Paradiso vista Inferno. Buon governo e tirannide nel Medioevo di Ambrogio Lorenzetti. Ediz. a colori 8815285229, 9788815285225


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Paradiso vista Inferno. Buon governo e tirannide nel Medioevo di Ambrogio Lorenzetti. Ediz. a colori
 8815285229, 9788815285225

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ISBN 978-88-15-28522-5

1 1 1 1 1 1 1 1 �1 111 1 1 1

9 788815 285225

.

Nel Medioevo il diritto all'immagine appartiene soprattutto ai protagonisti del mondo religioso, della Chiesa come delle Sacre Scritture, o a grandi personaggi laici e famosi. Con gli affreschi di Palazw Pubblico a Siena Ambrogio Lorenzetti ci propone una straordinaria novità, rappresentando gente comune, senza storia. Ad essa per la prima volta è affidato il compito di illustrare la ridente vita in città e in campagna assicurata dall'ottimo governo dei Nove. Non importa che la realtà, ben diversa, fosse fatta di carestie, rivolte, corruzione. Nella prestigiosa Sala dei Nove i cittadini e i contadini senesi del tempo- siamo intorno al1338vedono raffigurata una città orgogliosa dei suoi splendidi palazzi, una lieta e fertile campagna dove vecchi e giovani, donne e bambini, e poi artigiani, mercanti, nobili e intellettuali, contadini e pastori sono partecipi di una convivenza operosa e felice. È il trionfo del Bene Comune, e della guida illuminata dei governanti cittadini. Dove invece ognuno tende al bene proprio ecco infuriare un corteo nefasto: anarchia, violenza, distruzione, soprusi, guerra. Un capitolo vivo di storia medievale, ma non solo: additando il pericolo della Tirannide e le sue conseguenze, questo grande manifesto politico ha parlato a tutte le epoche, e oggi parla a noi con voce particolarmente forte.

Nella scoperta del capolavoro di Ambrogio, ad accompagnare il lettore un ricchissimo corredo di immagini smaglianti.

Chiara Frugoni ha insegnato Storia

medievale nelle Università di Pisa, Roma e Parigi. Tra i suoi libri segnaliamo: «Medioevo sul naso. Occhiali, bottoni e altre invenzioni medievali» (Laterza,

2014), per Einaudi (2015) e «Senza misericordia» (con S. Facchinetti, 2016), ultima rist.

«Quale Francesco?»

per il Mulino «Vivere nel Medioevo. Uomini, donne e soprattutto bambini»

(2017) e «Uomini e animali nel Medioevo. Storie feroci e fantastiche»

(2018).

I suoi saggi sono tradotti nelle

principali lingue europee, oltre che in giapponese e in coreano.

Premio «Giuria-Viareggio» 2019 per «Uomini e animali nel Medioevo»

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Chiara Frugoni

Paradiso vista Inferno Buon Governo e Tirannide nel Medioevo di Ambrogio Lorenzetti

Società editrice il Mulino

ISBN

97 8-88-15-28522-5

Copyright © 2019 by Società editrice il Mulino, Bologna. Tutti i diritti sono riservati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere fotocopiata, riprodotta, archiviata, memorizzata o trasmessa in qualsiasi forma o mezzo - elettronico, meccanico, repro­ grafico, digitale- se non nei termini previsti dalla legge che tutela il Diritto d'Autore. Per altre informazioni si veda il sito www.mulino.it/edizioni/fotocopie

I lettori che desiderano informarsi sui libri e sull'insieme delle attività della Società editrice il Mulino possono consultare il sito Internet: www.mulino.it

Indice

Prologo

I.

p.

Buon Governo e Tirannide

7 11

l. Sala della Pace. 2. Comunicare per immagini. 3 . U n pittore assai colto.- 4 . Commenti coevi agli affreschi, o quasi. -

II.

-

Chi difende i deboli e i miserabili?

29

l. La Maestà di Simone Martini. - 2. Congiure su 4. Rose e congiure. - 3. Il trionfo della discordia. gigli angelici. -

III.

Un grande manifesto politico

47

l. «Tutta la città stava in tremore ...». - 2. Banchieri e usurai. 3 . «La città el contado di Siena è per venire al tutto meno». 4. Il sapore dei fiorini. 5. «Per cagione de deletto ed allegrezza». 6. Rassicurare e sedare. -

-

-

-

IV.

«Amate la giustizia voi che giudicate sulla terra»

63

l. Prima di tutto, Giustizia e Concordia. - 2. Gli Statuti del Buon Governo.- 3. Il governo all'opera.- 4. Le Virtù che «'ntorno a llui si stanno». 5 . Le Virtù teologali. -

v.

Tyrannides e i suoi perversi compagni all'opera in città e in campagna

119

l. I Vizi in pedana. - 2. Trista parata. 3. Alla ricerca di un assassino. 4. Le due Allegorie in paragone. -

-

6

Indice 5. Il regno del male in città. - 6. Timor: «per questa via non passa alcun senza dubbio di morte». - 7. Siena, o Grosseto, o invece Pisa?

VI.

Sbaragliare la schiera dei Vizi: Giotto e com­ pagm

p. 175

l. Un linguaggio politico ma anche religioso. - 2. Pri­ ma delle due Allegorie. 3. Il Comune che governa, il Comune assalito e contestato. - 4. Novità di Ambrogio. -

VII. Il manifesto della felicità. La vita in città

205

l. Quando regnano Giustizia e Sapienza divina. 2. Il corteo nuziale. 3. Il gioco dei dadi. - 4. Sarti, orefici, cambiavalute. 5. Nove fanciulle danzanti e una decima che suona. 6. Botteghe, clienti, chi va, chi viene. -

-

-

-

VIII. Il manifesto della felicità. La vita in campagna

253

l. Vie che portano ricchezza. - 2. Securitas e l'impicca­ to. - 3. La campagna abitata. 4. Strade di campagna. - 5. Lungo la Francigena. - 6. A caccia e a passeggio. - 7. Una famigliola in viaggio. 8. Stagioni e Arti liberali. 9. Calendario dei lavori. - 10. Compagine sociale e bene pubblico. -

-

-

Note

291

Indice dei nomi e delle cose notevoli

331

Prologo Nel Medioevo il diritto ad essere rappresentati spettava abitual­ mente a protagonisti della storia della Chiesa oppure a laici di pri ­ mo piano di cui conosciamo il nome e i fatti. La grande novità degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti è che i rappresentati sono invece tutti anonimi, persone comuni che svolgono occupazioni comuni. Proprio uomini e donne senza storia per la prima volta sono i protagonisti ai quali è affidato il compito di illustrare la ridente vita assicurata dall'ottimo governo dei Nove, l'unico possibile . «Ridente»? Sappiamo, leggendo fonti, cronache, petizioni, trattati e poesie, che la realtà del tempo era ben diversa da quella affre ­ scata: carestie, rivolte, violenza urbana, corruzione. Il vasto ciclo ( 1 3 3 8-3 9) , che occupa le tre pareti della Sala dei Nove nel Palazzo Pubblico di Siena - la quarta accoglie grandi finestre -, nel quale i governanti ma soprattutto i cittadini e i contadini del tempo del Lorenzetti erano chiamati a riconoscersi, rappresenta una città tutta di splendidi palazzi e una fertile cam­ pagna dove vecchi e giovani, donne e bambini, e poi artigiani, mercanti, nobili e intellettuali, contadini e pastori sono intenti con le loro attività a realizzare una convivenza operosa e felice. Tutti contribuiscono al bene comune, sotto la perfetta guida dei Nove. L'alternativa, da rifuggire, è la Tirannide, dove regnano inve­ ce l'anarchia, la violenza, la distruzione, i soprusi, la guerra, la morte, dove ognuno tende al bene proprio. Dunque: Paradiso vista Inferno. Come comunicare un simile manifesto politico a un'intera città in un mondo che non conosceva né la radio, né la televisione, né i cellulari, né soprattutto la rete, un mondo in cui uno spostamento alla città più vicina significava giorni e giorni di viaggio? Come inculcare nelle menti un programma di governo non potendo continuare a ripeter e concetti e messaggi? Attraverso una voce che non svanisce: i meravigliosi affreschi, specchio nel quale gli astanti identificavano sé stessi nel loro doppio fig urato.

8

Prologo

Per suscitare il consenso, la volontà di aderire all'ideologia dei Nove, per riuscire a convincere e a far credere alle promesse, il mes­ saggio dipinto è suadente, ottimistico, a volte decisamente risoluto, poiché le proteste dei poveri e gli scontri fra i potenti rendevano inquieta la vita quotidiana. Ed ecco allora esaltata la «sicurezza» attraverso Securitas, a wolta da pochi veli mentre regge il modellino dell'impiccato e proclama dal cartiglio tenuto in mano: «Senza pau­ ra ogn'uom franco camini»; la Giustizia in signoria infatti ha levato ai ribaldi - a ogni tipo di ribaldo - qualsiasi potere di nuocere. Vediamo anche che in due diverse occasioni la Giustizia va per le spicce: decapita e mostra una testa già mozzata. I Nove promettono, se i cittadini avranno fiducia in loro, un dif­ fuso benessere: una campagna generosa dove tutte le stagioni convi­ vono insieme, campi biondeggianti di grano, o che stanno per essere seminati, viti mature, e poi acqua in abbondanza, strade sicure e ben tenute in un futuro che già impende sul presente; rassicurano, i Nove, però anc he chi teme per la propria incolumità, mostrandosi capaci di pro wedimenti drastici. Il capolavoro di Ambrogio, dispiegando un articolato manifesto politico del quale oggi possiamo svelare gli artifici, gli inganni, le lusinghe, perché letto nel contrappunto del coevo contesto storico, è a noi contemporanei che parla, con voce particolarmente forte. Proprio perc hé è un capolavoro, il ciclo è anche uno straor­ dinario racconto di vita medievale di cui ho cercato di analizzare ogni particolare, raccogliendo scoperte e novità. Mi sono mossa fra strade e botteghe, ho osservato le persone, scrutato gli interni delle case, passeggiato nei campi e lungo le rive dei fiumi, incontrato carovane, famigliole e animali . Scrivere questo libro ha richiesto studi e ricerche, ma il mio è stato il percorso di una visitatrice stupita, perché mi sono trovata di fronte a un'opera mirabile che ha ancora tanto da mostrare e dire allo spettatore moderno . Mi accomiato da queste pagine con la speranza che lettrici e lettori, accompagnati da tante e belle immagini , vogliano condividere il medesimo cammino.

Per mia fortuna la lista delle persone cui devo gratitudine è lunga: le ho ringraziate nelle note là dove il loro intervento è stato proficuo. Ma subito voglio nominare Do­ nato, Giulio Canfarini, Nicoletta Scalari e Giuliano Ranucci.

Capitolo l

Buon Governo e Tirannide

l.

Sala della Pace

Al ciclo di Ambrogio Lorenzetti nella Sala della Pace1 del Palazzo Pubblico di Siena si giunge oggi lasciandosi alle spalle la Sala del Mappamondo dove si trovava appunto il Mappamundus volubilis, dipinto nel 1 3 45 dal medesimo pittore, un manufatto perduto, montato su un telaio mobile «a guisa di ruota, da potersi muovere e girare»2 , che rappresentava «tutta la terra abitabile», secondo Lorenzo GhibertP , ma che soprattutto doveva mettere in risalto Siena e i suoi possedimenti. L ingresso ' attuale nella Sala, dalla parete lunga est, è quattro­ centesco, mentre quello medievale (la cui porta è ora tamponata ) si apriva sulla parete breve nord. Fra il 1 3 3 8 e il 1 3 3 94 i Nove, la suprema magistratura che dal 1 2 87 governava la città (la titolatura ufficiale li proclamava «gubernatores et defensores comunis et populi civitatis Senarum»5 ) , incaricarono Ambrogio Lorenzetti di affrescare l'intero ambiente, lungo circa quattordici metri e largo otto6• Sulla parete breve a nord inondata di luce, perché posta dirimpetto all' altra parete breve a sud occupata da un 'unica e grande finestra, Ambrogio illustrò l'Allegoria del Buon Governo; sull' adiacente parete est i suoi benefici effetti in città e in campa­ gna, poi, con una divisione dello spazio asimmetrica, sulla parete ovest, tutta insieme, l'Allegoria del Mal Governo ( come ancora impropriamente si dice) e i malefici effetti di questo in città e in campagna.

12

Capitolo l

l. Allegoria del Buon Governo,

parete nord della Sala della Pace.

2. Comunicare per immagini Avviciniamoci ora ai soggetti e ai temi rappresentati, sui quali tornerò poi con maggiore attenzione (fìgg. 1-3). La parete nord , come si è detto, è occupata dall'A lleg oria del Buon Governo (fìg. 22): in alto, Sapientia regge una grande bilan­ cia; la sottostante imponente Giustizia, cogli occhi rivolti a lei, ne tiene in equilibrio i piatti (su questi, due angeli amministrano la [Iustitia] distributiva e la [Iustitia] comutativa) , facendo scendere due corde che Concordia, subito s otto, stringe ed unisce7 • La fune è raccolta da ventiquattro personaggi che se la passano l'un l'altro fino ad essere saldamente tenuta nella mano destra del grande Comune/Ben Comune8, un vecchio maestoso, seduto in trono, vestito dei colori di Siena (bianco e nero) , col simbolo della città ai piedi (la lupa che allatta i gemelli per il leggendario legame della città con l'antica Roma) : lo sovrastano le tre Virtù teologa li,

Buon Governo e Tirannide

13

2. Allegoria del Buon Governo: gli effetti in città e in campagna, p arete est della Sala della Pace.

Fides, Charitas e Spes, mentre gli sono accanto le quattro Virtù cardinali, Fortitudo , Prudentia , Temperantia e Iustitia oltre a Pax e Magnanimitas. Ai piedi del grande veglio, una piccola folla di fanti e milites a cavallo; quelli a destra, più armati e minacciosi,

tengono a bada una fila di prigionieri incatenati, mentre due signori si sottomettono offrendo i loro castelli. Sulla parete contigua ad est Lorenzetti ra ffigurò la città di Siena (fìg. 23; si riconosce il Duomo, in alto a sinistra) e, oltre le mura, la vita sicura e felice delle campagne; nella città spicca, sul compatto sfondo di palazzi, case e torri, l'attivit à dei suoi abitanti: mercanti nelle botteghe, contadini venuti a vendere i loro prodotti, artigiani e un insegnante universitario con i suoi adulti scolari . E poi ancora su itetti l 'alacre operosità di muratori intenti ad abbell ri e la città. Alla laboriosità si affianca la gioia: un corteo nuziale, poi un coro di dieci fanciulle, nove danzano e una canta, quindi nobili

14

Capitolo 1

3. Allegoria della Tirannide: gli effetti in città e in campagna, parete ovest della Sala della Pace.

c he a cavallo escono verso la campagna per andare a caccia con il falcone. Qui si vedono vigne, campi di grano , bosc hi , varie tipo­ logie di insediamenti abitativi, mercanti e contadini in cammino, muli, asini e cavalli, ponti, mulini , torrenti . Lontano è il porto di Talam[one]; la scritta non è originale ma risale alla prima metà del Cinquecento 9, e allude alla dantesca, sempre delusa, speranza dei senesi di avere un porto sul mare 10• Inoltre questa parte fu affrescata ex nova da Pietro di Francesco Orioli nel 14 92 1 1 • Nel cielo vola la snella Securitas, un 'att raente fanciulla pressoché nuda la quale con una mano sbandiera un cartiglio ammonitore e con l'altra il modellino di una forca con l'impiccato. Di fronte, a ovest, su un 'unica parete, si vede concentrata la rappresentazione del Mal Governo, ma si dovrebbe dire della Tirannia e dei suoi effetti, nella città che è già la sua dimora e nella campagna devastata , insicura e sterile (fig. 7 1 ).

Buon Governo e Tirannide

15

Tyrannides, dall' aspetto diabolico, è attorniata da sei Vizi : Crudelitas, Proditio, Fraus e poi ancora Furor, Divisio e Guerra . Al di sopra, in antitesi alle Virtù teologali della parete accanto , sono Avaritia, Superbia , Vanagloria . Ai piedi di Tyrannides, la vinta Iustitia in un lungo abito bianco 12 , a terra, spezzata la sua bilancia, e poi ancora scene di violenza e di uccisioni. Nella città deserta di lavoro e di abitanti ( solo un fabbro sta approntando le armi) alcuni ribaldi vanno distruggendo gli edi fici e minacciando chi ancora non è riuscito a fuggire . Nella campagna rovine di villaggi e di chiese, incendi, uccisioni, combattimenti, mentre nel cielo scuro vola minaccioso Timor con un sinistro cartiglio e la spada sguainata. Sopra e sotto gli affreschi corrono due fregi contenenti me­ daglioni, che purtroppo hanno subito nel tempo molti guasti e rimaneggiamenti. Così, per la parte che comprende l'Allegoria del Buon Governo è rimasta identificabile, nella cornice superio­ re, solo parzialmente la figura del Sole 1 3 , posta proprio sopra al Comune/Ben Comune. Di un ' altra si legge soltanto l 'e nigmatica scritta Piviere. Poiché la lista dei pianeti che continua sulle altre due pareti è completa (il Sole era considerato un pianeta) è vera­ mente difficile immaginare cosa fosse rappresentato nei restanti due medaglioni del freglio superiore, coperti da una trave. Nella cornice inferiore si vedono ancora Gramatica, che insegna a un bambino a leggere, e Dialectica con una maschera (Retorica è scomparsa) : sono le Arti liberali del Trivio . Sulla parete adiacente (gli Effetti del Buon Governo in città e in campagna) vediamo nel fregio inferiore le Arti del Quadrivio: Geometria poggia un compasso sopra la tavola da disegno, Astrologia regge una sfera armillare, Musica forse suonava la siringa (scomparsa Aritmeti­ ca) , e in più Philosophia , con corona, scettro e numerosi libri in grembo. Nel fregio superiore sono presenti i pianeti e le stagioni benefiche (pianeti e stagioni sono privi di scritte perché era ri­ tenuta immediata la loro identificazione) : Venere, la Primavera, Mercurio, l'Estate e la Luna ( anch'essa considerata un pianeta) ; c'è anche uno stemma con le chiavi di san Pietro1 4 • Dalla parte d i Tyrannides, invece, i n alto, i pianeti e l e stagioni malefiche: Saturno , Giove e Marte, Autunno e Inverno, e dal 1 985 un pallido leone rampante, cioè lo stemma del Popolo, emerso dai restauri di quell'anno che cancellarono il precedente stemma con

16

Capitolo l

i gigli di Francia, splendenti per una doratura ottocentesca: ma la questione è assai più complicata e ne riparleremo nel capitolo V15 • Nel fregio sottostante dovevano essere rappresentati i tiranni dell'Antichità: unici visibili sono Nerone (Nero) nell' attimo di gettarsi sulla spada e un'uccisione di cui parleremo più avanti. Se dunque il ciclo occupa le tre pareti, la composizione è in realtà bipartita, secondo l'orgogliosa dicitura che corre sul listello al di sotto dell'Allegoria del Buon Governo, in latino e in lettere capitali: «Ambrosius Laurentii de Senis hic pinxit utrinque» («Ambrogio di Lorenzo da Siena dipinse qui da ambo i lati») . Il pittore dà per scontato che dove è la sua firma lì sia anche la sua pittura e si preoccupa di affermare che egli è l'autore anche delle due pareti con gli opposti contenuti del programma. La scritta era completata dalla data, 1 3 3 8 , visibile ancora nel Seicento , distrutta per l'apertura di una nuova porta 16• Il significato delle pitture è chiarito da una canzone in sessan­ tadue versi, in volgare, divisa in quattro «stanze» e due «congedi». Le «stanze» sono distribuite lungo i listelli che fanno da cornice agli affreschi e in due cartelli incastonati nel bordo sottostante alle due rappresentazioni allegoriche, mentre i due «congedi» trovano posto nei cartigli tenuti dalle aeree figure di Timore di Securitas17• Le scritte, nero su bianco, poste all' altezza dello spettatore, sono leggibilissime e, lo ripeto, in volgare, perché stava molto a cuore ai committenti che il messaggio fosse accessibile a tutti quelli che sapevano leggere. I Nove allora al governo contarono , per il successo della co ­ municazione, sull' abilità dell' «impaginatore» 1 8 del programma e sulla straordinaria bravura e genialità delle invenzioni di Ambro­ gio, capace di tradurre per la prima volta in immagine complicati concetti politici. Contarono anche sull'aiuto delle scritte che a mo' di instancabile cicerone si leggono sotto il bordo inferiore degli affreschi immediatamente prima dei fregi , e offrono una spiegazione continua delle figure. Da notare che la prima lettera che dà avvio ai versi sia nei cartelli che nei cartigli è «rubricata» ( dipinta in rosso) per ricor ­ dare l'inizio delle diverse stanze della canzone 19. Del resto la volontà dei Nove di coinvolgere il più possibile i senesi, di allargarne il consenso rendendoli edotti delle proprie iniziative è dimostrata già dalle redazioni degli Statuti del 1 3 09- 1 0 :

Buon Governo e Tirannide

17

s i decise di collocarne u n a copia «in volgare, bene leggibile e bene formata [ . . . ] acciò che le povare persone, et l'altre [ . . . ] che non sanno gramatica [il latino] [ . . . ] possano esso vedere [ . . . ] a lloro volontà»20: dunque sapeva leggere anche chi era di condizione modesta. Anche durante la seconda e significativa ripresa dei la­ vori per un nuovo statuto negli anni 1 3 3 4 -44 , noto come Statuto del Buon Governo (elaborato sin dal 1324 ed entrato in vigore nel 1 3 44 ) , si intraprese un parziale volgarizzamento degli Statuti di Biccherna, una delle più importanti magistrature finanziarie2 1 . Negli affresc hi sono in latino soltanto i nomi che, per tradi­ zione e per dare loro maggior enfasi, etichettano Vizi e Virtù (e nemmeno tutti) : per questo la scelta di Ambrogio di firmarsi nella lingua dei dotti dimostra la consapevolezza del pittore della propria eccezionale cultura , del resto riconosciutagli e dai concittadini e dalla letteratura artistica. Il messaggio dei Nove fu trasposto in racconto da un gruppo di programmatori di cui preciseremo più avanti la cultura e gli intenti22 , ma va subito anticipato che Ambrogio Lorenzetti molto verisimilmente fece parte di quel gruppo, non limitando il suo ruolo a quello di geniale interprete visivo .

3.

Un pittore assai colto

novembre 1 3 47 , nella Sala del Mappamondo dove è affre­ scata anche la Maestà di Simone Martini dipinta nel 1 3 1 5 , da lui ritoccata nel 1 3 2 1 , sul cui significato politico mi soffermerò23 , ci fu un incontro assai affollato di duecentouno persone fra capitani, gonfalonieri , consiglieri e «paciarii» dei TerzF4 • Ad essi andavano aggiunti trenta «boni uomines de gente media» per ogni Terzo25 , per discutere come «conservare la buona e pacifica condizione della città e la sua libertà», come procedere all'elezione dei «pa­ ciarii» e al loro uf fic io, nonché «come fortificare e corroborare l 'u fficio dei Nove e come conservare il pacifico e buono stato del Comune di Siena»26• Ci fu chi propose di nominare una commis­ sione che formulasse proposte per accrescere la sicurezza urbana e chi suggerì di rivedere invece un'ordinanza già discussa due mesi innanzi. Quindi si alzò Ambrogio Lorenzetti, membro del Consiglio dei «paciarii»27 • Non conosciamo il contenuto dell i'nterL'li

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vento a proposito delle d ue proposte, ma le parole di Ambrogio, definite «sapientia verba», mostrano q uale a utorevolezza gli fosse riconosciuta dai concittadin F8. D urante la peste del 1 3 4 8-49, prevedendo, come purtroppo avvenne, la morte imminente propria e dell 'intera famiglia, Am­ brogio redasse di s uo p ugno un testamento. Lo attestano i do­ cumenti della Compagnia della Vergine Maria, una confraternita religiosa senese a c ui il pittore las ciò t utti i s uoi beni affinché li distrib uisse a favore dei «povari di Cristo», nel caso che, morendo, non fossero sop ravviss ute nean che la moglie e le figlie, eredi in prima istanza. Nelle Memorie della Compagnia che riportano il testamento si ricorda che f u «scritto s u una carta di pecora per volgaro, scritto per mano di Maestro Ambruogio» , il 9 gi ugno del 1 3 4 8 , in calzato dalla «sc ura mortalità e pistolentia»2 9• Nel maggio del 1 3 4 9 si attesta la vendita dei beni del Lorenzetti da parte della Compagnia della Vergine Maria. La rin un cia a un notaio che avrebbe rogato l'atto in latino e con le dov ute form ule, se ci fa comprendere la concitazione del momento, ci mostra però q uanto il pittore si sentisse a suo agio con la scritt ura, in grado di stilare un circostanziato documento30•

4.

Commenti coevi agli affreschi, o quasi

Dobbiamo l'attestazione più anti ca rig uardo agli affreschi di Ambrogio Lorenzetti in Palazzo P ubbli co a un anonimo cronista della metà del XIV secolo : «E così deliberato si misse in ese­ chuzione e fatto el palazzo, si deliberò di dipegniervi dentro la Pace e la Gh uerra e molti uomini rei e' g uai erano stati già gran tenpo e fatto male, et anco t utti q uegli e' quali avesseno operato bene per la republi ca di Siena, e anco furo dipente le 1111 virtù teologiche co' molti segni di pr udenza e d ' asercizio e d'igegnio. E q uesto edifichamento di dette dipint ure fece maestro Ambr uogio Lorenzetti. E queste dipint ure sono in nel detto palazzo del ca­ m uno salito le schale al primo uscio a mano sinistra; e chi vi va el può vedere»3 1. Si tratta di un resoconto poco acc urato e con interpolazioni otto centesche32, t uttavia importante per più ragioni: contiene una convinta lode del pittore e ci assic ura che la Sala

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era aperta a l pubblico ; dunque gli affreschi n o n erano destinati alla fruizione esclusiva dei committenti. I Nove, un governo popolare di «mercanti della città di Siena o vero di mezza gente»3 3 , socialmente di ceto medio-alto34, rima­ nevano in caric a due mesi; nel tempo in cui il Lorenzetti fu al lavoro si avvicendarono nove turni, ottantun persone. Proprio le rotazioni ravvicinate facevano sì che una buona parte di perso­ naggi influenti nella vita cittadina posasse, ad ogni riunione, lo sguardo sugli affreschi3 5. Del resto la scritta nella cornice inferiore della parte allegorica del Buon Governo inizia rivolgendosi espli­ citamente ai Nove, invitandoli a concentrarsi sulla figura della Giustizia: «Volgiete gli occhi a rimirar costei, l va' che reggiete, ch 'è qui figurata l per su' eciellenzia coronata, l la qual sempr' a ciascun suo [dritto rende] »3 6• San Bernardino da Siena citò in due riprese gli affreschi del Lorenzetti. Una prima volta , nel 1 425 , li descrisse in dettaglio con molta perspicacia - li aveva certo osservati a lungo -, attratto dalla «bellissima inventiva» ( contentiamoci per ora di riportare l'inizio della predica) : «lo ho considerato quando so' stato fuore di Siena, e ho predicato de la pace e de la guerra che voi avete dipenta, che per certo fu bellissima inventiva»37• Una seconda volta, nel 1427 , predicando proprio in piazza del Campo con alle spalle il Palazzo Pubblico, notava : «Ella è tanto utile cosa questa pace ! Ella è tanto dolce cosa pur questa parola " p ace " che dà una dolcezza a le la bra ! Guarda el suo opposito, a dire " guerra "! È una cosa ruida tanto, che dà una rustichezza tanto grande, che fa inasprire la bocca. Doh , voi l'avete dipenta di sopra nel vostro palazzo , che a vedere la Pace dipenta è una allegrezza. E così è una scurità a vedere di penta la Guerra dall'altro lato»38• Lodi di un profondo conoscitore, in grado di valutare le ca­ ratteristiche artistiche più rilevanti, furono quelle, incondizionate, rivolte da Lorenzo Ghiberti al nostro Ambrogio, dichiarato miglio ­ re di Simone Martini, nonostante l'opinione contraria dei pittori senesi. «Ebbe la città di Siena eccellentissimi e dotti maestri, fra i quali vi fu Ambruogio Lorenzetti, fu famosissimo e singularissi­ mo maestro , fece moltissime opere. Fu nobilissimo componitore. [ . . . ] Costui fu perfectissimo maestro, huomo di grande ingegno. Fu nobilissimo disegnatore, fu molto perito nella teorica di detta arte. [ . . . ] N el palagio di Siena è dipinto di sua mano la pace e

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la guerra; èvi quello s' apartiene alla pace e come le mercatantie vanno sicure con grandissima sicurtà e come le lasciano ne' boschi e come e' tornano per esse. Elle storsioni si fanno nella guerra stanno perfettamente. [ . . ] Maestro Simone fu nobilissimo pie­ tore e molto famoso. Tengono e' pictori sanesi fosse el miglore, a me parve molto miglore Ambruogio Lorenzetti et altrimenti dotto che nessuno degli altri»39. Come si vede, Ghiberti oltre a lodare l'eccellenza del pittore ne loda anche la notevole capacità di speculazione teorica e la profonda cultura. Ghiberti racconta ancora di una meravigliosa statua di Afrodite - di Lisippo era scritto sulla base - trovata a Siena durante uno scavo, che per la sua bellezza fu unanimemente lodata e collocata sopra la fontana in piazza del Campo. Tuttavia dopo pochi anni, nel1357, un cittadino, avendo sostenuto che l'idolo pagano fosse la causa delle continue sconfitte subite per mano dei fiorentini, riuscì a farlo distruggere40; pare quasi operando una sorta di fat­ tura41, i senesi ne seppellirono i frammenti in terra fiorentina42. Il Ghiberti non fu quindi un testimone oculare della scultura ma poté ugualmente tesserne le lodi. «Questa non vidi - scrive - se non .

4. Afrodite Cnidia, cosiddetta «Afrodite Farnese», copia romano-ellenistica

dall'originale greco di Prassitele (3 60 a.C.), Napoli, Museo Archeologico. 5. Allegoria del Buon Governo e i suoi effetti in campagna: Securitas.

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6. Allegoria del Buon Governo: Caritas. 7 . L a Vittoria, scultura d i età romana, Siena, Pinacoteca Nazionale.

disegnata di mano d'un grandissimo pittore della città di Siena, il quale ebbe nome Ambruogio Lorenzetti ; la quale teneva con grandissima diligenza un frate antic hissimo dell'ordine de' frati di Certosa» , dal quale il G hiberti apprese la storia del ritrovamento e della barbara fine della Venere «di Lisippo». Lisippo non scolpì mai Afroditi ; lo scultore famoso anc he nell A ' ntic hità per avere ritratto la dea fu Prassi tele, a cui del resto rimanda l'accenno del delfino nella descrizione della statua ritrovata nello scavo senese. Mi sembra proprio c he Ambrogio Lorenzetti abbia tenuto conto di una copia dell'Afrodite Cnidia di Prassi tele per tratteggiare l 'a erea Securitas c he sorvola la cam­ pagna senese con il modellino dell'impiccato e un minaccioso e rassicurante cartiglio (figg. 4 e 5 ) . La posizione delle braccia è identica in entrambe, statua e figura affrescata; anc he il motivo della sciarpa incrociata c he, seppur trasparente, attenua la nudità di Securitas potrebbe essere stato ispirato dall'ampio panneggio i cui lembi Afrodite accosta sul grembo43 • Certamente per l'innovativa virtù di Pax (fig. 8) il nostro pit­ tore tenne presente una moneta romana (fig. 9) dedicata alla dea Securitas (Securitas Augusti), da cui riprese il gesto della divinità di sostenersi la testa, mentre si appoggia a uno scranno panneg­ giato44, senza c he per questo si debbano attribuire alla calma fanciulla a ffr escata una pensosità e una malinconia particolari 4 5 • L'interesse per l'Antico ha negli affresc hi ancora due occor­ renze. Si direbbe c he una scultura romana oggi ospitata nell'atrio

8. Allegoria del Buon Governo: Pax.

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della Pinacoteca di Siena, un tempo infissa nel muro del prato di Sant'Agostino, sempre a Siena46, abbia posato per l'in­ fuocata virtù di Caritas, quasi nuda, con un velo trasparente di sbieco che le lascia scoperta una spalla47 (fìgg. 6 e 7) . Per quanto r gi uarda l'Arte del Trivio, Ambrogio rappre­ sentò Dialectica seduta mentre contempla una maschera con 9. Securitas: «dupondius» di Nerone una barba riccioluta, il naso con la scritta Securitas A ugusti, circa schiacciato e occ hi piccoli assai 66 d.C., Eichstatt, Katholische Uni· infossati, insomma, la maschera versitat Eichstatt- lngolstadt. di un satira (fìg. 1 0 ). Potrebbe avere copiato da un bassorilievo, come ad esempio dalla figura di «Menandro e le tre maschere»48 (fig. 1 1 ), ma più probabilmente da una maschera di terracotta . I l cronista senese Agnolo d i Tura del Grasso ricorda anche delle Storie romane p urtroppo perdute , dipinte «di mano di maestro Ambruogio Lorenzetti da Siena» probabilmente situate all'esterno delle «camere dei Nove», «al piano nobile del nucleo più antico di palazzo Pubblico», verosimilmente intorno al 1 3 4 3 . Erano in ogni caso in linea con quel richiamo alla libera Roma repubblicana cara ai Nove, i quali avevano chiesto a Simone Martini nel 1 3 3 0 d i raffigurare Marco Attilio Regolo nella Sala del Concistoro, affresco anch 'esso perduto4�. Giorgio Vasari, se non aggiunse ulteriori notizie rispetto al Ghiberti, moltiplicò le lodi di Ambrogio50 proiettando sulla sua figura «l'idea, t utta cinquecentesca, del pittore gentiluomo, in ­ tellettuale»5 1 . Dalle notizie raccolte mi pare plausibile supporre, come si è detto , che il Lorenzetti possa avere collaborato con l' «impaginatore» nell'organizzare l'articolato programma del ciclo pittorico, non limitandosi al ruolo di traduttore, se pur geniale, di una «sceneggiatura». Inoltre si sarà notato quanto siano diversi i titoli assegnati alle varie parti del ciclo affrescato dalla letteratura artistica moderna rispetto alla ferma dizione fino al Quattrocento: «la Pace e la Guer-

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10. Allegoria del Buon Governo: Dialectica.

ra» . Un enunc ia to , quest' ult m i o , che esclude va la parte s im bol ic a del Buon Governo e della T ir ann id e e s iconcentra va n i vece sulla realtà concreta della c it tà nella contrappos iz io ne tra una felice e paci fica conv vi enza e il ricordo degli orrori di guerre sperimentate e li t im ore d inuo vicon flitt i, sempre incombent i. Le allegor ei che r gi uarda vano la realtà cont n i gente d iS ei na sc ivolano sullo s fo ndo, mentre in pr m i o piano s istagl ia no le realtà sempiterne: li des id er io d i una vita quieta e fe lice, l' angosc ia per la destabilizzaz io ne , la crudeltà, la d si truzione causate dagl i event i bell ci i.

Buon Governo e Tirannide

11. Menandro con maschera della Commedia Nuova, I

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sec . a.C.-I sec. d.C.,

Princeton University Art Museum .

San Bernardino da Siena, che descrisse attentamente gli Effetti del Buon Governo così come le nefaste conseguenze della Tiran­ nide in città e in campagna, predicando in un tempo di profonde discordie civili e impegnato a concludere «paci», fu in grado di trarre dalla sua immaginazione un quadro molto vivido, in un parossismo di situazioni sempre più crudeli: «Quanti mali sonno proceduti da queste parti, quante donne so' state amazzate nelle città proprie, in casa loro ; quante ne so' state sbudellate ! Simile, quanti fanciulli morti per vendetta de' padri loro ! Simile, i fan­ ciulli del ventre delle proprie madri tratti e messo lo' i piei ne' corpi, e presi i fanciullini e dato lo' del capo nel muro; venduta la carne del nimico suo alla beccaria come l'altra carne; tratto lo' il cuore di corpo e mangiatolo crudo crudo. Quanti mortaghiadi [uccisi con armi da taglio] , e poi sotterrati nella feccia ! Egli ne so' stati arostiti e poi mangiati; egli ne so' stati gittati giù delle torri; egli ne so' stati gettati su de' ponti giù nell ' acqua; egli è

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stata presa la donna e sforzata innanzi al padre e 'l marito , e poi amazzatoli lì innanzi »52 • Gli storici moderni si sono concentrati invece ad analizzare minutamente le A llegorie, in particolare il complesso enunciato del Buon Governo, trascurando le parti relative alle conseguenze in città e in campagna, mentre a mio avviso Ambrogio Lorenzetti dipinse un programma profondamente unitario che va letto nel suo ms 1e me.

Capitolo 2

Chi difende i deboli e i miserabili?

l.

La «Maestà» di Simone Martini

Prima di considerare la situazione storica al tempo degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti, mi soffermo a commentare parzialmente un capolavoro , la gigantesca e sfavillante Maestà ( 1 3 1 5 -2 1 ) di Simone Martini, quasi dieci metri per otto (fìg. 1 3 ), che occupa la parete est della Sala del Gran Consiglio, attigua a quella dove, quasi vent' anni dopo , Ambrogio Lorenzetti avrebbe dipinto il suo ciclo destinato a diventare altrettanto famoso . Osservando le opere di entrambi i pittori con il distacco della storia , colpisce vedere quanto la vita a Siena, nella realtà agitata da violenze, rivolte e soprusi, resa tuttavia da Simone Martini in un 'affascinante immagine colma d'oro e di smalti , sia in stringente continuità con la realtà altrettanto burrascosa di Siena ai tempi di Ambrogio , ma illustrata nei gioiosi Effetti del Buon Governo in città e in campagna, sotto la ferma guida dei Nove. Colpisce inoltre scorgere quanto Ambrogio abbia tenuto in conto il messaggio poli­ tico espresso dai personaggi e dalle scritte della Maestà affrescata. La Vergine, alla quale i senesi avevano offerto le chiavi della città prima della battaglia di Montaperti ( 1 260) , dopo la schiac­ ciante vittoria sui fiorentini era diventata la patrona di Siena , anzi la sua regina 1 • Con la corona la rappresenta Simone e, novità importantissima, la fa dialogare con i santi patroni senesi, Ansano , Savino, Crescenzio e Vittore. La Vergine, rispondendo alle suppliche e alle preghiere ri­ voltele, parla a Siena, in volgare rimato, chiamando la città la propria «terra»2 • Anche se, da un punto di vista formale, la città apparteneva ancora all'impero, nei fatti riconosceva solo l'auto -

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Capitolo 2

12. Sigilli, particolare della fig.

13.

rità celeste, cioè esibiva l a sua indipendenza. Non è un caso che nell'affresco compaia per la prima volta la lupa con i gemelli, la più antica ra ffigurazione della leggendaria fondazione romana di Siena 3, per farne risaltare le origini repubblicane. A proposito dell ' adozione del volgare vale la pena sottolineare l'alto grado di alfabetizzazione che si presuppone nei destinatari dell' affresco, confermato dal fatto che, come sappiamo, una copia in volgare degl i Statuti del 1 3 09- 1 0 era stata collocata in luogo pubblico . Nella lista a finti marmi che fa da base all'affresco della Mae­ stà , Simone Martini dipinse, fra quelle che intendono essere due impronte di sigilli, la data: giugno 1 3 15 (fìgg. 1 2, 14 e 1 5 ) . Nel sigillo di sinistra la Madonna offre il globo al Bambino fra due angeli, circondato dalla legenda «Salvet Virgo Senam veterem guam signat amenam» («La Vergine conservi l'antica Siena, a cui dà il suggello della bellezza ), opera di Guccio di Mannaia, volu­ to e pagato dai Nove il 4 settembre del 1 2 984. L'altro mostra il leone passante, il sigillo del capitano del Popolo5 , come dichiara l'analoga legenda «Sigillum Capitanei Populi Senensis»6. Evidentemente la committenza attraverso questi emblemi intendeva autenticare quasi in modo notarile l'importanza del documento visivo soprastante7 • La Madonna della Maestà siede in un imponente trono cu­ spidato al di sotto di un ampio baldacchino (fig. 1 6), una «reale insegna cerimoniale, usata per accogliere in città gli ospiti i llu stri»8, sostenuto da angeli, santi ed apostoli, mentre i pendenti svolazzanti mostrano, alternandosi, la balzana senese Oo stemma della città, bianco e nero ), lo stemma del capitano del Popolo senese, quello della Francia antica e quello degli Angiò (in linguaggio araldico , rispettivamente, troncato di argento e nero ; di rosso al leone

13. Simone Martini, Maestà, Siena, Palazzo Pubblico, Sala del Gran Consi· glio, 1315 ·21.

rampante di argento linguato e coronato d'oro; d'azzurro semi­ nato di gigli d'oro; d'azzurro seminato di gigli d'oro, al lambello di rosso a cinque pendenti9). I patroni di Siena si rivolgono con gesti di supplica alla Vergine, inginocchiati ai suoi piedi, mentre due angeli offrono ciascuno una coppa colma di gigli e di rose, simboli specificamente mariani10• Tutt'intorno, nell'ampio bordo floreale che incornicia l'affresco, si affacciano, entro tondi, busti di patriarchi, profeti, evangelisti e

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Capitolo 2

14. Sigillo del Comune di Siena, particolare della fig. 13.

15. Il sigillo del capitano del Popolo, particolare della fig. 13.

Chi dzfende i deboli

e

i miserabili?

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dottori della C hiesa alternati a piccoli clipei entro i quali ritornano la balzana senese e lo stemma del capitano del Popolo ; in più si aggiungono la già citata lupa con i gemelli e la rappresentazione del grosso d' argento, con la legenda , a diritto, «Sena vetus civitas Virginis» e, a rovescio , «Alfa et Omega, principium et finis». Una lunga didascalia in lettere d'oro su finto porfido, adagiata sul pavimento dove ha preso posto la corte celeste, recita «Re­ sponsio Virginis ad dieta santorum»11 : «Diletti miei, ponete nelle menti l che li devoti vostri preghi onesti l come vorrete voi farò contenti: l Ma se i potenti a' debil' fien molesti, l gravando loro o con vergogne o danni l le vostre orazion non son per questi l né per qualunque la mia corte inganni»12• La Vergine esorta dunque con decisione a seguire la giustizia, forte delle parole che il Figlio divino indirizza a chi ha in mano il governo della città, spiegando il cartiglio con le parole dell'inizio del Liber Sapientiae: «Diligite iustitiam qui iudicatis terram»1 3 (fìg. 1 7) . La Vergine risponde ai santi m a indirizza il suo monito a tutti coloro che si riunivano nella Sala del Consiglio generale, con una precisa allusione alle violenze dei nobili delle grandi casate magna ­ tizie , sempre pronti a farsi vicendevolmente la guerra ma anche a riversare la loro tracotanza sui deboli, impossibilitati a contrastarli. I N ove , in una rubrica dello Statuto approvata il 1 9 aprile del 1 3 1 3 che riguarda il capitano del Popolo 14 (già preposto al mantenimento dell'ordine cittadino) , vollero definire come sua specifica competenza la protezione degli inermi: «Che il Capita­ no sia dz/ensore dei poveri e dei miserabili. Affinché i deboli e i poveri non siano oppressi dai potenti , ma abbiano chi difenda secondo giustizia i loro diritti, stabiliamo che il predetto Capitano sia tenuto ad essere il difensore e a dovere difendere tutti indi ­ stintamente ma soprattutto le persone miserabili, deboli e povere, preservandole da tutte le ingiurie, prevaricazioni e violenze contro chiunque, e soprattutto contro i magnati (potentes de casato) . E se il detto Capitano e difensore, dopo che si sia fatto ricorso a lui , trascurasse di agire o fosse negligente o fiacco, sia punito con la multa di cento lire di denari piccioli ogni volta che abbia contravvenuto a organizzare suo obbligo» 1 5 • 11 1 2 dicembre 1 3 14 il Consiglio generale ampliò ulteriormente il potere del capitano del Popolo in modo che potesse agire con-

16. Simone Martini, Maestà, parte centrale, particolare della fig. 13.

17. Simone Martini, Maestà: il monito di Gesù Bambino, particolare della fig. 13.

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Capitolo 2

tro i potentes che offendono i debiles16, frase che la Madonna fa propria, citandola alla lettera. Il verso «Ma se i potenti a' debil' fien molesti, l gravando loro o con vergogne o danni» non è un generico ammonimento di un messaggio morale bensì una precisa cita zione statutaria che assumeva per i contemporanei di Simone Martini la valen za di un 'accusa circostan ziata. Sar à anche da ricordare come le violen ze e gli odi fra i grandi casati , ad esempio fra Salimbeni e Tolomei, coinvolgessero pesan­ temente anche i cittadini, e a do cumentare quanto fosse instabile la situa zione - chi usciva di casa aveva qualche probabilit à di non farvi ritorno - basti il resoconto di pochi giorni , dal 16 aprile al 19 aprile del 1 3 15 .

2. Congiure su congiure Poco prima che Simone Martini terminasse la Maestà nel giu­ gno del 1 3 1 5 , il 1 6 di aprile «Salimbeni e Tolomei féro battaglia fra loro in Siena» e «fuvi morti omini e femine da sedici e molti feriti; el com n i ciò su l'ora de la ter za e tutta la citt à si levò a romore ; e traevano molta gente armata, chi tenea co' Tolomei e chi co' Salimbeni . Unde i signori Nove féro sonare la campana ad arme, e di subito tutto il popolo fu armato a' piei el pala zo , come erano ordinati mille per Ter zo1 7 co' la podest à di Siena e col capitano del Popolo co' loro gente a mantenere la libert à el ben comune e regimento del popolo»18• I Nove reagirono imme­ diatamente facendo un bando e mettendo «una candela d'uno denaio» alla finestra del loro pala zzo, condannando alla pena di morte Tolomei, Salimbeni e i loro sostenitor i se non avessero deposto le armi entro il tempo che avrebbe impiegato la candela a consumarsi. Inoltre Salimbeni e Tolomei dovevano presentarsi al Pala zzo: la «briga» cessò e più di cento per parte dei due ca­ sati furono «costretti ne' fe [r] ri», rimanendo in prigione a lungo perché si convincessero a fare la pace. n giorno seguente tuttavia ci fu una nuova mobilita zione perché si era sparsa la voce che il vescovo d 'Are zzo stesse venendo «con molta gente» in aiuto dei Tolomei e gi à fosse vicino «alla porta di Santo' Vieno». Suona di nuovo la campana, si radunano gli armati e questa volta il bando intima a tutti i forestieri di uscire dalla cit-

Chi difende i deboli e i miserabili?

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t à, pena un piede troncato . Vista la rea zione dei senesi, gli aretini tornarono a casa, ma nel frattempo si era diffusa la noti zia che un bambino fosse stato rapito da un ribaldo incallito, il quale in effetti fu preso e il 1 8 aprile impiccato . Il giorno dopo , il 1 9 , i Nove, per impedire nuovi sostegni esterni ai due casati, fecero un altro bando, con la solita minaccia del taglio del piede, ordinando che nessun forestiero «né del contado, né delle Masse» 19 nei successivi tre giorni entrasse in Siena per appoggiare i Tolomei o i Salimbeni . Questo divieto non fu eseguito alla lettera: da chi non ne era a co­ noscen za e da chi entrava ugualmente per portare aiuto. Gli armati del podest à che perlustravano le vie ne scovarono sei provenienti dalle Masse e dal contado, ma «e' buttigari e 'l popolo raunati sul Campo», vedendo che stava per essere eseguito il taglio del piede, poiché non sembrava loro che «per sì picolo dilitto fossero guasti tanti uomini [ . . . ] comincioro a trarre sassi e levare e' rumore e gridare: " Scampali, scampali ! " » . Cinque riuscirono a fuggire, ma «fu tanto e' romoro e la furia de' sassi, che molti de la famigl [i ]a del podest à furo feriti da' sassi». Allora il podest à, «isdegnato e con furia, come o rno non temperato», fatto portare nelle sue stan ze il malcapitato che non era riuscito ad allontanarsi gli fece tagliare la testa, poi gettò il corpo dalla finestra mentre «la testa atachò per li capelli a le finestre in dispetto del popolo e per terore al popolo. E per questo imediate tutta Siena fu all'arme per la iniustitia fatta a colui, che per sì poco dilitto non meritava la morte. E fu tanto e' rumore, che poco mancò che non si mutò regimento» . Lì per lì i Nove riuscirono a imporre la pace fra il podest à e il popolo e fra Tolomei e Salimbeni, liberandoli dalla prigione, ma il malcontento continuò a covare20•

3. n

trionfo della discordia

Simone Martini, che pure aveva ritenuto conclusa la sua opera nel 1 3 1 5 , tanto da apporre la data sull'affresco, tornò a lavorarvi nel 1 3 2 1 perché, per l'umidit à del muro, una parte si era guastata, apportando però vari mutamenti: i committenti, i Nove, colsero l'occasione e vollero che si rispondesse visivamente agli scontri e alle congiure avvenuti in quell'intervallo di tempo. Ecco gli avvenimenti di quegli anni.

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Capitolo 2

Nel 1 3 1 7 a Carnevale, il gioco «della pugna», fra popolani e «gentili uomini» tutti vestiti in modo lussuoso, si trasformò in una violenta sassaiola nel Campo, una vera e propria battaglia, tanto che il podest à e i Nove intervennero per mandare tutti a casa, «sotto pena de' loro arbitrio»2 1 , ma con molta fatica ristabilirono la calma. Morirono dieci persone e più di cento furono ferite. Nel giugno del 1 3 1 8 i senesi decisero di fare guerra alla citt à «di Massa di Maremma» perché i massetani avevano acquistato il Castello di Girifalco; i senesi sostenevano di averlo acquistato prima loro e dunque pretendevano la rinuncia dei massetani al titolo di propriet à. Non essendo stati esauditi, inviarono quattro ­ cento cavalieri e seicento fanti, «tutti de la città, cioè duecento fanti dell'Arte de la Lana, e cento fanti dell'Arte del Fuoco, e cento fanti dei becchari, e molti maestri di legname e pi zicaiuoli in numero di seicento fanti; tutta gente gagliarda e di grande animo e di prudentia; e andovi quattrocento balestrieti più pure de la citt à e fu loro capitano misser Benuccio Salimbeni e con lui v'andò molti suoi consorti a cavallo; esciro di Siena a dì 1 6 giugno e l e compagnie d i Siena vi mandoro mille pedoni». A questi si aggiunsero poi cento cavalieri inviati dai fiorentini. Si diressero prima a Girifalco poi si rimisero in marcia «per dare el guasto intorno Massa» che, spaventata, chiese di fare un ac­ cordo. Ed ecco che, approfittando del fatto che tanti armati erano fuori da Siena, in citt à fu ordita una congiura contro il governo dei Nove, «per disponare e caciare il detto regimento»; ma un cal zolaio, poi lautamente ricompensato, svelò il complotto. I Nove allora richiamarono gran parte dell'esercito , che si sentì umiliato per un ritorno sen za vittoria e sen za bottino, non conoscendo la ragione dell'ordine ricevuto. I Nove d'altronde avevano mantenuto il segreto sulla congiura, per appurarne la verit à e i colpevoli. I componenti dell'esercito, credendo di essere stati ingannati dai loro comandanti, giunti in citt à e radunatisi in Campo, insieme a «popolani minuti», meravigliati di quell'inglorioso e repentino rientro, dopo avere occupato le vie di accesso e «serate le catene», sfogarono violentemente la loro ira con una fitta sassaiola al grido di «muoiano i traditori»22 • Per spiegare l'inasprirsi della situa zione va subito ricordato che alla suprema magistratura non potevano ambire né il popo-

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l o minuto, né gli artigiani, n é i nobili: così avevano stabilito gli stessi Nove, con un provvedimento del lontano 28 maggio 1277 . Questa esclusione aveva prodotto un'insofferenza che era andata via via crescendo a cominciare dal primo decennio del Trecento . Pochi mesi dopo la fallita spedi zione contro Massa, il 2 6 di ottobre del 1 3 1 8 i giudici e i notai di Siena chiesero ai Nove di aprire ai rappresentanti di altre categorie la possibilità di essere eletti alla più alta carica pubblica; chiesero dunque di poter fare parte del «regimento» con «altri buoni omini de la citt à», cioè «certi grandi di Siena» - fra loro So zo Dei e Deo di messer Guc­ cio Guelfo, capi dei Tolomei e alcuni dei Forteguerri -, e con i «carnaioli», ricchi possessori e allevatori di bestiame, dediti al commercio della carne. Ricevettero uno sdegnato rifiuto e una serie di ritorsioni nei loro confronti. Allora tutti costoro insieme a «popolari minuti» ordirono una congiura e «venero con rummore armati di cora ze e cappelli d 'acciaio e altre armi da battaglia; e aveano di molte scuri. Venero a la bocha del Casato dicendo: " Rompiamo le catene e rompiamo la porta del pala zo de' Nove e le loro case e buttighe e di certi altri richi " . [ . . . ] E gridavano: " Muoia i Nove e viva il popolo ! " »23 • I Nove reagirono prontamente: «Féro loro provedimento e féro armare tutti i soldati e massime trecento pedoni che si chia­ mavano i bal zanelli, i quali dovieno andare a Genova in servitio de' re Ruberto, e tutti i loro birivieri»24 • Ini ziò lo scontro. I notai e i «carnaioli» aspettavano «che i gentili omini loro congiurati venissero in loro aiuto con la loro gente, cioè Talomei e Forte­ guerri co' loro seguaci, e molti non vennero per consigl [i] o di messer Deo de' Talomei», rimanendo fermi nella piazza Tolomei. Intanto «la canpana del comuno sonava ad arme, in modo che molta gente era tratta a romore dall'una parte e dall'altra [ . . . ] e fu sì aspra battaglia che vi morì molta gente dell'una parte e dell'altra, e massime de la parte de' notari vi morì molti per li passatoi de le balestre grosse del comuno, che i signori avieno meso in ordine e traevalle i loro armati, in modo che i notari e i carnaioli co' molti de' loro seguaci de' Fortegueri e Talomei furo rotti e messi in fuga, e furono presi molti; e massime quattro de' principali de' carnaioli e furo messi nelle mani del podest à di Siena e quasi tutti gli altri fugiro». I quattro «carnaioli» vennero decapitati e anche chiunque fosse risultato partecipe della con-

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Capitolo 2

giura sarebbe dovuto essere decapitato. Nel caso non fosse stato catturato era dichiarato ribelle e bandito, le abitazioni abbattute, i beni distrutti25 . I «carnaioli», se la congiura fosse andata a buon segno, avreb ­ bero voluto che il podest à non fosse più un cavaliere forestiero, come era la prassi, ma un senese, e precisamente Deo de' Tolomei: possibile preludio a una signoria26. Per distruggere il potere di una grossa parte dei congiurati furono soppresse l'Arte dei carnaioli nonché quella dei giudici e dei notai27 • (Al tempo degli affreschi del Lorenzetti erano esclusi dall'elezione dei Nove anche i nobili, i giudici, i notai e i medici, nonché tutti i ghibellini28. ) Tuttavia il prestigio e la sicurezza dei Nove erano stati scossi, cosicché si susseguirono nel mese di dicembre varie assemblee. I Nove ammisero di dover tenere conto della evidente insod­ disfazione («molti cittadini di diverse condizioni desideravano un mutamento e mutare il governo del detto ufficio, e di quello presente appaiono essere del tutto scontenti»29) e invitarono i cittadini ad esprimere liberamente proposte sulla migliore forma di governo. In un Consiglio generale i Nove giunsero a chiedere all'assemblea se fosse d ' accordo «che si elegesse tutti coloro che erano stati all'ufitio de' Nove e anco degli artefici che sono suf­ fitienti [idonei] d ' esservi»30• La proposta, nonostante una forte opposizione, non passò e alla fine «gli artefici e popolo minuto e i più dei grandi si tenero inganati e furo poi più malcontenti che prima»3 1 • Anche le incursioni e le devastazioni che l e bande dei fuoru­ sciti perpetravano a ripetizione nel contado di Siena, alle quali i Nove reagivano in armi, mantenevano viva la tensione. I ribelli, se catturati, venivano giustiziati sulla piazza del Campo. Conclude Agnolo di Tura per l'anno 1 3 1 9 , attribuendo al demonio la discordia urbana: «E per questo ancora c re be la ni­ micitia a' regimento de' Nove; e così Siena venia di male in pegio, e continuamente i signori Nove riparavano quando una cosa e quando a un' altra; e il più delle volte metteano e faceano fare pace fra i cittadini e metterli in pace quanto a loro era possibile, perché la citt à stesse in pace. E continuamente nasceva qualche tradimento e nimicitia, come il nimico del'umana natura facea fare e venire in nimicitia e in divisione»32 •

Chi difende i deboli e i miserabili?

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Rose e gigli angelici

Simone Martini tornò a lavorare alla Maestà nel 132 1 , come si è detto, perc hé l'affresco andava restaurato (uno dei problemi era l'umidità risalente dai sottostanti magazzini del sale), ma anche per aggiornarlo ai fatti avvenuti nel frattempo. Sul gradino sotto al trono di Maria, Simone aggiunse con foglie d'oro dipinte su uno sfondo nero un'iscrizione (fig. 1 8) nella quale di nuovo la Vergine parla in volgare rimato, prendendo abilmente lo spunto dall'offerta di fiori degli angeli ai suoi piedi. Preceden­ temente qui Simone aveva dipinto nel 13 15 un 'altra iscrizione, perduta, ma di cui rimangono tracce, che doveva spiegare i dieta santorum, le suppliche dei santi, della iscrizione del 1 3 1 5 . Nel 132 1 l a sostituì con una nuova, e perc hé fosse evidente il dialogo fra la Vergine e i santi patroni, modificando i loro gesti, pose in mano a ciascuno un cartiglio che, dipinto a secco su un intonaco di sei anni prima, è purtroppo svanito (ma di cui è ri­ masta l'impronta)33 • Ad esempio le mani di Crescenzio sono state ridipinte. La mano sinistra dopo l'intervento del 1 3 2 1 teneva un cartiglio c he, svanendo, lascia ora intravedere la mano originaria­ mente distesa lungo il corpo (figg. 19 e 20) . La nuova esternazione della Madonna non si rivolge ai devoti supplici affrescati ma direttamente allo spettatore, sottolineando come l'interesse del singolo debba essere subordinato a quello

1 8. Simone Martini, Maestà: la risposta della Vergine, intervento del 1 32 1 , particolare della fig. 1 3 .

19. Simone Martini, Maestà: i santi patroni Crescenzio e Vittore, particolare della fig. 1 3 .

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20. San Crescenzio con la mano distesa lungo il corpo prima dell'intervento del 13 2 1 , disegno di Alessio Rosati.

della comunit à : un concetto che sar à ribadito più volte negli affreschi di Ambrogio. Recita la scritta: «Li angelichi fiorecti, rose e gigli, l onde s'a­ dorna lo celeste prato , l non mi dilettan più che i buon' consigli. l Ma talor veggio chi per proprio stato l dispreza me e la mia terra inganna , l e quando parla peggio è più lodato. l Guardi ciascun cui questo dir condan [n] a ! »3\ come a dire: «Le rose e

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Capitolo 2

i gigli che mi porgono gli angeli mi sono graditi quanto i buoni consigli, ma purtroppo vedo che qualcuno, per il tornaconto del suo interesse privato , dispre zza me e le istitu zioni della mia citt à, e, più parla peggio, più è lodato. Tutti coloro che agiscono in questa maniera tengano bene in mente che le mie parole di condanna si riferiscono a lui». Si trattava di un messaggio intimidatorio , anche se formulato in versi armoniosi, che i Nove inviavano ai senesi riuniti nella Sala del Consiglio generale, l à dove esprimevano i loro pareri, per dissuaderli da ogni volont à di cambiamento .

Capitolo 3

Un grande manife sto p o litico

l . «Tutta la città stava in tremore . . .

,

Nel 1 3 25 i«carna iol i» e iTolome icosp ir arono d inuovo contro i Nove e ancora una volta fu un cal zola io a svelare la cong iu ra: «S iscuperse uno trattato n i S ie na che faceano cert icarna iu ol icon m is ser Agnolo d i m is ser Granello de' Talome i e m is ser N ic holò d i m is ser Curado de' Talome i [ . . . ] . Il qual trattato fu scuperto da uno cal zola io che s i ch ia mava Sanese [ . . . ] , li quale andò a' s ig nor iNove segretamente a scupr ir e li detto trattato come idett i carnaioul i cogl i altr idoveano entrare in pala zo e uc id are i signori Nove e fare reg m i ento a loro [modo] e a c ie rte altre art i d i poca facult à»1 • Alla cong iu ra avevano partec ip ato anche «altr i artef ic i d'altre art i» e un g iu d ic e. A i «carna iol i» fu tagl ia ta la testa, agl i altr i fu dato li bando e i loro pala zzi e le loro case furono d is trutt i. Le tens o i n i andavano r ic ondotte anche a un nuovo t m i ore: che potesse c ioè essere mutato li governo popolare de i Nove. Carlo, duca d i Calabr ia , f gi l io d i Roberto d'Ang iò , fra li 1 3 2 6 e li 1 3 2 8 d v i enne s ig nore d i F ir en ze e d i S ie na, e solo la sua morte m i provv is a allontanò la poss b i li ti à che s i consol id asse un reg im e signor lie a S ie na, come s i andava real izzando a Orv ei to , a San Gm i ig nano e a Grosseto2 • La frag li it à dell' assetto is t it uz io nale es is tente fu messa a dura prova poch i ann i dopo , nel 1 3 2 9 , quando scopp ò i una grande sommossa per una terr b i lie carest ia , raccontata con molt i par­ t ic olar i drammat ic i da Agnolo d i Tura3 • S ei na, come altre c it t à, cacc iò « i povar i mend ic ant i per paura d i non potere sostentare i loro, unde molti d i dett i mend ic ant i vennero in Firen ze», dove

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2 1 . I poveri cacciati da Siena sono accolti a Firenze, Ja Domenico Lenzi, Il

Libro dt·l Biadaiolo fiorentino , 1 3 3 7 , Firenze, Biblioteca L a u rcnzian a , ff. 5 6 v e 5 7 r.

ms.

L a u re n z . Tempiano 3 ,

furono accolti e rifocill ati. La disperazione dei poveri li portò ad assalire le botteghe, ad impadronirsi del poco grano messo a disposizione nel Campo. Intervenne perfino il capitano della Guerra Guidoriccio da Fogliano, ma senza molto successo . Sei poveretti che incitavano a ribellarsi fu rono impiccati . La cacciata dei poveri da Siena venne narrata anche da una fonte fiorentina, Lo specchio umano, più noto come Il libro del Biadaiolo , opera di Domenico Lenzi, nonostante fossero passati alcuni anni dall' avvenimento, tanto fece scalpore (fig. 2 1 ) : «E così correndo con disperata p rovisione quelli poveri sanza novero al maggior palazzo dove quelli comandamenti dinanzi erano fatti, giungendo gridavano : " Misericordia " ; chi : " Al fuocho ! " ; chi: " Muoia ! " ; chi una e chi l ' al­ tra , tanto ch 'a ssì fatto romore tutta la città corse, e armasi chi può per se medesimo guarentire. E uscendo fanti armati fuori del palazzo ,

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che a quello romore de' poveri contrastesse, pocho valse; ma rivolto i poveri lo 'ntendimento degli armati usciti del dire in aoperare, con sassi e con ma zze percotendo, conbatterono quello palaz zo, rinchac­ ciando dentro forse con paura di maggiore loro danno»4 • Il problema della difficolt à degli approvvigionamenti si ripro­ pose proprio negli anni in cui Ambrogio Loren zetti dipingeva: «Il pre zzo del grano segnò un 'impennata netta e continua tra il giugno 1 3 3 7 e l'aprile 1 3 4 0 , in particolare raddoppiando tra giugno e agosto 1 3 3 9»5 . Non erano le uniche emergen ze che i Nove dovevano affrontare. I magnati, cioè gli appartenenti alle più potenti famiglie nobili cittadine, erano sempre in lotta fra loro , a volte perfino all'interno dello stesso casato: ad esempio nel 1 3 3 8 lacomo di misser Carlo de' Picolomini fu trovato morto gettato in una fossa, ucciso da Giovanni Cinelli de' Picolomini, al quale fu poi tagliata la testa6. Si susseguivano le inutili paci: nel 1 3 3 3 i Tolomei e i Salim ­ beni stabilirono una tregua di quattro anni\ ma sempre nel 1 3 3 3 ecco nuovi delitti d i altre famiglie : Giovannino, Amerigo, Turino e Riccio, «tutti e quattro de la casata de' Picolomini de' nobili di Siena, entraro nel castellare de' Malavolti e uccisero Rigolo di misser Ciane de' Malavolti de' nobili di Siena, il quale giocava a scacchi». Il Comune diede il bando agli assassini e «fe' guastare le case del detto Riccio e de' figlioli di Neroccio Picolomini»8• Le lotte fra Salimbeni e Tolomei tennero per decenni all'erta la citt à, coinvolgendo nel loro svolgersi gli inermi cittadini. «In questo tempo - scrive di loro Agnolo di Tura nel 1 3 2 6 - erano nimici l'una casa contro l ' altra, in modo che tutta la citt à stava in tremore e i signori di Siena non li potea afrenare per la loro gran potentia; inperoché in Toscana non erano simili casate di potere d'o mini e di riche ze [ . . . ]. Per le dette casate era tripartita quasi tutta la citt à e gran parte del contado»9• Quando il 5 novembre del 1 3 3 7 i Salimbeni e i Tolomei conclusero una nuova pace nel Pala zzo Pubblico , davanti a una moltitudine di cittadini felici, propi ziata dai legati del pontefice, il notaio non omise di elencare tutti gli orrori e i soprusi che quei medesimi cittadini avevano dovuto subire: «hodia, malivolentie, iniurie, homicidia, dapna, cavalcate, violentie, incendia, capture [ . . . ] »10• Cercavano di mettere pace anche grandi predicatori: nel 1 3 3 5 venne a Siena d a Milano, diretto a Roma, u n famoso domenicano,

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Capitolo 3

Venturino da Bergamo, che aveva concluso molte «paci», cioè risol­ to molti conflitti locali nelle città dove aveva tenuto i suoi sermoni 1 1 . Tuttavia questi accordi, anche quando conclusi, erano molto fragili. Infatti nel medesimo anno 1 3 3 5 il cronista Agnolo di Tura registra che «Due grandi casate de' nobili di Siena, cioè Saracini e Ceretani, ebero in fra loro grandi quistioni» e furono severamente multate12. Occorreva una sorveglianza armata continua. Nel 1 3 3 4 il capi­ tano di Guerra insieme al capitano del Popolo e al podestà avevano l'obbligo di controllare la città due volte al giorno per scovare le persone che avessero con sé armi proibite, con facoltà di istituire processi e comminare condanne 1 3 • Per il 1 3 3 5 Agnolo di Tura annota: «In Siena fu grande romore in fra soldati, fanti a piè del camuno di Siena contra i soldati de la città che si chiamavano qua­ trini, e' quali erano a la guardia de la città, come in dietro aviamo fatto mentione; per lo quale romore i signori Nove féro recare il ceppo e la manaia sul Canpo per fare [a] restare il detto romore , inperoché in questo tenpo si trovava in Siena più di tremila sol­ dati» 14. Nell'anno antecedente il cronista aveva spiegato la nuova presenza dei «quattrini»: i «Sanesi ordinaro e riformaro ne' loro consegli, del mese d ' aprile, uno conistabile con centocinquanta fanti berivieri , e stavano per la città nelle contrade, andavano e pigliavano i malfattori o chi ferisse o con battesse l'uno coll'altro cittadini o altri, e li detti provisionati volgarmente si chiamavano quatrini, i quali la magior parte di loro portavano lancie lunghe, da capo uno uncino di ferro e con quelli pigliavano i malfattori, e guai a quelli che da principio furo gionti, che di poi molti mali si sarebero fatti che non si féro» 1 5 . Chi avesse attraversato «il campo del mercato», la piazza alle spalle del Palazzo Pubblico, spesso avrebbe visto esecuzioni in atto, tanto che nell 'anno 1 3 3 4 qui fu scavata una fossa «dove riceveva il sangue» 16. Ancora nell'anno 13 3 7 ritornò lo spettro di una congiura ordita dai notai, cuoiai e «carnaioli»: si rivelò una notizia falsa, fabbricata da un giovane malvagio, Nacarino, «per intrare in gratia de' signori Nove»: due innocenti furono torturati e il delatore finì la sua breve vita morendo in prigione 1 7 . Tutte queste notizie, e altre ancora , di diversa natura, di cui subito diremo, vanno tenute presenti per comprendere come la propaganda politica dei Nove negli affreschi di Ambrogio Lorenzetti sia la risposta alle ricorrenti minacce de­ stabilizzanti che incombevano su quel medesimo governo.

Un grande manifesto politico

2. Banchieri

e

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usurai

Nel 1 3 3 8 aveva attraccato a Port'Ercole (Grosseto) , come da abitudine, una nave partita dalla Siria, carica però di sete prezio­ sissime lavorate in oro, abbellite da disegni particolari di foglie, di stelle, di raggi e di lune, e poi colma di cinture di seta e oro «a fo [r] gia Soriana», cordoni e borse da sposa in seta e oro e altri oggetti di lusso. Benuccio di Giovanni Salimbeni, che aveva molto guadagnato dalle miniere di rame e d'argento di proprietà della famiglia, acquistò l'intero carico per la gigantesca somma di centotrentamila fiorini. In capo a un anno era riuscito a rivendere tutta la merce attraverso i sensali di casa Salimbeni , i quali per l'occasione aprirono tre fondaci nella via Rinaldini che si immet­ teva nel Campo (come fa tuttora) , chiamata in quel tempo via de' Setaioli 18• Questa straordinaria disponibilità finanziaria contrasta con l'accorata denuncia fatta nel 1 3 3 9 da un gruppo di banchieri e di mercanti in Consiglio generale davanti ai Nove, nella quale venne delineato un quadro di segno assolutamente opposto: la città era prossima al tracollo per l'usura che divorava cittadini, contadini e molti banchieri, usura vicina a ridurre sul lastrico an­ che i mercanti 19• Una contraddizione a prima vista sorprendente. I Bonsignori, una famiglia senese di straordinaria ricchezza, erano stati per tutto il Duecento i maggiori banchieri dei papi e dei sovrani francesi. Tuttavia un improvviso ritiro simultaneo di depositi, avvenuto nel 1298, portò a una profonda crisi della com ­ pagnia e in pochi anni al suo collasso, finché, all'inizio di febbraio del 1 3 09, si aprì la procedura fallimentare che con effetto dòmino si ripercosse su molte compagnie senesi. Era intanto mutata anche la situazione politica: sovrani e papi preferivano rivolgersi ad altri prestatori. Tuttavia i grandi banchieri senesi, molti dei quali ap­ partenenti alle famiglie dei casati più in vista, pur ridimensionati , non furono rovinati perché dopo la smobilitazione delle attività internazionali impiegarono i capitali che rientravano nella loro disponibilità in modi ben precisi: acquistarono immobili e pro­ prietà fondiarie in Siena e nel suo territorio, ricavando consistenti rendite; si fecero finanziatori del debito pubblico, con prestiti a breve termine e tassi oscillanti dal 1 0 al 3 0 %20: un impiego assai redditizio perché il Comune dava solide garanzie. Questo però fece sì che i banchieri «di piccola condittione» non trovassero più

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Capitolo 3

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:l 22. Allegoria del Buon Governo.

liquidi da gestire, se non attingendo ai propri fondi. Fra il 6 e il 1 3 luglio del 1 3 3 8 , all 'avvio della guerra dei Cent 'anni ( 1 3 3 7 - 1453 ) , s i trovarono in seria difficoltà non potendo esaudire l e richieste dei clienti, corsi in massa a ritirare i propri denarF 1 • A loro volta i mercanti e gli artigiani non riuscivano più a trovare prestiti a tassi ragionevoli per le loro attività, perché il denaro liquido a disposizione era versato dai magnati nelle casse del Comune. Questa circostanza aveva fatto lievitare i tassi di interesse e favorito il proliferare di usurai.

3 . «La città el contado di Siena è

per venire al tutto meno»

Costretti da tante p ressioni, nel gennaio del 1 3 3 6 i Nove fissarono il tasso di interesse lecito ufficialmente al 1 0 % , ma continuarono a praticarne altri a prezzi più altF2 . Nella petizione

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Un grande manz/esto politico

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presentata davanti ai Nove nel Consiglio generale del 24 aprile del 1 3 3 9 da 3 5 1 consiglierF3 si chiede di intervenire al più presto poiché «la città el contado di Siena è per venire al tutto meno con grande offesa et iniuria di Dio per lo maladecto peccato de l'usura lo quale à già divorato et mangiato una grande parte de' cittadini et contadini di Siena et continuamente mangia et divora, e' quagli spogliati di questi beni temporali per esso peccato egli­ no e le loro famiglie vivono morendo in grandissima et extrema povertà»24 • Tali «usurieri crudelissimi» non si accontentavano di spogliare gli uomini di ogni bene ma li facevano anche impri­ gionare, bandire, andare mendicando per il mondo. Tali usurai, sentendosi evidentemente appoggiati politicamente, erano anche così tracotanti che , «non temendo Idio né vergognia di mondo non curando», rispondevano, a chi invocava pietà, di preferire «d'essere pagati di carni loro che di denari». Continuava la petizione: «Una parte de' mercatanti di Siena, sì come sonno e' banchieri, già sono venuti meno e gli altri mer­ catanti [ . ] sonno per venire meno, e se mercatanti venghono meno Siena, città tanto onorata, temesi che non vengha, Dio ne la guardi , meno che uno vilissimo castello»25 • La supplica contiene però anche una dura accusa al governo. «Et tanto pericolo unde venga chiaramente si vede che ène nato e nasce da crudeli costi che tolleno essi usurari tanto honorati e favorati dal Comune di Siena. [ . ] Siccome el Comune di Siena è stato cagione di nutricare et fare cresciare et multiplicare esso peccato ne la città di Siena per cagione delli statuti et legii le quali da chi indirietro àne facte in favore deli usurieri»26• I Nove dovevano intervenire al più presto affinché, tolto questo terribile peccato, Iddio tornasse a difendere e proteggere «essa città di Siena da ogni pericolo et conservi essa in santissima pace, unità et amore et in perfecta ed ferma giustitia». La petizione, dopo avere apertamente accusato la suprema magistratura di essere corresponsabile della situazione critica venutasi a creare, concludeva con la richiesta di un intervento normativa per vietare la carcerazione per debiti usurari. Nessuno dei presenti alla riunione del Consiglio generale osò prendere la parola. La petizione venne votata ed accolta ma, su 35 1 consiglieri, 1 1 7 , circa un terzo dei presenti, con votazione segreta si opposero, rivelando così un ampio dissenso27 • .

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23. Allegoria del Buon Governo e i suoi effetti in Città: palazzi e torri di Siena . 4. Il

sapore dei fiorini

I Nove non misero mai in atto alcun serio provvedimento per tutelare gli artigiani; protessero invece in vari modi i grandi banchieri- magnati falliti, tra l'altro offrendo loro in appalto la riscossione delle gabelle che prima era eseguita dal Comune28• Addirittura nel 1340 il Consiglio generale approvò una petizio­ ne in cui fu istituito un albo dei prestatori, costretti a esporsi pubblicamente come usurai, ma con un'eccezione: «eciepto chi à prestato o prestasse al Comune di Siena»29• Come mai ? I magnati non potevano essere eletti fra i Nove: così da loro era stato deciso, come sappiamo, nel 1277 ; erano stati esclusi per le loro inclinazioni violente e per impedire che una grande casa magnatizia si impadronisse delle redini del governo. Tuttavia spesso i magnati appoggiavano i Nove, innanzitutto perché temevano il potere delle casate rivali e poi perché parte­ cipavano comunque alla vita pubblica della città, dato che erano presenti all'interno di importanti magistrature. Infatti potevano aspirare, ad esempio, a far parte dei quattro provveditori di Bic­ cherna - l'importante magistratura finanziaria - eletti dai Nove, o dei quattro consoli di Mercanzia. E ovviamente i Nove, concluso il loro mandato - anche se poi a distanza di tempo potevano ripeterlo -, cercavano di essere eletti a loro volta in altre cariche

collegiali. Perciò i Nove si trovavano a collaborare con i magnati e dunque cominciarono a imparentarsi con loro attraverso i ma­ trimoni dei figli , legandosi poi in affari e favori e arricchendosi indebitamente. Secondo Biodo Bonichi, morto nel 1 3 3 8, eletto tra i Nove nel 1 3 09 e poi ancora nel 1 3 1 8 , proprio i Nove si erano trasformati in tiranni, non come singole persone ma come un gruppo che aveva instaurato una signoria di fatto: «Quando i mezzan diventano tiranni l prechi Iddio la cittade, che la guardi l dagli affamati e pessimi leopardi l eh ' anno assaggiato il Giglio e San Giovanni [il fiorino d'oro] »30 I finanziatori del debito pubblico concedevano volentieri il loro denaro perché ben remunerati , permettendo d ' altra parte ai Nove di arricchirsi: i fortissimi interessi erano giustificati dal fatto che i prestiti venivano in soccorso dell'utilità pubblica. Agnolo di Tura del G rasso per l'anno 1 3 3 8 scrive: «La città di Siena era in questo tenpo pacifico e grande stato e felicità e le pecunia erano abondanti per le più persone». A distanza di due righe aggiunge: «Avenne in Siena per la tanta felicità e grasseza la gente scoriva [mutava carattere] e svagliava [perdeva ogni freno morale] senza timore di Dio. Beato Nicolò Tini cittadino senese e nuovamente fatto frate de Santo Salvatore a Selva di Lago , cioè detto Lecceto , cominciò a predicare e pronuntiare il fragello di

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Capitolo 3

Dio, che la gente dovesse vivare col timore di Dio, un de d'anno in anno amunendo e predicando il timore di Dio»3 1 • E quel «senza timore di Dio» ricalca da vicino una frase della petizione del 1 3 3 9: «E alcuni più crudeli usurieri, non temendo Idio, né vergogna di mondo non curando . . . », tanto più che proprio le prediche del beato (molto vicino agli ambienti noveschi) , tenute fra il 1 3 3 7 e il 1 3 3 8 , avrebbero portato all'istituzione del libro degli usurai32•

5.

«Per cagione de deletto ed allegrezza»

Ricapitolo brevemente: l'esclusione ad aspirare alla carica dei Nove riguardava, oltre ai magnati (ma con gli aggiustamenti facilitati da parentele e affari comuni nel mondo della finanza) , i ghibellini, ed anche i giudici e i notai, che erano esclusi perché non prevaricassero con le loro sottigliezze procedurali33 , e ancora i cavalieri e i medici appartenenti a un rango sociale troppo alto e in prospettiva temibile34 • Tutte queste limitazioni avevano por­ tato a un accentramento del potere nelle mani di un solo gruppo, quello della «mezzana gente». Alla corruzione e alla chiusura politica dei Nove35 , alla continua guerriglia urbana, alle lotte fra i grandi casati mai riconciliati va aggiunto un debito pubblico che continua a salire, tanto che i prestatori sono accusati di soffocare, di avere sempre «manus ad gulam Communis»36• Le spese militari di difesa all'interno della città e all'esterno, per annettere nuovi territori e castelli e domare ribellioni, erano ingenti. I Nove allora, per creare occasioni di lavoro e limitare l'erosione del consenso da parte dei governati, nonché per venire incontro al desiderio così sentito dai senesi di rendere sempre più bella la loro città, si concentrarono in un grande fervore edilizio , avviando molte opere pubbliche ( fig. 23 ) . «Siena era in questo tenpo [ 1 3 3 8] in grande e felice stato e per questo i Sanesi comincioro il grande e nobile acrescimento de la lor chiesa magior cattedrale del duomo , il quale acrescimento fu per lo duomo nuovo e grande per lo piano Sante Marie verso la piaza Manetti. El comuno conprò molte case per fare detto difitio in piaza Manetti e verso la strada per far l'entrata del det­ to duomo»37• Come sappiamo, fu un progetto temerario quello

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di ampliare a dismisura la cattedrale già esistente ( che avrebbe costituito solo il transetto del nuovo edificio religioso ) , la cui esecuzione rimase interrotta, ma la parte costruita che ancora oggi ammiriamo suscita stupore per la grandiosità dell'iniziativa. L'idea che si dovesse tutelare il decoro urbano è già esplicita nel 1297 , quando si era cominciato a costruire il Palazzo Pubblico, via via arricchito di affreschi e di sale, perché - si spiega - po­ tessero abitarvi i Nove e il podestà durante il loro mandato, ma anche «per l'onore del comune di Siena e la bellezza della città»38• Nel 1 3 1 6 il fuoco aveva annerito un dipinto «mirabile e bel­ lissimo» fatto fare dal podestà nella sala del Palazzo dove egli amministrava la giustizia e consumava i pasti. La petizione ai Nove del 2 8 ottobre di quel medesimo anno chiede la conservazione e il restauro della pittura danneggiata e che mai più sia consentito accendere il fuoco, perché quel dipinto che «diletta la vista, rallegra il cuore e alletta ogni senso umano», con la sua bellezza fa onore agli ufficiali e governanti del Palazzo che abitano in così splendide e magnifiche residenze, e colpisce favorevolmente i forestieri che spesso per le più varie ragioni frequentano quella sala39• Mentre il Palazzo Pubblico andava sorgendo - dal 13 3 8 la torre civica, la magnifica torre del Mangia, cominciò ad elevarsi rispetto al profilo del Palazzo Pubblico -, prendeva contemporaneamente forma la piazza del Campo , incorniciata dai palazzi e dalle torri dei nobili, ma anche da ricche botteghe e magazzini. Le finestre degli edifici prospicienti il Campo dovevano essere tutte bifore o trifore («si debiano fare a colonnelli»40) in modo che piazza, palazzi a corona e Palazzo Pubblico costituissero un 'unità armo­ nica coerente e di grande bellezza . L'estetica urbana si applicava però anche alle altre aree della città e a costruzioni più modeste. Una delibera del costituto del 1 3 09- 1 0 ordinava che le case costruite in materiale scadente avessero almeno le facciate ricoperte di mattoni, «acciò che cotali case rendano bellezza a la città»41 (non è un caso che negli Effetti del Buon Governo in città, Siena appaia sostanzialmente rossa, di palazzi in mattoni) . Alla metà del Trecento, sommamente importante per il governo era la tutela del decoro urbano: «lntra li studii et sollicitudini e' quali procurare si debiano per coloro, e' quali ànno ad intendere al governamento de la città, è quello massimamente che s'intende

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Capitolo 3

a la bellezza de la città»42. Bellezza che non riguarda soltanto gli edifici ma si applica anche alle strade. Una delibera del nuovo Statuto (noto come Statuto del Buon Governo43 ) degli anni 1 3 3 7 3 9 vede i n azione gli «ufficiali sopra l e bellezze, gli ornamenti, le migliorie della città»44: dunque le attrattive della città hanno una rilevanza politica e si traducono in cariche istituzionali. In­ fatti sono «gli ufficiali sopra le bellezze» che stilano una perizia sulla costruzione della strada che dal Casato va verso il Duomo, oggi chiamata Costa Larga, sottolineando che deve essere il più possibile ampia e luminosa perché sono proprio tali qualità delle vie che contribuiscono sommamente al configurarsi del prestigio urbano45 • Inoltre le strade, soprattutto le principali , non devono assolutamente essere tortuose ma ben diritte. Un esempio di come un intervento di natura economica e pratica non fosse mai disgiunto dalla preoccupazione della tutela estetica è la realizzazione della piazza del mercato presso porta Camollia. Il provvedimento era finalizzato ad assicurare «prospe­ rità et acrescimento [ . . ] et guadagni», ma contemporaneamente doveva fare sì che il mercato fosse un «luogo a deletto et gaudio de li cittadini et de' forestieri [ . . . ] e' quali vanno a l'altrui cittadi per cagione di deletto et allegrezza»46• I Nove si impegnarono a migliorare il volto di Siena, la qualità delle strade e la dignità delle case, mentre sorgevano nuovi palazzi e chiese con le opere d 'arte che li abbellivano. Avviarono anche altri lavori pubblici : fu ampliata la cinta muraria e migliorata la rete idrica con fontane e acquedotti sotterranei, i cosiddetti «bottini». Tanto fervore avrebbe dovuto portare i cittadini a una solida adesione al governo in carica e alle sue direttive47 • Tuttavia, tirando le fila di quanto detto finora, si avverte che l'inquietudine in Siena era profonda e per più ragioni: risse continue, lotte fra i grandi casati, sperequazione sociale fra chi deteneva patrimoni ingenti e mercanti ed artigiani impoveriti per la stretta creditizia e il proliferare degli usurai. I Nove erano accusati di corruzione, di indebito arricchimento e di ostinata chiusura politica, mentre la spesa pubblica continuava a salire e l'erario era in mano ad avidi creditori. Il governo si trovava su un crinale pericoloso: ne erano av­ visaglie congiure e complotti tesi a rovesciarlo, anche se per il momento sempre respinti. .

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« È quasi un paradosso - scrisse lo storico Ernesto Sestan - che questo volto incantevole della città, che desta stupita ammirazione universale , sia, sostanzialmente, il volto che la città assunse non nel periodo dell'ascesa [ . . ] ma nella fase dell'arresto , del ristagno, anche dell'incipiente declino politico ed economico»48• .

6.

Rassicurare e sedare

Gli affreschi di Ambrogio Lorenzetti vanno intesi come un manifesto politico : un'abilissima risposta alle tante accuse, alle crepe dello scontento. Negli El/etti del Buon Governo in città e in campagna i semplici cittadini (e perfino i contadini) che si sentivano tanto trascurati diventano i protagonisti della scena, sostituendosi ai grandi perso­ naggi che fino a quel momento erano stati i soli ad avere il diritto di immagine e di rappresentazione. Altro che chiusura politica, è il messaggio dei Nove ! Con il loro diversificato lavoro , tutti, cittadini e contadini, negli affreschi si vedevano cooperare al benessere della città, alla sua bellezza e al suo prestigio; partecipavano alla vita pubblica perché, consapevoli che proprio osservando concordi, e nel ri­ spetto della giustizia, la virtù civica del bene comune, attuavano il benessere di cui godevano attraverso un ottimo regime politico da loro stessi voluto e sostenuto. Era una gioia contemplare una città tanto bella, operosa, opulenta e una campagna altrettanto florida e produttiva, mentre la vita scorreva pacifica e senza timori perché i Nove sapevano respingere ogni nemico e anzi, conquista dopo conquista, ampliavano il territorio. Questo era lo specchio in cui i senesi si vedevano riflessi seguendo un racconto utopistico e largamente migliorativo del loro vissuto. Gli affreschi del Buon Governo smontano punto per punto le critiche dirette al regime dei Nove e dimostrano non solo che il loro è il migliore dei governi possibili, ma anche che non c'è alternativa. Il Mal Governo in città e in campagna è una dicitura impropria, perché non esiste un governo che può essere declinato in termini positivi o negativi: esiste solo un governo , quello dei Nove. Se venisse a mancare, della città e del contado si impa­ dronirebbe la Tirannide, con l ' assenza di qualsiasi regola di vita

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sociale: regnerebbero solo violenza, distruzione di edifici e di campi, incendi e morte. La parete breve nord, contigua a quella che dipana gli Effetti del Buon Governo in città e in campagna, illustra in modo origi­ nalissimo il fondamento teorie0 da cui discendevano conseguenze tanto attraenti. Ambrogio Lorenzetti seppe tradurre visivamente i concetti del complicato discorso politico, giuridico e religioso, presupposto legittimante del regime dei Nove. Creò, quasi senza l'aiuto della tradizione iconografica, una serie di personaggi , cia­ scuno dei quali gratifica la vista e contribuisce allo svolgersi di una perorazione utopistica. Se dunque la rappresentazione gioiosa della città e della cam­ pagna coincide con il presente di Siena, così sicura, così potente da non temere alcuna incursione nemica - le porte delle mura sono sempre aperte e uno sporadico ribaldo è subito assicurato alla giustizia , come mostra Securitas con il modellino dell'impic­ cato -, è ancora di Siena la rappresentazione della città e della campagna distrutte in balia della Tirannide: è il futuro di Siena, se l'ottimo e fermo governo dei Nove venisse sovvertito . Uno dei vantaggi delle immagini, di cui il Medioevo era ben conscio, è la loro permanenza, su un muro , su una pagina di pergamena, quasi fossero un discorso che non svanisce. Il vesco­ vo Guglielmo Durante nel suo Rationale divinorum officiorum, scritto fra il 1 2 9 1 e il 1295 , fondamentale testo di riferimento per la codificazione liturgica ed iconografica, affermava addirittura la superiorità dell'immagine rispetto alla scrittura, quanto a capacità di commuovere: «La pittura commuove più che la scrittura. In effetti, attraverso la pittura l'evento è posto dinanzi agli occhi come se fosse visto accadere, mentre con la scrittura ci giunge come se ne ascoltassimo il racconto, il quale commuove assai di meno l'anima. Ecco perché, anche nella chiesa, noi non professiamo rispetto più grande per i libri che per le immagini e le pitture»49• A Siena si fece ancora di più: non solo alcune scritte all'interno degli affreschi indicano con sicurezza l'identità delle figure, ma ogni parete dipinta è accompagnata, come sappiamo, da un lungo testo, parte di una canzone in rima , che di volta in volta spiega e commenta le immagini, modellando le riflessioni degli astanti.

Capitolo 4

l.

Prima di tutto , Giustizia

e

Concordia

Iniziamo a guardare con attenzione l'affresco sulla parete breve, nord, della Sala della Pace con la rappresentazione allegorica del Buon Governo, che vuole essere letta partendo dall' alto. Avverto chi mi legge che questo capitolo richiede un qualche impegno; ho cercato di fare del mio meglio per renderlo scorrevole. I prossimi capitoli saranno tutti più briosi. Chiedo dunque un po' di corag­ gio, di pazienza, e di fiducia . Nella Maestà di Simone Martini Cristo Bambino si rivolgeva agli astanti brandendo il cartiglio: «Diligite iustitiam qui iudicatis terram» («Amate la giustizia, voi che giudicate sulla terra», Sap I, l ) , per richiamare una Virtù spesso non rispettata, come severamente ricordava anche la Madre, esortando i senesi a rinunciare al loro interesse privato. La medesima sollecitazione aleggia nel Buon Governo nello spazio che divide Sapientia e la sottostante figura di Giustizia che a lei rivolge lo sguardo ( fìg. 24) . Sapientia, alata e d evanescente, s i mostra solo a metà busto con gli occhi diretti a Dio ( fìg. 25 ) . La splendida e preziosa corona la qualifica come regina; ha nella sinistra il libro da cui trae la sua dottrina, il Liber Sapientiae certo, e nella destra la catena che sostiene una grande bilancia. Il «Diligite iustitiam» è disposto in due frasi distinte intor­ no alla bionda regina e sostituisce la scritta che in questa parte dell'affresco identifica ogni personaggio. «DILIGITE IUSTITIAM, primai l fur verbo e nome di tutto, 'l di­ pinto; l QUI IUDICATIS TERRAM, fur sezzai» scrisse Dante nel Paradiso XVIII, 9 1 -93 . Nel poema la M di terram, che è al tempo stesso

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24. A llegoria del Buon Governo: Giustizia si ispira a Sapientia, mentre Concordia porge la corda ai 24 cittadini.

la lettera iniziale di Monarchia , si muta poi nell 'aquila, simbolo imperiale. Il poeta, nella parte finale della complessa metafora, riassume e ricorda il concetto del versetto biblico concludendo che l'attuazione in forma terrena dell'idea universale di giustizia ha sempre la sua fonte in Dio.

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25. A llegoria del Buon Governo: Sapientia con la bilancia della Giustizia.

Mi sembra che sia qui rappresentato, con le parole con cui il domenicano Remigio de' Girolami chiosa il primo versetto del Liber Sapientiae, «il precetto della giustizia da un duplice punto di vista, quello dell'opera ( " la giustizia " ) e quello di chi opera ( " amate " ) »1 • Con l'assalto alle carceri e la distruzione dei libri «di condenagioni e 'ncamarazioni» della Biccherna inizierà nel 1 3 55 la definitiva sollevazione contro il regime dei Nove ; simboli evidentemente della giustizia che avrebbe dovuto essere esercitata in campo penale e fiscale2. Il «Diligite iustitiam» inoltre è sì il primo versetto del Liber Sapientiae ma è anche l'attacco di tutta l'allegoria del Lorenzetti: dalla figura di Sapientia procede quella della Giustizia, come da quel versetto cominciava il libro della Bibbia: è questo un esempio di «memoria incipitaria» di cui si serve spesso la mnemotecnica medievale3 • Nell'Allegoria del Buon Governo vi è una Iustitia con spada e testa mozza fra le Virtù che fanno corona al Comune/Ben Comune (fig. 5 5 ) e una innominata Giustizia, coronata, rigidamente frontale e di taglia imponente, che siede in trono, con lo sguardo rivolto alla soprastante Sapientia (fig. 26) . Giustizia mantiene in perfetto

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26. Allegoria del Buon Governo: Giustizia in trono.

equilibrio la bilancia tenendo con i due pollici pari i piatti. Alla stessa altezza si librano due figure alate e nello sfondo blu leggia­ mo, destinata ad ognuna delle due, una scritta dorata: a sinistra [Iustitia] distributiva e a destra [Iustitia] comutativa (fig. 24 ) . A sinistra il fiammeggiante spirito celeste ristabilisce l'equilibrio turbato ricompensando una persona abbigliata in modo ricercato con una simbolica corona e p un endone un'altra, in abito dimesso, mozzandole il capo ( fig. 27) . Quest'uomo era stato forse un rivol­ toso, magari aveva partecipato a una congiura, un violento, come mostrano il lungo pugnale a doppia T, a terra perché non ha più alcun potere4 • Il vicino fodero della spada appartiene invece al

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27. A llegoria del Buon Governo: [Iustitia] distributiva decapita un reo e inco­ rona un uomo meritevole.

premiato ; è eccessivo supporre c he fosse stato l'innocente vittima dell 'uomo che sta per essere decapitato , come sembrerebbe indi­ care la palma , forse del martirio , c he l'incoronato tiene in mano? In questo caso lo spettatore sarebbe stato subito messo di fronte a un esempio di giustizia distributiva certa ed efficiente. A destra invece la bianca ed alata creatura consegna a due personaggi ben vestiti uno staio , un 'unità di misura per cereali e per il sale (tenendolo per la maniglia superiore c he ne traversa il diametro)\ e due aste , da identificare in una canna e in una

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28. A llegoria del Buon Governo: [lustitia] comutativa consegna a due mercanti uno staio, una stadera e una canna.

stadera (una bilancia a braccio singolo) : si vede infatti il peso mobile, come una campanella6 (fig. 28 ) . A Nicolai Rubinstein va il grande merito di avere messo in rilievo i due concetti che maggiormente si volevano sottolineare in questa parte dell' affresco: la preminenza, nella convivenza ci-

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vile, della giustizia legale e quella del bonum commune come suo risultato ( cioè la subordinazione dell'interesse privato a quello della comunità) , concetti derivati dalle dottrine di Aristotele, dall'Etica Nicomachea e dalla Politica, adattate da san Tommaso e divulgate da predicatori e giuristi che le adeguarono al contesto comunale7 • Tuttavia in Aristotele e Tommaso la Giustizia distribu­ tiva riguarda l'assegnazione di onori e beni a seconda dei meriti e non contempla punizioni8, mentre la Giustizia commutativa regola la correttezza degli scambi in modo che le transazioni volontarie (i commerci) avvengano correttamente e le transazioni involon­ tarie (i furti) siano risarcite9• Queste definizioni non si attagliano perfettamente alla rappresentazione del Lorenzetti, malgrado i tituli accolgano termini assolutamente aristotelici. Ci viene però in aiuto Domenico Cavalca, chiarendo, sugli anni Trenta del Tre­ cento, che « [La Giustizia] si divide in tre parti, cioè in Giustizia vendicativa che sta in punire; in Giustizia commutativa che sta in non ingannare e satisfare i debiti; et in Giustizia distributiva , che sta in distribuire il male ed onore a ciascheduno , secondo che è degno» . Aggiunge ancora il domenicano: «Alcuna volta Giustizia s'intende meno larga, cioè per Virtù distributiva, che rende a cia­ schuno il debito suo , secondo che diffiniscono li filosofi. Alcuna volta si piglia strettamente per Virtù vendicativa, cioè la vendetta degli malfattori» 10• Staio, canna e stadera, affidati a due personaggi che certamente vanno identificati in due mercanti, traducono con un linguaggio visivamente efficace concetti dottrinali altrimenti lontani per un pubblico formato in larga parte da «mezzana gente» . San Bernardino , predicando proprio sul Campo di Siena a un uditorio sensibile alle frodi commerciali, spiegava: «Hai mai posto mente a colui che vende co la bilancia, che vi dà l' anchetta? Ogni volta n'è tenuto a restituzione. Così di colui che vende a misura, che tira il panno in su la canna . . . tirai bene ! E l'altro che ha due canne, l'una da vendare , l ' altra da comprare. Similemente dico di colui che vende el grano e l'altra biada, che ha lo staio minore da vendare, che da comprare» " . Nell'affresco tuttavia non si mette in dubbio l a regolarità delle transazioni commerciali, proprio perché il messaggio vuole suscitare consensi in un pubblico , come si è detto , largamente di mercanti. Il biasimo è solo per il condannato a morte, ma è un

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29. A llegoria del Buon Governo: la corda bianca proseguiva fino alla cintola .

personaggio che, per l'abito modesto, certamente non appartiene a un ceto abbiente. Le due Giustizie rispondono a due esigenze diverse: c'è la Giustizia nel suo esercitarsi, che ricompensa e punisce , e la Giustizia che chiede ai cittadini, in questo caso ai mercanti, di operare correttamente nell 'esercizio della loro professione, senza mgannare. Dalla cintura degli angeli scendevano due corde 12 ( fig. 29), rosse e bianche, in conformità al colore delle rispettive vesti; sono raccolte dalla mano di Concordia, seduta su un semplice scranno immediatamente al di sotto di Giustizia. Completamente nuova come rappresentazione è Concordia (fig. 30), che porta in grembo una lunga cassetta da carpentiere (se ne vedono così anche oggi) , da cui emerge una pialla; con la mano intreccia le due corde della Giustizia e le trasmette, fattesi una ( fig. 3 1 ), a ventiquattro cittadini senesi. La pialla è simbolo evidente della facoltà di questa Virtù d'appianare ogni discordia ed è certamente contrapposta alla sega di Divisio che, nell'opposta parete dominata da Tyrannides, dilania il proprio corpo.

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Concordia non esprime un atteggiamento etico, patrimonio del giusto, ma l'attiva operosità degli abitanti di Siena, àlacri nel lavoro e nel sapersi mantenere concordi: una forte esortazione rivolta dai Nove ai cittadini di una città per nulla in pace. «Madre de le buon'arti» definisce Concordia Graziolo de' Bambaglioli, notaio e uomo politico (morto nel 1 3 42 ) , fonte di «securo e dolce stato», capace di affondare le guerre 1 3 • Concordia, che rispetto alle altre Virtù è straordinariamente più grande, si mostra, in ossequio alla ben nota griglia medievale delle proporzioni rapportate ai valori, uno dei punti più impor­ tanti dell'Allegoria. (Lo stesso criterio gerarchico è applicato nella rappresentazione degli abitanti di Siena, molto più alti dei contadini che provengono dalla campagna, che hanno spesso anche un 'espressione ottusa. ) L a nostra Virtù siede, e questo vorrei sottolinearlo, allo stesso livello dei cittadini : un altro particolare, insieme alla pialla e al semplice scranno (ben diverso dall'ampia cattedra di Giustizia ricoperta di una stoffa suntuosa) , che sottolinea l'appartenenza di Concordia alla vita reale della città, al sentimento più vivo e immediato dei suoi abitanti: è la concordia che permette il Comu­ ne: «Con la discordia non può esserci nessun benessere in città, mentre con la concordia - la quale non è altro che l'unione ossia la congiunzione dei cuori, cioè delle volontà, nel volere la stessa cosa - si ha il massimo benessere della città», scriveva Remigio de' Girolami14• In una predica sulla città di Giordano da Pisa, la concordia è esemplificata dalla buona armonia fra due compagni : «L'altra ragione perché nasce l 'amore si è per la unità di volontà: quando le volontà di due s'accordano in uno medesimo modo, or questi sono i buoni compagni» ; cosa rara «imperocché veggiamo oggi­ dì che l'uno tiene qua e l'altro là, l'uno coll'una parte e l'altro con l'altra, e però si dividono e vengono insieme a ree parole, e voglionsi male» 15• Le due corde vogliono essere la spiegazione del nome , nello sforzo di appropriarsi, anche con una falsa etimologia, del senso riposto della parola : «infatti, quando hai visto da dove sia derivato il suo nome, capisci subito il suo significato. Infatti l'analisi di ogni cosa è più facile quando se ne è conosciuta l'etimologia»16•

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30. A llegoria del Buon Governo: Concordia, con la pialla in grembo, affida la corda ai cittadini.

L'avvio all'interpretazione della concordia nel senso di cum chorda, rispetto alla vera derivazione da concors ( con lo stesso cuore) , è in Quintiliano: «Come al canto vocale giova moltissi­ mo l'accompagnamento degli strumenti a corda in concordante armonia tra loro» 17• E ancora si può ricordare Dante, con il suo evidente gioco di parole fra concordia e corde musicali: «Per in­ telletto umano l e per autoritadi a lui concorde l de' tuoi amori a Dio guarda il sovrano. l Ma di' ancor se tu senti altre corde l tirarti verso lui, sì che tu suone l con quanti denti questo amor ti morde» (Paradiso XXVI, 46-5 1 ) . In Cicerone il paragone fra l'armonia del suono e il buon accordo della citt à è gi à esplicito: «Quella che nel canto dai musici è chiamata armonia, nella citt à è la concordia»18. Importante ancora, a chiarire la presenza delle due corde, è ricordare che l' «accordo» nel Medioevo è sentito,

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3 1 . Allegoria del Buon Governo: la corda bianca e la corda rossa annodate da Concordia in un 'unica corda bianca e rossa (elaborazione grafica) .

nella riflessione teorica, come unione giusta di due suoni: «la sinfonia è la giusta proporzione di suoni concordanti nel registro grave ed acuto»19• Le due corde provengono dalle due figure alate della [Iustitia] distributiva e della [Iustitia] commutativa; si uniscono, come si è detto, e si attorcigliano in un 'unica e grossa corda bianca e rossa che Concordia porge a ventiquattro cittadini verso i quali volge lo

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32. Giovan Battista Cavalcaselle, Allegoria del Buon Governo, Venezia, Biblio­ teca Nazionale Marciana, fondo Cavalcaselle, Cod. lt. IV 2040[= 1228 1 ] , fase. 5/6, ff. 1 9v-20 (Fascicoli Siena e San Gimignano) , fine degli anni Cinquanta dell'Ottocento.

sguardo (fìgg. 34 e 35). Costoro, in ordinata processione, a due a due, portano la corda, passandosela vicendevolmente, fino alla maestosa figura del Comune/Ben Comune, dominante anche per la taglia gigantesca, il quale se l'avvolge al polso. Giovan Battista Cavalcaselle ( 1 8 19- 1 897 ) in un disegno ad inchiostro accompagnato da annotazioni (fig. 32) credette di vedere, a torto, che la corda, dopo averne avvolto il polso, girasse dietro la schiena del Comune/ Ben Comune e fissasse poi il suo cappello alla testa. Ugualmente sbagliata è l'idea che la corda servisse anche a tenere raccolti i capelli del Comune/Ben Comune20, che sono invece trattenuti da una reticella rossa e gialla (fig. 33).

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33. Allegoria del Buon Governo: il Comune/Ben Comune con la reticella che trattiene i capelli.

Nel cartello incastonato nel bordo inferiore del fregio dell 'Allegoria del Buon Governo si legge l'inizio della canzone già ricordata, i cui primi quattro versi spiegano: «Questa santa virtù, là dove regge, l induce ad unità li animi molti, l e questi, acciò ricolti, l un ben comun per lo signor si fanno». Di solito

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34. A llegoria del Buon Governo: la corda, tenuta dai 24 cittadim; passa da Concordia al Comune/Ben Comune.

si intende che l'innominata Virtù sia la Giustizia che, là dove governa, attraverso la mediazione di Concordia, unisce gli animi dei cittadini, cosicché, protesi insieme a questo scopo, essi fanno del Ben Comune il loro signore2 1 . Mi pare plausibile accogliere invece l'idea di Salomone Morpurgo , avanzata senza alcuna argo­ mentazione tanto la ritenne ovvia, che si tratti non della Giustizia ma di Concordia22. Da parte mia aggiungo che se si alludesse alla Giustizia ci sarebbe un'inutile ripetizione nei versi che corrono nel listello sotto gli Effetti del B uon Governo in città e in campagna (che raccomandano di volgersi alla Giustizia della parete contigua all'A llegoria) . È il Comune/Ben Comune che parla: «Volgete gli occhi a rimirar costei, voi che reggiete, ch'è qui figurata, e per su' eccellenzia coronata, la qual sempr' a ciascun suo dritto rende»23 •

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Il Comune/Ben Comune indirizza questi versi ai governanti a cui già si era rivolta Sapientia ammonendo: «Diligite iustitiam qui iudicatis terram». Ritorno al particolare dell 'unica corda bianca e rossa, ricor­ dando che bianco e rosso sono i colori dello stemma del Popolo di Siena («di rosso al leone rampante di argento») . Come a dire: la Giustizia, declinata in distributiva e commutativa, operando, rispettata, porta alla concordia che, imponendosi nella vita sociale , diventa un unico valore condiviso , rappresentato dalla corda bian­ ca e rossa, la quale allude al Popolo di Siena. Il grande vecchio accoglie la corda e la fa propria perché egli stesso è insieme la comunità e il Bene Comune24 (fìg. 34) . Nel corteo (fìg. 3 5 ) i cittadini sono disposti gerarchicamente, come si desume dal loro abbigliamento : dai più importanti, quelli più vicini al Comune/Ben Comune, a quelli meno, in abiti dimessi ma pur sempre dignitosi, più vicini a Concordia . I sei personaggi che chiudono la processione hanno cappelli guarniti di vaio e uno di loro ha una mantella della medesima pelliccia. Secondo le leggi suntuarie, il cappello di vaio era consentito soltanto a cavalieri , giudici e medici25, e non importa che a loro fosse vietata l'elezione nel Consiglio dei Nove: in quel manifesto propagandistico che è l'affresco del Lorenzetti i Nove fanno be­ nevolmente largo a tutti. Molti del gruppo più vicino al Comune/Ben Comune tengono in mano i guanti e indossano scarpe in pelle intagliata e decorata: dettagli di estremo lusso . L' uomo dalla veste corta lavorata, con una vistosa borsa rossa, è un aristocratico. (Il rosso, nel Medioevo, era un colore difficile ad attenersi e molto costoso26. ) Il compagno accanto , con il collare molto alto e la veste chiara, è abbigliato in modo simile ai fanti armati posti sotto Fortitudo. Tuttavia è senza elmo perché in questa quieta processione il bisogno di difendersi è una possibilità remota. Abbondano le vesti rosse, un colore, si è detto, di lusso, proprio dei medici o dei giuristi o dei giudici. Vi è inoltre uno sciupio vistoso di stoffa nelle molte e sovrab­ bondanti pieghe, ad indicare l 'appartenenza di questi personaggi a una categoria abbiente. Addirittura il personaggio più vicino al Comune/Ben Comune aveva una fila di bottoni d'oro27 , oggi sbiaditi, un ornamento di cui si potevano fregiare solo cavalieri,

35. Allegoria del Buon Governo: la processione dei 24 cittadini.

giudici e medici. Tutti indossano cuffie e varianti di cappuccio, foderato e/o soppannato, o di tessuto o di pelliccia, portate a mo' di berrette. I cittadini sono di età diversa, alcuni hanno i capelli bianchi e vistose rughe. I Nove dunque hanno voluto affermare, smentendo le accuse di chiusura politica, che tutti i cittadini cooperavano a un 'armo­ niosa vita urbana, ognuno secondo i propri mezzi, e che neppure l'età avanzata era un fattore di esclusione perché gli anni portano sapere e saggezza. Quanto alla processione ci si è interrogati sul numero dei com­ ponenti. Un'ipotesi è che i Nove abbiano voluto far rappresentare non il proprio governo ma quello, durato dal 1 2 3 6 al 1270, di quei ventiquattro cittadini che, contro il potere assoluto del podestà e l'influenza delle grandi famiglie, si costituirono nel consiglio detto Eletto Concistoro. A questa scelta può avere contribuito il fatto che quella magistratura segnò l'ingresso del populus nel governo del Comune28. In un discorso di propaganda il richiamo al passato poteva dare all 'operato dei Nove l'appoggio rassicurante della tradizione e della storia e fornire attraverso una passata realtà mitizzata il modello di quella che si voleva prospettare. Un ' altra ipotesi è che nella composta processione si debba vedere una rappresentanza delle varie magistrature, sempre per proporre un'immagine atta a mostrare una partecipazione «a più voci» nel governo della città. Cioè, oltre ai Nove, sarebbero presenti la magistratura della Biccherna, composta dai quattro provveditori

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e dal camerlengo che controllava l'amministrazione delle entrate e delle uscite, la magistratura della Gabella per l'amministrazione delle imposte indirette con i tre esecutori, poi i quattro consoli dell'Arte della Mercanzia, i tre consoli dei cavalieri o capitani di parte guelfa. Tutti insieme, Nove, provveditori, esecutori e consoli, formavano il Concistoro29•

2. Gli Statuti del Buon Governo Vorrei evidenziare ancora un particolare della lenta e ordinata processione: mentre a partire da Concordia i cittadini proseguono a due a due con lo sguardo fisso davanti a sé, solo a volte girando il capo all 'indietro per rimarcare una familiarità condivisa, i quattro più vicini al Comune/Ben Comune che, come abbiamo detto, per l' abbigliamento e il colore degli abiti potrebbero essere esperti di diritto o giudici , alzano invece risolutamente verso di lui viso e sguardo, quasi a sottolineare un rapporto diretto e stretto con il grande Veglio (fìg. 37) . Mentre Ambrogio Lorenzetti dipingeva in Palazzo Pubblico, una commissione di esperti di diritto, rinnovata proprio nel 13 3 7 , lavorava alla redazione dei nuovi Statuti del Buon Governo. Ga­ briella Piccinni, esaminando quanti echi suscitino nei versi della canzone distribuita in varie sezioni degli affreschi i dieci versi in rima leonina che chiudono il Proemio di tali StatutP0 (purtroppo ancora inediti) , ipotizza che i programmatori «che hanno affiancato Ambrogio , che hanno ispirato se non scritto anche i versi della canzone, siano da ricercare tra i componenti di quella commissione statutaria»3 1 • Recitano i dieci versi: «Ecco le distinctiones dei nuovi statuti tramite cui io, Sena l Vetus, faccio in modo che ciascuno viva in pace. l Promulgo i diritti della Chiesa, quelli fiscali, l ai quali organismi pubblici spetta occuparsi di quanto detto l e quali magistrati ne abbiano responsabilità. l Ristabilisco l'ordine, pongo fine alle dispute civili, l contenendo le spese per le cause, evento che tutti auspicavano, l affinché nessuno subisca danno, ma abbia adeguata giustizia. l Tramite i freni del diritto punisco i delitti con pene adeguate, dando forza ai cultori della pace espello [da me, cioè dalla città] i furori. l Questa mia " sesta " 32 corregge e governa i cattivi comportamenti»33 •

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Sena Vetus si dichiara orgogliosa della sua antica fondazione romana; parla in prima persona, così come in prima persona parla il Comune/Ben Comune, dai candidi capelli, esortando i governanti. Dice la città: «Fa c cio in modo che ciascuno viva in pace» («mando [ . . . ] ut viva! quisque quietus») e la canzone recita: «Guardate quanti ben vengon da lei [Giustizia] e com 'è dolce vita e riposata»; «dando forza ai cultori della pace espello [da me] i furori» («p a cis cultores roborans expello furores») e la canzone interpreta:

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con il cappello di pelliccia di giudice» (l' allusione è al cambia­ mento , avvenuto in corso d'opera, del copricapo del Comune/Ben Comune: inizialmente una corona di alloro , o di ulivo , tramutata poi in berretto da giudice ) 3 9 (fìgg. 43-45 ) . Non solo i versi leonini sembrano appunti per il programma del ciclo. Anche il Proemio insiste su concetti ampiamente illustrati negli affreschi. Il primo brano pare il riassunto del messaggio dei Nove contenuto nel l 'A lleg oria del Buon Governo, a cui il genio del Lorenzetti ha dato sostanza visiva : «Per volere di Dio, l ' antica città di Siena, sacra al nome della gloriosa Vergine Maria madre di Dio, [ . . . ] alzò gli occhi della mente fino alla vetta del monte della Giustizia [ . . ] e meritò di governare pacificamente secondo gli insegnamenti di Dio il popolo a lei affidato. Desiderando infatti godere in perpetuo d ' una tranquillità ottenuta con sommo sforzo, ha racchiuso nei cardini d ' una giusta legge una regola di vita, [ . . . ] , una legge per cui [ . . . ] dando a ciascuno i suoi diritti, innalzi i giusti , premiando le loro virtù, e freni i trasgressori col timore delle pene». .

3 7 . A llego ria del Buon Governo: quattro cittadini al termin e della processione.

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Gli Statuti dovevano impedire per il futuro che rinascessero «la mortificazione della virtù o la corruzione dei costumi», che noi vediamo illustrate negli affreschi dal trionfo della Tirannide e dei suoi perversi effetti in città e in campagna. La commissione si augurava che i nuovi Statuti fossero tenuti in mano soprattutto «dai capi della Repubblica, affinché - scrivevano - divengano ottimi ministri di giustizia; in modo che, quando attraverso le sue regole sarà aperta la strada che porta alla rettitudine e la conoscenza della verità sarà chiara, quando i colpevoli verranno repressi e la materia delle controversie eliminata, i litiganti possano liberarsi dalle liti con poca spesa e, dispiegate le forze di quel bene prezioso , mentre subentrerà la dura punizione dei delitti che porta con sé la dolcezza della pace, possa esserci motivo di consolazione per tutti»40• È un programma retorico e un po' di maniera che di nuovo Lorenzetti seppe vivificare e rendere attra­ ente e «reale», mostrando la gioiosa e pacifica vita di Siena sotto l'ottimo governo dei Nove: questo dovevano ritenere i cittadini in sosta ammirata nella Sala della Pace. Ritorno alla processione dei ventiquattro cittadini e, in parti­ colare, al gruppetto che pone fine alla medesima: non potrebbe alludere, lo sguardo all'insù dei componenti, alla commissione che tanto aveva contribuito ad elaborare i concetti politici che poi Lorenzetti tradusse nell'Allegoria del Buon Governo, dando sommo risalto al severo ed imponente giudice, al Comune/Ben Comune?

3. Il governo all'opera La corda viene portata, come si è detto, al grande personaggio protetto dalle Virtù teologali, Fides, Caritas e Spes, che aleggia­ no sopra il suo capo, attorniato dalle Virtù cardinali, Fortitudo, Prudentia , Temperantia e Iustitia , a cui si aggiungono Pax e Magnanimitas (fig. 38) . Siede, al centro di un'elaborata e lunga panca, alla stessa altezza di Giustizia, panca adorna di una stoffa sontuosa che copre anche il trono. Il Comune/Ben Comune e le Virtù occupano uno spazio ordinato e ben determinato; il trono del Comune/Ben Comune poggia su una pedana sopra tre alti gradini ed è avanzato rispetto al trono della Giustizia ( che pure

«A mate la giustizia voi che giudicate sulla terra»

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38. Johann Rambou x , Allegoria del Buon Governo, Diisseldorf, Kunstmuseum, D23 6A, fra il 1 83 2 e il 1 84 2 .

vediamo premiare e castigare ) , imponendosi così, il Comune/Ben Comune, come esito culminante della rappresentazione. L'immagine di sé che il governo dei Nove vuoi dare - la loro completa titolatura, come sappiamo, è quella di «gubernatores et defensores comunis et populi Senarum» («governanti e difensori del comune e del popolo di Siena») - si riflette nell'imponente vegliardo che ha la mazza di giudice: l 'orgogliosa antichità di Sena Vetus gli dà barba e capelli candidi. Il candore dei capelli forse rimanda anche al personaggio di so­ gno che comparve a Daniele e che costituisce una delle parti più im­ portanti della sua profezia: «Quand'ecco furono collocati dei troni, e vi si sedette un vecchio: la sua veste era candida come la neve, e i capelli della sua testa erano bianchi come lana pulita: il suo trono era una vampa di fuoco, e le sue ruote erano fuoco ardente» (Da 7 ,9)4 1 • I l grande vecchio h a abito e mantello bianco e nero , i colori della balzana senese. Il mantello è allacciato sulla spalla, proprio come la clamide di un sovrano, e il ricco bordo lavorato dello scollo , dei polsi e dell 'orlo del mantello di nuo"o richiama una veste regale42, tanto più che fino all•soo si potevano vedere anche le scarpe di cuoio intagliate e le calze purpuree, altro dettaglio

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39. Le w·arpc purpurcc di Comzmc/Bcn Comune,

particolare della fig.

38.

dell ' abbigliamento regale . Così , noto , l e copiò J o ha n n Ramboux in un acquerello fra il 1 83 2 e il 1 842 ( fi g . 3 9 ) 4 3 . Ambrogi o , trovandosi a Jipingere - qualche anno dopo , nel secondo semestre del 1 3 44 - una copertina del registro di Biccher­ na44 , replicò in tutto e per tutto la gran de figura dell ' a ffresco di Palazzo Pubblico, anche le calze e le calzature purpuree45 ( fi g . 40) . Ma torniamo all ' affresco. La mazza sembra quella di un giudice, ma ha un coronamento trilobo tipico di uno scettro e non è dunque il semplice baculum

«Amate la giustizia voi che giudicate sulla terra»

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40. Ambrogio Loren zetti , Allegoria del Comune di Siena, coperta del registro di G abella del secondo semestre 1 3 44 , Siena, Archivio di Stato, inv. 1 6 .

dei magistrati; quello che potrebbe apparire uno scudo non è tale, in quanto non è imbracciato ma sostenuto (fig. 4 1 ) dal nobile vegliardo: è in realtà il sigillo straordinariamente ingrandito di Siena, quello con la Madonna e il Bambino che Simone Martini

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4 1 . Allegoria del Buon Governo: il Comune/ Ben Comune.

aveva già d i p i n t o nella Maestà, sigillo che «per la città rappresenta la possibi­ lità di agire come persona giuridica»46. L'alto copricapo di vaio proprio del giudice ricorda una corona a raggi : tutti particolari che richiamano lo scettro, il globo e la co­ rona di un re , suggerendo perciò un 'autorità e un po­ tere che non hanno bisogno di ulteriori legittimazioni. In una miniatura del Carmen ad honorem Augu­ sti di Pietro da Eboli (fine del XII secolo ) , Enrico VI, che nel poema è sempre posto sotto la protezione della Sapienza divina, ap­ pare al culmine della glo­ ria, circondato dalle Virtù teologali (femminili) e car­ dinali (maschili)47 (fig. 42) . I Nove non potevano rappresentare il Comune/ Ben Comune come un vero e proprio sovrano; mostra­ no però di aver tenuto pre­ sente la prestigiosa imma­ gine della monarchia. Una scoperta del 1 985 ha mostrato che il cappello di giudice del Comune/ Ben Comune è frutto di un ripensamento, perché in un primo momento la testa del grande vecchio

42. Enrico VI circondato dalle Virtù teologali e cardinali, da Pietro da Eboli, Liber ad honorem Augusti sive de rebus Siculis, fine del XII sec . , Bern, Bur­ gerbibliothek, ms. 120, f. 146r.

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43. Allegoria del Buon Governo: tracce di foglie sul copricapo del Comune/Ben Comune, oggi.

era coronata di ulivo48, sormontata dalla sigla C. S. C. V , Civitas Senarum Civitas Virginis ( fìgg. 43-4 5 ) . Oggi la medesima sigla ha una C. di troppo: è quella della prima stesura affiorata per la caduta dell' azzurro di fondo, dato che in corso d'opera le lettere furono ridisposte a lato e non , come prima, sopra il berretto. Ai piedi del Comune /Ben Comune è accucciata la lupa con i gemelli Senio e Ascanio49, precisa allusione alla leggenda della città fondata da due figli di Remo e dunque discendente, Siena, dalla Roma repubblicana. Il Villani nella sua Nuova Cronica insiste molto sul rapporto di Firenze con Roma, un rapporto che nasce nel momento della mitica fondazione della città e si rinsalda nella leggendaria riedificazione al tempo di Carlo Magno50. Anche Siena desiderava evidenziare il legame con Roma, sia per il blasone di nobiltà che riceveva da quel «lignaggio», sia perché trovava luminosamente legittimato il suo ordinamento politico da quello di Roma repubblicana. Negli Statuti del Buon Governo degli anni 1 3 3 7 - 3 8 viene dato un grande rilievo alla sovranità comunale. Si aprono con un 'allusione alla legislazione giustinianea. Siena «sembra volere

«Amate la giustizia voi che giudicate sulla terra»

eguagliare - Dea aucto­ re5 1 - Roma. [ . . . ] Non ha bisogno di legittimazioni terrene [ . . . ]è sibi princeps direbbe Bartolo [di Sasso­ ferrato ]; è stato sovrano, diremmo noi»52 . Secondo Maria Monica Donato la sostituzione della corona col cappello di vaio av­ venne in corso d'opera, perché p o t eva i n d urre sconcerto «un 'immagine così risolutamente cesarea in un comune guelfo»5 3, e certamente questa succes­ se prima del 1 3 44 , dato che nella copertina della Biccherna di quell ' anno il personaggio ha già il copricapo di giudice. Il Lorenzetti si trovò a dover raffigurare con u n ' i m m agine del t u t t o nuova u n concetto poli­ tico assai complesso, che doveva lodare la positività del regime comun ale e del suo governo. Costruì quindi un personaggio in cui tutti i dettagli fin qui notati c o n t rib uivano a spiegarne la molteplicità di significati: un giudice estremamente autorevole che rappresenta la «so­ vrana» città di Siena e il consenso di cui gode il suo governo.

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44. Allegoria del Buon Governo: ricostruzione fotografica della corona di ulivo posta sopra il copricapo del Comun e/Ben Comune secondo Max Seidel.

45. Allegoria del Buon Governo: ricostruzio­ ne grafica della prima versione della corona di ulivo del Comune/Ben Comune secondo Alessandro Bagnoli.

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Mi sembra però poco giustificata la ragione che avrebbe indot ­ to la soppressione della corona d'alloro, perché lo sconcerto era prevedibile in partenza. La corona d'ulivo, noto , rientra in una documentata usanza. Agnolo di Tura per l ' anno 1 3 1454 ricorda che i senesi , dopo avere domato la ribellione del Castello d'Elci , «tornaro a Siena con grande vittoria e allegreza, gli ulivi in capo come segno di vittoria». Lo stesso accadrà nel 1 3 5 P5 quando, ugualmente «avuta la vittoria e aconcia la tera, li Fiorentini e Sanesi si ritornaro a Firenze con grande onore cogli ulivi in capo e grandissimo onore fu fatto a le genti de' Sanesi». La bionda Pax è incoronata d 'ulivo; poiché la vocazione terri­ torialmente espansiva di Siena era già ben indicata nell'affresco, dove, come vedremo subito, è rappresentata la resa di due castelli, si preferì in corso d'opera eliminare la ripetizione «perché risultasse più nitido il significato del grande Veglio, il suo legame, in quanto giudice, con la Giustizia e con la legge»56, calpestate sull 'adiacente parete da Tyrannides con i terribili effetti in città e in campagna.

4.

Le Virtù che «'ntorno a llui si stanno»

La canzone già citata, che a mo' di cicerone guida l'osservatore al significato di quello che egli sta contemplando - nel cartello sottostante l'Allegoria del Buon Governo -, dopo avere spiegato come Concordia induca i cittadini ad eleggere quale loro signore «un Ben Comune», prosegue spiegando come questi «per gover­ nar suo stato, elegge di non tener giamma' gli ochi rivolti l da lo splendor de' volti de le virtù che 'ntorno a llui si stanno»57. La prima è Pax58 ( fig. 46) ; famosissima figura biancovestita59, con un ramoscello d 'ulivo in mano, ha come piedestallo un cumulo di armi. « È con la giustizia che si mantiene la pace della città» ricorda san Tommaso, promuovendo la pace al rango di Virtù60• Ha il capo coronato d'ulivo ed è stato già ricordato come questo attributo significhi vittoria, teste Agnolo di Tura61 . È una pace militare perciò, che si ottiene con l a sconfitta e la disfatta del nemico , spesso con il suo annientamento fisico. L'atteggiamento di questa Virtù tranquillamente sdraiata vuole invogliare a una situazione politica stabile, senza rivendicazioni o dolorose sommosse, e perciò necessaria sarà la concordia di tutti

46. Allegoria del Buon Governo: Pax coronata di ulivo riposa su un letto di armi.

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gli abitanti. Ma il contesto, tutto vibrante d'armi in cui Lorenzetti inserì la Pace, e gli stessi attributi di cui la dotò (oltre all'ulivo, armi e ancora armi) sottolineano come essa sia il risultato di una superiorità militare . Si appoggia a un morbido cuscino sostenuto da una corazza da cui pendono i bracciali e poggia i piedi su un pavese sul quale è sovrapposto, parrebbe, uno scudo tondo bom­ bato, in modo da rappresentare un 'armatura completa62 • I pavesi si usavano negli scontri campali in campo aperto. Dino Compagni nel raccontare la battaglia di Campaldino, combattuta 1' 1 1 giugno 1289 tra Firenze ed Arezzo dove era schierata compatta la fanteria fiorentina, riferì dell 'abbaglio del vescovo di Arezzo, il quale, poiché «avea la vista corta», domandò: « " Quelle che mura sono ? " . Fugli risposto : "I palvesi de' nimici " »6' . La Pace, che ha come più stretta alleata Fortitudo, Virtù che le siede accanto, non si basa sull'accordo con il nemico ma sulla sua sconfitta: pace è lo stesso che dire vittoria. E in realtà quel ramoscello che noi pensiamo piuttosto nel becco della colomba alla fine del Diluvio è indicato , dai cronisti medievali, come simbolo non di tregua o di accordo fra due parti, ma di accordo imposto in seguito a una sconfitta. Dice il Villani che i fiorentini, a ricordo di una vittoria contro i senesi nel 1260, fecero elevare su un pog­ getto che si vedeva dalla città di Siena una torre «e a dispetto de' Sanesi, e a ricordanza di vittoria, ripiena di terra, vi piantarono su so uno ulivo , il quale infino a' nostri dì ancora v' era»64 . Cola di Rienzo , per essere riuscito a sottomettere i Colonna, «ne montò in grande pompa e superbia. E mandonne lettera co' messi e con ulivi significando la sua grande vittoria al nostro co­ mune [a Firenze] , e quello di Perugia e Siena, e degli altri suoi vicini confidenti»65 . Nell 'iconografia dei santi toscani l'ulivo , più che come attri­ buto caratterizzante una loro qualità specifica, è presente come simbolo legato a un evento vittorioso. San Barnaba , nella pittura fiorentina, ha sempre un ramo d'ulivo in mano: è uno dei pro­ tettori di Firenze nelle vittorie della città sui senesi a Colle Val d'Elsa nel 1269 e sugli aretini nel 1289, avvenute entrambe 1' 1 1 giugno, il giorno della sua festa. San Vittore I (papa) ha ugual­ mente un ulivo in mano; il giorno della sua festa i fiorentini nel 1 3 64 ottennero un 'insperata vittoria sui pisani, come racconta Filippo Villani66• Li vediamo rappresentati, san Barnaba a destra

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48. Lippo Memmi, San Vittore, 1 2 99 , K0benhavn , Statens Museum for Kunst.

in verde, san Vittore con la tiara a sinistra, tutti e due con un vistoso ramo di uli­ vo in mano nella pala con l'Incoronazione della Vergine dipinta fra il 1 3 72 e il 1 3 73 da Niccolò Gerini e Iacopo di Cioné7 ( fig. 47) . S an Vit t o r e m artire e patrono di Siena ha anch'e­ gli il medesimo attributo e per le medesime ragioni: in abiti particolarmente son­ tuosi, con un 'enorme spada e il ramoscello di ulivo con i suoi frutti lo dipinse Lippo Memmi nel 1299; nel giorno della sua festa Siena prese Sarteano68 (fig. 48 ) . Infine san Dionisio tie­ ne il ramo d 'ulivo in mano perché il 9 ottobre (il suo giorno) del 1406 i fiorentini vinsero i pisani69• La Pace del Lorenzetti, che riposa su un minaccio­ so letto di armi, è una Pace sempre all'erta; l'essere stata collocata di profilo , in un atteggiamento tanto incon­ sueto, rispetto alla posizione fron t ale e composta delle altre Virtù, che appaiono un po' di maniera, sottolinea la sua novità, e di conseguenza il suo essere vicina , in que­ sta accezione , ai p roblemi che agitavano il Comune di Siena.

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La Pace dipinta da Ambrogio Lorenzetti colpì anche san Bernardino che, in una predica sulla piazza del Campo nel 1 42 7 , dedicata proprio alla pace, partendo dal salmo 1 3 2 , 1 : «Ecce quam bonum et quam iocundum habitare fratres in unum» («Ecco come è buono e come è dolce che i fratelli abitino insieme» ) , esclama: «Ella è tanto dolce cosa pur questa parola " pace " che dà una dolcezza a le la bra ! Guarda el suo apposito, a dire " guerra ! " . È una cosa ruida tanto, che dà una rustichezza tanto grande, che fa inasprire la bocca. Doh, voi l'avete dipenta di sopra nel vostro palazzo, che a vedere la Pace dipenta è una allegrezza. E così è una scurità a vedere di penta la Guerra dall'altro lato»70• La sua figura, come sappiamo, fu ripresa da monete romane che mostrano effigiata Securitas, una dea sdraiata che si sostiene il capo ( fig. 9 ) . La scelta iconografica non fu casuale. La parola latina securitas è formata da se, una particella indicante separazio­ ne, e cura, preoccupazione7 1 • Quindi Securitas, che nelle monete antiche tiene anche un piccolo scettro o una cornucopia nella mano libera, non significa come oggi una tranquillità procurata con mezzi difensivi e protettivi (allarmi e chiavi ) ; al contrario è essa stessa certa di togliere al mondo qualsiasi preoccupazione perché senza preoccupazioni è l'impero romano, tanto è invinci­ bile: da qui dunque la posa, sulla moneta, della figura femminile svagata, senza problemi. Nell'affresco è presente anche Securitas, con tutt' altra im­ magine, appena fuori le mura della città. Se pure di ascendenza classica, per il minaccioso cartiglio e il modellino dell 'impiccato che mostra, vuole essere un richiamo a una precisa realtà ( fig. 5 ) . Ammonisce l a bionda fanciulla: «Senza paura ogn 'uom franco camini l e lavorando semini ciascuno l mentre che tal camuno l manterrà questa donna [la Giustizia] in signoria l ch'el a levata a rei ogni balia»72• Securitas e Pax costituiscono un binomio nella concordia, ammoniscono i Nove: «Fioriscono sicurezza, pace e bene quan­ do si ha abbondanza di tutto il resto»73 • L' affresco suggerisce una distinzione ancora più sottile: nella città la sicurezza è nella pace dei suoi abitanti, non ci sono nemici . All'orizzonte, lontano (poiché «la concordia tra i cittadini è la miglior cinta di mura delle città»74 ) , potrebbero avvenire gli assalti di ladri, malandrini e predoni, ma le strade sono vittoriosamente tranquille75 . «Amo-

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re al ben comun dispone e liga: l onde cessa la briga l e stanno aperti i cammini e le strade; l per te, buona amistade, l il mondo è pace e 'l ciel ha venustade», dice Graziolo de' Bambaglioli in un passo del Trattato di Virtù76• Il lavoro felice della città e della campagna pone in rilievo la concordia e la reciproca utilità di tutti i suoi abitanti , ma la leggera figura alata di Securitas ricorda la sempre vigile presenza della Giustizia che scoraggia in modo violento e perentorio chi si oppone al suo operare. Nell'Allegoria del Buon Governo, Giustizia sa ricompensare ma sa anche punire, e in modo assai drastico: ricordo la figura alata che sul piatto della bilancia si sporge a tagliare la testa al reo e, lo vedremo subito, la «seconda» Iustitia, la Virtù cardinale, che siede con la testa mozza in grembo e la spada sguainata accanto al Comune/Ben Comune ( fìg. 5 5 ) . Fortitudo (fig. 49 ) siede accanto a Pax con una fantasiosa corazza a mezze maniche, indossa un abito rosso e impugna una mazza a rovescio e un pavese, identico a quello che fa da poggiapiedi a Pax. Fortitudo ha i simboli che si addicono alle sue mansioni ma non li usa, perché in città non c'è bisogno di dare battaglia. La sua è una vigile fermezza , quella fermezza che certo sono pronti a mostrare i soldati a cavallo con armatura completa (co­ razza, barbuta e cotta di maglia con ricaschino sulle spalle) e che impugnano lunghe lance ma senza punta, nonché i fanti che si serrano ai piedi di Fortitudo, tutti con identico abito chiaro, elmi e lunghi bastoni, di nuovo senza punta. L'uniformità della veste serviva a una pronta identificazione; l'alto collare, se necessario, avrebbe coperto la sottostante gor­ giera. Questi fanti parrebbero privi di pavesi. Solo quello più vicino al Comune/Ben Comune, che alza lo sguardo verso di lui, sembra ripararsi con uno scudo rettangolare assai più piccolo di un pavese, attraversato da una fascia blu. I berrovieri svolgono un 'azione di polizia urbana: all 'interno della città regnano la concordia e la pace, non c'è quasi bisogno di armi, i pericoli sono solo all'esterno: così pretendono i Nove, mentre invece dalla Cronaca di Agnolo di Tura abbiamo imparato il contrario: Siena era una città non pacificata, sempre pronta a rivolte e sommosse e tenuta a freno da un consistente numero di armati , fra di loro i «quatrini», dediti a stanare i malfattori.

4 9 . A llegoria del Buon Governo: For­ titudo armata ma con la mazza a rovescio.

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Segue Prudentia (fig. 50), Virtù un po' di maniera; è una regina, con uno scialle che le vela capelli e collo, una matrona matura che sa fare tesoro dell'esperienza portata dagli anni, sontuosamente abbigliata; tiene in mano, sembrerebbe, una lampada con tre fiam­ melle. Sul bordo superiore è scritto: «passato, presente, futuro» (praeterita, praesentia, futura) : si raccomanda quindi di giudicare basandosi su una conoscenza larga e approfondita. Virtù attem­ pata, è la più vicina al Comune/Ben Comune, dai capelli e barba candidi nell'autorevole veste di giudice. Sottolineo come i bordi d'oro adorni di gioielli del mantello scuro e dello scialle bianco di Prudentia si accompagnino perfettamente all'analoga bicromia in ricordo della balzana e agli analoghi ricchi bordi dell'abito regale del grande Veglio al quale la Virtù rivolge lo sguardo. Segue Magnanimitas che tiene in grembo un largo vassoio pieno di monete a cui attinge con una mano e con l'altra mostra forse varie corone, pronta a premiare chi se ne mostrerà degno . A partire da Magnanimitas {fig. 5 0 ) tutta la metà destra dell' affresco è stata restaurata nel tardo Trecento77, si suppone in maniera conservativa, ad opera di Andrea Vanni (noto dal 1353 al 1 4 1 3 )78• Visibile e certo è il cambio di stile, meno sicura la fedeltà a tutti i particolari dipinti dal Lorenzetti. Oggi tutto l'oro di cui era adorna Magnanimitas (piatto, monete, corona , bordo dell'abito) è sostituito da un lugubre nero, ma possiamo rivederlo in un acquerello che il solito Johann Ramboux dipinse fra il 1 832 e il 1 842 {fig. 39) . Qui è anche più evidente come Prudentia e Magnanimitas indossino abiti che giocano sul chiasmo del bianco e dello scuro, come ante di un trittico il cui centro è occupato dall'imponente giudice . Magnanimitas «è la nobile eccellenza dell'animo nell'affronta­ re situazioni difficili e pericolose in modo bello e coraggioso»79• Non si comprende interamente il ruolo di Magnanimitas se non la si completa con la scena sottostante, dove un gruppo di guer­ rieri vestiti d 'azzurro forma ai suoi piedi una compatta barriera difensiva - uno alza il viso e dirige lo sguardo verso il Comune/ Ben Comune. Sono tutti equipaggiati con elmi, alcuni con visiera, e lance a punta e grandi pavesi dove spicca il leone rampante e coronato del Popolo di Siena (fig. 5 1 ) . La loro presenza, così come quella di quattro guerrieri a cavallo, tutti con visiera alzata e lancia in mano, schierati sotto

50. Allegoria del Buon Governo: Comune/Ben Comune fra Prudentia e Ma­ gnanimitas.

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Temperantia e Iustitia, è dovuta alla necessità di controllare i rivoltosi che vediamo ormai in offensivi, legati l'un l'altro da una corda, destinati probabilmente all'esecuzione capitale. È palese il contrasto fra questa corda che tiene prigionieri i ribelli domati in una mesta sfilata, e l'altra corda, in mano per libera scelta ai ventiquattro cittadini, probi e volontariamente sottomessi al Co­ mune/Ben Comune al quale la consegnano. In un capitolo degli Statuti del Buon Governo del 13 3 7, coevi agli affreschi, intitolato De iniuriis et o//ensionibus et homicidiis commissis per comitatinos in cives Senenses, vengono comminate pene estremamente dure contro i «comitatini», cioè gli abitanti dei territori più vicini a Siena, e contro i villaggi che non puni­ scano rapidamente e severamente un delitto commesso contro un cittadino senese, condanne controllate dal capitano della Guer­ ra80. Il gruppo degli armati che sorveglia i rivoltosi (certamente composto di un numero maggiore a giudicare dagli elmi) issa al cielo in tutto dodici lance. Mi chiedo se quelle lance non vogliano alludere ai dodici vi cariati in cui nel 13 3 7 risultava ripartito il contado di Siena81 (fìg. 5 2 ) . I l cappuccio calato sul volto che rende ciechi alcuni dei ribelli è in contrasto con lo sguardo di uno dei guerrieri a cavallo che volge con movimento molto vivo la faccia verso la Virtù di Iustitia. Da notare che due imprigionati hanno le gambe nude. Quello che si volge verso lo spettatore con un panno nero calato sugli occhi, forse già condannato alla pena di morte, ha un petto bombato e per la presenza di righe sottili orizzontali sembra che indossi una corta veste imbottita ( con rinforzi alle spalle) . È stato privato dell' armatura ed era, suppongo, uno dei signori che avevano gui­ dato la rivolta, ben diverso, quanto a ceto sociale, dal compagno accanto a destra, cencioso e mal vestito , un povero contadino. Davanti al gruppo degli armati inviati da Siena due signori, in ginocchio, stanno trattando la resa82. Infatti si rivolgono al Comune/ Ben Comune e nei gesti e nella posizione «ricordano i protocolli della sottomissione dell'aristocrazia feudale»83 • Ad esempio, i Nove mostrano di tenere conto di Magnanimitas quando «perdonano» i signori di Elci che nel 1 3 3 0 si erano sottomessi, perché sono «consci [ . . ] che dovere della pietà paterna è di non trattare con asprezza estrema i figli traviati ma quegli stessi richiamare di nuo­ vo benignamente a sé, alla propria benevolenza»84. Ugualmente .

5 1 . Allegoria del Buon Governo: Magnanimitas, Temperantia, Iustitia e i ri­ vo/tosi prigionieri.

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52. A llegoria del Buon Governo: l'offerta dei castelli e i rivo/tosi imprigionati.

dopo la conquista della Rocca di Gerfalco nel 1 3 1 8 i vinti erano stati costretti a dichiarare che desideravano il ritorno «sotto la benigna protezione» dello stato senese, quasi fosse il loro padre85 . La solidarietà «di classe» e di interessi che legava pur sempre, nella realtà, i Nove alla ricca nobiltà senese si riflette anche nella diversa rappresentazione dei vinti. Dei due signori sottomessi, l'u­ no offre il castello, ma l'altro con il pollice teso indica, con gesto deciso, il viso autorevole, forse di un podestà , che dietro di lui offre le chiavi (fig. 52) . Nell' acquerello di Johann Ramboux ( fig. 53) questo stesso signore è assai malmesso: ha un occhio pesto e una contusione al petto. Intendono prendere le distanze dalla folla mal vestita dei prigionieri , probabilmente contadini descritti impietosamente nei tratti che rivelano una vita di stenti ( uno è del tutto sdentato ) . Certamente i rivoltosi non abitano a Siena, dove, come vedremo negli Effetti del Buon Governo, nessuno in città porta armi. Le immagini offrono una realtà del tutto rassicurante: riguardano il contado dove si dirigono le mire espansionistiche dei N ove, dove invano c'è chi tenta di ribellarsi.

Johann Ramboux, L'offerta dci ca.l"tel!i e i rivo/tosi imprigionati. particolare della fig. 3 8 .

53.

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Capitolo 4

54. Taddeo di Bartolo, Magnanimitas, 1 4 1 4 , Siena, Palazzo Pubblico, antica p pella.

A questa sezione dell 'affresco si riferiscono gli ultimi versi del

cartello del fregio sottostante . Il governo del Comune/Ben Comune avvalendosi del concorso delle sei Virtù che lo affiancano dà ottimi risultati: «Per questo con triunfo a llui si danno l censi, tributi e signorie di terre, l per questo senza guerre l seguita poi ogni civile effetto , l utile, necessario e di diretto»86• Questi versi preparano l'osservatore a volgersi alla lunga parete contigua ad est, dove sono mostrati gli Effetti del Buon Governo in città e in campagna. In un certo qual modo Magnanimitas e Temperantia con la clessidra in mano (che stanno accanto a Iustitia con la spada sguainata e una testa mozza; fig. 53) esprimono un medesimo concetto: infatti negli affreschi di Taddeo di Bartolo, dipinti circa un secolo dopo nell'anticappella del medesimo Palazzo Pubblico (fig . 54) , leggiamo sotto Magnanimitas l'aristotelica sentenza: «Non si esalta per i successi e non si lascia abbattere dalle contrarietà» e poi ancora il virgiliano: «Il suo compito è risparmiare i sottomessi e debellare i superbi»87 .

«Amate la giustizia voi che giudicate sulla terra»

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Magnanimitas, da Taddeo di Bartolo rappresentata nell'atto di uccidere un uomo armato e pronto a ferire ma di proteggerne un altro sottomesso e in ginocchio, ricalca lo schema della Giustizia distributiva del Lorenzetti. Credo si possa affermare che Taddeo di Bartolo abbia avuto come fonte di ispirazione l'affresco del Loren­ zetti: sono state infatti riunite la Magnanimitas del nostro affresco come Virtù in sé, il concetto di Temperantia (nei versi: «Non si esalta per i successi e non si lascia abbattere dalle contrarietà») , l'immagine e il concetto di Iustitia (nei versi e nell'immagine) . Infatti nell'affresco del Lorenzetti Iustitia ( fìg. 5 5 ), che siede fra le altre Virtù, ha da una parte una corona e dall' altra la testa di un decapitato e impugna la spada con l'indice sopra l'elsa. Questo modo di impugnare l'arma permetteva «un controllo più efficace nel duello che non nella mischia di una battaglia»88 . In una formella del campanile di Giotto a Firenze, ad opera di Andrea Pisano (fra il 1 3 3 4 e il 1 3 3 6 ) , per la prima volta Giustizia impugna la spada ( con l'indice sull'elsa ; fìg. 56) e non tiene solo la bilancia, perché ora la Giustizia è percepita come «fondata sulla pena, sul principio dell'obbedienza alla legge e sulla azione politica di tipo repressivo»89• «Il dito sull'elsa sta a significare un uso mirato e misurato della forza. [ . . . ] . La Giustizia, nell'idea dell'artista quindi, non combatte in una battaglia ma duella e colpisce solo e soltanto chi viola la legge»90• La nostra Virtù è rappresentata secondo l'iconografia di Giu­ ditta che, nello Speculum Virginum (XII secolo) , calpesta Oloferne, tenendo in mano una palma e una spada e si unisce ad Humilitas per debellare Superbia91 ( fìg. 57) . Da notare che nelle miniature del Trecento molto spesso Oloferne, che era un generale del sovrano babilonese N abucodonosor, è raffigurato come un re e perciò con la corona, come ad esempio nella miniatura tratta dalla cosiddetta Bibbia di Hainburg ( fìg. 5 8 ) . Temperantia con la clessidra in mano è simbolo di una vita ben regolata e ben divisa. Il pittore ha avuto cura di mostrare la sabbia che sta scorrendo nel vetro . Dall'XI secolo in poi questa Virtù era rappresentata mentre da una brocca versava dell'acqua in un'altra brocca contenente il vino, secondo l'etimologia latina del verbo temperare, «mescolare» . L' attributo della clessidra è successivo e fa derivare temperantia da tempus, a testimoniare,

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Capitolo .J

5 5 . A llegoria del Buon Governo: Iustitia con la spada sguainata, l'indice sull'elsa e in grembo una corona e una testa mozzata .

con l ' avvento degli orologi p ubblici e le giornate regolate non più dal sole e dalle stagioni m a da ore sempre uguali, un nuovo modo di valutare il tem p o , il tempo urbano , il tempo del mer­ cante92 .

«Amate la giustizia voi che giudicate sulla terra»

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56. Andrea Pisano, Giustizia con la spada sguainata, l'indice sull'elsa e la bilancia, fra il 1 3 3 4 e il 1 3 3 6, Firenze, Museo dell 'Opera del Duomo, dal campanile di Giotto.

Temperan tia con la clessidra, come si mostra nell' affresco del Lorenzetti, sarebbe una delle prime attestazioni della nuova iconografia93 • Per quanto riguarda Magnanimitas, rappresentata mentre con una mano attinge monete d'oro da un grande piatto posato in grembo e con l'altra tiene varie corone d'oro, desidero sottolineare

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Capitolo 4

57. Iahel, Humilitas e Iudith , in Speculum Virginum, circa 1 1 4 0 , London , British Library, Ms. Arundel 4 4 , f. 3 4 v.

che tali attributi suggeriscono ancora un ulteriore significato del suo ruolo. Contro le accuse di corruzione dei Nove, di un loro indebito arricchimento - ricordiamo i versi di Binda Bonichi : «Quando i mezzan diventano tiranni l preghi Iddio la cittade che la guardi l dagli affamati e pessimi leopardi l ch 'hanno assaggiato il Giglio e san Giovanni» -, contro l'accusa del proliferare degli «usurari tanto honorati e favorati dal Comune di Siena» che provocavano un terribile impoverimento dei cittadini94, i Nove rispondono mostrando, attraverso la figura di Magnanimitas, di saper soccorrere con liberalità i bisognosi e di non perseguire alcun profitto poiché pronti a donare. C'è ancora un particolare che va letto in questo contesto ed è la cassa di cui oggi si vede solo una parte, posta sotto la pedana

«Amate la giustizia voi che giudicate sulla terra»

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58. Giuditta uccide Olo/erne, Bibbia di Hainburg, inizi del XIV sec. ,

Pécs ( Ungheria) , Biblioteca Vescovile.

con la lupa e i gemelli , ma pienamente visibile nell'acquerello di Johann Ramboux ( fig. 39) , disegnata anche da Giovan Battista Cavalcaselle alla fine degli anni Cinquanta dell'Ottocento con l' annotazione «scrigno giallo» (fig. 32) 95 che allude evidentemente all 'erario comunale . Poiché il denaro è amministrato dal Comune/Ben Comune, è al sicuro in quanto il governo dei Nove coincide con il bene comune , con il bene dei cittadini ; il denaro di tutti non potrebbe essere più protetto: questo è il messaggio dell'affresco . Così non succede in un bassorilievo della Tomba Tarlati ad Arezzo , Il Co­ mune pelato ( fig. 1 3 1 ) , dove uno degli assalitori si impadronisce della borsa del Comune , il quale , nel sonetto di Antonio Pucci , implora «Dè non voler del mio tesor far éndica [incetta ]! »96.

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Capitolo 4

59. Allegoria del Buon Governo.· Spes.

Le Vi rtù c h e s i e d o n o a c c a n t o al C o m u ne/Ben C o m u n e mostrano u n a netta divisione di mansioni e di fini: a sinistra prendono posto le Virtù del «potere civile» che permettono di governare nella pace e nella saggezz a , ma semp re con giusta fermezz a ; a destra le Virtù «militari», che si oppongono ai ne­ mici ( i nemici al di fuori di Siena ! ) : sono in grado di affrontare le emergenze , di non esaltarsi per i successi e di non abb attersi nelle sconfitte, di debella re i vinti se si ribellano , di perdonare chi si sottomette . Allargando lo sguardo all ' intero gruppo delle Virtù cardinali e a Pax e Magnanimitas, un osservatore contemporaneo al Lorenzetti avrebbe notato la capacità degli armati di assicurare l ' o rdine in modo regolato , a servizio della legittima autorità dei Nove . Infatti sotto Fortitudo i fanti sono vestiti tutti allo stesso modo, uguali gli elmi e le vesti chiare; i pavesi del gruppo di destra - identico tipo di elmo e di lancia - mostrano compatti l ' emblema del Po­ pol o ; lo stesso discorso s i può ripetere per i m ilitari a cavallo con

«A mate la giustizia voi che giudica te sulla terra»

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60. A llegoria del Buon Governo: Fides.

uguali corazze. Infine in ciascuno dei due gruppi un fante e un cavaliere si volgono fiduciosi al Comune/Ben Comune. In voluta cont rapposizione, negli effetti della Tirannide ( lo vedremo subito ) , gli assoldati al servizio d i vari m agnati o i magn ati stessi appaiono privi di corazze e di elmi , vestiti in modo variopinto con stoffe di disegni sempre diversi e con armi obbligatoriamente scelte al volo fra quelle a disposizione . Non si svolgono ordinate azioni belliche per garantire la sicurezza dei cittadini ma, al contrario, singoli in dividui agiscono autonomamente con soprusi e violenze a secon da del p rop rio tornaconto97 .

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Capitolo

4

6 1. Allegoria del Buon Governo: Caritas.

5. Le Virtù teologali

Il Comune/Ben Comune, oltre ad essere affiancato dalle Virtù civiche, è per così dire protetto da quelle teologali che volteggiano sopra il suo capo , per sottolineare la fonte spirituale dell'autorità del Comune/Ben Comune, autorità che in prima istanza deriva da Dio. Spes (fig. 59) mostra, nel gesto delle mani, la testimonianza, la completa fiducia in C risto, il cui volto appare in una nuvoletta; Fides (fig. 60) , stringendo la croce, è esempio del più alto sacri­ ficio dell' Uno in favore del bene di tutti, e guarda il Comune/ Ben Comune, i cui grandi occhi fissano lo spettatore. Caritas (fig. 6 1 ) , in volo con le ali spiegate e i capelli sollevati dal fuoco luminoso che la pervade, tiene in mano un grande cuore sfavillante e un'amorosa saetta, pronta a scoccarla per trasmettere l'ardore che essa emana. Come sopra la grande figura di Giustizia si libra Sapientia , allo stesso modo sopra l'imponente Veglio Caritas in volo lo indirizza e tutela98• In Italia, soprattutto per l'influenza di san Bonaventura, Caritas ha assunto il significato di Caritas-Amor (Dei et proximi)

«Amate la giustizia voi che giudicate sulla terra»

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simboleggiato proprio dalla fiamma99; più precisamente ancora, Caritas del Lorenzetti andrà intesa come amor patriae, secondo la definizione di Tolomeo da Lucca: «L'amor di patria ha il suo fondamento nella radice della carità»100, Virtù che pone perciò al più alto grado il bene della comunità . La Giustizia è emanazione della Sapienza divina e i l suo di­ spiegarsi nella realtà senese rappresentata negli Effetti del Buon Governo in città e in campagna è sempre in relazione a Dio , a testimoniare gli altissimi principi a cui si ispira. Dio, come punto di riferimento per le azioni umane, nell' affresco è sottolineato dalla direzione degli studiatissimi sguardi. Sapienza e la grande figura della Giustizia immediatamente al di sotto, così come Caritas, hanno infatti gli occhi rivolti al cielo. Purtroppo più nulla sappiamo dei medaglioni contenuti nei fregi della cornice superiore dell'Allegoria del Buon Governo, coperti come è noto da una trave ottocentesca 1 0 1 . Vorrei soltanto sottolineare il fatto che le figure poste nella cornice inferiore delle Arti liberali del Trivio, Gramatica, Dialectica e Retorica (perduta) 102, che esaltano la capacità espressiva, dimostrativa, e logico-deduttiva, si legano in voluta coerenza alla rappresentazione dell'A llegoria del Buon Governo, dove tanto spazio è dato all'elogio della Legge, del Diritto, della Giustizia e al rispetto loro dovuto. Tale sintonia fu verosimilmente incoraggiata dagli esperti di diritto che stavano procedendo alla formulazione dei nuovi Statuti e che insieme al progredire degli affreschi formulavano molto probabilmente i concetti che Ambrogio Lorenzetti traduceva e arricchiva nelle sue meravigliose pitture.

Capitolo 5

Tyrann ides e 1 suoi perversi compagni all ' opera in città e In campagna •









l. I

Vizi in pedana

Volgiamoci ora a ovest, dove su un'unica parete sono rappre­ sentati la Tirannide e i Vizi che le fanno corona, uniti alle tragiche conseguenze della loro presenza in città e in campagna. Lo schema con cui sono disposte le figure nella parte allegorica è identico a quello adottato per il Comune/Ben Comune e la sua corte, a sottolineare maggiormente il contrasto e la minaccia di un pericolo reale. Non c'è però affatto una contrapposizione speculare identica 1 • I due poli del discorso rispondono a esigenze diverse: prospettare nell'Alleg oria del Buon Governo una realtà idillica; in quella della Tirannide invece indicare con estrema concretezza i pericoli inequivocabili che la situazione sociale e politica del tempo avrebbe portato a Siena se fosse stato abolito il governo dei Nove, presentato naturalmente come ottimale. Tyrannides ha un aspetto demoniaco ( corna e zanne, volto orrido e contratto; fig. 63 ) . Il suo nome si legge sullo sfondo oggi rossiccio: la caduta dell'azzurro ha fatto affiorare il sottostante pigmento scuro, ossido morellone dello sfondo, che sembra evocare una grotta infernale: ma, anche se suggestivo, tale suggerimento va accantonato . Nonostante la corazza, una ricca e femminea capigliatura a treccia annodata gira intorno al capo; al contrario della bionda Giustizia nell'Alleg oria del Buon Governo che alza lo sguardo verso Sapientia, qui gli occhi leggermente strabici sono rivolti alla soprastante Superbia che con una mano impugna un minaccioso pugnale a doppia T2 e con l'altra un giogo tutto di sghimbescio, i lacci sciolti e disordinati, in antitesi alla posizione perfettamente

62. Allegoria della Tirannide e gli effetti in città: Tyrannides e la sua corte.

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Capitolo 5

63. Allegoria della Tirannide e gli effetti in città: il volto demoniaco di Ty rannides.

pari dei piatti della bilancia tenuti dalla Giustizia nell 'Alleg oria

del Buon Governo3 (fig. 24 ) . Il giogo che costringe i buoi a un cammino pari e d affiancato, il passo dell'uno accordato a quello dell ' altro , è qui asimmetrico e indica la volontà di sopraffazione di Superbia (fìg. 64 ) , che vuole soggiogare per l'appunto mediante la prepotenza e l'arroganza. Tyrannides rimanda all'apocalittica Babylonia, città infernale. Oltre alle trecce bionde, lo indicano il mantello sontuoso con oro, perle e pietre preziose, e foderato di vaio, la coppa d'oro piena di sangue ( di cui si vedono oggi tracce)4 e il caprone con il sesso molto in evidenza, tradizionale simbolo di lussuria (fìg. 65 ) : «La donna era ammantata di porpora e di scarlatto e ornata d'oro, di pietre preziose e di perle; teneva in mano una coppa d'oro piena dell'abominio e della sporcizia della sua fornicazione [ . . . ] . La

Tyrannides e i suoi perversi compagni all'opera in città e in campagna

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64. A llegoria della Tirannide e gli effetti in città: Superbia.

donna [ ] simboleggia la grande città che ha il suo regno sopra i re della terra» (Ap 1 7 ,3 - 1 8 ) 5 • L'acquerello d i J ohann Ramboux permette d i vedere meglio il pugnale stretto da Superbia e da Tyrannides (di quest'ultimo oggi si vede solo la parte terminale; fig. 66) . A lato di Superbia, il vizio feudale dei potenti inclini alla violenza e ai soprusi, volteggia Ava­ ritia (fìg. 67) , una vecchia pallida ed accigliata con ali da rapace; stringe nelle mani uncinate un torchio che trattiene borse piene di monete che mai si apriranno per il prossimo e un 'asta con un uncino per arraffare, simboli dell'interesse privato e dell'ingiustizia, i cui effetti (guasti, violenze, uccisioni) sono subiti dagli indifesi personaggi posti sotto il podio. La terza figura alata è Vanagloria (fig. 68 ) , un 'elegante ed agghindata fanciulla intenta a rimirarsi nello specchio, che ostenta un cumulo di gioielli e una decisa . . .

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65. A llegoria della Tirannide e gli effetti in città: Ty rannides con pugnale, coppa e caprone.

scollatura fino alle spalle, tutta concentrata in sé stessa e con in mano una fronda secca, forse per ricordare che non può porge­ re alcun frutto benefico, inaridita com'è: la fanciulla è intenta a lodare sé stessa, senza curarsi degli altri. E come Superbia, Avaritia, Vanagloria (i tre Vizi danteschi) ispirano Tyrannides, ugualmente nel Liber Sapientiae sono il cor-

66. Johann Ram b o u x , Allegoria della I!rannzdc: Tvrannidcs circondata dai Vizi opprime la vinta Iustitia, Di.isseldorf, Kunstmuseum, D23 9 , fra il l 83 2 e il l 842.

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67. Allegoria della Tira nnide e gli effetti in città: Avari/la .

redo degli empi, che ricordano la loro spavalda esaltazione delle ricchezze (divitiarum iactantia , Sap 5 ,8 ) , bollati dal giudizio divi­ no: «Stolti sono tutti gli uomini che non hanno la conoscenza di Dio»6• In speculare antitesi alle Virtù teologali dell'Allegoria del Buon Governo, Superbia fissa lo spettatore, al contrario di Caritas che volge lo sguardo a Dio. Vanagloria sostituisce Spes non più dirigendo anch 'essa lo sguardo a Dio, ma abbassandolo all 'im­ magine di sé stessa che la lucida superficie le rimanda. Avaritia prende il posto di Fides (identica è la direzione dello sguardo) , bramosa d i assicurarsi ulteriori guadagni. Monete d 'oro e uncino sono pure gli attributi di Avaritia, id est diabolus («cioè il diavolo») , nell' Hortus deliciarum, un 'enciclopedia realizzata nella metà del XII secolo sotto la direzione della badessa Herrad di Hohenbourg in Alsazia7 , in cui una miniatura ( fìg. 70 ) ,

Ty rannides e i suoi perversi compagni all'opera in città e in campagna

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68. A llegoria della Tirannide e g li effetti i n città: Vanagloria.

arricchita di moltissime scritte, mostra Avaritia al centro d'un carro tirato da una volpe e da un leone, simboli di Frode e Crudeltà. Recita il commento alla miniatura: «L'Avarizia vive male, ha un aspetto sordido e tiene in mano un tridente a causa della sua rapacità»8• Altri sei mostri, esseri umani con testa di animale, ognuno munito di banderuola, illustrano i suoi effetti. Secondo un sermone di Agostino citato nel manoscritto: «Dall 'Avarizia nascono il Tradimento, l'Inganno, l'Intrigo, la Povertà, l'Ansia, le Violenze, e le Durezze di cuore contrarie alla Misericordia»9• Tornando al nostro affresco, sei sono i Vizi che accompagnano Tyrannides, come sei sono le Virtù degne compagne del Comune/ Ben Comune. Tyrannides e i Vizi prendono posto ( fìg. 7 1 ) dentro una precisa città, Siena10 - in un plausibile futuro se i Nove non fossero più alla

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69. Allegoria della Tirannide e gli effetti in città: i tre Vizi in volo: Ava ritia, Superbia e Vanagloria .

guida (ma questo non poteva avvenire ! ) . Da notare che non c'è una divisione fra la parte allegorica e la traduzione di quei concetti nella rappresentazione della città e della campagna come nell 'A lleg oria del Buon Governo e i suoi Effetti in città e in campagna. Qui Tyran­ nides e la sua corte di Vizi sono poste dentro la città devastata: non hanno perciò valore di allegoria ma di racconto realistico, a rendere più impressionante, più vicino al vero, il futuro rappresentato . 2. Trista parata L'ampio podio su cui prende posto Tyrannides - la figura più grande di tutte, dunque la più importante - sporge in avanti ed è più alto rispetto alla stretta pedana addossata proprio alle mura della città dove siedono i Vizi, esattamente come il trono di Co­ mune/Ben Comune aggetta rispetto al lungo podio drappeggiato dove siedono le Virtù ( fig. 72) . Ed ecco l a trista parata (fig. 73 ) :

Tyrannides e i suoi perversi compagni all'opera in città e in campagna

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70. Il carro di Ava ritia e i suoi degni compagni, f . 2 03 v, metà del XII secolo ( m anoscritto distrutto, copiato da Auguste de Bastard d ' Estaing nel 1 83 1 ) .

Crudelitas , un' orrida vecchia scarmigliata, tiene i n mano un serpente per avvelenare un bimbetto inerme che sta anche stroz­ zando , il quale nei gesti disarticolati e la lingua di fuori denuncia la crudezza dell ' azione in atto. Proditio accarezza un agnello, ma la bestiola termina con la coda dello scorpione, sicuro indizio di tradimento , come del resto avvisa il suo nome 1 1 • Fraus ha le mani guantate che reggono un b astone dall'estremità arrotondata (troppo restaurato per decidere se sia un pastorale o un uncino) , allusione a coloro che agiscono coprendosi di manti e di attributi che non sono i loro , o a chi è pronto ad arraffare con bramosia

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7 1 . Allegoria della Tira nnide: gli e//etti in città e in campagna .

i beni altrui. Ha ali di pipistrello e piedi uncinati ; molto proba­ bilmente cerca di mascherare il suo aspetto diabolico coprendo per l'appunto con i guanti gli artigli delle mani . Furor (fìg. 74) , mostro metà uomo e metà bestia, ricorda il Minotauro dantesco che nel canto XII dell'Inferno ( 1 1 -3 3 ) sta appunto a simboleggiare l'«ira bestiai» : ha però il muso del peri­ coloso cinghiale, tali sono la foga e la veemenza quando la bestia è assalita o ha paura. Furor nelle mani tiene un pugnale e un sasso ; altri sassi sono a terra, a ricordare le improvvise rivolte cittadine e le sassaiole che generavano. Seguono Divisio, che con la sega sta dilaniando il proprio corpo e che ha i colori della balzana senese su cui spiccano un sì e un no, allusione ai dissidi che scoppiavano in città , e Guerra, con scudo tondo ed elmo, pronta a calare con la spada sguainata un grande fendente sulla città. Gli attributi non sono affatto canonici e stereotipati ma in ­ novativi e precisi; dove l'impatto con la realtà si faceva violento venne addirittura abbandonato il latino per il volgare: sì e no dice Divisio; Guerra e non Bellum è scritto sullo scudo del guerriero/a che le siede accanto. Come le Virtù nell'Allegoria del Buon Governo, anche i Vizi sono divisi in due gruppi analoghi, quelli a sinistra alludono a un atteggiamento etico, quelli a destra sottolineano maggiormente un comportamento pratico; il pugnale e i sassi di Furor, la sega di

Tyrannides e i suoi perversi compagni all'opera in città e in campagna

13 1

72. Allegoria della Tirannide e i suoi effetti in città: i Vizi in pedana .

Divisio, la spada di Bellum sono l'uso distorto della spada e della testa mozza di Iustitia nell 'A llegoria del Buon Governo.

I Nove temono e detestano pericoli e situazioni concrete nella vita della città, soprattutto sommosse, guerre, tradimenti e rivolte. Rispetto alle condizioni preliminari del Buon Governo, cioè la saldezza e la legittimità del potere che ne assicurino la continuità, Guerra e Divisio esprimono la precarietà di una situazione politica confusa che porta solo a dilacerazioni e rovina. Furor personifica l'incontrollato cedimento agli stimoli esterni. Proditio e Fraus, figlie di A va ritia secondo san Tommaso 12, esplicano la volontà di far prevalere il bene proprio , con gravissime conseguenze perciò sul piano civile e del governo comunale. Crudelitas infine allude a un modo spietato di amministrare la giustizia secondo un cri­ terio del tutto individuale e privato, mentre nel Buon Governo la Giustizia, anche se punisce, tiene sempre conto delle leggi e

73. Allegoria della Tirannide e i suoi effetti in città: Crudelitas, Proditio, Fraus.

74. Allegoria della Tirannide e i suoi effetti in città: Furor, Divisio, Gue"a.

Tyra nnides e i suoi perversi compagni all 'opera in città e in campagna

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75. Allegoria della Tira nnide e i suoi effetti in città: il suicidio di Neron e.

dunque della società che le ha espresse. Né sarà forse un caso che fra i personaggi del fregio inferiore di questa parte dell'affresco, a rendere più insistita la presenza anche visiva della tirannide, ci sia il crudelissimo Nerone (fig. 75 ) 1 3 .

3 . Alla ricerca di u n assassino

Nel medaglione vicino, oggi tagliato dall'inserzione di una porta secentesca, si vede un uomo a terra con la spada al fianco mentre il sicario gli si avventa addosso immergendogli la spada nel basso ventre da cui sgorga copiosissimo sangue (fig. 76 ) . Della scritta si può leggere l a parte finale ninus14• Per giungere ad ipotizzare chi fosse il crudele di turno, condenso in poche righe una più lunga ricerca. George Rowley, sulla scorta di non meglio identificati «scrittori precedenti» 15 , afferma che nei medaglioni del fregio sottostante all 'affresco della parete ovest, oltre a Nerone, erano stati individuati anche Geta e Caracalla e probabilmente Antioco, perché erano state decifrate le lettere iniziali «Ant».

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76. Allegoria della Tira nnide e i suoi effetti in città: Geta assassina to da un sicario per manda to del fratello Ca racalla (Marcus Aurelius Antoninus) .

Questa informazione è stata ripetuta a catena da tutti coloro che si sono occupati dei medaglioni , nella convinzione che quattro di essi fossero occupati ognuno da un diverso personaggio e che solo uno fosse destinato a rimanere anonimo . M a chi sono gli «scrittori precedenti»? Sono da escludere gli autori del Seicento e Settecento che si sono occupati degli affreschi del Lorenzetti 16• Joseph Archer Crowe e Giovan Battista

Tyrannides e i suoi perversi compagni a ll'opera in città e in campagna

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Cavalcaselle in due loro opere, del 1 864 e del 1 869 17, ripetono rapidamente la solita stringa attributiva, ma in un 'altra del 1 885 , Storia della pittura in Italia dal secolo II al secolo XVI '8, finalmente si soffermano in una descrizione dettagliata. Riporto il brano: «Nel finto basamento di tutte le figure allego­ riche che vi erano dipinte a chiaroscuro, più non rimangono che due formelle, in una delle quali è rappresentata insieme coi resti della pittura annerita la figura di N ero ne nell'atto di uccidersi 19 e nell'altra, con eguali tracce di pittura divenuta nera, un 'aggres­ sione, in cui vedesi l'aggredito steso per terra sotto l'aggressore, il quale dopo averlo ucciso sembra che stia derubandolo . Vuolsi che siano figurati Caracalla e Geta20• Nel Comm . ad Ambrogio Lorenzetti, dice il Vasari nel vol. II p. 80, essere rimaste le sole lettere Ant, che forse dicevano Antiochus , ma che noi non fummo più capaci di rilevare» . La Storia della pittura in Italia di Crowe e Cavalcaselle non ha un indice dei nomi e dunque pazientemente, pagina dopo pagina, sono risalita al primo volume dove è la prima citazione del libro menzionato : si tratta di un'edizione delle Vite di Giorgio Vasari, del 1 846, «pubblicate per cura di una Società di amatori delle Arti belle», accompagnata da un abbondante commento anonimd1 • Qui si legge a proposito di Ambrogio Lorenzetti: «dipinse gli esempi più famosi di antichi tiranni o di uomini crudeli, ponendo sotto a ciascuno il loro nome. Ma di tutti questi partimenti dipinti non avanza che uno dove è scritto NERO e un altro del quale, sendo perduta la pittura, altro non resta che le lettere ANT . . . , che forse dicevano ANTIOCHU S » . Chi scrisse questo commento non fu preciso perché tutt'oggi i medaglioni con figure dipinte leggibili sono due; inoltre esso non permette di precisare sotto quale medaglione fossero ancora riconoscibili le lettere ANT. Crowe e Cavalcaselle ritennero che tali lettere fossero poste sotto la scena del delitto , quindi la lettura: Antoninus sarebbe giustificata. In ogni caso anche tenendo per buona la sola lettura di ninus si potrebbe completare il nome congetturando allo stesso modo. Ritengo dunque che la scena rappresentata nel medaglione sia l'uccisione di Geta, fatto as­ sassinare dal fratello Caracalla, il quale nelle iscrizioni è sempre indicato come M. Aurelius Antoninus22 • In questo modo si spiega anche perché l'ucciso non abbia corona23 .

Capitolo 5

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77. Giovan Battista Cavalcaselle, Allegoria della Tirannide, Venezia, Bibliote­ ca Nazionale Marciana, fondo Cavalcaselle, Cod. It. IV 2040 [= 1228 1 ] , fase. 5/6, ff. 2 1 r-22v (Fascicoli Siena e San Gimignano) , fine degli anni Cinquanta dell'Ottocento.

Per completare questa piccola ricerca ho rintracciato un di­ segno del Cavalcaselle a inchiostro dell'A llego ria della Tirannide della fine degli anni Cinquanta dell'800 in cui mischia come suo solito disegni e promemoria (6g. 77) . Ritrae il medaglione accanto a quello di Nerone e annota: «persona che tormenta un'altra che sta a terra», poi aggiunge due frecce, una che punta al sicario mentre uccide, con la scritta «alza le vesti d'un morto», l'altra che punta al fodero che pende dalla sua cintura con la scritta «fodero». Al di sotto è trascritta qualche lettera con il commento «senza scritto (Caracalla e Geta)». All'estremità sinistra del foglio, ma a matita: «(Caracalla e Geta)»,

Tyrannides e i suoi perversi compagni all'opera in città e in campagna

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alla riga sottostante «ANTI» e poco più sotto «Antiocus». Questo appunto a matita sembra una nota ricavata dal Commento alle Vite del Vasari.

4.

Le due Allegorie in paragone

Ritorno all'affresco della Tirannide. Proprio perché si tratta di un discorso di propaganda, lo schema adottato da Ambrogio per rappresentare Tyrannides e i Vizi, suoi perversi compagni, è identico a quello usato per il Comune/Ben Comune e le prezio­ se Virtù che lo accompagnano, ma in questo artificio si cela un contenuto profondamente diverso. Se il Comune/Ben Comune, solenne e paludato , si mostra trionfalmente con la balzana sene­ se, le discordie che dilaniano la città non rivestono di bianco e nero Tyrannides, bensì la figuretta di Divisio. Nell'Allegoria del Buon Governo i colori ammantano una pura figura simbolica; nell'Allegoria della Tirannide e dei suoi effetti invece si mostra una concreta realtà che nel sì e nel no e nella sega fa appello alla lingua e alla comune esperienza degli spettatori (si pensi a Dante quando fa del «bel paese là dove 'l sì suona», Inferno XXXIII, 79-80, una piena e commossa indicazione geografica ) . Nel fregio superiore della Tirannide inoltre c ' è uno studiato convergere di sguardi minacciosi verso il Comune/Ben Comune (sull'altra parete) da parte di Inverno ( fig. 78) , stagione desolata, e di Marte con la spada sguainata (fig. 79 ) , anche se, per quanto riguarda Inverno, Ambrogio non rinuncia a rappresentare per la prima volta in modo originale e bellissimo un evento atmosferico, con la neve che cade fitta velando l'intabarrato signore con in mano una palla di neve. Marte, nelle vesti di un cavaliere con corazza, elmo e spada, cavalca un cavallo fiammeggiante lanciato in corsa perché l'infuo­ cato pianeta Marte è suscitatore di incendi24; tuttavia è possibile che il Lorenzetti si sia ispirato per l'iconografia alla descrizione che il Vill a ni fa (nella sua Nuova Cronica finita nel 13 3 3 ) del dio della guerra immaginato a Firenze svettante sul tempio di Marte/ battistero: un «innintaglio di marmo in forma d 'uno cavaliere armato a cavallo»25, descrizione che fondò una fortunata icono­ grafia ( fig. 80)26•

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Capitolo 5

78. Allegoria della Tirannide e i suoi effetti in città: In verno.

Inverno, che non produce frutti, sovrasta la sterile Avaritia mentre Marte sopra Guerra alza il braccio con la spada pronto a colpire, nell 'identico gesto della sua sottostante «protetta». Anzi, in questa parte dell' affresco c'è un 'insistita presenza di lame sguainate: brandiscono minacciosi un pugnale Furor, una spada Guerra , Tyrannides e Superbia (e, inoltrandoci negli effetti della Tirannide in campagna, Timor) . Sotto la pedana di Tyrannides la Giustizia, che è privilegiata dalla scritta Iustitia , giace legata a terra, dove sono caduti anche i piatti della bilancia spezzata , troncati le corde e i bracci che la reggevano ( fig. 8 1 ) . Intorno a Iustitia vediamo gli effetti della sua prigionia: a sinistra alcuni soldati con pugnale ed elmo tondo infieriscono su varie persone, a destra due armati si contendono un bambino, come fosse una citazione della Strage degli innocen ­ ti (fig. 82) , poco più in là a destra giace un agonizzante con lo sguardo perso (fig. 83 ) , quindi vediamo un poverino che fugge mostrando i moncherini insieme ad altri compagni di sventura. Eloquenti sono le parole del cartello sotto l'affresco, che ri­ spondono in perfetta simmetria a quelle del cartello posto sotto Concordia e riprendono, rovesciata, la metafora della corda: «Là dove sta legata la iustitia, l nessun al ben comun già mai s'acorda, l

7 9 . A llegoria della Tirannide

c

i suoi effetti in città: Martc a cavallo.

fit �ttt ccfl-� !�v�L"•t tttlh.t ' pu!ifo :t1lo m.t ;t - ��.mtg{Ul - (S�tt�tltt 'l:II'Jlltl�> (secoli XIII-XIV) , in >: Furio Brugnolo, . Poi, alla destra del foglio: « Nota bene: la corda bianca e rossa sotto la mano del Buon Go­ verno gira attorno al corpo dalla parte della Prudentia a sinistra sulla coscia e vedesi la stessa intorno al viso come laccio del beretto. Dunque pare che tenga il beretto legato alla testa>>. Maria Monica Donato riproduce parzialmente il disegno del Cavalcaselle in Il >. Su questo lamento si veda in/ra, cap. VI, p. 1 93 . n Max Seidel, Vanagloria. Studi sull'iconografia degli affreschi di Ambrogio Lorenzetti nella «Sala della Pace», in Arte italiana del Medioevo e del Rinascimento, voli. I-11, vol. I, Pittura, Venezia, Marsilio, 2003 , pp. 293 -340, p. 3 1 8, rimanda ad Archivio di Stato di Siena, Campaio l , f. 1 3 r, rubr. XLIV: «Nec ferat caputium, cappellinam vel cappellum foderatum de vario nisi talis ferens ipsum caputium, cappellinam vel cap­ pellum de vario foderatum esset miles, iudex vel medicus vel uxor militis vel iudicis>>. 26 Miche! Pastoureau, Rosso, storia di un colore, Firenze, Ponte alle Grazie, 2016. 2 7 Seidel, Vanagloria. Studi, cit . , p. 3 1 8, dice di averli potuti notare, salito sui ponteggi nel 1 984 , insieme al restauratore Giuseppe Gavazzi. Ringrazio, per alcune precisazioni sull'abbigliamento, Sara Piccolo Paci. 28 Aldo Cairota ed Enzo Carli, Il palazzo pubblico di Siena, Roma, Ed italia, 1 963 , p. 124. 2 9 Willi am M. Bowsky, The Buon Governo o/ Siena (1287- 1 355): A Medieval Italian Oligarchy, in , 3 7 , 1 962 , pp. 368-3 8 1 . 3 0 L'autrice annuncia u n prossimo contributo più esteso: «Sulla corrispondenza fra il testo del Proemio, i versi leonini, i versi della Canzone e gli affreschi mi riservo di lavorare in un prossimo futuro>>: Gabriella Piccinni, Siena negli anni di Ambrogio, in AL catalogo, p. 9 1 . Per il testo latino del Proemio e un commento si veda Mario Ascheri e Rodolfo Funari, Il proemio dello statuto comunale del «Buon Governo>> (1 33739), in , 1 989, pp. 350-364, pp. 352-353 , Statuti 26 c. l . Fornisco in appendice a queste note la mia traduzione dell'intero Proemio, insieme al testo latino. 31 Piccinni, Siena negli anni di Ambrogio, cit . , p. 9 1 , offre la trascrizione in latino e la traduzione in italiano dei dieci versi a chiusa del Proemio. 32 L'autrice si chiede se significhi : ibidem. Ma non potrebbe stare per , in latino? 3 3 : ibidem, p. 9 1 . 3 4 Ibidem.

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35 Il verso leonino è caratterizzato da una rima o da una assonanza fra i due emi­ stichi che compongono l'esametro o il pentametro. L'emistichio è ciascuna delle due parti in cui un verso può essere diviso da una cesura. 36 Per queste citazioni dal Proemio si veda p. 3 09. 3 7 Lo ricorda Piccinni, Siena negli anni di Ambrogio, cit. , p. 9 1 . 3 8 William M. Bowsky, Un comune italiano nel Medioevo. Siena sotto il regime dei Nove, 1287- 1355, Bologna, Il Mulino, 1 986, pp. 8 1 -83 . 39 Si veda in/ra, pp. 90 ss. 40 Anche questo passo è tratto dal Proemio. 41 «Quando throni positi sunt, et antiquus dierum sedit: vestimentum eius candidus quasi nix, et capilli capitis eius quasi lana munda; thronus eius flammae ignis: rotae eius ignis accensus». 42 Donato, Il > () o il luogo celebre di Paolo (2 Tm 4,8) dove si parla della corona che attende le anime salve al momento della morte: «Rimane, messa da parte per me, la corona di giusti­ zia, che il Signore, giudice giusto, mi consegnerà in quel giorno: e non solo a me, ma anche a quelli che attendono con amore la sua venuta>> ( ) ; per non dire anche d'un altro luogo fa­ moso dello «iuste iudex ultionis>> () del Dies ira e nella liturgia dei defunti. Significato che è passato anche ad altre espressioni come il (, Sal 9,5 ) ; o a quella che trionfalmente conclude un salmo dedicato interamente al Giudizio divino: («Flumina plaudent manu,

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simul montes exultabunt a conspectu Domini: quoniam venit iudicare terram. Iudicabit orbem terrarum in iustitia, et populos in aequitate», Sal 97 ,8-9). 1 2 Giulia Ammannati, Pinxit industria docte mentis. Le iscrizioni delle allegorie di Virtù e Vizi dipinte da Giotto nella cappella degli Scrovegni, Pisa, Edizioni della Scuola Normale Superiore, 20 1 7 . Il titolo del libro deriva dalla scritta che accompagna Invidia, in cui Giotto, senza nominarsi, si loda: «Ecco qui l'Invidia, con i suoi attributi, dipinta dall'industria di una dotta mente>> (« [P] atet hic [l] nvidi [a] , l sua ferens propria l quam pinxit industria l docte mentis>>: ibidem, p. 85 . 1 1 Ciceronis De officiis I, VII, 20. Lo ricorda Selma Pfeiffenberger, The Iconology o/ Giotto's Virtues and Vices at Padua, Bryn Mawr College, Ph.D., University Microfilms International, 1966 ( 1 967 ) , cap. V, p. 20. 1 4 Per il paragone con una Vittoria romana: Alastair Smart, The Assisi Problem and the Art o/ Giotto, Oxford, Oxford University Press, 1 97 1 , p. 98 e tav. 2 1 a, che propone un suggestivo confronto con una tazza d'argento di Boscoreale (l secolo d.C . ) , dove la Vittoria è attributo di Augusto dominatore e pacificatore dell'universo. 15 «Equa !ance cuncta librat l perfecta iusticia: coronando bonos, vibrat l ensem contra vicia. l Cuncta gaudent libertate l ipsa si regnaverit; l agit cum iocunditate l quisque quod voluerit. l Miles probus tunc venatur; l cantatur et luditur; l mercatori via da[tu]r: l p[re] do [t] u [n]c a [bs] c [on] ditur>>: Ammannati, Pinxit industria, cit., pp. 5 3 ·55. 6 1 Si vedano su questo argomento J udith K. Golden, The Iconography o/Authority in the Depiction o/ Seated, Cross-legged Figures, in Colum Hourihane (a cura di), Between the Picture an d the Word. Manuscript Studies /rom the Index o/ Christian Art, Princeton, Penn State University Press, 2005 , figg. 93 - 1 23 e pp. 8 1 -99 e Mario Sbriccoli, La benda della Giustizia. Iconografia, diritto e leggi penali dal medioevo all'età moderna, in Id. et al. (a cura di) , Orda iuris. Storia e forme dell'esperienza giuridica, Milano, Giuffrè, 2003 , pp. 4 1 -95 , p. 92 . 17 San Bernardino in una delle sue colorite prediche descrive chi dovrebbe am­ ministrare la giustizia ma si comporta come un tiranno, non rectorem ma rapinatore, «ractorem, con gli unghioni a restello>>, insistendo: con le unghie «come ha il nibbio o come l'astore, così aroncinate>>: Bernardino da Siena, Le prediche volgari sul Campo di Siena, 1427, a cura di Carlo Delcorno, Milano, Rusconi, 1 989, predica XXV, p. 7 3 2 . 1 8 Che sia un mercante lo mostra il particolare della merce appesa alla sella, par­ ticolare che negli effetti di Iusticia serviva a diversificare per l'appunto il mercante a cavallo dal miles a cavallo, quest'ultimo ovviamente senza merce, ma con in mano il falcone. Negli effetti di Iniustitia protagonisti sono soltanto una donna violentata e un mercante sbalzato a terra e ucciso: per creare un'antitesi più netta Giotto contrappose due coppie, dato che negli effetti di Iusticia una lieta donna a cavallo accompagna il miles a caccia in una strada senza insidie. 19 Egidio Romano, Del Reggimento de' principz� volgarizzamento trascritto nel MCCLXXXVIII, a cura di Francesco Corazzini, Firenze, Le Monnier, 1 858, l. III, cap. XVII, p. 259. 20 Molto probabilmente Ezzelino da Romano: l'ipotesi, già avanzata da Selma Pfeif­ fenberger, The Iconology o/ Giotto's Virtues and Vices at Padua, Bryn Mawr College, Ph.D., 1966 ( 1 967 ) , cap. V, pp. 24 e 3 3 -3 4 , è stata confermata dalla lettura delle scritte di Giulia Ammannati nel 2 0 1 7 . 2 1 «Iniustitia l que fiducia l malis datu [r] ! l Cre[scunt] nemora; l iuris anchora, l pax fugatur. l F [ig] u[n]t spolia l ho [micid] ia, l fraus [et] dolus; l in itinere l vadit libere l predo solus. l I, [Iu] stitia ! l Gaude[n]t vitia l sta[t] [t]yramn [u]s: l rapit manibus, rodit l dentibus: l est u [t] l [r]a[m]n [u] s>>: Ammannati, Pinxit industria, ci t . , pp. 57 -62 .

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Note

22 Lorenzo Ghiberti, I Commentarii, a cura di Lorenzo Bartoli, Firenze, Giunti, 1998, p. 84 . 23 Giorgio Vasari, Vita di Giotto pittore, scultore e architetto fiorentino, in Id., Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, a cura di Rosanna Bettarini e Paola Barocchi, vol. II, Firenze, SPES, 1 967 , p. 1 1 6. Cito dalla Torrentiniana ( 1 550). Il testo della Giuntina, ibidem, molto simile, tralascia l'inciso «per mettere paura ai popoli». 24 «Dicit Comune seu Comunitas: " Sic me dilacerat, sic me genus omne cruentat. l Heu nulla hos pietas, nulla hos clementia temptat "»: Ernst von Meyenburg, Ambrogio Lorem.etti. Ein Beitrag zur Geschichte der sienesischen Malerei in vierzehnten ]ahrhundert, Zi.irich, Buchdruckerei Jean Frey, 1 903 (Ph . D. Heidelberg), p. 30. Questi tituli furono trascritti nel Quattrocento. Per ulteriore bibliografia e sul ritrovamento di un'immagine del Comune assalito, anche se tardivamente trasformato, si veda Maria Monica Donato, Dal comune rubato di Giotto al comune sovrano di Ambrogio Lorenzetti, in Immagini e ideologie, Atti del convegno internazionale di studi, Parma 2002 , a cura di Arturo Carlo Quintavalle, Milano, Electa, 2005 , pp. 489-509, p. 497 . 25 La «Sala grande» verosimilmente era quella in cui si riuniva il Consiglio del Comune: Donato, Dal comune rubato di Giotto al comune sovrano, cit., p. 495 . 26 Ibidem. 27 Salomone Morpurgo, Un a/fresco perduto di Giotto nel palazzo del Podestà di Firenze, per le nozze di Igino Benvenuto Supino con Valentina Finzi, Firenze, G. Ca­ mesecchi, 1 897 . 28 Ibidem, pp. 8-9. 29 Questa scritta, così come quella del secondo rilievo, Il Comune in signoria, è stata rifatta nel Settecento su tracce originali: Donato, Dal comune rubato di Giotto al comune sovrano, cit., p. 496. 3 0 Morpurgo, Un affresco perduto di Giotto, cit., p. 10. 3 1 Salomone Morpurgo, Bruto, «il buon giudice» nell'Udienza dell'Arte della Lana in Firenze, in Miscellanea di Storia dell'arte in onore di Igino Benvenuto Supino, Firenze, Olschki, 1 930, pp. 14 1 - 1 63 , pp. 157- 158. 32 Ancora una derivazione dai perduti affreschi di Giotto è un affresco dipinto entro la metà del Trecento, sempre a Firenze, nel Tribunale dell'Arte della Lana; in esso il giudice è sostituito da Bruto, iniziatore della Repubblica romana, con la bacchetta del giudice in mano, attorniato da quattro malvagi, respinti però dalle Virtù cardinali, gli uni e le altre dialoganti fra loro: chi tenta di assicurarsi il favore del giudice con lusinghe, chi di corrompere con una pingue borsa, chi minaccia arrogante, chi cerca di imbrogliare. L'affresco è stato ampiamente studiato da Morpurgo, ibidem; una bella riproduzione in Maria Monica Donato, La : gli a/freschi nella Sala dei Nove, in Pietro e Ambrogio Lorenzetti, a cura di Chiara Frugoni, Firenze, Menarini-Le Lettere, 2002 , p. 2 1 7 . 3 3 Thomae d e Celano Memoriale, cap. LXXIV, 1 08, Analecta franciscana vol. X , Ad Claras Aquas prope Florentiam, Ex Typ. Collegii s. Bonaventurae, 1 926-4 1 , p. 1 94 e Fonti francescane. Scritti e biografie di san Francesco d'Assisi. Cronache e altre testimo­ nianze del primo secolo francescano. Scritti e biografie di santa Chiara d'Assisi, Assisi, Movimento Francescano, 1 9782, pp. 640-64 1 . Su questo episodio, sulle circostanze sto­ riche cui si riferisce, rimando a Chiara Frugoni, Quale Francesco? Il messaggio nascosto negli affreschi della Basilica superiore ad Assisi, Torino, Einaudi, 20 1 5 , pp. 2 8 1 -289. 34 «E quando l'oste era bandita, uno mese dinanzi dove dovesse andare, si ponea una campana in su l'arco di porte Sante Marie [ . . . ] e quella al continuo era sonata di dìe e di notte [ . . . ] chiamata la Martinella [ . . . ] . E quando l'oste dei Fiorentini andava, si sponeva dell'arco e poneasi in su uno castello di legname in su uno carro, e al suono

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di quella s i guidava l'oste»: Giovanni Villani, Nuova Cronica, l . VII, 7 5 , ed. a cura di Giuseppe Porta, Parma, Guanda, 1 99 1 , vol. l, p. 370. 35 Pavia «presenta un aspetto mirabile, non solo per l'altezza delle innumerevoli torri, ma anche per l'eccelsa bellezza dei palazzi e delle chiese [ . . . ] . Il campanile della chiesa cattedrale, anche se vi sono parecchie torri un po' più alte di lui - perché sembra che non sia stato ancora completato - tuttavia per grandezza le supera tutte». (Pavia «mirabilem prebet aspectum non solum ob innumerabilium celsitudinem turrium, sed etiam propter palatiorum et ecclesiarum sublimitatem [ . . . ] . Campanile vero maioris ecclesie, licet plures sint ibi turres laicorum paulo celsiores illo, quod videtur etiam non fuisse completum, latitudine tamen superat universas». È evidente, mi sembra, il rammarico dell'Anonimo Ticinese per quel campanile irrimediabilmente più basso ) . Anonymi Ticinensis Liber de laudibus civitatis Ticinensis, a cura d i Rodolfo Maiocchi e Ferruccio Quintavalle, Rerum ltalicarum Scriptores 2, XI, l , Città di Castello, 1 903 , p. 19. L'Anonimo è da identificare molto probabilmente con Opicino de Canistris. L'opera fu composta fra il 1328 e il 1 3 3 0. 36 Nicolai Rubinstein, Politica/ ideas in Sienese Art: The Frescoes by Ambrogio Lorenzetti and Taddeo di Bartolo, in «]ournal of the Warburg lnstitute and Courtauld Institutes», 2 1 , 3/4 , 1 958, pp. 1 79-207 , p. 1 85 . 37 «Propriis neglectis laboribus et periculis naturaliter ad bonum communem inten­ dunt [. . . ]. Homines naturaliter congregantur et faciunt civitatem vel aliud commune propter utilitatem propriam ad subveniendum defectibus vite humane quibus unus subvenire non potest»: Maria Consiglia De Matteis, La «teologia politica comunale» di Remigio de' Giro/ami, Bologna, Pàtron, 1 97 7 , pp. 7 e 29. 3 8 «In bono totius absque dubio includitur bonum partis» e «bonum commune indubitanter preferendum est bono particulari, et bonum multitudinis bono unius singularis persone»: ibidem, pp. 38 e 3 . 3 9 Anche l'uso abbondante che Cola di Rienzo fece dell'immagine per l a propaganda politica con i suoi «cartelloni» indica che una tale tecnica era di,uso corrente. L'imma­ gine era per lui strumento essenziale e non semplice sussidio. E con le immagini che egli riesce a rappresentare la drammatica condizione politica ed economica di Roma, così come la speranza nella fine del tempo dell'ingiustizia. «Lo preditto Cola ammonio li Rettori e lo Puopolo allo ben fare per una similitudine la quale fece pegnere nello Palazzo de Campituoglio nanti lo Mercato»: Anonimo Romano, Vita di Cola di Rienzo, a cura di Arsenio F rugoni, Firenze, Le Monnier, 1 95 7 , p. 3 7 ; per altre descrizioni, ibidem, pp. 4 1 -42 , 48-49. 4 0 Andrea Zorzi, La questione della tirannide nell'Italia del Trecento, in Id. ( a cura di) , Tiranni e tirannide nel Trecento italiano, Roma, Viella, 2 0 1 3 , p. 19. 4 1 Ibidem, p . 28. 42 Ibidem, p. 3 0 . Mi sembra invece forzata la proposta di Andrea Zorzi di accostare tre diverse opere, gli affreschi del Lorenzetti in Palazzo Pubblico, la Nuova Cronica di Giovanni Villani, gli affreschi di Buffalmacco al Camposanto, perché rifletterebbero lo sgomento delle tre differenti società urbane di Siena, Firenze e Pisa di fronte a peri­ coli reali o previsti, anche se espresso attraverso un linguaggio positivo di benessere, di potenza o di svago: una tesi già annunciata nel titolo L'angoscia delle repubbliche. Il «timor» nell'Italia comunale degli anni trenta del Trecento, in The Languages o/ Politica/ Society: Western Europe, 1 4'h· l l'h Centuries, a cura di Andrea Gamberini, Jean-Philippe Genet e Andrea Zorzi, Roma, Viella, 2 0 1 1 , pp. 287 -324. Si tratta di tre situazioni storiche troppo differenti fra di loro e inoltre mi è difficile comprendere la ragione di comunicare un messaggio esponendo il suo contrario.

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Note

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1 Agnolo di Tura del Grasso, in Cronache senesi, p. 522. 2 Doveva costituire con altre tavole i lati della Deposizione della croce: Enzo Cadi, Montalcino. Museo civico. Museo diocesano d'arte sacra, Bologna, Calderini, 1 972, pp. 13 - 1 5 , figg. 29 e 3 1 . 3 La donna avrebbe ricevuto come compenso esattamente la metà del suo compa­ gno manovale; lo dimostra, pagamenti alla mano, Max Seidel, «Dolce vita». Il ritratto dello stato senese dipinto da Ambrogio Lorenzetti, in Arte italiana del Medioevo e del Rinascimento, voli. I-II, vol. I, Pittura, Venezia, Marsilio, 2003 , pp. 245 -292 , p. 254. 4 Ibidem, p. 267 . L'autore a sostegno della sua ipotesi sottolinea: «La pari altezza della torre raffigurata nell'affresco e di quella del Palazzo Pubblico com'era nel 133839, l'osservazione della forma dell'edificio, coincidente fin nel numero delle buche pontaie, l'assenza di altre torri in mattoni di grandezza simile in costruzione a Siena in quel periodo; la coerenza con il tenore del programma pittorico dell'importanza della Torre del Mangia, vistoso simbolo della considerazione di sé e dell'immenso entusiasmo edilizio dei Nove». 5 Francesco da Barberino, Documenti d'amore, a cura di Francesco Egidi, vol. III, Roma, Società filologica romana, 1 924, pp. 253 -257. 6 Seidel, «Dolce vita». Il ritratto dello stato senese, cit . , pp. 245-292, p. 262. 7 Ibidem, pp. 267-278, figg. 20 a p. 262 e 24 a p. 264. 8 Duccio Balestracci e Gabriella Piccioni, Siena nel Trecento, assetto urbano e strutture edilizie, Firenze, Edizioni CLUSF, 1 997 , pp. 99- 1 0 1 . 9 Seidel, . Il ritratto dello stato senese, cit . , fig. 16 a p . 260 e p . 268. 10 Al tempo del Lorenzetti solo una sposa poteva portare la corona: Maria Assunta Ceppari Ridolfi e Patrizia Turrini, Il mulino delle vanità. Lusso e cerimonie nella Siena medievale, Siena, Il Leccio, 1 993 , p. 172. 11 Nirit Ben-Aryeh Debby, War and peace: The description o/ Ambrogio Lorenzetti's frescoes in Saint Bernardino 's 1 425 Siena Sermons, in «Renaissance Studies», 1 5 , 3 , 200 1 , pp. 272 -286. 12 Bernardino da Siena, Le prediche volgari, a cura di Ciro Cannarozzi, Predicazione del 1 425 in Siena, Firenze, E. Rinaldi, 1958, vol. II, p. 266. 1 3 Ibidem, vol. III, p. 25 1 . Questo passo è citato da Max Seidel, Studi sull'iconografia nuziale del Trecento, in Arte italiana del Medioevo e del Rinascimento, 2 voli., vol. I , Pittura, cit. , p p . 409-442 , p p . 424-425 . 14 Ibidem, pp. 409-442 , p. 427 . 15 Su questo argomento: Chiara Frugoni, L'iconografia del matrimonio e della coppia nel Medioevo, in Il matrimonio nella società altomedioevale, Spoleto, Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo, 1 97 7 , vol. II, pp. 90 1 -963 . 16 Come mi comunica Alessandro Bagnoli, che ringrazio, in questo punto e poco più in là, dove doveva essere rappresentata l'attività di un cambiavalute, il dipinto è stato volutamente manomesso, per una intenzionale censura. 17 Su questo tema e in generale per una riflessione sul gioco nel Medioevo fra re­ golamentazione e proibizione, si veda Alessandra Rizzi, Ludus/ludere. Giocare in Italia alla fine del Medio Evo, Roma-Treviso, Viella-Fondazione Benetton, 1 995 . 18 Per l'intera spiegazione della messa del diavolo: Bernardino da Siena, Le prediche volgari, cit . , predica XII del 6 maggio, pp. 1 8 1 - 1 83 . 1 9 Maurizio Tuliani, Il Campo di Siena. Un mercato cittadino in epoca comunale, in «Quaderni medievali», 46, 1 998, pp. 59- 1 00, pp. 82 e 60: oltre a un apposito spazio nel

Capitolo 7

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Campo, chi aveva una casa o bottega sul Campo poteva tenere uno o due «tavolieri» per giocare. Colgo l'occasione per ringraziare l'autore per i tanti consigli bibliografici che mi ha fornito in una cordiale e fitta corrispondenza durante la stesura di questo libro. 20 Interpreta questa tavoletta come un riflesso del clima di moralizzazione propa­ gandato da san Bernardino Fr. Ellon, Tavolette dipinte della Biccherna di Siena che si conservano nel Museo di Berlino, Siena, Tip. L. Lazzeri, 1 895 , pp. 1 02 ss. Per il testo della predica: Bernardino da Siena, Le prediche volgari, cit. , vol. I, predica del 2 aprile 1424, pp. 425 -443 . Il passo riguardante le donne è a p. 43 3 . 21 Ibidem, p. 429. 22 «Terza predica del restituire, cioè quando tu debbi restituire»: ibzdem, pp. 254-255. 21 Gabriella Piccinni, Il sistema senese del credito nella fase di smobilitazione dei suoi banchi internazionali. Politiche comunali, spesa pubblica, propaganda contro l'u­ sura, in Ead. (a cura di) , Fedeltà ghibellina, affari guelfi. Saggi e riletture intorno alla storia di Siena fra Due e Trecento, Pisa, Pacini, 2008, vol. I , pp. 209-289, p. 2 1 5 , che rimanda a Lucia Travaini, La moneta in viaggio, in G. Piccinni e L. Travaini, Il libro del pellegrinaio (Siena 1382- 1 446), Napoli, Liguori, 2003 , pp. 96-97 (a p. 96 è riportato il passo di Ugo di San Vittore) . 24 Ringrazio Reinhold Mueller per queste precisazioni. 25 Tuliani, Il Campo di Siena. Un mercato cittadino in epoca comunale, cit., pp. 59- 1 00, p. 87 . 26 Di solito le stoffe erano vendute a torselli, quindi in rotoli, ma alcuni tessuti si vendevano a peso, così come i veli che venivano anche ripiegati. Si veda Angela Orlandi, Le merciaie di Palma. Il commercio dei veli nella Maiorca di fine Trecento, in Dare credito alle donne. Presenze femminili nell'economia tra medioevo ed età moder­ na, a cura di Giovanna Petti Balbi e Paola Guglielmotti, Asti, Centro studi Renato Bordone, 2 0 1 2 , pp. 149- 1 66, p. 1 60. 27 Si veda supra, cap. III, p. 52. Un elenco dei casati esclusi dalla suprema magi· stratura è dato da Luigi Sbaragli, I mercanti di mezzana gente al potere di Siena, in «Bullettino Senese di Storia Patria», n.s., 44 , 1 93 7 , pp. 35 -63 , p. 59. 28 Jane Bridgeman, Ambrogio Lorenzetti dancing >, 1 5 Sorio, Bartolomeo, 3 02 Sozo Dei, 3 9 Spes (Speranza) , Virtù, 1 3 , 84 , 1 12 , 1 1 4 , 126, 175, 177, 1 82 Stahli, Marlis , 3 05 Stopani, Renato, 325 Stuart, Robert, 325 Stultitia, Vizio, 1 82 Suntrup, Heinz, 324 Superbia, Vizio, 15, 1 07 , 1 1 9 , 122 - 124, 126, 128, 138, 176, 178

Supino, Igino Benvenuto, 1 92 Szab6, Thomas, 325, 327 Taddeo di Bartolo, 1 06, 1 07 Talomei , vedi Tolomei Tarlati, famiglia senese, 1 1 1 , 200 Tarlati, Guido, 1 9 1 - 1 93 , 1 95 Tem(n )perantia ( Temperanza ) , Virtù, 1 3 , 84, 1 02 , 1 03 , 1 06, 107 , 1 09, 1 82 , 1 9 1 Terenzi, Pierluigi, 298 Tevere, 295 Thibodeau, Timothy M., 3 0 1 Timor, 1 5 , 16, 1 3 8 , 153 , 154, 255 Tini, Beato Nicolò, 55 Tirannide ( Tyrannides) , 7, 1 1 , 1 5 , 24, 25, 59, 60, 70, 84 , 92 , 1 1 3 , 1 1 9, 120, 122125, 1 2 7 , 128, 137, 138, 140, 142, 146, 155, 159, 165, 167 , 169, 1 7 1 , 176, 1 7 9, 1 82 , 1 89, 1 9 1 , 1 93 , 1 96, 1 99, 20 1 , 205 , 255 , 2 84 Tizio, Sigismondo, 2 9 1 Tolomei, casato senese, 36, 3 7 , 3 9 , 47 , 4 9 , 1 6 1 , 27 1 , 2 9 9 Tolomei, Agnolo d e ' , 47 Tolomei, Curado de' , 47 Tolomei, Deo de', 39, 40, 297 , 299 Tolomei, Granello de' , 47 Tolomei, Nicholò de' , 47 Tolomeo, Claudio, 157 Tolomeo da Lucca, 1 1 5 Tommaso da Celano ( Thomas de Celano), 1 96, 320 Tommaso d'Aquino (Thomas de Aquino), 69, 92 , 1 3 1 , 3 02 , 3 12 Toro, segno zodiacale, 236 Torresani, famiglia, 1 7 9- 1 8 1 Travaini , Lucia, 323 Tuliani, Maurizio, 322-326 Turrini, Patrizia, 322 Tyrannides, vedi Tirannide Ugo di San Vittore, 225 , 3 23 , 327 Ugurgieri Azzolini, Isidoro, 3 1 3 Ulpiano, Eneo Domizio, 3 1 8 Valeria, Giulia, 298 Vanagloria, Vizio, 15, 123 , 124, 126-128, 178 Vanni, Andrea, 1 00, 308 Vanni, detto il Malìa, vedi Abati del Malìa, Vanni degli Vasari, Giorgio, 23 , 1 3 5 , 1 3 7 , 1 90, 1 9 1 , 1 94 , 2 9 6 , 3 1 3 ' 320 Vauchez, André, 307, 326 Veglio ( Vecchio) , il grande, vedi Comune/ Ben Comune

Indice dei nomi e delle cose notevoli Venere ( Venus) , pianeta, 1 5 , 236, 2 3 7 , 3 15 Venturino da Bergamo, 5 0 Verdier, Paul, 3 1 8 Veritas, 3 1 2 Vernant, Jean-Pierre, 287 , 328 Veronica, la, 275 , 276, 278, 326 Villani, Filippo, 94, 3 07 Villani, Giovanni, 90, 94, 1 3 7 , 1 3 9 , 1 5 7 , 198, 3 07 , 3 1 3 , 3 15 , 3 2 1 , 324 Villani , Matteo , 3 07 Virtù ( Virtutes) , 1 7 , 63 , 65 , 69-7 1 , 76, 80, 84, 92 , 94 , 96, 1 00, 1 02 , 1 06, 1 07 ' 1 1 2 , 1 1 4 , 1 1 5 , 127 , 128, 1 3 0 , 1 3 7 , 1 75 - 1 7 7 , 1 7 9 , 1 87 , 1 90, 1 9 1 , 1 94 , 235 , 295 , 307, 3 12 , 3 17 - cardinali , 1 3 , 84, 88, 89, 1 1 2 , 1 7 7 , 1 82 , 1 9 1 , 320 - teologali, 1 2 , 15, 84 , 88, 89, 1 1 4 , 126, 175, 177, 1 82 Vittore, santo patrono di Siena, 29, 42, 95 , 96

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Vittore I, 94 Vittoria, la, 2 1 , 1 85 , 3 1 9 Vizi ( Vitia ) , i, 1 5 , 1 7 , 80, 8 1 , 1 1 9, 124, 125, 1 2 7 , 128, 1 3 0 , 13 1 , 137, 142, 146, 1 76178, 1 82 , 187, 1 89, 1 90, 1 93 , 20 1 , 3 1 9 Wainwright , Valerie, 294 Walther, Hans, 3 07 Weber, Christoph Friedrich , 3 09 White, John , 3 1 7 White, Lynn , 3 08 Wiligelmo, 3 1 2 Wolf, Gerhard , 295 , 3 06 Yates, Frances A . , 3 0 1 Zallot , Virtus, 324 Zarri, Gabriella, 325 Ziemke , Hans-Joachim , 3 05 Zorzi, Andrea, 200, 308, 3 2 1

Crediti Nel fornire la lista dei crediti relativi alle immagini, desideriamo innanzi tutto esprimere la nostra viva riconoscenza al Comune di Siena che ha gentilmente concesso il permesso di riprodurre in questo libro intere sezioni o dettagli delle seguenti opere presenti in Palazzo Pubblico: affreschi di Ambrogio Lorenzetti (Sala della Pace ) , pala della Maestà di Simone Martini ( S ala del Mappamondo) , affreschi di Taddeo di Bartolo, Uomini illustri e Virtù (Anticappella) . Si ringrazia la Direzione Polo Museale e in particolare la dottoressa Veronica Randon per il suo aiuto competente e la generosa disponibilità. Figg. 5 , 6 , 8 , 1 2 - 1 9 , 22-3 1 , 3 3 -3 7 , 4 1 , 43 , 46, 49, 5 0-52 , 5 4 , 5 5 , 5 9-65 , 67-69, 7 1 76, 7 8 , 7 9 , 8 1 -85 , 87 ·90, 93 - 1 04 , 1 07 - 1 1 3 , 1 1 5 , 1 3 4 , 1 3 8 - 1 40, 1 4 2 , 143 , 1 45 , 1 4 9 , 1 5 0 , 1 5 2 , 1 5 3 , 1 5 5 - 1 5 7 , 1 60, 1 6 1 - 1 69 , 17 1 , 1 7 3 - 1 8 1 , 1 84 - 1 93 , 1 95 - 1 98 , 202 -209: su concessione del Comune di Siena ( Foto Roberto Testi ) ; 4 : colaimages l Alamy Stock Photo; 7: su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Polo museale della Toscana. Foto Archivio Pinacoteca Nazionale di Siena ; 9: © NBE - Numismatische Bilddatenbank Eichstatt. Si ringrazia Jiirgen Malitz; 1 1 : © Princeton University Art Museum; 2 1 : Biblioteca Laurenziana, Firenze; 3 2 , 7 7 : su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali - Biblioteca Nazionale Marciana; 3 8 , 3 9 , 5 3 , 66, 9 1 , 92 , 1 1 4 , 1 3 5 , 1 82 , 1 83 : © Kunstpalast ­ Horst Kolberg - ARTOTHEK; 42 : Burgerbibliothek, Bern ; 44 : © Max Seidel; 45 : © Alessandro Bagnoli; 4 7 : Peter Horree l Alamy Stock Photo; 48: © Statens Museum for Kunst, K0benhavn ; 5 6 : Museo dell 'Opera del Duomo, Firenze; 5 7 : © British Library Board . Ali rights reserved l Bridgeman Images; 80: Biblioteca Apostolica Vaticana, Città del Vaticano; 86, 1 4 1 , 144 , 1 4 6 : © Foto Donato Cioli ; 1 05 , 1 06: © Foto Alessandro Bagnoli; 1 1 6 : Studienbibliothek, Salzburg; 1 1 7 : © Metropolitan Museum of Art , New York; 1 1 8 - 1 2 1 : © Foto Ghigo Roli; 1 2 2 : su concessione del Comune di Modena. Si ringrazia Francesca Piccinini; 1 2 3 , 126, 1 2 7 , 1 2 8 : © 20 1 9 . A . Dagli Orti l Scala , Firenze; 124 : The Picture Art Collection l Alamy Stock Photo; 1 2 5 , 1 2 9 , 1 3 0, 1 3 3 , 1 5 9 : © 20 1 9 . Foto Scala, Firenze; 1 3 1 , 1 3 2 : © 20 1 9. De Agostini Picture Library l Scala, Firenze; 1 4 7 , 1 4 8 : © 20 1 9 . Museum of Fine Arts , Boston l Scala, Firenze; 1 7 0 : BNF, Paris ; 1 94 : Photolocate l Alamy Stock Photo; 200, 20 l : su concessione del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali. Polo museale della Toscana.

Finito di stampare nel mese di settembre 2 0 1 9 presso la Tipografia Casma, Bologna Stampato su carta Symbol Freelife Satin di Fedrigoni S.p.A. prodotta nel pieno rispetto del patrimonio boschivo Dtp: Liligraf sas, San Lazzaro di Savena (Bo) Legatura: Legatorialeb srl, Villanova di Castenaso (Bo) www. legatorialeb.it