Paolo e il giudaismo palestinese. Studio comparativo su modelli di religione 8839402063, 9788839402066

Nella prima parte del libro è istituito un confronto fra le varie for­me di giudaismo, ed è presentata un'ipotesi s

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Italian Pages 848 [842] Year 2000

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Paolo e il giudaismo palestinese. Studio comparativo su modelli di religione
 8839402063, 9788839402066

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ED PARISH SANDERS

PAOLO E IL GIUDAISMO PALESTINESE Studio comparativo su modelli di religione Edizione italiana a cura di MAuRo PEscE

Titolo originale dell 'opera: E.P. Sanders Paul and Palestinian ]udaism. A Comparison of Patterns o/ Religion Traduzione italiana di Pier Cesare Bori Revisione di Mauro Pesce © SCM Press, London 1977,21984 © Paideia Editrice, Brescia 1986

.-In memoria di Susan Phillips 2lugl. 1 947 - 26 sett. 1 9 7.5

PREFAZIONE

Il presente lavoro è il risultato di un periodo piuttosto lungo di ricerca e di studio, durante il quale intervenne per lo meno un mutamento di primaria importanza quanto all'obbiettivo preciso della ricerca. Cominciai cercando di lavorare seria­ mente intorno a quello che allora consideravo lo sfondo giu­ daico del Nuovo Testamento nel 1962-63, quando studiai e­ braico rabbinico e moderno a Oxford e a Gerusalemme. Pen­ sando che non era opportuno intraprendere studi compara­ tivi troppo presto e sotto la stretta di tempo di un program­ ma di dottorato, la mia tesi non consistette in uno studio com­ parativo, sebbene continuassi a prospettarmi dei lavori su va­ ri aspetti del giudaismo. Nel z966 mi diedi ad esaminare la teoria sul giudaismo di Goodenough: una piccola isola di giu­ daismo rabbinico in un vasto mare di giudaismo mistico, for­ temente ellenizzato. Lavorai sui materiali di Goodenough per due anni, poi, durante un congedo di un anno, tornai alle fon­ ti in lingua ebraica. In questo periodo non solo arrivai all'ov­ via conclusione che il giudaismo dev'esser studiato autono­ mamente, ma, via via che sempre più mi immergevo nello studio della religione rabbinica, cominciavo a 1nettere a fuoco un progetto alquanto differente da quello formulato prece­ dentemente: uno studio comparativo limitato al giudaismo palestinese e al più ovvio tra gli autori neotestamentari, Pao­ lo. Il presente lavoro è il risultato di quello studio. Quanto più studiavo le fonti giudaiche, tanto più diveniva evidente che sarebbe stato errato ed inutile scrivere come se non fossi anzitutto uno studioso del Nuovo Testamento. Gli studiosi del Nuovo Testamento che hanno scritto sul giudai­ smo hanno talvolta preteso di atteggiarsi a cultori di una neu-

IO

Prefazione

trale «storia delle religioni>>, in rapporto alla quale difettava loro prospettiva e preparazione culturale specifica: ho cercato di evitare quest'errore. D'altro canto ho cercato di evitare il tranello op posto, quello di limitare la descrizione del giudai­ smo a motivi particolari che appaiano direttamente paralleli a motivi di Paolo o direttamente rilevanti in ordine allo sfon­ do in cui egli si colloca. Ho cercato di paragonare il giudaismo, compreso nei suoi stessi termini, con Paolo} compreso nei suoi stessi termini. Spero che questo tentativo risulterà un utile contributo non solo alla comprensione di Paolo e della sua relazione con il giudaismo, ma allo studio del giudaismo in sé. Se non posso insegnare nulla a un talmudista sulla religio­ ne talmudica} spero almeno che risultino utili la discussione sulle strutture e il «funzionamento» di quella religione e l'im­ postazione del confronto con le altre forme di giudaismo. Il presente studio può mettere il lettore dinanzi al proble· ma della foresta e degli alberi, e occorre dire subito una paro­ la in proposito. La «foresta>> in questo caso è in realtà dupli­ ce}· si tratta, a parte la metafora, di due comparazioni. Nella prima parte del libro è istituito un confronto fra le varie for­ me di giudaismo, ed è presentata un'ipotesi sulla natura del giudaismo palestinese. Nella seconda è istituito un confronto tra Paolo e il giudaismo palestinese, con la presentazione di un'ulteriore ipotesi. Via via vengono offerte trattazioni stori­ co-religiose piuttosto ampie, in relazione alle diverse lettera­ ture prese in considerazione. Concludo ogni capitolo difen­ dendo una precisa tesi: sostenendo cioè che la religione che si riP,ette in questo o quel corpus di letteratura (la letteratu­ ra rabbinica primitiva, i manoscritti del Mar Morto, parecchie opere apocrife e pseudoepigrafe, le lettere di Paolo) deve es­ sere intesa, in ciascun caso, in un modo piuttosto che in un altro. Tutte queste discussioni sono importanti in ordine alle tesi più generali, e ho cercato che ogni capitolo e sezione fos­ sero degni di accurata considerazione in quanto trattazioni au­ tonome del materiale discusso. D'altra parte lo scopo com­ plessivo del lavoro è di portare a termine le due comparazio­ ni sopra indicate. Così, in merito alla faccenda della foresta e

l'refa:.ione

I :t

degli alberi, bisogna precisare. Il lettore interessato soprattut.. to alla comparazione dovrà aver chiaro che, per istituire para­ goni, occorrono entità ben definite, e dovrà aver la pazienza di leggere alcune centinaia di pagine di descrizione di quelle en­ tità prima che io ne intraprenda il confronto. Il lettore prima1'iamente attento agli aspetti storico-religiosi emergenti dal corpus letterario che più lo interessano dovrà aver chiari i li­ miti imposti dalla finalità comparativa del libro preso nel suo insieme. Con questi rilievi non intendo sottrarmi alla critica proveniente da questo o quel lato, ma solo informare circa la relazione tra le parti e il tutto. Un altro modo di presentare il tema consiste nello spiega­ re che sto cercando di raggiungere almeno sei risultati. I prin­ cipali obiettivi sono infatti: affrontare il problema metodologico della comparazione tra due (o più) religioni correlate ma diverse; distruggere la concezione del giudaismo rabbinico preva­ lente tra larga parte (forse la maggior parte) degli studiosi del Nuovo Testamento; affermare una diversa concezione del giudaismo rabbinico/ offrire una trattazione complessiva di un tipo di giudaismo, quello palestinese (ovvero, del·giudaismo come si riflette nel materiale di provenienza palestinese); proporre argomenti a favore di una certa i nterpretazione di Paolo,· svolgere un confronto tra Paolo e il giudaismo palestinese. Questi diversi obiettivi non sono contraddittori ma com­ plementari e ritengo ragionevole cercare di raggiungerli tutti con un solo libro. Andrebbe notato che il quarto e il sesto co­ stituiscono lo scopo generale del libro, mentre spero di rag­ giungere gli altri lungo la strada. La discussione a favore o contro determinate posizioni rin­ via naturalmente in qualche misura al dibattito specialistico e il lettore ne verrà normalmente informato con l'introduzio­ ne e con i capp. secondo, terzo e quinto. Il cap. primo, che tratta della religione rabbinica, merita una menzione speciale, perché qui particolarmente spiccata è la critica alle posizioni

12

Prefll%ione

di parecchie generazioni di studiosi di Nuovo Testamento. Il capitolo fu originariamente scritto in termini quasi comple­ tamente positivi: solo nella terza o quarta revisione fu intro­ dotta la discussione critica di una certa concezione della reli­ gione rabbinica. Spero che una attenta lettura della sezione prima del cap. primo indicherà perché ho ritenuto necessario introdurre un tono di aspro rifiuto: affermazioni più attenua­ te sono rimaste inascoltate e sono ora citate a favore di posi­ zioni cui in realtà si opponevano. Via via che leggevo libri in cui gli stessi testi continuavano ad esser fraintesi, appariva sempre più necessario affrontare l'equivoco con una certa am­ piezza, e questo implica non solo la critica dei fraintendimen­ ti, ma anche la piena citazione di numerosi passi cui spesso si fa riferimento solo in nota. Così il cap. primo è risultato non solo polemico, ma esteso. Raggiungere una corretta compren­ sione del giudaismo rabbinico, una religione così spesso frain­ tesa, è cosa abbastanza importante da giustificare una critica esplicita e dettagliata e un uso abbondante delle citazioni. No­ nostante tutta la negatività della critica, perseguo uno scopo positivo: l'affermazione di una miglior comprensione del rab­ binismo tra gli studiosi del Nuovo Testamento. Una volta sollevata la questione della polemica sul giudai­ smo rabbinico, il lettore forse si domanderà se non vi sia un problema di antisemitismo. Non è così. Uno studioso ebreo di mia conoscenza si dichiarò disposto ad indicarmi quali, tra gli studiosi della vecchia generazione le cui posizioni io criti­ co, fossero di fatto antisemiti, ma non accettai quest'offerta. Dal mio punto di vista, la concezione che qui viene attaccata è sostenuta perché si ritiene corrisponda ai dati documentari e io l'attacco perché non ritengo che vi corrisponda. La sto­ ria della relazione tra interpretazioni scientifiche del giudai­ smo e antisenzitismo è assai complessa, ma il presente lavoro non è un contributo teso a chiarirla. L'accusa di fraintendi­ mento dev'essere intesa semplicemente come suona, null'altro. Ciascuna sezione del lavoro ha presentato le proprie dif­ ficoltà, ma forse solo una difficoltà connessa allo scrivere intor­ no a Paolo dev'essere menzionata qui. La letteratura seconda-

Prefazione

I3

ria su Paolo è vasta e non risultò possibile riassumere e discu­ tere tutte le posizioni su ogni punto. Vi sono alcune questioni di interesse perenne negli studi paolini che non ho neppur menzionato: la questione dell'identità degli avversari di Pao­ lo, ad esempio, è stata esclusa dalla discussione, e questa esclu­ sione ha comportato fassenza di riferimento ad una vasta let· teratura secondaria. La sezione su Paolo è stata scritta avendo dinanzi tre posizioni: R. Bultmann e la scuola bultmanniana, A. Schweitzer e W.D. Davies. I primi furono scelti perché pre­ sentano due tra i principali modi di intendere Paolo, tra loro più o meno radicalmente opposti, e il terzo per l'ovvio signifi­ cato della posizione di W.D. Davies per la questione di Paolo e il giudaismo. Altre posizioni scientifiche sono discusse su pun· ti particolari ma ho sistematicamente cercato di esporre il mio punto di vista contro (e talvolta d'accordo con) le tre posizio­ ni indicate. x La ricerca in ordine a questo libro e la sua redazione sono state sostenute da generosi contributi e sono lieto di poter ri­ conoscere il mio debito e la mia gratitudine alle istituzioni e organizzazioni che mi hanno aiutato: la McMaster University per una serie di borse estive che hanno sostenuto la ricerca nelle sue prime fasi,· il Canada Council per una borsa posi­ dottorale che mi permise un anno di studio a Gerusalemmej l'American Council of Learned Societiesj il Killam Program del Canada Council per una borsa per la ricerca avanzata che non solo mi ha concesso il tempo per completare lo studio, ma ha provveduto anche ai fondi per la segreteria e per l'assi­ stenza alla ricerca, ai viaggi per discutere gli abbozzi delle di­ verse sezioni con altri studiosi, alle visite ad altre biblioteche e a tutte le varie spese che si incontrano nella produzione di un manoscritto. Senza questi aiuti il manoscritto sarebbe ri­ masto un ammasso di note e di abbozzi. I. [ Non traduciamo il paragrafo seguente (di 15 righe, p. XIV dell'originale inglese) in cui l'autore spiega il metodo seguito nella traslitterazione dei termini ebraici, dei nomi rabbinici e dei titoli delle opere ebraiche. Nella nostra traduzione ita­ liana, discostandoci da Sanders, abbiamo invece adottato gli usuali criteri di tra­ alitterazione della Paideia Editrice.]

Prefazione

Se sono grato per l'aiuto economico, tanto più lo sono agli studiosi che hanno letto e discusso il manoscritto con me. Per anni ho dato la caccia a chiunque trovassi capace di discutere su Paolo e il giudaismo: intendo così ringraziare tutti insieme i numerosi studiosi che hanno risposto alle mie domande e di­ scusso le mie teorie. Una menzione speciale farò di due miei colleghi, il dr. Ben Meyer e il dr. Al Baumgarten, e ancora del pro/. C.F.D. Moule, del pro/. fohn Knox e del dr. ].A. Zies­ ler: con tutti ho avuto conversazioni particolarmente detta­ gliate e fruttuose. Cinque studiosi hanno letto larghe parti del manoscritto in una prima redazione e con quattro di loro ho potuto anche discuterne. Il pro/. Samuel Sandmel e il pro/. Wayne Meeks lessero entrambi il cap. primo e il cap. quinto e discussero i due capitoli con me con una certa ampiezza. Il prof. W.D. Davies lesse l'introduzione, parte del cap. primo e tutto il cap. quinto. Gli sono grato tanto per il suo grande e continuo incoraggiamento che per la sua critica su parecchi punti. Il prof. B.Z. Wacholder lesse il cap. primo e le sue os­ servazioni mi hanno evitato parecchi errori. Il dr. Gerd Lu­ demann lesse la penultima stesura dell'intero manoscritto. Le sue osservazioni mi hanno permesso di correggere parecchi errori. Egli mi fece inoltre utili commenti in ordine al conte­ nuto. Sento un debito profondo verso questi studiosi che, tutti, mi hanno dedicato il loro tempo. Le loro osservazioni e suggerimenti hanno notevolmente migliorato il nzanoscritto e sono lieto di esprimere qui a loro il mio apprezzamento e la mia gratitudine. Oltre all'usuale (e perfettamente corretta) dichiarazione che coloro che così gentilmente mi hanno aiu­ tato non sono responsabili per gli errori che fossero rimasti, devo aggiungere che talvolta sono dovuto rimanere in disac­ cordo con alcuni di coloro che lessero il manoscritto. I motivi di disaccordo spesso fornirono temi di discussione tra i più fruttuosi e spero che, tradotti in iscritto, giungano ad interes­ sare un più vasto pubblico. Ho un debito di riconoscenza d'altro tipo per una persona non più vivente, il dr. Mordechai Kamrat. Il dr. Kamrat, me­ glio noto come «padre» del sistema Ulpan· in. Israele, era un

Pre/a%ione

impareggiabile maestro di ebraico. Per quanto il suo ambito accademico non fosse il talmudismo, aveva una conoscenza enciclopedica della letteratura rabbinica (come di molte altre cose). Sebbene gravato da numerose responsabilità, egli si fe­ ce carico privatamente del mio studio di ebraico moderno e rabbinico nel I963 e nel z968-69. Perché si abbia un'idea del tempo che dedicò alla mia formazione e del debito incal­ colabile che a lui mi lega dirò che leggemmo insieme la mag­ gior parte di tre dei quattro principali midrasim tannaitici, parecchi trattati della Misna e della Tosefta e brani dei mi­ drasim tannaitici minori. La lettura fu necessariamente rapi­ da, ma mi diede l'occasione di misurarmi con la letteratura tannaitica in un modo altrimenti impossibile. La morte pre­ matura del dr. Kamrat nel I970 privò il mondo d'un uomo di grande cultura e di prodigiose capacità, e d'un cuore e di uno spirito più grandi ancora. I miei assistenti nella ricerca alla McM aster University han­ no contribuito materialmente al lavoro. Il dr. Manfred Brauch ha preparato una rassegna della ricerca sull'espressione or.xat­ OO"V'V1') t)Eou, che si trova come appendice al cap. quinto. Il dr. Phil Shuler ha verificato i riferimenti ai manoscritti del Mar Morto. Il dr. Benno Przybylski ha controllato i riferi­ menti alla letteratura rabbinica e mi ha fornito osservazioni che hanno chiarito alcuni punti. Ha anche speso ore e ore di fatica nel leggere le bozze. Phyllis Koetting ha fatto le ultime correzioni sul testo a stampa, battuto a macchina parecchie delle pagine riviste, preparato la bibliografia, e contribuito alla correzione delle bozze. A tutti sono riconoscente per il lavoro accurato. Il carico principale di lavoro nella preparazione del mano­ scritto per la stampa è stato di Susan Phillips. Tra il I969 e la fine del I975 ella contribuì a organizzare e a svolgere i miei doveri amministrativi in modo che io avessi tempo per la ri­ cerca e per scrivere, batté a macchina un'infinità di abbozzi delle diverse parti del manoscritto, uniformò le note a piè di pagina e il manoscritto alle esigenze della stampa, controllò le citazioni in inglese dei capp. primo e terzo e infine preparò,

Prefazione

nei primi giorni del settembre I 9 7 5 un manoscritto presso­ ché perfetto di circa I IOO pagine. Già solo per questi motivi le avrei espresso la mia più viva ammirazione, considerazio­ ne, gratitudine. Ma, quando morì, avevamo sperato in una lunga e felice vita comune. Questo libro è dedicato alla memo­ ria di lei} e di quella speranza.

ABBREVIAZIONI

AB

AGJU ATANT BASOR BBB BWANT BZ BZAW CBQ D]D EvT Exp ExpT FRLANT HNT HTR HUCA ICC IDB IEJ JBL JE JJS JQR JR JSJ JSS JTC

Analecta Biblica, Roma Arbeiten zur Geschichte des antiken Judentums und des Urchristentums, Leiden Abhandlungen zur Theologie des Alten und Neuen Te­ staments, Ziirich Bulletin of the American Schools of Orientai Research, New Haven, Conn . Bonner Biblische Beitrage, Bonn Beitrage zur Wissenschaft vom Alten und Neuen Te­ stament, Stuttgart Biblische Zeitschrift, Paderbom Beiheft zur Zeitschrift fiir die alttestamentliche Wis­ senschaft, Berlin Catholic Biblica! Quarterly, Washington Disceveri es in the Judaean Desert, Oxford Evangelische Theologie, Miinchen The Expo si tor, London Expository Times, Edinburgh Forschungen zur Religion und Literatur des Alten und Neuen Testaments, Gottingen Handbuch zum Neuen Testament, Tiibingen Harvard Theological Review, Cambridge, Mass. Hebrew Union College Annua!, Cincinnati The lnternational Criticai Commentary, Edinburgh Interpreter's Dictionary of the Bible, New York Israel Exploration Journal , Jerusalem Journal of Biblical Literature, Philadelphia The Jewish Encyclopedia, New York and London Journal of Jewish Studies, London Jewish Quarterly Review, London Journal of Religion, Chicago .Tournal for the Study of Judaisrn, Leiden The Journal of Semitic Studies, Manchester Journal of Theology and the Church, New York and Tiibingen

Abbreviazioni

18

Theological Studies, Oxford Kerygma und Dogma, GOttingen Novum Testamentum, Leiden New Testament Studies, Cambridge Proceedings of the American Academy of Jew ish Re­ search, New York Revue Biblique, Paris Revue d 'Hi stoire et de Pbilosophie Religieuses, Stras­ Journal of

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Revue de l'Histoire des Religions, Paris Revue de Qumran, Paris Recherches de Science Religieuse, Paris Studien zum Alte n und Neuen Testament, Miinchen St r ac k-Bi llerbeck , Kommentar Studies in Biblica! Theology, London Studia Judaica, Berlin Scottish J ournal of Th eo logy , Edinburgh Supplements to Novum Testamentum, Leiden Studiorum Novi Testamenti Societas, Oxford Society for New Testament Studies Monograph Series, Cambridge Studia Post-Biblica, Leiden Studia Theologica, Lund Studies an the Texts of the Desert of Judah, Leiden Studien zur Umwelt des Neuen Testaments, Gottingen Theologisches Worterbuch zum Neuen Testament, Stuttgart

Theologische Literaturzeitung, Leipzig Texte und Untersuch un gen, Berlin Th eologische Zeitschrift, Basel Union Seminary Quarterly Review, Ne w York Vetus Testamentum, Leiden Wissenschaftliche Mono graphien zum Alten und en Testament, Neukirchen

Neu­

Vale Judaica Series, New Haven, Conn. alttestamentliche Wissenschaft, Ber­

Zeitschrift fiir die lin Zeitschrift fiir d ie

neutestamentliche Wissenschaft und die Kunde des Urchristentums, Berlin Zeitschrift fiir Theologie und Kirche, Tiib ingen

Le opere vengono in genere c it ate in forma abbreviata . Tutti i dati bi­ bliografici sono forniti nella bibliografia.

INTRODUZIONE

I. PAOLO E IL GIUDAISMO NELLA RICERCA NEOTESTAMENTARIA

L'espressione per determinare quale parte del mondo antico abbia più influenzato Paolo e sotto quali profili . 1 La limi­ tazione alla letteratura giudaica palestinese come punto di riferi­ mento è essenzialmente pratica. Non si può discutere tutto in una sola volta. Solleveremo tuttavia brevemente in conclusione il pro­ blema della relazione tra Paolo e il giudaismo ellenistico, come è co nosciuto attraverso Filone. In ogni caso non è intenzione del presente studio di individuare fonti e influenze, che pur saranno talvolta discusse nel corso del lavoro, ma di confrontare la religio­ ne di Paolo e la sua concezione della religione con quelle che ri­ sultano dalla letteratura giudaica palestinese. Non sembra necessario presentare una rassegna esaustiva delle posizioni in merito al problema della relazione tra Paolo e il giu­ daismo palestinese. D'altra parte, il disaccordo tra gli studiosi a proposito di tale relazione è stato ampio . Senza addentrarsi in una esposizione dettagliata, è possibile discernere alcune tendenze fondamentali. Un punto di vista di gran lunga prevalente- può meritare la qualifica di «dominante», per lo meno per certi perio­ di e certe scuole di ricerca neotestamentaria - è rappresentato da The Relation of St Paul to Contemporary Jewish Thought di H. J.

V'è una massa di letteratura secondaria che si cimenta nel tentativo. Vedi a d es. KL. Schmidt, Der Apostel Paulus und die antike Welt, in Das Paulusbild (ed. Rengstorf), 214-245. Schmidt intende anche descrivere l'atteggiamento di Paolo verso il «mondo antico». Un esempio più recente è E. Brandenburger, Fleisch und Geist, 1968.

Paolo e il giudaismo nella ricerca neotestamentaria

2I

St John Thackeray pubblicato nel 1900. La prospettiva può esse­ re in breve cosl sintetizzata : la teologia di Paolo è fondamental­ mente antitetica al giudaismo, ma molti elementi particolari del suo pensiero sono radicati nel giudaismo. Thackeray argomentava, ad esempio, a proposito della .•

In modo simile Schrenk, nel suo articolo ot.xat.6w nel Theologi­ sches Worterbuch zum Neuen Testament di Kittel, scriveva: «il detto rabbinico secondo cui: 'l'anima del defunto ottiene l'espia­ zione (mediante la morte)' e l'affermazione paolina per cui 'chi muore viene così dichiarato libero dal peccato' sono del tutto iden­ tiche nella sostanza. Paolo perciò fa uso qui di un teologumeno rah­ binico» .' Così Schrenk individua precisi punti di contatto tra Pao­ lo e il giudaismo . Sulla questione fondamentale del modo di ot­ tenere la giustizia tuttavia Schrenk è d,accordo con Thackeray, Bultmann e innumerevoli altri: Paolo è l'antitesi del giudaismo.6 È evidente che il contrasto antitetico «non mediante le opere, ma mediante la fede» è proprio di Paolo . Gli studiosi del Nuovo Testamento che accettano la contrapposizione tuttavia non riten­ gono di stare semplicemente accettando come corretta la descri­ zione polemica che Paolo fa del giudaismo . Essi trovano invece quella descrizione confermata ed ulteriormente elaborata in lavo­ ri specialistici sul giudaismo? Thackeray, come abbiamo visto, u­ sava Weber; Bultmann, come vedremo nel prossimo capitolo, u­ sava Bousset, e la descrizione del giudaismo di Schrenk riposa su numerose citazioni e riferimenti alla letteratura rabbinica tratti in quelli di op­ posizione, viene ripresa tal quale da H. Conzelmann, Grundriss der Theologie, 240; trad. ital., Teologia, 273. 4· lbid. 275 s. La posizione di Bultmann, nei punti di accordo e

,. TWNT II, 222 s. Non vedo ridentità tra le concezioni (cfr. Conclusione n. 8), ma la questione qui riguarda solo un certo modo di usare il materiale rabbinico.

6. lbid. 7. Si può ben sostenere che il giudaismo attaccato da Paolo dovette esistere, visto che Paolo lo attaccava, anche se non può essere ricostruito come realtà a sé stan­ te dalle fonti giudaiche. Gli studiosi che ritengono che l'attacco di Paolo rifletta adeguatamente la realtà hanno però pensato che il giudaismo criticato si possa rinvenire nella letteratura rabbinica. Sono d'accordo (come si vedrà nel cap. pri­ mo), con Montefiore, Moore e altri (v. subito sotto) nel negarlo. La spiegazione della polemica di Paolo contro la legge sarà discussa nel cap. quinto, sez. 4·

Introduz.ione

da Bill erbeck.8 Nonostante questo tentativo di basare il quadro del giudaismo, posto in antitesi a Paolo, su una indagine della let­ teratura giudaica, non si può evitare il sospetto che, in realtà, sia la polemica personale di Paolo contro il giudaismo ad offrire la ba­ se per definire il giudaismo che poi viene posto in contrasto con il pensiero di Paolo. È curioso che C.G. Montefiore, nel tentativo di deviare la critica del giudaismo implicita nell'antitesi tra Paolo e giudaismo, abbia egli stesso accettato le enunciazioni negative di Paolo come se fossero una rappresentazione accurata del giudaismo che Paolo conosceva.9 Montefiore sosteneva tuttavia che il giudaismo cono­ sciuto da Paolo non costituiva la principale corrente del giudai­ smo rabbinico, ma una sua forma più povera, da lui definita come ellenistica (pp. 92-1 12) . Inoltre Montefiore affermava (seguendo la religionsgeschicbtliche Schule tedesca) che Paolo era fortemen­ te influenzato dal sincretismo ellenistico (pp. I I2-129). Il metodo di Montefiore consisteva nell'offrire nella forma del «saggio» (i riferimenti alle fonti sono pressoché inesistenti) una descrizione del giudaismo rabbinico datato a suo parere tra il 300 e il .500 d. C. (p . x 5). Lasciava agli specialisti di decidere se il giudaismo de­ gli anni .50 d.C. fosse identico (p. 17) , ma chiaramente supponeva che il giudaismo palestinese non fosse notevolmente modificato tra il .5o e i1.5oo d.C . (pp. 8 7-91) . Poiché la sua sintesi della prin­ cipale corrente della religione rabbinica nel 3oo o nel .500 non ri­ vela quel tipo di giustizia legalistica basata sulle opere che Paolo respingeva e poiché non aveva ragione di ritenere che la religione rabbinica più antica fosse profondamente inferiore a quella più tarda, concludeva che Paolo non aveva conosciuto il giudaismo palestinese (rabbinico) (p. 12 6) . Montefiore non si soffermava su specifici motivi comuni al giu­ daismo rabbinico e a Paolo e si applicava piuttosto a quegli impor­ tanti aspetti in cui la descrizione paolina del giudaismo non può essere fondata su fonti rabbiniche (nella concezione di Montefio8. Si veda, ad esempio, TWNT n, x87-189, 198 s. su Slxat.ot; csinagoga». 9· Montefiore, ]udaism and St Paul, cfr. ad es. 21 s.

e

St.XCLt.OcroYT} nella

Paolo e il giudaismo nella ricerca neotestamentaria

2'

re, anche se non in quella di F. Weber, W. Bousset, P. Billerbeck e altri) . Ad esempio egli poneva in contrasto il pessimismo di Pao­ lo con la convinzione del giudaismo rabbinico secondo cui il mon­ do è buono (pp. 69-70). Il punto di contrasto più significativo concerne tuttavia il modo della salvezza. In opposizione all'im­ magine paolina del giudaismo, per il giudaismo rabbinico, come per Gesù, «Dio era cosl buono e vicino e misericordioso, e l'uo­ mo, mediante la legge e il pentimento, aveva possibilità tanto co­ stanti, facili, efficaci di accedere a lui, che non v'era bisogno al­ cuno di quel tremendo evento, cosmico e divino, costituito dal­ l'incarnazione e dalla crocifissione» (p. 74) . Egli mette allora a fuoco il punto principale: Anche dal peccato e dalla sofferenza eera una via d'uscita . Essa era co­ stituita dalla misericordia di Dio e dal pentimento dell'uomo. Il suo simbolo esterno era costituito dal giorno dell'Espiazione. Ciò che, se­ condo Paolo, né Dio né la legge potevano fare, se non mediante l'in­ carnazione del Figlio, veniva invece compiuto, secondo il giudaismo rabbinico, costantemente, ora per ora, anno per anno . Non v'è niente di più caratteristico nelle grandi epistole della quasi completa omissio­ ne dei due concetti rabbinici del pentimento e della misericordia (p . 75; cfr. pp. 6o, 66 e 127).

Montefiore sosteneva che Paolo «non avrebbe potuto ignorare la nota dominante» del giudaismo palestinese (o rabbinico) se l'a­ vesse conosciuta (p . 76; cfr. p. 66): perciò egli dovette conoscere un qualche altro tipo di giudaismo. Fu, quello di Montefiore, un serio tentativo di risolvere un pro­ blema reale. Nessun problema avevano quegli studiosi che trova­ vano nella descrizione weberiana del giudaismo rabbinico (spesso identificato semplicemente con il giudaismo) un ritratto convin­ cente del giudaismo che Paolo probabilmente dovette conoscere : il giudaismo che Paolo attaccava è lo stesso che emerge dallo stu­ dio di Weber . 10 Ma i più avvertiti tra gli studiosi del giudaismo rabbinico, ebrei e cristiani, percepivano un'incongruenza tra ciò che Paolo criticava e il giudaismo che essi conoscevano. Cinque IO. Si noti la critica di Montefiore al fatto di appoggiarsi, nella polemica a chi condivide le proprie inclinazioni, ai fini della conoscenza della posizione avversa; ,

ibid. 7-9·

Introduzione

26

anni prima di Montefiore, Schechter poneva il problema in que­ sti termini:

O la teologia dei rabbi dovette essere errata, degradante la sua imma­

gine di Dio, materialistici e grossolani i suoi motivi dominanti, privi d'entusiasmo e di spiritualità i suoi maestri, oppure l'Apostolo delle genti è del tutto incomprensibile.u

Schechter naturalmente era della seconda opinione: la critica pa> riduttive . Lo è pur tuttavia, in ordine ad una corretta comparazione religiosa, e questo per due ragioni. Anzi­ tutto sono generalmente i motivi di una delle due religioni che vengono confrontati con elementi della seconda religione per in­ dividuame l'origine. Le due religioni non sono trattate nello stes­ so modo. La storia del confronto tra Paolo e il giudaismo lo mo­ stra chiaramente . Si parte da motivi paolini e se ne cerca l'origine nel giudaismo, ma i diversi elementi del giudaismo non sono con­ siderati in se stessi. Ne consegue che non si dà vera comparazione tra le due religioni. In secondo luogo, la ricerca tematica spesso trascura il contesto e il significato di un determinato motivo in una (o talvolta in due) delle religioni. È possibile che lo stesso motivo compaia in due differenti religioni conservando tuttavia significati diilerenti. Si consideri l'analogia di due edifici: mattoni identici in forma, colore e peso possono essere usati per costruire due edi­ fici differenti, totalmente dissimili tra loro . È possibile abbattere un edllicio e costruirne un altro, diverso dal primo, con gli stessi mattoni. Nella ricerca tematica, bisogna considerare la funzione e il contesto prima di giungere ad una conclusione generale in fat­ to di somiglianza o dissomiglianza . Cosl ad esempio nel confron­ tare la giustizia in Paolo e nel giudaismo si deve considerare la funzione e il significato di (pp . 206 s.), senza in­ dagare se il battesimo abbia effettivamente nel pensiero di Paolo la stessa funzione dei lavacri rituali nel giudaismo . A parte la que3· Va tuttavia notato che Buchanan concepl il libro come una presentazione sin· tetica della propria prospettiva e che egli si propone, con le pubblicazioni succes· live, di fondare la sua tesi nel dettaglio.

Introduzione

stione della possibile maggior prossimità della terminologia pao­ lina ai culti misterici ellenistici (piuttosto che al giudaismo) e pur ammesso che alcuni dei termini usati da Paolo nella discussione sul battesimo derivino dal giudaismo, non ne consegue che il si­ gnificato e l'interpretazione del battesimo in Paolo siano gli stes­ si dei lavacri rituali nel giudaismo.4 Di fatto, tendo a sostenere che il battesimo ha , nel modello religioso paolino, una collocazio­ ne affatto differente da quella che riceve nel giudaismo. Se cambia la funzione del battesimo all'interno dell'intera struttura, anche la comprensione e il significato devono cambiare. Con molta maggior consapevolezza metodologica, David Flus­ ser ha intrapreso la comparazione della religione di Qumran con il cristianesimo prepaolino .' Egli manifestava l'intenzione di non trattare di «tutti i temi teologici di questo presunto strato del cri­ stianesimo», ma solo di quelli comuni al cristianesimo prepaolino e a Qumran (p . 2 1 7). Affermava esplicitamente che «il significa­ to di questi elementi nel nuovo contesto cristiano» non sarebbe stato oggetto di considerazione : al contrario, «i singoli theologou­ mena sarebbero stati definiti in relazione alla loro funzione strut­ turale nella teologia di Qumran , non in relazione al loro contesto nel pensiero cristiano» (p. 2 I 7 ) . L'articolo di Flusser è interessante non solo per la sensibilità in ordine al metodo che veniva impiegando, ma anche perché tale metodo era l'opposto di quello usualmente impiegato nel confron­ to tra giudaismo e cristianesimo . Il procedimento di Flusser con­ sisteva nel partire da motivi presi nel loro contesto giudaico ( qumranico) , trovandone quindi i paralleli qui e là nel cristiane­ simo . La conclusione era che «l 'intero complesso di idee» che egli aveva discusso, ivi comprese molte dottrine centrali del cristiane· simo, «poteva esser giunto al cristianesimo solo dalla setta di Qumran» (p . 265) . Ogni studioso del Nuovo Testamento leggen4· Il parallelo tra pensiero paolino sul battesimo e concezioni giudaiche in mate­ ria di purificazione è facilitato dall'uso di Col. come paolina, cfr. Buchanan, 2.07. ,. D. Flusser, The Dead Sea Sect and Pre-Pauline Christianity, in Scripta Hiero­ solymitana IV (ed. Rabin e Yadin), 2r5-266; cfr. anche The ]ewish Origin of Christianity, in Yitzhak F. Baer ]ubilee Volume (ed. S.W. Baron e a.), 1960, 7,. 98; riassunto inglese, x s. Nel testo si rinvia al primo saggio.

La comparazione olistica dei modelli religiosi

39

do l'articolo sarà stato colpito dalla stranezza di un cristianesi­ mo i cui elementi costitutivi sono visti alla luce della loro collo­ cazione nel modello religioso della setta del Mar Morto. Va ricor­ dato che Flusser tratta del cristianesimo allo stesso modo in cui la maggior parte degli studiosi del Nuovo Testamento trattano del giudaismo, salvo il fatto che egli è consapevole delle differenze nella struttura complessiva, anche se non tratta delle strutture come tali . La debolezza del metodo si può scorgere nel più sorprendente parallelo tra Paolo e i manoscritti del Mar Morto : 6 quello che Flusser chiama «elezione per grazia» (pp. 2 2 2-2 27) . Vi sono, in un certo modo, alcuni sorprendenti paralleli (cfr . p. 2 2 6) , ma Flus­ ser deve combinare le affermazioni sulla salvezza per fede e per grazia al fine di stabilire un reale parallelismo . La comparsa delle affermazioni del primo tipo è un fenomeno interessante in Paolo, ma si può dubitare che le occasionati affermazioni predestinazio­ nistiche di Paolo siano connesse organicamente nel suo pensiero con le sue affermazioni sulla salvezza per grazia ; la connessione organica è invece chiara nei manoscritti del Mar Morto, dove la grazia di Dio consiste nel fatto che egli predestina . Cosi la grazia ha nello schema complessivo di Qumran un posto differente da quello che riceve nel pensiero di Paolo. Quando Flusser afferma (p . 2 2 7 ) che la convinzione che le opere sono inutili è «una possi­ bile conseguenza» della concezione della grazia che Paolo deriva - egli ritiene - da Qumran, conseguenza tratta da Paolo ma non dagli autori dei manoscritti del Mar Morto, egli mostra allora il fraintendimento di fondo in cui cade e la sua debolezza metodo­ logica . Per Paolo la grazia e l'inutilità delle opere sono essenzial­ mente connesse : data la sua concezione della grazia, la sua con­ clusione non era «possibile», ma inevitabile . Per la setta la con­ cezione della grazia è del pari essenzialmente connessa all'esigen­ za di adempiere la legge . I membri della setta sono stati esplicita­ mente predestinati ad adempiere la legge e questa predestinazio6. Nonostante l'intenzione di parlare del cristianesimo prepaolino, l'articolo trat­ spesso di temi caratteristici di una parte del Nuovo Testamento e che possono non essere prepaolini. In questo caso, Flusser sostiene che l'idea di elezione per grazia venne a Paolo da Qumran mediante il cristianesimo prepaolino (pp. 266 s.).

ta

40

Introduzione

ne costituisce la grazia di Dio. È difficile comprendere come Pao­ lo potrebbe aver tratto da Qumran un elemento, la grazia, rove­ sciandone completamente significato e valore. Si dovrebbe insistere sul fatto che Flusser riconosceva che «la dottrina dei membri dell'alleanza di Qumran non conservò la sua funzione originaria quando fu assimilata dal cristianesimo» (p . 2 6 5) . Egli sosteneva piuttosto che «la struttura teologica della setta fu isolata e le pietre furono riusate dai primi pensatori cri­ stiani per costruire una casa nuova e differente» (pp. 26 5 s.) . Ma questa intuizione non gli impediva di enunciare un'ambigua equa­ zione tra la concezione della grazia in Paolo e quella di Qumran . Si deve dunque cercare di confrontare una religione presa nel­ la sua interezza, nelle sue parti e nel suo insieme, con un'altra re­ ligione, parti e insieme; per usare l'analogia dell'edificio, di con­ frontare due edifici, non senza prendere in considerazione i singo­ li mattoni. Il problema è ora quello di come individuare due tota­ lità, prese in considerazione e definite nel loro autonomo valore e significato, che possano essere messe a confronto tra loro. Cre­ do che il concetto di tra merito e demerito e dice che il fato di una per­ sona è determinato «nach der Menge der (Mehrzahl) der Taten». L'equazione tra numero e peso diviene corrente. )I . Pubblicato nd 1949 .

La letteratura tannaitica Kittel,3� e dal suo uso del materiale rabbinico nella « Storia della tradizione sinottica», Bultmann sostanzialmente non ha una cono­ scenza diretta della letteratura del cosiddetto «tardo giudaismo», specialmente delle fonti rabbiniche. Egli cita come autorità prin­ cipale per la storia, la letteratura e la religione giudaica l'opera di Schiirer,33 senza aver notato, pare, o prestato attenzione alle cri­ tiche degli specialisti ebrei alla presentazione che Schiirer ha da­ to della religione giudaica, a prescindere dalla sua trattazione del­ la storia del periodo.34 Bultmann cita i lavori di Bousset e Moore come i più utili, accanto a Schiirer, ma non osserva che l'opera di Moore è antitetica a quella di Schiirer e di Bousset. Lungo tutto il corso della sezione, Moore è citato nelle note, ma l'argomenta­ zione complessiva della sua opera, in diretta contraddizione con la presentazione bultmanniana, sembra non esser stata colta. No­ nostante la citazione di Schiirer come autorità primaria, molto della rassegna di Bultmann par derivare piuttosto da Bousset . A Sjoberg vien fatto riferimento occasionale . È una testimonianza a favore dell'intelligenza e dell'acutezza teologica di Bultmann il fatto che la sua presentazione del giudai­ smo, per quanto dipendente da altre fonti , è spesso più pene­ trante e sfumata dei lavori di coloro da cui egli derivava le sue informazioni. È questo un dato che si scorge con la massima chia­ rezza in una delle sue prime opere, quella su Gesù, dove la sua di­ scussione sull'obbedienza (la «obbedienza incondizionata dell'uo­ mo religioso» alla legge), sulla speranza e sulla loro relazione re­ ciproca sembrerebbe offrire una reale possibilità di analisi costrut­ tiva del giudaismo .3' Parimenti, nella sua sezione sulla «distanza e vicinanza da Dio», egli non era insensibile alle possibilità positi­ ve immanenti al giudaismo.36 La valutazione finale è però negati­ va, e il giudaismo serve per presentare, per contrasto, la superio­ rità di Gesù.'7 32. V. ad es. l'articolo mcr�evw nel TWNT VI, 197-203 . 33· Urchristentum, 238. 34· V. Moore, Christian Writers, 238. 3'· ]esus di Bultmann fu pubblicato nel 1926. Per la presente questione , and tbe Word, trad. ingl. ( 1 956) 1 6-2o; orig. ted. 41970, 16-18. 36. lbid., 133-140; orig. ted., 93- r o3 . 37· l bid. , 141, 146 , 151 ; orig. ted., 104, 107.

v.

]esus

La religione rabbinica come giustizia legalistica

77

Questo motivo è ancor più chiaro in Das Urchristentum. Vi troviamo un quadro delineato sulla traccia di Weber/Schiirer/ Billerbeck/Bousset. Il contributo originale di Bultmann sta nel sottolineare la presentazione con alcune analisi esistenzialistiche.38 Bultmann comincia col riconoscere il forte senso della storia e dell'elezione presente nel giudaismo. Ma l'idea di elezione contie­ ne una «singolare contraddizione interna» che è «la pista che ci guida alla nostra comprensione complessiva di Israele» : «legan­ dosi alla propria storia passata, Israele allentò i legami con il pre­ sente e la sua responsabilità dinanzi ad esso» . Dio non era più «un fattore vitale nel presente» (p. 6o) . Anche la redenzione, che si sperava avvenisse nel futuro, non era compresa come qualcosa di realmente connesso con il presente : ma semplicemente una «realtà fantastica» del futuro remoto. Ciò implicava un evidente contrasto con l'escatologia di Gesù, come viene presentata da Bultmann : 39 il futuro del giudaismo non determina il presente. Dio era considerato tanto trascendente che «non era più legato al suo popolo» (p. 6 1 ) . Sebbene la legge governi tanto l'etica che il rituale, «il rituale diventava tra i due il più importante» (p. 62). L' «intera vita era coperta da osservanze rituali» elaborate «sino all 'assurdo» (p. 6 5 ) . La legge nel suo complesso, sminuzzata in 6 1 3 disposizioni , per la maggior parte negative, era divenuta una sciarada. «Prendere sul serio [ i comandamenti ] significava far della vita un insopportabile fardello . Era quasi impossibile cono­ scere le regole, per non parlare di metterle in pratica» . Pervenuto a questa valutazione, Bultmann procede però a ritrattarla, conclu­ dendo che l'ebreo ordinario «non avrebbe affatto considerato i comandamenti come un fardello» (p. 66) . La prima affermazione sembra tuttavia esprimere la vera opinione di Bultmann sul lega­ lismo giudaico. L'insistenza sull'osservanza di leggi complesse e spesso (per Bultmann) incomprensibili portava ad una perversione della re­ lazione fondamentale tra Dio e l'uomo : «la relazione con Dio era 38. Vedi per es . Primitive Christianity, 68 s. I rinvii alle pagine citati nel testo che segue si riferiscono alla traduzione inglese ( trad. ital., Il cristianesimo primitivo nel quadro delle religioni antiche, Cosenza 1983, 65-75). 39· ]esus and the Word, ,I.

La letteratura tannaitica inevitabilmente concepita in termini legalistici» . Nonostante quel Che aveva prima scritto sulla «obbedienza incondizionata» nel giudaismo, Bultmann ora concludeva che l' «obbedienza radica­ le» (segno distintivo della chiamata di Gesù) non era possibile nel giudaismo. «Il tipo di obbedienza prestato era piuttosto for­ male che radicale». «La legge non riusciva ad ottenere l'adesione dell'uomo intero» (p. 68) . Era possibile per un uomo adempiere l'intera legge, ma non sentirsi ancora totalmente consacrato a Dio . Una volta soddisfatta la legge «si era liberi di far ciò che si voleva. C'era così spazio per opere supererogatorie, le 'opere buo­ ne' nel senso tecnico del termine . . . Queste fornivano una base per il merito in senso proprio. L'accumulazione dei meriti poteva ser­ vire ad espiare le infrazioni della legge» (p. 69) . La visione legalistica della relazione dell'uomo con Dio porta­ va all'idea che al momento del giudizio tutte le opere di ciascuno dovessero essere contate e pesate, giacché il verdetto sul destino di ognuno era determinato ponendo sulla bilancia meriti e deme­ riti . Come risultato «la prospettiva della salvezza divenne incer­ ta: chi poteva esser sicuro di aver fatto in questa vita abbastanza da essere salvato? » . Un esempio ci viene dalla scena in cui R. Jo­ �anan ben Zakkai, sul letto di morte, piange perché incerto del suo destino . Così, unita all'incertezza, si sviluppava un'acuta co­ scienza del peccato e (pp. 9.5-1 09) , Sjoberg ha una sezione sulla «bontà di Dio verso gli 1sraeliti peccatori» (pp . 1 09- 1 24 ) . In realtà Bultmann ha citato solo una metà della trattazione di Sjoberg sul problema del lega­ lismo e della stretta retribuzione e ne ha cosl completamente di­ storto l'interpretazione. Un caso ancor più sorprendente è costituito dall'affermazione di Bultmann che «il pentimento stesso divenne un'opera buona che assicurava merito e grazia agli occhi di Dio» . Egli continua di­ cendo che la fede stessa venne ad essere inclusa nel quadro com­ plessivo del merito,46 basandosi su Schlatter47 e Sjoberg, pp . 41 . Gott und die Sunder, XXII. 42. Jbid. , XXII n. I . 43 . Jbid. 44. Jbid. 45 . Jbid., 2-1 1, 184-190. 46. Primitive Christianity, 71 ; trad. ital., Il cristianesimo, 75· 47· Ci si riferisce a Der Glaube im Neuen Testament, 41924, 29-32. �o. Pubblicato nel 1939.

8o

La letteratura tannaitica

1 .54-169 . La sezione di Sjoberg, cui si fa riferimento, si intitola «le tendenze verso la trasformazione del pentimento in presta­ zione (Leistung) meritoria dell'uomo». Può essere che Bultmann sia stato sviato dal titolo della sezione, perché in essa Sjoberg at­ tacca proprio questa concezione sostenuta da Weber e Bousset e diffusa, egli nota, come opinione comune tra i teologi (cristiani) (p. 1 54) . Ci possono essere nella letteratura rabbinica alcune trac­ ce della concezione secondo cui il pentimento è una prestazione meritoria, ma essenzialmente non lo è e bisogna smettere di de­ scriverla come tale, scrive Sjoberg (p . 1 ' 7 ; cfr. pp . 1 6 8 , 1 89) . Bultmann citava Sjoberg, ma ignorava semplicemente la sua posi­ zione a favore di quella di Weber e del suo maestro Bousset,48 che tuttavia non sono citati in proposito. Vedremo in seguito che an­ cora recentemente, nel 1 970 , Thyen usava Sjoberg nello stesso senso. Sebbene Bultmann non citasse Sjoberg sulla questione delle o­ pere supererogatorie e del tesoro dei meriti, è interessante nota­ re che Sjoberg condivideva la concezione di Moore secondo cui l'espressione rkut 'abot (il merito dei padri) (e altre connesse) non può essere interpretata in quella direzione e di fatto ne arric­ çhiva la dimostrazione adducendo ulteriori prove dalla letteratu­ ra rabbinica.49 Così Bultmann aveva dinanzi agli occhi l'opera di due studiosi, entrambi i quali avevano il vantaggio di aver esa­ minato i passi nelle fonti originali : eppure di nuovo non vi pre­ stava attenzione. La concezione di Weber viene pari pari ripetuta. Abbiamo notato quanto la breve sintesi di Bultmann sul giu­ daismo palestinese fosse importante ai fini di assicurare la soprav­ vivenza della descrizione del giudaismo facente capo a Weber/ Schiirer/Bousset : importante in un senso assai differente dal com­ mentario di Billerbeck. Gli studiosi oggi non citano Bultmann a proposito del giudaismo, per sostenere determinate tesi, come in­ vece fanno con Billerbeck. Bultmann è significativo per aver con­ ferito il suo enorme prestigio in particolare all'opera di Bousset, rendendo così possibile alla ricerca neotestamentaria di trascura­ re la valutazione che Moore dà di Bousset e gli argomenti di stu48. Bousset, Die Religion des ]udentums•, 389 s. 49· Gott und die Sunder, 42-,,.

�La 'eligione 'abbinica come giustizia legalistica

81

diosi come Biichler e Schechter, e, soprattutto, di usare gli scritti

degli oppositori di Bousset come fonti per trarvi citazioni di passi che sono letti alla luce della prospettiva di Bousset. Per compren·

dere l 'importanza di Bultmann , bisogna cercare di immaginare che cosa sarebbe successo se questi avesse amm esso, come Sjo· berg, che Moore riproduce più fedelmente il pensiero rabbinico di Schiirer e Bousset. Possiamo facilmente immaginare che non vedremmo oggi gli studiosi del Nuovo Testamento ripetere com­ piacentemente la concezione di Weber (ora basata su citazioni tratte da Billerbeck) come se fosse il quadro universalmente ac­ cettato del giudaismo rabbinico e come se non fosse mai stata combattuta da studiosi più informati e sensibili. Con la scoperta dei manoscritti del Mar Morto, gli studiosi del Nuovo Testamento trovarono un nuovo uso dell'immagine we­ beriana del giudaismo : viene ora chiaramente specificato che quel· l'immagine si applica al giudaismo rabbinico (o al farisaismo, o ai due indifferentemente) e il giudaismo rabbinico viene usato al­ lo scopo di poter distinguere da esso per contrasto le altre forme di giudaismo. Gli autori non mescolano più indiscriminatamente (o per lo meno , lo fanno solo occasionalmente) citazioni dagli a­ pocrifi e pseudoepigrafi con la letteratura rabbinica, come faceva Bousset, per costruire un quadro composito della > stabill molte connessioni tra giudaismo e cristianesimo (p. VI) . Tre pagine più avanti Moore è di nuovo citato come autore di una delle opere che «integra» Bousset-Gressmann (p. IX) . Se ne può dedurre solo che Lohse non comprese per nulla l'intento di Moore, o il suo libro . Moore non cercò di stabilire nessi tra giu­ daismo e cristianesimo, volle presentare un quadro complesso e costruttivo del giudaismo in sé. Inoltre il suo lavoro si poneva in antitesi a quello di Bousset . Descriverlo come «integrazione>> signi­ fica sviare il lettore inducendolo a pensare che il lavoro di Bous­ set sia stato accettato dagli esperti in materia rabbinica come fon­ damentalmente corretto, salvo l'aggiunta di altre citazioni, e sug­ gerire erroneamente che il cammino della Wissenschaft abbia proceduto pacificamente, dalla descrizione del giudaismo nel mon­ do ellenistico sulla base degli apocrifi e pseudoepigrafì secondo Bousset, ai lavori di Gressmann e Billerbeck, sulle fonti rabbini­ che, complementari al quadro di Bousset, sino alla conferma della stessa prospettiva ad opera di Moore sulla base dei detti tannaiti­ ci e della comparazione tra questa identica visione «standard» del giudaismo e il cristianesimo. Nessuna immagine della storia della ricerca è più lontana dalla verità. Se nell'aldilà esiste una cono­ scenza di questo mondo Moore si sta rivoltando nella tomba.78 Le citazioni sono dalla 4• edizione, del 1966, di Die Religion des ]udentums. 78. Per un altro esempio della perdita di percezione del fatto che la prospettiva

77.

La letteratura tannaitica

94

Anche quando si rendono conto dell'esistenza di una seria di� sputa sulla natura di fondo del giudaismo rabbinico, gli studiosi sono spesso incapaci di risolverla altrimenti che con il compro­ messo: entrambe le prospettive sono necessariamente vere in parte. Lo si può vedere ad es . in Paul: Apostle of Liberty di Lon­ genecker. Questi cita anzitutto «espressioni che rivelano una con­ cezione puramente commerciale della giustizia» (p. 6 7) : qui ri­ pete semplicemente la visione predominante del giudaismo come religione della giustizia mediante le opere . Egli sa tuttavia che e� siste un altro punto di vista e afferma perciò che «per correttez� za va detto che il giudaismo precedente alla distruzione del tempio non era tutto esteriorità» (p. 70) . Esistono «prove basate su diver­ se fonti che nel giudaismo precedente alla distruzione ci si rendeva conto che bisogna partire dalla misericordia e dall'amore di Dio» (p. 7 1 ) . Egli considera cosl i due elementi - giustizia e misericordia - su cui Sjoberg si era soffermato ampiamente e che Thyen aveva notato. Longenecker tuttavia, a differenza di Thyen , propende più per l'indulgenza. Egli sostiene che entrambi i tipi dovettero esistere nel farisaismo: persone dominate dalla visione legalisti­ ca ( «legalismo attivo»), altre da una visione più nobile («nomi� smo reattivo») (p. 78) . Entrambe le tendenze esistevano e Lon� genecker concepisce il legalismo nell'usuale modo negativo (p. 79). Esisteva tuttavia un più nobile «nomismo reattivo», una re­ ligione «veramente spirituale e nobile» (p. 8 2 ) , che viveva accan­ to al giudaismo legalistico cosl spesso descritto (p. 84) . La si può vedere specialmente in Qumran, ma deve aver parimenti caratte­ rizzato alcuni farisei (pp. 80-8 3 ) . Non si ha l 'impressione che Longenecker sia pervenuto ad una nuova visione del giudaismo sulla base di un nuovo, dettagliato studio delle fonti. Egli accetta la visione di Weber/Bousset/Bil� lerbeck come storicamente adeguata al suo oggetto, limitandosi ad osservare che esistono prove dell'esistenza di un giudaismo midi Moore era antitetica a quella di Bousset, v. M. Simon e A. Benoit, Le ]udaisme et le Christianisme antique, 24 s., dove il lavoro di Bousset è caratterizzato come «fondamentale» e quello di Moore come «importante». Se l'opera di Bousset fos­

se di fatto fondamentale, allora quella di Moore non sarebbe che un tentativo di

confutazione, impegnato

ma senza successo.

La religione rabbinica come giustizia legalistica

gliore. A questo proposito, come dicevamo, giunge ad un sempli­ ce compromesso circa il dibattito sul modo più corretto di conce­ pire il giudaismo. La prospettiva di Weber è accolta, ma entro i suoi limiti: non abbraccia tutto ciò che è il giudaismo, e neppure tutto quel che è il farisaismo . Una delle cose più degne di nota, a proposito della concezione di Weber, è quante modificazioni essa sopporti per rapporto al suo oggetto più proprio . Spesso è riferita semplicemente al giu­ daismo palestinese al tempo di Gesù, e viene fondata con rinvii alla letteratura sia intertestamentaria che rabbinica (così ad es . Bousset, Bultmann e Conzelmann) . Può esser riferita ad una for­ ma di giudaismo palestinese in contrasto con altre forme, come l'apocalittica (Rossler) o Qumran (Braun, Becker) . In quest'ulti­ mo caso, il gruppo cui si applica la descrizione di Weber si può chiamare farisaico (Rossler) o tannaitico (Becker) , ma in ogni ca­ so la descrizione dipende dalla letteratura rabbinica così come è presentata da Billerbeck. Il giudaismo legalistico può anche essere ridotto in termini temporali : esso rappresenterebbe il tardivo de­ teriorarsi del primo farisaismo (Black) . Il supposto giudaismo legalistico degli studiosi che vanno da Weber a Thyen (e senza dubbio altri ancora dopo di loro) serve ad una funzione molto ovvia, quella dello sfondo sul quale si pos­ sono descrivere, per contrasto, forme religiose superiori . Permet­ te, come Neusner ha detto, di scrivere una teologia come se fosse realtà storica .79 Si deve in particolare prestare attenzione alla pro­ iezione sul giudaismo della concezione che i protestanti contesta­ no di più al cattolicesimo romano : l'esistenza di un tesoro di me­ riti costituito dalle opere supererogatorie .80 Qui il dibattito tra protestanti e cattolici viene proiettato retrospettivamente nella storia antica: il giudaismo assume il ruolo del cattolicesimo e il cri­ stianesimo del luteranismo. La grande utilità del «giudaismo legalistico» di Weber e la tentazione di proiettare indietro, nell'epoca neotestamentaria, di­ scussioni più recenti non spiega tuttavia completamente la sua (.

79· Rabbinic

Traditions III, 3.59-363. lo. Cosl anche Moore, Christian Writers, 23 1 .

lA letteratura tannaitica

persistenza.

Esso regge perché appare fondato su solide prove do­

cumentarie. L'idea che la soteriologia rabbinica (o farisaica o giu­ daica) consista nel soppesare adempimenti e trasgressioni può chiaramente essere avvalorata da testi che effettivamente parlano di «pesare» . A sostegno della dottrina di un tesoro di meriti che può essere (o non essere) trasferito all'atto del giudizio, è possi­ bile citare passi che contengono l'espressione zekut ,abot' «meri­ to dei padri» . E così via . Come abbiamo già notato, il lavoro di Billerbeck, con le migliaia di citazioni e riferimenti, appare costi­ tuire una prova irrefragabile che qualcuno ha sostenuto la posi­ zione che lo stesso Billerbeck ha definito come «soteriologia giu­ daica» . Cavillare sui termini (avrebbe dovuto dire « rabbinica») e sulle date (il materiale è prevalentemente successivo al 70 d.C.) non serve in realtà.81 Quella prospettiva è presente nel Billerbeck (cioè nella letteratura rabbinica) ; fu sostenuta dai rabbi in que­ sto o quel periodo; essi non la inventarono ex novo : perciò la si può con sicurezza applicare a qualcuno dei gruppi intorno ali' epo­ ca di Gesù, decennio più decennio meno. E neppure è adeguato alla situazione della ricerca neotestamen­ taria respingere l'immagine del giudaismo che siamo andati de­ scrivendo come «pseudoscientifìca» ,82 o indegna d'esser sotto­ messa alla critica. 83 Si tratta di reazioni corrette e l'atteggiamento è comprensibile : ma con questo non si modificherà il persistere di quell'immagine negli studi neotestamentari, giacché non viene confutata l 'evidenza documentaria su cui riposa l'interpretazione cristiana predominante del giudaismo rabbinico. La convinzione degli studiosi del Nuovo Testamento che con qualche variante sostengono la posizione di Weber è quella di condividere l'unica 8 1 . La critica di Neusner, che la predominante immagine cristiana del farisaismo non riposa su documenti attinenti il farisaismo (Rabbinic Traditions III, 361 , 363 ) è corretta , ma non impedirà la persistenza di questa convinzione. Gli stu­ diosi hanno in mente certi passi rabbinici e la descrizione weberiana del giudai­ smo legalistico può esser facilmente spostata dai farisei ai loro presunti successo­ ri, i rabbi. 82 . Sandmel, sopra, n. 63 . Sandmel altrove e più abitualmente riconosce però la necessità «di non rispondere per le rime, ma di elaborare un quadro rigoroso sulla base di una ricerca scientifica responsabile e convincente» (The First Chris­ tian Century, 4; dr. n. 17 sopra). 83 . Neusner, Rabbinic Traditions, In, 359·

La religione rabbinica come giusti%ia legalistica

97

immagine del giudaismo rabbinico consentita dalla documenta­ zione di cui dispongono : tale posizione è considerata ben fondata, frequentemente verificata, ampiamente accettata. Come abbiamo visto discutendo la prefazione di Lohse all'edizione corrente di Bousset, v'è l'idea che la posizione di Bousset sia stata solidamen­ te comprovata e ulteriormente elaborata : persino Moore può es­ ser costretto in quel quadro. Poiché l'opinione di Weber /Bous­ set/Billerheck può essere oggi citata senza opposizioni , l'imma­ gine che Lohse presenta della situazione sembra diffusa . Questa immagine vien percepita come fondata su solide prove, e questa percezione non può . essere modificata dal sarcasmo, per quanto giustificato. I primi «apologisti» del giudaismo , critici nei confronti della costruzione teologica soggiacente al Kontmentar del Billerbeck, ne dichiararono le carenze e fornirono costruzioni differenti, ma non confutarono direttamente la costruzione in sé, polemicamen­ te. Moore nascose la sua polemica in un articolo e scrisse i tre vo­ lumi della sua opera senza, in pratica, alcun riferimento alla posi­ zione cui s'opponeva . Presentava la sua costruzione, ma non si metteva in discussione con Bousset, consentendo cosl in un certo modo che il suo lavoro fosse usato come raccolta di fonti che po­ teva esser letta alla luce di Bousset. L'impatto del suo lavoro sa­ rebbe stato maggiore se il suo articolo circa gli «scrittori cristiani sul giudaismo» fosse stato annesso al libro. Allora per lo meno gli studiosi del Nuovo Testamento avrebbero saputo che si oppone­ va a Bousset. Cosi la complessiva visione cristiana del giudaismo (o di qual­ che sua parte) come religione di giustizia legalistica fondata sulle opere sopravvive, nonostante che sia stata criticata duramente distrutta anzi, si poteva pensare - da studiosi che conoscevano il materiale molto più dei suoi sostenitori. Una delle intenzioni del presente capitolo, per dirla chiaramente, è di distruggere quel­ �sione . Il che sarà fatto, speriamo, non facendo appello ad un attegaiamento più caritatevole verso il giudaismo, e neppure pre­ sentando passi diversi da quelli su cui si fondava la prospettiva di Weber e sostenendo che essi forniscono una immagine più ve­ ra del giudaismo rabbinico: ma mostrando che la prospettiva di .

. La letteratura tannaitica

Weber /Bousset/Billerbeck, nella misura in cui si applica alla let­ teratura rabbinica, è basata su un travisamento e fraintendimento massiccio del materiale. Prima di procedere dobbiamo tuttavia stabilire come sarà usato il materiale e quale sarà, secondo noi, la sua. applicazione. 2 . L 'U S O DEL

MATERIALE RABB INI C0 1

La discussione precedente avrà chiarito come il materiale che già è servito a sostenere la concezione di Weber /Billerbeck/Bous­ set in merito alla religione rabbinica (o giudaic� o farisaica) dev'es­ sere riesaminato . Ciò, in parte, già serve a precisare il materiale che dovrà essere utilizzato . Altri e più stringenti fattori tuttavia già condizionerebbero il nostro impiego della letteratura tannaiti­ ca, anche se non ci fosse l'esigenza «apologetica» di misurarsi eclet­ ticamente con un vasto corpo di materiale rabbinico . Le cose sa­ ranno facilitate se riassumeremo prima il modo in cui sarà usato il materiale e tratteremo poi più dettagliatamente singoli punti ed eventuali obiezioni. Il materiale usato è quello che in genere si considera tannaiti­ co, cioè proveniente dal periodo compreso tra la caduta di Geru­ salemme ( 70 d.C.) e la compilazione della Misna ad opera di R. Juda ha-Nassi (ca. 200 d.C.) . Di primaria importanza sono le ope­ re prevalentemente tannaitiche : la Misna, la Tosefta e i midra­ sim tannaitici o halakici (la Mekilta sull'Esodo, Sifra sul Levitico e Sifre su Numeri e Deuteronomio ; i midrasim supposti tannaiti­ ci che sono stati ricostruiti da fonti più tarde sono stati usati con cautela: la Mekilta di R. Simeon b. Jo�ai sull'Esodo, Sifre Zuta su Numeri e il Midras Tannaim a Deuteronomio). Ho anche fat­ to qualche uso di tradizioni che vengono attribuite ai tannaiti nei due talmudim e di midrasim tardivi, come il Midras Rabba. Usando il materiale, presuppongo che esso fornisca una imma­ gine attendibile delle discussioni rabbiniche durante il periodo di 1 3 0 anni di cui sopra, specialmente per quanto riguarda gli ul­ timi due terzi del secondo secolo d.C. Non presuppongo che forr.' Per i testi, le traduzioni e i sistemi di citazione,

v.

la bibliografia.

L,uso del materiale rabbinico

99

nisca una immagine precisa del giudaismo o addirittura del fari­ saismo all'epoca di Gesù e di Paolo, anche se sarebbe sorprenden­ te che non esistessero connessioni. Forse è discutibile l'uso eclettico del materiale, a preferenza di una concentrazione sui detti di un rabbi o di un piccolo gruppo che potrebbe essere individuato e specificato quanto al tempo e allo spazio. Questo metodo sarà giustificato più avanti . Discute­ remo ora alcuni dei punti principali più in dettaglio.

Farisei e rabbi Come abbiamo visto nella nostra discussione in merito alla persistenza della concezione di Weber tra gli studiosi del Nuovo Testamento, v 'è una lunga consuetudine di citare passi rabbinici come documentazione sul farisaismo.2 Questa concezione riposa sul presupposto che i rabbi abbiano continuato le tradizioni fari­ saiche. Per far due esempi, Billerbeck, citando passi rabbinici, ri­ tiene eli star discutendo la «soteriologia farisaica» e Rossler con­ sidera la sua sezione, che dipende primariamente da passi rabbi­ nici tratti da Billerbeck, come una trattazione sull' «ortodossia fa­ risaica» .3 L'equazione farisei-rabbi non è tuttavia affatto esclusi­ va degli studiosi cristiani, ma si trova anche presso molti eminen­ ti studiosi ebrei. Così nel 1 9 3 5 Belkin rilevava, approvandola, l'idea di Thackeray secondo cui la letteratura tannaitica rappre­ senta le concezioni dei farisei.4 Parimenti S . Zeitlin è piuttosto ot­ timista sulla possibilità di ricostruire le concezioni farisaiche a partire da materiale rabbinico. Nella sua trattazione chiaramente 2. La concezione corrente parla di farisaismo sino al 70 d.C. Con la fine dei par­ titi in conseguenza alla distruzione del tempio, il termine non è più appropriato. Quelli che ricostruirono il giudaismo a Jamnia e i loro successori furono i rabbi (se ordinati, come lo erano la maggioranza dei capi). È notevole che prima del 70 d.C. i saggi non sono chiamati «rabbi» nella letteratura rabbinica; cosl «Hillel», piuttosto che «R. Hillel». Per un breve sommario delle teorie sull'origine e la natura dei farisei, v. Wolf­ gang Beilner, Der Ursprung des Pharisiiismus: BZ 3 ( 1959) 235-251 . 3. V. sopra, sez . prima. 4· Belkin, The Problem of Paul's Background: ]BL 54 ( 1935) 41, con riferimen­ to a Thackeray, The Relation of St Paul to Contemporary ]ewish Thought.

La letteratura tannaitica

I OO

egli privilegia nell'attenzione molte halakot anonime che sembra­ no essere entrate nella legge prima della caduta del tempio .' Fin­ kelstein più volte ha sostenuto la grande antichità non solo del partito farisaico, ma anche di import anti sezioni della letteratura rabbinica. È chiaro che anche lui ritiene che la letteratura rabbi­

Dica, comprese alcune halakot anonime, può, se studiata con cura, essere usata per ricostruire il farisaismo nelle sue grandi linee.6 Recentemente molti studiosi si sono mostrati scettici sulla pos­ sibilità di ricostruire il farisaismo sulla sola base della letteratu­ ra rabbinica. Lo scetticismo nasce in parte dalla percezione della grande difficoltà a datare i ma teriali rabbinici. Cosl Maier, nel suo studio sul libero arbitrio e la predestinazione, si volge ai Salmi di Salomone per trattare le concezione farisaiche, richiamandosi ai problemi connessi alla datazione del materiale rabbinico come un motivo per ignorarlo/ Come abbiamo visto sopra, la Jaubert evi­ ta di trattare, se non di passaggio, del materiale rabbinico nel suo studio sull'alleanza, volendo utilizzare solo fonti precedenti al 70 d.C.8 Parimenti Buchanan si è mostrato dubbioso - si potreb­ be dire eccessivamente scettico9 - sulla connessione tra farisaismo e rabbinismo.10 La presenza, cui egli fa riferimento, di passi «anti­ farisaici» nella letteratura rabbinica come motivo di cautelali non costituisce tuttavia un motivo valido: questi passi (che egli non cita) sembrano riferirsi non al grande partito storico dei farisei, ma a gruppi ultra-ascetici noti ai rabbi più tardi,12 gruppi che ri5 · S. Zeitlin, The Rise and Fall of the ]udaean State II, 344-346. 6. V. Finkelstein, The Pharisees e la discussione della sua idea circa la datazione del materiale nella prossima sottosezione. 7· G. Maier, Mensch und freier Wille, 23. 8. Jaubert, La notion d'alliance, 289. 9· Cfr. Neusner, Rabbinic Traditions III, 356 s. io. G.W. Buchanan, The Consequences of the Covenant, 2'9-267. I I. Ibid. , 26I . 1 2 . Cfr. E . Rivkin, Defining the Pharisees: the Tannaitic Sources: HUCA 4o-4x ( 1969-1970) 234 2 38 . Rivkin osserva che p'rtJJim in Tosefta Sota x,,x x//Baba Batra 6ob; Pesa�im 70b e Tosefta Berakot 3,25 significa «eretici», non «farisei». Sembrerebbe parimenti che p•rui1m nel maggior testo «antifarisaico», Sota 22b, non vada tradotto «farisei», v. Rivkin 240 s. Si può inoltre osservare la data dei gruppi cui ci si riferisce: dopo la distruzione del tempio in Tosefta Sota I5,x r ; al tempo di Rab ASi in Pesa�im 70b (352-427 d.C.; v. la ]E, s.v. Ashi). I n To-

L'uso del materiale rabbinico

IOI

salgono ad un'epoca in cui i nomi dei partiti avevano perso il loro significato. Molto di recente due studiosi hanno tentato, da differenti pun­ ti di vista, di determinare quello che può essere sicuramente no­ to dei farisei sulla base della documentazione rabbinica. Fondan­ dosi sull'esame di ogni menzione di p�rusim nella letteratura tan­ naitica, Rivkin ha tentato di ridefinire i farisei.1J Essi non vanno legati ai �aberim come si fa tradizionalmente ; singoli farisei pos­ sono essere stati, o no, �aberim, e viceversa, ma tra i due non esi.. ste una precisa equazione.14 Piuttosto, > .67 Colui che con più spicco e più ingeniosità sostiene la coerenza del pensiero rabbinico è tuttavia Max Kadushin . Egli ha elabora­ to la sua concezione del pensiero rabbinico in vari lavori, ma la miglior sintesi che se ne può dare si fonda sul suo primo lavoro importante, Organic Thinking.68 Kadushin mette in luce che ogni tentativo come quello di Weber di presentare il pensiero rabbi­ rtico (Kadushin dice «teologia» ma mostra successivamente che il termine non è appropriato, cfr. p. 1 85 ) come un sistema logico non può che essere errato, poiché il pensiero rabbinico non è lo­ gico o sistematico in modo da permettere la costruzione di una teologia sistematica. V'è tuttavia coerenza e unità nel pensiero rabbinico, come si vede, ad esempio, nel fatto che «passi dispa­ rati tratti da fonti rabbiniche, composti in periodi differenti e sot­ to diverse circostanze possono nonostante tutto essere accostati in modo da chiarire un concetto rabbinico» (p. 2). La coerenza è ta­ le tuttavia da lasciar spazio a differenze a seconda delle circostan­ ze e delle inclinazioni individuali (p. 3) . Le differenze non sono dottrinali, giacché la dottrina implica un pensiero che si esprime in un «credo» e in una filosofia (p. 2 2 ) , né si tratta d'una coerenza dogmatica (pp . 2 1 0 s.). Come si esprime in un altro lavoro, i con67. Ibid. , 12. Finkelstein aveva prima fatto un'osservazione simile per quanto ri.. guarda le sezioni BeJallaiJ e ]etro nelle due Mekilta e le sezioni su Num. I0,29II,35 in Si/re a Numeri 78-98 (pp. 72-97), e Si/re Zuta (pp. 262-274) (Finkelstein, Studies in the Tannaitic Midrashim, 201 ). 68. Pubblicato nel 1938. V. inoltre Tbe Rabbinic Mind, 1952 (z1965) e A Con­ ceptual Approach to the Mekilta, 1969. I numeri di pagina del testo si riferisco­ no a Organic Thinking. Per una valutazione generalmente positiva del lavoro di Kadushin, v. Goldin, The Thinking of the &zbbis: Judaism 5 ( 1956) 3-12.

1 17

L'uso del materiale rabbinico

cetti rabbinici formano un «pattern integrato» che non è tuttavia «il risultato di un pensiero logico, sistematico» .69 La coerenza, secondo Kadushin, risiede in un complesso orga­ nico70 che consiste in una moltitudine di concetti intreccian­ tisi l'uno nell'altro. Esistono quattro concetti «fondamentali» : «l'amore e la misericordia di Dio, la sua giustizia, la torà e Israe­ le» (p. 6) . I concetti fondamentali non sono i soli concetti impor­ tanti - altri lo sono altrettanto - ma sono i concetti che si trovano sempre, intrecciati con altri. Possono inoltre trovarsi intreccia­ ti tra di loro, e non sono tra loro disposti gerarchicamente (pp. 6 s., x 6 , 1 8 3 ) . Kadushin definisce cosl un complesso organico : I concetti organici sono concetti alPinterno di un complesso di con­ cetti, nessuno dei quali è deducibile dall'altro, eppure sono cosl inter­ relati che ogni singolo concetto, per quanto dotato di propri tratti di­ stintivi, dipende nondimeno, quanto al proprio carattere, dal carattere del complesso nel suo insieme che, a sua volta, dipende dal carattere dei concetti singoli. Ogni concetto organico perciò implica l'intero com­ plesso senza essere pienamente descrittivo del complesso, e conserva, al tempo stesso, i propri tratti distintivi (p. 1 84).

Poiché ogni concetto si può combinare con uno qualsiasi dei quattro, o con qualsiasi combinazione di loro, «non è infrequente che accada che alla stessa - o analoga - situazione siano date pa­ recchie interpretazioni 'contraddittorie' tra di loro>> (p . 1 3 ) . Il pensiero rabbinico è basato sull'esperienza umana e l'interpreta­ zione dell'esperienza mediante complessi organici rende i rabbi indifferenti alle contraddizioni logiche (p. 77) . I concetti non so­ no definiti dai rabbi, per quanto si possano tracciare distinzioni tra loro (pp. 1 90 s.), senza che la sistematizzazione sia consentita (p. 1 94) . L'affermazione che i concetti consentono differenti inter­ pretazioni della stessa esperienza, senza cercare di stabilire una re­ lazione sistematica tra le interpretazioni, è cosl importante che forse è opportuno citare uno degli esempi di Kadushin :

69 . A Conceptual Approach to the Mekilta, 16. 70. Kadushin più tardi preferisce parlare di

R.abbinic Mind,

24 s., 3 1 .

un

«organismic complen,

v.

The

II8

La letteratura tannaitica

In un luogo i rabbi dichiarano che il peccato di Adamo è responsabile per la presenza della morte (non del peccato ) «sino alla fine di tutte le generazioni », prospettiva che dipende dall'idea di giustizia «corpora­ tiva» ; altrove dicono che ognuno muore a causa del proprio peccato, concezione dipendente dall'idea di giu stizia distributiva individuale ; altrove ancora, invece di considerare la morte come una calamità , af­ fermano che costituisce uno strumento di espiazione per il mondo , c oncezione dipen�ente dal concetto di castigo (p. 209). L'insistenza sul carattere non sistematico del pensiero rabbini­ co non significa che non si esercitasse mai la logica. Al contrario, all'interno dei limiti della struttura organica, la logica era usata, come si può vedere dall'interpretazione dei testi biblici (pp. 2022 I I ) . Mentre una determinata interpretazione di un testo può es ­ sere logica e ragionevole, non esclude un'altra interpretazione, del pari logica, senza che si senta alcun bisogno o propensione a sta­ bilire un rapporto logico tra le due: «Lo stesso versetto poteva essere interpretato in un numero indefinito di modi, purché si usassero i metodi rabbinici di interpretazione e purché l'interpre­ tazione fosse veicolo di una visione organica» (p . 205 ) . Kadushin sottolinea soprattutto quanto fermamente i concetti rabbinici fossero fissati e quanto si mostrassero capaci di resiste­ re al tempo : «Ogni termine concettuale è stabile e la terminolo­ gia nel suo insieme è fissa. Per tutto l'arco dell'epoca rabbinica nessun termine valutativo è modificato o sostituito da un altro» .71 Quest'idea lo può talvolta condurre ad una posizione che pecca per difetto di storicità (si veda, ad es. , Organic Thinking, 1 2 ) : lo stesso Kadushin spiegherebbe la cosa attribuendola al desiderio di affermare l'idea di complesso organico piuttosto che di mostra­ re come varietà e cambiamento possano trovar spazio al suo inter­ no. Egli li ammette (ad es. ibidem, 1 99), ma accentua la stabili­ tà del complesso organico.72 Questa sintesi delle caratteristiche formali della teoria di Ka­ dushin non fa giustizia alla ricchezza della sua presentazione del pensiero rabbinico . Avremo occasione nel discutere vari punti di 7I. The Rabbinic Mind2, 44· 72. Il lavoro di Kadushin riguarda principalmente la haggada, ma ritiene che an­ che la halaka è «informata dal complesso organico dei concetti rabbinici» (Con­ ceptual Approach, 21 s.). Su halaka e haggada, v. anche The Rabbinic MintP, cap. 4·

L·uso ·tlel materillle ·rabbinico

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far uso di alcune delle sue analisi dettagliate. La ragione per cui abbiamo fornito qui un compendio cosl ampio di alcuni tra gli ele­ menti principali della teoria di Kadushin è il desiderio di illustra­ re una via per trattare l'intero corpus della letteratura rabbinica seguita da studiosi che si occupano principalmente di problemi rabbinici . Inoltre alcuni tra gli argomenti principali di Kadushin mi sembrano perfettamente convincenti e mi sembrano indicare l 'unica via possibile per porre in relazione reciproca certi detti rabbinici . Questi argomenti sono : a) l'accentuazione della possi­ bilità di differenti interpretazioni dello stesso testo e/ o esperien­ za, ciascuna dotata di una propria logica interna e valida in sé, senza che tra le interpretazioni esista rapporto gerarchico o siste­ matico; inoltre b) l'insistenza sulla coerenza del pensiero rabbini­ co . Non sembra necessario esprimere un giudizio sulla sua conce­ zione secondo cui esistono solo quattro concetti, né più né meno, che tutti gli altri si intersecano con questi e così via . Basta per il nostro lavoro attuale che egli abbia mostrato che ha senso, a certi fini, far uso eclettico del materiale. Il presente tentativo volto ad una presentazione costruttiva del pensiero rabbinico non tende a ricalcare o a soppiantare la con­ cezione di Kadushin sul «complesso organico» . Da un lato, non posso personalmente spingermi ad un atteggiamento astorico co­ me quello di Kadushin; dall'altro, non intendo affrontare tutti i temi e motivi della letteratura rabbinica. Dovrebbe anche essere ovvio che il presente tentativo non sarà diretto alla costruzione di una nuova teologia sistematica . Cercheremo piuttosto il mo­ dello fondamentale della religione rabbinica, un modello che dia conto delle fondamentali forze motivanti la vita religiosa e il mo­ do in cui coloro che condividono una religione ne percepiscono il «funzionamento» . Il modello di religione, come abbiamo chiari­ to nell'Introduzione, riguarda il modo con cui all'interno di una religione ci si muove da un punto di partenza a una conclusione logica. In questo senso si può chiamare «soteriologico» il «mo­ dello di religione» . Abbiamo prima notato che il termine «soteriologia» può esse­ re sviante se applicato al giudaismo. Applicato al pensiero rabbi­ nico ha due inconvenienti. Il primo è che può sembrare implica·

1 20

La letteratura tannaitica

re proprio quello che abbiamo respinto con tanto impegno, uno schema sistematico in cui vari elementi sono reciprocamente di­ sposti in ordine gerarchico. La «soteriologia» che descriveremo non costituisce una concezione si stematica , ma è un modo di guar­ dare alla religione e alla vita, piuttosto che essere una teologia si­ stematica o parte di una teologia sistematica. Una seconda obie­ zione possibile al termine «soteriologia>> per quel che concerne la religione rabbinica è che il giudaismo in genere e il giudaismo rabbinico in particolare non è una religione primariamente oltre­ mondana . Il ques ito : : Stando in piedi. Dite che sia «stan­ do in piedi», o non è piuttosto sia che si stia in piedi che no? La Scrit­ tura dice: [ E] questi staranno in piedi per benedire il popolo (Deut. 2 7 , 1 2 ). Il ben edire è menzionato qui (in Numeri) e là (in Deuterono­ mio ). Come la benedizione menzionata là [ è data ] stando in piedi, co­ si anche la benedizione menzionata qui [ è data] stando in piedi . R. Nathan dice: Non è necessario argomentare cosl, poiché fu già detto : «E i preti figli di Levi si faranno innanzi, perché il Signore vostro Dio li ha scelti per servirlo e benedire nel nome del Signore» (Deut. 2 1 ,5 ). Giustappone (o stabilisce un'analogia tra) benedire e servire (nel tem­ pio) . Proprio come si serve stando in piedi, cosi si benedice stando in piedi. Ciò che va notato in tutto ciò è propriamente la preoccupazio­ ne di definire il comandamento (benedire significa stare in piedi con le mani alzate, ecc.) e di determinare a chi dovesse essere ap­ plicata la benedizione della Scrittura (proseliti, schiavi, ecc.) l Possiamo ora volgerei ad alcuni esempi per mostrare la preoc­ cupazione rabbinica di definire quando un comandamento sia sta­ to adempiuto . Un'espressione assai ripetuta nel materiale tannai­ tico è «egli ha adempiuto (o non ha adempiuto) il suo obbligo» , letteralmente «egli è uscito dalle mani del suo obbligo» ja�a· fde IJobato. È frequentemente abbreviato con ja�a·, «è uscito (ha a­ dempiuto) » . Un esempio dell'espressione completa viene da Sifra Emor pereq r 6 ,2 (Weiss r o 2c; su 2 3 ,40) . Il passo biblico è que­ sto : «E prenderete il primo giorno i frutti di buoni alberi, rami di palma . . . e vi rallegrerete davanti al Signore vostro Dio per set­ te giorni» . Il midras commenta come segue : «'E prenderete per voi'. Ogni persona [ deve prendere ] . 'Per voi'; da ciò che è vostro e non da ciò che è rubato. Ecco perché usavano dire : 'Nessuno 7· Per un altro esempio, v. Mekilta Ba�odes 7 (230; II, 255 ; a 2o ,r o) . E v. anche Sifre Zuta a Num. ,5,12, ove il commentatore domanda se l'espressione biblica «fi­ gli d'Israele» intenda escludere i gentili e i residenti stranieri o proseliti.

La natura della letteratura tannaitica

adempierà al suo obbligo nel primo giorno di festa con il llllab del suo vicino'», ecc. Ma basta andare al secondo capitolo del primo trattato della MiJna per trovare esempi dell'espressione . Se uno stava leggendo [ lo S�mac] nella legge ed è venu to il tempo di recitare lo Sema', se ha diretto il suo cuore egli ha adempiuto al suo obbligo [di recitare lo Sema' ] ; altrimenti non ha adempiuto al suo ob­ bligo (Berakot 2,1 ) . Se uno ha recitato lo Semac ma non abbastanza forte d a sentire egli stesso, ha adempiuto al suo obbligo. R . Jose dice : Non ha adempiuto. Se ha recitato senza pronunciare chiaramente le lettere, R. Jose dice: ha adempiuto al suo obbligo. R. Juda dice: non ha adempiuto. Se uno ha recitato [ le sezioni ] nell'ordine sbagliato, non ha adempiuto [ al suo obbligo ] (ibidem 2,3 ).

Il primo di questi due passi apre un problema assai dibattuto nella letteratura tannaitica, quello dell'intenzione (indicato in Be­ rakot 2 , 1 con l'espressione «se ha diretto il suo cuore»). Si può confrontare con Megilla 2,2 : Se uno ha letto [ il rotolo di Ester] a squarci o preso dal sonno, ha adempiuto all'obbligo; se lo copiava, lo commentava, o ne correggeva una copia, e ha diretto il suo cuore [ a leggere il rotolo ] ha adempiuto l'obbligo, altrimenti non ha adempiuto.

La questione dell'intenzione con riguardo ad un comandamento specifico, sia che «intenzione» venga intesa per opposizione a «ca­ sualità» oppure come attenzione a ciò che si fa, è complicata e non richiede di essere esplorata qui.8 Dobbiamo solo notare la preoccupazione di definire quando un comandamento è stato a­ dempiuto, preoccupazione che spesso include la discussione circa il livello di intenzione («dirigere il cuore») necessario. La definizione dettagliata di quanto è richiesto per l'adempi­ mento del precetto è stata vista (cfr. sopra la sez. 1 ) come l 'impo­ sizione di un enorme fardello sulle spalle dei membri della comu8. Le idee di R. Eliezer ad es. sono state molto discusse, a questo proposito. V. B.Z. Bokser, Pharisaic ]udaism in Transition, 120 s. (dove viene fornita ulteriore bibliografia sulla questione generale); Neusner, Eliezer n, 268, 28' (cita Gilat aiticandolo) , 290 s. (fornisce la propria sintesi). Per i passi, v. l'�dice di Neusner, alla voce «intcntion�.

La letteratura.tannaitica

nità giudaica che cercavano di vivere secondo le norme rabbini­ che. Un 'interpretazione opposta ha visto invece la halaka rabbi­ nica come un tentativo sia di rendere più facile l'osservanza del­ la legge, sia di modernizz arla. È dubbio che una delle due conce­ zioni possa valere come principio generale. Finkelstein ha soste­ nuto che la legge civile si era fatta notevolmente più permissiva, mentre la legge rituale era rimasta rigorosa.9 Si può anche conte­ stare questo tentativo di generalizzare il risultato dell'attività nor­ mativa dei rabbi. Dubito che le categorie di rigore e indulgenza, imposizione e permissività siano utili per indagare sulla questio­ ne della natura e dello scopo della halaka (anche se su punti sin­ goli le differenti opinioni si possono spesso classificare come più o meno rigoristiche) . Intento della halaka era di definire la legge e di aiutare l'ebreo osservante a stabilire quando l'aveva adem­ piuta. Questo poteva talvolta portare ad aggiungere quelli che appaiono ulteriori obblighi o restrizioni non direttamente risul­ tanti dalla Bibbia, o poteva rendere la legge biblica più agevole ad adempiersi ; e vi sono anche taluni esempi di «modernizzazione» . Il problema era tuttavia quello di definire quello che era richiesto. Talvolta era necessario contravvenire direttamente alla legge bi­ blica, ma non è certo questo un tema di primaria importanza nel­ la letteratura rabbinica .10 I decreti rabbinici, come anche le defi­ nizioni rabbiniche di ciò che la legge biblica richiede, sia che fos­ sero permissive o rigoristiche, erano sempre tali da poter essere messi in pratica .11 La normativa non si atteneva ad ideali irraggiungibili. ·

9· V. Finkelstein, prefazione alla terza edizione di The Pharisees, LI-LXVI, dove si oppone all'idea che i rabbi abbiano notevolmente mitigato la legge . Non sem­ bra tuttavia ritrattare la sua precedente posizione secondo cui la pratica di sti­ pulare affari il sabato Cerub) si sviluppò per evitare difficili situazioni personali (ibid., 137; dr. 718 s.) . Rivkin (Defining the Pharisees, 228 ) sostiene che i fari­ sei migliorarono le leggi di purità rituale. IO. R. Umael diceva che «in tre luoghi la halaka va oltre la Bibbia» (Midrai Tan­ naim a Deut. 24,I , 1.54; riportato da R. Jo}:lanan in Sota I6a; cfr. ]. Qid. 59d [ I,2 ] dove «torà» è presumibilmente un errore per «halaka»; un frammento del­ la tradizione è in Mekilta MiJpatim 2 [ 253; nr, I6 (Nezikin 2); a 2 r ,6; Friedmann, f. 77h, in alto, ha una differente lezione] ). V. Epstein , Mebo'ot, 353 ; Urbach, JfllZal, 262 (trad. ingl. 294); Moore, ]udaism I, 259 s. I I . V. il principio attribuito a R. Simeon b. Gamaliel in Tosefta Sota 15,Io e a

J,.ill natura della letteratura tannaitica

1 2. 7

. ' ·Nel suo impegno di · definire i comandamenti e il metodo per �eguirli, la Misna tratta largamente dei problemi speciali che in­ sorgono. Non è esagerato dire che la Misna tratta di eventualità e di difficoltà. Si può citare come esempio il trattato Zeba�im, «offerte di animali» . Molti paragrafi della traduzione inglese co­ minciano correttamente con «se» . La parola «se» non appare di fatto in ebraico, ma il senso è reso esattamente . Così ad es. Zeba­ pim 8,3 : «Se una offerta per la trasgressione è stata confusa con una offerta di pace, debbono essere lasciate pascolare :finché non subiscano danno». Ma si dovrebbe leggere il trattato per vedere quante eventualità e quante difficoltà insorgano. I principi che reggono il sistema sacrificale, ovvero il suo significato religioso, non sono mai discussi. Si constata di fatto che molte cose sono presupposte nel trattato . La conoscenza di che cosa sono i sacri­ fici è presupposta . Si presuppone inoltre che gli Israeliti debbano eseguire meglio che possono i sacrifici. Solo le difficoltà che vi si connettono sono discusse. Un assunto ulteriore è che esiste una buona ragione religiosa per eseguire i sacrifici. Ma in nessun luo­ go si troverà la frase : «Dobbiamo osservare il sistema sacrificate perché . . . ». Così, dalla halaka risulta non solo che i rabbi si preoccupavano di definire esattamente che cosa fosse richiesto e di determinare come si dovesse adempiere alle esigenze, ma anche un accordo su un gran numero di principi, giacché le discussioni e i punti di disac­ cordo riguardano quelli che sono, relativamente parlando, piccoli dettagli . 12

Letteratura tannaitica e religione tannaitica La preoccupazione di definire precisamente i dettagli spiega perché molti studiosi, specialmente cristiani, hanno interpretato la religione rabbinica come un angusto, formalistico legalismo. R. Josua in Baba Batra 6ob : non erano imposte regole (con decreto rabbinico) che la maggioranza della comunità non potesse sopportare (con riferimento al di­ aiuno dopo la distruzione del tempio). 12. Neusner, Eliezer II, 309 s., giunge alla stessa conclusione per il farisaismo prima del 70 d.C.

1 28

La letteratura tannaitica

Eppure abbiam visto abbastanza da poter iniziare un'analisi del­ la religione rabbinica che sfocerà in una immagine più profonda e vera. Ci si deve chiedere quali motivi religiosi spingessero i rab­

bi a questa indagine� così dettagliata e minuta, sui comandamenti biblici. Le motivazioni possibili risulterebbero due. O i rabbi erano dell'idea che la salvezza dipendesse dalla loro abilità di mettere insieme un gran numero di adempimenti dei precetti e che la pre­ cisa definizione della legge fosse d'aiuto in quella direzione; op­ pure erano dell'idea che la situazione di Israele nel patto richie­ desse che alla legge si obbedisse quanto più pienamente e com­ pletamente possibile. E cioè : o vedevano i loro sforzi come diret­ ti ad acquisire la salvezza, oppure come l'unica risposta autentica al Dio che aveva eletto Israele e dato loro i comandamenti. L'indi­ cazione che suggerisce qual sia la risposta più probabile non va cercata lontano. Possiamo prendere in considerazione la prima sezione (pisqa') di Sifre a Numeri, che commenta Num. 5 , 1 ss . : « Il Signore disse a Mosè : Ordina agli Israeliti che allontanino dall'accampamento ogni lebbroso, chiunque soffre di gonorrea e chiunque sia impuro per il contatto con un cadavere» . Il midras definisce accuratamen­ te ogni elemento del precetto : dev'essere applicato sia al tempo in cui fu proclamato sia nelle generazioni successive; sono preci­ sate le partizioni dell'accampamento (per santità decrescente: l'accampamento della Sekina, dei Leviti e di Israele) ; si tratta il problema se tutti e tre i gruppi degli espulsi vadano messi in uno stesso luogo ; viene sollevata e risolta la questione se il comanda­ mento vada applicato ad altri gruppi considerati impuri (la rispo­ sta è negativa : non si punisce sulla base di una deduzione ad ma­ ius ) ; si nota che il precetto si applica al maschio e alla femmina, all'adulto e al bambino, e anche al sempre ricorrente tumtum e all'androgino ; inoltre , vasi (utensili) impuri nel senso precisato vanno posti fuori dell'accampamento, anche se un pezzo di stof­ fa più piccolo di tre spanne viene esentato da R. Jose il Galileo. L'argomentazione concernente i punti che abbiamo sopra bre­ vemente delineato, sebbene l'ebraico sia tipicamente conciso ed economico al limite dell'oscurità, abbraccia più di tre pagine del

La natura della letteratura tannaitica

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testo di Horovitz (pp. 1-4) . È questo un esempio ulteriore del ti­ po di definizione halakica che abbiamo già discusso. Ma poi, com­ mentando Num . .5 ,3 («che io abito - Joken - in mezzo a voi») l'a­ nonimo autore del midras ci fa intravedere la motivazione religio­ sa soggiacente all'esatta e meticolosa definizione dei precetti :

Israele è amato, perché anche se sono impuri la Sekin4 è in mezzo a lo­ ro. E dice anche : «Che abita ( ha-16ken ) con loro in mezzo alla loro impurità» (Lev. 1 6 , 1 6 ) . E dice : «Rendendo impuro il mio tabernaco­ lo (miskani) che è in mezzo a voi» (Lev. 1 5 ,3 1 ). E dice : . Il commen­ tatore continua: «una volta che si è intrapreso ad esegui rlo , ciò è tenuto in conto come se l'avessero già compiuto» .13 Nel dare ele­ mosine, esiste una ricompensa sia nell'intenzione che nell'atto. Se una persona ha l 'intenzione ma, per mancanza di denaro, non può metterla in atto, è ricompensato per l'intenzione.14 La regola ge­ nerale divenne che un buon pensiero è valutato come una buona azione («è aggiunto ad essa») , anche se un cattivo pensiero non è valutato come una cattiva azione . Si deve eseguire di fatto il pro­ posito malvagio per esserne puniti. 1' Nonostante l'insistenza sull 'intenzione, la religione, secondo i rabbi, comportava l'esecuzione dell'intenzione stessa . L'obbligo 395 s.). Il passo di Erubin sembra attribuire l'idea che non è richiesta l'intenzio­ ne per adempiere i comandamenti a un tanna, ma la discussione tannaitica non tratta affatto dell'intenzione. La questione è introdotta dai commentatori amorei. I I . V. il passo cit. sotto, sez. 7 n. 9I. I2. Sotto, sez . 7 nn. 78, Sr e la discussione nel testo. 13. Mekilta Pis�a 12 (42; t, 1, 96 ; a 12,28). 14. E la ricompensa per l'intenzione («dire») è la stessa di quella del fare. Si/re a Deuteronomio 1 17 (176; a 15,9). 15. Tosefta Pe'a 14. Per le varianti testuali, v. l'edizione di Lieberman, aJ loc. Per dei paralleli, v. Lieberman, Tosefta Ki-Flutah Zeracim I, 127; Marmorstein, The Names and Attributes of God, 1 15 s. Un'eccezione possibile può essere il detto di R. Aqiba in T. Nazirut 3,14, secondo cui chi intende mangiare maiale ma non lo fa in realtA, deve ciononostante espiare.

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La letteratura tannaitica

di obbedire gravava su ogni singolo; non valeva come sostituzio­ ne l'appello alla pietà altrui : 16

E nessuno può liberare dalla mia mano (Deut. 3 2 ,3 9 ) . I padri non pos­

sono liberare i figli. Abramo non poteva liberare Ismaele e !sacco non poteva liberare Esaù. - Sinora so solo che i padri non possono liberare i figli . Donde sappiamo che il fratello non può liberare il fratello? La Scrittura insegna : Un uomo non può riscattare il suo fratello (Ps. 49, 8 [ 7] ). l sacco non poteva liberare Ismaele e Giacobbe non poteva li­ berare Esaù.

Un'affermazione simile si trova in questo passo di Sifra: «Non ha già Dio (ha-Moqom) assicurato Israele che i padri non sono giudicati dai [ dalle azioni dei ] loro figli né i figli dai [ dalle azioni dei ] loro padri? » (citando Deut. 24, 1 6 ) . Allora perché dice : A causa dell'iniquità dei loro padri essi periranno (Lev. 26,39) ? Si riferisce alla ripetizione degli atti dei loro antenati di generazione in generazione .17 Passi come questi, specialmente Sifre a Deutero­ nomio 3 2 9 , possono essere polemici contro l'abuso della conce­ zione dei «meriti dei padri» , o possono esser visti in contrasto con la concezione di R. Aqiba (Edujot 2,9) che un padre «meri­ ta» certe benedizioni per il figlio .18 Ma anche i rabbi che parlava­ no dei «meriti dei padri» non lo facevano in modo tale da assol­ vere l 'individuo dalla sua responsabilità di obbedire ai comanda­ menti.19 Un padre può «meritare» certe cose per il figlio (ad es . la bellezza fisica, come in Edujot 2 ,9), ma non esegue i comanda­ menti per lui.

Il fardello dell'obbedienza Mentre gli studiosi del Nuovo Testamento hanno criticato la re­ ligione rabbinica per la moltitudine di comandamenti - troppo nu­ merosi a conoscersi, tantomeno a praticarsi , per dirla con Bult16. Sifre a Deuteronomio 329 (38o; a 32,39); MidraJ Tannaim a Deut. 32,39 (p. 202); Ps. 49,8(7) è tradotto diversamente dai traduttori moderni. 1 7. Sifra Bepuqqotai pereq 8,2 (a 26,39). 18. Cosi Urbach, lfazal, 443 s (trad. ingl. 499). 19. Sulla responsabilità individuale, circa EjC. 34,7, v. sotto, sez . 8 n. 62 e la tratta­ zione nel testo.

Obbedienz.a e disobbedienz.ai ricompensa e puniz.ione

mann20 - gli studiosi rabbinici hanno sottolineato che il giudai­ smo non considera gli obblighi che Dio ha imposto al suo popolo come un pe so .2 1 Essi sono accompagnati da forz a e da pace,22 e so­ no un segno della misericordia di Dio: «Al Sinai apparve loro co­ me un vecchio pieno di misericordia» .21 Questo passo della Misna lo dice in maniera succinta: 24

R. I:Iananja b. Aqasja dice: Il Santo, sia egli benedetto, aveva in men­ te di dar merito a Israele; per questo ha moltiplicato per lui la legge e i comandamenti, com'è scritto, È piaciuto al Signore per la sua giu­ stizia di magnificare la legge e di render/a gloriosa (ls. 42 ,2 1 ) . Da un altro punto di vista, i rabbi potevano osservare che Dio non aveva dato all'israelita (ordinario) molti comandamenti, seb­ bene ne avesse dati molti ai sacerdoti.2' In ogni caso, sia che i co­ mandamenti siano considerati come una benedizione , essendo co­ sl numerosi, sia che vengano considerati relativamente lievi, es­ sendo meno numerosi di quelli per i sacerdoti, non v'è nella let­ teratura rabbinica alcuna recriminazione sul peso dei comanda­ menti, nonostante che essi appaiano gravosi agli studiosi del Nuo­ vo Testamento. Rifletteremo sul motivo di questo fatto . All'osservatore esterno, che ad es . legge la Misna per la prima volta, le leggi appaiono complesse, sconcertanti, prive di logica , e perciò pesanti . Ai rabbi non apparivano illogiche , dal momento che Dio le aveva emanate . Inoltre, il popolo che viveva in una comunità in cui molti comandamenti erano osservati nella routi­ ne giornaliera, le leggi bibliche nell'interpretazione rabbinica non apparivano complesse o difficili . Cosl quando R. Josua dice che 20. Bultmann, Primitive Christianity, 66; trad. ital., Il cristianesimo, 71. 21. V. il capitolo di Schechter, «The Joy of the Law», in Aspects, 148-169. V. anche Urbach, f::laz.al, 341 ss. (trad. ingl. 390-393 ). Urbach nota (p. 342 ; trad. ingl. 393 ) che la gioia dei comandamenti è sempre connessa con la loro osservan­ za per riguardo a loro stessi (v. sotto), ma i rabbi non ignoravano che non tutti potevano sempre osservare i comandamenti semplicemente per il piacere di farlo. V. nn . 89, 90 s. 22. Sifre a Deuteronomio 343 (398; a 33,2). 23. Mekilta Bai;JOdeJ 5 (219; n, 231 ; a 20,2). 24. Makkot, 3,16; cfr. Abot 6,1 1 . Epstein (Mabo' le-Nosa/.J ha-Misnah, 977 s.) con­ sidera il detto come un'aggiunta in entrambi i luoghi. E cfr. MidraJ Rabba a Eso­ do 30,9 (trad. ingl. 3.56 s.; cit. Schechter, Aspects, 143 s.): Dio ha specialmente benedetto Israele coll'avergli dato tutta la torà, mentre i gentili hanno ricevuto solo pochi comandamenti. 25 . Sifra Emor pereq 1,5 (a 21,5, fine).

La letteratura tannaitica

t 68

studiare due halakot mattino e sera e provvedere ai propri affari vale come adempimento dell'intera torà,26 egli non intende dire che non fossero adempiuti altri comandamenti . Molti altri lo era­ no per routine giornaliera. Cosl R. Meir diceva che «non v'è uo­ mo in Israele che non adempia cento mifWOt al giorno» . 17 Anche se il numero è ridotto a sette/8 la questione generale è la stessa: l'israelita è attorniato da comandamenti ch'egli adempie giornal­ mente.29 Sono facili le analogie con la vita dell'uomo moderno . Le leggi internazionali, nazionali, statali o regionali, e locali che nel loro complesso governano noi tutti sono molto più nu­ merose e se tutte fossero stampate, insieme con alcune delle in­ terpretazioni giurisprudenziali che le riguardano, apparirebbero molto più sconcertanti e temibili. La halaka rabbinica è analoga alla legge moderna nel senso che intende fornire indicazioni nor­ mative per tutte le aree della vita. Non presentava cosi alcun pe­ so particolare per quanti vi si attenevano, salvo quell'obbligo di conoscere e osservare le leggi che si ritrova in tutte le umane so­ cietà . Certo le leggi rabbiniche avevano forza e sanzione di co­ mandamenti divini, in ciò differendo radicalmente dalle moderne legislazioni . La questione è solo che non v'è un problema partico­ lare quanto ad apprendere un qualsiasi numero di norme e nel­ l'osservarle. Noi tutto lo facciamo . La Bibbia, e di conseguenza i rabbi, consideravano comandamenti divini molte cose che noi fa­ remmo entrare in un codice civile o penale o anche semplicemen­ te in un gala teo Son cose che trovano in tal modo un tratto di­ stintivo nel giudaismo, ma il numero e la complessità delle regole e delle norme non è specialmente notevole . L'obbligo di obbedi­ re non era visto dai rabbi come un grave peso sulle spalle degli Ebrei osservanti. .

2.6. Mekilta WaiiJifll' 2 ( 16r; 11, 103 s. [cap. 3 ] ; a 16,4-). 27. Tosefta Berakot 7,24 (ed. Lieberman, 6,24, p. 40); cfr. Tosefta Berakot, fine (trad. ingl. 173 ). 28. V. Bacher, Agada der Tannaiten II, 23 n. I . 29. Sifre a Deuteronomio 36 (67 s.; a 6,9) : «Amato è Israele, perché la Scrittura lo circonda con mi[w6t», ecc. V. Lieberman, Tosefta Ki-Fsutah Zeracim 1, 125.

Obbedienu e disobbedienza; ricompensa e punizione

La

disobbedienza come peccato

e

come colpa

Se la risposta di Israele al Dio che l'aveva scelto è l'obbedien­ za ai comandamenti che l'elezione porta con sé, il peccato dev'es­ sere la mancanza nel praticare tale obbedienza. Il peccato è cioè disobbedienza. Nella religione rabbinica, la disobbedienza è ciò che chiamia­ mo peccato, sia essa intenzionale o inavvertita, sia essa una tra­ sgressione delle norme cultuali, o dei dieci comandamenti . Il ve­ nir meno all'obbedienza a ciò che è comandato costituisce il pec­ cato e, da un certo punto di vista, le circostanze non sono irrile­ vanti. Si può facilmente esemplificare come ciò che ora ci appare una infrazione secondaria delle norme fosse di fatto considerata una disobbedienza ai comandamenti di Dio . In una argomentazio­ ne del tipo qal waiJomer R. Jose sosteneva che se la trasgressione di Adamo faceva sl che la morte colpisse innumerevoli generazio­ ni a venire a causa della «qualità del punire» di Dio, tanto più «la qualità del compensare» di Dio, che è assai maggiore, farà sì che i discendenti di una persona mietano i benefici dell'osservan­ za dei comandamenti da parte di quella persona .30 I temi specifi­ ci usati da R. Jose. per la sua tesi sono : «Chi si pente dd piggtil e del notar e digiuna nel giorno dell'espiazione» . Le due parole piggul (rifiuto) e notar (rimanente) si riferiscono a sacrifici che non sono stati eseguiti correttamente.-'1 È degno di nota che ci si pente della trasgressione di queste norme cultuali . Quel che ap­ pariva importante era l'obbedienza ai comandamenti e il rimedio per la non-obbedienza è il pentimento. Così ci si «pente» di er­ rori rituali : anch'essi costituiscono una disobbedienza.32 È questo un aspetto del pensiero rabbinico che si è attirato una dura critica da parte dei teologi cristiani . Braun considerava «in­ genuo» l'accostamento, in Abot, di comandamenti e di norme cul­ tuali.33 Come abbiamo già visto sopra nella sez . prima, Bultmann 30. Si/re

a EJoba parda I2,IO (a ,,17). Maaser Seni 3 ,2 e le note eli Danby. 32 . Su questo punto, v. Moore, ]udaism 1, 1 16 s. Egli dà un parallelo all'atteggia­ mento rabbinico tratto dal Westminster Shorter Catechism. 33· H. Braun, '&dilealismus I, 3'· 31. V.

La letteratura tannaitica

e altri hanno ritenuto che le norme cultuali divenissero più impor­ tanti delle > . [ Si riferisce a ] chiunque non ha una mi!wa che possa testimo­ niare in suo favore [ e far sl perciò che il piatto inclini ] dalla parte del­ l'innocenza (kaf zekut). Questo disse con riguardo al mondo a venire. Ma in questo mondo, se anche 999 angeli lo dichiarano colpevole e un angelo lo dichiara innocente, il Santo, sia benedetto, fa pendere [la bi­ lancia] dalla parte dell'innocenza, ecc.» .26 È evidente che l'amoreo o il tardo tannaita (che chiaramente co­ mincia a commentare con le parole « Questo disse») capl che R. Aqiba voleva dire «una mi�wa più del numero delle sue trasgres­ sioni» . Egli pone in contrasto questo sistema di rigoroso compu­ to nel momento del giudizio futuro con la mitezza di Dio in que­ sto mondo. E la maggior parte degli studiosi moderni hanno se­ guito il commentatore tardo. Cosi Schwab27 traduce «una mi�wa» « una buona azione in più rispetto a quelle cattive» mentre Biller­ beck spiega cosl «un adempimento del precetto» : «si riferisce a quell 'unico adempimento del precetto , che alle buone azioni e adem pi menti di precetti che stanno sul piatto della bilancia dei meriti dà la prevalenza rispetto al piatto della bilancia delle tra24· Qiddusin 3 9h ; trad. ingl. I93· 2,. ]. Qiddusin 6rd(r ,ro). 26. Per il seguito, v. Moore, ]udaism 1, 3 9 1 e cfr. Sabbat 32a. In Sabbat 32a, tut­ tavia, il detto «Se 999 depongono a favore della sua colpevolezza, mentre uno de­ pone per la sua innocenza, egli si salva» si può riferire al mondo a venire. 27. Trad. frane. 237·

La letteratura tannaitica

sgressioni» .28 Parimenti Schechter osserva : «Dal Talmud Palesti­ nese Qiddusin 6 1 d sembrerebbe che quest'insistenza su una mag­ gioranza di buone azioni si applichi solo al giudizio nel mondo a venire, ma in questo mondo anche una sola buona azione può sal­ vare un uomo».29 Ciò con speciale riferimento a Abot 3 , 1 5 , che citeremo più sotto . Bacher, commentando il passo, scrive : «In ls. 5 , 1 4 egli [ Aqiba ] sottolinea il singolare (precetto) e vede in ciò un'allusione al fatto che il mancare di una sola buona azione al momento del giudizio diventa evidente sul piatto della bilan­ cia e porta con se la condanna» .30 E infine Montefiore parafrasa così l'affermazione di Aqiba : «L'assenza di una buona opera può impedire che la bilancia inclini a suo favore» .31 A sostegno di quest'interpretazione del detto di Aqiba si può citare R . Aqiba in Abot 3 , 1 5 : «Tutto è previsto, ma è data liber­ tà di scelta , e il mondo è giudicato dalla grazia, eppure tutto è se­ condo la maggioranza delle opere [ che il giudizio sia positivo o negativo ] » .32 La lettura di Abot non è del tutto chiara, a causa della variante «e non secondo le opere» . Ma se la lezione gene­ ralmente accolta è corretta, l'ultima frase può essere intesa a fa­ vore dell'idea che R. Aqiba concepisse il giudizio divino come un sottoporre al peso le azioni di ognuno. Anche così tuttavia è chia­ ro che il detto intende tenere in equilibrio il giudizio per grazia e quello in base alle opere. Non essendo un teologo sistematico, R. Aqiba non spiegò come si connettono le due parti dell'affermazio­ ne . '

)

28. Str.-Bill . II, 56o («ci si riferisce a quell'adempimento di un comandamento, che abbassa la bilancia dalla parte dei comandamenti e delle buone opere, piut­ tosto che dalla parte della colpevolezza») . 29. Aspects, 306 n. 4· 30. Agada der Tannaiten I, 325 s. 31. Montefiore e Loewe, Anthology, 595 · Va notato che questa parafrasi del passo scorrettamente rovescia le formule «in questo mondo» e «nel mondo a venire», rendendo Dio clemente nel giudizio finale, ma severo quaggiù. Questo «miglio­ ramento» risolve il problema e può esser persino vicino allo spirito dei rabbi in genere, ma non è corretto. 32. Nell'ed. Herford (Sayings of the Fathers), 3,19; in quella di Taylor (Sayings of the ]ewish Fathers), 3 ,24. Per le varianti v. le loro osservazioni al passo , special· mente le note di Taylor al testo ebraico (p. 20) e la sua nota aggiuntiva al testo (p. 152). Danby ha «eccesso» per «maggioranza•. 33· Cfr. Helfgott, Election, 76.

Ricompensa e punizione nel mondo a venire

1 97

Ma, lasciando da parte per un momento Abot 3 , 1 5 , sembra che la concezione del commentatore rabbinico del detto di Aqiba nel Talmud Babilonese possa aver influenzato indebitamente i com­ mentatori più tardi. Anzitutto l'ebraico del detto di R . Aqiba è ben chiaro: si riferisce a chi non abbia un (singolo) comandamen­ to perché Dio possa far pendere la bilancia dalla parte dell'inno­ cenza. Non v'è indicazione che ci si riferisca a «una di più del nu­ mero delle trasgressioni» . Inoltre il detto di R . Aqiba è in contra­ sto con quello di Ben Azzai , che in sostanza afferma che una sin­ gola trasgressione causa la perdita di molto bene. È perciò più che ragionevole pensare che il detto di R. Aqiba intendeva asseri­ re che l'adempimento di una mi! wa produce molto bene . Detti del genere sono infatti abbastanza frequenti nella letteratura tan­ naitica e sebbene possano apparire paradossali non dovrebbero lasciar sorpresi. Questi detti sono assai importanti se vogliamo comprendere il vero significato del tema del · Chi parla è R. Simeon, un più giovane

con­

temporaneo di Rabbi e suo allievo.

5 3 · Schechter, Aspects, 193. La discussione concerne il significato di iaqlm, che letteralmente vuoi dire «far stare in piedi». Implica questo che le parole della legge potessero cadere? No; piuttosto, si riferisce a un tribunale secolare che non tien salda la legge. L'espressione «che non tiene salda la legge» di fatto non com­ pare nel testo e vi va integrata.

54· Questa sezione del Midras Rabba a Levitico tratta di Deut. 27,26 e Prov. 3,18 ( «Ella è un albero di vit a per quelli che vi si attengono�). :S in parallelo parzia­ le con ]. Sola, loc. cit. 55. «Confermare» si ritiene includa protestare contro la cattiva condotta e soste­ nere i dotti . , 6. Sabbat 551 ( trad. ingl. 25, ). Urbach (l:lazal, 237; trad. ingl. 266; cfr. 384 ;

204

La letteratura tannaitica

i peccati (in contrasto con Ex. 34,7).'7 Ex. 1 5 ,26 (e osservi tutte le sue leggi) è interpret ato con riferimento a quanti si rendono re­

sponsabili di licenze sessuali.'8 Deut. 1 I ,22 (Se osserverete dili­ gentemente tutti questi comandamenti) è assunto con riferimen­ to alla necessità non solo di ascoltare, ma di studiare la torà .'9 I rabbi chiaramente trascuravano occasioni di esigere la perfezione in materia legale . Come abbiamo appena visto, i detti che afferma­ no che una certa trasgressione porta all 'esclusione dall'alleanza o alla perdita della vita nel mondo a venire significano qualcosa di affatto diverso da quella sorta di perfezionismo legalistico che i n­ duceva l'autore di 4 Esdra alla disperazione. L'opposto del riget­ tare i comandamenti (e di conseguenza anche il Dio che li ha dati)

non è l'obbedienza perfettamente realizzata, ma la «confessione» dei comandamenti stessi.6o Ciò che si richiede è la sottomissione ai comandamenti di Dio e l 'intenzione di obbedire ad essi .61 trad. ingl. 43.5 ) nota che l'opinione che «non v'è morte senza peccato� appare solo nel periodo amoreo. Qui è attribuita a R. Ammi . Può essere tuttavia che R.

Juda avesse una simile opinione. V. sez. 7 n. 1 28. 57· Makkot 2� (trad. ingl. 173). Ezech. 1 8 ,20 è posto in contrasto con Ex. 20 ,.5 («che visita l'iniquità dei padri sui figli sino alla terza e alla quarta generazione di quelli che mi odiano») in Mekilta di R. Simeon su 20,5 (p. 148) . ,s. Mekilta Vaiaua' I ( 15 8 ; II, 96 ; su 1_5,26) . .59· Si/re a Deuteronomio 48 ( 107 s.; a 1 1 ,22 ; dr. Friedmann, f. 83b, dove il testo differisce leggermente). 6o. Su «confessare» e «rinnegare», v. spec. Kadushin, Tbe Rabbinic Mind, 540-567. 61 . H. Hiibner, Gal J,IO und die Herkunft des Paulus: KuD 19 ( 1973 ) 21.5-23 1 ha recentemente discusso la richiesta di praticare tutta la legge e le affermazioni circa le buone azioni che superano in peso le trasgressioni, e ha concluso che Paolo era lammaita piuttosto che hillelita. Egli sostiene anzitutto che, siccome Paolo si aspettava il 100% di obbedienza dall'ebreo osservante (Gal. 3,1o), non poteva essere un hillelita convinto, perché, come si sa, i farisei credevano nel giudizio in base alla preponderanza delle azioni. Egli considera questa una teolo­ gia sistematica, in contrasto con la posizione della minoranza, secondo cui occor­ re praticare tutta la legge, posizione che egli attribuisce agli §ammaiti. Egli ritro­ va la seconda posizione in Sifra Qedosim pereq 8 (a 1 9 , 34 ) : il proselita, come l'i­ sraelita per nascita, deve accettare tutte le parole della torà. Poiché R. Eliezer, iammaita, sosteneva in ]ebamot 46a che i proseliti debbono esser circoncisi, Hiib­ ner conclude che la connessione tra circoncisione e il praticare tutta la legge (Gal. 3,1o) riflette una posizione sammaita. Le tesi dell'articolo di Hiibner sem­ brano errate su ogni punto : I . la sostanza di Sifra Qedosim pereq 8,3 è che si deve «accettare», cioè «assentire a» nel senso di «confessare», non adempiere ir­ reprensibilmente la legge ; 2. che si debba accettare tutta la torà e non rinnegar-

Ricompensa e punizione nel mondo tZ venire

20'

Cominciamo prendendo in considerazione il significato dell'af.. fermazione di R. Aqiba a proposito di colui che «non ha una mi�­ wa che possa costituire prova a suo favore» , notando che molti hanno preso questo detto nel senso di «una mi�wa in più di quan­ te sono le sue trasgressioni>> , quindi a sostegno dell'idea che pe­ sare gli adempimenti in rapporto alle trasgressioni sia alla base della soteriologia rabbinica. Abbiamo or ora osservato che i detti nel senso che l'adempimento di un precetto può portare alla sal­ vezza e la trasgressione di un precetto può portare alla dannazio­ ne sono piuttosto frequenti e abbiamo discusso il significato del­ l'ultima affermazione . Diventa così chiaro che se R. Aqiba inten­ deva dire che r adempimento di una sola mi�wa era sufficente per­ ché Dio facesse pendere la bilancia dalla parte dell'innocenza, ciò che diceva era comune a moltri altri rabbi. Per quanto si esiti a contraddire studiosi come Bacher e Schechter, sembra questa la migliore interpretazione di quello che Aqiba diceva. Fa piacere poter citare Finkelstein a favore: «Talvolta [ Aqiba ] affermava che la misericordia di Dio era tale che un singolo atto meritorio avrebbe ottenuto l'ammissione al mondo futuro. Egli trovava so­ stegno alla sua concezione in una fantasiosa interpretazione di Is. ' , I 4 » . Finkels tein traduce così l'asserto di Aqiba: «Solo coloro che non possiedono affatto buone azioni discenderanno nel mon­ do inferiore» .62 Quest'interpretazione è fortemente rafforzata da la è una posizione rabbinica del tutto normale. Non vi sono affermazioni in sen­ contrario (che si possa accettarla selettivamente), né vi sono affermazioni pa­ rallele a quella di Paolo che si debba «osservare» tutte le leggi come cosa distin­ ta dal «confessarle», come abbiamo appena mostrato. La distinzione che Hiibner individua non esiste; 3 . la teoria che si debba esser obbedienti solo al , x % del tempo non è il cuore della soteriologia rabbinica, né le affermazioni circa il «pe­ sare» possono essere specialmente connesse con la scuola di Hillel. R. Aqiba, pre­ sumibilmente hillelita , diceva che un solo adempimento è sufficiente. E neppure si possono connettere con gli sammaiti le numerose affermazioni, di tono esorta­ tivo, circa il non trasgredire anche un solo comandamento. Questo rifiuto della tesi di Hiibner non è diretto a favore della tesi cui egli si oppone, che ci� Paolo era un hillelita (Jeremias). Non ritengo che disponiamo di alcuna informazione che ci consenta di affrontare la questione . 62. Finkelstein , Akiba, x86 , non mette in relazione questo passo con Abot 3,1,, che egli cita, op. cit. , 207. C'è un parallelo ai detti di Ben Azzai in Midra'J Rabba a Qoelet 10,1. Il traduttore inglese (A. Cohen) traduce il detto di Aqiba cosi : «Una persona che non ha [radempimento di ] un precetto [a proprio credito] so

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La letteratura tannaitica

una discussione tra R. Gamaliel 11 e R. Aqiba, citata da Finkel­ stein. Discutendo Ezech. I 8 ,5-9, che elenca numerosi peccati da evitarsi e conclude che chi ha osservato i precetti è giusto e vivrà, i rabbi commentano : 63 Quando R. Gamaliel leggeva questo versetto piangeva dicendo : «Solo colui che fa tutte queste cose vivrà, e non solo una di esse! » A questo proposito R. Aqiba gli disse : Se è cosi, non vi contaminate con nessu­ na di tali cose (Lev. 1 8 ,24) . È la proibizione solo di tutte queste cose [ insieme ] , e non di una sola? [ Certamente no ! ] Ma vuoi dire, con una di queste cose; cosl parimenti per aver fatto una di queste cose [ vivrà ] .

Presumendo che R. Aqiba abbia detto le tre cose attribuitegli a questo proposito (Abot 3 ,I .5 : il mondo è giudicato dalla grazia, ma ogni cosa è secondo la maggioranza delle opere; ]. Qiddusin 6 I d: Is. 5 , I 4 prova che Dio farà pendere la bilancia a favore di chi ha eseguito una mi�wa; Sanhedrin 8 r a : come Lev. r 8 ,24 vuoi dire che non bisogna contaminarsi in alcuno modo, cosl Ezech. 1 8 ,5-9 vuoi dire che colui che compia una qualsiasi delle cose e­ lencate vivrà) , è chiaramente impossibile attribuirgli la concezio­ ne che Dio giudica salvando quelli che hanno un adempimento in più rispetto al numero delle loro trasgressione. Abot 3, I 5 rimane enigmatico. L'unico chiaro significato è che grazia e giudizio, in rapporto alle opere di una singola persona, sono in reciproca ten­ sione. Ma non si può ricavare una soteriologia sistematica da tale asserto. Abbiamo cosi visto che Qidduiin r ,roa, e la maggior parte dei commenti tannaitici raccolti su questo testo nella Tosefta e nei Talmudim, non sta a favore dell'assunto che il «pesare» stia alla base della soteriologia rabhinica. Qidduiin r ,roa e Tosefta Qid­ dusin 1 ,1 3 sono affermazioni esortative volte a incoraggiare l'ob­ bedienza e a scoraggiare la disobbedienza. Non usano la logica del soppesare un'opera in rapporto all'altra. Il Talmud babilonese che possa far propendere la bilancia del merito a suo favore» (trad. ingl. 260). Bonsirven (Textes rahhiniques, 4r2) ha parimenti compreso correttamente il detto di Aqiba, come anche M. Brocke, Tun und Lohn, 172. 63 . Sanhedrin 8xa (trad. ingl. 538). Il parallelo in Makkot 2 4a connette il com­ mento di R. Gamaliel a una discussione sul Ps. 15 , e la risposta è introdotta da «dicevano», invece che da «R. Aqiba disse». Cfr. anche Midrai ai salmi su Ps. 15,7 (trad. ingl. 194 s.), che si riferisce ad entrambi i passi biblici.

Rkompensa e punizione nel mondo a venire

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non ha materiale speciale tannaitico in proposito e la discussione di Ben Azzai e di R. Aqiba nel T almud Palestinese non è a soste­ gno dell'ipotesi del «pesare», a favore della quale, tra i passi sino­ ra considerati, rimane solo il detto di Tosefta Qiddusin r , 1 4 di R. Simeon b. Eleazar, in nome di R. Meir, nel senso che i singoli e «il mondo» sono giudicati in base alla maggioranza delle loro ope­ re. Ma, come abbiamo visto, R. Meir difficilmente poteva sostene­ re una soteriologia cosl sistematica e l'editore della Tosefta, do­ po quest'affermazione, ne riportò un'altra in senso diverso. Non è solo inesatto, ma profondamente scorretto ricavare dal detto di R. Simeon b. Eleazar in nome di R . Meir una soteriologia siste­ matica, secondo cui Dio giudica ponendo sui due piatti della bi­ lancia adempimenti e trasgressioni. Dobbiamo però ancora discutere il detto di R. Eleazar ha-Kap­ par in Abot 4,2 2 , che suona : Coloro che son nati [sono destinati ] a morire e coloro che sono morti [ sono destinati ] ad essere vivificati e quelli che vivono [dopo la morte sono destinati ] ad esser giudicati, affinché tutti gli uomini possano co­ noscere e far sapere e comprendere che egli è Dio, egli è il Facitore, egli il creatore, egli colui che discerne, egli il giudice, egli il testimone, egli colui che ha pietà; ed è lui che giudicherà, sia egli benedetto, al cui co­ spetto non v'è astuzia né oblio né riguardo alle persone né possibilità di corruzione : perché tutto è suo . E sappi che ogni cosa avviene in ba­ se al conto. E che la tua [cattiva] natura non ti assicuri che la tomba sarà il tuo rifugio : giacché fosti creato senza il tuo volere ... e senza il tuo volere in futuro renderai conto e ragione dinanzi al Re dei re, il San­ to, sia egli benedetto.

L'intento di questo passo è di negare la possibilità di favoritismi da parte di Dio e di assicurare l'uomo che sarà punito per il suo peccato, sperando ch'egli viva in modo tale da dimostrare d'esser­ ne memore. Il riferimento al «conto» non riguarda naturalmen­ te un libro mastro in cui si determina se le buone azioni di una persona prevalgono in numero sulle trasgressioni. Possiamo trovare parecchie affermazioni sul fatto che Dio tie­ ne libri sulle azioni delle persone nella letteratura amoraica,64 ma tali affermazioni sono assai rare in quella tannaitica. Abbiamo vi64. Nedarim 22a, in alto; RoJ Ha-Sana 16b,32b. Anche questi passi pero non si riferiscono a registri di debiti e crediti, ma ai libri della vita e della morte.

La letteratura tannaitica

208

sto sopra che un testo del genere, in cui l'uomo nel momento del­ la morte è chiamato a porre il suo sigillo per attestare l'accuratez­ za della registrazione delle sue azioni, è motivato dalla teodicea.6' Si confessa che il giudizio di Dio è giusto. Non è detto che i suoi adempimenti siano più numerosi delle trasgressioni. Il detto di Rabbi in Ab o t 2 , r («Considera tre cose e non cadrai nelle mani della trasgressione; sappi che cosa c'è sopra di te : un occhio che vede, un orecchio che ascolta e tutte le tue azioni scritte in un li­ bro») ha carattere esortatorio al pari del detto di R. Eleazar in Abot 4 ,2 2 . Le trasgressioni si evitano ricordando che Dio è un giusto giudice e nulla scorda. Sono detti che si collocano sulla li­ nea che abbiamo esaminato nella sottosezione precedente: si può confidare nella giustizia di Dio, egli punisce la trasgressione al modo in cui premia l'obbedienza.66 Il contrario di questa conce­ zione, ripetiamolo, non sarebbe che Dio salva per grazia, ma che sia possibile peccare impudentemente giacché non esiste ricom­ pensa. I passi che abbiamo considerato, in altre parole, non rap­ presentano la concezione che le buone opere acquistano la salvezza, anche se, come abbiamo visto, l'intenzione volontaria di disobbe­ dire esclude dal patto e dalle sue promesse. L'obbedienza, special­ mente l'intenzione di obbedire («confessare») è la conditio sine qua non della salvezza, ma non l'acquista. È istruttivo paragonare i passi circa il «pesare» (Tosefta Qid­ dusin I , 1 4 e l'ultima frase di Abot 3 ,1 5 ) con le affermazioni che l'adempimento di un solo comandamento può dare la salvezza. Se ci domandiamo quale sia la dottrina, la risposta dev'essere : né l'una né l'altra. I passi che affermano che l'adempimento di un so­ lo comandamento salva servono tuttavia a respingere l'idea che il «pesare» fosse una dottrina rabbinica, anche se una confutazione anche più decisiva di questa concezione, perversamente errata, sa­ rà presentata in conclusione. Ora dobbiamo notare tuttavia che Schechter non è del tutto esatto trattando come dottrina sote­ riologica l'osservanza perfetta di una determinata legge.67 Ciò è 65. Sifre a Deuteronomio 307 ; v. sopra, pp. 189 ss. 66. Cfr. l'interpretazione dei due passi in Brocke, sopra, sez. 5 n. 107. 67. Schechter, Aspects, 164, dove sono elencati più esempi della salvezza che vie­ ne dalradempimento di

un

solo comandamento.

Ricompensa e punizione nel mondo a venire

209

certamente assai più vicino allo spirito generale della religione rab­ binica di quanto lo sia l'idea del della salvezza nella religione rabbinica, è quella dell' elezio­ ne e del pentimento.68 I detti riguardanti l'osservanza di una legge, per la quale si riceve partecipazione al mondo a venire, sono con­ trobilanciati da altri che indicano che la dannazione è la conseguen­ za di una trasgressione. La verità è che questi tre gruppi di detti - la dannazione per una trasgressione, la salvezza per un adempimento e il giudizio secondo la maggioranza delle opere - hanno una base e uno scopo comune. Tutt'e tre le affermazioni potrebbero esser fatte proprie senza in1barazzo intellettuale da chiunque non sia un teologo si­ stematico. Ogni tipo di detto rappresenta un modo efficace di spingere il popolo ad obbedire il meglio possibile ai comandamen­ ti e di insistere sull'importanza di farlo. Un esempio ulteriore può mostrare come dovrebbero essere considerati detti non sistematici che connettono direttamente la vita nel mondo a venire con il merito acquisito quaggiù. V'è una baraita attribuita a R. Josua,69 secondo cui estendere le restrizio­ ni in questo mondo (proteggendosi così contro le trasgressioni) estende i giorni nel mondo a venire. Ciò sembra indicare che esi­ ste una diretta correlazione tra opere e salvezza. Quanto meglio si adempie la legge, tanto più si prolungano i giorni della salvezza. Ma posta la cosa in questi termini, subito si scorge quanto sia ri­ dicolo l'assumere il detto letteralmente. I rabbi non pensarono mai che la permanenza del singolo nel mondo a venire durasse per un certo periodo e poi finisse, nel caso che avesse solo poche buo­ ne azioni in più rispetto alle cattive, o qualcosa del genere. La preoccupazione soggiacente al detto di R. Josua è ovviamente di incoraggiare l'estendersi delle restrinzioni, cioè il costruire una barriera intorno alla legge. Egli ne sottolineava l'importanza gio­ cando sulla parola «estendere» . Si deve ringraziare che Billerbeck e gli altri non si siano aggrappati a questo passo per «estendere» il sistema che attribuiscono ai rabbi facendo dipendere la durata della salvezza dalla grandezza e dal numero delle opere. Prima di lasciare il tema del «pesare» , prenderemo in esame 68. V.

sotto,

sez. 7·

69. Nitida x6b.

2 10

L/l letteratura tannaitica

la famosa controversia tra la scuola di Sammai e quella di Hillel, circa il modo in cui Dio tratta la categoria : assolve quando ci si pente, non quando non ci si pente . Applicato alla frase «non assolverà>> di Ex. 2 0 , 7 , ciò signifi­ ca che Dio perdonerà l'usare invano il suo Nome se v'è pentimento. R. Ismael considera la profanazione del Nome come il peccato più difficile da espiare; richiede non solo il pentimento e il Giorno dell'espiazione, ma anche il giorno della morte con le sofferenze che la precedono. Ma può essere espiato. R. Juda e Rabbi ritengo­ no che la trasgressione del non pronuncerai richieda solo il penti­ mento e il Giorno dell'espiazione. Risulterebbe essere questa an­ che la posizione della scuola di Aqiba, che ritiene il non pronun­ cerai una trasgressione grave, cancellata dal pentimento e dal Giorno dell'espiazione (J oma 8 ,8) . Sembra vi fossero alcuni poi che volevano aggiungere quelli che avevano profanato il nome di Dio a quelli che avevano «infranto il giogo» , ma la concezione di gran lunga dominante era che la trasgressione di un qualsiasi co­ mandamento può essere espiata. In tutti questi passi i rabbi usano una sorta di terminologia ab­ breviata parlando di «espiazione» per designare sia l'atto di espia­ zione dell'uomo sia il perdono divino. Le due cose sono definiti­ vamente distinte in parecchi casi del Levitico, come 19,22 : E il

sacerdote farà espiazione per lui con l'offerta di riparazione del­ l'ariete dinanzi al Signore per il peccato che ha commesso: e il peccato commesso gli sarà perdonato. Il sacerdote «espia» , ma il passivo «sarà perdonato» (nisla�) indica che Dio perdona. Ma Sifra, commentando passi simili nel Levitico non utilizza affatto la distinzione.62 Al contrario, almeno una volta il termine «espia­ re» è usato per spiegare il biblico «perdonare» . «Egli non sapeva e gli sarà perdonato. Così, se sapeva, non espia (mitkappér) per lui» .63 Similmente, l'altra parola che significa primariamente «per­ donare», ma&al, è usata più o meno come un equivalente di «e62. V. Si/ra Ifoba pereq 6,7 (a 4,2o); ibid. , pereq 9,5§pereq 1o,8§pereq 20,9; ibid., pereq 23,1 (a 5,26; trad. ingl. 6,2). 63. Sifra Ijoba pereq 21,2 (a 5,18).

Salvezza mediante partecipazione all'alleanza ed espiazione

spiare» . Nel passo sopracitato di Mekilta in cui sono discussi i quattro mezzi di espiazione di R. Ismael, è detto che la sofferen­ za espia. Ma più avanti nella Mekilta si legge l'affermazione: «che cosa perdona a uno [ le sue trasgressioni ] ? Devi dire, la sofferen­ za» .64 Sarebbe stato più preciso dire : «quali mezzi di espiazione sono stabiliti per le trasgressioni e portano la salvezza divina? », ma i rabbi dicevano più economicamente che la sofferenza espia o che la sofferenza perdona, senza sempre distinguere per bene le due cose. Nel caso del pentimento, la distinzione tenninologica era naturalmente conservata: l'uomo si pente e Dio perdona. Co­ sl nella discussione sopra citata di R. Ismael, si legge che «il penti­ mento espia» . Viene poi spiegato che «chiunque trasgredisce una mifwa positiva e si pente, non si muove di là sinché Dio lo perdo­ na ('lo perdonano')» .6' In generale tuttavia i rabbi non conserva­ no la distinzione del Levitico tra espiazione e perdono.66 Risulta chiaro allora che il perdono di Dio era incluso nel ter­ mine generale «espiazione» . I rabbi non si davano pena di spiega­ re che l'uomo, confessando, digiunando e pregando nel Giorno dell'espiazione, espia e Dio lo perdona. Semplicemente dicevano: «Il Giorno dell'espiazione espia» . Dal fatto che «espiare» e «per­ donare» sono intercambiabili è evidente che comprendevano che l'espiazione include il perdono di Dio;67 ma il loro modo di espri· mersi circa l'espiazione può indurre il lettore a pensare erronea­ mente che concepissero come automatico il processo di espiazio­ ne. I rabbi senza dubbio confidavano che Dio avrebbe perdonato coloro che avevano fatto quel che si doveva in ordine all'espiazio­ ne, ma non supponevano che l'espiazione sarebbe stata efficace a 64. Mekilta Ba�odes ro (240; 11, 278 ; a 20,20). Lauterbach traduce : «Ma che co­ sa apporta ad un uomo il perdono?». 65. Come scrive Lauterbach nella traduzione cit. sopra, «Se uno ha trasgredito un comandamento positivo e se ne pente, egli è p erdonato sul momento�. 66. Biichler ha sostenuto, non del tutto persuasivamente, che R. Aqiba conserva­ va la distinzione biblica, v. Studies in Sin and Atonement, 449· In ogni caso, in ge­ nere non era conservata. Possiamo anche notare che il passo in ]oma 45c ( 8,8), che tratta dei quattro tipi di espiazione, usa una volta il termine «purificare» do­ ve la Mekilta ha «espiare» : «Cosl apprendiamo che la morte purifica�. Non v'è una distinzione reale. 67. Va notato che una delle otto cose per cui il sommo sacerdote nel Giorno del­ l'espiazione rende grazie è il perdono. V. ]oma 7,1 ; Sota 7,7.

La letteratura tannaitica

prescindere dal pe rdono e dalla riconciliazione con Dio. Rappre­ sentavano Dio come sempre pronto a perdonare e non avevano perciò bisogno di dire «il pentimento espia se Dio decide di per­ donare» . Come al solito i rabbi non si ponevano dal punto di vi­ sta di Dio e il perdono non era isolato come oggetto di particolare attenzione, all 'interno del processo generale di riconciliazione . Po­ tevano semplicemente usare «espiazione» , che propriamente do­ vrebbe applicarsi solo all'azione dell'uomo, per indicare l'intera riconciliazione . È chiaro che le affermazioni sull'espiazione citate sopra, e altre che potevano esser addotte, non si accordano perfettamente l'una con l'altra. Possiamo notare che nel passo sopracitato da Mekilta Bai;Jodes 7 , R . Ismael afferma che il pentimento solo espia la tra­ sgressione di comandamenti positivi, mentre per la trasgressione di comandamenti negativi ha solo il potere di sospendere la mate­ ria sino al Giorno dell'espiazione. Rabbi, d'altro canto, diceva che il pentin1ento solo espia le violazioni di leggi simili a quelle che precedono il comandamento Non pronuncerai.68 Uno dei coman­ damenti che precedono il Non pronuncerai è Non farai alcuna im­ magine scolpita, un comandamento negativo. Secondo R. Ismael, la trasgressione di questo comandamento comporterebbe il pen­ timento e anche il Giorno dell'espiazione.69 R. Juda e Rabbi hanno affermazioni esattamente opposte per qual sorta di peccati basti il solo pentimento per espiare, sebbene concordino su ciò che espia la trasgressione del No n pronuncerai. Sono anche d'accordo che due mezzi di espiazione (il pentimento e il Giorno dell'espiazione) ricoprono tutte le trasgressioni, contro la concezione dei «quattro mezzi» attribuita a R. Ismael. Questa e altre controversie nasco­ no dal desiderio di prendere seriamente e di armonizzare tra di loro le affermazioni bibliche circa i mezzi di espiazione : 70 esse non 68. ]oma 85b ( trad. ingl. 424) attribuisce un'altra visione a Rabbi. V. sotto, n. 93 · 69. In ]. Joma 45c (8,8) si nota una discrepanza tra i diversi «sistemi»- di espia­ zione. Dopo il passo che dà le categorie di R. Umael, il commento prosegue:

«Rab Jo}:lanan diceva: Questa è l'opinione di R. Eleazar b. Azaria, R. Umael e R. Aqiba. Ma l'opinione dei saggi è che il capro espiatorio espia (dr. Sehuot r ,6). Se non v'è capro espiatorio, il Giorno espia [in ogni caso]». 70. V. anche Moore, ]udaism I, 546 s.

Salvezza mediante partecipazione all'alleanza ed espiazione

.2.37

dovrebbero distoglierci dal cogliere la sottostante convinzione rab­ binica: non v'è peccato, per quanto grave, per cui non si dia espia­ zione. Lo si può comprendere nel modo migliore considerando, per lo meno brevemente, i mezzi di espiazione specificati da R. Ismael. Parleremo alla fine del pentimento, prendendo prima in considerazione riti, sofferenza e morte . Sebbene i rabbi molto dovessero ai profeti - l'accento posto sul pentimento, ad esempio, è sulla linea dell'atteggiamento religioso profetico - essi consideravano normativa per gli argomenti qui trattati il Pentateuco, specialmente i quattro ultimi libri.71 Que­ sti libri prescrivono diversi e svariati atti cultuali, specialmente sacrifici e offerte, connessi con il tempio. Si cercherà invano nella letteratura rabbinica una qualche critica a questi atti cultuali : es­ si erano istituiti da Dio e non dovevano esser messi in discussione dall'uomo. Cosi Am. j,2 I s . non è citato nella letteratura tannai­ tica , per quanto ho potuto vedere (il v. 22 afferma : Anche se mi offriste olocausti e offerte di cereali, io non li accetterò) . Am. 5,25

(Mi avete offerto sacrifici e offerte nei quarant'anni nel deserto, o casa d'Israele? ) è citato, ma non è usato contro il sistema sacri­ ficale. Così il commentario rabbinico a Num. 9,5, che fa menzio­ ne della prima pasqua, cita Am. 5,25 come prova che gli Israeliti osservavano solo la prima pasqua, ma dice che questa era a diso­ nore di Israele . Amos non si ritiene giustifichi l'omissione dei sa­ crifici richiesti 72 Possiamo sulla stessa linea osservare questa sto­ ria, tratta da Midras Rabba a Numeri 2 1 ,25 (trad . ingl. 8 5 2 ) : .

Un Gentile rivolse una domanda a R. Aqiba . Gli disse : «Perché cele­ brate feste stagionali? Il Santo, sia benedetto, non vi ha forse detto I vostri noviluni e le vostre feste stagionali la mia anima li detesta (ls. 1 ,14)? ». Gli rispose R. Aqiba : «Se avesse detto : 'l miei noviluni e le mie feste stagionali la mia anima li detesta', potresti parlare come hai fatto. Ma ha solo detto : 'I vostri noviluni e le vostre feste stagiona­ li' ! » . Ciò si applicava a quelle feste stagionali che Geroboamo aveva ordinato ... Si potrebbero esaminare via via i passi biblici che sembrano pre71 . Naturalmente non ammettevano contraddizione tra le diverse parti della Bib. bia. Ciò non vuoi dire che non sorgessero conflitti e difficoltà, ma si cercava di armonizzarle. 72. Si/re a Numeri 67 (62; a 9,5).

La letteratura tannaitica

sentare un significato anticultuale, senza trovarne uno che i rabbi abbiano usato in questo senso. I rabbi erano consapevoli che il sistema sacrifìcale poteva esse­ re inteso in modo tale da incoraggiare una falsa immagine di Dio, ma questo non li induceva a sollecitarne l'abbandono. Così in Si­ fre a Numeri 1 43 commentando Num. 28,8b (un sacrificio fatto con il fuoco., soave odore per il Signore) un rabbi osserva che non è che Dio mangi e beva («non v'è mangiare e bere dinanzi a lui») ma Dio aveva parlato e la sua volontà veniva eseguita . È di que­ sto che egli si compiace.73 Così, nonostante i passi profetici che criticavano o sembravano criticare il sistema sacrificale e l'evidente possibilità di fraintendimenti che esso crea, i rabbi non vi si op­ posero mai.74 Al contrario, cercavano di dare ad ogni sacrificio una speciale funzione espiatoria : cioè, quei sacrifici dei quali nella Bibbia non si dice che espiino un peccato particolare, nella letteratura rabbi­ Dica acquisiscono una specifica funzione espiatoria?' Quest'evolu­ zione è notevole , se si pensa che durante l'intero periodo rabbini­ co il tempio era distrutto . Che il giudaismo potesse reggere dinan­ zi a questo stato di fatto è indice che il sistema sacrificale non era in realtà considerato come la condizione necessaria per la soprav­ vivenza del vero culto, per Io meno agli occhi dei rabbi .76 E inve­ ro la lunga storia della diaspora conferma quest'asserto. Per quan­ to i riti del Giorno dell'espiazione abbracciassero tutti gli Ebrei , dentro e fuori la terra, quelli della diaspora ovviamente non po­ tevano far fronte alle disposizioni di presentare certe offerte per determinate trasgressioni.77

73· Sifre a Numeri 143 ( 191 ; a 28,8). V. Schechter, Aspects, 298. 74, Una attitudine in certo modo negativa verso i sacrifici può apparire in T. Me114/Jot 7,9, cit. da Kadushin, The Rabbinic Mind, 343 s. Ma il discredito � diret­ to di fatto contro false idee sul sacrificio: «Dio si adira?». 7' · V. gli esempi offerti da Schechter, Aspects, 300, e da Moore, ]udaism I, 497; m, 1.51 s. 76. Moore, ]udaism I, 1 14: «Molto prima che i sacra publica per tutti i giudei cessassero, la sinagoga era divenuta per la gran maggioranza il centro reale della vita religiosa comune e la cessazione del sacrificio, per quanto profondamente deplorata, non fu causa di nessuna crisi». Cfr. Schechter, Aspects, 298 n. 3 (a p . 299).

77. Il significato della perdita del tempio è discusso in Abot de Rabbi Natan 4

Salvezza mediante partecipazione all'alleanza ed espiazione

Cosl v'è una certa ambiguità nell'atteggiamento rabbinico ver­ so il sistema sacrifìcale e il culto nel tempio. Da un lato il ruolo ad essi attribuito nel Pentateuco non fu mai discusso dai rabbi, venne anzi ampliato. Dall'altro, la vera religione non dipendeva di fatto dal sistema sacrificale. Al posto dei sacrifici, i rabbi co.. minciarono ad incoraggiare lo studio delle leggi sul sacrificio ; 78 cambiarono le pratiche del Giorno dell'espiazione/9 ma il giudai­ smo continuò a sussistere come religione vivente, dotata di mezzi di espiazione stabiliti da Dio. Ciò non vuoi dire che ogni rabbi era dell'idea che il giudaismo potesse continuare sia senza tempio che con il tempio. Neusner ha notato che R. Eliezer ad esempio non sembra aver previsto sostitutivi del sistema sacri:ficale. Sembre­ rebbe che ne attendesse una rapida restaurazione .80 Altri rabbi, soprattutto col passare del tempo, poterono vedere come un ef­ fettivo vantaggio la sostituzione del sacrificio con lo studio .8I In entrambi i casi tuttavia il valore del sistema sacrificale non fu mai rinnegato, ma il giudaismo continuò a vivere senza di esso. Un vecchio fraintendimento della concezione rabbinica dei sa­ etilici è stato ripreso da Klinzing nel suo eccellente studio sull'at­ teggiamento nei confronti dei sacrifici nei manoscritti del Mar Morto : possiamo fare in proposito qualche osservazione . Trat­ tando della concezione, propria dei manoscritti del Mar Morto secondo cui la preghiera, le buone azioni, ecc. possono sostituire i sacrifici, Klinzing si riferisce alla dottrina rabbinica. Cita Bous­ set, per dimostrare che nel «tardo» giudaismo il culto era prati.. . (trad. ingl. 34). Si noti specialmente che R. Jo}.lanan b. Zakkai cita Osea ( «Voglio misericordia e non sacrificio») per mostrare che mezzi di espiazione esistono anche senza sistema sacrificate. Sulle idee di R. Jo}:lanan, R. Jo§ua e R. Eliezer, v. Helfgott, Election , 41, 61, 64. E v. inoltre Neusner, Yohanan ben Zakkai, 142-146; ed. riv. 188-192. 78. Moore, ]udaism I, 273, 505; III, I 55· 79· V. Sifra A!Jare pereq 8,1 (a 16,30) : «Perché in questo giorno sarà fatta espia· zione per voi. E donde sappiamo che anche se non c'è sacrificio e capro (espiato­ .rio) il Giorno espierà tuttavia? La Scrittura insegna: 'Perché in questo giorno sarà fatta espiazione per voi'». E cfr. ]. ]oma 45c, sopra, n. 6o. l ,8o. Neusner, Eliezer 11, 298-301. ·8 t . lbid. ; cfr. Abot de Rabbi Natan 4 (trad. ingl. 32): cLo studio della torà è più aradito a Dio degli olocausti»; la disa�ssione di Raba e Abaje in RoJ ha-Jana .18a (trad. ingl. 71 ).

La letteratura tannaitica

cato non per sé, ma perché comandato82 (Klinzing nota che è diflì cile in proposito far coincidere i manoscritti con la teoria del Bous­ set, perché gli esseni erano obbedienti alla legge ed avevano anche un vivo interesse per il culto: ma egli non mette in discussione la visione generale di Bousset) .83 La teoria rabbinica è che un sa­ crificio comandato dalla legge può essere «adempiuto» sostituen­ dolo con qualcosa d'altro comandato dalla legge.84 Gli esseni tut­ tavia ponevano un problema diverso da quello del come la legge potesse essere adempiuta : come si può compiere l'espiazione? Gli esseni non prendevano le mosse, come i rabbi, dall'esigenza di aden1piere all'obbedienza formale alla legge, ma da quella di com­ piere l'espiazione.8' Come prova finale della concezione rabbinica , egli cita il commento di Kuhn a Sifre a Numeri 1 43 ( il passo appe­ na citato sopra) : l'unico significato dei sacrifici è di realizzare l'a­ dempimento della legge. 86 L,elemento centrale della concezione di Bousset, che si riflet­ te nella nota di Kuhn e viene ripetuto da Klinzing , è che il rabbi­ nismo era una religione in cui l'unica preoccupazione era l'accu­ mulare gli adempimenti dei comandamenti, cosl da poter guada­ gnare la salvezza . I rabbi non avevano interesse vitale per l'espia­ zione, ma solo desiderio di realizzare adempimenti in maggior nu­ mero delle trasgressioni . Risulta da tutti i passi sinora citati che, al contrario, i rabbi erano realmente preoccupati del come si po­ tesse espiare per le trasgressioni (e non solo semplicemente di co­ me controbilanciarle con un numero maggiore di adempimenti) . Erano anche preoccupati di come adempiere il comandamento di compiere i sacrifici , così come erano preoccupati in qual modo adempiere tutti i comandamenti della torà : ma tale preoccupazio­ ne non si può ricondurre alla conclusione di Bousset. I passi par­ ticolari citati per mostrare che i rabbi si preoccupavano della su..

82. Klinzing, Die Umdeutung des Kultus, I52, cita Bousset, Religion des ]uden­ tums, II 7. Qui ancora vediamo l'uso di Bousset come il testo fondamentale sul giudaismo. Klinzing non solo non sente la necessità di consultare studiosi come Biichler e Moore, studiosi che conoscevano intimamente il materiale, ma non sembra esser consapevole dell'esistenza di un diverso punto di vista. Il suo acuto e originale lavoro sui manoscritti sta in netto contrasto con il suo uso di Bousset per il giudaismo rabbinico. 83. Klinzing, I52·I55· 84. Ibid., 95· 85. Ibid. , 105. 86. Ibid. , r66, citando l'ediz. Kuhn di Si/re a Numeri 591 n. '3 ·

Salvezza mediante partecipazione all'alleanza ed espiazione

perficie, dell'obbedienza formale, sono stati fraintesi. I rabbi vo­ levano negare un crasso antropomorfismo, una visione magica dei sacrifici. Così Sifre a Numeri 1 4 3 («Non v'è mangiare e bere di­ nanzi a lui», ma Dio ha parlato e la sua volontà è stata fatta; ed è questo il «soave odore») ovviamente intende evitare la possibile interpretazione della frase «soave odore» nel senso che Dio man­ gia e beve. Parimenti, l'affermazione di R. Jo�anan b. Zakkai, per cui «Non è il morto che contamina, né l'acqua che rende puri ! Il Santo, sia benedetto, semplicemente dice: 'Ho stabilito un ordi­ ne, ho emesso un decreto: non vi è permesso di trasgredire il mio decreto'»87 si dice esplicitamente sia stato occasionato dall ' accusa che i sacrifici rappresentino una stregoneria. Dedurre da tali af­ fermazioni che i rabbi non avessero vivo interesse all'espiazione e fossero unicamente preoccupati dell'obbedienza estrinseca è una interpretazione grossolana. Moore, come abbiamo visto, era dell'idea che nessuno dei sa­ crifici prescritti fosse considerato dai rabbi efficace senza il penti­ mento.88 Si potrebbe costruire un'argomentazione in senso oppo4 sto, così Misna ]oma 8,8 specificamente connetteva il pentimento alla morte e al Giorno dell'espiazione, ma non ali'offerta per il peccato e all'offerta incondizionata per la colpa. La Tosefta espli­ citamente aggiungeva a quest'ultime due anche il pentimento.89 Ma come Moore ha mostrato, la presentazione delle offerte im­ plica la confessione.90 È dubbio che l'autore di Misna ]oma 8 ,8 pensasse alla possibilità, sollevata nella controversia tra gli amo­ rei Abaje e Raba, che si potesse portare l'offerta ma negare l'in­ tenzione in essa implicata.91 È questa una possibilità teorica, e i rabbi finirono col prendere in considerazione praticamente ogni possibilità teorica; ma è dubbio che una tale possibilità fosse im­ maginata quando Joma 8,8 fu scritto. 87. Midras Rabba a Numeri 19,8 (trad. ingl. 7.58). 88 . Moore, ]udaism I, .50, . 2 questa l'idea comune 89 . Tosefta ]om ha-Kippurim 4( .5),9 . Per paralleli, v. Lieberman, Tosefta Ki-Fshu­ fah, Mo'ed, 825 . 90· Moore, ]udaism I, 498 n. 2. Che la confessione debba accompagnare le offer­ te per la colpa e per il peccato è affermato esplicitamente in Sifre a Numeri 2 (6; a ,,7). E v . l'esposizione di Biichler, Sin and Atonement, 410, 416 s. 91 . Keritot 7a.

La letteratura tannaitica

Vi sono altri passi tuttavia che fanno menzione dell'espiazione con riti determinati senza far riferimento al pentimento·. Abbia­ mo già citato Sebuot 1 ,6, che prevede l'espiazione di ogni tra­ sgressione senza menzionare il pentimento. Segue il commento di Moore: 92 COsl la Misna si preoccupa solo dell'applicazione specifica dei diversi

modi di espiazione, non delle condizioni della loro efficacia. In un pas­ so corrispondente della MiSna sul Giorno dell'espiazione risulta chia­ ro che l'effetto dell'espiazione non si realizza ex opere operato [ con ri­ ferimento a Jama 8,8 s . ] .

� possibile che Sebuot 1 ,6 e ]oma 8,8 s . debbano venire armoniz­ zati in questo modo, sebbene io non ne sia cosl convinto come Moo­ re.

Se c'era, durante il periodo tannaitico, una concezione secondo

cui certi atti cultuali, specialmente il giorno dell'espiazione, sono

efficaci in sé e per sé, sarà utile spiegare l'insistenza di Rabbi su que­ sto punto in un detto conservato nel Talmud: 93 Rabbi diceva: Il Giorno dell'espiazione porta espiazione per tutte le trasgressioni della torà, ci si penta o no, eccetto il caso in cui si respin­ ga il giogo, si pervertano gli insegnamenti della torà e si rigetti l'allean­ za nella carne [la circoncisione] ; [in questi casi] se ci si pente, il Gior­ no dell'espiazione arreca espiazione, altrimenti il Giorno dell'espiazio­ ne non arreca espiazione.

Mentre le generalizzazioni sulla base di una caratteristica sono pericolose, si deve notare che non sembra tipico di Rabbi . tenere una posizione tutto da solo. Che ci fosse qualche controversia in proposito risulta dall'argomentazione dell'anonimo autore di Si­ fra (abitualmente si ritiene sia R. Juda) ,94 che è citato dagli amo­ rei nella discussione sulla opinione di Rabbi : 9' Potrei sostenere che il Giorno dell'espiazione espia egualmente per quelli che si pentono e per quelli che non si pentono. Ma non v'è un argomento [ in senso opposto ] : Le offerte per il peccato e per la colpa operano l'espiazione e il Giorno dell'espiazione opera l'espiazione. Sic92. ]udaism I, 498. 93· Sebuot 13a; dr. Keritot 7a; ]oma 8.5b. L'ebraico è lo stesso in tutt'e tre i passi. 94· V. Epstein, Mebo'ot, 656; Sanhedrin 86a; Sebuot 13a; Keritot 7a e altrove. 95· Cit. dalla trad. ingl. di Keritot 7a (trad. ingl. 49). Appare con solo leggere dif­ ferenze in Sebuot 13a. Il passo in Si/re a Numeri è Emor, pereq 14,1-2 {a 23,27).

Salvezza mediante parteciptl1.ione all'alleanZil ed espiazione

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come le offerte per il peccato e quelle per la colpa espiano solo per chi si pente, anche il Giorno dell'espiazione espia solo per chi si pente? No [ l'argomento non è decisivo ] . È giusto dire che ciò vale per le offer� te per il peccato e per le colpe, perché non espiano i peccati volontari ma quelli per errore; applicherete la stessa cosa al Giorno dell'espia� zione che espia sia per i peccati volontari che quelli per errore? Avrei perciò potuto pensare che poiché il Giorno dell'espiazione espia i pec� cati volontari come quelli commessi per sbaglio, cosl potrebbe espiare per quelli che si pentono come per quelli che non si pentono; per que� · sto è scritto : «pure» [ Lev. 2 3 ,27 ] , per stabilire una distinzione [ tra quelli che si pentono e quelli che non si pentono ] .96

Il punto è che l'argomentazione avrebbe potuto dimostrare che il Giorno dell'espiazione espiava senza pentimento, ma la Scrittura rifiuta l'idea dicendo: «pure» .97 È possibile che R. Juda dicendo «Avrei potuto pensare» introduca, per motivi puramente retori­ ci, possibilità teoriche non sostenute da alcuno e che stia costru­ endo contro-argomenti solo per rendere più chiaro e sicuro il pro­ prio argomento . Nel complesso sembra preferibile tuttavia am­ mettere che v'era chi pensava che il Giorno dell'espiazione era effi­ cace anche senza pentimento. Ciò sembra confermato, per lo meno per il periodo degli amorei, da R. Jo�anan (b. Nappa�a? ) , che trova una distinzione tra i mezzi d'espiazione elencati da R. Ismael (che tutti includono il pentimento) e l'espiazione semplicemente mediante il Giorno dell'espiazione.98 L'argomentazione potrebbe apparire puramente accademica, poiché l'osservanza del Giorno dell'espiazione include la confessione (cfr. baraita in ]oma 87b) . Il punto in questione può essere solo se si debba essere in grado di enumerare i propri peccati e di pentirsene in modo specifico. Ma sembra più probabile che i rabbi pensassero ad un equilibrio tra il pentimento e le istituzioni dell'espiazione stabilite da Dio. Se basta il pentimento, e se ci si può pentire in ogni momento, per­ ché ci dev'essere un Giorno dell'espiazione? La questione : «Per96. Sifra ha una frase conclusiva: �Cosl non espia eccetto che con il pentimento�. 97 R. Juda sostiene però che le altre condizioni enunciate in Lev. 23 ,27 s. la ·

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convocazione di un'assemblea religiosa, umiliarsi nel digiuno, non lavorare, far sacrifici e inviare il capro espiatorio non debbono essere osservate perché il Gior· no dell'espiazione espii. V. Sifra Emor pereq 14,1, immediatamente prima il pas. 10 appena citato. 98. V. ]oma 45c, cit. sopra, n. 69. -

La letteratura tannaitica

ché il capro espiatorio ? » viene esplicitamente sollevata in Sebuot 1 2h :fine. In ogni caso vediamo quanto i rabbi fossero lungi dal negare i mezzi di espiazione stabiliti dalla Bibbia o la genuina efficacia di quei mezzi Se una disputa v'era, non era sulla questione se i pec­ cati venissero perdonati o no, ma su quali fossero le condizioni cui Dio annetteva la sua promessa di perdono .99 I rabbi cercavano di prendere tutto il materiale biblico sulla materia in questione, e lo armonizzavano stabilendo in differenti modi refficacia dei vari mezzi di espiazione stabiliti : ma tutti concordavano sul fatto che esisteva un mezzo efficace di espiazione per ogni peccato .100 Un'ulteriore chiarificazione sulla concezione di Rabbi (sopra, n. 93 ) può essere opportuna, affinché non si pensi ch'egli difenda una visione meccanica dell'espiazione . Dicendo che il Giorno dell'e­ spiazione ricopre tutti i peccati eccetto l 'esplicito rinnegamento di Dio e che il pentimento ricopre quest'ultimo, insisteva ulterior­ mente sulla efficacia universale dei vari mezzi di espiazione : asso­ lutamente nessun peccato , neppure «rigettare il giogo» è al di fuori della misericordia di Dio . Naturalmente, se ci si pente del­ l'aver rigettato il giogo del patto, non lo si è rigettato in maniera finale e definitiva . Il figlio prodigo può sempre tornare. La con­ cezione di Rabbi può essere espressa in questi termini : nella misu­ ra in cui l'intenzione è quella di rimanere nell'alleanza, i mezzi di espiazione stabiliti dalla Bibbia sono efficaci, e il pentimento è come presunto , salvo vi sia precisa prova del contrario. Se si ri­ getta il patto, è necessario tornare prima che i mezzi di espiazione, che sono parte dell'alleanza, divengano efficaci. In ogni caso si dovrebbe sottolineare che i sacrifici e gli altri at­ ti cultuali non erano considera ti efficaci in sé, in modo magico, come avessero potere in se stessi . 101 La questione come dicevo .

99· Della morte sola, senza pentimento, si potrebbe dire che espia peccati meno gravi dell'idolatria. V. sotto, nn . 138 e 1 39. r oo . Ho seguito il modo rabbinico di esprimersi parlando dell'efficacia dei mezzi d'espiazione. � naturalmente Dio che perdona i peccati e il suo perdono è sempre efficace. Dio ha legato la sua promessa di perdono specialmente al Giomo dell'e­ spiazione, ma è Dio che perdona, non il Giorno. Cfr. Biichler, Sin and Atone­ meni, 351 . 101. ar. la discussione dell'opinione di Rabbi in Kadushin, The Rabb. Mind, 182.

Salvezza mediante partecipazione all'alleanza ed espiazione

sopra, è a quali condizioni Dio ha collegato la promessa del per­ dono. È Dio che perdona ed opera l'espiazione. Se egli decide di ordinare i sacrifici e gli altri atti di culto, l'uomo deve cercare l'e­ spiazione mediante quei mezzi. La sofferenza come mezzo di espiazione potrà esser trattata in forma forse più breve, grazie in gran parte all'ampia trattazione di Biichler. 102 Abbiamo già visto la concezione di R. Ismael, ma possiamo citare un altro passo sull'argomento , passo attribuito parimenti a R. Ismael : 103 R. lsmael dice: uno schiavo cananeo non può esser riscattato, può an·

dar libero solo a piacere del suo padrone. Giacché è detto: Li potete lasciare in eredità ai vostri figli dopo di voi, come loro proprietà (Lev. 25,46 ). E col nostro metodo apprendiamo da questo che lo schiavo ca· naneo è un possesso permanente, come la terra ereditata. Eppure se il padrone punendolo gli spezza un dente o lo acceca o ferisce un altro· dei suoi principali organi esterni, lo schiavo ottiene il rilascio al prez­ zo di queste sofferenze. Ora, usando il metodo qal walpomer, ragiona­ te: Se una persona, a prezzo della sofferenza, ottiene la liberazione da mani di carne e sangue, tanto più in questo modo dovrà ottenere il per· dono dal Cielo.104 E infatti dice : Il Signore mi ha provato duramente: ma non mi ha consegnato alla morte (Ps. r r8,r8).10'

Questa concezione, tuttavia, non è affatto limitata alla scuola di R. Ismael, come risulta evidente da una serie di detti conservati in forma simile in Si/re a Deuteronomio e nella Mekilta. Il detto· principale è attribuito a R. Aqiba nella Mekiltaro6 e nella edizione· di Finkelstein di Sifre a Deuteronomio, ma è attribuito invece a R. Jacob nelle prime edizioni stampate di Sifre a Deuteronomio e nell'edizione di Friedmann.1 07 Comunque il secondo detto citato 102. Sind and Atonement, 1 19-21I, e spec. 337-374· 103. Mekilta Miipatim 9 (28o ; III, 73 s. [Nezikin 9] ; a 2 1 ,27 ) . 104. Il principio generale è che Dio perdona più prontamente dell'uomo, di qui la fonnula «tanto più». 105. Come abbiamo visto di frequente, si ritiene vi sia un rapporto di causa ed effetto : Dio mi ha

castigato, perciò

non sono consegnato alla morte.

106. Mekilta Bapodes IO (239 s.; II , 277-280; a 20,20). 107. Sifre a Deuteronomio 32 (55 s. ; f. 73a-b; a 6,5). La prima parte del detto è diversa in Si/re e nella versione della Mekilta. Una forma vicina alla Mekilta ap. pare anonima in Tanl}uma ]etro r6 (ed. Buber, II, 79), mentre un preciso paral­ lelo alla versione che si trova in Si/re appare in ]alkut I, remez 837, verso l'inizio. ]alkut attribuisce il detto a R. Aqiba. Billerbeck (Str.-Bill . I, 906) pensa che in: Si/re si debba leggere Aqiba.

La letteratura tannaitica

sotto è assegnato in tre differenti fonti1o8 a R. Simeon b. Jo}:tai, che veniva considerato come appartenente primariamente alla scuola di Aqiba. Il seguente passo è dalla Mekilta e omette dei detti tra cui quello di Aqiba e quello di R. Simeon: R. Aqiba dice : Non agirete con me. Non vi comporterete con me nel modo in cui gli altri si comportano con le loro divinità. Quando le co­ se vanno bene onorano i loro dei, com'è detto: Perciò sacrificano alla loro rete, ecc. (Hab. r , r 6 ) . Ma quando va loro male maledicono i loro dei, com'è detto [ cita Is. 8,2 1 ] . Ma voi, se vi faccio del bene, rendete grazia, e se vi apporto sofferenza, rendete grazie [ segue una serie di passi per suffragare l'affermazione ] . Inoltre ci si dovrebbe rallegrare nelle avversità persin più che nella prosperità. Perché anche se si vive nella prosperità per tutta la vita non si è sicuri che i peccati siano stati perdonati. Ma che cos'è che apporta perdono ad un uomo? Dovete dire, la sofferenza ... R. Simeon b. Jo�ai dice : I castighi sono preziosi perché i tre doni dati ad Israele che le nazioni invidiano furono tutti dati solo a prezzo di castighi . E sono : la torà, la terra d'Israele e il mondo futuro ... Co­ me possiamo saperlo per il mondo futuro? È detto : Il comando è una lampada e l'insegnamento una luce, e un sentiero alla vita le correzio­ ni mediante castigo (Prov. 6,23 ). Interpretate cosl: Andate a vedere qual è la via che conduce alla vita nel mondo futuro. Dovete dire : Il castigo. R . Ne}:lemia dice : Preziosi sono i castighi. Come i sacrifici so� no mezzi di redenzione, cosl lo sono anche i castighi . . E non solo: i castighi espiano anche più dei sacrifici, perché i sacrifici toccano solo il denaro, mentre i castighi toccano il corpo. E perciò dice : «Pelle per pelle, tutto quello che un uomo ha lo darà per la sua vita» (l oh 2,4). .

In una storia che segue immediatamente, R. Aqiba sostiene che i castighi inducono a pentirsi e a cercare Dio.109 La storia è la se­ guente : quando R . Eliezer era ammalato, R. Aqiba e altri tre ven­ nero a confortarlo. Tutti, salvo R. Aqiba, espressero lodi sperti­ cate di R. Eliezer. R. Aqiba tuttavia disse : «Preziosi sono i casti­ ghi». Per spiegarsi, sostenne che Manasse era stato condotto a invocare Dio solo mediante i castighi. :no 108. In Mekilta e Si/re a Deuteronomio, cit. nelle due note precedenti e in Bera� kot ,a, verso la fine. 109. Mekilta Ba�odeJ IO ( 240 s.; n, 28o-282). La maggior parte della storia fu o­ messa dalle prime edizioni a stampa. Vedi anche i paralleli in Si/re a Deuterono­ mio 32 (57 s.; su 6,5); Sanhedrin xoxa. 1 10. Su questa e altre storie sulla malattia di R. Eliezer, v. Neusner, Eliezer I, 404-406; II, 41 1 S., 415.

Salvezza mediante partecipazione all'alleanza ed espiazione

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Quest'ultimo punto, che è stato particolarmente trattato da Biìchler,xn è uno dei due principali motivi che stanno dietro all'at­ tribuzione di valore espiatorio alla sofferenza : essa induce al pen­ timento. La cosa è espressa molto chiaramente da un amoreo: «Raba (qualcuno dice : R. l:lisda) dice: Se un uomo si vede visi­ tato da penose sofferenze, esamini la sua condotta» .112 La · comprensione del rapporto stabilito dai rabbi tra sofferenza ed espiazione da un lato e sofferenza e punizione dall'altro ci con­ duce a scorgere il secondo motivo per cui la sofferenza è chiama­ ta mezzo di espiazione : la giustizia di Dio. Se Dio è giusto e l'uo­ mo pecca, non è possibile che per la trasgressione non si esiga al­ cun pagamento. Possono espiare i sacrifici e persino un riscatto in denaro,n3 ma la sofferenza è più efficace ed espia per peccati più se­ ri, perché costa di più . Così i giusti sono puniti sulla terra per i loro peccati per godere di una bea titudine eterna neli' aldilà. Sebbene non sia qui possibile presentare una storia generale del concetto di sofferenza dei giusti nel giudaismo, è chiaro che le due risposte alla domanda circa la sofferenza del giusto sono state a lungo: 1 . che Dio purifica quelli che egli ama con la sofferenza e 2 . che Dio è giusto e punisce anche i giusti per i loro peccati. Entrambe le cose si possono vedere nei Salmi di Salomone : Felice è l'uomo di cui il Signore si ricorda con il castigo e che egli devia dal cammino di malvagità con la sferza affinché egli divenga puro dal peccato, dal non moltiplicarlo; colui che prepara il dorso alle sferze sarà purificato perché il Signore è favorevole a quanti si sottopongono alla correzione ( É'V 1ta.t.OEl�) . 114 Ecco, o Dio, ci hai mostrato il tuo giudizio nella tua giustizia i nostri occhi hanno visto i tuoi giudizi, o Dio . Abbiamo reso giusto il tuo nome onorato nei secoli .perché tu sei Dio di giustizia che giudichi Israele con la correzione ( È'V 1ta.t.oEl�) . n, III. Biichler, Sin and Atonement, 337-374. 1 12. Berakot .5a ( trad. ingl. r8). 1 13. R. Hmael ritiene che sia segno della misericordia di Dio il fatto che l'uomo si possa riscattare col denaro. V. Mekilta Mispatim ro (286; III, 86 s. [Nezikin Io] ; su 21,30). 114. Ps. Sal. IO,I [ Sanders utilizza la trad. ingl. di G.B. Gray in R H. Charles, Pseudepigrapha, 643] . 1 1.5. lbid. 8,3o-32(25 s.), cfr. Charles, Pseudepigrapha, 641 . Su questo aspetto dei Salmi di Salomone, v. Biichler, Types, I28-I95·

La letteratura tannaitica

Nei Salmi di Salomone i malvagi soffrono insieme con i giusti; ma di fatto i giusti, per quanto soffrano, soffrono di meno, perché il loro peccato è minore .n6 Un'evoluzione nel concetto di sofferen­ za ebbe luogo durante i successivi duecento anni , sembrerebbe a causa delle intense sofferenze degli Ebrei nelle due rivolte contro Roma e dell'accresciuta insistenza sull a vita dopo la morte. La questione del perché il giusto soffra divenne più acuta poiché gli iniqui, invece di soffrire, prosperavano . Marmorstein ha sostenu· to che R. Aqiba

fu il primo a sottolineare l'insegnamento che Dio faccia pagare ai giu­ sti in questo mondo le poche «Cattive azioni» che hanno commesso, per poter concedere a loro felicità e dar loro una buona ricompensa nel

mondo a venire . Opposto è il caso della ricompensa e della punizione �egli iniqui.n1 Il passo principale è una discussione tra R. Aqiba

e

R. Ismael : 1 18

La tua giustizia è come i monti di Dio; i tuoi giudizi come il grande abisso: uomini e bestie tu salvi} o Signore (Ps. 36,7) . R. Ismael spiega­ va : Ai giusti che accettavano la torà, rivelata sui monti di Dio, tu mo­ stri giustizia [ fdaqa, carità] che giunge sino ai monti di Dio ; ma quanto ai malvagi, che non accettano la torà rivelata sui monti di Dio, tu li tratti con rigore, sino al grande abisso. R. Aqiba diceva : Tratta con rigore entrambi, sino al grande abisso . Tratta con rigore i giusti, chiamandoli a rendere conto dei pochi peccati commessi in questo mondo, per profondere su di loro benedizione e dar loro una abbon­ dante ricompensa nel mondo a venire; dà agiatezza ai malvagi e li com­ pensa per il poco bene da loro compiuto in questo mondo per punirli nel mondo futuro.

In aggiunta ai passi sopracitati 1 19 che vanno nel senso che i giu­ sti soffrono in questo mondo ma sono compensati nel mondo a ve­ nire, ne possiamo citare altri. V'è un detto anonimo in Si/re a Deu· teronomio che paragona la vita a due vie, la prima resa ardua dal· 1 16. Biichler, Types, 153. 117. Marmorstein, Tbe Names and Attributes of God, 186. Urbach ha sostenuto che R. Aqiba dissociava la sofferenza dalla punizione per la trasgressione. Sulla posizione di Aq.iba, v. il mio R. Akiba's View of Suffering: JQR n.s. 63 ( 1973 ) 332-3.51 . .1 18. MidraJ Rabba a Genesi 33,1 . V'è un parallelo in MidraJ Rabba a Lev. 27,1 . 1 19. v. rinizio della sez. 6.

Salvena mediante partecipazione all'alleanza ed espiazione

le spine all'inizio e facile alla fine, la seconda facile all'inizio e ar­ dua alla fine . Se i cattivi prosperano all'inizio, poi soffrono, men­ tre i giusti, che soffrono all'inizio, prosperano dopo.110 Un'altra baraita anonima cita Ezech. 2 , 1 0 : Era scritto davanti e sul retro : u.1

«Davanti» [ si riferisce]a questo mondo e «sul retro» [si riferisce ] a1 mondo a venire. «Davanti» [si riferisce ] all'agiatezza dei malvagi e al­ la sofferenza dei giusti in questo mondo e « sul retro» [ si riferisce ] al dono della ricompensa dei giusti e alla punizione dei cattivi nel mondo a venire. Sebbene probabilmente, come diceva Marmorstein, fosse pre­ cisamente Aqiba a formulare e ad accentuare la concezione che i giusti soffrono qui al fine di esser compensati nell'aldilà, l 'idea non era affatto nuova. Sembra supposta da un detto di un più an­ ziano contemporaneo di R. Aqiba, R. Eliezer. Trattando del dono della manna agli Israeliti nonostante la loro frequente disobbe­ dienza, egli commenta : « Se Dio così provvide per quelli che lo provocavano, quanto più nel futuro [ le'atid labo' ] pagherà una buona ricompensa ai giusti ! » .u2 In ogni caso si tratta di uno svi­ luppo relativamente secondario all'interno dell'idea generale che la sofferenza dei giusti va spiegata come la giusta punizione di Dio per i loro scarsi peccati.u3 Essendo stati puniti quaggiù , non deb­ bono esser puniti nell'aldilà . Così Israele è paragonato ad un va­ so di comune argilla che, essendo stato rotto, non può esser «pu120. Si/re a Deuteronomio 53 (120 s.; su 1 1 ,26). 12r . Si/re a Numeri 103 ( 102 ; su 12,8b); dr. Abot de Rabbi Natan 2.5 (trad. ingl. 106); v. inoltre Abot de Rabbi Natan 39 (trad. ingl. 162). 122. Mekilta Vaia��a· 3 ( 165 ; II, 110 [cap. 4 ] ; su 16,13 ). 123 . V. inoltre su questo tema Biichler, Types, I ll-1 14 (che ritiene che l'idea ge­ nerale che si soffra quaggiù al fine di entrare nel mondo a venire purificati possa farsi risalire al primo secolo); Kadushin, The Rabbinic Mind, 218. Dobbiamo notare che verso la fine del secondo secolo vi fu per lo meno un ritorno parziale all'idea primitiva (v. l'inizio della sez. 6) che i giusti prosperano anche nel mon­ do. Cosl i detti di R. Si.meon b . Juda a nome di R. Sim.eon b. Jo]:lai e di R. Simeon b. Menasja in Abot 6,8 (cfr. Sanhedrin 1 1 ,8) : «Bellezza e forza e ricchezze e ono­ re e saggezza e vecchiaia e canizie e figliolanza si addicono al giusto e si addico­ no al mondo», ecc. Il detto anonimo alla fine di Mekilta Miipatim 1 8 (cit. nella sez. 8 n. 42 ) combina la lunghezza dei giorni con la vita nel mondo a venire. E aulla lunghezza dei giorni come segno di giustizia, v. il dibattito in Midrai &bba tJ Qoelet 3,2,3 ( trad. ingl. 76 s.).

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La letteratura tannaitica

nito» in seguito. «Cosl, quando la punizione di Israele finisce, non tornerà su di lui in futuro» .124 Questa trattazione mostra ancora quanto sia ingiusto ritenere Che l'idea del esprima correttamente le concezioni tan­ naitiche. Essa consegue logicamente dalla loro visione della giu­ stizia divina, e viene talvolta formulata, ma essi pensavano anche che Dio ha fornito mezzi di espiazione tanto efficaci quanto ade­ guati alla sua giustizia. Se la salvezza va considerata come un'atti­ vità di Dio, allora si può dire che le sofferenze soddisfano le giu­ ste esigenze di Dio ; non si può esser puniti e insieme dannati per le trasgressioni.12' Ma le sofferenze interne sono viste dall'uomo religioso come qualcosa che lo induce all 'esame di se stesso e al pentimento . I rabbi non vedevano sempre in conflitto la sofferen­ za come giusta punizione divina per le trasgressioni e la sofferenza come mezzo divino di indurre l 'uomo al pentimento. Entrambe le affermazioni scaturiscono da concezioni religiose profondamen­ te radicate (Dio è giusto e l'uomo è soggetto al peccato e bisogno­ so di pentimento) ed entrambe possono essere espresse dicendo che la sofferenza porta con sé l'espiazione.126 Tra questo e dire che la morte espia v'è solo uil piccolo passo. Oltre all'affermazione di R. Ismael, abbiamo già visto Joma 8 ,8 , che probabilmente riflette la posizione di R . Aqiba. In Si/re a Nu­ meri la tesi è attribuita esplicitamente a R. Aqiba. Commentando Num. 5 ,8 egli dice che le offerte per la colpa in questione vanno portate per una persona che ha bisogno dell'espiazione, ma ciò esclude chi è morto, perché la sua anima (o vita) ha espiato per lui. 127 124. Sifre a Deuteronomio 324 (375 ; su 32,34); MidraJ Tannaim a Deut. 32,34, 201, in alto ( «non tornerà mai più»). Per ulteriori esempi dell'idea che si sof­ fre quaggiù per esser liberi dalla punizione nel mondo a venire, v. Urbach, lfa­ zal, 393 (trad. ingl. 445). 125 . La punizione di Dio non è efficace in sé , tuttavia, ma andrebbe accettata co­ me castigo da parte dell'uomo giusto. V. l'espressione «accettare il giudizio di Dio» in Sifra Semini Milltlim 23,24.28. 126. Cfr. Schechter, Aspects, 304: «La morte e la sofferenza possono esser viste sia come punizione che soddisfa le esigenze della giustizia e sia come espiazione, che apporta il perdono e riconcilia l'uomo con Dio�. 127. Sifre a Numeri 4 (7, in fine; su 5,8). p.

Salvezza mediante partecipazione all'alleanza ed espiazione

La logica sottostante a questa posizione è la stessa che sta die­ tro l'idea che la sofferenza espia. Il tempo della morte, se si cono­ sce che è imminente, è il tempo dell'auto-esame e del pentimento (e poiché non si sa quando la morte sopravvenga, ci si dovrebbe pentire ogni giorno) . D'altra parte, la morte vale come pagamen· to del proprio conto con Dio: r2S chi muore pentendosi non sarà più punito per le sue trasgressioni, per quanto gravi. Inoltre la morte dei martiri (uccisi ) è considerata espiatoria.129 La morte certamente deve «accompa­ gnarsi» al pentimento,x30 non serve cioè nel caso in cui si sia nega­ to Dio, rigettato il giogo del patto, rimanendo sino in fondo in atteggiamento di sfida. L'idea che la morte come tale espii fu elaborata dopo la distru· zione del tempio. Come ha notato Urbach, finché c'è il tempio i sacrifici prescritti espiavano per le trasgressioni contro Dio men­ tre la pena inferta dalla corte e la restituzione richiesta dalla legge espiavano le offese contro il prossimo .131 A questo modo, come vedremo, quando uno riceveva i colpi per ordine della corte, l'of.. fesa per cui si veniva puniti era considerata espiata .132 L'idea che la morte in genere espii per i peccati derivò dall'idea che la mor.. te per opera della corte espiava il peccato, a patto che il condanna.. to si pentisse: I33 . 1 28. In un certo senso è vero dire con Moore (]udaism r, 474 s.) che, secondo i rabbi, non v'è morte senza peccato. Cosl il peccato di Adamo era di frequente concepito come la fonte della morte, e R. Juda b. Ilai era chiaramente dell'opinio­ ne che le persone esenti da peccato non morissero (con riferimento a Elia: v. Moore, ibid. ). D'altro canto, l'opinione generale nel periodo tannaitico era che la morte appartiene all'ordine naturale, ma che i peccati portano una morte in­ naturale o prematura (dr. Sabbat ;;a-b). Alcuni pensavano che le buone opere prolungassero la vita: v. ]ebamot 49b-;oa. V. inoltre Urbach, lfazal, 235-237 ( trad. ingl. 264-266) ; R. Akibtls View of Suffering, sulla morte dei giusti in tempo di persecuzione. 1 29 . Sifre a Deuteronomio 333 ( 383 ; su 32,43 ). 1 30. ]oma 8,8. Per una eccezione, v. immediatamente sotto. 1 3 1 . Urbach, lfazal, 382 ( trad. ingl. 433 ). 132. Sotto, n. 16;.

133. Sanhedrin 6,2 . Tosefta Sanhedrin 9,; fa precedere il passo parallelo con l'affer. mazione specifica che «quelli che sono stati messi a morte dal tribunale avranno par­ te nel mondo a venire, perché confessano tutti i loro peccati�. Epstein (Mebo'ot, ;6) sostiene che Sanhedrin 6,1-7,3 è fondamentalmente precedente al 70 d.C., per­ ché la pena di morte non era somministrata da tribunali giudaici nel periodo «che inizia quarant'anni prima della distruzione del tempio�. (Per questa datazione tra· dizionale, dr. Sanhedrin 41a).

La letteratura tannaitica

Quando [il condannato ] era a circa dieci cubiti dal luogo della lapida­ zione usavano dirgli : >.2 Egli indicava la funzione dell'espressio­ ne rkut 'abot nello spiegare l'amore di Dio per Israele : «L'amo­ re di Dio per Israele ha la sua origine e motivo nel suo amore per i suoi antenati» ; «Era naturale credere che Dio avrebbe mostrato speciale favore o indulgenza ai loro discendenti per riguardo al­ l'affezione e stima che aveva avuto per i suoi padri».3 Sjoberg era d'accordo con Moore, che la traduzione > e «guidò sulla via giusta i molti>> .2' Il loro «corretto comportamento» dipendeva da lui . Il punto è che il significato di zakah dipende dal suo opposto, «peccato» , che significa fare ciò che è male . Ciò si vede chiaramente in altri due passi. Cosl Tosef­ ta Pe'a 3 ,8 , dove, discutendo il comandamento del covone di­ menticato, un uomo pio (�asid) dice al figlio : «Non si può argo­ mentare qal wa�omer? Se di un uomo che non intendeva . com­ piere una buon'azione (zakah), ma ne fece una (cioè dimenticò un 22. lbid., 6 s. 23. Tosefta ]om ha-Kippurim 4(5),10 s. spiega perché chi induce gli altri in errore non ha possibilità di pentirsi : «Per evitare che i suoi discepoli vadano giù nello Seol mentre egli eredita il mondo [ a venire]». Cfr. Lieberman, Tosefta Ki-Fshutah Mo'ed, 827. 24 . Merits, 6. 25 . Cosl anche Jastrow, Dictionary, 399, che traduce m'%1lkkeh in Abot 5,18 «far fare il bene».

Il corretto comportamento religioso

covone) , Dio tien conto come se avesse compiuto una buona azio­ ne (zakah), quanto più [ considererà come buona azione ] se in­ tendeva fare una buona azione e ne fa una . [ E similmente ] se uno che non intendeva commettere un peccato (p a{a ) ma ne ha commesso uno» , ecc. Il contrasto appare anche in Sifre a Deute­ ronomio 306 ( 3 3 2 ; su 3 2 , 1 ) : la terra e il mare non furono fatti né per ottenere una ricompensa (sakar) né per subire una perdita, sicché «Se si comportano correttamente (zoktm) non ricevono una ricompensa (siikar) e se non si comportano correttamente (�o{t"­ im) non subiscono una punizione (puranut) » . Sarebbe erroneo seguire Marmorstein nella sua tendenza a tradurre zakah in que­ sto caso come > .40 Ho no­ tato pochissimi esempi in cui si precisi che il mondo a venite è la ricompensa del merito : Abramo meritò questo mondo e il mon­ do a venire come ricompensa per la sua fede ;41 a chi rende giusti­ zia (al suo prossimo) vengono prolungati i giorni, e «merita la vi­ ta nel mondo a venire» .42 Questi detti sono analoghi a quelli che indicano che chi adempie un solo comandamento ha parte nel mondo a venire,43 e non conducono a una teoria per cui la salvez33· Sifre a Numeri 1 17 ( 13'; su 18,8) ; biZCk�tka, birkut beneka. D'altro canto, si potrebbe dire che Aronne ha meritato (zikkah) sia per i suoi giusti che per i suoi cattivi discendenti, perché il dono del sacerdozio non era condizionato al­ l'obbedienza: Si/re a Numeri 1 19 (144; su 18,20). 34· Si/re a Numeri 199 ( 144 ; a 18,20 ) . 35· Si/re a Deuteronomio 352 (412; a 33,12); cfr. Mekilta Belalla/;J 6 ( 1 14; 1, 2,2. 253 [cap. 7 1 ; su 14,3 1 ): i padri meritarono e allora lo Spirito santo riposò su di loro, cioè meritarono che riposasse su di loro. 36. Sifra Be/;Juqqotai pereq 8,12 (su Lev. 26,46). 37· Mekilta Ba/;JodeJ 9 (237; II, 271 ; su 20,19): Dio stava per far sorgere un pro­ feta, ma gli Israeliti lo anticiparono bit!kut. � uno dei rari esempi di bi�kdt sen­ za

un sostantivo seguente.

38. Sifre a Deuteronomio 38 (76; su . I I ,Io), con riferimento a Deut. 6,1 1 39· Sifre a Deuteronomio 156 (2o8 ; su 17,14) ; ibid., 170 (217; a x8,19); ibid. , '7 ( 1 2.4; SU 1 1 ,3 1 ); dr ibid. , 179 (222j a 19,1 ). 40. Abot 6,1 . Il cap . 6 è una baraita tardiva, dr. Epstein, Mabo' le-Nosa/;J, 978 •I . Mekilta Besallap 6 (1 14; I, 2'3 [ cap 7 1 ; su 14,31). Il termine è 11-Ja/ear, «come ricompensa», nell'ediz. Lauterbach, ma è birkut in quella di Horovitz. 42. Mekilta Milpatim 1 8 fine (315; lii, 146 [Nezikin x8 ] ; su 22,23 [ 24] ). :2 possibile che qui tizk� l- vada tradotto «raggiungerete» o «riuscirete a ottenere•. .

.

.

·

,

Spesso le connotazioni dell'ottenere, riuscire, e meritare non pOssono esser netta· mente distinte. Per un altro possibile passo che rientra in questa categoria, v. sez. 9 n. 31, sotto. 43 · Sopra , sez . 6, ·pp. 197 s .

2 74

La letteratura tannaitica

za si guadagna adempiendo più comandamenti di quante siano le

trasgressioni. In genere tuttavia le ricompense per i meriti sono concrete e specifiche . Nella maggior parte dei casi si riferiscono ai doni di Dio nella storia biblica. Talvolta la ricon1pensa di un'azione meritoria non è specificata . Cosi chi «ruba all'amico e va e studia le parole della torà» può es­ sere chiamato ladro, ma di fatto « acquista merito per se stesso» (zokeh tea� m o) .44 La conclusione tuttavia implica già il tipo di merito sottinteso: alla fine diverrà un capo della comunità e simi­ li. Parimenti , chi si pente di piggul e notar e digiuna il giorno del­ l'espiazione «benefica se stesso» e >) e l'esperienza religiosa che caratterizza tendenzial­ mente la vita di quanti vi aderiscono. Se interviene un'incongru­ enza, se la struttura (pattern) tradizionalmente non risponde alle nuove istanze religiose, ai nuovi atteggiamenti e sentimenti, av­ viene una crisi religiosa. Lo si vedrà in dettaglio esaminando il 4Esdra. Una convinzione diffusa tra studiosi cristiani è che tale incon­ gruenza si dà nel giudaismo, e nel giudaismo rabbinico in partico­ lare. Dio, si è detto, divenne molto remoto nel periodo successivo al ritorno da Babilonia. Di lui non si parlava più con familiarità, ma solo con circonlocuzioni, e gli angeli divennero necessari come intermediari.2 E il giudaismo non possedeva altro mezzo di acces­ so al Dio lontano che l'obbedienza alla torà, il che è chiaramente insufficiente e inadeguato. Questa situazione conduceva, da un lato, ad una religione caratterizzata dali' ansia (come era possibile fare opere sufficienti per acquistarsi il favore del Dio distante?), e dall'altro ad una compiaciuta confidenza in se stessi (ad alcuni era possibile).3 Questa valutazione dell'esperienza religiosa giudaica - ansie­ tà accoppiata ad arrogante senso della propria giustizia - riposa su tre teorie riguardanti la teologia giudaica, tutt'e tre errate. E cioè: l'idea che si debbano fare azioni buone in maggior numero delle trasgressioni commesse, l'idea che Dio fosse concepito come inac­ cessibile, e che l'individuo si sentisse come perduto, essendo pri­ vo di accesso al Dio remoto. Abbiamo speso la parte principale di questo capitolo per mostrare che l'idea tradizione degli studiosi cristiani che la soteriologia rabbinica consista nel pesare le azioni 2. Un'affermazione familiare a questo proposito è quella di Bultmann, ]esus and the Word, 138 s. Egli conosce la forte tradizione giudaica sulla presenza di Dio (p. 140), ma sembra pensare che si sia indebolita nel «tardo» giudaismo. Cfr. anche Primitive Christianity, 6o : «Dio non era più un fattore vitale nel presente ...» ridea della trascendenza di Dio significava che «Dio non era più legato al suo popolo» (trad. ital., Il cristianesimo, 66). 3· Bultmann, Primitive Christianity, 70 s.; trad. ital., Il cristianesimo, 74-75, sul­ la base di Bousset, Religion des ]udentums, 392-394.

La vita e l'esperien%11 religiose

è errata, non essendo sostenuta dai testi presi per sostenerla ed essendo contraddetta da un'altra concezione universalmente dif­ fusa. Vorremmo ora mostrare come Bousset (e al suo seguito Bult­ mann e numerosi altri studiosi del Nuovo Testamento) abbia le­ gato questa immagine della soteriologia giudaica alla conclusione che essa portava ad una esperienza religiosa del tutto inadeguata. Così Bousset sosteneva che, nonostante quella che sembrerebbe una certezza di salvezza implicita nel giudaismo, esisteva invece una profonda incertezza. L'appartenenza al popolo di Israele non è di per sé salvifica, perché vi sono Israeliti cattivi, come ce ne so­ no dei buoni. Continuava: Si deve appartenere alla sfera più ristretta dei giusti, essere membri della setta, per piacere a Dio. Ma anche all'interno di questa sfera ogni individuo è ancora lasciato a se stesso e alle sue opere. Da questo la­ birinto i pii non possono più trovare la via di una semplice, diretta confidenza nella bontà di Dio. Ci si perde sempre più in cose seconda­ rie, nel contare e pesare ansiosamente singole azioni per rapporto ad altre. Sorge l'idea- esiziale per ogni vera pietà e per ogni serietà mo­ rale- che, per rapporto alla divina richiesta di giustizia, tutto dipende dalla preponderanza numerica delle opere buone. La vita diviene un esercizio di aritmetica (Rechenbeispiel), una verifica incessante del con­ to che il pio ha presso Dio.4 Nella misura in cui si abbandona l'idea boussetiana della soterio­ logia rabbinica, si dovrebbe anche abbandonare la sua convinzio­ ne quanto all'inadeguatezza della vita religiosa giudaica. La seconda base della concezione secondo cui v'è una profon­ da incongruenza nel giudaismo, tra i bisogni e desideri religiosi del popolo e la teologia corrente, è la teoria che Dio, nel giudaismo post-biblico, era considerato trascendente e di conseguenza remo­ to e inaccessibile. Questo è uno degli aspetti della visione di We­ ber, sopravvissuta ad una serie di confutazioni. È mia intenzione non di offrire un'analisi piena degli intermediari tra il Dio, che si suppone remoto, e il suo popolo, nella letteratura giudaica, ma solo di offrire una rassegna rapida delle tesi e controtesi. Come abbiamo osservato sopra nella sez. prima, Moore consideràva che «il co�tributo originale di Weber al fraintendimento d.el giudai4· Bousset, ]udentum,

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s.

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smo» fosse l'equazione tra trascendenza di Dio e la sua inaccessi­ bilità . La visione di Weber era basata sull'esistenza di intermedia­ ri nella letteratura giudaica .' Bousset raccolse il tema, attribuen­ dogli la massima importanza. Moore ne riassunse cosl la posizione: Il cont�asto fondamentale tra Gesù e il giudaismo , secondo Bousset, è riposto nelridea di Dio e nel sentimento nei suoi riguardi. Il Dio del giudaismo, a quel tempo, era lontano dal mondo, sopramondano , tra­ scendente. «La predicazione profetica dell'elevatezza e unicità di Jeho­ va divenne il dogma di un monoteismo astratto, trascendente». Cosl si ripete pagina dopo pagina.6

Il rilievo di Moore sulla ripetizione è pertinente. La sua accusa a Bousset era che: «mancava di conoscenze, egli procedeva ... con la decisione e la sicurezza che caratterizzavano le sue convinzioni, e in mancanza di evidenza nelle fonti suppliva molto spesso con quello che gli psicologi chiamano suggestione: un asserto infon­ dato che, a forza di mera ripetizione giunge ad apparire per se evi­ dente al lettore, o come qualcosa ch'egli ha sempre conosciuto»? Moore riteneva che l'errore di Bousset a questo proposito fosse in parte dovuto alla eccessiva importanza attribuita alle apocalis­ si, donde si poteva «ricavare l'immagine di un Dio intronizzato nel cielo più alto, lontano dal mondo». Anche questo sarebbe tut­ tavia un fraintendimento, perché quell'immagine « è condiziona­ ta dal genere della visione» .8 Nel 1915 Wicks già notava la tendenza dei teologi cristiani a trovare nella letteratura giudaica post-biblica l'immagine di un Dio come inaccessibile, mentre nella letteratura giudaica, possiamo asserire con certezza che la connessione weberiana di intermediari-trascendenza-inac­ cessibili tà, non regge. I rabbi consideravano Dio accessibile e ciò è stato mostrato ora con grande chiarezza ed esaustività da molti studiosi/9 più recentemente da Peter Kuhn/0 Goldberg11 e Ur­ bach.22 L'affermazione di Bousset, che «l'essenza della pietà giudaica è profondamente contraddittoria»23 riposa allora sul presunto con­ flitto tra sistema legalistico che egli attribuisce ai rabbi e l'intimo desiderio, l'aspirazione, da parte degli Ebrei , ad un Dio compassio­ nevole e misericordioso . Egli sosteneva che quest'ultima speran­ za era impedita dalla distanza e inaccessibilità di Dio. Abbiamo visto che due tra i fondamenti della concezione di Bousset non reggono: la soteriologia giudaica non consisteva nel pesare le o­ pere e Dio non era considerato remoto. Ma v'è un terzo aspetto della concezione boussetiana della pietà giudaica che tocca più di­ rettamente il tema di questa sezione: l'ebreo si caratterizza per il senso di alienazione e di separazione . Egli si sentiva in «un oscu­ ro ed amaro isolamento» non solo a causa della distanza di Dio, ma a causa del suo giudizio negativo sull'umanità. Essa era «in­ degna d'essere amata».24 «La natura umana è cosl corrotta che 18. («Un modo particolare d'esistenza di Dio nel mondo come parte dell'insonda­ bile e da ultimo incomprensibile Divinità»). Goldberg, Schekhinah, 537 s. 19. V. ad es. Marmorstein, The Names and Attributes of God, 148-153 (usando la categoria filosofica dell'onnipresenza, che è non meglio dell'immanenza, anche se l'intenzione generale è corretta); Moore, ]udaism I, 369-394, 423-442 («Colui che abita nel luogo elevato e santo, abita nondimeno in chi ha un cuore contrito e umile», 442); Kadushin, The Rabbinic Mind, 194-272 . 20. Peter Kuhn, Gottes Selbsterniedrigung in der Theologie der Rabbinen, 1968. La sezione che egli dedica alla sofferenza di Dio con il suo popolo (pp. 82 ss.) è specialmente importante per lo studio dell'idea del salvatore sofferente e del redentore redento. V. spec. 89 s., cfr. 10.5 s. 21. Goldberg, Schekhinah. 22. In aggiunta al saggio cit. sotto, n. 56, v. i capp. «The Shekinah- The Presen­ te of God in the World» e «Neamess and Distance- Maqom and Shamayim», in lJazal, 29-68 (trad. ingl. 37-79). 23 . Bousset, ]udentum, 393 · 24. lbid., 374·

La vita e l'esperienza religiose

l'uomo deve cambiarsi completamente se desidera avvicinarsi a Dio» .2' Questa visione della situazione dell'uomo, se fosse stata sostenuta dai rabbi, sarebbe stata incongruente non solo rispetto al «sistema» di Bousset, ma anche rispetto alla struttura della religione che abbiamo descritto. Cioè: se i rabbi sostenessero che l'uomo è perduto e alienato, il pentimento e gli altri mezzi di espia­ zione non sarebbero efficaci . I quali, invece, sono destinati a re­ staurare l'uomo nella condizione che gli conviene all'interno del patto, non a superare uno stato di perdizione originaria. È note­ vole che Bousset veda nel pentimento non un ritorno a Dio, un'al­ tra opera buona con cui l'uomo pio tenta di acquistarsi il favore divino e di divenire degno di avvicinarglisi.26 È questo evidente­ mente un ruolo che mal si addice al pentimento. La visione pessi­ mistica della situazione umana che Bousset trova nel giudaismo richiederebbe un altro modello di religione, rispetto a quello da noi descritto, un modello che offra mezzi di contatto con Dio nel­ l'ambito di una situazione in cui l'uomo è perduto. Richiede, in altri termini, un redentore e dei sacramenti . Bousset, di fatto, sostiene proprio questo : l'atteggiamento re­ ligioso giudaico avrebbe bisogno di sacramenti. Poiché il «siste­ ma» non offre sacramenti, il giudaismo si deve giudicare fallito. Egli tocca in maniera interessante il punto, cui ci siamo più volte riferiti in queste pagine, della confidenza rabbinica in Dio. Egli nota che il giudaismo non dovrebbe produrre ansietà circa la pos­ sibilità di dannazione, dato che gli Israeliti sono popolo di Dio ed egli è il loro Dio. Ma, sostiene, poiché il giudaismo non concepi­ sce sacramenti, «la chiesa giudaica ha questa certezza, questa con­ fidenza solo in generale. Non ha sicurezza precisa per l'individuo, non ha sviluppato precise istituzioni, mezzi determinati mediante i quali i singoli si appropriano della salvezza, non possiede sacra­ menti» .27 Egli sostiene poi che la circoncisione, il culto, il posses­ so della legge e simili non costituiscono dei sacramenti .28 L'argomento non coglie affatto il segno : esso semplicemente sostiene che il giudaismo dovrebbe essere come il cristianesimo. Poiché non lo è, allora è per lo meno inadeguato . Bousset pensa, 26. Ibid., 389 s.

27. Ibid. , 197.

28. Ibid., 197 ss.

)IO

La letteratura tannaitica

lo si vede chiaramente, in termini cristiani: l'uomo è dannato, a­ lienato ed estraniato . La salvezza dev'essere mediata ai singoli mediante mezzi > paolina: si tratta ancora di salvezza mediante le opere. Dal punto di vista del «funzionamento» della religione rabbini­ ca, la risposta ovvia a questo tipo di accusa è che la salvezza vie­ ne per elezione divina, non a causa dell'intenzione o dell'effetti­ va esecuzione umana. Entrambe sono richieste, ma non è per esse che ci si acquista inizialmente il favore divino. Dal punto di vista del sentimento e dell'esperienza religiosa, la risposta è che i rabbi non manifestano quella sorta di ansia e di tensione che una reli­ gione di Selbsterlosung dovrebbe creare. Al contrario, lo studio e la pratica erano valutati da loro in modo assai diverso che come strumenti di autosalvazione. Se lo studio e la pratica non sono tentativi di autosalvazione, 47· V. spec. l'inizio della sez. 5, sopra. V. anche l'indice, s.v . «confessare». 48. L'idea che «studiare» induca a «operare» era dovunque accettata tra i rabbi più tardi. v. ad es. MidraJ R.abba a Levitico 35,7 e gli altri passi citt. da Mach, Der Zaddik, 1 5 . E v. anche Neusner, Yolpanan ben Zakkai, 145 (ed. riv., 191), su studiare, obbedire ai comandamenti e fare atti di bontà come fondamento che R. Jo�anan poneva per il giudaismo. 49· Str.-Bill. IV, 6.

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perché «studiavano» e «praticavano»? Vi sono due risposte: per obbedire ai comandamenti e per essere prossimi a Dio. La neces­ sità dell'obbedienza è stata discussa a sufficienza. Il secondo punto tuttavia è direttamente rilevante per questa sezione. In un notevole capitolo dal titolo «Misticismo normale», Ka� dushin ha mostrato con grande originalità, chiarezza e penetra­ zione che la religione rabbinica coltivava la coscienza della pre­ senza di Dio in modo completo, efficace e metodico .,o Notando che la preghiera porta l'israelita alla presenza di Dio'1 - un punto su cui ritorneremo- Kadushin osserva ulteriormente che la pre­ ghiera regolare e sistematica è prescritta dalla halaka.'1 Inoltre, la halaka connette la preghiera a eventi normali della giornata (si tratta perciò di «misticismo normale>>). Il sentimento della pre� senza di Dio non si limita all'esperienza del «totalmente altro». Merita citare Kadushin per esteso, in proposito . La halaka dona regolarità e stabilità alla spinta verso la concretizzazio� ne che caratterizza Pidea di preghiera, allarga il raggio della sua espres� :;ione, e le fornisce i mezzi espressivi. La spinta verso la concretizzazio­ ne funziona meglio quando avviene sotto uno stimolo ... Ma si deve al­ la halaka se gli stimoli, invece che essere accidentali, sono regolari e stabili. È la halaka che fa di ogni occasione in cui si mangia o beve uno stimolo per la preghiera. Non solo, ma la halaka mette in luce come stimoli alla preghiera alcuni fatti altrimenti scarsamente percettibili, come ad esempio i diversi momenti della giornata come occasioni ... di 50. The Rabbinic Mind, 194-272. V. per la tenninologia e per una breve discus� sione Organic Thinking, 237-240. In quel che segue, tratto solo di tale «mistici� smo normale». Può essere che i misticismi estatico e visionario fossero abbastan­ za diffusi nel giudaismo rabbinico. V. G. Scholem, Maior Trends in ]ewish Mysti­ cism e ]ewish Gnosticism, Merkahah Mysticism and Talmudic Tradition ; ]. Neu­ sner, Yohanan ben Zakkai, 97�Io3 ; ed. riv., I 34-I41 . Per una valutazione positiva del lavoro di Scholem , v. D. Flusser, Scholem's recent book on Merkabah Litera­ ture : JJS I I ( I96o) 59-68 . Flusser solleva la questione della relazione di motivi mistici con i più tipici temi haggadici. La tesi di Scholem è sottoposta ad una va­ lutazione critica nel saggio di Urbach citato alla n. 56, sotto. Il mio punto di vista è quello di Sandmel, The First Christian Century, 75 s.: «Deve perciò bastare dire che ci troviamo dinanzi al paradosso di abbondanti tracce dell'esistenza di ten­ denze mistiche nel primo secolo, mentre i loro contorni sfuggono ad una precisa definizione». In ogni caso, nessuna forma di misticismo giudaico ha a che fare con il conseguimento di una unione con Dio. V. la definizione del misticismo in Rohde, Psyche, 245 e il commento di Scholem, Ma;or Trends, 5· 51. Tbe Rabbinic Mind, 270 ss. ,2 . Ibid., 210 ss.

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preghiera. Inoltre, allargando enormemente, in questo e altri modi, l'orizzonte della preghiera, la halaka fornisce il singolo di berakot e di preghiere vere e proprie , di mezzi di espressione elaborate da menti e spiriti creativi. Al tempo stesso la halaka incoraggia la preghiera spon­ tanea e la pet izione privata, e specialmente l'aggiunta di tali preghiere a determinate sezioni delle Diciotto berakot. Può allora sorprendere che l'uomo ordinario e la persona dotata a­ vessero lo stesso tipo di espe rienz a di Dio? Per opera della halaka, l 'uomo dotato conseguiva i risultati più elevati allo stesso modo del­ l'uomo comune, e il leader spirituale portava l'uomo comune al proprio livello."

Non accade solo che la halaka apporti il senso della presenza, come regolandolo , nel tessuto della vita quotidiana: lo studio stesso della torà fa sentire d'essere alla presenza di Dio. Cosl il servizio nel tempio, dove il sacerdote ministra dinanzi a Dio, e lo studio della torà sono entrambi chiamati c aboda, servizio.'4 Do­ vunque due persone parlino insieme della torà, Dio (la ?kina) è con loro." Era così forte il sentimento della presenza di Dio quando si studiava la torà che i rabbi, parlando di studio, usavano la termi­ nologia derivata dalla teofania del monte Sinai, come ha mostrato Urbach.-�6 Cosi si diceva di uno studioso che «quando sedeva e si afiaticava alla torà, qualunque uccello che volasse su di lui era immediatamente bruciato» .'7 Le parole della torà sono come fuo'3· Ibid., 2 1 1. Va osservato che H. Loewe, Pharisaism, ]udaism and Christian· ity I, 153 aveva prima notato che il farisaismo santifica «l'arco del giorno e l'impe­ gno normale». Goldin (The Thinking of the Rabbis, I I ) avverte che la posizione di Kadushin «Sottovaluta l'ottundimento che viene dall'abitudine». Comunque Kadu­ shin ha messo in luce la relazione tra halaka e la vita religiosa interiore come i rab­ bi la percepivano. '4· Sifre a Deuteronomio 41 (87; a I I ,13); Kadushin, 213. Cfr. Finkelstein, The Pharisees, 279; Neusner , Yohanan ben Zakkai, 62 s.; ed. riv., 92. ,,. Abot 3,2 ; Kadushin, 214. Inoltre, per quanto concerne lo studio della torà come «esperienza spirituale insieme pneumatica e disciplinata», v. Neusner, Yo­ hanan ben Zakkai, 38, 81 ss. Nell'ed. riv., 64, egli parla dello studio come di una «esperienza spirituale insieme fluida e aperta, ma anche limitativa>>, dr. ed. riv. 118 SS. ,6. E.E. Urbach, Ha-Masorot c al Torat ha-Sod bi-Tequfat ha-Tanna'im («Le tra­ dizioni sul misticismo della Merkabah nel periodo tannaiticm>), in Studies in Mys­ ticism and Religion, 1967, 1-28. 57· Sukka 28 a, con riferimento a R. Jonatan b. Uzziel, discepolo di Hillel; Ur­ bach, Ha-Masorot, 8.

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co . La spiegazione chiaramente si trova in Ez. 19,1 8 : «E il monte Sinai era avvolto nel fuoco, perché il Signore vi discese nel fuo­ co» .'8 Urbach, dopo aver citato altri passi'9 che connettono lo stu­ dio della torà con un fuoco ardente, commenta: 6o Il fuoco ardente che avvolge quelli che studiano la torà era una sorta di conferma che la torà che veniva studiata era la torà del Sinai, la cui rivelazione era stata accompagnata dalle fiamme.

Egli attribuisce l'uso di frasi tratte dalla teofania del monte Sinai per descrivere lo studio della torà al «senso di rivelazione conti­ nua sperimentato da quei saggi che, come Aqiba, avevano preso partito per una estrema libertà di interpretazione».6r Urbach non intende tuttavia dire che solo i rabbi della scuola di Aqiba senti­ vano la presenza di Dio studiando la torà . Dopo tutto, nello stu­ dio i rabbi dirigevano la mente al cielo.62_ In ogni caso, molti pas­ si che collegano lo studio con un fuoco ardente riguardano rabbi della generazione prima di Aqiba.6l Vediamo cosi che studiare e praticare la torà sono connessi al senso della presenza di Dio . Studiare la torà vuoi dire essere alla presenza di Dio che ne ha fatto dono, mentre l'osservanza delle halakot inculca tale senso della presenza di Dio . Risulta cosl che proprio al cuore del presunto legalismo rabbinico v'è il sentimen­ to di un contatto intimo con Dio . Per rispondere al problema sol­ levato precedentemente, andrebbe notato che coloro che avevano il senso della presenza di Dio nel mezzo delle attività quotidiane e in quell'attività individuata come fondamentale tra tutti gli al­ tri atti religiosi , lo studio della torà, non avevano alcun bisogno di quei sacramenti della chiesa di cui Bousset li riteneva orbati . Lo ;8. Urbach, ibid. 59· P. Hagiga 77b(2,r) e parr. ; Midral R.abba a Levitico r6,4 (su Ben Azzai ); Mekilta di R. Simeon a Ex. 19,18 (p. 143, riga 2;) : «'Nel fuoco': vuoi dire che le parole della torà sono paragonate al fuoco», ecc . ). 6o. Urbach, Ha-Masorot, 9· 6x. lbid., II. 62. Così Kadushin, The Rabbinic Mind, 2 1 3 , con riferimento a Berakot ;b ( trad. ingl. 21). Sullo studio come pietà, non solo come accumulo di notizie, cfr. Neu­ sner, Understanding Rabbinic ]udaism, 9· 63. Il passo in p. Hagiga 7 7b (sopra, n . .59) si riferisce a R. Eliezer e R. Joiua. Sulla loro relazione con esperienze mistiche, v. Urbach, Ha-Masorot, I ss.

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studio e la pratica della torà, !ungi dall'essere incongrui con i sen­ timenti e le esperienze religiose dei rabbi, vi si connettono perfet­ tamente. Sarebbe assurdo caratterizzare lo studio e la pratica del­ la torà come l'ideale della vita religiosa, se Dio fosse remoto e l'uo­ mo alienato, perché in questo caso quelle attività non farebbero che rafforzare il senso di impotenza, disperazione ed estraneità. Non si potrebbe mai «studiare» e «fare» abbastanza da rende­ re prossimo un Dio remoto. Ma se Dio è percepito come vicino, si può «studiare» e «fare» di buon animo: è la volontà di Dio che vien messa in atto, e ogni azione rafforza il senso della presenza di Dio. È come si incontrasse Dio più volte nell'arco della giornata. Questo punto non è stato spesso colto da coloro che hanno conosciuto la letteratura rabbinica solo di seconda mano e che per­ ciò non hanno visto il significato religioso che i rabbi attribuivano allo studio e alla pratica della legge. Così Rossler ha scritto che nella letteratura rabbinica l'unica relazione dell'uomo con Dio è mediante la legge, e l'unica rivelazione divina è «la legge e solo la legge».64 Oppure, come dice altrove, la relazione dell'uomo con Dio è decisa interamente dali'obbedienza, che deve essere realiz­ zata in ogni situazione nuova.6' Rossler ha notato correttamente il ruolo importante che studiare e praticare la legge hanno nella letteratura rabbinica, ma la sua descrizione, che fa apparire inte­ ramente legalistica, formale e fredda la religione rabbinica, ha tre gravi difetti. Come abbiamo notato sopra, Rossler nega in modo scorretto che il patto e le promesse del patto avessero nella pro­ spettiva rahbinica valore durevole, (la relazione dell'uomo con Dio dev'essere nuovamente decisa con ogni nuovo atto di obbe­ dienza) .66 In secondo luogo, Rossler trascura completamente il si­ gnificato della preghiera per i rabbi, significato di cui abbiamo trattato subito sopra . Infine Rossler (come Bousset e molti altri) ignora completamente il significato che i rabbi stessi trovavano nello studiare e praticare la legge: si consideravano trasportati alla presenza di Dio. Le obiezioni al «legalismo» rabbinico sono in parte basate sull'incapacità degli studiosi moderni di trovare un 64 . Rossler , Gesetz und Geschichte, 16. 65 . Ibid., 32. 66. V. «La permanente validità delle promesse del patto», sez. 4, sopra.

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significato devozionale nell'obbedire alla legge, incapacità di cui non soffrivano i rabbi . Vi sono numerosi passi in cui si dice che Dio è con il pio ebreo quando studia e pratica i comandamenti. Sono stati ora raccolti da Goldberg67 e ne citeremo appena uno: 68 ecc ... In relazione a questo passo i saggi dicevano: do­ vunque dieci persone si raccolgono in una sinagoga la Sekina è con lo­ ro ... E come sapere che Egli è con tre persone che siedono a giudizio? Dice: Di tra i giudici Egli giudica (Ps. 82,1 ) . E come sappiamo che E­ gli è anche con due persone? [È provato con Mal. 3 ,16] . E come sap­ piamo che Egli è anche con uno? È detto: In ogni luogo in cui faccio

In ogni luogo,

menzionare il Mio nome ve"ò a te e ti benedirò.

Che i rabbi confidassero nella presenza e nell'accessibilità di Dio diverrà anche più chiaro se consideriamo l'atteggiamento rabbini­ co verso la preghiera. La preghiera e il momento della morte Le preghiere quotidiane dei rabbi e dei loro seguaci, prescritte e spontanee, presuppongono e contemporaneamente inculcano il senso della presenza divina. La pratica della preghiera lungo tutto il corso del giorno è uno dei tratti distintivi del giudaismo, sebbe­ ne sia stata adottata in vari modi dal cristianesimo e dall'islam. La natura e la struttura della vita religiosa quotidiana può esser presentata nel modo migliore citando alcune delle preghiere del tempo. Sebbene pochissime siano le preghiere personali di rabbi tan­ naiti conservate,69 ve ne sono molte del periodo degli amoraiti . Può essere ammissibile riferirsi ad alcune di queste, supponendo che esista nella pietà personale quella continuità che esiste nella halaka . La necessità che persino i più giusti si affidino a Dio viene 67. Goldberg, Schekhinah, 38'�399. 68. Mekilta Bapodes II (243 ; 11, 287; a 20,24). 69. Molte tra quelle pervenuteci non sono rilevanti per la presente discussione. V. la serie di preghiere raccolte per lo studio delle loro caratteristiche formali da L. Finkelstein, The Development of the Amidah : JQR n.s. 16 ( 192,-6) 4 ss. V'è un'indagine più completa in J. Heinemann, Ha-Tefillah hi-Tequfat ha-Tanna'im vt-ha-'Amora'im, 1966.

320

La letteratura tannaitica

affermata in una raccolta di preghiere in Berakot 1 6b- I 7a. Possia­ mo dare due esempi : R. Jol;lanan concludendo la sua preghiera70 aggiungeva quanto segue: Possa

essere la Tua volontà, nostro Dio, di guardare alla nostra vergo­ gna, e considerare il nostro stato infelice, e rivestirti delle Tue miseri­ cordie, e ricoprirti della Tua forza, e avvolgerti alla Tua pietà, e cin­ gerti della Tua grazia, e possa l'attributo della tua bontà e benevolen­ za7r venirti dinanzi! Raba72 concludendo la sua preghiera aggiungeva la seguente: Mio Dio, prima d'esser formato non ero degno [d'esser formato]; e ora che sono stato formato sono come non fossi stato formato. Polvere sono nel tempo della mia vita, tanto più nella mia morte. Ecco io sono di­ nanzi a te come vaso pieno di vergogna e confusione. Possa esser la Tua volontà, mio Signore Dio, ch'io non pecchi più e i peccati che ho commesso dinanzi a te cancellali nelle Tue grandi misericordie, ma non con duri castighi e sventure!n Lo stesso Raba, il cui sentimento di indegnità dinanzi a Dio è cosi commovente, non tradisce questo sentimento nelle discussio­ ni halakiche. Può stabilire che «se uno ha costruito un'asse per una pedana e l'ha alzata tre palmi dal suolo o rimossa tre palmi dal muro, il suo atto è invalido»,74 senza tradire il sentimento d'es­ sere «come un vaso pieno di vergogna e di confusione» . Al con­ trario, si ha l'impressione che egli domini perfettamente i coman­ damenti divini, possa stabilire quali siano, e quindi adempierli. Se la preghiera che egli ripeteva giornalmente non fosse stata con­ servata, si sarebbe potuto pensare che si ritenesse autosufficiente sul piano religioso, capace di fare quel che era necessario . Vedia­ mo cosl che il materiale halakico può esser deludente, quanto alla possibilità di comprendere la piena ampiezza e la vera profondità della religione rabbinica. 70. Cioè le Diciotto benedizioni. R. Jo}:lanan era un amoreo palestinese della se· conda genera%ione. 71 . Opposto all'attributo della giustizia rigorosa. 72. Un amoreo babilonese della quarta generazione {ca. 280.352) . 73. 11 Talmud aggiunge che questa preghiera era la confessione di R. Hamnuna Zuti nel Giorno dell'espiazione. ]oma 87h attribuisce la preghiera a R. Hamnuna {a­ moreo babilonese del terzo e quarto secolo) e commenta che Raba {la trad. ingl. ha erroneamente Rab) usava questa confessione tutto l'anno e che Hamnuna Zuti " la usava nel Giorno dell'espiazione. 2 ancora usata nel Giorno dell'espiazione, dr. ]E VI, 201 . 74· Erubin 14h.

La vita e 11esperienza religiose

32 1

Questo cambiamento di tono non dovrebbe sorprendere . Quan­ do qualcuno dibatte la definizione di un comandamento, parla na­ turalmente come se la religione fosse sotto il suo controllo. Ma quando, nella preghiera, si sente dinanzi al suo Dio, è sotto rim­ pressione della propria indegnità e riconosce di confidare nella grazia divina. È probabile che lo stesso atteggiamento soggiaccia al pianto di .R. Jo�anan b. Zakkai in punto di morte . La storia è la seguente: 7'

Quando Rabban JoQ.anan ben Zakkai cadde malato, i suoi discepoli an­ darono a fargli visita. I suoi discepoli gli dissero : Lampada d'Israele, pilastro della mano destra, potente martello, perché piangi? Rispose: Se dovessi esser oggi portato dinanzi a un re umano che ora è qui e do­ mani è nella tomba, la cui ira non dura per sempre, che se mi imprigio­ na non mi imprigiona per sempre e che se mi mette a morte non mi mette a morte eterna, e che posso persuadere a parole e corrompere con denaro, pure in questo caso piangerei. Ora che sono portato dinan­ zi al supremo re dei re, il Santo, benedetto egli sia, che vive e dura per sempre, la cui ira, se è adirato con me, dura per sempre, che se mi im­ prigiona, mi imprigiona in eterno, che se mi mette a morte, mi mette a morte in eterno e che non posso persuadere a parole o corrompere con denaro, quanto più, quando vi sono due vie dinanzi a me, una che conduce in Paradiso e l'altra al Gehinnom, e non so da quale sarò pre­ so, dovrò piangere? Gli dissero : Maestro, benedici. Disse loro: Possa esser volontà [ di Dio] che il timore del cielo sia su di voi come il ti­ lllore della carne e del sangue. I suoi discepoli gli dissero: È tutto? Disse loro: Se solo [otteneste questo]! Potete vedere [quanto ciò sia importante], perché quando un uomo commette una trasgressione di­ ce : spero che nessuno mi vedrà. Nel momento della dipartita disse lo­ ro: Spostate i vasi, che non divengano impuri, e preparate un trono per Ezechia re di Giuda che sta venendo. È tradizione oramai inveterata, nella ricerca neotestamentaria, che questa storia illustri più o meno tutto ciò che vi è di errato nella religione rabbinica . È presa come prova che la soteriologia rabbinica, che si suppone basata sulla prevalenza numerica delle opere, buone o cattive, producesse uno stato di ansietà e di incer­ tezza.76 Bultmann cosi si esprime: 77 75· Cito la versione di Berakot 28b secondo la traduzione Soncino. V'è un paralle­ lo in Abot de Rabbi Natan 2 5 V. anche Neusner, Yobanan ben Zakkai, 172 s.; ed. riv. 227 s. 76. V. Koberle, Sunde und Gnade, 6.55 s.; Windisch, Paulus und das ]udentum, .

La letteratura tannaitica

322

Un'ulteriore conseguenza della concezione legalistica dell'obbedienza era che la prospettiva della salvezza si faceva altamente incerta. Chi poteva esser sicuro di aver fatto abbastanza in questa vita da esser sal­ vato? Sarebbero stati sufficienti la sua osservanza della legge e le sue buone opere ? Perché nel giorno del giudizio tutte le sue buone opere sarebbero state contate e pesate, e guai a lui se la bilancia pendeva dal­ la parte delle opere cattive ! Quando gli amici visitarono Jol).anan ben Zakkai , che era a letto ammalato, lo trovarono che piangeva perché era cosi . incerto della sua sorte nel momento del giudizio divino; la pro­ spettiva di incontrare Dio come proprio giudice sollevava nelle perso­ ne coscienziose un'ansietà piena di scrupolo e un morboso senso di colpa.

La stessa concezione si esprime nella sezione di Rengstorf «Spe­ ranza nel giudaismo rabbinico», nell'articolo ÈÀ.1tL; del Lessico del Kittel.78 Rengstorf cita un'osservazione en passant di Schlatter, secondo cui «il semitismo non ha un preciso parallelo di ÈÀ.'7t!;» ,79 come motivo per supporre che non vi siano termini per «speran­ za» nella letteratura rabbinica. Tiqwa, dice, «era come scompar­ sa», citando come eccezione 2 Bar. 7 8 ,6 .80 Prima di accettare per buono quel che afferma Schlatter, avrebbe potuto prendere in considerazione passi come Qiddusin 4,14 : «R. NeQorai dice: . . . [la torà ] lo custodisce da ogni male mentre è giovane, e in età avanzata gli offre un futuro e una speranza» (tiqwa) . Oppure Rengstorf avrebbe potuto prendere in considerazione altre paro­ le, come metuqqan («ciò che è preparato») ' seber («speranza») ' sikkui (> (4 ,9 s . ) e «coloro che si sono allontanati dal tuo patto» (4, 1 9) .14 In I QS sebbene manchi la nota di pericolo per­ sonale, i malvagi sono con altrettanta chiarezza israeliti che non sono «nel patto» . Coloro che entrano nel patto debbono «separar­ si dall'assemblea degli uomini ingiusti per costituire una comuni­ tà . . . sottomessi all'autorità dei figli di Zadoq, i sacerdoti che osser­ vano il patto, e al parere della maggioranza degli uomini della co­ munità che stanno salvi nel patto» ( I QS 5 , I-3 ) . Gli «uomini in­ giusti» sono ovviamente ebrei non obbedienti ai sacerdoti zadoI 3 . I QH 2,I2 è ora spesso attribuito al Maestro di Giustizia, mentre 2,2 I è attri­ buito alla comunità; v. sotto, rAppendice I. In ogni caso, il tema della persecu­ zione da parte di nemici dall'interno di Israele è chiaro qui, come in I QpHab. I4. Tutti e tre i passi sono attribuiti al Maestro da G. Jeremias, ma H.W. Kuhn attribuisce il primo alla comunità. V. sotto, Appendice I .

L'alleanza e il popolo dell'alleanza

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qiti che conservano il patto. Parimenti, gli «uomini della sorte di Belial» ( 2 ,4 s.) sono quelli che non sono o non entrano nel patto, e lo stesso vale di «tutti gli uomini dell'ingiustizia . . . che cammina� no sulla via dell'empietà» ( j , I O s.) . Quando i malvagi sono concepiti come israeliti non appartenen� ti alla setta, i «buoni» ricevono una lista di titoli, atti a designarli, ricca come quella dei malvagi.1' Sono raramente chiamati «i giu� sti» , il termine più normale nel giudaismo (CD I I ,2 I ; I QH I ,36 ; il singolare è un po' più comune : CD I , I 9 . 2o; 4,7; 20,2 0 ; I QH I .5 ,I 5 ; I 6 ,I o) e mai «i pii». 16 Sono piuttosto i figli della luce, i figli della verità, i figli della giustizia, i figli della sorte di Dio che cam� minano perfettamente in tutte le sue vie, gli eletti del beneplacito di Dio e simili . Sono occasionalmente chiamati «i poveri» , di soli� to in opposizione ai «potenti» ( I QH 2 , 3 2 .3 .5 [ con termini diffe � renti ] ; 5 ,2 2 ; I QpHab I 2 ,3 . I O j 4 QpPs 3 7 2 ,9 ; 3 , I o ; cfr. I QM 17 I I ,9 . I 3 ) . · Ma dobbiamo ora sollevare la questione, più importante per il presente studio, se la setta, definendo se stessa per opposizione agli Israeliti che non vi appartenevano, si appropriasse del titolo di « Israele» . In altre parole, i membri della setta pensavano che i malvagi israeliti, rifiutando di accettare l'alleanza settaria, aveva­ no respinto il patto di Dio in tal modo da perdere anche il titolo di « Israele» ? In primo luogo possiamo notare che in I QS e I QH non si esita a chiamare i membri della setta gli «eletti» , in genere con un termine che li qualifica : gli eletti del volere divino ( I QS 8 ,6), gli eletti dell'uomo ( I I , x 6), gli eletti del tempo ( 9 , I 4) , gli eletti di giustizia ( I QH 2 , I 3 ) . In due di questi casi un termine più generale come sono gli «eletti di tra Israele» . I membri della setta co­ me tali non sono Israele. 3 . Più significativo è il modo con cui si tratta della storia passa­ ta di Israele in I QS. In I QS 1 ,2 I -2 5 la setta si appropria della storia della trasgressione di Israele e della misericordia di Dio nel rituale di ingresso nel patto : 24 I sacerdoti narrino la giustizia di Dio nelle opere della sua potenza, proclamino tutte le benevolenze misericordiose verso Israele ; e i levi­ ti narrino le iniquità dei figli di Israele, tutte le loro colpevoli trasgres· sioni e i loro peccati compiuti sotto l'impero di Belial. Dopo di loro, [ tutti] coloro che passano nel patto faranno la confessione, dicendo : «Siamo stati perversi, [ci siamo ribellati, abbiamo peccato, abbiamo] agito iniquamente sia noi che i [padri ] nostri prima di noi. . » .

Quando i sacerdoti di fatto benedicono quelli che entrano nel pat­ to, non benedicono « Israele» o «il vero Israele» , ma «tutti gli uo­ mini della sorte di Dio che camminano integralmente in tutte le sue vie» ( 2 , 1 s . ) . Si appropriano della vicenda che intercorre tra Israele e Dio, ma non si chiamano semplicemente «Israele» . 4 · Si è suggerito che l'espressione «maggioranza di Israele» o «moltitudine di Israele» che entra nel patto ( I QS .5 ,2 2 ) indichi 23. Il contesto è troppo danneggiato per permettere di determinare il significato della formula «eletti di Israele» in 4 QpPs3 7. 24. Sulla funzione di questa «storia antecedente• nei testi del patto, v. Baltzer,

The Covenant Formulary, 1-98, specie 91 .

l manoscritti del Mar Morto

che «il vero Israele deve identificarsi con la comunità settaria» .2' Brownlee si riferisce a 5 ,2 s. dove appare l'espressione «maggio­ ranza degli uomini della comunità» . Assume l'eguaglianza di «I­ sraele» di 5 ,2 2 con «uomini della comunità» di 5 ,2 s . È possibile, ma il significato di _; ,2 2 potrebbe essere : la maggioranza di que­ gli israeliti che aderiscono al patto, distinguendoli dagli israeliti che non aderiscono. L'ultima possibilità è sostenuta da I QS 6 , 1 3 s . : ogni uomo proveniente da Israele che volontariamente ade­ risce all'assemblea della comunità (aderire all'assemblea della co­ munità vale qui entrare nell'alleanza: si veda il seguito in 6 , 1 .5 ) . Sembra si implichi qui che entra nel patto uno che è già israelita . Vi sono certo alcuni passi in cui « Israele» si applica alla setta come tale. È questo probabilmente il caso di 1 QS 2 ,2 2 , dove «o­ gni israelita» sembra includere i sacerdoti , i !eviti e la gente ordi­ naria previamente menzionata, i quali tutti sono nella setta e tutti insieme fanno «Israele» . Quando CD 1 2 ,2 1 s. afferma che «in con­ formità di questa norma camminerà tutta la stirpe di Israele», ci si riferisce alle regole halakiche della setta che governano certi a­ spetti della purità rituale . Non è tuttavia evidente che la «stirpe di Israele» si riferisca ai membri della setta ; più probabilmente ci troviamo dinanzi alla pretesa che tutto Israele segua la halaka set­ taria . Parimenti, quando l'alleanza settaria viene chiamata «ral­ leanza per tutto Israele» (CD I j ,j ) , il significato è probabilmente che l'alleanza settaria è l'unica in cui dovrebbe trovarsi tutto Israe­ le, piuttosto che la setta esclusivamente sia Israele ; una simile pre­ tesa si trova probabilmente espressa in CD 3 , I 3 . In breve, nonostante le assicurazioni degli studiosi per cui i membri della setta si consideravano i soli veri israeliti e nonostan­ te la sostanziale verità dell'affermazione (i membri pensavano ve­ ramente di essere i soli a conoscere integralmente il patto e rite­ nevano che quelli che ne erano fuori fossero «empi») essi in gene­ re evitavano di chiamare se stessi semplicemente « Israele» .26 Sem­ brano cioè aver ritenuto la consapevolezza di essere una parte di Israele specialmente scelta, consapevolezza che dev'essere stata rafforzata dal fatto che non si poteva essere pienamente membri 2,. Brownlee, Manual of Disdpline, 22. 26. Cosl anche Klinzing, Die Umdeutung des Kultus, 56, e Maier (sopra , n. 21).

l/alleanza e il popolo dell1 alleanza

35 1

della setta sino all ' età adulta ( I QSa I ,8 s . ) . Inoltre, la setta tene­ va aperta la possibilità che gli empi potessero pentirsi e aderire. Quelli che sono chiamati «uomini della fossa» in r QS e I QH, e con simili epiteti, sono detti i «malvagi di Israele>> in 4 QpPs3 7 J , I 2 , i >) agli eletti, piuttosto che agli empi e intende «gli eletti» come soggetto di «hanno osservato i suoi precetti» : «Ed è con il castigo che gli eletti dispenseranno che tutti gli empi del suo popolo espie­ ranno, perché essi (gli eletti) hanno osservato i suoi comandamenti nella loro tribolazione» . Ringgren intende «loro» come Vermes , ma si accorda con Dupont-Sommer nel fatto di assumere «gli elet­ ti» come soggetto di «hanno osservato i suoi comandamenti» . Inol­ tre egli intende il verbo je' esmu nel senso di «esser punito (per una colpa) », piuttosto che di «fare ammenda di una colpa» o «espia­ re» : «mediante il loro castigo gli empi tra il suo popolo saranno puniti ; giacché essi (gli eletti) hanno osservato i suoi comanda­ menti quando erano nella tribolazione».42 La traduzione di Bur­ row è essenzialmente eguale a quella di Ringgren .43 Lohse traduce il verbo con bussen, ma spiega che il senso è che gli eletti puniran­ no gli empi di tra il loro popolo allo stesso modo dei gentili . Egli pure assume come soggetto di «hanno osservato i suoi comanda­ menti» gli eletti.44 Delcor intende je'esmu nel senso di «sapere d 'essere colpevole» : quando sono castigati , gli empi del suo popo­ lo sapranno di esser colpevoli . È difficile attribuire molto peso ad .un passo così controverso, e non vi sono osservazioni sintattiche utili a risolvere il problema della traduzione. Il relativo che pre­ cede «osservare» si riferisce nel modo più naturale agli «empi» appena menzionati, come Vermes traduce, ma il relativo nei ma­ noscritti talvolta si connette ad un termine precedente più lonta­ no . Il verbo significa più naturalmente «esser colpevole», ma la possibilità di tradurre «espiare la colpa» non può essere esclusa. Se la traduzione di Vermes è corretta, il passo dice che persino gli 42. Ringgren, Faith o/ Q umran, 154.

43 · Burrows, Dead Sea Scrolls, 367. ad loc.: i malvagi saranno puniti

44· Cosl anche Maier e parimenti Carmignac,

con i castighi inflitti loro da quelli che osservano i comandamenti .

·

I manoscritti del Mar Morto

israeliti (che prima erano) empi saranno salvati purché, durante le tribolazioni che accompagneranno la fine, stiano saldi e non va­ cillino. Secondo altre interpretazioni, gli eletti che resistono nel momento della prova affliggono, e perciò inducono al pentimento (e presumibilmente portano alla salvezza) , gli israeliti (che prima erano) empi. In entrambi i casi, per «gli empi del suo popolo» , cioè per gli israeliti non appartenenti alla setta, l'espiazione avrà luogo durante le tribolazioni degli ultimi giorni. Le traduzioni di Ringgren, Delcor e Carmignac, d'altra parte, sembrano escludere gli empi israeliti dall'espiazione escatologica. Se tuttavia è lecito leggere il presente passo alla luce di I QSa è probabile che sia qui lasciata aperta la possibilità che gli «empi del suo popolo» possano unirsi agli «eletth> negli ultimi giorni per formare il più grande e perfetto Israele, quando i gentili vengono distrutti. È chiaro in ogni caso dal passo ora citato che nel momento esca­ tologico i gentili (gojim) saranno giudicati e distrutti, mentre gli empi israeliti saranno solo puniti e forse persino redenti. Guar· dando avanti, verso l'eschaton, i nemici divengono (come in I QM e I QSa) i gentili, piuttosto che gli avversari storici della setta, gli israeliti che non vi appartengono, altrimenti cosl spesso men­ zionati in I QpHab. Merita forse notare in proposito che Hab. 2 , I 9 s., che si riferisce all'idolatria, è interpretato ovviamente nel commentario ( I J ,I s .) come riferito ai gentili . Il commentario pre· dice direttamente che nell' eschaton («nel giorno del giudizio») gli idolatri saranno distrutti. Il nesso tra gentili come nemici e pe­ riodo escatologico sembra essersi saldamente stabilito . Possiamo infine notare i «violenti» o «tiranni tra i gentili» , che sono menzionati in 4 QpPs37 2 , I 9 ; 4 , 1 0 . Nel primo caso, si dice che «gli empi di Efraim e Manasse» saranno dati in mano loro per esser giudicati e nel secondo che il Sacerdote empio avrà la stessa sorte . Sebbene il contesto in entrambi i casi non sia cosl sicuro co­ me si desidererebbe, questi passi sembrano sostenere la teoria, enunciata precedentemente, secondo cui gli incorreggibilmente empi in Israele sarebbero distrutti prima (o nei primi stadi) della guerra escatologica con i gentili, mentre quanti lo desiderassero potrebbero aderire alla comunità del patto e costituire il solo Israe­ le. Ciò dà senso a I QSa, spiega perché I QM (e chiaramente 4

L'alleanza e il popolo dell'alleanza

Qflor 1 , 1 8 s.) tratta quasi esclusivamente dei gentili come empi, e prende in considerazione le profezie della distruzione dei mal­ vagi israeliti . Per tornare al punto di partenza della sezione : la setta non pen­ sava a se stessa (o non lo faceva di sovente) come > , in contrasto con i gen­ tili ( 1 Q Sa I ,2 I ) Ci volgiamo ora ad una categoria differente da quella di coloro che sono considerati fuori dal patto : gli apostati. Essi appaiono anzitutto - forse esclusivamente - in CD e in 1 QS . Il tema è an­ nunciato in CD 8 ,I s . par. I 9 , 1 3 s . : tutti i membri del patto che non si attengono saldamente ai suoi precetti saranno distrutti. La descrizione seguente ( 8 ,3- 1 2 par . 1 9 , 1 5-24) non sembra riferirsi specialmente agli apostati, eccetto la frase di I 9 ,1 6 : «Sono entra­ ti in un patto di pentimento» . Altrimenti il passo sembra riferirsi ad israeliti non membri della setta. Sono chiamati «principi di Giuda» (8,3) e si dice che essi sono particolarmente colpevoli di cercare la ricchezza con mezzi violenti , e di lussuria (8 ,5-7) . Inol­ tre, saranno puniti (o sono stati puniti)4' dal «capo dei re dei gre•

4' · V. Rabin, Zadokite Documents, 34·

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ci» (8,1 1 ) . 8 ,3-1 2 , in altre parole, come il parallelo di 1 9 ,1 5-24 , a parte una sola frase di 1 9 , 1 6 , suona come un caratteristico attac­ co agli israeliti non appartenenti alla setta e specialmente ai loro capi. Forse la preoccupazione è dimostrare che gli apostati saran­ no trattati come i capi di Gerusalemme, ma sembra più probabile che un passo riguardante questi ultimi sia stato inserito in una discussione riguardante i primi.-46 Giacché si torna immediatamente agli apostati : «Cosl è di chiunque disprezza le prescrizioni di Dio, le abbandona e si rivolta con cuore ostinato» ( 8 , 1 9 ) . «Tutti gli uomini che sono entrati nel nuovo patto nella terra di Damasco, ma se ne sono poi ritornati, hanno tradito e si sono allontanati dal pozzo delle acque vive, non saranno contati nell'assemblea del popolo . . >> { 8 ,2 1 ) (traduzione mia) . Se il secondo manoscritto può essere attendibilmente usato per il seguito, sembrerebbe che simili persone possano ritornare quando viene il Messia di Aron­ ne e di Israele (20,1 ) . Parimenti, coloro che «sono entrati nell'as­ semblea degli uomini di perfetta santità» e si scoraggiano «nella pratica dei precetti dei giusti» sono esclusi dalla comunità, ma chia­ ramente vi possono far ritorno ( 20 ,2-8 ) . In 20,8- 1 3 di quelli che disprezzano il patto si dice che non hanno parte nella casa della legge e non si parla di alcuna possibilità di ritorno . Una reminiscen­ za di 8 , 1 s . , con la sua condanna degli apostati alla distruzione, vi è in 20,25-27 che dice che «tutti coloro che, entrati nel patto, han­ no violato la frontiera della legge, quando apparirà la gloria di Dio a Israele, saranno recisi di mezzo all'accampamento e con essi tutti quelli di Giuda che agiscono empiamente» . Può essere che intenzione del documento sia di stabilire gradi di apostasia, alcuni dei quali ammettono ritorno, altri comportano la distruzione, ma i gradi non si possono determinare dalla terminologia. La parola «disprezzare» ad es. è usata in 8 , 1 9 ed è chiaramente seguita dalla previsione di un ritorno alla comunità nei giorni del Messia, men­ tre per «coloro che disprezzano» di 20,8 . 1 1 non è previsto alcun ritorno. Può essere che in 2 ,6 s . l'espressione «deviare dalla via» .

46. Cosi anche J Murphy-O'Connor, The Critique o/ the Princes of ]udah : RB 79 (1972) 200-216; 8,3-18 è stato interpolato e la sezione non si riferisce ai mem­ bri della comunità, ma ai governanti ebrei che si erano opposti alla comunità ai

suoi inizi.

L'alleanza e il popolo dell'alleanza

si riferisca agli apostati; se è cosl, anche loro sono condannati alla distruzione.47 Un po' più chiare sono le disposizioni di I QS. «Tradire (bgd) la verità» e «camminare nell'ostinazione del cuore» comporta una sospensione di due anni, con alcuni privilegi concessi dopo il primo anno ( r QS 7 , r 8-2 I ) . Chi tuttavia calunnia la comunità è espulso senza ritorno ( 7 , r 6 s.) . Simile sorte tocca a chi «mormora contro l 'autorità della comunità» (7,1 7 ) . Chi è stato nella comunità die­ ci anni e quindi tradisce (bgd) e «esce dalla presenza di molti per camminare nell'ostinazione del suo cuore» sarà espulso e non può tornare ; e la stessa punizione si applica a qualsiasi complice dopo il fatto (7,22-2 5 ) . Precedentemente in I QS ( 2 , I 2-I 8) leggiamo una maledizione che condanna alla distruzione quelli che entrano nel patto continuando a pensare di seguire il proprio sentiero . Altri riferimenti a membri della setta apostati sono meno chia­ ri e non si può sempre esser sicuri se si tratti di apostati o di per­ sone che non sono mai entrate nel patto. Ai primi si pensa forse quando r QS r o,2 r fa riferimento a quelli che «si discostano dal­ la via>> . L'espressione sabe berzteka, «quelli che si sono distolti dal tuo patto» ( r QH 1 4 ,2 r s.) può riferirsi ad apostati, ma il salmista ha appena assicurato che «tutti quelli che sono vicini a te non si ribellano alla tua bocca e tutti coloro che ti conoscono non odiano le tue parole» ( 1 4 , 1 4 s.), il che sembra voler dire che se una per­ sona è veramente «dentro», non si dipartirà . Forse, come i moder­ ni credenti nella dottrina per cui «chi è salvato una volta è salvato per sempre» il salmista intendeva dire che quelli che « si distolgo­ no dal patto>> non avevano neppure da principio conosciuto Dio. Che il salmista conoscesse alcuni apostati sembra risultare da I QH 4 , 1 9 : «coloro che si sono allontanati (nzr) dal tuo patto» .48 Ciò non è tuttavia certo perché la descrizione precedente, alle ri­ ghe 1 3- 1 8 , come i titoli della riga 20 (uomini d'inganno, veggenti di errore), sembrano riferirsi ad israeli ti non membri della setta che sono avversari del salmista. Che pensando a loro il salmista sia 47 · Hunzinger (Beobachtungen :.ur Entwicklung, 237) ritiene che la possibilità di ritorno rifletta una posizione più tarda e più clemènte rispetto all'esclusione permanente prescritta in 1 QS.

48. Per la traduzione, dr . la nota di Rabin a CD 8,8 (Zadokite Documents, 34).

I manoscritti del Mar Morto

rapidamente passato ai traditori del proprio campo o che ritenga che quelli che non sono con lui si sono non avranno resto (6 ,3032) . Parimenti «gli empi di Israele>> «saranno stroncati» , secondo 4 QpPs3 7 J , I 2 , dr. 2,3 s.7 ) . Le affermazioni generali sugli apo­ stati predicono anche la loro distruzione ( CD 2 ,6 s . ; 8 ,2 ; 20,2 5 s . ; I QS 2 , I I - I 8 ) , sebbene, come abbiamo visto, le regole particolari che concernono gli apostati sembrano ammettere che quelli che non hanno commesso gli atti più gravi di tradimento ritornino, per lo meno nei giorni del Messia (o dei Messia) . Di converso, quelli che sono nel patto («i volenterosi ad aggre­ garsi agli eletti») saranno salvi nel giudizio ( I QpMic 7-9) .'0 Poi­ ché la questione dell'espiazione per la trasgressione all'interno del patto di Dio e della salvezza divina degli eletti ci occuperà più a­ vanti, ci limitiamo qui a notare che, per quelli che son fuori del pat­ to non v'è speranza di perdono, mentre per quelli che sono dentro v'è perdono, remissione e salvezza. > (così Dupont-Sommer; cfr . Delcor e Holm-Nielsen) piuttosto che «li ammise» come hanno Vermes e Mansoor; si dice anche che Dio ha fatto sì che il salmista si accosti, in I QH 1 4 , I 3 e I QS I I , I 3 . La provvidenza divina, che tutto governa, può �sser presentata non solo come il fatto decisivo per l'entrata nel patto, ma anche come ciò che impedisce di smarrirsi a quanti vi son dentro : Ma­ stema, l'angelo dell'inquità, si allontana da chi fa il voto di entra­ .re nel patto, se attua il suo voto (CD 1 6 ,4 s . ) . Questo tema è dif­ fuso però solo nelle Hodajot: Dio non ha permesso che gli insul­ ti dei potenti inducessero il salmista a dimenticarsi di lui ( I QH 2 ,3 5 s . ; cfr. 7,7 s.) ; la volontà di Dio non permette a quelli che sono nel patto di esser traviati (4,24 s.; dr. I 6 , 1 5 ) ; Dio stabilisce il cammino di colui che sceglie e lo munisce con discernimento perché non «pecchi contro di te» ( 1 7 ,2 I s.) . Eppure nonostante l'insistenza sulla grazia eterna ed irresisti­ bile di Dio come fondamento dell'entrata nella comunità degli e­ letti, i membri della setta non intendevano questo fatto in modo da escludere la capacità dell'uomo di scegliere quale delle due_ vie voglia seguire. L'idea della grazia di Dio, che elegge, non era for­ mulata in opposizione alla libertà di scelta umana, e in questo sen-

I manoscritti del Mar Morto

3 70 so

è anacronistico parlare di «predestinazione» .'6 Come vedremo,

le affermazioni circa la grazia divina e il suo carattere determinan­ te rispondono ad una questione diversa da quella circa la libertà umana. Cosi più volte nei manoscritti notiamo la nozione di ele­ zione divina fianco a fianco di spiegazioni circa l'ingresso nel pat­ to, o l'esclusione da esso, sulla base della scelta individuale. Cosi in un passo già citato ( 1 QH I j , 1 4- 1 9) il salmista ringrazia Dio di aver creato il giusto perché possa seguire il retto sentiero. Si dice anche dell'empio che è stato «creato» da Dio e votato «dal grembo» alla distruzione . Ma poi vien data una ragione: «perché (ki) hanno camminato su di una via non buona» . Il salmista conti­ nua spiegando che sono fuori del patto perché lo hanno disprezza­ to e lo hanno avuto in abominazione . Essi «hanno scelto» ciò che Dio odia. Altrove si può scorgere una simile alternanza tra scelta divina e scelta umana : mi hai introdotto nel consiglio . . . Seppi che c'è speranza per coloro che si convertono dalla ribellione e abbandonano il peccato . . . innalzerai i sopravvissuti del tuo popolo e il resto della tua eredità ... e li stabilirai nel tuo consiglio, per la tua gloria ( I QH 6,,5-10) .

Qui la gratitudine a Dio per l'introduzione del Consiglio (che e­ quivale alla comunità del patto) si alterna con l'espressione della speranza per la salvezza di quelli che «tornano» dalla trasgressione . Sapendo che tu contrassegni (ogni) spirito giusto (�addiq) , io ho scelto di purificare le mie palme . . . So che nessuno è giusto all'infuori di te . . ( 1 QH 16,1o s .) . .

,6. Ciò è stato correttamente messo in luce d a Marx (Prédestination , 168). Egli preferirebbe parlare semplicemente di «grazia» (p. x81). Il modo particolare in cui in alcuni passi si parla di elezione e di governo divino rende però «predesti­ oazione» un termine naturale, nella misura in cui non è inteso in senso tecnico come esclusivo della libera scelta. Sulla posizione di Marx, vedi inoltre sotto, n. So.

�Elezione e predesti1UI%ione

371

Qui ancora la scelta divina si alterna con la scelta umana > sono veramente stabiliti da Dio solo rivelando loro « le co­ se nascoste a proposito delle quali si era smarrito tutto Israele» . Cioè i membri della setta non «perseverano» s olamente , è Dio che prende l'iniziativa di rivelare le «cose nascoste» . Parimenti 1 QH 4, 1 9 fa riferimento a «coloro che si sono allontanati dal tuo pat­ to», chiaramente implicando una distinzione tra «allontanarsi>> e > : i mem­ bri della setta e i loro predecessori hanno peccato camminando contro gli statuti del patto (CD 20,2 9 ) ; quando, negli ultimi gior­ ni, tutto Israele si unirà alla setta, prima della guerra finale contro i gentili, tutti dovranno ascoltare gli «statuti del patto» ed impa­ rare tutte le disposizioni della comunità così da non errare più ( I QSa 1 ,5-7 ) ; quelli che sono ammessi nel patto sono intenzionati ad osservare i precetti divini ( I QS I ,7) . I particolari comanda­ menti del patto sono anche indicati da espressioni come «statuti della giustizia» (CD 20, 1 1 .3 3 ) , «giudizi (mispa[im) della comuni­ tà» ( I QS 6 , I _5 ) e «regole della torà» (CD I4,8 ) . Vi sono inoltre elenchi di alcune delle regole in 1 QS e in CD . 84. Sopra, p. 348 . s, . L'espressione manca nel parallelo CD 8,4. V. Rabin,

Zadokite Documents, 32.

86. Sul pentimento come requisito per l'ammissione, v. Braun, Umkehr, 7o-85, spec. 73 · Sul seguire i l proprio cuore e seguire Dio, v . Helfmeyer, «Gott Nach­ folgen»: RQ 7 ( 1 969) 89-104.

Adempimento e trasgressione

Abbiamo già visto che conoscenza, penetrazione e simili sono connessi con relezione. Va ora osservato che il tema della cono­ scenza è anche sottolineato in connessione con i comandamenti contenuti nel patto . I membri della setta dovrebbero studiare, co­ si da conoscere quello che è stato comandato «per mano di Mosè», come anche quel che è stato successivamente rivelato (I QS 8 , I 2I 6 ) . Dell'«uomo sapiente» (il maskil) è detto : «tra gli uomini del­ l'ingiustizia nasconda il consiglio della legge; riprenda invece con vera sapienza, e con un giudizio giusto coloro che scelgono la via» ( 1 QS 9 , I 7 s.; cfr . 4 ,2 2 ) . È qui chiaro che il contenuto del patto è in parte segreto ed è insegnato ai membri della setta dopo che hanno aderito al patto, cose che anche I QS 5 , I o- I 2 implica. Co­ si parte della conoscenza speciale che viene sottolineata tanto nei manoscritti è conoscenza del contenuto segreto del patto - le co­ se nascoste al cui riguardo quelli che non sono nel patto errano ( I QS 5 , 1 I s . ) . Il salmista considera queste cose segrete, che differi­ scono dalle «cose facili» insegnate dagli «interpreti di inganno e veggenti di menzogna» , come un dono speciale scolpito da Dio nel suo cuore ( I QH 4 ,9- I I ) . Andrebbe tuttavia sottolineato che la conoscenza delle cose segrete del patto non esaurisce il contenuto della conoscenza speciale dei membri del patto ; essa abbraccia non solo la loro elezione e i comandamenti segreti, ma anche i misteri a venire.87 , . ADEMPIMENTO E TRA S GRE S S IONE ; NATURA DE L PEC CATO ; RICOMPEN S A E PUNIZIONE

La necessità dell'adempimento

Un forte accento è posto sull'importanza dell'esecuzione effet­ tiva dei comandamenti dell'alleanza della setta. Quando ci si vota ad entrare nel patto («tornare alla legge di Mosè») , l'angelo Ma­ stema si diparte, purché si adempia il voto . L'autore sottolinea il significato dell'obbedienza senza indugio citando l'esempio di A­ bramo, che si circoncise88 il giorno stesso in cui apprese di dover87. V. Ringgren, Faith of Qumran, 62 e la letteratura citata sopra, n. ,,.

88. Cosl Dupont·Sommer e Vermes. Rabin corregge «fu salvato» ma la questione

l manoscritti del Mar Morto

lo fare (CD 1 6,.5 s .) . Inoltre se ci si è impegnati con giuramento ad adempiere determinati aspetti della torà, ciò va fatto anche a costo della vita. Ma se ci si è impegnati con giuramento a disob­ bedire a certi comandamenti, il giuramento non va attuato anche a costo della vita (CD 1 9 ,8- x o ) . Quelli che entrano nel patto deb­ bono farlo per obbedire a tutti i comandamenti di Dio ( x QS I ,6 s . ; I , r 6 s.; cfr. 5 ,2o) ; i membri non dovrebbero trasgredire alcuna delle parole di Dio ( J , I O s . ) . Essi sono esaminati in rapporto sia alla loro «comprensione» che alle loro «azioni» ( .5 ,2 I ; dr . .5 ,2 3 s . ; 6,14.I 7 s.) .

Distruzione dei malvagi Quelli che non sono nel patto o che, appartenendovi, compio­ no trasgressioni, sono debitamente puniti. Si afferma di frequen­ te, in generale, che Dio (o la comunità del patto in sua rappresen­ tanza) paga la «ricompensa» per il male : I QM 6,6 ; I I ,I 3 s . ; 1 7 , I ; 89 CD 7 ,9; I Q S 8 ,6 s . Io. I l Sacerdote empio riceverà l a sua «ri­ compensa» quando Dio lo abbandonerà nelle mani dei potenti tra i gentili (4 QpPs3 7 4 ,9 s.) . In I QpHab I 2 ,2 s . la «ricompensa» del Sacerdote empio si dice essere la stessa punizione che egli ha inflitto alla setta («i poveri») . Abbiamo già visto che la «ricom­ pensa>> dei malvagi (che può esser anche chiamata il loro «giudi­ zio» , come in I QpHab 5 ,4) è la distruzione . Ciò può essere e­ spresso come distruzione ad opera di coloro che «operano la ven­ detta» ( I QS 2 ,6 s . ) , per mezzo del fuoco ( I QpHab I 0,5 . 1 3 ; I QS 4,I 3 ) , di un flagello ( I QpHab 9 , I r ), della spada ( I QM 9 ,59) . Talvolta non è precisato : in I QS 5 ,6 s. si dice che i membri della setta parteciperanno al «processo, giudizio e condanna di tutti coloro che trasgrediscono i precetti» (dr. I QH 4,26).90 Nonostante i manoscritti non menzionino spesso alcuna puni­ zione per i peccatori eccetto la distruzione, l'idea che il peccato porti afBizione non è del tutto assente. Cosl, in I QS 1 0,2 I è detto sembra esser piuttosto che Abramo esegui senza tardare quanto aveva promesso. 89. Cosl Yadin e Vermes. Dupont-Sommer «assicurare la loro interezz a ». 90. Sull'incertezza del momento in cui gli iniqui saranno puniti, v. Burrows, More Light, 347· Sulla punizione dei malvagi, v·. Carmignac, Souffrance, 365-374.

Adempimento e trasgressione

che quanti «si dipartono dalla via» sono «percossi» , ma non di­ strutti, mentre in I QH I ) , I 9 si dice che quanti hanno disprezza­ to il patto hanno in serbo la punizione (?fa#m) . Generalmente, tuttavia, la punizione dei malvagi è la loro distruzione.

Il peccato come trasgressione In tutti i testi si ritiene che la distruzione degli empi sia ben meritata, cosa che aiuta a chiarire qual sia la natura del peccato. Anche quando si dice che i malvagi sono votati «dal grembo >> alla distruzione , la punizione effettiva è tuttavia giustificata dal loro comportamento : 91 hanno disprezzato il patto, avuto in abominio la verità, camminato sulla via errata e scelto ciò che Dio odia ( I QH I 5 , 1 7-19) . Cioè, nonostante le affermazioni che indicano che l'uomo viene consegnato a questa o quella «sorte>> , il peccato ri­ mane in concreto trasgressione dei comandamenti. La stessa idea del peccato come trasgressione si può scorgere anche nei passi sul­ la predestinazione : I QS 3 ,2 2 e I QH I 4 , 1 4 («operatori d'iniqui­ tà») . Cosl quelli fuori del patto - i malvagi o i figli delle tenebre sono semplicemente quelli che trasgrediscono il patto e rifiutano di seguire quella che i membri della setta considerano volontà di Dio. La natura essenziale del peccato è la trasgressione e la volon­ tarietà che la accompagna . Chi preferisce seguire «l'ostinazione del suo cuore» si dice che disprezza «gli statuti di Dio» ( 1 QS 2 , 26-3 ,7) . Coloro che non sono «annoverati nel suo patto» «cammi­ nano sulla via dell'empietà» . Loro colpa è di non aver eseguito («hanno agito con mano alzata verso») i comandamenti che sa­ pevano di dover fare («le cose rivelate» ) , mentre non hanno cer­ cato di sapere, per poterli attuare, i comandamenti segreti dei membri della setta ( I QS 5 , I 0- 1 2 ) . Essi «trasgrediscono Cabar) la sua parola» e sono impuri ( 5 , 1 4) . Dio eliminerà tutti quelli che «vilipendono la sua parola» : questi sono posti in contrasto con quelli che entrano «nel patto per agire in conformità di tutti questi statuti» (5 , 1 9 s . ) . In 1 QH 4 , 1 4-22 vien data una simile de­ scrizione dei malvagi. Essi «si smarriscono nell'ostinazione nel lo­ ro cuore», ricevono false indicazioni circa la volontà di Dio da 91. V. Milik, Ten Years, 119.

l manoscritti del Mar Morto

profeti menzogneri, non > ( I QH 4,29) . Questa spiegazione attribuisce il continuo peccare umano, anche nel patto, alla natura umana (se possiamo usare l'espressio­ ne) , mentre l'affermazione appena citata di I QS 3 attribuisce lo stesso fenomeno alla predestinazione divina. Presumibilmente l'e­ spressione « in conformità ai misteri di Dio» indica che persino la predestinazione non appare una spiegazione soddisfacente del peccato pur nell'ambito del patto: che Dio disponga cosl le cose è un mistero. È notevole che nello stabilire la halaka che regola la punizione dei peccatori membri della comunità, I QS distingue solo tra peccati intenzionali e non intenzionali ( 8 , 1 3-9 ,2 ) .13 1 Cosl , nonostante le teorie teologiche di I QS 3 ,22 e I QH 4,29 circa il motivo per cui si pecca pur essendo nel patto, il codice pratico della comunità opera sull'assunto che il trasgressore si comporti così o intenzionalmente o per inavvertenza. Non v'è dubbio che, cercando, per le trasgressioni umane che avv�gono nell'ambito del patto, ragioni che giacciono al di là 130. Sopra, pp. 365-375 . 13I . «Intenzionalmente», b'iad riim4, te•, bisgaga, x QS 8,24; cfr. 9,1 .

I

QS 8,17.22; 9,1 ; ,,12. «Inavvertitamen­

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3 99

della volontà umana e trovandole da un lato nella fragilità dell'uo­ mo e dall'altro nella grazia predestinatrice di Dio, i teologi della comunità abbiano raggiunto una comprensione più profonda (o per lo meno più pessimistica) della peccaminosità umana, rispetto a quel che si rinviene altrove nel giudaismo palestinese. Sotto questo profilo, i manoscritti rompono con la definizione del pec­ cato come trasgressione evitabile. Dicono, in parte, che il peccato è trasgressione, ma che la trasgressione non è del tutto evitabile. D'altro canto, questa prospettiva non è portata alle sue piene con­ seguenze. Da un lato, non v'è soluzione per le trasgressioni inevi­ tabili. Si rimane in esse sino alla vecchiaia ( I QH 4,29) o sino alla fine ( I QS 3 ,2 2 ; 4, I 8 s .) e si può solo dire che i peccati degli eletti vanno spiegati mediante la volontà di Dio, che è un mistero ( r QS 3 ,2 3 ) . In altre parole, queste profonde concezioni in tema di pec­ cato non toccano la soteriologia. Non affermano una distretta cui sia offerta una soluzione soteriologica nell'ambito di questa vita; queste affermazioni cioè non appaiono quando si tratta del pas­ saggio dalla condizione non-settaria (di dannazione) a quella set­ taria (di salvezza) , e non sono affermazioni della condizione di «perdizione» dell'uomo nel senso che quelli che son fuori del pat­ to siano perduti. 132 L'uomo dev'essere curato della sua «nullità», e quelli che sono nel patto ne vengono curati; ma le confessioni di «nullità» non sono confessioni di «perdizione», e la «nullità» non porta alla dannazione di quelli che sono nella setta. n piuttosto il passaggio da fuori a dentro la setta (passaggio che non modifica la «nullità» e non sradica del tutto il potere dell'an­ gelo delle tenebre) a costituire la soteriologia operativa della setta. Sembra, sulla base di passi come I QS 3 ,2 1-2 3 e 4, I 9-22 , che i membri della setta sperassero di essere ulteriormente purificati alla fine. Vi è cioè una sorta di soteriologia in due stadi. Un primo sta­ dio comporta l'adesione al gruppo degli eletti, il secondo la pu­ rificazione finale degli eletti . Ritengo che il primo fosse lo stadio 132. Cosl dobbiamo ribadire, contro Maier (Mensch und freier Wille, 324), che una conversione efficace era possibile in questa vita. Egli è stato cosl colpito dal­ la permanente «peccaminosità» (debolezza) dell'umanità da scrivere che «la sto­ ria, il patto, il dinamico succedersi di disobbedienza e pentimento sono pratica· mente fuori considerazione•. Al contrario, questi sono temi di primaria importan�

za nei

manoscritti.

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I manoscritti del Mar Morto

operativo che reggeva la vita e il pensiero della comunità, mentre il secondo era una speranza di quelli che già erano nel gruppo dei salvati. Il passaggio da fuori a dentro la setta comporta allora pen­ timento delle trasgressioni evitabili e il «volontariato», anche se i volontari si sentono gli eletti di Dio. Non vi è tuttavia una forza salvifica esterna che infranga il potere che esercita l'angelo delle tenebre anche sopra gli eletti o che fa di un uomo fragile, che di per sé non può evitare l'iniquità, una «nuova creazione» . Cosl si può esser parzialmente d'accordo con Braun quando di­ ce che «Das Heil errettet aus der Nichtigkeit » .1 33 Ma ciò è detto solo proletticamente, collocando una persona nel gruppo che sa­ rà salvato dalla «nullità» . Inoltre, benché si dica talvolta che l'uomo è tale da non poter evitare la trasgressione, questa condizione in sé non è equiparata al peccato.1 34 Peccati sono solo quelli che egli compie, anche quan­ do i suoi atti cattivi sono concepiti come inevitabili . Cosi, per quanto i teologi della setta raggiungessero una visione profonda e pessimistica delle possibilità umane, ciò non li portava a rom­ pere fondamentalmente con la concezione del peccato diffusa al­ trove nel giudaismo. Il peccato è trasgressione della volontà di Dio, quale si conosce attraverso i comandamenti e attraverso l'in­ terpretazione settaria della legge. Il peccato che porta alla danna­ zione è un rifiuto di accettare i comandamenti di Dio nel patto della setta o la trasgressione di uno per il quale non è ammesso pentimento. Vi è una sorta di «peccaminosità» che non porta alla dannazione e che continua a caratterizzare gli eletti, la peccamino­ sità connessa con l'inadeguatezza umana dinanzi a Dio, che non sarà superata e sradicata se non alla fine. Questa visione pessimi­ stica e profonda non diviene tuttavia un demento di base del cammino che porta alla salvezza, giacché nulla si può fare in pro­ posito sinché Dio non distruggerà l'iniquità stessa alla fine. Ai fi­ ni pratici della vita della setta, il peccato rimane una trasgressione

evitabile.

Dovremmo ancora sottolineare che la concezione del peccato 133. Braun, Studien, 1 10. 134. Cosl Brandenburger (Fleisch und Geist, 101 ) correttamente osserva che la

connessione tra carne e peccato non si spinge sino all'identità.

Adempimento e trasgressione

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come trasgressione è in armonia con le affermazioni secondo cui aderire al patto è volgersi indietro dalle trasgressioni (pesa·) ( 1 QH 6,6 ; 1 4,24 ; e altrove) , non è abbandonare la carne . Così, no­ nostante l'affermazione che i malvagi sono sotto il dominio del­ l'angelo delle tenebre ( 1 QS 3 ,2o) , v'è qualcosa che possono fare in proposito: pentirsi e aderire al patto. È questo un punto mol­ to significativo per comprendere il rapporto della concezione di Qumran con il resto del giudaismo e con Paolo. Nella letteratura rabbinica non si aderisce al patto pentendosi delle trasgressioni, giacché si nasce in esso. Tuttavia le categorie fondamentali, di pec­ cato come trasgressione13' e di pentimento come rimedio delle tra­ sgressioni, sono le stesse. Come vedremo, Paolo concorda con gli esseni quando sostiene che non si è nati in un patto efficace in or.. dine alla salvezza, ma che bisogna aderirvi con un atto di volontà (la «fede») . Tuttavia egli non definisce il peccato semplicemente come una trasgressione evitabile dei comandamenti divini, né pre .. scrive il pentimento come rimedio alla situazione di distretta del­ l'uomo. La punizione per la trasgressione nell'ambito del patto136

Sinora abbiamo trattato della distruzione e della punizione dei malvagi e della natura del peccato, sia dentro che fuori del patto. Va ora osservato che quanti sono nel patto e trasgrediscono sono parimenti puniti, ma non distrutti. Vi sono numerose regole per la punizione dei trasgressori all'interno della comunità in CD e in I QS e possiamo citarne un esempio tratto da entrambi: Ogni persona che sgarra profanando il sabato e i tempi stabiliti non sarà messa a morte, bensl incomberà agli uomini la sua custodia : e se 13,. Daniélou, Dead Sea Scroll and Christianity, 100 ss., sostiene che la concezio­ ne del peccato, «primordiale» a Qumran, differisce da quella farisaica, «che è ba.. sata sulle opere della legge» e concorda con quella di Paolo. Per quanto sia vero che un tema importante dei manoscritti è quello che solo per grazia di Dio il peccato può esser superato (cfr. sotto, pp. 406-410) è vero nondimeno che, come ab. biamo visto, la definizione di peccato come trasgressione evitabile è la stessa del giudaismo rabbinico. 136. Si trova una recente trattazione completa dell'argomento in Forkman, The Limits of the Religious Community, cap. 2.

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da questo guarirà, la custodiranno ancora per sette anni e dopo rien­ trerà nell'assemblea (CD 1 2 ,4-6). . Se tra di loro si trova un uomo che mente a proposito dei beni, ed egli ne è conscio, lo escluderann o dal pasto della comunità per un an­ no e sarà privato di un quarto del suo pane ( I QS 6 ,2 4 s .) . �

Le punizioni particolari prescritte da CD e

Q S non sono sempre in accordo tra loro, ma il carattere generale di esclusione tempo­ ranea è lo stesso . Inoltre I QS prescrive regolarmente la riduzione del cibo come punizione!37 Secondo I QS 8 ,20-9 ,2 , un gruppo se­ lezionato, gli «uomini di perfetta santità>> (presumibilmente gli stessi quindici uomini scelti eli r QS 8 ,1-4) sono giudicati con mag­ gior rigore .138 Per costoro ogni peccato intenzionale comporta l'e­ spulsione permanente, mentre una trasgressione non intenzionale comporta una esclusione di due anni, purché ulteriori peccati com­ piuti senza avvertenza non siano commessi durante il periodo di prova . Secondo 1 QS 7,22-25 coloro che, dopo esser stati membri del «Consiglio della comunità» per dieci anni, tradiscono (bgd) la comunità e se ne allontanano, non saranno riammessi . Per altri tuttavia, il «tradimento della verità» comporta solo una esclusione parziale di due anni ( 1 QS 7, I 8-2 I ) . Cosi anche apostati con meno di dieci anni di appartenenza alla comunità possono essere riam­ messi. V'è in I QS tuttavia una breve lista di peccati che esigono una esclusione definitiva : bestemmia139 leggendo il Libro o pregan­ do ( 7 , I s.) ; calunnia della comunità ( 7,1 6 s . ) ; mormorazione con­ tro l'autorità della comunità (7,1 7) .140 I

I37· Ritengo che le «penalità» o le «punizioni» di I QS 6,27 ; 7,2 e nei passi suc­ cessivi si riferiscano sempre alla «penalità» di un quarto del proprio cibo, su cui si veda 6,24 s. Cosl anche Hunzinger, Beobachtungen zur Entwicklung, 235 s. 138. Wernberg-M01ler (The Manual of Discipline, IJI) ritiene che «uomini di perfetta santità» si applichi all'intera comunità. Egli non par notare che la halaka è di gran lunga più rigorosa di quanto è precisato per la comunità più ampia in 6,24 s. Ringgren, The Faith of Qumran , IJ4 ritiene parimenti che I QS 8,22 enun­ ci una richiesta valida per tutta la comunità. Per una trattazione più dettagliata e per una discussione dei punti di vista di Leaney, Guilbert, Murphy-O'Connor, Forkman e Hunzinger, v. Appendice 2 . I39· Letteralmente «maledire», m a era probabilmente inteso come maledire Dio e bestemmiarlo, sulla base di Lev. 24,·I I-I5. 140. Hunzinger (Beobachtungen, 23 2-23 6 ) nota i due tipi fondamentali di puni-

Adempimento e trasgressione

Va notato nella lista di delitti per cui viene prescritta Pespul­ sione definitiva, che tutti tranne uno, la bestemmia, sono delitti contro la comunità. Cioè i membri sono espulsi per il tradimento della comunità a parole o con i fatti. L'espulsione appare esser la sanzione definitiva della comunità ed era usata contro quelli che si erano fatti rigettare dalla comunità stessa . In 1 QS non si parla di punizione corporale o di pena capitale, anche se la Bibbia pre­ scrive la pena di morte per la bestemmia. È notevole che la be­ stemmia sia uno dei pochi delitti contemplati dalla legge biblica menzionati nei manoscritti. Forse quel che si prescriveva per l'in­ gresso era cosl rigoroso e la comunità così compatta che i delitti più mondani non costituivano un problema .141 In ogni caso i delit­ ti contro i regolamenti della setta o contro la setta stessa erano trattati con l'espulsione o con qualche variante come l'esclusione da certe attività comuni, oltre ad una diminuzione della razione di cibo. Le varie disposizioni per la punizione delle trasgressioni mo­ strano con sorprendente chiarezza il modo in cui «la religione fun­ zionava» . Venivano dati comandamenti cui obbedire. L'obbedien­ za perfetta era lo scopo e, nel quadro della struttura comunitaria ri­ gorosamente ordinata, non era considerata un risultato del tutto impossibile. Le infrazioni erano punite e l'accettazione della puni­ zione, insieme con il perseverare nell'obbedienza, portavano alla zione - esclusione temporanea e permanente - ma attribuisce loro punti di vista differenti. Egli ritiene che, nella storia della setta, le punizioni divennero sem­ pre più miti. È notevole che la sua analisi delle punizioni non prenda in consi­ derazione lo scopo delle pene stesse. Parla solo di punizioni differenti e non sem­ bra vedere correlazione tra la severità della punizione e la serietà del reato. Mi pa­ re che vi sia in I QS uno sforzo di fondo per stabilire una relazione tra pena e reato. Nonostante in I QS 8-9 si possa scorgere uno sviluppo storico (non ne vedo nei capp . 6-7), le varie punizioni, nel documento quale ora si configura, devono essere state interpretate come se si riferissero a trasgressioni diverse. V. inoltre Appendice 2 . I4I . La trasgressione del sabato è menzionata in CD I 2 ,4-6, ma la pena di morte è espressamente proibita. CD 9,1 chiaramente prescrive la pena di morte ad opera dei gentili «consegnando» una persona alla morte, con riferimento a Lev. 27 ,29, ma l'essenza della disposizione è oscura. Alla pena di morte ci si riferisce vaga­ mente, senza menzione di crimini specifici, in CD 9,6. 1 7 ; IO.I . 4 Q I,9 chiara­ mente prescrive la morte per reati sessuali . V. su tutto Forkman, T he Limits of

the Religious Community, 43, 64 s.

. I manoscritti del Mar Morto

piena restaurazione della comunione.14Z Si deve richiamare tutta­ via che il membro singolo si riteneva chiamato alla comunità an­ zitutto dalla grazia di Dio. Prima di abbandonare il tema della punizione delle trasgressio­ ni dei membri della setta, dobbiamo notare una serie di passi negli inni della comunità in cui il salmista, pensando ai propri peccati, vede nella propria sofferenza un castigo per questi . Cosi in I QH 9,2 3 s. il salmista dice di esser «castigato» da Dio, ma dice che il castigo di Dio (toka�at) diverrà la sua gioia mentre la sua (del sal­ mista) afflizione (nega•) si trasformerà in guarigione. Parimenti in 9 ,3 3 il salmista parla di ricevere un giusto castigo di Dio. I QH I 7 ,2 2 parla delle correzioni divine (jissureka) su colui che Dio ha scelto. Mentre il salmista dice ( I I ,8 s .} : «nella tua collera ci sono i giudizi che castigano (miJpe!e nega·) . . . nella tua bontà c'è abbon­ danza di perdono» , sembra attribuire ogni sofferenza, dei malvagi come dei giusti, alla punizione divina delle trasgressioni. Pure non è perfettamente chiaro in tu tti gli inni della comunità che la soffe­ renza sia considerata punizione del peccato. Quando in I ,3 3 il sal­ mista parla di «giudizi delle mie afflizioni» (mispe!e nig·e) sembra riferirsi a sofferenze inflittegli da altri, al cospetto delle quali Dio lo ha irrobustito ( I ,3 2 , il contesto tuttavia è andato parzialmente perduto) . È certo possibile che egli vedesse in Dio sia colui che mandava i castighi sia colui che lo rafforzava a sostenersi. È quel che sembra dire 9 , I o- I 3 . Dice il salmista di scegliere i giudizi (di Dio) che lo colpiscono e di accettare le afflizioni di buon grado, giacché spera nella benevolenza di Dio. La sua speranza non è an­ data delusa perché Dio ha sostenuto il suo spirito di fronte all'af­ flizione (nega·, 9,I 2 ; cfr . I , 32) . Continua parlando di Dio che lo conforta nella sua angoscia e lo consola della sua prima trasgres­ sione. Certo l'enfasi sta qui sulla consolazione e sulla grazia divina piuttosto che sull'afflizione come punizione del peccato. Eppure la seconda pare implicita dove si parla del giudizio divino e della 142. Braun (Tora-Verscharfung, 349 s.; dr. Umkehr, in Studien, 78 s. e Radikali­ smus 1, 28 s.) sottolinea la richiesta di eseguire tutti i comandamenti (che egli con­ trappone alla supposta richiesta giudaico-rabbinica di far prevalere semplicemente gli adempimenti sulle trasgressioni) e conclude che l'uomo è perduto (verloren) se non adempie tutto. Con ciò egli trascura i rimedi che di fatto per le trasgressioni sono previsti in 1 QS e CD.

Adempimento e trasgressione

propria trasgressione. Dio invia l'afflizione per la trasgressione, ma l'afflizione non è troppo severa (la vita del salmista non è minac­ ciata, 9 , I I ) e Dio non solo rafforza il suo servo perché sopporti la punizione ma lo perdona, lo consola . Merita notare che, mentre le punizioni dei giusti per le loro trasgressioni specificate in CD e I QS sono inflitte dalla comuni­ tà, quelle di cui si parla in I QH sono inviate direttamente da Dio, che si serve forse dei nemici del salmista. In entrambi i casi tutta­ via la punizione è considerata giusta143 e, se accettata di buon gra­ do, coronata da un buon effetto. Il membro della setta che trasgre­ disce ed è punito sarà alla fine restituito alla piena comunione, mentre il castigo divino, inflitto al salmista , si volge in gioia e gua­ rigione (9,23 s.) o in perdono e consolazione (9,I 3 ) .144 La ricompensa, l'esigenza di perfezione e la nullità umana

Giacché il tema della punizione delle trasgressioni ha un ruolo preminente nei manoscritti, ci si potrebbe aspettare che al tema connesso della ricompensa dei giusti sia attribuita molta impor­ tanza. Di fatto vi sono solo poche affermazioni chiare circa la ri­ compensa dei giusti, ad opera di Dio, per le loro buone azioni.14' Per capire il perché di questo dobbiamo anzitutto prendere in con­ siderazione uno dei problemi principali per la comprensione della religione della setta: il chiaro conflitto tra l'esigenza che i mem­ bri camminino nella perfezione, da un lato, e dall'altro l'afferma­ zione della indegnità umana e che la perfezione viene solo da Dio. Questo problema, che tocca le affermazioni concernenti il modo in cui si vive una volta che si è nel patto, è parallelo al problema creato dalle affermazioni concernenti l'ingresso: chi entra è da un lato chiamato «eletto», dall'altro, «volontario». La soluzione è 143 . Cosl Carmignac, Souffrance, 379: il salmista «vede nelle sue sofferenze i giu­

sti castighi delle sue trasgressioni». Anche quando i castighi sono esecuzione del­ la volontà di Dio e sono ancora punizione delle trasgressioni ( pp. 378 s.). 144. Carmignac (ibid. , 383 ) nota l'assenza del tema del valore redentivo della sof­ ferenza; v. inoltre sotto, Appendice 3· Anche se la sofferenza non è direttamen­ te descritta come redentiva, essa è tuttavia benefica. V. sotto, pp. 427 s. 14,. Cfr . Braun,

Radikalismus

I, ,,.

l manoscritti del Mar Morto

fondamentalmente la stessa: dal punto di vista della halaka si ri­ chiede di camminare nella perfezione, dal punto di vista dell'indi­ viduo in preghiera o in momenti di devozione, si è incapaci di cam­ minare nella pedezione, la quale viene donata dalla grazia divina. Volgiamoci ai passi relativi. Uno dei titoli dei membri della comunità è «perfetti nella via» (temzme derek), messo in parallelo con «retti>> in I Q S 4,2 2 e con «giusti>> i n I QH I , 3 6 . Si può paragonare con il titolo «assemblea degli uomini di perfetta santità» (CD 20,2 .5 ·7·) . I quindici uomi­ ni scelti son detti «perfetti in ogni cosa manifestata dalla legge», in I QS 8 , I , ma l'esigenza di perfezione non si limita ad essi. Dai membri in genere ci si aspetta che camminino perfettamente in tut­ to quel che è stato rivelato ( I QS 9 , I 9 ) . Non si entra nel patto a meno che si sia confermati nella «perfezione della via» ( I QS 8 , 1 o) . 146 S e uno trasgredisce deliberatamente, non viene riammesso «sin quando le sue azioni non saranno purificate da ogni ingiusti­ zia per camminare su di una via perfetta» ( 8 , I 8 ; cfr. I o ,2 I ) . Da coloro che sono membri si esige che camminino perfettamente (CD 2 , I 5 ) ; si entra nella comunità proprio per questo ( I QS I ,8 ) .r47 .

/idempimento e trasgressione

D'altro canto più volte negli inni si insiste148 che la perfezione della via, la giustizia e ogni altro bene non rientra nell'ambito del­ le possibilità umane : essi provengono solo dalla grazia di Dio : Quale essere di carne è capace di ciò? E quale creatura di argilla è così grande da compiere tali meraviglie? Essa è nell'iniquità già dal seno materno, e fino alla vecchiaia in una colpevole infedeltà. Io so che non è dell'uomo la giustizia, non è del figlio di Adamo la perfezione della via; sono del Dio Altissimo tutte le opere di giustizia, e la via dell'uomo non è costante se non in virtù dello spirito che Dio ha formato per lui per rendere perfetta la via dei figli di Adamo affinché, con il vigore della sua potenza, conoscano tutte le sue opere, e la moltitudine della sua misericordia verso tutti i figli del suo beneplacito ( I QH 4 ,2 9 -33).

Non si hanno opere giuste su cui contare, si deve contare sulla grazia di Dio ( I QH 7,1 7) . La perfezione della via e la rettitudine del cuore sono in mano di Dio ( I QS I I ,2 . I O s .) ; senza Dio «nessu­ na via è perfetta» ( I I , I 7) . Va notato accuratamente che le frequenti affermazioni secondo cui l'uomo è indegno e incapace di fare il bene si trovano sempre nel contesto di un confronto tra uomo e Dio . 149 Tipico è questo passo dall'inno che conclude I QS : 148 . Per una critica all'argomentazione di Schulz su passi attinenti alla «nullità» nel materiale innico, v. Appendice 4· 149 · Cfr. Ringgren, Faith o/ Qumran, IOI : in I QH «la peccaminosità dell'uo­ mo è un corollario dell'assoluta giustizia divina»; similmente Bardtke, Considé­ rations sur les cantiques, 226 ; Licht, Doctrine, I I ; e molti altri. Ringgren, però, ha anche sostenuto che poiché l'estrema accentuazione della nullità dell'uomo in 1 QH è in parte dovuta alla «personale, radicale esperienza dell'autore», tali os­ �ervazioni non vanno prese come rappresentative dell'intera comunità (Ringgren, 9, ). Ulteriori considerazioni sullo scopo e l'uso delle Hodajot, come anche l'ana­ lisi più recente delle fonti, rende insostenibile questa posizione. V. sotto, Appen­ dice I . Va notato che dei passi qui discussi solo I QH 7,I7 è ora attribuito al Maestro di giustizia.

I manoscritti del Mar Morto

Chi può afferrare la tua gloria?

E che cos'è poi un figlio di Adamo tra le tue opere meravigliose?

Colui che è nato da donna come potrà abitare al tuo cospetto? Di polvere è il suo tessuto, cibo di v ermi è la sua abitazione! ( I QS I I , 2o s.).

Parimenti I QS IO ,2 3 mette in contrasto l'iniquità ( nza'al) del­ l'uomo con le giuste opere di Dio . Il salmi sta vede in se stesso un peccatore guardandosi dal punto di vista di Dio : «Ritengo il suo giudizio conforme alle mie iniquità» ( I QS I O, I I ) . Nelle Hodajot si ripete che la giustizia è attributo di Dio, mentre all'uomo appar­ tengono iniquità e inganno ( I QH I ,25 s.). Vi sono due motivi distinti ma strettamente connessi che appaio­ no quando il salmista paragona se stesso (e presumibilmente tut­ ta l'umanità) con Dio . Uno è che l'uomo paragonato con Dio non può esser giusto o avere da solo alcuna forza. A paragone con Dio l'uomo appare malvagio e debole; di conseguenza l'uomo non può reggere nel giudizio di Dio, la sua «via» non può esser salda, non può esser «giusto». Abbiamo visto questo motivo in I QS I I ,20 s . ; 10,2 3 ; I O,I I ; 1 QH 1 ,25 s . ; 4,29-33 . Si può scorgere anche in I QS I 1 ,9-I I ; I QH 7,28 s . («E chi sarà giusto, al tuo cospetto, quando sarà giudicato ? ») ; I o ,9 s . ; 1 2 , I 9 s ; 1 2 ,24-3 1 ; I 3 , I 4· I 6 . Questo non vuoi dire negare che gli uomini possano esser giusti l'uno rispetto all 'altro o rispetto alla halaka; nello spirito di pre­ ghiera che pervade la maggior parte degli inni l'umanità è tuttavia ritenuta ingiusta al cospetto di Dio. La cosa è formulata chiaramen­ te in I QH 9 , 1 4-I7 : .

Giacché nessuno è giusto (i#daq) nel tuo (giudizio né v'è alcun innocente) (jizkeh) nel tuo processo. Un uomo è dichiarato giusto (ji�daq) da un altro uomo ... ma a paragone della tua potenza non vi è nessu na forza.

Intimamente connessa alla percezione della propria insufficien­ za dinanzi a Dio è l'idea che la propria giustizia o perfezione pro­ vengono dalla grazia divina. Queste affermazioni servono come una sorta di anello teologico esplicativo tra la confessione dell'ini-

Adempimento e trasgressione

quità umana dinanzi a Dio e la descrizione dei membri della setta come «quelli dalla via perfetta» . La fonte della perfezione è la gra­ zia di Dio. Queste affermazioni sono anch'esse caratteristiche del materiale innico. In aggiunta a I QH 4,29-3 3 ; 7,1 7 ; I QS I I ,2 . I O s . ; 1 I ,I 7, citati sopra, s i possono citare passi come r QH I 6, I I : > devono essere benedetti col bene, preservati dal male, dotati di conoscenza e destinati alla misericordia per la beatitudine eterna . Gli «uomini della sorte di Beliah> d'altro canto sono maledetti «senza misericordia» in con­ formità alle loro «opere tenebrose» . I leviti continuano : «Quan­ do innalzi le tue grida, Dio non abbia misericordia di te né ti per­ doni cancellando le tue iniquità» . In I QH I 4 ,24 si dice che Dio perdona coloro che si pentono, ma punisce i malvagi per la loro iniquità. In I QH I 5 ,I 5- I 9 gli eletti sono chiamati a camminare sulle vie di Dio e a ricevere misericordia, mentre i malvagi sono anche predestinati, ma alla punizione per le loro trasgressioni. L'inno continua dicendo che per i malvagi non v'è espiazione per le trasgressioni ( I 5 ,24) . Il punto principale del tema della puni­ zione per le opere ma della ricompensa per misericordia è che si

può perdere la salvezza con la trasgressione, non si può meritare abbastanza da acquistarla con l) obbedienza. L'ultimo punto è chia­

ramente espresso in I QH I 8 ,2 I s . :

Ho conosciuto che è per te, mio Dio, che tu hai fatto queste cose . Che cos'è, infatti, la carne [ perché tu abbia compiuto per essa tali ] meraviglie, perché nel tuo piano ti sia dimostrato forte e abbia stabilito tutto ciò per la tua gloria? Si accorda con ciò che il salmista, parlando come uno degli elet­ ti, dica che Dio non lo ha giudicato in base alla sua colpa ( I QH 5 , I'3· Vedi «misericordia verso i giusti� nell'indice.

I manoscritti del Mar Morto

6), sebbene sia precisamente su questa base che i non eletti son giudicati. Parimenti il sahnista è sicuro che nell' eschaton il resto

sarà «giudicato» dalla benevolenza (�asadtm) di Dio, nell'abbon­ danza della sua misericordia ( ra�am'im} e nella grandezza del suo perdono (seltpa) ( r QH 6 ,9). Una simile affermazione a proposito del giudizio divino del salmista appare in I QH 9 ,3 3 s. Vediamo cosl che ci si aspetta dagli eletti che camminino su una via di per­ fezione ma che sono perdonati per le loro trasgressioni dalla grazia divina, mentre i non eletti sono puniti senza misericordia per le lo­ ro trasgressioni . Non appare tuttavia molto corretto dire, come Licht e Burrows, che «la grazia del pentimento è data solo agli eletti» . 1 '4 Il predesti­ nazionismo dei manoscritti non appare severo a tal punto. 1" Come abbiamo visto, quelli che sono fuori del patto possono pentirsi e aderirvi. Le affermazioni appena citate sembrano affermare qual­ cosa di più generale, con paralleli altrove nella letteratura giudai­ ca. La consapevolezza dei membri della setta era che non si può mai, mediante i propri meriti, meritare del bene dalla mano di Dio ; di conseguenza la ricompensa del bene è data per misericor­ dia. Vi è un elevatissimo senso della misericordia divina , ma ciò è probabilmente dovuto alla situazione della setta, come realtà se­ lezionata dal resto di Israele . I malvagi, d'altro canto, sono giu­ stamente puniti per le loro azioni. Cosl possiamo comprendere perché raramente si parli nei ma­ noscritti di ricompense per le opere. I membri della comunità so­ no certo ricompensati - ricevono lunga vita ( r QM I ,9 ; CD 7,5 s.; 1 QS 4,7 ; I QH I J , I 6- I 8 ) , «eterna redenzione» (I QM I , I 2 ) ed evidentemente la vita eterna, caratterizzata come . 156. Sulla vita futura, v. spec. la trattazione di Delcor, Hymnes, 58-6r . Egli ritie­ ne 1 QH 6,29-39 decisivi nel senso di una speranza di resurrezione.

Adempimento e trasgressione

considerato un giusto giudice che giudica ognuno e rende a ciascu­ no la sua ricompensa ( I QS I O ,I 8) e che > ( 1 2,6 ; 4 1 , 5 .7 ; 42,2), &vo­ p.o� «senza legge» ( 4o , r o) e lior.xo� «iniquo» ( 3 .5 , r 8 [ 2 r ] ) . Rasa' è chiaramente la principale parola ebraica per «malvagio» . Il malvagio è anche chiamato 'awwal, «iniquo», «malfattore» ( r 6,r 3 ; greco ap,ap'tw­ l6 � ), proprio come l'autore parla anche di «ingiustizia» o «torto» Cawla, r 6, r ) . Un altro termine parallelo è «insolente» , zed ( r 2 ,5 [ 7 ] ) cfr. zadon, «insolenza», I 6,3 ; I 3 ,24 ( 28 ] ) . Il termine principale per l'uomo buono in greco è e.ùcre.�l]c; in ebrai­ co �addiq : I I , 1 7(2 r ) ; r 1 ,22(28) ; 1 2 ,2 ; 1 3 ,1 7( I 9) ; 1 6 , r 3 . e.òu��i}� traduce anche «buono», tob ( 1 2 ,4 [ 7 ] ; 39,27 [ 37 ] ) e ( I 7 , 24 ; è questo chiaramente anche il centro dell'esortazione al malvagio a convertirsi in .5 ,4 ss .) .34 Ben Sirac osservava correttamente che, come buono è opposto di cattivo, cosl il malvagio (rasa' ; gr. «peccatore») è l'opposto del­ l 'uomo buono ('ii !oh; gr. «pio») ( 3 3 , r 4 [ r 7 ] ) . Egli altrove for­ mula la contrapposizione nel modo seguente :

Che cosa vi può essere in comune tra il lupo e l'agnello? Lo stesso accade tra il peccatore (rasa ) e il pio (!addiq) ( IJ ,I 7 [ I9 ] ) . Il giusto è di frequente considerato come uno che teme Dio. Il '4· Cosl anche Biichler: JQR 13, 314.

Apocrifi e pseudoepigra/i

senso dell'espressione si capisce meglio citando che non teme il Signore :

un

passo su colui

L'uomo infedele al proprio letto dice fra sé : «Chi mi vede? Tenebra intorno a me e le mura mi nascondono; nes su no mi vede, che devo temere? Dei miei peccati non si ricorderà l'Altissimo» . Il suo timore rigu arda solo gli occhi degli uomini;

sa che gli occhi del Signore sono miriadi di volte più luminosi del sole ; essi vedono tutte le azioni degli uomini e penetrano fin nei luoghi più segreti (23 ,18 s.).

Non

Come ratteggiamento del malvagio è arroganza e falsa fiducia di «potersela cavare» con il proprio peccato, l'atteggiamento del giu­ sto è umiltà e rispetto per il Signore. Cosi l'umile di 3 5 , 1 7 viene opposto all'insolente e al malvagio di 3 5 ,1 8 . È questo l'atteggia­ mento di umiltà che Ben Sirac chiama «temere il Signore» 2 , 1 7 : «Coloro che temono il Signore . . . umiliano l'anima loro davanti a lui») : è questo l'esatto opposto dell'atteggiamento insolente del malvagio che teme solo l'uomo, ma non Dio (2 3 , 1 8 s . cit. subito sopra). Il giusto accetta umilmente la disciplina e i giudizi di Dio ( 1 8,24) , mentre il malvagio pensa di esserne immune. È evidente che il nomismo di Ben Sirac, basato sulla confidenza nella giusti­ zia e nella misericordia divina, non va equiparato al legalismo fon­ dato sulla giustizia mediante le opere in senso peggiorativo, in cui l'uomo pensa con arroganza che le opere buone giustifichino le proprie pretese dinanzi a Dio. L'arroganza è precisamente quanto aborre Ben Sirac. L'uomo giusto è umile e confida nella misericor­ dia divina . L'atteggiamento di umiltà e rispetto porta a obbedire ai comandamenti del Signore, e «temere Dio» non si può separare dall'obbedire: «nulla è meglio del timore del Signore; nulla è più dolce dell'osservare i suoi comandamenti» (23,2 7) . Parimenti chi teme il Signore è messo in parallelo con chi osserva la legge in I 5, 1 , mentre in IO,I 9 e 1 9 ,2 1 temere il Signore è l'opposto di trasgre­ dire i suoi comandamenti. In 1 9,1 8 l'autore dice che il timore di Dio è sapienza, mentre nella sapienza è l'adempimento della legge. Il timore del Signore non è tuttavia un timore negativo che in-

Ben Sirac

48 I

duca all'obbedienza come il modo più facile per evitare la puni­ zione. Esso si può descrivere in termini molto più positivi:

Il timore del Signore è gloria e vanto, gioia e corona di esultanza. Il timore del Signore allieta il cuore e dà contentezza, gioia e lunga vita. Per chi teme il Signore andrà bene alla fine, sarà benedetto nel giorno della sua morte ( I ,9- I I ) .

Più avanti, è equiparato all 'amore di Dio: Coloro che temono il Signore non disobbediscono alle sue parole; coloro che lo amano seguono le sue vie. Coloro che temono il Signore cercano di piacergli; e coloro che lo amano si saziano della legge. Coloro che temono il Signore tengono pronti i loro cuori e umiliano l'anima loro davanti a lui ( 2 ,Ij-I 7; cfr. anche 3 4, I,· I 7 )." e

È evidente tuttavia che anche chi «teme il Signore» non obbe­ disce perfettamente ai suoi comandi. Il centro del libro sembra rivolgersi a gente fondamentalmente giusta ma bisognosa di am­ monizione e correzione (per lo meno secondo l'autore) .36 Risulta che chi rispetta il Signore e lo ama, per quanto possa trasgredire, non lo fa con tanta arroganza, non suppone di esser fuori della portata di Dio, non ritarda il pentimento o confida in abbondanti sacrifici da farsi più tardi, ma s'affretta a pentirsi e non ripete la trasgressione. Le molte ammonizioni verso chi deruba il fratello sembrano implicare che ci si aspettava anche una compensazione per le malefatte, anche se di questo non si parla esplicitamente (la compensazione è naturalmente richiesta nell'Antico Testamento) . La persona che si pente e fa quanto altro è opportuno, conserva a quanto risulta, la qualifica di «giusto» , non è annoverato tra i malvagi e continua ad essere uno che «teme il Signore» e che go­ drà perciò di lunga vita, di facile morte e di una progenie di giu­ sti. Richiamiamo la nostra precedente osservazione, per cui Ben Sirac non mette in connessione con l'elezione di Israele la sua di3'· Per una più completa trattazione sul «timore di Dio,., come termine per la pietà autentica, v. Haspecker, Gottesfurcht bei ]esus Sirach, 20,-33,. 36. Cosl anche Biichler: JQR 13, 311 s.

Apocrifi e pseudoepigrafi

stinzione tra giusti e m alvagi . Non s i dice esplicitamente che i mal­ vagi impenitenti perdono il lor o posto tra gli eletti, sebbene ciò possa essere implicato qu ando si dice che hanno abbandonato la torà (41 ,8) . Il loro fato è formulato sopr attutto in termini indivi­ du alis t ici . A differenza dei giusti, hanno vita breve, o altrime nti una morte penosa, e i loro figli sono «abominevoli» (4 1 ,5). 2. I

ENOC 1

Introduzione Enoc offre per il nostro studio difficoltà di due generi diffe­ renti. Anzitutto vi sono i normali problemi introduttori, qui com­ plessi più del soli to . n libro è universalmente considerato compo­ sito e v'è un diffuso consenso sulle più importanti suddivisioni.2 La data di ogni sezione è però incerta come quella della redazione final& e non si può assolutamente ritenere con sicurezza che ogni sezione principale sia in sé integra.4 In quel che segue ho general­ mente seguito la divi sione del libro di Charles . Non l'ho però se­ gui to quando ritiene che qualche sezione sia premaccabea.' Ognu­ na delle parti sembra ben situarsi in un contesto di epoca macca­ bea e non ho fatto alcuno sforzo di datare con più precisione il ma­ teriale. Una datazione più precisa delle parti che compongono il libro non p otrebbe essere molto diversa da una pura congettura . I

I. Le citazioni sono dalla trad. Charles, in Pseudepigrapha. Per i frammenti del testo greco ho usato tted. Bonner dei capp. 97-107 e quelli di Lods e Charles (in I Enoch) per i capp. 1-32 . Ho anche consultato i frammenti greci della recente ed. Black. Frammenti aramaici sono stati trovati a Qumran e un'edizione è stata an­ nunziata da Milik e Black. V. J.T. Milik, Problèmes de la Littérature Hénochi­ que à la Lumière des Fragments Araméens de Qumran : HTR 64 ( 1971) 333 [l'e­ dizione è successivamente uscita: J.T. Milik e M. Black, The Books of Henoch. Aramaic Fragments of Qumran Cave 4, Oxford 1976]. 2. Vedi l'analisi di Charles in I Enoch, XLVI-LVI, come anche le introduzioni a ogni sezione del suo commentario. Le stesse posizioni si trovano in forma più breve in Pseudepigrapha, t68-171. Le divisioni fondamentali di Charles sono in genere accettate. V. ad es . Rowley, The Relevance of Apocalyptic, 3• ed., .57-64 (con citazione di ulteriore bibliografia) ; Black, Apocalypsis Henochi Graece, .5 ; Du­ pont-Sommer, Les écrits esséniens découverts près de la Mer Morte, Paris 21960, 299 ( le divisioni maggiori sono confermate dai frammenti di Qumran). 3· V. Rowley, Apocaliptic, 93-98. 4· V. Charles, sopra, n. 2. ,. V. la trattazione di Rowley, Apocalyptic, 93-98.

I Enoc

Il problema più intricato e più importante tra le correnti que­ stioni introduttorie è la data delle Similitudini, capp . 3 7-7 I . So­ no precristiane o postcristiane? La possibilità di una origine post­ cristiana fu sostenuta da Milik, contro l 'opinione predominante, con il motivo che non si sono trovati frammenti di questa sezione a Qumran, mentre se ne sono trovati di tutte le altre.6 Gli studio­ si non sembrano esser rimasti convinti dall'argomento, ritenendo accidentale l'assenza di frammenti? Milik ha ora fornito un'argo­ mentazione più dettagliata e convincente . 8 Per riassumere molto brevemente una lunga trattazione : Milik ha sostenuto che la di­ visione del libro in cinque sezioni è antica, essendo modellata sul Pentateuco. Il secondo libro però era originariamente il «Libro dei giganti», ciò che è provato dal fatto d'essere stato usato da Mani (Milik, 3 73 ) . Un redattore cristiano di I Enoc sostituì le Similitudini come secondo libro (p. 3 75 ) . I Hen. 5 6 ,6 s . fa riferi­ mento alle invasioni dell'impero bizantino durante il III sec. e in particolare alle vittorie di Sapor 1 che culminarono con la cattura di Valeriano nel settembre 260 (p. 3 7 7) . Seguirono ulteriori vitto­ rie dei Parti e queste sono presenti nelle Similitudini (p. 3 7 7) . Il riferimento al sangue dei giusti (47 ,I-4 ) riguarda le persecuzioni dei cristiani nel 249-2 5 I e 257-258 ; il libro fu scritto circa nel 270

(p . 377>·

Un altro inquadramento delle Similitudini è quello proposto da J.C. Hindley.9 Egli nota l'assenza di frammenti a Qumran (p. 5 .5 3 ) e, cosa più importante, la scarsità di riferimenti anche solo ipotetici alle Similitudini nel Nuovo Testamento e nei primi Pa­ dri (p. 5 64), ma l'argomento principale concerne il riferimento ai Parti in .56 ,5-7 e la connessione tra Parti e ritorno degli esuli nei capp. 56 e .57· Hindley argomenta con una argomentazione vera­ mente stringente che questi passi si spiegano nel modo migliore datando le Similitudini tra il I I 5 e I I 7 dell'era cristiana. Sarebbe prematuro accettare una determinata ricostruzione per la data delle Similitudini, ma la cosa più saggia è considerare di 6. Milik, Ten Years of Discovery, 33· 7. Cosl Dupont-Sommer, Les écrits esséniens, 299 s . 8. Milik, Problèmes de la Littérature Hénochique: HTR 64 (1971) 333-378. 9· Hindley, Towards a Date for the Similitudes of En. : NTS 14 ( 1968) 551-565.

Apocrifi e pseudoepigrafi

origine postcristiana la sezione. L'argomento negativo di Milik, che le Similitudini avrebbero sostituito un primitivo libro II nella raccolta, dato che rimane puramente ipotetico, può essere al massi­ mo probabile o non probabile. La possibilità di trovare altri conte­ sti storici che siano per lo meno altrettanto adatti di quello del pe­ riodo maccabeo toglie forza alla tesi dell'origine precristiana, basa­ ta sulla congruenza storica . Il suono cristiano di passi sul Figlio del­ l'uomo che siede sul trono di gloria (ad es . 62 ,5) sembra più facile a spiegarsi sull'ipotesi di una data postcristiana. La possibilità al­ ternativa che il cristianesimo abbia assunto la figura e le caratteri­ stiche del Figlio dell'uomo, altrimenti non attestate, e l'abbia at­ tribuite a Gesù non può essere esclusa in maniera definitiva, ma il ruolo notevole giocato dal Figlio dell'uomo sembra a favore di una origine postcristiana. Di conseguenza omettiamo dalla discus­ sione che segue i capp. 3 7-7 1 I Enoc è difficile, per i nostri scopi presenti, anche a causa del carattere dell'opera. In modo tipicamente apocalittico l'opera trat­ ta di generazioni piuttosto che di individui. Come vedremo, si tratta continuamente di giusti e di malvagi, ma si ricavano assai poche idee sul come, nella concezione dei vari autori, il singolo vi­ vesse una vita giusta, su che cosa accadesse se peccava e su dove si trovi la linea di demarcazione tra giusti e malvagi. Il problema principale del libro nel suo complesso, per quel che concerne la nostra indagine, è l'identità del giusto e dell'eletto. La necessità di obbedire, la punizione della disobbedienza e la ricompensa per l'obbedienza sono temi costanti e non richiedono di essere com­ mentati con speciale rilievo. Ma le questioni difficili a risolversi sono: chi sono gli eletti, a che cosa si obbedisce e come si deve es­ sere obbedienti per essere annoverati tra i giusti? Tratteremo di questi temi sezione per sezione. .

Io

Il libro di Noè

Charles identifica il libro di Noè nei capp. 6-1 1 ; Io.

54,7-5 5 ,2 ;

6o ;

Parimenti E. Schweizer, ]esur, trad. ingl. 18; le Similitudini non si possono

datare.

z Enoc

65-6 9 ,25 ; 1 06- I o7 .u È oggi forse più consueto connettere i capp. 6- I I con 1 2-3 6 , considerare I 06 s. come un'appendice del libro di Noè e tutto il materiale dei capp. 3 7-7 1 come parte integrante di questa sezione .12 Nella trattazione presente seguirò Charles nel connettere i capp . 6-1 1 con I 06 s. e nel trattare 1 2-3 6 separata­ mente, ma le sezioni attribuite al libro di Noè che sono ora nelle Similitudini non saranno prese in considerazione . Il peccato primordiale nel libro di Noè - come in altre parti di I Enoc e dei Giubilei - è l'unione dei «figli di Dio» con le figlie , degli uomini (Gen. 6 ,3) .13 I figli di Dio sono considerati angeli ca­ duti e malvagi ( I Hen. 6 , 1 ss. e passim) . La natura del peccato non è nettamente definita . Si pensa senza dubbio che gli angeli abbiano trasgredito gli ordini impartiti e perciò la volontà di Dio ( 1 06 , 1 4 : commettono peccato e trasgrediscono l a legge unendosi a donne) . Sono anche colpevoli di fornicazione illegale (la progenie è bastar­ da, 1 0,9) e forse si ritiene che si siano uniti a donne durante il pe­ riodo mestruale, cosa contraria alla legge giudaica. Cosl in 1 o , I I si dice che si sono «contaminati con donne in tutta la loro impuri­ tà», dove «la loro impurità» si riferisce forse al periodo mestrua­ le . Questa possibilità trae qualche sostegno da I 5 ,4 (presumibil­ mente da un'altra fonte) , dove degli angeli vigilanti si dice che si sono contaminati con sangue di donne. In ogni caso gli angeli ca­ duti non hanno solo essi stessi trasgredito, ma hanno comunicato segreti che hanno indotto gli uomini a trasgredire e di conseguen­ za a condividere la punizione degli angeli (9 ,6-9 ; cfr. 6 5 ,6 s . dove i segreti vengono specificati) . Si parla anche di magia e stregone­ ria, come pure di astrologia, come provenienti dagli angeli cadu­ ti nei capp. 7 s . Gli uomini continueranno a trasgredire fino alla I I . Charles (1 Enoch, XLVII e altrove) elenca il secondo frammento con inizio da 5 4,1 invece che 54,7 ; è però evidente dalla sua edizione che riteneva che il fram­ mento iniziasse con 54,7. Sull'identità separata del libro di Noè, v. Dupont-Som­

mer, op. cit. , 299 . 12. Cosl ad es. Rowley, Apocalyptic, 57; Black, Apocalypsis Henochi Graece, 5· Black nota che la sez. prima non è omogenea, ma non connette 6-I I e xo6 s. La ricostruzione di Charles è seguita strettamente da Rost, Einleitung in die altte­ stamentlichen Apokryphen und Pseudepigraphen, 103 . 1 3 . Per la storia del mito, v. Julian Morgenstein, The Mythological Background of Psalm 82 : HUCA 14 (1939) 29-126 ; il mito dell'unione è discusso a pp. 76·1 14.

Apocrifi e pseudoepigrafi

generazione della giustizia, in cui la trasgressione è distrutta e il peccato scompare ( I 07, I ) . Un poco di aiuto per la comprensione di quel che si considera peccato viene dall'elenco di termini in Io,2o : «E purifica - Dio dice a Michele - la terra da tutta l'oppressione e da tutta l'ingiu­ stizia e da tutto il peccato e da tutta l'empietà: e tutta l'impuri­ tà che viene operata sulla terra distruggila dalla terra. E tutti i fi­ gli degli uomini diveranno giusti,14 e tutte le nazioni offriranno a­ dorazione e mi loderanno, e tutti mi adoreranno. E la terra sarà purificata da ogni contagio e da ogni peccato e da ogni punizione e da ogni tormento e non (li) manderò su di essa di generazione in generazione e per sempre» . I termini in greco sono questi: puri­ ficare la terra da ogni ltxaDapa!a. e da ogni ltot.xLa. e cip.ap"tia. e MÉ�et.a ; e sradicare ogni à:xa.ita.pala.. Mentre non v'è ragione di supporre che l'autore adottasse una definizione rigorosa dei ter­ mini, è probabile che «impurità>> si riferisca sia alla trasgressione di leggi sulla purità che alla contaminazione morale che consegue da altre trasgressioni, e che e «malvagità» in ebraico o aramaico e si riferiscono in genere alla trasgressione di precetti bi­ blici. Poiché ciò che è moralmente sbagliato viene costantemente lasciato nel vago, sembra che l'autore del libro di Noè non ne ab­ bia una definizione unica. I peccatori sono quelli che trasgredisco­ no la volontà di Dio. Va notato che il trasgressore è «colpevole» o «debitore» ( 6,3 ' gr. ocpet.À.É't1)�) che probabilmente è traduzione di un derivato di bub. Riguardo alla definizione e alle caratteristiche dei giusti da que­ sti frammenti ci vien detto ben poco. I giusti sfuggiranno alla di­ struzione nel giorno del giudizio quando i malvagi saranno distrut­ ti ( I o , I 7) . Il modo più generale di impostare la questione è che i giusti devono essere coloro che obbediscono alla volontà di Dio, come gli ingiusti sono quelli che disobbediscono. Si presume che essi evitino il peccato, la malvagità e l'impurità. 14. La frase non è nel frammento greco Gizeh.

z Enoc I

Hen. I 2-36

Nei capp. 1 2 s . , come nel libro di Noè, gli angeli caduti sono condannati per aver insegnato agli uomini l'empietà (6.aÉf3er.et) , l'ingiustizia (&.Sw.x-lu�a."ta., àow.xlet) e il peccato (&�ap-tia) ( 1 3 ,2) . Non trovano perdono ( aq>EO"L�, I 2 ,_5 ) , anche se riescono ad ottene­ re che Enoc presenti una richiesta di perdono a loro favore. Anche le stelle, che «non spuntarono a tempo stabilito» si ritiene abbia­ no «trasgredito il precetto del Signore» . Hanno provocato l'ira di Dio (wpylcrDT) ) e sono punite ( 1 8 , 1 5 ) .1' In 1 9 ,2 si dice degli angeli non solo che hanno contaminato l'umanità, ma che l'hanno sviata inducendola a «sacrificare ai demoni» . Il loro peccato non è altri­ �enti spec�cato. In 2 2 ,9- 1 3 tutti gli uomini sono divisi in tre gruppi. Una divi­ sione è quella dei giusti (22 ,9 , OtXtxLOL) o pii ( 2 2 ,1 3 , ocnot.) . Essi so­ no posti neJlo Seol in una «valle>> «in cui è una fonte di limpida acqua» . I peccatori non puniti durante la loro vita, sono separati da quelli che lo furono. Questi ultimi «non saranno puniti il gior­ no del giudizio né allontanati da là» (22 , r 3 ) . [ Per i problemi di traduzione di 2 2 , 1 3 cfr. Apocrifi dell'Antico Testamento, a c. di P. Sacchi, Torino 1 9 8 1 , 502 ] . I giusti vengono chiaramente solle­ vati e ricompensati, mentre i peccatori impuniti vengono solleva­ ti e puniti. Risulta da 2 2 ,9 . 1 3 , ma anche da 2 5 ,5 che «giusti» e «pii» ( Charles «santi») sono termini sinonimi . Se il frammento greco rappresenta accuratamente l'ebraico o l'aramaico, il termine ò!xa.f.­ OL probabilmente traduce �addzqzm, mentre oat.ot. traduce �asidim (o gli equivalenti aramaici) . In 2 5 ,5 i giusti e i pii vengono equipa­ rati agli eletti. I giusti, pii ed eletti, dopo che Dio visita «la terra con benevolenza» (25 ,3), entreranno «nel luogo santo» dove c'è un albero fragrante, e vivranno una vita lunga e tranquilla ( 2 5 ,37) . È specialmente notevole che il «vero giudizio» di Dio condan­ na i «maledetti» , mentre i giusti benedicono Dio «per la miseri­ cordia con cui egli ha assegnato loro (la loro sorte) » (2 7 ,3 s.) . Ve1 5 . Cfr. anche 2 1 ,6. Le stelle che trasgrediscono non sono la stessa cosa degli an­ geli caduti, nonostante il titolo di Charles al cap. 2 1 : «Punizione degli angeli ca­ duti ( stelle)». Il veggente va dal luogo in cui le stelle sono punite (21,6) ad «un altro luogo» (21,7), dove gli angeli sono puniti (21,10).

Apocrifi e pseudoepigrafi

dremo più volte che Dio, mentre ripaga i malvagi dei loro demeriti, mostra misericordia verso i giusti. Il fatto stesso che siano «an­ noverati» tra i giusti è dovuto alla misericordia di Dio . I

Hen.

8 3-9 0

La sezione delle «visioni in sogno» si apre con una cupa ammo­ nizione : «sulla terra vi sarà grande distruzione» (8 3 ,9) , a causa del peccato . Si insiste perché Enoc preghi Dio, giacché egli è cre­ dente, affinché un resto rimanga e tutta la terra non sia distrutta (83 ,8) . Nella sua preghiera egli riconosce che l'ira di Dio grava sull 'umanità sino al grande giudizio (84,4) e prega che Dio «di­ strugga dalla terra la carne che ha destato la sua ira» , conferman­ do invece di lui > e «sradicati dalla terra» . Andrebbe notato che tutti i comandamenti che, in caso di tra.. sgressione, portano all 'espulsione da Israele sono comandamenti biblici. Ciò vale anche per la proibizione del matrimonio misto, dove la visione biblica non è affatto cosl chiara. Risulta da 20A che l'autore intendeva Deut. 7,3 come una proibizione di ogni ma­ trimonio misto con i gentili (e non solo con le sette nazioni men­ zionate) /6 e la sua lettura di Lev. 1 8 ,2 1 confortava la stessa ve­ duta.17 Concludiamo allora che la soteriologia del libro dei Giubilei è quella che abbiamo trovato così diffusa nel giudaismo palestine­ se : la salvezza è donata per grazia da Dio quando stabilisce il pat­ to con i padri, un patto che egli non abbandonerà ( r , r 8) ; gli indi­ vidui possono però essere esclusi da Israele se peccano cosi da di­ sprezzare il patto stesso. Quelli che sono fedeli, che non peccano in questo modo e (come vedremo) confessano le loro trasgressioni e se ne pentono costituiscono una sorta di «vero Israele», sebbe­ ne il termine non sia impiegato. Certo Giubilei differisce dalle al­ tre presentazioni del giudaismo sotto importanti aspetti : Giacob­ be, piuttosto che Abramo, è il patriarca principale; alcune tra­ sgressioni non possono essere espiate; alcune delle singole hala­ kot non sono note altrimenti. Il modello fondamentale è però, fi­ no a questo punto, lo stesso. Prenderemo ora in considerazione due prospettive sostenute da studiosi che si oppongono a questa conclusione. Possiamo anzitutto notare che Becker ha sostenuto che per x6. Deut. 7,3 non è citato in Iub. 20A, ma sembra che vi si alluda. Cfr. la discus­ sione rabbinica sul significato del versetto in Aboda Zara 36b e Qidduiin 68b. 17. V. la nota di Charles e il rinvio al targum di Lev. 18,21.

Apocrifo e pseudoepigrafi

comprendere la soteriologia di Giubilei si deve partire dalle . Esse contengono la legge di Dio non come dono di vita, ma semplicemente come informazione su quel che si deve fa­ re. Su di esse sono anche registrate le azioni degli uomini. Le ta­ vole sono decisive nel giudizio, perché in esse i comandamenti so­ no confrontati con le opere umane. Il risultato del confronto cau­ sa il giudizio finale.18 Becker ritiene perciò che salvezza e danna­ zione, secondo l'autore di Giubilei, avvengono parimenti secondo le opere. Se si obbedisce ai comandamenti si è salvi, se si trasgre­ disce si è condannati. È difficile vedere tuttavia come si possa so­ stenere questa idea. Becker sembra aver trascurato le affermazioni di Giubilei secondo cui Dio non abbandonerà il suo popolo nono­ stante le trasgressioni ( r ,5 . 1 8 ) . È chiaro, in queste affermazioni, che la salvezza non è guadagnata per obbedienza. L'obbedienza (ciò vale in genere per Israele) è condizione della salvezza (se ac­ coppiata al pentimento per la trasgressione) ma non ne è la causa . Ciò è ulteriormente chiaro dal modo in cui si parla. del timore del­ la morte. Cosl, ad esempio, l'autore ammonisce che quelli che pro­ fanano il sabato moriranno per sempre ( 2 ,2 7 ) . Non v'è affermazio­ ne nel senso che quelli che l'osservano vivranno : si assume che Israele sarà salvato ( 1 ,2 2-2 5 ; 50,5 ) , e solo quelli che trasgredisco­ no in certi modi sono esclusi da Israele (ad es . 6 , 1 2 ; 3 o, 7 ) . I co­ mandamenti scritti sulle tavole celesti non esauriscono il patto, che include anche la divina promessa di fedeltà . Cosl le tavole dei comandamenti non contengono il dono della vita, come osserva Becker; ma è anche vero che l'osservanza dei comandamenti scrit­ ti sulle tavole non è, in sé, un'opera che arreca la salvezza. I co­ mandamenti non hanno la funzione soteriologica che Becker attri­ buisce loro. Può forse inoltre valer la pena notare che in Giubilei non v'è traccia di un giudizio degli individui sulla base di un confronto tra condotta e comandamenti. Tale confronto risulta essere una con­ cezione che Becker ha introdotto nel libro dei Giubilei : io non ve la trovo . I passi escatologici trattano della purificazione e della per­ fezione di Israele (presumibilmente escludendo quelli che hanno 18. Becker,

Das Heil Gottes, 22 .

Giubilei

peccato tanto da dover essere estirpati) , non del giudizio degli in­ dividui. Non abbiamo in Giubilei l'immagine del giudizio noto da Mt. 2 5 , in cui i singoli sono chiamati dinanzi a Dio e giudicati se­ condo le loro buone azioni e le loro trasgressioni. Testuz è dell'opinione che l'autore di Giubilei ritenesse che Dio avesse stabilito un nuovo patto con alcuni fra gli israeliti e che tutti gli estranei a questo nuovo patto fossero apostati .19 «Le be­ nedizioni del patto sono di fatto ristrette ad un gruppo ridotto di israeliti fedeli, a quelli che compongono la comunità di Giubi­ lei» .20 Egli considera questa comunità come una comunità essena primitiva.21 Quelli che non osservano le halakot peculiari della setta essena non sono israeliti fedeli e, come i gentili sono condan­ nati alla distruzione .22 Questa concezione non pare tuttavia corretta. Anzitutto Testuz non ha prestato sufficiente attenzione al carattere dei comanda­ menti «di vita e di morte» . L'autore di Giubilei differisce dal giu­ daismo «ufficiale» , o per lo meno rabbinico, perché nega la pos­ sibilità di espiazione per taluni comandamenti; ma le sue idee in genere non sono molto diverse da quelle dei rabbi . Anch'essi a­ vrebbero detto che chi trasgredisce in tal modo da rigettare il pat­ to rinuncia alle promesse del patto, anche se avrebbero ammesso la possibilità di pentimento ed espiazione per il peccato. Ma ciò che è degno di nota è che la lista delle trasgressioni che in Giubi­ lei costituisce un rigetto del patto non è più essena che farisaica. Sono comandamenti che dovrebbero essere osservati da tutti gli Israeliti, e non sono per nulla settari.23 Non v'è nulla di esseno nel dire che chiunque non sia circonciso non è figlio del patto, ma del­ la perdizione ( 1 5 ,26). Ciò implica che quelli che sono circoncisi sono figli del patto. Similmente il comandamento di osservare il sabato è per tutto Israele ed esclude i gentili, non gli altri israeliti (2,3 1 : «egli non santificò tutti i popoli e le nazioni» perché osser' 19. Testuz, Les idées religieuses, 74, 174. 20. Ibid., 74· Il testo primario su cui basa questa posizione è 23,19-21, un passo che egli altrove (pp. 39-42) classifica come un'aggiunta di un redattore tra il 65 e il 38 a.C., ma che qui utilizza come significativo delle idee dell'autore principale 21 . Ibid. , 33, 197 . (v. Appendice 2). 22. Ibid., 74· 23. Cosl anche Jaubert, La notion d}alliance, 94·

5 r6

Apocrifi e pseudoepigrafi

vassero il sabato, ma solo Israele) . Neppure il fatto che il rappor to con la propria moglie sia proibito il sabato (5o,8 ) , ciò che non vale per il periodo rabbinico, costituisce un argomento che l' au.. tore sia un esseno o un membro di qualsiasi setta identificabile. È un'idea che poté esser relativamente diffusa a quel tempo.24 In breve, l'autore differisce dal fariseismo, per lo meno per quanto lo conosciamo, nel negare l'espiazione per alcune trasgressioni e in alcune delle sue personali halakot. I punti per cui si nega l'e­ spiazione e le halakot peculiari a Giubilei non sono caratteristici della comunità di Qumran né di un altro particolare gruppo di e­ brei a noi noto. Non v'è prova che l'autore restringesse l'idea di Israele a coloro che erano membri di una setta. La restringeva a quei discendenti di Giacobbe che non commettevano una delle tra.. sgressioni imperdonabili : queste però sono limitate nel numero, non settarie nel carattere (sabato, circoncisione, amore del pros­ simo, ecc.) e quasi tutte del tipo che implica il rinnegamento di I­ sraele e del patto di Dio. In secondo luogo va notato che, come confessa lo stesso Tes­ tuz, in Giubilei non si fa menzione di un nuovo patto.2' In terzo luogo, l'insistenza sulla discendenza fisica da Giacobbe, come pri­ mo requisito per aver parte alla promessa del patto, e la costante distinzione di Israele dai gentili (non dagli altri ebrei che ricevo­ no un titolo obbrobrioso come «cercatori di cose facili») militano contro l'opinione di Testuz.26 Pare vero piuttosto che l'autore pen­ sasse che tutto Israele si sarebbe salvato, eccetto coloro che hanno infranto il comandamento della circoncisione, non hanno osserva­ to il sabato e la pasqua, hanno celebrato o permesso la celebrazio­ ne di matrimoni misti con gentili, hanno mangiato sangue, hanno ..

24· V. la nota di Charles in ]ubilees e Pseudepigrapha, ad loc. Egli cita Nidda 38a-b, secondo cui «i pii antichi» avevano rapporti solo dal mercoledl in poi in modo che le loro mogli andassero a lavorare il sabato. Non è la stessa norma di Giubilei, ma indica che tali restrizioni si praticavano. Finkelstein (T be Book of ]ubilees and the R.abbinic Halakah, 48 n. 30) pensa però che la discussione in Ketubot 3b, che riguarda i giorni in cui può aver luogo un matrimonio, può ori­ ginalmente riferirsi «alla proibizione di rapporti coniugali il sabato». 2, . Testuz, 74· 26. Iub. 1 ,28 e altri passi citati sopra. Sul ricevere le promesse del patto, v. sopra, p. 66.

Giubilei

avuto rapporti con la moglie del padre (o con la nuora o la suoce­ ra) e meditano cose malvagie contro i loro fratelli . Altri passi ren­ dono chiaro che l'idolatria parimenti comporta l'estirpazione da Israele e di conseguenza dalle benedizioni del patto ( 2 2 ,22 s .) . V'è cosl un concetto di «vero Israele>>, ma non cosi limitato come so­ stiene Testuz. L'autore condanna altre trasgressioni senza dire che i trasgressori sono tagliati via da Israele e la distinzione è impor­ tante. Non v'è indicazione che egli restringesse le benedizioni del patto alla sua «comunità» e vi sono parecchie indicazioni in senso opposto. Non v'è discussione circa un nuovo patto, ma l'attesa� come vedremo, del compimento dell'antico con l'eliminazione del­ la trasgressione. Testuz, avendo identificato nell'autore un esseno primitivo, sembra aver proiettato su Giubilei parecchie delle ca­ ratteristiche dei manoscritti del Mar Morto . È meglio, con la J au­ bert, vedere l'autore di Giubilei come uno che parla per una con­ /rérie piuttosto che per una secte: la Jaubert nota correttamente che alcune delle idee espresse da Giubilei tendono al separatismo� ma la rottura scismatica descritta cosi bene nei manoscritti di Qumran non ha ancora avuto luogo.27 La prospettiva di Davenport è parimenti simile a quella assunta qui: sotto molti punti di vista Giubilei continua la fede veterotestamentaria. L'autore insiste sul­ l' «amore di Dio per Israele e sulla sua fedeltà ad esso, sul suo po­ tere di fare ciò che promette e sul suo desiderio di perdonare chi se ne pente» .28 I gentili

Non occorre quasi dire che i gentili sono condannati . Abbiamo già visto che ingiustizia vuoi dire vivere come i gentili. Cosl Israe­ le, attaccato dai «peccatori dei gentili» pregherà d'esser salvato da «i peccatori, i gentili» ( 2 3 ,2 3 s.) . Forse «dei gentili» era origi­ nariamente un genitivo specificativo e la prima espressione aveva lo stesso senso della seconda . Che i gentili siano «peccatori» è det­ to esplicitamente in un passo in cui si ammonisce Israele contro i matrimoni misti : 27. Jaubert, La notion d'alliance, 1 1.5. 28 . Davenport, The Eschatology of the Book o/ ]ubilees, 79·

;z8

Apocrifi e pseudoepigrafi

Guardati, Giacobbe, figlio mio, dal prendere una moglie da ogni seme delle figlie di Canaan; perché tutto il suo seme sarà sradicato dalla terra. Perché a causa della trasgressione di Cam Canaan errò, e tu tto il suo seme sarà distrutto dalla terra e tutto il residuo che vi si trova e nessun germoglio che venga da lui sarà salvo nel giorno del giudizio (22,20 s . ).

I costanti avvertimenti di evitare di mescolarsi con i gentili ( 2 2 , r 6) , di evitare i matrimoni misti come qualcosa che contamina I­ sraele (30,7. 1 6) sono chiare indicazioni che i gentili come tali so­ no peccatori. Non hanno parte nel mondo futuro, perché Israele «giudicherà tutte le nazioni [ cioè i gentili ] secondo i loro desideri e dopo prenderanno possesso di tutta la terra e la erediteranno per sempre» ( 3 2 , 1 9). L'autore assume quindi verso i gentili una linea molto più dura di quella tenuta dagli autori delle varie sezioni di r Enoc che si riferiscono ai gentili o più tardi dalla maggioranza dei rabbi . Come R. Eliezer, egli escludeva i gentili dalla possibilità di esser salvi. È probabilmente per questo che sottolinea che la leg­ ge fu data solo ad Israele e dev'essere osservata solo da Israele . La festa dei tabernacoli è «ordinata sulle tavole celesti a proposi­ to di Israele, perché la celebrino» ( r 6,29). Similmente l'autore sottolinea che Dio «non santificò tutti i popoli e nazioni per santi­ ficare il sabato . . . ma solo Israele» ( 2 ,3 1 ) . Il comandamento di non apparire nudi in pubblico tocca «tutti quelli che conoscono il giu­ dizio della legge» , perché non agiscano come i gentili, che si sco­ prono ( 3 ,3 1 ) .

Misericordia di Dio; pentimento deltuomo ed espiazione Come in Ben Sirac e in r Enoc, la punizione divina della tra­ sgressione è presentata come un ripagare, da parte di Dio, i pecca­ tori con quel che si meritano ed è cosl una funzione della sua giu­ stizia29 (2 1 ,4 : Dio è giusto e giudica la trasgressione) , mentre i giusti e gli obbedienti si ritiene ricevano misericordia. «È il Signo­ re che esegue il giudizio e dimostra misericordia a centinaia e mi29. Sulla giustizia di Dio, cfr. Becker, Das Heil Gottes, 24·

Giubilei

gliaia e a tutti quelli che lo amano» ( 2 3 ,3 1 ) . Similmente, quando Giacobbe dice ad !sacco come ha prosperato, «Isacco benedl il Dio del padre suo Abramo che non ritirò la sua misericordia e la sua giustizia dai figli del servo suo lsacco» (3 I ,2 5 ; «giustizia» qui significa forse «benevolenza») . E Giacobbe dice a Giuseppe, ver­ so la fine della sua vita, che Dio «non ha trattenuto la sua miseri­ cordia e la sua grazia dal suo servo Giacobbe» (45 ,3) . Vediamo difatti che, nonostante quel che appare essere lo stret­ tissimo legalismo di Giubilei, la misericordia e la grazia di Dio so­ no costantemente richiamate e che l'autore pensava a Dio come sempre misericordioso e generoso verso il suo popolo. Abbiamo visto sopra che i rabbi, i cui scritti pervenutici trattano primaria­ mente di come adempiere la legge, vedevano nella bontà di Dio piuttosto il risultato della sua misericordia che quello della pro­ pria perfezione legalistica e che questa percezione si può scorgere nelle preghiere che ci sono giunte. Si può vedere una situazione simile in Giubilei. Da un lato si dice di Noè che «il suo cuore era giusto in tutti i modi, secondo quanto era comandato a suo riguar­ do e non si dipartiva da nulla di quanto era ordinato per lui» ( 5 , 1 9 ) . Tale perfezione portò non solo lui alla salvezza dal diluvio, ma anche tutti i suoi figli. Noè fu accettato in vista dei suoi figli che Dio salvò «per suo riguardo» (ibid. ; chiaramente si tratta di uno dei primi impieghi dell'idea di «meriti dei patriarchi», cfr. 30, 2 0 ; 24,1 1 .2 2) . Eppure Noè, secondo l'autore, percepl nella situa­ zione una manifestazione della misericordia di Dio. Quando in­ fatti gli vien detto che i suoi figli devono incorrere nel peccato do­ po il diluvio, prega: Dio degli spiriti di ogni carne, che mi hai mostrato misericordia, e hai salvato me e i miei figli dalle acque del diluvio, e non mi hai fatto perire come i figli della perdizione; perché la tua grazia è stata grande verso di me e grande è stata la tua misericordia verso la mia anima; si erga la tua grazia sui miei figli, e gli spiriti malvagi non dominino su di loro, perché non li distrugga dalla terra ( 1 0,3 ) .

Per quanto il tono aspro della halaka sembri supporre che la con­ dotta religiosa sia tutta in potere dell'uomo, si invoca continua-

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,20

mente Dio perché impedisca all'uomo di peccare. Nella introdu­ zione infatti Mosè prega Dio che crei negli Israeliti uno spirito retto e impedisca loro di essere governati dallo spirito di Beliar che li svierebbe dai sentieri della giustizia portandoli alla distru­ zione ( r ,20) . Abramo prega di esser liberato «dalle mani degli spi­ riti malvagi)) e affinché non sia loro permesso di sviar lo ( I 2 ,20) e parimenti prega Dio di rafforzare Giacobbe perché faccia la giu­ stizia e la sua volontà dinanzi a lui ( 2 2 , I o ) . La preghiera continua con la richiesta che Dio rimuova Giacobbe dall'impurità e dall'er­ rore dei gentili (2 2 , r 9 ), Io preservi dalla rovina e lo custodisca dal­ le vie dell'errore ( 2 2 ,2 3 ) . Non sorprende che un autore che tanto apprezza la misericordia e la grazia di Dio insista sul pentimento dell'uomo. Come in Ben Sirac, ciò che noi chiameremmo ora pentimento è volgere le spalle al peccato e tornare a Dio. Cosl Abramo ammonisce lsacco :

Volgi le spalle a tutte le loro opere ed impurità, osserva il precetto dell'Altissimo Dio, e fa la sua volontà e sii retto in tutte le cose ( 2 1 ,2 3) . L'autore attende e spera in un tempo in cui . . . i figli cominceranno a studiare le leggi

e

e

a cercare i comandamenti, a tornare sul sentiero della giustizia (23 ,26) .

È interessante notare quel che accade quando il convincimento dell'autore in materia di pentimento entra in conflitto con la sua persuasione che non v'è espiazione per talune trasgressioni . Ab­ biamo già notato che il fatto che Ruben continui a vivere dopo aver avuto rapporti con la concubina del padre sia spiegato dicen­ do che la legge non era stata ancora pienamente rivelata . È interes­ sante in proposito come l'autore parli di Giuda , che ebbe rapporti con la nuora . Giuda riconobbe che l'azione che aveva compiuto era male ... rico­ nobbe di aver trasgredito e d'essersi sviato . . . e cominciò a lamentarsi e a supplicare dinanzi al Signore a causa della sua trasgressione. E gli dicemmo in un sogno che gli era perdonato perché aveva supplicato sinceramente e aveva fatto lamento e non di nuovo compiuto (quel peccato). E ricevette perdono perché aveva volto le spalle al suo pecE

Giubilei

,21

cato ... ; e chiunque agisce così, chiunque giace con la suocera, lo s i arda con fuoco ... E comanda ai figli d'Israele che non vi sia impurità tra lo� ro, perché chiunque giace con la suocera ha operato impurità; con fuo­ co ardano l'uomo che ha giaciuto con lei e parimenti la donna .. . E a Giuda dicemmo che i suoi due figli non avevano giaciuto con lei e per� ciò il suo seme era stabilito per una seconda generazione e non sarebbe stato estirpato (4 1 ,2 3 -2 7 ) . È possibile che ci troviamo qui dinanzi all'opera di un redattore alquanto maldestro, che introduce il rapporto con la suocera in una discussione circa la trasgressione di Giuda con la nuora. In ogni caso, nel passo come ora si presenta due ragioni sono addot­ te come motivo del trattamento mite che riceve Giuda. Il suo sin­ cero pentimento è chiaramente sufficiente perché sia perdonato ; cosl non viene eseguita su di lui la sentenza capitale. Il fatto che vi sia una circostanza attenuante nella sua trasgressione - il suo secondo e terzo figlio non hanno avuto relazione con Tamar - sem­ bra aver evitato che il suo «seme» fosse «estirpato» . ! dubbio, tuttavia, che l'autore ammettesse che il perdono po­ tesse esser concesso ad un suo contemporaneo che pur si pentisse d'aver trasgredito uno dei comandamenti per cui non v'è espiazio­ ne . Nel caso di Giuda, doveva affrontare il fatto che questi non era stato arso e i suoi discendenti distrutti immediatamente, e, co­ me i rabbi più tardi, l'autore attribui il perdono di Giuda al suo pentimento.30 In un lungo passo nel cap. I vediamo un altro e­ sempio in cui il pentimento si ritiene abbia assicurato il perdono per Israele nel passato, sebbene l'autore fosse ben consapevole che gli Israeliti avevano trasgredito i precetti eterni e abbandonato i comandamenti di Dio . Dio, rivolgendosi a Mosè, preannuncia che Israele «dimenticherà i miei comandamenti» . «Cammineranno dietro i gentili . . . e serviranno i loro dei» ( I ,9 ) . Anche se Dio man­ derà loro dei testimoni, li uccideranno ( 1 , 1 2) «e abrogheranno e cambieranno ogni cosa così da fare il male dinanzi ai miei occhi» (ibid. ) . Di conseguenza Dio li abbandonerà in preda ai gentili ( I , 1 3 ) e, dispersi tra i gentili, «dimenticheranno tutti la mia legge e tutti i miei comandamenti e tutti i miei giudizi e si svieranno quanto a noviluni, e sabati e feste e precetti» ( r , 1 4) . 30. V. sopra, p. 2,, .

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Dopo di questo torneranno a me di tra i gentili con tutto il loro cuore e tutta la loro anima e tutta la loro forza e li raccoglierò di tra tutti i gentili e mi cercheranno cosl che sarò da loro trovato, quando mi cer­ cheranno con tutto il loro cuore e con tutta la loro anima ( 1 ,15).

Il passo continua con la promessa di Dio di abitare con il suo po­ polo e «di non abbandonarlo o respingerlo» ( 1 , 1 7 s . ) . Dopo una preghiera di Mosè perché Dio custodisca il popolo dal male, Dio dice: Conosco la loro caparbietà e i loro pensieri e la loro ostinatezza e non saranno obbedienti sinché non confes seranno il loro peccato e il pec­ cato dei loro padri. E dopo questo torneranno a me in tutta rettitudi­ ne e con tutto il cuore e tutta l'anima e circonciderò il prepuzio del loro cuore e il prepuzio del cuore del loro seme e creerò in loro uno spirito santo e li purificherò cosi che non si sviino da me da quel giorno in eterno ( 1 ,22 s.).

Va notato che questo pentimento diviene, da spiegazione della continuazione storica di Israele, nonostante le passate trasgressio­ ni che ne avrebbero dovuto causare la rovina ( r , r 5 ) , la condizione in base alla quale Dio può, in futuro, creare un Israele cosl purifi­ cato dal peccato da rimanere perfettamente obbediente ( 1 ,2 2 s . ) .31 Che sia questa la visione del futuro dell'autore è confermato da 50,5 , che profetizza un tempo in cui Israele sarà «purificato» e a­ biterà «con confidenza in tutta la terra e non vi sarà più un Satana e un altro malvagio e la terra sarà pura da quel tempo per sempre» . Risulta quindi che l'idea dell'autore, che non vi sia espiazione per aver abbandonato il patto, vien meno quando si scontra con la realtà storica della continu.azione di Israele e con la sua convin­

zione che Israele è eletto e sarà alla fine purificato e salvato. Biso­ gna ammettere che non possiamo raggiungere una chiarezza asso­ luta in materia. In 1 ) ,3 2-34, citato sopra, egli sembra distinguere tra un «vero Israele», che rimane fedele al patto, e il resto, che abbandona il patto (e non osserva il comandamento della circon­ cisione) . Pure nel cap. r l'autore sembra ammettere che tutto 13 1 . Jaubert (La notion d'alliance, 1o6 s.) ha sostenuto a ragione che i passi sulla confessione dei peccati in 1 ,6 e 1 ,22-25 riBettono un rituale di confessione ripe­ tuto annualmente dalla comunità di Giubilei. La confessione è parte del rinno­ vamento del patto connessa alla festa delle settimane.

Giubilei

sraele in un certo momento ha abbandonato Dio. È stato nuova­ mente raccolto dopo l'esilio grazie al pentimento e sarà in fine sal­ vato dalla purificazione di Dio, il cui presupposto è il pentimento. Forse queste due vedute non sono in realtà in diretto conflitto.32 L'idea di «vero Israele» del cap. 1 5 serve a separare i veri israeliti dagli apostati nella generazione dell'autore, mentre quella che tut­ ti gli Israeliti hanno abbandonato Dio e sono poi tornati ha la funzione di spiegare storicamente come Israele sia sopravvissuto nonostante le più gravi trasgressioni. Il tema del pentimento e della perfetta puri6.cazione33 si proietta verso il giudizio finale e non tien conto diretto degli apostati del tempo dell'autore, anche se presumibilmente costoro non faranno più parte di Israele, e non potranno condividere la purifìcazione finale. In altri termini, il pentimento espiava nel passato ed espierà nel futuro, ma la crisi dell'epoca dell'autore è cosl acuta che cer­ te trasgressioni non consentono espiazione. Alla sua epoca la linea è tracciata nettamente : o si è leali oppure no, e non v'è tempo perché sia concessa una seconda possibilità. Parlando di peccato e di espiazione, va notato, l'autore presta attenzione solo ai peccati seri e intenzionali . Gli altri sono appena menzionati qualche volta, anche se l 'atteggiamento dell'autore di­ viene abbastanza chiaro quando fa pregare Abramo perché a Gia­ cobbe siano perdonati i peccati che ha commesso per ignoranza ( 2 2 , 1 4) . Chiaramente questi peccati erano espiati con una pre� ghiera generale di pentimento. Vediamo quindi che quando l'au­ tore dice - o pare dire - che ogni trasgressione in ogni caso esclu­ de dal patto, non è questo in realtà ciò che intende. Cosl egli si esprime a proposito della «generazione malvagia» che abbandona il patto, secondo il quale avevano accettato «di osservare e fare tutti i suoi comandamenti e i suoi precetti e le sue leggi, senza di­ partirsene né a destra né a sinistra» ( 2 3 , 1 6 ) . Potrebbe parere qui che ogni deviazione dai comandamenti costituisca un abbandono 32. L'ipotesi redazionale di Davenport spiegherebbe qui ogni discrepanza con la critica delle fonti. V. sotto, Appendice 2. 33· 1 ,22 s.; 23 ,26 ss. ; 50,5. Vediamo cosl che il cap. I conferma il nostro punto di vista che tutto Israele pecca, ma si redime se torna a Dio. Non si indica che quelli che peccano e debbono pentirsi sono solo non-esseni.

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del patto. Ciò può essere corretto nella prospettiva rabbinica, se­ condo cui ogni pecc ato intenzionale e compiuto con arroganza, senza pentimento successivo, denota un disprezzo per il patto . Ma siccome preghiera, pentimento e (come vedremo) sacrifici sono previsti, come mezzi di espiazione, ne risulta che una trasgressio­ ne come tale non esclude dal patto . Parimenti, quando l'autore scrive che, se gli Israeliti «trasgrediscono e operano l'impurità in ogni modo, saranno annoverati nel libro di quelli che saranno di­ strutti» (30,22), o intende ogni modo letteralmente (non qualsia­ si modo) o intende quelli che peccano in tal modo da escludersi dal patto. Come abbiamo visto, questi modi sono specificati in al­ tri passi. Quest'ammonizione appare nel contesto di un avverti­ mento contro i matrimoni misti. Nonostante queste ammonizioni generali contro tutte le trasgressioni, intese a incoraggiare l'obbe­ dienza a ogni legge divina, l'autore sembra aver interesse quasi esclusivo a impedire quelli che a lui apparivano i peggiori peccati, specialmente quelli che denotano una fondamentale slealtà nei confronti di Dio. Ancora come Ben Sirac, l'autore menziona il sacrificio quoti­ diano (tamid) come dotato di efficacia espiatrice . Se il comanda­ mento di non mangiar sangue è rispettato, Israele sarà preservato, «cosi che essi [ i sacerdoti , si presume ] possano continuare a sup­ plicare a vostro favore con sangue dinanzi all'altare : ogni giorno e al tempo del mattino e della sera cercheranno il perdono a vostro favore in perpetuo dinanzi al Signore perché siano preservati e non estirpati» ( 6 , 1 4 ) . Quando è detto che i sacrifici di chi dà la fi­ glia in matrimonio a un gentile non saranno accettati ( 3 o , r 6 ) , ciò implica che i sacrifici, se accettati, espiano . Anche il sabato può essere violato per mantenere i sacrifici che «espiano per Israele» ( 50, r 1 ) . Notiamo anche che il Giorno dell'espiazione espia : Faranno espiazione per se stessi allora con un giovane capro il decimo giorno del settimo mese, una volta l'anno, per i loro peccati. E que­ sto giorno è stato ordinato perché piangano allora sui loro peccati e tutte le loro trasgressioni e su tutti i loro errori cosl da purificare se stessi in quel giorno una volta l'anno ( 34 , 1 8 s.) . ..

È chiaro qui che il Giorno dell'espiazione implica il pentimento . L'autore ha occasione di trattare dei sacrifici individuali quan-

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do parla del sacrificio che Abram brucia al Signore ( 1 3 ,3 s.9 ) , ma non ne fa uso per iniziare una discussione sul valore dei sacrifici privati. Il sacrificio di Abram non è espiatorio, ma è fatto in tal modo che Dio «sia con lui e non lo abbandoni in tutti i giorni del· la sua vita» ( 1 3 ,9) . Si tratta in 2 1 ,7-1 5 di come vada offerto un sacrificio di pace, ma non v'è ancora menzione di una offerta pri­ vata per l'espiazione. Questa assenza si può attribuire all'idea del­ l'autore che i peccati involontari sono espiati con la sola preghie­ ra. In ogni caso le offerte per il peccato e per la colpa non sono presentate per peccati intenzionali.34 Non possiamo però dedurne che l'autore non avrebbe ammesso l'efficacia di offerte private per il peccato e per la colpa. Presumibilmente accettava l'intero siste­ ma sacrificale, anche se non lo descrive particolareggiatamente : altrimenti avrebbe espresso la sua disapprovazione . In genere, molto è o presupposto o semplicemente non menzionato e dob­ biamo supporre che la vita religiosa privata andasse avanti, come al solito, secondo l'autore, anche se la lista delle cose non abbrac­ ciate dalla halaka dell'autore è molto ampia. Accanto alle offerte private per l'espiazione, si potrebbero citare promesse, voti e re­ gole alimentari . L'autore non cita ad es . la proibizione di mangia­ re carne di maiale, ma certo la condivideva . Si deve parimenti de­ durre che accettava l'intero sistema sacrifìcale e la sua funzione di espiazione. I giusti

Possiamo ora prendere in considerazione la questione di chi sia «giusto» nella prospettiva dell'autore . Abbiamo già notato che Noè è chiamato giusto (; , 1 9 , «il suo cuore era giusto in tutte le sue vie») e ciò perché «non si era allontanato da nulla di quello che gli era stato ordinato» (ibid. ) . Parimenti è detto di Noè in 1 0 ,17 che «superava i figli degli uomini salvo Enoc a causa della giusti­ zia in cui era perfetto» . Di Abramo si dice che «era perfetto in tutte le sue opere con il Signore e gradito nella giustizia in tutti i giorni della sua vita» ( 2 3 ,10) . Abramo era stato prima ammonito da Dio 34· Keritot 71; Sebuot 1 31; Sifra Emor pereq 14,1·2 (su Lev. 23,27).

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ad esser perfetto, I -' ,3 ) . In 2 3 , 1 0 «gradito nella giustizia» signifi­ ca presumibilmente che era giusto, il che sembra lo stesso di «per­ fetto in tutte le sue opere>> . Altrove si sottolinea che Abramo era «fedele», termine che abbraccia sia la sua fedeltà ai comandamenti divini ( 1 7 , 1 5 ) che la sua fedeltà a Dio nell'afHizione ( 1 7 , 1 6) . In 1 8 , 1 6 la fedeltà di Abramo di nuovo implica la sua obbedienza a tut­ to quel che Dio ha comandato, mentre in 1 9 , 1 8 il suo esser fedele consiste nell'esser «paziente di spirito» nell'afBizione . Di Giacobbe si dice che è «sul retto sentiero» e che è «un uomo perfetto», come parimenti che è «fedele>> (27, 1 7) . Gli aggettivi «perfetto» e «retto» sono a lui applicati di nuovo in 3 5 , 1 2 . La moglie sua Lia era anche > e sono preservati dalla distruzione dei peccatori, anche se soffrono per il castigo divino. Usando espressioni che ricordano la promessa di Giubilei che I­ sraele sarà una «pianta di giustizia» che «non sarà sradicata» (I ub. 3 6 ,6) , il salmista scrive: Il paradiso del Signore, gli alberi della vita, sono i suoi pii.

La sua piantagione è radicata nei secoli, e

non saranno estirpati tutti i giorni del cielo (14,2 s. [ 5,4 ] ) .

Come i peccatori ereditano la distruzione, i pii «ereditano la vita nella gioia» ( r4,7 [ I o ] ) . Inoltre Dio protegge i pii. «La fiamma di fuoco e l'ira contro gli ingiusti non toccherà» chi invoca Dio ( I 5 , IO. V . Winter in IDB III, 959 : alcuni passi suggeriscono che i peccatori non han no parte nel mondo a venire ( 1 3,IO[ I r ] ; 3,13 s [ r o s.] ; 9,9 [ 5 ] ), mentre altri in­ dicano la sofferenza loro destinata dopo la morte (14,6[9] ; 1,5,1 1 [ 10] ; 15,1.5b [ 13 ] ; l'ultimo passo non sembra esser collocato nella categoria appropriata) . 2 questa una delle incongruenze di minore rilievo che possono essere attribuite a differenti autori, anche se non è impossibile che lo stesso autore possa dire en­ ..

.

trambe le cose.

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Dio ha segnato i giusti cosl che possano esser salvati dalla sua ira ( 1 5 ,8 [ 6 ] ) . La distruzione del peccatore non tocca il giusto (1 3 ,5 [ 6 ] ) ; anche se castigato, la disciplina che subisce non è co­ me «la catastrofe dei peccatori» ( 1 3 ,5 [ 7 ] ) .n Il miglior sommario sulla salvezza dei giusti e la punizione dei malvagi in base alla con­ dotta si trova in 9 ,9 s .(5 ) : 6 [ 4 ] ).

Chi opera giustizia tesaurizza vita per sé presso il Signore ;

e chi fa l'ingiustizia è causa della rovina della propria vita ; perché i giudizi del Signore sono dati in giustizia ad ogni uomo e ad ogni casa.

Giustizia e misericordia di Dio In evidente contraddizione con questa idea della rigorosa giu­ stizia con cui Dio dispensa premi e punizioni sulla base delle ope­ re è l'asserzione più frequente che con i peccatori egli tratta secon­ do stretta giustizia, mentre i giusti o i pii ricevono misericordia.12 Cosi nei versetti che seguono immediatamente quelli appena cita­ ti, dei giusti si dice che non sono riprovati per i peccati commessi, quando si pentono ; e Dio è definito buono e misericordioso verso Israele, verso quelli che lo invocano, e verso di «noi» (9 ,1 1-1 8 [ 6-9 ] ). Spesso viene affermata la distinzione nel trattamento dei peccatori e dei giusti: Benedite il Signore, voi che temete Dio nella sapienza, perché la misericordia del Signore sarà su di quelli che lo temono [ nel giudizio/3 cosl che distinguerà tra giusto e peccatore, e ricompenserà i peccatori nei secoli secondo le loro opere, I 1 . Non dobbiamo qui stabilire se si preveda o meno una vita ultraterrena per i giusti. Pur ammettendo che i pii dell'epoca credevano nella resurrezione del cor­ po, Biichler sostiene con forza che passi come 14,7( Io); Ij ,I3-I j( I I-I3) ; 9,9(5) non si riferiscono ad essa, ma solo alla salvezza dei giusti nel momento della di­ struzione :fisica dei malvagi (Piety, IjO-Ij5). Braun, d'altro canto, con molti altri, considera che un passo come Ij,Ij( I 3 ) mostra che la vita dopo la morte è il premio atteso dai pii (Erharmen Gottes, 15). Quella di Biichler pare la migliore interpretazione dei testi. 1 2. Cfr. Biichler, Piety, 180. 13. Greco: (.LE-tà. xp,IJ4"tOt;, che probabilmente traduce b•mi1paf, «in giudizio». Ryle e James : «perché la misericordia del Signore è con giudizio su quelli che lo temono». Harris e Mingana: «Misericordie ... su di quelli che lo temono con giu­ dizio».

l Salmi di Salomone

e avrà misericordia del giusto, (liberandolo) dall' afH.izione del peccatore. e ricompenserà il peccatore per quel che ha fatto al giusto. Perché il Signore è buono per quelli che lo invocano nella pazienza operando secondo la sua misericordia verso i suoi pii, stabilendo(li) per sempre dinanzi a sé nella forza (4,28 s . [ 24 .28 ] ). Distrugga Dio quelli che nell'insolenza operano ogni ingiustizia, perché grande e potente giudice è il nostro Signore nell'equità, Venga la tua misericordia, Signore, su tutti quelli che ti amano (4,28 s . [ 24 s . ] ). Infatti la vita dei giusti (sarà) nei secoli, ma i peccatori saranno portati via nella rovina, e non si troverà più memoria loro; ma sui pii la misericordia del Signore, e su quelli che lo temono la sua misericordia ( I 3 , 9b-r x [ 1 I s. ] ).

La tensione tra la ricompensa del giusto secondo le sue opere e quella secondo la misericordia divina diviene evidente se si nota l'uso dell'espressione «vivere per» . Nel salmo 1 4 si dice dei pii che vivono «per la legge» : Fedele il Signore a quelli che lo amano nella verità, a quelli che sopportano la sua disciplina, a quelli che camminano nella giustizia dei suoi comandamenti, nella legge che egli ha comandato perché vivessimo, i pii del Signore vivranno per essa1 4 nei secoli ... ( 14,1 s . [ 1- 3 ] ).

D'altro canto, i pii che temono il Signore, vivono, si dice, per la sua misericordia: E i peccatori periranno nel giorno del suo giudizio per sempre, quando Dio visita la terra nel suo giudizio; ma quelli che temono il Signore troveranno in esso misericordia, e vivranno per la compassione del loro Dio; ma i peccatori periranno per sempre ( I, , I J h-I, [ I 2 s.] ) .

In entrambi i casi il greco ha �-f)a-o'V"ta.t Év dove abbiamo tradotto «vivranno per» , e l'ebraico era probabilmente ii�iu b- ( cosl Stein e Frankenberg) . Si tratta di un punto molto importante per la 14. Il greco iv av't'@ può essere sia «per essa» (la legge) o «in lui» (Dio), perché sia xupt.o� che v6JJ.o� sono maschili. Entrambi i traduttori in ebraico usano il pro­ nome femminile, con riferimento alla torà, la legge.

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comprensione della percezione religiosa del salmista (o dei salmi­ sti) . Da un canto i giusti obbediscono effettivamente alla legge (Ps. Sal. I 4) e Dio è fedele nel premiare l'obbedienza, proprio co­ me punisce la disobbedienza. D'altro canto la salvezza dei giusti non è dovuta ai loro meriti, ma puramente alla misericordia di Dio, che li ha scelti e che li perdona .1' I temi del giudizio rigoroso secondo le opere per i peccatori e della misericordia per i pii sono molto comuni nei Salmi di Salo­ mone. Oltre ai passi già notati, si può citare 2 ,7-9 (Dio tratta i peccatori come meritano e non mostra pietà) ; 2 ,I ? ( I 6 ) («Perché tu hai reso ai peccatori secondo le loro opere») ; 8 , I 4 s.( I 3 s .) (i peccatori «non tralasciano peccato . . . perciò Dio ha versato su di loro uno spirito d'errore») , e, più singolare, I 7 , I O- I 2 ( 8- ro) . Secondo i loro peccati li ricompensasti, o Dio che si ritrovino secondo le loro opere. Dio non ha mostrato loro alcuna pietà, ne ha ricercato il seme e non ne ha lasciato andare uno libero . Fedele il Signore in tutti i suoi giudizi, che opera sulla terra .

cosl

D'altro canto Dio è misericordioso verso il povero ( 5 ,2 ; I0,7 [ 6 ] ; I 5 ,2 [ I ] ) ; ha misericordia per la casa di Israele (9 , I 9 [ I o ] ; I 8 , I ) ; ha pietà del seme di Israele ( 7,8 ; I I , 2 [ I ] ) e manifesta mise­ ricordia alla casa di Giacobbe ( 7, 9 [ r o ] ) . I giusti ottengono mi­ sericordia ( I 4,6 [ 9 ] ; I6 ,I 5 ) e Dio ha misericordia di quelli che lo amano veramente ( 6,9 [ 6 ] ) . Il salmista prega che Dio abbia pietà di «noi» , identificati con «i dispersi d'Israele» (8 ,3 3 s . [ 2 7 s . ] ) e parimenti ringrazia per l'immeritata misericordia di Dio verso di lui . Il salmista era «prossimo alle porte dell'inferno con il pecca­ tore» e sarebbe stato distrutto «se il Signore non mi avesse aiuta­ to con la sua misericordia eterna» ( I 6,I-3 ) . La misericordia di Dio è in parte manifestata dal fatto che ascolta la preghiera ( 5 ,7 [ .5 ] ; j ,I 4 [ 1 2 ] ; 6 ,8 [ 5 ] ) . Anche se i peccatori nel giorno del giudizio x,. Similmente Biichler (Piety, 130), trattando di Ps. Sal. 6,6-9(4-6), in cui il giu­ sto aspetta con fiducia che Dio ascolti la sua preghiera, mette in luce che «una tal certezza non poteva venirgli dal numero delle 'opere' ... né egli le presentava a Dio come un documento di esazione, né le accompagnava con una domanda insi­ stente per avere la ricompensa corrispondente; ma tutto quel che egli attendeva nella sua ferma fiducia era che Dio mostrasse 'misericordia' a quelli che lo amano sinceramente».

I Salmi di Salomone

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non riceveranno misericordia, il salmista può dire persino che la misericordia divina è su tutta la terra ( 5 , I 7 [ 1 5 ] ; I 8 , I .J) . Parecchi dei punti che abbiamo appena trattato sono stati indi­ viduati da Braun, sebbene egli li comprenda in modo diverso da quello or ora esposto. La differenza può essere istruttiva. Braun nota anzitutto i passi in cui la misericordia di Dio è attribuita alla sua volontà ed è vista come «immotivata» , cioè indipendente dal­ l'azione dei destinatari. Qui Braun esamina i numerosi passi in cui si dice che Dio tratta con misericordia Israele/ 6 perché Israele è il popolo del patto.r7 In contrasto a ciò egli pone le affermazioni in cui si dice che la misericordia di Dio si riversa sui giusti,r8 es­ sendo il giudizio la sorte dei malvagi ma non dei giusti.r9 Nella trattazione di Braun è chiaro che egli considera determi­ nante per la comprensione dei Salmi di Salomone il tema della mi­ sericordia divina verso il giusto, che egli vede in contrasto con la misericordia divina verso Israele. Il tema della misericordia verso il giusto viene da lui formulato cosi: la giustizia umana è un pre­ supposto della misericordia divina.20 Tutti gli atti pii - timore e amore di Dio, preghiera e lode, disponibilità a soffrire, prontezza a confessare la trasgressione - vanno cosi compresi come «presup­ posti per ottenere la misericordia divina, dunque come un risulta­ to conseguito dall'uomo . . . ».2I Anche la preghiera per ottenere mi­ sericordia va intesa come un'«opera» che produce la grazia divi­ na. 22 L'amore di Dio stesso è di conseguenza un «amore di se stes­ si camuffato» .23 Sulla base di quest'analisi Braun può concludere che non ci si dovrebbe ingannare a causa delle costanti affermazioni di fiducia nella salvezza (Heilsgewissheit) .24 Anche se non vi sono afferma­ zioni che indicano incertezza circa la salvezza, la sua analisi è cio­ nonostante in grado di mostrare che dietro a tutte le ovvie affer­ mazioni di Heilsgewissheit sta da ultimo una incertezza della sal­ vezza (Heilsunsicherheit) .2' Il ragionamento è questo : la stessa oscillazione pendolare tra le affermazioni della libera misericordia x6. Braun, Erbarmen Gottes, 18-24. 17. lbid., 21 . 2o. lbid., 29. 21 . lbid. 19. lbid., 35-46 . J8. lbid., 25-29. 2J. lbid., 33· 24. lbid. , 46. 25. Ibid. , 47· 22. Ihid. , 30.

Apocrifi e pseudoepigrafi

di Dio e quelle per cui la misericordia viene guadagnata è un chia· ro sintomo d'incertezza.26 Cosl Braun ha adeguatamente inserito i Salmi di Salomone nel quadro del giudaismo farisaico consueto tra gli studiosi cristiani, specialmente luterani e che di solito viene sostenuto con citazioni dalla letteratura rabbinica : si tratta di una religione di giustizia secondo le opere in cui le affermazioni occasionati circa la libera misericordia divina sono sommerse dalle affermazioni di autogiu· stificazione, di salvezza ottenuta con le opere. Tale religione però conduce all'incertezza, perché non si può mai sapere se si è stati giusti a sufficienza. Abbiamo mostrato che quest'idea, quando è ri· ferita alla letteratura rabbinica, è basata su un fraintendimento si· stematico del materiale e delle convinzioni religiose sottostanti. La stessa osservazione si può muovere all'analisi che Braun fa dei Salmi di Salomone .27 L'errore fondamentale è di considerare le affermazioni della mi­ sericordia divina verso Israele in conflitto con quelle per cui Dio ha misericordia dei giusti. Sembra che Braun abbia completamen· te frainteso quest'ultimo tema. Egli ritiene «assai sorprendente» che i giusti non ricevano giudizio, ma misericordia, mentre i mal­ vagi sono giudicati.28 Non ci si dovrebbe invece sorprendere : ab­ biamo visto, e vedremo, questo tema praticamente in tutta la let­ teratura pervenutaci ed è uno dei temi più comuni della letteratura giudaica palestinese. Braun fraintende il tema perché non compren­ de ciò che vi è opposto : lo prende per una affermazione di «mise­ ricordia» guadagnata , opposta ad affermazioni per cui la miseri­ cordia è gratuita . L'affermazione che Dio ha misericordia del giu­ sto è di fatto opposta ad affermazioni che sottolineano che Dio ri­ compensa i giusti per i loro meriti. Si può trovare nei Salmi di Sa­ lomone l'affermazione che Dio distribuisce equamente punizioni e premi sulla base delle opere (9 ,4 [ 2 ] ), come si possono trovare af­ fermazioni del genere nella letteratura rabbinica, nei manoscritti del Mar Morto e in Paolo, tra l'altro.29 Fondamentalmente tutta26. Ibid. 27. È singolare che Braun non citi neppure una volta l'opera decisiva di Biichler sui Salmi di Salomone (Piety) in cui le opinioni religiose dell'autore sono chiaramente esposte. 28. Braun, 46 ss. 29. Sifre a Deuteronomio 307; r QS ro,r7-21 ; 2 Cor. ,,xo.

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via i giusti non pretendevano di ottenere i benefici divini in base .al merito e dicevano così che Dio è misericordioso verso i giusti. .Parlando di Dio, si può dire che è un giusto giudice che premia e .punisce in base agli adempimenti e alle trasgressioni. Parlando di come si vien trattati da Dio tuttavia, specialmente sotto forma di .preghiera a Dio, si esita piuttosto ad attribuire i benefici divini al proprio merito . Dinanzi a Dio, al massimo si può sperare nella mi­ sericordia . C'è un altro modo in cui si può vedere che Braun ha frainteso ..i temi della misericordia di Dio verso Israele e verso i giusti . . Quando mette in contrasto la libera grazia di Dio con la grazia :«guadagnata» ( «Das Dilemma zwischen einer dem Menschen frei �und umsonst zugewandten und einer vom frommen Menschen ivierdienten Barmherzigkeit Gottes») ,30 Braun mette in contrasto due cose che in realtà non sono fra di loro in conflitto. I passi sulla c libera grazia» (la misericordia divina su Israele) riguardano l'e­ . lezione e la conservazione di Israele e mostrano, come abbiamo 'messo in luce, che tutto Israele è eletto e come tale «salvato». I .passi che trattano della misericordia divina verso i giusti riguar­ dano la loro relativa protezione dai mali temporali. Malvagi sono ·considerati quelli che hanno trasgredito il patto cosi gravemente da esser trattati come gentili; hanno cioè abbandonato il loro po­ sto nella libera, immeritata grazia conferita da Dio eleggendo e conservando Israele e di conseguenza vengono distrutti. La grazia . originale dell'elezione non è guadagnata dai giusti. Essi piuttosto, per il fatto di essere giusti, conservano il loro posto nel patto sta· bilito dalla grazia, la cui stabilità è garantita da Dio. Secondo l'au­ tore dei Salmi di Salomone, Dio avrebbe abbandonato le promes· se del patto fatte senza merito a Israele se non avesse avuto pietà dei giusti impedendo la distruzione di coloro che avevano osserva­ to l'alleanza. Ciò si vede chiaramente da 9 , I I - I 9 ( 6- I o) , dove la ·misericordia di Dio verso i giusti è basata sul fatto che egli ha scel­ to il seme di Abramo, il che comportava l'impegno a non rigettare Israele. La speranza dei giusti di ottenere misericordia scaturisce dal patto con Israele. Cosl la ricompensa è quella stabilita dalla 30.

Braun, 3'·

Apocrifi e pseudoepigrafi

grazia divina. Le buone opere del giusto non la meritano e tale formulazione, che Braun vuoi cogliere nel testo, è precisamente evitata. Le opere dei giusti consistono nel rimanere leali al patto quando altri l'abbandonano e cosi rimanere il popolo scelto desti­ natario dell'immeritata grazia di Dio.3x I giusti che ottengono la misericordia di Dio formano Israele. La misericordia verso i giu­ sti non può esser contrapposta alla misericordia verso lsraele.32 Braun sembra intendere i due tipi di affermazione - che descri­ ve come affermazioni di misericordia libera e meritata - come op­ zioni che non solo si escludono logicamente a vicenda, ma non cor­ rispondono alla condizione fondamentale dell'uomo. Egli cosl os­ serva che le affermazioni circa la misericordia guadagnata con le opere non « si applicano alla fondamentale condizione di smarri­ mento in cui si trova l'uomo», ma a concrete situazioni di pericolo in cui ci si trova.33 Si vedono qui chiaramente i presupposti teolo­ gici che Braun sovrappone al testo e lo inducono a darne una in­ terpretazione deformata. L'autore (o gli autori) dei Salmi di Sa­ lomone, come altri ebrei dell'epoca, non hanno alcuna idea del fondamentale «smarrimento» umano (abbiamo già visto che per­ sino l'idea qumraniana dell'essenziale inadeguatezza e peccamino­ sità umana non è l'idea del fondamentale «smarrimento», perché quelle caratteristiche rimangono anche in quelli che non sono «per­ duti») . È inutile criticare le affermazioni della grazia divina verso i giusti perché non correggono una situazione che non vien perce­ pita esistente. Se c'era uno smarrimento fondamentale, era stato 31. È istruttivo notare come Wellhausen tratti della grazia e della ricompensa nei premio, ma il premio è visto come dono misericordioso (Pharisaer und Sadduciier , 118 s.). Non è questa la pura e semplice giustizia in base alle opere, perché le opere degli in­ dividui non vengono in primo piano: l'ira di Dio è contro gli empi come gruppo e la sua misericordia è su tutti i pii (pp. 1 16-118). Egli vedeva in questo un punto di vista meno discutibile di quello che trovava altrove nel «farisaismo», dove è di regola la pura e semplice giustizia in base alle opere. Egli notava però che in pra­ tica tutto continuava probabilmente a dipendere dalle opere di giustizia indivi­ duali (p. 1 19). Egli forniva varie spiegazioni della superiorità della formulazione dei Salmi di Salomone: nella preghiera l'autorealizzarsi cede al sentimento di di­ pendenza da Dio; i tempi difficili non lasciano spazio al «Pedantismus des geistli­ chen Virtuosenthums»; è probabile che il farisaismo sia inaridito col tempo (ibid. ). 32. L'identità dei «giusti» e di «Israele» è mostrata nella sottosezione sui giusti e sui malvagi. 33· Braun, 45 · Salmi di Salomone. Egli ritiene che la speranza dei giusti riguardi il

·.l Salmi di Salomone

sradicato dall'elezione, per la quale si rendono spesso grazie e a cui spesso ci si richiama. Cosi i pii dei Salmi di Salomone si collocano all'interno del patto di salvezza donato dalla grazia di Dio. Essi conservano il proprio posto nel patto dei salvati rimanendo fedeli ai comandamenti. La loro fedeltà è «compensata» da Dio col fatto che sono preservati dalla distruzione temporale, sebbene non par­ lino del fatto che Dio li compensa, ma piuttosto della misericordia di Dio verso i pii, messa in contrasto col fatto che ripaga ai malva­ gi quel che giustamente si meritano (e non è messa in contrasto con -la libera grazia manifestata nell'elezione d'Israele) .

_Pentimento ed espiazione I soli mezzi di espiazione menzionati nei Salmi di Salomone so­

no connessi alla disciplina divina e al pentimento umano. Abbia­ mo già citato 9 , I 2-I 5 ( 6 s .) che indica che Dio perdona i peccatori che si pentono. Il giusto espia i suoi peccati involontari «digiu­ nando e affliggendo la sua anima» e di conseguenza Dio lo consi­ dera senza colpa ( J ,8-I o [ 7 s. ] ) ; quando i giusti si pentono, Dio non li riprova per i loro peccati ( 9 , I 5 [ 7 ] ) . Il pentimento cioè e­ spia in tal modo che la punizione non è necessaria. Dio può però usare i suoi castighi per indurre al pentimento i giusti che hanno peccato: «Se pecco, tu mi castighi perché possa ritornare (a te)» ( I 6 ,I 1 ) . Il castigo divino rende diritte le vie del giusto ( I o,3) , cioè fa sl che egli corregga la sua condotta e sia trattenuto «dalla via del male con la sferza» ( I o , I ) . Di nuovo, il salmista scrive che il ca­ stigo divino è destinato a richiamare «l'anima obbediente» dalle trasgressioni dell'ignoranza ( I 8, 5 [ 4 ] ) . D'altro canto, la punizio­ ne con cui Dio castiga può valere come pena sufficiente per i pec­ cati involontari del giusto. Perché Dio risparmierà i suoi pii,

e cancellerà con la disciplina i loro errori ( I 3 ,9 [ 1 o] ) .

Il perdono di Dio è descritto come una purificazione del trasgres­ sore che si pente (9,1 2 [ 6 ] ) e parimenti dei castighi divini si dice che purificano dal peccato ( I o,I s.) . Il salmista spera nel tempo in cui Israele sarà purificato ( I 8,6 [ ' ] ; dr. 1 7 ,3 6 [ 3 2 ] ) .

Apocrifi e pseudoepigrafi

Gli unici peccati di cui si specifica che sono espiati quando ci si pente o si vien castigati sono i peccati involontari dei pii (3 ,8 s . [ 7 s. ] ; 1 3 ,.5 [ 7 ] ; 1 3 ,9 [ 1 o ] ) . La promessa generale per cui Dio per­ dona quelli che si pentono, in Ps. Sal. 9 , non specifica quali pec­ cati siano stati commessi, ma è possibile che si pensi ai peccati in­ volontari. L'unica indicazione esplicita che anche chi ha peccato più gravemente può tornare a Dio è costituita da Ps. Sal. 1 6, cui abbiamo già fatto riferimento. È una preghiera in prima persona singolare da parte di uno che era «lungi da Dio» e la cui «anima per poco non è stata riversata nella morte», che è stato «prossimo alle porte dello Seol con il peccatore» e la cui anima «si era al­ lontanata dal Signore Dio di Israele» . Nella sua misericordia, Dio «ha pungolato» il salmista «come si pungola il cavallo» , perché po­ tesse servirlo ( 1 6 , I -4 ) . Ciò indica chiaramente che Dio ha castiga­ to chi era smarrito e lo ha cosl indotto a tornare sul sentiero della giustizia ( I 6 , 1 1 ) . Rilevante ai nostri fini è che il salmista non è certo stato al sicuro per tutta la vita nell'ovile dei «pii» . Diviene così chiaro che anche gravi allontanamenti da Dio possono esser perdonati . Il fatto che il sistema sacrificale, in quanto capace di espiazione, non sia menzionato, è probabilmente dovuto alla natura dei Salmi e alle loro preoccupazioni immediate. Come vedremo trattando della natura dei peccatori, uno dei peccati era la contaminazione del tempio, il che indica che i pii dei Salmi consideravano sacro il tempio e i suoi sacrifici.34 L)identificazione dei giusti e dei malvagi

Dobbiamo ora volgerei alla questione più presente : l'identità la natura dei giusti e dei peccatori e l'atteggiamento dei giusti nei confronti del resto degli Israeliti . È già divenuto chiaro che per indicare i giusti si usa un certo numero di termini intercambiabili . Forse il più caratteristico è «pii» (ocrt.ot., che probabilmente riflete

34· Sull'atteggiamento verso il culto nel tempio, v. inoltre Biichler, Piety, 17o-174· Egli sostiene che v'erano due scuole di IJastdim, una che favorisce i sacrifici come mezzo di espiazione, e una che non li trova necessari (pp. 193 s.). g una conclu­ sione troppo spinta, dato che i Salmi non parlano esplicitamente di espiazione mediante sacrifici.

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te l'ebraico �asidim) : 2 ,40( 36) ; 3 ,1 0(8) ; 8 ,40( 34) ; 9 ,6(3 ) (i pii fanno azioni giuste, OLxaY.oauvaL) ; 3' I J , I I ( 1 2 ) ; 14,2( 5 ) ; 14 ,6 s.(9 s.). Nell'ultimo passo, i pii sono in parallelo ai giusti : i giusti ot­ terranno misericordia nel giudizio; i pii erediteranno la vita. Il termine «giusti» (o!xaY.oL, �addiqim) ricorre quasi altrettanto spes­ so : abbiamo già visto numerosi esempi , e sono elencati da Gray. I pii e giusti sono anche chiamati i «poveri» ( 5 ,2 ; 1 .5 ,2 [ 1 ] ; cfr . . 1 6,14)/6 umili ( .5 , 1 4 [ 1 2 ] ), quelli che temono il Signore ( 2 ,37 ( 3 3 ] ; 3 , 1 6 [ 1 2 ] ; 4,26 [ 23 ] ; .5 ,2 1 [ 1 8 ] ; 6 ,8 [ ,5 ] ; I J , I I [ I 2 ] ) e quelli che amano Dio (6,9 [ 6 ] ; 1 0,4 ; 14,1 ) .37 I giusti sono anche indicati dal plurale della prima persona : «noi» («ci») : 4,27(23) ; .5 ,9(7) ; 7,8 s.(9 s.) ; 9 ,1 6(8 ) . Quel che più colpisce è che giusto sia · anche chiamato «Israele» o espressioni equivalenti: .5 ,2 1 ( I 8 ) ; I I , 2( 1 ) ; 1 2 ,7(6) ; 1 0 ,6(.5 ) ; 14,3(5 ) . È evidente che tutti questi termini si riferiscono allo stesso gruppo. Molti di loro ricorrono in un salmo, il 1 4 . Dio è fedele a quelli che lo amano, che sopportano la sua disciplina e che cammi­ nano nei suoi comandamenti, cioè nella legge che egli ci ha coman­ dato. I pii vivono per la legge e sono il «paradiso del Signore» . Non saranno mai sradicati, perché Israele è la porzione di Dio. Il loro opposto sono i peccatori e i trasgressori ( I 4,4[ 6 ] ) che saran­ no distrutti. Ma i giusti otterranno misericordia e i pii erediteran­ no la vita. Il parallelismo dei termini in numerosi altri passi indi35· Biichler (Piety, 55-r64) correttamente ha criticato Ryle e James per aver rite­ nuto che liLXCILOO'VV«f. si riferisca specialmente alle osservanze cerimoniali e alle opere di misericordia (carità). Il termine si riferisce alle azioni dei giusti in gene· re ( ibid. , x 6o). Biichler però, basandosi sull'uso dei termini di Giuseppe e Filone , sostenne anche che pio si riferisce al timore e all amore di Dio, mentre giusto si riferisce alla giustizia e all,amore verso il prossimo (pp. r6o-r64). Che questo valga per Filone e per Giuseppe (e altrove nella letteratura giudaico-ellenistica) non si può contestare. � possibile che la distinzione soggiacia ai Salmi di Salomo­ ne, anche se non emerge chiaramente. «Giusti» e «pii» appaiono più probabil­ mente come due sinonimi usati indifferentemente, e le «opere giuste» dei pii in 9,6( 3) si possono riferire alle loro azioni sia verso Dio che verso l'uomo.

36. Sulla storia di «povero», come designazione di autentica religiosità, v. Gélin, Les Pauvres. Egli riconduce l'identificazione del resto come «i poveri» a Soph. 3, I I-I3 ; 2 ,3 (pp. 33 S.). 37· Per un elenco dei casi in cui ricorre ogni termine, v. Gray, Pseudepigrapha, 628 (lista talvolta più completa di quella qui fornita). Gray non nota però che i

pii sono anche chiamati «noi» e clsraele». Cosl anche Ryle e James, XLVIII.

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ca la loro sinonimia fondamentale. Così i pii sono in parallelo con quelli che temono Dio in I J , 1 1 ( 1 2 ) ; i giusti, i pii, quelli che invo­ cano Dio e quelli che lo temono sono tutti paralleli in 2 ,37-40(3236) ; Israele, i pii e i poveri sono in parallelo in 10,6-8( 5-7) ; Israe­ le è in parallelo con i pii in I 2 ,7( 6) ; Israele è in parallelo con quel­ li che temono Dio in 5 ,2 I ( I 8) ; Israele è in parallelo con «noi» (o «Ci >> ) in 7,8(8 s.) , e la casa di Giacobbe è in parallelo con «noi» nel versetto successivo; l'equazione di ) e in 8 ,3 3 s.(27 s.) . Quel­ li che temono il Signore sono in parallelo con «noi» in 4,26 s.(2 3 ) . Questi parallelismi incrociati, e altri che si potrebbero citare, mo­ strano oltre ogni dubbio che tutti i termini si riferiscono allo stes­ so gruppo. 38 Le caratteristiche dei giusti e dei pii si descrivono in breve. Es­ si obbediscono alla legge ( I 4, I [ 2 ] ) e sono scrupolosi nell'evitare anche i peccati di ignoranza (3 ,8 [ 7 ] ) ; non accumulano peccato su peccato ( 3 ,7 [ 6 ] ) ma sono stabili (ibid.), per quanto possano inciampare (3 ,5 ) . Sempre ringraziano Dio, anche quando soffro­ no, perché vedono nella sofferenza la divina disciplina ( 3 ,4 ; I O,I s.; I4,1) . Quale che sia la loro presente angustia, sempre dichiara­ no che Dio è giusto ( 3 ,3 .5 ; 2 ,I 6 [ I 5 ] e altrove) . Si ricordano di Dio e lo invocano con pazienza ( 3 ,3 ; 2 ,40 [ 36 ] ; 6 , I s.) . Nonostan­ te il loro scrupolo di evitare il peccato, possono però peccare, nel qual caso espiano e si pentono ( 3 ,9 [ 8 ] ; 9,I I- 1 5 [ 6 s. ] ) . Alcune delle loro caratteristiche sono evidenti dal modo in cui sono chia­ mati. Temono Dio (senza dubbio nel senso di Ben Sirac, come ve­ dremo quando tratteremo di quelli che non lo temono) e lo ama­ no. Sono poveri e soffrono per mano dei peccatori ( 2 , 3 9 [ 3 5 ] ) ; e anche chiamati gli «umili» ( 5 , 1 4 [ I 2 ] ) . I peccatori sono, in parte, avversari esterni, per lo meno nel salmo 2 : Quando il peccatore si faceva arrogante, con un ariete abbatté mura fortificate, e non glielo impedisti. 38 . Ciò è in genere accettato. V. Gray , 628 ; Winter, 9'9·

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Nazioni straniere salirono sul tuo altare, lo calpestarono arroganti con i loro sandali ( 2 ,1 s . ).

I peccatori sono qui ovviamente soldati romani sotto Pompeo.39 Furono forse questi i peccatori che «assalirono» e fecero sl che il salmista invocasse Dio, in Ps. Sal. I , I . Egli lamenta che «le loro ini­ quità andarono oltre quelle delle genti prima di loro, profanarono contaminandole40 le cose sante del Signore» ( 1 ,8 ) . Qui l'espressio­ ne «genti prima di loro» probabilmente si riferisce ad altre genti e i peccatori in Ps. Sal. I sono anche probabilmente romani.4r In I 7 ,26(23) i «peccatori» che saranno «rigettati>> dal Signore sono probabilmente le nazioni che opprimono Israele.41 I peccatori cui principalmente pensano i Salmi sono però prin­ cipalmente correligionari ebrei. L'invasione romana di fatto fu una punizione per i peccati di Israele. I romani profanarono il tempio «perché i figli di Gerusalemme avevano contaminato le cose sante del Signore, avevano profanato con iniquità le offerte di Dio» ( 2 ,3 ) . A questo si pensa probabilmente anche in 8 , 1 5 s. ( 1 4 s.). La stessa logica appare in I7 ,6( 5 ) , dove il salmista dice che gli ebrei peccatori che opprimono i pii sono sorti a causa dei peccati degli stessi pii. La natura del peccato dei peccatori ebrei è descritta più ampiamente in Ps. 8 , che si può citare estesamente: 39· V. il rinvio a Giuseppe in Gray, ad loc. 40. «Contaminarono» è in greco É�E�T)À.wcra.v ; il probabile ebraico è pillel. «Pro­ fanare» è meglio che «contaminare», che sembra riferirsi all'impurità rituale più che alla profanazione. In 2,3 però «rendere impuro» (p.1.a.Cvw, {imme' ) è paralle­ lo con «profanare» (�E�T)À.6w, pillel). 41. Gray, 628, equipara il peccato di 1,8 a quello di 2 , 3a, sottintendendo cosl che i peccatori di 1,8 sono, come quelli di 2,3a, israeliti. Winter, 959, ritiene parimen· ti che I,8 si riferisca agli israeliti che sono peggiori dei pagani, non ai romani che erano peggio degli altri gentili. Cosl anche Biichler, Piety, 140; Ryle e James, XLVII. Questa è certo un'interpretazione possibile, ma propendo verso l'idea che i peccatori di Ps. I siano romani. Certo il loro peccato è, come genere, simile a quello dei giudei peccatori (insolenza, profanazione), ma questo è uno dei temi centrali dell'autore. Il riferimento alla contaminazione di Gerusalemme in 8,26(22 ) sembra riferirsi anche più chiaramente ai romani che ai peccatori ebrei , che i roma· ni hanno già distrutto e deportato ( 8,2o-24[ I 8-2 I ] ). A seguito della «contamina­ zione», si dice che Dio giudica «le nazioni» (8,27[23 ] ). Gray però ritiene anche che la contaminazione di 8,26(22) sia quella dei peccatori ebrei (p. 628). Cosl anche Winter, 959; Ryle e James, XLVII. 42. Questo non è certo, perché il parallelismo potrebbe esser progressivo: egli pu­ rifica Gerusalemme dai gentili e caccia via i peccatori (del luogo) .

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In luoghi segreti le loro iniquità come provocazione; si mescolarono figlio con madre e padre con figlia . Commisero adul terio , ciascuno con la moglie del prossimo, fecero un patto tra loro con giuramento su queste cose. Le cose sante di Dio saccheggiarono, come non vi fosse erede a fare vendetta. Calpestarono l'altare del Signore venendo da ogni sorta di impurità. e con sangue mestruo contaminarono i sacrifici come se fossero carne profana. Non vi fu peccato in cui non sopravanzassero le genti (8, 9 -14[9-1 3 ] ) .

I l salmista continua dicendo che Dio li punì portando l a guerra contro Gerusalemme, come abbiamo già notato. I peccatori giun­ sero al punto di collaborare introducendo gli invasori dentro Ge­ rusalemme. Pompeo però si volse contro di loro e distrusse i capi e > è accusato di promiscuità sessuale (4,4-6) . In 2 ,3 , già citato, si parla anche della trasgressione contro la santità del tempio e il servizio nel tempio. Gli israeliti peccatori furono peggio dei pagani special­ mente, sembra, «profanando» le offerte e «contaminando le cose sante del Signore» , il che probabilmente si riferisce al tempio e ai suoi arredi; perché è questo il genere di trasgressione che gli israe­ liti peccatori hanno in comune con i gentili. I gentili «profanano» le cose sante del Signore ( I ,8) e «contaminano Gerusalemme e le cose consacrate al nome di Dio» ( 8 ,26 [ 22 ] ) .43 Non sarebbe cor­ retto chiamare trasgressioni contro la santità del tempio peccati 43· V. sopra, n. 41 .

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«cerimoniali» . Come ha giustamente evidenziato Biichler, con­ trarre impurità !evitica di per sé non è peccato.44 Il peccato consi­ ste in parte nel depredare il santuario ( 8 , I 2 [ I I ] ) , ma la vera o­ diosità del crimine è nell'atteggiamento dei peccatori, che si com­ portano come non vi fosse vendicatore (ibid.) e disobbediscono volontariamente ai comandamenti di Dio che riguardano il servi­ zio al tempio. Non è la colpa in materia rituale ad esser condanna· . ta in sé, ma l'atteggiamento dei sacerdoti che volontariamente trat­ tano i sacrifici come si trattasse di «carne profana». È difficile precisare altri peccati specifici. Il peccatore è ipocri· ta e «piacente agli uomini» (4, I-8 [ 7 ] ) . Mente anche quando pro· nuncia un giuramento (4,4) . Quando il salmista dice che disgrega le famiglie e devasta le case con la menzogna (4,I 3 .23 [ 1 0 s.2o ] ) , non è chiaro se il crimine sia l'oppressione o la seduzione. A que­ st'ultima sembra alludere il paragone con il Serpente (4,I I [ 9 ] ) e l'affermazione che con l 'inganno i peccatori «hanno abbindolato le anime delle persone integre» (&xa.xot-, temimim) (4,2.5 [ 22 ] ) . L'atteggiamento del peccatore è tuttavia espresso chiaramente nei salmi 3 e 4 : è singolarmente simile a quello del peccatore nel Siracide. Mentre quando il giusto inciampa, dichiara Dio giusto ( 3 ,5 ) , il peccatore inciampa e maledice la sua vita, la sua nascita e il travaglio di sua madre { 3 , I I [ 9 ] ) . Il giusto cerca il peccato per espiarlo ( 3 ,8 [ 7 ] ) , mentre il peccatore assomma peccato a peccato ( 3 ,I 2 [ Io ] ) . Abbiamo visto che egli è ipocrita, vuoi piacere agli uomini ed è dominato dall'avidità sessuale. La ragione delle sue azioni è il suo atteggiamento verso Dio. A differenza del giusto, che si ricorda di Dio ( 3 ,3) e lo teme, i peccatori non si ricordano di Dio né lo temono (4,24 [ 2 I ] ) . Il peccatore pensa che «non v'è alcuno che veda o giudichi» (4,I 4 [ I I ] ) . Egli è, in breve, arrogan­ te nella sua ingiustizia (4,2 8 [ 24 ] ) , e anche cosl, in questo modo , simile agli aggressori romani ( I ,4-6) . Il termine più comune in greco è «peccatori» che, nonostante Gray, probabilmente non traduce l'ebraico pa{{a'im ma ,.eJa'im, «malvagi» .4' Non è improbabile che il greco «ingiusth> (&ot-xot-) 44· Biichler, Piety, I43· ,., . V. Gray, 628, dove si dà un elenco dei termini che ricorrono. L'improbabilità di 1Jana'1m risulta dalle traduzioni ebraiche. Cosl sia Frankenberg che Stein hanno

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traduca la stessa parola, o forse ra�im ( I 2 ,6 [ j ] ;46 I j ,6 [ 4 ] ) .47 So­ no anche chiamati «trasgressori» ( 14,4 [ 6 ] ; 4,2 I [ I 9 ] ; I 2 ,I .4), che è in greco 1ttl.pa\'OIJ.Ot. e potrebbe essere in ebraico rsa' tm , an­ che se le traduzioni ebraiche di Stein e Frankenberg usano sia ,.e­ Ja'im che ratm per 1ta.paVO(.J.Ot.. La convinzione generale degli studiosi è che i pii sono i farisei e i peccatori i sadducei.48 La severa condanna dei peccatori è così presa come indizio di una disputa tra due partiti. Come dice Gray «occorre naturalmente ricordare e tenere conto che si tratta di un'opera fortemente di parte. Né la giustizia del giusto, né il pec­ cato del peccatore debbono essere presi troppo letteralmente» .49 V'è qualche verità nell'osservazione di Gray, anche se dovrebbe esser modificata. Anzitutto nulla indica che i peccatori siano sad­ ducei come tali. È molto più probabile che fossero i sommi sacer­ doti asmonei e i loro sostenitori, specialmente quelli che collobo­ rarono nell'introdurre Pompeo nella città. Delle due differenze ca­ ratteristiche tra farisei e sadducei - la questione della legge orale e della resurrezione - non si fa menzione. Che i nemici dei pii siano gli Asmonei'0 e i loro sostenitori sem­ bra indicato chiaramente in 1 7 ,6-8( 5 s.), in cui un rappresentante dei pii lamenta che essi sono dominati dai peccatori che dominano su Israele: E, per i nostri peccati, dei peccatori sono sorti contro di noi; ci hanno assalito e ci hanno respinto, quel che tu non avevi promesso loro, se lo presero con la violenza e non glorificarono il tuo nome onorevole. raJa' per riJJ,ap't'wÀ.6c; in 2,38{34) e di frequente. Usano occasionalmente IJaf!il' per rtJ..Ulp't'wÀ.6c;, chiaramente per variare. Solo in I5,9-13(8-r2) Frankenberg tra­ duce ttiJ.ap'twÀ6t; con rasa' tre volte e con IJa!fa' una volta. Stein usa ogni termine due volte, ma non ha IJa!fa' dove ce l'ha Frankenberg. Il greco potrebbe aver tra­ dotto lo stesso ebraico in tutt'e quattro i casi, e il termine più probabile è rizJtt. Ra' è più probabile di IJatta' come alternativa, nell'originale, a raJa 46. Stein: raim, Frankenberg: �dsqim. 47· Stein: raJtt, Frankenberg : ra•. 48. Gray, 630; Winter, 9.59; Ryle e James, XLIV-LII; Rengstorf, TWNT 1, 327; sopra, n. 4· 49· Biichler, 628 . 50. Biichler (Piety, I7I-I73 ) sostiene in modo persuasivo che gli Asmonei erano criticati per aver usurpato il regno, per aver spogliato il tempio e per aver trascu­ rato la santità del tempio e i sacrifici. Il loro sacerdozio come tale non è contesta­ to, solo il modo di praticarlo e l'usurpazione del titolo regale.

I Salmi di Salomone

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Posero un re nella gloria nel luogo per loro sublime, devastarono il trono di Davide in tumultuosa arroganza.

Il salmista continua dicendo che ora Dio ha punito questi pecca­ tori mediante «un uomo estraneo all a nostra razza», probabilmen­ te Pompeo. Il loro seme è spazzato dalla terra. Dio li ha scovati tutti «e non ne ha lasciato uno libero» ( I ?,8h-I 2 [ ?- I O ] ) . I sad­ ducei non furono distrutti da Pompeo o Erode. Gli Asmonei tut­ tavia persero il loro potere e in questo senso furono distrutti, men­ tre Pompeo si impadronl di Gerusalemme. Rimaneva, per Erode, da completare la distruzione degli Asmonei, ma il presente riferi­ mento sembra essere alla conquista di Pompeo piuttosto che al­ l'uccisione sistematica degli Asmonei da parte di Erode.'1 In ogni caso non v'è sostegno, nella descrizione della distruzione divina dei nemici dei pii, per l'idea che tali nemici fossero sadducei. La loro identificazione come sadducei sembra riposare in parte su una equazione semplificante tra Asmonei e sadducei. Cosi Gray, dopo aver detto che i «peccatori» sono i sadducei, correttamente evidenzia l'opposizione alla monarchia non davidica che caratteriz­ za i Salmi di Salomone.'2 Il secondo punto è destinato a sostenere il primo. Egli chiaramente vede nei sadducei dei rappresentanti della monarchia non davidica . Parimenti Winter dice che le lamen­ tele contro i sacerdoti sono contro «l'aristocrazia sacerdotale sad­ ducea» ." Ma gli Asmonei erano sommi sacerdoti, e non possono semplicemente identificarsi con i sadducei.'4 5 1 . 17,14 (ha mandato via peccatori a occidente) sembra riferirsi a Pompeo più che a Erode. Cosl Gray, ad loc. ; Ryle e James, ad loc.; Biichler, Piety, 172. 52. Gray, 63o; cfr. Ryle e James, XLV-XLVII. 53· Winter, 9.59· 54· La questione della relazione tra sadducei e Asmonei è complessa e non può esser trattata appieno qui : non sono comunque la stessa realtà. Il sacerdozio sad­ duceo fu probabilmente reinstaurato dagli Asmonei e i sadducei continuarono co­ me importante partito dopo la distruzione degli Asmonei. Inoltre è improbabile che i sacerdoti-re asmonei si concepissero come appartenenti a uno dei «partiti» (no­ nostante Ryle e James, XLV s.) . D'altro canto, gli asmonei e i sadducei avevano probabilmente interessi e punti di vista simili, suggeriti dalla loro ricchezza e po­ sizione. È anche degno di nota che non si ritiene che le «sorelle dei sadducei» os­ servino le regole farisaiche sulla purificazione dopo il periodo mestruale (Nidda 4,2). Cfr. l'accusa rivolta al sacerdozio asmoneo in Ps. Sal. 8,13( 12). Senza dubbio molti dei sostenitori degli Asmonei erano sadducei. Eppure è spingere un po' troppo la somiglianza descrivere i Salmi di Salomone come un testo che rappresen­ ta il dibattito tra farisei e sadducei .

Apocrifi e pseudoepigrafo

Prescindendo dalla questione dell'identificazione dei partiti, la critica religiosa verso i peccatori è chiara: sono peccatori coloro che, dal punto di vista dei «pii » , hanno peccato così da infrangere il patto tra Dio e Israele. Essi hanno derubato e profanato il tem­ pio e il servizio liturgico, divenendo così come i gentili, oppure hanno di fatto collaborato con il tradimento che consegnava Israe­ le in mano ai gentili. Le accuse di immoralità sessuale possono, come suggerisce Winter, essere «Convenzionali» .'' D'altro canto l'accusa che i sacerdoti asmonei servissero nel tempio in stato di impurità rituale può esser fondata nei fatti e non setnplicemente convenzionale. Se ciò era vero, essi, dal punto di vista di ogni giu­ deo osservante che credesse nella Bibbia, schernivano volontaria­ mente l'espressa volontà di Dio. L'accusa particolare che i sacer­ doti servivano nel tempio dopo aver avuto rapporti con le mogli quando queste non si erano purificate dopo il periodo mestruale, certo , sarebbe ardua a sostenersi nel dettaglio ( 8 , I 3 [ I 2 ] : «E con sangue mestruo contaminarono i sacrifici») e senza dubbio rappre­ senta una generica disputa halakica, più che la conoscenza di epi­ sodi particolari. '6 In ogni caso i peccati dei peccatori erano considerati così odio­

si da far sì che quelli che li avevano commessi perdessero il loro posto nel patto. Non sono più chiamati «Israele» , ma, come met­ teremo ancora in luce, il titolo «Israele» è applicato ai giusti, ai pii, a quelli che temono e amano Dio . Cosi in 1 2 ,7 [ 6 ] il salmista prega che la salvezza divina possa «esser su Israele suo servo per sempre» . Continua pregando che i peccatori possano perire, men­ tre i pii ereditano le promesse del patto . Parimenti in 7 ,8(8 s . ) il salmista esprime la sua fiducia che Dio avrà «pietà del seme di I­ sraele per sempre» e non lo rigetterà ; al contrario , «noh> saremo sotto il giogo di Dio per sempre. In 1 8 ,4(3) il salmista dice che Dio ama «il seme di Abramo, i figli di Israele» e di conseguenza «Ci» castiga . L'identificazione è egualmente chiara in 9 , 1 7(9) . cita­ to sopra e in 1 0 ,6-8 (5-7) . Vi sono due aspetti di questa identifica­ zione. Uno è l'esclusione di quelli che peccano in certi modi , pro­ fanando deliberatamente il tempio e i suoi sacrifici , aiutando e spalleggiando il nemico e con l'immoralità insolente e impeniten,,. Winter, 959·

I Salmi di Salomone

te. D'altro canto i «pii» che rimangono non risultano esser solo un piccolo partito in Israele che si arroga il titolo di «Israele» e di «seme di Giacobbe», «seme di Abramo» e simili. I titoli stessi e la continua invocazione conclusiva, che la misericordia di Dio sia su Israele (cfr. le parole finali dei Ps. 7 , 8 , 9 , I o e I I ) indicano che il salmista o i salmisti sapevano che le promesse del patto includono tutto Israele e che solo quelli che peccano in modo tale da auto­ escludersi sono estirpati da Israele. Se, cioè, ci trovassimo qui di­ nanzi ad una angusta prospettiva di parte, lo spirito di parte sareb­ be più evidente di quanto lo è. Ci si dovrebbero aspettare riferi­ menti a quelli che chiamano se stessi Israeliti e non lo sono o ad un patto speciale concluso tra Dio e i membri del partito. Ma i peccatori tra i giudei che perdono il nome di «Israele» sono solo quelli che peccano peggio dei gentili. Non v'è ragione di pensare che quest'accusa fosse mossa con leggerezza a tutti quelli di un partito che non erano d'accordo con i farisei sull'interpretazione della legge . I pii sono, sotto un certo profilo, un gruppo limitato di persone particolarmente scrupolose. D'altro canto tutti quelli che temono e amano Dio e che non commettono uno dei tre tipi di peccato elencati sopra possono essere annoverati tra i pii e so­ no in Israele. Mentre cioè il concetto di Israele è limitato, non è tuttavia limitato ai membri di un partito nettamente definito, ma a quelli che temono e amano Dio e non trasgrediscono insolente­ mente e odiosamente la sua legge. La cosa si può scorgere con la maggior chiarezza in Ps. I 7, che contiene una profezia della nuova età che sarà inaugurata da Dio con un «figlio di Davide» ( I 7 ,2 3 [ 2 I ] ) . Il salmista prega che il re futuro sia fortificato affinché possa schiacciare dominatori ingiusti [no a distruggerla. e possa purificare Gerusalemme dalle nazioni che la calpestano si­ Nella sapienza e nella giustizia caccerà i peccatori dall'eredità. Distruggerà l'orgoglio del peccatore come recipiente di vasaio, con verga d'acciaio manderà in frantumi ogni loro sostanza, manderà in rovina le nazioni empie con la parola della sua bocca, al suo rimprovero le nazioni fuggiranno dal suo volto e riproverà i peccatori nel pensiero del loro cuore ( 1 7 ,24•27 [ 22·25 ] ).

La questione è qui se i «peccatori» siano lo stesso delle «nazioni» .

Apocrifi e pseudoepigraft

Il parallelismo risulta progressivo piuttosto che sinonimico e sem� bra che la profezia sia che il re purificherà Israele dagli stranieri (cfr. anche I 7 ,3 1 [ 3 8 ] ) ed espellerà i peccatori dal paese. Dopo questa purifìcazione, rimarrà un «vero Israele» , chiamato «popolo santo» e tutti saranno «figli di Dio» (vv. 28 .3 0 [ 26 s. ] ; dr. 36 [ 32 ] ) . L'autore può parlare delle «tribù del popolo che è stato santificato dal Signore» cosicché risulta che il resto sarà un nazio­ ne intera, non solo un pugno di ultra-pii (v. 28 [ 26 ] ) . Come nella speranza apocalittica di Giubilei, Israele sarà allora senza pecca­ to (vv. 29 [ 2 7 ] ; 3 6 [ 3 2 ] ; 46 [ 4 1 ] ) e il governante stesso sarà «pu­ ro di peccato» (v. 4 1 [ 36 ] ) . In quei giorni Israele sarà servito dai gentili (v. 3 2 [ 3 o ] ), anche se la loro sottomissione non avverrà per opera delle armi, ma di Dio stesso e sarà in parte effetto del­ l'ammirazione dei gentili di fronte alla gloria di Israele e del re (vv. 34-3 9 [ 30-3 5 ] } . Il salmo conclude : Benedetti quelli che si troveranno in quei giorni [ ranno riunite. a vedere i beni di Israele che Dio apporterà quando le tribù sa­ Possa Dio affrettare su Israele la sua misericordia, ci liberi dalla contaminazione dei nemici impuri ! D Signore stesso (è) nostro re nei secoli e per sempre ( 1 7,50 s.[44-46 ] ) .

Ecco di nuovo l'identificazione del «noi» con Israele, ma di nuo­ vo nessuna indicazione che «Israele» si riduca ad un piccolo par­ tito. Al contrario, la «riunione delle tribù» sembra implicare che un notevole numero di ebrei, tra cui forse molti al presente di­ spersi, non saranno considerati peccatori e rigettati, ma inclusi in «Israele» quando la nazione verrà santificata . L'ampliamento del «noi» sino ad includere tutto Israele eccetto i peggiori peccatori sembra accennata anche in 7,9 [ 1 0 ] : «Ci stabilirai ... avendo mise­ ricordia della casa di Giacobbe» . Merita notare che in Ps. 1 7, di nuovo come in Giubilei, la pro­ messa di purificare Israele dai peccatori e della riunione di un po­ polo santo segue l'affermazione che tutto Israele si è smarrito: ... giacché non vi era alcuno in essi che facesse giustizia e giudizio, dal loro capo all'ultimo di loro tutti furono peccatori ;'7 '7· Sul testo, v. Gray, ad loc. Una simile correzione è proposta da Stein; cosl che Ryle e James.

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I Salmi di Salomone

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il re era nella trasgressione e il giudice nella disobbedienza e il popolo nel peccato ( 1 7 ,2 r s . [ I 9 ] ) .

Il nuovo, glorioso Israele, privo d i peccato, che sorgerà sarà crea­ to da Dio, mediante il re, da un popolo peccatore. La liberazione escatologica sarà qualcosa di più che la liberazione dei «pii» . È e­ vidente che tutto Israele, compresi molti che hanno peccato, sarà riunito, essendone esclusi i soli «malvagi», che hanno peccato al punto da rinunciare al patto. La giustizia di Dio

Possiamo ora brevemente volgerei a considerare l'idea di «giu­ stizia di Dio» , uno dei temi più frequenti nei Salmi di Salomone.'8 Quando il salmista dice che Dio è giusto, afferma che il giudizio divino è giusto ; Dio è un giusto giudice. Cosl 2 ,36( 3 2 ) ; 4 ,28(24) ; 8 ,8 ; 8 ,27-3 2 ( 2 3-26 ) ; 9 ,3-10(2-5 ) . La giustizia fa di Dio il vendi­ catore del peccato ( 8 , I 2 [ I I ] ) . I suoi giudizi, come sono retti (giusto, ot:xa.t.o�), sono anche buoni ( 8 , 3 8 [ 3 2 ] ) . Che Dio meriti fiducia come giudice giusto giustifica anche il titolo di «fedele»; egli è «fedele in tutti i suoi giudizi» ( I 7 , I 2 [ I o ] ), come è fedele nel salvare quelli che lo amano e con pazienza sopportano il suo castigo ( 1 4,I ss .) . Nella sua giustizia egli punisce tanto gli israeli­ ti che peccano ( 2 , I 2 [ I o ] ) quanto i gentili. Se il suo giudizio con­ tro quest'ultimi sembra talvolta tardare ( 2 ,29 [ 25 ] ) è tuttavia cer­ to ( 2 ,30-36 [ 26-3 2 ] ) . Uno degli elementi che più colpiscono è l a costante affermazio­ ne che Dio è «giusto» o (usando il verbo) è «giustificato» , il che chiaramente avviene dinanzi a fatti che parrebbero mettere in que­ stione tale giustizia.'' Cosi 2 , 1 4 ss .( 1 2 ss .) : nonostante l'aperta trasgressione di alcuni in Israele, il salmista «giustificherà» Dio (ot.xa.r.wcrw erE), dichiara cioè che egli è giusto, e continua: Perché nei tuoi giudizi la tua giustizia, o Dio, perché hai reso ai peccatori secondo le loro opere, e secondo i loro peccati che erano molto gravi. ,s. Cfr. Becker, Das Heil Gottes, 29-32. L'analisi di Becker non è seguita qui. '9· V. inoltre Biichler, Piety, 167·169.

Apocrifi e pseudoepigrafi Hai scoperto i loro peccati, perché fosse manifesto il tuo giudizio, hai cancellato la loro memoria dalla terra. Dio è giudice giusto e non ha riguardo delle persone ( 2 , I 6-1 9 [ x;-x 8] ).

La giustizia di Dia" (la sua ot.xar.o0"Vv1) , �edaqa) non è la sua carità,

dunque, e neppure la sua clemenza, ma la sua imparzialità : non ha particolare riguardo di alcuno. Per quanto ho osservato, or.­ xar.oO"u-vl) = �tJaqa non si riferisce mai nei Salmi di Salomone alla clemenza o alla carità. È una caratteristica del giusto di percepire e di proclamare la giustizia divina nonostante si accorga che i pii soffrono: 3 ,3 ; cfr. 8 ,3 1(26). Quando tutti gli interventi di Dio verso gli uomini sono riesaminati, il salmista può giustificare Dio (tot.xat:wa-a, Gray : «Ho ritenuto Dio giusto>>) ( 8 ,7) . Il salmista ammette che è ben merita­ ta la dispersione di Israele, giusta punizione per i peccati di Israe­ le e che avvenne in tal modo che Dio potesse «esser giustificato» nella sua giustizia (9,3 [ 2 ] ) Nel salmo 4, forse uno dei primi nella raccolta,6o il salmista prega che Dio possa togliere di mezzo «quel­ li che vivono nell'ipocrisia con i pii» (v. 7 [ 6 ] ), così che i pii pos­ sano ritenere giusto ( ot.xat.wO"at.> allora lancia il suo appello più commovente, basato co­ m'è sull'intera concezione giudaica della misericordia di Dio e sul­ la sua fedeltà nei confronti del suo popolo eletto. Dio è chiamato «compassionevole» e «grazioso» ( accetta colui che si pente) ; è

Apocrifi e pseudoepigrafi

«paziente» «poiché è pronto a concedere il suo favore piuttosto che ad esigere». Egli è «di grande misericordia>> , «buono» e, quel che più conta, «perdona, perché se non avesse perdonato quelli che furono creati dalla sua parola e cancellato la moltitudine del­ le loro iniquità, ne sarebbero forse rimasti assai pochi di una mol­ titudine innumerevole» (7,1 3 2 - 1 40) . Ma l'angelo raccoglie solo le ultime parole : «Quest'età l'Altissimo l'ha creata per molti, ma l'età a venire per pochi» ; «molti sono stati creati, ma pochi sa­ ranno salvati! » (8 ,1-3 ) . Che sia Dio per natura compassionevole, grazioso, che perdoni, e simili, viene di fatto negato, o per lo me­ no è respinta l'argomentazione del veggente in quanto basata su questi attributi : dica quel che vuole sul come Dio si manifesterà misericordioso, l'appello del veggente per il recupero dei peccato­ ri è rifiutato. Lo stesso appello è ripetuto ma di nuovo respinto. Dio sarà chiamato grazioso se avrà compassione di quelli che sono privi di opere di giustizia; i buoni, dopo tutto, possono cavarsela da soli. Il guaio è che «non v'è nessuno sulla terra che non abbia agito con malvagità» . Cosl la compassione divina è assolutamente necessaria ( 8 , 3 I -3 6) . Ma l'angelo è inflessibile : Alcune cose le hai dette giuste e secondo le tue parole avverrà . Perché per verità non mi occuperò della creazione di quelli che hanno peccato e della loro morte, giudizio, o perdizione ; ma mi rallegrerò ( piuttosto) della creazione dei giusti, (del) loro pellegrinaggio e della loro salvez­ za e della loro ricompensa ( 8 , 37-3 9 ).

L'unica differenza tra l'impostazione quanto mai pessimistica di «Esdra» (tutti peccano e perciò tutti muoiono) e la risposta del­ l'angelo è che vi sono alcuni giusti . Esdra stesso è annoverato tra di essi e sarà salvato ( 8 ,47-.54) . Ma «Esdra» è ammonito a «non chiedere più nulla circa la moltitudine di quelli che periscono» ( 8, .5 .5 ) . Sembrerebbe che i martiri siano anche annoverati tra i pochi giusti ( 8 ,.5 7 ; cfr. 7,89) . Vediamo cosi che il conforto offerto con la promessa che la fine presto verrà si applica a molto pochi, a quelli che sono pressoché perfetti e che rimangono perfettamente obbedienti anche se subiscono persecuzione e morte. Non v'è nul­ la nei dialoghi che contraddica questa visione rigoristica. La pos­ sibilità di pentimento è accennata dall'angelo (9,1 2 ; dr. 7 ,8 2), ma il fatto è che i trasgressori non si sono pentiti. L'angelo conti-

4 Esdra

nua ripetendo che assai pochi si salveranno. Si possono paragona­ re, rispetto ai malvagi che sono condannati, a una goccia rispetto al diluvio, ad un acino rispetto al grappolo, ad una pianta rispetto alla foresta . «Perisca allora la moltitudine che è stata generata in­ vano, ma si salvi il mio grappolo e la mia pianta che ho portato a perfezione con molta fatica>> (9,1 3-2 2 ) . Né v'è indicazione alcuna che « i pochi» sono Israele e che inve­ ce la «moltitudine» sono i gentili. Nel corso dei dialoghi l 'accento si sposta dalla sventura della nazione d'Israele a quella degli in­ dividui che hanno ricevuto la legge ma l'hanno trasgredita. Que­ sti sono, probabilmente, degli israeliti ed essi sono condannati. In ogni caso la posizione deli'angelo, che solo la perfetta (o presso­ ché perfetta) obbedienza basta, è costantemente mantenuta. La richiesta di perfezione si scorge non solo nella definizione di «giu­ sto» secondo l'angelo (7 ,89), ma è chiaramente implicata nelle la· ·mentele e negli appelli di «Esdra» . La sostanza dell'affermazione del veggente, secondo cui la situazione disgraziata dell'uomo è che tutti (o «quasi tutti», 7,48) sono malfattori (7,1 3 8- r 4o), che non hanno osservato i precetti (7,7 2 ) ma hanno commesso iniqui­ tà (7,I 3 8-r4o ; 7,68 .72 ) e fatto opere e azioni che portano alla dannazione ( 8 ,3 3 ; 7,r 2o) è precisamente che la trasgressione è inevitabile. Sono benedetti quelli che osservano i comandamenti ( 7,45 ), ma chi può farlo cosl adeguatamente? Nonostante la carat­ terizzazione dei malvagi come coloro che disprezzano, rinnegano e scherniscono Dio e la sua legge (7 ,24; 8 ,55 s .) e la difficoltà ad enunciare esempi di disobbedienza, la richiesta che Dio rivolge non è solo quella di una lealtà di fondo, come hanno sostenuto Box e Rossler, ma di effettiva obbedienza ( 7 ,2 2 ) . La lealtà non è impossibile per quasi tutti, ma la perfetta obbedienza lo è. La si­ tuazione sventurata dell'uomo è dimostrata dall 'atteggiamento di Dio . Il suo amore per Israele ( 5 ,40) è mostrato con il fatto che egli mantiene le sue richieste : obbedire o esser condannato. È me­ glio che i trasgressori periscano piuttosto che la gloria della legge sia offuscata per il fatto di aver pietà di loro. Tale sembra essere il punto di vista dell'autore dei dialoghi, e su questa base dobbia­ mo dissentire dalla posizione di Rossler secondo cui l'elezione co­ me tale salva; e anche da quella di Harnisch, secondo cui è allo

Apocrifi e pseudoepigrafi

scetticismo del veggente che l'angelo primariamente risponde. Il pessimismo del veggente è confertnato , mentre i suoi appelli alla misericordia per i trasgressori sono respinti . Le visioni

Dobbiamo ora prendere in considerazione la proposta fatta da Harnisch, ma ripresa da Breech, che le visioni finali forniscano una risposta al problema posto dai dialoghi. Va anzitutto notato che mentre 9 ,2 2 segna la fine delle visioni in cui il veggente dialoga con l'angelo, la posizione angelica di 3 ,1-9,2 2 è immediatamente confermata nella sezione seguente, e viene solo ora presentata co­ me accettata da «Esdra» . La sostanza di 9,29-37 è riassunta nei due versetti finali : «Noi che abbiamo ricevuto la legge e abbiamo peccato dobbiamo perire, insieme al nostro cuore, che l'ha accol­ ta in se stesso : la legge tuttavia non perisce ma rimane nella sua gloria» . Qui la potenza di Dio e la giustizia della sua legge sono affermati, ma ciò non serve a nulla agli individui che trasgredisco­ no, che sono condannati come in 3 ,1-9,2 2 . La visione che segue immediatamente, quella della donna sconsolata, non fa nulla per respingere quest'idea. La maggior parte di quelli che nascono van­ no alla perdizione ( 1 0,1 1 ) . La gloria eterna di Sion è rivelata ( 1 0 , ,o) , ma nulla si dice della salvezza degli israeliti che trasgredisco­ no. La legge e Sion sono buoni e gloriosi in e di per sé; non appor­ tano però la salvezza. L'immagine della gloria di Sion sembra sem­ plicemente confermare l'affermazione in prosa della gloria della legge in 9 ,36 s . : quelli che peccano periscono, ma la legge rimane gloriosa . La visione dell'aquila, che segue, risponde meno direttamente o forse non risponde affatto al problema della dannazione dei mol­ ti. Se 1 2 ,34 è autentico, e non è un'interpolazione come pensava Box, apprendiamo che quelli che sopravvivono (la guerra finale con Roma? ) saranno liberati . Non possiamo tuttavia stabilire se quelli che sopravvivono sono solo quei molto pochi (una goccia in un diluvio, cfr. 9 , 1 6 ) che riescono ad obbedire alla legge perfetta­ mente. Se è a questi che si pensa, v'è allora per loro una certa con­ solazione. Se tuttavia si pensa a Israele, allora questa visione è in

4 Esdra

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netta contraddizione con il punto di vista della prima parte del li­ bro, contraddizione tale da non poter esser trascurata, armonizza­ ta o fatta scomparire. Sono però in genere del parere che la pro­ messa definitiva vittoria di Israele su Roma, che costituisce il ba­ ricentro della visione dell'aquila, non risponde semplicemente al problema precedente del peccato e della dannazione e rivela cosi che il Sitz im Leben della visione dell'aquila differisce da quello :dei capitoli precedenti. Soltanto nella visione dell'uomo che viene dal mare la prece­ .dente visione pessimistica può essere affrontata. Leggiamo certo che quelli che sopravvivono saranno quelli che «hanno opere e fe­ de verso» Dio ( 1 3 ,2 3 ) . La successiva interpretazione sembra però presupporre che vi sarà una gran quantità di tali persone. Quando l'uomo si erge sul monte Sion, tutte le nazioni verranno a combat­ terlo ma le distruggerà ( 1 3 ,3 3-3 8 ) . Sono queste ovviamente le na­ zioni gentili, perché v'è un'altra moltitudine raccolta, che consiste delle dieci tribù nuovamente adunate (le quali hanno cercato di osservare i precetti in esilio emigrando in una terra sconosciuta) e i giudei residenti in Palestina (se 1 3 ,48 non è un'interpolazio­ ne) . Questo Israele di nuovo raccolto e unito viene difeso dall'uo­ mo distruggendo le nazioni (gentili) ( 1 3 ,3 9-5 1 ) . Quest'ultima visione, facendo appello alle immagini tradizio­ nali della riunione di Israele e della distruzione dei gentili, pre­ suppone semplicemente che gli Israeliti osservino la legge e che siano alla fine salvati da Dio. Il redattore finale può aver visto in questa visione una conclusione che poteva «salvare» 4 Esdra, e renderlo digeribile e conforme alla prevalente speranza giudaica. La visione angelica dei primi capitoli è implicitamente negata, ma l'autore non si impegna nell'analisi approfondita sulla questione della trasgressione e della dannazione che aveva tormentato l'auto­ re dei dialoghi tra Esdra e l'angelo. Si può confermare l'ipotesi di Breech se si ha in mente il punto di vista del redattore finale che aggiunse questa visione (e forse le altre) ai dialoghi. Ma non ci si può appellare alla visione dell'uomo che viene dal mare per nega­ re (come sembra fare Breech : i dialoghi sono inconcludenti) che P autore dei dialoghi aveva in mente proprio quello che faceva di­ te all'angelo : che l'obbedienza perfetta alla legge è richiesta per la

Apocrifi e pseudoepigrafi

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salvezza; che i trasgressori, gentili o giudei, sono distrutti e che a stento si può salvare qualcuno, in base a questo criterio rigoroso. Così la risposta alla domanda sul significato del libro dipende in parte dalla risposta che si dà alla questione dell'autore. Se si ri­ tiene che l'opera sia unitaria e che il suo significato reale derivi dalla visione finale, si deve condividere la posizione di Breech e Hamisch. È difficile vedere tuttavia come si possa tenere questa posizione cosl fermamente da trascurare le reiterate risposte ne­ gative che l'angelo dà alle speranze e alle perorazioni del veggen­ te in 3 , I -9 ,2 2 Si dovrebbe supporre che l'autore, che ha cosl ac­ curatamente costruito i dialoghi e ha affrontato qui le questioni più pressanti dell'esistenza umana - se v'è speranza per l'uomo dato che pecca abitualmente, se sarebbe meglio per lui non esser nato - abbia poi deciso, con la sezione finale, di lasciar cadere quelle domande e di tracciare un quadro tradizionale (e relativa­ mente ingenuo) della vittoria di Israele sui gentili. Sembra a me più probabile che la visione finale (e il cap. 14) costituisca una ap­ pendice accomodante destinata a rendere 4 Esdra più gradito al gusto degli ambienti giudaici. Risulta perciò preferibile pensare che il punto di vista delfautore principale - non contraddetto dal­ le visioni immediatamente successive ai dialoghi - è quello del­ l'angelo dei dialoghi. La posizione «angelica» è di fatti quella per cui il patto come tale non apporta i benefici della protezione divi­ na daiPafflizione e persino dalla distruzione (in contrasto con i Salmi di Salomone: castigati ma non distrutti) , ma che solo i per­ fettamente giusti, che sono pochi, saranno salvati da Dio e ciò so­ lo dopo sofferenze e pene. Troviamo qui l'approccio più vicino alla giustizia legalistica delle opere che possa essere trovato nella letteratura giudaica del periodo, perché solo qui i tradizionali attri­ buti di Dio - egli liberamente perdona, recupera i peccatori e man­ tiene le promesse del patto nonostante la trasgressione - sono ne­ gati. In altri termini, 4 Esdra differisce dall'altra letteratura che abbiamo studiato per il fatto di considerare il peccato come una potenza cui virtualmente non si sfugge (vedi 3 ,20) , pur reputan­ dolo ancora come una trasgressione della legge da punirsi come tale . Abbiamo notato che a Qumran gli uomini, anche gli eletti, erano considerati «nel peccato» nel senso che erano partecipi della •

4 Esdra

,7,

fragilità umana, ma che la fragilità umana come tale non era moti­ vo di condanna. Erano previsti mezzi di espiazione per la maggior parte delle trasgressioni e gli eletti non erano «perduti» anche se «nel peccato» . In 4 Esdra invece l'incapacità umana di evitare il peccato si ritiene conduca alla dannazione . È questa visione pessi­ mistica della situazione umana che distingue l'autore dal resto del giudaismo quale appare dalla letteratura rimastaci.

CAPITOLO QUARTO IL GIUDAISMO PALESTINESE

(200 A.C. - 200 D.C . ).

CONCLUSIONE

Patto e legge Uno dei punti cruciali per la comprensione del giudaismo nel periodo studiato è la relazione tra legge e alleanza. Gli studiosi cristiani hanno in genere ritenuto - convinzione tutt'altro che uni­ versalmente condivisa - che vi sia stata una degenerazione della visione biblica nel giudaismo pos tbiblico.1 La nobile idea di un tempo, che il patto sia offerto dalla grazia divina e che l'obbedien· za sia conseguenza di quel dono grazioso, degenerò in un angusto legalismo, secondo il quale ci si deve guadagnare la grazia divina con la minuta osservanza di disposizioni irrilevanti. Tesi questa che fu portata all'estremo, per quel che riguarda la letteratura rab­ binica, da Rossler, che tuttavia non fu affatto il primo a formu­ larla . Questa concezione è comune tra i biblisti. Si può citare ad esempio il saggio, eccellente in via generale, di H.A.A. Kennedy sull'alleanza, pubblicato nel 1 9 1 5 . Descrivendo la relazione tra patto e legge nell 'Antico Testamento, affermava : Non va dimenticato che la concezione del sistema legale rivelato pre· supponeva l'esistenza del patto . Esso è dato alla comunità in quanto sta dentro il patto . E presupponeva a sua volta quella relazione che possiamo solo chiamare fede nella misericordia e nella benevolenza di Dio . Cosicché tutto quello che il popolo compie nel culto col rituale I . In aggiunta all'introduzione al cap. I , v. l'ampia documentazione data da Koch,

Ratlos vor der Apokalyptik, 36, 45 s. , 55 ss. ; trad. ital. 44, 54 ss ., 74 ss . Limbeck (Die Ordnung des Heils) ha anche discusso la diffusa idea che il giudaismo posthi·

blico rappresenti l 'inaridirsi della religione di Israele. Egli mostra come questa concezione ( che riconduce a Wellhausen) sia entrata non solo nella ricerca neote· stamentaria (egli tratta di Bousset, Bultmann, Bornkamm e Conzelmann, 1 3, I8 s.) ma anche in quella veterotestamentaria {Noth e von Rad, I6). Egli attribuisce alla scarsa influenza di Moore e Bonsirven la posizione predominante di Billerbeck { 19 s. n. 30). La sua impostazione non include tuttavia la letteratura rabbinica .

Conclusione

5 77

più tardo non viene compiuto allo scopo di raggiungere la éomunione con Dio : lo scopo è di mantenere intatta la comunione .2

Tuttavia questo quadro si modifica nel periodo successivo: Ma per questo periodo, la prova culminante dell'elezione di Israele è il suo possesso della legge. L'obbedienza alla legge perciò è il segno principale della sua accettazione della grazia divina. Ma siccome questa obbedienza implicava l'osservanza di minuti precetti, la nozione di merito era destinata a insinuarsi e cosl la rigida concezione contrattua· le offuscò quella del patto, che riposava sulla misericordia di Dio.3

Ho sostenuto, e spero dimostrato, che ciò dipende da un frainten.. dimento del materiale giudaico posteriore e che la prima descri· zione della concezione del patto presentata da Kennedy fu conser· vata da Israele, non esclusi i rabbi, che si ritiene siano i migliori rappresentanti di un angusto legalismo sostitutivo dell'idea di al· leanza per grazia di Dio e dell'obbedienza alla torà come risposta personale dell'uomo nell'ambito del patto. Questa relazione tra patto e legge risulta quasi onnipresente nel materiale esaminato. L'unica eccezione è Ben Sirac, che non met­ te in connessione la questione dell'obbedienza alla legge con quella dell'elezione . Ciò si spiega senza dubbio con due fatti: I egli si rivolgeva ai soli Israeliti (nonostante il carattere generale di mol­ te delle sue ammonizioni) e la questione del rapporto eletti/non eletti difficilmente si poneva (egli presenta effettivamente un qua.. dro tradizionale della redenzione di Israele nel cap. 36) ; 2 . egli non aveva alcuna idea in merito alla punizione e al premio nel mondo futuro, cosl parlava solo della relativa prosperità e soffe .. renza sperimentate in questa vita. Egli poteva trattare della sorte dei giusti e dei malvagi in questo mondo usando la dottrina gene· rale della retribuzione, e la questione se una persona fosse o no cdentro» � se si sarebbe cosl «salvata» non si poneva. Altrimenti però, in tutta la letteratura esaminata l'obbedienza ha il compito di conservare al singolo il suo posto nel patto, ma non guadagna la grazia divina come tale. Semplicemente mantiene l'individuo nel gruppo destinatario della grazia divina. Ciò vale anche per 4 Esdra . Anche la posizione pessimistica dei dialoghi non rovescia di fatto .

2.

Kennedy, The Covenant Conception, 389.

3· Ihid., 392.

Il giudaismo palestinese

questa relazione tra patto ed obbedienza. La differenza è che l'oh· bedienza dev'essere perfetta, cosl che la trasgressione porta alla dann azione. Cosl la salvezza nei dialoghi di 4 Esdra risulta essere mediante le opere (si deve essere perfettamente obbedienti per sal­ varsi), ma la relazione formale tra patto e legge è conservata (l'ob­ bedienza mantiene il singolo nel patto) . Di frequente è stato usato come argomento stringente contro il primato della concezione del patto nel «giudaismo tardivo» l'ar­ gomento che la parola «patto» non compare spesso. Così van Un­ nik, concordando con Bousset sul fatto che l'idea di patto recede nel giudaismo, nota che Bousset correttamente non ha posto «pat­ to» nel suo indice:� Gli studi terminologici non sono sempre svianti, ma possono esserlo, e questo lo è. Sulla base dell'analisi della concezione rabbinica del patto e dell'elezione (sopra, cap. I ) , oso affermare che è proprio la natura fondamentale della condizio­ ne del patto che rende in gran parte ragione della relativa scarsità di apparizioni del termine «alleanza» nella letteratura rabbinica.' L'alleanza era presupposta e le discussioni rabbiniche erano per gran parte orientate nel senso della questione del come adempie­ re gli obblighi del patto . Le stesse argomentazioni e il modo stes­ so in cui le questioni sono formulate mostrano la convinzione che il patto fosse in vigore, che Dio cioè fosse fedele alle promesse del patto. La questione era precisamente sul come gli Ebrei potessero esser fedeli agli obblighi del patto. Osservazioni simili si possono fare sulla maggior parte della letteratura restante. Il patto è men­ zionato direttamente nei manoscritti del Mar Morto con relativa frequenza perché la stessa esistenza della setta era basata sulla convinzione dei suoi membri di possedere il vero patto (o la sua 4· W .C. van Unnik, La conception paulinienne de la nouvelle alliance, in Descam.ps altri, Littérature et théologie pauliniennes, 113. Similmente Roetzel, ]udgement in the Community, 55 s.

e

J. Una seconda ragione sarebbe l'uso di altri termini, come «regno dei cieli» e «giogo dei cieli». V. cap. I , sez. 4 e I I . Si può paragonare con la conclusione di Heinemann che, sulla base di uno studio di 8r.a.&i)x1'), Filone non conosceva la concezione del patto. Heinemann ha trascurato altri termini, come «nazione». V. E.P. Sanders, The Covenant as a Soteriological Category and the Nature of Salva­ tion in Palestinian and Hellenistic ]udaism, in ]ews, Greeks and Christians (Fest­ schri/t W.D. Davies), ed. Ham.erton-Kelly e Scroggs, I976, n. ,,.

Conclusione

vera interpretazione) a causa della necessità di stabilire gli specia· li requisiti per essere ammessi e per rimanere nel patto. In gene­ re però la parola non compare molto nella letteratura del periodo, anche se le idee connesse al patto sono assolutamente comuni. Inoltre l'obbedienza è universalmente ritenuta la condotta appro­ priata per esser nel patto, non il mezzo per guadagnarsi la grazia divina. Quanto il giudaismo sia unanime su questo punto, e come sia insolita, nella letteratura che ci rimane, la posizione di 4 Esdra, si può scorgere considerando il tema della misericordia divina. È un tema che, in tutta la letteratura esaminata, eccetto 4 Esdra, si tro­ va fianco a fianco con quello della retribuzione rigorosa (a ciascu­ no secondo le sue opere) . Vi sono due differenti formulazioni che riguardano la misericordia e la giustizia. Una è quella della lette­ ratura rabbinica: la misericordia di Dio è più grande della sua giu­ stizia. Nell'altra letteratura, la formulazione usuale è che Dio pu­ nisce i malvagi per le loro azioni, mentre concede misericordia ai giusti. Il tema della misericordia verso i giusti è elaborato special­ mente nei manoscritti del Mar Morto e nei Salmi di Salomone e appare anche in Ben Sirac, Giubilei e 1 Enoc.6 I temi della mise­ ricordia e della retribuzione non si escludono a vicenda, ma ser­ vono a funzioni differenti. Le affermazioni nel senso che Dio ripa­ ga a ciascuno quanto gli deve servono ad affermare l'equità di Dio e ad assicurare a peccatori e giusti che quel che fanno conta. Dio non è capriccioso. Non punirà per l'obbedienza e non premierà la trasgressione. Il tema della misericordia - sia nei termini della mi­ sericordia divina che sceglie Israele o che accetta i peccatori pen­ titi (il pentimento non acquista un premio, ma trova una risposta da parte di Dio nella misericordia) , sia nei termini che Dio «pre­ mia» il giusto a causa della sua misericordia - serve ad assicurare che l'elezione, e da ultimo la salvezza, non si possono guadagnare, ma dipendono dalla grazia di Dio. Non si può mai essere abba­ stanza giusti da esser degni dinanzi a Dio del dono definitivo, che dipende dalla sua misericordia. Il tema della misericordia divina come qualcosa in cui da ultimo anche i giusti debbono confidare 6. V. «misericordia per i giusti» nell'indice. Per le fonti rabbiniche, v. anche le fonti cit. sopra, pp. 320 s.

Il giudaismo palestinese appare in tutta la letteratura esaminata, eccetto 4 Esdra, dove la compassione divina è esclusa dall'angelo e il giudizio avviene di fatto strettamente secondo le opere. La presenza del tema della misericordia divina nella letteratura restante e la sua assenza in 4 Esdra aiuta a mostrare che la salvezza non era in genere ritenuta qualcosa che si guadagna col merito. È in 4 Esdra che si dice chia­ ramente che i giusti meritano la redenzione e non hanno bisogno della misericordia (4 Esdr. 8 ,3 3 ) ,7 e certo non v'è misericordia per i malvagi . In 4 Esdra non sembra esservi posto per uno che è fondamentalmente leale (in termini rabbinici, uno che «confes­ sa» ) , ma disobbedisce. La questione è: come dev'essere perfetta l'obbedienza per provare la lealtà fondamentale? In 4 Esdra la ri­ chiesta è estrema . Quelli che «credono» obbediscono anche, men­ tre quelli che trasgrediscono si ritiene che «rinneghino».8 Cosl il tema della misericordia divina verso i membri di Israele che sono fondamentalmente giusti, ma non sempre obbedienti (cioè in pra­ tica verso tutto Israele) non compare. Ecco perché cosi pochi si salvano. In altri termini 4 Esdra differisce dall'altra letteratura e­ saminata in quanto non specifica che solo certe trasgressioni com­ portano che si rinneghi Dio e il patto. È anche questo un tema as­ sai frequente nella letteratura ma assente in 4 Esdra,9 dove la tra­ sgressione come tale e non solo la trasgressione più deliberata e odiosa comporta che Dio sia rinnegato.

Il comune modello di religione: il nomismo del patto (covenantal nomism) Il fatto che 4 Esdra si distingua aiuta ad evidenziare sino a qual punto il tipo di religione che si può chiamare più correttamente «nomismo del patto» sia comune nel giudaismo quale risulta dal­ la letteratura qui considerata. Il «modello» o la « struttura» del nomismo del patto è la seguente : I . Dio ha scelto Israele e 2 . ha 7·

8,33 è detto da «Esdra», ma è una delle cose che l'angelo ritiene che egli abbia detto giusto». 8. Rossler, Harnisch e altri definiscono la disobbedienza in 4 Esdra unicamente ce> me slealtà fondamentale. Sembra meglio definire la slealtà come una disobbedienza. 9· V. «rinnegamento di Dio (del patto}» nell'indice. c

Conclusione

dato la legge. La legge implica sia 3 . la promessa di Dio di mante­ nere l'elezione e sia 4 . la richiesta di obbedire . 5 . Dio compensa l'obbedienza e punisce la trasgressione. 6 . La legge fornisce i mez­ zi di espiazione e l'espiazione ottiene 7 . la conservazione o il re­ eupero della relazione del patto. 8 . Tutti quelli che si mantengo­ no nel patto con l'obbedienza, l'espiazione e grazie alla misericor­ dia divina appartengono al gruppo di quelli che si salvano. Una . importante interpretazione del primo e degli ultimi punti è che l'e­ lezione e da ultimo la salvezza sono considerati un frutto della mi­ sericordia divina piuttosto che un conseguimento umano. I singoli documenti non contengono ciascuno tutti i motivi ora elencati. 1 Enoc ad esempio è notevolmente «carente» . Credo pe­ rò che persino nelle varie parti di Enoc si può scorgere abbastan­ za da giustificare la pretesa che gli elementi non nominati sono presupposti. Si può infatti cogliere il requisito dell'obbedienza e dedurre che qualcosa deve essere stato dato perché ad esso si ob­ bedisse, anche se non si cita il dono della legge . Parimenti possia­ mo notare l'esistenza del tema che i giusti ricevono misericordia mentre i malvagi sono puniti rigorosamente in base ai loro atti. Ciò ancora pare implicare che l'elezione e la salvezza come tali non avvengono mediante le opere della legge, anche se l'obbedienza è la condizione per rimanere giusti. Non si può certo affermare che vi sia una teologia sistematica uniforme nel materiale studiato e ciò non è implicito quando si sostiene una fondamentale coerenza nel modello di religione sot­ tostante. La definizione qumraniana del patto e dei comandamen­ ti «dati per mano di Mosè» certo diverge da quella rabbinica, ma v'è accordo sul primato dell'alleanza, sul suo significato e sull 'esi­ genza di obbedire ai comandamenti. I mezzi di espiazione non so­ no cosi precisamente identici, ma v'è accordo sul posto dell'espia­ zione all'interno del contesto totale. Che le differenze all'interno di un modello comune possano incidere in profondità è dimostra­ to dall'esistenza della comunità di Qumran come setta separata, ma le differenze non dovrebbero impedirci di vedere quel che è comune.10 Così alla frequente affermazione che vi sono numerosi IO.

V. anche Sandmel, The First Christian Century, 23

s.,

83 .

Il giudaismo palestinese

giudaismi nella Palestina del periodo studiato si può rispondere sl no, a seconda appunto di quel che si vuoi dire . Vi sono ovvia· mente gruppi differenti e teologie differenti su numerosi punti. Ma risulta che c'era in comune qualcosa di più che il solo nome di «ebreo» . n o

Apocalittica e legalismo Questo studio non offre alcun sostegno a quelli che hanno in­ sistito sul fatto che apocalittica e legalismo costituiscono due tipi o correnti religiose sostanzialmente differenti nel giudaismo del­ l ' epoc a . 1 2 L'esistenza a Qumran di un gruppo fortemente nomisti­ co con un'accentuata attesa di una fine imminente deve costitui­ re motivo della massima prudenza dinanzi a questa semplicistica contrapposizione. I manoscritti del Mar Morto indicano che una intensa attesa della fine imminente non è di per sé costitutiva di un tipo religioso distinto, e nemmeno persino di una setta. Il tipo generale di religione che si trova in Qumran non è eccezionale, anche se vi si trovano aspetti notevoli e unici. Inoltre non è l'a­ pocalittica a fare della setta quello che è. Essa è una setta a causa della differente nozione di elezione e di appartenenza al patto. Non v'è ragione di pensare che chiunque aspettava la prossima fì. ne ridefinisse il patto e l'elezione. Non sono convinto dell'idea che la concezione dell'obbedienza sia un elemento distintivo nella letteratura apocalittica. Il fatto che non si specifichino comandamenti particolari in 1 Enoc e in 4 Esdra non pare implicare che non ci si aspetti l'obbedienza con­ creta ai comandamenti biblici. Al contrario, come abbiamo nota­ to nella nostra trattazione di 4 Esdra, sono i precetti e i comanda­ menti che vanno osservati . L'obbedienza mostra la lealtà di fondo, ma ciò vale anche per la letteratura rabbinica, come la trattazione I I . Il materiale qui studiato è tutto di provenienza palestinese, e quindi la con· elusione sugli elementi comuni si deve limitare alla letteratura giudaica palestine· se. Ho altrove sostenuto che il «nomismo del patto» è anche caratteristico di mol­ ta parte dell'ellenismo giudaico, sebbene nella letteratura giudaico-ellenistica si trovino importanti tratti che mancano nella letteratura palestinese. V. The Cov· mant as a Soteriological Category. I2. Il problema è discusso, ad es., da Koch, Ratlos vor der Apokalyptik, 47 s.; trad. ital. 54 ss., e Russell, The Method and Message of Jewish Apocalyptic, 23·28.

Conclusione

del tema della confessione e del rinnegamento ha dimostrato. Giu­ bilei è parimenti istruttivo in proposito. Mentre non è principal� mente un'opera di attesa apocalittica,X.3 essa ha un preciso orienta­ mento verso il futuro, specialmente nei capp. 2 3 e .5 0 . Eppure po­ che opere sono più ha anche il vantaggio di preparare una base di discussione sul tema delle sette e dei partiti giudaici. Si ritiene comunemente, seguendo più o meno Giuseppe, che i vari gruppi del giudaismo fossero egualmente «sette» o «partiti», e i due termini sono inter­ cambiabili nell'uso. 14 Sembra utile piuttosto fare una distinzione in base a quello che possiamo chiamare esclusivismo soteriologico . Un gruppo può negare la salvezza a tutti salvo che ai membri del gruppo stesso, o può semplicemente dire che tutti nella comunità più ampia dovrebbero accettare i principi del proprio partito . È facile fornire un'analogia moderna . Nella misura in cui i conser­ vatori sostengono che dovrebbero esser loro a governare il Cana­ da e che il Canada starebbe meglio con loro, essi sono un partito. Se invece l'attuale dirigenza Tory (o un qualsiasi altro gruppo) andasse nel Manitoba del nord, vi stabilisse parlamento e tribuna­ li e proclamasse che tutti quelli che non obbediscono alle loro leg­ gi non sono veri canadesi, ma traditori del Canada, essi sarebbero una setta. In questo senso l'unica letteratura veramente settaria è quella dei manoscritti del Mar Morto .1' Anche in essa si era rilut­ tanti ad applicare semplicemente il titolo di «Israele)> al gruppo, ma i non membri della setta erano chiamati traditori e il patto era definito come patto della setta. Giubilei rivelava una certa ten­ denza al settarismo a causa della questione del calendario, ma un definito punto di vista settario non vi sembra presente . La lettera­ tura rabbinica, con la inclusione implicita (e talvolta esplicita) de­ gli "amme ha-·are� in «Israele» è chiaramente non settaria nel sen14. Cosl ad es. Neusner, From Politics to Piety, 4; Understanding Rabbinic ]u­ Jaism, r2; Buchanan, Consequences of the Covenant, 8o, 238 («varie sette ... si credevano l'unico vero resto di Israele») ; ].A. Sanders, The Old Testament in II Q Melchizedek, 373 {le «denominazioni giudaiche» con «le molteplici proteste di essere il vero Israele>>). ar. cap. I , sez. 7 n. 52. 15. Russell (Method and Message, 22.) si oppone all'uso di «Setta)) perché non v'è ortodossia da cui i «settari» si possano separare. I manoscritti del Mar Morto nondimeno mostrano che un gruppo poteva ritirarsi da una comunità più ampia e condannare quelli che ne erano estranei alla perdizione. Questo giustifica il ter­ mine «setta�.

Conclusione

so in cui il termine viene qui usato. Se tutti i rabbi fossero stati paberim (un punto su cui si discute alquanto) vi sarebbe stato un esclusivismo pratico nei rapporti sociali . Ma nella misura in cui gli camme ha-'are! non erano esclusi da «Israele», il punto di vista è piuttosto quello di un partito che di una setta. Sembra meno importante dare un nome a tutti i partiti e sette. V'è stato uno sforzo considerevole per cercare di attribuire la let­ _teratura pervenutaci a uno dei partiti menzionati da Giuseppe. Forse sarebbe come voler attribuire ogni libro del Nuovo Testa­ mento a una persona menzionata in un altro luogo del Nuovo Te­ stamento. La tendenza più antica era di notare la distinzione tra sadducei e farisei sulla resurrezione e di attribuire quindi la mag­ gior parte della letteratura superstite ai farisei, perché la resurre­ zione è abitualmente accettata, almeno implicitamente. Charles, così, considerava farisaico Giubilei, 16 sebbene il calendario avrebbe dovuto impedire l'identificazione. I Salmi di Salomone sono anco­ ra talvolta classificati come farisaici per il fatto che non sono sad­ ducei, esseni o zeloti.17 Non sono affatto convinto che tutta la let­ teratura debba essere assegnata a questo o quel partito .18 Se si de­ ve seguire Giuseppe, si deve allora prendere in considerazione i numeri che egli attribuisce ai farisei, che egli chiama parti to do­ minante.19 Se 6 .ooo furono i farisei, ne consegue che la maggior parte degli ebrei non apparteneva a un partito. La nostra tratta­ zione dei «partiti» e delle «sette» non vuole affrontare la lettera­ tura che parla di partiti e di sette, ma mettere in luce il carattere «partitico» o «settario» di ogni libro o complesso letterario. Il giudaismo ai tempi di Gesù e di Paolo

La nostra ricerca non era destinata a rispondere alla questione su quale fosse il giudaismo in Palestina prima del 70 d.C. Non ab­ biamo trattato dei farisei e dei sadducei come tali, ad esempio, ma solo della letteratura superstite. A me sembra del tutto possibile 16. V. Pseudepigrapha, 1 . 17. Maier, Mensch und freier Wille, 283-293 . 18. Cosl anche Sandmel, The First Christian Century, 24; Reicke, Offidal and Pietistic Elements of ]ewish Apocalypticism : ]BL 74 ( 196o) 137-1,0. 19. Flav. Ios., beli. 2,162 ; ant. x8 ,12.

Il giudaismo palestinese

che noi non solo non siamo in possesso di alcuna letteratura sad­ ducea, ma virtualmente neppure di letteratura farisaica, a parte i frammenti compresi nel materiale rabbinico. Cosi io ammetto di sapere sul farisaismo molto meno di quello che molti studiosi «san­ no». Si possono però dire alcune cose sul giudaismo prima del 7o, in base al presente studio. A causa della coerenza con cui ci si attiene al «nomismo del pat­ to» dall'ini2io del sec. n a.C. sino alla fine del sec. II d.C., si deve ipotizz are che il nomismo del patto fosse diffuso nella Palestina prima del 70. Era quindi il tipo fondamentale di religione nota a Gesù e presumibilmente a Paolo (si sa poco dei tratti caratteristi­ ci del giudaismo in Asia Minore) . Non si può escludere completa­ mente la possibilità che vi fossero degli ebrei colpiti con precisio­ ne dalla polemica di Mt. 2 3 , ebrei che badavano solo a banalità e trascuravano le cose più importanti . Essendo la natura umana quella che è, si può supporre che vi fossero persone di questa sor­ ta. Si deve tuttavia dire che la letteratura giudaica superstite non le rivela. Si deve ricordare che la letteratura pervenutaci non ci fu tutta trasmessa da ebrei. Gli apocrifi e i pseudoepigrafì furono tra­ smessi da cristiani, mentre i manoscritti del Mar Morto furono trovati per un caso. Cosi in tutta questa letteratura si ha il giudai­ smo come parlava di sé in quel periodo, non solo il giudaismo quale le generazioni successive volevano che fosse ricordato (come avvie­ ne per il cristianesimo) . In base al presupposto che una religione dovrebbe esser compresa in base alla propria autopresentazione, sino a che questa non sia manifestamente censurata, e non sulla base di attacchi polemici, dobbiamo dire che il giudaismo prima del 70 manteneva grazia e opere nella giusta prospettiva, non ri­ duceva a banalità i comandamenti divini e non era particolarmen­ te segnato dall'ipocrisia . La frequente accusa cristiana contro il giudaismo - occorre ricordarlo - non è che alcuni singoli ebrei fraintesero, applicarono male e fecero cattivo uso della propria re­ ligione, ma che il giudaismo necessariamente tende verso un lega­ lismo angusto, verso una casistica fine a se stessa e che inganna se stessa, e verso un misto di arroganza e di mancanza di fiducia in Dio. Ma la letteratura ebraica rimastaci è esente da queste carat­ teristiche, per quanto la conosco. Serbando coerentemente la strut-

Conclusione

tura fondamentale del nomismo del patto, il dono e l'esigenza di­ vina erano tenuti in una sana relazione reciproca, i minuti detta­ gli della legge erano osservati sulla base dei principi più generali della religione e con lo scopo di abbandonarsi a Dio, mentre d'al­ tra parte era incoraggiata l'umiltà di fronte al Dio che aveva scelto Israele e l'avrebbe alla fine redento. Vediamo inoltre che 4 Esdra non rappresenta particolarmente bene il giudaismo. Secondo una venerabile tradizione vigente tra gli studiosi cristiani, 4 Esdra dà un'immagine precisa del farisai­ smo o del giudaismo conosciuto da Paolo. Koberle ha sostenuto la cosa in forma sistematica : «Nel complesso . . . l'autore di 4 Esdra senza dubbio ci dà una presentazione corretta della ripercussione della credenza nel giudizio futuro sulle espressioni della pietà giu­ daica individuale. Tutte le più importanti espressioni della fede nella grazia e nella misericordia divina vi appaiono negate» .20 La posizione a favore della rappresentativa di 4 Esdra è stata spesso sostenuta. Così Dodd ha ritenuto che 4 Esdra rappresenti al me­ glio la «posizione precristiana di Paolo» ,21 Longenecker ha ritenu­ to 4 Esdra una delle principali fonti per la conoscenza del «primo farisaismo»,22 e Bornkamm ha affermato che l'apocalittica giudai­ ca trova in 4 Esdra il suo esito inevitabile.23 Va anzitutto notato, per ciò che concerne l'uso di 4 Esdra in quanto rappresentativo del giudaismo prima del 7o, che nessun'opera è più profondamen­ te segnata dalla caduta di Gerusalemme. La sua stessa ragion d'es­ sere è l'oppressione fisica di Israele da parte di Roma. Rispetto alla letteratura rabbinica, è di gran lunga meno rappresentativa del giudaismo prima del 7o, poiché si può dubitare che il suo pun­ to di vista potesse essere affatto condiviso, non fosse stato per la difficile situazione di Israele dopo la guerra. Si deve persino dubi­ tare della sua utilizzabilità per rappresentare una parte cospicua del giudaismo dopo il 70 . Il pessimismo dei dialoghi fu corretto (secondo quanto abbiamo qui sostenuto) con il quadro del trionfo di Israele nella visione finale. 2 Baruc usò una gran parte del laSunde und Gnade, 657. CH. Dodd, Tbe Mind of Paul n, in New Testament Studies, 1 18. 22. Longenecker, Paul: Apostle of Liberty, 8 . 23 . Bornkamm , Paul, 147. 20. Koberle,

21.

Il giudaismo palestinese

voro, ma rovesciò il punto di vista generale, perché 2 Baruc torna al punto di vista che i peccatori possono esser recuperati ed Israe­ le redento, nonostante la trasgressione24 (ritengo che 2 Baruc ab­ bia usato 4 Esdra) . Il pessimismo dei dialoghi, dov'è espressa la dottrina della salvezza con le opere non pare esser stato molto compatibile con la visione generalmente sostenuta nella comunità giudaica. Se il farisaismo fu continuato dai rabbi, si può meglio scorgere il punto di vista «farisaico» negli argomenti del veggen­ te dei dialoghi, argomenti respinti. È difficile che 4 Esdra possa rappresentare il giudaismo . Nell'intero complesso della letteratu­ ra giudaica superstite, il punto di vista secondo cui la trasgressio­ ne porta alla distruzione e l'equazione tra lealtà e assoluta obbe­ dienza non trovano paralleli. Cosl 4 Esdra dev'essere messo tra pa­ rentesi come rappresentante di un punto di vista minoritario, un punto di vista che non sembra essere esistito affatto prima della distruzione (se si accetta l'interpretazione di 4 Esdra data da Box, Rossler, Harnisch e Breech, la conclusione sarebbe che il punto di vista, che ho descritto come esclusivo di 4 Esdra, è completamen­ te non attestato nella letteratura giudaica) . Mentre quindi non possiamo sulla base di questo studio trarre conclusioni sui rapporti storici tra partiti e tra sette, sul relativo predominio del fariseismo e cosl via, possiamo fondatamente trar­ re conclusioni circa il carattere del giudaismo prima della distru­ zione. Anche se i differenti temi e motivi del nomismo del patto non furono concepiti nello stesso modo esatto in cui lo saranno poi nella letteratura rabbinica, il nomismo del patto deve essere stato il tipo generale di religione prevalente in Palestina prima della distruzione del tempio. 2.4· V.

The Covenant as a Soteriological Category (sopra, n. ,).

PARTE SECONDA PAOLO

CAPITOLO QUINTO PAOLO

I.

INTRODUZIONE

fonti Lo scopo principale di questa breve sottosezione è di sottolinea­ re alcuni dei giudizi critici che soggiaciono a questa trattazione del pensiero di Paolo, senza tentare di difenderli o di provarli. Non che non possano essere difesi, ma non c'è necessità di ulterio­ ri introduzioni alla letteratura paolina. Assumo come fonti per lo studio di Paolo le sette lettere la cui autenticità è indiscus­ sa: Romani, I e 2 Corinti, Galati, Filippesi, I Tessalonicesi e Fi­ lemone. Poiché di materiale religioso o teologico in Filemone ce n'è poco, ci limitiamo di fatto a sei lettere. Un notevole gruppo di studiosi continua a considerare autentiche Colossesi e 2 Tessaloni­ cesP e molti sostengono l'autenticità di Efesini e persino delle Pastorali.2 Per quanto riguarda Colossesi le opinioni degli studio­ si sono oggi divise in due fronti in situazione praticamente di «pa­ reggio», ma ritengo si possa mostrare con alto grado di probabili­ tà che Paolo non scrisse la principale parte teologica di Colossesi, se pur ne scrisse una qualsiasi parte.' Alcuni ritengono che le due principali lettere deutero-paoline, Colossesi ed Efesini, dovrebbe­ ro essere usate come fonti anche se Paolo non le scrisse.4 Esse soI . V. Conzelmann, Grundriss der Theologie, 1 75 ; trad. ital. Teologia, 199. V. la trattazione di Kiimmel, secondo cui entrambi sono autentici. 2. Kiimmel, op. cit. , dà elenchi di studiosi che hanno sostenuto o negato l'autenti­ cità paolina di questi seri tti. 3· Literary Dependence in Colossians: JBL 85 ( 1966) 28-45. V. anche PN. Har­ rison, Paulines and Pastorals, 1 964, 65-78. Posizione simile su Col. è adottata da G. W. MacRae in Tbe Colossian Heresy and Modern Gnostic Scholarship, contribu­ to presentato all'incontro SNTS del 1972 (Col. è troppo paolino per esserlo). 4· Cosl ad es . M. Zerwick, The Epistle to the Ephesians, VIII.

Paolo

no senza dubbio sostanzialmente influenzate dal pensiero di Pao­ lo, al punto da citare le sue lettere per esteso.' Ma usarle come fonti di Paolo sembra indurre a confusioni, inesattezze e impreci­ sioni che si dovrebbero evitare, per quanto possibile.6 L'approccio più sano è quello di trattare delle lettere che si possono attendibil­ mente presumere scritte da Paolo. Non è forse necessario dire che i discorsi degli Atti attribuiti a Paolo non possono esser usati come fonti per il suo pensiero. La mia posizione sull'uso di Atti per lo studio generale della biogra­ fia di Paolo è quella di John Knox.7 Poiché non entreremo in al­ cuno degli aspetti biografici di Paolo, eccetto la sua convinzione d'esser chiamato ad essere l'apostolo dei gentili, il libro degli Atti praticamente non sarà preso in considerazione. V'è da notare un importante aspetto delle lettere paoline. Ro.;. mani, I e 2 Corinti e Galati furono tutte scritte entro un breve pe­ riodo di tempo. I Tessalonicesi sembra precedente di parecchi an­ ni e Filippesi è alquanto difficile a datarsi.8 Poiché moltissime di­ scussioni su Paolo inevitabilmente si accentrano sulle prime lette­ re citate, si deve ricordare che esse presentano Paolo in un mo­ mento cruciale della sua storia, un momento in cui nelle chiese da lui prima evangelizzate sorgono difficoltà proprio mentre spera di raccogliere la colletta per Gerusalemme, per poi muovere con ur­ genza verso l'occidente: queste circostanze lo costrinsero ad un e·

5· Su Col., v. n. 3· Su Eph. , v. J. Goodspeed, The Meaning of Ephesians, 193 3 ; C.L. Mitton, Tbe Epistle lo the Ephesians, 195 1 . 6. V. ad e s . sotto , sez. 3 nn . 9, I I e 12. Whiteley (The Theology o/ St Paul, XIII) è contrario ad accomunare Eph. alle lettere autentiche per fame una teologia coe­ rente, ma egli stesso usa Col. in questo modo, come si può vedere nella sua tratta­ zione della chiesa come corpo di Cristo (ibid. , I9o-199). 7· J. Knox, Chapters in a Li/e of Pau!, 1950. 8. Knox, op. cit., 86-88 : I Thess. non molto dopo il 40; Gal. tra il 51 e il 54; x e 2 Cor. 51-53 ; Rom. 53-54; Phil. probabilmente 47-50. Bornkamm , Paolo, 231 s.: I Thess. 50; Gal. 54; la maggior parte di I Cor. 54-55; Phil. 54-55; Rom. 55-56. Phil. è un caso complicato a causa delle diverse ipotesi di suddivisione. V. Bom­ kamm , ibid., 23.5 ; Bornkamm , Der Philipperbrief als paulinische Breifsammlung, in Geschichte und Glaube 11, 195-20.5. In favore dell'integrità di Phil. sono V. P. Furnish (The Piace and Purpose of Philippians iii: NTS IO [ 1963 ] 8o-85); T. E. Pollard (The Integrity of Philippians: NTS 13 [ 1966] 57-66) e R. Jewett (The Bpistolary Thanksgiving and the lntegrity of Philippians: NT 12 [1970] 4o-,3).

lntroduzione

same critico del «suo vangelo» e ad una sua riformulazione dinan­ zi a prospettive che si ponevano in seria alternativa . Non scorgo segni di «sviluppi» teologici fondamentali nel pensiero paolino, ma vi sono certo mutamenti nel modo in cui si espresse, e sono questi che mettono alla prova più seria l'esegeta, mentre offrono un'occasione grandissima per accrescere le nostre conoscenze.9 Con ciò possiamo rispondere alla classica questione, se o meno la religione di Paolo sia la sua teologia, 10 o a quella simile (anche 9· L'evoluzione più importante, cui più spesso si pensa, riguarda la revisione del­ l'attesa escatologica futura, con frequente riferimento a 2 Cor. 5 e a Phil. 1,22-24. Per le teorie sull'evoluzione, v. i due saggi di CH. Dodd su The Mind of Paul nei suoi New Testament Studies; Schweitzer, Die Mystik (trad. ingl. 1 35 s.); la trilogia di L. Cerfaux su Paolo; D.M. Stanley, Christ's Resu"ection in Pauline Soteriology; ].C. Hurd, The Origin of First Corinthians; Buck and Taylor, Saint Paul1 a Study o/ the Development o/ bis Thought. Per una teoria meno elaborata del cambiamento, v. W.D. Davies, The Gospel and the Land, 208-230. R. Jewett ha prestato attenzione alla possibilità di un mutamento nel tempo della terminolo­ gia antropologica di Paolo (Paul's Anthropological Terms). Va notato che i punti di vista di Dodd, Cerfaux e Stanley dipendono dall 'accettazione di Col. e Eph. come lutentici, il che aiuta molto le ipotesi sull'evoluzione. Per lo status quaestionis, v. la relazione di Kiimmel al seminario della SNTS : NTS 18 ( 1972) 457 s. A riguar­ �o dei problemi speciali di 2 Cor. 5 e delle due escatologie chiaramente differenti, v. C.FD. �faule, St Pt1Ul and Dualism: Tbe Pauline Conception o/ Resurrection : NTS 1 2 ( 1966) 106-1 23. Moule è a favore di una fondamentale coerenza soggiacente le diverse formulazioni, punto di vista che mi pare fondamentalmente corretto. Hanhart (Paul}s Hope in the Face of Death : JBL 88 [ 1969 ] 445-457 ) ha soste­ nuto che Paolo non aveva una particolare attesa del futuro, ma piuttosto una «rag­ giante speranza di vita eterna 'con Cristo'» (p. 445). Kiimmel (Theologie, 21 I-2 16; trad . ital., Teologia, 304-31 1 ) ha succintamente messo in luce che l'attesa di 2 Cor. 5 e Phil. 1 ,22-24 non può essere una evoluzione che si allontani dall'idea di resurrezione futura, dato che questa si ritrova in Rom. , che è posteriore a 2 Cor. e Phil. I due punti di vista vanno compresi nei termini dell'interesse fondamen­ tale di Paolo: «Paolo ha ovviamente interesse solo al fatto che il cristiano rimanga sempre in comunione con il suo Signore celeste» (p. 216; trad. ital. 3 1 1 ) . La mia idea personale è che il mutamento nel tempo sarebbe interessante e im­ portante se potesse esser definitivamente stabilito. Alcuni cambiamenti sono ov­ vi : così la discussione sulla legge in Rom. è più ampia e più sfumata di quella di Gal. ( debbo questa osservazione a W.D. Davies) . Non ne consegue necessariamen­ te che Paolo abbia cambiato quel che pensava, anche se ciò poté avvenire: sembra più sicuro vedere in questi mutamenti degli sviluppi nella presentazione e nel modo di argomentare. Non conosco prove decisive che Paolo abbia cambiato il auo pensiero durante il periodo attestato dalla corrispondenza che ci rimane, an­ che se la possibilità che ciò sia avvenuto non può esser esclusa ; e le variazioni di ar.. somentazione nelle lettere sotto questo profilo condurranno sempre a speculazioni) . .10. W. Wrede, Paulus, 47 s.; dr. Conzelmann , Grundriss, 175; trad. ital. 199.

5 94

Paolo

più ingenua) , se egli sia o no un «teologo» .n Per rispondere brevemente, con una risposta che l'intero capitolo sostanzierà, si può dire che Paolo era un teologo in quanto rifletteva sul suo e­ vangelo, ma non era un teologo sistematico, neppure quando scri­ veva Romani. La sua teologia non è la sua religione, ma era il suo sforzo di esprimerla nelle circostanze riflesse dalle varie lettere. I­ noltre ritengo Paolo un pensatore coerente, nonostante la natura asistematica del suo pensiero e le variazioni nella formulazione.12 se

Il metodo

In questo capitolo si vuole presentare il «modello di religione» paolino, che può esser paragonato con quelli che abbiamo presen· tato nella parte prima. Seguendo il procedimento abituale, cerche­ remo di determinare la struttura fondamentalmente coerente del pensiero paolino (presupponendo per il momento che ve ne sia una) . Nel caso di Paolo è più facile che per il giudaismo descrive­ re il modello di religione semplicemente come «soteriologia», per­ ché Paolo aveva una soteriologia accentuata . Poiché però la sote­ riologia non è un tema indipendente, ma intimamente connesso ad altri (specialmente la cristologia, l'escatologia e l'antropologia, per dare ai temi i titoli usuali) , è preferibile chiamare questa de­ scrizione una descrizione del «modello di religione» di Paolo, piut­ tosto che semplicemente della sua soteriologia. Nella parte prima era meglio, praticamente in ogni caso, comin­ ciare la nostra analisi con la questione dell'elezione e del patto, perché quelle nozioni si possono sempre considerare punti di par· tenza in una analisi del giudaismo . Nel caso di Paolo però la cosa è più difficile . Le questioni tra loro connesse , quella del punto di partenza per la comprensione accurata del pensiero religioso di Paolo e quella del centro del suo pensiero sono tra le più ardue negli studi paolini . Come vedremo, la scelta del punto di parten­ za è normalmente decisiva per determinare l'adeguatezza della deI I . Munck, Paul, 65-67. Egli, tuttavia, si preoccupa soprattutto di negare che Paolo sia un «teologo in senso moderno» (p. 66). «La sua teologia nasce dal suo lavoro di apostolo e serve direttamente a quel lavoro» (p. 67 ). 12. V. inoltre sotto, sez. 7 ·

fntroduzione

scrizione e per questa ragione è importante scegliere il punto di partenza accuratamente e cominciare donde Paolo cominciò.

�La questione del centro e il punto di partenza Fu Albert Schweitzer che, con il solito acume critico, mise il dito su tale questione, come decisiva per la comprensione di Pao­ ·1o . Nella misura in cui si studia Paolo sotto i loci della teologia si­ stematica, relegando l'escatologia all'ultimo posto della trattazio­ ·ne, la comprensione di Paolo è impedita se non completamente o­ scurata.1' Inoltre nella misura in cui si ritiene che il tema centrale dell'evangelo di Paolo sia la «giustizia per sola fede», si perde il senso del realismo con cui Paolo intendeva l'incorporazione nel corpo di Cristo e di conseguenza il cuore della sua teologia.14 Mol­ ti aspetti della presentazione di Schweitzer sono giustamente ri­ sultati inaccettabili agli studiosi del Nuovo Testamento . Si può citare ad es . la sua eccessiva accentuazione della predestinazione nel pensiero di Paolo,X' la sua idea del battesimo ex opere opera­ to,X 6 e la sua teoria delle due resurrezioni; 17 ma è alquanto sorpren­ dente che i due aspetti della sua concezione che abbiamo menzio­ nato prima non abbiano trovato ampio favore . Munck certo am­ mise che si deve cominciare con l'escatologia . Nonostante le nu­ merose utili intuizioni del suo libro però si deve notare che egli finisce senza dare qualcosa che somiglia ad un quadro interpreta13. V. Schweitzer, Geschichte der paulinischen Forschung , passim (trad. ingl. 33 s., 36, .5 3 s., .57 s., 102 s.). 14. Schweitzer, Die Mistik, 201-204 . 1.5 . Ad es., Geschichte der paulinischen Forschung (trad. ingl. 2 1 5 ). («Quelli che sono 'chiamati' inevitabilmente ricevono la salvezza; quelli che non lo sono non possono ottenerla in alcun modo»); Die Mystik, 8 e passim. Si veda per con­ trasto Bultmann, Theologie, 32.5 s. 16. Geschichte der paulinischen Forschung (trad. ingl. 22.5 s.) («Nel momento in cui riceve il battesimo, il morire e il risorgere di nuovo di Cristo ha luogo in lui senz'alcuna cooperazione o esercizio di volontà o di pensiero da parte sua» ); Die Mystik, 1 17 («L'inserimento non si effettua nel momento del credere, e non in forza della fede come tale. Avviene per la prima volta nel battesimo ... »), 128. Si veda per contrasto Bultmann, Theologie, 306-310. Davies, Paul and Rabbinic ]u· daism, 98 s.; Tannehill, Dying and R.ising with Christ, 41. 17. Schweitzer, Die Mistik, 90-96. Cosi anche Schoeps, Paul, 104. V. la convin­ cente critica di Davies, Paul and R.abbinic ]udaism, 288-298.

Paolo

tivo soddisfacente della soteriologia paolina, anche se è chiarissi­ mo che la soteriologia era una delle preoccupazioni principali di Paolo.18 Schweitzer è stato ignorato da molta parte della ricerca tedesca protestante, che costituisce il blocco più influente per gli studi su Paolo . Il suo termine . Il participio plurale «credenti� è forse il termine più comune per dire «cristiani» (distinti da giudei e pagani, ad es. I Thess. 1,7-9 «tutti credenti», «Vi siete convertiti a Dio dagli idoli>>; I Cor. I,2I· 23 «quelli che credono», per contrapposizione a ebrei e pagani). Per «credente» nel

·Paolo

6o6

porre fine a tutte le cose;" 2. che egli, Paolo, è stato chiamato per essere l'apostolo dei gentili. Le due convinzioni, come Munck ha specialmente messo in chiaro, vanno di pari passo.'6 Il ruolo di Paolo come apostolo dei gentili è connesso alla convinzione che la salvezza è per tutti quelli che credono, giudei o gentili, e anche alla vicinanza della fine del tempo . In vista della fine che si appros­ sima, egli è costretto, come apostolo dei gentili, a predicare l'e­ vangelo più rapidamente possibile al mondo intero . È sulla base di queste due convinzioni che possiamo spiegare la teologia di Paolo, le sue complicate e spesso oscure riflessioni sul significato degli eventi salvifici e sul suo ruolo in essi. 2.

LA SOLUZIONE PRECEDE IL PROBLEMA

Dicendo che una delle convinzioni principali di Paolo è che Dio ha offerto in Cristo la salvezza, intendo escludere uno dei mo­ di tradizionali di impostare la discussione sulla teologia di Paolo: descrivere anzitutto la situazione dell'uomo a cui Cristo offre una soluzione, secondo Paolo. È questo il modo scelto da Bultmann, Conzelmann e Bornkamm ,X ad esempio ; e Bultmann in particola­ re l'ha giustificata osservando che la lettera ai Romani è struttusenso di «convertito» cfr. anche I Cor. 3,,;

Rom.

13,II. Per «credenti� (cristiani) (non-cristiani), v. I Cor. 14,22-24; 2 Cor. 6,15; e per deduzione I Cor. 6,1.6; 7,12-14; 2 Cor. 4,4. V. il mirabile com­ pendio di Bultmann, TWNT VI, 218-224.

in contrapposizione a «non-credenti»,

a'7tLCT'tOL

55· In favore della signoria di Cristo come punto di partenza è W. Thiising, Per Christum in Deum, cap. 1. In favore del Cristo o dell'attesa escatologica come punto di partenza, piuttosto che dalla condizione critica dell'uomo prima di Cri­ sto, sono ad es. Fitzmyer, Pauline Theology (Paolo pensa all'indietro a partire dal compimento); Giblin, In Hope of God's Glory; Amiot, Les idées maitresses de S. Paul, Paris 1959. Sia Kummel (Theologie, I31-1 33; trad. ital. x8,-x88) che Fur­ nish (Theology and Ethics) sono a favore dell'attesa escatologica come punto di partenza, mentre considerano ancora la giustificazione il concetto centrale. Ciò sembra indicare un ripensamento solo parziale della normale posizione luterana. ,6. Munck,

Paul, 41, 66 s.

I. Bornkamm descrive il contenuto del vangelo di Paolo come io lo faccio (v. sot­ to, n. 7) e parimenti riconosce che il «drastico verdetto» di Paolo sull a condizio­ ne umana era «possibile solo sulla base della salvezza cristiana» (Paolo, 125). Non­

dimeno comincia con la condizione di perdizione in cui si trova l'uomo, e, co­ minciando donde Paolo non cominciò, non è in grado di far fruttare pienamente quanto ha intuito.

La soluzione precede il problema

rata con la trattazione del peccato che precede la soluzione al pec­ cato.2 Egli pare sostenere che solo procedendo in questo modo si giungerà ad una corretta comprensione del messaggio di Paolo : ... in Romani, dove Paolo presenta coerentemente gli aspetti principa­ li del suo messaggio a una comunità sinora sconosciuta per legittimare se stesso come autentico apostolo , egli, a differenza dei trattati erme­ tici con i loro insegnamenti cosmologici iniziali, non presenta prima l'evento della salvezza, la cui credibilità dev'esser per primo ricono­ sciuta. Invece egli comincia esponendo la condizione dell'umanità, co­ sl che la proclamazione dell'atto salvifico di Dio diviene una questione decisiva. In armonia con questo è l'andamento di pensiero di Rom. 7, 7-B,I I : l'uomo sotto la legge dopo aver visto la sua situazione, come quella del «miserabile uomo» che invoca la sua liberazione dal «corpo di morte», può allora vedere l'evento della salvezza come apportatore di salvezza.3

Oltre all'argomento della struttura di Romani, si può avanzare l'ovvia e necessaria osservazione che situazione di distretta e solu­ zione si devono corrispondere. Se ciò è vero, sembra logico comin­ ciare con la trattazione della distretta umana quale era percepita da Paolo. È tuttavia però probabile che il pensiero di Paolo non muovesse dalla distretta alla soluzione, ma piuttosto viceversa. I tentativi di sostenere che Rom. 7 mostra la frustrazione che Pao­ lo provava nella sua vita come ebreo praticante sono stati in gene­ re abbandonati, e si può giustamente e sicuramente sostenere che il capitolo non si può comprendere cosl. Esso descrive piuttosto la vita precristiana o non cristiana vista nella prospettiva della fe­ de. Si può inoltre osservare sulla base di Phil. 3 che Paolo, quan­ do era «sotto la legge» , non sentiva di trovarsi in una distretta da cui dovesse trovare salvezza.4 Se era così zelante da perseguitare lbid., 296 s. 4· La dimostrazione fondamentale è quella di W.G. Kiimmel, Romer 7 und die Bekehrung des Paulus, 1 92 9. La posizione fu confermata e sviluppata da Bult­ mann, Romans 7 and the Anthropology of Paul, in Existence and Faith, 1 47-1 57. Per ulteriori indicazioni v. Conzelmann, Grundriss, 25I; trad. ital. 285 s. Una re­ cente trattazione in Luz, Das Geschichtsverstiindnis des Paulus, 158-168, bibl. a p. 160. Il più recente articolo che accetta questa concezione eli Rom. 7 e Phil. 3, per quanto ho notato, è quello di J. Dupont, La conversion de Paul, in Foi et Sa­ lut selon S. Paul (M. Barth ed. e altri). Più sotto, n. 23 della sez. 4, si citano alcuni studiosi che dissentono. Il dissenso in genere si basa sul giudizio che Rom. 7, con le sue espressioni cariche di emozione, riflette la visione di Paolo circa la sua pro2.

V. Bultmann, Theologie, 188, 222 s.



6o8

Paolo

la chiesa, pensava probabilmente che quelli che non erano auten­

tici ebrei si sarebbero dannati, ma la soluzione a tale distretta sarebbe stata semplicemente di diventare un autentico ebreo. La conclusione, perciò, che tutti - Ebrei e Greci - hanno bisogno di un salvatore sorge dalla precedente convinzione che Dio ha offer­ to un tal salvatore. Se è cosl, ne consegue allora che di un tal sal­ vatore ci deve esser stato bisogno e solo allora, di conseguenza, tutte le altre possibili vie di salvezza sono errate. La cosa è enun­ ciata esplicitamente in Gal. 2 ,2 1 : se la giustizia potesse venire at­ traverso la legge, Cristo sarebbe morto invano. Il ragionamento è chiaramente che Cristo non morl invano, mori e tornò a vivere «perché potesse esser Signore sia dei morti che dei viventi» (Rom. 14,9) cosicché «sia che vegliamo, sia che dormiamo, possiamo vi­ vere con lui» (I T hess. 5,1 o) . Se la sua morte fu necessaria per la salvezza dell'uomo, ne consegue che la salvezza non può giungere altrimenti e che perciò tutti erano, prima della morte e della resur­ rezione, bisognosi di un salvatore. Non v'è ragione di pensare che Paolo sentisse il bisogno di un salvatore universale prima di esser convinto che Gesù lo era.' Ciò vuoi dire che il modo in cui il problema è posto in Romani può non riflettere l'effettiva predicazione missionaria di Paolo. Sembra improbabile che egli seguisse la moderna tattica fondapria vicenda, mentre Phil. 3 è iperbolico. I seguenti punti mi sembrano decisivi in favore della posizione qui adottata: 1. Gal. 3,11 s., ripudiando la legge sulla base della sua supposta impraticabilità, sostiene l'idea di Phil. 3, che Paolo non aveva difficoltà ad osservare in modo soddisfacente la legge. È di estrema impor­ tanza il fatto che l'argomentazione di Paolo sulla legge non riposi di fatto sull'im­ possibilità dell'uomo di adempierla (sotto, pp. 654 s. e n. 23, 661 -66,5). 2. L'intera argomentazione di Rom. 6-8, in cui Paolo mette in contrasto la vita in Cristo con la vita sotto la legge, indica che Rom. 7 andrebbe letto nella stessa luce. Il fatto che Paolo esprima il pathos della vita sotto la legge, con occhi cristiani, non significa che egli si sia sentito personalmente frustrato in rapporto alla legge pri­ ma della sua conversione .

ha ragionevolmente suggerito che, anche se dalle lettere non si può mettere in luce alcuna situazione di crisi precedente alla conversione. Paolo potesse avere una crisi «sotterranea», una difficoltà per rapporto alla legge e alla sua adeguatezza alle esigenze umane, una crisi che egli non descrive. Ciò può esser vero, ma la descrizione di Paolo in Phil. 3 e anche in passi come 2 Cor. 3,10 (> che Paolo predicava: che Cristo è mor­ to e che Dio lo ha resuscitato, che il Signore tornerà, che gli &1tt.· o-.,;ot. saranno distrutti (2 Co r 4,3 s.), che i credenti saranno salva­ ti- se vivi, con la trasformazione dei propri corpi, se morti essen­ do resuscitati in un «corpo spirituale» (I Cor. 1 5 ,44) .10 Senza dub­ bio Paolo predicava molte altre cose, ma questo è il suo evange­ lo. Non cominciava quindi dal peccato e dalla trasgressione del­ l'uomo, ma con l'occasione di salvezza offerta da Dio (da cui il peccato può escludere). In altri termini, Paolo non predicò sul­ l'uomo, ma su Dio. È vero che, nell'urgenza di spiegare le impli­ cazioni del suo evangelo, si avvicinò più di ogni altro autore neo­ testamentario all'elaborazione di quel che si può chiamare «antro­ pologia»,n ma essa è solo qualcosa che la sua teologia, cristologia .

IO. Sulla questione della coerenza e uniformità dell'attesa escatologica di Paolo, sopra, sez. I n. 9 e sotto, inizio della sez. 3· II. V. inoltre sotto, fine della sez. 4·

v.

6 12

Paolo

è elaborata come fine a se stessa, per­ ché non sembra che Paolo abbia predicato primariamente intorno alla situazione dell'uomo . e soteriologia implicano. Non

Il fatto che la sintesi precedente abbracci gli elementi fonda­ mentali del messaggio paolina ha anche una seconda implicanza. Se il messaggio non è sull'uomo e non lo descrive, è però inteso a sollecitare la «fede», e questa può essere solo individuale. Ciò che

Dio fa è di significato cosmico e tocca «tutte le cose)>, ed è questo che Paolo predica, ma gli individui ne saranno toccati in diversa misura) a seconda se credono o no. È vero che Paolo può descrive­ re l'azione salvifica di Dio senza praticamente riferirsi alla risposta dell'uomo. Cosi Rom. 8 ,28-JO.JJ: Noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi al­ rimmagine del Figlio suo, perché egli sia primogenito tra molti fratel­ li; quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati: quelli che ha chiamati li ha anche glo­ rificati... Chi accuserà gli eletti di Dio?

Sch\\reitzer considerava la predestinazione degli eletti come un a­ spetto principale del pensiero di Paolo, vedendo negli individui solo il diritto di rifiutare.12 Bultmann d'altro canto dedicò poca at­ tenzione alla predestinazione, sottolineando la necessità della de­ cisione individuale.13 Anche se la capacità del singolo di decidere e di impegnarsi per una via o per il Signore ci sembra escludere la predestinazione, occorre richiamare che le due cose in genere nel giudaismo vanno di pari passo. Come i membri dell'alleanza a Qumran sono chiamati sia eletti sia quelli che hanno scelto Dio, così Paolo non ha difficoltà a pensare che quelli che accettano l'e­ vangelo sono gli eletti di Dio (cfr. anche I Thess. 1 ,4; I Cor. 1 ,24 . 26; Rom. 9,11 s.; I I ,7) . È difficile dire come vada formulato l'e­ quilibrio tra predestinazione e decisione in Paolo . Si può confron12. Schweitzer, Mystik, trad. ingl. IOI·II8, specialmente II]; x28- 1 30; dr. sopra, sez. I n. 15. 1 3 . V. Theologie, 223 s., 228, 235 s., 252 s., 266 s. ( tutti nel senso che la predestina­ zione non può intendersi unilateralmente, perché ciò distruggerebbe il carattere della fede come decisione e obbedienza).

La soteriologia paolina

tare Rom.

613

8,28-30 (predestinare, chiamare, giustificare) con Rom.

1 0, 1 3- 1 7. Commentando loel3,5 («chiunque invocherà il nome del Signore sarà salvato»), Paolo domanda: «Come potranno in­ vocarlo senza aver prima creduto in lui? E come potranno credere, senza averne udito parlare?». E conclude: «La fede dipende dun­ que dalla predicazione e la predicazione a sua volta si attua per la parola d.i Cristo». Qui la sequenza predicazione, ascolto, fede non tiene conto della stessa predestinazione su cui insisteva due capi­ toli prima. L'elenco potrebbe esser armonizzato: Dio sceglie chi udirà e crederà nel messaggio e, sulla base della fede, lo giustifica e glorifica. È notevole però che Paolo non si senti obbligato a fare quest'armonizzazione. Quando pensa alla certezza della salvezza, all'atto d.i Dio che la dona agli uomini e alla grazia di Dio che cosi agisce egli può usare la terminologia della predestinazione.14 Quan­ do pensa all'esigenza che l'uomo decida per la signoria di Cristo, la terminologia è quella della «fede». Le affermazioni di questo secondo tipo prevalgono nelle lettere di Paolo ma le affermazioni sulla predestinazione e sulla grazia ci impediscono di intenderle come possibilità di salvarsi con le proprie forze.1' Per riassumere: il tema principale dell'evangelo di Paolo era l'azione salvifica di Dio in Gesù Cristo e in che modo gli ascolta­ tori avrebbero potuto partecipare a quell'azione. Abbiamo in bre­ ve mostrato che la parola principale per quella partecipazione è «fede» o «credere», termine che senza dubbio Paolo prese dai pri­ mi missionari cristiani. Dobbiamo ora considerare più dettagliata­ mente come Paolo comprese e formulò la partecipazione umana all'azione salvifica di Dio, ed è questa discussione che ci porterà nel cuore della soteriologia di Paolo.

3· LA SOTERIOLOGIA PAOLINA

L'attesa del futuro e la garanzia presente Non vi sono elementi del pensiero di Paolo che siano più certi, 14. Cosl Whitely, Theology of St Paul, 93 ; Rom. 8 ,29 s. tratta della certezza della salvezz a , non della predestinazione. 15. Similmente Conzelmann , Grundriss, 169, 266-268; trad. ital., Teologia, 219,

3 18·320.

Paolo

o più saldamente formulati, di questi due: la sua convinzione che la piena salvezza dei credenti e la distruzione dei non credenti so­ no eventi del futuro prossimo e la convinzione connessa che i cri­ stiani possiedono lo Spirito come garanzia presente della salvezza futura. Abbiamo citato sopra i passi più dettagliati in cui viene espressa la speranza nel futuro (I Cor. 15 , specialmente 23-28; I Thess. 4,1 5-17; Phil. 3,1 8-21) . Schweitzer era dell'idea che la spe­ ranza di Paolo fosse circostanziata ed esplicita e che sia possibile fornire un «calendario» degli eventi degli ultimi tempi.1 Successi­ vi studiosi hanno messo in luce la mancanza di uniformità nell'at­ tesa di Paolo, prendendo questa mancanza di uniformità come in­ dicazione di una concezione generale ma vaga.2 È una questione che non dobbiamo decidere nel dettaglio, anche se possiamo os­ servare che il fatto che Paolo non descriva sempre «la fine» preci­ samente negli stessi termini non significa che egli non ne avesse una concezione unitaria .3 I vari passi appena elencati rispondono a domande diHerenti, ma sembrano essere coerenti, in via genera­ le: Cristo verrà, i credenti saranno salvati, gli increduli distrutti e tutte le cose assoggettate a Dio.4 È vero che I Co r. 15 non parla della resurrezione e del giudizio generale' (e cosl non parla della distruzione degli increduli) , ma questo non porta necessariamente né alla teoria di Schweitzer delle due resurrezioni6 e dei due giu­ dizi7 (Cristo all'inizio del regno messianico e Dio alla resurrezione generale), né alla conclusione che Paolo non ha una visione coe­ rente. In I Cor. 1 5 Paolo è preoccupato di provare che la resurre­ zione di fatto deve venire, come in I Thess. di rispondere alla do­ manda circa quanto accade a quelli che muoiono prima della fine. Schweitzer, Mystik, trad. ingl. 63-68. Paulus, Stuttgart r969, 225-226. Conzelmann, Grundriss, 208; trad. ital. 235 s. («Naturalmente, vi sono immagini apocalittiche .. . l'immagine della parusia non diviene un tema indipendente ... le rappresentazioni del futuro non sono unitarie»). Conzelmann in particolare riduce cosl il significato di una delle fondamentali convinzioni e preoccupazioni di Paolo: la prossimità del giorno del Signore. 3 · Sulla questione generale della coerenza dell'attesa escatologica di Paolo, v. W. D. Davies, Paul and Rabbinic ]udaism, 31 1·3 18. Sul tradizionale, spinoso proble­ ma del nesso tra I Cor. 15 e 2 Cor. ,, v . sotto, sez. I n. 9· 4· Cfr . Davies, op. cit., 297. 5· Schweitzer, Mystik, trad. ingl. 67 s. 6 . lbid. , 93· 7. lbid., 66 s. r.

2. Bornkamm,

La soteriologia paolina

I problemi differenti portano ad affermazioni differenti, ma la con­

cezione complessiva sembra coerente. L'attesa della venuta del Signore è molto spesso espressa nelle lettere di Paolo, ed è questo il punto generale che ci interessa qui stabilire.8 Cosi Paolo scrive che la fede dei Tessalonicesi è ben no­ ta, come si siano convertiti dagli idoli al Dio vero e vivente per « attendere dai cieli il suo Figlio, che egli ha resuscitato dai morti, Gesù, che ci libera dall'ira ventura» (I Thess. 1 ,9 s.) . Che il Signo­ re sia vicino (Phil. 4,.5) e il tempo sia prossimo ( I Cor. 7,29.3 I ; I o , I I ; Rom. I 3 , I I ) e il giorno del Signore sia improvviso (I Thess. 5,2 ; cfr. Phil. 1 ,6 ; I Cor. 5 ,5 ) , viene ripetuto spesso. I cri­ stiani devono essere senza colpa, santi e irreprensibili nel giorno del Signore (I Thess. 3 ,I 3 ; .5 ,2 3 ; Phil. I ,1 o; I Cor. 1 ,7 s.) . La fu­ tura speranza in Cristo (I Thess. I ,3) si può precisare sia come speranza di salvezza (I T hess. 5 ,8 ) sia come speranza di giustizia (Gal. j ,j). È di interesse speciale per Paolo che nel giorno del Si­ gnore la sua propria opera trovi piena rivendicazione. Quelli che sono stati salvati ascoltando il suo evangelo e saranno trovati irre­ prensibili nel Giorno mostreranno che egli è un vero apostolo (I Thess. 2 , I 9: «Chi infatti, se non proprio voi, potrebbe essere la nostra speranza, la nostra gioia e la corona di cui ci possiamo van­ tare, davanti al Signore nostro Gesù, nel momento della sua venu­ ta? » ; Phil. 2 , I 4- 1 6: « ... perché siate irreprensibili e semplici. . . , allora nel giorno di Cristo io potrò vantarmi di non aver corso ifl vano né invano faticato» ; dr. 2 Cor. I ,1 4). Inoltre il suo lavoro come apostolo, come quello di altri, sarà esaminato (I Cor. J,Io­ I j ; 4,j). Va inoltre notato che il verbo «salvare» in Paolo è generalmen­ te al futuro o al presente, e solo una volta al passato (aoristo) . An­ che qui tuttavia Paolo scrive che «fummo salvati nella speranza» (Rom. 8 ,24) .9 Più caratteristici sono passi come «saremo salvati ...

8. Sull'adeguatezz a del termine «apocalittico» per descrivere l'attesa della parusia imminente, v. Kasemann, Zum Thema der urchristlichen Apokalyptik, 105 n. 1; Bornkamm si oppone all'uso del termine perché Paolo aveva di mira l individuo , non il cosmo (Paulus, 134-13 6). Cfr. le riserve di Conzelmann, Grundriss, 282; trad. ital. 323. 9· Il perfetto di Eph. 2,,.8 rappresenta cosl uno sviluppo teologico distinto. '

61 6

Paolo

dall'ira per mezzo di lui>> (Rom. 5 ,9) ; «se confessate ... e credete... sarete salvati>> (Rom. 10,9); (I Cor. 5 ,5 ; di fatto è un futuro); «per salvare ad ogni costo qualcuno» (I Cor. 9,22; dr. Rom. I I ,1 4). Colpisce specialmente l'uso dei participi presenti passivi «coloro che si salvano» e «coloro che sono distrutti» in I C or. I ,I 8 (la pa­ rola della croce è follia per quelli che vanno in perdizione ma po­ tenza di Dio per quelli che si salvano) e in 2 Cor. 2, I 5 («Noi sia­ mo infatti dinanzi a Dio il profumo di Cristo fra quelli che si sal­ vano e fra quelli che si perdono»). Parleremo più avanti dell'ope­ ra della salvezza come realtà già in atto: qui possiamo anche no­ tare i presenti di I Cor. 7,3I: «passa la scena di questo mondo»; 2 Cor. 3 , 1 8 : «veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria»; e 2 Cor. 4,16: «l'uomo interiore si rinnova di giorno in giorno» (in contrasto con il futuro di Phil. 3,21 «trasfi­ gurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorio­ SO» )/0 In ogni caso, la consumazione rimane ancora nel futuro. Notiamo infine che la resurrezione è futura. Questa distinzione è conservata da Paolo anche quando il discorso sulla partecipazio­ ne alla morte di Cristo parrebbe condurre alla conclusione che i cristiani hanno partecipato alla sua resurrezione. Ma Paolo sem­ bra aver cura di dire che «se siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua resurre­ zione» (Rom. 6 , 5 ) e che «vivremo con lui» (6,8 ) , anche se in un certo senso il cristiano già «vive>> per Dio ( 6, I I) . La resurrezione è parimenti descritta con chiarezza come futura in I Cor. 6 ,I4 ; 1,5,22 («riceveranno la vita»), Phil. 3,11.11 Parimenti il regno di 10. Sull'inizio attuale della trasformazione, v spec. Bouttier, La condition chré­ tienne selon S. Pau!, Genève 1964, 23-29. II . � detto in Col. 3,1 che i cristiani sono stati risuscitati e, accettando questo co­ me paolino, Davies è indotto a sottolineare troppo la realizzazione dell'ordine eterno: Paul and Rabbinic Judaism, 318. Cfr. anche Bouttier, La condition chré­ tienne, 29, dove il punto di vista di Col. è considerato complementare a quello degli Hauptbriefe. Tannehill considera Col. 2, 1 1-I3 («foste risuscitati») più anti­ co di Rom. 6,4 s., dove la resurrezione è futura. Sembra meglio vedere in Col. 2, II-IJ uno sviluppo teologico. La formulazione sembra dipendere dalla fusione letteraria di parecchi passi di Rom. V. Literary Dependence in Colossians: JBL s, (1966) 4Q-42 .

La soteriologia paolina

Dio (termine che non appare molto spesso in Paolo) sarà ereditato nel futuro (I Cor. 6 ,9 s.). 1 2 Mentre i cristiani attendono il Figlio di Dio dal cielo (I Thess. 1,9 s .) , hanno lo Spirito. Se v'è forse qualche ambiguità in Paolo per quanto riguarda la vita (presente o futura?), non ve n'è circa lo Spirito, possesso presente dei cristiani e loro garanzia di salvez� za, e che si manifesta poi nei doni spirituali. Possiamo anzitutto notare che Paolo ricorda ai suoi lettori di aver portato l'evangelo non solo con la parola, ma anche con manifestazioni dello Spirito. Così I Thess. I ,5 («il nostro evangelo, infatti, non si è diffuso fra voi soltanto per mezzo della parola, ma anche con potenza e con Spirito santo») ; I C or. 2 ,4 («e la mia parola e il messaggio non si basarono su discorsi persuasivi di sapienza, bensì sulla manifesta­ zione dello Spirito e della potenza») ; 2 Cor. I 2 ,I2 («in mezzo a voi si sono compiuti i segni del vero apostolo, in una pazienza a tutta prova, con segni, prodigi e miracoli») ; Rom. I 5 , 1 8 s. («con parole e opere, con la potenza di segni e prodigi, con la potenza dello Spirito») . Paolo basa il suo consiglio alle sue chiese sul fatto di avere lo Spirito (r Cor. 7,40) e spera di impartire, nella sua vi­ sita a Roma, «qualche dono spirituale» (Rom. I,I I ) . In secondo luogo, egli dice più volte che i cristiani «hanno lo Spirito»: I Cor. 2 , I 2 ; 3 , I 6 («Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito abita in voi?») ; 6 , 1 9 («0 non sapete che il vostro corpo è tempio dello Spirito santo .. . ?»); 2 Cor. I ,2 2 («ci ha impresso il sigillo e ci ha ·dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori») ; 4 , I 3 ; 5 , , (Dio « ci ha dato la caparra dello Spirito») ; Gal. 3 ,2 . 5 ; 4 ,6 ; Rom. 5 ,5 ; 8,9 («Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma del­ lo Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi») ; 8 , 1 I . 2 3 («possediamo le primizie dello Spirito») .13 Paolo può anche di­ re che «Cristo vive in me» (Gal. 2 ,20) o che Dio vive nei cristiani (2 Cor. 6,I6, basato sulla parafrasi di parecchi passi dell'Antico Testamento, «Vivrò in loro») , ma il possesso dello Spirito è la for­ ma dominante di espressione .14 I2. Col. I,IJ ritiene, di nuovo, che il passaggio nel «regno del suo Figlio diletto,. abbia avuto luogo. V. Davies, Paul and Rabbinic ]udaism, 296. IJ. Sul dono dello Spirito, v. anche Whiteley, Theology of St Paul, I25. 14. Cfr. Kiisemann, Amt und Gemeinde, I I I «Lo Spirito è la nostra presente par-

P110lo

Concorda con ciò il fatto che Paolo si aspetti che tutti i cristiani abbiano doni spirituali x.api01J.a:ta o 1t'VEUIJ.tX'tt.xci: I Thess. 5 , 1 9 («Non spegnete lo spirito, non disprezzate le profezie») ; I Cor. I ,7 («nessun dono di grazia [xapt.UIJ.Cl] più vi manca mentre aspet­ tate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo») ; 7,7 ( «Cia­ scuno ha il proprio dono [xcipt.CTiJ.a.] da Dio, chi in un modo chi in un altro»); 1 2 ,1 .4.1 1 ; 14, 1 («Ricercate la carità. Aspirate pu­ re anche ai doni dello Spirito [ 1tVt:u1J.a--rt.xri], soprattutto alla pro­ fezia») ; Rom. 1 2,6 («Abbiamo pertanto doni [xa.plCi(la--ra] diver­ si secondo la grazia data a ciascuno di noi») . Nella loro vita presente i cristiani sono stati santificati nel senso di esser purificati (I Cor. 1 ,2) e Paolo insiste perché rimangano puri e irreprensibili sino al giorno del Signore. Così Paolo scrive ai Corinti: O non sapete che gli ingiusti non erediteranno il regno di Dio? Non illudetevi: né immorali, né idolatri, né adulteri, né effeminati, né so­ domiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci eredi­ teranno il regno di Dio. E tali eravate alcuni di voi; ma ora siete stati lavati, siete stati santificati, siete stati giustificati nel nome del Signore Gesù Cristo e nello Spirito del nostro Dio (I Cor. 6,9-11).1' La speranza maggiore di Paolo è che i suoi convertiti gentili ri­

mangano così purificati che divengano una ablazione gradita, san­ tificata dallo Spirito santo (Rom. 1. 5 ,16). Parimenti prega per i Tessalonicesi perché il Signore renda «saldi e irreprensibili i [lo­ ro] cuori, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi>> (I Thess. 3 ,1 3), e spera che i Tessalonicesi si conservino irreprensibili per la venuta del Signore Gesù (I Thess . .5,2 3 ) . Ai Corinti scrive che il Signore Gesù Cristo li «confermerà sino alla fine, irreprensibili nel gior­ no del Signore nostro Gesù Cristo» (I Cor. 1 ,8) . Ritiene giusto che ci si debba preoccupare delle cose del Signore, per essere santi nel corpo e nello spirito (I Cor. 7 ,34) . Di frequente insiste perché i suoi convertiti «stiano saldi nella fede» , irremovibili anche se tentati, senza cioè perdere la loro fiducia che saranno salvati nel tecipazione alla vita eterna. Ma le cose stanno in modo tale che noi, mediante lui, ne diventiamo possessori solo in quanto egli si impossessa di noi» (trad. ital. Saggi esegetici, 5). I5. Sull'idolatria e l'immoralità sessuale, cfr. I Cor. ro ,7 s.

La soteriologia paolina

giorno del Signore e senza cadere nell'idolatria, nell'immoralità sessuale e simili: I Thess. 3 ,.5 («Mandai a prendere notizie sulla vostra fede, per timore che il tentatore vi avesse tentati e cosi di­ ventasse vana la nostra fatica»); Phil. 2 ,1.5 s. («perché siate irre­ prensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una gene­ razione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo, tenendo alta la parola di vita. Allora nel giorno di Cristo io potrò vantarmi di non aver corso invano né invano faticato»); I Cor. 1.5,I s. («il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi e dal quale ricevete an­ che la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho an­ nunziato. Altrimenti avete creduto invano!»); I .5 ,5 8 («rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana del Signore>>); I 6 ,I 3 («sta­ te saldi nella fede»); 2 Cor. 4,I 6 s. (non ci perdiamo d'animo nel­ l'a:ffiizione momentanea); I 1,3 («Temo che . . . i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo»); Gal. 6,9 («E non stanchiamoci di fare il bene; infatti se non desistiamo, a suo tempo mieteremo»); Ph il. I ,27 s. (star saldi e non temere); 4,I (star saldi); Rom. I I ,20 (star saldi solo in ragione della fede); I 2 , I I («Non siate pigri nello ze­ lo»); Phil. I ,9- I I («E perciò prego che la vostra carità si arricchi­ sca sempre più... perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo, ricolmi dei frutti di giustizia>>); I Thess. 4,3-8 («Perché questa è la volontà di Dio, la vostra santificazione ... Dio non ci ha chiamato all'impu­ rità, ma alla santificazione» ). Mentre l'idea fondamentale di Pao­ lo sembra essere così che i cristiani sono stati purificati e stabiliti nella fede, e debbono rimanere tali, per essere trovati irreprensi­ bili nel giorno del Signore, può anche insistere perché si purifichi­ no: «In possesso dunque di queste promesse, carissimi, purifi­ chiamoci da ogni macchia della carne e dello spirito, portando a compimento la nostra santificazione, nel timore di Dio» (2 Cor. 7,I ). Dinanzi ad una persona caduta evidentemente nell'immora­ lità sessuale, Paolo scrive di temere che quando verrà ancora «il mio Dio mi umilii davanti a voi e io abbia a piangere su molti che hanno peccato in passato e non si sono convertiti dalle impurità,

Paolo

dalla fornicazione e dalle dissolutezze che hanno commesso» (2 Cor. 12,21 ) . Cosi Paolo è consapevole che non tutti rimangono saldamente nella condizione di purifìcazione e, per lo meno in una occasione, vede nel pentimento il modo per ritornarvi.16 Rientra nella sua concezione per cui i cristiani sono stati santi­ ficati ('liYt.a.o'ILÉ'Vot.ç I Cor. 1 ,2) il fatto che il loro principale titolo, accanto a «credenti», sia ((Santi>> (éiyt.ot.): così Rom. 1 ,7 ; 8 ,27; I Cor. r ,2 e molto di frequente. Sebbene si dica anche dei cristia­ ni che sono stati giustificati (I Cor. 6 ,9-r r ; Rom. 8,30), non li chiama «giusti», olxa.t.ot.; l'aggettivo plurale appare solo in Rom. ,,1 9 e 2 ,13 e non sembra un titolo, in nessuno dei due luoghi. L'insistenza di Paolo sulla puri:6.cazione e sulla «santificazione» può esser connessa al fatto di essere apostolo dei gentili, i quali ovviamente (dal suo punto di vista) erano macchiati di impurità morale. Sinora abbiamo descritto una soteriologia che consiste nella pu­ rificazione, nell'attesa della salvezza che viene, nel possesso dello spirito come garanzia della futura salvezza e nella previsione del pentimento come riparazione delle ricadute (l'ultimo punto appa­ re una sola volta, mentre gli altri sono molto frequenti). Abbiamo visto che quanti partecipano a questa situazione di salvezza sono chiamati «santi» e «credenti» in contrasto con i «malvagi>> (I Cor. 6,r ) e «non credenti>> (1 Cor. 6,6) ; cosl l'atto caratteristico del cristiano è la «fede>> e i cristiani sono tipicamente «irrepren­ sibili». È probabile che si debba connettere battesimo e morte di Cristo con la purifìcazione che i cristiani ricevono, sebbene, come vedremo, la partecipazione alla morte di Cristo mediante il batte­ simo abbia un'altra applicazione. Vi sono tutte le ragioni per ri­ tenere che la soteriologia or ora descritta fosse comune tra i cri­ stiani. È ben noto però che Paolo non si limitava solo a dire che i cristiani, mentre attendevano la venuta del Signore, avevano dei doni spirituali e dovevano rimanere puri. Spinto da avversari da varie parti, egli esponeva il significato della condizione presente della vita cristiana in tal modo che la semplice teologia dell'attesa del futuro e del possesso dei doni spirituali ne veniva grandemen16. Sul pentimento,

v.

inoltre sotto,

pp .

685 s.

La soteriologia paolina

62 1

te approfondita. Non possiamo che cercare di individuare quale sia stata la successione logica o sotto quale influsso storico-religio­ so Paolo approfondisse l'idea del possesso dello Spirito come ga­ ranzia così che diventasse partecipazione ad uno stesso Spirito, o l'idea della morte di Cristo come purificazione dei peccati passati cosi che divenisse il mezzo con cui si partecipa, alla morte di Cri­ sto al potere del peccato; ma è chiaro che tale approfondimento avvenne e che qui si situa il cuore della sua soteriologia e della sua cristologia. 17 È anche chiaro che questo «approfondimento» non appare a Paolo inusuale, sorprendente o unico. Egli si aspetta che i suoi lettori comprendano e siano d'accordo con lui. È difficile stabilire se queste idee fossero di fatto comuni tra i cristiani,t8 ma quando egli le esprime , come vedremo, non si considera un innovatore, ma ritiene solo di ricordare ai suoi lettori le conse­ guenze implicite della loro stessa esperienza cristiana.

Un corpo, uno spirito Forse i moderni studiosi sono stati troppo colpiti dall 'idea pao­ lina di partecipazione e di unione per essere in grado di renderle davvero giustizia. Gli «scopritori» dell'idea, come Deissmann e Schweitzer, possono appunto essere accusati di darle troppo rilie.. vo come concezione unica, creativa e da ultimo incomprensibile (all'uomo moderno) . Per reazione, v'è stata qualche tendenza a di­ minuire l'accentuazione, quasi sino al punto da eliminare quest'i­ dea dal pensiero di Paolo. Cosi Bultmann non solo scompose e suddivise i vari passi di Paolo sulla partecipazione in tal modo da non dover più discutere il tema come tale (lv Xpr.cr"t'é;l è trattato sotto l'ecclesiologia/9 l'idea di esser membro del corpo di Cristo 17. Schweitzer (Mystik, trad. ingl. 75) ha sostenuto che Paolo non si accontentava dell 'attesa escatologica a causa dei problemi che l'escatologia come tale poneva. Ma ciò dipende dall'accettazione della sua idea, altamente schematica, della logica necessaria dell'escatologia, v. ad es. 79 s. 18. Kasemann ad es. ha sostenuto che l'idea che l'eucaristia consentisse la parteci­ pazione al corpo e sangue di Cristo era comune nella cristianità prepaolina: Anlie­ gen und Eigenart der paulinischen Abendmahlslehre, in Exegetische Versuche I, 12. Cfr. Bornkamm, Paulus, 199. 19. Bultmann , Theologie, 306-307. La sua osservazione, che la formula è ecclesio­ logica e escatologica - non una formula del misticismo personale è, almeno in -

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Paolo

è derivata dallo gnosticismo,20 la partecipazione alla sua morte è

una concezione derivata dalle religioni misteriche) ;n ma egli in­ sisteva anche sul fatto che queste varie concezioni che Paolo mu­ tuava dagli schemi soteriologici del tempo dovessero essere inter­ pretate nel senso della > ci assicura che «sia che vegliamo sia che dormiamo, viviamo insieme con lui» . Non possiamo esclu­ dere la possibilità che il pensiero di Paolo sia che la morte di Cri­ sto, espiando i peccati passati, assicuri a quelli che perseverano il ricevimento della futura salvezza . Ma senza dubbio l'accento è al­ trove : non verso il passato (l'espiazione delle trasgressioni trascor­ se) , ma in avanti, verso la certezza di vita con Cristo, vivi o morti che siamo alla sua venuta.48 Questo, dice Paolo, è lo scopo della morte di Cristo. 47· Similmente Stanley, Christ's Resurrection in Pauline Soteriology, 1 39 s. Cosl anche Tannehill, Dying and Rising, 66-69 : il brusco passaggio da «uno morl» a «perciò tutti morirono» va spiegato sulla base dell'idea che tutti i cristiani muoiono con Cristo. 48. Similmente, Tannehill , 133 s.

· Paolo

Non cercherò di dare qui una rassegna completa delle prospettive de­ gli studiosi sulla morte di Cristo in Paolo, anche se alcune osservazio­ ni vanno fatte. Divergo da Bultmann (Theologie, 29.5) per il fatto di non ritenere che tutti i passi che dicono che Cristo morl «per i nostri peccati» sono propiziatori (o espiatori) . In un passo come 2 Cor. 5,14 ad es., ch e Bultmann classifica sotto questo titolo, l'idea del «per tut­ ti» emerge subito : perciò tutti sono morti . La terminologia del «per tutti» senza dubbio viene dalla tradizione, ma il significato esplicito del passo è più partecipatorio che propiziatorio o espiatorio. Né trovo che valga la pena di cercare di distinguere precisamente tra idee sacrifi­ cati di propiziazione, di espiazione e di sostituzione (o morte vicaria ) (dr. Bultmann, op. cit. , 295 ss .), preferendo parlare di tutti i passi sa­ crificali come connessi semplicemente alla espiazione per le trasgressio­ ni trascorse. Si può teoricamente distinguere tra espiazione, propizia­ zione e sostituzione, ma non è chiaro se queste distinzioni si facessero nel primo secolo o se siano rilevanti per Paolo. Sono completamente d'accordo con Bultmann che ciò che distingue Paolo non è la ripetizio­ ne dell'idea sacrifìcale tradizionale (op. cit., 297 s.). Cosl anche Davies, Paul and Rabbinic ]udaism, 242 : quantunque, cercando di render giu­ stizia al significato della morte di Cristo, usi termini sacrificali, Paolo non dà loro sviluppo, ma lascia il discorso allo stadio iniziale. Cfr. Ka­ semann , Il valore salvifico della morte di Gesù in Paolo, in Prospettive paoline, trad. i tal. 7 2 : Rom. 3 ,2 .5 si riferisce al «perdono di peccati com­ messi in precedenza» . è lo stesso di > , rispondono alle due concezioni della condi­ zione critica dell'uomo, la trasgressione e la schiavitù . Ma mate­ rialmente le due concezioni della situazione umana vanno di pari passo - sono due modi differenti di dire che l'uomo senza Cristo è condann ato - e cosl i due maggiori complessi di termini soterio­ logi ci vanno di pari passo. Il complesso più adeguato è quello «partecipativo» , come si è qui mostrato.

Le diverse definizioni della distretta umana Non ho intenzione di entrare in una discussione dettagliata di quanto Paolo intende con «la carne» e altri termini simili, perché ritengo che se ne sia trattato a sufficienza altrove. Qui si dovreb­ be solo osservare che Paolo ha una ricca e sviluppata concettualiz­ zazione della distretta umana . Sebbene essa non fosse il punto di partenza del suo pensiero, ovviamente egli rifletté profondamen­ te sulla situazione dell'uomo alla luce della venuta di Cristo. Ab­ biamo trattato della distinzione di fondo tra situazione critica co­ me trasgressione e come schiavitù al peccato e abbiamo visto come andassero di pari passo nella visione specificamente paolina. Pao­ lo ha numerosi modi per esprimere il fatto che ognuno ha bisogno della salvezza offerta in Cristo (ognuno ha trasgredito, tutti sono stati sotto il potere del peccato, tutti sono stati abbandonati al­ le proprie passioni, tutti sono stati sotto la condanna della legge, tutti sono stati sottoposti agli spiriti fondamentali dell'universo, tutti sono stati «nella carne» , e forse altri modi ancora) : ma il punto realmente fondamentale è che ognuno si è trovato in una

La legge e la distretta umana

situazione critica da cui solo Cristo poteva salvarlo.73 In Cristo si riceve la condizione di figli al posto della schiavitù sotto gli spiriti fondamentali dell'universo, non si è più condannati dalla legge, non si è più «nella carne» . La stessa varietà di termini concettuali ci aiuta a scorgere la centralità della soluzione. Sin dalla venuta di Cristo, la distinzione fondamentale è tra quelli che credono e quelli che non credono. Proprio come «cre­ dente» è uno dei due termini più caratteristici di Paolo per indi­ care il cristiano (l'altro è «santo») , «non credente» , li'JtL>, in realtà egli intende parlare di qualcos'al­ tro. > paolina consiste nel fatto che il verdetto giuridico di Dio sull'uomo, manifestato nella morte di Cristo, è compreso nella fede come la percezione della propria condizione di peccato e, con essa, come esperienza d'esse­ re afferrati dalla grazia di Dio. Mediante il verdetto con cui Dio dichiara il peccatore giusto (Rechtfertigungsurteil), egli libera­ mente assolve il peccatore dal suo «esser-nel-peccato» . La dichia­ razione forense di giustizia ri-crea il peccatore. Cosl, il giudizio «forense» è al tempo stesso giudizio «efficace» , perché il giudizio di Dio ha potere creativo (p. I 2 3 ) . La dichiarazione forense impli­ ca perciò una nuova creazione, cosicché l'empietà del peccatore è superata in una relazione con Dio creata nuovamente. È in que­ sto senso che il giustificato è «nuova creatura» in Cristo (p. I 59) . L'azione di Dio non si esaurisce semplicemente in un decreto e­ sterno (una dichiarazione puramente forense) ma significa la crea­ zione effettiva di una nuova realtà ad opera di Dio. Ma questa nuova realtà del giustificato, creata da Dio, non va compresa in termini di ontologia statica, ma piuttosto come «realtà relaziona­ le» (Beziehungsrealitiit) , una realtà cioè che consiste unicamente nella nuova relazione tra Dio e l'uomo, relazione creata da Dio, il cui contenuto è, da parte di Dio, la signoria, e da parte dell'uomo, l'obbedienza (p. I 2 7 ) . Da ciò diviene chiaro come Paolo ha tra­ sformato l'aspetto forense della terminologia che gli è giunta dal giudaismo: «giustificazione» non designa più il riconoscimento della giustizia che l'uomo stesso ha stabilito nell'obbedienza alla

.La «giustiva di Dio» nel dibattito tedesco recente

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torà, e nemmeno semplicemente l'imputazione di una giustizia estranea, cioè la giustizia di Cristo. Piuttosto, la giustificazione si­ :gnifica per Paolo che il peccatore consente che lo si afferri e ri-crei ad opera della grazia di Dio. La giustificazione trova la più piena e­ spressione nel rapporto tra Dio e il giustificato, nella cui obbedien2a la nuova relazione si esprime, sebbene quest'obbedienza sia im­ .-possibile senza l'azione precedente della grazia divina. Cosl, la realtà della giustificazione è una realtà di relazione (p. 1 59 ) . I l carattere escatologico della «giustificazione>> consiste nel fat­ to che la «giustificazione» è sperimentata dalla fede come azione .escatologica di Dio, fondata sull'evento di Cristo, in cui Paolo ve­ de la rivelazione finale e decisiva della «giustizia di Dio» come presente : I'eschaton è penetrato nel vecchio eone. Il carattere «presente» dell'azione giustificante escatologica di Dio parla del­ :la presenza di una redenzione che era attesa nel futuro e propria­ mente vi appartiene. Una Heilsgeschichte è stata letteralmente inaugurata, nel senso che l'attesa redenzione escatologica è venu­ ta, anche se il suo ultimo compimento è ancora in sospeso (pp. 157 s.). Pure, per Paolo il carattere «presente» e «sospeso» della redenzione escatologica di Dio sono essenzialmente identici, per­ ché entrambi hanno la loro base nell'evento di Cristo. Per Ker­ telge è questa struttura forense-escatologica del concetto paolina di giustificazione che garantisce contro una semplificazione gnosti­ ca di «giustificazione» intesa come possesso puramente presente della salvezza. Una tal semplificazione è chiaramente visibile in un'interpretazione del concetto paolina di giustificazione che vi colga una trasformazione della natura umana a partire dalla quale una nuova vita etica risulta quasi automaticamente (p. 1 59 ) . Ciò induce a domandarsi come l'atto della giustificazione, o piuttosto la realtà della giustificazione, sia connessa con la «nuo­ va obbedienza» . Kertelge colloca questo nesso nella «giustifica­ zione per fede» paolina (pp. 1 60-2 2 7 ) . Con la sua fede in Gesù Cristo l'uomo sperimenta la sua giustificazione . Come tale, la fede è l'inizio della salvezza (dal punto di vista del singolo) , è la contro­ partita della grazia ed è un aspetto essenziale dell'atto di giustifi­ cazione. Ma «giustificazione per fede» vuoi dire qualcosa di più. Perché la fede è per Paolo sempre obbedienza alla volontà reden-

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tiva di Dio e come tale contiene un elemento attivo» (p. 2 2 5 ) . La libertà del credente dalla schiavitù del peccato non è sperimentata da lui come una realtà obiettiva, naturale, ma come un dono e una richiesta al tempo stesso. È nella fede che la tensione tra i conti­ nui sconfinamenti della «carne>> e la già presente realtà della giu­ stificazione escatologica è abrogata:0 La realtà redentiva in cui il credente è stato posto deve poter diventare realtà effettiva nella vita pratica con l'obbedienza alla richiesta della grazia. Il giustifi­ cato è chiamato al servizio e in questo servizio egli dà la sua rispo­ sta alla signoria della grazia. Cosi egli non solo riceve, ma è anche obbligato. Il giustificato anzi vanificherebbe per quanto lo riguar­ da il dono della grazia se non tenesse conto delle esigenze che Dio avanza sulla sua stessa vita . In fondo, dice Kertelge, la giustificazione consiste in questo : che l'uomo è liberato dal peccato per l'obbedienza; l'una cosa non esiste senza l'altra (p. 2 8 3 ) . In questa corrispondenza tra grazia e obbedienza, l'azione redentiva di Dio giunge allo scopo che si pro­ pone . L'universalismo della volontà redentiva di Dio e la necessi­ tà universale della salvezza degli uomini rimane . Ma il successo effettivo dell'attività redentiva di Dio si realizza solo in quelli che accettano l'offerta di grazia e divengono ad essa obbedienti . Que­ sto non vuol dire tuttavia che l'obbedienza umana abbia il suo si­ gnificato soteriologico accanto alla grazia divina, ma piuttosto al­ l'interno di essa. La «nuova obbedienza» del credente non è qual­ cosa di aggiunto alla grazia divina, è piuttosto la forma storica in cui si manifesta il successo dell'intervento redentivo di Dio (pp. 284 s.) . H. Conzelmann in Die Rechtfertigungslehre des Paulus. Theo­ logie oder Anthropologie?44 ripropone enfaticamente l'interpreta­ zione bultmanniana e compie così un deciso passo indietro rispet­ to alle nuove prospettive di Kasemann, Stuhlmacher, Mi.iller e Kertelge. Rispondendo alla domanda : «Significato della dottrina della giustificazione : teologia o antropologia ? » (p. 3 9 3 ) , Conzel­ mann segue Bultmann con la sua tesi secondo cui la teologia pao43 . lbid., 227; v. inoltre parte seconda, cap. 4 («Neuer Lebenswandel»), 2'o-28, . 44 · EvT 28 ( 1 968) 389-404.

La «giustizia di Dio» nel dibattito tedesco recente

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lina dev'essere interpretata antropologicamente (pp. 3 9 1 s .) , poi­ ché cristologia e soteriologia vanno di pari passo nell'evento sal­ vifico proclamato all'uomo nel kerygma (p. 3 9 2 ) . L'analisi termi­ nologica di ot.xat.oCTU'V1') ilEou è ora portata avanti mediante la do­ manda: «Come è definita la relazione tra Dio e l'uomo, mediante questa formula? >> (p . 398). Conzelmann rigetta nettamente il si­ gnificato soggettivo della costruzione genitivale, nel senso cioè della descrizione d'un attributo divino (Dio in quanto «giusto») , senza prendere affatto in considerazione l'interpretazione del ge­ nitivo soggettivo come designazione dell'azione di Dio .4' Quando Paolo usa la formula, egli parla della giustizia propria dell'uomo, a lui data da Dio sola gratia. Paolo , dice Conzelmann, si occupa della questione della salvezza dell'uomo, di come possa adempie­ re alla condizione della salvezza, di come possa ottenere «la giu­ stizia che conta dinanzi a Dio» .46 Con una breve analisi di vari te­ sti, Conzelmann cerca di mettere in luce la preoccupazione an­ tropologica di Paolo. La Ot.Xat.OCTU'V1') ilEov xwpt.� 'V6(J,OU di Rom. 3 , 2 1 s . proverebbe che «la giustizia di Dio è qualcosa di dato e im­ putato (ubereignet) all'uomo, e la frase ot.xat.ouvv"f} oÈ DEou ot.à 7t�­ O"'t'EW� Elc; 7ta'V"t'a� -roù� 7tLa-rEuov"t'a� ( 3 ,2 2) vien vista come «l' au­ tentica definizione della formula in Paolo» .47 Nell'interpretazione di Rom. x ,x 6 s . , che Conzelmann intende come il testo centrale per una interpretazione soggettiva, il concetto di giustizia divina sotto il profilo della potenza, cosl importante nella recente discus­ sione, è esplicitamente rigettato : «Poiché il contenuto del keryg­ ma . . . è esclusivamente evangelo, apportatore di giustizia, Paolo non conosce un aspetto del potere di Dio che possa essere isola­ to» . (p. 399). Conzelmann sembra trascurare il fatto che l'inter­ pretazione orientata nel senso proposto da Kasemann non ha par­ lato di un potere isolato , ma di potente manifestazione dell'inter• . .

.••

45· Conzelmann ( art. cit., 398) afierma che dove si trova il significato soggettivo del genitivo, ciò è sempre nella tradizione prepaolina, e non è mai paolino. 46. Era questa precisamente la questione di Lutero e, come in Bultmann , essa è orientata verso un'interpretazione assolutamente oggettiva della costruzione geni­ rivale di 8r.xrlr.OCTV'VT} 1lEou. 47· Conzelmann, art. cit. , 398. La frase UO''tEpouvtcxr. 't-ijç 86;T}ç 't O U 1lEou in 3,23 è interpretata da Conzelmann come «la gloria che conta dinanzi a Dio» e come un testo che getta luce ulteriore sul significato obiettivo di S�oxttr.OCTU'VT} 1lEou in 3,22 .

Paolo

vento redentivo di Dio. Ancora, di Rom. 9,30 s . dice che parla del.. la giustizia divina proclamata e fatta propria dalla fede (p. 400), e che 2 Cor. 5 ,2 1 parla da sé; in breve, Conzelmann spazza via o­ gni tentativo di vedere qui un genitivo soggettivo (p. 40 1 ) . Il tentativo d i Conzelmann di iniettare nuova vita nell'interpre­ tazione bultmanniana della «giustizia di Dio» paolina e della sua concezione della giustificazione non è convincente, specialmente alla luce del lavoro esegetico e storico-religioso che è stato speso per l'elaborazione e lo sviluppo della tesi di Kasemann. Sono con­ vinto che un passo indietro rispetto ai «nuovi orientamenti» e «ri­ sultati» della discussione recente significhi allontanarsi da una più chiara interpretazione della dottrina paolina della giustificazione e quindi della sua teologia nel suo complesso.48 La nostra rassegna della recente discussione in Germania ha mo­ strato che l'interpretazione di Kasemann della «giustizia di Dio» paolina come Heilsetzende Macht (potenza che crea salvezza) ha dominato completamente il dibattito, non solo tra i suoi allievi (Miiller e Stuhlmacher) , ma anche al di fuori della ricerca biblica protestante (Kertelge) . È anche divenuto chiaro che quelli che hanno seguito i nuovi indirizzi di Kasemann si sono distanziati da lui e tra di loro sotto diversi profili.49 Per quel che riguarda però l'interpretazione complessiva della dottrina paolina della giustifi­ cazione, le differenze sono più nelle accentuazioni'0 che nella so­ stanza. Per questo sembra giustificabile parlare di determinati ri­ sultati di cui ogni interpretazione del pensiero paolino deve tener seriamente conto se non si vogliono fare dei passi indietro.'1 Formuleremo qui di seguito, in brevi tesi, i risultati del dibat48. Il saggio di M. Barth, v. n. 3, concorda con la tendenza più recente, che vuoi comprendere la giustificazione sullo sfondo dell'Antico Testamento (pp. 14-2 1 ). Tuttavia nel suo tentativo di impiegare il complesso di concetti associati alla «giu­ stizia di Dio» nell'Antico Testamento, Barth subordina troppo categoricamente le affermazioni paoline sulla giustificazione ad una scena drammatica di giudizio in cinque giorni (pp. 25-82). Nel processo, la «giustificazione» è vista quasi esclusi­ vamente come parte di un atto giuridico (cfr. la contro-proposta dello scrivente in Set Free To Be, 1975, r r-3 1). 49 · V. ad es. Stuhlmacher, Gerechtigkeit Gottes, 7o-77; Kertelge, Rechtfertig. , 68 . 50. V. immediatamente sotto. 5 1 . Il tentativo di Conzelmann non ha preso sul serio l'analisi storico-religiosa del­ la òt.xat.OuUV1} bEou e perciò dev'essere considerato fallito.

La «giustizia di Dio» nel dibattito tedesco recente

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rito analizzato e concluderemo il nostro studio con alcune osserva­ .zioni critiche a proposito delle varie accentuazioni presenti all'in­ terno dell'interpretazione orientata sulla linea di Kasemann. I . La concezione veterotestamentaria del giusto intervento di Dio a favore del suo popolo, nel contesto della divina fedeltà al patto, è il presupposto teologico della concezione paolina della giustizia divina e della giustificazione dell'uomo. 2 . Il Sitz im Le ben del termine Ot.x�t.ocruv1') DEov è il giudaismo apocalittico e specialmente la comunità di Qumran. Cosi, St.xrxt.o­ a'Uvl') itEou è un termine tecnico che è giunto a Paolo congiuntamen­ te a talune associazioni preesistenti. 3 · Nella tradizione prepaolina, il concetto di giustizia di Dio era associato con quel che segue: a) la tradizione della creazione, che .vede in Dio il Signore sovrano sulla sua creazione; b) la concezio­ ne del cosmo come tribuna in cui ha luogo un giudizio tra Dio e Israele (il mondo) ; c) la fede nell'imminente giudizio escatologico in cui la fedeltà di Dio ai suoi si manifesterà ancora una volta.'2 4. Questi complessi di idee tra loro associate hanno determina­ to completamente l'uso paolino di ot.xrxt.ocruv1') DEov sebbene egli abbia trasformato il contenuto del termine in rapporto al proprio kerygma cristologico-soteriologico. 5 . Per Paolo Ot.xrxt.ocnJvT) DEov è l'intervento redentivo di Dio, non una descrizione dell'essenza divina, né dell'essenza dell'uomo dinanzi a Dio. A differenza della precedente tradizione, il termine significa per Paolo qualcosa di più che il rinnovarsi dell'antico pat­ to, ma è universalizzato includendo l'intera creazione: Dio agisce come redentore a vantaggio di tutti gli uomini. Ancora, a diffe­ renza della precedente tradizione, Paolo parla della giustizia di Dio presente adesso nell'evento di Cristo. In quest'intervento e­ scatologico redentivo, Dio ha rotto con il vecchio eone e sta crean­ do il nuovo eone. 6 . La manifestazione della «giustizia di Dio» è tale evento, nel cui contesto ha luogo la giustificazione. Sebbene siano presenti ri,2. Il recente contributo di H.H. Schmid alla comprensione del significato di «giustizia» nel Vicino Oriente antico (Gerechtigkeit als Weltordnung: Hinter­ grund und Geschichte des alt.lichen Gerechtigkeitsbegriffe, 1968) è significativo, ma

non tocca sostanzialmente l'uso paolino del concetto di «giustizia di Dio».

Paolo

sonanze giuridico-forensi nell'uso paolina di Ot.xat.oaVVT) e Òt.xat.ov'V / òt.xat.ouuDat., esse non sono in primo piano. La dichiarazione fo­ rense non è solo una proclamazione: è al tempo stesso dichiara­ zione «efficace» : l'uomo che è > e «esser salvato» e qui si vede pie­ namente in opera la terminologia della giustizia per indicare il «trasferimento» .' Non vi sono equivalenti in ebraico. Cosl para­ gonando la «giustizia» nel giudaismo e in Paolo, ci si deve frequen­ temente spostare dall'aggettivo (nel giudaismo il giusto, �!xat.o�, !addiq, è uno che obbedisce alla torà) al verbo (in Paolo si può esser giustificati o resi giusti, Ot.xat.ouaDar., solo per fede) . Cosl Paolo mette in contrasto con respressione biblica ò OLXctl-0� �x 1tL­ O""tEW> e «fede» sono molto concreti: essi son destinati a mo­ strare che non quelli che osservano l'alleanza, ma solo quelli che hanno fede in Cristo e sono «in» lui, ricevono le promesse bibli­ che . Cosi Gal. 3 ,2 9 : «E se voi siete di Cristo, allora siete progenie di Abramo, suoi eredi secondo la promessa» , Rom. 4 ,24 s . : « . . . sarà a noi accreditato: a noi che crediamo in colui che ha resusci­ tato dai morti Gesù nostro Signore, il quale è stato messo a morte per i nostri peccati ed è stato risuscitato per la nostra giustificazio­ ne» . Non è dunque primariamente contro i mezzi mediante i qua­ li si può esser autenticamente religiosi (i mezzi propri del giudai­ smo) che Paolo polemizza («mediante le opere della legge») , ma contro quel che nel giudaismo è previo e fondamentale : l'elezio­ ne, l'alleanza e la legge ; ed è perché questi sono sbagliati che i mezzi appropriati alla «giustizia secondo la legge» (l'osservanza della torà e il pentimento) sono ritenuti errati e non sono menzio­ nati. In breve, quel che Paolo trova di sbagliato nel giudaismo è che non è cristianesimo. Non fa parte delle conclusioni del nostro studio affermare che uno dei modelli descritti è superiore all'altro. Non sono completa­ mente contrario ad ammettere giudizi di valore sulle antiche re­ ligioni, anche se si deve esser cauti nell'usare come criteri di giu­ dizio unicamente i valori dell'umanesimo moderno. Si possono scoprire in Qumran accenti di autogiustificazione bigotta e si pos­ sono denunciare, come ci si può dispiacere di una sorta di vanaglo­ ria paolina . Per quanto concerne tuttavia le linee principali del nosmismo del patto e dell'escatologia partecipazionistica, non sembrano esservi ragioni per pensare che uno sia superiore all'al­ tro. Il punto di vista paolina difficilmente poteva essere mantenu­ to, e non fu mantenuto. Il cristianesimo divenne rapidamente un nuovo nomismo del patto, ma con questo non si prova né l'infe­ riorità né la superiorità di Paolo. Dicendo che l'escatologia par­ tecipazionistica è differente dal nomismo del patto, intendo solo dire che è differente, non che la differenza è istruttiva per cogliere l'errore della via giudaica. Piuttosto che giungere ad un giudizio teologico sull'inferiorità

Conclusione

o sulla superiorità di Paolo o del giudaismo, spero solo di aver pre­ sentato uno studio utile alla comprensione. Lungo tutto il corso della ricerca, abbiamo sostenuto tesi ardue: che il giudaismo non è stato correttamente presentato da molti studiosi; che, nonostan­ te differenze rilevanti a sufficienza per far di Qumran una setta, esiste un accordo di fondo di tipo religioso tra Qumran e altre forme di giudaismo del tempo; che il tema fondamentale della teo­ logia di Paolo si trova nel linguaggio partecipazionistico piuttosto che nel tema della giustizia per fede; che nonostante i punti di ac­ cordo il tipo paolino eli religione è fondamentalmente differente da qualsiasi altra forma nota di giudaismo palestinese. Le conclu­ sioni che comportano una comparazione sono state raggiunte sul­ la base di uno studio dei modelli religiosi. La loro validità dipen­ de dalla validità della concezione generale che sia possibile para­ gonare «un tutto» con «un tutto» , che abbia senso parlare di accordo o di disaccordo di fondo per quel che concerne un intero modello, e che l'accordo di fondo può esistere nonostante diffe­ renze su elementi anche importanti, mentre il disaccordo di fon­ do può esistere nonostante l'accordo su importanti elementi. Que­ sta visione generale è il presupposto su cui riposano le due conclu­ sioni principali : che vi è un tipo religioso generalmente prevalen­ te di giudaismo palestinese (il nomismo del patto) ; che il modello paolina di pensiero religioso è fondamentalmente differente (l'e­ scatologia partecipazionistica) .

Paolo, fellenismo e il giudaismo ellenistico Se il modello paolina di pensiero religioso non si può adeguata­ mente spiegare come derivazione dal giudaismo palestinese, sorge naturalmente la questione della sua origine. Sarebbe presuntuo­ so pretendere di trattare questo problema nell'ultima parte della conclusione di un libro che tratta di qualcos'altro, ma esso non può neppure esser semplicemente ignorata. Cercherò eli delineare una possibile risposta, senza pretendere completezza o certezza. La questione si può forse formulare nel modo migliore metten­ do a fuoco la concezione paolina della condizione umana. L'idea di schiavitù, di asservimento suggerisce immediatamente la possi-

Conclusione

bilità di una origine ellenistica. È questo il punto che è servito co­ me chiave nel confronto tra Paolo e Filone stabilito da Gooden­ ·oughn e Sandmel.12 Sandmel ha infatti sostenuto che l'approccio di Paolo alla situazione critica dell'uomo era ellenistico, ed è que­ sta la sua descrizione del punto di vista greco: Per i Greci, il mondo era un luogo di dolore, l'uomo era una infelice mescolanza di anima, che era spirituale ed era buona, e di corpo, ma­ teriale e cattivo; e la vita era un peso. Lo scopo della religione greca, anzi il suo Leitmotiv, era di sfuggire : sfuggire alla fine inevitabile, la morte; sfuggire alla schiavitù del corpo.1'

Sandmel paragona Paolo e Filone in questi termini: � Paolo e Filone hanno molti elementi in comune . Entrambi conside­ rano la Bibbia come uno strumento di salvezza personale. Entrambi si preoccupano della questione di come l'individuo possa mettere in gra­ do la sua mente (o la sua anima : termini intercambiabili) di trionfa­ re sul corpo. Per entrambi l'uomo, la mescolanza di materiale e di im­ materiale, ospita in sé la lotta tra la mente illuminata e l'aggressività dei sensi e delle passioni. Entrambi pongono questioni simili : gli a­ spetti del corpo conquisteranno la ragione umana? O l'uomo, con la sua ragione, dominerà i desideri del suo corpo ? 14 ..

Sembra questa una descrizione aderente a Filone, ma non a Paolo. Quando Paolo parla del conflitto tra «spirito» e «carne» (Gal. 5 , 1 6-2 5) sarebbe meglio usare le maiuscole. Il conflitto è tra lo Spi­ rito di Dio e la Carne, il potere che si oppone Dio (cfr. specialmen­ te v. 2 5 ) . Lo Spirito che qui è impegnato nella lotta è lo stesso · spirito che i credenti hanno e che abita in loro; non è lo spirito umano in guerra contro la corporeità. Paolo mette in qualche mo­ �o in relazione la carne alle passioni e ai desideri umani in un mo­ do che ricorda la concezione filoniana del awp.a /aijp.a, 1' ma la so­ Jlliglianza non è profonda. Paolo non presenta l'aspirazione uma­ na dello spirito ad esser liberato come dalla tomba corporea. L'e­ �igenza umana è piuttosto di divenire una sola cosa con Gesù CriI I . E.R. Goodenough, Paul and the Hellenization of Christianity, in Religions in Antiquity, ed. ]. Neusner, 23-68. I2. V. spec. The Genius of Paul, 8-I4. 13 . Ibid., 22. I4. Ibid., 53· 1.5 . Si noti «passioni e desideri» in Gal. 5,24 ; l'espressione «corpo peccatore» in Rom. 6,6 e il conflitto tra corpo e mente in Rom. 7,23 . Cfr. Goodenough , op. cit. (n. I I ), .53·

Conclusione

sto e di avere Io Spirito di Dio. La guerra, in altri termini, non è all'interno di se stessi, ma concerne il potere cui la persona - cor­ po e anima - appartiene. La «carne» di Paolo non è l'equivalente del : Concordantiae ver­ borum quae in «Sifrei>> (Numeri et Deuteronomium) reperiuntur, 5 voli., Jerusalem 1 970-1 974. III. BIB LIOGRAFIA GENERALE

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