antico iniziale di Tell Khazna I (Munčaev, Marpert 1994: 44, fig. 32) (TAV. 53). Queste osservazioni, possibili a partire dalle ralle rinvenute in situ, permettono di distinguere i caratteri morfologici secondari che si presentano nel caso di macine per mulini a macina semplice reimpiegate con questo scopo ma rinvenute anche in differenti condizioni di giacitura, in riempimenti o in stato di giacitura secondaria in genere, come accade nella maggioranza dei casi101.
sul corpo, disposte in modo perpendicolare l’una all’altra, destinate evidentemente a fissare la corda che assicurava l’ancora e a garantire così maggior tenuta. Casi del tutto analoghi sono tuttavia già documentati dal Bronzo Antico, in particolare da un ricco lotto che proviene dall’insediamento di Tell Atij, sul medio corso del Habur (Fortin 1990: 564, fig.29) (TAV. 54: 1-2). Un esempio simile è noto anche dai livelli del Bronzo Antico di Tell es-Sweyhat (Holland 1975: 64, fig.15: 53). Tali strumenti infatti possono altrimenti essere considerati ancore102. Questo è il caso appunto della serie di Tell Atij (Fortin 1990: 564), laddove tuttavia l’attribuzione del reimpiego come ancore di molti strumenti procede di pari passo con l’ identificazione del sito quale stazione di posta fluviale lungo il corso medio del Habur, un’identificazione a cui concorrono dati di natura differente. Un’interpretazione del genere non si può infatti generalizzare, e induce piuttosto ad una certa prudenza. Si veda a questo proposito un caso analogo da Tell Afis (Mazzoni 1998: 205, fig. 1:2) (TAV. 54: 3), laddove, pur segnalando l’effettiva affinità con le anchors di Ugarit, si propende piuttosto per una interpretazione dello strumento come peso (Mazzoni 1998: 201). Diversamente Pruß (Meyer, Pruß 1994: 208), non ha difficoltà nel riconoscere come ancore un gruppo di strumenti di questo genere rinvenuti nei livelli del Bronzo Antico di Tell Halawa. Da Tell Barri provengono 4 esempi di macina inferiore per mulino a macina semplice reimpiegati con simile finalità. I tre esempi provengono dai livelli del Bronzo Medio I (E.2299) dai livelli medioassiri (E.1116) e dai livelli dell’ultimo periodo neoassiro (E.2291) (TAV. 56). In tutti i casi vi è praticato un foro passante di diametro sufficiente ad assicurare una corda piuttosto robusta. Per quanto sia differente il contesto, in questo caso tuttavia il confronto con le ancore di Atij (Fortin 1988: 150, fig.13) risulta assai stringente. Un’altra possibile destinazione secondaria è indicata dal reimpiego come manufatto ma con funzione diversa dall’originaria. Un reimpiego attivo, si direbbe strumentale, seppure in casi del genere non sempre è facile stabilire, come si è detto, l’effettiva successione delle funzioni dello strumento. La sequenza è infatti di per sé evidente nel caso in cui si ricavi su una macina per mulino a macina semplice una coppella o cavità destinata a mutarne la funzione in quella di un piccolo mortaio, meno evidente nel caso in cui da una macina frammentaria si ricavi un macinello o un lisciatojo. A questo si aggiungono i casi di effettiva plurifunzionalità, ovvero di macine a per mulini a macina semplice contemporaneamente utilizzati con altri scopi, in cui dunque non si può parlare di successivi riutilizzioni ma di una contemporanea pluralità di impieghi., ad esempio come piccole incudini o addrizzatoi, senza con
Un’altra possibilità di reimpiego, in certo modo affine a quelle sin qui descritte è l’utilizzo di macine per mulini a macina semplice come contrappesi. In questo caso si dovrà intendere probabilmente contrappesi utili al sostegno di strutture tensili, ovvero di coperture mobili. A questo scopo sembrano poter rispondere le macine, in modo particolare macine inferiori frammentarie e forate in posizione eccentrica per assicurare la corda o il tirante in tensione. A questo scopo in verità potevano risultare utili anche ciottoli pesanti o pietre non lavorate di rilevanti dimensioni forati naturalmente o in altri casi grossi blocchi in calcare compatto e pesante, sbozzati, sulla cui sommità venisse praticato un foro passante. Due esempi del genere provengono dai livelli neoassiri di Tell Barri (l’E.2923 e E.2927), di cui uno dall’interno della sepoltura a fossa 774 della necropoli dello Strato 26 B (Pecorella 1999: 61-70) (TAV. 55). Un terzo esempio (E.5169), che proviene invece dai precedenti livelli mitannici, si presenta assai simile nel profilo, per quanto in questo caso le dimensioni generali siano sensibilmente maggiori. L’E.5169 presenta inoltre due basse solcature 101
Un caso particolare proviene da Nimrud ed è rappresentato da una macina per mulino a macina semplice frammentaria, sulla quale sono secondariamente realizzate due coppelle ad apertura stranamente quadrata. Su questo caso si veda più diffusamente qui di seguito nella trattazione dei mulini a macina semplice provenienti dallo scavo italiano nell’area del Forte Salmanassar.
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Per una generale descrizione dell’utilizzo delle ancore, anche e soprattutto in contesti di natura diversa, si veda in generale Frost 1991: 355-408, a proposito delle ancore offerte come ex.voto dai naviganti nei templi sull’acropoli di Ugarit
III. I MULINI basalti a struttura compatta. Più raramente, come si è visto, queste macine sono riutilizzate per realizzare contrappesi. La condizione del reimpiego delle macine inferiori di mulini a macina semplice è in parte differente. I casi in cui tali macine vengono riutilizzate per ricavare manufatti differenti sono decisamente più rari che per le macine superiori degli stessi mulini a macina semplice. Si tratta di soli 4 esempi frammentari, tutti riutilizzati come piccoli mortai, sui 24 casi di reimpiego di macine inferiori giacenti. Nei rimanenti casi queste macine sono state utilizzate come contrappesi o ancore, come abbiamo visto, ma soprattutto come materiali per pavimentazioni esterne. Per questo scopo si presentavano particolarmente indicate103, ed infatti la scelta cade regolarmente su questi tipi, le macine giacenti basse ricavate da basalti a struttura compatta o minimamente vacuolare, con superficie operativa rettilinea e superficie di base non troppo convessa, che dunque, per loro natura simili a lastre, costituivano un ottimo materiale soprattutto per la pavimentazione di aree all’aperto. Esempi particolari, relativi al reimpiego di macine per mulino a macina semplice secondo modalità diverse rispetto alle più note che abbiamo sin qui distinto, sono documentate da alcuni casi a Tell Barri. Il primo è rappresentato da un macina superiore (la E.3241) in basalto, riutilizzata in un primo momento come piccolo mortaio, grazie all’apertura secondaria di una bassa vasca a profilo curvo. La macina così reimpiegata è stata trovata alla base di una piccola fossa scavata nel piano esterno, nella prossimità sud-orientale dell’abitato della tarda Età del Bronzo Antico dell’Area G, corrispondente allo strato 36 relativo all’ultimo strato di occupazione di epoca accadica (Pecorella, Pierobon 2004: 21). Questa piccola fossa rifasciata in argilla è stata interpretata come un tannur, o piuttosto come una piccola forgia (ST 1069). Si deve perciò supporre che la macina non più utilizzata come piccolo mortaio è stata ulteriormente destinata a questa funzione, cui bene poteva rispondere per la refrattarietà della pietra basaltica con la quale era realizzata. Il secondo caso cui fare riferimento è documentato dalla macina frammentaria E.4196, rinvenuta all’interno del magazzino 211 costruito nell’ambito della ricostruzione di epoca post-assira, probabilmente ancora neobabilonese, avvenuta a seguito del crollo delle strutture nell’ala meridionale del palazzo neoassiro dell’Area J. Il vano 211 (8,00 x 1,80 m.) ha pianta rettangolare, si presenta come un vano stretto e lungo, con ogni probabilità un magazzino dotato di 3 varchi di accesso, di cui il varco 214 si apre a Nord-Ovest ed i varchi 215 e 249 si aprono a Sud-Est, attraverso il muro 209 (TAV. 57: 1).
ciò rinunciare necessariamente ad utilizzarle secondo la loro primaria funzione di elementi del mulino. Ad un’analisi di insieme può risultare utile citare, a titolo di esempio, la condizione nota dallo studio dei mulini a macina semplice di Tell Barri Nel complesso dello strumentario per la macinazione di Tell Barri, le macine per mulini a macina semplice risultano le più diffusamente reimpiegate. Sono ben documentati tanto casi di riutilizzo come materiale da costruzione, quanto di reimpiego come strumenti con differenti finalità ed in generale si è potuto calcolare che gli esempi riutilizzate si attestano al 36% e al 28% del totale delle macine per mulino a macina semplice, rispettivamente per quanto riguarda le macine superiori e le macine inferiori giacenti. Questo dato indica di per sé la frequenza con cui queste macine venivano reimpiegate, ma ancora più interessante, analizzando le percentuali specifiche, è notare che si rileva una effettiva distinzione interna che indica alcuni precisi criteri nella scelta dell’ambito cui destinare secondariamente le diverse macine. Le macine attive superiori per mulini a macina semplice sono riutilizzate come mortai, ricavando una cavità ad apertura tendenzialmente arrotondata e di modeste dimensioni sulla faccia principale della macina. Un procedimento simile viene seguito, come si è visto, per adattare una macina frammentaria ad essere reimpiegata come ralla o pietra di cardine. Il risultato nei due casi è tuttavia differente; nel caso si voglia reimpiegare la macina come ralla la coppella ricavata sulla faccia principale sarà bassa e ad apertura accuratamente circolare, la sezione arrotondata con cura. Sulla superficie interna della coppella si noteranno tracce evidenti di lustratura (o scalfittura circolare, se la pietra non è basaltica). Nel caso si voglia invece reimpiegarla come piccolo mortaio, la cavità sarà necessariamente più profonda e l’apertura più irregolare. Sulla superficie interna non si noteranno tracce di lustratura (ma di scalfittura puntiforme, nel caso non si tratti di pietra basaltica). Un caso del tutto analogo proviene anche dai livelli del Dinastico Antico I-II di Tell Fisna (TAV. 53: 2). Si tratta di una macina superiore per mulino a macina semplice sulla quale sono ricavate due cavità opposte, ma che non si presentano come un tentativo di perforazione (Numoto 1988: 67, Fig. 38: 479). La cavità sulla faccia principale è a profilo irregolarmente arrotondato ed è più profonda della coppella realizzata sulla faccia secondaria, che è invece ad apertura circolare. È dunque ben possibile, seppure non certo, che si tratti di una macina utilizzata in due momenti successivi, dapprima come piccolo mortaio ed in seguito come ralla. A Tell Barri in un numero minore di casi le macine superiori di mulini a macina semplice possono tuttavia essere ridotte anche a pestelli, in genere a corpo composito, scalpellando i lati originari della macina. Frequenti sono anche i casi in cui le macine superiori di mulini a macina semplice sono reimpiegate come materiale per la messa in opera di piani pavimentali. In questo caso si nota come la scelta cada preferibilmente su macine che, anche se frammentarie, presentino superficie operativa rettilinea, e che siano in genere ricavate da
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E d’altro canto risultano inutilizzabili in altro modo, né come mortai (dal momento che il basso spessore non consente di realizzare una cavità capace all’uso), né come macine superiori (a meno di non lavorare exnovo la superficie operativa).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Nel piano interno del vano è incassata una vaschetta in argilla cruda e due pithoi, di cui uno posto di fronte ad un ripostiglio (ripostiglio 212) a pianta quadrata ricavato all’interno del muro orientale 209. il secondo pithos incassato nel pavimento del magazzino è invece coperto da un frammento di macina piana utilizzata come tappo (Locus 71) (TAV. 57: 2-3). Si tratta appunto di una macina giacente frammentaria con faccia principale a doppia concavità e dunque originariamente destinata ad un mulino a macina semplice di tipo A; all’interno del pithos doveva essere probabilmente contenuto dell’olio, come sembra di poter desumere dalla particolare concrezione del terreno che riempiva il contenitore, una traccia è ben evidente anche sulla faccia della macina a diretto contatto con l’imboccatura dell’olla; tale traccia che riproduce sulla macina il diametro dell’apertura è chiaramente determinata dalla reazione del liquido conservato all’interno del contenitore. Il terzo caso che si può citare è invece rappresentato dalla macina frammentaria E.3280. Si tratta in questo caso di una macina superiore in pietra basaltica conservata per circa la metà del profilo originario e deposta all’interno di una delle sepolture della necropoli del Bronzo Medio I dello strato 34 D, che segna all’interno della sequenza dell’Area G l’abbandono seguito alla fine del Bronzo Antico IV B (Pecorella, Pierobon 2004: 25-27) (TAV. 58: 1). La sepoltura è la 1097, una tomba a fossa per l’inumazione di un individuo adulto di sesso maschile, deposto sul fianco destro con gli arti flessi. All’interno della deposizione non si trova alcun oggetto di corredo, ma soltanto la macina frammentaria E.3280, sistemata di piatto all’altezza dell’addome (TAV. 58: 2-3). Un caso per certi aspetti analogo è documentato a Tell Barri da una sepoltura molto più tarda. Si tratta di una delle tre tombe messe in luce al di sotto del pavimento del lungo vano settentrionale 1186 del palazzo fatto erigere dal sovrano medioassiro Adad-Nirari I. Al di sotto del piano pavimentale si trovano tre sepolture, due in doppia olla ed una a fossa, che per il contesto della deposizione e la ricchezza inusuale dei corredi si possono senza dubbio far risalire a personaggi di alto rango. Ai fini dei nostri interessi risulta di interesse particolare la tomba 1410 dello strato 33C, una tomba in olla rivenuta priva di deposizione (TAV. 59). La tomba non è stata violata e si tratta perciò di una sepoltura rituale all’interno di un cenotafio (Pecorella, Pierobon-Benoit 2008: 56-58). All’interno vi si trova soltanto un frammento di modeste dimensioni di una macina superiore appartenente ad un mulino a macina semplice (la E.4496). In entrambi i casi qui presentati dunque, nonostante la diversità del contesto e la distanza cronologica delle sepolture, la presenza della macina all’interno della sepoltura non andrà intesa come oggetto del corredo funebre, ma più probabilmente come un elemento connesso ad una particolare pratica funeraria104.
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Riassumendo i dati sin qui presentati, possiamo così sintetizzare per le macine di mulini a macina semplice i diversi tipi di impiego secondario: 1. impiego secondario come materiale da costruzione, edilizio o come elemento strutturale: • • • •
materiale edilizio generico (sostruzioni, murature, strutture di drenaggio, di rivestimento) materiale per piani pavimentali esterni elemento di cardine o ralla elemento da contrappeso o ancora
2. impiego secondario come manufatto, ovvero strumento con differente funzione: • • •
piccoli mortai a vasca bassa pestelli a corpo composito lisciatoj o altri strumenti
3. impiego secondario differente, casi particolari (sepolture).
5.4.
I DOCUMENTI ICONOGRAFICI Analisi delle rappresentazioni
Un interesse particolare nello studio e nella definizione dei mulini a macina semplice è costituito dall’analisi dei documenti iconografici, ovvero delle diverse rappresentazioni che di questo mulino possiamo raccogliere all’interno dell’arte figurativa. Il censimento dei documenti iconografici nei quali siano rappresentate scene di macinazione e in cui si colga l’utilizzo di mulini a macina semplice è certamente un’operazione resa complessa da due ordini di difficoltà. Una prima e preliminare difficoltà risiede naturalmente nella vasta diffusione geografica e nell’ampio orizzonte cronologico che caratterizza lo sviluppo di questo tipo di mulino in pietra, aspetto questo che ovviamente si ripercuote nella quantità dei documenti da sottoporre al vaglio, una mole ulteriormente accresciuta dalla differente tipologia dei materiali e dei supporti che possono ipoteticamente restituire scene di macinazione (ceramica decorata o configurata, terracotte a rilevo, rilievi in pietra, piccola statuaria, glittica ed altre tipologie e classi di materiali). Una seconda difficoltà sta nell’interpretazione delle singole rappresentazioni che riportano scene di macinazione, sulle quali può essere difficile spendere una definizione certa (della scena, del carattere del mulino o del suo impiego nella rappresentazione) a causa dell’approssimazione della resa o dell’impossibilità per noi di cogliere alcuni tratti ai quali non è riservata l’attenzione di dettaglio che sarebbe richiesta per una comprensione completa. Nonostante ed al di là di queste difficoltà uno studio del genere può risultare particolarmente utile se inteso a formare un catalogo dei documenti figurativi nei quali
Si veda a questo proposito, in particolare per la tomba medio assira 1410, D’Agostino 2008: 127-128.
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III. I MULINI siano rappresentate scene di macinazione ed in particolare siano raffigurati i differenti mulini in pietra, il mulino a macina semplice per primo. La sua utilità non risiede tanto nella verifica della distribuzione geografica e cronologica di questo mulino (che pure si avvantaggia dalla presenza di specifici documenti figurativi a fianco dei documenti archeologici) ma è motivata soprattutto dal contributo unico che in questo ambito possono offrire i documenti figurativi per la ricostruzione funzionale. La lettura di scene figurate che rappresentino operazioni di macinazione nelle quali si distinguono i diversi mulini permette infatti di ottenere informazioni immediate in merito al funzionamento di queste macchine, informazioni che si possono dedurre o supporre sulla base dello studio tecnologico e sulla scorta dell’analisi dei contesti archeologici e che trovano conferma nella rappresentazione. Al di là delle difficoltà di interpretazione che possono presentarsi e di cui si è detto, le rappresentazioni figurate restituiscono un’immagine immediata (o per meglio dire meno mediata rispetto a quella che si fonda sull’interpretazione dei dati morfologici e tecnologici o dall’analisi dei contesti di rinvenimento)105 dei meccanismi di funzionamento del mulino e della attività di macinazione in generale. Una prima rassegna dei documenti figurativi di provenienza vicino orientale, in cui sono riportate raffigurazioni di scene di macinazione è stata realizzata da Ellis a corredo della voce “Mühle” nel RLA (Ellis 1995) e poi ripresa dalla Trokay (Trokay 2000)106. Si può integrare questa rassegna con i casi provenienti da Cipro (Bombardieri 2007) e quelli già riportati dal Moritz (Moritz 1958) e riferibili ad un periodo generalmente più recente. Il più antico esempio di raffigurazione di un mulino a macina semplice si trova su una impronta di sigillo proveniente da Susa (Ellis 1995: 402). Si tratta di una cretula frammentaria che riporta l’impronta di un sigillo cilindrico in cui si può leggere tuttavia una scena compiuta (TAV. 60: 1). Il sigillo cui si deve questa impronta è stato datato sulla base dello stile complessivo e della tecnica dell’incisione al periodo Uruk107. 105
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Nella scena si possono bene distinguere due personaggi dai tratti sommari entrambi in ginocchio e colti di profilo. Il proimo si trova su un piano lievemente rilevato rispetto al secondo, seppure non viene indicata la linea di terra. La prima figura in ginocchio disposta più in alto ha di fronte una lastra inclinata e tiene in mano un oggetto approssimativamente arrotondato. Si tratta delle due macine di un mulino a macina semplice. La macina giacente resa come una lastra inclinata si trovava con ogni probabilità, per quanto non venga effettivamente rappresentato, su un qualche supporto, forse una sorta di banchina con il piano inclinato; l’operatore, che è dunque la figura rappresentata più in alto, tiene in mano la macina superiore attiva del mulino che appoggia sulla sommità della relativa giacente, tenendola con entrambe le mani. Viene così colto nel momento di inizio della frizione assiale che produce la macinazione. La seconda figura in ginocchio su un piano leggermente inferiore si trova in corrispondenza della base della macina giacente del mulino. Anche questi tiene un oggetto con entrambe le mani. Potrebbe in questo caso trattarsi del contenitore, una ciotola o forse un piccolo sacco, destinato a raccogliere la farina prodotta dalla macinazione. Due esempi molto più recenti rappresentano tuttavia i documenti iconografici più rilevanti a nostra disposizione per lo studio dei contesti di utilizzo e per la ricostruzione funzionale dei mulini a macina semplice. Si tratta in entrambi i casi di particolari provenienti dalle grandi narrazioni a rilievo che provengono dai complessi palatini di Età neoassira, fra la metà del IX ed il VII secolo a.C. Il primo dei documenti cui qui si fa riferimento proviene infatti dalla città di Balawat, sul corso del Grande Zab a Nord-Est dell’allora capitale assira Nimrud (TAV. 61: 1). Dal complesso del palazzo e dal tempio di Mamu conserviamo, come è noto, tre serie di porte a due battenti lignei decorate con fasce di bronzo incise ed in seguito applicate sulla facciata esterna delle porte. La più antica delle due serie che provengono dal palazzo, rinvenuta in pessimo stato di conservazione e di cui restano in verità pochi frammenti, è riferibile ad un intervento voluto dal sovrano Assurnasirpal II, attorno al secondo quarto del
Si deve naturalmente valutare quanto incida il peso della nostra interpretazione sui diversi documenti. Questo di certo può variare a seconda del singolo caso, nel caso di una installazione in situ completamente conservata, la valutazione del documento archeologico sarà soggetta ad una interpretazione meno pesante rispetto al caso di una impronta di sigillo che riporta una scena non ben leggibile sulla quale si vede un mulino. Ciononostante è chiaro che a parità di chiarezza una scena figurata offre un numero di informazioni più rilevante per la ricostruzione funzionale del mulino rispetto agli altri documenti che si devono considerare e che qui prendiamo in puntuale analisi. Una rassegna preliminare dei documenti figurativi utili per lo studio dei mulini a macina semplice si trova anche in Bombardieri 2007; Bombardieri 2008b. Nella glittica del periodo Uruk sono frequenti le rappresentazioni riferibili ad attività connesse con la preparazione ed il trattamento dei prodotti agricoli e dei cerali in particolare. Si possono ricordare a questo
proposito soprattutto le scene di trebbiatura con slitte, documentate su una serie di impronte e sigilli da Arslantepe e dalla collezione J.P. Rosen e da una placchetta in pietra conservata al Museo Britannico (Littauer, Crouwel 1990; Palmieri 1981: 106-107; Pl XV:a; Palmieri, Frangipane 1986: 42, fig.5:a). Si tratta nel complesso di scene di trebbiatura cerimoniale, in forme che prevedevano il trasporto di un personaggio di rango (un sacerdote probabilmente) su una slitta sopra il piano della battitura, probabilmente con l’intento di celebrare il giorno dell’inizio della trebbiatura (TAV. 60: 2-4). Si veda a questo proposito in particolare Salonen 1968; in epoca classica sono note due varianti di slitte per la trebbiatura il Tribulum e il Plostellum poenicum (White 1966: 152-156). Per l’impiego nel Vicino Oriente in epoca moderna di queste slitte si veda in particolare Seeden 1983: 18, fig. 1-2; Yakar 2000: 173; Anderson 2003.
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PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico secolo IX a.C.; a questo sovrano si devono attribuire anche le fasce decorate rinvenute nell’area del complesso templare di Mamu, realizzate per decorare la porta dell’antecella sul cortile centrale del tempio108. La seconda serie, destinata a decorare una porta di maggiori dimensioni, è invece opera voluta dal sovrano e successore di Assurnasirpal II, Salmanassar III e realizzata all’incirca alla metà del secolo IX a.C. Una simile datazione è è resa plausibile dall’iscrizione incisa in verticale sulle fasce di giuntura dei battenti, che riporta un testo annalistico con la cronaca degli avvenimenti fino all’undicesimo anno di regno del sovrano (848 a.C). Questa serie è stata rinvenuta in eccezionale stato di conservazione al punto che è stato possibile ricostruire per intero, salvo piccole lacune, la decorazione disposta sui due battenti della porta109 (TAV. 61: 2). Si tratta di 16 fasce di bronzo alte 27 cm. con rilievi disposti su due registri che coprono anche i cardini dei due battenti. Ogni fascia è assicurata da chiodi fissati in serie in corrispondenza delle tre fasce superiore, centrale ed inferiore, a loro volta decorate con rosette, che separano i due registri con le scene figurate, e sono anch’essi utilizzati come elemento decorativo, dal momento che sono fissati in modo che la testa del chiodo costituisca il centro della rosetta. Le raffigurazioni dei rilievi sulle porte di Balawat di Salmanassar III sono essenzialmente narrativi e si riferiscono ad alcuni episodi, in maggioranza di soggetto militare, relativi alle spedizioni del sovrano nell’Urartu, in Fenicia, Siria e Babilonia. Particolare rilievo è riservato alle spedizioni compiute sul fronte occidentale nella regione del Levante siriano; la narrazione di questi eventi occupa alcune fasce e per larga parte distingue il settore superiore della porta, che sembra dunque dedicato in misura particolare alla cronaca di queste campagne guidate da Salmanassar durante i primi anni del regno110. In una delle fasce dedicate alle prime campagne di Siria, ed in particolare alla spedizione dell’anno 858 a.C., viene raffigurata una scena di assedio; una città fortificata assediata dall’esercito assiro, che nella scena è accampato oltre un fiume. Nel registro inferiore è rappresentata una parte della spedizione dell’esercito che muove su carri e a piedi, dall’accampamento; nel rilievo di questo registro si riserva un attenzione particolare alla rappresentazione del campo assiro e di alcune scene relative ai preparativi per la spedizione (TAV. 62: 1). Si tratta di scene che restituiscono uno scorcio delle quotidiane attività all’interno del campo, rappresentate in sintesi da quattro soldati raffigurati mentre compiono diverse attività (King 1915: Pl. 30; Invernizzi 1992: Fig. 415).
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Due di questi, disposti in basso l’uno dietro l’altro e rivolti entrambi verso sinistra, sono raffigurati di profilo nell’atto di macinare utilizzando due mulini a macina semplice (Trokay 2000: Fig. 5) (TAV. 62: 2). Il primo dei due è rappresentato in ginocchio su un piano leggermente inclinato che gli consente di spingere con forza maggiore contro il bordo posteriore della macina giacente del mulino (TAV. 62: 3). Questa si trova appoggiata direttamente per terra e presenta il piano operativo inclinato. In corrispondenza della parte anteriore del mulino si trova un oggetto non bene identificabile (potrebbe trattarsi del contenitore per raccogliere la farina prodotta, rappresentato in questo caso di prospetto; oppure una sorta di peso, forse soltanto una pietra, utilizzato per assicurare la macina giacente del mulino ed impedirle di muoversi sotto la spinta dell’operatore). Il secondo dei soldati è anch’esso rappresentato in ginocchio seppure su un piano questa volta tendenzialmente rettilineo e dunque sembra produrre una spinta inferiore sul bordo posteriore della macina giacente (TAV. 62: 4). Questa, leggermente più piccola della precedente, si trova ugualmente appoggiata per terra e non sistemata su alcun supporto. In questo caso l’operatore tiene con entrambe le mani la macina superiore del mulino che, a differenza del caso precedente, è rappresentata e visibile, seppure resa ovviamente con tratti sommari. Nel secondo mulino non viene raffigurato alcun oggetto in corrispondenza della parte anteriore. Si tratta dunque di due rappresentazioni che colgono il funzionamento dei due mulini a macina semplice, che si presentano come due postazioni probabilmente mobili (ed è naturale se consideriamo che si tratta dell’allestimento di un campo militare), disposte direttamente per terra e destinate alla produzione di farina per l’uso dell’esercito. Non si possono rilevare differenze formali evidenti fra i due mulini, se escludiamo la differente inclinazione del piano su cui si trova l’operatore e la presenza in un caso del probabile contenitore per la raccolta del macinato111, ma è tuttavia ipotizzabile che possa trattarsi di due mulini a macina semplice differenti impiegati in serie per la produzione di farine differenti. Questo, piuttosto che la necessità di rappresentare la quantità della farina prodotta, spiegherebbe la presenza nella scena di due mulini all’interno del campo. Il secondo dei documenti proviene invece da Ninive, capitale nel corso dell’ultimo secolo dell’impero e sede di due importanti complessi palatini fatti erigere dai sovrani Sennacherib ed Assurbanipal durante il secolo VII a.C. Il più antico di questi, il palazzo SW, come noto, è inaugurato da Sennacherib, che trasferì la capitale da Khorsabad e promuove la costruzione di questo complesso quale sede del nuovo governo imperiale a Ninive, ma rimane residenza del sovrano anche sotto i successori Esarhaddon ed Assurbanipal (TAV. 63: 1). Questi, durante la costruzione del palazzo settentrionale
Per una descrizione della serie delle porte di Balawat si veda in generale anche Invernizzi 1992: 219-225. La ricostruzione delle porte di Balawat e della decorazione su fasce è oggi conservata al Museo Britannico di Londra. Si veda in generale già King 1915. Per un’analisi della sintassi di composizione delle scene a rilievo della porta di Balawat di Salmanassar III si veda di recente anche Micale 2004 e Micale, Nadali 2004.
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Non ci è dato di comprendere tuttavia se si tratti differenze in qualche modo sostanziali o dovute ad una resa approssimativa e generica da parte dell’autore dell’incisione.
III. I MULINI nel quale si trasferirà alla fine del suo regno, risiede nel vecchio palazzo SW, portando fra l’altro a compimento la decorazione parietale a rilievo di una serie di ambienti, lasciata incompiuta da Sennacherib e mai intrapresa da Esarhaddon112. Assurbanipal realizza in particolare la decorazione a rilievo degli ortostati in alabastro disposti nelle due sale XXXIII e XVIII del settore sud-orientale del palazzo. Il soggetto principale scelto per la decorazione di entrambi questi due ambienti è la narrazione della grande guerra elamitica. La narrazione si sintetizza in due episodi centrali delle campagne del sovrano assiro contro l’Elam, la nota fuga e l’inseguimento degli elamiti nelle paludi (narrato dai rilievi della sala XVIII) e la celebre battaglia sul fiume Ulai, che culmina con la sconfitta e la morte del re elamita Teuman. Alla narrazione di questa battaglia viene dedicato un ampio spazio su tre degli ortostati giustapposti sul fianco sinistro del varco di accesso alla sala XXXIII (Layard 1853: Pl. 45-46; Nagel 1967: Pl. 20; Invernizzi 1992: Fig. 471-475) (TAV. 63: 3). Sulla prima delle tre lastre, disposta immediatamente al di sopra della collina che vede i soldati elamiti in rotta sotto l’incalzare degli arceri assiri, si trova una scena diversa ed isolata che occupa un registro superiore, il più alto che conserviamo della lastra (TAV. 64: 1-3). La scena presenta due figure principali rappresentate in ginocchio; una iscrizione in forma di didascalia su quattro righe disposta al di sotto della scena indica che si tratta di due prigionieri caldei babilonesi costretti a macinare le ossa dei loro familiari113. La scena è purtroppo frammentaria ma è tuttavia evidente che si tratta di una composizione scandita ritmicamente in gruppi ripetuti di figure identiche. Si distinguono due gruppi sul rilievo, che presentano leggere varianti dello stesso modulo, ed altri due gruppi sono conservati in parte ma ugualmente identificabili e riconducibili allo stesso schema. Del primo dei due gruppi integri, che si trova al di sopra della didascalia iscritta, fanno parte due soldati assiri raffigurati di profilo in piedi con le gambe leggermente divaricate; il primo dei due si trova sul fondo lievemente più arretrato ed è intento a tenere con una mano una corta barra di ferro con un occhiello a cui è assicurato un cappio. Il cappio stringe al collo il prigioniero caldeo che sta in ginocchio per terra di fronte a lui. Con l’altra mano il soldato spinge, facendo forza sulla testa del prigioniero, che è così costretto a piegarsi ulteriormente in avanti. Il 112
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secondo soldato assiro, in primo piano è rivolto dal medesimo lato e anch’egli infierisce sul prigioniero, spingendo con forza con una mano sul collo, leva l’altro braccio in alto brandendo una lunga mazza con la testa in pietra (TAV. 64: 1). Il prigioniero in ginocchio è in questo modo costretto alla pena descritta dalla didascalia, ed è obbligato a macinare le ossa dei parenti uccisi. Ciò che qui interessa in modo particolare è naturalmente la modalità con cui questa operazione si svolge. Seppure come è ovvio si tratta di un contesto particolare e di un ambito, in senso lato rituale, ed in ogni caso carico di significati che lo allontanano dalla pratica quotidiana in cui dobbiamo collocare l’attività della macinazione, ciò non di meno è chiaro che per rappresentare questa attività, anche con questo significato e nel diverso contesto, si poteva ricorrere soltanto ai modelli al tempo noti e diffusi. Ciò che viene rappresentato è infatti un mulino a macina semplice, costituito da una macina giacente sistemata a terra e con la faccia principale, ovvero la superficie operativa leggermente inclinata. Il prigioniero, in ginocchio in corrispondenza del bordo posteriore della macina giacente, in modo analogo ai soldati del campo di Salmanassar nei rilievi di Balawat di due secoli prima, tiene con entrambe le mani la macina superiore del mulino che in questo caso è assai ben delineata, con faccia secondaria a calotta e superficie operativa a profilo convesso. Il secondo dei due gruppi integri del rilievo di Assurbanipal, si presenta in tutto analogo a quello sin qui descritto. I due soldati tengono la stessa posizione ed il solo prigioniero, qui differente soltanto per pochi dettagli nell’abito, che pure è in ginocchio con le braccia tese sul mulino ed è costretto alla stessa operazione, è rappresentato in questo caso meno inclinato in avanti (TAV. 64: 1). Nella differente posizione dei due prigionieri dei due gruppi si distingue diversi momenti del processo di macinazione; nel primo caso sopra descritto il prigioniero ha le braccia stese, la macina superiore si trova in prossimità della parte anteriore della macina giacente e dunque alla fine della sua corsa in avanti e prima della corsa all’indietro, con cui si conclude ogni segmento della frizione assiale, sulla cui ripetizione come sappiamo si basa il funzionamento del mulino a macina semplice. Nel secondo caso, del secondo gruppo che si è descritto sopra, invece il prigioniero si trova con le braccia meno tese, la macina superiore si trova in prossimità della parte posteriore della macina giacente, vicina all’operatore, e dunque alla fine della sua corsa all’indietro. Se confrontati fra loro i due prigionieri sembrano restituire con efficace immediatezza una sequenza di macinazione con mulino a macina semplice, in modo che per certi versi suggerisce la resa dinamica di una sequenza animata. Alcuni documenti interessanti che possono contribuire ad ampliare ed arricchire il quadro delle raffigurazioni dei mulini a macina semplice, provengono anche dall’area orientale del bacino mediterraneo ed in misura particolare da Cipro (Bombardieri 2007).
Per una descrizione delle decorazioni a rilievo del palazzo SW di Ninive si veda fra gli altri Invernizzi 1992: 244-263. Secondo J. Reade potrebbe trattarsi dei figli di Nabushum eresh, who were compelled, according to the annals, to grind up their father’s bones in Ninive (Reade 1979: 99; Taf. 24b). Seppure in differente contesto, la pena che preveda la macinazione delle ossa è altrimenti nota ed è documentata ad esempio in ambito ittita dalla formulazione del cosiddetto Soldier’s Oath, laddove si legge “[…] so let the oath deities seize the man who transgresses this oath…, mill his bones, apply the heat to him, and grind him up” (Hoffner 1974: 134).
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PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Fra questi, in particolare, si deve ricordare anzitutto un modellino in terracotta in Red Polished ware, datato su base stilistica all’ultima fase dell’Età del Bronzo Antico o al principio della Media Età del Bronzo114. Di provenienza sconosciuta, questo oggetti viene acquistato a Cipro nel 1899 e acqusito dal Museo del Louvre, dove è tuttora conservato. Si tratta di una terracotta configurata della lunghezza di 30 cm. che rappresenta un grande bacino ad apertura ovoidale, attorno al quale si trovano sette figure umane, raffigurate dalla vita in su al di sopra del bordo del bacino come se vi si trovassero sedute o inginocchiate all’esterno (TAV. 66: 1). Le figure sono rese in maniera sommaria e, con gusto arcaico, presentano grosse collane a triplo anello sul collo e copricapi resi similmente in modo approssimativo. Una delle figure, l’unica che si possa distinguere con certezza come una figura femminile, tiene in braccio un bambino e presenta due perforazione ai lati della testa, forse da intendere come fori per orecchini115. Una seconda figura, all’estremità opposta del bacini, tiene un vaso destinato a versare del liquido all’interno del bacino. Le altre cinque figure sono invece disposte in mezzo, fra la donna con il bambino e la figura che porta il vaso, in modo da occupare completamente uno dei due lati lunghi del bacino. Tutte e cinque le figure sono raffigurate con le braccia distese in avanti e tengono in mano un oggetto arrotondato non definibile con certezza disposto sopra una sorta di banchina che occupa longitudinalmente il centro del bacino. La scena presentata da questo modellino è stata inizialmente interpretata come la raffigurazione di un lavatoio comune, nel quale le cinque figure principali sono occupées à laver dans un grand bassin116; più di recente tuttavia è stato avanzato qualche dubbio circa l’interpretazione generale di questo oggetto ed in particolare del contenuto della raffigurazione. V. Karagheorghis ha infatti suggerito, seppure soltanto in via ipotetica, che il modellino possa ritrarre piuttosto una scena legata alla macinazione, definendolo così in termini generali Terracotta group of seven figures: five are engaged in grinding (?) or washing (?) in front of a trough (Karageorghis 1978: 115, Fig. 82). Questa ipotesi sembra in realtà plausibile ad un’analisi generale del modellino. Si potrebbe trattare infatti di una banchina destinata ad alloggiare una serie di cinque mulini a macina semplice affiancati, come sembrerebbe suggerire la presenza, sul lato opposto della banchina, di almeno quattro (e forse altri non più conservati) piccoli 114
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dischetti in argilla applicati direttamente sul bordo del bacino. Questi elementi sembrano interpretabili come pagnotte e risultano analoghi ai piccoli pani presenti su altre contemporanee terracotte cipriote e poi attestate in documenti più recenti. Il caso più immediato di confronto è costituito da un’anfora acquisita dalla collezione cipriota Boysset nel 1901 e oggi conservata al Museo di Sèvres (TAV. 65)117. Questa presenta una complessa decorazione plastica applicata sulla spalla, costituita da una serie di figurine in terracotta disposte fra le due anse verticali118. Nel suo complesso la decorazione applicata sull’anfora di Sèvres rappresenta momenti differenti nella lavorazione degli ingredianti per la preparazione del pane, come già inteso dalla prima interpretazione, figurines en relief représentant la fabrication du pain119. Nel gruppo delle decorazioni figurate applicate si segnala una figura femminile rappresentata di fronte ad un mortaio a corpo tendenzialmente sferico, la donna è raffigurata chiaramente nell’atto di macinare nel mulino a mortaio: in piedi, con le braccia alzate tiene con entrambe le mani in pestello (TAV. 65). Nei pressi si trova il modellino approssimativo di un forno e di una sorta di fontana sulla quale si trova un recipiente. Sull’anfora si trovano altri due gruppi applicati, il primo è costituito da due figure umane, l’una in piedi e l’altra seduta in prossimità di una sorta di grande contenitore, o paniere, che contiene alcune pagnotte, che hanno l’aspetto generale di piccoli dischetti, come già abbiamo visto nel modellino in terracotta del Louvre; il secondo ed ultimo dei modellini applicati sull’anfora di Sèvres raffigura un gruppo di quattro figure femminili (di cui una frammentaria), dalla resa assai approssimativa, raffigurate in ginocchio davanti ad un bacino ad apertura ovoidale, con le braccia distese su una sorta di lungo bancone (TAV. 66: 2). La scena presenta evidenti affinità con quella del modellino del Louvre. L’analogia si fa ancora più stringente per la presenza sull’anfora di altre due figure disposte in prossimità del gruppo delle quattro figure femminili; si tratta di una donna che tiene in braccio un bambino, poco arretrata rispetto al gruppo delle quattro figure femminili, e di una seconda figura che tiene con entrambe le mani una grossa brocca con 117
La datazione entro il periodo Antico Cipriota finale è stata inizialmente proposta ed accettata nella pubblicazione delle collezioni del Museo del Louvre nel Corpus Vasorum Antiquorum (II C a). V. Karageoghis ha tuttavia più di recente proposto di abbassare la datazione di questo modellino (Karageorghis 1978: 115). Questa ipotesi è già proposta nella pubblicazione della collezione del Louvre nel Corpus Vasorum Antiquorum (II C a): la femme à l’enfant a les oreilles percées pour des anneaux. Così ancora nella pubblicazione della collezione del Louvre nel Corpus Vasorum Antiquorum (II C a).
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Questo confronto è già suggerito da Pottier (Pottier 1899: 514), seppure sembra appurato che il pezzo del Louvre non appartenga ad un anfora, dal momento che le dessous du fragment soit lisse et ne présente pas d’arrachement (CVA II C a), e che dunque non sia parte della decorazione applicata comune sulla ceramica congiurata di questa classe, ma piuttosto, come si è sin qui detto, sia da considerare un modellino in terracotta. V. Karageorghis ritiene tuttavia che the whole group may have been part of a large vase (Karageorghis 1978: 115). Esempi analoghi di anfore configurate non sono rari a Cipro durante il Bronzo Antico e Medio. Si veda a titolo di esempio materiali provenienti dagli scavi di Vounous (Dikaios 1931: 891) e prima di Aghia Paraskevi (Edgar 1897: Fig. 2). Così già nella pubblicazione della collezione del Musée de Sévres nel Corpus Vasorum Antiquorum (II C a).
III. I MULINI versatolo, figure queste che trovano una stretta corrispondenza con il modellino del Louvre. Nel complesso dunque, nonostante la disposizione in parte differente, le figure dell’anfora di Sèvres e del modellino del Louvre ripetono la stessa scena. L’interpretazione generale della scena è assai più semplice nel caso dell’anfora per la presenza degli altri gruppi che nell’insieme definiscono i vari momenti di una attività comune, legata evidentemente alla preparazione del pane. Il gruppo delle quattro figure femminili dell’anfora è stato infatti interpretato da subito come quatre femmes occupées à façonner la pâte120. In conclusione dunque tanto il modellino, quanto il gruppo applicato sull’anfora raffigurano una scena legata certamente alla preparazione del pane, è in dubbio se si tratti della lavorazione della pasta o della macinazione per produrre la farina necessaria alla preparazione. In questo secondo caso, purtroppo non accertabile per la resa approssimativa di entrambi gli esempi, deve certamente trattarsi di una postazione multipla su banchina destinata ad ospitare una serie di mulini del tipo a macina semplice. Un altro esempio, per molti aspetti analogo, proviene dalla necropoli del villaggio di Kalavassos, lungo la valle del Vasilikos nella regione costiera meridionale dell’isola (Todd 1996). Da una delle sepolture del periodo Medio Cipriota (Tomb 36) è stato recuperato un bacino configurato in Red Polished III mottled di medie dimesioni (27,2 altezza x 47,5 diametro) caratterizzato, secondo una tradizione decorativa che abbiamo visto ben affermata nell’arte cipriota dell’Antico e Medio Bronzo, dall’applicazione sul corpo del vaso di una serie di figurine in terracotta disposte in modo da restituire una scena comprensibile (generalmente riconducibile all’ambito domestico e alle attività della vita quotidiana). In questo caso (TAV. 66: 2) le figurine sono applicate in corrispondenza dell’orlo e si possono distinguere due gruppi principali separati l’uno dall’altro dalle due anze orizzontali sulla parete. I due gruppi sono stati definiti correttamente sulla base della scena rappresentata: A: bread-making scene; B: wine-making scene (Cullen et alii 1986: 41-42). Il gruppo A, purtroppo soltanto parzialmente conservato, presenta sei figure femminili disposte in ginocchio alle spalle di una sorta di basso muro, con le braccia distese in avanti al di sopra di un piano inclinato, al loro fianco altre due figure questa volta in piedi si trovano rispettivamente nei pressi di un profondo bacino che sempbra contenere qualcosa (forse pasta in lavorazione) e di un forno (Todd 1986: Pl. XXXXIII) (TAV. 66: 2). Nel complesso si giustifica bene dunque l’interpretazione della scena come una sintesi ordinata delle attività legate alla preparazione del pane. È quindi altrettanto giusto che al momento della pubblicazione, seppure con qualche prudenza, si interpreti l’azione del gruppo principale delle 120
figure in ginocchio come grinding against querns (?) (Cullen et alii 1986: 41); in seguito anche D. Frankel e J. Webb della stessa opinione definiscono il gruppo A come women using rubbers and querns (Frankel, Webb 1996: Pl. 24:c). Effettivamente la rappresentazione riporta una scena di macinazione in cui è presentata una postazione anomala e molto interessante. L’installazione multipla di mulini a macina semplice infatti prevede che i mulini non siano collocati al di sopra di una bassa banchina, come ad esempio nella terracotta del Louvre o nella rappresentazione sull’anfora di Sèvres che abbiamo discusso, ma direttamente appoggiati contro un muretto. In questo modo il risultato di un piano inclinato è ottenuto anche più facilmente ed è probabile che questa scena rappresenti l’uso più comune legato alla macinazione in contesti domestici, il sistema con il quale la gran parte dei mulini che troviamo sui pavimenti all’interno di vani o aree all’aperto potevano essere impiegati. Di gran lunga più certa è invece l’attribuzione di un altro modellino in terracotta di provenienza cipriota, conservato nella collezione Cesnola del Metropolitan Museum di New York (Karageorghis 2000: 161, 261). Si tratta in questo caso di un modello di piccole dimensioni (15,4x6,2 cm.) proveniente con ogni probabilità dall’area della necropoli di Episkopi, presso Kourion, e databile generalmente alla fase Cipro-Arcaica (VIII-VI secolo a.C)121. questo documento, per quanto molto più recente degli esempi che si sono si qui descritti, condivide tuttavia con questi molti degli aspetti di semplicità nella resa generale delle figure (TAV. 67: 1). In questo caso il modellino presenta due figure femminili ben distinte; la prima mostra alcuni tratti anatomici plastici, il naso e le orecchie in particolare, mentre altri sono resi con una pittura rossastra, con la quale si definiscono gli occhi, alcuni elementi sommari della veste e le mani, rappresentate in un unico blocco, in cui le dita sono indicate da una serie di linee parallele dipinte. Questa figura, rappresentata seduta per terra, tiene con le due mani un ampio setaccio o vaglio, vicino al quale si trova una sorta di contenitore aperto, simile ad un piccolo bacino. Il bordo del contenitore e i fori del setaccio sono resi tramite una serie di tratti della stessa pittura a tono rossastro. È la seconda figura rappresentata nel modellino che tuttavia riveste un particolare interesse dal nostro punto di vista. Si tratta infatti di una figura femminile intenta evidentemente ad utilizzare un mulino a macina semplice. La macina giacente del mulino è qui disposta sopra una bassa banchina con i fianchi rialzati. Immediatamente alla base della banchina al di sotto della macina giacente si trova una sorta di bacino semicircolare a bordo rialzato destinato a raccogliere il prodotto messo a macinazione (TAV. 67: 1). La figura si trova quindi, come di norma, inginocchiata alle spalle della macina giacente, e dunque all’estremità opposta del bacino semicircolare, e tiene con entrambe le mani un oggetto a pianta ellissoidale che
Così già nella pubblicazione della collezione del Musée de Sévres nel Corpus Vasorum Antiquorum (II C a), per la stessa interpretazione sembra propendere anche H. Bossert, Relieffiguren, die Herstellung von Brot (?) darstellend (Bossert 1951: 40, Fig. 113).
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Esempi analoghi di varie provenienze, similmente databili al periodo Cipro-Arcaico e Cipro-Classico sono conservati al Museo di Nicosia. Si veda in generale Karagheorgis 1989: 88.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico del tipo a macina semplice che qui abbiamo descritto, disposti l’uno a fianco dell’altro e utilizzati in serie dalle quattro donne a loro volta in ginocchio presso la banchina, secondo un uso che già abbiamo ampliamente testimoniato. Del gruppo di Tebe fa parte anche una quinta figura, che sta invece in piedi ad una delle estremità della banchina, in questo caso evidentemente identificabile come un flautista rappresentato nell’atto di accompagnare il lavoro con la musica del suo strumento (TAV. 67: 2)122. Un altro esempio è costituito da una piccola statuetta in terracotta databile al terzo quarto del secolo VI a.C. 123, acquistata nel 1899 e conservata anch’essa al Louvre. Si tratta in questo caso di una figura maschile rappresentata in ginocchio con il busto flesso in avanti e piegato al di sopra di una lastra inclinata (TAV. 67: 3-4). Inizialmente si riconosce appartenere a questa statuetta anche una piccola testina in terracotta, con alto copricapo conico sulla cui superficie sono ancora visibili tracce di pittura (TAV. 67: 4); al momento della prima pubblicazione la statuetta viene infatti così presentata, segnalando in particolare che la tête est recollée et la plus grande partie du cou a été restaurée, mais il n’est pas douteux, d’après l’argile et la couleur, que les deux morceaux appartiennent bien à la même statuette (Pottier 1900: 513; Pl. XI: 4). In seguito tuttavia L. Moritz pubblica nuovamente la statuetta del Louvre nel suo Grain Mills and Flour in Classical Antiquity, ma questa volta acefala (Moritz 1958: Pl. II: a) (TAV. 67: 3). Una ulteriore discrepanza riguarda la provenienza della statuetta che E. Pottier nella prima pubblicazione indica come in stile ègyptisant e proveniente da Tebe (Pottier 1900: 513), questa indicazione è in seguito ripresa da L. Moritz che riporta come area di provenienza della statuetta del Louvre, la regione di Tebe in Beozia (Moritz 1958: 32); sulla provenienza di questa terracotta torna nuovamente B.A. Sparkes il quale, escludendo che possa trattarsi di un’opera greca, rileva che it is not Greek but Egyptian, ed afferma che Madame Mollard-Besques, who supplied me with this information, says that the man
evidentemente rappresenta la macina superiore del mulino a macina semplice. Questa seconda figura risulta meno accuratamente distinta nei tratti anatomici, in particolare non vengono resi con alcuna cura plastica gli elementi del volto, che rimane totalmente indistinto; vi si possono notare soltanto alcuni tratti dipinti che indicano le dita, allo stesso modo della figura seduta. È interessante sottolineare tuttavia un elemento che, proprio nella resa generica delle forme, risulta di particolare forza e può assumere un rilievo importante nell’analisi di questo modellino. La forte linea inarcata della schiena nella figura inginocchiata infatti esprime una notevole elasticità nell’insieme e suggerisce con efficacia la pressione esercitata sulla macina superiore con entrambe le mani ed insieme il movimento impresso avanti e indietro. Oltre a questo elemento dinamico nella resa del gesto, si deve rilevare un secondo dettaglio che può rivestire un interesse particolare. Si tratta della presenza di una serie di piccoli punti realizzati con vernice nera al di sopra della faccia operativa della macina giacente, coi quali si intende evidentemente rappresentare i chicchi messi a macinazione nel mulino, come già aveva suggerito V. Karagheorgis (Karagheorgis 2000: 161), che, una volta ridotti a farina, sono destinati ad essere raccolti nel basso bacino semicircolare alla base della banchina. Nel complesso dunque questo modellino rappresenta un esempio fortunato per la completezza della scena rappresentata, che consente una ricostruzione di dettaglio dell’assetto del mulino a macina semplice, ed insieme per la efficacia della resa dinamica della scena che, a dispetto della semplicità delle forme, rappresenta un esempio particolarmente felice, al quale si può paragonare per la forza della rappresentazione probabilmente soltanto il rilievo di Ninive, che si è sopra descritto, insieme al quale rappresenta senza dubbio il caso meglio riuscito nella rappresentazione di una scena di macinazione. Maggiori difficoltà di interpretazione solleva un altro importante documento, più recente e di differente provenienza, ma che al contempo presenta evidenti affinità con gli esempi ciprioti che abbiamo qui presentato. Si tratta di un modellino in terracotta proveniente dalla regione di Tebe e conservato al Louvre (Pottier 1899: Fig. 8) (TAV. 67: 2). Datato all’ultimo quarto del VI secolo a.C. (Blümner 1912: 63-64; Moritz 1958: 31), questo modellino raffigura un gruppo di quattro figure femminili rappresentate in ginocchio dinanzi ad un bancone, con entrambe le braccia distese a tenere un oggetto disposto sul piano del bancone. Questo oggetto non è facilmente identificabile e di conseguenza la scena si presta a differenti interpretazioni, fra queste è stata avanzata l’ipotesi che si tratti di una raffigurazione connessa alla lavorazione della ceramica, o in alternativa alla lavorazione della pasta per il pane. Già L. Lindet infatti, a proposito di questi oggetti, avanzava l’ipotesi, poi ripresa da L. Moritz (Mortiz 1958: 31), che possa trattarsi di macine, une pierre destinée à écraser le grain (Lindet 1899: 419). Se questa fosse l’interpretazione giusta da attribuire alla scena, dovrebbe trattarsi evidentemente di quattro mulini
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L’accompagnamento musicale eseguito durante attività varie, compresa la macinazione, è documentato da numerosi passi di autori classici; Moritz menziona la mill-song riportata da Plutarco (Conv. Sept. Sap. 14, 157e) (Mortiz 1958: 31, nota 2). Un simile accompagnamento è tuttavia testimoniato anche per accompagnare la lavorazione del pane ad esempio Kneading, boxing and jogging to the music of the flute, come riportato da Alcimo (ap. Ath, XII. 518b) (Blümner 1912: 64; Moritz 1958: 31, nota 3). La presenza del flautista non risulta perciò determinate per stabilire se si tratti di una scena di macinazione o di differente lavorazione per la preparazione del pane. In ambito orientale non si ha chiara testimonianza di una simile abitudine, seppure sono documentati, in area ittita specialmente, brevi testi ritmici destinati probabilmente ad accompagnare la macinazione (Pecchioli, comunicazione personale). Anche questa statuetta è già menzionata da L.Lindet (Lindet 1899: 419), ma pubblicata in seguito da E. Pottier (Pottier 1900: 134), da L. Moritz (Moritz 1958: Pl. II: a) e quindi nuovamente da B.A. Sparkes (Sparkes 1962: 134).
III. I MULINI who sold the terracotta stated that it cames from Thebes, which Moritz takes to be Beotian Thebes (Sparkes 1962: 134)124. Al di là delle difficoltà legate alla consistenza e provenienza di questo documento, la figura della statuetta in terracotta del Louvre rimane tuttavia di particolare interesse; questa rappresenta infatti, come si è detto, una figura maschile in ginocchio protesa al di sopra di una lastra leggermente inclinata verso il basso, le braccia della figura sono distese in avanti e le mani presumibilmente appoggiate sulla lastra stessa. Purtroppo la parte anteriore della braccia e le mani sono lasciate non distinte ed è perciò impossibile stabilire con certezza il carattere dell’azione raffigurata. Sembra tuttavia molto probabile che si tratti di una scena legata alla macinazione ed in modo specifico all’utilizzo di un mulino a macina semplice. La figura è infatti rappresentata in ginocchio secondo la norma comune, ed è piegata con le braccia su quella che sembra indubbiamente una macina giacente per mulino a macina semplice. Un dubbio è qui eventualmente legato soltanto, come abbiamo accennato, alla mancata resa delle mani nella figura, che non permette una identificazione del tutto certa della scena rappresentata, cosa che la presenza della macina superiore manovrata dall’operatore avrebbe invece naturalmente accertato. Dubbi più consistenti si possono invece avanzare a proposito di altri due esempi fra loro analoghi e datati fra la metà del VI e la metà del V secolo a.C., che potrebbero raffigurare una scena di macinazione con mulini a macina semplice. Il primo è rappresentato da un modellino proveniente probabilmente dall’area della necropoli di Kameiros a Rodi, e conservato al Museo Britannico di Londra e datato su base stilistica alla metà del secolo V a.C. (Higgins 1954: Pl. 39: 233; Sparkes 1962: 134, no.26; Pl. VII: 3). Si tratta in questo caso di una figura femminile realizzata in più parti fra loro poi fissate tramite perni, al modo di una bambola (ed infatti ad un gioco si deve probabilmente pensare) (TAV. 68: 1). Il busto è fissato direttamente sulla base che si presenta piatta e bordata su tre lati (il bordo sul lato anteriore, di fronte alla figura è più alto dei bordi laterali ed a profilo triangolare). Il busto risulta così leggermente flesso in avanti e le braccia, a loro volta fissate al busto tramite due perni assai evidenti in corrispondenza delle spalle, sono modellate insieme alle mani. Queste ultime sono quindi forate in modo da ospitare a loro volta un lungo perno al quale è assicurato un piccolo cilindretto o rullo, che dunque con il movimento avanti e indietro ruotava fra le mani della figura. Questo modellino può indicare una figura intenta a macinare, seppure evidentemente la foggia del rullo non si presta ad un raffronto immediato con una macina 124
superiore per mulino a macina semplice, e dunque in definitiva un’interpretazione di questo tipo non è facilmente accettabile125. Il secondo esempio, per molti versi analogo seppure datato alla metà del VI a.C., è rappresentato da una statuetta argiva in terracotta, della collezione privata Diana Sparkes, Southampton (Sparkes 1962: 134, no. 25; Pl. VII: 4) (TAV. 68: 2). In questo caso la figura presenta un corpo unico, senza l’applicazione di elementi modellati a parte, ed è resa nel complesso con notevole approssimazione; non è diffcile tuttavia riconoscervi il medesimo soggetto del modello del Museo Britannico da Kameiros. L’unica effettiva differenza sta proprio nella resa dell’oggetto tenuto con entrambe le mani dalla figura inginocchiata, che in questo caso sembra più grande e di certo non è simile ad un rullo. Si può tuttavia sostenere si tratti della pasta lavorata con le mani direttamente sul piano, piuttosto che della macina superiore di un mulino; la resa complessiva del modellino non permette alcuna conclusione in merito. Decisamente meno probabile rimane infine l’attribuzione di tre modellini in terracotta126, di provenienza e datazione assai varia ma tuttavia simili per il carattere del soggetto presentato, e che sono stati messi in rapporto la rappresentazione di mulini per la macinazione. Il primo e più antico è conservato in una collezione privata ad Atene e datato da Higgins (Higgins 1954: 88, nota 3) ad epoca micenea e poi da Sparkes con maggiore precisione alla fase Late Helladic III (Sparkes 1962: 134)127, raffigura una figura stante nell’atto di macinare o impastare (il dubbio anche in questo caso è lecito) con entrambe le mani al di sopra di un oggetto allungato a sua volta disposto su un piano allungato. Il secondo caso, che presenta strette affinità con l’esempio da Atene nella disposizione della scena presentata, è tuttavia assai più recente, datato al principio del V secolo a.C., proviene verisimilemente dalla Beozia ed è oggi conservato presso l’Ashmolean Museum ad Oxford (Sparkes 1962: 134, no. 29; Pl. VIII: 1). Si tratta di una figura femminile raffigurata in piedi, lievemente flessa in avanti con entrambe le braccia allungate e le mani su un oggetto allungato (TAV. 68: 4). Vi si potrebbe riconoscere la macina superiore di un mulino a macina semplice; la donna tiene tuttavia l’oggetto al di sopra di un piano di dimensioni ridotte all’interno di un più ampio bacino squadrato. Nel 125
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B.A. Sparkes a sua volta non si risparmia un altro errore riportando nella sua Appendice al posto della statuetta del Louvre l’indicazione di una statuetta proveniente dalla Beozia e conservata a Losanna, di cui non v’è altra indicazione (Sparkes 1962: 134, no.24).
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Anche in questo caso evidentemente il dubbio risiede nella possibilità che la figura possa esser stata rappresentata nell’atto di impastare o in altra opera intesa alla preparazione dei cibi e dunque non direttamente durante la macinazione. Un quarto esempio citato da B.A. Sparkes proveniente dalla Beozia e datato al secolo VI a.C., è conservato al Museo Allard Pierson di Amsterdam (Sparkes 1962: 134, no.30). Su questo esempio non è tuttavia fornita alcuna nota di descrizione, né io ho potuto vederlo direttemente. B.A. Sparkes riporta la comunicazione di Mrs Lisa Wace French, secondo la quale da Micene sono stati recuperati alcuni altri frammenti di statuette riconducibili ad un simile soggetto (Sparkes 1962: 134).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico registrare in questo e nei pochi altri siti databili a questa fase di cui sono disponibili documenti128, la presenza di differenti tipi di mulini ed in particolare la diffusione di esempi già compiuti di mulino a macina semplice. A Tell Maghzaliyah sono infatti documentati due tipi di mulino: il mulino a macinello ed il mulino a macina semplice. Quest’ultimo è noto da almeno 6 macine superiori, fra frammentarie e a profilo completo. Si tratta in tutti i casi di macine in pietra basaltica a struttura compatta o minimamente vacuolare. Sono documentati i tipi con faccia principale a profilo retto-retto e convesso-retto, e a pianta ellissoidale allungata (dei tipi macine semplici II.A.2, III.A.2) (Bader 1993: Fig. 2.11) (TAV. 69: 1-3)129. Si deve quindi immaginare che a Tell Maghzaliyah fossero impiegati per scopi diversi almeno due differenti varianti di mulino a macina semplice (i mulini a macina semplice A e B). La diffusione del mulino a macina semplice è già ampliamente documentata nella fase del Neolitico finale in una vasta area della regione mesopotamica settentrionale. Esempi sono noti dall’area del bacino del Balikh ed in particolare dai livelli del periodo Balikh II ac, datato al 6000-5200 dalla sequenza stratigrafica dell’importante insediamento di Tell Sabi Abyad (Akkermans 1996). Da questi livelli proviene un lotto importante di macine relative questo mulino, che testimoniano anche della diffusione e della diversificazione dei tipi differenti di mulino a macina semplice (Collet, Spoor 1996: 415-438) (TAV. 69: 4). Esempi di mulino a macina semplice databili al tardo Neolitico provengono anche dalla valle dell’Amuq, dallo scavo di Tell Kurdu condotto nell’ambito del progetto Amuq Valley Regional Project promosso dall’Oriental Institute di Chicago a partire dalla metà degli anni ’90. Da Tell Kurdu proviene una macina superiore attiva in basalto vacuolare, con faccia principale operativa a profilo retto-retto, affine al nostro tipo III.C.1, e dunque relativa ad un mulino a macina semplice C (Özbal et alii 2004: 106, fig. 15:11) (TAV. 69: 5). La diffusione del mulino a macina semplice è ben documentata in tutta l’area vicino orientale anche nella cosiddetta fase protostorica della cultura calcolitica di Obeid e nella successiva fase della prima urbanizzazione e della diffusione della cultura di Uruk. Alla prima fase della cultura calcolitica Obeid si può riportare il caso di Mersin, in Cilicia.
complesso la posizione sembra suggerire che stia premendo o impastando e pare al tempo stesso escludere che sia impegnata a macinare con un mulino a macina semplice, attività per la quale, come abbiamo visto, è indispensabile stare in ginocchio o in altro modo riuscire a esprimere una pressione costante ed una frizione ripetuta, che di certo non è possibile realizzare nella posizione in cui viene rappresentata questa figura. In parte analogo è il caso di un modellino che proviene nuovamente dall’area di Kameiros a Rodi, datato alla metà del secolo V a.C., e conservato al Museo Britannico di Londra (Higgins 1954: Pl. 39: 234; Sparkes 1962: 134, no.28). Il modellino è in questo caso costituito da una figura rappresentata in piedi con la testa realizzata a matrice ed il corpo modellato a mano, con una resa generale degli arti superiori piuttosto modesta e senza alcuna cura nel modellato degli arti inferiori che sono restituiti con un solo blocco indistinto che costituisce uno dei tre piedi di appoggio del modellino (TAV. 68: 3). Gli altri due piedi di appoggio sono costituiti dai lunghi sostegni di un ampio bacino ad apertura ovale, al centro del quale si trova un supporto leggermente rialzato sulla base della vasca del bacino. La figura in piedi presenta le braccia distese e tiene con entrambe le mani un oggetto allungato non facilmente identificabile che potrebbe essere identificato con la macina superiore di un mulino a macina semplice. In questo caso l’attribuzione è resa più probabile, rispetto all’esempio di Oxford, dalla posizione della figura e dall’azione che questa pare svolga, seppure non è in definitiva possibile escludere anche per questo esempio che si tratti della raffigurazione di altra attività connessa con la preparazione dei cibi.
5.5. AREA E CRONOLOGIA DELLA DIFFUSIONE Neolitico e Calcolitico Il mulino a macina semplice risulta diffuso nell’area del Vicino Oriente e del bacino Mediterraneo orientale almeno dal Neolitico ed esempi di questo tipo mulino sono ben documentati già nelle fasi iniziali del Neolitico aceramico in particolare in Mesopotamia settentrionale. Un lotto interessante che comprende esempi di macine per mulini a macina semplice proviene infatti dal sito di Tell Maghzaliyah, situato a pochi chilometri da Yarim Tepe sulle pendici del Jebel Sinjar, nel Kurdistan iraqueno (Bader 1993). Gli scavi sovietici, condotti a Tell Maghzaliyah dalla metà degli anni ’70, hanno permesso di mettere in luce un insediamento il cui complesso è databile al Neolitico aceramico. Questo insediamento si deve collocare dunque prima dello sviluppo delle successive culture di Jarmo e poi di Hassuna, che sono state tradizionalmente considerate le prime culture basate interamente sull’agricoltura (Braidwood, Howe 1960), e testimonia in definitiva the earliest stage in the development of foodproducing economies in the Near East (Bader 1993: 7). È per questo di particolare rilevo, dal nostro punto di vista,
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Bader riporta i documenti provenienti dal contemporaneo sito di Shimshara (Mortensen 1970: 46). Le foto pubblicate (Bader 1993: Fig. 2.11) non permettono di stabilire con certezza il profilo della faccia principale, e non mostrano la faccia secondaria. Le attribuzioni tipologiche restano dunque indicative.
III. I MULINI Dall’area dell’abitato calcolitico di Yümük Tepe proviene infatti un esempio di mulino a macina semplice130. Dal vano 176 dell’unità centrale delle cosiddette barrack rooms addossate al muro di cinta proviene un’installazione destinata ad un mulino a macina semplice (Garstang 1953: 130, Fig. 79; 136, Fig. 83). Si tratta di un mulino a macina semplice C costituito da macina inferiore e superiore con faccia principale rettaretta e a pianta tendenzialmente ellissoidale ed ellissoidale allungata (tipo macina semplice III.C. 2). Alla fase finale del periodo Obeid e alla transizione con la fase cosiddetta Uruk si possono riportare due esempi, che testimoniano della vasta diffusione di questo tipo di mulino in questa fase. Un lotto interessante di mulini a macina semplice proviene infatti da Güvercinkayasi, centro della attuale provincia di Aksaray, sull’altopiano anatolico. Lo scavo di Güvercinkayasi ha messo in luce un insediamento datato al periodo Obeid recente (Gülçur 1999: 65). Fra i materiali recuperati si segnala anche un interessante lotto di manufatti per la macinazione, tra cui due macine relative a mulini a macina semplice (TAV. 70: 5-6). Si tratta di due macine superiori in pietra basaltica, una frammentaria e l’altra integra. La prima, frammentaria, è del tipo con faccia principale convessa-retta a pianta ellittica allungata (tipo macina semplice II.C.2); sulla faccia principale è ricavata secondariamente una bassa vasca ad apertura ellittica, che indica un impiego accessorio della macina come mortaio (Gülçur 1999: Fig. 29: 1). La seconda macina relativa ad un mulino a macina semplice è invece integra ed è del tipo con faccia principale retta-retta o convesso-retto131 a pianta subrettangolare (tipo macina semplice II o III.A. 3) (Gülçur 1999: Fig. 29: 2). Si tratta dunque di macine relative a mulini a macina semplice B e C. Il secondo caso cui si può fare riferimento è rappresentato dal sito di Tell Beydar III, situato accanto all’area del più noto insediamento del Bronzo Antico di Tell Beydar nella regione del Habur. Per quanto il lotto più consistente sia in questo caso rappresentato dai mulini a macinello, tuttavia da Tell Beydar III proviene anche un numero interessante di mulini a macina semplice (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003a; Suleiman, Nieuwenhuyse 2003b). Lo scavo di questo sito ha permesso di individuare, come si è detto, un piccolo insediamento che si fa risalire al Calcolitico (i livelli più recenti sono datati al periodo Uruk iniziale). Dai livelli 1 e 2, relativi alla principale fase strutturale dell’insediamento, provengono 4 macine per mulini a macina semplice. Si tratta di macine superiori attive in pietra basaltica a struttura vacuolare accentuata, descritta come dark-grey porous basalt (TAV. 70: 1-4).
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Sono documentati i tipi attivi con faccia principale rettaretta a pianta ellissoide (tipo macina semplice III.A.1) (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003a: 545, fig. 4: 4) ed ellissoide allungata (tipo macina semplice III.A. 2) (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003a: 545, fig. 4: 2, 3). In un caso sulla faccia principale è ricavata secondariamente una bassa coppella ad apertura circolare (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003a: 545, fig. 4: 2). Dall’abitato calcolitico di Tell Beydar III provengono dunque significativamente esempi di soli mulini a macinello e mulini a macina semplice C.
Età del Bronzo Antico (EBA I-IV) Nell’area del bacino del Habur la diffusione del mulino a macina semplice è ampliamente documentata attraverso tutta l’Età del Bronzo Antico. Un numero rilevante di mulini a macina semplice proviene dallo scavo dei livelli del Bronzo Antico di Tell Brak, corrispondenti alle Phases L-N nella sequenza di occupazione (Oates 2001: 266). Si tratta di un ampio lotto di querns e grinding stones, non specificate nel numero, che provengono dallo scavo delle Aree SS, FS, ma soprattutto dalle Aree CH ed ER. Per quanto riguarda la tipologia una nota è riservata alle sole macine inferiori giacenti per mulini a macina semplice, definite generally saddle-shaped, con esempi che arrivano a misurare 0,80x0,40 m. nei casi di maggiori dimensioni. Da Tell Barri un numero consistente di macine superiori ed inferiori riferibili a mulini a macina semplice provengono dallo scavo dei livelli del Bronzo Antico dell’Area B132 sul pendio occidentale del tell, ma soprattutto dall’Area G sulla prossimità sud-orientale del monticolo. Nel complesso si tratta di 29 macine per mulini a macina semplice tutte in pietra basaltica più o meno uniformemente distribuite all’interno della sequenza del Bronzo Antico. In particolare 13 sono gli esempi che provengono dai livelli più antichi datati al Dinastico Antico II e III (o Early Jazirah II-III), ovvero dagli strati 39-43 della sequenza dell’Area G, e dai più antichi strati dell’Area B. In totale sono 16 sono le macine di questo tipo di mulino che provengono invece dai livelli del Bronzo Antico finale, relativi all’insediamento di epoca accadica e poi post-accadica, degli strati 38-35 della sequenza dell’Area G (TAV. 71-72). Per quanto riguarda la tipologia si può notare la prevalenza, che risulta documentata sia fra le macine superiori che fra le macine giacenti, dei tipi con faccia principale rettilinea o a profilo convesso-retto (o concavo-retto nel caso delle giacenti), molto più rare sono le macine che presentano la faccia principale a doppia convessità (o a doppia concavità). Si registra un solo caso di macina superiore di questo tipo (con faccia principale a profilo convesso-convesso) (E.3686) che proviene dallo strato 37 dell’insediamento accadico dell’Area G e due casi contemporanei di macine giacenti con faccia
Si veda in maggiore dettaglio la descrizione riportata nel paragrafo qui dedicato alle installazioni per mulini a macina semplice. Si veda sopra. Il disegno non riporta la sezione minore (Gülçur 1999: 85, fig. 29: 2) e dunque non consente di stabilire con sicurezza il profilo della faccia principale.
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Per l’analisi della sequenza di insediamento del III Millennio sul pendio occidentale si veda Biscione 1982 e Biscione 1998.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico principale a profilo concavo-concavo, che provengono rispettivamente dallo strato 37 (E.3685), e dunque sempre databile al periodo accadico, e dallo strato 35 (E.2536) del più recente insediamento di epoca post-accadica Ur III. Oltre a questo aspetto, che è certamente il più rilevante per ciò che riguarda la distribuzione di questi mulini all’interno della sequenza del Bronzo Antico, si possono registrare altri elementi morfologici caratteristici di questo lotto di macine da Tell Barri. Fra le macine superiori si può notare come il profilo della faccia secondaria della macina sia in prevalenza irregolarmente convessa. Questo carattere è comune soprattutto fra gli esempi che provengono dai livelli più antichi della sequenza; i due casi di macine superiori di mulini a macina semplice (E.4109, E.5243), che provengono dagli strati 40-43 dell’Area G dall’insediamento del Dinastico Antico II-III sono gli unici che presentino faccia secondaria con profilo triangolare133. Fra gli esempi più recenti che provengono di livelli del Bronzo Antico finale relativi all’insediamento di epoca accadica e post-accadica (BA IV A-B) il profilo della faccia secondaria è sempre irregolarmente convesso, seppure aumentano in percentuale gli esempi con faccia secondaria a calotta, ovvero a profilo convesso regolarizzato. Una analoga distinzione di massima fra le macine provenienti dai livelli più antichi ed i più recenti della sequenza si può fare anche a proposito della natura della pianta della faccia principale, ovvero della superficie operativa. Questa è comunemente ellissoidale, seppure è possibile notare una tendenza generale verso piante ellissoidali più allungate fra le macine per mulini a macina semplice che provengono dai livelli del Bronzo Antico finale, relativi all’insediamento dell’epoca accadica e post-accadica (si vedano i casi dell’E.2565 e dell’E.2566). Fra le macine giacenti i dettagli morfologici relativi alla faccia secondaria sono altrettanto interessanti. si nota una maggiore regolarità nel profilo della faccia secondaria, che si presenta in generale convesso regolare nelle macine giacenti che provengono dai livelli più antichi, relativi all’insediamento del Dinastico Antico II-III; la tendenza opposta, seppure esistono casi di macine inferiori con faccia secondaria convessa regolarmente, si registra per quanto riguarda le macine giacenti dei mulini a macina semplice di epoca accadica e post-accadica, che presentano invece in maggioranza faccia secondaria irregolare. Per ciò che riguarda il carattere della pianta della faccia principale, si deve registrare una compresenza in tutti i 133
livelli della sequenza di macine giacenti con faccia principale a pianta ellissoidale, in genere allungata, e a pianta rettangolare con spigoli arrotondati, senza che un carattere prevalga sull’altro all’interno del lotto. Dal complesso dei dati che si sono qui presentati si deve concludere quindi che nei livelli più antichi della sequenza, relativi all’insediamento del Dinastico Antico II e III, risultano diffusi essenzialmente mulini a macina semplice dei tipi B e C, destinati alla produzione di farine grossolane. Questi primi mulini a macina semplice presentano macine superiori con faccia secondaria a profilo irregolare o a profilo triangolare, che si presentano a pianta ellissoidale; le relative giacenti presentano la faccia principale ellissoidale allungata o in alcuni casi rettangolare e, soprattutto, la faccia secondaria a profilo regolarmente convesso, dettaglio quest’ultimo che si può facilmente collegare con le modalità di installazione che questo mulino poteva avere nella prima fase della sua introduzione a Tell Barri. Se infatti la faccia secondaria di base è regolarmente convessa si può pensare che il mulino potesse essere sistemato direttamente al suolo, sul pavimento o sis temato contro il sostegno di una banchina bassa, senza necessità di alcuna altra struttura di sostegno destinata all’intallazione. Nella fase successiva e più recente del Bronzo Antico finale, relativa all’insediamento di epoca accadica e e post-accadica a Tell Barri, si assiste alla comparsa e progressiva diffusione del mulino a macina semplice del tipo A,; in questa fase dunque si impiega il mulino a macina semplice anche per la produzione di farine fini. In quest’epoca i mulini a macina semplice presentano macine superiori a pianta ellissoidale più allungata, con faccia secondaria in genere a profilo convesso a calotta; le relative giacenti presentano pianta analoga agli esempi precedenti ma si differenziano per il profilo della faccia secondaria che in questo caso è irregolarmente convesso. Da questo si può dedurre l’introduzione in questo periodo di installazioni differenti di sostegno, soprattutto banchine in mattoni crudi, per l’installazione dei mulini a macina semplice; in questo modo l’inclinazione richiesta al mulino non è ottenuta grazie al profilo della superficie di base della macina giacente, ma viene realizzata direttamente sul piano della banchina. Un lotto di mulini a macina semplice è documentato anche dallo scavo sovietico di Tell Khazna, ed in particolare dai livelli di Khazna I, datati al Dinastico Antico I (Munčaev, Marpert 1994: 44, fig. 32) (TAV. 74: 1). Si tratta nel complesso di 7 macine, inferiori giacenti e superiori, di cui due soltanto a profilo completo. In tutti i casi sono realizzate in pietra basaltica a struttura vacuolare piuttosto accentuala. Per quanto non lo si possa stabilire con certezza134, sono documentate tuttavia almeno due macine giacenti, l’una con faccia principale concava-retta e pianta ellissoidale allungata (del tipo macina semplice IV.C. 2), la seconda con faccia principale retta-retta e pianta subrettangolare (del tipo macina semplice III.C. 3). A queste si possono aggiungere due macine attive, una integra ed una
Questo carattere specifico non trova confronti diretti nell’area, mentre i casi più noti che presentino faccia secondaria a profilo triangolare provengono dalla sala L.3135 delle macine del Palazzo Occidentale di Ebla, altri casi molto ben attestati provengono dai livelli di Hama J. In entrambi i casi si tratta tuttavia di esempi lontani. Si veda in maggior dettaglio la sezione qui dedicata alle installazioni per mulini a macina semplice Bronzo Antico finale e poi di epoca Paleosiriana ad Ebla ed Hama.
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Dell’intero lotto è data una foto unica e nessun disegno (Munčaev, Marpert 1994: 44, fig.32).
III. I MULINI frammentaria, le cui facce principali si presentano a profilo retto-retto (del tipo III.C.2). Si può così concludere che a Tell Khazna durante l’ultima fase della sequenza di insediamento, relativa al periodo iniziale del Dinastico Antico. Risultano diffusi almeno il tipo B ed il tipo C di mulino a macina semplice. Un lotto molto ricco di mulini a macina semplice proviene dai livelli del Bronzo Antico di Tell Melebiya, sul medio corso del Habur (TAV. 73; 74: 4). In questo caso nella descrizione del materiale litico lourd135 di Melebiya (Ciavarini Azzi 1993: 527) si distinguono due gruppi di meules e molettes. La distinzione si basa sulle dimensioni generali, e più precisamente sui due parametri della larghezza e dello spessore136. I due gruppi sopra indicati sono descritti l’uno con forma “romboidale allungata con estremità appuntite o arrotondate”, l’altro come “molto corto e di forma generalmente ovale”. Questa descrizione, come abbiamo anticipato, permetterebbe di associare questi gruppi generalmente ai tipi con pianta ellittica o ellittica allungata della nostra tipologia. In realtà a ben guardare al loro interno due gruppi di meules e molettes sono ulteriormente distinti sulla base del profilo della superficie operativa. Risultano così indistinte in entrambi i gruppi macine con superficie operativa concava-concava e convessaconvessa. Si produce in questo modo una tipologia che non permette di isolare preliminarmente le macine inferiori giacenti e le superiore attive del mulino a macina semplice. Questa distinzione avviene soltanto a livello secondario nel momento in cui le macine con superficie operativa concava vengono indicate come dormantes e così sono genericamente distinte dalle macine con superficie operativa convessa, che si devono intendere attive. Sullo stesso criterio di Melebiya sembra basarsi la classificazione, per quanto enunciata soltanto in linea di massima, del contemporaneo lotto dei manufatti per la macinazione provenienti da Tell Atij e Tell Gudeda, sul medio corso del Habur (Fortin 1987: 146). Nel complesso si tratta di 21 fra macine attive e giacenti, in tutti i casi realizzate in pietra basaltica a struttura evidentemente vacuolare definita basalte d’aspect spongieux et de couleur gris foncé (Ciavarini Azzi 1993: 527). In particolare delle 4 meules indicate due sono classificate dormantes, sulla base del profilo concavo della superficie operativa, mentre delle 17 molettes soltanto 2 sono indicate come dormantes. Si sarebbe condotti generalmente ad associare le meules dormantes ai tipi “maggiori” sopra selezionati e le molettes dormantes agli altri tipi “minori” per dimensione e quindi in definitiva a ipotizzare che i primi possano essere macine inferiori giacenti per mulini a macina semplice, i secondi per mulini a macinello 135
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Questa corrispondenza non è tuttavia sempre verificabile e in definitiva si scontra con l’incertezza dei criteri dimensionali adottati (Ciavarini Azzi 1993: 527). È tuttavia possibile descrivere almeno tre macine sicuramente appartenenti a mulini a macina semplice. Si tratta in due casi di macine con faccia principale operativa a profilo probabilmente retto-retto e a pianta ellittica allungata (affini ai nostri tipi III.A. 2 o III.C. 2) (Ciavarini Azzi 1993: 567, Pl. 205: 3, 5), e di uno con faccia principale operativa a profilo convesso-convesso (del tipo I.A. 2) (Ciavarini Azzi 1993: 567, Pl. 205: 4). Nel complesso quindi si può stabilire che a Tell Melebiya dovevano essere impiegati almeno le due varianti A e C del mulino a macina semplice. Un gruppo di macine per mulini a macina semplice proviene anche dallo scavo giapponese di Tell Fisna, sul corso del Tigri, nella regione di Ninive (Numoto 1988: 16: 150) (TAV. 74: 3). Dal livello VI attribuibile al Dinastico Antico iniziale (ED I-II) proviene un lotto di 5 macine giacenti e 2 macine superiori attive per mulini a macina semplice. In tutti i casi realizzate in pietra basaltica a struttura variamente vacuolare, presentano tipi morfologicamente differenti. I quattro esempi integri di macine inferiori giacenti si presentano a pianta ellissoidale allungata o subrettangolare, le facce principali sono apparentemente a profilo concavo-retto o retto-retto (dunque dei tipi macina semplice IV.C 2 o III.C. 3)137. Le due macine superiori attive, l’una frammentaria e la seconda integra, si presentano a pianta subrettangolare e ellissoidale, la faccia principale sembra essere rispettivamente retta-retta e a doppia convessità (del tipo macina semplice III.C.3 e I.C.1). Sulla base di queste osservazioni, seppure non si possa stabilire con certezza, sembra tuttavia probabile la presenza dal livello VI di Tell Fisna dei tre tipi di mulino a macina semplice (mulini a macina semplice A-C). Il mulino a macina semplice risulta diffusamente attestato per tutto il Bronzo Antico anche ad Occidente nella regione dell’alto Eufrate. Esempi provengono dalla regione di Carchemish e da siti più a settentrione fino all’area della diga di Karababa. Nell’area dell’alto Eufrate siriano infatti un lotto molto interessante di mulini a macina semplice proviene dallo scavo di Selenkahiye promosso nei primi anni ’70 dalle Università di Amsterdam e Chicago nell’area della Tabqa Dam (van Loon 2001). Si tratta nel complesso di 45 macine distinte, secondo la definizione già proposta da van Loon per l’industria di Korucutepe (van Loon 1980: 137), in hand grinders (o manos) e grinding slabs (o metates). Le prime naturalmente corrispondono alle macine superiori attive del mulino a macina semplice, le seconde alle inferiori giacenti (TAV. 75: 1-2). La grande maggioranza delle macine per mulino a macina semplice provengono da livelli riferibili alla fase Late Selenkahiye, corrispondente cronologicamente al periodo
Con questo si indica il complesso dello strumentario in pietra levigata, distinto così da quello “leger”in pietra scheggiata (Ciavarini Azzi 1993: 526). In realtà il criterio di distinzione dimensionale non risulta chiarito in alcun modo, se non per via di questo assunto generale.
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Il quarto esempio si presenta a pianta ellissoidale allungata e con faccia principale sensibilmente concava; potrebbe trattarsi piuttosto di una sorta di vasca piuttosto che di una macina giacente (Numoto 1988: Pl. 16: 150, in basso a destra).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico accadica ed al periodo di Ur III (Schwartz 2001: 254). Soltanto 5 esempi provengono dai livelli più antichi dell’Early Selenkahiye Period, fra la fine del Dinastico Antico ed il principio del periodo accadico. Due macine attive sono state recuperate dello Stone Circle 4 datato ad Età ellenistica o romana. Questo lotto comprende macine in pietra basaltica a struttura vacuolare accentuata, o a struttura compatta (van Soldt 2001: Pl. 9.1: a-d)138 Sono documentati almeno il tipo attivo con faccia principale a profilo retto-retto e pianta ellittica allungata (tipo macina semplice III.A. 2) (van Soldt 2001: Pl. 9.1: b) ed il tipo giacente con faccia principale a profilo concavo-retto e pianta sub-rettangolare (tipo macina semplice IV.A. 3) (van Soldt 2001: Pl. 9.1: c, d). È certa dunque la diffusione a Selenkahiye almeno di due differenti tipi di mulini a macina semplice: i mulini a macina semplice B e C. Un piccolo lotto di mulini a macina semplice proviene anche dal sito di Tell Shiukh Fawqani, che si trova sulla riva sinistra dell’alto corso dell’Eufrate siriano, nella regione di Carchemish (Bachelot, Fales 2003) (TAV. 75: 3-5, 7). Lo scavo di questo tell ha messo in luce un piccolo insediamento con vocazione prevalentemente agricola, caratterizzato da due principali periodi di occupazione durante il periodo Uruk finale (Period I, Levels H-D) e nel successivo periodo del Bronzo Antico I iniziale (Period II, Levels C-A). L’insediamento del Bronzo Antico iniziale presenta tre fasi successive, in cui si registrano tuttavia soltanto alcune minime modifiche nell’impianto dell’abitato139.
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Il lotto dei manufatti per la macinazione nel suo complesso proviene da questi livelli del Bronzo Antico I. Dalle due fasi più recenti (Levels A e B) in particolare provengono tre macine superiori ed una macine inferiore giacente relative a mulini a macina semplice. Si tratta in tutti i casi di macine in pietra basaltica, di cui non è data alcuna indicazione circa struttura e vacuolarità. Sono documentati due esempi di macine superiori con faccia principale a profilo retto-retto, e pianta ellissoidale ed ellissoidale allungata (tipi macine semplici III.C.1 e III.A.2) (Morandi Bonaccossi 2003: 210, Pl. 48: 1, 3) ed uno di macina superiore con faccia principale a profilo convesso-convesso e pianta ellissoidale allungata (tipo macina semplice I.A.2) (Morandi Bonaccossi 2003: 210, Pl. 48: 2). La macina inferiore giacente è frammentaria e presenta invece faccia superiore a doppia concavità e pianta probabilmente ellittica allungata (tipo macina semplice V.A.2) (Morandi Bonaccossi 2003: 211, Pl. 49: 4). Nel complesso dunque nel piccolo insediamento del Bronzo Antico I di Shiukh Fawqani venivano utilizzati contemporaneamente almeno due tipi di mulini a macina semplice (i mulini a macina semplice A e C). Più a Nord esempi provengono dall’area della diga di Carchemish, dove un mulino a macina semplice è documentato fra i materiali recuperati dallo scavo turco di Gre Virike, sull’alto corso dell’Eufrate (Ökse 2001). Dall’edificio del livello 3, messo in luce nel trench K8, sulla sommità del monticolo, proviene una macina superiore attiva in pietra basaltica relativa ad un mulino a macina semplice (Ökse 2001: 289, fig. 20: c)140. Sul pavimento relativo al medesimo edificio sono stati rinvenute altre 3 macine, anch’esse probabilmente per mulini a macina semplice. La datazione dell’intero lotto di materiale proveniente dall’edificio è piuttosto controversa141, tuttavia sulla base di confronti ceramici proposti lo scavatore propende per una datazione entro la seconda metà del III Millennio (Ökse 2001: 297)142. Esempi di macine per mulini a macina semplice provengono anche dallo scavo di Kurban Höyük, nell’area della diga di Karababa. Lo studio di questi mulini, e più in generale la classificazione dei groundstone tools di Kurban Höyük, è stato curata, come abbiamo visto, da Ataman (Ataman 1986: 76-82).
Nella descrizione viene indicato anche limestone. Non è possibile naturalmente verificare questa attribuzione, tuttavia l’utilizzo di pietre di natura calcarea nella realizzazione di pietre da macina per mulini a macina semplice, è molto rara, soprattutto nell’area della Mesopotamia e della Siria settentrionale. La SLK 72385 e la SLK 74-209 inoltre, di cui viene pubblicata la foto e la descrizione che le indica come limestone hand grinder e limestone grinding slab, sono apparentemente in pietra basaltica a struttura compatta (van Soldt 2001: Pl. 9.1: a, c, d). La SLK 72-453 invece, che la foto mostra essere chiaramente in basalto vacuolare, è descritta giustamente come vesicular basalt hand grinder. Si potrebbe dunque sospettare che in alcuni casi il basalto a struttura compatta sia stato indicato come limestone. Questo ridurrebbe il numero di macine in calcare all’interno del lotto di Selekahiye, rendendolo più vicino alla norma. La costruzione di uno small barley silo, soltanto nel più recente livello A, potrebbe indurre ad immaginare lo sviluppo di sistema organizzato di stoccaggio delle granaglie per la comunità di villaggio. Lo scavo tuttavia non ha interessato l’intero villaggio e non è perciò possibile accertare se strutture del genere già esistessero nei periodi precedenti, localizzate in altre aree dell’insediamento. Si è altrimenti proposto che such large-scale public granaries did not exist at the site and the surplus cereal production was directly conveyed to the nearby centre of Carchemish (Morandi Bonaccossi 2003: 117). Non esistono
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tuttavia prove effettive di questo tipo di organizzazione. La foto pubblicata non permette di stabilire il profilo della faccia principale (Ökse 2001: 289, fig. 20: c), non è possibile perciò stabilire il tipo. Nel burnt debris on the floor of the building, da cui proviene una delle macine per mulino a macina semplice, è stato recuperato anche un modello di casa in calcare, che trova paralleli da Ur (Woolley 1955: Pl.33: U.19593) e da Emar (Bretschneider 1991: 212, Taf. 48), nel primo caso da una sepoltura Jemdt Nasr e nel secondo da un contesto certamente della II metà del II Millennio (Ökse 2001: 297). Confronti provengono da Titriş Höyük (Algaze, Misir 1994: 166), Kurban Höyük (Algaze et alii 1990: Pl. 100), Horum Höyük (Tibet et alii 1999: 235, fig. 13), Tell Bi’a (Strommenger, Kholmeyer 1998: Taf. 159: 7-8). Si veda in dettaglio Ökse 2001: 297.
III. I MULINI Nella classificazione per tipi di Ataman sono certamente da considerare elementi di mulini a macina semplice le grinding slabs del tipo 3, che sulla base della definizione proposta dovrebbero essere macine giacenti a pianta tendenzialmente rettangolare, ma anche le grinding slabs del tipo 5 che invece, sulla base del disegno e a dispetto delle definizione di small round grinding slabs, risultano essere piuttosto macine superiori con faccia principale a profilo verisimilmente convesso-convesso e a pianta ellissoidale (del nostro tipo macine semplici I.A 1) (Ataman 1986: Fig. 34: B), ed infine gli handheld pieces del tipo 7, che sono descritti loaf shaped e dovrebbero poter essere macine superiori genericamente a pianta ellissoidale allungata (TAV. 75: 6)143. Un lotto consistente anche di macine per mulini a macina semplice proviene dall’edificio della Phase II, nell’Area D sulla sommità del monticolo principale. Dall’ala meridionale dell’edifcio provengono infatti 21 manufatti per la macinazione, fra cui un numero non precisato di querns, handstones loafs del tipo 7 (Ataman 1986: 79). Queste in particolare ed in generale l’insieme delle macine per mulini a macina semplice di Kurban Höyük sono in tutti i casi realizzate in pietra basaltica, generalmente a struttura sensibilmente vacuolare, definita vesicular basalt, a corse textured material filled with small holes which provide an abrasive surface (Ataman 1986: 77). Sul piano dell’aspetto morfologico, al di là delle generiche corrispondenze che abbiamo visto e che è possibile dedurre in base alle definizioni proposte da Ataman nella sua classificazione per tipi, non è possibile procedere144. Un lotto interessante di macine per mulino a macina semplice proviene infine dai livelli del Bronzo Antico di Korucutepe (Fasi C, D e E) (van Loon 1978: 101-104), nell’area del Keban. Si tratta nel complesso 14 fra macine superiori attive ed inferiori giacenti in pietra basaltica, qui indicate secondo la definizione giù proposta da Hole (Hole et alii 1969: 170) rispettivamente come hand grinders o manos e grinding slabs o metates (TAV. 75: 8-9). Delle macine superiori attive, almeno due si presentano con faccia principale operativa a profilo rettilineo; entrambe sono a pianta ellissoidale allungata e dunque affini al nostro tipo III.A.2 (van Loon 1978: Pl. 36: a, f). Fra le macine inferiori giacenti si trova un esempio probabilmente con faccia principale operativa concavo143
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retta e a pianta rettangolare assimilabile al nostro tipo IV.C. 3a (van Loon 1978: Pl. 136: g). Esempi della diffusione del mulino a macina semplice nell’area mesopotamica settentrionale sono noti anche ad Oriente nell’area di Eski Mosul. Un lotto di mulini a macina semplice proviene ad esempio dal monticolo di Tell Karrana 3, a nord di Mosul. Il sito, come abbiamo visto, ha restituito una sequenza di quattro livelli che indica una occupazione fra la fine del periodo Uruk e l’inizio del periodo Ninivite V (Brautlecht 1993: 145) (TAV. 74: 5). Da questi livelli provengono almeno 6 macine superiori attive di mulino a macina semplice e 9 giacenti del medesimo mulino. Si tratta di un lotto costituito da macine in pietra basaltica nella maggioranza dei casi frammentarie, di cui non si può accertare con certezza il profilo della superficie operativa (Brautlecht 1993: fig. 2, 3)145. Il mulino a macina semplice risulta ben documentato durante il Bronzo Antico anche ad Occidente nell’area della Siria Occidentale e del Levante costiero, fino alla regione meridionale del Negev. Particolarmente interessanti risultano i casi di Ebla146 e, per la ricchezza e la capillare distribuzione all’interno della sequenza dei materiali del Bronzo Antico, di Hama. Gli esempi più antichi di mulini a macina semplice ad Hama provengono dai livelli di Hama L fra la fine del periodo di Djemdet Nasr e la prima Età del Bronzo, ed in particolare dal Niveau L1 (Fugmann 1958: 19). E’ documentato un lotto di macine superiori ed inferiori giacenti di mulini a macina semplice in pietra basaltica che provengono da due aree distinte dell’abitato messo in luce nei settori centrali (Carré I) (Fugmann 1958: 16, Fig. 12). Il primo gruppo è stato rinvenuto all’interno del piccolo vano dotato di nicchia, dell’edificio centrale a meridione del fossa 40, il secondo a Nord dell’adiacente fossa 41. Si tratta, in questo secondo caso di un lotto di 12 macine in pietra basaltica, principalmente macine inferiori frammentarie, rinvenute insieme e probabilmente impiegate secondariamente per pavimentare un’area all’aperto (Fugmann 1958: 20, Fig. 18). Esempi successivi provengono dai livelli di Hama K, datati al Dinastico Antico iniziale, in particolare dai Niveaux K7-9 provengono due macine superiori ed almeno 3 macine giacenti in pietra basaltica per mulini a macina semplice (TAV. 76). Delle macine superiori l’una si presenta a faccia principale convessa-convessa ed a pianta ellissoidale allungata (tipo macina semplice I.A. 1) (Fugmann 1958: 31, Fig. 30: 652), l’altra è invece a faccia principale tendenzialmente rettilinea e a pianta sub-rettangolare (tipo macina semplice III.A. 3) (Fugmann 1958: 31, Fig. 30: 148). Le macine giacenti si presentano con faccia
Quest’ultimo Type 7 raccoglie anche manufatti che presentano depressioni su una o due facce o fori passanti (Ataman 1986: 78-79), che si dovranno tuttavia, a ben vedere intendere come macine superiori per mulini a macina semplice reimpiegate secondo l’uso comune come ralle o elementi di cardine, o come piccoli mortai. Per questo tipo di utilizzazione ed in generale per i diversi impieghi secondari delle macine per mulini a macina semplice, si veda in maggior dettaglio sopra. La diffusione di mulini a macina semplice del tipo A, si basa su un unico disegno pubblicato (Ataman 1986: Fig. 34: B). Questo naturalmente non è sufficiente ad escludere la presenza di altri tipi, cha anzi è probabile fossero comunemente diffusi.
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Non si può escludere che alcune possano essere macine inferiori giacenti per mulini a macinello, si veda sopra. Per la diffusione dei mulini a macina semplice durante l’Età Protosirana ad Ebla, si veda in maggiore dettaglio al paragrafo precedente l’analisi delle installazioni per mulini a macina semplice.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico principale a doppia convessità o con faccia principale rettilinea e a pianta subrettangolare (tipo macina semplice III.C. 3 o V.C. 3) Dai successivi e più recenti livelli di Hama K, corrispondenti ai Niveaux K5-4147, provengono almeno altri due esempi di macine superiori per mulini a macina semplice. Entrambe, come di norma, in pietra basaltica, si presentano l’una con faccia principale rettilinea e pianta irregolare (tipo macina semplice I.C. 5) (Fugmann 1958: 35, Fig. 37: 321), la seconda con faccia principale a profilo convesso-convesso e pianta ellissoidale ovvero tendenzialmente circolare (tipo macina semplice I.A. 1 o I.A. 4) (Fugmann 1958: 35, Fig. 37: 20). Il lotto dei mulini a macina semplice documentati ad Hama durante il Bronzo Antico confermano, nel loro complesso, la presenza dei due tipi principali, ovvero i mulini a macina semplice A e C. Un lotto consistente di mulini a macina semplice proviene anche dai livelli del Bronzo Antico finale corrispondenti al periodo di Hama J (Fugmann 1958: 4985) (TAV. 76) 148. In particolare dalla fase antica (Niveaux J8-J7) si ha testimonianza di almeno 4 macine per mulini a macina semplice in pietra basaltica. Si tratta di due macine attive del tipo con faccia principale a doppia convessità e a pianta ellittica allungata (tipi macina semplice I.C. 2 e I.B. 2) (Fugmann 1959: 53, Fig. 58: 48; 56, Fig. 62: 156). Il tipo con faccia secondaria a sezione triangolare (tipo I.B. 2) rinvenuta nel livelli J8 rappresenta la testimonianza più antica di un tipo che sarà in seguito molto diffuso nei livelli più recenti di Hama J. Dai livelli J8-J7 sono inoltre documentate due macine inferiori per mulini a macina semplice, entrambe in pietra basaltica e a faccia principale concavo-retta e pianta ellissoidale allungata o sub-rettangolare (tipi macina semplice IV.A. 2 e IV.C. 3) (Fugmann 1958: 56, Fig. 62: 158, 165). Dai Niveaux J5-J1, più recenti, provengono 7 esempi di macine relative a mulini a macina semplice in pietra basaltica. Fra questi sono documentati 4 macine attive dei tipi con faccia principale a doppia convessità e pianta ellissoidale allungata (tipi macina semplice I.B. 2 e I.C. 2) (Fugmann 1958: 77, Fig. 98; 82, Fig. 106: 253) e dei tipi con faccia principale rettilinea e pianta ellissoidale 147
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allungata (tipi macina semplice III.B. 2) (Fugmann 1958: 69, Fig. 85: 180; 74, Fig. 93). Insieme a queste 3 macine giacenti con faccia principale concavo-retta e pianta ellissoidale allungata, tutte del tipo IV.B. 2, e dunque con faccia secondaria a sezione triangolare (Fugmann 1958: 64, Fig. 74: 172; 69, Fig. 85: 260; 80, Fig. 102: 441). In generale dunque si nota come fra le macine per mulini a macina semplice provenienti dai livelli di Hama J siano diffuse le macine con faccia secondaria a sezione triangolare, un aspetto questo che si può dire crescente e comune tanto alle macine superiori che alle inferiori giacenti di questo tipo di mulino. Si nota inoltre, in senso ancora più ampio, che in questa ultima fase del Bronzo Antico siano comunemente diffusi tutti e tre i tipi di mulino a macina semplice, mulini a macina semplice A, B e C, che abbiamo isolato. Altri esempi della diffusione dei mulini a macina semplice provengono dai recenti scavi italiani e palestinesi a Jericho (TAV. 77: 1). Tra i materiali provenienti dagli edifici del periodo IIIc1 dell’Area F a Tell es-Sultan/Jericho, datato al Bronzo Antico III A, proviene infatti un numero rilevante di stone tools (Marchetti et alii 2000: 871-872). Questo lotto proviene in maggioranza dalla northern unit e dalla central unit. Da questa ultima in particolare provengono almeno due macine superiori attive, relative ad un mulino a macina semplice (Marchetti et alii 2000: 885, fig. 6). Non è possibile tuttavia stabilire a quale tipo di mulino a macina semplice si debbano riferire149. Più a Sud infine la diffusione del mulino a macina semplice durante il Bronzo Antico è documentata fino nell’area del Negev. Un lotto consistente di strumenti per la macinazione proviene infatti da Tel Arad (Amiran 1978: Pl. 79) e da alcuni degli insediamenti stagionali del Negev, nel periodo del Bronzo Antico finale (Saidel 2002) (TAV. 77: 3-8). I siti satelliti di Rekhes Nafha 396 e Camel Site sono identificati come insediamenti stagionali (Haiman 1992: 98) legati al centro di Tel Arad (Saidel 2002: 51). Il rinvenimento consistente di pietre da macina, complete e non finite, e di scarti di lavorazione inducono a ritenere che tanto Rekhes Nafha quanto, ed in misura anche più evidente, Camel Site fossero sede di laboratori per la lavorazione della pietra per la produzione di macine che potevano servire appunto il vicino centro di Tel Arad. Da Rekhes Nafha 396 provengono 5 macine in ferruginous sandstone, fra cui un esempio di macina superiore attiva relativa ad un mulino a macina semplice A, ovvero una macina con faccia principale a doppia convessità e a pianta ellittica allungata (tipo macina semplice I.B. 2) (Saidel 2002: 55, fig. 14: 11) (TAV. 77: 2).
La datazione di questi livelli di Hama K è legata anche all’introduzione della ceramica Khirbet Kerak, che fa la sua comparsa ad Hama a partire dal Niveau K5 ed è diffusa fino al K1. Cronologicamente si propone si tratti del periodo compreso fra il 2700 ed il 2400, corrispondente dunque al Dinastico Antico anche in Mesopotamia meridionale (Fugmann 1958: 48). La datazione proposta per i livelli di Hama J è fra il 2400 circa ed il 1900. E’ stato possibile stabilire su base stratigrafica una frattura nella sequenza, in corrispondenza di una vasta distruzione avvenuta al livello 5. Tale distruzione sarebbe da collocare fra il 2250 ed il 2150, sulla base della presenza nei livelli 3 e 4 immediatamente successivi di ceramica databile per confronto con la ceramica di Tell Beit Mirsim J, degli strati XVII-XVI di Megiddo e del Niveau III di Ras Shamra, entre le 23ème et le 21ème siècle (Fugmann 1958: 85).
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Si tratta di due macine superiori attive, una integra e la seconda frammentaria (Marchetti et alii 2000: 885, fig. 6). Si può, con certo margine di certezza, stabilire che delle due la macina integra sia relativa ad un mulino a macina semplice del tipo A.
III. I MULINI Le macine relative a mulini a macina semplice, in tutti i casi realizzate con rocce vulcaniche, in particolare il basalto locale (Neirlé 1982: 131), vengono distinte in molettes e meules, secondo una partizione già notata per Melebiya e Tell Atij, seppure in questo caso più sicura e meglio utilizzabile ai nostri fini. Le molettes non sono infatti distinte in tipi ma sono descritte per opposizione alle macine giacenti, descritte poi a loro volta a profilo concavo153. Allo stesso modo le meules, descritte invece come dormantes, costituiscono un lotto omogeneo e ben isolato, soprattutto in considerazione della mancanza di ambiguità in merito al profilo della superficie operativa. In questo caso, diversamente da Melebiya e Kurban Höyük, non pare di poter individuare all’interno di questo gruppo strumenti che presentino superficie convessa, con ciò escludendo la possibilità di confusione fra macine giacenti ed attive di mulini a macina semplice. Interessante il caso di una piccola meule rettangolare da Emar (Nierlé 1982: 133, fig.2: e). Questa è alzata su un basso zoccolo e presenta un bordo che ne delimita il perimetro esterno, secondo una morfologia piuttosto anomala. Se infatti si deve accogliere l’osservazione della stessa Nierlé in merito alla determinazione della forma delle meules, secondo cui la lunghezza della molette attiva sarebbe pari alla larghezza della meule passiva e questo eviterebbe la formazione di “bordi” sul perimetro esterno dello stesso strumento passivo, questo caso costituirebbe una eccezione. Per questo per il caso specifico da Meskené si propone la possibilità possa trattarsi in realtà di uno strumento con tutt’altra vocazione, forse un jouet come indurrebbero a pensare anche le ridotte dimensioni (Nierlé 1982: 132). Nell’area del bacino del Habur, che abbiamo visto fortemente caratterizzata dalla diffusione di questi mulini durante tutto il III Millennio, la produzione e l’impiego del mulino a macina semplice risulta ben documentata nei siti principali che hanno restituito sequenze del Bronzo Medio e Tardo. In particolare un lotto considerevole di macine per mulini a macina semplice proviene dallo scavo dei livelli del II millennio dell’Area HH al centro del monticolo settentrionale di Tell Brak. Lo scavo di questa area, condotto da David e Joan Oates a partire dal 1984 (Oates et alii 1997), si apre sul limite orientale della precedente trincea HH scavata negli anni 1937-38 da Mallowan (Mallowan 1947). Le nuove indagini hanno permesso di rivelare una sequenza complessa relativa all’occupazione dell’insediamento durante il II millennio, fra l’epoca paleobabilonese ed il periodo medioassiro (Oates et alii 1997: 1-38; 35: Table 1).
Età del Bronzo Medio e Tardo (MBA I-II-LBA I-II) La diffusione del mulino a macina semplice durante l’Età del Bronzo Medio e del Bronzo Tardo è documentata per una vasta area e con una distribuzione analoga a quella che abbiamo delineato per il Bronzo Antico; questo dato trova conferma evidente nel caso di siti che presentino una sequenza continua di insediamento dal Bronzo Antico al Bronzo Medio e Tardo, dove si nota in ogni caso una effettiva continuità nella produzione e nell’utilizzo di questo tipo di mulino. Un caso interessante è rappresentato in questo senso da Korucutepe, nell’area del Keban, già noto per la produzione e l’impiego di questi mulini durante il III Millennio, da dove proviene un lotto analogo di mulini a macina semplice dai livelli del Brozo Medio e Tardo (TAV. 78: 1-3). Le macine superiori attive di mulini a macina semplice sono qui indicate come hand grinders o manos, secondo la definizione già proposta da Hole (Hole et alii 1969: 170). Si tratta nel complesso di quattro macine, provenienti da livelli del Bronzo Medio II (Fase H) e dai livelli del Bronzo Tardo I e II (Fasi I e J) (van Loon 1980: 137). Tre di queste sono realizzate in basalto vacuolare (vesicular basalt), la quarta è realizzata con un calcare conglomerato (fossiliferous limestone)150. Presentano faccia principale operativa a profilo convesso o appiattito e faccia secondaria convessa, pianta ovale ovvero ellissoidale allungata. Le macine inferiori giacenti di mulini a macina semplice sono indicate come grinding slabs o metates, anche in questo caso secondo la distinzione di Hole (Hole et alii 1969: 170) (van Loon 1980: Pl. 43: C-D; 47: H). Si tratta di due esempi, provenienti dai livelli del Bronzo Medio I (Fase G)151 e del Bronzo Medio II (Fase H) (van Loon 1980: 137). Sono entrambe realizzate in un basalto vacuolare, analogo a quello impiegato per le relative macine superiori attive e presentano la faccia principale superiore concava e l’inferiore convessa, pianta ovale o tendenzialmente rettangolare, come di norma. Si può concludere che durante il Bronzo Medio I-II a Korucutepe il mulino a macina semplice sia ben attestato, in particolare il rinvenimento della postazione di un mulino a macina semplice del tipo A, alla quale possibilmente potrebbe essere affiancato un mulino del tipo B o C, testimonia della diffusione di questo sistema per tutta l’Età del Bronzo. Questo mulino risulta attestato anche nei successivi livelli del Bronzo Tardo I e II. Nella regione del medio corso dell’Eufrate si può riferirsi in particolare al lotto dei mulini a macina semplice che proviene dall’area di Meskené (Nierlé 1982: 131-135)152. 150
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La macina 70-162 proveniente dai livelli del Bronzo Tardo II (Fase J). Anche se da un contesto disturbato da una fossa medievale, si pensa possa provenire dal pavimento della Phase G House, attribuita al Bronzo Medio I (van Loon 1980: 137). Si ha notizia di un ampio lotto di meule” e molettes provenienti da molte abitazioni private di Emar, oltre che dai magazzini adiacenti al bit hilani (Margueron
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1984: 177; 1993: 205), tuttavia tanto i contesti di associazione e ritrovamento quanto la descrizione degli oggetti in sé non è data, poiché si ritiene che “nessuno meriti una menzione particolare” (Margueron 1982: 235). Sarà da intendere con superficie operativa a profilo concavo.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Lo studio dei manufatti per la macinazione provenienti da questi livelli è stato condotto da Helen McDonald, che ha isolato sette tipi all’interno del grinding equipment, contrassegnandoli, come abbiamo visto, con l’indicazione di Types A-G. Fra questi tipi le grinding slabs (Type E) sono naturalmente da riferire a mulini a macina semplice. Per quanto la definizione grinding slabs richiami di per sé macine di grandi dimensioni e sia, come noto, comunemente impiegata appunto per indicare macine giacenti per mulini a macina semplice, in questo caso tuttavia è intesa come categoria generale che raccoglie evidentemente macine superiori e giacenti e dunque indica in generale tutti gli elementi di mulini a macina semplice154. Si tratta in tutti i casi di strumenti in pietra basaltica, di cui non è data ulteriore specificazione; nel complesso 9 esempi completi ed almeno 20 frammentari provengono dai livelli 3 e 2, relativi all’ultima fase precedente alla distruzione del palazzo di epoca mitannica e del contemporaneo tempio nell’Area HH. Un unico esempio completo ed un numero cospicuo di frammenti di grinding slabs proviene dal precedente livello 4 (Floors HH 432, 462, 463). Da Tell Barri proviene una collezione molto ampia di macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Medio e del Bronzo Tardo dell’Area G sul pendio sud-orientale del tell. Nel complesso si tratta di 30 macine, fra attive e giacenti, tutte in pietra basaltica a struttura più o meno segnatamente vacuolare, raccolte dallo scavo dei livelli del Bronzo Medio. In maggioranza dagli strati dell’insediamento del Bronzo Medio II relativo all’insediamento del periodo paleobabilonese amorreo corrispondenti agli strati 29-32 della sequenza dell’Area G. Soltanto 6 sono invece gli esempi che provengono dai livelli precedenti dell’inizio del II Millennio, corrispondenti all’insediamento del Bronzo Medio I, corrispondenti invece agli strati 33 e 34 della successione dell’occupazione dell’Area G (TAV. 79-80). Un lotto all’incirca equivalente proviene dai livelli del Bronzo Tardo dell’Area G, corrispondenti all’insediamento di epoca mitannnica, che presenta una sequenza di occupazione tra lo strato 24 ed il 28155, e comprende 30 macine giacenti ed attive in pietra basaltica (TAV. 81-82).
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Dal punto di vista tipologico si può verificare una distribuzione piuttosto difforme all’interni dei due lotti di macine per mulini a macina semplice provenienti dai livelli del Bronzo Medio I e II, da un lato, e dai livelli del Bronzo Tardo, dall’altro. Nel primo caso si registra una modesta prevalenza delle macine per mulini a macina semplice dei tipi B e C, ovvero di macine superiori con faccia principale a profilo rettilineo o convesso-retto e delle giacenti relative, sulle macine per mulini a macina semplice del tipo A. Fra le macine che provengono dai livelli del Bronzo Tardo, relative all’insediamento di epoca mitannica la preponderanza delle prime sulle seconde si fa decisamente più netta. Da questi livelli soltanto 2 su 14 delle macine superiori per mulini a macina semplice (la E.1264 e la E.4917) si possono ricondurre a mulini del tipo A, destinati alla produzione di farine fini; il rapporto è di 3 su 12 per le giacenti (la E.1511, la E. 2396 e la E.4002). Per quanto riguarda i dettagli di ambito morfologico legati al profilo delle macine dei mulini a macina semplice che provengono da questi livelli, fra le macine superiori si nota una relativa prevalenza dei tipi con faccia secondaria a calotta, anche se i tipi con profilo irregolarmente convesso della faccia secondaria sono rappresentati in percentuali analoghe sia dagli strati dell’insediamento del Bronzo Medio I e II che dagli strati più recenti dell’insediamento del Bronzo Tardo, di epoca mitannica. La pianta è come di norma ellissoidale o ellissoidale allungata, senza una evidente prevalenza di un tipo sull’altro in tutto il lotto. Fra le macine giacenti si può notare la netta prevalenza dei tipi con faccia secondaria a profilo irregolarmente convesso; questa tendenza, anche se non copre la totalità dei casi, è tuttavia apprezzabile con analoga percentuale di incidenza fra le macine per mulino a macina semplice che provengono dai livelli del Bronzo Medio I e II e fra quelle che provengono dai successivi livelli del Bronzo Tardo. Nel complesso dunque, se escludiamo la apparente preminenza dei mulini a macina semplice del tipo C durante il Bronzo Tardo, dato questo che non trova una facile spiegazione156, possiamo concludere che l’assetto dei mulini a macina semplice non muta sensibilmente dal punto di vista morfologico, fra il Bronzo Medio ed il Bronzo Tardo; la tendenza, già espressa alla fine del Bronzo Antico è evidentemente quella di installare questi mulini su strutture di supporto, con ogni probabilità su banchine o altre strutture simili in mattoni crudi, come documentato ancora dalla irregolarità della superficie di
La McDonald, come abbiamo detto al principio di questa sezione, non isola alcun tipo di macina superiore per mulino a macina semplice; nel complesso delle grinding slabs dunque si trovano sia macine inferiori che superiori e, per quanto questo aspetto non venga esplicitato, risulta tuttavia evidente dalle misure generali di riferimento per il Type E (McDonald 1997: 109: Table 8), che variano ampliamente, ed oscillano, ad esempio fra 16 e 68 cm in lunghezza. A questi corrispondono gli strati a partire dal 34 scavati a monte nei settori settentrionali A-D 7-10 dell’Area G. Gli strati a Nord sono stati correlati alla stratigrafia ricostruita a valle dallo scavo dei settori AD 1-6. Si veda in dettaglio Pecorella 1998.
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La spiegazione è forse da ricercare in una modifica del tenore della dieta per ciò che riguarda il consumo dei cerali; un dato del genere attende una qualche conferma che potrebbe venire dall’analisi antropologica dei resti umani nelle sepolture, che pure sono assai rare almeno durante il periodo del Bronzo Tardo, corrispondete all’insediamento di epoca mitannica. A questo proposito si vedano i risultati preliminari riportati in Soltysiak 2006. Si deve considerare inoltre che il dato quantitativo relativo al lotto delle macine per mulino a macina semplice non è rilevante, e questo potrebbe aver falsato modo il dato.
III. I MULINI appoggio delle macine giacenti, che rimangono a profilo irregolarmente convesso. Ad Oriente del Habur, la diffusione dei differenti mulini a macina semplice, di cui abbiamo registrato la costante presenza dalle più antiche fasi del popolamento di epoca neolitica e attraverso le successive fasi protostoriche fino a tutto il Bronzo Antico, è documentata anche durante il II Millennio in tutta la Mesopotamia settentrionale. Un esempio proviene dall’area di Eski-Mosul ed è rappresentato dal sito di Tell Jessary, da dove proviene un piccolo lotto di macine per mulino a macina semplice (TAV. 78: 4-5). Lo scavo di questo sito, nell’ambito degli interventi di emergenza nell’area di Eski-Mosul, ha permesso di individuare due importanti livelli di occupazione nell’area centrale del monticolo, il primo di epoca Obeid ed il secondo dell’ultimo periodo Uruk. Il sito presenta tuttavia una sequenza di occupazione che interessa anche periodi più recenti fino ad epoca ellenistica e, seppure soltanto sulla base della ceramica di superficie, ad epoca islamica (Fujii 1987; Fujii et alii 1989). I mulini a macina semplice documentati provengono dallo scavo dei livelli 1a e 2a ascritti al Bronzo Medio e Tardo, Nuzi to Middle-Assyrian period (Numoto 1990: 230). Si tratta di 5 macine superiori attive, due a profilo completo e tre frammentarie, relative a mulini a macina semplice. Queste sono in tutti i casi realizzate in pietra basaltica a struttura compatta o minimamente vacuolare e si presentano a pianta ellissoidale, ellissoidale allungata o rettangolare ad angoli arrotondati. In un caso è possibile definire il profilo delle due facce, (rettilinea secondo entrambi gli assi la principale, convessa irregolare la secondaria) e dunque classificare il tipo di macina semplice III.C. 1 (Numoto 1990: 232, Fig. 19: 199). Non è altrimenti possibile verificare a quale tipo riferire le altre macine e dunque nell’insieme non si può stabilire quali tipi di mulino a macina semplice (oltre al mulino a macina semplice C di cui si ha un esempio, come abbiamo visto) fossero diffusi157. In Siria occidentale e nell’area del Levante la diffusione dei mulini a macina semplice è certamente attestata durante il Bronzo Medio ed il Bronzo Tardo. Si può in questo caso fare particolare riferimento al caso molto noto delle installazioni all’interno dei grandi edifici pubblici di epoca Paleosiriana ad Ebla158 ed in misura analoga al lotto dei mulini a macina semplice che proviene dallo scavo della sequenza del II Millennio di Hama, in cui la continuità di occupazione nelle varie fasi da la misura immediata della diffusione costante di questo mulino durante il Bronzo Medio e Tardo.
Esempi di mulini a macina semplice provengono infatti dai livelli del Bronzo Medio di Hama H159. Si tratta nel complesso di 8 macine integre, 5 macine superiori attive e 3 giacenti, tutte in pietra basaltica. Fra le macine superiori sono documentati i tipi con faccia principale a profilo convesso-convesso (i tipi macina semplice I.A. 2 e I.B. 2) (Fugmann 1958: 98, Fig. 120: 598; 108, Fig. 132: 379; 111, Fig. 139: 253, 307) e a profilo retto-retto (soltanto il tipo macina semplice III.B. 2) (Fugmann 1958: 111, Fig. 139: 342). Le macine giacenti sono invece presenti con faccia principale a doppia concavità (il tipo macina semplice V.C. 3) (Fugmann 1958: 108, Fig. 132: 380), a profilo concavo-retto (il tipo macina semplice IV.C. 2) (Fugmann 1958: 108, Fig. 132: 150) e a profilo retto-retto (il tipo macina semplice III.C. 2) (Fugmann 1958: 108, Fig. 132: 108) (TAV. 83: 1-8). Si nota che la presenza di macine con faccia secondaria a sezione triangolare è inferiore rispetto al precedente periodo del Bronzo Antico di Hama J. Questo carattere specifico, che caratterizzava evidentemente la produzione del Bronzo Antico ad Hama non scompare ma si ridimensiona sensibilmente durante il Bronzo Medio a favore di una maggiore diffusione di macine con faccia secondaria a sezione di calotta sferica o generalmente a profilo convesso. Nel complesso dal periodo del Bronzo Medio di Hama H abbiamo testimonianza di tutti i mulini a macina semplice che abbiamo classificato. Sulla base dei manufatti documentati per questi livelli è certo che fossero infatti impiegati mulini a macina semplice A, B e C. Esempi analoghi di mulini a macina semplice ad Hama provengono anche dai livelli di Hama G, datati al Bronzo Tardo, ed in particolare dallo scavo dei settori centrali (I 10) e dei settori meridionali (O12 e Q15-17) (Fugmann 1958: 125). Sono documentate almeno 3 macine superiori relative a mulini a macina semplice, tutte in pietra basaltica. Si tratta di due macine con faccia principale a doppia convessità e a pianta ellissoidale ed ellissoidale allungata (tipi macine semplici I.A.1 e I.A.2) (Fugmann 1958: 120, Fig. 143: 698; 131, Fig. 161: 340) ed una con faccia principale rettilinea e faccia secondaria a sezione triangolare, a pianta ellissoidale molto allungata, e dunque analoga al nostro tipo III.B.2 (Fugmann 1958: 131, Fig. 161: 68) (TAV. 83: 1-8). Il lotto dei mulini a macina semplice documentati ad Hama G, durante il Bronzo Tardo, confermano, complessivamente, la presenza dei due tipi principali, ovvero i mulini a macina semplice A e C.
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È data infatti un'unica foto del gruppo (Numoto 1990: 232, Fig. 19: d), che di per sé non è sufficiente a questo fine, seppure sembra possibile che la differente vacuolarità dei basalti impiegati per le diverse macine possa indicare differenti tipi, come di norma e come è ovvio pensare. Si veda a questo proposito la sezione qui dedicata alle installazioni per i mulini a macina semplice. Si veda sopra.
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La datazione proposta per i livelli di Hama H è stabilita sulla base del confronto con la produzione ceramica delle fasi G-E di Tell Beit Mirsim, di Megiddo XIV-X, ma soprattutto di Tell Judeideh e Tell Yahoudiyeh VII, che presenta forti analogie con Hama H anche nella produzione della piccola statuaria in terracotta. Sulla scorta di questi confronti Fugmann ha proposto per Hama H una datazione fra il 1900 ed il 1500 circa (Fugmann 1958: 113-114).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico 8)160; 3 esempi con faccia principale a profilo retto-retto e a pianta ellissoidale allungata più o meno regolare, del tipo macina semplice III.A. 2 (Summers 1993: Fig. 71: 10; Fig. 72: 3) e del tipo macina semplice III.B. 2 (Summers 1993: Fig. 72: 5). Summers definisce loaf-shaped, ed in un caso soltanto bun-shaped (Summers 1993: Fig. 73: 2), tutte le macine superiori a pianta ellissoidale o ellissoidale allungata e riserva la definizione di boat-shaped, with a triangular keel-shaped cross section (Summers 1993: 54), alla sola macina superiore a pianta ellissoidale allungata con faccia secondaria triangolare (Summers 1993: Fig. 72: 5). La macina inferiore giacente, anch’essa realizzata nel medesimo vesicular basalt delle superiori, si presenta fortemente concava secondo l’asse minore e rettilinea secondo l’asse maggiore e a pianta tendenzialmente rettangolare o subrettangolare (del tipo macina semplice IV.C. 3). Il secondo caso è rappresentato da Tell Barri, da dove proviene un lotto interessante di macine per mulini a macina semplice dai livelli del Ferro Antico, relativi all’insediamento di epoca medioassira, corrispondente agli strati 30-33 dell’Area G161. Da questi livelli provengono nel complesso 18 macine pertinenti a questo tipo di mulino, tutte in pietra basaltica a maggiore o minore vacuolarità (TAV. 85-86). Per quello che riguarda la tipologia delle macine di questo lotto, si può rilevare in generale una leggera preponderanza delle macine, superiori e giacenti, relative a mulini a macina semplice del tipo C e soprattutto del tipo B, rispetto alle macine riferibili ai mulini del tipo A, destinati alla produzione di farine fini. Questa preponderanza non è tuttavia particolarmente sensibile e presenta un rapporto del 50% delle prime rispetto a circa il 20/25% delle seconde all’interno del complesso dello strumentario per la macinazione del periodo. In merito ai caratteri morfologici secondari si rileva, fra le macine superiori, una tendenza maggiore verso le macine con faccia secondaria a calotta o, in rari casi a profilo rettangolare, rispetto ai tipi con faccia secondaria a profilo irregolarmente convesso. La pianta è in generale ellissoidale allungata e, più raramente, rettangolare a spigoli arrotondati (TAV. 85). Fra le macine giacenti si può invece registrare una netta prevalenza dei tipi a pianta rettangolare a spigoli arrotondati, che possono presentarsi con faccia secondaria, ovvero superficie di appoggio convessa più o meno irregolarmente (TAV. 86). Nell’insieme dunque i mulini a macina semplice che provengono dai livelli del Ferro Antico, relativi
Età del Ferro (IA I-III) La distribuzione del mulino a macina semplice durante il periodo della transizione tra il II ed il I Millennio rimane documentata su una vasta area ed è comune nei siti che presentano una sequenza di occupazione durante la fase di passaggio fra il Bronzo Tardo finale e l’Età del Ferro Antico. Si possono citare tre casi almeno che per la differente localizzazione geografica indicano gli estremi di una diffusione del mulino a macina semplice in questi secoli di passaggio che si può considerare analoga a quella già delineata per i periodi del Bronzo Medio e Tardo. Il primo caso è quello di Tille Höyük. Fra i materiali provenienti dai livelli di transizione fra il Bronzo Tardo e la prima Età del Ferro messi in luce dallo scavo di Tille Höyük, nell’area della diga di Karababa (o Atatürk barrage) sull’alto corso dell’Eufrate, si trova infatti un lotto interessante di macine per mulini a macina semplice (TAV. 84). Si tratta di almeno 10 esempi, seppure questo numero è certamente da considerarsi frutto di una selezione all’interno di un lotto molto più ricco, dal momento che si è deciso di documentare i soli esempi completi o rinvenuti in situ (Summers 1993: 54). Questi provengono in maggioranza dal pavimento o dal riempimento immediatamente soprastante il piano del cosiddetto Burnt Level (Summers 1993: Fig. 71: 10; Fig. 72: 3,4,7,9), ma anche dai suoli dei precedenti livelli, dal livello 3 (Summers 1993: Fig. 72: 5, 8) e dal livello 6 (Summers 1993: Fig. 72: 6). Si rileva nel complesso una evidente preponderanza delle macine superiori attive, 9 degli esempi documentati, rispetto alle inferiori giacenti. Tale sproporzione non è limitata alla selezione pubblicata, ma si riflette in tutto il lotto dei mulini a macina semplice di Tille e dunque ne costituisce un carattere peculiare. Summers ritiene che una condizione del genere possa essere motivata da due differenti fattori; da un lato, la più rapida usura delle handstones superiori, rispetto alle dormant stones giacenti, ovvero la tendenza delle prime a ridurre la superficie operativa concava secondo l’asse maggiore e convessa secondo l’asse minore, arrivando così a rendere lo strumento inefficiente più rapidamente delle relative macine giacenti; dall’altro, la maggior adattabilità delle macine superiori, più resistenti alle fratture, ad usi secondari (come materiale da costruzione, ovvero in paving re-use), una volta che la macina fosse inutilizzabile. Nel complesso delle macine superiori, tutte in pietra basaltica vacuolare, indicata genericamente come Vesicular basalt e non altrimenti specificata per i differenti tipi, sono documentati 2 esempi con faccia principale a profilo convesso-convesso e a pianta ellissoidale (del tipo macina semplice I.A. 1) (Summers 1993: Fig. 72: 7, 9); 2 esempi con faccia principale a profilo convesso-retto e a pianta ellissoidale (del tipo macina semplice II.A. 1) (Summers 1993: Fig. 72: 4; Fig. 73: 2); 2 esempi con faccia principale a profilo convessoretto e a pianta ellissoidale allungata (del tipo macina semplice II.A. 2) (Summers 1993: Fig. 71: 10; Fig. 72: 6,
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La terza presenta una sorta di leggera concavità visibile nel profilo della sezione secondo l’asse maggiore (Summers 1993: Fig. 72: 8), la convessità secondo l’asse minore tuttavia fa escludere si possa trattare di una macina giacente di piccole dimensioni. Questi strati della sequenza dell’Area G, corrispondono allo scavo dei settori settentrionali A.D 7-10 e sono messi in correlazione con i contemporanei strati scavati a valle nei settori A-D 16. In merito a queste corrispondenze, relative alla sequenza del Ferro Antico, si veda in generale Pecorella 2005.
III. I MULINI all’insediamento di epoca medioassira, si presentano comunemente nei tre diversi tipi (A, B e C), con una leggera prevalenza dei mulini a macina semplice dei tipi B e C. Le macine superiori di questi mulini sono in maggioranza a pianta ellissoidale allungata o in buona percentuale a pianta rettangolare a spigoli arrotondati, con faccia secondaria generalmente a calotta. Le giacenti sono invece in maggioranza a pianta rettangolare a spigoli arrotondati e con faccia secondaria, ovvero superficie d’appoggio, convessa più o meno regolarmente, prevedendo così installazioni per mulini a macina semplice su banchine o in casi differenti direttamente sul pavimento. Il terzo ed ultimo caso che qui citiamo per definire la diffusione del mulino a macina semplice fra il Bronzo Tardo finale e l’Età del Ferro Antico è rappresentato da Gezer. Particolarmente interessante, come si è visto, è lo scavo della upper terrace e della lower terrace del Field VI, grazie al quale è stato possibile mettere in luce un complesso ben organizzato e costituito da un grande edificio, il Granary 24000 collegato ad una serie di aree destinate alla battitura dei cereali (Dever 1986: 60-76). Nell’area sono stati distinti cinque strati principali (strati 7-5A) che corrispondono ad una sequenza di occupazione compresa fra il periodo di transizione Late Bronze II/Iron Age I. Il complesso del Granary 24000 rimane in uso fra lo strato 6B ed il 6A, e dunque durante il XII secolo. Il lotto dei mulini a macina semplice comprende almeno 12 macine in pietra basaltica e calcarea. Sono documentate una macina inferiore in basalto con faccia principale concavo-retta e pianta ellissoidale allungata (tipo macina semplice IV.C. 2a) (Dever 1986: Pl. 57:4) ed una macina superiore attiva in pietra basaltica a struttura assai vacuolare con faccia principale rettilinea e pianta ellittica allungata (tipo macina semplice III.A. 2) (Dever et alii 1970: Pl. 36:5) (TAV. 83: 9)162. Oltre ai casi qui documentati si ha testimonianza di almeno altri 10 broken limestone and basalt grindstones non meglio identificati, provenienti dal vano 6 del Granary (Dever 1986: 211), alcuni dei quali possono senz’altro essere riconducibili a macine di mulini a macina semplice. È dunque documentabile a Gezer, durante l’Età del Ferro iniziale, la diffusione di almeno due dei tre tipi di mulino a macina semplice che si sono identificati: il mulino a macina semplice B ed il mulino a macina semplice C. Nel corso della prima metà del I Millennio la diffusione dei diversi tipi di mulini a macina semplice risulta largamente documentata, nonostante l’introduzione e progressiva affermazione del nuovo ad avanzato mulino assiro a scanalatura163. Nell’area della Siria e della Mesopotamia settentrionale questo mulino risulta ben diffuso già dal IX secolo a.C.
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Un lotto piuttosto interessante di macine per mulino a macina semplice proviene dallo scavo di Zincirli (Andrae, von Luschan 1943). Si distinguono qui due categorie principali di macine Mutter e Kind, con le quali in modo assai efficace e, come si è detto, con un certo anticipo sulla diffusione dei concetti di macina attiva e giacente, si indicano rispettivamente le macine inferiori e le macine superiori per mulino a macina semplice (Andrae, von Luschan 1943: 18). Sono qui nel complesso documentate 14 macine, tutte in pietra basaltica a diversa struttura vacuolare, riferibili a questo tipo di mulino; non soltanto macine superiori attive ma anche, cosa piuttosto rara come vediamo, almeno due esempi integri di macine giacenti (TAV. 87: 1-3). Queste ultime si presentano a pianta rettangolare a spigoli arrotondati o tendenzialmente ellissoidale allungata. In un caso la faccia principale operativa ha profilo concavo secondo l’asse maggiore e retto secondo l’asse minore (è questa una macina semplice del tipo II.C. 3) (Andrae, von Luschan 1943: Abb. 7, 8), nel secondo caso si tratta invece di una macina con faccia principale operativa a profilo retto-retto (del tipo macina semplice III.C. 2) (Andrae, von Luschan 1943: Abb. 8). Fra le macine superiori sono documentati tipi a pianta ellissoidale o ellissoidale allungata, con faccia secondaria a calotta o a sezione triangolare164. Un solo esempio di mulino a macina semplice è stato recuperato invece durante i lavori condotti nei primi anni ’80 dalla missione congiunta siriana ed americana, nella città bassa di ‘Ain Dara, nella valle dell’Afrin, in Siria nord-occidentale (Stone, Zimansky 1999). Dai livelli del Ferro II del piccolo sondaggio realizzato nella città bassa proviene una macina superiore di mulino a macina semplice, in pietra basaltica a struttura vacuolare accentuata (Stone, Zimansky 1999: 84, Fig. 90: 1) (TAV. 87: 5). Si tratta di una macina con faccia principale verisimilmente rettilinea e a pianta ellissoidale allungata (del tipo macina semplice III.A. 2) relativa dunque ad un mulino a macina semplice C, con macina superiore ed inferiore entrambe con faccia principale operativa rettilinea. Un lotto molto interessante di mulini a macina semplice proviene invece dai recenti scavi australiani condotti nella città bassa di Tell Ahmar, ed in particolare dallo scavo dei due edifici C1 e C2, due grandi batiments disposti ad Ovest dell’acropoli di Til Barsip (TAV. 87: 6-10). La datazione di questi edifici e dei materiali associati si fa risalire all’ultima fase del periodo neoassiro e alla successiva fase di occupazione neobabilonese dell’insediamento, fra la fine del VII e la metà del secolo successivo (Jamieson 2000: 259-306; Trokay 2000: 16671670). La classificazione dei materiali litici di Tell Ahmar, proposta dalla Trokay (Trokay 2000: 1667-1668), prevede la distinzione fra meules e molettes, già adottata
Questa ultima proviene dallo strato 5/4 del Field I, cui è attribuita una datazione generica tra il Bronzo Tardo ed il Ferro iniziale (Dever 1970: 25). Si veda a questo proposito in maggiore dettaglio la sezione dedicata alle osservazioni generali in fondo a questa sezione.
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Il profilo della faccia principale operativa non è ricostruibile dalla foto pubblicata (Andrae, von Luschan 1943: Abb. 8).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico nei casi di Melebiya e Emar, seppure in questo caso circostanziata con maggior dettaglio. La Trokay, come abbiamo visto, distingue infatti dapprima due tipi principali di artefacts, con ciò definendo due distinte macchine costituite da due elementi distinti, l’uno attivo e l’altro giacente (Trokay 2000: 1665). Il concetto di artefact della Trokay corrisponde dunque al nostro concetto di mulino. I due tipi così isolati sono costituiti rispettivamente dalla coppia meules e molettes (che corrisponde al nostro mulino a macina semplice) e dalla coppia mortiers e pilons (che corrisponde invece al mulino a mortaio). Le molettes di Tell Ahmar (Trokay 2000: 1674, fig. 1: 1.2.1; fig. 3) si presentano a corpo allungato e a sezione piano convessa. La superficie operativa è appiattita o d’une certe convexité165, Le meules, di dimensioni maggiori rispetto alle molettes, sono descritte morfologicamente come strumenti a base convessa saddle shaped ed in particolare a fondo appiattito per mantenersi stabile sul terreno e faccia operativa superiore piana o leggermente concava. Le dimensioni medie delle meules di Tell Ahmar sono comprese fra i 70 cm della dimensione maggiore ed i 30 o 35 cm della dimensione minore (Trokay 2000: 1667). Questo permette di escludere in linea di massima la presenza di strumenti affini alle varianti “minori” dei tipi con faccia principale operativa concava. Da ciò si dovrebbe dedurre la effettiva rarità di mulini a macinello in questi livelli della città bassa di Tell Ahmar166. La pietra con cui sono realizzati questi mulini a macina semplice è in tutti i casi un basalto indicato come vesiculaire, seppure differenziato nelle due varianti grossiere o fine. Non è tuttavia specificata alcuna diretta associazione fra tipi e varietà differenti di basalto167. Nel complesso del lotto di Tell Ahmar sono documentate una macina superiore attiva ed una inferiore giacente relative a mulini a macina semplice. La prima presenta faccia principale operativa a profilo convesso-convesso e 165
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pianta ellittica allungata (del tipo I.A. 2) (Trokay 2000: Fig. 1: 1.2.1; Fig. 3), la seconda, inferiore giacente, presenta faccia principale operativa a profilo concavoretto e pianta ellissoidale allungata (corrispondente al tipo IV.A. 2) (Trokay 2000: Fig. 1: 1.1). Da ciò si può desumere l’impiego contemporaneo a Tell Ahmar di almeno i due tipi standard di mulino a macina semplice A e B. Nell’area del Habur si segnala il caso di Tell Barri. Un lotto cospicuo di macine per mulini a macina semplice proviene infatti dai livelli del Età del Ferro II e III, relativi all’insediamento dell’epoca neoassira e poi postassira neobabilonese ed achemenide dell’Area G, sul pendio sud-orientale del monticolo, e dell’Area J sulla prossimità occidentale. Nel complesso si tratta di 22 macine, superiori e giacenti, tutte in pietra basaltica che provengono dai livelli più antichi del Ferro II, corrispondenti agli strati 21-29168 della stratigrafia dell’Area G, e relativi alla sequenza dell’occupazione di epoca neoassira imperiale, fra il IX e la prima metà del VII secolo a.C; un numero analogo, 23 macine, costituisce il lotto più recente proveniente dai livelli del Ferro III, corrispondenti agli strati 15-20 della sequenza dell’Area G e ai contemporanei strati 9-14A della sequenza dell’Area J, relativi al periodo che ha visto il passaggio di Tell Barri sotto amministrazione neobabilonese caldea e poi achemenide (TAV. 88-89). Per ciò che riguarda la tipologia delle macine per mulini a macina semplice diffuse all’interno di questi lotti, si può rilevare come fra gli esempi che provengono dai livelli più antichi corrispondenti alla sequenza del FE II-III, dell’insediamento neoassiro, siano più frequenti, sia fra le macine superiori che fra le macine giacenti, i tipi riferibili a mulini a macina semplice A, e dunque le macine con faccia principale a doppia convessità o a doppia concavità. Questa tendenza, che porta le macine per mulini a macina semplice A al 57% del totale dello strumentario per la macinazione di questo periodo, rientra a valori più bassi nel periodo successivo e nei livelli del FE III, relativi al periodo neobabilonese e poi achemenide, scende al 32%. Rimane tuttavia superiore alla percentuale delle macine per mulini a macina semplice dei tipi B e C, che invece rappresentavano i tipi più comuni durante i periodi precedenti, come abbiamo avuto modo di sottolineare. Questo aspetto trova una plausibile spiegazione nell’introduzione del mulino assiro a scanalatura, come vedremo169. In merito ai caratteri morfologici secondari che caratterizzano le macine di questo lotto, si può rilevare, fra le macine superiori, la presenza di tipi con faccia secondaria a calotta o irregolarmente convessa in percentuali all’incirca analoghe. La tendenza generale è quella verso macine superiori a pianta ellissoidale, meno
La convessità del profilo della faccia principale è dalla Trokay messa strettamente in relazione col processo di degrado e di usura della superficie operativa stessa (Trokay 2000: 1667). Seppure l’esclusione non deve essere totale. La Trokay sostiene elles sont le plus souvent de grandes dimensions (Trokay 2000: 1667). E del resto almeno in un caso illustrato (Trokay 2000 : 1675, fig.2) è plausibile l’eccezione di una macina a profilo concavo di ridotte dimensioni, e dunque relativa ad un mulino a macinello. Oltre a questo esistono a Tell Ahmar due tipi differenti di macinelli, troncoconiques e cylindriques, di cui il secondo, come abbiamo visto, è da considerare affine ai nostri macinelli a corpo subglobulare del tipo I. 2, e dunque utilizzato per mulini a macinello. Si propone un’associazione basata sul criterio della “texture” e della “dureté”, indicando la corrispondenza secondo la quale le “meules” e i “mortiers” sarebbero realizzati in una pietra più dura e dunque in definitiva a struttura più compatta, per sostenere l’azione rispettivamente delle “molettes” e dei “pilons” al contrario realizzate in pietra a struttura meno compatta (Trokay 2000: 1666-1667). Questa ipotesi non è altrimenti verificabile.
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La sequenza stratigrafica dell’Età del Ferro si riferisce allo scavo dei settori settentrionali A-D 7-10 dell’Area G, che sono stati correlati alla sequenza messa già in luce dallo scavo dei settori a valle. Per l’analisi di queste corrispondenze si veda in particolare Pecorella 1998 e poi Pecorella 2005. Si veda qui in maggiore dettaglio la parte dedicata alle osservazioni generali in fondo a questa sezione.
III. I MULINI tipo I.A. 2 relativa perciò ad un diverso mulino, del tipo che si è classificato come mulino a macina semplice A con macina attiva superiore con faccia principale a doppia convessità e macina inferiore giacente con faccia principale a doppia concavità. Questa ultima presenta al centro di entrambe le facce una coppella poco profonda, realizzata secondariamente sulla macina. Potrebbe trattarsi di un foro passante mai portato a termine, per quanto l’apertura della coppella, in questo caso stranamente quadrata, non sembra deporre a favore di questa ipotesi. Un foro passante, realizzato per utilizzare secondariamente come contrappeso o peso un frammento di macina, è in genere, come sappiamo, ad apertura circolare. In questo caso potrebbe piuttosto essere intesa come una base per l’alloggio (forse di un paletto). Ad Oriente la diffusione dell’impiego di mulini a macina semplice risulta attestata fino all’Urartu. Si può citare in questo senso, quale caso esemplificativo, la cittadella di Karmir-blur. Fra i materiali recuperati dagli ambienti di servizio della fortezza costruita dal sovrano Rusa II alla metà del VII secolo a.C. sulla cittadella di Karmir-blur presso Erevan, l’antico centro urarteo di Teišebaini, provengono alcuni manufatti per la macinazione (Piotrovkij 1975: 135-136). In particolare si segnala un mulino a macina semplice completo in pietra basaltica (TAV. 87: 11). Si tratta plausibilmente di un mulino a macina semplice C con macina giacente e attiva a faccia principale rettilinea e a pianta ellittica (tipo macina semplice III.B.1) (Piotrovkij 1975: ill. 25)170. Nell’area della Siria occidentale e del Levante costiero siro-palestinese si può documentare una comune diffusione del mulino a macina semplice nell’arco della prima metà del I Millennio, fino ai secoli della dominazione assira e poi caldea e persiana dell’area. Un esempio di mulino a macina semplice proviene ad esempio dai livelli di Hama E, che corrispondono alla sequenza centrale dell’Età del Ferro di Hama (Riis, Buhl 1990). Dal livello di distruzione del Batiment II proviene una macina superiore in pietra basaltica riferibile ad un mulino a macina semplice. Si tratta di una macina con faccia principale a doppia convessità e a pianta ellissoidale allungata (tipo macina semplice I.A. 2) (Riis, Buhl 1990: 77, Fig. 37: 111) (TAV. 91: 1). Più a meridione si possono citare due casi che valgono a titolo di esempio per definire la diffusione del mulino a macina semplice nel Levante meridionale durante il Ferro II e III, corrispondenti alla fase dell’espansione assira e poi del passaggio della regione sotto il controllo neobabilonese ed achemenide.
frequenti i tipi a pianta ellissoidale allungata e rettangolare a spigoli arrotondati, che pure sono presenti all’interno del lotto. Fra le macine giacenti si può notare la maggiore presenza degli esempi con faccia secondaria a profilo convesso irregolare e a pianta rettangolare ad angoli arrotondati. Uno degli esempi meglio conservati, che proviene dallo strato della rioccupazione neobabilonese del vano settentrionale 57 del complesso palatino neoassiro dell’Area J, all’interno di questo lotto è rappresentato dalla macina E.2127, che corrisponde al tipo comune con pianta rettangolare e faccia secondaria convessa irregolare (tipo macina semplice III.C.3a) che abbiamo sopra descritto. Nell’insieme dunque fra i mulini a macina semplice che provengono dai livelli del FE II-III e poi del FE III, corrispondenti all’insediamento dell’epoca neoassira e dell’epoca post-assira, prevalgono i mulini a macina semplice A, seppure la tendenza sembra invertirsi durante l’ultimo periodo neoassiro e nella successiva fase neobabilonese ed achemenide. I mulini dovevano essere installati su banchine o, probabilmente più di rado, direttamente sul pavimento. Nell’area dell’Assiria storica la diffusione del mulino a macina semplice risulta ben attestata durante i secoli centrali del periodo neoassiro e poi con continuità durante la fase successiva, il cosiddetto periodo post-assiro, che corrisponde al passaggio sotto amministrazione neobabilonese caldea e poi achemenide. Alcuni esempi provengono da Assur (Andrae 1933: Taf. 4: a,b; Miglus 1996: 301-302) e dai recenti scavi italiani a Nimrud. Soltanto pochi esempi riferibili a mulini a macina semplice sono documentati a Nimrud. Dallo scavo italiano (Fiorina 2001; 2004; Fiorina et alii 2005), in particolare sono documentate soltanto due macine per mulino a macina semplice. Entrambe provengono dall’edificio messo in luce dallo scavo dell’Area A1, nell’area del Forte Salmanassar. Entrambe le macine sono state recuperate dallo scavo dei livelli relativi all’ultima fase neoassira finale e al successivo periodo dell’ occupazione di epoca post-assira neobabilonese, fra il VII ed il VI secolo a.C. Si tratta di due macine in pietra basaltica a struttura vacuolare, in un caso (89 P 79) il basalto utilizzato presenta vacuoli assai frequenti e profondi, di dimensioni anche cospicue, nel secondo (89 P 81) è invece utilizzato un basalto a struttura mediamente vacuolare (TAV. 90). Per quanto riguarda l’aspetto morfologico, entrambi i casi pertengono a macine inferiori giacenti per differenti tipi di mulini a macina semplice. L’89 P 79 è infatti una macina giacente con faccia principale piana, ovvero a profilo retto secondo entrambi gli assi principali, e a pianta rettangolare ad angoli arrotondati (affine al tipo delle macine semplici III.D. 3) e dunque è la macina giacente di un mulino a macina semplice del tipo C, con macina attiva e giacente a faccia principale piana. L’89 P 81 si presenta invece con faccia principale a doppia convessità e a pianta probabilmente ellissoidale allungata, per quanto se ne conservi un frammento non sufficiente a determinarne con certezza il profilo. In questo caso dunque si tratta di una macina semplice del
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Dalla foto pubblicata non è possibile stabilirlo con certezza, né si può escludere che si tratti di due macine attive distinte e riferibili perciò a due diversi mulini a macina semplice. Ciò non è tuttavia in definitiva rilevante, ciò che interessa è più in generale poter attestare la diffusione di questo mulino in area urartea.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Un lotto interessante di mulini a macina semplice proviene dalla fortezza di Mezad Hashavyahu, sulla costa a sud di Jaffa (Naveh 1962a; Fantalkin 2001). Il lotto degli strumenti per la macinazione proveniente dalla fortezza di Mezad Hashavyahu comprende 3 macine superiori attive per mulini a macina semplice. Si tratta di macine verisimilmente in pietra vulcanica, indicata come basalt, anche se sono noti casi realizzati in beachrock171. Sono documentati due esempi del tipo con faccia principale a doppia convessità e pianta ellittica allungata, entrambi frammentari (tipo macina semplice I.A.2) (Fantalkin 2001: 107, fig. 39: 4, 5), ed un esempio, anch’esso frammentario del tipo con faccia principale retta-retta a pianta ellissoidale allungata (tipo macina semplice III.C.2) (Fantalkin 2001: 107, fig. 39: 3) (TAV. 91: 3-8). Si deve concludere quindi che la fortezza di Mezad Hashavyahu doveva essere dotata di almeno due differenti tipi di mulino, il mulino a macina semplice A ed il mulino a macina semplice C, da impiegare in serie. Un esempio di mulino a macina semplice proviene anche dallo scavo della fortezza di Giv´at Shapira, altrimenti nota come French Hill, immediatamente a Nord di Gerusalemme (Barkay et alii 2002). Il sito, identificato con l’antica Nob, presenta un ridotto periodo di occupazione. Sulla base dei confronti ceramici disponibili, è possibile datare la fondazione della fortezza verisimilmente entro la seconda metà del secolo VIII e la sua distruzione al momento della conquista babilonese172. Fra i materiali provenienti dalla fortezza è stata recuperata un macina frammentaria in pietra basaltica, descritta come loaf/planoconvex type basalt handstone (Barkay et alii 2002: 61). Si tratta di una macina attiva superiore del tipo con faccia principale retta-retta, a pianta ellittica (tipo macina semplice III.A. 1), pertinente dunque ad un mulino a macina semplice C (TAV. 91: 2).
mulino a macina semplice rappresenta indubitabilmente il più comune dei mulini in pietra conosciuti in tutto l’Oriente antico. È noto e già diffuso dalla prima fase del Neolitico aceramico ed è ancora documentato, con caratteri per molti versi analoghi, fino alle soglie dell’Età classica. È possibile, come abbiamo visto, isolare tre tipi di mulini a macina semplice, i quali, mantenendo lo stesso principio funzionale e dunque il medesimo assetto meccanico, permettono tuttavia differenti risultati di macinazione e consentono in definitiva di produrre farine di diversa qualità. Il tipo A (per la pietra selezionata, la morfologia delle due macine superiore e giacente ed il rapporto di frizione maggiore) permette di produrre farina più fine; i tipi B e C sono adatti alla produzione di farina più grossolana e meno depurata. La preponderanza di un tipo sull’altro all’interno di un dato contesto potrà fornire dunque alcune indicazioni immediate in merito al tipo di produzione e alla richiesta di farine di diversa qualità, e dunque in certo senso contribuire a determinare alcuni aspetti della dieta, da un lato, e delle tipologie della produzione e distribuzione dei generi alimentari di base, dall’altro. Dall’insieme dei materiali all’interno dei diversi lotti che abbiamo analizzato, risulta abbastanza evidente la presenza nello stesso contesto dei tipi diversi di mulini a macina semplice. Da ciò deriva l’idea, a cui qui più volte si è fatto riferimento, che i differenti tipi fossero impiegati di norma in serie per produrre farine differenti. Fa eccezione apparentemente soltanto il caso dei mulini a macina semplice durante la più antica fase del Neolitico e delle culture calcolitiche di epoca protostorica. In questa fase che corrisponde naturalmente al momento dell’introduzione e della progressiva affermazione di questo mulino nell’area del Vicino Oriente, infatti, si registra una diffusione sensibilmente maggiore dei tipi B e C, destinati alla produzione di farine più grossolane, rispetto al tipo A. Questo dato, evidente dall’analisi dei lotti che abbiamo potuto studiare, sembra comune in tutta l’area, seppure rimane indicativo e non rappresenta la totalità dei casi173. Una spiegazione si può trovare nella maggiore diffusione per tutto questo periodo del mulino a macinello, che rappresenta un modello meno avanzato e tuttavia mai completamente soppiantato dall’introduzione del mulino a macina semplice. Quest’ultimo infatti, seppure evidentemente più funzionale e capace di garantire una migliore produzione, non sostituisce il mulino a macinello ma anzi, soprattutto in questa fase preliminare, viene impiegato insieme a questo. Esempi provengono infatti dagli stessi contesti e si deve supporre che venissero utilizzati in alternativa. Un caso emblematico è rappresentato dal lotto di Tell Beydar III, che proviene dai livelli della fase principale dell’insediamento del periodo Obeid finale e del principio del tardo Calcolitico. Il tipo più rappresentato all’interno di questo sito è il mulino a macinello ed in misura inferiore il mulino a
5.5. OSSERVAZIONI GENERALI Dal complesso dei diversi documenti e dei dati di varia natura che abbiamo sin qui analizzato è possibile concludere alcune osservazioni generali che forniscano un quadro d’insieme dei caratteri e della diffusione di questo tipo di mulino nella vasta area interessata da questo studio. La prima e più evidente conclusione a cui l’analisi dei contesti di distribuzione di questo mulino può condurre, è senza dubbio la diffusione notevole di questo modello. Il 171
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Sull’impiego di pietre differenti per le macine impiegate nei mulini a macina semplice e nello specifico sul caso di Mezad Hashavyahu, si veda in particolare il capitolo qui dedicato alle materie prime. Si veda sopra. Un’occupazione sporadica successiva, durante il periodo achemenide ed ellenistico iniziale, è testimoniata dal solo rinvenimento di una YHD coin sulla sommità del muro sud orientale (Barkay et alii 2002: 68). Con ogni probabilità il sito a questo momento viene sfruttato per il recupero di materiali per costruzione (Schiffer 1987: 106-120).
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Esempi di mulini a macina semplice A sono noti infatti anche in siti di epoca Neolitica (Tell Maghzaliyah, Tell Sabi Abyad). Si veda sopra in maggiore dettaglio.
III. I MULINI macina semplice, del quale sono presenti soltanto esempi del tipo C. Si potrebbe dunque pensare che la produzione di farina fine fosse affidata in un contesto del genere, ancora al solo mulino a macinello. Il mulino a macinello abbiamo visto permette la produzione di differenti qualità di farina, ma sempre in ridotte quantità e con un dispendio assai maggiore dei modelli più evoluti; si deve perciò ritenere che la richiesta di farine depurate in questi contesti sia ridotta e che di conseguenza l’introduzione del nuovo mulino a macina semplice sia stata inizialmente motivata dalla necessità di aumentare la produzione delle farine grossolane. Lo sviluppo successivo tuttavia conduce all’applicazione del più funzionale mulino a macina semplice anche alla produzione di farine più fini e già dal principio del Bronzo Antico in tutta la Mesopotamia settentrionale, quindi nell’area della Siria occidentale e nella fase più avanzata del Bronzo Antico fino all’area del Levante meridionale. I tre tipi di mulino sono documentati in numerosi siti, da cui è attestata la loro contemporanea diffusione, nell’area di Eski-Mosul e in misura particolare nella regione del Habur (da Tell Khazna, Tell Fisna, Tell Atij, Tell Gudeda, Melebiya) già dall’ultima fase del tardo Calcolitico e durante il Bronzo Antico iniziale174. In questa fase la distribuzione contemporanea dei tre tipi è documentata anche nell’area dell’altro Eufrate siriano (a Selenkahiye, a Tell Shiukh Fawqani), nell’area della diga di Carchemish (Gre Virike) e più a Nord della diga di Karababa (Kurban Höyük). Condizione analoga si registra in tutta la Siria Occidentale ed esempi dei tre tipi di mulino a macina semplice provengono già dai livelli del Bronzo Antico di Hama K e poi ancor più diffusamente da Hama J, e sono poi documentati negli stessi contesti dagli edifici pubblici dell’epoca paleosiriana ad Ebla. Fra i casi che abbiamo qui considerato troviamo esempi della contemporanea distribuzione dei tre tipi di mulini a macina semplice negli stessi contesti, anche dall’area del Levante meridionale (fino alla regione di Tel Arad, nel Negev). Il caso di Tell Barri è in questo senso esemplificativo e fornisce una conferma sostanziale all’ipotesi che si è qui formulata a proposito della diffusione dei diversi tipi di mulino a macina semplice e del rapporto con il precedente mulino a macinello. All’interno del lotto relativo alla sequenza del Bronzo Antico di Tell Barri infatti si assiste a due evidenti fenomeni di diffusione che si realizzano in parallelo. Dai livelli più bassi della sequenza, databili al Dinastico Antico II (o Early Jazirah II), fino ai livelli dell’inizio del Bronzo Medio iniziale si può verificare una crescita costante della presenza percentuale dei mulini a macina semplice del tipo A, destinati alla produzione di farine fini; nello stesso arco cronologico si verifica una meno 174
evidente ma tuttavia costante diminuzione della presenza percentuale dei mulini a macinello. I due dati, se letti come due aspetti dello stesso fenomeno, si possono bene interpretare secondo l’ipotesi qui formulata e deducendo che il tipo A e il mulino a macinello devessero essere utilizzati per la stessa produzione. Si può dunque calcolare in percentuale il rapporto fra i mulini per la produzione di farine fini (mulini a macinello, mulini a macina semplice A) e quelli destinati alla produzione di farine grossolane (mulini a macina semplice B e C). questo rapporto a Tell Barri risulta in proporzione più favorevole a questi ultimi durante la fase iniziale del Bronzo Antico per poi attestarsi già dai livelli del BA IV, dell’insediamento accadico, su percentuali all’incirca equivalenti (60% dei mulini per farine grossolane, contro il 40% dei mulini per farine fini). Tale rapporto arriva nei livelli del BM II dell’insediamento di epoca paleobabilonese, a percentuali equivalenti, vicine al 50%. Questo dato può di per sé fornire una indicazione di massima da utilizzare anche per comporre un quadro più ampio che interessa la modifica di alcuni caratteri della dieta e più nello specifico conferma l’applicazione del mulino a macina semplice quale modello ormai comunemente impiegato per le diverse necessità di macinazione. Per il Bronzo Medio ed il Bronzo Tardo dunque la diffusione dei tre tipi rimane costante e non subisce variazioni sensibili. Esempi sono comuni in tutta l’area del Habur e risultano diffusi all’interno degli stessi contesti a Tell Brak, nei livelli paleobabilonesi e poi mitannici nell’area del palazzo dell’area HH. Esempi analoghi sono diffusi nella regione di Eski-Mosul (a Tell Jessary, ad esempio) e ad Occidente dall’area della diga di Karababa (un lotto molto interessante proviene da Tille Höyük). In Siria occidentale casi che riportano un’analoga distribuzione sono documentati dai livelli di Hama H e J e all’interno dei grandi edifici pubblici di epoca Paleosiriana ad Ebla. A Tell Barri si registra una condizione analoga nel rapporto fra i diversi tipi di mulini a macina semplice e a macinello175. Il lotto che proviene dai livelli dell’Età del Bronzo finale e del Ferro Antico, dell’insediamento di epoca Medioassira, presenta una percentuale del 48% per i mulini impiegati per la produzione di farine fini, a fronte del 52% dei mulini destinati alla produzione di farine grossolane. Una percentuale dunque analoga a quella registrata nei livelli paleobabilonesi del BM II.
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Un’apparente eccezione è rappresentata da Tell Brak, dove una maggiore diffusione dei diversi tipi di mulino a macina semplice e delle loro installazioni, è documentata in modo particolare a partire dai livelli dell’insediamento accadico. Si veda sopra in maggior dettaglio.
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Fa eccezione il solo periodo del Bronzo Tardo iniziale, relativo all’insediamento di epoca mitannica, che presenta dati non in linea con un improvviso balzo della percentuale dei mulini a macina semplice B e C destinati alla produzione di farine grossolane (che arrivano a superare il 70%, con una percentuale simile a quella del Bronzo Antico iniziale e che non pare in linea con la tendenza affermatasi per tutto il II Millennio a.C.). Si deve però considerare che il lotto dei materiali che provengono da questi livelli è sensibilmente inferiore per quantità e dunque i dati percentuali si devono accettare con maggiore prudenza.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Si deve dedurre dunque una simile condizione di impiego e dunque una richiesta simile nella produzione di farine di diversa qualità. Il mulino a macina semplice è in generale ben documentato anche per tutta l’Età del Ferro e risulta in generale attestato da numerosi siti che presentano una sequenza di occupazione durante i primi secoli del I Millennio a.C. L’aspetto certamente più interessante in questo senso è il rapporto con il nuovo mulino assiro a scanalatura, un mulino a leva dai caratteri differenti che, come vedremo, viene introdotto già dalla fine del IX secolo a.C. in larga parte della Mesopotamia settentrionale e poi diffuso ad Occidente fino nell’area siriana e, ad Oriente, almeno fino all’Urartu, durante il periodo post-assiro relativo all’amministrazione caldea neobabilonese e poi achemenide. Si può facilmente notare come dalla documentazione dei siti che abbiamo preso in esame i due mulini risultino presenti contemporaneamente e dunque utilizzati in alternativa negli stessi contesti senza che si possa registrare una effettiva differenza nella diffusione degli uni rispetto agli altri già dai primi secoli dell’introduzione del mulino assiro a scanalatura. Basti considerare i materiali che abbiamo sopra presentato e che provengono da ‘Ain Dara, nella valle dell’Afrin, da Tell Halaf, il più recente e rilevante lotto che è stato portato alla luce dallo scavo degli edifici della città bassa di Tell Ahmar, sull’alto Eufrate siriano, datati alla fine del VII-metà del VI secolo a.C.; più ad Oriente dall’area del Forte Salmanassar a Nimrud; in Siria occidentale almeno da Ebla. In tutti i casi citati i due mulini, il mulino a macina semplice ed il mulino assiro, convivono, senza che si possa rilevare una progressiva sostituzione del modello più recente e funzionale sul più antico a macina semplice. Del resto il mulino a macina semplice rimane comunemente in uso anche in regioni nelle quali apparentemente il mulino assiro non si diffonde; questo è il caso dell’area del Levante meridionale, da dove abbiamo testimonianza dell’impiego di questo mulino ad esempio all’interno delle fortezze di Mezad Hashavyahu e di Giv´at Shapira nella regione di Jaffa, in Israele, ed in entrambi i casi senza che si possa registrare la presenza né del mulino assiro a scanalatura né di altri tipi di mulini a mano o a leva. Resta perciò da stabilire il rapporto che si instaura fra il mulino a macina semplice ed il mulino assiro al momento della sua introduzione e quali sia eventualmente il differente utilizzo dei due mulini, dal momento che di un utilizzo differente sembra ovvio parlare nel caso in questione in cui il nuovo modello non soppianti il vecchio. Ancora il caso di Tell Barri può offrire uno spunto per chiarire questo punto. L’introduzione del mulino assiro a scanalatura riconosciuta nei livelli dell’insediamento neoassiro del secolo VIII all’incirca, si accompagna all’aumento, già verificabile durante almeno i due secoli precedenti, nella diffusione dei mulini a macina semplice del tipo A, destinati alla produzione di farine fini. Questi arrivano a rappresentare il 57% dei mulini presenti a Tell Barri, un fenomeno opposto a cui assistiamo è quello
della contemporanea diminuzione dei mulini a macina semplice B e C, impiegati per la produzione della farina grossolana, che arrivano nello stesso arco di tempo al di sotto del 20%. Il rapporto dunque si inverte rispetto alla norma che abbiamo visto diffusa per tutto il Bronzo Medio ed il Bronzo Tardo. Questo fenomeno coincide con l’introduzione del mulino assiro a scanalatura e naturalmente vi è strettamente legato. Dai dati generali sembra infatti che l’introduzione dei mulini assiri sia inizialmente indirizzata alla produzione di farine grossolane e si accompagna quindi alla diminuzione dei mulini a macina semplice destinati a questo tipo di macinazione; nella fase successiva, durante il periodo neobabilonese ed achemenide, la situazione si ristabilisce con l’aumento costante della diffusione dei mulini assiri a scanalatura e la diminuzione dei mulini a macina semplice del tipo A, per farine depurate, fino a percentuali introno al 30% che rappresentano la norma dei periodi precedenti. Si deve concludere che dopo questa prima fase in cui il mulino assiro viene utilizzato probabilmente in alternativa ai mulini a macina semplice B e C, prevalentemente per aumentare la produzione di farina grossolane, nella fase successiva, una volta assestato il principio e verificate le maggiori potenzialità di questo mulino a leva176, viene impiegato sempre più diffusamente per produrre tutti i tipi di farine. Alcune generali osservazioni suscita anche il sistema delle installazioni destinate a questi mulini ed in particolare la presenza di differenti postazioni fisse, su banchina o installate direttamente sul pavimento, e mobili. Sulla base delle evidenze qui analizzate sembra di poter concludere che la banchina non rappresenta di per sé una singola installazione ma viene adattata alla disposizione dello spazio interno al vano e, soprattutto, può essere destinata ad ospitare un numero di mulini differenti. Questi possono essere fra loro distinti e distribuiti in più banchine, o sulla stessa banchina risultare separati da bordi e cordoli rilevati in argilla. La tendenza è probabilmente quella di associare sulla stessa banchina mulini di tipo diverso così da renderne più funzionale l’utilizzo in serie. Si nota in particolare come nella maggioranza dei casi è possibile riconoscere nelle banchine più piccole postazioni di lavoro destinate ad ospitare due o tre mulini a macina semplice. Questo numero potrebbe indicare facilmente l’impiego di uno o due mulini a macina semplice per la produzione di farina a grana media o grossa (ad esempio i mulini a macina semplice B o C) ed un mulino impiegato per la produzione della farina fine (e dunque un mulino a macina semplice A). Questa proporzione potrebbe mantenersi nel caso di banchine con più mulini, nelle quali i mulini dei vari tipi potrebbero essere due o più per ogni tipo.
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Il mulino assiro a scanalatura aumenta di dimensioni fino a portarlo ad un livello di efficienza maggiore. Per questo si veda in maggiore dettaglio la sezione qui dedicata estesamente al mulino assiro a scanalatura. Si veda oltre.
III. I MULINI È interessante notare come all’interno dello stesso edificio e in alcuni casi addirittura dello stesso ambiente possano convivere installazioni differenti, fisse su banchina, fisse sul pavimento o mobili. Casi evidenti che abbiamo sopra descritti provengono dall’abitazione B6 del quartiere di epoca Paleosiriana dell’Area B ad Ebla; un secondo esempio è documentato dalla House I del Bronzo Antico finale a Tell Bderi. In entrambi questi casi, ed altri sono noti, si registra la presenza di installazioni differenti all’interno della stessa unità abitativa. Lo stesso può dirsi a proposito dei contesti di differente natura nei quali possiamo trovare installazioni destinate a mulini a macina semplice. Qui il caso più eclatante è rappresentato ancora da Ebla, dove installazioni del tutto analoghe sono documentate dai grandi edifici pubblici di epoca Palelosiriana e dalle abitazioni dei quartieri abitativi contemporanei; se portato a livello de confronto fra siti contemporanei un contributo determinante è offerto dai numerosi e differenti contesti in cui troviamo installazioni per mulini a macina semplice ad Hama. Non è dunque il contesto né, se non in rari casi177, la destinazione dell’ambiente a determinare la presenza di un tipo determinato di installazione, e probabilmente è più vicina alla realtà l’ipotesi che si tratti di moduli comuni e comunemente diffusi che venivano di volta in volta applicati a seconda delle esigenze dettate dalla gestione degli spazi e delle variabili necessità. L’introduzione del mulino a macina semplice permette anche alcune osservazioni generali in merito allo sviluppo dei criteri meccanici applicati al processo di macinazione. Questo mulino infatti, come abbiamo notato al principio, introduce una novità morfologica e tecnologica evidente rispetto al precedente mulino a macinello. L’elemento di novità sta nello sviluppo della macina superiore che viene portata a dimensioni standard e correlata alla macina giacente relativa in modo tale che la lunghezza della prima corrisponda alla larghezza della seconda. Alla base di questa modifica sta naturalmente una necessità funzionale ed è dunque utile domandarsi quale vantaggio poteva presentare un’innovazione del genere, in modo da poterla poi collocare nel percorso più generale dello sviluppo delle tecnologie molitorie. L’aumento di dimensione della macina superiore in sé consente di aumentare la superficie macinatoria e dunque accresce, a parità di tempo impiegato, la quantità del prodotto macinato. Il vantaggio non consiste soltanto in questo tuttavia ma è rappresentato inoltre dalla eliminazione di uno degli elementi di variabilità che presentava il precedente mulino a macinello. È noto infatti che la macinazione come ogni processo meccanico si realizza al massimo del rendimento in condizioni di stabilità178, in condizioni nelle quali il 177
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processo non sia condizionato dalla maggiore o minore perizia dell’operatore, ma predeterminato dalla macchina; si può considerare dunque l’innovazione del mulino a macina semplice nell’ottica di un tentativo di eliminare la variabilità della direzione, della direzione della macina superiore sulla giacente, che ancora nella macinazione con i mulini a macinello dipendeva intermente dall’operatore. Con il mulino a macina semplice la direzione è predeterminata dal fatto che la macina superiore, per le dimensioni correlate alla relativa giacente, potrà funzionare soltanto secondo la direzione di una frizione assiale. Come tentativo di superare questo elemento di variabilità, che sarà in realtà poi del tutto eliminato soltanto in seguito dall’introduzione del mulino a tramoggia, come vedremo, si può anche intendere lo sviluppo del mulino a macina semplice179. 179
Un carattere particolare è evidente ad esempio alla grande sala delle macine del Palazzo Occidentale di Ebla. Si veda a questo proposito sopra in maggiore dettaglio. Sulla questione si veda generale Mortiz 1958 e poi Bombardieri 2008b. L’eliminazione progressiva dei limiting factors sarà qui tema di una sezione delle conclusioni. Si veda perciò oltre in maggior dettaglio.
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Una nota particolare in conclusione merita senz’altro una delle macine superiori, altrimenti dette Kind, che provengono da Zincirli, della quale è fortunatamente riportata sia la foto che il disegno (Andrae, von Luschan 1943: Abb. 6, 8). Si tratta di una macina in pietra basaltica a profilo ellissoidale allungato, con faccia principale retta-retta e faccia secondaria a calotta, che ha pertanto caratteri affini a quelli comunemente diffusi fra le macine superiori per mulini a macina semplice. Ciononostante alle due estremità della faccia secondaria si trovano due protuberanze analoghe a profilo troncoconico e piuttosto basse sul corpo della macina. A prima vista si sarebbe tentati di considerarli piedi di un tripode, seppure evidentemente si tratta di una macina tanto a giudicare dalla descrizione che, soprattutto, dal disegno che nella sezione non indica alcuna cavità. Una macina superiore per mulino a macina semplice de genere non trova, a nostra conoscenza, alcun confronto. Le due protuberanze possono naturalmente essere destinate a facilitare la presa della macina da parte dell’operatore. Un principio del genere, anche se diversamente applicato nella resa morfologica, come vedremo, sta alla base degli handgrips presenti sul più antico tipo di mulino a tramoggia che in questo caso certamente si devono interpretare come elementi impiegati per agevolare la presa e rendere più incisiva l’operazione della macinazione. Una interpretazione del genere è certamente probabile, dal punto di vista funzionale, anche per questo esempio di mulino a macina semplice ma richiede di approfondire la questione. Quello che ci si deve chiedere è il motivo per il quale un’innovazione del genere, che rappresenta certo una notevole semplificazione del processo e che doveva contribuire ad aumentare la produttività, non ha avuto seguito. Casi differenti di fingerholds, probabilmente associati a mulini a macina semplice sono altrove noti soltanto in epoca classica e provengono dalla Grecia continentale (Young 1940: 179, Fig. 11d). Altri esempi di fingerholds, provengono dall’area del Levante meridionale. Si tratta delle cosiddette macine fenicie, di cui abbiamo un esempio da Sarepta, nel Libano meridionale (Pritchard 1978: Fig. 73), ed uno di recente pubblicato da R. Frankel e proveniente dalla ricognizione di superficie condotta nella area di Horvat ‘Ein Koveshim (Frankel et alii 2004: 264). Si tratta di esempi databili ad epoca ellenistica o (più comunemente) al periodo romano. La scarsità dei
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico 6. IL MULINO ASSIRO A SCANALATURA
tecnologico, grazie al quale la forza viene distribuita in modo da rendere il processo costante182. I mulini a leva (o lever mills) rappresentano pertanto una tappa intermedia all’interno di questo sviluppo e costituiscono il primo affrancamento dai più primitivi modelli a mano. Il rapporto è qui mediato appunto da una leva che funziona da volano, tramite la quale si riesce ad amplificare la forza di attrito impressa dall’operatore e al tempo stesso regolarizzare, rendendo più uniforme la velocità del processo. Questi elementi, che troveranno realizzazione compiuta via via nei modelli successivi e, come vedremo, migliore applicazione già nel più evoluto mulino a tramoggia, vengono tuttavia introdotti per la prima volta proprio con il mulino assiro a scanalatura. Il mulino assiro a scanalatura è caratterizzato da un tipo di macina superiore attiva che può presentarsi sia a corpo di basso parallelepipedo, e dunque a pianta tendenzialmente rettangolare con spigoli arrotondati, che a pianta ellissoidale. La faccia principale operativa si presenta in ogni caso a profilo retto secondo entrambi gli assi principali; rari sono i casi nei quali si possa notare una leggera convessità della superficie operativa. La caratteristica più rilevante è naturalmente la presenza di una scanalatura regolare ricavata sulla faccia superiore in modo da risultare parallela ai lati maggiori della macina (TAV. 92). Alla stretta affinità morfologica corrisponde un’altrettanta certa regolarità nella scelta del materiale del supporto. Le macine di questo mulino sono infatti in tutti i casi ottenute a partire da una pietra basaltica con caratteri strutturali e morfologici comuni. Si tratta sempre di basalto a struttura porfirica massiccia, fine granulazione e durezza elevata, dai toni grigio nerastri. La macina giacente in questo tipo di mulino è costituita da una lastra a pianta tendenzialmente rettangolare di dimensioni variabili, con la superficie operativa tendenzialmente piana secondo entrambi gli assi principali, realizzata in un basalto in tutto simile a quello delle relative macine attive a scanalatura. Si possono distinguere nel complesso due tipi principali di mulino assiro a scanalatura che indichiamo, come di norma, qui di seguito:
6.1. I DATI TECNOLOGICI Morfologia e ricostruzione funzionale. Il mulino assiro a scanalatura presenta caratteri morfologici e funzionali assai definiti, ed ha sia un’area di distribuzione che un arco cronologico di diffusione ben circoscritti. La stessa definizione di mulino assiro a scanalatura che si è voluta qui introdurre vale ad indicare il principale aspetto funzionale ed al tempo stesso la regione che storicamente ne ha visto la diffusione180. Il mulino assiro a scanalatura è infatti il primo ed il più antico mulino a leva (lever mill) mai introdotto e dunque rappresenta di per sé un momento fondamentale nello sviluppo che porta dai mulini a mano (hand mills) fino ai più evoluti e complessi mulini meccanici (geared mills)181. I primi, come abbiamo visto, che pure si presentano differenti fra loro quanto ad applicazione funzionale (così il mulino a macinello, il mulino a macina semplice, il mulino a mortaio che abbiamo sin qui descritto) sono tuttavia in definitiva riconducibili allo stesso modello tecnologico, che indica un rapporto diretto dell’operatore con il mulino: colui che è preposto alla macinazione agisce direttamente, “a mano”, sulla macina superiore attiva del mulino. In modo del tutto differente, nei più complessi mulini meccanici l’operatore non interviene affatto nel processo di macinazione, che è invece affidato a forze diverse (idraulica, eolica, animale) che è soprattutto mediato da un sistema ad ingranaggi, differente da modello a modello ma anche in questo caso analogo nel principio
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documenti non consente che una generale attestazione di questi tipi nell’area del Levante meridionale come probabili varianti, sporadiche e tardive appunto, del principio del mulino a macina semplice. L’esempio di Zincirli rimane dunque isolato e privo di validi raffronti, come un esempio che non ha avuto seguito immediato. Si è optato per la definizione di mulino assiro a scanalatura, e non semplicemente di mulino a scanalatura (che pure sarebbe stata maggiormente in linea con le definizioni di natura morfologica e funzionale degli altri mulini distinti in questo studio), proprio in ragione del carattere regionale di questo mulino che non riduce tuttavia, come si vedrà, l’importanza generale che questo mulino riveste nella storia della tecnologia molitoria antica. Questa partizione dei tre tipi fondamentali di mulini hand mills, lever mills, geared mills, cui abbiamo già fatto cenno è stata formulata per la prima volta dal Moritz (Moritz 1956) e risulta valida nella sua applicazione generale. Per lo studio della diffusione dei mulini meccanici (geared mills) in età tardo antica e medievale in Oriente si può fare riferimento a due recenti studi che hanno per oggetto lo sviluppo del mulino vitruviano ad acqua rispettivamente nella regione di Sagalassos in Pisidia (Donners et alii 2002) e nella vasta regione di Isfahan e Yazad in Persia (Harverson 1993).
TIPO A. Si tratta del mulino assiro a scanalatura maggiore, che rappresenta il tipo standard ed il più diffuso. È costituito da una macina superiore a pianta rettangolare con spigoli arrotondati, di dimensioni rilevanti183, la cui 182
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Si veda a questo proposito e in merito ai principi teorici dello sviluppo meccanico dei mulini qui di seguito nel capitolo delle conclusioni dedicato ai caratteri dello sviluppo della tecnologia molitoria. Più in generale si veda anche Bombardieri 2005. Le dimensioni standard della macina superiore sono al massimo comprese tra i 30 ed i 40 cm di lunghezza ed i 20 ed i 30 cm di larghezza, per uno spessore compreso fra 5 e 10 cm. La scanalatura, a sezione in genere arrotondata, è di larghezza compresa tra i 2,5 ed i 3,5 cm di profondità compresa fra i 2,5 e i 4,5 cm. La scanalatura è realizzata in posizione eccentrica e distingue la faccia superiore in due porzioni, una maggiore (A) ed una minore (B), per cui il rapporto
III. I MULINI faccia principale operativa si presenta in ogni caso retta secondo entrambi gli assi principali. La relativa macina giacente si presenta, come si è detto, a pianta rettangolare allungata, faccia operativa a profilo retto-retto, ed ha dimensioni naturalmente proporzionate alla macina superiore. In particolare si può stabilire, soprattutto sulla base degli esempi rinvenuti in situ, che la macina superiore a scanalatura presenta la dimensione piana maggiore all’incirca uguale o di poco inferiore rispetto alla dimensione minore della relativa macina giacente; la dimensione piana maggiore della macina giacente piana è invece uguale o poco superiore al doppio della dimensione minore della relativa macina attiva (TAV. 92: A).
assicurato alla macina attiva per mezzo di un fissante, in genere bituminoso184. Si poteva così produrre una ripetuta frizione assiale, avanti e indietro della macina superiore, messa in funzione attraverso il volano in legno, sulla macina giacente fissata al suolo o più probabilmente su una installazione di supporto (Trokay 2000: 1668, nota 18; Ellis 1995: 403, fig. 4; Bombardieri 2005a). La prima definizione di “pietra da macina con scanalatura” si deve a B. Hrouda che così definisce le macine superiori nella categoria delle cosiddette Reibmühlen all’interno dello strumentario per la macinazione di Tell Halaf (Hrouda 1962: 51), distinguendole dagli altri due gruppi rappresentati dalle Schlitzmühlen e dalle Zapfenmühlen, di cui le prime sono le ben riconoscibili macine per mulino a tramoggia, mentre le seconde, considerate dal Hrouda piccole macine rotative per la lavorazione dei pigmenti, si devono invece più probabilmente considerare dispositivi a pivot per torni lenti185. Si può facilmente rilevare l’importanza attribuita dal Hrouda a questo modello, la cui diffusione a Tell Halaf è senz’altro tale da caratterizzare fortemente il complesso degli strumenti per la macinazione186. A questa prima identificazione segue in anni più recenti il lavoro sistematico della Ellis (Ellis 1995: 403) e quindi il più ampio studio di M. Trokay che porta alla pubblicazione del lotto delle molettes à rainure di Tell Ahmar (Trokay 2000: 1668; 1674, fig. 1.2.2; 1676, fig. 4). A questi si deve la prima analisi morfologica e funzionale di questo tipo di mulino e l’identificazione di alcuni importanti dettagli tecnologici, quali l’impiego del bitume come fissante per il volano nella scanalatura (Trokay 2000: 1668).
TIPO B. Si tratta del mulino assiro a scanalatura minore, che, seppure meno diffuso, risulta ben documentato. È costituito da una macina superiore a pianta tendenzialmente ellissoidale o ellissoidale allungata, con faccia principale operativa a profilo normalmente retto secondo entrambi gli assi principali, per quanto si registrino pochi casi con faccia operativa leggermente convessa. La scanalatura si trova in questo caso in posizione tendenzialmente centrale sulla faccia superiore e non in posizione decentrata come nei tipo maggiore. Nel complesso dunque le macine superiori di questo tipo di mulino assiro a scanalatura presentano maggiori affinità morfologiche, dimensioni ridotte e profilo ellissoidale soprattutto, con le macine attive dei precedenti mulini a macina semplice. La relativa macina giacente si presenta a pianta rettangolare allungata con dimensioni ridotte e tuttavia proporzionate alla macina superiore, così che si possono stabile rapporti di dimesione simili a quelli verificati nel tipo maggiore e più diffuso di mulino assiro a scanalatura (TAV. 92: B). La modalità con cui questi mulini operavano può essere quindi ricostruita sulla base dell’osservazione funzionale dei loro caratteri morfologici. L’assetto generale del mulino assiro a scanalatura prevede anzitutto che la macinazione debba essere condotta attraverso la frizione, o rubbing, ripetuta su una superficie lievemente concava o retta, ma in ogni caso parallela rispetto al suolo, secondo un modello già noto dal mulino a macina semplice. In particolare il rapporto di proporzione fra le macine superiori ed inferiori in entrambi i tipi di mulini assiri a scanalatura permette facilmente di concludere che le due macine dovevano essere disposte perpendicolarmente l’una all’altra, in modo tale che la scanalatura sulla faccia superiore della macina attiva risultasse perpendicolare all’asse della macina inferiore giacente. La scanalatura della macina attiva costituisce infatti l’alloggiamento della leva (o volano) che veniva azionato dall’operatore (TAV. 92). Il volano in legno, veniva
6.2. I DOCUMENTI ARCHEOLOGICI Installazioni, contesti significativi Di particolare interesse risulta lo studio dei contesti di ritrovamento e l’analisi delle installazioni per mulini assiri a scanalatura documentate a Tell Barri, nel bacino del Habur187. E’ possibile isolare tre differenti contesti dai quali provengono macine per mulini a scanalatura. Questa distinzione è utile per ricostruire il ciclo di produzione ed utilizzazione di questi manufatti a Tell Barri. Macine a scanalatura si possono infatti riconoscere anzitutto fra i materiali provenienti da laboratori all’aperto per la lavorazione di lacerti di pietra destinati a divenire macine (in questo caso si tratta spesso di esempi frammentari o 184
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fra A e B è sempre costante e risulta compreso fra 2 e 2,5.
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Si vedano a tale proposito qui di seguito i casi di Tell Ahmar e Tell Barri. Sulla questione si veda in maggiore dettaglio Trokay 1989; Roobaert, Trokay 1990 e Bombardieri 2004. Hrouda non fa menzione di macine superiori non scanalate. Ovviamente questo non significa che a Tell Halaf non fossero diffusi i mulini a macina semplice, ma vale piuttosto come indice della diffusione e dell’importanza dei tipi a scanalatura in questo sito. Si veda a questo proposito Bombardieri 2005; Bombardieri 2008b.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico meglio mai terminati e si dovrà ritenere che non siano entrate mai in uso). Altri esempi possono invece provenire direttamente da vani destinati ad ospitare installazioni per la macinazione, pubbliche o domestiche, dotate di mulini a scanalatura. Altri casi frammentari infine possono provenire da piani pavimentali, soprattutto piani di pavimentazione all’aperto. Si può concludere dunque che la lavorazione e la confezione finale di queste macine dovesse avvenire all’interno del sito, che inoltre all’interno del sito dovevano essere attive molte installazioni per la macinazione, anche per la produzione domestica, dotate di mulini a scanalatura e che infine queste macine, una volta non più impiegate per la macinazione perché fratturate o non più utilizzabili, si prestavano comunemente ad essere reimpiegate come materiale edilizio. All’interno di questo lotto è interessante notare il caso della macina a scanalatura E.2128 che proviene dall’Area J (Pecorella 1997: 82; Pecorella, Pierobon-Benoit 2004: 83) ed è stata rinvenuta all’interno del vano settentrionale 57 del palazzo neoassiro di Tukulti-Ninurta II, in un livello corrispondente all’insediamento secondario della struttura datato tra la fine del VII secolo a.C e i primi decenni del secolo successivo. In questa fase il vano 57 viene adibito a laboratorio destinato ad ospitare installazioni per la macinazione. Vi si possono infatti identificare due differenti postazioni, di cui una costituita da una grande macina giacente a sella (E.2127) rinvenuta insieme alla relativa macina attiva pianoconvessa (E.2132), ed una seconda costituita appunto da una macina a scanalatura frammentaria (E.2128) e dalla relativa macina giacente piana (E.2132) (Pecorella 1997: 84)188 (TAV. 93: 1). Una analoga destinazione presentano anche i vani settentrionali 515 e 517 del contemporaneo edificio di età neobabilonese messo in luce nell’Area G (Pecorella 1996: 46-48) (TAV. 93: 2). Nel caso del vano 517 si tratta di un ambiente destinato ad attività domestiche, fra le quali la macinazione dei cereali per l’approvvigionamento quotidiano. All’interno del vano si trova infatti un grande mortaio in pietra calcarea (E.1772), rinvenuto incassato nel pavimento in argilla battuta in prossimità del muro nord-orientale del vano, insieme con un macinello a profilo irregolare in pietra calcarea nerastra. Non distante dalla postazione del mulino a mortaio sono venute in luce due macine giacenti piane frammentarie (E.1646 ed E.1660) ed una macina a scanalatura fratturata longitudinalmente (E.1647). Il Vano 517 ospita, oltre alle installazioni specificatamente destinate alla macinazione, altre strutture che possono essere connesse all’attività di lavorazione dei cerali. In particolare i due recipienti in terracotta (536 e 537) incassati nel pavimento del vano, non lontano dalla postazione del mortaio, ed il ripostiglio 509 realizzato con mattoni crudi messi di taglio ed 188
addossato all’angolo sud occidentale del vano in corrispondenza del varco di accesso. Quest’ultimo, analogo al ripostiglio 543 che si trova all’interno dell’adiacente vano 515, riveste un interesse particolare. Strutture del genere possono avere la funzione di ambienti per lo stoccaggio delle granaglie (TAV. 93: 2; 94: 2). E’ noto infatti che una volta terminata la trebbiatura sui piani di battitura nei campi, i cereali, dopo essere stati raccolti in mucchi, coperti e lasciati asciugare, venivano trasportati in magazzini e qui sistemati in grandi bin (o in ripostigli) in mattoni crudi (Holland 1976: 59)189. E’ possibile dunque che i ripostigli all’interno del grande edificio neobabilonese dell’Area G potessero adempiere ad una simile funzione di stoccaggioe costituire così la riserva di cereali destinati alla macinazione, che doveva svolgersi, come abbiamo visto, non distante all’interno dello stesso vano o del vano adiacente190. Dai casi sin qui descritti, tutti riferibili ad installazioni per la macinazione dotate di mulini a scanalatura, si distingue il caso della macina scanalata E.2408, che proviene dai livelli dell’insediamento achemenide dell’Area J, da un’installazione artigianale costituita da un piano all’aperto adibito alla lavorazione di blocchi di calcare e pietra basaltica destinati a divenire macine (Pecorella 1999: 114). Da questo laboratorio proviene infatti un numero rilevante di scarti della lavorazione, frammenti di pietra basaltica sbozzata e strumenti completi o in via di rifinitura. Fra questi si conserva un mortaio in basalto frammentario (E.2347), quattro macine attive pianoconvesse (E.2406, E.2407, E.2409), di cui una non terminata (E.2482), una macina giacente piana di piccole dimensioni corredata del relativo pestello sferoide (E.2354), un mortaio profondo in calcare biancastro (E.2405), e infine una macina a scanalatura frammentaria (appunto la E.2408), probabilmente fratturata longitudinalmente nel corso della lavorazione e dunque mai utilizzata ed abbandonata come scarto. A questo proposito si deve rilevare che, in generale, le macine a scanalatura conservate in stato frammentario si 189
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Oltre alle macine delle due postazioni, dal vano 57 proviene un grosso peso a ciambella in pietra basaltica (E.2129) e un levigatoio in arenaria scura (E.2133), che dovevano far parte dello strumentario del laboratorio.
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Si veda a questo proposito in particolare il caso di Tell es-Sweyhat, sull’alto corso dell’Eufrate, dove una struttura del genere è stata rinvenuta addossata all’angolo interno di un vano, parte del complesso artigianale dell’area IV. In questo caso dall’interno del bin proviene una grande quantità di semi carbonizzati a seguito di un incendio occasionale e un numero considerevole di piccoli ciottoli che dovevano servire ad assicurare la copertura dei grani stoccati, a practice still used today by the local farmers to protect their harvested crops (Holland 1976: 59). Un caso analogo di conservazione è noto a Tell Bderi (Vano B dello strato 7B datato al Bronzo Antico, Pfälzner 1988: 242). Si deve considerare, come è ovvio, che strutture del genere si prestavano ad essere impiegate secondariamente con diverse finalità. Questo sembra essere il caso del ripostiglio 509, dal cui riempimento proviene una serie di fusajole e pesi in argilla cruda (Pecorella 1996: 46), che testimoniano del fatto che il ripostiglio, una volta non più utilizzato per lo stoccaggio, deve essere stato destinato ad un telaio in disuso (Baccelli, Bombardieri 2006).
III. I MULINI presentano in maggioranza fratturate longitudinalmente in corrispondenza della scanalatura stessa, laddove ovviamente la macina poteva rivelarsi più fragile all’uso. Fratture di questo tipo dovevano essere in realtà piuttosto frequenti e di conseguenza la vita di questi strumenti relativamente breve. Questi manufatti potevano essere utilizzati secondariamente come materiale edilizio, come si è detto, soprattutto per la messa in opera di piani pavimentali per esterni. E’ questo il caso di un lotto di quattro macine a scanalatura frammentarie (E.1711-E.1714) provenienti dai livelli achemenidi dell’Area J, reimpiegate come lastre nel pavimento esterno 15 (Pecorella 1996: 71) (TAV. 94: 1). Si tratta di una possibilità di reimpiego piuttosto frequente, seppure in realtà per questo scopo sembrino di norma preferiti frammenti di lastre pertinenti a macine giacenti piane, che possono garantire ovviamente una migliore pavimentazione191. I casi di reimpiego come ralle o elementi di cardine di macine frammentarie originariamente destinate a mulini assiri, è invece assai raro, soprattutto se lo si considera in rapporto alla diffusione che abbiamo visto per le macine dei mulini a macina semplice. Si tratta in questo caso di un solo caso documentabile192. La sola macina superiore a scanalatura E.2016, che proviene da un livello del Ferro III dell’Area G, presenta sulla faccia principale una bassa coppella praticata secondariamente col fine di riutilizzarla come pietra da cardine. Un altro caso interessante è rappresentato dalle installazioni per mulini assiri a scanalatura documentate a Sultantepe dallo scavo turco e britannico diretto da Gökçe e Seton Lloyd nei primi anni ’50 (Lloyd, Gökçe 1953) (TAV. 95: 2-3). Si tratta in questo caso di almeno tre mulini del tipo assiro rinvenuti in situ all’interno dello stesso vano, il piccolo ambiente C2 all’interno del maggiore complesso C messo in luce sull’acropoli (Lloyd, Gökçe 1953: 32-33; Fig. 3; Pl. I: 1). Le tre macine giacenti piane si trovano qui al di sopra di una piccola banchina in mattoni crudi disposta sulla parete di fondo del vano. In verità non è possibile stabilire se si tratti di tre mulini a scanalatura, dal momento che soltanto in un caso si trova la relativa macina attiva a scanalatura. C’è dunque la possibilità che si tratti di una postazione che poteva prevedere un mulino assiro a scanalatura e due mulini a macina semplice, o, differentemente, tre mulini a scanalatura. In ogni caso si tratta di un caso di particolare interesse che rappresenta, allo stato delle conoscenze, l’unica testimonianza di una installazione di mulino a scanalatura su una banchina, attraverso la quale istituire un parallelo
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con le analoghe ma ben più diffuse installazioni destinate a mulini a macina semplice.
6.3. AREA E CRONOLOGIA DELLA DIFFUSIONE Età del Ferro (IA II-III) e casi successivi di diffusione del mulino assiro a scanalatura durante il I Millennio a.C.. L’introduzione del mulino a scanalatura assiro si deve collocare verisimilmente attorno al IX secolo a.C. Questo mulino rimane in uso almeno fino al V-IV secolo e la sua diffusione rimane limitata essenzialmente alla Mesopotamia e al Levante siriano, ovvero, in termini generali, all’area di diretta influenza assira. Nel complesso dei siti presi in esame soltanto 13 casi restituiscono mulini a scanalatura, in questo numero sono comprese tuttavia le capitali e i maggiori centri provinciali assiri, così da giustificare, come abbiamo anticipato, l’impiego per questo tipo della definizione qui introdotta di mulino assiro a scanalatura. Da Tell Barri provengono 21 macine attive a scanalatura, a profilo completo o frammentario, e 8 macine giacenti piane, in maggioranza frammentarie (TAV. 98-99). I mulini assiri a scanalatura fanno la loro comparsa a Tell Barri nei livelli neoassiri datati almeno alla fine dell’VIII secolo a.C e rimangono in uso durante i successivi periodi neobabilonese ed achemenide. Non se ne trovano in livelli più recenti. Per tutto il periodo indicato tuttavia risultano senza dubbio il sistema di macinazione più diffuso a Tell Barri, arrivando a rappresentare il 40% dell’intero strumentario molitorio (Bombardieri 2006). La diffusione di questi mulini all’interno della sequenza di occupazione dell’Età del Ferro a Tell Barri è particolarmente indicativa. Esempi di macine per mulini assiri a scanalatura provengono infatti dai livelli contemporanei dell’Area G, nella prossimità sudorientale del tell, e delle Aree A e J, sulle pendici occidentali del monticolo. Delle 9 macine pertinenti a questo tipo di mulini e provenienti dall’Area G, 6 sono state rinvenute nei livelli del periodo neobabilonese ed achemenide (strati 15-20) due delle rimanenti provengono dai livelli precedenti della transizione fra il tardo periodo neoassiro e l’epoca post-assira caldea (strati 21-22), l’ultima e più recente dai livelli della prima età ellenistica (strato 12)193. Anche fra i materiali dell’Area J sono documentati 9 esempi di macine di mulini assiri a scanalatura, in maggioranza provenienti dai livelli neobabilonesi relativi alla ricostruzione successiva la crollo del palazzo neoassiro e dai successivi livelli di occupazione di epoca achemenide (strati 9-12). Dei 3 casi di macine a scanalatura che provengono infine dalla adiacente Area A, 2 sono stati rinvenuti nei più bassi livelli (strati 32-34),
In questo modo sono realizzati ad esempio i pavimenti esterni 478 e 490, relativi al già citato edificio neobabilonese dell’Area G (Pecorella 1996: 45-66). Un altro caso nel quale si rileva una coppella secondaria ricavata, anche se con diversa funzione, su una macina superiore di mulino assiro a scanalatura, è documentato dallo scavo dell’Hellenistic Building sull’acropoli di Tell Beydar (Martin Galan, AlOthaman 2003: fig. 6). Il contesto di rinvenimento è tuttavia controverso, si veda in maggior dettaglio in seguito.
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Questa ultima (E. 1323), in stato assai frammentario, potrebbe in realtà esser considerata risalita da livelli più antichi.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico relativi dunque alla epoca achemenide iniziale, ed uno soltanto dai livelli ellenistici (strato 26)194. Si tratta in tutti i casi di macine in pietra basaltica con caratteri analoghi, a struttura porfirica massiccia, fine granulazione e durezza elevata, dai toni grigio-nerastri. Per quanto riguarda la tipologia delle macine per mulino assiro a scanalatura diffuse, si può rilevare come la quasi totalità degli esempi da Tell Barri sia da ascrivere al tipo standard di dimensioni maggiori, con faccia principale a profilo retto-retto e pianta rettangolare ad angoli arrotondati (ovvero al tipo III.C. 3a). Si può distinguere la sola macina E. 2233, l’esempio più antico del lotto, che proviene dall’Area G, da un livello databile al periodo neoassiro finale. Si tratta in questo caso di una macina superiore a scanalatura del tipo di dimensioni minori e pianta ellissoidale (ovvero del tipo III.A.1b) Di particolare interesse, come abbiamo anticipato, è il lotto delle molettes à rainure di Tell Ahmar (Trokay 2000: 1668; 1674, fig. 1.2.2; 1676, fig. 4) provenienti dallo scavo degli edifici C1 e C2 nella città bassa. Gli edifici si trovano nell’area occidentale dell’insediamento, all’interno di un quartiere abitativo la cui costruzione si fa risalire ad un momento compreso fra il VII secolo ed une époque mal définie qui l’a suivie (Trokay 2000: 1665)195. Le molettes à rainure di Tell Ahmar sono descritte di forma più o meno quadrangolare con dimensioni vicine a quelle delle altre molettes a mano, seppure in genere sensibilmente più grandi di queste ultime, caratterizzate da una scanalatura poco profonda parallela ai lati maggiori, dont le fond est souvent imprégné de bitume (Trokay 2000: 1668)196 (TAV. 100: 7-9). All’interno del lotto, che si immagina tuttavia raccolga esempi differenti di macine a scanalatura, è documentato il tipo di dimensioni minori caratterizzato, come già abbiamo visto a Tell Barri, da pianta ellissoidale e faccia principale a profilo retto-retto (del tipo III.A.1b dunque). Altri esempi di macine per mulini assiri a scanalatura provengono da Sultantepe (Lloyd e Gökçe 1953: 31; Pl. I: 1). Non sono descritte morfologicamente seppure le si definisce objects of no great value of basaltic stones (Lloyd, Gökçe 1953: 31), di un tipo comune durante lo scavo dei livelli assiri. Si tratta in questo caso di esempi affini al tipo standard di dimensioni maggiori, con faccia principale a profilo retto-retto e pianta rettangolare ad angoli arrotondati (ovvero al tipo III.C. 3a). Allo stesso tipo standard (tipo III.C. 3a) si devono in maggioranza ricondurre anche gli esempi da Tell Halaf, che rappresentano per la pubblicazione stessa del lotto un caso di particolare interesse. Al Hrouda infatti si deve,
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come abbiamo visto, la prima definizione di “pietre da macina con scanalatura” (Hrouda 1962: 51). Sono nel complesso documentate almeno 11 macine superiori per mulino assiro a scanalatura, in tutti i casi in pietra basaltica a struttura variamente compatta o minimamente vacuolare (Hrouda 1962: Taf. 38: c) (TAV. 100: 1). Per quel che riguarda la morfologia si tratta in maggioranza, come abbiamo detto, di macine standard di dimensioni rilevanti (tipo III.C. 3a) anche se si rileva la presenza di pochi esempi del tipo minore (tipo III.A. 1b) ed in generale si può notare una certa variabilità nelle dimensioni generali delle macine, con la presenza di esempi che presentano dimensioni intermedie. Questi ultimi hanno tuttavia pianta rettangolare ad angoli arrotondati, aspetto questo che le avvicina decisamente al tipo standard (di cui saranno varianti) piuttosto che al tipo minore che, come abbiamo visto, si presenta a pianta ellissoidale, più simile nei caratteri morfologici generali alle comuni macine superiori per mulini a macina semplice. Altri esempi provengono da Zincirli (Andrae, von Luschan 1943: Abb. 8). Si tratta di almeno quattro esempi in pietra basaltica a struttura compatta ovvero minimamente vacuolare. Sono documentati entrambi i tipi principali di macine superiori per mulino assiro a scanalatura, ovvero sia il tipo di dimensioni inferiori a pianta tendenzialmente ellissoidale (per quanto in questo caso il disegno riportato non consenta di accertarlo con certezza) (Andrae, von Luschan 1943: Taf. 7: m) con faccia principale a profilo retto-retto (del tipo III.A. 1b), che il tipo standard, di dimensioni maggiori, con pianta rettangolare e faccia principale a profilo retto-retto (ovvero del tipo III.C. 3a) (Andrae, von Luschan 1943: Abb. 8) (TAV. 87: 1; 100: 6). Due esempi di mulini assiri a scanalatura sono attestati anche a Nimrud. Fra i materiali della survey e dello scavo italiano nell’area del Forte Salmanassar (Fiorina 2001; 2004; Fiorina et alii 2005) sono infatti documentate due macine superiori, una frammentaria e l’altra integra, relative a due mulini assiri del tipo a scanalatura. La prima (89 P 94) proviene dallo scavo dell’Area A1, E56, dai livelli superiori datati verisimilmente, sulla base della ceramica e dei materiali associati, al periodo postassiro caldeo (TAV. 96; 100: 4) (Fiorina et alii 2005). Si tratta di una macina attiva a scanalatura frammentaria, a sezione pianoconvessa, grossolanamente arrotondata in corrispondenza di uno dei due lati brevi, con scanalatura poco profonda parallela ai lati maggiori, con faccia principale a profilo convesso-retto e a pianta tendenzialmente ellittica (e dunque del tipo II.A. 1b). È realizzata a partire da una pietra basaltica a struttura porfirica massiccia dai toni grigio nerastri, di un tipo analogo a quello che abbiamo visto comunemente diffuso per questi strumenti. La seconda (89 P 72) proviene dall’ambiente A1 messo in luce dall’ampliamento SW del complesso del Forte Salmanassar. Si tratta in questo caso una macina superiore integra con faccia principale a profilo convessoretto e a pianta ellissoidale allungata (del tipo II.A. 2b), del tutto analoga alla precedente (TAV. 96; 100: 5).
Anche in questo caso (E. 1716) sono lecite le riserve avanzate a proposito dell’E.1323 dell’Area G. Per la datazione degli edifici C1 e C2 si veda più in particolare Jamieson 2000: 259-264. La scanalatura misura circa 2 cm in larghezza e profondità (Trokay 2000: 1668), analogamente agli esempi di Tell Barri. Tracce del bitume impiegato per fissare il volano sulla scanalatura sono presenti anche in due casi da Tell Barri (E.1607 ed E.2249), che presentano evidenti tracce di bitume in corrispondenza della scanalatura.
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III. I MULINI Le dimensioni tuttavia, che sono sensibilmente inferiori allo standard noto a Tell Halaf (Hrouda 1962: 51; Pl. 38: c) e dalla maggioranza degli esempi di Tell Barri, ed insieme il profilo arrotondato del fronte minore inducono a mettere le due macine assire a scanalatura di Nimrud in relazione particolare con le molettes à rainure di Tell Ahmar (Trokay 2000: 1668). Si segnala inoltre un piccolo ma interessante lotto di tre macine per mulino assiro a scanalatura da Tell Hazna197. Gli scavi russi nell’importante sito calcolitico di Hazna, nel distretto di Hassake, hanno recentemente recuperato fra i materiali di una bassa fossa dell’Età del Ferro che taglia la cinta difensiva esterna del periodo Ninivite 5, due macine a scanalatura, di cui una integra e l’altra frammentaria. Un’altra macina di questo tipo è stata rinvenuta durante la ricognizione condotta sulla città bassa e proviene dall’area immediatamente adiacente alle pendici settentrionali del monticolo di Hazna 1. Interessante è anche il caso di una probabile macina superiore attiva di un mulino assiro a scanalatura messa in luce dallo scavo dell’Hellenistic Building del Field A sull’acropoli di Tell Beydar (Martin Galan, Al-Othman 2003). Dall’interno del cono del tannur 1435 appartenente alla seconda fase dell’edificio, proviene una macina frammentaria dalla quale è secondariamente ricavata una bassa coppella, sulla faccia principale198 (Martin Galan, Al-Othaman 2003: fig. 6) (TAV. 100: 3). Sulla faccia convessa secondaria si trova una scanalatura longitudinale ben evidente, che sembrerebbe indicare la possibilità si sia originariamente trattato di una macina attiva di un mulino assiro. Dato il contesto di rinvenimento e la condizione secondaria del reimpiego è probabile che in questo caso si possa far risalire la datazione della macina a scanalatura ed il suo utilizzo primario al periodo neoassiro finale e post-assiro, nel quale questo tipo di mulino risulta diffusamente documentato199.Lo stato frammentario di conservazione 197
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ed il contesto non sicuro non consentono tuttavia conclusioni certe. Al di fuori dell’area mesopotamica settentrionale200, un interessante esempio di mulino assiro a scanalatura proviene da Tell Mardikh. Si tratta di una macina superiore attiva a scanalatura in pietra basaltica a struttura evidentemente compatta e a toni grigio-nerastri intensi, morfologicamente affine al tipo standard a pianta tendenzialmente rettangolare con faccia principale operativa a profilo retto-retto (affine dunque al nostro tipo III.C. 3a) (Fronzaroli 1967: Fig. 9; Tav. XXXIV: 1; XXXV: 1) (TAV. 97: 3). Questa macina proviene dallo scavo dei livelli relativi all’insediamento persiano ed ellenistico del settore E sud sull’acropoli di Ebla ed è stata rinvenuta direttamente sul pavimento del livello intermedio del locus b (Fronzaroli 1967: 109). Sulla base dei materiali associati, e della ceramica in modo particolare, è dunque probabile che la datazione di questa fase sia da fissare alla prima età achemenide. Data l’assenza, sul pavimento o nel riempimento superiore dello stesso ambiente, della macina giacente relativa, non è possibile tuttavia stabilire se si tratti o meno della originale postazione destinata al mulino assiro a scanalatura che, seppure è verisimile si trovasse all’interno del vano, non è dato di localizzare con certezza201. È infatti allo stesso modo sostenibile che la macina sia stata secondariamente lasciata sul pavimento perché non più in uso202 (TAV. 97: 1-2). Nell’area del Levante meridionale la diffusione del mulino assiro a scanalatura è più scarsamente
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Devo un ringraziamento particolare al Shahmardan Amirov con il quale ho avuto modo di discutere a Hazna il recente ritrovamento di questo lotto di macine a scanalatura ancora inedito e al quale devo le notizie che ho qui riportato. Sulla funzione specifica della coppella e sulla ipotesi che viene proposta secondo la quale la cavità ricavata sulla macina frammentaria sia stata impiegata per alloggiare un recipiente per l’acqua sopra al tannur (Martin Galan, Al-Othman 2003), è lecito esprimere qualche perplessità. Del resto gli autori stessi presentando quale confronto il sistema degli attuali tannur, si contraddicono. Una ciotola con l’acqua che è comunemente impiegata per la cottura del pane nel tannur, si trova oggi in alcuni casi in una bassa cavità facilmente ricavata nell’argilla cruda del tannur stesso. Pensare di ricavare una coppella su uno strumento in pietra sarebbe un dispendio inaccettabile di energie per questo scopo. Per dare ragione di una ipotesi del genere si dovrebbe allora pensare che fosse una macina, in seguito impiegata come ralla e ancora successivamente come base per un recipiente per l’acqua per il tannur. Una ricostruzione del genere risulta assai ardua ed è difficilmente sostenibile. Una frequentazione del sito durante il periodo postassiro, per quanto labile, è tuttavia ben documentata a
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Tell Beydar dallo scavo del Feld J , che ha permesso di mettere in luce un insediamento di scarso rilievo che tuttavia sulla base della ceramica è possibile datare al VII-VI secolo a.C. (Bretschneider 1997: 209230; Bombardieri, Forasassi 2008b: 330). Un esempio di mulino assiro a scanalatura proviene anche dall’area di Artaxata ellenistica, in Armenia (Khachatrian 1998: 222, fig. 29); purtroppo non ci sono, a mia conoscenza, molti dati in merito al carattere del rinvenimento, che possano rendere ragione della datazione o del contesto di giacitura, né in merito alla associazione con altri mulini. Questo documento è tuttavia importante di per sé per misurare l’ampia diffusione di questo modello al di fuori dell’area assira. Si deve tuttavia ricordare che l’alzato delle strutture pertinenti agli edifici persiani ed ellenistici sull’acropoli è assai ridotto. Il complesso dei vani si conserva anzi al livello delle sole fondazioni in pietra ed in generale ad una profondità variabile fra i 5 ed i 40 cm. dal piano di campagna (Fronzaroli 1967: 81). Questo dato è particolarmente significativo e, dal nostro punto di vista, potrebbe dare ulteriore giustificazione per la perdita della macina giacente che poteva trovarsi nello stesso ambiente. Durante una visita ad Ebla con il prof. P.E. Pecorella, nel Settembre del 2004 di ritorno dai lavori della missione autunnale a Tell Barri, ho avuto modo di vedere nei magazzini di Tell Mardikh, e ringrazio Enrico Ascalone che me l’ha segnalata, un altro esempio integro di macina superiore per mulino assiro a scanalatura, proveniente in questo caso dalla superficie.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico documentata. Questo mulino è tuttavia conosciuto in questa vasta regione e se ne possono riportare almeno tre casi, due dei quali recentemente pubblicati da R. Frankel (Frankel et alii 2004). Un esempio era già noto dallo scavo di Tell Qasile, nell’alta Galilea. Si tratta in questo caso di una macina superiore per mulino assiro del tipo maggiore, che abbiamo sopra indicato come mulino assiro a scanalatura A. Questa macina non viene citata nei rapporti preliminari e nei resoconti finali dagli scavatori, ma soltanto in seguito viene pubblicata da S. Avitsur nel suo Atlas of Tools and Workshops in the Holy Land (Avitsur 1976: Fig. 208); quest’ultimo sostiene che la macina debba datarsi alla fine dell’XI o al X secolo a.C., non è dato tuttavia di accertare il contesto del rinvenimento, né è chiaro se questa datazione sia supportata dai dati relativi alla provenienza della macina o se sia una proposta di datazione fondata su altra base. Certamente meglio documentati sono i due esempi di Tell Tannim. Si tratta in entrambi i casi di macine superiori in pietra basaltica, relative tuttavia ai due tipi differenti di mulino assiro a scanalatura (TAV. 101: 1-2). La prima macina infatti è di dimensioni maggiori, misura 44x31x8 cm. ed è dunque analoga i tipi standard che abbiamo visto diffusi soprattutto in tutta la regione mesopotamica settentrionale, ma anche in Siria occidentale. La seconda macina è invece di dimensioni ridotte, misura 24 cm in lunghezza, e questo elemento insieme al profilo tendenzialmente arrotondato, per quanto purtroppo non si conservino le due estremità della macina, permettono di accostare questo esempio ai casi minori, ovvero alle macine per mulini assiri di dimensioni più contenute, di cui abbiamo potuto distinguere numerosi esempi da Tell Barri, Tell Ahmar, Nimrud. I dati relativi alla provenienza dei due esempi di Tell Tannim non permettono conclusioni certe in merito alla datazione di questi mulini assiri. Il primo caso che abbiamo qui citato proviene infatti da a context dated to the Early Roman period, mentre la seconda proviene dalla superficie. In entrambi i casi tuttavia, ed anche considerando che il sito è stato frequentato stabilmente già dal Neolitico e, attraverso numerose fasi di occupazione, fino ad epoca Islamica, gli scavatori sono propensi a ritenere entrambe le macine provenienti da livelli più antichi, relativi all’insediamento dell’Età del Ferro203.
sembrano identificare un tipo che per la morfologia e le ridotte dimensioni sembra più prossimo alle comuni macine attive a mano204, fermo restando la differente modalità funzionale chiaramente indicata dalla scanalatura per l’alloggiamento del volano. Abbiamo all’inizio di questo paragrafo indicato questo tipo minore come mulino assiro a scanalatura B. E’ probabile dunque, come si è visto, che si tratti in questi casi della testimonianza di forme preliminari nell’applicazione del principio di mulino a scanalatura; esempi di prototipi che ancora sono assimilabili morfologicamente e per dimensioni alle comuni macine attive a mano dalle quali derivano direttamente. Evidentemente lo sviluppo delle dimensioni della macina attiva a scanalatura, che consente una efficienza maggiore del sistema permettendo di aumentare in quantità il prodotto messo a macinazione, non è una acquisizione immediata ma è frutto dell’osservazione costante e graduale delle potenzialità connesse con il sistema a volano205. E’ probabile anzi che sia il risultato di successivi aggiustamenti che hanno portato nel tempo ad appiattire lo spessore della macina per ottenere, a parità di peso, di poterne allargare la superficie operativa fino ai 40 cm. Questo è infatti il limite massimo superato il quale la macina diventa troppo pesante e non manovrabile. Si deve infatti calcolare che il rapporto più efficiente tra la dimensione maggiore della macina e la lunghezza della leva di volano deve essere di 1:3 e, dal momento che la leva in legno non poteva naturalmente superare la lunghezza di 120/130 cm per mantenersi stabile e trasmettere al meglio la forza di accelerazione impressa dall’operatore allo strumento, ne consegue che la macina non doveva superare in lunghezza i 40 cm. Da ciò si deduce come un graduale processo di sviluppo tecnologico abbia condotto, per via di successivi adattamenti in un arco di tempo piuttosto breve, questo sistema di mulino al massimo delle sue potenzialità. Per quanto riguarda la distribuzione geografica e la diffusione cronologica, si può facilmente rilevare come il mulino assiro a scanalatura rappresenti un caso assai particolare nella storia della tecnologia molitoria antica. Si tratta infatti di un mulino che, se messo a confronto con i più comuni e persistenti mulini a macina semplice, a macinello e a mortaio, presenta una diffusione particolarmente ridotta nel tempo, ma al tempo stesso risulta capillarmente distribuito in numerosi siti contemporanei.
6.4. OSSERVAZIONI GENERALI
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Dal complesso dei dati a nostra disposizione si possono concludere alcune osservazioni generali in merito ai mulini assiri a scanalatura. I casi di Tell Ahmar, Tell Barri e Nimrud in particolare, ma anche il lotto minore degli esempi di Tell Tannim, 203
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R. Frankel fa riferimento al lotto dei mulini assiri di Tell Halaf, quale confronto per la datazione delle due macine di Tell Tannim (Frankel et alii: 265). Un confronto del genere tuttavia non consente di scendere ad una determinazione certa della datazione, che infatti rimane genericamente all’Età del Ferro.
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Le molettes à rainure di Tell Ahmar presentano, come si è visto, dimensioni vicine a quelle delle altre molettes, (Trokay 2000: 1665). La possibilità che le prime macine attive a scanalatura fossero di dimensioni ridotte e simili nel profilo alle macine attive a mano, è confermato dalla documentazione di Tell Barri. A Tell Barri, infatti, l’attestazione più antica di macina attiva a scanalatura (la E. 2233, proveniente dai livelli dell’Area G databili al secolo VII), è proprio del tipo che presenta dimensioni ridotte e profilo pianoconvesso, che abbiamo visto diffuso a Nimrud e Tell Ahmar, e si differenzia dalle macine attive a scanalatura del tipo standard già comune a Tell Barri alla metà del secolo successivo.
III. I MULINI Dai documenti che abbiamo potuto analizzare infatti è possibile stabilire che il mulino assiro a scanalatura è diffuso dalla fine dell’Età neoassira, almeno dal secolo VIII-VII a.C., per tutto il periodo post-assiro caldeo e fino ad epoca achemenide. L’area geografica interessata da questa produzione copre in definitiva l’intera Mesopotamia settentrionale, e dunque l’Assiria storica e le regioni sotto immediata influenza assira, il bacino del Habur, l’area del Balikh e dell’alto Eufrate siriano della regione di Jerablus. Più in generale si potrebbe affermare che la diffusione dei mulini assiri a scanalatura è documentata nei maggiori centri urbani del centro d’Assiria e della provincia ed in modo particolare nei centri che presentano continuità di insediamento dall’ultima fase del periodo imperiale, durante l’epoca neobabilonese e poi persiana (casi emblematici sono infatti Nimrud, Tell Barri, Tell Ahmar). Oltre a questi che rappresentano con ogni probabilità i centri nei quali viene originariamente ideato ed introdotto questo mulino, in seguito, e soprattutto durante il periodo della dominazione achemenide, la diffusione del mulino assiro a scanalatura si fa sempre più ampia ed esempi se ne trovano in centri minori in tutta la Mesopotamia settentrionale e poi nell’area della Siria occidentale e del Levante siro-palestinese. Questa larga e sempre maggiore diffusione geografica, che trova ragione anche nella facilità dei contatti interni, nel vasto territorio sotto controllo persiano e all’esterno nell’area del bacino orientale del Mediterraneo, è dal nostro punto di vista alla base di una serie di innovazioni tecnologiche che vengono introdotte sul modello del mulino a leva assiro a seguito dell’influenza esercitata da diversi modelli già diffusi nell’area egea e del bacino orientale del Mediterraneo206. Queste innovazioni definiscono nuovi caratteri di sviluppo e segnano nel tempo l’abbandono definitivo del mulino assiro a scanalatura a favore di un nuovo tipo di mulino a leva: il mulino di Olinto a tramoggia.
Dal punto di vista morfologico le macine attive superiori destinate a mulini a tramoggia possono presentare tipi fra loro differenti e ben distinguibili seppure caratterizzati da elementi comuni. In tutti i casi in corrispondenza del centro della faccia superiore è ricavata una tramoggia la cui apertura può variare per la dimensione ed il profilo (rettangolare, ovale, circolare, a farfalla, irregolare), alla base si trova una fenditura allungata parallela ai lati maggiori della macina, tramite la quale avviene la macinazione del prodotto. Altri elementi comunemente presenti sono le scanalature sulla faccia superiore, che possono presentarsi parallele tanto ai lati brevi quanto ai lati lunghi della macina, e le piccole coppelle poste in corrispondenza delle facce laterali della macina (TAV. 102). Le macine giacenti anche in questo tipo di mulino sono rappresentate da una lastra con faccia principale ovvero superficie operativa piana (a profilo retto-retto) secondo entrambi gli assi principali. Anche nel caso delle macine attive e giacenti destinate ai mulini di Olinto a tramoggia si può parlare di una affinità costante nella scelta del materiale del supporto; le macine a tramoggia, allo stesso modo delle macine per i mulini assiri a scanalatura, sono comunemente realizzate con una pietra basaltica massiccia dai toni grigio-nerastri. L’interpretazione di questi mulini è stata per lungo tempo controversa. Il primo a riconoscerne l’impiego è Flinders Petrie (Flinders Petrie 1888: 27, Pl. 7: 21), seppure è soltanto più tardi nel 1917 che Kourouniotes (Kourouniotes 1917: fig. 3) riesce a stabilirne la funzionalità grazie ad una scena rappresentata su una coppa megarese. Paolo Orsi nel 1915 recupera fra i materiali dagli scavi del Colle Piazzetta a Caulonia una macina a tramoggia descrivendola ancora come “una feritoia completa in duro granito, a fronte levigato” (Orsi 1915: 730; 731, fig. 16). Allo stesso modo, ancora nel 1931, un gruppo di macine a tramoggia viene recuperato dagli scavi delle note miniere del Laurion in Attica e qui decritto come una serie composita di sieves used in the industry for sifting ore (Ardaillon 1931: 68, fig. 22, Moritz 1958: 59). Gordon Childe nel 1943 utilizza per questi strumenti il termine ancora oggi largamente impiegato di hopperrubber (Childe 1943: 19-26), in seguito la R. Amiran li indica con frame querns (Amiran 1956: 46-49) ed infine L.A. Moritz nel 1958 conia il termine Olinthus mills (Moritz 1958: 52), sulla scorta della prima dettagliata pubblicazione fra i materiali di Olinto (Robinson e Graham 1938: 327-335) di un lotto considerevole di macine riferibili a questo tipo di mulino a tramoggia. Anche R. Frankel utilizza Olinthus mills per descrivere questi mulini nel più recente e completo contributo sui mulini a tramoggia, nel quale si raccolgono i documenti noti da tutta l’area mediterranea e dall’Europa continentale (Frankel 2003). In questo studio Frankel propone una tipologia complessiva che permette la classificazione delle differenti varianti di macina superiore a tramoggia, attraverso tre criteri fondamentali: la morfologia della macina e della tramoggia, le modalità con cui il volano è fissato alla macina, il sistema di striature della superficie
7. IL MULINO DI OLINTO A TRAMOGGIA
7.1. I DATI TECNOLOGICI Morfologia e ricostruzione funzionale. Il mulino a tramoggia, o mulino di Olinto, rappresenta un tipo di mulino dai caratteri tecnologici avanzati la cui ideazione è il risultato di uno sviluppo complesso ma tuttavia ricostruibile nelle sue linee principali. Questo mulino infatti noto già alla fine del VI secolo a.C., è documentato almeno fino al II secolo d.C e diffuso dapprima nell’area dell’Egeo e in Mesopotamia e nel Levante e in tutto il bacino mediterraneo almeno dal IV secolo a.C.
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A proposito di questi rapporti di influenza e derivazione si veda in generale Bombardieri 2005 e più in dettaglio qui di seguito il paragrafo dedicato al rapporto fra il mulino assiro a scanalatura ed il mulino a tramoggia.
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PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico operativa della macina superiore (Frankel 2003: 4-6). Attraverso la combinazione dei tre criteri proposti Frankel arriva ad identificare 11 tipi di macina a tramoggia che presentano differenti aree di diffusione. Oltre a questi Frankel rileva la presenza di un sottotipo con prese laterali (handgrips) parallele alla fessura della tramoggia, noto dall’area compresa fra l’Anatolia occidentale e l’Egeo orientale: da Priene (Wiegand e Schrader 1904: Abb. 523), Delo (Deonna 1938: 126, Pl. 368) e Thera (von Gaertringen e Wilski 1904: fig. 193, 195). I tipi senza prese laterali rappresentano lo standard del mulino a tramoggia; nella grande maggioranza si presentano con tramoggia ad apertura rettangolare o squadrata. Esistono tuttavia casi differenti provenienti dalla Grecia continentale, dove sono diffusi tipi con tramoggia ad apertura circolare o ovale (Frankel 2003: 9), e dall’area del Caucaso dove sono noti alcuni esempi con tramoggia “a farfalla” (Ponomarev 1955: fig. 54). A questi si affiancano i tipi con estroflessione (horizontal projection)207, presenti nelle due varianti, con foro verticale per il pivot e con estroflessione scanalata, diffuse soprattutto in area anatolica e nel Levante siriano (Frankel 2003: 12-13). A parte si considerano i tipi a profilo irregolare, che in alcuni casi possono avere tramoggia bassissima208, e che presentano due principali aree di diffusione: un’ampia regione a cavallo della fascia alpina italiana (Donner e Marzoli 1994) e un’area dell’Europa orientale che comprende il territorio attualmente sotto amministrazione romena e ceca (Beranova 1987: fig. 3). I tipi che si sono sin qui citati presentano in tutti i casi la scanalatura standard sulla faccia superiore. Questo carattere morfologico risulta essere un requisito tecnologico determinante dal momento che la scanalatura, come si è visto, corrisponde comunemente all’alloggiamento del volano indispensabile al funzionamento del mulino. Ciononostante esistono almeno due tipi di macine a tramoggia prive di scanalatura. Si tratta di un tipo con tacche agli angoli della macina attiva (notches on corners)209 e di un tipo del tutto privo di elementi per l’attacco del volano (lacking attachment device)210. Questi due tipi sono diffusi nella Grecia continentale, ma soprattutto in Occidente, con esempi dall’area dell’Africa settentrionale (Lancel 1982a: 102, fig. 120; 103, 121: a-b, fig. 122; Morel 1969: 180, fig. 7: e, fig. 9), della Magna Grecia (Orsi 1915: 731, fig. 16) e della Francia meridionale (Amann 1976: fig. 2-3) L’ampia varietà dei tipi di macine superiori destinate a questo mulino documentata in tutta l’area mediterranea indica tuttavia una serie distinguibile di adattamenti; in 207
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alcuni casi si tratta, come si è visto di piccole variazioni su un tema tecnologico unico, che si possono tuttavia isolare all’interno di due principali modelli di mulino a tramoggia, due tipi che indichiamo qui di seguito come: TIPO A. Si tratta del mulino a tramoggia standard, utilizzando questo termine essenzialmente per indicarne anzitutto la più ampia diffusione, costituito da macine superiori a tramoggia dotate di scanalatura longitudinale sulla faccia superiore. All’interno vi si troveranno tipi di macine superiori differenti quanto alla profondità, al profilo e all’apertura della tramoggia, alla disposizione delle tacche e alla localizzazione delle coppelle laterali. Le macine giacenti relative, secondo la norma, saranno lastre a pianta rettangolare o sub-rettangolare con faccia principale a profilo retto-retto (TAV. 102: A). TIPO B. Questo tipo di mulino a tramoggia è invece costituito da una macina superiore attiva a tramoggia di dimensioni sensibilmente inferiori e soprattutto senza alcuna scanalatura sulla faccia superiore. Macine a tramoggia di questo tipo sono caratterizzate da prese laterali alle due estremità, distinte già da Frankel come le handgrips caratteristiche di un sottotipo di macina di Olinto (TAV. 102: B). Questa distinzione risulta rilevante sul piano del differente assetto tecnologico dei due tipi. In questo modo infatti è evidentemente possibile isolare i due tipi di cui il primo standard dotato di scanalatura, funziona come un mulino a leva (o lever mill) ed il secondo come un mulino a mano (o hand mill). La sequenza operativa dei mulini a tramoggia del tipo A è stata ricostruita a partire dall’osservazione funzionale dei caratteri morfologici e poi confermata dal rinvenimento di alcune installazioni molitorie che conservavano ancora in situ la collocazione originaria delle macine (Frankel 2003: 6, 8; Hirschfeld 2000b: fig. 22). A ciò si aggiungono alcuni puntuali confronti iconografici che consentono una ulteriore conferma delle reali modalità di impiego di questi mulini. La scanalatura della macina a tramoggia costituisce infatti anche in questo caso, come già si è visto per il mulino assiro, l’alloggiamento di un lungo volano in legno, probabilmente assicurato alla macina mediante piccole corde legate ai perni sistemati a loro volta nelle coppelle laterali o direttamente alle tacche disposte sugli angoli (Frankel 2003: 5-6). Ad una estremità il volano in legno veniva assicurato ad un perno fissato al suolo o su un’installazione di supporto. Questo consentiva all’operatore, sistemato all’estremità opposta, di produrre sulla macina giacente una frizione costante. In questo caso evidentemente, a differenza dell’operatore al mulino a scanalatura, la frizione seguiva un movimento semicircolare e non assiale (TAV. 102).
Si tratta dei tipi classificati da Frankel come II,4 e II,5 (Frankel 2003: 12-13). Al tipo I,5 di Frankel, con tramoggia bassissima, si deve probabilmente riferire anche un esempio da Tell Barri, l’E.3963, per cui si veda qui di seguito. Si tratta del tipo classificato da Frankel come II,3 (Frankel 2003: 12). Si tratta del tipo classificato da Frankel come II,2 (Frankel 2003: 12).
TIPO B. In modo del tutto differente il mulino a tramoggia del tipo B presenta una macina superiore di dimensioni inferiori, caratterizzata dalla presenza di due prese laterali disposte, come si è visto, alle due estremità. Questi due aspetti, le 86
III. I MULINI dimensioni ridotte e le due prese laterali, insieme alla assenza della scanalature caratteristica del tipo A, indicano chiaramente che si tratta di una macina destinata ad essere messa in funzione direttamente dall’operatore secondo una sequenza che si deve immaginare del tutto analoga a quella del ben noto mulino a macina semplice211. L’operatore in ginocchio ad una estremità della macina giacente, disposta a sua volta su una banchina di supporto o direttamente sul pavimento, tiene in questo modo la macina superiore con entrambe le mani alle due estremità produce una frizione assiale avanti ed indietro sulla macina giacente.
artigianale di età partica messo in luce nell’Area H (Pecorella 2003b: 82-100). Lo scavo del vano meridionale 203, adiacente alla grande corte 177, ha consentito infatti individuare un ambiente destinato evidentemente ad ospitare differenti attività di macinazione e caratterizzato dalla presenza di due distinte postazioni di lavoro (TAV. 103: 1). La prima postazione è costituita da un mulino a mortaio, con mortaio a vasca profonda in pietra basaltica, incassato nel piano pavimentale, e dotato di tre differenti pestelli troncoconici; la seconda postazione è invece costituita da una macina attiva a tramoggia rinvenuta insieme alla relativa macina giacente piana (E.3963 ed E.3964) (TAV. 103: 3). La presenza della banchina in mattoni crudi 210 all’interno del vano in questo caso, indurrebbe ad identificare questa come l’installazione per il supporto del mulino a tramoggia. Una ipotesi del genere tuttavia oltre a non rispondere alla tipologia comune delle installazioni di supporto per i mulini a tramoggia, che si collocano in genere addossate al muro di fondo, o in corrispondenza di un angolo del vano (Frankel 2003: 6; 8, fig. 5-6), contrasta evidentemente con la collocazione delle macine stesse all’interno del vano, rinvenute sul piano accanto alla postazione del mortaio profondo. Si deve perciò concludere che la banchina, seppure correlata alle due installazioni, avesse funzione diversa da quella di supporto del mulino a tramoggia, e che conseguentemente il mulino a tramoggia fosse sistemato ed utilizzato su una diversa struttura di sostegno, probabilmente mobile. Una serie interessante di installazioni destinate ad ospitare mulini di Olinto a tramoggia e rinvenute in situ durante lo scavo, proviene dall’area del Levante meridionale. In molti di questi casi il mulino di Olinto veniva disposto al di sopra di una piattaforma ed in prossimità di uno dei muri, ovvero di un angolo, in modo tale che il pivot destinato a fissare la leva di volano ad un’estremità si trovasse all’interno di una nicchia (Frankel 2003: 6). R. Frankel ha di recente segnalato installazioni del genere da Horvat ‘Eleq-Ramat e da Horvat ‘Aqav-Ramat (Hirschfeld 2000a: Fig. 22) e soprattutto dal sito di Gamla (Frankel 2003: Fig.5) (TAV. 103: 2).
7.2. I DOCUMENTI ARCHEOLOGICI Installazioni, contesti significativi. Il rinvenimento di alcune postazioni in situ documenta le diverse possibili installazioni del mulino di Olinto a tramoggia. In questo senso i dati che si possono dedurre dai contesti di ritrovamento indicano chiaramente che questi mulini potevano essere installati su banchine fisse, secondo una consuetudine che abbiamo visto assai comune anche per l’installazione di altri tipi di mulini, o diversamente su altre installazioni mobili; condizioni differenti di installazione e soprattutto casi di postazioni per mulini a tramoggia disposte direttamente su piani pavimentali, non sembrano appropriate all’assetto generale di questo tipo di mulino né del resto risultano documentate. Un caso di particolare interesse proviene da Tell Barri212. Si tratta del mulino a tramoggia costituito dalle macine E.3963 e E.3964, all’interno dell’ampio quartiere 211
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Esistono alcuni casi, in verità di difficile attribuzione, che si riferiscono a macine per mulini a macina semplice con prese laterali che potrebbero dirsi affini alle macine per i mulini di Olinto del tipo B che qui descriviamo, fatta salva ovviamente la distinzione funzionale insita nella presenza della tramoggia. È questo il caso che si è descritto di una macina superiore per mulino a macina semplice da Zincirli (Andrae, von Luschan 1943: Abb. 6, 8). Casi differenti di fingerholds, probabilmente associati a mulini a macina semplice sono altrove noti soltanto in epoca classica e provengono dalle indagini condotte negli anni ’30 nell’area meridionale dell’Attica (Young 1940: 179, Fig. 11d). Altri esempi di fingerholds, provengono dall’area del Levante meridionale. Si tratta delle cosiddette macine fenicie, di cui abbiamo un esempio da Sarepta (Pritchard 1978: Fig. 73), ed uno di recente pubblicato da R. Frankel e proveniente dalla ricognizione di superficie condotta nella area di Horvat ‘Ein Koveshim (Frankel et alii 2004: 264). Si tratta di esempi databili ad epoca ellenistica o più probabilmente al periodo romano. Si veda in maggior dettaglio la sezione qui dedicata in questo capitolo al mulino a macina semplice. Si riprende qui nei suoi termini generali, ampliando e precisandone alcune parti, lo studio delle macine per mulino di Olinto provenienti da Tell Barri, destinato nello specifico a chiarire i termini dei rapporti con la precedente produzione dei mulini assiri, in cui si sono recentemente presentati questi dati in forma preliminare (Bombardieri 2005).
7.3. I DOCUMENTI ICONOGRAFICI Analisi delle rappresentazioni Un ruolo di particolare rilievo nello studio e nella definizione dei mulini di Olinto a tramoggia è rappresentato da una serie di documenti iconografici, la cui analisi può contribuire non poco, come si è anticipato, alla ricostruzione dell’assetto funzionale di questo tipo di mulino. Il primo è più importante di questi documenti è la nota coppa megarese a matrice della serie delle cosiddette homeric bowls, proveniente dall’area circostante a Tebe e conservata in due copie, una al Museo Nazionale di
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PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Atene ed una al Louvre213 (TAV. 104). Questa classe di coppe megaresi è comunemente datata fra il principio del III secolo a.C. e la metà del secolo II a.C214 Le coppe megaresi della seria delle homeric bowls presentano di norma scene che si possono ricondurre ad episodi letterari; in genere si privilegia la rappresentazione di episodi derivati dalla narrazione epica, seppure la scelta non è in alcun modo rigida e risultino documentati soggetti differenti. Nel caso della coppa che qui descriviamo infatti la scena si deve probabilmente riportare ad un mimo, come per primo aveva suggerito Rostovtzeff (Rostovtzeff 1937: 86-90) ed in seguito riaffermato Moritz (Moritz 1958: 15). L’identificazione del testo specifico cui la scena rappresentata si riferisce è tuttavia alquanto complessa, sembra plausibile che debba trattarsi di un componimento di genere (Rostovtzeff 1937: 86-90), per il quale l’ipotesi più plausibile riamane quella di un mimo of the kind familiar from Herodas […] closely akin to a Plautine comedy (Moritz 1958: 15, 52). L’area o il contesto di produzione della coppa non fornisce indizi utili al chiarimento di questo aspetto, che rimane tuttavia identificabile e ben distinguibile per il tono caricaturale delle scene che si susseguono sulla coppa, puntualmente segnalate, fra l’altro, dalle didascalie che definiscono i gruppi dei personaggi che vi prendono parte e distinguono le due scene principali rappresentate sulla coppa con l’indicazione di κιναιδοι ε µυλϖθροι. Il richiamo di Moritz a Plauto vale soprattutto come suggestione e non dunque sul piano dell’identificazione dell’opera cui si ispira la coppa che qui descriviamo; è tuttavia interessante che proprio alla figura del commediografo latino sia legato uno dei pochi passi da cui rileviamo notizia di questo tipo di mulino dalle fonti antiche. La definizione di mola trusatalis, con cui come vedremo sembra possibile identificare il mulino di Olinto a tramoggia, compare infatti in un passo delle Notti Attiche di Aulo Gellio, in cui, sulla scorta di una notizia fatta risalire a Varrone, sono descritti alcuni episodi relativi alla vita di Plauto215. Fra questi è interessante la narrazione del ritorno del commediografo a Roma e del suo impiego in un pistrinum, dove egli, secondo Aulo Gellio ad circumagendas molas, quae trusatiles appellantur, operam pistori locasset (N.A. III, 3,14). L’attenzione si deve qui rivolgere alla definizione di trusatiles, ed in generale alla sequenza cui richiama l’impiego in questo ambito di trusare, inteso propriamente con il senso di spingere ripetutamente avanti ed indietro, come già segnalava Moritz (Moritz 1958: 66). Un chiaro riferimento a questo mulino è già
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presente nel De Agricultura di Catone, dove vengono definiti per opposizione i due tipi di mola asinaria e mola trusatilis. Il terzo ed ultimo indizio al quale riferirci per chiarire questo aspetto, si trova nella Naturalis Historia, laddove Plinio cita, ancora una volta riportando una notizia che riprende da Varrone, le molae versatiles diffuse nell’area dei Volsinii (N.H. XXXVI, 135). In questo caso dunque la distinzione richiama la sequenza descritta da versare e dunque dall’azione di ruotare frequentemente, girare, volgere continuamente. Se dunque consideriamo nel complesso i passi che qui abbiamo rapidamente portato in esame sulla scorta dell’analisi più ampia che di questi fornisce Mortiz (Moritz 1958: 15-66, passim), sembra possibile definire una distinzione netta fra molae trusatiles e molae versatiles, che potrebbe suggerire la distinzione fra i mulini di Olinto a tramoggia ed i tipi più evoluti di mulini rotativi. La coppa megarese a matrice della serie delle homeric bowls dalla quale siamo partiti può rappresentare un elemento determinate per la distinzione funzionale di questo tipo di mulini. È in particolare rilevante la presenza nella scena di due mulini216. La macina superiore, per nostra fortuna, è in entrambi i casi rappresentata di prospetto così da permetterci di riconoscere chiaramente il tipo del mulino di Olinto a tramoggia (TAV. 104: 1). Questa scena dimostra con tutta evidenza e grazie a due rappresentazioni in serie successiva, come il mulino di Olinto a tramoggia standard doveva funzionare, ovvero disposto al di sopra di un piano, la leva della macina superiore è assicurata ad un perno ad una estremità e manovrato all’altra dall’operatore secondo una frizione che è pertanto semicircolare, e non assiale come è il caso del mulino a macina semplice ma ancora del mulino assiro a scanalatura assiro sopra descritti. Un altro esempio molto interessante è rappresentato dal modellino in terracotta proveniente dall’area di Tiro e oggi conservato all’Eretz Israel Museum217 (TAV. 105). 216
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Questa coppa è stata oggetto di alcuni studi ed è ampliamente pubblicata. Si veda in generale Versakis 1914, Courby 1922, Rostovtzeff 1937, ma soprattutto Kourouniotes 1917 e Moritz 1958. Si veda a questo proposito lo studio del Rostovtzeff già alla fine degli anni ’30 in merito alla produzione di questa classe di coppe megaresi (Rostovtzeff 1937: 86-90). L’analisi di questi passi è già presentata dal Moritz (Mortiz 1958: 62-64) laddove riporta la narrazione di Aulo Gallio in Notti Attiche III, 3, 14.
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L’ambientazione all’interno di un vano destinato alle attività di macinazione è confermata, se mai ve ne fosse necessità, dalla presenza, di fronte ad uno dei due mulini in una delle due scene rappresentate (la scena dei µυλϖθροι), di un personaggio che tiene in mano un vaglio o un setaccio, destinato evidentemente a trattare la farina dopo la prima macinazione che avveniva nel mulino disposto nelle immediate vicinanze. Il modellino in terracotta dell’Eretz Israel Museum è parte della collezione Shlomo Mussaief ed è stata presentata per la prima volta durante una esposizione temporanea dal titolo “The Corn Spirit” e pubblicata nella breve guida della mostra (Ziffer 2002: Fig. 73). R. Frankel lo ha di recente ripubblicato fornendo alcuni dettagli, fra cui la presenza di incrostazioni sulla superficie esterna che dovrebbero indicare che il modellino è stato recuperato da un’area sott’acqua, ed avanzando una datazione intorno al VII secolo a.C. Una datazione del genere, fondata su base stilistica (Frankel 2003: 7), non è condivisibile del tutto. L’identificazione del mulino di Olinto nel modellino dovrebbe suggerire probabilmente una datazione più bassa.
III. I MULINI Questo modellino, di recente pubblicato da R. Frankel (Frankel 2003: 11, fig. 9), presenta una scena di ambiente di un interno domestico, un vano destinato ad ospitare attività diverse ma in ogni caso legate alla preparazione dei cibi. Vi si riconoscono tre postazioni distinte. La prima è occupata da un ampio piano di lavoro disposto su uno dei lati brevi, in prossimità di una scala che doveva condurre al piano superiore. Di fronte al piano si trovano due figure; entrambe intente alla preparazione di cibi (probabilmente ad impastare, come sembrerebbero suggerire le quattro pagnotte sul piano). La seconda postazione è invece segnalata da un ampio bacino, o dolio, sistemato all’interno di una installazione fissa e disposto in corrispondenza di un angolo del vano, nei pressi del quale si trova una terza figura, rappresentata nell’atto di recuperare qualcosa dall’interno del grosso contenitore. La terza postazione si trova in corrispondenza del lato lungo opposto alla scala; anche in questo caso è occupata da un ampio piano sul quale è sistemato un oggetto di dimensioni rilevanti che è possibile identificare come un mulino di Olinto a tramoggia. Questa identificazione è resa probabile dalla presenza della leva disposta al di sopra della macina superiore attiva del mulino; la resa generale del mulino è per il resto piuttosto approssimativa e dunque non consente osservazioni di dettaglio. È tuttavia interessante notare la presenza di due figure nei pressi della installazione con il mulino di Olinto; il primo, rappresentato con entrambe le mani sulla leva di volano, è senza dubbio l’operatore, ovvero colui che mette in azione il mulino, mentre il secondo, che tiene invece entrambe le braccia tese verso la macina superiore del mulino, ma apparentemente non direttamente sulla leva di volano, potrebbe verisimilmente rappresentare il secondo operatore, al quale era demandato il compito di versare i cereali all’interno della tramoggia in modo da garantire una sequenza di macinazione continua.
tipo standard di mulino di Olinto, ovvero al nostro tipo A (TAV. 106: 1). Si tratta in tutti i casi di macine superiori con tramoggia ad apertura rettangolare e scanalatura longitudinale e parallela ai lati lunghi, caratterizzate dalla presenza di basse coppelle sui lati della macina (verisimilmente sui lati brevi) (Hrouda 1962: Taf. 39: a-b). È interessante notare che la superficie della faccia secondaria inferiore della macina attiva e allo stesso modo la superficie operativa della macina giacente, sono caratterizzate da una serie di solcature basse che disegnano una serie di scanalature longitudinali. Queste solcature, come giustamente rilevato da R. Frankel (Frankel 2003), anche in questo caso sono da interpretare come un espediente destinato al miglioramento del processo di macinazione ed in particolare la fuoriuscita del prodotto macinato a seguito della frizione su asse semicircolare della macina superiore del mulino. Un caso interessante per documentare la diffusione del mulino a tramoggia nell’area dell’alta Mesopotamia è rappresentato inoltre da Tell Barri. Dallo scavo dei livelli dell’insediamento ellenistico e partico delle Aree A, H e dall’area del Grande Muro di Difesa provengono infatti 3 macine attive a tramoggia a profilo completo e 3 macine giacenti piane. Le macine superiori a tramoggia presentano differenti varianti. La E.1422 proviene dall’Area A, da un livello di insediamento a vocazione artigianale, datato ad età ellenistica (Pecorella 1995: 10) (TAV. 107: 5, 8-9). Si tratta di una macina a pianta rettangolare a spigoli arrotondati, e a sezione pianoconvessa. Presenta sulla faccia superiore due scanalature ortogonali fra loro e parallele ai lati della macina. La tramoggia centrale è ad apertura arrotondata; su entrambe le facce laterali maggiori si trovano due coppelle circolari, disposte in corrispondenza della scanalatura. La E.2967 proviene invece da un’area artigianale caratterizzata dalla presenza di due ambienti di modeste dimensioni disposti in corrispondenza del fianco orientale del Grande Muro di Difesa di età partica (Pecorella 2003a: 105-125) (TAV. 107: 4, 6-7). All’interno di uno dei vani si sono individuati i resti di un piano in mattoni cotti e di due vasche incassate in argilla concotta; in relazione con queste installazioni si trova la macina a tramoggia E.2967. Si tratta in questo caso di una macina a pianta rettangolare a spigoli arrotondati, e a sezione rettangolare. Presenta sulla faccia superiore una scanalatura parallela ai lati maggiori. La tramoggia centrale è ad apertura rettangolare; sulle facce laterali minori si trovano due coppelle circolari, anche in questo caso disposte in corrispondenza della scanalatura. Vi sono infine le due macine del mulino a tramoggia rinvenuto in situ all’interno del vano 203 del quartiere partico dell’Area H (Pecorella 2003b: 82-100) (TAV. 107: 1-3). Di queste, la macina giacente E.3964 è una lastra in pietra basaltica compatta a pianta rettangolare piuttosto allungata, a ridotto spessore, che presenta superficie operativa piana secondo entrambi gli assi principali. La macina attiva a tramoggia E. 3963 si presenta invece a pianta rettangolare con spigoli vivi, e a sezione rettangolare. La scanalatura è bassa, a sezione quadrata e
7.4. AREA E CRONOLOGIA DELLA DIFFUSIONE La diffusione del mulino di Olinto a tramoggia durante l’Età del Ferro ed in epoca classica Il mulino di Olinto a tramoggia risulta soltanto sporadicamente documentato già in contesti del secolo V a.C., ma nell’arco dei due secoli successivi si diffonde in una vasta area dell’Oriente antico e del bacino orientale del Mediterraneo, che comprende l’Anatolia, la Mesopotamia settentrionale e copre la Siria interna occidentale, il Levante e Cipro. Al di fuori di quest’area il mulino a tramoggia è documentato ampliamente in tutto il Mediterraneo antico già dal V-IV secolo, ed esempi se ne trovano, come si è visto, dalle coste settentrionali dell’Africa, al bacino occidentale del Mediterraneo. Nell’area della Mesopotamia settentrionale è particolarmente interessante il lotto delle macine per mulino a tramoggia provenienti dallo scavo di Tell Halaf. Queste, definite da B. Hrouda Schlitzmühlen (Hrouda 1962: 51), sono riferibili nei casi documentati al
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PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico parallela ai lati maggiori della macina. La tramoggia centrale è molto bassa, ad apertura rettangolare; sulle facce laterali minori si trovano due coppelle circolari, come di consueto disposte in corrispondenza della scanalatura. Le dimensioni di queste due macine sono ben rappresentative del loro impiego correlato. La macina giacente infatti misura in larghezza 37,5 cm, misura equivalente alla lunghezza della macina a tramoggia relativa (36,8 cm), ed in lunghezza 73,2 cm, misura a sua volta equivalente pressoché al doppio della larghezza della stessa macina a tramoggia (36,2 cm). Il rapporto di dimensioni fra le due macine garantisce al mulino una funzionalità buona, seppure apparentemente non la migliore possibile. In teoria, infatti, come già aveva giustamente notato L.A. Moritz, la migliore resa di un mulino a tramoggia si ottiene impiegando una macina giacente trapezoidale (Moritz 1958: 51). Questa eventualità è tuttavia rara al punto che è noto un solo caso di macina giacente trapezoidale, proveniente da Olinto (Robinson e Graham 1938: 327-335), a fronte della grande diffusione di macine giacenti rettangolari, che rappresentano invece la norma comune per i mulini a tramoggia. Alla base di questa apparente anomalia, altrimenti incomprensibile, si trova probabilmente proprio l’esigenza di ridurre l’impatto dei due principali “fattori limitanti” (speed of operation e lenght of the stroke) (Moritz 1958: 47) che, dipendendo unicamente dalla maggiore o minore abilità dell’operatore e non dalla macchina, sono soggetti a variazioni e per questo riducono l’efficacia complessiva del mulino. Un mulino a tramoggia con macina giacente rettangolare obbliga infatti l’operatore ad un movimento forzatamente ridotto che per questo può essere più rapido ma anche più costante218. In questo modo si riescono in parte a minimizzare le variazioni di velocità e ampiezza del movimento, si limitano dunque entrambi i “fattori limitanti” e si garantisce maggiore efficacia al mulino219. Questi dati stanno a conferma, se ancora fosse necessario, della stretta corrispondenza funzionale dei due strumenti e al tempo stesso danno conto della perizia con cui questi mulini erano studiati. Se confrontati fra loro i mulini a tramoggia di Tell Barri presentano alcuni interessanti elementi di diversità. In 218
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primo luogo l’E.1422, che rappresenta il documento più antico, è l’unico ad avere due scanalature sulla faccia superiore ed è l’unico che presenta le caratteristiche coppelle sulle facce laterali maggiori, invece che sulle facce laterali minori come di norma. Dalla collocazione delle coppelle possiamo ricostruire che in questo caso la leva di volano doveva essere fissata nella scanalatura minore e che dunque la scanalatura maggiore non doveva avere alcuna funzione evidente. Potrebbe trattarsi, considerando la precoce datazione, di un caso iniziale di introduzione del sistema del mulino a tramoggia, in cui si rileva una qualche incertezza nell’applicazione funzionale, o addirittura di un caso di macina a scanalatura secondariamente adattata al sistema a tramoggia praticando una seconda scanalatura. Si tratta naturalmente di ipotesi non verificabili, di certo rimane che la macina E.1422, il documento più antico, mostra caratteri morfologici in parte differenti rispetto agli esempi successivi. Per quanto riguarda l’area anatolica esempi di macine per mulini di Olinto a tramoggia sono documentati fra i materiali di Gordion (Körte e Körte 1904: Abb. 158), ma soprattutto di Alishar Höyük (Schmidt 1931: fig. 199; Von der Osten e Schmidt 1930: fig. 106-107; Von der Osten 1937: fig. 93), fra i quali si trovano esempi dei tipi con estroflessione provenienti dallo strato V, datato genericamente come pre-ellenistico (TAV. 106: 2). Un esempio molto interessante di macina superiore relativa ad un mulino di Olinto a tramoggia proviene dall’area immediatamente circostante alla cittadella di Mašat Höyük (TAV. 106: 3-5). Questo esempio rinvenuto in superficie nell’area settentrionale ai piedi del monticolo è stato documentato durante l’estate del 2005, nel corso di un viaggio di studio realizzato da un gruppo di studenti e docenti dell’Università di Firenze220. Si tratta di un caso di macina in pietra basaltica a struttura molto compatta, ovvero minimamente vacuolare, a toni grigio chiari. Dal punto di vista morfologico questa macina presenta faccia principale a profilo retto-retto e pianta rettangolare a spigoli arrotondati. La tramoggia, a vasca piuttosto bassa, ha apertura rettangolare ed è dotata, secondo la norma, di una sottile fenditura alla base. La macina è caratterizzata da una protrusione forata su uno dei lati lunghi e da una scanalatura longitudinale poco pronunciata. Nel complesso dunque questa macina, che pure presenta elementi di chiara affinità con l’esempio di Alishar Höyük (Schmidt 1931: fig. 199; Von der Osten e Schmidt 1930: fig. 106-107; Von der Osten 1937: fig. 93), soprattutto per la protrusione, è tuttavia tipologicamente affine al nostro tipo III.D. 3e, caratterizzato dalla protrusione forata221.
La costanza nella velocità risulta un parametro fondamentale, at different speeds even a good quern is inefficient (Moritz 1958: 47, nota 3). Moritz tuttavia, ed è strano se consideriamo che a lui si deve l’individuazione dei due citati limiting factors, non considera la possibilità che l’accorgimento di utilizzare macine giacenti rettangolari sia studiato proprio per ridurre al massimo l’incidenza di entrambi i fattori sul mulino a tramoggia. Dei due “fattori limitanti” dei mulini a tramoggia, il primo (lenght of the stroke) viene poi definitivamente superato soltanto con l’introduzione del mulino rotativo ed il secondo (speed of operation) verrà in seguito effettivamente controllato when the power became mechanical and the rate of revolution could be regulated by a system of gears (Moritz 1958: 47).
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Desidero ringraziare in misura particolare Anna Margherita Jasink che mi ha segnalato questa macina per mulino di Olinto ed ha realizzato le foto durante il viaggio a Mašat. La presenza della protrusione è già definita dai tipi Frankel II 4 e II 5, per i quali è indicata infatti una particolare diffusione nell’area anatolica e nella regione della Siria costiera nord-occidentale.
III. I MULINI Numerosi sono gli esempi che provengono, come si è visto, per tutto il periodo ellenistico ed in alcuni casi anche in fasi più recenti, dall’area costiera dell’Anatolia occidentale, documentati, fra gli altri, da Mileto (Dal Ri 1994: 15), Priene (Wiegand, Schrader 1904: Abb. 523), Bodrum (Williams Thorpe, Thorpe 1993: 22)222. Nell’area della Siria occidentale interna esempi della diffusione del mulino di Olinto provengono da Marash a settentrione (Preworski 1936: Fig. 5) e da Hama sull’Oronte (TAV. 108: 1-2). Da Hama provengono infatti due esempi di macine superiori relative a mulini a tramoggia, di foggia pressoché analoga ed entrambe in pietra basaltica a struttura compatta ovvero minimamente vacuolare. La prima proviene da un contesto non sicuro, è stata recuperata fra i materiali di una fossa che taglia i livelli della Fase H e che è stata inizialmente attribuita alla Fase F ed in seguito alla più recente fse intermedia E/D (Riis, Buhl 1990: 76). Si tratta di una macina a tramoggia con faccia principale a profilo rettilineo e pianta rettangolare, la tramoggia si presenta ad apertura rettangolare ed è caratterizzata da una scanalatura longitudinale ed una protrusione forata (è perciò analoga al nostro tipo delle macine a tramoggia III.D. 3e) (Riis, Buhl 1990: 77, Fig. 37: 112). La seconda macina a tramoggia, del tutto analoga alla precedente, proviene invece dalla muratura di un mur hellénistique situé au dessus de la Place Centrale (Riis, Buhl 1990: 78). Si tratta anche in questo caso di una macina del tipo sopra descritto, con faccia principale a profilo rettilineo e pianta rettangolare (Riis, Buhl 1990: 77, Fig. 37: 113). Nel complesso dunque, e data l’assoluta analogia dei due esempi, sembra possibile che le due macine possano essere attribuite ad una unica fase. Se consideriamo che la prima di queste proviene dal riempimento di una fossa attribuita alla Fase E/D e la seconda è riutilizzata come materiale edilizio in un intervento secondario di epoca ellenistica sull’acropoli, sembra possibile far risalire il loro primo impiego ad un periodo successivo alla conquista assira e al crollo della città e precedente all’impianto del periodo ellenistico maturo del periodo D. E’ perciò verisimile una datazione dei mulini a tramoggia di Hama alla Fase E/D, plausibilmente ad epoca persiana. Nell’area del Levante meridionale si può rilevare la larga diffusione del tipo standard di macina per mulino di Olinto a tramoggia almeno dall’Età ellenistica (Frankel 2003: 7). Si può citare il caso proveniente da Tell Michal, in Israele, datato con certezza alla metà del IV secolo a.C, da livelli relativi alla fine del periodo achemenide (Singer-Avitz 1989: 351, fig. 31: 2; Pl. 76: 3, 9); altri esempi, come abbiamo visto, sono documentati a Gamla (Gutman 1981: Pl. 97; Frankel 2003: Fig. 5), Horvat ‘Eleq-Ramat e da Horvat ‘Aqav-Ramat (Hirschfeld 2000a: Fig. 22), Ashdod (Dothan, Freedman 1967: Fig.4: 15), Tell el-Judeideh (Bliss, Macalister
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1902: Pl. 73: 2), Khirbet al-Karak (Delougaz, Haines 1960: Pl. 22: 10; Pl. 49: 5)223. Il mulino di Olinto risulta ampliamente documentato, come si è detto, anche al di fuori dell’area del Oriente antico e, per quanto non sia questa la sede per una trattazione completa della distribuzione di questo tipo di mulino attraverso l’area mediterranea, è tuttavia interessante citare alcuni casi che, pur non rappresentando un inventario completo dei casi noti, delineano un quadro della effettiva diffusione e della fortuna del mulino di Olinto. Come si è detto questo sistema è certamente noto a partire almeno dal principio del V secolo, ma, considerando le differenti aree di diffusione, è possibile ricostruire il contesto cronologico di riferimento soltanto con un certo margine di approssimazione dovuto alla generale scarsità di documenti provenienti da contesti datati con sicurezza. Nell’area della Grecia continentale l’esempio più antico è quello di una macina a tramoggia del tipo privo di scanalatura, proveniente da Atene e datata all’ultimo quarto del secolo V a.C. (Frankel 2003: 7). Altri esempi datati al V secolo si trovano ad Olinto (Robinson e Graham 1938: 327-335), da dove proviene, come si è visto, un ampio repertorio di macine a tramoggia del tipo standard. Nell’area del bacino occidentale del Mediterraneo si registrano casi di macine a tramoggia del tipo privo di scanalatura, da Caulonia, sulla costa jonica calabrese, datate al V-IV secolo (Orsi 1915: 729-730)224, e più tardi da Morgantina, in Sicilia, esempi di macine a tramoggia di tipo standard, datate al IV secolo (White 1963: 199206; Frankel 2003: 7); ad Età ellenistica saranno da datare anche i quattro esempi (uno integro e tre almeno frammentari) di macine attive destinate a mulini di Olinto del tipo standard rinvenute nell’area di Centuripe (Biondi, comunicazione personale; Biondi 2002: 101)225 (TAV. 108: 3-7). Al IV secolo, sono infine datate le macine a tramoggia senza scanalatura riferibili in ogni caso a mulini di 223
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Altri casi, sui quali vi è minore certezza di attribuzione o datazione, sono tuttavia elencati in dettaglio da R. Frankel (Frankel 2003: 3, Table 1).
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Una lista ampia degli esempi dall’area del Levante e soprattutto dal territorio israeliano è fornita da R. Frankel. Si veda dunque anche Frankel 2003: 3, Table 1. La datazione è in questo caso piuttosto controversa. Recenti scavi condotti a partire dal 1982 (Trézny 1988; 1989) nell’area della cinta muraria di Caulonia, da cui proviene la macina a tramoggia pubblicata da Orsi (Orsi 1915: 729-730; 731, fig. 16), hanno accertato una sequenza di successivi interventi fino alla definitiva opera di ricostruzione databile al IV secolo. Da ciò rimane qualche dubbio circa la reale possibilità di riferire il rinvenimento della macina a tramoggia ad un contesto di certa datazione. A questo proposito ringrazio Maddalena Simonetti e Lucia Lepore, alle quali devo questo chiarimento. A questo proposito ringrazio in particolare Giacomo Biondi grazie al quale ho potuto raccogliere informazioni molto utili circa la diffusione del mulino di Olinto in Sicilia in epoca ellenistica oltre agli esempi che provengono dallo scavo di Prinias, a Creta. Alla sua disponibilità devo le indicazioni che sono qui riportate in breve.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Olinto, e che provengono da Lattes, Francia meridionale (Frankel 2003: 7), e gli esemplari standard rinvenuti fra i materiali relativi al relitto di el Sec, Mallorca (Arribas et alii 1987; Frankel 2003: 7; Williams-Thorpe e Thorpe 1991: 152-159).
Il mulino a tramoggia è comunemente in uso già dall’inizio del V secolo in Grecia e in Anatolia occidentale, e successivamente in tutta la regione del Levante ad Est, e del bacino occidentale del Mediterraneo, nell’area costiera meridionale della Francia, in Magna Grecia, in Africa settentrionale. Il mulino a scanalatura è noto diffusamente in tutta l’area assira, a partire almeno dall’VIII secolo. Indicativo in questo senso è il caso di Tell Barri. Qui, come si è visto, i mulini a scanalatura fanno la loro comparsa in livelli neoassiri datati all’VIII secolo e rimangono in uso fino all’inizio dell’età ellenistica; i mulini a tramoggia compaiono attorno al IV secolo e sono costantemente diffusi almeno fino al II secolo d.C. L’aspetto più interessante e al tempo stesso più difficile da ricostruire rimane quello dell’effettivo rapporto che intercorre tra i due mulini. Si sarebbe naturalmente portati a pensare, come si è detto, che il mulino a tramoggia costituisca una logica evoluzione del sistema a scanalatura. Tuttavia ciò di per sé non basta; resta da chiarire il contesto in cui tale sviluppo ha potuto compiersi. Di certo sappiamo che intorno al VI-V secolo si sviluppa in un’area compresa fra l’Anatolia occidentale e la Grecia continentale un tipo di macina a mano caratterizzata dalla presenza di una tramoggia227. Questo tipo, fortemente innovativo e altamente funzionale, si diffonde con larga fortuna, secondo due direttrici principali. La prima verso il bacino occidentale del Mediterraneo, dove si impone sui preesistenti sistemi locali di macina a mano; ne troviamo attestazioni fino al IV secolo nella regione costiera della Francia meridionale, dell’Africa settentrionale, dell’Italia meridionale. La seconda direttrice di diffusione muove ad Oriente, attraverso l’Anatolia, verso il Levante, da un lato, e la Mesopotamia settentrionale, dall’altro. In questa area, a quest’epoca è tuttavia già diffuso il sistema del mulino a scanalatura, che come si è visto è noto da almeno due secoli in tutta la regione assira. Il contatto fra questi due sistemi sta probabilmente alla base dello sviluppo del mulino a tramoggia standard. Secondo questo modello dunque il principio del sistema a volano viene mutuato dal mulino a scanalatura assiro per essere applicato al sistema a tramoggia egeo, determinando così lo sviluppo del mulino a tramoggia standard. Si ottiene così un tipo tecnicamente più avanzato che si impone in Oriente definitivamente dal IV secolo, dopo un periodo di circa un secolo di convivenza con il precedente mulino assiro a scanalatura, e si diffonde prima in Grecia, dove soppianta il tipo di tramoggia a mano già dalla fine del V secolo, e poi in tutto il bacino mediterraneo.
7.5. OSSERVAZIONI GENERALI Dal complesso dei diversi documenti presi qui in esame è possibile avanzare alcune osservazioni a proposito del carattere tecnologico e della diffusione del mulino di Olinto. L’aspetto che riveste certamente l’interesse maggiore in questo senso è rappresentato dal contesto in cui si è sviluppato questo mulino e dai rapporti di derivazione dai tipi precedenti. È infatti interessante rilevare il rapporto che intercorre fra il mulino di Olinto ed il mulino a macina semplice, da un lato, al quale sembra richiamarsi direttamente il tipo del mulino a tramoggia a mano (il nostro tipo B) e tra il mulino di Olinto ed il mulino assiro, dall’altro, al quale decisamente si richiama il tipo standard di mulino a tramoggia (che noi abbiamo indicato come tipo A). Sulla base dei dati sin qui esposti si può concludere che il mulino di Olinto standard ed il mulino assiro a scanalatura sono varianti del medesimo principio meccanico di mulino a leva (lever mill), con alcune differenze nell’applicazione funzionale. Nel caso del mulino a tramoggia il sistema prevede di fissare il volano ad una estremità così da produrre una sequenza di frizione secondo un movimento semicircolare impresso dall’operatore; nel caso del mulino a scanalatura, il volano non viene fissato ad una estremità, così da permettere all’operatore di produrre una frizione secondo un movimento assiale. Nel mulino a tramoggia inoltre il prodotto viene versato all’interno della tramoggia durante il processo di macinazione; nel mulino a scanalatura diversamente il prodotto da mettere a macinazione viene via via steso direttamente sulla macina giacente. I sistemi di mulino a tramoggia e di mulino a scanalatura derivano entrambi da precedenti sistemi di macinazione a mano. In entrambi i casi si possono infatti individuare tipi che rappresentano momenti intermedi nello sviluppo del sistema. Nel primo caso questa variante intermedia fra la macina a mano e la macina a tramoggia standard, è costituita dal tipo con prese laterali (handgrips)226, nel secondo caso la variante intermedia è rappresentata dal tipo di macina attiva a scanalatura a profilo pianoconvesso di dimensioni ridotte, presente fra le macine a scanalatura di Tell Ahmar (Trokay 2000: 1668), Tell Barri e Nimrud. Diversa è anche la diffusione dei due sistemi. 226
R. Frankel a proposito di questo sottotipo con prese laterali, riporta la possibilità che possa trattarsi di un tipo “portatile” della macina a tramoggia standard (Frankel 2003: 8). In questo senso già L.A: Moritz aveva ipotizzato che i tipi rappresentassero due varianti contemporanee o che il sottotipo con prese laterali fosse appunto il risultato di uno sviluppo secondario designed to make the hopper-mill portable.
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In questo senso non soltanto le macine a tramoggia con prese laterali (handgrips), ma anche i tipi di macine a tramoggia senza scanalatura (Tipi II,2 e II,3 di Frankel). Si ricorda che i casi più antichi di tramoggia sono da riferire a queste due varianti. Il caso più antico da Atene non ha scanalatura (Frankel 2003: 7).
III. I MULINI sono invece impugnati dall’operatore in modo tale che il palmo risulti perpendicolare al piano della superficie di macinazione. Le due modalità di impugnatura sono importanti da distinguere perché indicano di per sé una diversa mobilità ed un impiego differente dello strumento. Si può infatti osservare come nel primo caso la macinazione all’interno di una superficie ristretta e concava, quale è la condizione rappresentata dalla vasca di un mortaio, risulti immediatamente disagevole e poco funzionale. Per questo motivo si devono escludere verisimilmente i macinelli subglobulari e subcubici, il cui impiego è infatti maggiormente indicato nel caso già descritto dei mulini a macinello, in cui la macina giacente è piana e quindi la modalità dell’impugnatura del macinello non rappresenta un ostacolo al funzionamento. La pietra impiegata per questi mulini risulta varia, sono documentati esempi in pietra basaltica, che tuttavia in questo caso non rappresentano la maggioranza delle attestazioni, come è invece evidente per il mulini a macina semplice e per i mulini assiri ad esempio; si hanno infatti numerosi esempi in pietra calcarea e diversa granulazione, in calcarenite, in arenaria, in conglomerati di natura strutturale differente. Questa varietà nella scelta del materiale del supporto sembra trovare una giustificazione probabilmente nella particolare modalità del funzionamento del mulino a mortaio rispetto agli altri mulini. In particolare il mulino a mortaio funziona secondo una sequenza di percussione, o pounding, come i dati morfologici indicano chiaramente e come vedremo qui di seguito in maggior dettaglio; questo aspetto lo distingue nettamente dagli altri mulini che abbiamo sin qui descritti che funzionano, seppure con diverse modalità di applicazione, ma in ogni caso secondo una sequenza di frizione, o rubbing, come abbiamo di volta in volta notato. La predilezione per i basalti, nel caso dei mulini che funzionano per frizione, si spiega con la necessità di utilizzare una pietra che durante il processo di frizione ripetuta non si degradasse rilasciando così detriti all’interno del macinato. Il basalto e le rocce porfiriche garantiscono da questo rischio, non degradandosi a seguito della frizione. Il più ampio utilizzo dei calcari per la confezione dei mortai o dei macinatoi per mulini a mortaio, dunque, è così spiegabile se consideriamo contemporaneamente due fattori determinanti. Da un lato la maggiore facilità che i calcari o delle arenarie, pietre più morbide e più facilmente lavorabili, presentano nel processo di confezione delle macine, dall’altro la possibilità di utilizzare queste pietre per mulini che funzionavano per percussione e dunque riducevano naturalmente la possibilità disperdere scorie e frammenti della pietra durante il processo di macinazione. Questo due fattori possono giustificare l’utilizzo di una più ampia varietà di pietre nella produzione di mulini a mortaio. Sulla base di queste osservazioni preliminari si può tentare una distinzione dei principali tipi di mulino a mortaio, sulla base della effettiva complementarietà dei
8. IL MULINO A MORTAIO
8.1.I DATI TECNOLOGICI Morfologia e ricostruzione funzionale. Il mulino a mortaio rappresenta un modello particolare di mulino a mano, o hand mill, con il quale è possibile indicare una serie ampia di tipi fra loro anche assai differenti per quanto riguarda la morfologia delle macine che li compongono, ma tuttavia analoghi sotto il punto di vista dell’assetto tecnologico di funzionamento. Si tratta di mulini caratterizzati, come è ovvio, dalla presenza di un mortaio quale elemento inferiore o giacente. L’elemento superiore e attivo del mulino a mortaio è in ogni caso un macinatoio (pestello o macinello). Entrambe le macine di questo mulino, ovvero il mortaio giacente ed il macinatoio attivo, possono, come si è anticipato, presentare un aspetto differente; è perciò bene chiarire da subito quali sono i criteri in base ai quali risulta più utile valutare la complementarietà degli strumenti attivi e giacenti, per distinguere alla fine i diversi tipi di mulino a mortaio. I mortai, ma anche i macinatoi, seppure in misura meno evidente, possono, come si è visto in sede di classificazione tipologica, presentare caratteri morfologici molto differenti. L’aspetto morfologico che tuttavia risulta più utile per determinare la complementarietà è la profondità della vasca dei mortai. È infatti evidente anzitutto che un mortaio a vasca profonda non si presta ad essere utilizzato con un macinello di piccole dimensioni, a causa della pratica difficoltà che si può presentare all’operatore e a meno di un evidente mal funzionamento generale del mulino. Lo stesso può dirsi della condizione opposta, nella quale si dovesse pensare ad utilizzare un mortaio a vasca bassa, impiegando quale elemento superiore attivo un pestello di grosse dimensioni. Un secondo elemento che si deve valutare sta nelle dimensioni piane relative o, più esattamente, nel rapporto proporzionale delle macine complementari. Un mortaio di piccole dimensioni e dunque con vasca ad apertura ridotta potrà essere associato soltanto ad un macinello di dimensioni proporzionatamente ridotte. Allo stesso modo non risulterà funzionale utilizzare lo stesso macinello di piccole dimensioni con un mortaio che abbia vasca ampia e profonda. Il terzo ed ultimo elemento che si deve prendere in considerazione per valutare la complementarità dei vari tipi di mulini a mortaio è la modalità di impugnatura o presa dei macinatoi. È infatti evidente che fra i macinatoi la morfologia generale indica una differente modalità di impugnatura. Si distinguono in particolare da un lato i macinelli a corpo globulare, subglobulare o subcubico, che possono essere impugnati preferibilmente dall’operatore con tutta la mano, in modo tale che, si potrebbe dire, il palmo della mano dell’operatore risulti parallelo al piano o alla superficie sulla quale avviene la macinazione; dall’altro si distinguono i macinelli ed i pestelli a corpo troncoconico, cilindrico, e a maggior ragione i pestelli con corpo composito, che, in tutti i casi, 93
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico A con mortaio a vasca bassa, per la particolare presenza dei piedi che indicano un carattere morfologico specifico ed insieme suggeriscono una maggiore trasportabilità del mortaio. I piedi infatti, tre o quattro, garantiscono di ottenere la stessa stabilità di un mortaio a base semplice, riducendo però di gran lunga il peso. Il peso è infatti l’elemento cui si deve principalmente la stabilità del mortaio nel caso di un mortaio a base semplice. Si può quindi immaginare che questi mulini con mortai su piedi potessero essere destinati al trasporto, non unicamente su lunghe distanze, ma anche all’interno delle stesse unità abitative nelle quali non vi fossero postazioni fisse destinate alla macinazione. Questa possibilità si presta anche al caso della macinazione di prodotti particolari in contesti ufficiali o addirittura rituali, come sembrano testimoniare alcuni esempi di mortai su piedi, che insieme a mixing-bowls, sono stati trovati in contesti palatini o templari228.
macinatoi attivi e dei relativi mortai giacenti che li compongono. I sette tipi di mulino a mortaio che indichiamo qui di seguito sono: TIPO A. Si tratta del mulino a mortaio costituito da un mortaio a vasca bassa e base semplice (anche se con corpi differenti) quale elemento giacente; il relativo macinatoio attivo è rappresentato in questo caso da un macinello a corpo troncoconico, le cui dimensioni ridotte e l’impugnatura permettono un utilizzo funzionale del mulino. TIPO B. Il secondo tipo di mulino a mortaio è invece costituto da un mortaio a vasca media e base semplice (anche in questo caso con corpi differenti); il macinatoio attivo corrispondente è costituito di conseguenza da un pestello che può presentare corpo differente, semplice o composito. L’utilizzo di un pestello quale elemento attivo è naturalmente dovuto al maggiore sviluppo orizzontale rispetto al macinello, elemento questo necessario per garantire una buona funzionalità con un mortaio a vasca media.
TIPO G. Si tratta in questo caso di un tipo particolare di mulino a mortaio costituito da mortai a vasca bassa, ma ad apertura molto ampia in genere rettangolare. Sono questi mortai di grandi dimensioni, con l’aspetto di bassi bacini. In alcuni casi si può ritenere che fossero impiegati con grossi pestelli in legno, per la cosiddetta premacinazione necessaria per la lavorazione dei cereali glumati, quali l’orzo ad esempio. La stessa funzione può svolgersi tuttavia in grossi bacini di legno o su piani appositamente preparati. Da ciò deriva la generale scarsità di questi esempi, che è tuttavia necessario isolare, laddove si presentino. In conclusione dunque risulta ben evidente la varietà connessa all’impiego del mulino a mortaio. Varietà nella scelta della pietra del supporto, varietà nella associazione funzionale dei mortai giacenti e dei macinatoi attivi ed infine varietà dell’impiego e della produzione. Ciononostante l’impianto tecnologico e così l’aspetto funzionale di questi tipi è analogo e quindi riconducibile all’unica definizione di mulino a mortaio. Il mulino a mortaio infatti funziona secondo una sequenza di percussione lanciata e ripetuta realizzata dall’operatore utilizzando un macinatoio attivo impugnato in modo da risultare perpendicolare alla superficie di macinazione. La percussione non segue una direzione prefissata e non ha un’ampiezza di movimento prestabilita, ma varia, realizzandosi per assi convergenti verso il centro della vasca del mortaio giacente, e secondo ampiezza totalmente variabile durante il processo di macinazione. L’operatore si trova in piedi o in ginocchio in base alla postazione del mulino, disposto su un piano nel caso si tratti di un mulino a mortaio di dimensioni ridotte o dei tipi trasportabili. Una generale menzione di questo mulino compare già fine del XIX secolo, ancora nello studio di Lindet (Lindet
TIPO C. Si tratta in questo caso della terza possibilità, ovvero quella in cu il mortaio si presenti a vasca profonda e base semplice. Il macinatoio attivo corrispondente deve essere dunque un pestello particolarmente sviluppato in altezza. Si può supporre che in questo tipo di mulino a mortaio venissero utilizzati anche pestelli in legno. Questa possibilità è resa verisimile dalla scarsa maneggevolezza che presenterebbe un pestello di dimensioni rilevanti realizzato in pietra. Naturalmente non sono conservati pestelli in legno da nessuno dei contesti archeologici che abbiamo potuto documentare, non si può escludere tuttavia la loro presenza, accanto probabilmente ai pestelli in pietra a corpo composito, che garantivano una migliore impugnatura, necessaria appunto per la difficoltà di utilizzo dovuta al loro ingombro ed al peso. TIPO D. Il quarto tipo di mulino a mortaio che abbiamo qui isolato è costituito da mortai di piccole dimensioni a vasca bassa, utilizzabili soltanto con macinelli troncoconici di dimensioni ridotte. Si tratta evidentemente di un tipo specializzato di mulino a mortaio destinato con ogni probabilità alla macinazione di piccole quantità di prodotti particolari, chicchi o semi o foglie di piante preziose da trattare in ridotte quantità. TIPI E, F. Questi due tipi rappresentano il caso di mulini a mortaio con mortai a vasca bassa su piedi. Con mortai tripodi (il tipo E) e con mortai su quattro piedi (il tipo F). In entrambi casi i macinatoi attivi sono macinelli a corpo generalmente troncoconico. Il ridotto sviluppo in altezza dei macinatoi è anche in questo caso motivato dalla vasca bassa del mortaio. Si possono isolare questi due tipi, che funzionalmente non si distaccano sensibilmente dal tipo
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Per l’associazione con le mixing-bowls si veda qui di seguito la sezione a queste dedicata oltre, dove si da conto fra l’altro del lotto dei mortai su tre piedi e delle mixing-bowls rinvenute nell’hoard of cultic objects del Tempio di Beirut. Un caso esemplificativo di quanto si è detto.
III. I MULINI 1899: 422-424), il quale definisce i mortiers per opposizione alle pierres a écraser, come i mulini destinati a svolgere un lavoro preparatorio di concassage che precede la macinazione vera e propria che si realizza in seguito appunto con altri mulini. A Lindet si deve anche una rassegna, poi ampliata da L.A. Mortiz alcuni decenni più tardi (Moritz 1958), dei numerosi riferimenti biblici e poi classici, nei quali si fa menzione dell’impiego di mulini a mortaio, in contesti che in certi casi, seppure non certo comunemente, possono chiarire i contesti di impiego di questi mulini229. Per ciò che riguarda le definizione del mulino a mortaio nell’area dell’Oriente antico non si può che rilevare la generale tendenza ad indicare i mortai di volta in volta impiegando la sola definizione o semplici aggettivi che ne qualifichino l’aspetto morfologico. Non è comunemente diffusa la determinazione della associazione specifica tra mortai e macinatoi per definire tipi differenti di mulini a mortaio. Si possono considerare a titolo esemplificativo alcuni casi, che rappresentano tuttavia la norma comune. Nella classificazione del materiale dai livelli del Bronzo Antico di Melebiya, ad esempio, all’interno della categoria mortiers (Ciavarini Azzi 1993: 527; Lebeau 1987: 9) si distinguono due varianti principali in base all’apertura della vasca: una ad apertura squadrata carée e l’altra ad apertura circolare o ovale. Maggiore è la distinzione operata ad esempio nella classificazione dei materiali del Bronzo antico finale che provengono da Selenkahiye, seppure anche in questo caso non si propongano associazioni particolari fra mortai e macinatoi nei tipi di mulini differenti. Sono qui isolati e documentati tre tipi differenti di mortaio. Il primo è descritto circular/oval with flat base, corrispondente al nostro mortaio a vasca media e corpo sferoide e presente nelle due varianti dimensionali (quelle del nostro tipo mortai II. A. 1a e II.A. 1b). Il secondo è descritto with flat base and more or less rectangular plan, ne sono noti soltanto due esempi da Selenkahiye, entrambi a vasca bassa e dunque corrispondenti certamente al nostro tipo I.A. 6a (van Soldt 2001: Pl. 9.3: g,h). Infine il terzo e più comune a Selenkahiye che è costituito da 4-footed mortars, rectangular in shape, analoghi al tipo a vasca bassa, con 4 piedi, a corpo di parallelepipedo (tipo mortai I.D. 5b) (van Soldt 2001: Pl. 9.4: a-d).
Un’eccezione è tuttavia, ancora una volta, rappresentata dalla classificazione proposta da M. Trokay per lo studio dei materiali che provengono dai livelli del Ferro II e III degli edifici nella città bassa di Tell Ahmar (Trokay 2000). La Trokay, come abbiamo visto, distingue due tipi principali di artefacts, ovvero di mulini costituiti da due elementi distinti, l’uno attivo e l’altro giacente (Trokay 2000: 1665). Il concetto di artefact della Trokay, come già abbiamo avuto modo di sottolineare, corrisponde qui dunque al nostro concetto di mulino. I due tipi così distinti sono costituiti rispettivamente dalla coppia meules e molettes (che definisce Type 1 e che corrisponde al nostro mulino a macina semplice) e dalla coppia mortiers e pilons (che definisce Type 2 e che corrisponde invece al mulino a mortaio). Quest’ultimo è il caso che qui interessa. All’interno di questa famiglia si isolano naturalmente le due serie dei mortiers e dei pilons. I primi a loro volta sono suddivisi in due gruppi: mortiers ronds e mortiers rectangulaires (Trokay 2000: 1673). I mortiers ronds possono essere distinti in tre classi: de grande taille (che raccoglie i due tipi soigné e grossier), communs (che raccoglie i tipi à fond plat, à fond annelé, à fond discoide, à décor cordé) e à support (che raccoglie i tipi à piédestal e i tipi tripodes, nelle due varianti hauts e bas). I mortiers rectangulaires sono invece distinti in due classi: à fond plat e à support (che raccoglie i tipi à piédestal, à quatre pieds, à quatre pied et à tetes de taureaux sculptées). Nella serie dei pilons sono distinti invece i due soli tipi troncoconiques e cylindriques (Trokay 2000: 1673). In questo caso dunque, oltre alla definizione dei tipi su base morfologica operata secondo un criterio stabile di classificazione, si procede ad associare preliminarmente macinatoi e mortai in modo da delineare tipi distinti di mulini a mortaio. Questa operazione, non condotta a conclusione anche per il carattere del tutto preliminare dei risultati dello studio presentati nel 2000, presenta tuttavia un interesse particolare proprio perché rappresenta a tutti gli effetti un caso raro in cui si è tentato una ricostruzione dell’impianto tecnologico di questo tipo di mulini230.
8.2. I DOCUMENTI ARCHEOLOGICI Installazioni, contesti secondari. 229
Nel mortaio viene preparata la manna, e chiaramente ci si riferisce in Proverbi XXVII, 22, dove si dice “anche se tu pestassi lo stolto con il pestello in un mortaio, fra il grano stritolato, la sua stoltezza non si dipartirebbe da lui”. Ad un mortaio “rotondo” accenna Aristofane (le Nuvole, v. 676); ad un sistema più complesso in cui il pestello viene legato ad una corda e sospeso in alto ad un supporto in modo da amplificare con il peso del pestello stesso la forza della percussione, allude invece un passo di Esiodo, riportato da Lindet (Lindet 1899: 423), che descrive un impianto simile a quello cui sembra riferirsi più tardi Polibio (I, 22). A questo proposito e sull’impiego di questi ausili meccanici si veda in particolare Forbes 1962: 110.
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All’interno dell’ampio studio dedicato, come si è avuto già modo di accennare, da E. Merluzzi a questo argomento un’attenzione particolare è rivolta all’analisi al repertorio dei mulini a mortaio dai livelli di epoca proto- e paleosiriana di Ebla e dai più recenti livelli di Tell Afis. Questo lavoro, oggetto della sua Tesi di Dottorato, è in attesa di pubblicazione e può rappresentare un contributo importante per definire entro un quadro più ampio anche la diffusione ed i caratteri tecnologici proprio di questo tipo di mulino. Si veda sull’argomento di recente anche Merluzzi 2008.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico inducono a ritenerla poco probabile232. Il mortaio non si trova né incassato nel piano né alloggiato in alcuna installazione, ed inoltre in un’area di passaggio destinata certamente a mettere in diretta comunicazione l’edificio con la fornace. Installazioni per molti versi analoghe e quelle sin qui descritte sono ben documentate anche durante l’Età del Bronzo Antico, per tutto il III Millennio a.C. in una vasta area. Esempi di postazioni destinate a mulini a mortaio rinvenute in situ si trovano nella regione dell’alto Eufrate in territorio turco, nell’area del Keban e degli sbarramenti di Karababa, in particolare da Korucutepe e Kurban Höyük. Un esempio particolare di postazione per mulino a mortaio è nota infatti dai livelli del Bronzo Antico di Korucutepe, dell’area del Keban. Si tratta di tre installazioni rinvenute in tre aree distinte dell’insediamento del Bronzo Antico iniziale (Fase D) (Hood 1951: 123; van Loon 1980: 103) e pertanto non di un caso isolato ma piuttosto di un espediente piuttosto diffuso per l’installazione di mulini a mortaio. L’aspetto generale di queste installazioni è quello di una cavità non profonda e ad apertura circolare, scavata nel terreno e rivestita da uno strato di argilla concotta, sulla cui base si trova un mortaio in pietra, definito dunque come mortar bottom. Apparentemente l’intera cavità funziona come la vasca di un mortaio, but for reasons of economy only the bottom, which received most of the impact, was made of stone (van Loon 1978: 103). Questo tipo di installazione per mulino a mortaio non trova confronti diretti se escludiamo un caso da Amiranis-Gora, in Georgia, già segnalato da van Loon (van Loon 1978: 103), che si presenta di dimensioni sensibilmente maggiori ed è in questo caso diversamente interpretata come smith’s furnace. Un esempio di postazione per mulino a mortaio interessante proviene, come abbiamo anticipato, anche dallo scavo di Kurban Höyük. In questo caso un lotto consistente di macine per differenti mulini proviene dall’area del complesso della Phase II, messo in luce sull’acropoli del monticolo principale (Ataman 1986: 79; Fig. 10). Fra questi si segnala il rinvenimento (nella stessa unit 39, relativa ad una non meglio precisata area all’aperto) di un mortaio (del tipo classificato da Ataman come Type 12, e dunque di un mortaio in pietra basaltica) rinvenuto insieme ad un pestello (questa volta del tipo 10 di Ataman, ovvero un pestello a corpo cilindrico allungato realizzato con un acconcio ciottolo di fiume). Data la presenza del pestello a corpo cilindrico allungato si può concludere che in questo caso si tratti con ogni probabilità di un mulino a mortaio del tipo B233.
È possibile fare riferimento ad alcuni esempi di installazioni destinate a mulini a mortaio. Si tratta anche in questo caso, come già si è sottolineato a proposito della diffusione di altri tipi di mulini, di un quadro di riferimento generale, utile a delineare la distribuzione cronologica e geografica ed i caratteri essenziali di queste installazioni nell’area presa in esame da questo studio. Non si tratta dunque di un inventario completo dei casi di rinvenimento di mulini a mortaio in situ, come è ovvio, quanto piuttosto di un repertorio di riferimento. La presenza di installazioni destinate ad ospitare mulini a mortaio è documentata già da epoca protostorica in tutta l’area dell’Oriente antico. Si può qui fare riferimento ad almeno due esempi all’incirca contemporanei e che risalgono ad un arco compreso tra il tardo periodo Obeid ed il principio del periodo tardo Calcolitco Early Uruk. Il primo nell’area dell’altipiano anatolico sud-orientale, nella regione di Aksaray è il sito di Güvercinkayasi, di cui abbiamo già avuto modo di vedere documenti relativi ad altri mulini in pietra; il secondo è il sito di Tell Beydar III, monticolo satellite del maggiore tell occupato dal centro del Bronzo Antico di Tell Beydar, sul versante orientale del bacino del Habur, nella Giazira siriana. La postazione di un mulino a mortaio individuata dallo scavo dell’abitato protostorico di Güvercinkayasi (Gülçur 1999) si trova all’interno della Raum M5 dell’Edificio meridionale in 7H/Planquadrat 4J (Gülçur 1999: 71, fig. 2), datato certamente fra l’ultima fase del periodo Obeid ed il periodo Uruk iniziale. Da questo ambiente proviene un ricco inventario di manufatti destinati ad attività domestiche di differente natura (Gülçur 1999: 57). Vi sono in particolare state messe in luce due installazioni destinate alla macinazione: un mulino a macina semplice ed un mulino a mortaio. Il mulino a mortaio è in questo caso un mulino a mortaio A, dotato di un mortaio a vasca bassa e corpo sferoide (del tipo I.A. 1a), disposto direttamente sul pavimento del vano. Una installazione destinata ad un mulino a mortaio è stata individuata anche nel piccolo quartiere calcolitico di Tell Beydar III, che si trova, come si è detto, immediatamente a meridione del monticolo principale di Tell Beydar (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003). Lo scavo del livello 3 ha messo in luce parte di un edificio che rappresenta la fase più antica del maggiore Building II del successivo livello 2 (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 543, fig. 3). A Nord di questo edificio si trova una fornace a pianta arrotondata disposta all’interno di un’area delimitata da un muretto perimetrale. Nell’area aperta fra l’edificio a Sud e la fornace si trova un mortaio a vasca media e corpo tendenzialmente troncoconico (tipo mortai II.A. 2a), apparently left in situ (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 529) (TAV. 109). L’installazione di un mulino a mortaio standard B in un’area aperta non è di per sé inusuale231, tuttavia in questo caso specifico i dati a nostra disposizione
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Si confrontino a titolo di esempio le installazioni per mulino a mortaio dei più recenti livelli del Bronzo Antico a Tel Arad (Amiran 1978). Si veda qui in seguito.
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Lo scavatore stesso, come si è visto, rimane incerto circa questa possibilità (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 529). Meno sicura è infatti la morfologia dei mortai in basalto del tipo 12 di Ataman. Come vedremo, infatti, l’unico esempio documentato è quello di un mortaio di piccole dimensioni a vasca bassa (del tipo I.A. 1b) (Ataman 1986: Fig. 34: G). Evidentemente all’interno
III. I MULINI Più a meridione, due possibili postazioni riferibili a mulini a mortaio sono state individuate dallo scavo di Selenkahiye (van Loon 2001). Si tratta in entrambi i casi di mulini a mortaio F, e dunque con mortai a quattro piedi. Il primo è stato rinvenuto nell’Area 43.Q26 direttamente sul pavimento del livello 25 ascrivibile alla fase Early Selenkahiye, ovvero alla fase cronologicamente compresa fra il Dinastico Antico finale ed il principio del periodo accadico (Schwartz 2001: 254); il secondo mulino a mortaio F, proviene invece dai livelli Late Selenkahiye dell’accadico finale ed Ur III, ed è stato trovato all’interno di un vano dell’Area 10.T04 anche in questo caso disposto direttamente sul pavimento del piccolo ambiente (van Soldt 2001: 453)234. Nell’area del Habur particolarmente interessanti risultano le installazioni per mulini a mortaio documentate dallo scavo dei livelli del Bronzo Antico di Tell Brak (Oates, Oates 2001: 266). Si distingue qui infatti un tipo particolare di installazione, indicata come la più comune per i mulini a mortaio durante la fase centrale del Bronzo Antico. Si tratta dei cosiddetti grinding pits, la cui diffusione risulta a Brak significativamente limitata ai livelli dell’ED II-III (Phase L) (Oates, Oates 2001: 266). Con grinding pits si può in linea generale definire fosse poco profonde praticate nel pavimento in argilla battuta di uno degli ambienti dell’abitazione, alla cui base viene sistemato un mortaio in basalto o in calcare. Un caso proviene (pit 524) dal vano 73 del complesso domestico del livello 7 dell’Area CH, in questo caso con un mortaio in calcare; un esempio analogo, con un mortaio in basalto (pit 238), proviene dal vano 63 del successivo livello 6, sempre in CH (Oates, Oates 2001: 27, Figg. 27, 28)235 (TAV. 110). Si possono citare tuttavia altri contesti significativi, relativi ai casi in cui mulini a mortaio si trovino associati ad altri mulini. In particolare il caso del pavimento CH132, corrispondente al livello 2, ovvero al primo livello post-accadico dell’Area CH appunto, sul quale sono state rinvenute cinque macine per mulini a macina semplice insieme ad un mortaio in pietra basaltica (Oates, Oates 2001: 175: Fig. 207). L’associazione di queste macine destinate a mulini differenti rappresenta, come è evidente, un caso di particolare interesse. Questo lotto, rinvenuto in situ sul pavimento di un piccolo vano,
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potrebbe infatti indicare l’insieme dei mulini impiegati in sequenza all’interno di questo ambiente, al cui interno si dovevano svolgere le diverse attività di macinazione richieste dal fabbisogno di un piccolo nucleo domestico e che quindi era destinato ad ospitare postazioni per mulini differenti. La diffusione di diverse installazioni destinate a mulini a mortaio sono ben documentate durante il Bronzo Antico anche nell’area della Siria occidentale e più a Sud nell’ampia area del Levante meridionale. Particolare interesse rivestono, per la completezza di documentazione che offrono, le postazioni con mulini a mortaio in situ messe in luce dallo scavo dei livelli del Bronzo Antico I-II del sito di Arad, nella valle del Negev. Lo scavo del limite settentrionale del quartiere abitativo dell’area L ha permesso di rilevare due distinte postazioni con mulini a mortai del tipo B standard, incassati in due pavimenti successivi dello stesso complesso abitativo (TAV. 111: 1). Il mulino più antico si trova incassato nel pavimento relativo al Locus 1334 dello strato III, non distante dalla postazione del mulino più recente che si trova allo stesso modo incassato nel pavimento più recente dello strato II della Room 1322 (Amiran 1978: Pl. 134: 1-3) (TAV. 111: 2-3). Un altro mulino a mortaio B standard, del tutto analogo a quelli sopra descritti, si trova incassato nel pavimento dello strato II della Room 1296 dell’area H, in questo caso tuttavia la posizione del mortaio all’interno del vano è molto più chiara (Amiran 1978: Pl. 141: 2-4; Pl. 142: 1), il mulino è disposto in corrispondenza della prossimità settentrionale del vano, ma al centro e non a ridosso del muro come nei casi contemporanei dall’area L (TAV. 112: 1-4). Altri due mulini a mortaio provengono da abitazioni del quartiere dell’area H e presentano differente disposizione. Il mulino a mortaio B standard che proviene dal locus 1045b dello strato III (Amiran 1978: Pl. 144: 5) si trova infatti incassato in un piano esterno apparentemente non legato ad alcuno degli ambienti circostanti (è plausibile che si tratti di una installazione secondaria), il mortaio è tuttavia integro e non è dunque probabile che sia stato utilizzato secondariamente fra i materiali impiegati per la messa in opera della pavimentazione esterna, all’interno della vasca inoltre sono stati rinvenuti in piccola, ma significativa quantità alcuni grani e chicchi destinati evidentemente ad essere lavorati all’interno del mortaio in posto (TAV. 113: 3). Diverso è il caso della cosiddetta Kitchen-Storeroom 1503 (Amiran 1978: Pl. 144: 1, 2), al cui interno è stata messa in luce la postazione di un mulino a mortaio C, con mortaio a vasca profonda. Il mortaio non è in questo caso incassato direttamente nel pavimento del vano ma si trova al di sopra di un piccolo piano realizzato con mattoni cotti e lastre di pietra irregolari, adiacente al muro in corrispondenza dell’ingresso del vano236 (TAV. 113: 12).
del tipo 12 di Ataman sono raccolti mortai a vasca bassa (l’esempio documentato dal disegno) e a vasca media (l’esempio rinvenuto in situ). Altri esempi frammentari sono stati recuperati fra i materiali impiegati per pavimenti esterni o per la fondazione di muri (reused as pavement o reused as a foundation stone for a wall) (van Soldt 2001: 453). Dai pavimenti di due vani del Late Selenkahiye Period provengono anche due dei 5 pestelli relativi a mulini a mortaio (van Soldt 2001: 454). La collocazione sul pavimento, tuttavia, in assenza di altri elementi che rendano plausibile l’ipotesi, non sembra sufficiente per poter stabilire la presenza in questi vani di due postazioni per mulini a mortaio. In quest’ultimo caso all’interno della grinding pit è stato rinvenuto un contenitore ceramico perhaps used as a dipper (Oates 2001: 266).
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Il mortaio è del tipo III.A. 6 e dunque caratterizzato dalla presenza di un foro passante in corrispondenza della parete bassa o della base della vasca. In questo
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Un mulino a mortaio B standard è stato rinvenuto anche all’interno della House 1234 dell’area K. Il mortaio si trova sul pavimento dello strato III, adiacente al muro meridionale (TAV. 113: 4-5). Anche qui la disposizione primaria del mulino a mortaio è confermata dal rinvenimento, in questo caso sul pavimento in prossimità del mortaio, di numerosi grani combusti. Si deve perciò concludere che la disposizione dei mulini a mortaio all’interno delle abitazioni ad Arad non sia rigida, ma si adatti piuttosto alle singole esigenze di organizzazione dello spazio domestico. Questo modello risulta apparentemente diverso da quello della disposizione dei mulini a macina semplice su banchine, tipico ad esempio del piccolo insediamento del late ED III/Early Akkadian di Tell Bderi (Pfälzner 1996), nella regione del Habur, dove, come si è visto237, le installazioni fisse per mulini a macina semplice si trovano su banchine disposte in generale sulla parete di fondo, opposta all’ingresso del vano. La relativa scarsità di dati relativi a mulini a macina semplice da Arad, da dove è documentato un solo esempio rinvenuto fuori contesto, non permette tuttavia di stabilire se eventualmente questi ultimi, a differenza dei mulini a mortaio, potessero avere una disposizione fissa all’interno delle abitazioni. Anche per il Bronzo Medio ed il Bronzo Tardo si possono riportare esempi che coprono una vasta area e comprendono documenti dall’area del Levante costiero e della Siria occidentale e casi all’incirca contemporanei di installazioni per mulino a mortaio fino all’area della Mesopotamia settentrionale, alla regione del Habur. Fra i primi è certamente interessante citare i casi di mulini a mortaio che provengono da Hama. Alcuni esempi di mulini a mortaio rinvenuti in situ sono infatti documentati dallo scavo dei livelli del Bronzo Tardo di Hama G (Fugmann 1958: 118-127). Una postazione con mulino a mortaio in situ è stata individuata dallo scavo del Niveau G3 nel settore meridionale O12 (Fugmann 1958: 124, Fig. 152a) (TAV. 115: 1-2). Si tratta di un mortaio in pietra basaltica a vasca media, su piedi (del tipo I.D. 1a) (Fugmann 1958: 125, Fig. 153: 347) incassato nel piano ad Est di uno dei due pilastri che delimitano i due ingressi al vano centrale. In questo caso il mortaio incassato è delimitato su un lato da una serie di pietre frammentarie disposte sul piano, che indicano chiaramente una postazione fissa destinata alle attività di macinazione (Fugmann 1958: 127, Fig. 156). Un altro mortaio proviene dall’area alla base del secondo pilastro, ed è stato rinvenuto insieme ad un pestello ed un peso perforato in basalto. In questo caso non è possibile tuttavia stabilire se si tratti di una vera e propria postazione per mulino a mortaio o, forse più probabilmente, di un deposito secondario.
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Allo stesso modo un lotto di mortai proviene dallo scavo del settore centrale I10, ed in particolare dall’area corrispondente al vano meridionale R11 (Fugmann 1958: 119, Fig. 142a) (TAV. 116: 1-2). All’interno di quest’area, per quanto fortemente danneggiata da una serie di interventi successivi, è stato possibile recuperare una parte del pavimento in argilla battuta, relativo alla prima fase della costruzione. Sul piano sono stati ritrovati numerosi manufatti in basalto, mortai e ciotole su piedi, integri e frammentari, alcune non meglio identificate macine, pestelli, un peso perforato ed un grosso bacino su alto piede; poco più ad Est è stato ritrovato un blocco di basalto in parte lavorato, taillé et poli, che potrebbe, anche se lo scavatore non è certo, provenire dallo stesso vano (Fugmann 1958: 122, Fig. 149). Nel complesso dunque sembra perciò di poter escludere si tratti di un deposito secondario, così come non è probabile che si debba riconoscere in questo un vano destinato ad ospitare la postazione di mulini a mortaio per attività di macinazione. È invece possibile che debba trattarsi di un laboratorio destinato alla lavorazione della pietra, e del basalto in particolare, per la manifattura di strumenti con destinazione differente, compresi manufatti per la macinazione. Un caso diverso è rappresentato dal più recente rinvenimento di un piccolo lotto di mortai all’interno del tempio di Beirut. La particolarità è in questo caso rappresentata naturalmente sia dal contesto del rinvenimento238 ma soprattutto dalla natura del deposito dal quale provengono questi mortai. Un esempio si trova infatti fra i materiali recuperati all’interno del cosiddetto hoard of cultic objects, conservato in una camera ricavata nella roccia al di sotto del Tempio sull’acropoli di Beirut, messo in luce nella parte nordoccidentale del tell e datato plausibilmente al Bronzo Medio II o al principio del Bronzo Tardo I. da qui provengono 4 basalt tripod bowls, una ciotola ed un macinello in basalto (Badre 2000: 45, fig. 3: 4-7, 11).
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caso sono stati rinvenuti, sul piano in mattoni cotti e pietrame che costituisce la base su cui è installato il mortaio, alcuni frammenti di un condotto, o piccolo canale, che si suppone potesse costituire il canale di scarico e di scolo connesso al foro passante. Si veda sopra la sezione qui dedicata alle installazioni per mulini a macina semplice.
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La presenza di mulini a mortaio particolari, e qui abbiamo suggerito la possibilità che fossero in questo caso preferiti i mulini dei tipi E ed F su piedi per la maggiore trasportabilità, all’interno di complessi a destinazione ufficiale e pubblica o in contesti sacri, non è anomala. Del resto sono documentate in simili contesti anche postazioni destinate ad ospitare altri mulini, basti pensare alla presenza di una postazione per mulini a macina semplice in uno degli ambienti accessori del santuario B2 di epoca paleosiriana ad Ebla. I mulini a mortaio di piccole dimensioni, o su piedi, possono inoltre essere verisimilmente destinati all’adempimento di alcune operazioni di piccola macinazione di prodotti particolari durante specifici rituali. Un esempio è in questo caso documentato dalla serie dei piccoli mortai teriomorfi, con protome di leone o più spesso di toro, diffusi durante il Ferro II e III in tutta la Mesopotamia settentrionale assira ed oltre, che sono stati giustamente considerati già da M. Trokay come mortai destinati a svolgere specifiche operazioni di macinazione durante il rituale del culto di Hadad (Trokay 2000). Si veda a questo proposito in maggior dettaglio la sezione qui dedicata alle mixingbowls ed agli altri mulini.
III. I MULINI All’interno della vasca di uno dei tripodi è stato ritrovato un basso macinello troncoconico (TAV. 114: 1-2). In questo caso, dunque, per quanto non si tratti naturalmente del rinvenimento di una postazione per mulino a mortaio in situ, è tuttavia interessante l’associazione intenzionale del mortaio tripode che viene deposto insieme al relativo macinello, confermando chiaramente il grinding role of the tripod (Badre 2000: 37), e l’originario tipo di mulino, che poteva essere impiegato nelle attività connesse ai rituali svolti all’interno del tempio stesso. Un caso interessante di associazione, notevole anche in questo caso per la particolarità del contesto del rinvenimento proviene anche da Cipro. È utile riportare questo esempio perché rappresenta un caso analogo a quello di Beirut, che tuttavia proviene da un diverso contesto di giacitura e soprattutto da un’area differente. Questi elementi insieme contribuiscono da un lato a dare conferma della associazione complementare di macinatoio e mortaio del tipo E su tre piedi che abbiamo sopra distinto, ma dall’altro soprattutto testimoniano della omogeneità dei dati disponibili per questo tipo di mulino a mortaio, che risulta diffuso senza varianti funzionali in una vasta area e in contesti molto differenti fra loro. Il caso cui si può qui fare riferimento, significativo dell’associazione degli elementi di questo mulino a mortaio e della sua diffusione, proviene dalla necropoli di Asproy, nell’area di Pahos-Kouklia (Meier, Karageorghis 1984: 52, 65-66, fig. 44). Fra gli oggetti del corredo di una sepoltura del periodo Late Cipriote III B, è stato infatti recuperato un mortaio tripode insieme al relativo pestello troncoconico. Anche in questo dunque, come nel caso del Tempio sull’acropoli di Beirut, è particolarmente utile l’intenzionalità dell’associazione dei due strumenti attivo e giacente, mortaio e pestello, sebbene non identificata dalla postazione di un mulino in situ, ma dalla deposizione fra gli oggetti di corredo. Ad Oriente casi che documentino la diffusione durante il Bronzo Medio e Tardo delle installazioni per mulino a mortaio sono noti nell’area del bacino del Habur, ed in particolare da Tell Barri e Tell Brak. A Tell Brak risulta infatti particolarmente interessante la distribuzione dei mulini a mortaio all’interno del complesso del palazzo mitannico dell’Area HH (McDonald 1997: 110-111). In questo caso i mulini a mortaio erano collocati verisimilmente in un singolo ambiente, lo Workshop 7 (Oates et alii 1997: 4: Fig. 12), un laboratorio all’interno del quale, come abbiamo visto, si trovano differenti tipi di mulino (oltre a mulini a mortaio, anche mulini a macina semplice e a macinello). Gli ambienti adiacenti, dai quali provengono altri strumenti per la macinazione potevano originariamente avere diversa destinazione, come sembra plausibile considerando ad esempio il fatto che un frammento di un mortaio tripodato collocato sul pavimento dello Workshop 7, è stato rinvenuto in giacitura secondaria all’interno dell’adiacente Storeroom 12239. È pertanto 239
verisimile che il complesso dei mulini a mortaio si trovasse all’interno dello stesso ambiente, ovvero nel Workshop 7. La condizione è meno definita per il contemporaneo tempio di epoca mitannica in HH. In questo caso non si può rilevare nell’organizzazione interna degli spazi la presenza di un ambiente specificatamente destinato alle attività di macinazione; un mortaio ed un pestello provengono dalle due Chamber 21 e 22 (Oates et alii 1997: 4: Fig. 12), insieme a pochi altri macinelli. Una condizione analoga di compresenza risulta evidente dagli edifici privati di epoca mitannica dei livelli 4 e 5b. In questo caso all’interno dello stesso vano o ambiente si trovano strumenti pertinenti a differenti mulini, in particolare è frequente l’associazione fra mulini a macinello e mulini a mortaio (e soprattutto mulini a mortaio del tipo E, con mortai a vasca bassa tripodati) (Oates et alii 1997: 33: Fig. 52)240. Si tratta in ogni caso di due mulini per ogni ambiente che tuttavia riproducono, seppure naturalmente su scala inferiore e secondo esigenze domestiche, la stessa funzionale associazione di mulini che conosciamo dallo Workshop 7 all’interno del palazzo. A Tell Barri lo scavo dei livelli del Bronzo Medio I-II e del Bronzo Tardo, relativi alla sequenza dell’insediamento di epoca paleobabilonese amorrea e di epoca mitannica dell’Area G, sul pendio sud-orientale del tell, ha permesso di individuare alcune installazioni destinate ad ospitare mulini a mortaio, rinvenute in condizione tale da poterne ricostruire completamente la funzionalità. Una installazione per mulino a mortaio proviene dai livelli del Bronzo Tardo relativi all’insediamento di epoca mitannica ed è stato messo in luce dallo scavo dello strato 22 nei settori A-D 5-6 (Pecorella 1998b: 99-100). In questa fase l’area non è occupata da strutture abitative di carattere residenziale, ma rimane libera e viene destinata ad ospitare modeste installazioni a cielo aperto, organizzate per attività di carattere essenzialmente domestico da svolgersi all’aperto. In questo senso si deve intendere la presenza di un piccolo focolare a pianta quadrata (il focolare 260), in parte riparato dal muretto 257, con funzione di paravento (Pecorella 1998b: Fig. 40) (TAV. 119: 1). Nell’area limitrofa al focolare si trova anche un’installazione destinata ad ospitare un mulino a mortaio (Pecorella 1998b: Fig. 30). Si tratta in questo caso della postazione di un mulino a mortaio del tipo B standard, costituito da un mortaio in pietra calcarea a struttura assai compatta (E.1002) e a vasca bassa, incassato direttamente nel suolo esterno 268 in argilla battuta (TAV. 119: 2-3). Più numerosi sono i casi di installazioni destinate a mulini a mortaio e rinvenute in situ, che si sono potuti mettere in luce nello scavo dei livelli precedenti del Bronzo Medio e soprattutto del Bronzo Medio II, relativi all’insediamento di epoca paleobabilonese dell’Area G. Il primo cui potersi riferire è costituito dalla postazione di un mulino a mortaio del tipo B messa in luce dallo scavo dello strato 29 corrispondente all’insediamento del
Come si è detto è in questo senso plausibile l’ipotesi della McDonalds, secondo cui alcuni degli strumenti dello Workshop 7 siano stati altrove trasportati a seguito del sacco dell’edificio (McDonald 1997: 111).
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Questo è il caso dei loci HH442 e HH 444 del livello 5b (McDonald 1997: 111).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico periodo paleobabilonese maturo. In questo momento l’area è occupata da un quartiere abitativo a vocazione eminentemente domestica, caratterizzato dalla presenza di edifici ben strutturati e costituiti da ampi vani a pianta rettangolare (Pecorella 1996: 21-24, 42, 43) (TAV. 118: 1). L’ambiente principale è il vano 495, disposto secondo l’asse SE-NO, e connesso ad altri ambienti minori a Nord-Est; l’area opposta che si apre a SO è invece lasciata a cielo aperto, una sorta di corte esterna al vano, ed è pavimentata con materiale di risulta soprattutto lacerti di mattoni cotti e frammenti di pietrame (pavimenti 523, 521) (Pecorella 1996: 42). Quest’area è destinata ad ospitare una serie di installazioni domestiche, quali piccoli forni per il pane (i tannur 503, 524) e piani esterni di lavoro, oltre appunto alla postazione di un mulino a mortaio (TAV. 118: 2-3). Si tratta del mortaio E.1627 in pietra calcarea a struttura compatta, rinvenuto incassato nel piano esterno dell’area all’aperto a SO del vano 495. Il mortaio è stato rinvenuto con ancora all’interno della vasca il grosso macinello in pietra calcarea nerastra che era impiegato quale macinatoio superiore nel mulino. Nel complesso dunque l’installazione documenta la postazione di un mulino a mortaio del tipo B, conservato completamente. Una seconda installazione, circa la quale è tuttavia lecito avanzare qualche incertezza, proviene da una fase più antica dello stesso edificio, corrispondente allo strato 30 ed ascrivibile allo stesso periodo cronologico (Pecorella 1996: 43). In questo caso si tratta del recipiente tripode E.1804 in pietra basaltica che è stato rinvenuto sul pavimento esterno 531, sempre nell’area aperta a SO del vano principale 495 (TAV. 118: 4-5). All’interno di questo pavimento, come abbiamo visto realizzato con lacerti di mattoni cotti e pietrame, si trovava incassato il tripode in basalto E.1804. l’ipotesi più probabile, anche considerando che la vasca era fratturata e presentava una larga lacuna sul fondo, è che questo tripode sia stato qui utilizzato come materiale di risulta per la pavimentazione, secondo un uso ben noto, nonostante la posizione, con la vasca si rivolta verso l’alto, lasci qualche dubbio in merito241. Una postazione composita più complessa ed interessante è stata messa in luce dallo scavo del più antico strato 32 B dell’insediamento del periodo paleobabilonese amorreo dell’Area G (Pecorella 1999b: 39-40; Pecorella 2003: 18) (TAV. 117: 1). Si tratta dell’installazione 657 rinvenuta all’interno di un piccolo ambiente all’esterno del vano 631. Il vano 631 si presenta come un ambiente a pianta rettangolare di dimensioni piuttosto modeste ma ben strutturato, connesso con altre unità minori che individuano un complesso abitativo disposto nell’area sud-orientale del quartiere residenziale scavato nei settori A-D 1-6. All’esterno di questo vano, come si è detto, si trova una installazione particolare la cui destinazione
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evidentemente era connessa con le attività della macinazione (TAV. 117: 2-6). La struttura 657 è costituita infatti da un muretto in mattoni crudi di due filari alla base del quale si trova un piano in mattoni cotti regolarmente disposti e leggermente incassati al di sotto del piano di calpestio (circa 30 cm. al di sotto del piano). I mattoni cotti formano così una sorta di piattaforma che lascia libera tuttavia l’area immediatamente addossata al muretto in crudo, destinata ad essere occupata da un grosso mortaio in pietra basaltica a vasca media (E.2359) incassato a sua volta nel piano e separato dal muretto da un mattone cotto posto di taglio. A fianco del mortaio si trovava una sorta di piano rialzato costituito da tre mattoni cotti sovrapposti, sul quale era disposto un mortaio in pietra basaltica di dimensioni minori e a vasca bassa (E.2363) che si presenta caratterizzato da un foro laterale per la sistemazione di un macinello troncoconico (l’E.2364), rinvenuto nei pressi sul piano in mattoni cotti. Si tratta dunque di una installazione composita destinata ad ospitare almeno due mulini a mortaio differenti; il primo è un mulino a mortaio B standard installato in una postazione fissa ed incassato a ridosso del muretto in crudo che costituisce una sorta di banchina; il secondo è un mulino a mortaio A di dimensioni ridotte e senza dubbio destinato ad essere trasportato, come dimostra il foro per l’alloggiamento del relativo macinello. Quest’ultimo dunque poteva essere utilizzato sul piano a fianco del mulino a mortaio B, laddove è stato trovato, ma anche trasportato o spostato altrove, nel momento in cui il piano fosse stato utile per altro utilizzo, quando si utilizzava esclusivamente il mulino a mortaio B ad esempio. All’interno dello stesso quartiere residenziale di epoca paleobabilonse amorrea, messo in luce dallo scavo dello strato 32 B dell’Area G, si è tuttavia potuto individuare una seconda postazione per mulino a mortaio, che si trovava in questo caso a Sud-Ovest, nell’area aperta a meridione del grande vano 874, nei pressi del pavimento esterno in mattoni cotti 904 (Pecorella 2003: 18) (TAV. 117: 1). Più semplice della contemporanea installazione 657 che abbiamo qui descritto, si tratta in questo caso della postazione di un singolo mulino a mortaio del tipo C, con mortaio in pietra calcarea a vasca profonda (E.2804), incassato nel piano esterno, presso il pavimento 904, e probabilmente connesso alle attività domestiche nell’area limitrofa dei tannur 911 ed 889. La stessa ampia diffusione è documentata attraverso tutte le fasi dell’Età del Ferro e in tutta la vasta area che abbiamo delineato per il periodi precedenti. Esempi sono infatti documentati dall’area del Levante costiero meridionale fino alla Siria interna e alla Giazira, attraverso un arco che copre il Ferro Antico e le fasi più recenti del Ferro II e III, relative all’epoca neoassira imperiale e post-assira, neobabilonese e poi achemenide. Si può in particolare riferirsi ai casi documentati a Gezer dallo scavo dei livelli relativi alla sequenza di occupazione del sito durante l’ultima fase del Bronzo Tardo e l’Età del Ferro iniziale (Dever et alii 1970; Dever 1986). Due casi di mulini a mortaio in situ sono infatti documentati dallo scavo del cosiddetto Granary 24000 a
Sembra inoltre piuttosto improbabile che per l’installazione incassata di un mortaio si sia scelto un recipiente su tre piedi.
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III. I MULINI Gezer. Il primo si trova all’interno della Room 11, a Nord-Ovest del complesso. Si tratta di un mulino a mortaio A, di cui si conserva il mortaio a vasca bassa disposto, e non incassato, sul pavimento dello strato 6B del vano242. Il secondo mulino a mortaio all’interno del Granary si trova nella centrale Room 6. In questo caso, per quanto il contesto di rinvenimento non sia tuttavia sicuro, si tratta di un mulino a mortaio E, caratterizzato da un mortaio a vasca bassa su tre piedi disposto, come nel caso della postazione all’interno della Room 11, al di sopra e non incassato nel pavimento. Sullo stesso piano pavimentale sono stati messi in luce almeno altri 10 broken limestone and basalt grindstones non meglio identificati (Dever 1986: 211). È dunque ipotizzabile che la Room 6 del Granary potesse aver ospitato più postazioni per mulini differenti243. Un esempio più recente al quale è possibile richiamarsi, proviene dalla fortezza di Mezad Hashavyahu, che si trova sulla costa a sud di Jaffa (Naveh 1962; Fantalkin 2001). Da questa struttura complessa, la cui documentazione è risultata particolarmente ricca ed interessante anche per lo studio di altri mulini in pietra come abbiamo visto, proviene infatti una possibile installazione relativa ad un mulino a mortaio. Per quanto non si tratti di una postazione completa, ed il mortaio risulti frammentario, tuttavia Fantalkin cui si deve una completa revisione dei dati dei vecchi scavi a Mezad Hashavyahu, sostiene che questo mortaio provenga originariamente dal northern sector of Area A, possibile options Room 4, 5,7, 8, 10 (Fantalkin 2001: 105), da un contesto non disturbato. In questo caso dunque una postazione per mulino a mortaio doveva trovarsi nell’Area A dei vani di servizio dell’ala occidentale, adiacente all’ingresso della fortezza. Se dunque si dovesse immaginare qui una probabile postazione per un mulino a mortaio, si dovrebbe concludere che all’interno della fortezza le postazioni con mulini a macinello, mulini a macina semplice e mulini a mortaio244 erano disposte in più quartieri del complesso difensivo, associate fra loro in unità complesse, costituite da più mulini necessari a svolgere tutte le diverse operazioni di macinazione e dunque a coprire il
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complesso delle necessità legate alla produzione di macinati. Un’ampia documentazione relativa alla distribuzione di installazioni per mulini a mortaio differenti si trova in un periodo all’incirca contemporaneo a Tell Ahmar, sull’alto corso dell’Eufrate siriano. In questo caso non si tratta di installazioni collocate all’interno di un unico complesso pubblico di grandi dimensioni, quanto di postazioni distribuite all’interno di singole unità abitative a destinazione eminentemente domestica. Le installazioni provengono dagli edifici C1-C2 della città bassa di Tell Ahmar, recentemente messi in luce dallo scavo australiano, che hanno restituito, come abbiamo visto, un’ampia documentazione oltre che per la sequenza ceramica del periodo di transizione tra il Ferro II e III (Jamieson 2000), anche per la produzione contemporanea dei manufatti per la macinazione; su questo lotto, come sappiamo, si basa la classificazione preliminarmente elaborata da M. Trokay. Alcuni esempi di mulini a mortaio rinvenuti in situ sono documentati dallo scavo di questo complesso abitativo della città bassa di Tell Ahmar (Bunnens 1997: 18-22; Trokay 2000: 1665-1673), per il quale è stato possibile accetare una sequenza di occupazione relativa ad un arco relativamente ridotto fra il VII secolo a.C. e la metà circa del secolo VI, che comprende l’ultima fase relativa al periodo assiro e il successivo periodo post-assiro neobabilonese. All’interno dei due edifici C1 e C2 si è rinveuta una serie di mortai in pietra basaltica di grandi dimensioni, del tipo definito mortiers ronds de grande taille de type grossier, corrispondenti ai nostri mortai a vasca profonda, base semplice e corpo irregolarmente sferoide (ossia al tipo III.A. 1a). Questi mortai sono comunemente incassati nei pavimenti dei due edifici. Un esempio del genere proviene dalla Chambre XV dell’edificio C1, un ambiente originariamente destinato a sala di ricezione ed in seguito convertito a laboratorio artigianale (Trokay 2000: 1665). A questa seconda fase naturalmente appartiene il mulino a mortaio della Chambre XV, parzialmente incassato, come di norma, nel pavimento dell’edificio e destinato ad essere utilizzato insieme ad un pestello piuttosto alto, probabilmente in legno. Si tratta perciò, secondo questa ricostruzione della postazione di un mulino a mortaio C245. Molto interessanti si presentano anche le installazioni per mulini a mortaio messe in luce a Tell Barri dallo scavo dei livelli della transizione dal Bronzo Tardo all’Età del Ferro Antico e poi delle fasi del Ferro II-III, relativi alla sequenza dell’insediamento di epoca medioassira, neoassira ed infine post-assira, neobabilonese dell’Area G. L’esempio più antico al quale riferirsi per questa fase è costituito dall’installazione per mulino a mortaio della
Sul pavimento del più recente strato 6A, all’interno dello stesso vano 11 è stato trovato un macinello subglobulare, il che potrebbe far ritenere che l’ambiente abbia mantenuto simile destinazione d’uso nel tempo e dunque, rimanendo un vano adibito ad attività di macinazione, sia stato destinato ad ospitare nel tempo differenti mulini. Si veda sopra più diffusamente per il mulino a macinello dello strato 6A. Dai dati a nostra disposizione non è possibile tuttavia stabilire il numero ed i differenti tipi di mulini presenti all’interno del vano. Meno probabile, anche se non da escludere, è la possibilità che si tratti invece di materiali di scarto scaricati nel vano. Per le installazioni di mulini a macinello e a macina semplice all’interno della fortezza di Mezad Hashavyahu si veda in dettaglio la distribuzione nelle relative sezioni. Si veda quindi sopra.
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L’impiego di mailletes in legno per i mortai a vasca profonda è ancora oggi comune a Tell Ahmar, soprattutto per la preparazione del bourghoul. Per questa attività, che è oggi ben diffusa in questo sito come comunemente in tutta la Siria settentrionale, spesso si recuperano mortai antichi che provengono dal tell (Trokay 2000: 1669).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico banchina 1125, che proviene dallo strato 32 B dell’insediamento di epoca medioassira (Pecorella, Pierobon Benoit 2004: 51-58) (TAV. 120: 1, 5). La banchina di lavoro 1125 si trova nell’estrema prossimità occidentale dell’area indagata nei settori A-D 7-10 ed in parte prosegue oltre l’attuale limite Ovest dello scavo. Quest’area dunque rimane non occupata durante questa fase da strutture abitative (che si sviluppano invece nella opposta prossimità nord-orientale dell’area indagata) e viene lasciata aperta e destinata ad ospitare una serie di piani esterni di lavoro e di altre modeste installazioni con funzione essenzialmente domestica o legate a piccole attività artigianali. (TAV. 120: 1) Fra queste installazioni la banchina 1125 occupa un’area ridotta (circa 1,00x0,70 m.) ed è costituita da una base di quattro mattoni cotti frammentari che individuano un piano sul quale è sistemato un bacile in pietra basaltica (E.3293) (Pecorella, Pierobon Benoit 2004: 58) (TAV. 120: 5). Attorno al bacile sono disposti altri lacerti di mattoni cotti ed argilla compattata, che nel complesso costituiscono il corpo della banchina intorno al bacile. Al di sopra e dunque accanto alla apertura della vasca del bacile stesso si trova una lastra in pietra sommariamente sbozzata e sistemata di piatto così da costituire un piano di appoggio e di lavoro adiacente. Nel complesso si tratta pertanto di una postazione destinata ad ospitare un mulino a mortaio (del tipo C che abbiamo qui isolato) attrezzata all’interno di un piano di lavoro. Ciò che qui risulta particolarmente interessante è tuttavia la collocazione del bacile E.3293. Questo è infatti fratturato longitudinalmente e privo di una porzione della base. La frattura è avvenuta verisimilmente in un momento precedente rispetto all’installazione del bacile all’interno della banchina, come sembra chiaramente indicare il fatto che la struttura stessa (i mattoni frammentari di base ed i lacerti del corpo della banchina) è disposta in modo da tenere insieme le due parti del bacino, ed in corrispondenza della lacuna alla base della vasca è inoltre sistemata un frammento di macina in basalto che funzionava come un tappo e permettendo che il bacile fosse utilizzato come mortaio. La collocazione secondaria del bacile E.3293 all’interno della banchina di lavoro 1125 è poi definitivamente chiarita dalla presenza sulla faccia laterale di una iscrizione cuneiforme che lega questo oggetto al palazzo del sovrano assiro Adad-Nirari I. Si deve immaginare che il bacile provenga dal complesso palatino che questo sovrano fece erigere a Kahat e che è stato messo in luce dallo scavo dei livelli più antichi del primo insediamento di epoca medioassira (Salvini 2004: 147-151; Pecorella, Pierobon Benoit 2004: 51-58) (TAV. 120: 2-5). È interessante sottolineare la natura del testo riportato sul bacile e non tanto per la citazione del sovrano246, ma soprattutto per la menzione che vi si fa di un karkadinnu del palazzo. L’interpretazione del testo ed in seguito
l’identificazione di questa figura si deve a M. Salvini247, che riconosciuto in questa figura il vivandiere o per dire meglio il capo cerimoniere di corte, che si deve immaginare risiedesse all’interno del palazzo quale funzionario di alto grado (TAV. 120: 3). Il bacile dunque con ogni probabilità doveva anche nella sua funzione originaria e nella sua collocazione primaria all’interno del palazzo di Adad-Nirari, essere destinato ad un’attività in qualche modo connessa alla preparazione dei cibi. Si può supporre che fosse uno degli strumenti che rientravano nell’inventario delle cucine del palazzo, e per questo registrato sotto il nome del funzionario responsabile, il karkadinnu appunto. Circa la funzione specifica cui questo bacile (con questa definizione elusiva si è sin qui proceduto non a caso) era destinato, non è possibile arrivare a conclusioni certe, seppure rimane molto probabile che si trattasse anche originariamente di un mortaio. Le dimensioni considerevoli non lo escludono e del resto sembra plausibile che potesse essere collocato in una installazione che ne sottolineasse il pregio e accentuasse il pregio che a questo oggetto si doveva riconoscere. È dunque possibile che si trattasse in definitiva di un mulino a mortaio destinato ad assolvere funzioni in certo modo pubbliche ovvero legate alla preparazione di cibi per ricorrenze particolari o speciali avvenimenti, nell’ambito del cerimoniale organizzato e sorvegliato dal karkadinnu. Una seconda installazione per mulino a mortaio proviene dal più antico livello della sequenza relativa all’insediamento di epoca neoassira dell’Area G, strato 30 (Pecorella 2003: 43). Si tratta di una postazione destinata ad ospitare un mulino a mortaio del tipo A con un mortaio in pietra basaltica a vasca bassa (E.3051) incassato al di sotto di uno dei piano esterni (il piano 993) realizzati, come di norma, impiegando lacerti di mattoni cotti e pietrame (TAV. 121: 1-4). Quest’area è infatti in questo momento destinata ad ospitare piccole installazioni di carattere artigianale di natura avventizia che si impostano sullo spianamento delle strutture sottostanti (Pecorella 2003: 42-43). È tuttavia interessante notare come su questi piani esterni si trovino alcune macine che documentano la presenza di installazioni e lo svolgimento di attività connesse con la macinazione. Si possono distinguere infatti due macine superiori per mulini a macina semplice rispettivamente sui piani 995 e 997, che si trovano nella stessa area del piano 993 che, come si è detto, ospita la postazione di un mulino a mortaio. Anche in questi casi non si può ragionevolmente escludere si possa trattare di rinvenimenti casuali, per quanto in tutti i tre casi citati si tratti di macine o mortai intergri e non disposti nella pavimentazione ma incassati nel piano, come è il caso del mortaio E.3051 nel piano 993, o rinvenuti al di sopra del pavimento, come è il caso delle due macine superiori per
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L’importanza di questo documento è rilevante per la ricostruzione della conquista assira della città e per le conseguenze che se ne possono trarre sotto il profilo della storia dell’avanzata nella regione e della formazione della compagine imperiale d’Assiria. Si veda a questo proposito Salvini 2004: 147-151.
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Devo un ringraziamento particolare a Mirjio. Salvini i cui chiarimenti (a margine di un convegno dedicato a Tell Barri svoltosi a Napoli nel 2005) in merito all’interpretazione di questo testo ed in particolare al ruolo e alla figura del karkadinnu, sono stati di grande interesse ed utilità.
III. I MULINI mulino a macina semplice E. 3047 e E.3048 che provengono rispettivamente dai piani 995 e 997. Una terzo mulino a mortaio rinvenuto in situ documenta la diffusione delle installazioni destinate a questo tipo di mulini durante la fase finale del Ferro III dell’insediamento di epoca post-assira neobabilonese dell’Area G. Si tratta della postazione di un mulino a mortaio del tipo C rinvenuta all’interno del vano settentrionale 517 del grande edificio neobabilonese scavato nei settori A-D 7-10 (Pecorella 1996: 45-47, 6465) (TAV. 122: 1). L’installazione è costituita da un mortaio in pietra calcarea a struttura compatta incassato nel pavimento in argilla cruda del vano, in corrispondenza della parete opposta al varco di accesso da Sud-Ovest (Pecorella 1996: 49). Il mulino doveva verisimilmente trovarsi, seppure una parte del vano risulti proseguire oltre l’attuale limite nord-orientale dello scavo, all’incirca al centro del lato lungo, in prossimità della parete di fondo (TAV. 122: 2-3). È interessante notare che sul lato opposto sempre all’interno del vano 517 si si è rinvenuta una macina giacente in pietra basaltica (E.1660) riferibile ad un mulino a macina semplice. Atri strumenti ed in particolare un mortaio forato in basalto (E.1770), anche se frammentario, sono stati rinvenuti sul pavimento all’interno dello stesso vano (TAV. 122: 2-3). Si può quindi concludere che il vano 517 del grande edificio neobabilonese dovesse ospitare almeno due installazioni per la macinazione fisse, una per un mulino a mortaio del tipo C ed una per un mulino a macina semplice del tipo A, oltre probabilmente ad altre installazioni provvisorie248.
relativo ad un mulino a mortaio A (Özbal et alii 2004: 106, fig. 15:7) (TAV. 123: 1). Questa attestazione, per quanto minima è tuttavia significativa dell’impiego già accertabile di questo tipo di mulino in contesti del tardo Neolitico, come pare confermato dai risultati della ricognizione condotta dall’Univesità di Cambridge nell’area di Çatalhöyük fra il 1993 ed il 1995 (Hodder 1996). Fra i materiali recuperati dalla survey proviene infatti un pestello integro in pietra basaltica a profilo tendenzialmente cilindrico o leggermente troncoconico, affine al nostro tipo I.4, ed attribuibile ad un mulino a mortaio B (Hamilton 1996: 237, fig.12.5: 7). Trattandosi di materiale di superficie, la datazione rimane incerta; seppure il lotto (Unit 269) da cui proviene contenga in maggioranza materiali databili al Neolitico250, dalla stessa area provengono materiali differenti, anche attribuibili ad epoca classica (Hamilton 1996: 238) (TAV. 123: 2). Un terzo caso è rappresentato dalle macine per mulino a mortaio presenti nel ricco strumentario in pietra levigata, proveniente dall’area di Hajji Firuz Tepe ed oggetto di uno studio assai importante, come già abbiamo avuto modo di vedere. Interessante è infatti, per la particolare ricchezza della documentazione appunto, il caso dei siti neolitici della valle di Solduz, nella regione a Sud-Ovest del lago di Urmia. Un mulino a mortaio proviene infatti dai livelli neolitici del VI Millennio Hajji Firuz Tepe e rappresenta, insieme a quelli provenienti dall’area di Deh Luran, una delle testimonianze più antiche della diffusione di questo tipo di mulino nell’antichità. Questa produzione, nel suo complesso, è stata oggetto di uno studio condotto dalla Voigt nei primi anni ’80, che ha portato alla stesura di una tipologia di Ground Stone Artifacts che comprende 14 gruppi. Di questi 7 rappresentano strumenti destinati alla macinazione. Fra questi i Cylidrical Rubbing Stones with tapered ends (Type 8) sono pestelli a corpo tendenzialmente cilindrico e dunque affini al nostro tipo I.5, e dunque destinati ad essere impiegati come macinatoi attivi per mulini a macina semplice del tipo B (con mortai a vasca media). Da Hajji Firuz Tepe provengono in tutto 3 pestelli in diorite e dark fine-grained rock. È documentato il solo tipo a corpo cilindrico allungato (tipo pestelli I.5 ) (Voigt 1983: Fig. 117: b, d, e) (TAV. 123: 3-4). I mulini a mortaio sono tuttavia noti da altri siti che presentano livelli di frequentazione durante tutto il Neolitico in questa regione. Esempi di pestelli a corpo cilindrico, analoghi ai nostri tipi pestelli I.5, sono infatti documentati anche dai siti del Neolitico finale di Dalma Tepe (Hamlin 1975: Pl. I) e Chaga Sefid (Hole 1977: Pl.50: i, l). Il vaglio dei documenti relativi alla diffusione di questo tipo di mulino durante la fase successiva del Calcolitico e fino al tardo Calcolitico e al periodo Uruk, permette di isolare testimonianze che provengono da una vasta area che comprende l’area anatolica sud-orientale e la Giazira siriana, ma che copre per lo stesso arco cronologico
8.3. AREA E CRONOLOGIA DELLA DIFFUSIONE
Neolitico e Calcolitico Il mulino a mortaio è conosciuto nell’area dell’Oriente antico già dalle fasi iniziali del Neolitico aceramico ed è documentato con diffusione crescente durante il Calcolitico all’interno di giacimenti contemporanei che si riferiscono a livelli della sequenza protostorica di insediamenti che coprono una ampia area dal Levante meridionale alla regione dell’alto Eufrate e all’area mesopotamica della Giazira siriana. Fra i documenti relativi alla diffusione del mulino a mortaio durante il Neolitico si possono citare almeno tre casi, a titolo esemplificativo. Esempi di mulino a macina semplice databili al tardo Neolitico provengono dalla valle dell’Amuq, dallo scavo di Tell Kurdu (Özbal et alii 2004). Da Tell Kurdu proviene un macinello in pietra basaltica a corpo tendenzialmente troncoconico, affine al tipo I.4a249 e 248
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Sulla natura di queste installazioni e la distribuzione delle attività domestiche all’interno dell’edificio neobabilonese si veda in maggior dettaglio Pecorella 1996: 45-65, Bombardieri 2005. Il TK6538 è descritto originariamente come hammer stone (Özbal et alii 2004: 84).
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Dalla stessa area provengono tuttavia materiali differenti, alcuni dei quali anche attribuibili ad epoca classica (Hamilton 1996: 238).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico anche ad Occidente la regione costiera e la Siria interna meridionale. Un lotto di mulini a mortaio proviene da Güvercinkayasi, sito che si trova nell’attuale provincia di Aksaray, nella Anatolia sud-orientale, al quale abbiamo fatto riferimento anche a proposito della diffusione di altri tipi di mulino251. Lo scavo di Güvercinkayasi ha messo in luce un insediamento datato fra la fine del periodo Obeid ed il periodo Early Uruk (Gülçur 1999: 65). Fra i materiali recuperati si segnala anche un interessante lotto di manufatti per la macinazione, tra cui due mulini a mortaio (TAV. 123: 57). I due mortai sono in pietra basaltica a struttura massiccia o minimamente vacuolare, entrambi a profilo completo. Il primo è a vasca bassa ed il secondo a vasca media, entrambi a corpo sferoide (tipo mortai I.A. 1a e II.A. 1a) (Gülçur 1999: 76, fig. 15; 84, fig. 28: 1, 2), e nel complesso documentano la presenza di almeno i due tipi A e B di mulino a mortaio che abbiamo sopra distinto. Esempi di mulino a mortaio provengono anche dal piccolo insediamento calcolitico di Tell Beydar III, che, come abbiamo visto, si trova circa 500 metri a Sud del monticolo principale di Tell Beydar ed ha restituito una sequenza di 4 livelli di occupazione, per un arco compreso tra il periodo Ubaid finale ed il principio del tardo calcolitico Early Uruk (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003). Dai livelli 1 e 2, che corrispondono alla fase intermedia di occupazione, provengono 4 macine relative a mulini a mortaio. Si tratta di 2 pestelli in pietra basaltica a struttura compatta252 del tipo a corpo troncoconico (tipo pestelli I. 4) (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 546, fig. 5: 9), un macinello semplice a corpo troncoconico (tipo macinelli I. 4 b) (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 546, fig. 5: 10) ed un mortaio a vasca media e corpo tendenzialmente troncoconico (tipo mortai II.A. 2a) (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 546, fig. 5: 1) (TAV. 124: 1-3). Si può concludere pertanto che all’interno dell’abitato di Tell Beydar III fossero utilizzati almeno due differenti mulini a mortaio: il mulino a mortaio A, con macinello troncoconico e mortaio a vasca bassa, ed il mulino a mortaio B, con pestello e mortaio a vasca media. Interessante per documentare la diffusione di questi mulini ad Occidente è il caso di Mersin, Yümük Tepe. Un lotto di mulini a mortaio proviene infatti anche dai livelli più antichi di Yümük Tepe, ed in particolare dallo scavo dell’isediamento di periodo Late Neolithic e Early Chalcolithic Hassuna, levels XXVII-XIX (Garstang 1953: 131). Si tratta in questo caso di almeno 5 mortai in pietra calcarea. Sono documentati i tipi a vasca bassa e a vasca media e corpo sferoide, cilindrico, troncoconico e di 251
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poliedro irregolare (tipi mortai I.A. 1a, I.A. 6 a, II.A. 2a, II.A. 4b) (Garstang 1953: 74). I più antichi mortai che provengono dai livelli del Neolitico finale (level XXVII) sono del tipo a vasca bassa e corpo di poliedro irregolare (Garstang 1953: 74, Fig. 43; Pl. XI: c). Dai livelli più bassi di Yümük Tepe proviene anche un lotto di pestelli per mulini a mortaio; fra questi è documentato almeno un esempio del tipo semplice a corpo cilindrico (tipo pestello I.5) (Garstang 1953: 74, Fig. 43). Si deve concludere dunque che nei livelli più antichi di Yümük Tepe siano diffusi differenti tipi di mulino a mortaio, sono documentati almeno i mulini a mortaio standard A e B, con mortai a vasca bassa e media, e il mulino a mortaio D, con mortai di dimensioni ridotte. Un caso interessante è rappresentato infine dai materiali di Yabrud. Un lotto di mulini a mortaio proviene infatti anche da questo piccolo sito localizzato sul versante orientale dell’Antilibano, a Sud della moderna An Nabk. In questo sito, noto in modo particolare per la presenza della vicina grotta paleolitica di Iskafta frequentata durante il Musteriano, è stato tuttavia individuato in un’area prossima alla grotta un modesto abitato con una sequenza di insediamento, che è relativa invece alla frequentazione del sito in epoca protostorica. Fra i materiali provenienti dallo scavo dell’abitato sono documentati in particolare alcuni mulini a mortaio che provengono dai livelli del Calcolitico finale di Yabrud (Abou Assaf 1967: 64). Il lotto comprende in particolare 6 pestelli e due mortai, tutti in pietra calcarea. I pestelli si presentano sia a corpo semplice cilindrico o troncoconico, affini ai nostri tipi pestelli I.4 e I.5, che composti, con corpo costituito da due cilindri o da un cilindro ed un prisma, e dunque affini ai nostri tipi II.8 e II.9 (Abou Assaf 1967: Taf. V: 1-6) (TAV. 124: 4-9). I mortai sono entrambi a vasca media, con base semplice e corpo poliedrico irregolare, e perciò analoghi al nostro tipo II.A.6a (Abou Assaf 1967: Taf. V: 7-9) (TAV. 124: 10-11). Si deve perciò concludere che all’interno del lotto di Yabrud sia documentato soltanto il mulino a mortaio B. Si tratta dunque di un caso certamente anomalo di per sé, evidentemente difforme dalla norma sin qui descritta che vede in questo periodo la compresenza in tutti i siti alemeno dei mortai A e B, a vasca bassa e a vasca media. Non si può ovviamente trarre da questa presenza esclusiva alcuna effettiva conclusione, dal momento che può essere determinata dall’accidente del rinvenimento, seppure pare plausibile indicare, sulla base dell’analisi di questo lotto, una probabile selezione preliminare e la generale propensione per l’impiego di mulini con mortaio a vasca media, che evidentemente meglio rispondevano alle esigenze di macinazione di questa comunità.
Particolarmente interessante è la presenza in questo sito di una delle più antiche installazioni multiple per mulino a macina semplice. Si veda a questo proposito in maggior dettaglio la sezione qui dedicata ai mulini a macina semplice. Si veda sopra. Anche in questo, come nel caso dei macinelli provenienti dai livelli 1-4 di Tell Beydar III, non è possibile determinare con certezza la natura della pietra impiegata, che viene genericamente indicata come compact stone (basalt?) (Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: 539).
Età del Bronzo Antico (EBA I-IV) Nell’area della Mesopotamia settentrionale la diffusione del mulino a mortaio è ampliamente documentata attraverso tutta l’Età del Bronzo Antico. Esempi relativi alla transizione al Bronzo Antico I provengono ad Oriente dal sito di Tell Karrana 3, a nord 104
III. I MULINI di Mosul. Questo sito presenta, come si è detto, quattro successivi livelli di occupazione fra la fine del periodo Uruk e l’Early Ninivite V (Brautlecht 1993: 145). Da questi livelli provengono infatti 4 mortai a vasca media e base piatta, a corpo di poliedro irregolare, affini al tipo II.A. 6a, e 2 mortai apparentemente a vasca profonda, del tipo III.A. 6a, a base piatta e corpo di poliedro irregolare (Brautlecht 1993: fig. 2). Si può concludere dunque che a Tell Karrana, per il periodo compreso fra la fine del IV Millennio ed il principio del Bronzo Antico fossero in uso almeno due tipi di mulino a mortaio: il comune mulino a mortaio che abbiamo indicato come mulino a mortaio B, costituito da mortaio a vasca media e pestello, ed il mulino a mortaio C, con mortaio a vasca profonda e pestello. Nell’area del bacino del Habur esempi precoci della diffusione del mulino a mortaio durante il Bronzo Antico provengono da Tell Khazna. Dagli scavi sovietici di Tell Khazna è infatti documentato un mortaio in pietra basaltica, che proviene dai livelli di Khazna I, datati al Dinastico Antico I (Munčaev, Marpert 1994: 44, fig.32). Si tratta di un mortaio verisimilemente a vasca media, base semplice arrotondata e corpo sferoide (del tipo mortaio II.A. 1)253. Si può attribuire questo mortaio ad un mulino a mortaio B. Maggiori documenti sono disponibili tuttavia nel caso dell’importante centro di Melebiya, sito per il quale esiste, come abbiamo visto, uno studio interessante che documenta la varia produzione di strumenti in pietra e che comprende l’analisi del complesso dei manufatti per la macinazione, offrendo così una selezione piuttosto ampia di testimonianze. In particolare si può rilevare che nella classificazione dello strumentario in pietra levigata da Melebiya all’interno della categoria mortiers (Ciavarini Azzi 1993: 527; Lebeau 1987: 9) si distinguano due varianti principali in base al perimetro della cavità: una ad apertura squadrata carée e l’altra ad apertura circolare o ovale. Il lotto comprende 10 mortai e 15 fra macinelli e pestelli relativi a mulini a mortaio di tipi differenti (TAV. 125: 16). Fra i mortai sono attestati esempi realizzati in basalto a struttura mediamente vacuolare, che corrispondono ai tipi a vasca media o profonda, base semplice e corpo troncoconico o sferoide (ossia ai mortai dei tipi I.A. 1, I.A. 2, II.A. 1, II.A. 2) (Ciavarini Azzi 1993: Pl.204: 1, 2; Pl.XLV: 4). Si tratta del 1811-M-1 e il 2031-M-1254, (Ciavarini Azzi 1993: Pl.204: 1, 2; Pl.XLV: 4), entrambi 253
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classificati originariamente nella categoria ad apertura circolare. Un caso, il 1804-M-2 (Ciavarini Azzi 1993: 565, Pl.204: 3) rappresenta la variante ad apertura carée, e risulta per le dimensioni ridotte associabile al tipo a vasca media , base semplice e corpo poliedrico irregolare (tipo II.A. 6b). Per quanto riguarda i macinelli o i pestelli relativi a mulini a mortaio, si tratta di 15 esempi realizzati in maggioranza in pietra basaltica, per quanto risultino presenti casi in calcare e quarzite. Qualche difficoltà di associazione è evidente nella distinzione fra i broyons troncoconici ed i pilons, e nasce probabilmente applicando con approssimazione il criterio dello sviluppo in altezza dello strumento. Questo è il caso del 1340-M-5 e del 1304-M-1 (Ciavarini Azzi 1993: 569, Pl.206: 8, 11) che sono descritti l’uno come pilon e l’altro come broyon pur essendo simili per dimensione255 e in definitiva entrambi assimilabili al nostro macinello troconconico del tipo macinello I.4. In generale quindi risultano attestati macinelli e pestelli a corpo troncoconico (macinelli I. 4 e pestelli I. 4), pestelli a corpo semplice tendenzialmente cilindrico e molto sviluppato in altezza ed un caso almeno di pestello a corpo composto del tipo II.7 (Ciavarini Azzi 1993: Pl.206: 9). Sulla base del complesso dell’industria è possibile perciò stabilire l’impiego contemporaneo almeno dei mulini a mortaio A e B, associazione questa che come abbiamo visto ampiamente diffusa già dal Calcolitico in questa regione. Un ricco lotto di mulini a mortaio proviene dallo scavo dei livelli del Bronzo Antico, corrispondenti alle Phases L-N nella sequenza di occupazione di Tell Brak (Oates, Oates 2001: 266). Si tratta nel complesso di 74 mortai ed un numero non precisato di pounders in pietra basaltica o in calcare256, che provengono dallo scavo delle Aree SS, FS, ma soprattutto dalle Aree CH ed ER. Fra questi sono documentati 4 esempi (Oates, Oates 2001: 581: Fig. 482: 1-5) che stanno a rappresentare i tipi più diffusi e dei quali è data la distribuzione nei diversi livelli della sequenza del Bronzo Antico di Tell Brak (TAV. 126: 1-5). Il primo tipo (Oates, Oates 2001: 581: Fig. 482: 1) corrisponde ad un mortaio a vasca media, base semplice e corpo troncoconico (del tipo mortaio II.A. 2), caratterizzato da un profilo sfilato, orlo appiattito ed una base particolarmente spessa. Questo tipo ed è noto a Tell Brak in 20 esempi similmente diffusi nei livelli accadici (Phase M) e post-accadici (Phase N). Il secondo tipo (Oates, Oates 2001: 581: Fig. 482: 2) è invece a vasca profonda, base semplice e corpo
Del mortaio è data una unica foto, all’interno di un più ampio lotto di macine per mulino a macina semplice, e nessun disegno. Nel caso del 2031-M-1 si segnala la presenza di un foro sulla base, cui viene in antico applicata una placca di gesso. Non è dato tuttavia capire se si tratti di un foro passante praticato volontariamente ed in seguito otturato per mezzo del gesso, o piuttosto una frattura accidentale riparata a posteriori. L’autrice propende per questa seconda ipotesi, une reparation ancienne au moyen de platee (Ciavarini Azzi 1993: 527). Su questa base sembrerebbe da escludere che si tratti di un mortaio con foro passante alla base (del tipo III.A. 1b).
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Il 1304-M-1 misura 8,5x5,3x4,0 cm. Il 1340-M-5 misura 8,0x5,3x5,3 cm. Si segnala che questo ultimo caso è confuso dalla mancata corrispondenza fra il disegno presentato, la scala sottoposta e le misure riportate. E’ tuttavia facile pensare ad un errore di stampa nel testo delle misure e correggere 18 in 8 come d.max. Il numero di mortai in basalto ed in calcare approssimativamente si equivale nello strumentario per la macinazione di questi livelli a Tell Brak (Oates 2001: 266-267).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico troncoconico (del tipo mortaio III.A. 2). In questo caso il profilo troncoconico è molto meno accentuato. Il secondo tipo è documentato in 27 esempi, di cui 8 dai livelli postaccadici (Phase N), 10 dai livelli accadici (Phase M) e 4 dai precedenti livelli della Phase L, che distingue un arco compreso almeno tra l’ED I-II e l’ED III. Il terzo tipo (Oates, Oates 2001: 581: Fig. 482: 3) corrisponde ad un mortaio a vasca profonda, base semplice arrotondata e corpo sferoide (del tipo mortaio III.A. 1). Questo tipo risulta assai meno diffuso ed è noto in soli quattro esempi. Il quarto tipo (Oates 2001: 581: Fig. 482: 4) è un mortaio a vasca bassa base concava e corpo di parallelepipedo, con apertura quadrata dunque (analogo ai nostri mortai I.A. 5). Questo tipo è scarsamente rappresentato ed è noto in soli 6 esempi in tutti i livelli. Oltre a questi mortai sono documentati a Tell Brak, nella sequenza del periodo accadico, 4 ciotole ad apertura rettangolare e vasca bassa o media257. Da Tell Barri un piccolo ma interessante lotto di manufatti impiegati come mulini a mortaio proviene dallo scavo dei livelli del Bronzo Antico dell’Area B258 sul pendio occidentale del tell, ma soprattutto dall’Area G nella prossimità sud-orientale del monticolo. Nel complesso si tratta di 5 mortai e 2 macinatoi, in pietra calcarea a struttura compatta o in pietra basaltica più o meno vacuolare (TAV. 132: 1-2). È interessante notare la distribuzione di questi mortai all’interno della sequenza del Bronzo Antico. Si può infatti rilevare come dai livelli più antichi datati al Dinastico Antico II e III (o Early Jazirah II-III), ovvero dagli strati 39-43 della sequenza dell’Area G, e dai più antichi strati dell’Area B non provengano esempi di mortai o macinatoi per mulini a mortaio. Tutti i casi qui riportati e rinvenuti in contesti del Bronzo Antico provengono infatti dai livelli del Bronzo Antico finale, relativi all’insediamento di epoca accadica e poi postaccadica, degli strati 38-35 della sequenza dell’Area G. Può trattarsi naturalmente della casualità del rinvenimento, ed è significativo sottolineare il carattere particolare dell’area sacra occupata originariamente dal complesso templare con i due sacelli e l’ampio temenos (Pecorella 2006 a), proprio durante le fasi più antiche dell’insediamento messo in luce nell’Area G alle quali ci riferiamo. Ciò non di meno dai livelli della sequenza dell’area sacra del dell’Area G provengono esempi, come abbiamo visto, di macine riferibili a mulini a macina semplice; pochi casi ma sufficienti a definire l’impiego in quest’area di mulini per la macinazione. L’assenza dei mulini a mortaio per questa fase più antica a Tell Barri rimane dunque un dato interessante da considerare. Per quanto riguarda la tipologia si può rilevare la presenza dei due tipi standard di mulino a mortaio: i mulini a mortaio A e B, rispettivamente con mortai a vasca bassa e a vasca media. Un caso di mulino a mortaio 257
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del tipo D, ovvero del tipo con mortaio di dimensioni ridotte, è attestato dal mortaio E.3292, che proviene dallo strato 38 dell’insediamento di epoca accadica. In generale i mortai sono in prevalenza a corpo sferoide o sbozzati più sommariamente in modo da assumere un corpo poliedrico irregolare. Fra i macinatoi sono documentati macinelli a corpo troncoconico, riferibili a mulini a mortaio del tipo A, e pestelli a corpo semplice o composto (in questo caso si tratta di un esempio in basalto, l’E.3247, con corpo costituito da due tronchi di cono). Più ad Occidente la presenza dei mulini a mortaio è altrettanto ben documentata in tutta la regione dell’alto Eufrate siriano e, a Nord, fino all’area del Keban. Un lotto consistente di mulini a mortaio proviene dallo scavo di Selenkahiye (van Loon 2001). Si tratta nel complesso di 19 mortai, di cui la grande maggioranza (16 esempi) proviene dai livelli recenti dell’ orizzonte Late Selenkahiye, attribuibile ad un periodo compreso fra il tardo accadico ed il periodo di Ur III (Schwartz 2001: 254); soltanto 3 esempi provengono dai livelli Early Selenkahiye, datati alla fine del Dinastico Antico III o al principio del periodo accadico (Schwartz 2001: 254). Del lotto dei mulini a mortaio di Selenkahiye sono parte anche 5 pestelli, anch’essi provenienti in grande maggioranza (4 esempi) dai livelli del Late Period (van Soldt 2001). I mortai sono prevalentemente in pietra basaltica a struttura compatta, in due soli casi si tratta di vesicular basalt; due esempi sono infine in limestone e in sandstone. Sono documentati e ben isolati tre tipi differenti di mortaio. Il primo, a cui sono attribuibili 4 esempi, è un tipo descritto circular/oval with flat base, corrispondente al nostro mortaio a vasca media e corpo sferoide e presente nelle due varianti dimensionali (tipo mortai II. A. 1a e II.A. 1b). Il secondo è descritto with flat base and more or less rectangular plan, ne sono noti soltanto due esempi da Selenkahiye, entrambi a vasca bassa e dunque corrispondenti certamente al nostro tipo I.A. 6a (van Soldt 2001: Pl. 9.3: g, h) (TAV. 128: 1). Infine il terzo e più comune a Selenkahiye, di cui sono documentati 13 esempi, e che è costituito da 4-footed mortars, rectangular in shape, analoghi al tipo a vasca bassa, con 4 piedi, a corpo di parallelepipedo (tipo mortai I.D. 5b) (van Soldt 2001: Pl. 9.4: a-d). I pestelli sono in pietra basaltica o in granite/monsonite, in un caso almeno a corpo cilindrico, affine al nostro tipo semplice I.5 (van Soldt 2001: Pl. 9.5: c) (TAV. 128: 2). Dai dati disponibili sembra possibile rilevare una certa difformità nella distribuzione dei mulini a mortaio fra i due orizzonti (Early e Late Period) a Selenkahiye. Fra la fine del Dinastico Antico ed il primo periodo accadico (Early Selenkahiye) sono diffusi due mulini a mortaio, uno con mortaio a vasca media e corpo sferoide (il mulino a mortaio standard B) ed uno con mortaio a vasca bassa e corpo di parallelepipedo (il mulino a mortaio A). Quest’ultimo si sviluppa nel successivo Late Period nel mulino a mortaio F, con l’introduzione di un mortaio sempre a vasca bassa e con corpo di parallelepipedo ma su quattro piedi. Questo mulino a mortaio diviene in questo periodo molto comune a Selenkahiye, ed esempi analoghi provengono
A questo proposito si veda in maggior dettaglio la sezione qui dedicata alle mixing-bowls. Si veda oltre. Per l’analisi della sequenza di insediamento del III Millennio sul pendio occidentale si veda Biscione 1982 e più di recente Biscione 1998.
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III. I MULINI dai livelli contemporanei di Hama J, da Tell Munbaqa (Czichon, Werner 2002: Taf. 140: 2680-2682)259, da Tell Halawa (Pruß 1994: Abb. 65: 117-118), e successivamente da Mari (Parrot 1959: Pl. XXXII: 1796), Tell Hammam et-Turkmann (Leenders 1988: Pl. 194: 11), Tell Barri ed infine da Tell Rifa’at (Seton-Williams 1961: Pl. XXXIII: d; 1967: fig. 3)260. Due casi precoci della diffusione dei mulini a mortaio durante il Bronzo Antico provengono anche dal sito di Tell Shiukh Fawqani, che si trova sulla riva sinistra dell’alto corso dell’Eufrate siriano, nella regione di Carchemish (Bachelot, Fales 2003). Lo scavo ha qui messo in luce un piccolo insediamento con vocazione prevalentemente agricola, caratterizzato da due principali periodi di occupazione durante il periodo Uruk finale (Period I, Levels H-D) e nel successivo periodo del Bronzo Antico I iniziale (Period II, Levels C-A). Il lotto dei manufatti per la macinazione nel suo complesso proviene dai livelli del Bronzo Antico I. Sono, fra gli altri, documentati un macinello in pietra basaltica ed un pestello in diabase261 relativi a due tipi differenti di mulini a mortaio. Il macinello presenta corpo a basso tronco di cono (tipo macinello I.4a) ed il pestello corpo tendenzialmente cilindrico (tipo pestello I.5) (Morandi Bonaccossi 2003: Pl. 49: 5, 7) (TAV. 128: 3, 7). Nel complesso dunque dall’insediamento del Bronzo Antico I di Shiukh Fawqani sono documentati contemporaneamente almeno due tipi di mulini a mortaio (i mulini a mortaio A e B, con mortaio a vasca bassa e media). Alcuni esempi di macine per mulini a mortaio provengono anche da Kurban Höyük, nell’area del della diga di Atatürk. Lo studio di questi mulini, e più in generale la tipologia dei groundstone tools di Kurban Höyük, è stato oggetto di una classificazione curata, come abbiamo visto, da Ataman (Ataman 1986: 76-82) (TAV. 128: 4). Nella classificazione di Ataman all’interno dell’unica categoria dei Mortars sono distinti due tipi di mortai sulla base del materiale con cui sono realizzati: in basalto (il tipo 12) ed in calcare (il tipo 13). Il basalto impiegato per questa come per l’intera produzione dei manufatti per la macinazione di Kurban Höyük, è un basalto a struttura vacuolare definito vesicular basalt, a corse textured material filled with small holes which provide an abrasive surface (Ataman 1986: 77); nessuna nota riguarda invece la natura dei calcari di provenienza locale utilizzati.
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Sul piano della tipologia delle forme, non è possibile naturalmente utilizzare la classificazione di Ataman per risalire ai caratteri morfologici di questi mortai. Viene documentato un unico esempio di mortaio in pietra basaltica (dunque del tipo 12 di Ataman). Si tratta in questo caso di un mortaio verisimilmente di piccole dimensioni che si presenta a vasca bassa, base semplice arrotondata e corpo tendenzialmente sferoide e dunque affine al nostro tipo I.A. 1b (Ataman 1986: Fig. 34: G)262 (TAV. 128: 4). A questi mortai si devono aggiungere i pestelli classificati da Ataman nel tipo 10 della categoria degli Handheld pieces. Si tratta, in questo caso più certamente, di pestelli a corpo tendenzialemente cilindrico allungato, realizzati scegliendo fra i ciottoli di fiume, raccolti dal corso dell’Eufrate che correva limitrofo all’insediamento, quanti di natura si presentassero di questa foggia e quindi rispondessero all’uso cui erano destinati. Un esempio è documentato ed è, come da descrizione, affine ai nostri pestelli I.5 a corpo cilindrico (Ataman 1986: Fig. 34: F). Sulla base dei dati disponibili è perciò certa la diffusione anche a Kurban Höyük di almeno i due tipi standard A e B di mulino a mortaio. Esempi di mulini a mortaio sono noti anche dai livelli del Bronzo Antico di Korucutepe (van Loon 1978: 102103). Si tratta in questo caso di un lotto di 12 fra mortai e pestelli. Questi ultimi sono realizzati impiegando pietre differenti, soprattutto diorite e basalti, nei casi in cui si è potuto determinarla, e si presentano a corpo tendenzialmente cilindrico o troncoconico (tipi pestelli semplici I.4 e I.5). In due casi tuttavia si tratta di pestelli a corpo più articolato, definiti da van Loon pear-shaped (van Loon 1978: 102; Pl. 137: a), e che risultano composti da una parte cilindrica prossimale, che costituisce la presa del pestello, e da una parte terminale espansa. Tali pestelli sono affini al nostro tipo pestelli composti II.9. Fra gli otto mortai si segnala almeno l’esempio di un mortaio in pietra basaltica di ridotte dimensioni a bassa vasca, a pianta approssimativamente rettangolare, con base semplice (tipo mortaio I.A. 6a) (van Loon 1978: Pl. 137: b). Sulla faccia opposta si rileva in questo caso una cavità appena accennata, una seconda vasca o più probabilmente una coppella mai terminata. La diffusione del mulino a mortaio anche nell’area della Siria occidentale e del Levante costiero centromeridionale è ben attestata dalla presenza di macinatoi e mortai relativi a questo tipo di mulini, all’interno dello strumentario per la macinazione di alcuni importanti siti, da livelli che coprono tutto il periodo del Bronzo Antico. Gli esempi più antichi di mulini a mortaio ad Hama provengono infatti dai livelli di Hama K, datati al Bronzo Antico iniziale, ed in particolare dai Niveaux K5-4 (Fugmann 1958: 19) (TAV. 129). E’ documentato per
L’esempio di Tell Munbaqa (Czichon, Werner 2002: Taf. 140: 2680) presenta la stessa variante con solcature sul fianco, documentata da uno dei mortai di Selenkahiye (van Soldt 2001: Pl. 9.4: c, d). A questo proposito si veda in maggior dettaglio la sezione qui dedicata alle mixing-bowls ed ai mortai speciali, in conclusione di questo capitolo. Si veda oltre. Quest’ultimo, rinvenuto sul suolo dell’edificio I (Period II, Level B) del Bronzo Antico I, è descritto come Cylindrical grinder; dalla foto pubblicata sembra di dedurre si tratti di un pestello (Morandi Bonaccossi 2003: Pl. 49: 6).
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Anche in questo caso non sono riportate le dimensioni dell’oggetto, né il disegno presenta alcuna scala metrica che possa dare una pur vaga idea delle reali dimensioni del mortaio. Le nostre deduzioni si basano sul rapporto con gli altri strumenti nella stessa tavola, supponendo che siano tutti alla stessa scala (Ataman 1986: Fig. 34).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico questo periodo un lotto di 4 mortai in pietra basaltica ed in calcare. Si tratta di due mortai a vasca bassa, base semplice e corpo tendenzialmente sferoide (tipo mortai I.A. 1a) (Fugmann 1958: 35, Fig. 37: H11; 39, Fig. 46) e due mortai a vasca bassa, su tre piedi e corpo sferoide (tipi mortai I.D. 1c e I.D. 1a) (Fugmann 1958: 35, Fig. 37: 73; 39, Fig. 46: 132). Nel complesso dunque nei livelli del Bronzo Antico di Hama K sono diffusi i due tipi di mulini a mortaio A e E. Un lotto consistente di mulini a mortaio proviene tuttavia anche dai livelli del Bronzo Antico finale corrispondenti al periodo di Hama J (Fugmann 1958: 49-85) (TAV. 129). Dai livelli più antichi (Niveaux J8-J7) provengono due mortai ed un macinello. Quest’ultimo, in pietra basaltica, è a corpo troncoconico allungato (tipo macinello I.4b) (Fugmann 1958: 53, Fig. 58: 331); fra i mortai è documentato un esempio in calcare, a vasca profonda, base semplice e a corpo troncoconico (tipo mortaio III.A. 2) (Fugmann 1958: 53, Fig. 58: 47), un esempio in basalto, a vasca media, base semplice e a corpo sferoide (tipo mortaio II.A. 1a) (Fugmann 1958: 56, Fig. 62: 150) e un esempio in basalto a vasca bassa su quattro piedi (tipo mortaio I.D. 5b) (Fugmann 1958: 56, Fig. 62: 275). Dalla fase più recente di Hama J, e soprattutto dai livelli J5-J4, proviene un lotto consistente di mortai in basalto, a vasca bassa, su quattro piedi (tipo mortai I.D. 5b) (Fugmann 1958: 64, Fig. 74: 137, 138, 142; 65, Fig. 75: 484, 493, 600; 69, Fig. 85: 207, 254, 260, 266, 715, 722; 80, Fig. 103: 453). Si tratta nel complesso di almeno 14 esempi analoghi263, a fronte del solo esempio precedente che proviene tuttavia dai livelli più antichi sempre del periodo J. Questo tipo, di cui non si ha testimonianza dalle fasi più antiche del Calcolitico finale e della prima Età del Bronzo (Hama L e K), è dunque particolarmente diffuso a partire dalla fine del III Millennio ad Hama. Accanto a questo tipo a vasca bassa su quattro piedi, sono diffusi alcuni tipi in basalto a vasca bassa su tre piedi (tipo I.D. 1d) (Fugmann 1958: 74, Fig. 83) e a base semplice, con corpo sferoide e sferoide piccolo (tipi mortai I.A. 1a e I.A. 1b) (Fugmann 1958: 64, Fig. 74: 152, 270), con corpo di poliedro irregolare (tipo I. A. 6b) (Fugmann 1958: 64, Fig. 74: 247); e infine un esempio in calcare a vasca profonda, a base semplice corpo sferoide (tipo III.A. 1a) (Fugmann 1958: 77, Fig. 98: 735). Dagli stessi livelli recenti di Hama J provengono inoltre 5 macinelli in pietra basaltica. Si tratta in tutti i casi di macinelli a corpo troncoconico e troncoconico allungato (tipi macinelli I. 4a e I. 4b) (Fugmann 1958: 65, Fig. 75: 605, 610; 69, Fig. 85: 271, 710; 80, Fig. 103: 445). In conclusione dunque dal periodo di Hama J si ha testimonianza dell’impiego di tutti i mulini a mortaio che abbiamo isolato (mulini a mortaio A-G), Si può quindi sottolineare la vasta utilizzazione di questi mulini che rappresentano ad Hama in questo periodo evidentemente uno dei mulini più largamente impiegati nel complesso delle attività di macinazione.
Documenti relativi alla diffusione del mulino a macina semplice più a meridione sono noti ad esempio da Jericho. Tra i materiali provenienti dagli edifici del periodo IIIc1 dell’Area F a Tell es-Sultan/Jericho, datato al Bronzo Antico III A, proviene infatti un numero rilevante di stone tools. In particolare dalle cosiddette northern unit e central unit (Marchetti et alii 2000: 871-872). Da questa ultima proviene almeno un pestello in basalto a profilo troncoconico riconoscibile, affine al nostro tipo I.4, e pertanto relativo ad un mulino a mortaio del tipo B (Marchetti et alii 2000: 885, fig. 6). Un lotto consistente di mulini a mortaio proviene infine anche dallo scavo dei livelli relativi all’insediamento del Bronzo Antico di Arad, nella valle del Negev. Il lotto è costituito da 25 mortai per mulino a mortaio, di cui la grande maggioranza provenienti dagli strati I-III databili al Early Bronze Age II (23 mortai) ed i restanti dallo strato IV, attribuito non molto alla latter part of EB I (Amiran 1978: 58). I mortai sono in tutti i casi in pietra calcarea o calcareagessosa, la maggioranza (22 mortai) appartengono al II gruppo a vasca media ed hanno base semplice; fra questi un numero rilevante è rappresentato dal tipo II.A.1a a corpo sferoide264, sono presenti in misura minore i tipi a corpo troncoconico (tipo mortai II.A. 2a)265, e a corpo biconico (tipo mortai II.A. 3)266. A questi si aggiungono 7 mortai in varianti piccole dei tipi a corpo sferoide e di poliedro irregolare (tipo mortai II.A. 1b e II.A. 6b)267 (TAV. 130). I mortai del I gruppo a vasca bassa sono rappresentati da 4 esempi, affini al tipo a corpo poliedrico irregolare nelle due varianti tipometriche (tipo mortai I.A. 6a)268 e (tipo mortai I.A. 6b)269. È documentato un solo mortaio del gruppo III a vasca profonda. Si tratta di un mortaio a base semplice con corpo di poliedro irregolare del tipo caratterizzato dalla presenza di un foro passante sulla parete o in corrispondenza della base (tipo mortai III.A. 6) (Amiran 1978: Pl. 78:2). Un solo esempio di pestello di mulino a mortaio, proveniente dallo strato III, databile al Bronzo Antico II. Si tratta di un pestello in pietra calacarea a corpo cilindrico allungato, affine al nostro tipo I.5 (Amiran 1978: Pl. 80: 12). Fra le ciotole si possono considerare due esempi provenienti dallo strato II e datate al Bronzo Antico II. Si tratta di due ciotole frammentarie, di cui si conserva soltanto l’orlo e una porzione minima della parete, in pietra calcarea, e vasca verisimilmente media e a corpo tendenzialmente sferoide, affini al tipo II.A.1a (Amiran 1978: Pl. 77: 1, 2).
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Si segnalano soltanto pochi esempi che presentano piedi più allungati. Si veda in modo particolare un caso (Fugmann 1958: 69, Fig. 85: 207).
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Si veda in dettaglio Amiran 1978: Pl. 78:4, 7, 8, 17, 18, 20, 22. Si veda in dettaglio Amiran 1978: Pl. 78:21, 9. Si veda in dettaglio Amiran 1978: Pl. 78: 19. Si veda in dettaglio Amiran 1978: Pl. 77: 3, 4; Pl. 78: 5, 6, 10, 13, 15. Si veda in dettaglio Amiran 1978: Pl. 78:11; Pl. 79: 6. Si veda in dettaglio Amiran 1978: Pl. 78:12, 14.
III. I MULINI Si può concludere perciò che durante il periodo compreso fra la fine del Bronzo antico I e tutto il Bronzo antico II ad Arad fosse diffuso l’impiego di differenti tipi di mulino a mortaio, in primo luogo del mulino a mortaio B standard, di cui è data ampia documentazione, ma anche del mulino a mortaio D di dimensioni ridotte, ed in misura meno rilevante del mulino a mortaio C, con mortaio a vasca profonda.
Millennio, relativi all’insediamento del Bronzo Medio I, e corrispondenti agli strati 33 e 34 nella successione dell’occupazione dell’Area G. 16 sono invece gli esempi di macine per mulino a mortaio che provengono dagli strati dell’insediamento del Bronzo Medio II relativo all’insediamento del periodo paleobabilonese amorreo corrispondenti agli strati 29-32 della sequenza dell’Area G (TAV. 132: 3-4; 133: 1-5; 134). Un lotto equivalente proviene dai livelli del Bronzo Tardo dell’Area G, corrispondenti all’insediamento di epoca mitannnica, che presenta una sequenza di occupazione tra lo strato 24 ed il 28271, e comprende anche in questo caso 15 macine per mulini a mortaio (TAV. 135: 1-8; 136). Per ciò che riguarda la pietra impiegata per i mortai ed i macinatoi si può evidentemente distinguere una evoluzione all’interno della sequenza, che vede una prevalenza nell’impiego di calcari o calcareniti a varia struttura nel periodo iniziale del Bronzo Medio, a svantaggio dei basalti, che a loro volta risultano attestati con maggiore frequenza all’interno del lotto dei mortai dei livelli del Bronzo Medio II dell’insediamento paleobabilonese amorreo, arrivando in questa fase a rappresentare la metà circa dei casi documentati; la condizione sembra rovesciarsi invece nel corso del Bronzo Tardo con la crescita progressiva nell’impiego di basalti, con una tendenza che che si consolida, arrivando a rappresentare la maggioranza dei casi all’interno del lotto dei macinatoi e dei mortai che proviene dai livelli del Bronzo Tardo dell’insediamento di epoca mitannica. Per quanto riguarda la tipologia degli strumenti si può rilevare una diffusione uniforme dei tre tipi principali di mulino a mortaio, i tipi A, B e C durante il Bronzo Medio I: i tre tipi risultano attestati da due esempi ciascuno. I mortai sono, secondo una tradizione che procede come abbiamo visto dall’ultima fase del Bronzo Antico, a base semplice e prevalentemente a corpo sferoide o più irregolarmente poliedrico, un solo caso (l’E.2361) può avvicinarsi ad esempi con corpo a parallelepipedo. Fra i macinatoi si registra la presenza di un solo macinello a corpo troncoconico (l’E.2363). Il lotto dei macinatoi e dei mortai che proviene dai livelli del Bronzo Medio II dell’insediamento paleobabilonese amorreo, è, come si è detto, più ampio. La tendenza che vi si nota (certo in parte dovuta anche al maggior numero degli esempi disponibili) è quella di una maggiore varietà soprattutto nella tipologia dei mortai. I tipi documentati sono tuttavia gli stessi diffusi dalla fine del Bronzo Antico, ovvero i tre tipi standard di mulino a mortaio, i tipi A, B e C, fra i quali il tipo B risulta meglio attestato ed arriva a rappresentare circa il 40-50% dei mulini a mortaio di questa fase, mentre gli altri due tipi sono documentati con percentuali del 25% ciascuno. Un solo caso di mulino a mortaio del tipo D, ovvero di dimensioni ridotte, è attestato in tutta la sequenza. I mortai che provengono dai livelli dell’insediamento paleobabilonese
Età del Bronzo Medio e Tardo (MBA I-II-LBA I-II) La diffusione del mulino a mortaio durante l’Età del Bronzo Medio e del Bronzo Tardo presenta in generale una distribuzione analoga a quella che abbiamo delineato per le fasi precedenti del Bronzo Antico. Nell’area della Mesopotamia settentrionale sono ben documentati casi di mulini a mortaio da livelli del Bronzo Medio iniziale, del Bronzo Medio II e del Bronzo Tardo, riferibili alla sequenza di epoca paleoassira, paleobabilonese d’Età amorrea e poi al periodo mitannico e medioassiro. Ad Oriente esempi di mulino a mortaio provengono da Tell Jessary. L’indagine di questo sito, nell’ambito degli scavi di emergenza per la Saddam Dam nell’area di EskiMosul, ha permesso di individuare nell’area centrale del monticolo due importanti livelli di occupazione di epoca Ubaid e dell’ultimo periodo Uruk. Vi sono tuttavia evidenze di un’occupazione dell’insediamento in periodi più recenti fino ad epoca ellenistica e, seppure soltanto sulla base della ceramica di superficie, ad epoca islamica (Fujii 1987; Fujii et alii 1989). Di livelli 2a e 2b datati al Bronzo Medio e Tardo, Nuzi to Middle-Assyrian period (Numoto 1990: 230), provengono un mortaio completo ed un pestello270. Si tratta di un pestello realizzato con un ciottolo di fiume allungato e levigato fino a renderlo in forma cilindrica (del tipo pestello I.5) (Numoto 1990: 232, Fig. 19: 197) e di un mortaio in pietra calcarea a toni biancastri e a struttura olocristallina compatta, realizzato partendo da un blocco con due facce opposte naturalmente appiattite (Numoto 1990: 233) (TAV. 131: 2). Il mortaio si presenta a vasca media, base semplice appiattita e corpo poliedrico irregolare (del tipo mortaio II.A. 6a) (Numoto 1990: 200), seppure sbozzato per larghi tagli sulla superficie laterale, secondo un profilo regolarizzato, quasi cilindrico (TAV. 131: 1). Nel complesso si tratta dunque di due elementi di un mulino a mortaio B standard. Nell’area del Habur un lotto importante mulini a mortaio proviene da Tell Barri, dai livelli del Bronzo Medio e del Bronzo Tardo dell’Area G sul pendio sud-orientale del tell. Si tratta nel complesso di 38 esempi fra mortai e macinatoi riferibili a differenti tipi di mulini a mortaio. Molto interessante risulta la loro distribuzione all’interno della sequenza di insediamento. Sono infatti 6 gli esempi che provengono dai livelli precedenti dell’inizio del II
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Un secondo mortaio, definito large stone quern, proviene dal pavimento del livello 2b Trench D. Non è possibile tuttavia stabilirne il tipo sulla base della foto presentata (Numoto 1990: 233).
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A questi corrispondono gli strati a partire dal 34 scavati a monte nei settori settentrionali A-D 7-10 dell’Area G. Gli strati a Nord sono stati correlati alla stratigrafia ricostruita a valle dallo scavo dei settori AD 1-6. Si veda in dettaglio Pecorella 1998.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico presentano, come si è detto, esempi tipologicamente più vari. Sono documentati in maggioranza mortai a corpo sferoide e a corpo di poliedro irregolare (secondo una norma che abbiamo visto comune dal Bronzo Antico e attraverso la fase iniziale del Bronzo Medio) accanto a casi con corpo a parallelepipedo (E.2186) e a corpo cilindrico (E.1878). Fra i macinatoi è documentato un solo esempio di pestello con corpo semplice cilindrico (E.2770). Una tendenza analoga si può rilevare all’interno del lotto dei mortai e dei macinatoi per mulino a mortaio che provengono dai livelli del Bronzo Tardo dell’insediamento di epoca mitannica. In questo caso, come si è detto, abbiamo a disposizione lo stesso numero di documenti rispetto al lotto paleobabilonese e dunque ci troviamo in una condizione favorevole per valutare le linee dello sviluppo fra il Bronzo Medio ed il Bronzo Tardo. Si rileva anzitutto l’aumento percentuale dei mulini a mortaio del tipo B, che arrivavano al 68% del totale dei mulini a mortaio in questa fase, parallelamente si registra la flessione percentuale degli altri due tipi che si attestano rispettivamente al 6% il tipo A ed al 12,5% il tipo C. Due sono gli esempi di mulino a mortaio del tipo D con mortai di dimensioni ridotte. La tendenza alla variazione nella tipologia dei mortai è costante nel Bronzo Tardo e segue una linea già tracciata, come si è visto, dal Bronzo Medio II. Accanto ai tipi a base semplice e corpo sferoide, che rappresentano come di norma il caso più diffuso, si trovano esempi con corpo troncoconico (E.1311), con corpo cilindrico (E.1001) e con corpo biconico (E.2375). Questo aumento della varietà della tipologia del corpo apparentemente si realizza in questa fase a svantaggio dei tipi a corpo irregolare del tipo poliedrico che abbiamo visto invece diffusi comunemente e con alta attestazione percentuale dal Bronzo Antico finale e attraverso il Bronzo Medio I e II. Anche fra i macinatoi si può rilevare una buona variabilità tipologica. Sono attestati esempi di macinelli a corpo troncoconico, ma anche di pestelli a corpo troncoconico semplici o composti del tipo composto di cilindro e prisma (è questo il caso dell’E.2378 in pietra calcarea compatta). Un lotto interessante di mulini a mortaio proviene anche dallo scavo dell’Area HH al centro del monticolo settentrionale di Tell Brak. Lo scavo di quest’area che si apre sul limite orientale della precedente trincea HH realizzata negli anni 1937-38 da Mallowan (Mallowan 1947, Oates et alii 199), è stato oggetto di una nuova indagine a partire dalla metà degli anni ‘80. I lavori condotto in quest’area da David e Joan Oates hanno permesso di rivelare una sequenza complessa relativa all’occupazione dell’insediamento durante il II millennio, fra l’epoca paleobabilonese ed il periodo medioassiro (Oates et alii 1997: 1-38; 35: Table 1), caratterizzata dalla presenza di importanti edifici pubblici, datati all’ultimo periodo paleobabilonese e ad epoca mitannica. Lo studio dei manufatti per la macinazione provenienti da questi livelli è stato condotto da H. McDonald, che ha isolato sette tipi all’interno del grinding equipment. All’interno di questa classificazione (McDonald 1997:
109, Table 8) la McDonald raggruppa i mortars all’interno di un'unica tipo (Type G) senza alcuna ulteriore distinzione. Questa operazione naturalmente non consente, se non per gli esempi illustrati (Oates et alii 1997: Fig. 230: 117-121) di stabilire effettive corrispondenze con la nostra classificazione tipologica. Lo stesso vale per il Type B che raccoglie, come abbiamo visto, i rougly conical pestels, e che non è possibile stabilire, in assenza di una definizione delle dimensioni, se possa corrispondere alla nostra serie dei pestelli o piuttosto a quella dei macinelli. Nel complesso dunque, seppure con le riserve espresse, si tratta di 15 mortai e 17 pestelli, realizzati in maggioranza in pietra basaltica. Differenti tipi di pietra, soprattutto pietre calcaree, sono documentate soltanto per alcuni pestelli, ma in nessun caso fra i mortai. Fra i mortai sono diffusi i tipi tripodati, ed in particolare sono documentati due esempi a vasca bassa con tre piedi impostati esternamente sulla parete e a sezione rettangolare o semiellittica (tipi mortai I.D. 1c; mortai I.D. 1e) (Oates et alii 1997: Fig. 230: 117, 118), oltre ad una ciotola a parete sottile e vasca bassa con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio isoscele (tipo ciotola I.D. 1a) (Oates et alii 1997: Fig. 230: 119). Accanto ai mortai tripodati sono presenti anche tipi a base semplice, di cui è documentato un esempio a vasca profonda, base semplice e profilo troncoconico272 (tipo mortai III.A. 2) (Oates et alii 1997: Fig. 230: 121) (TAV. 131: 5-7). Nel complesso dunque si ha testimonianza di almeno due tipi differenti di mulini a mortaio, diffusi a Tell Brak durante il II millennio: il mulino a mortaio C con mortaio a vasca profonda ed il mulino a mortaio E con mortaio tripode a vasca bassa. Un altro lotto all’incirca contemporaneo proviene dagli scavi francesi a Meskené. All’interno del lotto dei manufatti per la macinazione da Emar sono infatti attestati almeno due tipi di mulini a mortaio, entrambi con mortaio in pietra basaltica (Nierlé 1982: 132; 133, fig.2: d). Si tratta di un tipo a vasca probabilmente media, base semplice e corpo troncoconico (del tipo dei mortai II.A. 2), definito à fond plat, e di un tipo a vasca media, tripode (del tipo II.D. 1). Fra i macinelli ed i pestelli relativi a mulini a mortaio si registrano i tipi a corpo cilindrico e troncoconico, ed almeno due tipi di pestelli a corpo composto (tipi II.7 e II.9) (Nierlé 1982: 133, fig. 2: b) (TAV. 131: 4). Più ad Occidente la diffusione dei mulini a mortaio è ben documentata nell’area dell’alto Eufrate siriano e, più a Nord fino alla regione del Keban. Un lotto di mulini a mortaio proviene dai livelli del Bronzo Medio e del Bronzo Tardo di Korucutepe. Nel complesso si tratta di sei pestelli per mulini a mortaio, uno proviene da livelli del Bronzo Medio I (Fase G), uno dai livelli del Bronzo Medio II (Fase H) e quattro da livelli del Bronzo Tardo I e II (Fasi I e J) (van Loon 1980: 137-138). Soltanto in tre casi la pietra è identificata come 272
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Questo ultimo esempio proviene in realtà dal più recente livello 1, datato ad epoca medioassira. Il contesto non risulta tuttavia sicuro (Oates et alii 1997: 260).
III. I MULINI metamorphic rock, che in un caso si specifica essere greenstone273.Questi si presentano generalmente a corpo semplice cilindrico o troncoconico e sono perciò affini ai nostri tipi I.4 e I.5. I mortai sono invece otto, due provengono da livelli del Bronzo Medio I (Fase G), uno da livelli del Bronzo Medio II (Fase H), tre dal Bronzo Tardo I (Fase I) e due dal Bronzo Tardo II (Fase J) (van Loon 1980: 138). La pietra non è indicata salvo che per i due mortai usati come miniature mortars274, realizzati uno in marn e l’altro in white stone, che si può supporre sia calcare a grana fine. Si tratta di mortai a vasca media o bassa, che presentano pianta ovale o approssimativamente arrotondata, con base semplice, convessa o piatta. Fra le ciotole si deve considerare il basalt tripod bowl, che proviene da un deposito di materiali rinvenuto nell’area del varco meridionale delle mura, in un livello datato al Bronzo Medio II (Fase H). Si tratta di una ciotola a vasca media affine al nostro tipo II.D. 1A275. Si può quindi concludere che durante il Bronzo Medio III, a Korucutepe sono diffusi almeno mulini a mortaio del comune tipo B e del tripodi dimensioni ridotte, ovvero tipo D. La condizione sembra analoga nei successivi periodi del Bronzo Tardo I e II. Nell’area della Siria occidentale e del Levante la diffusione dei mulini a mortaio è ampliamente documentata dalla presenza di macinatoi e mortai riferibili a questi mulini fra i materiali che provengono da livelli del Bronzo Medio e Tardo. Il caso certamente più importante è rappresentato dal lotto dei mulini a mortaio di Hama. Esempi di mulini a mortaio provengono infatti dai livelli del Bronzo Medio di Hama H. Si tratta nel complesso di 16 mortai prevalentemente in basalto, ma anche in pietra calcarea, oltre ad un pestello ed un macinello, in questo caso entrambi in basalto. Fra i mortai sono documentati in maggioranza (10 esempi) i tipi a vasca bassa o a vasca media, base semplice e corpo sferoide (i mortai dei tipi I.A. 1a e II.A. 1a) (Fugmann 1958: 89, Fig. 109: 804; 95, Fig. 117; 98, Fig. 120; 104, Fig. 127; 108, Fig. 132); oltre a questi si segnala un solo caso a vasca profonda, base semplice e corpo di poliedro irregolare (tipo mortai III.A. 6) (Fugmann 1958: 104, Fig. 127: 437). Accanto ai mortai a base semplice è diffusa la produzione di mortai in basalto a vasca bassa su tre o quattro piedi, rispettivamente a corpo sferoide o di parallelepipedo. Si tratta complessivamente di 5 esempi, fra i quali sono documentati i tipi I.D. 1a, I.D. 1e, I.D. 5b (Fugmann 1958: 95, Fig. 117; 101, Fig. 124) (TAV. 137: 1). Rispetto alla condizione registrata durante il Bronzo Antico ad Hama (Hama J), si deve quindi rilevare in generale una sensibile diminuzione soprattutto nella produzione e nell’impiego dei mortai su quattro piedi. 273
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Oltre ai mortai dai livelli di Hama H provengono almeno tre ciotole a parete sottile, a vasca bassa o media e base ad anello rilevato e pieno o tripode (dei tipi ciotole I.C. 1a e II.D. 1b) e, come si è detto, un macinello a corpo troncoconico allungato (del tipo I. 4a) e un pestello a corpo tendenzialmente cilindrico (del tipo I. 5). In generale dunque dai livelli del Bronzo Medio di Hama H abbiamo testimonianza dell’impiego di almeno 5 tipi differenti di mulini a mortaio: il mulino a mortaio A, con mortai a vasca bassa e macinelli, il mulino a mortaio B, costituito invece da mortai a vasca media e pestelli, il mulino a mortaio C, con mortai a vasca profonda, ed infine i due mulini a mortaio E e F, rispettivamente con mortai su tre e quattro piedi. Nel complesso perciò durante il Bronzo Medio ad Hama rimane largamente diffuso l’impiego di differenti mulini a mortaio, secondo una tradizione peculiare già maturata ed evidente dai livelli del Bronzo Antico di Hama J. Casi successivi di mulini a mortaio ad Hama provengono anche dai livelli di Hama G, datati al Bronzo Tardo, ed in particolare dallo scavo dei settori centrali (I 10) e dei settori meridionali (O12 e Q15-17) (Fugmann 1958: 125)276. Sono documentati 7 mortai, 2 macinelli e 3 pestelli. I mortai sono tutti in pietra basaltica e sono presenti nei tipi a vasca media, base semplice e corpo di poliedro (tipo II.A. 6a) (Fugmann 1958: 120, Fig. 143: 484), o corpo sferoide (tipo II.A. 1a) (Fugmann 1958: 125, Fig. 153: 367) e nei tipi a vasca bassa, su piedi. Fra questi ultimi sono documentati i tipi I.D. 1c, I.D. 1d (Fugmann 1958: 120, Fig. 143: 246, 496) ed il tipo I.D. 1a (Fugmann 1958: 125, Fig. 153: 347). Sono inoltre presenti due ciotole in basalto a vasca media, su piedi, affini al nostro tipo II.D. 1c (Fugmann 1958: 120, Fig. 143: 239, 247). I pestelli provenienti dai livelli di Hama G, anch’essi tutti in basalto, morfologicamente sono del tipo semplice a corpo troncoconico, analoghi al nostro tipo I.4 (Fugmann 1958: 120, Fig. 143: 241, 242), o del tipo composto da cilindro e prisma, corrispondente al nostro tipo II.9 (Fugmann 1958: 131, Fig. 161: 351) (TAV. 137: 2). I macinelli sono in basalto e sono diffusi unicamente nei tipi a corpo troncoconico basso (tipi macinelli I.4a) (Fugmann 1958: 120, Fig. 143: 244; 131, Fig. 161: 82). In conclusione dunque possiamo ricostruire che i mulini a mortaio diffusi ad Hama G, durante il Bronzo Tardo, sono tre: il mulino a mortaio A con mortai a vasca bassa, a base semplice, e macinelli troncoconici, il mulino a mortaio B con mortai a vasca media e pestelli troncoconici, il mulino a mortaio E con mortai a vasca bassa, su piedi e macinelli troncoconici. Altri esempi di mulini a macina semplice infine, cui si è qui già fatto riferimento a proposito del contesto particolare del rinvenimento, provengono dal complesso templare del Bronzo Medio/Bronzo Tardo di Beirut.
Il 69-37 (Fase G), il 70-225 (Fase I): metaporphic rock; il 70-95 (Fase J): greenstone. Il 69-66 (Fase G): marn; il 70-78 (Fase J): white stone. Si veda a questo proposito in maggior dettaglio la sezione qui dedicata alle mixing-bowls, in conclusione di questo capitolo.
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La datazione dei livelli di Hama G ha come principale punto fermo nella sequenza la distruzione avvenuta ad opera del sovrano ittita Suppiluliuma nel 1370, che Fugmann ha proposto si debba collocare in corrispondenza della distruzione del Niveau G3 (Fugmann 1958: 133).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Fra i materiali recuperati all’interno del cosiddetto hoard of cultic objects, conservato in una camera ricavata nella roccia al di sotto del Tempio sull’acropoli di Beirut, messo in luce nella parte nordoccidentale del tell e datato plausibilmente al Bronzo Medio II o al principio del Bronzo Tardo I, si trovano 4 basalt tripod bowls, una ciotola ed un macinello in basalto (Badre 2000: 45, fig. 3: 4-7, 11). La ciotola è a vasca bassa e base a disco rilevato e pieno, del tipo I.B.1. Tre dei tripod bowls sono ciotole a vasca bassa e a vasca media affini ai nostri tipi I.D.1 o II.D.1, il quarto è invece un mortaio a vasca bassa del tipo I.D.1c nella cui vasca è stato ritrovato, insieme ad altri materiali, un piccolo macinello a profilo di basso tronco di cono, del tipo I.4a. Si tratta perciò evidentemente di un mulino a mortaio con mortaio tripode, del tipo E.
Da questi livelli provengono nel complesso 12 esempi riferibili a questo tipo di mulino (TAV. 139: 1-6). La pietra selezionata per i macinatoi e soprattutto per i mortai è in prevalenza il basalto278, presente in differenti varianti di vacuolarità, secondo una tendenza che già abbiamo visto in atto a Tell Barri durante tutto il Bronzo Tardo all’interno del lotto dei mortai e macinatoi che provenivano dai livelli dell’insediamento mitannico. Per ciò che riguarda la distribuzione dei tipi all’interno di questo lotto, si può rilevare una crescita sensibile dei mulini a mortaio del tipo A con mortai a vasca bassa (con attestazioni intorno al 50%) ed una corrispondente diminuzione dei mulini del tipo B (che scende a percentuali del 25%). Interessante è la presenza di mulini a mortaio del tipo E, ovvero con mortai tripodi, di cui abbiamo un solo esempio in pietra basaltica (E.566). I mortai sono dunque a base semplice o su tre piedi e presentano una certa varietà nel tipo del corpo, rimangono prevalenti i casi con corpo sferoide, accanto ai quali sono documentati esempi con corpo poliedrico, sempre in minoranza (secondo una tendenza che abbiamo visto già dal Bronzo Tardo) e con corpo cilindrico (E.3293) e di parallelepipedo (E.1117). Una simile variabilità nel tipo del corpo si rileva fra i macinatoi; in questo caso sono attestati macinelli e pestelli a corpo troncoconico, ma anche esempi di pestelli semplice a corpo cilindrico (E.358) o composti a corpo costituito da due tronchi di cono (E.342). Fra i materiali in pietra levigata provenienti dallo scavo di Tille Höyük, nella regione di Karababa sull’alto corso dell’Eufrate, dai livelli del Bronzo Tardo finale e della prima Età del Ferro, si segnala un lotto interessante di recipienti tripodati (Summers 1993: 54; Fig. 71: 1-8). Si tratta di almeno 6 esemplari, che sulla base del ridotto spessore della parete sono da considerare propriamente nella serie delle ciotole e non dei mortai. La distinzione tuttavia, seppure lo stesso Summers li definisca basalt tripod bowls, non è in questo caso netta, né sono documentati dagli stessi livelli altri strumenti che possano essere definiti mortai con maggiore certezza. Nel complesso, e seppure con queste riserve, sembra dunque utile presentarli nell’insieme dei mulini a mortaio. Tutti e 6 gli esempi di Tille sono in basalto, di cui si distinguono due varianti, una vacuolare e la seconda definita fairly fine (Summers 1993: 152) e dunque a struttura compatta. Morfologicamente sono attestati esempi a vasca bassa e a vasca media; fra i primi si possono considerare due esempi, entrambi realizzati in pietra basaltica a struttura vacuolare, del tipo con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio isoscele (tipo ciotola I.D. 1a) (Summers 1993: Fig. 71: 2, 4). Maggiormente differenziati morfologicamente sono i quattro esempi a vasca media, in questo caso tutti in basalto a struttura compatta, fra i quali sono documentati il tipo con tre piedi impostati esternamente a sezione di
Età del Ferro (IA I-III) La distribuzione del mulino a mortaio durante il periodo della transizione tra il II ed il I Millennio è ben attestata da siti che presentano una sequenza di occupazione durante la fase di passaggio fra il Bronzo Tardo finale e l’Età del Ferro Antico. Si può fare qui riferimento ad alcuni esempi interessanti soprattutto per delineare l’ampia area di diffusione del mulino a mortaio anche in questa fase di transizione. Interessante è il caso di Tell Zubeidi nell’Hamrin, da dove provengono due mortai piccoli in pietra calcarea (Boehmer, Dämmer 1985: Taf. 147: 615, 616), dallo scavo dei livelli datati al secolo XIII sulla base della produzione ceramica. Si tratta in entrambi i casi di mortai a vasca media e base piatta, a corpo tendenzialmente sferoide, affini al nostro tipo II.A.1b (TAV. 138: 1-2). Uno dei due presenta una sorta di scanalatura sulla parete, la scanalatura verisimilmente doveva essere doppia ma, dal momento che il mortaio è conservato per metà del profilo, non è dato di stabilirlo con certezza. Queste scanalature, note in almeno un esempio che proviene dai livelli del Bronzo Tardo dell’insediamento mitannico dell’Area G a Tell Barri (E.2375), potrebbero essere intese ad agevolare la fuoriuscita del prodotto messo a macinazione, ed in questo senso si potrebbe dire analogo al tipo con insellatura sull’orlo III.A.1c. Si tratta in ogni caso di due casi di mulino a mortaio del tipo di dimensioni ridotte, ovvero del tipo D. Un lotto particolarmente interessante di mortai e macinatoi per mulini a mortaio proviene da Tell Barri, dai livelli del Ferro Antico, relativi all’insediamento di epoca medioassira, corrispondente agli strati 30-33 dell’Area G277.
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Questi strati della sequenza dell’Area G, corrispondono allo scavo dei settori settentrionali A.D 7-10 e sono messi in correlazione con i contemporanei strati scavati a valle nei settori A-D 16. In merito a queste corrispondenze, relative alla sequenza del Ferro Antico, si veda in generale Pecorella 2005.
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Gli unici due esempi in calcare che provengono da questi livelli sono i due mortai E.1111 ed E.1117, che tuttavia sono stati recuperati da un contesto dello strato 11 dell’Area G limitare al pendio e purtroppo fortemente disturbato dall’intrusione di fosse tarde (Pecorella 1998b: 104-111).
III. I MULINI dell’Età neoassira e l’epoca neobabilonese, fra il VII e la fine del VI secolo279. Si tratta di tre mortai, due dei quali a profilo continuo ed il terzo conservato in un frammento, realizzati in pietra basaltica a struttura particolarmente vacuolare ed in due casi caratterizzata dalla presenza di frequenti inclusioni calcaree (TAV. 141: 7-9). Per quanto riguarda la morfologia, i due mortai a profilo continuo sono del tipo a vasca bassa e tripodati, entrambi con piedi impostati internamente a sezione semiellittica. Il primo (89 P 80) ha orlo semplice arrotondato (e dunque è affine ai tipi I.D. 1a); il secondo presenta invece una serie di 5 insellature sull’orlo che si potrebbero a ragione considerare alla stregua di versatoi (89 P 83). Questo mortaio (affine al tipo I.D. 1b) rappresenta tuttavia un eccezione per questo carattere particolare, che non trova confronti stringenti altrove. Anche l’interpretazione delle insellature come versatoi non può dirsi certa. Esempi di mortai con versatoi disposti sull’orlo esistono e si possono citare almeno due tipi del genere. Il primo è costituito dai mortai a vasca profonda a base semplice appiattita con insellatura sull’orlo (tipo III.A. 1c). Un esempio del genere proviene da Tell Barri ed è stato rinvenuto nei livelli del Bronzo Medio II (E.2011), relativi all’insediamento dell’epoca paleobabilonese dell’Area G (Pecorella 1997: 61). Il secondo tipo è invece costituito dai recipienti, generalmente caratterizzati dalla presenza di protomi di toro o leone ma in alcuni casi anche non configurati, che presentano una sorta di versatoio, più o meno evidente, sull’orlo (tipo I.D. 1c). Esempi del genere provengono in larga parte dalla regione di Jerablus, in particolare dalla necropoli di Deve Höyük I (Moorey 1980: Fig. 8: 133-135), ma anche da ‘Ain Dara (Stone, Zimansky 1999: 73, Fig. 87: 1) e Tell Halaf (Hrouda 1962: Taf. 53: 121)280. Entrambi i tipi e gli esempi relativi qui riportati sono tuttavia molto differenti morfologicamente non costituiscono dunque un confronto diretto per il mortaio di Nimrud. Il primo tipo è a vasca profonda, di dimensioni inferiori e non è documentato durante l’Età del Ferro281; i recipienti configurati o meno dei tipi sopra descritti sono invece ben diffusi in questo periodo, ma presentano caratteri morfologici (il versatoio nell’esempio di Tell Halaf è un vero e proprio spout estroflesso, nei casi di Deve Höyük ed ‘Ain Dara la presenza delle protomi animali costituisce un elemento distintivo molto forte) che li allontanano dal nostro esempio da Nimrud.
rettangolo (tipo ciotola II.D. 1a) (Summers 1993: Fig. 71: 7, 8), il tipo con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio rettangolo (tipo ciotola II.D. 1c) (Summers 1993: Fig. 71: 1) ed il tipo con tre piedi impostati esternamente a sezione semiellittica (tipo ciotola II.D. 1d) (Summers 1993: Fig. 71: 3). Oltre a questo lotto di recipienti tripodati, dai livelli del Bronzo Tardo finale e della prima Età del Ferro di Tille è documentato un solo esempio di macinello in definito pestle or rubber in pumice stone; si tratta di un macinello di piccole dimensioni a corpo troncoconico (del tipo macinello I.4b). Nel complesso dunque è probabile la diffusione a Tille per i periodi qui considerati, di almeno due tipi di mulini a mortaio: il mulino a mortaio B standard ed il mulino a mortaio E. Particolarmente interessante per la differente provenienza geografica è infine il lotto dei mulini a mortaio raccolto dallo scavo di Gezer. Un lotto di recipienti e mulini a mortaio è infatti noto dallo scavo dell’area del Field VI, grazie al quale è stato possibile mettere in luce un complesso incentrato sul Granary 24000 (Dever 1986: 60-76), datato al XII secolo. Dagli strati 7-6A provengono 3 mortai in basalto, due a vasca bassa e media, corpo troncoconico e base semplice (corrispondenti ai tipi mortai I.A. 2a e II.A. 2a) (Dever 1986: Pl. 53: 5; Pl. 56: 17) ed il terzo a vasca bassa, su tre piedi (del tipo mortaio I.D. 1e) (Dever 1986: Pl. 58: 4). Dagli strati principali del Granary (strati 6B e 6A) provengono inoltre tre ciotole in pietra basaltica. Sono documentati i tipi a vasca bassa, base semplice o ad anello e parete liscia (tipi ciotole I.A. 1a e I.B. 1a) (Dever 1986: Pl. 56: 13; Pl. 57: 15, 21). Oltre ai casi citati si ha testimonianza di almeno altri 10 broken limestone and basalt grindstones non meglio identificati, provenienti dal vano 6 del Granary (Dever 1986: 211), alcuni dei quali potrebbero essere riconducibili anche a mulini a mortaio. È possibile perciò concludere che a Gezer, durante la prima Età del Ferro ossia nel periodo in cui rimase in uso il Granary 24000, fossero in uso almeno 3 tipi di mulino a mortaio: il tipo a con mortaio a vasca bassa, ovvero il mulino a mortaio A, il tipo con mortaio a vasca media, ovvero il mulino a mortaio B, ed il tipo con mortaio tripode a vasca bassa, corrispondente al mulino a mortaio E. Nel corso della prima metà del I Millennio la diffusione dei diversi tipi di mulini a mortaio risulta ampliamente documentata fra i mulini in pietra comunemente attestati in numerosi dei siti che presentano una sequenza di occupazione per i periodi del Ferro II e III, durante l’Età neoassira e post-assira. Esempi di mulini a mortaio sono documentati da Nimrud, in particolare fra i materiali provenienti dalla raccolta di superficie e dallo scavo italiano (Fiorina 2001; Fiorina 2004; Fiorina et alii 2005). Il lotto dei mulini a mortaio proviene dallo scavo delle Aree A1 ed A3, nella zona del Forte Samanassar, da livelli databili, sulla base della ceramica e dei materiali associati, ad un periodo compreso fra l’ultima fase
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Si veda a questo proposito il recente studio dedicato all’analisi comparata dei livelli della transizione fra l’Età neoassira ed il periodo post-assiro neobabilonese, condotta per Nimrud e Tell Barri (Fiorina et alii 2005). Su questa produzione si veda Bombardieri 2008a e in maggior dettaglio la sezione qui dedicata alle mixingbowls e agli altri mortai particolari, in conclusione di questo capitolo. L’esempio di Tell Barri (E.2011) si potrebbe interpretare addirittura anche come un crogiuolo, come abbiamo visto, se consideriamo le tracce di focatura evidenti sulla superficie laterale ed interna della vasca.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Ai due mortai tripodi si deve aggiungere un mortaio in pietra basaltica frammentario, di cui è perduta la base e parte della parete, riconducibile al tipo a vasca profonda e corpo a profilo troncoconico (tipo III.A. 2) (89 P 77) (TAV. 141: 9). Oltre ai mortai qui descritti sono documentati due pestelli ed un macinello riferibili a differenti tipi di mulini a mortaio. Si tratta di un macinello realizzato con un ciottolo non lavorato, a corpo tendenzialmente troncoconico (del tipo I.4b) (89 P 48) e due pestelli realizzati invece in pietra calcarea molto compatta e a toni grigio intensi, del tipo con corpo tendenzialmente cilindrico (tipo I.5) (89 P 78, 89 P 73). Uno dei due pestelli (89 P 78) (TAV. 141: 10) presenta la superficie laterale in parte appiattita e lisciata a seguito dell’uso; è quindi possibile che sia stato utilizzato secondariamente come cote o affilatojo, o piuttosto come strumento composito da impiegare allo stesso tempo come pestello e come cote. Nel complesso dunque il lotto di Nimrud ci consente di stabilire la presenza a Nimrud fra il VII ed il VI secolo di almeno tre tipi distinti di mulini a mortaio: i mulini a mortaio B e C con mortaio a vasca media o profonda ed il mulino a mortaio E con mortaio a vasca bassa tripode. Nell’area del Habur si segnala in misura particolare il caso di Tell Barri. Un lotto cospicuo di mortai e macinatoi per mulini a mortaio proviene infatti dai livelli del Età del Ferro II e III, relativi all’insediamento dell’epoca neoassira e poi post-assira neobabilonese ed achemenide dell’Area G, sul pendio sud-orientale del monticolo, e dell’Area J nella prossimità occidentale. Nel complesso si tratta di 15 esempi fra mortai e macinatoi che provengono dai livelli più antichi del Ferro II, corrispondenti agli strati 21-29282 della stratigrafia dell’Area G, e relativi alla sequenza dell’occupazione di epoca neoassira imperiale, fra il IX e la seconda metà del VII secolo a.C (TAV. 140: 1-4); un numero analogo, 15 mortai e maciantoi, costituisce il lotto più recente proveniente dai livelli del Ferro III, corrispondenti agli strati 15-20 della sequenza dell’Area G e ai contemporanei strati 9-14A della sequenza dell’Area J, relativi al periodo che vede il passaggio di Tell Barri sotto amministrazione neobabilonese caldea e poi achemenide (TAV. 140: 5-8). Per ciò che riguarda la pietra selezionata per la produzione delle macine (macinatoi e mortai) destinati a questo tipo di mulini, in tutta la fase che copre il Ferro II e poi il periodo del Ferro III, a Tell Barri prevale l’impiego di basalti a varia vacuolarità; è documentato tuttavia anche ’utilizzo, anche se assai minoritario, di altre pietre, in primo luogo di natura calcarea a differente granulosità e di tipo calcarenitico. Per quanto riguarda la distribuzione dei tipi all’interno del lotto dei mulini a mortaio di questa fase, si deve rilevare la prevalenza dei mulini a mortaio del tipo A che 282
è in crescita dal Ferro II al Ferro III, con percentuali che salgono dal 27% al 34%, secondo una tendenza che rispecchia la condizione già riscontrata durante il Ferro Antico. Rispetto a questa fase tuttavia dai livelli del Ferro II dell’insediamento di epoca neoassira provengono casi più vari e fra questi alcuni esempi di mulini a mortaio del tipo D di dimensioni ridotte. Cresce percentualmente anche la diffusione dei mulini a mortaio del tipo E, ovvero con mortai tripodi (che sono attestati al 20%), ai quali si affiancano due casi di mortai su quattro piedi (E.2925, E.2984283), riferibili dunque al tipo F. I mortai che provengono dai livelli del Ferro II dell’insediamento neoassiro presentano una ampia varietà di tipi; sono presenti, come abbiamo visto tipi a base semplice, su tre o su quattro piedi, in prevalenza a corpo sferoide, secondo una norma comune a Tell Barri in tutte le fasi della sequenza già dal Bronzo Medio. Sono tuttavia documentati esempi a corpo poliedrico, la cui attestazione cresce in questa fase rispetto al lotto dei mulini a mortaio del Ferro Antico, invertendo una tendenza che aveva caratterizzato la produzione dei mortai a partire dal Bronzo Tardo; altri casi, come sempre quantitativamente meno significativi, sono rappresentati da mortai a corpo cilindrico (E.2433), a corpo di parallelepipedo (l’E.2925 su quattro piedi che già abbiamo menzionato) e a corpo troncoconico (E.2293). Nella fase successiva che corrisponde ai livelli del Ferro III dell’insediamento post-assiro, di epoca neobabilonese e poi achemenide, si rileva una generale diminuzione della varietà nella tipologia; in particolare la presenza di mortai a base semplice e corpo sferoide si fa largamente maggioritaria a fronte di una generale riduzione degli altri tipi, dei quali rimangono documentati soltanto i tipi con corpo poliedrico ed alcuni esempi con corpo di parallelepipedo, fra i quali si deve includere il mortaio teriomorfo E.2984 su quattro piedi. Molto più scarsi sono i macinatoi che provengono dai livelli del Ferro II e del Ferro III, per i quali, data l’effettiva scarsità delle attestazioni, non è sufficientemente documentabile la distribuzione tipologica284. Alcuni esempi di mulini a mortaio sono documentati anche dal Hrouda nella descrizione dell’industria litica su pietra levigata da Tell Halaf (Hrouda 1962: 51-53). I mortai in sé non sono in questo caso documentati se non da una breve e generale descrizione delle dimensioni, che possono raggiungere anche misure rilevanti (fino a 50 e addirittura 80 cm di larghezza; 20-25 cm di diametro per la cavità che può essere profonda fino a 20 cm). Maggiore attenzione è riservata agli strumenti attivi, macinelli e pestelli, in generale in pietra basaltica, che sono distinti in tre categorie principali sulla base dei 283
La sequenza stratigrafica dell’Età del Ferro si riferisce allo scavo dei settori settentrionali A-D 7-10 dell’Area G, che sono stati correlati alla sequenza messa già in luce dallo scavo dei settori a valle. Per l’analisi di queste corrispondenze si veda in particolare Pecorella 1998b e poi Pecorella 2005.
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Riguardo al mortaio E.2984 in particolare se ne veda in maggior dettaglio l’analisi fra i mortai teriomorfi, nella sezione dedicata alle mixing-bowls e ai mortai particolari, alla conclusione di questo capitolo. Si può fare riferimento al solo macinello semplice a corpo cilindrico E.2082, che proviene dai livelli della rioccupazione post-assira, ed è stato rinvenuto nell’area della corte 64 dell’originario complesso palatino dell’Area J.
III. I MULINI I mortiers ronds possono essere distinti in tre classi: de grande taille (che raccoglie i due tipi soigné e grossier), communs (che raccoglie i tipi à fond plat, à fond annelé, à fond discoide, à décor cordé) e à support (che raccoglie i tipi à piédestal e i tipi tripodes, nelle due varianti hauts e bas). I mortiers rectangulaires sono invece distinti in due classi: à fond plat e à support (che raccoglie i tipi à piédestal, à quatre pieds, à quatre pied et à tetes de taureaux sculptées). Nella serie dei pilons sono distinti invece i due soli tipi troncoconiques e cylindriques (Trokay 2000: 1673). Nella classificazione così proposta e ben organizzata sul piano della struttura, si possono riconoscere numerosi dei tipi riferibili a differenti mulini a mortaio, che raccolgono macine in pietra basaltica vésiculaire di differente qualità, sia a struttura grossolana che fine, a struttura compatta (Trokay 2000: 1666). Fra i pilons, che possono essere realizzati in rari casi anche in una pietra differente dal basalto (du grès ou des galets) (Trokay 2000: 1671), soltanto il tipo troncoconique, le cui dimensioni (l’altezza è sempre compresa fra i 5 e 10 cm) e la morfologia corrispondono al nostro macinello basso a corpo troncoconico del tipo I. 4a, si deve considerare utilizzabile come strumento attivo per alcuni mulini a mortaio. Maggiore è varietà fra i mortiers di Tell Ahmar. In particolare i mortiers ronds de grande taille, le cui dimensioni (dai 35 ai 50 cm. di diametro per almeno 20 o al massimo 30 di altezza) e la morfologia nei due tipi isolati corrispondono rispettivamente ai nostri mortai a vasca media, base semplice e corpo sferoide (ossia al tipo II.A. 1a)285 e ai mortai a vasca profonda, base semplice e corpo sferoide (e dunque al tipo III.A. 1a). Fra i mortiers ronds à support si trovano i tripodi bassi, che corrispondono nello specifico ai mortai a vasca bassa del tipo con tre piedi impostati internamente e a sezione semiellittica (del tipo I.D. 1a)286. Nel caso dei mortiers rectangulaires infine il tipo semplice à fond plat è analogo ai mortai classificati come
caratteri morfologici più evidenti: questi possono essere conici o troncoconici, a clessidra o, infine aver forma di “dado con manico allungato” (Hrouda 1962: 51). Nel complesso dunque sono documentati i macinelli a corpo troncoconico, 1 esempio a corpo troncoconico allungato (del tipo I. 4b) e almeno 2 esempi a corpo troncoconico basso (del tipo I. 4a), e pestelli a corpo troncoconico, di cui è documentato almeno un esempio (affine dunque al tipo I. 4) (Hrouda 1962: Taf. 40: 231234). Fra i pestelli a corpo composto sono documentati, e la descrizione del Hrouda lo conferma, soprattutto i tipi con corpo composto da un cilindro ed un prisma (affini al tipo II.9), di cui sono presentati 2 esempi (Hrouda 1962: Taf. 40: 244-246). A parte si devono invece considerare i macinelli a corpo di clessidra, che presentano una sorta di “cordoncino” al centro e di cui sono documentati pochi esempi (Hrouda 1962: Taf. 40: 238-243). In generale sono perciò documentati almeno i mulini a mortaio più comuni dei tipi A, B e C. Di grande interesse è anche la documentazione relativa ai mulini a mortaio che provengono da Tell Ahmar. Tale interesse è naturalmente dovuto, oltre alla ricchezza del lotto, anche alla condizione di particolare cura di cui è stato oggetto, grazie allo studio e alla classificazione condotta da Madleine Trokay (Trokay 2000). Questo lotto di macine per mulini a mortaio proviene, come il complesso dei manufatti della macinazione oggetto di questo studio, dallo scavo dell’Area C, condotto dai primi anni ’90 dall’Università di Melbourne, sotto la direzione di Guy Bunnens, in un’area della città bassa disposta ad Ovest dell’acropoli. In quest’area si sono potuti mettere in luce due grandi edifici (gli edifici C1 e C2) dai cui ambienti proviene una ricca collezione di ceramica e di materiali (Jamieson 2000: 259-306; Trokay 2000: 1667-1670), che nel complesso permette di datare la costruzione e la vita degli edifici in un periodo piuttosto breve e compreso fra la metà del VII secolo e la metà del VI a.C. Si tratta perciò di una sequenza particolarmente interessante, proprio perché copre l’arco della transizione fra il periodo tardo asssiro ed il periodo neobabilonese e dunque un momento sensibile di passaggio, per il quale non è facile raccogliere dati attendibili, soprattutto per quanto riguarda la produzione materiale. La Trokay, come abbiamo visto, distingue due tipi principali di artefacts, ovvero di mulini costituiti da due elementi distinti, l’uno attivo e l’altro giacente (Trokay 2000: 1665). Il concetto di artefact della Trokay corrisponde dunque al nostro concetto di mulino. I due tipi così distinti sono costituiti rispettivamente dalla coppia meules e molettes (che definisce Type 1 e che corrisponde al nostro mulino a macina semplice) e dalla coppia mortiers e pilons (che definisce Type 2 e che corrisponde invece al mulino a mortaio). Quest’ultimo è il caso che qui interessa (TAV. 141: 1-2). All’interno di questa famiglia si isolano naturalmente le due serie dei mortiers e dei pilons. I primi a loro volta sono suddivisi in due gruppi: mortiers ronds e mortiers rectangulaires (Trokay 2000: 1673).
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Questo tipo corrisponde al tipo soigné della Trokay e, a giudicare dal disegno esplicativo pubblicato (Trokay 2000: Fig. 1: 2.1.1.1a), presenta un profilo interno della vasca piuttosto anomalo. Si può pensare non costituisca la norma, seppure rimane non precisato altrimenti. I tripodes hauts sono affini piuttosto alle ciotole tripodate a vasca media del tipo con tre piedi impostati internamente a sezione di trapezio isoscele (del tipo ciotole II.D. 1b). questo tipo sarà da avvicinare dunque alle ciotole o mixing bowls, come in certo modo confermerebbe la presenza di forme analoghe nella produzione ceramica contemporanea. Esempi provengono da Tell Barri (Bombardieri, Forasassi 2008a), da Nimrud (Mallowan 1950: Pl. 32: 1; Rawson 1954: Pl. 41: 2), ma sono anche documentati a Tell Ahmar (Jamieson 2000), e dunque in siti dove le due analoghe produzioni, in pietra ed in ceramica, convivono. Una condizione analoga è nota per la serie delle ciotole a cordone rilevato, per le quali si veda più diffusamente oltre e in particolare Trokay 2000: 1670 e Bombardieri 2003.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico mortai a vasca media, base semplice e corpo poliedrico (indicati come tipo II.A. 6a). Nel complesso dunque si deve concludere che lo strumentario per la macinazione degli edifici C1 e C2 a Tell Ahmar, durante l’ultima fase del periodo assiro e l’epoca post-assira neobabilonese, comprendeva almeno i due mulini a mortaio standard B e C, con mortai a vasca media e a vasca profonda, e il mulino a mortaio E con mortaio a vasca bassa tripode287. Un lotto interessante di mulini a mortaio proviene anche dai livelli del Ferro di ‘Ain Dara, nella valle dell’Afrin, in Siria nord-occidentale, e sono stati recuperati durante i lavori condotti dalla missione congiunta siriana ed americana nella città bassa di ‘Ain Dara, (Stone, Zimansky 1999). Nei livelli del Ferro II corrispondenti alla Phase XVIII del sondaggio, è stato trovato un pestello realizzato con un basalto a struttura compatta o minimamente vacuolare. Si tratta di un pestello a corpo troncoconico (del tipo pestello I.4) e per questo pertinente ad un mulino a mortaio B (TAV. 141: 3). Dai livelli più recenti del sondaggio che corrispondono alle Phases III-I datate all’inizio del Ferro III, ovvero al VII secolo iniziale, proviene inoltre un piccolo mortaio a vasca bassa e base semplice, del tipo con protome di leone (tipo mortaio I.D. 1b) (Stone, Zimansky 1999: 73, Fig. 87: 1). Dagli stessi livelli recenti provengono inoltre due ciotole in pietra basaltica compatta. La prima è a profilo continuo e si presenta con vasca bassa e base a disco rilevato e pieno, ed è caratterizzata dalla nota decorazione a cordonatura interrotta sotto l’orlo (del tipo ciotola I.C. 1d) (Stone, Zimansky 1999: 84, Fig. 90: 10), la seconda è invece frammentaria e si conserva soltanto una porzione della base ad anello rilevato (si può pensare si tratti di una ciotola del tipo I.B. 1a) (Stone, Zimansky 1999: 103)288. Dall’area della Siria occidentale interna e più a Sud nel Levante costiero siro-palestinese provengono numerose attestazioni che permettono di documentare con certezza la diffusione dei mulini a mortaio in quest’area per tutte le fasi del Ferro II e III, fino ai secoli centrali del I Millennio e di certo anche nei periodi più recenti. Anche per questo periodo Hama offre una documentazione molto ricca. Un lotto interessante di mulini a mortaio proviene infatti dai livelli di Hama F e soprattutto di Hama E, che corrispondono alla sequenza dell’Età del Ferro di Hama. In particolare dallo scavo dei Bâtiments del Quartiere reale della Place Centrale, e dal Batiment V sul fianco occidentale dell’insediamento (Riis, Buhl 1990). Dal Niveau F1 è documentato un mortaio in basalto, a vasca bassa e corpo tendenzialmente sferoide (tipo mortaio I.A.1a) (Riis, Buhl 1990: 69, Fig. 34: 63), un 287
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mortaio in basalto, a vasca profonda, base semplice e corpo troncoconico proviene dal Niveau E2/E1 (tipo mortaio III.A. 2) (Riis, Buhl 1990: 69, Fig. 34: 65). Dai livelli della Place Centrale della fine dell’VIII secolo, relativi alla distruzione ad opera di Sargon II (couche de la destruction de 720) provengono 2 mortai, dal Batiment V sono stati invece recuperati un mortaio, due pestelli ed un macinello relativi a mulini a mortaio. Fra i mortai, tutti in pietra basaltica, sono documentati i tipi a vasca media, base semplice e corpo troncoconico (tipo mortai II.A. 2a) (Riis, Buhl 1990: 71, Fig. 35: 88), a vasca profonda, base semplice e corpo di poliedro (tipo mortai III.A. 6) (Riis, Buhl 1990: 71, Fig. 35: 87). Dagli stessi livelli del Quartiere reale provengono anche 8 ciotole in basalto ed in calcare. Fra questi in maggioranza ciotole in basalto a vasca media, su tre piedi, sono documentati i tipi II.D. 1a, II.D. 1b, II.D. 1c, II.D. 1d (Riis, Buhl 1990: 71, Fig. 35: 76-84). Si contano anche una ciotola in basalto a vasca bassa, con base ad anello, del tipo con cordonatura continua sotto l’orlo e solcature sulla parete (tipo ciotola I.B. 1d) (Riis, Buhl 1990: 69, Fig. 34: 75) ed una ciotola in calcare, a vasca bassa e base semplice (tipo ciotola I.A. 1a) (Riis, Buhl 1990: 69, Fig. 34: 64). Dal Batiment V proviene invece un mortaio a vasca bassa, su quattro piedi e a corpo di parallelepipedo, caratterizzato da una serie di tre scanalature sulla parete (tipo mortai I.D. 5b) (Riis, Buhl 1990: 77, Fig. 37: 95). Sono inoltre documentati un macinello in basalto a corpo di basso tronco di cono (tipo macinelli I. 4a) e due pestelli entrambi in basalto e del tipo composto di cilindro e prisma, e dunque affini al nostro tipo di pestelli II.9289. Nel complesso dunque dai livelli dell’Età del Ferro di Hama E si ha testimonianza di tutti i principali tipi di mulini a mortaio: il mulino a mortaio A, con mortaio a vasca bassa e macinello, il mulino a mortaio B, con mortaio a vasca media e pestello, il mulino a mortaio C, con mortaio a vasca profonda e pestello, il mulino a mortaio F, con mortaio a vasca bassa su quattro piedi e macinello (TAV. 141: 4-6). Interessanti in questo caso risultano anche gli esempi che provengono dai livelli posteriori della sequenza di insediamento di Hama, che offrono una testimonianza immediata della continuità nella produzione e nell’impiego di questi mulini anche in epoca successiva290. 289
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Oltre a questi si deve considerare l’ampia varietà di ciotole, o mixing bowls, ed alcuni mulini a mortaio di natura particolare, su quattro piedi, di cui si tratterà diffusamente oltre. Si veda per questi esempi più diffusamente in seguito nel paragrafo dedicato alle mixing-bowls ed ai mortai e recipienti configurati, alla conclusione di questo capitolo.
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Questo tipo (pestelli II.9) sono già presenti in Hama G, durante il Bronzo Tardo (Fugmann 1958: 131, Fig. 161: 351). Si può citare questo caso per documentare la continuità nella produzione dei mulini a mortaio, naturalmente accertabile in numerosi altri siti che prsentino livelli di insediamento di epoca post-assira, achemenide ed ellenistica. Questo è il caso di Tell Barri, come abbiamo avuto modo di vedere, ma lo stesso potrebbe valere per il sito di Tell Beydar. La documentazione tuttavia per i siti che presentano una sequenza di occupazione relativa a queste fasi cronologiche, è generalmente piuttosto scarsa e non permette di ottenere dati utili in merito alla diffusione dei diversi mulini in pietra. Esempi come quello di Hama e di Tell Barri sono dunque quanto mai utili per
III. I MULINI Esempi di mulini a mortaio provengono infatti anche dai livelli di Hama D, che corrispondono alla sequenza di Età post-assira del periodo ellenistico ad Hama. In particolare dai livelli di reimpiego dei Bâtiments del Quartiere reale della Place Centrale (Riis, Buhl 1990: 68-77). Sono documentati in particolare un mortaio in basalto a vasca bassa, su tre piedi (tipo I.D. 1c) (Riis, Buhl 1990: 71, Fig. 35: 78) e due ciotole in basalto a vasca media, sempre su tre piedi (tipi II.D. 1a e II.D. 1d), di cui uno caratterizzato da una serie di 4 scanalature longitudinali sul piede (Riis, Buhl 1990: 71, Fig. 35: 80). Dai livelli superiori, successivi alla distruzione del Batiment II proviene un mortaio a vasca bassa, su quattro piedi e a corpo di parallelepipedo, caratterizzato dalla presenza di una protome di toro disposta al centro di quello che si dovrebbe intendere il lato breve anteriore (tipo I.D. 5c). La resa plastica della protome è piuttosto sintetica e dai tratti sommari. Un esempio analogo è conservato presso l’arcivescovato ortodosso di Lattaia, e secondo Riis e Buhl che lo hanno pubblicato come confronto per l’esempio proveniente di livelli ellenistici di Hama, proviene dall’area circostante la città di Lattakia stessa (Riis, Buhl 1990: 74, 75, Fig. 36). In questo caso si tratta di un mortaio in pietra basaltica, a vasca bassa e su quattro piedi, dotato tuttavia di due protomi taurine ai lati della faccia minore anteriore. Le due pareti maggiori sono decorate con un fregio floreale realizzato alternando fiori di loto in boccio ed in fiore, mentre il lato minore presenta una decorazione a Croix de Bourgogne, disposta al centro delle due protomi, anch’esse rese, come ben si può capire dal maggior pregio del mortaio di Lattakia, con maggior attenzione per i dettagli e la resa plastica delle fattezze del toro, rispetto all’esemplare di Hama291. Nel complesso dunque i livelli ellenistici di Hama D confermano la diffusione almeno del mulino a mortaio standard A, con mortaio a vasca bassa e macinello, e del mulino a mortaio F, con mortaio a vasca bassa su quattro piedi. Un mulino frammentario a mortaio proviene infine anche dalla fortezza di Mezad Hashavyahu, sulla costa a sud di Jaffa (Naveh 1962; Fantalkin 2001). Si tratta di un mortaio in pietra basaltica probabilmente del tipo a vasca bassa o a vasca media e corpo sferoide (tipo mortaio I.A. 1a oppure II.A. 1a ), relativo perciò presumibilmente ad un mulino a mortaio standard A o B. È questo un caso interessante per testimoniare la diffusione del mulino a mortaio nell’area del Levante meridionale con continuità per tutta l’Età del Ferro.
specifica di questo mulino e quindi ai suoi rapporti con gli altri mulini contemporaneamente diffusi negli stessi contesti. È infatti evidente anzitutto, ed è ampiamente dimostrabile, come si è visto, attraverso tutte le successive fasi cronologiche che vedono la diffusione di questo mulino, la costante presenza del mulino a mortaio accanto ad altri tipi di mulini, ma anche la presenza contemporanea di diversi tipi di mulini a mortaio dagli stessi contesti. Si deve dedurre dunque che la funzione alla quale i diversi tipi di mulino a mortaio erano chiamati fosse differente; non si tratta di mulini utilizzati in serie, come è il caso dei mulini a macina semplice, né di modelli che derivano dal miglioramento tecnologico di mulini precedenti, come è il caso del mulino assiro a scanalatura e del mulino di Olinto, la cui convivenza è quindi funzionale ad una fase di transizione, ma piuttosto di tipi diversi destinati contemporaneamente ad usi differenti e a differenti prodotti. Dall’analisi del diverso funzionamento e del diverso assetto tecnologico dei differenti tipi si può risalire con relativa evidenza a questa varietà di impiego. Il mulino a mortaio A, costituito da mortai a vasca bassa e macinelli a corpo poco sviluppato si presta, come si è detto, ad essere utilizzato attraverso una percussione e frizione composita dello strumento attivo che dunque permette la produzione di farine anche piuttosto fini, seppure in quantità naturalmente inferiore rispetto ai mulini piani, a macina semplice, a scanalatura o a tramoggia. È quindi probabile che questo mulino potesse essere impiegato per la produzione di farine non da cereali ma da diversi prodotti, ad esempio da leguminacee, ovvero prodotti che si potessero per loro natura macinare e ridurre a farina fine. La condizione è differente nel caso dei mulini a mortaio del tipo B, che si prestano ad un utilizzo per percussione e sono quindi da intendere come mortai per lo sminuzzamento di prodotti. Lo stesso può dirsi per i mulini a mortaio C, con mortai a vasca profonda, con i quali non è possibile produrre farine fini, ma soltanto sminuzzare o in certi casi pre-macinare prodotti di varia natura, destinati poi ad altro trattamento successivo con mulini diversi. I mulini a mortaio del tipo D, che si presentano invece come mulini di ridotte dimensioni e con mortai a vasca bassa, permettono una percussione e frizione composita dello strumento superiore attivo e quindi anche in questo caso consentono la produzione di farine fini. La quantità prodotta può essere evidentemente minima e dunque si deve pensare che questi mulini fossero destinati alla lavorazione di prodotti particolarmente preziosi, che perciò non dovevano essere dispersi, o di prodotti dei quali era richiesta una quantità ridotta per la preparazione dei cibi. I mulini a mortaio dei tipi E ed F, con mortai su tre o quattro piedi, presentano invece, come si è visto, due caratteri specifici particolari. Si tratta di mortai a vasca bassa che dunque sono analoghi per l’utilizzo ai mulini a mortaio del tipo A sopra descritto, e da questi si distinguono infatti non tanto per l’assetto funzionale quanto per l’aspetto e la trasportabilità. La cura riservata alla produzione dei mortai tripodi o su quattro piedi, che
8.5. OSSERVAZIONI GENERALI L’analisi della diffusione dei differenti tipi di mulini a mortaio nell’area presa in esame permette alcune osservazioni generali, soprattutto in merito alla natura
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poter delineare la continuità nella diffusione di questa tecnologia. Si veda circa i due esemplari Bombardieri 2008a e in maggior dettaglio la sezione qui dedicata alle mixingbowls ed ai mortai particolari, in conclusione di questo capitolo.
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PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico non a caso sono entrambi tipi che presentano varianti configurate, teriomorfe e dai quali derivano molti tipi di mixing-bowls, come vedremo292, indicano un’attenzione all’aspetto generale del mulino che non trova riscontri nella produzione parallela dei mortai destinati agli altri tipi di mulini a mortaio, per i quali è invece evidente una cura assai relativa nella lavorazione. Si deve quindi concludere che a questi mortai fosse riservato un impiego in contesti particolari, per usi connessi allo svolgimento di operazioni legate al culto in casi specifici o per l’impiego in contesti di rappresentanza per produrre farine particolari destinate alla preparazione di cibi da consumarsi in ricorrenze stabilite e connesse anche alla svolgersi di funzioni pubbliche sia all’interno del palazzo che di residenze private di grado elevato; in conclusione dunque in contesti nei quali gli si possa richiamare una generale funzione di prestigio. A questo aspetto si accompagna, come abbiamo notato, la maggiore trasportabilità di questi mulini che, a parità di dimensioni generali, presentano in ogni caso un peso minore rispetto ai mortai a base semplice. Questo elemento si presta ad essere motivato dalla necessità di spostare periodicamente l’installazione di questi mulini e quindi ancora una volta sembra poter essere connesso all’impiego in contesti specifici, quali quelli che si sono sopra indicati293. Particolare è infine l’impiego del meno diffuso mulino a mortaio del tipo G, destinato probabilmente in certi contesti, come si è detto, alla cosiddetta pre-macinazione, ovvero al trattamento preliminare cui necessitano alcune varietà di cereali glumati per eliminare la gluma appunto, ovvero il rivestimento esterno del chicco, prima di sottoporlo alla macinazione. Tale operazione può essere svolta altrove, come si è visto, in bassi bacini di legno (secondo un uso ancora documentato ad esempio nell’area anatolica sud-orientale) (Yakar 2000: 171-173), o su larghi piani battuti esterni, simili ai cosiddetti treshing-floors (Seeden 1983: 18, fig. 1-2; Yakar 2000: 171-173). Dai dati che si sono potuti analizzare è possibile verificare una sostanziale omogeneità nella distribuzione di questi tipi di mulini a mortaio all’interno dell’intero arco cronologico che abbiamo preso in esame. Alcune difformità o variazioni, che qui di seguito si cerca di mettere in evidenza, non sembrano tuttavia stravolgere il 292
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quadro di uniformità e si devono intendere piuttosto come tendenze generali. La distribuzione dei mulini a mortaio all’interno di contesti datati tra il tardo Neolitico ed il Calcolitico vede già la diffusione dei tipi principali A e B (a Tell Kurdu e Çatalhöyük e poi a Mersin, Yabrud, Tell Beydar III, Güvercinkayasi) accanto al mulino a mortaio di dimensioni ridotte del tipo D (documentato a Mersin). La condizione è analoga nei contesti del Bronzo Antico, dove, con maggiori documenti a disposizione, si può stabilire la diffusione contemporanea dagli stessi siti dei tipi A, B (Tell Karrana, Tell Brak, Tell Barri, Tell Melebiya, Tell Shiukh Fawqani, Kurban, Korucutepe) accanto al tipo C (documentato con i tipi A e B almeno a Tell Brak) ed al tipo D, di piccole dimensioni (noto almeno Tell Barri con i tipi A e B, e ad Arad). Gli stessi tipi risultano contemporaneamente diffusi fra il Bronzo Medio ed il Bronzo Tardo (a Tell Jessary, Tell Barri, Korucutepe). A Tell Barri dai livelli del Bronzo Medio I, attraverso i livelli del Bronzo Medio II dell’insediamento di epoca paleobabilonese amorrea e poi fino ai livelli del Bronzo Tardo di periodo mitannico, sembra prevalere all’interno del lotto dei mulini a mortaio il tipo B, che arriva durante il periodo mitannico a rappresentare il 68% del totale dei mulini a mortaio nel sito. La condizione apparentemente muta con l’inizio dell’Età del Ferro e dai livelli del Ferro Antico relativi all’insediamento di periodo maedioassiro risultano maggorimente attestati esempi di mulino a mortaio A, con mortai a vasca bassa, già al 50% all’interno del lotto. Questa crescita percentuale si accompagna all’aumento dei mulini a mortaio prima del tipo E e poi del tipo F, con mortai su tre o quattro piedi. Queste due tendenza parallele si possono riscontrare anche altrove (ad esempio a Tille, a Tell Zubeidi e in certo modo anche a Gezer) e sono costanti durante tutta l’Età del Ferro II e III. A Tell Barri infatti, nei livelli dei Ferro II e III dell’insediamento di epoca neoassira e poi post-assira, neobabilonese ed achemenide, rimane costantemente maggioritario il mulino a mortaio del tipo A, seppure si ridimensionano le percentuali della sua attestazione (che scendono intorno al 30 %). Aumenta la presenza dei tipi E ed F, a tre o quattro piedi, che si lega alla diffusione dei mortai teriomorfi e delle mixing-bowls in questo stesso periodo, come vedremo. Una simile distribuzione, che si potrebbe anche collegare anche ad una sensibile modifica del regime di dieta durante il Ferro I e poi nei secoli dell’Età neoassira e neobabilonese, per quanto soltanto in via ipotetica, trova conferma dalla diffusione dei tipi di mulini a mortaio in siti contemporanei (soprattutto a Nimrud, Tell Halaf e Tell Ahmar).
Si veda in maggiore dettaglio la sezione qui dedicata alle mixing-bowls ed ai mortai configurati, alla fine di questo capitolo. L’impiego dei mulini a mortaio dei tipi E ed F, con mortai su tre o quattro piedi, all’interno di contesti domestici è tuttavia possibile e, come si è visto, documentata. Non si tratta perciò di una destinazione esclusiva, ma piuttosto di una preferenza generale, né del resto è possibile stabilire con certezza se nei casi in cui si trovino mulini a mortaio di questi tipi all’interno di strutture abitative più modeste, questi possano esser stati qui installati secondariamente. La presenza di installazioni fisse, ad esempio con mulini a mortaio di questi tipi, incassati nel piano pavimentale, sembrano suggerire un impiego secondario, sulla scorta delle considerazioni sulla trasportabilità che si sono qui proposte.
9. ALTRI MULINI E MIXING BOWLS Ai cinque tipi di mulino che abbiamo sin qui distinto e analizzato singolarmente, si deve aggiungere una piccola serie di manufatti in pietra levigata di natura differente ma in certo modo affini o più in generale riconducibili al
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III. I MULINI del genere. Da questo deriva, come è facile intendere, una diversa destinazione dei due strumenti, dei quali soltanto i primi possono essere impiegati come elementi giacenti di un mulino (il mulino a mortaio appunto). Rimane dunque da stabilire la funzione delle ciotole, l’ambito cui riferire il loro impiego. A questo scopo può risultare utile ancora il confronto con i mortai. Se delle due azioni principali con cui si può descrivere ogni attività molitoria, il pounding e il rubbing, la prima, caratteristica dei mulini a mortaio, è da escludere, possiamo ipotizzare che le ciotole in pietra possano essere impiegate per il rubbing. Questa ipotesi appare plausibile, né di per sé esclude la possibilità che in altro modo le ciotole in pietra potessero essere impiegate come semplici contenitori294. È possibile dunque che queste ciotole fossero utilizzate come mixing bowls - secondo una definizione molto efficace introdotta da Moritz (Moritz 1954: 22-23) e che qui vogliamo recuperare - con scopi diversi ma essenzialmente legati alla preparazione dei cibi, alla lavorazione di piccole quantità di ingredienti in un processo di più ampio. D’altra parte per tutta l’epoca classica una distinzione del genere è ben presente e si riscontra nei differenti termini impiegati per descrivere le diverse funzioni assolte dagli strumenti in questione. Tali definizioni sono ben discusse dal Moritz che distingue mortarium, corrispondente a θνεια e ιγδισ, da pila, che corrisponde invece ad ολµοσ, i primi ad indicare le mixing-bowls i secondi propriamente i mortai295.
complesso dello strumentario per la macinazione. Su questi ci soffermiamo qui in conclusione. Si tratta di casi per i quali non è possibile stabilire l’appartenenza ad uno dei mulini che abbiamo descritto nei paragrafi precedenti, gli strumenti compositi o dei quali è difficilmente ricostruibile la funzionalità ed infine i casi minori, per così dire, ovvero circoscritti ad una diffusione geografica o cronologica ridotta. Per quanto numericamente e diffusamente meno consistenti rispetto agli esempi degli altri mulini in pietra distinti in questo studio, questi casi suscitano tuttavia osservazioni e rilievi interessanti sotto differenti punti di vista. Possono infatti di volta in volta indicare i caratteri di singole produzioni, particolarmente caratteristiche, e quindi contribuire a definire il contesto della produzione materiale di un’area specifica o, in altro senso, individuare un ambito di attività connesso e per vie diverse correlato alla macinazione, ed in ogni caso infine rivelano eventuali variazioni o interpretazioni tecnologiche particolari dei modelli principali, costituiti dai mulini in pietra che si sono sin qui isolati. I due gruppi più consistenti di strumenti ai quali si deve fare riferimento e che è bene distinguere da subito sono le ciotole in pietra, o mixing bowls, da un lato, i vari mortai “anomali”, dall’altro. Entrambi i gruppi, come ben si comprende e si vedrà nello specifico, sono tipologicamente affini al mulino a mortaio, del quale si devono a giusta ragione considerare variazioni morfologiche e, in seconda analisi, funzionali. Le ciotole in pietra sono infatti, dal punto di vista morfologico, una delle due serie della famiglia dei recipienti accanto ai mortai propriamente detti, e di questi condividono i caratteri formali di base. La loro funzione, come vedremo, è tuttavia in reealtà ambigua, seppure è chiaro che le si debba avvicinare in certo qual modo all’ambito dei mulini a mortaio. I cosiddetti mortai anomali sono invece tutti quei mortai configurati o diversamente decorati, su quattro piedi o altri supporti diversi dalla norma diffusa. Si tratta quindi di casi morfologicamente assimilabili in modo proprio ai mortai impiegati nei mulini a mortaio descritti nel paragrafo precedente; si ritiene utile tuttavia tenerli distinti e riservare loro una trattazione specifica a motivo dei loro caratteri peculiari e per le sfumature funzionali che se ne possono dedurre.
I precedenti dell’Età del Bronzo Antico e la diffusione delle mixing-bowls fra l’Età del Bronzo Medio ed il Ferro Antico (MBA II- IA I). Ciotole in pietra o mixing-bowls sono note, seppure sporadicamente, almeno dalla Età del Bronzo Antico, e poi con maggior frequenza dal Bronzo Medio e Tardo, in tutta l’area del Vicino Oriente e del bacino orientalle del Mediterraneo.
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9.1. LE CIOTOLE IN PIETRA O MIXING BOWLS È possibile distinguere, come si è visto, le ciotole per via morfologica come una serie all’interno della famiglia dei recipienti. Le ciotole condividono con la serie parallela dei mortai il carattere generale dei recipienti ovvero la presenza di una vasca, di uno spazio vuoto delimitato da pareti, e dai mortai si distinguono invece per il differente spessore della parete, proporzionalmente più sottile. Questo elemento fondamentale di distinzione fra le due serie trova sul piano dell’interpretazione funzionale una immediata applicabilità. Si possono infatti così separare in linea di massima recipienti a parete spessa, strutturalmente capaci di sostenere ripetute percussioni, da recipienti a parete sottile, non adatti per un operazione
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Si è in questo senso portati a ritenere che la preziosità della fattura o della pietra utilizzata possano essere fattori determinanti per stabilire se un recipiente possa essere considerato un contenitore per una qualche sostanza preziosa e rara (gli alabastri utilizzati per gli unguentari, le pietre decorate per le pissidi e altri esempi noti). Una ciotola in basalto o in calcare di fattura non particolare induce ad immaginare una qualche più funzionale destinazione. A riprova di questa distinzione il Moritz riporta la frequente menzione del pestello, pilum o υπεροσ, in associazione con la seconda serie, pila e ολµοσ. I due termini dunque indicano i due elementi del mulino a mortaio e un esempio si trova in Cat. Agr. 10. 5. I termini per pestello non compaiono invece mai in associazione con la prima serie che dunque indica le mixing-bowls, e quindi in definitiva the mortarium was, paradoxally enough, not a mortar (Moritz 1954: 22).
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico Un esempio precoce di attestazione proviene dallo scavo dei livelli relativi all’insediamento del Bronzo Antico di Arad, nella valle del Negev (Amiran 1978). Da questo sito infatti, oltre al ricco lotto costituito da 25 mortai per mulino a mortaio, di cui la grande maggioranza provenienti dagli strati I-III databili al Early Bronze Age II, ed in misura minore dallo strato IV, attribuito alla latter part of EB I (Amiran 1978: 58), si trovano due esempi probabilmente riconducibili a mixingbowls, provenienti dallo strato II e datati perciò al Bronzo Antico II. Si tratta di quattro ciotole frammentarie, di cui si conserva soltanto la base oppure l’orlo e una porzione minima della parete, in pietra calcarea, vasca verisimilmente media e a corpo tendenzialmente sferoide, affini al tipo II.A.1a (Amiran 1978: Pl. 77: 1-4) (TAV. 142: 1-4). La presenza di queste due ciotole, seppure frammentarie, è tuttavia particolarmente indicativa se consideriamo in modo più ampio il contesto della produzione dei recipienti in pietra in questa regione. In tutta l’area del Levante meridionale è infatti nota e ben documentata una ricca produzione di basalt bowls decorate, a partire almeno dal Calcolitico finale e poi per tutto il Bronzo Antico I e II (Amiran, Porat 1984). Questa produzione, per l’importanza e la peculiarità che rappresenta, è stata oggetto di alcuni studi specifici che hanno permesso, sulla base dell’analisi materiale della provenienza della pietra, da un lato, e sulla base dell’analisi formale e sullo studio dei contesti della diffusione, dall’altro, di stabilire facilmente che si tratta di una classe di materiali di pregio (Amiran, Porat 1984; Williams-Thorpe, Thorpe 1993; Philip, Williams-Thorpe 1993; Philip, Williams-Thorpe 2000). Alle basalt bowls del Levante, per quanto ampiamente diffuse, viene dunque attribuito un valore distintivo, è certo che la loro produzione non è volta a soddisfare esigenze locali ma è realizzata secondo un processo organizzato (scelta del basalto ritenuto migliore e dalla stessa fonte, lavorazione accurata) e viene destinata allo scambio, all’interno di un contesto di pregio, nel quale non veniva loro attribuito un valore funzionale296. Se analizzata all’interno di questo quadro dunque, la presenza delle ciotole in pietra calcarea da Arad, nello stesso periodo della produzione delle basalt bowls e al centro di questo sistema di scambi regionali, indica evidentemente un contesto di diversa natura. È ovvio pensare che si tratti in questo caso piuttosto di una produzione locale, come indica di per sé anche la sola pietra scelta, ovvero il calcare di approvvigionamento locale, che dunque dovesse essere destinata ad esigenze più ristrette ed immediate; il contesto domestico da cui provengono le ciotole sembrerebbe offrire una ulteriore conferma di questa interpretazione. In questo senso, e l’esempio di Arad è in 296
questo particolarmente significativo, è possibile distinguere la produzione di queste ciotole ed identificarle come mixing-bowls Si può così impiegare poi questa categoria per indicare recipienti di tipi morfologicamente differenti ma che, seppure in contesti differenti (essenzialmente domestici, per quanto si possano trovare mixing-bowls, come vedremo, anche in contesti di palazzo o templari), venivano in ogni caso impiegati con funzioni analoghe297. Si tratta comunemente di ciotole in pietra basaltica, seppure si trovino esempi realizzati con pietre differenti su cui sarà bene tuttavia tornare nel caso specifico; per quanto riguarda l’aspetto morfologico, sono ciotole prevalentemente a vasca bassa e corpo sferoide che possono presentare tuttavia basi differenti, semplici appiattite, ad anello rilevato, a disco rilevato e pieno, o in altri casi possono essere tripodate, su piedistallo o alto piede. Si può registrare un consistente aumento nella produzione di questi tipi in generale durante i secoli iniziali del I Millennio, secondo una progressione costante che interessa poi soprattutto alcuni tipi specifici, la cui produzione molto diffusa e capillare soprattutto fra l’VIII secolo ed il VI a.C., rappresenta un carattere peculiare su cui ci soffermeremo. Su questo aspetto si tornerà qui di seguito, presentando i caratteri di questa produzione e tratteggiandone il perimetro di diffusione. È bene tuttavia procedere con ordine presentando gli esempi precedenti all’Età del Ferro. I tipi più comuni di mixing-bowls durante la Media e Tarda Età del Bronzo sono senza dubbio le ciotole tripodate in pietra basaltica. Questi tipi presentano un’ampia diffusione per tutto il periodo in questione ed esempi se ne trovano dall’area mesopotamica settentrionale fino al Levante meridionale. Alcuni esempi interessanti si trovano fra i materiali recuperati all’interno del cosiddetto hoard of cultic objects, conservato in una camera ricavata nella roccia al di sotto del Tempio sull’acropoli di Beirut, messo in luce nella parte nordoccidentale del tell e datato plausibilmente al Bronzo Medio II o al principio del Bronzo Tardo I. Dall’ hoard of cultic objects provengono infatti 4 basalt tripod bowls, una ciotola ed un macinello in basalto (Badre 2000: 45, fig. 3: 4-7, 11). Dei tripod bowls tre sono ciotole, ovvero mixing-bowls, a vasca bassa e a vasca media affini ai nostri tipi tripodati I.D.1 o II.D.1, il quarto è invece, come abbiamo visto, un mortaio tripodato del tipo I.D.1c, nella cui vasca è stato ritrovato, insieme ad altri materiali, un piccolo macinello a profilo di basso tronco di cono, del tipo I.4a, e dunque nel complesso di un mulino a mortaio con mortaio tripode, del tipo E (TAV. 142: 5-9). È qui interessante tuttavia notare che dallo stesso contesto dei materiali all’interno dell’ hoard of cultic objects proviene anche una ciotola in basalto a vasca bassa e base a disco rilevato e pieno, del tipo I.B.1. Evidentemente si da qui il caso dell’associazione nello stesso contesto di
Oggetti del genere non venivano impiegati in alcun modo, se non come contenitori. Si veda in maggior dettaglio la sezione qui dedicata alla materia prima per un’analisi più puntuale della pietra impiegata in questa produzione ed i sistemi di approvvigionamento, di lavorazione e quindi di produzione delle basalt bowls nell’area del Levante meridionale.
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Le mixing-bowls sono dunque recipienti cui è demandato un impiego funzionale, e si distinguono quindi dai recipienti impiegati unicamente come contenitori.
III. I MULINI diversi tipi di mixing-bowls; questo dato è importante per poter ipotizzare la produzione contemporanea di tipi differenti di mixing-bowls. Nell’area mesopotamica settentrionale un lotto interessante di mixing-bowls proviene da Tell Barri, nel bacino settentrionale del Habur. Dai livelli del Bronzo Medio II e del Bronzo Tardo dell’Area G, relativi alla sequenza di occupazione dell’insediamento durante il periodo paleobabilonese e mitannico, provengono infatti 10 ciotole in maggioranza realizzate in pietra basaltica a struttura compatta ed interpretabili come mixing-bowls298. Nel complesso anche in questo caso i più diffusi risultano essere i tipi tripodati (TAV. 143-144). In particolare, fra le 3 ciotole provenienti dagli strati 2931A, datati al periodo paleobabilonese amorreo, due sono tripodate. La E.1625 è del tipo a vasca media e tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio isoscele (tipo II.D. 1b), la E.1804 è del tipo a vasca media e tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio rettangolo (tipo II.D. 1c)299. Oltre a queste dal contemporaneo strato 31A proviene l’unico altro esempio di mixing-bowl databile al Bronzo Medio II. Si tratta della ciotola E.1894 in basalto del tipo a vasca bassa e base ad anello rilevato (tipo I.B. 1a). Sono più numerosi gli esempi che provengono dai livelli del Bronzo Tardo, relativi all’occupazione del sito durante il periodo mitannico. Si tratta di 7 ciotole, di cui anche in questo caso la maggioranza è costitiuta da tipi tripodati (4 esempi: l’E.1188, E.1189, E. 1320, E. 4946). Fra questi sono documentati i tipi a vasca bassa e a vasca media, sempre con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio isoscele (tipi I.D. 1a; II.D. 1b) (TAV. 143-144). Fra le altre 3 ciotole provenienti dai livelli mitannici si trovano due esempi frammentari a vasca bassa e base semplice, uno in pietra calcarea (E.1190) ed uno in basalto compatto (E.5292), del tipo I.A. 1a; il terzo (E.5291) in basalto è invece affine al tipo I.C. 1g e presenta base a basso anello rilevato con orlo appuntito ed una scanalatura sottostante piuttosto anomala, che non trova diretti confronti (TAV. 143-144). Il caso anomalo di un recipiente, o meglio di una ciotola in pietra basaltica è compreso anche nel grinding equipment dei livelli mitannici messi in luce dallo scavo dell’Area HH al centro del monticolo settentrionale di Tell Brak. (McDonald 1997: 109; Fig. 141; Fig. 230: 122). Questa è stata rinvenuta sul pavimento più recente della grande Room 11 del palazzo mitannico, e dunque si 298
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deve attribuire al livello 2 relativo all’ultima fase di occupazione del palazzo prima della distruzione definitiva in epoca medioassira. Si tratta di un large plate, ovvero di vassoio o piatto di rilevanti dimensioni, 35,5 x 11 cm., che presenta una bassa base ad anello rilevato ed un orlo appiattito leggermente ingrossato sull’interno, affine morfologicamente alle ciotole a vasca bassa, base ad anello e parete liscia del tipo I.B. 1a (TAV. 145:8). Considerando il contesto particolare del rinvenimento, ma soprattutto le dimensioni sensibilmente maggiori rispetto allo standard, è in dubbio si tratti di una mixing-bowl, seppure ad un’ipotesi del genere non si presenta al momento una valida alternativa. Un caso è documentato fra i materiali che provengono dallo scavo di Korucutepe, nell’area dell’alto Eufrate anatolico. Si tratta qui di una basalt tripod bowl, che proviene dal deposito di materiali rinvenuto nell’area del varco meridionale delle mura, in un livello datato al Bronzo Medio II (Fase H) (van Loon 1980: 137-138). Sotto l’aspetto tipologico si tratta di una ciotola tripodata in basalto a vasca media affine al nostro tipo II.D. 1A, con tre piedi impostati esternamente a sezione rettangolare (TAV. 145: 1). Un esempio di ciotola in pietra basaltica proviene anche da Tille Höyük, dallo scavo dei livelli di transizione fra il Bronzo Tardo e la prima Età del Ferro (Summers 1993: 54)300. Si tratta di un esemplare frammentario che è stato rinvenuto nel riempimento del livello 5 e che non è possibile datare con certezza (Summers 1993: 152). Dal punto di vista morfologico si tratta di una ciotola a vasca bassa, con base ad anello rilevato e parete liscia, affine perciò al nostro tipo I.C. 1a (Summers 1993: Fig. 71: 5) (TAV. 145: 9). Due soli esempi provengono anche da Tell Barri, dai livelli del Bronzo Tardo e del Ferro Antico, relativi all’insediamento del periodo medioassiro dell’Area G (TAV. 143), ed indicano rispetto al periodo mitannico una generale flessione di questa produzione nel sito, che riprenderà con altra spinta e differente natura soltanto in seguito, con la crescita caratteristica dei secoli finali del periodo neoassiro e dell’epoca post-assira, come abbiamo accennato e vedremo di seguito in dettaglio. Per quanto riguarda il periodo mediassiro in generale si può riferirsi soltanto alle due ciotole in pietra basaltica a struttura compatta, E.250 e l’E.252, assimilabili entrambi al tipo I.A. 1a, a vasca bassa e base semplice. Una condizione analoga di distribuzione è documentata ad Assur dove, a fronte di una massiccia diffusione di ciotole in basalto di tipi e varianti standard dai livelli neossiri, si registrano pochi esempi precedenti che provengono dal quartiere settentrionale di Assur e,
È significativo notare che nessun esempio di mixingbowl proviene dai precedenti livelli del Bronzo Antico e del Bronzo Medio I dell’Area G, relativi alla sequenza di occupazione dell’insediamento fra l’ED II ed il periodo accadico, Ur III ed Isin-Larsa. La ciotola tripodata E.1804 è stata rinvenuta incassata nel pavimento esterno 531 dello strato 30. il pavimento è realizzato con lastre frammentarie di pietra, fra cui una macina attiva frammentaria per mulino a macina semplice (E.1807) (Pecorella 1996: 23-24). Si tratta di un caso molto rari in cui si possa riconoscere il reimpiego di un recipiente in pietra come materiale per la costruzione di un piano pavimentale esterno,
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Qualche incertezza di attribuzione sollevano invece le contemporanee basalt tripod bowls che provengono da Tille (Summers 1993: Fig. 71). Seppure morfologicamente si tratti nella maggioranza dei casi di ciotole, i rapporti dimensionali sono in molti casi sul limite fra la definizione dei mortai e delle ciotole. Questo aspetto, ed inoltre l’assenza di altri mortai nel lotto dei manufatti in pietra levigata da Tille, ha fatto propendere, con qualche forzatura a trattare unitariamente l’intero lotto fra i mulini a mortaio. Per cui si veda diffusamente sopra.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico seppure in alcuni casi si trovino negli strati di riempimento delle ricostruzioni del IX-VIII secolo a.C. al di sopra delle rovine dei Neuen Palastes di TukultiNinurta I, sono generalmente attribuibili al periodo medioassiro (Miglus 1996: 89). Questi esempi sono stati recentemente ripubblicati da Peter Miglus (Miglus 1996: 89; Taf.58-60), che segnala almeno due casi interessanti. Si tratta di due ciotole realizzate in basalto o in pietra nerastra di differente natura che si presentano entrambe a vasca bassa e hanno base semplice arrotondata (Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 10763) o base ad anello (Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 8223). L’esempio Ass. 10763, con base semplice arrotondata è di dimensioni sensibilmente maggiori e presenta un orlo appiattito ed una sorta di carenatura molto evidente sulla parte alta della parete. Si tratta di un tipo piuttosto anomalo, che tuttavia trova almeno un confronto ad Assur durante il periodo neoassiro (Miglus 1996: Taf. 58: Ass. 10539) (TAV. 145: 10-12).
seppure non è dato di sapere se la costolatura sia associata ad una variante specifica di base o sia piuttosto presente con basi diverse. L’esempio riportato, e così il disegno indicativo (Trokay 2000: Fig. 1: 2.1.1.2d; Fig. 7), presentano il tipo à decor cordé associato a ciotole con base ad anello rilevato, anche se questo non esclude naturalmente casi differenti di associazione. Nel complesso quindi a Tell Ahmar sono documentati e ben diffusi esempi riferibili a mixing-bowls, ed in particolare ciotole a vasca bassa, con base semplice e parete liscia (del tipo I.A. 1a) (Trokay 2000: Fig. 1: 2.1.1.2a), con base a disco rilevato e parete liscia (del tipo I.C. 1a) (Trokay 2000: Fig. 1: 2.1.1.2c), e tipi con base ad anello che presentano parete liscia (del tipo I.B. 1a) (Trokay 2000: Fig. 1: 2.1.1.2b) o cordonatura continua o interrotta al di sotto dell’orlo (tipi I.B. 1c e I.B. 1e) (Trokay 2000: Fig. 1: 2.1.1.2d; Fig. 7)302. Esempi analoghi sono stati recuperati durante la ricognizione condotta da Green e Hausleiter, nell’area della città bassa di Tell Ahmar. Si tratta in questo caso di una ciotola in basalto del tipo a vasca bassa, base ad anello rilevato e scanalatura sotto l’orlo (tipo I.B. 1g) e di una ciotola analoga con base ad anello rilevato, cordonatura continua sotto l’orlo e solcature sulla parete (tipo I.B. 1d) (Green e Hausleiter 2001: 105, fig. 4). Un lotto di ciotole in pietra affini proviene anche dai livelli dell’Età del Ferro di ‘Ain Dara, nell’alta valle dell’Afrin, in Siria nord-occidentale, e sono stati recuperati durante la ricognizione di superficie e il piccolo sondaggio nell’area della città bassa. (Stone, Zimansky 1999). Dai livelli più recenti del sondaggio che corrispondono alle Phases III-I datate all’inizio del Ferro III, ovvero al VII secolo iniziale, provengono due ciotole in pietra basaltica compatta. La prima è a profilo continuo e si presenta con vasca bassa e base a disco rilevato e pieno, ed è caratterizzata dalla nota decorazione a cordonatura interrotta sotto l’orlo (del tipo ciotola I.C. 1d) (Stone, Zimansky 1999: 84, Fig. 90: 10) (TAV. 147: 1), la seconda è invece frammentaria e si conserva soltanto una porzione della base ad anello rilevato (si può pensare si tratti di una ciotola del tipo I.B. 1a) (Stone, Zimansky 1999: 103). Esempi del tutto analoghi provengono da Sultantepe e sono stati recuperati dallo scavo turco e britannico diretto da Gökçe e Seton Lloyd nei primi anni ’50 (Lloyd, Gökçe 1953). Un lotto di almeno 11 ciotole in pietra basaltica sono state qui rinvenute all’interno dello stesso vano, il piccolo ambiente C2 all’interno del maggiore complesso C messo in luce sull’acropoli (Lloyd, Gökçe 1953: 32-33; Fig. 3; Pl. I: 1). All’interno di questo lotto sono documentati i tipi con base ad anello rilevato, a parete liscia (del tipo I.B. 1a) (Lloyd, Gökçe 1953: Fig. 7: 42) e numerose varianti del tipo con base a disco rilevato e pieno, a parete liscia (del tipo I.C. 1a) (Lloyd, Gökçe 1953: Fig. 7: 42) e con
La produzione delle mixing-bowls durante l’Età del Ferro (IA II-III) La produzione dei diversi tipi di mixing-bowls aumenta sensibilmente, come abbiamo anticipato, durante l’Età del Ferro II e III ed in particolare nell’arco compreso fra l’inizio dell’VIII secolo e la fine del VI a.C., ovvero durante l’epoca assira imperiale e nel periodo post-assiro neobabilonese. Questa produzione si presenta effettivamente caratterizzante al punto che ne troviamo testimonianza nei repertori dei principali siti in un’ampia area che comprende la Mesopotamia meridionale, l’area mesopotamica settentrionale, il Levante siro-palestinese, fino all’Anatolia centrale301. I tipi diffusi sono principalmente rappresentati da ciotole in basalto a vasca bassa, con basi semplici, ad anello o a disco rilevato, che si presentano a parete liscia o in molti casi caratterizzati da solcature o costolature, continue o interrotte, sulla parete esterna. I tipi tripodati, che pure non scompaiono, presentano nel complesso attestazioni di frequenza inferiori. In Mesopotamia settentrionale questa produzione è ben nota a Tell Ahmar, fra i materiali che provengono dallo scavo degli edifici C1 e C2 nella città bassa (Bunnens 1997: 18-22; Trokay 2000: 1665-1673) (TAV. 146). Nella classificazione proposta dalla Trokay infatti, all’interno della serie dei mortiers ronds, è possibile isolare un gruppo di mortiers ronds communs, realizzati in pietra basaltica a struttura compatta, i cui caratteri morfologici sono affini a quelli delle ciotole. Al di là della definizione, infatti, si tratta di recipienti di medie dimensioni (il diametro è sempre di circa 20 cm. e l’altezza compresa fra i 6 gli 8 cm.) (Trokay 2000: 1669) a parete sottile di cui sono documentati 4 tipi (à fond plat, à fond annelé, à fond discoide, à décor cordé). Il tipo à decor cordé è presente in due varianti a cordone continuo o interrotto (un cordon en relief interrompu), 301
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Per un’analisi preliminare di questa produzione si veda in generale Bombardieri 2003 e 2004a.
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Oltre a questi tipi comuni si possono assimilare alle mixing-bowls anche i tipi à piédestal (ad apertura circolare o rettangolare) (Trokay 2000: Fig. 1: 2.1.1.3a, 2.1.1.2a; Fig. 8), che si deve immaginare rappresentino tuttavia casi poco diffusi.
III. I MULINI cordonatura continua o interrotta sotto l’orlo (dei tipo I.C. 1b, I.C. 1d) (Lloyd, Gökçe 1953: Fig. 7: 42, 43)303 (TAV. 147: 2-3). Recipienti simili ed affini alle mixing-bowls provengono dalla ricognizione condotta nei primi anni ’90 nell’ambito del progetto West Jazireh Survey (Einwag 1993: 23-43) che ha interessato l’area compresa fra il corso del Balikh ad Est ed il corso superiore dell’Eufrate. In particolare dall’area circostante Tell Karus, a Nord Est di Tell Ahmar (Einwag 2000: 317, Abb. 9), provengono due esempi frammentari, possibilmente a base semplice, che presentano in un caso cordonatura continua (e sono dunque affini al tipo I.A. 1b) (Einwag 2000: 317, Abb. 9: 1) ed in un altro cordonatura interrotta (del tipo I.A. 1d) (Einwag 2000: 317, Abb. 9: 3) (TAV. 147: 4-5). Un lotto consistente di ciotole in pietra assimilabili alle mixing-bowls è noto anche da Tell Halaf e corrisponde principalmente al primo gruppo degli Steingefässe, classificati da Hrouda (Hrouda 1962: 66-67) (TAV. 147: 6-9). Sono qui documentate ciotole in pietra basaltica a struttura compatta o minimamente vacuolare, che presentano i diversi caratteri morfologici già notati fra le mixing-bowls di Tell Ahmar. Sono infatti diffusi tipi a vasca bassa che possono presentare base semplice e parete liscia (del tipo I.A. 1a) (Horuda 1962: Taf. 51: 4). In un caso un tipo del genere presenta un foro passante praticato sulla parete (Horuda 1962: 67; Taf. 51: 7), probabilmente secondario tuttavia.Altri esempi di recipienti in pietra basaltica sono rappresentati dalle ciotole a vasca bassa, base semplice, caratterizzate dalla presenza della nota cordonatura continua, associata in questo caso ad una o due solcature longitudinali sulla parete (del tipo I.A. 1c) (Horuda 1962: Taf. 51: 36). Ciotole analoghe presentano costolatura interrotta al di sotto dell’orlo (del tipo I.A. 1d) (Horuda 1962: Taf. 51: 3). Sono inoltre documentati casi di ciotole a vasca bassa e con base a disco rilevato e pieno, caratterizzate dalla presenza della medesima decorazione cordonata, a cordone continuo in questo caso (del tipo I.C. 1b) (Horuda 1962: Taf. 51: 2), o con solcatura sull’orlo (del tipo I.C. 1f) (Horuda 1962: Taf. 52: 34). Accanto a questi tipi standard si segnalano tuttavia alcuni esempi con piede a profilo troncoconico (Horuda 1962: Taf. 52: 78), analoghi ai mortiers ronds à piédestal di Tell Ahmar. Altri casi sono invece caratterizzati da una decorazione più complessa, che può presentarsi come una serie di solcature verticali sulla parete realizzate in modo da formare una sintassi a linguette, o un Zugngenornament, che trova confronti soprattutto nella contemporanea produzione di recipienti in metallo (Hrouda 1962: 67; Taf. 51: 1, 28, 29). In altri due singoli casi la decorazione è riservata alla base, che si presenta ad anello rilevato ed ospita al centro
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dell’anello un motivo a rosetta ad 8 o 12 petali, realizzati ad incisione o a rilevo (Horuda 1962: Taf. 52: 96, 97). Un caso del tutto analogo proviene da Nimrud ed è stato recuperato durante la Survey condotta dalla Missione italiana304. Da Tell Halaf provengono inoltre anche alcune ciotole a vasca bassa e a vasca media tripodate. Fra queste, la cui frequenza rimane inferiore rispetto alle altre ciotole, sono documentati almeno esempi a vasca bassa e tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio isoscele (del tipo I.D. 1a) (Horuda 1962: Taf. 53: 116) ed esempi a vasca media con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio rettangolo (del tipo II.D. 1c) (Hrouda 1962: Taf. 53: 118). Nell’area del Habur, in particolare, la produzione di mixing-bowls e fra queste dei tipi in basalto a vasca bassa, nelle comuni varianti caratterizzate dalla presenza di cordonatura continua o interrotta sotto l’orlo e solcature sulla parete, è documentata a Tell Sheikh Hamad, in particolare fra i materiali provenienti dalla Casa Rossa di epoca post-assira305. Un lotto consistente di ciotole in pietra basaltica, come abbiamo anticipato, proviene anche da Tell Barri. Nel complesso gli esempi di Tell Barri provengono dai livelli neoassiri e postassiri dell’Area G, sul pendio sudorientale del tell, e dell’Area J in corrispondenza dell’area ad occidente del monticolo occupata originariamente dal palazzo attribuito al sovrano TukultiNinurta II306 (TAV. 148-150). In maggioranza le ciotole in basalto provengono dagli strati 17-22 della sequenza dell’Area G e dai contemporanei strati 9-13 dell’Area J, datati al VII-VI secolo a.C., con l’eccezione di un solo esempio dallo strato 26 dell’Area G datato al secolo VIII a.C. e altri due rinvenuti fuori contesto dai più recenti strati 12 e 14 dell’Area G, e dunque sono da attribuire ad un arco che copre l’ultima fase del periodo neoassiro imperiale ed il successivo passaggio dell’insediamento sotto amministrazione neobabilonese caldea (Pecorella, Pierobon-Benoit 2004: 79-101). Si tratta nel complesso di un lotto di 24 ciotole, frammentarie o a profilo completo, di norma in pietra basaltica a struttura compatta o minimamente vacuolare e a toni grigio-nerastri. Sono soltanto due i casi in cui per queste ciotole è impiegata una pietra differente: per la ciotola E. 5170, che proviene dallo strato 13 dell’Area J e dunque dal riempimento del crollo delle strutture pertinenti al palazzo neoassiro, è utilizzato un basalto a struttura molto compatta e a toni cromatici grigio chiari; per la ciotola E. 4901, morfologicamente analoga, è 304 305
In realtà nel disegno non è resa la cordonatura, che è pensabile possa essere, come di norma, continua o interrotta. In un caso almeno la base è costituita da un alto piede, che rende questo esempio simile al gruppo à piédestal (ad apertura circolare) di Tell Ahmar (Trokay 2000: Fig. 1: 2.1.1.3a, 2.1.1.2a; Fig. 8),
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Si veda qui di seguito in maggior dettaglio. Ringrazio Janosha Kreppner, che mi ha segnalato per lettera alcuni casi, ancora inediti, di ciotole in basalto di questi tipi, che provengono da Tell Shiekh Hamad. Sulla Red House ed i problemi connessi alla sequenza del periodo tardo assiro e neobabilonese a Tell Shiekh Hamad e nell’area del Habur, si veda in particolare Kreppner 2006; 2008; Kühne 1998; 2002; Pecorella 2006, Bombardieri 2005. Su questo periodo della sequenza di occupazione a Tell Barri si veda in particolare Pecorella 1996; 1997; 1998: 17; Pecorella, Pierobon Benoit 2004: 79-101.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico invece utilizzata un calcare nerastro a struttura altrettanto compatta307. Per quanto riguarda la tipologia delle forme, a Tell Barri sono documentati numerose varianti dei tipi standard di ciotole a vasca bassa, che abbiamo visto da Tell Ahmar e Tell Halaf. In particolare 4 ciotole a vasca bassa, base semplice e parete liscia (del tipo I.A. 1a) (E.1611, E.1911, E. 2073, E. 2075), 2 esempi con cordonatura continua sotto l’orlo (del tipo I.A. 1b) (E. 1776, E.4901), 1 esempio con cordonatura sotto l’orlo e solcature sulla parete (del tipo I.A. 1c) (E.1513), 1 esempio con cordonatura interrotta sotto l’orlo (del tipo I.A. 1d) (E. 2050), 3 esempi con solcatura sull’orlo (del tipo I.A. 1e) (E.894, E.1378, E.2234) ed 1 esempio con solcatura sotto l’orlo (del tipo I.A. 1f) (E. 2578). Un numero analogo di ciotole presenta invece vasca bassa, base ad anello rilevato. Fra queste sono documentati tipi semplici con parete liscia (tipo I.B. 1a) (E.2239, E.2179, E.2213, E.2237, E.2290, E.2329)308, tipi con cordonatura continua al di sotto dell’orlo e solcature sulla parete (tipo I.B. 1d) (E.2032) e tipi con cordonatura interrotta sotto l’orlo e solcature sulla parete (tipo I.B. 1f) (E.2715, E. 5170). Meno frequenti sono le ciotole a vasca bassa della classe con base a disco rilevato e pieno, di cui sono stati rinvenuti soltanto due esempi entrambi molto frammentari e del tipo con parete liscia (tipo I.C. 1a) (E.1321, E.2059). A fronte di questa ampia e ben documentata produzione di ciotole a base semplice, ad anello e disco rilevato, dagli stessi livelli proviene soltanto un esempio di ciotola tropodata, frammentario ed in realtà non riconducibile ad alcun tipo specifico. Si tratta della ciotola in pietra basaltica E.2535, di cui si conserva un piede e parte della vasca, che pur provenendo dallo strato 24 dell’Area G, da un contesto databile almeno alla fine dell’VIII secolo, potrebbe essere risalito e dover essere in realtà datato ad un periodo precedente309. Tre esempi di ciotole in pietra basaltica assimilabili alle mixing-bowls provengono anche da Khirbet Qasrij, nella regione di Eski Mosul, non lontano da Babneet. Lo scavo, come è noto, è stato condotto dal Museo Britannico, diretto da John Curtis e Dominique Collon (Curtis 1989), e ha permesso di portare alla luce un modesto insediamento, indagato soltanto parzialmente, il cui rilievo risiede tuttavia nell’aver fornito dati importanti 307
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sulla produzione materiale del periodo tardo assiro e postassiro, contribuendo così inizialmente al chiarimento delle produzioni di un periodo altrimenti poco indagato310 (TAV. 151: 1-3). Delle tre mixing-bowls provenienti da Khirbet Qasrij, due si presentano a vasca bassa ed entrambe presumibilmente a base semplice (Curtis 1989: Fig. 22: KQ 31, 35). La KQ 35, di cui in realtà la base è mancante, si presenta a parete liscia (del tipo semplice I.A. 1a), la KQ 31 è invece conservata in due frammenti che ne ricostruiscono il profilo continuo, e si presenta a base semplice appiattita, con una scanalatura sotto l’orlo (ed è dunque del tipo I.A. 1f). La terza ciotola che proviene da Khirbet Qasrij è invece tripodata, originariamente a vasca media, con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio isoscele (tipo II.D. 1b). Un lotto molto importante di mixing-bowls dei tipi standard sin qui descritti, proviene anche da Nimrud. Particolarmente interessante risulta infatti la collezione proveniente dalla survey e dai sondaggi italiani nell’area di Forte Salmanassar (Fiorina 2001; 2004; Fiorina et alii 2005). I lavori condotti dalla Missione italiana si sono infatti proposti il duplice obiettivo di un’indagine su media e larga scala, condotta attraverso una ricognizione di superficie che ha interessato una vasta area della città antica, e di un’indagine puntuale, su scala ridotta, che ha previsto lo scavo sistematico di tre importanti aree in prossimità del complesso del Forte Salmanassar. Lo scavo di queste tre aree A1, A2 ed A3, oltre all’ampliamento condotto nell’ala SW del Forte stesso, grazie all’analisi della produzione ceramica e dei materiali associati e allo studio della successione e dei caratteri dell’insediamento, ha consentito di recuperare dati molto importanti relativi alla sequenza di occupazione proprio durante il periodo neoassiro finale ed il successivo periodo post-assiro neobabilonese. La possibilità di recuperare materiali provenienti al tempo stesso da un vasta ricognizione di superficie nell’area urbana e dallo scavo di livelli databili ad un ristretto arco cronologico permette osservazioni interessanti in merito alla produzione e alla distribuzione delle mixing-bowls a Nimrud. Il lotto comprende complessivamente 22 ciotole, realizzate nella grande maggioranza in pietra basaltica a struttura compatta ovvero minimamente vacuolare. 6 sono gli esempi integri o a profilo continuo di cui è certa la tipologia, degli altri si conserva l’orlo e parte della parete o, in altri casi, la sola base, elementi questi che tuttavia, come sappiamo, permettono comunque di associarli ad alcuni tipi generici (TAV. 154-155). Nel complesso a Nimrud sono documentate numerose varianti dei noti tipi di mixing-bowls a vasca bassa. Fra queste si rilevano 2 esempi del tipo standard a base semplice e parete liscia (tipo I.A. 1a) (89 P 63, 89 P 69), 1 del tipo a base semplice, parete liscia e solcatura sull’orlo (tipo I.A. 1e); 3 sono invece le ciotole con base a disco rilevato e pieno, di cui sono documentate le varianti a parete liscia (tipo I.C. 1a) (89 P 101), con solcatura al di
Quest’ultimo caso è in precedenza discusso per la varietà di pietra impiegata. Si veda dunque in maggior dettaglio la sezione di introduzione qui dedicata alla pietra impiegata in queste produzioni. In realtà in alcuni di questi esempi è conservata soltanto la base ed una porzione minima della parete. In casi del genere, non potendo determinare se la parete avesse originariamente qualche decorazione, si è deciso per convenzione di considerarle a parete liscia. La produzione di ciotole tripodate in pietra basaltica è, come abbiamo visto, ben documentata soprattutto dai livelli del Bronzo Tardo, relativi all’insediamento di periodo mitannico. Si veda in maggior dettaglio poco sopra.
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Sulla questione si veda più diffusamente Fiorina et alii 2005.
III. I MULINI sotto dell’orlo (tipo I.C. 1g) (ND 89 35), con cordonatura interrotta sulla parete (tipo I.C. 1d) (89 P 105). Oltre a questi si trovano 4 frammenti relativi a basi ad anello rilevato, che indicano la presenza di tipi della classe I.B (89 P 68, 89 P 75, 89 P 102, 89 P 34). Fra queste ciotole con base ad anello a rilievo è particolare il caso dell’89 P 75, che proviene dalla superficie a Nord dell’Area A3. Si tratta di un frammento di ciotola a vasca bassa, in pietra basaltica a struttura sensibilmente vacuolare; il frammento conservato è pertinente a circa la metà della base ed un porzione minima della parete inferiore del recipiente; sulla base all’interno dell’anello rilevato si trova una rosetta realizzata a rilievo con tecnica piuttosto accurata, per quanto la pietra lo potesse consentire. Il centro della rosetta è reso con un cerchio, la cui circonferenza è incisa e circondata da un anello a rilievo basso, i petali sono di ampiezza differente e non si appoggiano direttamente all’anello centrale. Considerando la porzione di base conservata è plausibile si trattasse originariamente di una rosetta a 12 petali. Questo particolare consente un confronto assai stretto con uno dei due esempi di ciotole in pietra basaltica che provengono da Tell Halaf (Hrouda 1962: Taf. 52: 96) e che, come abbiamo visto, presentano due varianti, una a 8 ed una a 12 petali, del medesimo motivo a rosetta presente sulla nostra ciotola da Nimrud. Oltre a questo caso particolare sono documentati 8 esempi che, per quanto frammentari, si possono ricondurre ai tipi ben noti con cordonatura a rilievo sotto l’orlo. Fra questi sono attestate le varianti con cordonatura continua al di sotto dell’orlo, nel complesso 7 frammenti che dunque possono essere ricondotti ai tipi I.A. 1b, I.B. 1c, I.C. 1c (89 P 59, 89 P 60, 89 P 73, 89 P 90, 89 P 99, 89 P 104, 89 P 106)311, in un caso soltanto si può rilevare la cordonatura interrotta sotto l’orlo e dunque si può associare ai tipi I.A. 1d, I.B. 1e, I.C. 1d (89 P 62). Nel complesso si segnalano infine 4 esempi, tre dei quali purtroppo assai frammentari, che presentano tuttavia caratteristiche che in parte li allontanano dai tipi standard qui descritti. In primo luogo differisce la pietra utilizzata che è in questi casi calcarea a toni cromatici differenti, calcare rosato o biancastro o biancastro tendente al verde, calcare beige screziato. Nel caso dei frammenti si tratta di tre recipienti a vasca verisimilmente media e a parete liscia, con orlo semplice o a fascetta (89 P 64, 89 P 100). Il quarto caso è rappresentato invece da un piatto integro in pietra calcarea a struttura ben compatta, dai toni beige e screziata. Il piatto a vasca molto bassa, presenta apertura ovale assai allungata con orlo appiattito, corpo a 311
profilo curvo e base a disco leggermente rilevato. In corrispondenza di una delle estremità si trova una presa a corpo sfilato ed appiattita al bordo del piatto, che presenta sul corpo quattro solcature longitudinali sovrapposte. Potrebbe trattarsi in realtà di una presa configurata, la cui natura è tuttavia difficile ricostruire anche per l’assenza di paralleli diretti cui riferirsi. Questi esempi e l’ultimo in modo particolare, non appartengono alla nota produzione delle mixing-bowls dell’Età del Ferro, di cui sono chiari i caratteri e che abbiamo visto documentata ampliamente anche a Nimrud. Si deve ritenere piuttosto, per la materia prima differente ma soprattutto per la difformità nella tipologia delle forme, che si tratti di produzioni più tarde, probabilmente di epoca ellenistica o addirittura successive. Particolarmente interessanti risultano i dati relativi ai contesti di provenienza di questo lotto di mixing-bowls. La maggioranza delle ciotole in basalto che abbiamo sin qui descritto proviene dalla raccolta di superficie ma, ciò che è particolarmente interessante, quasi esclusivamente da un’area limitata disposta sulla prossimità nordoccidentale dell’area urbana312. I dati percentuali della distribuzione risultano molto evidenti: il 72% delle ciotole in basalto provengono dalla Survey ed il 67% dall’area nordoccidentale della ricognizione. Le altre ciotole sono state recuperate dallo scavo dell’area A3, da dove proviene un esempio frammentario del tipo con cordonatura continua sotto l’orlo; dei livelli superiori dell’Area A1, dove è stato rinvenuto un esempio a profilo continuo con base a disco rilevato e parete liscia; e dall’area dell’ampliamento SW del Forte Salmanassar, da dove provengono un esempio a profilo completo con base a disco rilevato e solcatura sotto l’orlo, un frammento di ciotola in basalto ed il piatto in pietra calcarea con presa, di cui abbiamo detto. Dal complesso dei dati a nostra disposizione si possono avanzare alcune osservazioni generali in merito a questa produzione a Nimrud. In primo luogo sembra possibile individuare una zona delimitata a Nord-Ovest dell’area urbana che, a seguito delle evidenze della ricognizione, potrebbe presentarsi come un’area destinata alla produzione di manufatti in pietra levigata ed in particolare destinata ad ospitare i laboratori per la produzione di questo tipo di ciotole, come sembrerebbe indicare non soltanto la quantità ma anche la varietà dei recipienti in pietra rinvenuti in superficie. Gli esempi che provengono dallo scavo delle aree A1, A3 e dal Forte Salmanassar, pur inferiori in quantità, sono tuttavia particolarmente utili al fine di ricostruire il contesto cronologico di questa produzione. Tutti gli esempi infatti provengono da livelli contemporanei delle tre aree databili, sulla base della ceramica e dei materiali associati, al periodo tardo assiro o neobabilonese. In conclusione dunque ci sono elementi validi per stabilire che a Nimrud esisteva almeno un centro di
La apparente preponderanza degli esempi con cordonatura continua rispetto agli esempi con cordonatura interrotta a Nimrud è in parte falsata dallo stato di conservazione del recipiente. Nel caso in cui si conservi infatti un frammento minimo della parete con cordonatura non è ovviamente possibile stabilire se la cordonatura stessa fosse originariamente continua o interrotta. I casi del genere, considerati qui per convenzione a cordone continuo sono naturalmente di difficile attribuzione tipologica.
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Le aree limitrofe Fernanda ed Elsa della Survey. Da Fernanda 2A-12D provengono in particolare 13 delle ciotole in basalto.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico produzione di mixing-bowls, verisimilmente localizzato nella zona nordoccidentale dell’area urbana, molto attivo fra la fine dell’VIII e la fine del VI secolo a.C., e specializzato nella produzione delle diverse e caratteristiche varianti di ciotole in basalto313. Molto interessante per ricchezza e varietà è il lotto delle mixing-bowls in basalto che provengono dai livelli di epoca neoassira di Assur. Questa collezione che, come abbiamo visto, è stata in tempi recenti ripubblicata da Peter Miglus (Miglus 1996: Taf. 58-60) raccoglie esempi che documentano la maggior parte delle varianti note nella produzione di ciotole in basalto dell’Età del Ferro (TAV. 151-153). Si potrebbe dire che ad Assur si ha a disposizione l’intero repertorio caratteristico di questa importante produzione che, come vedremo, è molto diffusa in una vasta area anche oltre la Mesopotamia settentrionale. Ciotole affini a questa produzione provengono dal quartiere presso la fortificazione occidentale (Miglus 1996: Taf. 58: Ass. 10448; Taf. 60: Ass. 11169), ma in modo particolare dal quartiere abitativo settentrionale di Assur, da dove provengono 16 ciotole, integre e frammentarie, in pietra basaltica (Miglus 1996: 87-89; Taf. 58: Ass. 7663, 7610; Taf. 59: Ass 7630; Taf. 60: Ass. 7609). Un altro esempio proviene dal quartiere abitativo nell’area del tempio di Ishtar, dai livelli del Schichthorizont III B datati all’epoca di Salmanassar III e Sin-šar-iškum (Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 13510). Altri sono documentati dai contesti meno sicuri datati ad epoca neoassira e post-assira, ed in particolare agli Schichthorizonten II-III, della Stadtmitte (Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 20515, Ass. 21993, Ass. 21635, Ass. 14359, Ass. 13881, Ass. 13877, Ass. 14793, Ass. 14676) e in misura minore, della Südstadt (Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 20698). Nel complesso dunque questa produzione risulta ben attestata ad Assur almeno dall’inizio dell’VIII secolo a.C. e per tutto il periodo neoassiro imperiale e post-assiro neobabilonese. Per quanto riguarda la tipologia delle forme, ovvero le varianti documentate di questa produzione, esistono tipi a vasca bassa, base semplice e parete liscia (tipo I.A. 1a) (Miglus 1996: Taf. 58: Ass. 10448) o con solcatura sotto l’orlo (tipo I.A. 1f) (Miglus 1996: Taf 58: Ass. 7951). Maggiori varianti presentano i tipi a vasca bassa con base ad anello rilevato, di cui sono documentati le varianti a parete liscia (tipo I.B. 1a) (Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 10410), con solcatura sulla parete (tipo I.B. 1b) (Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 8152 b), con cordonatura continua sotto l’orlo (tipo I.B. 1c) (Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 10525, Ass. 10522, Ass. 11067), con cordonatura continua sotto l’orlo e solcature sulla parete (tipo I.B. 1d) (Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 8457, Ass. 8807, Ass. 9888, Ass. 8471, Ass. 11116), con solcatura sotto l’orlo (tipo I.B. 1g) (Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 6956). 313
Stessa varietà presentano i tipi a vasca bassa e base ad anello rilevato e pieno, di cui sono documentate le varianti semplici a parete liscia (tipo I.C. 1a) (Miglus 1996: Taf. 58: Ass. 6784), ma anche le varianti con cordonatura continua sotto l’orlo, molto frequenti (Miglus 1996: Taf. 58: Ass. 10540, Ass. 10525, Ass. 10533, Ass. 10552, Ass. 7678, Ass. 10489), con cordonatura continua sotto l’orlo e solcature sulla parete314 (tipo I.C. 1c) (Miglus 1996: Taf. 58: Ass. 7663, Ass. 10571, Ass. 7663), con solcatura sull’orlo (tipo I.C. 1f) (Miglus 1996: Taf. 58: Ass. 11068) e con solcatura sotto l’orlo (tipo I.C. 1g) (Miglus 1996: Taf. 58: Ass. 8824). Oltre a questa ampia e varia produzione sono documentati da Assur, da contesti non sempre sicuri e datati ad epoca neoassira in termini generali, alcuni recipienti tripodati che si possono assimilare alle mixingbowls. Si tratta in almeno quattro casi (Miglus 1996: Taf. 60: Ass. 10301, Ass. 7609, Ass. 10620, Ass. 11169) di ciotole in pietra che presentano tre piedi evidentemente sviluppati in altezza. Due sono realizzati, come di norma, in pietra basaltica (Miglus 1996: Taf. 60: Ass. 11169, Ass. 7609), gli altri due sono invece in hellgrauer Stein ed in pietra gessosa grigia. Nel primo caso si potrà intendere anche una varietà di basalto a tono grigio chiaro e a struttura compatta, altrove noto ed utilizzato ad esempio a Tell Barri per una ciotola con base ad anello rilevato e cordonata del tipo I.B. 1e315, il secondo caso è invece da considerare un’eccezione per la scelta della pietra. Nel complesso gli esempi di ciotole tripodate di Assur presentano evidenti affinità con le più comuni ciotole delle classi a base semplice, ad anello e a disco rilevato. Anche le ciotole tripodate, di norma a vasca bassa del tipo standard I.D. 1a, possono infatti presentare solcature o cordonatura continua sotto l’orlo (tipi I.D. 1e-f) (Miglus 1996: Taf. 60: Ass. 10620, Ass. 7609) e dunque segnalano una contiguità con la produzione delle altre mixing-bowls, che rappresenta di per sé un caso piuttosto eccezionale. Altrove infatti le due produzioni sembrano più nettamente distinte e nella norma la presenza di ciotole dei tipi che abbiamo visto, cordonati e solcati, con basi semplici, ad anello o a disco non è sempre associata alla presenza negli stessi contesti di ciotole tripodate (così a Nimrud, a Sultantepe, a Tell Barri) e, dove invece si verifica tale associazione (così a Tell Ahmar, Khirbet Qasrij, ad Assur e più in generale, come vedremo qui di seguito, nell’area del Levante, ad Hama, ad Hazor) non si rileva una così stretta affinità morfologica fra i due gruppi. Al di fuori della Mesopotamia settentrionale la produzione di mixing-bowls è documenta largamente in 314
Questa zona potrebbe essere rimasta in uso, come area destinata alla produzione di manufatti e recipienti in pietra, anche nei periodi successivi, come sembrerebbe suggerire la provenienza da questa stessa area anche dei frammenti dei più tardi recipienti in calcare, di cui abbiamo detto in precedenza.
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Le solcature si trovano sulla parte bassa della parete ed in genere si tratta di due solcature concentriche, come nel caso di Miglus 1996: Taf. 58: Ass. 7663, Ass. 10571, Ass. 7663. Si tratta della ciotola E.5170 che proviene dallo strato 13, relativo al crollo delle strutture del palazzo neoassiro dell’Area J. Si veda in precedenza con maggior dettaglio.
III. I MULINI tutta l’area del Levante siro-palestinese e del Levante meridionale. Esempi provengono da Megiddo (Lamon 1939: Pl. 113: 2, 4, 14; Loud 1948: Pl. 263: 21) e in misura maggiore da Hazor. Il lotto delle mixing-bowls di Hazor proviene dai livelli del Ferro messi in luce nelle Aree A e B dell’insediamento, comprende ciotole prevalentemente in pietra basaltica, ed in alcuni casi in calcare, definite alcuna volta bowls ridged below the rim, equipped with bar-handles or ridges (Yadin et alii 1958: 51) (TAV. 156: 1-4). Sono in realtà documentati nel complesso i tipi a vasca bassa, base semplice appiattita e parete liscia (del tipo standard I.A. 1a), di cui un esempio proviene dai livelli dell’Area A, Stratum VI, datati alla prima metà del secolo VIII (Yadin 1960: Pl. LXXVII: 14) ed altri due dai livelli poco più recenti dell’Area B, Stratum VA, datati alla seconda metà del secolo VIII (Yadin 1960: Pl. CIV: 3, 9). Accanto a questi sono attestati i corrispettivi tipi semplici a vasca bassa, con base ad anello rilevato e parete liscia (del tipo I.B. 1a), di cui è noto almeno un esempio a profilo completo che proviene dai livelli dell’inizio del secolo VIII dell’Area A, Stratum VIII (Yadin 1960: Pl. LXXVII: 9); di altri due esempi provenienti dai livelli della seconda metà del secolo VIII dell’Area B, Stratum VA, si conserva la sola base (Yadin 1960: Pl. CIV: 2, 7). Più rari sono i tipi con cordonatura, di cui tuttavia almeno un esempio affine al tipo con base a disco rilevato e cordonatura interrotta (tipo I.C. 1d) proviene dai livelli della seconda metà del secolo VIII dell’Area B, Stratum VA (Yadin 1961: Pl. CCXXXIII: 12). Un altro esempio del tipo con cordone continuo I.A. 1b è documentato dai livelli della fine del IX secolo dell’Area B, Stratum III (Yadin 1958: Pl. LXXVI: 23)316. Esempi di mixing-bowls provengono anche da Hama, dai livelli di Hama F e soprattutto di Hama E, che corrispondono alla sequenza dell’Età del Ferro di Hama. In particolare dallo scavo dei Bâtiments del Quartiere reale della Place Centrale, e dal Batiment V sul fianco occidentale (Riis, Buhl 1990)317. 316
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Dai livelli della Place Centrale della fine dell’VIII secolo, relativi alla distruzione ad opera di Sargon II (couche de la destruction de 720) e dai contemporanei livelli del Batiment V sono stati recuperate 8 ciotole in basalto ed in pietra calcarea. Fra queste sono in maggioranza le ciotole in basalto a vasca media, su tre piedi, di cui sono documentati i tipi II.D. 1a, II.D. 1b, II.D. 1c, II.D. 1d (Riis, Buhl 1990: 71, Fig. 35: 76-84). Si contano tuttavia anche una ciotola in basalto a vasca bassa, con base ad anello, del tipo con cordonatura continua sotto l’orlo e solcature sulla parete (tipo ciotola I.B. 1d) (Riis, Buhl 1990: 69, Fig. 34: 75) ed una ciotola in calcare, a vasca bassa e base semplice (tipo ciotola I.A. 1a) (Riis, Buhl 1990: 69, Fig. 34: 64). Un esempio particolarmente interessante di mixing-bowl proviene inoltre da Tell Mardikh. Si tratta di una ciotola in pietra basaltica, definita basalto polito (Fronzaroli 1967: 102), così intendendo certamente la struttura compatta e la lisciatura superficiale esterna, rinvenuta nel corso dello scavo del settore E, condotto fra il 1965 ed il 1966 nell’area del pendio settentrionale dell’acropoli di Ebla. Questa ciotola proviene in particolare dall’area del forno ε, dallo strato di superficie nella prossimità settentrionale del focolare del locus h (Fronzaroli 1967: fig. 19: 1) (TAV. 156: 5). Non è pertanto possibile stabilire alcuna datazione sulla base del contesto e dei materiali associati, anche se i caratteri morfologici indicano un tipo ben noto di mixingbowl per il quale è possibile invece una datazione sicura sulla base dei confronti. Si tratta infatti, secondo la descrizione che ne fa lo scavatore stesso, di una coppa fornita di piede ad anello e di un listello non continuo sotto il bordo (Fronzaroli 1967: 102) e dunque di una ciotola affine al nostro tipo con vasca bassa, base ad anello rilevato e parete caratterizzata da costolatura interrotta sotto l’orlo (tipo I.B. 1e) che trova i confronti più prossimi fra i materiali di Hama E, e più ingenerale risente della principale produzione dell’area mesopotamica settentrionale fra la fine del secolo VIII ed il VI a.C.. Oltre agli esempi sin qui descritti, si devono segnalare alcuni casi sporadici ma molto significativi dell’ampia diffusione di alcuni tipi di mixing-bowls. Le varianti di ciotole in pietra basaltica caratterizzate dalla presenza di cordonature o solcature sulla parete, di cui abbiamo visto la capillare diffusione in tutta la Mesopotamia settentrionale ed in misura minore nel Levate, e che costituiscono il più evidente indice della crescita della produzione di mixing-bowls durante il periodo neoassiro finale e post-assiro, sono documentate
Il profilo generalmente più chiuso, le dimensioni ridotte ed il diametro inferiore dell’apertura, oltre alla precoce datazione rendono anomalo questo esempio, che probabilmente non si deve accostare ai tipi, pur morfologicamente affini, più recenti e comunemente diffusi. La datazione dei livelli di Hama F ed E è correlata a quella della necropoli a cremazione, ed in particolare si è potuto stabilire che le due fasi più antiche della necropoli (I e II) che corrispondano cronologicamente al periodo F siano da datare all’incirca fra la fine del XIII o l’inizio del XII secolo e la fine del X secolo. Le due fasi più recenti della necropoli (III e IV) sono invece contemporanee ad Hama E, e sono datate fra il X secolo e l’VIII (Fugmann 1958: 147; Riis, Buhl 1990: 18). La sequenza di Hama E si può avvantaggiare di alcuni punti fermi per la datazione, in modo particolare per il periodo del regno di Zakir, al principio del secolo VIII e poi per i successivi momenti della sconfitta ad opera di Tiglat-Pileser III di Assiria, datata al 743, a seguito della quale Hama diviene tributaria dell’impero assiro, e della distruzione definitiva ad opera di Sargon II nel 720.
Da questo momento la città viene abbandonata, se si escludono alcune mal conservate strutture interpretate come sede del governatore assiro durante il VII secolo (Fugmann 1958: 264, 269; Riis, Buhl 1990: 18) ed altre riferibili probabilmente all’epoca epoca neobabilonese ed achemenide (la frequentazione di questo periodo è genericamente indicata come periodo E/D) (Fugmann 1958: 264; Riis, Buhl 1990: 18). Hama è poi nuovamente oggetto di intensa edificazione in età ellenistica matura (Hama E).
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PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico infatti da tre siti importanti al di fuori di quest’area primaria di diffusione. Almeno due esempi provengono dalla Mesopotamia meridionale. Il primo proviene da Nippur, dalla raccolta di superficie nell’area del Kassite Building in WC-1 (Zettler 1993: Pl. 57: c). Si tratta di una ciotola in basalto with flattened rim with ledge below on outside (Zettler 1993: 137), affine al tipo con base a disco rilevato e cordonatura continua sotto l’orlo (TAV. 156: 7). Il secondo esempio, analogo, proviene invece da Ur (Woolley 1965: Pl. 35). Questa produzione di ciotole in basalto è documentata, seppure sporadicamente, anche in Anatolia centrale da dove provengono due esempi analoghi, entrambi da Boğazköy (Bossert 2000: Taf. 93: 103, 104) (TAV. 156: 8-9). Si tratta di due ciotole a profilo completo a vasca bassa, una con base ad anello rilevato e cordonatura interrotta sotto l’orlo (del tipo I.B. 1e) ed la seconda con base a disco rilevato e pieno, cordonatura continua sotto l’orlo e bassa solcatura sulla parete (del tipo I.C. 1e)318. Particolarmente interessanti risultano i dati relativi alla provenienza di queste due ciotole da Boğazköy, che presentano una datazione in linea con quella degli esempi di area mesopotamica settentrionale. Entrambe provengono infatti dai livelli frigi di Büyükkale, ed uno in particolare dall’area del Palazzo della fase BK Ia-Ib. Sulla base della recente revisione della sequenza ceramica completa relativa ai livelli frigi di Büyükkale, si fa risalire la datazione di questa fase ad un periodo compreso fra il 650 e la conquista di Creso del 547 (Bossert 2000: 168). In conclusione dai dati a nostra disposizione risulta particolarmente evidente l’aumento di produzione di mixing-bowls durante l’Età del Ferro ed in particolare durante i secoli finali del periodo neoassiro e durante la successiva fase post-assira neobabilonese. Questa crescita della produzione si accompagna ad una specializzazione che porta a standardizzare alcuni tipi specifici che presentano caratteri morfologici affini (e comuni anche alla produzione ceramica contemporanea). Si tratta quindi di una produzione dai caratteri ben riconoscibili che presenta un’area di diffusione assai ampia a fronte di un periodo di produzione relativamente ridotto. I tipi presentati provengono infatti tutti da contesti datati al solo periodo compreso fra il secolo VIII e la prima metà del VI secolo a.C.319, ma risultano diffusi, come si è visto, su una vasta area, al cui interno si è propensi ad
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immaginare la Mesopotamia settentrionale di tradizione assira quale centro primario di diffusione. I confini effettivi di questa area di produzione sono tuttavia assai più ampi e, oltre a tutta l’area tra il bacino del Balikh e l’Eufrate, da Tell Halaf, Tell Ahmar, Sultantepe, l’area del Habur da Tell Barri e Tell Sheikh Hamad, e dell’Assiria centrale, da Khirbet Qasrij, Nimrud, Assur; comprendono, il Levante siro-palestinese e meridionale, con i casi di Hama, Megiddo ed Hazor; a Sud la Mesopotamia meridionale, da dove provengono esempi da Nippur e Ur; ed infine, a Nord, e l’area anatolica interna fino a Boğazköy.
9.2. GLI ZOOMORPHIC STONE VESSELS E GLI ALTRI MORTAI CONFIGURATI. Come abbiamo anticipato, accanto alle mixing-bowls si vogliono qui trattare in conclusione i mortai “anomali”, ovvero quei tipi che presentino particolarità formali e funzionali tali da far ritenere utile una distinzione. Si tratta in molti casi, ed è bene premetterlo, di tipi morfologicamente e tipologicamente affini ai mortai propriamente detti, anzi in realtà considerabili elementi di mulini a mortaio particolari. In altri casi la ricostruzione funzionale risulta più complessa e al punto che le ipotesi avanzate in merito possono essere molto diverse fra loro. Questi tipi hanno tuttavia, come aspetto comune, la presenza di elementi figurati, di norma teriomorfi sul corpo dello strumento320. Elementi teriomorfi si riscontrano in tre tipi di recipienti in pietra. A. mortai in pietra basaltica, a parete verticale, con piedi (del tipo I.D. 5) B. recipienti in pietra basaltica, a parete curva, con piedi (del tipo I.D. 1) C. recipienti in steatite, a parete curva e base semplice (del tipo I.A. 1)
Mortai configurati in basalto (del tipo I.D. 5) Si tratta di mortai a pianta rettangolare che sono sostenuti su tre o più spesso su quattro piedi disposti in corrispondenza degli angoli. Hanno bassa vasca ad apertura rettangolare. Le dimensioni possono variare tra i 14 e i 36 cm di lunghezza, tra i 10 e i 15 cm di larghezza, e tra 4 e 16 cm di altezza. I recipienti di questo tipo sono realizzati in pietra basaltica a struttura compatta o minimamente vacuolare.
In verità non è possibile stabilire se in quest’ultimo caso si tratti di un recipiente a cordone continuo, come sembrerebbe di dover intendere dalla prima pubblicazione (Boehmer 1972: 214, Taf. 83: 2190), o piuttosto a cordone interrotto, come tuttavia sembra più evidentemente dalla recente ripubblicazione all’interno del repertorio della ceramica dei livelli frigi di Boğazköy (Bossert 2000: 130; Taf. 93: 103). Una datazione più alta, al IX-VIII secolo, è poco convincente e si baserebbe sui i soli documenti di Hazor (Bombardieri 2003: 72).
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Uno studio specifico dedicato a questi mortai, e recipienti in genere, in pietra è stato presentato al IV ICAANE di Berlino (Bombardieri 2008a). Questa sezione si basa sui dati presentati in quella sede, qui in parte rivisti ed ampliati. In particolare la distinzione dei tre tipi A-C fatta a Berlino è qui mantenuta, considerandola utile alla lettura. Si segnalano in tutti i casi tuttavia, per completezza, i tipi corrispondenti della tipologia generale.
III. I MULINI Sono caratterizzati dalla presenza di protomi di toro, singole o doppie sul fronte anteriore del recipiente, o di protomi di leone, in analoga disposizione, combinate con decorazioni incise, lineari o a spina di pesce sul fianco, o decorazioni excise con fregi di loto o scene variamente figurate in analoga disposizione sul fianco del recipiente. Da Tell Barri proviene un mortaio di questo tipo (TAV. 157). Si tratta del mortaio E.2984 venuto alla luce nel 2000 durante lo scavo dei livelli dell’Area J relativi al crollo delle strutture al di sopra della grande Corte 151 del palazzo di Tukulti-Ninurta II (Pecorella 2003: 90). L’attribuzione cronologica di questi livelli, chiarita in via definitiva dalle nuove acquisizioni circa l’occupazione secondaria del palazzo in epoca neobabilonese, permette di datare questi livelli alla metà del secolo VI (Pecorella, Pierobon-Benoit 2004: 30). .Questo mortaio, di cui si conserva circa 1/3 del profilo completo, presenta una protome singola di toro al centro del lato breve anteriore. Il toro di Tell Barri è impostato in modo tale che la protome costituisca il piede d’appoggio del recipiente321. La resa formale della testa taurina è nel complesso piuttosto sommaria, non c’è indicazione dei dettagli anatomici, se si escludono le corna, realizzate con due volute simmetriche, la cui resa è al contrario particolarmente accurata e ben riuscita. Altri esempi di questi mortai provengono principalmente dalla regione alto mesopotamica, compresa fra il Habur ad Est e l’alto corso dell’Eufrate a Ovest. Fra questi si deve ricordare un esempio con quattro piedi, proveniente da Carchemish, descritto dal Woolley come a basalt trough with bulls’ haeds, che presenta due protomi di toro impostate sul lato anteriore del recipiente (Woolley 1952: Pl. 69: d) (TAV. 158: 1, 5, 7). Del tutto simile è un esempio proveniente dal cosiddetto tablet-hoard di Sultantepe (Seton Lloyd 1954: Pl. VIII: 1, 2)322 (TAV. 158: 2, 6). La datazione di questo recipiente può oscillare, secondo Seton-Lloyd, entro la seconda metà del VII secolo, considerando che la distruzione dell’acropoli di Sultantepe si debba far risalire ad un momento non distante da quello della distruzione della vicina città di Harran e dunque intorno al 610. Mortai teriomorfi di questo tipo provengono inoltre da Zincirli e da Tell Halaf (Hrouda 1962: Taf. 53: 131-134) 323 . Un esempio da Zincirli (Andrae, von Luschan 1943: Taf. 6: h, l; Abb. 14) presenta due protomi di toro nella canonica posizione sul lato anteriore ed una decorazione lineare incisa sui fianchi del recipiente (TAV. 158: 3, 8321
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9). Un secondo esempio è frammentario, ma risulta analogo. Simile decorazione incisa, in questo caso però a spina di pesce, è presente anche su un recipiente di Tell Halaf. Dei quattro esemplari di Tell Halaf, pubblicati dal Hrouda, tre presentano una protome singola di toro disposta al centro del lato minore anteriore (TAV. 159). La resa della testa taurina è sensibilmente differente nei tre esemplari. In un caso (Hrouda 1962: Taf. 53: 132) i tratti degli occhi e delle corna sono restituiti con cura simile agli esempi di Carchemish e Sultantepe, negli altri due invece (Hrouda 1962: Taf. 53: 133, 134) i caratteri anatomici sono ridotti a tratti sintetici, o sono addirittura assenti, arrivando in un caso (Hrouda 1962: Taf. 53: 133), con un risultato di forte astrazione, a rappresentare la testa di toro attraverso la sola massa della protome. Il quarto esempio proveniente da Tell Halaf (Hrouda 1962: Taf. 53: 131) presenta nella disposizione standard sul lato anteriore due protomi di leone, anziché di toro. Analogo a questo è un esempio con protome di leone proveniente da Tell al-Hawa (Ball 1990: 85, Fig. 10)324 (TAV. 160: 5), e rinvenuto nel crollo delle strutture relative probabilemnet al piano elevato di uno degli edifici dell’Area AB. Da questo unico deposito, rinvenuto nell’area aperta di fronte al Wall 84, è stato possibile recuperare un numero consistente di oggetti, provenienti appunto probabilmente da un singolo ambiente, la cui datazione si deve far risalire al periodo Late-Assyrian (Ball 1990: 82-83); dal deposito proviene anche il vassoietto, definito dallo scavatore stone dish, con protome di leone. Un altro esempio è stato di recente pubblicato da Madleine Trokay, fra i mortiers rectangulaires à support (Trokay 2000: 1674, fig. 1, 10) provenienti dagli edifici C1 e C2 nella città bassa di Tell Ahmar, per i quali la datazione più probabile sembra essere fra il VII secolo e la metà del secolo successivo (Trokay 2000: 1665; Jamieson 2000: 259-264). Si tratta anche in questo caso di un recipiente che presenta due protomi taurine disposte secondo la norma sul lato anteriore325 (TAV. 160: 2-3). Un esempio analogo proviene dagli scavi tedeschi di Tell Sheykh Hassan, sull’alto corso dell’Eufrate (Boese 1995: 124, Abb. 5: a)326 (TAV. 160: 1). Questo recipiente che proviene dai livelli dell’età del Ferro, accertato che a Tell Sheykh Hassan non si registra una frequentazione aramaica o assira, viene datato con sicurezza al VI secolo. Analogo ai casi fin qui citati è un esempio con due protomi di toro proveniente da Tell Sheykh Hamad, oggi conservato al Museo di Deir- ez-Zor. Altri esempi di questo tipo provengono anche dal Levante; da Hama (Riis, Buhl 1990: Fig. 37: 96), e da Tell Mardikh (Fronzaroli 1967: Tav. LXV: 6). Quest’ultimo caso proviene dallo scavo del Settore E sull’acropoli seppure è stato rinvenuto in uno strato
L’esempio di Tell Barri rappresenta un mortaio del tipo I.D. 5a Gli esempi di Carchemish e Sultantepe sono mortai del tipo I.D. 5e L’esempio di Zincirli è affine al tipo di mortai I.D. 5e; da Tell Halaf sono documentate molte varianti di mortai configurati caratterizzati dalla presenza di protomi di toro e di leone e differenti decorazioni incise sul corpo. Sono documentati i tipi I.D. 5c, d, f, h.
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L’esempio di Tell al-Hawa è anomalo e soltanto in parte affine al tipo I.D. 5h. I tipi di Tell Ahmar sono dunque affini al I.D. 5e. Si tratta di un esempio frammentario, caratterizzato dalla presenza di due protomi di toro, come gli esempi di Sultantepe e Carchemish, ed è dunque del tipo I.D. 5e.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico superficiale. Si tratta di un mortaietto su quattro piedi in pietra basaltica, rinvenuto in stato fortemente lacunoso e du cui si conserva soltanto uno dei quattro piedi e parte della vasca rettangolare. La presenza di protomi sul lato anteriore mancante è qui probabile a detta dello scavatore, seppure non è in definitiva in alcun modo certa327. Un caso del tutto analogo agli esempi sin qui riportati, e ai due esempi di Carchemish e Sultantepe in misura particolare, proviene infine da Umm el-Marra, importante centro della piana di Jabbul, a Est di Aleppo (Curvers, Schwartz 2003) (TAV. 160: 4). Gli scavi qui condotti dalla Missione congiunta americana e olandese hanno indagato una sequenza di occupazione che si è rivelata assai interessante e che presenta livelli di insediamento attraverso tutto il Bronzo Antico ed il Bronzo Medio, fino ai secoli finali della Tarda Età del Bronzo. Questo centro viene in seguito sostanzialmente abbandonato fino ad epoca achemenide, momento in cui si può registrare un reinsediamento che interessa poi anche il periodo ellenistico e romano. L’abbandono durante l’Età del Ferro tuttavia non può dirsi completo,alcuni livelli molto poveri hanno restituito infatti un piccolo lotto di ceramica del Ferro II; gli scavatori propendono per considerare una frequentazione sporadica del sito durante questo periodo, a limited Iron Age use of the deserted tell (Curvers, Schwartz 2003: 81). A questa fase si può attribuire il nostro mortaio teriomorfo, definito incense burner e rinvenuto nella North Area (Curvers, Schwartz 2003: Fig. 10). Si tratta di una mortaietto in pietra basaltica, su quattro piedi, probabilmente poco sviluppati, che presenta due protomi di toro, dai tratti modellati corsivamente, disposte come di norma sul lato breve anteriore328. In conclusione si devono citare due casi di mortai configurati che presentano una versione del modulo teriomorfico sensibilmente diversa rispetto alla norma diffusa del recipiente con protomi fin qui descritto. Il primo, pubblicato nel 1954 da Seton-Lloyd, proviene da Carchemish (Lloyd 1954: Pl. VIII: 6, 7). Si tratta di un recipiente a corpo di basso parallelepipedo con vasca bassa. Sul lato breve anteriore si trovano, secondo il modello noto, due protomi di toro, sul fianco è invece rappresentata con la tecnica dell’excisione una breve scena figurata (TAV. 161: 2). Si tratta della figura di un felino che avanza acquattato alle spalle di un elemento vegetale, un cespuglio o più probabilmente un basso alberello.La figura del felino domina al centro della scena con dimensioni molto maggiori rispetto all’alberello. Un motivo a palmetta è rappresentato sulla faccia posteriore. 327
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Un secondo caso che presenta una variazione del modulo standard, è oggi conservato presso l’Arcivescovato ortodosso dal Patriarca d’Antiochia a Lattakia, e proviene, secondo Riis e Buhl, da questa regione (Riis, Buhl 1990: 74; 75, Fig. 36). Si tratta di un recipiente a corpo di basso parallelepipedo, sostenuto su quattro piedi (TAV. 161: 1). Sul fronte anteriore si trovano due protomi di toro la cui resa formale è analoga a quella di molti degli esempi già citati. Tuttavia anche in questo caso si rileva la presenza di scene figurate realizzate con la tecnica dell’excisione sui fianchi del recipiente.Al centro del lato anteriore si trova una decorazione a Croce di Borgogna e sui fianchi una ghirlanda con fregio alternato di fiori e bocci di loto329. Da una analisi complessiva dei mortai teriomorfi di questo tipo si possono trarre alcune generali osservazioni in merito all’ambito della loro diffusione. L’area di primaria produzione di questi recipienti è la regione dell’alta mesopotamia compresa tra il Habur e l’Eufrate. I pochi esempi che provengono dal Levante siro-palestinese indicano una possibile area di diffusione secondaria di questi recipienti verso occidente, per quanto l’esiguità delle testimonianze e i contesti di ritrovamento non sempre sicuri, non permettano di speculare sui tempi di questa diffusione. L’arco cronologico nel quale si sviluppa questa produzione è compreso con ogni probabilità tra la fine del secolo VIII ed almeno la fine del VI. Questa produzione sembra avere alcuni specifici precedenti nell’area. In particolare esistono simili mortai rettangolari e su quattro piedi, ma non teriomorfi, che sono diffusi per tutta l’Età del Bronzo e che potrebbero costituire un precedente dei recipienti con protomi fin qui descritti. Esempi del genere provengono dai livelli del Bronzo Antico di Tell Munbaqa (Czichon, Werner 2002: Taf. 140: 2680-2682), Tell Halawa (Pruß 1994: Abb. 65: 117118), Selenkahiye (van Soldt 2001: Pl. 9.4: a-d), più tardi da Mari (Parrot 1959: Pl. XXXII: 1796), da Tell Hammam et-Turkmann (Leenders 1988: Pl. 194: 11), da Tell Barri (E.2925), un esempio proviene infine da Tell Rifa’at (Seton-Williams 1961: Pl. XXXIII: d; 1967: fig. 3) 330 (TAV. 161: 6-8). Questi ultimi due, ed in particolare l’esempio di Tell Rifa’at (TAV. 161: 5), venuto in luce nei livelli aramaici datati al IX secolo, presenta sui fianchi una serie di solcature lineari incise, secondo un modulo che abbiamo notato anche in alcuni esempi di recipienti teriomorfi, datati a due secoli più tardi. È dunque probabile che i mortai teriomorfi abbiano un precedente in questa produzione diffusa nell’area almeno fino al IX secolo e che l’introduzione degli elementi teriomorfi, sia dunque un innesto successivo su un modello già esistente331.
Esempi di mortai rettangolari su quattro piedi senza protomi sono ben noti e documentati. Si veda a questo proposito più diffusamente qui di seguito. Fronzaroli stesso porta a confronto un esempio da Tell Halaf privo di protonmi definendolo molto simile al nostro (Fronzaroli 1967: 102, nota 72). Si tratta dunque di un mortaio del tipo I.D. 5e, come i due esempi di Carchemish e Sultantepe, e l’esempio che proviene da Tell Sheikh Hassan.
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I due mortai di Carchemish ed Hama sono del tipo I.D. 5g. Si tratta nel complesso di tipi affini ai mortai I.D. 5b. Si deve inoltre considerare il largo impiego di elementi teriomorfi documentato nella statuaria dei centri della Siria Settentrionale già dalla prima Età del ferro. Basti pensare al gruppo degli animali sulle basi
III. I MULINI D’altra parte non sono testimoniati per la regione dell’alta mesopotamia precedenti di impiego di protomi animali nella produzione di vasellame litico. Se escludiamo infatti i recipienti in steatite, di cui tratteremo più avanti, per rintracciare precedenti di recipienti teriomorfi in basalto si può fare soltanto riferimento ad un serie di mortai su tre piedi provenienti però dall’area dell’Egeo. Fra questi almeno due esempi da Enkomi, a Cipro, e da Charwati, in Attica, datati entrambi al Bronzo Tardo, presentano protomi di toro in corrispondenza del bordo della vasca (TAV. 161: 9-10). Questi manufatti, pubblicati già dal Buchholz (Buchholz 1963: Abb. 1: a-b), presentano tuttavia caratteri morfologici evidentemente differenti rispetto a quelli dei recipienti fin qui descritti332.
Esempi di questi tipi provengono in particolare dalla regione di Carchemish. Tre recipienti analoghi, pubblicati da Moorey, sono stati recuperati tra i materiali provenienti dall’area delle necropoli di Deve Höyük I (Moorey 1980: Fig. 8: 133-135)333 (TAV. 162: 1-3). Di questi, due presentano singola protome taurina ed il terzo doppia protome. La resa della testa del toro è simile nei suoi tratti essenziali a quella nota dalle protomi dei mortai configurati; particolare cura è riservata alla resa delle corna. In un caso al di sopra della protome l’orlo del recipiente si presenta insellato così da formare un versatoio334. Una serie di questi recipienti è inoltre conservata nelle collezioni dell’Ashmolean Museum e del Britsh Museum, a seguito di acquisizioni da parte di Lawrence e di Woolley, nella regione di Jerablus (Moorey 1980). Esempi analoghi sono documentati da Tell Halaf335 ed un caso da ‘Ain Dara, nella valle dell’Afrin. Quest’ultimo è proviene dall’area della città bassa (Stone, Zimansky 1999). Si tratta di un piccolo recipiente a vasca bassa e base semplice, morfologicamente affine agli esempi di Deve Höyük I336, ma che presenta tuttavia protome di leone invece che di toro (Stone, Zimansky 1999: 73, Fig. 87: 1). Partendo da questi dati si sarebbe indotti ad affermare che l’area di diffusione di questi recipienti sia ristretta principalmente alla regione di Carchemish. Un numero così esiguo di esempi non consente conclusioni certe. Ciononostante l’esempio di Tell Halaf ed il caso di Tell Jemmeh, sembrano indicare due estremi di un’area di diffusione che potrebbe verisimilmente sovrapporsi a quella sopra delineata per i mortai teriomorfi in basalto. Ci sono alcuni dubbi anche riguardo alla datazione di queste ciotole configurate in basalto. Moorey infatti osserva che non compaiono nei livelli di Deve Höyük II, databili al VI-V secolo a.C., e lega questa assenza ad un mutamento generale nella scelta della pietra per il vasellame. R. Moorey osserva come a partire dal IX-VIII secolo nella manifattura dei recipienti in pietra si ricorra preferibilmente alle rocce di approvvigionamento locale (pietre vulcaniche, trachite o soprattutto basalti, oltre che alla steatite) e come invece in seguito la scelta cada sui calcari, ma soprattutto sull’alabastro (Moorey 1980: 44). La cesura in questo mutamento del materiale sarebbe, secondo il Moorey, da porre alla fine del VII secolo, già al tempo delle campagne babilonesi nella regione if not bifore (Moorey 1980: 45). In realtà se con l’Età achemenide è accertabile l’impiego su scala maggiore dell’alabastro per i contenitori da profumi, è tuttavia un fenomeno che si affianca alla produzione di recipienti realizzati con pietre diverse, non gli si sostituisce, e soprattutto non è caratteristico della fine del VII secolo. A questa epoca, come si è visto a proposito dei mortai teriomorfi (ma l’osservazione è valida in generale per la
Ciotole in basalto configurate (del tipo I.D. 1) Si tratta in questo caso di recipienti a profilo curvo, che si presentano come ciotole a parete non spessa, sostenute su uno o su due piedi, con bassa vasca ad apertura circolare. Le dimensioni sono contenute fra 13 ed i 16 cm di diametro per 5 cm circa di altezza. I recipienti di questo tipo sono comunemente realizzati in pietra basaltica di tono grigio intenso a struttura assai compatta o minimamente vacuolare, del tutto analoga a quella impiegata per i mortai configurati, di cui si è detto sopra. Le varianti teriomorfiche di questi recipienti sono caratterizzate dalla presenza di protomi di toro, singole o doppie impostate sulla parete del recipiente, in corrispondenza dell’orlo, in modo tale che il muso del toro costituisca il piede d’appoggio del recipiente.
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di statue e agli animali sistemati ai lati delle porte, ben noti da Zincirli, ma anche da Carchemish e da Arslan Tash. In entrambi i casi sono rappresentati leoni e tori ed in entrambi i casi sono resi enucleando dal blocco soltanto la testa secondo un principio in qualche modo analogo a quello delle protomi dei recipienti qui descritti. In questo senso si potrebbe interpretare l’innesto di elementi teriomorfi sui recipienti in basalto del tipo A come una derivazione, secondo il modello della stretta relazione between Major and Minor Art già dimostrato dalla Winter e di recente sostenuto dalla Mazzoni a proposito della produzione delle SyroHittite Pyxides in steatite (Mazzoni 2001). Un altro importante centro di produzione di recipienti teriomorfi in pietra durante la Età del Bronzo finale e l’Età del Ferro è la vasta regione del Caspio (Chavrin, Čenčenkova 2000: Abb. 2-6; Abramischwili, Abramischwili 1995: Abb. 216) (Pl. 4: 6, 7) (TAV. 161: 7). Questa produzione presenta tuttavia alcune evidenti differenze rispetto a quella caratteristica della Mesopotamia settentrionale; queste differenze si rilevano soprattutto nella presenza preponderante di protomi di cervo, rispetto alle protomi di toro o leone, caratteristiche delle produzioni mesopotamiche e del Levante. Ciononostante si possono rilevare alcune affinità nella nella tipologia delle forme.(Chavrin, Čenčenkova 2000: Abb. 2-6). Devo un ringraziamento particolare a Nikolaus Boroffka, che mi ha suggerito questi paralleli.
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Le ciotole di Deve Höyük sono dei tipi I.D. 1b-d. Un esempio analogo con versatolo proviene da Tell Halaf (Hrouda 1962: Taf. 53: 121). Entrambi gli esempi sono dunque del tipo I.D. 1c. Moorey riporta un altro esempio da Tell Jemmeh, in Israele. Si tratta di una ciotola del tipo I.D. 1b
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico vasta produzione delle mixing-bowls), l’impiego delle pietre basaltiche è comune nella manifattura del vasellame. Basti a questo proposito ricordare i casi già citati di Tell Sheykh Hassan, di Tell Ahmar e di Tell Barri, quali testimonianza del perdurare, almeno per tutto il VI secolo, di questa produzione. In conclusione si può quindi affermare che la generale scarsità di documenti non consente di delinearne con certezza l’area di produzione e diffusione di queste ciotole in basalto, seppure rimane probabile che si tratti di una produzione diffusa primariamente almeno dalla fine dell’VIII secolo nell’area della Mesopotamia settentrionale, in una regione analoga a quella di produzione dei mortai teriomorfi precedenti, con una diffusione secondaria verso il Levante.
Un metodo utile di confronto può essere quello di valutarli distintamente sulla base di due differenti criteri: come oggetti d’arte e come manufatti. Nelle due valutazioni si devono naturalmente considerare aspetti differenti. Nel primo caso un confronto fra i tre tipi dovrà valutare i caratteri iconografici della decorazione, ovvero sottolineare la compresenza o l’assenza di motivi e temi decorativi; nel secondo caso dovrà invece valutare i caratteri morfologici e materiali specifici del manufatto. Dal confronto dei temi e dei motivi della decorazione si desumono alcune evidenti affinità. Tanto i tipi in basalto quanto i tipi in steatite presentano elementi simili, in primo luogo il leone, la figura del felino è ampiamente documentata sia come protome sia a figura intera sul corpo del recipiente, in secondo luogo il loto, associato al toro o al leone e rappresentato come singolo elemento o ripetuto come fregio sul fianco del recipiente. Il toro non è invece presente in nessun caso nei recipienti in steatite, ma soltanto sui mortai e le ciotole in basalto, che per questo specifico carattere sono stati interpretati come strumenti del culto di Hadad, sia da Riis e Buhl (Riis, Buhl 1990: 74), sia, più di recente, da Madleine Trokay, a proposito degli esempi di Tell Ahmar (Trokay 2000: 1670-1671). Confrontando i tre tipi sul piano materiale e morfologico si devono sottolineare invece alcune differenze importanti fra i tre tipi. Il tipo dei mortai in basalto ed il tipo dei recipienti in steatite in particolare si collocano a due estremi. Il primo presenta, infatti, pareti spesse ed è saldamente sostenuto da quattro piedi, disposti ai quattro angoli e dunque in grado di fornire la massima stabilità. È inoltre realizzato in basalto e dunque in una roccia effusiva di per sé a durezza elevata e di cui per questi recipienti è selezionata sempre una varietà a struttura massiccia e non vacuolare. Questi dati indicano manufatti particolarmente adatti a sostenere la percussione. È ben probabile dunque che potessero essere impiegati come piccoli mortai per la molitura di ridotte quantità, come ha giustamente sostenuto la Trokay (Trokay 2000: 1671), il che non esclude che potessero allo stesso tempo essere intesi come offering-tables. I recipienti in steatite, all’opposto, presenta pareti sottili, base arrotondata ed una presa forata che conduce alla vasca. È inoltre realizzato in steatite, ossia in una varietà metamorfica dei Talcoscisti, la cui struttura criptocristallina finissima presenta due caratteri fondamentali: la facile lavorabilità dovuta alla durezza minima, e la particolare resistenza al calore, dovuta all’elevatissimo punto di fusione del Talco componente. I caratteri morfologici e materiali dunque indicano chiaramente che questi manufatti sono inadatti a sostenere qualsiasi percussione, ma sono al tempo stesso capaci di contenere sostanze ad alta temperatura. Si è proposto di identificarli come incense burners, per primo Przeworski sulla scorta del confronto con una serie di Egyptian incense burners (Przeworski 1930: 139); tuttavia già Barnett (Barnett 1957: 91) e poi Ogawa (Ogawa 1971: 37-39) hanno dimostrato l’impossibilità di sostenere una simile interpretazione. Barnett in particolare sottolinea l’assenza di ogni indizio di focatura e, sulla base dei confronti con simili recipienti in avorio ed in ceramica noti dalla Età del Tardo Bronzo nell’area del Levante e dell’Anatolia, propone che si tratti più
Recipienti teriomorfi in steatite (del tipo I.A. 1) Si tratta in questo caso di recipienti che si presentano come ciotole a parete non spessa, con bassa vasca ad apertura circolare. Sono caratterizzati da una presa tubolare forata all’interno così da formare un canale, through which some liquid was led into the hollow of the cup (Barnett 1957: 91). I recipienti di questo tipo, diversamente dai tipi precedenti, sono realizzati in steatite. Sono caratterizzati dalla presenza di protomi di leone, singole, doppie o triple, sull’orlo337. Sulla parete esterna, resi con la tecnica dell’excisione, si trovano alcuni ricorrenti motivi decorativi, in alcuni casi associati a decorazioni incise complementari. Przeworski già in uno studio preliminare del 1930 ha pubblicato un lotto rilevante di recipienti in steatite di questo tipo, individuando su questi recipienti una serie ricorrente di motivi decorativi associati: il leone, il loto, il dorso della mano (Przeworski 1930). In seguito Merhav (Merhav 1980), ma già in precedenza Ogawa, nel 1971 (Ogawa, 1971), aggiornando con nuove acquisizioni il lotto dei recipienti teriomorfi in steatite, confermano l’associazione di questi motivi decorativi. S. Mazzoni infine ha classificato le lion bowls, assieme alle hand bowls, all’interno del I gruppo degli spoonstoppers, una produzione documentata tra il IX ed il VII secolo per la quale è possibile individuare l’area principale di produzione nella regione nord occidentale della Siria (Mazzoni 2001: 292). Esempi di questi recipienti teriomorfi sono poi secondariamente diffusi nella Mesopotamia settentrionale, ad Oriente fino alla regione dell’Assiria storica. Un numero rilevante di recipienti teriomorfi del tipo C è conservato nelle collezioni del British Museum (Przeworski 1930: 135136; Walter 1959: 70-71), del Museo di Copenaghen, del Museo di Hamburg, un caso pubblicato da Walter proviene dall’Heraion di Samo (Walter 1959: 72, Taf. 115), un esempio frammentario è stato rinvenuto dal Bittel a Boğazköy (Bittel 1938: 21, Abb. 9) (TAV. 162: 4-9). In conclusione confrontiamo i tre tipi di recipienti teriomorfi in pietra che abbiamo fin qui analizzato. 337
Si tratta di recipienti morfologicamente assimilabili alle ciotole del tipo I.A. 1g.
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III. I MULINI probabilmente di stoppers, to be fitted into the mouths of vessels for holding oil. Mazzoni infine, pur rilevando che l’impiego della steatite and the use of refractory greenstone, which is usually employed for metal moulds, would appear to indicate particolar thermal requirements of the substance contained within, tuttavia osserva che allo stesso tempo the use of other materials (such as ivory338, or Egyptian Blue) would seem to exclude this hypothesis e conclude, allo stesso modo, definendoli spoon stoppers, containers for precious liquids, perhaps aromatic oils (Mazzoni 2001: 293). Più difficili da interpretare sono le ciotole teriomorfe in basalto. In questo caso i recipienti presentano parete piuttosto sottile ma sono sostenuti su piedi, anche se impostati in modo tale da assicurare una stabilità relativa. Sono però realizzati in un basalto del tutto analogo a quello impiegato per i mortai configurati. Presentano perciò caratteri morfologici e materiali apparentemente contrastanti, che li pongono in una posizione intermedia fra gli estremi rappresentati dai mortai in basalto ed i recipienti in steatite. Per risolvere questa difficoltà può essere utile considerare il fatto che su uno degli esempi, proveniente da Deve Höyük, si rileva la presenza di una insellatura in corrispondenza dell’orlo della vasca, un’insellatura chiaramente impiegata come versatolo (Moorey 1980: 46, fig. 8: 135). Questo particolare indica la possibilità che questi recipienti potessero essere anche impiegati per libagioni. È dunque possibile che le ciotole teriomorfe in basalto fossero composite, ovvero fossero impiegati come piccoli mortai per macinare e mescolare minime quantità che potevano poi essere travasate o direttamente destinate alla libagione. Particolarmente interessante infine è mettere a confronto l’arco cronologico e l’area entro la quale si sviluppa la produzione di questi recipienti teriomorfi. Si è potuto stabilire che una differenza sensibile nella cronologia e nella diffusione si può rilevare tra i tipi basalto, da un lato, ed i tipi in steatite, dall’altro.I recipienti teriomorfi in steatite sono una produzione ben nota che si sviluppa nell’area della Sira nord occidentale e si diffonde già dal IX secolo in una vasta area che comprende ad Oriente la regione dell’Assiria storica. I recipienti teriomorfi in basalto sono documentati invece dalla fine dell’VIII secolo al VI, nell’area della Mesopotamia settentrionale compresa tra il Habur e l’Eufrate, sono diffusi secondariamente nell’area del Levante, ma non si trovano in Assiria. Sulla base dei precedenti e considerando l’arco cronologico della sua diffusione, sembra perciò possibile concludere che questa produzione si sia sviluppata con continuità, secondo un percorso autonomo di forte tradizione locale che non ha risentito del collasso politico del centro dell’impero assiro339. 338
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In questo particolare quadro sembra collocarsi la produzione dei recipienti teriomorfi in basalto.
scorta dei dati dell’archivio della Red House a Tell Sheykh Hamad, ha potuto dimostrare che l’oligarchia al potere a Dur-Katlimmu in epoca assira sopravvive al collasso dell’impero ed anzi rimane a gestire la città in nome del nuovo potere babilonese (Khüne 2000: 761-762; 2002: 174).. Questa condizione di passaggio senza traumi, nel segno della continuità, è la stessa che si verifica a Tell Barri, dove il palazzo di TukultiNinurta II, seppure nel tempo oggetto di numerose ristrutturazioni, rimane ininterrottamente occupato in Età neobabilonese period (Pecorella, Pierobon-Benoit 2004: 30). In questo senso una differenza notevole si rileva con la condizione delle capitali assire, così come descritta ad esempio da J. Oates per Nimrud, da dove abbiamo notizia di un generale abbandono, dell’insediamento di squatter-like population e di ripetute razzie (Oates 1993: 181). Questa condizione non è verificabile per i centri provinciali assiri nell’area del Habur, almeno non a Tell Sheykh Hamad né a Tell Barri, dove il passaggio deve essere stato al contrario non traumatico, ma non è in definitiva applicabile neppure per le città del centro dell’Assiria, così almeno a Nimrud, con la sola evidente esclusione della capitale Ninive. Su questo tema si veda in maggiore dettaglio Bombardieri 2005; Fiorina et alii 2005..
Esempi in avorio sono diffusi e ben noti, si veda ad esempio Barnett 1957: 91-92 e Invernizzi 1985: 405406. Il modello cui questa produzione sembra rimandare dunque è quello di una transizione senza netta cesura fra l’Età assira ed il periodo successivo, che si adatta bene alle recenti ipotesi circa l’impatto del crollo nelle diverse regioni dell’impero. H. Khune infatti, sulla
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di questi cinque elementi alcuni si devono considerare costanti (così in generale la natura della materia prima e le contingenze ecologiche), altri mutano costantemente (così la domanda sociale, che può essere legata ed influenzata dal variare del gusto e delle preferenze). Anche il sapere tecnologico della comunità è soggetto a variare e a svilupparsi seppure, a differenza degli altri elementi, muta raramente secondo una logica interna, rimanendo piuttosto legato ad impulsi che di volta in volta provengono dall’esterno. In questo senso Oppenheim giustamente già sottolineava come lo sviluppo di nuovi metodi di lavorazione, o il trasferimento di pratiche tecnologiche da un campo all’altro, siano spesso da attribuire al risultato di spinte 1 provenienti dall’esterno . Perché uno sviluppo del genere possa avvenire tuttavia il contatto e lo scambio sono condizioni preliminari, necessarie ma non sufficienti. Gli impulsi di cui si è detto devono poter essere recepiti e il principio cui ci si deve riferire è dunque quello di accettabilità. Affinché una qualsiasi innovazione tecnologica sia accettata da una comunità e si determini dunque uno sviluppo del sapere tecnologico si devono verificare contemporaneamente due condizioni nel complesso degli elementi essenziali che contribuiscono alla realizzazione del prodotto finale. Si deve infatti determinare il mutamento di almeno uno di quelli che si sono indicati come elementi variabili (la preferenza, il gusto, la domanda sociale legata al prodotto) ma tale mutamento deve avvenire all’interno di un quadro in cui la natura della materia prima o le contingenze ecologiche dell’ambiente (ovvero quelli che si sono indicati come elementi costanti) non rappresentino di per sé un ostacolo all’introduzione dell’innovazione tecnologica stessa. Nella diffusione di una certa tecnologia si potrebbe quindi riconoscere di volta in volta l’imposizione di un prodotto a status symbol, nel caso in cui a garantire l’introduzione di un’innovazione tecnologica sia intervenuto un mutamento del gusto o della preferenza e
IV. CONCLUSIONI
Dal complesso dei dati sin qui presentati si possono avanzare alcune osservazioni di carattere generale. La sintesi dei documenti di differente natura attraverso cui si è giunti, per gradi, a definire i caratteri funzionali, l’assetto tecnologico e la distribuzione cronologica e geografica dei diversi mulini nell’area del Vicino Oriente e del bacino mediterraneo orientale antico, è infatti qui realizzata, come si è detto, in modo tale da produrre, laddove i documenti disponibili lo permettano, una serie di dati omogenea per ogni mulino. Questo aspetto è infatti essenziale al principio per poter isolare i differenti tipi di mulini e le loro eventuali varianti, e poter procedere infine a confrontarli su una base comune, con criteri stabili e dunque in definitiva attraverso l’analisi degli stessi elementi di distinzione. Ma lo stesso permette alla fine di comporre un quadro d’insieme della storia delle tecniche della macinazione dell’area dell’Oriente antico, nel quale si possono distinguere modalità di diffusione e percorsi di sviluppo omogenei. Nella distinzione di questi due aspetti generali, ovvero la diffusione e lo sviluppo, si possono chiarire gli elementi fondamentali che agiscono nella storia delle tecniche antiche della macinazione. Si delinea così la natura particolare della diffusione delle tecniche di macinazione in rapporto alla generale diffusione del sapere tecnologico nell’area dell’Oriente antico, una volta definita tale natura si delineano i percorsi plausibili e soprattutto gli attori di questa diffusione, per quanto sia possibile ricostruire. Si procede quindi ad analizzare la natura dello sviluppo delle tecniche di macinazione così diffuse nell’area dell’Oriente antico, verificando la presenza di caratteri costanti e di una linea di sviluppo nella quale l’introduzione di ogni nuovo mulino è da considerare una tappa di un percorso coerente.
1. CONSIDERAZIONI SULLA DIFFUSIONE DEI DIFFERENTI MULINI IN PIETRA 1
1.1. MODELLI DI DIFFUSIONE E TRASFERIMENTO DELLA TECNOLOGIA NELL’AREA DEL VICINO ORIENTE ANTICO Dal modello della “Percolation diffusion” di Oppenheim alle applicazioni di Moorey. Si procede dunque definendo anzitutto la natura particolare della diffusione delle tecniche di macinazione, verificando i modi in cui si possa collocare all’interno della diffusione del sapere tecnologico nell’area dell’Oriente antico. Nel 1973 L. Oppenheim ha analizzato gli elementi essenziali che concorrono alla realizzazione di un prodotto artigianale o industriale, distinguendone infine cinque: la natura e la potenzialità della materia prima, le contingenze ecologiche dell’ambiente, la domanda sociale legata al prodotto, le preferenze ed il gusto, il sapere tecnologico della comunità. Secondo Oppenheim 134
A supporto di questa tesi si può considerare a titolo di esempio il caso della diffusione del moto rotativo in ambito artigianale. Il moto rotativo era una conoscenza diffusa nel sapere tecnologico delle comunità antiche in tutto il Vicino Oriente ed il bacino mediterraneo orientale, certamente già al principio del Bronzo Antico, su questo principio si basava il funzionamento del sistema a pivot per tournette, di cui si ha testimonianza in un’ampia area che và dall’Egeo fino alla Mesopotamia settentrionale e alla Persia; questa conoscenza tuttavia non viene trasferita, secondo quella che ci si aspetterebbe essere una logica interna, ai mulini per la macinazione, ai quali viene applicato il principio del moto rotativo soltanto molti secoli più tardi, ed in seguito all’impulso esterno proveniente dai sistemi di mulini rotativi sviluppati nel mediterraneo occidentale durante l’età classica. Questo caso vale da esempio del principio di sviluppo tecnologico realizzato a seguito di impulsi esterni. Si veda a questo proposito in generale Bombardieri 2004.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico 2
natura, ma non danno che sporadiche informazioni utili alla ricostruzione dei procedimenti tecnologici seguiti nell’ambito della produzione artigianale (Moorey 1994: 14). Ciò che è infatti comunemente possibile ricavare da queste fonti, altrimenti ricchissime, sono infatti notizie riguardo all’organizzazione del personale, la gerarchia, la supervisione del lavoro, la destinazione dei prodotti, il pagamento del personale. Questa è in generale anche la condizione dei due principali e più completi workshops archives che provengono, ad esempio, dall’area mesopotamica: l’archivio del Registrar’s Office dell’Edub-lamah ad Ur, datato al periodo della terza dinastia (Loding 1974; Neumann 1987; Limet 1960), ed il contemporaneo archivio di Isin (Mieroop 1987). Entrambi gli archivi tuttavia, oltre alle informazioni utili in merito all’organizzazione del lavoro e agli aspetti di gestione del personale, permettono di stabilire che alcune attività venivano deliberatamente associate. Dall’archivio di Ur risulta che nella medesima struttura operavano artigiani che lavoravano la pietra, il metallo, orefici, pellettieri. Una simile condizione è nota anche dall’archivio di Isin. Si tratta in ogni caso di artigiani specializzati che lavoravano per la struttura centrale (tempio o palazzo) e che potevano essere chiamati a cooperare per la realizzazione di alcuni prodotti, in particolare prodotti di lusso. Questo tipo di organizzazione è stata interpretata da Zaccagnini all’interno di una struttura, comune per tutto il III ed il II millennio in Mesopotamia ed in generale nel Vicino Oriente, che vede ad un estremo i palace (or temple) workshops, where full-time specialists are maintained by the administration, e all’altro i villages, with a subsistence economy based on non-specialization of labour, with low-level technology and no specialized full-time activity. Exchanges between villages were rare or non-existent. Zaccagnini conclude Craftwork is limited almost exclusively to the palace (or) temple workshops […] A quite different problem is of course the decentralization of certain specialized crafts away from the headquarters of an administration, this is not specialized work performed by village communities but forms of decentralized technological activities performed by the palace (Zaccagnini 1989: 51). La condizione muta sensibilmente soltanto con il I millennio, attraverso un progressivo affrancamento che ha per conseguenza the spread of elitist technologies beyond palace and temple organizations (Moorey 1994: 14). Un certo grado di mobilità degli artigiani in realtà, seppure in determinate situazioni, sembra essere stato previsto anche in precedenza. Sasson ha potuto stabilire, analizzando le informazioni relative al ruolo degli artigiani contenute nei testi di archivio di Mari (Sasson 1968), che alcuni artigiani specializzati in occasioni che lo richiedevano potevano svolgere alcune attività al di fuori del laboratorio del palazzo, ma in ogni caso legati ad un sistema di controllo e di rigida verifica del lavoro svolto. La situazione tuttavia, come si è detto, sembra differente già a partire dal periodo neoassiro. I testi cominciano a registrare una condizione molto più dinamica di mobilità di artigiani, evidente in primo luogo dalla presenza di artigiani specializzati stranieri, di varia provenienza, nei
dunque del significato attribuito a quel prodotto ; diversamente la diffusione di una certa tecnologia si può considerare come frutto del mutare di rapporti sociali ed economici, quali la variazione del costo della forza lavoro, la necessità di una produzione su larga scala, nel 3 caso in cui a mutare sia stata la domanda sociale . Può infine verificarsi il caso in cui si determini una variazione del gusto, delle preferenze o della domanda sociale connessa ad un prodotto, senza che tuttavia la natura della materia prima o le contingenze ecologiche dell’ambiente permettano che una certa tecnologia legata a quel prodotto possa essere introdotta ed affermarsi. I cosiddetti prodotti esotici rappresentano questa possibilità e rimangono nella condizione in cui è il solo prodotto finale ad essere importato e non la tecnologia necessaria a realizzarlo. In questa ottica si dovrebbero considerare quindi anche le imitazioni locali, che rappresentano in questo senso il tentativo non compiuto di realizzare un prodotto che ha determinato un mutamento del gusto o della domanda sociale, ma del quale non è possibile importare la tecnologia. La diffusione della tecnologia, o più correttamente del sapere tecnologico, nell’area oggetto di questo studio è una di certo complessa e difficile da ridurre ad uno schema o ad un modello unico. Un ostacolo rilevante, che limita le nostre possibilità di comprensione e quindi di sintesi del problema, è rappresentato dalla natura delle informazioni provenienti dalle fonti scritte. Le collezioni di testi provenienti da archivi privati, di palazzo o templari offrono un ampio inventario di attività, materie prime e prodotti di varia 2
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Sul valore del concetto di “gusto” e “preferenza” legati all’introduzione e all’affermazione di un prodotto è particolarmente interessante quanto sostenuto da D’Azavedo (D’Azavedo 1958), e di recente ripreso dalla Winter (Winter 2003: 403), i quali riconoscono in ogni prodotto due specifiche coordinate sociali: the context of production and the context of appreciation. La ricezione del significato di un prodotto, e la sua variabilità, per quanto determinante per la produzione, sembra tuttavia più propriamente un elemento del contesto di produzione che una coordinata autonoma. A questa condizione si può assimilare anche il caso, di cui si è ampiamente discusso nella sezione qui dedicata all’analisi delle materie prime, della produzione di macine per mulini a macina semplice a Cipro durante il Bronzo Antico e Medio e durante il Bronzo Tardo. A Cipro infatti, come è noto, nella prima Età del Bronzo viene infatti a questo scopo comunemente impiegata la pietra arenaria locale, che poi durante il Bronzo Tardo viene sostituita da basalti che provengono da giacimenti del Levante meridionale. In questo caso evidentemente ciò che muta è il quadro economico delle relazioni dell’isola con i centri della costa levantina, che rende accessibile il reperimento della materia prima necessaria, il cui difficoltoso approvvigionamento aveva costituito l’ostacolo primario all’introduzione di questa tecnologia, durante il Bronzo Antico e Medio. Si veda a questo proposito in maggiore dettaglio la sezione qui dedicata alle strategie di approvvigionamento della materia prima.
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IV. CONCLUSIONI 4
laboratori di palazzo (Oded 1979: 101-102). Gli artigiani giungono così alla corte come prigionieri, ma anche come forma evoluta di dono da parte di sovrani stranieri o governanti tributari (Zaccagnini 1983; Oppenheim 1978: 265). Questo processo in costante sviluppo fra il periodo neoassiro e l’epoca achemenide rappresenta dunque una sorta di livello di transizione nel Vicino Oriente fra una condizione in cui l’organizzazione statale centralizza e monopolizza la manodopera artigianale ed una condizione “moderna” in cui elites di artigiani specializzati offrono liberamente il loro servizio a chi ne faccia richiesta. Un modello del genere se considerato dal nostro punto di interesse, ossia nell’ottica della diffusione del sapere tecnologico, può condurre in ogni caso ad una sola possibile conclusione. In sintesi le premesse sono: gli artigiani costituiscono il veicolo di trasmissione del sapere tecnologico di cui sono depositari, ma la manodopera artigianale è confinata in laboratori di palazzo e quando in seguito raggiunge un maggior grado di mobilità è tuttavia destinata ad essere assorbita da simili strutture templari o palatine; non si verificano scambi significativi di tecnologia fra le strutture centrali (laboratori del tempio o del palazzo appunto) e i centri periferici, e questi ultimi si trovano virtualmente isolati fra loro e ad un grado inferiore di sviluppo tecnologico. Dalla sintesi di questi elementi si può concludere soltanto che la diffusione del sapere tecnologico debba avvenire esclusivamente ad un livello “alto”, quello che Oppenheim indicava come diplomatic level. Oppenheim infatti e più di recente Moorey e Silver che hanno riproposto modelli simili, sostiene che since peaceful intercultural contacts take place in the ancient Near East exclusively on what we could call the “diplomatic” level, namely by exchanges of gifts between rulers, visits of ambassadors, and dynastic marriages, prestige technologies are likely to change while subsistence technologies remain basically stable (Oppenheim 1973: 265). Su questo piano si articola il modello di diffusione della tecnologia che propone Oppenheim e che è stato largamente impiegato (Oppenheim 1973; 1978; Moorey 1994; Silver 1995). Si tratta di un modello che prevede una diffusione “orizzontale” che si realizza appunto da corte a corte ad un diplomatic level, cui segue una diffusione “verticale” verso il basso, realizzata questa volta per “percolazione”, dalla corte ai funzionari, agli ufficiali, ai proprietari di terre, ai mercanti.
e dunque di specifiche tecnologie , la seconda è che, ciononostante, le tecnologie di sussistenza presentano un 5 costante sviluppo nell’area dell’Oriente antico. È perciò necessario concludere che il modello a “percolazione” sia valido soltanto, e questo è l’intento dello stesso Oppenheim, per descrivere la diffusione di una serie limitata all’interno del sapere tecnologico, ovvero l’insieme delle tecnologie legate alla produzione di beni e prodotti di lusso. La tecnologia legata ai processi di macinazione indica, probabilmente nel modo più evidente, un caso nel quale il sistema della diffusione risulta legato ad un contesto molto diverso rispetto a quello sin qui descritto. Si tratta di un sapere tecnologico di base, diffuso a vari livelli nella comunità perché connesso allo svolgimento di una delle attività più largamente praticate nell’ambito della produzione alimentare, con una scansione costante ed una frequenza quotidiana. Il sapere tecnologico è condiviso dunque, non solo perché si tratta di una pratica diffusa e non legata all’attività specializzata di artigiani, ma perché è continuamente arricchito e ridefinito proprio da coloro che utilizzano questa tecnologia, che ne sono gli operatori. In questo infatti si segnala una differenza netta con altre tecnologie. Un’innovazione introdotta nell’oreficeria, o nelle tecniche della glittica, ma anche nella ceramica, si potrà di volta in volta attribuire al lavoro e in definitiva all’intuizione o alla innovazione portata da un gruppo, più o meno identificabile come artista, artigiano, come bottega e in generale all’interno di un particolare ambito di produzione; l’innovazione nello sviluppo della tecnologia legata ai processi di macinazione, che si concretizza nell’introduzione di un nuovo tipo di mulino o nell’adattamento di una variante di un tipo già esistente, si può invece soltanto immaginare come il risultato di un processo, di certo più complesso, messo in moto da coloro che utilizzavano quel mulino, dagli operatori appunto. In questo senso l’artigiano al quale è richiesto di lavorare la materia prima necessaria per realizzare le macine del mulino, non si può identificare tout court come colui che concepisce l’innovazione tecnologica e la realizza, seppure di certo può esserne uno dei promotori principali. È chiaro dunque che stabilire le modalità di diffusione è più complesso in un contesto del genere, nel quale non sono in realtà definibili con certezza neppure gli attori stessi dello sviluppo tecnologico.
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1.2 ASPETTI SPECIFICI DELLA DIFFUSIONE DELLE TECNICHE DI MACINAZIONE Convivenza di modelli avanzati e primitivi Un modello del genere è certamente valido nei sui tratti principali ma al tempo stesso non è tuttavia di per sé generalizzabile. Questo anzitutto non rende ragione infatti di due evidenze, l’una legata all’altra per conseguenza: la prima è che il contatto diplomatico per sua natura e logica non consente che la diffusione di prodotti e beni di lusso,
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In questo modo fra gli artigiani coloro ai quali viene riconosciuto un certo grado di mobilità, rimangono legati ad una logica di scambio da corte a corte e dunque sono gli artigiani impiegati nella produzione di beni di lusso e di pregio. Così soltanto può spiegarsi il fatto che vengano inviati come doni, allo stesso modo in cui come doni sono inviati i loro prodotti. La natura e i tempi di questo sviluppo sono differenti da quelli legati alle cosiddette prestige technologies evidentemente, ma nel momento in cui Oppenheim riconosce che le tecnologie di sussistenza rimangono basically stable è evidente allo stesso modo che queste “basically develop”.
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico È necessario perciò partire dalle evidenze disponibili che indicano che una diffusione di differenti tecniche della macinazione è avvenuta; da queste evidenze si può tentare con migliore approssimazione di risalire agli eventuali percorsi e alle modalità con cui possono essersi realizzati. L’aspetto in questo senso più evidente ed insieme più utile da considerare è legato probabilmente all’analisi delle modalità con cui si verifica l’introduzione di un nuovo tipo di mulino. In modo particolare nel caso di siti per i quali è possibile prendere in esame materiali provenienti da una sequenza di occupazione continua, che copra un arco cronologico rilevante; in questi casi è possibile rilevare come l’introduzione di un nuovo tipo di mulino non produca di necessità, come si sarebbe portati a ritenere, la scomparsa dei più arretrati modelli precedenti. Un rapido abbandono del modello precedente sarebbe invece quanto mai comprensibile, considerando che si tratta di innovazioni che si prefigurano come un miglioramento dell’assetto funzionale dei mulini precedenti, e che garantiscono una evidente crescita della produzione. Si sarebbe portati a calcolare e valutare caso per caso l’incidenza di un periodo di eventuale convivenza di due tipi, prima del definitivo abbandono del tipo più antico e meno efficiente. In realtà, come abbiamo visto, si tratta di una condizione pressoché costante: il mulino a macinello ed il mulino a macina semplice coesistono con il mulino assiro a scanalatura e più tardi con il mulino a tramoggia di Olinto. Questa convivenza di modelli è tanto più particolare quanto più si consideri l’effettiva affinità dei differenti mulini; il mulino a macinello ed il mulino a macina semplice sono mulini a mano che funzionano per frizione (o rubbing), come sappiamo, allo stesso modo dei più evoluti mulini assiri e dei successivi mulini a tramoggia, anch’essi mulini che funzionano per frizione, con il vantaggio funzionale non indifferente di essere però mulini a leva e dunque garantire un funzionamento 6 migliore ed una maggiore produttività effettiva . Si deve perciò pensare che i tipi precedenti di mulino, rimanessero in uso, dopo l’introduzione di un nuovo tipo, con la funzione di rispondere ad una produzione di ambito domestico, destinata ad un fabbisogno ridotto. In questo caso il rapporto fra l’impegno ed il dispendio nell’allestire un mulino di tipo nuovo ed le effettive necessità a cui poteva rispondere un mulino precedente, poteva risultare a vantaggio di quest’ultimo. È questa la condizione che distingue l’introduzione del mulino assiro ed in seguito del mulino a tramoggia, destinati proprio per l’impegno economico che poteva derivare dalla loro installazione ad un contesto di produzione di rilievo maggiore, rispetto a quello della singola unità familiare. Con questa considerazione si può in parte spiegare 6
l’apparente aporia documentata dalla convivenza di differenti tipi di mulini con funzioni analoghe. Dal punto di vista delle modalità con cui poteva prodursi la diffusione delle tecniche di macinazione, una condizione simile a quella che si è sin qui descritta suggerisce una forma graduale e piuttosto lenta di introduzione delle successive innovazioni. Un’introduzione mediata dalla elaborazione di figure intermedie che sono entrate in contatto con una tecnica, hanno potuto praticarla in forme preliminari e quindi trasmetterla alla comunità. Due figure che al tempo stesso rispondano a questa necessità e che si prestino a questa ricostruzione possono essere: i mercanti ed i soldati a seguito delle spedizioni militari. Queste figure si presterebbero, seppure è chiaro soltanto sul piano della ricostruzione di un modello che risulterebbe difficile accertare per la mancanza di documenti a supporto, per ricoprire il ruolo di veicoli per la diffusione dei nuovi modelli e tecniche per la macinazione: entrambi hanno la necessaria mobilità e per entrambi è ipotizzabile la pratica nell’impiego di strumenti per la macinazione. I due aspetti, se correlati, assicurano all’ipotesi una certa plausibilità. Una segno (meglio che una prova si potrebbe dire una suggestione) si trova nella rappresentazione del campo assiro di Salmanassar III, raffigurato ad incisione su una delle lamine bronzee del palazzo di Balawat. In questa scena, che abbiamo in maggiore dettaglio presentata nell’analisi dei documenti iconografici del mulino a macina semplice, sono infatti rappresentati, fra le quattro figure di militari raffigurati in sintesi intenti alle attività di quotidiana preparazione all’interno del campo, due soldati impegnati a macinare utilizzando un mulino a macina semplice mobile, da campo appunto. Un’ipotesi del genere, per la quale mancano, come si è detto, i necessari dati di conferma, rimane al momento tuttavia una possibilità che attende una verifica più circostanziata e supportata dal vaglio di documenti, in primo luogo eventualmente epigrafici, che possano chiarirla o escluderla.
2. MOTIVI RICORRENTI E CARATTERI PECULIARI DELLO SVILUPPO DELLE TECNOLOGIE DI MACINAZIONE Nuove applicazioni per la teoria dei “Limiting factors” di Moritz. Dall’insieme dei dati che questo studio ha potuto analizzare si possono realizzare alcune interessanti considerazioni generali in merito ai caratteri che è possibile leggere nello sviluppo delle tecnologie per la macinazione nell’area del Vicino Oriente e del bacino mediterraneo orientale antico. Procedendo infatti dall’analisi delle materie prime, attraverso quella dei manufatti, ovvero delle macine, fino alla ricostruzione funzionale delle differenti macchine per la macinazione, e dunque dei mulini, si è potuta prendere in esame, come abbiamo visto, una serie di documenti di natura differente. Il vaglio di documenti diversi, raramente considerati sullo stesso piano nell’ambito di un unico studio, ha contribuito ad arricchire e a precisare il
Non si considera, a ragion veduta, il mulino a mortaio, che pure coesiste con gli altri mulini, dal momento che quest’ultimo rappresenta il caso differente di un mulino che funziona per percussione (o pounding), come abbiamo visto, carattere questo che può indicare facilmente una differente funzione del mulino. In questo caso dunque la coesistenza con gli altri mulini può trovare dunque una spiegazione funzionale.
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IV. CONCLUSIONI quadro della ricostruzione. Affinché tuttavia il valore del contributo delle diverse fonti fosse alla fine apprezzabile al massimo nei risultati, è stato necessario porre una speciale attenzione alla disposizione dei dati prodotti dall’analisi. Si è così fatto in modo che per ogni mulino fosse definita, laddove naturalmente i documenti disponibili lo permettessero, una serie omogenea di elementi, disposti in un ordine stabile. L’omogeneità e l’ordine degli elementi utili a ricostruire il carattere di ogni mulino, sono infatti stati essenziali per poter in seguito confrontare fra loro i diversi tipi, a questo punto valutabili su un piano comune. Due sono gli aspetti fondamentali che è stato possibile delineare per ognuno dei mulini che abbiamo distinto, questi aspetti sono: i caratteri tecnologici e l’aspetto funzionale, da un lato, la diffusione geografica e cronologica, dall’altro. Correlando fra loro questi dati omogenei è quindi possibile ricostruire un quadro generale dello sviluppo e valutare la presenza di fratture nel percorso o, all’opposto, l’evidenza di elementi costanti all’interno di questo processo. Fratture ed elementi costanti sono gli elementi attraverso i quali determinare la “logica”, se così si può dire, che sta alla base dello sviluppo di questa tecnologia. Una logica comune che guida dall’interno le direttrici di questo sviluppo. Un mulino infatti come ogni macchina funziona al massimo delle sue potenzialità se mantiene un assetto costante durante il funzionamento: lo sviluppo delle tecniche molitorie si può configurare perciò come una progressiva e costante eliminazione dei singoli fattori di variabilità del mulino. Se valutiamo in questo senso la storia delle tecniche di macinazione, possiamo considerare questo processo di eliminazione degli elementi di variabilità come una reale e costante logica di sviluppo. In ogni mulino gli elementi di variabilità correlati al processo di macinazione sono nel complesso (TAV. 166): • • • • •
Il mulino a macinello ed il mulino a mortaio per primi; entrambi già diffusi, come abbiamo visto, dalla fase iniziale del Neolitico aceramico in tutto il Vicino Oriente, presentano la massima variabilità; tutti gli aspetti del funzionamento sono qui infatti affidati unicamente alla maggiore o minore perizia dell’operatore (TAV. 11, 166). La direzione della sequenza con cui si produce la macinazione, ovvero in concreto la direzione che può seguire la macina superiore sulla giacente durante il processo di macinazione, può variare considerevolmente e dipende effettivamente dall’operatore. Lo stesso può dirsi evidentemente per la pressione della macina superiore sulla giacente; per l’ampiezza della sequenza di macinazione, ovvero del gesto compiuto dall’operatore con la macina superiore sulla giacente, che può chiaramente variare qui in modi rilevanti, essendo in questo caso correlata con la variabilità della direzione. La velocità poi in questo mulino è, addirittura con maggiore evidenza, sottoposta a variare, dal momento che dipende direttamente dall’operatore. Il mulino a macina semplice, anch’esso diffusa già dal Neolitico nell’area vicino orientale e nel bacino orientale del Mediterraneo, rappresenta a tutti gli effetti un’evoluzione del principio del mulino a macinello che, come abbiamo visto, si realizza con l’aumento delle dimensioni della macina superiore, che viene direttamente proporzionata alla relativa giacente (TAV. 25, 166). Questo sviluppo può essere a ben vedere considerato come il tentativo di eliminare uno dei fattori limitanti del precedente mulino a macinello, ovvero la variabilità della direzione. È ovvio infatti che un mulino in cui le due macine sono proporzionate in modo che la superiore sia lunga quanto la larghezza dell’inferiore, obbliga l’operatore a procedere secondo una sequenza di frizione assiale che abbia tendenzialmente la stessa direzione. La pressione operata sulla macina superiore rimane invece variabile e così l’ampiezza della sequenza. Allo stesso modo, anche in questo mulino, la velocità dell’operazione che produce la macinazione si conserva estremamente variabile e dipendente dall’operatore.
la variabilità di direzione la variabilità di pressione la variabilità di ampiezza la variabilità di velocità la variabile continuità dell’operazione
L’introduzione del successivo e più evoluto mulino assiro a scanalatura, nel corso del I Millennio a.C., indica un’ulteriore progresso nello sviluppo generale delle tecniche applicate alla macinazione, come abbiamo visto. Si tratta in questo caso del primo e più antico esempio noto di mulino a leva i cui caratteri di innovazione funzionale si prestano ancora una volta ad essere interpretati nell’ottica della necessità di eliminare uno dei fattori limitanti ancora presenti nei modelli di mulino già diffusi all’epoca (TAV. 92, 166). In questo caso è facile intendere l’introduzione della leva come un tentativo di risolvere la variabilità della pressione sulla macina superiore, durante il processo di macinazione. La leva di volano permette infatti di distribuire con maggiore uniformità la forza esercitata dall’operatore sulla macina attiva e riduce quindi la naturale variabilità connessa a questa operazione. Rimane in ogni caso ancora evidente nel funzionamento del
Questi cinque elementi possono essere considerati a giusta ragione come fattori limitanti nel funzionamento del mulino. In questo senso li aveva intesi già Moritz, indicando alcuni di questi appunto con la definizione di limiting factors che qui non a caso vogliamo recuperare. I fattori limitanti corrispondono effettivamente a tutti gli aspetti del funzionamento della macchina che non sono predeterminati ma rimangono affidati, demandati alla maggiore o minore abilità dell’operatore. Si può quindi procedere prendendo in esame i caratteri funzionali dei diversi mulini alla ricerca dei fattori limitanti che sono individuabili nel loro funzionamento. In questo modo si ricostruisce il percorso di successivi adattamenti intesi ad eliminare progressivamente questi fattori, dai ogni mulino in un certo senso segna una tappa di affrancamento. 138
PIETRE DA MACINA, MACINE PER MULINI Definizione e sviluppo delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del Mediterraneo orientale antico mulino assiro a scanalatura, la presenza degli altri fattori limitanti che abbiamo distinto. L’ampiezza della corsa della macina superiore sulla giacente tuttavia dipende ancora direttamente dall’operatore e così, a maggiore ragione, la velocità non risulta in alcun modo predeterminata. Con il mulino a tramoggia, o mulino di Olinto, intorno alla metà del I Millennio a.C., si produce un’ulteriore progresso nello sviluppo delle tecniche di macinazione. Si può anche in questo caso individuare nei caratteri dell’innovazione introdotta da questo mulino la necessità di eliminare fattori limitanti al funzionamento. In questo caso si deve considerare il tentativo di risolvere la variabilità presente sia nell’ampiezza che nella continuità dell’operazione. Il primo aspetto può essere stabilizzato dall’impiego della frizione semicircolare ottenuta fissando una delle due estremità della leva. In questo modo l’ampiezza del gesto risulta in parte limitata. Lo stesso può dirsi a proposito della continuità dell’operazione che è garantita dalla presenza della tramoggia che permette ovviamente di aumentare la quantità del prodotto messo a macinazione e soprattutto di facilitarne l’inserimento nel mulino (TAV. 102, 166). Nel caso del mulino a tramoggia i due tentativi sono il frutto dell’adattamento che il mulino ha subito per arrivare alla sua formulazione standard. Il mulino a tramoggia del tipo senza scanalatura, che abbiamo sopra isolato, risponde infatti alla necessità di rendere più continua l’operazione, l’introduzione della scanalatura, dovuta come abbiamo proposto, al contatto con il mulino assiro, trasformando questo mulino in un modello a leva, ha agevolato la risoluzione della variabilità di ampiezza. Ciononostante per il mulino a tramoggia si tratta evidentemente di due tentativi non risolutivi, che non conducono in definitiva ad eliminare definitivamente i due fattori limitanti.
una fonte di energia continuamente rinnovabile, differentemente da quella umana o animale. La velocità del processo è infine resa uniforme dai differenti meccanismi di compensazione che stabilizzano e rendono omogeneo il processo.
§§§§ Le conclusioni di questo studio si concentrano dunque necessariamente, come si è visto, sui due aspetti generali di maggiore interesse che emergono dall’analisi dei manufatti e delle tecniche di macinazione nell’area del Vicino Oriente e del bacino mediterraneo orientale antico, e che risultano evidenti dalla sintesi dei dati presentati. 1. Il primo aspetto, che riguarda i caratteri specifici legati alla diffusione di questa tecnologia, è rappresentato dalla costante convivenza di tipi vecchi e nuovi di mulino, attraverso fasi intermedie in cui la tecnologia avanzata stenta a soppiantare l’arretrata, per quanto l’una si sviluppi dall’altra senza soluzione di continuità ed in definitiva si configuri come un naturale processo di miglioramento nell’efficienza del 8 sistema . 2. Il secondo aspetto consiste invece nella struttura fondamentale che informa lo sviluppo di questa tecnologia. Un mulino infatti come ogni altra macchina funziona al massimo delle sue potenzialità se mantiene un assetto costante durante il funzionamento. Lo sviluppo delle tecniche molitorie si configura perciò essenzialmente come una progressiva eliminazione dei singoli fattori di variabilità del mulino. Variabilità di direzione, di pressione, di ampiezza, di velocità e di continuità dell’operazione. In questo modo si intendono i cosiddetti fattori limitanti, così definiti in questo studio ampliando la definizione che per primo ne aveva data L. Moritz, e che corrispondono effettivamente a tutti gli aspetti del funzionamento della macchina che non sono predeterminati ma rimangono affidati, demandati alla maggiore o minore abilità dell’operatore. Si procede così dal mulino a macinello già noto in area orientale dalle fasi più antiche del Neolitico, che presenta la massima variabilità e nel quale tutti gli aspetti del funzionamento sono affidati alla maggiore o minore perizia dell’operatore, fino al mulino di Olinto, diffuso dal VI secolo a.C. in tutto il
La variabilità di ampiezza sarà eliminata infatti soltanto più tardi dall’introduzione dei diversi tipi di mulini rotativi. Nel mulino rotativo a mano, la mola versatilis di epoca romana, altrimenti nota come mola hispaniensis, e nel mulino pompeiano, entrambi basati sul principio della macinazione rotativa, l’ampiezza della sequenza della macina superiore è resa costante dal semplice movimento rotativo. La continuità dell’operazione e soprattutto la variabilità della velocità connesse con il processo di macinazione sono gli ultimi fattori limitanti che vengono eliminati. A questo si arriva, soltanto più tardi, con l’introduzione dei differenti mulini meccanici. I differenti modelli di mulini ad acqua, il cosiddetto mulino verticale o il mulino orizzontale, altrimenti noto come mulino di Vitruvio, il Saalburg mill ed in seguito i mulini a vento sono infatti pensati per consentire un funzionamento in cui tutti i 7 fattori siano predeterminati dalla macchina . I mulini meccanici compensano infatti e rendono stabili tutti i caratteri funzionali del mulino. In questo modo il processo di macinazione è costante, perché assicurato da 7
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Per una descrizione dei diversi mulini meccanici diffusi in Età romana e poi in epoca tardo-antica si veda in generale Moritz 1958.
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Questo aspetto risulta molto evidente a Tell Barri, sito esemplare che presenta una sequenza di insediamento ininterrotta tra il III al I Millennio a.C. L’analisi del lotto di Tell Barri mette in evidenza come il mulino assiro a scanalatura rimanga in uso per almeno due secoli in seguito all’introduzione del mulino di Olinto a tramoggia più evoluto.
IV. CONCLUSIONI Vicino Oriente, e poi ai mulini meccanici di Età classica che al contrario compensano e rendono stabili tutti i caratteri funzionali del mulino. Lo sviluppo segnato dall’introduzione dei vari tipi di mulini indica dunque in generale una linea che si snoda attraverso l’intero percorso della storia delle tecniche per la macinazione nell’area dell’Oriente antico. Una linea che conduce alla progressiva eppure costante eliminazione dei fattori di variabilità all’interno del processo di macinazione ma che al tempo stesso delinea un quadro nel quale l’introduzione successiva dei diversi mulini non porta all’abbandono dei modelli precedenti. Appare così sullo sfondo una necessità di conservare che produce la costante convivenza di tipi vecchi e nuovi di mulino, attraverso continue fasi intermedie in cui la tecnologia avanzata non soppianta l’arretrata, per quanto evidentemente l’una si sviluppi dall’altra senza soluzione di continuità ed in definitiva si configuri come un naturale processo di miglioramento nell’efficienza del sistema. Su questo sfondo si realizza tuttavia, e si realizza attraverso una tensione anche questa allo stesso modo costante, un evidente sviluppo indirizzato invece verso l’innovazione continua dei tipi, all’interno di una logica che è possibile giustificare appunto con la necessità di migliorare le condizioni del funzionamento del mulino. La storia della macinazione risulta così segnata da questi due aspetti, caratterizzanti ed insieme apparentemente contradditori, dalla cui composizione tuttavia può delinearsi un profilo che abbia valore di ricostruzione affidabile e possa così contribuire a collocare questo contributo nel più ampio quadro della storia delle tecnologie antiche.
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APPENDICE A
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APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
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1: a corpo sferoide, 2: a corpo troncoconico, 3: a corpo biconico, 4: a corpo cilindrico, 5: a corpo di parallelepipedo, 6: a corpo poliedrico irregolare.
TIPI: (Ciotole o Mortai, a vasca bassa o a vasca media o a vasca profonda, a base semplice o ad anello rilevato o a disco rilevato e pieno o con piedi)
A: a base semplice, B: ad anello rilevato, C: a disco rilevato e pieno, D: con piedi
CLASSI: (Ciotole o Mortai, a vasca bassa o a vasca media o a vasca profonda)
I: a vasca bassa (h. ≤ ⅓ Ø) II: a vasca media (⅓ Ø < h. ≤ ½ Ø) III: a vasca profonda (h. > ½ Ø)
MORTAI: a parete spessa (spessore massimo della parete ≥ ½ h.) CIOTOLE: a parete sottile (spessore massimo della parete < ½ h.)
GRUPPI: (Ciotole, Mortai)
SERIE: (Recipienti)
FAMIGLIA: RECIPIENTI (Recipienti definibili morfologicamente come contenitori, caratterizzati dalla presenza di pareti che delimitano una vasca (uno spazio vuoto), e dunque da un rapporto fra volumi pieni e volumi vuoti).
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
CIOTOLE
I.
A.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Ciotole a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide, con cordonatura continua sotto l’orlo. Ciotole a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide, con cordonatura continua sotto l’orlo e solcature. Ciotole a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide, con cordonatura interrotta sotto l’orlo. Ciotole a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide, con solcatura sull’orlo. Ciotole a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide, con solcatura sotto l’orlo. Ciotole a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide, con protome di leone sull’orlo, banda incisa sulla parete, decorazione figurata sulla parete. Ciotole a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide, banda incisa sulla parete.
1 b.
1 c.
1 d.
1 e.
1 f.
1 g.
1 h.
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Ciotole a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide, a parete liscia.
solcature lineari sulla parete, solcature lineari sull’orlo, banda incisa, assente. cordonatura continua sulla parete, cordonatura interrotta sulla parete, protome di leone sull’orlo, decorazione figurata sulla parete, assente
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Decorazione excisa:
Variabili: Decorazione incisa:
Ciotole a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide.
Ciotole a vasca bassa, a base semplice (arrotondata o piatta)
Ciotole a vasca bassa (h. ≤ ⅓ Ø)
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IA.1f
IA.1e
IA.1d
IA.1c
IA.1b
IA.1a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
CIOTOLE
I.
B.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Ciotole a vasca bassa, con base ad anello rilevato, a corpo sferoide, a parete liscia e solcature sulla parete. Ciotole a vasca bassa, con base ad anello rilevato, a corpo sferoide, con cordonatura continua sotto l’orlo. Ciotole a vasca bassa, con base ad anello rilevato, a corpo sferoide, con cordonatura continua sotto l’orlo e solcature. Ciotole a vasca bassa, con base ad anello rilevato, a corpo sferoide, con cordonatura interrotta sotto l’orlo. Ciotole a vasca bassa, con base ad anello rilevato, a corpo sferoide, con cordonatura interrotta sotto l’orlo e solcature. Ciotole a vasca bassa, con base ad anello rilevato, a corpo sferoide, con solcatura sotto l’orlo.
1 b.
1 c.
1 d.
1 e.
1 f.
1 g.
144
Ciotole a vasca bassa, con base ad anello rilevato, a corpo sferoide, a parete liscia.
solcature lineari sulla parete, assente. cordonatura continua sulla parete, cordonatura interrotta sulla parete, assente
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Decorazione incisa: Decorazione excisa:
Ciotole, a vasca bassa, con base ad anello rilevato, a corpo sferoide.
Ciotole a vasca bassa, con base ad anello rilevato,
Ciotole a vasca bassa (h. ≤ ⅓ Ø)
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IB.1g
IB.1f
IB.1e
IB.1d
IB.1c
IB.1b
IB.1a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
CIOTOLE
I.
C.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Ciotole a vasca bassa, con base a disco rilevato e pieno, a corpo sferoide, con cordonatura continua sotto l’orlo. Ciotole a vasca bassa, con base a disco rilevato e pieno, a corpo sferoide, con cordonatura continua sotto l’orlo e solcature sulla parete. Ciotole a vasca bassa, con base a disco rilevato e pieno, a corpo sferoide, con cordonatura interrotta sotto l’orlo. Ciotole a vasca bassa, con base a disco rilevato e pieno, a corpo sferoide, con cordonatura interrotta sotto l’orlo e solcature. Ciotole a vasca bassa, con base a disco rilevato e pieno, a corpo sferoide, con solcature sull’orlo. Ciotole a vasca bassa, con base a disco rilevato e pieno, a corpo sferoide, con solcature sotto l’orlo.
1 b.
1 c.
1 d.
1 e.
1 f.
1 g.
145
Ciotole a vasca bassa, con base a disco rilevato e pieno, a corpo sferoide, a parete liscia.
solcature lineari sulla parete, solcature lineari sull’orlo, assente. cordonatura continua sulla parete, cordonatura interrotta sulla parete, assente
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Decorazione excisa:
Variabili: Decorazione incisa:
Ciotole a vasca bassa, con base a disco rilevato e pieno, a corpo sferoide.
Ciotole a vasca bassa, con base a disco rilevato e pieno.
Ciotole a vasca bassa (h. ≤ ⅓ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IC.1g
IC.1f
IC.1e
IC.1d
IC.1c
IC.1b
IC.1a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
CIOTOLE
I.
D.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Ciotole a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide, un piede impostato esternamente e protome sul piede. Ciotole a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide, un piede impostato esternamente, protome sul piede, insellatura sull’orlo. Ciotole a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide, con due piedi impostati esternamente, protomi sui piedi. Ciotole a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio isoscele, con solcature sulla parete. Ciotole a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio isoscele, con cordonatura continua sotto l’orlo.
1 b.
1 c.
1 d.
1 e.
1 f.
146
Ciotole a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio isoscele.
1, 2, 3 esterni sulla parete a sezione di trapezio isoscele semplice, con insellatura protomi sull’orlo
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Numero dei piedi: Impostazione dei piedi: Morfologia dei piedi: Orlo: Decorazione:
Ciotole a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide.
Ciotole a vasca bassa, con piedi.
Ciotole a vasca bassa (h. ≤ ⅓ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
ID.1d
ID.1c
ID.1b
ID.1a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
CIOTOLE
II.
D.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Ciotole a vasca media, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio isoscele. Ciotole a vasca media, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio rettangolo. Ciotole a vasca media, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati esternamente a sezione semiellittica.
1 b.
1 c.
1 d.
147
Ciotole a vasca media, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati esternamente a sezione rettangolare.
3 esterni sulla parete a sezione rettangolare, di trapezio isoscele, di trapezio rettangolo, semiellittica.
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Numero dei piedi: Impostazione dei piedi: Morfologia dei piedi:
Ciotole con piedi, a vasca bassa, a corpo sferoide.
Ciotole a vasca media, con piedi,
Ciotole a vasca media (⅓ Ø < h. ≤ ½ Ø)
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IID.1d
IID.1c
IID.1b
IID.1a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MORTAI
I.
A.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Mortai a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide piccolo.
1 b.
148
Mortai a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide grande.
Mortaio grande (dimensione maggiore > 10 cm), Mortaio piccolo (dimensione maggiore < 10 cm).
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
Mortai a vasca bassa, a base semplice, a corpo sferoide.
Mortai a vasca bassa, a base semplice.
Mortai a vasca bassa (h. ≤ ⅓ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IA.1a
IA.1b
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MORTAI
I.
A.
5.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Mortai a vasca bassa, con piedi, a profilo di parallelepipedo, con quattro piedi in corrispondenza degli angoli.
Mortai a vasca bassa, con piedi, a profilo di parallelepipedo, con quattro piedi in corrispondenza degli angoli, con una protome di toro sull’orlo.
Mortai a vasca bassa, con piedi, a profilo di parallelepipedo, con quattro piedi in corrispondenza degli angoli, con una protome di toro sull’orlo, con banda incisa sulla parete.
Mortai a vasca bassa, con piedi, a profilo di parallelepipedo, con quattro piedi in corrispondenza degli angoli, con due protomi di toro sull’orlo.
Mortai a vasca bassa, con piedi, a profilo di parallelepipedo, con quattro
5 b.
5 c.
5 d.
5 e.
5 f.
149
Mortai a vasca bassa, con piedi, a profilo di parallelepipedo, con un piede al centro del lato breve, con protome di toro sul piede.
3 (?), 4. esterni in corrispondenza degli angoli, al centro del lato breve. a sezione rettangolare. solcature lineari, banda decorata a spina di pesce, assente. protome di toro, protome di leone, decorazione figurata, assente.
5 a.
Varianti (Tipi secondari):
Decorazione excisa:
Morfologia dei piedi: Decorazione incisa:
Variabili: Numero dei piedi: Impostazione dei piedi:
Mortai con piedi, a vasca bassa, a profilo di parallelepipedo (pianta rettangolare).
Mortai a vasca bassa, con piedi.
Mortai a vasca bassa. (h. ≤ ⅓ dimensione minore della vasca)
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IA.5e
IA.5d
IA.5c
IA.5b
IA.5a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
Mortai a vasca bassa, con piedi, a profilo di parallelepipedo, con quattro piedi in corrispondenza degli angoli, con due protomi di leone sull’orlo.
5 h.
150
Mortai a vasca bassa, con piedi, a profilo di parallelepipedo, con quattro piedi in corrispondenza degli angoli, con due protomi di toro sull’orlo, con decorazione figurata sulla parete.
5 g.
piedi in corrispondenza degli angoli, con due protomi di toro sull’orlo, con banda incisa sulla parete.
IA.5h
IA.5g
IA.5f
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MORTAI
I.
A.
6.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Mortai a vasca bassa, a base semplice, a profilo poliedrico irregolare, piccolo.
6 b.
151
Mortai a vasca bassa, a base semplice, a profilo poliedrico irregolare, grande.
Mortaio grande (dimensione maggiore > 10 cm), Mortaio piccolo (dimensione maggiore < 10 cm).
6 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
Mortai a vasca bassa, a base semplice, a profilo poliedrico irregolare.
Mortai a vasca bassa, a base semplice.
Mortai a vasca bassa (h. ≤ ⅓ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IA.6a
IA.6a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MORTAI
I.
D.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Mortai a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati internamente a sezione semiellittica, con insellatura sull’orlo. Mortai a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati esternamente a sezione rettangolare, con orlo semplice. Mortai a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati esternamente a sezione di trapezio rettangolo, con orlo semplice. Mortai a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati esternamente a sezione semiellittica, con orlo semplice.
1 b.
1 c.
1 d.
1 e.
152
Mortai a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide, con tre piedi impostati internamente a sezione semiellittica, con orlo semplice.
semplice, con insellatura.
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Orlo:
Variabili: Numero dei piedi: 3 Impostazione dei piedi: esterni sulla parete, interni sulla parete Morfologia dei piedi: a sezione rettangolare,di trapezio rettangolo, semiellittica.
Mortai a vasca bassa, con piedi, a corpo sferoide.
Mortai a vasca bassa, con piedi.
Mortai a vasca bassa. (h. ≤ ⅓ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
ID.1e
ID.1c
ID.1b
ID.1a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MORTAI
II.
A.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Mortai a vasca media, a base semplice, a corpo sferoide, piccolo.
1 b.
153
Mortai a vasca media, a base semplice, a corpo sferoide, grande.
Mortaio grande (dimensione maggiore > 10 cm), Mortaio piccolo (dimensione maggiore < 10 cm).
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
Mortai a vasca media, a base semplice, a corpo sferoide.
Mortai a vasca media, a base semplice.
Mortai a vasca media (⅓ Ø < h. ≤ ½ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IIA.1b
IIA.1a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MORTAI
II.
A.
2.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Mortai a vasca media, a base semplice, a profilo troncoconico, piccolo.
2 b.
154
Mortai a vasca media, a base semplice, a profilo troncoconico, grande.
Mortaio grande (dimensione maggiore > 10 cm), Mortaio piccolo (dimensione maggiore < 10 cm).
2 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
Mortai a vasca media, a base semplice, a profilo troncoconico.
Mortai a vasca media, a base semplice,
Mortai a vasca media (⅓ Ø < h. ≤ ½ Ø)
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IIA.2b
IIA.2a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MORTAI
II.
A.
3.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
MORTAI
II.
A.
4.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Mortai a vasca media, a base semplice, a profilo cilindrico, piccolo.
4 b.
155
Mortai a vasca media, a base semplice, a profilo cilindrico, grande.
Mortaio grande (dimensione maggiore > 10 cm), Mortaio piccolo (dimensione maggiore < 10 cm).
4 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
Mortai a vasca media, a base semplice, a profilo cilindrico.
Mortai a vasca media, a base semplice
Mortai a vasca media (⅓ Ø < h. ≤ ½ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
Mortaio grande (dimensione maggiore > 10 cm)
Variabili: Tipometria:
Mortai a vasca media, a base semplice, a profilo biconico.
Mortai a vasca media, a base semplice,
Mortai a vasca media (⅓ Ø < h. ≤ ½ Ø)
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IIA.4b
IIA.4a
IIA.3
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MORTAI
II.
A.
6.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Mortai a vasca media, a base semplice, a profilo poliedrico irregolare, piccolo. Mortai a vasca media, a base semplice, a profilo poliedrico irregolare, grande, con foro passante.
6 b.
6 c.
156
Mortai a vasca media, a base semplice, a profilo poliedrico irregolare, grande.
Foro passante a lato della vasca.
Mortaio grande (dimensione maggiore > 10 cm), Mortaio piccolo (dimensione maggiore < 10 cm).
6 a.
Varianti (Tipi secondari):
Foro passante:
Variabili: Tipometria:
Mortai a vasca media, a base semplice, a profilo poliedrico irregolare.
Mortai a vasca media, a base semplice.
Mortai a vasca media (⅓ Ø < h. ≤ ½ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IIA.6a
IIA.6c
IIA.6b
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MORTAI
III.
A.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Semplice, con insellatura
Orlo:
Mortai a vasca profonda, a base semplice, a corpo sferoide, grande, con orlo semplice, con foro passante in corrispondenza della base. Mortai a vasca profonda, a base semplice, a corpo sferoide, grande, orlo con insellatura.
1 b.
1 c.
157
Mortai a vasca profonda, a base semplice, a corpo sferoide, grande, con orlo semplice.
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Foro passante in corrispondenza della base.
Mortaio grande (dimensione maggiore > 10 cm).
Foro passante:
Variabili: Tipometria:
Mortai a vasca profonda, a base semplice, a corpo sferoide.
Mortai a vasca profonda, a base semplice.
Mortai a vasca profonda (h. > ½ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IIIA.1c
IIIA.1b
IIIA.1a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MORTAI
III.
A.
2.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
MORTAI
III.
A.
4.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Foro passante:
158
Foro passante in corrispondenza della base.
Variabili: Tipometria: Mortaio grande (dimensione maggiore > 10 cm).
Mortai a vasca profonda, a base semplice, a profilo cilindrico.
Mortai a vasca profonda, a base semplice.
Mortai a vasca profonda (h. > ½ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
Variabili: Tipometria:Mortaio grande (dimensione maggiore > 10 cm).
Mortai a vasca profonda, a base semplice, a profilo troncoconico.
Mortai a vasca profonda, a base semplice.
Mortai a vasca profonda. (h. > ½ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IIIA.4
IIIA.2
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MORTAI
III.
A.
6.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Foro passante:
159
Foro passante in corrispondenza della base.
Variabili: Tipometria: Mortaio grande (dimensione maggiore > 10 cm).
Mortai a vasca profonda, a base semplice, a profilo poliedrico irregolare.
Mortai a vasca profonda, a base semplice.
Mortai a vasca profonda (h. > ½ Ø).
RECIPIENTI
FAMIGLIA:
IIIA.6
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
160
1: a pianta ellissoide (d.max/d.min < 1,5), 2: a pianta ellissoide allungata (d.max/d.min ≥1,5), 3: a pianta rettangolare, sub-rettangolare, 4: a pianta circolare 5: a pianta irregolare
TIPI: (Macine semplici, a scanalatura, a tramoggia, con faccia principale e faccia secondaria a vario profilo)
A: faccia secondaria a profilo convesso-convesso (a calotta), B: faccia secondaria a profilo convesso-convesso (triangolare), C: faccia secondaria a profilo convesso irregolare, D: faccia secondaria a profilo retto-retto (rettilineo)
CLASSI: (Macine semplici, a scanalatura, a tramoggia, con faccia principale a vario profilo)
I: faccia principale a profilo convesso-convesso II: faccia principale a profilo convesso-retto III: faccia principale a profilo retto-retto IV: faccia principale a profilo concavo-retto V: faccia principale a profilo concavo-concavo
GRUPPI: (Macine semplici, a scanalatura, a tramoggia)
SERIE: (Macine) SEMPLICI: a volume pieno A SCANALATURA: con scanalatura longitudinale A TRAMOGGIA: con tramoggia centrale.
FAMIGLIA: MACINE PIANE (manufatti morfologicamente definibili a sviluppo orizzontale)
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
I.
A.
1.
MACINE PIANE
MACINE PIANE SEMPLICI
I.
A.
2.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
FAMIGLIA:
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
161
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta), pianta ellissoide allungata (d.max/d.min ≥1,5)
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta).
profilo faccia principale convesso-convesso
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta), pianta ellissoide (d.max/d.min < 1,5)
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta).
profilo faccia principale convesso-convesso
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IA.2
IA.1
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
I.
A.
3.
MACINE PIANE
MACINE PIANE SEMPLICI
I.
B.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
FAMIGLIA:
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
162
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso-convesso (triangolare), pianta ellissoide (d.max/d.min < 1,5).
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso-convesso (triangolare).
profilo faccia principale convesso-convesso
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso-convesso, pianta rettangolare, sub-rettangolare.
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso-convesso.
profilo faccia principale convesso-convesso
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IB.1
IA.3
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
I.
B.
2.
MACINE PIANE
MACINE PIANE SEMPLICI
I.
C.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
FAMIGLIA:
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
163
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso-convesso (triangolare), pianta ellissoide (d.max/d.min < 1,5).
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso irregolare.
profilo faccia principale convesso-convesso
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso-convesso (triangolare), pianta ellissoide allungata (d.max/d.min ≥1,5).
profilo faccia principale convesso-convesso, profilo faccia secondaria convesso-convesso (triangolare).
profilo faccia principale convesso-convesso
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IC.1
IB.2
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
II.
A.
1.
MACINE PIANE
MACINE PIANE SEMPLICI
II.
A.
2.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
FAMIGLIA:
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
164
profilo faccia principale convesso-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta). pianta ellissoide allungata (d.max/d.min ≥1,5).
profilo faccia principale convesso-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta).
profilo faccia principale convesso-retto
profilo faccia principale convesso-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta). pianta ellissoide (d.max/d.min < 1,5).
profilo faccia principale convesso-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta).
profilo faccia principale convesso-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIA. 2
IIA. 1
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
II.
B.
1.
MACINE PIANE
MACINE PIANE SEMPLICI
II.
C.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
FAMIGLIA:
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
165
profilo faccia principale convesso-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta). pianta ellissoide (d.max/d.min < 1,5).
profilo faccia principale convesso-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare,
profilo faccia principale convesso-retto
profilo faccia principale convesso-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta). pianta ellissoide (d.max/d.min < 1,5).
profilo faccia principale convesso-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (triangolare).
profilo faccia principale convesso-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIC. 1
IIB. 1
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
III.
A.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso-convesso, a pianta ellissoide, piccole.
1 b.
166
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso-convesso, a pianta ellissoide, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta), pianta ellissoide (d.max/d.min < 1,5),
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta),
profilo faccia principale retto-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIIA. 1
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
III.
A.
2.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso-convesso, a pianta ellissoide allungata, piccole.
2 b.
167
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso-convesso, a pianta ellissoide allungata, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
2 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta), pianta ellissoide allungata (d.max/d.min ≥1,5),
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta),
profilo faccia principale retto-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIIA. 2
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
III.
B.
2.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso-convesso, a pianta ellissoide allungata, piccole.
2 b.
168
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso-convesso, a pianta ellissoide allungata, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
2 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (triangolare), pianta ellissoide allungata (d.max/d.min ≥1,5),
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (triangolare),
profilo faccia principale retto-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIIB. 2
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
III.
C.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta ellissoide, piccole.
1 b.
169
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta ellissoide, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare, pianta ellissoide (d.max/d.min < 1,5),
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare
profilo faccia principale retto-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIIC. 1
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
III.
C.
2.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta ellissoide allungata, piccole.
2 b.
170
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta ellissoide allungata, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
2 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare, pianta ellissoide allungata (d.max/d.min ≥1,5),
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare
profilo faccia principale retto-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIIC. 2
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
III.
C.
3.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, piccole.
3 b.
171
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
3 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare, pianta rettangolare, sub-rettangolare
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare
profilo faccia principale retto-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIIC. 3
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
III.
D.
3.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, piccole.
3 b.
172
Macine semplici a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
3 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare, pianta rettangolare, sub-rettangolare,
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria retto-retto
profilo faccia principale retto-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIID. 3
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
IV.
A.
2.
MACINE
MACINE SEMPLICI
IV.
A.
3.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
FAMIGLIA:
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
173
profilo faccia principale concavo-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta) pianta rettangolare, sub-rettangolare.
profilo faccia principale concavo-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta)
profilo faccia principale concavo-retto
profilo faccia principale concavo-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta) pianta ellissoide allungata (d.max/d.min ≥1,5).
profilo faccia principale concavo-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta)
profilo faccia principale concavo-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IVA. 3
IVA. 2
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
IV.
C.
2.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale concavo-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta ellissoide allungata, piccole.
2 b.
174
Macine semplici a profilo faccia principale concavo-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta ellissoide allungata, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
2 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale concavo-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare pianta ellissoide allungata (d.max/d.min ≥1,5),
profilo faccia principale concavo-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare
profilo faccia principale concavo-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IVC. 2
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
IV.
C.
3.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale concavo-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, piccole.
3 b.
175
Macine semplici a profilo faccia principale concavo-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
3 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale concavo-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare pianta rettangolare, sub-rettangolare,
profilo faccia principale concavo-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare
profilo faccia principale concavo-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IVC. 3b
IVC. 3a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
V.
A.
2.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale concavo-concavo, faccia secondaria convesso-convesso, a ellissoide allungata, sub-rettangolare, piccole.
2 b.
176
Macine semplici a profilo faccia principale concavo-concavo, faccia secondaria convesso-convesso, a ellissoide allungata, sub-rettangolare, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
2 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale concavo-concavo, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta) pianta ellissoide allungata (d.max/d.min ≥1,5),
profilo faccia principale concavo-concavo, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta)
profilo faccia principale concavo-concavo
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
VA. 2
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
V.
C.
2.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale concavo-concavo, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta ellissoide allungata, piccole
2 b.
177
Macine semplici a profilo faccia principale concavo-concavo, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta ellissoide allungata, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
2 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale concavo-concavo, profilo faccia secondaria convesso irregolare pianta ellissoide allungata (d.max/d.min ≥1,5),
profilo faccia principale concavo-concavo, profilo faccia secondaria convesso irregolare
profilo faccia principale concavo-concavo
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
VC. 2
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE SEMPLICI
V.
C.
3.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine semplici a profilo faccia principale concavo-concavo, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, piccole
3 b.
178
Macine semplici a profilo faccia principale concavo-concavo, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
3 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale concavo-concavo, profilo faccia secondaria convesso irregolare pianta rettangolare, sub-rettangolare,
profilo faccia principale concavo-concavo, profilo faccia secondaria convesso irregolare
profilo faccia principale concavo-concavo
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
VC. 3
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE A SCANALATURA
II.
A.
1.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine a scanalatura a profilo faccia principale convesso-retto, faccia secondaria convesso-convesso, a pianta ellissoide, piccole.
1 b.
179
Macine a scanalatura a profilo faccia principale convesso-retto, faccia secondaria convesso-convesso, a pianta ellissoide, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
1 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale convesso-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta) pianta ellissoide (d.max/d.min < 1,5),
profilo faccia principale convesso-retto, profilo faccia secondaria convesso-convesso (a calotta)
profilo faccia principale convesso-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIA. 1
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE A SCANALATURA
III.
C.
3.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
Macine a scanalatura a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, piccole.
3 b.
180
Macine a scanalatura a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria convesso irregolare, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, grandi.
Macina grande (dimensione minore ≥ 20 cm), Macina piccola (dimensione minore < 20 cm).
3 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare pianta rettangolare, sub-rettangolare,
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare.
profilo faccia principale retto-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIIC. 3
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE A TRAMOGGIA
III.
D.
3.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
sulle facce laterali, sulle facce principali, assenti su due lati, su un lato, forate, assenti
Tacche (notches):
Protrusions:
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, con tramoggia ad apertura rettangolare, tacche sulla faccia secondaria.
3 b.
181
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, con tramoggia ad apertura rettangolare, tacche sui lati brevi.
3 a.
Varianti (Tipi secondari):
longitudinale, latitudinale, assente
ad apertura circolare, rettangolare, subrettangolare, a farfalla, irregolare.
Scanalature (grooves):
Tramoggia (hoppers):
Variabili:
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare pianta rettangolare, sub-rettangolare,
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria retto-retto.
profilo faccia principale retto-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIID. 3d
IIID. 3c
IIID. 3b
IIID. 3a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, con tramoggia ad apertura rettangolare, scanalatura longitudinale, tacche sui lati brevi, protrusione su un lato breve.
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, con tramoggia ad apertura rettangolare, scanalatura longitudinale, tacche sui lati brevi, protrusione forata su un lato breve.
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, con tramoggia ad apertura rettangolare, protrusioni su entrambi i lati brevi.
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, con tramoggia ad apertura rettangolare, scanalatura latitudinale, tacche sui lati lunghi.
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, con tramoggia ad apertura circolare, scanalatura longitudinale, tacche sui lati brevi.
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, con tramoggia con apertura a farfalla, scanalatura longitudinale, tacche sui lati brevi.
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, con tramoggia con apertura a farfalla, scanalatura longitudinale, tacche sui lati brevi, protrusione su un lato breve.
3 d.
3 e.
3 f.
3 g.
3 h.
3 i.
3 l.
182
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta rettangolare, sub-rettangolare, con tramoggia ad apertura rettangolare, scanalatura longitudinale, tacche sui lati brevi.
3 c.
IIID. 3l
IIID. 3i
IIID. 3h
IIID. 3g
IIID. 3f
IIID. 3e
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE A TRAMOGGIA
III.
D.
4.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
longitudinale
sulla faccia laterale sulla faccia laterale, assenti
Scanalature (grooves):
Tacche (notches):
Protrusions:
.
rettangolare, subrettangolare.
Tramoggia (hoppers):
Variabili:
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare pianta circolare,
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria retto-retto.
profilo faccia principale retto-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
183
IIID. 4
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINE PIANE A TRAMOGGIA
III.
D.
5.
SERIE:
GRUPPO:
CLASSE:
TIPO:
longitudinale
sulla faccia laterale
Scanalature (grooves):
Tacche (notches):
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta irregolare, con tramoggia ad apertura irregolare.
5 b.
184
Macine a tramoggia a profilo faccia principale retto-retto, faccia secondaria retto-retto, a pianta irregolare, con tramoggia ad apertura rettangolare, tacche sulla faccia laterale, scanalatura longitudinale.
5 a.
Varianti (Tipi secondari):
apertura rettangolare, subrettangolare, irregolare.
Tramoggia (hoppers):
Variabili:
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria convesso irregolare pianta irregolare,
profilo faccia principale retto-retto, profilo faccia secondaria retto-retto.
profilo faccia principale retto-retto
MACINE PIANE
FAMIGLIA:
IIID. 5b
IIID. 5a
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
185
1: a corpo globulare 2: a corpo subglobulare 3: a corpo subcubico 4: a corpo troncoconico 5: a corpo cilindrico 6: a corpo di prisma 7: con corpo costituito da due tronchi di cono 8: con corpo costituito da due cilindri 9: con corpo costituito da un cilindro e un prisma 10: con corpo costituito da due prismi.
TIPI: (Pestelli, Macinelli, semplici, composti)
I: semplici (riconducibili ad un modulo geometrico) II: composti (riconducibili a due moduli geometrici composti)
MACINELLI: d.max/d.min < 1,5 PESTELLI: d.max/d.min ≥ 1,5
GRUPPI: (Pestelli, Macinelli)
SERIE: (Macinatoi)
FAMIGLIA: MACINATOI (manufatti morfologicamente definibili a sviluppo verticale)
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINELLI
I.
1.
MACINATOI
MACINELLI
I.
2.
SERIE:
GRUPPO:
TIPO:
FAMIGLIA:
SERIE:
GRUPPO:
TIPO:
Macinelli semplici, a corpo subglobulare, a due facce piane opposte. Macinelli semplici, a corpo subglobulare, a due facce piane adiacenti. Macinelli semplici, a corpo subglobulare, con depressioni o scanalature sul corpo.
2 b. 2 c. 2 d.
186
Macinelli semplici, a corpo subglobulare, a una faccia piana.
2 a.
Varianti (Tipi secondari):
Macinelli semplici, a corpo subglobulare.
Macinelli semplici
Macinelli semplici, a corpo globulare.
Macinelli semplici
MACINATOI
FAMIGLIA:
I. 2d
I. 2c
I. 2b
I. 2a
I. 1
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
MACINELLI
I.
3.
MACINATOI
MACINELLI
I.
4.
SERIE:
GRUPPO:
TIPO:
FAMIGLIA:
SERIE:
GRUPPO:
TIPO:
Macinelli semplici, a corpo troncoconico, alti.
4 b.
187
Macinelli semplici, a corpo troncoconico, bassi.
Macinello basso (d.max/ d.min ≤ 1), Macinello alto (d.max/ d.min > 1).
4 a.
Varianti (Tipi secondari):
Variabili: Tipometria:
Macinelli semplici, a corpo troncoconico
Macinelli semplici
Macinelli semplici, a corpo subcubico.
Macinelli semplici
MACINATOI
FAMIGLIA:
I. 4b
I. 4a
I. 3
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
PESTELLI
I.
4.
MACINATOI
PESTELLI
I.
5.
SERIE:
GRUPPO:
TIPO:
FAMIGLIA:
SERIE:
GRUPPO:
TIPO:
Pestelli semplici, a corpo cilindrico
Pestelli semplici
Pestelli semplici, a corpo troncoconico
Pestelli semplici
MACINATOI
FAMIGLIA:
188
I. 5
I. 4
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
PESTELLI
II.
7.
MACINATOI
PESTELLI
II.
8.
MACINATOI
PESTELLI
II.
9.
SERIE:
GRUPPO:
TIPO:
FAMIGLIA:
SERIE:
GRUPPO:
TIPO:
FAMIGLIA:
SERIE:
GRUPPO:
TIPO:
189
Pestelli composti, con corpo costituito da un cilindro e un prisma
Pestelli composti
Pestelli composti, con corpo costituito da due cilindri
Pestelli composti
Pestelli composti, con corpo costituito da due tronchi di cono
Pestelli composti
MACINATOI
FAMIGLIA:
II. 9
II. 8
II. 7
APPENDICE A – CLASSIFICAZIONE TIPOLOGICA
BAS: Basalti CLC: Calcari CLN: Conglomerati STT: Steatiti (o Cloriti) peeble: ciottolo
alla Struttura rilevabile microscopicamente, per la quale si utilizza sinteticamente: • Porfirica (Pf), nel caso in cui siano distinguibili cristalli maggiori immersi nella cosiddetta pasta di fondo (Devoto 1985: 12) micro o criptocristallina o addirittura amorfa. • Massiccia (Ma), nel caso in cui la struttura porfirica sia particolarmente compatta e vacuoli con diametro massimo < 5 mm. • Vacuolare (o Vescicolare) (Vc), comunque porfirica in cui si possono determinare vacuoli distinguibili in due categorie per dimensione relativa: 1: con diametro relativo compreso tra 5 e 10 mm. 2: con diametro medio > 10 mm. E in due categorie per frequenza: A: con frequenza < del 50% della superficie del manufatto; B: con frequenza > del 50% della superficie del manufatto; • Olocristallina (Ol), nel caso in cui tutti i minerali della roccia siano cristallizzati uniformemente. a Grana fine (o criptocristallina) (Gf), nel caso in cui le dimensioni dei cristalli non siano rilevabili macroscopicamente. a Grana medio-grossolana (Gc), in cui si possono distinguere i cristalli costituenti.
• • • • •
al Tipo, per il quale si utilizza sinteticamente:
Le sigle adottate nella scheda per la descrizione della pietra si riferiscono:
LEGENDA
APPENDICI B e C
0102 0194 0250 0251 0252 0360 0566 0894 1001 1002 1008 1014 1043 1111 1117 1158 1187 1188
B G G G G G G G G G G G G G G G G G
B.04 A.01 B.04 Sup. B.04 A.01 C.06 A.08 A.05 C.05 D.06 A.04 A.09 B.04 A.04 C.09 C.04 A.05
02 08 07 02 22 22 22 23 07 11 11 08 24 22
38 04 02
6,0 19,3 11,0 18,5 25,0 10,5 15,5 29,0 16,0 r. 9,1 r.
BT I
BT I
BT I
FE I
FE I
BT I
BT I
BT I
FE I
BM II
FE I
FE I
BM II
11,0 r. 4,8 r. 28,0 r. 7,0 r. 13,0 r. 17,0 27,0
d.max
BA II- III
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
9,0 10,0 28,0 13,5 r.
10,6 16,0
3,7 r.
7,0 r. 2,6 r. 12,0 r. 4,5 8,5r. 16,0
d.min
3,0 7,8 6,0 20,5 18,7 5,0 11,5 24,0 8,5 8,4 5
2,0 0.9 4,0 7,0 5,0 11,0 12,0
h.
10,0 4,6 26,0 4,5 11,0 9,5 22,0 20,0 4,2 13,5 4,0 6,5 22,0 4,3 5,0 23,0 8,5 2,0 5,4 2,2 2,5 16,7 1 0,8 1,4 2 17,0 5,5 3
3,5 3,8 3,0 4,8
h.
CLN STT BAS CLN BAS CLC BAS BAS BAS CLC CLC CLN CLC CLC CLC BAS BAS BAS Pf.Vc/1A Pf.Gc Pf.Vc/1A Ol.Gf. Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Ol.Gf. Ol.Gf. Pf.Gc Ol.Gf. Ol.Gf. Ol.Gf. Pf.Vc/2B Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A
Pf.Gc
PIETRA LITOTIPO
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
CIOTOLA II.A.1a CIOTOLA I.A.1h CIOTOLA I.A.1a MORTAIO I.A.6b CIOTOLA I.A.1a MORTAIO I.A.6a MORTAIO I.D.1a CIOTOLA I.A.1e MORTAIO I.A.4b MORTAIO II.A.1a MORTAIO II.A.6a MORTAIO II.A.6a MORTAIO III.A.1b MORTAIO I.A.1a MORTAIO I.A.5 MORTAIO III.A.1a MORTAIO III.A.1a4 CIOTOLA II.D.1b
TIPO
DESCRIZIONE
2
191
Sulla base si trova un foro passante di 5x7,3 cm. di diametro. Sulla faccia opposta in posizione eccentrica, si trova una cavità del medesimo diametro. 3 Sulla base dalla cavità si trova una coppella secondaria di 4,5 cm. di diametro per 1,0 cm. di altezza; si può dedurre sia stato reimpiegato come ralla. 4 È stato impiegato secondariamente come ralla.
1
E E E E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
MIXING BOWL MIXING BOWL MIXING BOWL A MORTAIO D MIXING BOWL A MORTAIO A A MORTAIO E MIXING BOWL A MORTAIO D A MORTAIO B A MORTAIO B A MORTAIO B A MORTAIO C A MORTAIO A A MORTAIO A A MORTAIO C A MORTAIO C MIXING BOWL
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
1189 1190 1282 1283 1311 1320 1321 1322 1378 1513 1611 1625 1627 1763 1764 1770 1772
G G G G G G G G G B G G G G G G G
0531
D.09 B.03 B.03 B.02 A.01 D.10 D.10
0517 0517
0405
D.06 A.05 D.07 D.07 B.04 B.05 Sup A.09 A.09
11 14 01 17 29 29 30 30 17 17
24 22 10 16 25 25
FE III
FE III
BM II
BM II
BM II
BM II
FE III
FE II-III
FE III
BT I
BT I
FE III
FE III
BT I
BT I
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
6,5 r. 10,0 r. 11,5 r. 35,0 17,0 18,0 r. 22,0 r. 65,0
12,0 r. 33,0 r. 47,0 23,0 25,0 16,0 r. 10,0 r. 14,0 r.
d.max
6
Larghezza del piede alla base 4,5 cm. È stato impiegato secondariamente come ralla. 7 Larghezza del piede alla base 4,0 cm. 8 La base a disco misura 13,0 cm. di diametro. 9 Sulla base si trova un foro passante di 6,0 cm. di diametro.
5
E E E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
55,0
8,5 r. 9,8 r. 22,0
35,0 22,5 20,0 15,0 r. 9,0 r. 11,0 r.
d.min
4,9 r. 9,5 12,1 16,5 12,0 10,0 16,0 17,0
15,0 9,7 13,0 14,0 15,0 9,0 7 2,5 8 10,5
h.
24,0 16,0 28,0 16,4 21,0 11,0 23,0 17,5 22,0
36,0 11,5 10,0 18,0
192
3,5 6,5 8,0 12,0 3,0 5,4 13,0 9 13,010
5,0 4,8 5,5 5,8
19,2 8,5
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS CLC BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS CLC
Pf.Vc/1A Ol.Gf. Pf.Vc/2A Pf.Vc/1A Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Ol.Gf.
PIETRA LITOTIPO
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
CIOTOLA II.D.1b CIOTOLA I.A.1a MORTAIO I.A.5 MORTAIO II.A.6a MORTAIO II.A.2a6 CIOTOLA I.D.1a CIOTOLA I.C.1a MORTAIO I.B.1a CIOTOLA I.A.1e CIOTOLA I.A.1c CIOTOLA I.A.1a CIOTOLA II.D.1b MORTAIO II.A.6a MORTAIO I.A.6a MORTAIO I.A.1a MORTAIO III.A.1b MORTAIO III.A.6
TIPO
DESCRIZIONE
MIXING BOWL MIXING BOWL A MORTAIO A A MORTAIO B A MORTAIO B MIXING BOWL MIXING BOWL A MORTAIO A MIXING BOWL MIXING BOWL MIXING BOWL MIXING BOWL A MORTAIO B A MORTAIO A A MORTAIO A A MORTAIO C A MORTAIO C
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
1773 1776 1777 1804 1849 1872 1878 1894 1911 1963 1974 2011 2032 2050 2059 2068 2073 2075
G G G G G G G G J G G G J G G G J J
A.08 A.08 C.10 B.02 A.02 A.02 A.03 B.02 A.01 A.09 B.03 A.02 A.02 C.09 A.10 A.03 B.02 A.02
0539 0522
0531
0241
18A 18B 18 30 30 30 30 31A 09 18 31A 31 11 20 22 32 11 11
FE III
FE III
BM II
FE II- III
FE II- III
FE III
BM II
BM II
FE III
FE III
BM II
BM II
BM II
BM II
BM II
FE III
FE III
FE III
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
35,0 21,0 22,0 r. 16,5 45,0 19,0 21,0 24,0 r. 24,0 r. 31,0 r. 24,0 11,8 28,0 8,5 r.15 34,0 27,0 r. 35,0 r. 33,0 r.
d.max
38,5
28,0 r. 22,0
19,5
34,0
9,0 r.
28,0
d.min
15,0 8,5 r. 8,5 9,0 11 21,0 8,0 17,0 7,5 5,2 19,013 15,5 8,7 5,2 5,8 r. 8,7 15,0 7,0 6,0
h.
16,0 19,0 20,0 14,0 22,0 14,5 14,5 24,0 21,0 30,0 12,0 7,3 25,0 22,0 32,0 26,0 23,0 20,0 10,0 3,9 4,8
4,0 4,0 4,5 6,0 16,0 5,0 12 5,0 6,5 5,5 4,0 5,0 7,3 14 3,5 3,9
h.
CLC BAS CLN BAS BAS BAS CLN BAS BAS BAS BAS CLC BAS BAS BAS CLN BAS BAS
Ol.Gc Pf.Vc/1B Pf.Gc Pf.Vc/1B Pf.Vc/2B Pf.Vc/1A Pf.Gc Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/2A Ol.Gf. Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Ma Pf.Gc Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A
PIETRA LITOTIPO
11
193
Sulla base si trova un foro passante di 12,0 cm. di diametro. Larghezza del piede alla base 2,5 cm. 12 Sulla base si trova un foro passante di 5,0 cm. di diametro. 13 Dimensioni del piede alla base 7,3x9,3 cm. 14 In corrispondenza del bordo si trova una insellatura della parete di 4,0 cm. di larghezza 3,5 cm. di altezza. 15 La cordonatura misura 1,3 cm. in altezza.
10
E E E E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
MORTAIO I.A.6a CIOTOLA I.A.1b MORTAIO I.A.5 CIOTOLA II.D.1c MORTAIO II.A.1a MORTAIO III.A.1b MORTAIO II.A.4a CIOTOLA I.B.1a CIOTOLA I.A.1a MORTAIO I.D.1c MORTAIO II.A.6a MORTAIO III.A.1c CIOTOLA I.B.1d CIOTOLA I.A.1d CIOTOLA I.C.1a MORTAIO II.A.6a CIOTOLA I.A.1a CIOTOLA I.A.1a
TIPO
DESCRIZIONE
A MORTAIO A MIXING BOWL A MORTAIO A MIXING BOWL A MORTAIO B A MORTAIO C A MORTAIO B MIXING BOWL MIXING BOWL A MORTAIO E A MORTAIO B A MORTAIO C MIXING BOWL MIXING BOWL MIXING BOWL A MORTAIO B MIXING BOWL MIXING BOWL
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
2120 2179 2186 2213 2234 2236 2237 2239 2243 2288 2290 2293 2329 2347 2359 2361 2364
G G G G G G G J G G G G J J G G G
A.02 B.10 A.04 D.08 C.10 D.08 D.08 C.02 A.09 B.09 C.08 B.08 C.02 Z.01 A.01 A.01 A.01
0657 0620 0657
0069
0615 0650
583 0535
31B 18 31B 22 22 22 22 11 22 22 22 22 11 09 34 33 32 B
BM II
BM I
BA IV-BMI
FE III
FE III
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE III
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE II- III
BM II
FE III
BM II
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
2,7 r. 3,5 r.17 55,0 11,2 r. 3,3 r. 11,7 r. 11,4 r. 10,3 r. 20,0 23,0 r. 16,5 r. 19,0 17,0 r. 23,0 r. 34,0 r. 24,6 r. 26,0
d.max
32,0 r. 14,5 r. 22,0
7,5 r. 15,0 18,0 r.
8,8 r.
3,5 r. 2,7 r. 34,0
d.min
1,0 16 1,9 r. 20,0 2,8 3,3 r. 6,0 3,6 7,0 18 10,0 14,0 13,5 6,5 6,5 10,0 20,0 10,5 9,0
h.
7,0 11,0 15,8 15,0 15,3 16,5 23,0 5,5 13 21
1,8 5,0 19 5,0 4,5 4,0 6,0 9,0 2,4 4,5
25,0 28,0 4,0
41,0 12,0
h.
BAS BAS CLN BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS CLN CLN
Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Gc Pf.Vc/1A Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1A Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1A Pf.Vc/1B Pf.Vc/1A Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Gc. Pf.Gc.
PIETRA LITOTIPO
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
CIOTOLA I.B.1a MORTAIO I.A.5 CIOTOLA I.B.1a CIOTOLA I.A.1e MORTAIO I.D.1c CIOTOLA I.B.1a CIOTOLA I.B.? MORTAIO I.A.1a MORTAIO I.A.1a CIOTOLA I.B.1a MORTAIO II.A.2a CIOTOLA I.B.1a MORTAIO II.A.1a MORTAIO II.A.6a MORTAIO I.A.520 MORTAIO II.A.6c
TIPO
DESCRIZIONE
17
194
L’anello di base misura 7,8 cm. di diametro. Il diametro dell’anello di base è 7,8 cm. 18 Larghezza del piede alla base 2,3 cm. 19 Lo strumento si presenta in stato completamente frammentario. 20 Originariamente si trattava di una delle pareti di un mortaio I.A.6a, che secondariamente è stata reimpiegata come supporto per una coppella.
16
E E E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
MIXING BOWL MIXING BOWL A MORTAIO A MIXING BOWL MIXING BOWL A MORTAIO E MIXING BOWL MIXING BOWL A MORTAIO A A MORTAIO A MIXING BOWL A MORTAIO B MIXING BOWL A MORTAIO B A MORTAIO B A MORTAIO A A MORTAIO B
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
2373 2375 2405 2433 2517 2519 2523 2532 2535 2537 2542 2560 2578 2585 2604 2708 2715
G G J G G G G G G G G G G G G J J
D.04 C.06 Y.01 B.09 C.08 B.04 C.04 D.04 A.07 D.05 C.05 C.03 B.09 Sup. B.10 Y.01 Z.01
0057
0703
0615 0650 0633
26 12 13
27B 27 09 23 23 34 29 28 24A 28 29 30 26
FE III
FE III
FE II- III
FE II- III
BM II
BM II
BT I
FE II- III
BT I
BM II
BT I
BA IV-BMI
FE II- III
FE III
BT I
BT I
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
22,0 25,0 38,0 26,0 31,0 r. 13,0 10,0 35,0 r. 7,0 r. 21,0 26,0 23,0 4,2 r. 26,0 11,8 r. 32,0 r. 13,1 r.
d.max
3,0 r. 18,0 6,8 r. 19,0 r. 6,1 r. 24
26,0 7,8 r. 15,0 18,0
20,0 26,0 36,0 25,0 28,0 r.
d.min
15,0 12,026 16,9 4,2
8,0 14,0 30,0 10,0 12,0 7,5 4,8 27,0 11,023 13,0 13,5 11,0
h.
15,0 15,0 14,0 19,0 17,0 24,6 19,0 22,0
14,0 22,5 22,0 18,5 15,0 9,0 8,5 21,5
8,3 25 4,7 13,7 3,8
5,2 6,0 8,0
5,5 7,0 22 20,0 8,8 9,0 3,2 3,0 14,0
h.
CLC BAS CLN BAS CLN BAS BAS BAS BAS BAS BAS CLC BAS BAS BAS BAS BAS
Ol.Gf. Pf.Vc/1A Pf.Gc. Pf.Vc/1A Pf.Gc. Pf.Vc/1A Pf.Vc/2B Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/2B Pf.Vc/2B Ol.Gf. Pf.Vc/1A Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Vc/2B Pf.Vc/2B
PIETRA LITOTIPO
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
MORTAIO II.A.1a MORTAIO II.A.3 MORTAIO III.A.1a MORTAIO II.A.4a MORTAIO III.A.1a MORTAIO II.A.1b MORTAIO II.A.1b MORTAIO III.A.1a CIOTOLA I.D.? MORTAIO II.A.1a MORTAIO II.A.1a MORTAIO III.A.1b CIOTOLA I.A.1f MORTAIO II.A.1a MORTAIO I.D.1a MORTAIO III.A.1a CIOTOLA I.B.1f
TIPO
DESCRIZIONE
A MORTAIO B A MORTAIO B A MORTAIO C A MORTAIO B A MORTAIO C A MORTAIO D A MORTAIO D A MORTAIO C MIXING BOWL A MORTAIO B A MORTAIO B A MORTAIO C MIXING BOWL A MORTAIO B A MORTAIO E A MORTAIO C MIXING BOWL
MULINO
22
195
Sulla faccia superiore adiacente alla cavità è praticato un foro passante con sezione a clessidra con apertura 6 cm. e larghezza al centro 2,5 cm. la cavità misura 12,5 x 14 cm. Sulla stessa faccia della cavità principale si trova una cavità minore poco accennata di diametro 5,0 cm. e profondità 1,0 cm. Sulla parete sono ricavate due scanalature che corrono perpendicolari alla base dalla sommità. Entrambe misurano 5,0 cm. di larghezza. 23 Larghezza del piede alla base 5,8 cm. 24 La cordonatura misura 1 cm. in altezza. 25 Sulla parete sono ricavate due scanalature che corrono perpendicolari alla base dalla sommità. Entrambe misurano 4,5 cm. di larghezza. 26 Dimensioni del piede alla base 4,2x8,4 cm.
21
E E E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
2804 2888 2899 2900 2911 2925 2942 2982 2984 3051 3155 3156 3157 3245 3288 3292
G G G G G G G J J G G G G G G G
C.01 D.08 D.09 C.10 D.03 B.07 D.10 X.01 X.01 B.10 C.07 C.07 C.07 B.04 B.04 C.02
0993 1039 1039 1039
0935
0929 0949
32B 27 28 28 34A 28 29 12 13 30 30 30 30 36 37 38
BA IV
BA IV
BA IV
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE III
FE III
FE II- III
FE II- III
BM I
FE II- III
FE II- III
FE II- III
BM II
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
43,0 38,0 12,0 16,0 16,0 13,1 11,0 21,0 9,6 27,0 10,7 r. 15,8 r. 16,7 16,0 16,9 13,0
d.max
15,7
15,2
6,7 r. 32,0 9,7 r.
34,0 36,0 11,5 15,0 15,0 10,9
d.min
24,0 18,0 7,5 10,0 9,0 6,330 6,0 11,031 4,032 14,0 7,5 6,4 8,3 8,7 7,7 7,6
h.
19,0 26 28 7,5 9,8 14,8 9,0 7,0 20,2 7,2 r. 15 33 6,8 13,8 10,5 11,0 11,2 9,2
21,0 27 15,5 3,5 4,0 13,0 29 1,2 2,0 6,5 1,1 2,8 5,9 4,2 4,8 2,3 5,3 3,3
h.
CLC CLC BAS BAS CLC CLC CLC BAS BAS BAS BAS BAS CLC BAS BAS CLC
Ol.Gf. Ol.Gf. Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Ol.Gf. Ol.Gf Ol.Gf. Pf.Vc/1A Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Ol.Gf. Pf.Vc/2A Pf.Vc/2B Ol.Gf
PIETRA LITOTIPO
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
MORTAIO III.A.6 MORTAIO III.A.6 MORTAIO II.A.1b MORTAIO II.A.1b MORTAIO III.A.1b MORTAIO I.D.5b MORTAIO I.A.1b MORTAIO I.D.1a MORTAIO I.D.5a MORTAIO I.A.6a MORTAIO I.D.1c MORTAIO I.A.1a MORTAIO II.A.1a MORTAIO I.A.1a MORTAIO II.A.1a MORTAIO I.A.6b
TIPO
DESCRIZIONE
A MORTAIO C A MORTAIO C A MORTAIO D A MORTAIO D A MORTAIO C A MORTAIO F A MORTAIO D A MORTAIO E A MORTAIO F A MORTAIO A A MORTAIO E A MORTAIO A A MORTAIO B A MORTAIO A A MORTAIO B A MORTAIO D
MULINO
28
196
Sulla base si trova un foro passante con sezione a clessidra che misura 14,0 cm. di diametro all’apertura e 9 cm. in corrispondenza della strozzatura centrale. Sulla base si trova un foro passante di 15,0 cm. di diametro. 29 Sulla base si trova un foro passante di 3,0 cm. di diametro. 30 Dimensioni del piede alla base 3,7x3,4 cm. 31 Dimensioni del piede alla base 5,0x4,0 cm. 32 Larghezza del piede alla base 2,9, alla sommità 4,7 cm. 33 Sulla faccia opposta si trova una seconda cavità di diametro 18,0 cm. e profondità 2,6 cm.
27
E E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
3293 3689 3802 3914 3918 4883 4901 4946 5170 5291 5292
G G H G G J J G J G G
D.07 A.07 F.06 D.10 D.09 D.15 D.15 A.07 A.08 B.08 B.09
1125 1219 0203 1175 1130 0202
32 33 07 33B 33C 12B 12B 36 13 37B 37B
BT I
BT I
FE III
BT I
FE III
FE III
FE I
FE I
PARTICO
FE I
FE I
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
35
È stato impiegato secondariamente come ralla. La cordonatura misura 1,3 cm. in altezza. 36 Diametro della base ad anello 3,0 cm
34
E E E E E E E E E E E
No. E.
40,0 47,0 40,0 22,0 18,0 r. 34,0 3,5 r. 10,0 26,0 8,0 4,0 r.
d.max
4,0 r. 3,5 r.
21,0 17,0 r. 32,0
42,0
d.min
37,0 30,0 29,0 8,5 12,5 19,0 2,0 r. 10,0 10,0 9,0
h.
4,3 26,0 22,0 15,0 11,0 18,0 19,0 24,0 25,0 16,0 20,0
197
8,5 6,0 35 5,4 36 6,2
21,9 14,0 3,2 3,5 9,0
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS BAS BAS BAS BAS BAS CLC BAS BAS BAS BAS
Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/2B Pf.Vc/1A Pf.Ma Ol.Gf Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A
PIETRA LITOTIPO
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
RECIPIENTI
MORTAIO III.A.4 MORTAIO III.A.1a MORTAIO III.A.1a MORTAIO I.A.6a MORTAIO I.A.6a34 MORTAIO II.A.6a CIOTOLA I.A.1b CIOTOLA I.D.1a CIOTOLA I.B.1f CIOTOLA I.B.1g CIOTOLA I.A.1a
TIPO
DESCRIZIONE
A MORTAIO C A MORTAIO C A MORTAIO C A MORTAIO A A MORTAIO A A MORTAIO B MIXING BOWL MIXING BOWL MIXING BOWL MIXING BOWL MIXING BOWL
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
0199 0201 1106 1107 1112 1113 1114 1115 1116 1120 1124 1125 1126 1229 1231 1232 1234
G G G G G G G G G G G B B B
C.04 B.04 B.04 A.04 A.03 A.03 B.04 A.01 A.06 B.06 C.03 B.01 B.01 B.01
G A.01 G A.01
29 29 Sup. 11 11 11 11 11 11 02 05 03 04 24 09 09 15
BA II- III
BA II- III
BA II- III
BT I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
BM II
BM II
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
25,5 16,0 r. 25,0 22,5 30,0 20,0 r. 29,0 23,0res 27,0 11,0 r. 19,0 r. 51,0 36,0 25,0 13,0 19,0 r. 15,0
d.max
11,5 11,5 17,0 16,0 13,0 17,0 13,5 22,0res 21,0 17,0 18,0 25,0 26,0 28,0 19,0 17,5 6,5 r.
d.min
4,2 5,1 7,0 7,5 6,5 5,8 6,7 8,7 8,5 10,5 5,5 7,5 6,3 15,0 3,5 5,0 4,7
h.
5,2
4,3 5,0
4,0
38
Le sigle BAS (basalto); CLC (calcare); CLN È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. 39 È ricavato secondariamente un foro passante per impiegarla come contrappeso. 40 È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla.
37
E E E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
198
1,3
1,0 8,5
1,2
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS
Pf.Ma Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1A Pf.Ma. Pf.Vc/2A Pf.Vc/1A Pf.Vc/2B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1A Pf.Vc/2B Pf.Vc/2A Pf.Vc/2B Pf.Vc/2A Pf.Ma. Pf.Vc/2B Pf.Vc/1B
PIETRA LITOTIPO37
MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE
SEMPLICE I.A.2 SEMPLICE III.C.1b SEMPLICE II.C.1 SEMPLICE II.B.2 SEMPLICE IV.C.3b SEMPLICE III.A.2b SEMPLICE II.A.2 SEMPLICE III.D.3a38 SEMPLICE IV.A.3a39 SEMPLICE II.C.1 SEMPLICE III.A.1b SEMPLICE IV.A.3a SEMPLICE IV.A.3a SEMPLICE IV.C.3a SEMPLICE IV.A.3b SEMPLICE III.A.1b 40 SEMPLICE II.C.1
TIPO
DESCRIZIONE
A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINELLO A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINELLO A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
0200
0376
ELLENIST.
FE III
BT I
BT I
BT I
FE III
FE I
BT I
BT I
BT I
FE III
BT I
BA II- III
BA II- III
BA II- III
BA II- III
10,0 r. 14,5 r. 8,0 r. 11,0 r. 17,5res 18,5 31,0 26,0 10,5 22,0 r. 17,0 26,0res 12,0 21,0 r. 13,0 17,0 17,0 r.
14,0 r. 19,0 13,0 r. 11,0 r. 18,0 r. 26,0 25,0 r. 30,0res 16,0 34,0 r. 28,0 36,0res 18,0 22,0 r. 15,0 r. 19,0 13,0 r.
BA II- III
BA II- III
15,0 11,5 15,5 r. 18,0
d.min
BA II- III
d.max
5,0 4,5 4,0 5,0 5,0 5,3 15,0 7,0 5,0 7,0 7,0 7,0 4,0 5,0 5,0 11,0 7,0
7,3 8,5
h.
42
8,5
h.
199
10,0 3,5 4,3 5,0
5,4
È ricavato secondariamente un foro passante per impiegarla come contrappeso. Vi è ricavato secondariamente un lisciatojo. 43 È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio. 44 È ricavato secondariamente un foro passante per impiegarla come contrappeso.
41
B.01 B.02 B.02 B.02 B.02 D.06 D.07 A.04 A.05 A.04 A.05 A.09 C.06 A.05 B.05 A.10 A.04
16 22 22 22 23 24 16 25 25 25 15 11 25 25 25 12 25
B B B B B G G G G G G G G G G G A
E E E E E E E E E E E E E E E E E
1238 1239 1240 1241 1242 1264 1284 1308 1309 1310 1312 1313 1314 1315 1319 1326 1458
16 16
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
E 1235 B B.01 E 1236 B B.01
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS
BAS BAS Pf.Vc/1B Pf.Vc/1A Pf.Vc/1B Pf.Vc/2A Pf.Vc/1B Pf.Ma Pf.Vc/2A Pf.Vc/1B Pf.Ma Pf.Vc/2A Pf.Ma Pf.Vc/2A Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/2B Pf.Ma.
MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE
SEMPLICE II.A.1 SEMPLICE II.C.1 SEMPLICE III.C.1b SEMPLICE III.C.1b SEMPLICE IV.A.2b SEMPLICE I.C.1 SEMPLICE V.C.3a SEMPLICE IV.A.3a SEMPLICE II.A.2 SEMPLICE IV.C.2a SEMPLICE I.A.2 SEMPLICE V.C.3a SEMPLICE II.C.2 42 SEMPLICE II .C.1 43 SEMPLICE II .A.2 44 SEMPLICE III.C.2b SEMPLICE III.D.3a
41
TIPO
Pf.Vc/1B MACINE SEMPLICE III.C.1b Pf.Vc/2B MACINE SEMPLICE III.C.1b
PIETRA LITOTIPO
DESCRIZIONE
A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINELLO A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C
A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
1460 1463 1511 1512 1555 1557 1560 1604 1605 1614 1615 1616 1617 1630 1646 1660 1805 1807 1857 1870
A A G G G G G G G G G G G G G G G G A G
A.04 A.04 B.06 B.06 B.05 B.05 B.05 A.04 A.05 D.10 D.10 D.10 A.04 B.03 D.10 C.10 A.04 B.02 A.03 B.02
0531
0503
0517
0453 0453 0465 0465 0465 0484 0465 0490 0490 0490 0484
26 25 27 27 27 27 27 28 27 17 17 17 28 29 17 17 30 29 28 30
BM II
ELLENIST.
BM II
BM II
FE III
FE III
BM II
BT I
FE III
FE III
FE III
BT I
BT I
BT I
BT I
BT I
BT I
BT I
ELLENIST.
ELLENIST.
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
12,4 r. 8,3 r. 34,0res 13,0 r. 18,0 r. 23,0 16,0 21,0 25,0res 16,5res 30,0res 33,0res 40,0 26,0res 50,0res 38,0res 27,0res 22,5 33,0 10,0 r.
d.max
20,0 r. 15,0 r. 28,0res 13,0 13,0 r. 16,5 14,0 18,0 27,0res 21,0 17,0res 14,0res 30,0 21,0 37,0res 36,0res 25,0 11,5 24,0 16,0
d.min
6,5 4,7 6,0 5,0 9,0 5,0 5,0 9,0 9,0 8,5 5,0 5,0 13,0 8,0 4,3 6,5 4,0 4,5 8,5 5,0
h.
11,0 1,7
4,5 0,9 10,0 3,3 11,0 3,2
h.
BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS
46
200
Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Vc/2B Pf.Vc/2B Pf.Vc/2A Pf.Vc/2B Pf.Ma Pf.Vc/2B Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Vc/2B Pf.Vc/1B Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Ma Pf.Vc/2B Pf.Vc/2B
PIETRA LITOTIPO
È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio. 47 È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio. 48 Il lato minore è squadrato secondariamente ed è ricavata una bassa coppella per impiegarla come ralla.
45
E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE
SEMPLICE III.D.3a SEMPLICE III.D.3a SEMPLICE V.C.2a SEMPLICE III.A.2b45 SEMPLICE III.A.1b46 SEMPLICE II.A.1 47 SEMPLICE II.B.3 SEMPLICE II.A.1 SEMPLICE IV.C.3a SEMPLICE V.C.3a SEMPLICE V.C.3a SEMPLICE III.C.3a SEMPLICE IV.C.2a SEMPLICE III.C.2a SEMPLICE III.C.3a SEMPLICE III.C.3a SEMPLICE IV.C.3a SEMPLICE I.A.2 SEMPLICE III.C.3a SEMPLICE II.C.2 48
TIPO
DESCRIZIONE
A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
1871 1873 1884 1885 1887 1888 1912 1921 1958 1959 1970 1971 1972 1973 2044
G G G G G G J J G G G G G G G
A.02 A.02 A.02 B.02 A.05 A.04 A.02 B.01 B.05 B.05 C.10 C.10 C.10 C.10 B.10
0544 0544 0544 0544
0531 0534
0539 0539
30 30 30 30 30 30 09 10 31 31 18 18 18 18 21
FE II- III
FE III
FE III
FE III
FE III
BM II
BM II
FE III
FE III
BM II
BM II
BM II
BM II
BM II
BM II
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
12,5 r. 17,0 r. 11,0 r. 23,0 15,0 r. 23,0 r. 16,0res 14,0 r. 16,0 r. 11,5 r. 19,0 r. 11,0 r. 20,0 r. 15,0 r. 18,5res
d.max
9,0 14,0 r. 18,8 16,0 13,0 16,0 r. 20,0 14,0 r. 19,0 16,0 17,0 12,0 19,8 18,0 22,0
d.min
4,0 12,8 4,5 6,0 11,0 9,0 7,0 6,5 6,5 4,9 6,5 4,2 8,0 8,0 5,0
h.
8,0
5,0 7,5 4,5 2,3
1,2 1,3 6,6
2,0 4,0 5,5 2,0 6,051 2,8
h.
BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS
Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/2A Pf.Vc/1A Pf.Ma Pf.Vc/2B Pf.Vc/2B Pf.Vc/2B Pf.Vc/2B Pf.Vc/2B Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/2A Pf.Vc/1B
PIETRA LITOTIPO
MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE
MULINO
A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A
TIPO
SEMPLICE I.A.249 SEMPLICE III.C.1b50 SEMPLICE II.A.1 SEMPLICE I.C.1 SEMPLICE I.C.2 SEMPLICE III.C.2b52 SEMPLICE V.A.2a53 SEMPLICE III.C.2b54 SEMPLICE II.A.1 SEMPLICE II.A.3 55 SEMPLICE II.C.1 SEMPLICE I.A.3b SEMPLICE I.A.2b SEMPLICE I.A.3 SEMPLICE V.C.2a
DESCRIZIONE
50
201
Il lato minore è squadrato secondariamente ed è ricavato un foro passante per impiegarla come contrappeso. È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. 51 Presenta due cavità esattamente sul medesimo asse. La prima larga 6,0 e profonda 2,8 cm., la seconda larga 6,0 e profonda 2,5 cm. perforazione non terminata. Si suppone fosse destinato ad essere reimpiegata come contrappeso. 52 È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. 53 È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. 54 È ricavato secondariamente un foro passante per impiegarla come contrappeso. 55 È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio.
49
E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
2066 2067 2127 2131 2132 2181 2182 2183 2187 2221 2222 2223 2235 2261 2285 2287 2291
G G J J J G G G G G G G G G G G G
B.02 A.04 A.01 A.01 A.01 D.10 D.10 D.10 A.04 B.02 A.02 B.02 D.08 D.08 C.08 D.07 A.10
0649
0057 0057 0057 0600 0600 0600 0540
0576
32 32 12 12 12 21 21 21 30 32B 32B 32B 22 22 22 22 22
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE II- III
BM II
BM II
BM II
BM II
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE III
FE III
FE III
BM II
BM II
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
18,0 r. 18,0res 65,5 15,0 r. 33,0res 21,0res 19,0 14,0 r. 18,0res 22,0 18,0res 12,0 r. 12,5 r. 17,0res 20,5 r. 18,0 r. 22,0res
d.max
14,0 16,0 34,0 17,5 32,0res 16,0 13,0 11,0 13,0 16,0 18,0res 11,0 15,0 12,5res 13,0 14,0 22,0res
d.min
8,0 4,3 15,0 5,9 5,0 6,0 4,8 5,0 5,5 7,0 8,5 1,8 7,0 6,0 10,0 5,4 4,5
h.
57
h.
202
2,560 4,5
11,0 5,0
7,0 2,2 5,8 2,8 11,0 3,0
È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio. 58 È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio. 59 È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio. 60 Diametro dell’invito del foro 5,0 61 È ricavato secondariamente un foro passante per impiegarla come contrappeso.
56
E E E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS
Pf.Vc/1A Pf.Ma. Pf.Vc/2A Pf.Vc 1B Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Vc/2A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1A Pf.Vc/2B Pf.Vc.2B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1A Pf.Vc.2A
PIETRA LITOTIPO
MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE
SEMPLICE II.C.2 SEMPLICE IV.C.2b SEMPLICE III.C.3a SEMPLICE I.A.1 SEMPLICE V.C.3a SEMPLICE V.A.2b SEMPLICE I.A.1 SEMPLICE II.C.1 SEMPLICE V.A.2b SEMPLICE II.C.1 SEMPLICE V.A.2a 56 SEMPLICE I.A.2 57 SEMPLICE III.C.2b58 SEMPLICE III.C.3a SEMPLICE III.A.2b59 SEMPLICE I.A.1 SEMPLICE V.C.2a 61
TIPO
DESCRIZIONE
A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINELLO A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A
ASSIRO A SCANALATURA
A MACINA SEMPLICE B A MACINELLO
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
2294 2295 2296 2299 2354 2376 2396 2399 2404 2406 2407 2482 2520 2522 2527 2528 2529 2530
G G G G J G G G J J J J G G G G G G
B.07 B.07 B.07 A.03 Z.01 C.06 D.04 B.09 Y.01 Y.01 Y.01 Z.01 B.09 A.10 A.07 A.07 B.05 B.05
0663 0663
0706 0706 0713
0672
22 22 22 33 09 27 28 24 09 09 09 11 24 24 23 23 33 33
BM I
BM I
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE III
FE III
FE III
FE III
FE II- III
BT I
BT I
FE III
BM I
FE II- III
FE II- III
FE II- III
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
19,0 r. 27,5 21,0 18,0res 25,0res 29,0 25,0res 29,0 r. 25,0res 29,0res 34,0res 48,0 33,0 24,0res 23,0 28,0 17,0 r. 22,0res
d.max
15,0 r. 18,5 11,5 14,0 16,0 21,0 17,0res 22,0 r. 18,0res 24,0 30,0 31,0 31,0 22,0res 13,0 16,0 14,0 r. 18,0res
d.min
4,5 13 4,3 3,8 4,5 6,0 12,0 12,0 4,5 6,0 7,0 12,0 22,0 8,3 4,8 6,0 10,0 8,0
h.
63
h.
6,5 5,0
8,0
203
1,0 1,2
1,0
11,0 1,5
2,062 3,8
Diametro dell’invito del foro 5,0 È ricavato secondariamente un foro passante per impiegarla come contrappeso. 64 È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. 65 È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. 66 È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. 67 È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla.
62
E E E E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS
Pf.Vc/1B Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc.2A Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/2A Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Ma. Pf.Vc/2B Pf.Vc/1B Pf.Ma Pf.Vc/2B Pf.Vc/2A
PIETRA LITOTIPO
MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE
SEMPLICE II.C.1 SEMPLICE III.C.1b SEMPLICE I.C.2 SEMPLICE IV.C.3b 63 SEMPLICE IV.C.3b SEMPLICE III.C.2a64 SEMPLICE V.C.3a SEMPLICE V.C.2a SEMPLICE III.C.3a SEMPLICE III.C.3a SEMPLICE III.C.3a SEMPLICE III.C.3a SEMPLICE V.C.2a SEMPLICE V.C.3a 65 SEMPLICE IV.A.2b SEMPLICE I.A.2 SEMPLICE III.C.3 66 SEMPLICE V.C.2a67
TIPO
DESCRIZIONE
A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE A A MACINELLO A MACINELLO A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINELLO A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE A
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
2536 2544 2561 2565 2566 2581 2582 2583 2591 2606 2611 2612 2647 2769 2776
G G G G G G G G G G G G G G G
B.01 D.10 A.06 B.06 B.06 A.06 A.06 B.04 B.08 D.09 A.02 B.04 A.02 C.05 C.03
0874
0812 0795
0766
0740
35 25 35 35 35 34 35 35 25 26 35 35 35 31C 32B
BM II
BM II
BA IV
BA IV
BA IV
FE II- III
FE II- III
BA IV
BA IV
BM I
BA IV
BA IV
BA IV
BT I
BA IV
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
25,0res 20,0 r. 24,0 19,0 r. 20,0 24,0 9,5res 16,5 14,0res 19,0 13,5 r. 20,0res 17,5 r. 16,0res 14,0 r.
d.max
27,0res 15,5 18,0 14,0 r. 15,0 r. 14,5 18,5 11,0 21,0 14,0 14,2 r. 30,0res 15,7 r. 18,0res 12,0
d.min
9,0 6,0 10,0 4,2 4,5 4,0 3,5 5,6 8,5 5,8 5,5 9,0 4,5 7,5 4,2
h.
69
h.
204
12,5 6,0
4,071 11,0 8,0 1,2
16,5 6,0 11,0 4,3 13,0 4,5
È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio. È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio. 70 È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come piccolo mortaio. 71 È ricavato secondariamente un foro passante per impiegarla come contrappeso. 72 È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. 73 È ricavato secondariamente un foro passante per impiegarla come contrappeso. 74 È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio.
68
E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS
Pf.Vc/2A Pf.Vc/2B Pf.Vc/2B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1A Pf.Ma. Pf.Vc/2A Pf.Ma. Pf.Vc/2B Pf.Vc/1B Pf.Vc/2A Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Ma
PIETRA LITOTIPO
MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE
MULINO
A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINELLO A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A
TIPO
SEMPLICE V.C.2a 68 SEMPLICE III.A.1b69 SEMPLICE III.C.3b70 SEMPLICE II.A.2 SEMPLICE II.A.2 SEMPLICE II.B.2 SEMPLICE IV.A.2b SEMPLICE III.A.2b SEMPLICE III.C.3a72 SEMPLICE III.C.1b73 SEMPLICE II.A.1 SEMPLICE IV.A.3a SEMPLICE IV.C.3 SEMPLICE V.A.2a74 SEMPLICE I.A.2
DESCRIZIONE
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
2777 2778 2801 2802 2803 2891 2892 2915 2928 3047 3048 3071 3072 3170 3234 3240 3241 3243
G G G G G G G G G G G G G G G G G G
C.03 C.03 D.02 D.02 D.02 B.10 B.10 C.08 A.07 A.09 B.10 D.02 D.02 B.04 A.09 A.04 B.02 B.04
1069
0997 0993 1000 1000
0955 0955 0940
0874 0874
32B 32B 32B 32B 32B 28 28 28 29 30 30 33 33 36 31 37 36 36
BA IV
BA IV
BA IV
FE I
BA IV
BM I
BM I
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE II- III
FE II- III
BM II
BM II
BM II
BM II
BM II
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
16,5 19,5 r. 16,0res 34,0res 23,0 r. 19,0 r. 23,0 16,0res 15,0 r. 21,0 25,0 r. 22,5 17,0 r. 39,5res 49,2 21,6 r. 31,5 33,0
d.max
15,0 12,0 14,0 21,0res 20,0 20,5 20,0 18,0res 23,0 12,0 15,0 16,0 14,5 20,5 24,5 15,2 r. 23,5 12,0
d.min
5,0 6,5 3,8 23/6,0 9,0 8,0 4,5 10,0 7,0 4,5 6,0 4,0 6,0 9,3 13,3 11,0 14,3 7,5
h.
76
È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. 77 È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio. 78 È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla. 79 È ricavata secondariamente una vasca per impiegarla come mortaio.
75
E E E E E E E E E E E E E E E E E E
No. E.
4,0
2,5
1,6
205
4,2 1,2 16,0 6,6
7,0
7,0
9,5
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS
Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Ma. Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Vc/2A Pf.Ma. Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Vc/2B Pf.Vc/1B Pf.Vc/2B Pf.Ma. Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B
PIETRA LITOTIPO
MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE
SEMPLICE II.C.2 SEMPLICE III.C.3b75 SEMPLICE IV.A.2b SEMPLICE IV.C.3a SEMPLICE I.C.2 SEMPLICE I.C.3 SEMPLICE I.A.1 SEMPLICE V.C.3a 76 SEMPLICE V.A.3a SEMPLICE I.B.2 SEMPLICE I.C.3 77 SEMPLICE III.A.1b SEMPLICE II.A.1 SEMPLICE IV.A.2a SEMPLICE IV.C.3a SEMPLICE II.C.3 78 SEMPLICE II.A.1 79 SEMPLICE IV.A.2b
TIPO
DESCRIZIONE
A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE C A MACINELLO A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINELLO
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
80
E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E
G G G G G G G G G G G G G G G H G G G J G G
B.04 B.04 A.04 D.07 B.07 B.05 B.05 B.05 B.05 B.05 A.07 D.05 D.10 D.10 D.10 F.06 C.09 C.03 C.D2 B.16 B.09 B.09
1362 1375 0211 1407 1407
1266 1266 1266 0203
1212 1212 1221 1221
1097 1125
36 36 34D 32 32 36 36 37 37 37 33C 39 33B 33B 33B 10 34 40 40 12 34 34
BT I
BT I
FE III
BA II-III
BA II-III
BT I
PARTICO
FE I
FE I
FE I
BA II-III
FE I
BA IV
BA IV
BA IV
BA IV
BA IV
FE I
FE I
BM I
BA IV
BA IV
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
29,0 15,5res 16,0 27,0 26,0 46,0 26,0 33,0 r. 18,5 22,0 r. 31,0 r. 22,5 27,0 22,0 30,0 37,5 23,0 r. 18,5 r. 24,5 33,2 r. 41,2 r. 41,0 r.
d.max
10,5 21,5 13,8 16,0 15,0 21,0 12,0 28,0 13,0 14,0 27,0 14,5 18,0 16,5 12,0 73,2 24,0 21,0 13,0 31,6 r. 26,0 39,0
d.min
8,5 3,6 6,3 4,6 5,8 8,0 6,0 13,0 6,0 7,2 5,0 5,5 5,5 6,3 6,2 07,5 17,0 6,0 7,0 5,0 15,0 25,0
h.
È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla.
3244 3246 3280 3294 3348 3676 3677 3685 3686 3687 3828 3868 3915 3916 3917 3964 4002 4108 4109 4196 4270 4271
No. E.
8,0 5,5
206
0,3 0,5
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS
Pf.Vc/1B Pf.Ma. Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/2B Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1B Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Ma. Pf.Vc/2B Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Ma Pf.Vc/1B Pf.Vc/2B
PIETRA LITOTIPO
MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE
SEMPLICE IV.C.2b SEMPLICE III.C.1a SEMPLICE I.A.1 SEMPLICE I.A.3 SEMPLICE II.B.3 SEMPLICE IV.A.2a SEMPLICE IV.A.2b SEMPLICE V.A.2a SEMPLICE I.A.1 SEMPLICE IV.B.2b SEMPLICE V.A.3 SEMPLICE III.A.2 SEMPLICE II.A.3 SEMPLICE I.A.1 SEMPLICE II.B.2 SEMPLICE III.D.3a SEMPLICE V.A.2a80 SEMPLICE IV.A.3a SEMPLICE II.B.2 SEMPLICE V.C.3a SEMPLICE IV.C.3a SEMPLICE IV.C.2a
TIPO
DESCRIZIONE
A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B
DI OLINTO A TRAMOGGIA
A MACINELLO A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE B A MACINELLO A MACINA SEMPLICEA A MACINA SEMPLICE A A MACINELLO A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE B A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE B
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
4272 4496 4916 4917 4918 5243
G G G G G G
C.07 C.10 A.08 A.08 A.08 B.04
1452
1410 1436 1436
34 33C 35D 35D 35D 43
BA II-III
BT I
BT I
BT I
FE I
BT I
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
22,0 r. 11,0 r. 24,5 15,0 10,5 r. 21,0
d.max
33,0 8,5 r. 12,5 14,2 13,5 13,0
d.min
12,0 5,5 5,5 5,0 4,0 7,5
h.
2,0
10,0 1,2 3,5 1,0 8,0 1,2
9,0
h.
BAS BAS BAS BAS BAS BAS
Pf.Vc/1B Pf.Vc/2B Pf.Vc/2B Pf.Ma Pf.Vc/2B Pf.Vc/1B
PIETRA LITOTIPO
MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE
SEMPLICE V.C.3a SEMPLICE V.C.3a SEMPLICE III.C.2b SEMPLICE I.A.2 81 SEMPLICE III.A.1b82 SEMPLICE III.B.3b83
TIPO
DESCRIZIONE
A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE A A MACINA SEMPLICE C A MACINA SEMPLICE C
MULINO
207
Sono ricavate secondariamente sulle due facce maggiori due vasche ad apertura ellittica (la vasca sulla faccia principale misura al massimo 10,0 cm e 1,2 cm di profondità, la vasca sulla faccia secondaria misura al massimo 6,0 cm e 1,7 cm di profondità) per impiegarla come mortaio. 82 Presenta due cavità esattamente sul medesimo asse. La prima larga 3,5 e profonda 1,0 cm., la seconda larga 3,8 e profonda 0,5 cm. perforazione non terminata. Si suppone fosse destinato ad essere reimpiegata come contrappeso. 83 È ricavata secondariamente una bassa coppella per impiegarla come ralla.
81
E E E E E E
No. E.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E
2233 0919 0921 1323 1606 1607 1647 1711 1712 1713 1714 1716 1750 1778 1942 2021 2037 2128 2249 2408 2883 2016
No. E.
C.09 A.08 B.08 A.09 D.10 D.09 D.10 B.01 B.01 B.01 B.01 A.03 B.01 C.09 A.02 B.01 Sup. J A.01 A A.02 J Y.01 A A.01 G A.08
G G G G G G G J J J J A J G J J
0057
0015 0015 0015 0015
0478 0478
0615
12 32 09 34 21
22 08 17 12 15 15 17 06 06 06 06 26 08 18A 10 11
FE II-III
FE III
ACHEMEN.
ACHEMEN.
FE III
FE III
FE III
FE III
ACHEMEN.
ELLENIST.
ACHEMEN.
ACHEMEN.
ACHEMEN.
ACHEMEN.
FE III
FE III
FE III
ACHEMEN.
FE III
ACHEMEN.
FE II-III
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
22,0 37,5 42,0 12,0 r. 20,5 r. 37,0 r. 39,0 32,0 r. 18,0 r. 37,0 r. 18,0 r. 18,7 38,0 r. 18,5 r. 35,0 r. 11,0 r. 33,0 17,5 r. 31,0 19,0res 38,5 18,0 r.
d.max
18,0 18,5 r. 32,5 10,0 r. 9,0 r. 15,0 r. 25,5 26,5 r. 9,5 r. 19,0 r. 15,5 r. 11,5 20,0 r. 13,5 r. 12,5 r. 8,0 r. 28,0 4,5 r. 16,5res 12,0res 10,0res 17,0 r.
d.min
6,5 7,0 7,0 4,8 6,0 6,0 7,0 5,0 10,0 6,0 5,5 6,1 6,2 6,4 5,8 3,7 8,5 5,5 5,8 6,1 6,0 5,4
h.
5,0 3,5 3,5 1,4 r. 3,0 3,0 3,3 2,6 3,0 2,5 r. 2,5 r. 3,0 1,2 r. 3,0 2,6 1,7 r. 3,0 2,2 r. 2,4 2,4re 1,5re 2,4
208
2,0 3,0 3,0 2,5 3,0 2,5 4,3 2,5 2,0 3,0 5,5 3,4 2,7 2,5 2,8 2,5 1,8 2,5 2,8 2,0 2,2 2,7
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS
Pf.Vc/1B Pf.Ma Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Ma Pf.Ma Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Ma Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/1B Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Ma Pf.Vc/1B
PIETRA LITOTIPO
MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE MACINE
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.C.3a
A SCANALATURA III.A.1b
TIPO
DESCRIZIONE
ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA ASSIRO A SCANALATURA
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
07
0046
0203
E 2967 GCW
E 3963 H F.06
PARTICO
PARTICO
ELLENIST.
d.max Ø
44,0 * 20,2 44,0 22,685 36,8 20,686 37,0 17,384 37,0 20,4 36,2 20,2
d.min
h.
d.min
TRAMOGGIA
d.max Ø
12,0 10,0 12,0 10,4 12,4 10,8
5,0 5,0 5,0 3,6 6,6 4,2
No.
COPPELLE
h.
Pf.Ma
Pf.Ma
Pf.Ma
LITOTIPO
2,7 BAS 1(L.l) 2,7 BAS 2(L.b) 2,0 BAS 2(L.b)
h.
209
MULINO
MACINE A TRAMOGGIA III.C.3c
MACINE A TRAMOGGIA III.C.3c
DI OLINTO A TRAMOGGIA
DI OLINTO A TRAMOGGIA
MACINE A TRAMOGGIA III.G.3g DI OLINTO A TRAMOGGIA
TIPO
DESCRIZIONE
L’indicazione del numero delle coppelle presenti è seguita fra ( ) dalla localizzazione sulle facce laterali, se sui lati lunghi (L.l) o sui lati brevi (L.b). 84 La fessura alla base della tramoggia misura 11,0 in lunghezza e 2,6 in larghezza. 85 La fessura alla base della tramoggia misura 10,0 in lunghezza e 2,0 in larghezza. 86 La fessura alla base della tramoggia misura 6,4 in lunghezza e 1,5 in larghezza.
10
23
E 1422 A A.03
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
d.max Ø
No. E.
SCANALAT.
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max
PROVENIENZA
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E E
0214 0215 0216 0217 0218 0219 0232 0269 0270 0271 0283 0294 0342 0358 0566 0918 1118 1230 1233 1237 1324 1325 1627 1652
No. E.
G G G G G G G G G G G G G G G G G G B B G G G G
B.02 B.02 B.02 B.02 B.02 B.02 B.04 A.04 A.04 A.04 A.04 A.04 B.06 C.06 C.06 B.08 A.04 C.03 B.01 B.01 A.10 A.10 B.03 B.09
11 11 11 11 11 11 01B 01F 01F 01F 01F 01F 07 11 07 06 11 24 09 16 12 12 29 17
FE III
BM II
FE III
FE III
BA II- III
BA II- III
BT I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
FE I
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
4,0 6,0 4,5 5,0 5,0 6,0 5,0 5,0 5,5 6,0 9,5 4,0 11,0 10,5 15,0 6,0 8,0 5,1 6.0 6,4 7,2 7.0 7,0 7,8
d.max
3,5 6,0 4,5 5,0 5,0 6,0 5,0 5,5 5,5 6,0 9,0 3,8 6,0 3,5 8,5 5,8 6,0 r. 2,5 4.0 6.0 4,8 5.0 7,0 5,2
d.min
5,6 6,7 8,9 5,2 5,7 5.0 5.0 3,0 7,7
3,0 5,0 4,5 5,0 4,5 5,5 4,0 6,3 5 6,0 5,0 3,5 6,0 4,0
h.
210
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
CLC
BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS CLC BAS BAS BAS BAS BAS BAS BAS CLC CLC BAS BAS BAS CLC CLC
Pf.Vc/1A Pf.Vc/1B Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Ol.Gf. Pf.Vc/1A Pf.Vc/1B Pf.Vc/1B Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Ol.Gf. Ol.Gf. Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/1B Ol.Gf. Ol.Gf. peeble Ol.Gf.
PIETRA LITOTIPO
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINELLO I.2a MACINELLO I.2b MACINELLO I.3 MACINELLO I.1 MACINELLO I.2b MACINELLO I.3 MACINELLO I.1 MACINELLO I.4b MACINELLO I.2b MACINELLO I.1 MACINELLO I.2b MACINELLO I.4a PESTELLO II.7 PESTELLO I.5 PESTELLO I.4c MACINELLO I.2c MACINELLO I.2b PESTELLO I.4c MACINELLO I.2c MACINELLO I.2c MACINELLO I.2a MACINELLO I.2a MACINELLO I.2d MACINELLO I.2c
TIPO
DESCRIZIONE
A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO A MORTAIO A A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO A MORTAIO A A MORTAIO B A MORTAIO B A MORTAIO B A MACINELLO A MACINELLO A MORTAIO B A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
E E E E E E E E E E E E E E E E E E
1961 2007 2082 2354 2363 2378 2511 2534 2541 2580 2610 2770 3247 3248 3283 3284 4372 4373
No. E.
G G J J G G G G G G G G G G G G G G
B.02 B.03 A.02 Z.01 A.01 C.04 C.05 C.09 D.08 A.06 B.03 D.03 B.04 B.04 C.08 C.07 D.08 C.08
1427 1427
0870
0657
0064
31A 31A 12 09 34 28 28 24B 25 34 35 31C 36 36 32 32 35B 35B
BT I
BT I
FE I
FE I
BA IV
BA IV
BM II
BA IV
BMI
FE II- III
FE II- III
BT I
BT I
BMI
FE III
FE III
BM II
BM II
Area e Settore Struttura, Strato, Datazione
4,1 5,5 7,2 6,4 5,7 15,2 4,1 4,4 5,2 5,8 5,7 13,5 13,2 6,0 5,2 5,1 10,5 11,5
d.max
2,5 5,4 6,8 6.0 3,4 6,3 2,4 4,5 3,8 5,8 4,5 6,8 5,4 4,8 5,3 4,8 5,0 5,0
d.min
4,6 5,5 5,4 5,7 8,0 4,8 3,6 4,3 4,0 5,8 4,6 7,6 8,2 4,3 4,8 4,6 5,0 4,5
h.
211
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS BAS peeble BAS BAS CLC BAS BAS BAS CLC BAS BAS BAS BAS CLC BAS BAS CLC Pf.Ma Pf.Ma Ol.Gf. Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/2B Ol.Gf. Pf.Ma Pf.Ma Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A Ol.Gf. Pf.Ma Pf.Vc/1A Ol.Gf.
Pf.Vc/1A Pf.Vc/1A
PIETRA LITOTIPO
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINATOI
MACINELLO I.6 MACINELLO I.2d MACINELLO I.5 MACINELLO I.1 MACINELLO I.4b PESTELLO II.9 MACINELLO I.4a MACINELLO I.3 MACINELLO I.2b MACINELLO I.3 MACINELLO I.4a PESTELLO I.5 PESTELLO II.7 MACINELLO I.2c MACINELLO I.2d MACINELLO I.2d PESTELLO II.9 PESTELLO I.4c
TIPO
DESCRIZIONE
A MACINELLO A MACINELLO A MORTAIO A A MACINELLO A MORTAIO A A MORTAIO B A MORTAIO A A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO A MORTAIO A A MORTAIO B A MORTAIO B A MACINELLO A MACINELLO A MACINELLO A MORTAIO B A MORTAIO B
MULINO
APPENDICE B - TELL BARRI. Schedatura dei manufatti per la macinazione (Aree B, G, J, A).
FAMIGLIA
Ada 1. 6. 44
Ada 1. 1. 39
Ada 1. 61+62. Svuotamento E56
Forte Salmanassar. SW. A1.
002 89 P 81
003 89 P 94
004 89 P 72
Area e Settore Struttura, Strato
001 89 P 79
No. E.
d.min
26,0
14,2
19,0 r. 17,8
25,0 r. 19,5 r.
d.max
5,3
4,7
10
2,8
h.
6,0
212
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS
BAS
BAS
BAS
A MACINA SEMPLICE C
A MACINA SEMPLICE A
ASSIRO A SCANALATURA
ASSIRO A SCANALATURA
SEMPLICE V.C. 3
A SCANALATURA II.A. 1b
A SCANALATURA II.A. 2b
Pf.Vc/2B MACINE Pf.Vc/1A MACINE Pf.Vc/1A MACINE
MULINO
SEMPLICE III.C. 3
TIPO
Pf.Vc/2B MACINE
PIETRA LITOTIPO
DESCRIZIONE
APPENDICE C - NIMRUD. Schedatura dei manufatti per la macinazione delle Aree A1-A3, dal Forte Salmanassar e dalla survey.
FAMIGLIA
Prospezione Nimrud. Fernanda 7D
Prospezione Nimrud. Elsa 4D
Prospezione Nimrud. Elsa 4D
Ada 3. 3. 28
Prospezione Nimrud. Fernanda 2A
Prospezione Nimrud. Dolores 9 C
Prospezione Nimrud. Fernanda 1D
002 89 P 60
003 89 P 59
004 89 P 73
005 89 P 74
006 89 PC3
007 89 P 68
Area e Settore Struttura, Strato
001 89 P 69
No. E.
13
25
29
27
21
23
25
d.max Ø
3,0 r.
5,5 r.
1,9 r.
4,9 r.
d.min
2,4
1,9
1,3
1,9
2,2
h. spess.
213
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
MIXING BOWL
MIXING BOWL
MIXING BOWL
MIXING BOWL
MIXING BOWL
CIOTOLA I.A. 1b
BAS
BAS
BAS
BAS
Pf.Vc/2A RECIPIENTI CIOTOLA I.A. 1b Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.A. 1d
Pf.Vc/2A RECIPIENTI CIOTOLA I.A. 1e Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.B.
RECIPIENTI
MIXING BOWL
Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.A. 1b
MULINO
MIXING BOWL
TIPO
Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.A. 1a
Serpentino
BAS
BAS
PIETRA LITOTIPO
DESCRIZIONE
APPENDICE C - NIMRUD. Schedatura dei manufatti per la macinazione delle Aree A1-A3, dal Forte Salmanassar e dalla survey.
FAMIGLIA
Prospezione Nimrud. Fernanda 6D
Prospezione Nimrud. Superficie a N di Ada 3
Forte Salmanassar. 1. 18. ND 89-35
Prospezione Nimrud. Fernanda 11D
Forte Salmanassar. 1. 18
Prospezione Nimrud. Fernanda 1A
Prospezione Nimrud. Fernanda 12D
009 89 P 75
010 89 P 35
011 89 P 105
012 89 P 42
013 89 P 63
014 89 P 62
Area e Settore Struttura, Strato
008 89 P 102
No. E.
22
24
20
15
13
13
d.max Ø
3,7 r.
4,7
5,2
8,9 r.
d.min
1,5
2,5
1,0
2,1
2,3
h. spess.
214
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS
BAS
CLC
BAS
BAS
BAS
BAS
MIXING BOWL
MIXING BOWL
MIXING BOWL
Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.A. 1b
PIATTO (Late)
Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.A. 1a ?
RECIPIENTI
MIXING BOWL
Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.C. 1d
Beige
MIXING BOWL
Pf.Vc/2A RECIPIENTI CIOTOLA I.C. 1g
(decoraz. sulla base)
Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.B.
MULINO
MIXING BOWL
TIPO
Pf.Vc/2A RECIPIENTI CIOTOLA I.B.
PIETRA LITOTIPO
DESCRIZIONE
APPENDICE C - NIMRUD. Schedatura dei manufatti per la macinazione delle Aree A1-A3, dal Forte Salmanassar e dalla survey.
FAMIGLIA
Prospezione Nimrud. Fernanda 2D
Prospezione Nimrud. Fernanda 11D
Prospezione Nimrud. Fernanda 1C
Ada 1. 15. E60
Prospezione Nimrud. Fernanda 1A
Prospezione Nimrud. Fernanda 5D
Forte Salmanassar. 1. 18
016 89 P 104
017 89 P 106
018 89 P 101
019 89 P 64
020 89 P 100
021 89 P 26
Area e Settore Struttura, Strato
015 89 P 90
No. E.
20
22
8
34,5
16
18
19
d.max Ø
2,9 r.
3,5 r.
9,3
3,7 r.
4,1 r.
4,0 r.
d.min
1,0
1,8
1,8
4,4
1,6
2,2
1,4
h. spess.
215
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
Rosso
Bianco
CLC
CLC
MIXING BOWL
RECIPIENTI
CIOTOLA I.A. 1b ? (Late)
MIXING BOWL
MIXING BOWL
RECIPIENTI
CIOTOLA I.A. 1a ? (Late)
MIXING BOWL
Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.C. 1a RECIPIENTI
MIXING BOWL
Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.A. 1b
Bianco
MIXING BOWL
Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.A. 1b
MULINO
MIXING BOWL
TIPO
Pf.Vc/1A RECIPIENTI CIOTOLA I.A. 1b
CLC
BAS
BAS
BAS
BAS
PIETRA LITOTIPO
DESCRIZIONE
APPENDICE C - NIMRUD. Schedatura dei manufatti per la macinazione delle Aree A1-A3, dal Forte Salmanassar e dalla survey.
FAMIGLIA
Ada 3. 3. 52
Ada 1. 1. 39
Superficie. Montarozzo di fronte ad Ada 3, oltre la strada.
023 89 P 89
024 89 P 83
Area e Settore Struttura, Strato
022 89 P 77
No. E.
40
d.max Ø
18,0
12,0
d.min
9,5
6,0
h. spess.
216
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS
BAS
BAS
MULINO A MORTAIO E
MULINO A MORTAIO E
Pf.Vc/2B RECIPIENTI MORTAIO I.D.1a Pf.Vc/2B RECIPIENTI MORTAIO I.D.1b
MULINO
MULINO A MORTAIO C
TIPO
Pf.Vc/2B RECIPIENTI MORTAIO III.A.2
PIETRA LITOTIPO
DESCRIZIONE
APPENDICE C - NIMRUD. Schedatura dei manufatti per la macinazione delle Aree A1-A3, dal Forte Salmanassar e dalla survey.
FAMIGLIA
89 P 72
007
89 P 97
006
89 P 71
005
89 P 96
004
89 P 70
003
89 P 109
002
89 P 107
001
No. E.
Ada 3. 8. 22
Ada 1. 61. E53, zona NE
Prospezione Nimrud. Fernanda 8 D
Ada 1. 61. E53, zona NE
Prospezione Nimrud. Fernanda 8 D
Prospezione Nimrud. Fernanda 8 D
Ada 1. 15. 61
Area e Settore Struttura, Strato
8,8
5,0
7,8
7,4
5,0
6,6
d.max Ø
7,9
4,8
7,4
5,0
d.min
4,9
4,0
5,4
5,4
3,7
6,6
h. spess.
217
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
BAS
BAS
CLC
CLC
CLC
CLC
TIPO
Pf.Vc/1A
Pf.Vc/1A
Grigio (Quarzite)
Rosato
Marrone
MACINATOI MACINELLO I. 2a
MACINATOI MACINELLO I. 2a
MACINATOI MACINELLO I. 2d
MACINATOI MACINELLO I. 2d
MACINATOI MACINELLO I. 2d
MACINATOI MACINELLO I. 2d
Biancastro MACINATOI MACINELLO I. 2b
PIETRA LITOTIPO
DESCRIZIONE
MULINO A MACINELLO
MULINO A MACINELLO
MULINO A MACINELLO
MULINO A MACINELLO
MULINO A MACINELLO
MULINO A MACINELLO
MULINO A MACINELLO
MULINO
APPENDICE C - NIMRUD. Schedatura dei manufatti per la macinazione delle Aree A1-A3, dal Forte Salmanassar e dalla survey.
FAMIGLIA
89 P 93
009
89 P 78
008
No. E.
Ada 3. 6. 34
Ada 3. 1. 17
Area e Settore Struttura, Strato
10,4
17,5
d.max Ø
5,6
8,2
d.min
7,4
h. spess.
218
h.
CAVITA’ FORO
DIMENSIONI (in cm.) DIMENSIONI PIANE
d.max Ø
PROVENIENZA
CLC
CLC
Grigio
Grigio scuro
PIETRA LITOTIPO
MACINATOI PESTELLO I. 5
MACINATOI PESTELLO I. 5
TIPO
DESCRIZIONE
MULINO A MORTAIO B
MULINO A MORTAIO B
MULINO
APPENDICE C - NIMRUD. Schedatura dei manufatti per la macinazione delle Aree A1-A3, dal Forte Salmanassar e dalla survey.
FAMIGLIA
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235
ELENCO DELLE ILLUSTRAZIONI
TAV. 1.
Localizzazione dei principali affioramenti di basalti nell’area siriana, in Mesopotamia settentrionale ed in particolare nella regione del Habur. 1. Da Lease, Laurent 1998: Fig. 1. 2. Da Lease 2000: Fig. 1.
TAV. 2.
Localizzazione dei principali affioramenti di basalti nell’area dell’alto Eufrate, il Keban e la provincia di Adiyaman. Da Marfoe et alii 1986: Figg. 1-2.
TAV. 3.
Localizzazione dei principali affioramenti di basalti nella regione del Levante costiero meridionale, la Galilea e la regione del Giordano. 1. Da Amiran, Porat 1984: Fig. 2. 2. Da Williams-Thorpe 2000: Fig. 1.
TAV. 4.
Localizzazione dei principali affioramenti e distribuzione dei basalti fra l’area del Levante siro-palestinese e Cipro. 1. Da Xenophontos et alii 1988: Fig. 4. 2. Da Xenophontos et alii 1988: Fig. 3. 3. Da Xenophontos et alii 1988: Fig. 5.
TAV. 5.
Tell Barri. Caratteri macroscopici dei basalti e dei calcari impiegati per la produzione dei diversi manufatti per la macinazione.
TAV. 6.
Tell Barri. Caratteri macroscopici dei basalti e dei calcari impiegati per la produzione dei diversi manufatti per la macinazione.
TAV. 7.
Tell Barri. Manufatti per la macinazione realizzati con basalti e calcari a struttura differente.
TAV. 8.
Sequenza di macinazione. La frizione e la percussione nei diversi tipi di mulino. 1. Da De Beaume 1989 :Fig. 9. 2. Da Yakar 2000 : Fig. 62. 3. Da Garstang 1953: Pl. XX: b.
TAV. 9.
I modelli meccanici per la frizione nei diversi contesti.
TAV. 10.
I modelli tecnologici dei principali tipi di mulino.
TAV. 11.
Il Mulino a macinello. schemi di funzionamento. 1-2. Assetto e funzionamento. 3. Da Voigt 1983: Pl. 34: e-f. 4. Da Leenders 1988: Pl. 194.
TAV. 12.
Bademağaci Höyük. L’insediamento del Neolitico iniziale, livelli 4B-3. Bademağaci Höyük. L’installazione per mulino a macinello all’interno del vano meridionale EN3A. 1. Da Duru 2002: Lev. 1/1. 2. Da Duru 2002: Lev. 12/1.
TAV. 13.
Arad. Il silos 1187 dell’isediamento del Bronzo Antico dell’Area K, Strato II. Particolare del mulini a macinello rinvenuto alla base del silos. 1. Da Amiran 1978: Pl. 155: 2. 2. Da Amiran 1978: Pl. 155: 4. 3. Da Amiran 1978: Pl. 155: 3.
TAV. 14.
Tell Maghzaliah. Macine per mulini a macinello dai livelli del Neolitico aceramico. 236
Hajji Firuz Tepe. Macine per mulini a macinello dai livelli del Neolitico. 1-2. Da Bader 1993: Fig. 2.11. 3-4. Da Voigt 1983: Pl. 35: a-d. 5-6. Da Voigt 1983: Pl. 34: a-f. TAV. 15.
Tell Beydar III. Macine per mulini a macinello dai livelli tardo-calcolitici. Tell Melebiya. Macina per mulino a macinello dai livelli del Bronzo Antico. Kurban Höyük. Macina per mulino a macinello dai livelli del Bronzo Antico. Tell Fisna. Macina per mulino a macinello dai livelli del Bronzo Antico. 1-4. Da Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: Figg. 4-5. 5. Da Ciavarini Azzi 1993: Pl. 206: 1. 6-7. Da Ataman 1986: Fig. 34: D-E. 8. Da Numoto 1988: Fig. 38: 477.
TAV. 16.
Hama. Macine per mulini a macinello dai livelli del Bronzo Antico di Hama J. Arad. Macine per mulini a macinello dai livelli del Bronzo Antico. 1-2. Da Fugmann 1958: Figg. 58, 98, 103. 3-8. Da Amiran 1978: Pl. 80.
TAV. 17.
Tell Barri. Macine per mulini a macinello dai livelli accadici del Bronzo Antico IV. Tell Barri. Macine per mulini a macinello dai livelli del Bronzo Medio I e II.
TAV. 18.
Tell Imilihiye. Macine per mulini a macinello dai livelli del Bronzo Tardo. Tell Zubeidi. Macine per mulini a macinello dai livelli del Bronzo Medio e Tardo. 1-2. Da Boehmer, Dämmer 1985: Taf. 26: 13, 13A. 3-5. Da Boehmer, Dämmer 1985: Taf. 147: 620, 622, 622E.
TAV. 19.
Tille Höyük. Macine per mulini a macinello dai livelli di transizione fra il Bronzo Tardo ed Ferro Antico. Da Summers 1993: Fig. 66.
TAV. 20.
Tell Barri. Macine per mulini a macinello dai livelli del Ferro I dell’insediamento medioassiro dell’Area G. (Archivio Missione Archeologica italiana a Tell Barri/ Kahat).
TAV. 21.
Tell Barri. Macine per mulini a macinello dai livelli del Ferro I dell’insediamento medioassiro dell’Area G. (Archivio Missione Archeologica italiana a Tell Barri/ Kahat).
TAV. 22.
Tell Barri. Macine per mulini a macinello dai livelli del Ferro II dell’insediamento neoassiro dell’Area G. Tell Barri. Macine per mulini a macinello dai livelli del Ferro III dell’insedianemento post-assiro, neobabilonese ed achemenide dell’Area G. (Archivio Missione Archeologica italiana a Tell Barri/ Kahat).
TAV. 23.
Tell Barri. Macina per mulino a macinello dai livelli del Ferro III dell’insedianemento post-assiro, neobabilonese dell’Area G. Tell Barri. Mulino a macinello dai livelli del Ferro III dell’insediamento post-assiro, neobabilonese dell’Area J. (Archivio Missione Archeologica italiana a Tell Barri/ Kahat).
TAV. 24.
Nimrud. Macinatoi per mulini a macinello dai livelli del Ferro III dell’insediamento post-assiro, neobabilonese dell’Aree A1 e A3. Nimrud. Macinatoi per mulini a macinello dalla Survey (F. 8D). (Archivio Missione Archeologica italiana a Nimrud/ Kalhu).
TAV. 25.
Il mulino a macina semplice. Tipi e schemi di funzionamento. 1-2. Assetto e funzionamento. 3. Yümük Tepe. Ipotesi di utilizzo di un mulino a macina semplice in situ nella Room 176 del Level XVI. Da Garstang 1953: Pl. XX.
TAV. 26.
Il mulino a macina semplice. Tipi e schemi di funzionamento. 237
TAV. 27.
Yümük Tepe, Mersin. L’Area delle fortificazioni con le Barrack Rooms del Middle Chalcolithic Level XVI. 1. Da Garstang 1953: Fig. 79. 2. Da Garstang 1953: Fig. 80 a.
TAV. 28.
Yümük Tepe, Mersin. La Barrack Room 176 del Middle Chalcolithic Level XVI. 1. Da Garstang 1953: Fig. 83. 2. Da Garstang 1953: Pl. XX: a.
TAV. 29.
Yümük Tepe, Mersin. Il mulino a macina semplice disposto su banchina in argilla cruda, all’interno della Barrack Room 176 del Middle Chalcolithic Level XVI. 1. Da Garstang 1953: Pl. XIX: a. 2. Da Garstang 1953: Pl. XIX: b.
TAV. 30.
Güvercinkayasi. L’installazione per due mulini a macina semplice su banchina in argilla cruda, all’interno della Raum M1a. 1. Da Gülçur 1999: Fig. 16. 2. Da Gülçur 1999: Fig. 20. 3. Da Gülçur 1999: Fig. 21.
TAV. 31.
Tell Mardikh/Ebla. Il complesso palatino G di Età protosiriana. 1. Da Dolce 1990: Fig. 6. 2. Da Dolce 1990: Fig. 3.
TAV. 32.
Tell Mardikh/Ebla. Le installazioni per mulini a macina semplice su banchina in argilla cruda, all’interno degli ambienti L. 3926 ed L. 3914, nel settore Nord del Palazzo G. Epoca protosiriana. 1. Da Dolce 1990: Fig. 8. 2. Da Dolce 1990: Fig. 11.
TAV. 33.
Tell Mardikh/Ebla. I mulini a macina semplice su banchina in argilla cruda, all’interno del vano L. 3932, nel settore Nord del Palazzo G. Epoca protosiriana. 1. Da Dolce 1990: Fig. 9 a. 2. Da Dolce 1990: Fig. 9 b. 3. Da Dolce 1990: Fig. 10.
TAV. 34.
Tell Bderi. Planimetria ed organizzazione degli spazi della House I, nelle due successive Phase 8 e Phase 10. Il grinding table all‘interno della Room O della House I. 1. Da Pfälzner 1996: Fig. 5. 2. Da Pfälzner 1996: Fig. 6. 3. Da Pfälzner 1996: Fig. 1.
TAV. 35.
Tell Bderi. Planimetria ed organizzazione degli spazi della House III, nelle Phases 9-11. 1. Da Pfälzner 1996: Fig. 7. 2. Da Pfälzner 1996: Fig. 8. 3. Da Pfälzner 1996: Figg. 9-11.
TAV. 36.
Tell Brak/Nagar. I mulini a macina semplice all‘interno della Room 6, \nel settore nordorientale del quartiere accadico dell‘Area ER. Da Oates, Oates 2001: Fig. 33.
TAV. 37.
Tell Brak/Nagar. Gli edifici del Level 6 ED III destruction level, nell‘Area CH. Il vano 610 del Level 6, nell‘Area CH, con alcune delle macine per mulini a macina semplice rinvenute sul piano pavimentale del vano. Il vano 61 del Level 6 ED III destruction level, nell‘Area CH. 1. Da Oates, Oates 2001: Fig. 28. 2. Da Oates, Oates 2001: Fig. 29.
238
TAV. 38.
Tell Mardikh/Ebla. Il Palazzo Settentrionale di Età paleosiriana Da Dolce 1990: Fig. 14.
TAV. 39.
Tell Mardikh/Ebla. Il Palazzo Occidentale di Età paleosiriana Da Dolce 1990: Fig. 12.
TAV. 40.
Tell Mardikh/Ebla. La Sala delle macine (L.3135) del Palazzo Occidentale. Da Matthiae 1989: Fig. 88.
TAV. 41.
Tell Mardikh/Ebla. Particolari delle installazioni per mulini a macina semplice all‘interno della Sala delle macine (L.3135) del Palazzo Occidentale 1. Da Matthiae 1982: Fig. 16. 2. Da Matthiae 1982: Fig. 17. 3. Da Matthiae 1982: Fig. 18.
TAV. 42.
Tell Mardik/Ebla. L‘Area del Forte Occidentale di Età paleosiriana. L‘installazione per mulino a macina semplice all‘interno del vano L. 6617 dell‘ala centro-orientale del complesso del Forte Occidentale. Da Matthiae 1997: Fig. 24.
TAV. 43.
Tell Mardikh/Ebla. Il Santuario B2 di Età paleosiriana. La banchina in argilla cruda per l‘installazione di due mulini a macina semplice all‘interno del vano L. 2137 del Santuario. 1. Da Matthiae 1990b: Pl. 114. 2. Da Matthiae 1990b: Pl. 117 a.
TAV. 44.
Tell Mardikh/Ebla. Il Quartiere residenziale dell‘Area B, Età paleosiriana. Il mulino a macina semplice su banchina in argilla, all‘interno della corte L.1145 dell‘abitazione B6. 1. Matthiae 1989: Fig. 30. 2. Matthiae 1984: Tav. 91.
TAV. 45.
Tell Faq’ous. La banchina per mulino a macina semplice, dal Chantier C. Korucutepe. Il mulino a macina semplice rinvenuto presso il Wall I, sul pavimento del Northeast Postern Gate. 1. Da Nierlé 1982: Fig.1. 2. Da van Loon 1978: Pl. 46.
TAV. 46.
Tell Brak. Il complesso palatino e templare mitannico dell‘Area HH. Il locus 448 del Trench D. 1. Da Oates, Oates 1997: Fig. 12. 2. Da Oates, Oates 1997: Fig. 55.
TAV. 47.
Tille Höyük. Le strutture del Burnt Level, Trenches 7460 e 7660, con il mulino a macina semplice rinvenuto in posto. 1. Da Summers 1993: Fig. 23. 2. Da Summers 1993: Fig. 25.
TAV. 48.
Mezad Hashavyahu. La Fortezza, pianta generale. Il Settore A presso l‘ingresso della Fortezza. 1. Da Fantalkin 2001: Fig. 5 2. Da Fantalkin 2001: Fig. 7.
TAV. 49.
Tell Barri/Kahat. Planimetria dell’edificio settentrionale dell’Area J, Età achemenide. Le strutture dell’ala settentrionale palazzo neoassiro, sopra le quali si può vedere l’edificio achemenide. (Archivio Missione Archeologica italiana a Tell Barri/ Kahat).
TAV. 50.
Tell Barri/Kahat. L’edificio settentrionale dell’Area J, Età achemenide. Il vano 399 dell’edificio, con la banchina in argilla cruda ed il mulino a macina semplice. (Archivio Missione Archeologica italiana a Tell Barri/ Kahat). 239
TAV. 51.
Tell Barri/Kahat. Le strutture dell’insediamento dell’Area G. Strato 36. epoca accadica. Da Pecorella, Pierobon Benoit 2004: 21.
TAV. 52.
Tell Barri/Kahat. La corte 1127 dello strato 36. Macine frammentarie per mulini a macina semplice dal locus 107, utilizzate per la pavimentazione della corte esterna. Da Pecorella, Pierobon Benoit 2004: 27.
TAV. 53.
Tell Khazna, Tell Fisna. Macine per mulino a macina semplice reimpiegate. 1. Da Munčaev, Marpert 1994: Fig. 32. 2. Da Numoto 1988: Fig. 38: 479.
TAV. 54.
Tell Atij. Macine per mulino a macina semplice reimpiegate come ancore. Tell Afis. Contrappeso o ancora. 1. Da Fortin 1990: Fig. 29. 2. Da Fortin 1986: Fig. 17. 3. Da Mazzoni 1998: Fig. 1: 2.
TAV. 55.
Tell Barri/Kahat. La necropoli neoassira dell’Area G. Strato 26B. Le due ancore, o contrappesi in pietra E.2923 e E.2927, di epoca neoassira. Da Pecorella 2003: 49.
TAV. 56.
Tell Barri/Kahat. Le due macine inferiori per mulino a macina semplice E.2299 ed E.2291, reimpiegate come ancore o contrappesi. (Archivio Missione Archeologica italiana a Tell Barri/ Kahat).
TAV. 57.
Tell Barri/Kahat. Gli edifici del quartiere meridionale dell’Area J. Strato 12 A. Epoca post-assira, neobabilonese. La macina E.4196 reimpiegata come coperchio per il grosso pithos incassato nel pavimento del magazzino 211 dell’Area J. Strato 12 A. Epoca postassira, neobabilonese. (Archivio Missione Archeologica italiana a Tell Barri/ Kahat).
TAV. 58.
Tell Barri/Kahat. La necropoli del Bronzo Medio I dell’Area G. Strato 34 D. La sepoltura 1097 della necropoli dello strato 34 D, con la macina frammentaria E.3280 per mulino a macina semplice disposta sul ventre dell’inumato. 1-2. Da Pecorella, Pierobon Benoit 2004: 32. 3. Da Pecorella, Pierobon Benoit 2004: 30.
TAV. 59.
Tell Barri/Kahat. Il cenotafio 1410 dell’Area G, di epoca medioassira. Strato 33 C. all’interno la macina frammentaria per mulino a macina semplice E.4496. Da Pecorella, Pierobon-Benoit 2008: 59.
TAV. 60.
Susa. Cretula con l’impronta di un sigillo che riporta una scena di macinazione con mulino a macina semplice. Epoca Uruk. Arslantepe. Cretula con impronta di sigillo con scena rituale di trebbiatura. Epoca Uruk. British Museum Coll., Londra. La placchetta in pietra con scena rituale di trebbiatura. Epoca Uruk. J.P. Rosen Coll., New York. Impressione del sigillo cilindrico con scena rituale di trebbiatura. Epoca Uruk. 1. Da Ellis 1995: Fig. 1. 2. Da Palmieri, Frangipane 1986: Fig.5:a 3. Da Littuer, Crouwel 1990: Fig. 3. 4. Da Littuer, Crouwel 1990: Pl. II.
TAV. 61.
Balawat/Imgur-Enlil. Il complesso palatino. Secolo IX a.C. Balawat/Imgur-Enlil. I rilievi in bronzo del portale sinistro delle porte di Salmanassar III, ricostruite al Museo Britannico. Secolo IX a.C. 1. Da Invernizzi 1992: Fig. 332. 2. Da Invernizzi 1992: Fig. 407.
240
TAV. 62.
Balawat/Imgur-Enlil. La lamina del portale sinistro con la rappresentazione di alcuni episodi della campagna di Siria dell’858 a.C. Balawat/Imgur-Enlil. Particolare del campo assiro, due dei soldati stanno macinando con un mulino a macina semplice 1. Da King 1915: Pl. 30. 2. Da Trokay 2000: Fig. 5. 3. Da Ellis 1995: Fig. 2a. 4. Da Ellis 1995: Fig. 2b.
TAV. 63.
Ninive. Il complesso del palazzo SW. Secolo VII a.C. Ninive. La decorazione su ortostato, lastre 1-3 della sala XXXIII del Palazzo SW, con la grande narrazione della battaglia all’Ulai. 1. Da Invernizzi 1992: Fig.355. 2. Da Layard 1853: Pl. XLV-XLVI; Invernizzi 1992: Fig. 471.
TAV. 64.
Ninive. Palazzo SW, sala XXXIII. La battaglia all’Ulai, l’episodio della rotta dalla collina. Particolare della scena superiore con i due prigionieri caldei costretti, secondo la didascalia cuneiforme, a “macinare le ossa dei genitori”. 1. Da Reade 1979: Taf. 24b. 2. Da Invernizzi 1992: Fig. 472. 3. Da Ellis 1995: Fig. 3.
TAV. 65.
Cipro. L’anfora a doppia ansa configurata conservata al Museo di Sèvres. Epoca anticocipriota, Bronzo Antico finale. Da Bossert 1951: 40, Fig. 113; CVA II Ca.
TAV. 66.
Cipro. Il modellino fittile in Red Polished Ware, conservato al Museo del Louvre. Età del Bronzo Medio. Particolare della decorazione applicata sull’anfora del Museo di Sèvres. Età del Bronzo Antico finale. 1. Da Karageorghis 1978: 115. 2. Da Todd 1986: Pl. XXI; Frankel, Webb 1996: Pl. 24:c.
TAV. 67.
Kourion, necropoli di Episkopi (?). Modellino fittile, conservato al Metropolitan Museum, Collezione Cesnola. Periodo cipro-arcaico. Tebe. Modellino fittile, con quattro figure femminili ed un flautista, conservato al Museo del Louvre. Fine del secolo VI a.C. Tebe (?).Figurina maschile in terracotta, conservata al Museo del Louvre. Terzo quarto del secolo VI a.C. 1. Da Karageorghis 2000: 161, 261. 2. Da Pottier 1899: Fig. 8. 3. Da Moritz 1958: Pl. II: a. 4. Da Pottier 1900: 513; Pl. XI: 4.
TAV. 68.
Rodi, necropoli di Kameiros. Figurina fittile femminile, conservata al British Museum. Metà del secolo V a.C. D. Sparkes Coll., Southampton. Figurina fittile. Metà del secolo VI a.C. Rodi, necropoli di Kameiros. Figurina femminile in terracotta, conservata al British Museum. Metà del secolo V a.C. Beozia (?).Figurina fittile femminile, conservata ad Oxford. Inizio del secolo V a.C. 1. Da Higgins 1954: Pl. 39: 233. 2. Da Sparkes 1962: Pl. VII: 4. 3. Da Sparkes 1962: Pl. VIII: 1 4. Da Higgins 1954: Pl. 39: 234.
TAV. 69.
Tell Maghzaliyah, Macine per mulino a macina semplice. Dai livelli dell’insediamento del Neolitico aceramico. Tell Sabi Abyad. Macine per mulino a macina semplice. Dai livelli del Neolitico finale della sequenza Balikh II a-c.
241
Tell Kurdu. Macina superiore per mulino a macina semplice. Dai livelli del Neolitico finale della sequenza dell’Amuq. 1-3 Da Bader 1993: Fig. 2.11. 4. Da Collet, Spoor 1996: 415. 5. Özbal et alii 2004: 106, fig. 15:11. TAV. 70.
Tell Beydar III. Macine per mulini a macina semplice. Dai livelli dell’insediamento del periodo Obeid finale ed Early Uruk. Güvercinkayasi. Macine per mulini a macina semplice. Dai livelli dell’insediamento del periodo Obeid finale ed Early Uruk. 1-4 Da Suleiman, Nieuwenhuyse 2003a: Fig. 4. 5-6. Da Gülçur 1999: Fig. 29: 1-2. 5. Da Özbal et alii 2004: 106, fig. 15:11.
TAV. 71.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico, dell’insediamento di epoca protodinastica, accadica e post-accadica dell’Area G e dell’Area B. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 72.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico, dell’insediamento di epoca protodinastica, accadica e post-accadica dell’Area G e dell’Area B. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 73.
Tell Melebiya. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico. Da Ciavarini Azzi 1993: Pl. 205.
TAV. 74.
Tell Khazna. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico dell’insediamento del Prododinastico I di Khazna I. Tell Halawa. Macine giacenti per mulino a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico. Tell Melebiya. Macine giacenti per mulino a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico. Tell Fisna. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico dell’insediamento del Protodonastico I-II. Tell Karrana 3. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico dell’insediamento del periodo Early Ninivite V. 1. Da Munčaev, Marpert 1994: Fig. 32. 2. Da Meyer, Pruss 1994: Abb. 62: 2. 3. Da Numoto 1988: 16: 150. 4. Da Ciavarini Azzi 1993: Pl. 205. 5. Da Brautlecht 1993: Fig. 2.
TAV. 75.
Selenkahiye. Macine per mulino a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico dell’insediamento della fase Late Selenkahiye, periodo accadico e post-accadico. Tell Shiukh Fawqani. Macine per mulino a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico iniziale. Kurban Höyük. Macine per mulino a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico. Korucutepe. Macine per mulino a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico. 1-2. Da van Soldt 2001: Pl. 9.1. 3-5, 7. Da Morandi Bonaccossi 2003: Pl. 48. 6. Da Ataman 1986: Fig. 34: B. 8-9. Da van Loon 1978: Pl. 36, 136.
TAV. 76.
Hama. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico di Hama K e Hama J. Da Fugmann 1958: Figg. 30, 37, 58, 62, 74, 85, 93, 98, 102, 106.
TAV. 77.
Jericho. Macine per mulino a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico IIIA dell’insediamento del periodo IIIc1 dell’Area F. Rekhes Nafha. Macine per mulino a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico finale. 242
Tel Arad. Macine per mulino a macina semplice dai livelli del Bronzo Antico finale. 1. Da Marchetti et alii 2000: Fig. 6. 2. Da Saidel 2002: Fig. 14: 11. 3-8. Da Amiran 1978: Pl. 79. TAV. 78.
Korucutepe. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Medio I-II e del Bronzo Tardo dell’insediamento delle fasi G-H e I-J. Tell Jessary. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Medio e Tardo. 1-3. Da van Loon 1980: Pl. 43: C-D; 47: H. 4-5. Da Numoto 1990: Fig. 19.
TAV. 79.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Medio I e II dell’insediamento di epoca paleobabilonese dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 80.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Medio I e II dell’insediamento di epoca paleobabilonese dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 81.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Tardo dell’insediamento di Età mitannica dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 82.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Tardo dell’insediamento di Età mitannica dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 83.
Hama. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Medio e Tardo di Hama H e Hama G. Gezer. Macina per mulino a macina semplice. Dallo strato 5/4 del Field I. 1-8. Da Fugmann 1958: Figg. 120, 132, 139, 143, 161. 9. Da Dever et alii 1970: Pl. 36:5.
TAV. 84
Tille Höyük. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Tardo e del Ferro Antico. Da Summers 1993: Figg. 71-73.
TAV. 85.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Tardo e del Ferro Antico dell’insediamento di Età medioassira dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 86.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Bronzo Tardo e del Ferro Antico dell’insediamento di Età medioassira dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 87.
Zincirli. Macine per mulini a macina semplice. Khirbet Khatuniye. Macine per mulini a macina semplice. ‘Ain Dara. Macina per mulino a macina semplice dai livelli del Ferro II del Trench 3. Tell Ahmar. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Ferro II-III degli Edifici C1 e C2 della Lower Town. VII-VI a.C. Karmir-Blur. Macine per mulini a macina semplice dalla fortezza di Rusa II. 1-3. Da Andrae, von Luschan 1943: Abb. 7, 8. 4. Da Curtis, Green 1997 : Fig. 26 : 99. 5. Da Stone, Zimansky 1999: Fig. 90: 1. 6-10. Da Trokay 2000: Fig. 1: 1.2.1; fig. 3. 11. Da Piotrovkij 1975: ill. 25.
TAV. 88.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Ferro II e III dell’insediamento neoassiro e post-assiro, neobabilonese e achemenide dell’Area G e dell’Area J. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat). 243
TAV. 89.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini a macina semplice dai livelli del Ferro II e III dell’insediamento neoassiro e post-assiro, neobabilonese e achemenide dell’Area G e dell’Area J. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 90.
Nimrud/Kalhu. Macine per mulini a macina semplice dai livelli post-assiri dell’Area A1. VII-VI a.C. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Nimrud/Kalhu).
TAV. 91.
Hama. Macina per mulino a macina semplice dai livelli di Hama E, livello della distruzione del 720. Giv’at Shapira. Macina per mulino a macina semplice dai livelli del Ferro II-III. Mezad Hashavyahu. Macine per mulino a macina semplice dai livelli del Ferro II-III della fortezza. 1. Da Riis, Buhl 1990: Fig. 37: 111. 2. Da Barkay et alii 2002: 61. 3-8. Da Fantalkin 2001: Fig. 39.
TAV. 92.
Il Mulino assiro a scanalatura. Tipi e schemi di funzionamento.
TAV. 93.
Tell Barri/Kahat. Il vano 57 del palazzo dell’Area J. Periodo post-assiro, neobabilonese. Tell Barri/ Kahat. I vani 515 e 517 dell’Area G. Periodo post-assiro, neobabilonese. 1. Da Pecorella, Pierobon-Benoit 2004: 83. 2. Da Pecorella 1996: 65.
TAV. 94.
Tell Barri/Kahat. Il piano esterno 15 dell’Area J. Particolare. Periodo achemenide. Tell Barri/Kahat. I vani 515 e 517 dell’Area G. Periodo post-assiro, neobabilonese. 1. Da Pecorella 1996: 68. 2. Da Pecorella 1996: 48.
TAV. 95.
Tell Ahmar. Gli edifici C1 e C2 della Città Bassa. Sultantepe. Gli edifici dell’Area C sull’acropoli. Sultantepe. Il piccolo vano C2. Particolare della banchina con i mulini in posto. 1. Da Jamieson 2000: . 2. Da Seton Lloyd, Gökçe 1953: Fig. 3. 3. Da Seton Lloyd, Gökçe 1953: Pl. I: 1.
TAV. 96.
Nimrud/Kalhu. L’area del Forte Salmanassar. Nimrud/Kalhu. L’edificio dell’Area A1. Periodo post-assiro, neobabilonese. Nimrud/Kalhu. Lo scavo dell’Area A3. 1-3. Da Fiorina 2001.
TAV. 97.
Tell Mardikh/Ebla. L’edificio del Settore E Sud sull’acropoli. Tell Mardikh/Ebla. La macina per mulino assiro sul pavimento del livello intermedio del locus b. Particolare. 1. Da Fronzaroli 1967: Fig. 9. 2. Da Fronzaroli 1967: Pl. XXXVI: 1. 3. Da Fronzaroli 1967: Pl. XXXV: 1.
TAV. 98.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini assiri a scanalatura dai livelli del Ferro III dell’insediamento di epoca post-assira, neobabilonese ed achemenide delle Aree G e J. Da Bombardieri 2005.
TAV. 99.
Tell Barri/Kahat. Macine per mulini assiri a scanalatura dai livelli del Ferro II-III dell’insediamento di epoca tardo-assira e post-assira, neobabilonese ed achemenide, delle Aree G e J. Da Bombardieri 2005.
TAV. 100.
Tell Halaf. Macine per mulini assiri a scanalatura. Tell Barri/Kahat. Macina per mulino assiro a scanalatura dai livelli neoassiri finali. Tell Beydar. Macina per mulino assiro a scanalatura, reimpiegata nei livelli ellenistici. 244
Nimrud. Macine per mulini assiri a scanalatura. Tell Ahmar. Macine per mulini assiri a scanalatura dagli edifici C1-C2 della Città Bassa 1. Da Hrouda 1962: Taf. 38: c. 3. Da Martin Galan, Al-Othaman 2003: fig. 6. 6. Da Andrae, von Luschan 1943: Taf. 7: m. 7-9. Da Trokay 2000: Fig. 1.2.2; 1676; Fig. 4. TAV. 101.
Tell Tannim. Macine superiori per differenti mulini assiri a scanalatura Tel Aviv. La copertina del Journal of the Institute of Archaeology of the Tel Aviv University con la macina per mulino assiro di Tell Tannim. 1-2. Da Frankel et alii 2004: Fig. 1: 2-3.
TAV. 102.
Il Mulino di Olinto a tramoggia. Tipi e schemi di funzionamento. 1. Da Frankel 2003: Fig. 6. 3. Da Moritz 1958: Fig. 4. 4. Da Moritz 1958: Fig. 3. 5. Da Moritz 1958: 2.
TAV. 103.
Tell Barri/Kahat. L’installazione del mulino di Olinto a tramoggia con le macine E.3963 ed E.3964, all’interno del vano 203 dell’Area H. Periodo partico, II-III d.C. Gamla. Installazione per mulino di Olinto a tramoggia su banchina. 1, 3. Da Pecorella 2003b: 90. 2. Da Frankel 2003: Fig. 5.
TAV. 104.
Tebe. Coppa a matrice della serie delle homeric bowls, in due copie al British Museum e al Museo Nazionale di Atene. Nella scena rappresentata si notano due mulini di Olinto. 1. Da Moritz 1958: Fig. 1. 2. Da Rostovtzeff 1937: Fig. 2. 3. Da Versakis 1914: Fig. 4. 4. Da Versakis 1914: Fig. 5.
TAV. 105.
Tiro. Modellino in terracotta dell’Eretz Israel Museum. Si nota la rappresentazione di un mulino di Olinto a tramoggia. 1-2. Da Frankel 2003: Fig. 9.
TAV. 106.
Tell Halaf. Mulini di Olinto a tramoggia. Alishar Höyük. Macina per mulino di Olinto a tramoggia dallo Strato V. Mašat Höyük. Macina per mulino di Olinto a tramoggia dalla superficie 1. Da Hrouda 1962: Taf. 39. 2. Da Schmidt 1931: Fig. 199.
TAV. 107.
Tell Barri/Kahat. Mulini di Olinto a tramoggia. Le macine E.3963 e E.3964 dai livelli partici dell’Area H. La macina E.2967 dall’area orientale del Grande Muro di Difesa di epoca partica. La macina E.1422 dai livelli ellenistici dell’Area A. Da Bombardieri 2005
TAV. 108.
Hama. Macine per mulini di Olinto dai livelli di Hama E/D. Piene, Delos, Festos, Olinto, Paulonia. Macine per mulini di Olinto a tramoggia. 1-2. Da Riis, Buhl 1990: 77, Fig. 37: 112-113. 3. Da Wiegand, Schrader 1904: Fig. 523. 4. Da Deonna 1938: Fig. 154. 5. Da Pernier 1904: Fig. 84. 6. Da Robinson, Graham 1938: Fig. 76. 7. Da Orsi 1915: Fig. 16.
TAV. 109.
Tell Beydar III. I livelli dell’insediamento tardo-calcolitico. Da Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: Fig. 3.
245
TAV. 110.
Tell Brak. Gli edifici del Level 6 ED III destruction level, nell‘Area CH. Tell Brak. Il pavimento CH 132 del Level 2 post-accadico, nell‘Area CH east, con il mulino a mortaio rinvenuto sul piano. 1. Da Oates, Oates 2001: Fig. 28. 2. Da Oates, Oates 2001: 27, Fig. 207.
TAV. 111.
Arad. L‘insediamento del Bronzo Antico dell‘Area L, Strati II-III. Arad. Il locus 1334 dello Strato III, con l‘installazione per mulino a mortaio in situ. 1. Da Amiran 1978: Pl. 134: 1. 2. Da Amiran 1978: Pl. 134: 2. 3. Da Amiran 1978: Pl. 134: 3.
TAV. 112.
Arad. La Room 1296 dell‘Area L, Strato II. Arad. L‘installazione per mulino a mortaio incassata nel pavimento della Room 1296. 1. Da Amiran 1978: Pl. 141: 2. 2. Da Amiran 1978: Pl. 142: 1. 3. Da Amiran 1978: Pl. 141: 3. 4. Da Amiran 1978: Pl. 141: 4.
TAV. 113.
Arad. La Kitchen-Storeroom 1503 dell‘Area H, Strato III. Particolare del mulino a moartaio in situ. Arad. L‘installazione per mulino a mortaio del locus 1045b, Strato III. Arad. La House 1234 dell‘Area K, Strato III. Le istallazioni per i due mulini a mortaio ed un particolare die grani combusti rinvenuti sul pavimento del vano. 1. Da Amiran 1978: Pl. 144: 1. 2. Da Amiran 1978: Pl. 144: 2. 3. Da Amiran 1978: Pl. 144: 5. 4. Da Amiran 1978: Pl. 153: 1. 5. Da Amiran 1978: Pl. 153: 2.
TAV. 114.
Beirut. Il tempio sul tell ed un particolare con alcune delle ciotole in basalto e dei mortai rinvenuti all‘interno dell‘hoard of cultic objects. 1-2. Da Badre 2000: Fig. 3.
TAV. 115.
Hama. Il livello del Bronzo Tardo di Hama G, Niveaux G3, settore meridionale O12. Particolare dell‘installazione per mulino a mortaio rinvenuta in situ. 1. Da Fugmann 1958: Fig. 152a. 2. Da Fugmann 1958: Fig. 156.
TAV. 116.
Hama. Il livello del Bronzo Tardo di Hama G, Niveaux G3, settore centrale I10. Particolare dei mortai rinvenuti sul pavimento del vano R11. 1. Da Fugmann 1958: Fig. 142a. 2. Da Fugmann 1958: Fig. 149.
TAV. 117.
Tell Barri/Kahat. Livelli del Bronzo Medio II dell‘insediamento paleobabilonese dell‘Area G, Strato 32B. L‘installazione 657 con i mulini a mortaio E.2359 ed E.2363. 1. Da Pecorella 2003: 18.
TAV. 118.
Tell Barri/Kahat. Lvelli del Bronzo Medio II dell‘insediamento paleobabilonese dell‘Area G, Strati 29 e 30. Particolare dell‘installazione del mulino a mortaio E.1625 e del pavimento esterno 531 con l‘installazione del recipiente E.1805. 1. Da Pecorella 1996: 42.
TAV. 119.
Tell Barri/Kahat. Livelli del Bronzo Tardo dell‘insediamento mitannico dell‘Area G, Strato 22. Particolare dell‘installazione del mulino a mortaio E.1002. 1.2 Da Pecorella 1998b: Fig. 30, 40.
TAV. 120.
Tell Barri/Kaht. Livelli del Ferro I dell’insediamento medioassiro dell’Area G, Strato 32 B. La banchina 1125, l’installazione secondaria del mortaio E.3293 con l’iscrizione di Adad-Nirari I. 246
1. Da Pecorella, Pierobon-Benoit 2004: 55. 2, 3, 5. Da Salvini 2004: 145, 147. TAV. 121.
Tell Barri/Kahat. Livelli del Ferro II dell’insediamento neoassiro dell’Area G, Strati 30 e 31. Il piano esterno 993 con l’installazione del mortaio E.3051. 1. Da Pecorella 2003: 42.
TAV. 122.
Tell Barri/Kahat. Livelli del Ferro III dell’insediamento post-assiro, neobabilonese dell’Area G, Strato 17. L’installazione del mortaio E.1770 all’interno del vano 517. 1. Da Pecorella 1996: 65.
TAV. 123.
Tell Kurdu. Macinello per mulino a mortaio dai livelli del Neolitico finale. Çatalhöyük. Pestello per mulino a mortaio dalla survey. Hajji Firuz Tepe. Pestelli per mulini a mortaio dai livelli del Neolitico. Güvercinkayasi. Mortai dai livelli Early Uruk. 1. Da Özbal et alii 2004: Fig. 15: 7. 2. Da Hamilton 1996: Fig.12.5: 7. 3-4. Da Voigt 1983: Fig. 117: b, e. 5-7. Da Gülçur 1999: Fig. 15; Fig. 28: 1, 2. Tell Beydar III. Mortaio e pestelli per mulini a mortaio dai livelli calcolitici. Yabrud. Mortai e pestelli per mulini a mortaio dai livelli del Calcolitico finale. 1-3. Da Suleiman, Nieuwenhuyse 2003: Fig. 5. 4-9. Da Abou Assaf 1967: Taf. V: 1-6. 10-11. Da Abou Assaf 1967: Taf. V: 7-9.
TAV. 124.
TAV. 125.
Tell Melebiya. Mortai, pestelli e macinelli per mulini a mortaio dai livelli del Bronzo Antico. 1-6. Da Ciavarini Azzi 1993: Pl. 204, 206.; Pl. XLV.
TAV. 126.
Tell Brak. Mortai dai livelli del Bronzo Antico (Phases L-N). Tell Atij. Macinello per mulino a mortaio dai livelli del Bronzo Antico. Tell Halawa. Macinello e pestelli per mulino a mortaio dai livelli del Bronzo Antico. Tell Chuera. Pestelli per mulino a mortaio dai livelli del Bronzo Antico. 1-5. Da Oates, Oates 2001: Fig. 482: 1-5. 6. Da Fortin 1987: Fig. 19. 7. Da Meyer, Pruss 1994: Abb. 64: 72. 8: Da Meyer, Pruss 1994: Abb. 65: 129. 9. Da Meyer, Pruss 1994: Abb. 65: 130. 10. Da Orthmann et alii 1995: Abb. 75: 92. 11. Da Orthmann et alii 1995: Abb. 75: 94.
TAV. 127.
Tell Halawa. Mortai dai livelli del Bronzo Antico. Tell Chuera. Mortai dai livelli del Bronzo Antico. 1-4. Da Meyer, Pruss 1994: Abb. 64: 90, 91, 95, 104. 5-7. Da Orthmann et alii 1995: Abb. 76: 96-98.
TAV. 128.
Selenkahiye. Mortaio e pestello per mulini a mortaio dai livelli del Bronzo Antico. Tell Shiukh Fawqani. Pestello e macinello per mulino a mortaio dai livelli del Bronzo Antico. Tell Hammam et-Turkmann. Macinelli per mulini a mortaio. Kurban Höyük. Piccolo mortaio in pietra basaltica. 1. Da van Soldt 2001: Pl. 9.3: g. 2. Da van Soldt 2001: Pl. 9.5: c. 3, 7. Da Morandi Bonaccossi 2003: Pl. 49: 5, 7. 4. Da Ataman 1986: Fig. 34: G. 5. Da Leenders 1988: Pl. 193: 1,2.
TAV. 129.
Hama. Mortai, pestelli e macinelli per mulini a mortaio dai livelli del Bronzo Antico di Hama J. Da Fugmann 1958: Figg. 62, 74, 75, 85, 103. 247
TAV. 130.
Arad. Mortai dai livelli del Bronzo Antico. Da Amiran 1978: Pl. 77-78.
TAV. 131.
Tell Jessary. Mortaio e pestello dai livelli mitannici del Bronzo Tardo. Mari. Mortai in pietra basaltica dai livelli paleobabilonesi del Bronzo Medio. Meskene. Mortai, macinelli e pestelli per mulini a mortaio. Tell Brak. Mortai dai livelli paleobabilonesi e mitannici del Bronzo Medio e Tardo dell’Area HH. 1. Da Numoto 1990: Fig. 19: 200. 2. Da Numoto 1990: Fig. 19: 197. 3. Da Parrot 1959: Pl. XXXII: 1796. 4. Da Nierlé 1982: Fig. 2. 5-7. Da Oates et alii 1997: Fig. 230.
TAV. 132.
Tell Barri/Kahat. Mortaio e pestello per mulini a mortaio dai livelli del Bronzo Antico dell’Area G. Tell Barri/Kahat. Mulino a mortaio completo dai livelli del Bronzo Medio II dell’insediamento paleobabilonese dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 133.
Tell Barri/Kahat. Mortai dai livelli del Bronzo Medio II dell’insediamento paleobabilonese dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 134.
Tell Barri/Kahat. Mortai dai livelli del Bronzo Medio II dell’insediamento paleobabilonese dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 135.
Tell Barri/Kahat. Mortai, macinelli e pestelli per mulini a mortaio dai livelli del Bronzo Tardo dell’insediamento mitannico dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 136.
Tell Barri/Kahat. Mortai, macinelli e pestelli per mulini a mortaio dai livelli del Bronzo Tardo dell’insediamento mitannico dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 137.
Hama. Mortai, pestelli e macinelli per mulini a mortaio dai livelli del Bronzo Medio di Hama e del Bronzo Tardo di Hama G. Da Fugmann 1958: Figg. 109, 117, 120, 124, 127, 132, 143, 153, 161.
TAV. 138.
Tell Zubeidi. Mortai dai livelli del Ferro I dell’insediamento di epoca medioassira. Tell Sabi Abyad. Mortai e macinelli per mulini a mortaio dai livelli del Ferro I dell’insediamento medioassiro. Gezer. Mortai dai livelli del Ferro I. 1-2. Da Boehmer, Dämmer 1985: Taf. 147: 615, 616. 3-4. Da Akkermans 1993: Fig. 26: 110, 111. 5-6 Da Akkermans 1993: Fig. 26: 108-109. 7-9. Da Dever 1986: Pl. 53: 5; Pl. 56: 17; Pl. 58: 4.
TAV. 139.
Tell Barri/Kahat. Mortai e macinelli per mulini a mortaio dai livelli del Ferro I dell’insediamento di epoca medioassira dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 140.
Tell Barri/Kahat. Mortai dai livelli del Ferro II dell’insediamento di epoca neoassira dell’Area G. Tell Barri/Kahat. Mortai dai livelii del Ferro III dell’insediamento di epoca post-assira, neobabilonese ed achemenide delle Aree G e J. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
248
TAV. 141.
Tell Ahmar. Mortai dai livelli del Ferro II-III dell’insediamento di epoca neoassira e post-assira della Città Bassa. ‘Ain Dara. Macinello per mulino a mortaio dai livelli del Ferro II. Hama. Mortaio e pestelli per mulini a mortaio dai livelli di Hama E. Nimrud. Mortai e pestello per mulino a mortaio dalla Prospezione di superficie e dallo scavo delle Aree A1-A3. 1-2. Da Trokay 2000: Fig. 1: 2.1.1. 3. Da Stone, Zimansky 1999: 73, Fig. 90: 5. 4-6 Da Riis, Buhl 1990: 69, Figg. 34-35.
TAV. 142.
Arad. Mixing-bowls dai livelli del Bronzo Antico II. Beirut. Mixing-bowls dall’hoard of cultic objects del Tempio cittadino del Bronzo Medio. 1-4. Da Amiran 1978: Pl. 77: 1-4. 5-9. Da Badre 2000: Fig. 3.
TAV. 143.
Tell Barri/Kahat. Mixing-bowls dai livelli del Bronzo Medio II e del Bronzo Tardo I dell’insediamento di epoca paleobabilonese e mitannica dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 144.
Tell Barri/Kahat. Mixing-bowls dai livelli del Bronzo Medio II e del Bronzo Tardo I dell’insediamento di epoca paleobabilonese e mitannica dell’Area G. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
TAV. 145.
Korucutepe. Mixing-bowl tripodata dai livelli del Bronzo Medio II della Phase H. Tell Brak. Mixing-bowl tripodata dai livelli del Bronzo Tardo del complesso palatino di epoca mitannica in HH. Tell Brak. Mixing-bowl ovvero piatto dalla Room 7 del palazzo di epoca mitannica in HH. Tille Höyük. Mixing-bowls dai livelli del Bronzo Tardo-Ferro Antico. Assur.Mixing-bowls dai livelli di epoca medioassira. 1. Da van Loon 1980: 137. 2. Da McDonald 1997: Fig. 141. 3-7. Da Summers 1993: Fig. 71. 8. Da McDonald 1997: Fig. 230: 122. 9. Da Summers 1993: Fig. 71: 5. 10. Da Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 8223. 11. Da Miglus 1996: Taf. 59: Ass. 10763. 12. Da Miglus 1996: Taf. 58: Ass. 10539.
TAV. 146.
Tell Ahmar. Mixing-bowls dalla Survey e dagli edifici C1 e C2 della Città bassa, dai livelli del Ferro II-III di epoca tardo-assira e post-assira, VII-VI a.C. Da Trokay 2000: Fig. 1: 2.1.1.2; Fig. 7. Da Green e Hausleiter 2001: Fig. 4.
TAV. 147.
‘Ain Dara. Mixing-bowl dai livelli del Ferro II-III, Phase I. Sultantepe. Mixing-bowls dagli edifici sull’acropoli, dai livelli tardo-assiri. VII a.C. Tell Karus. Mixing-bowls dalla ricognizione West-Gazira Survey nell’area del Balikh. Tell Halaf. Mixing-bowls dai livelli dell’Età del Ferro. 1. Da Stone, Zimansky 1999: Fig. 90: 10. 2-3. Da Lloyd, Gökçe 1953: Fig. 7: 42, 43. 4-5. Da Einwag 2000: Abb. 9. 6-9. Da Horuda 1962: Taf. 51.
TAV. 148.
Tell Barri/Kahat. Mixing-bowls dai livelli del Ferro II e III dell’insediamento di epoca neoassira e post-assira, neobabilonese dell’Area G e dell’Area J. VIII-VI a.C. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Tell Barri/Kahat).
249
TAV. 149.
Tell Barri/Kahat. Mixing-bowls dai livelli del Ferro II e III dell’insediamento di epoca neoassira e post-assira, neobabilonese dell’Area G e dell’Area J. VIII-VI a.C.. Da Bombardieri 2003: Fig. 1.
TAV. 150.
Tell Barri/Kahat. Mixing-bowls dai livelli del Ferro II e III dell’insediamento di epoca neoassira e post-assira, neobabilonese dell’Area G e dell’Area J. VIII-VI a.C. Da Bombardieri 2003: Fig. 1.
TAV. 151.
Khirbet Qasrij. Mixing-bowls dai livelli dell’insediamento post-assiro, neobabilonese. VII-VI a.C. Assur. Mixing-bowl dai livelli neoassiri. VIII-VII a.C. 1-3. Da Curtis 1989: Fig. 22: KQ 31, 35. 4-12. Da Miglus 1996: Taf. 58-60.
TAV. 152.
Assur. Mixing-bowl dai livelli neoassiri. VIII-VII a.C. Da Miglus 1996: Taf. 58-60.
TAV. 153.
Assur. Mixing-bowl dai livelli neoassiri. VIII-VII a.C. Da Miglus 1996: Taf. 58-60.
TAV. 154.
Nimrud/Kalhu. Mixing-bowls dalla prospezione di superficie e dall’area del Forte Salmanassar. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Nimrud/Kalhu).
TAV. 155.
Nimrud/Kalhu. Mixing-bowls dalla prospezione di superficie e dall’area del Forte Salmanassar. (Archivio della Missione Archeologica italiana a Nimrud/Kalhu).
TAV. 156.
Hazor. Mixing-bowls dai livelli del Ferro II. strati VIII-VA. VIII a.C. Tell Mardikh. Mixing-bowls dai livelli del Ferro II-III del Settore E sull’Acropoli. Nippur. Mixing-bowl dall’area del Kassite Building in WC-1. Boğazköy. Mixing-bowls dai livelli frigi di Büyükkale del Palazzo della fase BK Ia-Ib. VII-VI a.C. 1-4. Da Yadin 1960: Pl. LXXVI, LXXVII, CIV. 5-6. Da Fronzaroli 1967: fig. 19. 7. Da Zettler 1993: Pl. 57: c. 8-9. Da Bossert 2000: Taf. 93: 103, 104.
TAV. 157.
Tell Barri/Kahat. Piccolo mortaio teriomorfo con protome di toro E.2984, dai livelli del crollo delle strutture del palazzo neoassiro dell’Area J. VII-VI a.C. Da Bombardieri 2008a: Fig. 1.
TAV. 158.
Carchemish. Piccolo mortaio teriomorfo con protomi di toro. Zincirli. Piccolo mortaio teriomorfo con protomi di toro. Tell Halaf. Piccolo mortaio teriomorfo con protomi di toro. Sultantepe. Mortatio teriomorfo con protomi di toro dal tablet-hoard in F1. VII a.C 1-4. Da Buchholz 1963: Abb. 11. 5-7. Da Seton Lloyd 1954: Pl. VIII. 8-9. Da Andrae, von Luschan 1943: Taf. 6: h, l; Abb. 14.
TAV. 159.
Tell Halaf. Piccoli mortai teriomorfi con protomi di toro e di leone. Da Hrouda 1962: Taf. 53.
TAV. 160.
Tell Sheikh Hassan. Mortaio con protomi di toro. Dai livelli post-assiri. VI a.C. Tell Ahmar. Mortaio teriomorfo con protomi di toro. Dall’area degli edifici C1 e C2 della Città bassa. VII-VI a.C. Tell Umm el-Marra. Mortaio con protomi di toro. Dai livelli del Ferro II della North Area. Tell al-Hawa. Mortaio o vassoietto con protome di leone. Dai livelli tardo-assiri dell’Area AB. VII a.C. Hama. Mortaio con protome di toro. Dai livelli di Hama E. 1. Da Boese 1995: 124, Abb. 5: a. 250
2-3. 4. 5. 6.
Da Trokay 2000: Figg. 1, 10. Da Curvers, Schwartz 2003: Fig. 10. Da Ball 1990: 85, Fig. 10. Da Riis, Buhl 1990: Fig. 37.
TAV. 161.
Lattakia. Mortaio configurato con protomi di toro. Catchemish. Mortaio configurato con protomi di toro. Mari. Mortai su quattro piedi. Dai livelli del Bronzo Medio. Tell Hammam et-Turkmann. Mortai su quattro piedi. Dai livelli del Bronzo Antico e Medio. Tell Mumbaqat. Mortai su quattro piedi. Dai livelli del Bronzo Antico. Tell Rifa’at. Mortai su quattro piedi. Dai livelli di Età aramaica. IX a.C Volga. Recipienti con protomi di ariete dalla regione del Volga. Hama. Mortaio su quattro piedi. Dai livelli di Hama E. Charwati, Enkomi. Mortai con protomi di toro da Cipro e dall’Attica. Da livelli del Bronzo Tardo. 1. Da Riis, Buhl 1990: 75, Fig. 36. 2. Da Lloyd 1954: Pl. VIII: 6, 7. 3. Da Parrot 1959: Pl. XXXII: 1796. 4. Da Leenders 1988: Pl. 194: 11. 5. Da Seton-Williams 1961: Pl. XXXIII: d; 1967: fig. 3. 6. Da Czichon, Werner 2002: Taf. 140: 2680-2682. 7. Da Abramischwili, Abramischwili 1995: Abb. 216. 8. Da Riis, Buhl 1990: Fig. 37. 9-10. Da Buchholz 1963: Abb. 1: a-b.
TAV. 162.
Deve Höyük. Recipienti in basalto con protomi di toro dai livelli di Deve Höyük I. Samo. Recipiente in steatite con figurazioni di leone. Sandileh. Recipiente in steatite con figurazioni di leone. Lucerna, Kofler-Truniger Coll. Recipiente in steatite con figurazioni di leone. Amburgo, Museum für Kunst und Gewerbe. Recipiente in steatite con figurazioni di leone. Boğazköy. Recipiente in steatite con figurazioni di leone. 1-3. Da Moorey 1980: Fig. 8: 133-135. 4. Da Walter 1959: 72, Taf. 115. 5. Da Moorey 1980: Fig. 8: 140A. 6. Da Walter 1959: Taf. 120: 2. 7. Da Walter 1959: Taf. 121: 2 8. Da Walter 1959: Taf. 120: 1. 9. Da Bittel 1938: 21, Abb. 9.
TAV. 163.
Tell Barri/Kahat. Distribuzione percentuale dei differenti tipi di mulini all’interno della sequenza di insediamento.
TAV. 164.
Tell Barri/Kahat. Distribuzione percentuale dei differenti tipi di mulini all’interno della sequenza di insediamento.
TAV. 165.
Tell Barri/Kahat. Distribuzione percentuale dei differenti tipi di mulini all’interno della sequenza di insediamento.
TAV. 166.
Sequenza di risoluzione successiva dei Fattori Limitanti dei mulini..
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