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Italian Pages 141/145 [145] Year 2014
Collana di Studi Archeologici, 3
Collana di Studi Archeologici, 3 Comitato scientifico Giorgio Trojsi (Preistoria e Scienze applicate all’archeologia) Valeria Acconcia (Protostoria, Etruscologia e Antichità italiche) Guglielmo Maria Genovese (Archeologia Greca e Romana) Lucrezia Spera (Archeologia Cristiana e Medievale) Coordinamento editoriale Gianfranco De Rossi
© PROPRIETÀ LETTERARIA RISERVATA
Edizioni Espera
v.le Monte Falcone 71 00077 Monte Compatri (RM)
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ISBN: 978-88-98244-17-1 Progetto grafico e impaginazione a cura di Simona Lauro.
In prima di copertina: Il convivio di Giuditta ed Oloferne. La decapitazione di Oloferne (particolare). Striscia di tessuto in lino e seta ricamato. XVI sec. d.C. Ginevra, Musée d'Art et d'Histoire. In quarta di copertina: Il convivio di Giuditta ed Oloferne. Striscia di tessuto in lino e seta ricamato. XVI sec. d.C. Ginevra, Musée d'Art et d'Histoire.
Rita Dolce
“Perdere la Testa”
Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
EbE
Indice
7
Introduzione Capitolo I
13
1. Tra passato remoto e passato prossimo
16
2. Un atto irripetibile
18
3. Il corpo acefalo: anonimato/identità Note al Capitolo I
Capitolo II 29
1. Unicità/Pluralità
33
2. Esibire/Quantificare Note al Capitolo II
Capitolo III 43
1. Cosa avviene dell’ “oggetto ambìto”?
47
2. Quali destinazioni/quali motivazioni
51
3. Esposizione e polivalenza Note al Capitolo III
Capitolo IV 61
1. Teste e rapaci
65
2. Eannatum di Lagash e i rapaci
67
3. Mari e i rapaci
70
4. Sargon I di Akkad e i rapaci
Indice
72
5. Dadusha di Eshnunna e i rapaci
75
6. Gli Assiri e i rapaci Note al Capitolo IV
Capitolo V 89
1. In movimento nello spazio e nel tempo
92
2. Come viaggia la testa? Note al Capitolo V
Capitolo VI 99
1. “altre” decapitazioni in tempo di guerra
102
2. Cosa avviene delle teste mozzate delle statue?
109
3. In movimento nello spazio e nel tempo
110
4. Annientamento/Catarsi Note al Capitolo VI
121
Bibliografia
135
Acronimi
137
Elenco delle opere
Introduzione Il presente lavoro è parte di una ricerca sul tema delle torture e delle demolizioni fisiche e psicologiche inferte al nemico in tempo di guerra in alcune culture vicino-orientali pre-classiche, così come si palesano negli apparati figurativi fin qui noti, dentro quel vasto dominio delle dinamiche belliche che alimenta da decenni studi ed analisi da molteplici prospettive ed approcci metodologici. In particolare, il soggetto qui trattato è l’esito attuale di un’indagine che ha occupato buona parte dei miei interessi scientifici nel campo della comunicazione visuale e che trova qui una prima fase di sintesi, nata dall’esigenza di delineare specifiche “pratiche” (belliche ma non solo) connesse all’atto delle decapitazione, connotate da valenze plurime e da variabili significative nei dettagli dei codici di base dei linguaggi figurativi, che conferiscono alla pena capitale un significato più articolato di quanto forse ritenuto finora. “Perdere la testa” è condizione, psicologica o fisica, di annullamento del controllo di sé; da questa premessa sono nate alcune riflessioni sui valori della decapitazione nelle culture arcaiche del Vicino Oriente per chi la commina e per chi la subisce. L’analisi muove dalla interpretazione di alcuni codici figurativi e dalla loro diversa associazione nelle opere considerate, ove l’atto in corso o il suo esito, la testa mozzata, sono una componente significante, quando non il focus stesso dell’azione rappresentata; ne ripercorre le evidenze in un vasto arco temporale e propone, anche supportata da dati testuali quando significativi, interpretazioni iconografiche ed ideologiche diverse da quelle fin qui condivise. I dati attualmente raccolti dalla documentazione per immagini, dalle interpretazioni e considerazioni avanzate da più parti, come anche dalla mia personale visione maturata nel corso del lavoro, delineano, da un lato,
8
Introduzione
per le culture considerate un quadro di sostanziale condivisione dell’unicità dell’atto della decollazione, non mutuabile con altre mutilazioni e per ciò stesso carico di particolare valore simbolico e mediatico; ma denotano, dall’altro, come la testa rimossa dal suo corpo ed esposta in contesti spaziali di varia natura divenga anche vettore di diversificati messaggi visivi, mirati a trasmettere il senso politico ed ideologico del possesso e del controllo di quella spoglia nella logica maggiore della conquista. I documenti qui trattati attengono (in prevalenza) le culture della Mesopotamia e della Siria tra III e I Millennio a.C., ove la maggiore entità di dati e di visibilità dell’atto proviene dalla comunicazione visuale dell’età dell’impero neo-assiro, sebbene linguaggi, dettagli e formulazioni connesse alla decapitazione ed ai suoi polivalenti aspetti marchino già opere originate nella Siria del III Millennio a.C, come ad Ebla, e nella Mesopotamia protodinastica e akkadica; e si riconoscano nel II Millennio a.C. nei programmi figurativi di monumenti ufficiali di età amorrea, da Mari ad Eshnunna, ove elementi spaziali e di contesto preludono innovativamente alla elaborazione aulica del tema nei rilievi palatini neo-assiri. Ma la riflessione parte da più lontano, recuperando tracce e documenti visuali dalla Preistoria alla Protostoria del Vicino Oriente, dall’Anatolia al Paese di Sumer, chiave di volta per la percezione e la comprensione di alcuni aspetti e valori della decapitazione che si svilupperanno per circa tre millenni nella storia delle culture in questione. Si constata altresì che proprio alcuni elementi che ricorrono come costanti nella rappresentazione per immagini e per iscritto della decapitazione e delle procedure connesse prima e dopo l’atto risolutorio diventano dei codici narrativi di plurimillenaria durata e in contesti spazio-culturali apparentemente assai distanti, come è esemplarmente testimoniato da arazzi iberici del XVI sec. d.C. Si è quindi inteso presentare tematica e documentazione in una prospettiva trans-cronologica che mira a
Introduzione
palesare alcune condizioni, relazioni e valori che stanno attorno a questo specifico atto, in particolare in tempo di guerra o in relazione ad eventi conflittuali, che sembra assumere i contorni di una forma rituale; forma che connota talvolta l’atto risolutivo di perdere la testa anche fuori dallo scenario di maggiore visibilità, quello bellico, e investe immagini altre, di uomini e di dèi.
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Capitolo I
I.1. Tra passato remoto e passato prossimo L’espressione “perdere la testa” si presta, nell’uso corrente e consolidato, a definire varie condizioni dell’individuo, anche discordi tra di loro: si dice “perdere la testa” per un gran dolore, per un innamoramento, per un eccesso d’ira o per un fatto traumatico di varia natura, organica o psicologica, ed altro ancora. L’espressione dunque viene trasposta dal significato primario di una condizione estrema per l’individuo e fatale per la sua stessa esistenza ad altri significati che attengono, in termini generali, una assenza momentanea o anche permanente delle facoltà mentali. Ma tale espressione contiene in tutte le sue accezioni un significato insito ab origine nella condizione di chi si trova “a perdere la testa”, in senso metaforico ed anche reale; e che riconduce ad una forma di estraneità, di alienazione, in una parola “di perdita del controllo di sé”. Le motivazioni della scelta dell’opera che correda il titolo e il tema di questo lavoro, scavalcando tempo e spazio, riguardano il fatto che vari elementi figurativi e compositivi che scandiscono quel pregiato tessuto ricamato del XVI sec. con l’episodio centrale della vicende di Giuditta ed Oloferne, punteggiato da essenziali legende1 (Fig. 1 a,b), si riconoscono similmente sviluppati nella storia per immagini nel Vicino Oriente antico di tale atto supremo, eccetto il protagonismo femminile; e ne costituiscono una sorta di paradigma di particolare efficacia espressiva.
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Capitolo I
a Fig. 1 a) Il convivio di Giuditta ed Oloferne. XVI sec. d.C.
Nella sequenza sviluppata nell’opera appaiono infatti sia condizioni e azioni collegate direttamente o indirettamente alla decapitazione umana nel Vicino Oriente millenni addietro; sia le relazioni significanti e i valori che vi intercorrono, in un “tessuto narrativo” diversamente costruito nelle coordinate temporali ma realizzato attraverso analoghi “espedienti” visuali. Per riassumere selettivamente, al festino tra i due protagonisti nella lussuosa tenda tra il verde, forse palmizi2, nel campo militare evocato anche da soldati armati, durante l’assedio in corso della città nemica - contrappunto al celebre convivio della coppia imperiale neo-assira nei giardini di Ninive a coronamento della vittoria su potenti avversari e della decapitazione del re elamita Teumman rappresentato su un rilievo del VII sec. a.C.3 (Fig. 2 a,b) - segue, non raffigurato ma percepibile, l’inebriamento da vino di Oloferne, che “perde la testa”, le sue facoltà mentali e di controllo di sé. La avvenuta decapitazione fisica del conquistatore e non già la rappresentazione dell’atto in corso - analogamente a quanto accade in assoluta prevalenza nella documentazione visuale del Vicino Oriente antico - è il culmine della sequenza narrativa: la testa mozzata di Oloferne è tenuta per i capelli in bella vista da Giuditta, che sta per
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
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b porla in un sacco (tenuto dalla sua serva) per il trasporto altrove, come prova inconfutabile dell’annientamento del nemico e trofeo da esibire al suo popolo. La destinazione ultima della testa di Oloferne è in cima ad una picca piantata sul torrione delle mura della città assediata, monito perenne per i nemici in ritirata e spoglia gloriosa per i vincitori. La sequenza di questi atti e le condizioni del loro svolgimento richiamano almeno tre “situazioni” ricorrenti, e direi apicali nel corso di tre millenni (dal III al I Millennio a.C.) nelle raffigurazioni vicino-orientali di
Fig. 1 b) La decapitazione di Oloferne (particolare). XVI sec. d.C.
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Capitolo I
Fig. 2 a) Teumman al convivio nei giardini di Ninive (particolare). Ninive, Palazzo Nord. Metà VII sec. a.C.
contesto bellico: l’esibizione della testa mozzata tenuta per i capelli dal vincitore, il suo trasporto da un luogo ad un altro, l’esposizione della spoglia e la sua collocazione sulle mura urbiche o su parti qualificanti dell’impianto urbano, come le porte e i torrioni. I.2. Un atto irripetibile Il tema della decapitazione in tempo di guerra occupa un posto particolare nella comunicazione visuale delle procedure (o piuttosto dei rituali) che accompagnano e
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
concludono i conflitti armati, con esiti a lungo termine nei racconti per immagini che sono il focus del presente lavoro; e nelle fonti scritte, che saranno evocate nei casi in cui rivestono particolare rilievo nell’analisi. La documentazione presa in esame, lungi dall’essere esaustiva quanto piuttosto significativa all’approccio prescelto di una prospettiva trans-cronologica, mira a palesare alcune condizioni, relazioni e valori che stanno attorno a questo specifico atto nel contesto bellico e non solo. L’intento del lavoro è di offrire dalla vasta documentazione fin qui nota un quadro selettivo nell’area vicino-orientale delle problematiche legate alla rappresentazione della testa mozzata e di relativi casi-tipo, dalla Preistoria all’età neo-assira, che profili il senso multiplo della decapitazione e la sua peculiarità rispetto ad altre forme di pena, attraverso il tempo e lo spazio, riservando ad altra sede i risultati sullo studio analitico delle opere. Una convinzione che ho infatti maturato nel corso della ricerca è che nelle culture figurative del Vicino Oriente antico, segnatamente della Mesopotamia e della Siria, la decapitazione non è assimilabile ad altre forme o procedure di violenza sul corpo umano, quale lo smembramento, come da più parti si è invece sostenuto4. La decapitazione è piuttosto, dall’origine e for-
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Fig. 2 b) Il convivio della coppia regale. Ninive, Palazzo Nord. Metà VII sec. a.C.
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Capitolo I
se per sempre, una procedura a sé stante, con valenze complesse e comunque legate al centro dell’individuo, delle sue energie e del suo potere, così come al centro delle statue umane e divine5. Nell’opinione prevalente la perdita della testa è, com’ è certo, l’azione incontrovertibile dell’annientamento del nemico; ma non solo: è forma esemplare di ridurre l’altro a qualcosa di inanimato, e cioè senza il soffio della vita6. Per l’unicità dell’azione in questione e dei suoi effetti che illustreremo più avanti la decapitazione si distingue da tutte le altre mutilazioni previste e inflitte che non comportano, di per sé, la perdita della vita (dal taglio delle mani e degli arti, della lingua, del naso e delle orecchie, fino a quello dei testicoli); e che dunque attengono un livello diverso di alienazione o disabilità del nemico, nel merito e nel significato. Va infine notato che nel linguaggio visuale, per converso all’anonimato dei corpi acefali, la testa scissa dal suo corpo è un “oggetto ambìto”, da desiderare per così dire; un oggetto che è alla mercè non solo di coloro che hanno compiuto l’atto ma anche di altri che partecipano e interagiscono nel corso delle vicende attinenti la testa mozzata. I.3. Il corpo acefalo: anonimato/identità Una riflessione d’ordine generale che discende da tali considerazioni riguarda se e quali trattamenti ulteriori fossero riservati ai corpi dei nemici privati della testa, e dunque della loro riconoscibilità; e se tali spoglie umane fossero assimilate a quelle diversamente smembrate e sparse sul campo di battaglia; o piuttosto ai cadaveri (integri) dei nemici accatastati e preparati per essere combusti, condizioni ricorrenti nelle immagini o nelle fonti scritte. La documentazione visuale più ampia in proposito, quella di età neo-assira (IX-VII sec. a.C.), mostra frequentemente corpi acefali accanto a corpi integri che fluttuano nei fiumi o giacciono al suolo, in perfetto
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
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a
b nimato (Fig. 3 a,b). I tumuli di cadaveri, purtroppo rari nelle immagini disponibili nel corso di tre millenni7, piuttosto ridotti nelle citazioni delle iscrizioni tra III e prima metà del II Millennio a.C.8 e ricorrenti nelle fonti assire, anche prima della massima espansione dell’impero in età neo-assira9, non pare che contemplino esplicitamente i corpi acefali per un simile trattamento10. La questione resta ancora aperta, sebbene appaia plausibile che il nemico sconfitto e ucciso, una volta privato della testa, divenga una entità utile ad accrescere il bilancio del massacro, spesso contabilizzato in migliaia di vittime nei resoconti di guerra.
Fig. 3 a) Cadaveri di nemici nel fiume (particolare). Ninive, Palazzo SudOvest. Metà VII sec. a.C. Fig. 3 b) Cadaveri di nemici giacenti al suolo (particolare). Nimrud, Palazzo Nord-Ovest. Inizi IX sec. a.C.
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Capitolo I
Fig. 4 ) Soldati vittoriosi tengono per i capelli le teste decapitate dei nemici. Tell Tayinat, Palazzo provinciale assiro. VIII sec. a.C.
Per converso, di particolare interesse al riguardo per la indubbia relazione che intercorre tra teste mozzate e corpi di appartenenza, è la testimonianza, unica attualmente, che proviene dalla sterminata documentazione di immagini dell’antico Egitto ove, in una pur rapida incursione, troviamo sulla Tavolozza di Narmer dieci nemici nudi, decapitati e legati, forse supini, ciascuno con la propria testa posta tra le loro gambe11. È questa una procedura peculiare, non presente nei codici figurativi della comunicazione visuale di analoghi soggetti e in contesti di guerra del Vicino Oriente nel III Millennio a.C. ed oltre. Ma un’altra evidenza, dal sito di Tell Tayinat nella piana dell’ Ἁmuq, nella regione sud-orientale dell’odierna Turchia, suggerisce a mio avviso una analoga relazione in una diversa formulazione iconologica. Si tratta delle lastre ortostatiche frammentarie scolpite, sette in tutto, rinvenute a Tell Tayinat (Fig. 4), sede di una dimora provinciale in età neo-assira12, con sequen-
“Perdere la testa”. Apetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
za di soldati che tengono ciascuno per i capelli la testa mozzata di un nemico il cui corpo giace sistematicamente ancora al suolo, là dove sta il vincitore, indicando che l’atto è stato appena effettuato; considero dunque questa una variante che circostanzia, al di là dell’atto, anche l’appartenenza della testa. La formulazione di Tell Tayinat non trova espliciti riscontri nel resto della documentazione di immagini sul tema, tra III e I Millennio a.C., fin dal “pannello di vittoria” di Ebla, tuttora l’esempio più antico di decapitazione esibita13, e resta apparentemente unica14, fatte salve alcune evidenze, non così puntuali, nel pur amplissimo repertorio di immagini degli ortostati neo-assiri; e ad eccezione di decapitazioni in atto e dei casi di personaggi eccellenti in procinto di essere decapitati15.
21
Note al capitolo I
1
Martiniani-Reber 2010, p. 48, figg. 1, 2.
2
Martiniani-Reber 2010, p. 48.
3
Barnett 1976, tav. LXV.
4
Minunno 2008a, 2008 b; Talalay 2004, p. 139.
5 Si rimanda per le considerazioni nel merito al cap. VI. 6 Spingendo più avanti la proposta avanzata da Bonneterre 1997, pp. 559-560. 7 Per il III Millennio a.C. ci si riferisce all’unico esempio certo, quello raffigurato sulla stele di Eannatum: cf. Winter 1985 (2010), pp. 11-20, in particolare, figg. 8, 12; sulla ricostruzione delle due facce del monumento figurativo della Mesopotamia più esauriente e celebre del III Millennio a.C. e che rappresenta cumuli di cadaveri degli sconfitti si veda l’excursus in Nadali 2007, p. 352 e sgg.; diverso è il caso nel periodo neo-assiro quando teste mozzate intese, a mio avviso, come parte per il tutto, sono di frequente ammassate; cf. anche nota 10. Per ulteriori considerazioni al riguardo cf. Dolce 2014a, p. 243, note 18-21. 8 Per dati relativi al tema nelle iscrizioni sumeriche del Periodo Protodinastico,
ancora dal milieu di Lagash, si rimanda a Westenholz 1970, pp. 29-31; Gelb 1973, pp. 70-98; per pur scarse occorrenze in età akkadica dai sovrani della seconda e della terza generazione e da Mari nel pieno del II Millennio a.C. cf. Gelb, Kienast 1990, pp. 207, 214, in particolare su Rimush (C 6, ll. 49-54, C 8, ll. 19-23, C 10, ll. 30-35) e su Naram-Sin (5, ll. 3: 3-4); Frayne 1990, p. 606, in particolare su Yakhdun-Lim (col. III 24; E4.6.8.2.). Che la prassi di guerra di cumuli di cadaveri fosse invalsa in città-stato leader come Mari ed Ebla nella Siria del Periodo Protodinastico è ben noto dalla lettera di Enna-Dagan (T.M.75.G.24367): cf. Fronzaroli 2003, p. 35 e sgg.; Fronzaroli 2005, pp. 193-197. Su tale questione cf. Richardson 2007, pp.193-196, Tab. 10, che conta solo 13 citazioni in poco meno di un millennio. 9 Già con Tukulti-Ninurta I, nel XIII sec. a.C.: Richardson 2007, p. 197. Si nota che tale pratica ricorre nelle fonti testuali del III Millennio a.C. come ha già da tempo rilevato Gelb 1973, pp. 73-74 in merito alle iscrizioni reali degli ensi di Lagash e dei sovrani di Akkad; cf. nota 8. Anche la spettacolare pratica di appilare i cadaveri dei nemici ricorre nei testi di Ebla del periodo protosiriano prima menzionati, e in Mesopotamia fino all’età neo-assira. 10
Una alternativa visuale nella logica della
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Capitolo I
esposizione, anche quantitativa, delle spoglie dei nemici potrebbe ravvedersi all’età neo-assira proprio nei cumuli di teste mozzate che affollano i rilievi sugli ortostati palatini, a fungere come“parte per il tutto” e in qualche modo a sostituire nella sintassi figurativa le pile di cadaveri. Kaploni 2002, p. 469, fig. 29.11 (recto); Narmer è il I re della I dinastia d’Egitto, predecessore di Hor-Aha, in base alle recenti scoperte di due sigilli nella necropoli di Abydos: cf. Köhler 2002, p. 499.
11
McEwan 1937, fig. 10; Gerlach 2000, tav. 5; secondo i dati archeologici, almeno sei delle lastre rinvenute impropriamente reimpiegate come parte di un lastricato erano probabilmente pertinenti in origine alla fase del “Third Building Period” da attribuire agli anni di regno di Tiglathpileser III, nell’VIII sec. a.C.: Harrison 2005, p. 26, fig. 1. Già nelle ricognizioni territoriali condotte tra la fine del ‘900 e i primi anni 2000 sul sito si riconosce l’importanza di Tayinat come il più esteso centro della piana dell’ Ἁmuq nel III Millennio a.C. e se ne prefigura un ruolo politico di leader nella regione al tempo della potenza di Ebla protosiriana: Batiuk et alii 2005, pp. 177-178. Tale ipotesi di ricostruzione storica è perseguita più di recente con la ripresa degli scavi e il progetto territoriale della Università di Toronto; i dati emersi attengono la presenza diffusa di resti tra BAIVA e B e l’esposizione di un grande complesso esistente nel corso del BAIVB, contemporaneo alla Ebla protosiriana tarda; per di più, le evidenze fornite dai testi degli archivi eblaiti su toponimi relativi a centri dell’ Ἁmuq possono concorrere a tracciare il profilo della regione già nel III Millennio a.C. e a ravvedere in Tayinat il centro forse più importante dell’area al tempo di Ebla: Welton 12
et alii 2011, pp. 149-150, 152. Per la prima pubblicazione e ricostruzione materiale ed interpretativa dell’opera cf. Matthiae 1989; il pannello ad intarsio celebrativo di una importante vittoria militare di Ebla su un potente nemico è stato oggetto di varie analisi di carattere iconografico, storico-culturale e di contesto archeologico da parte di chi scrive: Dolce 2004, 2005, 2006, 2008a, 2014a. 13
Condizioni eventualmente consimili nella documentazione di resti di ortostati di soggetto analogo da Carchemish e da Zincirli non sono più verificabili dato lo stato di scarsa leggibilità delle opere: Woolley 1952, p. 166, tavv. B44-46, in particolare B46a; sono invece nette le serie di fratture e di ricomposizioni delle 4 lastre in calcare pervenute che secondo Woolley erano parte di una sequenza lunga almeno il doppio, della quale i quattro presunti ulteriori rilievi ortostatici perduti potevano essere in marmo piuttosto che in calcare e riutilizzati in età posteriore: Woolley, ibidem, p. 166, nota 7.
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Dal quadro generale diacronico dei dati, nelle decapitazioni in atto di anonime vittime la presa per i capelli prima di sferrare il colpo di recisione del capo è spesso documentata, ricorre nelle immagini sui rivestimenti in bronzo delle porte di Balawat all’età di Salmanasar III, intorno alla metà del IX sec. a.C., (si rimanda al cap. III.3, fig. 13) e risulta talvolta di particolare effetto mediatico come nel caso trattato al cap. II.1, fig. 6a, e nella immagine parzialmente ricostruita di una pittura dal vano XXIV del palazzo provinciale neo-assiro a Til Barsip, databile all’VIII sec. a.C: Thureau-Dangin, Dunand 1936, tav. LI. Gli esecutori della decollazione nelle immagini di un pregiato manufatto da Assur e forse di una pittura
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“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
parietale da Mari, opere entrambe riconducibili al II Millennio a.C. e trattate al cap. III.1, nota 6, fig. 12 a,b, mostrano tra di loro una analoga posizione della mano che serra la capigliatura di un soccombente, secondo una modalità che enfatizza visivamente l’atto risolutorio della rimozione della testa; atto che in questi due casi potrebbe avere protagonisti regali. Delle decapitazioni in atto che non prevedono la presa per i capelli, tra quelle verosimilmente o sicuramente eccellenti spiccano l’esecuzione piena di dignità composta del vinto su una stele akkadica (cap. II.1., fig. 5) e quella su un rilievo, nel disegno originale, dal Palazzo Centrale di Nimrud, all’età di Tiglathpileser III, nell’VIII sec. a.C., ove il morituro è tenuto per un orecchio: Barnett, Falkner 1962, tav. LVIII; fino a quella solenne del generale Itu-
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ni, richiamata al cap. II.2, nota 15. Le decapitazioni anonime, o presunte tali in assenza di indizi, accanto a ricorrenze modeste, si annoverano nel repertorio dal Palazzo Nord di Ninive, all’età di Assurbanipal, alla metà del VII sec. a.C.: cf. Barnett 1976, tav. XXIV(b), tav. XXV; dalla sala I, tav. LXVII, dai vani di giacitura secondaria V1, T1. Tra i numerosi lavori sul tema di teste recise eccellenti, di particolare efficacia risultano le considerazioni sull’identità del celebre decapitato in Baharani 2004, pp. 116-117; Baharani 2008, pp. 55, 201 e sgg.; e in Watanabe 2004, pp. 107-114; Watanabe 2008, pp. 602, 604, tutte attinenti il re elamita Teumman e suo figlio Tammaritu. Evidenze e valenze di immagini di decapitazioni in atto di personaggi eccellenti in età neo-assira sono analizzate anche in Dolce 2004, pp. 126-129.
Capitolo II
II.1. Unicità/ Pluralità L’atto in sé della decapitazione si percepisce in alcune immagini eloquenti come una esecuzione solenne già nel III Millennio a.C (Fig. 5), ricorre come tale su rilievi neo-assiri e trova risonanza almeno dalla Preistoria (PPNB), a giudicare dal riesame proposto di recente di alcune pitture di Çatal Hüyük1. La decapitazione può essere evocata a mio avviso anche nella glittica protostorica di Uruk, dalle immagini di imminenti esecuzioni di prigionieri inginocchiati e serrati al laccio presso ceppi; e la presenza di un grande arco accanto ad uno dei soccombenti può far presumere che non si tratti di comuni sconfitti2. La resa visiva dell’atto, ove connotata da una dignitosa gravità, potenzia il prestigio del vincitore ma anche la rispettabilità del vinto; e conferisce un valore aggiunto all’azione peculiare del taglio della testa, non assimilabile ad altre forme di violenza e di pena sui nemici, come già ho proposto. A tale riguardo si nota il diverso linguaggio narrativo dal tono irridente che, all’opposto, connota l’immagine che precede la cattura e la decapitazione del re elamita Teumman, degradato come pavido che si dà alla fuga e decapitato da “un comune soldato”, come recita l’epigrafe apposta alla scena, nella mischia della battaglia sul fiume Ulai3.
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Capitolo II
Fig. 5) Esecuzione in corso di un nemico (particolare). Girsu. XXIII sec. a.C.
Il taglio della testa è comunque una procedura largamente impiegata sul campo nel corso di tre millenni, a giudicare dalla fonti epigrafiche e non solo4; ed è di certo centrale all’età neo-assira, sia per le evidenze testuali, quali le innumerevoli citazioni dagli annali dei sovrani, sia per quelle visuali, le più ampie, quest’ultime, nella attuale documentazione del tema e di immediata efficacia espressiva, nel corso congestionato della battaglia, tra corpi esanimi, o nel groviglio di uomini vivi e morti
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
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Fig. 6 a) Decapitazione in corso di un nemico esanime (particolare). Ninive, Palazzo Sud-Ovest. Inizi VII sec. a.C.
e di cavalli scalpitanti, o nelle ultime fasi di un assedio, tra nemici apparentemente “comuni”, se non anonimi (Fig. 6 a,b). Allo stato della documentazione sorge dunque l’interrogativo se e in che misura la decapitazione fosse riservata ad “alcuni” nemici; in altre parole, se si tratti di una pratica selettiva o meno.
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Capitolo II
Fig. 6 b) Operazioni all’assedio di Lachish. Ninive, Palazzo Sud-Ovest. Inizi VII sec. a.C.
Sebbene dalle fonti note che citano espressamente su ampia diacronìa il taglio della testa di personaggi eccellenti - da re potenti nemici a regoli di media importanza a generali - sia evidente l’esaltazione dell’atto su quei specifici soggetti5, d’altro canto si constata che almeno in ambito assiro le cataste di teste mozzate ammucchiate accanto alle armi (Fig. 7) sono assimilate al resto del bottino di guerra e al suo conteggio... Mi pare, questo, un indicatore preciso per il valore economico delle teste, forse ancor più cogente in termini di impatto visuale delle numerose citazioni di centinaia di decapitazioni che ricorrono nelle iscrizioni reali già prima dell’età imperiale assira6. Al riguardo va osservato che già ad Ebla protosiriana, al tempo della celebrazione di una vittoria sul pannello ad intarsio più sopra menzionato, si distinguono teste
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
“maggiori”, sovradimensionate, a marcare a mio avviso l’eccellenza del decapitato, da teste”minori”, comuni, accatastate nelle ceste a spalla (v. cap. II.2). II.2. Esibire/Quantificare A premessa di quanto segue, occorre notare che la pratica delle decapitazione non sembra contemplata dai codici di leggi della Mesopotamia7 e che nel Periodo Protodinastico la testimonianza visuale di teste mozzate si circoscrive alle immagini che campiscono il registro superiore del verso delle stele di Eannatum di Lagash8, benché in Siria, nella Ebla protosiriana, tale pratica ricorra sia nei resoconti amministrativi dei testi dell’Archivio Reale sia nell’opera celebrativa già citata di una vittoria militare, risalente agli inizi della espansione del regno9. Più in particolare, la documentazione eblaita s’incentra riguardo al tema in questione sulla reiterata esibizio-
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Fig. 7) Presentazione del bottino di teste mozzate e di armi per la conta degli scribi (particolare). Ninive, Palazzo Nord. Metà VII sec. a.C.
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a Fig. 8 a,b) Soldati eblaiti trasportano teste mozzate tenute per i capelli e stipate in gerle (particolari). Ebla, Palazzo Reale G. XXV-XXIV sec. a.C.
b ne delle teste mozzate degli sconfitti rette per i capelli o stipate in ceste (Fig. 8 a,b) e resta a tutt'oggi la più antica testimonianza di questa essenziale modalità di comunicazione visuale, su un livello percettibilmente diverso a mio avviso dell’esposizione della spoglia, ritenuta da J.-J. Glassner indissolubile dall’atto stesso10. Lo stesso codice semantico e la stessa formulazione figurativa eblaiti dell’esibizione di teste mozzate tenute per i capelli dai vincitori che incedono (verso un luogo o verso un destinatario finale) ricorrono in non pochi casi, a distanza di ben più di un millennio, nel mezzo favorito all’epoca per i messaggi visuali ufficiali, il rilievo ortostatico: dalle immagini della Long Wall of Sculpture di Carchemish ai rilievi sparsi rinvenuti a Zincirli e a Til Barsip fino alla sequenza ricostruita parzialmente di Tell Tayinat11. Gli stessi codici persistono e si moltiplicano, con va-
“Perdere la testa”. Apetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
rianti nella gestualità dell’atto, nei programmi figurativi dei rilievi palatini neo-assiri (Fig. 9 a,b)12. Un elemento significante connesso all’esibizione spicca in particolare nelle immagini da Tell Tayinat, ove le teste mostrate sono di dimensioni ridotte rispetto a quelle dei soldati, certo in linea con le modalità prevalenti nei rilievi dalle capitali neo-assire13. Il dato della dimensione ridotta di quella spoglia umana - centro vitale di tutte le energie e potenzialità - riflette
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Fig. 9 a) Soldati assiri sollevano alternativamente teste mozzate di nemici (particolare). Ninive, Palazzo SudOvest. Inizi VII sec. a.C.
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Fig. 9 b) Soldati assiri sollevano in alto teste mozzate di nemici (particolare). Ninive, Palazzo Nord. Metà VII sec. a.C.
lo stesso codice impiegato molti secoli addietro ad Ebla nel già più volte evocato “pannello di vittoria”, ove però compare con una doppia alterazione del canone e del suo valore (Fig. 10): nell’opera di Ebla le teste sovradimensionate, sempre afferrate per i capelli ed esibite, indicano l’eccellenza dei nemici decapitati, requisito che accresce il merito dei vincitori; mentre quelle minori ammassate nelle gerle appartengono ad “altri”, secondo un linguaggio visuale che tiene a rimarcare il valore diversificato dell’oggetto esibito, come ho da tempo proposto14; linguaggio che dopo l’esempio eblaita non sembra ricorrere
“Perdere la testa”. Apetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
a spesso manifestamente nella documentazione fin qui nota dalle aree considerate. Indicativi al riguardo risultano i dati dal patrimonio figurativo neo-assiro dove in immagini analoghe dalle capitali e dai centri provinciali dell’impero vengono esibite in prevalenza teste mozzate di dimensioni molto ridotte e talvolta prossime al vero ma non sovradimensionate; tale varietà percepibile potrebbe comunque essere stata significativa nel sistema di comunicazione e far supporre ancora una volta una intenzionale seppur generica distinzione tra le une e le altre spoglie umane. Sebbene i dettagli siano preziosi indicatori nella lettura delle immagini e doviziosamente presenti nell’arte aulica neo-assira, l’effettiva selezione qualitativa delle teste mozzate nella comunicazione dell’epoca sembra avvenire piuttosto nella descrizione o nel racconto episodico rappresentato, più o meno in forma spettacolare,
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b Fig. 10) Esibizione e trasporto di teste mozzate (particolari). a) Ebla, Palazzo Reale G. XXV-XXIV sec. a.C. b) Tell Tayinat, Palazzo provinciale assiro. VIII sec. a.C.
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dell’avvenimento di singole decapitazioni, sovente supportato da relative iscrizioni15. Mi chiedo dunque se le teste minori stipate nelle gerle dei soldati eblaiti sul “pannello di vittoria” non equivalgano nella sintassi espressiva del tema all’accatastamento delle teste mozzate per la conta nella documentazione dei rilievi dell’età neo-assira; e se le teste dei nemici caricate sulle spalle dei vincitori nel racconto eblaita non abbiano un valore quantitativo pari a quello delle teste che accrescono il bottino delle campagne militari vittoriose degli Assiri. Ci sembra dunque che fin dalla prima attestazione esplicita nel III Millennio a.C. siamo di fronte ad una pratica estesa, diffusa, e non solo selettiva o mirata, della decapitazione.
Note al capitolo II
1 Si rimanda al cap. IV.1 per una disamina sulle evidenze iconografiche, di contesto e socio-culturali relative alla documentazione visuale di corpi acefali da tale sito. 2
Brandes 1979, pp. 166-173, tav. 13.
Su tale episodio e sulla sequenza di Teumman nel pieno della battaglia si rimanda a Baharani 2004, p. 116 e sg.; Baharani 2008, pp. 29-32, 54-55; Watanabe 2008, pp. 601-604. 3
Per una selezione fra i dati epigrafici di Mesopotamia e di Siria si veda da ultimo Tonietti 2013; per significative occorrenze nei testi di Mari amorrea cf. Jean 1950, pp. 74-77, n. 33; segue la revisione della linea 5, con ulteriori dettagli in Charpin 1988, pp. 41-42; un esaustivo studio aggiornato sulle vicende e il contesto storico-politico del re nemico di Mari, Ishme-Addu, passato per la decapitazione, si trova in Charpin 1993; Charpin 1994, pp. 51-59, n. 59, con raccolta di passi di testi di Mari sul tema delle teste decollate che recano a mio avviso una duplice valenza, come omaggio al re alleato o come sfregio al re nemico; Durand 1998, pp. 176-177, n. 559; Durand 2000, pp. 322-323, n. 1144. Già con di Tiglathpileser I, tra XII e XI sec. a.C., le iscrizioni assire riportano di teste mozzate a centinaia, a riprova della diffusione della pratica: Glassner 2006, 4
p. 50; cf. Richardson 2007, pp. 196-197, che conferma tale primato ed anche la pratica riportata nei testi in età neo-assira. Dai testi degli Archivi eblaiti fino a quelli delle iscrizioni neo-assire, come al tempo di Assurbanipal, nel caso, tra altri, del generale Ituni per il clima di solennità che lo connota; cf. anche nota 15. Per la documentazione da Ebla cf. Archi 1998, p. 391; Archi 2005, pp. 89-90, nota 28; Biga 1990, p. 103, nota 7; Archi 2010, p. 32. 5
6
Si rimanda a nota 4.
Glassner 2006, p. 52, che è perentorio in proposito, chiamando in causa il lavoro di M. Roth 1995.
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Il monumento è qui illustrato al cap. IV.2 in merito alla particolare rappresentazione e composizione di teste decollate appannaggio di rapaci in volo.
8
Per le evidenze testuali si rimanda a nota 5; per i dati figurativi, compositivi e per interpretazioni critiche dell’opera cf. Matthiae 1989; Dolce 2004, 2005, 2006, 2008a, 2014a. 9
Glassner 2006, p. 52; sull’esposizione delle teste mozzate e le sue varie modalità si rimanda al cap. III.3. 10
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11 Woolley 1952, p. 166, tavv. B44-46; Orthmann 1971, pp. 33-34, 47, 60, 503, 535, 537538, tavv. 25a,b, 54b,c, 55b; una terza lastra da Til Barsip, così erosa da essere quasi illeggibile, è ritenuta da Orthmann, ibidem, p. 47, tav. 53a analoga alla altre due per il tema di guerra, relativo ad un cavaliere e al suo equide del quale si riconosce una parte. Tale soggetto sembra a mio avviso assimilabile a quello della lastra da Zincirli (Orthmann, ibidem, tav. 55b); riferimenti e considerazioni sui rilievi da Tell Tayinat sono stati già presentati nel cap. I.3. 12 Da Assurnasirpal II a Sennacherib ad Assurbanipal, nel corso di due secoli circa: cf. Meuszyński 1981, p. 21, tav. 2 (lastra B6); Barnett et alii 1998, pp. 89, 92-93, tavv. 252, 254, 275; Matthiae 1998, pp. 154-155 (detta-
glio); Barnett 1976, p. 59, tav. LXVII (B). Per l’attribuzione cronologica e il contesto originario proposti per questi rilievi si rimanda alla nota 12 del cap. I.3. 13
14
Dolce 2005, p. 153.
Alludiamo ai casi eccellenti del generale Ituni e del re elamita Teumman: Dolce 2004, p. 129, fig. 12; Baharani 2008, p. 38 e sgg. ha posto decisamente l’accento, nel caso di Teumman, su quanto le iscrizioni relative a momenti salienti della cronaca di battaglia diano significato alle immagini; e, aggiungo, le sustanziano di forte carica emotiva nella percezione visiva di chi osservava, e di chi osserva. 15
Capitolo III
III.1. Cosa avviene dell’ “oggetto ambìto”? Prima di considerare alcune destinazioni della testa mozzata (che precedono la sua estinzione naturale) vorrei richiamare l’attenzione sul fatto che l’azione esibitoria di questo “oggetto inanimato” eppure ambìto, stretto nelle mani dei singoli vincitori nei documenti figurativi più antichi, o sospeso lungo il loro corpo, o sollevato in alto1, o ancora mostrato in ciascuna mano in un gesto a chiasmo che sembra cadenzato da un ritmo musicale (Fig. 11) come nel repertorio delle immagini neo-assire, contiene di per sé una forte valenza simbolica: nella formulazione per immagini il rapporto è “a due”, tra il soldato vincitore - che è il primo terminale - e l’oggetto inanimato che egli possiede o che detiene temporaneamente, al di là della sua collocazione finale. La destinazione più frequente delle teste è quella del bottino da quantificare, al quale si è già fatto cenno per alcune ipotesi interpretative su un’ampia diacronìa, e che appare certo nella documentazione più esaustiva del tema, quella neo-assira. Va da un lato sottolineato che le teste mozzate sono comunque parte del bottino nella sua accezione generale prima ancora di essere vettori di specifici messaggi di valore e oggetto di varie destinazioni; dall’altro, che la quantificazione delle teste rimosse dal corpo e la loro assimilazione a spoglie di altra natura nella conta di età neo-assira ne definiscono la prioritaria destinazione
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Capitolo III
Fig. 11) Esibizione di teste mozzate al ritmo di marcia (particolare). Ninive, Palazzo SudOvest. Inizi VII sec. a.C.
me bottino di guerra, forse con possibili variabili connotative, a mio avviso, se in presenza del sovrano. Innumerevoli sono anche le citazioni nelle fonti di cumuli di teste mozzate lasciate sul campo o nei pressi delle città conquistate, evidenza di una pratica esibitoria collettiva, basata sulla quantità delle perdite subite dai nemici e del bottino ammassato dai vincenti. Sebbene queste particolari spoglie umane non siano espressamente citate in alcuni memorabili testi eblaiti relativi a conflitti in essere o preannunciati, come la lettera di Enna-Dagan di Mari al suo omologo di Ebla2, non si può escludere tuttavia che anche “beni”del genere così ripetutamente e dettagliatamente rappresentati
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
nel pannello ad intarsi che celebrava una vittoria anteriore agli esordi dell’espansione massima raggiunta dal regno eblaita3 fossero parte del bottino. Dalla assai vasta documentazione epigrafica assira si nota che la pratica esibitoria è menzionata nelle iscrizioni (e dunque nel sistema di comunicazione) al tempo di Tiglathpileser I, tra XII e XI sec. a.C.4, mentre Assurnasirpal II, nel IX sec. a.C., fu il primo sovrano neo-assiro ad introdurre anche nelle immagini i corpi acefali e le teste mozzate esibite5; ma è già con un suo illustre e controverso predecessore, Tukulti-Ninurta I, nel XIII sec. a.C., che la decapitazione del nemico costituisce il fulcro della raffigurazione della disfatta degli avversari scolpita su un manufatto di lusso e dove l’esecutore dell’atto è stato interpretato come il sovrano in persona (Fig. 12a). In termini generali, l’esposizione del capo supremo come autore della decapitazione non è manifesta nel patrimonio di immagini fin qui noto, a differenza delle citazioni nelle fonti scritte, tuttavia di stampo retorico; eppure in un altro frammento prezioso, questa volta dal ciclo di pitture del cosiddetto Palazzo di Zimri-Lim di Mari, all’età amorrea del grande sovrano Shamshi-Addu I (Fig. 12b), tra la fine del XIX e gli inizi del XVIII sec. a.C., si è supposto plausibilmente di riconoscere il re nei pochi resti conservati di un braccio e di una mano di un personaggio a dimensione naturale che sembra tenere sospesa per i capelli la testa (o le teste) del nemico, a mio avviso già mozzata oppure in procinto di esserlo. Tali interpretazioni, se fondate per le due immagini distanti tra di loro vari secoli nel corso del II Millennio a.C., mostrerebbero una prestazione personale del re non secondaria, e di notevole impatto mediatico nel caso della pittura di Mari dalla corte ufficiale 106 del Palazzo Reale. Nel merito dell’atto, manifesto nell’opera da Assur e che suppongo in quella da Mari, si rileva propositivamente che anche il sovrano in persona sarebbe presente nella comunicazione visuale mentre recide la testa del suo nemico, verosimilmente di pari rango; o mentre af-
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Capitolo III
Fig. 12 a) Frammento di coperchio di pisside con l’atto di decapitazione. Assur, Palazzo Nuovo. XIII sec. a.C.
ferra l’ “oggetto ambìto” nelle sue mani, in forza di un protagonismo forse anche solo virtuale ma di grande efficacia nella ricezione dei contemporanei e nella trasmissione ai posteri6. A differenza della documentazione più antica il repertorio di immagini restituite dai rilievi sugli ortostati palatini di età neo-assira ci segnala in modo esplicito che l’ “oggetto ambìto” da preda a trofeo si converte in bottino di guerra attraverso una serie di azioni, molteplici e complementari, compiute da vari soggetti attivi: prelievo delle teste e trasporto in forma esibitoria fino al luogo della “conta”7.
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
La quantificazione del bottino assume toni più aulici quando avviene al cospetto del sovrano o del suo rappresentante, come nel caso evocato nella pittura di Til Barsip, in Siria, opera che per circostanze e modalità appare ancora un unicum, sebbene scene da rilievi neo-assiri suggeriscano significative convergenze. Nei frammentari resti pittorici del palazzo provinciale neo-assiro8 si riconoscono numerose teste mozzate giacenti al suolo tra le quali incedono personaggi presumibilmente di alto rango, e forse delle fila militari, taluni con la spoglia umana in mano, diretti verso il capo, il turtanu, rappresentante locale del re assiro, o il re stesso. Sebbene non si possa escludere che la pittura integra contenesse la procedura della “conta” del macabro bottino e della registrazione da parte di scribi, tuttavia la presentazione delle teste mozzate direttamente al cospetto della massima autorità politica, come pure è ad esempio documentata nella maestosa scena davanti al sovrano Sennacherib in piedi sul suo carro regale (Fig. 23 b,c) nel Palazzo Sud-Ovest di Ninive, riveste, credo, una ulteriore valenza: il senso della quantificazione delle spoglie (prevedibilmente eccellenti) resta ma l’azione assume il tono magniloquente di omaggio al proprio signore. Le spoglie umane che affollano la sequenza di Til Barsip e l’azione in corso sembrano attenere una dimensione spazio-temporale fuori dal campo di battaglia e comunque dopo l’epilogo; e restituiscono forse testimonianza di una prassi cerimoniale-rituale che proprio all’età di Tiglathpileser III trova eco tra le immagini degli ortostati scolpiti dal Palazzo Centrale a Nimrud9. III.2. Quali destinazioni/quali motivazioni Diverse altre destinazioni sono riservate alla teste mozzate, desumibili dalle fonti testuali e figurative, che consentono di rilevare molteplici variabili nei valori significanti della gestione di queste spoglie, segnata-
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Capitolo III
Fig. 12b) Frammento di pittura parietale con teste (?) afferrate per i capelli. Mari, Palazzo di Zimri-Lim. Inizi II Millennio a.C.
mente e nuovamente nel campo della documentazione neo-assira; e in alcuni casi di associare l’ “oggetto ambìto” a personaggi di varia importanza nella storia politico-culturale di una data epoca, per le circostanze indicate dell’avvenimento10. I dati qui di seguito illustrati e le osservazioni che ne discendono non intendono in questa sede essere esaustivi quanto indicativi della natura della decollazione e delle motivazioni prevalenti addotte per l’atto, richiamando casi tra quelli più ricorrenti nel complesso della documentazione scritta tra III e I Millennio a.C. in Mesopotamia e in Siria, e le evidenze nella documentazione visuale, ove disponibili. L’ossequio reso alla massima autorità gerarchica con la presentazione di teste decapitate, più sopra evocato nel-
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
le forma peculiare della pittura di Til Barsip, si formalizza spesso nelle fonti scritte come dono al re maggiore da parte di altri sovrani o di notabili del regno. La consegna al sovrano in capo, tramite emissari, di teste di altri re e di regoli sconfitti e uccisi da vassalli fedeli è già presente nei testi dell’Archivio Reale di Ebla protosiriana11 e ricorre in quelli di Mari amorrea. Ad Ebla si registra, ad esempio, che due teste mozzate di re di regni minori12 sono consegnate in omaggio da uno o più alleati fedeli13 al re Irkab-Damu di Ebla insieme a beni di lusso e che i mittenti furono ricompensati con preziosi manufatti e tessuti; o che notabili e figli del primo ministro eblaita in carica ricevono abiti in cambio di teste decollate di nemici portate al sovrano14; e ancora, e di maggior rilievo, che la testa del re di Kakmium, personaggio già noto e controverso nei documenti d’archivio eblaita15, fu consegnata ad Ebla da un tale Tūbī che ne ricevette in cambio un manufatto in oro16. Alcuni dati che si riscontrano nei rendiconti amministrativi eblaiti qui richiamati (dati che non sono esclusivi di questo regno né del suo tempo) sollecitano a mio avviso due considerazioni d’ordine generale: la ricorrente prassi di ricompensare materialmente gli esecutori/mittenti delle teste decollate stabilisce un rapporto di “scambio”, per cosi dire, tra gli attori dell’evento, anche al di là dello scarto gerarchico o di ruolo politico che intercorresse tra di loro; l’assenza di citazioni sulla decapitazione nei testi di Cancelleria degli Archivi eblaiti sopra richiamata17, fermo restando la sicura pratica dell’atto documentata nelle fonti amministrative e nelle immagini, può motivarsi con il significato prioritario e ab origine dell’ “oggetto ambìto”, quello di bottino, e dunque economicamente quantificabile, come ho già più volte rilevato nel corso di questo lavoro18. A Mari la destinazione delle teste del nemico come omaggio di fedeltà al proprio re da parte di vassalli e di altri re alleati è molto frequente, quasi un macabro pri-
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vilegio poiché sottrae le spoglie umane alla sola quantificazione del bottino. Dalla documentazione dell’età dei governatori amorrei del regno di Mari si apprende che Ishme-Addu, re di Ashnakkum, prima alleato e poi traditore del re di Mari, è destinato alla decapitazione e che molti sono coloro che ambiscono a tagliare la sua testa per portarla in dono al grande Zimri-Lim; e che un regolo intraprendente annuncia al re di Mari Yashmakh-Addu che invierà ben dieci teste mozzate di nemici al suo illustre padre, Shamshi-Addu I19. La documentazione figurativa che illustra l’atto in corso dell’omaggio al re di teste di nemici, da ritenersi verosimilmente importanti se rappresentate in monumenti ufficiali, è ridotta, attiene l’età neo-assira e suggerisce che l’avvenimento abbia luogo almeno in alcuni casi in interni o comunque fuori dalla scena del conflitto in atto20. Sui rilievi e sui testi neo-assiri la presentazione al sovrano vincitore di teste decapitate ricorre anche in campo aperto; in alcuni casi “gettate ai suoi piedi”, direttamente davanti al suo carro, presso una delle porte urbiche di Ninive, con gesto spettacolare nella celebrazione della vittoria, come recita l’iscrizione superstite di un rilievo perduto da Ninive del ciclo della battaglia di Til Tuba21; e come già appare nel disegno originale di uno dei rilievi di Sargon II, nell’VIII sec. a.C., dal Palazzo di Dur-Sharrukin22. Un atto di ossequio al dominatore e al contempo di spregio ostentato verso quell’ “oggetto inanimato”. Una ulteriore variabile degna di nota nella prassi dell’omaggio, presente nelle fonti scritte, risulta di forte impatto e di segno uguale e contrario al dono degli alleati al re maggiore della testa del nemico; si tratta del macabro omaggio fatto pervenire da un re al suo diretto pari della testa del suo fedele alleato. Riferimenti al riguardo provengono già dai testi di Mari del II Millennio a.C., come nel caso emblematico di Zazaya che manda al re nemico Ishme-Dagan la testa mozzata del suo alleato e re della città che Zazaya stesso ha assediato23.
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
L’azione si tinge in questi casi non solo del vanto dell’atto ma anche del rifiuto sprezzante (implicito) del rivale di tenere per sé la spoglia ed inviarla, come merce scadente, al re nemico. In questa dinamica la decapitazione, oltre che fungere da monito per le sorti future dell’avversario e del suo regno, assume forse anche un’altra valenza più sottile, come testimonianza inconfutabile della perdita definitiva di un alleato leale, risorsa preziosa, nonché rara, nel conflitto bellico in preparazione o già in atto; e la cui assenza pregiudica l’esito finale. I motivi prevalenti associati alla destinazione delle teste decollate come omaggio all’autorità superiore (dal vanto alla prova di fedeltà alla spettacolarizzazione dell’atto, etc.) si inscrivono nell’ambito di valori permanenti e comuni, a monte dell’atto stesso: la consegna della testa al più illustre destinatario é la massima enfatizzazione della prova tangibile dell’annientamento definitivo del nemico e della gloria conquistata dal vincitore. III.3. Esposizione e polivalenza Queste due prerogative, per così dire, che coesistono nell’ “oggetto ambìto”, la prova provata dell’annientamento del vinto e la gloria manifesta per il vincente, attraversano ogni altra vicissitudine che verrà riservata alla testa decapitata. Così si coglie nelle citazioni dalle fonti scritte sulla sospensione delle teste agli alberi; sia su quelli situati in spazi aperti e accessibili, sia su quelli all’esterno e all’interno di centri urbani ove le spoglie sono esposte alla vista e al giudizio della collettività, o dei più, nonché a monito per gli alleati di turno e per altri nemici; e fino all’interno nel verde delle corti e dei palazzi reali24, in un crescendo di ambientazione di apparente riservatezza, come testimonia nel rilievo palatino del VII sec. a.C.
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Fig. 13 a) Operazioni militari. Balawat, porta urbica. Metà IX sec. a.C.
la scenografica presenza della testa del re elamita Teumman rappresentata sospesa ad un albero nei giardini di Ninive, terzo “convitato” al simposio della coppia reale25 (Fig. 2 a,b). La polivalenza della testa mozzata si manifesta anche in un’altra variante d’esposizione, ancorata ad elementi architettonici e urbanistici di forte carica ideologica, come le mura e le porte urbiche, dove sono sovente sospese le teste di personaggi eccellenti, notabili o co-protagonisti nei conflitti, oltre che a prova dell’annientamento del nemico e della gloria del vincente ad ostentazione del controllo del territorio già consolidato o appena conquistato, dei suoi confini, e della sicurezza del regno. Dalle indicazioni nei testi della Ebla protosiriana, tra i più antichi al riguardo, si apprende che la testa mozzata di un certo Ilbi-Ishar, colpevole di una offesa in tempo di guerra, è affissa “sulla porta del Re” di Ebla dopo essere stata trattata con una “decorazione” in bronzo26. L’affissione sulle porte urbiche di teste mozzate è attestata anche in centri satelliti del regno eblaita, come Danash, ove sulla porta omonima stava la testa di un certo Iram-damu, uomo di Dubadu27. Non si dispone ad oggi per i primi due millenni dalle aree considerate di immagini relative all’esposizione su mura e su porte urbiche di teste decapitate mentre in età neo-assira la pratica è manifesta nelle rappresentazioni
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di esposizione multipla di teste recise degli sconfitti. Sui rilievi a sbalzo delle fasce di rivestimento in bronzo della monumentale porta di Balawat, manifesto celebrativo dei fasti del regno di Salmanasar III, alla metà del IX sec. a.C.28, tali spoglie sono raffigurate pendenti a loro volta dalle porte urbiche (Fig. 13 a,b). Se ne deduce che in questi casi s’intende veicolare nuovamente, con altri espedienti visuali, l’entità di tali “beni” - del bottino in quanto tale - al pari della conta sul campo; e al tempo stesso ostentare quel pieno controllo sul territorio e la sicurezza del dominio insiti in questo tipo di destinazione delle spoglie, come ho già proposto. Una modalità peculiare di esporre la testa decollata del singolo nemico è quella di sospenderla lungo le spalle e al collo di alleati dell’avversario sconfitto anco-
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Fig. 13 b) Teste mozzate affisse sui bastioni e le porte urbiche della città conquistata (particolare). Balawat, porta urbica. Metà IX sec. a.C.
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Capitolo III
ra vivi e ridotti in schiavitù, presente nelle fonti e nelle immagini. Negli annali neo-assiri di Esaraddon, nel VII sec. a.C., si racconta che le teste mozzate di due illustri re sconfitti, Abdi-milkutti e Sanduarri, l’uno della città di Sidone, l’altro di Kundu/Sisu, furono fatte trasportare sulle spalle dei loro notabili alleati ancora in vita nella parata trionfale con musica e canti, alla presenza del sovrano, per la pubblica umiliazione; e parimenti avvenne poco più tardi con Assurbanipal, nella spettacolare cerimonia della sua vittoria sugli Elamiti29. A quest’ultimo sovrano neo-assiro si devono immagini esaurienti del re Dunanu e del fratello30, alleati degli Elamiti sconfitti, che sfilano ciascuno con le teste di Teumman e forse di suo figlio, perdenti, umiliati e prossimi alla fine, nel corteo trionfale che si stendeva sugli ortostati del Palazzo Sud-Ovest di Ninive31. È questa una pratica di sottile perversità nei riguardi di entrambi i nemici, l’uno ormai ridotto alla sola testa inerte, l’altro vivo e ridotto a portatore del primo, in una sorta di ostentato doppio dominio sugli sconfitti da parte dei vincitori e, segnatamente, in una condizione manifesta di umiliazione. Tale condizione è un fattore aggiunto nella logica anche della rappresentazione del soccombente in tempo di guerra e che ho colto nell’attraversare il tema della decapitazione, il corpus delle immagini e i loro contesti32. La pena efferata inflitta ai morituri, mezzi di trasporto e di forzata esibizione delle teste mozzate, indica infine che tale destinazione delle spoglie umane è per così dire più temporanea di altre, e a mio avviso strumentale alla spettacolarizzazione dinamica dell’evento; nonché propedeutica alla loro finale ed esiziale collocazione33.
Note al capitolo III
1 Accanto alle immagini esemplificative delle Figg. 8-10 e delle citazioni alle note 11, 12 nel cap. II, segnalo quella del cavaliere in groppa al suo destriero che solleva ed esibisce la testa mozzata di un nemico su un ortostato da Zincirli, citata al cap. II, nota 11: Orthmann 1971, pp. 60, 537-538, tav. 55b.
Fronzaroli 2003, pp. 35-42; Fronzaroli 2005, p. 193 e sgg; da ultimo richiamata da Tonietti 2013, p. 160.
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Cf. Dolce 2005, pp. 154-155 ove si propone la collocazione originaria dell’opera monumentale estesa per 3 metri circa di altezza prima di Igrish-Khalam e verosimilmente al regno di Kum-Damu; e si ipotizza già nella fase precedente la fioritura del regno eblaita un conflitto con Mari in cui quel sovrano eblaita può aver avuto la meglio e celebrato spettacolarmente la pur temporanea vittoria, secondo il costume dei monumenti celebrativi bellici delle città-stato della Mesopotamia contemporanea.
3
4
Grayson 1991, p. 14 (87.1.).
5
Meuszyńiski 1981, pp. 20-21, tav. 2 (B4, B6, B9).
Il frammento del coperchio marmoreo della pisside dell’arredo regale rinvenuto ad Assur nel Nuovo Palazzo reca i resti di due registri
6
a rilievo con scene di una battaglia in corso e di una decapitazione in atto, forse per mano dello stesso re, secondo A. Moortgat; il tono aulico e l’alta qualità compositiva dell’opera, che prelude all’arte narrativa delle campagne militari dei rilievi neo-assiri, sono stati da tempo acutamente rilevati: Moortgat 1969, pp. 119-120, tav. 244; Matthiae 1997, p. 32 concorda sulla identificazione con il re stesso del personaggio del quale resta il braccio e la mano che afferra per i capelli il nemico. Cf. Andrae 1938, p. 113, tav. 49b e nota 1 per i primi dati sul manufatto e la attribuzione cronologica al sovrano medio-assiro. Il frammento di pittura dal Palazzo Reale di Mari è stato oggetto insieme a numerosi altri resti di una rinnovata ricostruzione del programma figurativo della sala 106 da Muller 2002, ove si propone anche l’identità regale del personaggio, condivisa da Matthiae 2000, p. 133. La interpretazione dell’atto e le relazioni con il soggetto succube sono tuttavia distinte e diverse in entrambi gli Autori da quelle qui formulate: secondo Muller, ibidem, p. 86 si tratterebbe di due supplici; secondo Matthiae, ibidem, p. 133 si tratterebbe di sconfitti morituri per colpo di mazza in testa, sul modello culturale-iconografico egiziano. Su considerazioni e argomentazioni sulla pittura di Mari in questione cf. Dolce 2014c; sul riesame dei cicli maggiori delle pitture dal Palazzo plurisecolare di Mari cf. Dolce 2010.
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Capitolo III
7 Questa operazione atterrebbe solo apparentemente il conteggio delle teste mozzate, come già da tempo S. Donadoni ha rilevato, mirando piuttosto alla esposizione della condizione di inferiorità del nemico di contro alla solidità della vittoria dell’altro: Donadoni 1985, p. 502; la tesi è riportata da Nadali 2001-2003, pp. 64, 69, nota 41, il quale rimarca in accordo con i più che la conta serve a rendere perenne la morte del nemico agli occhi di tutti ed anche ad esaltare la vittoria personale del re. Queste motivazioni, pure presenti, investono tuttavia, come già abbiamo indicato, l’atto esibitorio in sé della testa mozzata e non marginalizzano nello specifico a mio parere il senso dell’immagine e la sua percezione visiva come ostentata procedura contabile, insieme e al pari di altri “beni” sottratti al nemico sconfitto. 8 Dalla sala XLVII: Thureau-Dangin, Dunand 1936, pp. 63-67; Thureau-Dangin, ibidem, pp. 42-74, tavv. XLIII-LIII dedica la prima analisi sul complesso delle pitture nella residenza neo-assira. Sulla prevalente opinione che il ciclo di pitture dal palazzo datino all’VIII sec. a.C. e sulle motivazioni di chi scrive a riconoscerne il committente nel sovranoTiglathpileser III si veda Dolce 2004, pp. 126-127, nota 26. Aggiornamento e sintesi sulle attività e i risultati degli scavi su sito, la cui occupazione si estende dal Calcolitico all’età neo-assira, sono presentati da Bunnens 2014, pp. 38-42.
Barnett, Falkner 1962, pp. 16,18, tavv. XLIX, LIX ; nel primo caso, è l’inchino solenne che militari porgono insieme alle teste decapitate verosimilmente al cospetto del sovrano, preceduto da un funzionario o alto ufficiale. Va richiamato che, secondo la testimonianza di H. Layard, tale rilievo sarebbe stato interposto tra altri due con scene di battaglia; se così fosse, l’immagine dell’omaggio solenne delle teste decapitate all’autorità in capo poteva
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costituire nel partito figurativo e narrativo la sequenza catalizzatrice dell’epilogo vittorioso, fuori dalla mischia. Nel secondo caso, del quale resta solo il disegno originale e la cui ambientazione fa supporre piuttosto un interno, si tratta di offerte di due teste decapitate da parte di alti dignitari direttamente al re in trono, dietro ai quali sta un soldato che conduce per un orecchio o per una ciocca di capelli un prigioniero. Le teste offerte sono tra le più piccole documentate proporzionalmente alle dimensioni dei personaggi della scena, suggerendo che il canone inverso a quello formulato nel “pannello di vittoria” di Ebla per le teste eccellenti già richiamato abbia effettivamente corso e valore semantico nel programma visuale neo-assiro. 10 Le informazioni al riguardo provengono dalle fonti testuali, dirette o indirette, su tali accadimenti e ricorrono nelle fonti dal III al I Millennio a.C., dai dati degli archivi di Ebla a quelli degli annali e di altre iscrizioni ufficiali neo-assire; casi esemplari si trovano nei testi eblaiti come in quelli di Mari: cf. cap. II, nota 5. 11 Nella recente ampia disamina e rilettura di uno di tali testi M. V. Tonietti 2013, p. 160 richiama opportunamente quanto già evidenziato da Archi 1998, p. 388, circa il fatto che l’attestazione delle decapitazione è manifesta solo in documenti amministrativi eblaiti; dato, questo, che sarà richiamato più avanti per le sue implicazioni nel tema trattato. Archi 2014, pp. 19-20 in particolare, torna sulla questione in merito alle campagne militari sferrate dal regno e registrate nei testi amministrativi, e sostiene che l’assenza di “iscrizioni reali” negli Archivi eblaiti è scelta intenzionale della Cancelleria, in controtendenza rispetto alla tradizione mesopotamica del genere. 12 Quelli di Sumedu e di Zamarum, TM.75.G.10219: cf. Archi 1998, pp. 388-389;
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
Biga 2008, p. 307 e nuovamente in Archi 2010, p. 32; il documento eblaita è citato di recente da Tonietti 2013, p. 164, per utili confronti filologici con un secondo, richiamato più avanti anche da scrive, relativo ad un’altra decapitazione, di certo di maggior peso. Cf. su questo punto la lettura del passo in Tonietti 2013, p. 164. 13
Cf. Archi 1998, pp. 388-389, testi TM.75. G.10219; TM.75.G.1902; Biga 2008, p. 307 e Archi 2010, p. 32, testo TM.75.G.1741. 14
La dubbia fedeltà al regno di Ebla da parte di questo re è provata da un lato dell’appoggio recato ad Ebla contro varie città minori, da Garaman ad Adabig: cf. Biga 2008, pp. 313-314; dall’altro, dal resoconto di una spedizione militare punitiva contro la sua città-stato, citata, fra altre colpite, in Archi 2011, p. 13, già oggetto di una esaustiva pubblicazione delle menzioni di tale avvenimento bellico da numerosi testi eblaiti in Biga 2008, pp. 314-316, al quale seguirà nuovamente una alleanza con Ebla, persino nella guerra contro Mari: Biga 2008, p. 325. Cf. Tonietti 2013, pp. 161- 169, per la recente disamina, lettura ed interpretazione filologica del testo TM.75.G.1358, e la decapitazione del re di Kakmium, accanto alle molteplici e discordi opinioni pregresse lì riportate.
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Da ultimo Tonietti 2013, p. 164; Il riesame del testo condotto da Tonietti (v. nota 15) ha convincentemente confermato la proposta di lettura da tempo avanzata da Archi 1998, p. 392 che tale re fu decapitato e che la sua testa venne consegnata ad Ebla. 16
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Si rimanda al riguardo alla nota 11.
18 Sulla questione sollevata da Tonietti 2013, pp. 168-170, se le teste inviate in dono da al-
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leati fedeli al re dominante fossero associate ai rispettivi corpi o piuttosto a tracce concrete del rango più o meno elitario dei decapitati, le loro “insignia”, considero plausibile tale seconda ipotesi, supportata dal dossier di Mari ed anche dalle considerazioni realistiche di Charpin 1993 in proposito, lì citate; e, non ultimo, le “dépouilles” delle quali parla Charpin 1993, p. 171, associate alla testa mozzata del re Ishme-Addu, sembrano in assonanza con evidenze desumibili dalle immagini sul tema fin dal III Millennio a.C., nuovamente sul “pannello di vittoria” di Ebla, dove i soldati vincitori trascinano a mano le teste mozzate di nemici eccellenti e portano sulle spalle sospese ad un’asta, o piuttosto alla lancia, le loro vesti - le loro spoglie - come sui pannelli di vittoria di Mari-Ville II: Dolce 2006, p. 38, fig. 5; Dolce 2014b, p. 201, fig. 14a. Il fatto significativo è che nel caso eblaita questa appropriazione delle vesti del nemico (e non già delle sue braccia smembrate, come si è pure proposto: Minunno 2008b, pp. 10-11) oltre che ricorrente come altrove nelle sfilate ostentatorie degli sconfitti nudi e in lacci (cf. Dolce 2014b, p. 201, fig. 14 b), è associata anche al trasporto delle teste mozzate, le quali sono finora assenti in questa forma dalla documentazione visuale della Mesopotamia del III Millennio a.C. Le spoglie del nemico, bottino aggiuntivo alla testa decollata, presenti nell’opera eblaita possono alludere ad una pratica usuale in Siria come in Mesopotamia, e di particolare peso simbolico nel caso attenesse i resti del rango elitario del decapitato. 19 Charpin 1993, p. 170 (testo ARMT 25, 447, 1-7); anche in Archi 1998, p. 388; Charpin 1994, n. 59, p. 52. 20 Si rimanda per il documento di Til Barsip e per quelli da Nimrud al cap. III.1, note 8, 9.
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21
Capitolo III
Glassner 2006, p. 48.
Albenda 1986, pp. 89, 144, tav. 111; i disegni originali sono in Flandin 1849, tavv. 53-54. 22
Lafont 1988, pp. 479-482, in particolare p. 481 (52-58). 23
La documentazione proviene soprattutto dalle fonti neo-assire, ma non solo; si nota che tutte le varianti delle sospensioni sopra descritte per le teste mozzate ricorrono nelle iscrizioni di Assurnasirpal II: Grayson 1991, p. 201 e sgg., nn. 101.1 i.64, i.118, ii.1819, ii.71-72; Grayson 1976, p. 132. 24
25 V. cap. I.1, nota 3; il rilievo del convivio tra il sovrano assiro vincitore e la sua consorte, immerso in un artificioso clima idilliaco e come sospeso tra due dimensioni del reale, proviene dal Palazzo Nord, residenza definitiva di Assurbanipal nell’ultima capitale neo-assira: Barnett 1976, tav. LXV (particolare).
La traduzione del passo del testo TM.75. G.2429 si trova in Archi 1990, p. 103, su segnalazione di Biga, citata da Archi, ibidem, a nota 7; successivamente Archi 1998, p. 391 interpreta l’uso del bronzo come necessario supporto delle testa mozzata, rilevando la precisione dei contabili a registrarne la quantità, mentre più di recente esplicita che la testa di Ilbi-Ishar fu coperta con il metallo “for decorating”: Archi 2005, pp. 88, 89-90, nota 28.
26
Archi 2010, p. 32, testo TM.75.G.2451; si segnala che tale malcapitato non sembra essere né un personaggio di spicco né coinvolto in vicende di guerra, secondo Archi 2010, ibidem; la sua decapitazione può certo profilare un caso diverso da quelli qui evocati,
27
come pena prevista per reati di varia natura, seppure la procedura dell’esposizione singola, e verosimilmente mirata, su una porta urbica resta una modalità degna di nota. King 1915, pp. 80-81, tav. LVI; Schachner 2007, p. 56, tavv. 10, 47b. 28
Per le fonti di Esaraddon già Luckenbill 1926-1927, II, pp. 211-212, n. 527; di recente Leichty 2011, p. 29; Borger 1956, pp. 4950. Per quelle di Assurbanipal cf. Weissert 1997, pp. 349-350 e la puntuale ricostruzione di Villard 2008, pp. 258-260 sui dati testuali di questo trionfo e delle varie fasi del suo svolgimento, di grande effetto mediatico sull’immaginario collettivo; per ulteriori considerazioni su tale avvenimento cf. cap. V.2, e nota 6.
29
30 Secondo alcuni: Glassner 2006, p. 49; Villard 2008, p. 258.
Barnett et alii 1998, pp. 96-97, tavv. 304-305.
31
Per una disamina su questa tematica che accompagna sovente la condizione degli sconfitti cf. Dolce 2014a, p. 244 e sgg.
32
Fatale è pure il destino di quei portatori di teste mozzate del trionfo di Assurbanipal; essi infatti non solo subiscono come sconfitti la dura prova dell’esibizione forzata dell’ “oggetto ambìto” loro imposta piuttosto che vantarsene, come è invece prassi per i vincitori, dalle immagini eblaite a quelle neo-assire; ma saranno anche“sgozzati come montoni”, secondo le fonti: Borger 1996, p. 108, in particolare; una fine comune, stante alle ricorrenze nei testi assiri, da Tiglathpileser I a Salmanasar I ad Esaraddon. 33
Capitolo IV
IV.1. Teste e rapaci Altro destino della testa decollata è quello di diventare cibo per rapaci, notoriamente esemplificato nella stele dell’ensi Eannatum di Lagash della metà del III Millennio a.C.1 Ma così come la decapitazione ha risonanza nella comunicazione visuale almeno dalla’Età Preistorica (PPNB) nel Vicino Oriente, come attestano le evidenze figurative da Çatal Hüyük alle quali ho accennato sopra (v. II.1), anche la presenza di rapaci in relazione a corpi acefali ricorre proprio nello stesso sito e nello stesso contesto, inducendo ad alcune riflessioni. Alla luce del recente riesame interpretativo delle pitture rinvenute a Çatal Hüyük in ambienti già definiti “santuari”2 l’assalto di enormi rapaci su cadaveri umani tutti acefali raffigurato lungo le mura orientali e settentrionali (Fig. 14 a-c) riguarderebbe la celebrazione di una vittoria su nemici, le cui teste mozzate potrebbero essere quelle ridotte a crani trattati e deposti negli stessi ambienti, a futura memoria collettiva, piuttosto che reliquie per pratiche funerarie connesse agli antenati illustri della comunità3. Se così fosse, le teste decollate debitamente trattate e conservate sarebbero dunque una (prima?) forma di possesso e di esposizione della testa del nemico per finalità celebrative della storia evenemenziale del sito. Dalla documentazione di Çatal Hüyük appena richiamata si evince che la deposizione di crani trattati
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Capitolo IV
Fig. 14 a) Rapaci che si avventano su corpi umani acefali. Çatal Hüyük. Periodo Neolitico.
per la conservazione è sempre associata ad ambienti decorati con grandi figure di rapaci in volo che assaltano corpi umani privi di testa4; e che la relazione tra rapaci e teste e forse tra rapaci e nemici sconfitti può risalire molto addietro nel tempo. Se l’argomentata tesi di Testart ha fondamento, come ritengo, pur nell’acceso dibattito che ha suscitato5, quel complesso apparato definibile a mio avviso figurativomediatico è traccia della celebrazione permanente di una vittoria a seguito di conflitti6; e i crani conservati ed esposti nelle “case dipinte” possono appartenere a nemici importanti decapitati più verosimilmente che ad antenati valorosi7. Ne conseguirebbe che ci troveremmo di fronte ad una forma di esposizione già codificata di quella specifica spoglia del vinto, assurta a perenne memoria sia del suo irreversibile annientamento sia della gloria dei vincitori. In Età Protostorica la relazione tra rapaci e teste e tra rapaci e nemici sconfitti risulta manifesta nell’immagine su una impronta di sigillo cilindrico da Uruk connotata da un carattere peculiare del volatile che merita attenzione (Fig. 15).
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
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Fig. 14 b) Particolare. Çatal Hüyük, “santuario degli avvoltoi”. Periodo Neolitico.
Si tratta di prigionieri nudi inginocchiati e con le braccia verosimilmente bloccate dai lacci8, come quelli inginocchiati e pronti per il patibolo nell’immagine da una impronta di sigillo cilindrico del periodo protostorico dallo stesso sito, richiamata in precedenza (v. II.1), e in due casi stanno di fronte a grosse giare9; i prigionieri sono preceduti dal loro leader, riconoscibile come tale
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Capitolo IV
Fig. 14 c) Particolare. Çatal Hüyük, “santuario degli avvoltoi”. Periodo Neolitico.
dalle dimensioni maggiori, dal fatto che ancora indossa una gonna e soprattutto una grossa cintura. Su ciascuno dei prigionieri plana un rapace a testa leonina che mira ad attaccarne la testa. I punti focali sui quali si intende porre l’accento attengono il massacro imminente da parte dei volatili delle teste dei prigionieri che sono ancora in vita: fatto, questo, inconsueto e che forse reca una valenza diversa, come di una pena in sé inferta al prigioniero piuttosto che l’epilogo dello scempio su corpi esanimi, in particolare sulle teste e sui volti, lasciato all’opera dei rapaci quale è ricorrente in seguito nella documentazione visuale; e, segnatamente, la natura mista del rapace, a testa leonina, impegnato in una azione che di norma è esperita da uccelli naturali. Ci si chiede se questa immagine evochi un tema mitico calato dentro la rappresentazione di un atto esiziale a seguito della vittoria sul nemico a legittimazione suprema dell’evento, trasfigurato dall’intervento divino; e si richiamano al riguardo le aquile leontocefale ad ali spiegate del “pannello di vittoria” di Ebla che serrano negli artigli dei tori androcefali (Fig. 16), interpretate da P. Matthiae come la forza distruttrice che si abbatte sugli sconfitti10.
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
IV.2. Eannatum di Lagash e i rapaci Un’opera-guida sul tema della guerra nella cultura figurativa della Mesopotamia del Periodo Protodinastico, nel III Millennio a.C, si riconosce nella stele di Eannatum di Lagash11, monumento ripetutamente e variamente indagato sia nell’apparato visuale che in quello dell’iscrizione, ed oggetto di interpretazioni difformi nella lettura globale del documento12. Ciò che si vede in uno dei lati maggiori della stele13 è di certo una sequenza serrata su più registri, e di più fasi di azioni belliche tecnicamente collegate per l’attacco risolutivo al nemico, fotogrammi della cronaca di una battaglia apicale, o presentata come tale, di un conflitto permanente per il controllo delle frontiere tra due stati14. Non si tratta dunque di immagini mirate al solo valore emblematico sulla guerra “giusta” e sulla vittoria sancita dal dio, immanente nell’altra faccia del monumento, ma “racconto” per immagini salienti di azioni storico-celebrative in un dato tempo e in un dato contesto15. La presenza dei rapaci (naturali) si registra sulla faccia della stele ove si snodano gli attacchi della fanteria al nemico sotto il comando diretto dell’ensi di Lagash: gli avvoltoi volteggiano nella parte superiore del campo figurativo a mo’ di coronamento della scena di guerra, e si accaniscono su varie parti smembrate dei cadaveri
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Fig. 15) Prigionieri nudi legati attaccati al capo da rapaci a testa leonina. Uruk. Seconda metà del IV Millennio a.C.
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Capitolo IV
Fig. 16) Aquile leontocefale ad ali spiegate sovrastano tori androcefali (particolare). Ebla, Palazzo Reale G. XXV- XXIV sec. a.C.
degli sconfitti, soprattutto le teste mozzate che tengono strette nel becco mentre sono in volo (Fig. 17). Si constata quindi, fatto salvo lo stato frammentario del monumento, che la pur esplicita decapitazione non appare (o non appare ancora?) oggetto di esibizione da parte dei soldati vincitori, ma di altri soggetti. La relazione tra avvoltoi e teste si rende palese nella “stele degli avvoltoi”, come è anche appellata, e “la partita a due” si tiene questa volta tra i rapaci in volo che afferrano le teste e le portano altrove, in analogia ai soldati che afferrano le teste e le trasportano altrove per la conta del bottino o per altre destinazioni.
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
Questa prassi da parte dei soggetti vincitori è invalsa dal “pannello di vittoria” di Ebla protosiriana fino ai rilievi delle campagne militari dei potentati luvii ed aramaici di Siria e dei sovrani neo-assiri ma non documentata nella comunicazione visuale della Mesopotamia protodinastica né sui monumenti ufficiali di Akkad. Non si conoscono attualmente nella cultura figurativa del III Millennio a.C. casi consimili di rapaci che trasportano teste mozzate; si dovrà attendere l’arte aulica dei rilievi neo-assiri per ritrovare un maestoso volatile che esibisce una testa mozzata, a fianco del carro dei vincitori16. Siamo di fronte al medesimo codice figurativo durevole per millenni, seppure elusivo e intermittente, ove il possesso della testa decapitata si declina tra vari attori e destinazioni: come proprietà temporanea del singolo soldato anonimo, come parte del bottino di vittoria da quantificare nella conta, come cibo per gli avvoltoi per l’appagamento dei sensi. IV.3. Mari e i rapaci L’azione esperita più di frequente dai rapaci e ricorrente nelle immagini è invece quella dell’attacco al volto
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Fig. 17) Avvoltoi in volo tengono nel becco teste mozzate e parti smembrate di corpi umani (particolare). Girsu. Metà XXV sec. a.C.
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Capitolo IV
a
b Fig. 18 a) Rapaci si accaniscono sul volto degli sconfitti esanimi. Fig. 18 a,b) Testa mozzata esposta nel carro reale. Mari. XXIV sec. a.C.
e ai corpi nudi ed esanimi degli sconfitti giacenti a terra, richiamando l’attenzione sull’evidenza diversa ed unica da Uruk protostorica (v. IV.1); ne è già testimonianza la glittica regale di Mari protodinastica17 nelle impronte di sigillo del lugal Ishqi-Mari (Fig. 18 a,b)18, da tempo noto dalla sua statua corredata da iscrizione rinvenuta nel tempio della dea Ishtar nella stessa città di Mari. In quelle scene di guerra guerreggiata restituite dalle impronte mariote del repertorio già noto, da Ebla ad Ur, sui monumenti tra i più celebri dell’età delle città-stato del III Millennio a.C. di Siria e di Mesopotamia, come gli scontri corpo a corpo o il passaggio al galoppo del carro dei vincitori che travolge gli sconfitti, compaiono questa
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
volta anche le immagini di rapaci che si avventano sui volti delle loro prede, secondo un codice persistente nel tempo a venire. Resta invece apparentemente escluso il trionfo, nel linguaggio tradizionalmente sviluppato, da Kish a Mari, sui pannelli ad intarsio di celebrazioni belliche, se non forse qui diversamente evocato dal sovrano in trono presente in entrambe le raffigurazioni. L’evidenza della glittica reale di Mari mostra come il sigillo, vettore di trasmissione di “racconti” di varia natura e strumento di gestione economico-politica nelle culture arcaiche vicino-orientali, sia qui impiegato per fissare e trasmettere messaggi di forte peso storico-politico su imprese di paternità certa del protagonista/committente in tema di guerra e di vittoria, e con dettagli delle azioni sul campo; messaggi che sono usualmente affidati in Mesopotamia ad altri tipi di manufatti, dopo il periodo di Uruk e prima dell’avvento di Akkad, i pannelli ad intarsio palatini e templari e, in alcuni casi, le stele. Le immagini di guerra di Mari testimoniano dunque di una prassi d’impiego peculiare della glittica e non frequente nella cultura figurativa dell’epoca; o piuttosto di una produzione invalsa la cui documentazione al riguardo è assai scarsa, e che indurrebbe ad ulteriori riflessioni19. Va rilevato che, accanto al topos dei rapaci che si accaniscono sul volto e alla gola delle loro prede presente su una delle immagini, nel progamma figurativo di entrambi i sigilli reali del lugal Ishqi-Mari è introdotto il richiamo diretto alla decapitazione per la presenza di teste decollate, come nella Stele di Eannatum ma in una diversa formulazione esibitoria che compare qui per la prima volta. La testa mozzata di un personaggio di certo eccellente20, forse lo stesso re nemico sconfitto, giace in bella vista sul carro dei vincitori per essere condotta altrove. Pur nella densa composizione senza traccia di coordinate spaziali né di ripartizioni del campo figurativo, tran-
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ne che nella linea netta di base alle immagini dei tori, si riconosce su entrambe le impronte la diagonale ideale che collega precisamente la testa mozzata deposta sul carro a quella del re vincitore che siede in trono, in un gesto grafico subliminale, di notevole efficacia mediatica e di valore simbolico nel rapporto tra due “teste eccellenti”, del vincitore e del vinto; e ove forse il richiamo al ruolo di Ishqi-Mari come vicario del dio Enlil ancora leggibile in una delle iscrizioni che corredano le impronte è parte del messaggio sviluppato nella raffigurazione, secondo relazioni che restano tuttavia ancora da interpretare. La formulazione della versione esibitoria dell’ “oggetto ambìto” tradotto sul carro è dunque già parte della prassi narrativa bellica e della comunicazione visuale al tempo della Ville II di Mari nel pieno III Millennio a.C.; per riapparire, allo stato attuale dei dati, nel trattamento riservato a grandi sconfitti sui rilievi dei fasti neo-assiri21; analogamente all’immagine più sopra richiamata dell’aquila in volo con la testa di un eccellente sconfitto tra gli artigli, come i rapaci in volo sulla stele di Eannatum che serrano nel becco teste mozzate di nemici decapitati (v. IV.2). IV.4. Sargon I di Akkad e i rapaci La stele di Sargon I di Akkad22, dai resti più corrosi di quelli della stele di Eannatum (v. IV.2), apparentemente non sviluppa nella stessa formulazione del monumento lagashita l’immagine dei rapaci, nonostante mutui dall’opera la tematica di fondo e alcuni codici iconografici e compositivi23. Sul rilievo di Sargon gli avvoltoi insieme a cani famelici assalgono i corpi esanimi dei nemici a terra, che non hanno “perso la testa”, da quanto è attualmente leggibile24 (Fig. 19), secondo la stessa resa già nota nella glittica reale di Mari protodinastica (Fig. 18a) ed attestata anche successivamente.
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
La connotazione appropriata di “realistica” data a questa sequenza della stele di Sargon25 mi pare che marchi di già la distanza ideologica che separa gli avvoltoi in volo con il loro “tesoro” sul monumento di Eannatum di Lagash dallo scempio terreno perpetrato nel manifesto di vittoria del fondatore di Akkad. La distanza percepible tra i due monumenti ufficiali e i progetti programmatici che li precedono non è tanto nella straordinaria potenza comunicativa del secondo26 quanto in due livelli distinti di comunicazione visuale, ciascuno connesso a distinti valori delle azioni. Questi due livelli di comunicazione visuale e di valori distinti che connotano le azioni e i loro protagonisti non umani, elaborati nella cultura figurativa del pieno III Millennio a.C. tra Mesopotamia e Siria, coesistono nel corso del tempo e ricorrono con discontinuità documentaria ma con il supporto di evidenze esaurienti.
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Fig. 19) Assalto di rapaci ai corpi esanimi dei nemici (particolare). Susa. Seconda metà XXIV sec. a.C.
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Fig. 20 a) Teste mozzate di notabili attaccate al volto da rapaci. Eshnunna. XVIII sec. a. C.
IV.5. Dadusha di Eshnunna e i rapaci A distanza di mezzo millennio ca. dalla stele di Sargon I un terzo monumento ufficiale celebrativo di vittoria sui nemici reca nel programma figurativo l’attacco dei rapaci sugli sconfitti. Si tratta ancora una volta di una stele, rinvenuta nell’area di Eshnunna, città capitale del regno del sovrano committente dell’opera, Dadusha (Fig. 20 a-c), ormai collocata circostanziatamente nell’ambito degli anni di regno di questo re nel corso del XVIII sec. a.C.27. Una delle due facce del monumento reca la rappresentazione di sequenze parziali delle fasi salienti - a mo’ di icone - dell’avvenimento celebrato e riportato nell’iscrizione apposta sull’altra faccia28; si tratta della presa della città di Qabra, capitale del regno di Arbela, da parte di Dadusha, secondo la sua versione dei fatti29, che nella postura del trionfatore che schiaccia il vinto sotto il suo piede svetta sulle mura urbiche di fronte ad un personaggio di alto rango nel primo dei quattro registri, dall’alto30. Seguono due registri dove vige lo schema compositivo di due personaggi affrontati e impegnati in azioni speculari connesse all’evento bellico, probabili esecuzioni imminenti di prigionieri in lacci; la raffigurazione si conclude nell’ultimo registro con le teste mozzate di nove nemici
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
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Fig. 20 b) Teste mozzate di notabili attaccate al volto da rapaci (particolare). Eshnunna. XVIII sec. a.C.
disposti su due file, probabilmente al suolo, da ritenere di notabili guerrieri, attaccate al volto da piccoli rapaci31. Notazione non secondaria mi pare quella che le teste divorate dai rapaci campiscono la base del monumento di Dadusha così come i cadaveri giacenti a terra attac-
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Capitolo IV
Fig. 20 c) Stele del sovrano Dadusha. Eshnunna. XVIII sec. a.C.
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
cati dagli avvoltoi sulle loro teste occupano il registro inferiore nella stele di Sargon I di Akkad: forse a suggerire in entrambi i casi che quell’azione di scempio sugli sconfitti sta ad epilogo della sequenza “narrativa” sviluppata sul monumento. Le nove teste mozzate della stele di Dadusha sono anch’esse anonime, (seppure ipotizzabili come appartenenti a personaggi di alto rango) come si riscontra in assoluta prevalenza nell’arco della documentazione nota; e restano intenzionalmente tali, dato che nella pur lunga iscrizione reale che correda la stele si descrive con enfasi soltanto la identità e la destinazione della testa decapitata del re di Qabra, Bunu-Eshtar, trasportata ad Eshnunna proprio dallo stesso Dadusha32, non facendo alcuna menzione ad altre esecuzioni consimili33 ma citando, senza nominarli, re ed alleati del re sconfitto, ai quali suppongo potrebbero appartenere le immagini delle teste mozzate34. Occorre infine notare che nell’apparato figurativo della stele la rappresentazione delle mura e della porta urbica della città espugnata, che ho sopra ricordato, è elemento significativo per l’originalità che riveste nel repertorio visuale fin qui noto. Lo schema compositivo e il codice ideologico che sottendono all’immagine del vincitore trionfante che sta sopra le mura della città espugnata e della sua porta urbica, in primo piano nel registro maggiore, sono qui palesati per la prima volta nel linguaggio che esalta la vittoria bellica; e risulta di particolare interesse nell’economia dell’opera la connotazione spaziale-urbanistica, che avrà in seguito, in molteplici varianti, grande favore nei programmi figurativi e nell’impatto visuale dei contesti delle azioni belliche nell’arte neo-assira. IV.6. Gli Assiri e i rapaci È proprio sui rilievi neo-assiri, dal Palazzo Nord-Ovest a Nimrud di Assurnasirpal II, nel IX sec. a.C, come dal Pa-
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Fig. 21) Cinque cadaveri di nemici al suolo attaccati da cinque rapaci (particolare). Ninive, Palazzo Sud-Ovest. Metà VII sec. a.C.
lazzo Sud-Ovest a Ninive al tempo di Assurbanipal, nel VII sec. a.C., che ricorrono rapaci intenti a divorare le teste dei nemici esanimi a terra35. Nella convulsa e animatissima scena dell’apice della battaglia di tutte le battaglie, quella di Til-Tuba, già scolpita sugli ortostati della residenza temporanea di Assurbanipal a Ninive, il Palazzo Sud-Ovest, si staglia con un ritmo di intenzionale lentezza la sequenza di cinque rapaci che divorano parti del volto e delle membra di altrettanti cadaveri di Elamiti giacenti al suolo36 (Fig. 21), a distanza di più di un millennio e mezzo dalle più antiche ricorrenze di immagini analoghe sul tema e dalla sua formulazione sulla stele di Sargon I di Akkad (v. IV.3,4). Parimenti perdura con il primo sovrano neo-assiro Assurnasirpal II sopra citato l’immagine fissata nella stele di Eannatum dei rapaci che volano trasportando la testa mozzata degli sconfitti: sul rilievo della sala del trono del Palazzo Nord-Ovest di Nimrud è quella di un nemico distinto, stretta tra gli artigli di un’aquila che procede maestosamente, fiancheggiando il carro trionfale e stando al suo passo, come farebbe un soldato cadenzando la marcia all’esibizione del trofeo37 (Fig. 22 a,b). È rimarchevole che proprio nella stessa lastra ortostatica soldati in scala minore affollino l’altra metà della scena, esibendo e conducendo alla conta teste mozzate di dimensioni relativamente ridotte, come è il caso prevalente all’epoca, e di gran lunga minori di quella in balìa dell’aquila38 (Fig. 22 b,c).
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
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Fig. 22 a) Aquila volteggia con una testa mozzata tra gli artigli accanto al carro reale (particolare). Nimrud, Palazzo Nord-Ovest. Inizi IX sec. a.C.
Fig. 22 b) Esibizione e conta delle teste mozzate. Nimrud, Palazzo Nord-Ovest. Inizi IX sec. a.C. (disegno).
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Fig. 22 c) Esibizione e conta delle teste mozzate (ingrandimento). Nimrud, Palazzo Nord-Ovest. Inizi IX sec. a.C.
“Perdere la testa”. Apetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
La scelta, certo intenzionale, di applicare due diverse scale dimensionali nello stesso partito figurativo e nello stesso contesto della scena rappresentata su questo rilievo neo-assiro degli inizi del IX sec. a.C. può essere espediente visuale per esaltare la percepibile differenza, di misura e di valore, delle teste mozzate; e segnala che in questo caso, non unico, il valore semantico conferito alle dimensioni dell’ “oggetto ambìto” che ho più sopra riproposto (v. cap. II), ricorrente nel linguaggio visuale di singole culture del Vicino Oriente antico secondo diversi codici e significati, è lo stesso apparso nel “pannello di vittoria” eblaita di età protosiriana. I casi richiamati mostrano come le azioni dei rapaci, al pari della pratica stessa della decapitazione, non siano selettive e che teste anonime e teste di personaggi verosimilmente importanti, per i codici semantici che li contraddistinguono o per dati rilevabili di altra natura, possono essere appannaggio di questi volatili. Un’ultima riflessione sul tema riguarda alcuni passi dalle iscrizioni reali neo-assire, in particolare quelle dalle fonti del IX sec. a.C. da Assurnasirpal II a Salmanasar III, ove ricorrono le metafore dei soldati vincitori che “... come uccelli scendono sulla preda...”, o ancora che “... scendono sui nemici come Anzu”39. Queste immagini retoriche riconducono nell’essenza del loro significato a linguaggi visuali già sviluppati nel III Millennio a.C. sia nel “pannello di vittoria” di Ebla, ove l’aquila a testa leonina ed ali spiegate, l’Anzu/Imdugud, il volatile attributo ed icona di Ningirsu, dio della tempesta e dell’uragano nella creazione mitica della Mesopotamia protodinastica, artiglia altri esseri misti, identificati come i nemici sconfitti (v. IV.1, Fig. 16); sia nella stele di Eannatum di Lagash (v. IV.2, Fig. 17), ove gli avvoltoi trasportano le teste mozzate dei nemici e replicano (o anticipano) le azioni degli uomini vincitori note per la prima volta nel milieu siriano. Le fonti tarde dei fasti neo-assiri sembrano dunque avvalorare l’ipotesi interpretativa che ho avanzato sul
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Capitolo IV
ruolo dei rapaci come “co-protagonisti” della esibizione della vittoria in specifiche formulazioni iconologiche.
Note al capitolo IV
1
Opera che richiamerò a breve, al cap. IV.2.
2 Secondo Testart si tratterebbe piuttosto di abitazioni: Testart 2008, pp. 34-36, 38, nota 12, figg. 2-3, ove riporta la definizione contestata di J. Mellaart come “santuario dei rapaci”.
Diversamente dalla ipotesi di Mellaart 1967, pp. 167-169, fig. 47, tavv. 45, 48-49. Sulla definizione inappropriata di “guerra” per i conflitti all’età neolitica si rimanda all’ analisi recente di Müller-Neuhof 2014, e alla sua convincente considerazione finale, Müller-Neuhof, ibidem, pp. 547-548.
3
4
Testart 2008, pp. 33 -34, figg. 2, 3.
5 Opinioni contrastanti e tesi di vari studiosi sollecitate dalla nuova ipotesi di Testart, sulla quale concordano in molti, sono state raccolte nel 2009 sulle pagine della rivista Paléorient, n. 35. 6
Testart 2008, pp. 35-39 in particolare.
7 Ipotesi alternativa, quest'ultima, che Testart tiene tuttavia cautamente aperta: Testart 2008, p. 39.
Brandes 1979, p. 159 e sgg., tav. 12; più di recente Boehmer 1999, p. 54, fig. 64. L’impronta è stratigraficamente datata al livello IVa.
8
9 Una ipotesi interpretativa delle giare nel contesto della raffigurazione sarà formulata nell’esame analitico dei documenti in altra sede. 10
Matthiae 1995, pp. 277-278.
La stele è databile alla metà circa del XXV sec. a.C. (2460 a.C.) in accordo con la fase di regno del suo committente: Winter 1985 (2010), pp. 7, 38. Il monumento celebra in sovraesposizione e con indubbio ritorno sulla figura al momento vincente di Eannatum una fase dell’annosa vicenda dei confini tra le città-stato di Lagash e di Umma per il monopolio delle risorse idriche, durata per circa un secolo e mezzo, e che sembra aver punteggiato la fase storica più serrata dei conflitti tra città-stato mesopotamiche nella seconda metà del III Millennio a.C, probabilmente per disomogeneità e scarsezza di dati al riguardo su quello scenario, prima della effimera unificazione sotto il sovrano Lugalzaggesi di Uruk e la rapida ascesa di Sargon I di Akkad. Per l’esegesi dell’iscrizione cf. Cooper 1986, pp. 33-40. Sulla storicità degli eventi rappresentati sulla stele degli avvoltoi già Winter 1985 (2010), pp. 4-6, 11 e sgg., 17, 19 è di questo avviso, così come Alster 2003-2004, e chi scrive, in Dolce 2005, pp. 149-150; cf. anche Nadali 2007, pp. 355356 e Miglus 2008, p. 231; all’obiezione di
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Capitolo IV
Miglus, ibidem, pp. 231-232 che il re non poteva combattere in prima linea per ovvi motivi di salvaguardia del massimo rappresentante politico e militare si può rispondere che sulla stele la realtà delle azioni è sviluppata per apici e, in termini più generali, che anche laddove il re non si espone è evidente il suo ruolo di protagonista, come accade nei rilievi neo-assiri e nelle relative narrazioni testuali. La prospettiva privilegiata nella recente lettura della stele di Asher-Greve è che il monumento, nella sua interezza visuale e testuale, sia orientato verso la ricerca di una condizione di pace, obiettivo di fondo nella guerra sempre guerreggiata e mai di definitiva risoluzione tra i due stati di Lagash e di Umma, come desumibile dalle fonti; e che gli dei che intervengono negli avvenimenti e che presiedono al giuramento di un trattato - a tempo - tra le parti siano piuttosto di livello sopraregionale, quali Enlil e sua moglie Ninkhursag: cf. Asher-Greve 2014, pp. 32-34. Noto tuttavia al riguardo che, da un lato, la sovraesposizione dell’impresa narrata sulla stele rispetto all’entità circoscritta dei fatti storici e alla loro ricorrenza per varie generazioni, come ho appena richiamato, e, dall’altro, la riconoscibilità esauriente di Ningirsu nella figura maestosa sull’altra faccia, e la gerarchia di ruoli e di poteri che serpeggia nelle due facce maggiori del monumento tra il “Signore” della città - il dio patrono - e l’ensi della città - il sovrano - inducono a ritenere che il dio e la dea investiti nella scena siano quelli da tempo e da più parti proposti. 12 L’iscrizione apposta sulla stele non si riferisce puntualmente all’evento qui rappresentato ma più genericamente all’annoso conflitto tra Lagash ed Umma secondo Cooper 1983: pp. 13-14, pp. 45-48. La discrasia tra rappresentazione e testo della stele è stata notata da Winter 1986, p. 210, e interpre-
tata da Pollock 1999, p. 184 come attinente alle diverse modalità di comunicazione del testo e delle immagini in relazione a distinti destinatari, e secondo una prassi che sarebbe già posta in atto nel pieno III Millennio a.C., nel Periodo Protodinastico. Più in generale, lo stesso Cooper si mostra scettico su effettive corrispondenze tra testi ed immagini nelle opere che presentano entrambi questi apparati e che hanno una rilevanza nel contesto storico di appartenenza, considerandole piuttosto esito di repliche figurative di tradizionali clichés letterari: Cooper 1990, pp. 45-48. Di diverso avviso I. Winter che da tempo ha delineato una ricostruzione rinnovata del monumento contestualizzandolo storicamente proprio sull’apparato figurativo e testuale: cf. Winter 1985 (2010); per alcune opinioni concordi con la sua tesi si veda nota 11. Nell’iscrizione della stele di Eannatum sono chiari tuttavia a mio avviso i riferimenti alla consequenzialità delle azioni belliche e delle procedure associate condotte da Eannatum e stigmatizzate sull’apparato figurativo dell’opera, dal muovere contro il rivale di Umma, Enakale, all’erigere cumuli di corpi sullo stesso campo di battaglia per la loro estinzione, all’erigere la stele in onore del dio poliade Ningirsu, celebrato platealmente con la sua immagine sul monumento, e di disporne prevedibilmente la sede nel suo tempio a Girsu, luogo eletto, in accordo con le considerazioni su questo santuario espresse da Winter 1985 (2010), pp. 30, 35. La definizione di questa faccia come “human side” in contrapposizione all’altra definita “divine side” in Nadali 2007, pp. 355-356, sebbene efficace non pare del tutto condivisibile, per la estrema frammentarietà della stessa ove pure compaiono rituali di libagione al cospetto di un personaggio seduto in trono e di cui resta solo la parte inferiore, di controversa e non accertata 13
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
identità nelle interpretazioni fin qui proposte, citate da Winter 1985 (2010), pp. 12-13, in una esauriente disamina ove pure richiama proposte appellative dei due lati maggiori della stele di altri studiosi e offre una icastica definizione per l’una e per l’altra, rispettivamente come “narrative” ed “iconic”: Winter 1985 (2010), pp. 17-18, 34. Cf. nota 11 e cap. VI.2 per le ulteriori e successive vicende sullo stesso conflitto documentate dalle fonti e dalle immagini.
14
Dolce 2005; la convinzione lì esposta trova rispondenza in quella di molti altri studiosi: cf. nota 11.
15
16 Per considerazioni su questa ed altre immagini dai rilievi palatini del IX sec. a.C. si rimanda al cap. IV.6. Condizione analoga si registra, significativamente, dai dati delle fonti delle iscrizioni reali del III Millennio a.C. ed oltre, ove citazioni su rapaci che si avventano sulle vittime umane sono addirittura assenti: cf. Cooper 2008, p. 78, nota 58. 17 Si tratta di preziose testimonianze figurative e testuali su impronte glittiche apposte su bullae per sigillature di porte provenienti da contesti ufficiali e regali della Ville II di Mari, periodo di fioritura della città di ancora complessa definizione storico-cronologica, situabile al tardo Periodo Protodinastico o agli inizi dell’età di Akkad: Beyer 2007, pp. 236-237; cf. pp. 249-253 per le impronte da sigilli cilindrici del lugal Ishqi-Mari. A seguito di alcuni confronti analitici con opere figurative di certa attribuzione al Protodinatico III e di comparazioni, a mio avviso più tenui, con la rappresentazione sulla stele di Sargon I di Akkad, l’unica opera certa di tale sovrano per l’iscrizione che reca il suo nome, Marchetti attribuisce la statua del re Ishqi-Mari (cf. nota 18) al Protodina-
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stico IIIb finale: Marchetti 2006, pp. 137-138; e alternativamente al periodo “protoimperiale”: Marchetti, ibidem, p. 158; d’altro canto, l’A. sostiene che proprio le due immagini sulle due impronte dello stesso re, qui in esame, abbiano similarità con la stele di Sargon I, considerandole cronologicamente vicine a tale opera. La disamina di Marchetti in merito lascia la questione aperta, confermando sostanzialmente l’arco temporale proposto da Beyer. 18 Come attesta la breve iscrizione con nome e titolo del sovrano sull’impronta da uno dei due originari sigilli: Beyer 2007, p. 249, nota 63; sull’altra impronta da un secondo sigillo reale si legge oltre al nome proprio e al rango anche il titolo di rappresentante del dio Enlil: Beyer 2007, p. 253. In occasione della table ronde su “L’Iconographie de la guerre au Proche-Orient ancien” tenutasi alla Maison de l’Orient et de la Méditeranée a Lione nel dicembre 2012, D. Beyer ha aggiornato di nuovi dati le due impronte mariote a seguito di un’analisi mirata del tratto grafico della figura del re che compare su entrambe, rilevando che le rappresentazioni dello stesso sovrano Ishqi-Mari non attengono due periodi distinti del suo regno l’uno in età più giovanile e l’altro più avanzata; e, a mio parere, riguardano forse la memoria di uno stesso avvenimento bellico di particolare rilevanza per la storia di Mari.
Al riguardo si nota che nel programma figurativo ed ideologico dei sigilli del lugal Ishqi-Mari ove il focus è costituito dal tema bellico e della vittoria sui nemici compaiono soggetti mitici ed elementi simbolici che hanno un ruolo nella sintassi dell’evento celebrato e nella sua comunicazione visuale, tentativamente interpretati da Beyer 2007, pp. 252-253; come è il caso degli esseri misti aquile leontocefale - che punteggiano la 19
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Capitolo IV
presentazione del “pannello di vittoria” di Ebla protosiriana (v. cap. IV.1). La ricorrenza di scene belliche o collegate ad avvenimenti di guerra nella documentazione glittica pervenuta e nota di Siria e di Mesopotamia, pur segnalata da Beyer 2007, p. 252 dalla raccolta in Jan, Bretschneider 1998, pp. 167-173, si circoscrive tuttavia a una quarantina di impronte, tra le quali quelle di certa provenienza (da Ur, da Tell Brak-Nagar) e di esplicita rappresentazione del tema sono cinque, datate tra Protodinastico IIIb finale ed inizi di Akkad. Scena certa di scontri bellici in atto e di memoria di avvenimento bellico si riconosce in un solo caso, a mio avviso, nella documentazione da Tell Beydar dall’area palatina regale: Jan, Bretschneider 1998, pp. 158-160, in particolare p. 158, tav. I, Bey.1., e p. 164 per lo specifico richiamo degli autori a questa impronta. La scena rappresentata è di nuovo di recente classificata nel gruppo delle wagon scenes e appare a mio avviso il documento più esauriente al riguardo della glittica dal centro siriano: Jans, Bretschneider 2011, pp. 75-77; Jans, Bretschneider 2014, p. 403, figg. 14, 48. Rilevata da Beyer 2007, pp. 251-252; per ulteriori considerazioni sulla presenza della testa mozzata sul carro e l’impianto compositivo della rappresentazione cf. Dolce 2014b, p. 202, nota 99. Sulla questione dei sovrani di Mari e di Ebla distruttori o succubi della rispettiva città nemica si veda la sintesi di Charpin 2005 e per alcune considerazioni sulle circostanze storiche e le ipotesi sulla distruzione di Ebla protosiriana matura Dolce 2008, pp. 550-551, nota 21. I dati testuali emersi a Mari nell’ultimo decennio fanno ritenere certo che questa città-stato fosse ancora attiva dopo la scomparsa di Ebla, caduta molto probabilmente per mano dei rivali marioti: cf. Archi, Biga 2003, pp. 29, 31, 35; e sotto la guida del re di
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Mari Hida’ar, secondo Charpin 2005. Una ipotesi analoga su questo scenario è stata avanzata nel 2001 da chi scrive, alla comunicazione presentata al Convegno Internazionale “From Relative Chronology to Absolute Chronology: The 2nd Millenium BC in Syria-Palestine” presso l’Accademia dei Lincei in Roma, e i cui atti sono apparsi solo nel 2007: Dolce 2007, p. 172, nota 3. Nel convulso affresco corale della battaglia di Til-Tuba, la più celebrata mediaticamente per immagini e nelle fonti scritte, tra i successi di Assurbanipal: nella fase cruciale delle azioni sul campo di battaglia ancora in armi compare sul carro la testa mozzata del re elamita Teumman, esibita fieramente da un soldato assiro. È questo un dettaglio non trascurabile che segna un distinguo dalla esposizione solitaria della testa del nemico, forse il re antagonista, sulle impronte regali di Mari; e che rivela a mio avviso la priorità di comunicare il possesso tattile della spoglia umana e non solo il compimento dell’atto. Per le sequenze in questione cf. Barnett et alii 1998, pp. 94-95, tavv. 288-289. 21
22 La paternità certa della committenza dell’opera si desume dalla pur esigua iscrizione che reca il suo nome; un’ampia disamina del monumento è stata condotta proficuamente da L. Nigro a seguito di seminari tenuti da chi scrive negli anni 90’ e di dialoghi sull’arte ufficiale akkadica: Nigro 1997, pp. 367-377; Nigro 1998, pp. 93100 (vers. inglese). 23 Tali considerazioni e le altre che argomento sul tema dei rapaci per l’unico monumento iscritto al nome del fondatore della dinastia di Akkad non entrano nel merito dell’attribuzione cronologica dell’opera, considerata da Nigro 1997, p. 378 più recente del
“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
cippo scolpito con la rappresentazione del sovrano trionfante su un prestigioso rivale; attribuzione che non incide sulle valutazioni d’ordine programmatico ed ideologico del tema specifico trattato in questo lavoro. Seppure è d’obbligo mantenere riserve per le parti dell’opera lacunose o mancanti.
24
25
Nigro 1997, p. 376.
26
Nigro 1997, p. 377.
Intorno al 1780 a.C.: Charpin 2004, p. 151; si rimanda a questo studio di D. Charpin per il dossier sulle ricerche pregresse, l’analisi densa sul contesto storico-politico aggiornato da ulteriori documenti e lo stato dell’arte sulla stele di Dadusha con particolare riguardo all’esegesi dell’iscrizione (ma non solo). 27
Charpin 2004, pp. 152-157, con apparati critici e commenti alle precedenti traduzioni e interpretazioni. La stele è restituita, dopo un restauro, in condizioni di parziale leggibilità delle immagini ed anche della lunga iscrizione reale che la correda e che riferisce sull’evento storico. 28
Versione che è contestata da Charpin 2004, p. 166 su dati testuali, ridimensionando il ruolo di Dadusha a co-primario per l’invio di un grosso contingente di soldati; opposta interpretazione è proposta da Nadali 2008, pp. 132-133. I protagonisti dell’impresa, come recita l’iscrizione, sono il re di Eshnunna, Dadusha, e il più potente Shamshi-Addu, re di Ekallatum, temporaneamente alleati per la conquista ambiziosa del Nord della Mesopotamia. Tale avvenimento storico di notevole portata politica ha una versione alternativa, per così dire, sia nei pochi resti figurativi che in quelli iscritti di una stele da 29
85
Mardin, ove il protagonista e il committente è considerato lo stesso Shamshi-Addu I; per il ruolo primario di Shamshi-Addu I in un più vasto progetto politico e territoriale di espansione nell’Alta Mesopotamia ove s’inscrive anche la presa del regno di Qabra-Arbela cf. Ziegler 2004, pp. 22-23; cf. Moortgat 1969, pp. 72, 84-85, tavv. 204, 205, tra i primi a sviluppare considerazioni e attribuzioni puntuali storico-artistiche del monumento; per ulteriori e più recenti interpretazioni cf. Matthiae 2000, p. 132. Per l’esegesi dell’apparato figurativo e le proposte interpretative dei singoli soggetti fin qui avanzate da vari studiosi cf. Nadali 2008, p. 133 e sgg. e relativa bibliografia. Una notazione in merito al secondo personaggio su questo primo registro della stele, difficilmente identificabile ancora con lo stesso Dadusha come a ragione rilevato da Nadali, ibidem, pp. 135-136, è che sembra attenere un diverso livello di rappresentazione e di comunicazione nell’economia dell’opera, anche se nel ruolo di interlocutore.
30
La proposta di nove teste piuttosto che di dieci, come in precedenza supposto da Miglus 2003, p. 401, è stata convincentemente avanzata da Charpin 2004, p. 158, nota 14, in base alla citazione nell’eponimo di un testo di Mari di nove re sconfitti proprio nell’anno dell’avvenimento bellico celebrato nella stele, come segnalato da Ziegler; la dizione di “re” per i nove nel documento mariota supporta l’identificazione che propongo come “teste eccellenti” per quelle presenti sulla stele di Dadusha. Cf. anche nota 34. 31
32
Charpin 2004, p. 154, 5)
33
Charpin 2004, p. 158.
34
L’identità di questi signori privati della
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Capitolo IV
testa in battaglia resta una questione aperta: alla menzione generica nell’iscrizione di re ed alleati del sovrano sconfitto e decapitato fa’ seguito il passo che recita “...j’ai étendu sur eux le silence”, secondo la lettura di Charpin 2004, p. 154, 5); da altre fonti testuali si apprende che alcuni membri della famiglia del re sconfitto furono risparmiati da Dadusha: Charpin 2004, pp. 165-166, nota 53; tale circostanza, se veritiera, non è tuttavia contemplata nell’iscrizione della stele dal protagonista vincitore il quale, comprensibilmente, tiene ad esaltare la piena vittoria sui nemici e la loro dissoluzione. Meuszyński 1981, p. 21, tav. 2, lastra B11, partito superiore, lastra B3, partito inferiore (Assurnasirpal II, Palazzo Nord-Ovest di Nimrud); Barnett et alii 1998, pp. 94-95, tavv. 297, 299, partito superiore (Assurbanipal, Palazzo Sud-Ovest di Ninive).
35
Barnett et alii 1998, pp. 94-95, tavv. 297, 298, particolare della lastra 3 della sala XXXIII del ciclo di rilievi scolpiti sotto il regno di Assurbanipal.
36
Meuszyński 1981, pp. 20-21, tav. 2, lastra B6, partito superiore. La partecipazione del volatile all’esibizione delle teste mozzate è anche allusa dalla presa del rapace sull’ “oggetto ambìto” e dal suo portamento tronfio di tipo antropomorfo. 37
Meuszyński 1981, p. 20, tav. 2, lastra B6, parte sinistra del partito superiore.
38
39 Grayson 1991, testo A.O.101.1, p. 204 (3338) ove è Assurnasirpal II in persona “l’eroe” che plana sui nemici come un volatile e sopra i corpi appilati, dunque riconoscibile come uccello predatore; cf. pp. 197-198 (58b-69a); p. 210 (103b-110a) ove invece sono i suoi soldati che planano come uccelli sui temibili avversari o come l’uccello della tempesta, l’aquila leontocefala, l’Imdugud sumerico. Metafore analoghe ricorrono nei testi A.O.101.17, pp. 241, 248 (81b-90), p. 250 (60b-83a) e A.O.101.19, p. 260 (70-77a). Tali iscrizioni erano apposte a Nimrud su monumenti ufficiali e tra i più celebri del regno di Assurnasirpal II, quali stele (nn. 17, 19), o incise sulle mura di luoghi di culto (n. 1), come nel tempio del dio Ninurta, divinità molto rilevante e con caratteri prossimi a quelli del dio Ningirsu di origini sumeriche, ed anch’esso Signore della guerra. Metafora analoga tra vincitori e l’Anzu/Imdugud che si avventa sui nemici ricorre sulle iscrizioni delle porte di Balawat, opera di Salmanasar III, a metà del IX sec. a.C.: Grayson 1996, testo A.O.102.5, pp. 29-30 (3b-6); per le rappresentazioni sulle bande a sbalzo apposte sui battenti in legno di cedro v. cap. III.3. Nel sito di Balawat, poco distante dalla prima capitale neo-assira, già Assurnasirpal II fece erigere due porte con bande in bronzo a sbalzo a decorazione figurata anche a tematica bellica, e corredate di iscrizioni, collocate nel suo palazzo locale e al Tempio di Mamu: cf. Curtis, Tallis 2008.
Capitolo V
V.1. In movimento nello spazio e nel tempo Un minimo comune denominatore per alcune delle procedure connesse alla decapitazione dopo il compimento di questa risolutiva pratica attiene la mobilità della testa nello spazio e nel tempo. La spoglia per eccellenza del nemico, il fulcro di tutte le energie, positive e negative, dell’individuo e delle sue potenzialità, è passibile infatti della rimozione dal luogo dell’accadimento, prevedibilmente in tempi ridotti, e del trasferimento ad altra méta come parte del “bottino” (v. cap. III)1. Il trasporto della testa mozzata da un luogo ad un altro è immagine manifesta nella Siria del III Millennio a.C., ricorrente nella documentazione visuale proprio al volger tra II e I Millennio a.C. e prevalente nel I Millennio a.C. dalle capitali e dalle sedi provinciali dell’impero neo-assiro, secondo modalità, condizioni e valenze non sempre univoche, e talvolta distinguibili da “dettagli” del messaggio visuale. Questo atto connesso alla decapitazione è il catalizzatore delle azioni sviluppate nelle rappresentazioni belliche, accanto alla sfilata dei prigionieri ancora in vita esibiti in lacci, immagine che per prima popola le raffigurazioni dell’Età Protostorica, dalla Mesopotamia all’Elam2; e che prevale nei monumenti ufficiali dei sovrani delle città-stato del Periodo Protodinastico, dalla Mesopotamia alla Siria, e della dinastia di Akkad3.
90
Capitolo V
Fig. 23 a) Accumulo e conta delle teste mozzate nel bilancio della vittoria (particolare). Ninive, Palazzo Sud-Ovest. Metà VII sec. a.C.
La mobilità di alcune teste e la loro destinazione sono talvolta oggetto di descrizione nelle fonti testuali e presenti fin dai documenti più antichi, qui sovente menzionati, degli Archivi Reali di Ebla protosiriana4. È evidente che la mobilità dell’ “oggetto ambìto” e la relativa testimonianza del suo percorso da un luogo ad un altro diventa in casi precipui evento che conferisce un valore aggiunto all’atto risolutivo della decapitazione, per l’importanza politico-ideologica che riveste l’obiettivo della collocazione della spoglia nel luogo previsto e, in casi speciali, per l’attenzione riservatale, durante il tempo della traslazione.
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Fig. 23 b) Accumulo e conta delle teste mozzate nel bilancio della vittoria (particolare). Ninive, Palazzo Sud-Ovest. Inizi VII sec. a.C.
Sul piano più generale, anche il trasporto di teste mozzate dal luogo del massacro a quello dell’accumulo e della quantificazione, presente in numerosi casi nei documenti visuali neo-assiri (Fig. 23 a,b,c) riveste a mio avviso un qualche valore rappresentativo, finalizzato alla logica di ottimizzazione dell’entità della vittoria. La presenza martellante di questo “oggetto inanimato ed ambìto” che circola tra le immagini dinamiche di battaglie e di molteplici azioni di guerra raggiunge comunque l’effetto di potenziarne il valore e di mantenere alta l’attenzione su questa icona del trionfo.
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Fig. 23 c) Accumulo e conta delle teste mozzate nel bilancio della vittoria. Ninive, Palazzo Sud-Ovest. Inizi VII sec. a.C.
V.2. Come viaggia la testa? La mobilità della testa che attraversa piccole o grandi distanze per raggiungere collocazioni differenti si attua con mezzi di trasporto umani e non, come si è già accennato, ai quali sono connesse finalità diverse della esibizione della spoglia. Sono un mezzo innanzitutto i soldati che rimuovono dal campo di battaglia quell’ “oggetto ambìto” e lo trasportano a mano; lo sono gli emissari di alleati del vincitore e di aspiranti al ruolo di favoriti che recapitano al sovrano la prova irreversibile della dissoluzione del nemico, in forma di “dono”; lo sono quegli alleati del re sconfitto costretti a trasportare sul loro stesso corpo le teste del capo supremo e di altri personaggi eminenti, in un macabro e umiliante tragitto che prevede tappe ed esibizioni temporanee di queste preziose spoglie5. È un mezzo, nella sua coralità, lo scenografico corteo di soldati, di musici e di cantori che accompagna in un “viaggio” costellato da tappe e rituali fino all’ultima destinazione teste eccellenti di nemici, trattamento riservato probabilmente nella gerarchia di potere a personaggi di parigrado dei rivali vincitori6; e lo sono i rapaci, quando si appropriano di quelle spoglie e le trasportano altrove.
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Un mezzo di massima esibizione e di particolare enfasi comunicativa è il carro, sul quale viaggiano di certo teste di personaggi di rilievo, esposte alla pubblica vista durante il tragitto che può coprire anche lunghe distanze, come una sorta di icone mobili della risolutiva dissoluzione dell’antagonista. Questo mezzo della circolazione esibitoria dell’ “oggetto ambìto” è componente centrale su entrambe le raffigurazioni belliche della glittica reale di Mari-Ville II costituendo dunque già parte del repertorio iconologico e dell’ apparato ideologico della comunicazione visuale nella metropoli protodinastica della Siria7 (v. cap. IV.3, Fig. 18 a,b). È ancora il carro al centro dell’ultimo atto della circolazione della testa del re elamita Teumman nella saga sviluppata sui rilievi della battaglia di Til-Tuba; qui la mobilità della spoglia del potente avversario si avvale di diversi mezzi e si snoda per tappe temporali ed ideali, risultando una sorta di parabola delle forme concorrenti al viaggio finale dell’ “oggetto ambìto.” Dal primo soldato, esecutore della decapitazione, che esibisce il trofeo con palese vanto, procedendo tra la concitata folla dei soldati nella battaglia ancora in corso (Fig. 24), la spoglia di Teumman passa di mano in mano fino al trasporto su un carro, che non è quello del sovrano in capo. Questo dettaglio mira forse a rimarcare l’ingiuria, aggiunta alla umiliazione subita dal re elamita per gli atti che precedono la sua uccisione, non solo di aver perso la testa per mano di “un comune soldato”8 ma anche di percorrere il suo ultimo viaggio su un “comune carro”9 (Fig. 25). L’ultimo atto della circolazione della testa di Teumman sul carro che la condurrà fino alla sede dell’impero risulta l’apice dell’incalzante procedere degli accadimenti, nello spazio e nel tempo, nel racconto epico della battaglia e della vittoria10; e produce l’effetto di un impatto visuale di forte significato comunicativo, supportato dall’importanza dell’identità specifica di chi “ha perso la testa”11.
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Fig. 24) La testa di Teumman esibita nel pieno della battaglia in corso (particolare). Ninive, Palazzo Sud-Ovest. Metà VII sec. a.C.
Fig. 25) La testa di Teumman trasportata sul carro (particolare). Ninive, Palazzo Sud-Ovest. Metà VII sec. a.C.
Note al capitolo V
1 Non si può asserire nè accertare neppure per la documentazione più esaustiva per immagini, quella neo-assira, se l’intero “bottino” di teste mozzate fosse gestito o meno secondo tale prassi, sebbene le già ricordate innumerevoli citazioni nei testi dei sovrani assiri di centinaia di spoglie del genere fanno piuttosto supporre una intenzionale obliterazione.
Cf. Dolce 2014a, pp. 240-241 e nota 8, fig. 1a (da Tepe Gawra), 1c (da Susa). 2
Dal pannello del Palazzo A di Kish allo stendardo di Ur alle cospicue testimonianze dai Palazzi Presargonici di Mari e dalle sue officine di produzione degli intarsi, un primato mariota, al “pannello di vittoria” della Ebla agli esordi dell’apice del potere, fino alle stele della prima e della seconda generazione dei sovrani di Akkad: Dolce 1978, pp. 78-80, 185 sgg., tavv. IX, X, XXI; Margueron 2004, pp. 290-291, figg. 279, 280; Margueron 2014, p. 267 e sgg., 284-288; Matthiae 1995, tav. p. 274; Amiet 1975, tav. 98; Moortgat 1969, tavv. 134-138. 3
Si rimanda al riguardo al cap. III.2; per i dati dagli archivi di Ebla cf. Archi 1998, pp. 388-389; Archi 2005, pp. 88, 89-90; Biga 2008, p. 307; Archi 2010, p. 32; Tonietti 2013, pp. 161- 169.
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5 Come il re Dunanu rappresentato nell’epico trionfo di Assurbanipal: Barnett et alii 1998, pp. 96-97, tavv. 304-305; Dolce 2014a, pp. 249-250; cf. cap. III.3. 6 Villard 2008, p. 258 e sgg. ha ben tracciato l’atmosfera e il senso di quella scenografica e solenne cerimonia trionfale ove la testa del re elamita Teumman è sempre al centro delle azioni e delle tappe che cadenzano il lungo percorso dal campo di battaglia fino a Ninive e ad Arbela; cf. cap. III, nota 29. 7 Ci si chiede se la decapitazione, pure praticata e testimoniata dalla glittica reale, non fosse esibita nella comunicazione visuale nella stessa forma già nota ad Ebla anche a Mari, sito dal quale proviene la più ampia produzione di tali soggetti e di pannelli ad intarsio a tema bellico dell’intero Periodo Protodinastico; per la sintesi della produzione cf. Margueron 2004, p. 290 e sgg.; cf. nota 3. Ci si interroga anche sulla assenza di evidenze di tale esibizione delle teste decapitate nella contemporanea Mesopotamia. Un dato di fatto, allo stato attuale della documentazione, è che la fonte di elaborazione di alcuni linguaggi visuali cardine dell’esibizione della testa mozzata per i secoli a venire nella Mesopotamia si trova nel milieu siriano dei due maggiori regni della metà del III Millennio a.C., Ebla e Mari.
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Barnett et alii 1998, p. 95.
La notazione di Watanabe 2008, p. 602 e nota 6, che il carro impiegato per trasportare la testa di Teumman risulti elamita per la sua struttura, mette in luce a mio avviso ulteriori elementi del linguaggio per immagini: quello di un doppio bottino, il carro e l’ “oggetto ambìto”; e di un doppio spregio, la testa regale esibita e posta su un carro dei vinti, da parte dei vincitori assiri. Una sorta di parabola della condizione che subisce la stessa testa regale di Teumman quando circolerà appesa al collo di un suo fedele alleato, Dunanu. In questo ulteriore dettaglio il messaggio visuale risulta diverso da quello che in circostanze affini e molti secoli addietro si manifesta nei sigilli regali di vittoria del tardo Periodo Protodinastico del re di Mari Ishqi-Mari, sopra considerati, ove compare una testa mozzata, verosimilmente del re vinto, esibita sul carro del re vincitore. Ho da tempo esposto altrove l’opinione maturata dall’osservazione dei contesti narrativi nelle scene più esaurienti che i carri rappresentati nelle celebrazioni di vittorie di eventi bellici già nella Mesopotamia protodinastica siano da considerare simbolicamente e concretamente la sede mobile della regalità vittoriosa: Dolce 2010, p. 50, nota 28. 9
10 Nella narrazione sapientemente concitata, tra lo stridore delle armi e delle voci dei contendenti, della battaglia sul fiume Ulai e della vittoria, durevole nella memoria storica ancorchè effimera per le sorti dell’impe-
ro neo-assiro, i vari fattori che concorrono a sviluppare nell’ordito figurativo la serrata sequenza nel tempo e nello spazio delle azioni e delle loro conseguenze sono efficacemente colti da prospettive diverse da Baharani 2004, p. 116 e sgg; Baharani 2008, pp. 54-55; e da Watanabe 2008, p. 602 e sgg. Tale modalità di esposizione mobile, per così dire, della testa mozzata e la sua relativa collocazione temporanea sopra considerate appaiono dettagli significanti nella logica della comunicazione dell’avvenuto atto risolutivo contro il nemico distinto piuttosto che “common detail” nelle rappresentazioni mesopotamiche del tema come propone Miglus 2008, p. 234, evocando le immagini sulle impronte glittiche del re Ishqi-Mari di Mari; per le diverse considerazioni di chi scrive sulla glittica reale di Mari che restituisce la prima evidenza fin qui nota di una testa mozzata deposta su un carro in un contesto bellico e per il valore che riveste nella comunicazione visuale a lungo termine, fino all’età neo-assira, si veda cap. IV.3. L’epilogo del viaggio mediatico compiuto da Teumman prima di raggiungere i giardini del Palazzo Nord di Assurbanipal si riconosce a mio avviso in quell’atto rituale del sovrano stesso che afferra nelle sue mani la testa del re elamita, offertagli dai soldati, alla porta di Ninive; e la offre, a sua volta, in dono alle forze divine, versandovi libagioni di vino, come recita un passo di quel testo sulla celebrazione della vittoria più sopra richiamato (cap. III. 2, nota 21), unica traccia superstite del relativo rilievo perduto. 11
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VI.1. “Altre” decapitazioni in tempo di guerra Sulle procedure e sui significati inerenti la decapitazione nella comunicazione visuale del Vicino Oriente antico molti aspetti restano ancora da esplorare, sebbene nella mia convinzione un dato di fondo emerge come prioritariamente selettivo. Richiamando quanto ho espresso all’inizio e nel corso di questo studio, la decapitazione è procedura a sé stante, di grande impatto emotivo nella comunicazione visuale e con valenze complesse e connesse sia ai soggetti passivi che attivi coinvolti nell’atto. Il potere evocativo, a lungo termine, della testa avulsa dal suo corpo, resto inanimato eppure non silente, e i suoi effetti sulla memoria collettiva, come testimoniano casi qui indagati, indicano che all’azione del taglio della testa è sottesa una sorta di originaria sacralità, che dà a questa pratica i contorni di una forma rituale. Tale connotazione alimenta l’atto risolutivo che porta a perdere la testa anche fuori dallo scenario di maggiore visibilità, che è quello bellico; e investe immagini “altre”, di umani e di dei. È noto da tempo il trattamento di intenzionali mutilazioni di immagini divine ed umane, tema di ricerca e di dibattito duraturi1, ma anche di studi incentrati specificamente sull’accanimento sui volti e sulla decapitazione di statue2, fino alla recente opera sull’iconoclastìa ove si colgono molti spunti di riflessione sul senso di questo atto3.
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L’aspetto che si intende qui porre in luce attiene la specularità riconoscibile nella decapitazione e nelle azioni connesse alla “perdita della testa” di soggetti umani eminenti e di statue di soggetto umano e divino, entrambi catalizzatori di energie vitali, limitando il raggio d’analisi al loro coinvolgimento in avvenimenti storici di carattere bellico. Ci si chiede dunque se anche le teste avulse da statue di soggetti umani e divini siano vettori di significati e di valori peculiari e a lungo termine come lo sono quelle di nemici illustri vinti in battaglia fissate nelle immagini. È opinione prevalente che le motivazioni dell’atto dissolutorio della decapitazione delle statue e delle immagini in genere siano d’ordine politico ed ideologico4; vorrei tuttavia rimarcare al riguardo di questa diffusa opinione che tra le varie azioni demolitorie delle immagini secondo una prassi di lunghissima durata5 la privazione della testa nel Vicino Oriente antico resta a mio avviso l’atto estremo e risolutivo, non “negoziabile” con altre offese, ove quel valore “magic and performative” delle immagini mesopotamiche riconosciuto da Z. Baharani trova qui piena accoglienza6. Motivazioni di diverso segno sembrano invece soggiacere alla deposizione di statue acefale in contesti “secondari” di ambito cultuale-religioso, come l’avanzare delle analisi sulla documentazione nota di Mesopotamia e i dati dagli scavi più recenti di Mari ci fanno presumere7. Tra i trattamenti riservati in guerra alle statue di soggetti eccellenti di Paesi assoggettati, quelle di sovrani e di divinità venivano deportate, talvolta decapitate e spesso esibite nella terra dei vincitori8. In particolare, consta dai testi neo-assiri9 che le statue di re vinti venivano mutilate e condotte dall’Elam in Assiria insieme con quelle di altri sovrani di quel Paese, deportate da Susa e da altri siti10: come non considerare queste pratiche parallele a quelle del trasporto di teste mozzate di vinti eccellenti e della loro esibizione nei modi che ho precedentemente richiamato?
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Diversamente accade per le statue e le immagini salienti di protagonisti della storia politica mesopotamica che fanno il percorso inverso, trasmigrando dalla Mesopotamia all’Elam, al seguito dei sovrani elamiti, dalla stele di Naram-Sin di Akkad a quella di Hammurapi di Babilonia11. Il “viaggio” di opere celeberrime, fin dall’antichità, dalla loro terra originaria a quella dei temporanei invasori è già di per sé esibizione di un bottino speciale che, una volta raggiunta la destinazione forzata, diventa un patrimonio storico-politico dei fasti trascorsi del Paese nemico, acquisito dai conquistatori ed esibito nelle loro sedi ufficiali12. Una tale operazione di “tutela” (delle spoglie dei monumenti del rivale illustre) denota finezza politica e accresce il prestigio del vincitore, che non annienta le immagini del nemico, che non teme, ma se ne appropria; ed estende implicitamente il suo controllo anche sul passato della Terra di Sumer e di Akkad che ha devastato. È questa un’operazione opposta e speculare a quella di destrutturazione delle immagini, e con analoga finalità: l’annientamento della entità, della credibilità e del prestigio a lungo termine del potente avversario. Un dato interessante segnalato di recente è che nella statuaria la decapitazione è spesso associata a danni specifici sui volti sia di dèi che di mortali13; questa operazione marca un distinguo dal trattamento usuale riservato alle teste decollate dei nemici, variamente esibite prima dell’ultima destinazione e non oggetto di sfregio ulteriore a giudicare dalle immagini. L’accanimento sui volti delle statue associato alla decapitazione che forse lo precede, secondo dati di iscrizioni14, è mezzo di annientamento ulteriore della riconoscibilità del soggetto, con l’intento di annullarne ogni traccia identitaria. Esiti recenti delle analisi sulla decapitazione delle statue condotte da N. May15 concordano con valutazioni
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che ho altrove da tempo avanzato sulla rimozione della testa come l’unica forma definitiva di ridurre l’altro a qualcosa di inanimato, senza vita, nei mortali così come nelle “statue viventi” umane e divine16. VI.2. Cosa avviene delle teste mozzate delle statue? Dalla casistica fornita dalla fonti scritte si richiamano alcuni passi che illuminano sulla specularità di azioni connesse alla “perdita delle testa” sia da parte di soggetti umani che di statue divine ed umane, nell’ambito di avvenimenti relativi a conflitti bellici e alla mobilità degli uni (gli umani) e della altre (le statue). Al tempo della III dinastia di Ur, nell’ultimo secolo del III Millennio a.C., sembra che il sovrano fondatore Ur-Namma, una volta acquisito il controllo su Lagash, fece tagliare le teste delle statue dell’ultimo ensi di Lagash Namaḫni e di sua moglie Ninḫedu e cancellare i loro nomi; quindi le tradusse fino alla capitale del suo regno, ad Ur, e dispose che venissero esposte sulla porta urbica della città, alla pubblica vista17. Appare evidente che la decapitazione delle statue regali (talvolta al di là del genere, come in questo ultimo caso, prevalendo piuttosto il ruolo dei personaggi), il trasporto da Lagash ad Ur e infine l’esposizione sulla porta urbica della capitale del più vasto stato mesopotamico nell’ultimo secolo del III Millennio a.C. sono operazioni di massimo effetto mediatico e rispondono a quel paradigma di azioni e di finalità riconosciuto per le teste mozzate di personaggi eminenti nel corso di questo studio. Il trattamento riservato dagli invasori alla statua della dea Nin.e’-iga ad Ur è analiticamente riportato nella “Lamentazione sulla distruzione di Sumer e di Ur” con accenti di gravità18: fu prima decapitata, il suo corpo abbandonato “nella polvere” accanto al seggio divino (che
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ha fatto giustamente presumere che la dea fosse seduta); quindi privata delle corna del suo copricapo, emblema distintivo del rango di divinità, e dei suoi simboli di dea della fertilità legata in particolare al ciclo dei prodotti da latte. La sistematicità degli atti e della loro sequenza rivela quanto l’immagine fosse avvertita come “vivente”, e risponde alla stessa logica demolitoria dell’identità del soggetto delle statue più sopra rilevata, in vari casi associata all’accanimento sui volti o alla rimozione di segni peculiari distintivi della “persona”, nella specie di una divinità. Nel campo delle statue eccellenti, e non solo regali, tra le tante decapitazioni presunte o ritenute intenzionali, alcune mi appaiono di maggiore evidenza come volutamente effettuate perché sostenibili da circostanze storiche alle quali sono collegabili; e che riguardano nuovamente lo stato di Lagash nell’arco di qualche secolo del III Millennio a.C., sulla traccia delle iscrizioni che le opere stesse ancora recano. Della statua devastata dell’alto funzionario Lupad di Umma (Fig. 26 a,b) rinvenuta a Girsu, la testa giaceva separata e lontano dagli altri resti, e la sua mutilazione è considerata chiaramente intenzionale19; dall’iscrizione sul resto della statua smembrata si apprende che Lupad, verosimilmente in forza del suo ruolo di funzionario del catasto di Umma, era proprietario di una serie di terreni ubicati proprio nel territorio lagashita, circostanza che giustifica la presenza di una sua statua a Girsu20. È dunque lecito supporre che l’immagine del potente funzionario risiedesse nello stato di Lagash a pieno titolo durante un periodo di prevalenza di Umma nell’annoso conflitto di frontiere tra le due città stato. Che il Lupad sia stato oggetto di decapitazione da parte degli stessi lagashiti21 o meno nel corso delle alterne sorti del conflitto che ha animato anche l’intero apparato della stele di Eannatum22 è circostanza possibile, ma l’atto in sé è di necessità supportato da un netto predominio di Lagash sulla rivale Umma, pur temporaneo, piuttosto
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Fig. 26 a) Lupad di Umma. Girsu. XXV-XXIV sec. a.C.
che da una semplice incursione del nemico nel territorio conteso del Gu’edena, sia per il rilievo del personaggio ad Umma come nello stato di Lagash, decapitato nella sua statua, sia per la selettività delle altre mutilazioni. Dalla vicenda del Lupad sembrerebbe di cogliere una circostanza, forse casuale ma possibile, sul trattamento della sua statua: al posto dell’esibizione corrente che segue, in varie forme, la decapitazione di individui nelle immagini e nelle fonti testuali, e anche nelle statue stesse come più sopra rilevato, la statua dell’alto rappresentante del potere avverso è soggetta all’atto risolutivo
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Fig. 26 b) della decapitazione ma forse non anche dell’ esibizione Lupad di Umma. Girsu. della testa, considerata solo oggetto da obliterare. XXV-XXIV sec. a.C. Il caso Lupad ci può indicare che le circostanze degli eventi e il significato che riveste una certa decapitazione, oltre all’annientamento, possono determinare variabili nel valore della spoglia, da “oggetto ambìto” ad oggetto obliterato.
La statua acefala dell’ensi Enmetena (Fig. 27), originariamente eretta a Lagash, come recita la sua iscrizione, fu rinvenuta ad Ur23 dove molto verosimilmente venne trasportata nel corso della temporanea alleanza di questa potente città-stato del Periodo Protodinastico con Umma, nuovamente nell’annoso conflitto delle frontiere tra Umma stessa e lo stato di Lagash già più volte richiamato24; e, una volta raggiunta Ur, fu decapitata, come già fondatamente proposto da L. Woolley25. Qualora il gesto mediatico della decapitazione della statua di Enmetena fosse effettivamente opera del vincitore di turno, il re di Ur, avanzo l’ipotesi che la destinazione della testa in pietra dell’ensi di Lagash potrebbe essere stata la stessa di quelle delle statue dell’ensi
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Fig. 27) Enmetena di Lagash. Ur. Seconda metà XXV sec. a.C.
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Fig. 28) Testa di sovrano akkadico. Assur. Metà XXIII sec. a.C.
Namaḫni e di sua moglie al tempo di Ur-Namma, di alcuni secoli più tardi, nella stessa Ur26: appesa ed esibita alla porta urbica della città. Dalla statuaria plausibilmente attribuita all’età di Akkad provengono segnali significativi sull’atto della decapitazione. Si tratta di due teste celebri, rinvenute entrambe in Assiria, l’una ad Assur, l’altra a Ninive. La testa da Assur (Fig. 28), è stata avulsa intenzionalmente nell’antichità dai resti del suo corpo, pure rinvenuti nello stesso sito, secondo prevalente concorde opi-
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nione27; la giacitura di entrambe le spoglie risulta in due distinte aree sacre della città, l’una, quella del tempio del dio Assur, le altre, quella del tempio di Anu-Adad28; infine, lo studio dell’opera condotto da E. Klengel Brandt ha accertato l’unitarietà dei resti ad una sola immagine, forse quella di Manishtusu, figlio di Sargon I e secondo suo successore al trono29. Se la dispersione dei resti può certo motivarsi con l’assalto alla città di Assur e la relativa devastazione da parte degli invasori elamiti non altrettanto può dirsi del ritrovamento in due luoghi sacri della statua smembrata, ritenendo plausibile, come è stato proposto30, che in origine essa fosse collocata nell’area religiosa dove giaceva ancora parte del corpo. La testa già decapitata e sfregiata di questa statua è tradotta in un certo momento della storia del sito nel tempio cittadino del dio Assur, quale collocazione finale di massimo prestigio, secondo la convincente ricostruzione di J. Reade31. Si desume che la statua regale originariamente accolta in un tempio in Assur, una volta attaccata dai nemici, subisce sorti diverse e mirate delle parti smembrate32: l’una, il corpo, è obliterata, l’altra, la testa, è oggetto di riverenza, forse al limite della venerazione, e ancora una volta di trasporto da un luogo (sacro) ad un altro, la casa del dio supremo Assur. La collocazione di questa effige regale nel Tempio del dio Assur ha dunque a mio avviso ulteriori valenze che amplificano la motivazione dell’atto: l’affermazione della continuità a risiedere in un tempio, come all’origine; e la legittimazione a coabitare lo spazio rituale che conferisce al sovrano, nella sua immagine, di assumere potere interferendo nell’area del sacro, come già da tempo I. Winter ha sostenuto per la statuaria regale mesopotamica33. La testa da Ninive, celeberrima, è l’unico resto di una monumentale statua in rame, ridotta a fusione nel resto del corpo34, il cui contesto preciso di ritrovamento nell’area circostante il Tempio di Ishtar è ancora controverso35, così come il momento e la paternità della sua
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decapitazione, considerata intenzionale e certamente oggetto di iconoclastìa per i danni mirati e molteplici subiti dalla testa36. Dalle varie ipotesi formulate sul momento e sui responsabili della riduzione della statua alla sola testa, e soprattutto sul suo ritrovamento a Ninive quale sede primaria dell’immagine integra oppure destinazione ultima della spoglia eccellente37, ciò che qui interessa è in primo luogo che la testa decapitata della statua regale akkadica è comunque una reliquia “scottante”: danneggiata ma non distrutta dagli Elamiti, qualora fossero gli autori dello sfregio al tracollo di Akkad sul versante orientale dell’impero nel III Millennio a.C., quindi esposta o sepolta38; e parimenti dai Babilonesi, se fossero gli autori di quell’atto di grande impatto mediatico e che riconoscerebbe nella testa il simbolo dissolto anche del più antico nemico, alla caduta definitiva dell’ultima capitale neo-assira39. In secondo luogo, che la sede più accreditata per l’originaria ubicazione della statua, qualunque fu il momento storico della sua destrutturazione, resta a mio avviso Ninive e ancora una volta un’area sacra, di tradizione prestigiosa fin dal III Millennio a.C., rievocata tra le imprese edili proprio di Manishtusu di Akkad da fonti posteriori e certe del sovrano amorreo Shamshi-Addu I, agli inizi del II Millennio a.C.: il tempio della massima divinità femminile, Ishtar, che troneggia nella triade astrale protettrice della dinastia di Akkad40. VI.3. In movimento nello spazio e nel tempo In casi qui considerati dalle fonti testuali e dalle evidenze archeologiche relativi a statue di personaggi di vario rango vittime di decapitazione si desume che la rimozione della testa e il suo trasporto da un luogo ad un altro luogo ripropongono aspetti della prassi documentata, per immagini e nelle iscrizioni, su soggetti umani di particolare importanza sconfitti in tempo di guerra; prassi che sembra nella fattispecie applicata talvolta secondo il canone inverso.
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È infatti la testa mozzata del nemico umano sconfitto, e non anche il suo corpo, che circola da un luogo ad un altro per approdare a destinazioni varie e di distinti valori comunicativi, come si legge nelle immagini esaminate dentro ad un’ampia diacronìa; mentre “statue viventi” anche danneggiate ma non anonime, oggetto di bottino, vengono trasportate fino alla sede del vincitore e, sebbene in circostanze temporali difficilmente presumibili, sono private definitivamente della loro energia identitaria con la decapitazione41. Su alcune delle statue si constata la presenza ancora di resti delle iscrizioni, pur erase o danneggiate ma non obliterate del tutto, fatto che a mio avviso può suggerire che la sola aggressione ai testi di corredo alle immagini non fosse ritenuta autonomamente determinante per la “soluzione finale” di annientamento dell’entità e della visibilità del nemico; e che l’atto di compiuto annullamento dell’esistenza di esseri umani come di “statue viventi” di dei e di mortali resti quello di “perdere la testa”42. Tra le variabili e le analogie che intercorrono nella pratica e nei valori della decapitazione inferta ad esseri umani e ad immagini di esseri umani e divini nelle aree del Vicino Oriente di sicura restituzione documentaria tra III e I Millennio a.C., da fonti visuali e testuali, un rimarchevole tratto in comune appare il fatto che quell’ “oggetto inanimato”, la testa del nemico in carne ed ossa o quella dell’effigie del re o del dio, spesso diviene un “oggetto mobile” per volontà altrui; viaggia nello spazio e nel tempo ed ancora in qualche modo interagisce con le azioni dei vivi, fino a raggiungere l’ultimo approdo. VI.4. Annientamento/Catarsi È stato suggerito qualche tempo fa che la motivazione che sta in cima all’atto di decapitare è di darsi e di dare certezza dell’annientamento irreversibile del nemico di fronte al mondo, da intendere quello dei propri
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diti, dei nemici, degli alleati fedeli e di quelli incerti, di altri nemici potenziali o già imminenti; e che la violenza contro il nemico è mirata ad infondere sicurezza innanzitutto ai propri sudditi43. La tesi che la certezza per sé e per la stabilità del proprio mondo nasce dalla certezza dell’annientamento fisico e delle energie ostili del nemico, concentrate nel focus dell’individuo, la testa, è spinta oltre da J. J. Glassner che alla luce della letteratura mitica44 afferma che la testa mozzata, una volta tale, esautorata dal potere di trasmettere energie contrarie all’avversario predominante, sprigiona un forza inversa, propiziatoria, di valore apotropaico45; forza che, aggiungo, si risolve dunque in una nuova, positiva energia per il vincitore. Questa visione della parabola di potenzialità della testa mozzata che scava a fondo nella complessa dinamica che sta attorno all’ “oggetto ambìto”, motore di opposte e concomitanti pulsioni tra gli autori e i concorrrenti dell’atto della decapitazione e dei suoi esiti, mi induce ad oggi ad osservare sotto un’altra luce le teste esposte sugli alberi, sulle porte e sulle mura della città vittoriosa, e quelle nel "giardino dell’Eden" della reggia di Assurbanipal a Ninive; e sulla torre delle mura urbiche della città giudea di Betulia liberata da Giuditta. Una luce meno terrifica e forse più nutrita dal valore rituale/ catartico che tale atto poteva rivestire in alcune culture arcaiche del Vicino Oriente.
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Note al capitolo VI
1 A partire dalle considerazioni pionieristiche di Brandes 1980 che già contenevano molti aspetti precipui di una riflessione sull’argomento, e riassumibili nelle sue stesse parole: “Quelles statues subisssaient ce triste sorte? Quand, comment et pourqoi la destruction a-t-elle eu lieu?”, e ancora: “...un des problèmes fondamentaux est de trouver et de définir des critères infallibles pour distinguer une mutilation fortuite d’une destruction faite intentionellement”, oltre che molti altri punti dirimenti già discussi nella stessa indagine, come quello dei destini delle statue divine deportate: Brandes, ibidem, p. 31 e sgg. Seguiranno nei tre decenni successivi molti contributi sulla pratica di demolizione parziale delle immagini e sulle condizioni di ritrovamento assai ridotte, tra i quali già Jonker 1995, e negli anni ‘2000 da Glassner 2006 a Bunnens 2008, fino a Suter 2010; si rimanda all’esaustiva e aggiornata bibliografia in May 2012, pp. 1-2, nota 1.
Come gli studi di Kaim 2000 e di May 2010 che presagivano o preludevano al vasto studio collettivo sulla distruzione delle immagini e dei testi scritti anche nel Vicino Oriente antico; cf. nota 3.
this Volume to the Memory of Eleanor Guralnick 1929-2012 (OIS 8), Chicago 2012; per un quadro delle ricerche e delle pubblicazioni di vari studiosi precedenti a tale lavoro si veda May 2012, pp. 2-3. 4 Come da ultimo si evince anche da studi dedicati all’iconoclastìa nel volume appena citato (cf. nota 3) ove la stessa May 2012, p. 7 e sgg. ne argomenta e un’intera sezione di contributi critici (la seconda) è sviluppata in questa prospettiva. Il concorso di motivazioni di varia natura che determinano gli atti iconoclastici in genere è tuttavia opportunamente rimarcato da May, ibidem, p. 3. 5 E di altrettanto ampia latitudine come si desume dalle culture e dalle aree considerate nel volume, prioritariamente dell’Oriente antico, dalla Mesopotamia all’Egitto, ma non solo, per una visione diacronica del fenomeno.
Baharani 2004, p. 118; Baharani 2008, p. 53 in particolare; l’unicità dell’atto e al contempo la complessità delle sue valenze sono percepite già da Nylander 1980, p. 331.
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Curato da N.N. May, Iconoclasm and Text Destruction in the Ancient Near East and Beyond. The Oriental Institute Dedicates
7 Per una argomentata riflessione al riguardo cf. May 2010, pp. 106, 111, che ritiene che i gruppi di statue di fedeli dai templi protodinastici di Khafagia (Tutub) e di Eshnunna
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Capitolo VI
(Tell Asmar) furono in prevalenza decapitati nell’antichità; considerazioni al riguardo sono state avanzate da chi scrive in Dolce 2014c. Il dibattito tuttora in corso, si avvale della riconsiderazione analitica del gruppo di statue unitariamente sepolte nello Square Temple I ad Eshnunna nello studio critico di Evans sulla sequenza stratigrafica e il riesame dei materiali ceramici di quell’area sacra per la cronologia del Periodo Protodinastico della Mesopotamia, che ha ricondotto non oltre il Protodinastico I la datazione del deposito delle dodici statue votive: Evans 2007, pp. 623-625. Tale attribuzione conferma le proposte già avanzate in merito da più parti, da B. Hrouda ad E. Porada: si rimanda per questo a Butterlin 2011, in stampa, nota xxx; Butterlin 2014, pp. 605-628. L’interpretazione cronologica di Marchetti di questo deposito, basata sulla ricostruibile sequenza stratigrafica dello Square Temple sulla quale restano ancora alcuni dubbi, si orienta nella stessa direzione: Marchetti 2006, pp. 26-28. La più esauriente sequenza stratigrafica del Tempio di Inanna a Nippur per i livelli VIII e VIIB ha invece permesso da tempo di contestualizzare le quattro favissae e di proporre di recente una revisione cronologica per le statue in esse contenute, su base di comparazione stilistica: Marchetti 2006, pp. 50-51. Sulla natura e la funzione differenziata delle quattro favissae del Tempio di Inanna a Nippur si rimanda all’ipotesi formulata tempo fa’ da chi scrive in Dolce 2008c, accolta nell’indagine di Butterlin 2011 in stampa, note xxix, xlviii, che tengo a ringraziare per avermi messo a disposizione i dati ancora inediti della sua ricerca. Cf. Kaim 2000 e May 2010 per la conclamata volontaria mutilazione e decapitazione di statue umane e divine. 8
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Esemplare è il passo da un’iscrizione
dell’ultimo celebre sovrano neo-assiro, Assurbanipal, che descrive le singole mutilazioni della statua di un re elamita e ne circostanzia i motivi, e il trasporto da Susa fino all’Assiria: cf. Borger 1996, pp. 5455, (prisma K3082) e la traduzione da May 2010, pp. 108-109. 10
Già Kaim 2000 in proposito.
È significativo che a differenza dei costumi mesopotamici i re elamiti portavano a Susa le opere, statue comprese, nelle condizioni nelle quali si trovavano al momento della loro rimozione forzata dai luoghi originari per esporle pubblicamente; statue mesopotamiche a soggetto umano e divino migrarono dalla Mesopotamia all’Elam, e solo in parte durante il periodo medio-assiro; cf. Kaim 2000, p. 515. 11
Un resoconto del formidabile bottino di opere rimosse dalla Mesopotamia dai sovrani elamiti e trasferite a Susa è stato stilato da Potts 1999, p. 235, tav. 7.9. Tale bottino, esibito, amplifica il suo valore nelle memoria collettiva delle imprese dei sovrani elamiti, e per converso riduce il prestigio degli originari protagonisti delle gesta lì celebrate. Esempi paradigmatici sono in tale senso le due statue regali akkadiche della seconda generazione e la stessa stele di Naram-Sin che furono addirittura dedicate dal sovrano elamita Shutruk-Nakhunte I nel tempio a Susa per il dio Inshushinak: da ultimo cf. Westenholz 2012, p. 98; per una delle statue acefale cf. Tallon 1993. Tale attitudine dei sovrani elamiti nei confronti delle massime opere figurative della Mesopotamia è rimarcata anche di recente da May 2012, p. 13. Il ritorno alla propria sede di statue per lo più divine dal luogo dove sono state tradotte dai nemici è tema già presente nelle fonti testuali mesopotamiche del III Millennio a.C.:
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“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
cf. Woods 2012, p. 36 e sgg. per una mirata selezione delle relative iscrizioni. 13
May 2010, p. 108 e sgg.
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V.2 e nota 18.
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May 2010, pp. 109, 111.
16 In occasione della journée d’étude “la guerre en tête” organizzata dal Laboratoire d’Anthropologie Sociale e dal Collège de France nel 2005 i cui atti sono stati pubblicati nei Cahiers d’Anthropologie Sociale 2 (2006): Dolce 2006, p. 33, nota 1. Il valore significante dei simulacri dei re mesopotamici già prima del repertorio di statue di Gudea di Lagash, sovrano attivo nell’ultimo secolo del III Millennio a.C. e che è esempio tra i più esaustivi, sta nell’essere i diretti destinatari e non inanimate immagini, oggetto di rituali complessi e articolati in tre distinte fasi, quali “consecration, installation, maintenance”, esemplarmente indagate da Winter 1992 (2010). 17 Jonker 1995, p. 78, nota 23; Westenholz 2012, p. 89 e nota 3 per la relativa bibliografia delle fonti. Il predominio su Lagash da parte del sovrano di Ur III è tema dibattuto in merito alle modalità dell’evento e al destino di Namaḫni; la tesi che quest’ultimo fosse ucciso è stata infatti contestata negli ultimi anni su basi filologiche, in relazione alla lettura di un (complesso) passaggio del testo del Codice di Ur-Namma: cf. Sallaberger 2004, p. 34, nota 42 e letteratura pregressa; Michalowski 2011, pp. 66-67. Nel corso della rivisitazione dei dati filologici e storici P. Michalowski propone una convincente ricostruzione del fatto politico dell’annessione di Lagash al regno di Ur III, basata sulla “promozione” al vertice del potere di alcuni personaggi dell’élite di quella città-stato, a partire da Ur-Baba, verosimilmente lo stesso personag-
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gio già ministro di Namaḫni (come già notato da Hallo 1966, p. 138). In un tale scenario, mi pare possibile che l’ultimo ensi Namaḫni sia stato oscurato e destituito di fatto del suo prestigio, a favore dell’ascesa di altri notabili di Lagash, al fine di una annessione non traumatica e soprattutto stabile di quest’ultima, come appetibile provincia sotto l’egemonia del regno di Ur III; e che l’accanimento sulle immagini di quell’ensi e di sua moglie potrebbe costituire un efficace mezzo di comunicazione visuale e di persuasione ideologica a sostegno di una tale operazione di marginalizzazione dell’ultimo governatore, forse solo virtualmente scomparso. Dahl 2011: p. 56 e sgg.; il favore goduto da questa dea all’età delle dinastie amorree di Isin e di Larsa, nel primo quarto del II Millennio a.C., come si desume dalle fonti, ha indotto ad attribuire la composizione del testo a tale periodo; per i riferimenti filologici al riguardo si rimanda a Dahl, ibidem, p. 56, nota 6. 18
19 La prevalente opinione è riportata e condivisa da Woods 2012, p. 38, così come i danni procurati al volto e a parte dell’iscrizione apposta sul corpo della statua.
Come ha giustamente proposto Woods 2012, p. 38. L’iscrizione attesta l’acquisizione di Lupad di tre lotti diversi di terreni in territorio lagashita e la sua professione di tradizione e discendenza paterna ed è datata al periodo di Fara/Protodinastico IIIa da Gelb et alii 1991, pp. 72-74; attribuzione contestata da Marchetti 2006, p. 151, nota 85 per il Lupad rinvenuto a Girsu, considerato nella produzione elitaria del pieno Protodinastico IIIb, quando la procedura catastale impiegata nell’iscrizione ricorre di frequente sia su statue di notabili privati che di sovrani. 20
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Capitolo VI
Secondo l’ipotesi di Woods 2012, p. 38.
Si rimanda al cap. IV.2 per considerazioni su tale monumento e per le diverse opinioni sulla relazione tra il programma figurativo e l’iscrizione. 22
La statua dell’ensi dello stato di Lagash nel Periodo Protodinastico è stata recuperata in un contesto tardo della città di Ur, risalente al VI sec. a.C. e all’età del re Nabonido di Babilonia secondo Woolley 1955, pp. 47-48, forse intenzionalmente preservata per due millenni circa, e rinvenuta nel luogo considerato da alcuni come la sua ultima mirata destinazione: cf. Woods 2012, p. 38 e bibliografia pregressa, che sembra condividere tale opinione. La statua è dedicata al dio Enlil e votata nel suo tempio a Lagash, come recita l’iscrizione ancora leggibile che lo identifica nel nome e nel ruolo e celebra le sue imprese edili pacifiche, l’erezione di templi nella città. La collocazione dell’iscrizione apposta sull’omero destro e sul dorso dell’immagine dell’ensi di Lagash corrisponde alle parti lacunose di una statua anonima di orante anch’essa acefala e per molti versi analoga all’Enmetena di Lagash, molto probabilmente oggetto di intenzionali mutilazioni nell’antichità e forse della rimozione mirata del capo: Dolce 2012, pp. 100-103, figg. 6, 7.
23
24 La circostanza storica in proposito, ma ricorrente nelle alterne vicende del pretestuoso conflitto territoriale in questione, di una triplice alleanza di città- stato della Mesopotamia dell’epoca, Ur, Uruk e proprio Umma-Zabala, contro Lagash è indicata da Cooper 1983, pp. 8-9, 36. Per la secolare contesa tra Lagash ed Umma e la documentazione figurativa, diretta e indiretta, attinente il conflitto cf. anche cap. IV.2. 25
Woolley 1955, pp. 47-48.
Più sopra richiamata dalle fonti testuali: cf. nota 17.
26
May 2010, pp. 107-108 con bibliografia pregressa; Reade 2011, p. 249; Westenholz 2012, p. 99.
27
Harrak 1988, p. 27; Klengel-Brandt 1993, p. 133; per una scheda di sintesi sull’opera, una volta ricongiunta tra torso e testa, cf. Klengel-Brandt 1995, pp. 42-43.
28
29 Klengel-Brandt 1993, pp. 133-141; la studiosa tuttavia esprime altrove delle riserve sulla identificazione supposta con una statua regale e nello specifico con quella di Manishtusu, proponendo che potrebbe anche trattarsi di una immagine di un alto signore locale votata in un tempio ad Assur: Klengel-Brandt 1995, p. 43. 30
Westenholz 2012, p. 99.
31
Reade 2011, pp. 248-250.
Probabilmente non solo per difficoltà di trasporto del corpo della statua da un luogo ad un altro come invece proposto da Westenholz 2012, p. 99.
32
Winter 1992 (2010), pp. 183-185 in particolare; l’interpretazione che propongo per la destinazione della testa regale di Assur trova rispondenza nel richiamo recente di Westenholz 2012, pp. 95-96 sulla esibizione ostentatoria di statue regali di Akkad nei templi documentata dalle fonti scritte, che segnala a mio avviso un cambio di passo nel pur secolare rapporto tra regalità e divinità nella legittima presenza dei sovrani dentro alle aree sacre degli dei. 33
Secondo l’ipotesi verisimile di Reade 2011, p. 249; nell’analisi di Moorey 1982 sugli
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“Perdere la testa”. Aspetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
giornamenti degli studi sulla metallurgia antica e i nuovi approcci alle relative evidenze archeologiche nell’area vicino-orientale, si dedica attenzione al processo di fusione tracciabile sulla testa akkadica da Ninive, ibidem, pp. 34-35, in particolare, e su altri manufatti celebri o meno dello stesso periodo; cui segue a distanza di pochi anni la relazione sui dati emersi dagli esami metallurgici condotti sui resti della testa, praticamente di puro rame: Strommenger 1985, pp. 114-115. Per i dati relativi al ritrovamento e per una esauriente immagine dell’opera cf. Westenholz 2012, p. 100, fig. 4.11. Si rimanda per lo stato della questione a Westenholz 2012, p. 100 e relative note 5155, 60.
35
Già Nylander 1980b, pp. 271-272; opinione condivisa da Porter 2009, pp. 201-203; Nylander 1980a, pp. 329-332; Moorey 1982, p. 34; Reade 2005, pp. 358-361. 36
Richiamate da Westenholz 2012, pp. 100101, che ripropone la sua ipotesi formulata nel 2004 circa le vicissitudini della testa akkadica tra l’ultimo quarto del III e i primi secoli del II Millennio a.C. tra Assur, ritenuta la sua sede originaria, e la stessa Ninive.
37
38 Secondo la ricostruzione delineata da Reade 2005, p. 361 in particolare. 39 Nylander 1980a, pp. 331-332. L’Autore ritiene che le multiple intenzionali mutilazioni sulla testa di Ninive decapitata, fattore frequente in casi di decollazione come abbiamo rilevato nel corso di questo studio, testimoniano di un’azione spettacolarmente simbolica e propagandistica concomitante con il sacco di Ninive del 612 a.C. 40
In accordo con Reade 2011, pp. 248-249.
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Sull’intervento di Manishtusu nella fabbrica sacra di Ishtar a Ninive e le relazioni ideologiche con i documenti di fondazione di Shamshi-Addu I cf. ancora Reade 2000, pp. 86-87. La collocazione dell’opera a Ninive e nel santuario di Ishtar sono sostenute da P. Matthiae mentre la sua realizzazione è giustamente ritenuta prodotto di botteghe reali propriamente di Akkad: Matthiae 1998, p. 37. Sulla eventualità che teste mozzate di individui viaggiassero insieme ai loro corpi e altre più cogenti ipotesi sulla questione si rimanda al cap. III.2, nota 18. Riguardo alla essenza delle statue come “viventi” cf. già Oppenheim 1964, p. 171 e sgg. e Cassin 1982, p. 332 e sgg., p. 364 e sgg., che si è cimentata a rilevare le analogie e le simmetrie riconoscibili tra la creazione dell’uomo, com’è concepita nei testi mesopotamici, e quella delle statue divine; sulla “nascita”, la “vita” e i fattori cultuali/rituali e politici che attengono le statue di divinità e di sovrani cf. Matsushima 1993; Winter 1992 (2010) e, secondo una prospettiva transculturale e comparativa, Winter 2000 (2010), p. 377 e sgg. Sul rituale del mīs pî, “l’apertura della bocca” delle statue divine, cf. Walker, Dick 1999; su tale complesso rituale sono state sollevate di recente riserve sulla sua effettiva pratica fin dall’ultimo secolo del III Millennio, l’età della III dinastia di Ur, nonostante alcune ricorrenze nelle fonti interpretate come tali, per l’elusività di dati al riguardo fino al VIII sec. a.C.: Richardson 2012, pp. 244-245. 41
Apparentemente di diverso avviso Westenholz 2012, p. 89 e sgg., ove osserva che cancellare il nome della persona è come cancellare la persona stessa, considerata convinzione fondamentale nell’ideologia religiosa della Mesopotamia antica, ravvedendone la nascita in età akkadica nella formula della maledizione come mezzo di contrasto 42
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Capitolo VI
all’obliterazione delle generalità del soggetto, e dunque della sua memoria; tuttavia la stessa studiosa, Westenholz, ibidem, pp. 90, 92, 104 equipara tale pratica nella sua valenza a quella della distruzione delle effigi. 43
Richardson 2007, p. 198.
Il riferimento è all’epopea mitica del dio Ninurta che, come Ningirsu, è dio della tempesta e dell’uragano, forze aggressive del cosmo; ma anche divinità bellicose, com’è noto dalle fonti scritte. Si tratta delle vicissitudini che attraversano le teste tagliate di mostri e di eroi in genere, culminanti nella loro esposizione presso i templi, spesso con valore apotropaico. Circostanze significative al riguardo ricorrono ad esempio nei testi dell’epopea di Gilgamesh, quando lo stesso re-eroe mitico di Uruk e il suo compagno 44
Enkidu portano a Nippur nelle sede templare massima per il dio Enlil, l’Ekur, la testa tagliata del mostro composito Ḫumbaba, “signore della foresta dei cedri”, insieme ad una porta in legno di cedro, e la depongono davanti al dio; o in testi di redazione paleo-babilonese ove Ḫumbaba, “come un eroe catturato” è condotto presso il dio Enlil al suo tempio a Nippur, forse destinato alla stessa sorte degli eroi catturati dal dio Ninurta come trofei sul carro o nel tempio del dio stesso; e ancora, le frequenti citazioni nelle fonti che la testa mozzata di Ḫumbaba è esposta alle porte dei templi di Mesopotamia come baluardo contro il male: cf. Wiggermann 1992, p. 146 e le relative referenze ai singoli studi storico–critici su tali testi. 45
Glassner 2006, p. 50.
Area del Vicino Oriente antico con siti di origine e di provenienza delle opere (© ARCANE Project. Rielaborazione di S. Pizzimenti).
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*le pagine citate nelle note si riferiscono alla II ed. 2010 apparsa in: I.J. Winter, On Art in the Ancient Near East, Vol. II From the Third Millenium B.C.E., Leiden-Boston. 2010.
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Acronimi AfO = Archiv für Orientforschung. AfO Beih. = Archiv für Orientforschung. Beiheft. AJA = American Journal of Archaeology. ANES = Ancient Near Eastern Studies. AOAT = Alter Orient und Altes Testament. ARET = Archivi Reali di Ebla. Testi . ARM = Archives Royales de Mari. AUWE = Ausgrabungen in Uruk-Warka. Endberichte. BaF = Baghdader Forschungen. BAR = British Archaeological Reports. BCSMS = Bulletin of the Canadian Society for Mesopotamian Studies. CMAO = Contributi e Materiali di Archeologia Orientale. ERC = Éditions Recherche sur les Civilisations. FAOS = Freiburger Altorientalische Studien. JCS = Journal of Cuneiform Studies. JMA = Journal of Mediterranean Studies. JNES = Journal of Near Eastern Studies. MARI = Mari Annales de Recherches Interdisciplinaires. MDOG = Mitteilungen der Deutschen Orientgesellschaft zu Berlin. NABU = Nouvelles Assyriologiques Brèves et Utilitaires. OE = Orient Express. OIP = Oriental Institute Publications. OIS = Oriental Institute Seminars. Or = Orientalia. Nova Series. PKG = Propyläen Kunstgeschichte. RA = Revue d’Assyriologie et d’Archéologie Orientale. RIMA = The Royal Inscriptions of Mesopotamia, Assyrian Periods. RIME = The Royal Inscriptions of Mesopotamia, Early Periods. RINAP = Royal Inscriptions of the Neo-Assyrian Period. RIA = Reallexikon der Assyriologie und Vorderasiatischen Archäologie. SANE = Sources of the Ancient Near East. SMEA = Studi Micenei ed Egeo-Anatolici. VO = Vicino Oriente. ZA = Zeitschrift für Assyriologie und Vorderasiatische Archäologie.
Elenco delle opere Fig. 1 a) Il convivio di Giuditta ed Oloferne. b) La decapitazione di Oloferne (particolare). Striscia di tessuto in lino e seta ricamato. Avila(?). XVI sec. d.C. Ginevra, Musée d’Art et d’Histoire MAH 441. Da Martiniani-Reber 2010, p. 48, figg. 1-2. Fig. 2 a) Teumman al convivio nei giardini di Ninive (particolare). b) Il convivio della coppia regale. Rilievo palatino. Ninive (Quyunjik), Palazzo Nord, sala S1, lastre B-C, regno di Assurbanipal. Metà VII sec. a.C. Londra, British Museum WA. 124920. Da Barnett 1976, tav. LXV. Fig. 3 a) Cadaveri di nemici nel fiume (particolare). Rilievo palatino. Ninive (Quyunjik), Palazzo Sud-Ovest, sala XXXIII, lastra 6, regno di Assurbanipal. Metà VII sec. a.C. Londra, British Museum WA.124802. Da Matthiae 1998, fig. p. 125. b) Cadaveri di nemici giacenti al suolo (particolare). Rilievo palatino. Chalaḫ (Nimrud), Palazzo Nord-Ovest, sala B (sala del trono), lastra 4, regno di Assurnasirpal II. Inizi IX sec. a.C. Londra, British Museum N.G. 12.45.53. Da Moortgat 1969, tav. 267. Fig. 4) Soldati vittoriosi tengono per i capelli le teste decapitate dei nemici. Rilievo palatino. Tell Tayinat, reimpiego nella pavimentazione della porta urbica VII, originaria collocazione nel Palazzo provinciale assiro. VIII sec. a.C. T1253-1255. Da Gerlach 2000, tav. 5. Fig. 5) Esecuzione in corso di un nemico (particolare). Stele. Girsu (Tello). XXIII sec. a.C. Parigi, Musée du Louvre AO. 2678. Da Moortgat 1969, tav.134. Fig. 6 a) Decapitazione in corso di un nemico esanime (particolare). Rilievo palatino. Ninive (Quyunjik), Palazzo Sud-Ovest, sala XXXVI, lastra 11, regno di Sennacherib. Inizi VII sec. a.C. Londra, British Museum WA. 124910. Trustees of the British Museum.
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Elenco delle opere
b) Operazioni all’assedio di Lachish. Rilievo palatino. Ninive (Quyunjik), Palazzo Sud-Ovest, sala XXXVI, lastra 11, regno di Sennacherib. Inizi VII sec. a.C. Londra, British Museum WA. 124908, 124909, 124910, 124911. Da Barnett et alii 1998, tav. 339. Fig. 7) Presentazione del bottino di teste mozzate e di armi per la conta degli scribi (particolare). Rilievo palatino. Ninive (Quyunjik), Palazzo Nord, sala M (sala del trono), lastra 13, regno di Assurbanipal. Metà VII sec. a.C. Londra, British Museum WA. 124945-6. Da Novotny, Watanabe 2008, fig. 8. Fig. 8 a,b) Soldati eblaiti trasportano teste mozzate tenute per i capelli e stipate in gerle (particolari). “Pannello di vittoria”. Ebla (Tell Mardikh), Palazzo Reale G. XXV-XXIV sec. a.C. Idlib, Museo Archeologico TM.88. G.165, 289+290. © MAIS. Fig. 9 a) Soldati assiri sollevano alternativamente teste mozzate di nemici (particolare). Rilievo palatino. Ninive (Quyunjik), Palazzo Sud-Ovest, sala XXXII, lastra 6, regno di Sennacherib. Inizi VII sec. a.C. Londra, British Museum Or.Dr. VI, 7. Da Barnett et alii 1998, tav. 275. b) Soldati assiri sollevano in alto teste mozzate di nemici (particolare). Rilievo palatino. Ninive (Quyunjik), Palazzo Nord, sala M (sala del trono), lastra 17, regno di Assurbanipal. Metà VII sec. a.C. Londra, British Museum WA. 124928. Da Matthiae 1998, fig. p. 155. Fig. 10 a,b) Esibizione e trasporto di teste mozzate (particolari). a) “Pannello di vittoria”. Ebla (Tell Mardikh), Palazzo Reale G. XXV-XXIV sec. a.C. Idlib, Museo Archeologico TM.88.G.165. © MAIS. b) Rilievo palatino. Tell Tayinat, reimpiego nella pavimentazione della porta urbica VII, originaria collocazione nel Palazzo provinciale assiro. VIII sec. a.C. T1255. Da Gerlach 2000, tav. 5.
“Perdere la testa”. Apetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
Fig. 11) Esibizione di teste mozzate al ritmo di marcia (particolare). Rilievo palatino. Ninive (Quyunjik), Palazzo Sud-Ovest, sala XIV, lastra 14, regno di Sennacherib. Inizi VII sec. a.C. Londra, British Museum WA. 124786a+b. Da Barnett et alii 1998, tav. 177. Fig. 12 a) Frammento di coperchio di pisside con decapitazione in corso. Assur (Qal’at Shirqat), Palazzo Nuovo. XIII sec. a.C. Berlino, Vorderasiatisches Museum VA.7989. Da Moortgat 1969, tav. 244. b) Frammento di pittura parietale con teste (?) afferrate per i capelli. Mari (Tell Hariri), Palazzo di Zimri-Lim, corte 106. Inizi II Millennio a.C. Da Parrot 1958, fig. 36. Fig. 13 a) Esibizione della vittoria ed esecuzioni dei vinti. b) Teste mozzate affisse sui bastioni e le porte urbiche della città conquistata (particolare). Banda a sbalzo. Balawat (Imgur-Enlil), porta C, banda X, regno di Salmanasar III. Metà IX sec. a.C. Londra, British Museum WA.124656. Da Schachner 2007, tavv. 10, 48b. Fig. 14 a) Rapaci che si avventano su corpi umani acefali. b,c) Particolari. Pittura parietale. Çatal Hüyük, “santuario degli avvoltoi”. Periodo Neolitico. Da Testart 2008, figg. 2, 3. Fig. 15) Prigionieri nudi legati attaccati al capo da rapaci a testa leonina. Impronta di sigillo cilindrico. Uruk (Warka). Seconda metà del IV Millennio a.C. Heidelberg, Uruk Sammlungen Karl Ruprechts-Universität W20486, W20489, W20491/2; Baghdad, Iraq Museum W20491/1. Da Boehmer 1999, fig. 64. Fig. 16) Aquile leontocefale ad ali spiegate sovrastano tori androcefali (particolare). “Pannello di vittoria”. Ebla (Tell Mardikh), Palazzo Reale G. XXV- XXIV sec. a.C. Idlib, Museo Archeologico TM.88.G.278, 280, 281. © MAIS. Fig. 17) Avvoltoi in volo tengono nel becco teste mozzate e parti smembrate di corpi umani (particolare).
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Elenco delle opere
Stele di Eannatum. Girsu (Tello). Metà XXV sec. a.C. Parigi, Musée du Louvre AO 50 + 236-8 + 16109. Da Moortgat 1969, tav. 120. Fig. 18 a) Rapaci si accaniscono sul volto degli sconfitti esanimi. Testa mozzata esposta nel carro reale. Impronta di sigillo di Ishqi-Mari. Mari (Tell Hariri), Edificio amministrativo (?). XXIV sec. a.C. TH00.162.1-42. b) Testa mozzata esposta nel carro reale. Impronta di sigillo di Ishqi-Mari. Mari (Tell Hariri), Edificio amministrativo (?). XXIV sec. a.C. TH00.152. Da Beyer 2007, figg. 17, 18. Fig. 19) Assalto di rapaci ai corpi esanimi dei nemici (particolare). Stele di Sargon I. Susa (Shūsh). Seconda metà XXIV sec. a.C. Parigi, Musée du Louvre Sb1. Da Börker-Klähn 1982, fig. 18c. Fig. 20 a,b) Teste mozzate di notabili attaccate al volto da rapaci (particolari). c) Ricostruzione della rappresentazione. Stele di Dadusha. Eshnunna (Tell Asmar). XVIII sec. a.C. Baghdad, Iraq Museum IM 95200. Da Miglus 2003, fig. 10 (a); Ismail 2003, fig. 7a (b); Ismail 2003, figg. 9-12; Nadali 2008, fig. 2 (c). Fig. 21) Cinque cadaveri di nemici al suolo attaccati da cinque rapaci (particolare). Rilievo palatino. Ninive (Quyunjik), Palazzo Sud-Ovest, sala XXXIII, lastra 3, regno di Assurbanipal. Metà VII sec. a.C. Londra, British Museum WA.124801c. Da Barnett et alii 1998, tav. 297. Fig. 22 a) Aquila che volteggia con una testa mozzata tra gli artigli accanto al carro reale (particolare). Rilievo palatino. Chalaḫ (Nimrud), Palazzo Nord-Ovest, sala B (sala del trono), lastra 6, regno di Assurnasirpal II. Inizi IX sec.a.C. Londra, British Museum WA. 124550. Trustees British Museum. b,c) Esibizione e conta delle teste mozzate (particolare). Rilievo palatino. Chalaḫ (Nimrud), Palazzo Nord-Ovest, sala B (sala del trono),
“Perdere la testa”. Apetti e valori della decapitazione nel Vicino Oriente Antico
lastra 6, regno di Assurnasirpal II. Inizi IX sec. a.C. Londra, British Museum WA. 124550. Da Meuszyński 1981, tav. 2 (disegno). Trustees British Museum (foto). Fig. 23) Accumulo e conta delle teste mozzate nel bilancio della vittoria. a) Rilievo palatino (particolare). Ninive (Quyunjik), Palazzo Sud-Ovest, sala XXVIII, lastra 9, regno di Assurbanipal (?). Metà VII sec. a.C. Londra, British Museum WA. 124955. Da Barnett et alii 1998, tav. 256. b) Rilievo palatino (particolare). Ninive (Quyunjik), Palazzo Sud-Ovest, sala XXXVIII, lastra 15, regno di Sennacherib. Inizi VII sec. a.C. Londra, British Museum Or.Dr. I, 44. c) Rilievo palatino (generale). Ninive (Quyunjik), Palazzo Sud-Ovest, sala XXXVIII, lastra 15, regno di Sennacherib. Inizi VII sec. a.C. Londra, British Museum Or.Dr. I, 44. Da Barnett et alii 1998, tav. 363. Fig. 24) La testa di Teumman esibita nel pieno della battaglia in corso (particolare). Rilievo palatino. Ninive (Quyunjik), Palazzo Sud-Ovest, sala XXXIII, lastra 2, regno di Assurbanipal. Metà VII sec. a.C. Londra, British Museum WA. 124801. Da Barnett et alii 1998, tav. 293. Fig. 25) La testa di Teumman trasportata sul carro (particolare). Rilievo palatino. Ninive (Quyunjik), Palazzo Sud-Ovest, sala XXXIII, lastra 1, regno di Assurbanipal. Metà VII sec. a.C. Londra, British Museum WA. 124801. Da Barnett et alii 1998, tav. 289. Fig. 26 a,b) Statua di Lupad di Umma. Girsu (Tello). XXV-XXIV sec. a.C. Parigi, Musée du Louvre AO. 3279. Da Woods 2012, fig. 2.1. Fig. 27) Statua di Enmetena di Lagash. Ur (Tell el-Muqayyar). Seconda metà XXV sec. a.C. Bagdad, Iraq Museum IM 5. Da Hansen 1975, fig. 31. Fig. 28) Testa di sovrano akkadico. Assur (Qal’at Shirqat). Metà XXIII sec. a.C. Bagdad, Iraq Museum IM 890000. Da Westenholz 2012, fig. 4.10.
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Finito di stampare nel mese di dicembre 2014 presso Finsol s.r.l.