Per una teoria della societa capitalistica. La critica dell'economia politica da Marx al marxismo 8843001094

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Per una teoria della societa capitalistica. La critica dell'economia politica da Marx al marxismo
 8843001094

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. Edoardo De Marchi I Gianfranco La Grassa­ Maria Turchetto

�/IFCH

R UN TEORIA ELLASOCI TÀ .·CAPITALISTICA· La critica dell'economia politica da Marx al marxismo

La Nuova Italia Scientifica

STUDI SUPERIORI/I87 ECONOMIA Serie diretta da Alessandro Vercelli

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: La Nuova Italia Scientifica, via Sardegna 50, 00187 Roma (telefono 06/487 07 45, fax 06/474 79 31)

Edoardo De Marchi

Gianfranco La Grassa

Maria Turchetto

Per una teoria della società capitalistica. La critica dell'economia politica da Marx al marxismo

La Nuova Italia Scientifica UNICAMP Biblioteca IFCH -

edizione, febbraio 1994 © copyright 1994 by La Nuova Italia Scientifica la

Fotocomposizione: Graffiti srl, Roma Finito di stampare nel febbraio 1994 dalle Arti Grafiche Editoriali srl, Urbino ISBN 88-430-0109-4

Riproduzione vietata ai sensi di legge {art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione è vietato riprodurre questo volume, anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, neppure per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione

I.

I.I. I.2. r.3. r.4. 1.5. 1.6. r.7.

II

Materialismo storico e critica dell'economia politica. La storicità delle categorie marxiane

15

La "crisi" dell'economia politica classica Il problema dell'oggetto della scienza sociale Rapporti di produzione e modo di produzione La posizione teorica di Marx tra pensiero socialista, economia classica e filosofie della storia La posizione di Marx rispetto alla scuola storica e alla scuola neoclassica L'antiempirismo e I' antiidealismo di Marx La complessa metodologia di Marx: ordine logico, ordine storico e ordine gerarchico Riferimenti bibliografici

15 19 21 25 29 34 38 41

2.

La teoria del valore di Marx

45

2.1. 2.2. 2.3. 2;4. 2.5. 2.6. 2.7. 2.8.

Il valore-lavoro Valore d'uso e valore di scambio Lavoro concreto e lavoro astratto Lavoro semplice e lavoro complesso Il plusvalore e il profitto capitalistico Plusvalore assoluto e plusvalore relativo Lavoro produttivo e lavoro improduttivo Cenni conclusivi Riferimenti bibliografici

45 48 51 53 56 61 67 73 74

7



Il dibattito sulla teoria del·valore

77

J.I. 3.2.

Motivi e limiti del dibattito La teoria è una generalizzazione (e classificaz.ione) di "fatti" empirici? L'astrazione del lavoro Il problema della "trasformazione" Cenni di una discussione (inutile?) Riferimenti bibliografici

77 79 84 91 98 104

4.

La dinamica del capitale

107

4.1. 4.2. 4.3. 4.4. 4.5. 4.6. 4.7.

L'accumulazione originaria Sussunzione formale e reale del lavoro nel capitale Modo di produzione e modo di distribuzione La rendita Il salario Il profitto Le tendenze dell'accumulazione capitalistica Riferimenti bibliografici

107 108 n3 n5 n6 122 129 135

5.

Circolazione, riproduzione, crisi

137

5.2. 5.3. 5.4. 5.5.

Circolazione e riproduzione: i cicli del capitale Circolazione e riproduzione: gli schemi di riproduzione Marx, Engels e le crisi: gli inizi Il problema delle crisi nell'opera matura di Marx Da Marx al marxismo Riferimenti bibliografici

137 142 147 155 160 174

6.

Il capitale monopolistico e l'imperialismo

177

6.I. 6.2. 6.3. 6.4. 6.5.

Teorie dell'imperialismo all'inizio del secolo Hilferding: grande impresa e capitale finanziario Altre fonti della teoria dell'imperialismo: Hobson Accumulazione e sottoconsumo: Rosa Luxemburg Kautsky, Lenin e la teoria dell'imperialismo :Riferimenti bibliografici

177 i8o 191 200 212 228

J.3. 3.4. 3.5.

p.

8



Il capitale monopolistico e lo Stato

231

7-1· 7.2. 7.3.

L'ortodossia sovietica: dal dopoguerra alla grande depressione L'ortodossia sovietica e la ripresa postbellica L'ortodossia marxista e le teorie occidentali: Pesenti e il riformismo italiano La teoria del capitalismo monopolistico di Stato nelle elaborazioni del PCF Mandel e la teoria delle onde lunghe L' école de la régulation e l'analisi del fordismo Le voci eterodosse: il neomarxismo di .Sweezy e Baran Riferimenti bibliografici

231 239

250 253 256 259 273

Indice analitico

275

7.4. 7.5. 7.6. 7.7.

9

245

Introduzione

Non è facile parlare di economia marxista senza incorrere in gravi fraintendimenti, dovuti principalmente alle vicende culturali inter­ corse in questo secolo che ci separa dalla morte di Marx. Quella di Marx non è infatti una teoria economica, nel senso che oggi questa espressione riveste, ma una teoria della società. Più precisamente, è un poderoso tentativo di ricostruire il complesso insieme delle relazioni caratteristiche della società contemporanea a partire dall'ipotesi che tale insieme costituisce una struttura gerarchizzata, in cui il ruolo fon­ damentale spetta ai "rapporti di produzione". Isolare un "discorso sull'economia'' a sé stante significa stravolgere gravemente il proget­ to complessivo. Considerare quest'ultimo un gene· rico "discorso sul­ la società" di tipo filosofico significa non comprendere la novità epi­ stemologica - · «la grande rivoluzione scientifica di Marx», come la definl Althusser - che esso rappresenta rispetto alle impostazioni ottocentesche. Con ogni probabilità, la causa di molti fraintendimenti va rin­ tracciata proprio nel fatto che gli sviluppi novecenteschi delle disci­ pline sociali non sono stati, per lo più, all'altezza di tale rivoluzione scientifica: compresi quelli che a Marx .si sono esplicitamente richia­ mati. Eppure l'ipotesi teorica di Marx non rappresenta un caso iso­ lato nel pensiero contemporaneo: l'impostazione più affine - per i presupposti antiempiristici impiegati, per la complessità della strut­ tura relazionale secondo cui è pensata la società, per l'indicazione del­ la dimensione storica dell'ambito di validità delle leggi enunciate - è forse quella weberiana. Altri e diversi indirizzi sono tuttavia risultati vincenti in questo secolo, al di là delle paternità pretese. Soprattutto, indirizzi forte­ mente dualistici, che hanno sèparato saperi "scientifici" e saperi "sto­ rici", teorie "pure" - di fatto, prive di dimensione storica - di ogget·

II

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

ti determinati e discorsi "filosofici" - di fatto, privi di dignità scien­ tifica - sull'uomo e sul mondo. E mentre gli studi economici hanno cercato in tutti i modi di guadagnare la prima sponda, spingendo al massimo i processi di assiomatizzazione (spesso identificata tout court con la scientificità) e tecnicizzazione, ogni tentativo di indagare i fe­ nomeni sociali per i loro caratteri di complessità il fatto di essere parti di un tutto - e di specificità il fatto di connotare significati. vamente un' epoca - è stato cons1"clerato "filosofico" , "storico" o "politico": termini divenuti tutti, per il senso comune, sinonimi di non -

-

scientifico.

In questo quadro, anche Marx è stato drasticamente diviso in due. Si è parlato di un "Marx scienziato" 1 economista, seguace della teo­ ria "classicà' del valore-lavoro; e di un "Marx filosofo" - un "filosofo della storia" che profetizza le magnifiche sorti e progressive dell'uma­ nità in cammino verso il comunismo, secondo alcuni, secondo altri un più sobrio teorico della moderna "alienazione". Nell'opinione dei più, leconomista è morto, non solo teoricamente superato - insieme alla scuola classica nel suo complesso - dagli sviluppi scientifici con­ temporanei, ma anche empiricamente smentito dal crollo dei regirrii che hanno voluto realizzare un'"economia socialistà'. Il filosofo, for­ se, sopravvive. non tanto per virtù propria, quanto perché, nel "mon­ do dei filosofi" che il pensiero del Novecento ha delineato in oppo­ sizione al sapere scientifico, nessuno muore mai veramente. La "cul­ turà', in questa concezione, è una grande soffitta, in cui non si but­ ta via niente e c'è posto per tutti: qualsiasi autore può essere ripesca­ to dall'angolino polveroso e tornare buono per una citazione, . . )• un mtmz1one, uno spunto. Da parre nostra, desideriamo sfuggire al dilemma che oppone le "colte" chiacchiere filosofiche alle "aride" formule scientifiche, e pre­ feriamo pensare nei termini di teorie della conoscenza che orientano ipotesi di spiegazione scientifica. Da questo punto di vista, il nostro "Marx filosofo" è un pensatore che affronta in modo originale e in­ novativo il problema della concettualizzazione adeguata alla cono­ scenza della società; e il nostro "Marx scienziato" è un autore che met­ te alla prova un apparato concettuale orientato alla specificità, alla re­ lazionalità e alla valutatività sull'ipotesi che sia possibile ricostruire la società come un tutto strutturato, a partire da un meccanismo prin­ cipale di generazione e riproduzione di ruoli dominanti e subalterni situato nel livello del "modo di produzione". La teoria della conoscenza di Marx può fornire validi strumenti per criticàre le coordinate dualistiche entro cui si muove oggi gran parte -

I2

'

INTRODUZIONE

della cultura, e può proficuamente dialogare con i punti alti dell'epi­ stemologia contemporanea: con il convenzionalismo weberiano come con il materialismo razionale di Bachelard. L'ipotesi scientifica di Marx risente certamente, in parte, dell'epoca in cui fu formulata, ma con­ sente tutt'ora una visibilità dei fenomeni sociali sconosciuta ad approcci più recenti. Per questa sua vitalità può validamente con­ frontarsi con gli sviluppi più fecondi delle scienze sociali di questo secolo: con economisti come Schumpeter e Keynes, con la moderna teoria dell'impresa, con la sociologia di Parsons o con l'approccio sistemico di Luhmann. Per noi, dunque, Marx è tutt'altro che un "cane morto". Piutto­ sto, riteniamo che il marxismo, rimasto gravemente subalterno alla cultura dominante e diviso di conseguenza - per usare ancora la fe­ lice terminologia di Althusser - tra "umanesimo" ed "economicismo", abbia ormai esaurito ogni spinta propulsiva. Ci riferiamo, natural­ mente, alle correnti maggioritarie nell'ambito del marxismo, e all"'or­ todossia" in particolare, poiché è chiaro che non sono mancate voci isolate di estremo interesse. Questa nostra interpretazione ha condizionato l'impostazione del volume: le parti dedicate a Marx hanno un taglio tematico e proble­ matico; quelle dedicate al marxismo, un taglio prevalentemente sto­ rico. Riteniamo infatti che sia estremamente utile comprendere la specificità della problematica. marxiana e recuperare la ricchezza del suo progetto globale, mentre pensiamo che molte delle questioni a lungo ritenute cruciali dal marxismo oggi possano essere oggetto soltanto di un interesse storico. ·

Il presente volume è frutto di un lavoro collettivo. Abbiamo svolto insieme il lavoro di impostazione generale, di discussione e di revi­ sione finale, mentre ci siamo divisi il lavoro di stesura dei diversi ca­ pitoli. Il CAP. I è stato scritto da Maria Turchetto; i CAPP. 2, 3 , 4 da Gianfranco La Grassa; i CAPP. 5, 6 e 7 da Edoardo De Marchi.

Avvertenza. Nella simbologia correntemente adottata dalla letteratu­

ra economica è prevalsa la convenzione di usare il simbolo di origi­ ne anglosassone s (surplus value) per plusvalore. Nei capitoli dedicati alla teoria del valore e del plusvalore si è tuttavia preferito usare pv: tale variazione non è senza significato in quanto intende dimostrare come i concetti marxiani siano fondamentalmente connessi alla rile­ vazione delle forme sociali dell'economia (qual è appunto quella di va­ lore e plusvalore). Altrove ci si è attenuti invece all'uso corrente. 13

I

Materialismo storico e critica dell'economia politica. La storicità delle categorie marxiane

I.I

La "crisi" dell'economia politica classica Prima di affrontare lesposizione delle principali tematiche marxiane, ci sembra indispensabile collocare Marx nel contesto di una storia del pensiero economico. L'intento non è tanto quello di ricostruire !"'am­ biente" in cui opera lautore per rintracciare le influenze che egli ha subito e i suoi punti di riferimento culturali. Si tratta, piuttosto, di individuare le problematiche cruciali che investono il pensiero scien­ tifico in un determinato periodo storico e di mettere a confronto le diverse soluzioni teoriche contestualmente prospettate. Questo genere di contestualizzazione mira alla valutazione delle teorie più che alla ricostruzione della loro genesi storica. Potrà sem­ brare, per certi aspetti, poco ortodosso: si tratterà infatti di confron­ tare Marx non soltanto, come vuole la tradizione, con le sue "fonti" ufficialmente riconosciute1 - l'economia classica, la filosofia hegelia­ na e il pensiero socialista - ma anche con correnti di pensiero - come la scuola storica e il primo marginalismo - di cui Marx non si è af­ fatto occupato. Ci discosteremo dunque dalla storia "ufficiale" del pensiero economico, ma anche dalla storia del marxismo più tradi­ zionale. Lo facciamo francamente a cuor leggero dal momento che, in entrambe, Marx è costretto a un isolamento çhe non giova certo alla comprensione della sua opera. r. Il marxismo ortodosso ha ùtilizzato molto a lungo la formula delle "tre fonti del marxismo", individuate nella filosofia tedesca, nel socialismo francese e nell' econo­ mia politica inglese. Tale formula ha avuto un ruolo piìi ideologico che conoscitivo, poiché mirava a presentare il marxismo come una sintesi del pensiero europeo.

15

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

La storia ufficiale del pensiero economico, come molte altre sto­ rie, è una storia scritta dai vincitori. Rappresenta il punto di vista dell'approccio metodologico attualmente dominante che ricostruisce la propria genealogia organizzando il passato come sequenza di teo­ rie che si approssimano progressivamente al punto di arrivo. Il risul­ tato di queste storie, scritte da chi "sa come va a finire", è una dra. stica selezione dei punti di vista più affini, che finisce col lasciare in ombra altri approcci e - soprattutto - col renderli incommensurabi­ li rispetto alle teorie che costituiscono la pretesa "via maestra" del pen­ siero. L'indirizzo oggi dominante negli studi economici - nonostante lo stato di "crisi" conclamato e dibattuto da almeno un ventennio - è tuttora quello che va sotto il titolo convenzionale di teoria economi­ cà e che propone, in sostanza, un canone di sèientificità di stampo neopositivistico. Questo indirizzo pensa la propria genealogia secon­ do una linea di sviluppo le cui tappe sono la scuola classica dell'eco­ nomia, 1' approccio neoclassico inaugurato dalla scuola austriaca e quel "secondo" marginalismò che trova nella celebre definizione del­ la "scienza economica'' data dal Robbins2 le condizioni di assimila­ zione metodologica ai neopositivismo. Il pensiero di Marx risulta difficilmente collocabile in questa li­ nea di sviluppo: o lo si assimila al grande capitolo dell'economia clas­ sica, col rischio di perdere di vista la rottura epistemologica rappre­ sentata dalla marxiana "criticà'; oppure decisamente lo si espunge, considerandolo un episodio anomalo nella storia delle dottrine eco­ nomiche. Episodio certo importante, tanto da fondare un filone di studi nuovo e capace di autonomo sviluppo, ma irrimediabilmente altro rispetto a ciò che correntemente si intende per "economia''. Marx, del resto, non è l'unico sacrificato nel percorso rettificato della storia ufficiale. Per rimanere a esempi contemporanei alla ela­ borazione marxiana, possiamo citare la scuola storica dell'economia: questo indirizzo di pensiero, che alimenta dibattiti metodologici di straordinaria importanza e la cui influenza è ampiamente riconosciuta in altri campi disciplinari, non può essere integrato nella genealogia 2. Ci riferiamo alla celebre definizione secondo cui re rappresentano, a parità di ogni altra condizione, un supplemen­ to di pluslavoro (e quindi di plusvalore); queste modalità di aumen­ to del plusvalore vengono da Marx indicate come metodi del plus­ valore assoluto. Occorre osservare che, se anche i salari aumentano, ma l'aumento corrisponde a un tempo di lavoro necessario a ripro­ durre la merce forza lavoro inferiore a m, il plusvalore risulta co­ munque aumentato. Se poi il salario cresce percentualmente meno di quanto è stata allungata la giornata lavorativa, anche il saggio di plus­ valore (o di sfruttamento) aumenta. Ad esempio, se la giornata vie­ ne portata da IO a 12 ore (20% in più) e il salario cresce da 5 a 5 ore e mezza (10% di aumento), la massa del plusvalore sale da 5 a 6 ore e mezza, e il saggio del plusvalore dal 100% (5/5) al n8,r8% (6,5/5,5). Nella prima epoca di sviluppo del capitalismo non era nemmeno il caso di parlare di aumenti salariali; l'offerta di forza lavoro nel set­ tore manifatturiero (come poi in quello industriale), conseguente so­ prattutto all'espulsione dall'agricoltura di imponenti quantità di la­ voratori, era tale da assicurare al capitale il massimo saggio di sfrut­ tamento 15. La forma del plusvalore assoluto ha dunque avuto il suo massimo impatto durante le prime fasi dello sviluppo capitalistico, anche se non è mai sparita: tende anzi a riproporsi e a rinvigorirsi so­ prattutto nelle fasi di crisi e ristrÙtturazione del modo di produzio­ ne capitalistico 16• 15. Anzi, se fosse stato per i singoli capitalisti, spinti dalla sete di profitti sempre più alti in una situazione in cui ognuno agiva per conto proprio in concorrenza con ogni altro, non sarebbe stato nemmeno assicurato il minimo livello di riproduzione della forza lavoro. Lo Stato ha dovuto a un certo punto mettere un freno allo sfrut­ tamento, e fissare un tetto massimo alla giornata lavorativa, agendo così nell'inte­ resse generale dell'accumulazione capitalistica, che ha bisogno del plusvalore e per­ ciò dell'esistenza di una sempre più numerosa classe lavoratrice in grado di sussiste­ re e di riprodursi. 16. Anche i cosiddetti "straordinari" - oltre l'orario di lavoro "normale", quello di volta in volta fissato contrattualmente - sono forme di plusvalore assoluto, mal-

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

Nell'epoca più moderna, tuttavia, il plusvalore assoluto nasce, più che dal prolungamento dell'orario di lavoro, dalla intensificazione dei ritmi lavorativi. L'ora di lavoro non è una unità di misura invariabi­ le, come il chilogrammo o il metro: il tempo lavorativo può essere più o meno poroso, può insomma avere differenti contenuti di lavo­ ro effettivo a seconda dell'intensità con cui si lavora. A parità di tec­ nologia impiegata, è possibile riorganizzare il lavoro di ogni unità produttiva - sia che si prenda come punto di riferimento unitario l'impresa, o un suo reparto, o un altro sottoinsieme - rendendolo più denso, riducendo i tempi morti. Ciò può risultare possibile anche in presenza di un'organizzazione del lavoro sostanzialmente immutata, studiando e "razionalizzando" il modo di lavorare di ogni singolo la­ voratore 17. In tutti i casi fin qui elencati, siamo comunque in pre­ senza di metodi del plusvalore assoluto, poiché l'intensificazione dei ritmi lavorativi equivale ad un allungamento della giornata lavorati­ va: un'ora di lavoro più intenso vale quale multiplo di un'ora meno densa18• Nell'epoca moderna i metodi del plusvalore assoluto non sono più quelli dominanti. Già a partire dalla fase più avanzata delle manifatgrado le ore straordinarie vengano pagate di più: c'è sempre, in ogni caso, almeno l'aumento della massa del plusvalore giornaliero. 17. Si pensi ali' organizzazione scientifica del lavoro promossa da Taylor e che tan­ ta importanza ha avuto nello sviluppo del capitalismo di questo secolo. 18. Non si confonda il rapporto, quantitativo, tra lavoro più intenso e meno in­ tenso con quello tra lavoro complesso e lavoro semplice, che concerne tutt'altra sfe­ ra di problemi. Vogliamo ai:che ricordare che in Marx non è cosl decisa la colloca­ zione dell'intensificazione dei ritmi lavorativi fra i metodi del plusvalore assoluto; anzi, egli sembra a volte giudicarla come forma del plusvalore relativo. Tuttavia, si consideri il seguente passo del Capitolo VI inedito, in cui Marx sta parlando del pri­ mo periodo manifatturiero, della sottomissione formale del lavoro al capitale, quan­ do non si è ancora verificata la reale trasformazione del processo lavorativo in sen­ so capitalistico e, di conseguenza, il plusvalore si presenta fondamentalmente nella sua forma assoluta: «Il fatto che il lavoro sia intensificato o la durata del processo la­ vorativo prolungata [.. .] in sé e per sé non muta il carattere stesso del reale proces­ so lavorativo, del reale modo di lavoro» (K. Marx, Risultati delprocesso di produzio­ ne immediato, Editori Riuniti, Roma 1984, pp. 127-8). Qui, in tutta evidenza, Marx tratta aumento dell'intensità e prolungamento della giornata lavorativa come feno­ meni analoghi. E infatti l'unità di misura del tempo di lavoro, ad esempio l'ora, non può essere trattata in sé e per sé, ma solo con riferimento alla quantità di lavoro in essa effettivamente erogato. Non c'è praticamente limite alla riduzione dei tempi morti, anche se certamente più essi vengono contratti più difficile diventa, a tecno­ logia data, l'ulteriore contrazione. In ogni caso, un'ora in cui detti tempi morti ven­ gano ristretti non può che equivalere a più di un'ora con tempi morti più ampi.

2.

LA

TEORIA DEL VALORE DI MARX

ture, attraverso il perfezionamento e la specializzazione degli stru­ menti di lavoro, ma soprattutto con il passaggio all'industria basata sull'impiego di macchinari e tecnologie via via più complesse e per­ fezionate, si è reso possibile un continuo accrescimento della pro­ duttività del lavoro, anche a parità di durata, di sforzo, di intensità di quest'ultimo.

pv

V o

nh

n

Partiamo ancora dalla situazione di una giornata di n ore con un sag­ gio del plusvalore o di sfruttamento (pvlv) del 100%, per cui metà della giornata rappresenta il lavoro necessario (capitale variabile) e metà il pluslavoro (plusvalore). È possibile aumentare quest'ultimo, senza variare la durata e l'intensità della giornata lavorativa, se le nuo­ ve tecnologie impiegate permettono di ridurre il tempo di lavoro ne­ cessario a produrre i beni di sussistenza per i portatori di forza lavo­ ro. Se ad esempio la produttività raddoppia (aumento del 100%), il tempo necessario - e dunque il capitale variabile - viene dimezzato, si riduce dalla metà a,tin quarto della giornata lavorativa; ed eviden­ temente cresce sia la massa del plusvalore (da lh a 3 /4 di n)' sia il suo saggio, dàl 100% al 3 00%. Tutto questo avviene senza alcun peggioramento delle condizioni di vita dei lavoratori, poiché il loro livello di sussistenza, il loro "pac­ chetto di consumi", resta inalterato; si è solo ridotto il tempo neces­ sario a produrlo. Si può anzi ipotizzare un aumento del livello sala­ riale, e dunque del tenore di vita, dei lavoratori, compatibile con l'au­ mento del plusvalore e quindi dei profitti capitalistici. Tornando all'esempio precedente, aumentando del 100% la produttività del la­ voro e riducendosi a n/4 ore lavorative· il mantenimento del medesi­ mo tenore di vita dei iavoratori, possiamo ipotizzare un aumento di v del 50% (da 1/4 a 3 /8 di n) con un conseguente netto migliora­ mento di detto tenore; e tuttavia la massa del plusvalore crescerebbe di 1/8 di n, e il suo saggio passerebbe dal 100% al 166,66% (5/8 su 3 /8 di n). Con il miglioramento delle tecnologie impiegate e l'aumento del­ la produttività lavorativa è dunque possibile incrementare il plusva-

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

lore, e i profitti del capitale, senza allungare il tempo di lavoro com­ plessivo né aumentarne la densità nell'unità di tempo. In tal senso, Marx parla di metodi di accrescimento del plusvalore relativo. Essi sono tipici - come già rilevato - dell'epoca della macchinofattura. Naturalmente, è difficile che l'introduzione di nuove tecnologie lasci inalterata l'organizzazione del lavoro; per lo più, a un aumento del­ la produttività del lavoro si accompagna anche una intensificazione dei ritmi, una razionalizzazione che riduce la porosità del tempo la­ vorativo. I metodi utilizzati per accrescere il · plusvalore relativo ot­ tengono spesso anche un aumento di quello assoluto. Tuttavia, è il primo a caratterizzare la dinamica dei processi produttivi nell'indu­ stria basata sul progresso tecnologico, anche se il secondo può riac­ quistare una certa rilevanza in particolari congiunture. È bene sottolineare che con le metodologie di incremento del plusvalore relativo, ancor più che con quelle del plusvalore assoluto, è possibile un contemporaneo aumento sia dei profitti che dei sala­ ri. Qui si misura ancora una volta tutta la differenza tra Marx e gli economisti classici, in particolare Ricardo '9. Plusvalore e capitale va­ riabile stanno in relazione inversa solo per quanto concerne il tempo di lavoro che si rappresenta nell'uno e nell'altro; ciò è banalmente vero {è un tr uismo) poiché, dandosi una certa quantità di tempo la­ vorativo n, se aumenta pv diminuisce logicamente v, e viceversa. Se però consideriamo e l' esp�essione "fenomenicà' del valore - così come esso si presenta nella forma dell'equivalente generale, nella forma di denaro e, di conseguenza, nella moneta - e il prodotto reale {somma di valori d'uso) che tale valore rappresenta, la relazione inversa non si verifica necessariamente. Fissiamo l'attenzione sull'esempio fatto in precedenza, che ipotiz­ zava un aumento della produttività del lavoro del 100% e del salario del 50%. Si nota che aumenta sia la ·massa, e il saggio, del plusvalo­ re sia il livello di soddisfacimento, storicamente determinato, dei bi­ sogni dei lavoratori salariati; questi possono acquisire una quantità maggiore di beni, ma il tempo di lavoro necessario a produrli è di­ minuito, e quindi si è ridotto, relativamente, il valore della merce for19. Ricardo sostiene infatti che nella dinamica generale dell'economia capitali­ stica emerge una tendenza alla diminuzione del saggio di profitto causata dall'au­ mento del salario (come costo per il capitalista) conseguente all'aumento del costo delle sussistenze, a sua volta dovuto alla tendenza ai rendimenti decrescenti della produzione agricola.

66

2.

LA

TEORIA DEL VALORE DI MARX

za lavoro acquistata dai capitalisti. Se si guarda al mero dato della di­ stribuzione di ciò che è prodotto, si nota solo un aumento del diva­ rio tra proprietari e non proprietari dei mezzi di produzione, ma nell'ambito di un generale innalzamento degli standard di vita. Del resto, ci sono congiunture storiche in cui i salari crescono percen­ tualmente in misura superiore alla produttività del lavoro: in tal caso, sono i lavoratori ad avvantaggiarsi temporaneamente nella distribu­ zione del prodotto tra salari e profitti. L'antagonismo tra capitale e lavoro, nella concezione di Marx, non si coglie appieno nell'ambito esclusivamente distributivo. L'aspetto cruciale del conflitto si annida nelle pieghe del rapporto soc iale di pro­ duzione del capitale, nel rapporto che dà il tono, la "colorazione spe­ ciale", all'insieme della struttura di questa storicamente specifica for­ mazione sociale. Il problema decisivo è la proprietà - in quanto po­ tere di controllo - dei mezzi di produzione; se essa è privata (privata - sia chiaro - non significa individuale), e si erge di contro ai lavo­ ratori espropriati delle condizioni oggettive di estrinsecazione della loro attività lavorativa, allora il potere decisivo di direzione nella so­ cietà, anche nelle sue manifestazioni politiche, culturali, sociali in senso generale, spetta alla classe proprietaria. Le ragioni del dominio affondano le loro radici nella produzione, ma non sono banalmente e rozzamente economiche ("chi ha più soldi comanda''); esse sono mediate dalla proprietà dei mezzi produttivi, e quindi dall'insieme delle condizioni - anche istituzionali, culturali ecc. - che rendono "privata'' tale proprktà. Lavoro produttivo

2 .7 e

lavoro improduttivo

Una volta spiegata l'origine e la problematica del plusvalore, è ora possibile affrontare un tema cui Marx diede grande rilevanza, e sen­ za il quale la teoria del valore lavoro resterebbe monca. Si tratta del­ le tesi relative alla produttività o improduttività del lavoro. Per certi versi il · tema può apparire ormai datato, per altri mantiene una sua attualità, proprio perché il modo in cui Marx attribuisce al lavoro ca­ rattere produttivo o improduttivo è uno degli indici decisivi della sua problematica, al di fuori della quale le categorie concettuali marxia­ ne, soprattutto le più innovative, risultano del tutto incomprensibili o fuorvianti.

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

·

Si constata anche in questo caso che la teoria di Marx ha sempre co­ me sfondo una specifica realtà sociale, mai un discorso economico in generale. Del lavoro produttivo e improduttivo Marx tratta in modo particolare nel primo libro delle Teorie sulplusvalore20• Egli sostiene che Smith, del tutto inconsapevolmente, fa convivere due concezioni del lavoro produttivo e improduttivo, che sono in realtà del tutto diffe­ renti. Da una parte, l'economista scozzese sostiene che produttivo è il lavoro che produce ben� (merci) materiali, mentre improduttivo è quello che presta servizi immateriali: ad esempio, il lavoro dei vari ser­ vitori, lacchè ecc. dei nobili, nonché il lavoro prestato nell'ammini­ strazione statale. Dall'altra parte, egli afferma che il lavoro produttivo è quello che fornisce un profitto al proprietario che lo impiega. Marx prende le mosse da questa seconda concezione che consi­ dera un giusto punto di partenza, mentre scarta l'altra perché fonda­ ta sulla diversa tipologia dei valori d'uso posti in essere dal lavoro, ti­ pologia del tutto indifferente alla forma dei rapporti sociali che carat­ terizza una peculiare epoca storica della produzione. Per Marx, come si è visto, il profitto dei capitalisti è il plusvalore (pluslavoro) fornito dai non proprietari dei mezzi di produzione che vendono la loro ca­ pacità lavorativa come merce (lavoro salariato). In prima approssi­ mazione, possiamo quindi affermare che produttivo è il lavoro chepro­ duce plusvalore, che entra cioè in un rapporto formale particolare con il proprietario dei mezzi produttivi, con il capitalista. Il lavoro im­ produttivo è quello che non entra in questo rapporto formale: dove formale significa precisamente che quel rapporto contrassegna in modo decisivo una data forma "storica" di società, una data forma­ zione sociale. La materialità o meno del bene (valore d'uso), o il fatto che esso possa essere venduto nella forma di merce, cioè diventare oggetto di scambio mediato dalla monetà, non significa nulla quanto a produt­ tività o improduttività di un determinato lavoro c onc reto. Ancor meno ha significato l'utilità o la - vera o presunta - superfluità, la positività o la dannosità, del bene prodotto. Un lavoro può essere uti­ lissimo e improduttivo in termini marxiani: ad esempio, il lavoro del medico, dell'insegnante, dell'architetto, delle casalinghe ecc. Un la­ voro può essere nocivo e produttivo: ad esempio, la produzione di

e

20. Cfr. K. Marx, Teorie sul plusvalore, Editori Riuniti, Roma 1972, 585 ss.

68

pp.

269

ss.

2.

LA

TEORIA DEL VALORE DI MARX

droghe che fornisce plusvalore e profitto. La produttività o meno del lavoro umano rientra a pieno titolo nel discorso sul modo sociale di produrre tipico dell'epoca capitalistica; non avrebbe alcun senso tra­ sferire tale definizione ad altre società, ad altre epoche storiche. Una serie di esempi serviranno a meglio comprendere questo pro­ blema, che implica la predominanza della forma del rapporto socia­ le su ogni discorso meramente economicistico. Prendiamo il lavoro di un sarto che confeziona un abito .a un dato cliente e ottiene un corrispettivo, generalmente in moneta, per la sua prestazione. L'ap­ parenza è quella dello scambio mercantile: un bene ("materiale") vie­ ne venduto dietro pagamento monetario. In realtà, ciò che il sarto vende è la sua prestazione d'opera che fornisce un servizio, sotto forma di confezionamento dell'abito, al cliente che non può o non vuole confezionarselo da solo. Quest'ultimo ha goduto di un certo reddito in una qualche forma (salario, profitto o altro) in un diverso processo produttivo; e cede parte di questo reddito per acquistare l'abito o, più precisamente, la prestazione lavorativa del sarto nella sua tipologia immediatamente conc reta. Nessun' altra figura sociale s'interpone nel rapporto diretto tra cliente e sarto. Il lavoro di que­ st'ultimo è utile poiché ha posto in essere un valore d'uso rispondente a un preciso bisogno; esso ha dunque accresciuto la ricchezza della società, la massa di beni e servizi di cui questa può godere. Tuttavia, tale lavoro è improduttivo nei termini di Marx; è lavoro che si scam­ bia dietro reddito, quello del cliente 21 • Immaginiamo adesso che il sarto decida di ingrandire la sua bot­ tega, prenda un certo numero n di lavoranti, anch'essi capaci del la­ voro c onc reto di sartoria, e li retribuisca con un salario, producendo abiti che poi esita sul mercato, in genere ad acquirenti non conosciuti in precedenza. Il cambiamento formale salta subito agli occhi. I sarti lavoranti dipendono da colui che ne ha acquistato la forza lavorativa con corresponsione del salario, mediamente equivalente al valore di tale forza; nel processo produttivo d'abiti, essi erogano un pluslavo­ ro che sarà il plusvalore (profitto) per il sarto che li ha pagati e che 2I. Ci si rende conto anche che il lavoro del sarto, in questo caso, è soltanto la­ voro concreto, anche se mentalmente potrebbe essere pensato quale mera energia la­ vorativa erogata. E tuttavia non è ·affatto attività astrattamente umana, e non crea quindi valore, ma solo valore d'uso, poiché non inerisce alla dominante dinamica di produzione e riproduzione del rapporto decisivo per la costituzione di società nella sua peculiare forma capitalistica.

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

ha loro fornito i mezzi di produzione di sua proprietà. Tra coloro che producono abiti, in quanto merci, e coloro che poi li acquisteranno sul mercato, si è interposta la figura del proprietario dei mezzi di pro­ duzione (capitalista); il lavoro, più precisamente la forza lavoro, si è qui scambiato contro capitale, contro la sua parte variabile. Il lavoro - lo stèsso lavoro di sartoria - è produttivo, nel senso che produce plusvalore (profitto) per il capitalista che lo impiega; qui il lavoro è diventato astratto, e quindi creatore di ricchezza nella sua forma, di valore, specificamente capitalistica, «non solo nella categoria, ma an­ che nella realtà»22• La produzione di merci non potrebbe essere mes­ sa in moto senza l'intervento cruciale di chi fornisce al processo pro­ duttivo i mezzi oggettivi di quest'ultimo, mezzi che sono di sua esclu­ siva proprietà. Facciamo un esempio tratto dall'apprestamento di beni immate­ riali. Un insegnante dà lezioni private a un individuo dietro remu­ nerazione in denaro. Ancora una volta, si constata che la sua presta­ zione si scambia contro il reddito di colui che ha la possibilità di pa­ garsi la lezione. Il lavoro dell'insegnante, come quello del vecchio pre­ cettore nelle famiglie nobili, è assolutamente improduttivo, anche se nessunq sosterrebbe che è inutile, che non crea ricchezza in quanto massa di valori d'uso, Se l'insegnante, assieme ad altri suoi· colleghi, entra a far parte di un'organizzazione imprenditoriale, che vende al pubblico la merce insegrzamento, e che è organizzata da coloro che "an­ ticipano" i capitali per l'installazione degli impianti fissi, l'acquisto del materiale didattico ecc., necessari a un istituto scolastico, e per il pagamento dei salari (stipendi) agli insegnanti che vi lavorano come dipendenti, allora il lavoro di questi ultimi è produttivo poiché for­ nisce un plusvalore-profitto agli imprenditori della scuola. Lo stesso si può dire di un cantante, di un clown ecc. Se il lavoro (lo spetta­ colo) è prestato direttamente da questi personaggi ai fruitori, che lo pagano con parte del loro reddito guadagnato in altri processi pro­ duttivi, il lavoro è improduttivo. Se invece il cantante, il clown ecc. fanno parte di imprese che coordinano la produzione eia vendita del­ la merce spettacolo in funzione dei proprietari dei mezzi di produzio­ ne che pagano i salari e godono dei profitti, il lavoro, pur essendo identico quanto a valore d'uso posto in essere, diventa produttivo. 22. Marx, Introduzione a Per la critica dell'economia politica, cit., p. 192.

2. LA TEORIA DEL VALORE DI MARX

Il discorso può apparire complicato per quanto riguarda il lavoro prestato alle dipendenze di un'amministrazione statale. Si potrebbe pensare che il lavoratore salariato dallo Stato è produttivo: il suo sa­ lario, in fondo, è il valore (costo di sussistenza) della forza lavoro, e il tempo di lavoro prestato potrebbe superare di x ore tale valore, met­ tendo perciò capo a un pluslavoro. In realtà, in molte circostanze il rapporto formale appare differente. Prendiamo ad esempio lappara­ to scolastico. Sia il capitale costante investito sia i salari (capitale va­ riabile) pagati agli insegnanti sono, di fatto, tratti dalle entrate fisca­ li. L' imposizione è trasferimento di reddito dai privati al settore pub­ blico. E come se i privati, invece di pagarsi l'insegnamento privato a domicilio con il loro reddito, demandassero tale funzione allo Stato, cedendogli pur sempre una parte di questo loro reddito. In ogni caso, il lavoro dell'insegnante pubblico si scambia, sia pure in modo me­ diato (dallo Stato), contro reddito, non contro capitale. La figura che si interpone tra lavoratore e fruitore del servizio non è capitalista in proprio, ma organizzatore del servizio, l'insegnamento, per conto di terzi, i cittadini. La situazione è del tutto differente quando lo Stato appare quale semplice forma pubblica di una realtà di tipo imprenditoriale. In un'impresa - non necessariamente industriale - i manager, pur non avendo la titolarità giuridica della proprietà, agiscono come reali pos­ sessori e controllori dei mezzi di produzione. Il rapporto sociale di produzione è pertanto capitalistico, è la relazione tra il possesso - la proprietà reale, anche se non sancita giuridicamente - di tali mezzi e il lavoro salariato che produce un pluslavoro nella forma del plusva­ lore. Il lavoro in tal caso è produttivo come quello erogato nelle im­ prese giuridicamente private. Naturalmente non vengono negate im­ portanti differenze tra imprese pubbliche e private, che tuttavia non interessano in questo contesto specifico, dove si tratta di compren­ dere in quale senso il lavoro è produttivo secondo le tesi della marxia­ na teoria del valore. Può infine provocare qualche perplessità il modo con cui Marx tratta del lavoro nel settore commerciale. In Smith, se ci si attiene alla sua seconda definizione di lavoro produttivo e improduttivo, il lavoratore del commercio è chiaramente produttivo poiché fornisce un profitto al padrone che lo impiega. Per Marx, al contrario, il la­ voro commerciale è da considerarsi improduttivo. In realtà, la forma del rapporto è tipicamente capitalistica: abbiamo un capitalista dell'impresa commerciale che "anticipà' sia il capitale costante che 71

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

quello variabile; quest'ultimo corrisponde al valore della merce forza lavoro che - una volta acquistata ed entrata, assieme al suo portato­ re, nel processo economico di quella data impresa - eroga una quan­ tità di lavoro superiore a quella relativa alla riproduzione storico-so­ ciale della forza lavoro in oggetto. Questo tipo di lavoro apparente­ mente produce perciò sia valore che plusvalore. Ma si tratta di pura apparenza, poiché Marx parte sempre dall'assunto che, in media, lo scambio delle varie merci avviene secondo equivalenti. Se qualcuno guadagna nello scambio - per particolare abilità con­ trattuale, per rapporti di forza, o altro - qualcun altro ci perde; in ogni caso non vi è aumento di valore complessivo. Lo scambio non può, per sua natura, generare incrementi di valore. Il ciclo M1 - D M2 comporta solo un mutamento qualitativo di valori d'uso, non un mutamento quantitativo di valore cosl come avviene nel ciclo D - M - Di, dove nel M intermedio è compreso l'acquisto di forza lavoro erogante pluslavoro che si concrètizza in un plusprodotto, la cui ven­ dita sul mercato realizza un valore D1 > D, dove D 1 - D costituisce il plusvalore, fondamento del profitto del capitalista. Se lo scambio, in se stesso considerato, non può produrre alcun accrescimento com­ plessivo di valore, è allora evidente che non può nemmeno essere ge­ nerato un plusvalore. Il profitto, che il capitalista commerciale pur sempre introita, altrimenti non metterebbe in piedi alcuna impresa, è in realtà una detrazione dal plusvalore creato nei settori produtti­ vi 23: essenzialmente industria e agricoltura. Questo non impedisce al capitalista del settore commerciale di utilizzare tutti i mezzi a sua di­ sposizione per aumentare la produttività del lavoro che impiega, poi­ ché comunque un aumento del pluslavoro dei suoi lavoratori è con­ dizione per l'appropriazione di una quota maggiore del plusvalore creato altrove. Lo stesso discorso vale per il lavoro bancario, poiché la banca com­ mercia monèta, il mezzo di scambio per eccellenza, lequivalente ge­ nerale di tutte le merci; e anche in tal caso, non si può pensare ad 23. È evidente che, nelle imprese commerciali concretamente esistenti, vengono svolti anche atti produttivi, per esempio quelli attinenti alla confezione dei prodot­ ti, alla conservazione, al trasporto ecc. Va infatti precisato che rientrano . nel proces­ so produttivo, nella sua accezione marxiana, tutti i processi riguardanti la conserva­ zione nel tempo e il trasferimento nello spazio dei prodotti. Non c'è dubbio, ad esempio, che il settore dei trasporti è per Marx, a tutti gli effetti, un settore pro­ duttivo.

2.

LA

TEORIA DEL VALORE DI MARX

aumenti di valore, né quindi di plusvalore, ma solo a maggiori o mi­ nori acquisizioni di plusvalore dai settori produttivi a seconda della maggiore o minore produttività del lavoro impiegato dai capitalisti bancari. Naturalmente, non solo la banca e il commercio apparten­ gono a quello che viene denominato settore terziario, detto anche dei servizi. Si tratta del settore che si sviluppa più celermente in tutti i paesi giunti a un alto grado di sviluppo capitalistico; ma è anche una sorta di settore "spazzatura'', dove sono riunite tutte le branche lavo­ rative, dei più svariati generi, che non appartengono né all'agricoltu­ ra (primario) né all'industria {secondario). Voler discutere della pro­ duttività o meno del lavoro, sempre nell'accezione marxiana, in que­ sti disomogenei rami del lavoro sociale complessivo, sarebbe entrare in una laboriosa e noiosa casistica piena di sottigliezze quasi metafisi­ che. Quanto al riferimento alle cosiddette professioni (avvocati, com­ mercialisti, medici, ingegneri, architetti ecc.), si tratta di individuare in quale contesto si opera - individuale, anche se di più individui stretti in società di carattere personale, oppure in imprese che pro­ ducono questi servizi con una organizzazione di tipo capitalistico per poter decidere della produttività o improduttività di tali tipi di lavoro. C'è poi tutta una serie di servizi moderni: produzione di software per sistemi informatici, elaborazione, produzione e vendita di informazioni (si pensi alla stampa), produzione di cultura (ad esempio l'editoria), per non parlare poi dell'industria cinematografica ecc. In tali settori, in linea generale, non solo l'organizzazione del lavoro (salariato) è di tipo capitalistico, ma vengono prodotte merci contenenti valore e plusvalore, secondo le modalità quindi del lavo­ ro produttivo. 2. 8

Cenni conclusivi

Ci sembra che l'esposizione fatta in questo capitolo sia, per quanto succinta, sufficientemente esauriente per far comprendere la teoria del valore nella sua formulazione marxiana. Dobbiamo ancora una volta ricordare e ribadire che tale teoria non ha assolutamente puri fini di calcolo economico, né vuol semplicemente indicare i livelli medi attorno a cui oscillano i prezzi di mercato. Che Marx pensasse di aver ottenuto anche questo risultato, ci sembra indubbio a una at­ tenta considerazione della sua vasta opera teorica. Tuttavia è altret73

·

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

tanto indubbio che, per Marx, l'economia era semplicemente una sfera della complessiva relazionalità sociale, sfera autonomizzatasi in una determinata epoca storica, quella capitalistica. Parlare di econo­ mia senza alcun riferimento a questa peculiare forma dei rapporti sociali (tra uomini) è come voler far funzionare un computer senza

software.

·

Il problema non è quello di dividere Marx in economista e in filo­ sofo. Marx è un pensatore che ha cercato di individuare, a più livel­ li, le leggi di movimento della società,, con particolare riguardo a quel­ la formazione sociale che viene denominata capitalistica. Come ve­ dremo, alcuni problemi sono stati soddisfacentemente risolti, altri meno; alcune parti della teoria sono ancor oggi potenti strumenti d'analisi, altre hanno dimostrato una loro caducità, come nell'opera di qualsiasi grande pensatore in qualsivoglia campo del sapere uma­ no. Si tratta non di dividere a fette l'opera marxiana, ma di capirne fino ìn fondo i presupposti cruciali (la specifica problematica), per operare in essa una profonda revisione concettuale che può essere, a nostro avviso, ricca di risultati non banali. Il dibattito sulla marxia­ na teoria del valore, di cui parleremo nel prossimo capitolo, comin­ cerà a evidenziare equivoci e fecondità del suo pensiero e di quei filoni che da esso hanno preso le mosse, per sostenerlo o invece per criti­ carlo. Riferimenti bibliografici In questo capitolo abbiamo preso in considerazione esclusivamente le opere "economiche" di K. Marx, più precisamente, quelle che costituiscono il cor­ po della "critica dell'economia politicà' nel senso chiarito nel capitolo prece­ dente. Tali opere si possono far partire dalla Miseria della filosofia (1847) e cul­ minano, naturalmente, con Il Capitale, la grande opera cui Marx dedicò ol­ tre trent'anni della propria vita. Marx curò soltanto l'edizione del primo vo­ lume del Capitale (1867), mentre gli altri volumi di quest'opera uscirono po­ stumi. F. Engels curò la pubblicazione del secondo (1885) e del terzo volume (1894), mentre il quarto, suddiviso in tre parti e contenente una storia delle dottrine economiche, fu pubblicato dopo la morte di Engels da K. Kautsky sotto il titolo di Theorien uber den Mehrwert (Teorie del plusvalore) negli anni 1904-10. Questa precisazione è importante, perché le edizioni postume risen­ tirono, almeno in parte, dell'impostazione dei curato�i. Per la comprensione della problematica metodologica sono particolar­ mente importanti Per la critica dell'economia politica (1859), e soprattutto la Introduzione preparata per questo testo nel 1857, e inoltre il cosiddetto Ca­ pitolo VI inedito, parte di una rielaborazione incompiuta del primo volume

74

2. LA TEORIA DEL VALORE DI MARX del Capitale. Le opere segnalate si possono trovare in K. ·Marx, F. Engels, Opere complete, Editori Riuniti, Roma 1972-87. Segnaliamo inoltre alcune edizioni economiche in lingua italiana più facilmente reperibili: Miseria della .filosofia, Editori Riuniti, Roma 1986; Per la critica dell'economia politica, Edi­ tori Riuniti, Roma 1988; Introduzione alla critica dell'economia politica, Editori' Riuniti, Roma 1987; Risultati del processo di produzione immediato, Editori Riuniti, Rom� 1984 (si tratta del cosiddetto Capitolo VI inedito); Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica, La Nuova Italia, Firenze 1970; del Capitale, oltre all'edizione in 7 volumi degli Editori Riuni­ ti del 1970, che qui utilizziamo, segnaliamo l'edizione in 5 volumi di Einau­ di del 1975, che contiene tra l'altro, nelle appendici, Per la critica dell'econo­ mia politica e il Capitolo VI inedito. Delle Teorie sul plusvalore esiste una traduzione basata sull'edizione critica dei primi due volumi presso gli Edito­ ri Riuniti del 1973 (il terzo volume si trova nelle Opere complete citate) e una traduzione tratta dall'edizione kautskiana intitolata Storia delle dottrine eco­ nomiche, Newton Compton, Ròma 1974·

75

3

Il dibattito sulla teoria del valore

3.1

Motivi e limiti del dibattito

Va innanzitutto ricordato che l'unico libro del Capitale pubblicato durante la vita di Marx è stato il primo. Gli altri due uscirono dopo la sua morte, curati da Engels sulla base di materiali preparatori di Marx, non più rielaborati da tempo. Si può quindi ben affermare che il primo libro della sua opera più ponderosa e compiuta rap­ presenta l'ultima, e più perfezionata, elaborazione che Marx fece della sua critica dell'economia politica. La discussione intorno alla teoria del valore iniziò praticamente subito dopo la pubblicazione del primo libro, e fu condotta sia dagli avversari del marxismo sia all'interno della schiera dei suoi sostenitori. Il dibattito, sia pure con periodi di interruzione, è durato fino ad anni assai recenti (almeno fino agli anni Settanta di questo secolo). Seguirlo in tutte le sue intricate evoluzioni significherebbe dovergli dedicare, come minimo, alcune centinaia di pagine, cosa del tutto impossibile in questa sede. D'altra parte, ripercorrere in modo esaustivo le tappe della di­ scussione intorno al valore sarebbe oggi, per molti aspetti, un eser­ cizio scolastico; avrebbe quasi lo stesso senso di una disamina stori­ ca del pensiero mercantilista o fisiocratico ecc. La teoria del valore, per come è stata generalmente intesa - soprattutto dagli economisti - è infatti, secondo la nostra opinione, ormai morta e sepolta, ed è puro argomento di "storia del pensiero economico". Questo nostro testo vuol� invece mostrare, da un lato, come il marxismo - nella sua interpretazione più usuale e tradizionale - abbia ormai esaurito 77

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

ogni "spinta propulsiva'' in campo teorico; ma, dall'altro lato, come Marx non sia un semplice "cane morto" 1• Nei capitoli precedenti abbiamo chiarito che l'interpretazione cor­ rente - quella dei non marxisti come quella dei marxisti o sedicenti tali - ha troppo spesso considerato Marx come l'ultimo esponente dell'economia politica classica, che aveva risolto una serie di aporie della teoria smithiana e ricardiana (ad esempio, distinguendo ade­ guatamente tra lavoro e forza lavoro) e aveva condotto sino in fon­ do le conseguenze di tipo sociale (la teoria dello sfruttamento) di quella particolare linea interpretativa del processo economico. Non è un caso che, di fronte all'abbandono della teoria del valore-lavoro per quella del valore-utilità da parte della scuola neoclassica, molti marxi­ sti abbiano giudicato questa svolta della scienza economica alla stre­ gua di una sottile opera di mistificazione ideologica tesa a nasconde­ re lo sfruttamento, che si sarebbe invece evinto chiaramente dalla teo­ ria ricardiana radicalizzata e perfezionata da Marx. Interpretazione, questa, quanto meno ingenua e semplicistica: le critiche di Bohm­ Bawerk, ad esempio, risulterebbero come vedremo del tutto congrue se Marx fosse veramente un mero seguace della scuola classica e aves­ se realmente utilizzato, nell'individuazione del lavoro quale fonte del valore, il procedimento che lo studioso austriaco, da buon economi­ sta, gli attribuisce; e che, comunque, fior di marxisti hanno conti­ nuato ad attribuirgli fino ad anni relativamente recenti. In definitiva, quindi, se Marx fosse soltanto un economista, sareb­ be allora senza dubbio negativo non poter seguire, in tutte le sue intri­ cate vicende e nei suoi sviluppi matematici sempre più complessi, il se­ colare dibattito sulla teoria del valore. Poiché, al contrario, Marx è un critico dell'economia politica :.._ ma non assolutamente un semplice criti­ co della teoria, o "scienza'', economica 2 - sarà più che sufficiente af­ frontare, in modo concettualmente chiaro e del tutto sintetico, un paio I. Abbiamo già definito nel primo capitolo che cosa intendiamo, sinteticamente, per "marxismo". Possiamo aggiungere qui che quello che è stato per più di un secolo indicato come marxismo è in realtà una dottrina il cui vero fondatore è stato Engels; ma, forse ancor più, Karl Kautsky, che potrebbe ben definirsi un engelsiano minore. Non possiamo però sviluppare qui tale argomento che sarebbe certo estremamente in­ teressante per chiarire un lunga serie di equivoci assai duri a morire. 2. All'epoca di Marx, la scienza economica era l'unica tra le scienze sociali ad aver conosciuto uno sviluppo già considerevole. Inoltre Marx non aveva alcuna ten­ denza globalizzante del tipo di quelle sviluppate poi da certo marxismo con riferi­ mento all'uomo, alla società, alla natura, al cosmo intero. Marx non pretendeva nem-

3. IL DIBATI'JTO SULLA TEORIA DEL VALORE

di decisivi nodi problematici del dibattito in questione, dai quali il let­ tore potrà comprendere le modalità del procedimento teorico di Marx, il quale - come già chiarito - non intendeva certo fornire banalmente un supplemento di presunta storicità alle categorie generalizzanti ed eternizzanti dell'economia politica classica. 3 .2 La teoria è una generalizzazione (e classificazione) di "fatti" empirici?

Forse non in assoluto, ma certamente per l'importanza dei temi sol­ levati, il primo dibattito sulla marxiana teoria del valore è quello svi­ luppatosi tra il neoclassico Bohm-Bawerk e il marxista Hilferding 3. Il saggio vigorosamente critico del primo, e la risposta altrettanto vi­ vace e acuta del secondo - anche se elaborata alcuni anni dopo l'ar­ ticolo di Bohm-Bawerk - rappresentano a tutt'oggi uno dei momenti più alti (e più onesti) della discussione critica pro e contro il pensie­ ro di Marx, il cui asse centrale era posto appunto nella teoria del va­ lore-lavoro, ma con accenti assai diversi nei due autori appena cita­ ti. Il dibattito in questione è anche sintomatico del carattere che ha di fatto sempre avuto la discussione tra marxisti e non marxisti, in particolare per quanto concerne l'economia; si tratta in genere di un dialogo che raramente riesce a trovare momenti di concordanza al­ meno sull'oggetto del contendere, proprio perché è diverso il con­ cetto di economia e, più in generale, quello di scienza e di legge scien­ tifica. La concezione di Bohm-Bawerk, che appartiene a pieno titolo al programma neoclassico illustrato nel primo capitolo, fa riferimento alla teoria come a una generalizzazione dei fenomeni empirici. Si trat­ terebbe cioè di individuare nell'ambito di questi ultimi i caratteri più meno di interpretare la società moderna nella sua completezza. L'oggetto della scien­ za marxiana non è il capitalismo, bensl il modo di produzione capitalistico; in altre parole, Marx intendeva fornire lo strumento per comprendere l'anatomia e la fisio­ logia {la struttura di fondo e i meccanismi decisivi di funzionamento) della società capitalistica. E, in quel!'epoca, il migliore approccio a questo compito era rappre­ sentato dallo studio dell'economia politica. Tuttavia, va ribadito ormai con nettez­ za, l'oggetto dell'analisi marxiana ha beri poco a che vedere con i problemi che in­ teressano gli economisti, classici o neoclassici che siano. 3. Cfr. i saggi di Bohm-Bawerk (1896) e di Hilferding (1904) raccolti in Econo­ mia borghese ed economia marxista, La Nuova Italia, Firenze 197r.

79

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

generali che accomunano il maggior numero di essi, in modo da po­ ter procedere a un loro raggruppamento in classi - le più estese pos­ sibili - per poi stabilire, per via di idealizzazione (di schematizzazio­ ne ideale), una loro connessione di tipo causale. In questo senso la critica di Bohm-Bawerk alla teoria del valore-lavoro di Marx è la più semplice possibile. Si parte dal presupposto che il lavoro sia stato scelto come fon_. ; (A. Smith, Indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, !SE­ DI, Milano 1973, p. 3), egli confonde il prodotto-valore annuo, pari al lavoro astratto oggettivato nel corso dell'anno, col valore annuo dei prodotti nel quale rientra anche il valore del capitale costante trasferito nei prodotti dal lavoro concreto (cfr. Màrx, Il Capitale, cit., nh, pp. 34-5 e cfr. anche Teorie sulplusvalore, Editori Riuniti,. Roma 1971, r, pp. 2n ss.). L'errore smithiano, eliminando il capitale costante dall'analisi del prodotto, impedisce di afferrarnè il ruolo nella riproduzione. Propfio per questo, nel­ la lettera a Engels citata e in seguito, Marx imposta la trattazione evidenziando la di­ stinzione fra produzione di mezzi di produzione e di mezzi di consumo. Roman Ro­ sdolsky ha dimostrato come, con un semplice procedimento di aggregazione, si possa passare dallo schema a cinque settori dei Grrmdrissea quello bisettoriale definitivo (cfr. R. Rosdolsky, Genesi e struttura del "Capitale"di Marx, Laterza, Bari 1971, pp. 383-7). 23. Cfr. Marx, Il Capitale, cit., nh, pp. 50 ss.

144

5. CIRCOLAZIONE, RIPRODUZIONE, CRISI

Lo studio della riproduzione viene iniziato da Marx a partire dal caso della riproduzione semplice, nella quale il plusvalore viene inte­ ramente consumato. Naturalmente nella società capitalistica l'assen­ za di accumulazione è un'ipotesi di regola non ammissibile, o am­ missibile solo in via transitoria; è tuttavia utile partire dalla riprodu­ zione semplice in quanto le sue condizioni costituiscono più oltre una parte integrante della riproduzione allargata. La logica generale degli schemi di riproduzione è già stata accennata più sopra; la riprendia­ mo ora a partire dagli esempi numerici marxiani: 4.000 CI

+

I.000 VI

+

I.000 SI

Si può notare, anzitutto, che non tutto il prodotto deve essere rea­ lizzato attraverso lo scambio tra le due sezioni: la sezione I, infatti, trattiene 4.000 cI per sostituire i propri mezzi di produzione consu­ mati; analogamente, i beni di consumo corrispondenti a 500 v2 + 500 s2 possono essere reintegrati direttamente entro la sezione II• .Alla se­ zione I rimane quindi soltanto da richiedere alla II i beni di consu­ mo corrispondenti a r.ooo vI + r.ooo sI; la sezione II, da parte sua, deve acquistare dalla I i mezzi di produzione ché debbono sostituire i propri 2.000 c2• Avremo di conseguenza 2.000 C2

=

I.000 VI

+

I.000 SI

che ci dà le condizioni di equilibrio nello scambio fra i due settori. Nel passaggio alla riproduzione allargata, sottolinea Marx, «ciò che muta non è la quantità, ma la determinazione qualitativa degli elementi dati della riproduzione semplice» 24. Rispetto agli schemi di riproduzione semplice, non muta dunque inizialmente il prodotto ri­ spettivo delle due sezioni, bensl la sua destinazione interna. Qui ab­ biamo cioè

il che può esser cosl tradotto a livello numerico: 24. Ivi, p. I68. 145

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

I

4.000 Cr

+

I.000 Vr

+

I.000 Sr

Se ora I accumula metà del proprio plusvalore e lo destina nella pro­ porzione di 4:1 rispettivamente a capitale costante e variabile addi­ zionali, avremo I

4.400 Cr

+

I .IOO Vr

500 Sr

+

sicché, detratti i 4.400 c1 reintegrabili entro la stessa sezione, riman­ gono 1.100 v1 + 500 s1 da scambiare con II. Al fine di ripristinare lequilibrio, anche II dovrà perciò aggiungere roo al proprio capitale costante e, data la sua.iniziale composizione organica, 50 al proprio capitale variabile, detraendoli dal proprio plusvalore finora destinato interamente al consumo: II

.

.

I.600 c2

+

800 V 2

+

600 S2

Con le dotazioni di capitale variabile sopra riportate, presupponen­ do un saggio del plusvalore pari al 100%, le due sezioni produrran­ no rispettivamente r.roo s1 e 800 s2; il prodotto avrà quindi l'assetto seguente, da cui la riproduzione può continuare nel corso degli anni success1v1: I

4.400 Cr

+

I .IOO Vr

+

I . IOO Sr

II

I.600 C2

+

800 V 2

+

800 S2

Alle condizioni di equilibrio della riproduzione può esser natural­ mente data anche una più maneggevole forma algebrica. Allo scopo è sufficiente eguagliare il prodotto della sezione I con la somma de­ gli elementi che costituiscono la domanda di mezzi di produzione e il prodotto della sezione II con la somma degli elementi che costi­ tuiscono la domanda di mezzi di consumo:

5 · CIRCOLAZIONE, RIPRODUZIONE, CRISI

Cancellando i termini comuni ai due lati delle eguaglianze, le due equazioni assumono la stessa forma, corrispondente a quella vista più sopra per il caso della riproduzione semplice:

Un ragionamento esattamente equivalente può esser fatto per il caso della riproduzione allargata, con l'avvertenza che qui è opportuno di. stinguere nella simbologia le diverse quote di plusvalore a seconda della rispettiva destinazione: se rappresenta il plusvalore consumato, sc'l'incremento di plusvalore consumato rispetto al ciclo precedente, sac e sav il plusvalore accumulato rispettivamente come capitale co­ stante e variabile:

Applicando lo stesso criterio di semplificazione usato più sopra otte­ niamo anche qui un'unica equazione:

nella quale i termini in grassetto costituiscono la parte che esprime le condizioni di riproduzione semplice. 5.3

Marx, Engels e le crisi: gli inizi .

Le crisi economiche furono considerate costantemente da Marx ed Engels una contraddizione che con particolare evidenza mostrava i limiti invalicabili della società borghese, rendendola simile al mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate: fuor di metafora, esse stavano quindi a rappresentare la «rivolta del­ le forze produttive moderne contro i rapporti moderni della produ­ zione» 25. 25. K. Marx, F. Engels, Manifesto del partito comunista, Einaudi, Torino 1967, 107. · P

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PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

L' idea che lo sviluppo capitalistico fosse attraversato da crisi pe­ riodiche, che con il loro regolare ricorrere mettevano in pericolo la stabilità dell'ordine esistente, entrò ben presto nel bagaglio intellet­ tuale di Marx ed Engels. Fu Engels, il quale si avvantaggiava in que­ sto campo di una maggior familiarità con la realtà empirica del mon­ do industriale e con la letteratura relativa a esso, a mettere per primo l'accento sulla centralità della fenomenologia ciclica che caratterizza­ va la vita economica nella società capitalistica. I Lineamenti di una critica dell'economia politica, primo scritto economico engelsiano, erano comparsi nello stesso numero dei "Deutsch-Franzosische Jahrbiicher" uscito nel febbraio del 1844 nel quale Marx aveva pub­ blicato i . propri scritti sulla questione ebraica e sulla filosofia hegelia­ na del diritto. La concorrenza, con le sue oscillazioni casuali e incessanti che coinvolgono ogni aspetto della vita sociale, è considerata nel lavoro engelsiano la categoria centrale, il concetto che ragionato coerente­ mente vanifica le astrazioni degli economisti. Come la teoria del va­ lore non può tener conto fino in fondo dei costi di produzione e dell'utilità senza la concorrenza, così la teoria della compensazione fra domanda e offerta viene smentita dalla realtà delle crisi; esse di­ mostrano come, in una situazione in cui gli uomini producono come atomi dispersi, domanda e offerta non possano che inseguirsi reci­ procamente, proporzionandosi solo in una alterna vicenda di irrita­ zione e di rilassamento che si impone con la stessa inevitabile fatalità delle leggi di natura 26• L' approccio engelsiano alle crisi, che nei Lineamenti si connota ancora in senso prevalentemente metodologico, si arricchisce di una valenza più concreta ne La situazione della classe operaia in Inghilter­ ra, apparsa l'anno successivo. Anche qui la causa ultima della crisi viene ravvisata nell' «anarchia regnante nell'odierna produzione e di­ stribuzione [ .] che viene intrapresa non per il soddisfacimento im­ mediato dei bisogni, ma per il guadagno» 27. Nel quadro di questa unità di impostazione, tuttavia, il meccanismo che genera la crisi vie­ ne articolato e precisato maggiormente. Va tenuto presente, a questo ..

26. F. Engels, Lineamenti di una critica dell'economia politica, in K. Marx, F. En­ gels, Opere complete, III, Editori Riuniti, Roma 1976, p. 471. 27. F. Engels, La situazione della classe operaia in Inghiltemt, Editori Riuniti, Roma 1972, p. 119.

5. CIRCOLAZIONE, RIPRODUZIONE, CRISI

proposito, che Engels si riferisce a una situazione in cui l'Inghilterra domina incontrastata a livello internazionale come esportatrice di manufatti verso mercati meno sviluppati, la cui capacità di consumo non cresce con la stessa rapidità con cui la grande industria riesce ad aumentare la produzione. Questo particolare condiziona la rappresentazione engelsiana del ciclo, la quale parte dalla fase di depressione, allorché le merci spe­ dite febbrilmente alla cieca hanno saturato i mercati esteri e tale so­ vraccarico ha già fatto sentire le proprie ripercussioni, sotto forma di fallimenti, licenziamenti e contrazione dello smercio, anche all'inter­ no 28. Man mano che l'eccesso di merci all'interno e all'estero viene smaltito, si pongono le premesse per la ripresa, la quale prende for­ ma quando la domanda sui mercati esteri dà nuovamente segni di vi­ talità. All'estero come in Inghilterra si attiva allora la speculazione, la quale, in attesa di prezzi migliori dei manufatti e delle materie pri­ me, sottrae le merci al consumo facendo salire i prezzi e mettendo sotto sforzo la produzione al di là di quanto la capacità effettiva dei mercati richiederebbe. La graduale entrata sul mercato di speculato­ ri poco solidi introduce tuttavia un elemento di debolezza latente, la quale diviene manifesta allorché gli speculatori meno solvibili delle piazze estere sono costretti a vendere, guastando l'atmosfera favore­ vole e inducendo anche gli altri operatori a vendere precipitosamen­ te: col ribasso dei prezzi l'eccessiva espansione della produzione in­ dustriale, alimentata fino ad allora dai segnali artificialmente ottimi­ stici della speculazione, non può . più essere occultata; la crisi si ge­ neralizza e si entra in un nuovo periodo di stagnazione 29. Muovendosi su un terreno fino a quel momento poco esplorato 3°, l'approccio engelsiano si rivela necessariamente sommario, ma anche senza richiedergli una precisione che supera la sua portata è utile tut­ tavia determinare in che direzione generale esso si muova. La prima cosa da notare, a questo proposito, è che dalle affermazioni di Engels non sembra possibile dedurre che esistano contraddizioni che vinco28. Cfr. ivi, p. 120. 29. Cfr. ivi, pp. 120-r. 30. Sulle teorie del ciclo dell'epoca cfr. R. G. Link, English Theory ofEconomie Fluctuatiom I8I5-I848, AMS Press, New York 1968 (ristampa dell'edizione del 1962) e B. A. Corry, Money, Saving and Investment in English Economics, Macmillan, Lon­ don 1962. Per i riflessi di alcune di queste teorie su Engels, cfr. A. De Palma, Le macchine e l'industria da Smith a Marx, Einaudi, Torino 1971, pp. 157 ss.

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PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

lano lespansione capitalistica dall'interno del processo di produzio­ ne, giacché l'esercito industriale di riserva assicura disponibilità mol­ to ampie di forza lavoro sfruttabile. Naturalmente Engels sa bene che lampiezza dell'esercito industriale di riserva varia in proporzione in­ versa alla floridezza della congiuntura, ma nel complesso della sua trattazione emerge abbastanza chiaramente che «la concorrenza tra gli operai è [ ...] costantemente maggiore che non la concorrenza per assicurarsi gli operai» 31: nemmeno nelle fasi alte del ciclo, quindi, la scarsità di forza lavoro sembra costituire un limite stringente all'espan­ sione. L'impressione generale che si ricava è che la grande industria possa espandersi al massimo livello tecnicamente possibile e che i li­ miti che essa incontra siano soprattutto esterni, derivanti dalla cecità atomistica della concorrenza e dalla naturale ristrettezza dei mercati di sbocco per le esportazioni. Nell'ambito ristretto della ricerca sul ciclo gli strumenti analitici usati da Engels a questo stadio non oltrepassano, nel complesso, quel­ li di altre indagini coeve. Un punto di radicale diversificazione ri­ guarda invece il modo in cui Engels coniuga strettamente il decorso della crisi con il sorgere di dinamiche sociali destabilizzanti. Le crisi, la cui periodicità è indicata in cinque-sei anni, vengono viste cioè come altrettanti momenti di lacerazione del tessuto sociale in cui cre­ scono la rovina di strati della piccola borghesia, la disoccupazione e le tensioni di classe; una serie ravvicinata e cumulativa di dissesti eco­ nomici di questo tipo può condurre alle soglie di un'esplosione rivo­ luzionaria. La crisi ciclica si intreccia quindi inscindibilmente alla crisi finale del capitalismo, per la quale vengono tracciati due scenari: il più im­ mediato prevede una crisi nel 1847 e una, risolutiva, nel 1852-53; l'al­ tro ordine possibile di concatenazione degli eventi passa attraverso il prevedibiÌe sviluppo di Stati Uniti (e Germania) come potenze in­ dustriali in grado di contendere alla Gran Bretagna i suoi mercati e la condizione di privilegio internazionale su cui poggiano molti dei suoi equilibri interni 32. Nonostante nel corso degli anni Quaranta Marx andasse dedi­ candosi intensamente agli studi economici e personalizzando il pro3I. Engels, La situazione cit., p. n9. 32. K. Marx, F. Engels, Rassegna maggio-ottobre (in "Neue Rheinische Zeitung", fascicolo V-VI, maggio-ottobre I850) , in Opere complete, cit., pp. 519-22.

5 · CIRCOLAZIONE, RIPRODUZIONE, CRISI

prio apparato categoriaie, per un periodo piuttosto lungo anche il pensiero marxiano sulle crisi continuò a muoversi nell'ambito della prospettiva generale che abbiamo .visto emergere negli scritti engel­ siani. La cosa, a ben vedere, ha ragioni molto plausibili. Innanzitut­ to, infatti, gli studi marxiani degli anni Quaranta non avevano an­ cora ridisegnato tutto il quadro del processo di produzione-riprodu­ zione e quindi non era possibile un'analisi delle contraddizioni in­ terne di quest'ultimo. Gli avvenimenti del 1848, d'altra parte, sem­ bravano costituire una brillante conferma delle previsioni riguardanti il rapido confluire delle crisi cicliche nella congiuntura rivoluziona­ ria finale. Nel periodo immediatamente successivo al 1848 questa in­ telaian.ira rimase invariata nelle sue linee generali, anche se vennero progressivamente precisandosi i contorni di molti aspetti particolari del ciclo economico 33. Pur cominciando a dare un'immagine più de­ terminata dei nessi intercorrenti tra sovraspeculazione e sovrappro­ duzione, ad abbozzare un'analisi dei fattori che di volta in volta era­ no in grado di indirizzare gli investimenti verso canali produttivi o speculativi, Marx ed Engels non erano ancora in grado di spiegare più a fondo i limiti necessari delle fasi di espansione. Abbiamo appena visto come Engels avesse segnalato che l'accre­ scimento della produzione poteva essere gonfiato oltre i suoi confini naturali dall'intervento della speculazione. La sovrapproduzione re­ stava· il fenomeno essenziale, ma era il crollo della speculazione che la traduceva in atto, sicché la crisi poteva presentarsi superficialmen­ te come il contraccolpo della speculazione. Ne conseguiva implicita­ mente che i dettagli della crisi potevano modificarsi considerevol­ mente a seconda del numero dei rami coinvolti nella speculazione e dell'entità degli investimenti speculativi stessi. Uno degli elementi ' fondamentali delle rassegne della "Neue Rheinische Zeitung" dedi­ cate alle questioni economiche, in particolare dell'ultima apparsa nei fascicoli V-VI {1850), è dato appunto dal tentativo di approfondire queste connessioni in relazione all'analisi della congiuntura corrente. Gli anni Quaranta erano stati caratterizzati dall'aprirsi di un am­ pio ventaglio di occasioni speculative che andavano dalle ferrovie ai cereali, dal cotone allo sfruttamento dei nuovi mercati asiatici. I set­ tori decisivi per lo sviluppo della crisi, a giudizio di Marx ed Engels, 33. Cfr. ad esempio E. Mandel, La fannazione del pensiero economico di Karl

Marx, Laterza, Bari 1969, pp. 73 ss.

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

erano stati i primi due. La crisi della speculazione ferroviaria aveva iniziato a prender forma già dall'autunno del 1845, per estendersi ai mercati azionari continentali l'anno successivo, mentre le vicissitudi­ ni dell'agricoltura britannica alimentavano in quello stesso periodo una scarsità di grano che aveva mantenuto alti i prezzi fino alla pri­ mavera del 1847. Su questa situazione già precaria si erano poi inne­ state le difficoltà dell'industria cotoniera (cattivo raccolto di cotone e saturazione dei mercati asiatici) e quella della bilancia dei pagamenti (forti importazioni di cereali e di generi coloniali, rimesse per co­ struzioni ferroviarie all'estero ecc.), che finivano per comportare con­ siderevoli restrizioni creditizie e quindi il generalizzarsi della crisi nel corso del 1847 34, La ripresa è favorita da due ordini di fattori legati da un lato ai riflessi della rivoluzione francese di febbraio sull'economia britanni­ ca, dall'altro alla valorizzazione economica del continente americano conseguente alle scoperte aurifere in California 3s. Lo stimolo econo­ mico derivante dalla nuova situazione europea va certamente ricon­ dotto alla eliminazione temporanea di un concorrente sui mercati in­ ternazionali, ma anche a un rovesciarsi dei rapporti intercorsi fino a quel momento fra congiuntura e speculazione. Lo sgonfiarsi dell'eufo­ ria nel settore ferroviario e i buoni raccolti bloccano due delle prin­ cipali valvole di sfogo del capitale verso la speculazione, mentre l'in­ sicurezza dei titoli di Stato mette fuori gioco per il momento un al­ tro importante settore della speculazione: il capitale viene quindi di­ rottato verso l'investimento produttivo, stimolando eccezionalmente lespansione industriale 36• Sul nuovo continente, grazie anche all'allargarsi del mercato ca­ liforniano, si assiste a una generale crescita delle attività situate sulla costa del Pacifico; questo progressivo spostamento dei traffici sul ver­ sante opposto del continente esige immensi investimenti nelle co­ municazioni terrestri e transoceaniche e comporta in prospettiva il ·

34. Marx, Engels, Rassegna maggio-ottobre, cit., pp. 502-7. 35. Esiti piuttosto deludenti ebbe invece in quella fase l'apertura del mercato ci­ nese; da questo lato, quindi, non solo era escluso l'originarsi di stimoli ulteriori, ma si potevano anche adombrare l'emergere di fattori aggravanti di un'eventuale crisi. Cfr. K. Marx, Rivoluzione in Cina e in Europa e Gli effetti del trattato 1842 sul com­ mercio cino-britannico, in K. Marx, F. Engels, India Cina Russia, Il Saggiatore, Mi­ lano 1970, rispettivamente pp. 42-3 e 2II ss. 36. Marx, Engels, Rassegna maggio-ottobre, cit., pp. 508-9.

5. CIRCOLAZIONE, RIPRODUZIONE, CRISI

taglio dell'istmo di Panama 37, In entrambi i continenti, tuttavia, le forze che ora promuovono la prosperità economica si intrecciano con quelle che porteranno a breve al risveglio della speculazione. Lo slan­ cio dell'industria cotoniera britannica spingerà a moltiplicare i pro­ getti per la produzione di cotone che consentano di affrancare la Gran Bretagna dal monopolio americano, mentre la borsa di New York diventerà il centro della speculazione rivolta alle opportunità econo­ miche offerte dall'America38• I bassi tassi d'interesse da tempo preva­ lenti, scrivono Marx ed Engels, operano in modo da costringere i capitalisti monetari a cercare nuove prospettive di guadagno, desti­ nando i propri mezzi finanziari ai rami più profittevoli: Quanto più si protrae questo stato di cose, tanto più essi si vedono costretti a studiare un impiego redditizio per il loro capitale. · La sovrapproduzione fa nascere un'infinità di nuovi progetti, e basta che pochi di questi vadano in porto per far investire nella stessa direzione una quantità di capitali, sicché il vortice diviene generale. Ma, come abbiamo visto, in questo momento la so­ vraspeculazione ha solo due possibili canali di sbocco: la coltivazione del co­ tone e i nuovi rapporti sul mercato mondiale; creati dallo sviluppo della Ca­ lifornia e dell'Australia. È chiaro che il suo campo d'azione assumerà ora di­ mensioni molto maggiori che in qualsiasi altro periodo di prosperità l9,

È questa analisi che fa da supporto all'idea che la nuova crisi sia ora­ mai incipiente. Previsto nel fascicolo II della "Neue Rheinische Zei­ tung" per il 1850 4°, sulla base di questa nuova messa a punto lo scop­ pio della crisi viene rinviato al 1852; per quanto possa esser momen­ taneamente differito, esso giungerà certamente e con esso la rivolu­ zione: «Una nuova rivoluzione non è possibile se non in seguito a una nuova crisi. L'una però è altrettanto sicura quanto l'altra» 41• Il decennio seguente doveva però rivelarsi molto diverso da come Marx ed Engels l'avevano immaginato 42• La crisi del 1857, giunta dopo una lunga attesa, si presentava in modo differente dalle pre37. Cfr. ivi, pp. 515-7; ma cfr. già K. Marx, F. Engels, Rassegna gennaio-febbraio (in "Neue Rheinische Zeitung", fascicolo II, febbraio 1850) in Opere complete, cit.,

PP· 264-5.

38. Marx, Engels, Rassegna maggio-ottobre , cit., pp. 512-3 e 518. 39. Ivi, p. 514. 40. Marx, Engels, Rassegna gennaio-febbraio, cit., p. 263. 4r. Idd., Rassegna maggio-ottobre, cit., p. 522. 42. Cfr. le lettere di Engels a Marx del 20 aprile 1852, 21 agosto 1852, 14 aprile 1856, 26 settembre 1856, in K. Marx, F. Engels, Carteggio, Editori Riuniti, Roma 1972, II, rispettivamente pp. 50-1, 103, 416 e 446.

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PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

cedenti e questa diversità era destinata a incidere profondamente sull'elaborazione teorica marxiana. Non solo la crisi, giungendo dopo dieci anni dall'ultima grande perturbazione, metteva in questione il criterio di periodizzazione usato fino ad allora, che comportava un ciclo di cinque-sei anni, ma ess.a inoltre non aveva provocato alcuna esplosione rivoluzionaria. I commenti di Marx ed Engels sulla severità della depressione, en­ tusiastici fino ai primi mesi del 1858 43, lasciarono presto il posto a una crescente perplessità. Anche dal punto di vista strettamente econo­ mico, del resto, la depressione cedeva il passo alla prosperità 44. Da quel momento in poi sia Marx che Engels abbandonàrono l'idea che il ciclo economico in quanto tale potesse avere un impatto dirom­ pente. Come Marx dirà più tardi: «li rallentamento sopravvenuto nel­ la produzione [prepara] - entro limiti capitalistici - un ulteriore au­ mento della produzione. E cosi il ciclo tornerebbe a riprodursi» 45. 43. Cfr. Marx a Engels, lettera del 20 ottobre 1857, in Marx, Engels, Carteggio, cit., III, p. 99 e Engels a Marx, lettere del 29 ottobre 1857 e 15 novembre 1857, ivi, rispettivamente pp. 104 e 108-u. 44. Cfr. Engels a Marx, lettera del 7 ottobre 1858 e Marx a Engels, lettera dell'8 ottobre 1858 in Marx, Engels, Carteggio, cit., III, pp. 237-24r. Cosi come fu spinto a rielaborare la sua concezione del ciclo, nel biennio 1857-1858 Marx mutò anche la propria idea dell'intreccio fra crisi ciclica e crisi storica del capitalismo. Non solo, infatti, si doveva prender atto di una connessione molto mediata fra i due ordini di fenomeni, ma diversi elementi del quadro mutavano di significato fino a rovesciare completamente la loro valenza. Le due novità più evidenti nello sviluppo interna­ zionale del capitalismo erano costituite, rispettivamente a occidente e a oriente d'Eu­ ropa, dagli Stati Uniti e dalla Russia. Già dalla metà dell'Ottocento lo sviluppo eco­ nomico statunitense si era dimostrato eccezionalmente promettente, ma nei decen­ ni successivi gli Stati Uniti cominciarono concretamente ad abbandonare la loro po­ sizione tradizionale di importatori di manufatti ed esportatori di materie prime, profilandosi come futura potenza egemone dell'economia mondiale. Per quanto in­ novativo, lo stadio di sviluppo raggiunto dagli ·stati Uniti seguiva una strada nel complesso già tracciata e in buona misura prevedibile. Completamente diverso era invece il caso russo, nel quale gli anni immediatamente posteriori alla guerra di Cri­ mea videro incrinarsi i secolari equilibri del servaggio. E il caso comunque di sotto­ lineare che negli ultimi anni di vita di Marx sia i processi riguardanti la progressiva espulsione dell'Inghilterra da parte degli Stati Uniti sia l'erosione dei residui feuda­ li e comunitari a opera del capitalismo russo, sebbene già avviati e prevedibili, non erano ancora giunti a compimento. Sotto entrambi i profili la situazione all'inizio del decennio successivo era molto più chiaramente definita, sicché a Engels spettò il compito di formulare proposte teoriche in linea con le mutate condizioni strate­ giche. 45. Marx, Il Capitale, cit., mli, p. 312.

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5· CIRCOLAZIONE, RIPRODUZIONE, CRISI

Questo mutato atteggiamento, è bene ricordarlo, non venne meno neanche molti anni più tardi, quando la fenomenologia del ciclo sem- · brò dare segni di aggravamento46• 5 .4

Il problema delle crisi nell'opera matura di Marx

Nonostante comportassero la revisione di molte convinzioni radica­ te, gli avvenimenti del 1857 trovarono un Marx oramai maturo, il qua­ le, all'altezza dei Grundrisse, aveva già guadagnato nell'essenziale la sua concezione definitiva dell'intreccio fra processo di produzione e riproduzione del capitale. Sulla base di questo decisivo avanzamento Marx era ora in grado di ripensare e concettualmente il capitalismo in tutta larticolazione e lo spessore dei suoi nessi interni, pervenen­ do così a un organico ripensamento del problema della ciclicità. Se fino ad allora l'indagine sulla crisi era venuta arricchendosi soprat­ tutto dal punto di vista di una maggior aderenza ai dettagli empiri­ ci, il nuovo impianto d�indagine investiva un più elevato e fonda­ mentale livello di astrazione, dando vita a una sistematizzazione con­ cettuale di ampio respiro entro cui gli elementi concreti avrebbero trovato la loro dislocazione appropriata. Considerando la complessa architettura logica del Capitale si chia­ riscono anche le cautele da osservare nel ricostruire la concezione marxiana della crisi nella sua versione definitiva. La visione marxia­ na della dinamica, va sottolineato in primo luogo, è pluridimensio­ nale: le contraddizioni si dispongono cioè su piani diversi la cui intersezione non si realizza in un unico modo. La produzione capi­ talistica, per Marx, è contraddistinta da un incessante processo di approfondimento che si realizza attraverso sequenze continue di parcellizzazione del lavoro e di ricomposizione dei frammenti· così autonomizzatisi entro strutture tendenzialmente gerarchizzate in senso verticale. Nellà misura in cui ciò si traduce materialmente, nel­ lo stadio della grande industria, in un aumento della composizione organica del capitale, si genera una pressione sul livello del saggio di profitto e sulla quota-salari, la cui incidenza sul ciclo è difficilmente sistematizzabile a priori anche sotto il profilo del decorso temporale. 46. Cfr. Marx a Danielson, lettera del IO aprile 1879 in K. Marx, F. Engels, Let­

tere sul Capita�e, Laterza, Bari 1971, pp. 160-2.

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PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

Un discorso analogo può esser fatto per il processo di concentrazio­ ne e centralizzazione, che nell'arco di alcuni decenni può modificare i meccanismi di aggiustamento attraverso cui il sistema risponde a mutamenti di variabili strategiche. Tali questioni di metodo dovettero certamente essere presenti an­ che a Marx e sconsigliarlo dal presentare una formalizzazione troppo univoca del suo modello, la quale difficilmente avrebbe potuto tener conto di tutti i risvolti sopra richiamati. Va aggiunto, da ultimo, che Marx rimase probabilmente incerto fino alla fine sulla forma tipica assunta da vari fenomeni osservati nelle fasi di crisi e che le condi­ zioni di elaborazione del materiale statistico all'epoca non erano in grado di fornirgli un valido aiuto47. Anche questo, con ogni proba­ bilità, dovette dissuaderlo dall'usare un modello matematico eccessi­ vamente minuzioso. Tenendo presenti queste considerazioni, nella ricostruzione della teoria marxiana della crisi sarà opportuno evitare di conferirle una compiutezza e una sistematicità che essa non possiede, cercando in­ vece di indicare quali siano per Marx i punti metodologicamente più qualificanti, quelli che determinano la fisionomia concettuale della teoria stessa. La prima osservazione da fare, a questo proposito, ri­ guarda i rapporti tra teoria della crisi e schemi di riproduzione. Poi­ ché nel Marx maturo sono ormai acquisiti gli schemi che definisco­ no le condizioni di equilibrio della riproduzione, le crisi, per un cer­ to aspetto, si presentano come scostamenti dallo svolgimento ideale dell'accumulazione cosl definito. Marx tuttavia traccia una ben pre­ cisa distinzione fra le irregolarità che si generano nel processo di pro­ duzione e quelle che hanno origine nella concorrenza, le quali vengo­ no escluse dallo stadio fondamentale dell'analisi48• L'entrata in gioco, con gli anni dei Grundrisse, di un livello di ana­ lisi che andava in profondità fino al processo di produzione e ripro­ duzione nel suo insieme si rende percettibile dal modo in cui viene reimpostata l'indagine sulle fasi di prosperità. Abbiamo già visto che sino ad allora Marx ed Engels avevano ragionato come se l'impulso fondamentale all'espansione fosse dato dall'apertura di nuovi merca­ ti, privilegiando cosl, nell'analisi della domanda, la componente del-

CÌt.,

47. Cfr. Marx a Engels, lettera del 3I maggio I873, in Marx, Engels, Carteggio, IV, p. 274. 48. Cfr. Marx, Teorie cit., II, p. 563.

5 · CIRCOLAZIONE, RIPRODUZIONE, CRISI

le esportazioni. Alle spalle di questa visione, che pure aderiva alla si­ tuazione storica della Gran Bretagna e ai suoi rapporti col mercato mondiale, non esisteva tuttavia una teoria dell'investimento che ren­ desse conto delle radici endogene dei movimenti oscillatori. A partire dalla fine degli anni Cinquanta Marx cominciò ad avan­ zare in questo campo una serie di ipotesi di lavoro che tendevano a ricondurre le fluttuazioni della domanda all'interno del ciclo di ro­ tazione e riproduzione del capitale. Dovettero qui confluire, da un lato, il progresso, testimoniato dai Grundrisse, nel trattamento anali­ tico del capitale fisso; dall'altro, la crisi del 1857, la quale soprag­ giungeva dopo un decennio di prosperità. Entrambi i fattori contri­ buirono a determinare in Marx l'idea che la periodicità del ciclo do­ vesse andar riconsiderata dal punto di vista teorico, in particolare at­ traverso un approfondimento dei problemi legati al ciclo di sostitu­ zione del capitale fisso. In un'economia che approfondisce incessantemente la divisione tecnica e sociale del lavoro, la sostituzione del capitale fisso logorato non è certamente l'unico fattore che può imprimere brusche impen­ nate all'andamento dell'attività economica. Nuovi ritrovati tecnolo­ gici, nuovi prodotti, nuovi mercati ecc. sono tutti elementi in grado di moltiplicare le occasioni d'investimento in un ambiente forte­ mente concorrenziale. L'esistenza di una vasta gamma di fattori che possono stimolare l'investimento viene considerata da Marx come ca­ ratteristica congenita di un'economia che non può vivere senza rivo­ luzionare se stessa. Più che un'esaustiva enumerazione di tutte que­ ste possibilità, lavoro che probabilmente Marx avrebbe considerato un esercizio per certi versi scolastico, nel Capitale esiste una messa a punto degli strumenti che consentono di valutare l'investimento nel contesto delle altre variabili macroeconomiche. In particolare, tro­ viamo ben delineato l'apparato concettuale che consente di connet­ tere le variazioni dell'investimento a quelle del reddito secondo una logica che sarà poi quella del principio di accelerazione. L'analogia può essere chiarita facilmente mediante il confronto fra un'elementare illustrazione esemplificativa del meccanismo dell'acce­ leratore e l'analisi marxiana del capitale fisso. Supponiamo che per produrre il bene A sia necessario disporre di macchinario il cui valo­ re è il quintuplo del prodotto A che si ottiene da esso e che la dura­ ta media del macchinario sia di dieci anni. Se si parte da una do­ manda di mo A saranno necessarie macchine per un valore di 500 in totale e la domanda di nuovo macchinario per sostituzione sarà di 50 157

PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA · all'anno. Un aumento della domanda di A da roo a 120 (+20%) com­

porterà un investimento netto di mo e un ulteriore aumento della domanda di 24 (pari al 20% di 120) comporterà un nuovo investi­ mento netto di 120. Sommando i successivi aumenti, la domanda to­ tale di A sarà a questo punto 144. Se essa cresce ora del roo/o cioè di 14,4 - l'investimento netto sarà ora pari a 72 (-40% rispetto al li­ vello precedente). Se poi la.domanda di A cessa di aumentare pur re­ stando inalterata in valore assoluto (pari ora a 158,4) l'investimento netto torna a zero. Come si può constatare, tutti i presupposti di questo esempio nu­ merico possono essere benissimo rintracciati anche nell'analisi mancia- , na del capitale fisso e della sua rotazione e da esso si arguisce facil­ mente come una diminuzione del tasso di incremento della doman­ da ne comporti una ben maggiore nel tasso di investimento netto. Da questo punto di vista le cause chepongono fine all'espansione coin­ -

cidono con quelle che limitano l'incremento del reddito e della doman­ da finale.

A questo punto è possibile tener conto delle contraddizioni deri­ vanti dall� natura capitalistica del processo di produzione immedia­ to. Abbiamo già visto in precedenza che il capitalismo giunto allo sta­ dio della grande industria ha la necessità di creare un'ampia sovrap­ popolazione relativa per assicurare le condizioni di espansione po­ tenzialmente più elastiche; nello stesso tempo, tuttavia, quanto più vigorosa è l'accumulazione tanto più essa deve incorporare quote cre­ scenti di forza lavoro, erodendo la riserva disponibile. Ne deriva un movimento alterno, oscillante tra imperativi contraddittori 49. Nell'economia capitalistica la posizione di piena occupazione rap­ presenta un punto critico, fortemente instabile proprio perché in con­ trasto con le esigenze della produzione finalizzata al profitto. In più luoghi Marx ritorna sull'idea che la crescita dell'accumulazione e quindi del prodotto sociale poggia sulla garanzia del profitto e che è proprio questa che viene compromessa nel ,momento in cui le con­ dizioni si fanno favorevoli alla classe operaia. Attraverso la crisi, di conseguenza, le condizioni di redditività vengono ripristinate: l'accumulazione si allenta in seguito all'aumento del prezzo del lavoro, perché si ottunde lo stimolo del guadagno. L'accumulazione diminuisce. Ma mentre

49. Cfr. ivi, II, p. 619.

5. CIRCOLAZIONE, RIPRODUZIONE, CRISI essa diminuisce scompare la causa della sua diminuzione ossia la sproporzio­ ne fra capitale e forza lavoro sfruttabile. Il meccanismo del processo di pro­ duzione capitalistico elimina dunque esso stesso gli ostacoli che crea momen­ taneamente. [ ...] Il salario cresce e, supponendo uguali tutte le altre circo­ stanze, il lavoro non retribuito diminuisce in proporzione. Ma non appena questa diminuzione tocca il punto in cui il pluslavoro che alimenta il capita­ le non viene più offerto in quantità normale, subentra una reazione: una par­ te minore del reddito viene capitalizzata, laccumulazione viene paralizzata e il movimento dei salari in aumento subisce quindi un contraccolpo'0•

Una volta chiarito quanto avviene nella sfera della produzione im­ mediata, possiamo ritornare al processo di riproduzione nel suo in­ sieme e dimostrare per quale ragione «le epoche in cui la produzio­ ne capitalistica mette in campo tutte le sue potenze, si dimostrano regolarmente epoche di sovrapproduzione» SI. In base a quanto si è detto più sopra è abbastanza evidente che, venute meno le usuali condizioni di profittabilità, il tasso di crescita del reddito rallenta e con esso lespansione dei consumi, in partico­ lare di quelli operai: in questo modo i nuovi investimenti vengono meno non solo per la loro bassa redditività, ma anche perché que­ st'ultima si è tradotta in un rallentamento o addirittura in una stasi nella crescita della domanda:, le difficoltà di produzione, in altre paro­ le, si sono trasformate in difficoltà di realizzazione. Naturalmente il problema di realizzazione non deriva da una in­ sufficienza assoluta o relativa nell'ammontare dei consumi operai, proprio perché, come si è visto, «le crisi vengono sempre preparate appunto da un periodo in cui il salario in generale cresce e la classe operaia realiter riceve una quota maggiore del prodotto annuo desti­ nato al consumo» 52, Ciò che è in questione, nel ragionamento marxia­ no, non è tanto il volume del consumo quanto il suo diminuito tasso d'incremento, il quale non è che laltra faccia del rallentato ritmo del­ la produzione: «la capacità di consumo dei lavoratori è limitata in parte dalle leggi del salario, in parte dal fatto che essi vengono im­ piegati soltanto fino a quando possono essere impiegati con profitto per la classe dei capitalisti» 53, Questa situazione critica si esteriorizza poi in sfasamenti tra i settori, in una mancanza di proporzione fra la 50. Marx, Il Capitale, cit., I/3, pp. 68-9 e mh, pp. 307-8. 51. Ivi, uh, p. 333. 52. Ivi, uh, p. 69. 53. Ivi, nih, p. 176; cfr. anche ivi, mh, p. 300.

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PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

produzione di beni di consumo e di mezzi di produzione, la quale si fonda però sulla sottostante realtà produttiva. Prima di lasciare la nostra esposizione della concezione marxiana del ciclo è opportuno ribadire che essa non prende in considerazio­ ne tutte le contraddizioni cui è esposto il decorso dell'accumulazio­ ne, ma solo quelle sistematizzabili a questo livello di astrazione, vale a dire non solo l'elemento monetario e creditizio, ma anche alcuni sfasamenti occasionali tra lo sviluppo dei settori fondamentali. Re­ stano perciò esclusi in primo luogo i fenomeni di superficie del ci­ clo, dei quali non si può immediatamente dar conto a questo stadio dell'indagine. Restano tuttavia escluse, in secondo luogo, anche tut­ te le disfunzioni profonde che si generano ad altri livelli del mecca­ nismo di accumulazione. Il dinarriismo incessante del processo di produzione, infatti, dà luogo ad altre contraddizioni, come la cadu­ ta del saggio di profitto, l'impoverimento relativo e la concentrazio­ ne del capitale, l'effetto cumulativo delle grandi ondate di innova­ zione. Tutte queste trasformazioni morfologiche di lungo periodo at­ traversano l'andamento del ciclo e interagiscono in modo complesso con quest'ultimo. 5.5

Da Marx al marxismo

Nel tratteggiare il contesto entro cui vennero alla luce le diverse teo­ rizzazioni marxiste sulla crisi è necessario ten.er presente che i testi contenenti le riflessioni marxiane sull'argomento furono editi in for­ ma estremamente dilazionata: nel 1885 (secondo libro del Capitale), nel 1894 (terzo lìbro) e nel 1905-10 (Storia delle teorie economiche). Nel frattempo il vuoto, in questo come in altri campi, fu colmato dagli scritti di Engels, in particolare dall'Antiduhring, i quali davano una lettura del problema assai diversa da quella marxiana più autentica. Il percorso intellettuale relativo alla critica dell'economia politica, del resto, fu un itinerario nel quale il solo Marx si addentrò in prima per­ sona e i cui risultati, come si è detto, Marx stesso continuava per mol­ ti aspetti a considerare in fieri. È quindi del tutto naturale che En­ gels si sia istintivamente riallacciato alle proprie premesse giovanili anziché ai risultati più maturi della teorizzazione marxiana. Rispetto alle tesi marxiane, come vedremo, la versione engelsiana della teoria della crisi rimaneva notevolmente più in superficie, anche se tra esse non appariva ovviamente un'aperta contraddizione; questò, unito alla 160

5. CIRCOLAZIONE, RIPRODUZIONE, CRISI

destinazione immediatamente polemica dello scritto engelsiano, spie­ ga come mai Marx, pur essendo a conoscenza del manoscritto ·e aven­ do in qualche punto collaborato a· essoH, non abbia sollevato espli­ cite obiezioni. Una volta respinte le teorie elementari del sottoconsumo con l'ar­ gomento che la limitazione dei consumi popolari di per se stessa non contraddistingue in modo specifico il capitalismo, e quindi non è sufficiente a dar conto della periodicità delle crisi 55, Engels propone nell'Antiduhring una pars construens che, pur essendosi adeguata alla terminologia del Capitale, ricalca nelle linee di fondo la visione già presente nei suoi primi scritti. La crisi, per il tardo Engels cosi come per quello giovanile, deriva fondamentalmente dall'anarchia della so­ cietà mercantile. L'organizzazione socializzata della fabbrica, secondo Engels, si è venuta inserendo progressivamente nel quadro della pro­ duzione di merci affermatasi fin dai primi secoli dell'età moderna e può muoversi solo entro la logica consentita da questa cornice 56• Nonostante la produzione dal punto di vista organizzativo sia so­ cializzata, quindi, ognuno produce per sé con mezzi di produzione che casualmente possiede e per il fabbisogno del suo scambio individuale. Nessuno sa né quale quantità del suo articolo arriva al mercato, né in generale quale quantità ne è richie­ sta; nessuno sa se il suo prodotto individuale corrisponde a un effettivo biso­ gno, né se potrà cavarne le spese, né se in generale potrà vendere. Domina l'anarchia della produzione sociales7.

54. Cfr. F. Engels, Antidiihring, Editori Riuniti, Roma 1971, p. 8. 55. Ivi, p. 306.

56. Cfr. ivi, pp. 287-8. Bisogna tener presente che l'idea engelsiana della genesi del capitalismo è molto diversa da quella di Marx. Mentre Marx, come abbiamo vi­ sto nei capitoli precedenti, ricostruisce una complessa genesi storica del rapporto so­ ciale di produzione capitalistico, in cui il processo essenziale è costituito dall'espro­ priazione dei produttori rispetto ai mezzi di produzione, per Engels la società capi­ talistica è il risultato di una progressiva generalizzazione degli scambi mercantili, a partire da una precedente "società mercantile semplice" di proprietari-produttori. Che la "società mercantile semplice" sia per Engels non un semplice modello ipo­ tetico ma una realtà storica - nella quale, tra l'altro, la legge del valore-lavoro co­ noscerebbe una validità no'n perturbata dalle oscillazioni prodotte dal capitalismo risulta particolarmente evidente nelle Comiderazioni supplementari che egli premet­ te all'edizione del terzo libro del Capitale (cfr. F. Engels, Considerazioni supplemen­ tari, in' Marx, Il Capitale, cit., mh, pp. 41 ss.). 57. Engels, Antidiihring, cit., p. 290.

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PER UNA TEORIA DELLA SOCIETÀ CAPITALISTICA

Nell'ambito di questa generale mancanza di piano, i singoli capitali­ sti sono indotti a migliorare la propria attrezzatura produttiva dalla pressione della concorrenza e a forzare lo smercio senza riguardo ai limiti dei mercati. Anche la saturazione di questi è quindi un caso particolare dell'anarchia complessiva. Naturalmente Engels ha cura di precisare che la produzione di merci ha le sue leggi · immanenti, le quali «si attuano malgrado l'anarchia, in essa e per mezzo di essa» >8, ma sulla loro natura e sul loro modus operandi in relazione alle crisi non vengono fomiti ulteriori chiarimenti: innegabilmente, quindi, si esce dalla lettura di questò capitolo con l'impressione che l'indagine proposta non oltrepassi i limiti della sfera della concorrenza. In questa visione certamente il sottoconsumo di per se stesso non è considerato sufficiente a spiegare l'andamento del ciclo, ma sareb­ be errato dedurre da ciò che la limitatezza del consumo operaio non svolga in Engels alcuna funzione: è bene ripetere, insomma, che se­ condo Engels è proprio l'anarchia della concorrenza a esercitare una pressione verso l'aumento della capacità produttiva economicamen­ te ingiustificato rispetto alle possibilità di assorbimento dei mercati che un certo livello di consumo operaio può supportare. Ciò che con­ traddistingue dal punto di vista logico questa teoria non è dunque un'esclusione programmatica dell'elemento connesso ai limiti del consumo, ma l'idea che l'andamento di tutte le componenti della do­ manda è governato in ultima istanza dalla sfera della concorrenza >9. 58. Ibid. 59. Anche il problema della crisi finale del capitalismo viene impostato da En­ gels con categorie molto vicine a quelle con clii vengono affrontate le crisi cicliche, sebbene naturalmente il discorso risulti qui spostato sul piano internazionale, in par­ ticolare per quel che riguarda il venir meno della preminenza industriale inglese. Pre­ visto fin dalla metà degli anni Quaranta, il graduale prevalere degli Stati Uniti nel­ la concorrenza internazionale costituisce per Engels lelemento più significativo dell'economia mondiale nell'ultimo decennio dell'Ottocento. Ciò che oppone al ca­ pitalismo impedimenti ii;:isuperabili è da un lato la difficoltà crescente nel trovare al­ tri promettenti mercati da aprire e dall'altro l'appesantimento degli sbocchi residui ad opera della vittoriosa concorrenza dei paesi continentali e soprattutto degli Stati Uniti (cfr. Engels, La situazione cit., pp. 38-9). Sotto la pressione di queste forze il ciclo economico cede il posto a una stagnazione permanente (cfr� ivi, p. 37), men­ tre la fine del monopolio industriale tende a radicalizzare nuovamente la classe ope­ raia inglese. In generale tutto il pensiero dell'ultimo Engels è permeato dalla sensa­ zione che le forze profonde della storia lavorino oramai a porre le premesse del so­ cialismo nei paesi dell'Europa occidentale, in particolare in Germania, alle soglie del nuovo secolo; nello stesso tempo il capitalismo avanza anche in Russia, dove di anno

5. CIRCOLAZIONE, RIPRODUZIONE, CRISI

Tornando al problema delle crisi cicliche, siamo ora in grado di apportare una prima correzione al quadro tracciato a suo tempo da Sweezy nella sua classificazione delle teorie delle crisi da realizzo 60• L'intento di Sweezy, guidato dalla sua impostazione sottoconsumisti­ ca, sulla quale avremo modo di tornare nei prossimi capitoli, è quel­ lo di far apparire la teoria delle sproporzioni un corpo quanto più possibile estraneo alla tradizione marxista e per questo egli ne attri­ bui�ce la paternità a un personaggio come Tugan Baranowsky, situa­ to a latere del marxismo vero e proprio. Ci sembra, in realtà, che una lettura attenta dell'Antiduhring non possa non riconoscere nelle pagine engelsiane il vero e proprio �tto di nascita della teoria delle crisi da sproporzioni: dal punto di vista logico con essa si compie un vero e proprio misconoscimento del ca­ rattere specifico delle contraddizioni insite nella produzione capitali­ stica, le quali vengono attribuite ·alle costrizioni esercitate su una pro­ duzione sempre più socializzata dal carattere ancora mercantile dello scambio. Da questo punto di vista la teoria di Tugan, nonostante i paradossi attraverso i quali fu formulata e che tanto scandalo susci­ tarono nel vivo della polemica, non fa che esplicitare una delle va­ rianti più radicate della tradizione marxista. Le crisi industriali in Inghilterra, l'opera di Tugan Baranowsk:y che più da vicino si occupa del ciclo economico, apparve inizialmente in in anno si allontana la possibilità, ammessa a suo tempo da Engels come da Marx, di utilizzare nella transizione al socialismo i resti delle istituzioni comunitarie: anche qui, come in occidente, I'awenire è sempre più nelle mani del proletariato industriale. Sul­ la base di questa valutazione nasce in Engels la convinzione che lo sfaldamento della società borghese sia un processo oramai imminente, che si possa parlare di un