Modernità e tradizione. Integrazione sociale e identità culturale in una città nuova. Il caso di Latina 8820428334, 9788820428334


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Italian Pages 248 [247] Year 1989

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Modernità e tradizione. Integrazione sociale e identità culturale in una città nuova. Il caso di Latina
 8820428334, 9788820428334

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Vittorio Cotesta

Modernità e tradizione Integrazione sociale e identità culturale in una città nuova. n caso di Latina

FRANCO ANGELI

Il presente lavoro

è

stato realizzato nell'ambito del progetto di ricerca Latina:

identità e comunità, patrocinato dal Consiglio nazionale delle ricerche, dal Con­ sorzio per i servizi culturali, dalla Camera di commercio industria e artigianato e dal Comune di Latina. Il Consorzio per servizi culturali, inoltre, ne ha patrocinato la pubblicazione.

Finito di stampare nel maggio 1988 Copyright © by Franco Angeli Libri s.r.l., Milano, Italy l lettori che desiderano essere regolarmente informati sulle novità pubblicate dalla nostra Casa Editrice possono scrivere, mandando il loro indirizzo, alla "Franco Angeli, Viale Monza 106, 201 27 Milano", ordinando poi i volumi direttamente alla loro Libreria.

INDICE

pag.

Prefazione l.

Integrazione sociale e identità culturale

1 .1 . 1 .2. 1 .3. 1 .4. 1 .5 . 1.6. l . 7. 2.

I..:emigrato tra conflitto e integrazione culturale Senso e agire sociale I..: i ntegrazione dell'azione I motivi dell'agire Agire sociale e modelli di razionalità Modelli di razionalità e integrazione sociale I..:oggetto della ricerca

Dalla società semplice alla società complessa Cenni sulla struttura sociale deUa città

2 . 1 . La società agricola 2.2. La società industriale 2.3. La società complessa Tabelle 3.

I migranti

3.1. 3.2. 3.3. 3 .4.

4.

7 Il Il 18 23 30 33 46 50

Premessa I..:emigrazione. Motivazioni e solidarietà Permanenza della solidarietà La migrazione: un successo parziale Tabelle

Tradizione culturale e integrazione sociale

4.1. Premessa 4.2. Il rapporto con il luogo d'origine 4.3 . 1 . Le tradizioni culturali nel nuovo contesto urbano e sociale 4.3 .2. La coservazione degli usi e dei costumi del luogo d'origine 4.3.3. Gli usi linguistici. Nasce un nuovo dialetto? Tabelle

5

53 53 57 64 69 71 71 72 78 80 83 87 87 88 94 97 " 1 00 " 107

5.

Visibilità, status e prestigio sociale

5 . 1 . Premessa 5 .2. Il bisogno di visibilità 5 . 3 . Modelli culturali e percezione del mondo sociale Tabelle 6.

Integrazione e qualità dei rapporti sociali

6.1. 6.2. 6.3. 6.4.

7.

Premessa Il matrimonio I.:amicizia I.:integrazione sociale Tabelle

Modernizzazione e forme di vita comunitaria

7 . 1 . Premessa 7 .2. I.: amicizia 7.3. La vita associativa Tabelle 8.

Identità e appartenenza

8.1. 8.2. 8.3. 8 .4. 8.5. 8.6. 9.

Premessa Rifiuto e identificazione Le mete dei nuovi emigranti Le ragioni del rifiuto I motivi di identificazione Identità e appartenenza: un quadro sintetico

La città incompiuta

9.1. 9.2. 9.3. 9.4.

Premessa I consigli per lo specialista La carenza di direzione politica La città incompiuta

pag. " " " "

llO llO ll1 126 135

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138 138 138 143 144 159

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161 161 165 1 74 180

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182 182 182 188 189 1 92 197

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204 204 204 210 212

Appendice A: Il questionario Appendice B: Il campione

" 215 " 229

Bibliografia

" 238

6

PREFAZIONE

Le città nuove dell'Agro pontino costituiscono un caso molto interessante della modernizzazione italiana. Nate da un progetto controverso e contraddittorio della politica del regime fascista, es­ se hanno successivamente avuto uno sviluppo e una vita diversa. Qualcuna (Sabaudia) ha conservato molto dei suoi tratti origina­ ri; altre (Pomezia, Aprilia, Latina) hanno sostanzialmente mutato la loro struttura. Aprilia e Pomezia si sono trasformate da città agricole in città industriali. Latina, invece, ha man mano acquisito una fisionomia sociale complessa con un buon equilibrio tra i set­ tori produttivi dell'agricoltura, dell'industria e del terziario. Né la costruzione delle città, né le successive trasformazioni so­ no state osservate e descritte da un punto di vista sociologico. Esi­ stono, certo, numerosi lavori (memorie, documentazione statisti­ ca, esplorazioni su singoli argomenti) sull'Agro pontino e su Lati­ na. Tra questi, tuttavia, i contributi scientifici sono pochi e, so­ prattutto, di tipo economico. Ciò che non è stato osservato è pro­ prio il senso della trasformazione sociale. Di fronte ad un caso di modernizzazione, per così dire, puro, non abbiamo una ricerca di tipo sociologico che abbia come oggetto questa complessa dina­ mica sociale. In questo lavoro si pongono al centro dell'analisi i processi di integrazione sociale e culturale verificatisi finora nella città. La secolarizzazione e la modernizzazione dei modelli cultu­ rali e degli stili di vita costituiscono la cornice entro la quale l'inte­ grazione degli individui e la formazione dell'identità culturale cit­ tadina vengono osservate. Latina non ha ancora una struttura sociale consolidata. Non esistono neppure tradizioni sue proprie. I suoi abitanti provengo­ no da diverse regioni italiane. La pluralità degli stili di vita può 7

forse essere espressa dalla molteplicità dei suoi dialetti: veneto, friulano, romanesco, ciociaro, abruzzese, campano, calabrese, si­ ciliano e così via. Il problema posto al centro della ricerca è dupli­ ce. Esso può essere riassunto da due domande: cosa nasce dal con­ tatto di persone di diverso orientamento culturale? e: cosa succede a gente di così diversa ed eterogenea provenienza durante il pro­ cesso di secolarizzazione e modernizzazione dei loro stili di vita? Una cosa infatti è indubbia. Quanti si sono trasferiti a Latina pro­ vengono per lo più da ambienti contadini e culturalmente tradi­ zionali . Nella città essi hanno incontrato modi di vivere tradizio­ nali, come i propri, ma regionalmente diversi; inoltre, nell'attività produttiva hanno avuto a che fare con l'organizzazione scientifica del lavoro, con la tecnica, con la razionalità tipica della moderni­ tà. Da questo generalizzato scambio sociale poteva generarsi un processo di integrazione e fusione culturale, ma anche un'esplosio­ ne di particolarismi. Le diverse analisi di questo lavoro per un ver­ so tendono a descrivere il processo di integrazione sociale e cultu­ rale di individui provenienti da aree geografiche differenti, per l'altro mettono l'accento sui problemi ancora aperti, sulle difficol­ tà e gli insuccessi nell'integrazione sociale e sul senso di estraneità nei confronti della città. Attraverso l'individuazione degli stili di vita e dei modelli culturali attualmente condivisi dagli attori so­ ciali si tenta inoltre di tracciare una sorta di ritratto sociale e cultu­ rale della città. È ancora molto diffusa l'insoddisfazione per l'identità culturale della città. Ciò si accompagna spesso a un senso di precarietà e frammentarietà culturale, quasi che si vivesse su palafitte. Da un lato, infatti, vi sono modi di vivere quotidiani diffusi e dall'altro la memoria di un'altra storia, vissuta in altri luoghi in un tempo più o meno remoto. La vita quotidiana e la memoria di quella sto­ ria non si fondono ancora e vengono vissute come fatti e momenti separati. Così, la storia sembra irrimediabilmente perduta, mentre la vita quotidiana non trova un proprio radicamento. Questa scis­ sione tra vita e memoria impedisce il formarsi di un senso di ap­ partenenza solido, la creazione di radici capaci di dare sicurezza agli attori sociali. Probabilmente le generazioni precedenti hanno avvertito molto di più questo vuoto culturale. Ancora oggi, tutta­ via, esso è diffuso. Cercare di comprendere a quale punto sia giun­ ta la formazione dell'identità culturale cittadina può forse contri8

buire (questa è almeno la nostra speranza) a creare un più consi­ stente radicamento degli individui nel loro nuovo territorio e nella loro nuova storia. Nell'organizzare gli stili di vita e i modelli culturali abbiamo se­ guito uno schema semplice. Modernità e tradizione ci sono parsi i due poli estremi e ideali sotto i quali raccogliere le tipologie dei concreti stili divita, dei modelli culturali, delle manifestazioni del­ la vita quotidiana degli intervistati. Esse non sono separate e auto­ nome l'una dall'altra; anzi, nella concreta esperienza esse si intrec-­ ciano inestricabilmente. Abbiamo potuto tracciare tuttavia solo un quadro di carattere generale. Del resto, non poteva essere altri­ menti. Fatta eccezione per una ricerca di F. Crespi e una di F. Mar­ tinelli (1), non esistono lavori sociologici sull'Agro pontino e su Latina. Ciò conferisce a questa ricerca il carattere di una prima ri­ cognizione sullo stato dei rapporti sociali esistenti in città e sulla costruzione del sistema sociale cittadino. Si spera che essa possa contribuire anche a sollecitare un più costante interesse dei socio­ logi per la città e l'approfondimento di questioni e problemi qui appena accennati. Da solo non avrei certamente potuto portare a compimento questo lavoro. Se il progetto alla fine è stato realizzato, ciò si deve al contributo di molti. Devo ringraziare Maurizio Grasso, per l'in­ sostituibile contributo dato alla ricerca; Alberto Marinelli, che mi ha aiutato in tutte le fasi del lavoro; Noemi Fiorini, Maria lngrai­ to, Fabiola Barbierato, Maria Rosaria Bonacci, Giancarlo Qua­ gliotto, del Centro Elaborazione Dati del comune di Latina, Giu­ seppe Cantarana, Rosanna Carrano e le intervistatrici Renata Te­ sta, Alessandra Testa, Antonella Lo Rillo, Daniela Ursini, Licia Cotesta, Anna Rita Mazziotti, Emanuela Giudetti, Michela Fasci­ nato, Loredana Luvidi; il Consorzio per i serv izi culturali per il so­ stegno dato alla ricerca. Ho discusso di questo lavoro con nume­ rosi amici e colleghi. A tutti loro rivolgo un grazie affettuoso.

l . Cfr. F. Crespi, "Anomia senza crisi", in Rivista di Sociologia, III, 8, 1965 e F. Martinelli, Strul/ura di classe e comunicazione culturale, Liguori, Napoli, 1 979.

9

l. I N T EG RAZ IONE SOC IALE E IDEN T I TA' CULTURALE

1.1. IJemigrato tra conflitto e integrazione culturale

All'arrivo in Agro pontino i contadini provenienti dalle regioni nord-orientali italiane trovano una situazione molto diversa da quella dei loro luoghi d'origine. Certamente, ad ognuno di loro tutto ciò è noto. Tuttavia, ai più è sconosciuto proprio il senso del­ la diversità (1). Venuti per lavorare la terra, i coloni trovano finalmente un po­ dere, una casa, i mezzi necessari per iniziare le colture e per vivere fino a che i loro campi non producano quanto previsto dall'Opera nazionale combattenti. Uno degli elementi di novità è costituito proprio dal rapporto con questo ente. Certamente, molti coloni hanno già fatto l'esperienza dalla collaborazione con i proprietari concedenti la terra; questi, però, in generale erano lontani dall'at­ tività produttiva, che veniva pertanto gestita autonomamente dai contadini. Nell'Agro pontino, la situazione è molto differente (2). l. In eFfetti i coloni venivano informati su quanto avrebbero trovato in Agro pontino. Di questa i n formazione il regime fece una campagna pubblicitaria notevole. Sul piano so­ ciologico ciò equivale a dire che gli immigra li furono anticipatamente socializzati alla vi W futura. Tu llavia, per quanto si potesse i n formare deltagliatamente, rimaneva ig noto l'essen­ ziale. l coloni venivano informati sulla casa, sul podere, sulle colture, ecc.; non potevano però essere informati sulla vita sociale che ancora non esis teva e che essi avrebbero dovuto costru ire. Sul concetto di socializzazione anticipata cfr. R.K. Merton, Social Theory and Social Structure, The Free Press, New York, 1949 e 1968 (tr. it. Teoria e struttura sociale, 11 Mulino, Bologna, 1968, pp.514-520). J.:applicazione della teoria della socializzazione an­ ticipata al movimento migratorio in I talia si trova per la prima volta in F. Alberoni e G. Baglioni, L'integrazione dell'immigrato nella società industriale, Il Mulino, Bologna, 1965. 2. Per l'anali si del rapporto economico tra coloni e Onc cfr. V. Riccardi, L'opera nazio­ nale combattenti e i contratti agrari in Agro Pontino tra il 1932 e il /941, tesi di laurea, Univ. di Roma, a.a. 1977-78.

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Il colono deve accettare la direzione deii'Onc per quanto riguarda le tecniche produttive, la scelta delle tipologie colturali, il periodo della semina, della raccolta, e così via. Per dirla in termini sinteti­ ci, la progettazione e la direzione del processo produttivo non è nelle mani del colono, ma deii'Onc. Il colono proviene generalmente da paesi nei quali è solidamen­ te strutturata una vita di relazioni. Sia che egli provenga da centri urbani, sia che invece provenga dalla campagna, la vita sociale da lui vissuta gli ha garantito una identità precisa, nel bene e nel ma­ le. Ora, raramente egli si insedia in poderi che abbiano nelle im­ mediate vicinanze persone provenienti dal suo paese o dalla sua campagna, dalle quali la sua identità sia riconosciuta e apprezza­ ta. Pur se il suo vicino è veneto o friulano, non è tuttavia della sua provincia o del suo paese. Una frequentazione e una conoscenza pregressa non si dà che raramente. Le identità individuali sono sconosciute agli altri. Il processo di riconoscimento reciproco deve cominciare daccapo e spesso su nuove basi. I criteri di attribuzio­ ne di status e di riconoscimento delle identità, nonostante derivi­ no da una medesima base culturale, operano ora in una situazione diversa e possono non essere più condivisi. La possibilità che l'i­ dentità personale sia riconosciuta e confermata non è più tanto pacifica. Si richiede comunque ad ognuno un impegno serio per la costruzione di una nuova identità. Il colono si trova in un punto dell'Agro pontino con la sua fami­ glia, i ferri del mestiere, l'essenziale per vivere. Alzando lo sguardo all'orizzonte, il paesaggio gli appare piatto, senza alberi, omoge­ neo, rotto solo dalla sagoma incerta di altre case in lontananza. La notte, poi, il vento sembra svellere la casa dalla terra. La paura di una catastrofe sconosciuta alimenta il ricordo delle certezze dei luoghi nativi e spinge alcuni sulla via del ritorno (3). La disseminazione dei poderi nell'Agro rende difficile, se non impossibile, costruire subito rapporti di comunicazione e di scam­ bio. Il colono e ia sua famiglia vengono così fissati alla terra, gra3. In effetti, soprattutto i primi due anni furono terribili. Al freddo e al gelo si aggiunse, insopportabile, la solitudine. Molti pensarono al ritorno a casa. Pochi tuttavia tornarono indietro. Poi, con i primi buoni risultati, le cose andarono meglio e si cominciò a prendere migliore confidenza con il nuovo ambiente. Ora, anche chi pensò seriamente di tornare e per qualche imponderabile motivo non lo fece, pensa di avere tutto sommato fatto bene a restare. Cfr. la nostra intervista alla signora Alberlon di Borgo Podgora .

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zie a un procedimento di individuazione e differenziazione la cui rete complessiva viene tessuta e governata dall'Opera nazionale combattenti. "Un podere, una famiglia" non è solo uno slogan di tipo politico e sociale. Esso è soprattutto ed eminentemente l'e­ spressione di un ordine s ociale (4). l?essenza di tale ordine può es­ sere così riassunta: concentrazione della direzione del processo di produzione e del possesso dei mezzi di sostentamento nelle mani dell'Opera nazionale combattenti, da una parte, e isolamento so­ ciale, culturale e politico del colono, dall'altra. Si costruisce in questo modo una struttura asimmetrica di potere. Essa comincia dalla costruzione del rapporto primigenio con un territorio -la ter­ ra, il podere, il paesaggio- , si struttura nei rapporti di subordina­ zione nel processo produttivo e si completa nella predisposizione di modelli di comportamento sociale, culturale, religioso e politico ai quali il colono dovrebbe ispirarsi. La bonifica integrale dell'A­ gro pontino è un'opera -forse l'unica- nella quale vengono colo­ nizzati i colonizzatori. Lo spazio produttivo diventa subito espressione di gerarchia so­ ciale. Dall'unità produttiva costituita dal podere non si accede im­ mediatamente ad un' area di pubblicità, alla sfera della vita pub­ blica della città nuova. l?accesso a questa sfera è mediato dal bor­ go. Nel borgo, infatti, si esercita la mediazione culturale ad opera degli intellettuali del regime e delle autorità religiose. Nel borgo le strategie di costruzione e ricostruzione dell'identità del colono vengono a confrontarsi. E pèr fortuna sua esse non sono univo­ che, ma spesso in contrasto tra loro. Alla città, al centro urbano, il colono non si reca molto spesso. La visita alla sede dell'Opera nazionale combattenti per contratta­ re un migliore trattamento per sé e per la sua famiglia è una delle occasioni più frequenti. Ma essa non costituisce un momento nel

4. Cfr. N. Mazzocchi Alemanni, "La trasformazione agraria", i n Agro Pontino, Ullicio stampa d ell 'Onc, a. XVIII, 1 940 , che spiega l e ragi oni di questo tipo di insediam ento: ';4d ogni podere ia sua famiglia; ad ogni famiglia la sua casa. Si è p ensatamente escluso ogni tipo di abbinato, sia p er gli inc onvenienti, n oti, che ogni abbinamento d etermina e che non sono sufficient emente compensati dal m odesto risparmio di spesa realizzabile, sia, soprat­ tut to, in r elazione al futuro riscatto cui son o d esti nati i pod eri da parte delle singole fami­ gli e col onich e. La compropr i età e le comunità conseguenti agli abbinamenti di alloggi, non sono in fatti s opportate facilm ente dal particolare tipo di piccolo coltiva tore c h e d obbiamo creare in luogo" (p. 1 15).

quale egli opera come un soggetto pubblico e politico. Ciò avviene solo quando, nelle ricorrenze del regime, egli viene chiamato alla manifestazione, spesso insieme alla moglie e ai figli. La natura di questa azione politica del colono è il coronamento della sua su­ bordinazione. Nella celebrazione della ricorrenza, egli, con gli al­ tri, svolge una funzione decorativa, simbolica, "magica e rituale": egli interviene come massa, membro di un gruppo sociale indistin­ to e acclamante (5). Nel rapporto col duce, sia esso Mussolini (6) o qualsiasi altro dirigente del regime, il suo è un ruolo passivo. I...:e­ saltazione delle sue fatiche e dei suoi sacrifici è fatta da altri, da coloro che gestiscono la sua esistenza in modo tanto minuto, par­ ticolareggiato e asfissiante (7). Raramente gli viene ofr'erto di pro­ nunciare parola; quando succede, è per consentire al Duce di di­ mostrare che egli è genuinamente interessato alla vita dei coloni e al loro destino ormai riscattato dalla disoccupazione, dalla fame e dalla miseria. Infatti, i n anni successivi, y_uando i coloni, sebbe­ ne nel loro specifico ambito di produttori, avranno la possibilità di organizzarsi e di prendere la parola all'interno delle stesse strut­ ture di pubblicità del regime, verrà fuori un quadro ben diverso da quello che si tentava di accreditare per mezzo della propaganda (8). 5 . Cfr. F. Neumann, Behemoth. Struttura e pratica del naziona/socia/ismo, Feltrinelli, Milano, 1 977, p. 414. Sulla qualità simbolica della partecipazi one delle masse nel fascismo e soprattutto nel nazismo c fr. pure G.L. Mosse, La nazionalizzazione delle masse, Il Muli­ no, Bologna, 1974. 6. Il rapporto con Mussolini, il Du ce, era intenso tra i coloni. A lui essi si rivolgevano come a un padre buono, capace di fare giustizia. Era un rapporto carismatico che è durato a lungo -e forse dura ancora- non solo tra i coloni, ma in una parte considerevole della popolazione dell'Agro Pontino. Per ulteriori approfondimenti cfr. O. Gaspari, "Il mito di Mussolini nei coloni veneti dell'Agro Pontino", in Sociologia, XVII, 2, 1983, pp.l 55-1 7 4 7. Ampia testimonianza degli aspetti "odiosi" del controllo dei coloni da parte del perso­ nale dell'Onc è stata raccolta da O. Gaspari, L'emigrazione veneta nell'Agro Pontino du­ rante il periodo fascista, Morcelli ana, Brescia, 1 98 5 . 8 . Il conflitto tra coloni, assistiti dalla Federazione dei sindacati fascisti, e Onc esplode nell'inverno 1 937-38. Il malcontento dei coloni si manifesta in due ass emblee che si tengo­ no lo stesso giorno: una a Latina e l'altra a Pontinia. Rispetto alla polemica svoltasi sulla questione tra R. Mariani, T. Stabile e V . Riccardi occorre osservare soltanto che le manife­ stazioni dei coloni sono certamente u n fatto straordinario in regime fascista. Esse si confi­ gurano come un vero e proprio sciopero, anche se non esistono le condizioni formali per assimilarle agli scioperi dell'industria o dei salariati. D'altra parte non si può dire che esse siano "antisistema '. Sono l 'espressione di un conflitto entro il sistema. Ciò è dimostrato dal fatto che alla fine la crisi è risolta sotto la guida del Pnf che svolge la mediazione tra coloni e Sindacato fascista, da un lato, e Onc dall 'altro. Cfr. R. Mariani, Fascismo e città nuove, Feltrinelli, Milano, 1976, pp.169-70 e 173-178; V. Riccardi, op.cit.; T. Stabile, Latina

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La situazione dei coloni nell'Agro pontino, nel periodo dell'in­ sediamento e negli anni successivi, è pertanto caratterizzata dalla subordinazione economica, culturale e politica. La stessa venuta nell'Agro ha comportato la rottura dei modelli di solidarietà e di socialità entro i quali si è svolta la loro formazione e la loro espe­ rienza umana. Nonostante il regime fascista tenti di ricostruire una diversa socialità e di offrire modelli di solidarietà, non si può dire che la situazione culturale dei coloni non ne risenta. Nei primi anni -e prima che si ricostruissero nei borghi i modelli di socialità improntati alla cultura originaria che nel complesso può con ap­ prossimazione dirsi "veneta'� , vi è un periodo caratterizzato dalla frammentazione, dalla dispersione e dal vuoto culturale. Sono gli anni difficili dell'insediamento (1932-34); gli anni di sacrificio e sofferenza nei quali ciascuno deve fare ricorso alle sue energie umane e culturali più profonde per vivere e riuscire a dare ancora un senso alla propria esistenza e, spesso, a quella dei propri fa­ miliari. Su quali risorse culturali può contare la ricostruzione del Sé, della propria indentità da parte del colono? Se, come abbiamo ac­ cennato, la sua condizione culturale è eterodiretto, se non manipo­ lata, quali sono i modelli culturali che alla fine prevalgono nella sua concreta esperienza di vita? Le risposte a queste domande non sono semplici. Esse implica­ no una difficile elaborazione teorica e ad un livello molto astratto. Cercheremo comunque di rendere il più possibile piano e com­ prensibile il nostro discorso. Tuttavia, prima di affrontare tale aspetto teorico, è opportuno fare alcune considerazioni sulla si­ tuazione nella quale si sono trovati gli immigrati dei periodi suc­ cessivi. La situazione di disperazione, di frammentazione e di vuoto culturale non caratterizza, infatti, solo il periodo dell'insediamen­ to dei coloni. Essa è tipica anche della situazione degli immigrati successivi. In un quadro economicamente e politicamente diverso, si ripetono esperienze analoghe. Ciò è vero soprattutto per l'immi­ grazione degli anni dell'industrializzazione e del boom economi­ co. È cambiato di molto lo scenario; cambiati sono pure gli attori, ma l'esperienza della solitudine, della frammentazione e del vuoto una volta Li/loria, Archimio, Latina, 19 82, pp.l3 3-137.

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culturale si ripete. I nuovi immigrati provengono ora, prevalente­ mente, dalle regioni dell'Italia meridionale e dall'entroterra lazia­ le. La catena di solidarietà su cui si può effettivamente contare non è forte. Talvolta, essa è completamente inesistente. La mediazione politica è ora offerta ed esercitata dai partiti de­ mocratici: la Democrazia cristiana, il Partito comunista, il Partito socialista, in conflitto ancora aspro con il Movimento sociale ita­ liano, erede culturale e politico del fascismo. Talora, però, l'acces­ so al lavoro passa per altri canali. La mediazione politica nel mer­ cato del lavoro, in epoca di espansione economica e di relativa scarsità di manodopera, non serve. Semmai essa si esercita nella allocazione delle risorse pubbliche per i servizi sociali: casa, scuo­ la, attività culturali. Che passi o no attraverso la mediazione di un pariito politico, il nuovo immigrato deve fare i conti con modelli produttivi indu­ striali a cui non è abituato e di cui ha spesso un'idea molto vaga. Venuti a Latina e in Agro pontino per trovare un lavoro che non esiste nei propri paesi d'origine, i nuovi immigrati si trovano di fronte ad un processo produttivo ignoto e rispetto a cui sono com­ pletamente subordinati. Le .organizzazioni sindacali dei lavoratori non sono forti e non costituiscono fino alla seconda metà degli anni sessanta un punto di riferimento valido per l'immigrato­ operaio (9). Dalla sua parte, ora, a differenza degli immigrati agri­ coli della prima generazione, l'immigrato operaio ha ampie possi­ bilità di successo economico. Proprio questo, d'altronde, gli con­ sente di accettare la disciplina dura dei rapporti di produzione in­ dustriale e lo forma pian piano entro un quadro di riferimento culturale diverso da quello suo originario. Di fronte alla cultura industriale le resistenze della cultura contadina o pastorale non possono avere successo. Non c'è un ambiente culturale omogeneo, contadino o pastorale, che reagisca alla diffusione di modelli pro9. Occorrono, infatti, un certo numero di anni e talvolta anche il trasferimento di diri­ genti sindacali da altre zone perch é si possano avanzare con forza rivendicazioni e organiz­ zare lotte operaie nelle aziende. La gest:one del conflitto, infatti, richiede identità collettive strutturate che si danno solo dopo una esperienza lavorativa e di vita in comune. Nelle in­ dustrie dell'Agro pontino le prime lotte operaie e sindacali si veri ficano nel 1963 . Solo a partire dal 1967, tuttavia, si ha la sensazione di un movimento forte e organizzato. Per una rassegna del ciclo d i lotte operaie svoltesi a Latina dal l 969 al 1973 c fr. G. Scaffidi A rgenti­ na, Strategie delegittim anti nei gruppi giovanili a Latina (1969-75), tesi di laurea, Univ. "La Sapienza", Roma, a.a. 1 985-86.

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duttivi e di stili di vita industriale moderna. Gli stessi immigrati desiderano identificarsi con i modelli che vengono proposti (10) . �incompatibilità tra la cultura d'origine e quella da acquisire si manifesta per lo più attraverso episodi di trasgressione, minuta e irrilevante, che segnala problemi di microconflittualità umana e culturale, piuttosto che conflitti economici di gruppi e classi socia­ li strutturati. �adesione ad un progetto di miglioramento econo­ mico e di promozione sociale e umana provoca infatti nei soggetti sensi di colpa che si manifestano nelle forme più diverse. La rapi­ da e generalizzata diffusione di modelli di comportamento e stili di vita improntati alla modernità trova nella frammentazione cul­ turale e nell'isolamento degli immigrati il suo più forte alleato. Per le tradizioni culturali dei luoghi di provenienza ognuno crea una nicchia di nostalgia nella struttura della propria personalità e cer­ ca di a!imentare un "culto familiare" celebrato attraverso i ritorni più o meno frequenti al paese o alla città d'origine. In breve, nei nuovi immigrati la predisposizione all'innovazione culturale è for­ te. Coincide con essa infatti la possiblità di successo e di afferma­ zione personale. . Diversa è la situazione di coloro che, appartenendo alla buro­ crazia degli uffici, delle professioni e della dirigenza delle indu­ strie, si trovano, come dire?, a "nuotare entro il proprio fiume". Essi, infatti, grazie ai loro comportamenti e stili di vita improntati a modelli acquisitivi, possono stabilire un rapporto più strumen­ tale con il nuovo mondo sociale e se ne fanno spesso dirigenti ai più disparati livelli istituzionali. Per molti, inoltre -e ciò vale so­ prattutto per quadri e dirigenti di aziende che provengono da realIO. Per questo tipo di immigranti l 'applicazione della teoria della socializzazione anticipata funziona anche meglio rispetto ai coloni. E ssi infatti hanno (o possono avere) un'idea più precisa della società ospite. La loro disponibilità ad accettare i modelli produttivi, i modelli culturali e gli stili di vita da essi implicati è senza dubbio alta. Si può con certezza dire che essa è la precondizione per la riuscita del progetto di vita dell'immigrato. Su questo punto pare senza dubbio accettabile l'idea di 1. Galtung (Componenti psico-sociali nella decisio­ ne di em igrare, in Aa. Vv., Imm igrazione e industria, Comunità, Milano, 1962, p. 432), se­ condo la quale è troppo semplice dire che la povertà e la ricerca del lavoro costituiscono la motivazione della decisione di emigrare. A nostro avviso, per quanto la povertà e la ricer­ ca di un lavoro siano entro la motivazione della decisione di emigrare, sembra po ssibile dire che, nel caso degli immigrati in Agro pontino, e ssi elaborano un progetto di vita che non è po ssibile realizzare nei luoghi d'origine. Ciò vale sia per i primi immigrati, i coloni, sia per coloro che con diverse mansioni sono occupati nell'industria. Si tratta d i chances eco­ nomiche, culturali, sociali che gli immigrati hanno in travisto prima di trasferirsi. Sono ap­ punto queste a strutturare il progetto di vita di colui che, da solo o in famiglia, emigra.

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tà produttive e integrate- il periodo di residenza a Latina costitui­ sce solo una esperienza nel corso del ciclo produttivo. Per costoro, probabilmente, l'assenza d'integrazione e la frammentazione so­ ciale e culturale diventa un'occasione per costruire un disegno di vita che altrove non avrebbe trovato neppure la possibilità di arti­ colarsi. Per i dirigenti, che in linea di massima posseggono anche i requisiti culturali formali più elevati, il rapporto tra innovazione e tradizione culturale si articola meglio e in funzione dei progetti di vita. Ciò non implica però che, nelle migliori condizioni in cui si trovano, essi non vivano conflitti e avvertano disagio culturale. In generale, dunque, la questione che si pone è la seguente: qua­ li sono i conflitti culturali vissuti dai nuovi cittadini di Latina? E, inoltre, qual è la struttura interna delle culture che si confrontano, qual è la loro logica intrinseca specifica? Come vengono, infine, superati tali conflitti? Mediante quali risorse simboliche e di senso viene costruita o ricostruita la struttura della personalità e l'orien­ tamento culturale di ognuno? E, inoltre, come avviene i ì processo di decostruzione di un modello culturale e la costruzione di un al­ tro? Non risponderemo a tutti questi interrogativi. Già l'averli po­ sti indica una direzione di · ricerca empirica di tipo culturale e psico-sociale di grande interesse. Per ora ci limiteremo a descrivere i modelli di razionalità e di cultura che possono aiutarci a COJ.!l­ prendere la formazione degli orientamenti culturali più profondi degli abitanti della città nuova.

1 .2. Senso e agire sociale

Noi non siamo nelle condizioni di intraprendere un'analisi simi­ le a quella condotta da Thomas e Znaniecki ( 1 1 ) . Non abbiamo la documentazione riguardante la vita vissuta nei luoghi d'origine degli immigrati di Littoria e di Latina. Né il caso è perfettamente comparabile. I veneti, i friulani, i ferraresi e poi i laziali, i campa­ ni, i pugliesi e quanti altri si trasferiscono nei diversi periodi in

II. Cfr. W. l. Thomas F. Znaniecki, The Polish Peasant in Europe and America, Uni­ versity of Chicago Press, C hicago, 1 920 (tr.it. Il contadino polacco in Europa e in Ameri­ ca, Comunità Milano, 1968 ). Sulla stessa linea vedi pure O. Handling, The Uproo ted, Little Brown and Co., Boston, 1953 (tr.it. Gli sradicati, Comunità, Milano, 1958 ). -

IR

Agro pontino non trovano una stratificazione sociale per gruppi e classi sociali, né tantomeno una stratificazione sulla base delle etnie. Il conflitto con le popolazioni dei comuni collinari prospi­ cienti la pianura pontina è breve e coinvolge una parte esigua dei venuti (12). Non sappiamo, pertanto, se la decostruzione dei lega­ mi di solidarietà intessuti nei luoghi d'origine abbia provocato ef­ fetti distruttivi della vita morale e della personalità di gruppi fami­ liari emigrati nell'Agro pontino. Non ci risulta, comunque, "la di­ sorganizzazione sociale" dovuta "ad una diminuzione dell'in­ fluenza delle regole sociali di comportamento esistenti sui membri individuali" (13) dei gruppi familiari. La rapidità con la quale nel periodo dell'insediamento dei coloni, ad es., viene ricostruito un mondo sociale nel quale, nonostante la diversità della situazione, vigono le stesse norme dei luoghi d'origine, fa comprendere, da un lato, che non c'è alcun processo di disorganizzazione culturale de­ gli individui (nel senso riscontrato da Thomas e Znaniecki) e, dal­ l'altro, che c'è invece uno sforzo teso a costruire condizioni di esi­ stenza regolate da norme sociali forti e accettate dai membri dei gruppi familiari. Nonostante siano emigrati in Agro pontino per necessità, i gruppi familiari non si sono disorganizzati. Anzi, nella generale difficoltà di costruire nuove relazioni sociali, la famiglia assume su di sé compiti e funzioni che generalmente vengono svolte da altre istituzioni sociali. In altre parole, gli individui che sono arrivati in Agro pontino conservano una organizzazione cul­ turale individuale forte e normativamente integrata. Ciò costitui­ sce infatti la base per la costruzione di "progetti di vita" forti e molto spesso vincenti (14). Ciò però non esclude che nella realiz­ zazione di tali progetti non si debba passare sotto le " forche cau-

12. Sul conflitto tra coloni veneti e contadini dei comuni prospicienti i Monti Lepini cfr. O. Gas pari, La "Merica" in Piscinara. l veneti-pontini dalla colonizzazione fascista agli anni Sessanta, in E. Franzina - A. Parisella (a cura di), La Merica in Piscinara, Francisci, Abano Terme (Pd), 1986, pp.21 7 -290 e in particolare pp.234-2 42. 1 3 . Cfr. W.J. Thomas F. Znaniecki, op.cit., Il, p. l 2; O. Handlin, op.cit., pp.2 1 3 - 47. 1 4. Ciò è vero soprattutto per i coloni del primo periodo. Per avere i n assegnazione un podere in Agro pontino bisognava essere in possesso di diversi requisiti: essere ex­ combattente, avere una famiglia con sufficienti unità lavorative, essere di buona condotta, ecc. In molti casi i fratelli già sposati e autonomi si mettono insieme formando un' unica famig lia, di cui era capo il padre anziano e x-combattente oppure la madre vedova o il fra­ tello maggiore, che come tale possedeva i requisiti necessari. Ciò implicava un vero proget­ to eli vita. l•:sso coinvolgeva più nuclei familiari e molte persone. -

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dine" della sofferenza, della solitudine, del sacrificio e del dolore. Dipingere con tratti troppo belli la storia degli immigrati dell'Agro pontino, della prima o della seconda grande ondata di emigrazio­ ne, non giova alla verità, né fa onore all'esperienza veramente complessa e positiva di tanti. È da rilevare, tuttavia -e questo è il motivo per cui vien fatto- che la constatazione della integrità del­ l'organizzazione culturale individuale costituisce la base della comprensione scientifica del problema della nostra ricerca. Infat­ ti, i soggetti venuti in Agro pontino sono in grado di elaborare propri "progetti di vita"; anzi lo stesso trasferimento a Littoria, prima, e a Latina, dopo, è parte essenziale di un "progetto di vita". Cerchiamo pertanto di cominciare a comprendere il senso cul­ turale di tali progetti. Il nostro discorso deve assumere ora un diverso andamento. Per dare un'idea, anche minima, di un "progetto di vita", dobbiamo addentrarci nei problemi della teoria dell'azione sociale e cogliere le possibilità di costruire un " progetto esistenziale" che da essa so­ no riconosciute, legittimate e fondate. Come è noto, M. Weber (15) definisce l'agire sociale come "un agire che sia riferito -secondo il suo senso, intenzionato dall'agen­ te o dagli agenti- all'atteggiamento di altri individui, e orientato nel suo corso in base a questo". Nella costruzione del nostro di­ scorso diventa utile a questo punto sottolineare i due elementi del­ la definizione weberiana. Essi sono appunto a) il fatto che l'agire sociale si riferisce all'atteggiamento degli altri individui e b) il fat­ to che nell'agire vi è un senso intenzionato da parte degli agenti. Tuttavia, la definizione weberiana non è completa e non soddisfa ancora le esigenze teoriche connesse alla definizione dell'agire so­ ciale. Essa costituisce un indubbio passo avanti rispetto alle impo­ stazioni positivistiche dell'azio.ne (16), ma non riesce ancora ad ar­ ticolare la complessa rete concettuale richiesta dalla elaborazione di una soddisfacente teoria dell'azione. Siamo costretti, pertanto, 1 5 . Cfr. M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, Tubingen, Mohr, 1922 ( 1 9 56 ) (tr. i t. &a­ nomia e società, Comunità, Milano, 1961 e 1980 ), p. 4. Le citazioni di Weber sono tratte dall'edizione del 1980. 1 6 . Per la ricostruzione della teoria dell'azio ne in Weber rispetto alle correnti sociologi­ che maggiori è ancora fondamentale T. Parsons, The Structure of Social Action, McGraw­ Hill , New Yor k, 1937 e Glencoe, Illino. i s, 1 949 (tr.it. La struttura dell'azione sociale, Il Mu­ lino, Bologna, 1 962 e 1 968).

a cercare ulteriori indicazioni in altre direzioni. Per risolvere la questione, che si pone già nella definizione dell'agire da parte di Weber, possiamo trovare spunti utili in A. Schutz e, segnatamente, nella sua elaborazione del rapporto ego/alter. Nel rapporto con al­ ter, ego definisce la situazione a partire dal suo schema d'azione; così, viceversa, fa alter con ego. I.;interazione che si stabilisce è al­ lora aperta in un duplice senso: dalla parte di ego verso alter e dal­ la parte di alter verso ego. Ego definisce la situazione a partire dal suo piano d'azione e si aspetta che alter si comporti in un modo determinato; per converso anche alter si apetta che ego si compor­ ti in maniera determinata. I .;agire dell'uno verso l'altro è così co­ struito sulla base di una struttura di aspettative che, per la partico­ lare situazione interattiva, è aperto alla doppia contigenza (17). Il piano d'azione di ego viene ad incrociarsi l incontrarsi l scontrar­ si con il piano d'azione di alter e viceversa. Né il senso dell'intera­ zione, né il suo risultato sarà quello intenzionato da parte di ego o da parte di alter. Il significato dell'interazione sarà la risultante del doppio livello dei piani d'azione. Schematicamente, si può ren­ dere così il concetto:

sfera del senso

alter

ego

sfera dell'azione

17. Il concetto di doppia contingenza dell'interazione è stato introdotto da T. Parsons, lnteraction: Social lnteraction, in lnternational Encyclopedia of the Social Sciences, 7 , 1 9 6 8 , pp. 429-441. Esso è stato ripreso d a N. Luhmann i n relazione al concetto di "riduzio­ ne di complessità" sociale. Cfr. ora l a sua ulteriore elaborazione in N. Luhmann, Soziale Systeme, Suhr kamp, Frankfurt a.M., 1984 e 1985, cap. 3: Doppelte Kontingenz, pp.l48-90.

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�interazione ego/alter risulta mediata dalla sfera del senso (18). Cazione reciproca così mediata acquista una struttura di significa­ to diversa da quella intenzionata da parte di ego e di alter. Affinché l'interazione ego/alter possa avvenire, è necessario che ego ed alter possano comunicare. Ma la comunicazione può avve­ nire soltanto se i simboli mediante cui si parla o, comunque, si co­ munica significano la stessa cosa per ego e per alter (19). A questo punto occorre fare alcune considerazioni che integrino l'indivi­ dualismo metodologico (20) di M. Weber e chiariscano afferma­ zioni della fenomenologia del mondo sociale di Schutz. Se infatti la definizione della situazione ad opera degli attori sociali ego/al­ ter può avvenire, ciò si deve al fatto che sono disponibili per loro risorse simboliche e culturali per mezzo delle quali essi comunica­ no e danno senso al sistema delle aspettative fatte valere reciproca­ mente. Le risorse culturali e simboliche della comunicazione costi­ tuiscono così il medium della comunicazione tra ego e alter Per Weber questo punto rimane oscuro; per Schutz, esso viene affer­ mato, ma non viene elaborato il concetto stesso della cultura come medium dell'azione (21). Per il primo è come se l'individuo posse­ desse per natura le risorse simboliche e culturali per mezzo delle .

1 8 . La mediazione simbolica dell'azione so ciale, dopo le indicazioni di Weber, viene por­ tata all'attenzione dei so ciologi da G.H.Mead, Mind, Seljand Society, University of Chica­ go Press, Chi cago, 1934 (tr.it. Mente, sé e società, Giunti-Barbera, Firenze, 1 972), da A. S chutz, Der sinnhafte Aufbau der sozialen Welt, Wien, Spring Verlag, 1932 e 1 9 60 (tr.it. La fenomenologia del mondo sociale, Il Mulino, Bologna, 1 974) e i Col/ected Papers, The Hague, M. Nij hoff, 1 97 1 (tr.it. Saggi sociologici, a cura di A. Izzo, Utet, Torino, 1979). I.:interazionismo simbolico e l'etnometodologia hanno di fatto costruito la loro metodolo­ gia sul senso intenzionato dagli attori so ciali e sulla mediazione simbolica dell'azione. I.: u­ so del concetto è però generalizzato e ogni teoria dell'azione ne fa uso, attribuendovi diver­ so signifi cato. Espli cite trattazioni in relazione ai problemi so cio logici si trovano in N. Luh­ mann, Il senso come concetto fondamentale della socio/ogia, in J. Habermas - N. Luh ­ mann, Theorie der Gesellschaft oder Sozialtechnologie, Suhrkamp, Fran kfurt a/M, 1971 (tr.it. Teoria della società o tecnologia sociale, Etas Kompass , Milano, 1973 ) ; F. Crespi, Mediazione simbolica e società, Angeli, Milano, 1 982. 19. Cfr. G.H.Mead, op.cit., p.80: "se deve esserci comunicazione in quanto tale, il simbo­ lo deve significare la stessa cosa per tutti gli interessati". 20. Sul problema e il dibattito concernente l'individ ualismo metodologico cfr. F. Leonar­ di, "La fondazione dell'individualismo metodologico nelle s cienze sociali", in Quaderni di Sociologia, XXIX, 1980-8 1 , fase. IV, pp.5 59-594, ora in M. An cona (a cura di) , Sociologia, Liguori, Napoli 1983, p p. l 0 6-39. 2 1 . Schutz ad es. ( cfr. Saggi, p.291 e ss.) formula come Mead il concetto di pre­ condizione della comuni cazione, ma coerentemente con le sue premesse fenomenologiche non vede nella comuni cazione il medium dell'azione.

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quali, agendo, egli attribuisce un senso al suo agire. In Schutz in­ vece vi è una sorta di ambiguità. Da un lato, infatti, potrebbe sem­ brare che la riduzione fenomenologica si ponga come la situazio­ ne di partenza assoluta, a cominciare dalla quale gli attori comin­ ciano a costruire il mondo sociale; dall'altro, ogni attore sociale si trova sempre in un mondo nel quale esistono predecessori, con­ temporanei e successori. �agire sociale acquista pertanto il suo si­ gnificato -come vedremo a proposito dei motivi dell'agire- nella tensione tra presente e passato/futuro. Con un riferimento impli­ cito alla hegeliana Fenomenologia dello spirito, Schutz conclude che nella costituzione di ego e di alter gioca un ruolo fondamenta­ le la sfera del noi, come il mondo ambiente nel quale si danno le condizioni di possibilità della costruzione dell'io. Si potrebbe in altri termini dire che nella costituzione dell'io, l'altro gioca un ruolo fondamentale. Con un riferimento a Hegel, si potrebbe con­ cludere che Io e Tu si costituiscono reciprocamente nel mondo del­ lo spirito oggettivo. Con le formule di Schutz, possiamo dire che il noi è trascendentale e costitutivo dell'esperienza di io e di alter. La possibilità e le chances di formazione dell'esperienza di ego e di alter derivano dall'esistenza del mondo sociale ambiente. " I n questo senso, afferma Schutz, s i deve consentire con Scheler quando afferma che l'esperienza del noi (nel mondo ambiente) fonda l'esperienza dell'io relativamente al mondo in generale" (22). Ma proprio questa premessa non è sviluppata sufficiente­ mente e la cultura e la storia rimangono nello sfondo e non inter­ vengono nella costituzione del soggetto.

1 .3. L'integrazione dell'azione

Lasciamo da parte ora Schutz e cerchiamo di compiere un ulte­ riore passo innanzi nella costruzione del nostro schema teorico. Abbiamo visto finora alcuni aspetti dello schema dell'azione; cer­ chiamo ora di coglierne l'interazione. Ci potranno aiutare in que­ sto autori di diverso orientamento teorico. Lo schema d'azione e d'integrazione che abbiamo astrattamente ricostruito con l'aiuto di Weber e di Schutz lascia un certo margi22. Cfr. A.Schutz, Fenomenologia, cit., p.234.

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ne all'aspettativa di ego verso alter e di alter verso ego. Più in ge­ nerale, abbiamo detto, vi è un sistema di aspettative che gli attori sociali fanno valere reciprocamente l'uno verso l'altro nelle loro interazioni. Tale aspettativa o sistema di aspettative altro non è se non la richiesta di ego verso alter, e viceversa, che nell'agire egli si uniformi a determinate norme; cioè che agisca secondo modali­ tà accettate e condivise da ego. Naturalmente, la delusione di tali aspettative d'azione comporta per alter delle sanzioni da parte di ego. Esse possono essere di diverso genere e non ci interessa a que­ sto punto discuterne. La doppia contingenza dell' interazione ego/alter significa che ego, nell'interagire con alter, può o meno seguire determinati corsi d'azione conformi alle aspettative di al­ ter e che, viceversa, alter, nell'agire o nel reagire ad ego, può o me­ no seguire decorsi d'azione condivisi. La doppia contingenza è un'apertura dell'interazione verso l'imprevisto, l'ignoto, l'incerto, il pericolo. Ridurre la contingenza vuol dire impegnarsi ad agire per ridurre il margine di incertezza degli effetti dell'azione e a che essa si svolga secondo un decorso pre-visto da ego e da alter. Per­ ché tutto ciò si realizzi, è necessario che le norme d'azione di ego siano compatibili con le norme d'azione condivise da alter. In altri termini, quanto più le norme d'azione degli attori sociali sono compatibili e/o integrate, tanto più gli esiti imprevisti dell'azione sono ridotti, e con essi anche le chances di delusione delle aspetta­ tive, di pericolo, di incertezza e di rischio che l'apertura e la con­ tingenza dell'azione comporta. Possiamo pertanto cercare di vedere in quale senso si può parla­ re di iQtegrazione. Seguiamo per poco W. S. Landecker. Egli in un suo saggio (23) parla di integrazione culturale, normativa, comu­ nicativa e funzionale. Diversamente da Landecker, non siamo qui animati dall'intenzione di dare subito uno sbocco operativo al no­ stro discorso, anche perché gli indici di misurazione delle diverse forme di integrazione vanno costruiti a seconda degli ambiti em­ pirici d'analisi. Risulta comunque interessante anche per noi la di­ stinzione analitica che egli propone. Dobbiamo tuttavia avvertire che le definizioni che raggiungeremo con il suo aiuto si pongono 23. Cfr. W.S.Landecker, "Types of Integration and Their Measurement", LVI, American Journal of Sociology, 1950-1 951, pp.332-40; ora in R. Boudon - P.F. Lazarsfeld (a cura di), L'analisi empirica nelle scienze sociali, I, Il Mulino, Bologna, 1 9 69, pp.5 3 - 67.

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solo come un momento provvisorio del processo di sviluppo del nostro discorso sulla integrazione sociale e il senso di appartenen­ za sviluppatosi tra i cittadini di Latina. Ritorniamo ora al nostro schema d'azione e riprendiamo l'interazione ego/alter. Ebbene, se­ condo la definizione proposta da Landecker, si dà integrazione culturale se le norme sociali condivise dagli attori sono integrate; egli si riferisce qui non al fatto che gli attori sociali seguano o me­ no tali norme, ma alle norme come tali, alla loro compatibilità e omogeneità. �integrazione culturale mette in gioco solo le norme dell'azione sociale, non l'azione. Viceversa, se si considerano le norme correlate ai comportamenti degli attori sociali, abbiamo l'integrazione normativa. Essa si presenta come integrazione tra norme e persone. Nel caso di ego/alter esiste integrazione normati­ va quando le norme dell'azione di ego sono le medesime delle nor­ me d'azione di alter ed essi, agendo, le seguono. Più complicato, invece, secondo l'opinione dello stesso Landecker è il discorso re­ lativo alla integrazione comunicativa. Non si comprende se per lui comunicazione è solo scambio di informazioni, oppure se bisogna considerare l'uso di codici comuni di comunicazione. Poiché egli non ha approfondito questo discorso, limitandosi alla rilevazione delle difficoltà di comunicazione tra i gruppi sociali, è forse prefe­ ribile avanzare una nostra definizione di integrazione comunicati­ va. Si potrebbe dire, in generale, che tra gruppi o attori sociali si dà integrazione comunicativa quando essi usano un codice comu­ ne di comunicazione e scambiano informazione. �integrazione comunicativa, così, non mette necessariamente capo ad una inte­ grazione culturale, ma può costituire anche la base per la defini­ zione dei termini culturali del conflitto e per la sua conduzione. Per tornare al rapporto ego/alter, se tra loro si dà conflitto norma­ tiva o culturale, esso può essere riconosciuto come tale se, e solo se, vi è un codice comune di comunicazione sulla base del quale essi possano riconoscere le ragioni della divergenza. �integrazione comunicativa così definita diviene più generale ed emerge proprio nelle situazioni di conflitto degli altri livelli di integrazione. I nfine, l' integrazione funzionale. Si dà integrazione funzionale quando tra gli attori o i gruppi sociali "esiste interdipendenza tra gli ele­ menti di un sistema di divisione del lavoro " (24). Essa riguarda 24. C fr. W.S. Landecker, op.cit., p.64.

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la divisione e la cooperazione delle attività lavorative. La tipologia dei modelli di integrazione proposta da Landecker viene successivamente utilizzata da P.F. Lazarsfeld. Nel suo saggio Metodologia e ricerca sociologica (25), Lazarsfeld costruisce una sua tipologia dell'integrazione. Per Lazarsfeld, l'integrazione cul­ turale è "integrazione nell'ambito degli standard culturali". Si tratta dunque di compatibilità e integrazione dei modelli culturali. I..:integrazione normativa, invece, è "integrazione fra gli standard culturali e il comportamento degli individui". Infine, l'integrazio­ ne tra gli individui è "integrazione nell'ambito del comportamen­ to" (26) . Da queste definizioni -che nella sostanza ripetono quelle di Landecker- Lazarsfeld ricava il seguente schema:

Livelli culturali Comunicazione Lavoro l . Integrazione 2. Integrazione normativa culturale

Livelli culturali

3 . Integrazione di comunicazione

Comunicazione

5.?

4. Integrazione funzionale

Lavoro

La tipologia proposta da Lazarsfeld -come si può vedere anche dall'interrogativo posto al punto 5. - pone dei problemi più gene­ rali. I tipi di integrazione, infatti, non esistono isolati l'uno dall'al­ tro. Tra di essi sussiste un rapporto complesso che cercheremo di spiegare. Tuttavia, a differenza di Landecker e Lazarsfeld, per noi l'integrazione comunicativa si presenta come la forma più genera­ le di integrazione. È ovvio, però, che essa includa una certa inte-

25. Cfr. R.Boudon P.F. Lazarsfeld (a cura di), L'analisi empirica delle scienze sociali, Il, pp.333-4. 26. Cfr. P.F. Lazarsfeld, op.cit., p.334. -

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graziane culturale e normativa (27). Parlare una lingua, infatti, è "impegnarsi in un comportamento governato da regole" (28) . La lingua, in realtà, viene strutturata da un codice, il quale nient'altro è se non un sistema di regole. Inoltre, se per cultura non intendia­ mo solo le norme, ma anche i contenuti e i riferimenti linguistici, appare chiaro che l'integrazione comunicativa si presenta anche come una sorta di integrazione culturale. Come abbiamo già ac­ cennato, la sua funzione di integrazione generale risalta maggior­ mente nel caso in cui le interazioni tra gruppi e attori sociali sono conflittuali. Nella divergenza di norme e valori dell'azione sociale, il comportamento linguistico e comunicativo rimane come ulte­ riore forma di integrazione tra gli attori e i gruppi sociali. Vicever­ sa, è chiaro che nessuna integrazione culturale o nessuna integra­ zione normativa può sussistere senza l'integrazione comunicativa. Rimane, da ultimo, l'integrazione funzionale. Solo in questo caso abbiamo un esempio di possibilità di dissociazione delle forme di integrazione. Infatti, mentre l'integrazione funzionale implica l'in­ tegrazione comunicativa, normativa e culturale, non accade il vi­ ceversa. Questi tipi di integrazione non implicano la divisione e la cooperazione produttiva e lavorativa, né scambio di servizi. La cooperazione linguistica implica un'interazione tra gli attori socia­ li, un comune riferimento alle norme e un comune uso del codice, ma questo tipo di cooperazione è ben diverso dalla cooperazione lavorativa. Come vedremo più avanti, le norme della integrazione comunicativa costituiscono un codice affatto diverso da quello dell'integrazione funzionale o sistemica. Inoltre, nel caso di Litto­ ria/Latina, ci sono altri motivi che consigliano uno schema di in­ tegrazione più complesso. Infatti, non è l'adesione ad un modulo 27. Come ha ben visto Schutz (cFr. Saggi, p.295), una delle pre-condizioni della comuni­ cazione è che " persone, gruppi sociali, nazioni" condividano "un sistema di attribuzione di importanza sostanzialmente simile. Quanto maggiori sono le differenze tra i loro sistemi di attribuzione di importanza, tanto minori sono le possibilità che la comunicazione riesca. Una completa diversità di tali sistemi rende completamente impossibile lo stabilirsi di un universo di discorso". 28. Cfr. J .Searle, Speech Acts, Cambridge, University Press, London, 1 9 69 (tr.it. Atti lin­ guistici, Boringhieri, Torino, 197 6), p.70. Ugualmente Parsons (cfr. Societies. Evolutionary and Comparative Perspectives, I, Prentice-Hall, Englewood Cliffs, 1966 - tr.it. Sistemi di società, /. Le società tradizionali, Il Mulino, Bologna, 1971), p.43: "il linguaggio non è . semplicemente un aggregato di simboli che sono stati usati nel passato; esso è un sistema di simboli che hanno un significato in relazione a un codice. Un codice linguistico è una struttura normativa parallela a quella costituita dai valori e dalle norme della società".

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teorico che ci spinge a creare uno schema più articolato, come quello che andiamo costruendo, ma la complessità della realtà storica e sociale che stiamo studiando. In altri termini, non è per seguire uno schema teorico che vede nella comunicazione il me­ dium delle interazioni sociali che poniamo la comunicazione co­ me il livello più generale di integrazione. C'è invece una corrispon­ denza sorprendente tra questa opzione teorica e la realtà che stu­ diamo. Talché, sembra effettivamente sussistere un forte scambio tra teoria e dato empirico. Infatti, provenienti da origini diverse, con dialetti e culture regionali differenti, il primo livello dell'inte­ grazione per i cittadini di Littoria/Latina è stato proprio quello della comunicazione. Sia a livello informate della vita quotidiana, sia a livello formalizzato (lavoro, scuola, vita istituzionale in gene­ re), essi hanno dovuto affrontare e risolvere prima di tutto proble­ mi di comunicazione. Ciò è indubbiamente perché la comunica­ zione struttura ogni forma di interazione sociale. Va inoltre fatta una ulteriore specificazione. Per Landecker e Lazarsfeld, l'integrazione a livello della comunicazione denota più lo scambio di informazioni, notizie, e l'incrociarsi di rapporti tra persone che non il livello generale del codice della comunicazione che funge da medium in ogni interazione sociale. Il nostro uso del concetto di integrazione comunicativa si colloca prevalentemente su questo versante del suo significato, piuttosto che al livello dei contenuti di comunicazione scambiati. Lo schema seguente indica il tipo di rapporti esistenti tra i di­ versi tipi di integrazione. Comunicazione Cultura Lavoro Cultura Comunicazione Comunica­ zwne

Cultura Lavoro

lntegr. comunicativa lntegr. culturale l ntegr. funzionale Integr. culturale

Cultura

lntegr. comunicativa

Comunica­ zione

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Come abbiamo già osservato, i tipi di integrazione non sono " puri". Essi non esistono separatamente l'uno dall'altro. Le rela­ zioni esistenti tra di essi però sono di natura diversa. Nel nostro schema, poi, esse presentano alcune differenze rispetto a quelle già osservate in Landecker e Lazarsfeld. Per le ragioni già sopra accennate, abbiamo dovuto riservare alla comunicazione la fun­ zione di medium generale (29). Tuttavia, abbiamo anche segnalato che tra integrazione comunicativa e integrazione culturale vi è un rapporto di inclusione reciproca. eintegrazione funzionale viene così a disporsi nel mezzo del nostro schema. Essa è in effetti meno generale sia dell'integrazione culturale, sia dell'integrazione comu­ nicativa. Il nostro schema, però, individua anche un altro livello di integrazione culturale e comunicativa. Mentre il codice di co­ municazione struttura l'integrazione culturale e funzionale al I li­ vello, l'integrazione culturale e comunicativa al II livello è il pro­ dotto delle interazioni e integrazioni di I livello. Nel livello I, sia l'integrazione comunicativa, sia l'integrazione culturale si presen­ tano come condizioni di possibilità della integrazione funzionale. Esse ne determinano la possibilità, la qualità, il tipo e, per molti versi, anche la quantità. eintegrazione culturale al II livello, inve­ ce, ha un contenuto più determinato. Così è anche dell'integrazio­ ne comunicativa. Ora si tratta di vedere se l'integrazione di I livel­ lo ha riprodotto il medesimo codice e le medesime forme culturali, oppure -come molto probabilmente sono andate le cose- se essa ha prodotto nuove forme culturali e nuovi comportamenti lingui­ stici. Tra il livello I e il livello II dell'integrazione si dispone infatti la dimensione temporale. eanalisi a livello II cerca di cogliere non più la condizione di possibilità della integrazione, ma la forma, la dimensione e la qualità della integrazione effettivamente realizza­ tesi tra gli attori sociali. In termini empirici ciò significa che al

29. Tra le due alternative del rapporto tra azione e linguaggio/comunicazione, abbiamo preferito, come a questo punto è evidente, quella che vede nel linguaggio un medium e un mezzo per la realizzazione delle interazioni (cfr. in questo senso 1. Habermas, Theorie des Kommunikativen Handelns, FranKurt a/M., 1981 (tr.it., Teoria dell'agire comunicativo, Il Mulino, Bologna, 1 9 8 6 - d'ora in avanti citata solo come Theorie), i, p.3 8 6. La seconda alternativa, che pone pure nella comunicazione il medium generale dell'azione, consiste nell' intendere la comunicazione come "elemento ultimo" e fondamentale del sistema socia­ le, non l'azione. È una differenza che implica notevoli conseguenze teoriche (c fr. N. Luh­ mann, Sazia/e Systeme, cap. 4: Kommunikation und Handlung, pp. 191-241).

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livello II l'oggetto della ricerca è l'eventualità che si siano formati modelli culturali condivisi e seguiti dagli attori della comunicazio­ ne in interazione e se queste forme culturali hanno già prodotto una nuova espressione linguistica. La dispersione iniziale dei mo­ delli linguistici e delle culture regionali impone di rinviare a codici linguistici e culturali più generali; l'analisi al II livello esamina le eventuali forme di integrazione della dispersione culturale e lin­ guistica. A livello II potremo vedere le concrete forme della razio­ nalità seguite dagli attori sociali; se siano prevalse forme strumen­ tali o strategiche della razionalità sociale oppure se è stato dato spazio a forme più rispondenti alle esigenze di comunicazione e comprensione. Nel linguaggio della teoria dell'azione, si tratta di vedere se in questo mondo, che nasce da un episodio di moderniz­ zazione tecnica e sociale, si siano imposte forme di razionalità im­ prontate alla modernizzazione degli stili di vita e in quale misura, oppure se è stato lasciato spazio anche a modelli e stili di vita tra­ dizionali. Non si tratta ovviamente di far giocare il modello della razionalizzazione contro la tradizione per una scelta previa di na­ tura ideologica, ma di cercare di cogliere come nella concreta vita sociale essi si articolano. Ma su questo torneremo più avanti. Affronteremo ora un altro nodo importante del nostro discor­ so. Si rendono necessarie, infatti, alcune brevi considerazioni sui motivi dell'agire.

1 .4. I motivi dell'agire

La definizione weberiana dell'agire sociale riapre un discorso chiuso da molto tempo nelle scienze. Fin dalla rivoluzione scienti­ fica galileliana, infatti, tra i tipi di causalità viene espunta la causa finale. Dei quattro tipi di causalità considerati da Aristotele, rima­ ne solo la causa efficiente. Il fine per il quale una azione viene compiuta viene estromesso dalla considerazione scientifica. M. Weber ristabilisce l'equilibrio reintroducendo la causa finale delle azioni (30). Tuttavia, è necessario ricostruire il contesto per rende30. Il procedimento mediante il quale Galilei espunge dall'analisi dei sistemi inerziali la causa finale appare completamente legittimato. Nello studio della natura l'analisi in termi­ ni di 'sistemi inerziali' non contempla e non può contemplare la causa finale. Infatti, o si concepisce anche la natura finalisticamente e in modo animistico, oppure si deve elimin are

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re comprensibile la complessa dinamica dell'azione sociale. Come abbiamo visto, il senso soggettivamente intenzionato da­ gli agenti viene considerato da Weber l'elemento centrale dell'azio­ ne. E a ragione. Solo attraverso il senso, infatti, gli attori sociali definiscono la situazione e, in essa, pensano il loro progetto d'a­ zione. Agli attori sociali si danno pertanto due tipi di motivi: il motivo che si riferisce al passato e quello che si riferisce al futuro. Da un lato vi sono le considerazioni relative a ciò che è già avve­ nuto, al passato irreversibile, che si pone così come una determi­ nante causale insopprimibile; dall'altro, vi sono le considerazioni relative al futuro, a ciò che gli agenti desiderano o vogliono realiz­ zare con la loro azione. Con la formula di A. Schutz, si possono distinguere questi due aspetti dell'azione chiamando -motivo a causa del quale- viene compiuta un'azione le condizioni passate, il campo di avvenimenti e azioni ormai trascorse che determina una e una sola serie di chances per l'attore sociale e -motivo alfine del quale- l'insieme delle condizioni future che l'attore, con la sua azione, intende realizzare (31). Naturalmente, il senso diventa la chiave di volta per intendere questo groviglio. Da un lato esso for­ nisce l'interpretazione del passato e la definizione della situazione attuale; dall'altro, esso appronta gli schemi di ideazione e proget­ tazione del futuro decorso di azione o di insiemi coordinati di azioni. Ciò implica una relazione culturale complessa con se stes­ si, il proprio passato e il proprio futuro e, al tempo stesso, una re-

ogni considerazione relativa alla causa finale per cui certe azioni avvengono. La ricerca di un'autonomia delle s cienze fisiche postula proprio l'abbandono di presupposti animistici. Vi ceversa, quando si è comin ciato a tratteggiare i caratteri della società, si è tentato di pen­ sare la società come un sistema ine rziale, nel quale considerare come rilevanti solo gli aspetti 'me ccani ci' dell'azione. Si tratta allora di guadagnare un territorio di autonomia ri­ spetto al fisi co e al biologico che ci faccia comprendere le carat teristiche specifiche del so­ ciale. A questa arti colazione, come tentativo di differenziazione, ha lavo rato lo storicismo tedesco e M. Weber in modo particolare. Successivamente, K.R. Popper, con la sua propo­ sta della realtà, articolata in "mondo" fisico, soggettivo e conos citivo tenta di rispondere ad un'esigenza insopprimibile per le scienze umane e sociali. Una più completa arti colazio­ ne si può ritrovare in J. Habermas (Teoria dell'agire comunicativo, cit., pp.l 43-69; ma cfr. pure p.l39) , nella quale il sociale emerge con le sue proprie caratteristiche. 3 1 . Cfr. A. S chutz, Fenomenologia, p.l 25 e Saggi, p. 70 e ss. Questo con cetto è ulterior­ mente precisato da Habermas, il quale (Theorie, I, 1 5 5 -56), seguendo una tradizione della filosofia dell'azione che risale ad Aristotele, parla di una i n trinseca " teleologicità" dell'a­ zione, e perciò, dell'azione so ciale. Sul problema dell'azione da un punto di vista sistemico cfr. invece R. De Giorgi, A zione e imputazione, Milella, Lecce, 1984.

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!azione con il passato, il presente e il futuro del gruppo sociale e della soCietà nella quale si è nati. Tanto più l'attore possiede una mappa precisa di questa complessa rete di relazioni nella quale è coinvolto e riesce a governarla, tanto meglio i saoi progetti d'azio­ ne potranno avere successo. La complessità della rete di relazioni è tale, tuttavia, che egli difficilmente può conoscerne gli infiniti nodi e, soprattutto, indirizzarne le altrettanto infinite uscite. Dalla natura delle interazioni sociali stesse nasce, dunque, la complessi­ tà dell'azione sociale. Essa infatti implica in primo luogo una in­ soppribile dimensione conoscitiva attraverso la quale l'attore in­ terpreta la situazione presente; in essa inserisce poi il suo piano d'azione. E ciò implica ancora l'interpretazione del decorso del suo agire ma anche dell'agire degli altri attori coinvolti nella e dal­ la sua azione. Il riequilibrio delle componenti causali dell'azione non sarebbe tuttavia completo se non si introducesse la dimensione relativa ai mezzi con cui l'azione viene compiuta. È l'aristotelica causa stru­ mentale. Nella situazione complessa che abbiamo tentato di deli­ neare, dunque, l'attore deve saper compiere una valutazione relati­ va ad un'adeguata commisurazione degli scopi della sua azione con i mezzi a sua disposizione. Affinché l'azione abbia successo, infatti, è necessario che siano a disposizione del suo autore i mezzi sufficienti per portarla a compimento. Il rapporto con i mezzi e con gli stessi scopi dell'azione, tutta­ via, non è così semplice. Non tutte le azioni sociali sono orientate verso uno scopo e non tutte, pertanto, debbono essere eseguite con mezzi adeguati (32). Questo tipo d'azione - come vedremo - carat­ terizza solo una parte delle azioni sociali. Altre hanno invece una diversa logica. La struttura dell'azione che abbiamo considerato finora fa rife­ rimento, come appare ovvio, ad un attore sociale tipico (33) . 32. Non diversamente da Webl'r, V. Pareto definisce l'azione razionale come il perfetto adeguamento dei mezzi disponibili agli scopi dell'azione (''azione logica"); e, correttamen­ te, non ne trae la conclusione della s uperiorità di questa forma della razionalità rispetto ad altri tipi di azione sociale (c fr. V. Pareto, Trattato di sociologia generale, Comunità, Mi­ lano, 1964, parr. 1 50, 1 52, 1 57, 160, 161, 1478, 1498 e parr. 145-248). 33. Rispetto ad un attore sociale "tipico" si possono pure definire gli elementi strutturali dell'azione sociale. Essi sono (c fr. T. Parsons, The Structure of Socio/ Action, cit., pp. 66-67): l) "colui che compie l'atto, l' 'attore'; 2) l'atto deve avere, per definizione, un ' fine' ovvero una situazione futura verso la quale è orientato il processo dell'azione; 3) esso ha

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Nessun attore sociale empirico può avere a sua disposizione le ri­ sorse materiali, gli elementi cognitivi e ideativi necessari alla rea­ lizzazione di progetti d'azione complessi (34) . Soprattutto, è assai improbabile che tali risorse, elementi conoscitivi e mezzi materiali siano tutti a disposizione di un attore sociale singolo. Proprio per­ ché ogni attore sociale è già da sempre inserito in un gruppo socia­ le e in una società, le sue risorse e i suoi mezzi saranno per lo più quelli a disposizione del gruppo sociale e della società a cui egli partecipa. Per comprendere la logica dell'azione, allora, diviene necessario un riferimento ai modelli collettivi dell'agire sociale.

1.5. Agire sociale e modelli di razionalità

La società e i gruppi sociali di appartenenza forniscono, infatti, agli attori sociali le risorse cult urali necessarie per l'interpretazio­ ne della loro situazione sociale. Essi forniscono altresì schemi d'interpretazione generali relativi alla loro esistenza umana. Nelle società, inoltre, gli attori hanno a disposizione i mezzi materiali d'azione per realizzare alcune chances di vita. Con tali risorse cul­ turali e con tali mezzi materiali essi intessono i loro progetti di vi­ ta. Comprendere il senso generale di tali progetti comporta allora mettere in gioco una dimensione meno astratta dell'agire. Finora, infatti, abbiamo considerato l'agire sociale soltanto rispetto ad al­ cune sue caratteristiche: la relazionalità, l'integrazione, la sua di­ mensione teleologica. Passiamo ora invece a considerare più da viinizio in una 'situazione', le cui linee di sviluppo differiscono, in misura maggiore o minore, dalla situazione verso la quale è orientata l'azione, il fine ... 4) è implicita nella concezione stessa di questa unità, nel suo uso analitico, una determinata forma di rapporto tra questi elementi. Cioè, nella scelta di mezzi alternativi per un dato fine, in quanto la situazione consenta delle alternative, si ha un 'orientamento normativa' dell'azione". 34. Proprio a partire da questa constatazione si sviluppa la teoria sistemica di N. Luh­ mann che vede ormai solo forme di razionalità sistemiche e non più individuali. Egli parla perciò di "illuminismo sociologico" per caratterizzare questa forma della modernità i n contrapposizione al concetto illuministico della "vecchia Europa" costruito s u l presuppo­ sto di una razionalità dell'individuo. Ora, per Luhmann, è il sistema sociale che fornisce le strategie di senso, il campo di possibilità entro il quale l'individuo orienta la sua azione. Questa non è altro che una possibilità messa a disposizione del singolo da parte.dei vari sottosistemi sociali i quali operano continuamente r iduzione di complessità per gli attori sociali. C fr. N. Luhmann, Soziologische A ufkl(irung, Westdeutscher Verlag, Berlin, 1970 (tr.it. Illuminismo sociologico, Il Saggiatore, Milano, 1983), pp.73-102. Sul rapporto tra si­ tuazione e azione torneremo più avanti.

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cino la forma dell'agire sociale in relazione alla forma della razio­ nalità in esso implicita. Ciò comporta tuttavia un serio impegno filosofico nello stabilire ciò che è razio nale da ciò che non lo è nel­ l'azione sociale. A tale questione non risponderemo tuttavia in modo diretto. Né è questa la sede per un tale impegno. Dalla im­ postazione stessa dell.1 ricerca e da taluni suoi esiti emergeranno comunque degli argomenti in favore di un modello di razionalità sociale. Ma entriamo ora nel merito dei tipi di razionalità. Anche per questo discorso partiamo da M. Weber e dalle sue definizioni di razionalità. La posizione di Weber, infatti, è già suf­ ficientemente complessa e articolata da poter fungere ancora da guida ad ogni tipo di discorso sulla razionalità dell'agire. Weber vede l'agire orientato in modo tipico secondo quattro modelli di razionalità. Con opportune modifiche, tali modelli sono ancora al centro dell'attuale dibattito sulla razionalità dell'agire sia degli at­ tori che dei sistemi sociali (35). Secondo Weber: "Come ogni agi­ re, anche l'agire sociale può essere determinato: l) in modo razionale rispetto allo scopo - dall'aspettative dell'at­ teggiamento di oggetti del mondo esterno e di altri uomini, impie­ gando tali aspettative come 'condizioni' o come ' mezzi' per scopi voluti e considerati razionalmente, in qualità di conseguenza; 2) in modo razionale rispetto al valore dalla credenza consapevo­ le nell'incondizionato valore in sé - etico, estetico, religioso, o al­ trimenti interpretabile - di un determinato comportamento m quanto tale, prescindendo dalla sua conseguenza; 3) affettivamente da affetti e stati attuali del sentire; 4) tradizionalmente - da un'abitudine acquisita" (36). Ognuna di queste forme dell'agire costituisce un modello di ra­ zionalità. Ognuna di esse mette l'accento su di un aspetto che fun­ ge da caratteristica saliente dell'agire. La prima caratterizza l'agire nel quale sono rilevanti i mezzi e gli scopi; la seconda, che si disin­ teressa delle conseguenze dell'azione, caratterizza un agire espres­ sivo, morale, estetico o religioso; la terza mette in evidenza gli aspetti legati alla motivazione affettiva dell'agire; la quarta, infi­ ne, riguarda l'agire per abitudine. -

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35. Una completa ricostruzione dei problemi della razionalità dell'agire e dei sistemi so­ ciali è la citata Theorie des Kommunikativen Handelns di J. Habermas. 36. Cfr. M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, cit., I, pp.21-22.

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Ognuno di questi modelli di razionalità è regolato da una pro­ pria norma. Ciò significa che nell'interazione sociale gli attori, ispirandosi a questi modelli, si aspettano che alter agisca o reagi­ sca secondo un modello di razionalità. Di più, se sono esatte le considerazioni che abbiamo fatto circa le risorse culturali che le società mettono a disposizione degli attori sociali, ispirarsi a tali modelli di razionalità significa pensare dentro di essi. I modelli di razionalità, infatti, funzionano in primo luogo come strategie di senso. Essi costituiscono l'orizzonte culturale che or ganizza in pri­ mo luogo la percezione della realtà da parte degli attori sociali. I n secondo luogo, essi funzionano come idee guida per l'ideazione dei progetti d'azione e, più in generale, dei progetti di vita, anche se, almeno secondo i modelli di razionalità proposti da Weber, l'i­ dea di progetto si coniuga soltanto con la razionalità secondo lo scopo e il valore. Ciò significa che i modelli di razionalità ispirati all'agire affettivo e tradizionale risultano in qualche modo colle­ gati con forme di eterodirezione degli attori sociali. Nonostante tutto ciò sia in qualche modo discutibile, per la semplice ragione che è più facile identificare azioni ispirate a norme particolari di razionalità che non modelli e stili di vita, per contrapposizione ri­ salta il fatto che l'agire orientato alla razionalità secondo lo scopo e il valore si coniuga con l'idea di soggetti autonomi e indipenden­ ti, dotati della capacità di autodirezione. Solo essi sono capaci di fare progetti. Sul piano politico, infatti, Weber collega l'agire af­ fettivo alla legittimazione carismatica e l'agire tradizionale alla le­ gittimazione tradizionale del potere. Solo l'agire razionale rispetto allo scopo è capace della !egittimazione razionale in virtù della statuizione, che è la forma tipicamente moderna di leggittimazio­ ne politica (37). E nel contratto, come è insegnato dalla vicenda del diritto moderno, gli uomini sono, l'uno davanti all'altro, ugua­ li, liberi, indipendenti e autonomi. In Weber è tuttavia presente la consapevolezza che "ogni potere cerca... di suscitare e di coltivare la fede nella propria legittimità" (38). Le forme della razionalità, infatti, non si trovano mai allo stato puro. Esse sono, come afferma Weber a più riprese, dei tipi ideali della razionalità. Ogni azione sociale (e dunque ogni orga37. Cfr. W. Weber, Wirtschaft und Gese/lschaft, cit., I, p.34 e 2 10-1 1. 38. Cfr. M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, cit., I, p.208.

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nizzazione del potere) si ispira contemporaneamente a più principi di razionalità. La teoria della razionalità elaborata da M. Weber è stata al cen­ tro del dibattito sociologico di questo secolo. Sia per distaccarsene criticamente (Lukacs, Horkheimer, Adorno e in generale la Scuo­ la di Francoforte), sia per i.n cluderla in un modello funzionalistico di razionalità (Parsons, Merton, Luhmann e il funzionalismo in genere) , sia infine per recuperare alla tradizione critica del marxi­ smo e della Scuola di Francoforte il Weber che ammonisce contro i pericoli della burocratizzazione, della razionalizzazione e della colonizzazione dei mondi vitali (Habermas), Weber è stato il pun­ to di partenza di ogni analisi delle forme della razionalità sociale. Forse non è necessario scegliere tra la posizione di N. Luhmann, che vede possibilità di razionalità solo per i sistemi -e non per gli individui (39)- e quella di Habermas, che tenta una difficile sintesi della teoria dei sistemi con le esigenze della teoria critica. Per il nostro discorso è più produttiva -come abbiamo tentato di fare finora- una via che tenti di adattare diverse espressioni teoriche al­ le esigenze di una ricerca che affronta l'analisi di una realtà forse non riconducibile entro nessuno dei due schemi. Rispetto al para­ digma analitico luhmanniano, infatti, dobbiamo mettere in luce l'assenza di un sistema articolato nei suoi sottosistemi forti che orienti l'agire degli individui in modo funzionale. Rispetto alla ha­ bermasiana contrapposizione mondo vitale/sistema dobbiamo in­ vece chiarire che qui né sistema, né mondo vitale si trovano già stabilmente formati. Si tratta infatti di seguire, nella misura in cui è possibile, la formazione di una struttura sociale che sia insieme sistema e mondo vitale. Per questa ragione, ancora Weber ci è d'aiuto nel progredire del nostro discorso. Effettivamente, il modello della razionalità secondo lo scopo delinea un comportamento ispirato all'innovazione. Si tratta in­ fatti, in ogni situazione, di adeguare i mezzi allo scopo desiderato. Tuttavia, il problema sta proprio nel definire una situazione o, me­ glio, nel conoscere e nell'interpretare la situazione. È a questo punto, infatti, che agiscono le strategie di senso ricevute; qui sono in primo luogo attivi i modelli culturali trasmessi dalla società e dai gruppi sociali agli individui. Al di là e prima dei modelli di ra39. In questo senso cfr. N. Luhmann, Soziologische A ufkkùung, cit.

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zionalità seguiti nell'azione dagli attori sociali, rimane decisivo lo schema interpretativo e la strategia di senso entro la quale l'attore sociale pensa se stesso e definisce la situazione. Perciò diviene ne­ cessario dare uno sguardo anche a quelle teorie della razionalità che non tralasciano questo aspetto dell'agire sociale. In generale, per la rivalutazione del ruolo della tradizione nella definizione della situazione, si fa riferimento all'ermeneutica. Tut­ tavia, la prospettiva che discende dalle opere di Gadamer compor­ ta una pretesa di universalità (40) che, se fosse accolta, condanne­ rebbe gli attori sociali alla sola razionalità ispirata alla tradizione. L.:agire sociale, invece, se è indubbiamente un agire situato in un tempo e in un luogo e con dei mezzi determinati a disposizione, rimane sempre un agire aperto al futuro nel tentativo di cogliere delle chances, delle possibilità mai realizzate dagli attori sociali precedentemente (41). !_;agire sociale se non può non tenere conto della tradizione -soprattutto della tradizione culturale che fornisce le risorse per la formazione della propria identità, per pensare e progettare l'azione stessa- è tuttavia aperto al futuro. E proprio questa dimensi one dell'agire mette in qualche modo in gioco l'i­ dea di progettare. Per quanto, infatti, l'agire possa essere determi­ nato dall'abitudine, dalla routine ed essere involontario e inconsa­ pevole, anche sotto questa modalità implica una coordinazione di mezzi, di energie e di risorse. Il suo carattere meccanico e di routi­ ne implica che tale coordinamento di diversi elementi non è più problematico. Ma questo non esclude la dimensione, anche se mi­ nimale, del piano d'azione che si svolge nel tempo. Pertanto, se può risultare troppo forte l'affermazione che l'agire sociale è pro­ gettualità, nondimeno risulta assurda l'affermazione che vede il futuro come la ripetizione identica del passato. L.:agire -che si svol­ ge nel presente- è in realtà un ponte tra passato e futuro. E occorre aggiungere che esso è un ponte sul quale la circolazione, i messag­ gi e gli scambi si svolgono su una rete fitta nei due sensi: dal pas40. Cfr. J. Habermas, Der Universalitàtsanspruch der Hermeneutik, in R. Bubner (a cura di), Hermeneutik und Dialektik, Tubingen, Mohr, I; successivamente in J. Habermas, Kultur und Kritik, Suhrkamp, Frankfurt a.M., 1973 (tr.it. in J . Habermas, Cultura e criti­ ca, Einaudi, Torino, 1980). 41. Un'analoga definizione dell'azione sociale è contenuta in H . Haferkamp, Zur sozio­ logisch - handlungstheoretischen A nalyse von Entwicklungen sozialer Strukturen, in H . Lenk ( a cura di), Handlungstheorien - lnterdisziplin àr; W. Fink V., Mii nchen, 1977, Bd., 4, pp.IOI-120 e in modo particolare p.l06.

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sato al futuro, come determinazione del piano e della strategia dell'azione; e dal futuro al passato, il quale così, alla luce degli ef­ fetti dell'azione, viene continuamente sottoposto a nuova interro­ gazione e interpretazione in vista delle problematiche nuove con­ nesse all'agire sociale. Nella discussione dei modelli di razionalità non seguiremo per­ tanto versioni forti dell'ermeneutica, ma per così dire una versione debole e al tempo stesso attenta alla connessione feconda tra pre­ sente e passato/futuro. Nell' attuale discussione sulle forme della razionalità sociale, J . Habermas riprende le posizioni di Weber, discostandosi su punti molto importanti dalla interpretazione corrente accreditata da T. Pansons fin dai tempi di The Structure oj Social Action (1937). Dalla scomposizione e ricomposizione dei tipi d'agire weberiani, Habermas ricava tre modelli di razionalità: l) l'agire strumentale; 2) l'agire strategico e 3) l'agire comunicativo (42). Tuttavia, per dare un'idea del concetto complesso di raziona­ lità proposto da Habermas, è necessario sviluppare in profondità il nostro discorso. La prima considerazione necessaria è che con Habermas ci tro­ viamo di fronte al tentativo di ampliare i confini della razionalità. La teoria volontaristica dell'azione (43) ha in fondo inteso come razionale solo l'azione che si ispira alla razionalità secondo lo sco­ po (44). Essa in fondo opera con un concetto limitato di razionali­ tà, di attore e d'azione sociale. Anche senza sollevare le questioni ora poste da Habermas, il funzionalismo e la teoria dei sistemi ne hanno messo in evidenza le limitazioni. Da un lato, infatti, si è do­ vuto considerare non l'azione, ma l'interazione tra attori sociali;

42. Cfr. J. H abermas, Theorie, cit., p.l69 e ss., p.394 e p. 451 e ss. 43. Con questa formula si indica il "paradigma" elaborato da T. Parsons in The Structu­ re oj Social Action. Parsons considera quattro autori: A. Marshall, V. Pareto, E. Durk­ heim e M. Weber e, al di là delle loro differenze, rintraccia nelle loro posizioni dei punti comuni che costituiscono la base del suo " paradigma" dell'azione. 44. Tuttavia, è opportuno sottolineare che nessuno degli autori considerati ha dato una teoria così sempli ficata dell'azione sociale. È certo che in Durkheim, in Pareto e in Weber vi è molta attenzione per le altre forme della razionalità. Tale privilegiamento scaturisce probabilmente dall'interesse della sociologia del XX secolo per i problemi della razionaliz­ zazione sociale, verso i quali soprattutto Weber era sensibile. Da ciò forse deriva un'inter­ pretazione parziale della sua opera. Tuttavia, occorre comunque evitare ora di cadere nel­ l'errore opposto.

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dall'altro la concatenazione dell'azione -il sistema- è divenuto l'og­ getto principale della teoria stessa dell'azione. Non meravigli dun­ que che la teoria weberiana sia sottoposta ad analisi critica. Per quanto riguarda l'agire strumentale e strategico, Habermas mantiene sostanzialmente la posizione weberiana. Essi sono en­ trambi caratterizzati dalla logica del successo. È "strumentale un'azione orientata al successo se la consideriamo sotto l'aspetto dell'osservanza di regole tecniche di azione e valutiamo il grado di efficacia di un intervento in un contesto di situazioni e di eventi". È "strategica un'azione orientata al successo se la consideriamo sotto l'aspetto dell'osservanza di regole di scelta razionale e valu­ tiamo il grado di efficacia dell'influenza esercitata sulle decisioni di un antagonista razionale" (45). Ciò che accomuna i due tipi di razionalità è la logica del successo. Valida e razionale qui è l'azio­ ne o l'interazione che ha successo. Il successo, inoltre, è dato dalla efficacia di un intervento in un contesto di situazioni e di eventi (come avviene nell'azione strumentale), oppure dal grado di in­ fluenza esercitata su un attore razionale (come nell'azione strategi­ ca) . In ogni caso, l'attore sociale razionale è caratterizzato dalla sua capacità di calcolo sia rispetto alle situazioni e agli eventi, sia rispetto alle situazioni e agli eventi in una competizione con un al­ tro attore. La calcolabilità dell'agire, posta da M. Weber a fonda­ mento della sua teoria della modernità, anima ancora la teoria della razionalità strumentale e strategica di J. H abermas. La svol­ ta rispetto alla teoria volontaristica dell'azione (e anche rispetto ad un "certo" \Veber, secondo Habermas) avviene con il concetto di agire comunicativo. Finora il nostro discorso è stato piuttosto agevole; ora diventa necessariamente più complicato. Cercheremo di renderlo il più possibile accessibile e di toccare solo gli aspetti che interessano la nostra ricerca. Dobbiamo tornare un momento al nostro schema dell'integra­ zione. Attraverso l'analisi dello schema di Landecker e Lazarsfeld, abbiamo alla fine elaborato un nostro modello dell'integrazione e, soprattutto, della gerarchia tra i tipi di integrazione. Tale model­ lo deve essere ora ulteriormente analizzato e sviluppato. ndea che la comunicazione veicola e struttura azioni sociali proviene da G. 45. Cfr. per le due citazioni J . Habermas,

Theorie, ciL, p.3?4-

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H. Mead e da A. Schutz, a cui pure abbiamo fatto riferimento. Tuttavia, è T. Parsons che sviluppa compiutamente l'idea che il linguaggio e la comunicazione costituiscono i media dell'azione sociale (46). Nella fase finale della sua vita, Parsons costruisce una teoria sistemica della società nella quale l a comunicazione struttura sia i rapporti all'interno del sistema sociale complessivo, sia i rapporti entro i singoli sottosistemi, sia infine tra gli stessi sottosistemi. La logica specifica degli ambiti sociali determina la differenziazione funzionale tra i sottosistemi. Così, le interazioni regolate dalla logica economica del profitto trovano in un codice particolare (medium denaro) il proprio linguaggio. Lo stesso acca­ de per le relazioni di potere, che hanno come proprio codice di co­ municazione il medium potere. Tali codici e media funzionano co­ me una strategia di senso già a disposizione degli attori sociali. Gli ' attori sociali, infatti, apprendono la struttura e la funzione di tali codici nel loro processo di formazione. Essi costituiscono la cultu­ ra appresa per mezzo della quale gli attori sociali riescono a stabi­ lire rapporti e relazioni nel loro mondo ambiente (47). Quel che è importante, però, è il fatto che il sistema culturale, inteso come il complesso delle strategie di senso, precede l'individuo. Egli se ne serve nell'attribuire senso alla sua situazione sociale, alla ideazio­ ne dei suoi progetti e, in generale, nel vivere la sua vita. I codici della comunicazione (o media) costituiscono il ponte tra il passato e il futuro, tra tradizione e innovazione. Nessuno sarebbe in grado di interpretare la propria situazione sociale e quella altrui, se non 46. Per il concetto di medium e di media dell'azione cfr. T. Parsons, Societies. Evo/utio­ nary and Comparative Perspective, Englewood Cli ffs, Prentice-Hall, N.J., 1966 (tr.it. Si­ stemi di società, l. Le società tradizionali, Il Mulino, Bologna, 1 9 7 1 ) , pp.l7-59; Politics and Social Structure, The Free Press, New Yor k , 1969 (tr.it Sistema politico e struttura sociale, Giu ffrè, Milano, 1975), cap. 14 (Sul concetto di potere politico), cap. 1 5 (Sul concetto d i i n fl uenza), cap. 1 6 ( S u l concetto di impegno a i valori); Social Structure and the Symbolic Media oj lnterchange, in P.M. Blau (ed), Approaches to Study of Social Structure, The Free Press, New York, 1975, pp.205-227. 47. U n a definizione di cultura non è certamente agevole. Qui per cultura con T. Parsons si intende "in primo luogo il fatto che la cultura è trasmessa e costituisce un'eredità o una tradizione sociale; in secondo luogo il fatto che essa è appresa e non rappresenta quindi una manifestazione, in un ambito particolare, della costituzione genetica dell'uomo; in ter­ zo luogo il fatto che è condivisa. Ciò vuoi dire che la cultura è da un lato il prodotto e dall'altro un elemento determinante dei sistemi di i n terazione sociale" (cfr. T. Parsons, The Social System, cit., p.22). Per una definizione del concetto di cultura cfr. comunque C. Kluckhohn - A. L. Kroeber, Culture . A Criticai Review oj Concepts and Definilions, Vi n­ tage Books, New York, 1963 (tr.it. Il conce/lo di cultura, Il Mulino, Bologna, 1 982) e P.

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avesse a disposizione i modelli culturali e gli schemi d'interpreta­ zione delle diverse situazioni. Ognuno, poi, deve avere competen­ za nell' uso di tali modelli e schemi d'interpretazione. Egli deve es­ sere in grado di manipolarli e adattarli alla propria situazione nel corso del ciclo di vita. Così, la teoria cibernetica della società di Parsons costruisce una struttura di sistemi retti al proprio interno da particolari codici o media della comunicazione (denaro, pote­ re, influenza, amore) e intercomunicanti tra loro. La logica interna di ogni sistema (ad es. il medium denaro o potere) fornisce il tipo di norma a cui si debbono attenere gli attori sociali nelle loro inte­ razioni. Essi organizzano o strutturano il sistema delle aspettative di ego e di alter. Sia l'interpretazione e la definizione della situa­ zione che l'ideazione del piano d'azione sono informati da un co­ dice specifico. Pertanto, sia ego che alter si aspettano reciproca­ mente che l'altro si comporti secondo le norme contenute in quel codice. Così, nel sottosistema sociale costituito dall'economia, la norma dell'integrazione delle azioni di ego e di alter è costituita dal denaro, cioè dalla logica acquisitiva tesa a conseguire vantaggi economici. Ugualmente, nel sottosistema sociale costituito dalla politica, la norma dell'integrazione delle azioni di ego e di alter è costituita dall'accrescimento del potere. Non seguire il codice del sistema significa essere tagliati irrimediabilmente fuori dalla con­ tesa. Poiché nella logica della teoria dei sistemi non esiste pratica­ mente possibilità di vivere fuori dai sistemi stessi, non accettarne le logiche specifiche significa esporsi ai rischi della trasgressione, del dissenso e della emarginazione. È da notare, tuttavia, che lo schema dell'esposizione al rischio dell'emarginazione non è solo frutto di uno schema teorico più o meno interessante; si tratta in realtà di un processo storico, più o meno bene interpretato dalla teoria dei sistemi, nel quale i sottosi­ stemi si sono formati per differenziazione e specificazione. Per Parsons, proprio un processo evolutivo di successive specificazio­ ni ha condotto alla modernità. In modo particolare si è giunti ad essa attraverso la differenziazione e autonomizzazione dei sottosi­ stemi economico e politico. La fase attuale è per Parsons (48) ca­ ratterizzata dal dispiegamento delle potenzialità di differenziazioRossi (a cura di), Il 48.

concetto di cultura, Einaudi, Torino, 1970. C fr. T. Parsons, Societies, cit., II (tr.it. Sistemi di società II. Le società moderne, Il

Mulino, Bologna, p.224).

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ne della modernità; egli non vede ancora i segni della postmo­ dernità. Si pone a questo punto un problema: se i singoli sottosistemi hanno ognuno una normatività propria, ognuno un proprio me­ dium d'integrazione che funziona altresì come medium di comu­ nicazione, come comunicano tra loro i vari sottosistemi? Esiste un medium dei media? La risposta della teoria dei sistemi è che il medium denaro costi­ tuisce il codice generale valido per tutto il sistema sociale. Parsons -si afferma- non solo concepisce il potere secondo il codice dena­ ro, ma tenta di assimilare ad esso anche il codice dell'influenza e dell'espressività. Il codice generale potrebbe allora essere costitui­ to dal medium denaro (49). La critica di J . Habermas interviene proprio su questo punto. Essa consiste nel rilevare che: a) il potere non può essere assimila­ to al denaro, in quanto "il potere non è come il denaro per sua natura un medium circolante" (50); b) l'influenza di ego verso al­ ter non può essere ricondotta al medium potere in quanto essa è fondata o "su vincoli motivati empiricamente" come incentivi o intimidazioni, oppure su " fiducia motivata razionalmente" (51) mediante una procedura regolata dalla norma dell'intendersi. In generale, la teoria dei sistemi, nella misura in cui non concepisce 49. Il problema della generalizzazione di un

medium non è così netto in Parsons; almeno Societies, I, cit., pp.l l-59, Parsons semòra

nel senso della interpretazione di Habermas. In

andare proprio nella direzione di Habermas: "Per costituire azione nel senso che noi attri­

simbolici, vale a dire, livello linguistico dell'espressione e della comunicazione" (p.42); "inol­

buiamo a questo termine, (l'interazione) deve concentrarsi sui livelli essenzialmente, sul

media simbolici di interazione, come la moneta, che non sono il linguaggio, è meglio considerare come linguaggi specializzati più che come ordini di comunicazione essenzialmente diversi" (p.43). Tuttavia, in Action Theory and Human Condition, The Free Press, New York, 1 978, pp.7 1, 1 37, 138 e 396, Parsons sostiene che tre esistono

e che probabilmente

il denaro può essere considerato il "prototipo" del medium generalizzato dell' interazione e dei

media potere, influenza e impegno verso i valori, con un riferimento esplicito ai saggi

in cui essi vengono elaborati. In realtà, sembra che Parsons non abbia un'opinione precisa come suppone Habermas. Certo

è che egli oscilla tra una concezione dei media -espressa

nei primi saggi in cui si occupa della questione- nella quale essi hanno la stessa struttura

è pensato come Sociological Theory and Modern So­ ciety, The Free Press, 1967 - tr.it. Teoria sociologica e società moderna, Etas Libri, Milano, logica ma contenuto diverso dal medium denaro, e i l linguaggio in generale il tratto distintivo dell'umanità (cfr. in questo senso

1979 - p.212); e una concezione -espressa invece negli ultimi scritti- che tende ad assimilare senza ulteriori precisazioni la funzione d i ogni medium a quella del denaro. 50. C fr. J . Habermas, 5 1 . Cfr. J. Habermas,

Theorie, cit., p. 9 1 2. Theorie, cit., p.924.

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la differenziazione dei media denaro e potere e assimila al denaro i media potere, influenza e impegno verso i valori non comprende adeguatamente i processi di differenziazione e specificazione tipi­ ci della modernità. Essa ha avviato un percorso teorico, ma non ne ha sfruttato tutte le potenzialità cognitive. La difficoltà mag­ giore è collegata proprio al processo di generalizzazione dei media di regolazione sociale. Per tornare all'esempio di ego e di alter, non tutte le interazioni esistenti tra di loro sono regolate dalla nor­ ma denaro, né essi organizzano la propria esperienza mediante una strategia di senso che consente solo la possibilità di aspettarsi dagli altri azioni ispirate alla logica del denaro. Così, per un verso appare opportuno accogliere l'idea dell'esistenza di media di rego­ lazione e controllo sociale, per l'altro appare invece necessario co­ gliere le differenze tra i singoli media e rintracciare le possibilità effettive di generalizzazione esistenti nel sistema sociale. Se è indubbiamente forte l'idea per cui la comunicazione è il medium di regolazione sociale, non tutti gli ambiti sociali sono re­ golati dallo stesso medium. In altri termini, il medium denaro e il medium potere sono "specializzazione di comunicazione lingui­ stica" (52), non la comunicazione come tale. Proprio l'aver ridotto la logica della comunicazione al codice denaro e averl� generaliz­ zato, conduce la teoria dei sistemi in un vicolo cieco. Si tratta inve­ ce di far emergere la complessa articolazione del linguaggio come medium della regolazione sociale. A questo risultato si può perve­ nire solo attraverso un'accurata analisi delle funzioni linguistiche, come quella intrapresa da Habermas. Questa analisi fa emergere una dimensione nella quale i parlanti, in quanto impegnati in una interazione sociale, non strutturano le loro aspettative e le loro azioni per mezzo del medium denaro o potere, ma per mezzo di una logica ispirata al raggiungimento dell'intesa. La norma che in­ tegra il loro agire è ispirata alla comprensione e non all'accresci­ mento del potere, o del profitto. Per "comprensione", inoltre, oc­ corre intendere "la concordanza dei partecipanti alla comunica­ zione sulla validità di un'espressione"; e "intesa" significa, così, "il riconoscimento intersoggettivo della pretesa di validità avanza­ ta per essa dal parlante" (53). Il medium di questo agire è il lin52. Cfr. J. Habermas, Theorie, cit., p.897. 5 3 . Cfr. J. Habermas, Theorie, cit., p.707.

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guaggio naturale, il linguaggio trasmesso e appreso dagli attori so­ ciali. Accanto all'agire strumentale e strategico allora si dà una terza forma, un terzo modello dell'azione sociale: è l'agire comu­ nicativo, la cui norma di integrazione è costituita dalla compren­ sione. La società, intesa come l'insieme delle interazioni dei propri componenti, trova nel linguaggio il medium generale, la forma che struttura ogni processo di comunicazione e scambio. Gli am­ biti di vita particolari, poi, sono retti da media particolari. Il de­ naro e il potere, come abbiamo visto, sono i media che regolano l'agire economico e l'agire politico. Essi si differenziano dal com­ plesso di relazioni e interazioni sociali che Habermas, seguendo la tradizione fenomenologica ed ermeneutica, chiama mondo della vita (Lebenswelt) (54). Esso designa i "convincimenti di sfondo più o meno diffusi, sempre aproblematici" utilizzati come "fonte per definizioni situazionali che sono presupposte ir:. modo apro­ blematico dai parteci panti" all'azione (55). Sullo sfondo di un mondo vitale gli attori sociali agiscono seguendo la logica dell'a­ gire comunicativo, orientato alla comprensione e all'intesa. Il mondo vitale si configura così come il passato, la tradizione cultu­ rale, "il lavoro interpretativo svolto dalle generazioni precedenti" (56) che fonda le diverse pretese di validità degli attori sociali. Ri­ spetto alla posizione di Gadamer, il concetto di tradizione cultura­ le svolge qui la funzione di apprestare la "riserva di sapere" me­ diante la quale gli attori sociali strutturano la loro esperienza di vita. La tradizione culturale non ha pretese di universalità. Essa si configura come l'orizzonte di significato per l'agire sociale e de­ ve mettere a disposizione degli attori modelli interpretativi tali da differenziare l'agire orientato al successo dall'agire orientato al­ l'intesa. Se contro la teoria sistemica si tratta di salvaguardare il mondo vitale e la tradizione culturale dalla loro assimilazione alle logiche sistemiche del denaro e del potere (57), contro l'ermeneuti­ ca (58) si tratta di evitare di fagocitare l'agire orientato al successo 54. C fr. J. Habermas, Theorie, ci t., p. l 38 . 5 5 . Cfr. J . Habermas, ibidem. 56. C fr. J . Habermas, ibidem. 57. Questo è il tipo di critica che H abermas rivolge, oltre che a Parsons, anche a N. Luh­ mann (c fr. J. Habermas, Theorie, ci t., p.751). 58. Habermas discute la posizione fenomenologica ed ermeneutica, a cui pure si richia­ ma, in diverse pagine della sua Theorie. Per questa critica cfr. pp.704-748 e, in modo parti­ colare, pp.744-748.

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entro l'orizzonte del mondo vitale. Nell'un caso la modernità si configura come la weberiana "gab­ bia d'acciaio" del dominio burocratico e specialistico; nell'altro essa non riuscirebbe ancora ad articolarsi, invischiata come sareb­ be in un agire puramente tradizionale. La modernità, invece, è proprio la completa e dispiegata articolazione funzionale dei si­ stemi differenziati dell'economia, del potere e delle specializzazio­ ni emergenti dal mondo vitale. I modelli di razionalità sociale sono pertanto tre, fondamental­ mente: a) l'agire strumentale; b) l'agire strategico e c) l'agire comu­ nicativo. Rispetto al nostro schema dell'integrazione essi si collo­ cano come segue. l?agire strumentale e l'agire strategico sono pro­ pri dell'integrazione funzionale, che viene così a designare non so­ lo il sistema economico, ma il complesso del sistema economico e del sistema politico; l'agire comunicativo orientato all'intesa, in­ vece, si colloca sui livelli culturali I e Il. A livello culturale l, esso, in quanto tradizione culturale, dovrebbe fornire gli schemi inter­ pretativi capaci di definire le situazioni nelle quali gli attori do­ vrebbero agire e di fornire prestazioni di securitas, di costruire l'i­ dentità personale, di articolare la visione del mondo necessaria a garantire non solo la vita dei singoli ma anche del sistema sociale complessivo; a livello II, invece, esso dovrebbe essere il prodotto dell'esperienza di vita, dei progetti di vita realizzati dagli attori so­ ciali. Dovrebbe designare qui non solo l'intesa e la comprensione raggiunta mediante la tradizione culturale, ma soprattutto la pos­ sibiltà e l'esistenza di una nuova tradizione culturale prodotta da­ gli attori sociali nel loro agire sistemico. In riferimento allo sche­ ma della modernità si tratta non solo di comprendere se esiste una tradizione culturale da cui si stacca, differenziandosene, il com­ plesso dei sistemi che caratterizza la modernità stessa; ma, soprat­ tutto, se l'integrazione sistemica è capace di produrre o riprodurre, oltre a se stessa, anche un agire orientato all'intesa. In termini di­ versi, si tratta di vedere se i processi di differenziazione sistemica, tipici della modernità, lasciano un margine all'agire sociale orien­ tato all'intesa, al formarsi di un nuovo mondo vitale, oppure se, invece, delineano irreparabilmente un mondo nel quale governino la ferrea necessità sistemica e le sue spietate logiche.

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1.6. Modelli di razionalità e integrazione sociale

Abbiamo a questo punto delineatò i modelli generali di integra­ zione sociale. Seguendo Habermas, possiamo ora fare una distin­ zione tra integrazione sistemica e integrazione sociale. Con inte­ grazione sistemica si può intendere l'integrazione entro un deter­ minato sottosistema sociale e il fatto che gli attori sociali, nel loro agire, si ispirano alle logiche del medesimo sottosistema. Così, i n­ tegrazione sistemica è, nel sottosistema economico, l'ispirarsi alla logica del successo nella sua particolare forma del conseguimento del profitto o, comunque, di acquisire un maggiore benessere eco­ nomico. Parimenti, è integrazione sistemica l'agire politico, sia nella forma di attori sociali impegnati in forme diverse nella vita politica istituzionale, sia la pura e semplice lealtà alle forme di go­ verno e ai regimi statali. Viceversa, con integrazione sociale si vuo­ le designare l'integrazione degli attori sociaìi entro un sistema so­ ciale complessivo, con l'accettazione dei suoi modelli culturali ge­ nerali e con l'adesione, anche critica, alla sua storia, ai suoi mo­ delli di vita. eintegrazione sociale rinvia ad un modello più gene­ rale di integrazione normativa. Essa si riferisce più all'adesione a mondi vitali, che non alle sue articolazioni sistemiche. eintegra­ zione sociale è integrazione entro un linguaggio e una cultura. Il sistema d'azione e la norma propria dell'integrazione sociale sono orientati al consenso e alla intesa; nell'integrazione sistemica ope­ ra, invece, un controllo non-normativa dei nessi d'azione non sog­ gettivamente coordinati. Nell'integrazione sociale la norma inte­ grante è condivisa dagli attori; nell'integrazione sistemica, invece, la norma integrante è autonoma e impersonale, non necessaria­ mente condivisa dagli attori (59). Abbiamo elaborato fin qui uno schema generale. Possiamo co­ minciare a vedere se esso riesce in qualche modo a fornire un qua­ dro esplicativo di quanto si è verificato a Latina nell'arco dei suoi cinquant'anni di vita. Come abbiamo già osservato nelle pagine precedenti, la compo­ sizione iniziale degli abitanti di Littoria, prima, e di Latina, poi, è artificiale e frammentaria. La provenienza della popolazione da molte regioni italiane non consente di dire che vi sia stato -se non 59. Cfr. ancora J . Habermas, Theorie, cit., pp.744-748.

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nei casi di ricostruzione ad opera di gruppi familiari provenienti dalle stesse province- un mondo vitale nel cui comune orizzonte gli attori potessero trovare la "riserva di sapere" necessaria all'in­ tendersi privo di problematicità proprio dell'agire comunicativo. La tradizione culturale comune era già stata frammentata dalla decisione di venire nell'Agro pontino. Venire nell'Agro pontino consapevolmente o no- ha costituito una rottura con la propria tradizione culturale. Ciò ha significato, infatti, differenziare il proprio mondo vitale e fare spazio alle logiche della differenzia­ zione sistemica. Questo non vuol dire, però, che coloro che sono venuti nell'Agro pontino non abbiano fatto precedentemente alcu­ na esperienza di tipo moderno. Vuol dire solo che essi: a) hanno rotto con la propria tradizione culturale e b) si sono sottoposti ad un processo produttivo regolato dalla logica dell'innovazione agricola o industriale. I..: integrazione sistemica nella quale sono coinvolti non trova un contraltare nell'esperienza di mondo vitale dei soggetti. Per i coloni, inoltre, abbiamo visto come lo stesso in­ sediamento comporti isolamento e difficoltà di comunicazione. Se non altro, in questa fase il lavoro produttivo è tale da potersi svolgere con persone dello stesso gruppo familiare. Per coloro che invece hanno fatto l'esperienza nella fabbrica il problema si è pre­ sentato in forma diversa. Anche per quest'ultimi, tuttavia la fami­ glia ha svolto il ruolo difficile della custodia della riserva di sapere che ha assicurato le prestazioni simboliche primarie: senso di sicu­ rezza e mantenimento della propria identità, nel momento stesso in cui questa veniva coinvolta in processi sociali complessi dai quali risultava alla fine trasformata. Possiamo grosso modo di­ stinguere due scenari: l'uno per i primi coloni, l'altro per coloro che sono venuti nell'Agro pontino a seguito dell'industrializ­ zazione. I primi coloni trovano ad attenderli una organizzazione capilla­ re della loro esistenza. Per loro è stato deciso tutto: il luogo dell'a­ bitazione, il tempo della semina, il tipo di semina, l'organizzazio­ ne del lavoro. A questo si deve inoltre aggiungere il tentativo di mobilitazione politica e ideologica propria del fascismo, nella quale appunto la partecipazione politica delle masse è solo un ele­ mento simbolico e coreografico. I..:in sediamento abitativo, inoltre, esaspera la dispersione e moltiplica le difficoltà di comunicazione. Tuttavia, vengono offerte anche delle strategie di senso sulla base 47

delle quali essi possono ricostruire la loro esperienza, se non la lo­ ro personalità. La prima strategia è offerta dalla religione cattoli­ ca, che del resto si innesta organicamente sulla cultura dei coloni. Essa è orientata in senso tradizionale, ma solo relativamente al comportamento sociale e umano in genere, e non agli elementi speci fici legati alla nuova esperienza. Essa nei fatti non contrasta il processo di modernizzazione nel quale vengono coinvolti i colo­ ni. Se vi è un elemento di contrasto, esso riguarda altri aspetti che vedremo tra poco. La seconda strategia di senso è costituita dall'i­ deologia fascista e dal progetto di formare "l'uomo nuovo" che il regime accarezza in alcuni suoi momenti. Questa strategia, però, è ambivalente e contraddittoria. Da un lato, infatti, sul piano so­ ciale essa presenta tratti conservatori, se non decisamente reazio­ nari. Essi sono in contrasto con la stessa esperienza di moderniz­ zazione tecnica e produttiva realizzata nell'Agro. Dall'altro lato, quando accentua gli aspetti di mobilitazione sociale e politica at­ traverso i programmi di educazione politica degli adulti (iscrizione al Pnf, partecipazione alle manifestazioni da parte degli uomir..i e delle donne) e di formazione dell'uomo nuovo attraverso la mili­ tarizzazione dell'istruzione, cozza contro la resistenza sia della tradizione culturale residua dei coloni, sia - ed è quel che più conta - contro la Chiesa cattolica. Questa, attraverso la sua organizza­ zione parrocchiale, osteggia tenacemente il progetto di formazio­ ne dell'uomo nuovo da parte del regime. In questo scontro per il monopolio dell'orientamento culturale di fondo dei coloni dell'A­ gro, il fascismo ha perduto su tutta la linea. Le sue stesse possibili­ tà di affermazione culturale e ideologica sono dovute alla sua ca­ pacità di mediare con l'orientamento religioso offerto dalla Chie­ sa (60). Entrambe queste strategie confluiscono infatti in una pie­ na accettazione dell'innovazione produttiva e tecnologica. Si co­ struisce così un terreno particolarmente favorevole al successo del­ l'opera di bonifica integrale e di conversione produttiva dell'Agro pontino. Essa viene inoltre favorita dalle condizioni di partenza dei coloni, che -per quante difficoltà possano incontrare nell'Agro- conservano certe memoria delle non certo migliori con­ dizioni di vita dei luoghi d'origine. In conclusione, si può qui af­ fermare che per quanto riguarda il primo periodo esistono tutte 60. Parte di queste notizie provengono dall'intervista a V.Tasciotti, all'epoca dei fatti di­ rettore didattico per le scuole rurali e vice-federale del Pnf, raccolta il 6 ottobre

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'84.

le condizioni perché, nell'impatto tra tradizione e innovazione, prevalga l'innovazione (61). Il secondo scenario riguarda gli immigrati del periodo dell'in­ dustrializzazione. Anche in questo caso si danno condizioni gene­ rali favorevoli al successo dell'innovazione nei confronti della tra­ dizione. Qui, addirittura, il raggio d'azione è socialmente molto più ampio. Coloro che sono venuti a seguito dell'industrializza­ zione, infatti, non vengono a gruppi. Quando non si è soli, si viene a Latina con il gruppo familiare. Di più, la scelta di venire implica già un forte elemento di critica verso il proprio luogo d'origine e comporta la speranza di un successo nel lavoro, come base per la soluzione delle difficoltà economiche da cui ci si vuole l iberare. Il lavoro in fabbrica, così, diventa la via, l'unica per molti, per l' af­ fermazione personale. Gli elementi tradizionali della cultura degli individui vengono per lo più sentiti come difficoltà e ostacolo per tale affermazione. Perciò, oltre alla sua interna forza di trasforma­ zione e formazione attraverso le norme del processo produttivo, la moderna cultura industriale trova nella predisposizione degli attori sociali il proprio maggiore alleato. Semmai, la resistenza è indiretta e non consapevole. Essa riguarda la difficoltà di conver­ tire al lavoro industriale contadini e pastori, oppure artigiani e fi­ gli di impiegati. Essa è per così dire oggettiva e riguarda la struttu­ ra della personalità e gli stili di vita acquisiti da questi attori socia­ li e le norme dell'integrazione sistemica. Anche in questo caso si può dire che, nell'impatto tra modernizzazione e tradizione, pre­ vale generalmente il processo di modernizzazione. Facendo ricorso ai concetti illustrati all'inizio di questo para­ grafo, possiamo dire che l'integrazione sistemica ha avuto succes­ so ormai sul piano storico. La città, infatti, ha visto radicalmente trasformate le sue basi produttive. L:articolazione dei settori socia­ li la indica come una struttura urbana moderna, caratterizzata da un discreto equilibrio tra agricoltura, industria e servizi. Si tratta ora di vedere se questa esperienza di modernizzazione abbia pro­ dotto una buona integrazione sociale degli individui e se essi ab­ biano ormai tanto identificato se stessi e la propria vita con la cit61. È d a notare, tuttavia, che per innovazione qui deve intendersi l'innovazione tecnologi­ ca e produttiva in quanto non contrasti con la tradizione sociale. Solo in seguito, a espe­ rienza innovativa consolidata, si avranno effetti di ampio raggio sociale.

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tà da sentirla come propria. Vogliamo in altri termini analizzare il tipo di integrazione prodottasi tra gli abitanti e il loro senso di appartenenza al nuovo mondo sociale. Si tratta inoltre di vedere quale fine hanno fatto gli aspetti tradizionali della loro cultura, se sono ormai scomparsi, oppure se giocano un ruolo nell'equili­ brio culturale dei soggetti. Inoltre, se l'integrazione sistemica è prevalente, come sembra ovvio, si tratta di cogliere l'eventuale bi­ sogno di integrazione sociale.

1.7. Voggetto della ricerca

Un'analisi dell' integrazione e dell'identificazione degli attori con il mondo sociale, nel quale vivono, non può non partire dalla peculiarità della loro esperienza concreta. Nelle pagine precedenti abbiamo ricostruito il modello teorico di questo mondo sociale e delineato le questioni della integrazione e dell'identificazione so­ ciale. Si tratta ora di scendere ad un livello più empirico per circo­ scrivere la specificità dei problemi affrontati nella ricerca. Il problema dell'integrazione sociale nella città di Latina si dif­ ferenzia da quello affrontato dalle ricerche sull'integrazione socia­ le compiute negli anni sessanta in Italia per un tratto specifico. In quelle ricerche si poneva il problema dell'integrazione di uno o più membri di una società B che emigravano in una società A, nella quale appunto si poneva il problema dell'integrazione o -come una precedente linea di ricerca sosteneva- della assimilazione del­ l'immigrato (62). 62. Non è possibile citare qui la bibliografia richiamantesi a questo filone di ricerca. Pos­ siamo citare alcuni titoli: A. Pizzorno, Comunità e raziona/izzazione, Einaudi, Torino, 1 960; G. Fofi, L'emigrazione meridionale a Torino, Feltrinelli, Milano, 1962; Aa.Vv., Immi­ grazione e industria, Comunità, Milano, 1 962; L. Cavalli, Gli immigrati meridionali e la società ligure , Angeli, M ilano, 1964; A. Ardigò, "Il Polesine come area di fuga nell'Italia settentrionale;• in // Polesine, Comunità, Milano, 1964; F. Alberoni G. Baglioni, L'inte­ grazione dell'immigrato nella società industriale, Il Mulino, Bologna, 1965; M. Livolsi, Comunità e integrazione, G. Barbera, Firenze, 1967; Aa.Vv., L'immigrazione de/ triangolo industriale, Angeli, Milano, 1 970. Una rassegna bibliografica molto interessante si trova nel saggio sopra citato di Alberoni e di Baglioni. Per quanto riguarda il problema dell'immigrazione in relazione al mercato del lavoro si possono citare: M. Paci, " Migrazioni interne e mercato capitalistico del lavoro", in Proble­ mi del socialismo, XII, (1 970), n. 48; E. Reyneri, La catena migra/oria. Il ruolo dell 'emi­ grazione nel mercato de/ lavoro di arrivo e di esodo, Il Mulino, Bologna, 1979; U. Ascoli, -

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Il problema dell'identificazione degli attori con il nuovo mondo sociale, inoltre, si distingue da quello posto in un'altra linea di ri­ cerca, seguita in Italia nel corso degli anni settanta e anche succes­ sivamente. In questa, il tema è costituito dalla salvaguardia dell'i­ dentità etnica e culturale di singoli e gruppi sociali dalla possibili­ tà di assimilazione da parte di una società più ampia. Questa linea di ricerca si caratterizza mediante il tentativo di enucleare i proces­ si di differenziazione sociale e culturale che definiscono l'identità etnica e di mettere in guardia dai processi di omologazione. Si tratta delle ricerche riguardanti l'identità etnica e culturale delle popolazioni friulana, trentina, ladina, veneta, sarda (63). A Latina non c'era -o almeno non c'è stata per tanti anni- una società sufficientemente strutturata nella quale l'immigrato potes­ se integrarsi. Così come non c'era una società capace di assimilare i gruppi etnici di nuova immigrazione. La particolarità di Latina consiste nel fatto che essa è una "città nuova", nella quale ognuno è immigrato e "tutti (sono), in un mo­ do o nell'altro, degli estranei" (64) . La dispersione delle apparte­ nenze culturali può essere in qualche modo circoscritta solo in ri­ ferimento a modelli culturali e societari generali (tradizionale/mo­ derno, contadino/industriale) e alle grandi ripartizioni geografi­ che del p aese. Infatti, ancora l'attuale popolazione della città, per quanto riguarda la nascita, si colloca su di una mappa molto dif­ ferenziata di luoghi. A ciò deve inoltre aggiungersi il fatto che i nati a Latina sono figli, o al massimo nipoti, di immigrati. Nel corso del breve periodo vissuto finora dalla città -poco più di cinMovimenti migra/ori in Italia, Il Mulino, Bologm i , 1979. Per quanto riguarda la questione dell' integrazione come assimilazione c fr. S. N. Eisenstadt, The A bsorption of Immigrant, Routledge and Kegan Pau!, London, 1 954. 63. Per questa linea di ricerca cfr. R. Gubert, L'identificazione etnica, Del Bianco, Udi­ ne, 1976; A.M. Boileau - E. Sussi, Dominanza e minoranze, Grillo, Udine, 1981; A.J. Cri­ spino, The Assimilation oj Ethnic Group: The Italian Case, Center for Migration Study, New York, 1980; D. Sedmak - E. Sussi, L'assimilazione silenziosa, Est, Trieste, 1 983; R. Strassoldo, Sviluppo regionale e difesa nazionale, Lint, Trieste, 1 972; U. Bernardi, Comu­ nità come bisogno, Jaca Book, Milano, 198 1 ; D. Petrosino, "Etnicità e territoriali tà", in Rassegna Italiana di sociologia, 1986, 2, pp.213-25 l . Sulla questione delle minoranze etni­ che cfr. E. Allardt, " l mutamenti della natura dei movimenti etnici dalla tradizione all'or­ ganizzazione", in Il Mulino, 263, pp.323-348; "Le minoranze etniche nell'Europa occiden­ tale: una ricerca comparata", in Rivista italiana di scienza della politica, Xl, l, 1981, pp.91-136. 64. Cfr. O. Handling, cii., p.l76.

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quant'anni- la eterogeneità e la frammentazione culturale è stata in alcuni momenti anche maggiore dell'attuale. In breve, facendo ricorso ad un'immagine, si può dire che ci tro­ viamo di fronte a tre scenari diversi. Nel primo vediamo l'emigra­ to avvicinarsi a piccoli o grandi passi verso una società· strutturata intorno a valori e stili di vita consolidati che egli deve apprendere per la riuscita del suo progetto di vita. Nel secondo, invece, vedia­ mo uno o più individui che si allontanano più o meno velocemen­ te da una società tanto strutturata da cancellare le loro identità particolari. Nel terzo -ed è il caso di Latina- vediamo tanti indivi­ dui o gruppi diversi dirigersi verso un luogo quasi senza nome e costruirvi una società. Il nostro problema allora consiste nel tentare di ricercare come i singoli attori sociali si siano integrati nel nuovo mondo sociale e sulla base di quali valori e stili di vita generali; e, infine, se e in quale misura si identificano con questo mondo. I noltre, si tratta di seguire il movimento verso questo luogo non ancora ben identi­ ficato e cercare di rappresentare a quale punto è giunta la costru­ zione culturale della città (65).

65. S i poteva certo impostare una ricerca sull 'integrazione economica e produttiva della città. La nostra convinzione di fondo, tuttavia, è che questo tipo di integrazione non indi­ c hi sufficientemente il cammino verso la costruzione societaria. Un riferimento ai modelli culturali generali, ai valori di fondo condivisi e agli stili di vita più diffusi è probabilmente più capace di tracciare il percorso e il senso del cammino dell'integrazione e dell' identifica­ zione sociale. D'altra parte non si sarebbe potuto mettere al centro del rapporto la dimen­ sione ecologica, la terra, il territorio e gli spazi urbani. Su questa linea, probabilmente per definizione, non avremmo avuto alcuna chance di successo. Gli immigrati, infatti, per lun­ go tempo fanno riferimento nel proprio più profondo immaginario al territorio, alla terra, ai luoghi della società da cui provengono.

S2

2 . DALLA SOCIETA' SEMP LICE ALLA SOCIETA' COMPLESSA. CENNI SULLA STRUTTURA SOCIALE DELLA CITTA' 1

Prima di passare all'analisi dei risultati della ricerca è forse op­ portuno soffermarsi un poco sulla struttura sociale e sulla sua evoluzione nel corso dei cinquant'anni di storia della città. In que­ sto modo, probabilmente, gli stessi risultati acquisteranno una maggiore significatività, potendo essere collocati nella cornice so­ ciale da cui scaturiscono.

2. 1. La società agricola

La storia dell'Agro pontino e della città di Latina può essere in­ terpretata come una storia di catastrofi successive (2). Il principio organizzativo della struttura ecologica e sociale dell'Agro pontino è, fino agli anni venti e trenta di questo secolo, la palude. Anche se nel corso dei secoli sono stati compiuti tentativi di sottrarre le terre una volta fertili dell'Agro alla palude, di fatto la vita ecologi­ ca e sociale non ha potuto svilupparsi in altre direzioni. Tutto ciò non deve però far ritenere che nell'Agro pontino non vi fosse una vita economica e sociale (3). l . Una più ampia analisi della struttura sociale della città è contenuta nel contributo alla ricerca di M.R. Bonacci per cui cfr. Rapporto generale di ricerca, inviato al C.N.R., cap. 2. 2 . Per il concetto di catastrofe cfr. R. Thom, Stabilità strutturale e morfogenesi, Einau­ di, Torino, 1980. 3. Numerose sono le testimonianze relative alla vita economica e sociale dell'Agro prima dell'attuale bonifica. Cfr. almeno A. Bianchini, Demografia della Regione Pontina (1656-1936), Cappelli, Bologna, 1 956; F. D'Erme, Storia e storie dell'Agro Pontino nel X VIII secolo, Società Editrice Napoletana, Napoli, 1983; V. Rossetti, Nostra terra ponti­ no, Fratelli Palombi Editori, Roma, 1 972 e 1 985; e la nostra intervista ad A. Di Trapano che descrive a tinte molto nitide la vita dei butteri dell'Agro.

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La bonifica idraulica e la bonifica integrale introducono princi­

pi ecologici e sociali diversi. Nel corso di dieci anni, ma con una forte accelerazione tra il l 928 e il l932, l'aspetto dell'Agro pontino viene completamente mutato: prima nel paesaggio, poi nella strut­ tura sociale. Sulla terra strappata alla palude e appoderata vengo­ no insediati lavoratori provenienti per lo più dalle regioni nord­ orientali italiane: Veneto, Friuli, Emilia Romagna. La struttura sociale della città, così creata, è molto semplice. Al centro dell'at­ tività produttiva è l'agricoltura (7 1.5 OJo degli addetti). �industria (180Jo ) e le altre attività (10. 5 0Jo) ruotano intorno ad essa. La fisio­ nomia iniziale è ancora più marcata in questo senso. Questi dati (ricavati dall' VIII Censimento generale del l 936) registrano la cre­ scita burocratica della città in seguito alla creazione della Provin­ cia di Littoria (1934) . Se in qualche modo è possibile rintracciare una gerarchia e un ordine nella struttura sociale della città, essi possono essere· individuati nel loro carattere tradizionale. La stes­ sa struttura urbana, per quanto non concepita aprioristicamente in questo modo, risulta alla fine segnata da un'impronta classista. Non è da presumere infatti che la struttura urbana fosse stata deli­ beratamente concepita in modo da far risaltare la gerarchia socia­ le implicita nella disposizione degli edifici (4). Se tuttavia si può descrivere una struttura urbana e architettonica fortemente gerar­ chica, si deve alla generale cultura conservatrice, autoritaria, tra­ dizionale, che si richiama alla collaborazione e all'armonia dei gruppi e delle classi sociali, non al conflitto. Alla fine, la struttura urbana di Littoria è il risultato di una strana miscela politica ispi­ rata a diversi criteri, non tutti coerenti: il ruralismo, l'antiurbane­ simo, la collaborazione tra le classi, l'innovazione tecnologica in agricoltura. La città non ha mura. Gran parte della sua popolazio­ ne è disseminata nei poderi. Al centro nessuna concentrazione operaia, fonte di conflittualità e disordine, ma solo i lavoratori e i tecnici necessari all'industria di trasformazione dei prodotti agri­ coli. La città è il centro direzionale dell'Agro pontino. Qui sono decise le sperimentazioni produttive, le ragioni dello scambio eco4. Mi pare fondata la conclusione di R. Mariani (c fr. op.cit.) su questo punto. Il regime -e Mussolini in particolare- non decise una volta per tutte un programma di costruzione della città. Essa fu costruita caso per caso, un poco alla volta, in sintonia con il pragmati­ smo decisionistico di Mussolini. Di questo fatto risente la struttura urbana e architettonica di Littoria.

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nomico tra Opera nazionale combattenti e coloni, le politiche educative. La città è il centro politico; essa è lo stato e, di più, il Partito nazionale fascista, che allo stato imprime energia vitale. Pertanto, al centro della struttura urbana sono collocati gli edifici del centro politico: il Palazzo della Provincia, il Comune, la Ca­ serma dei Carabinieri; al loro margine, le case dei dirigenti; verso la cintura della città, costituita da una strada e non da mura, ap­ partate, le case dei dirigenti e tecnici dell'Opera nazionale combat­ tenti. Ad un polo abbastanza lontano, fuori da questa cintura, in­ vece, vicino al centro produttivo .industriale del Campo Boario, le case degli operai e degli artig iani. Subordinazione simbolica della campagna alla città; e, all'intenio della città, dei settori produttivi ai centri intellettuali e, soprattutto, politici. Al vertice, dunque, i politici (cioè: gli esponenti del Pnf); più sotto, quasi ad un primo girone, gli intellettuali, gli impiegati, i tecnici dell'Onc; più sotto ancora, gli operai, gli artigiani, i commercianti (il popolo); a par­ te, nella campagna, i coloni. �applicazione di questo principio d'ordine sociale è ancora più ampia. Nella produzione agricola il colono è sottoposto alla supervisione dell'Onc. Ciò significa che questo ente progetta le colture, ne determina le quantità, ne stabi­ lisce i tempi e i metodi. Come abbiamo già detto nel Capitolo 1., la vita del colono risulta per l'essenziale eterodiretto, la sua auto­ nomia ristretta alle vicende familiari, per altri versi predetermina­ te da decisioni prese non da lui. Al di là di ogni giudizio di valore su questo modello di organiz­ zazione sociale, non si può dire che esso abbia conseguito molti successi. Vorremmo segnalare da un lato la conflittualità tra i sot­ tosistemi sociali e dall'altra la necessità del regime di arrangiarsi con politiche diverse e, soprattutto, ispirate a principi direttivi contraddittori. La Chiesa, pur collaborando nell'opera di costru­ zione della città e per tanti versi vicina ad una concezione della società così fortemente interclassista, è in conflitto con il Pnf, cioè con il regime, su un punto decisivo: il monopolio della formazione dei giovani e non solo di essi. La Federazione dei sindacati fascisti giunge a proclamare assemblee dei coloni per incanalare in qual­ che modo la loro protesta nei confronti della Opera nazionale combattenti. Tra questi due sottosistemi sociali -tecnico produtti­ vo e sindacale- il centro politico esercita la mediazione e la com­ posizione degli interessi in conflitto. Questa meq1azione, tuttavia, 55

non si ispira ai principi seguiti nella organizzazione dell'appodera­ mento e per conseguenza nella scelta delle politiche economiche. Infatti, poiché il sistema produttivo non marcia, il colono tende a stabilire con l'Onc un rapporto di tipo salariale. E l'Onc accon­ sente più volte, fino a stabilire una forma di salario per ogni mem­ bro della famiglia, compresi i bambini. Infine, esempio forse estremo della contraddittorietà delle politiche del regime, il tipo di famiglia insediata nei poderi. La critica verso gli agglomerati ur­ bani e i proplemi di ordine morale, sanitario e politico induce il regime a non costruire città contadine, ma a disseminare per il ter­ ritorio le famiglie coloniche. Inoltre, poiché avversa ogni forma di rapporto salariale, quale segno tipico del rapporto capitalistico di lavoro, il regime insedia nei poderi famiglie polinucleari. Al di là della specifica prolificità dei friulani, veneti, romagnoli e laziali, in ognuna delle regioni di provenienza dei coloni si crea un movi­ mento verso la formazione di famiglie polinucleari capaci di ri­ spondere ai requisiti posti dal Commissariato per le migrazioni e dall'Onc per l'assegnazione dei poderi. Ciò costituisce di fatto un ritorno a modelli familiari in via di superamento. Se per un verso la famiglia polinucleare è ancora una realtà della struttura sociale italiana degli anni trenta, è indubbio che cominciano ad apparire segni consistenti della sua trasformazione. Uno di questi è dato proprio dall'inurbamento di fasce estese di popolazione a cui il re­ gime cerca di rispondere con diversi provvedimenti legislativi (5) . La contraddizione qui nasce da scelte ispirate a principi direttivi confliggenti. Cinnovazione produttiva nell'agricoltura, infatti, viene coniugata con una forma familiare di tipo tradizionale. Si sarebbe potuto pensare a forme socializzate di produttori, che intervenissero nella produzione come singoli. !.!avere invece tenta­ to la socializzazione attraverso la famiglia polinucleare, con prin­ cipi funzionali di tipo tradizionale fondati sull'autorità, costringe l'innovazione produttiva entro un involucro sociale che la soffoca. 5. Al fine di regolare e programmare i movimenti migratori da una provincia all'altra fu emanata la legge 9 aprile 1931, n. 358, in base alla quale fu gestito il trasferimento dei coloni in Agro pontino. La legge tuttavia ha contenuti più generali e riguarda ogni sposta­ mento di manodopera da una provincia all'altra, da una regione all'altra. Il controllo e la piani ficazione delle migrazioni interne non riuscì . Nel 1939 si dovette emanare la legge 6 luglio, n. 1092 recante "Provvedimenti contro l'urbanesimo". Sulle migrazioni interne ita­ liane in questo periodo cfr. A. Treves, Le migrazioni interne nell 'Italia fascista, Torino, 1 976.

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Sono da leggersi in tal senso molti dei conflitti tra coloni e Onc. Da un lato, infatti (e naturalmente prescindendo dai casi di imbro­ glio e sopruso) l'Onc sostiene la necessità di seguire determinati programmi, dall'altro il colono, dovendo fronteggi are le numerose esigenze della sua famiglia, tenta di resistergli. A questo poi deve aggiungersi la conflittualità intrafamiliare, che, contenuta fino ad un certo punto, esplode dieci anni dopo l'insediamento colonico. Questo sistema sociale, nonostante le sue vistose contraddizio­ ni, riesce a crescere e a svilupparsi. Anzi, subito dopo la seconda guerra mondiale, diventa il punto di riferimento per gran parte dei movimenti migratori della provincia. La guerra, combattuta a sud (fronte di Cassino) e a nord (fronte di Anzio) della provincia, di­ strugge buona parte delle abitazioni. La stessa Littoria, che ha su­ bito notevoli distruzioni nei propri edifici, diviene la meta per molti sfollati dal sud della provincia. La ricostruzione comincia alacremente subito dopo la guerra. Grazie ai proventi del mercato nero e agli aiuti statali nella ricostituzione del patrimonio di ani­ mali da allevamento, l'azienda agricola riparte quasi subito. La rendita per ogni ettaro aumenta. Intorno alla terra si svolgono ora conflitti di tipo economico, sociale e politico. Da un lato, le popo­ lazioni dei comuni lepini prospicienti l'Agro pontino rivendicano le terre incolte con occupazioni e una revisione della maglia pode­ rale, dall'altro esplodono le contraddizioni tra i diversi nuclei della famiglia colonica intorno alla proprietà del podere (ormai riscat­ tato o in via di riscatto) o alla sua conduzione oppure ancora sulla spartizione del prodotto del lavoro. In ogni modo, nonostante le diverse ed indubbie modificazini sociali e, soprattutto, politiche (passaggio dal regime a partito unico fascista alla pluralistica de­ mocrazia repubblicana), i mutamenti della struttura sociale e fa­ miliare della città si collocano ancora nel solco della società sem­ plice (anche se infinitamente più aperta, libera e conflittuale) so­ pra tratteggiata. I dati del IX Censimento generale della popola­ zione del l 95 1 registrano queste modificazioni. l?agricoltura occu­ pa la metà degli addetti (5 1 0Jo), l'industria un quinto (21 %) e più di un quarto (28 %) le altre attività nel loro insieme. 2.2. La società industriale

Proprio gli anni cinquanta costituiscono tuttavia l'inizio della 57

seconda catastrofe della storia della città. La precondizione giuri­ dica dei mutamenti strutturali è l'inclusione del territorio della provincia di Latina nell'area di intervento agevolato della Cassa per il mezzogiorno (legge 10 maggio 1950, n. 646). Il principio generale dell'organizzazione sociale diventa ora un altro. Dalla centralità dell'agricoltura si passa a quella dell'indu­ stria. Come per il periodo precedente, la trasformazione è indotta dall'esterno; la società industriale pontina nasce infatti per inter­ venti esterni . coordinati dal sistema politico centrale nazionale. A differenza della bonifica, però, ora non si ricorre a interventi di­ retti del sistema politico ma ad incentivi capaci di attrarre l'inse­ diamento di industrie provenienti dalle zone industriali consolida­ te del paese e anche dall'estero. Sulla base di queste premesse, la tipologia industriale del comprensorio pontino è caratterizzata dalla manifattura a basso investimento di capitale e ad alto impie­ go di manodopera. La disponibilità a costi relativamente bassi di manodopera è un altro elemento decisivo del successo del modello industriale pontino. Sul piano sociale l'affermazione del modello produttivo indu­ striale comporta una serie di mutamenti e trasformazioni, imme­ diatamente non visibili e comunque non osservate, che appaiono invece nitidamente appena un paio di decenni dopo. La prima di queste affermazioni riguarda il ruolo di punto di attrazione del­ l'impresa rispetto al territorio. Il lavoro industriale modifica lo stesso lavoro agricolo. Nella famiglia colonica dell'Agro pontino, infatti, comincia ad affermarsi una diversa divisione del lavoro tra i suoi membri. Alcuni entrano in fabbrica mentre gli altri manda­ no avanti i lavori agricoli. La diminuzione del tempo di lavoro fa­ miliare disponibile per l'agricoltura, nonchè le maggiori entrate assicurate dal lavoro in fabbrica di uno o più membri della fami­ glia, rendono possibile anche l'innovazione tecnologica in agricol­ tura. Inoltre, nel rapporto agricoltura/industria (vissuto anche al­ l'interno della famiglia per l'impiego part time di qualcuno dei suoi membri) il modello di vita industriale riesce ad imporsi su quello agricolo. Coloro che applicano questo mix agricolo/indu­ striale nella produzione di reddito familiare avranno maggiore ca­ pacità di affrontare i momenti di crisi produttiva. Questa caratte­ ristica si generalizza nel sistema produttivo dell'Agro pontino e di Latina in particolare. Nella dominanza quantitativa e qualitativa 58

del modello culturale industriale si stabilisce una simbiosi tra in­ dustria e agricoltura che rappresenta, probabilmente, uno dei punti di forza del sistema economico pontino per un buon venten­ nio. !_;industria costituisce un punto di attrazione non solo all'in­ terno del sistema agricolo locale, ma diviene un elemento cataliz­ zatore di un nuovo movimento migratorio verso l'Agro pontino. Dalla gran parte dei comuni della provincia (ma, soprattutto, dal­ la fascia lepina) si muove una quota notevole di popolazione sia per il trasferimento definitivo, sia giornalmente come lavoratori pendolari. Si muove, inoltre, una quota rilevante di popolazione dalle regioni meridionali. Nell'enorme sommovimento di popola­ zione dal sud al nord Italia, Latina costituisce per molti emigrati una meta intermedia desiderata e abbordabile, perché meno diffi­ cile e complicata delle grandi città industriali del nord. Questa ri­ strutturazione generale ha effetti visibili in tutta la società. Al li­ vello demografico essa si manifesta con la sostituzione, nel movi­ mento migratorio, dei meridionali ai veneti, ai friulani e ai roma­ gnoli. Accanto a questa complicazione di tipo etnico e culturale si manifesta anche, e nello stesso momento, una complicazione di classe. I quadri dirigenti alti e medi delle industrie provengono dal nord, dalle regioni centrali e talvolta anche dall'estero. Si manife­ sta così un fenomen0 nuovo: da un lato una migrazione industria­ le alla ricerca del lavoro e di più consistenti chances di vita; dall'al­ tro una migrazione di tipo già post-industriale, di transilients, i cui protagonisti sono i quadri dirigenti industriali e burocratici, per i quali la breve residenza a Latina è solo un momento del ciclo di carriera (6). Ciò comporta una gerarchia di ordine e di potere pre­ cisa. Da un lato, i quadri venuti dal nord detengono il potere inter­ no alla struttura produttiva; dall'altro, contadini, artigiani, pasto­ ri svolgono mansioni banali e ripetitive, così come il tipo di indu­ strializzazione creato richiede. In questa struttura di potere si inse­ risce ed opera l'organizzazione sindacale, che per alcuni versi so­ cializza i lavoratori al lavoro industriale, per altri invece induce uno sviluppo della vita democratica anche dentro la fabbrica. La completa maturazione di questo sistema, che si realizza intorno 6. Per una ti pologia del tipo di migrazione nella società industriale e post-industriale cfr. A. H. Richmond, Sociology of Migration in Industria/ and Posi-industriai Societies, in J . A. Jackson (ed.) Migration, Cambridge University Press, Cambridge, 1969, pp.238-2 8 l . Questo nuovo tipo di migrante è costituito " frequentemente d a 'uomini d i due mondi' ca,

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alla fine degli anni sessanta, vede anche la piena maturazione de­ mocratica dei lavoratori, la loro integrazione entro modelli con­ flittuali generalizzati in Italia in quel periodo. La struttura pro­ duttiva si rivela così il luogo principale della integrazione sociale tra lavoratori provenienti dal nord, o dei loro figli, con lavoratori provenienti dal sud. Il sindacato, nelle sue varie articolazioni, co­ stituisce per la maggior parte dei lavoratori il luogo della forma­ zione democratica e la struttura sociale primaria della partecipa­ zione politic,a. Questo vale anche per i gruppi dirigenti del sistema produttivo industriale. Spesso essi svolgono vita appartata rispet­ to al potere politico; come gruppo esprimono anche una forte identificazione con l'industria, con la fabbrica, al punto da svalu­ tare o disprezzare la "classe politica", così come essi chiamano co­ loro che ad ogni livello sono impegnati nell'attività politica locale. Essi vengono a costituire una élite ristretta, orientata verso i mo­ delli culturali della società industriale, pluralistica e conflittuale. Sul versante politico, invece, matura un avvicendamento più lento. Vi è in qualche modo una continuità ideologica di facciata tra il solidarismo del periodo precedente e quello predicato in que­ sta fase. In realtà, vi è un lento ricambio nei gruppi dirigenti locali indotto proprio dalle trasformazioni sociali avvenute. l?avvicen­ damento generazionale può dirsi compiuto solo all'inizio della cri­ si del sistema produttivo industriale. La crescita di questo nuovo gruppo dirigente è dovuta ad elementi provenienti dal terziario. Da questo nascono le "nuove élites" dirigenti locali degli anni set­ tanta, utilizzando le risorse messe a disposizione dallo stato socia­ le come contenuto dello scambio politico con l'elettore (7). Il siste­ ma politico nel suo complesso tuttavia affronta i problemi dello sviluppo sociale e urbano. Case, scuole, attrezzature urbane e ser­ vizi culturali sono gli argomenti del dibattito e del conflitto politi­ co. La configurazione del potere della fase precedente, nella quale la Dc, attraverso il passaggio dal fascismo alla democrazia, ha im­ posto pian piano la sua egemonia, deve essere rinnovata ora in un contesto economico e sociale diverso. Si tratta di aggiungere ai rapporti di fedeltà dei coloni, in gran parte passati dalla simpatia, o comunque dalla non avversione al fascismo, alla fiducia verso paci di muoversi facilmente dall'uno all'altro" (p.266). 7. Per questa tesi cfr. dello scrivente Una nuova elite?, cit.

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la Dc, quella dei lavoratori dell'industria. In questa competizione non vi era un esito scontato. In linea di principio, i partiti di sini ­ stra (il Pci e il Psi) avrebbero potuto sostituirsi alla Dc nell'egemo­ nia e nella guida politica. E in realtà il Pci esprime il più alto livel­ lo di consenso verso la metà degli anni settanta; si tratta infatti di un effetto differito della mobilitazione sociale, economica e sinda­ cale della fine degli anni sessanta. Si verifica qui, anche se solo re­ lativamente ad un settore del sistema politico locale, la sfasatura tra i tempi della mobilitazione sociale e quello della espressione politica dei suoi orientamenti culturali e politici. C'è un ritardo o una necessità di maturazione, insomma, tra il momento economi­ co e sociale della mobilitazione e la traduzione in termini politici degli stessi orientamenti. Ma nella mobilitazione sociale degli an­ ni sessanta opera anche un sindacalismo che, a fronte della forte conflittualità locale e specifica, favorisce un orientamento cultu­ rale solidaristico omogeneo a quello della Dc. Da questo, anche, la possibilità di aggiungere alla fiducia dei contadini e coloni ve­ neti o friulani (costruita mediante modelli culturali solidaristici di tipo tradizionale) quella dei loro figli operai-contadini part-time. Vi è insomma un continuum di modelli culturali generali di riferi­ mento che favorisce il partito cattolico. La penetrazione dei mo­ delli culturali della società industriale per un verso è stata profon­ da negli stili di vita personali, per un altro il modello culturale tra­ dizionale solidaristico, in virtù della sua flessibilità, ha convissuto con i modelli conflittualistici di tipo industriale. Probabilmente esso si è giovato della insufficienza dei modelli conflittualistici a dare risposte all'intero arco dei bisogni esistenziali degli individui. A queste solidarietà la Dc ha saputo aggiungere, inoltre, quella del personale burocratico statale, parastatale e locale. Con questa essa ha spesso bilanciato l' insufficienza del rapporto nei confronti di settori della classe lavoratrice. Il sistema scolastico vive in questa fase un momento di generale espansione. La obbligatorietà e la quasi gratuità della scuola del­ l'obbligo fino a quattordici anni costituisce un momento di enor­ me crescita culturale. Un aumento della scolarità si verifica pure nelle scuole medie superiori. Da un lato, si diffonde nella società la consapevolezza che la scuola può dare un contributo essenziale allo sviluppo produttivo; dall'altro, si impone il problema che un sistema scolastico efficiente non si improvvisa. Anche in questo 61

caso, i primi contraddittori esiti si producono quando cominciano a venir meno le condizioni per l'impiego. La scuola media supe­ riore, allora, nata come mezzo per una formazione tecnica, scien­ tifica e professionale più alta -come succede del resto in gran parte dell' Italia centro meridionale- comincia a produrre disoccupati e diviene molto frequentemente un'area di parcheggio per i giovani. Da mezzo essenziale per lo sviluppo produttivo, essa rischia di tra­ sformarsi in un elemento ininfluente per la crescita economica. La scolarità di massa, tuttavia, sia a livello inferiore, sia a livello su­ periore, ha costituito un altro luogo essenziale per la integrazione di persone provenienti da località tanto diverse. Sia che fossero ve­ nuti a Latina in età prescolare o che vi fossero nati da genitori me­ ridionali, laziali, marchigiani, la scuola ha costituito un fattore importantissimo di socializzazione a modelli culturali non locali­ stici, né dialettali. Essa, come la fabbrica, proprio per il suo carat­ tere di massa ha prodotto socializzazione e identificazione abba­ stanza generalizzata con il nuovo mondo sociale. La formazione culturale tuttavia non è passata solo attraverso la scuola. Durante gli anni sessanta, su iniziativa della Cassa per il mezzogiorno, ha operato in città prima il Centro giovanile e poi il Centro per i servizi culturali. La sua attività formatrice si è espli­ cata nella organizzazione di incontri, dibattiti, diffusione della lettura, della cinematografia, della fotografia. Nel complesso esso ha svolto animazione sociale e culturale per gruppi abbastanza ampi di giovani, per lo più studenti; ha formato quadri sindacali e politici. Esso ha promosso buona parte dell'associazionismo de­ gli anni successivi. Nonostante questo sia stato un periodo di secolarizzazione, la Chiesa ha svolto il suo tradizionale compito formativo senza subi­ re -se non verso la fine degli anni sessanta- una crisi. Anzi, nella fase post-conciliare da essa sono partite iniziative di orientamento e aggiornamento degli insegnanti che hanno mantenuto e, in talu­ ni casi, incrementato la sua presenza nella scuola e nella società. I processi di modernizzazione, però, hanno agito in profondità nella vita familiare. Sul lungo periodo è possibile osservare come gli stili di procreazione tendono ad omologarsi. Nel 1936, ad es., la media della composizione familiare raggiungeva 7.5 componen­ ti per famiglia. Questo dato rispecchia l'artificialità della stessa costituzione della famiglia. Nello stesso periodo, infatti, la com62

posizione media della famiglia in provincia di Littoria è di 4.7 componentj. La differenza è dovuta alle famiglie polinucleari dei coloni che raggiungono la media di 1 1 .5 componenti per famiglia. Si tratta di famiglie, come dicevamo, polinucleari appartenenti al tipo D della classificazione adottata nelle rilevazioni censuarie de­ gli ultimi tempi. Per altri versi, un'analisi inter'na alla struttura fa­ miliare della città nello stesso periodo mostra che la maggior parte delle categorie professionali vive in famiglie la cui media è gene­ ralmente più bassa di quella della provincia (8). Ciò è dovuto alla più giovane età dei coniugi, trasferitisi o sposatisi a Littoria, ap­ partenenti a queste categorie professionali. Per i coloni, invece, è valso il motivo già indicato sopra relativo alla necessità di com­ porre famiglie numerose per entrare in possesso dei requisiti ne­ cessari per l'assegnazione di un podere. Nel 1951 la differenza tra i conduttori coltivatori (così viene censita la famiglia contadina dell'Agro pontino) di Latina e del re­ sto della provincia s'è ridotta a 2.1 punti, mentre è in via di omolo­ gazione quella delle altre categorie. Nel 1961 tale differenza è scesa a 1 . 1 punti, mentre per le altre categorie c'è ormai una differenza quasi impercettibile. Nel 197 1 la differenza è azzerata. Anche la famiglia agricola dell'Agro pontino è ormai divenuta generalmen­ te una famiglia mononucleare composta da genitori e figli. La eventuale differenza non dipende più da un particolare stile pro­ creativo delle famiglie contadine o da loro necessità produttive, ma da motivi e fattori individuali diffusi in tutte le categorie pro­ fessionali e sociali. Nel periodo 1 95 1-61 la popolazione cresce con una percentuale annua del 40Jo. Nel successivo decennio 1 961-71 essa invece cresce con un tasso del 5 . 8 % all'anno. Entrambi i fat­ tori -incremento naturale e movimento migratorio- concorrono a determinare tale aumento della popolazione (cfr. Grafico l del­ l'Appendice B). Ad uno sguardo più complessivo il sistema sociale costruito nel­ la città si presenta in questo periodo abbastanza dinamico nel set­ tore economico, ma presenta delle sfasature tra sottosistemi socia-

8 . Operai, personale di fatica, impiegati, dirigenti e liberi professionisti a Littoria vivono in famiglie di ampiezza pari rispettivamente a 3 .52, 3 .88, 3 .57, 3 .50 mentre in provincia le stesse categorie vivono in famiglie la cui ampiezza media è rispettivamente di 4.57, 4.74, 4.87, 5 . 1 2 .

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li. Il sistema formativo e il sistema politico, in modo particolare, presentano considerevoli ritardi. Il sistema formativo non riesce a mettersi al passo delle trasformazioni economiche e incontra dif­ ficoltà nella formazione dei quadri intermedi e dirigenti produtti­ vi. Il sistema politico non riesce ancora a svolgere un ruolo di gui­ da del processo di sviluppo e di crescita della città. Buona parte delle decisioni importanti (anche se, beninteso, non si pensa ad una qualsiasi forma di autarchia) riguardanti l'economia della cit­ tà vengono dall'esterno. Al più, la città comincia a svolgere un ruolo di interlocutore attivo dei centri nazionali di potere econo­ mico e politico (direzione dei gruppi industriali operanti in pro­ vincia e potere politico).

2.3. La società complessa

All'inizio degli anni settanta la società pontina si presenta suffi­ cientemente articolata, complessa e dinamica. Per quanto riguar­ da la distribuzione tra i settori produttivi, rispetto al 1 961 vi è sta­ ta una generale diminuzione degli addetti nell'agricoltura (-26.50Jo ), un aumento nell'industria ( + 730Jo ) e nel terziario ( + 76.8 OJo ). Nel 197 1 la forza lavoro occupata si distribuisce così: 12.60Jo all'agricoltura, 42.2 0Jo all'industria e 45.20Jo alle altre attivi­ tà. Sono gli ultimi anni di espansione e consolidamento del mo­ dello produttivo industriale-manifatturiero creato nell'Agro ponti­ no. Si può dire che in questo periodo -e comunque negli anni dello shock petrolifero (1974)- inizia quella che potremmo chiamare la terza catastrofe del sistema sociale cittadino. In via generale e sintetica, si può individuare una trasformazio­ ne essenziale dei principi organizzativi: da un modello dominante (l'industria manifatturiera) si passa alla convivenza di una plurali­ tà di modelli (industria, terziario e agricoltura). I noltre, la medesi­ ma trasformazione percorre in diversa misura i settori produttivi: lentamente diminuisce l'importanza del lavoro manuale e si affer­ ma gradatamente il lavoro intellettuale. I.:innovazione tecnologi­ ca, da strumento di periodico aggiornamento dell'apparato pro­ duttivo, diventa un metodo normale di produzione. Le tecnologie produttive e organizzative diventano rapidamente desuete e il compito principale in ogni settore è di produrre mediante l'inno64

vazione. Tutto ciò produce una ulteriore complessificazione della società che cercheremo brevemente di tratteggiare. In primo luogo va segnalata una grande ristrutturazione pro­ duttiva. I.;investimento produttivo esterno alla città -ma anche delle multinazionali- si attenua. La dinamicità delle organizzazio­ ni sindacali dei lavoratori ha innalzato i costi del lavoro. l gruppi nazionali e internazionali manifatturieri non trovano più molto conveniente continuare ad operare nella provincia di Latina. Altri paesi con manodopera a più basso costo consentono loro di rea­ lizzare migliori profitti. I.;alto costo dell'energia, dovuto alla crisi petrolifera e ai ritardi nella politica delle risorse energetiche, con­ tribuisce a rendere ancor meno remunerativo un investimento di tipo tradizionale, con bassi tassi di capitale e largo impiego di ma­ nodopera. Le imprese più solide e più difficilmente "trasportabi­ li" per i costi proibitivi dei trasferimenti continuano ad operare nell'Agro pontino. Sul piano macroscopico si ha la sensazione di una fase di rovesciamento delle tendenze affermatesi: si pensa in qualche modo ad una "deindustrializzazione" dell'apparato pro­ duttivo. La grande industria, infatti, va in crisi e abbandona il ter­ ritorio, creando problemi di disoccupazione inediti nella città. Per contro, comincia a dare segni di una propria consistenza una ini­ ziativa imprenditoriale locale. Si tratta di imprese medie e, per lo più, piccole operanti in settori nuovi: servizi, informazione, assi­ stenza tecnica. Esse sono al tempo stesso il segno della crisi del vecchio modello produttivo e le prime anticipazioni del nuovo. Nel corso degli anni, infatti, si è formato un nucleo di qùadri e dirigenti tecnici e imprenditoriali. Ora, di fronte alla crisi, come succede anche in altre realtà industriali italiane, essi giocano la carta dell'iniziativa in proprio. I settori nuovi e non ancora occu­ pati da grandi gruppi industriali ed economici diventano in qual­ che modo l'unico campo nel quale essi possono cimentarsi. La frammentazione del sistema industriale induce una crisi nel­ le relazioni sindacali. eorganizzazione dei lavoratori, appena giunta alla maturità, deve fare i conti con una crisi occupazionale notevole. Gli obbiettivi della crescita e delle riforme sociali sono man mano accantonati per gestire la difesa del posto di lavoro e, in qualche caso fortunato, la riconversione produttiva delle imprese. La crescita quantitativa del terziario burocratico, invece, non 65

trova soste. Proprio all'inizio degli anni settanta, con la creazione delle regioni, si moltiplicano i centri di potere. La politica delle ri­ forme e la diffusione capillare dello stato assistenziale recupera in qualche modo la perdita di occupazione industriale. Nel corso del periodo 1970-85 si osserva la crescita e la diffusione di un nuovo personale politico. Le3ato allo stato assistenziale, esso trova nella gestione dei servizi sociali la fonte del proprio potere. Rispetto alle fasi precedenti, l'azione del sistema politico comincia tuttavia a dare segni di presenza per una sua più forte invadenza in ogni set­ tore della vita sociale. eautonomia della politica non solo viene interpretata come preminenza del politico nelle funzioni di gover­ no, ma queste stesse funzioni perdono -se mai in qualche modo a Latina le hanno avute- la dimensione progettuale e culturale tra­ sformandosi in mera funzione di ridistribuzione delle risorse esi­ stenti. Ciò stride fortemente con le esigenze culturali ed economi­ che dei cittadini (per cui cfr. Capitolo 9), i quali avvertono la man­ canza di una seria funzione di governo. La città tuttavia cresce. Il livello di scolarizzazione si innalza e le domande di servizi diven­ tano più qualificate. I n concomitanza con il cinquantesimo anni­ versario della fondazione della città una serie di manifestazioni hanno tentato di porre sul tappeto alcune di tali questioni. eim­ passe attuale consiste in una difficile situazione di trapasso: da un lato emergono esigenze di una maggiore qualificazione della città, sia in senso economico che culturale, dall'altro vi è grande incer­ tezza nell'indicare un quadro generale di movimento verso una più chiara identità cittadina. Nel corso delle fasi precedenti, l'agricol­ tura, prima, e l'industria, dopo, hanno indicato la via da seguire. Ora si vive una fase di incertezza che non può essere superata con le parole d'ordine o con gli slogan semplicistici. Non avere dotato la città di una sede universitaria, ad es., non ha consentito una cre­ scita e una qualificazione culturale possibile già dall'inizio degli anni settanta. Non puntare sulla creazione di centri per la ricerca e la sperimentazione nell'agricoltura e nel campo della commer­ cializzazione può cominciare a diventare un ulteriore segno di de­ bolezza. La mancanza di qualificazione può indurre la perdita delle energie più dinamiche della città (cfr. per questo giudizio il Capitolo 8) e produrre una stagnazione e un'involuzione del siste­ ma sociale cittadino. In effetti in questa fase della storia della città si producono fe66

nomeni contraddittori. Da una parte, anche attraverso un'analisi della famiglia (9), si p uò constatare una crescente modernizzazio­ ne degli stili di vita familiare, dall'altro l'autonomia dei singoli per l'impossibilità di trovare un'occupazione- non cresce. La fami­ glia rimane ancora l'ambito primario della vita di relazione dei singoli, configurando una sorta di familismo all'interno di una so­ cietà che per altri versi invece sembra ormai assestata su orienta­ menti culturali decisamente moderni. Sulla base di alcuni indica­ tori, infatti, si potrebbe essere tentati di connotare come post­ industriale o post-moderna l'attuale organizzazione sociale della città. Una più attenta analisi di altri indicatori, invece, suggerisce ipotesi più articolate. Se risulta indubbio che tra i giovani appaio­ no segni consistenti di un orientamento culturale fondato sull'au­ tonomia individuale (e tuttavia anche sulla protezione in mancan­ za di chances occupazionali), su una buona qualità della vita, su valori di autenticità e integrità personale, nelle generazioni più mature si dà un mix di orientamenti culturali moderni e tradizio­ nali. La stessa modernità, talvolta, è vissuta nei suoi aspetti de­ teriori. Dal punto di vista sociale e culturale l'attuale fase della vita del­ la città è caratterizzata dalla crescita dei fenomeni di frammenta­ zione. Dalla produzione alle aggregazioni associative ai comporta­ menti sindacali e politici sembra affermarsi uno stile di vita teso alla differenziazione. In questo, la città non è diversa da tante al­ tre. Se esso tuttavia non nasce da un fondo di precedenti valori e stili di vita generalmente condivisi, in una città cresciuta rapida­ mente soprattutto per mezzo dell'apporto consistente della popo­ lazione immigrata, il rischio è di rendere impossibile o comunque più lento e difficile il processo d'integrazione. La pluralità di ener­ gie e di orientamenti culturali, se non trova dei punti di sintesi va­ loriale e di integrazione, può trasformarsi in una forza negativa e distruttiva. Questi trends emergono anche da alcuni dati statistici. Infatti, nel periodo che andiamo considerando, la struttura sociale di La­ tina comincia a perdere alcuni caratteri tipici della città soggetta ad intensa immigrazione. Il peso della popolazione giovanile sulla 9. Per cui c fr. dello scrivente il Capitolo 3 del Rapporto generale di ricerca inviato al Cnr.

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popolazione complessiva della città, ad es., va attenuandosi. Vice­ versa, la presenza di anziani comincia a giocare un ruolo impor­ tante nella società cittadina, ponendo problemi che nelle fasi pre­ cedenti o non esistevano o avevano un peso molto minore. La pre­ senza di famiglie polinucleari -tipiche del periodo dell'insedia­ mento colonico- nel curso del tempo si avvicina a quella della pro­ vincia. Tra i settori economici si va stabilendo un diverso rappor­ to: gli addetti nell'agricoltura scendono dal 1971 al 1981 al 9.5 0Jo del totale; gli addetti all'industria scendono al 35.80Jo e gli addetti nel terziario salgono al 54.7 %. Questi dati diventano ancora più significativi se osserviamo che la diminuzione degli addetti nell'a­ gricoltura è accompagnata da ulteriore specializzazione nella pro­ duzione; la crescita di 10 punti percentuali nel terziario non rap­ presenta unicamente il rigonfiamento del settore burocratico e as­ sistenziale, ma anche la comparsa di un settore industriale moder­ no (informazione, assistenza nell'uso generalizzato delle nuove tecnologie). I dati sull'istruzione infine mostrano l'alto livello cul­ turale raggiunto dalla città e i nuovi bisogni emergenti da questo nuovo tipo di popolazione.

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Tab. l. Popolazione della città dal 1936 al 1981

1 9.654 3 5 . 1 87 49.331 78.210 93 .738 103 .230*

1 936 1951 1 961 1971 1981 1987



Popolazione al 26 novembre 1987.

Tab. 2. Ripartizione della forza lavoro nei settori produttivi. Valori percentuali

Agricoltura Industria Terziario Totale

1 936

1951

1961

1971

1 981

71.5 1 8.0 10.5

5 1 .0 2 1 .0 28.0

25 .5 36.5 38.0

12.6 42.2 45 .2

9.5 3 5 .8 54.7

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

Elaborazione di M.R. Bonacci su fonti Istat.

Tab. 3. Composizione media della famiglia

Latina Prov. di LT Lazio Italia

1 936

1951

1961

1971

1 981

7.53 4.87 4.33 4.29

5 .45 4.56 3.96 3 .97

4.47 4.05 3 .67 3.63

3 .80 3.36 3.37 . 3.35

3.18 3 .28 3 .03 3 .01

Fonte: Istat, Censimenti; Cortese (1 985)

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Tab. 4. 1981. Tipologia della famiglia. Confronto con i dati provinciali e naziona­ li. Valori percentuali

Latina tipo di famiglia (l) Famiglia tipo Famiglia tipo Famiglia tipo Famiglia tipo

Provincia

Italia

OJo

OJo

OJo

di · A

1 0.66

1 3 .06

1 8 .40

B

1 3 .49

1 6.34

17.10

c

63.37

59.85

53 .30

D

1 2.46

1 0.72

1 1 .20

100.00

100.00

100.00

di di di

Totale

Nostre elaborazioni su fonti Istat.

Tab. 5. Grado di istruzione della popolazio ne residente nel comune di Latina. Va/ori percentuali

Titolo di studio

1951

1961

1 97 1

1981

Nessuno Licenza scuola elementare Licenza scuola media inferiore Diploma scuola media superiore Laurea

25.9

20.3

31.8

1 9.0

62.8

61.5

39.8

37.5

6.3

1 1 .0

1 6.7

25.0

4.0 1 .0

5.8 1 .5

9.5 2.2

1 5.0 3.5

1 00.0

100.0

100.0

100.0

Totale

Elaborazione di M.R. Bonacci su fonti Istat. l. Adottiamo la tipologia seguita dall' Istat: famiglia di tipo A, se composta di solo capo­ famiglia \c0n o senza membri aggregati); famiglia di tipo B, se composta di capofamiglia e coniuge (con o senza membri aggregati); famiglia di tipo C. se composta di capofamiglia, coniuge e figli (con o senza membri aggregati); sono considerate di tipo C anche le famiglie senza coniuge ma con capofamiglia e figli (con o senza membri aggregati); famiglia di tipo D, se composta di capofamiglia, coniuge, figli, ascendenti e/o altri parenti (con o senza membri aggregati).

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3 . I MIGRANTI

3.1. Premessa

Nel Capitolo l. abbiamo già tratteggiato il tipo di immigrazione avvenuto nell'Agro pontino. Tentiamo ora di esplorarne alcune ul­ teriori caratteristiche. Nel primo periodo abbiamo una immigra­ zione "per fame di terra" con ricerca della "sicurezza per mezzo della proprietà" (1). Tuttavia, questa immigrazione, se non è tipica di una società "pianificata", ne ha molti aspetti (2). La prima im­ migrazione presenta dunque un duplice carattere: si muove ancora sulla scia delle migrazioni del XIX secolo per il suo contenuto (la ricerca della sicurezza per mezzo della proprietà della terra) ed al tempo stesso avviene sotto il controllo (rigido) dell'apparato statale. Viceversa, la seconda grande ondata migratoria non ha (appa­ rentemente) tratti così ben definiti. Essa sembra caratterizzarsi per una maggiore libertà di movimento dei singoli. In realtà, la sua predeterminazione è lontana. Essa si è concretizzata nei provvedi­ menti legislativi che, assicurando incentivi per l'insediamento di industrie nell'Agro pontino, ha posto le condizioni per il trasferi­ mento di manodopera generica dai comuni della provincia e dal l. Così nella ti pologia costruita da Alberoni e Baglioni, op.cit., viene considerata l'immi­ grazione del XIX secolo descritta da O. Handlin ne Gli stradicati, cit. 2. Se non si può dire che il fascismo opera in una società piani ficata, è indubbio che esso tenti la carta del controllo della migrazione. A questo doveva servire il Commissariato per le migrazioni interne creato con la legge 1358 del 9/4/ 1 93 1 . ll regime cerca di organizzare una sua mobilità della popolazione per impedire il fenomeno della concentrazione urbana. La bonifica nell'Agro pontino tenta di assolvere questo compito: dare la terra agli emigran­ ti, ma in un quadro sociale controllato e ordinato. Sulla necessità del controllo dei movi­ menti migratori in una società pianificata cfr. A.H. Richmond, op.cit., p.240.

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Meridione. Qui, i lavori non trovano le possibilità di costruire un proprio "progetto di vita", come invece sembra offrire la città in­ dustriale e l'Agro pontino. Si attiva in questo modo anche una "catena migratoria" tra le regioni protagoniste della prima ondata migratoria (Veneto e Friuli) e Latina. Si apre inoltre la possibilità dell'emigrazione inversa, dal Nord al Sud, per quadri e dirigenti d'azienda. Questa ondata migratoria ha come contenuto il lavoro. Per alcuni, come abbiamo già accennato, essa si configura solo come una fase nel ciclo della carriera, per altri essa si presenta co­ me la ricerca di un "posto di lavoro e di un salario fisso" intorno al quale organizzare un nuovo tipo di esistenza (3). Dal campione complessivo degli intervistati abbiamo enucleato un sottocampione relativo agli immigrati. Intendiamo sondare il periodo del trasferimento, le motivazioni, le forme di solidarietà manifestatesi in questa fase. Faremo inoltre un breve cenno alla mobilità occupazionale e, infine, cercheremo di trarre un giudizio conclusivo sul significato complessivo che la migrazione assume per questi intervistati.

3.2. L'emigrazione. Motivazioni e solidarietà

Non tutti gli intervistati della nostra ricerca, ovviamente, arriva­ no a Latina provenienti da un altro luogo: i nati nella città sono 1 36, pari al 27.2o/o del campione. Gli altri, i migranti, si sono tra­ sferiti in epoche diverse, in relazione all'andamento produttivo e allo sviluppo della città (cfr. la Tabella 1). I periodi di più intensa immigrazione risultano infatti collegati allo sviluppo produttivo della città. In relazione agli altri periodi, i trasferimenti avvenuti fino al 1 939 non sembrano cospicui. Ciò tuttavia è abbastanza ovvio. Col tempo, buona parte dei primi co­ loni sono morti e l'incidenza sull'esperienza dell'emigrazione da 3. Sembra anche qui funzionare, con qualche ritocco marginale, la teoria dei tipi di im­ migrazione di Alberoni e Baglioni (cfr. op.cit., pp.273-373). Pare anche opportuna l'appli­ cazione della teoria della socializzazione anticipata applicata all'emigrazione, con le diffe­ renze già segnalate nel Capitolo l. A Latina infatti l'immigrato non trova una società cultu­ ralmente integrata. La sua disponibilità all'integrazione, così appare alla luce della nostra ricerca, è tuttavia generalizzata. Ognuno è emigrato. Si configura pertanto una società per definizione, in via di principio e allo stato iniziale, "aperta".

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parte di coloro che sono ancora in vita può apparire non più così significativa. Se invece si tiene conto delle fasce d'età più anziane e del tipo di motivazione, Ci si può rendere conto di quanto ancora essi contribuiscano all'orientamento culturale della città. Per gli altri, invece, il rapporto tra periodo del trasferimento e sviluppo produttivo della città è molto significativo. Nel periodo 1961-70, con la maturità della struttura produttiva industriale, si raggiunge la più alta percentuale di trasferimenti. È da notare, tuttavia, che l'immigrazione non si arresta neppure nel periodo di crisi successi­ vo al 198 1 , periodo che viene del resto dopo una fase di arresto dello sviluppo che risale al 1 976. Da ciò si ricava la conferma del rapporto esistente tra immigrazione e possibilità occupazionali. I..; occupazione -e tutto ciò che ad essa è connesso- si rivela il moti­ vo a fine del quale la mobilità territoriale avviene. Tale collegamento con l'andamento produttivo è reso ancora più esplicito dalle motivazioni del trasferimento (cfr. la Tabella 2). Il 7 o/o degli intervistati immigrati dichiara di essersi trasferito per lavorare le terre bonificate. Il 10% invece dichiara di averlo fatto per vivere in una "città nuova"; il 20% molto semplicemente di­ chiara che a Latina poteva trovare lavoro; infine, il 43 o/o si è trasfe­ rito a seguito della famiglia. Il questionario poneva la questione del lavoro al centro della motivazione del trasferimento. Dalla ricerca di sfondo e dalle in­ formazioni raccolte in diverse direzioni, il lavoro è risultato il pun­ to intorno a cui ha ruotato e ruota tutta l'esperienza della città. La nostra stessa ipotesi sull'integrazione sociale poggia sull'idea che il lavoro svolga ancora il ruolo principale nei processi di inte­ grazione. Abbiamo tuttavia cercato di individuare altre motivazio­ ni. Tra le indicazioni possibili solo il lO% ha fornito come motiva­ zione il desiderio di fare esperienza in una "città nuova". I più in­ fatti hanno preferito dare motivazioni che mettono in risalto il fat­ to che, per loro, trasferirsi a Latina non è stata una scelta, ma o una conseguenza di scelte altrui oppure una costrizione dovuta al­ le più disparate circostanze. Nelle domande successive si cerca di cogliere le forme nelle qua­ li è avvenuto il trasferimento: se cioè gli intervistati sono immigra­ ti a Latina in famiglia, da soli oppure con amici. S i trattava tra l'altro di verificare di quali solidarietà essi si sono giovati nel re­ carsi a vivere a Latina (cfr. la Tabella 3). 73

La grande maggioranza degli intervistati è immigrata a Latina

con la propria famiglia. Già nella domanda precedente, nella ri­ cerca della motivazione, abbiamo trovato questo ruolo decisivo della famiglia. [;altra quota importante è relativa al trasferimento da soli. Ciò consente di concludere che, sostanzialmente, sono due le modalità del trasferimento: o da soli o con la famiglia (4). Sono infatti trascurabili sul piano statistico le indicazioni relative al tra­ sferimento "con amici" o ad "altro". Successivamente si tende ad accertare l'esistenza e il funziona­ mento di una "catena migratoria" e di una "catena della solidarie­ tà" (cfr. la Tabella 4). I l 4007o circa di coloro che sono emigrati a Latina ha avuto con­ tatti precedenti con amici o parenti. Alcuni di loro (il 23 07o dell'in­ tero sottocampione) si sono giovati anche dell'aiuto di queste per­ sone. Tra le forme di solidarietà prestata ai nuovi immigrati da parte dei loro amici e parenti spiccano la ricerca del lavoro, la ri­ cerca della casa e la più generica forma consistente nel facilitare l'inserimento. Se nel complesso è bassa la percentuale delle persone che hanno potuto giovarsi di un aiuto da parte di amici o parenti, occorre ri­ conoscere che, quando esso c'è stato, è intervenuto su questioni importanti. Infatti, tra quanti sono stati preceduti da altre persone (amici e/o parenti) il 43 % dichiara di non avere ricevuto aiuto. Gli altri sono stati aiutati nel trovare lavoro (23 % ), nel trovare casa (34%), nell'inserimento sociale (38%). Minimo è stato l'aiuto con prestiti in denaro (2% ). Se osserviamo ora da un punto di vista più generale l'immigra4. Ciò consente di osservare profonde analogie con quanto avviene con l'emigrazione nelle città industriali dell'alta Italia. Scrive ad es. L. Cavalli: "Diminuisce nel tempo la pro­ porzione di giovani scapoli venuti a cercare fortuna nel Nord. Diminuisce anche la propor­ zione degli uomini sposati che giungono soli, per farsi seguire dalla moglie e i figli solo più tardi, quando la posizione qui sia un poco consolidata; sono sempre più numerose, in­ vece, le famiglie che giungono al completo, giovani coppie con figli (e, qualche volta, vecchi parenti)"; "dal 1952 al 1961 la percentuale degli 'altri componenti che raggiungono la fami­ glia' scende dal 390Jo al 9%, mentre in proporzione inversa aumentano i " famigliari che giungono coi capofamiglia" (cfr. L. Cavalli, Gli immigrati meridionali e la società ligure, ci t., p.52). Se, nella consapevolezza delle di fferenze di tempo e di luogo, spingiamo il con­ fronto più avanti, possiamo constatare che le modalità del trasferimento individuate dal Cavalli sono percentualmente le stesse trovate da noi (Liguria: 8 1 . 2 % in famiglia e 1 8.7% da soli; Latina: 81.3% e 16.2%). Un indicatore, per così dire, "obbietti vo" di questo aspetto della migrazione a Latina è dato dall'aumento percentuale (dal 1 5 . 5 % al 28.2%) dei "privi di titolo di studio" dal 1961 al 197 1 . Si tratta in fatti dei vecchi al seguito dei figli.

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zione a Latina, possiamo fare alcune considerazioni. La prima ci consente· di verificare prima di tutto alcune affermazioni sul carat­ tere dell' immigrazione. Essa ha avuto al centro la famiglia. Attra­ verso la ricerca delle motivazioni e delle modalità si è potuto con­ statare il ruolo svolto nelle une e nelle altre dai "parenti". Abbia­ mo di proposito usato la dizione generica di "parenti", perché con essa speravamo di cogliere l'eventuale esistenza della solidarità ampia che il gruppo parentale può offrire. Ebbene, se è indubbio che la famiglia è presente con le sue forme di solidarietà consisten­ ti -aiuto nel trovare lavoro e casa- , tuttavia la percentuale di colo­ ro che hanno beneficato di un tale aiuto è minima; essa raggiunge il 2 3 0Jo di coloro che si sono trasferiti a Latina nel corso dei diversi periodi da noi considerati. Se dunque essa svolge un ruolo, questo consiste nel costituire -almeno per un certo periodo- l'unico punto di riferimento significativo per i nuovi immigrati. Ciò appare an­ cora maggiormente significativo se consideriamo il 59% di quanti non sono preceduti da alcuno. Si può concludere, dunque, che la migrazione verso l'Agro pontino è avvenuta per lo più in famiglia con scarsi o nulli riferimenti in luogo. Si è trattato nella gran parte dei casi di una scelta maturata nel luogo d'origine in vista di un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Sembra inoltre di poter riscontrare in questa immigrazione (nel suo complesso, ma quanto stiamo per dire vale soprattutto per la seconda), non solo la motivazione relativa alla necessità di tipo economico­ occupazionale, ma anche una "propensione" a mutare luogo di re­ sidenza, a cambiare vita, ad elaborare un "progetto" esistenziale che nel luogo d'origine si sa di non poter realizzare (5). La migra­ zione, in questo senso, è una risposta al desiderio di miglioramen­ to diffuso nelle società dalle quali si dipartono i migranti. Infatti, in una società "bloccata", come quella meridionale degli anni cin­ quanta e sessanta, nella quale appaiono possibili i mutamenti sociali, la via dell'emigrazione si presenta alla fine come l'unico modo per mutare non solo la propria condizione economica, ma



5 . Forse vale anche per gli immigrati di Latina quanto R. Bauer affermava per gli immi­ grati meridionali di Torino. Si tratta, egli diceva, di un "calcolato esodo, deciso in funzione di una rilevata, meditata e riconosciuta convenienza" (cfr. R. Bauer, Lè premesse cu1t& rali della integrazione degli immigrati in un grande centro industriale, Aa. Vv., Immigrazione e industria, cit., p.! l). Ciò, come affermano Alberoni e Baglioni, op.cit., dovrebbe predi­ sporre positivamente l'immigrato all'integrazione.

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la propria intera esistenza (6). Passiamo ora a considerare da un altro punto di vista questi problemi per tentare di scorgere analogie o diversità nell'esperien­ za dei migranti dei diversi periodi. Per ottenere queste informazio­ ni abbiamo incrociato le risposte alle domande relative al trasferi­ mento, alla motivazione e alla solidarietà con il luogo di prove­ nienza degli intervistati. Se dunque riprendiamo la domanda relativa al periodo del tra­ sferimento a Latina e la incrociamo con il luogo di provenienza (cfr. la Tabella 1), possiamo constatare che la distribuzione per­ centuale degli intervistati tra le aree geografiche italiane ripercorre le tappe dell'immigrazione a Latina. I nfatti, la distribuzione tra i gruppi regionali e le aree segue l'andamento che ormai abbiamo tracciato. Prevalenza netta di immigrati del Nord fino alla secon­ da guerra mondiale e brusca diminuzione successiva caratterizza­ ta da un'immigrazione di richiamo dei gruppi parentali insediatisi nell'Agro pontino. Quando, finita la guerra, si profila la ripresa economica, comincia sulla città la pressione delle popolazioni del­ l'area centrale e meridionale. Dentro queste aree -come ormai sappiamo- la provincia di Latina e la Campania incrementano maggiormente il numero degli immigrati. Questo processo diventa tumultuoso nel corso degli anni sessanta con l'industrializzazione. In questo stesso periodo vi è una nuova ondata migratoria dal Nord. Scendono in Agro pontino non solo tecnici, quadri inter­ medi e dirigenti delle industrie insediatesi nella pianura, ma so­ prattutto una nuova generazione di veneti che si mescolano tra le maestranze delle fabbriche pontine. Come i veneti della generazio­ ne precedente, essi costituiscono il nucleo forte dell'immigrazione del Nord in Agro pontino in questa fase. Nel periodo successivo -in presenza della crisi dell'industria pontina- il flusso migratorio diminuisce, anche se conserva una continuità minima fino al pe­ riodo della nostra rilevazione (ottobre-dicembre 1985). Il nostro campione -costruito sulle variabili del luogo di nascita, del sesso 6. Secondo Alberoni e Baglioni, che riprendono Merton, "l'emigrazione è una rivoluzio­ ne mancata" (cfr. op.cit., p.220). In effetti, la mobilità territoriale e l'emigrazione costitui­ scono per la società un modo per disinnescare i conflitti sociali non compatibili con il man­ tenimento dell'equilibrio sociale esistente. Ciò porta anche alla conciusione che gli emi­ granti non sono solo la parte "povera" della società, ma spesso la più dinamica, che non trova un ruolo adeguato nel luogo d'origine.

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e dell'età- ricostruisce molto fedelmente le tappe del fenomeno mi­ gratorio nell'area pontina. Cerchiamo ora di esplorare se esistono diversità nelle motiva­ zioni della migrazione a Latina (cfr. la Tabella 6). Solo gli immi­ grati dell'area Nord (e una piccola quota dell' Italia centrale) pos­ sono essersi trasferiti per lavorare le terre bonificate. Gli intervi­ stati nati in altre aree mettono l'accento di più sulla possibilità di trovare lavoro o sul fatto che sono emigrati a Latina a seguito dei familiari. Sostanzialmente pari la percentuale di intervistati dell'a­ rea centrale, meridionale e insulare che mette l'accento sul fatto che Latina, come "città nuova", costituiva per loro un luogo in cui vivere. Tra le altre motivazioni prevale la finalità pura del lavoro. Per quanto riguarda le forme della migrazione, non vi sono grandi differenze di comportamento tra le grandi aree geografiche di provenienza. I..: 8 8 0Jo dei nati nelle regioni settentrionali sono ve­ nuti a Latina in famiglia. Conosciamo ormai anche i motivi di tale trasferimento e conosciamo anche le modalità. Per i coloni -come abbiamo affermato più volte- non solo era indispensabile venire nell'Agro pontino con la famiglia, ma era soprattutto necessario che la famiglia fosse numerosa e disponesse di buone braccia per il lavoro dei campi. Più basse sono le percentuali relative ai nati nelle regioni dell' Italia centrale. Conosciamo anche qui la motiva­ zione e abbiamo più volte accennato ai flussi migratori dai comu­ ni della provincia verso Latina. Sia nella prima fase sia nelle suc­ cessive le migrazioni sono avvenute in famiglia. La percentuale è in questo caso dell'8 1 % . Più bassa invece è nel caso dei nati nelle regioni meridionali. Essa infatti è del 74%, mentre quella dei ve­ nuti da soli raggiunge il 24% contro il 17% dei nati nelle regioni centrali e 1'8% dei nati nelle regioni settentrionali. Trascurabile è infine la quota relativa al trasferimento insieme agli amici (rispet­ tivamente: 3 OJo per il Nord, l% per il Centro\e per il Sud) e della indicazione relativa ad altre modalità di trasferimento. La domanda relativa a contatti con persone precedentemente trasferitesi a Latina fa invece emergere comportamenti differen­ ziati tra i nati nelle aree geografiche che abbiamo già considerato. La più alta percentuale di persone non precedute da parenti e da amici è dell'area Nord. Ciò è dovuto al fatto che gli immigrati del Nord contengono una buona parte di coloni che vennero al mo­ mento dell'insediamento. Non potevano pertanto essere stati pre77

ceduti da altri. La percentuale di questi casi è del 75 o/o per il Nord. Essa è tuttavia alta anche per le altre aree: 5 3 % per l'area centrale e 5 5 % per l'area meridionale (maggioritaria anche la quota relati­ va alle Isole e all' Estero) . Sono invece stati preceduti da parenti il 1 7 % dei nati nel Nord, il 3 1 0Jo dei nati nelle regioni dell'Italia cen­ trale e il 29% dei nati nelle regioni meridionali. La catena della informazione e dell'aiuto, infatti, è più alta per i nati in queste re­ gioni per le stesse ragioni per le quali per i nati nel Nord è bassa. Dalle regioni dell' Italia centrale -ma soprattutto dalla provincia di Latina- e dalle regioni meridionali e dalle Isole i migranti sono ar­ rivati con il proprio gruppo familiare uno alla volta, una famiglia alla volta. È stato così possibile in alcuni casi -quando !e condizio­ ni economiche lo permettevano, quando vi erano possibilità di trovare lavoro- organizzare la catena della informazione e della solidarietà. Nel complesso le persone precedute da "amici e paren­ ti" e "amici" sono 1'8% tra i nati a Nord, 1 6 % tra i nati nelle re­ gioni centrali e 14% tra i nati nelle regioni meridionali e nelle Isole. Tra coloro che hanno ricevuto una qualsiasi forma di aiuto i na­ ti al Nord sono 1'1 1 %, i nati nelle regioni dell'Italia centrale il 38%, i nati nel Meridione e nelle Isole il 280Jo.

3.3. Permanenza della solidarietà

Per quanto riguarda la durata nel tempo dei rapporti dei mi­ granti con le persone con cui sono venuti a contatto nel periodo del trasferimento e/o dalle quali hanno ricevuto una delle forme di aiuto sopra discusse, vi sono comportamenti diversi tra i due gruppi. Coloro che ebbero contatti, ma non aiuto, conservano rapporti frequenti nel 26% dei casi, saltuari nel 390Jo, sporadici nel 1 8 %. Pari al 1 8 % è pure il numero di quanti non hanno più alcun rapporto. Coloro che invece ebbero una qualche forma di aiuto conservano rapporti frequenti nel 57% dei casi, saltuari nel 19% e sporadici nel 1 5 % dei casi . Un test particolare su quanti so­ no stati preceduti dai parenti ci consente di osservare che un quar­ to di quanti non furono da questi aiutati conserva con loro rap­ porti frequent�. Quanti invece furono aiutati hanno con i loro pa­ renti rapporti frequenti per il 5 7 % dei casi, saltuari per il 12% e 78

sporadici per il lOOJo . Non ha più alcun rapporto con i parenti dai quali ricevette aiuto il 19% dei casi. Per quanti hanno diradato o interrotto i rapporti, si è trattato di un semplice primo contatto necessario per avviare la vita nel nuovo contesto urbano e nulla di più. Per gli altri si tratta di una permanenza che ha un importante significato sociologico. Sono due modalità specifiche di configurare i propri rapporti sociali. Esse fanno riferimento, probabilmente, ad una ricerca di più am­ pie relazioni sociali per gli uni e ad un bisogno di sicurezza negli altri. Per i primi, la cerchia iniziale si presenta ovviamente troppo ristretta; per i secondi essa, in quanto per lo più costituita da pa­ renti, assicura forme di solidarietà inesistenti in una più vasta cer­ chia sociale. In ogni caso, i dati consentono di valutare se e in qua­ le misura ".. nella città .. il vecchio clan e i gruppi parentali si rom­ pono e vengono sostituiti da un'organizzazione sociale basata su interessi razionali e predilezioni di temperamento" (7). Se conside­ riamo i tipi di relazioni sociali costruiti nella città dagli intervista­ ti, possiamo concludere che la quota di coloro che tendono a mantenere un rapporto stretto con la cerchia dei parenti è pari al 3 8 % di quanti, venendo a Latina, usufruirono, se non di aiuto, al­ meno della catena dell'informazione dei propri parenti. Rispetto al sottocampione dei migranti quest'area di intervistati rappresen­ ta il 1 5 % e rispetto al campione complessivo l' l l %. I.:articolazione di questi dati per aree regionali è significativa solo per l'area dell' Italia centrale. In questo gruppo di intervistati il distanziamento dalle persone con cui si ebbe il contatto nel veni­ re a Latina raggiunge il 30% dei casi (rapporti sporadici e interru­ zione di rapporti); la permanenza delle relazioni con la cerchia delle persone che informano o in qualche modo aiutano è pari al 40% (rapporti frequenti); infine, un quarto ci �a ha mantenuto rapporti saltuari. In conclusione si potrebbe dire che mantengono il rapporto il 40% degli intervistati; lo diradano (rapporti saltuari) il 25%; si di­ staccano (rapporti sporadici o addirittura assenti) il 300Jo.

7. Cfr. R .E . Park, " H urna n Migration a n d Marginai Man", i n A merican Journal oj So­ ciology, 6, vol. XXXIII, 1928, pp.881-893 citato dall'antologia sullo straniero di S. Tabboni (ed.), Vicinanza e lontananza, Angeli, Mi lano, 1986, p.205.

79

3.4. La migrazione: un successo parziale

A conclusione di questa esplorazione relativa all'esperienza del­ la migrazione pare opportuno soffermarsi sul significato che essa ha per ognuno dei migranti. Si tratta ora di enucleare un giudizio complessivo degli intervistati sul senso del loro trasferimento a Latina, se lo giudicano ancora reversibile oppure irreversibile. Per far questo non abbiamo posto una domanda diretta, ma utilizzato due diversi indicatori: la soddisfazione per l'attuale condizione professìonale e la disponibilità -se ce ne fosse l'opportunità- a la­ sciare Latina (8). Attraverso questa via ci è parso di poter accedere anche ad un giudizio sul successo o sull'insuccesso dell'operazione complessiva della migrazione per ognuno degli intervistati. Pur trattandosi di una loro autopercezione (si esprime più un giudizio a partire dai problemi individuali, che non un'opinione sUlla realtà sociale), la conclusione generale non può non riguardare pure la città. Se, infatti, parti importanti di questo campione di migranti esprimono un giudizio positivo o, viceversa, negativo sulla propria esperienza nella città, questo diventa un considerevole elemento di valutazione sui rapporti in essa esistenti. Gli uomini del nostro campione di immigrati a Latina esprimo­ no soddisfazione per la propria condizione professionale in 128, pari al 75f1/o. Sono insoddisfatti in 43, pari al 2 5 f1/o. Ciò vale indi­ pendentemente dal periodo in cui si sono trasferiti a Latina e dalla motivazione per cui sono venuti, eccezion fatta per coloro che so­ no arrivati a Latina prima del l939 per lavorare le terre bonificate, tra i quali gli insoddisfatti superano i soddisfatti (5 insoddisfatti contro 3 soddisfatti) e per coloro che nello stesso periodo sono ve­ nuti a seguito dei familiari, t ra i quali i l rapporto soddisfatti e in­ soddisfatti è pari (4 contro 4). Le donne del campione trasferitesi a Latina sono 1 87. Di esse, 1 3 5 (pari al 72f1/o) si dichiarano soddisfatte della propria condizio­ ne professionale e 52 (pari al 29f1/o) insoddisfatte. Ciò vale -e senza eccezioni- indipendentemente dalla motivazione del trasferimento 8. Questi temi saranno più ampiamente trattati nei capitoli successivi. Qui essi funziona­ no solo da indicatori per ricavare il giudizio sul senso della migrazione. Più che un'opinio­ ne generica, infatti, essi indicano con chiarezza, da un lato, l'inserimento nell'attività pro­ duttiva (e, dunque, il successo rispetto ad un'importante finalità della migrazione) e, dal­ l'altro, l'attaccamento al nuovo mondo sociale.

80

e dal periodo di immigrazione. Viceversa, il rapporto tra luogo di provenienza e soddisfazione per la condizione professionale mostra un quadro diverso. I nati in Sardegna sono in maggioranza insoddisfatti: un terzo sono i soddisfatti e due terzi gli insoddisfatti; lo stesso rapporto tra sod­ disfatti e insoddisfatti si ritrova tra le risposte dei nati in Basilica­ ta. I nati in Umbria sono metà soddisfatti e metà insoddisfatti. Sono oltre la metà i nati in Sicilia soddisfatti della propria condi­ zione professionale; più della metà sono pure i nati nel Veneto. So­ no alte invece le percentuali di soddisfatti tra tutti gli altri gruppi regionali (cfr. la Tabella 6). Per quanto riguarda la disponibilità a lasciare Latina, invece, il sottocampione dei migranti risponde per il 340Jo che se ne andreb­ be (9). l?analisi delle risposte per aree geografiche di provenienza degli intervistati (cfr. la Tabella 7) mostra che i migranti venuti dall'Italia settentrionale esprimono un più forte attaccamento alla città. Essi sono seguiti dai meridionali e dai nati nell'Italia centra­ le. In ogni modo, le percentuali di quanti non lascerebbero Latina so'no abbastanza alte tra tutti i gruppi regionali. Se consideriamo invece il rapporto con il periodo di immigra­ zione possiamo vedere una diversità di atteggiamento tra i diversi gruppi. I migran�i del primo periodo, nati prevalentemente al Nord, hanno ormai un'età avanzata. Ovviamente non pensano di tras fe­ rirsi più in alcun luogo. Viceversa, tra gli ultimi arrivati, è maggio­ re il disagio. Di qui la divisione a metà tra chi vuole andarsene e chi vuole restare. Negli altri casi, la percentuale di coloro che vo­ gliono andarsene oscilla tra il 27 0Jo e il 390Jo. Un particolare test volto a saggiare l'incidenza congiunta o differenziale della soddi­ sfazione professionale e della qualità dei rapporti sociali �i mette in condizione di concludere che gli intervistati soddisfatti della propria condizione professionale disposti a lasciare Latina presen9. Nonostante la di fferenza di tempo e di luogo e la diversa costruzione dei campioni pare comunque opportuno segnalare alcuni dati relativi ad altre ricerche: -Alberoni­ Baglioni, op.cit., " Lei pensa di rimanere definitivamente a Milano?": Si, 75.41l7o ; Tempora­ neamente, 1 2 .3 1l7o; Incerto, 1 1 .70Jo; Non risponde, 0.41l7o; -I RES, Immigrazione di massa e struttura sociale in Piemonte, Torino, 1 963: il 49% degli intervistati esprime disponibilità al ritorno; -F. Crespi, op.cit. (campione di 209 operai di Pomezia): "Si trova bene a Pome­ zia o cambierebbe volentieri res idenza?" Si trova bene, 84.4%; No, 8 0Jo ; Non risponde, 1 2.5%.

81

tano rapporti sociali cattivi (somma di non soddisfacenti e pessi­ mi) per il 23 0Jo dei casi; viceversa, il 3 5 0Jo degli intervistati che giu­ dicano negativamente i loro rapporti sociali non si dichiara dispo­ sto a lasciare Latina. La qualità dei rapporti sociali, allora, è deci­ siva nella propensione a lasciare Latina solo per il 300Jo di quanti -soddisfatti per il proprio lavoro- si esprimono sulla loro disposi­ zione ad andarsene dalla città. Non si notano particolari differen­ ziazioni tra i migranti dei diversi periodi. Tra coloro che non sono soddisfatti della propria condizione professionale, invece, la catti­ va qualità dei rapporti sociali diventa una motivazione aggiuntiva nella propensione a lascic.re la città. Infatti, tra coloro che, non es­ sendo soddisfatti della propria condizione professionale, dichiara­ no propensione a lasciare la città, la qualità cattiva dei rapporti sociali è presente nel 17 OJo dei casi. Viceversa, tra coloro che, non essendo soddisfatti della propria condizione professionale, non sono disposti a lasciare la città, i casi dichiarati di cattiva socialità sono il 1 5 0Jo. Ciò vuoi dire che, a parità di insoddisfazione per la propria condizione professionale, una buona socialità tende a di­ minuire la propensione a lasciare la città. Ciò naturalmente è vero anche per gli intervistati soddisfatti della propria condizione pro­ fessionale. Senza entrare per ora nel merito delle motivazioni dell'una e dell'altra risposta -cosa a cui saranno dedicate più in là specifiche analisi- è evidente che nel complesso l'operazione del trasferimen­ to è riuscita nella maggioranza dei casi. Naturalmente, il giudizio va approfondito. È chiaro tuttavia che, visto dai diversi punti di osservazione da cui abbiamo cercato di guardare noi, nella mag­ gior parte dei casi la gente -provenendo da diverse regioni in diver­ si periodi della storia della città- non è dispiaciuta di averlo fatto. Rimane, certo, la pur ancor ampia fascia di quanti, indipendente­ mente dalla soddisfazione per la propria condizione professiona­ le, esprimono la propensione ad abbandonare la città. Nel Capito­ lo 8 cercheremo di comprendere le motivazioni di questo gruppo di intervistati.

82

Tab. l. Periodo di immigrazione a Latina per aree geografiche di provenienza degli intervistati. Valori percentuali

Periodo di immigrazione

l.

2. 3. 4. 5. 6. 7.

fino al 1 939 dal 40 al 45 dal 46 al 5 0 dal 51 al 60 dal 61 al 70 dal 71 al 80 dal 8 1 in poi

Totale

Nord Italia

Centro Italia

Sud Isole

Totale

61.8 1 .6 1 .6 10.0 18.3 6.7

7.2 4.1 7.2 18.3 36.1 23.6 3.5

2.6 2.6 9.5 16.4 47.4 17.2 4.3

14.4 3 .0 6.8 16.2 3 7 .8 1 8 .4 3 .4

1 00.0

100.0

1 00.0

100.0

Tab. 2. Motivazione del trasferimento a Latina. Valori percentuali

Motivazioni

OJo

l. per la prospettiva di lavorare e di ottenere terre bonificate 2. per poter vi vere e lavorare in una città nuova 3. perché qui si sono trasferiti i miei familiari 4. perchè qui pensavo di trovare lavoro 5. non ho deciso, sono stato costretto da diverse circostanze 6. altro

7.4 10.7 42.9 1 1 .9 19.7 7.4 100.0

Totale

83

Tab. 3. Modalità del trasferimento per il sesso degli intervistati. Valori percentuali

Modalità del trasferimento

Uomini

Donne

Totale

l. da solo 2. in famiglia 3. con amici 4. altro

26.1 70.9 1 .8 1 .2

7.4 90.6 1 .0 1 .0

6.2 8 1 .3 1 .4 1 .1

100.0

100.0

100.0

Totale

Tab. 4. Intervistati preceduti da amici o parenti ripartiti secondo il sesso

Amici e parenti Solo amici Solo parenti Né amici né parenti Totale

Uomini

Donne

Totale

7.7 8.8 24.7

9.0 3.7 3 1 .2

8.4 6.1 28.1

58.8

56.1

57.4

1 00.0

100.0

100.0

84

Tab. 5. Motivazioni dell'immigrazione a Latina ripartite per le aree geografiche di provenienza degli intervistati. Valori percentuali

Motivo di immigrazione l. per la prospettiva di lavorare e di ottenere le terre bonificate 2. per poter vivere e lavorare in una "città nuova" 3 . perchè qui si sono trasferiti i miei familiari 4. perchè qui pensavo di trovare lavoro 5. rio n ho dee iso, sono stato costretto da diverse circostanze 6. altro Totale

Nord Italia

Centro Italia

Sud Isole

Totale

35.0

3 .0

0.9

7.5

5 .0

1 2.7

12.1

10.7

41.6

43.0

43.1

42.8

3 .4

1 2.2

1 5 .5

1 1 .8

1 0.0 5.0

20.6 8.5

2 1 .6 6.8

19.7 7.5

100.0

100.0

100.0

100.0

Tab. 6. Soddisfazione per la condizione professionale per aree geografiche di provenienza degli intervistati. Valori percentuali

Soddisfatti I nsoddisfatti Non risponde Totale

Nord Italia

Centro Italia

Sud Isole

Totale

7 1 .7 28.3

72.0 25.0

70.7 28.4

72.0 26.0

3 .0

0.9

2.0

100.0

100.0

1 00.0

100.0

85

Tab. 7. Disponibilità a lasciare Latina per aree geografiche di provenienza degli intervistati. Valori percentuali

Lascerebbe Latina Non lascerebbe Latina Non risponde Totale

Nord Italia

Centro Italia

Sud Isole

Totale

26.7

35.9

37.1

3 3 .8

73.3

63.0

62.9

65.7 0.5

1 .1 100.0

10.0

86

100.0

1 00.0

4. TRADIZIONE CULTURALE E

INTEGRAZIONE SOCIALE

4.1. Premessa

�analisi del rapporto che gli intervistati hanno con il proprio pae­ se o città d'origine ci consente di vedere se le culture tradizionali favoriscono o impediscono la loro integrazione sociale. Conoscia­ mo già la grande d \spersione geografica, etnica e culturale degli abitanti di Latina. Si tratta di vedere ora se nel nuovo contesto ur­ ban o le culture regionali svolgono ancora un ruolo attivo per gli intervistati o se, viceversa, sono già state erose e distrutte dai pro­ cessi di razionalizzazione e modernizzazione sociale. Più in gene­ rale, si tenterà di comprendere se i modelli culturali tradizionali portati a Latina dagli immigrati abbiano trovato un equilibrio con i modelli razionali e moderni introdotti nella produzione agricola, prima, e industriale, dopo; oppure se essi non siano andati di­ strutti nello scontro con la modernità. Per converso, ciò comporta l'analisi dei processi d'integrazione e dei modelli culturali entro i quali i comportamenti e gli stili di vita hanno trovato norme e va­ lori comuni. Da un lato infatti diventa necessario seguire il proces­ so di disattivazione delle culture locali portate a Latina da ognu­ no, dall'altro occorre vedere se e come nuovi modelli culturali so­ stituiscono quelli tradizionali (1). l . Nel nostro discorso non viene neppure avanzata l'ipotesi che tra gli abitanti d i Latina non si realizzi affatto una certa integrazione sociale e culturale. Ciò per due semplici moti· vi. Il primo deriva da una convinzione teorica secondo la quale, se vi è un agire sociale, esso ha una propria normativa condivisa -almeno a un certo livello- dagli attori sociali. Il secondo deriva invece dalla constatazione che, se il mondo sociale costruito a Latina ha avuto la forza di svilupparsi nel modo che sappiamo, ciò vuoi dire anche che vi è stata un'in tegrazione sociale funzionale. Se tale integrazione poi sia accettata o condivisa dai cit­ tadini, se essi invece manifestino riserve e critiche è un altro discorso. La nostra ricerca

87

4.2. Il rapporto con il luogo d'origine

All'analisi del rapporto con il luogo d'origine degli intervistati e della loro integrazione sociale è dedicata la parte E) del questio­ nario. Lo scopo qui è quello di tracciare la direzione verso la quale gli intervistati organizzano i loro rapporti sociali; se, cioè, essi ri­ volgono prevalentemente la loro attenzione al proprio paese o cit­ tà d'origine, oppure se vivono entro un orizzonte sociale e cultura­ le nel quale i luoghi d'origine rappresentano solo una componente secondaria o addirittura nulla. La situazione nella quale si collocano gli intervistati può essere distinta secondo tre grandi blocchi: il 460Jo degli intervistati non ha rapporti e scambi attivi con il luogo d'origine (anche se il 29% vi torna per particolari occasioni), il 35% ha come riferimento temporale l'anno (vi ritorna una o più volte in un anno) e, infine, il 1 5 % ha come unità di misura il mese. Si può fare l'ipotesi secon­ do la quale per il 460Jo il proprio luogo d'origine ha cessato di esse­ re attivo e culturalmente importante; per il 34% esso rimane anco­ ra un momento di scambio attivo e vitale; per il 1 5 % invece esso costituisce ancora il punto di riferimento dell'organizzazione logi­ ca e culturale dell'esistenza. La distanza del luogo d'origine svolge un ruolo per gli intervi­ stati nati a Latina, in provincia di Latina e in Campania. Essi tor­ nano più degli altri una o più volte al mese nel proprio luogo d'o­ rigine. È da notare tuttavia che esiste una quota di persone che non tornano mai al proprio luogo d'origine, indipendentemente dalla lontananza relativa da Latina. Si tratta di una certa quota di intervistati (dal 23 % dei nati a Latina al 10% dei nati nel Meri­ dione) che non ha più alcun rapporto con il proprio luogo d'origi­ ne. Se poi consideriamo coloro che vi tornano solo per particolari occasioni (morti, matrimoni, ecc.), comprendiamo che l'area di quanti non hanno più rapporti effettivi con il proprio luogo d'ori­ gine è abbastanza ampia: essa va dal 5 1 % circa dei nati a Latina al 40% dei nati nel Meridione. Viceversa, l'area del rapporto anco­ ra vivo con il proprio luogo d'origine è costituita da quanti vi tor­ nano più volte l'anno o almeno una volta l'anno. In quest'area troinfatti può -come speriamo- condurre anche all'analisi dell'esistenza e della motivazione jel disagio, delle critiche e del rifiuto del nuovo mondo sociale.

88

viamo la maggioranza dei nati in Sicilia, Sardegna, Campania. Se prendiamo come unità di riferimento le grandi aree geografiche di provenienza degli intervistati, troviamo il Meridione con più del 50%, il Nord e il Centro con il 3007o. Questo terzo gruppo di inter­ vistati mantiene, probabilmente, un rapporto più proficuo con il proprio luogo d'origine. Nel primo caso infatti si tratta di gente che non ha più alcun rapporto; nell'ultimo di gente che non riesce ancora a staccarsi dal proprio luogo d'origine. Per l'area mediana -coloro che vi fanno ritorno più volte l'anno o almeno una volta l'anno- si tratta di un rapporto significativo (almeno dal punto di vista della nostra analisi), perché non viziato dalle difficoltà di in­ serimento a Latina, né dal risentimento per l'ingratitudine del proprio luogo d'origne. Si mantiene con esso un rapporto di con­ fidenza, si accettano ancora le tradizioni in esso vive, ci si ritem­ pra ancora nella propria cultura materna, ma non si vuole tra­ sportare i suoi modelli e stili di vita nel nuovo mondo sociale. La tradizione qui nutre le relazioni sociali nuove, senza che tra le due lo�iche sorga conflitto. Se esso rimane latente, infatti, è perché gli individui hanno saputo trovare un equilibrio e nella loro vita quo­ tidiana coniugano le risorse culturali della tradizione in favore delle esigenze della vita sociale moderna. Vediamo ora se il rapporto con il proprio luogo d'origine dipen­ de dal reddito disponibile nella famiglia. Per evitare la dispersione derivabile dalle categorie di reddito proposte nel questionario, ab­ biamo costruito due gruppi soltanto: da un lato i redditi fino a 20 milioni, dall'altro quelli da 20 milioni in su. Le due categorie si di­ stribuiscono tra le voci proposte come segue: non torna mai al proprio luogo d'origine il 1 8 07o della prima e della seconda catego­ ria; vi torna solo per particolari occasioni il 3 1 OJo della prima e il 25 OJo della seconda; vi torna almeno una volta l'anno il 1 8 07o della prima e il 1607o della seconda; vi torna più volte l'anno il 1707o della prima e il 190Jo della seconda; vi torna una volta al mese il 5 07o del­ la prima e il 607o della seconda; vi torna più volte al mese il 1007o della prima e il 1 3 07o della seconda. Come si può notare, la diffe­ renza maggiore si ha tra quanti vi fanno ritorno solo per le parti­ colari occasioni. Il basso reddito disponibile costringe probabil­ mente molti degli intervistati della prima categoria a diradare i rapporti con il proprio paese d'origine. Nel caso della seconda ca­ tegoria (che dispone di un reddito tale da consentire almeno un 89

viaggio all'anno), si tratta più verosimilmente di distanzi amento effettivo dal proprio luogo d'origine. Pertanto, se sommiamo le due prime voci (non vi torno mai e vi torno solo per particolari occasioni), possiamo vedere che la percentuale (500Jo) dei percet­ tori della prima categoria di reddito è superiore di circa 8 punti di quella (42o/o) dei percettori della seconda. Nella seconda fascia di voci (una o più volte l'anno, una o più volte al mese), i percetto­ ri della seconda categoria di reddito hanno rapporti più intensi con il proprio luogo d'origine in percentuale maggiore, tranne nel caso di quanti vi fanno ritorno almeno una volta l'anno. È da no­ tare tuttavia che i percettori della seconda categoria di reddito so­ no il 26 0Jo del campione e i percettori della prima il 64%. Pertanto la densità dei rapporti con il proprio luogo d'origine è determinata più dai primi che dai secondi. Si può con buona approssimazione concludere che il reddito degli intervistati non determina il rap­ porto con il proprio luogo d'origine. Tuttavia è abbastanza chiaro che i percettori della categoria di reddito più alto sono agevolati nel mantenere tale rapporto. La maggiore frequenza dei loro ritor­ ni al proprio luogo d'origine è senza dubbio favorita dal buon red­ dito loro disponibile. Mentre per la prima categoria non si può di­ re se la scarsa frequenza dei ritorni sia una scelta deliberata, per coloro che hanno un reddito buono si deve poter concludere che il distanziamento o, visto dal lato opposto, la intensità dei rappor­ ti, corrisponde anche ad una volontà dei singoli. Tale maggiore di­ stanziamento o minore intensità è appunto segnalata dalla diffe­ renza percentuale tra la prima e la seconda categoria di intervistati alle varie voci proposte ad essi nel questionario. La distribuzione delle risposte in base al sesso non presenta dif­ ferenze di rilievo tra uomini e donne. Gli uomini che non fanno mai ritorno al proprio luogo d'origine sono il 1 9o/o, le donne il 1 8 0Jo ; gli uomini che vi fanno ritorno solo per particolari occasio­ ni sono il 27o/o, le donne il 300Jo; gli uomini che vi fanno ritorno almeno una volta all'anno sono il 190Jo, le donne il 170Jo; è uguale la quota di uomini e donne che vi fanno ritorno più di una volta l'anno (170Jo); così pure avviene per quanti vi fanno ritorno una o più di una volta al mese (5 0Jo circa per la prima voce e 12o/o per la seconda). eunica di fferenza apprezzabile è dunque data dai tre punti di percentuale delle donne che fanno ritorno nel luogo d'ori­ gine per particolari motivi. Probabilmente, nella divisione dei 90

compiti familiari, alla donna tocca farsi carico dei rapporti di rap­ presentanza della famiglia in occasione della morte, dei matrimo­ ni e degli eventi più importanti nella cerchia delle amicizie e del parentado. Il fatto che, tuttavia, non vi sia differenza tra uomini e donne nel rapporto con il proprio luogo d'origine, significa che esso è vissuto dalle persone nell'ambito della famiglia, come mem­ bri dell'unità familiare, non come individui. I.:analisi del rapporto tra l'età degli intervistati e la risposta a questa domanda è invece molto più complessa. I.:età costituisce, infatti, una variabile importante nel rapporto con il proprio luogo d'origine. La prima considerazione riguarda coloro che non han­ no rapporti con il proprio luogo d'origine. La percentuale maggio­ re si trova tra i più anziani e tra i più giovani. Per gli uni si tratta forse di distanziamento dovuto alle di fficol­ tà indotte dalla stessa età, per gli altri invece di distanza culturale effettiva. I giovani-e non solo quelli nati a Latina- non sentono il rapporto con il luogo d'origine come i genitori. Più bassa è invece la percentuale delle fasce intermedie. Sono le classi d'età nel pieno del ciclo lavorativo della vita e, quindi, in condizione di muoversi, sia per disponibilità di mezzi che di energie vitali. Pertanto, la per­ centuale di persone di queste classi d'età indica l'effettivo distan­ ziamento culturale dal luogo d'origine. Nella seconda fascia tro­ viamo ancora primi i più anziani (41 0Jo), ma i più giovani non si collocano subito dopo di loro. Mentre per i più anziani il ritorno in occasioni particolari (morte e matrimonio) si presenta come un dovere, per i più giovani ciò quasi non li riguarda. Questo tipo di rapporto è mantenuto per ovvie ragioni dai genitori. Interessante infine è il fatto che la classe d'età più giovane esprima la più alta percentuale nella fascia di coloro che tornano nel proprio paese d'origine almeno una volta l'anno e la seconda nella fascia di colo­ ro che vi fanno ritorno più di una volta all'anno. Ciò indica forse una ripresa del dialogo con la propria storia dopo la separazione. Poiché si tratta di giovani dai 20 ai 25 anni -ormai probabilmente emancipati dalla tutela dei genitori- il fatto che essi intessano un rapporto con il paese d'origine della famiglia vuoi dire forse che si sono aperte vie di comunicazione tra le due culture. Per verificare se il rapporto con il proprio luogo d'origine ha co­ me centro la vita organizzata dagli intervistati a Latina o se, al contrario, a Latina ci si sente ancora come provvisori, perché si 91

pensa di tornare non appena se ne diano le condizioni, la doman­ da precedente è seguita da un'altra nella quale si prospetta la pos­ sibilità di ritornare a vivere nel luogo d'origine. La prima conside­ razione da fare riguardo a questi dati (cfr. la Tabella l) deve mette­ re in evidenza il fatto che ben il 25 OJo degli intervistati considera ancora reversibile la scelta a suo tempo èompiuta di venire a stabi­ lirsi a Latina. Certamente, è un problema di punti di vista. Si po­ trebbe anche dire che già il 72% degli intervistati considera irre­ versibile il suo insediamento abitativo a Latina. Tuttavia, se ac­ canto a coloro che si muoverebbero per tornare nel proprio luogo d'origine mettiamo coloro che se ne andrebbero da Latina (dun­ que, per motivi diversi se non opposti a quelli qui considerati), l'a­ rea della critica verso la città e della insoddisfazione per ciò che essa è, o offre ai suoi cittadini, raggiunge il 3 1 % degli intervistati. Ciò pone ovviamente dei problemi di approfondimento dell'anali­ si, ma certamente anche di interventi pratici in direzione di una migliore qualificazione delle strutture sociali. La distribuzione dei dati tra le consuete aree geografiche di pro­ venienza degli intevistati riserva qualche sorpresa. Potrebbe desta­ re meraviglia infatti il 1 3 % di nati a Latina disposti a tornare nel luogo d'origine dei propri genitori. Si tratta ovviamente di un ap­ prezzamento critico molto forte da parte degli intervistati di que­ sto gruppo. Per le giovani generazioni il processo di integrazione è senz'altro più avanzato. Il fatto però che esista una quota tanto rilevante di persone che vuol tornare indietra, indica che probabil­ mente molte cose non vanno. Nessuna sorpresa invece per il 30% di nati in provincia di Latina che considerano reversibile la pro­ pria scelta. Anzi, se si considera l'intenso rapporto ancora da essi mantenuto con il proprio retroterra culturale e sociale (sono ben 39% coloro che ad es. tornano al proprio luogo d'origine almeno una volta o più volte al mese), si comprende pure che la quota avrebbe potuto essere anche più alta. In realtà, molti considerano irreversibile il proprio trasferimento a Latina, ma non si privano del rapporto con il proprio paese d'origine. Per quanto riguarda l'area dell'Italia centrale nel suo complesso è da notare che la quota del 27 % di persone disposte a ritornarse­ ne nel paese o città d'origine comprende un buon numero di nati nelle altre province del Lazio (29% ). Tra i nati nelle altre regioni centrali tutti i nati nelle Marche considerano irreversibile il pro92

prio trasferimento a Latina. Tra gli umbri e i toscani invece prevale il desiderio di ritornarsene nel proprio paese o città d'origine. I nati nell'Italia settentrionale esprimono la più alta percentuale di coloro che desiderano tornarsene nel paese d'origine (370Jo ). Tra i nati nel Nord i veneti esprimono la percentuale più alta. Nella maggior parte dei casi, considerando l'età, si tratta forse di nostal­ gia e non più, ormai, di un concreto progetto. Per quanto riguarda l'area meridionale è da notare che essa esprime l'orientamento a ritornarsene indietro per il 25%. Tra i di­ sposti a ripartire i nati in Calabria e in Basilicata costituiscono le quote più alte. Più stabilizzato è invece il rapporto con la città vis­ suto da campani e pugliesi. I nati in Sicilia e in Sardegna si dividono quasi per metà tra quanti vogliono restare e quanti eventualmente ritornerebbero in­ dietro. Per ragioni politiche e sociali tale possibilità è invece esclusa per i nati all'estero. Da ciò la loro risposta negativa. Una domanda come questa -all'apparenza semplice e banale­ mette in realtà in gioco complesse motivazioni culturali. La delu­ sione, e quindi l'idea del ritorno, dovrebbe essere espressa soprat­ tutto dai più anziani. Si configurerebbe così -collegata all'età­ un'area della nostalgia. Invece, non è così. �idea di tornare non è espressa solo dai più anziani, ma da tutte le classi d'età, anche se con percentuali diverse. Si va infatti dal 36% dei più anziani fi­ no all'I l % dei più giovani, senza che -comunque- , neppure in que�to caso, si possa stabilire un rapporto tra innalzamento dell'e­ tà e disponibilità ad andarsene da Latina. Pertanto se di un'area della nostalgia si tratta, essa è di ffusa tra tutti i gruppi regionali e -ove più ove meno- tra tutte le classi d'età. Se tuttavia questa è la conclusione, non si può non introdurre altre valutazioni. A que­ sta domanda si risponde infatti facendo esplicitamente o implici­ tamente un bilancio critico della propria esistenza. Diventano per­ ciò determinanti un'altra serie -di questioni: il livello delle aspetta­ tive, la loro realizzazione già avvenuta, la speranza di poterle an­ cora realizzare. È allora fuori di dubbio che per una certa parte degli intervistati (gli anziani non più in condizioni di elaborare un progetto) si tratta dell'espressione della nostalgia per il proprio paese e per la propria cultura originaria; tuttavia, se si mettono in circolo altre considerazioni, si comprende che invece gli intervi­ stati, rispondendo nel modo riferito, esprimono un giudizio com·

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plessivo (e di non facile e immediata intelligibilità) sul sens o della loro esperienza. Se osserviamo i dati da un altro punto di vista, troviamo infatti ulteriori conferme di quanto qui accennato. Ad es., coloro che si dichiarano soddisfatti della propria condizione professionale ri­ spondono per il 23 07o di essere eventualmente disposti a tornare nel luogo d'origine proprio o della famiglia. Ciò fa emergere un dato nuovo: il ritorno al paese o città d'origine non si coniuga solo con l'insuccesso, ma anche -e in misura consistente- con l'afferma­ zione professionale (2). In generale, quanti dichiarano di voler eventualmente tornare al proprio luogo d'origine, sono per il 65 0Jo soddisfatti della propria condizione professionale e per il 35 % in­ soddisfatti. Invece, coloro che dichiarano di non voler eventual­ mente tornare sono per il 74% soddisfatti della propria condizio­ ne professionale e per il 24% insoddisfatti. Appare allora chiaro che la gioia del ritorno si coniuga più con il successo professionale di quanto non accada con l'insuccesso e la sconfitta. In questo senso, i migranti di Latina non sono diversi da ogni altro migran­ te. Se le cose vanno bene, il piacere del ritorno si coniuga con la consacrazione del successo; se vanno male, si continua a lottare cercando di evitare di cadere nelle ultime posizioni sociali. In conclusione si può affermare che il rapporto con il luogo d'o­ rigine è vissuto in modo molto diverso dai cittadini di Latina. Da un lato, per una buona e consistente parte degli intervistati esso ha cessato di essere un punto di riferimento culturale; dall'altro, continua a costituire il punto terminale o per chiudere il ciclo di vita o per la riarticolazione e lo sviluppo ulteriore di progetti di vita che già a Latina trovano successo.

4.3. 1. Le tradizioni culturali nel nuovo contesto urbano e sociale

Cominciamo l'analisi delle tradizioni culturali nel nuovo conte­ sto urbano e sociale con le risposte fornite dagli intervistati alle domande relative ai loro rapporti con persone provenienti dal loro 2. Trova qui conferma, sebbene in misura diversa da quella da lui verificata, l'idea di A. H. Richmond (cfr. op.cit., p.244), secondo cui "the majority of 'returnees' appear to have been higly successful economically and were socially well adjusted in their country of im­ migration".

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stesso luogo d'origine (cfr. la Tabella 2). �area dei rapporti "fre­ quenti" costituisce la rete di relazioni sociali nella quale è maggio­ re la probabiltà di sopravvivenza per le tradizioni culturali regio­ nali. Nell'area dei rapporti "sporadici" o della loro assenza, inve­ ce, la sopravvivenza di usi, costumi, modelli di comportamento, stili di vita e di tradizioni regionali . è legata ai nuclei familiari. Molto probabilmente proprio in questo ambito invece è partito il superamento e l'abbandono delle tradizioni. Sulla base di questa ipotesi, i dati si distribuiscono in due blocchi distinti: da un lato c'è un'area del 560Jo di intervistati che si colloca fuori dai rapporti con gente proveniente dallo stesso luogo d'origine, dall'altro il 42% di quanti si collocano entro tali rapporti. Se -come supponiamo- gli intervistati hanno interpretato " rapporti saltua­ ri" e "rapporti sporadici" secondo il significato che essi hanno nel senso comune, la distribuzione delle risposte indica l'abbandono del tipo di rapporti tradizionali per la maggior parte degli inter­ vistati. La distribuzione delle risposte secondo le consuete aree geogra­ fiche di p rovenienza degli intervistati richiede qualche commento. Prima di tutto è ancora da notate che una quota consistente (20%) di nati a Latina dichiara di avere rapporti frequenti con gente che ha la loro stessa origine. Ciò indica il permanere di cul­ ture regionali e la loro autoriproduzione nel nuovo contesto socia­ le. Si tratta della prima generazione nata a Latina; essa ha ripro­ dotto in un contesto nuovo le tradizioni, gli usi e i costumi dei ge­ nitori. È probabile che questo sia avvenuto soprattutto tra i figli dei primi immigrati che -oltre ad una certa omogenità quanto alla provenienza- hanno goduto anche delle medesime condizioni abi­ tative (i poderi e la vita nei borghi). Si sono perciò formati centri di vita associativa nei quali le tradizioni dei genitori sono in qual­ che modo -con distorsioni e tradimenti- riuscite a sopravvivere e a ritagliarsi una funzione. Tra i gruppi regionali, infatti, l'area del­ le persone nate al Nord dichiara la più alta percentuale di rapporti frequenti con persone della loro stessa origine. Essi d'altronde hanno vissuto e vivono nelle condizioni più idonee per il permane­ re di questo tipo di rapporti. Per gli altri il discorso è più comples­ so. Né le modalità della loro immigrazione, né l'organizzazione so­ ciale trovata a Latina hanno favorito l'intrecciarsi e il mantenersi di tale tipo di rapporti. Da un lato il caso, dunque, e dall'altro la 95

volontà della gente ha invece prodotto la loro esistenza. In genera­ le, però, il riferimento alle persone che hanno la stessa origine, al gruppo etnico e culturale conta poco per gli intervistati (3). Sono state poste domande per attingere notizie sulla conoscenza che gli intervistati hanno dell'esistenza di associazioni etniche o su quan­ to conti il riferimento al gruppo etnico per l'affermazione e il suc­ cesso personale. Le risposte autorizzano una conclusione negati­ va. Solo il 37!'!/o degli intervistati è a conoscenza dell'esistenza di associazioni di natura etnica e solo 12% è la somma di coloro che ne hanno fatto parte, di coloro che ne fanno parte e di coloro cui piacerebbe farne parte. Una minoranza che indica quanto l'asso­ ciazionismo di tipo etnico abbia poco inciso nel passato e di quan­ to poco incida nel presente (4) . Non diverse conclusioni autorizza­ no le risposte alla domanda: "Ritieni che a Latina mantenere stretti rapporti con il gruppo etnico di origine faciliti l'inserimento sociale e l'affermazione professionale?': La somma delle indica­ zioni "per niente" e "poco" raggiunge il 69% degli intervistati; il 22% ha risposto "abbastanza" e solo 1'8% "molto". In generale, i nati nell'Italia settentrionale esprimono il più alto numero di in­ dicazioni favorevoli al gruppo etnico: 1 3 % per la voce "molto". Sono anche coloro che hanno fatto l'esperienza o hanno comun­ que conosciuto -o conoscono- un'organizzazione che si ispirava -o si ispira- alla cultura e alle tradizioni delle loro regioni. In conclu­ sione, comunque si osservi questo problema, non si può non nota­ re che il riferimento alla propria origine ed identità etnica ha valo­ re solo per una quota minoritaria degli intervistati. 3. Sul problema dei gruppi di riferimento cfr. R.K. Merton, op.cit., pp.45 1-7 12. Le perso­ ne della stessa origine non si configurano a Latina come il gruppo organizzato a cui gli attori sociali fanno riferimento. I.:espressione "riferimento al tuo gruppo d'origine" o "gruppo d'origine'' ha un lato significato culturale, non esistendo o quasi in città alcuna organizzazione di gruppi regionali. 4. Cinesistenza delle organizzazioni regionali degli immigrati, se da un lato conferma il fatto che, nel venire a Latina, essi (ad eccezione dei coloni) non hanno ricevuto forme orga­ nizzate d'assistenza, dall'altro è un chiaro indice di volontà d'in tegrazione. Abbandonato il paese o la città d'origine, per i più diventa impensabile rinchiudersi in associazioni nelle quali si riproduca lo stesso tipo di ra pporti e di gerarchie sociali dai quali, venendo via, si so n prese buone dis tanze, e non solo fisiche. Nella grande emigrazione americana, invece, lo sviluppo dell'associazionismo etnico ha svolto un ruolo decisivo nella organizzazione dell'esistenza dei migranti. Nel momento in cui la migrazione è stata in qualche modo pia­ nificata, l'associazione etnica non ha più avuto buone ragioni d'esistere. Da ciò la sua scar­ sa diffusione e gli insuccessi nei tentativi di organizzarla. Essa infatti potrebbe comportare una chiusura che giustamente la gente rifiuta.

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A conclusioni analoghe si arriva attraverso l'analisi delle rispo­ ste relative alla finalità che gli intervistati vorrebbero perseguire nelle associazioni di tipo etnico. Il 65 OJo degli intervistati non ri­ sponde, l'I l OJo vorrebbe favorire i contatti con i luoghi d'origine, il 7% far conoscere la "nostra" storia ai giovani, il 4% conservare la "nostra" lingua, il 4% conservare le "nostre" tradizioni, il 3 OJo promuovere contatti con persone con la stessa origine, il 6% pro­ muovere contatti con persone di diversa origine. Se togliamo que­ st'ultimo 6% -che vorrebbe perseguire finalità di integrazione con altri gruppi etnici e culturali- l'ambito delle finalità conservative della cultura e delle tradizioni etniche si riduce al 29%. Per vie di­ verse, troviamo l'area di quanti conservano interesse per la propria origine etnica e considerano la loro sistemazione a Latina reversi­ bile e in qualche modo pensano di tornare al proprio paese o città d'origine.

4.3.2� La conservazione degli usi e dei costumi del luogo d'origine

Altre domande del questionario esplorano il permanere delle tradizioni culturali a livello della vita quotidiana. A questo livello infatti, e non a livello di dichiarazioni formali, si possono cogliere gli elementi tradizionali ancora funzionali all'esistenza degli indi­ vidui. La prima domanda riguarda il mantenimento degli usi e co­ stumi dei luoghi d'origine. Coloro che si esprimono in senso pie­ namente positivo sono il 1 3 % degli intervistati. Importante anche la quota di quanti, senza impegnarsi in un giudizio netto, dichia­ rano di conservare abbastanza usi e costumi dei loro luoghi d'ori­ gine. Nel complesso, tuttavia, risalta la quota di quanti affermano di conservare poco delle proprie tradizioni e di quanti esprimono un giudizio negativo netto. Come leggere questo dato? Qual è il suo significato culturale più autentico? La risposta a queste do­ mande può essere più agevole se passiamo prima per l'analisi della distribuzione regionale delle risposte e vediamo poi quali tradizio­ ni sono conservate dagli intervistati. Per quanto riguarda la distribuzione delle risposte nelle aree geografiche di provenienza degli intervistati, anche a proposito delle tradizioni conservate nella famiglia, i nati nell'Italia setten­ trionale esprimono la percentuale più elevata. Quanti rispondono 97

"abbastanza", "prevalentemente" e "in tutto" raggiungono il 580Jo. Superano il 600Jo, invece, le risposte negative (''poco" e "per niente") degli intervistati nati in altre aree. Non sono da trascurare tuttavia né le percentuali dei nati nel Meridione, né quelle dei nati in provincia di Latina. Alla domanda riguardante quali tradizioni, usi e costumi sono stati effettivamente conservati, il 33 OJo degli intervistati non ri­ sponde. Segno questo di una consistente quota di intervistati che, pur essendosi espressi positivamente, al momento di fornire indi­ cazioni precise, non ha voluto o saputo trovare degli esempi. Tra le indicazioni specifiche gli usi e costumi concernenti la nascita sono indicati dal 20Jo degli intervistati, con la più alta percentuale tra i nati nel Meridione (5 0Jo). Più alta invece è la percentuale rela­ tiva al matrimonio: 60Jo di tutti gli intervistati. Nella distribuzione per aree geografiche i nati nel Nord Italia esprimono la più alta percentuale: lOQJo. Minima (appena 4 casi) è invece l'indicazione relativa agli-usi riguardanti la morte. Nel generale processo di mo­ dernizzazione della vita quodidiana, gli usi concernenti la cerimo­ nia funebre sono stati pressoché omologati dall'industria. Latina in questo senso non fa eccezione. La più alta percentuale in asso­ luto (190Jo) riguarda le feste religiose. Tra gli usi e costumi dei pro­ pri luoghi d'origine la religiosità familiare (forse un nuovo culto domestico in un ambiente modernizzato e razionalizzato) ha an­ cora vitalità. Non è da trascurare in questo caso l'azione organiz­ zata dei parroci, che emigrano con i loro fedeli all'atto dell'inse­ diamento colonico, e quella dispiegata dalla Chiesa nei decenni successivi: La distribuzione tra le aree geografiche vede ancora al primo posto i nati nel Meridione (23 0Jo); seguono i nati nell'Italia centrale (190Jo ), tra i quali forniscono un apporto considerevole (220Jo) i nati in provincia di Latina; tra i nati nel Nord Italia quanti danno questa indicazione sono il 170Jo. Tra gli usi e costumi dei luoghi d'origine conservati dagli immigrati a Latina, le feste reli­ giose sono seguite dalla cucina, per la quale si esprimono il 1 5 0Jo degli intervistati. La distribuzione regionale vede al primo posto gli intervistati nati nel Nord Italia (200Jo ); seguono i nati nel Meri­ dione (160Jo) e i nati nell'Italia centrale (130Jo). Nel rapporto tra na­ ti a Latina e nati in provincia si verifica un rovesciamento rispetto alle indicazioni fornite a proposito delle altre voci: i nati a Latina indicano la cucina nella misura del 1 90Jo, i nati in provincia nella 98

misura dell'80Jo. Ciò consente di avanzare un'ipotesi: nel generale processo di modernizzazione la cucina resiste meglio delle altre tradizioni (fatta eccezione per la religiosità), perché si coniuga me­ glio con i processi di modernizzazione. Nell'organizzazione com­ merciale della città trovano, infatti, un posto privilegiato i prodot­ ti regionali tipici. Da ciò la possibilità di una sopravvivenza più lunga delle tradizioni culinarie portate a Latina dagli immigrati. I.:area della conservazione delle tradizioni, degli usi e costumi originari è tuttavia ancora più ampia. 11 23 % degli intervistati in­ dica altri usi e costumi e più di una voce. Dall'analisi di queste in­ dicazioni viene fuori che gli usi e costumi relativi alla morte sono indicati con un'altra voce dall'l % degli intervistati, la cucina è in­ dicata con un'altra voce dal 4%, il matrimonio è indicato con un'altra voce dal 2% e le feste religiose dal 4%. I.: l l% degli inter­ vistati infine indica 3 voci. Come al solito, più frequente è la pre­ senza di feste religiose e cucina. In conclusione, dichiarano di conservare una o più tradizioni, uno . o più usi portati a Latina dal paese o città d'origine il 69 % degli intervistati. Se confrontiamo questi dati con le dichiarazioni generiche sugli usi e costumi conservati, si può notare che le per­ centuali relative all'area di conservazione di tradizioni, usi e costu­ mi originari differiscono di poco. Nella dichiarazione generica la somma di coloro che non rispondono e di quanti dichiarano di non conservare affatto proprie tradizioni raggiunge il 31% degli intervistati. Nella indicazione concreta non risponde il 33% degli intervistati. Pertanto l'area della presenza delle tradizioni degli usi e costumi di qualsiasi gen�re può essere stimata tra il 67 % e il 69% circa delle famiglie degli intervistati. Per quanto riguarda il significato culturale di questa presenza non è possibile dare un giudizio netto. Tuttavia, se si considerano alcuni elementi, ci si può fare un'idea abbastanza attendibile del ruolo culturale della tradizione. In primo luogo occorre affermare - che è mutato il contesto funzionale. La tradizione o il costume conservato agisce in un campo sociale caratterizzato dal plurali­ smo di tradizioni, usi e costumi. Solo questo fatto, togliendo alla tradizione il suo carattere di assolutezza, ingenera un relativismo culturale che contrasta con l'omogeneità richiesta da una tradizio­ ne vivente. Si tratta allora di tradizoni, usi e costumi in via di estinzione o che vanno acquistando una nuova funzionalità cultu99

rale. Ciò riguarda soprattutto le indicazioni relative alla cucina e alla religiosità. È da notare infatti che il pluralismo culturale non necessariamente mette capo alla consapevolezza del relativismo e alla ricerca di nuovi equilibri culturali. È probabile che negli indi­ vidui aspetti diversi della personalità siano nutriti àa differenti ri­ sorse culturali. È pos::;ibile, cioè (non essendo la personalità una unità compatta e omogenea, quanto piuttosto un mosaico compo­ sto da differenti tessere in precario equilibrio tra loro), che i tratti culturali più spinti verso la modernizzazione convivano con tratti culturali tradizionali. Ciò diventa altamente probabile quando le tradizioni trovano la possibilità di una nuova funzionalità cultura­ le. Talvolta, come pare nel caso della religione, proprio l'avanzata secolarizzazione dei processi di modernizzazione crea le condizio­ ni culturali per il di ffondersi di "nuovi fondamentalismi" religio­ si. Nella concreta vita religiosa della grandissima parte della po­ polazione credente, nuovi culti si affiancano agli antichi e culti antichi, portati da singoli gruppi di immigrati, assumono lo statu­ to di nuovi trovando diversa e più ampia diffusione.

4.3.3. Gli usi linguistici. N asce un nuovo dialetto?

Il comportamento linguistico è stato considerato un importante indicatore di integrazione sociale e culturale (5). Pur non esisten­ do a Latina barriere linguistiche forti (come succede quando vi sia una pluralità di lingue), non vi è dubbio che i dialetti presenti sia­ no numerosi. Per molti, inoltre, il dialetto è stato (ed è ancora og­ gi) l' unico modo di esprimersi. Vedere cosa è successo sul piano dei comportamenti linguistici può allora risultare un modo inte­ ressante di misurare l'integrazione culturale avvenuta. Per questa ragione abbiamo sollecitato gli intervistati a descrivere il proprio comportamento linguistico in differenti contesti: la famiglia, l'a­ micizia, il lavoro. Ne viene fuori un quadro differenziato che però indica in modo abbastanza netto quale sarà lo sviluppo futuro dei comportamenti linguistici (cfr. la Tabella 3). I..:interpretazione dei dati raccolti richiede tuttavia alcune consi5. Cfr. W.D. Borrie, The Cultura/ Integration oj Immigrants, Unesco, Parigi, 1959, p.l 30 (citato da Alberoni e Baglioni, op.cit., p.95).

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derazioni sull'impostazione del problema sottoposto agli intervi­ stati. Occorre prima di tutto segnalare che non si tratta di com­ portamenti linguistici "oggettivamente" misurati, ma di una certa autopercezione linguistica da parte degli intervistati. Da un lato, infatti, non sarebbe possibile definire il comportamento linguisti­ co ideale con il quale misurare tutti gli altri; dall'altro, la rilevazio­ ne da noi compiuta non sarebbe stata adeguata a questo tipo di analisi. Abbiamo pertanto optato per una rilevazione dei compor­ tamenti linguistici secondo lo schema "dialetto d'origine", "lingua italiana" e "nuovo modo di parlare corrente a Latina", lasciando agli intervistati la libertà di verificare, in primo luogo, l'esistenza del problema e, in secondo luogo, di dare un'autodefinizione del proprio comportamento linguistico facendo ricorso alle tre defini­ zioni proposte. I noltre, proprio rispetto a queste definizioni, si po­ neva un problema delicato. Dovevamo predefinire quella certa forma linguistica emergente dai modi di esprimersi della gente, e in particolare dei giovani di Latina, o piuttosto non era meglio ac­ cennare soltanto al problema lasciando agli intervistati di verifi­ carne la concreta esistenza e consistenza? Abbiamo optato per la seconda alternativa e i risultati sono stati indubbiamente confor­ tanti. Gli intervistati non solo hanno verificato l'esistenza del pro­ blema, ma hanno anche trovato conveniente definire il comporta­ mento linguistico nel modo indirettamente suggerito. Se, dunque, nell'esposizione adottiamo una definizione più marcata, è soltan­ to perché abbiamo avuto una verifica di quanto avevamo propo­ sto in forma puramente ipotetica. Ciò, d'altra parte, non esime al­ tri dal cercare una definizione strutturale e funzionale del tipo di comportamento linguistico che noi qui per comodità preferiamo chiamare "latinense", come del resto si cominciano ad autodefini­ re tanti altri tipi di comportamento e di organizzazioni cittadine. La differenziazione del comportamento linguistico negli ambiti sociali distinti della famiglia, dell'amicizia e del lavoro serviva inoltre per cogliere aspetti diversi della vita degli intervistati. Se non si fosse fatta questa distinzione, le risposte sarebbero restate più generiche e meno interessanti. Del resto, proprio tale distinzio­ ne ci mette in condizioni di verificare se i processi di modernizza­ zione penetrano anche nelle strutture sociali primarie (il cosiddet­ to mondo della vita: famiglia, amicizia) o rimangono confinati nel mondo del lavoro e nella vita istituzionale. Si trattava di verifi101

care -per tornare un attimo allo schema teorico esposto nel Capi­ tolo 1- se il processo di modernizzazione produttivo e istituzionale ha creato o va creando sue proprie tradizioni, usi e costumi. An­ che in questo caso la scelta metodologica ha avuto un indubbio successo. Possiamo infatti dire che gli intervistati hanno ritenuto funzio­ nale alla descrizione dei propri comportamenti linguistici la diffe­ renziazione tra gli ambiti della famiglia, dell'amicizia e del lavoro. Essi danno di fatto indicazioni differenti per ogni tipo di ambito sociale. Se adottiamo ancora per un attimo lo schema moderni­ tà/tradizione ( ove per modernità intendiamo l'esprimersi in lingua italiana e per tradizione il parlare in dialetto), la differenziazione maggiore avviene tra la famiglia e il mondo del lavoro. Nella fami­ glia troviamo la più alta percentuale (290Jo) di intervistati che si esprimono nel proprio dialetto d'origine, nel mondo del lavoro la più bassa (5%). Più complicato è il discorso se osserviamo quanti affermano di esprimersi in lingua italiana. Rispetto ai tre ambiti proposti (famiglia, lavoro, amicizia), troviamo nella famiglia la più bassa percentuale (48 % ) di intervistati che dichiarano di espri­ mersi in lingua italiana. La più alta percentuale (58%) invece si ri­ trova nell'ambito dell'amicizia, dove, seppure di poco, si supera la percentuale (56%) di quanti dichiarano di parlare in lingua italia­ na nel mondo del lavoro. Tuttavia, il necessario aggiustamento del campione (necessario in forza del fatto che questa domanda regi­ stra anche le risposte dei disoccupati, dei ritirati dal lavoro e delle casalinghe, i quali determinano così l'alta percentuale di non ri­ sposte), conduce alla verifica dell'ipotesi per cui il lavoro è la più conseguente fonte della modernizzazione linguistica. Con il cam­ pione ristretto ai soli occupati, infatti, la percentuale di quanti di­ chiarano di esprimersi in dialetto è del '6%, quella di quanti di­ chiarano di parlare in lingua italiana raggiunge il 70% e quelle. di quanti dichiarano di esprimersi in latinense il 24%. Ciò permette di constatare che nell'ambito dei rapporti amicali si trova la più alta percentuale di quanti si esprimono in latinense. Sarà bene, pe­ rò, leggere questi dati anche da altri punti di vista, prima di attri­ buire loro un valore più generale rispetto alle nostre ipotesi di la­ voro. Cominciamo dalla distribuzione secondo le aree geografi�he di provenienza degli intervistati. La prima considerazione non può non riguardare l'alta percen102

tuale di nati nel Nord Italia che dichiara di esprimersi in dialetto con i propri familiari. Dalle caratteristiche generali dei nati nel Ve­ neto inclusi nel campione si ricava l'idea della plausibilità di que­ sto dato. I nfatti, i nati nel Nord Italia sono per lo più anziani. Me­ diante l'incrocio con l'età degli intervistati verifichiamo pure che i più anziani si esprimono maggiormente in dialetto. Se poi met­ tiamo in relazione l'area geografica e l'età di arrivo a Latina, com­ prendiamo pure che i primi venuti, avendo potuto più degli altri ricreare forme della loro cultura originaria, ne abbiano di conse­ guenza mantenuto pure i comportamenti linguistici. Occorre tut­ tavia notare che la famiglia come tale è per ogni gruppo regionale la struttura sociale nella quale vengono maggiormente conservati i comportamenti linguistici dialettali. Ciò indica ancora una volta in questa istituzione sociale il luogo del raccordo con il passato e di conservazione della cultura, degli usi e dei costumi portati a La­ tina dagli immigrati. Non è bassa tuttavia la percentuale di coloro che, in famiglia, si esprimono in lingua italiana (480Jo ) A parte ogni . altra considerazione, l'alto numero di matrimoni misti cele­ bratosi a Latina dovrebbe segnalarci che, se i coniugi sono di di­ versa provenienza, il comportamento linguistico della famiglia con accenti diversi- tenterà a trovare un equilibrio tra le diverse forme dialettali. I nati nel Nord Italia infatti -che per le ormai no­ te ragioni hanno ricostruito una qualche forma di comunità tra di loro, consentendo così anche la formazione di coppie con la stessa cultura di base- presentano la più bassa percentuale (33 %) di in­ tervistati che dichiarano di parlare in lingua italiana in famiglia. La percentuale più alta (50%) si trova tra i nati nel Meridione. A parte la tendenza a rappresentarsi in tinte positive (che però è da supporre in ogni gruppo regionale), la plausibilità di questo dato, fermo restando che si tratta di un'autopercezione linguistica, deri­ va dalle modalità dell'immigrazione meridionale e dal fatto che essi hanno contratto più degli altri matrimoni fuori dalla loro area geografica. Quasi sullo stesso piano si collocano i nati nell'Italia centrale, i quali hanno dato partners sia agli immigrati dal Nord che agli immigrati dal Sud. Essi hanno però contratto anche un alto numero di matrimoni all'interno della loro area (6) e ciò ha la sua influenza anche nei comportamenti linguistici nell'ambito .

6. Nel periodo 1932-71 contraggono un matrimonio misto il 340Jo degli uomini e il 240Jo

103

della famiglia. Per quanto riguarda il comportamento linguistico tra amici è ancora una volta il Nord ad esprimere la più alta percentuale di quanti dichiarano di parlare in dialetto. Sono presenti le stesse cir­ costanze notate per il comportamento linguistico nell'ambito della famiglia. Nel complesso i nati nell'I talia centrale e nell'Italia meri­ dionale esprimono percentuali molto alte di intervistati che di­ chiarano di parlare in lingua italiana: 590Jo e 64% rispettivamente. Nell'ambito del lavoro infine si delinea la stessa situazione: i nati nell'Italia del Nord esprimono percentuali più elevate tra quanti dichiarano di parlare in dialetto; seguono i meridionali e i nati nelle regioni centrali. Tra quanti dichiarano di parlare in lingua italiana nel luogo di lavoro, la più alta percentual� si trova fra i meridionali; seguono i nati nell'Italia centrale e i nati nell'Italia del Nord. �..?a nalisi della relazione tra comportamento linguistico e sesso mette in evidenza atteggiamenti differenziati tra uomini e donne. La percentuale di uomini e di donne che in famiglia parlano in dialetto è la medesima: 28% per gli uni e le altre. Vi è invece una netta differenza nelle percentuali di quanti dichiarano di parlare in lingua italiana in famiglia: 44% per gli uomini e 52% per le donne. Infine, tra quanti in famiglia si esprimono nel "nuovo mo­ do di parlare corrente a Latina" gli uomini hanno una percentuale del 27 % e le donne del 20%. Per quanto riguarda il comporta­ mento linguistico tra amici gli uomini dichiarano di parlare in dia­ letto per il 1 3 % e le donne per il 1 5 %. Si esprimono invece in lin­ gua italiana il 54% degli uomini e il 620Jo delle donne. Nel "nuovo modo di parlare corrente a Latina" si esprimono infine il 32% de­ gli uomini e il 22% delle donne. Se rideterminiamo il campione di quanti lavorano (7), otteniamo la seguente situazione: il 60Jo de­ gli uomini e delle donne dichiara di esprimersi in dialetto; il 65 OJo degli uomini dichiara di esprimersi in lingua italiana, contro il 76% delle donne; infine, il 280Jo degli uomini dichiara di esprimer­ si nel "nuovo modo di parlare corrente a Latina", contro il 1 8 % delle donne nate nel Nord Italia; il 2007o degli uomini e il 32% delle donne nate nelle regioni centrali (Latina inclusa); il 78% degli uomini e il 72fJ!o delle donne nate nel Meridione. 7. Dal campione di 500 persone abbiamo eliminato 101 casi. I l sottocampione degli oc­ cupati viene così a comporsi per il 5 5 % (221 casi) di uomini e per il 45 % (178 casi) di donne.

104

delle donne. l!età è un fattore ulteriore di differenziazione nel comporta­ mento linguistico (cfr. la Tabella 4). I più anziani si esprimono maggiormente nel proprio dialetto d'origine, mentre i giovani usa­ no di più il "nuovo modo di parlare corrente a Latina" nella loro comunicazione. Nella famiglia tutti i gruppi di età si esprimono maggiormente nel loro dialetto d'origine; nel gruppo amicale ci si esprime di più nel " nuovo modo di parlare corrente a Latina"; nel lavoro prevale l'espressione in lingua italiana. In conclusione, dall'analisi delle risposte relative al modo di esprimersi degli intervistati possiamo ricavare alcune tendenze dello sviluppo culturale della città. La prima è relativa al fatto che i dialetti sono ormai confinati nell'ambito ristretto della famiglia e che, essendo correntemente parlati da persone di età per lo più avanzata, essi sono destinati ad avere un ruolo marginale. Tale marginalità è poi accresciuta dalla loro frammentazione. La se­ conda considerazione riguarda l'effetto di modernizzazione lin­ guistica prodotto su tutti i gruppi regionali e su tutti i gruppi d'età dal lavoro. Esso si presenta così come l'effettiva forza di moder­ nizzazione culturale e linguistica. Da questo ambito emergono an­ che apprezzabili possibilità di esprimersi "nel nuovo modo di par­ lare corrente a Latina". Ciò probabilmente significa che il luogo di lavoro, per alcuni, comporta già la possibilità di stabilire forme di comunicazione più personali, lontane dai dialetti e dalla uffi­ cialità della lingua italiana. Il fatto che una tale possibilità sia per­ cepita in modo più consistente dai più giovani (43 %) indica pro­ babilmente la formazione di una nuova cultura linguistica. Tutta­ via, se una formazione linguistica nuova emerge dal modo di esprimersi degli intervistati, essa va cercata nei rapporti amicali. Proprio per la loro originaria differenziazione, agli intervistati si impone la necessità di trovare un equilibrio linguistico. E, come pure per le famiglie formate da coniugi provenienti da diverse aree _geografiche, esso coincide spesso con l'espressione in lingua italia­ na. Oltre questa, però, l'area di quanti dichiarano di esprimersi "nel nuovo modo di parlare corrente a Latina" è molto ampia. Nel gruppo di 20-25 anni essa supera il 500Jo, nel gruppo di 25-30 anni raggiunge il 400Jo , nel gruppo di 3 5-45 anni i l 280Jo. Ciò vuol dire che per un'area abbastanza ampia di intervistati (da un quar­ to del gruppo di 30-35 anni alla metà del gruppo di 20-25 anni) 105

si profila un ambito sociale nel quale l'espressione linguistica usa­ ta ha una forma mista; essa è un ibribo di dialetti dell'Italia cen­ trale con inflessioni e cadenze di altre regioni. Tuttavia, proprio in questa nuova forma linguistica si esprimono i sentimenti e i pensieri più immediati di una buona parte degli intervistati. Se si pensa, poi, al fatto che tale stile linguistico è maggiormente pre­ sente tra i più giovani, si può comprendere come esso abbia le chances di divenire forse la lingua o il dialetto futuro di Latina. In ogni modo, questa forma linguistica esprime già ora il livello conseguito nella integrazione linguistica. Essa infatti è la forma linguistica e culturale prodottasi a Latina dal crogiolo di etnie e di culture diverse. Non è possibile dire, almeno allo stato attuale, se essa sia destinata a divenire l'identità linguistica della città. Es­ sa è ancora una forma di comunicazione minoritaria; vi sono tut­ tavia le condizioni più favorevoli per una sua diffusione tra larghi strati della popolazione.

106

Tab. l. Disponibilità a tornare ne/ luogo d'origine per area di provenienza degli intervistati. Valori percentuali

Si No Non risponde Totale

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

Totale

1 3 .2 77.3

30.5 69.5

36.7 61.7

22.5 72.9

29.3 70.7

25.4 7 1 .6

1 .6

4.6

1 00.0

1 00.0

9.5 100.0

100.0

3.0 100.0

100.0

* inclusi il Comune e la Provincia di Latina.

Tab. 2. Rapporti con persone dello stesso luogo d'origine per area geografica di provenienza degli intervistati. Valori percentuali

Rapporti frequenti Rapporti saltuari Rapporti sporadici Assenza di rapporti Non risponde Totale

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

Totale

20.6

1 5 .3

30.0

17.3

18.1

19.4

1 9.1

29.6

23 .3

23.0

20.7

22.6

17.6

1 9.0

18.3

18.3

23.3

1 9.2

37.6

36.1

26.7

39.2

37.9

37.2

1 .7

2.2

1 00.0

100.0

5.1 100.0

100.0

*inclusi il Comune e la Provincia di Latina.

107

1 .6 100.0

100.0

Tab. 3.1. Modo di esprimersi in famiglia per area geografica di provenienza degli intervistati. Valori percentuali

Modo di esprimersi Dialetto d'origine Lingua italiana Latinense Non risponde

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

Totale

1 3 .2

28.6

56.7

19.9

36.2

28.2

44.1 42.0

48.6 21.9

33.3 10.0

49.7 29.7

48.3 14.6

48.0 23.0

0.7

0.9

0.7

0.9

0.8

100.0

100.0

100.0

Totale

100.0 100.0 100.0 *inclusi il Comune e la Provincia di Latina.

Tab. 3.2. Modo di esprimersi nei rapporti amicali per area geografica di provenienza degli intervistati. Valori percentuali

Modo di esprimersi Dialetto d'origine Lingua italiana Latinense Non risponde

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

Totale

5.1

12.4

36.7

8.8

14.7

1 3 .8

47.8 46.3

63.8 22.9

48.3 1 5 .0

57.8 32.7

62.9 19.8

58.2 27.0

0.8

0.9

0.7

2.6

l .O

100.0

100.0

100.0

100.0 100.0 100.0 Totale * inclusi il Comune e la Provincia di Latina.

Tab. 3.3. Modo di esprimersi nei rapporti di lavoro per area geografica di prove-

nienza degli intervistati. Valori percentuali.

Modo di esprimersi D ialetto d'origine Lingua italiana Latinense Totale

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

Totale

2.4

4.6.

20.5

3.5

8.2

6.0

60.8 36.8

74.4 21.0

64.1 1 5 .4

68.5 28.0

74.1 17.7

70.0 24.0

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

*inclusi il Comune e la Provincia di Latina.

108

Tab. 4.1. Modo di esprimersi in famiglia per età degli intervistati. Valori percentuali

Modo di esprimersi Dialetto d'origine Lingua italiana Latinense Non risponde Totale

20-25

25-30 30-35

35-45

45-65

65-w

Totale

12.7

1 5 .9

21.8

17.5

42.3

55.4

28.2

44.8 41.4

5 8.7 23.8

49.1 27.3

56.7 25.8

43.6 1 3 .4

35.7 8.9

48.0 23.0

1.1

1 .6

1 .8

100.0

wo.o

100.0

0.8

0.7 100.0

100.0

100.0

100.0

Tab. 4.2. Modo di esprimersi nei rapporti amicali per età degli intervistati. Valori percentuali

Modo di esprimersi Dialetto d'origine Lingua italiana Latinense Non risponde Totale

20-25

25-30 30-35

35-45

45-65

65-w

Totale

3 .4

1 .6

9.1

13 .4

20.4

32.1

1 3 .8

46.0 50.6

63.5 34.9

63.6 25.5

58.8 27.8

63.4 14.8

5 1 .8 1 2.5

58.2 27.0

1 .4

3.6

1 .0

1 00.0

100.0

100.0

1 .8 100.0

100.0 100.0

100.0

Tab. 4.3. Modo di esprimersi nei rapporti di lavoro per età degli intervistati. Vafori percentuali.

Modo di esprimersi Dialetto d'origine Lingua italiana Latinense Totale

20-25

25-30 30-35

35-45

45-65

65-w

Totale

1 .3

4.0

2.4

1 1 .0

30.4

6.0

69.4 26.6

76.1 2 1 .5

75.2 1 3 .8

56.6 1 3.0

70.0 24.0

100.0 100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

55.1 43.6 100.0

76.8 23.2

109

5 . VISIBILITA', STATUS E P RESTIGIO SOCIALE

5.1. Premessa

Nella prima parte di. questo capitolo analizziamo le opinioni de­ gli intervistati sulla propria esperienza lavorativa, sulla loro attua­ le condizione economica e sulle aspettative di migliorar la nel futu­ ro. Successivamente cercheremo di vedere come attraverso questi giudizi, opinioni e aspettative si manifesti un processo di differen­ ziazione sociale tra gli individui. Nelle opinioni, nelle valutazioni, nei giudizi, nelle scelte sono infatti impliciti criteri che rinviano a modelli culturali di carattere più generale. Il nostro scopo non è tanto quello di compiere una specifica indagine sui consumi o sul­ la situazione economica degli intervistati, quanto piuttosto di ri­ costruire tali modelli culturali. Per questa ragione la ricerca di dati di tipo oggettivo è inserita in un contesto tendente a far esprimere agli intervistati una valutazione sulla logica sociale sottostante agli atteggiamenti e alle opinioni espresse. �obbiettivo è di fare in­ teragire i dati sugli atteggiamenti concreti con i modelli culturali che organizzano l'autopercezione degli intervistati. Da un lato, in­ fatti, negli atteggiamenti concreti sono impliciti i modelli cultura­ li, dall'altro questi strutturano l'autopercezione degli attori sociali e forniscono loro i criteri di valutazione, di giudizio e di orienta­ mento nella scelta. Da tali criteri scaturisce, poi, una specifica e complessa articolazione delle tipologie del gusto e del consumo. Entro tali modelli culturali gli attori sociali pensano la propria si­ tuazione, organizzano la propria esistenza, motivano le proprie strategie e i propri progetti di vita. Essi sono le risorse di senso a disposizione degli attori sociali. I nfine, si tratterà di vedere la qua­ lità di tali modelli culturali. In particolare, il tentativo consiste nel 110

cercare di ricostruire le norme sociali di tipo moderno o tradizio­ nale contenute nei modelli culturali più diffusi. Pertanto, il percorso logico del capitolo va dall'analisi delle ri­ sposte ad alcune domande sulla condizione professionale, sul red­ dito e sui consumi alla ricostruzione dei modelli culturali in essi impliciti e al tentativo di tracciare una mappa dei modelli culturali e dei modelli di razionalità. Si tratta infatti di vedere se tali model­ li funzionano da codice di comunicazione e di integrazione cultu­ rale. Ciò ci metterà nella condizione di esprimere una prima valu­ tazione circa il processo di integrazione in atto nella città.

5.2. Il bisogno di visibilità

A Latina, proprio per la sua formazione, nella gran parte delle relazioni sociali "manca quella specifica e personale conoscenza reciproca degli abitanti tra loro, che è tipica del gruppo di vicina­ to" (l); pertanto, la configurazione complessiva della socialità ha aspetti cittadini. Si tratta del semplice fatto che in una città di mi­ granti per un lungo periodo le differenti culture non possond co­ stituire un comune riferimento per gli attori sociali. Perciò il biso­ gno di riconoscimento da parte degli altri attori sociali o avviene entro la cerchia ristretta della parentela, oppure deve trovare altre forme di espressione. Per un verso, le relazioni sociali sono im­ prontate ad una logica di tipo tradizionale, anche se per un nume­ ro non alto di intervistati, e per un altro esprimono una anonimità e una incomunicabilità (a prescindere dalla grandezza della città) tipica della modernità. All'interno di questa configurazione dei rapporti sociali gli individui cercano di soddisfare i loro bisogni di integrazione e di differenziazione. Da un lato, infatti, essi han­ no bisogno di essere e di sentirsi integrati entro una rete di relazio­ ni securizzante; dall'altro, invece, hanno bisogno di costruirsi una identità propria, attraverso un processo di differenziazione entro la struttura comune delle relazioni sociali. Integrazione e identità sono i due poli tra i quali oscilla la bussola dell'individuo. Un ec­ cesso di integrazione annienta la sua identità; un eccesso di indivi-

l. Cfr. M. Weber, Wirtschaft und Gesellschaft, cit.,

111

( p.328.

dualizzazione produce il suo sradicamento (2). La forma specifica attraverso cui si manifesta il processo di dif­ ferenziazione nella società moderna lega la ricerca di una identità personale visibile alle possibilità di consumo consentite dal reddi­ to familiare, alla condizione professionale e al livello d'istruzione (3). La risorsa materiale mediante cui si opera la differenziazione ha o acquista uno statuto eminentemente simbolico. La tipologia del consumo può perciò essere vista come una tipologia di segni, con una propria struttura sintattica e semantica. Nella teoria politica e sociale la visibilità è stata considerata da diversi punti di vista (4). Secondo l'ipotesi del Bentham, la visibili­ tà consente al potere di controllare ogni movimento Jegli indivi­ dui entro una struttura (fabbrica, carcere, scuola). Essa risponde all'esigenza di oggettivare ogni particolare, fisico e comportamen­ tale, degli individui. Come tale risponde alla necessità di controllo della società da parte della sua organizzaz!one politica. Secondo R.K. Merton, invece, la visibilità è "un attributo della struttura so­ ciale". Essa è "la misura in cui la struttura di un'organizzazior.e sociale permette agli individui variamente situati in essa di cono­ scere le norme esistenti nell'organizzazione e il modo in cui coloro che costituiscono l'organizzazione esplicano i loro ruoli" (5). Ne­ cessità funzionale del potere oppure attributo della struttura orga­ nizzativa, la visibilità ha un suo statuto funzionale nel sistema so­ ciale. Secondo la linea che andiamo proponendo, invece, la visibi­ lità, l'essere visibile è un attributo dell'individuo. La sua prestazio­ ne funzionale consiste nel tentativo di differenziare un attore so­ ciale dall'altro e di consentirgli così di costruire una propria iden­ tità. Questa forma della visibilità si manifesta in un fenomeno ti ­ pico della società moderna industriale che rende possibile nello

2. Sul problema della di fferenziazione sia consentito il solo rimando ai classici lavori di G. Simmel, Soziologie, Leipzig, Duncker & Humblot, 1922, pp.527-73; Ueber soziale Dif· ferenzierung, Leipzig, Duncker & Humblot, 1890 (tr.it. La differenziazione sociale, Later· za, Bari, 1982). 3. Riprendiamo qui la problematica classica di T. Veblen, The Theory of Leisure C/ass (tr.it. La teoria della classe agiata, Utet, Torino, 1969). Cfr. in particolare il capitolo IV: il consumo vistosv. 4. I.;opera più fa'llosa in questo senso è il panopticon, l'occhio u niversale di J . Bentham. Sul tema della visibilità cfr. R.K. Merton, Socio/ Theory and Socio/ Structure, cii., 631-65. 5 . fr. R.K. Merton, op.cit., p.65 5.

112

stesso tempo l'identificazione in un gruppo e, attraverso questa, la differenziazione individuale. G. Simmel ha visto nella moda "una delle forme di vita con le quali la tendenza all'eguaglianza sociale e quella alla differenziazione individuale si congiungono in un fare unitario" (6): La moda o, con le parole di Veblen, il con­ sumo vistoso -cioè: visibile- , differenzia un individuo dall'altro e nello stesso tempo identifica il gruppo di quanti si sono resi visibi­ li con lo stesso segno. Pertanto essa, nel momento in cui produce una differenziazione individuale, consegue anche un risultato fun­ zionalmente essenziale individuando un gruppo, una cerchia, un ceto o una classe che l'individuo comincia ad identificare come il gruppo, la cerchia, il ceto, la classe dei suoi pari. In assenza di cri­ teri tradizionali di differenziazione sociale, "quando i mezzi di co­ municazione e la mobilità della gente espongono... l'individuo al­ l'esame di molte persone che non dispongono di altro mezzo per giudicare la sua rispettabilità che lo sfoggio di beni ( ... ) che egli è capace di fare" (7), il consumo vistoso diventa un segno tangibi­ le dello status dell'individuo. In una società non integrata e alla ricerca di una sua identità le funzioni del consumo -e del consumo vistoso in modo particolare- consistono nel soddisfare il bisogno di identità e di integrazione. Abbiamo cercato di comprendere l'esplicarsi di queste funzioni del consumo in una apposita parte del questionario (blocco D) per mezzo di una serie di domande volte a ricavare -oltre ad alcuni dati oggettivi- anche indicazioni di carattere più generale attinenti la logica sociale. Nella parte che segue diamo conto di queste ri­ sposte. Cominciamo con la soddisfazione professionale.

5.2.1. La soddisfazione professionale

I 500 intervistati del campione si sono dichiarati soddisfatti del­ la propria condizione professionale nella misura del 71.60Jo (358 casi); gli insoddisfatti sono invece il 26.80Jo (134 casi); 1'1 .6% (8 ca­ si) non risponde. In generale, la soddisfazione per il proprio lavo6. Cfr. G. Simmel, "Zur Psychologie der Mode. Soziologische Studie", in Die Zeit, 1 895, pp.22-24, (tr.it. Editori Riuniti, Roma, 1985, p.l4 e Longanesi, Milano, 1985, p.3 1). 7 . Cfr. T. Veblen, op.cit., p.l 28-29.

113

ro è diffusa tra tutti i gruppi regionali. Fanno eccezione i sardi e " i lucani. Se poi dalla percentuale degli insoddisfatti si detraggono coloro che hanno ovvie ragioni per non essere contenti di quanto fanno: i disoccupati, i pensionati e in una certa misura le casalin­ ghe (tutti insieme costituiscono il 120Jo del campione), l'area della insoddisfazione diventa ancora più circoscritta. Se si fa riferimen­ to alle grandi aggregazioni geografiche di provenienza degli inter­ vistati, il livello di soddisfazione oscilla tra il 71 OJo dei nati nell' Ita­ lia centrale e il 760Jo dei nati nelle regioni dell' Italia meridionale. Ciò consente di concludere che la soddisfazione per la propria condizione professionale è un dato molto diffuso. La soddisfazione o l'insoddisfazione è commisurata alle aspet­ tative. Si può affermare che tra aspettative e soddisfazione si sta­ bilisca in qualche modo un rapporto inverso. Più basse sono le aspettative, più alta è la probabilità che esse possano essere soddi­ sfatte. Viceversa, quanto più alte sono le aspettative, tanto più bassa è la probabiltà che esse siano soddisfatte. In tutto questo, ovviamente, gioca un ruolo essenziale la situazione di partenza. Per una popolazione di immigrati -la cui situazione di partenza non è stata certamente positiva- la formazione delle aspettative ha sicuramente compiuto un cammino tortuoso. All'inizio vi è stata solo la speranza di migliorare la situazione negativa nei termini più elementari di lavoro e di sopravvivenza; la situazione culturale ha seguito poi il procedere delle vicende del trasferimento, dei suc­ cessi in termini di sicurezza economica, di inserimento in un mon­ do sociale nel quale finalmente i soggetti hanno trovato un pro­ prio ruolo. La configurazione del sistema delle aspettative è stata perciò varia, mutevole e flessibile (8). La situazione professionale può essere considerata un indicatore sintetico della condizione ge­ nerale dei soggetti. Il fatto che nel complesso gli intervistati si con­ siderano soddisfatti, vuoi dire che giudicano riuscito il loro decor­ so vitale. Il giudizio sui loro cicli di vita appare positivo al mo­ mento della rilevazione. 8. Non è possibile applicare uno schema di riferimento diverso. {;alta percentuale di sod­ disfatti tra gli intervistati indica che la loro situazione nei luoghi d'origine ha svolto un ruo­ lo decisivo nella costruzione delle aspettative. I giovani dai 20 ai 30 anni, invece, nella co­ struzione delle loro aspettative hanno fatto riferimento ad una situazione diversa. Proba­ bilmente quella costruita dai loro stessi genitori. Tra loro la percentuale dei soddisfatti è più bassa di quella riscontrata tra i più anziani.

114

Tale conclusione -che non deve ovviamente far dimenticare le motivazioni dell'insoddisfazione di quella parte di attori sociali che esprimono un giudizio negativo complessivo sui loro cicli la­ vorativi e vitali- è rafforzata dall'analisi delle risposte dei nati i n provincia d i Latina e dei nati a Latina. Nel primo caso s i tratta di un'immigrazione diversa da quella -ad es. - dei siciliani, puglie­ si, friulani o veneti. Ciò che la distingue è la possibilità di un re­ troterra vicino, disponibile come retrovia utile per un ritorno nel caso di un clamoroso insuccesso o come sostegno nella difficoltà dell'operazione. Per gli altri migranti, invece, la partenza ha signi­ ficato spesso un taglio con il proprio mondo originario. La forma­ zione delle aspettative per i nati in provincia di Latina ha in qual­ che modo beneficiato di condizioni di partenza più favorevoli ri­ spetto agli altri. Dunque, se questo è vero, il livello delle loro aspett�tive avrebbe dovuto essere più alto. Il fatto che essi siano soddisfatti all'incirca come gli altri, significa che i fattori del suc­ cesso hanno operato in modo generalizzato tra gli immigrati di tutte le aree geografiche. Gli immigrati della provincia di Latina non · fanno eccezione. Più interessante ancora è il caso dei nati a Latina. Si tratta di figli di immigrati. Essi sono la prima generazione di nati nellà cit­ tà e in qualche modo cominciano a beneficiare dei risultati conse­ guiti dai loro genitori. Più alto e, per così dire, "normale" avrebbe dovuto essere il livello delle loro aspettative. La quota di soddi­ sfatti tra di loro non è sostanzialmente diversa da quella degli altri gruppi. Si può pertanto ipotizzare che, per la prima generazione di nati a Latina, non vi sono o non si danno ancora condizioni diverse da quelle dei loro genitori. In realtà, in tale quadro generale abbastanza omogeneo, solo l'età mette in evidenza atteggiamenti differenziati. I più giovani gli intervistati da 20 a 30 anni- mostrano una situazione diversa da quella dei gruppi d'età più anziani. Sebbene la quota dei soddi­ sfatti sia largamente maggioritaria anche in questo caso, non si può non rilevare che in questo gruppo di intervistati essa scende al 640Jo, contro il 70% dei trentenni, 1'80% dei quarantenni, il 73% dei cinquantenni, dei sessantenni e degli ultrasessantenni. Se vi è un disagio per il lavoro e la condizione professionale, esso è massimo tra i più giovani.

115

5.2.2. I livelli del reddito

C'è tuttavia una differenza tra giudizio su quanto ognuno ha fatto sul piano professionale e giudizio su quanto ritenuto neces­ sario per dare soddisfazione alle aspettative attuali. Ciò viene in chiaro nell'analisi del giudizio sul reddito e sulla sua idoneità- a soddisfare le esigenze familiari attuali. Pur avendo le intevistatrici chiarito che in nessun modo le risposte fornite avrebbero potuto creare difficoltà con il fisco, è da supporre che alcuni intervistati -in modo particolare coloro che non hanno un reddito proveniente da lavoro dipendente- abbiano abbassato il livello del loro reddito. E ciò non diversamente da quanto succede probabilmente in altri contesti sociali. I noltre, una quota consistente (cfr. la Tabella l) e diffusa tra tutte le aree geografiche di provenienza degli intervista­ ti, preferisce non rispondere alla domanda. A queste condizioni, tuttavia, i più alti livelli di reddito sono dichiarati tra i nati a Lati­ na. Tra questi si rileva pure il più basso livello di non risposte. Ciò significa che in questo caso la situazione è tanto consolidata che non si hanno più problemi e -forse- non è più nemmeno facile o necessario nascondere. Seguono poi i nati in provincia di Latina. Per converso, i più bassi livelli di reddito si trovano tra i nati al Nord. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che tra costoro si trova­ no i primi coloni, per lo più ora pensionati, che hanno concluso il loro ciclo di vita economico. In generale, oltre il 25 0Jo del cam­ pione dichiara di percepire un reddito tra 20 e 50 milioni. La punta più alta -coloro che dichiarano un reddito superiore ai 40 milioni annui- appartiene esclusivamente all'area centrale e nella quasi to­ talità ai nati a Latina e provincia. Se poi questo reddito sia giudicato sufficiente per le necessità familiari è cosa ben differente. La percentuale di quanti dichiara­ no che il proprio reddito è sufficiente per i bisogni familiari non corrisponde ovviamente a quella di coloro che sono soddisfatti della propria condizione professionale; nemmeno se da essa ven­ gono sottratti i disoccupati, le casalinghe e i pensionati. Si intrav­ vede perciò uno scarto consistente tra l'adesione all'attività lavora­ tiva -che di per sé viene accettata i n buona misura- e il reddito rea­ lizzato dai componenti della famiglia. La divaricazione più consi­ stente si trova proprio tra i nati nelle regioni dell'Italia centrale e in modo particolare tra i nati in provincia di Latina. Ciò in 116

qualche modo autorizza ad ipotizzare un più alto livello delle loro aspettative in termini di consumo. Essi infatti giudicano inade­ guato alle esigenze della propria famiglia il proprio reddito com­ plessivo nella misura del 5 3 0Jo, contro il 45 % dei nati a Latina. Ma la quota di giudizi negativi dell'area centrale sale anche per l'alto numero di nati nelle altre provincie del Lazio che dichiarano l'ini­ doneità del reddito a soddisfare le esigenze della famiglia. Si può dunque desumere che il giudizio negativo sulla capacità del pro­ prio reddito a soddisfare le esigenze della famiglia derivi dalla in­ soddisfazione dei nati nelle province del Lazio -escluso il comune di Latina- in quanto i nati nelle Marche, nell'Umbria e nella To­ scana optano in modo pressoché eguale tra le due alternative. I nati nel Nord invece -che abbiamo visto dichiarare i redditi pù bassi- esprimono per oltre la metà un giudizio positivo. Ciò è pro­ babilmente dovuto al fatto che in età avanzata le esigenze del nu­ cleo familiare diminuiscono. Giudicano il reddito sufficiente per le esigenze familiari pure i nati nel Meridione e nelle Isole. Anche qui la composizione del dato complessivo è varia. I campani -che costituiscono il nucleo forte di questa aggregazione- si esprimono più negativamente che positivamente. Se il risultato è complessiva­ mente positivo, ciò è dovuto alle opzioni dei pugliesi e dei sardi, mentre gli altri -calabresi, lucani e-siciliani- si esprimono in modo pressoché eguale per le due alternative di giudizio. Questo quadro trova una possibilità di controllo e di verifica specifica. Se in così tanti giudicano il proprio reddito insufficien­ te, avremmo dovuto trovare molti casi di doppio lavoro. Se non vi è stata una generale negazione del fenomeno per timore di riper­ cussioni fiscali, occorre concludere che l'insoddisfazione per il reddito è legata all'alto livello di aspettative di consumo familiare. Infatti, solo il 6% del campione (32 casi) ha dichiarato di svolgere una seconda attività lavorativa. Una percentuale analoga (7%) ha preferito non rispondere alla domanda, mentre 1'87% ha risposto negativamente. La distribuzione dei 32 casi per le aree geografiche di provenienza degli intervistati vede al primo posto i nati nelle re­ gioni dell'Italia centrale, tra i quali sono predominanti i nati a La­ tina e nella provincia. La quota degli altri gruppi è invece trascura­ bile. Coloro che hanno dichiarato di svolgere una seconda attività lavorativa per la metà hanno motivato il fatto con la necessità di incrementare il reddito, un sesto circa ha dichiarato che svolge una 117

seconda attività per esigenze professionali e un terzo ha motivato la cosa mettendo insieme sia le esigenze di incrementare il reddito sia l'interesse professionale. Per quanto riguarda il proprio futuro economico il campione degli intervistati si esprime in maggioranza negativamente. Il 51 OJo degli intervistati infatti non pensa che il proprio reddito aumente­ rà "sensibilmente" in futuro, l'l % non risponde e un buon 48% ha invece aspettative positive circa la propria situazione economi­ ca. La distribuzione per le note aree geografiche di provenienza degli intervistati rovescia i risultati della domanda relativa al giu­ dizio sulla capacità del reddito di soddisfare le esigenze familiari. I nati nel Nord infatti ritengono per 1'8 5% che il proprio reddito non registrerà aumenti sensibili. Ciò appare abbastanza normale, per la prevalenza in essi di persone che hanno dunque già conclu­ so il proprio ciclo produttivo. Più complicato è invece il discorso per i nati nelle regioni dell'Italia centrale. Nel complesso essi si aspettano che il proprio reddito aumenti "sensibilmente" nella misura del 520Jo. La composizione interna di questo risultato è tut­ tavia articolata. I nati in provincia di Latina si esprimono in mag­ gioranza (54%) per la risposta negativa. Lo stesso vale -e ancora in modo più netto- per i nati nelle altre provincie del Lazio. I nati nelle altre regioni centrali invece optano in modo eguale tra le due alternative. Se dunque il risultato mostra una percentuale nel complesso maggioritaria per coloro che si aspettano un aumento "sensibile" del proprio reddito, si deve ai nati a Latina che optano per la risposta affermativa nella misura del 630Jo . Il motivo di una tale adesione alla speranza di un miglioramento consistente della propria situazione economica è probabilmente lo stesso -ma con segno inverso- già operante come motivazione per i nati nel Nord. I nati a Latina sono ancora o nel pieno del pr-o prio ciclo produtti­ vo, oppure stanno per cominciarlo ora. È naturale che essi nutra­ no speranza sul proprio futuro. Per quanto riguarda le regioni meridionali e le Isole si ha un ri­ sultato omogeneo. I nati nell'area meridionale e nelle Isole sono generalmente pessimisti per il proprio futuro. Solo il 400Jo di essi si aspetta un aumento "sensibile" del proprio reddito. Anche qui la risposta positiva è da collegare nella maggioranza dei casi alla più giovane età degli intervistati.

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5.2.3. La tipologia dei consumi

Per quanto riguarda i consumi abbiamo articolato la ricerca su due direttrici: i consumi familiari e i consumi personali (vedi bloc­ co D del questionario). Su questa distinzione ne abbiamo poi in­ nestata un'altra tra consumi di beni necessari all'esplicarsi della vi­ ta della famiglia (casa, vitto, abbigliamento) e consumi culturali (vedi blocco D e blocco F). Una prima analisi, tesa a cogliere la relazione tra consumi e reddito, ci mette in grado di trarre una conclusione di carattere generale: il livello del reddito non deter­ mina una differenziazione a livello dei consumi di base, ma sol­ tanto tra i consumi culturali. Ciò per alcune buone ragioni. La parte del reddito devoluta ai consumi familiari di base è percen­ tualmente analoga tra le diverse classi di reddito. Esiste ovviamen­ te una differenza di qualità tra i consumi di base; i redditi più alti, infatti, hanno la possibilità di accedere alla qualità più fine dei prodotti. La tipologia del consumo, tuttavia, viene strutturata da altre variabili, oltre al reddito. Sono in questo senso molto impor­ tanti soprattutto la condizione professionale e il livello di istruzio­ ne. Per questo, quando si coniuga con queste variabili, la differen­ za di reddito si manifesta soprattutto a livello dei consumi cultura­ li e personali (9). Nella tipologia dei consumi si può infatti vedere all'opera la differenziazione sociale dei gruppi e degli individui. Cominciamo a partire dal sesso. Il 640Jo degli uomini e il 770Jo delle donne dichiara che la spesa più rilevante è per consumi familiari come vitto e affitto di casa. �investimento in abbigliamento e beni durevoli (auto, Tv, ecc.) co­ stituisce una voce di spesa importante per il 230Jo degli uomini e il 120Jo delle donne. Le spese' per l'acquisto e la gestione della casa sono una voce di spesa rilevante per il 7 0Jo degli uomini e per il 90Jo circa delle donne. Se ci riferiamo ai consumi culturali familia­ ri -cfr. elenco b) della domanda n. 26- troviamo che gli uomini e le donne non si differenziano nell'indicare consumi di svago e in­ trattenimento (5 0Jo : cinema, teatro, opera, dischi, musicassette). Una differenza di ben 5 0Jo invece si riscontra nelle indicazioni rela­ tive allo sport, agli hobbies, alle vacanze e ai viaggi (23 0Jo gli uo9. Per una impostazione di carattere generale cfr. F. Alberoni, Consumi e società, Il Mu­ lino, Bologna, 1965 e P. Bourdieu, La distinction, Les editions du minuit, Paris, 1979 (tr.it. La distinzione, Il Mulino, Bologna, 1983).

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mini e 1 8 0Jo le donne). Infine, l'informazione e l'istruzione viene indicata come spesa rilevante dal 420Jo degli uomini e dal 440Jo del­ le donne. Per quanto riguarda invece i consumi di carattere perso­ nale, tra gli uomini sono più numerosi (300Jo) coloro che ritengono importanti le spese relative all'esplicarsi della socialità (benzina per piccoli spostamenti, pranzi e cene con gli amici), seguono quanti ritengono una spesa importante quella per l'informazione (35 %), la cura del corpo e della persona -attività sportive, vestiti, cosmetici (240Jo )- , la spesa per le sigarette (lOOJo circa) e le spese per lo svago: cinema, teatro, dischi, musicassette (30Jo circa) . Le donne formulano una diversa graduatoria: il 340JQ di esse indica le spese per la cura del corpo e della persona, il 280Jo le spese per l'informazione, 1 ' 1 1 OJo le spese per l'esplicarsi della socialità, l'80Jo le spese per le sigarette e il 5 OJo per lo svago. I.:età differenzia le tipologie di consumo in modo ancora più netto. Per quanto riguarda la prima lista di consumi della doman­ da n. 26, si può stabilire una linea di demarcazione tra quanti han­ no più di 45 anni e quanti ne hanno meno. Su una base comune molto alta (dal minimo di 68 0Jo delle indicazioni del gruppo 25-30 anni al massimo del 770Jo del gruppo di 65 e più anni) per i consu­ mi di base (vitto, affitto), si innesta poi una certa differenziazione tra i più giovani e i più anziani. I primi si orientano di più dei se­ condi verso i cosiddetti beni durevoli (auto, Tv, ecc.) e verso l'inve­ stimento per la casa (200Jo circa contro il 140Jo di indicazioni per la prima voce). Questa leggera differenziazione diventa più marca­ ta per quanto riguarda i consumi culturali. La complessiva bassa concentrazione (5 OJo) relativa a consumi come cinema, teatro, di­ schi, musicassette registra l'assenza del gruppo di 65 e più anni e una differenziazione tra il gruppo di 20-25 anni (80Jo) e di 35-45 anni (6%) e gli altri gruppi d'età (5%). Sport, vacanze, viaggi, hobbies sono preferiti dal 3 1 % del gruppo 35-45 anni, dal 21% circa del gruppo di 20-25 anni e dal 20% circa degli altri gruppi d'età, tranne il gruppo di 65 e più anni (7% ). Il gruppo di 30-35 anni è il più consistente nell'indicare come spesa importante l'in­ formazione e l'istruzione (5 1%). Seguono il gruppo 35-45 anni (46%), il gruppo 20-25 (45 %), il gruppo 25-30 (44%), il gruppo 45-65 anni (41% ) e infine il gruppo 65 e più anni (29%). Per quan­ to riguarda i consumi personali le differenze diventano ancora più marcate. I.:informazione (giornali, libri, riviste) viene indicata in 120

modo decrescente a partire dai più giovani: il 3 1 % degli intervista­ ti da 20 a 30 anni, il 290Jo del gruppo 30-35 anni, il 250Jo del grup­ po 35-45 anni, il 24% del gruppo di 45-65 e il 23 % del gruppo di 65 e più anni. Lo svago, invece, è una spesa importante per il grup­ po di 20-25 e 30-35 anni (9% ), mentre è indicata come tale da un basso numero di intervistati degli altri gruppi (3%), e da nessuno del gruppo di 65 e più anni. La spesa per la cura del corpo e della persona è i nvece indicata come importante dal 41 % del gruppo di 65 e più anni, dal 3 3 % del gruppo di 30-35 anni, dal 290Jo del gruppo di 35-45 anni, dal 28% del gruppo di 45-65 anni, dal 270Jo del gruppo di 25-30 anni e dal 25 % del gruppo di 20-25 anni. La spesa legata all'esplicarsi della socialità è indicata come importan­ te dal 14% del gruppo di 20-25 anni, dal 10% del gruppo di 35-45 anni, dal 9% del gruppo di 45-65 anni, dall'8 0Jo del gruppo di 25-30 anni, dal 5 % del gruppo di 30-35 anni, dal 4% del gruppo di 65 e più anni. Il consumo di sigarette costituisce una spesa im­ portante per il 20% del campione. Al primo posto viene qui il gruppo di 25-30 anni (270Jo ), al secondo il gruppo di 35-45 anni (240Jo ), al terzo il gruppo 45-65 anni (200Jo ), al quarto il gruppo 20-25 anni (190Jo), al quinto il gruppo 30-35 anni ( 1 8 %), all'ultimo il gruppo di 65 e più anni (1 1 OJo ). Se osserviamo gli intervistati secondo le aree geografiche di provenienza possiamo notare che i meridionali sono più numerosi degli altri nel ritenere importante la spesa per l'abbigliamento, per i cosiddetti beni durevoli e per l'acquisto e la gestione della casa (23 0Jo e 120Jo per la prima e la seconda voce, rispettivamente, con­ tro i1 1 3 % e l l OJo dei nati al nord e il 1 6 % e il 7 0Jo dei nati al cen­ tro). Per quanto riguarda i consumi che abbiamo definito cultura­ li, invece, i nati nell' Italia centrale sono più numerosi nel ritenere una spesa importante quella per sport, viaggi, vacanze, hobbies (220Jo contro il 1 8 % dei meridionali e il lO% dei nati al nord). Essi sono pure più numerosi nel ritenere importante la spesa per l'in­ formazione e l'istruzione (45 % contro il 400Jo di nati nel meridio­ ne e al nord). Per quanto riguarda i consumi personali i nati nel nord si differenziano dagli altri circa la spesa per l'informazione (28 0Jo contro il 260Jo dei nati al centro e il 240Jo dei nati nel meri­ dione), per la spesa relativa alla cura del corpo e della persona (33 % contro il 29% dei nati al centro e il 25 OJo dei nati nel meri­ dione), per la spesa in sigarette (250Jo contro il 21% dei nati al cen121

tro e il 2007o dei nati nel meridione). Nel ritenere importanti le spe­ se per le attività collegate all'esplicarsi della socialità sono invece primi i nati nel centro (1207o ), secondi i nati nel meridione (607o) e infine i nati al nord (307o ) . S e osserviamo gli intervistati secondo l a loro professione trovia­ mo anche qui differenze di atteggiamento sensibili. In particolare, per quanto riguarda i consumi di base non c'è differenza tra ope­ rai e impiegati e dirigenti pubblici e privati (67 07o per entrambi i gruppi); si differenziano invece gli imprenditori e i liberi profes­ sionisti, per il 5207o dei quali è importante la spesa per il vitto e l'affitto. Viceversa, questi sono più numerosi degli altri nel ritene­ re importante la spesa per l'abbigliamento e per i beni durevoli (3307o contro il 2207o degli impiegati e dirigenti e il 1 5 07o degli ope­ rai). Sono in questo superati solo dagli artigiani (3607o) che si avvi­ cinano ad essi pure nell'importanza attribuita alla spesa per il vit­ to e l'affitto di casa (58 Oi'o ). Inoltre -ed è un ulteriore segno di distinzione- gli operai sono più numerosi nell'attribuire importan­ za alla spesa per l'acquisto e ia gestione della casa (1407o ), mentre impiegati e dirigenti pubblici e privati si avvicinano in questo agli imprenditori e liberi professionisti (807o e 707o, rispettivamente) . Per quanto riguarda i consumi familiari che abbiamo definito co­ me culturali, la differenziazione è ancora più netta. Sui tre blocchi nei quali abbiamo disposto le singole voci emerge una differenzia­ zione tra operai, impiegati, dirigenti e commercianti da una parte e liberi professionisti e imprenditori dall'altra sullo svago e l'in­ trattenimento (cinema, teatro, dischi, musicassette): 907o per i pri­ mi e 407o per i secondi. Sulle voci vacanze-viaggi e sport-hobbies invece gli impiegati e dirigenti tendono a formare gruppo con gli artigiani, i commercianti, gli imprenditori e i liberi professionisti, mentre gli operai si avvicinano in qualche inodo agli agricoltori. La stessa cosa accade nell'informazione (giornali, riviste, libri) e nell'istruzione dei figli. La stessa dicotomia si verifica sul piano dei consumi personali. Più chiara ancora appare la differenziazione degli atteggiamen­ ti degli intervistati se si considera il loro livello d'istruzione. Se consideriamo ancora una volta il primo elenco di consumi della domanda n.26 del questionario, possiamo constatare che per i consumi di base (vitto, affitto di casa) i più numerosi sono gli in­ tervistati con livello d'istruzione più basso (i senza titolo di studio 122

con l'840Jo ) e i meno numerosi sono i laureati (560Jo ). Nei gradini intermedi della scala si dispongono gli altri: 770Jo per gli intervi­ stati con licenza elementare, 730Jo per gli intervistati con la licenza media e 670Jo per gli intervistati con il diploma di scuola media superiore. Viceversa, nell'attribuire importanza alla spesa per l'abbigliamento e i beni durevoli la scala è inversa: i senza tito­ lo sono i meno numerosi (90Jo ); seguono i licenziati della scuola eleme�tare con il 1 3 0Jo, della scuola media con il 160Jo, della scuola media superiore con il 230Jo e i laureati con il 25 0Jo. Nell'attribuire importanza alla spesa per l'acquisto della casa si forma un'accop­ piata tra senza titolo di studio e licenziati della scuola elementare (70Jo e 60Jo ), un'altra tra diplomati della scuola media e media su­ periore (80Jo) e da soli si collocano invece i laureati (140Jo ). Sui con­ sumi di tipo culturale si delinea una situazione altrettanto netta. Nel ritenere importante l a spesa per vacanze-viaggi e sport­ hobbies si parte dal 7 0Jo dei senza titolo di studio, si passa attraver­ so il 1 5 0Jo dei diplomati della scuola elementare, il 200Jo dei diplo­ mati della scuola media, il 27 0Jo dei diplomati della scuola media superiore e si arriva al 290Jo dei laureati. Nell'attribuire importan­ za alla spesa per l'informazione e per l'istruzione dei figli i diplo­ mati di scuola elementare con il 41 OJo fanno eccezione: si allonta­ nano dai senza titolo si studio (160Jo ) e si avvicinano ai laureati (440Jo ), ai diplomati di scuola media (450Jo) e ai diplomati di scuo­ la media superiore (500Jo ). Sul piano dei consumi personali si deli­ nea ancora una analoga situazione. Nell'attribuire importanza al­ la spesa per l'informazione, ad es., si formano due blocchi: laurea­ ti e diplomati della scuola media superiore (400Jo ) da una parte e diplomati di scuola elementare e media (190Jo ) dall'altra. A parte (90Jo ) si collocano i senza titolo di studio. Nella cura del corpo e della persona i valori espressi sono più vicini tra loro. Si va dal 390Jo dei senza titolo al 3 3 0Jo dei diplomati di scuola elementare, al 290Jo di scuola media, al 280Jo dei diplomati di scuola media su­ periore e al 200Jo dei laureati. Nell'attribuire importanza alle spese connesse con l'esplicarsi della socialità si ha una situazione diver­ sa: i laureati sono i primi (160Jo), seguono i diplomati di scuola media ( 1 1 OJo) e i diplomati della scuola media superiore e della scuola elementare (80Jo ). Nell'attribuire importanza alla spesa per le sigarette vengono prima i diplomati di scuola media (290Jo), se­ guono i diplomati della scuola elementare (25 OJo ), i senza titolo di 123

studio (200Jo), i diplomati di scuola media superiore ( 1 3 0Jo ) e i lau­ reati (90Jo ). Questi indicatori della distinzione sono tipici della so­ cietà di massa. Il sistema produttivo mette a disposizione consumi differenziati per i diversi tipi di reddito e di gusto. La moda divie­ ne così un consumo ostentatorio generalizzato. Per la su.a struttu­ ra di segno, essa si presta a funzionare come simbolo della diffe­ renziazione. La tipologia del consumo configurata nelle pagine precedenti consente di leggere in filigrana una struttura della ric­ chezza e della stratificazione sociale. Nella attuale società della produzione e del consumo di massa la tipologia dei consumi fun­ ziona pure come indicatore della disuguaglianza sociale. Nella ge­ nerale disponibilità di ogni cosa, i diversi oggetti e prodotti consu­ mati individuano alla fine una gerarchia d'ordine, di influenza, di ricchezza e di potere. A Latina, ove non esistono criteri precedenti di attribuzione di status e di prestigio, la tipologia del consumo mostra la stratificazione sociale nella sua prima configurazione. Come vedremo anche più avanti, "titoli e quarti di nobiltà cultu­ rale" non sono ancora cristallizzati. Una piccola élite comincia però a selezionarsi tra la folla anonima dei consumatori.

5.2.4. Il bisogno diffuso di visibilità, ovvero: quanto conta spendere per consumi vistosi

Siamo ora in grado di affrontare il discorso sul bisogno di visibili­ tà e vedere quanto esso sia diffuso. Le nostre informazioni deriva­ no dalle risposte degli intervistati alla domanda: Secondo te, nella considerazione della gente di Latina, quanto conta disporre di molto denaro da spendere in consumi vistosi?. I.:elenco delle ri­ sposte prevedeva "molto", "abbastanza", "poco" ( 10). Se si prende come discrimine delle risposte (cfr. la Tabella 2) il valore mediano !'abbastanza'� si possono tracciare due campi ben definiti: da parte una quota minoritaria (60Jo ) ritiene che spendere per consumi vistosi conti poco e, dall'altra, una quota largamente maggioritaria (590Jo) ritiene invece che conti molto. Se poi prenIO. Come si vede la domanda è stata posta in modo che gli intervistati non esprimessero una valutazione su di sé -nella quale sarebbero probabilmente subito entrate tentazioni a dare una immagine più positiva di sé a se stessi e agli altri- , ma nella forma di un giudizio "oggettivo" su come va il mondo.

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diamo anche quanti hanno risposto "abbastanza", possiamo con­ cludere che quasi tutto il campione -più del 900Jo -è orientato a ri­ tenere che per gli abitanti di Latina sia importante avere molto de­ naro da spendere in consumi vistosi. Si potrebbe in altri termini affermare che spendere per consumi che danno status è ritenuto importante da parte degli intervistati, anche se ciò non vale per sé, ma per gli altri. È come se gli intervistati vedessero in tale compor­ tamento una sorta di regola generale. La domanda infatti solleci­ tava proprio un giudizio di questo genere. Se consideriamo le aree geografiche di provenienza degli inter­ vistati possiamo notare un solo aspetto interessante: i nati nel Nord si differenziano dai nati nell'Italia centrale, nel Meridione e nelle Isole perchè si concentrano di più sulla voce abbastanza (43 OJo ). Ma tale differenziazione è ancora una volta dovuta all'età. Essa differenzia tra di loro anche gli intervistati di altre aree terri­ toriali. Se aggreghiamo gli intervistati in due gruppi d'età (20-45 anni e 45-w), i primi si concentrano di più sulla voce "molto" (63 % per tutte le aree territoriali), mentre i secondi si orientano variamente per la voce "abbastanza" (36% per il Nord, 29% per il Centro, 3 1 % per il Sud e le Isole). Per quanto riguarda il sesso si può notare che alla composizione del 60Jo circa di coloro che rispondono "poco" contribuiscono più gli uomini (8%) che le donne (4% ). Sulle altre voci non si verifica­ no apprezzabili differenze. In generale, dunque, gli intervistati, comunque raggruppati e osservati, pensano che nella considerazione della gente di Latina conti spendere in consumi vistosi. Solo gli anziani e i più giovani (gruppo di 20-25 anni in gran parte nati a Latina) dimostrano un orientamento leggermente diverso: gli anziani, perchè nella loro cultura i riferimenti alla tradizione mettono in gioco altri processi di identificazione e di differenziazione sociale; i giovani, perché orientati, come tante ricerche dimostrano, verso valori "post­ materialisti" (11). In conclusione, si potrebbe dire che il codice per mezzo del quaI l . Cfr. R. I nglehart, The Silent Revolution, University Press, Princeton, 1977 (tr.it. La rivoluzione silenziosa, Rizzoli, Milano, 1983). Le ricerche successive sui giovani hanno messo a fuoco meglio la questione del loro orientamento culturale. Cfr. la rassegna critica in R. Cartocci, "l valori post-materialisti dieci anni dopo", in Rivista italiana di scienza politica, X I I I , n. 3, 1983, pp.413-443.

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le gli individui (secondo l'opinione di una larghissima maggioran­ za degli intervistati) comunicano, è costruito sulla visibilità. Entro questo codice gli individui operano la propria differenziazione so­ ciale. Poiché tuttavia la visibilità è una risorsa simbolica generaliz­ zata, essa viene usata da una molteplicità di attori sociali, indipen­ dentemente dalla loro effettiva consistenza economica e finanzia­ ria (12) . Così, mentre con il ricorso al consumo vistoso gli indivi­ dui cercano di costruire una propria identità differenziandosi da­ gli altri, la grande disponibilità della risorsa di cui fanno uso con­ sente nello stesso tempo pure agli altri di differenziarsi mediante lo stesso processo e per mezzo della stessa risorsa. Ne risulta alla fine, proprio come G. Simmel aveva diagnosticato per la moda, una ricerca continua, talvolta ansiosa, di modi di pensare e di stili di vita capaci di differenziare gli individui gli uni dagli altri. La qualità stessa della risorsa utilizzata in questi processi, tuttavia, mette capo per un verso ad un'identità debole e per un altro ad una fragile integrazione.

5.3. Modelli culturali e percezione del mondo sociale

Per ricostruire il bisogno di visibilità abbiamo analizzato le ri­ sposte cercando di vedere nella ricerca e nell'uso di risorse simbo­ liche, da un lato, un processo di costruzione dell'identità indivi­ duale e, dall'altro, un codice di comunicazione entro il quale com­ portamenti e stili di vita si integrano. Le risposte alla domanda su cosa sia necessario per acquisire prestigio sociale (cfr. Questiona­ rio, blocco D, dom. 29) consentono di porsi ad un livello più astratto e generale. È nostra intenzione tentare di cogliere i model­ li di razionalità e di regolazione della vita sociale della città secon­ do gli intervistati. Per rispondere alla domanda, gli intervistati possono scegliere tra 7 voci. Esse sono: l . intraprendenza e capaci­ tà professionale, 2. spregiudicatezza e capacità di approffittare delle situazioni, 3 . ricchezza, 4. avere una famiglia agiata e influ1 2. Si potrebbe ripetere per gli individui quanto T. Veblen diceva per le classi sociali (cfr. Veblen, op.cit., p.l 27): "nessuna classe sociale, neppure la più miserabile, rinuncia ad ogni tradizionale consumo vistoso". I processi produttivi della società contemporanea assi­ curano a molti un minimo di risorse materiali per mezzo delle quali accedere a una molte­ plicità di risorse simboliche.

T.

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ente, 5 . correttezza e rigore morale, 6. avere un alto livello cultura­ le, 7. altro. Ogni intervistato può fornire due indicazioni. In generale, si può osservare che gli intervistati sono consapevo­ dei reali meccanismi sociali. Essi puntano in modo nettamente li maggioritario (62% ) verso gli elementi di dinamismo individuale (cfr. la Tabella 3). I..: intraprendenza e la capacità professionale co­ stituiscono il requisito principale per acquisire prestigio sociale per il 3 5 0Jo degli intervistati. Il suo omologo negativo spregiudicatezza e capacità di approfittare delle situazioni- è inve­ ce indicato dal �7 0Jo degli intervistati. Seguono poi elementi di ti­ po tradizionale -ricchezza e famiglia agiata- con il 1 5 0Jo e il 120Jo. Nettamente minoritaria l'indicazione di tipo culturale e morale. Solo l' 8 0Jo degli intervistati, infatti, ritiene che il prestigio sociale possa essere acquisito per mezzo della correttezza e del rigore mo­ rale e appena il 20Jo indica nell'alto livello culturale dei soggetti un tale mezzo. La distribuzione per aree geografiche di provenienza degli inter­ vistati rivela una sorprendente omogeneità per quanto riguarda l'indicazione relativa alla "intraprendenza e capacità professiona­ le" come mezzo per acquisire prestigio sociale. Le tre aree -Centro, Sud-Isole e Nord-sono comprese in un punto di percentuale (dal 340Jo dei nati nel Centro al 3 5 0Jo dei nati nel Meridione-Isole e nel Nord). È certamente un indicatore notevole dell'integrazione cul­ turale avvenuta. I..: i ndicazione concernente l'omologo dell'intra­ prendenza e della capacità professionale -la spregiudicatezza- non ha ricevuto adesioni eguali tra i gruppi regionali. Qui il Centro e il Nord sono più vicini: 300Jo e 270Jo rispettivamente; i nati nel Sud e nelle Isole il 1 8•0Jo. La ricchezza viene indicata in modo più consistente dai nati nel Meridione e nelle Isole: 190Jo. Seguono i nati nel Nord e nel Centro con, rispettivamente, il 1 7 0Jo e il 1 3 0Jo. Più alta di tutte è pure la percentuale di nati nel Meridione e nelle Isole tra quanti ritengono che la fonte del prestigio sociale sia da indivi­ duarsi nella "famiglia agiata e influente": 1 5 0Jo . I nati nel Centro e nel Nord indicano allo stesso modo questa voce (120Jo). Più alta è inoltre la percentuale di nati nel Meridione e nelle Isole tra quan­ ti vedono nella "correttezza e nel rigore morale" la fonte del pre­ stigio sociale: 1 3 OJo. La percentuale dei nati nel Centro e nel Nord è, i nvece, quasi la metà (70Jo ). Tutti convergono infine nell'attribui­ re scarsissimo peso alla cultura. 127

Prima di spingere la considerazione in direzione di una valuta­ zione diagnostica di tali risultati è preferibile vedere quale opzione gli stessi intervistati hanno selezionato nella seconda indicazione. La prima considerazione da fare riguarda il fatto che oltre un terzo degli intervistati non ha ritenuto opportuno dare una secon­ da indicazione. Per loro, probabilmente, era già sufficiente quanto indicato prima. Spicca, inoltre, la consistente indicazione per la "famiglia agiata e influente" quale fonte del prestigio sociale. Es­ sa viene indicata dal 3 1 OJo degli intervistati e con la stessa percen­ tuale da tutti i gruppi regionali. Come se si volesse suggerire che per acquisire prestigio sociale occorrono qualità personali, ma una buona famiglia alle spalle non fa certo male. Come seconda fonte di prestigio viene indicato da tutti i gruppi territoriali -e con percentuali non lontane- l"'alto livello culturale" dei soggetti. Se­ gue l'indicazione relativa al " rigore e correttezza morale" (con una percentuale tra il 7% dei nati nell'Italia centrale e il 90Jo dei nati nel Meridione e nelle Isole). La "ricchezza" riceve un'indicazione apprezzabile (8%) solo dai nati nell'Italia centrale. Sparse sono in­ fine le altre indicazioni, anche se non occorre dimenticare che !"'intraprendenza" quale fonte di prestigio sociale riceve un certo rafforzamento. I n generale, pare opportuno segnalare due aspetti di questi dati. Il primo riguarda la divisione dei nati nelle regioni meridionali tra una quota consistente che mette l'accento sulla capacità professio­ nale e sulla intraprendenza, da una parte, e, dall'altra, una distri­ buzione di percentuali consistenti sulle voci per così dire di tipo tradizionale, risalenti a modelli ascrittivi di attribuzione di status: la ricchezza, la famiglia agiata e influente. La composizione del dato concerD.ente i nati nel Meridione è tuttavia articolata al suo interno. I campani optano decisamente per l'intraprendenza e per la spregiudicatezza. I lucani, i calabresi e i pugliesi si orientano di più verso la ricchezza, verso la famiglia agiata. Nella seconda indi­ cazione non si registrano divaricazioni consistenti nell'orienta­ mento dei gruppi meridionali. La seconda considerazione riguar­ da la divergenza nelle risposte tra i nati in città e i nati in provincia di Latina. Anche qui sono i nati nella provincia a privilegiare nella prima indicazione i modelli di tipo tradizionale e ascrittivo. Nella seconda indicazione il 44% dei nati a Latina si concentra sulla vo­ ce che vede nella ricchezza la fonte del prestigio sociale. Non è for128

se errato. pensare che -avendo indicato prima elementi personali­ abbiano ritenuto in seguito di sottolineare questo elemento che, per i nati a Latina, potrebbe non avere lo stesso valore e lo stesso senso che ha per quanti provengono da città e paesi di antiche e solide tradizioni. Abbiamo infine sottoposto le risposte ad un ulteriore test. Combinando la prima e la seconda indicazione di ogni intervista­ to, è stato possibile costruire 29 coppie. Ne abbiamo successiva­ mente eliminato 4, perché nulle o contraddittorie. Abbiamo ag­ gregato le coppie valide e costruito alcuni modelli generali. Sulla base del valore attribuito all'azione individuale abbiamo distinto le coppie di indicazioni riconducibili alla modernità da quelle di tipo tradizionale, che hanno al centro non l'individuo ma la ric­ chezza e la famiglia, che sono ereditari. Successivamente abbiamo distinto un moderno progettuale da uno pragmatico sulla base dei tratti dell'azione individuale. Le indicazioni con al centro la capa­ cità e la intraprendenza individuale e quelle con al centro il sapere (''alto livello culturale") sono state raggruppate nel moderno pro­ gettuale; le indicazioni con al centro la spregiudicatezza e la capa­ cità di approfittare della situazione -in quanto rinviano a valori di dinamismo, tempismo e opportunismo- costituiscono il modello moderno pragmatico. Le coppie di indicazioni che hanno al cen­ tro valori come la "famiglia agiata e influente" e la "ricchezza" sono invece l'asse portante del modello tradizionale. La coniuga­ zione di queste indicazioni con la "correttezza e rigore morale" ci ha consentito di formare un sottomodello che abbiamo chiamato modello tradizionale rigorista e la loro coniugazione con l"'alto li­ vello culturale" ci ha consentito di costruire un altro sottomodello che abbiamo chiamato modello tradizionale aristocratico. Sarà opportuno avvertire che si tratta di una costruzione a po­ steriori, sulla base delle coppie di indicazioni effettivamente for­ mate dagli intervistati. Questi modelli, pertanto, non costituisco­ no degli standards a cui si vuole adattare la concreta forma del pensiero degli intervistati, ma una generalizzazione delle loro indi­ cazioni. Gli intervistati hanno dato indicazioni coerenti nella stra­ grande maggioranza dei casi. Solo otto indicazioni, pari allo 0.80Jo di quelle messe a loro disposizione, risultano contraddittorie. Quattro intervistati, inoltre, non hanno dato alcuna indicazione. Nella Tavola l e nella Tabella 4 sono riportati i modelli e le per129

centuali di intervistati che hanno dato le indicazioni con le quali li abbiamo costruiti. Tavola l. Modelli culturali 1.1. Modello moderno prcgettuale

coppie di indicazioni

- correttezza e rigore morale - alto livello culturale Intraprendenza - ricchezza - spregiudicatezza - famiglia agiata - altro Alto livello culturale - correttezza e rigore morale

1.2. Modello moderno pragmatico

coppie dì indicazioni - ricchezza - famiglia agiata Spregiudicatezza - intraprendenza - altro 2.1 Modello tradizionale

coppie di indicazioni - famiglia agiata Ricchezza - altro Famiglia agiata - ricchezza 2.2. Modello tradizionale rigorista

coppie di indicazioni - ricchezza Correttezza e rigore morale - famiglia agiata

130

2.3. Modello tradizionale aristocratico

coppie di indicazioni - ricchezza Alto li vello culturale

- famiglia agiata

Tab. 4. Modelli culturali. Valori percentuali

Modelli

Indicazioni

Moderno progettuale Moderno pragmatico Tradizionale Tradizionale rigorista Tradizionale aristocratico Coppie nulle o contraddittorie

37.0 26.6 20.8 5.8 8.2 1 .6

Totale

100.0

Siamo ora in grado di svolgere alcune considerazioni generali sulla logica della regolazione sociale della città. Appare innanzi­ tutto abbastanza evidente l'orientamento maggioritario degli in­ tervistati verso valori e modelli culturali moderni. Il 640Jo degli in­ tervistati, infatti, ha dato indicazioni dalle quali si evince che le norme di regolazione sociale sono moderne. Tuttavia, questa mo­ dernità è divisa al suo interno in due parti di diversa consistenza: 37% al moderno progettuale e 27% al moderno pragmatico. Ciò vuol dire che gli intervistati che ritengono la società cittadina re­ golata da logiche moderne, si dividono in due grossi blocchi nel giudicarla. Ad alcuni sembra che per ottenere prestigio sociale, status, potere e influenza siano necessari competenza, rigore, spi­ rito di iniziativa; ad altri sembra che occorra invece la spregiudica­ tezza, il tempismo e l'opportunismo, senza che sia necessariamen­ te presente la competenza e la capacità professionale (solo il 5 0Jo coniuga la spregiudicatezza con la intraprendenza e la capacità professionale). Corrisponde più o meno ad un terzo del campione l'insieme degli intervistati che ritiene che la logica di regolazione sociale sia ancora improntata ai valori tradizionali come la ric­ chezza o la famiglia agiata. Alcuni tuttavia mettono l'accento an131

che su valori diversi e coniugano queste due voci con il rigore mo­ rale (60Jo) e con la cultura (80Jo). I.:analisi di questi dati secondo il sesso degli intervistati ci mette nella condizione di comprendere che tra uomini e donne esistono apprezzabili differenze nella percezione del mondo sociale. Infat­ ti, percepiscono come moderno progettuale il modello di regola­ zione sociale della città il 390Jo degli uomini contro il 3fi0Jo delle donne, come moderno pragmatico il 280Jo degli uomini e il 25 0Jo delle donne. Sul moderno dunque tra uomini e donne si ha una differenza di 60Jo. La partita è invece pari nelle indicazioni sul mo­ dello tradizionale: 21 OJo circa degli uomini e delle donne. Il rappor­ to si rovescia invece nelle indicazioni sul modello tradizionale ri­ gorista (40Jo uomini contro il 7 0Jo delle donne) e sul modello tradi­ zionale aristocratico (70Jo degli uomini contro il lOOJo delle donne). Nel complesso dunque gli uomini percepiscono il mondo sociale come più moderno di quanto non accada alle donne. Viceversa, queste lo percepiscono più degli uomini come culturalmente tradi­ zionale (13). Più marcate invece sono le differenze tra i gruppi d'età. Se ag­ greghiamo ancora gli intervistati in due grandi gruppi (20-45 anni e 45-w), sul moderno si ha una cospicua differenziazione (68 0Jo dei primi e 570Jo dei secondi), con una differenza di 7 punti circa sul moderno pragmatico e 4 sul moderno progettuale. (Per una più analitica osservazione della differenziazione dovuta all'età, cfr. la Tabella 5). Sul modello tradizionale il primo gruppo dà il 200Jo delle sue indicazioni, il secondo il 220Jo ; sul modello tradizionale rigorista il primo 5 0Jo e il secondo 7 0Jo e, infine, sul modello tradi­ zionale aristocratico 60Jo del primo e 1 20Jo del secondo. Per quanto riguarda le aree geografiche di provenienza degli in­ tervistati non vi sono sensibili differenze nelle indicazioni relative al moderno progettuale: 3 7 0Jo per il Nord, il Centro e il Sud e le Isole (cfr. la Tabella 6). Esse si manifestano invece tra le indicazio­ ni relative al moderno pragmatico (25 0Jo per l'area nord, 300Jo per 13. A meno che non vi sia un comportamento contraddittorio delle donne, le quali in altri momenti preferiscono dare indicazioni di tipo moderno ancor più degli uomini, que­ sto dato deve essere interpretato come una "visione oggettiva" del mondo da parte degli intervistati. Nella parte finale, infatti (cfr. Capitolo 8), indicando le mete dove vorrebbero dirigersi e dando indicazioni su come migliorare la città (cfr. Capitolo 9) le donne esprimo­ no più degli uomini preferenze di tipo moderno.

132

l'area centro e 1 8 0Jo per l'area meridionale e delle Isole). Per il mo­ dello tradizionale non vi sono differenze apprezzabili (20% dell'a­ rea nord, 20% del Centro e 22% dell'area meridionale e delle Iso­ le). Sul modello tradizionale rigorista convergono 1'8 % delle indi­ cazioni dei nati al Nord e al Sud e nelle Isole. Il Centro dà indica­ zioni pari al 5 % circa. Sul modello tradizionale aristocratico, infi­ ne, si concentra il 1 3 % dei nati nel Meridione e nelle Isole, il 7 % dei nati a l Centro e il 5 % dei nati al Nord. Quanti percepiscono questo mondo sociale come moderno pro­ gettuale sono per tre quarti soddisfatti dalla propria condizione professionale. Quanti invece lo percepiscono come moderno prag­ matico sono soddisfatti per il 65%. La stessa proporzione si ri­ scontra tra quanti lo percepiscono come tradizionale rigorista. So­ no invece quasi tre quarti i soddisfatti tra quanti lo percepiscono come tradizionale e, infine, quasi nove su dieci tra quanti lo perce­ piscono come tradizionale aristocratico. A conclusione di questa analisi si può rilevare che a Latina sono ormai dominanti logiche sociali moderne, attribuzione di status di tipo acquisitivo e un generale riconoscimento della centralità del­ l'individuo nell'agire sociale. Tuttavia, non mancano orientamenti verso modelli e stili di vita regolati da norme sociali tradizionali. Il problema è che nella concreta e complessa esistenza quotidiana si incontrano e scontrano esigenze e logiche sociali diverse. La possibilità che esse confliggano è reale quanto quella del loro equilibrato comporsi. In ogni modo, la pluralità di modelli e rife­ rimenti culturali non dovrebbe suscitare problemi. Da quanto sia­ mo venuti fin qui esponendo appare chiaro infatti che la origina­ ria differenziazione non ha costituito un ostacolo per l'integrazio­ ne umana e sociale, né per una nuova differenziazione a partire da questa base. Va infine rilevato che la domanda posta agli intervistati era al t�mpo stesso sufficientemente chiara e ambigua quanto basta. "Consumi vistosi" e "prestigio sociale" sono espressioni polisemi­ che. Esse tuttavia acquistano sufficiente chiarezza nel contesto di­ scorsivo realizzato dal questionario. Perciò si è trattato per i più di esprimere un giudizio su ciò che la ricerca di sfondo ha mostra­ to essere di senso comune: cioè, che la gente di Latina ha buone possibilità economiche -dimostrate del resto da quasi tutti gli indici- e che molte di esse sono investite in consumi che danno sta133

tus. Esprimere un giudizio su questa tendenza del costume non è stato difficile per gli intervistati.

134

Tab. l. Livello di reddito familiare per area geografica di provenienza degli in tervistati. Valori percentuali

Reddito milioni

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

Totale

N. casi

l . 5-10 2. 1 0-20 3 . 20-30 4. 30-40 5. 40-w Non risponde

14.8 43.4 21.3 7.3 8.1

14.2 5 1 .4 1 2.3 5.8 3 .0

41.6 30.0 1 5 .0 3.4

1 6.0 46.6 1 8.6 5.8 4.9

24.1 40.5 1 9.0 5.2

21.2 42.4 18.4 5.4 3.0

(106) (212) (92) (27) (15)

5.1

1 3 .3

10.0

8.1

1 1 .2

9.6

(48)

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

(500)

Totale

*inclusi il Comune e la Provincia di Latina.

Tab. 2. "Secondo te, nella considerazione della gente di Latina, quanto conta disporre di molto denaro da spendere in consumi vistosi"? Aggregazione delle risposte per aree geografiche di provenienza degli intervistati. Valori percentuali.

Molto Abbas t. Poco Non risponde Totale

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

Totale

N. casi

58.0 34.6 6.7

6 1 .0 29.6 5.6

50.0 43.3 5 .0

60.8 30.7 6.5

57.8 34.5 6.0

58.8 33.2 6.2

(294) (166) (31)

0.7

3 .8

1 .7

2.0

1 .7

1.8

(9)

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

(500)

*inclusi il Comune e la Provincia di Latina.

135

Tab. 3. Fonti del prestigio sociale per area geografica di provenienza degli intervistati. Valori percentuali.

Intrapren. Spregiudic. Ricchezza Famiglia agiata Correttezza Alto livello culturale Altro Non risponde Totale

Totale

N. casi

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

39.0 32.4 1 6.2

35.2 25.7 7 .6

35.0 26.7 16.7

34.3 30.0 1 3.0

36.2 1 8.1 1 9.0

34.8 (174) 26.8 (1 34) 14.6 (73)

6.6 3.7

1 6.2 1 2.4

1 1 .7 6.7

1 2.4 7.4

9.5 1 2.9

1 2.0 8.4

(60) (42)

1.5 0.6

2.9

1 .6

2.3 0.3

1 .7 0.9

2.2 0.4

(1 1 ) (2)

1 .6

0.3

1 .7

0.8

(4)

100.0

100.0

100.0

1 00.0

(500)

100.0

100.0

* inclusi il Comune e la Provincia di Latina.

Tab. 5. Modelli culturali per età degli intervistati. Valori percentuali.

Modelli Moderno progettuale Moderno pragmatico Tradizionale Tradizionale rigorista Tradizionale aristocratico Coppie nulle Totale

20-25

25-30

30-35

35-45

45-65

65-w

Tot.

48.3

34.9

41.8

29.9

34.5

35.7

37.0

27.6 14.9

3 1 .7 20.6

29.1 25.5

29.9 20.6

23.2 24.6

1 9.6 16.1

26.6 20.8

5.8

6.4

7.3

6.4

7.1

5 .8

3.4

4.8 1 .6

1 .8 1 .8

1 1 .3 l .O

9.2 2.1

1 7 .9 3 .6

8.2 1 .6

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

1 00.0

100.0

136

Tab. 6. Modelli culturali per area geografica di provenienza degli intervistati. Vafori percentuali

Modelli

Moderno progettuale Moderno pragmatico Tradizionale Tradizionale rigorista Tradizionale aristocratico Coppie nulle Totale

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

40.4

38.1

36.7

36.6

37.9

37.0 (185)

32.4 21.3

25.7 18.1

25.0 20.0

30.1 20.6

1 8.1 20.7

26.6 (133) 20.8 (104)

1.5

5.7

8.3

4.9

7.8

5.8

(29)

3.7 0.7

1 2.4

5.0 5 .0

7.2 0.6

1 2.9 2.6

8.2 1 .6

(41) (8)

100.0

100.0

1 00.0

100.0

100.0

100.0

(5 00)

*inclusi il Comune e la Provincia di Latina.

13 7

Totale

N. casi

6. INTEGRAZIONE E QUALITA'

DEI RAPPORTI SOCIALI

6.1. Premessa Le analisi compiute finora ci hanno messo in condizioni di deli­ neare le condizioni generali nelle quali si svolgono i rapporti so­ ciali a Latina. Ora entriamo nel vivo della questione ponendo al centro del discorso il problema dell'integrazione sociale. Come abbiamo già avuto più volte modo di notare, il tema del­ l'integrazione ha due poli di riferimento: da un lato, il rapporto intenso con il proprio luogo d'origine e -a Latina- con le persone che da esso provengono; dall'altro, lo svolgimento della propria esistenza entro rapporti con persone di diversa origine etnica e culturale. Sono naturalmente due poli estremi -due tipi ideali- tra i quali si dipana la concreta vita sociale degli intervistati. Median­ te l'uso di alcuni indicatori tenteremo alla fine di costruire un indi­ ce di integrazione sociale, non tanto per indicare uno standard a cui bisognerebbe uniformare i comportamenti e gli stili di vita, quanto piuttosto per avere un'idea di quanto cammino sia già sta­ to compiuto sulla via dell'integrazione e -di quanto eventualmente occorre farne, se si vogliono costruire rapporti sociali meno fram­ mentari degli attuali.

6.2. Il matrimonio

Il matrimonio è stato a ragione considerato come un importan­ te indicatore di integrazione sociale e culturale (1). A Latina la l . Cfr. Alberoni-Baglioni, op.cit.,

p.92 e la rassegna critica della letteratura .

138

questione non si pone come in un contesto a due culture. Per certi versi qui la questione è al tempo stesso più semplice (perché non c'è una società che rifiuta o accetta un membro di un'altra società) e più complicata (giacché ognuno deve integrarsi con l'altro). Se negli altri casi il rifiuto può costituire per l'individuo una indelebi­ le traccia di umiliazione, nel caso di Latina ciò non è in linea di principio possibile. Il successo e l'insuccesso sono per grandissima parte nelle mani dei partners del matrimonio. Per quanto "gli al­ tri" possano o vogliano contare, non esistono le condizioni sociali generali che favoriscano un loro ruolo attivo. La famiglia, il vici­ nato e la folla anonima degli "altri" giocano un ruolo secondario. Se in altri casi il matrimonio misto "indica che l'immigrato o i suoi familiari sono accettati per la più intima fra tutte le relazioni sociali" (2), a Latina ciò significa che i coniugi o i loro familiari si sono reciprocamente accettati in una delle relazioni sociali primarie. Nella scelta del partner intervengono tuttavia diversi motivi. La scelta matrimoniale non può quindi essere considerata un indica­ tore esclusivo di integrazione sociale e culturale tra persone prove­ nienti da aree geografiche e culturali diverse. Infatti, se invece di guardare al fenomeno dal punto di vista dell'attore sociale lo os­ serviamo da una prospettiva storica e statistica, possiamo vedere quali problemi di integrazione esso comporti. I noltre, le chances di integrazione e quelle di trovare un partner certe volte tendono a coincidere. Ciò soprattutto nel periodo del primo insediamento. Sia se dovuta a motivazioni oggettive, sia se dovuta a desideri e volontà individuale, la scelta del partner rivela comunque un orientamento sociale e culturale. Dare conto del fenomeno è per­ ciò in ogni modo importante. Nell'aggregazione dei dati storici (3), abbiamo considerato le opzioni matrimoniali come endogame quando entrambi i coniugi appartengono alla stessa provincia, alla stessa regione e alla stessa sull'argomento. Per di fferenti contesti internazionali cfr. D.R. Tatf-R. Robbins, Internatio­ nal Migration, The Ronald Press Co., New York, 1955, p.l47, p.536 e ss.; J. Zubrzycki, Po­ lish Immigran/s in Britain, Martinus Hijhoff, The Hague, 1956, p.l 57 e ss. 2. Cfr. Al beroni-Baglioni, op.cit., p.92. 3. I dati relativi all'integrazione matrimoniale provengono dall'archivio dello Stato civile del comune di Latina per il periodo 1932-1971 e dal Centro di elaborazione dati per il perio­ do 1 971-1987. I dati relativi alla attuale distribuzione dell'integrazione matrimoniale pro­ vengono invece dal campione.

139

area geografica (nord, centro, sud e isole) ed esogame quando essi sono di diversa provincia, regione e area geografica. Perciò parlia­ mo di endogamia interna alla provincia, alla regione e all'area geografica. Parimenti, parliamo di esogamia rispetto alla provin­ cia, alla regione e all'area geografica. Nel delineare l' integrazione matrimoniale in città distinguiamo, da un lato, i matrimoni effet­ tivamente celebrati a Latina e, dall'altro, l'integrazione matrimo­ niale esistente allo stato attuale, indipendentemente dal luogo di celebrazione del matrimonio. Cominciamo con i matrimoni cele­ brati a Latina (4) . Lo scambio matrimoniale tra persone e gruppi di differenti pro­ vince, regioni e aree geografiche ha un andamento diverso nel cor­ so del periodo 1932-1987. Esso infatti dipende dalla composizione della popolazione. Nel periodo iniziale, quando i cittadini di Lit­ toria provenivano per 1'800Jo dal Nord, il valore dei matrimoni en­ dogami alla provincia, alla regione e all'area geografica è più alto. Non manca tuttavia un minimo di scambio. I matrimoni esogami rispettQ alla provincia sono il 47%, rispetto alla regione sono il 26% e rispetto all'area sono il 17% (cfr. il Grafico 1). Possiamo definire il periodo dal 1 932 al 1940 come caratterizzato da uno scambio matrimoniale all'interno dell'area nord. I..;e sogamia tra le aree geografiche, infatti, raggiunge il 20% circa. Negli anni suc­ cessivi abbiamo una espansione dello scambio. Aumentano i ma­ trimoni esogamici di ogni tipo. Ciò è dovuto contemporaneamen­ te alla diversa composizione della popolazione e alle aumentate possibilità di comunicazione. Nel periodo 1951-55 abbiamo il va­ lore massimo di matrimoni esogamici rispetto alla provincia e alla regione (77% circa per i primi e 5 5 % per i secondi); i matrimoni esogamici di area geografica, invece, raggiungono il valore massi­ mo negli anni 1956-60 (45 % circa). Per tutto il decennio 1961-71 i valori dei matrimoni esogamici di area si mantengono intorno al 32% e 34% circa. È un dato molto interessante. Esso mostra lo scambio culturale più intimo tra le persone più lontane. Negli anni 1971-81 e 8 1-87, esso aumenta attestandosi intorno al 35 %-36%. Diminuisce invece lo scambio provinciale e regionale. Ciò signifi­ ca che in questa fase dell'integrazione matrimoniale lo scambio 4. Per un'analisi più approfondita dello scambio matrimoniale a Latina cfr. dello scri­ vente il già citato capitolo 3 del Rapporto di ricerca �nviato al C.N.R.

140

tra regioni di stessa area geografica si riduce al 3-40Jo in un primo momento e giunge quasi ad annullarsi negli ultimi anni. Questo fatto Ci mette nelle condizioni di poter concludere che questa se­ conda fase ·dell'integrazione matrimoniale è caratterizzata dal pre­ valere dello scambio tra aree geografiche. Se consideriamo la tota­ lità delle coppie (sia che siano sposate a Latina sia che siano venu­ te a risiedervi dopo il loro matrimonio), il matrimonio tra persone di diversa area geografica raggiunge il 23 %. Se consideriamo alcune direttrici dello scambio matrimoniale, possiamo dire che in una prima fase (fino alla metà degli anni ses­ santa) lo scambio più consistente avviene tra l'area nord e l'area centrale; successivamente, la direttrice dominante è data dallo scambio tra l'area centrale e l'area meridionale. Se osserviamo più da vicino questi scambi, possiamo notare che (ad eccezione del periodo iniziale) nell'interazione matrimoniale l'area centrale cede più donne di quante ne riceva . Nel periodo 1951-60 lo scambio tra uomini del Nord e donne del Centro raggiunge il 21% dei ma­ trimoni. Lo scambio inverso, uomini del Centro e donne del Nord, si aggira intorno al 4-5 %. Negli anni successivi, quando lo scam­ bio principale avviene tra l'area meridionale e l'area centrale, la questione non cambia. Questo non è un particolare stile di com­ portamento dei veneti o dei campani (che per l'area nord e meri­ dionale sono i gruppi più numerosi), ma deriva dalla composizio­ ne della popolazione migrante. In essa infatti prevalgono gli ele­ menti giovani e capaci di competere nel mercato del lavoro. Nella fase della modernizzazione italiana (anni 50-80), si spostano più gli uomini che le donne, più i giovani che gli anziani. Nel flusso migratorio verso l'Agro pontino e verso Latina, come nell'emigra­ zione diretta al Nord, sono più numerosi i giovani in età da lavoro che le donne della stessa età. Da ciò la condizione oggettiva che innalza le chances di matrimonio tra un giovane del Nord o del Meridione e una giovane dell'area centrale e in modo particolare di Latina e dell'entroterra pontino. Vediamo ora brevemente i dati del nostro campione. Se prendia­ mo come riferimento le consuete aree geografiche, su 391 intervi­ stati sposati (5) il 68 % di essi ha contratto un matrimonio con un 5. Questo dato è diverso da quello dato in precedenza. Esso contiene infatti anche le cop­ pie venute a Latina già formate, mentre l'altro analizza solo le coppie formatesi a Latina.

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partner nato nella stessa area geografica di provenienza, il 3 1 OJo ha invece contratto matrimonio con un partner nato fuori dalla pro­ pria area di provenienza. I noltre, i nati nelle regioni dell'Italia cen­ trale hanno la più alta percentuale di matrimoni endogami (80%), i nati nelle regioni meridionali la più bassa (54% ) . Per un verso questo dato conferma l'evoluzione storico-demografica della città; per un altro consente di verificare l'ipotesi secondo la quale i meri­ dionali sono immigrati in maggior misura come singoli e perciò hanno contratto un più alto numero di matrimoni esogamici. Per effetto del solo trascorrere del tempo, infatti, i nati a Latina, giun­ ti in età matrimoniale, hanno cominciato a sposarsi tra di loro. Questo ha fatto salire la quota di matrimoni endogamici della cit­ tà e dell'intera area centrale. I nati a Latina, infatti, si sposano tra di loro nella misura del 48 %. La quota restante sposa per il 37% nati in provincia di Latina, nel Lazio e nell' Italia centrale e per il 23 0Jo partners nati nelle altre aree. Il 1 3 % degli intervistati ha con­ tratto matrimonio esogamico con partners nati nelle regioni del­ l'Italia centrale. I nati nelle regioni settentrionali -che appartengo­ no in gran parte alla prima colonizzazione- presentano invece un'endogamia di area pari al 60% e un'esogamia di area del 37%. I..;analisi più minuta consente anche di vedere lo scambio avvenuto tra veneti e friulani. Esso è pari all' l 1 % dei matrimoni dichiarati dagli intervistati nati nel Nord Italia. In ogni modo, come abbia­ mo già avuto modo di notare nell'analisi dei dati storici, l'inter­ scambio esogamico delle aree geografiche e perfino dei nati all'e­ stero ha come partner l'Italia centrale e soprattutto Latina e la provincia. Ciò significa che, nel corso del tempo, i nati nella pro­ vincia di Latina e poi nella città hanno svolto e svolgono tuttora una minima funzione di integrazione che si manifesta nell'intro­ durre i partners provenienti dalle altre aree nell'ambito dei rappor­ ti cittadini e della cultura laziale e della provincia di Latina in par­ ticolare. Se consideriamo i particolari caratteri della famiglia in questo periodo storico, nel quale il ruolo della donna nella tra­ smissione dei valori culturali appare più importante di quello del­ l'uomo, si può concludere che l'alto numero di coppie con donna dell'area pontina fa ipotizzare un ruolo più attivo, quasi integratoInoltre, i motivi pel cui sono presi in esame sono diversi. Qui si vuole cercare di capire la integrazione matrimoniale esistente nella città; nell'altro caso invece si voleva comprendere come la città l'aveva favorita o ostacolata nel corso degli anni.•

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re, della sua cultura rispetto alle altre. Se si pensa inoltre al ruolo della famiglia nella conservazione delle tradizioni e nella forma­ zione degli orientamenti culturali, si può ritenere che (compatibil­ mente con gli effetti più generali di integrazione del lavoro, delle istituzioni formative e dei mass media) la cultura dell'entroterra pontino e, in generale, della provincia di Latina, potrà diventare un elemento fondamentale nella formazione dell'identità culturale della città.

6.3. IJannicizia

Un altro importante i ndicatore dell'integrazione sociale è l'ami­ cizia. Essa si presta ad analisi di diverso genere. Qui la esaminia­ mo in rapporto all'integrazione sociale, riservandoci di osservarla più avanti da altri punti di vista. Nel complesso, gli intervistati dichiarano che il loro amico più ca­ ro ha la stessa propria origine per il 27 ft/o, diversa per il 72ft/o (cfr. la Tabella l) (6). Se osserviamo questo dato in riferimento al luogo di nascita degli intervistati, possiamo tentare di compiere qualche verifica e di avanzare ulteriori considerazioni interpretative. La ve­ rifica riguarda i nati a Latina e i nati nell'Italia del Nord. Gli uni e gli altri presentano la percentuale più rilevante tra quanti dichia­ rano di avere l'amico più caro tra persone della propria origine. Nel primo caso ci troviamo di fronte alla integrazione sociale tra figli e nipoti di immigrati. Essi appartengono alle generazioni più giovani ed hanno ormai costruito una rete di rapporti amicali tra di loro. Nel secondo caso si tratta ancora dei primi coloni i quali, avendo ricostituito una qualche forma della loro comunità origi­ naria, hanno avuto pure la possibilità di costruire o ricostruire una rete di rapporti di amicizia (7). Tuttavia, le due percentuali 6. La formulazione della domanda ha richiesto delle precisazioni. Nella ricerca di sfondo e nelle interviste ad un certo numero di testimoni privilegiati è emerso che il riferimento all'amicizia era abbastanza ambiguo. Esso veniva confuso con il rapporto di vicinato (i co­ noscenti del bar, dei negozi e in generale le persone con cui si hanno rapporti occasionali) o con il rapporto di parentela. Abbiamo perciò specificato nella domanda l'esclusione sia dei semplici conoscenti, sia dei parenti. 7. Per avere un idea dell'importanza di questo dato si pensi al fatto che i veneti emigrati nell'area milanese negli anni sessanta i quali hanno rapporti di amicizia solo con veneti so­ no il 32% (cfr. M. Livolsi, Rapporto di ricerca, Milano, 1964 citato da Alberoni-Baglioni,

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(400Jo e 3 8 0Jo) non sono molto alte di fronte al 600Jo di persone che -nate nelle stesse località- hanno invece i propri amici più cari tra persone di diversa origine etnica e culturale (8). In generale, quan­ ti sono venuti a Latina da soli hanno in maggior misura contratto amicizia con persone di diversa origine etnica e culturale; vicever­ sa, quanti sono venuti per lo più in gruppo hanno rapporti di ami­ cizia prevalentemente con persone del loro stesso luogo d'origine. Non si notano differenze di rilievo tra uomini e donne. I.;analisi delle risposte in relazione all'età degli intervistati con­ sente la verifica di quanto avevamo già rilevato sopra. I più anzia­ ni (65 e più anni) hanno l'amico più caro della loro stessa origine nella misura del 360Jo ; il gruppo di 45-65 anni per il 3 1 0i-o ; il gruppo di 3 5-45 anni per il 1 3 0Jo ; il gruppo di 25-35 anni per il 25 0Jo ; e infi­ �e i ventenni (20-25 anni) per il 300Jo. Ciò vuol dire appunto che i più anziani hanno avuto più possibilità di coltivare rapporti ami­ cali con persone del loro stesso luogo d'origine. Più bassa di tutte è la percentuale del gruppo di 35-45 anni. Si tratta in realtà del fat­ to che molti di questi intervistati o hanno abbandonato la loro cc,­ munità di riferimento ricostruita dai loro genitori a Latina o si so­ no trasferiti in città nel periodo della industrializzazione. I più giovani -e in maggioranza nati a Latina- presentano invece una percentuale che è vicina a quella del gruppo di 45-65 anni. Come abbiamo accennato, si tratta della formazione di una rete di rap­ porti con persone nate in città. In essa sono inclusi naturalmente i rapporti amicali. Questa rete di rapporti potrebbe essere la base per la formazione di un mondo sociale nuovo e integrato entro la formazione moderna della città.

6.4. L'integrazione sociale

Oltre alla rilevazione di dati relativi al luogo di nascita del part­ ner e dell'amico più caro, agli intervistati sono state poste doman­ de per cogliere la loro eventuale consapevolezza dei problemi di integrazione sociale esistenti nella città (cfr. il questionario, blocop.cit., p.304). 8. Nella citata rirerca di Livolsi i veneti che hanno amici di zona diversa dalla propria sono il 43 0Jo e quelli che hanno amici di due o più zone (centro-sud, Veneto, Nord) sono ' il 24.5 OJo.

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co E e F). Le opinioni degli intervistati circa i problemi dell'integrazione sociale si dividono abbastanza nettamente. Da un lato, il 41 OJo ve­ de l'integrazione tra persone di diversa origine etnica e culturale ancora come un problema, dall'altro il 5 8 % ritiene che non lo co­ stituisca più. Se consideriamo il luogo di nascita degli intervistati (cfr. la Tabella 2), possiamo notare un fatto irì"teressante. I nati a Latina ritengono superata la questione dell'integrazione sociale in modo più consistente degli altri. Proprio perché vi sono nati, essi hanno avuto più degli altri la possibilità di identificarsi con la cit­ tà, i suoi luoghi, la sua storia. Tuttavia, il fatto che anche tra di loro ben il 33% ritenga un problema l'integrazione sociale, vuoi dire che in effetti essa costituisce una questione di grande rilevan­ za. Più alta è invece la percentuale di nati in provincia di Latina, nel Lazio e nelle regioni dell' Italia centrale che sottolinea l'impor­ tanza del problema dell'integrazione sociale tra persone di diversa provenienza. Anche i nati nelle regioni dell'Italia settentrionale ri­ tengono l'integrazione un problema nella misura del 42%. Più alta ancora è la percentuale (53 % ) dei nati nelle regioni dell'Italia me­ ridionale che pensano allo stesso modo. Si potrebbe concludere segnalando un rapporto significativo tra tipo di immigrati e atteg­ giamenti verso l'integrazione sociale. I nati nel Meridione, ad esempio, esprimono la più alta percentuale di quanti ritengono un problema l'integrazione sociale. Essi sono arrivati a Latina da so­ li. I nati nell'Italia del Nord, invece (almeno quelli venuti nel pe­ riodo della colonizzazione), hanno usufruito di una certa organiz­ zazione nel trasferirsi nell'Agro pontino. Infine, i nati in provincia di Latina hanno comunque mantenuto il rapporto con il proprio retroterra. Non vi è differenza tra l'opinione degli uomini e quella delle donne su questo argomento. Se consideriamo l'età degli intervista­ ti, invece, possiamo notare atteggiamenti molto differenti tra i di­ versi gruppi. Più sensibili al problema sono quanti hanno tra 45 e 65 anni (49%). Meno sensibili (39%) sono invece i più anziani (65 e più anni). Nei gruppi d'età successivi la percentuale di quanti ritengono l'integrazione sociale un problema si dispone i n modo decrescente. Essa è di 47% per il gruppo 35-45 anni, di 3 8 % per il gruppo 30-35 anni, di 36% per il gruppo di 25-30 anni e, infine, di 2 8 % per il gruppo di 20-25 anni. Ciò induce a pensare che il 145

diverso atteggiamento sul problema dell'integrazione sociale da parte dei differenti gruppi d'età sia riconducibile alla qualità delle relazioni sociali da essi vissute. I più giovani infatti percepiscono le relazioni sociali come più integrate di quanto non avvenga ai più anziani. Nel gruppo di 20-25 anni in effetti vi è minore sensibi­ lità per l'integrazione sociale. Se consideriamo gli intervistati nati negli anni quaranta e successivamente, tra un decennio e il succes­ sivo si trova una differenza di ben 10 punti di percentuale. Ciò fa risaltare ancora più il rapporto tra età e atteggiamento verso l'inte­ grazione. Inoltre, se gli intervistati hanno tradotto nelle risposte anche un'esperienza di vi!a (e non soltanto una opinione sul mon­ do sociale nel quale vivono), si può concludere che il processo di integrazione sociale procede speditamente tra i giovani; esso do­ vrebbe pertanto concludersi nel giro di un'altra generazione. Nelle domande successive si tende ad approfondire l'argomento �ia con riferimenti alle opinioni degli intervistati sia richiamando la loro concreta esperienza di vita. Cominciamo con approfondire le loro opinioni, esaminando il giudizio sul grado di integrazione tra le etnie. Nel sollecitare gli intervistati ad esprimere un proprio giudizio sul grado di integrazione tra le etnie, si suggerisce loro di leggerlo secondo le seguenti formule: del tutto realizzato (''ottimo"), abba­ stanza realizzato ("sufficiente"), poco realizzato (''scarso") e infi­ ne non realizzato (''del tutto insufficiente"). La distribuzione complessiva delle risposte individua un gruppo composto dal 600Jo degli intervistati che giudica positivamente l'integrazione realizzata a Latina e un altro gruppo di circa il 40% che giudica scarsa o inesistente l'integrazione sociale (cfr. la Tabella 3). Se to­ gliamo le posizioni estreme -ottimo e del tutto _insufficiente, che presentano una percentuale eguale (8 OJo ) rimane un solido grup­ po che giudica abbastanza realizzato il grado di integrazione tra le etnie (52%), contro il 3 1 0Jo che lo ritiene poco realizzato. La per­ centuale più alta di giudizi positivi è espressa dai nati a Latina, che tra "ottimo" e "sufficiente" esprimono ben il 66% dei loro giudizi. Essi esprimono per converso anche la percentuale più bas­ sa di giudizi completamente negativi: 5 % e sono secondi solo ai nati nell'Italia settentrionale nel giudicare "scarso" il grado di in­ tegrazione: 29% contro 27 %. Nel confronto tra i giudizi dei nati a Latina e dei nati nell'Italia settentrionale si rilevà una di fferenza -

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minima: 2 punti in più di giudizi positivi e circa uno di giudizi ne­ gativi per i nati a Latina. Più bassa di tutte è la quota di giudizi positivi dei nati nell'Italia meridionale. Ciò a questo punto non dovrebbe costituire più sorpresa e meraviglia, dopo quanto abbia­ mo detto finora. È una posizione che formula un giudizio severo sullo stato dei rapporti sociali in città ed esprime un bisogno di migliori relazioni umane. Essi esprimono infatti anche la più alta quota (140Jo) di intervistati che formula un giudizio completamen­ te negativo sullo stato dei rapporti sociali in città. Le donne giudicano più positivamente degli uomini i rapporti sociali e il grado di integrazione tra le etnie a Latina. Gli uomini esprimono giudizi completamente negativi più delle donne (3 punti circa di percentuale in più). Inoltre, si esprimono allo stesso modo sulle voci "ottimo" (8 0Jo ) e "scarso" (3 1%). Nella voce "suf­ ficente", "abbastanza realizzato" invece le donne che formulano il giudizio positivo sono più degli uomini (53 % contro 5 1 %). No­ nostante le differenze, rimane a questo livello dell'analisi la dico­ tomia individuata tra i due gruppi di intervistati. Se consideriamo l'età degli intervistati otteniamo una struttura più articolata del giudizio. I più giovani (20-25 anni) e i più anzia­ ni (65 e più anni) formulano i giudizi più positivi sul grado di inte­ grazione tra le etnie (700Jo e 64%, rispettivamente). Il giudizio più critico è quello del gruppo 45-65 anni (54%) e del gruppo 35-45 anni (58%). Per ogni gruppo d'età, tuttavia, la soglia di giudizi positivi rimane superiore al 50% delle risposte. Le percentuali più alte di intervistati che giudicano "ottimo" il grado di integrazine si trovano nel gruppo 30-35 anni e nel gruppo 20-25 anni ( 1 1 % e lOOJo , rispettivamente). Viceversa, la percentuale più alta di giudizi negativi, di coloro che giudicano "non realizzato", "del tutto in­ sufficiente" il grado di integrazione tra le etnie, si trova nel gruppo 35-45 anni e nel gruppo di 65 e più anni (l20Jo e 90Jo, rispettiva­ mente). Nel complesso, i giovani esprimono giudizi più positivi sul grado di realizzazione dell'integrazione delle etnie; i gruppi più maturi nell'età esprimono la più alta percentuale di giudizi critici o completamente negatìvi.

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6.4. 1. Istruzione, reddito e integrazione sociale

Un altro tipo di approfondimento del problema dell'integrazio­ ne sociale consiste nel vedere il rapporto tra l'istruzione e la pro­ fessione degli intervistati, da una parte, e tipo di giudizio espresso sulla questione, dall'altra . . Vediamo prima la questione dell'inte­ grazione sociale e poi l'integrazione tra le etnie. In generale possiamo dire che esiste un rapporto significativo tra carriera scolastica e giudizio sull'integrazione sociale. Quanti hanno soltanto frequentato la scuola elementare, media inferiore e media superiore senza conseguire il relativo diploma, dichiarano in misura superiore agli altri gruppi che l'integrazione s'ociale sia un problema (nell'ordine: il 61 OJo per la frequenza della scuola ele­ mentare; il 46% per la scuola media inferiore e il 56% per la scuo­ la media superiore). Nel complesso, quanti non hanno conseguito titolo di studio, pur avendo frequentato una scuola, dichiarano per il 54% che l'integrazione sociale costituisce un problema. Vi­ ceversa, coloro che hanno conseguito un titolo, che frequentano o hanno frequentato l'università dichiarano in maggioranza (60%) che l'integrazione sociale non costituisce un problema. La percentuale più alta è espressa dai laureati e dai diplomati dei cor­ si professionali (64% per entrambi i gruppi); seguono i diplomati della scuola media (63 % ), i diplomati della scuola elementare (59%) e i diplomati della scuola media superiore (58%). Queste risposte, tuttavia, non vengono mantenute ferme dagli intervistati. Quanti hanno frequentato la scuola elementare e la media inferio­ re danno, poi, nel complesso un giudizio positivo sulla realizzazio­ ne dell'integrazione sociale (54% tra ottimo e sufficiente); invece, gli intervistati che hanno frequentato la scuola media superiore danno un giudizio negativo nella misura del 55 %. Viceversa, sono molto coerenti le risposte dell'altro gruppo. Essi esprimono un giudizio positivo -somma di ottimo e sufficiente- per il 65%. tesi­ stenza di un rapporto significativo tra successo scolastico e giudi­ zio sull'integrazione tra le etnie può significare due cose contem­ poraneamente (9). Per un verso, buone relazioni sociali facilitano 9. In fondo, anche la scarsa coerenza nelle due risposte, può denotare un rifiuto a pren­ dere sul serio certi problemi proprio perchè essi sono posti da un mondo che ha rifiutato i soggetti. Ora, nel momento in cui essi possono esprimere una rivalsa, lo fanno risponden' do magari a caso o contraddicendosi.

il successo scolastico. Questo a sua volta consente la formazione di una visione più positiva dei rapporti sociali in generale e, dun­ que, dei rapporti tra le etnie. Per l'altro, insufficienti o cattive rela" zioni sociali facilitano l'insuccesso scolastico. Questo a sua volta favorisce una concezione negativa della società e dei rapporti tra le etnie. Se prendiamo in considerazione la condizione professionale de­ gli intervistati possiamo notare comportamenti differenziati tra i diversi gruppi professionali. Rimane tuttavia un giudizio nel com­ plesso positivo tra tutti i gruppi attivi -esclusi gli agricoltori. In particolare, oltre la metà degli operai ritiene che l'integrazione tra persone provenienti da diverse aree geografiche e culturali non co­ stituisca un problema a Latina. Nella stessa proporzione essi giu­ dicano positivamente il grado d'integrazione tra le etnie. Oltre la metà del gruppo costituito da impiegati e dirigenti del settore pub­ blico e privato (compresi gli insegnanti) ritiene che l'integrazione non costituisca un problema e giudica nel complesso positivo il grado di integrazione raggiunto tra le etnie. Quasi tre quarti degli artigiani non ritengono che l' integrazione sociale sia un problema e oltre la metà giudica nel complesso positivamente l' integrazione realizzata. Più di tre quarti degli agricoltori, invece, pensano che l'integrazione sociale sia un problema e quasi tre quarti di essi giu­ dicano nel complesso positiva l'integrazione realizzata. Quasi tre quarti dei commercianti non ritengono un problema l'integrazio­ ne sociale; oltre la metà giudica nel complesso positiva l'integra­ zione tra etnie. Quasi tre quarti degli imprenditori e liberi profes­ sionisti, inoltre, non ritengono un problema l'integrazione sociale e due terzi di essi giudicano nel complesso positiva l' integrazione raggiunta tra le etnie. Due terzi dei disoccupati ritengono che l'in­ tegrazione sociale non sia un problema e oltre la metà di essi giu­ dica nel complesso positiva l'integrazione conseguita tra le etnie. Casalinghe, pensionati e studenti esprimono nel complesso giudi­ zi analoghi. Oltre la metà delle casalinghe non ritiene un proble­ ma l'integrazione sociale; pensa allo stesso modo più della metà dei pensionati e degli studenti. I loro giudizi sul grado di integra­ zione raggiunto tra le etnie sono positivi per oltre la metà delle ca­ salinghe, dei pensionati e per quasi tre quarti degli studenti. In ge­ nerale, poi, gli intervistati soddisfatti della propria condizione professionale ritengono nel 400Jo dei casi che l'integrazione sociale 149

tra persone di diversa origine culturale e geografica costituisca un problema. Gli intervistati soddisfatti della propria condizione professionale, inoltre, danno un giudizio nel complesso positivo (somma di ottimo e di sufficiente) del grado di integrazione rag­ giunto tra le etnie nella misura del 6407o e gli insoddisfatti nella mi­ sura del 500Jo esatto. Come si vede, tra tutti i gruppi professionali vi è una quota mol­ to ampia, ma minoritaria (eccetto il caso degli agricoltori, dove in­ vece è maggioritaria) di intervi stati che ritiene un problema l'inte­ grazione tra persone di diversa origine culturale e geografica. Se si spinge l'analisi un poco oltre, si può stabilire che vi è un nesso tra soddisfazione e insoddisfazione professionale e giudizio sul­ l'integrazione sociale. La conclusione che ci pare giusto suggerire è che entro ogni gruppo professionale la soddisfazione per il suc­ cesso conseguito nel lavoro informi positivamente il giudizio sul­ l'integrazione sociale e, viceversa, l'insuccesso professionale indu­ ca gli intervistati a giudicare negativamente o ad esagerare i pro­ blemi di integrazione sociale. Una ulteriore verifica di questa conclusione si può avere me­ diante l'analisi del rapporto tra reddito degli intervistati e risposte alle domande sull'integrazione sociale. Quanti non rispondono al­ la domanda sul reddito per il 560Jo non ritengono che l'integrazi o­ ne tra persone di diversa origine culturale e geografica sia un pro­ blema. Gli intervistati che dichiarano di percepire un reddito fami­ liare fino a lO milioni all'anno per il 400Jo rispondono che l'inte­ grazione sociale sia un problema. Gli intervistati che invece perce­ piscono un reddito familiare tra lO e 20 milioni ritengono che l'in­ tegrazione sia un problema nel 440Jo dei casi. Tra coloro che perce­ piscono un reddito familiare annuo compreso tra 20 e 30 milioni il 420Jo ritiene che l'integrazione sia un problema. Tra coloro che percepiscono un reddito familiare annuo compreso fra 30 e 40 mi­ lioni il 3 3 0Jo dei casi ritiene che l'integrazione sia un problema. Uguale è pure la quota di percentuale tra gli intervistati che di­ chiarano di percepire un reddito familiare annuo compreso tra 40 e 50 milioni. Infine i pochi intervistati con oltre 50 milioni di red­ dito all'anno, ritengono che l'integrazione sociale non sia un pro­ blema. Quanto al giudizio sul grado di integrazione già realizzato tra le etnie, non abbiamo grandi differenziazioni. I percettori dei diversi gruppi di reddito rispondono allo stesso modo, salvo irrile150

vanti differenze. Anche per questa via, dunque, se non si può sta­ bilire una progressione netta tra aumento del reddito familiare an­ nuo percepito e giudizio sull'integrazione sociale, si può certamen­ te dire che tra gli intervistati che percepiscono un reddito familiare annuo fino a 30 milioni non vi sono differenze sostanziali, sia nel giudicare se l'integrazi one tra persone di diversa origine culturale e geografica sia un problema, sia nel giudizio s u ll' integrazione tra le etnie. Per gli intervistati che invece dichiarano di percepire un reddito familiare annuo superiore ai 30 milioni, si può invece no­ tare che con l'aumentare del reddito cresce pure la percentuale dei giudizi positivi sull'integrazione sociale. In altri termini, dopo un certo livello di reddito -che pure è abbastanza alto- più si sta bene e meno si avvertono problemi di integrazione sociale e si danno buoni giudizi sulla integrazione già raggiunta. Si tratta probabil­ mente di intervistati che tras feriscono a tutti gli altri la propria percezione del mondo sociale.

6.4.2. Migrazione e integrazione sociale

Se vediamo il rapporto tra giudizio sull'integrazione e periodo di trasferimento a Latina, possiamo constatare che in generale, in­ dipendentemente dal periodo di trasferimento, gli intervistati ri­ tengono in maggioranza che l'integrazione sociale non costituisca un problema. Tuttavia, un'analisi più dettagliata ci mette in condi­ zioni di cogliere alcune differenze entro questo quadro positivo. 11 6 1 OJo degli intervistati trasferitisi a Latina fino al 1939 ritiene che l'integrazione sociale non sia un problema. Gli intervistati trasfe­ ritisi nel periodo 1940-50 si dividono in parti perfettamente ugua­ li: una metà ritiene che sia un problema, l'altra che non lo sia. Gli intervistati trasferitisi nel 1961-70 per il 54% ritengono che l'inte­ grazione non sia un problema. Sostanzialmente uguale la percen­ tuale dei trasferiti nel periodo 1971-80 e negli anni successivi (58% circa di risposte negative e 39% di risposte positive per i primi; 58% circa e 42% per i secondi). La percentuale più alta di giudizi critici si trova -a livello di motivazioni- tra gli intervistati che han­ no motivato il trasferimento "per poter vivere e lavorare in una città nuova" (51%) e tra coloro che sono emigrati perché a Latina pensavano di trovare lavoro (56%). Per il resto non vi sono sostan151

ziali novità. Emerge così, però, ancora una volta, che più alte sono state le aspettative in occasione del trasferimento, più è critico il giudizio sulla attuale realtà. Infatti, la percentuale più alta di in­ tervistati che non ritengono l'integrazione un problema si trova tra coloro -e sono la maggioranza- che sono immigrati a Latina a se­ guito dei genitori (620Jo) e tra coloro che danno come motivazione "non ho deciso, sono stato costretto da diverse circostanze" (53 OJo ). Per quanto riguarda invece il giudizio sul grado di integra­ zione tra le etnie, solo coloro che sono immigrati a Latina "per poter vivere e lavorare in una città nuova" danno un giudizio nel complesso negativo (540Jo contro 460Jo della somma di, ottimo e sufficiente). Gli altri, anche gli immigrati per lavoro, danno invece un giudizio positivo: dal 5 8 0Jo dei coloni, al 67 0Jo di quanti hanno seguito i genitori, al 56 0Jo degli immigrati per lavoro, al 54 0Jo dei costretti da diverse circostanze. Un giudizio nettamente negativo (700Jo contro 300Jo) è espresso da quanti sono immigrati per altri motivi (ma il loro numero di casi è basso: 27, pari al 5.40Jo ). Quan­ to al rapporto tra periodo del trasferimento e giudizio sul grado di integrazione, si può notare anche qui una generale predisposi­ zione a dare giudizi nel complesso positivi. In conclusione dunque il periodo dell'immigrazione non costi­ tuisce una discriminante positiva o negativa per il giudizio sull'in­ tegrazione sociale. È vero tuttavia che gli immigrati di taluni pe­ riodi (l'ultimo o il decennio 1940-50) attenuano il giudizio gene­ ralmente positivo degli immigrati di altri periodi. Di più, invece, incide la motivazione del trasferimento: a motivazione più forte corrisponde una più alta percentuale di giudizi negativi e vicever­ sa. Inoltre, nella formazione del giudizio influisce certamente la forma di solidarietà goduta: la percentuale di giudizi critici sull'in­ tegrazione sociale e sul grado di integrazione realizzato tra le etnie è più alta tra gli intervistati immigrati da soli.

6.4.3. La qualità delle relazioni sociali

Lo scopo della ricerca non era tuttavia solo quello di raccogliere informazioni su come gli intervistati giudicano l'integrazione so­ ciale e culturale a Latina, ma anche di cogliere la loro reale espe­ rienza. Sono state quindi poste alcune domande tendenti a·mette-

152

re in luce la qualità dei rapporti sociali degli intervistati e a cercare di far loro esprimere un giudizio complessivo sul rapporto da essi vissuto con la città (cfr. blocco E, domande 70-72) . Dalle risposté si ricava un quadro molto positivo della qualità dei rapporti degli intervistati. La differenza con altre affermazioni e giudizi consiste probabilmente nel fatto che, trattandosi della propria esperienza, gli intervistati hanno cercato di dare una immagine positiva, men­ tre quando parlavano in generale si sono forse sentiti più liberi di esprimere giudizi critici. Vedremo dunque attraverso una serie di incroci quale sia l'attendibilità di queste risposte tanto positive. Alla domanda: Come consideri i tuoi rapporti sociali a Latina?, gli intervistati potevano rispondere scegliendo tra le voci "ottimi". "discreti", "abbastanza soddisfacenti", "non del tutto soddisfa­ centi", "pessimi". Quanti considerano positivamente i propri rap­ porti sociali (somma di "abbastanza soddisfacenti", "discreti" e "ottimi") sono 1'820Jo dell'intero campione. Il 14% li considera in­ soddisfacenti e solo il 3% li considera "pessim i". Se eliminiamo le estreme (gli "ottimi" e i "pessimi") rimane ancora una struttura bene articolata intorno ai valori positivi. Tra intervistati che giudi­ cano "abbastanza soddisfacenti" e "discreti" i propri rapporti so­ ciali si raggiunge una quota del 67 %. In ogni caso, si tratta di una quota molto alta di giudizi positivi, superiore alle altre da un mi­ nimo di 10 ad un massimo di 20 punti di percentuale. Si tratta tut­ tavia dell' autopercezione della propria esperienza e, seppure in presenza di una certa inclinazione a dipingerli con colori positivi, rimane comunque il fatto di una generale tendenza degli intervi­ stati a giudicare con favore i propri rapporti sociali. I.;articolazione delle risposte nelle consuete aree geografiche conferma tale conclusione. Nonostante minime differenze, nella sostanza i nati nelle regioni settentrionali, centrali e meridionali esprimono lo stesso giudizio. È importante infatti che sia i nati nel Nord, nel Centro e nel Sud Italia giudichino "discreti" nella stessa misura i propri rapporti sociali (40%, 42% e 40% rispettivamen­ te). Più marcata, ma non di molto, è la differenza tra quanti consi­ derano "abbastanza soddisfacenti" i propri rapporti sociali (22% per il Nord, 26 % per il Centro e 24% per il Sud) . Non superiore è pure la differenza tra quanti considerano "non del tutto soddi­ sfacenti" i propri rapporti sociali: 17% per i nati nel Nord Italia, 14% per i nati nell'Italia centrale e 16% per i nati nell'Italia meri153

dionale e insulare. Una differenza più consistente invece si registra tra le estreme. Intanto, nessuno degli intervistati dell'area Nord considera "pessimi" i propri rapporti, mentre i nati nel Meridione lo fanno per il 20Jo e i nati nell'Italia centrale per il 40Jo. Per quanto riguarda invece i rapporti "ottimi" la più alta percentuale si regi­ stra tra i nati nell'Italia settentrionale con il 22 OJo ; seguono i nati nell' Italia meridionale con il 16% e i nati nell' Italia centrale con il 14%. Tra i nati in provincia di Latina e i nati in città si registra una leggera differenziazione sia tra quanti considerano "ottimi" i propri rapporti sociali ( 1 3 OJo contro 1 1 OJo ), sia tra quanti li consi­ derano "discreti" (41 % contro 45 %), sia infine tra quanti li consi­ derano " pessimi" (60Jo contro 4%). Viceversa essi si esprimono al­ lo stesso modo nelle voci "abbastanza soddisfacenti" (26%) e " non del tutto soddisfacenti" (14% ). Tra uomini e donne non si danno differenze di rilievo. Nel com­ plesso, gli uomini e le donne giudicano positivamente le proprie relazioni sociali (82% per entrambi) . Allo stesso modo essi indica­ no pure la voce "ottimi" (14%) e la voce "discreti" (42%). Di po­ co superiore è invece la percentuale degli uomini che giudicano "abbastanza soddisfacenti" i propri rapporti sociali: 26% ; per le donne il 25 %. Uomini e donne sono invece pari nel giudicare ne­ gativamente i propri rapporti sociali ( 1 8 % ). Tuttavia, gli uomini che giudicano " pessimi" i propri rapporti sociali sono il 4%; le donne il 3%. Viceversa, le donne che giudicano "non del tutto soddisfacenti" i propri rapporti sociali sono il 1 5 % ; gli uomini il 14%. Nel complesso dunque tra uomini e donne si registra una analoga veduta circa i propri rapporti sociali, anche se non man­ cano alcune sfumature di giudizio. �..?età invece si dimostra ancora una volta un fattore di differen­ ziazione. Le variazioni più consistenti si notano, tuttavia, solo dal­ l'aggregazione delle voci. Se infatti mettiamo insieme "ottimi" e "discreti" rapporti sociali, viene fuori che gli intervistati di 65 e più anni hanno in queste voci il 52% delle risposte; il gruppo di 45-65 e di 35-45 anni il 57%; il gruppo di 25-35 anni il 52% ( ed è la percentuale più bassa); il gruppo di 20-25 anni il 65 0Jo. Si for­ mano così due gruppi: i più anziani e il gruppo di 25-35 anni ri­ spondono allo stesso modo; così avviene pure tra il gruppo di 45-65 anni e il gruppo 35-45 anni. A parte invece spicca il gruppo di 20-25 anni; esso presenta una percentuale superiore di 8 punti 154

rispetto ai secondi e di 13 punti rispetto ai primi. Se invece som­ miamo anche la voce "abbastanza soddisfacenti" otteniamo le se­ guenti percentuali: 79!1/o per il gruppo di 65 e più anni; 81 !T/o per il gruppo di 45-65 anni; 8 3 !1/o per il gruppo di 3 5-45 anni; 81!1/o per il gruppo di 25-35 anni; 8 5 !1/o per il gruppo di 20-25 anni. Per quanto riguarda le voci "non del tutto soddisfacepti" e "pessimi" rapporti sociali, la loro somma dà le seguenti percentuali: 21 !T/o per il gruppo di 65 e più anni; 1 8 !1/o per il gruppo 45-65 anni; 16!1/o per il gruppo di 35-45 anni; 19!1/o per il gruppo di 25-35 anni; e, infine, 1 5 !1/o per il gruppo di 20-25 anni. Questi dati consentono qualche osservazione interessante. I più anziani presentano la cifra più bassa nelle voci più alte (''ottimi" e "discreti") e la cifra più alta nelle voci negative (''non del tutto soddisfacenti" e "pessimi"). Ciò sembra autorizzare una conclu­ sione: per quante cautele si possano prendere nel valutare le rispo­ ste, resta indubbio il fatto che la vecchiaia o, comunque, la fine del ciclo produttivo della vita dei singoli si accompagna di più con cattive relazioni sociali. Viceversa, i più giovani (che al momento della rilevazione avevano un massimo di 25 e un minimo di 20 an­ ni) presentano il massimo nei valori positivi e il minimo nei valori negativi. Il loro risultato si compone in tal modo per il fatto che ben il 5 3 !1/o di essi ha risposto che i propri rapporti sociali sono "discreti". Non c'è dunque in loro un eccessivo ottimismo, ma una constastazione che, per quanto li riguarda, i propri rapporti socia­ li sono nel complesso accettabili. Tra gli altri gruppi d'età spicca il 22!1/o del gruppo 45-65 anni che giudica "ottimi" i propri rap­ porti sociali: è la percentuale più alta ed è molto lontana dal1'8 !T/o del gruppo 25-35 anni, dal 12!T/o del gruppo di 20-25 anni, dal 1 3 !T/o del gruppo di 35-45 anni e dal 14!1/o del gruppo di 65 e più anni. Il gruppo di 45-65 anni presenta pure i valori più_ alti (4!1/o) fra quanti giudicano "pessimi" i propri rapporti sociali: essi condivi­ dono questa posizione con il gruppo di 25-30 anni e sono seguiti dal gruppo di 20-25 anni (3 0Jo).

6.4.4. Istruzione, professione, reddito e qualità dei rapporti sociali

I..; i struzione è, come al solito, un buon fattore di differenziazio­ ne tra gli intervistati. Ciò avviene anche a proposito della qualità 155

dei rapporti sociali. La quota più alta di insoddisfatti dei propri rapporti sociali si ritrova tra gli intervistati con il più alto livello d'istruzione. La somma delle voci "non del tutto soddisfacenti" e "pessimi" raggiunge per loro il 25 0Jo. Seguono poi i senza titolo di studio, la cui somma delle medesime voci raggiunge il 20%, i diplomati di scuola media inferiore (19%), i diplomati delle scuole elementari (18% ); la quota più bassa si trova tra i diplomati della scuola media superiore (13 % ) . Ai poli opposti dell'istruzione for­ male, si percepisce più problematicamente la realtà sociale. Ciò sembra porre qualche problema soprattutto per i laureati. Essi in­ fatti hanno giudicato favorevolmente l'integrazione cuJturale tra le etnie; ora invece danno un giudizio negativo sui propri rapporti sociali. La differenza e l'apparente contraddizione è dovuta al fat­ to che, nel primo caso, si esprime un giudizio sui rapporti sociali in generale; nel secondo, invece, si tratta della propria esperienza. Subentra perciò il livello delle aspettative che tra i laureati sono geralmente più alte che negli altri. Da ciò anche la possibilità che tali aspettative siano deluse. Una considerazione particolare meri­ ta forse il consistente gruppo dei diplomati della scuola media su­ periore. Essi sono il 30% circa del campione e costituiscono una parte notevole della popolazione della città. Il fatto che tra di loro vi sia una buona qualità dei rapporti sociali vuoi dire che in effetti l'opera di integrazione della scuola e del lavoro cammina spedi­ tamente. La condizione professionale, tuttavia, è un fattore di differen­ ziazione ancora più forte del livello di istruzione formale. Tra i di­ soccupati la cattiva qualità dei rapporti sociali (somma di "non del tutto soddisfacenti" e " pessimi") raggiunge la quota più alta (46%). Tra le casalinghe, essa raggiunge ancora una quota impor­ tante (22%). Più o meno allo stesso punto si collocano i pensiona­ ti (20% ). Viceversa, per i gruppi attivi essa raggiunge il 1 �%. La buona qualità dei rapporti sociali è più diffusa tra gli imprenditori e libed professionisti (somma di "ottimi", "discreti" e "abbastan­ za soddisfacenti": 890Jo ); gli operai, gli impiegati e i dirigenti (pub­ blici e privati) si collocano allo stesso livello (85 % per gli operai; 84% per gli impiegati e dirigenti). Questa dicotomia segnala, co­ me vedremo pure più avanti, che il disagio nei rapporti sociali è collegato alla possibilità dell'occupazione ed alla qualità del lavo­ ro. Se un quinto delle casalinghe giudica cattivi i p ;opri rapporti 156

sociali, ciò avrà pure una relazione con la qualità del lavoro che esse svolgono. Infine, il disagio tra i pensionati induce a ritenere che, oltre agli inevitabili acciacchi dell'età, una buona qualità dei servizi sociali potrebbe essere d'aiuto nella costruzione di una rete di rapporti sociali accettabili. Un ulteriore test consente di vedere ancora rpeglio il rapporto tra condizione professionale e qualità dei rapporti sociali. In gene­ rale, la soddisfazione (o l'insoddisfazione) per la condizione pro­ fessionale incide sulla qualità dei rapporti sociali. c{6 appare con caratteri nitidi nel caso dei gruppi professionali più consistenti. Tra gli operai insoddisfatti della propria condizione professionale il giudizio negativo sulla qualità dei propri rapporti sociali rag­ giunge una quota considerevole (350Jo è la somma di "non del tut­ to soddisfacenti" e " pessimi"); tra gli impiegati e dirigenti pubbli­ ci e privati essa è ancora più alta (370Jo ). Viceversa, la soddisfazio­ ne professionale si coniuga con una più alta quota di giudizi posi­ tivi sulla qualità dei rapporti sociali, anche se diversamente artico­ lati. Oli operai, infatti, optano in numero più consistente per la voce "discreti" (490Jo dei soddisfatti, contro il 400Jo degli impiegati e dirigenti), mentre gli impiegati e dirigenti optano di più per "ab­ bastanza soddisfacenti" (340Jo dei soddisfatti, contro il 190Jo degli operai). Non solo la professione, allora, ma anche la sua qualità dispone gli intervistati · a migliori o peggiori rapporti soci alì. Rimane inoltre da segnalare che la più alta quota di giudizi ne­ gativi sulla qualità dei propri rapporti sociali si trova tra i percet­ tori di un reddito compreso tra 30-40 milioni all'anno (260Jo è la somma di "non del tutto soddisfacenti" e "pessimi") . Quote di in­ soddisfatti si trovano tra i percettori di altri gruppi di reddito. Do­ po questo gruppo vengono infatti quanti hanno un reddito fino a 10 milioni (21 0Jo), quanti ne hanno uno tra 10-20 (190Jo ) e quanti ne hanno uno tra 20-30 (11 OJo ). Nella buona o cattiva qualità dei rapporti sociali, tranne per il gruppo dei percettori di un reddito di 30-40 milioni all'anno, si può concludere che un reddito più alto si coniuga generalmente con migliori rapporti sociali. Per quanto non si voglia e non si debba interpretare in modo meccanicistico tali risultati, rimane indubbio che la professione (e soprattutto il fatto che essa sia esercitata con soddisfazione o me­ no) svolge un ruolo notevole nella definizione della qualità della socialità vissuta dagli individui. Proprio per le premesse di natura 157

teorica discusse nel Capitolo l siamo ora in grado di comprendere il ruolo svolto dall'attività lavorativa nella definizione dell'identità della città e degli individuì in essa.

6.4.5. Modelli di regolazione sociale e qualità della socialità

A conclusione di questo capitolo sull'integrazione sociale può risultare interessante occuparsi un momento del rapporto tra i modelli di regolazione sociale e i giudizi sulla qualità dei rapporti sociali. È bene tuttavia avvertire ancora una vol�a che con la do­ manda Secondo te, per acquisire prestigio sociale a Latina occor­ rono ., non si voleva sollecitare gli intervistati a riferire quanto essi fanno, ma la loro opinione su ciò che accade o fanno gli altri. Può darsi che qualcuno faccia anche quanto dice degli altri, ma questo non interessa qui. Piuttosto, appare invece interessante la connes­ sione tra opinione sui modelli di regolazione sociale e giudizi sulla qualità della propria socialità. La più alta quota di giudizi nel complesso positivi sulla qualità della propria socialità è espressa da quanti vedono nel moderno progettuale il modello di regolazione sociale della città (900Jo ). Vi­ ceversa, la più alta quota di giudizi negativi è espressa da quanti vedono tale modello nel moderno pragmatico (320Jo ) . Più vicini ai primi sono quanti vedono il modello di regolazione sociale nel ti­ po tradizionale aristocratico (87 OJo) e quanti lo vedono nel tipo tradizionale (860Jo ); più vicini ai secondi sono quanti vedono il modello di regolazione sociale nel tipo tradizionale rigorista (21 OJo di giudizi negativi). Buona regolazione sociale, dunque, e buona qualità della socialità si coniugano per molti intervistati. Così, co­ me al contrario, l'idea che nella città viga una cattiva regolazione sociale si coniuga maggiormente con una cattiva qualità della so­ cialità. Nel primo caso, si tratta probabilmente di un'atlesione; nel secondo di una presa di distanza. ..

158

Latina: 1932-1987 A ndamento dei matrimoni tra coniugi di diversa provenienza (matrimoni esogamici)

�atnmom r . 1 ! esogam1c1

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provincia regione area geografica

-

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o 32-35 36-40 41 -45 46-50 51 -55 56-60 6 1 -65 66-70 70-75 75-79 80-84 85-87

Tab. l. Luogo d'origine degli amici più cari per area geografica di provenienza degli intervistati. Valori percentuali

Luogo d'origine Uguale provenienza Diversa provenienza Non risponde Totale

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

Totale

39.7

1 9.0

38.3

27.1

1 9.0

26.6

58.8 1.5

80.0 1 .0

60.0 1 .7

71.5 1 .4

78.4 2.6

7 1 .8 1 .6

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

*i nclusi il Comune e la Provincia di Latina.

159

Tab. 2. Giudizio sul grado d'integrazione tra etnie per area geografica di provenienza degli intervistati. Valori percentuali.

Grado di integrazione Ottimo Sufficiente Scarso Completamente insufficiente Non risponde Totale

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

Totale

10.3 55.9 28.7

1 .9 59.0 30.5

8.3 56.7 26.7

8.2 54.6 30.4

10.3 40.5 - 36.2

8.4 5 1 .8 3 1 .4

5.1

7.6 1 .0

6.7 1 .6_

6.5 0.3

13.0

8.0 0.4

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

* i nclusi il Comune e la Provincia d i Latina.

Tab. 3. Giudizio sui propri rapporti sociali per area geografica di provenienza. Valori percentuali.

Rapporti

Ottimi Discreti Abbastanza soddisfacenti Non soddisfacenti Pessimi Non risponde Totale

Latina comune

Latina prov.

Nord Italia

Centro Italia*

Sud Isole

Totale

1 1 .0 44.9

1 3 .3 41 .0

2 1 .6 40.0

13.8 41.8

13.8 40.5

14.6 42.0

26.5

25.7

21.7

26.1

25.0

25.4

14.0 3.6

14.3 5 .7

1 6.7

14.1 4.2

16.4 3.4 0.9

14.4 3.4 . 0.2

100.0

1 00.0

100.0

100.0

100.0

100.0

* i nclusi il Comune e la Provincia di Latina.

160

7. MODERNIZZAZIONE E FORME

DI VITA COMUNITARIA

7.1. Premessa

Il problema della secolarizzazione, della modernizzazione e del­ la industrializzazione è al centro dell'attenzione della sociologia moderna e contemporanea. Il passaggio dalle forme organizzative di tipo tradizionale alla forma tipicamente moderna della società è stato visto da diversi, e spesso contrastanti, punti di vista. Il mu­ tamento sociale ha occupato a lungo la scena e resta ancora il punto di convergenza di un molteplice lavoro di analisi che spesso prende le mosse da aspetti apparentemente periferici del vivere umano. Le categorie di lettura, descrizione e analisi del processo di modernizzazione sono ormai patrimonio di tutti. Nel corso del­ la storia della sociologia l'obbiettivo di numerose analisi è stato portato sullo sconvolgimento della tradizione e della comunità domestica orginaria. Spesso, il vivere in forme comunitarie è stato contrapposto alla vita nella società moderna, imperniata sull'au­ tonomia, l'indipendenza e la libertà degli attori sociali. La rottura dei numerosi vincoli della società tradizionale ha comportato per taluni effetti aberranti di frammentazione, isolamento e massifi­ cazione dei comportamenti e degli stili di vita. Il passaggio dalle forme tradizionali della società alla sua forma moderna è stato vi­ sto come una sorta di generalizzazione dei rapporti sociali fondati sul contratto, sulla razionalizzazione e sulla collaborazione di tipo strumentale. I critici di questo processo hanno più spesso sottoli­ neato la formalità e l'impersonalità dei rapporti umani, a cui han­ no contrapposto la vitalità, lo spirito di simpatia e di comprensio­ ne che anima le forme sociali comunitarie. F. Toennies, probabil­ mente il punto di convergenza di diversi orientamenti critici della 161

società moderna (1), ha elaborato le categorie sociologiche della "comunità" (Gemeinschaft) e della "società" (Gesel/schaft) per esprimere l'orientamento a suo avviso sostanzialmente diverso delle due formazioni sociali. È innegabile, tuttavia, che la trasfor­ mazione della formazione sociale di tipo tradizionale ha compor­ tato effetti aberranti e alienanti per gli individui. Se non fosse suf­ ficiente ad illustrare ciò la classica documentazione di parte mar­ xista, potrebbero essere d'aiuto le analisi di autori come G. Sim­ mel e M. Weber. Nel processo di modernizzazione della società es­ si hanno visto i pericoli per la struttura della personalità e per l'autonomia e la libertà degli individui, coinvolti in ,processi pro­ duttivi e sociali sempre più anonimi, meccanici, impersonali. Que­ sti aspetti della modernizzazione, che sono solo una parte della analisi dialettica compiuta da questi classici, sono stati successiva­ mente inclusi in una struttura teorica e analitica che ha visto nel processo di modernizzazione quasi una generale trasformazione autoritaria e distruttiva della personalità individuale. Con un pò di esagerazione, si potrebbe dire che per alcuni autori la storia del­ la civiltà moderna non è altro che decadenza e distruzione pro­ gressiva della autonomia degli individui. Questa complessa tradi­ zione teorica attualmente vive in simbiosi felice con la tradizione fenomenologica di Husserl, Scheler e Schutz nell'opera di J. Ha­ bermas. La classica contrapposizione tra "società" (Gesel/schaft) e "comunità" (Gemeinschaft) nella sua teoria dell'agire comunica­ tivo si esprime nella contrapposizione tra sistema e mondo della vita. Da un lato le esigenze del sistema economico, produttivo, amministrativo e politico impongono agli individui un prezzo per garantirsi le condizioni generali del vivere moderno; dall'altro, es­ se minacciano progressivamente l'autonomia del mondo della vita sottoponendolo ad un processo di colonizzazione crescente. Con la coppia concettuale sistema/mondo della vita si tenta di espri­ mere fenomeni sociali di indubbia complessità. Se, tuttavia, per "mondo della vita" (Lebenswelt) non si intende l'esisten21:a di am­ biti sociali materiali (fisici e geografici), ma (come abbiamo tental. Per una approfondita valutazione del pensiero "socialista" di F. Toennies, sarebbe da analizzare l'apporto della critica verso la società moderna di pensatori cattolici conservato­ ri del X I X secolo (J. De Maistre, D. Cortez, C.L. von Haller), di storici sociali come H. Summer Maine, O. von Gierche, e vedere quanto di essa è recepito negli orientamenti socio­ logici moderni e contemporanei.

162

to di chiarire nel Capitolo l) codici di regolazione del sociale ispi­ rati a modelli culturali di razionalità non str.umentale, i concetti di Habermas possono risultare utili nella descrizione di concreti fenomeni sociali. Infatti, nell'azione, nella concreta azione sociale, i criteri di razionalità si sovrappongono: ciò che alla fine connota un'azione come sistemica o appartenente al mondo della vita è la forma dell'equilibrio che si stabilisce nella serie delle azioni a cui essa appartiene. Mentre l'azione sistemica e istituzionale è gover­ nata dalla razionalità strumentale e strategica, l'azione del mondo della vita è governata dalla logica della comprensione. Ciò vuol dire che nella concreta azione degli individui il criterio della razio­ nalità ispirato al successo e al potere si contrappone al criterio del­ la comprensione proprio del mondo della vita. Secondo l'idea cor­ rente e -si può dirlo ormai- tradizionale della modernizzazione, la logica sistemica colonizza in forma crescente i mondi della vita. La nostra ipotesi di ricerca, pur non rigettando questo tipo di con­ clusioni, si pone l'obbiettivo inverso; esso consiste nel vedere se dal . processo di modernizzazione e di razionalizzazione sociale non nascano nuove forme di vita comunitaria e quali eventual­ mente esse siano. Come ormai sappiamo, Latina rappresenta un caso di moder­ nizzazione. Si tratta in realtà di una serie di modernizzazioni so­ vrapposte nello spazio e nel tempo. Prima la bonifica idraulica ha sconvolto e riorganizzato il territorio; poi la bonifica integrale, con la messa a coltura e l'insediamento abitativo, ha creato le con­ dizioni per una stabilizzazione della innovazione idrogeologica. Su questo stesso territorio, appena due decenni dopo, comincia ad operare una nuova e più potente modernizzazione: la trasforma­ zione industriale dell'apparato produttivo. Una situazione demo­ grafica ancora in incerto equilibrio viene così sconvolta da una nuova ondata migratoria. I nuovi migranti, infatti, hanno storia, tradizioni, aspirazioni e speranze diverse. La forma stessa del loro trasferimento a Latina è differente. Senza un minimo di organiz­ zazione collettiva, il nuovo immigrato fa tutto da sé, raramente con l'aiuto di amici o parenti. Tutt'al più, è una famiglia intera che si trasferisce. eassenza di programmazione e di organizzazione ha lasciato gli individui soli. La trasformazione produttiva, con le inevitabili e necessarie ripercussioni sugli orientamenti culturali delle persone, 163

è avvenuta con ritmi molto rapidi (2). La struttura sociale in via di formazione è stata ripetutamente sconvolta, senza che vi fosse­ ro iniziative adeguate, se non per guidare, almeno per tentare di attenuare gli effetti più macroscopici di frammentazione cultura­ le. Non vi è stata infatti sufficiente attenzione per i problemi di politica culturale, né per le questioni relative ai rapporti possibili tra gruppi di cittadini. Al di là di una generica enfasi sulle molte razze, che si fondono in una nuova, non è stato affrontato il pro­ blema di come questo potesse avvenire. La spontaneità, insomma, ha prevalso in ogni campo e in ogni momento. Sul piano dell'osservazione sociologica tutto ciò si può tradurre affermando che, mentre il sistema economico e produttivo sotto­ poneva a trasformazione rapida e violenta l'ambiente naturale, so­ ciale e umano, nessuna forza si contrapponeva ad esso. La moder­ nizzazione produttiva non solo non veniva ostacolata, ma veniva di fatto e in ogni modo incoraggiata. Tutta l'operazione demogra­ fica in fondo era legata al successo nell'innovazione del sistema produttivo. Gli amministratori locali, i singoli, le forze sociali e politiche non senza ragione hanno creduto che l'industrializzazio­ ne potesse essere l'unico modo per risolvere problemi gravi come quello dell'endemica e secolare povertà delle masse umane del ter­ ritorio pontino. Essi erano pertanto favorevoli ed hanno incorag­ giato -certamente non guidato- la trasformazione produttiva del territorio. Ciò significava, d'altra parte, accettare le conseguenti trasformazioni dei modelli e degli stili di vita. A questa generale situazione favorevole all'innovazione si aggiungeva inoltre la frammentazione dell'ambiente nel quale l'innovazione veniva ad operare. Si potrebbe dire, concludendo, che il processo di moder­ nizzazione ha trovato in questo caso le migliori condizioni favore­ voli possibili. Ora, mentre sembra che in qualche modo la formazione sociale cittadina si avvii verso una qualche forma di equilibrio, può risul­ tare utile cominciare a conoscere dove esso si manifesta e quali forme di vita comunitaria esprime. Infatti, se è vero che la moder­ nizzazione territoriale, produttiva, economica, sociale e culturale dell'Agro pontino ha prodotto frammentazione, colonizzazione, 2. Sul problema del tempo e del ritmo delle trasformazioni sociali si sofferma ad es. A. Pizzorno, Comunità e razionalizzazione, cit., pp.34748.

164

distruzione di comunità socialmente quasi primitive, è pure vero che da questa distruzione e frammentazione scaturiscono processi di aggregazione, integrazione e individuazione. Nuovi soggetti sembrano emergere dal caos sociale. Dal seno della modernizza­ zione sembrano nascere nuove forme di vita comunitaria. Pertanto, in questa parte della ricerca cercheremo di analizzare la formazione della socialità spontanea e le forme della vita asso­ ciativa.

7 2 L'amicizia .

.

Per questo scopo, nel questionario (cfr. blocco F) sono state in­ serite domande volte a raccogliere notizie sul tempo libero, sulla sua organizzazione e sul suo consumo. All'interno di questa sezio­ ne, tuttavia, una serie di domande sollecita gli intervistati a dare notizie sulla propria amicizia. Poiché essa è una delle forme di re­ lazione sociale regolate dalla logica della comprensione e della so­ lidarietà, l'amicizia diventa un importante indicatore sia dei pro­ cessi di integrazione sia delle forme della vita comunitaria. Dob­ biamo tuttavia avvertire ché, seguendo le nostre premesse teoriche, l'amicizia non è il rapporto sociale nel quale ogni interazione tra i soggetti può essere inserita nella logica della solidarietà e della comprensione, ma quello che nel suo équilibrio generale si ispira a questa logica. In altri termini, l'amicizia è tale se la serie di rap­ porti che essa connota è regolata dalla logica della solidarietà e della comprensione, anche se nella serie degli atti e delle interazio­ ni possono inserirsi -anzi, sono presenti- logiche diverse di tipo strumentale o strategico ispirate al successo o al dominio. Quel che conta è se l'equilibrio complessivo avviene nel segno della comprensione e della solidarietà, oppure se è governato da altre logiche. Quando questo secondo caso si verifica in un rapporto di amicizia consolidato, esso non esiste più. Infatti, di solito quando ciò avviene, i soggetti interessati ne prendono atto e mettono fine al rapporto. La prima questione da verificare è se nel nuovo contesto urbano e sociale l'amico o gli amici più cari degli intervistati appartengo­ no al gruppo culturale d'origine o invece a diversa area etnica e culturale. Ciò nell'evidente scopo di vedere se entro la moderniz165

zazione si sono riprodotte le forme tradizionali dell'amicizia o se se ne sono prodotte di nuove, se gli individui hanno accettato o si sono difesi dalla modernizzazione contrapponendo ad essa for­ me di solidarietà importate dai paesi originari. Naturalmente, nel­ la lettura dei dati vanno considerati i dati demografici e storici or­ mai. Alcuni -lo abbiamo già detto- hanno potuto usufruire di una certa organizzazione del loro trasferimento. Essi hanno pure potu­ to riprodurre in qualche modo le forme della vita comunitaria precedente. Gli altri però si sono trovati in contesti demografici, abitativi e sociali senza un minimo di omogeneità e caratterizzati dalla frammentazione. Per questo è da aspettarsi che-forme di so­ lidarietà di tipo tradizionale portate o ricreate nella nuova situa­ zione si trovino sopratiutto tra i nati nel Nord Italia e tra gli anzia­ ni, che poi per larga parte coincidono. Per gli altri tutto ciò non dovrebbe trovarsi affatto o minimamente. Se si trova, vuol dire che gli individui hanno fatto una specifica ricerca di determinati tipi di rapporto e la loro esistenza significa una qualche forma di ri fiuto della complessa operazione della modernizzazione a cui pure essi hanno in certo qual modo deciso di partecipare.

7.2.1. IJorigine etnica e culturale degli amici più cari

Come abbiamo già visto, il 72f1/o degli intervistati ha dichiarato che il proprio amico più caro ha diversa origine, mentre il 27fTJo ha invece risposto che ha la sua stessa origine. Questo sarebbe un da­ to molto interessante. Vorrebbe dire che circa un quarto del cam­ pione ha forme di solidarietà e comprensione ancora di tipo tradi­ zionale o quantomeno che trovano fondamento e vitalità nella co­ mune tradizione culturale. Tuttavia, se al numero complessivo de-_ gli intervistati togliamo i nati a Latina, le due percentuali diventa­ no rispettivamente 77f1/o e 22fTJo. Questa dunque è con molta pro­ babilità l'area culturale nella quale la tradizione esplica ancora la sua forza e vitalità nella formazione degli stili di vita e di pensiero degli intervistati (3). Questa è invece più ampia per i nati nell'Ha3. Abbiamo eliminato dalle risposte quelle relative ai nati a Latina per la ragione che essi, rispondendo che l'amico più caro ha la stessa origine, hanno potuto affermare che egli è di Latina. In tal caso, il dato avrebbe una certa ambiguità e abbiamo preferito non

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lia del Nord. Ben il 3 8 0Jo di essi dichiara che il proprio amico più caro ha la stessa origine. Si tratta, come dicevamo, di un gruppo di intervistati che per l'età, il periodo in cui si è trasferito, per le · forme di socialità ricostruite in Agro pontino, ha potuto avere maggiori opportunità di rapporti con persone della stessa sua pro­ venienza. Certamente, i rapporti con persone con la stessa origine etnica o culturale non costituiscono un legame che esclude altri ti­ pi di relazioni con altre persone. La loro esistenza significa tutta­ via che per una delle modalità fondal!lentali dell'agire sociale, le coordinate dell'azione vengono dagli individui trovate nella costel­ lazione della propria cultura originaria e non in un'altra, di tipo misto o di tipo moderno. Viceversa, coloro che non hanno un ami­ co con la loro medesima origine etnica e culturale, hanno costrui­ to o accettato una base diversa dei propri riferimenti culturali, una diversa fonte di legittimazione della propria identità sociale. Né la propria, né quella del proprio amico funziona da risorsa culturale per la costruzione del proprio sé da parte degli individui. Anzi, queste culture sono riprese e riorganizzate in una diversa struttura della personalità. Se ciò non riesce, l'operazione del tra­ sferimento -con le trasformazioni che implica- non può avere suc­ cesso. Il fatto che l'area degli intervistati con amici di altra origine etnica e culturale sia tanto ampia, significa allora che l'operazione complessa della formazione di una nuova cultura di riferimento comune è in gran parte riuscita. Quanto alla qualità e alla tipolo­ gia di tale cultura, non possiamo non richiamare le conclusioni a cui siamo pervenuti esaminando i modelli culturali e di attribuzio­ ne di status vigenti a Latina: ci si trova ancora in una situazione di passaggio, nella quale le forme tradizionali del pensare e dell'a­ gire hanno una parte sempre meno significativa. Ciò non vuole di­ re tuttavia che dal seno della nuova socialità non nasca il bisogno di rapporti autentici e che tutti siano ormai disposti ad accettare r::tpporti qualitativamente negativi in nome della logica del succes­ so economico o del successo in termini di potere ed influenza so­ ciale. Anzi, proprio la difficoltà di avere rapporti sociali di buona

tenerne conto. l:amicizia nasce dalle relazioni costruite dagli individui nella nuova realtà sociale. Per alcuni di essi, tale realtà è già divenuta mondo vitale. Per questi soggetti non ha molto senso ormai porre la questione dell'amicizia come l'abbiamo posta noi. Per essi comincia infatti ad essere "normale" e "naturale" che il proprio amico sia di Latina.

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qualità induce molti ad impegnarsi nella ricerca di migliori. Se consideriamo ora il rapporto tra il problema dell'amicizia così come lo abbiamo impostato- e altre variabili della ricerca co­ me il sesso degli intervistati, l'età e la condizione professionale, possiamo vedere che non esistono differenze tra uomini e donne o tra soddisfatti e insoddisfatti della propria condizione professio­ nale. Né il fatto di essere donna o uomo fa rilevare un diverso at­ teggiamento nei confronti dell'amicizia, né l'avere o no un amico con la stessa origine culturale influisce sulla soddisfazione profes­ sionale. Solo il rapporto con l'età mostra una differenza tra i più anziani e gli altri gruppi d'età. Per le ragioni che abbi().mo già più volte espresso, il gruppo di quanti hanno 65 e più anni e quelli di 45-65 hanno potuto beneficiare o ricostruire rapporti con persone provenienti dagli stessi luoghi d'origine. Ciò non è stato possibile per i più giovani, per i quali si dà infatti il massimo di dispersività. Solo il 1 3 0Jo degli intervistati di 35-45 anni ha l'amico con la mede­ sima origine etnica e culturale. La percentuale sale al 25% nel gruppo di 30-35 anni e al 30% nel gruppo di 20-30 anni. Il gruppo di 65 e più anni invece presenta una percentuale del 36% e il grup­ po di 45-65 anni una percentuale del 31%. Se, oltre alla relazione con i dati strutturali degli intervistati, andiamo a vedere il rappor­ to con dati comportamentali, possiamo constatare che, da un lato, il fatto d'avere un amico con la stessa origine etnica e culturale in­ fluisce sul mantenimento di modelli culturali tradizionali e che, dall'altro, esso incide sulla formazione dei giudizi sull'integrazio­ ne sociale e sulla qualità della socialità. Infatti, tra quanti ritengo­ no che l'integrazione tra persone con diversa origine etnica e cul­ turale sia un problema, gli intervistati che hanno un amico della loro medesima origine etnica e culturale sono il 22%. Viceversa, la percentuale di quanti ritengono che l'integrazione sia un proble­ ma sale al 3007o tra quanti non hanno l'amico più caro della stessa origine. In questo caso è da presumere che la semplice esistenza di un buon rapporto di amicizia di tipo "naturale", fa percepire di meno il problema dell'integrazione. I..:amicizia tra persone di di­ versa provenienza, invece, proprio per la natura dei partners ami­ cali, ha avuto o ha problemi di rapporto che, se possono e sono superati, influenzano tuttavia la percezione del problema dell'in­ tegrazione. Alle medesime conclusioni si arriva se si esamina la formazione del giudizio su quanto conti per il successo professio168

nale mantenere stretti rapporti con il gruppo etnico d'origine. In­ fatti, quanti hanno un amico della propria origine etnica ritengo­ no che mantenere stretti rapporti con il proprio gruppo etnico sia importante. Vi attribuiscono minore importanza invece coloro che non hanno l'amico più caro tra le persone del proprio gruppo etni­ co. Per i primi la somma di moltissimo, molto e abbastanza arriva al 45 0Jo ; per i secondi raggiunge invece il 29%. Segno che allora i legami con il gruppo etnico -di cui l'amicizia in questo caso non è che una delle forme- contano effettivamente. E ciò influisce di più sull'opinione di chi ne fa l'esperienza. A conclusioni analoghe si arriva se si esamina il giudizio sulla qualità dell'integrazione so­ ciale. Coloro che hanno l'amico più caro nell'ambito del proprio gruppo etnico danno un giudizio positivo (somma di ottimo e suf­ ficiente) pari al 65%. Quanti invece hanno l'amico più caro di di­ versa origine etnica e culturale giudicano positivamente l'integra­ zione realizzatasi nella misura del 5 8 % . Diversamente vanno le co­ se, invece, se si prende in considerazione il giudizio sui propri rap­ porti sociali. Infatti, coloro che hanno l'amico più caro di diversa origine etnica giudicano positivamente i propri rapporti sociali per 1'83 %, mentre coloro che hanno l'amico più caro tra le perso­ ne del proprio gruppo etnico danno lo stesso giudizio per 1'81 %. In questo caso, dunque, l'amicizia con un membro del proprio gruppo non svolge un ruolo nella strutturazione del giudizio sulla qualità dei rapporti sociali tra gli intervistati. Se consideriamo i modelli di regolazione sociale costruiti sulla base delle indicazioni degli intervistati, possiamo osservare che la quota più alta di amici della stessa origine etnica e culturale (39%) si trova in quanti vedono nel modello tradizionale il sistema di re­ golazione sociale cittadino. La più alta quota di quanti hanno gli amici più cari di diversa origine etnica e culturale (78% ) si trova tra quanti vedono nel modello moderno pragmatico il sistema di regolazione sociale. Seguono in questa classifica quanti vedono il sistema di regolazione sociale nel modello tradizionale aristocrati­ co (78 % ), nel modello tradizionale rigorista (76%), nel modello moderno progettuale (73 %). Se ne può forse dedurre che quanti vedono il sistema di regolazione sociale nel modello tradizionale (ricchezza e famiglia agiata), avendo gli amici della medesima ori­ gine culturale non solo indicano tale modello, ma in qualche mo­ do vi aderiscono e lo condividono. 169

7 2 2 Dove nascono le amicizie .

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Oltre alla origine etnica dell'amico più caro di ogni intervistato, abbiamo cercato di capire quali luoghi, istituzioni o reti di relazio­ ni costituiscono l'ambiente per la formazione dell'amicizia. Nella risposta gli intervistati possono dare due indicazioni all'interno di una lista (cfr. questionario, blocco E, dom. n. 60) . Dalle risposte degli intervistati scaturisce che il lavoro è il luogo più importante per la formazione delle amicizie (cfr. la Tabella l). Seguono il quartiere/borgo, la scuola, il gruppo dei parenti, il gruppo etnico, la parrocchia, le associazioni culturali e i gruppi politici. Proprio la indicazione relativa al lavoro ci fa comprende­ re quale potente mezzo di unificazione e di socializzazione esso sia. Dal lavoro si dipartono non solo i rapporti economici, ma an­ che -e si vede in che misura- i rapporti sociali più generali e affetti­ vi. eindicazione relativa al quartiere/borgo mette insieme,due co­ se: la socialità spontanea del vicinato e la socialità della vita del borgo. Pur riferendosi esse a due esperienze diverse, con protago­ nisti diversi, traducono in realtà lo stesso fenomeno. I..:amicizia che si forma nel vicinato e nel borgo nasce da relazioni sociali non regolate dal criterio del successo economico, né dal criterio del­ l'aumento dell'influenza e del potere. È una socialità generica, non vincolata né vincolante, suscettibile di trasformarsi nel rap­ porto quasi esclusivo dell'amicizia o nella indifferenza di un rap­ porto anonimo. Il fatto che da questo tipo di frequentazione na­ scano tante amicizie vuoi dire che le relazioni di borgo e di quar­ tiere sono abbastanza integrate. È doveroso tuttavia ricordare che, nella quota delle amicizie nel quartiere/borgo, una parte cospicua è costituita dall'esperienza amicale degli abitanti nei borghi. Le amicizie nate nell'ambito del gruppo parentale hanno invece un al­ tro segno. Esse possono essere la spia di una difficoltà ad uscire dalla famiglia allargata o possono essere l'effetto di un ripiega­ mento in essa per la difficoltà di costruire buoni rapporti ,sociali. Proprio perché avevamo percepito tutto questo, nell'invitare gli in­ tervistati a esprimersi sull'origine del loro amico più caro, abbia­ mo dovuto specificare "esclusi i parenti e i semplici conoscenti". Avremmo altrimenti rischiato di lavorare con una definizione troppo generica dell'amicizia che non ci avrebbe consentito di comprendere la reale sovrapposizione del rapporto familiare al 1 70

rapporto amicale. Le amicizie nate nell'ambito del gruppo etnico hanno un più complesso significato. Si tratta di quei casi di inter­ vistati che hanno goduto più di altri di rapporti di solidarietà nel­ l'ambito del proprio gruppo. Essi sono pertanto esposti alla ero­ sione continua, giacché molti di questi intervistati hanno un'età avanzata. Essa può subire lo stesso processo di trasformazione del borgo, nel quale, con la scomparsa dei protagonisti di una certa esperienza, avanzano processi di lenta ma costante erosione delle forme di socialità dalle quali sono nate tante amicizie. Scarso è in­ fine l'apporto delle amicizie nate nella parrocchia, tra le persone impegnate politicamente e culturalmente. Sorprende qui lo scarso peso della parrocchia. La verità è che nel primo periodo di storia della città il suo spazio fu conteso dall'organizzazione fascista del tempo libero. Successivamente, il processo di industrializzazione ha relegato anche l'organizzazione parrocchiale del tempo libero in un ambito marginale. Sono infine veramente molto poche le amicizie nate tra le persone impegnate nella politica e nella cultu­ ra. Ciò non dovrebbe sorprendere affatto, essendo la partecipazio­ ne alla vita politica e culturale riservata ad una élite molto ristret­ ta. In tali attività, inoltre, al di là della retorica solidaristica, vige la logica della competizione. Risulta pertanto ancora più difficile costruire rapporti amicali. È importante invece il ruolo svolto dal­ la scuola. Essa si pone in effetti, accanto al lavoro, come uno dei fattori più importanti della modernizzazione dei comportamenti. Se si sommano le amicizie nate nella scuola, nel lavoro, nell'attivi­ tà politica e culturale e nell'ambito della parrocchia, si può con­ statare come le reti di relazioni di tipo moderno costituiscano l'ambiente per la formazione dell'amicizia per il 5 5 0Jo degli intervi­ stati, contro il 340Jo costituito da reti di relazione di tipo tradizio­ nale. Se si prende in considerazione anche la seconda indicazione, si può notare che il ruolo del quartiere/borgo è ancora più impor­ tante di quanto non appaia nella prima indicazione. In generale, qui, le reti di relazioni sociali di tipo tradiziona!e costituiscono l'ambiente per le amicizie di metà degli intervistati. Occorre tutta­ via avvertire che queste aggregazioni hanno qualcosa di arbitrario, in quanto (ad es.) né il quartiere/borgo può essere totalmente ascritto al gruppo degli ambienti tradizionali, né la parrocchia al gruppo degli ambienti moderni. Esse tuttavia conservano una va­ lidità nel contesto teorico della modernizzazione tracciato nel Ca1 71

pitolo l. Infatti, gli ambienti sociali sono distinti sulla base delle norme sociali che li regolano: da un lato la logica sistemica della razionalità strumentale e strategica, dall'altro la comprensione. Essi sono fattori di integrazione e di superamento della frammen­ tazione culturale della città. In essi -come dovrebbe ormai essere chiaro- modelli di riferimento di tipo tradizionale e moderno possono essere, e sono, in conflitto. . Un modo di vedere l'incidenza ancora effettivamente operante degli ambienti tradizionali nella formazione delle amicizie consi­ ste nel porre in relazione l'ambiente e il tipo di amico: se ad es. un intervistato ha come amico più caro una persona di diversa ori­ gine etnica e culturale e tale amicizia è nata nella scuola e nel lavo­ ro o nell'ambito delle attività politiche e culturali, ciò vuoi dire che siamo in un contesto di modernizzazione e in esso è già ope­ rante una nuova forma di solidarietà; se invece un intervistato ha un amico nell'ambito del suo gruppo etnico o parentale, è certa­ mente vero che qui si trova una forma di solidarietà, ma essa è na­ ta in un contesto tradizionale che si è ricostruito a Latina. Natu­ ralmente, le nostre sono delle tipologie per comprendere e far comprendere come stanno i rapporti sociali; esse non sono dei modelli a cui si attribuisce una validità da tradursi sul piano gene­ rale. Non solo., Ma tipi così ben definiti in realtà non si trovano. Essi possono suggerire tuttavia elementi di conoscenza molto utili per la comprensione dei fenomeni più generali. Nel nostro caso, ad es., il rapporto tra ambiente sociale moderno e formazione del­ l'amicizia esiste in modo e quantità diversa per gli intervistati il cui amico ha la loro medesima origine culturale e per coloro che inve­ ce hanno l'amico più caro di diversa origine culturale. A livello di prima indicazione, gli ambienti sociali moderni raggiungono il 460Jo di indicazioni tra gli intervistati che hanno l'amico più caro della loro stessa origine etnica; tra gli intervistati il cui amico più caro ha diversa origine etnica tale percentuale arriva al 590Jo delle indicazioni (cfr. la Tabella 1.). La conclusione che se ne può trarre è che i due tipi di ambiente sociale tendono a selezionare persone con esperienza diversa e ad aggregarli secondo motivazioni specifiche. Tutto ciò può essere osservato se andiamo a vedere il rapporto tra amicizia e motiva­ zione della scelta.

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7.2.3. Le affinità elettive

La quota più alta di indicazioni è attribuita dagli intervistati al­ l'affinità culturale (4). Segue la motivazione relativa al fatto che si è abitanti dello stesso quartiere. Non è una motivazione forte, ma indica la nuova socialità prodotta dall'ambiente urbano. Dai rapporti poco impegnati e superficiali si può passare -come osservavamo- al rapporto quasi esclusivo dell'amicizia. Viene poi il lavoro e la professione: si diventa amici perché si fa lo stesso la­ voro, la stessa professione e si ha pertanto una base di interesse e di argomenti di discussione. l?ambito dei rapporti familiari co­ stituisce una quota notevole dei luoghi di formazione e delle moti­ vazioni della nascita di amicizie. Gli intervistati in molti casi han­ no confuso il luogo della nascita dell'amicizia con il motivo. Non ci può essere fatto più sintomatico di questo: la motivazione per la formazione del rapporto amicale è debole al punto da confon­ dersi con il mero fatto dell'essersi prodotto. Buona la motivazione relativa al fatto che l'amico più caro è stato scelto per affinità etico-religiose, mentre trascurabile è la percentuale dell'affinità politica. Infine, la scelta dell'amico perché appartenente allo stes­ so gruppo etnico (l OJo) è superiore solo a quella dell'affinità po­ litica. Se mettiamo queste risposte a confronto con la provenienza del­ l'amico più caro, possiamo vedere che il ruolo dell'origine nel de­ terminare la motivazione della scelta dell'amicizia risalta ancora di più (cfr. la Tabella 2). I n effetti, nella scelta delle amicizie i due gruppi (quanti hanno amici della medesima o di diversa origine) si comportano diversamente. Per entrambi i gruppi la voce con la percentuale maggiore rimane le "affinità culturali". Per le altre voci, invece, la graduatoria di quanti non hanno l'amico più caro della loro stessa origine rimane pressoché uguale (le affinità poli­ tiche salgono al settimo posto e il gruppo etnico scende all'otta­ vo); cambia completamente, invece, la graduatoria di quanti han­ no l'amico della loro medesima origine etnica. Al secondo posto si trova "gli amici di famiglia": ciò vuol dire che l'amico più caro 4. Pur essendo "affinità culturale" una espressione ampia e ambigtia, essa t raduce n l c­ glio di altre i complessi motivi per cui si può star bene con un'altra persona, al punto da prediligerla come amico rispetto agli altri.

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ha la stessa origine etnica ed appartiene al giro delle conoscenze della famiglia. Si potrebbe dedurre che esso è stato scelto nell'am­ bito dei membri della famiglia allargata. Al terzo posto si trova il quartiere: vi sono pertanto delle zone urbane omogenee dal punto di vista etnico. Oltre ai borghi, che fin dall'insediamento abitativo hanno avuto forte omogeneità etnica e culturale, ci sono in ogni quartiere della città concentrazioni di tipo etnico e culturale, an­ che se non si può dire, ad es., che un determinato quartiere è abita­ to dai campani, un altro dagli abruzzesi, e così via. Si formano cerchie particolari il cui centro di aggregazione è la stessa prove­ nienza etnica e culturale. Seguono poi il lavoro, la provenienza so­ ciale e il gruppo etnico, a conferma di quanto abbiamo osservato finora. La religione e la politica sono meno aggreganti che nell'al­ tro gruppo di intervistati. In conclusione si può affermare che l'esistenza dell'amico o de­ gli amici più cari con la medesima origine degli intervistati mette tra loro in luce di fferenziazioni nella motivazione della scelta del­ l'amicizia. Il significato di tale differenziazione sembra risiedere nella maggiore accentuazione da parte loro di motivazioni colle­ gate alla rete di relazioni sociali non ancora completamente mo­ dernizzata. Viceversa, per gli altri contano di più motivazioni che hanno relazione con ambienti sociali modernizzati (5).

7.3. La vita associativa

Per tentare di comprendere lo sviluppo di forme di vita comuni­ taria abbiamo posto agli intervistati una serie di domande sulla loro partecipazione ad associazioni politiche, sindacali, culturali, religiose, sportive e ricreative (cfr. questionario, blocco F) (6). Questa dimensione della vita sociale è un importante indicatore del processo di integrazione sociale e culturale. Essa interessa sia per la sua quantità ed estensione tra la popolazione, sia per l� sua 5. Nel questionario (c fr. blocco F) la ricerca di informazioni sulle relazioni amicali conti­ nua con l'esplorazione delle attività e delle forme di comunicazione. Per la loro analisi cfr. A. Marinelli, Tempo libero- Vita sociale, capitolo 9.2 del citato Rapporto di ricerca inviaro al C.N.R. 6. Per un'analisi dell'intera serie delle domande dal punto di vista della fruizione e della qualità del tempo libero cfr. A. Marinelli, op.cit.

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qualità, le sue forme e i suoi contenuti. La nostra ricerca non ha potuto prendere in considerazione il secondo aspetto; tuttavia, la semplice rilevazione quantitativa del fenomeno può essere già un primo importante passo verso un più adeguato approfondimento. A Latina esistono 222 associazioni (esclusi i partiti politici e i sindacati) (7). Esse coprono un ventaglio molto ampio di attività sociali e formano una ricca tipologia: dall'associazione di tipo et­ nico e culturale al Rotary, dal Siddharta alle associazioni musicali di vario genere, dalle associazioni religiose alle associazioni per gli studi sull'Ecologia del Quaternario. Una buona parte di esse sono tuttavia di tipo sportivo (87) e culturale (50), ben 14 delle quali so­ no di carattere teatrale, non sempre amatoriale; il resto sono ap­ punto di tipo vario. Sulla base della tipologia delle associazioni potremmo inferire che la cura del corpo e della pt.rsona costitui­ sca, come altri nostri indicatori dimostrano, una delle attività im­ portanti dei cittadini di Latina. Nelle forme in cui essa viene effet­ tuata, tuttavia, veicola importanti elementi di socialità. La mag­ gior parte delle associazioni sportive riguarda il calcio, ma non mancano altri sport, come il tennis, il nuoto, il baseball, la scher­ ma, la pallavolo, la pallacanestro, l'atletica, le bocce. Queste atti­ vità sono in fondo le più interessanti, perché capaci di coinvolgere numerose persone, come praticanti, organizzatori e pubblico. At­ traverso di esse si diffondono i modelli di pensiero e gli stili di vi­ ta. La competizione su questo campo è forte. La possibilità di ve­ nire a contatto con cerchie ampie della popolazione consente l'ac­ quisizione di risorse di consenso da spendere a livello politico. Tra le associazioni culturali il discorso è un po' diverso. La maggior parte di esse ha finalità particolari. Esse richiamano gruppi ri­ stretti di persone. Non sono perciò tanto vezzeggiate dal potere politico o da coloro che aspirano ad averne. In molti casi, inoltre, si tratta di associazioni animate da alcune persone, le quali com­ paiono in diversi punti dell'associazionismo culturale. Se ne po­ trebbe concludere, da un Jato, che le attività culturali non riescono a trovare uno spazio ad un livello universalistico e che, dall'altro, proprio per questo si confinano ad attività e finalità molto parti­ colaristiche. Quando non si tratta di semplice creazione di etichet7. C Fr. Consorzio per i Servizi Culturali, Censimento degli spazi culturali in provincia di Latina, a cura di A. D'Orso, R. Magnani e E. Paperetti, Lucania editrice, Latina, 1985.

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te, dietro cui nascondersi per accedere inosservati alla spartizione clientelare delle risorse, la stessa particolarità delle associazioni assume il significato di una molteplicità di interessi culturali, di autonomia personale e di ricchezza sociale. Esse possono essere il segno della complessità, della vivacità e vitalità della compagine sociale. Inoltre, esse sono un importante indicatore delle direttrici lungo le quali viene ricostruita la socialità. Da questo punto di vi­ sta, la tipologia delle associazioni culturali fornisce ulteriori ele­ menti conoscitivi. Ebbene, le associazioni culturali di tipo tradi­ zionale o che si richiamano a culture locali e regionali sono tre o quattro. Inoltre, alcune organizzano poche attività e in modo spo­ radico, molte volte legate a particolari episodi ed avvenimenti. Ciò vuoi dire che, se consideriamo l'asse modernità/tradizione nell'in­ tegrazione sociale e culturale, troviamo qui una conferma degli orientamenti dominanti tra la popolazione. Il fatto poi che talune persone compaiano come responsabili in più di una associazione, rende difficile distinguere tra associazionismo e articolazione clientelare della spartizione delle risorse pubbliche. In riferimento alla tipologia della regùlazione sociale (cfr. Capitolo 5) riesce dif­ ficile assegnare al moderno progettuale o pragmatico queste for­ me di vita associativa di aspetto tipicamente moderno. Le attività di queste associazioni si svolgono in numerose strut­ ture: Palazzo della cultura, biblioteche, spazi per convegni e con­ certi. Le attrezzature sportive sono 63: 11 palestre, 17 campi di cal­ cio, 1 1 di pallacanestro, 6 di pallavolo, 5 di tennis, 3 di bocce, 3 piscine, 3 centri polivalenti. Non mancano inoltre i centri e le at­ trezzature di tipo privato. Nulla possiamo dire della reale partecipazione della -gente a questa attività in quanto non esistono ancora dati pubblici. Siamo pertanto costretti a fare ricorso ai dati della nostra ricerca. Nel questionario (cfr. blocco F, dom. 58) la questione viene affrontata sia sotto l'aspetto della tipologia dell'attività sia sotto l'aspetto della sua intensità. Per quanto riguarda la partecipazione açl una qualche forma di associazione, gli intervistati rispondono sì per il 27 o/o e no per il 73% (8). Gli uomini, inoltre, partecipano più delle 8. Per una migliore comprensione della partecipazione alla vita associativa può risultare utile un confronto con altri dati, ancorché provenienti da ricerche effettuate in epoche di­ verse e su di fferenti campioni di intervistati. Nella ricerca di A. Pizzorno, Comunità e ra-

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donne (390Jo dei primi e 1 5 0Jo delle seconde; cfr. l a Tabella 3) (9). I..:età è come al solito un fattore di differenziazione dei comporta­ menti. Accade così anche nella partecipazione alla vita associati­ va. Il livello più alto di partecipazione si trova nel gruppo di 35-45 anni (440Jo); segue il gruppo di 20-25 anni (230Jo), il gruppo di 25-30 anni (220Jo), il gruppo di 45-65 anni (220Jo), il gruppo di 30-35 anni (200Jo) e infine il gruppo di quanti hanno più di 65 anni (160Jo). Se consideriamo il luogo di nascita possiamo vedere all'o­ pera ulteriori differenziazioni. I nati in provincia di Latina e i nati a Latina esprimono il più alto livello di partecipazione (330Jo e 300Jo ). Essi innalzano il livello della partecipazione del Centro (290Jo) che altrimenti esprimerebbe valori anche più bassi delle al­ tre aree geografiche. Il Nord esprime un livello di partecipazione del 220Jo, il Meridione e le Isole del 240Jo. Se vediamo più nel detta­ glio la tipologia dell'associazionismo (cfr. la Tabella 4), l'associa­ zione sportiva raggiunge il più alto livello di partecipazione (lOOJo ) ; segue l'associazione culturale (7 0Jo), politica (60Jo), sinda­ cale (60Jo ) , religiosa (5 0Jo), ricreativa (20Jo), etnica (lOJo), di quartie­ re e di borgo (l OJo ) . Questi dati acquistano u n significato ancor più interessante se vengono riferiti ai modelli di regolazione sociale vigenti nella cit­ tà. La partecipazione alla vita associativa sembra essere una carat­ teristica particolarmente tipica degli intervistati che vedono la cit­ tà governata da un modello moderno di regolazione sociale. Tra i coinvolti in almeno una delle associazioni menzionate, quanti ve­ dono nel modello moderno i l sistema di regolazione sociale citta­ dino raggiungono il 740Jo (43 0Jo al moderno progettuale, 310Jo al moderno pragmatico). Quanti invece vedono un tale sistema nel modello tradizionale sono il 25 0Jo ( 1 5 0Jo al modello tadizionale, 40Jo al tradizionale rigorista e 6 0Jo al tradizionale aristocratico). I noltre, quanti vedono nel moderno pragmatico il sistema di regoziona/izzazione, cit., la partecipazione ad una qualche forma di associazione è del 22.50Jo degli intervistati; nella ricerca di M. Li volsi, Comunità e integrazione, cit., la partecipazio­ ne ad una qualsiasi associazione è del 23.4% degli intervistati. Sebbene dunque in aree di­ verse e in periodi piuttosto lontani il livello della partecipazione alla vita associativa appare abbastanza costante. 9. Questa maggiore partecipazione degli uomini si evidenzia anche attraverso altri ele­ menti. Nel citato Censimento degli spazi culturali, ad es., le associazioni danno spesso un recapito presso l'abitazione di uno degli iscritti. Per i casi in cui figura un recapito di questo genere, 3 6 sono indirizzi di uomini e IO di donne.

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lazione sociale raggiungono anche la più alta quota di partecipa­ zione (320Jo); seguono quanti vedono la città regolata dal moder­ no progettuale (31%), dal modello tradizionale aristocratico (19% ), dal modello tradizionale (19% ), dal modello tradizionale rigorista (170Jo). Tra quanti vedono la città regolata da sistemi mo­ derni, che pongono al centro dell'azione sociale l'attore, l'indivi­ duo e non la famiglia o la ricchezza, la partecipazione ad una qualche forma di vita associata è più alta. Ciò consente anche di verificare le nostre idee sul carattere moderno del sistema cultura­ le dominante entro il quale gli orientamenti dei singoli trovano in­ tegrazione e modelli di riferimento per la definizione della propria identità. La maggiore diffusione della pratica sportiva, inoltre, conferma altre ipotesi interpretative circa i modelli culturali entro i quali si verifica l'integrazione sociale. La cura del corpo e della persona attraverso simboli appariscenti appare generalizzata. Nel tempo libero appaiono segni consistenti di omologazione dei gusti e degli stili di vita (10). La distruzione, la frammentazione e la per­ dita delle culture originarie ha aperto ampio campo per la libera­ zione e l'innovazione. Diventate inefficaci le strette e invadenti re­ lazioni parentali di tipo tradizionale, appare sempre più ampio l'ambito dell'autonomia dei singoli. Sembra invece che proprio questo campo aperto a più ampie e diverse possibilità, da un lato, respinga entro i vecchi gusci e, dall'altro, verso forme eterodirette e omologate di stili di vita. Ne sarebbe prova l'enorme peso dei simboli del successo nella definizione della propria identità e l'o­ mologazione dei simboli medesimi (11). Così, da un lato l'autode­ finizione del Sé avviene mediante risorse simboliche fragili, dal­ l'altro esse non fanno parte del patrimonio culturale dei singoli, ma sono prodotte dall'industria culturale, che, seguendo le pro­ prie finalità, costringe all'incessante rinnovamento dei simboli se­ condo i ben noti ritmi della moda. !!integrazione sociale e cultura­ le allora rischia di svolgersi tra un'eterodirezione a livello simboli­ co superficiale ed un bisogno di autenticità soddisfatto �edia,nte il ricorso a nuove o vecchie religioni di tipo fondamentalista, che

IO. Per questa conclusione cfr. il già citato contributo di A. Marinelli, Tempo libero-vita sociale, nel Rapporto di ricerca inviato al C.N.R. Il. Per questi aspetti cfr. M. lngraito, La formazione dell'identità giovanile. Il caso di Latina, tesi di laurea, Università di Roma 11La Sapienza� aa. 1986-87.

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sfociano in nuova eterodirezione (12) . La modernizzazione, così, apparirebbe più per i suoi esiti perversi che non per i suoi contenu­ ti di autonomia, di libertà, di creatività degli individui. In effetti, per quanto l'analisi comparativa possa rassicurare sulla quantità e la qualità della partecipazione alla vita pubblica o ad una delle tante forme di vita comunitaria, rimane ampio lo scarto tra i comportamenti concreti e le esigenze sociali individua­ te. Come vedremo nel prossimo capitolo, a livello delle cose da fa­ re per migliorare la qualità della vita della città, l'indicazione più consistente è di tipo politico-morale. Messa a confronto con i comportamenti pubblici (partecipazione alla vita politica, sinda­ cale e culturale), quella indicazione appare il segno di una vistosa contraddizione e dello stato dei rapporti tra cittadini e politica. Le minime quote di partecipazione di tipo politico sono il segno della distanza dalla sfera pubblica. Questa appare un fatto estraneo alla vita di molti. Troviamo così un'altra delle connotazioni moderne della città: la chiusura individualistica dei soggetti e la delega sen­ za controllo ai professionisti della amministrazione della cosa pubblica. Inoltre, in questa situazione il gruppo ristretto, la fami­ glia, deve svolgere numerose funzioni di supplenza di altre istitu­ zioni e torna a dare in forma nuova antiche prestazioni. Essa so­ cializza alla politica (ma in forma rassegnata, cinica e amara), ela­ bora, le risorse per la definizione del Sé, costituisce l'orizzonte per la socialità più autentica per tanti individui. Così, la rete della so­ cialità sovrappone e stratifica aspetti di modernità incompiuta e di forme tradizionali riemergenti.

12. Per questo aspetto della questione cfr. F. Barbierato, Stili di vita religiosa. I testimoni di Geova di Latina, tesi di laurea, Università di Roma "La Sapienza", aa. 1986-87.

179

Tab. l. Luogo d'incontro degli amici per loro origine etnica. Valori percentuali.

Origine etnica Luoghi d'incontro

Scuola Lavoro Tra i parenti Quartiere/borgo Gruppo etnico Parrocchia Att. politica Att. culturali Altro Non risponde Totale

Uguale

Diversa

1 6.5 26.3 1 5.0 21.1 10.5 0.8

17.3 33.1 9.2 19.5 1 .4 3.9 2,2

2.3 6.0 1.5

2.8 8.4 2.2

100.0

1 00.0

Tab. 2 Mo tivazioni della scelta dell'amicizia per origine etnica degli amici. Valori percentuali.

Origine etnica Motivazioni

Affinità culturali Affinità politiche Affinità etico-religiose Lavoro o professione Stessa provenienza sociale Abitanti dello stesso quartiere Amici di famiglia Stesso gruppo etnico Altro Non risponde Totale

Uguale

Diversa

24.1 3.0 1 3 .5

37.3 0.6 6.4 13.6

6.0

5.0

14.3 1 7.3 4.5 1 3 .5 3.8

14.5 7.8 0.3 1 1 .4 3.1

100.0

100.0

180

Tab. 3. Iscrizione alle associazioni e ai partiti ripartita secondo

il sesso degli in­

tervistati. Valori percentuali.

Uomini

Donne

Totale

3 8.8 61.2

15.1 83.3 1 .6

26.6 72.6 0.8

100.0

100.0

1 00.0

Si No Non risponde Totale

Tab. 4 Tipologia delle associazioni e forme di partecipazione. Valori percentuali.

AssoCiazioni

l. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9.

culturali religiose ricreative sportive quartiere borgo gruppo etnico politiche sindacali altre

Media

Iscritto e partecipa

Iscritto non partecipa

Non iscritto ma partecipa

N.R.

Tot.

4.6 3 .0 1 .2 6.8

1 .0 0.2 0.2 1 .2

1.8 2.2 0.6 1 .8

92.6 94.6 98.0 90.2

100.0 100.0 100.0 100.0

0.2

0.2

0.2

99.4

100.0

l .O

3.8 4.2 0.6

0.2 2.2 1 .0 0.4

0.2 0.4 0.4 0.4

98.6 93.6 94.4 98.6

100.0 100.0 100.0 100.0

2.7

0.7

0.8

95.3

1 00.0

181

8 . IDENTITA' E APPARTENENZA

8.1. Premessa

Non vi è dubbio che l'atteggiamento complessivo di ogni indivi­ duo rispetto al proprio ambiente possa misurarsi per mezzo della sua disponibilità a !asciarlo. Più profondi sono i legami, meno ampia la disponibilità a romperli. Quando ciò si verifica, i sogget­ ti avvertono il distacco come perdita irreparabile, come lutto. Si apre allora nella struttura della loro personalità un'area della no­ stalgia, che alimenta in continuazione il ricordo e il rimpianto. È ciò che molti degli attuali cittadini di Latina hanno provato al mo­ mento di lasciare i loro paesi e città natali, quando si sono trasferi­ ti nella speranza di trovare un lavoro e migliori possibilità di vive­ re. Lo stesso indicatore ora può dirci se l'esperienza di vita nel frat­ tempo vissuta a Latina dagli individui ha pian piano consentito di costruire legami tanto forti da provocare, nel caso di un trasferi­ mento, gli stessi sentimenti provati al momento di lasciare paesi e città native. �esperienza compiuta a Latina ha consentito di co­ struire legami e rapporti con le persone e le cose: ambiente, monu­ menti, struttura urbana. Tutto ciò è parte integrante dell'esperien­ za vitale di ogni cittadino. Si tratta allora di vedere quale solidarie­ tà e identificazione vi è con l'ambiente, con la struttura urbana e sociale nella quale si è svolta una parte, per molti essenziale, dell.a propria esistenza.

8.2. Rifiuto e identificazione

Per comprendere, dunque, la densità e l'inestricabilità dei rap182

porti da loro costruiti a Latina, gli intervistati sono stati posti di fronte alla eventualità di andarsene. Per quanto riguarda gli immi­ grati, abbiamo già visto in quale misura essi considerino irreversi­ bile il trasferimento a Latina. Riprendiamo ora la questione a li­ vello di intero campione, cercando di approfondire le motivazioni del rifiuto della città, le aspettative deluse, le nuove mete degli in­ tervistati disposti a partire e, viceversa, le motivazioni dell'identi­ ficazione con la città, le aspettative sul suo futuro, le speranze di migliorarla. Con le parole del Capitolo l si tratta di comprendere i motivi a causa dei quali si lascerebbe Latina e, allo stesso tempo, i motivi al fine dei quali ciò sarebbe fatto. Lo stesso vale, natural­ mente, per coloro che, in ogni caso, non se ne andrebbero dalla città. A questa esplorazione è dedicata la parte finale del questio­ nario (cfr. blocco F, dom. 71). La domanda discriminante è, come dicevamo, volta ad individuare la disponibilità D meno a lasciare la città. Di fronte all'alternativa secca: restare o lasciare Latina, il 68 0Jo dell'intero campione risponde di no, mentre il 32% sarebbe dispo­ sto ad andarsene. Prima di cercare le motivazioni di questi due di­ versi atteggiamenti, tentiamo di capire intanto chi se ne andrebbe e chi resterebbe. In tutte le aree geografiche si trova una quota di intervistati disposti ad andarsene: dal 27% del Nord al 37% del Meridione. Più interessante ancora è il fatto che il 26% dei nati a Latina sia disposto a lasciare la città. Se, infatti, per gli altri gruppi ci possono essere motivi di insuccesso o anche -nonostante il successo- semplice nostalgia per tempi e luoghi perduti, nei qua­ li si ritornerebbe volentieri, i nati a Latina pongono ovviamente problemi diversi, che sarà opportuno mettere in luce. Gli uomini sono più disposti delle donne ad andarsene. Gli uo­ mini, infatti, rispondono sì per il 34%; le donne per il 29%. Non vi sono dunque dubbi sul fatto che le donne aderiscono di più alla città. Gli sposati, i noltre, sono disposti ad andarsene per il 43 % ; i celibi disposti a d andarsene sono invece il 29%. S e ne andrebbe­ ro il 19% dei vedovi e delle vedove e praticamente 5 su 7 divorziati e separati. Qui, la percentuale più alta (80%) di adesioni alla città si trova tra i vedovi e le vedove. Per ovvie ragioni, infatti: molti si trovano nella fase finale del ciclo della vita; la vedovanza, inoltre, procura stress e scoraggiamento. Appare pertanto difficile in tali condizioni poter pensare di ricostruire una diversa vita in altro 183

luogo. È invece del tutto chiaro perché divorziati e separati se ne andrebbero: ciò consentirebbe loro di impostare nuovi progetti di vita affettiva, senza subire eccessivamente il peso delle esperienze trascorse. Viceversa, il fatto che siano i coniugati ad esprimere la più bassa quota di adesioni alla città (570Jo) pone problemi di in­ terpretazione più difficili. Si può facilmente comprendere che il 290Jo di celibi voglia andarsene: motivi di lavoro, formazione pro­ fessionale di alto livello che non trova un mercato a Latina, pro­ getti di vita più complessi che possono realizzarsi solo in altri luo­ ghi, spirito di avventura, eccetera. Rimane difficile invece com­ prendere perché una così alta quota di coniugati se ne andrebbe. La risposta può venire dalla ricerca delle motivazioni ·del rifiuto della città. �età è anche in questo caso il motivo di differenziazione. Più è giovane, più l'intervistato è disposto ad andarsene. I più anziani, infatti, esprimono la percentuale più bassa: 200Jo ; quanti hanno 45-65 anni il 300Jo ; quanti ne hanno 35-45 il 3 3 0Jo ; quanti ne hanno 30-35 il 340Jo ; quanti ne hanno 25-30 il 3 5 0Jo e, infine, i più giovani (20-25 anni) il 360Jo. Questo dato non sorprende: i giovani hanno più alta disponibilità alla mobilità per tanti motivi. Tra questi, il lavoro è forse il più importante. Se consideriamo il livello di istruzione, troviamo qualche con­ ferma. Si tratta in primo luogo del fatto che alcuni intervistati (i quali contemporaneamente hanno dichiarato di non avere buoni rapporti sociali) se ne vorrebbero andare. Così infatti rispondono il 420Jo degli intervistati che hanno frequentato -senza conseguire il titolo di studio- la scuola media inferiore e il 560Jo di coloro che hanno frequentato la scuola media superiore. Pur non essendo numerosi, essi confermano in secondo luogo la relazione tra in­ successo scolastico e più alta disponibilità alla mobilità geografi­ ca. Una ulteriore conferma a questa tesi viene da quanti hanno frequentato l'università senza laurearsi. Il 57f!/o degli intervistati con frequenza universitaria disposto ad andarsene ha più di 30 an� ni; un'età tale, cioè, da far supporre un insuccesso negli studi. Gli altri gruppi esprimono la percentuale complessiva del campione. I laureati se ne andrebbero nella misura del 290Jo ; i diplomati della scuola media superiore nella misura del 340Jo ; quelli della scuola media nella misura del 220Jo. Fanno eccezione al quadro comples­ sivo i diplomati dei corsi professionali con il 41 OJo e i senza titolo ·

184

di studio con il 1 8 07o. In quest'ultimo caso si tratta di una relativa scarsa disponibilità ad andarsene per ovvie ragioni: la loro età, ge­ neralmente alta, e il fatto che non hanno molto da scambiare sul mercato del lavoro. Viceversa, la disponibilità di laureati e diplo­ mati indica la direzione inversa: si tratta di persone con una certa preparazione professionale che non trovano spazio a Latina e so­ no disposti a recarsi in altre città. I nfine, per il gruppo di quanti hanno frequentato vari livelli di scuola senza conseguire il titolo di studio, si sommano probabilmente la ricerca di migliori oppor­ tunità con l'ansia da insuccesso scolastico. Se consideriamo la professione degli intervistati otteniamo il se­ guente quadro: se ne vorrebbero andare il 3 7 07o degli operai; il 3407o del gruppo composto dagli impiegati, dirigenti (pubblici e privati) e dagli insegnanti; un sesto degli artigiani, un terzo degli agricoltori, un sesto dei commercianti e un quarto degli imprendi­ tori e liberi professionisti. Tra gli inattivi, se ne andrebbe più della metà dei disoccupati, un quarto dei pensionati, un quarto delle casalinghe e quasi la metà degli studenti. La soddisfazione per la propria condizione professionale, come abbiamo già detto, può essere un indicatore più sintetico del rap­ porto con la città (1). Essa può fornire elementi importanti per ca­ pire il rapporto complessivo degli intervistati con la città. Ma ve­ diamo. Se ne andrebbero da Latina il 2707o dei soddisfatti della propria condizione professionale e il 4407o degli insoddisfatti. Inoltre, il gruppo di 1 58 persone (pari al 3 1 .607o dell'intero campio­ ne), disposte eventualmente a lasciare Latina, si compone di 96 in­ tervistati soddisfatti della propria condizione professionale -essi sono il 61 07o dei sì- e di 59 intervistati insoddisfatti della propria condizione professionale, pari al 3707o dei sì. Nel complesso -e fi­ no a questo punto dell'analisi- si può dire che, nel caso si dessero le condizioni, se ne andrebbero da Latina non solo persone in dif­ ficoltà o che non abbiano avuto successo scolastico o professiona­ le, ma anche persone che non hanno difficoltà e che hanno avuto successo. La situazione economica degli intervistati incide sulla loro di­ sponibilità ad andarsene da Latina, anche se non si può stabilire l. Abbiamo già usato questo indicatore per il sottocampione dei migranti. Qui esso viene utilizzato per l'intero campione. Comprende dunque anche i nati a Latina.

185

una progressione inversa tra reddito e disponibilità a lasciare la città. Ma vediamo con ordine. Quanti non dichiarano reddito se ne andrebbero per il 37f!Jo. Gli intervistati con un reddito familiare annuo fino a 10 milioni, se ne andrebbero nella misura del 32f!Jo. Quanti hanno un reddito familiare annuo compreso tra 10 e 20 milioni, se ne andrebbero nella misura del 3 3 f!Jo. Gli intervistati con un reddito familiare annuo compreso tra 20 e 30 milioni, se ne andrebbero nella misura del 27f!Jo. Quanti dichiarano un reddi­ to compreso tra 30 e 40 milioni se ne andrebbero nella misura del 29f!Jo. Quanti dispongono di un reddito familiare annuo compreso tra 40 e 50 milioni se ne andrebbero nella misura del �2f!Jo. Infine, tra quanti dichiarano un reddito familiare annuo superiore ai 50 milioni, nessuno lascerebbe la dttà. Più sinteticamente può qui funzionare da indicatore la risposta relativa alla capacità del pro­ prio reddito di soddisfare le esigenze familiari. La disponibilità a lasciare la città è superiore tra quanti ritengono il proprio reddito incapace di soddisfare le esigenze familiari. Infatti, tra i soddisfat­ ti del proprio reddito la quota di quanti sono disponibili a lasciare la città è più bassa (27f!Jo ) che tra gli insoddisfatti (36f!Jo ). Se ne de­ duce che non tanto il reddito in assoluto, quanto piuttosto il suo rapporto con le esigenze della famiglia diviene una motivazione valida per disporre gli intervistati a lasciare la città. Se riconduciamo le risposte relative alla eventualità di lasciare Latina ai modelli culturali costruiti nel Capitolo 5, possiamo os­ servare delle cose interessanti. Quanti ritengono Latina regolata da una logica sociale moderna progettuale (intraprendenza indivi­ duale, capacità professionale, correttezza, alto livello culturale), sono disposti ad andarsene nella misura del 25 f!Jo. Gli intervistati che vedono nel modello moderno pragmatico (spregiudicatezza, capacità di profittare delle situazioni coniugata con qualsiasi altro valore dinamico individuale, con o senza presenza di capacità pro­ fessionale, senza correttezza ecc.) il sistema di regolazione della città, se ne andrebbero per il 3 8 f!Jo. Quanti vedono un tale sistema nel modello tradizionale (famiglia agiata, ricchezza) se ne andreb­ bero per il 39f!Jo. Quanti invece vedono la regolazione sociale nel modello tradizionale rigorista (ricchezza e famiglia agiata coniu­ gata con la correttezza e il rigore morale), se ne andrebbero per il 3 1 f!Jo. Infine, quanti vedono la regolazione sociale nel modello tradizionale aristocratico, se ne andrebbero per il 22f!Jo. In genera186

le, dunque, vi è rapporto tra opinione sulla logica sociale della cit­ tà e disponibilità a !asciarla o meno. Il fatto che la più alta quota di disponibilità a trasferirsi si trovi tra quanti ritengono la città re­ golata da una logica di tipo moderno pragmatico, costituisce in sé una esplicita presa di distanza dal sistema delle relazioni sociali. Viceversa, una maggiore disponibilità a restare si trova tra quanti hanno un'immagine positiva del sistema sociale cittadino e della logica che ne regola i rapporti. La loro permanenza implica ade­ sione e identificazione. È da spiegare in questo caso il fatto che un quarto di quanti pensano così, se ne andrebbero. Probabilmen­ te si tratta di un'area dinamica che non trova su fficiente spazio a Latina. Alta e pure signi ficativa è la percentuale di quanti vedono la città regolata da una logica sociale tradizionale disposti ad an­ darsene. Per un verso si può trattare di una critica alla città, per un altro -e più verosimilmente- si tratta dell'area della nostalgia che abbiamo incontrato più volte. A conclusioni simili si arriva se si mette in gioco il problema dell'integrazione sociale. Tra quanti ritengono l'integrazione so­ ciale un problema, i disposti a lasciare Latina sono il 41 OJo ; tra co­ loro che invece pensano il contrario, la quota scende al 25 %. Inol­ tre, quanti giudicano "ottima" l'integrazione tra le etnie, i disposti ad abbandonare Latina sono il 29% ; tra gli intervistati che la giu­ dicano "sufficiente", i disposti a partire sono il 27 %. Quanti inve­ ce danno un giudizio negativo dell'integrazione e la ritengono "scarsa", sono disposti eventualmente ad andarsene il 36%; infine tra quanti non la giudicano affatto realizzata, i disposti ad andar­ sene sono la metà. Si capisce allora che, oltre ai problemi di natura professionale ed economica, tra i motivi a causa dei quali si è di­ sposti a partire l'insufficienza delle proprie relazioni sociali svolge un ruolo non trascurabile. Per quanto, infatti, la domanda sia tale da suscitare un giudizio sulla realtà senza coinvolgere direttamente l'esperienza dell'intervistato, è indubbio che questa si riflette nella risposta. Inoltre, a proposito della qualità dei rapporti sociali vie­ ne chiesto agli intervistati un giudizio sulla propria esperienza. I n effetti, la relazione tra giudizio sulla qualità dei rapporti sociali e disponibilità ad andarsene non potrebbe essere più netta. Tra co­ loro (283) che danno un giudizio positivo (somma di "ottimo" e "discreto") la percentuale degli intervistati disponibili ad andarse­ ne raggiunge il 25%. Tra quanti (89) invece ne danno un giudizio 187

negativo (somma di " non del tutto soddisfacenti" e "pessimi"), i disposti a lasciare Latina sono il 57o/o. Infine, se ne andrebbe il 2 8 % di quanti esprimono un giudizio moderatamente positivo ("abbastanza soddisfacenti"). Nel complesso, dunque; la cattiva qualità dei propri rapporti sociali diviene una componente impor­ tante nella formazione della disponibilità ad abbandonare la città.

8.3. Le mete dei nuovi migranti

Abbiamo finora cercato di comprendere quali cittadini, per va­ rie ragioni, possono essere i nuovi migranti. Tentiamo ora di capi­ re i motivi della disponibilità a lasciare Latina e le mete degli even­ tuali trasferimenti. Cominciamo con il vedere dove vorrebbero eventualmente trasferirsi quanti sono disposti a lasciare la città. I 1 5 8 intervistati disposti ad andarsene, vorrebbero trasferirsi: in una città più grande, 1 8 % ; in un paese più piccolo e tranquillo, 1 6o/o ; in un� c::i ttà dalle ricche tradizioni storiche, 30%; in una città con un clima migliore, 1 1 %; nel luogo d'origine, 1 3 %. Hanno dato altre indicazioni il 10%. Come si vede, la prima indicazione -città più grande- conferma la critica già rilevata: per alcuni, Latina non è ancora una città, né una città moderna. Da ciò il desiderio di vi­ vere eventualmente in una metropoli. Per molti versi ha lo stesso segno la critica implicita nelle risposte di coloro che vorrebbero andare in una città dalle ricche tradizioni storiche. Qui, poi, la cri­ tica tende a colpire proprio gli aspetti della modernità della città. Per quanto c'é di moderno in Latina, esso non è accettato per la sua assenza di "anima", di una propria identità. Si vorrebbe perciò andare in una città ricca di tradizioni e con un'identità forte e visi­ bile. Le due risposte (la cui somma raggiunge il 47 % degli intervi­ stati che hanno risposto sì) costituiscono la critica più complessa alla città. Da un lato, quanti desiderano andare a vivere in un am­ biente metropolitano in qualche modo accettano proprio il tipo dell'identità moderna che Latina può offrire: assenza, frammen­ tazione ed erosione di tradizioni storiche e culturali; inefficacia dei modelli tradizionali di attribuzione di status; impersonalità e anonimità dei rapporti sociali. A loro avviso, però, Latina non of­ fre tutto questo o almeno non lo offre abbastanza. Dall'altro lato, quanti desiderano andare a vivere in una città dalle ricche tradi188

zioni storiche mettono in luce una doppia mancanza: la dimensio­ ne non sufficientemente metropolitana della città e la sua identità priva di "personalità". Si critica Latina per ciò che è una città priva di identità- e per ciò che non è: una metropoli. Raggiungono il 290Jo le risposte di quanti desiderano andare a vivere in un paese più piccolo e più tranquillo e di quanti vorreb­ bero tornare nel luogo d'origine. La critica implicita qui è di segno opposto: Latina è giàtroppo metropoli. Si contrappone perciò ad essa o il luogo d'origine (nel quale le relazioni sociali hanno una più precisa fisionomia e sono per questi intervistati sicuramente più personali di quelle vissute a Latina), oppure un paese più tran­ quillo. Gli aspetti di modernità della città sono 'rifiutati da questi intervistati. Infine, ben 1'1 1 % ha risposto che dt;sidererebbe andar­ sene in una città dal clima migliore, quasi a ricordare che, tra le tante questioni, il problema del clima non è poi da trascurare nella qualità della vita. -

8.4. Le ragioni del rifiuto

Per cercare le ragioni della disponibilità ad abbandonare Lati­ na, abbiamo fornito agli intervistati un elenco di motivi, con la possibilità di sceglierne due. Tra quanti hanno dato la prima indi­ cazione (1 5 8 casi, pari al 3 1 .6% dell'intero campione), il 18% ha risposto che se ne andrebbe perché Latina "manca di strutture e servizi sociali"; il 14% perché "manca di strutture e servizi cultu­ rali"; il 21% se ne andrebbe perché in città "è difficile stabilire rapporti sociali"; solo il 5 % trova invece che essi sono "soffocan­ ti"; il l 3 % se ne andrebbe perché "la città è brutta e male organiz­ zata"; 1'1 1 % se ne andreb be perché la città "offre pochi motivi di interesse e scarse possibilità di affermazione personale". Il 70Jo, inoltre, ha dato altre indicazioni. Una buona parte degli intervistati (il 49%) non ha fornito due indicazioni ed ha considerato sufficiente una sola motivazione. Tra quanti hanno fornito la seconda indicazione (81 casi), il 49% ha risposto che se ne andrebbe perché la città "offre pochi motivi di interesse e scarse possibilità di affermazione personale"; il 20% perché "è difficile stabilire rapporti sociali"; il 12% perché la città "è brutta e male organizzata"; 1'1 1 % perché "la città manca di 189

strutture e servizi culturali". Cerchiamo ora di interpretare questi dati. A livello di prima in­ dicazione, il 320Jo imputa alla città mancanza di servizi sociali e culturali; a questo occorre aggiungere il 1 3 0Jo costituito da coloro i quali pensano che la città è "brutta e male organizzata". Il 460Jo di quanti se ne andrebbero da Latina, in modo diretto o indiretto, mette in luce un difetto di organizzazione e carenza di strutture. � 1 1 OJo invece fornisce motivazioni collegate alle possibilità di af­ fermazione personale. Sono probabilmente quanti, per la loro for­ mazione professionale particolarmente specializzata, non vedono nella città un ambiente sociale ed economico adegua_to ed interes­ sante. Nel complesso il 270Jo mette l'accento sui rapporti sociali: il 60Jo li trova soffocanti, come se per questo piccolo gruppo di in-­ tervistati Latina fosse un paese piccolo e invadente; il 21 OJo trova difficoltà nel creare rapporti sociali. Il rafforzamento di questa motivazione a livello di seconda indicazione conferma che effetti­ vamente una parte degli intervistati ha cattivi rapporti sociali o, caso ancora più grave, non riesce a costruirne. Le altre indicazioni rafforzano la motivazione dell'assenza di servizi culturali e, so­ prattutto, la motivazione dell'assenza di motivi d'interesse colle­ gati alla possibilità di affermazione personale. In conclusione, tra quanti desiderano andarsene da Latina, il 220Jo circa tornerebbe indietro verso una situazione sociale non urbanizzata; il 620Jo circa si dirigerebbe verso una realtà metropoli tana; il resto dà altre indi­ cazioni (70Jo) o non risponde (90Jo ). Come già sappiamo, le donne sono più legate degli uomini alla città. Gli uomini disposti a lasciare Latina sono in tutto 83, pari al 16.60Jo dell'intero campione. Le donne sono 75, pari al 1 5 0Jo . Ebbene, gli uomini disposti a trasferirsi indicano per il 160Jo una città più grande, il 200Jo un paese più piccolo e tranquillo, il 300Jo una città dalle ricche tradizioni storiche, il lOOJo una città con un clima migliore, il 1 3 0Jo il luogo d'origine e, infine, l'l l OJo dà altre e diverse indicazioni. Le donne indicano per il 220Jo una città più grande, 1'1 1 OJo un paese più piccolo e più tranquillo, il 300Jo una cit­ tà dalle ricche tradizioni storiche, il 15 OJo una città con un clima migliore, il 1 5 0Jo il luogo d'origine e, infine, il lOOJo dà altre e diver­ se indicazioni. Se osserviamo in parallelo le risposte possiamo no­ tare una spiccata tendenza degli uomini alla tranquillità a cui fa da contrappeso una marcata tendenza delle donne alla dinamicità. 190

Sono infatti di più tra le donne coloro che, con il tipo di indicazio­ ne, sottolineano la critica verso la carenza di modernità della città. Vediamo se tutto ciò risulta pure a livello di motivazione. Come motivo del proprio trasferimento indicano la mancanza di strutture e servizi sociali il 1911Jo degli uomini e il 21% delle don­ ne; la mancanza di strutture e servizi culturali il 1 3 % degli uomini e il 2011Jo delle donne; la difficoltà di costruire rapporti sociali il 26% degli uomini e il 21 % delle donne; i rapporti sociali soffocan­ ti il 4% degli uomini e il 9% delle donne; la città è brutta e male organizzata viene indicato dal 1 8 % degli uomini e dall'I l % delle donne; il fatto che essa offra pochi motivi d'interesse e scarse pos­ sibilità di affermazione personale viene indicato dal 14% degli uo­ mini e dal 9% delle donne; infine indica altrç> il 6% degli uomini e il 9% delle donne. A livello di seconda indicazione gli uomini si concentrano per il 50% circa intorno alla voce: la città offre po­ chi motivi di interesse e scarse possibilità di affermazione perso­ nale; le donne rafforzano per il 450Jo la stessa voce e poi la carenza di servizi culturali e sociali (40% circa delle indicazioni). Si può sottolineare ancora la maggiore sensibilità delle donne per i servizi culturali e sociali; gli uomini sono invece più sensibili per le chan­ ces di affermazione personale che l'ambiente offre. Più alta è la quota di uomini che mette in evidenza la difficoltà di costruire rapporti sociali; è invece più alta la quota di donne che sente tali rapporti come soffocanti. Se si accorpano le voci che più tipica­ mente connotano i rapporti sociali urbani moderni, anche da que­ sti dati emerge una più spiccata propensione delle donne verso la modernità. Le critiche rivolte alla città attraverso le indicazioni relative alle mete e alle motivazioni dell'eventuale trasferimento da Latina so­ no di due tipi sostanzialmente: troppa modernità (caratterizzata dalla di fficoltà e in ogni caso dalla impersonalità dei rapporti so­ ciali) e troppo poca modernità (sottolineata mediante le indicazio­ ni relative alla carenza dei servizi sociali e culturali, alla carenza di chances per l'affermazione dei singoli). Una veri fica piena del carattere bifronte di tale critica si può osservare nell'incrocio tra le indicazioni relative alle mete e alle motivazioni e la soddisfazio­ ne/insoddisfazione professionale. Tra soddisfatti e insoddisfatti della propria condizione professionale disposti a lasciare Latina non vi sono consistenti differenze di rilievo quanto alle mete indi191

cate. Differenze rilevanti si incontrano invece a livello di motiva­ zione. I soddisfatti della propria condizione professionale, e tutta­ via disposti a lasciare Latina, indicano per il 1 8 0Jo la carenza di strutture e servizi sociali; dà la stessa indicazione il 24% degli in­ soddisfatti. La carenza di strutture e servizi culturali è indicata dal 1 8 % dei soddisfatti e dal 1 3 % degli insoddisfatti. La somma delle due voci fa per entrambi i gruppi il 36% circa delle indicazioni. I..; i ndicazione relativa alla difficoltà di costruire rapporti sociali registra il 1 8 0Jo dei soddisfatti e il 30% degli insoddisfatti. I rap­ porti sociali sono avvertiti come soffocanti dal 6% dei soddisfatti e dal 7 % degli insoddisfatti. Il 16% dei soddisfatti poi ritiene che la città sia brutta e male organizzata; gli insoddisfatti per l'l l %. La carenza di motivi d'interesse e di occasioni per l'affermazione personale è indicata dal 14% dei soddisfatti e dal 9% degli insod­ disfatti . I nfine, dà altre indicazioni il 9% dei soddisfatti e il 5 % degli insoddisfatti. Nel complesso la metà degli intervistasti soddi­ sfatti della propria condizione professionale, disposti eventual­ mente ad abbandonare Latina, mette in rilievo la carenza di strut­ ture, servizi e chances di affermazione professionale. Si tratta ap­ punto di una critica tendente a mettere in risalto la carenza di mo­ dernità della città. Per converso, il 30% circa degli insoddisfatti , disposti eventualmente a lasciare Latina perché hanno difficoltà a costruire rapporti sociali, mette in luce la eccessiva modernità. Per costoro, probabilmente, la città risulta ostile. E forse essa è la causa dell'insuccesso professionale da cui poi scaturisce il deside­ rio di andarsene. È una critica che pone in rilievo gli aspetti ecces­ sivamente moderni della città, con le sue relazioni sociali sentite da questi intervistati come impersonali e anonime.

8.5.

I motivi di identificazione

Passiamo ora a esaminare le motivazioni di quanti no.n se ne andrebbero da Latina. Nel loro caso si tratta di una già realizzata identi ficazione con la città. Capirne le ragioni risulta perciò di grande interesse. Nell'indicare i motivi per cui non avrebbero in ogni caso voluto abbandonare Latina, gli intervistati avevano a disposizione due indicazioni. Anche in questo caso, la seconda possibilità è stata 192

utilizzata da un numero ris tretto di intervistati. Coloro che non se ne andrebbero dalla città sono 340, pari al 680Jo dell'intero cam­ pione. Hanno tuttavia dato indicazioni relative alla motivazione 334 intervistati. Uelenco delle voci a loro disposizione (cfr. Que­ stionario, blocco F, dom. 73) mette l'accento sulla vita di relazio­ ne, sugli aspetti della crescita, sulle possibilità di successo econo­ mico e sociale, sull'identificazione attraverso il vissuto. Gli intervi­ stati hanno preferito le motivazioni più generali. In particolare, il 21 OJo di essi risponde: "ho costruito buoni rapporti con le persone e non mi va di interromperli"; il 23 % : "Latina è una città in cre­ scita nella quale sarà interessante vivere nel futuro"; il 2% rispon­ de: "è una città che offre più possibilità di successo economico e sociale"; lo 0\2% risponde: "la città è bella e ben tenuta"; il 47 % : " h o vissuto per tanto tempo i n questa città: Latina ha una parte importante nella mia vita"; infine, il 6% ha risposto: "non saprei dove andare". Solo 45 intervistati hanno dato una seconda indica­ zione: il 68 OJo di essi (31 intervistati) ha risposto: "ho vissuto per tanto tempo. . :'. Le risposte non si concentrano -s ulle motivazioni riguardanti aspetti specifici della vita della città. Emergono le motivazioni di carattere più generico. Il 520Jo degli intervistati dà una motivazio­ ne molto debole (somma di "non saprei dove andare" e di "ho vis­ suto per tanto tempo. :'), sottolineando la mancanza di alternative oppure il semplice fatt6 di avere vissuto a Latina per tanto tempo. La sedimentazione dell'esperienza, indipendentemente dalla sua qualità, diventa qui la base della sua continuazione. A questo tipo di motivazioni fa da contrappeso il gruppo composto dalla prima e dalla seconqa voce. Sono motivazioni diverse, ma che sottolinea­ no entrambe aspetti positivi della città o dei rapporti costruiti in essa dagli individui. Gli aspetti puramente economici sono perce­ piti come assorbiti dalla crescita della città, mentre quasi nessuna percezione c'è degli aspetti estetici. Nel confronto tra le opzioni bella/brutta come motivazione per restare o andarsene, gli aspetti estetici negativi giocano un ruolo di gran lunga più importante. Il confronto sul piano economico e della crescita gioca invece a fa­ vore della città. La crescita e le possibilità di successo sono più im­ portanti nel determinare la disposizione a restare che a lasciare la città. Nel complesso, dunque, la pure alta quota di intervistati non disposti a lasciare Latina in ogni caso, mostra di identificarsi de193

bolmente con la città. Tuttavia, la quota di intervistati (460Jo ), che fa riferimento a quanto di positivo ha già costruito o a quanto po­ trà costruire in una città supposta in crescita, costituisce una buo­ na base per migliorare la qualità dei rapporti tra i cittadini e la città. La distribuzione delle risposte tra le aree geografiche di prove­ nienza degli intervistati ci consente di osservare che i nati nel Me­ ridione indicano le voci connotate come più forti. La somma della voce l e 2 raggiunge il 59% delle loro risposte. I nati nel Nord Ita­ lia si trovano al gradino più basso in questo senso: la somma delle voci l e 2 per loro fa 290Jo. In posizione mediana si _trovano i nati nell' Italia centrale, con 44% delle risposte nella somma delle voci l e 2. Questo dato mostra con chiarezza che a più sedimentata pre­ senza a Latina corri sponde una motivazione debole; a più recente immigrazione corrisponde una più forte motivazione. Infatti alla voce 5 -che indica la motivazione più debole- i rapporti si rovescia­ no: il Nord Italia ha la più alta percentuale (63 %), l'Italia centrale la posizione mediana (47 % ) e il Meridione la più bassa (39%). Se questo dato viene comparato con quello fornito dalle risposte alla domanda sull'integrazione sociale tra persone di diversa origine culturale e geografica, si capisce che sia i nati nel Nord Italia, sia i nati a Latina -i due gruppi che indicano con maggiori percentuali la voce 5 -hanno minori problemi di integrazione e considerano che sia così anche per gli altri . Per loro, il mondo della vita quoti­ diana, il proprio vissuto, diventa la base della motivazione a non lasciare Latina. È una motivazione debole dal punto di vista della consapevolezza e dell'autori flessione, ma la più forte possibile in quanto costruita sulla spontaneità e sulla irreversibilità dei proces­ si sociali già vissuti. Da un lato, una più alta percentuale sulle voci l e 2 indica consapevolezza della conseguita soddisfazione delle proprie aspettative e della speranza di soddisfarle nel futuro; dal­ l'altro, essa indica ancora una adesione razionalmente motivata, suscettibile di essere ritirata nel caso le cose non dovessero andare secondo il verso desiderato. Siamo, cioè, ancora in una fase di di­ stacco, di osservazione e di analisi di quanto succede. Nell'altro caso, invece, la propria vita si è confusa e si confonde con la città; non si riesce a pensare se stessi senza la città. Al di là, dunque, dei giudizi di valore -che naturalmente sono impliciti anche nelle no­ stre formule: debole e forte, razionalmente motivata o vissuta- ri194

mane una qualità della identificazione con la città. �accentuazio­ ne unilaterale di una delle due facce diventa probabilmente la base per rapporti sociali invivibili. Più pragmaticamente, si può ipotiz­ zare che una migliore sintesi dei due tipi di identificazione dareb­ be una base molto più solida al rapporto dei cittadini con la città e alle loro reci proche interazioni. Nel dare la motivazione della propria indisponibilità a lasciare la città c'è una differenziazione tra uomini e donne. Le prime due motivazioni nel complesso sono indicate con una percentuale eguale (somma di "ho costruito buoni rapporti.:' e "Latina è una città in crescita"): 43 0Jo. Le donne però mettono l'accento sui rap­ porti già costruiti con la gente più degli uomini (25 0Jo contro 1 7 0Jo ), mentre gli uomini esprimono più delle donne aspettative collegate alla crescita della città e sul suo futuro. Per le donne si tratta di non perdere quello che è stato ottenuto; per gli uomini di sperare più su quanto si potrà ancora ottenere. Sono inoltre quasi tutti uomini i pochi casi di intervistati che mettono l'accento sulle possibilità di successo economico e sociale (40Jo). Viceversa, le donne mettono più degli uomini l'accento sull'esperienza vissu­ ta nella città e sul fatto che essa costituisce parte importante della loro vita (490Jo contro 44 0Jo degli uomini). Infine, il 5% degli uo­ mini e il 60Jo delle donne indicano che non saprebbero dove andare. l?età è, come al solito, un fattore di differenziazione tra gli inter­ vistati. Più si va avanti con gli anni e più diventa forte il richiamo all'esperienza e al vissuto ("Ho vissuto per tanto tempo. :'); più si è giovani e più si punta su motivazioni cosiddette forti come la l (''ho costruito buoni rapporti .. :') e la 2 ("La citta è in crescita.:'). In fatti, il gruppo di 65 e più anni dà il l60Jo alla somma delle voci l e 2; il gruppo di 45-65 anni il 300Jo ; il gruppo di 35-45 anni il 460Jo; il gruppo di 25-35 anni il 520Jo; infine il gruppo di 20-25 anni il 630Jo. Viceversa, la voce 5 (''ho vissuto per tanto tempo.:') ottie­ ne nell'ordine: il 270Jo delle indicazioni del gruppo di 20-25 anni, il 45 0Jo di quelle del gruppo di 25-35 anni, il 5 1 0Jo di quelle del gruppo di 35-45 anni, il 51 OJo del gruppo di 45-65 anni e, infine, il 590Jo di quelle del gruppo di 65 e più anni. l?età dunque struttura il tipo di motivazioni a non lasciare la città proprio perché al tem­ po stesso essa struttura le aspettative degli intervistati verso la cit­ tà. Appare perfettamente plausibile allora che i più giovani metta195

no l'accento sulla crescita della città più degli altri, abbiano nei suoi confronti maggiori aspettative e sospendano in qualche mo­ do il loro giudizio in attesa di vedere cosa succeda. Se si considera­ no infatti le risposte relative alla voce 2 ('' Latina è una città in cre­ sci ta.:') si può constatare lo stesso rapporto di prima: i più giovani indicano con una pe:centuale più alta degli altri questa voce (340Jo ); mano a mano che sale l'età dei gruppi di intervistati, essa scende fino al 40Jo dei più anziani. Percentuali variabile raccoglie infine la voce "non saprei dove andare". Se consideriamo la soddisfazione per la propria condizione pro­ fessionale possiamo mettere in luce altri aspetti del -rapporto degli intervistati con la città. l!incrocio è valido solo per 332 dei 340 di­ sposti a restare in ogni caso a Latina. Tra loro, 258 sono soddisfat­ ti della propria condizione professionale e 74 insoddisfatti. Tra i soddisfatti della condizione professionale il 720Jo rimarrebbe in ogni caso a Lati:1a. Tra gli insoddisfatti se ne andrebbe il 440Jo . Gli insoddisfatti della propria condizione professionale motivano la loro propensione a restare in ogni modo a Latina facendo ricorso ai buoni rapporti realizzati con le persone (260Jo ), alle aspettative circa la crescita della città (1 5 OJo ), all'esperienza già vissuta a Lati­ na (490Jo ) e infine al fatto che non saprebbero dove andare (IOOJo ). Gli intervistati soddisfatti della propria condizione professionale mettono meno l'accento sui rapporti costruiti con le persone (200Jo ) e di più sulle aspettative relative alla crescita (25 0Jo) e sulla possibilità di successo economico e sociale offerto dalla città. Essi attribuiscono meno indicazioni di quanto non facciano gli insod­ disfatti all'esperienza già vissuta a Latina (47 0Jo contro 490Jo ). Una piccola quota di essi (5 OJo ), infine, resterebbe a Latina, perché non saprebbe dove andare. Nel complesso, gli insoddisfatti della condizione professionale motivano la loro propensione a restare a Latina con quanto hanno già ottenuto. Essi sono consapevoli che almeno i buoni rapporti stabiliti con le persone sono una ricchezza di cui non ci si può di­ sfare, soprattutto in mancanza di altre soddisfazioni. Viceversa, il fatto che i soddisfatti della propria condizione professionale indi­ chino con una percentuale maggiore la futura crescita della città, significa che per coloro che sono maggiormente concentrati nel­ l'attività professionale il rapporto con le persone può divenire se­ condario. Quale significato dare a tutto ciò? Difficile rispondere 196

in modo netto di fronte a dati che si presentano così poliformi. Certo, il riferimento al vissuto -che è sempre esperienza complessi­ va: di lavoro, di rapporti con persone, di affetti e sentimenti, di rapporto con le cose- significa che le relazioni intrecciate nella ci t­ tà hanno prodotto i loro molteplici effetti di integrazione. Fare ri­ corso a questo complesso mondo della vita nel formulare la moti­ vazione per non lasciare Latina è già segno di integrazione realiz­ zata. Al tempo stesso, però, esso si pone come giustificazione del­ l'insuccesso e della rinuncia alla mobilità e al tentativo di perse­ guire altri progetti di vita. In qualche modo, esso può favorire la passività e la rassegnazione. Più felice è certamente la posizione di quanti sono soddisfatti della propria esperienza professionale e motivano la propensione a non lasciare Latina con il ricorso alla loro esperienza già vissuta. Per costoro, indubbiamente, la ric­ chezza del vissuto e la buona qualità delle relazioni sociali si può porre come completamento per disegni, progetti e aspettati ve che già hanno avuto successo e soddisfazione. Viceversa, coloro degli intervistati, che pongono in modo esclusivo l'attenzione sugli ele­ menti professionali, corrono il rischio di un inaridimento dei loro rapporti sociali e umani. Perciò, quella quota di soddisfatti della loro condizione professionale, che rimarrebbe a Latina soprattut­ to per le aspettative collegate alla futura crescita della città, è sog­ getta più degli altri a tali rischi. Mentre gli insoddisfatti della pro­ pria condizione professionale, che mettono l'accento sull'esperien­ za e sul vissuto, rischiano di di ventare un potenziale ostacolo allo sviluppo moderno della città, quest'ultimi potrebbero essere i pro­ tagonisti di una modernità senza "anima" e senza "personalità": gli abitanti di un mondo impersonale e anonimo.

8.6. Identità e appartenenza: un quadro sintetico

A conclusione dell'analisi di questi dati, può risultare utile alla interpretazione del problema della identificazione con la città, o del suo rifiuto, delineare un quadro sintetico della posizione com­ plessiva di ogni intervistato. Si tratta in qualche modo di costruire una sorta di profilo dell'intervistato attraverso le risposte che egli ha dato ad un certo numero di domande. Il criterio in base al qua­ le attribuire peso ad ogni domanda consiste nel distinguere, da un 197

lato, atti, azioni, relazioni e giudizi che implicano integrazione con gente di altre etnie e mettono in luce il senso di appartenenza al nuovo mondo sociale e alla nuova realtà urbana e, dall'altro, at­ ti, azioni, relazioni e giudizi che invece implicano distacco, riserve e rifiuto. Tra questi non consideriamo ovviamente le critiche rivol­ te alla città e alla sua organizzazione, ma solo quei comportamen­ ti che implicano rifiuto e desiderio di andarsene. Ad ogni atto, azione e giudizio viene poi attribuito un punteggio, positivo nel caso che si tratti di adesione e negativo nel caso di rifiuto. Ciò deve essere ben chiaro- non perchè consideriamo positivi certi atti e giudizi e negativi certi altri, ma solo perché questo-è l'unico mo­ do per costruire il profilo. Inoltre, la costruzione complessiva di tali profili non mira alla descrizione della identità tipo che deve essere seguita dagli altri; essa è solo un mezzo per descrivere con maggiore approssimazione le opinioni degli intervistati. Si tratta, come è ovvio, di una possibile interpretazione, non di un modello da seguire o, peggio, da imporre. La prima domanda considerata è: "Quale è il luogo di nascita di tua moglie o di tuo marito?". Se il coniuge è dello stesso luogo (città, provincia e regione) si attribuisce alla risposta -1 ; se è di di­ verso luogo invece + l . Abbiamo già spiegato come usiamo que­ sta domanda. Non pensiamo che i partners si scelgano sulla base dell'appartenenza etnica e culturale; ma al contrario, vogliamo ve­ dere se, quando per altri loro motivi si sono scelti, la diversità etni­ ca non abbia funzionato come un fattore di impedimento. Perciò, nel caso il coniuge sia di altra appartenenza etnica si attribuisce un punteggio positivo: la loro unione di fatto dimostra l'integra­ zione sociale, etnica e culturale già realizzata nel nucleo familire. La seconda domanda considerata è : "Sei soddisfatto della tua condizione professionale?". Se l'intervistato è soddisfatto della sua condizione professionale si attribuiscono + 2 punti; se è in� soddisfatto 2 punti. Anche la condizione professionale non è un indicatore diretto dello stato dell'integrazione dell'intervistato nel mondo sociale. Essa è tuttavia un indicatore sintetico nel quale certamente si riverberano le relazioni sociali così come essa deter­ mina la loro qualità. La terza domanda considerata è: "Tu e il tuo gruppo familiare quali rapporti avete con il luogo d'origine?" Se l'intervistato: l . non vi torna mai: + 2 punti; 2. v i torna per particolari occasioni: -

198

+ 1,5; 3. vi torna almeno una volta l'anno: + l; 4. vi torna più volte l'anno: l ; 5 . vi torna almeno una volta al mese: 1,5; 6. vi torna più volte al mese: 2 punti. Può sembrare strano che si attribuisca un valore positivo alla ri­ sposta n.3. In effetti, tornare una volta all'anno nel proprio luogo d'origine non implica cattiva integrazione sociale. Una buona in­ tegrazione implica invece un rapporto sereno con il proprio mon­ do di provenienza. Viceversa, le risposte 4.,5. e 6. indicano che nel rapporto con il proprio luogo d'origine non si è ancora raggiunto un equilibrio; oppure che la vicinanza ad esso non consente di partecipare proficuamente alla nuova vita sociale. La quarta domanda considerata è: "Se le condizioni economi­ che e familiari lo permettessero, torneresti a vivere nel paese d'ori­ gine tuo o della tua famiglia?" Se la risposta è no, si attribuiscono + 3 punti; se è sì, - 3 punti. Abbiamo qui il punteggio più alto in ragione dell'importanza del problema posto all'intervistato. Un ritorno al proprio luogo d'origine implica un ri fiuto- del nuovo mondo sociale; la risposta contraria, invece, implica adesione. Là quinta domanda considerata è: "Tu e il tuo gruppo familiare quali rapporti avete a Latina con persone che provengono dal vo­ stro stesso luogo d'origine?". Se i rapporti sono: l. frequenti: 2 punti; 2. saltuari: l punto; 3. sporadici: + l punto; 4. assenti: + 2 punti. La sesta domanda considerata è: "Sai che esistono associazioni tra conterranei?". Se l'intervistato ha risposto : l . no: + l punto; 2. non mi interessano: + 2 punti; 3. ne ho fatto parte: 1 ,5 punti; l 4. ne faccio parte: 2 punti; 5. mi piacerebbe farne parte: punto. La settima domanda considerata è: "Con i tuoi familiari, i tuoi amici e nell'ambiente di lavoro, normalmente parli": l . nel dialet­ to originario: 2 punti; 2. in lingua i taliana: + l punto; 3. nel nuovo modo di parlare corrente a Latina: + 2 punti. I.;ottava domanda considerata è: "Esclusi i parenti e i semplici conoscenti, il tuo amico o i tuoi amici più cari hanno la stessa tua origine?". Se sì : 2 punti; se no: + 2 punti. La nona domanda considerata è: " Ritieni che a Latina sia un problema l'integrazione tra persone con diversa origine etnica e culturale?". Se sì: 2 punti; se no: + 2 punti. La decima domanda considerata è: " Ritieni che a Latina man-

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tenere stretti rapporti con il gruppo etnico d'origine faciliti l'inse­ rimento sociale e l'affermazione professionale?". Se l'intervistato ha risposto: l. moltissimo: - 2 punti; 2. molto: 1 , 5 punti; 3 . abba­ stanza: - l punto; 4. poco: O punti; 5. per niente: + l punto. La undicesima domanda considerata è: " Ritieni che a Latina il grado di integrazione tra le etnie sia": l. ottimo: + 2 punti; 2. di­ screto: + l punto; 3. scarso: l punto; 4. del tutto insufficiente, non realizzato: 2 punti. La dodicesima domanda considerata è: "Come consideri i tuoi rapporti sociali a Latina? ". Se l . ottimi: + 3 punti; 2. discreti: + 2 punti; 3. soddisfacenti: + l punto; 4. non del tutto soddisfacen' ti: l punto; 5. pessimi: - 3 punti. La tredicesima domanda considerata è: "Se avessi la possibilità di trasferirti, abbandoneresti Latina?". Se sì 3 punti; se no: + 3 punti. Sulla base di questo schema di attribuzione è stato vagliato ogni questionario e attribuito il relativo punteggio. Si sono dovuti co­ struire due indici: uno per uomini e donne coniugati e uno per i celibi. La struttura completa dell'indice è riportata nella Tabella l. Una ulteriore aggregazione dei dati consente di costruire una ti­ pologia dell'appartenenza degli intervistati. Si possono distingue­ re tre tipi sostanzialmente: appartenenza bassa (da - 13 .9 a O pun­ ti), media (da 0.1 a 13.9 punti), alta (da 14 a 27 punti; 26 per i non coniugati). Nel caso degli intervistati sposati, inoltre, si dà la pos� sibilità di individuare un piccolo gruppo di intervistati che totaliz­ zano un punteggio negativo molto alto (da - 14 a - 28). Abbiamo pensato di raccogliere a parte questo tipo, che, per le risposte che ha dato, può essere definito come un gruppo senza alcuna appar­ tenenza alla città. -

-

-

-

-

200

Tab. l Indice di appartenenza degli intervistati*

Punteggio -24 -28 -24 -20 -20 -16 -16 -12 -12 - 8 -4 - 8 o -4 4 o 4 8 12 8 12 16 16 20 20 24 24 28 Punteggio +

Uomini sposati

Donne sposate

Uomini non sposati

Donne non sposate

N. casi

N. casi

N. casi

N. casi

l

o

o

o

o o

o o

7 8 11 13

3 3 11 16

o o o l

o o o

3 3

l l

17 17 19 43 28 8 7

18 24 49 34 37 13 3

7 6 12 12 8 7

3 8 9 7 -9 4

l

l

179

To t a l e

211

4

47

60

*Il totale non è 500, ma 497 perché in 3 casi l'indice non si è potuto costruire. '

Fig. 1.1 Tipo di appartenenza Intervistati coniugati 60

LEGENDA 50

E -

uomini donne

40

30

20

10

o nessuna

bassa

media

alta

Fig. 1.2 Tipo di appartenenza Intervistati non coniugati 60

LEG E N D A 50

� -

40

30

20

10

o nessuna

bassa

media

alta

La tipo/ogia dell'appartenenza così costruita fornisce un qua­ dro sintetico del rapporto di ogni intervistato con la struttura so­ ciale cittadina. Appare ancora più netta la divisione tra un terzo degli intervistati che si dispone ancora entro le coordinate di tipo tradizionale e i due terzi che invece si orientano verso la moderni­ tà. Tuttavia, il fatto che i casi estremi siano molto bassi sia per i valori positivi sia per i valori negativi, mostra che nei concreti comportamenti e nelle opinioni degli intervistati non si ritrova una chiara linea di demarcazione, un confine ben costruito tra i diversi stili di vita e i diversi modi di pensare. Come abbiamo più volte cercato di notare, stili di vita improntati alla modernità e al­ l'adesione al mondo sociale cittadino si accompagnano nella stes­ sa persona a stili di vita tradizionali, che talvolta guardano indie­ tro, ai modi di vivere e di pensare del proprio luogo d'origine. I tipi di appartenenza, che abbiamo definito bassa e media, raccol­ gono infatti la maggior parte degli intervistati. Ciò sta a significa202

re proprio un tale intreccio nella concreta esperienza di ogni inter­ vistato. Se ad es. nel tipo di appartenenza definito come bassa ogni intervistato totalizza un punteggio negativo, questo è rag­ giunto anche con un buon numero di risposte di segno contrario. Lo stesso avviene per il tipo medio di appartenenza. Solo nel caso del tipo di appartenenza definito come alto ci si trova di fronte ad una netta indicazione, essendo le risposte di segno contrario nulle o quasi. Ma, come si può vedere dalla Tabella l, i casi di questo genere costituiscono il 300Jo circa del campione. Da un punto di vista più generale ciò conduce ad una conclusio­ ne interessante. Da un lato, infatti, si può notare che gli intervistati aderiscono a questo mondo sociale; dall'altro, si deve sottolineare che la loro adesione non è acritica. Inoltre, quanti nel complesso mostrano un desiderio di andarsene o, comunque, un rifiuto della città, non per questo misconoscono i suoi aspetti positivi. In altri termini, la struttura sociale cittadina è in formazione, la strati fica­ zione sociale e culturale non definita, l'adesione, l'acc-ettazione e il rifiuto ancora intrecciati nell'esperienza concreta degli indivi­ duL Il senso di appartenenza sviluppatosi rimane in molti casi an­ cora provvi sorio, accompagnato com'è da critiche, riserve o no­ stalgia e rimpianto per quanto, venendo a Latina, è stato lasciato.

203

9. LA CITTA' INCOMP IUTA

9.1. Premessa

Alla fine della ricerca pare opportuno rivolgere lo sguardo al si­ stema sociale complessivo e non più, come abbiamo fatto sinora, alle singole sue parti. Non si tratta, beninteso, di una considera­ zione teorica, ma di un'analisi di quanto ogni intervistato cOnsi­ glia per migliorare la vita della città. Come raramente accade, ab­ biamo chiesto agli intervistati di porsi nel ruolo di chi deve dia­ gnosticare i mali della città e indicare una terapia. Ne sono venuti fuori preziosi consigli, che nessuno specialista dovrebbe sentirsi di mettere da parte. Per nostro conto, invece, vorremmo successivamente inserire al­ cune osservazioni di carattere teorico, per vedere a quale punto è giunta la costruzione societaria della città. Naturalmente, il riferi­ mento ad un modello ideale di società non ci servirà " per provare una qualsiasi tesi attraverso i dati presentati, (ma) per mettere in guardia sui punti dove il ghiaccio è sottile" (1).

9.2. I consigli per lo specialista

Alla fine del questionario (cfr. blocco F, dom. 74) gli intervista­ ti sono invitati a dare indicazioni per migliorare la vita della città. Essi hanno a disposizione otto voci tra cui possono sceglierne due. Poiché in questo caso 1'85 0Jo degli intervistati ha dato la seconda l. Cfr. R.S. Lynd-H. Merrel Lynd, Middletown, New York, Harcourt, Brace, 1929 (tr.it., Middletown, ! , Comunità, Milano, 1970), citato da A. Pizzorno, op.cit, p.27.

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indicazione, ne faremo un'analisi dettagliata, come se si trattasse di due raccomandazioni a chi regge le sorti della città. Nella prima indicazione gli intervistati (ben il 5 1 OJo) si preoccu­ pano di una gestione capace della cosa pubblica e sottolineano la necessità di avere "amministratori capaci e onesti". Segue poi l'in­ dicazione relativa ai problemi dei giovani (20% ) . Si tratta del pro­ blema complesso dei giovani, non esauribile entro un quadro eco­ nomicistico. ealtra indicazione netta riguarda i problemi del lavo­ ro e dell'occupazione (17 %). Le altre indicazioni non sono molto significative. A livello di seconda selezione abbiamo una migliore distribu­ zione delle indicazioni. Al primo posto troviamo però i problemi del lavoro e dell'occupazione (29% ), segue la raccomandazione di prestare maggiore attenzione ai problemi dell'ambiente (17%), la creazione di grandi strutture per la cultura (14% ) , il problema del traffico e dei trasporti (7 % ) ; il 2% inoltre dà altre indicazioni. Amministratori capaci, lavoro, giovani e ambiente sono• nell'or­ dine le indicazioni fornite dagli intervistati (2). Là distribuzione delle risposte tra le aree geografiche consuete non mette in rilievo grandi differenze tra i gruppi regionali. Solo i nati nel Nord Italia si discostano dagli altri. Possiamo compren­ dere questo come un effetto della composizione del gruppo stesso. Essi, come abbiamo accennato più volte, sono in prevalenza più anziani degli altri. Così, non avendo in modo diretto e personale problemi di lavoro, né forse giovani in famiglia, non indirizzano le loro indicazioni verso queste voci. Sono invece più preoccupati di questioni più generali e universali, come appunto quella di ave­ re amministratori capaci e onesti. Questa diversità del gruppo dei nati nel Nord Italia è operante anche a livello di seconda indica­ . zione. Essi sottolineano più di tutti la necessità di creare strutture di quartiere e di risolvere il problema del traffico e dei trasporti.

2. Certamente, si può porre un problema. Come è possibile che le indicazioni relative all'ambiente siano meno di quelle dei giovani o dei problemi del lavoro e dell'occupazione? Perché in ogni modo non arrivano neppure al 1 0/0Jo di tutte le indicazioni, quando esiste una preoccupazione tanto generalizzata da far supporre che siano molti di più coloro che ritengono prioritario il problema dell'inquinamento dell'ambiente? In effetti, la sommini­ strazione del questionario è stata fatta alcuni mesi prima che si verificasse l'incidente di Chernobil. Ciò vuoJ dire che non c'è stata alcuna emotività nel dare questa risposta. Il da­ to, allora, se considerato nel contesto nel quale è stato prodotto, è molto attendibile.

? ()5

Per quanto riguarda invece la preoccupazione dell'inquinamento, la percentuale della loro indicazione non si discosta eccessivamen­ te da quelle degli altri. Gli uomini si differenziano dalle donne a proposito di quanto occorre fare per migliorare la città. A livello di prima indicazione gli uomini indicano per il 57 o/o la necessità di avere amministratori più capaci e onesti; per il 1 8 % una maggiore attenzione ai proble­ mi dei giovani; per il 12% il problema del lavoro e dell'occupazio­ ne. Le donne invece indicano la prima voce (amministratori più capaci .. ) per il 46%, il problema dei giovani e il problema del lavo­ ro e dell'occupazione per il 22�o su ogni voce. Le altre indicazioni sono trascurabili. A livello di seconda indicazione gl i' uomini pon­ gono al primo posto i problemi del lavoro e dell'occupazione (31%); lo stesso fanno le donne (27 %). Al secondo posto, sia per gli uomini che per le donne, vi è la preoccupazione dell'ambiente: 16% gli uomini, 18% le donne. Al terzo posto sia per gli uomini che per le donne troviamo la creazione di grandi strutture per la. cultura: 11% gli uomini e 16% le donne. Al quarto posto gli uomi­ ni indicano con il 9% il problema del traffico e dei trasporti; le donne invece vi pongono con eguale percentuale la creazione di strutture e occasioni d'incontro nei quartieri. Al quinto posto gli uomini pongono con il 6% la necessità di una maggiore attenzio­ ne per i problemi dei giovani; 1'8% delle donne la soluzione dei problemi del traffico e dei trasporti. Al sesto, gli uomini pongono la creazione di strutture per i quartieri (5 % ) e le donne l'attenzio­ ne ai problemi dei giovani (7% ). Nelle raccomandazioni per migliorare la vita della città, le don­ ne pongono più degli uomini l'attenzione su problemi concreti: la­ voro e occupazione, o su problemi di rilevanza sociale: i giovani, l'ambiente. Gli uomini, invece, pur indicando le stesse voci, metto­ no di più l'accento sul problema dell'amministrazione, forse con­ vinti che quello è il problema dei problemi: buoni, capaci e onesti amministratori dovrebbero vedere e capire da soli quale è il pro­ blema o i problemi più necessari, urgenti e prioritari per il bene della città. Anche se non vi è tra gli intervistati che hanno dato questa indicazione una convinzione così ingenua e utopica dell'o­ nesto ammi nistratore, rimane il fatto che per loro -e in modo tanto rilevante- questo è ciò che effettivamente necessita per migliorare la vita della città. 206

Se consideriamo l'età possiamo osservare atteggiamenti ancor più differenziati tra i vari gruppi. In primo luogo, a livello di pri­ ma indicazione si può notare un diverso peso della voce relativa agli amministratori onesti e capaci. I più anziani danno la quota maggiore di indicazioni a questa voce; gli altri gruppi, pur collo­ candola al primo posto, vi attribuiscono quote minori. Dai più anziani ai più giovani vi è una linea continua, in decrescendo, di indicazioni per questa voce. Si va infatti dal 590Jo del gruppo di 65 e più anni, al 560Jo del gruppo di 45-65 anni, al 490Jo del gruppo di 35-45 anni, al 480Jo del gruppo di 25-35 anni e al 450Jo del grup­ po di 20-25 anni. Al secondo posto il gruppo di 65 e più anni col­ loca il problema del lavoro e dell'occupazione (160Jo ); gli altri gruppi d'età il problema dei giovani: il 18 0Jo del gruppo di 45-65 anni, il 21 o-;o del gruppo di 35-45 anni, il 190Jo del gruppo dì 25-35 anni (che indicano con la stessa percentuale anche i problemi del lavoro e dell'occupazione), il 280Jo del gruppo di 20-Q.S anni. Al terzo posto per tutti i gruppi troviamo il problema del lavoro e dell'occupazione, eccetto che per il gruppo di 65 e più anni, che lo pone al secondo posto. Al quarto posto per i gruppi da 20-25 fino a 3 5-45 anni troviamo la necessità di creare strutture per la socialità nei quartieri. Al quinto posto si trova la necessità di crea­ re grandi strutture per la cultura: sono i gruppi più giovani di 20-25, 25 -30 e 30J35 anni a dare indicazioni in questo senso. Per le altre non vi sono differenze importanti tra i diversi gruppi d'età. A livello di seconda indicazione tutti i gruppi pongono al primo posto il problema del lavoro e dell'occupazione: 360Jo il gruppo di 20-25 anni, 300Jo il gruppo di 25-35 anni, 290Jo il gruppo di 35-45 anni, 320Jo . il gruppo di 40-65 anni e 1 8 0Jo il gruppo di 65 e più an­ ni. Sulle altre voci invece i comportamenti dei gruppi si differen­ ziano. Così, la difesa dell'ambiente dall'inquinamento è al secon­ do posto per il gruppo di 65 e più anni (160Jo ), per il gruppo di 45-65 anni (180Jo ), per il gruppo di 35-45 (21 0Jo ) e per il gruppo di 25-35 anni; il gruppo di 20-25 anni la colloca (lOOJo) al terzo posto. Al secondo posto essi pongono infatti la cultura; essa viene collo­ cata al terzo posto dal gruppo di 25-35 anni ( 1 3 0Jo) e di 35-45 anni (160Jo ). Gli altri gruppi collocano al terzo posto i problemi del traffico e dei trasporti. Il gruppo di 20-25 anni, il gruppo di 35-45 anni e il gruppo di 45-65 anni collocano al quarto posto la necessi­ tà di creare strutture per la socialità nei quartieri (80Jo); il gruppo 207

di 25-35 anni, invece colloca al quarto posto la necessità di risolve­ re i problemi del traffico (90Jo) e il gruppo di 65 e più anni i proble­ mi dei giovani (50Jo). Se ora prendiamo in considerazione il rapporto tra soddisfazio­ ne per la condizione professionale e raccomandazioni per miglio­ rare la vita della città, possiamo constatare una differenziazione tra soddisfatti e insoddisfatti sia a livello di prima indicazione, sia a livello di seconda. Intanto, il rapporto è costruibile solo per 492 intervistati, non avendo 8 di essi risposto alla domanda relativa al­ la propria condizione professionale. La di fferenziazione più con­ si stente a livello di prima indicazione consiste nel fat,to che i sod­ disfatti della propria condizione professionale indicano nell'ordi­ ne: ammininistratori capaci e onesti, attenzione ai problemi dei giovani, lavoro e disoccupazione; gli insoddisfatti indicano invece amministratori capaci e onesti, problemi del lavoro e dell'occupa­ zione, attenzione ai problemi dei giovani. Tra le altre voci i soddi­ sfatti della condizione professionale attribuiscono l'l OJo in più de­ gli insoddisfatti al problema dell'inquinamento dell'ambiente. A livello di seconda indicazione la differenziazione si attenua. I due gruppi indicano al primo posto il problema del lavoro e dell'occu­ pazione, al secondo il problema dell'ambiente, al terzo la creazio­ ne di grandi strutture per la cultura. La differenziazione consiste nel fatto che i soddisfatti indicano al quarto il problema del traffi­ co e gli insoddisfatti la creazione di strutture per la socialità nei quartieri. Al quinto posto i soddisfatti mettono quest'ultima voce e gli insoddisfatti il problema del traffico. Si trova ancora conver­ genza nel mettere al penultimo posto il problema dei giovani e al­ l'ultimo la necessità di avere capaci amministratori. Se distinguiamo cosa pensano di questo problema quanti sono disponibili a lasciare Latina e quanti non lo sono, non troviamo forti differenziazioni. A livello di prima indicazione i due gruppi di intervistati formulano una identica graduatoria fino al quinto posto (amministratori, giovani, lavoro, quartieri, cultura). Il grup­ po dei disposti a lasciare Latina mette poi al sesto posto la difesa dell'ambiente dall'inquinamento e al settimo il traffico; il gruppo di quanti invece non sono disposti a lasciare Latina mette al sesto posto il traffico e al settimo la difesa dell'ambiente. A livello di seconda indicazione i due gruppi formulano una graduatoria di­ versa. Quanti sono disposti a lasciare Latina si orientano mag208

giormente per il problema del lavoro e dell'occupazione (25 0Jo del­ le indicazioni), per la cultura (180Jo ), per la difesa dell'ambiente (1 1 OJo ), per i problemi del traffico (l OOJo ), per una migliore socialità nel quartiere (80Jo ). Invece il gruppo di quanti non sono disposti a lasciare Latina si orienta per il problema del lavoro e dell'occu­ pazione (31 OJo ), per la difesa dell'ambiente dall'inquinamento (20%), per la creazione di strutture culturali (120Jo ) , per la soluzio­ ne dei problemi del traffico (8 0Jo ), per la maggiore attenzione ver­ so il problema dei giovani (60Jo ) . Se, dunque, tra i due gruppi si palesano differenze, esse sono di tono, non di sostanza. Al di là della disponibilità o meno a lasciare Latina, gli intervistati si orientano più o meno allo stesso modo nell'individuare i problemi da risolvere o a cui dedicare una maggiore attenzione per miglio­ rare la qualità della vita nella città. A conclusione di questa analisi sulle opinioni degli intervistati circa le cose da fare per migliorare la vita della città, non si può non rilevare la differenziazione dei comportamenti in relazione al sesso, all'età, al luogo di nascita e alla soddisfazione per la propria condizione professionale. È evidente che gli insoddisfatti della propria condizione professionale, così come i giovani, portino un'attenzione primaria verso i problemi del lavoro e dell'occupa­ zione. Si avverte in queste risposte l'eco -e non solo l'eco- della propria situazione. Viceversa, coloro che sono soddisfatti della propria condizione professionale possono più liberamente espri­ mere opinioni al riguardo. Il fatto che poi, nonostante alcune di f­ ferenziazioni, espresse più con i toni (percentuali più consistenti per l'una o l'altra voce) che con indicazioni sostanziali diverse, quasi tutti gli intervisati -comunque raggruppati- formulano la stessa graduatoria di problemi: amministratori, lavoro, giovani e ambiente, significa che effettivamente questi sono i punti più deli­ cati per la crescita della città. Il fatto, inoltre, che i più giovani si siano differenziati nell'indicare, ad es., la cultura come terreno di intervento è un buon segno: ciò significa che vi è consapevolezza del ruolo importante che essa può giocare per la costruzione di una buona qualità della vita.

209

9.3. La carenza di direzione politica

I dati discussi finora si prestano tuttavia a ulteriori e diverse inter­ pretazioni. Diventa interessante a nostro avviso tentare una spie­ gazione dell'alto numero di indicazioni per la voce "amministrato­ ri più capaci e onesti". Il dato (costituito dal 500Jo di indicazioni) si presta ad una prima e ovvia interpretazione. Esso può infatti es­ sere visto come il segno del distacco e della sfiducia dei cittadini verso i politici, in generale, e verso gli amministratori cittadini, in modo particolare. Questa interpretazione, per quanto plausibile, è in realtà solo una prima, insufficiente e troppo aRprossimativa lettura dei dati. Essi sono invece suscettibili di diverse, e più sofi­ sticate, interpretazioni. Un'altra ipotesi di lettura consiste nell'interpretare le numerose indicazioni relative alla necessità di "amministratori più capaci e onesti" come la domanda di una funzione politica di direzione e di guida. Se in un primo approccio si può anche leggere il dato come la semplice richiesta di amministratori più capaci, questa stessa richiesta scaturisce da una constatata carenza di prestazioni di guida e di governo da parte della classe politica cittadina (' 'gli amministratori", appunto) . Cercheremo di rendere chiara e plausi­ bile questa lettura attraverso ulteriori analisi dei dati. Una ipotesi di interpretazione del dato poteva consistere nel ve­ dere l'alto numero di indicazioni per la voce "amministratori più capaci e onesti" come effetto di modelli culturali di tipo tradizio­ nale, incapaci di cogliere la modernità dello scambio politico at­ tualmente in auge in città e non solo in essa. Il fatto che le indica­ zioni fossero più alte tra i più anziani induceva a una tale conclu­ sione. Per raggiungere una certezza ancora più solida, abbiamo sottoposto le risposte a ulteriori incroci. Il rapporto tra questo ti­ po di risposta e il livello di istruzione per una parte conferma e per un'altra smentisce tale conclusione. Alte quote di indicazioni per la voce "amministratori più capaci e onesti" si trovano tra i livelli bassi d'istruzione formale e al più alto livello (63 0Jo tra i pri­ vi di titolo di studio e 58 0Jo tra i laureati). Gli altri livelli d'istruzio­ ne danno indicazioni del 5 1 0Jo (diplomati della scuola elementare) e del 480Jo (diplomati della scuola media e media superiore). Non si può dire pertanto che le indicazioni per questa voce sono il se­ gno di una scarsa conoscenza dei meccanismi sociali o di una let210

tura tradizionale, particolarmente rigorista, dello scambio politi­ co. Il rapporto con la condizione professionale degli intervistati conferma questa constatazione. Tra gli operai la voce riceve il 560Jo delle indicazioni, tra gli impiegati e i dirigenti il 47%, tra i disoc­ cupati il 29% e tra gli imprenditori e liberi professionisti il 63 %. Per quanto le differenziazioni possano essere dovute a specifici problemi e sensibilità degli intervistati, il ricorso all'incrocio con la professione consente di concludere che la domanda di presta­ zione funzionale al potere politico è di ffusa tra le varie professio­ ni, indipendentemente dalla loro forma moderna o tradizionale. Ciò è confermato anche dal ricorso all'incrocio tra tipo di indiéa­ zione e livello del reddito degli intervistati. Ai livelli più bassi di reddito si hanno percentuali più alte (56% tra i redditi fino a 1 0 milioni; 5 1 % tra i redditi fino a 20 milioni); ai livelli intermedi la percentuale si abbassa (49% e 48 % tra i redditi di 20-30 milioni e di 30-40); si innalza fino al 67 % tra i redditi più alti. Il ricorso all'incrocio tra questo tipo di indicazioni e i modelli di regolazione -sociale (se, beninteso, gli intervistati hanno riversato nelle risposte il proprio modo di vedere) conferma invece l'ipotesi secondo cui la percezione di carenza di guida politica sarebbe espressione di modelli culturali di tipo tradizionale. Nel complesso, infatti, gli in­ tervistati che vedono nel modello moderno il sistema di regolazio­ ne sociale danno il 49% delle proprie indicazioni alla voce "ammi­ nistratori più capaci e onesti" (48 % il moderno progettuale e 5 1 0Jo il moderno pragmatico); gli intervistati che vedono il sistema di regolazione sociale nel modello tradizionale invece vi attribuisco­ no il 57 % delle loro indicazioni. Se leggiamo invece i modelli di regolazione sociale come la conoscenza "obbiettiva" degli intervi­ stati su come vanno le cose nella città (come del resto esplicita­ mente si chiedeva loro), il rapporto si rovescia. In questo caso, la constatazione del fatto che il sistema di regolazione sociale sia di tipo tradizionale e che si formuli perciò una richiesta di ammini­ stratori più capaci e onesti, metterebbe ancora di più l'accento sul­ la domanda di una efficiente funzione di governo. Sia come sia, nella prima ipotesi avremmo la domanda di migliori prestazioni da parte del sistema politico amministrativo provenienti dal 49% degli intervistati che leggono la città alla luce di logiche sociali moderne e dal 5 7 % di intervistati che la leggono con logiche so­ ciali tradizionali; nel secondo caso il rapporto quantitativo sareb211

be rovesciato. Il margine di indecisione, il residuo, riguarda una differenza importante. È da sottolineare comunque la convergen­ za, nonostante i differenti punti di vista, nell'indicare la necessità di più capaci e onesti amministratori come elemento necessario per migliorare la vita della città.

9.4. La città incompiuta

Probabilmente anche in altri contesti urbani i cittadini avverto­ no una carenza di funzicnalità da parte del sistema politico. I no­ stri intervistati esprimerebbero pertanto un senso comune diffuso sulla cattiva funzionalità del sistema politico cittadino e sulla non buona reputazione degli amministratori. Anche se questa inter­ pretazione fosse data per buona, la sensazione tanto estesa della carenza di funzionalità del sistema politico dovrebbe porre alla città problemi specifici, che altre città italiane non hanno. Se in altri contesti urbani la carenza di funzionalità può indurre una crisi amministrativa e sociale, a Latina la perdurante inadeguatez­ za del sistema politico può bloccare la crescita del sistema sociale e ostacolare i processi d'integrazione economica, sociale e cultura­ le. Finora la pluralità delle etnie, delle culture, dei modelli e stili di vita ha costituito una ricchezza sociale. Lo sviluppo della città si è largamente giovato di tutto ciò. Nella competizione tra singoli e tra gruppi ognuno ha fatto valere la propria capacità individua­ le. �asse nza e la debolezza di legami di tipo tadizionale hanno consentito ai singoli e alla società cittadina di raggiungere grandi obbiettivi economici. Tutto questo, però, è avvenuto in un quadro di sostanziale eterodirezione. I processi decisionali si sono svolti fuori della città. E non poteva avvenire diversamente. Un sistema sociale non si costruisce per decreto e con tempi prestabiliti. Sedi­ mentazione e stratificazione sociale e culturale richiedono tempo. �integrazione e la differenziazione dei sottosistemi sociali non è questione di anni, ma di decenni. Ciò che è avvenuto nel corso dei secoli, a Latina è stato trapiantato con innesti a troppo breve di­ stanza. Appare ovvio che il sistema politico, che è il più delicato dei sottosistemi sociali, impieghi più tempo nel formarsi e nell'as­ sicurare buone prestazioni funzionali. Tuttavia, mentre avanzano processi di integrazione a diverso livello e di diversa intensità, la 212

perdurante carenza di funzionalità del sistema politico può pro­ durre un sistema sociale acefalo. In questo caso, la pluralità di cul­ ture, di stili di vita (che finora ha costituito una ricchezza) potreb­ be produrre una sorta di schizofrenia sociale, nella quale compor­ tamenti nevrotici metropolitani si sommano a comportamenti sonnolenti tipici di paesoni senza identità. Sul piano sociale, inoltre, si precisano sempre di più esigenze di forme di vita meno anonime. Anche nei rapporti personali spon­ tanei si manifestano segni di incompiutezza e di dicotomia. Da un lato esistono spinte a modernizzare ogni settore della vita econo­ mica e sociale; dall'altro segni tangibili di critica inconsapevole verso la modernizzazione, visibili nel proliferare di tanti neo­ fondamentalismi nella religione e nella politica. Nuovi credenti rinverdiscono culti desueti o ne introducono di nuovi; per altri versi, la dedizione ad un nuovo culto si accompagna con controlli totali della personalità dei credenti. In un modo o nell'altro, la profondità dei processi culturali di modernizzazione lascia gli in­ dividui disponibili a qualsiasi fede: magia, culto dei santi vecchi e nuovi, guerrieri di nuove e più rigorose fedi. Queste sono solo le manifestazioni più superficiali e più evidenti del bisogno di rap­ porti sociali improntati alla comprensione e alla solidarietà. La ri­ cerca ha dimostrato che tale bisogno è per lo più soddisfatto in piccole cerchie di amici. La casa e . il vicinato sono la controparte " privata" nella quale si coltiva la tradizione culturale, etnica, lin­ guistica, culinaria. Essa non si contrappone al mondo pubblico modernizzato, ma vi aderisce come un'altra faccia della stessa mo­ neta. La modernizzazione è accettata senza riserve, perché espri­ me la nuova identità degli individui. Essi fanno tutt'uno con il nuovo mondo sociale. Ne manifestano tuttavia anche la scissione interna ed esprimono nella loro stessa personalità il conflitto tra i diversi principi regolativi del sociale: da una parte i criteri del successo, in base ai quali valutano e misurano la loro nuova iden­ tità; dall'altra i criteri dell'espressività, della comprensione e della solidarietà, che fanno la buona qualità dei rapporti sociali. Così, alla fine, ognuno vive al proprio interno il conflitto e la scissione tra le due forme di razionalità sociale. Il problema supremo allora consiste nel trovare un equilibrio, anche instabile, tra opposte for­ me di razionalità. Quanto successo ognuno abbia conseguito -o potrà conseguire- su questa via, è un problema la cui analisi ri213

chiede altri mezzi e altri tempi. Lungo la ricerca di una propria vocazione e di una propria iden­ tità, dunque, la città ha ancora due problemi fondamentali da ri­ solvere: l ) portare a termine il processo di integrazione e differen­ ziazione urbana, in modo tale che l'urbanesimo sia una vera Way oj L ife, un modo e uno stile di vivere e non solo un riflesso nevro­ tico di incontrollati processi sociali e 2) dare contenuto in termini produttivi, sociali e culturali al processo di identificazione dei cit­ tadini con la città. Su tutto, campeggia il problema di dare com­ piutezza al sistema sociale. Ma non si tratta di processi separati. La crescita del sistema politico (che rappresenta il completamento della costruzione di un sistema sociale cittadino inierdipendente con altre realtà urbane e non più soltanto eterodiretto) avviene in­ sieme alla crescita del sistema culturale e produttivo, alla più ele­ vata capacità professionale e culturale dei singoli. Un'idea da te­ nere lontana è che tutto ciò avvenga da sé, spontaneamente, come in fondo per tanto tempo nel passato si è di fatto ritenuto. Un'altra idea ancora più perniciosa, è ritenere che la crescita sia ormai irre­ versibile, che la città sia avviata a conseguire obbiettivi sempre più avanzati. Come dimostrano invece le vicende economiche degli anni settanta, di irreversibile non vi è pressoché nulla sul piano so­ ciale. È nostra opinione che, se è un'illusione ritenere che tutto di­ penda da quanto si farà in città, è altrettanto sbagliato ritenere che non si debba o non si possa fare nulla. Come spesso succede non è questione di fare o non fare, quanto piuttosto di cosa e come fa­ re o non fare. La misura non è mai data a priori, né vi è una forma di assicurazione sul rischio. Essa dipende per lo più dalla sensibili­ tà e dalla capacità di orientamento dei singoli e dei gruppi sociali. Per evitare che troppe cose vadano a finire nelle mani del caso, di solito ci si organizza cominciando a studiare meglio il proprio ter­ ritorio sociale. Se questo lavoro è in grado di porre soltanto qual­ cuno dei tanti problemi da affrontare lungo questa via, coloro che hanno contribuito a diverso titolo alla realizzazione della ricerca, ne ricaveranno motivi di soddisfazione.

214

Appendice A: Il questionario UNI VERSITA' DEGLI STUDI DI ROMA "LA SAPIENZA" DIPARTIMENTO DI SOCIOLOGIA QUESTIONARIO

Ricerca su Latina: Identità e comun ità Settembre 1 985

A. DATI DI ANAGRAFE l.

F D

M D

SESSO

2. ANNO DI NASCITA 3. LUOGO DI NASCITA (spec.)

D Latina D provincia di Latina D regione Lazio D altra regione (spec.) 4. TITOLO DI STUDIO D analfabeta

D frequenza elementari

D licenza elementari

D frequenza media inf.

D licenza media

D corsi professionali

D frequenza media

D diploma media superiore

superiore

D laurea

D freq. università 5. STATO CIVILE

D celibe/nubile

D coniugato/a

D separato/a/divorziato/a

D vedovo/a

6. CONDIZIONE PROFESSIONALE D operai

D impiegati e

D artigiani

dirigenti

D agricoltori

D commercianti

D imprenditori e

D disoccupati

D pensionati

D casalinghe

lib. prof.nisti D

studenti

D altro (spec.)

7. IN QUALE ZONA DELLA CITTA' ABITI?

215

B. LA FAMIGLIA 8. DA CHI È COMPOSTA LA TUA FAMIGLIA? (solo i conviventi) 5.

l.

2.

6.

3.

7.

4.

8.

9 . LIVELLO D I ISTRUZIONE DELLA FAM IGLIA l.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

8.

- analfabeta

D

D

D

D

D

D

,D

D

- freq. elementari

D

D

D

D

D

D

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D D

- licenza elementari

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- freq. media inf.

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- dipl. media inf.

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- freq. media sup.

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- dipl. media sup.

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D

D

- corsi prof.li

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D

D

D

- freq. università

D

D

D

D

D

D

D

D

- laurea

D

D

[]

D

D

D

D

D

IO. CONDI ZIONE PROFESSIONALE DEI MEMBRI DELLA FAMIGLIA l.

2.

3.

4.

5.

6.

7.

8.

- operai

D

D

D

D

D

D

D

D

- impiegati e

D

D

D

D

D

D

D

D

dirigenti - artigiani

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- agricoltori

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D

- commercianti

D

c

D

D

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D

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D

- imprenditori e

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D

D

liberi prof.sti - disoccupati

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- pensionati

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D

D

- casalinghe

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D

D

D

- studenti

D

D

D

D

D

D

D

D

- altro

D

D

D

D

D

D

D

D

216

Il.

QUAL È I L LUOGO D'ORIGINE DELLA TUA FAM IGLIA? - Latina

D

- provincia di Latina

D

- regione Lazio

D

- altra regione

D (spec.)

12. QUAL È IL LUOGO D'ORIGINE DI TUA MOGLIE/MARITO? - Latina

D

- provincia di Latina

c D D (spec.)

- regione Lazio - altra regione

C. I.:ARRIVO A LATINA (solo per gli immigrati) 1 3 . IN QUALE PERIODO TI SEI TRASFERITO A LATI NA? D fino al 1 939

D dal 1 940 al 1 945

D dal 1 946 al 1 950

D dal 1 95 1 al 1 960

D dal 1 961 al 1 970

D dal 1 971 al 1 980

D dal 1 981 in poi 14. PER QUALE MOTIVO TI SEI TRASFERITO A LATINA?

D per la prospettiva di lavorare e ottenere le terre bonificate

D per poter vivere e lavorare in una città nuova D perché qui si sono stabiliti i miei familiari D perché qui pensavo di trovare lavoro D non ho deciso, sono stato costretto da diverse circostanze D altro (spec.) 1 5 . SEI ARRIVATO DA SOLO O CON ALTRE PERSONE?

D da solo

D con amici

D in famiglia

D altro (spec.)

16. TI AVEVANO GIA' PRECEDUTO a) AMICI

si

D

b) PARENTI

no D

si D no D

217

1 7 . (se si) a) COME TI HANNO AIUTATO?

O trovandomi lavoro

O trovandomi casa

O prestandomi

O facilitandomi

del denaro

l'inserimento

O non mi hanno aiutato

O altro (spec.)

b) HAI ANCORA RAPPORTI CON QUESTE PERSONE?

O frequenti

O saltuari

O sporadici

O assenti

D. REDDITO-CONSUMI 18. SEI SODDISFATTO DELLA TUA ATTUALE CONDIZIONE PROFESSIONALE? si O

no O

19. IN PRECEDENZA HAI SVOLTO ALTRI LAVORI? no O

si D 20. (se si) a) QUALE? b) DOVE?

c) HAI ABBANDONATO IL LAVORO PRECEDENTE PER SCELTA PROFESSIONALE O PERCHE' VI SEI STATO COSTRETTO? si O

no O

21. SVOLGI UNA SECONDA ATTI VITA' LAVORATIVA? si O

no O

22. (se si) a) QUALE? b) PER QUALE MOTIVO LA SVOLGI?

O per incrementare il reddito O per interesse professionale O per entrambi i motivi precedenti

218

23. IL LIVELlO DEL REDDITO ANNUO DELLA TUA FAMIGLIA A QUALE CLASSI DI QUESTE È RICONDUCIBILE?

O da IO a 20 milioni O da 30 a 40 milioni

O fino a I O milioni O da 20 a 30 milioni O oltre 40 milioni

24. LO RITIENI SODDISFACENTE PER LE ESIGENZE DELLA TUA FAMIGLIA? no O

si O

25. TI ASPETTI CHE IN FUTURO ESSO AUMENTERA' SENSIBILMENTE? si O

no O

26. QUALI SONO LE VOCI CHE INCIDONO DI PIU' SUL BILANCIO FAM ILIARE? (max 2 per ogni elenco) b)

a)

·

D vitto

O cinema, teatro, opera

O abbigliamento

D giornali, riviste, libri

O beni durevoli di

O dischi, musicassette

consumo (auto, Tv, ecc.)

O spese per acquisto e

D vacanze, viaggi

gestione casa '

O colf, aiuti domestici

O istruzione figli (scuole

O altro (spec.)

O altro (spec.)

lingue, musica, etc.)

27. PER QUANTO RIGUARDA INVECE I TUOI CONSUMI PERSONALI QUALI SONO LE VOCI DI SPESA PIU' IMPORTANTI? (max 2)

O cinema, teatro

O sigarette

O giornali, riviste

O capi di vestiario

O libri

O

O dischi, musicassette

O benzina, piccoli

D attività sportive

O pranzi o cene con amici

cosmetici spostamenti

O altro (spec.)

219

28. SECONDO TE, NELLA CONSIDERAZIONE DELLA GENTE DI LATINA, QUANTO CONTA DISPORRE DI MOLTO DENARO DA SPENDERE IN CONSUM I VISTOSI ? abbastanza

molto

D

poco

D

D

29. SECONDO TE, PER ACQUISTARE PRESTIGIO SOCIALE A LATINA OCCORRONO (max 2)

D intraprendenza e capacità professionale D spregiudicatezza, capacità di approfittare di tutte le situazioni D

ricchezza

D avere una famiglia agiata e influente

D correttezza e rigo;·e morale D avere un alto livello culturale

D altro (spec.) E. LE ETNIE 30. TU E IL TUO GRUPPO FAM ILIARE, QUALI RAPPORTI

MANTENETE CON I L LUOGO D'ORIGINE?

D non vi torno mai D vi torno per particolari occasioni (morti, matrimoni, etc.) D vi torno almeno una volta l'anno

D vi torno più volte l'anno D vi torno almeno una volta al mese D vi torno più volte al mese 3 1 . SE LE CONDIZIONI ECONOMICHE E FAM ILIARI LO

PERMETTESSERO, TORNERESTI A VI VERE NEL PAESE D'ORIGINE TUO O DELLA TUA FAMIGLIA? no D

si D

32. TU E I L TUO GRUPPO FAMI LIARE, QUALI RAPPORTI AVETE A

LATINA CON PERSONE CHE PROVENGONO DAL VOSTRO STESSO LUOGO D'ORIGINE? frequenti

D

saltuari

D

sporadici

assenti

D

D

33. SAI CHE ESISTONO ASSOCIAZIONI TRA CONTERRANEI?

si D

no D

220

34. (se si) DI QUESTE ASSOCIAZIONI D ne fai parte

D ne hai fatto parte

D ti piacerebbe farne parte

D non ti interessano

35. SE IN QUALCHE MODO TI I NTERESSANO, COSA FAI O TI PIACEREBBE FARE NEL�AMBITO DI QUESTE ASSOCIAZIONI? D mantenere e organizzare rapporti con i nostri luoghi d'origine

D far conoscere la nostra storia ai giovani D conservare la nostra lingua

D conservare le nostre tradizioni [J promuovere contatti con persone dello stesso luogo d'origine D promuovere contatti con persone di diverso luogo d'origine 36. TU E IL TUO GRUPPO FAMI LIARE AVETE MANTENUTO USI E COSTUMI DEI LUOGHI D'ORIGINE? in tu�to D

prevalentemente

abbastanza

poco

niente

D

D

D

D

37. SE SONO STATI MANTENUTI ANCHE PARZIALMENTE , RELATIVAMENTE A QUALI ASPETTI DELLA VITA SOCIALE? nascita

matrimonio

D

D

feste religiose

morte

D

altro (spec.)

D

38. CON I TUOI FAMILIARI , I TUOI AMICI E NEL�AMBIENTE DI LAVORO NORMALMENTE PARLI famiglia

amici

lavoro D

- nel tuo dialetto d'origine

D

D

- in lingua italiana

D

D

D

D

D

D

- nel nuovo modo di parlare corrente a Latina

39. ESCLUSI I PARENTI O I SEMPLICI CONOSCENTI , IL TUO AMICO O I TUOI AMICI PIU' CARI HANNO LA TUA STESSA ORIGINE? no D

si D ,

40. RITIENI CHE A LATINA SIA UN PROBLEMA �INTEGRAZIONE TRA PERSONE CON D IVERSA ORIGINE CULTURALE E GEOGRAFICA? si D

no

221

D

41. RITIENI CHE A LATINA MANTENERE STRETTI RAPPORTI CON I L GRUPPO ETNICO D'ORIGINE FACI LITI I..: I NSERIMENTO SOCIALE E l: AFFERMAZIONE PROFESSIONALE? moltissimo

D

molto

abbastanza

per niente

poco

D

D

D

D

42. RITIENI CHE A LATINA IL GRADO DI INTEGRAZIONE TRA LE ETNIE SIA

D del tutto realizzato - ottimo D abbastanza realizzato - sufficiente D poco realizzato - scarso D non realizzato - del tutto insufficiente F.

TEMPO LIBERO E VITA SOCIALE

43. RITIENI CHE IL TEMPO LIBERO A TUA DISPOSIZIONE SIA moltissimo

D

molto

D

abbastanza D

poco

pochissimo

D

D

44. LO RITIENI ADEGUATO A SODDISFARE LE TUE ESIGENZE INDIVIDUALI E DI VITA SOCIALE? no D

si D

45. COME IMPIEGHI PREVALENTEMENTE IL TUO TEMPO LIBERO? (max 2) O lettura

D hobbies

D tv

D cinema-teatro

D sport

D

iniziative culturali pubbliche

D attività politiche

D con amici

D musica

D altro (spec.)

46. TRASCORRI DI SOLITO IL TUO TEMPO LIBERO CON AMICI O IN FAMIGLIA? ( + +)

(+ )

( + -)

(- )

con amici

(--) in famiglia

47. LEGGI I QUOTIDIANI? si D

no

222

D

48. (se si) CON QUALE FREQUENZA? D tutti i giorni D 213 volte la settimana D saltuariamente 49. QUALI QUOfiDIANI LEGGI CON PIU' FREQUENZA? (max 2 in ordine di importanza) D di informazione

D sportivi

D cronaca locale

D economico/finanziari

D di partito 50. LEGGI LE RIVISTE? no D

si D

5 1 . (se si) DI CHE GENERE E CON QUALE FREQUENZA? sempre

spesso

D

- attualità

saltuar.

D

talvolta

D

D

- - cronaca rosa/nera

D

D

D

D

- ·attualità politica

D

D

D

D

- femminili

D

D

D

D

- fumetti

D

D

[J

D

- tempo libero

D

D

D

D

- sportivi

D

D

D

D

- tecnico/scient.che

D

D

D

D

- religiose

D

D

D

D

52. LEGGI LIBRI? si D

no D

53. (se si) RICORDI I TITOLI DEGLI ULTIMI LIBRI CHE HAI LETTO? no D

si D

54. QUOTIDIANAMENTE/ QUANTE ORE TRASCORRI VEDENDO LA TV?

D meno di

l

ora

D da 3 a 4 ore

D da l a 2 ore D oltre 4 ore

223

D da 2 a 3 ore

5 5 . TRA I PROGRAMMI QUI ELENCATI QUALI VEDI CON MAGGIORE FREQUENZA? spesso

saltuar.

- telegiornali

sempre

D

D

D

D

D

- rubriche giorn.

D

D

D

D

D

- rubriche scient.

D

D

D

D

D

- programmi sport.

D

D

D

D

D

- varietà

D

D

D

D

D

- film

D

D

D

D

D

- telefilm/sceneg.

D

D

D

D

D

talvolta

56. QUANTE VOLTE VAI AL CI NEMA?

D più di una volta al mese D almeno una volta al mese D 2/3 volte l'anno D quasi mai D mai 58. SE A LATINA CI FOSSE UN TEATRO CON SPETTACOLI CONTINUATIVI, TI PIACEREBBE ANDARCI PI Ù SPESSO? no D

si D

59. HAI UNO O PI Ù AMICI CON CUI TI INCONTRI FREQUENTEMENTE? no D

si D

60. DOVE HAI INCONTRATO I TUOI AMICI?

D a scuola D nel luogo di lavoro D nel gruppo dei parenti D nel quartiere/nel borgo D nell'ambito del gruppo etnico D tra coloro che frequentano le attività parrocchiali D tra coloro che svolgono attività politica D tra coloro che svolgono attività culturali D altro (spec.)

224

mai

61. I N BASE A QUALE MafiVAZIONE SCEGLI LE AMICIZIE?

D affinità culturali D affinità politiche D affinità etico-religiose D per motivi di lavoro o di professione D

per la stessa provenienza sociale

D abitanti dello stesso quartiere D amici di famiglia

D per la stessa appartenenza etnica D altro (spec.) 62. COSA FAI DI SOLI1D CON I TUOI AMICI? (max. 2)

D si va al cinema/teatro

D ci si incontra presso bar

D si fa dello sport

D si fanno gite

D si va a cena fuori

D si va a ballare

D si va in casa di amici

D si va in vacanza insieme

o circoli

D altro (spec.) 63. C' È UN LUOGO FISSO IN CUI INCONTRI I TUO I AMICI? no D

si D 64. (se si) QUALE?

D casa

D bar, discoteca, etc.

D spazi aperti

D servizi ricreativi­ culturali pubblici

D servizi ricreativi­

D parrocchia, chiesa, etc.

culturali privati

D luogo di lavoro

D scuola

D altro (spec.) 65. QUALI SONO I FATTI RIGUARDANTI LATINA DI CUI PARLI PI Ù FREQUENTEMENTE CON I TUOI AMICI? (max. 2) D politica locale

D problemi del lavoro

D sport locale

D vita culturale

D fatti economici

D notizie/voci su personaggi in vista

225

66. CON I TUOI AMICI PARLATE DEI PROBLEMI DELLA CITTA', DELLA VITA POLITICA D I LATINA? spesso

talvolta

mai o quasi mai

D

D

D

67 . DA QUALI FONTI ATTINGI LE TUE INFORMAZIONI IN PROPOSITO? spesso - consiglio comun.

talvolta

mai o quasi mai

D

D

D

D

D

D

- cronaca locale dei quot. - comizi/sezioni dei

D

D

D

- incontri con amici

D

D

D

- in famiglia

D

D

D

- sul luogo di lavoro/

D

D

D

D

D

D

D

D

D

partiti

a scuola - manifesti/ giornali murali - tv locali

68. SEI ISCRITTO O PARTECIPI ALLE ATTIVITA' DI QUALCHE ASSOCIAZIONE POLITICA, CULTURALE, RELIGIOSA O SPORTIVA? si D

no D

69. (se si) A QUALE TIPO DI ASSOCIAZIONE, E IN QUALE MODO PRENDI PARTE ALLE ATTIVITA'? sono iscritto e partecipo

sono iscritto

non sono

ma non partecipo iscritto ma partecipo

D D

D

- religiose

D D

- culturali

D

- ricreati ve

D

D

D

- sportive

D

D

D

- di quartiere/borgo

D

D

- etniche

D D

D

D

- politiche

D

D

D

- sindacali

D

D

D

- altro (spec.)

226

70. COME CONSIDERI I TUOI RAPPORTI A LATINA? D

D discreti

ottimi

O non del tutto

D abbastanza

soddisfacenti

soddisfacenti

D pessimi 7 1 . SE AVESSI LA POSSI BILITA' DI TRASFERIRTI, ABBANDONERESTI LATINA? no D

si D

72. (se si) a) DOVE PREFERIRESTI TRASFERIRTI?

D in una città più grande D in un paese più piccolo e tranquillo D

in una città dalle ricche tradizioni storiche

D in una città dal clima migliore

D nel luogo d'origine O altro (spec.) b) PERCHE' ABBANDONERESTI LATINA? (max 2)

D perché la città manca di strutture e servizi sociali D perché la �ittà manca di strutture e servizi culturali D perché è una città dove è difficile stabilire rapporti sociali D perché è una città dove i rapporti sociali sono soffocanti D

perché la città è brutta e male organizzata

D perché la città offre pochi motivi di interesse e scarse possibilità di affermazione personale D

altro (spec.)

7 3 . (se no) PERCHE' NON LASCERESTI LATINA? (max2)

D ho costruito buoni rapporti con le persone e non mi va di interromper li D Latina è una città in crescita nella quale sarà interessante vivere nel futuro

D è una città che offre possibilità di successo economico e sociale D la città è bella e ben tenuta D ho vissuto per tanto tempo in questa città: Latina ha una parte importante nella mia vita

D non saprei dove andare D altro (spec.)

227

74. CHE COSA RITIENI NECESSARIO PER MIGLIORARE LA VITA DELLA CITTA'? (max. 2)

D avere amministratori più capaci e onesti D una maggiore attenzione ai problemi dei giovani D risolvere i problemi del lavorq e dell'occupazione D creare strutture e occasioni d'incontro nei quartieri D creare grandi strutture per la cultura (teatro, auditorium) D risolvere il problema del traffico e dei trasporti pubblici D maggiore attenzione per l'inquinamento dell'ambiente D altro (spec.)

228

Appendice B: L:individuazione del campione l. Premessa

Per attingere informazioni suscettibili di un minimo di generalizzazione è ne­ cessario costruire un campione adeguato. Tutto ciò, però, comporta una serie di problemi di natura pratica. La ricerca infatti deve fare i conti a questo punto con i problemi dei costi, spesso proibitivi; opzioni di tipo metodologico sono in real­ tà dettate da problemi di bilancio. Nel nostro caso abbiamo potuto contare sulla possibilità di intervistare cinquecento persone. Naturalmente, il campione doveva essere costruito in modo da rispondere alle questioni poste dalla ricerca. Infatti, il problema dell'integrazione sociale e cultu­ rale implicava che si includesse tra le variabili su cui costruire il campione quella relativa al luogo di nascita. Essa in realtà è centrale; ogni altra le ruota intorno. Per partire dall'esperienza dell'immigrazione e seguire i successivi processi di in­ tegrazione, si rendeva necessario prendere le mosse dai luoghi d'origine degli in­ tervistati. La variabile dell'età, poi, oltre a fornirci la possibilità di cogliere diver­ sità di atteggiamenti e motivazioni delle differenti generazioni, rendeva possibile descrivere i diversi tipi di emigrazione. Infine, la variabile relativa al sesso con­ sentiva le consuete elaborazioni per distinguere gli atteggiamenti degli uomini da quel.li delle donne. . Di solito si considera anche la variabile istruzione nella costruzione di un cam­ pione. Nel nostro caso essa risultava tuttavia meno decisiva di quella relativa al luogo di nascita. Ne abbiamo pertanto fatto a meno. Sulla base di ques�e considerazioni abbiamo affrontato l'analisi della popola­ zione di Latina. .

.

2. La popolazione di Latina

Nel corso della sua breve storia Latina ha visto mutare ripetutamente la com­ posizione della sua popolazione. Nel periodo iniziale essa proveniva soprattutto dalle regioni dell'Italia nord-orientale. Successivamente -soprattutto negli anni sessanta- l'apporto più consi��tente al suo incremento è dato dalle regioni meri­ dionali. Al Censimento delia popolazione del 1981 la distribuzione dei cittadini secondo il loro luogo di nascita è ancora abbastanza articolata. Nel complesso , il blocco originario delle regioni nord-orientali è stato ora equilibrato dalle regio­ ni meridionali. Per effetto della crescita delle nuove generazioni di cittadini, il Lazio e, conseguentemente, le regioni delJ'Italia centrale raggiungono attualmen­ te la quota più consistente. Di fatto, in questa quota sono inclusi i figli dei primi coloni e i loro nipoti. Non è praticamente più possibile pervenire alla separazione dei gruppi regionali a causa delle tante interazioni matrimoniali avvenute nel cor­ so dei cinquanta anni di vita della città. Come si può vedere nel Capitolo 6, para­ grafo Il matrimonio, la differenza di origine regionale non ha funzionato da im­ pedimento e da ostacolo per la formazione delJe coppie. Ciò ha portato ora ad

229

un intreccio di relazioni che non è più possibile dipanare. La città si avvia dunque a strutturarsi in modo autonomo e originale, riprendendo e trasformando gli ele­ menti delle culture locali e regionali. Il nostro percorso di ricerca tenta ora pro­ prio di rintracciare il processo di formazione della identità sociale e culturale del­ la città. Secondo una stima di T. Stabile -che non siamo in grado di verificare per la mancanza dei dati di base- la composizione della popolazione di Latina si sareb­ be distribuita nel corso del tempo come nella Tabella l. Tab. l. Composizione della popolazione di Latina secondo l'area geografica di provenienza.

Area geografica

1932

1936

1 95 1

1 961

1971

Nord Italia Centro Italia* Sud e Isole Latina comune Latina prov. Estero

86.6 4.6 3.8 5 .0

56.0 10.8 7.5 13.4 1 2.3

37.8 9.2 8.6 31.1 13 .3

3 2.0 9.0 8.2 39.6 1 1 .2

22.0 9.5 13.5 40.5 1 3.0 1.5

100.0

100.0

100.0

100.0

100.0

Totale

• Esclusi il Comune e la Provincia di Latina Fonte: Stabile (1962) fino al 1961 . Nostra elaborazione per il 1971 (l )

I..: i ncremento complessivo della popolazione è dato dal seguente Grafico l. Incremento della Popolazione (migliaia) 16 14

� saldo mov. natur. • saldo migrato rio

12 10

l . Non è possibile controllare l a stima d i T. Stabile per l a mancanza dei dati primari su cui egli ha lavoratò. Per il l971 abbiamo ripartito l'aumento di abitanti dovuto all'immigra­ zione nel periodo 1961-71 secondo la percentuale degli intervistati nel nostro campione che ha dichiarato di essere venuta a Latina nel periodo 1961-70.

230

Nel 1 98 1 la popolazione invece si distribuisce tra le regioni e le aree geografiche italiane secondo le proporzioni illustrate dalla Tabella 2. Tab. 2. 1981. Popolazione di Latina secondo la regione di provenienza. Valori percentuali.

Italia centrale

lt�lia sette n trionale l l l

Italia meridionale

l l l

l Isole

Estero

Frosinone Latina Latina prov. Rieti Roma Viterbo

2.5 42.4 1 6.0 0 .2 7.4 0.3

Lazio Marche Toscana Umbria

68.8 1 .6 0.8 0.7

Piemonte Val d'Aosta Lombardia Trentina AA Veneto Friuli Liguria Emilia Rom.

0.4

Abruzzi Molise Campania Puglia Basilicata Calabria

1 .0 0. 3 8.2 1 .3 0.5 1 .6

Sardegna Sicilia

0.5 2.1

Estero

3.5

1 .0 0.1 5.0 0.9 0.3 14 .

100.0

Totale

Nostre elaborazioni su fonte lstat.

231

3. Il campione

Dalla popolazione complessiva della città, pari a 93.738 unità, sono stati elimi­ nati i giovani con meno di 19 anni. I.:universo veniva così a corrispondere a 62.229 unità. Questa operazione è stata consigliata da più motivi. Da un lato, in­ fatti, i giovani hanno condizioni di vita particolari che richiedono analisi specifi­ che; dall'altro, i problemi p:>sti dalla ricerca li riguardano in modo marginale, al­ meno come esperienza personale da essi effettivamente vissuta; infine, il campio­ ne così costruito cerca di comprendere il più alto numero possibile di persone che hanno vissuto l'esperienza della immigrazione a Latina. Sulla base delle va­ riabili considerate nella costruzione del campione (il luogo di nascita, il sesso e l'età) le 500 persone che compongono il campione sono risultate distribuite nel modo seguente.

Tab. 3. Distribuzione degli intervistati secondo le regioni di provenienza e confranto con la popolazione.

Regioni

Campione Numero

OJo

Popolazione OJo

4 8 18

27.2 2 1 .0 9.8 1 1 .8 4.0 1.2 1 .6 0.8 1 .0 0.8 1 .6 2.2 0.8 7.6 2.6 0.8 1 .6 3.6

27.4 20.5 10.6 10.7 3.0 1 .1 2.0 1 .0 1 .0 1 .0 1.8 1 .8 0.7 7.3 2.0 1 .0 1 .3 4.0 1 .8

500

100.0

100.0

Latina comune Latina prov. Lazio* Campania Sicilia Lombardia Emilia Romagna Toscana Abruzzi Umbria Marche Puglia Basilicata Veneto Calabria Sardegna Friuli V. Giulia Estero Altri non inclusi

136 105 49 59 20 6 8 4 5 4 8 11 4 38

Totale

13

* Esclusi il Comune e la Provincia di Latina.

232

Nella seguente Tabella 4 abbiamo riportato la distribuzione degli intervistati secondo il sesso già aggregata per le aree geografiche di provenienza.

Tab. 4. Distribuzione degli intervistati secondo il sesso per area geografica di provenienza. Valori percentuali.

Sesso

Uomini Donne Totale

Nord

Centro I talia

Sud Isole

Totale

48.3 5 1 .7

49.0 5 1 .0

49.1 50.9

48.4 5 1 .6

100.0

1 00.0

100.0

100.0

Per quanto riguarda l'età invece abbiamo raggruppato i 500 intervistati secon­ do sei scaglioni. Essi risultano distribuiti come nella seguente Tabella 5.

Taq. 5. Distribuzione degli intervistati secondo l'età.

Anni

Numero

OJo

l. 2. 3. 4.

20-25 25-30 30-35 3 5-45 5. 45-65 6. 65-w

87 63 55 97 142 56

17.4 12.6 1 1 .0 19.4 28.4 1 1 .2

Totale

500

100.0

233

Al fine di evidenziare il rapporto tra età ed istruzione degli intervistati diamo la Tabella 6. Tab. 6. Età degli intervistati e grado d'istruzione. Valori percentuali.

Età

Nessun titolo

Li c. elemen.

Li c. media

Di p!.. media su per.

20-25 25-30 30-35 3 5-45 45-65 65- w

4.5 4.5 3 8.6 52.4

3.8 5 .4 6.9 22.3 45.4 16.2

23.8 1 6.4 1 3 .9 1 8.0 23.8 4.1

3 5 .6 1 5 .4 10.1 20.1 1 5 .4 3 .4

Totale

100.0

100.0

100.0

100.0

Laurea

Totale

23.6 21.8 25.5 . 25.5 3 .6

17.4 12.6 1 1 .0 19.4 28.4 1 1 .2

100.0

100.0

'

4. Stato civile, famiglia, istruzione e condizione professionale degli intervistati.

Per quanto riguarda lo stato civile, gli intervistati sono per il 22% celibi, per il 690Jo coniugati, per 1'8% vedovi e per l ' l % separati o divorziati. La più alta quota di vedovi si trova tra i nati nel Nord Italia, la più alta dei coniugati nel Sud e nelle Isole (cfr. la Tabella 7). La più alta quota di celibi, invece, si trova tra quanti provengono dall'Italia centrale. Ciò sembra esprimere abbastanza cor­ rettamente la struttura della popolazione della città. Un riferimento all'età degli intervistati rende tutto ciò abbastanza evidente. La quota più alta di separati e divorziati si trova tra quanti provengono dalle regioni meridionali. La composizione della famiglia degli intervistati risulta come nella Tabella 8. I dati della Tabella 8, confrontati con altri (2), ci consentono di comprendere che la struttura ampia della famiglia rappresenta le famiglie polinucleari, appar­ tenenti al tipo D della classificazione l sta t. Questo tipo di famiglia copre un'area tra il 3 e 1'8% delle famiglie del campione. Per il resto abbiamo una conferma delle tendenze già riscontrate nell'analisi della struttura familiare (3). La struttu­ ra della famiglia si avvia verso un modello nel quale predomina il tipo composto da genitori e figli. Accanto ad esso si cominciano a disporre, da un lato, i singles e, dall'altro, le coppie di anziani. Il riferimento al titolo di studio consente di tracciare un profilo sintetico del livello dell'istruzione formale degli intervistati (vedi la Tabella 9). Se si considera

2. Per i dati ulteriori sulla famiglia c fr. la Tabella 23 del capitolo 3 . del Rapporto genera­ le di ricerca inviato al Consiglio Nazionale delle Ricerche. 3. Cfr. Rapporto generale di ricerca al Cnr., La struttura della famiglia, cap. 3, pp. 1 1 8-168.

234

la fascia che va dagli analfabeti fino ai diplomati della scuola elementare, si può notare come i nati nell'Italia del Nord raggiungano qui ben il 5 5 1l7o, mentre i nati nell'Italia centrale, meridionale e insulare hanno rispettivamente il 240Jo, il 361l7o e il 41%. Ciò è dovuto al fatto che i nati nel Nord si sono trasferiti precedente­ mente agli altri ed appartengono ad un periodo storico nel quale l'istruzione di base consisteva appunto nel conseguire la licenza elementare. Viceversa, la per­ centuale più bassa in questa fascia appartiene ai nati nell'I talia centrale. Ciò è dovuto al fatto che qui si collocano i nati a Latina, i quali per essere nati successi­ vamente hanno usufruito di un livello di istruzione di base più alto. La percen­ tuale di coloro che hanno conseguito il diploma di suola media è abbastanza si­ mile per tutti i gruppi regionali. Tra coloro che hanno semplicemente frequentato e coloro che hanno conseguito il diploma i nati nel Nord, nel Centro e nelle re­ gioni meridionali hanno percentuali vicine: rispettivamente il 20%, il 24% e il 25%. Se osserviamo i livelli alti dell'istruzione, si può notare che qui i nati nel Nord raggiungono una percentuale molto più bassa dei nati nel Centro e dei nati nel Sud. Ciò è indubbiamente dovuto alla composizione per età del campione. Il fatto che esso sia stato costruito sulla variabile del luogo di nascita e sull'età, non può non ricostruire la struttura etnica e culturale della popolazione. Se per qualche verso il campione sovrarappresenta i livelli alti dell'istruzione entro ogni gruppo regionale, ciò è in parte dovuto alla distribuzione dei rifiuti. Infatti, han­ no opposto un rifiuto a rilasciare l'intervista soprattutto le persone di istruzione medi � .

235

Tab. 7. Stato civile degli intervistati per aree geografiche di provenienza. Valori percentuali.

Stato civile

Celibi Coniugati Separati/div. Vedovi Totale

Nord Italia

Centro Italia

Sud Isole

Totale

6.7 73.3 20.0

27.4 65.4 1 .3 5 .9

12.9 76.7 2.6 7.8

21 .8 68.6 1 .4 8.2

1 00.0

1 00.0

1 00.0

1 00.0

Tab. 8. Composizione della famiglia degli intervistati per area geografica di provenienza. Valori percentuali.

Componenti

2 componenti 3 4 5 6 7 8 Non risponde Totale

Nord Italia

Centro Italia

Sud Isole

Totale

30.0 23.3 1 3 .3 16.7 6.7 3.3 6.7

16.7 23.9 3 3.7 1 5.0 5.8 1 .3 0.7 2.9

1 5 .5 22.4 33.6 1 7 .2 5.2 0.9 0.9 4.3

1 8 .4 23.6 30 . 8 1 5 .6 5.8 1 .4 0.6 3.8

100.0

100.0

1 00.0

1 00.0

236

Tab. 9. Livello di istruzione degli intervistati per aree geografiche di provenienza. Valori percentuali.

Titolo di studio

Nord Italia

Centro Italia

Sud Isole

Totale

Nessuno Licenza elementare

2 1 .7

5.6

12.1

8.8

38.3

24.8

24.1

26.0

Licenza media

18.3

25.5

24. 1

24.4

Diploma scuola media superiore

16.7

32.4

26.7

29.8

5 .0

1 1 .7

1 3.0

1 1 .0

100.0

1 00.0

100.0

1 00.0

Laurea Totale

Tab. 10. Occupazione e condizione professionale degli intervistati per area geografica di provenienza. Valori percentuali.

Professioni

l. Operai 2. Impiegati e dirigenti 3. Artigiani 4. Agricoltori 5. Commerc. 6. I mprenditori lib. prof.sti 7. Disoccupati 8. Pensionati 9. Casalinghe IO. Studenti I l . Altro

Totale

Nord Italia

Centro Atalia

Sud Isole

Totale

5 .0

14.0

8.6

1 1 .6

8.3

3 1 .0 5.2

5 .0 3.3

28.8 3.6 0.7 6.6

1 .7

26.4 3.8 1 .2 4.8

3.3 1 .7 45.0 25 .0 1 .7 1 .7

6.6 5.5 9. 1 16.3 6.6 2.2

3.4 4.3 22.4 17.2 3.2 2.0

5 .4 4.8 16.8 1 7 .4 5.8 2.0

1 00.0

100.0

1 00.0

100.0

23 7

l .O

B I BLIOGRAFIA

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