Paradosso e controparadosso 8870788121, 9788870788129

Scritto nel 1975 da un’équipe di psichiatri e psicoanalisti in rotta con l’or­todossia psicoanalitica, Paradosso e contr

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Italian Pages 158 Year 2003

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Paradosso e controparadosso
 8870788121, 9788870788129

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M. S e l v i n i Pa l a z z o l iL. Bo s c o l o G. Ce c c h i n iG. Pr a t a

Pa r a dos s oe c ont r opa r a dos s o

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Dal catalogo

M. Selvini Palazzoli, S. Cirillo, M. Selvini, A.M. Sorrentino

I giochi psicotici nella famiglia M. Selvini Palazzoli, S. Cirillo, M. Selvini, A.M. Sorrentino

Ragazze anoressiche e bulimiche P. Bertrando, D. Toffanetti

Storia della terapia familiare L. Boscolo, P. Bertrando

Terapia sistemica individuale G. Cecchin, G. Lane, W. Ray

Verità e pregiudizi

Un approccio sistemico alla psicoterapia

P. Leonardi, M. Viaro

Conversazione e terapia L'intervista circolare

P. Watzlawick, G. Nardone

Terapia breve strategica

Mara Selvini Palazzoli, Luigi Boscolo Gianfranco Cecchin, Giuliana Prata

PARADOSSO E CONTROPARADOSSO



Raffàcllo Cortina Editore

www.raffaellocortina.it

Prima edizione italiana 1975, Feltrinelli ISBN 88-7078-812-1 © 2003 Raffaello Cortina Editore Milano, via Rossini 4

Prima edlzlone: 2003

INDICE

"Paradosso e controparadosso" oggi: il senso di un a riedizione

(P. Barbetta)

Prefazione alla prima edizione

VII

XIII

Parte prima Capitolo I Intro duzione Capitolo II Modalità di lavoro dell'équipe

9

Parte seconda Capitolo III La coppia e la famiglia a transazione schizofrenica

19

Capitolo IV n paziente designato

31

Parte terza Capitolo V Gli interventi terapeutici come apprendimento per tentativo ed errore

43

Capitolo VI La tirannia del condizionamento linguistico

47

v

Indice Capitolo VII La connotazione positiva

51

Capitolo VIII La prescrizione in prima seduta

63

Ca pitol o IX I rituali familiari

77

Capitolo X Dalla rivalità col fratello al sacrificio per aiutarlo

91

Capitolo XI I t erapeuti p r endono su di sé il dilemma del rapporto

fra genitori e figlio

97

Capitolo XII I terapeuti accettano senza obiezioni il miglioramento sospetto

103

Capitolo XIII Come ricuperare gli assenti

107

Capitolo XIV Come aggirare la disconferma

113

Capitolo XV n problema delle coalizioni negate

123

Capitolo XVI I terapeuti dichiarano la propria impotenza senza biasimare alcuno

133

Bibliografia

141

VI

''PARADOSSO E CONTROPARADOSSO" OGGI: IL SENSO DI UNA RIEDIZIONE Pietro Barbetta

È esagerato paragonare Paradosso e controparadosso all'Intetpreta­

zt'one dei sogni? Si è detto di quest'opera di Freud che la sua distanza

d agli scritti immediatamente anteceden ti costituisce il crinale tra la preistoria e la storia della psicoanalisi. Paradosso e controparadosso ha il diritto di essere considerato l'inizio della storia della terapia familia­ re sistemica. Credo che un tale giudizio possa essere c on diviso da molti. Valga p er tutte la testimonianza di Lynn Hoffman, che - con Peggy Papp e Olga Silverstein- introdusse, all'Ackerman Institute di New York, il modello del gr upp o di Milano: "Quando lessi per la prima volta Para­ dosso e controparadosso ne fui ispirata. Finalmente una teoria della te­ rapia costruita sulla visione sistemica ch e Bateson aveva tentato di de­ scrivere" Come avvenne che le teorie antropologiche di Bateson· si trasfor­ marono in prati che terapeutiche? li pas s aggio storico e concettuale si sviluppa in tre momenti: - l' antipsichiatria aveva contestato i fondamenti scientifici delle teorie della malattia mentale, anche a seguito dell'influenza della grande ope-. radi Foucault su "follia e sragione"; - Gregory Bateson aveva formulato la prima ipotesi sulla schizofrenia basata sulla comunicazione interpersonale; -Paradosso e controparadosso apriva la via alla terapia cotile famiglie ''a transazione schizofrenica" Erano gli anni -la prima edizione italiana è del1975, qu elle ingle­ se e francese del1978, la spagnola del1982- in cui nei paesi a demo­ crazia occidentale venivano smantellate le istituzioni totali e venivano formulate nuove leggi per la diagnosi e la cura del menta! disorder. In VII

“Paradosso e controparadosso” oggi: il senso di una riedizione quel periodo un gr upp o di psicoanalisti di Milano proponeva nuovi metodi, nuove tecniche, nuovi concetti. Con gli occhi di un terapeuta familiare del nuovo secolo, si potrebbe interpretare quella novità co­ me il tentativo di rendere operativo il pensiero di Bateson. Verso la fine degli anni Sessanta una forte polemica- tuttavia sot­ terranea e poco conosciuta - aveva coinvolto lo stesso Bateson nei confronti di Jay Haley. Haley riteneva che gli esseri umani si mettesse­ ro insieme per la conquista del potere. Bateson aveva decisamente ri­ fiutato una simile visione strategica. Dalla teoria del "doppio vincolo" Bateson aveva tratto la considerazione che il paradosso consisteva fondamentalmente nella messa in scacco di ogni possibilità strategica. n concetto di "doppio vincolo" partiva dall'individuazione di due livelli distinti presenti in ogni processo di comunicazione umana: il li­ vello della comunicazione logica - gli psicoanalisti potrebbero chia­ marlo il piano della razionalità - .e quello della comunicazione legata alla gestualità, al corpo, alle tonalità vocali, definito come livello ana­ logico. Se i due livelli vengono percepiti come contraddittori tra loro, si crea una condizione di comunicazione paradossale. Chi riceve il messaggio si trova in una situazione circolare di indecidibilità e di confusione in cui non sa se attribuire valore al livello logico oppure a quello analogico. n "doppio vincolo" non è però riducibile semplicemente a questo paradosso, è necessario che ci sia una terza componente che attiene alla relazione tra le persone che comunicano: l'impossibilità di abban­ dd'nare la comunicazione. Nell'articolo del 1956, intitolato "Verso una teoria della schizofrenia", la teoria del doppio vincolo fu indivi­ duata come una spiegazione della genesi della schizofrenia. In "Dop­ pio vincolo, 1969" Bateson rileva i "numerosi errori" presenti in quel­ la prima formulazione. In breve, Bateson sottolineò due aspetti: la non oggettività del doppio vincolo e, di conseguenza, il doppio vinco­ lo come generatore di cambiamenti discontinui connessi al fenomeno della creatività umana e animale. Da lì in poi il paradosso nella comu­ nicazione venne concepito, nella sua duplicità, sia come una strategia radicale, sia come radicale impossibilità di usare strategie. Fin qui siamo appunto alla preistoria della terapia sistemica. La sua storia infatti nasce dall'applicazione di queste considerazioni al colloquio clinico con le famiglie. Si trattava ..,.. come spesso loro stessi di quattro psicoanalisti che avevano pensato di amano ricordare cambiare le regole della terapia. Uscire dal setting individuale, lavora­ re in gruppo, vedere gruppi familiari, fare terapie brevi, allungare i -

VIII

“Paradosso e controparadosso” oggi: il senso di una riedizione tempi tra una aeduta e l'ultt·a, introdurre l'osservazione della seduta tramite lo specchio unidirezionale e altri cambiamenti di setting che somigliavano ai cambiamenti che, a quell'epoca, altri centri- come il Menta! Research Instz'tute di Palo Alto - avevano incominciato a in­

trodurre. Ma non fu solo quello. Ciò che caratterizzò maggiormente la tera­ pia del gruppo di Milano, ciò che, a buon diritto, può essere definito come l'inizio della terapia familiare sistemica, fu- come ha osservato Janine Roberts- "l'importanza di presentare il rituale all'interno della più vasta cornice della connotazione positiva" Se l'enfasi dell'Interpretazione dei sogni è sulla narrazione onirica, l'enfasi di Paradosso e controparadosso è sulla teatralità e la ritualità dell'intervento finale. Il terapeuta rientra in scena con un messaggio da dare alla famiglia, si tratta di un messaggio che l'équipe terapeuti­ ca ha preparato - spesso il messaggio veniva presentato in forma scritta, letto dal terapeuta, o addirittura inviato in forma di lettera a casa - e che il terapeuta in seduta deve avere l'abilità di pronunciare, quasi come una divinazione oracolare, prima di chiudere la seduta. L'intervento finale ha tanto più effetto quanto più è seguito rapida· mente dalla chiusura della seduta, quanto meno la famiglia retroagi­ sce all'intervento, quanto più ne rimane, per così dire, stupita. Quan­ to più questa forma della comunicazione rimane avvolta nel mistero. Il messaggio è sempre. nella cornice della connotazione positiva, una cornice creata dal terapeuta durante la conversazione che prece­ de l'intervento finale grazie al proprio atteggiamento rispettoso e al­ l'uso dell'intervista circolare. A sua volta il rituale terapeutico può contenere, come in un ologramma, la prescrizione di rituali familiari. Il più importante tra gli interventi controparadossali fu necessaria­ mente la prescrizione del sintomo. Bateson aveva proposto un nuovo modello antropologico, il gruppo di Milano l'aveva trasformato in una "teoria della terapia" Non molto tempo dopo il gruppo di Milano si separò. Nel libro Milan Systemic Famtly Therapy- pubblicato nel 1987 da Basic Books e scandalosamente non tradotto in lingua italiana- fu anche formula­ ta l'ipotesi che la contraddizione che portò Luigi Boscolo e Gianfran­ co Cecchin a separarsi da Mara Selvini Palazzoli e Giuliana Prata fos­ se già implicitamente presente in Paradosso e controparadosso. Si scris­ se anche che questa contraddizione era, a livello terapeutico, la stessa che, a livello teorico, aveva contrapposto Bateson e Haley alcuni anni prima. Mara Selvini Palazzoli e Giuliana Prata formarono proprie IX

“Paradosso e controparadosso” oggi: il senso di una riedizione équipe terapeutiche, mentre Luigi Bos colo e Gi anfran c o Cecchin con· tinuano, da oltre venticinque anni, la loro collaborazione nello stesso centro dove Paradosso e controparadosso è stato sperimentato e pensa­ to. In particolare il gruppo di Mara Selvini Palazzoli si è dedicato alla ricerca sulle patologie dei sistemi familiari attraverso la formulazione di differenti modelli clinici sperimentali durante le terapie, il più noto dei quali è il modello dei Giochi psicotici nella famiglia. Luigi Boscolo e Gianfranco Cecchin si sono dedicati, in questi quasi trent'anni, alla formazione di generazioni di terapeuti familiari, sviluppando nuove idee e nuove modalità di conduzione della seduta di terapia familiare. L'uso delle domande circolari e riflessive, la riflessione sul tempo in terapia, la posizione di irriverenza terapeutièa, l'analisi dei pregiudizi e l'applicazione dell'approccio sistemico al setting individuale sono alcuni degli sviluppi di questi anni di lavoro. L'approccio sistemico di Milano, nelle sue diramazioni, ha dato vi­ ta a uri cespuglio lussureggiante di idee, équipe terapeutiche e teorie più o meno ortodosse, più o meno eretiche. Chi si reca oggi a visitare il Centro milanese di terapia della famiglia si aspetta di vedere qual­ cosa che ha visto magari qualche anno fa, o di cui ha sentito parlare; vede invece sempre qualcosa di nuovo e creativo, sebbene il rispetto e la valorizzazione della differenza, la connotazione positiva, il pensiero circolare, la depatologizzazione e la libertà siano i capisaldi dell'inse­ gnamento di questa scuola. Ugualmente la ricerca di Mara Selvini Pa­ lazzoli e il suo gruppo è sempre stata aperta al cambiamento e alla riformulazione di nuove teorie. Non si è mai chiusa in un modello statico. Forse oggi nessuno utilizza più le tecniche di Paradosso e contropa­ radosso in modo meccanico, è come una macchina d'epoca. Però i pezzi che la componevano vengono a volte recuperati, magari modifi­ cati. Di questa esperienza si ammira lo sforzo di trasformare la psico­ terapia da un'attività di medicina specialistica in una pratica sociale critica. Alla luce delle nuove teorie postmoderne in psicoterapia, delle terapie narrative e conversazionali, di fronte ai nuovi approcci critici, che mettono in questione le terapie e le diagnosi più accreditate in occidente come pratiche coloniali, Paradosso e controparadosso è su' perato? Si tratta di una domanda che ho posto recentemente a Lynn Hoff­ man, una delle persone che, nel 1978, ha portato a New Yorkil mo­ dello di Paradosso e controparadosso, ma anche la persona che, negli ultimi trent'anni, ha, meglio di chiunque altro, seguito personalmente x

“Paradosso e controparadosso” oggi: il senso di una riedizione il rigoglioso cespuglio evolutivo delle nuove forme di terapia familia­ re. 11Paradosso e controparadosso", le ho chiesto, "è l'ultimo atto eli una pièce teatrale m o d erna , oppure il primo atto del teatro terapeuti­ co postmoderno?" Lynn Hoffman ha diplomaticamente girato la do­ manda ai miei studenti, chiedendo loro un parere. Non c'è una rispo­ sta ovvia a questa domanda. Molti considerano il Milan Approach co­ me l'ultima grande terapia moderna, altri come l'inizio eli un mondo nuovo. Personalmente credo si tratti eli un crinale. Questo libro non trac­ cia solo retrospettivamente la differenza tra la preistoria e la storia della terapia familiare sistemica, è anche l'inizio di gran parte delle nuove prospettive terapéutiche degli ultimi venticinque anni. Le sue istanze sono state oggetto di consideraiione e di studio da parte dei terapeuti familiari, degli psicoanalisti, degli psicoterapeuti cognitivo­ comportamentali. In questo senso, Paradosso e controparadosso è cer­ tamente un classico. Era perciò doveroso farlo conoscere attraverso una nuova edizione. Si tratta inoltre di un omaggio da rendere alla memoria eli Mara Selvini Palazzoli.

XI

PREFAZIONE

ALLA PRIMA EDIZIONE

Questa pubblicazione rappresenta il rapporto preliminare di un piano di ricerca che, progettato dall'équipe dei co-autori alla fine del 1971, fu messo in atto a partire dal gennaio 1972. Esso concerne il la­ voro terapeutico condotto con 15 famiglie, di cui 5 presentanti bam­ bini fra i 5 e i 7 anni con gravi comportamenti psicotici e 10 presen­ tanti soggetti di età compresa fra i 10 e i 22 anni diagnosticati come schizofrenici in fase florida, a inizio relativamente recente, i quali non avevano subito ricoveri istituzionali. Il reperimento di tale casistica che, allo scopo di procedere per gradi, ha escluso finora famiglie con soggetti relativamente attempati e cronicizzati, con precedenti ricove­ ri in reparti psichiatrici, è dovuto alla solidarietà di colleghi che ci hanno volonterosamente aiutati nella effettuazione del nostro piano di ricerca. La pubblicazione di questo rapporto preliminare risponde al pres­ sante invito, da molte parti pervenutoci, di comunicare le modalità e gli effetti del nostro tipo di lavoro. Lo facciamo anche se consapevoli di una indubbia precocità, giacché per diverse famiglie, in cui si sono ottenuti cambiamenti rapidi e drammatici, non è ancora trascorso il tempo necessario a un controllo catamnestico sufficientemente pro­ lun-gato. Come si potrà osservare, continuiamo a usare, per intenderei, il termine bleuleriano, ormai universalmente entrato nell'uso, di schizo­ /renz'a, intendendo però, con questo, non una malattia del singolo, co­ me nel tradizionale modello medico, ma una peculiare modalità co­ municazionale inseparabile dalle modalità comunicazionali osservabi­ li nel gruppo naturale in cui essa ha luogo: nei nostri casi, la famiglia a transazione schizofrenica. :xm

Prefazione alla prima edizione Il nostro l avor o è s tat o caratterizzato dal tent ativo di operare con ri go re metodologico, escogitan do a pplicazio ni terapeutiche rigo rosa ­ mente coerenti col modello cot:J.cettuale presc elto . Ci pare che l ' a spet t o più importante di questo primo rapporto sia l'esposizione della metodologia terapeutica da n oi escogitata. In altre parole, che risulti più interessante per il letto re quello che facciamo p iutto sto che quello che penslamo di fron te alla tran s azione schizofre­ nica. Ciò n onostant e , nella seconda parte del volume abbiamo neces­ sariamente dovuto premettere quello che pensiamo al fine di rendere comp rensibil e quello che facciamo. Ringraziamo tutti gli amici che ci hanno incoraggiati e aiut ati. I colleghi psicologi, psichiatri, as s ist ent i so ciali che , m ot iv an do famiglie al trattamento familiare, hanno fatto sì ch e il nostro piano di ricerca non restasse allo stato di progetto. Tra questi testimoniamo il debito della n ostr a g r atitu din e alla me­ moria della dottoressa Lidia De Petris Chelli, prematuramente scom­ parsa, che per prima ci affiancò con fiducioso entusiasmo nella fase pionieristica del nostro lavoro . E infine ringraziamo la s ign or a Enrica Dal Pont Solbi ati per l'aiuto g en ero so datoci con la messa a punt o del man oscritt o . Milano, 31 ottobre 197 4

XIV

PARTE PRIMA

I INTRODUZIONE

Questo volume riferisce la ricerca svolta a livello empirico dalla no­ stra équipe nel tentativo di controllare la validità dell'ipotesi fonda­ mentale di partenza basata sui modelli offerti dalla Cibernetica e dalla Pragmatica della comunicazione umana: la famiglia è un sistema auto­ correttivo, che si autogoverna mediante regole costituitesi nel tempo attraverso tentativi ed errori. L'idea centrale di questa ipotesi è che ogni gruppo-naturale-con storia, tra cui fondamentale è la famiglia (ma potrebbe essere anche un'équipe di lavoro, una comunità spontanea, un gruppo aziendale), si costituisce in un certo arco di tempo, attraverso una serie di tentativi, di transazioni e di retroazioni correttive che sperimentano ciò che è permesso o che non è permesso nella relazione, fino a diventare una unità sistemica originale tenuta in piedi da regole peculiari solo a quel sistema. Queste regole si riferiscono alle transazioni che awengono nel gruppo naturale, transazioni aventi il carattere di comunicazioni sia al livello verbale che non verbale. Infatti il primo assioma della Pragmati­ ca della comunicazione umana asserisce che ogni comportamento è una comunicazione che a sua volta non può non provocare una rispo­ sta consistente in un altro comportamento-comunicazione. Seguendo questa ipotesi si arriva a un'altra ipotesi: che le famiglie presentanti dei comportamenti diagnosticati tradizionalmente come "patologici" in uno o più membri di esse si reggono su un tipo di tran­ sazioni, e quindi di regole, peculiari a quel tipo di patologia, e che i comportamenti-comunicazione e i comportamenti-risposta avranno caratteristiche tali da mantenere le regole e quindi le transazioni pato­ logiche. Visto che i comportamenti sintomatici non sono altro che parte delle

Paradosso e controparadosso transazioni peculiari di quel sistema, per poter influenzare i sintomi nel senso del cambiamento non resta che tentare di cambiare le regole. I vari capitoli di questo volume descrivono i metodi da noi escogita­ ti a questo scopo. I risultati hanno confermato che, quando si riesce a scoprire e a cambiare una regola fondamentale, si può ottenere rapidamente la scomparsa dei comportamenti patologici. Ciò ci indusse ad accettare l'idea proposta da Rabkin: che in natura avvenimenti di importanza ra­ dicale accadono a volte d'improvviso quando una regola fondamentale di un sistema viene cambiata. Rabkin propone il termine Saltology, cioè Saltologia (dal latino saltus), per la disciplina che dovrebbe stu­ diare questi fenomeni. Ciò trova la �ua corrispondenza nella Teoria ge­ nerale dei sistemi i cui teorici parlano di p, come di quel punto del si­ stema sul quale converge il numero massimo di funzioni essenziali a un sistema, cambiando il quale si ottiene il massimo cambiamento con un minimo dispendio energetico. L'esperienza ci ha anche mostrato la po­ tenza che hanno i sistemi, tanto più quanto più sono patologici, nel mantenere e sostenere le regole che il sistema si è creato nel tempo at­ traverso il processo di tentativo ed errore e il processo stocastico, cioè la memorizzazione delle soluzioni trovate. Dalla Teoria generale dei sistemi sappiamo che ogni sistema vivente deve essere caratterizzato da due funzioni apparentemente contraddit­ torie: la tendenza omeostatica e la capacità di trasformazione, il cui in­ tergioco mantiene nel sistema un equilibrio sempre provvisorio che ne garantisce l'evoluzione e la creatività, senza le quali non vi è vita. Nei si­ stemi patologici, invece, appare la tendenza sempre più rigida a ripetere compulsivamente le soluzioni memorizzate al servizio dell' omeostasi. Abbiamo scelto la famiglia a transazione schizofrenica come ogget­ to di studio dopo aver ottenuto un certo numero di successi nel tratta" re famiglie con pazienti anoressici, che risultarono caratterizzate dalla presenza di ridondanze comportamentali e di regole particolarmente rigide e ripetitive tali da rendere possibile l'assimilare tale sistema al modello cibernetico notoriamente meccanicistico e rigidamente pro­ grammato. Invece nelle famiglie con pazienti psicotici, pur riscontrando la stes­ sa rigidità del modello di base, constatammo che le modalità transazio­ nali presentano un'enorme complessità e che il modo con cui la fami­ glia mantiene il gioco è di una varietà e inventività impressionanti. L'ipotesi sopra descritta implica nei terapeuti un cambiamento epi­ stemologico nel senso originario del verbo greco epistamai corrispon· 4

Introduzione dente al mettersi in posizione di vantaggio per meglio osservare qual­ cosa. n cambiamento consiste nell'abbandonare la visione lineare-cau­ sale dei fenomeni che h a dominato le scienze fino a tempi recenti per acquisire una visione sistemica. Ciò significa che i membri della famiglia sono considerati come gli elementi di un circuito di interazione. I membri del circuito non han­ no alcun potere unidirezionale sull'insieme. In altre parole, il compor­ tamento di un membro della famiglia influenza inevitabilmente il com­ portamento degli altri. Tuttavia è epistemologicamente errato conside­ rare il comportamento di questo membro come la causa del comporta­ mento degli altri membri. E questo per il fatto che ogni membro in­ fluenza gli altri ma è anche influenzato dagli altrì. Esso agisce sul sistema ma è anche influenzato dalle comunicazioni che gli provengono dal sistema. Un esempio particolarmente chiaro di ciò può essere trovato nel campo neuro-orinonale. Nel sistema corpo-umano l'ipofìsi agisce certamente sul sistema ma è a sua volta influenzata da tutte le informazioni che le provengono dal sistema, e non ha quindi su di esso aicun potere unidirezionale. Così ogni transazione familiare è una serie di comportamenti-rispo­ sta, che a loro volta influenzano altri comportamenti-risposta e così

via.

Dire che il comportamento di un individuo è la causa del comporta­ mento di un altro individuo è perciò un errore epistemologico. L'errore è dovuto alla punteggiatura arbitraria che isola tale com­ portamento dal contesto pragmatico dei comportamenti che lo hanno preceduto, la cui serie può venire arretrata all'infinito. Anche un com­ portamento che, in diversi modi, riduce all'impotenza chi ne è appa" rentemente vittima, non è un comportamento-potere, ma un compor­ tamento-risposta. Eppure chi ha la meglio crede di essere il solo a de­ tenere il potere, così come il soccombente è convinto di essere il solo a non avere il potere. Ma noi sappiamo che queste convinzioni sono errate, perché il po­ tere non appartiene né all'uno né all'altro. Il potere è nelle regole del gz'oco che si sono stabilite nel tempo nel contesto pragmatico di coloro che vi si trovano coinvolti. La nostra esperienza ci ha portati alla convinzione che il continuare a vedere i fenomeni secon do il modello causale costituisce un grave impedimento nel comprendere il gioco familiare e quindi rende impo­ tente chi voglia attuarvi dei cambiamenti.

'

Paradosso e controparadosso Nelle scienze più diverse l'aver accolto questo nuovo modello epi­ stemologico sostanzialmente basato sul concetto eli retroazione ha per­ messo di fare progressi giganteschi fino a mandare l'uomo sulla Luna. Invece, nelle scienze che studiano i comportamenti umani, questa nuova epistemologia è stata introdotta solo negli anni Cinquanta dagli studi di Gregory Bateson e della sua équipe, il cui interesse principale era lo studio della comunicazione, il quale utilizzava dati e osservazio­ ni provenienti da varie fonti: ipnosi, ammaestramento di animali, co­ municazioni in pazienti schizofrenici e neurotici, studio di film di suc­ cesso, natura del gioco e dell'humor ecc. L'elemento più geniale e innovatore di tale progetto di ricerca, svol­ tosi nel decennio 1952-1962, fu l'introduzione di alcuni concetti dei Prz'ncipia Mathematica di Whitehead e Russell, che permisero di fon­ dare una nuova logica. È la centralità del concetto di "funzione" che contraddistingue tale logica dalla logica aristotelica. Come affermò Russell in Principia Mathematica, "la logica tradizio­ nale sbagliò completamente poiché credeva che esistesse una sola for­ ma di proposizione semplice e precisamente una forma che attribuisce un predicato a un soggetto. È questa la forma adatta per assegnare le qualità a una data cosa. Possiamo dire: questa cosa è rotonda, rossa e così via. Se diciamo però: questa cosa è più grande di quella, non asse­ gniamo soltanto una qualità a questa ma una relazione fra questa e quella. Perciò proposizioni che stabiliscono una certa relazione fra due cose hanno forma differente dalle proposizioni del tipo soggetto-pre­ dicato. li non essere riusciti a capire questa differenza, o il non averne tenuto conto, ha dato origine a molti errori nella metafisica tradiziona­ le. Il fatto di credere, come convinzione inconscia, che tutte le propo­ sizioni sono della forma soggetto-predicato, in altre parole, che ogni fatto consiste di qualcosa che ha qualche proprietà, ha fatto sì che gran parte dei filosofi non fosse capace di dare una spiegazione del mondo della scienza e della vita quotidiana" Nel1956 il gruppo di Palo Alto pubblicò "Verso una teoria della schizofrenia" basandosi specificamente sulla Teoria dei tipi logici di Russell. La tesi centrale di questa teoria è che c'è una discontinuità tra una classe e i suoi membri. La classe non può essere un m embro di se stessa né uno dei membri può rappresentare la classe poiché il termine usato per la classe è di un livello di astrazione diverso dai termini usati per i membri. L'ipotesi eli Bateson e collaboratori è che, nelle relazioni umane,

6

Introduzione questa discontinuità spesso non venga rispettata generando in tale mo­ do paradossi di tipo russelliano con conseguenze patologiche. Ciò

portò alla formulazione della teoria del double-bind come comunica­

zione paradossale rilevabile con massima frequenza nelle famiglie di pazienti schizofrenici. Questi autori sono arrivati a considerare la schi­ zofrenia un "inner conflict of logical typing" risultato di caratteristici patterns comunicazionali ripetuti. Nel1967 Watzlawick, Beavin e Jackson pubblicarono un volume, Pragmatt'ca della comunica:done umana, allo scopo di sistematizzare le cognizioni fin allo ra acquisite nello studio della comunicazione: l a scienza, cioè, dei modi con cui ciascuna persona influenza gli altri me­ diante il carattere di messaggio del proprio comportamento (e quindi dei modi con cui ciascuno conferma, rifiuta, o disconferma l'altro nella relazione con lui). L'aspetto fondamentale di tale opera è consistito per noi nell'offrirei gli strumenti adeguati per l'analisi della comunicazione quali: il concet­ to di con testo come matrice dei significati, la coesistenza nell'uomo dei due linguaggi, an alogi co e digitale, la nozione di punteggiatura nell'in­ terazione, il concetto di necessità di definizione della relazione e i vari livelli verbali e non verbali su cui tale definizione può aver luogo, la no­ zione di posizione simmetrica o complementare nel rapporto, le fonda­ mentali nozioni di paradosso sintomatico e di paradosso terapeutico. A proposito di paradosso la nostra ri c erc a ci ha mostrato come la famiglia a transazione schizofrenica sostiene il p ro p rio gioco attraverso un intri­ co di paradossi che coinvolgono tutti i membri della famiglia, intrico che può essere sciolto solo da paradossi terapeutici ad hoc. Questa nuova epistemologia ci apre nuovi orizzonti teorici e pratici. In parti col are ci permette di considerare il sintomo come un fenomeno coerente con le c aratteri sti ch e transazionali specifiche del gruppo na­ turale in cui esso si verifica. E fin almente tale nuova ep istem olo gi a permette di superare quei dualismi cartesiani la cui p ersis ten z a è ormai di ost ac olo invece che di giovamento al progresso. Infatti se si riflette che in un cir cuito sistem i co ogni elemento è inserito, e interagisce, con la sua totalità, le dicoto­ mie organico-psichico, conscio-inconscio perdono di significato. ­

7

II

MODALITÀ DI LAVORO DELL'ÉQUIPE

ll Centro per lo Studio della Famiglia ha iniziato la sua attività a Mi­ lano nel mag gio 1967. L'apertura dell'esperimento, organizzato da Mara Selvini Palazzoli, era stata preceduta da un lungo periodo di stu­ dio della ormai vasta, quanto caotica, letteratura sull'argomento, non­ ché da un breve viaggio, più che altro di informazione, compiuto dalla Selvini negli Stati Uniti . L'attività del Centro si svolse per circa un an­ no e mezzo fra molti ostacoli di carattere pratico, quali la difficoltà di reperire e motivare le famiglie al trattamento in un contesto culturale impreparato e spesso ostile, nonché l'esiguità dell'équipe, costituita da due soli coterapeuti esperti in psicoterapia individuale e di gruppo ma privi di esperienza di lavoro con le famiglie . Per vari motivi, su cui non è il caso di dilungarsi, ma certamente in rapporto con la situazione della psichiatria in Italia, si preferì costitui­ re un Centro completamente indipendente da sovvenzioni e pubbliche istituzioni. Sono infatti noti i fenomeni di pressione che possono di­ sturbare un'équipe non autonoma: fissazione di scadenze per la pub­ blicazione dei dati, imposizioni dall'esterno di nuovi membri, stru­ mentalizzazioni a scopi estranei alla ricerca ecc. Tale decisione di autonomia, anche se comportava fondamentali vantaggi, comportò pure svantaggi non piccoli: la difficoltà di reperire la casis tica , la mancanza di fondi per le spese. A questo secondo svan­ taggio si ovviò lavorando part-time con un numero ridotto di fam iglie che versano un emolumento proporzionato ai loro mezzi economici. Fondata legalmente un "' Associazione senza scopo di lucro per lo Stu­ dio della Famiglia", devolviamo le quote degli associati nonché i con­ tributi delle famiglie alle spese ordinarie e straordinarie della sede e della ricerca. I ricercatori non percepiscono compenso. 9

Paradosso e controparadosso A partire dal l972 le famiglie presero ad affluire in numero conti· nuamente crescente, assai superiore alle possibilità di assorbimento. Ciò ha reso possibile lo studio di una casistica varia, nonché la pro­ grammazione di ricerche particolari. Tra queste, una ricerca de di cat a a famiglie di pazienti affette da anoressia mentale, pubblicata da Mara Selvini Palazzoli in un volume edito a Londra dalla Chaucer Publ. Co. (1974) col titolo: Sel/-starvation. From the intrapsychic to the transper­ sonal approa ch to anorexia nervosa. Poiché le famiglie che richiedono la terapia debbono sostenere una spesa, proporzionata alle loro possibilità, 1 si può dedurre che la loro motivazione sia paragonabile a quella dei pazienti che volontariamente richiedono la terapia individuale. n sostenere una spesa presuppone infatti una certa motivazione, salvaguarda la libertà di rapporto e con­ sente ai clienti un atteggiamento critico nei confronti dei terapeuti, i quali hanno così un'utile spia dei propri errori. Ciò costituisce un elemento importante, che differenzia il nostro la­ voro da quello effettuato, ad esempio, in un ambito istituzionale. L'équipe, che negli anni 1970 e 1971 era progressivamente aumen­ tata di numero fino a comprendere, per un breve periodo, otto mem­ bri, subì varie vicissitudini che si conclusero con una scission� e rior­ ganizzazione. L'attuale nostra équipe di ricerca si è costituita alla fine del1971. È composta di quattro membri, autori del presente volume, due uomini e due donne, psichiatri psicoterapeuti. Tale composizione ci consente l'impiego nel lavoro terapeutico di una coppia eterosessua­ le, regolarmente affiancata dalla coppia dei colleghi presente in camera di osservazione. L'uso della coppia terapeutica eterosessuale è un altro aspetto im­ portante del nostro lavoro� L'impiego della coppia eteros.essuale ci sembra innanzitutto comportare un equilibrio più "fisiologico" nel­ l'interazione fra. i due coterapeuti, e fra questi e la famiglia. Inoltre certe ridondanze nell'interazione iniziale della famiglia con l'uno o l'altra dei terapeuti possono aiutare a intuire certe regole del gioco familiare. Così nel caso di famiglie tradizionalmente dominate dalle donne, i membri, o certi membri della famiglia, mostreranno su­ bito una tendenza a polarizzare l'interesse sulla terapeuta donna, ignorando il terapeuta uomo (indipendentemente dai loro comporta­ menti). l. Al nostro Centro pervengono attualmente famiglie appartenenti a ogni ceto sociale. Co· il lettore potrà osservare in seguito, la metodica da noi impiegata rende indifferente il livello culturale come criterio di idoneità alla terapia.

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Modalità di lavoro dell'équipe L'LINO ddlu copphl eterullcNIIUule ci hn fornito un altro vantaggio: evitare di essere irretitl in certi stereotipi culturali sui due sessi, stereo­ tipi di cui i terapeuti sono inevitabilmente partecipi. In discussione di seduta d accadeva in fatti di assistere con grande frequenza ai vissuti

completamente opposti che i due terapeuti esprimevano nei riguardi dei membri della coppia, con conseguente tendenza a punteggiare in manie ra moralistica l'interazione dei due. "Come si può sposare una donna simile? ... " "Ma che dici, è lui che provoca ... non hai visto? Lo faceva anche con me!, n rilevamento di tale fenomeno ha facilitato al­ l'équipe l'accesso al modello sistemico, contro la tendenza cultural­ mente così radicata di fare punteggiature arbitrarie e interpretazioni causali. Le coppie terapeutiche, nel nostro lavoro di équipe, non sono fisse ma si scambiano a ogni nuova famiglia in combinazione diversa se­ guendo l'unico criterio di far sì che ogni membro dell'équipe lavori per lo stesso numero di ore sia come terapeuta che come osservatore. Tale procedura ci ha consentito l'osservazione di variabili inerenti alla persona di ogni singolo terapeuta, al rapporto reciproco e allo stile di lavoro sviluppato da ciascuna coppia. Inoltre ci ha permesso di accan­ tonare l'ipotesi che certi successi fossero dovuti ad aspetti particolar­ mente carismatici della person� di un terapeuta. Se gli interventi tera­ peutici sono corretti non occorrono carismi di sorta. Questa è la pro­ cedura che noi abbiamo scelto e che ci è risultata utile. Va da sé che non la consideriamo la sola possibile. Certamente anche un terapeuta solo, di sufficiente esperienza,· può lavorare con la famiglia; riteniamo tuttavia molto importante, con le famiglie a transazione schizofrenica, che disponga di osservazione continua. Giacché il nostro primo contatto cori le famiglie avviene per telefo­ no, abbiamo stabilito un orario speciale per queste chiamate, in modo che uno dei terapeuti sia disponibile per parlare abbastanza a lungo evitando errori e malintesi dovuti alla fretta. Il fatto che la terapia ha inizio col primo contatto telefonico non sarà mai abbastanza sottoli­ neato, Nel corso di questa telefonata è possibile osservare e annotare un gran numero di fenomeni: peculiarità della comunicazione, tono della voce, piagnucolosità, richieste perentorie di ogni genere di infor­ mazioni, tentativi immediati di manipolazione per ottenere l'appunta­ mento in determinati giorni e ore, operando una inversione dei ruoli, quasi fossero i terapeuti a "cercare" la famiglia. Questa organizzazione minuziosa, venutaci dall'esperienza e fonda­ mentale in qualsiasi rapporto terapeutico, lo è massimamente con que11

Paradosso e controparadosso sto tipo di famiglie. Come si vedrà meglio in seguito, persino l' accon­ discendere a una richiesta banale e apparentemente ragionevole della famiglia può infirmare il ruolo e il co nte sto terapeutico. Salvo casi par­ ticolarissimi, riteniamo an che errato co ncedere un appuntamento di urgenza. Ugualmente rifiutiamo i tentativi di certi genitori di ottenere un colloquio preliminare in as senz a del paziente des ign ato . A ciò fan­ no eccezione i casi di genitori di bambini nella primissima infanzia, o di bambini grandicelli che d risultino traumatizzati da precedenti ne­ gative esperienze psichiatriche. In tali casi, non di rado, riceviamo nel­ la prima seduta i genitori soli, per decidere se vi è la po ssib ilità di otte­ nere un risultato mediante la terapia della sola coppia.2 In tutti gli altri casi, e soprattutto con le fa miglie presentanti un pa­ ziente designato come schizofrenico, la prima seduta comporta sem­ pre la presenza di tutti i conviventi. Nel seguito, eccezionalmente, se la strategia terapeutica lo richiede, saranno i terapeuti a decidere un eventuale cambiamento nella composizione del gruppo familiare. Le più recenti esperienze ci hanno però in segnato a rompere il gruppo so­ lo in casi veramente eccezionali, in quanto tale ma novra è vissuta dalla famiglia come pericolo s a ed espone a retroazioni negative . I dati ottenuti dal prim o contatto telefonico vengono ripo rtati su una scheda standardizz ata che qui riproduciamo. Scheda telefonica Nome dell'inviante . . . . . . . . . . . . . . . . .. Data della chiamata . . . . . . . . . . Indirizzo della famiglia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . N ome, età, studi, professione del padre . . . . . . . . . . . , . . . . . . . . . . . . . . .. della madre . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . dei figli in ordine di nascita . . . . . . . . . . . . . . . . Data del matrimonio . . . . . . . . . . . . . ,.... . . . . .. . .. . . . . Altri conviventi eventuali e loro grado di parentela . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Problema . . . .

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Chi effettua la chiamata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Osservazioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . Informazioni dell'inviante . . . . . . . . . . . . . . .

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A volte il contatto telefonico con l a famiglia è precedut o da u n col­ loquio con l'invi ante, di cui annotiamo sulla scheda le notizie essenzia­ li. Gia c ché la prima seduta con la famiglia ha luogo parecchio tempo dopo, la rilettura della scheda risulta indispensabile. 2. Si ve d a a questo proposito l'articolo: Selvini Pal azzoli , M . , Boscolo, L . , Cecchin, G.F., Prata, G., "The treatment of children through brief the rapy of the parents " , in Family

Process . . . , 1 3 , 4, 1 974.

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Modalità di lavoro dell'équipe Le sedute hunno luo�o in u n n atunZil lll,POSitamente attrezzata, for· nita di numerose poltroncine poco ingombranti, soffitto insonorizzato e ampio specchio unidirezionale. n microfono, che è co llegato col tegi­ lltratore stereofonico d ell ' attigu a carnera di osservazione, è sistemato nel centro del lampadario. La famiglia viene immediatamente informa­ ta dell a nostra modalità di l avo ro in équipe. Viene spiegato l'uso del mi c rofo n o e dello specchio unidirezionale, dietro il quale, diciamo, stanno due colleghi che ci assistono nel nostro lavoro e coi quali ci riu­ niamo p er discutere prima di chiudere ogni seduta. O gni seduta si svolge regolarmente in cinque parti:

l ) la preseduta 2) la seduta 3 ) la discussione di seduta 4) la conclusione di seduta 5) il verbale di seduta. Nella prima parte, o preseduta, i terapeuti si riuniscono in équipe p e r la lettura della scheda qualora si tratti della seduta iniziale, o per la lettu ra del verbale della seduta precedente. Nella seconda parte, di durata variabile, più comUnemente di circa un ' o r a , i terapeuti conducono il colloquio con la famiglia. Durante la seduta i terapeuti sollecitano un certo numero di informazioni e sono interessati non solo ai dati concreti ma ai modi con cui tali inform az io ­ ni vengono fornite, come indice dello stile transazionale della famiglia. Le famiglie di cui qui ci occupiamo, ad esempio, mentre si sforzano di dare il più b asso livello possibile di informazioni concrete e orientati­ ve, non possono evitare di mostrarci chiaramente le loro peculiari mo­ d alit à comunicazionali. n comportamento dei terapeuti è teso a provo­ care t rans azioni fra i vari membri della famiglia, di cui si osservano le sequenze, i comportamenti verbali e non verbali e le eventuali ridon­ danze indicative di regole segrete. I terapeuti, tuttavia, si astengono sia dal far rilevare alla famiglia i fenomeni osservati sia dal pronunciare valutazioni e giudizi. Essi tengono tutto quanto per sé, a guida dell'in­ tervento conclusivo. Se gli osservatori notano che i terapeuti vengono disorientati o con­ fusi d alle manovre della famiglia, bussano alla porta chiamando l'uno o l ' altro dei terapeuti in camera di osservazione, onde comunicargli ri­ lievi e consigli atti a provocare retroazioni illuminanti. Non è infre­ quente che un terapeuta esca spontaneamente a cercare aiuto. Dopo questa seconda parte, i t e rap eu ti escono per la discussione d'équipe, 13

Paradosso e controparadosso che ha luogo in una sala a ciò riservata. In questa terza parte i terapeuti e gli osservatori discutono la seduta e decidono come concluderla. Nella quarta parte i terapeuti rientrano per la conclusione della se­ duta, che consiste solitamente in un breve commento o 1n una prescri­ zione . Tale commento e tale prescrizione sono studiati in modo da es­ sere paradossali, con rare eccezioni cui accenneremo in seguito . Nel caso invece della chiusura della prima seduta, i terapeuti si pronuncia­ no per prima cosa sull'opportunità o meno di un trattamento psicote­ rapico. N el caso che la conclusione sia positiva, e la famiglia accetti, si concorda la spesa delle sedute e se ne fissa il numero . La nostra prassi più recente è quella di fissare un numero di dieci sedute con un intervallo di circa un mese. Nei primi anni del nostro la­ voro seguivamo la prassi allora corrente di una seduta settimanale. Fu per caso, grazie a famiglie che dovendo fare viaggi lunghissimi ricevet­ tero appuntamenti più dilazionati, che scoprimmo che le· sedute sepa­ rate da più lunghi intervalli riuscivano più efficaci. In seguito a tale os­ servazione, progressivamente estendemmo tale prassi a tutte le fami­ glie, in base all ' esperienza che un commento, una prescrizione o un ri­ tuale esercitano un impatto maggiore nel sistema familiare �e agiscono per un tempo abbastanza lungo. Quanto all a decisione di scegliere il numero ridotto di dieci sedute essa è stata ispirata dall a convinzione che con queste famigliè o si rie­ sce rapidamente a provocare dei cambiamenti o si perde l' autobus. I terapeuti non possono in tal modo permettersi sedute interlocutorie che la nostra esperienza ha rivelato risolversi a tutto vantaggio della re­ sistenza familiare. Ciò inoltre responsabilizza fortemente la famiglia, oltre a rassicurarla sulla durata e sull'entità dell'onere del trattamento. Con due delle famiglie finora trattate, al termine delle prime dieci se­ dute abbiamo concordato un secondo ciclo di dieci sedute. Finora non abbiamo mai superato il numero di venti sedute. Nella quinta parte della seduta l'équipe si riunisce nuovamente, do­ po aver congedato la famiglia, per discutere le retroazioni osservate nella chiusura della seduta, formulare previsioni, e infine compilare un verbale di seduta in cui risultino in sintesi gli elementi essenziali della seduta stessa. Se vi sono state transazioni eccezionalmente importanti queste vengono trascritte verbatim. In caso di dubbio si riascolta il re­ gistrato . La procedura des critta comporta, come facilmente intuibile, un grande dispendio di tempo. In caso di sedute particolarmente difficili ci sono occorse anche tre o quattro ore di lavoro collettivo . Inoltre tale

Modalità di lavoro dell'équipe procedura esl�e un '�qtdpe fu nzionan te, non turbata da dislivelli gerar­ chici, da competizioni, da fazioni, i cui membri condivida no la stima recip roca e la disponibilità ad accettare dai colleghi osservazioni e con­ sigli. Anche il numero dei componenti l ' é quip e è, per n os tra esp e rien za, importante. Un'équipe troppo esigua è a nostro avviso insufficiente a c on troll are la potenza del gioco s chizofrenico. Un'équipe numerosa è invece appesantita da discussioni troppo lunghe oltre che dal .mag­ gior pericolo di disturbi di rapporto, competizioni e fazioni. il numero di qu attro membri ci sembra perciò il giusto mezzo. Ribadiamo la nostra convinzione che una terapia estremamente dif­ ficile come quella della famiglia a tr ansazione schizofrenica non possa essere affrontata con possibilità di successo che da un 'équipe lib era da lotte i n t estin e . n minimo spunto competitivo, infatti, immediat amente strumentalizza i problemi della famiglia come pretesto alle batt aglie di équipe. A questo ci sembrano particolarmente esposte le équipe for­ mate di autorità nelle i stituz ioni . La s up e rvi si one continua dei due col­ leghi in c amera di ascolto ci risulta pure indis p ensabile . Costoro, "esterni" come sono a quanto avviene in s edut a, sono meno facilmente travolti dal gio co , che possono osservare in pros p ettiva , in maniera glob ale , quasi una partita di cal cio dall 'alto di una gradinata. Gli erro­ ri, i pericoli, le strategie degli avversari sono infatti assai meglio visibili agli spettatori che ai giocatori in campo . Resta tuttavia il fatto, innegabile, che un' équipe terapeutica dedita alla rice rc a è uno strumento delicatissimo ed esposto a molte insidie, sia dal suo interno che d all ' est ern o . Una delle insidie più grandi le pro· viene dalle stesse famiglie , specie prima che l'équipe abbia raggiunto una sufficiente e spe rien za . Nei primi tempi del nostro lavoro con le famiglie in oggetto, ci ac­ c ad d e di ritrovarci talmente presi dal gioco da trasferire i sentimenti di frustra zion e e di rabbioso accanimento che lo accompagnavano nel rapporto fra noi. Passeremo ora a esporre la nostra concezione del gioco schizofreni­ co a cui siamo p ervenu ti mediante gli strum enti presentati nel primo cap itolo, nonché mediante i tentativi e gli errori di cui daremo esempi nei c apitoli dedicati agli interventi terapeutici . ­

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PARTE SECONDA

III LA COPPIA E LA FAMIGLIA A TRANSAZIONE SCHIZOFRENICA

In principio era la

relazione e la necessità eli definirla.

J ay Haley in The /amily o/ the schizophrenic: a Model System ha per primo evidenziato la riluttanza peculiare di ogni membro di tale fami­ glia ad ammettere sia che altri delimiti il suo comportamento (cioè de­ finisca la relazione) sia che lui stesso delimiti il comportamento di altri. Tale osservazione fondamentale, confermata dalla nostra esperien­ za, ci ha stimolati a formulare l'ipotesi che questo tipo di famiglia sia un gruppo naturale regolato al suo interno da una simmetria esaspera­ ta al punto da essere non dichiarabile e perciò coperta. Infatti, nella dichiarazione esplicita di voler prevalere è implicita sia la disponibilità a sopportare la sconfitta, almeno per un certo lasso di tempo, sia l'assunzione del rischio che una sconfitta definitiva o una vittoria definitiva comporti la perdita dell 'avversario, la cessazione del­ l'interazione, l'abbandono del campo. Osserviamo l'interazione di una coppia in cui la simmetria è sco­ perta. Qui la modalità dominante è il n'fiuto che ciascuno dei part­ ners oppone alla definizione che l'altro dà nella relazione. È evidente che per ciascuno dei due interlocutori il rifiuto dell' altro è una stoc­ cata . Ma tuttavia la stoccata non è insopportabile. Anzi, essa è previ­ sta, e serve da stimolo per assestare una contro-stoccata. Ciascuno si espone all ' altro gagliardamente e pervicacemente procede nell'escala­ tion dei rifiuti e delle ridefinizioni. n gio co può proseguire senza fine, ma può anche esporre al rischio della rottura: la violenza fisica, l'uxo­ ricidio , l'abbandono d�l campo da parte di uno degli interlocutori e quindi la perdita dell'avversario, e, per ciò stesso, del giocù. Precisa19

Paradosso e controparadosso mente ciò che la famiglia

a

transazione schizofrenica no11 può sop·

p o rt are . Come p o s s iamo allora ipotizzare in una coppia il costituirsi di quel ­ le regole che caratterizzano la transazione come schizofrenica? Teniamo presente, innanzi tutto, che il m ettersi a vivere insieme im­ plica inevitabilmente lo st ruttu rars i di un s i st ema di apprendimento: "Come imparare a vivere insieme " . Il " come" altro non è che la serie di tentativi ed errori att ravers o i quali i due imp arerann o a imp ara re , cioè tr ove r an n o le s olu zi on i del problema che li p reo c cup a : precisa­ mente del come c onvivere . Dobbiamo inoltre tener presente che ciascuno dei due proviene da un diverso s is t ema di ap p ren dim en t o regolato da certe soluzioni le qu ali fanno ormai parte del suo b agaglio st o c a s ti co (memoria) che ov­ viamente entrerà in gioco nella st ruttu r az ione del nuovo sistema, con­ dizion an dolo in varia mi s ura . Con questo intendiamo dire che i t ent ati ­ vi e gli errori che costituiscono il nuovo sistema di apprendimento non avvengono a tabula rasa ma in p resa diretta con le soluzioni trovate me­ diante i tentativi e gli errori n ei p re ceden ti sistemi di appren dim ent o . Il contr oll o da noi effettuato, specie nel caso di terap ie d i fami glie con bambini p si c o ti ci , sulle famiglie dei n onn i p aterni e materni, ha pienamente confermato l'asserto di Bowen: " O c co rrono almeno tre ge­ nerazioni per ottenere uno s chizofrenico " In tali famiglie di origine, infatti, le soluzi oni trovate ai p rob l emi del " come " vivere insieme si esprimono gi à in n orme rigide e ripetitive. Nella seconda generazione, cioè nella giovane coppia, oltre alle soluzioni disfunzionali adottate dalla prima gen er azi one , ne osserviamo un'altra a nostro avviso fonda­ mentale: la cautela nell'esporsi in quanto rifiuto di esporsi a un rifiuto. Ci ascuno dei due è p a rtito con un en orme desiderio di . ricevere una c on ferma , desiderio tanto più in t en s o quanto più croni c am ente insod­ disfatto. Infatti, già nelle fam iglie di origine , la lotta p er la definizione della relazi o n e , caratteristica dell'essere umano, è già es as p e rat a al p un ­ to che i genit ori delle nostre coppie, cioè la prima g enera zion e, si sono comportati come se il dare una conferma fosse un segno di debolezza. In altre parole: se qualcuno fa bene qualcosa è ch i aro che lo fa per esse­ re lodato, confermato. In t al caso il confermarlo s a rebb e un c ede re alla sua p rete s a , un sot tostare , un perdere di p restigio , di autorità . Per man­ tenere tale autorità sarà quindi n e ces sario non dare mai confe rm e e tra· vare sempre qu al c osa da ridire: sì . . . però . . . si poteva fare meglio . . . Che avverr à allora ai due partner allorché, dagli originari contesti di app ren dimento , arriveranno a strutturare il nuovo contes to ?

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La coppia e la famiglia a transazione schizofrenica Cinscuno sat·a animato da una stessa intenzione, anzi, da una stessa tensione. Stavolta ci riuscirà. Riuscirà finalmente a definire la rel azione e a ricevere conferma. Ma chi sceglie per questa in tr apre sa ? Lo abbia­ mo ripetutamente constatato : un p artner " difficile" Vediamo di dare una spiegazione a questo fenomeno . Partiamo da una rifle s sion e d i Bateson. Problemi di questo tipo generale sono frequenti in psichiatria, e forse possono essere ris olti solo ricorrendo a un modello in cui, in certe condi­ zioni, il disagio dell'organismo attiva un anello di reazione positiva che �salta il compo rtam ento che precedeva il disagio. Tale reazione positiva fornirebbe la verifica che era proprio quel comportamento particolare ad aver prodotto il disagio, e potrebbe accrescerlo fino a un livello di soglia dove il camb iam ento diventerebbe possibile. [ . . . ] Si noterà che le teorie tradizionali dell' apprendimento non contemplano la possibilità dell'esi­ stenza di questo anello di reazione positiva, capace di causare una fuga nella direzione dell'aumento del disagio fino a una certa soglia (che po­ trebbe essere sull ' altro lato della morte) . Ma la tendenza a verificare ciò che è sg ra devole ricercandone ripetutamente l'esperienza è tm comune tratto umano; è forse ciò che Freud chiamava " istinto di morte " . 1

L a nostra esperien z a c i ha portati a con sider are l o stato di disagio ,

di cui parla Bateson, come la cons eguenz a di ritro varsi " down" quan·

do si c e r cava di portarsi " up " nello sforzo di definire la relazione. Non si tratta qui, sia chiaro, dello sforzo per il controllo di un'altra persona, ma dello sforzo per il con trollo della relazione. L'uomo è un essere che non ac c et ta facilmente questo genere di aconfitta e che ritorna compulsivamente, per rit enta r e , sul luogo della b attaglia pe rd ut a . L'uomo l'ha ingaggiata anche con Dio, come ci inse­ I>Jl'l tl110 le pagine del Genesi: "Perché mai deve essermi vi etat o di man­ giare i frutti di questo albero ? " È dall a sua hybris2 che gli proviene la cacciata dal paradiso della posizione complementare riconosciuta e volentieri accet t at a . In questo senso la fre quente caratteristica uman a di cui parla Bateson potrebbe essere l'hybris, "la pretesa di farcela" un giorno o l'altro, anche a costo di morire. � per noi s ul filo dell'hybris, già esasperata dai rispettivi sistemi ori­ ginari di apprendimento, che ciascun membro della nostra coppia scel. Il corsivo è nostro. . 2. Usinmo il vocabolo greco originale u�pì in quanto non riducibile al termine orgoglio. Glncché hybris è ben più dell'orgoglio, che è anche sano. Hybris è invece la supponenza, la tra­ cutnn�n, la tensione simmetrica esasperata al punto da non arrender si di fronte all 'evidenza e al, la 1t=n11 lmminenzn di morte,

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Paradosso e controparadosso glie il partner 11 difficile" .

t'. proprio con questo che ciascu110 vuole ri·

petere la sfida, che ciascuno pretende di riuscire. Osserviamo come le posizioni dei due nella relazione sono sostan­

zialmente identiche, sim metriche. Ciascuno anela spasmodicamente a conquistare il controllo della definizione della relazione. Ma tosto cia­ scuno riesperimenta, al minimo tentativo, il fallimento temuto. A questo p�nto l'hybris , lun &i dal ridimensionarsi, aumenta: il falli­ mento diviene insopportabile. E d'uopo evitarlo a ogni costo, preve­ nirlo con o gn i mezzo . E come? Evitando di esporsi, cioè di definire la relazione . E in qual modo riuscirvi? Non c'è che un mezzo. Squalificare la propria definizione della relazione subito, p rima ch e l'altro ci arrivi. Prevenire il colpo insopportabile. Si di sp iega così il grande gioco, si configurano le regole segrete. TI messaggio si fa sempre più criptico onde evitare di esporsi. Si impara persino a evitare anche le manifeste contraddittorietà logiche, le anti­ nomie che apparirebbero troppo , evidenti. Ci si perfeziona a lavo rare sul paradosso, sfruttando la possibilità, specifica dell'uomo, di c om u ­ nicare contemporaneamente su diversi livelli, verbali e non verbali, e di saltare con disinvoltura da una classe logica a un membro della clas­ se, come s e si trattasse della stessa cosa, diventando acrobati nel para­ do ss o russelliano. Ed ecco configurarsi la congerie delle manovre comunicazionali, or­ mai ben note, che caratterizzano la transazione schizofrenica: squalifi­ che su alcune o s u tutte le componenti del messaggio, tangenzialità, spo­ stamenti dal tema, amnesie e infine, manovra suprema, la disconferma. A prop osito di dis con fe rma è importante notare come, nella lettera­ tura, questa sia stata evidenziata per lo più in un unico senso nel modo seguente: la disconferma è un tipo di risposta alla definizione che !'-al­ tro tenta di dare di sé nella relazione. Essa non è conferma e neppure rifiuto. È una risposta criptica, incongruente, la quale convoglia so­ stanzialmente il seguente messaggio: " Non prendo atto di te, non ci sei, non esisti " . Nel nostro lavoro con le famiglie abbiamo p otuto scoprire un'altra modalità di disconferma, ancora più esiziale e sottile: è l'autore stesso del messaggio che si qualifica come non esistente segnalando in qualche modo : ''Io non ci sono, non esisto nella relazione con te" Su tale manovra, sulla sua frequenza e importanza attirò per la pri­ ma volta la nostra. attenzione, in seduta, un preadolescente psicotico, il quale, riformulando una nostra osservazione, ci di s s e queste parole stu­ p efa centi: "Ma io mi sforzo di obbligaré la m amm a a materializzarsi" 22

La coppia e la famiglia a transazione schizofrenica Fu solo in quel momento che scopl'irnmo ciò che significava, in quel contesto, quel vago senso di essere altrove, estranea, tediata, che lo mac.lre comunicava a tutti quanti, tale da p r ovo c are anche ·in noi te­ rapeuti quel vaghissimo senso di futilità, di sfin imento, che avevamo fino a quel momento attribuito gen eri cam ente al tipo di transazione familiare. Come raggiungere, com e comunicare, come colpire qualcuno che non c'è? E inversamente, in qu a l modo esserci nel r app o rto con qual­ cuno che non c'è? Da quel momento incominciammo a rilevare la fre­ quenza di tale manovra di autodisconferma, e quin di di dis conferma degli altri, in membri di molte famiglie a tran s azi one schizofrenica e a cercare le tattiche per dissolverla. Quando la c op p ia arriva ill t e rapia, il gioco è ormai cristall izzato. I terapeuti in c ont rano una coppia la cui simmetria è mascherata dietro un cumulo di m an ovre talmente confondenti e complesse da far persi� no apparire i du e come affezionati e pieni di riguardi. Comun que , sia che appaiano affezionati o no, è certo che i due sono di fatto in s ep ar a bili. Che cosa mai li tiene u niti in un rapporto tanto difficile? È stato s p es s o affermato, dagli studiosi della famiglia a transazione schizofrenica, che i genitori di queste famiglie sono personalità fragili, aggrappate al partner, in p re d a sia al terrore dell'abbandono che al ter· rare di una vera intimità. La nostra esperienza con tali famiglie ci ha forzati a renderei conto che una simile credenza, da noi inizialmente condivisa, aveva grave· mente ritardato il nostro lavoro e ci aveva indotti a commettere errori a volte irreparabili. L'errata credenza ci p roveniva indubbiamente dalla nostra prepara­ zione profe s si on ale. Come psicoterapeuti (e non solo come psicotera­ peuti) er avamo stati educati a far gran conto di ciò che chiamiam o i sentimenti, " gli stati d'animo" dei no stri pazienti. Vedendo una perso­ na allegra, o depressa, eravamo avvezzi a pensare: costui è allegro, è depresso: chis s à perché . . . A ciò ci aveva condizionati anche il modello linguistico, secondo cui il pre di cato che noi attrib ui amo a un soggetto sarebb e un a qua lità a lui inerente, almeno nel momento in cui facciamo tale attribuzione, e non una funzion e nel rapporto. Tale modello ci av eva educati a coglie ­ re i segni d ell' umo re , a valutarne l'entità dall'entità dell'espressione. Ad esempio, se un tizio ap p ariva molto triste, noi concludevamo che era molto trist e e cercavamo an che di cap i re p erché e r a molto tris t e in­ vitandolo a parlarci della sua tristezza. ·

2.3

Paradosso e controparadosso Una volta p assati dal modello individuale al modello aJstcmico, ci occo rse molto tempo per liberarci dai p recedenti condiziona1nenti lin�

guis tici . Infatti, pur avendolo intellettualmente acquisito, non riusciva­ mo in pratica a d appli c arlo . Ci o cco rs e così molto temp o per imp a rare a m et te re "in ep o ché" i s entimen ti in senso intrapsichico. Per riuscirei d ovemmo p e rfino co­ stringerci ad abb an d on are sistematicamente l'uso del verbo essere per s os tituirlo col verbo apparire. C o sì , se il signor Bianchi p adre in s e dut a appariva triste, dovevamo fa re un vero sforzo per non dire che gli era trist e (giacché ciò er a indecidibile) e per non essere inte re s s ati al per ­ ché . E ci o c c o rs e ancora più tempo per capire che, se la signora Rossi m adre , durante un a cceso diverbio tra il ma rito e il figlio, appariva te­ diata e distaccata, er a d avvero un grosso errore concludere che es s a era tale e quindi rilevarlo , farlo rilevare, darci da fare per capirne i mo­ tivi, inve ce di con centrar ci silenziosamente a o ss e rvare gli effetti che tale comportamento esercitava su qu elli altrui, noi stessi inclusi. A tal p unto ci ritrovammo c on dizion a ti dal modello linguistico . . . Una tale a c quisi zi one elementare, anche se in pratica faticos am en t e conquistata, oltre a permetterei di effettu are i nostri primi interventi te­ r ap eutici efficaci, costituì l a b a s e in dis p ens abile del nostro sucçessivo approccio alla famiglia a tran s a zione schizofrenica. Con questa, fu gio­ coforza p o rt a re all'esasperazione il nostro p rog re s s ivo decondiziona­ mento linguistico, sostituendo, nelle nostre discussioni di s edut a, al verbo apparire a ddirit tu ra il verbo mostrare. Ad e s emp i o : "il sign or Rossi padre ci mostra in seduta un sottùe interesse erotico p er la .figli a " Citiamo proprio questo esempio dell'erotismo in quanto, nella pri­ ma fase della n o st ra ricerca con qu este famiglie , di fro.nte a comporta­ menti erotici in seduta, concludevamo ad e s empio: questo pa dre è in­ cestuosamente leg ato alla .figlia, e di c on seguen za insistevamo nell'in­ dagine e nell'approfondimento . I risultati non furono che neg aZioni, squalifiche e rot tu re di terapia. Ma fu ro no proprio gli errori , e le conseguenti retroazioni che ci tor­ narono, a costringerci a impara re a regolarci come se tutto nella fami­ glia a tr an s a z ion e schizofrenica fosse un a mossa al servizio della perpe­ tuazione del gioco . Come se tutto fosse solo mostrato, tutto fosse solo pseudo . Una volta di più ci convin cem m o come l ' us o del verbo essere ci condannasse a p ens a t:e secondo il mod ello lineare, a fare punteggiatu­ re a rb itr arie , a indagare sulla realtà di in decidib ili , a p o s tul a re il mo­ mento cau s ale perden do ci nei mean dri di infinite ipotesi esplicative. 24

La coppia e la famiglia a transazione schizofrenica Osscrvlmno come l'uhhunJono del verbo essere, e la sua sostituzio­ col verbo mostrare, effettuata nella formulazione di un recente ver - . buie di seduta, configuri già d i p e r sé il gioco familiare. ne

li signor Franchi padre mostra in s edut a un vel ato interesse erotico per la paziente designata che dal canto suo m o stra per lui ostilità e disprezzo, men­ tre la signora Franchi m a d re mostra a entrambi intensa gelosia nel mentre mostra una tenerezza particolare per l' altra figlia che a sua volta m o stra di non ricambiarla.

Solo cosl correttamente formulato, sulla base di osservazioni con­ crete, il gioco ris ulta chiaro all'osservatore. Ciascuno dei genitori contendenti minaccia l ' alt ro con la mossa di una rivale (ovviamente interna al g rupp o . . . ! ) .3 Le presunte rivali, dal canto loro, eseguono altre contromosse essenziali al gioco, la cui per­ p etuazione è affidata all'ambiguità: non p o ss on o esservi né alleati né avversari, né vinti né vincitori, alt rimen ti il gioco fini sc e . Infatti, se la p aziente designata, invece di m ostrare al p adre ostilità e disprezzo, mostrasse corrispondenza di amore, si dispiegherebbe tra i due una scoperta alleanza e il gioco schizofrenico avrebbe inevitabilmen­ te fine. Supponiamo, per assurdo, come abbiamo detto dianzi, che l a p a· ziente designata mostrasse di corrispondere amorosamente al padre. n dispiegarsi dell' alleanza costringerebbe l'altra sorella a fare altrettanto con la madre e ad allearsi apertamente con lei. In tal caso, la simmetria diverrebbe scop e rt a , la lotta fra le due fazioni dichiarata. I.: omeostasi del gruppo è invece salvaguardata dal perpetuarsi dello stesso gioco . Gioco schizofrenico e omeostasi, infatti, sono qui sinonimi, in quanto i masche­ ramenti, l 'amb iguit à , le mos s e, sono essenzi ali alla tutela dello statu quo ! Ma qual è ver amen t e il p eri c olo ? Qual è la paura che muove tutti i membri della famiglia a transazione schizofrenica a comp o rtarsi in un certo modo ? Che cosa li rende complici tutti quanti? Forse il terrore di perdere gli altri come persone? Di ritrovarsi soli e senza app oggio in un mondo sentito come infido e ostile? Anche questo, semmai, è ciò che ci mostrano. I.:eventuale paura viene da un' altra fonte: viene d all ' h ybri s , non in 3 , Il fenomeno dei rivali interni al gruppo sembrerebbe qu asi una costante in questo tipo di f11mlglia. A volte però comp are anche un rivale (o una rivale) esterno al gruppo. In tal caso si trotta di una ulteriore mossa per minacciare il membro interno acciocché non lasci il ca mpo . Ne

chiaro esempio in una famiglia dove il pa dre da un lato minacciava la moglie me­ con l a figlia, e dall 'altro minacciava anche la figlia confidandole legami aenuull con un'altra donna. Owiamente le variazioni su questo tema sono infinite. vedemmo

un

dlunte il "tenero legame"

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Paradosso e controparadosso quanto predicato nel senso tradt'zz'o nale (cioè qualità psichlca inerente alle persone) ma in quanto funzione di questo tipo di rapporto t'n cut' la simmetria esaspera l'hybris e· l'hybris la simmetria. Per questo il gioco non deve finire. Un giorno, si ripromètte ciascuno, dagli e ridagli ce la farò. L'essen­ ziale è che tutta la squadra resti in campo. Lo stato di allarme è croni­ camente altissimo: ogni allontanamento di uno dei giocatori è sentito come un grosso pericolo. Potrà il gioco proseguire? Tutto è in funzio­ ne del gioco e del proseguimento del gioco. Ogni mezzo è buonQ_per trattenere i membri della squadra, per incitarli, per stimolarli. La congerie delle mosse, degli pseudo, s'infittisce: erotismo, ince­ sto, ostilità, fuggitività, dipendenza, indipendenza, stanchezza (del gioco) , logoramento ecc. Tutto questo mirabilmente servito dai cosid­ detti disturbi del pensiero, così atti a creare cortine fumogene, a evita­ re che si metacomunichi, che si trovi il bandolo, che si chiarisca. Il primo sospetto di trovarci di fronte a qualcosa del genere ci fu suggerito dal rilevamento di certi schemi fissi di interazione in coppie di genitori di adolescenti schizofrenici. Non di rado i due partner impiegano manovre apparentemente op­ poste. L'uno si mostra come il partner potenzialmente fuggitivo: è spregiudicato, anticonformista, non ha paura di nuove esperienze, è in grado di rifarsi una vita, è pieno di interessi, di amici, di possibilità, mentre è sfinito, esaurito, giunto al limite della resistenza nella situa­ zione attuale ecc. L'altro, sempre fra mille contraddizioni, si mostra come il partner stabile, tutto dedizione e rinuncia, profondamente "in­ namorato"4 e incapace di perdere il coniuge. L'osservatore potrebbe essere indotto a credere ·che il partner fuggi­ tivo sia più autonomo, abbia cioè realmente l'intenzione di andarsene. Ma anche qui l'intenzione è solo mostrata. La presunta fuggitività non risulta che la mossa che inchioda ancor più l'altro in pedana, influen­ zando nel contempo il gruppo a mettere in atto comportamenti tali da impedire la presunta fuga. In tal modo il cerchio si richiude e il fuggiti­ vo ovviamente resta. I due partnér, lo pseudofuggitivo e lo pseudostabile, sono ugual­ mente inseparabili, vittime complici di uno stesso gioco, uniti insieme da una stessa paura: non quella di perdere l'altro come persona, ma come partner del gioco. 4. In tal caso (ma solo in tal caso? . , . ) l'innamoramento non è per la persona ma per il tipo di interazione con tale persona.

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La coppia e la famiglia a transazione schizofrenica In sintesi. Il nostro l av oro con la coppia a transazione schizofrenica ci ha portati all 'idea-base che l'errata epistemologia di t a le coppia, al di là di ciò che essa m os t r a , è l'hybris sim m etri c a , cioè la nascosta p re ­ sunzione, condivisa d a ciascuno, di p oter, un giorno o l'altro, conqui­ stare il controllo unilaterale nella definizione della relazione. Presun­ zione ovviamente errata in quanto basata su un'errata epistemologia, inerente al condizionamento linguistico lineare. Infatti nessuno può avere il controllo lineare in uha interazione che di fatto è circolare. Giacché, s e l'interlocutore non a c cetta di buon grado che la sua posi­ zione nel rap p o rto sia definita come complementare, potrà sempre se­ gnalare all ' altro , mediante metalivelli comunicazionali, che la sua su­ periorità non è ver am ente superiorità. Ricorriamo, per chiarire il con­ cetto , all 'etologia. Allorché , in un combattimento fra due lupi, il più debole segnala la re s a , a d esempio ricorrendo a comportamenti da cucciolo , si o s s erva nel più forte la cessazione del comportamento aggressivo. La transa­ zione, fra lupi, si chiude senza ambiguità. C'è uno che ha vinto e uno che ha perso. Nel branco ci si regolerà di conseguenza.5 Ma ch e avverrebbe della specie lupina se il lupo soccombente tar· nasse a segnalare al vincen te (come di regola avviene nella coppia a tran sazion e schizofrenica) che lui non ha veramente vinto, g i a c ché ha in t e rp ret ato come resa dei segnali che non erano veramente di r e s a . . . ? È giocoforz a riprovarci . . . forse se ci riprova . . . chissà . . . Infatti, la conditio sine qua non nel gioco esclusivamente umano della transazione schizofrenica, è che non risultino mai realmente né vinti né vin cito ri , conformemente alle posizioni nel rapporto, le quali sono sempre o pseudocomplementari o pseudosimm etriche. Un gioco del genere non può perciò aver fine, giacché il risult ato re­ sterà indecidibile: ch i ha vinto forse ha p ers o , chi ha p er s o forse ha vinto, ad infinitum . La sfida è sempre là. Cias c un o si adopera a provo­ care l ' avvers ario con una serie di tattiche che si affinano con l'uso. La d epressione, l a tristezza, sarà una di tali tattiche: mi sento stan­ co, disamora�o: datevi da fare pe r animare il gioco . Così l'aria te 0iata, ' · A proposito del brusco passaggio dalla posizione simmetrica alla posizione complementa­ osaervubile nel lupo che riceve dall'avversario il segnale di resa, Lorenz aveva ipotizzato uno l))ecifico e ffett o inibitorio operato dal s egnale di resa sui centri nervosi del ricettore. B ateson , Invece, pone ' p o tesi che esistano due possibili codici antitetici, uno simmetrico e l'altro com­ plementare, quali potrebbero ess ere rappresentati da due stati contrastanti del sistema nervoso �entrale. In tal caso il as s a io dalla simm etria alla complementarità non sarebbe l'effetto di u n u inibizione, ma una sorta di commutazione globale (switch) nello stato mentale opposto. Snrj!c ullorn il problema di come ipotizzare, in termini di sistema nervoso centrale, il cronico 1tutc di gunrdln del membri dc:lln famiglia a transazione schizofrenica. re

li

p

gg

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Paradosso e controparadosso assente: c re d e t e forse di riuscire a raggiungermi, a colpirmi? Io sono altrove. Così il chiedere disperatamente aiuto per poi segnalare: che pecca­ to ! Volevo tanto che mi aiutaste . . . ma neanche stavolta ce l'avete fat­ ta . . . ma forse, se ci ritentate . . . Ma soprattutto il lasciar sperare che un giorno o l' altro si darà una conferma è una tattica potente per in durre gli alt ri alla corsa, per poi ottenere un : oh, caro, ma non era proprio così che in ten d evo . . . (ma il mess aggio è così criptico che l'altro ci ritenta) . Nel contesto di quanto sopra esposto ci sembra che anche il dou­ ble- bin d , per la prima volta genialmente descritto da Bateson e colla­ boratori come rilevabile con massima frequenza nelle famiglie a tran­ sazione schizofrenica, possa essere considerato una modalità comuni­ cazionale atta a trasmettere e a mantenere una sfida senza vie d'uscita e quindi senza fine. Tale modalità comunicazionale può essere brevem ente sintetizzata nel modo segu ent e : sul livello verbale viene data un'ingiunzione che sul secondo livello, solitamente non verbale, viene squalificata. Con­ temporaneamente si convogl ia il messaggio che è vietato fa re commen­ ti, cioè metacomunicare, sull ' incongruenza dei due livelli, e che è vie­ tato lasciare il campo. Una tale mossa ovviamente non consente al ri­ cettore la p osizio ne complementare, cioè l'ubbidienza all'ingiunzione, in quanto non è chi aro quale sia la vera ingiunzione. Ma neppure gli consente di mettersi in posizione simmetrica, cioè di disubbidire, giac­ ché non è chiaro qu ale sia la vera ingiunzione a cui ribellarsi. A nostro avviso, sia il divieto di metacomunicare che quello di lasciare il campo sono già impliciti nell'impossibilità di assumere nell'interazione una posizione defin ib ile o simmet ri ca o complementare. Infatti solo una posizione ben definita permette sia di metacomunicare che di lasciarç il campo, cioè di ridefinire la relazione. È possibile ridefinire una relazione solo dopo che tale relazione sia stata chiaramente definita. Nella situ azi one di double-bind l'interlocutore è invece obbligato a una persistente posizione di guard ia , di allarme, al fine di trovare una ter­ za risposta che non può essere che il riproporre all 'altro l'identico puzzle. Ricordiamo inoltre un più recente scritto di G. B ateson, "La ciber� netica dell'io: un a teoria dell'alcolismo " , su cui abbiamo assai medita­ to nel corso della nostra ricerca. In tale scritto, dedicato allo studio dell'alcolista e del suo incontro s alvifico con l'Alcoholic Anonimous (A.A . ) , Bateson sostanzialmente dimostra come il passo fondamentale 28

La coppia e la famiglia a transazione schizofrenica ddl'nlcolistn verso la guarigione con sista nel riconoscersi definitiva· mente e inequivocabilmente più dt!bolf! della bottiglia. È solo di quest o

punto che qui ci occuperemo. Sul filo delle osservazioni ricavate nel l avoro con le nost re famiglie, ci sembra che l ' al colista abbia trasferito sull a bottigli a la sfida provoca­ toria vigente nel su o sistema transazionale: l'hybris di rius cire , un gior­ no o l' altro, a essere più /orte della bott iglia , di p oterla sfidare pren­

dendone un sorso sen za cascare nella bevuta.6 Ma anche qui, esatta­ mente come nel suo sistema, l 'alcolista si ritrov a , checché faccia, nel double-bind: se non beve affatto ha veramente vinto ? O non piuttosto ha perso perché si è sottratto all a provocazione? Deve dun que ripro­ varci per c onvin cer si che "può " . Ma s e fa la bevuta ha veram ente per­ so? O non piuttosto ha vintO p er ché ha sfidato la bottiglia senza m ori ­ re? In fondo avreb b e potuto anche non b ere , o bere assai di più . , . Come arriva l'alcolista, nel suo in con tro con l'A.A., ad ac c ettare una d efinitiva posizione complementare rispetto alla bottiglia ? Dice Bateson: la filosofia dell'A. A. afferma che un al c oli s t a può es­ sere ri c uperato soltanto qu an d o ha toccato il fondo al punto da chie­ dere aiuto all'A. A. Soltanto allora potrà essere confrontato con la sen­ t en z a umiliante: un alcolista sarà s em pre un alcolista. Ma se ancora 11on lo vu ole ammettere, ci riprovi. Beva e ribeva a rischio di mori re , fi. no a quando ri domanderà l ' aiuto . In ques t o premettere che l'alcolista deve aver toccato il fondo, e quindi nella prescrizione esplicita di bere fino a toccare ilfondo, noi rav· vi s iam o la s p in ta essenziale operata dall' A.A. per il cambiamento del­ l' alcolista. Stavolta è con l'A.A. che l ' alcolista dovrà m isurars i al fine di dimostrare la falsità dell ' umili ante s ent enza . Per riu s ci rei non ha che una strada: non sarà più un alcolista. Ed ec­ co l'alcolista, divenuto simmetrico nei confronti della chiara definizio­ ne che l'A. A. dà di lui - sarai sempre un al colist a -, accettare la posi­ z ione comp lementare nei riguardi della bottigli a pur di essere simme­ trico nei rigu ar di della definizione. n paradosso terapeutico consiste nell'aver costretto l'alcolista alla posizione seguente: per dimo s tr arti che hai torto, cioè che io non s arò sempre un al col ist a come tu affermi, non m'importa più niente di m isurarmi con la botti gli a . Diciamo pure che essa è più forte di me. Non me ne importa. L'import an te è dimo­ strarti che io non sono quello che tu hai sentenziato che io sia . 6. :è'. suggestivo ipotizzare che anche i grandi giocatori disposti a rovinarsi ai tavoli opporten!!ano a sistemi transazionali assai simili a quello qui considerato. Si ricordino proposito le intuizioni, come sempre geniali, di Dostoevskij.

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da gioco a questo

Paradosso e controparadosso Il gioco con l'A. A. è diventato assai più eccitante che non quello con la bottiglia. Anche perché proprio coloro che vogliono bollarlo con una sentenza definitiva si d ich ia ra no ex alcolisti, smentendo quin­ di paradossalmente la definitività della sentenza Come rispondere allora alla domanda che Bateson si pone al termi­ ne del suo scritto ( "la complementarità è sempre preferibile alla sim­ metria? " ) ? " is complementarity always somehow better than symm etry? (è la complementarità sempre meglio, in qualche modo, della simme­ tria ? ) " Noi siamo ovviamente d'accordo con lui nell'affermare che un at­ teggiamento simmetrico del singolo nel r a pport o col più vasto s istema che lo tra s cen d e è certamente un errore. Ma, nel rapporto fra singoli, ci sembra che non esista, fra simmetria e complementarità, un meglio o un peggio assolutizzabili. Posizione simmetrica e posizione complementare, in quanto funzio­ ni inerenti al rapporto, escludono a nostro avviso qualsiasi ''graduato­ ria. Ciò che è essenziale, affinché il rapporto interpersonale non sia psico­ tico, è la chiarezza inequivocabile e redprocamente accettata della loro definizione, Precisamente ciò che è vietato, come si è visto, nell'intera­ zione schizofrenica. .

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IV IL PAZIENTE DESIGNATO

Come configuriamo allora quel comportamento comunemente de­ signato schizofrenico nell'arco evolutivo di quel peculiare gioco para­ dossale che caratterizza il gruppo naturale in cui esso, a un certo pun­ to , si verifica? Né più né meno che un'ennesima mossa, operata da un membro del

gruppo, mossa il cui effetto pragmatico è un ulteriore rincalzo del gioco . Un gioco p aradossale, come si è visto, assolutamente unico. Una bizzarra partita quale sarebbe una partita a poker in cui cia s cun gioca­ tore, benché impegnato a vincere a ogni costo, si limitasse a spiare le es p re s sioni degli avversari, restando tuttavia sottomesso al divieto , tan­ to c on divi so quanto inesplicito, di voltare una buona volta le carte sul banco. Un ' assurda partita, i cui giocatori si propongono di prevalere re­ st an d o all ' interno di un gioco la cui regola principe è il divieto di pre­ valere (e, reciprocamente, di soccombere) . Ma dove è tuttavia conces­ so, e fin an che copertamente suggerito (a turno, perché non si abbia a sc orars i) , di credere di av�r prevalso, purché lo �i creda in segreto, e senza possibilità di dimostrazione. Una p artita interminabile, giacché i partecipanti (inchiodati ciascu­ no dall'hybris "finché si gioca avrò modo di prevalere" , ma nel con­ tem po sottomessi al divieto di dichiarare di voler davvero prevalere, o di aver davvero prevalso ) sono costretti a una tensione estrema che sal­ vaguardi il perenne ritentare. Una partita s omi glian te a quella che ha luogo tra l' alcolista e la bot­ tiglia. Ma con una differenza sostanziale. La bottiglia è una cosa. È aempre Il, non se ne può andare, non può far la contromossa di andar­ sene. Si può sempre rilanciarle la sfida, si può sempre ricominciare da 31

Paradosso e controparadosso capo. La bottiglia non può far capire che è tediata, sfin l til, ellllllpet·ata. Non può minacciare che sta per smettere, che ha voglia di cambiare gioco. Ma t ra partner viventi la transazione è cir col are . Qualcuno può ri­ spondere alla sfida con un'altra sfida, alla mossa con un'altra mossa. Può far la mossa che è s tufo , debilitato, esasperato, che ha veramente bisogno di andarsene, che gli altri non fanno mai come dovrebbero fa­ re, che lui non ne può più, che sta per andarsene . . . Tale mossa, resa potentissima dal comune terrore della cessazione del gioco, può risult are in alcuni casi così credibile da sollecitare una contromossa ancor più potente. Quella di chi comunica che la relazio­ ne è insostenibil e al punto che lui è già an dato , anche se fis icamente è ancora lì, ma ormai diverso, estraniato, alienato. La diversità, l'estraneità, l'alienazione di un membro del gruppo implicano necessariamente che, essendo la relazione insostenibile, s ' imp on e un cambiamento radicale. Ma un cambiamento in chz7 Ov­ viament e negli altri, secondo lo stile della famiglia a tr an s azione schi­ zofrenica. E qu ale c::ambi.amento? Non lo capiscono? . . . eppure è così sem­ plice . . . Semplicemente devono non essere qu ello che sono. Solo così lui potrà e s s er e quello che non è, ma che avrebbe dovuto essere. Per aiutarlo non devono quindi/are qualcosa. Non servirebbe a nulla. Per aiutarlo vera­ mente debbono veramente essere quello che avr eb b e ro dovuto essere. li messaggio schizofrenico: " Non è che dovete fare qu alc osa di di­ verso - dovete essere quello che non siete - solo così potrete aiutarmi a essere quello che non sono ma che potrei essere se voi foste quello che non siete" è il messaggio superparadossale di chi è diventato maestro in un contesto di ap p ren dimento i cui memb ri, pur evitando in ogni modo di definire la relazione, continuamente comunicano agli altri la richiesta paradossale di cambiare una defin i::,ion e della relazione che non è mai stata. definita . Come anche Haley ha osservato, in queste famiglie non solo ciascu­ no si trova continuamente di fronte a livelli conflittuali in uno stesso messaggio, ma ciascuno trova anche che la p rop ri a ris p osta è semp re in qualche modo classificata da qualcun altro come " sbagliata" o me­ glio come "non proprio giusta" . Così, s e u n membro della famiglia dice qualcosa, ecco qualcuno pronto a fargli capire che non l'ha detta come doveva, che doveva dirla diversamente . . . Se qualcuno ce rc a di aiutare un altro, tosto co stui gli fa 32

Il paziente designato lntenc.lere che pu rtroppo non io fa abbastanza spesso, o abbastanza ef­ ficacemente, insomma che non lo ha veramente aiutato . . . Se qualcuno fa una proposta, tosto qualcun altro gli fa intendere di avere molti dub­ bi sul suo didtto a fare proposte. Ma se non fa proposte, gli viene. fatto intendere che quel suo rimettersi agli altri è una pretesa discutibile. Tutti, in sintesi, si son sempre sentiti comunicare che hanno fatto qu alcosa che non era proprio la cosa giusta, senza che, tuttavia, sia loro mai stato detto, esplicitamente, che cosa dovevano fare per /are la cosa gt'usta.

Il messaggio schizofrenico porta allora il paradosso al vertice estremo, all ' "impossibile assolutizzato" mediante la geniale sostituzione del fare con l'essere. "Non è che non fate come dovreste fare . . . È che non siete come dovreste essere . . . " (dove il come, ovviamente, rimane indefinito. )

Dalla Teoria generale dei sistemi e dall a Cibernetica sappiamo che il meccanismo autocorrettivo al servizio dell' omeostasi di un sistema è la retroazione negativa. n comportamento schizofrenico d appare perciò una retroazione negativa potentissima in quanto paradossale. A chi fa la mossa troppo credibile di voler fare qualcosa di diverso perviene la contromossa ancora più credibile del comportamento schizofrenico " ahimè . . . io sono già diverso . . . ma questo non dipende dalla ·mia vo· lontà . . . io non posso farci nulla . . . sono posseduto da qualcosa di mi· sterioso che mi rende diverso - forse io sono diverso perché voi non siete diversi . . . ma se voi riusciste a essere diversi. . . " Tale invocazione al cambiamento del comportamento schizofrenico è talmente credibile da aver convinto tutti della sua realtà. Ma come possiamo noi sapere se il so ggetto che presenta un comportamento schizofrenico invoca o non invoca un cambiamento? N eli' epistemologia sistemi ca da noi adottata ciò è un in decidibile. n pronunziarsi sulla sua "realtà" o sulla sua "non realtà" equivale a cade­ re nella illusione di alternative. Ciò che possiamo osservare, constata­ re , è solo un effetto pragmatico. " C ' è qualcuno che mostra di invocare un cambiamento. "L'effetto di tale mostrata invocazione è l'assenza di cambiamento. " Si è detto nella letteratura sull ' argomento: in sistemi a calibratura rigida quali le famiglie presentanti un membro schizofrenico, ogni camb iam ent o è avvertito come un pericolo, una minaccia. Si tratta, si è detto, di sollecitazioni al cambiamento che provengono al sistema fa­ miliare sia dall'esterno (sollecitazioni sociali, politiche, culturali) ; sia dal suo interno (nascita, morte di un membro o suo - allontanamento, .3 3

Paradosso e controparadosso crisi adolescenziale di un figlio ecc. ) . A tali cambiamenti U sistema re· tro agis ce negativamente, éon ulteriore irrigidimento . li nostro apprendimento per tentativi ed errori con le famiglie ci ha indotti piuttosto a concludere che anche i cambiamenti reali, concreti, avvenuti sia all'esterno sia all'interno del gruppo, vengono assorbiti nel gioco già dominante della famiglia come fonte di ulteriori minacce le quali, nel far balenare il' peric olo della rottura del gioco, pragmatica­ men t e lo rin calzano . Tale l'acutizzarsi della crisi nel rapporto fra ì geni­ tori in concomitanza con un avvenimento reale. Ne osservammo il c a s o in due famiglie con più figli d a noi trattate. L'intensificarsi della latente cronica minaccia di rottura fra i genitori (resa ancor più credibile, in uno dei due casi, dal crollo fisico di una m ad r e " sfinita" ) coincise con il fidanzamento di uno dei figli. S'impo­ neva, in tal caso, la ridistribuzione delle parti nel gioco, il costituirsi di nuove coalizioni tanto più minacciose quanto più negate, l'esecuzione di contromosse di vario genere onde garantirne la prosecuzione. La lealtà dei vari memb ri (al gioco) funzionò in queste due famiglie al punto da rendersi necessaria la comparsa, in uno dei figli, di un com­ portamento sch�zofrenico . La stessa cosa potemmo osservare, in altre famiglie, in occasione della crisi adolescenziale di un figlio . Se tale evoluzione adolescenziale ha luogo (o meglio, è in qualche modo concessa) subito il sistema si ri­ mette in azione per riorganizzare il gioco. Potrà allora comparire in qualche altro figlio l'esibizione di "una adolescenza folle " tale da assi­ curare la continuazione ad infìnitum . 1 I n questa prospettiva noi consideriamo come una mossa d el gioco anche certi comportamenti tipici della crisi adolescenziale apparsi nel membro che presenterà in seguito un comportamento schizofrenico. Si è sempre detto e creduto, punteggiando secondo il modello lineare, che i genitori del paziente si sono opposti imperviamente alla sua auto­ nomizzazione. E che il paziente, dal canto suo, ha avuto tanta difficoltà

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l . Jn due famiglie a transazione schizofrenica p otemmo .constatare come, in coin cid e n a coi primi accenni di crisi adolescenziale in uno dei figli, u n ' a lt ra figlia aveva rapidamente sviluppato una sfigurante obesità, accompagnata da fantasie adolescenziali tanto g ran d io se quanto vell eit a ­ rie, destinate, con quell'aspetto, a restare tali e quindi a garantire lo statu quo. È molto cliffi cile motivare e trattenere queste famiglie in terapia, proprio perché l'obesità non è pericolosa né colpevolizzante. Ben o lentieri si ric o r re al dietis ta e all' endocrinologo, con risultati effimeri o nulli . Di fronte alla dieta ipo c al orica potemmo osservare da un lato l'incostanza dell'ob es a dal­ I' altro il comportamento incoerente di familiari che, mentre s'indignavano per la " sua mancanza di volontà" , distrattamente le rifornivano la disp en sa e il borsellino. Q uest a nostra osservazione, per q u a n to limitata, conferma le osservazioni fa tte da Hilde Bruch nel t ra ttamen to individuale di giovani ob e si in cui essa ha anche rilevato con frequ en za modalità di pen s iero e di comunica­ zione di tipo schizofrenico.

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Il paziente designato ad autonomlzzarsi proprio perch� ha introiettato un s u p erego arcaico che glielo vieta. Se ci p on i a m o invece nell'epistemologia circ ola re, sistemica, lavo­ rando con la famiglia, pos si am o allora osservare che ciò a cui tutti ub­

bidiscono sono le r eg ole del gioco . E che il gio co si perpetua attraverso minacce e controminacce, tra qui qu ella , potentissima, che qual cuno si ata cch i e las ci il campo. All ' interno di un gruppo in cui tutto quanto appare è al s ervizio del gioco e d ell a perpetuazione del gioco, anche la mossa di auton omi a adolescenziale sortirà l'effetto pragmatico e s c ont ato del " serrate i ran­ ghi" , cioè retroazioni negative di ogni genere che viete ranno all ' adole­ scente di proseguire. Allorché le retroazioni negative p untu almente ar­ rivano, ecco l'adolescente controreagire con il comp o rtam ento psicoti­ co. Che s e poi il terapeut a ingenuamente consiglia ai genitori di non opprimere il ragazzo e cer c a di valorizzare in lui quanto nel suo com­ p o rt amento allude a una protesta adolescenziale, e cc ol i tutti quanti pronti a s qualilic a rlo . I genitori, depressi o d ostili, pronti a dirgli che non l'hanno mai oppresso, ma ch e comunque hanno seguito il consi­ gl io senza sortire alcun risultato. Il ragazzo pronto a ri ap ri re il gio co con lui: ormai è trop p o tardi . . . una m isterio s a angoscia ha preso pos· se ss o di lui . . . vorrebbe proprio . . . ma n on può farci null 1;1 . . . In una prospettiva rigorosamente ci rcol are , sistemica, ogni punteg· gi atur a , nel senso di prim a -poi , causa-effetto, non può che es sere arbi· t ra ria . Chi esegui la prim a mossa del gioco? Per s piegarci , ci tiam o un nostro caso. In una famiglia di tre membri, studi ata in terapia, i fatti risultarono i s eguen ti . Nello stesso periodo in cui il figlio, Gianni, comincia a mo­ strare i primi segni di un'evoluzione adolescenziale, il padre ha un tra­ c ollo nel suo commercio. Inappetente, dimagrito, irritabile, mo st ra i s egni di una depressione. La madre, che aveva da anni tronc ato i rap ­ p orti con la sua famiglia di origine, a causa del suo matrimonio di s ap ­ provato, si riconcilia. Riprende a fre quentare assiduamente la m ad re e le s o relle , e si mostra tanto consolata da quei collo qui . Lascia trapelare qu a e là qualche commento critico fatto dalle sorelle su suo marit o . Spesso è ospite per qualche giorno di un a sorella che, avendo recente­ · mente divorziato, appare rifìorita e piena di iniziative mon dan e . · Con Gianni , la madre è c a m bi ata : si mostra meno interessata, di s tratt a, leg­ ge rm ent e annoiata. È spesso al telefono. Cerca però di farlo quan do è sola. Se il marito o Gi an ni la 4' sorprendono" rapi d am ente chiude il colloquio e riattacca il ricevitore.

Paradosso e controparadosso Dopo alcuni mesi di questo àndazzo, Gianni inizia il comportamen· to psicotico. La m a d re si richiude in casa per dedicarsi esclusivamente a G i anni . Il padre m o stra di essere assai ang os ci ato per lo stato di Gianni. Fis ic ament e però si è ripre s o , e l avo r a con lena a causa delle grosse spese impo s te dallo st ato di Gianni. Chi eseguì la prima mossa del gi