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Italian Pages 181 [20] Year 2015
Nuccio Lodato Francesca Brignoli
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LitDW
«Pietrificato nella storia del cinema». O no?
Capita ancl1e a chi faccia critica letteraria di occuparsi della
Commedia o di Leopordi. A chi commenti l'architettura, del Partenone o delle cattedrali gotiche; la pittura, degli Scrovegni o della Sistina; la musica, di Bach o lliozart o Beethoven, e ,1a dicendo per le altre forme.
È possibUe, non obbligatorio. Non prescrizione che lo imponga, insomma. Ma neppure di.vieto che lo interdica.
Analogo il discorso, pur fatte le debite proporzioni, va da sé, per Orson Welles e il suo Citizen Kane: probabilmente il film più diswsso, commentato e studio.to nell'intera vita del cinema. E che
tutt'ora, a oltre settant'anni dalla sua apparizione, per con,·ergenza quasi unanime degli storici, divide quel secolo abbondante, attraverso cui si è stratificata fino ad oggi la vicenda cronologica dei film, in un prima e in un dopo.
È capitato e ancora capiterà a grandi cineasti di palesarsi con un debutto di tale livello da rendere veramente problematico, nel prosieguo deOa carriera, tornare ad attingerne i vertici. Da noi, un Vis,:onti con Ossessione o un Bellocchio con I pugni in tasca fanno parte certo di questo gruppo: come anche, volendo, tra gli altri, in Europa, magari addirittura Buòuel, forse lo stesso Godard. Ma il caso di Welles - come per altro verso, non riferito all'opera prima, quello di Stroheim - è più complesso. Ad impedirgli infatti di tornare a quel vertice primigenio hanno concorso, oggettivamente, .soprattutto
proibitive circostonze esterne: non toli comunque da impedirgli lo realizzazione di ulteriori, ancorché discussi, capolavori.
«li principale paradosso di cui vive e soffre Orson Welles», hanno scritto giustamente Placereani e Giuliani, introducendo gli atti del riochissimo convegno internazionale udinese del 2006, «è quello che lo vede da un lato incarnazione stessa del concetto di autore: a partire
da un primo indimenticabile film, una pietra miliare, una sorta di unico perfetto concluso movimento dello sguardo, pietrificato nella storia del cinema, Quarto potere» 1• Questa primazia si è venuta materiando in uno stratificarsi di
consa.cra2ioni - storiografiche. e critiche, conte pure-gionudisUche e
«mondane» - tendenzialmente superiori, appunto, a quelle di qualsivoglia altro film: dalla famosa classifica redatta dalla critica internazionale in occasione dell'Esposizione Universale di Bruxelles
del 1958 in poi, il capolavoro wcllcsiono è stato plcbiscitariomcntc acclamato - quand'anche, beninteso, avessero senso simili astratte graduatorie.. . - come migliore film in assoluto della storia del cinema. Addirittura oltre la saturazione. Decisamente pili utile l'ennesimo proverbiale scatto Intuitivo di Gilles Deleuze, allorché ebbe ad annotare: «Non è esatto considerare l'immagine cinematografica quasi fosse per natura al presente [ ... ]. La prima volta che apparve nel cinema un'Immagine-tempo diretta non fu sotto gli aspetti del presente (anche implicato), ma al contrario sotto la forn1a di falde del passato, con Quarto potere di Welles. Qui,
il tempo usciva dai suoi cardini. capovolgeva il rapporto di dipendenza. dol movimento, la temporalità. si mostravo per se stessa e per la prima volta, ma sotto forma di una coesistenza dì grandi ragioru da esplorare» 2 • In altre parole, il venticinquenne debuttante diveniva, ipso facto
(sebbene, ipoteticamente. forse a sua insaputa ...) interlocutore autorevole e alla pari dei grandi maestri narratori letterari che già avevano da poco sconvolto senza ritorno la percezione del tempo~ racconto del ventesimo secolo: Manne Proust, Joyce e la Woolf, e via
dicendo. E apri\•a al cinema nuove e inedite prospettive, stilistiche e visive, forse non tutte portate dawero alla massima matura2ione possibile nel settantennio successivo. «"La fama di Citizen Kane - diceva André Bazin - non sarà mai
troppa•. J,:ppure neanche l3azin poteva immaginare quanto potesse rivelarsi vera, profeticamente, drammaticamente vera, anzi falsa, la sua osservazione. Di fama Citizen Kane ne ha avuta anche troppa. Lo rammentava, un po' sconsolato, proprio Orson Welles all'amico Peter Bogdanovich. Aveva finito col non volerne più parlare. Ne era quasi
infastidito. Un film. Dopo tutto non era che un film. Il primo. Secondo molti il più bello, secondo altri non il migliore: meglio L'orgoglio degliAmberso11 o Rappo,.to confidenziale. Chissà ... Fuori di dubbio è invece che Quarto potere per W elles è stato innanzitutto un film maledetto... quasi da maledire. Troppo ingombrante, troppo tumultuoso. Per non parlare poi del fatto che proprio questo film è stato all'origine di tante noie, di troppi guai, che per t utta l'esistenza l'hanno tormentato. Prima con l'affaire Hearst (davvero un brutto affare). Le polemiche, le minacce, le uane legali. .. l'invidia, anche, di molti colleghi di Hollywoo.t, frllstr•ti d• vincoli • cl•n•ole, limitazioni
e serragli, da cui questo moccioselto venuto dalla radio e dal tealt'o era stato affrancato, con un contratto (stipulato con la RKO) dove gli si garantivano pieni poteri. Quelli d1e avevano risvegliato
l'entusiasmo di Edcvon Su-oheun ( •Pieni poteri a Welles» andava dicendo), i cui splendidi e terribili film furono spesso massacrati doi produttori per ragioni che neppure vale la pena di ricordare. Dopo con la stucchevole polemica critico-storiografica innescata da Pauline
Kael sulla •paternità" di Quarto potere: le accuse, le difese (tra cui quella di Bogdano,'1ch)... »3.
Ecco perché, nonostante l'autentico Everest bibliografico nel frattempo accumulatosi (e del quale si è cercato dì dare un conto severamente sintetico), ha sicuramente ancora un senso proporre nuovi e aggiornati materiali di conoscenza e riflessione su questo fùm.
Non foss'altro che ind.irizzandoli, da una parte, a chi lo custodisce n~lla memorlll, seu1pre rinnovabile e 11rrfochibfle proprio in virtù del
tempo; dall'altra, alle migliaio di giovani spettatori che - onehe grazie al lavoro, magari un po' rituale ma oggettivamente imprescindibile, delle università - hanno occasione di accostanisi, un anno dopo l'altro, per la prima volta. Scoprendo, spesso attraverso una
lietamente disorientata e stupefatta visione, fino a dove abbia potuto/possa/potrebbe arrivare il cinema. Questo modesto lavoro non ~ quindi teso alla ricerca di un'impossibile «originalità•, ma di una solida e tendenzialmente esaustiva divulgatività riepilogante. Pur non avendo rinunciato a togliersi qualche piC'.cole soddisfazione: una !linossi partiC'.olarmente
particolareggiata e aderente; credits ad essa riferiti nel tentativo di indh~duore, in ordine di opparizione, tutti gli identificabili interpreti dei personaggi, anche i minori e minimi; un'antologia della critica diac.ronicamente tesa a una particolare riccheua .
••• Negli ultimi anni della sua esistenza, Federico Fellini pareva aver perduto progressivamente fiducia tanto nel cinema, quanto nell'Italia e forse nella stessa vita: e la sua tragica scomparsa gli avrebbe impedito, per poco, di constatare direttamente quanto e come profondamente in questi suoi timori avesse ragione. Confidava al suo
aiuto fedele di sempre, Gianfranco Angelucci, il proposito di smetterla coi film, «perché stiamo costruendo lampadari per case senza
soffitto».
11 Welles del 1940, all'opposto, rappresentava l'emblema estremo di un·epoca nella quale la fiducia nella capacità penetrativa e realizzativa del nuovo mezzo è stata probabilmente tra le massime mai raggiunte: e nessuno, vedi caso, avrebbe comunque saputo, anche succe.55ivament~ far vedere i soffitti meglio di lui ...
D'altra parte, al di là della discussione, probabilmente sempiterna, sul rapporto tra classicità e sperimentazione nel capolavoro
wellesiano, non mancano dawero motivi, contingenti o meno, capaci di riportare con prepotenza la nostra attenzione su di un ftlm che marcia ormai spedito verso i tre quarti di secolo di età, ma presenta tutte le caratteristiche atte a offrirne tuttora - e in futuro .... - una
visione ricca di motivi dì interesse forte e dì profonda soddisfazione estetica e persino sensoriale. Tanto lo spettatore italiano «nuovo», probabilmente con maggior stupore, quonto quello ordin,ria - il Sup..--tempo di un Superuomo non è mai la somma delle temporalità delle esperienze di rutti coloro che sono stati a contatto con loi - ~ un meccanismo complesso e pirandellianamentenon misurabile con un unico strumento, anche se
razionalmente dtfuùbil•." Aveva specificato d'altra parte André Bazin, ma la contraddizione è solo apparente, che, Orson Welles ha Nn.ndole oon ciò una ffiertifìr..u:ionP. a priori, è lo
spirito d•llo sp•ttatoN a trovarsi 00, tramutati notoriamente in «Rosabelia» e «Cambalù». La manipolazione di .cRosebud• - nome clte potrebbe essere stato i.spirato, oome da più parti si è ipotiuato, da .\fo/,y Dick - è stata panicolarmenle oltroggiosa, colpendo al CUON, il nucleo stE!ISSO profondo del film. oltre a ri\'elarsi pale.semente insensata anche dal punto di ,ista letterale. u A. Ff)rrem, Il cittadino(>r:tQn Wf!llf'.S ,i il mito d,.l potere1 «CinNTI3 Nuovo•, 182~
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Antologia critica Quaranta voci per Charles Forster
1. La Trinird Welles
Ecco forse la prima critica cinematografica scritta da un regista che si trova egli stesso ad aver recitato, ai suoi tempi, la parte che recita oggi Orson Welles della «Santa Trinità». Nel nostro caso «Trinità» significa che le funzioni di Sceneggiatore, di Regista, e di Primo Attore sono coniugate alla stessa persona. L'uomo che svolge queste tre funzioni si trova in tutti i casi di fronte a un lavoro gigantesco, che può essere pienamente apprezzato solo da chi abbia veramente fatto lo stesso tentativo. In effetti, Orson Welles ha «segnato un punto in più» di me, poiché era anche produttore. E il Produttore Welles ha permesso senza protestare al Regista Welles di realizzare il progetto dello Sceneggiatore Welles. E il Regista Welles ha lasciato fare all'Attore Welles quello che voleva. Come chi ha il ruolo di «Super Trinità» raccoglie gli applausi praticamente da solo - a patto che il rapporto finito ne sia degno-, così a lui solo saranno rivolte le critiche negative[ ... ]. Può darsi che sia iperconservatore, o molto semplicemente sorpassato, ma credo sinceramente che il modo n cui viene raccontata la storia di Citizen Kane non è quello né auspicabile né felice di raccontare una storia sullo schermo. Siamo stati tutti abituati a sentire o a vedere delle storie che cominciano dal principio. Il modo in cui Welles racconta la storia può essere al proprio posto in un romanw o sulla scena, ma sono convinto che non ha niente a che vedere con il cinema. Naturahnente capisco che, essendo stato Kane un direttore di un giornale, Welles tratti la sua morte da un punto di vista giornalistico, in flash brevi, da «staccato». Non ho nulla da eccepire contro tutto ciò, ma trovo da ridire sul fatto che si sia iniziato dalla morte di Kane. Lungi da me l'idea di voler riscrivere la sceneggiatura, sono tuttavia convinto che questa si poteva sistemare in modo tale che la morte di Kane fosse mostrata nella buona, vecchia maniera: alla fine. Il sacrificio della semplicità a favore dell'eccentricità priva il film del suo valore generico di divertimento. Ma a parte queste carenze nella storia, e gli errori fondamentali nel modo di raccontacla, posso cantare solo le più grandi lodi del film. L'insieme della realizzazione può essere definito solo con una parola: superbo. Eric von Stroheim, Citizen Kane, .THOlltJ.P.-THoMAS F., Orson iVelles au travail, Editions «Cahiers du Cinéma,., Paris 2006. BESSY M., Orson Welles, Seghers, Paris 1967. Booo,,NoVICH P., The Cinema ofOrson Welles, F'ilm Libra,:y of the Museum of Modem Art, New York 1961. BoP.DWELL D.-THO~ll'SON K., Cinema come arte. Teoria e prassi del.film, Il Castoro, Milano 2003. BRADY F., Citizen Welles: A Biography o/Orson Welles, Scribner's, New York 1989. CACCIAR., Invito al cinema di Welles, Mwsia, Milano 1997. CALLWARJ C., Orson l'l'el/es: il gioco dei potenti (tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, relatore Vito Pandolfi, a.a. 1971-72). 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