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Italian Pages 270 [266] Year 2003
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CRITICA E LETTERATURA
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Guido Baldi
NARRATOLOGIA E CRITICA Documento acquistato da () il 2023/04/27.
Teoria ed esperimenti di lettura da Manzoni a Gadda
ISSN 1972-0645
Liguori Editore
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Stampato con il contributo dell’Universita` di Torino Dipartimento di Scienze letterarie e filologiche Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore (http://www.liguori.it/areadownload/LeggeDirittoAutore.pdf). L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La duplicazione digitale dell’opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa Editrice Liguori è disponibile all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=contatta#Politiche Liguori Editore Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/
© 2003 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Aprile 2003 Baldi, Guido : Narratologia e critica. Teoria ed esperimenti di lettura da Manzoni a Gadda/Guido Baldi Critica e letteratura Napoli : Liguori, 2003 ISBN
978 - 88 - 207 - 3492 - 3 (a stampa)
eISBN 978 - 88 - 207 - 6270 - 4 (eBook) ISSN 1972-0645 1. Il romanzo italiano tra Otto e Novecento 2. Le tecniche del racconto I. Titolo II. Collana III. Serie Aggiornamenti: ————————————————————————————————————––—————— 23 22 21 20 19 18 17 16 15 14 13
10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
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INDICE
1
Premessa
3
Introduzione: Narratologia della ‘storia’ e narratologia del ‘discorso’
37
Renzo e la sommossa: voce e prospettiva del racconto
75
Cavalleria rusticana dal linguaggio narrativo alla scrittura drammatica
101
Pane nero: le strutture narrative dell’anti-Malavoglia
113
Crisi del soggetto e maschera estetica nel Piacere
149
Da Senilita` alla Coscienza: inattendibilita` del personaggio focale e inattendibilita` dell’io-narratore
183
Mattia Pascal, «filosofo» imperfetto
215
«Pasticcio» e ordine nella Cognizione del dolore
251
Indice dei nomi
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PREMESSA
Raccolgo in volume una serie di saggi scritti in tempi diversi, tra il 1980 e il 2000, ma collegati da un comune filone di ricerca, l’analisi condotta sul ‘discorso’ narrativo, e piu` esattamente sulla voce e sul punto di vista, assunti come chiave privilegiata per entrare nel sistema del testo; chiave poi integrata necessariamente da altri strumenti, sociologici, psicanalitici, di storia culturale, in modo da cogliere il piu` possibile della complessita` plurivoca e polisemica del testo letterario. L’indagine viene anche a delineare un percorso storico entro le forme della narrativa otto-novecentesca, costruito su una serie di campioni esemplari quali i testi di Manzoni, Verga, D’Annunzio, Svevo, Pirandello, Gadda. Alle analisi dei testi viene premessa una Introduzione, contenente una discussione sui fondamenti teorici a cui esse si rifanno. Degli otto saggi qui presenti il piu` antico e` quello manzoniano, gia` comparso nel volume collettivo L’arte dell’interpretare. Studi critici offerti a Giovanni Getto, L’Arciere, Cuneo 1984. Una versione molto piu` ampia, che analizzava capillarmente i capitoli XI-XVII dei Promessi sposi, era stata gia` rifusa nel nostro volume «I promessi sposi»: progetto di societa` e mito, Mursia, Milano 1985, ma qui viene riproposta la redazione originaria, concentrata solo sul gioco dei punti di vista del narratore e di Renzo; e` stata pero` riscritta la conclusione, nel tentativo di puntualizzare piu` chiaramente la tesi sul carattere monologico dei Promessi sposi, che ha dato adito ad equivoci. L’introduzione teorica, letta come relazione ad un convegno del 1985, e` stata pubblicata su «Lettere italiane», 1, 1988. Il saggio su Pane nero e` uscito negli Atti del convegno Famiglia e societa` nell’opera di Giovanni Verga, Olschki, Firenze 1991, quello su Cavalleria rusticana in «Il castello di Elsinore», 42, 2001; quello sveviano negli Atti del convegno Italo Svevo scrittore europeo, Olschki, Firenze 1994; quello gaddiano negli Atti del convegno La coscienza infelice: Carlo Emilio Gadda, Guerini, Milano 1996; quello dannunziano in «Moderna», 1, 2000. Lo studio sul Fu Mattia Pascal e` inedito. I saggi gia` pubblicati hanno subito aggiornamenti bibliografici, rimaneggiamenti, integrazioni e talora ampliamenti notevoli. Torino, dicembre 2001
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INTRODUZIONE
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NARRATOLOGIA DELLA ‘STORIA’ E NARRATOLOGIA DEL ‘DISCORSO’
La narratologia ha avuto, a partire dagli anni Settanta, sviluppi rapidi e notevoli approfondimenti, giungendo ad elaborare sistemi teorici e strumenti di indagine altamente sofisticati, ed ha suscitato consistenti interessi anche nella cultura italiana, che, grazie probabilmente al peso dell’eredita` idealistica, era sempre stata, a differenza della cultura anglosassone, francese o tedesca, fondamentalmente estranea a questo ordine di problemi per cosı` dire ‘tecnici’. Ma, nell’uso che e` divenuto corrente, sotto la designazione di ‘narratologia’ si sono raccolti almeno due grandi tipi di indagine tra loro molto differenti, con la conseguente, inevitabile nascita di parecchi equivoci. Per tentare di dissipare tali equivoci si potra` partire dalla distinzione fondamentale, preliminare ad ogni approccio al testo narrativo, tra ‘storia’ e ‘discorso’, tra il ‘che cosa’ un testo racconta e il ‘come’ lo racconta, per usare la sintetica definizione di Chatman1; distinzione che proprio in Italia, ad opera di Cesare Segre, ha subito ulteriori e opportune articolazioni in modello narrativo, fabula, intreccio e discorso2. Non e` stato frequente il caso di riflessioni teoriche, ma soprattutto di applicazioni critiche ai testi, che si siano occupate contemporaneamente dei due livelli: nella maggior parte dei casi gli studi si sono concentrati o sulla ‘storia’ o sul ‘discorso’, con scarsi o nulli rapporti tra di loro. Esistono quindi, per schematizzare la questione in due facili formule, una ‘narratologia della storia’ e una ‘narratologia del discorso’, che tendono ad avviarsi su percorsi paralleli ed indipendenti. Per 1
S. Chatman, Storia e discorso. La struttura narrativa nel romanzo e nel film, tr. it., Pratiche, Parma 1981, p. 15. 2 C. Segre, Analisi del racconto, logica narrativa e tempo, in Le strutture e il tempo, Einaudi,Torino 1974, pp. 3-72 (distinzione ripresa piu` volte dallo studioso in opere successive).
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NARRATOLOGIA E CRITICA
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la prima basta ricordare i nomi di Barthes, Bremond, Greimas, Todorov3 (che ha pero` interessi piu` articolati), che prendono le mosse dalla Morfologia della fiaba di Propp4, e, per le applicazioni italiane, gli studi di Avalle sulla Commedia, di Segre sul Decameron, di Dalla Palma sull’Orlando furioso, di Fido e Marchese sui Promessi sposi5; per la seconda, tutta la tradizione anglosassone che si e` occupata del ‘punto di vista’ (James, Lubbock, Beach, Booth, N. Friedman, Brooks e Warren, Scholes e Kellogg, Chatman, Pascal, Rimmon-Kenan, Cohn, Lodge, Lanser), la tradizione di cultura francese (Genette innanzitutto, Rousset, Bal, Vitoux, Lintvelt), tedesca (Stanzel), russa (Uspenskij), italiana (Marchese, Grosser, Volpe, Pugliatti, Cacciatori, Agosti, Marrone, Meneghelli, Bernardelli, Turchetta)6. 3
R. Barthes, Introduzione all’analisi strutturale dei racconti, in Aa.Vv., L’analisi del racconto, tr. it., Bompiani, Milano 1969; T. Todorov, Grammaire du «De´came´ron», Mouton, The Hague-Paris 1969; C. Bremond, Logica del racconto, tr. it., Bompiani, Milano 1977; La logica dei possibili narrativi, in Aa.Vv., L’analisi del racconto cit., pp. 97-122; A. Greimas, Elementi per una teoria dell’interpretazione del racconto mitico, ibid., pp. 47-96; Semantica strutturale, tr. it., Rizzoli, Milano 1968, Del senso, tr. it., Bompiani, Milano 1974, Del senso 2, tr. it., Bompiani, Milano 1985, Maupassant, esercizi di semiotica del testo, tr. it., Centro scientifico editore, Torino 1995. 4 V. Ja. Propp, Morfologia della fiaba, tr. it., Einaudi, Torino 1966. 5 D’A. S. Avalle, Modelli semiologici nella «Commedia» di Dante, Bompiani, Milano 1975 (ora in Dal mito alla letteratura e ritorno, Il Saggiatore, Milano 1990); C. Segre, Funzioni, opposizioni e simmetrie nella giornata VII del «Decameron» e Comicita` strutturale nella novella di Alatiel, in Le strutture e il tempo cit., pp. 117-159, La novella di Nastagio degli Onesti: i due tempi della visione, in Semiotica filologica. Testo e modelli culturali, Einaudi, Torino 1979, pp. 87-96, I silenzi di Lisabetta, i silenzi del Boccaccio, in Aa. Vv., Il testo moltiplicato, Pratiche, Parma 1982, pp. 75-85; G. Dalla Palma, Le strutture narrative dell’«Orlando furioso», Olschki, Firenze 1984; F. Fido, Per una descrizione dei «Promessi sposi»: il sistema dei personaggi, in Le metamorfosi del centauro. Studi e letture da Boccaccio a Pirandello, Bulzoni, Roma 1977; A. Marchese, Manzoni in Purgatorio, Le Lettere, Firenze 1982, Come sono fatti i «Promessi sposi», Mondadori, Milano 1986. 6 H. James, Le prefazioni, tr. it., Neri Pozza, Venezia 1956; P. Lubbock, Il mestiere della narrativa, tr. it., Sansoni, Firenze 1984; J. W. Beach, Tecnica del romanzo novecentesco, tr. it., Bompiani, Milano 1948; W. Booth, The rhetoric of fiction, University of Chicago Press, Chicago 1961 (tr. it., Retorica della narrativa, La Nuova Italia, Firenze 1996), e Distance and point of view, in Essays in criticism, XI (1961); N. Friedman, Point of view: the development of a critical concept, in «PMLA», 1955, n. 70; C. Brooks-R. P. Warren, Understanding fiction, Appleton, New York 1943; R. Scholes-R. Kellogg, La natura della narrativa, tr. it., Il Mulino, Bologna 1970, pp. 305-359; Chatman, op. cit., pp. 153-288; R. Pascal, The dual voice, Manchester University Press, Manchester 1977; D. Cohn, Transparent minds. Narrative modes for presenting consciousness in fiction, Princeton University Press, Princeton 1978 (tr. franc. La transparence inte´rieure, Seuil, Paris 1981); S. Lanser, The narrative act. Point of view in prose fiction, Princeton University Press, Princeton 1981; J. Rousset, Narcisse romancier. Essai sur la premie`re personne dans le roman, Corti, Paris 1986; G. Genette, Figure III. Discorso del racconto, tr. it., Einaudi, Torino 1976 e Nouveau discours du re´cit, Seuil, Paris 1983; S. Rimmon-Kenan,
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INTRODUZIONE
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In realta`, pero`, usare il termine ‘narratologia’ per gli studi che si concentrano esclusivamente su ‘intreccio’, ‘fabula’ o ‘modello narrativo’ e` alquanto improprio. Infatti non e` la ‘storia’ che fa sı` che un testo narrativo sia tale. Se si riflette un istante, la presenza di una ‘storia’, il susseguirsi di eventi ed azioni legati da nessi temporali e causali, e` propria in egual misura del testo drammatico. La ‘storia’ e` sı` condizione necessaria perche´ vi sia narrazione, ma non sufficiente. Come hanno gia` perfettamente messo in chiaro a suo tempo Scholes e Kellogg, narrative «sono tutte quelle opere letterarie che sono distinte da due caratteristiche: la presenza di una storia e la presenza di un narratore»7. Cio` che fa sı` che vi sia narrazione, e` che la storia sia raccontata da qualcuno, che il destinatario del messaggio non ‘assista’ immediatamente allo svolgersi di eventi e azioni, come nel caso del dramma, ma lo percepisca attraverso la mediazione di qualcuno che lo racconta. L’elemento caratterizzante che distingue la narrazione dalla forma drammatica e` dunque questo suo carattere ‘mediato’, come lo ha definito Stanzel8 (Mittelbarkeit), questa mediazione della voce di un narratore tra gli Narrative fiction: contemporary poetics, Methuen, London 1983; M. Bal, Narratologie, Hes Publishers, Utrecht 1984; P. Vitoux, Le jeu de la focalisation, in «Poe´tique», 1982, n. 51; J. Lintvelt, Essai de typologie narrative: le point de vue, Corti, Paris 1981; F. K. Stanzel, Theorie des Erza¨hlens, Gottingen 1979 (tr. ingl. A theory of narrative, Cambridge University Press, Cambridge 1984). B. Uspenskij, A poetics of composition, tr. ingl., University of California Press, Berkeley 1973; D. Lodge, L’arte della narrazione, tr. it., Bompiani, Milano 1992; A. Marchese, L’officina del racconto, Mondadori, Milano 1983, pp. 92-97, 127-184 (che pero` da` largo spazio anche alla ‘narratologia della storia’); H. Grosser, Narrativa, Principato, Milano 1985, pp. 42-236; P. Pugliatti, Lo sguardo nel racconto. Teorie e prassi del punto di vista, Zanichelli, Bologna 1985; R. Cacciatori, Il discorso narrativo, Angeli, Milano 1985, pp. 91-180; S. Volpe, L’occhio del narratore. Problemi del punto di vista, Quaderni del circolo semiologico siciliano, Palermo 1984, Id., Il tornio di Binet. Flaubert, James e il punto di vista, Bulzoni, Roma 1991; G. Marrone, Sei autori in cerca del personaggio. Un problema di semiotica narrativa, Centro scientifico torinese, Torino 1986; S. Agosti, Enunciazione e racconto. Per una semiologia della voce narrativa, Il Mulino, Bologna 1989; D. Meneghelli (a cura di), Teorie del punto di vista, La Nuova Italia, Firenze 1998; A. Bernardelli, La narrazione, Laterza, Roma-Bari 1999; G. Turchetta, Il punto di vista, Laterza, Roma-Bari 1999. 7 Scholes-Kellogg, op. cit., p. 4. E` sorprendente che un narratologo abbia potuto dare questa definizione della narrativa: «La narrativa e` la rappresentazione di almeno due situazioni o avvenimenti, reali o immaginari, in una sequenza temporale, nessuno dei quali presuppone o implica l’altro» (G. Prince, Narratologia, tr. it., Pratiche, Parma 1984, p.10; ed. originale 1982), senza rendersi conto che la definizione potrebbe egualmente attagliarsi alla ‘storia’ di un testo drammatico, trascurando cioe` il carattere distintivo costituito dalla presenza di un narratore, di un discorso narrativo (in realta` poi, nella trattazione successiva, il Prince tiene conto non solo del «narrato», ma anche del «narrare», del discorso appunto: semplicemente, lo dimentica in fase di definizione). 8 Stanzel, op. cit., tr. ingl., p. 4.
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NARRATOLOGIA E CRITICA
eventi della ‘storia’ e i destinatari. Ma la presenza e i modi di articolarsi di questa voce appartengono al ‘discorso’: quindi lo specifico narrativo e` nel ‘discorso’; solo il ‘discorso’ fa sı` che, data una certa ‘storia’, un testo sia narrativo. Ne consegue che quella forma di narratologia che si concentra esclusivamente sulla ‘storia’ non coglie affatto lo specifico narrativo: la controprova e` che analisi come quelle di Todorov, Bremond, Greimas ecc. potrebbero esercitarsi nello stesso modo su testi drammatici, senza modificare minimamente il loro statuto metodologico. La conclusione a cui e` inevitabile arrivare e` che non puo` essere legittimo denominare ‘narratologia’ un’analisi del racconto che e` indifferente allo specifico narrativo, che esclude anzi dal suo campo di indagine proprio cio` che costituisce la narrativa come tale: quel tipo di analisi potra` assumere qualunque altra denominazione, ma non certo quella di ‘narratologia’. Cio` e` stato messo in evidenza recentemente con molta lucidita` dal maggiore degli studiosi del ‘discorso’ narrativo, Ge´rard Genette, che, dopo aver osservato che «il y aurait [ ... ] apparemment place pour deux narratologies: l’une the´matique, au sens large (analyse de l’histoire ou des contenus narratifs), l’autre formelle, ou plutoˆt modale: analyse du re´cit comme mode de ‘repre´sentation’ des histoires, oppose´ aux modes non narratifs comme le dramatique», puntualizza che in realta` il termine ‘narratologia’ resta proprieta` dei soli analisti del modo narrativo: «Cette restriction me paraıˆt somme toute le´gitime, puisque la seule spe´cificite´ du narratif re´side dans son mode, et non dans son contenu, qui peut aussi bien s’accommoder d’une ‘repre´sentation’ dramatique, graphique ou autre. En fait, il n’y a pas de ‘contenus narratifs’: il y a des enchaıˆnements d’actions ou d’e´ve´nements susceptibles de n’importe quel mode de repre´sentation [ ... ], et que l’on ne qualifie de ‘narratifs’ que parce qu’on les rencontre dans une repre´sentation narrative»9. Tutto cio` e` talmente evidente, che il fatto che si sia dato il nome di ‘narratologia’ proprio ad una disciplina che ignora lo specifico narrativo e` piuttosto curioso: ma e` ancor piu` curioso che l’equivoco terminologico abbia potuto prendere piede tanto da venire accettato quasi universalmente, e in sedi autorevoli. In Italia, anzi, quando si usa il termine ‘narratologia’, ci 9
Genette, Nouveau discours du re´cit cit., p. 12. Ovviamente, anche la ‘storia’ rientra nel campo di indagine della narratologia, in conseguenza del fatto che anche il testo narrativo possiede una ‘storia’: pero` l’analisi della ‘storia’, non concentrandosi sullo specifico narrativo, non puo` rivendicare il titolo di narratologia da sola, senza essere accompagnata e completata dalla necessaria analisi del ‘discorso’, che e` cio` che fonda il carattere narrativo del testo. In altri termini l’analisi della ‘storia’ diventa operazione narratologica solo a condizione di fondersi con un’analisi del ‘discorso’ narrativo.
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INTRODUZIONE
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si riferisce quasi esclusivamente a questo tipo di indagini: basti citare il capitolo Narratologia di Cesare Segre nella Letteratura italiana Einaudi10, che e` tutto dedicato a Propp, Todorov, Bremond e a problemi squisitamente riguardanti la ‘storia’. Ma non si tratta solo di un equivoco terminologico. Dal fatto di essere indifferente allo specifico narrativo, al ‘discorso’ in cui prende forma concreta la ‘storia’, derivano altri limiti pesanti dell’analisi del racconto di ascendenza proppiana (vedremo piu` avanti quanto questa rivendicazione genealogica possa ritenersi legittima). Tali analisi, attraverso la scomposizione dell’intreccio dell’opera in una serie logicamente e temporalmente collegata di unita` minime, le ‘funzioni’, mirano a ricostruire, al di la` dell’intreccio, il ‘modello narrativo’ (la ‘composizione’ di Propp), la struttura invariante di cui quel testo singolo non e` che una delle manifestazioni possibili (come, in linguistica, il suono particolare lo e` del fonema), o, per usare la terminologia saussuriana, la langue al di la` del particolare atto di parole. Ma se ci si pone nell’ottica non della teoria della letteratura, bensı` in quella della critica, che mira alla decodificazione e all’interpretazione dei testi concreti e individuali, e` difficile capire quale apporto di conoscenza dell’oggetto particolare possa dare la sostituzione del testo, nella sua ricchezza e complessita` (e diciamo pure ambiguita`) di articolazioni e di soluzioni narrative ed espressive, con uno schema astratto, costituito da una serie di sostantivi genericissimi e banali come ‘allontanamento’, ‘divieto’, ‘danneggiamento’, ‘mancanza’, ‘compito difficile’ ecc. L’unica utilita` che possono avere operazioni del genere consiste, attraverso l’individuazione di un astratto modello comune, nella comparazione e nella classificazione di una serie di testi affini11, nel riconoscimento della persistenza di certi 10
C. Segre, Testo letterario, interpretazione, storia: linee concettuali e categorie critiche, in Letteratura italiana, diretta da A. Asor Rosa, vol. IV: L’interpretazione, Einaudi, Torino 1985, poi in Avviamento all’analisi del testo letterario, Einaudi, Torino 1985 (il capitolo Narratologia e` rispettivamente alle pp. 100-109 e alle pp. 108-199; i problemi del ‘discorso’ sono trattati successivamente, in capitoli a se´). 11 Altri teorici, come Bremond o Greimas, mirano a costruire modelli formalizzati ben piu` generali, capaci di comprendere tutti i testi narrativi, esistenti o possibili. Ma naturalmente, per fissare un modello che possa accogliere in se´ l’Iliade e il romanzo di Liala, la Chanson de Roland e la Recherche, la Divina commedia e Hemingway, occorre giungere a livelli tali di astrattezza e genericita` che il modello risulta alla fine praticamente vuoto. Ad esempio lo sforzo compiuto da Bremond per escogitare un modello che racchiuda tutti i «possibili narrativi» perviene a questo schema ternario: «Una funzione che apre la possibilita` del processo [...]; una funzione che realizza questa virtualita` [...]; una funzione che chiude il processo sotto forma di risultato raggiunto» (Bremond, La logica dei possibili narrativi, in Aa.Vv., L’analisi del racconto cit., p. 100): come si vede, si tratta di uno schema di una
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NARRATOLOGIA E CRITICA
archetipi narrativi (e nella misurazione eventuale dello scarto del testo individuale dal modello): che e` proprio il fine precipuo per cui quel tipo di formalizzazione fu elaborata, da Propp appunto, nella Morfologia della fiaba. Ed e` un’operazione che tanto piu` e` legittima e proficua quanto piu` i testi esaminati sono meccanicamente ripetitivi (materiale folklorico, paraletteratura ecc.), e tanto meno quanto piu` i testi sono originali, creativi e individualizzati. Non solo, ma tale lavoro morfologico non puo` mai essere fine a se stesso: e` solo un’operazione preliminare, punto di partenza per indagini da condurre con strumenti di altra natura (e che permettono di raggiungere ben altri livelli di conoscenza dell’oggetto), etnologici, sociologici, economici, psicologici, storiografici ecc. E` di nuovo il caso di Propp che, e` bene non dimenticarlo, quando scrive la Morfologia ha gia` ben presente la necessita` di proseguire il lavoro sul piano genetico, di «passare a studiare il problema dell’origine dei singoli intrecci e del loro significato»12. E difatti l’indagine ha il suo necessario compimento nelle Radici storiche. Come Propp scrivera` piu` tardi, «la Morfologia e le Radici storiche rappresentano per cosı` dire le due parti o i due volumi di un’unica ampia opera [...]. Non si puo` scindere l’indagine formale da quella storica ne´ contrapporla ad essa. E` vero l’opposto: l’analisi formale, la precisa descrizione sistematica del materiale oggetto di studio sono condizione e premessa della ricerca storica e ne rappresentano al tempo stesso il primo passo»13 (detto en passant, si puo` giudicare di qui con che diritto l’attuale ‘analisi del racconto’ possa legittimamente rivendicare la sua discendenza da Propp). Operata invece non su un corpus di testi affini, ma su un testo singolo, per di piu` su opere di forte caratterizzazione individuale e creativa, e senza fare il passo necessario verso la storia, la formalizzazione astratta dell’‘intreccio’ in ‘modello narrativo’ non ha senso alcuno e finisce per essere sterile e banalita` e di una vacuita` sconfortanti, che sconfinano nel risibile. Tali modelli poi, utilizzati nell’interpretazione di testi concreti, si rivelano ovviamente del tutto sterili: l’unico risultato che si puo` ottenere applicando il modello al testo e` scoprire che il testo rientra nel modello; ma cio` era gia` implicito nelle premesse, poiche´ per definizione il modello doveva essere applicabile a tutti i testi possibili: l’operazione risulta perfettamente tautologica. Anche Segre osserva che uno schema del tipo «miglioramento da ottenere → processo di miglioramento → miglioramento ottenuto» potrebbe comprendere «piu` della meta` della narrativa esistente, senza vantaggi conoscitivi» (Testo letterario, interpretazione, storia cit., p. 106); mentre «per lo studio della letteratura sara` sempre piu` proficuo mantenere l’esplicitezza degli oggetti e delle azioni», individuando filoni tematici precisi, cogliendo «persistenze di strutture narrative archetipe» e «trasformazioni apportate a un tema nel suo riutilizzo» (ibid.). 12 Propp, op. cit., p. 123. 13 Propp, Struttura e storia nello studio della favola, in op. cit., pp. 210 s.
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INTRODUZIONE
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improduttiva, in quanto, oltre a non riuscire ad individuare alcun ‘modello’ effettivo per la mancanza di comparazione e quindi per il carattere assolutamente arbitrario della scelta delle ‘funzioni’, perde il contatto con il testo, lo dissolve in uno schema generico e vuoto che non ha alcuna utilita` conoscitiva e cancella tutta la sua straordinaria complessita` e ricchezza: si pensi solo a qualche esempio limite, come l’analisi delle Liaisons dangereuses condotta da Todorov o quella della novella di Andreuccio compiuta da Aldo Rossi con strumenti di ascendenza proppiana14, che impoveriscono paurosamente i testi, riducendoli a nudi scheletri, non lasciando piu` nulla di quella sottile tessitura di significati, di quella fisionomia inconfondibile che fa sı` che siano quei testi di Choderlos e di Boccaccio. E` lo stesso Propp a mettere in guardia da applicazioni acriticamente disinvolte del suo metodo: «I metodi proposti in questo volume prima dell’apparizione dello strutturalismo, come pure i metodi degli strutturalisti i quali aspirano allo studio obiettivo ed esatto della letteratura, hanno anch’essi i loro limiti di applicazione. Essi sono possibili e proficui la` dove ci si trovi di fronte ad una ripetibilita` su ampia scala, come ha luogo nel linguaggio o nel folclore. Ma quando l’arte diventa campo d’azione di un genio irripetibile l’uso di metodi esatti dara` risultati positivi solo se lo studio degli elementi ripetibili sara` accompagnato dallo studio di quel che di unico al quale finora noi guardiamo come alla manifestazione di un miracolo inconoscibile»15. Anche se non ci sentiamo di sottoscrivere la formula del «miracolo inconoscibile» e riteniamo che anche cio` che non e` «ripetibile» sia passibile di conoscenza rigorosa, l’avvertimento di Propp e` salutare. Egualmente salutare e` l’indicazione di Avalle, che ha offerto analisi esemplari dei ‘modelli semiologici’ nella Commedia (confrontando grandi episodi come quello di Francesca e di Ulisse con un vasto corpus di altri testi legati dagli stessi ‘motivi’ e individuando le funzioni comuni), ma in una successiva intervista ricorda che il campo di applicazione della semiologia, come gia` aveva precisato il suo fondatore Saussure, e` la langue, mentre il campo della parole e` di pertinenza della stilistica, e conclude polemicamente: «L’applicazione di metodi per cosı` dire semiologici all’analisi dei fatti individuali (il cosiddetto ‘idioletto’) e` esercizio che si e` affermato solo recentemente, da quando cioe` filosofi e
14
Todorov, Le categorie del racconto letterario, in Aa.Vv., L’analisi del racconto cit., pp. 233-250; A. Rossi, La combinatoria decameroniana: Andreuccio, in Letteratura e semiologia in Italia, a cura di G.P. Caprettini e D. Corno, Rosenberg & Sellier, Torino 1979, pp. 204-209. 15 Propp, Struttura e storia... cit., p. 227.
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NARRATOLOGIA E CRITICA
letterati, completamente digiuni di linguistica, si sono impadroniti dei suoi strumenti»16. Ma, oltre a presentare questi gravi limiti, l’analisi del racconto intesa come sola analisi della ‘storia’ espone anche a notevoli rischi: rischi di clamorose distorsioni o peggio di totale impotenza dinanzi al compito di interpretare il singolo, concreto testo letterario. La ‘storia’, a tutti i suoi livelli, ‘intreccio’, ‘fabula’, ‘modello’, non e` che un’astrazione. Di per se´ non ha esistenza reale: esiste solo in quanto prende corpo in un certo ‘discorso’ (la parafrasi schematica a cui fanno ricorso sovente gli analisti del racconto non e` la ‘storia’, e` pur sempre essa stessa un ‘discorso’, diverso da quello originario del testo, ma appartenente allo stesso livello). Per cui un’analisi e formalizzazione della ‘storia’ che non tenga conto delle forme concrete in cui essa si manifesta, che la fanno esistere, e` irrimediabilmente parziale, scorretta, fuorviante. Ci si puo` certo, ai fini dello studio morfologico di un corpus di testi, concentrare sulle azioni, mettendo tra parentesi i soggetti che le compiono, i loro attributi, e piu` ancora il modo con cui la vicenda e` presentata; ma e` un mettere tra parentesi che deve essere solo provvisorio e strumentale per determinati fini, come si e` visto. L’indagine deve poi necessariamente essere completata ed estendersi agli elementi messi per il momento tra parentesi. D’altro canto se, avendo di fronte un singolo testo, ci si arresta ad un minore livello di astrazione, e, correttamente, ci si limita alla scomposizione dell’‘intreccio’, salvando la specifica configurazione individuale dei soggetti, dei loro attributi, delle azioni, l’operazione, anche se proficua, e diciamo pure necessaria (purche´ riesca a superare il livello del mero riassunto, cosa che non sempre avviene), non puo` mai bastare da sola, non puo` esaurire l’analisi del testo, visto che esso non e` composto solo dalla ‘storia’. Comunque, sia che si scomponga l’ ‘intreccio’ nelle sue unita`, sia che si riordini la ‘fabula’, sia che si ricostruisca il ‘modello narrativo’, se non ci si pone anche il problema di chi, nella finzione narrativa, racconti quell’intreccio, di quale sia il rapporto del narratore con la ‘storia’ e con la prospettiva dei personaggi, di quale sia il punto di vista che orienta la narrazione, l’angolatura da cui azioni, eventi ed esistenti sono presentati, di quali siano gli strumenti linguistici impiegati da narratore e personaggi, si corre il rischio (o si ha la certezza?) di un’interpretazione parziale, deformata, o, al limite inferiore, totalmente infondata. I procedimenti narrativi con cui e` costruito il testo (il ‘come’ una storia e` racconta16 D’A. S. Avalle, in La semiotica letteraria italiana, a cura di M. Mincu, Feltrinelli, Milano 1982, p. 21.
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ta), non sono uno strato rarefatto e trasparente, che si possa attraversare senza tenerne conto, come se non esistesse, per arrivare subito al nocciolo duro della ‘storia’ in se´ (cosa che si fa abitualmente proprio nelle analisi del racconto piu` sofisticate), anzi, i significati di un testo passano in prima istanza attraverso i procedimenti tecnico-narrativi con cui e` costruito il ‘discorso’, per cui e` veramente impossibile non tenerne conto in qualunque operazione di analisi. Qualche esempio puo` chiarire meglio il problema. Si prenda Rosso Malpelo di Verga. Il sistema di significati della novella ha le sue basi in certe soluzioni tecniche del ‘discorso’ narrativo: innanzitutto la scelta di un particolare narratore inattendibile, interno al mondo popolare rappresentato, quindi lontano dall’universo mentale dell’autore reale e in contrasto con l’autore implicito, e appartenente allo stesso livello culturale dei personaggi; poi il fatto che il protagonista per buona parte del racconto sia visto solo dall’esterno, attraverso gli occhi stranianti di questo narratore di livello basso, che non comprende per nulla le motivazioni dei suoi atti; infine il fatto che a un certo punto emerga la prospettiva dell’eroe stesso, che rivela una consapevolezza lucida e disperata delle leggi che regolano la realta` sociale e i meccanismi della lotta per la vita17. La sola analisi della ‘storia’ non terrebbe conto di questi procedimenti specifici con cui e` costruito il ‘discorso’: quindi le sfuggirebbe quasi totalmente il significato della novella. Ridotto al nudo scheletro delle ‘funzioni’, o al modello attanziale, Rosso Malpelo non si distinguerebbe, poniamo, da un racconto mensile di Cuore. Cio` che fa sı` che Rosso Malpelo sia Rosso Malpelo, e non un racconto di De Amicis (e non intendiamo con questo introdurre criteri di valore, ma solo sottolineare una diversita` di concezioni e di procedimenti narrativi) e` il discorso. La formalizzazione astratta del ‘modello narrativo’ e la scomposizione dell’‘intreccio’ non sarebbero in grado di cogliere questa differenza. Ci pare che non siano necessari commenti. Un altro esempio, questa volta per assurdo. Immaginiamo che i Promessi sposi, invece che da un narratore onnisciente, portavoce delle concezioni dell’autore reale, siano raccontati secondo l’ottica parziale, e non sempre attendibile, di Renzo, o di Lucia, o di don Abbondio, o di tutti e tre successivamente; figuriamoci poi la vicenda raccontata da don Rodrigo, oppure proprio dall’anonimo secentesco, con il suo linguaggio e le sue categorie di interpretazione del mondo. E` 17
Per un’analisi piu` dettagliata, ci si consenta di rinviare a G. Baldi, «Rosso Malpelo» tra apologia indiretta e negazione, in L’artificio della regressione. Tecnica narrativa e ideologia nel Verga verista, Liguori, Napoli 1980, pp. 41-73.
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evidente che il romanzo avrebbe tutt’altra fisionomia, e significati molto diversi. Eppure le ‘funzioni’ e il ‘modello narrativo’ sarebbero gli stessi. Un’analisi del racconto che si arrestasse alla loro individuazione non sarebbe in grado di cogliere le macroscopiche variazioni di significato indotte dai mutamenti delle tecniche del ‘discorso’ narrativo. Ma si immaginino ancora Senilita` raccontata da Emilio in prima persona e la Coscienza di Zeno raccontata in terza persona da un narratore simile a quello di Senilita`: nel primo caso scomparirebbe il gioco costituito dal narratore che interviene a smascherare crudelmente alibi e menzogne del personaggio; nel secondo, con la presenza di un narratore attendibile, punto di riferimento sicuro per il lettore, scomparirebbe tutta l’ambiguita` che scaturisce dalla voce narrante inattendibile di Zeno18. E si pensi ad un Pasticciaccio raccontato non dal camaleontico narratore gaddiano, che rifa` il verso a tutte le voci e a tutte le presenze del reale, ma da un olimpico narratore ‘manzoniano’; o alla vicenda di Leopold Bloom raccontata alla Fielding, o magari dal narratore della Recherche, e viceversa la storia di Marcel raccontata con tecniche joyciane: in tutti questi casi ‘modello narrativo’, ‘fabula’ e magari persino ‘intreccio’ resterebbero identici; e una ‘narratologia della storia’ non sarebbe in grado di vedere alcuna differenza19. Possono parere considerazioni ovvie: ma a quanto pare non lo sono poi tanto, visto il proliferare di analisi del racconto che ignorano completamente i procedimenti con cui e` costruito il ‘discorso’ narrativo. Con questo non si intende negare (e` opportuno ribadirlo) che la 18
Questa fondamentale differenza, che si colloca al livello del ‘discorso’, e che ci pare determinante nell’individuare il sistema di significati dei romanzi sveviani (su tali problemi si veda, piu` avanti, il saggio Da «Senilita`» alla «Coscienza»: inattendibilita` del personaggio focale e inattendibilita` dell’io-narratore), sfugge ad esempio all’analisi della De Lauretis, condotta quasi esclusivamente sul modello attanziale, con strumenti mutuati da Greimas (le osservazioni sulla voce narrativa e sul punto di vista occupano poche pagine). Il risultato e` che i tre romanzi di Svevo sono ricondotti ad un unico schema e viene ribadito il luogo comune (che sarebbe opportuno ormai superare) di uno Svevo che non ha scritto se non un solo romanzo. Sono gli inconvenienti a cui porta il non dare il necessario peso alle forme del ‘discorso’ narrativo (cfr. T. De Lauretis La sintassi del desiderio. Struttura e forme del romanzo sveviano, Longo, Ravenna 1976). Non si vede poi come sarebbe possibile parlare di ‘logica del racconto’, alla Bremond, in presenza di un narratore inattendibile come Zeno, che fa sı` che la categoria di causa nel romanzo sia totalmente ambigua. 19 Non evitano questi limiti, se applicate da sole, senza il necessario supporto dell’analisi del ‘discorso’, neppure le «funzioni» definite da Barthes, «nuclei», «catalisi», «indizi», «informanti», che pure sono lontane dall’astrattezza sterile dei modelli di analisi del racconto proposti da Bremond e Greimas (cfr. Barthes, Introduzione all’analisi strutturale dei racconti, in L’analisi del racconto cit., pp 15-22).
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ricostruzione del ‘modello narrativo’ (a patto che ci si trovi di fronte un corpus di testi), il riordino della ‘fabula’, ma soprattutto la scomposizione dell’‘intreccio’ e l’ individuazione del sistema dei personaggi possano essere strumenti di indagine produttivi. Anzi, almeno lo studio della struttura dell’‘intreccio’ in tutte le sue articolazioni, delle ‘forme del contenuto’ della singola, individuale opera narrativa (purche´ non ci si perda, come spesso avviene, in astrazioni tali da dissolvere completamente l’opera, e da ridurla a un coacervo di banalita`, o a un piatto riassunto) e` indispensabile. Semplicemente, e` necessario sottolineare con vigore che il loro carattere inevitabilmente astratto limita fortemente la validita` di tali strumenti esegetici se essi sono usati da soli, come fini a se stessi: essi possono sviluppare le loro potenzialita` conoscitive e dare dei risultati consistenti solo se completati dagli strumenti di indagine sulle forme assunte dal discorso narrativo. La ‘narratologia del discorso’, esercitandosi non su astrazioni, ma sulle forme concrete in cui si configura il testo narrativo, sui procedimenti specifici attraverso cui assume esistenza reale la ‘storia’, fornisce il compimento imprescindibile per l’analisi e l’interpretazione del testo, dell’atto di parole, dell’idioletto narrativo, nei modi precipui del suo costruirsi e manifestarsi (se dunque si accetta la distinzione saussuriana richiamata da Avalle20, la narratologia non fara` tanto parte della semiotica, quanto della stilistica). Innanzitutto la ‘narratologia del discorso’ si concentra proprio sullo specifico narrativo. Se questo specifico, come si e` visto, e` la mediazione di un soggetto fittizio dell’enunciazione, il narratore, tra gli eventi della ‘storia’ e i destinatari, la presenza cioe` di una ‘voce’ che narra, l’analisi del ‘discorso’ narrativo si pone appunto in primo luogo il problema di studiare il carattere e le manifestazioni di tale ‘voce’ (che, ovviamente, va distinta dal soggetto reale dell’enunciazione, l’autore): si proporra` di individuare se il narratore appartenga allo stesso universo dei personaggi (narratore omodiegetico) oppure no (narratore eterodiegetico); nel secondo caso, se il narratore sia personalizzato e palese ed intervenga apertamente nella narrazione con i suoi commenti e i suoi giudizi, o se sia impersonale e inafferrabile, con tutte le gradazioni intermedie; se sia onnisciente o se la sua coscienza sia limitata; con che linguaggio si esprima, se e in che misura tale linguaggio subisca il ‘contagio’ del linguaggio dei personaggi, che possono insinuare i loro idioletti in quello della voce narrante; se sia attendibile o inattendibile, misurando quindi le sue enunciazioni sul paradigma dell’autore implicito: che, secondo l’impostazione offerta da Sey20
La semiotica letteraria italiana cit., p. 21.
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mour Chatman21 sviluppando il concetto proposto sin dal 1961 da Wayne Booth, non e` da intendersi quale il soggetto di un’enunciazione, come lo e` il narratore, non e` una voce che parla a qualcuno, ma e` il montaggio del testo, la strategia con cui esso e` costruito, il complesso di norme implicite, estetiche, morali, politiche che lo governano, tutti aspetti che veicolano determinate posizioni ideologiche e determinate direzioni di senso del testo stesso. Ma l’individuazione della ‘voce’ non esaurisce le forme in cui si manifesta il ‘discorso’ narrativo. Scaturisce di qui la necessita` di una distinzione che e` stata forse la conquista piu` importante e innovatrice della narratologia in questi ultimi anni ed ha sgombrato definitivamente il terreno da persistenti equivoci: la distinzione, proposta da Genette nel Discorso del racconto, tra ‘voce’ e ‘modo’, tra ‘chi parla’ e ‘chi vede’, tra chi racconta e qual 22 e` la prospettiva che orienta la narrazione . Infatti un racconto puo` essere orientato dalla prospettiva di uno o piu` personaggi, nel senso che gli eventi che costituiscono la ‘storia’ possono essere presentati dal punto di vista dei personaggi stessi, senza che per questo sia la loro voce a raccontare, cioe` anche se e` sempre la voce del narratore a ‘parlare’. Ad esempio, come ha ben mostrato Rousset23, all’inizio di Madame Bovary i fatti vengono visti dall’ottica di Charles, poi per gran parte del romanzo dall’ottica di Emma, per tornare alla fine al punto di vista del marito: pero` non sono le voci di Charles e di Emma a raccontare, bensı` e` sempre la voce dell’anonimo e impersonale narratore, che si riferisce ad essi con la terza persona. Sull’autonomia reciproca della ‘voce’ e della ‘prospettiva’ Genette insiste giustamente. E` necessario pero` precisare che tale autonomia non va intesa quale assoluta separazione, come Genette sembra incline a credere. L’esperienza di lettura di qualunque romanzo insegna che attraverso la ‘voce’ del narratore che racconta si insinua fatalmente nel narrato anche la sua ‘prospettiva’: il fatto e` che ‘parlare’ implica sempre anche un ‘vedere’, la ‘voce’ non puo` non veicolare una ‘visione’, un modo di percepire, selezionare, giudicare, presentare i fatti. Si prenda di nuovo il caso di Madame Bovary: dove si impone l’ottica della protagonista, Emma non solo vede, ma
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Chatman, op. cit., pp. 155-159, che sul fondamentale e molto discusso concetto di autore implicito ci pare abbia offerto la sistemazione piu` convincente. 22 Genette, Figure III. Discorso del racconto cit., pp. 233-236. 23 J. Rousset, «Madame Bovary» o il libro su nulla, in Forma e significato, tr. it., Einaudi, Torino 1976, pp. 124-134.
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e` anche vista vedere, come ha sottolineato Auerbach24: nel senso che la sua ‘visione’ e` veicolata e riferita attraverso il linguaggio del narratore, che rimanda ad una visione piu` acuta e complessa di quella del personaggio, capace di organizzare e chiarire quanto Emma non sarebbe in grado di vedere e di esprimere con tanta lucidita` e precisione. Inversamente, la ‘visione’ veicola di regola anche la ‘voce’: l’adozione della prospettiva del personaggio fa sı` che la sua ‘voce’ possa insinuarsi, con il suo particolare idioletto, in quella del narratore: e` il caso canonico dell’indiretto libero, in cui non e` il personaggio a ‘parlare’ direttamente, ma sempre il narratore, eppure nel discorso stesso di questi compaiono tutte le espressioni idiomatiche del personaggio. Un esempio tipico e` costituito dai Malavoglia, come ha dimostrato un’analisi famosa di Spitzer25. Ma non e` infrequente, nella narrativa otto e novecentesca, il caso di ‘contagio’ del linguaggio del narratore da parte del linguaggio dei personaggi anche al di fuori dell’indiretto libero vero e proprio. Un bell’esempio dal Portrait di Joyce e` riportato dalla Cohn26: «His soul was all dewy wet. Over his limbs in sleep pale cool waves of light had passed. He lay still, as if his soul lay amid cool waters, conscious of faint sweet music [...]. A spirit filled him, pure as the purest water, sweet as dew, moving as music» . A parlare e` qui certamente il narratore, che analizza l’animo del personaggio dall’esterno, pero` la sua espressione e` tutta intrisa del lirismo che caratterizza il linguaggio di Stephen. In conclusione, dunque, ‘voce’ e ‘prospettiva’ si possono distinguere logicamente (ed e` utile ed opportuno farlo, in sede teorica come nelle analisi dei testi), ma in re costituiscono un’unica realta`27: cosa che Genette non sembra vedere chiaramente, forse per l’ habitus strutturalista di costruire opposizioni tra entita` discrete. Ma l’opera letteraria non consta di entita` discrete, e` il regno del continuum. Degli usi della ‘prospettiva’ narrativa Genette propone poi una tipolo24
E. Auerbach, Mimesis. Il realismo nella letteratura occidentale, Einaudi, Torino 1964, pp. 257-259. Sulla ‘visione’ del narratore veicolata necessariamente dalla sua ‘voce’ nell’indiretto libero ha ottime analisi Pascal, op. cit., passim; cfr. anche Rimmon-Kenan, op. cit., p. 72. 25 L. Spitzer, L’originalita` della narrazione nei «Malavoglia» in Studi italiani, a cura di C. Scarpati, Vita e Pensiero, Milano 1976, pp. 293-316. 26 Cohn, op. cit., tr. franc., p. 50. 27 La riprova e` fornita involontariamente da Genette stesso. Nell’affrontare la trattazione della ‘prospettiva’ afferma il proposito di «considerare esclusivamente le determinazioni puramente modali», cioe` «la visione o l’aspetto» (Figure III cit., p. 236); in realta` poi, nel riprendere la classificazione ternaria di Todorov, inserisce il concetto di narratore, che appartiene al campo della ‘voce’: col che si dimostra che la separazione e` impossibile, e che si tratta di due facce della stessa realta` distinguibili solo logicamente.
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gia: riprendendo precedenti indicazioni di Pouillon e di Todorov28, distingue una focalizzazione zero (il racconto classico, quello, per intendersi, di Manzoni o di Balzac, in cui il narratore e` per cosı` dire onnisciente, e quindi la narrazione non subisce una sistematica restrizione di campo passando attraverso la visione dei personaggi), una focalizzazione interna (il caso in cui il centro focale della narrazione coincide con la coscienza del personaggio stesso, per cui tutto e` visto attraverso la sua ottica, e tutta l’informazione si limita a cio` che egli vede e sa: e` la tecnica piu` diffusa del racconto moderno, da Madame Bovary in avanti, consacrata dalla teorizzazione di Henry James e seguaci), ed una focalizzazione esterna (in cui chi narra non ha accesso all’interiorita` del personaggio e alle motivazioni psicologiche dei suoi atti: e` il racconto ‘behavioristico’ alla Hemingway)29. Anche qui pero`, a nostro avviso, la teoria di Genette necessita di alcune correzioni. Il concetto piu` accettabile, e piu` funzionale operativamente nell’analisi dei testi, e` quello di focalizzazione interna. Pero` la definizione di Genette e` tutto sommato restrittiva. Bisognerebbe almeno accettare due accezioni possibili della formula: la narrazione in cui si vedono i fatti con gli occhi del personaggio, e la narrazione in cui si vede dentro al personaggio: che non sono la stessa cosa, e non e` detto che debbano necessariamente coesistere. Noi possiamo ‘vedere’ tutto attraverso la prospettiva di un personaggio, senza per questo essere ammessi a conoscere gli intimi contenuti della sua coscienza, le motivazioni profonde; viceversa, all’estremo opposto, possiamo conoscere a fondo l’interiorita` del personaggio, anche se egli non e` il filtro del racconto, il centro focale attraverso cui passa la visione, ma e` solo l’oggetto dell’analisi introspettiva del narratore onnisciente, o ‘autoriale’. Nel primo caso insomma il personaggio e` il soggetto della visione, nel secondo l’oggetto. La` dove questo secondo caso si presenta allo stato puro, si puo` discutere, a rigore, se si tratti di focalizzazione interna, oppure di un caso di focalizzazione da parte del narratore (che affronteremo subito dopo), dato che a ‘vedere’ non e` il personaggio, ma il narratore, appunto. Difatti Genette sostiene che in tali casi non esiste «focalizzazione interna nel senso stretto della parola»30. In realta` anche qui si puo` sostanzialmente parlare di focalizzazione interna, in quanto e` pur sempre la visione del personaggio che viene veicolata attraverso il filtro della visione del narra-
28
J. Pouillon, Temps et roman, Gallimard, Paris 1946; Todorov, Le categorie del racconto letterario, in L’analisi del racconto cit, pp. 254-256. 29 Genette, Figure III cit. pp. 237-242. 30 Ivi, p. 240.
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tore; per cui, sia pur attraverso una mediazione, il personaggio e` comunque la fonte di una visione, anzi, della prospettiva centrale del racconto, quella che lo orienta. Se si vuole, in tal caso si potrebbe forse parlare di una forma mista, o intermedia, fra focalizzazione sul personaggio e focalizzazione sul narratore. E` necessario poi definire in concreto gli strumenti attraverso cui si costruisce la focalizzazione interna, il predominio dell’ottica del personaggio, che possono essere quanto mai vari. Non si tiene conto ad esempio del fatto che, nella narrativa di tutti i tempi, lo strumento piu` diffuso per instaurare la prospettiva del personaggio in un racconto e` il discorso diretto, sono le parole da lui pronunciate, o pensate, e testualmente riportate: basta la battuta di un personaggio perche´ nel narrato si insinui il suo punto di vista. Dalla seconda meta` dell’Ottocento assume poi enorme importanza il discorso indiretto libero31: ma, a questo procedimento ben noto, sarebbe bene affiancare un procedimento affine, la ‘percezione indiretta libera’, che si ha quando, senza che vi sia un vero e proprio discorso verbale del personaggio, oggetti ed eventi vengono presentati obliquamente attraverso le sue percezioni sensoriali (il concetto e` stato proposto da Chatman; la Bal, a sua volta, usa la formula «vue transpose´e»32, ricalcata sul «discours transpose´» di Genette). Un bell’esempio e` offerto, in Senilita`, dal passo del capitolo XI in cui Stefano Balli contempla Angiolina avanzare lungo il mare, tutta illuminata dal sole meridiano: «Cosı` il Balli si trovava a faccia a faccia col suo capolavoro ch’egli, dimenticando il contorno, vide in tutti i suoi dettagli. Ella s’avanzava con quel suo passo fermo che non toglieva niente della sua grazia alla figura eretta. La gioventu` incarnata e vestita si sarebbe mossa cosı` alla luce del sole». La frase «Ella s’avanzava ecc.» non costituisce una descrizione oggettiva da parte del narratore, ma presenta cio` che percepisce Balli, attraverso il suo modo di vedere soggettivo: ce ne rendiamo conto dai particolari che vengono individuati della figura di Angiolina, che sono evidentemente quelli che affascinano lo scultore e gli offrono l’ispirazione per la sua creazione artistica. La conferma viene dal verbo di percezione collocato in precedenza («vide in tutti i suoi dettagli») e dall’ultima frase sulla «gioventu` incarnata», che e` una
31 Genette esamina questi procedimenti, non pero` a proposito della ‘prospettiva’, bensı` della ‘distanza’ (mimesi/diegesi); anche qui non coglie il fatto che si tratta di distinzioni logiche, mentre in re la realta` e` unica. Solo nel successivo Nouveau discours accenna al fatto che l’indiretto libero e` uno degli strumenti favoriti della focalizzazione interna (op. cit., p. 37). 32 Chatman, op. cit., p. 219; Bal, op. cit., p. 41.
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riflessione di Balli: come spesso avviene, la percezione indiretta libera trapassa in pensiero indiretto libero. Ma esiste ancora lo strumento della ‘psico-narrazione’, opportunamente individuato e definito dalla Cohn33, in cui i contenuti e i processi della coscienza di un personaggio, la sua condizione psicologica, i suoi sentimenti, le sue sensazioni non sono restituiti dall’interno nel loro farsi, con procedimento ‘drammatico’, come nell’indiretto libero, ma presentati attraverso un’analisi dall’esterno del narratore (e` lo strumento prediletto della forma mista di cui si diceva sopra). Se ne veda un esempio significativo, sempre da Senilita`: «Avrebbe voluto baciarla subito ma non oso`, ad onta ch’ella, che non aveva detto parola, gli sorridesse incoraggiante. Gia` l’idea che osando avrebbe potuto posarle le labbra sugli occhi o sulla bocca, lo commosse profondamente, gli tolse il fiato»: come si vede, non si tratta di un discorso del personaggio, ma sul personaggio, non vengono riportate precise parole dette o pensate da Emilio ma e` il narratore che, dalla sua superiore prospettiva, analizza il suo stato d’animo. Vi e` un metodo per distinguere senza ombra di dubbio la psico-narrazione dall’indiretto libero: mentre questo puo` sempre essere tradotto in un discorso diretto, cambiando i pronomi personali, i tempi dei verbi e i deittici, l’operazione non e` assolutamente possibile con la psico-narrazione: se si prova con il passo appena citato si puo` constatare che il risultato e` privo di senso. Infine, se la ‘storia’ e` presentata tutta o in parte attraverso la prospettiva del personaggio, e` estremamente importante, nell’economia del meccanismo narrativo, stabilire l’attendibilita` o l’inattendibilita` di tale prospettiva, anche se non e` la ‘voce’ del personaggio a narrare. La teoria narratologica ha molto insistito, sin dalla fondamentale Rhetoric of fiction di Wayne Booth, sul concetto di ‘narratore inattendibile’ (unreliable narrator), cioe` di una voce narrante che, venendo meno al patto narrativo che vuole il narratore depositario per definizione della verita`, presenta eventi ed esistenti in modo distorto, parziale o menzognero; ma, a quanto ci risulta, non si e` in genere tenuto nel debito conto, sia teoricamente sia nell’analisi concreta dei testi, il fatto che, quando il narrato sia filtrato integralmente o parzialmente attraverso il punto di vista del personaggio, puo` verificarsi il caso dell’inattendibilita` del personaggio focale, simmetricamente omologo a quello dell’inattendibilita` del narratore34. Anche in tal caso, infatti, eventi ed 33
Cohn, op. cit., pp. 37-74. Su questi temi si veda anche la discussione D. Cohn-G. Genette, Nouveau nouveau discours du re´cit, in «Poe´tique», 1985, n. 61, pp. 101-109. 34 Tra le lodevoli eccezioni possiamo segnalare F. Goyet, La nouvelle (1870-1925), PUF, Paris 1993, pp. 185 s., e G. Turchetta, op. cit., p. 69. Gia` Booth dedicava attenzione al
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esistenti dell’intreccio sono presentati attraverso una prospettiva deformante, a cui non si puo` prestare interamente fede. Ancora una volta e` esemplare la funzione di Emilio Brentani in Senilita`, che, essendo portatore di una falsa coscienza, mente costantemente a se stesso e si costruisce speciosi alibi giustificativi, e quindi, filtrando quasi sistematicamente attraverso la propria ottica situazioni, azioni, sentimenti propri ed altrui, esercita su di essi una vistosa deformazione. Certo bisogna tenere ben presente, come ha avvertito Genette, la distinzione tra ‘chi parla’ e chi semplicemente ‘vede’, cioe` tra racconto del narratore e prospettiva del personaggio; ma poiche´, come si osservava, la voce e` sempre anche portatrice di una prospettiva particolare, cioe` introduce anch’essa una forma di focalizzazione o di restrizione di campo, gli effetti deformanti generati dalla presenza di un personaggio focale inattendibile sono legittimamente assimilabili (al di la` degli elementi di distinzione) a quelli generati da un narratore inattendibile. Del tutto insoddisfacente e improponibile e` invece, a nostro avviso, il concetto di ‘focalizzazione zero’, da Genette ribadito ancora nel suo Nouveau discours du re´cit. Genette intende la focalizzazione semplicemente come restrizione del canale dell’informazione narrativa, come selezione dell’informazione rispetto all’onniscienza tradizionale. Di conseguenza ritiene che il racconto ‘autoriale’ classico non sia focalizzato, e per questo introduce la formula focalizzazione ‘zero’. Ma cosı` operando non appare coerente con il criterio da lui stesso fissato per definire la ‘prospettiva’, la domanda ‘chi vede?’, poiche´ al suo posto accoglie, senza avvedersene, un criterio tutto diverso, quello di Pouillon e Todorov fondato sulla quantita` di informazione fornita dal narratore. Volendo essere coerenti con il principio ‘chi vede? ’, invece, la focalizzazione sara` da intendere come visione da parte di qualcuno, da una particolare angolatura; e per stabilire una classificazione non bisognera` basarsi sulla restrizione o meno del canale dell’informazione, ma individuare qual e` il soggetto della visione, il punto da cui essa proviene. Allora non si potra` parlare di ‘focalizzazione zero’: anche il racconto onnisciente classico e` focalizzato, perche´ anche in tal caso la materia del racconto e` vista da qualcuno: il narratore onnisciente, appunto. Il ‘fuoco’ della narrazione non e` collocato, come sostiene Genette, «en un point si inde´termine´, ou si lointain, a` champ si panoramique (le fameux ‘point de vue de Dieu’ ou de Sirius)»35, da chiedersi se e` un punto di vista. Anche il fenomeno, pero` riteneva i personaggi focali inattendibili dei «narratori», rivelando quella confusione tra ‘chi parla’ e ‘chi vede’ giustamente stigmatizzata da Genette. 35 Genette, Nouveau discours du re´cit, cit., pp. 49 s.
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NARRATOLOGIA E CRITICA
narratore onnisciente e` in realta` il portatore di un punto di vista, la fonte di provenienza di una ‘visione’, esattamente come i personaggi (’parlare’ implica sempre un ‘vedere’, come si e` detto, la ‘voce’ porta inevitabilmente con se´ una ‘prospettiva’). E, se si vuole, anche questo punto di vista, per quanto onnisciente, opera una ‘restrizione di campo’, perche´ anche il narratore autoriale e` caratterizzato da un’individuale, peculiare visione delle cose, giudica in base ad una personale scala di valutazione morale, politica, estetica, proponendo una visione sempre parziale e soggettiva. Si pensi al narratore dei Promessi sposi che, pur rispondendo perfettamente al canone dell’onniscienza del racconto classico, non racconta certo da un punto di vista indeterminato, ‘all’infinito’, ma da una prospettiva perfettamente collocata in senso storico e socio-geografico, quella di un intellettuale liberale moderato, cattolico, romantico e ‘borghese’ della Lombardia del primo Ottocento, animato da convinzioni etiche, estetiche e politiche ben precise nel presentare la ‘storia’. Ma non solo il narratore onnisciente classico: anche il narratore piu` impersonale e` sempre portatore di una visione particolare, sovraordinata a quella dei personaggi. Si pensi ad un caso esemplare di scrittura impersonale, quella di Zola: anche qui la prospettiva del narratore, seppure raramente esplicitata con commenti diretti, a differenza del racconto ‘autoriale’ classico, e` sempre avvertibile nel racconto. Si prenda ad esempio, all’inizio di Germinal, la descrizione della cucina della famiglia Maheu: «Malgre´ la proprete´, une odeur d’oignon cuit, enferme´ depuis la veille, empoisonnait l’air chaud»; oppure ancora la scena in cui i figli del minatore fanno i loro bisogni prima di recarsi al lavoro, ragazzi e ragazze insieme, in totale promiscuita`: «Les chemises volaient, pendant que, gonfle´s encore de sommeil, ils se soulageaient sans honte, avec l’aisance tranquille d’une porte´e de jeunes chiens, grandis ensemble» [tutti i corsivi sono nostri]. Non e` certo, questo, il «punto di vista di Dio, o di Sirio», come pretenderebbe Genette, ma il punto di vista del borghese agiato, magari socialista e umanitario, per il quale pero` l’odore delle cipolle di cui si nutrono gli operai e` sgradevole come veleno («empoisonnait»); del borghese fornito di solidi principi morali, per cui la mancanza di pudore dei proletari e` condizione animalesca («une porte´e de jeunes chiens»). Anche questa e` una restrizione individuale e soggettiva della visione, esattamente come quella di un personaggio, non certo una ‘focalizzazione zero’. A maggior ragione il discorso vale per il narratore eterodiegetico inattendibile, che, proprio in quanto tale, rivela una visione fortemente soggettiva e parziale (si pensi all’esempio di Rosso Malpelo sopra ricordato). Non si vede poi come si possa parlare di focalizzazione zero nel caso del narratore
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INTRODUZIONE
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omodiegetico36, che sicuramente e` un’individualita` ben definita, portatrice di una parziale visione della realta` e dotata solo di un’informazione ristretta. Di conseguenza, neppure volendo accettare la definizione genettiana di focalizzazione come restrizione del canale di informazione si potra` parlare di ‘focalizzazione zero’: una restrizione e` inevitabile, per il solo fatto che la storia e` filtrata attraverso la ‘voce’ e la ‘prospettiva’ di un narratore, di qualunque tipo esso sia. In conclusione, quindi, anziche´ di ‘focalizzazione zero’ si dovra` parlare piu` correttamente di focalizzazione da parte del narratore. Per contro, anche la categoria genettiana di ‘focalizzazione esterna’ appare inaccettabile ai fini di una tipologia rigorosa. In primo luogo, come gia` ha osservato la Bal37, si fonda non su chi vede, ma su chi e` visto (il personaggio visto dall’esterno e` oggetto, non soggetto della visione, a differenza del personaggio che e` la fonte della focalizzazione interna), quindi non risponde allo stesso criterio tipologico delle altre38. In secondo luogo, se si parte sempre dalla domanda ‘chi vede?’, anche in questo caso vi e` pur sempre un punto da cui proviene la ‘visione’; e questo punto non puo` essere che il narratore, dato che e` la sua ‘voce’ che racconta (anche Genette ammette che non vi puo` essere racconto senza narratore)39, e dato che la ‘voce’ porta sempre con se´ una ‘prospettiva’. Anche nel piu` rigoroso racconto ‘behavioristico’ e` il narratore a ‘vedere’ (sia pur con molte limitazioni, perche´ non ha accesso all’interiorita` del personaggio e puo` ‘vederlo’ solo dall’esterno). Si prenda un esempio canonico come The killers di Hemingway: «Outside it was getting dark. The street-light came on outside the window. The two men at the counter read the menu. From the other end of the counter Nick Adams watched them. He had been talking to George when they came in». A parlare qui e` un narratore eterodiegetico e la scena e` colta attraverso il suo punto di vista e presentata dalla sua voce, esattamente come in un racconto ‘autoriale’. Quindi, se si adotta un 36 Genette arriva ad ammettere una «prefocalizzazione» nel racconto omodiegetico (Nouveau discours du re´cit cit., p. 52); ma poi, nella successiva classificazione tipologica, il racconto omodiegetico autoriale e` collocato nella colonna della focalizzazione zero (ivi, p. 88). 37 Bal, op. cit., p. 28. 38 Per un’ironica vendetta della sorte, si direbbe, Genette incorre nello stesso genere di errore che rimprovera alle classificazioni precedenti la sua, in cui certi tipi erano discordanti con il principio di classificazione degli altri (Figure III cit., p. 235). Anche della sua classificazione ternaria si potrebbe dire, allora, parafrasandolo: «Borges avrebbe senz’altro introdotto a questo punto, dopo la focalizzazione esterna, una quarta classe, tipicamente cinese, quella dei racconti scritti con un pennello sottilissimo». 39 Genette, Nouveau discours du re´cit cit., p. 68.
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NARRATOLOGIA E CRITICA
principio tipologico unico e coerente, la ‘focalizzazione esterna’ risulta essere nient’altro che una variante particolare della focalizzazione da parte del narratore, e non puo` essere assunta come tipo a se´. In conclusione, se si intende la focalizzazione in senso attivo e soggettivo, e, coerentemente con la definizione di ‘prospettiva’, si assume come criterio di classificazione l’individuazione del soggetto della visione (e di conseguenza la focalizzazione ‘esterna’ viene declassata a sottotipo), le possibilita` tipologiche di focalizzazione che si aprono sono due, in corrispondenza con i due soggetti possibili della ‘visione’ in un racconto, narratore e personaggio: e sono appunto la focalizzazione da parte del narratore (sia esso onnisciente o a conoscenza limitata) e quella da parte del personaggio (meglio che interna, sempre per restare coerenti col concetto di prospettiva; e d’altronde la dizione ‘interna’ ha senso solo in contrapposizione ad ‘esterna’). La distinzione, come e` ovvio, vale non solo nel caso del racconto eterodiegetico, ma anche in quello del racconto autodiegetico40 (‘in prima persona’, come si dice correntemente con formula approssimativa e scorretta). A ben vedere, anche quando sia il personaggio stesso a raccontare la propria storia, e` legittima la distinzione tra narratore e personaggio (o io-narratore e io-personaggio, se si preferisce): infatti, salvo il caso non frequente in cui l’atto della narrazione sia simultaneo allo svolgersi della storia, l’io-narratore si distingue dall’io-personaggio, al di la` dell’identita` anagrafica, per il solo fatto di essere separato da una distanza temporale (e spesso, in conseguenza di questa, da una distanza ideologica, da una maggiore conoscenza e da un modo diverso di vedere le cose); e comunque le due istanze vanno sempre individuate in base alle diverse funzioni da esse rivestite nel racconto, in quanto l’io-narratore assume il compito di raccontare, mentre l’io-personaggio riveste il compito di agire nella vicenda narrata. Quindi sara` necessario distinguere accuratamente la prospettiva del narratore (l’io che racconta nel tempo della narrazione) dalla prospettiva del E`, sorprendente che Todorov, nel costruire la sua tipologia ternaria (N>P, N=P, N