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Italian Pages 394 [397] Year 2006
Patrick Leigh Fermor è la massima approssimazione all'archetipo del viaggiatore di cui disponga il nostro mondo. E il suo libro esemplare è dedicato a un luogo: Mani - così si chiama un dito del Peloponneso, magnifica e strana propaggine che si distacca dal resto della Grecia per la sua natura aspra e allucinatoria e per la sua storica inaccessibilità. Quasi sempre a piedi, e per anni (come il suo grande amico, Bruce Chatwin), Leigh Fermor ha percorso la parte estrema del Peloponneso, descrivendone i paesaggi fascinosi, quasi lunari, facendone rivivere, con vena felice di narratore, storie, leggende e personaggi, insegnandoci a viaggiare simultaneamente nel tempo e nello spazio, e trasmettendoci un germe benefico: quello del nomadismo.
In copertina: Statuetta di terracotta proveniente da Myrina (Turchia), II secolo a.C. British Museum, Londra. € 15,00
GLI
ADELPHI
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Pa trick Leigh Fermor è nato nel 1915. Nel 1933 ha compiuto il suo primo grande viag gio a piedi da Londra a Istanbul, poi descrit to in A Time of Gifts e Between the Woods and the Water. Nel 1942 è stato paracadutato a Creta, dove, travestito da pastore, ha organizzato la resistenza sull'isola, spingendosi a rapire di persona il generale Kreipe, comandante te desco dell'isola. Dalla fine della guerra vive prevalentemente a Kardamili, nel Peloponne so, in una casa da lui stesso progettata. Mani è apparso per la prima volta nel 1958.
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,, d-,l ,.J ) d eli' ottimo li bro di Robert Liddell, The Marea, uscito di recen te (Cape ) .
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l
A SUD DI SPARTA
« Farà bene a stare attento, se va su ad Anavriti » ammonì il giovane barbiere con un sinistro schioc co di forbici . Le tuffò in un ' altra manciata di capel li impastati di polvere . Il trae dell ' amputazione, e un 'altra ciocca si aggiunse al cerchio di detriti inco lori per terra. Riflessa nello specchio di fronte, la te sta emergente dal lenzuolo si rimpiccioliva a vista d 'occhio. Già la sentivo qualche libbra più leggera. « Sono gente stramba » . « Perché devo stare attento?». La minaccia sem brava di natura ambigua. Nello specchio, lieti sog ghigni d ' aspettativa tagliarono in due le facce spar tane in fondo alla bottega. « Perché? » . La guardia si piegò in avanti. « Le por teranno via la giacca di dosso ! ». Un vecchio arcade in gonnellino rincarò la dose . « Ti spelleranno vivo, ragazzo mio » . Un bambino ri dente accanto al barbiere disse : « Ti mangeranno ! ». Impossibile, dal tono, prendere i loro avvisi trop po sul serio. Domandai perché quella gente fosse tanto da temere . 15
« Perché sono ebrei » disse la guardia. « Così dicono » soggiunse uno degli spartani. « Certo che sono ebrei » esclamò l ' arcade, rivolgendosi a lui . « Tutti i paesani di Anavriti e Tripi so no ebrei. Sempre stati » . A questo punto gli uomini riflessi nello specchio si scompisciavano dal ridere all ' idea di quei due villaggi semitici sulle cime del Taigeto . La notizia era straordinaria. Non avevo mai sentito parlare di ebrei nel Peloponneso. In Grecia, a quel che sapevo, i soli ebrei erano i sefarditi del Nord Salonicco, qualche città continentale come Ioanni na, Naoussa, Preveza, Arta, qualche isola - che parla vano ladino e uno spagnolo quattrocentesco. La sto ria è nota. Espulsi dalla Spagna nel 1 492 da Isabella e Ferdinando, gli ebrei ottennero dal Sultano ospita lità dalle parti di Costantinopoli e di Salonicco, così come fu loro consentito dai Medici di mettere radici e moltiplicarsi a Grosseto e a Livorno. In Greda non c ' è antisemitismo: gli uomini d ' affari greci pensano di saper vincere in astuzia qualsiasi ebreo, e qualsiasi armeno; e nel teatro d 'ombre Karagoz i pupazzi ebraici sono figure amabilmente assurde con caffet tani e barbe a punta, che si chiamano Iakob e Moise e si scambiano con nasali pigolii comiche lamentele in greco maccheronico. Domandai se i paesani di Anavriti parlavano spa gnolo. Il riflesso di un prete si piegò in avanti e sbatté negativamente la lingua. Era l ' uomo più pe loso che avessi mai visto . ( Cosa ci fa qui, mi chiesi. Ai preti ortodossi è proibito radersi e tagliarsi i ca pelli) . Due occhi scuri scrutarono nello specchio co me da un buco in un pagliaio nero . « No, » disse « parlano greco come noi. Quando il venerabile san Nicone il Metanoite , l ' apostolo dei laconi, convertì i nostri avi al cristianesimo, quella gente viveva in pianura. Si rifugiarono su per i mon ti, e da allora sono sempre vissuti lassù. Vanno in
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chiesa, ricevono i sacramenti. È brava gente, ma so no ebrei , non c'è che dire » . « Certo che sono ebrei » ripeté il vecchio arcade . Sbarbato e tosato , e ripulito del tritume , mi avviai. Il vecchio si sporse dalla finestra nella calura di Spar ta, e agitando il suo bastone ricurvo, con un ghigno delle gengive munite di un solitario dente grigio, gridò di nuovo l ' awertimento che quelli ci avrebbe ro spellati vivi . L' uomo che ci guidò ai mosaici - la sola antichità rimasta nella moderna Sparta, e greco-romana per giunta - raccontò la stessa storia. Gente strana; e ebrei . . . Scendemmo dietro a lui alcuni gradini sotto un te tto improvvisato . Con una mossa del polso vuotò una brocca sulle macchie grigie del pavimen to polveroso. L' acqua cadde disegnando una gran de stella nera, si sparse definendo e avvivando for me e colori , e scene deliziose apparvero . Orfeo in berretto frigio diteggiava la lira in mezzo a un circo ammaliato di conigli , leoni, leopardi , cervi, serpen ti e tartarughe . Soave e femmineo come Antinoo, Achille affiorava nuotando fra le donne di Sciro. Lì accosto , un altro guazzo rivelò nuovi incanti: Euro pa - leggiadra, canoviana, spalle a bottiglia e vitino di vespa, robusta di cosce, callipigia e coscialunga stava di traverso sul dorso di un bel toro che pren deva di petto le acque spumose di Creta. « Com ' è con tento Zeus di averla sulla schiena » os servò l ' uomo . « Guardate , sorride tra sé » . Quando venimmo via l ' acqua si stava asciugando sui primi mosaici, e fiori, figure e bestie erano di nuovo quasi spenti e invisibili. Al tempo di Pausania il tesoro più prezioso della città era un frammento del guscio di una delle due uova di Leda, il porten toso uovo bituorlo dal quale scaturì Elena. (L'altro 17
racchiudeva Clitemnestra; e ognuna aveva per com pagno, nello stesso guscio, uno dei Di oscuri) . La vampa feroce che per tutto il giorno aveva bat tuto la strada maggiore di Sparta si era attenuata. La pianura laconica si fece più fresca. Qualche miglio al di là dei tetti e di una fuga arruffata d ' alberi le ci me del Taigeto si ergevano nel cielo in un bastione che pareva ripido e inaccessibile come l 'Himalaya. Sul fianco di questa grande barriera saliva una stra da, marchiandolo d'uno zigzag di lunghi tratti e an goli acuti simile a un metro pieghevole; su, su, fino a svanire tra cime dove la roccia più chiara dava un ' illusione.semiconvincente di nevi eterne. Era la strada per Anavriti, la marcia d ' avvicinamento alla nostra privata invasione del Mani. Un conoscente casuale di Mistrà, che era poi il banchiere dell ' as sonnata Sparta, ci aspettava con la sua jeep come aveva promesso, e mentre filavamo nel fresco dei boschi verso il punto dove il grande zigzag comin ciava a salire ripetei le mie domande sugli abitanti di Anavriti. « Sì » rispose, traversando a suo n di clac son un tintinnante gregge di capre; per un momen to fummo circondati da un selvoso intrico di corna ritorte : « dicono tutti che sono ebrei, ma nessuno sa perché , né da dove vengono . Probabilmente è una sciocchezza » . Molto curioso. Forse aveva ragione . Eppure il mondo greco, con tutte le sue assimilazioni e disper sioni e odisseiche ramificazioni, è un inesauribile va so di Pandora di eccentricità e di eccezioni a ogni re gola immaginabile . Pensai alla dovizia di strane co munità: gli sparsi baktashi e i rufayan, i dervisci mev levi della Torre dei Venti, i liapi di Suli, i pomaki del Rodope , i kizilbashi vicino a Kechro, i pirobati di Mavrolevki, i lasi delle rive pontiche, i linovamvaki (musulmani criptocristiani di Cipro), i donme (mu sulmani criptoe brei di Salonicco e Smirne), gli sla vofoni della Macedonia settentrionale , i cutsovalac-
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chi di Samarina e Metsovo, i cham della Tesprozia, gli sparsi sulioti della Rumelia e dell 'Eptaneso, gli al banesi dell 'Argolide e dell 'Attica, i kravariti mendi canti dell'Etolia, gli empirici erranti dell'Euritania, i bunarioti fallofori di Tirnavos, i karamanlidi della Cappadocia, gli tzaconi del Golfo Argolico, gli ayas siani di Lesbo, i cattolici francolevantini delle Cicla di, i cristiani turcofoni della Caramania, i tintori del monte Ossa, i manga del Pireo, i nobili veneziani dello Ionio, i vecchi calendaristi di Keratea, i testi moni di Geova di Taso, i sarakatzani nomadi del Nord, i turchi di Tracia, i sefarditi di Salonicco, i pe scatori di spugne di Calimno e delle scogliere caribi che, i manioti di Corsica, Toscana, Algeria e Florida, i moribondi grecofoni di Calabria e Otranto, i turchi di lingua greca vicino a Trebisonda sulle rive dell ' Of, gli onnipresenti zingari, i cimarrioti dell 'Acrocerau nia, i pochi gagauzi della Tracia orientale, i mardaiti del Libano, i gazmuli mezzo franchi della Morea, le piccole diaspore di armeni , i bavaresi della località di Iraklion in Attica, i ciprioti di Islington e Soho, i sahib e boxwallah di Nicosia, i pensionati inglesi di Kirenia, i monaci basiliani (vuoi idiorritmici vuoi ce nobiti ) , gli anacoreti del monte Athos, i chio ti di Bayswater e del Guards' Club, i mercanti di Marsi glia, i sensali cotonieri di Alessandria, gli armatori di Panama, i droghieri di Brooklyn , gli amarioti di Lou renço Marques, gli attici di Sfax di lingua shqip, i contadini cretesi di Luxor, gli elasiti di Oltrecortina, gli agenti di cambio di Trieste, i lasi di lingua cri meotatara di Mariupol, i pontici del Mar d'Azov, del Caucaso e del Don , i lasi turcofoni e armenofoni del la Russia meridionale, i greci del delta del Danubio, di Odessa e di Taganrog, i rentiers in villeggiatura perpetua sulle rive dei laghi svizzeri, i vasai di Sifno e della Messenia, i karagunidi della pianura tessalica, i nikliani e gli achamnomeri del Mani, i piccoli lustra scarpe di Megalopoli, i franchi della Morea, i bizan-
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tini di Mistrà, i veneziani, genovesi e pisani dell ' arci pelago, i ragazzi rapiti per farne giannizzeri e le ra gazze rapite per gli harem, le Compagnie catalane , i fabbricanti di incannicciate di lingua kondaritica della Zagarochoria, gli anglosassoni della Guardia Varanga, ye olde Englisshe della compagnia del Levan te, i clefti e gli armatoli, i krumidi della Colchide , i koniaridi di Loxada, i contrabbandieri di Ai-Vali, i lunatici di Cefalonia, gli ammiragli di Idra, i fanano ti della Sublime Porta, i principi e i boiardi della Moldovalacchia, i Ralli Brothers dell 'India, i pente costali di Costantinopoli, i lebbrosi di Spinalonga, i prigionieri politici di Makronissos, gli Hello-boys re duci dagli Stati Uniti, i due rosticcieri giapponesi ex carcerati di Creta, il solitario negro di La Canea e un arabo errante che vidi anni fa a Domokòs, il cinese venditore ambulante di tè di Kolonaki, ucciso nel Pi reo da una bomba durante la guerra: se tutti questi , per nominarne solo alcuni, perché non i criptoebrei del Taigeto? Guadagnavamo quota con rapidità vertiginosa. Sotto di noi si dispiegava a ogni tornante un nuovo tratto di Laconia. Queste colline pedemontane era no già in ombra, ma una luce tenue rendeva imma teriali le pendici dirimpettaie del Parnone . I raggi serali del sole saettavano obliqui tra gli squarci dei monti , riempiendo di verde e d ' oro e d' ombre miti alture e bassure della avvallata Lacedemone . Le an se girovaganti dell 'Eurota erano ridotte a un filo se gnato nel percorso da oleandri che aprivano freschi fasci verdi di foglie puntute e bei fiori di carta bian ca e rosa su poco più che il ricordo d eli ' acqua: un ricordo il cui barlume , negli aridi mesi a venire , avrebbe evitato ai loro petali di languire . Pioppi, sa lici , tremoli e platani ondeggiavano lungo le rive , oliveti macchiavano di verde argenteo i blandi pen dii, e ora l ' ombra dei tronchi si andava allungando. In una ventina di luoghi la luce batteva di sbieco sui 20
dischi delle aie , ognuna liscia e impeccabilmente circolare come la base di un tempio cilindrico e ri lucente adesso come una moneta. Salimmo a una zona dove coppie di aquile, separate da ampi spazi d ' aria, volteggiavano nobili e altere nel loro ultimo volo della giornata. Ombre spigolose avanzavano nella pianura sottostante spegnendo uno ad uno i bagliori delle aie . Niente nella grazia e nell 'incanto di tutto questo ricordava la Sparta aliena dalle Muse e dai libri. Il tempo ha cancellato ogni indizio degli odiosi costu mi di quella Potsdam del Peloponneso, e allo sguar do dello spettatore giunge un messaggio molto più antico, luminoso dell 'indistruttibile verità della leg genda; un annuncio miracoloso e consolante come la mano di Elena argiva posata sulla sua fronte . Ri corda, lo spettatore, che qui sorgeva il palazzo di Menelao, le porte dove Telemaco e Pisistrato frena rono il cocchio per chiedere notizie di Odisseo e ri masero ospiti del re rossochiomato e della sua regi na senza età, e cullati dal nepente si addormentaro no. Poche miglia a nordovest giace la gola che li ri portò a Pilo. Raggiunta Kalamata1 al tramonto, le lo ro ruote l ' indomani rallentarono sulla sabbia. Il banchiere lanciò la jeep su per il pendio via via più erto . Era diventata una gara col sole. La linea d ' ombra saliva sui fianchi del Taigeto inesorabile come la marea, sommergendoci a momenti finché una ripida svolta della strada su cui sobbalzava im petuosa la jeep ci risollevava a un estremo prezioso fulgore . Ma a un tratto, con un ' ultima brusca curva, fummo definitivamente sommersi . La strada piegò verso l ' interno lungo un ' alta, verde vallata d ' alberi e greggi che rapidamente si empiva di crepuscolo. Col crescere dell 'oscurità la valle si fece più quieta e misteriosa; la strada si ridusse a una tortuosa carral. L'antica Fere .
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reccia; alfine le luci di Anavriti cominciarono a ba luginare nel buio. Tale è la forza della suggestione che il primo pastore ci apparve, nei fari della jeep , somigliante a uno yemenita di pelle chiara. Ci aspet tavamo di essere attorniati da un momento all 'altro da una folla di Shylock e Fagin e Svengali , come le meravigliose popolazioni in caffettano, le foreste di barbe rosse e nere, facce ceree, fedine a cavaturac ciolo e neri cappelli di castoro ( a volte rabbinici, con una coda di volpe attorcigliata intorno al cocuz zolo) che circondano il nuovo venuto in molti vil laggi dell 'Alta Moldavia o della Bucovina. Fu un po' una delusione , gi unti al centro diAna vriti, trovarci in mezzo a una comune adunanza di contadini laconici. Qua e là la volontà di credere creava un ' illusione di caratteristiche ebraiche, ma quando lo sconosciuto si avvicinava alle luci del caffè l ' illusione svaniva. Il banchiere si reimmerse nella notte con la sua jeep, e noi, tra un bicchiere e l ' altro di vino, dopo una cena di uova e patate, di scutemmo sul modo di attraversare il Taigeto per entrare nel Mani. « Il Mani ! » esclamarono tutti. Per ché mai ci volevamo andare? Era gente terribile : sel vaggi, infidi, lesti di coltello - machairovgaltes! - e ti sparavano addosso da dietro le rocce . Lo sgome n to era generale. Uno soltanto parlò a loro favore : era bravissima gente, disse; agnelli di gentilezza con gli stranieri. Spiegate le mappe, alzammo il lucignolo del lume. I più dei presenti consigliavano di andare a ovest per i villaggi di Bergandéika e Iannitza alla piana di Kalamata, poi di girare a sud lungo la costa occiden tale del Mani. Alla fine, però, persuasi da un uomo di mezza età e di grave aspetto a nome Iorgo , sce gliemmo una rotta a sudovest che penetrava nel cuore della penisola. Sebbene solo esilissime linee punteggiate attraversassero i molteplici contorni della mappa e le chiazze verdi e viola via via più in22
tense lungo lo spartiacque del Taigeto, essa sembra va più breve . Essendo una rotta impercorribile dai muli , tralasciammo i negoziati per avere un animale e Iorgo accettò di addossarsi il grosso del nostro di sordinato bagaglio e di guidarci fino al borgo di Kambos. Le mappe fanno di ognuno un feldmare sciallo, e gli indici si incrociarono sul colorito pae saggio cartaceo mentre una dozzina di bocche ten tavano di compitare i nomi di luogo dai caratteri a stampa latini, tramutando (ovviamente ) le x in eh, le p in r , le h in v , le h in e , e animosamente improvvi sando suoni per le lettere che non avevano simboli simili nell ' alfabeto greco; con strani risultati. Tutti vollero mettere il dito sul grappoletto di puntini che indicava Anavriti . «Na to! » dicevano, schioccando la lingua. « Eccolo ! Pensa un po ' , a Londra, lontana com ' è , sanno dov'è il nostro villaggio ! » . Le orbite rischiarate dal lume si allargavano di piacere . Il villaggio, dissero, viveva, e floridamente , con ciando le pelli - che arrivavano dalla pianura su mu li e carretti - con la corteccia dei boschi della valla ta. Le pelli poi le tagliavano e le cucivano facendone scarpe e stivali . Tessevano inoltre coperte , e quelle spesse stuoie di corda intrecciata che si usano nei frantoi per la spremitura delle olive . Piccole carova ne di muli carichi dei loro prodotti partivano di continuo, a vendere la mercanzia di casa in casa nei villaggi di montagna e nei mercati della Laconia, della Messenia e dell 'Arcadia. Questa attività indu striale e mercantile è insolita in una piccola comu nità montanara; e vuotate che furono parecchie brocche di vino arrischiai finalmente la domanda che per tutta la sera avevo avuto sulla punta della lingua: cos ' era questa storia delle origini ebraiche del loro villaggio e di Tripi? Ci fu un allegro scoppio di risa. « Sono tutte sciocchezze » disse uno . « Quei son nacchiosi zoticoni di pianura sono gelosi perché noi 23
siamo più in gamba e più laboriosi di loro, e soprat tutto » si chinò in avanti con un sorriso d ' intesa « perché siamo più bravi negli affari » . « Vero » convenne un altro . « Non ce n ' è , più sve gli degli anavritesi. Siamo capaci di ferrare un pi docchio » . Chiuse un occhio e un gesto preciso del le mani callose mostrò questa delicata operazione maniscalchesca, afferrando con le dita della sinistra la zampetta posteriore di un immaginario pidoc chio e manovrando con la destra un microscopico martello. « Siamo capaci di volare » disse un altro. « Saremmo capaci di venderle l ' aria » aggiunse un quarto. « Dormiamo con un occhio solo » spiegò un quin to . « La gente di pianura è gelosa perché siamo più svelti di testa » riprese il primo . « Vengono quassù a comprar lana e li rimandiamo giù tosati ! » . Il buo numore era universale . Comparve altro vino . « Siamo cristiani tale e quale a loro, sempre stati » . « Sì , ma da quando va in giro la storiella della di scendenza ebraica? » . « Da sempre » fu la compiaciuta risposta. « Da un secolo di secoli . . . » . U n paesano vecchi otto di nome Dimitri, che ci aveva adottati per la notte , ci condusse alla sua a bitazione. Sulle viuzze sporgevano balconi larghi quanto le case o quasi, cui si accedeva dali ' esterno mediante scale diagonali munite di parapetto e pog gianti su pali di legno. Su uno di questi balconi la moglie di Dimitri stese coperte rosse e trapunte a ri paro dall ' aria montanina. Dimitri, fumando un ' ulti ma sigaretta appoggiato alla ringhiera, disse che se condo lui c ' era forse qualcosa di vero nella storia degli e�rei e della fuga da san Nicone. « Ma chi può dirlo? E roba di tanto tempo fa . . . secoli e secoli . . . forse più di cent'anni. . . » . 24
C ' era luna nuova. Gli anavritesi, dunque, chi era no? Greci comuni, probabilmente, come il resto della Laconia. Dopotutto, i kravariti avevano detto che i gelsi di Perista erano stati piantati là secoli ad dietro dagli ebrei, e dagli tzaconi di Ai. Andrea ave va chiamato « ebrei » gli abitanti della vicina Karako vouni - forse intendendo semplicemente « stranie ri » , o gente ignara del dialetto tzaconico; e i chioti sono soprannominati « ebrei » a causa del loro acu me commerciale . . . Eppure le attività degli anavrite si . . . era un busillis. Dopo l 'invasione slava del Pelo ponneso , questi monti furono ricetto di una selvag gia tribù bulgara, i melig. Che alcuni di costoro, più restii degli altri all ' assimilazione e ancora pagani, siano stati detti « ebrei » , e che questo nome sia so pravvissuto anche dopo la loro conversione e assimi lazione? Documenti non ce ne sono, e accertarlo è impossibile. Ben presto un sonno pesante di vino spianò queste rughe di perplessità. Solo molto più tardi l' enigma si avvicinò in qual che modo a una soluzione . Perché ebrei nel Pelo ponneso c ' erano stati effettivamente. Gemisto Pleto ne (il grande umanista alla corte dei Paleologhi a Mistrà pochi anni prima dell 'occupazione turca, il cui corpo fu recuperato da Sigismondo Malatesta e sepolto a Rimini ) sosteneva che gli abitanti del Pelo ponneso erano di purissima stirpe ellenica. Il satiri sta tardobizantino Mazaris, in un libello arieggiante a Luciano intitolato Soggiorno di Mazaris nell'Ade e scritto in modo atroce , si fa beffe di questa asserzio ne, dividendo la popolazione della Morea in greci (lacedemoni e peloponnesiaci ) , italiani (i resti dei conquistatori latini ) , slavi ( sthlavini) , illiri (cioè alba nesi) , egiziani (zingari ) e ebrei. Il libello è sospetto, essendo stato scritto col dichiarato intento di attac care Pletone; ma le notizie storiche prestano qual25
che verosimiglianza alla sua tesi. Beniamino di Tude la e Abraham ibn Daoud, i due rabbini e viaggiatori spagnoli del XII secolo, parlano di comunità ebrai che sparse da un capo all 'altro della Grecia e del l' Impero. Il Sinassario (che narra le vite dei santi or todossi) dice che san Nicone rifiutò di salvare la città laconica di Amide dall 'ira dei cristiani se non ne ve nivano espulsi gli ebrei, « perché gli ebrei, come gli slavi melig del Mani, erano un grande ostacolo alla diffusione della verità del Vangelo » . L'accademico greco N. Bees riferisce che Tripi era nota come « un " avamposto di Mistrà, l ' ebraica Tripi » . Dunque , per ché non anche Anavriti? Da quanto tempo tutti que sti ebrei si erano stabiliti nel Peloponneso? Con mia grande sorpresa trovai in Giuseppe Fla vio e nel primo libro dei Maccabei notizia di antichi rapporti tra Sparta e gli ebrei; di come Gionata, sommo sacerdote durante il regno di Demetrio Ni catore (circa 140 a. C . ) , mandò un ' ambasceria agli spartani, ricordando loro gli antichi legami del tem po del sommo sacerdote Onia e di Areo II re di Sparta (che regnò dal 264 al 25 7 a.C. ) . Più sorpren dente ancora è una lettera del re : « Areo re dei La cedemoni a Onia Sommo Sacerdote , salute . Sta scritto che i Lacedemoni e gli Ebrei sono fratelli, e sono della stirpe di Abramo; ora, perciò, essendo questo venuto a nostra conoscenza, farete cosa buo na scrivendoci della vostra prosperità. Noi vi rispon deremo che i vostri armenti e beni sono nostri, e i nostri sono vostri . . . ». Non gravato ancora da tutte queste complicazio ni, continuai placidamente a dormire . 1
l. l Mac, 12, 21-24.
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2 L'ABOMINIO DELLA DESOLAZIONE
Sulla mappa la parte meridionale del Peloponne so sembra un dente deforme appena strappato dalla gengiva, con tre penisole protese a sud come scheg giate e cariate radici. Il rebbio centrale è formato dalla catena del Taigeto, che, dalle colline perle montane a nord nel cuore della Morea alla punta di Capo Matapan battuta dalle tempeste a sud, si allun ga per un centinaio di miglia. Per circa metà della sua lunghezza - settantacinque miglia sul lato occi dentale e quarantacinque sull' orientale , per una larghezza di cinquanta miglia - il Taigeto si spinge affusolandosi in mare . Questo è il Mani. Dato che la catena supera i 2400 metri nella parte centrale, ca lando a nord e a sud di balza in balza, queste distan ze a volo d'uccello si possono tranquillamente rad doppiare e triplicare, e a volte , calcolando via terra, decuplicare . Come il Taigeto dell 'entroterra divide la pianura messenica dalla laconica, il suo prosegui mento, il Mani immerso nel mare, divide l 'Egeo dal lo Ionio, e il suo capo selvaggio, il Tenaro, l' ingresso nell 'Ade degli antichi, è il punto più meridionale 27
della Grecia continentale . Nulla se non il vuoto Me diterraneo, che s ' inabissa a profondità enormi, gia ce tra questo sperone di roccia e le sabbie africane, e da questo punto l 'immensa muraglia del Taigeto , l e cui cime più alte sbarrano i confini settentrionali del Mani, innalza un nudo e arido inferno di roccia. Ma tutto questo, quando l 'indomani mattina ci inerpicammo su per il fianco nordorientale, era an cora affare di congetture e di sentito dire . lorgo, curvo a guisa di Atlante sotto il nostro bagaglio , ar rancava molto più in alto . Le cinghie dello zaino cretese in cui avevo stipato la minutaglia d ' avanzo mi segavano le spalle . . . I castagni di Anavriti erano lontani in basso, e man mano che salivamo la pendi ce scoscesa e il sole saliva in cielo vasti tratti di Mo rea si stendevano sotto di noi. Il cammino diventò presto più ripido e il sentiero si attorse finalmente in un bosco di conifere tra gotico e alla Grimm dove scivolavamo di continuo all' indietro sulle pietre smosse e sugli aghi di pino. Emersi , ci volgemmo a guardare giogaie e giogaie di monti peloponnesiaci - il Parnone , il Menalo , fino ai picchi lontani e ver tiginosi del Cillene e dell 'Erimanto, e qua e là, tra i varchi delle sierre spartane e arcadi, remoti triango li azzurri di Egeo e del golfo di Argo . Ma di fronte avevamo un muro sgradevolmente alpino di mine rale: scisti e ghiaioni color grigio chiaro, resi ancor più repellenti da uno sparsume di rachitici alberi di Natale. Queste tormentose ore di ascesa sembrava no non dover mai finire . Un ammasso di scorie escluse il mondo benigno giù in basso; il sole mar ciava in alto per un ' aria immota e rovente . I piedi diventarono palle di cannone , i pesi si mutarono in piombo , le mani scivolavano sull 'impugnatura del bastone e fiumi di sudore grondavano sui visi infuo cati gocciolandoci in bocca come salamoia. Perché, ci chiedevamo di continuo , sebbene troppo sfiatati per parlare , uno si imbarca in questi furiosi incontri 28
di lotta, in questi massacranti corpo a corpo col su blime? Criminali su invisibili ruote di punizione, la nostra fatica continuava per ciechi inferni simili a discariche di forni da calce . . . Infine gli alberelli ger manici si estinsero, e l 'erta terribile si appianò in un disteso prato verde cosparso di fiori e adorno di un ' unica macchia di cisto con un fiore somigliante a una profumata rosa canina. Iorgo aspettava in un ' ultima angusta fenditura poco più su. Era lo spartiacque del Taigeto , definito così nettamente che si poteva mettere il dito sul filo di un sasso e di re « eccolo » . Ancora un passo, e fummo di là nel Mani . Un subisso di brulli picchi grigi si ergevano preci piti da gole tortuose ad altezze pari o superiori alla nostra; inclinati ad angoli pazzeschi, cadevano così a strapiombo che era impossibile vedere cosa c' era, un mondo più in basso, in fondo al canyon imme diatamente sotto di noi . Tranne dove gli spigoli ta glienti erano stati smussati da una frana, le monta gne parevano dure come l ' acciaio . Era un luogo morto , astrale, un habitat da draghi. Ogni cosa era immobile. Non un ' aquila librata in volo, non un suono né un segno che esseri umani avessero mai calpestato quei sassi; immensi dirupi rocciosi sem bravano sbarrare ogni via di fuga. La luce a picco, senz ' ombra, si riverberava dalla pietra con un ba gliore metallico, e tutto il paesaggio era come per corso da un brivido continuo, tremolando e ondeg giando nella feroce vampa meridiana. Il solo barlu me di salvezza appariva lontano, a sudovest: dove at traverso una fenditura nella prigione dei monti luc cicava un pallido e caliginoso spicchio di Ionio, con all 'orizzonte un fantasma di penisola messenica. Tutto, tranne quel remoto luccichio , era l ' abominio della desolazione. Su una stretta cornice sovrastante questo caos tro vammo una fon te miracolosa: un filo d ' acqua fred29
da e chiara che si raccoglieva in un tronco cavo fo derato di muschio verdissimo. Un fico selvatico ge sticolava là sopra. Qui, dopo lunghe sorsate , ci sten demmo coi piedi appoggiati ai macigni. Mentre il sudore si asciugava in pozze saline e il polso man mano rallentava, contemplammo le tenui volute di fumo azzurrino sciogliersi in cielo; tornò a poco a poco la parola. Quelle cime spoglie , secondo Ome ro, erano la dimora di Artemide e di tre ninfe dal piede caprino, che trascinavano il viaggiatore solita rio in una danza campestre conducendolo ignaro verso il precipizio, dove con uno sgambetto lo man davano a capofitto nel baratro. . . All' improvviso un ' altra meraviglia venne ad accr�scere il nostro be nessere: un alito fresco di vento. E questa una bene dizione di rado assente nel Peloponneso di mezza estate . Dopo lunghe mattinate torride, quando sem bra che il pomeriggio possa recare soltanto più raffinati supplizi, l ' aria statica, riscaldata oltre misu ra, d' improvviso s ' innalza come una mongolfiera, e la minaccia subitanea di quel vuoto aborrito dalla natura, traendo fresche correnti dal mare per le go le tortuose, crea un delizioso trambusto atmosferi co: un venticello fresco e regolare che rianima il viaggiatore boccheggiante. Un fioco tintinnio di sonagli dall ' abisso rivelò che capre lontane si scrollavano di dosso l ' ipnotico tor pore meridiano. lorgo frattanto affettava cipolle , aglio e baccelli di paprica verde in una cavità della roccia. Scapitozzato un cetriolo l ' offrì a Joan , che senza una parola se lo applicò sulla fronte . ( Questa usa�za curiosa spande sulla fronte una grata frescu ra. E normale , in estate, veder gente seduta a man giare o magari in giro per strada con queste miste riose escrescenze verde scuro che sporgono dalla te sta come il corno incipiente di un unicorno giovi netto) . Pescando nel cavo del tronco, Iorgo estrasse dalla fonte tre paximadia e li avvolse in un panno 30
per spremerne l ' acqua prima che si inzuppassero troppo . Queste ruvide fette color bruno scuro di pa ne biscotto - cibo primario dei pastori greci e degli eremiti basiliani medioevali - si conservano per me si. Dure come fossili , sono eccellenti, specialmente con l ' aglio , se inumidite al punto giusto. (l rettan goli cotti al forno hanno profonde scanalature per facilitarne la spezzatura, e i frammenti staccati somi gliano moltissimo ai bruni isolotti brulli sparsi intor no alle coste greche ; tanto che vari piccoli arcipela ghi - in particolare i roccioni che emergono dal Mar Libico a sud di Creta - sono chiamati Ta Paxi madia) . Svolto il panno, Iorgo li mise su un sasso, spruzzò di salgemma cipolle , pomodori, pepe e ce triolo e vi versò dell ' olio . Poi prese una foglia di fico su cui ammonticchiò a piramide una manciata di olive nere e tirò fuori una bottiglietta di vino. Ci ac costammo , lui si segnò tre volte e ci mettemmo tutti a mangiare . Al termine, vuotato a turno il bicchiere e assorbite con pezzetti di paximadia le ultime tracce d ' olio, lorgo ci offrì certe piccole pere verdi, dure e dolci. Ci appoggiammo alle rocce a fumare , e in tan to lui raccolse meticolosamente ciò che restava dei paximadia, lo baciò e lo annodò in un panno. Per un divieto superstizioso, solo le briciole più minute di pane si possono gettar via; e il bacio è un ringrazia mento e un ricordo dell ' Ultima Cena. Iorgo era un uomo biondo di capelli , cordiale ma piuttosto silen zioso. « N o n vi dovete addormentare sotto un fico » disse, vedendo le nostre palpebre calanti . « Perché no? » . « L' ombra è pesante » . L'avevo già sentito dire , specialmente a Creta. Di questa pesantezza non si dà una spiegazione , salv? che sarebbe causa di capogiri e di brutti sogni. E una superstizione strana come quella caribica per cui dormire sotto le campanule di una datura in 31
fiore fa impazzire. Mi spostai un tantino, per corte sia, pur non avendo mai sofferto di questi effetti ma ligni . lorgo era steso con la testa su un sasso. Quando mezz ' ora dopo ci svegliammo c ' erano poco discosto due figurette che ci fissavano , e dietro a loro cinque o sei capre , non annunciate da scam panellii. Le chiamammo ma non risposero e non si mossero, e solo dopo lunghe blandizie e assicurazio ni che non eravamo !adroni né banditi si arrischia rono un po ' più vicino. Erano due bambinette di dieci e dodici anni, scalze , cenciose , con visi da ico na, bellissime; scurite dal sole come zingare , i capel li scorciati alla meglio, le gambe brune graffiate dai rovi. Sedettero una accanto all ' altra sui sassi , con le mani strette intorno alle ginocchia, e ci bevevano con immensi luminosi occhi neri, stranamente misti d' innocenza e saggezza sotto sopracciglia simili ad ampi tratti arcuati di penna, che sembravano riem pire il volto intero . Delicate , fini d ' ossa e solenni, non avrebbero potuto essere altro che greche; non tanto greche dell ' età pagana quanto della specie spiritualizzata che guarda dai muri di Santa Sofia e di Ravenna: la straordinaria combinazione di distac co e intensità divorante che si irradia dalle orbite delle Madonne e delle imperatrici orientali . Si chia mavano Anastasia e Antiope. Troppo timide per parlare , la sola loro manifestazione vocale era di tanto in tanto un grido - accompagnato dal lancio di un sasso o da un minaccioso svolazzo di bastone verso la capra che si allontanava troppo dal gregge . Poi tornavano al loro esame attonito e silenzioso. Demmo alle bambine le nostre pere residue , e ci ringraziarono con gravità cortese , ma le tennero , dissero, per mangiarle più tardi. L e pere rimasero come offerte votive nelle loro mani a coppa. Quan do ci alzammo e le salutammo ci chiesero , d 'im provviso loquaci, perché non restavamo, e la mag giore indicò con un gesto circolare il paesaggio ru32
pestre , come per dire che casa loro era a nostra di sposizione. Ma noi prendemmo su i fagotti e ci av viammo per la scesa. « Andate al bene » disse una di loro, e l ' altra: « Ab biate la buon ' ora! » . Le figure immobili delle due piccole bizantine rimpicciolirono col nostro zigzagare giù per il mon te . Ancora di lontano percepimmo lo sguardo ful gente di quei grandi occhi puntati dalla cengia a mezza via dal cielo. Un attimo prima che sparissimo in basso sventolarono la mano. Da queste parti la gente è poca, osservò Iorgo . « Sono selvatici, timidi, non sono avvezzi a parlare » . Drizzò il dito in aria. Il canyon si serrava intorno a noi. « Vedono solo Dio, nient' altro » . La costa del monte che scendeva nel baratro era un erpice coi denti all 'insù, gli spazi tra i denti erano ingombri di massi e di sassaglia, e il pendio era così ripido che un passo su due scatenava una frana pri vata. Sdirupando in un rotolio di pietre che echeg giava a scariche lungo la gola arrivammo finalmente al fondo. Il letto del torrente , pieno di massi sbiancati, vol geva serpeggiante chissà dove imprigionato tra pa re ti di roccia. Desolatissimo. A volte il letto asciutto si allargava in un ' ansa ciottolosa, per richiudersi in strettoie che dovevano mutare le piene invernali in un gonfio tumulto di schiuma e di spruzzi . Adesso non c ' era un filo d ' acqua; solo di tanto in tanto l ' emblema fedele di un oleandro . Ma una svolta ci portò a un ombroso e idilliaco folto di platani che crescevano intorno all 'entrata di una grotta, adatta ta con lastre di pietra a ovile per le greggi. Un grup po di uomini e donne erano accoccolati o distesi sotto il fogliame . Ai rami bassi erano accavezzati de gli asini , e le capre di cui avevamo sentito il lontano 33
scampanellare dalla cima del monte mangiucchia vano una vegetazione invisibile tra i sassi. Bronzei calderoni di siero gorgogliavano su fuochi di rovi , panni gocciolanti pieni di cacio fresco pendevano dai rami tra colorite bisacce , vincastri, coperte , un paio di fucili a due canne e una culla portatile simi le a un papoose pellerossa dondolante come un pen dolo . Selle di legno, a tre delle quali fummo pronta mente indirizzati - selle laterali, sono comodi sedili quando stanno per terra - erano sparse in giro. U o mini e donne , magri e scuri come algonchini , por tavano cappelli di vimini intrecciati, con la tesa di quasi un braccio di diametro : enormi dischi su cui le ombre del fogliame dei platani guizzavano e ro teavano e scivolavano con i movimenti della testa. Ci diedero dei cucchiai di legno e una mezza zucca di latte caldo con un pizzico di sale , e poi ci sottopose ro a un serrato interrogatorio sulla politica inglese , le probabilità di guerra, la questione di Cipro, la strategia mediorientale e il carattere della Costitu zione britannica. Uno dei pastori, posandoci la mano sulle spalle , disse che il grande legame tra Grecia e Inghilterra era che avevamo entrambi re e regine . Era la prima volta che venivamo in contatto con l ' incrollabile fe de monarchica del Mani. Piccole casseruole dal lun go manico furono spinte sulle braci, e dopo il caffè e addii calorosi come se partissimo dopo un mese di soggiorno proseguimmo lungo la gola. Le nostre mani furono colmate di doni di mandorle e pere , e la nostra roba caricata su un mulo condotto da un ragazzo sedicenne di nome Chrisanthos. Iorgo , compiuto il suo ufficio , si accommiatò e risalì spedi to su per il monte come se avesse gli stivali delle set te leghe. Presto fu un lontano puntolino in alto . A noi pareva incredibile , ma contava di essere di ritor no ad Anavriti all ' alba. Le sue ultime parole furono un bisbigliato monito circa gli abitanti del Mani . . . 34
Più in là nella gola Chrisanthos ci additò delle os sa sparse . « Ecco qua, » disse « i resti di un ribelle » . Non so nulla di anatomia, ma sembravano proprio frammenti di un bacino umano, una tibia e un paio di costole . Poi notammo un vecchio stivale e un brandello marcio di stoffa. Poco più avanti il ragaz zo raccolse un bossolo vuoto e ci fischiò dentro . « I monti qui erano pieni di quei cornuti, » conti nuò « una vera roccaforte . Ci voleva uno come Papa gos per farli fuori » . Raccontò, mimando l' atto di mirare e premere il grilletto con gesti a scatti ac compagnati da tutta l ' onomatopea della battaglia il fischio delle pallottole , il tartagliare delle mitra gliatrici, gli scoppi delle bombe di mortaio - come le forze ribelli erano state battute e distrutte . . . « Do po nei monti ci fu per settimane puzza di elasiti morti. Un bel repulisti. Ma si batterono come cani. Come cani! » . Mostrò i denti. « Perché in fin dei con ti erano greci, e sapevano combattere . . . » . La gola si fece di un ' angustia claustrofobica, e cia scun lato con le sue vorticose stratificazioni comba ciava col compagno così perfettamente come se fos sero stati divisi da una coltellata. Sopra di noi quasi si congiungevano - attraversati a un certo punto, molto in alto , da un vecchio ponte ad arco - immer gendo il fondo pietroso in una penombra di grotta. Cornici e gronde di roccia madida si protendevano con gocciolanti stalattiti, e un manto via via più fol to di rampicanti, erbacce e arbusti nani soffocava le pareti convergenti. Era un cammino umido e tetro, le rocce rilucevano di rughe trasudanti e di bave di lumaca, e festoni di ragnatele decoravano il corri doio. A ogni passo ci spazzavamo dal viso e dai ca pelli il serico viluppo delle loro maglie lacerate . « Per di qua non ci vengono in molti » osservò Chrisanthos, fendendo i veli di questo ,grigio sar tiame e ripulendo dai cenci il bastone. « E un brutto posto » . 35
Picchiò il bastone su certi massi e una schiera di pipistrelli si levò strepitando verso la fettuccia di cie lo in alto. Una volta sloggiò una civetta di Pallade Atena, che volò silenziosa sul ramo di un fico selva tico e finché fummo in vista ci guardò nell' esatta positura di vigile attenzione che conosciamo dalle monete greche, corpo di profilo e faccia intera di fronte. Infine le pareti cominciarono a divaricarsi e a sce mare . Il cielo si allargò . Una vecchia strada lastrica ta che scendeva tortuosa da est ci riportò in alto per un pendio più mite, mentre il letto del fiume e la sua gola declinante si allontanavano verso ovest. Se guimmo Chrisanthos su un poggio che ci disse esse re il sito di un antico tempio di Artemide, e in effet ti grandi blocchi irregolari di mura pelasgiche ag gettavano a bastione in difesa del corridoio che ri portava al passo, e in cima al poggio, presumibil mente sul luogo del tempio scomparso, sorgeva, cinta da impalcature , una vecchia e bella chiesa. L'interno era una giungla di funi, travi, ponteggi, e tre muratori, con quei cappellucci di carta del ti po portato dal Falegname in Alice nel paese delle me raviglie (fatti, in questo caso , con fogli ripiegati dell ' « Akropolis » e dell ' « E thnikòs Kirix » ) , sedeva no fumando in mezzo a detriti d ' intonaco. Stavano riparando la chiesa, ci dissero, colpita l' anno prima dal fulmine. Ci portarono su per una scala a pioli in cima al nartece . La luce del giorno penetrava dalle fessure , frammenti dello jubé si erano staccati, e grandi crepe correvano sulle pitture murali . I mu ri erano popolati da vivaci affreschi seicenteschi, splendenti di aureole dorate e delle macchie azzur re e rosse delle vesti; tutti erano dominati dal patro no della chiesa, san Demetrio , cavalcante un de striero che s ' impennava. Un raggio di sole cadeva su una minacciosa figura dello Sterminatore che bran diva alta una spada fiammeggiante . Un muratore ac36
carezzò la sua corazza con la figura della Gorgone , e le due orride facce sbalzate sugli schinieri d'ottone. « Guardate quei due brutti diavoli ! » . Indicò la fac cia sulla gamba sinistra. « Questo è Stalin » disse, poi a destra: « e questo è Gromyko » . Le montagne erano alle nostre spalle, e le colline pedemontane digradavano in dolci ondulazioni ver so il mare punteggiate di villaggi e di aie biancheg gianti. Al di là degli ultimi colli erano la placida di stesa del golfo di Messenia e la penisola più occi dentale del Peloponneso , dove si trovano Methoni e Koroni. A nord una grigia spalla del Taigeto celava la parte più interna del golfo, dove friggeva Kalama ta. A Galtes, il primo villaggio, ci fermammo per un bicchiere di vino sotto una pergola in compagnia del pre te e di alcuni paesani con quei grandi cap pelli manioti, poi continuammo a scendere . La stra da si snodava in agevoli sinuosità. Il sole del tardo pomeriggio ammorbidiva ogni cosa, e insieme al sollievo di essere sfuggiti alla prigione dei monti ca ricava l ' aria di un senso di benessere e di vacanza. Arrivati a una piccola pianura ci imbattemmo in una schiera di muli , tre dei quali montati da giova notti . Uno era un compagno di battesimo di Chri santhos, sicché potemmo subito issare le nostre stanche membra su una sella. « Da Kalamata? chiese il compagno di battesimo . « No , da Anavriti » . « E dov'è? » . « Dall ' altra parte del Taigeto » . Era chiaramente incredulo, finché Chrisanthos non gli assicurò che era vero . La sua compassione fu immediata. « E la signora . . . mi scusi, non conosco il suo nome . . . ? » . « Ioanna » . « E la kiria Ioanna anche? Po, po, po! Sarete morti ! Quelle rocce da capre ammazzerebbero chiunque . Sono una disperazione, ti fanno sputare l ' anima » . »
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Fece un viso grave . « C ' è solo un rimedio, quando uno è tanto stanco » . Parlava con la serietà di un dia gnosta. « Un caffè medio ben bollito . Poi, dopo mezz' ora, » chiuse e alzò il pugno, e col pollice teso fece il gesto di versare in bocca « vino . Vino buono . Molto vino » . La sua fronte corrugata divenne anco ra più grave, e per evitare ogni equivoco decise di iiformulare la frase . « Quando arrivate a Kambos » indicò la cittadina davanti a noi, di cui sentivamo da qualche minuto le campane « dovete bere molto vi no » . Passavamo per un oliveto che cresceva da una ter ra rossa sparsa di pietre . I rami contorti erano stri duli di cicale. I muli trottavano svelti, e nell' eccita zione di avvicinarsi a casa ruppero quasi in un ga loppo. La piccola cavalcata sollevava un polverone che i raggi del sole mutavano in una trasfigurante nuvola rosso-oro. Tirammo le redini ai margini di Kambos, perché i muli andavano a Varousia a pren dere dei sacchi per il grano trebbiato durante la giornata. Il sole era tramontato ma gli alberi e le pri me case di Kambos splendevano ancora della luce immagazzinata dall ' alba. Sembrava che ardesse dal di dentro col fulgore particolare , interiore, dell ' e state greca, che dura per un ' o retta dopo il tramon to , di modo che i muri bianchi e i tronchi degli al beri e le pietre svaniscono infine nell' oscurità come lampade che si spengono lentamente . « Non dimenticate i l mio consiglio » disse i l mulat tiere , e con un tamburellare di zoccoli la vispa trup pa di muli si allontanò tra gli olivi nella sua strana aureola di polvere . La ricetta era eccellente . Seduti dopo cena nell ' u mile platia di Kambos, convenientemente narcotiz zati dal vino, tutta la stanchezza della lunga scarpi nata diurna si risolse in un torpore piacevolmente 38
nebuloso. Di là dai tetti e dal fogliame, nel balugi nio delle stelle e di un esile fantasma di luna nuova, la mole del Taigeto appariva più che mai dirupata e impervia. Sembrava impossibile che solo quella mattina fossimo partiti dalla remota pseudo-Giudea dell ' altro lato. . . La nostra fierezza, peraltro , si sgonfiò alquanto al pensiero di lorgo che in quello stesso istante attraversava i monti a gran passi. . . Un ' alta figura, dandoci la buonasera e sedendosi su una sedia accanto , ruppe il filo della nostra sonno lenta conversazione. Era un tipo magro, donchi sciottesco , con guance infossate e foltissimi soprac cigli . Mise sul tavolo un ekatostti:riko di vino e riempì i bicchieri . Gli chiedemmo notizie sulla cittadina di Kambos. « Un posto miserabile, » disse « praticamente un sobborgo di Kalamata, anche se ci corrono ore di strada, e gli abitanti sono un branco di buoni a nul la. Sono valacchi « Valacchi? Nel Peloponneso? » . « N o i li chiamiamo così » . Dissi che non avevo mai sentito che ci fossero va lacchi a sud del golfo di Corinto, e mai pensavo di trovarne nel Mani. « Qui non è il vero Mani, » disse lui è quello che chiamano l 'Exo Mani, il Mani Esterno. Dovete arriva re al Mesa Mani, il Mani Centrale o Alto Mani, a sud di Areopolis, per trovare dei veri manioti. Loro sono tutta un 'altra cosa. Gente onorata, alti, di bell' aspet to, ospitali, patriottici, intelligenti , modesti . . . » . « Sicché lei non è di Kambos? » , « Dio mi guardi ! » . « E di dov' è? » . « Dell'Al to Mani » . ».
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«
l . Si veda oltre , p. 96.
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KARDAMILI : BISANZIO RESTAURATA
Kambos di giorno era un paesotto torrido e ano nimo, e fummo lieti di andarcene . Mentre aspetta vamo la corriera sulla piazza del mercato, l ' alto-ma niota dal volto dolente venne verso di noi a lunghi passi, sotto la paglia del suo gigantesco elmo di Mambrino . Tirò fuori un lindo fazzoletto azzurro in cui erano annodate susine e regine Claudie. Le sbucciò per benino con un coltello a serramanico , le gettò a rinfrescare in bicchieri di retsina e ce le offrì a turno infilzate in una forchetta. Ci sono mo menti in Grecia in cui sembra di poter vivere al mo do di Elia, senza preoccuparsi del cibo: il pasto ti compare sotto il naso come portato dai corvi . Il no stro benefattore era in preda a un ' acuta malinco nia. Detestava vivere a Kambos fra quegli scimuniti valacchi. Tornò a parlare dell 'Alto Mani come di una Canaan bramata e irraggiungibile . E perché non viveva là? « Non me lo chiedete » disse , e fece con la mano aperta quello stanco gesto circolare che allude a un cumulo di complicazioni sulle quali è tedioso e irritante diffondersi. « Problemi. . . » disse . 40
Mi balenò che si trovasse coinvolto in una delle fai de per cui il Mani è famoso, e fosse venuto a rifu giarsi in questi alieni bassipiani. " Dovreste essere là in autunno, .. disse " quando le quaglie passano a milioni . Noi stendiamo reti e me ttiamo trappole , e le arrostiamo allo spiedo . . . Se mi date il vostro indirizzo di casa e se Dio mi dà vita fino all ' autunno potrei mandare laggiù mia nipote a riempire un bel barattolo di quaglie sott' olio, e ve le mangerete a Londra come mezé Il coperchio potremmo chiuderlo col saldatoio . . . .. La corriera ci portò a scossoni per una strada tut ta curve sopra il golfo di Messenia. Due volte i pas seggeri dovettero scendere per superare tratti disse stati , finché dopo un ' ora giungemmo in vista di Kar damili, un borgo turrito in riva al mare . Parecchie torri , una cupola e un campanile s ' innalzavano sui tetti, e immediatamente al di sopra un cornicione formava un bel ripiano coperto di cipressi. Sopra ancora si ammassava il nudo Taigeto. Era un borgo diverso da tutti quelli che avevo vi sto in Grecia. Le case , simili a castelletti di pietra do rata, con torrette a pepaiola d ' aspe tto medioevale, erano sovrastate da una bella chiesa. I monti preci pitavano fin quasi al bordo dell ' acqua, con qua e là, tra le case imbiancate a calce dei pescatori vicino al mare , grandi canneti fruscianti alti tre metri e tutti ondeggianti all ' unisono al minimo soffio di vento. C ' era sabbia sotto i piedi e re ti appese da un albero all ' altro . Accanto a più d ' una porta stavano , an ch ' esse imbiancate, anfore a costoloni per l' olio e il vino, grandi quasi quanto quelle scavate nel palazzo di Minosse . Ancora una volta mi chiesi come venis sero fabbricati quei recipienti enormi : troppo grossi per un vasaio che non sia un titano con braccia lun ghe due metri . Le teorie, al solito, abbondano. Al cuni dicono che un uomo entra nella giara nascen te come un !adrone delle Mille e una notte, e costrui. . .
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sce le pareti che si allargano e restringono man ma no girando su una grande ruota; altri che le due metà sono costruite separatamente e poi messe in sieme; altri che le anfore sono formate in stampi gi ganteschi; altri ancora che sono fatte con un nastro d' argilla awolto in una spirale prima larga e poi stretta finché il cerchio finale dell'imboccatura è completo: col che si vuole dar conto delle costole e scanalature che cingono l ' anfora da cima a fondo . . . I n tutta la Grecia avevo sentito che queste anfore ve nivano da Koroni nella penisola messenica, sull' al tro lato del golfo. Strano che anche qui, così vicino, ci fosse tanto contrasto di spiegazioni. C ' erano solo quattro uomini nel crocchio che interrogai tra le barche da pesca tirate in secco. Se fossero stati di più il totale delle spiegazioni sarebbe senza dubbio aumentato in proporzione . 1 Per l a prima volta - durante l a conversazione , e dalle insegne dei pochissimi negozi - mi accorsi di una tipica desinenza dei nomi manioti, che in Gre cia non si trova altrove : Koukéas, Phaliréas, Tavou laréas, eccetera. L'ultimo di questi era il nome del maestro elementare , uomo erudito e amabilissimo che ci parlò del tempio scomparso delle nereidi edificato a Kardamili a commemorazione del gior no in cui le ninfe marine vennero a riva per con templare il figlio di Achille , Pirro - o Neottolemo, com ' è chiamato in Omero - quando questi partì per sposare la rivale di Andromaca, Ermione . Il sito è ora occupato dalla chiesa, dedicata alla Dormizio ne della Vergine. C' era un rosone di marmo al cen tro del pavimento sotto il q u ale anni prima un rab domante aveva divinato la presenza, a qualche me tro di profondità, di grandi quantità d' oro; forse l . Sono stato in seguito a Koroni , e ora possiedo uno di quei va si stupendi . « Li costruiamo grumo a grumo partendo dal fon do , » spiegò il vasaio « come le rondini fabbricano il nido » .
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monili di una tomba precristiana. Stranamente, nes suno si era dato da fare con i palanchini . . . In una stanzetta della scuola c' era una lapide funeraria ro sa antico con la bella incisione in caratteri ellenistici di un epitaffio a ricordo del grande amore e rispet to nutrito da tutti i contemporanei per il defunto, « l ' efebo Sosicle il Lacedemone ». L'iscrizione termi nava con la delicata voluta di un nastro annodato e vibrante . Sopra il villaggio, sul fianco rovente e irto di cactus del monte , il maestro indicò due vasche rettangolari ritagliate dalla roccia: i sepolcri , dopo tante vicissitudini, di Castore e Polluce; o così si rite neva . . . Sembravano troppo corti d' assai per il gran pugile e il suo gemello domacavalli, le cui costella zioni splendono alternativamente in cielo. Più avan ti un ' oscura cisterna era scavata nel monte , sormon tata da una testa leonina rozzamente scolpita, e ol tre ancora, proprio accanto alla c h iesa dorata, c ' era no i ruderi di un forte , con torrioni, finestre a sbar re e scalinate di pietra grezza. Il castelluccio e la chiesa, ci dissero , erano stati costruiti da un discen dente dei Paleologhi che qui aveva cercato scampo dai turchi dopo la caduta di Mistrà nel 1461 . Una campanona incrostata di verderame, con l ' effi gie a sbalzo di un vescovo cattolico con mitria e pastorale e una scritta che la diceva « dono degli eredi della famiglia de Bolis >> , era appesa nel cam panile - forse un regalo dei veneziani quando i ma nioti erano loro alleati contro i turchi, o bottino di una scorreria piratesca. Il maestro raccontò che Ko loko tronis, quando era qui con i suoi clefti prima dello scoppio della guerra d ' indipendenza greca ( qui infatti egli si riunì con Mavromichalis e i capi manioti per attaccare la guarnigione turca di Kala mata: primo atto di guerra dopo che lo stendardo della rivolta si era levato il 25 marzo 1 82 1 nel mona stero di Kalavrita) , giocava a scacchi con pezzi viven ti proprio in quel cortile. Il lastricato di pietra veni43
va segnato col gesso come una scacchiera e i suoi pallicari si piazzavano nei riquadri - spero nel fre sco della sera - mentre Kolokotronis, in gonnelli no e col suo leggendario elmetto da pompiere, sta va sul muro e gridava le mosse; l ' awersario faceva altrettanto sul lato opposto. Chi perdeva era con dannato a portare il vincitore a cavalluccio per un tratto. Fu una varia mattinata esplorativa. La menzione fatta dal maestro dei Paleologhi, la dinastia regnante al crepuscolo dell ' Impero bizanti no, mi fece rizzare le orecchie e mi affascinò. L'ulti mo imperatore - Costantino XI Paleologo Vatatzes - morì combattendo sulla breccia il giorno che la città imperiale fu presa da Maometto Il. In un altro libro1 ho raccontato la storia della tomba di Ferdi nando Paleologo a Barbados, la cui nipote Godscall Palaeologue svanisce dai documenti storici, orfanel la, a Stepney o Wapping ( suo padre era morto a Co runna nel 1 692 ) . La discendenza imperiale di que sta fanciulla si fonda sulla supposizione che all ' im peratore sopravvivesse un terzo fratello, un oscuro personaggio di nome Giovanni, oltre che gli storica mente accertati Tommaso e Demetrio, codespoti di Mistrà. Non è il caso di ripercorrere qui l ' esile filo putativo del suo lignaggio attraverso I talia, Olanda, Cornovaglia, Barbados, Spagna e East End di Lon dra. Se Giovanni è esistito , cosa dubbia, la fanciulla potrebbe essere stata l ' ultima principessa imperia le della casata dei Paleologhi. Ahimè, alla fine del XVII secolo essa scompare per sempre nelle nebbie del porto di Londra. I manioti, mi disse il maestro , sono convinti di di scendere in parte dagli antichi spartani e in parte l. The Traveller's Tree (John Murray, London) , pp. 1 45-49 .
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dai bizantini del Peloponneso, che cercarono en trambi riparo dai rispettivi conquistatori tra questi monti inespugnabili ; così come molte famiglie bi zantine di Atene cercarono asilo nell 'isola di Egina. (Vedremo più avanti che entrambe le convinzioni non mancano di una certa plausibilità) . Il fondatore della chiesa e dell ' edificio fortificato, appresi, era un membro della famiglia Mourtzinos, ritenuta di scendente dei Paleologhi. Famiglia eminente , uno dei suoi ram polli - Michele Troupakis-Mourtzinos fu bey del Mani ( cioè un principe pressoché indi pendente ) dal 1 779 al 1 78 2 , quando il Sultano lo fe ce decapitare . Qui devo fare un salto di qualche settimana. Alcu ni giorni dopo , nell 'Alto Mani, un giovane mi disse che suo zio Dimitri Dimitrakos-Messisklis , editore e libraio in Atene , aveva scritto un libro sul Mani. Tor nato ad Atene lo cercai sopra la sua libreria, e lo tro vai infine in cima a una ripida rampa di scale : un colto e delizioso signore anziano in una lunga ca verna di libri affacciata sulla piazza della Costituzio ne. Prendendo il caffè parlammo delle usanze e del la storia del Mani, e le sue scoperte corroborarono, emendarono e accrebbero le notizie da me fino al lora raccolte su torri, faide e lamenti funebri. Come sembrava già remota quella landa pietrosa, mentre il traffico rombava sotto di noi ! Qu�ndo andai via mi donò una copia del suo li bro. E un quadro mirabilmente completo del Mani, della sua storia, leggende , topografia e folklore ; un modello per qualuuque storico locale. Nella parte dedicata ai bey del Mani è riportata le genealogia tradizionale della famiglia Troupakis-Mourtzinos. 1
l . D . Dimitrakos-Messisklis, Oi Nyklianoi. È un 'opera preziosa per chi sia in teressato a queste regioni e conosca il greco.
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Gli inizi sono molto più incerti di quelli dei Paleolo ghi di Cornovaglia-Barbados-Wapping. Menzionato per primo è un Michele Paleologo, nel 1 482, venti nove anni appena dopo la conquista di Costantino poli; discendente , sembra, di un ramo dei Paleolo ghi di Mistrà, questi ebbe tre figli : Panagioti , Dimitri e Zanetto. I discendenti di Panagioti furono noti col soprannome di Troupaki : o, dice il libro , perché si difesero da un 'imboscata trincerandosi in una buca trypa, in dialetto troupa oppure perché questi oscuri Paleologhi, fuggendo da Mistrà nel Mani per le gole del Taigeto, si nascosero ai turchi inseguitori in grotte remote , dove vissero per anni come troglo diti . . . Infine , svanito il pericolo, si stabilirono tutti a Kardamili. Il nomignolo rimase e il cognome impe riale cadde in disuso . . . Il successivo membro della famiglia di cui si fa menzione - forse i nomi inter medi sono stati omessi perché di scarso interesse per il lettore comune è il bey già ricordato: Miche le, al cui nome Troupakis si aggiunge ora Mourtzi nos, altro nomignolo, il diminutivo dialettale di -
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l . In ciò non vi è niente di insolito. Molti nomi greci sono cam biati più volte , e derivano in maggioranza da paratsouklia, no mignoli, come del resto in certa misura gran parte dei nomi anche altrove . Può sembrare strano che questi possibili Paleo loghi, avendo perduto tutto , non si siano tenuto stretto il solo retaggio imperiale, il nome, che loro rimaneva. Ma lo stesso fe nomeno avviene altrove in Grecia: per esempio a Cre ta soprav vivono in gran numero nomi bizantini come Skordili e Kallergi (i seguaci di Niceforo Foca) , o veneziani come Morosini, Cor naro , Dandolo; ma molti loro portatori hanno lasciato , anche in generazioni recenti , che fossero sostituiti da nomignoli che hanno attecchito . Nelle Cicladi c ' è la stessa fortuita sopravvi venza e cancellazione di grandi nomi feudali « franchi » - Ghi si, Giustiniani, Sanudo - che appaiono sulle insegne dei nego zi . A Creta, tuttavia, nonostante queste mutazioni, i loro di scendenti hanno una consapevolezza non razionalizzata ma molto netta delle proprie origini auguste , e in un paio di vil laggi di montagna dove le tradizioni sono più forti - Lakkoi nei
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mourgos, bulldog; il nome completo viene adesso a significare , pressappoco , « piccolo bulldog nella bu ca » . Il figlio del bey, Panagioti Mourtzinos, fu ka petan ossia capitano guerrigliero di Androuvitza, e padre di Dionysios Mourtzinos, che nel 1 830 di ventò ministro della Guerra di Grecia. Giorgio Mourtzinos , ultimo discendente di Michele il bey, morì nel 1 848. Secondo i normali criteri questa è una genealogia traballante , a dir poco : specie all 'inizio, con quei tre Paleologhi fantomatici . . . Ma se per pura ipotesi co storo fossero accertabili , il resto, anche tenendo conto della lacuna che sembra precedere Michele il bey, potrebbe essere autentico. Sotto l ' occupazione turca non solo non v'erano genealogisti, ma fino a data molto tarda nemmeno archivi e documenti, né registri parrocchiali di nascite e morti. Soltanto nel le isole Ionie , soggette ai veneziani, e nelle famiglie fanariote regnanti nei principati danubiani si tene vano registri di famiglia; e in quei secoli anonimi di oppressione , disordini, massacri e guerriglia la tra dizione orale era l ' unico legame col passato . Sebbe ne fallibile , esposta a dicerie, travisamenti e aggiu stamenti a posteriori, essa non sempre è inattendi bile quanto si potrebbe pensare. In molti casi, con«
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Monti Bianchi, per esempio, e Anogeia sulle pendici del mon te Ida - gli abitanti, anche se possiedono solo una mezza dozzi na di capre , hanno un orgoglio tribale, una cognizione della parte avuta da ciascuna fam iglia nelle innumerevoli ribellioni contro i turchi, e un senso della gerarchia e della Ebenbiirtigkeit fra loro di intensità quasi proustiana. Ogni pastore , che magari non sa leggere né scrivere , porta in testa un Gotha montanaro. Fui affascinato, alcuni anni fa, dalla quantità di stemmi in capo a pergamene con nomi cretesi quali si possono incontrare in qualsiasi ovile , sui muri dell 'Università di Padova, in mezzo a quelli di altri insigni ex allievi ; pergamene collocate là quando Padova, come Creta fino al l 669, faceva parte della Repubblica veneziana. A Creta queste insegne sono svanite senza lasciar traccia. 47
tro ogni probabilità e supposizione logica, si è di mostrata veritiera. Ma allora io non sapevo nulla dei Mourtzini; nul la tranne che gli antichi occupanti della dimora for tificata, i fondatori della chiesa, erano popolarmen te ritenuti discendenti diretti dei Paleologhi . . . Il quieto incanto di Kardamili cresceva di ora in ora. In modo del tutto inaspettato scoprimmo un al berghetto di poche camere sopra la drogheria di So crates Phaliréas, che si rivelò cugino di un insigne scultore di Atene amico nostro. Non meno inaspet tatamente l ' alberghetto, nella sua modestia, era co modissimo. Qui non c ' erano tavolacci apparecchiati con coperte di crine da stilita penitente , ma letti a molle e morbidi materassi e un paio di poltrone di vimini attendevano le membra stanche in vecchie camere tranquille ; e la voce gentile e profonda del gigantesco proprietario, oste civile e placido , che di tanto in tanto si sedeva a fare una chiacchieratina, induceva in ognuno una tal mancanza di fretta da farti sembrare che tutti i denti del tempo, della pre mura e dell ' impazienza ti fossero stati cavati. Lo stesso fascino pacato pervade tutta questa lon tana cittadina. Rinfrescata in estate dalla brezza del golfo, il grande schermo del Taigeto la ripara dai venti molesti del � ord e dell' Est; nessuna tramonta na la raggiunge . E come quei confini elisii del mon do dove Omero dice che più agevole è la vita degli uomini; dove non cade neve né pioggia né soffiano venti gagliardi, ma sempre viene dal mare il melo dioso vento di ponente a portare frescura a chi vi abita. Fui molto tentato di diventare uno di costoro, di stabilirmi per mesi in quel piccolo albergo con li bri e carta da scrivere ; e la tentazione si è riaffaccia ta spesso. La Guide Bleu dedica a Kardamili solo mez za riga, menzionando poco altro che i suoi quattro48
centonovanta abitanti. Meglio così. È un posto trop po inaccessibile e dove c ' è troppo poco da fare, per fortuna, perché sia mai seriamente minacciato dal turismo. Non fa meraviglia che le nereidi ne faces sero la loro dimora. Tornando da un lungo bagno al di là della selva di canne, vedemmo un ragazzo che reggeva per la coda un grosso pesce argenteo: una salpa (non ho scoper to il suo nome corrente) . Lo comprai, e mentre lo cucinavano sedemmo ali ' esterno di una delle poche osterie, sotto un gelso col tronco imbiancato fino al l 'inizio dei rami. Come noi, alcuni pescatori coi loro cappelloni guardavano il sole che affondava di là dai monti della Messenia; sull ' altro lato, a sedici leghe di distanza, c ' era Pilo. Lungo un molo in miniatura, dondolando pian piano a ogni sospiro della traspa rente acqua verde , dei caicchi erano ormeggiati qualche metro sopra le loro ombre sul fondo ciotto loso . Oleandri si chinavano sopra un ripiano di roc cia spazzato dal mare appena quel tanto da rivestirlo di un gracile reticolo bianco di schiuma, che scivola va via e si dissolveva mentre un altro se ne formava. A breve distanza dalla riva spuntavano due scogli, uno sormontato da una chiesa imbiancata, l ' altro dai ru deri di un minuscolo forte. La superficie del mare era striata d ' oro, che ali 'immergersi del sole si mutò in un pallido colore sulfureo con venature lilla. Ol tre gli scogli, il golfo muoveva calmo e senza intoppi alla penisola opposta via via più scura. Pensando al nostro pesce alla griglia la mente riandò a Kalamata ( ora nascosta in capo al golfo luc cicante ) , vari anni addietro. Era mezza estate in quel borgo di un biancore ab bagliante , e faceva un caldo furibondo. Si celebrava non so che festività pubblica - forse il giorno di san Giovanni Battista, che segna il solstizio d ' estate? - e il lungomare era gremito di festanti in stato di li quefazione . L' eccitazione della vacanza e la follia 49
dell ' ondata di caldo aleggiavano nell ' aria. Il lastrica to in riva all ' acqua, dove sedevo a cena con Joan e Xan Fielding, riverberava il calore come una casse ruola scoperchiata. Con subitanea e tacita decisione entrammo in mare tutti vestiti , portando con noi qualche metro al largo il tavolo di ferro e poi le no stre tre sedie, sulle quali, immersi fino alla vita nel l ' acqua fresca, sedemmo intorno alla mensa bene apparecchiata che ora sembrava !evitare magica mente un mezzo palmo sopra l ' acqua. Il cameriere , comparso un momento dopo, diede un 'o cchiata stupita allo spazio vuoto sulla banchina; poi, veden doci con un guizzo di piacere subito represso , entrò senza esitare in mare , avanzò , l ' acqua alla cintola, con la gravità di un maggiordomo, e dicendo sol tanto: « Ora di cena » ci mise davanti tre bei cefali ar rosto, caldi bollenti e rilucenti di scaglie brunodora te . Per goderci al massimo i l loro sentore marino, li immergemmo ciascuno un attimo, tenendoli per la coda, nel mare circostante . . . Divertiti da questo spettacolo, i clienti che cenavano a riva ci mandaro no boccali su boccali di retsina finché la tavola fu in gombra. Una dozzina di barche si raccolsero a rag giera intorno alla tavola come i petali di una mar gherita. Sporgendosi dai battelli dondolanti pian piano i pescatori ci aiutarono a smaltire l ' improvvi so afflusso di vino, e quando la luna e Sirio sorsero su questo bizzarro simposio già un mandolino era apparso e canzoni manga in lode dell ' hashish si in nalzarono nella notte languida: Quando la pipa è rossa e gorgoglia, cantilenavano i pescatori , zitti , fratelli ! Attenti ! Guardate i manga tutt'intorno a noi che tirano l ' erba orientale . . . 50
Mi svegliai pensando ai Mourtzini e ai Paleologhi. Bevendo tè di montagna giù in strada mi sovvenne che avevo completamente dimenticato di chiedere quando la famiglia Mourtzinos si era estinta. « Ma non è estinta » disse il signor Phaliréas. « Stratis, l' ul timo di loro , abita qui a due passi » . Evstratios Mourtzinos era seduto sulla soglia di ca sa e intrecciava, con stecche di canna e cordino, una grossa nassa globulare, più complessa di qualsiasi di segno a compasso o composizione astratta di geo metrico fil di ferro . Il rocchetto di funicella ruota va per terra, il filo si dipanava tra l ' alluce e il dito ac can to mentre la sfera leggera girava e si spostava nelle sue abili mani brune con un gioco affascinan te di parabole simmetriche. Il sole dardeggiava tra festoni e baldacchini color ruggine di reti stese ad asciugare . Un forte odore di sale, catrame, alghe e sughero caldo aleggiava nell 'aria. Canne tagliate e rano accatastate a fasci, due canarini cantavano in una gabbia fra le travi, la moglie del nostro ospite affettava cipolle in un tegame di rame . Mourtzinos si strinse nelle spalle sorridendo alle mie alquan to assurde domande , e il suo viso timido e magro, conciato d ' un rosso mattone dal bagliore del sole e dalla salsedine, espresse un dubitoso divertimento . « Questo è quanto s i racconta, » disse « ma noi non ne sappiamo niente . Sono solo vecchie storie . . . » . Versò ospitali bicchieri di ouzo, e la conversazione passò alla difficoltà di trovare un mercato per il pe sce: c ' era talmente tanta concorrenza. Queste bevu tine di primo mattino in Grecia sono una speciale delizia. Vecchie storie , certo . Ma supponendo che tutti i nessi fossero verificati, dimostrato ogni malsicuro dettaglio? Supponendo che quel modesto pescatore dall ' aria distinta fosse davvero erede dei Paleologhi, discendente di Costantino XI e di Michele VIII il Li beratore , successore di Alessio Comneno e Basilio II 51
il Bulgaroctono e di Leone Isaurico e di Giustiniano e di Teodosio e di san Costantino il Grande? E , quanto a questo, d i Diocleziano e d i Eliogabalo e di Marco Aurelio, degli Antonini, dei Flavii, dei Clau dii e dei Giulii, via via fino al trono di Cesare Augu sto sul Palatino, dove Romolo aveva posto le prime fondamenta di Roma? . . . La forza generosa di un se condo bicchiere di ouzo accelerò queste cogitazio ni. Era proprio la faccia di un monarca costituziona le, solo che Bisanzio fosse stata libera. Per puro lus so di credulità misi a dormire ogni scetticismo, e pa rallelamente a un poco impegnativo conversare di correnti, esche e secche , nella mia mente cominciò a configurarsi una sorta di fiaba: « C ' era una volta, in un lontano paese , un povero pescatore che viveva con la moglie in riva al mare . . . Un giorno un fore stiero venuto dalla città di Bisanzio bussò alla porta chiedendo la carità. I due vecchi gli misero davanti da mangiare e da bere Qui modo e tempo si mu tavano agevolmente in un futuro ipotetico, e il fore stiero raccontava una storia bizzarra: il processo di occidentalizzazione della Turchia, lo studio delle letterature europee , dei classici e delle antiche lette re avevano dato frutti tali che i turchi, in segno d ' a micizia e di adeguatezza storica, avevano deciso di ridare l ' Impero bizantino ai greci e di ritirarsi nelle steppe centroasiatiche oltre il Volga donde erano venuti in origine, al fine di impiantare la loro civiltà di novello acquisto nelle lande mongoliche . . I greci tornavano in folla a Costantinopoli e in Asia Mino re . Flottiglie immense gettavano l ' ancora al largo di Smirne e di Adana e di Alicarnasso e di Alessandret ta. I villaggi rivieraschi riprendevano vita; gioiosa mente i greci affiuivano a Adrianopoli, Rodosto , Brussa, Nicea, Cesarea, Iconio , Antiochia, Trebison da. L' allegrezza risuonava per la Tracia orientale e vessilli con la croce e l ' aquila bicipite e i Quattro Be ta addossati sventolavano sulla Cappadocia e la Ca. . .
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ramania e il Ponto e la Bitinia e la Paflagonia e i mon ti del Tauro . . . Ma nella Città il trono imperiale era vacante . . . Stratis, i l nostro anfitrione , aveva posato a terra la nassa per versare un terzo giro di ouzo. La signora Mourtzinos affettò un tentacolo di polpo e dispose le fe tte su un vassoio. Stratis, per illustrare il suo di scorso, misurava una lunghezza mettendo la mano destra nella piega del gomito sinistro : « un cefalo lungo così, » diceva « del peso di cinque ocche a dir poco . . . » . Intanto , nel ricostruito palazzo delle Blacherne, la ricerca dell ' erede è cominciata. Che crepitio di cartapecora e di crisobolle, che battere di sigilli e srotolare di pergamene ! Che furioso agitare di bar be e dimenare di indici dotti ! I Cantacuzeni, sebbe ne pretendenti autenticatissimi, sono bocciati: di scendono soltanto dal quintultimo imperatore . . . De cine di dubbi Paleologhi sono cacciati via . . . gli Ste fanopoli de Comnene di Corsica, i Melissino-Com neni di Atene sono respinti con rammarico . Biso gna scrivere lettere piene di tatto agli Argiropoli ; è necessaria anche una cortese fermezza con la fami glia Courtney di Powderham Castle nel Devonshire, parenti di Pierre de Courtenai che nel 1 2 1 8 fu im peratore franco di Costantinopoli; e c ' è un Lascaris pazzoide di Saragozza che gironzola di con tinuo ai cancelli . . . Messi tornano a mani vuote dalle Barba dos e dai docks di Londra . . . Si devono prendere in considerazione alcune famiglie russe imparentate con Ivan il Terribile e con la Paleologa principessa Anastasia Tzarogorodskaj a . . . Poi d'improvviso viene alla luce un nuovo scrigno di documenti e un emis sario è spedito di gran carriera nel Peloponneso, di là dal Taigeto , nel dimenticato villaggio di Kardami li . . A questo punto ogni dubbio era svanito. L' impe ratore Eustrazio si chinò a riempire d' ouzo per la quinta volta i bicchieri . La Basilissa scacciò una gal.
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lina maculata entrata in casa in cerca di briciole. Su una soglia assolata, carezzando un gatto color mar mellata d ' arance , sedeva il piccolo diadoco e despo ta di Mistrà. Il nostro anfitrione sospirò . . . « Il guaio delle tintu re fatte con le pigne , quelle solite marroni, » prose guì « è che i pesci vedono le reti lontano un miglio, e se la svignano. Ma bisogna usarle, sennò il filo marcisce in una settimana. Le nuove tinture bian che dell ' Europa risolverebbero tu tto ! Ma va' a cer carle dai fornitori marittimi di Kalamata e di Githion . . . » . Compiuto il riconoscimento, i l resto sembra un sogno. Via i logori indumenti, e vestizione con le dalmatiche tessute d ' oro, le cinture tempestate di diamanti, i mantelli di porpora. Tutti e tre sono cal zati di coturni purpurei ricamati di aquile bicipiti, e dopo il conferimento della spada e dello scettro e dello sfavillante diadema con le sue perle pendule la piccola comitiva discende verso una nave in atte sa. Il quinto ouzo ci porta, in un bianco turbinio di spuma, attraverso l 'arcipelago egeo, e a ogni isola venti vascelli si uniscono al convoglio . Quando en triamo nell ' Ellesponto, il convoglio si allunga da Troia a Sesto ad Abido . . . Andiamo avanti, oltre le isole della fulgente Propontide , finché , come una città magica sospesa a mezz' aria, appare davanti alla prua Costantinopoli, con le sue torri e bastioni sfol goranti , i palazzi e le cupole innumerevoli rigonfie tra pinnacoli e fasci di cipressi, che salgono tutti alla grande cupola singola sormontata dalla croce lumi nosa veduta da Costantino sopra Ponte Milvio. Là, presso la Porta Aurea, in un gran concorso di folla, aspettano i signori di Bisanzio: i Cesari e Despoti e Sebastocratori, il Grande Logoteta col suo coprica po a sfera, i Conti Palatini, il Portaspada, il Cartofi lace, il Granduca, i Talassocrati e i Polemarchi, gli Strateghi degli arcieri cretesi , degli opliti, dei pelta54
sti e dei catafratti ; i Silenziari, il Conte degli Escubi tori, i governatori dei temi d 'Asia, i Cleisurarchi, il Grande Eunuco, e ( poiché tutta la storia bizantina si era fusa ormai in un sol gorgo anacronistico) i Prefetti di Sicilia e Nubia e Etiopia e Egitto e Arme nia, gli Esarchi di Ravenna e di Cartagine , il Nomar ca di Taranto, il Catapano di Bari , l 'Abate di Stu dion. Io frattanto, in ricompensa d ' aver recato buo ne notizie , ho assunto il Capitanato della Guardia Varanga; ed eccoli i miei soldati, al di là dei galeoni e delle quinqueremi, in ranghi corruschi di elmetti alati , che percuotono le azze in segno d ' omaggio; si capisce che sono anglosassoni dalle lunghe e spesse trecce e dai baffi biondo lino . . . Scampanio. Martel lare di semantra e tuonar di cannoni mentre l ' Im peratore mette piede a terra; poi, con un improvvi so acre odore di nafta, romba in cento parabole san guigne il saluto del fuoco greco dai rostri d'ottone dei battelli da guerra. Egli varca la Porta Aurea e un peana continuo di acclamazioni si leva dalle orde che oscurano gli spalti delle Mura Teodosiane. Ogni finestra, ogni tetto brulica di cittadini, e mentre il gran corteo procede sul tappeto rosso che copre la strada dal Foro d 'Arcadio a quello amastriano, io vedo che tutti i minareti sono spariti . . . Attraversia mo il Philadelphion e passiamo sotto la Statua dei Ven ti. Ora, invece che di minareti, l ' orizzonte è affol lato di statue. Una popolazione d ' avorio e di marmo riluce in alto , e tra lo sventolio di mille serici sten dardi, sopra le tende e i festoni incrociati di foglie d'o livo e d 'alloro, il cielo splende d'argento e d'oro e di ghirlande criselefantine . A ogni passo lungo il tap peto la pioggia rosata di petali mollemente cadenti sembra infittirsi. Il caldo si è fatto soffocante . Nel Foro di Costanti no gremito un conciapelli serbo cade da un tetto e si spezza il collo; un astrologo di Ctesifonte, un cal deraio spagnolo e un prestasoldi del Golfo Persico . .
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muoiono calpestati; un lanciere della Battriana svie ne, e mentre giriamo intorno ai Tre Serpenti Delfici dell' Ippodromo le voci degli Azzurri e dei Verdi, per una volta concordi, levano un lungo urlo plau dente . I cavalli imperiali nitriscono nelle stalle , i ghepardi da caccia tendono uggiolando le loro ca tene d ' argento. Aurei leoni meccanici ruggiscono nella sala del trono, uccelli d ' oro sui rami ingioiella ti di alberi artificiali emettono tintinnanti cinguettii . L'isteria generale penetra nel carcere pubblico: mo nofisiti, bogomili e iconoclasti sbatacchiano i ferri contro le sbarre delle buie celle sotterranee. Su nel bagliore del suo capi tello corinzio, uno stilita, im mobile da trent'anni, saltella picchiando su una zuc ca il cucchiaio di legno . . . La signora Mourtzini pescò col mestolo u n paio di cipolle e patate dalla pentola, ce le scodellò da vanti e le spruzzò con un pizzico di salgemma. « Quando eravamo a un paio d' ore da Cerigo, » dis se Stratis spandendo l ' ouzo « il vento rinforzò (un vero meltemi, una boucadoura di tempesta! ) , sicché ammainammo le vele, e assicurammo ogni cosa. .. » . Davanti alle grandi porte bronzee di Santa Sofia si erge , gigantesco nei paramenti pontificali, Atenago ra, il Patriarca Ecumenico, che avevo visto qualche mese addietro nel Fanar; circondato adesso da tutti i Patriarchi e Arcivescovi d ' Oriente , dal Santo Sino do e da tutto il fasto dell ' Ortodossia, in vesti di broc cato scarlatto , porporino, dorato , lilla, blu marino, verde smeraldo; una foresta di aurei bastoni pasto rali sormontati dalle spire dei serpenti gemelli, una cascata di cento barbe lunghe un braccio sotto cen to mitrie a cipolla incrostate di gemme ; e , come nel vecchio canto greco sulla caduta della Città, il vasto tempio risuona del clangore di sessanta campane e quattrocento gong, con un prete per ogni campana e un diacono per ogni prete . Il corteo avanza, e la penombra corrusca, la giungla tremolante di lampa56
de appese , la selva fiammeggiante e il sottobosco di candele lo inghiottono. Marmo, porfido, lapislazzu li salgono da ogni lato, una miriade di aureole lucci can ti indica l ' intera agiografia d ' Oriente a mosaico, e su in alto , come sospesa a una catena celeste e scandita da nervature a somiglianza della concavità di un immenso ombrello paradisiaco, si libra la cu pola d' oro . Tra la folla prostrata dei sudditi e i vapo ri d ' incenso il teocrate imperiale avanza fino all ' ico nostasi . Nella grande basilica risuona l ' inno dei che rubini , e mentre l ' imperatore sta a destra del katho likém e il patriarca a sinistra, dalla cupola, come dal la bocca di un arcangelo, viene una voce seguita dal la fanfara di diecine di trombe dal lungo tubo , men tre in tutta Bisanzio gli araldi proclamano l ' Impera tore Eustrazio, Servo di Dio, Re dei Re, Augustissi mo Cesare e Basileus e Autocratore di Costantino poli e della Nuova Roma. Tutta la Città è scossa da un interminabile grido assordante . Avvolte dalle spi rali d ' incenso le colonne ruotano sulle basi , e lacri me di felicità scorrono per le guance dal mosaico della Vergine e dalle fredde icone . . . Chinandosi d ' impeto i n avanti, Stratis si fece il se gno della croce. « Vergine benedetta e tutti i santi ! » disse . « Non mi sono mai trovato in una situazione peggiore ! Era buio pesto, pioveva a dirotto, l ' albero e il timone erano spezzati, il cocchiume si era perso, e le onde erano grandi come una casa. E io là ero , carponi nell ' acqua d i sentina, aggottando a più non posso, nello stretto fra Elafonissi e Capo Malea! . . » . . . . tutta Costantinopoli sembra innalzarsi su una abbagliante nuvola d 'oro e la cupola centrale co mincia a roteare, sollevata dal raddoppiato clamore dei bizantini . Risonante di campane e di gong, tra un lampeggiare di cannoni dalle mura e una flotta nubilotrasportata che spara lunghi razzi cremisi di fuoco greco, l 'intera città immaginaria, girando in spirali via via più rapide , vola verso un accecante e .
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inimmaginabile zenit . . . La pioggia si è mutata in grandine , il vento sibila infuriato, la barca distrutta è andata a fondo, e nella burrasca nera come l ' in chiostro Stratis nuota disperatamente verso gli scogli fragorosi della Laconia . . . . . . La bottiglia era vuota . . . L' ombra del maestro elementare oscurò il vano della porta. « Dovreste sbrigarvi, » disse « il caicco per Areopolis sta partendo » . Ci alzammo tutti in piedi, rovesciando, negli addii, un cesto di esche ta gliate di fresco e un paio di tridenti che caddero a terra con rumor di ferraglia. E uscimmo a rinsavire nel fulgore meridiano.
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4 LA CITTA DI MARTE (AREOPOLIS)
Una nuvola azzurra pregna di elettricità aveva in ghiottito le cime del Taigeto . Le valli rumoreggiava no di tuoni, e alcune gocce fenomenali di pioggia ticchettarono sulle tavole infuocate del ponte. Ma la nuvola, stranamente come si era imbastita dal nul la, rimpicciolì, si contrasse, e infine, ridotta a uno sbuffo statico e solitario, svanì, rivelando di nuovo i fianchi occidentali del Taigeto in tutta la loro scon volgente nudità. Il Taigeto corre di cima in cima fino alla sua punta più meridionale , immensa mole grigiochiara d'una monotonia che niente interrom pe. Niente tranne un groviglio di vorticose incom prensibili falde stranamente rilevate . Ogni ora, più o meno, un borgo minuscolo dal nome bizzarro spuntava dal calcare rovente in riva all 'acqua: Stou pa, Selinitza, Trachila, Chotasia, Arfingia. Piccole torri, con pesanti inferriate alle finestre e torrette circolari agli angoli, dominavano lo stretto ripiano di una banchina imbiancata a calce . I notabili del villaggio ( tra i quali non manca mai il nero cappello cilindrico di un prete ) prendevano il caffè sui ba59
stioni e sgranavano i loro rosari d ' ambra osservando il trambusto del carico e scarico . Sacchi di farina erano ammucchiati in mezzo ai cabestani e legati sul dorso dei muli in attesa, che tra le grida e le per cosse dei mulattieri partivano su per labirintici letti di torrente alla volta di brulle invisibili borgate d ' en troterra. Trachila avev� alle spalle un benedetto sipario scu ro di cipressi. (E strano come certi alberi riescano a incivilire il paesaggio più aspro così come un singolo abete o albero di Natale può imbarbarire in un fiat il più domestico) . Poi il vuoto accecante continuò per miglia e miglia a sinistra della nostra prua. Di tanto in tanto, senz' ombra nel fulgore , costruita con la roccia circostante e a stento distinguibile dalla mon tagna, appariva una casa solitaria. Una volta, su un ' alta cornice, un ' esile striscia benigna di verde profilò un villaggio cinereo, e più avanti una casa turrita sorgeva presso l ' acqua in una giungla improv visa di verde improbabile , che aguzzando gli occhi mi si rivelò tutto di cactus e fichi d ' India - i greci li chiamano fichi franchi - fiorenti là con la stessa aria di illusoria freschezza con cui una cascata di mesem brianthemum dilaga su una collina di pomice. Tutto questo si rifletteva in un mare piatto come uno specchio, tolta l ' increspatura della nostra scia. Eppure tra i sacchi di grano la faccia dolorante di qualche v� cchia infazzolettata di nero tradiva il mal di mare . E una caratteristica convenzione : per i ter raioli il mare si identifica col mal di mare , così come passare davanti a una chiesa evoca il segno della cro ce , i funerali lacrime e capelli strappati , e parlare di guerra un profondo sospiro. Ciò nondimeno il ma lessere è genuino, e per esorcizzare questa nausea ri tuale l ' odore di un limone tagliato è ritenuto sovra no . Sicché tutte tenevano alle nari questi aurei odo rifori . . . A Trachila salì a bordo un uomo così scuro , che a vederlo nelle Indie Occidentali o in Egitto si 60
sarebbe pensato avesse nelle vene una buona dose di sangue negro . Il capitano , in un momento propizio, bisbigliò che lo sconosciuto veniva dall 'Alto Mani; là, disse, molti erano così, grazie all 'antico mercato schiavista di Vitilo , dove i pirati berberi e algerini, co me pure i veneziani e gli stessi manioti, solevano mettere in vendita i loro prigionieri . Almeno, sog giunse cautamente, questo è quanto dicono. 1 Presto doppiammo un capo e navigammo di sbie co per un ' ampia insenatura che penetrava di qual che miglio nelle montagne. In fondo c' era Oitylos (Vitilo o Itilo ) , e un dente di roccia coperto dalle va s te rovine di un grande castello. Era la fortezza di Kelefa, costruita dai turchi come postazione tempo ranea al margine del Mani che mai erano riusciti a soggiogare . Ma noi eravamo diretti alla sponda me ridionale del golfo , alla frontiera - finalmente ! dell 'Alto Mani medesimo. Un porticciolo derelitto, senz ' ombra, apparve ai piedi delle ripide rocce co perte di olivi . I motori tacquero e , mentre accosta vamo, l ' orecchio fu invaso dal rombo di milioni di cicale. Giungeva da riva a ondate ritmiche , stridule, metalliche , come l e macchine impazzite di un ' im mensa fabbrica, l ' elettrico strepito di innumerevoli dinamo d' alta potenza rotanti a vuoto all 'unisono. Non c ' era un alito di vento e sulla banchina, quan do lasciammo il fresco tendone del caicco, il sole piombò furiosamente all ' assalto. Ci tuffammo al ri paro in un misero kafenion turbinoso di mosche. Cullati dal loro ronzio e dall 'assordante cicaleccio esterno sostammo sulle panche appiccicose per un 'ol. Non sono riuscito a trovare conferme di questo mercato di schiavi maniota, sebbene i manioti fossero famosi corsari e avessero spesso a che fare col commercio degli schiavi. Ogni tan to, molto di rado , ci si imbatte nella Morea in qualche pae sano il cui aspetto è attribuito a uno stupro isolato, di cen to trent'anni fa all 'incirca, della cavalleria sudanese di Ibrahim Pascià.
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ra o due, finché il sole calasse un poco e dichiarasse una tregua. La via per il mondo superno era una stradicciola sassosa traversata da lame di roccia, per dar presa ai piedi dei muli che portano carichi su ad Areopolis dal torrido porticciolo di Limeni. Ogni pianta d ' oli vo , immobile nell ' aria immota, era trasformata da gli insetti in un gigantesco sonaglio, un vorticoso asilo di limatura di ferro. Ma quando di curva in curva sassosa salimmo più in alto il fragore si smor zò e la strada, spazzata da un fresco venticello, si ap pianò per due miglia di un nudo altopiano, che a ovest cadeva precipite al mare e a est tornava a sali re a prosecuzione del Taigeto ; e là davanti a noi, mezzo fortificata e con i tetti sormontati da un paio di torri e da cupola e campanile di un piccolo duo mo, ecco la capitale dell'Alto Mani. Le viuzze di Areopolis ci attorniarono. Come tutte le città d' altopiano aveva un che di arioso, e verso il golfo di Messenia le stradine fi ni vano nel cielo come trampolini . Nell' entroterra l'anfiteatro incombente si ingentiliva dall' asprezza pomeridiana in una serie di coni ombrosi color- mal va. In questo ambiente solenne la piccola capitale aveva un ' aura di solitudine e di lontananza. Ma le vie acciottolate , in pendenza, traboccavano di vita sociale , come se i manioti si adunassero là fuggendo dal vuoto di fuori infestato dai cactus . A parte i ci prioti, erano i greci più scuri che avessi mai visto . Mentre però i ciprioti hanno visi dolci e un po' informi, i manioti sono magri, come tagliati nel le gno, con mandibole azzurrognole e baffi ribelli. I capelli nerissimi e folti crescono bassi sulla fron te , restringendo l e tempie ; e forti sopracciglia a spran ga si torcono in minacciosi aggrottamenti sopra oc chi neri e guardinghi, come se il cervello, dietro , ri62
bollisse di pensieri vendicativi. Era questa guardatu ra feroce a distinguerli, pensai , dai montanari crete si, ai quali altrimenti somiglierebbero. Gli occhi dei cretesi sono aperti e pieni di alacre umorismo. Ma per quanto apparissero truci sotto i loro grandi cap pelli , quella impronta di durezza e di cautela doveva essere l ' atavica traccia fisica di secoli di vita selvag gia, perché i loro modi erano tutto l ' opposto. Men tre scendevamo per le vie acciottolate, dai tavolini dei caffè si alzava in un coro sommesso un mormo rio di saluto , con una cordialità e un garbo che ti fa cevano sentire davvero il benvenuto. (Nelle città questo è insolito; e anche nei villaggi è convenzione che il forestiero saluti per primo) . I nomi sopra i negozi erano di nuovo tutti cam biati, dalla desinenza in -eas del Mani Esterno a quella in -akos dell 'Alto Mani : Kostakos, Khamo drakos, Bakakos, Xanthakos. In fondo alla via prin cipale una cattedrale primitiva, più piccola di una piccola chiesa parrocchiale inglese, stava in mezzo a un grappolo di gelsi . Tutta imbiancata a calce, aveva una cupola bizantina di laterizio sorretta da un tam buro ad archi e pilastri ed era affiancata da un can dido campanile a punta. Una modanatura dipinta di giallo chiaro cingeva l ' abside a coste . Guarnita al ternativamente di rosette rosa e di foglie verde vivo, avrebbe potuto essere la decorazione di una chiesa maya barocca sulle montagne del Guatemala. Nella parte alta dei muri lesene color malva sostenevano colonnette racchiudenti riquadri color albicocca, e goffi serafini con sei ali spiegavano le piume in un rilievo bitorzoluto . Due puerili dischi solari avevano una corona di pe tali puntuti adorni di occhi simili a uva passa e di larghi sorrisi, e i segni dello Zodiaco, eteroclito e amabile serraglio, ruzzavano attraverso il bianco calce. La decorazione sopra la porta prin cipale era un vero rompicapo: un grande riquadro con lo stesso rilievo bitorzoluto era dipinto di giallo, 63
nero e verde . Rose Tudor e foglie e rosette e soli da filastrocca infantile facevano da sfondo a due ange li , uno in vesti scanalate , l ' altro in armatura e cotur ni; e tra loro, sorre tta da due piccoli e rudimentali leoni rampanti , un ' aquila bicipite ad ali spiegate re cava sul petto un complicato stemma con strani em blemi talmente dipinti e ridipinti che anche stando in piedi su una seggiola di caffè era difficile deci frarli. Le due teste dell ' aquila erano aureolate , e lo stemma era sormontato da una sorta di corona, mentre sopra le teste del rapace una corona impe riale , simile a quella dell 'Austria-Ungheria o del l ' Impero russo, spiegava i suoi due nastri come una mitra. Un cartiglio sottostante recava la data 1 7 98. L' aquila a due teste , emblema di Bisanzio e in cer to modo della Chiesa ortodossa, è un simbolo che ricorre di frequente nella decorazione ecclesiastica; la formula della sua rappresentazione sui muri e sul pavimento delle chiese è poco mutata da quando al l' aquila imperiale di Roma crebbe una seconda te sta con la fondazione costantiniana dell' Impero d' Orien te nel 330. Ma l ' elaborazione araldica del rapace di stucco sopra la porta non le somigliava af fatto . Nonostante la grossolanità, il disegno - le au reole , l ' assetto di ali , artigli e coda - echeggiava la sofisticatezza e il formalismo della moderna araldica occidentale . Mi chiesi se non fosse stato copiato, ar bitrariamente e a puro scopo decorativo , dal blaso ne di un tallero di Maria Teresa; ma tranne le fasce (o strisce) nel capo destro, vagamente simili a ' una parte dello stemma ungherese , la somiglianza è nul la. Che fosse stato ispirato dallo stemma della Rus sia? Improbabile , a causa della data, posteriore di un ventennio alla fallita campagna di Orlov nel Pe loponneso, che di fatto screditò la Russia come pro tettrice dell ' Ortodossia. L'unico fatto importante della storia locale nel 1 7 98 è l ' avvento di Panagioti Koumoundouros come quarto bey del Mani. Ma per 64
quanto i bey fossero grandi potentati locali, non mi risul ta che si fregiassero di un blasone . Questi em blemi , con data annessa, sembravano ( e sembrano tuttora) problematici come una statua dell' Isola di Pasqua nelle Ebridi. Accludo una copia fedele di questo stemma semiobliterato, caso mai qualcuno riuscisse a identificarlo e forse a disseppellire un ca pitolo perduto di storia maniota.
Nel cielo verdeazzurro dietro le foglie di gelso una stella luminosa ardeva così vicina alla falce cre scente della luna che sembrava averne invaso il pal lido perimetro, formando una celestiale bandiera turca. Cosa assai sconveniente, se si ricorda la storia del Mani. Ben poco si sa nel resto del paese di questa remo ta provincia, ma il nome Mani suggerisce subito a qualunque greco quattro cose : l ' usanza della faida; i lamenti funebri; Petrobey Mavromichalis, duce dei manioti nella guerra d ' indipendenza greca; e il fat65
to che il Mani, insieme ai monti di Sfakion a Creta, e per un periodo ai dirupi di Suli in Epiro, fu la sola regione di Grecia che strappò la propria libertà ai turchi e mantenne una precaria indipendenza. Que sta era anche pressoché la somma delle mie cogni zioni, integrate dalla girandola di voci incontrollate che imperversano al di là del Taigeto ( a pochissimi greci non mani o ti accade di andare nel Mani ) . Tale deviazione dal corso principale della storia greca ha prodotto molti sintomi contrastanti; e prima di scan dagliarne le profondità più remote vale la pena di considerare le cose che nel passato del Mani hanno contribuito alla sua peculiarità. L' isolamento geografico, l ' essere chiuso oltre i monti limitrofi a Sparta, le sue montagne aride e im pervie sono la chiave di tutto. La storia del Mani coincide con quella di Sparta sino alla fine della mo narchia, tra il III e il II secolo a.C . , quando la cru deltà del tiranno Nabide indusse molti spartani a fuggire oltre il Taigeto e a fondare , con gli abitanti laconici già stanziati nella penisola, una malno ta Re pubblica dei Laconi. Fu questa la prima di molte fu ghe in cerca di asilo che concorsero a formare il Ma ni odierno . Le libertà della regione non subirono of fesa con la conquista romana, avvenuta pochi anni dopo. Più tardi Augusto, grato dell ' aiuto laconico nella vittoria su Marco Antonio ad Azio, confermò questi privilegi, e la storia della regione proseguì senza scosse fino al 29 7 d.C . , quando Diocleziano, con la sua riforma dell' amministrazione provinciale , dissolse l a Repubblica dei Liberi Laconi . Sotto Bisan zio continuò una vita ordinata e priva di eventi note voli, salvo un nuovo afflusso di spartani in fuga dai vi sigoti di Alarico nel 396. Nei secoli che seguirono, le invasioni di slavi e bulgari provocarono altre ondate di profughi; e il peggio fu che una selvaggia tribù sla va, i melig, si stanziò sulle cime del Taigeto. Erano gente tremenda: stranieri , parlavano una 66
lingua sconosciuta e vivevano di brigantaggio. È im possibile dire quanti fossero, o in che misura venis sero assorbiti nel ceppo laconico dei manioti. Se condo le sole fonti disponibili, assai poco. Costanti no Porfirogenito ( regnante a Costantinopoli all ' ini zio del secolo X) li menziona nel libro scritto a istru zione del figlio Romano, sorta di storia e guida geo grafico-diplomatica dell ' Impero. Dopo averli de scritti, egli dichiara espressamente che i manioti dal canto loro sono discendenti incontaminati degli an tichi greci pagani. San Nicone il Metanoite, che al cuni decenni dopo convertì la regione al cristianesi mo, considera questi melig un abominio. Predoni vaganti per i monti , vivevano di saccheggio; « guida ti dal diavolo, entrano nelle case di notte come lupi . . . demoni miserabili e malvagi, assassini assetati di sangue , i loro piedi li conducono perpetuamente al male . . . » . ( Il santo li frustrava avvolgendoli in nubi nevose , e una volta che alcuni depredarono un mo nastero li sconfisse con due enormi mastini. Ma alla fine riuscì a convertirli) . Questa turbolenta mino ranza, menzionata spesso nella Cronaca della Morea, perse col tempo la sua lingua e coscienza tribale, e nel XII secolo, come gli altri slavi, era stata ormai in ghiottita senza lasciare traccia nel mondo cristiano greco-ortodosso del Peloponneso. Quanto ai ma nioti stessi, semitrogloditi e sottratti a influenze e sterne dalle loro montagne, furono gli ultimi greci a convertirsi, abbandonando l ' antica religione solo verso la fine del IX secolo . Fa meraviglia pensare che questa penisola rocciosa, tanto vicina al cuore del Levante donde scaturì il cristianesimo, fu battez zata tre secoli interi dopo l ' arrivo di sant'Agostino nel lontanissimo Kent. La conquista « franca » ( ossia « latina » ) della M o rea nel XIII secolo, quando il Mani divenne parte del feudo dei Villehardouin, portò una nuova onda67
ta di profughi attraverso i monti dalla Sparta bizan tina; altri ancora se ne aggiunsero con la caduta di Costantinopoli, di Mistrà e di Trebisonda. Frattanto la natura pacifica degli antichi manioti era venuta mutando - un processo cominciato forse dopo la vittoria bizantina sui franchi a Pelagonia' nel 1 26 1 , quando Manuele Paleologo recuperò all ' Impero il Peloponneso sudorientale. La conquista franca era stata una passeggiata; ma quando venne il disastro finale dell 'invasione turca il Mani oppose una stre nua resistenza: il contatto con i bellicosi franchi, il loro addestramento militare e le ultime vittorie bi zantine nel crepuscolo dell ' Impero avevano mutato questi discendenti degli spartani, in quiescenza fin quasi dalle Termopili, in implacabili guerrieri. Le loro gesta contro i turchi divennero leggenda rie , e i loro fatti d ' arme sotto il condottiero epirota Korkodeilos Kladas - primo di molti eroi della guer riglia - sono tra i più brillanti della storia pelopon nesiaca. E tanto formidabili erano le spade , i fucili e le rupi del Mani che a parte qualche grossa scorre ria punitiva e la costruzione di una o due fortezze massicce dove le guarnigioni stavano rinchiuse per incerti e pericolosi soggiorni, il Mani rimase mira colosamente libero. Nuovi contingenti giunsero in fuga da altre parti del mondo greco occupato; al cuni dall 'Asia Minore , e , dopo la conquista turca di Creta strappata ai veneziani nel 1 669 al termine del lungo assedio di Candia,2 un nugolo di cretesi, che fondarono villaggi con nomi cretesi e disseminaro no il già complesso dialetto maniota di parole e co strutti cretesi; sicché ai cognomi manioti in -eas e -a kos se ne aggiunsero molti con la desinenza cretese l . Monastir (Bitolj ) , oggi immediatamente al di là del confine serbo . 2 . Iraklion . ·
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in -akis. Questo continuo afflusso di stranieri e la lotta , tra rocce e cactus, per lo « spazio vitale » porta rono i manioti vecchi e nuovi a innumerevoli faide tra villaggi, famiglie e clan rivali. Si sviluppò una specie di sistema tribale non dissimile da quello del le Highlands scozzesi prima del l 7 45 . Alcune di queste faide diventarono guerricciole locali e per secoli tennero il Mani in uno stato di sanguinosa turbolenza. Per secoli la sola cosa in gra do di pacificare i manioti furono le incursioni tur che : allora, infatti, per brevi periodi idilliaci di ar monia interna, i loro lunghi fucili erano puntati tut ti nella stessa direzione . Molti partivano per com battere come mercenari nelle armate del Doge . La povertà della penisola mutò i manioti in pirati, e le loro piccole navi erano il terrore delle galere turche e veneziane nelle acque meridionali del Peloponne so. Le spedizioni erano intraprese meno in cerca di ricchezze che per il semplice bisogno interno di ac quistare legna - combustibile con cui bruciare la calce per la costruzione di alte torri nei loro villaggi privi di alberi - e fucili con cui sparare ai vicini dalle feritoie quando le torri erano costruite . Non poche imprese piratesche avevano, come quelle dei clefti e degli armatoli nelle montagne continentali, motivi patriottici. Il caso più celebre è la distruzione di par te della flotta ottomana nelle rade di La Canea con i brulotti manioti. I villaggi del Mani erano sparsi per le montagne come diecine e diecine di vespai perpetuamente in lite uno con l ' altro; una discordia che come abbia mo visto , solo i turchi potevano placare . Sicché i tur chi saggiamente li lasciarono stare , sotto il governo di un maniota dotato del titolo di bey del Mani e dei 1
l . Questa desinenza non è sempre cretese. La formazione esi steva nel Mani.
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poteri di un principe regnante (qualcosa sul genere degli ospodari di Valacchia e Moldavia) , con l ' obbli go di un nominale tributo annuo. Ma questo tributo veniva pagato di rado. Una volta, mi raccontarono, al rappresentante del Sultano fu gettata con la pun ta di una scimitarra una irrisoria monetina. Il primo di questi principi, Liberakis Ierakaris, re gnò alla metà del XVII secolo. Appena ventenne, aveva lavorato per parecchi anni come rematore nelle galere veneziane ed era diventato il principale pirata del Mani. Catturato dai turchi e condannato a morte, fu risparmiato dal Gran Visir - il grande al banese Achmet Kupruhi - a condizione che accet tasse l ' egemonia del Mani. Ierakaris assunse l ' incari co al fine di vendicarsi della forte famiglia maniota degli Stefanopoli con cui era in lite . Li assediò nella fortezza di Vitilo, ne catturò trentacinque e li giusti ziò sul posto. Nel ventennio seguente egli usò il suo potere e l' influenza presso la Sublime Porta per guerreggiare in tutto il Peloponneso e nella Grecia centrale alla testa di formidabili eserciti, schieran dosi ora con i turchi ora con i veneziani , sposò la bellissima principessa Anastasia, nipote del voivoda di Valacchia, 1 e terminò i suoi giorni, dopo avventu re degne degli annali dei condottieri italiani, come Principe turco del Mani, Signore veneziano della Rumelia e Cavaliere di San Marco. Per un centinaio d ' anni i turchi non ripeterono l'esperimento . Riesumarono la carica di bey del Ma ni dopo il fallimento della rivolta di Orlov nel 1 77 4, ritenendo più saggio avere .un singolo responsabi le della tranquillità del distretto. Nel quarantacin quennio dal 1 77 6 allo scoppio della guerra d' indi pendenza nel 1 82 1 , al governo del Mani si succedet tero così otto bey, che praticarono tutti, tranne uno, l . Membro della famiglia Ducas. 70
il gioco rischioso di fare gli interessi del Mani e del la futura libertà greca cercando al tempo stesso di rimanere in buoni rapporti coi turchi. 1 Due furono attirati con l ' inganno a bordo di navi da guerra tur che e giustiziati a Costantinopoli: uno per aver ten tato di estendere la sua giurisdizione al di là del l ' Eurota, l ' altro in seguito a intrighi presso la Subli me Porta. Il terzo, il ricco Zanetbey, gran costrutto re di torri , fu deposto perché colluso con i clefti e per la scoperta di una sua segreta e proditoria corri spondenza con Napoleone, da lui considerato un possibile liberatore del Mani. ( Zanetbey aveva man dato prudentemente due suoi figli a militare uno nell ' esercito francese, l ' altro in quello russo ) . Riuscì a salvarsi la vita con la fuga, continuò le sue trattati ve con i francesi e li persuase a mandargli barcate di armi e munizioni che distribuì fra i clefti e i capeta ni. Il suo successore fu deposto per non essere riu scito a impedire questi pericolosi maneggi. Il quinto ebbe regno tranquillo. Organizzò l ' economia inter na del Mani, costruì strade, e aderì all 'Eteria (Philiki Heteria) , la società segreta rivoluzionaria che aveva cominciato a diffondersi in tutto il mondo greco. Fu deposto perché sospettato di collusione con il tur bolento zio messo al bando, Zanetbey, e gli succe dette il suo denigratore , Zervobey, l ' unico quisling. Questi fu attaccato dalla famiglia di Zanet e si salvò rifugiandosi a Tripoli nel palazzo del tirannico e de pravato suo amico Veli, pascià della Morea e figlio , nientemeno, del terribile visir di Ioannina, Alì il Leone . La carriera del successore è offuscata da quella dell ' ottavo e ultimo bey, il più grande di tutti ( 3 anni ) , Michaelbey Troupakis (3 anni ) , Zanetbey Kapetanakis Grigorakis ( 1 4 anni ) , Panagio ti Koumoundouros ( 5 anni ) , Antonbey Grigorakis ( 7 anni) , Zervobey ( 2 anni) , Thodorobey Zane takis (5 anni ) , Petrobey Mavromichalis ( 6 anni ) . l . Furono Zanetos Koutifaris
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e una delle maggiori figure della storia greca otto centesca, Petrobey Mavromichalis. Dopo la conquista franca della Grecia il Mani era stato una tempestosa oligarchia feudale di potenti famiglie. Il clan di gran lunga più forte , ricco e nu meroso era quello dei Mavromichalis, ai quali sono state attribuite varie origini. Una tradizione li dice famiglia originariamente tracia di nome Gregoria nos, fuggita qui quando i turchi v�rcarono per la prima volta l ' Ellesponto nel 1 340. E certo che nel XVI secolo essi erano ormai stanziati nella parte oc cidentale dell'Alto Mani. Nelle cronache dei secoli successivi il nome ricorre di frequente . Secondo una leggenda ben radicata la loro grande bellezza fisica derivava dallo sposalizio di un Giorgio Mavro michalis con una sirena; allo stesso modo, nel folk lore celtico chiunque si chiami Connolly discende da una foca. Pari alla bellezza era il loro coraggio e intraprendenza, e Skiloianni Mavromichalis - Gio vanni il Cane - fu nel XVIII secolo uno dei grandi paladini contro i turchi. Suo figlio Petro fu capo di questa vasta famiglia a cavallo tra il Sette e l ' O tto cento , quando i Mavromichalis erano all ' apice della loro prosperità e potenza, dovute principalmente all ' importanza commerciale e strategica della lo ro roccaforte ereditaria nella fortezza naturale di Tzimòva con il porto annesso di Limeni. Questa controlla il solo valico che attraverso il Taigeto por1
l . Nella superstizione greca moderna le nereidi - il termine usato nel racconto di questa leggenda - sono bellissimi fanta smi che frequentano i corsi d ' acqua dell 'entroterra e le sor genti . Ma è detto espressamente che questa era un ' abitatrice dell' acqua salata. La nereide , a differenza della « gorgone » m a rina, ha forma umana. La Gorgona che infesta le zone più tem pestose del Mediterraneo termina con due code squamose e ri curve . Un negoziante maniota mi disse che la nereide di Ma vromichalis era forse una principessa veneziana sordomuta del la casata Morosini, trovata seduta su una roccia in riva al mare .
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ta a Githion e al resto della Laconia; ed è anche l ' ingresso all 'Alto Mani. Molto prima della sua no mina a bey l ' autorità e influenza territoriale di Petro superava d ' assai quella dei predecessori, e il conferi mento nel l 808 della carica fu la ratifica di un pote re già assoluto . La figura bella e dignitosa e la corte sia dei modi erano i segni esteriori di un' indole ret ta e onorevole , di alta intelligenza, abilità diplomati ca, generosità , patriottismo, coraggio e forza di vo lontà incrollabili : qualità convenientemente inten sificate dall ' ambizione e dall 'orgoglio di famiglia e deturpate talvolta dalla crudeltà. Anche lui negoziò con Napoleone (ma senza gran frutto , essendo que st' ultimo troppo occupato altrove ) e riconciliò i clan guerreggianti , imponendo una tregua alle fai de . Pacificò in particolare i clan Troupakis e Grigo rakis, i quali , aizzati dai turchi nella speranza che i dissidi interni facilitassero l ' invasione del Mani o al meno lo neutralizzassero nella lotta imminente per la liberazione della Grecia, erano aspiranti rivali al rango di bey. Fu il Mani a colpire per primo. Petrobey e tremila manioti insieme a Kolokotronis e a una schiera di grandi clefti di Morea mossero con tro la guarnigio ne turca di Kalamata. Dopo la resa di questa, egli di ramò alle corti d' Europa una dichiarazione delle aspirazioni greche firmata « Petrobey Mavromicha lis, Principe e Comandante in capo » . I vessilli della libertà si alzavano intanto in tutta la Grecia, e l 'inte ra penisola divampò in un incendio che dopo quat tro secoli di schiavitù abbatté per sempre il potere turco nel paese e fece rinascere la splendente fenice della Grecia moderna. Pe trobey, alla testa dei suoi manioti, combatté battaglie e battaglie in quegli an ni feroci, e fu uno dei giganti della lotta. La sua figu ra si staglia ben al di là dei limiti rocciosi di queste pagine, in quelle della storia moderna europea. Non meno di quarantanove suoi familiari perirono 73
nel conflitto e la sua capitale Tzimòva fu ribattezza ta in suo onore Areopolis: la città di Ares, dio della guerra. Nell ' intrico di contrasti ideologici che seguì la liberazione Mavromichalis venne in urto con il nuovo capo dello Stato, Giovanni Antonio conte di Capodistria, e fu imprigionato nella nuova capitale Nauplia. Il Mani insorse ; Petrobey fuggì ma fu ri preso e rimesso in carcere, e due suoi turbolenti ni poti, infuriati per l ' ingiuria, uccisero in un agguato Capodistria. Durante il regno del re Ottone, Mavro michalis ebbe alti onori , e morì , circonfuso di glo ria, nel 1 848 . In seguito i suoi discendenti hanno avuto sempre una parte di rilievo nei vari governi e gabinetti di guerra, anche se nessuno di loro - e co me sarebbe stato possibile , nel mondo ateniese del la politica di partito? - ha eguagliato la statura del grande avo. Il nome risuona ancora incontestato nel Mani, e al momento del nostro arrivo le anguste vie di Areo polis erano piene di manifesti elettorali con la foto grafia del trisnipote Petro Mavromichalis, attuale capo della famiglia, personaggio politico di un cer to spicco nelle file monarchiche . Il suo volto urba no, ben nutrito e patrizio , monocolo luccicante in un ' orbita, emergeva da un colletto duro con cravat ta accuratamente annodata e da spalle vestite con eleganza, e il suo sguardo planava sui cappelli ma nioti a larga tesa con una bella combinazione di gra vità ministeriale e di affabilità da tavolo del bridge . Era difficile associare quelle fattezze levigate agli ir suti capitani armati di yatagan dell 'Alto Mani; a Mi chele il Nero e a Giovanni il Cane. E men che mai alla bella sirena diguazzante incantata tra le rocce nel golfo di Kiparissia qualche secolo fa.
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5 LAMENTAZIONI
La Grecia abbonda di poesia popolare . È sempre poesia can tata, ce n ' è di diverse specie per le varie occasioni - nascite, morti, matrimoni, feste religio se , accoglienze ospitali, bevute , pascolo delle peco re - e varia da regione a regione : le ballate cleftiche di Rumelia e Morea, le amanés orientali, le improvvi sate mantinadas a rima di Creta, accompagnate dalla lyra, le romantiche cantadas italianizzanti delle isole lonie, cantate al suono di chitarre e mandolini: si potrebbe compilare un lungo elenco. Quasi tutte, peraltro, sono scritte in pentadecasillabi, a volte in distici rimati . Il metro riesce un po ' monotono alla lettura (ha qualcosa della compiaciuta iterazione del Locksley Hall di Tennyson ) ; ma cantate - con le loro peculiari cesure , ripetizioni di emistichi, modu lazioni prolungate ed esclamazioni e apostrofi gut turali - le poesie sono piene di vita e di varietà. Mol te di esse acc9mpagnano i balli campestri greci. Anche qui il Mani sta a sé. Il ballo è poco pratica to, e chi scrivesse una tesi per dimostrare la discen denza dei manioti potrebbe addurre l ' assenza tra lo75
ro di poesia popolare quale eredità per difetto , re taggia negativo , dell 'avversione della filistea Sparta alle Muse. Naturalmente questa generalizzazione non è del tutto vera, perché di fatto nel Mani una forma di poesia popolare esiste , una forma per lo più estinta altrove fin dai tempi antichi, ed essa è co sì singolare e straordinaria, così emblematica delle cupe tradizioni della penisola, da compensare in gran parte la scarsità di tutti gli altri generi . I mirolo gia ( « parole del destino » ) , i lamenti funebri in versi del Mani, sono un fenomeno isolato . Il lutto e i riti funebri hanno in Grecia un ' impor tanza molto maggiore che nell ' Europa occidentale , e più una regione è povera e selvaggia, scarsi i beni tangibili da perdere , minore la possibilità di conso lazione e sollievo materiale , e più triste e irreparabi le sembra la perdita causata dalla morte. L' espres sione dell ' angoscia è più articolata in proporzione . In queste regioni il filo della vita è fragile. Sopravvi vere sembra un po' un miracolo quotidiano, e la vi ta, nonostante la subitaneità con cui può essere troncata, è doppiamente preziosa. Si crede assai poco , in pratica, a un convenziona le aldilà e alle ricompense e castighi del dogma cri stiano. Nonostante le formule ortodosse del prete accanto alla tomba, non è verso un ' e ternità cristia na, verso un Paradiso al disopra del cielo , che i mor ti si mettono in viaggio, ma verso gli Inferi, verso l ' o scura dimora di Ade e le paurose regioni di Caron te ; e Caronte è stato promosso dal rango di traghe t tatore dei morti a quello della Morte in persona, spietato cavaliere armato di spada. « Caro n te lo ha preso , » sospira la vedova, tracciando incoerente sul busto una dozzina di segni di croce « mi ha lasciato per andare negli Inferi . . . Era il suo destino, era scrit to . Aveva mangiato il suo pane , non gli restavan o giorni. Che D i o gli perdoni i suoi peccati, e la San tissima Vergine mi dia forza . . . » . Quando qualcuno 76
si ammala, si chiama non solo il medico e il prete , ma anche la maga locale con le sue fatture e incan tesimi ; e quando il malato muore, lo si munisce d'u na moneta per il traghettatore . Dopo la sepoltura si mangiano solennemente le pagane torte funebri, e gli uomini si fanno crescere la barba in segno di lut to . Nell ' animo greco non c ' è contrasto fra le due devozioni, bensì un armonioso e incontestato sin eretismo , paragonabile alle osservanze di non pochi san tuari calabresi. Una volta ho visto un prete crete se esorcizzato da alcune maghe per una fastidiosa sciatica causata dal malocchio . Per questo soccorso il prete accese subito una candela di ringraziamento davanti all ' icona del suo santo patrono. Il filo della vita, dunque , è molto fragile. Nei monti remoti della Grecia, sulle rocce nude di gior no e alla luce fioca delle candele di giunco la notte, il teschio sembra vicino alla superficie e voglioso di emergere . Lo vedi nitidamente sotto le orbite e le guance cave e l ' orlo della mandibola, e nei vecchi, logorati da fatiche povertà febbri preoccupazioni, non appena il brillio della conversazione cede al lu core scuro e fatalista del pensiero, esso incombe pa teticamente prossimo . 1 La morte è una vicina di ca sa, lievi infermità provocano in gente vigorosa un 'an sia esagerata, e malattie più serie portano spesso a una disperazione da animale selvaggio, a un ' incapal . Non ci sono palliativi o travestimenti per il fatto fisico della morte . La bara sigillata dell ' Europa occidentale e la cosmesi e mummificazione del Nord America sono cose inimmaginate. Ogni bambino greco ha udito ripetutamente i ran toli della morte e visto le guance grigie raggrinzi te , la mascella cadente e le palpebre chiuse di parenti defunti. La bara resta aperta fino all 'ultimo minuto, e calata nella fossa solo quando tutti hanno dato alla salma il bacio d ' addio. L' odore e il tocco della morte sono noti a tutti, e la dissoluzione anche , perché tre anni dopo la sepoltura le ossa sono solennemente dissotterrate e unite a quelle della famiglia. Io stesso ho visto i teschi nudi di due vec chi amici, uno a Creta e uno nell 'Argolide.
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cità di combattere contro la morte andando incon tro a Caronte a metà strada. Spesso gli invalidi si consumano senza ragione , e i loro occhi non riflet tono né le imminenti gioie del Paradiso né i terrori del fuoco infernale (i temporanei rigori del purga torio e le brume del limbo non figurano nella teolo gia ortodossa) , ma l ' estinzione , la perdita degli ami ci, la fine di tutto . Il giorno luminoso è finito e il buio li attende, e quando infine l ' anima vola via nes suno sa dove vada, e si leva un gemito acuto e stra ziante di privazione . In tutto il mondo greco - e ovunque domini la re ligione di Bisanzio - i funerali paesani sono accom pagnati da segni esteriori di dolore che suscitano meraviglia in chi abbia assistito soltanto alle com passate esequie dell' Europa nordoccidentale. Il com pianto è opera delle donne. Comincia come una ve glia funebre , un gemere e lamentarsi intorno alla salma a lume di candela, e quando la bara è portata fuori alla luce del giorno con il cadavere ondeg giante sulle spalle dei portatori, il compianto , smor zato a tratti durante il servizio funebre in chiesa, sa le in crescendo sulla via del cimitero, tra le grida fre netiche delle congiunte : « Oh mio guerriero ! Ah, to pallikari mou! Arco e colonna della nostra casa! Dove ti portano? Ah, mio bel fiore , mio giovane cipres so ! » . Il lamento arriva al parossismo quando si giun ge alla tomba, la voce della dolente diventa un ulu lato stridulo, isterico, la donna barcolla come un ' u briaca, il velo le cade dal capo, i capelli le spiovono arruffati sul viso , le unghie infieriscono sulle guance che si coprono di graffi e grondano lacrime e san gue . Il momento supremo viene quando la bara è calata nella fossa non molto profonda. Allora, in ca si estremi, gli accompagnatori devono trattenere con la forza la donna urlante dal gettarvisi anche lei, e non sempre ci riescono. L' isteria sembra sce mare un poco mentre la bara viene coperta di terra, 78
ma durante il ritorno a casa la dolente, scossa da sin ghiozzi e scoppi di gemiti a intervalli via via più lun ghi, è sorretta e circondata da una folla di donne nerovestite che la guidano barcollante per le viuzze . Nei giorni successivi gli stessi sintomi si ripetono in forma più blanda durante le visite di condoglianza. La gravità del compianto cede terreno davanti a un improvviso sfogo verbale: il defunto era il migliore dei figli, un vero guerriero, un così bravo ragazzo, affettuoso con i genitori , così pieno di vita, il mi glior tiratore del villaggio, suonava la lyra così svelto che non si vedeva l ' archetto, saltava più in alto di tutti nel ballo, e volava come un uccello ! A che serve fare figli con tanta pena e sofferenza, se Caronte ce li porta via? Sgorgano ben presto le lacrime . Il viso della dolente si sforma, la sua voce si alza nel flebile lamento trasognato del mirologion. Essa è subito cir condata, abbracciata e dolcemente rimproverata dai familiari che a poco a poco riescono ad acque tarla. Dopo qualche settimana queste manifestazio ni si riducono e scompaiono. Un po ' alla volta, con l ' aiuto di uno stuolo di massime confortanti, le con solazioni del fatalismo si impongono. I sospiri acco rati e le vesti nere durano per sempre. Dopo le prime reazioni di sgomento e di orrore , lo spettacolo di questo rituale di infelicità è oltre modo commovente e triste . Il fatto che la consuetu dine abbia codificato il dolore in uno schema for male non toglie nulla alla sua autenticità né alla pietà pungente che esso evoca. C ' era una profonda saggezza dietro gli aspetti orgiastici e isterici della religione antica; l ' uso di dare libero sfogo al dolore ha molto di positivo. Le decorose esequie dell ' Occi dente , le voci sommesse , l ' autocontrollo , i sorrisi stoici, la calma, si potrebbe sostenere che o soffoca no del tutto l 'emozione dolorosa, oppure la ricac ciano in fondo all 'animo, dove essa attecchisce e 79
prolifera come una vegetazione maligna e pericolo sa che infesta tutta la vita. È ovvio che in questi funerali orientali le donne emotivamente e istrionicamente dotate reagiscono in modo più spettacolare delle altre . A volte parlan do di un funerale la gente schiocca la lingua, se una performance è stata troppo evidentemente scenosa, uno sfruttamento troppo sfacciato dell ' occasione . In Grecia quasi ogni cosa ha il suo correttivo equili bratore. « La povera vecchia Sofia ha un tantino esa gerato, » si sente dire talvolta « non la potevo guar dare . . . » . Gli uomini della famiglia sembrano spesso a disagio durante queste scene; si spostano da un piede all ' altro, rigirano nervosamente il berretto tra le dita, tengono gli occhi incollati a terra con tutti i sintomi dell ' imbarazzo maschile in una circostanza prettamente femminile . « Dio gli perdoni i suoi pec cati » dicono gli uomini; « duri eterna la sua memo ria » , « la terra gli sia lieve » : nient' altro . In effetti, morte e sepoltura sono tra le poche occasioni della vita contadina greca in cui le donne prendono il po sto che meritano e possono farsi valere . D opo anni e anni di fatiche, silenzi e zittii, sono a un tratto pro tagoniste , e non c ' è dubbio che per alcune di loro , famose mirologistrias, lamentatrici col gusto della re cita e il dono d' improvvisare , questi sono momenti segretamente bramati. Non esitano a fare lunghi viaggi per piangere un lontano parente , o addirittu ra, nei casi limite , persone mai viste . Certune sono molto richieste . Una volta ho sentito fare , con un sorrisetto ironico, questo discorso: « Quando la vec chia Froso ha saputo che Panagioti era morto e se polto, non ha mica detto "Dio abbia misericordia di lui" , ma "Peccato che non ero là per la lamentazio ne . . . Chi ha fatto il mirologion? La vecchia Kiriakou la? Figurarsi ! Non sa nemmeno da che parte si co. . m1nc1a . . . » . Ma i lamenti funebri del Mani sono ben altro che ,
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queste grida sconnesse . Sono veri e propri poemet ti , lunghi inni con una rigorosa disciplina metrica. Cosa ancora più strana, il loro metro non esiste al trove in Grecia. L' universale verso di quindici silla be di tutta la poesia popolare greca è sostituito qui da un verso di sedici sillabe , e il piede in più cambia completamente il suono e il carattere della poesia. Il comune distico greco pentadecasillabico in rima ha questo andamento: A riva dormivano i clefti e tutto i l mondo dormiva, di loro solo il più giovane aveva gli occhi aperti. I versi di sedici sillabe di una lamentazione ma niota suonano pressappoco: Quando sarai negli Inferi, salutali i morti per me , Giovanni e Michele e digli che presto c 'incontreremo . . 1 .
I lamenti sono can tati estemporaneamente accan to all a fossa, e sembra che le donne maniote abbia no un talento straordinario per l 'improvvisazione, come i montanari illetterati di Creta nell ' inventare mantinades.2 Ci sono, naturalmente, certe frasi con venzionali ricorrenti ( come gli epiteti e le formule immutabili dell ' Odissea) che danno il tempo di pre parare i due versi successivi. Ma chi abbia visto con quale rapidità i cretesi sanno tradurre lì per lì un fatto qualsiasi in un impeccabile distico rimato, e sempre con una punta epigrammatica nel secondo verso ( anche qui la lenta ripetizione infiorata del primo verso da parte della compagnia concede al l . Nelle antologie a stampa questi versi di otto piedi sono spes so divisi in due righe, con cesura dopo il quarto piede . 2. Distici rimati improwisati nel consueto metro di quindici sil labe , ciascuno dei quali deve essere comple to e epigrammatico in quan to vengono can tati an tifonalmente , o distico dopo di stico, da ciascun membro di una compagnia.
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cantore qualche secondo per riflettere ) non sten terà a crederlo. La somiglianza di questi mirologia con i temi della letteratura greca antica, soprattutto con il lamento di Andromaca sul cadavere di Ettore, insieme al fatto che questa regione è rimasta pagana per sei interi secoli dopo l ' instaurazione costanti niana del cristianesimo come religione ufficiale, e al fatto che i mirologia esistono soltanto nel Mani, in duce a pensare che qui di nuovo vi sia una discen denza diretta dall ' antica Grecia, un ' usanza risalen te, forse, a prima della guerra di Troia. In cerca di canti funebri dal mio arrivo nel Mani , ero riuscito a raccogliere un certo numero di brani frammentari che la gente ricordava dai funerali pas sati, ma niente di completo . La cosa era piuttosto delicata, e mi vergognavo di ammettere che mi aggi ravo come un avvoltoio in attesa che qualcuno chiunque - morisse e fosse sepolto e compianto . Un funerale nel Mani non l ' ho mai visto, ma ho potuto scoprire varie cose sul modo in cui i lamenti vengo no cantati. La lamentatrice principale,sta in capo al la bara e comincia il klama, il pianto . E suo compito salutare gli ospiti in ordine d'importanza, se possibi le con un complimento ad ognuno e una parola di ringraziamento per la sua partecipazione . Viene poi il mirologion propriamente detto, che si svolge , no nostante il tono semiestatico della dizione , in una logica sequenza di proemio, esposizione ed epilogo . Col procedere del lamento le ginocchia si irrigidi scono, i capelli cadono scomposti , il velo cala dalla testa alle spalle , una cocca per mano, e va su e giù con un movimento a sega in accordo col ritmo len to del verso. La donna si batte il petto, si artiglia le guance , e molto spesso il mirologion si accelera in un borbottio e infine in gemiti e strilli senza senso. Se il defunto è stato ucciso in una faida, il lamento può terminare con terribili maledizioni e giuramenti di vende tta; spesso la lamentatrice si strappa i capelli a 82
manciate e li ge tta nella bara aperta: così come Achille e i mirmidoni gettano le loro trecce recise sul catafalco di Patroclo. Quando la donna si zittisce un ' altra riprende il klama, cominciando con parole di conforto per i familiari e continuando con osse qui agli ospiti e un encomio del defunto. Poi tace a sua volta, un ' altra subentra, e così il klama prosegue . Nel lamento per Ettore , ad Andromaca succede Ecuba, e a Ecuba Elena. Se il defunto lascia figli in difesi, questi sono introdotti nel lamento come A stianatte orbato del padre : adesso chi avrà cura di loro? Vengono evocati i suoi ferri del mestiere . Se il defunto era un pastore, come si consoleranno le pe core e i montoni, che ne sarà del suo vincastro ri curvo e della fiaschetta dell ' acqua? Ogni cosa, ani mata e inanimata, spande lacrime per il padrone perduto ; se il defunto era muratore , i suoi mattoni, la calcina e la cazzuola; se soldato, il fucile e la baio netta; se maestro di scuola, il gesso e la lavagna; se awocato , la sua borsa, la tribuna, i documenti, le pratiche . A casa, frattanto , tutto è in pianto - tavoli e sedie, telaio, macinino, frantoio, selle, le pietre dei muri, le foglie degli olivi, le spine dei fichi d ' In dia. Che ne sarà di tutte queste cose? Sono rimaste prive del loro sole e luna, del vento stesso che agita va il fogliame. Il defunto era un leone, un 'aquila, ma mite come un agnello con i suoi cari; e adesso è nel mondo oscuro delle ombre , tra gli avi e i paren ti svaniti , i morti guerrieri, gli eroi magnanimi del Mani . . . Ma non sono sempre elogi. Si ricordano i suoi difetti , si valutano le sue azioni . Una volta, alla sepoltura di un povero scemo senza parenti, le don ne del villaggio rifiutarono di cantare il lamento; finché, alle insistenze degli uomini scandalizzati da questa empietà, una vecchia prese a dire : « Ah , po vero Giovanni, quanto puzzavi da vivo ! Com ' è che da morto non puzzi più? . ». A volte , nell 'ispirato se mitrance del mirologion, la cantatrice esce di carreg. .
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giata e si perde in ricordi personali e vecchi rancori, persino questioni politiche, e allora nel canto si in trecciano fuor di proposito problemi di tasse e di economia, cadute di governi, nomi di ministri e ge nerali, il prezzo del sale, la frontiera bulgara, il biso gno di strade o di un nuovo molo per scaricare la fa rina dai caicchi: tutto in impeccabili distici di sedici sillabe; finché la lamentatrice successiva riporta ac cortamente il klama al tema suo proprio . Le cantatrici non sono in grado di ricordare , tran ne sparsi frammenti, ciò che hanno cantato . Se la la mentazione è stata comunque notevole viene rico struita in seguito dagli astanti. In tal modo molte en trano in circolazione e le donne poi le intonano per generazioni mentre filano e tessono e spremono le olive . Esistono raccolte di mirologia, alcuni di gran de valore poetico, e ne escono continuamente di nuove . Disperavo di ascoltare un mirologion. Ma nel no stro ultimo giorno ad Areopolis, bevendo un bic chiere in una tavernetta che vendeva dell' ottimo vi no portato a barili da Megara, mi misi a parlare con un giovanotto biondo di nome Giorgio Chryssika kis. La conversazione volse ben presto in direzione del mio assillo . Come, non avevo mai sentito una la mentazione? Mi avrebbe portato da sua cugina Ele ni, una delle migliori mirologistrias dell'Alto Mani. Venne a prenderei verso sera e ci guidò per un labi-. rinto di viuzze a una casetta bianca sull ' orlo del di rupo che precipitava nel golfo di Messenia. Circon date da erbe in fiore dentro latte di benzina dipinte di bianco , la sua vecchia zia e la cugina Eleni lavora vano a maglia sotto un melograno. La cugina era una bella donna giovane e in carne, con guance di mela e occhi allegri e disarmanti, tutta diversa dalla tetra megera che mi aspettavo . Serviti subito di caffè e marmellate , ci accomodammo sotto le bombe ros sicce che crescevano sui rami, e Giorgio le fece reci84
tare cinque o sei mirologia, tutti molto belli. Ma nul la, dapprima, poté indurla a cantare . Rideva imba razzata, e disse che cantare un lamento senza un morto era come volere aver kefi} senza bere vino. « Via, Eleni » insisté Giorgio. « Gli el ' ho promesso. Canta quello sull ' aviatore inglese . Gli piacerà » . « L' aviatore inglese? » . « Sì , quel poveretto abbattuto a Limeni, là dietro, durante la guerra. Gli abbiamo fatto un bel funerale e Eleni cantò il mirologion. Eravamo tutti molto ad dolorati per lui » . Lei fece un sospiro rassegnato, posò in grembo la calza che stava sferruzzando e incrociò le braccia. Dopo qualche secondo di raccoglimento cominciò a cantare adagio con voce esile e acuta. Era un mo tivo strano , inafferrabile, in tono minore , e indici bilmente triste e bello. Fosse la musica o le parole, non tardai a sentire una stretta in gola e un pizzico re agli occhi e quel curioso formicolio alla nuca e al cuoio capelluto che dev' essere ciò che intendono gli scrittori dicendo che a uno si rizzano i capelli. Quando terminò, la giovane aveva gli occhi pieni di lacrime . La pregai di cantarlo di nuovo. Lo trascrivo qui , traducendo parola per parola, perché nulla va da perduto nel tentativo di me tterlo in versi : Egli splendeva tra mille e mille come il sole , era una luna tra centomila, era il più prode degli ufficiali. Mai una stella così fulgida avrebbe dovuto cadere al suolo . A lui spettava di pranzare alla tavola di un re, di mangiare e bere in compagnia di cento, di essere distinto fra trecento uomini , e che per via millecinquecento lo seguissero . l . Kefi ha vari significati . In questo caso vuoi dire benessere, buonumore .
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Ma era suo destino cadere qui a Limeni quando i nostri alleati combattevano in volo i barbari tedeschi. Il pilota inglese e il suo compagno caddero in mare e il mondo e le genti piangono la loro triste morte . Uno il mare lo portò a riva, gravemente ferito, e la voce corse di villaggio in villaggio : « Un inglese giace sulla spiaggia » . Tutti accorsero con bende e garze per lenire la pena del capitano e salvargli la vita. Ma il giovane era morto . Così gli giunsero le mani e gli chiusero gli occhi e ora piange tutto il vasto mondo; piange per la sua gioventù bagnata di rugiada_ che era limpida come le fresche acque di maggio. Ardimento era nel suo passo, il suo andare era quello di un ' aquila, la sua faccia era quella di un angelo , l a sua bellezza simile a quella della Vergine Maria. Per il suo coraggio gli siamo profondamente debitori, perché è per l' onore della Grecia che egli è venuto . Cosa faranno senza di lui sua madre e le sorelle? Abbiamo adornato il nostro impavido capitano come uno sposo e uomini armati lo hanno portato per le strade, e tutti hanno recato ghirlande di alloro perché questo eroe fosse sepolto come si conviene, tra gli olivi di San Salvatore. Preghiamo l ' Onnipotente e la Santissima Vergine perché una bomba cada nel campo dei tedeschi e mandi la loro fortezza in frantumi. Ma noi non ci tocchi né faccia danno e gli inglesi volino sani e salvi a casa.
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6 NELL'ALTO MANI
Giorgio ci aveva presi sotto la sua ala. Quando ci incamminammo verso la corriera che doveva por tarci più a sud, eccolo lottare con noi per i nostri ba gagli, dichiarando con foga che eravamo ospiti e fo restieri e che per lui sarebbe stata una vergogna se li portavamo sia pure per un passo . « Farebbe disono re alla nostra città » disse. Di nuovo ci fu il brusio di saluti mentre passavamo per le stradine di Areopo lis . Vicino alla fermata della corriera c ' era un vec chio seduto con le mani incrociate sull ' arco del ba stone, a godersi l ' ultimo bagliore del crepuscolo . « Vedete quel vecchio? » bisbigliò la nostra guida. « Indovinate quanti anni ha » . « Ottanta? Ottantacinque? » . « Centoventisette » . Il vecchio confermò, con gengive sdentate, e alla conferma seguì un ridacchio compiaciuto. La par tenza della corriera impedì altri discorsi , e sobbal zando sull ' acciottolato ci trovammo nei sedili da vanti con le gambe tra i polli e in grembo mazzi di basilico, maggiorana e rosmarino mandati da Eleni 87
la lamentatrice come dono di commiato. La corrie ra si scrollò di dosso i margini dell ' abitato, e i resti del giorno svanirono rapidamente sul golfo sotto di noi in una scia ambrata e verdeazzurra. Centoventi sette anni ! Era nato due anni prima che Byron mo risse a Missolungi. Giorgio IV, Carlo X, Alessandro I sedevano sul trono, Wellington, Metternich e Talley rand erano sulla mezza età. Nei suoi primi ricordi poteva figurare Petrobey alla testa del rude esercito maniota, i guerriglieri irti come istrici di fucili a can na lunga, scimitarre , cangiar, yatagan e pistole borchiate d ' argento , che trascinano cannoni di bronzo sui ciottoli di Tzimòva . . . Bambino doveva aver sentito racconti di città in fiamme e piramidi di teste troncate , del massacro della cavalleria negra di Ibrahim, di decapitazioni e impalamenti. Forse ave va udito, di là dal golfo e dai monti, il rombo dei cannoni di Navarino , e compreso confusamente , al suono delle campane a stormo, che la Grecia era li bera . . . Le congetture proliferavano tra le ombre ca lanti . La fatiscente corriera, sgroppando e impen nandosi, penetrava sempre più addentro all 'Alto Mani . Galline irrequiete chiocciavano sotto i piedi, olivi sfrecciavano nell ' oscurità. A una fermata, da vanti a un caffè campagnolo, una donna alzò un bambinetto al nostro finestrino e gli disse di guar dar bene i forestieri . « Non ne ha mai visti » disse in tono di scusa; e aggiunse : « nemmeno io . . . » . Ci fermammo infine al punto estremo raggiungi bile dalla corriera su quella strada malconcia, nel l ' unica via del villaggio di Pirgos, e trovammo allog gio - sacconi imbottiti di paglia su tavolacci - nel chani. Come tanti di questi locali era mezzo taverna e mezzo alimentari, rischiarato da un lume a petro lio su un tavolo dov' erano seduti a bere alcuni vec chi. Il padrone e la moglie , due brave persone, gen tili , erano molto afflitti che degli europei di lusso dovessero adattarsi alla loro sommaria ospitalità. 88
Dopo una cena di fagioli restammo soli in bottega insieme alla padrona, che aveva un cencio nero an nodato sulla testa, e a un suo figlioletto febbricitan te steso accanto a lei nell ' ombra sotto un mucchio di coperte . Un gatto bianco e nero dormiva sopra un sacco di granaglie. Joan scriveva lettere e io lavo ravo ai miei appunti al chiarore incerto della lampa da. Le finestre si aprivano su una desolazione di roc ce e sassi sotto i raggi lunari , e poco lontano un ' alta torre smilza, con uno dei fianchi rettangolari inar gentato dalla luna, si elevava nella notte bollente . Le nostre penne grattavano laboriose . A un tratto l ' ostessa ruppe il silenzio. « Cosa scrive? » chiese a Joan . « Una lettera per l ' Inghilterra » . « Gli dica su a Londra che lei è nel Mani , un posto tanto caldo dove non c ' è altro che sassi » . « Sto proprio dicendo questo » . D i giorno l e rocce intorno parevano ancora più desolate che al chiaro di luna. Il ruvido profilo del Taigeto si era notevolmente abbassato, e le gobbe successive si accavallavano verso sud in balzi via via minori . L' alta torre stava al bordo del pianoro decli nante al mare dov' era il villaggio, e torri simili sor gevano , come tante matite , qua e là nel paesaggio roccioso. Un giovane gendarme in libera uscita si offrì di accompagnarci a quella più vicina e più alta, da cui presumibilmente (pyrgos in greco vuoi dire « torre » ) il villaggio prendeva nome, come cento al tri in Grecia. La torre si ergeva come un nudo campanile italia no o un antico torrione inglese spogliato di orna menti e doccioni, e pareva alta il doppio perché non c ' era portale a sesto acuto né finestra a ponen te né colmo d ' un tetto di chiesa a spezzare la linea dello sguardo dalla base alla sommità. Era fatta di 89
pietre massicce ben squadrate . In apparenza era un relitto dei Secoli Bui , e nell ' Europa occidentale sa rebbe stata adorna di stemmi corrosi dal tempo . In vece non c' era niente , tranne una data rozzamente incisa sopra la porta d 'ingresso. L'interno era fred do e scuro . La luce filtrava da arcigne feritoie in fon do a strombature nei muri spessi un metro . La so miglianza con un campanile era così convincente che ti aspettavi di vedere delle funi sparire su in alto nei fori dello spesso tavolato sorretto da travi, con a mezz ' aria logore etichette color vino in attesa della presa dei campanai. C ' era il consueto cigolio di sca lini di legno, il pericolo di assi tarlate o mancan ti, lo stesso spalancarsi di botole quando un nuovo strato di vuoto fitto di ragnatele incontrava l ' occhio dal piano terra; il senso fanciullesco d ' awentura nel la sciare sotto di noi un piano dopo l ' altro ( quanti sa ranno? ) . Giungemmo finalmente al quinto e supre mo, dal quale il mondo in basso, di olivi, rocce e ma re , appariva in scorci rettangolari da aperture che stecche di persiana avrebbero dovuto suddividere a fette . La nostra irruzione aveva smosso la polvere , e un esile raggio di luce dorata che cadeva obliquo nel tenebrore da gattabuia era un turbine di pulvi scolo . Il giovane dette una pacca affe ttuosa alle fred de lastre di pietra. « Questa torre appartiene alla famiglia Sklavomi kos, » disse « parenti dei Mavromichalis e un tempo grandi nikliani della zona » . Ultimamente avevo sentito più volte questa strana parola niklianos, e mai altrove in Grecia. Cosa si gnificava? Dalla risposta del. giovane risultò che i nikliani , all ' opposto degli achamnomeri o villani, era no una sorta di aristocrazia militare e terriera, un ' approssimativa versione maniota del feudalesi mo giapponese , di cui il bey o il bashkapetan ( soprat tutto, il capo della famiglia Mavromichalis) era lo shogun, e i nikliani maggiori e minori i daimyo e i 90
samurai, alcuni dei quali andavano errando come rònin mercenari. Chiesi donde mai venisse questa parola, che nel greco comune non significa nulla. Non lo sapeva, ammise ; poi, accendendo una siga retta con l' amabile verecondia di un patrizio tra ple bei , ci disse che lui apparteneva alla famiglia niklia na dei Glezakos di Glezos. Questo singolare feudale simo, bizzarra deviazione dal mondo democratico della Grecia postbizantina, mi suonava così strano che decisi di approfondire . Nicchioni erano scavati nel calcare per riporvi i barilotti di polvere , e una barriera di massi recinge va un ampio tratto di compatte pietre grinzose co me marmo grezzo tutt'intorno alla torre . Vi si trova vano un paio di basse baracche di pietra con coper tura a lastre , e un minuscolo oratorio imbiancato. A cisterne trivellate nella dura matrice di roccia dava accesso un angusto pozzo privo di rivestimento. Analfabeti e feudali, quegli antichi signori della guerra dovevano aver vissuto come baroni del X se colo . Non c ' era da nessuna parte traccia di agi , e men che mai d ' arte e di cultura. Facemmo ipotesi sulla data di costruzione: XVI secolo , decidemmo, con poco rischio d ' errore . La data sopra la porta, sbalorditiva, era 1 8 1 2 . Copre questo territorio i n pendio una fitta rete di muriccioli , le cui estremità si allungano un poco su per il ripido fianco del Taigeto e muoi_? no tra i ma cigni. Non servono a delimitare nulla. E solo un mo do di toglier di mezzo pulitamente i sassi che in gombrano i campi, perché qua e là una spanna di terra polverosa dia appiglio ai chicchi di grano per germogliare . Un piccolo bastione ricurvo di pietre piatte fa da sponda al suolo prezioso intorno alle ra dici di ogni pianta d ' olivo. Tortuosi labirinti di sen tieri murati serpeggiano tra i muriccioli e gli alberi non meno gratuitamente, sembrerebbe , dei muric cioli medesimi . La roccia compatta del Mani affiora 91
nei radi campi di stoppie in calcinate gibbosità a dorso di balena e in alte lame oblique di minerale, e tutto biancheggia come un ossario. A volte queste lame si aggruppano così fitte che danno l ' illusione di interi villaggi; ma quando le raggiungi dopo aver arrampicato una ventina di muriccioli , eccole in tut ta la loro nuda assurdità: fortuiti dolmen e crom lech e menhir. Ogni tanto, però, il relitto di un villag gio fantasma quasi preistorico appare effettivamen te : un 'improvvisa adunanza di muri, i gusci di case semitrogloditiche con tetti a lastre sfasciati e soglie dove si può entrare solo carponi, i blocchi mal ta gliati confitti accanto a olivi selvatici e cactus, con solo una rozza croce incisa sulla piattabanda o un imprecisabile animale scolpito a indicare che non risalgono all 'età della pietra. I soli altri edifici sono innumerevoli cappelline microscopiche, con le bas se volte rivestite di lastre sporgenti come schiene di armadilli; qua e là un cascinale , e le torri abbando nate dei nikliani. Il pallido mondo marmoreo di rocce , stoppie dorate , cardi, foglie grigioargentee d' olivo , freme nel fulgore del mezzogiorno, e vien voglia di saggiare le rocce ( come si sputa sul ferro da stiro ) prima di osare di posarvi una mano o di stendersi nel frammentario disco d ' ombra di un oli vo . Il mondo trattiene il fiato , e il demone meridia no è vicino. Dicono che in estate gli spettri vaghino per il Ma ni nell ' ora più calda del giorno, in inverno nell ' ora più buia della notte . Se i loro predecessori mortali sono stati uccisi da un nemico gemono chiedendo vendetta. Gli spettri estivi infestano i cimiteri, le chiese in rovina e i crocevia. Il sangue di un uomo, dicono, grida a gran voce il giorno prima della sua morte, e se egli perisce per mano violenta il sangue rimane umido nel terreno fino a che non si pian ta sul posto una croce di legno; allora si coagula o si prosciuga. ( l mani o ti hanno un ' ossessione quasi 92
messicana per la morte ; forse la luce abbagliante , la roccia nuda e i cactus generano gli stessi processi nei due luoghi ) . I defunti si mutano in lupi manna ri fino a quaranta giorni dopo la morte , durante la notte entrano nelle case di soppiatto e mangiano la farina nella madia - una madia vuota quando do vrebbe essere piena è opera di un lupo mannaro . Ci sono le streghe, che di notte conducono la gente in trance su per la montagna e lassù la torturano. I sonnambuli abituali, che sembrano abbondare , so no chiamati stringloparméni, quelli presi dalla strega. Poi c ' è un demone terribile chiamato Makrynas, 1 « il Lontano » , che appare invariabilmente in luoghi de serti nell ' ora cruciale del mezzogiorno. Non ho po tuto appurare che aspetto abbia e che male faccia, ma di solito ci si imbattono donne che fuggono via terrorizzate tra le rupi e gli olivi . Che sia Pan in per sona, dedito al vecchio gioco con le moderne di scendenti di Siringa e di Eco? Le nereidi, le oreadi, le driadi , le amadriadi e le gorgoni sopravvivono tut te , trasposte , nella mente dei greci di campagna. Il Lon tano potrebbe essere il gran dio dei boschi me desimo. La credenza nell ' importanza profetica dei sogni, superstizione panellenica, qui è ancora più forte che nel resto della Grecia. In Grecia si « vede )) un sogno, ma l ' interpretazione di ciò che si vede varia da regione a regione. Nel Mani, in armonia incon sapevole con molte teorie moderne, l ' interpretazio ne è un ribaltamento . Il dolce gustato in sogno, o la vista di cose dolci - torte o un favo di miele , per esempio - significano veleno e amarezza; i fiori vo gliono dire dolore , le chiese sono tribunali e prigio ni, una casa scoperchiata è una tomba, le uova simbolo di concordia pasquale - preannunciano liti l . È anche un nome locale del Taigeto, quindi potrebbe essere una sorta di spiri to della montagna.
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e male parole; una prigione è libertà e i pidocchi denaro; e così via. Ci sono alcune eccezioni a questo sistema. Barbe e capelli sognati significano guai, gli uccelli pronosticano danno, una pozza d ' acqua in mezzo alla strada minaccia difficoltà; un fucile an nuncia la nascita di un maschio, un fazzoletto quel la di una femmina. Per aver senso, un sogno dev' es sere breve , una specie di lampo illuminante . I sogni lunghi sono attribuiti a indigestione, e non conside rati. Quando la terra è aperta, al tempo dell 'aratura e della semina, il sogno non vale . Se un sogno sem bra del tutto campato in aria può trattarsi di un er rore di indirizzo, in quanto i sogni a volte sono re capitati per sbaglio a persone omonime del vero de stinatario. Chi li ha sognati deve cercare di reperi re l ' interessato e trasmetterglieli . Se la spiegazione non è chiara, ci sono in ogni villaggio vecchi con po teri mantici. Costoro interrogano il sognatore come provetti diagnosti . « Dunque , hai visto degli uccelli, eh? Volavano bassi o alti? Da sinistra o da destra? Erano grossi o piccoli? Stavano appollaiati sui rami o posati sulle rocce? » . Ascoltano attentamente le ri sposte e schioccano la lingua, compresi, ammetten do che il sogno non promette bene , o danno una pacca sulle spalle al paziente dicendogli che non ha di che preoccuparsi. In entrambi i casi prescrivono una linea di condotta. Vengono in mente Ettore e Polidamante prima dell ' attacco alle navi achee. Fino al 1 830 e oltre non c' era nel Mani una sola scuola, e la regione è senza dubbio la più arretrata della Grecia. Donde la quasi totale assenza di lette ratura e cultura. Le cupe tradizioni locali si sono mantenute incontrastate per secoli. A parte la gene rale concentrazione sulla morte e sulla vendetta, di queste tradizioni ci sono altre osservanze sintomati= che . La nascita di un figlio maschio è stata sempre accolta con grande esultanza ( « un altro fucile per la famiglia! »; i maschi erano detti , appun to , « fucili » ) ; 94
e dopo la nascita del primogenito ogni VISitatore, prima di entrare in casa con un dono, sparava un colpo in aria augurando che il neonato vivesse e fos se seguito da altri. Fichi e raki di Kalamata venivano offerti agli ospiti in suo onore . Per le femmine, tut to il contrario. Niente doni, niente esultanza e con gratulazioni; le femmine servivano soltanto a pro creare « fucili » , a faticare e a cantare lamenti fune bri . La dote non esiste ; la famiglia dello sposo forni sce casa e arredo e qualche sacco di grano. Sulla cul la di un figlio maschio si intaglia o dipinge un sole, su quella di una femmina una luna. Non c ' è nessuna panagiria (le allegre kermesse rustiche che nel resto della Grecia festeggiano il giorno del santo patrono ) , non ci sono canti né bal li. Come in tutta l ' Europa sudorientale regna sovra na la fosca passione per la verginità, premio riserva to a un matrimonio senza amore, e sono invalsi i consueti sanguinosi castighi per l 'infedeltà ( evento comprensibilmente raro ) . Soltan to gli uomini sono compianti alla morte , ma le donne portano il lutto anche per i parenti maschi più remoti. La vita delle donne è fatta di fatica continua - in casa e nei cam pi, al frantoio o a neolitici macinini con una sorta di pesante pestello e mortaio. Vanno a mietere lontani campicelli di grano, con in mano la falce e le em blematiche culle di legno appese alle spalle come i bimbi dei pellerossa. Quando in estate le cisterne sono asciutte , scarpinano per miglia con dei barilot ti sulla schiena per riempirli d ' acqua salmastra, vici no al mare, a uno della mezza dozzina di rivoli del l 'Alto Mani. Pare che le maledizioni del Mani siano le più acrimoniose ed efficaci della Grecia. La vita in genere è miserrima e velata di tristezza. In passato era completamente dominata dalla faida, la vendetta di sangue . Ciò che ha sorretto i manioti è s tato il loro fiero sentimento di libertà, l'orgoglio di vivere in uno dei luoghi di Grecia liberatisi per 95
primi dai turchi. È rarissimo che un maniota vada a servizio. Di mendicanti manioti non si ha notizia. Il furto di bestiame n � n esiste, e le porte non sono mai chiuse a chiave . E il loro orgoglio regionale che li induce, fra l ' altro, a liquidare gli abitanti del mon do esterno come « valacchi » . Finalmente appresi il significato della parola che mi aveva così incuriosito il giorno del nostro arrivo nel Mani. Non ha niente a che fare con i nomadi del Pindo . Un « valacco » è un abitante di pianura, un discendente dei rayah, un vile bourgeois, e dei manioti che lasciano la peni sola per vivere come lui si dice , con voce sprezzante , che si sono « invalacchiti » . È una vita di duri stenti. Un'ultima superstizione è molto commovente . La donna che ha perduto un figlio maschio (un « fucile » ) porta in strada, avvolto nel grembiule, il bambino nato successivamente , gridando : « Vendo un agnello . . . Chi vuole comprare un agnello? » . « Io » dice il primo passante ; e paga una piccola somma, fa da padrino al neonato al fon te battesimale , poi restituisce l ' agnello alla madre . È un ' astuzia per ingannare Caronte confondendo le orme familiari con un falso odore . Il gendarme nikliano si rigirò , svegliandosi sotto l ' olivo dove dai discorsi eravamo scivolati nel beato sopore di una siesta, e ci guidò nel fresco della sera per uno di quei sassosi viottoli che dal pendio scen devano tortuosi verso il mare , per mostrarci la vec chia chiesa di Michele il Tassiarca, 1 nel paesino di Charouda. Il posto era circondato da un vero e pro prio frutteto di fichi d ' India, alcuni alti più di sei metri: vasti viluppi di verdi racchette da ping-pong e l . Tassiarca, nell ' esercito greco, corrisponde a generale di bri gata. Nell' agiografia ortodossa è epiteto dell ' arcangelo Miche le, comandante delle schiere celesti.
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di malformate mani carnose irte di aculei, con i bor di muniti di una mezza dozzina di pollici bulbosi. La chiesa era una piccola basilica in mezzo ai cipressi, sormontata da una nidiata di cupolette raccolte in torno a una cupola centrale. All ' interno i muri ave vano begli affreschi con le consuete pie immagini che trascorrevano per l ' intonaco con elegante e sciolta libertà di movimenti. Nel Mani ci sono molte di queste affascinanti chiesette , che hanno assorbito tutta la grazia e la pietà disponibile esistente nei pet ti di pietra dei vecchi manioti. A volte sono atonìte e cruciformi ma di solito basilicali: il centro quadrato del katholik6n è fiancheggiato da due brevi navate e termina con tre absidi. Massicce travi di pietra sot tendevano con aurei diametri le quattro arcate se micircolari sorreggenti i pennacchi da cui nasceva la cupola; analoghi elementi orizzontali chiudevano le arcate minori e attraversavano il sommo dell 'ico nostasi, e tutte queste travi, come pure i capitelli in cima alle colonne, erano scolpite con un rozzo intri co di bugne e crocette e motivi bizantini di foglie, grappoli d ' uva e girasoli . Sopra il portale una com plicata matassa di calligrafiche abbreviazioni, le ttere congiunte e legature bizantine si rivelò un 'iscrizio ne dedicatoria, con la notizia che la chiesa era stata edificata dali ' « umile romano Michele Kardianos » ; dove romaios, naturalmente, voleva dire bizantino, greco dell 'Impero romano d ' Oriente . Perché que sta precisazione? Quale altra nazionalità poteva es serci, perché valesse la pena di specificarlo? Una volta tanto il nikliano non seppe rispondere . Segui va la data, che nelle chiese bizantine è sempre un rompicapo, perché i numeri sono scritti al vecchio modo tormentoso greco - che rende gli antichi cal coli matematici un incubo solo a pensarci - con strane sequenze di lettere alfabetiche e apici annes si , e altri simboli speciali arbitrariamente inseriti nel sistema alfabetico per indicare 6, 90, 900 e 6000. Ag97
giungiamo che la scrittura epigrafica bizantina, co me certe fiorite iscrizioni arabe, è più una complica ta forma di decorazione che un mezzo per trasmet tere informazioni; aggiungiamo ancora che, se è di pinta, la pittura è di solito mezzo cancellata, e, se scolpita, è sbocconcellata e quasi illeggibile; aggiun giamo infine che le date sono calcolate non dalla nascita di Cristo bensì dal 5508 a.C. ( cifra singolar mente difficile da ricordare ) , data biblica della Creazione - che va sottratta dalla data iscritta; e il lettore avrà un ' idea della difficoltà di decifrare le date per uno come me negato a ogni sorta di nume ri. Spesso le sbaglio, anche dopo dieci minuti con carta e matita in mano; e così feci manifestamente in questo caso, poiché il mio taccuino dice che la chiesa del Tassiarca fu fondata nel 1 2 1 1 , e un ma nuale dice 1 3 7 3; o meglio, fu fondata nel 688 1 anzi ché nel 6 7 1 9 ; non ,ç> .
Viene ora una ramificazione della storia maniota, un commento marginale - una lunga parentesi o nota in calce , quasi - che mi riesce impossibile , per varie ragioni, lasciar fuori da queste pagine. Eccola. Quando alcuni giorni prima il nostro caicco aveva attraversato il golfo di Vitilo (si scrive così in demoti co, più spesso che non Oitylos, che è ancora il suo nome ufficiale , come lo era al tempo in cui i suoi abi tanti diretti a Troia salirono a bordo di una delle ses santa navi di Menelao) , la prima cosa che ci diede nell ' occhio fu la gigantesca fortezza turca di Kelefa. Dalle alture dove una volta sorgeva il tempio di Sera pide , essa domina il borgo di Vitilo e tutto il golfo. Fu costruita quando le fortune greche toccavano il punto più basso, subito dopo la caduta di Candia nel 1 669, col pretesto di garantire la libertà del commer cio maniota e in realtà come preludio all ' occupazio ne. Vitilo era sede di due grandi famiglie maniote, gli Iatriani e gli Stefanopoli. La presenza della for tezza e della guarnigione alle soglie di casa era per loro un amaro tormento: venivano aggrediti andan do ai campi, i loro beni erano depredati,. bisognava chiudere in casa le donne giorno e notte . Alla cadu129
ta di Candia i greci erano stati sopraffatti dalla dispe razione. Sembrava proprio che i turchi sarebbero ri masti in Grecia fino al giorno del giudizio . Le due fa miglie decisero di partire insieme per i liberi regni cristiani dei franchi, di stabilirvisi e di tornare a com battere i turchi in tempi più propizi. Ma prima della partenza le due famiglie vennero in conflitto perché uno degli Stefanopoli rapì e sposò una ragazza ia triana, Maria. Vi furono parecchi morti da entrambe le parti. Fu allora che gli Iatriani trovarono un for midabile alleato nella persona di Liberakis Ierakaris, il terribile pirata, appartenente al terzo grande clan vitilese dei Kosma, liberato dal carcere dal Gran Visir di Costantinopoli a condizione che soggiogasse il Mani. Liberakis fu nominato comandante della re gione, e quale alleato dei turchi ne divenne presto il principe . Ma egli era stato fidanzato della rapita Ma ria, e la ragione principale del suo accettare la carica a condizioni tanto dubbie fu la rabbiosa determi nazione di distruggere tutta la tribù degli Stefanopo li. Cominciò col catturarne e giustiziarne pubblica mente trentacinque . Poi la sua ambizione lo trascinò a strane imprese. Diventò un erratico signore della guerra e condottiere , a fianco ora dei turchi, ora dei veneziani, ora dei greci, in una interminabile succes sione di campagne sanguinose in tutta la Grecia con tinentale. La situazione locale peggiorava più che mai, e dopo questo infuocato interludio le due fami glie erano ancora risolute a emigrare, sebbene natu ralmente verso luoghi diversi. I primi a muoversi furono gli Iatriani , verso una destinazione scelta per un motivo curioso. Iatros in greco vuoi dire « medico e gli Iatriani erano con vinti da tempo che il loro nome fosse una forma el lenizzata del nome Medici; e di discendere , appun to , da un qualche oscuro emigrato della grande fa1
»,
l . Si veda sopra, p . 70.
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miglia fiorentina. Si firmavano Medikos o Iatria nos » , o anche più spesso - avvicinandosi all 'italiano quanto lo consente l ' alfabeto greco - nte Mentit zi » o Mettitzi » 1 ( l ' ortografia e la scrittura delle po che testimonianze pertinenti di questo periodo di mostrano che nel Mani l ' arte dominante era ancora quella della spada) . Fu così che i loro pensieri si vol sero subito al granducato di Toscana, e dopo i pen sieri un emissario. Il granduca Ferdinando II de ' Medici , sia che accettasse la buonafede di quei lon tani parenti sia che volesse assecondare la loro cre denza, accolse la proposta e offrì loro ampi terreni a condizioni generose . Quando alla fine del l 670 o al l 'inizio del l 67 1 i Medici manioti gettarono l ' ancora a Livorno, a Ferdinando era succeduto il figlio Cosi mo III, che li festeggiò e diede loro terre da coloniz zare non lontano dalla costa intorno ai villaggi di Casalappi e Bibbona, vicino a Volterra, nella giuri sdizione di Siena. Varie centinaia di Iatriani vi si stanziarono con gioia, ed ebbero inizio i loro guai. Con loro erano venuti cinque preti ortodossi , ma, secondo fonti greche, il vescovo di Volterra mandò ai coloni un ciarlatano , un vero o sedicente arcive scovo di Samo - difficile venire a capo di questa oscura accusa - il quale, cantando i Vespri secondo il rito orientale, intimò ai cinque preti di accettare il credo occidentale con il .filioque e di sottomettersi al l ' autorità di Roma. Furono introdotte forme di cul to cattoliche, e un benedettino greco di Chio, che in un sermone vietò di onorare santi canonizzati in Oriente dopo la separazione delle Chiese , dichiarò l ' indissolubilità del matrimonio in qualsiasi circ o stanza e sollecitò l ' accettazione del calendario gre goriano. Nel giro di ventidue anni non restò traccia «
«
«
l . Il delta greco ha oggi un suono dolce th, come nell 'inglese thou; il suono della d è indicato piuttosto infelicemente con nt, e il suono dolce dell' italiano ci con tz.
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di ortodossia. Eliminato questo pilastro vitale gli im migrati persero rapidamente coscienza della loro grecità e i matrimoni misti li portarono a fonder si con la popolazione circostante . Ma (accenna un cronista greco) influssi ancor più funesti operavano per il loro annientamento . « C ' è da temere » scrive Spiri don Lambros « che essi non solo fossero roma nizza ti in pochi anni, ma interamente spazzati via. Infatti quei montanari del Taigeto non erano in gra do di resistere ai miasmi delle paludi in cui si erano insediati da così breve tempo » . 1 Oggi si cerchereb bero invano i loro discendenti lungo la costa tirreni ca. La popolazione italiana e la Maremma hanno in ghiottito secoli fa ogni loro traccia. Sono svaniti so pra gli acquitrini come fuochi fatui . Gli Stefanopoli avevano motivi ancora più pres santi di andarsene. La loro storia passata nelle guer re contro i turchi, la prossimità della fortezza di Ke lefa, l' inimicizia dei molti Iatriani rimasti, l ' odio im placabile di Liberakis (le cui fortune, dopo aver de cimato la loro famiglia, prosperavano) e l ' ostilità di varie famiglie del Mani in generale: tutto consiglia va la partenza. Gli Stefanopoli vantavano , fondata mente o no, origini ancora più auguste degli Iatria ni . La leggenda o tradizione di famiglia ( né docu mentabile né confutabile) li diceva discendenti del la dinastia dei Comneni, che aveva dato a Bisanzio sei imperatori e a Trebisonda ventuno. Dopo la ca duta di Trebisonda, stando a questa storia, Nicefo ro, il figlio più giovane di Davide II Gran Comneno, andò errando per anni in Persia e in altre terre orientali e sbarcò infine nel 1 4 7 3 a Vitilo , dove fu accolto onorevolmente secondo il suo rango . Que sto principe errante non tardò a imporsi ai manioti, sposò la figlia di una delle grandi famiglie (i La svouri) , e si lanciò nelle gesta eroiche della penisol . Questo è il resocon to dello storico corfiota Moustaxidis .
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la. Suo nipote Stefano, che diede alla famiglia il no me attuale , riportò un ' eroica vittoria contro i turchi nel 1 5 37, e costruì a Vitilo una bella torre tuttora esistente e un monastero il cui abate , suo figlio Ales sio, è venerato come santo locale. Gli Iatriani e i Ko sma, mossi a invidia dalla ricchezza e potenza di Ste fano, congiurarono insieme e lo assassinarono. 1 Due secoli dopo, i suoi discendenti , in numero di quat trocentotrenta, erano incerti su dove dirigersi. Mandarono uno dei loro, uomo colto ed esperto di viaggi, a cercare una nuova patria. L' ospitale gran ducato di Toscana era escluso a causa dei « Medici » manioti, sicché ·e gli esplorò per lungo l'Italia, inva no, finché giunse a Genova. La Repubblica ligure , ben contenta di installare degli stranieri fedeli tra i riottosi abitanti del suo possedimento insulare , offrì a lui e alla famiglia vaste terre in Corsica. L'inviato tornò a Vitilo, fu noleggiato un brigantino francese, e il 3 ottobre 1 675 gli Stefanopoli, insieme a trecen to parenti e alleati (settecentotrenta anime in tutto) , salirono a bordo con le loro masserizie, le icone di famiglia e , si dice, la campana del duomo . Il porto era un subbuglio di pianti e lamentazioni, ma si do vette affrettare la partenza per eludere una flottiglia turca. All 'ultimo momento l 'arcivescovo di Vitilo ten tò di salire a bordo, ma fu respinto a causa della tar da età. Sconvolto dall 'ira e dal dolore nel vedere tut ti i suoi familiari lasciare per sempre il sacro suolo della Grecia, egli salì su un ' alta rupe e mentre la na ve solcava il golfo di Messenia li maledì . Ancora oggi, pare , i discendenti degli emigrati attribuiscono tutte le loro sventure alla maledizione dell ' arcivescovo. I naviganti fecero scalo a Zante , poi gettarono l ' ancora nello stretto di Sicilia dove furono tenuti in quarantena sotto il castello di Messina. Colpiti dalla l . È quindi possibile che i loro guai successivi siano legati a un ' an tica faida.
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bellezza e ricchezza del luogo, erano inclini a stabi lirvisi; ma dato che l ' isola era aspramente contesa fra la Spagna e Luigi XN, proseguirono il viaggio. Si fer marono qualche tempo a Malta, allora dominio dei Cavalieri, poi seguirono per un tratto la costa di Bar beria prima di volgere la prua a nord. Il loro capo, Giorgio Stefanopoli, morì durante il viaggio, e Parte nio vescovo della Maina assunse il comando. Dopo aver vagato per tre mesi giunsero a Genova il giorno di Capodanno del 1 676. Furono ricevuti ospitalmen te dalla Repubblica e alloggiati in vari palazzi sino al la fine dell'inverno. Si fissarono i termini della loro generosa - concessione: la clausola più importante fu che i manioti, pur conservando il rito greco, si sot tomettessero a Roma e praticassero la loro religione nelle forme osservate dagli ex ortodossi di Sicilia e del regno di Napoli; diventassero di fatto uniati. L' articolo più interessante era il diritto di portare quali armi volessero e il permesso di battere bandie ra genovese nelle spedizioni guerresche contro i tur chi. La prima condizione , che non era stata stipulata durante la visita dell ' emissario, si proposero segreta mente di accantonarla. Le intenzioni implicite nella seconda hanno qualcosa di ardito e di esaltante . Venuta la primavera salparono. L' ampio tratto di territorio loro concesso a Paomia, Revinda e Solo gna, nella regione costiera di Sagone , nella Corsica occidentale, era ineguale e scosceso, ma la terra era buona. Piantarono tende e bivacchi e diedero di roncola alla vegetazione soffocante , la fitta macchia che confonde tutti i profili della Corsica e dà ai suoi monti lo smorto color verde kaki di un automezzo militare ben mimetizzato . Sgombrato il terreno lo cinsero di muretti di pietre , lo divisero in campi e orti , lo terrazzarono per piantarvi olivi e viti. Co struirono una piccola cattedrale per il loro vescovo , sorse una chiesa parrocchiale in tito lata alla Dormi ZIOne della Santissima Vergine e, nelle linde case 134
nuove , cappelle dedicate ai santi Nicola, Atanasio , Giorgio e Demetrio; sorse anche un monastero del la Natività di Nostra Signora per il piccolo grup po di monaci e novizi . La comunità fu ben presto fiorente , tanto più fiorente dei sudici villaggi còrsi circostanti da far rodere d'invidia gli indigeni . Sem bra che i còrsi fossero assai più rozzi e selvaggi dei manioti , e i loro metodi agricoli primordiali. Dai nuovi vicini essi impararono le tecniche migliori di aratura, coltivazione e viticoltura, dalle loro mogli nuovi accorgimenti per filare e tessere , e (cosa ap parentemente strana, dato che il povero Mani non è un paradiso gastronomico ) come cucinare un cibo finalmente mangiabile . 1 Viene da domandarsi dove, tra i sassi del Mani , gli energici coloni avessero im parato queste arti georgiche . Ma tutte le testimo nianze disinteressate coincidono nella lode . La co munità viveva pacificamente e, nelle parole di uno dei suoi preti , grata agli occhi di Dio . Ma la religione , gli abiti, la lingua, le usanze la se paravano dai vicini. La sua prosperità accendeva la loro ira. Dopo tre scaramucce armate l ' ira fu tempe rata dal timore e dal rispetto. Rispetto a quanto pa re non ricambiato, perché sebbene nascessero ami cizie e comparaggi i manioti rifuggivano dai matri moni misti . Non avevano simpatia per i còrsi, e li chiamavano, per via delle loro mantelle irsute, « pel li di capra » , o semplicemente « i neri » . (A meno che allora i manioti fossero molto diversi, sembra un po ' il bue che dice cornuto all ' asino ) . Mezzo se colo dopo l ' arrivo dei greci, i còrsi, quando insorse ro di nuovo contro Genova, inviarono messi a chie dere l ' aiuto dei manioti. Ma questi rimasero fedeli ai loro benefattori e scacciarono i ribelli, profetanl . Il lettore (come l ' autore ) può ben rabbrividire al pensiero di cosa fossero i pasti pre-manioti nella Corsica occidentale .
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do che avrebbero visto le loro teste mozze schierate sulle mura di Bastia. Spediti i bambini, le donne e gli anziani ad Aj ac cio , novanta manioti si barricarono su un promon torio vicino alle rovine della torre saracena di Omi gna. Allora, nell 'aprile 1 7 3 1 ( secondo la vivace cro naca di padre Nicola Stefanopoli ) , i ribelli torna rono, in numero cento volte superiore ai manioti. Tentativi d i negoziati degli assedianti furono di nuo vo accolti con insulti dagli spalti; gli araldi si ritira rono, e i còrsi infuriati, battendo tamburi e soffian do trombe e corni, mossero all ' attacco. « Le loro gri da salivano al cielo, una grandine di proiettili si ro vesciò dalle mura, tutto il promontorio era coperto di fumo, il sole era velato e la terra tremava per il clamore e gli spari ! » . La notte portò una tregua. Gli attaccanti non avevano superato nemmeno il basso muro di cinta, trecento erano i feriti e molti gli uc cisi. I còrsi gettavano i morti in mare , e le onde li ri buttavano contro le rocce sotto la torre . Dei greci nessuno era stato colpito, « neanche nei panni » . Piazzate le sentinelle, si diedero ridendo a far festa, brindando e ringraziando la Vergine Santissima di averli protetti. Pareva di essere tornati nel Mani ! Era il mercoledì delle ceneri, e dal giovedì santo alla domenica di Pasqua l ' attacco continuò con cre scente ferocia. Da Aj accio non potevano giungere soccorsi, impediti per terra dal nemico e in mare dalle tempeste . Ma alla fine il fuoco nemico languì . « Prendete le armi, prodi greci, » grida in retrospet tiva padre Nicola « Dio e Maria Semprevergine han no disperso i vostri nemici ! I ri città i vostri preti e le vostre mogli pregano per voi a piedi nudi ! » . ( Per « greci » egli usa sempre la parola romioi, « romei » ) . Volta a volta caricando e sparando, i manioti avan zarono , facendo ruzzolare i còrsi in mare dall ' orlo della scogliera e abbattendoli in terra a fucilate; conquistarono una posizione dopo l ' altra, finché i 136
nemici ruppero in fuga e molti saltarono in mare . Padre Nicola, in estasi , cita Mosè e i canti di Miriam e Debora. Tutt' intorno a lui i greci lodavano Dio, ac clamavano , piangevano, si baciavano l ' un l ' altro . Raccolsero un vasto bottino di sparsi fucili e spade, cataste di viveri, greggi innumerevoli dell 'intenden za nemica e stuoli di cavalli sellati. Infine, a notte tarda, si adunarono, cantarono l ' inno della Resurre zione e gioiosamente an :r: unciarono il giorno di Pa squa: « Cristo è risorto ! E veramente risorto ! » . Do po aver dato pia sepoltura ai morti marciarono in trionfo ad 1\j accio . Il terrore aveva vuotato tutti i vil laggi sul loro cammino . Furono applauditi come eroi dai genovesi; e padre Nicola conclude che quando i còrsi vogliono maledirsi l ' un l ' altro dico no ancora: « Che Dio ti dia in mano ai greci ! Ma i manioti non tornarono più a Paomia, e Ajac cio diventò la loro patria. Negli anni turbolenti che seguirono si batterono valorosamente per i genovesi nelle varie insurrezioni e negli otto mesi in cui l' av venturiero tedesco barone von Neuhoff fu primo e ultimo re di Corsica; e anche durante il breve regime di Pasquale Paoli (l 'amico di Boswell ) . Quando nel 1 768 la Corsica passò per trattato alla Francia, erano alla ricerca di una nuova sede dove emigrare . La lin gua, il modo di vestire, la religione erano ancora mo tivi di attrito. Due piccoli gruppi partirono per Mi norca e Livorno (dove svanirono come i Medici di Volterra) , e un terzo per la Sardegna, dove furono in gran parte massacrati dai sardi . Ma il grosso rima se , combatté per i francesi e godette dell 'amicizia del » .1
l . Mi ha interessato leggere , nel libro di G. H . Blanken sul dia letto di Cargese , che la battaglia di Omigna, nonostante « une résistance désespérée » , terminò con « une défaite glorieuse mais com plète des grecs » . Date le circostanze , non si può biasimare padre Nicola per non averlo detto. Esaltare le vittorie e dimenticare le sconfitte è una sana propensione.
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primo governatore francese, che li insediò su buona terra a Cargese, nel suo nuovo marchesato di Mar beuf, non lontano da Paomia. Ancora una volta dal la loro diligenza e energia nacque un bel villaggio in mezzo a fiorenti colture e a pingui vigneti, e i loro di scendenti vivono là ancora oggi. Ma i guai non erano finiti. I còrsi continuavano a osteggiare e invidiare questi intrusi operosi, e durante la Rivoluzione in cendiarono Cargese. Napoleone fu loro favorevole e li reintegrò . Un altro attacco avvenne durante i Cen to giorni, e quando nel 1 82 1 (un secolo e mezzo do po la partenza dei manioti dalla Grecia) scoppiò la guerra d'indipendenza greca, gli uomini di Cargese furono costretti a rimanere rabbiosamente sul posto , invece d i correre a partecipare alla lotta, p e r proteg gere dai còrsi le famiglie e le terre . Finché i manioti avevano contribuito a sedare i disordini dell ' isola la loro religione non era stata at taccata. Ma quando le cose cominciarono a siste marsi l ' arcivescovo di Ajaccio li richiamò alla lettera del patto originario. L' ultimo prete colono morì nel 1 822. N el 1 8 1 7 un greco di Cargese fu ordinato con rito latino e la sua chiesa fu frequentata da alcuni suoi familiari e amici , ma gli altri , benché divenuti uniati sulla carta, rifiutarono di nuovo tenacemente di avere « preti còrsi » . Per sette anni rimasero privi dei sacramenti e celebrarono le funzioni per conto loro, finché da Chio arrivò un archimandrita greco e rimase come parroco, invece del prete designato dal cardinale , fino al 1 856, corroborando il loro sentimento nazionale greco e dando una rinfrescata alla loro grammatica e ortografia. I suoi successori, benché greci, furono uniati, e celebrarono gli stessi riti dell' abbazia di Grottaferrata. Poco a poco, man mano che la storia scivolava nel suo più placido rit mo ottocentesco, questa nuova devozione , i matri moni misti e la cultura occidentale circostante disar marono il fiero zelo greco dei manioti. Libri greci 138
ce n ' erano pochi, e nessun insegnante. La Chiesa cattolica detestava questi vecchi agganci con lo sci sma d ' Oriente , e quando i mercanti greci di Marsi glia nel 1 885 inviarono loro un maestro di scuola greco le autorità ecclesiastiche di Ajaccio lo denun ciarono come scismatico e vietarono alle donne di mandargli i figlioli. Il maestro lottò invano per due anni contro questo boicottaggio e se ne andò dispe rato. Da allora ogni contatto diretto con la Grecia venne meno . Fra gli ottocento e rotti abitanti di Car gese ci sono oggi più còrsi che manioti, e tutti i con trasti sono spenti. Ma le due chiese, la cattolica e la uniate , dove le funzioni sono cantate in greco, sono un ricordo dell ' antico antagonismo di Oriente e Occidente . Coloro che frequentano la chiesa uniate sono chiamati tuttora « i greci e qualche donna an ziana parla ancora greco. 1 Tutti i viaggiatori sono concordi nel lodare l a gra zia, la lindura e la prosperità di Cargese . Sir Gilbert Eliot, viceré di Corsica durante il breve periodo in glese dell ' isola ( 1 794-1 796) , descrisse in una lettera alla moglie un ballo in cui tutti portavano gli antichi costumi e danzavano in lunga fila tenendosi per ma no al suono di una melopea greca. Di Cargese par lano con ammirazione Prosper Mérimée, Edward Lear (che la visitò col suo valletto suliota) , e il pro fessar Richard Dawkins, il più competente e amabi le dei neoellenisti, le cui stanze a Oxford, fino alla sua recente scomparsa, erano una grotta di Aladino di libri di storia, folklore, lingua, usanze e favole grech e. Nonostante gli inevitabili cambiamenti di quasi tre secoli e mezzo, i manioti di Cargese sono »
l . Gli studi migliori sul loro dialetto, che nonostante le solite infiltrazioni di parole locali è ancora un puro dialetto greco d 'impronta largamente maniota, sono quelli del compianto professar R. M. Dawkins dell ' Exe ter College di Oxford, e di G.H. Blanken di Leida.
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orgogliosi della propria discendenza greca, di cui sono tuttora monumento la loro lingua, la forma di religione, i proverbi, i canti e molte usanze . Le ico ne e i sacri vasi portati dal Mani ci sono ancora, e così la campana che si dice calata dalla torre del duomo di Vitilo. Nel secolo scorso la marea còrsa invase il villaggio per colmare un vuoto, quando un 'ultima irrequieta emigrazione portò alcuni di lo ro ancora più a ovest, al villaggio algerino di Sidi Merouan, vicino a Costantina. Nel 1 900 c ' erano là trecento manioti; nel 1 93 1 solo centoventicinque . Oggi essi sono disseminati e spersi per tutta l'Alge ria e le porte della loro piccola chiesa greca sono chiuse per sempre . Fu questa l 'ultima awentura dei discendenti erranti degli antichi spartani e dei belli cosi grandi del Mani e forse degli imperatori di Bi sanzio e Trebisonda. Le sabbie africane hanno com piuto la stessa opera obliteratrice delle maremme to scane e dei fucili sardi . L' emigrazione aveva portato questi montanari dal torpore dell'Impero ottomano nel turbine degli af fari dell 'Europa occidentale . Alcuni di loro, deside rosi di avvicinarsi ancor più a questo vortice eccitan te , lasciarono la loro cittadina e andarono in Fran cia. Più il tempo passava, più gli Stefanopoli si con vincevano delle loro origini imperiali. Padre Nicola spese al riguardo molta della sua eloquenza. Patrice Stephanopoli, che scrisse in un elegante francese fiorito una storia di Cargese, non aveva dubbi in pro posito; e non ne aveva don Bernardo Stefanopoli, rampollo di una piccola emigrazione settecentesca dalla Corsica a Grosseto nella funesta Maremma, che fu prete cattolico, vescovo di Antiochia in parti bus, favorito di Clemente XIV e quasi cardinale. Un altro, Dimitri, che morì generale dell' esercito fran cese , convinse gli araldisti e genealogisti di Luigi XVI , e fu debitamente proclamato principe Démè tre Stephanopoli de Comnène; il suo stemma - l ' a1 40
quila bicipite di Bisanzio avvolta in un manto di er mellino e incoronata - risplende dalle pagine dei vecchi libri araldici . Ma più convinta di tutti era sua sorella Joséphine-Laure Permon Stephanopoli de Comnène , duchessa d 'Abrantès, nata a Montpellier. Suo padre aveva combattuto nella guerra d' indipen denza americana e sua madre era una bellezza in de clino quando Napoleone, allora giovane e snello, quasi si innamorò di lei, sebbene assai più anziana. La figlia, più bella e altresì intelligente e ricca di spi rito e di fascino, sposò Junot, che dopo la campagna nella penisola iberica fu creato duca d'Abrantès. Il matrimonio finì con un litigio, Joséphine rimase ve dova e ricca a ventotto anni e diventò monarchica. Sperperò la sua ricchezza e la ricostituì con i suoi ventotto volumi di memorie della Rivoluzione, del l' Impero e della Restaurazione, che sono argute, scor revoli, indiscrete e divertentissime. Come romanzie ra, invece , fallì miseramente . Morì, di nuovo povera, nel 1 838. Un suo figlio fu scrittore , un altro, gene rale del maresciallo MacMahon, cadde a Solferino. Joséphine non solo sostenne le origini imperiali de gli Stefanopoli ma lanciò la teoria - largamente ac cettata per qualche tempo - delle origini còrso-ma niote , quindi imperiali, della famiglia Bonaparte . Il nome, proclamò, era una italianizzazione del greco Kal6meros, che significa, letteralmente, « buona par te » . Ma tra i mani o ti emigrati non c ' erano Kalomeri, e questo nome non è mai esistito nel Mani. I Buona parte erano originari di Treviso e Bologna e si erano stabiliti in Corsica molto prima dell ' arrivo dei greci. Durante la campagna d ' Italia Bonaparte fu avvici nato da un emissario del bey del Mani, che gli offrì il pieno appoggio della regione e , nel caso di uno sbarco francese , di tutta la Grecia. Dato che egli me ditava seriamente di attaccare l 'Impero ottomano in Europa, l ' aiuto del governan te della sola regione li bera di Grecia e il peso della sua influenza sul resto 141
del paese non erano da disprezzare . Bonaparte pen sò subito agli Stefanopoli della natìa Corsica: un nesso ideale tra la Francia e il Mani. Il 1 2 di termi doro, anno V, egli spedì nel Mani, dal suo quartier generale di Milano, Dimo Stephanopoli e suo fratel lo Niccolò . Il primo era già un insigne botanico, e le ricerche botaniche sarebbero state il finto scopo della missione . I due partirono per Corfù alla metà del 1 7 98. Questi eleganti e pseudoprincipeschi ci toyens, con la marsina nera, gli stivali col risvolto e gli enormi bicorni semi circolari del Direttorio (che erano al tempo stesso grandi nikliani esuli da cento ventitré anni dalla patria) , furono bene accolti dal coraggioso Zanetbey. Si trattennero nel Mani vari mesi, ospiti del bey, e molti capi della Grecia op pressa furono convocati per incontrarli, insieme a tutti i « capitani » della penisola. Dimo ha lasciato un resoconto interessantissimo del suo soggiorno, delle usanze e dei tristi canti cleftici che lamentano la schiavitù della Grecia, delle rovine archeologiche e delle piante innumerevoli che riuscì a vedere tra un convegno e l ' altro . Fu commosso fino alle lacri me dal suo strano rimpatrio temporaneo e dai terri bili racconti di oppressione e crudeltà. Dopo una battaglia in cui i manioti sbaragliarono una flottiglia del Kapoudan Pascià e distrussero una forza d ' inva sione turca proveniente da Sparta, Dimo pronunciò in un greco perfetto un ' orazione funebre in onore dei caduti . Al Primo Console portò un ' antica statua greca della Libertà, dono del suo splendido anfitrio ne . Ma quando Dimo giunse a Parigi la politica di Bonaparte si era volta a favorè dei turchi. Nulla ven ne da questa curiosa ambasceria, tranne il commo vente resoconto di Stephanopoli della missione , ' e un carico d' armi per il bey, il quale , ora deposto , era alla macchia sui monti con i clefti del Peloponneso. l . Ahimè, la veridicità di questo documento è stata contestata.
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C ' è un ultimo esempio del ritorno di un abitante di Cargese in Grecia. Si tratta di un tamburino còrso della spedizione di Morea, quando la Francia negli anni Trenta dell ' Ottocento mandò una forza di 1 4. 000 uomini al regno di Grecia. Un giorno, nell' e stremo Sud, questi sorprese la conversazione di un gruppo di montanari. Ascoltò in silenzio, con la fronte corrugata dallo stupore , e infine esclamò: Tiens! C 'est le patois de mon pays! Qui termina la lunga parentesi, e dobbiamo tor nare al Mani di oggi, una quindicina di miglia a sud della cittadina da cui tutti erano partiti . 1 «
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l . Alcuni mesi fa h o fatto u n pellegrinaggio a Cargese e h o tro vato una fiorente comunità in un bel villaggio roccioso appol laiato sopra il mare . Molti abitan ti avevano cognomi manioti e tutti erano profondamente consci delle loro origini. Il pre te, persona di grande intelligenza e che parlava perfettamente greco, con cui passai molte ore , portava l ' abito e il cappello ci lindrico del clero greco. Cosa curiosa, è un savoiardo educato a Costan tinopoli . A Cargese ho assistito a una Messa uniate. La chiesa era stipata e il linguaggio e la liturgia erano puntigliosa mente preservati , ma mi sorprese vedere _che due dei molti ac coliti erano ragazze in splendide vesti. E interessante notare che il termine filioque, che definisce la duplice processione del Paracleto ( l ' antico motivo di discordia tra Oriente e Occiden te ) , era omesso dal credo niceno. Il termine, come è noto, fa parte del dogma uniate , ma la sua omissione qui era un gesto di riguardo verso le ataviche susce ttibilità dei cargesini. I cargesini sono gente amabilissima, e l ' atmosfera - le linde case bianche, le icone , i modi, il rituale bicchierino di benve nuto , il dono di un rametto di basilico al commiato, le facce e gli scialli neri delle donne anziane è schiettamente greca. Purtroppo trovai solo due donne - una anziana e una di mezza età - che parlavano ancora greco correntemente . La lingua, nonostante l ' infiltrazione di un certo numero di parole còrse , era inconfondibilmente maniota, con molti rustici giri di frase che nel Mani si sono perduti. C ' erano anche interessanti e rari modi di dire e pronunce cretesi. Alcuni cretesi riparati nel Ma ni da Candia, caduta sei anni prima della partenza per la Cor,: sica del 1 6 7 5 , parteciparono sicuramente all 'esodo da Vitilo. E stata una visita oltremodo toccan te ; -
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9 CAMBIAMENTO E DECADENZA. I GALLI DEL MATAPAN
« In inverno, » disse l ' uomo che_ portava in spalla un sacchetto di sal gemma « il vento ti passa attraver so . Entra da una parte e esce dall' altra. Dal mezzo del Peloponneso vien giù lungo il Taigeto, un voras1 terribile che sradica gli alberi e strappa dai tetti la stre di marmo grandi così , » allargò le braccia al mo do dei pescatori « e le trascina via come foglie sec che da un ramo. E la pioggia! Le strade in discesa diventano fiumi » . .Guardando il torrido paesaggio sassoso che calava al mare era quasi impossibile im maginare la scena. L' afa era soffocante . Ci eravamo imbattuti nel portatore di sale in un viottolo che scendeva alla baia. Fece un cenno all ' indietro verso Kitta e Nomia. « L' anno prima della guerra abbiamo avuto tanta di quella pioggia - che ha portato via tut te le piante e gli alberi, ogni grumo di terra, e le roc ce le ha ripulite fino all ' osso . Ha perfino vuotato i cimiteri e sparso teschi, costole e tibie per miglia sul fianco del monte ! Quando Dio ha finito di fare il l . L' antico Boreas. 1 44
mondo, gli era avanzato un saccone di pietre e l ' ha rovesciato qui . . . » . Diede un calcio a un sasso. « Se trovassimo un mercante che compra sassi saremmo tutti milionari . . . Non mi vedreste sudare per le stra de con questa roba » disse , assestando una botta ran corosa al sacchetto di sale. Ci fermammo su un promontorio vicino ai ruderi di un forte e guardammo in basso il porticciolo di Gerolimenas. Come sembrava mite e normale , do po gli strani villaggi che ci eravamo lasciati alle spal le : alcune case, una banchina fiancheggiata da caic chi , un molo che si allungava nella baia. Ma al di là la costa saliva verso est e ogni gobba rocciosa soste neva una congregazione di torri . « Eccoli, » disse l'uomo indicandoli « i Kakovounia » 1 - terminavano in una bassa sella, poi si ergevano di nuovo volgen do a sud, e infine affondavano in mare una volta per tutte - « e Capo Matapan . Nient' altro che sassi da qui a lì. Sicuri che in Inghilterra non ve ne servono? Ve li darei a buon prezzo . . . o dei rovi? Abbiamo dei rovi stupendi. . . » . Piccola com ' è , Gerolimenas è uno sbocco nel mondo esterno dall ' arcigno isolamento del Mani. I caicchi lungo la banchina, le ancore e gli argani e i rotoli di funi, le scritte dorate sulle bottiglie della farmacia, i sacchi , i barili e le scatolette del droghie re , tre guardie che prendevano il caffè sotto un al bero , tre capitani di caicchi con lucidi berretti a vi siera che bevevano birra Fix: tutto, nell ' unica strada polverosa, pur nella semicatalessi indotta dall ' alito infuocato dello scirocco, indicava che da qualche parte esisteva un altro mondo . Lontano leghe inim maginabili, di là da punte e capi, dopo una dozzina di golfi e di isole , al termine di viaggi in caicco che l . I Monti Cattivi .
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sembravano lontani e perigliosi come quello degli Argonauti, aleggiava nella fantasia il caotico mirag gio del Pireo . . . Prendendo esempio dai marinai ci sedemmo. Il portatore di sale picchiò su un tavolino di ferro e fece scaturire dai recessi di un caffè tre bottiglie, con gocce d 'umidore che colavano in scie luccicanti sul vetro madido come in una réclame del « New Yorker Il sale incrostato sui basettoni e i sopraccigli del nostro compagno, il gusto di sudore in bocca, il vento africano che sembrava seppellirei al fondo di invisibili dune, triplicarono l ' estasi di quelle lunghe sorsate gelide . . . In momenti simili ci si dimentica del vino e si benedice la memoria di Herr Fuchs, birraio dei Wittelsbach a Monaco, chia mato qui oltre un secolo fa dal conterraneo bavare se re Ottone . 13 , il suo nome traslitterato in greco su tutte le bottiglie di birra, ha una peculiare magia talismanica. Ci rianimò a sufficienza per concordare con uno dei capitani del tavolo vicino un passaggio sul suo caicco , l ' indomani, intorno a Capo Mata pan . Di lì a poco eravamo supini e al riparo dal sole in una stanza sopra la farmacia. Nada the Lily e Two Worlds and Their Ways ci caddero pian piano di ma no e sprofondammo nel Lete , mentre fuori la lan guida attività di Gerolimenas rallentava e infine si arrestava nell 'ipnosi meridiana. Secondo una teoria di Dimitrakos-Messisklis può darsi che Gerolimenas sia il sito della cittadina di Ip pola, dov' era, dice Pausania, un tempio di Pallade Atena. Altri compilatori di atlanti classici collocano Ippola più a nord. Dato che c'è poco più dell ' ac cenno di Pausania e non una pietra su cui far conto in entrambi i luoghi, le carte sono pari. Meno di un secolo fa qui non c ' era niente tranne una cappelli na diruta vicino al mare . Un po' prima della metà del XIX secolo un giovane , Michali Kasimantis, la sciò il villaggio di Kipoula ( l ' altro candidato per il tempio) e si impiegò in un negozio europeo di ver».
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nici nell ' isola di Siros. Situata nel crocevia maritti mo di Asia, Tracia, Creta, Grecia continentale e ar cipelago , Siros , prima dell ' ascesa del Pireo, di Pa trasso e di Salonicco, era il porto e il centro com merciale più importante della Grecia. (Oggi la sua importanza è scemata, ma la piccola capitale è pie na di lussuose case di mercanti, di belle strade, di lampioni a gas e di caffè del Secondo Impero. C ' è un ' elegante piazza porticata con u n teatro dalla fac ciata a colonne, alti palmizi e statue e un palco d' or chestra dal quale dovrebbe sgorgare in perpetuo la musica di Offenbach e Meyerbeer. Aleggia su ogni cosa un ' estenuata, disarmante aria cosmopolita. At tualmente è nota soprattutto per la sua Delizia Tur ca e lo squisito torrone in grandi pani rotondi ) . Ka siman tis a un certo pun to si mise in proprio , fece fortuna, e diventò il più prospero verniciaio del Le vante . Memore del luogo natale , tornò negli anni Se ttanta a Gerolimenas, costruì una banchina, un molo e un paio di magazzini , che affidò a due nipo ti . Presto vi fecero scalo caicchi con ogni sorta di merci, che venivano ammassate nei magazzini e por tate a dorso di mulo su per ripidi viottoli agli sparsi borghi dell 'Alto Mani; e i caicchi rìpartivano carichi d ' olio e di olive e carrube e del grano in eccesso del luogo. La cittadina fiorì ; il piroscafo settimanale del Pireo vi getta l ' ancora, ed essa ha già acquistato la dolce rilassatezza della decadenza. Limeni, culla della famiglia Mavromichalis, sotto Areopolis nel lungo golfo di Vitilo, è uno dei due so li porti sicuri dell 'Alto Mani . Ma le comunicazioni con Limeni sono impedite dalle montagne e dalla mancanza di strade dall ' estremo Sud. Restano sol tanto Mezapos e Gerolimenas . Con tempo cattivo entrambi gli approdi sono pericolosi. Le navi allora devono caricare e scaricare come meglio possono nella piccola baia desolata di Porto Kagio, appena oltre la sella del Taigeto. In passato l ' unica funzione 147
di queste insenature era offrire un rifugio di fortu na alle navi pirate maniote . Una delle molle princi pali della pirateria nel Mediterraneo orientale era il commercio degli schiavi . La richiesta di schiavi era cominciata al tempo dei sultani mamelucchi d' Egit to, dove ne accorrevano annualmente migliaia e mi gliaia per gli harem e i servizi domestici, e an c h�, es sendo gli egiziani combattenti molto mediocri , co me soldati . I sultani furono ben presto imitati da tutti i potentati musulmani dalla Spagna al Caucaso alle coste occidentali dell 'India. Venezia e Genova erano i grandi mercanti di schiavi del Levante; usan do come base i loro feudi nelle isole egee, compra vano o catturavano schiavi dovunque potevano, sen za riguardo a razza o religione (pur avendo un certo scrupolo a vendere i loro correligionari cattolici ) . Avevano punti di raccolta nel Mar Nero e nel Mar Rosso e scaricavano la loro merce nei grandi merca ti di schiavi di Alessandria, Damietta, Beirut e Alge ri . Le città di Venezia e Genova erano campi di tran sito di schiavi; i fiorentini si servivano allo stesso sco po di Ancona, e molte ricche famiglie italiane tene vano schiavi in casa. Quando Gallipoli e Adrianopo li caddero in mano ai turchi, anche i greci si diede ro a questo traffico , portando a vendere in Egitto un gran numero di prigionieri cristiani . I manioti raz ziavano i villaggi turchi e le isole, catturavano pri gionieri - si specializzarono in turchi e in franco-le vantini cattolici delle Cicladi - e li vendevano a mer canti veneziani di Modone e Corone nella penisola messenica. Quando approdavano le galere schiavi ste veneziane, i manioti in faida cercavano anche di tendere agguati e di catturare i nemici o le loro mo gli per venderli come schiavi; un buon modo di li berarsi dei vicini, di mettere un vendicatore nell 'im possibilità di nuocere , e di guadagnare un onesto zecchino. I loro vascelli facevano la posta ai convo gli turchi e veneziani fra Creta e Capo Matapan , e , 1 48
troppo piccoli per assalirli in blocco, piombavano sulle navi rimaste indie tro o isolate , le abbordavano o le costringevano a infilarsi tra le rocce. Spesso era no in combutta con capitani delle isole , di Cefalo nia in particolare . Abbiamo descrizioni lasciate dai viaggiatori delle grandi caverne del Mani piene di vario bottino : armi da fuoco, yatagan , spade , tur banti, mucchi di calzoni a sbuffo, giubbetti ricamati, morbidi fez, ampie gonne e giacchette femminili guarnite di pelliccia e rabescate d ' oro. Oggetti e ar redi di legno sapientemente intagliati, ricavati da un unico blocco, erano molto richiesti; madie , vas soi, forchette , cucchiai, tazze , scrigni, vasellame da cucina di bronzo, brocche e anfore della Messenia, anche l ' inevitabile calcina per costruire le torri . Pic coli navigli salpavano verso le isolette di Sapienza e Schiza, al largo della punta estrema della Messenia, a costruire delle rozze fornaci, e dopo qualche mese tornavano carichi di questa merce preziosa. Era il tempo in cui i pirati greci « mettevano sossopra il mare con battelli non più grandi di un guscio di no ce » dice Capodistria, che schiacciò infine la già de clinante pirateria del Mani. Nessuna impresa piratesca di qualche rilievo era completa senza un prete . Questi benediceva la spe dizione alla partenza, invocava bel tempo per i suoi e tempo cattivo per il nemico, pregava per le anime dei compagni caduti. Assolveva dai peccati il suo gregge natante, e si assicurava che una parte del bottino, spesso bagnata di sangue, fosse appesa ac canto alle icone sull ' albero maestro come offerta votiva. Se passavano più di otto giorni senza incon trare prede, intonava una litania sul ponte , e quan do si avvistava una possib ì le preda spianava l ' archi bugio sopra la murata con gli altri e partecipava al l ' abbordaggio con cangiar e scimitarra. Dopo il tra monto della pirateria l 'Alto Mani venne rifornito da venditori ambulanti di tutta la Grecia con carovane 149
di somari - come quelli di Anavriti - che andavano da una borgatella di montagna all 'altra carichi di fa gotti di merci varie. Gli ambulanti si diradarono a loro volta quando fu costruita la banchina di Geroli menas. Lo scirocco cessò nel pomeriggio. Verso sera ci av viammo su un leggero pendio che ci portò nei con trafforti di questo penultimo sperone del Taigeto: una fitta scalinata, che saliva serpeggiando, di levi gate lastre di marmo. Questo lussuoso cammino sembrava quasi decadente dopo i dolorosi viottoli dell 'interno, mutando l ' andatura del viandante nel la dignitosa e cerimoniale ascesa di un doge. Il mare sprofondò e villaggi-grattacielo si profilarono sulle pendici via via più ripide della montagna. Alika, il primo di essi, sembrava impegnato in una lotta mor tale con l ' onnipresente fico d ' India. Milioni di pale irte di spine turbinavano intorno alla base delle tor ri, brancolavano tra le sbarre delle finestre e negli interstizi dei muri, rotolavano in verdi cateratte dal la ripida parete di roccia soprastante . Sembrava che avessero scacciato gli abitanti; tutti tranne due vec chi, che bevevano fuori di una taverna simile a una cripta, sul ripiano della rouga ricavata per metà da un dirupo. Alla tempesta di spine in alto succede va sulla superficie rocciosa in basso una giungla di scritte e di rozze caricature a vernice bianca, non prive di talento . Ma non era stata la vegetazione a spopolare il villaggio, disse uno dei due, afferrando mi il polso come l ' Ancient Mariner e versandomi un bicchiere di vino con la mano libera, mentre il suo amico mi ficcava uno sgabello dietro le ginocchia costringendomi a sedere ( di rado, osservarono, ave vano compagnia) , bensì l ' odio e la politica. Tà poli tikà! L' occupazione , i tedeschi, gli italiani, vecchie faide, le bande comuniste , i battaglioni di polizia 150
greci armati dai tedeschi contro di loro, l ' organizza zione di destra Chi dopo la Liberazione, le battaglie con l ' ELAS su per i monti , il massacro degli avversari in valli remote, le rappresaglie selvagge. « Era una lotta in cui ogni parte cercava di spazzar via l ' altra, bruciavano le case, fracassavano le giare dell' olio, fucilavano i prigionieri . . . » . Poi la guerra civile, po vertà, , delusione; naturale che il villaggio fosse vuo to ! « E rimasto solo qualche vecchio arnese come noi » . Gridò di portare altro vino, e cambiò sommes samente discorso. « Una volta facevamo venire col caicco migliaia di ocche di mosto non fermentato da Kalamata. Ci mettevamo noi la resina, lasciando lo lavorare e maturare; e poi » - mostrò con un ge sto ciò che intendeva - « lo inghiottivamo. Ma. ades so non ce ne serve tanto. Non ci sono più abbastan za gole » . Ci raccontò poi che dopo la caduta della Grecia diciassette manioti, trovando egualmente in sopportabili i tedeschi e l ' ELAS, se l ' erano svignata nel cuore della notte su una barca a remi che a ma lapena li conteneva. Tuttavia, con l ' aiuto di un albe ro e una vela e di un buon vento del Nord, dopo tre giorni avevano scorto una striscia di sabbia, palme, case e un minareto. Era Derna, che per fortuna era appena caduta in mano dell ' Ottava armata britanni ca avanzante. Gli inglesi li accolsero come eroi, li rifocillarono con « pane bianco e carne in scatola » e li unirono alla brigata greca, con la quale i manioti combatterono fino all 'attacco finale a Rimini . Poco dopo, mentre parlavamo delle nenie fune bri maniote che erano il mio assillo, fui stupito sen tendo quel vecchio scalzo e con gli occhi rossi dire : « Sì, è l ' antico tetrametro giambico acatalettico » . Era come s e un pescatore della Cornovaglia disqui sisse, in un dialetto pressoché incomprensibile, sul la differenza fra il sonetto petrarchesco e quello spenseriano. E diceva bene. Dove diamine l ' aveva imparato? L'ultima sua notizia fu che nei tempi an151
tichi (scrigno di meraviglie l ) gli arabi venivano a quella costa a tuffarsi per prendere il murice. Da Alika la via scendeva in un profondo burrone che terminava in una valletta tranquilla e riposta per risalire dall ' altra parte al ripido promontorio del Kiparissos. Ci sdraiammo tra gli sparsi frammen ti di un tempio greco-romano, vicino a un altare con una lapide commemorante la Repubblica dei Liberi Laconi, e guardammo il sole che tramontava verso Gerolimenas. Di nuovo c ' era il miracolo di quelle innumerevoli schegge d' oro seminate sul ma re. Immediatamente sotto il disco del sole erano raccolte in una gran lamina dorata che si rompeva in sprazzi e increspature con l ' avvicinarsi dell ' acqua alla riva e diventava violetta e verde prato tra i denti delle rocce lontane ai piedi della nostra scogliera. Proprio qui Mavromichalis aveva trovato la princi pessa-sirena. Nell' interno, le torri dorate di cinque o sei villaggi cominciavano ad allungare le loro om bre oblique sui monti. La costa saliva e scendeva a ovest fino al golfo di Gerolimenas , dove il mare era in fiamme . Saliva e scendeva per qualche miglio a est, poi volgeva a sud verso l ' ultima penisola azzurra del Tenaro, che si andava abbuiando . Il tempio di Poseidone su quell' oscuro promon torio era l ' oracolo e il santuario dei laconi. Sul Ki parissos sorse una città per i pellegrini , e vi si eresse ro templi a Demetra e Mrodite . Molto più tardi, do po la conquista romana, il tempio di Poseidone fu distrutto; probabilmente dai pirati cilici che, forti dell ' alleanza con Mitridate , razziavano e saccheggia vano la penisola greca occupata dai romani, finché non vennero annientati, in una stupefacente cam pagna di tre mesi, da Pompeo . Ma i templi di De metra e di Mrodite sopravvissero, e apparve Cene poli (Kainepolis, la Città Nuova) . I templi erano an cora in piedi quando Pausania passò da queste parti nel II secolo d.C. Infine anch' essi furono distrutti , 152
probabilmente cinque secoli dopo o più. La data è ignota; alcuni tuttavia ritengono che la distruzione sia stata opera dei pirati « algerini » stanziati in Spa gna, flagello del Mediterraneo, che addirittura con quistarono Creta e la occuparono per un secolo, finché non furono annientati a loro volta da Nicefo ro Foca. Quegli uomini terribili tormentarono per secoli le coste greche , sacc!_leggiando, uccidendo, incendiando e devastando. E a causa loro che i vil laggi litoranei della Grecia sorgono un miglio o due nell ' entroterra, di solito con una torre o un fortino sulla skala presso il mare, per trattenere gli invasori mentre gli abitanti mettevano mano alle armi o fug givano . Epesan san argerinoi ( « Ci sono piombati ad dosso come algerini » ) è ancora una frase corrente. Il greco moderno conserva un ' altra curiosa so pravvivenza del genere, che rimanda a un ' ancora più remota invasione barbarica dell ' Europa sudo dentale: quella degli alamanni, feroce tribù germa nica delle foreste centroeuropee. Era curioso, du rante l ' occupazione tedesca, sentir dire dai cretesi, con innocente pleonasmo: « Questi tedeschi sono peggio degli alamanni ! » (Auto( oi Germanoi einai cheiroteroi apo tous Alamannous!) . E un fatto poco no to, citato nella Storia delle Guerre di Procopio, che Genserico re dei vandali, dopo aver conquistato Cartagine, progettava di invadere il Mani e di stabi lire su quelle rive inaccessibili una base avanzata da cui razziare il Peloponneso. Nel 468 d.C. attaccò Ce nepoli con una forte flotta pirata, ma fu sconfitto e subì tali perdite che si diresse infuriato a Zacin to, prese cinquecento prigionieri, li tagliò a pezzi e li sparse in mare lungo la via del ritorno a Cartagine. Quel piccolo borgo aveva salvato l ' intero Pelopon neso. Sessantasei anni dopo (secondo alcuni auto ri) , Belisario sostò qui mentre andava a sconfiggere i discendenti di Genserico e a restituire Cartagine all ' Impero in un ' ultima guerra punica. 153
Ma queste imprese contro i barbari non hanno la sciato traccia nell ' atmosfera che aleggia sul Kiparis sos . Flotte piratesche e nikliani in lite sembrano egualmente remoti e irrilevanti. Il lento calar della sera tra questi sparsi resti in frantumi, il decrescen do e poi il silenzio delle cicale, il vasto placido scin tillio del mare giù in basso, la quiete rasserenan te dell ' aria, contengono un messaggio diverso . Una magica pace vive nelle rovine dei templi greci. Il viaggiatore si adagia tra i capitelli caduti e lascia pas sare le ore, e l 'incantesimo gli vuota la mente di an sie e pensieri molesti e a poco a poco la riempie, co me un vaso che sia stato lavato e raschiato, di un ' e stasi tranquilla. Quasi tutto ciò che è accaduto svani sce in un limbo d' ombre e di futilità ed è sostituito pianamente da un senso di semplicità luminosa e di calma che scioglie tutti i nodi e risolve tutti gli enig mi e sembra mormorare , benigno e suadente , che la vita, a !asciarla svolgere senza impacci e costrizio ni e ricerche di soluzioni aliene, potrebbe essere il limitatamente felice. L' imbrunire riduceva i fram menti di marmo a pallide forme tra i cardi. Riper corremmo , in questo stato d' animo di serenità, la via tortuosa verso Alika. Un barlume di luna che spuntava dietro le torri scure trasformò i gradini in una scalinata d' argento; giù per la quale , ancora leggeri dell ' euforia creata dalle rovine di quei tem pli senza importanza, ci parve di scivolare e di vola re . I lumi riflessi di Gerolimenas luccicavano nella baia. Scesi alcuni scalini trovammo una lunga stanza con volta a botte. Ai muri imbiancati erano appun tate immagini pubblicitarie della macchina da cuci re Singer, fotografie di re Paolo e della regina Fede rica, del defunto re Giorgio d ' Inghilterra, della re gina madre e di Elisabetta Il. Chinata in un angolo 154
della cucina, una donna snella e attraente dispone va con delicatezza dei ramoscelli, con la parsimonia imposta dalle regioni prive d ' alberi, sotto una pa della sfrigolan te . All ' altro capo di questa stanza se mi cilindrica una scaletta di legno portava a una pic cola piattaforma di roccia con tre tavoli di metallo. La piattaforma, immediatamente sopra il mare, era cinta da erbe odorose in latte di petrolio imbiancate e da una dozzina di alti girasoli. Gli alberi dei battel li, l ' intrico del sartiame e i tanti riflessi del mare era no così vicini che sedendoci là ci sembrò di essere in viaggio. I tre capitani dei caicchi bevevano retsina e ascoltavano un disco talmente vecchio e sciupato che era difficile percepire nella melodia una canzo netta ateniese di vent' anni prima. Il malandato grammofono era munito di una tromba color petu nia simile a un gigantesco convolvolo, con la bocca dipinta di sbiaditi mazzolini di fiori. Un capitano, toccato dai teneri influssi della notte, si era messo un ram etto di basilico dietro l ' orecchio . Dopo una omelette con lenticchie , notammo che l ' acqua por tata dall ' ostessa insieme al caffè sapeva leggermente di vino. Chiedemmo ai marinai se l' avevano notato anche loro. Quello col basilico - una faccia scura in telligente e dura come il cuoio, solcata da rughe profonde e segnata dalle vicissitudini, un tipo di fisionomia vivace e umorosa squisitamente greca co me gli scheggiati capitelli sul promontorio - rispo , se: « Sì , ma non dite niente . E disperata per questa faccenda » . Aveva riposto il vino in una· stanza sopra la cisterna scavata nella roccia sotto la casa. Una bot te perdeva, e il vino era gocciolato da una piastrella rotta del pavimento giù nella buia cisterna, finché in una lunga notte fatale la botte si era vuotata. La cisterna era piena di acqua piovana, raccolta con delle tubazioni dal tetto piatto; il disastro era avve nuto all 'inizio della primavera, e non sarebbe cadu155
ta una goccia fino a ottobre o più in là . . . fino all ' ar rivo delle quaglie . . . « Avete mai mangiato quaglie i n Grecia? » . « Sì, una volta, qualche anno fa. A Santorini » . Scartò il piccolo vulcano con un gesto . « Il posto giusto è qui. E h , negli anni buoni n e mandavano a Marsiglia centinaia d i migliaia, centi naia di migliaia, vive . E i francesi sanno mangiare, i cornuti. Dovreste rimanere fino all ' arrivo delle qua glie » . Gli ricordai che la mattina all ' alba dovevamo an dare a Capo Matapan col suo vicino. « Un bel viaggio, » disse « e la prima cosa che si ve de quando doppiate il capo è l ' isola di Citera. Ci sie te mai stati? Sapete che Mrodite è nata lì vicino, dal le onde? Hmm » . Si rivolse ai compagni. « Visto? Del nostro paese gli stranieri ne sanno più di noi. Ma siete andati all ' Isola dell ' Uovo? Come, non siete sta ti a Avgo? Dovreste andarci. È a un ' oretta di remi da Cerigo , 1 un ' isoletta tonda, piena zeppa di gabbiani. Basta battere le mani, » così fece « e si riempie il cie lo, » agitò espansivamente le mani sopra la testa « milioni di gabbiani ! E c ' è una grotta profonda do ve entra il mare , che dentro è azzurra azzurra come il cielo. Ci sono anche una quantità di foche che nuotano là attorno. Le vedi stese sulle rocce col ma rito e i figli » . Essendo stato a Citera meno di due mesi prima, questa fu per me una notizia strepitosa. Ho sempre desiderato ardentemente di vedere una foca in Gre cia, e sempre invano . La sola in cui mi sono imbat tuto è una raggrinzita foca impagliata appesa sulla porta di una taverna di mari n ai sul lungomare di La Canea. . . . e a Capo Matapan , nelle giornate limpide , » «
l . Il nome veneziano di Citera, a vol te usato tuttora.
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stava dicendo il capitano « si sentono cantare i galli di Ci tera « lo non li ho mai sentiti » disse Panagioti, lo skip per del caicco che dovevamo prendere l ' indomani. « Mai » . « Neanch ' io » disse l ' altro . « Allora dovreste comprarvi delle orecchie nuove . Io li ho sentiti spesso , quando butto le reti dal lato sopravvento del capo. Ci vuole una giomata calma, e un ostrolevante che soffia piano piano; un piccolo vento di sudest, ma molto piccolo. Allora, » disse , al lungandosi all ' indietro contro un girasole , un dito dietro il lobo dell ' orecchio , l ' altra mano tesa con le dita spiegate a rappresentare il Vento , gli occhi spa lancati a indicare la Distanza « arriva fluttuando sul l ' acqua, e si sente benissimo » . La voce si abbassò in un bisbiglio cantante: Chi-chi-richi-chii-i-i l » . Gli oc chi rotearono minacciosamente dall 'uno all ' altro di noi. Ipnotizzato dalla morente cadenza della sua ·onomatopea e compiaciuto del nostro reverente si lenzio , ripeté lo spettrale grido gallesco, ancor più sommessamente e in una tonalità lievemente diver sa: Chi-chi-richi-chii-i-i l » . ».
«
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Poco dopo i tre se n e andarono . Noi restammo nel fresco silenzio del giardino galleggiante , a parla re di questi fantasmatici canti di galli; e per una ra gione particolare . Se il lettore conosce il libro di Henry Miller sulla Grecia, Il colosso di Marussi ( che raccomando umilmente ) , ricorderà, n eli ' appendi ce, una lettera di Lawrence Durrell all 'autore da po co partito; una lettera che racconta come , dopo una cena pantagruelica ad Atene, Durrell e i suoi com mensali salirono ali ' Acropoli e trovarono i cancelli chiusi . Katsimbalis, subitamente ispirato, prese fiato e ( dice Durre li ) « cacciò fuori lo strido più agghiac ciante che io abbia mai sentito: Chicchirichiii ! . . . » e 15 7
dopo un momento « ecco che in lontananza, chiaro, argentino nelle tenebre , un gallo sonnolento rispo se; poi un altro, e un altro » . Presto la notte fu tut ta un riecheggiare di galli, nell 'Attica e forse nella Grecia in tera. Forse nella Grecia intera. La distanza tra Citera e Capo Matapan , sulla carta sbrindellata che avevo in tasca, era di venti-trenta miglia. Ciò ampliava enor memente la possibile portata dell ' iniziale chicchiri chì di Giorgio. Se i manioti, con vento propizio, po tevano sentire i galli di Citera, il traffico, con un vento diverso, si poteva invertire, e balzare dal Mani (o meglio ancora da Capo Malea) a Citera, da Cite ra ad Anticitera, e da Anticitera alle penisole pirate sche della Creta occidentale; per morire a sud della grande isola in un ultimo grido solitario nell ' isoletta di Gaudos, nel Mar Libico . . . Ma un opportuno vento di ponente poteva portarlo ai capi orientali di Cre ta, oltre lo stretto di Kassos, attraverso le isole del Dodecaneso e da lì alla penisola di Alicarnasso e ai monti del Tauro . . . Le possibilità diventavano di col po sterminate, e nell ' orecchio della nostra mente lo strido favoloso �aggiava a sudovest fino all ' Egitto, a sudest fino al Golfo Persico; risaliva il Nilo, passava per i villaggi dei di n ca simili a cicogne, attraversava le grandi foreste , andava da kraal a kraal degli zulu, svegliando gli assonnati boeri del Transvaal e spi rando da un pollaio nella Montagna della Tavola sul Capo di Buona Speranza. A nord di Atene la via era agevole : in un ' ora il grido avrebbe varcato la Cortina di Ferro , la grande Catena balcanica e il Da nubio, e nulla avrebbe ostacolato il suo diffondersi · per l ' Ucraina e la Grande Russia - l ' improvviso schiamazzo in cento colcos metterebbe in allarme l'NKVD provocando numerosi arresti cautelari - fi no a raggiungere le foreste popolose di renne del la Lapponia, a traversare i ghiacci verso la Novaj a Zemlja, per languire tra gli iglù. Fino a quale latitu158
dine nord potevano fiorire i pollai? Non lo sapeva mo, ma ad ogni istante il vento diventava un vettore più capace e di più lunga portata, e i galli più vigo rosi . Così, mentre il richiamo nordico si zittiva tra i mutoli pinguini dei ghiacci galleggianti dell'Artico, la puntata all ' Ovest, dopo aver fatto sussultare il mandriano magiaro con l ' intempestivo frastuono e suscitato nei normanni in berretto da notte il timo re di furti, culminava in estremi richiami senza ri sposta da john o ' Groats e dalle Blasket Islands, da Finisterre e Cape Trafalgar, e una mascotte di reggi mento a Gibilterra destava i berberi di Tangeri . . . Grazie al nuovo impulso di Livorno - sufficiente a far fremere i cappelli piumati dei bersaglieri in più d ' una camerata piena di spifferi - le aie siciliane erano da tempo in subbuglio . Frattanto l ' affluente sudorientale, attraversato il Belucistan, accendeva la miccia del clamore nel Deccan , e giunto al Capo Comorin saltava lo stretto, come il ponte magico di Hanuman, per mettere a rumore i te tti di Kandy; raggiungeva a est la Birma nia e suscitava ammutinamenti alati nelle Celebes e in Malacca. Qui non c ' erano problemi. Grazie agli sciami di giunche lungivaganti degli ornitofili cine si, acuti richiami risuonavano ben presto tra le spa ratorie della Malesia; cercando a tastoni le cerbotta ne i cacciatori di teste si strofinavano gli occhi nel Borneo; i samoani si stiracchiavano e sbadigliavano sul bambù dei loro pavimenti a trampoli, e uccelli ieratici e splendenti, appollaiati sui rami di mandor li in fiore , gonfiavano la gola colorita sopra il lonta no triangolo del Fuj iyama. . . E che dire del lungo viaggio orientale dall 'Asia Minore? Quei gridi solita ri di là dall ' Osso, quelle chiassose resurrezioni tra le iurte nere dei chirghisi e dei caracalpachi? Il conta gioso strepito del pollame nomade risuonante per steppe e tundre, risvegliante i muscolosi galli mon goli, e varcante vanamente la Grande Muraglia cine159
se ; volgente a nord alla Camciatca e teso verso le Aleutine? Che dire della rabbrividente , astiosa fru strazione dello stretto di Behring? Sì , che dire? Sentendoci parlare con alquanta eccitazione, la figura illuminata di luna della nostra ostessa era ap parsa in cima alla scaletta con un ' altra brocca di smalto blu da mezzo litro; e prima di averla vuotata per un terzo eravamo passati al di là: una flotta di baleniere si materializzò nelle nebbie, ogni battel lo capitanato da un eccentrico Achab impegnato in una gara di pollicultura, ed era interamente grazie ai loro baldi pennuti, sbattenti le ali appesantite dai ghiaccioli e chicchirichianti sul mare oscuro, che il messaggio ateniese raggiungeva l 'Alaska e il nuovo mondo, varcava le Montagne Rocciose e risuonava passando la Baia di Hudson verso la Terra di Baffin . Senza di essi, i galli mormoni dello Utah avrebbero continuato a dormire ; il grido non avrebbe mai avu to bisogno della spinta di Rhode Island che lo tra smetteva felicemente , attraverso le paludi di man grovie della Louisiana e i templi maya e gli incubi dei rivoluzionari nicaraguegni, al di là del canale di Panama. Ora esso si diffondeva come un incendio silvestre per l ' emisfero australe e una stridula favil la di suono saltava lo stretto di Trinidad dalle rapi de correnti per accendere tutta la catena caribica, scuotendo i sonni pregni di rum degli abitanti delle Barbados e facendo scoppiare nella gola degli uc celli sacrificali di Haiti , che le scure dita di sacerdo ti vudù avrebbero presto fatto tacere, uno spavaldo morituri te salutamus. Negli umidi inesplorati reces si dell ' entroterra amazzonico pollame aborigeno e non classificato innalzava grida stridule e goffe , e in alto nel freddo chiarore stellare delle Ande uccelli splendenti aprivano le ali e si riempivano il pe tto sui grandi blocchi ruzzolati dai palazzi degli inca. Ora il volume del richiamo si gonfiava, dilagando a sud al 1 60
di là della pampa, del Gran Chaco , del Rio Grande; e poi diminuiva nell ' inesorabile stretta dei due grandi oceani, faceva balzare i superstiziosi giganti della Patagonia dai loro primitivi giacigli per sbir ciare sgomenti nelle stie di canniccio. Ora veniva il momento temuto, la tappa finale, il capolinea di quei grandi polmoni di Katsimbalis; l ' estrema dispe rata conflagrazione sonora nella Terra del Fuoco, con l ' ultimo gallo che grida e grida e grida, senza ri sposta ma indomito, ai gorghi e alle tempeste, alla grandine e alle tenebre e alle onde battenti del Ca po Horn . . . Là, infatti , non c ' era speranza. Era la fine. Pen sammo con tristezza ai poli silenziosi, agli immensi antipodi deprivati, agli sparsi arcipelaghi e isolotti fuori portata; alle teste crestate immerse nel sonno sotto ali marezzate , che nessun saluto dal Partenone avrebbe mai svegliato : ai bei galli degli isolani di Pa squa e delle Ellice e delle Gilbert, delle Marchesi, della Melanesia e delle Trobriand, di Tristan da Cunha e di Sant' Elena. Questa dolce malinconia fu interrotta timidamente dall ' ostessa: lei andava a let to, ma se volevamo restare a goderci il chiaro di lu na avrebbe lasciato aperta la porta di strada; purché poi la chiudessimo a chiave e infilassimo la chiave sotto l ' uscio. Ricordando la nostra partenza mattuti na dell ' indomani, ci alzammo e chiedemmo il con to . Lei sorrise e disse che non c ' era niente da paga re . Benefattori occulti , il conto l ' avevano pagato u scendo i marinai, facendo di noi i loro ospiti.
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10 L'ENTRATA DELL'ADE
Salimmo a bordo del piccolo caicco di Panagioti, il San Nicola, un momento prima dell' alba. Quattro donne in scialle nero e un prete cencioso si raccol sero a poppa, e all' arrivo di quest' ultimo Panagioti strizzò l ' occhio e fece di nascosto il gesto di sputare , per scongiurare il malocchio e la malasorte che si ri tiene seguano le orme di un prete , particolarmente su una nave . 1 Fu levata l ' ancora, e le maniche delle donne svolazzarono in ripetuti segni di croce prima che esse ricorressero ai loro gialli odorifori . A prua con noi c ' erano un vecchio e un ragazzo. L' uomo aveva perso entrambe le mani pescando di frodo con le bombe , e uno dei moncherini era provvisto , anziché d i u n uncino, d i una pinza regolabile per reggere una sigaretta che egli accese con un fiam mifero stretto fra i denti e s·trofinato su una scatola infilata sotto l ' ascella. ( Queste mutilazioni sono co muni su tutte le coste greche ) . L' acqua era così lim pida e calma che per molte braccia si distingueva l . L'esorcismo alte rnativo è toccarsi i genitali.
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ogni particolare di erbe , ciottoli e rocce . Il ragazzo, steso precariamente bocconi sul bompresso, indivi duava con occhio acuto e nominava i pesci guizzan ti: « Un branco di marides » gridava, o « ecco una go pa » , e una volta, con un grido e un gesto all' ingiù col pugno come se scagliasse un tridente : « Un sina grida bello grosso ! Ah , il cornuto ! Na! » , per poi ri prendere , immobile come una polena, la sua estati ca rassegna. Salvo il pulsare della macchina, tutto taceva. La prua tracciava nell ' acqua tranquilla una grinza simi le a una lunga morbida piega di seta. Le rocce rugo se del litorale si ripetevano rovesciate in uno spec chio, le punte emergenti si mutavano in losanghe simmetriche invisibilmente congiunte lungo il bor do dell ' acqua. Di tanto in tanto un debole strale di vento che arrivava da chissà dove smagliava la liscia superficie con un improvviso ventaglio d ' increspa ture , poi di nuovo tutto era piano e la barca con i suoi passeggeri galleggiava in uno sconfinato sogno azzurro . L' alba era già spuntata. Ma navigavamo a sudest e tra noi e il sole stava il fosco crinale dei Kakovouni, digradante in una scalinata rocciosa fino all 'istmo che lo collega all ' estrema impennata del Matapan. Dagli spacchi di questa barriera le lance di luce si avventarono al di qua, si allungarono via via più lu minose; e quando il disco del sole superò l ' orizzon te si tuffarono e dilagarono giù per le pendici occi dentali in una raggiera di lunghe saette geometri che , raddoppiando di lucentezza là dove due o tre di esse si sovrapponevano, sbiadendo quando una cima frapposta bloccava la loro aurea avanzata con un ' improvvisa ipotenusa d ' ombra azzurra. Alba e tramonto civilizzano e razionalizzano queste nude distese di monti grigi, riducendo a ragione un caos disorganico, facendo fluire pianamente i monti l ' u no nell ' altro, avvivandoli di ritmo e sinuosità. L' alba 1 63
stende ombre tenui sui loro fianchi e muta la scoria cinerea in un colore champagne e albicocca e lilla, e svela gli scuri letti ramificati dei torrenti, li fissa al le pendici come un graticcio, finché sotto il sole ascendente essi si rattrappiscono e svaniscono, in at tesa che il crepuscolo di nuovo li espanda e li atte nui. Ora le terrazze di olivi si susseguivano, una pen nellata d ' ombra dopo l ' altra, mentre le cornici che esse sorreggevano erano sottili nastri ricurvi di luce. In alto le torri di Alika e la scogliera crestata di ru deri del Kiparissos mossero verso di noi; Mouda nistica dentellò d ' ombre il valico; poi apparvero Tzouchalia e la guglia di Vathia interamente coro nata di torri. Su una mezza dozzina di cime cento torri scure , conficcate a grappoli sulle terrazze a ser pentina, si rizzavano nel mattino a rompere gli obli qui raggi solari paralleli, ogni campanile proiettava lungo l' avanzata del sole una lunga lama d ' ombra. Come il caicco procedeva verso est, un villaggio dopo l ' altro volgeva verso di noi i suoi muri assolati . Sembravano sospesi nell ' aria, fiammanti e balenanti come le gocciole di un lampadario. Un promonto rio sorse e li nascose e quando passammo davanti al piccolo golfo di Marmari il sole era già alto nello sconfinato cielo greco: un cielo più alto, più legge ro , che ti circonda più da vicino e si stende più in là nello spazio che in qualunque altro luogo del mon do . Non intimidisce , non sminuisce, ma è ospitale e accogliente per l ' uomo, suo elemento non meno della terra; e pare che solo un errore di gravità in chiodi l ' uomo alle rocce e al ponte della nave e gli impedisca di essere assunto nell' infinito. A Marmari il Mani è largo poco più di un miglio . I monti s i insellano, l e coste concave lo stringono in un vitino di vespa, poi esso risale e si inturgidisce di 1 64
nuovo per un ultimo paio di leghe rocciose , con le coste che cadono quasi a perpendicolo. Accostam mo a una stretta cornice e i passeggeri balzarono agilmente a terra, prendendo con sé asce e sacchi per trinciare la superficie rocciosa e farne calce , e lasciandoci proseguire da soli la navigazione lungo la deserta costa sottovento della penisola. Doppiato un saliente ci imbattemmo in un solitario pescatore che gettava le sue reti , tenute a galla ogni metro cir ca da una zucca vuota. Queste zucche crescono in forma di globi che si restringono in alto e poi torna no a gonfiarsi in un collo grazioso che di nuovo si contrae fino al diametro esatto, quando si taglia il peduncolo , di un turacciolo. Tolti i semi , le zucche vengono pulite versandovi della ghiaia e scuotendo le finché l ' interno è ben levigato; poi si lasciano sec care al sole . Prendono così il colore della terracotta e diventano leggere come piume e dure come il le gno , con l ' aspetto di perfette e raffinate terraglie: comodi fiaschi pe r il vino i n viaggio, e qui, a galla, simili a prigioni per i ginn arabi. Entrambi i fianchi della sua barca erano muniti di coppie di pali ge melli di legno terminanti in due rebbi tra cui stava no i suoi lunghi tridenti. Questi appoggi forcuti per le lance da pesca erano dipinti di rosso sangue, co me quelle corna misteriose che insieme alle bipen ni sono il motivo dominante dei palazzi minoici. Un ' onda e un grido, e un ' altra protuberanza roc ciosa lo nascose . Alcuni minuti più a sud, al centro di un ' altra piccola baia, una scura caverna spalanca va la bocca sull ' acqua. Panagioti ridusse la velocità del caicco. « Eccola » disse . « L'entrata dell 'Ade » . Temeva di arrestare il motore , dichiarò, perché riavviarlo era un 'impresa, ma avrebbe girato in cer chio finché fossi tornato . Così mi tuffai e mi diressi alla grotta che sbadigliava come la sbilenca mascella superiore di una balena (quella inferiore è sott' ac1 65
qua) per una diecina di metri sopra il mare . Mentre entravo a nuoto ne uscì uno stormo di rondini , e vi di i loro piccoli nidi attaccati alle pareti della grotta e ai fianchi delle stalattiti . La grotta diventava mol to più buia penetrando nella montagna, e un paio di pipistrelli che probabilmente stavano appesi al soffitto svolazzarono squittendo verso la luce . Il soffitto si abbassava, e nuotando lungo le pareti vi scide trovai una diramazione a destra e la seguii per un breve tratto; ma cessava quasi subito . Girai tut t' intorno e nuotai sott' acqua per vedere se ci fosse un ingresso sommerso a un 'altra grotta marina; ma non c ' era niente . Adesso avevo il soffitto a meno di mezzo metro sopra la testa, e potevo toccarlo con la mano. L' aria era buia ma sotto la superficie l ' acqua brillava di un magico azzurro luminoso, e con una sola botta della mano o del piede si suscitavano scia mi di bolle fosforescenti. Stranamente , il luogo non era affatto sinistro, ma, a parte la freddezza dell ' ac qua mai raggiunta dal sole, silenzioso, calmo e bel lissimo . La luce sottomarina proveniente dalla lon tana imboccatura della grotta fa sì che all ' intruso, quando si immerge infiorato di fosforo nelle gelide profondità, sembra di nuotare nel cuore di un co lossale zaffiro . Non avevo immaginato che tutto il pavimento della grotta stesse sott' acqua. Nessuna leggenda ne parla, sebbene non vi sia ombra di dubbio che que sta è la grotta usata per quelle famose discese agli Inferi . Quando Mrodite , adirata, mandò qui la po vera Psiche perché le riportasse il misterioso scrigno della bellezza, la fanciulla fu così consigliata da una torre benevola (divenuta capace di parola alla vista di lei che stava per gettarsi dalla sua sommità) : « Non lontano da qui sorge la famosa città greca di Lacedemone . Va' subito là e chiedi che ti indichino la via per il Tenaro . E un luogo fuori mano non faci le a trovarsi, situato in una penisola a sud. Quando
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vi giungerai troverai uno dei ventilatoi degli Inferi. Infilaci la testa e vedrai una strada i n discesa, dove non passa nessuno . Imboccala subito, e ti porterà direttamente al palazzo di Plutone . Ma non dimen ticare. di portare con te due focacce d' orzo inzuppa te in acqua di miele , una in ciascuna mano, e due monete in bocca » . 1 Che qui l a terra si sia ribaltata? Che abbia immer so sott' acqua una di quelle smisurate caverne tanto comuni nelle montagne greche, che si addentrano serpeggiando scivolose nel buio minerale per lun ghi e lunghi tratti , nelle quali, con improvvise e stra ne correnti d'aria che ti spengono il moccolo, si pas sa carponi accan to a canne d ' organo, a baratri, a fa vi di pietra, e tra stalattiti e stalagmiti simili a molari e a denti del giudizio di un mostro tremendo sul punto di serrarli, per arrivare infine, nel cuore profondo senz ' aria del monte e grondando sudore come nel più caldo dei calidaria, al soffocante san tuario di un qualche santo locale, trogloditico e se miselvaggio ( come quello di san Giovanni Cacciato re sull 'Akrotiri a Creta) , installato per neutralizzare gli antichi demoni ctonii che ivi dimoravano prima dell ' avvento del cristianesimo? Una grotta stermina ta dalla quale i lacedemoni, sapendo dove conduce va, si ritraevano terrorizzati? La sua bocca poteva trovarsi sommersa e allagata nel diafano abisso sotto i miei piedi che pestavano l ' acqua; forse l ' aveva obli terata una frana o sigillata un macigno. Le umide pareti circostanti erano massicce e compatte . Fortu natamente la mitologia è di rado così letterale, e il fatto che Caronte potesse non essere il primo bar caiolo che Psiche dovette pagare il giorno della sua discesa è senza importanza. Laggiù era la via per il fiume popolato di spettri e l ' orribile cane a tre teste (le due focacce per lui , come le due monete per il l . Lucio Apuleio di Madaura, L 'asino d 'oro.
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traghettatore , erano un biglietto di andata e ritor no) , per i campi oscuri e le lunghe tristi sale di Per sefone ; il grigio mondo dove il fantasma della ma dre svanì più volte tra le braccia di Odisseo come l ' ombra di un sogno. Fu sotto questa stessa grotta che il misero Orfeo, nel terribile viaggio alla ricerca della perduta Euridice, addormentò l ' odioso Cerbe ro con la dolcezza della sua lira; e fu qui che Eracle trascinò su all ' aria superna il cane infernale schiu mante e ringhiante ( e , a me pare , bagnato fino al midollo ) , tenendolo per la triplice collottola. C ' è sempre qualcosa che incute una timorosa re verenza in queste terrestri identificazioni con l 'Ade . I l Lete, dicono, fluisce con l e sue acque d ' oblio vici no alle Sirti in Africa. La sorgente dello Stige manda la sua cascatella giù per le rupi del monte Chelmos in Arcadia, e io ho seguito le funeste sinuosità di Co cito attraverso le pianure tesproziane in Epiro , non lontano dalla profonda forra sotto l ' indomabile Su li dove l 'Acheronte cade con rombo di tuono. ( Per ragioni letterarie io l ' tio attraversato vittoriosamen te a nuoto tre volte ) E da queste parti che Odisseo, per ordine di Circe, scese tra le ombre . Più sinistra di tutti, a poche miglia da Napoli, accanto al cupo laghetto d'Averno, è la galleria scavata nel tufo vul canico dove abitava la Sibilla Cumana, e dove alla luce tremolante delle fiaccole si può vedere , tanto lontano dalla sua sorgente achea, un affluente dello Stige . Qui Enea compì la sua facile discesa. Nei pra ti vicino a Enna i contadini siciliani indicano ancora la sorgente di Ciane, dove Plutone aprì la terra con un colpo di tridente per portare Persefone giù nel suo te tro regno. Con poche bracciate girai l ' angolo di roccia, il soffitto si alzò e l ' imboccatura assolata della grotta si aprì in un semicerchio luminoso dove ancora rotea.1
1 . Si veda Gérard de Nerval , El Desdichado. 1 68
vano e cinguettavano le rondini. Fuori , nel sole sfol gorante, il caicco, sebbene vicino, sembrava molto piccolo e distante . Viaggiava ancora in cerchio, sol cando e risolcando la sua scia circolare . Joan sede va al timone , Panagioti, appoggiato all ' albero, si ac cendeva una sigaretta. Com ' era chiara la luce del giorno, e splendenti i colori ! Mi attaccai all ' ancora al giro seguente della barca, e afferrata l' asta e mes so un piede sull 'unica marra rugginosa presi la ma no tesami da Panagioti e salii a bordo. Joan tirò a sé la barra del timone e la scia si spiegò in una linea di ritta verso sud. Panagioti mi offrì una sigaretta e l ' accese col suo mozzicone . La cima della penisola si abbassava costantemen te col procedere della nostra rotta a sud. Finalmen te apparve lo snello faro del Matapan con le rocce che cadono ripide al capo. Nell ' istante in cui lo rag giungemmo il motore si mise a sputacchiare e parve sul punto di spegnersi; ma il caicco lo superò lenta mente . Sporgendosi dal parapetto era possibile toc care l ' estremo lembo aguzzo di roccia dove incon trava l ' acqua. Questo ruvido, svelto contatto con un punto geografico che spesso avevo coperto col dito sull ' atlante fu un momento di soddisfazione , come l ' ambizione infantile di stringere un giorno il pu gno intorno a un vero polo nord immerso nella ne ve . Quell 'ultimo aggetto di calcare bi torzoluto era il frammento più meridionale della Grecia continen tale, e, a parte le rupi andaluse sotto i piatti tetti mo reschi di Tarifa, al di là delle colonne d ' Ercole, an che d ' Europa. Tutte le isole situate più a sud - ma niente si interponeva di fatto tra questo punto e il deserto - erano sparsi avamposti e scorridori greci sulla via per l 'Mrica e l 'Asia; qui era la punta della falange . Si tratta di piaceri semplici . Un passo più in là, seduto su uno scoglio, il guar1 69
diano del faro pescava con canna e lenza. Aveva un aspetto singolarmente lindo e posato per quel suo promontorio solitario. Navigavamo così vicino che fece appena in tempo a tirar via la lenza. Si illuminò In VI S O . « Che novità? » gridò. « Ti nea ? » « Buone ! » gridammo . « Tutto bene . Ola kala!» . « Ordine e tranquillità » aggiunse Panagioti. « Taxis kai isichia! » . « Sia gloria a Dio » rimandò l ' altro . Prese una pe ra dalla bisaccia, la ripose e ne scelse una migliore . Eravamo ormai lontani un buon tratto , ma la pe ra volò per l ' aria e approdò come per magia nella mano di Panagioti. Poi il guardiano si alzò in piedi e ne gettò altre due che caddero felicemente in fon do alla barca. « Andate al bene ! » gridò, e si rimise a pescare . Joan spinse la barra a sinistra e proseguim mo zoppicando per i restanti cinque o sei metri che ci volsero a nordest nel golfo di Laconia. Lontano a oriente si discernevano i fiochi profili di Elafonissi - l ' Isola dei Cervi - e di Citera (luogo natale non solo di Mrodite m a di Lafcadio Hearn ) , entrambi aleggianti sull' acqua immateriali come sbuffi di pallido fumo azzurrino; tra essi e Capo Ma tapan giaceva una distesa d ' acqua insuperabile , si sarebbe pensato ( a torto, pare ) , da qualsiasi canto di gallo. Il cielo e il mare erano u� unico azzurro te nue e soltanto quei fantasmi di isole accennavano al luogo del remoto confine orizzontale, finché l ' oc chio , andando in su, discerneva alto sopra quell ' in visibile orizzonte uno spettro ancora più gracile: la lunga sierra della penisola laconica in un debole sismogramma, esile · come un capello , che saliva e scendeva e risaliva attraverso il cielo, smorendo . in fine a nord nel suo viaggio aereo al corpo principa le del Peloponneso . Qua e là, soffice come una piuma, era sospesa una traccia di saliente , il filo di una gola celeste che .
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discendeva un poco e svaniva nel cielo , sul quale, a metà strada dallo zenit infuocato, galleggiava tutta quella imponderabile giogaia. Si perdeva molto pri ma che si potesse seguire la caduta della sua estre mità meridionale su Capo Malea. Dietro le due isole trasparenti il mare e il cielo si fondevano nella vaga e luminosa unità dello sfondo di un dipinto cinese . Là nella bruma azzurra, nel volteggiare di uccelli temporaleschi, era il terribile Capo le cui tempeste quasi mandarono in pezzi le navi di Menelao e di Aiace , e di tanti naviganti posteriori . Le tempeste di M alea portarono Odisseo lontano dalla sua rotta, ol tre Citera e via via per giorni, fino all ' approdo nel l ' isola dove - ( ah , dove ? ) 1 - abitavano i Lotofagi. Al l ' inizio del secolo scorso un anacoreta aveva il suo romitorio proprio sulla punta e viveva delle elemosi ne dei marinai di passaggio. Non un ' onda aveva scosso il San Nicola nel dop piare Matapan, ma non poche navi si erano infrante su quegli scogli aguzzi. Il vacillante motore si spense con un rantolo e restammo in panne . Una pigra corrente ci portò lentamente a nord, e mentre Pa nagioti trafficava col motore - promuovendo ripetu tamente brevi velleità d ' azione che si esaurivano in un colpo di tosse - noi ci davamo da fare con delle pertiche per tenere le variopinte fiancate del caicco al largo dalle aspre rocce peninsulari . Passarono ore e a riva ogni ombra svanì come fos se un liquido le cui rade pozze tra le rocce il sole meridiano avesse completamente prosciugato. Get tammo l 'ancora e aspettammo, con la vela pendula e spenta, il vento estivo . Anche nuotando intorno al la barca e giacendo sul ponte o sulle rocce il tra scorrere del tempo e lo spietato trionfo del sole co minciavano a diventare opprimenti . Doveva essere questa brezza pomeridiana che Cefalo, giacendo acl . Gerba?
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caldato dalla caccia sulle sponde della Tessaglia, in vocò con tanta bramosia che la povera Procri, na scosta in un boschetto, pensò fosse il nome di una rivale e trovò la morte . Ma il vento non venne e infine fu un bel caicco, il San Giorgio del Pireo diret to a Kalamata, che nel tardo pomeriggio ci raccolse e ci portò , deviando di parecchie miglia dalla sua rotta, a Porto Kagio. Panagioti, oltre ad averci paga to la cena della sera prima, cercò di rifiutare ogni compenso in quanto non era stato in grado di con durci dove aveva promesso . Questa volta, fortunata mente , vincemmo noi . Porto Kagio è una baia molto bella ma un po' tri ste , una profonda insenatura scavata nella pendice orientale della penisola, in corrispondenza di Mar mari sulla sponda opposta, e la ripida sella tra i due forma l ' istmo che collega Capo Matapan al Mani. Sulle alte rupi tra qui e il Capo sorgeva una volta il tempio di Poseidone , sul sito di un tempio di Apollo di età micenea. Era il santuario centrale degli spar tani, asilo inviolabile di chi vi si rifugiava e sede di un oracolo . Era anche un grande luogo d ' incontro dei notabili delle città laconiche , e uno dei vari tem pli di Grecia dove le anime dei morti potevano esse re evocate dai loro uccisori e placate con sacrifici . Lapidi di marmo trovate fra le rovine dimostrano che i sacrifici umani non erano ignoti . Pausania non lo storico e geografo ma il vincitore di Platea fu rinchiuso e fatto morire di fame in questo tempio quando gli spartani scoprirono le sue intese segrete con Serse . 1 Come abbiamo visto, il tempio fu proba bilmente distrutto dai pirati" della Cilicia. Poco ne l . Nelle vicinanze , al margine del golfo , sorge una scogliera dalla quale Petrobey ordinò fosse ge ttato un prete delinquen te. Legato mani e p iedi, questi fu lasciato perire sulle rocce do ve si e ra schiantato . Entrambi i fatti hanno lasciato una maledi zione sulle rispe ttive locali tà.
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resta, e molti frammenti di lapidi commemorative di qui e del Kiparissos sono sparse nei villaggi vicini. Sul ripido fianco settentrionale si stendono i ruderi di una gigantesca fortezza turca, costruita al culmi ne negativo delle fortune maniote, contemporanea mente a quella di Kelefa. Il luogo fu teatro di dure battaglie vi ttoriose dei manioti contro i turchi du rante il regno di Zanetbey: azioni comandate dal grande Lambros Katsonis e dal padre di quell ' Odis seo Androutzos che più tardi condivise una grotta vicino a Delfi con Trelawny, mentre a Missolungi, sulla costa, Byron giaceva in agonia. Il nome Porto Kagio deriva o dal veneziano Porto Quaglio o dal francese Port aux Cailles, perché le rupi circostanti sono l ' ultimo luogo dove le quaglie, migranti a sud a migliaia, sostano prima di spiccare il volo per Creta e l ' Mrica. Ho visto, più a est nelle Cicladi, le frange delle loro schiere partenti, e di un 'altra partenza in massa, quella delle cicogne, nel Dodecaneso . Le cicogne sogliono tenersi vicine alle coste asiatiche , accalcandosi la notte in mastodonti ci accampamenti su ogni albero disponibile e agi tandosi irrequiete tutta la notte finché all ' alba apro no nuovamente le. ali e s ' involano verso sud in in terminabili sparse flottiglie . Vengono dalla Polonia meridionale e dall ' Ucraina, aggregano contingenti in Bucovina, Bessarabia, Transilvania, in tutti i Bal cani e in Grecia, finché, allungando il collo verso i tetti piatti delle case arabe , ottenebrano l ' aria. La rotta occidentale, da Austria e Germania e Alsazia Lorena alle coste del Portogallo, passa sullo stretto di Gibilterra; una volta al di là, si disperdono a stuo li e diventano ospiti dei tetti arabi e berberi e delle tribù dell 'Atlante . I loro nidi irsuti, frattanto, riman gono tutto l 'inverno in balia dei venti d' Europa e si riempiono di neve su molti te tti e campanili e mina reti . Le gru non le ho mai viste, ma i pastori cretesi mi hanno raccontato di quelle sterminate carovane 1 73
che durano per ore, becco dietro coda, da un capo all ' altro del cielo, tanto alte sopra il monte Ida da essere quasi invisibili, ma accompagnate da uno strano suono ultraterreno simile a un lontano bru sio di conversazione; tutte , si pensava un tempo, di rette alle foreste dell 'Mrica Centrale per rinnovare la battaglia con i pigmei, che le attendono con le fa retre piene e, secondo Aristotele , a cavalcioni di ca pre, in una guerra senza fine . Un torpore di laguna pervadeva questo golfo . Ci sono qua e là, molto distanziate , alcune case , e il sa le e l' apatia sembrano aver corroso i loro abitanti. I manioti, a detta di molti viaggiatori e degli stessi greci, diffidano degli stranieri; ma, sperimentata la loro amicizia - lo dichiarano le stesse fonti -, se li le gano al cuore . Di questa diffidenza iniziale feci ora esperienza per la prima volta. Ci volle molto tempo, e languide e accigliate contrattazioni, del tutto fuor di tono con il consueto gioco amichevole , per trova re un uomo con un mulo che portasse la nostra ro ba a un villaggio più ameno dell ' interno. Alle nostre proteste per il prezzo esorbitante che ci chiedeva, costui alzava le spalle e faceva l ' atto di andarsene , e quando dovemmo cedere, senza far parola vibrò una violenta bastonata sulla groppa del mulo e sgranò una sfilza di imprecazioni come se l ' animale fungesse da rappresentante di questi stranieri che turbavano i suoi ozi in riva al golfo. Le maniere dei greci con gli stranieri sono talmente buone - cento volte migliori e più cordiali che ovunque altrove che le rare eccezioni affliggono in modo spropor zionato . Tutti e quattro ( tranne forse il mulo) ci av viammo con ira su per il ripido letto del torrente , maledicendo i cardi e i ciottoli rotolanti a ogni ar duo passo . Arrivati alla sella ci sedemmo sulle pietre per cal marci , e questi mali umori cominciarono a dileguar si . Il mulo e il suo zotico proprie tario sparirono die1 74
tro una curva della montagna !asciandoci a contem plare la bella baia di Marmari; infatti eravamo di nuovo sul pendio occidentale , alti sul fianco dei Ka.kovouni donde il sole si era riversato al mattino . Una ragazza bionda saliva per il sentiero verso di noi con un agnello di traverso alle spalle e alla nuca, reggendo con le mani le quattro zampe al modo di molte statue arcaiche. Sedette senza posare l' agnel lo ed ebbe inizio l ' amichevole interrogatorio. Da dove venivamo? Quel mulo che era passato era no stro? Quanto l ' avevamo pagato? Glielo dicemmo e lei esclamò con una risata di commiserazione che ci avevano derubati . Dove eravamo diretti? Rispon demmo che non lo sapevamo : a uno qualunque dei villaggi dell 'interno da cui continuare l ' indomani a risalire la costa orientale . Si alzò e riassestò il suo fardello . « Dovete venire a stare a casa di t::n i o padre , a Vathia, » disse « è un paese a mezz ' ora di strada. Abitiamo in una torre » . Davanti a noi, dopo una gobba del monte , una lunga spina dorsale di roccia puntava a ovest dal massiccio, si tuffava e poi saliva a un ' alta scogliera per scendere al mare tra chiazze sempre più ampie di olivi e di grano e fondersi nella costa che si allon tanava obliqua a ponente sotto familiari villaggi ver so Gerolimenas e Capo Grosso . Il largo crinale era irto di torri in rovina, parevano le punte sul dorso di un 'iguana, e si spargevano e salivano con esso alla scogliera, crescendo di numero e di altezza. Un fa scio spigoloso di torri era radicato in una nuvola di cactus e olivi, che terminavano sull ' orlo della ripida cascata di terrazze con le m o l te aie tonde dove ca valli e muli, rimpiccioliti dalla distanza, giravano in cerchio come giocattoli . Questo mondo di egloga e le minacciose fortificazioni si dispiegavano in un in canto fluido e passivo nella stanca luce dorata della sera estiva. Vasilio, reggendo con una mano sola le quattro 1 75
zampe dell ' agnello , indicò con l 'indice dell ' altra la torre più alta di Vathia. « Ecco, » disse « quella è la torre di mio padre, e benvenuti a Vathia » . Capita sempre in Grecia che gli incontri con per sone sgradevoli siano seguiti da un sovrabbondante compenso, come se tutta la gente , per un sesto sen so, fosse in lega per risarcire la vittima e placare la sua irritazione. Leggiamo di foglie velenose e di al tre contenenti l ' antidoto che ondeggiano fianco a fianco sullo stesso albero indiano. Nel caso di que sta piccola giungla, era come se ortiche e foglie di lapazio crescessero da un unico stelo.
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11 MONTI CATTIVI , MALCONSIGLIO
E
CALDAI OLI
Il nome dei Monti Cattivi - Ta Kakovounia - ha in fe ttato gli abitanti non meno del luogo: gli alto-ma nioti sono chiamati « cattivi montanari » dal mondo esterno. Alternativamente (le questioni di nomi e derivazioni non sono mai semplici ) si dichiara che il nome è Kakovoulia, la Terra del Malconsiglio, regio ne maledetta popolata funestamente da cattivi con siglieri . C ' è anche una ingegnosa terza versione , ' ba sata sulla desinenza diminutiva -oula aggiunta a kakkavi ( che significa piccolo caldaio di bronzo a tre gambe ) ; così gli alto-manioti diventano « i caldaio li » . Sembra che i pirati manioti , prima di abbordare un vascello nemico, si bardassero il capo con questi recipienti dalle gambe ritte come tre corna e balzas sero a frotte dalle sartie; tanto bastava perché qua lunque mercantile turco o veneziano si arrendesse per lo spavento . Ma i primi due nomi sono quelli usati comunemente ; e hanno contribuito non poco l . Proposta dal professor Kougeas dell 'Università di Atene, e citata da Dimitrakos-Messisklis, Oi Nyklianoi.
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a confermare la sinistra nomea del Mani, fomentata a lungo da un presunto odio verso gli stranieri e dal l' implacabile desiderio di vendetta. Mai fama di xenofobia fu smentita in modo più convincente che dalla nostra accoglienza a Vathia. Vasilio, con l 'agnello sulle spalle, ci aiutò con la sol lecitudine di Nausicaa. Ci condusse per una giungla contorta e bulbosa di fichi d' India, che la luce del crepuscolo trasformava nella più bizzarra delle pian tagioni, e su nella fitta raffica di muri lanciati verso il cielo . Là in mezzo, guidato dalle sue grida sonore che attraversavano la valle , il mulattiere si era fer mato col mulo ai piedi della torre del padre della ra gazza. Molte cose in Grecia sono rimaste immutate dai tempi dell ' Odissea, e forse la più notevole è l ' ospita lità verso gli stranieri: più una regione è remota e montuosa, minore è il cambiamento a questo ri guardo. L' arrivo a tin villaggio o a un cascinale non è molto diverso da quello di Telemaco al palazzo di Nestore a Pilo e di Menelao a Sparta - così vicino, a volo d' uccello, a Vathia - o dello stesso Odisseo, gui dato dalla figlia del re alla reggia di Alcinoo. Non esiste descrizione migliore del soggiorno di uno straniero presso la dimora di un pastore greco di quella di Odisseo travestito quando entra nella ca panna del porcaio Eumeo a Itaca. C ' è ancora la stessa accettazione senza domande , l' attenzione ai bisogni dello straniero prima ancora di saperne il nome : la figlia che gli versa l ' acqua sulle mani e gli offre un panno pulito, la tavola prima apparecchia ta e poi presentata all ' ospite ,. la premurosa offerta di vino e cibo , lo scambio di identità e di autobio grafie , il letto preparato nella parte migliore della casa - la più fresca o la più calda a seconda delle sta gioni - le preghiere all ' ospite perché si trattenga a suo piacimento , e infine , alla sua partenza, i doni, sia pure soltanto di una manciata di noci o di mele , 1 78
di un garofano o di un mazzetto di basilico; e la cu ra con cui gli si indica la via, accompagnandolo per un tratto e augurandogli buona fortuna. Nell ' Odissea il nuovo venuto capita spesso duran te un banchetto, e assai di frequente lo straniero nella Grecia d ' oggi viene condotto al posto d' onore di una lunga tavola dove i paesani festeggiano un matrimonio, un battesimo , un fidanzamento o un onomastico, e il piatto e il bicchiere gli vengono ri petutamente riempiti come per magia. Sovente, vi cino a una piccola cappella (dedicata al profeta Elia, all 'Assunzione o alla Trasfigurazione in cima a un monte , o, fuori di una grotta, a una Chrissospilio tissa - una Vergine della Grotta d' oro - o a sant'An tonio del Deserto ) , egli si imbatte in uno stuolo di pellegrini stesi sulle rocce e sull' erba che onorano una pia ricorrenza con canti e danze , i cesti aperti e tovaglioli di cibarie apparecchiati sotto i rami, il vi no che scorre a profusione da fiaschi e damigiane; e qui, come nelle feste di paese, il viaggiatore è affer rato da mani callose, gli viene spianato un posto sul le frasche, gli viene messo tra le dita un bicchiere e offerta una fetta di agnello arrosto su una forchetta o su una larga foglia. Questa generale ospitalità nei giorni festivi è meno degna di nota della prem!lra individuale per· gli stranieri in ogni circostanza. E la mobilitazione da un momento all ' altro di un ' intera famiglia che suscita stupore . E tutto viene fatto con semplicità e senza smancerie e con una gentilezza così genuina da rivestire di magnificenza e di stile la capanna più sgangherata. Quella sera, però, ci fu un cambiamento nel con sueto rituale omerico . Dopo aver bevuto l' ouzo nel cortile Il!urato ai piedi della torre, il padre di Vasilio disse : « E una serata calda. Mangiamo al fresco » . Prese una lanterna e c i precedette nella torre . Lo se guimmo su per le ripide scale di legno, un piano do po l ' altro, finché ansanti per l 'arrampicata ci tro1 79
vammo su un tetto a terrazza quadrato di sei o sette metri di lato, circondato da un basso parapetto. Da sotto comparvero delle sedie e Vasilio prese un ro tolo di corda e la sciolse giù nella notte , ritirandola, dopo uno scambio di grida con qualcuno venti me tri più in basso, con un tavolo tondo di latta legato a un capo. Tirò fuori e stese una tovaglia bianca puli ta e mise al centro una lanterna, inserendo u n cer chio d ' oro nel chiaro di luna. Le nostre facce, pre sto raccolte intorno a un agnello arrosto che sperai non avessimo già incontrato , erano illuminate da un lieve barbaglio dorato che svariava a un argenteo pallore lunare , mentre mascelle e orbite si marcava no d ' ombra se ci si ritraeva dal cerchio della lanter na. La corda, all ' estremità della quale era stato ora legato un grosso cesto , fu calata nuovamente più volte nel buio per prendere altro vino e altro cibo. La notte era quieta. Poiché la cima della nostra torre era la più alta di Vathia, le altre erano invisibi li, e pareva di cenare a mezz ' aria su un tappeto ma gico aleggiante tra vaghi recessi montani. Alzando si in piedi ecco le altre terrazze , tutte vuote e chiare sotto la luna enorme. Non si vedeva una luce, e gli unici suoni erano l ' acuta nota insistente di due gril li, un usignolo e un fievole coro di ran e, attestante la presenza d ' acqua da qualche parte nell ' arida sierra. Cercai di immaginare come sarebbe apparso a un uccello di passaggio il nostro gruppetto che cenava solennemente intorno al solitario lume stel lato di una lampada su quel piccolo quadrilatero sospeso . Chiesi al padrone di casa se loro cenavano spesso quassù: « Solo quando ne abbiamo voglia » nspose . Aveva parlato dell ' inverno, e , tema familiare , del vento del Mani. « Fa un rumore da diventar sordi , quando la tramontana soffia tra queste torri » disse; e d'improvviso , nel silenzio e nella calda chiarità lu nare , ebbi la visione di quel soffio sciagurato che ur1 80
lava fuori dalle imposte , di vortici di grandine e ne ve serpeggianti tra quelle perpendicolari. « E quan do c ' è un temporale sembra l a}ì ne del mondo, con tutto quel fracasso e i lampi ! E allora che i giovani pensano di sposarsi, per avere compagnia in letto e star caldi . . . » . La tavola fu sparecchiata e calata dondolante nel l ' abisso , e coperte e cuscini, bicchieri e brocche d ' acqua da bere preparati per gli ospiti. « Metterò questa sulla botola, » disse il padre di Vasilio, pren dendo dal parapetto una palla di cannone di ferro e tenendo la nel palmo come un or be « caso mai sof fiasse il vento e la facesse sbattere . Adesso servono solo a questo » . Prima di andare a le tto girellammo fino al limite del villaggio. Qualche miglio a sud, oltre i cactus, una lunga fila di luci scintillanti che si muovevano verso ovest sotto una pallida colonna diritta di fumo sbucò a un tratto dal lato sottovento di Capo Mata pan . Doveva essere una gigantesca nave di linea illu minata per una serata di gala. Sentivamo il suono della musica? Si poteva quasi immaginarlo. « J\;lega lo » , « grande » , disse veridicamente il nostro ospite . La nave scomparve dietro la pala di un fico d ' In·· dia e riemerse un minuto dopo . Mi chiesi da dove venisse . Beirut? Alessandria? Bom bay? Colombo? Hong Kong? Pensai ai passeggeri in giacchette corte tropicali, abiti scollati e buffi cappellucci di carta, al brandy che girava in bicchieri a palloncino, al fumo ascendente dei sigari, al maturare di amori di viag gio , all ' aggregarsi e disgregarsi di gruppi, al far pia ni e all ' appaiarsi di coppie per una visita a Napoli e una gita al Vesuvio; al galante medico di bordo, al l ' anima della festa, al musone e alla vamp della na· ve . Forse portavano nasi finti muniti di baffi da bur la ·e di grandi occhiali di cartone? A quali musiche ballavano? Si lanciavano stelle filan ti? Mi ricordai di una volta che navigavo tra il Peloponneso meridio1 81
naie e la Calabria e stavo affacciato al parapetto co me certo stavano molti passeggeri in quel momen to, chiedendosi cosa accadeva in quelle montagne misteriose e selvagge a nord. « Guarda, » forse dice va qualcuno « lassù c ' è una luce ! Che posto solitario dev'essere . . . » . La luminaria rimpicciolì e la nave seguì la via di tante imbarcazioni fenicie e tante quinqueremi; di retta a nord nel solco invisibile delle navi di Harald Hardraade veleggianti bardate di scudi, la prua a foggia di drago, dallo splendore bizantino di Mickel gard verso i grigi fiordi nordici al margine estremo del mondo. Infine le luci si ridussero a un tenue ba gliore e furono inghiottite e cancellate da un im menso cactus. L'indomani mi venne fatto di pensare che molti erano i vantaggi del vivere in una torre, specialmen te d'estate . Mangiando e dormendo sul tetto a ter razza lontano dall' aria stagnante delle viuzze si co glie ogni passeggero briciolo di vento. Si dorme in cielo, circondati dalle stelle e con la luna quasi a portata di mano. L' alba spunta presto , e cacciando il dormiente giù per la scala, via dalla luce del sole, risolve il quotidiano martirio dell ' alzarsi; le mura spesse , da Bastiglia,, danno alle stanze una frescura che aumenta scendendo di piano in piano, con l ' ac cumularsi sul capo di strati di soffitto; sei gradazioni di temperatura, dalla vampa tormentosa del tetto al freddo artico della cantina scavata nel suolo . E le torri assicurano il raro e inestimabile beneficio del la privacy, una merce inesistente nella vita di villag gio greca. Il trambusto della vita domestica, isolato dal vuoto assorbente delle camere intermedie , tur bina e gorgoglia venti metri più in basso. Chi può aver voglia di arrampicarsi per tutte quelle scale da campanile? (Ahimè, non c ' è barriera fisica che vin1 82
ca la sete di compagnia; ma per il momento tutto era tranquillo) . C ' era nel Mani un altro beneficio negativo, ed era occorso un po ' di tempo per ap prezzarlo: da Areopolis in qua non avevamo visto un solo apparecchio radio; nient' altro che quel delizio so fonografo a tromba di Gerolimenas . Il resto della Grecia, anche il più remoto villaggio d'Arcadia o d' Epiro , risuona dal levar del sole a mezzanotte di musica swing, sermoni in inglese, conversazioni sul l' apicoltura in serbo-croato, musica sinfonica da Amburgo , bollettini meteorologici francesi , risultati dei tornei di scacchi di Leningrado, segnali per i na viganti in alfabeto morse dal Dogger Bank, e dato che l ' apparecchio è quasi sempre difettoso tutti questi suoni , emessi a pieno volume, si imperlano sul filo di un urlo ininterrotto, pipistrellesco, che buca i timpani. Nessuno ascolta, ma la radio non si spegne mai . L e città sono un pandemonio. Da ogni negozio e caffè sgorga un frenetico rombo incon trollato . Queste radio furiose andrebbero stanate e munite di museruola o abbattute come cani idrofo bi . Nel cuore della campagna il silenzio dei luoghi più desolati è lacerato d'improvviso dal raccapric ciante latrare di un solitario apparecchio radio . . . Ma la radio , come la religione , ha tardato a raggiungere il Mani, e fra le torri prevale un beato silenzio. Al momento, mentre ero chino tra mucchi di sacchi sul mio diario lungamente negletto , l ' unico suono era il canterellare a mezza bocca di Vasilio nella stanza di sotto. La sera prima si era fatta dare tutti i nostri panni sporchi accumulati da Sparta, e avanti l ' alba l ' avevo vista di scorcio sbattere e sciacquare il bucato in una vasca di pietra in cortile e poi stenderlo ad asciuga re sulle rocce e sui rami di cactus. Ora insieme a questo canto sommesso saliva dalla botola il delizio so odore del ferro da stiro, ricordo d'infanzia. Un 1 83
piano più giù la madre tesseva al suo grande telaio, con un regolare click-clack in sordina di licei . Di là dalle sbarre della mia finestra c ' era una di stesa di torri dai muri blasonati diagonalmente di luce e ombra; e da un ampio varco apparivano vil laggi turriti sospesi sopra il mare su terrazze a ser pentina. In un altro varco la seconda figlia del no stro ospite, con un gran cappello, appollaiata sul re tro di una slitta di legno e con tre redini in pugno, scivolava torno torno a un ' aia dietro a un cavallo, un mulo e una vacca - la prima che vedevo nel Ma ni - uniti in un triplice giogo. Da un argine sopra questo laborioso disco di pie,tra il resto della fami glia lanciava con pale di legno il grano in aria, in modo da far cadere i chicchi su una stesa di coperte colorate mentre la pula volava via. Altri scuotevano grandi setacci . Il sole che saliva alle loro spalle orla va d' oro il gruppo , e ogni volta che uno spulatore al zava il suo vaglio , per lunghi secondi la loppa flut tuante lo avvolgeva in una nebbia dorata. Il sole entrava in questo scrigno di pietra da strombature profonde. Nei raggi di luce il pulvisco lo turbinava come plancton sotto il microscopio, e la stanza era piena di un aroma di passato . C ' erano in un angolo un rugginoso fucile a canna doppia, un paio di orecchiuti messali ortodossi su uno scaf fale, e, appuntata al muro sopra la tavola, una sbia dita oleografia di re Costantino e della regina Sofia, insieme a re Giorgio e alla regina madre Olga Feo dorovna, che con una benevolenza velata dal tempo sorridevano tra ghirlande d' alloro. In un ' altra im magine re Costantino entrava in Salonicco ricon quistata al termine della prima guerra balcanica. Su un manifesto Petro Mavromichalis, l ' ex ministro della Guerra, tra una pin-up ritagliata dalla coperti na di Romantzo e un calendario del 1 926 dei Be Smart Tailors di Madison Avenue , raggiava cordia lità dal suo monocolo di carta. Di traverso al mani«
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festo una mano inesperta di caratteri latini aveva scritto con cura Viva lo zio Truman. Sarei rimasto là per sempre . Che vita si svolgeva in queste torri ai tempi fioren ti del Mani? Quando ancora signoreggiavano i gran di nikliani , cortesi in torre e feroci in campo? Le po che notizie lasciate dai viaggiatori sono contrastanti . Alcuni lodano il loro amore della libertà e il loro co raggio, altri raffo rzano la leggenda ostile. « Pirati in signi in mare, pestiferi ladroni in terra » li chiama uno; 1 un altro, Lord Sandwich,2 dopo aver lodato il loro spirito irredentista dice più o meno lo stesso . Un terzo,3 senza, uno straccio di prova, li accusa di cannibalismo: « E probabile altresì » dice « che i ma nioti della Laconia, nei loro accessi di furore fana tico, abbiano divorato parecchi maomettani della Morea » . Nemmeno Leconte de Lisle, in una poesia di sanguinaria magniloquenza che comincia: Les Mavromichalès, les aigles du vieux Magne, arriva a tan to, pur descrivendo la battaglia tra i Mavromichalis e i turchi vicino a Pirgos, e raccontando che il capo del clan inchiodò le teste dei turchi intorno alla sua torre finché questa fu tempestata di teschi. Il capi tano Stewart, che costeggiò la regione nel l 80 7 , de finisce i mani o ti « gli animali d ' aspetto più selvaggio che io abbia mai visto , di colore scurissimo e malve stiti » . Haygarth, contemporaneo di Byron , in una poesia assai bella scritta pochissimo prima di Childe Harold ma con accenti di puro filellenismo byronia no, li paragona ai loro avi spartani: l . George Wheler, A )ourney into Greece, 1 675. 2 . L'inventore del sandwich e lo scopritore delle isole omoni-
me. 3. Cornelius de Paneo. 1 85
. . . still their spirit walks the earth. Their martial shouts are heard from Maina 's rocks, 'Where, still unconquered, thousands rally round The spear of Grecian freedom . 1 . .
E la loro discendenza spartana, il loro retaggio ri salente al tempo di Licurgo , sono stati il tema di molti scrittori. Ma prima della guerra d ' indipen denza pochi misero piede nella regione, nemmeno Byron, purtroppo. Pressoché il primo viaggiatore che ha parole di simpatia per i manioti , in chiave non eroica, è John Morrit di Rokeby. Gentiluomo whig ventunenne, appena uscito da Cambridge , questi viaggiò a suo agio in Grecia dal 1 7 94 al 1 7 96 (cioè una trentina d ' anni prima che la Grecia fosse libera) , e scrisse delle deliziose lettere a casa. Era imbottito dei consueti biechi racconti sulla regio ne , eppure ( anche se non penetrò nell'Alto Mani) che piacere leggere parole così schiette e naturali ! « Se vedo un rischio di non venir più via [ dal Ma ni] , » egli scrive « non è per i briganti, ma per la bontà e ospitalità dei manioti » . I monti erano po veri di monumenti classici, ma gli antichi « sopravvi vono qui con più forza, perché di certo questa gen te conserva, meglio di quanto avessimo mai visto , lo spirito e il carattere dei greci » . Morrit evidente mente si divertì molto nei suoi viaggi, e parla alla leggera di sposarsi e di stabilirsi là come capo di una banda maniota. Compra un costume maniota per sua sorella, « una camicia di mussolina e un paio di calzoni di seta azzurra » , e propone che al suo ritorno vadano entrambi a Ralegh vestiti da ma nioti. Tutto questo è un grande sollievo dopo le esa gerazioni della maggior parte di coloro che viaggial . . ancora il loro spirito cammina sulla terra. l Le loro grida marziali si odono dalle rupi della Maina, l dove , ancora indo miti, a migliaia si raccolgono intorno l alla lancia della libertà greca » . «
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rono prima di lui nella Grecia occupata, l ' ignoran za, la retorica e i falsi e altezzosi raffronti del glo rioso passato con l ' umiliante e servile presente; l ' ar tificioso travisamento accademico per cui tutti i gr e ci erano o semidei o schiavi striscianti, giudizi estre mi cui la povera Grecia era stata sottoposta per se coli dai viaggiatori occidentali. Ciò su cui tutti , inclusi gli scrittori manioti mo derni , sembrano concordare è la mancanza di istru zione e il relativo analfabetismo della regione . Ma nella prima casa in cui dimorò, Morrit trovò la Storia antica di Rollin e il Belisarius tradotti in romaico, e il padrone di casa « ci parlò a lungo della Grecia anti ca, della quale conosceva tutta la storia come o me glio di noi. . . e i suoi occhi brillavano di piacere quando parlava degli antichi spartani Guarda guarda! Ma, naturalmente , si trattava solo del Mani Esterno . . . A quel che h o potuto appurare, tolti Leake e Pou queville, pochi sono gli occidentali che vennero qui . La società che dipingono è una società primiti va. (Un quadro nerissimo, come vedremo, ne fa l 'u nico poeta prodotto dal Mani; che peraltro , di nuo vo, non era un alto-maniota) . Naturalmente allora i manioti erano molto più ricchi, grazie alla pirateria; ma il loro denaro andava quasi tutto nel far più alte le torri e in ornamenti personali . In vecchie stampe del Mani le donne non in lutto sono vestite ma gnificamente . Un sottile soggolo bianco di seta o di mussolina era avvolto intorno alla testa sopra un cappellino e le trecce scendevano a bandeau sulla fronte . Una dalmatica a maniche lunghe frangiata e fittamente ricamata scendeva al ginocchio e copriva la parte superiore di una lunga veste fluente che ar rivava ai piedi; sotto c ' erano i larghi shalvaria - cal zoni orientali - e pantofole adorne di filo d' oro, o, per le donne povere , mocassini di cuoio greggio. Il costume maschile era simile a quello degli isolani e ».
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dei cretesi: calzoni rigonfi pieghettati terminanti poco sotto il ginocchio, gambe nude o vestite di uo se ricamate, pantofole orientali talvolta con la punta all 'insù. Sopra la camicia portavano un corto bolero con fregi in metalli preziosi come il giubbetto dei toreri. (Petro Mavromichalis, quando W.M. Leake visitò il Mani, portava una giacca di velluto verde ca rica di galloni d ' oro ) . I loro baffoni misuravano a volte una spanna da un capo all ' altro, e i capelli ca devano in folte onde sulle spalle. Sulla testa, inclina to spigliatamente da un lato, s tava il soffice fez a ca lotta appiattita, con una lunga nappa nera di seta pesante . Sopra la fusciacca la vita era stretta in una cintura munita sul davanti di un marsupio di pelle scanalato contenente un arsenale d ' armi: le pistole quasi diritte col calcio affusolato e poi rigonfio al termine in un pomo simile a una mela selvatica di argento lavorato; i cangiar, quei lunghi pugnali con l 'impugnatura d' osso o d' avorio biforcuta come un paio di corna; e, arma principale per il combatti mento ravvicinato, lo yatagan , con l ' elsa d ' avorio biforcuta come nel cangiar, la lunga lama sottile on dulata e poi dritta con una fluidità di fiamma. Spes so portavano anche scimitarre con l ' elsa a croce e la lama semicircolare . Molte armi avevano l ' acciaio magnificamente damaschinato e rabescato , e guai ne d' argento, d' argento dorato e di velluto color prugna. In pieno assetto i manioti erano equipag giati con corni per la polvere in splendide montatu re e con elaboratissime borse per le pallottole fatte di argento sbalzato di Ioannina. I loro fucili a canna lunga, simili ai j ezail afgani, erano così pesanti che si poteva prendere la mira solo appoggiandoli a una roccia o a un ramo. Ciò li rendeva inutili per i com battimenti corpo a corpo , ma preziosi a distanza e per le imboscate . Avevano un nome eufonico, che sembra più adatto a un fiore che a un fucile, e che in effetti somiglia alla parola greca per garofano e
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chiodo di garofano : kariojìlia. Questa parola musica le e strana è una approssimativa ellenizzazione del nome di un armaiolo italiano i cui prodotti erano pregiatissimi in tutto il Levante : Carlo e figli. Tutta questa prestanza guerresca, accentuata dal portamento marziale e ribadita dal cipiglio del volto e dallo sguardo folgorante , era splendida. Esistono vari ritratti di questi paladini manioti magnifica mente vestiti nella grande casa ateniese dell 'attuale M. Petro Mavromichalis, che viene ancora, tra il se rio e il faceto, chiamato « il bey » . Mi sorprese la biondezza di questi guerrieri Mavromichali, cui i baffi e le grandi capigliature davano l ' aria di vichin ghi. A quanto ricordo , soltanto Giovanni il Cane porta i calzoni a sbuffo manioti ; gli altri sono tutti in candide fustanelle , presumibilmente perché i ritrat ti furono dipinti ad Atene dopo la guerra di indi pendenza, quando quel bel costume illirico-epirota era diventato il distintivo quasi universale dei pa trioti greci . E sotto re Ottone e la regina Amelia la fustanella e i suoi eleganti accessori, con costumi in sulari superbamente byroniani per le dame di com pagnia, fu l ' abito di corte ufficiale . Quando era mi nistro di Grecia a Parigi , il grande Kolettis (che pro veniva da una famiglia cutsovalacca di Sirako 1 in E piro ) lo portava spesso , e il diario dei Goncourt parla con ammirazione del suo presiedere in gon nellino a deliziosi banchetti di agneau à la pallikare. Oggi, a parte gli euzoni e le regioni di mon tagna dove i vecchi la portano ancora, la fustanella è scomparsa. L' eccentricità dei Wittelsbach e una commoven te fedeltà al paese d 'adozione indussero re Ottone ,a sfoggiarla in Baviera anche dopo aver abdicato . E così vestito che possiamo immaginarlo l . Questo villaggio, abi tato in gran parte da pastori seminoma di tra il villaggio stesso e la zona di Preveza, ha dato i natali an che al poeta Kostas Krystallis. 1 89
tra gli abeti e -le guglie neogotiche di Neuschwan stein e di Hohenschwangau, e riflesso nei lucidi specchi del Nymphenburg. A parte l ' aspetto degli abitanti, le loro attività guerresche e le superstizioni e usanze cui ho accen nato, non ci sono particolari documentati che colo riscano quella vita d'un tempo . Sì, due ce ne sono: un viaggiatore dice che i preti portavano abitual mente un paio di pistole, e che data la scarsità di ci bo molti montanari del Mani si nutrivano di stelle marine salate. Quest'uso, se mai è esistito (a regi strarlo è il fededegno Leake ) , è scomparso senza la sciar traccia. Stelle marine? L' idea li inorridiva. Peg gio dei tori di Katsimbalis . . . Meditando s u quella strana vita svanita ebbi una visione istantanea, suscitata principalmente dalla conversazione della sera prima in terrazza, dei bis nonni del nostro ospite impegnati in una guerra di villaggio nel cuore dell 'inverno, col ven to che urla va fra le torri; con le donne che pestavano e tritura vano nelle grosse macine a mano o si affollavano in torno a un braciere a fondere piombo e a foggiare pallottole ; con i kariofilia sporgenti da ogni feritoia, un cannone girevole piazzato nello strambo vicino al mio tavolo, accudito dal mio ospite in fez e bra che voluminose . Fuori la neve turbinava per le viuz ze scure illuminate d' improvviso dai fulmini e dai lampi di cannone , e le detonazioni dell ' artiglieria erano sommerse dagli scoppi di tuono. I bambini si arrampicavano ai piani superiori curvi sotto il peso di palle di cannone , mentre belle ragazze brune, trecce al vento, salivano di corsa le scale con micce fiammeggianti. C ' era odore di polvere da sparo e si sentiva qualcuno gemere nell ' oscurità . . . Vathia è uno dei vari villaggi della zona che si ri tiene siano stati popolati soprattutto da profughi cretesi, presumibilmente quelli scampati ai turchi dopo la caduta di Candia e la definitiva sconfitta dei 1 90
veneziani tre secoli fa. Altri cretesi erano fuggiti se coli prima, nel XIII secolo, quando Creta era caduta in mano ai veneziani, riparando tra i bizantini del l 'Asia Minore e stabilendosi sulle sponde del Mean dro . Costoro hanno lasciato nel Mani una forte im pronta, specialmente sul dialetto . Più volte ho udi to , con improvvisa emozione, giri di frase, pronunce e parole che prima avevo sentito soltanto nei più inaccessibili villaggi di Creta. Nel modo di vivere ci sono molte somiglianze superficiali, e di tanto in tanto anche nell ' aspetto . Però in molte fisionomie maniote c ' è una carnosità compatta (non intendo grassezza) , quasi una tensione muscolare ; una scura floridezza, un ' attaccatura di capelli bassa sulla fron te , e soprattutto una barricata cautela in quegli oc chi scuri , che , per quanto belle siano molte di que ste facce , è diversissima dall' intelligente , luminosa estroversione della fisionomia cretese; e nonostante tutte le apparenti somiglianze, diversa è tutta l' at mosfera. Nel complesso fra le due popolazioni c ' è disamore reciproco; e non solo perché, di tutta la Grecia, i cretesi sono i più fervidi partigiani del re pubblicanesimo venizeliano e i manioti della causa monarchica. Forse il forte afflusso cretese creò catti vo sangue in passato; ma probabilmente il motivo è che per molti versi ci sono troppi elementi di somi glianza. Per me, che durante e dopo la guerra mi ero tanto affezionato ai cretesi - al punto di consi derarmi quasi un cretese onorario - era doloroso sentirli criticare così aspramente . La vivacità con cui ne prendevo le difese diventò un po' uno zimbello. I greci che i manioti giudicano più simili a sé sono gli epiroti, specialmente i cimarrioti dei monti Acro cerauni, secondo Dimitrakos-Messisklis. Questo stu dioso trova molto in comune nelle usanze e caratte ri delle due regioni, e, come un profondo fiume se greto sotto successive immigrazioni da altre terre greche, la stessa dura vena dorica. 1 91
Con quale facilità le popolazioni si spostavano nelle antiche terre greche, nel mondo conquistato ed ellenizzato da Alessandro, nel vasto spazio di Ro ma e dell ' Impero bizantino ! Senza documenti, libe ra, senza pastoie , la gente errava a suo piacimento fra il Tamigi , il Danubio, l ' Eufrate e l ' alto Nilo - in ogni luogo, insomma, esente dalla minaccia barba rica, e spesso al di là. Oggi ognuno è numerato , ina nellato come un piccione, rinchiuso in una gabbia di frontiere . Sul saldo telaio di popolazioni sedenta rie si tesseva sempre , costante e irregolare nella tra ma e nell ' ordito, un movimento spicciolo generato da irrequietezza, da intenti commerciali, sete di bot tino, ricerca di colonie , fughe o esilii; oppure un ve ro e proprio trapianto, dovuto forse a motivi politici alla ricerca di un rifugio. La chiesetta di Tourloti , 1 fuori di Kitta, suggerisce che uno dei meno noti di questi spostamenti può aver recato un piccolo con tributo alla popol�zione del Mani. Non conosco la data della chiesa. E vecchissima. Ma un ' iscrizione la dice fondata da due coniugi di nome Marassiotes, e dedicata ai santi Sergio e Bacco. Ora, alla metà del VII secolo d.C. il Libano era stato abitato per qual che tempo dai cosiddetti mardaiti, nome che si può tradurre con « ribelli » , « apostati » o « banditi » . (Ti pacci, si direbbe , non dissimili dai kizilbashi sciiti dei villaggi pomaki sulla catena del Rodope ) . Gli imperatori bizantini li usarono talvolta come solda ti, e Costantino IV Pogonato ne ebbe là dodicimila ai suoi ordini, come difesa contro gli arabi. Quando l . Tourloti è corruzione dialettale della parola troulloti, che vuoi dire « a cupola » . Troullos, cupola, corrisponde a « trullo » , parola con cui nell'Italia meridionale s i indicano quelle curio se abitazioni a tetto conico assiepate a Alberobello e in altri paesi pugliesi vicino a Bari, l ' antica capitale bizantina della Ma gna Grecia. Sono una peculiarità architettonica, e le sole cose simili che ho veduto sono gli assembramenti di capanne di pa stori sul monte Ida e sui Monti Bianchi a Creta.
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gli arabi conquistarono la Siria i mardaiti si ritiraro no a nord e funsero da « muro di bronzo » lungo il confine bizantino , compiendo continue scorrerie contro gli arabi finché Giustiniano II ( 685-695 ) ac cettò in un trattato col califfo di trasferirli all ' inter no dell ' Impero , ed essi furono pertanto distribuiti tra la costa della Panfilia (dove diventarono mari nai ) , l ' isola di Cefalonia e il Peloponneso. Ma i mar daiti non erano originari del Libano. Vi erano giun ti (per qualche ignota ragione e in data ignota) dal distretto di Maras della Cilicia orientale, cioè quasi cinquanta miglia nell ' entroterra in direzione nord est tra il golfo di Alessandretta e l ' Eufrate . Questa era anche la patria dei santi Sergio e Bacco, i cui nomi erano così inconsueti nel Mani che la loro chiesa si chiama semplicemente « la Cupolata » . Il laicato ortodosso è fortemente regionalista e seletti vo in queste cose. La sola altra chiesa a mia cono scenza dedicata a quei due santi è la bella e famosa ex moschea di Costantinopoli; e il nome del fonda tore di Tourloti - Marassiotes, nome anch ' esso oggi sconosciuto nel Mani - significa esattamente « uno di Maras » . I greci che fondano templi lontano da casa sono quasi sempre fedeli ai santi patrii. Una chiesa costruita da un corfiota fuori dall' isola si chiamerà quasi certamente San Spiridione; da un cefaloniese , San Gerasimo; da uno zantiota, San Dionisio; da un cretese , San Minas; da un greco di Salonicco, San Demetrio; e via dicendo. Quindi le implicazioni di questa piccola chiesa di appena una diecina di metri di lato si presentano irresistibili: nelle vene degli abitanti della turrita Kitta scorre probabilmente, insieme al sangue spartano che pre domina, un po ' di sangue franco; forse sangue bi zantino, quasi certamente sangue cretese; e ora sembra probabile che si debba aggiungervene uno spruzzo di oltre Tauro e del Libano, sangue ancora greco, e , per quanto forse proveniente da « brigan1 93
ti » e da « apostati » , di briganti e di apostati che sul pun to di essere assorbiti nella loro quarta e ultima sede ricordarono piamente i due santi che un tem po avevano vegliato sulle loro case anatoliche . . . I tre strani compagni di giogo continuavano a gi rare in tondo sull ' aia; il sole, ascendente al merig gio, ne contraeva le ombre sul cerchio di pietra. Vi sti dal mio fresco nido d' aquila, i geyser di grano lanciato in aria, che zampillavano ogni pochi secon di e si dissolvevano in una fluttuante nebbiolina di pula, sembravano incoraggiare la riflessione su mi nuzie . Quelle pentole a tre gambe usate come el mi. . . Dimitrakos conferma l ' interpretazione di Kako vouliotes data dal professar Kougeas ricordando un altro antico soprannome degli alto-manioti: chalko skoujìdes. Questo, almeno, è chiaro: chalkos vuoi dire bronzo, skou.ft vuoi dire berretto, piccolo cappello: quindi, i Cappelli di bronzo . Non so perché, ma questa derivazione non mi convinceva, nonostante l ' autorità di entrambe le fonti - Dimitrakos e Kou geas - e l' impeccabile desinenza maniota dei loro nomi; ma un po ' di tempo fa, nei Travels di Thomas Watkins - una serie di lettere pubblicata nel 1 7 92 mi imbattei nella seguente frase : « l magnotti » - ma nioti - « liberi e indipendenti come gli antichi spar tani, portano ancora sul capo elmi di ferro in cui al l ' occasione cuociono il loro brodetto nero . » . Que sta coincidenza, di una fonte ignota a entrambi i miei autori, mi convinse in un lampo - e mi convin cerà finché non sia validamente confutata - che essi hanno ragione , che la provincia ha preso nome dai suoi abitanti, non viceversa, e che i Monti Cattivi e il paese del Malconsiglio sono in real tà il paese dei caldaioli. Bisogna dunque supporli elmati come vi chinghi tricorni nelle loro sortite attraverso la neve immaginaria, nel loro piombare con grida feroci e yatagan snudati sulle schiere invaditrici del Seras kier e del Kapoudan Pascià! . .
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Il famoso « brodetto nero dei lacedemoni » affio ra in quasi tutti i vecchi libri di viaggio. Viene iden tificato con ogni sorta di cose , la più bizzarra delle quali è il caffè ( cosa essenzialmente greca, agli oc chi di antichi viaggiatori ) , che in Inghilterra fu be vuto per la prima volta nel XVII secolo , con meravi glia generale, da un dotto cretese di nome Natha niel Canopus che insegnò a Oxford - al Balliol Col lege - per dieci anni prima di essere espulso nel 1 648 sotto la Repubblica. Una spiegazione del caffè ancor più peregrina fu avanzata da Pietro Della Val le nel l 6 1 5 . Era, egli dice , la pozione magica nepente, di cui Elena apprese il segreto quando fu in Egitto con Menelao dopo la caduta di Troia. Essa cancella va ogni dolore e induceva sopore . Nel quarto libro dell ' Odissea è questa la pozione che Elena versa nel vino di Telemaco e del suo compagno per immer gerli in un sonno felice e senza sogni. Io non ho mai visto uno di questi caldai a tre gam be . In Grecia caldai e tegami sono di solito privi di gambe e a fondo piatto , del tutto inadatti al loro du plice ruolo alto-maniota. Saranno scomparsi, come tanti ammennicoli del passato. ( Quanti trampoli a molla si impolverano ancora nelle soffitte inglesi? E di bicicli, probabilmente , oggi non ce n ' è al mondo più di una ventina) . Non abbiamo notizia certa di quando questi caldai caddero in disuso . . . Un' altra usanza svanita senza lasciar traccia è il fumo del ci buk, la lunga e sottile pipa turca di legno di ciliegio con un piccolo fornello di coccio e un elaborato bocchino d ' ambra. In tutte le vecchie stampe e inci sioni di vita greca queste pipe hanno un gran ruolo. Il cibuk è un attributo essenziale del clefta, come il kario.filia, e a volte altrettanto lungo. Doveva essere un accessorio incomodo, specie per un guerriglie ro. Nelle visite di cerimonia il cibuk era indispensa bile . Non è una forzatura né un 'ubbia romantica trovare un che di puramente omerico nel carattere 1 95
dell ' ospitaltà greca. Ma le formalità della visita sono orientali: o almeno, sono quell 'ibrido insieme cui diamo il nome di « turco » ; e come molte formalità turche , sono piene di grazia e di dignità. Non per nulla quando queste tribù dell 'Asia Centrale si stan ziarono in una sede stabile ebbero per vicini i tre popoli più civili : persiani, arabi e greci. Gli altri par ticolari dell ' accoglienza sopravvivono intatti: il cuc chiaio di marmellata di mele cotogne, d ' uva, di ma rasche o di petali di rosa, il ditale di ouzo o di raki, la tazzina, con uno strato di bollicine iridescenti, di caffè orientale (o di brodetto spartano , o di un goc cio di nepente ? ) , il grande bicchiere luccicante d' ac qua, gustato e lodato da ospite e anfitrione insieme con la finezza di consumati sommelier. Queste co se erano offerte su un vassoio dalla figlia maggiore , che restava in piedi in silenzio, con le braccia con serte sul petto, finché non erano consumate . Ma un tempo si metteva in campo anche un mannello di cibuk. Le pipe venivano riempite con cura e accese con tizzi di carbonella da due servi ( accenderle da soli era impossibile ) , poi, dopo che il bocchino era stato immerso in acqua calda, offerte già fumanti al l ' ospite , che tirava alcune boccate cerimoniali pri ma di accennare al motivo della sua visita. In una prospera torre nikliana tutti gli ardenti fornelli di pipa erano riuniti, per salvare il tappeto, su un vas soio d'ottone al centro della stanza, con i cannelli lunghi due o tre metri irradiantisi ai lacedemoni ric camente equipaggiati seduti a gambe incrociate sui divani intorno ai muri; tra loro, forse , un prete ar mato di pistole, e un paio di pallicari in gonnellino riparati nel libero Mani dalla Morea oppressa dai pascià, e il bey nella sua veste ornata di pelliccia; tut ti intenti a sgranare in silenzio i loro rosari , le pal pebre placidamente abbassate sul bocchino d' am bra del calumet, preparandosi ad affrç ntare gli e ter ni temi, faide, pirateria, ribellione . E difficile am1 96
bientare in questo quadro la Storia antica del Rollin e il Belisarius; ma, se possiamo, dobbiamo aggiunge re un giovane viaggiatore filelleno in giacca di ra scia, con accanto un album per schizzi e un vascolo, l ' indice a segnalibro in un volume tascabile di Pau sania o Strabone mentre tira boccate di fumo, soffo cando . . . Variazioni di questa scena sono sussistite . . . fino a quando? Fino all ' Ottocento avanzato . Si cercheran no invano queste pipe a Adrianopoli o nella vecchia Stanbul , e men che mai nelle ville di cemento di Ankara. Alcune ammuffiscono ancora nella Plaka e in qualche isola. Eppure io le ho viste usare come oggetti quotidiani (bizzarro e solitario residuo del tempo in cui l ' Impero ottomano, esteso dalle colon ne d 'Ercole alle porte di Vienna, abbracciava i tre quarti del Mediterraneo) tra i magna ti ungheresi. Gli Zichy e i Teleki e gli Esterhazy - ricordando do pocena nei casini di caccia della puszta e nei castelli di Transilvania il tempo in cui , molto prima che Bel grado fosse riconquistata dal principe Eugenio, il profilo di Pest era ancora irto di minareti - si am mantavano del fumo di queste lunghe pipe . (Anche loro ormai devono essere vittime marginali dello status quo) . Felicemente, ma stranamente , il confor tante narghilè , ancor meno maneggevole , è soprav vissuto in tutti i vecchi kafenia di Grecia; fumigante con gorgoglii portentosi in fondo alla sua serpenti na - un tubo dalle giunture flessibili come il bruco in riposo che sempre cose simili evocano - mentre i carboncini rossi bruciano e consumano le aromati che foglie di toumbeki di lspahan. Ci sono altri due frammenti perduti di dettagli corroborativi misteriosamente svaniti senza traccia: questa volta all ' altro capo del mondo greco, nei principati danubiani di Valacchia e Moldavia che oggi hanno il nome di Romania. Si tratta di due tipi di copricapo, en trambi straordinari e portati egual1 97
mente dagli ospodari (voivodi o principi regnanti) e dai ministri e dignitari delle loro piccole corti : i grandi boiari dei Divani Principeschi di Ia�i e Buca rest. Greci, rumeni, turchi e tutti gli storici stranieri so no stati unanimi fino a data recente nell ' esecrare costoro, e nel complesso a torto; ma non è questo il punto che qui ci interessa. La cosa importante è che dai primi decenni del XVIII secolo ai primi decenni del XIX questi due troni vassalli dell ' Impero otto mano furono occupati da greci fanarioti1 o da nobi li rumeni ellenizzati. Al trono si giungeva con la cor ruzione e i regni degli ospodari erano brevi, quasi sempre vessatori e oppressivi e non di rado troncati dal funicello, dalla forca o dal ceppo. Alcuni furono principi di grandi qualità, alcuni di nessun merito , alcuni furfanti assoluti. Ma tutti erano uomini civi lizzati e colti , e i loro misfatti sono in qualche misu ra bilanciati dai servigi resi alla religione ortodossa, dall 'incoraggiamento dato alla cultura greca e ru mena, e verso la fine del loro fiorire dalla partecipa zione alla guerra d ' indipendenza greca. Tutto l ' ob brobrio di cui grazie a Voltaire e a Gibbon si è cari cato l ' aggettivo « bizantino » - cinismo, doppiezza, ingordigia, vanità, ambizione , vizio, superstizione, crudeltà - ha pervaso, al quadrato , le implicazioni di « fanariota » . Con gli strani processi revisionistici, oggi « bizantino » ha perso i l suo significato peggio rativo; e per gli stessi processi i fanarioti appaiono meno satanici a ogni decennio che passa. La giustapposizione di « bizantino » e « fanariota » non è casuale. I vecchi troni elettivi da essi occupati, per quanto fittizie e per così dire simoniache fossel . Da Fanar, quartiere di Costantinopoli intorno al Patriarcato ecumenico, guida spirituale di tutta la cristianità ortodossa e centro della vita finanziaria e intellettuale dei sudditi greci del sultano .
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ro le elezioni, erano quelli dei vecchi monarchi or todossi rumeni: dei Mushat, dei Bogdan , dei Bassa rabi, di Stefano il Grande , di Michele il Valoroso, di Pietro il Crudele , di Vlad l ' lmpalatore ; e l ' atmosfera che circondava questi potentati avvolti nella nebbia era mezzo bizantina e mezzo slava, un 'ultima flebile eco nelle nevi di là dal Danubio degli ultimi flebili bisbigli della Bisanzio imperiale . 1 Questa commi stione di influenze si rifletteva, fino all ' O ttocento inoltrato , nei titoli stupefacenti dei vari dignitari di corte degli ospodari: il Gran Bano di Craiova, il Grande Logoteta, il Grande Spatario, il Grande Vor nic , il Vestiario, l 'Etmano, il Paharnic, eccetera. Pri ma della guerra i palazzi ricchi di stucchi e di lam padari di Bucarest e la�i e le labirintiche dimore di campagna dei boiari - arenate come grandi navi nella piatta pianura - erano piene dei ritratti di que sti singolarissimi personaggi . Alcuni ne dipinse Lio tard, venuto a est come artista al seguito del perfido conte di Sandwich. Le loro barbe - nerazzurre o di un bianco cinereo, qualche rara volta di un fiam meggiante rosso carota - scendevano in ondose ca scate fino al punto dove le bianche dita affusolate l . La famiglia Can tacuzeno - tra le dinastie bizan tine supersti ti quella più approssimativamente verificabile - mise radici e re gnò in Romania molto prima dell'arrivo dei fanarioti, e sfuggì quindi all 'aggettivo incriminato. Le famiglie fanariote più rap presentative sono quelle dei Ghika (originaria dell 'Albania me ridionale) , Maurocordato e Soutso ( di Chio) , lpsilanti e Moru zi (entrambe originarie del caduto Impero comneniano di Tre bisonda) , Mavrogeni ( dell ' Egeo) e Rosetti ( ritenuta di origine italiana) . Cantemir lo storico e la famiglia Callimachi erano moldavi ellenizzati , e i Caragea si presume venissero da Ragusa in Dalmazia. Le famiglie Racovi tza, Sturdza, Stirbei e Bibesco erano di ceppo rumeno . Ma per tutto il XVII I secolo il greco fu la lingua di corte , ed era la Costan tinopoli greca a diffondere il suo splendore sulle loro piccole capitali di provincia. Tutte queste famiglie avevano immensi possedimenti in Romania, molti dei quali sono sussistiti fino a pochi anni fa.
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posavano indolentemente sull ' elsa ingioiellata di pugnali da cerimonia infilati nella fusciacca. A volte avevano al collo collane di perle e gemme . Le lun ghe fitte pieghe dei caffettani guarniti di passamani e orlati di pelliccia si allargavano sopra le spalle in un gran pelliccione . Nello sfondo, anneriti dalla vernice , gli stemmi di Valacchia e Moldavia si infilza vano l ' un l ' altro sotto l ' ermellino e i cerchi tempe stati di perle di corone rotonde . Le labbra annidate in quelle cateratte di barba erano voluttuosamente incurvate e rosse come ciliegie o strette in una linea ermetica e dura, e gli spessi sopraccigli congiunti , arcuati s u occhi che scrutavano da sotto palpebre di falco, avevano espressioni di malvagità, di arrogan za, di calma olimpica. Sopra, scaturente e espan dentesi da tempie infossate , sorgeva l 'immenso co pncapo. Ce n ' erano di due diverse specie . Uno, d ' un bian co uniforme divenuto color fungo sbiadendo sulla tela, saliva d'un palmo in un cilindro di diametro eguale alla testa del boiaro che adornava, e poi si gonfiava gradualmente come un pallone , allargan dosi infine in un enorme globo chiaro di due o tre palmi di diametro , col cocuzzolo distante poco me no d ' un metro dalla fronte del portatore . L' altro era un enorme edificio di folta pelliccia, approssi mativamente cilindrico, ma con una cresta perpen dicolare sul davanti nascente da poco sopra quelle sopracciglia arcuate (e ripetuta nell ' orlo del cappel lo in un pizzo di pelliccia) ; l ' edificio saliva alto qua si quanto il colbacco di un ufficiale della Guardia in grossandosi lievemente durante il percorso e termi nava in un cocuzzolo piatto in cima alla cresta. Un rigonfio sporgente di stoffa colorata - era difficile distinguere se la stoffa, il berretto vero e proprio dentro il cilindro di pelliccia, fosse seta o velluto sormontava l ' orlo di questa stupefacente struttura, che a volte era ulteriormente accresciuta da un pen200
nacchio a ventaglio oscillante da una fibbia di dia manti. Simili copricapi dovevano innalzare al metro e ottanta e più un uomo di media statura, e fare d ' un uomo alto un titano. Quale l ' origine di queste bizzarrie sartoriali? Non turca, certamente, perché nulla di simile compare nei turbanti a zucca mirabilmente avvolti dei turchi - come il copricapo di Maometto II nel ritratto di Gentile Bellini - e nell ' ancor più strano costume dei giannizzeri (molti dei quali quasi sicuramente ereditati dai bizantini dopo la caduta di Costantino poli ) nel museo del Serraglio. L' enorme cappello di pelliccia fanariota, il gudjaman, proviene probabil mente in parti eguali dalla Persia, da Bisanzio e dal la Moscovia: la pelliccia slava copre quei cilindri e spansi portati dai dignitari bizantini nei pannelli di bronzo del Filarete , ritraenti il seguito di Giovanni VIII Paleologo, sulle porte di San Pietro a Roma, e dai guerrieri bizantini nella battaglia di Eraclio e Cosroe degli affreschi di Piero della Francesca ad Arezzo . La passione bizantina per i cappelli strani, che appare anche nei pannelli del Filarete , è bene illustrata nella famosa medaglia di Giovanni VIII del Pisanello: qualcosa che somiglia a una specie di ga lero in cui il cocuzzolo, segmentato a spicchi, si alza come un mezzo melone cantalupo. Ma l ' altro cap pello fanariota, quella meravigliosa sfera bianca chiamata ishlik, è di pura provenienza bizantina. Ce n ' è un esempio magnifico, nei mosaici della Kariye Camii a Costantinopoli, sulla testa di Teodoro Meto chite gran logoteta di Andronico II Paleologo, mor to nel 1 332. Nelle stampe di soirées rumene della prima età vittoriana compaiono, tra i soprabiti ala marati, le redingote e le spalline degli uomini e le crinoline e le acconciature Luigi Filippo delle si gnore , il principe regnante e i grandi boiari vestiti di questi antichi indumenti canonici . Colonne di pelliccia, broccato e gioielli, i loro copricapi si libra201
no verso i soffitti di stucco e i penduli lampadari a gocce come monumenti piumosi e pallidi globi gal leggianti. Fuori, nelle strade rese silenziose dalla ne ve, guardie del corpo albanesi battevano i piedi per scaldarsi e file di sei cavalli Orlov della Bessarabia si dimenavano con i loro postiglioni fra le tirelle di splendide slitte adorne di stemmi, guidate da mas sicci eunuchi russi della setta autocastrante degli skopcy. N el XVIII secolo la lingua di società era il greco, ma nel XIX, come negli ambienti altolocati slavi di Pietroburgo e Varsavia, la lingua di questa strana nobiltà era il francese ( e tale rimase fino alla seconda guerra mondiale ) . Educati alla Sorbona, nelle università di Padova, Vienna o Mosca, o in tut te e quattro, costoro parlavano alla perfezione pa recchie lingue, e passavano le serate a conversare sugli scritti di Chateaubriand e sulle poesie di Vigny e Lamartine . Questi antiquati gingilli sartoriali, che meno di un secolo fa dovevano esistere in centinaia di esem plari, sono tutti svaniti. Gli attrezzi di antichissimi uomini preistorici sopravvivono, ma questi sono an dati a far compagnia nel nulla agli elmi-caldai a tre gambe , al cibuk e ai trampoli a molle. Invano li ho cercati nella polvere di più di una soffitta rumena. Essi, o meglio ciò che ad essi si associa, sono me no irrilevanti di quanto sembra, perché parecchi di questi boiari greco-rumeni presero parte alla lotta per l 'indipendenza greca. Uno di loro, il principe Alessandro Ipsilanti, capo dell ' Eteria, sperò finan che di assumere con l ' aiuto russo il trono di una Grecia riconquistata. Un altro, il principe Alessan dro Maurocordato , amico di Byron e Shelley e dedi catario del dramma lirico Hellas di quest'ultimo , fu uno dei primi capi di governo di Grecia. Non furo no amati dai clefti in gonnellino di Rumelia e di Morea, e nell 'Atene di re O ttone, quando la Grecia fu finalmente libera, i rudi eroi nativi non gradiva202
no la raffinatezza e il polito francese di questi stra nieri , l ' uso che essi facevano di titoli nobiliari in un paese che li aveva aboliti, la loro alterigia e la loro cultura europea. Rispetto a loro si sentivano zotici. Questi due elementi - i grandi capi guerriglieri, di origine prevalentemente modesta nelle montagne e nelle isole , e i civilizzati fanarioti - furono per molti decenni la duplice componente della società atenie se . Dapprima furono vicendevolmente incompatibi li . Ma il divario si ridusse col tempo e fu alfine sana to dal matrimonio del figlio di Kolokotronis con una principessa fanario ta della famiglia Caragea, se guito poco dopo dal matrimonio di un altro Cara gea con la bellissima figlia· del grande eroe suliota Markos Botsaris. I fanarioti, per quanto socialmente elevati, non hanno mai ottenuto agli occhi della Grecia i lauri supremi assegnati ai grandi generali e capitani di mare che furono protagonisti della re surrezione greca. Ma i due filoni si intrecciarono e divennero indistinguibili, e costituirono il nucleo in torno al quale la diplomazia, la politica, le forze ar mate , le professioni, le attività bancarie, l ' iniziativa straniera hanno formato la società ateniese , che per fortuna è la meno esclusiva, la più agevolmente assi milativa e nel complesso la più causticamente in tol lerante di ogni pretenziosità del mondo . Il rumore di passi che salivano la scala mise in fu ga ques te meditazioni su vecchi copricapi e relative implicazioni sociologiche ( « era ora » odo mormora re il lettore ) . Un a parte del pavimento si aprì scric chiolando e la testa del mio ospite apparve dalla bo tola. Si sedette con un sospiro, posando il falcetto per asciugarsi il sudore dalla fronte . Aveva una fac cia bonaria e cordiale , con tutti i recessi della sua struttura ossea scavati da malattie passate. « Come va il lavoro? » chiese . « Bene » risposi; mentendo, perché avevo piace203
volmente sprecato la mattinata in fantasticherie sen za scrivere una parola. La conversazione volse inevitabilmente alla politi ca. Come la maggior parte dei manioti , il mio ospite era un monarchico di ferro. Indicai il manifesto di Petro Mavromichalis e gli chiesi se aveva votato per lui. « Sì , » disse « ma credo che dovremmo cambiare deputato. Il governo promette sempre di costruire qui una strada, e non arriva mai » . Mi apparve la visione di una stradona asfaltata serpeggiante tra i monti, intasata da una colonna di camion carichi ognuno di un fragoroso serraglio di apparecchi radio per il silente Mani. Rovesciai tacite benedizioni sul capo di Petro Mavromichalis. Chiesi chi avrebbe preferito come rappresentante del col legio; era triste pensare a questo dissolversi di lega mi tradizionali . Parve sorpreso . « Chi? Mah, Kiriakos Mavromichalis, naturalmente , suo fratello. Chi al tro? » .
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12 LA FONTANA DELLE NEREIDI
Un compenso di questo tipo di viaggio è l 'ozio non pianificato e non pianificabile tra i rigori degli spostamenti . La posta costruisce vane piramidi di le ttere su un tavolo ad Atene; passano le settimane; il loro muto clamore si spegne senza risposta; polve re e oblio le avvolgono e la fuga dei mesi le rende obsolete e le spoglia d' ogni interesse se non d ' an ti quariato . Questa vacua e olimpica indolenza è resa ancor più preziosa dalle testimonianze tutt'intorno di un ' ardua e tediosa fatica. Qui, inoltre, in assen za delle elevate teorie sulla virtù intrinseca del lavo ro indipendentemente dai risultati, nessun nordico senso di colpa viene a guastarne il pieno godimen to. Queste idee mefitiche non sopravvivono a lungo al sole chiaro e decarburante . Di tanto in tanto ci si trova, nel modo dilettantesco delle dame di compa gnia di Maria An tonietta, a dare una mano in qual che lavoro piacevole e poco impegnativo: radunare le olive su stese di coperte nel tardo autunno, dopo aver bacchiato i frutti dai rami con lunghe pertiche di bambù; raccogliere grappoli d'uva in un cesto, 205
sgusciare piselli, o a volte , a fine estate, pigiare l ' uva. Ricordo una di queste occasioni a Creta, in un corti le acciottolato e frondoso del villaggio di Vafé ai piedi dei Monti Bianchi. Prima stendemmo spessi strati di ramoscelli di timo sul fondo di una vasca di pietra alta fino al petto, si m ile a un gigantesco sar cofago romano; poi una schiera di ragazze issarono i loro pesanti cesti e rovesciarono nella vasca intrica te cateratte di grappoli bianchi e neri . La pigiatura è considerata compito dei giovanotti. I primi tre, uno dei quali ero io, si tolsero gli alti scarponi da monta gna; secchiate d ' acqua furono versate sugli stinchi sudici, e i calzoni arrotolati sopra il ginocchio. « Pec cato lavar via lo sporco » gracchiavano i vecchi che sempre si adunano in queste occasioni . « Si guasta il sapore » . La facezia - che immagino sia stata ripetu ta per millenni - suscitò rituali risate mentre ci ar rampicavamo sul bordo della vasca e saltavamo sul l' elastico materasso di grappoli . Esplosero bucce a diecine e il succo ci sprizzò tra le dita dei piedi . . . D o po un minuto o due un rigagnolo rosamalva varcò il labbro di pietra del beccuccio e gocciolò nel tini in attesa; il rigagnolo si allargò, le gocce diventarono un rivo che si incurvò in uno schizzo arcuato . . . Ci misero in mano bicchieri del succo dolce che già - o era immaginazione? - aveva un sentore corrotto e spettrale di fermentazione. Quando il rivo rallentò , l a virilità dei pigiatori, pesticcianti ormai con l a pol tiglia al polpaccio e violacei fino all ' inguine, fu gio vialmente messa in dubbio . . . Per giorni l ' odore dol ce, inebriante del mosto aleggia sul villaggio. Ogni cosa è appiccicaticcia, le chiazze e impronte rossa stre sul bianco dei muri e i rossi rivoli tra i ciottoli e i nugoli di mosche fanno pensare a un massacro . Frattanto nelle cripte buie delle case , in enormi anfore minoiche scanalate , il mosto brontola e schizza e riempie la casa di effluvi snervanti e di un gorgogliare simile a un vocio di complotti , a una te206
nebrosa congiura di bisbigli . Finché dura questa collusione cantinesca un senso di estatica mollezza dionisiaca erra nell ' aria. Quale diversità dal Mani nudo di vigne e di fron de ! Eppure anche qui l ' ozio ha i suoi pregi: indo lenti mattinate di meditazione ai piani alti, passeg giatine in un dedalo di torri; e adesso, steso a fuma re dopo un sonno felice all ' ombra cavernosa di un carrubo , sopra un paesaggio disseminato di mietito ri , potevo osservare il luccichio delle falci che abbat tevano il grano rado . Animali salivano piano per i viottoli, su zoccoli delicati, con il loro carico giallo. Gioghi trebbiavano in tondo su dischi rilucenti di pietra come affaccendate lancette dei minuti di ec centrici orologi e i vagliatori impennacchiavano l ' a ria di geyser dorati di pula. Curioso che la parola ce reale non evochi altra visione che quella di un nordi co marmocchio ipernutrito con le guance rosse im bottite di colazione; e non mai Cerere, i cui riti ve nivano celebrati là sotto . Ma il nome greco Deme triaka suggerisce immediatamente la buona dea dei covoni con il suo serto di spighe , la sua torcia e il suo papavero. Parole comuni del greco moderno derivate dai nomi di antiche divinità sono più evocative delle proprie origini, forse grazie alla loro freschezza per un orecchio straniero, che non gli equivalenti latini nella nostra lingua. « Venereo » , per esempio, non fa mai pensare a Venere, ma « le malattie afrodisia che » del greco moderno richiamano subito e dolo rosamente gli aspetti funesti di Mrodite Pandemos. « Erotikos » denota semplicemente qualcosa « appar tenente all ' amore » , ed evoca l 'innocente e fanciul lesco Eros; a differenza della parola « erotico » . Ma non abbiamo un equivalente latino di origine divina - sarebbe « cupidico »; i derivati di Amor hanno sfu mature più sospette . E stranamente, sebbene « mer curio » sia per noi il fluido composto metallico, la -
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parola greca hidrargiros (acquargento ) non comme mora Hermes. Questi sopravvive fra noi soltanto nella parola « ermetico » , che non ricorda la celerità e la volubilità del messaggero degli dèi, bensì Erme te Trismegisto o l ' egizio Thot e tutto ciò che è su g gellato, iniziatico e arcano. Il cavernoso riparo di questo carrubo , i rami cari chi di penduli baccelli callosi, erano il giusto rifugio dal sole pomeridiano in questa scena pastorale ma niota. Quando il caldo da forno cominciò a langui re , apparve sotto di noi e ci fece cenno la figura del nostro vecchio ospite . Raggiuntolo, andammo per un sentiero che aggirava come una linea di contor no il fianco di due colline coronate da torri e porta va a una fenditura nel calcare della pendice inaspe t tatamente verdeggiante di platani, fichi e sicomori, con una eruzione improvvisa di oleandri bianchi e rosa: una verde e frondosa valletta nel fianco del Mani . Tutto era dovuto a un tinnante filo d' acqua, così fredda da far rabbrividire con un sorso, che dal la roccia cadeva in un rozzo vascone di pietra sulle cui pareti interne fluttuavano erbe acquatiche verde cupo . Canali neolitici e tubature· di bambù convo gliavano il prezioso liquido in tronchi d' albero cavi ; e un analogo sistema di esile e primordiale irriga zione aveva suscitato , su strisce di terra accumulata in minuscoli gradoni su entrambi i lati della valletta, il verde delle foglie di pomodoro e delle piante di ceci e di fagioli. Il verde si estingueva presto e la roc cia scendeva con grandi balze d' acciaio fino al ma re, interrotta qua e là da una mezzaluna di stoppie gialle . Il luogo aveva il carattere inatteso di un ' oasi. Il vecchio infilò due bottiglie nel vascone e ci rag giunse al basso muro che sovrastava i coloriti ripia ni . « Ecco ! » disse . « Il mio orto » . Usò la parola bagtche, una parola turca di origine persiana, i�vece delle più usuali parole greche kipos o perivoli. E un termine ancora d'uso comune in 208
molte zone rurali . Ero stato attento a cogliere nel Mani una diminuzione del novero di parole turche nel greco parlato, ma sebbene il dialetto maniota abbia considerevoli peculiarità nessun cambiamen to apprezzabile appariva a questo riguardo. Il con tatto con altre popolazioni lascia inevitabilmente un deposito linguistico , e in greco i contributi maggio ri vengono dal turco e dal veneziano, da quest'ulti mo specialmente nei termini marinareschi. Forse la parola bagtche ha fatto presa grazie alla dedizione turca agli orti ; anche se i migliori orticultori dei Bal cani sono di fatto i bulgari. Insieme alla produzione di yogurt e alla distillazione di essenze profumate è quasi la loro unica arte . Uno dei grandi inciampi per studiosi come Fall merayer, che tendono a evidenziare o esagerare l ' importanza dell ' elemento slavo nella composizio ne etnica dei greci moderni, è che sebbene gli stan ziamenti slavi in Grecia abbiano lasciato dietro di sé una vasta e fastidiosa eredità di topo n imi, non c ' è quasi parola d i origine slava nel greco parlato co munemente . Se la lingua di un popolo è il monu mento viven te della sua storia, la quota slava nella storia della Grecia sembrerebbe dawero molto mo desta. Le parole turche e veneziane sono quasi tutte nomi di oggetti giunti in Grecia tramite i turchi o i veneziani. Nella maggior parte dei casi esiste un equivalente greco puro, e le intrusioni, se necessa rio, potrebbero essere eliminate . Ci sono in effetti puristi vogliosi di raschiar via queste incrostazioni aliene quali offese alla purezza della lingua greca; forse , altresì, perché sembrano stigmate dell 'occu pazione straniera. A mio parere è uno sbaglio. Il co rollario di questo processo di ripulitura è una di storsione della storia. Deruberebbe sicuramente la ricca lingua parlata di molto del suo stimolo e mor dente . Ci sono, in queste sporadiche incrostazioni di parole turche sulla levigata superficie della lingua 209
greca - suoni aspri e barbari, forse , ma con un forte sentore , come una strusciata d ' aglio in un ' insalatie ra - parecchie nobili parole persiane. Un modo di dire, ora che ne conosco il senso pieno , mi riempie di delizia: Milfi ta Ellinika farsi, « parla il greco per fettamente » . E una frase comune del demotico quo tidiano. Nessun problema tranne l ' ultimo vocabolo. Farsi ? Questo misterioso e non ellenico avverbio di perfezione viene usato soltanto in riferimento alla perizia linguistica; e solo dopo che lo sentivo da an ni un ateniese esperto di queste cose me ne spiegò il significato . Fra i vecchi turchi dell ' Impero ottoma no l ' arabo era la lingua della religione e il persiano la lingua della poesia e della letteratura romantica. Un uomo colto doveva conoscere il persiano, sia pu re superficialmente, per adornare il suo rude verna colo , come la taccola adorna il nido, con eleganze iraniche; per parlare , insomma, al modo di Fars, la provincia orient�le da cui deriva il nome della Per sia ( e , senza dubbio, dei parsi zoroastriani) . Al modo di Fars. . . La frase si insinuò nel romaico, e ogni volta che la sento ho una breve visione onirica dei chiusi giardini di Shiraz - i bhag, appunto - pieni del suo no di liuti e quartine e fontane zampillanti e canti di fanciulle dal viso di luna . . 1 Il vecchio raccolse alcuni pomodori e ceci e tirò fuori dal suo cesto e scartò un pezzo di formaggio . Mise tutto per benino s u una salvietta, poi stappò una delle due bottiglie lasciate nella vasca di pietra. Era un kokkinéli, un ottimo vino resinato colore del lo champagne rosa, abbastanza comune nell 'Attica ma più raro del nettare in questa regione di pomi ce. Il breve soggiorno sott' acqua lo aveva quasi .
l . Il poeta Seferis - ora ambasciatore a Londra - mi ha fatto co noscere un altro di questi sparsi frammenti persiani: sintrivani, che è una bella parola demotica per « fontana >> - le fontane zampillanti negli immaginari bhag evocati dalla parola farsi. . .
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ghiacciato . Mentre mangiavamo e bevevamo, avver titi da un improvviso rumore e da uno scampanellio vedemmo due greggi di capre convergere sul sentie ro da entrambe le direzioni. Un terzo scendeva a balzi tra gli alberi . Tre orde irsute di diavoli olezzan ti di Inferno che riempirono l ' aria di polvere . Il pendio risuonava dei loro sardonici e variamente modulati cachinni; con un fruscio di zoccoli e un cozzare di lunghe corna costolute e ritorte diedero l ' assalto al vascone-abbeveratoio, e lo schiamazzo e ra accresciuto dall ' abbaiare di magrissimi cani. Il dominio umano è a malapena tollerato da que ste greggi semiselvatiche . C ' è protesta e anarchia ad ogni passo, e i pastori dai larghi cappelli, immersi fino al ginocchio nel maleodorante tumulto, sem brano in grado di controllarlo solo roteando di con tinuo il loro bastone e con un fuoco di fila di sassi e di improperi poco teocritei. Una ribalda distinzione è conferita alle facce caprine dal loro pizzo di barba da gentiluomini del Sud, ma i maculati occhi gialli, barrati dalle oblunghe pupille nere, esprimono so lo perfidia e cinismo e una sorta di spiccia e faceta connivenza, come se quegli animali fossero beffar damente a giorno dei nostri più gelosi segreti. Qual che nero maiale maniota aggiungeva al trambusto la sua eccitazione plebea. Cosa mai potevano trovar da mangiare, tutti quanti, in quell ' assolato deserto? Un ' agile capretta aveva risolto il problema saltando su un sicomoro e salendo con balzi fulminei di ra mo in ramo fino alla cima, dove , precariamente ap pollaiata come un emblema araldico, andava tran gugiando le deliziose foglioline giovani. Il pastore era furioso, e imprecazioni inappropriate sibilavano per l ' aria nella scia di missili pietrosi. « Ruffiana! » gridava « bagascia! puttana ! » . Invano. Finalmente, puntando il bastone come un giavellotto e dandogli ali pleonastiche col grido « cornuta ! » , la colpì dritto nella pancia. « Na, kerata! » . La capra volò in aria, ci 21 1
passò sulla testa con un ampio arco e atterrò sul pendio, dove la cornuta, imperturbabile, continuò a sgranocchiare non so che oscuro virgulto . Il gregge svanì rapidamente com ' era venuto, lasciando solo un odor rancido e un intrico di zoccoli fessi nitida mente stampati intorno all 'abbeveratoio. Le nuvole di polvere abbaianti e beffarde scemarono spegnen dosi in direzione delle torri e disparvero verso il tra monto in una nebbiolina dorata e lungitintinnante . Non restammo sorpresi quando il nostro ospite , pescando e stappando la seconda bottiglia mentre la luna subentrava al sole , accennò che secondo « i vecchi » - sempre questo metter le mani avanti ! quel fontanile era frequentato dalle nereidi. Il po sto era senz' altro adatto . Dopo Caronte e la miste riosa creatura chiamata kallikantzaros, le nereidi so no gli esseri soprannaturali superstiti del mondo an tico nominati più spesso nelle campagne greche . Sebbene alcune possano essere - specialmente nel Mani - creature marine, nel complesso sembra che esse si siano trasferite nell' entroterra diventando creature d ' acqua dolce che abitano remoti corsi d' acqua, sorgenti, fontane, umide grotte , fiumi e torrenti montani, e a volte le gore dei mulini, so prattutto se il mulino è in rovina. Impossibile dire quando avvenne questa migrazione; forse si tratta solo di un cambiamento di nome, ma le nereidi hanno usurpato l ' egemonia delle antiche naiadi e altresì delle driadi e delle oreadi . Hanno ereditato il ruolo generico delle ninfe . Vestono di bianco e oro e sono di una bellezza ultraterrena. Stranamente , non sono immortali: vivono u n migliaio d ' anni. Ma sono di una sostanza diversa e più rara di quella dei comuni mortali, e in certo modo semidivina. La lo ro bellezza non sfiorisce , e non sfiorisce l ' incanto e la seduzione della loro voce . Sono cuoche meravi212
gliose e abili tessitrici di stoffe delicatissime e diafa ne . « Cucinato da una nereide » , « tessuto da una ne reide » : queste una volta erano comuni espressioni di lode . Un leggero ed etereo rampicante che ad dobba gli alberi in alcune regioni della Grecia è det to « filatura di nereidi » . Viene alla mente la grotta dove approdò Odisseo tornato a Itaca e i « grandi te lai di pietra dove le ninfe tessono manti purpurei come il mare , meravigliosi a vedersi » . Queste nereidi sono lascive e volubili, raramente capaci di una passione durevole . Ma il male che fan no è per lo più involontario, causato da una conge nita inettitudine alla fedeltà e alle docili virtù dome stiche. Puniscono col mutismo, la cecità o l' epilessia chi interrompe i loro festini. Spesso si innamorano alla follia di mortali, giovani e audaci specialmente, e abili danzatori e suonatori di flauto e di lira, e li portano nelle loro dimore acquatiche e sulle aie do ve talvolta danzano. I giovani pastori solitari sono particolarmente esposti a questi pericoli . « Non sali re all ' albero solitario, » dice una canzone isolana « e non scendere in pianura, non suonare il flauto sulle rive del fiume vicino alla sorgente , perché le nerei di, trovando ti solo , non ti si affollino intorno » . Ci sono molte storie di pastori e di principi che si inna morano di loro. Quando avviene il contrario, il gio vane straniero inebetito è trasportato in una grotta segreta e stretto in un abbraccio appassionato, e la nereide vola via sul vento al terzo canto del gallo . Ma, con poche eccezioni, i l loro ardore vien meno davan ti a quello degli amanti . Se una nereide non vuoi cedere a un mortale, il segreto del successo ( se condo una leggenda) è impadronirsi del suo velo. La nereide si tramuta in forme terribili, di leone , di serpente , e da ultimo in fuoco fiammeggian te, co me nella storia di Peleo e Teti; ma alla fine riprende la forma propria e si arrende, e si celebrano le noz ze segrete . 213
volte, quando un mortale tiene nascosto il velo, la nereide rimane fedele al marito per anni, anche quando questi è ammogliato con una donna morta le . Alcune aiutano i mariti con sost�gni soprannatu rali, portandoli a raggiungere il culmine del succes so mondano. Odiano le donne mortali e il senti mento è reciproco. Entrambe sono rose dalla gelo sia, e le donne cercano protezione per il focolare domestico in amuleti, appendendo uno spicchio d' aglio sulla porta e tracciando una croce con la ver nice o il nerofumo sull ' architrave . I quaranta giorni tra il parto e la benedizione in chiesa sono un pe riodo particolarmente pericoloso per le donne , a causa non solo delle astiose nereidi ma del maloc chio e di altri scatenati influssi funesti . Molte fami glie , oltre ai Mavromichali, sono dette nerai"dogenne menoi, ossia nate da nereidi, e si ritiene che possie dano doti più che umane. L' aggettivo è altresì d ' uso comune per descrivere ragazze di particolare bellez za e fascino. Sebbene volubili, le nereidi adorano i figli avuti dai mortali, e sono costantemente attratte alla loro culla. Hanno del resto una passione per i giovani in generale, e spesso rapiscono i bei bambi ni lasciando al loro posto un malaticcio pargolo di nereide che di solito deperisce e muore. Talvolta i bambini fuggono spontaneamente a danzare con loro per giorni e le nereidi li coccolano e viziano con risultati spesso fatali . Quando ciò avviene le ne reidi sono sopraffatte dal dolore . I giovani che si in namorano di loro diventano malinconici e sono soggetti ad apoplessia e attacchi di cuore . Ci sono « nereidomedici in grado di curare i colpiti con pozioni e formule magiche . Uno dei rimedi miglio ri è un ramo di « legno di nereidi », un albero di cui non sono riuscito a scoprire il nome comune. Capre e altri animali domestici cedono alla malia delle ne reidi : abbandonano il gregge e si perdono. Un nati vo dell ' isoletta egea di Folegandros attribuisce le inA
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numerevoli cappelle ivi esistenti al desiderio dei paesani di avere vicino un santo protettore . A volte si dà ali ' intera genìa il nome di kalokirades, « le buo ne signore » , in base allo stesso criterio eufemistico che ha spinto gli antichi greci a chiamare « Eumeni di » , « le benevole » , le Furie o Erinni. Il nostro ospite ripose nel cesto gli avanzi del pic colo banchetto . Saliva in cielo la luna e ci prepa rammo a tornare alle torri che adesso sul lato orien tale splendevano d ' argento. « Oggi con le nereidi non abbiamo più molti fasti di » . Com ' era mirabilmente civile l ' atteggiamento del nostro rustico ospite , e quanto più intelligente e equibrato di quello di tutta una categoria di suoi compatrioti con i quali avrò a che fare tra poco.
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13 GORGONI E CENTAURI
Non c ' è cosa dove la continuità dell' antica Grecia appaia più chiaramente che nelle superstizioni e pratiche religiose pagane (e in molte « cristiane » ) ancora in uso nelle montagne e nelle isole greche. Credo sia veritiero dire che le persone istruite sono meno superstiziose , e le persone semplici di più, ri spetto alle omologhe inglesi . La sola superstizione che sembra tener duro negli strati alti della società è l ' interclassista e panellenica - e pressoché mondiale - credenza nel malocchio o iettatura. Ma anche qui, in questa superstizione fortissima fra i semplici , c ' è un tocco d i leggerezza. Tra l e persone colte è consi derata un po' come uno scherzo , e certamente ha un dominio meno tirannico che negli ambienti al tolocati italiani. Tuttavia chi abbia messo anche solo la punta del piede nella buona società ateniese sa prebbe indicare , senza un attimo di esitazion e , qual cuno cui viene attribuito questo funesto e forse in COJ?Sapevole potere . E un curioso paradosso che in Grecia i ceti inur bati di recente e mezzanamente istruiti , con una co216
noscenza molto limitata della letteratura antica, sia no un inciampo primario nel discorrere di questi ar gomenti. (La conoscenza suddetta si riduce - sem bra invariabilmente - alla capacità di citare il primo verso dell ' Iliade e dell ' Odissea, il comando patriotti co di Ettore a Polidamante riguardo agli auspici un singolo verso - l 'altrettanto patriottico distico di Simonide sui caduti spartani alle Termopili, le due frasi laconiche e anch' esse patriottiche di Leoni da, e i detti universali sul conoscere se stessi e sul non eccedere in nulla: quarantadue parole in tutto ) . 1 Costoro sono proprio l e persone che deplorano la curiosità su queste cose e ne minimizzano o negano l ' esistenza, e in qualche caso cercano di impedirti di averne cognizione in quanto elementi « arretrati » , « primitivi » e soRrattutto « non europei » del moder no Stato greco. E curioso perché questa gente è ap punto quella che insiste con maggiore veemenza sulla pura e ininterrotta discendenza dei greci mo derni dai greci dell 'e tà di Pericle; e se c ' è un ele mento della vita greca, dopo la lingua e il carattere (i greci moderni , direi, hanno tutti i difetti e molte delle qualità dei loro antenati) , che indica una con tinuità ininterrotta non solo dalla Grecia di Pericle ma da un passato ancora più remoto, dalla culla stessa della civiltà europea, è la sopravvivenza di queste antiche credenze e pratiche che qualcuno vorrebbe cancellare parlandone con degnazione.2 l . Quasi i l quadruplo del repertorio d i le tteratura inglese To be or not to be più My kingdom for a horse, dodici misere parole in tutto , sia pure esenti da nazionalismo - che adorna la memoria dei loro esatti equivalenti britannici. E temo molto che i greci siano in grado di citare anche il primo di questi due frammen ti shakespeariani, vincendo ancor più marcatamente. 2. Ci sono ragioni comprensibili, sebbene errate in questo caso, per tale atteggiamento. Gli ultimi secoli sono stati pieni di sof ferenze, ed è naturale desiderare di dimenticarle insieme alla povertà e alle miserie concomitanti, di cui può sembrare che la -
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Certo niente potrebbe ridimensionare meglio la portata delle invasioni slave e barbariche in genere , o evidenziare meglio il rapido assorbimento degli invasori in una predominante popolazione greca. superstizione faccia parte. In quei tempi cupi la sola fonte di ispirazione era il ricordo e l'esempio degli eroi cleftici. Col ri sorgere della Grecia, a questi si aggiunse un pantheon più re moto di antichi avi meno vividamen te presen ti nella memoria guerrieri, governanti , filosofi, artisti - che pur non avendo an cora riottenuto nell'animo popolare lo stesso lustro dei clefti e delle tradizioni della perduta Bisanzio, erano considerati la glo ria del mondo dal resto d' Europa, cui alfine, per forza d'armi, i greci si erano riuniti. Alcuni decenni più tardiJ.Ph. Fallmerayer tentò di dimostrare che nel Medioevo la popolazione greca del la penisola era stata interamente sostituita da slavi. La sua tesi è stata screditata, ma fu per i greci motivo di sconcerto e di colle ra, sia perché impugnava la loro grecità, sia perché dai primi tempi di Bisanzio a oggi gli slavi sono stati nemici naturali e « barbari •• , e , specialmente i bulgari, detestati all'estremo. Que sta teoria ha lasciato uno strascico di suscettibilità. L' argomen tazione di Fallmerayer si basa principalmente sul numero di to ponimi slavi in Grecia. Ma è un dato che non prova nulla né in un senso né nell' altro. Uno scadimento dello spirito nazionale, una breve supremazia straniera, un cambiamento temporaneo delle condizioni di possesso della terra possono , sebbene non di regola, portare a risultati simili in una generazione o due . Una minima ascendenza inglese ha cambiato migliaia di topo nimi nell'Impero britannico, un pugno di inglesi hanno mo dificato centinaia di nomi celtici in Irlanda, la Conquista nor manna ha lasciato un numero piccolo ma sproporzionato di no mi di paese normanni. Un lungo dominio moresco ha cambia to i nomi anche di fiumi e monti in Spagna, e gli spagnoli han no cambiato metà della nomenclatura india del Nuovo Mondo . Oggi in Grecia pochi ricordano che alcune generazioni fa Areo polis, Lamia, Anfissa, Delfi, Alexandroupoli e Sideròkastro si chiamavano Tzimòva, Zeitun, Salona, Kastri, Demirhissar e De de Agac . La pronuncia di parecchi toponimi inglesi è cambiata già solo nel corso della mia vita. La mente vola a Natal, Acker mann, Boileaugunge e Monrovia, a Bisanzio-Costantinopoli-la Polis-Tzarigrad-Mickelgard-Istanbul . . . Penso a certi villaggi ma ya della foresta che praticamente nessun individuo di ceppo eu ropeo visita da generazioni, ma che gli indios che parlano m aya chiamano col nome di un santo cattolico. Nel Liechtenstein 21 8
L' avversione di una parte dell ' alto clero - ma non dei preti di campagna, che non vedono niente di anomalo nella coesistenza di cristiano e pagano - è basata su motivi molto più logici. Questo aspetto della vita rurale greca, che suscita l ' odio e il disprezzo di alcuni greci ma di pochi stra nieri , ha attirato negli ultimi cent' anni l ' interesse appassionato di vari studiosi greci e non . In Grecia le fonti più utili sono Dimitrios Kamburoglos e l ' o pera splendida e monumentale del professore ate niese Alexander Polites. C ' è Bernhard Schmidt e c ' è john Cuthbert Lawson, professore a Cambridge . I miei preferiti sono Polites e Lawson , che di solito, ma non sempre , concordano, e coprono insieme un campo molto ampio. Entrambi si rifanno con one stà di studiosi a fonti antiche . Entrambi hanno ana lizzato le opere di san Giovanni Damasceno ( la cui condanna di certe pratiche pagane , sebbene inef ficace - perché molte di esse esistono ancora -, è ri velatrice nel mostrare quanto poco esse siano cam biate da quando egli le anatemizzò ) , il grande dotto bizantino Michele Psello e quello strano personag gio seicentesco , Leone Allacci di Chio. Lawson è quello che mi propongo di saccheggiare più libera mente nelle prossime pagine; forse perché il profes sor Dawkins soleva parlare dei suoi viaggi con affet to così divertito ( mi pare ancora di sentirlo discor rere ridacchiando del « caro collega » ) ; e anche per ché la sua opera - un libro raro, da tempo fuori commercio -1 è un vero trionfo di dottrina e di mi nuzioso ragionamento. Infine, perché Lawson ne ' s apeva molto più di me. una singola famiglia ha impresso i l suo nome s u tutto u n paese, nome che a sua volta era originariamente un toponimo distante parecchie centinaia di chilometri. l . John Cuthbert Lawson, Modero Greek Folklore and Ancient Greek Religion, Cambridge, 1 9 1 0. 21 9
È impossibile girare per la Grecia o vivere a lungo con famiglie contadine senza imbattersi in questo sfondo soprannaturale; che però perde continua mente terreno. L' era industriale , sterminatrice im parziale di dèi e di demoni, sta riuscendo là dove i santi Padri hanno fallito . Fra la gente di campagna c ' è di rado ritrosia a parlare di queste cose , a meno che tacciano per timidezza indotta dai semicolti . La miniera più ricca di notizie sono le donne anziane, e a volte anche le ragazze , grazie al contatto con le anziane al lavatoio, al telaio e al fuso . L' atteggia mento degli uomini e delle donne di campagna as somiglia esteriormente a quello delle classi alte ver so il malocchio: di divertita tolleranza non disgiunta da venerazione ; perché, veritiere o no, q�este cre denze sono antiche, un bene ereditario . E accadu to questo . Da quando uscirono dalle nebbie della preistoria, in cui forse una Grande Madre primor diale dominava universalmente, i greci sono stati sempre politeisti; e una delle caratteristiche del po liteismo è di tenere casa aperta: tutti gli dèi sono benvenuti . Frotte di divinità asiatiche vennero a far compagnia a quelle greche indigene e si trovarono a loro agio; e quando Cristo apparve sulla scena gre co-romana, per lui ci fu spazio in abbondanza. Tibe rio, secondo Tertulliano, propose l ' apoteosi di Cri sto; e Adriano ( dice Elio Lampridio) innalzò templi in suo onore . La sua statua, con quelle di Orfeo e di Abramo, ebbe posto nel sacrario privato di Alessan dro Severo, e sant'Agostino dice che Egli veniva si milmente accompagnato con Omero, Pitagora e san Paolo. Questa elasticità era anche più diffusa fra la gente comune . Ma il mo i:w teismo, per sua stessa natura, non può contraccambiare tanta larghezza nell ' accogliere , e quando il cristianesimo diven tò religione ufficiale dell ' Impero l ' espulsione dei vec chi dèi dopo migliaia d ' anni di felice permanenza e la riduzione del pantheon a una cella privata si im220
posero come compito grave . Con la gente colta non ci furono grandi difficoltà: Platone e i suoi successo ri avevano preparato la strada; e quando Giuliano l 'Apostata tentò di ripristinare i riti di Apollo nei bo schetti intorno ad Antiochia i cittadini raffinati giu dicarono il tentativo una buffonata di cattivo gusto. Ma che fare con le masse illetterate e conservatrici? Come concentrare l 'ampio ventaglio della loro ve nerazione su un singolo punto? La cosa era impossi bile, e si trovò un compromesso. Templi e santuari e luoghi sacri furono ridedicati a santi cristiani e tra sformati in basiliche . Colonne e marmi di antichi luoghi di culto, consacrati da una venerazione plu risecolare , furono inseriti nelle nuove chiese , e per agevolare la trasmutazione furono insediati in quel le vecchie dimore santi con caratteristiche o nomi, a volte tutt'e due , corrispondenti a quelli dei titolari precedenti . Dioniso diventò san Dionigi, e mantie ne tuttora il suo legame con Nasso e il suo bacchico patrocinio del vino. L'Artemide degli efesini di ventò un maschile sant'Artemido, e se ne invoca l' aiuto per guarire i bambini malaticci e stregati dal le ninfe , come si invocava quello di Artemide prima della sua metamorfosi , quando le sue ancelle reca vano danni alla prole dei mortali . Demetra subì un ' operazione analoga e diventò san Demetrio, il quale - con l ' epiteto aggiuntivo di Stereanos, « quello della terra » è un patrono delle messi e della ferti lità. In un luogo la metamorfosi è stata ripudiata, e Demetra continua a essere venerata come « santa Demetra )) , santa sconosciuta al sinassario ortodos so. Helios, il dio sole , diven tò il profeta Elia (la for ma greca è Elias, e dato che lo spirito aspro era pro babilmente già caduto in disuso al tempo dello scambio il travestimento fu minimo ) . Il nome di questo profeta ebraico è oggi molto comune in Gre cia, ma raro in Italia, dove il nome Helios per Apol lo era ignoto. I suoi santuari si trovano sempre su -
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monti e cime dove Helios, il fiammeggiante auriga celeste, veniva venerato . Questi luoghi, dice la Chie sa, . simboleggiano la turbinosa ascesa in cielo del profeta Elia su un cocchio di fuoco tirato da cavalli di fuoco; e in tutto il mondo greco centinaia di vet te commemorano ancora questa personificazione di Apollo. Hermes diventò l 'arcangelo Michele; l ' elmo cambiò forma e le ali posizione, e gli attorti serpen ti e le penne del caduceo diventarono una spada fiammeggiante . Abbiamo visto che è suo compito ereditario guidare le anime dei manioti defunti per la caverna del Tenaro e il sentiero di Eracle fino al l 'Ade . La chiesa della Beata Vergine - la Panagia, la Tutta Santa - sorse nel tempio della vergine dea Ate na sull 'Acropoli, e il bellicoso san Giorgio prese il posto di Efesto ( l ' armaiolo? ) nel Theseion . Molto tempo prima, Poseidone aveva usurpato a Tenos i poteri salutari di Asclepio e protetto una magica fonte salutare; entrambe le funzioni sono state a lo ro volta usurpate dalla Beata Vergine. Esempi di sostituzione si potrebbe citarne ad infinitum. « Dio piove » , dicono i contadini, ricor dando Zeus adunatore di nembi e largitore di piog.:. gia. I vecchi montanari a nord del golfo di Corinto a centinaia di miglia da Creta - imprecano per il « Dio di Creta » , apostrofando inconsapevolmente il figlio di Crono nato sul monte Ida. Quando grandi na, « Dio scuote il setaccio » ; quando tuona, egli fer ra il cavallo o fa rotolare le botti ; occupazioni singo larmente inadatte all'Al tissimo cristiano . . . Il clero fece il possibile per ridurre i connotati pagani, ma nell ' immortalità vantata dagli dèi c ' era più verità di quel che comunemente si crede . I santi appagarono l ' abitudine della divinità molteplice, e il cristianesi mo, pur se fu mantenuta una gerarchia celeste , di ventò in un certo senso - in pratica se non in teoria - politeista. In alcuni boschetti, nei giorni di certi santi - il giorno di san Giorgio nel villaggio cretese 222
di Asigonia, per esempio - si praticano ancora riti che non hanno nulla a che vedere col cristianesimo; e gli Anastenari1 pirobati di Tracia sono una chiara discendenza dei riti misterici dell ' orfismo. I santi, di origine sia cristiana pura sia pagano-cristiana, assun sero localmente lo scettro spirituale e presiedettero ai vari campi dell ' attività umana nello stesso modo degli dèi . La Panagia può rimediare a tutti i mali umani; i santi Cosma e Damiano - gli Anargiri, « i senzasoldi curano le malattie in generale; san Pantelimo offre un rimedio specifico per i disturbi agli occhi, sant' Eleuterio è di aiuto nel parto, san Modesto ha poteri veterinari, san Biagio è sovrano contro le ulcere , san Caralampo e santa Caterina di fendono dalle pestilenze, sant'Elia - per il suo nesso col sole - è invocato contro la siccità, santo Stiliano contro le malattie infantili, san Giacomo contro la sordità. L' ateniese santa Maura controlla le verru che, san Simeone le voglie - cioè , essi infliggono queste magagne con la malignità di dèi pagani se si trascurano le loro feste . San Trifone punisce le don ne che filano nel suo giorno, ma è sovrano , a Citno, contro gli insetti. San Giorgio il Bevitore veglia sugli eccessi alcolici e arride ai suoi devoti. I marinai sono sotto la protezione, nelle Cidadi settentrionali, di san Salvatore e dei santi Akindynoi - « gli impavidi » - e dell ' universale san Nicola, erede di Poseidone. San Menas di Creta - come sant'Antonio da Padova più a ovest - è deputato agli oggetti smarriti. San Giovanni Battista guarisce la febbre terzana e santa Paraskevf - il cui nome significa « venerdì - il mal di testa; santa Caterina e sant'Atanasio sono invoca ti in questioni relative a matrimoni e alla dote delle ragazze . Questi appelli avvengono invariabilmente tramite le loro icone e onorando le loro feste , spes so in santuari remoti visitati solo una volta all ' anno. » ,
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l . Ne parlerò a lungo in un altro libro.
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In alcuni casi le feste coincidono con i riti di prede cessori pagani nello stesso luogo. Le greco-romane Rosalia erano celebrate ancora in questo secolo, con lo stesso nome, nel Theseion , il martedì di Pasqua, con danze e banchetti. A volte non c ' è alcun prete sto cristiano. I ragazzi sfilano ancora con rondini di pinte su pali cantando una canzone deliziosa (a un dipresso uguale all ' antico chelidonismo o « canto delle rondini )) di Rodi ) per salutare il ritorno di questi uccelli. Maggi , ghirlande intrecciate di varie erbe e fiori - ma sempre contenenti gli spicchi d ' a glio dotati di poteri magici - sono appesi su tutte le porte di Grecia fino al calendimaggio seguente , esattamente come l ' antico eiresione. H o sentito dire che a volte i maggi sono conservati fin dopo il loro anniversario e gettati nei falò di mezza estate della festa di San Giovanni, e ho visto spesso i bambini saltare attraverso questi fuochi ( di cui si danno va rie spiegazioni) , ma non ho mai visto bruciare le ghirlande . 1 Può darsi che io abbia capito male, o che si tratti di un uso regionale . In ogni caso, si può dedurre da tutto questo che Giuliano l 'Aposta ta avrebbe potuto risparmiarsi quel suo famoso gri do di disperazione . Anche in seno al cristianesimo la vittoria del « pallido Galileo )) era tutt' altro che completa. Alcuni grandi dèi, dunque , furono compromessi e forzati a collaborare . Altri scamparono, e presero letteralmente la via dei monti. Là, come divini parti giani, hanno condotto per quasi duemila anni una spirituale lotta clandestina. Nutriti e sorretti provvi soriamente da pescatori e montanari , diventarono l. Qualcuno - non ricordo chi - mi disse secoli fa che il salto del fuoco che segna il solstizio d ' estate e quello d ' inverno - in fatti avviene anche a Natale - cel ebra la vittoria sull'Anticristo . Ma io ho chiesto e cercato invano conferme. Forse qualche let tore saprà.
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in una certa misura contadini essi stessi. Il conflitto si stemperò , e con gli anni i loro rustici ospiti e più o meno tutti gli altri dimenticarono la causa. La gente di campagna non trovava niente di contrad dittorio nel servire entrambi i contendenti. Comun que , metà della fazione vittoriosa, nonostante gli stendardi innalzati sulle sue guarnigioni, sembrava in tacita collusione con gli ex fuggiaschi. La rivalità si spense , e le due parti si assestarono in una armo niosa coesistenza, cooperando e completandosi a vi cenda nel disporre dolori e gioie degli uomini; il senso di una scissione tra due fedeltà si perse . Le in fluenze montane e quelle spiranti dalle icone si con fusero , indistinguibili. I preti di villaggio, contadini essi stessi, condividevano l' atteggiamento dei loro parrocchiani . Ogni cent'anni veementi proteste si levavano da qualche remoto vescovato, ma l ' eco di queste folgori si spegneva molto prima di raggiun gere i monti e gli arcipelaghi cui esse erano indiriz zate . Montanari e isolani sono sempre stati ostili al l ' autorità centrale , fosse civile o ecclesiastica; e co munque, contro che cosa puntare il dito? L' ancien régime alla macchia, senza ingombro di templi rivela tori e di armamentario, viaggiava leggero . A indaga re, non si trovava altro che mormorii, dicerie, lume di candela, ombre, e le nude pendici di calcare . . . Le cerimonie palesi ( che ancora esistono) avevano a dottato una mimetizzazione religiosa sufficiente a confondere chiunque tranne i più perspicaci. E al cune sono sopravvissute senza mascheratura affatto . In sostanza, le pratiche cristiane e pagane - ufficiali ( cioè in forma cristiana) e non - sopravvivono nello stesso modo in cui la più antica religione pelasgica o ctonia sopravvisse al di sotto o a lato del paganesimo olimpico degli achei in tempi omerici e classici . Co sa abbastanza curiosa, sono state nel complesso le vecchie divinità pelasgiche a dimostrarsi più longe225
ve non solo degli dèi olimpici achei ma anche di molto cristianesimo. Zeus è stato quasi per intero assorbito in Dio Pa dre , di cui agli occhi dei contadini ha fortemente in fluenzato il carattere ; ma poco di lui sussiste fuori dai muri delle chiese , a parte le esclamazioni conti nentali che alludono alla sua nascita cretese. Qual che traccia della sua lotta con i Titani rimane nel le fiabe zantiote . La stessa fonte ricorda Poseidone, « demone del mare » armato di tridente ; ma san Ni cola lo ha pressoché interamente soppiantato. Nei racconti popolari ci sono chiari riferimenti a Mida, alla sfinge, a Icaro e ai ciclopi, e talvolta a una figura che somiglia a Pan e che può essere anche « il Lon tano » di cui ho fatto cenno sopra. 1 L' esempio più chiaro di una felice carriera paga no-cristiana è Demetra-Demetrio . Giovane , quasi im berbe , in groppa a un cavallo sauro, con elmo e co razza, Demetrio, il megalomartire di Diocleziano, è uno dei santi più possenti dell ' ortodossia, e inoltre , insieme al grande san Giorgio che ha un destriero bianco, uno dei due soli santi a cavallo . Pausania parla di statue a testa di cavallo della dea Demetra, il che può spiegare l ' insistenza iconografica sul rango equestre di Demetrio-Demetra dopo la trasmutazio ne. L'unico luogo dove la dea resistette a questo cambiamento e divenne una extracanonica « santa Demetra » fu Eleusi, già sede dei suoi più sacri riti nei misteri eleusini . Qui una sua antica statua, sfug gita allo zelo degli iconoclasti , fu venerata e coronal . Sicuramente è a Pan che pensavano i dottori greci , e san Gi rolamo nella Vulgata, nel tradurre l ' ebraico del salmo 9 1 : « Non temere per il terrore notturno , n é per l a freccia che vola di giorno, non per la pestilenza che cammina nell' oscurità, né per il contagio che fa strage a mezzodì » . I greci resero l ' ultima frase con symptoma kaì daimonion mesembrinon, san Girolamo con incursus et daemonium meridianum ( « l ' assalto e il demone meridiano » ) : sbagliando entrambi .
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ta di ghirlande e centro di preghiere per la prospe rità dei raccolti finché nel 1 80 1 due inglesi di nome Clark e Cripps, muniti di un documento del pascià locale , la sottrassero all ' indignata e tumultuante po polazione. Una tradizione immemorabile fu infran ta, e l ' esule dea, che probabilmente era stata ogget to di culto più a lungo di ogni altra al mondo, ora languisce a Cambridge , sghirlandata, sconsacrata e derelitta, nel Fitzwilliam Museum, n . XN del catalo go. Ma il suo ricordo aleggia ancora nella regione del suo santuario violentato. Lenormant registra, della stessa regione, uno straordinario racconto narratogli da un vecchio al banese: di santa Demetra, dama ateniese con una figlia bellissima che fu rapita da un malvagio pascià e portata a Suli, essendole però consentito di torna re di tanto in tanto a certe condizioni strettamente connesse con la felicità dei raccolti. Non è difficile discernere qui Demetra, Persefone e Plutone, in turbante e caffettano . I monti eroici di Suli domina no la confluenza dell 'Acheronte e del Cocito, vie per l 'Ade famose quasi quanto quella di Matapan; e un ' antica versione della discesa agli Inferi di Per sefone la situa proprio là. Lenormant trovò tradizio ni simili nello stesso E piro e Lawson in Arcadia, vici no alle « buche del diavolo » di Fonia nelle monta gne sopra il fiume Ladone, e anche nei monti deso lati intorno al tempio di Basse : parti dell 'Arcadia dove gli antichi culti pelasgici risentirono meno del le immigrazioni achee e doriche . Ci sono zone del l'Arcadia settentrionale dove, caso unico in tutta la Grecia, mangiare carne di maiale è misteriosamente tabù; i maiali erano sacri a Demetra e Persefone . Ma a parte questi casi sparsi, una « Padrona della Terra e del Mare » o semplicemente « la Padrona » - una 1
l . Come per molte altre cose in queste pagine, Lawson è la mia fonte per questa triste storia.
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figura non cristiana, immortale ma in carne e ossa, benevola verso gli uomini, e distinta dalla Beata Ver gine - presiede in molti luoghi remoti e montuosi alla prosperità degli alberi da frutto, all ' abbondanza dei raccolti e alla crescita delle greggi. In Etolia, do ve la coltivazione del tabacco è la principale attività agricola, la pianta del tabacco è specialmente affida ta alla sua protezione . A volte essa è chiamata « la Si gnora » - « Kiria o « Despoina » - ma non ha chiesa, sebbene gli stessi epiteti siano spesso applicati alla Vergine. Vive nel cuore profondo delle montagne, come si addice a una divinità ctonia; Pausania parla della sua dimora nel monte Eleo . Forse ebbe templi ma il suo vero santuario era una splendida sala sot terranea, e da questa sede essa esercita ancora la sua benigna influenza. A lei è collegata altresì in rac conti popolari « la bella della terra » - Persefone custodita da un cane a tre teste « insonne giorno e notte » ; in altre versioni il guardiano diventa un ser pente tricipite . In un canto popolare macedone Cerbero è indicato con i particolari più convincenti, ma non per nome , come il « cane da guardia di Ca ronte » . Ho accennato in precedenza alla sopravvivenza di Caronte . Anche lui, probabilmente per un eccesso di zelo dei contadini convertiti al tempo del grande mutamento (dovette sembrare necessario arruolare il mondo pagano per intero, armi e bagagli ) , è ap parso a volte come « san Caronte » . Abbiamo visto che egli non è più un traghettatore / bensì la Morte in persona, che va ora a piedi ora a cavallo . In que sta veste egli compare in innumerevoli canzoni e poesie contadine dai tempi di Bisanzio a oggi . A vol te egli agisce per conto proprio, a volte come emis»
l . Tranne due volte in una fon te tarda, forse sospettabile di sofisticate influenze post factum. In un vecchio lamento manio ta Caronte è chiamato « corsaro >> .
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sario di Dio; a volte è un guerriero armato di tutto punto , pronto a un lungo e feroce combattimento. Nelle fon ti più vecchie egli si avvicinava maggior mente al suo carattere attuale ( cui in età classica è affine soprattutto il mite Thanatos, che nell ' Alcesti viene a portare la giovane sposa del re Admeto nel l 'Ade ; infatti anche oggi egli non sempre è feroce) . La sua persona guerresca corrisponde al Caronte senza barca, armato d ' ascia, di martello e di spada, che figura sul lato di alcuni sarcofagi etruschi . La barca, del resto , è forse una novità achea d ' origine relativamente tarda; probabilmente la precedente forma pelasgica di Caronte aveva messo radici pro fonde tra i greci e gli etruschi molto prima che si configurasse la sua imago posteriore; e quando i flut ti del tempo portarono via questo Caronte tardo con tutto il suo contorno fluviale, il vecchio , presti gioso e terragno predecessore ebbe il sopravvento e vive ancor oggi , più vigoroso di tutti gli antichi col leghi . Di Eros, con tanto di arco e freccia, si parla spesso in canzoni e racconti; ma dato che in greco la stessa parola è usata tuttora per « amore » , bisogna stare in guardia. Mrodite, chiamata non col suo nome ma « madre di Eros » , ha avuto in età cristiana solo una vaga e oscura esistenza, e ormai è scomparsa. (l suoi compiti furono assunti da santa Caterina in chiesa, e fuori di chiesa dalle ancora sussistenti Parche ) . Tuttavia ho scoperto con emozione che fino a data recente la parola afroditissa, ossia « prostituta » , ri cordava ancora debolmente presso i manioti di Car gese l ' Mrodite Pandemos. Meno note di Caronte, le tre Parche, riparate in sparse grotte di difficile accesso, sono però ancora con noi. I loro sacelli sono rari ma disseminati in tut ta la Grecia. Ho parlato più volte con donne anziane che li avevano consultati. I più famosi - nel mondo contadino, intendo - si trovano vicino a Sparta (a 229
poche miglia da dove prende le mosse questo libro, sul fianco destro del Taigeto ) e in Etolia, sul monte Pelio e a Sciro. Ce n ' erano molti in Asia Minore , og gi, con gli scambi di popolazione, privati dei loro de voti. Ancora nel nostro secolo inoltrato avevano asilo nella stessa Atene , specie nelle abitazioni rupestri sul Colle delle Muse e più particolarmente nella cosid detta « prigione di Socrate » , che durante l ' O ttocen to era spesso piena delle loro offerte votive : « tazze di miele e mandorle bianche, pasticcini su una salviet ta, un vaso di erbe aromatiche che bruciavano esa lando un gradevole profumo . 1 Così fu fino a poco tempo fa.2 Amori, sposalizi e nascite sono di loro spe ciale pertinenza; a ricorrere a loro sono quasi sem pre donne e ragazze; pasticcini e miele sono le offer te che prediligono, ed esse sono invocate con formu le incantatori e allitterative che cominciano: « O Moi rai. . . » ( « O Parche ) ; infatti il loro nome collettivo è rimasto lo stesso, e sebbene non siano più note sepa ratamente come Cloto, Lachesi e Atropo, i loro ruo li sono cambiati solo di un terzo. Una di esse fila, un ' altra regge un libro dove sono scritti i destini u mani, una terza brandisce le forbici. ( « Il suo filo è ta gliato » è una frase comune per dire « è morto » ; an che « il suo fuso è tutto avvolto » ) . Tranne che ad An dro e a Citno, dove sono chiamate talvolta « Erinni » - e infliggendo il mal di petto si comportano appun to rancorosamente come Furie - esse sono adesso delle povere vecchie dal cuor tenero, mosse facil mente a pietà. Le Parche , come alcune nereidi, sono dette anche « le buone signore » . Immancabilmente visitano le case tre giorni dopo la nascita di un bam bino. Allora si deve tenere alla catena il cane da guardia, chiudere la porta senza il catenaccio, lascia»
»
l . E . Dodwell.
2 . Con frasi di questo genere intendo uno spazio di decenni ,
mai di secoli. 230
re accesa una candela di giunco, e apparecchiare su una tavola bassa, con tre sgabelli muniti di cuscino, un desinare di pasticcini , mandorle , pane al miele e un bicchiere d ' acqua. Ci sono madri che hanno visto le tre vecchie conferire tra loro a bisbigli, chinarsi sulla culla per scrivere destini invisibili sulla fronte del bimbo ; i nei sono detti « segni delle Parche » , co me se esse avessero accentato o punteggiato il loro messaggio con inchiostro indelebile. Poi le visitatrici si dileguano nella notte . Trascurare la debita cura nel riceverle può suscitare la loro collera e attirare sul bimbo un destino infausto. Il termine « moira » , al singolare, è usato altresì nella parlata comune per alludere alla sorte mediocre propria o altrui; accom pagnato di solito da scuotimenti di testa e sospiri. Sant'Artemido , usurpando il nome di Artemide (e il dono concomitante di guarire i bambini strega ti dalle ninfe ) , l ' ha costretta negli ultimi sedici seco li a vagare nei boschi sotto vari pseudonimi. Nella Grecia orientale essa è « la Regina dei Monti » , a Zan te « la Grande Signora » , a Cefalonia e nel Par naso la « Sovrana delle Nereidi In Etolia, Lawson la scoprì sotto il nome di Madonna Kalo : affine , sen za dubbio , al totalmente extracanonico , privo di chiese (e ora svanito) san Kali degli ateniesi di umi le condizione . Michele Psello e Leone Allacci parla no diffusamente di questa Madonna Kalo , chiaman dola « la Bella delle Montagne » . Più grande e più bella delle altre nereidi, fieramente virginea, abita trice di monti e boschi, usa a danzare con le sue ne reidi e a bagnarsi in rivi e !aghetti, essa è spietata con gli uomini che per caso si imbattono in lei; e li castiga, ma più severamente, con le pene consuete degli indiscreti che sorprendono le nereidi . Talvolta è stata confusa con la Lamia del Mare , una bella ninfa marina che alletta i giovani marinai e - di nuovo - i pastori solitari che pascolano il greg ge vicino a riva e li trascina giù nella sua alcova sot».
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tomarina, a perire . Si muove rapida come un turbi ne luminoso o una tromba marina, e quando una tromba marina corre vorticosa sulle acque i marinai si segnano dicendo « passa la Lamia del Mare » , e piantano un coltello col manico nero nell ' albero del caicco come antidoto all' incantesimo. I canti ammalianti che attirano i marinai alla perdizione sembra che la lamia li abbia appresi dalle sirene. Delle lamie antiche, tuttavia, che sono più da vicino imparentate genericamente con le « lamie » al plu rale del prossimo paragrafo , soltanto una, la madre di Scilla menzionata da Stesicoro, è connessa al ma re . Ma questa solitaria lamia marina, che regna sulle ninfe del mare, ha ereditato in pieno la lascivia del le lamie antiche; vizio di cui le lamie terrestri, con tutti i loro gravi demeriti , sembrano incolpevoli. Le lamie menzionate al plurale sono mostri femminili distinti in tre gruppi . Nei primi due , essi sono non solo mostri, ma demoni , e di stirpe antichissima; tut ti e tre i gruppi hanno l ' orribile passione di divorare i bambini. I bambini e le donne dopo il parto, si no terà, sono insieme ai pastori e ai marinai i bersagli principali del mondo soprannaturale . La progeni trice delle lamie fu una singola Lamia, una regina li bica divenuta vittima, per le solite ragioni, della ge losia di Era. Privata dei figlioletti dalla vendetta del la dea, Lamia andò a vivere sola e dole n te in una grotta, e con la mente stravolta dalla disperazione degenerò in demone malvagio, predatore della pro le di madri più fortunate . Insieme a Empusa e a Mormò essa divenne , già al tempo di Apuleio , un babau per spaventare i bambini. Ciò appartiene tut tora al suo ruolo, ma nel frattempo essa si è molti plicata da essere singolo a specie; e ora le tipiche la mie sono creature sciatte , grasse e sudice , spose di draghi e massaie abominevoli, tanto sciocche che vogliono cuocere il pane nel forno freddo , danno da mangiare fieno ai cani e gettano ossi ai cavalli, 232
meravigliandosi poi quando muoiono. Vivono in luoghi selvaggi, e sebbene spendaccione sono so vente ricche , grazie ai loro legami con draghi « cu stodi » di tesori . Sono tuttavia generose e oneste, e non vengono mai meno alla parola data. Non fosse per la loro cannibalistica brama di neonati, sembre rebbero più miserande che malvagie . « L'ha stran golato la lamia » , dicono i contadini per spiegare la morte improvvisa di un bimbo. La seconda categoria di questi pericolosi demoni discende da una fanciulla di nome Gello, menzio nata in un passo di Saffo. Morta giovane , costei infe stò Lesbo facendovi strage di infanti. L' arcipelago è ancora il suo terreno di caccia. Di lei parlano san Giovanni Damasceno, Michele Psello e il chiota Leone Allacci. Come Lamia, essa si è moltiplicata, e le sue rampolle si chiamano gelloudes. A volte prima di mangiare gli infanti gettano un maleficio su di lo ro . A questo la madre può rimediare 1 chiamando un prete che lo esorcizzi, e grattando solennemente le guance al bambino. Se ciò è inefficace, la madre de ve raccogliere al tramonto quaranta ciottoli lavati sulla riva da quaranta onde diverse e bollirli nell ' a ceto . Al canto del gallo Gello si involerà per sempre. Il terzo gruppo di queste mangiatrici di pargoli differisce dalle demoniache lamie e dalle gelloudes. Le striges infatti sono donne dotate del potere di tra sformarsi in uccelli e animali feroci per appagare la loro fame funesta. Di origine greco-romana, deriva no dal latino strix, barbagianni.2 Questo uccello è nominato con connotazioni sinistre in Strabone, e l . Theo Bent, The Cyclades. 2 . La parola e l'uccello esistono nella Grecia antica, ma senza implicazioni sinistre . Tristi leggende sono legate al suo piccolo congenere , la civetta - gioni in greco moderno - il cui malinco nico verso in termittente risuona nelle notti mediterranee; ma qui queste leggende non ci interessano.
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Ovidio dice chiaramente che le striges avevano tra i Marsi dell 'Abruzzo il carattere di uccelli cannibali. Derivati della parola - principalmente strega - esi stono in Albania, e naturalmente in Italia, Corsica e Sardegna. (Ricordo di aver sentito la parola strigoi, indicante una specie di strega, in Transilvania; pro babilmente è un retaggio dei legionari e dei con dannati romani stabiliti nella Dacia durante il regno di Traiano) . Il greco moderno stringla, che abbiamo incontrato in precedenza, viene certamente da un diminutivo basso-latino - strigula - di strix. Oggi è un termine d 'uso generale per indicare una vecchia megera o appunto una strega. Queste streghe sono simili a vecchie col dono del volo, anche se le loro virtù metamorfiche sono cadute in disuso. Il loro cannibalismo non sempre si limitava ai bambini: se condo terribili racconti narrati molto di recente in Messenia esse facevano scempio anche degli adulti d' ambo i sessi. A volte , secondo Leone Allacci, era no solo delle povere vecchie in combutta col diavo lo; e a volte sono bambine affette da licantropia. Un vecchio racconto di Tinos parla di una principessa divoratrice di cavalli. Sono esseri sempre notturni. Le gorgoni (per le quali la guida migliore è Poli tes) , pur conservando il nome antico hanno subito una trasformazione marina: subito sotto la vita la car ne gradualmente si lamella a squame, e come le sire ne esse si ingrossano ai fianchi e poi si assottigliano in una lunga coda di pesce; a volte, invece delle gam be , hanno due affusolate spire squamose . Sono rap presentate così, con una nave in una mano e nell' al tra un ' ancora, sui muri dell e taverne , nelle polene dei vecchi caicchi, tatuate sugli avambracci abbron zati e incrostati di salsedine dei marinai. 1 Il loro hal . Il tatuaggio è praticato soven te anche dai carcerati, « per pas sare il tempo ,, ; e quei disegni in polvere blu (che non sono mai i simboli erotici dell ' Occidente , cui sembra porre un veto l ' au-
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bitat principale sembra siano l'Egeo orientale e il Mar Nero. In quelle acque, belle gorgoni solitarie affiorano d' improvviso nel tumulto di una tempesta cicladica o eusina - specialmente, per un qualche motivo, il sabato sera; afferrano il bompresso dello sballottato caicco e domandano con voce sonante al capitano: « Dov' è Alessandro Magno? » . Il capitano deve rispondere con tutto il fiato che ha in corpo: « Alessandro Magno vive e regna! » aggiungendo ma gari: « e tiene il mondo in pace ! » . A queste parole la gorgone svanisce e le onde si placano. Se si dà la ri sposta sbagliata la tempesta con fragore assordante raddoppia di furore, la gorgone tira giù il bompres so verso il fondo del mare e il caicco si inabissa con tutti i marinai. Questa strana leggenda, largamente diffusa tra i naviganti del mondo greco, ha una forte presa sull ' immaginazione. Compare sulle sponde di Mitilene come ricordo della fanciullezza di Alessan dro in Asia Minore, nel libro di Ilias Venezis Eolia, nella bella poesia di Seferis sugli Argonauti, in un libro di Mirivilis, e anche in una poesia di J .E. stera morale d i villaggio) indicano spesso soggiorni n o n orto dossi nel vecchio forte di Nauplia, o a Leucade, o a Itzedin , o nelle carceri agricole di Creta. In Grecia ci sono al riguardo meno inibizioni che in Inghilterra. Il carattere non censorio e comprensivo dei greci e certi fattori della libera vita dei monti - le molte rivoluzioni, le faide, il contrabbando , i delitti di san gue provocati dall ' ira, il rapimento a mano armata e sposalizio di ragazze , in una certa misura il furto di pecore a Creta - tol gono alla prigione il suo march io infamante . Ho ascoltato più volte reminiscenze disinibite e non di rado spassosamente fa cete di magnifici vecchi riuniti a Itzedin o in qualche altra . . . stavo per dire università. L e gorgoni, i caicchi, l e fenici, l e ban diere patriottiche, i santi e le Vergini che ricoprono le braccia dalla spalla al polso hanno la stessa funzione emblematica del blazer del college . Lontano dalle nebbie nordiche, il senso di colpa è sempre un po' spaesato. In Grecia, tra i poveri, sono in realtà solo i crimini contro l ' onore personale o nazionale contro il filotimo, insomma - a essere gravati di condanna e di sprezzo: in questo caso implacabile. 235
Flecker, la cui moglie era greca. È degno di nota che Alessandro Magno sia l'unico eroe greco sopravvis suto nell ' animo popolare. Soltanto lui appare in una splendida silhouette piumata sullo schermo illumi nato del teatro d'ombre Karagòz. O Megaléxandros è una parola familiare . Credo che Lawson sbagli attri buendo il fatto a tarde traduzioni demotiche della biografia di Alessandro dello Pseudo-Callistene, per ché le sue molte leggende sotto il nome di Iskender, in arabo, in persiano e ·in parecchie altre lingue, do minano l 'Islam fino all' Himalaya: con quanto mag gior ragione, dunque, accade che egli viva e regni nella mente dei suoi compatrioti. La parte umana di una gorgone è rappresentata come una bella donna; ma nel linguaggio comune gorgona si usa spesso in riferimento a donne dal viso repellente o pauroso. A Rodi è una virago, e a Cefa lonia, dove si usa anche il nome Medusa, è un ' arci gna megera. A Citno la parola indica una donna de pravata o una prostituta, il che corrisponde a un al tro aspetto delle gorgoni in un bestiario bizantino del XIII secolo, il cui autore scrive sotto il nome O Physiologos. Qui essa è « una bestia puttanesca con un bel corpo bianco e capelli biondo rame termi nanti a t� sta di serpente , e uno sguardo che dà la morte E poliglotta e dotata della conoscenza della lingua delle bestie ; tormentata dalla lussuria concu pisce leoni e draghi e altre belve , e li corteggia nelle loro varie lingue. Spregiata da questa fauna circo spetta, cerca con parole melodiose l ' abbraccio del l ' uomo .2 Gli uomini assennati sono non meno cauti del regno animale . Consapevoli del suo sguardo ter ribile , fingono da prudente distanza di acconsentire alle sue voglie : a condizione che essa scavi una buca e vi nasconda la sua testa mortifera. Così essa fa, in1
».
l . Santorin. 2. Probabilmente nella persona, al solito, di pastori o marinai . 236
genuamente, lasciando esposto il corpo nudo ; « e ri mane in attesa di libidinosi patimenti Ma invece di accostarsi con passo d 'amante l ' amato accorre e le tronca con la spada la testa; che mette , senza guardarla, in un vaso, caso mai gli occorresse di esi birla per annientare draghi, leoni o leopardi (ma ul timamente i suoi rivali putativi ) . Tanto basti per il Fisiologo . Di nuovo, c ' è qualcosa di patetico e di grottesco insieme nella sorte di queste gorgoni me dioevali. Le gorgoni moderne hanno attributi misti. Le lo ro facce sono pericolose perché orribili o di una fu nesta bellezza. La dolcezza del canto ( derivata pre sumibilmente, come nella Lamia del Mare, dalle si rene) la usano, al modo delle sirene occidentali a cui tanto somigliano, per allettare i marinai. I ric cioli serpentini di Medusa, originariamente castigo di Atena ( provocato dall ' amore di Poseidone, cui Medusa, secondo Esiodo , generò Pegaso, il cavallo alato ) , sembrano essere scomparsi. Le gorgoni sono sempre state , e sono oggi, creature marine . Antichi vasi le raffigurano in compagnia di delfini, a volte come molti esseri soprannaturali femminili - a gruppi di tre . Una leggenda moderna racconta di una gorgone che infesta gli stretti come Scilla ed esi ge il pedaggio di un marinaio da ogni nave che pas sa; non come amante, ma per mangiarlo. Sono esse ri da temere sempre . Ho avuto tre anni fa notizie su una gorgone, la più grande di tutte , nella rocciosa isoletta di Serifo, la più ven tosa delle Cicladi. Un intelligente ragazzi no di nove anni mi prese sotto la sua tutela appena sbarcato e fu per me una guida quanto mai istrutti va. Dopo avermi illustrato i mulini a vento e le chie se mi condusse, per metà a carponi, su per una rupe scoscesa fino a una cappella affacciata sulla scoglie ra. Entrati, mi indicò un punto tra i suoi piedi nel pavimento, che era in parte di lastre irregolari e in ».
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parte di roccia scavata, e disse con un largo sorriso: « Indovini cosa c'è qua sotto ! » . Rinunciai . « La testa di Medusa, la gorgone ! L' hanno sepolta qui, bella profonda, al sicuro. I capelli erano tutti serpenti ! » . Agitò le mani sopra la testa, nella penombra, fi schiando e mimando con le dita il dardeggiare delle lingue biforcute . « Perché non pungesse la gente . . . » . Fu a Serifo che Perseo, brandendo il grondante e pietrificante trofeo, mutò in sasso il tiranno Polidet te e i suoi accoliti al convito. A veder gesticolare quel ragazzmo sembravano cose accadute la settimana pnma. L' ancien régime soprannaturale mise i Padri cristia ni dei primi secoli davanti a un problema non facile . Quando, dopo essere stati lungamente perseguitati in nome dei vecchi dèi, ebbero il soppravvento , i Pa dri adottarono, come abbiamo visto , una tattica au dace e radicale. Gli dèi e i personaggi più presenta bili furono catturati, battezzati e mimetizzati ; le loro sedi furono distrutte o riconvertite , e su di esse si in nalzò, per così dire, la bandiera vittoriosa. Alcuni degli spodestati riuscirono a mantenere un piede nei due campi. Altri - insignificanti come possibili capi di una controrivoluzione o del tutto inaccetta bili - furono messi fuori legge in blocco ( poiché gli esseri soprannaturali si possono solo bruciare o fa re a pezzi in effigie) . Si lasciò che una mitologia al 1
l . Tuttavia, data la vitalità degli dèi, riesce difficile credere senz'altro all 'efficacia della riconsatrazione. Stuoli battaglieri di angeli, santi, Madonne bizantini, con il loro seguito nordico , devono aver agitato l ' aria per secoli sopra le teste inturbantate a Santa Sofia e a Famagosta. Quali vecchi numi papisti vegliano in segreto sulla asepsi anglicana di chiese pre-Riforma usurpa te? Occhi e orecchi acuti dovrebbero cogliere il volo di ifrit e ginn e il fantasma del richiamo del muezzin intorno al grande minareto della Giralda, ora campanile del duomo di Siviglia.
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bando si rintanasse e vagasse nei monti, per morire prima o poi, si sperava, d'inedia. Ma per un misto di antica reverenza e forse di carità cristiana i paesa ni soccorsero quegli esseri, ed essi sono ancora con no l . Di questa mitica masnada facevano parte non so lo gli dèi minori , ma la minutaglia del mare e dei boschi : ninfe, nereidi, driadi, oreadi, gorgoni, trito ni, satiri , centauri e simili; chiamati collettivamente con una varietà di nomi rivelatori. Tà pagana « i pagani » - ha una sfumatura fiabesca, e indica gli es seri soprannaturali più piccoli e maligni;1 daimonia sono divinità e demoni; fantasmata o fasmata appa rizioni - i fantasmi notturni fugati dalla' preghie ra della compieta; tà 'xafnika sono « gli improvvisi » ; idolika, visioni passeggere ; tà angelika, esseri simili agli angeli; aerika, abitatori dell ' aria; tzinia, imbro glioni o falsi dèi. Forse il nome più significativo è tà 'xotika, gli esotici, gli estranei, quelli « di fuori » ; quelli, appunto, « che sono fuori » della chiesa: una applicazione restrittiva della frase di san Paolo in l Cor, 5 , 1 2, con spostamento dal mondo degli uomini a quello degli dèi e dei demoni. San Basilio applica la stessa parola ai pagani umani. Questo significato assume una particolare pregnanza in certi periodi, segnatamente a Natale. Allora la schiera pagana che in questo contesto ha di solito il nome di paganti e xotika - è rappresentata come una turba molesta ma non pericolosa. I suoi appartenenti cercano di intrufolarsi da « fuori » , di scatenare una lite , di ru bare l ' arrosto di maiale che è la vivanda natalizia greca; comportandosi , insomma, in modo curiosa mente nordico e trollesco. Non è, tuttavia, che vo gliano guastare la festa cristiana; cercano piuttosto di partecipare ai festeggiamenti, sebbene con inten-
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l . Una grande autori tà in materia, e su analoghe stranezze , è il mio amico colonnello Thanos Veloudios.
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ti diversi. In molti luoghi sono bonariamente tolle rati , e placati lasciando loro qualche offerta. Il pe riodo di questa invasione annuale coincide invaria bilmente con i dodici giorni tra Natale ed Epifania. Era il periodo delle grandi feste invernali, le Dioni sie e le Cronie, e dopo la conquista romana i fasti la tini (accettati e completamente ellenizzati dai gre ci) dei Brumalia e delle Calende. Queste ultime , le feste del capodanno , diventarono un fantasma del l ' almanacco, le cosiddette « calende greche » . 1 Era no tutte occasioni di allegrezza e di eccessi, ma di gran lunga le più sfrenate erano le Dionisie, una delle grandi feste stagionali in cui la marmaglia so prannaturale teneva il campo. Nei primi tempi i fe steggiamenti dei mortali, specialmente a Efeso, sem bra fossero selvaggi come i tumulti coribantici di Ci bele. Erano un misto di estasi collettive, orge , frene sie menadiche e distruzioni non dissimili da quelle odierne dei Moharram e dei Rufayan e di altre sette dervisce; spargimenti di sangue e sacrifici umani non erano ignoti . Dopo la proscrizione cristiana le quattro feste greco-romane si fusero in dodici gior ni di kermesse pagana clandestina, e non sempre clandestina. Il vescovo Timoteo, prima che il cristia nesimo diventasse religione ufficiale, trovò la morte nel tentativo di reprimere uno di questi raduni or giastici; le Calende suscitarono nel V secolo l ' ira di san Giovanni Crisostomo e di Amasio; nel VII le fe ste invernali pagane furono proibite dal sesto Con cilio ecumenico; uno scrittore del X secolo inveisce contro la celebrazione alla vecchia maniera pagana delle Cronie e delle Calende ; e Teodoro Balsamone l . La parola latina ha lasciato tracce profonde nella lingua, in connessione con il Natale; e sembra essere rimasta in varie par ti dell ' Impero . Grazie , di nuovo , alla vittoria di Traiano su D e cebalo e alla colonizzazione della Dacia, calinda è ancora la pa rola che in Romania vuoi dire « canto natalizio >> .
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gli fa eco nel XII, quando maschere ubriache com parivano addirittura in chiesa. Oggetto precipuo dell ' anatema ecclesiastico era l' aspetto pagano, più che l ' indecenza dell ' abbigliamento e dei travesti menti: uomini in panni femminili , donne in panni maschili , « folli ubriaconi » vestiti e cornuti come diavoli , le facce annerite o mascherate, i corpi co perti da pelli di capra e atteggiati a quadrupedi. Era in realtà una mimesi ( analoga a quella dei penitenti spagnoli che riproducono le fasi lente e solenni del la Passione ) dell ' intera congrega dionisiaca: riti che i pagana simultaneamente compivano nella loro sfe ra aerea. Non differivano in nulla dai mimi che scorrazzano anche oggi per le vie di molte cittadine e villaggi greci, sia nello stesso periodo magico dei Dodici giorni sia durante il carnevale, prima della quaresima. Uno dei più turbolenti 'xotikii pagani che distur bano la pace del mondo greco tra Natale ed Epifa nia, quello più spesso scimmiottato dai mimi e forse quello più conosciuto per nome , è il kallikantzaros. Il kallikantzaros, che nella lunga « stagione mor ta » abita in u�a caverna sotterranea, è una bestia problematica. E, molto letteralmente , un infernale scocciatore, e certe volte qualcosa di peggio. La sua forma è enigmatica quanto il nome e la provenien za, e ha varianti altrettanto numerose . Fisicamente i kallikantzaroi sono eterocliti e scombinati assem blaggi di elementi tratti da varie branche del regno umano e animale. Sono di due tipi principali . Quel li grandi possono essere alti parecchi metri. Neri e pelosi, le loro grosse teste sono talvolta calve; hanno organi genitali spropositati . Gli occhi , nelle facce nerastre , rosseggiano come braci. Hanno orecchie di capra o d ' asino , e lingue vermiglie penzolano dalle zanne feroci . Il corpo è magro e le braccia scimmiesche , con lunghi artigli, e anche le gambe sono caprine o asinine , oppure una bestiale e l ' altra 24 1
umana. Sono a volte bipedi, a volte quadrupedi, e spesso, comprensibilmente , zoppi. Viaggiano co munque a gran velocità, e gli ateniesi li hanno so prannominati « Fuoco-sotto-il-sedere » , 1 dal celere ritmo con cui essi accudiscono alle loro . faccende sempre superflue e spesso dannose . Sono fortissimi. Molto molto di rado sono quadrupedi privi di carat teristiche umane; e altrettanto raramente uomini comuni provvisti o meno di zoccoli ungulati. Ma quasi sempre hanno qualche tratto antropoide . Di solito l ' elemento caprino prevale . I kallikantzaroi minori, sebbene più rari, sono nondimeno diffusi, e come i loro colleghi maggiori sono presenti dal Rodope _a Cipro e specialmente (se·c ondo Polites ) a Oenoe (Unye) sulla sponda meri dionale del Mar Nero . Sono pigmei umani color ebano, non solo calvi ma totalmente imberbi e af flitti da varie magagne : zoppia, di nuovo, strabismo, o lineamenti e membra sbilenchi. Il loro capo è chiamato talvolta Koutsodaimonos, demone claudi cante . Viaggiano spesso a cavalcioni di vari animali e uccelli, e sono chiassosi e impiccioni ma innocui . Questi brutti meschinelli, a parere di Lawson, sono un sottoprodotto casuale, meno antico e meno tru ce dei loro magri e allampanati congeneri. I quali infatti possono essere pericolosi; in alcuni luoghi hanno fama di cibarsi di carne umana, sebbene nor malmente ad accendere la loro ghiottoneria siano il maiale e le frittelle natalizie , e soprattutto il vino n� scolano quanto ne trovano. Creature gregarie , la notte imperversano in bande , lacerando, malme nando e calpestando chiunque si pari loro davanti . Famigerata è la loro abitudine d i irrompere n e i mu lini, mangiare tutto il grano e la farina che riescono a trangugiare , e pesticciare e orinare sul resto . (For se le nereidi che a volte frequentano i mulini sono l . Kolovel6nides.
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un ' attrattiva supplementare ) . Infarinati e invisibili, entrano nelle case dalla porta, dalle finestre o dal camino, e rovesciano e spaccano i mobili, bevono tutto il bevibile , si ingozzano di carne di maiale e sporcano il cibo, il vino e l ' acqua superstiti. Nelle osterie turano la bocca ali ' oste con i loro escremen ti (un brutto scherzo) , prendono a calci, sfondano e fracassano anfore e botti, e dopo aver tracannato da riempirsi il ventre lasciano che il resto vada in malo ra. 1 Goffi e pasticcioni, hanno tuttavia la passione del ballo, e ammorbano non solo le graziose nerei di ma le mogli e le figlie dei mortali, che a volte ra piscono e fanno loro spose . Se si imbattono in un viandante sorpreso dalla notte lo costringono a u nirsi ai loro giochi sguaiati, e al canto del gallo lo lasciano ubriaco e malconcio . Sono di ingegno gros so e inclini alle liti, con estranei e tra loro, di solito per questioni di ragazze o di compagne di ballo. Co me le lamie, sono onesti e schietti nei loro rapporti e alieni dalla menzogna; sono altresì estremamente e quasi pateticamente grulli. Il trucco più elementa re , la frottola più evidente li manda in tilt e li fa fug gire a gambe levate . Hanno paura delle fiamme, e per scacciarli si accendono falò. Nella zona del Pe lio , per contentarli, si appende a un albero una co stoletta di maiale o una salsiccia e un pezzo di pane; oppure , tanto è facile ingannarli, un osso nudo e crudo . . . Si può scacciar li gettando loro in faccia ac qua bollente , o brandendo tizzoni o carne calda allo spiedo. I kallikantzaroi formato piccolo sono agilis simi nell ' arrampicarsi sui tetti, e per impedire che entrino scendendo per il camino si gettano sul fuol . Durante la guerra, quando le truppe d' occupazione, in una «;lelle periodiche scorrerie in cerca di armi nascoste, fecero esattamente questo (escrementi eccettuati) , una vecchia, indi cando i guasti e l ' olio e il vino sparsi, paragonò il nemico con mesto umòrismo alle creature di cui stiamo parlando.
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co erbe di cattivo odore e si mettono per diritto i ciocchi fiammeggianti. Frustrati e irritati dalle favil le volanti, loro orinano giù nel camino nella speran za di spegnere il fuoco. Ma ciò non fa danno. Le ce neri vengono accumulate nel focolare durante tutti i Dodici giorni, in seguito i contadini le spargono sulle colture giovani ed esse agiscono come un con. . c1me magtco. Secondo alcune teorie locali, i kallikantzaroi pos sono assumere la forma di molti animali: lupi, cani, lepri, cavalli, capre, e a Cipro, dove hanno il nome supplementare (ma si usano tutti e due ) di planeta roi, « gli erranti » , anche cammelli. In E piro sono a volte piccoli come scoiattoli . Ma di norma sono de gli ibridi, sempre con qualche tratto antropoide . Al cune fonti li dicono demoni, altre uomini schiavi di passioni bestiali e metamorfizzati . Gli abitanti del l ' Eubea meridionale erano un tempo considerati kallikantzaroi. 1 Sembra, certamente , un destino che attende qualche sfortunato mortale. I bambini ma schi - mai le bambine, la femmina è pressoché igno rata - che nascono nell' ottava di Natale sono auto maticamente sospetti. Le unghie dei loro piedi cre scono con rapidità abnorme, e per frenarne la cre scita una volta si soleva strinare i piedini sopra il fuo co . Si diceva che costoro fossero afflitti da un carat tere violento, affine alla pazzia, che li spingeva a comportamenti riottosi e indomabili, e finanche a mettere mani omicide sui loro fratelli e sorelle. La tara, una volta impiantata, è congenita. E tutte le fonti indicano un ' origine umana. Se l ' esposizione dei dati su queste deplorevoli creature ha funziona to secondo la mia intenzione , il lettore avrà conclu so da un pezzo che esse sono o satiri o centauri o l . Questa può essere una traccia di pregiudizi indigeni, perché gli abitanti dell 'Eubea meridionale , ora completamente assimi lati , sono in gran parte di ceppo albanese .
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una mescolanza dei due. E avrà ragione ( qui mi ap poggio di nuovo a Lawson) . Infatti tutte le autorità migliori - Polites, Schmidt, Lawson - pur dissenten do su alcuni punti secondari convengono su un lo ro nesso con i satiri. Lawson va oltre . Basando la sua teoria sul magnifico apparato di studi di Polites, ma in disaccordo sull ' origine della parola, Lawson giunge a conclusioni differenti. Kali - l ' affisso deri vante dal moderno kalos, buono ( anticamente « bel lo » ) - può precedere molte parole, cambiandone di poco il senso salvo a dargli, come nell 'inglese goodman e goodwife, un sapore lievemente benevolo e rustico . Ciò è in armonia con l ' uso mitologico gre co, sia antico sia moderno, di chiamare « buona » per precauzione una cosa cattiva. Il cambiamento da kentauros a kantzaros, per chi conosca le variazioni diale ttali del greco demotico, non ha nulla di sfor zato; e Lawson analizza il cambiamento con logica scientifica e badando alla probabilità e ai preceden ti. Se egli ha ragione, e sono sicuro di sì, i kallikan tzaroi sono « buoni centauri » . Il centauro quale noi lo pensiamo - esclusiva combinazione di un corpo di cavallo con un busto umano che gli spunta dal petto, abitatore delle metope del Partenone e della letteratura poetica - è una tarda riduzione e idealiz zazione classica di una gamma assai ampia e varia di ibridi . Nell ' arte arcaica e sulle monete, se non nella letteratura, altri tipi di centauri erano più comuni di quello che tutti conosciamo, e che più corretta mente andrebbe chiamato ippocentauro . (A scuola dovevo essere ossessionato da queste creature . La mia grammatica greca era ricoperta di scaraboc chiate e sbavate processioni di centauri, sempre bar buti come il marinaio del trinciato Navy Cut e spes so muniti di bombetta, che fumavano pipe di cilie gio. Se con questo volevo indicare che i centauri vi vevano vicino al mare, e benché essenzialmente ru rali andavano di quando in quando in città, davo 245
prova di notevole acume ) . C' erano gli onocentauri, gli ittiocentauri, i tragocentauri : centauri asino, pe sce (o tritone) e capra; e anche combinazioni di due tipi o più . 1 L a parola centauro, i n effetti, non ha niente a che fare con i cavalli: è la parte umana di un ibrido, e sia l 'ippocentauro sia il tragocentauro - il centauro che tutti conosciamo e il satiro - erano sottospecie di una singola specie la cui sola costante era la parte umana. Potevano essere bipedi o quadrupedi. La re gola plastica che limitava a due le gambe dei satiri e ne assegnava quattro ai centauri diventò inflessibi le solo in età classica. Nell ' arte arcaica il più antico della tribù sembra essere l ' onocentauro, che proba bilmente è l 'antenato di entrambi. Satiro è una parola abbastanza tarda. Il poeta Nonno dice chia ramente che i satiri erano di ceppo centaurico, e la consapevolezza di questa credenza sussistette proba bilmente nel sottomondo ctonio della coscienza e delle adunanze rustiche, mentre il bestiame più no bile e ben classificato , con gli attributi stabiliti e un invariabile numero di gambe , faceva mostra di sé nell 'età aurea della letteratura e della scultura. Solo in età greco-romana l ' ippocentauro canoni co si accompagnò al satiro canonico nella congrega bacchica. Erano, essenzialmente , sofisticati animali d ' affezione ; e quando venne il grande rivolgimento e lo zoo dionisiaco fu smantellato, entrambi furono arruolati a forza nella demonologia cristiana e op«
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l . È in teressante vedere come nella traduzione alessandrina dei Settanta la fauna pagana sia arruolata nel bestiario come simbolo di selvatichezza e desolazione. In fs, 34 i nomi ebraici di vari animali del deserto, lupi, sciacalli, « creature ululan ti » , ecc . , sono stati arbitrariamente grecizzati i n onocentauri , satiri e sirene, esseri del tutto ignoti agli ebrei; come per insiste re prematuramente sulla loro natura eso tica e reietta. Ciò peral tro non ha impedito ad alcuni di questi esseri di correre le città e darsi buon tempo fino a oggi .
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portunamente modificati per il tormento degli ere miti . Il satiro fu munito di un forcone e trasforma to in un fuochista dell ' Inferno; il centauro trottò via verso nordovest, forse per ricominciare a vivere come unicorno , ignaro che i traduttori biblici lo avrebbero confuso con l ' ippopotamo. 1 In patria frattanto i loro arruffati e tellurici parenti poveri fuori moda precipitavano nel nulla, e da allora non hanno fatto che guai. Adesso il kallikantzaros - con le sue abitudini licenziose, la sua beonaggine, ghiot toneria, turbolenza, goffaggine e ingenuità, la ma nia del ballo e degli scherzi grossolani - possiede gli attributi di entra"! bi; e la sua calvizie ricorda proba bilmente i sileni. E degno di nota che sebbene que sta creatura sia panellenica, la fonte di gran lunga più copiosa di leggende a suo riguardo è ancora la sua antica dimora, i bei villaggi scoscesi e i boschi di castagni del Pelio in Magnesia. Si sa che un contadi no analfabeta, vedendo in un museo un centauro o un satiro di marmo, lo riconosce senza esitare un at timo, e lo indica correttamente col suo nome paga no-esotico: « To ' ! Un kallikantzaros ! » ; mentre alle sue spalle i semialfabeti custodi si scambiano com plici ammicchi di compassione . Ne ho avuto un esempio anch ' io . Qualche tempo fa guardavo con Joan il magnifico bassorilievo del satiro itifallico a Taso.2 Si tratta indubbiamente di un satiro, per le corna e i piedi caprini, ma gli attributi fallici e la co da da stallone che gli scende dalla groppa sono mol to più equini che di capro. Quando ci voltammo per andarcene, un pastore appoggiato al suo bastone ril. Viene voglia di fondare una Società per la protezione degli animali classici . 2 . Non il piccolo Pan formale scolpito sulle rocce vicino al tem pio di Apollo in cima al colle , che suona il flauto a una capra in ascolto, ma la figura a grandezza naturale fuori città, in un oli veto, sul solitario pilone di una porta dell 'antica cinta muraria.
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curvo sotto gli olivi lo indicò con un sorriso amiche vole e possessivo e disse : « Il nostro kallikantzaros » . Ma resta un quesito: i centauri originari erano es seri demonici o mortali? Il nostro dubbio moderno esisteva già al tempo di Pindaro. Pindaro fa del sag gio e dotto Chirone , suonatore di lira e tutore di Asclepio, Achille e Giasone , nientemeno che un rampollo di Crono. In un altro luogo Pindaro ac coppia Issione con una nuvola, e la nuvola gli gene ra - parte del suo castigo per avere concupito Era, e non la parte più gravosa - un figlio-mostro perverso e niente affatto nebuloso di nome Centauro, il qua le fugge nelle valli del Pelio e dà vita con le giumen te magnesiache alla stirpe degli ippocentauri. Ma più in antico, nel racconto di Esiodo della loro rissa da ubriachi con i Lapiti, i centauri sono umani; e so no umani, Chirone incluso - senza tracce ibride o equine - nell 'Iliade. L' altro loro nome , Pheres (ver sione eolica della parola che significa « selvaggio » o « feroce » ) , suggerisce a Lawson che essi fossero una bellicosa tribù pelasgica ritiratasi sul monte Pelio quando le pianure tessale e magnesiache furono i nondate dagli invasori achei. Là, in imprendibili ri cetti montani, via via più ispidi e feroci col prolun garsi del loro assedio, questi « centauri » pelasgici apparvero agli stranieri arrivati di fresco come i cu stodi di tutta l ' antica saggezza, sapienza e magia del paese, come una fiera genia di maghi montanari; con quella stessa aura misteriosa dei caparbi celti in ritirata, arroccati nei dirupi gallesi e nelle foreste della Cornovaglia, agli occhi dei primi inquieti sas soni. Donde l ' onnisciente Chirone e forse l ' astuzia della camicia di Nesso; donde , soprattutto , la possi bile credenza achea in una loro capacità di trasfor marsi in ogni sorta di animali, come la Demetra pelasgica a Figalia. Avevano ammassato, ritirandosi ( questa è un ' idea mia, non di Lawson) , torme di ca valli e asini? La pianura tessala, da cui sorge il Pelio , 248
è un territorio ideale per i cavalli , quasi il solo di Grecia. (Qui, non ad Argo domatrice di cavalli, è basata la cavalleria greca; e Larissa, la capitale, è il più famoso centro di allevamento di asini, e sede della massima fiera asinaria annuale di tutta la Gre cia) . Quando il mito dei loro poteri ebbe messo ra dici, calarono a cavallo dalle grotte del Pelio sui cre duli pedestri achei? Le loro dimore potrebbero ave re originato l ' idea dell ' habitat trogloditico comune ai centauri e ai loro moderni epigoni . Brandivano, sgraziati e irsuti come li ritrae l ' arte arcaica, grandi rami, l ' arma più consueta di un centauro, strappati dalle selve magnesiache? E ancora, in qualche festi no per una tregua o una pace - forse a un pranzo di nozze - accadde che questi rozzi cavernicoli pelasgi ci di dirupi senza vigne, già mezzo cavalli per fama, scandalizzassero i civili achei ( ora ammansiti dal lungo soggiorno nella pingue campagna tessala) rimpinzandosi di cibo, ubriacandosi smodatamente e infine mettendo le mani sulla sposa e scatenando una rissa? Sì, forse, a tutto questo questionario retorico; e forse, di nuovo, no. Com ' è piacevole , straordinaria mente piacevole, e che lusso, emergere a un tratto dall 'austero labirinto dei fatti sulle aurorali altitudi ni delle congetture ! C ' è libertà di movimento, e l ' a ria è sovrannaturalmente tonificante. Splendente d ' una flora non classificata, il terreno che abbiamo sotto i piedi, madido di rugiada, ha un ' elasticità par ticolare . Si leva il canto di cori di uccelli, boschetti ombrosi chiamano in tutte le direzioni ed è arduo discernere cosa sia a catturare l ' occhio incantato nella nebbia leggera tra opaca e lucente in fondo al le prospettive che si offrono allo sguardo: una meri diana o una fontana, una delegazione di cinesi, una portantina o un mammut al pascolo . . . Mani aliene e invisibili sotto le ascelle ci portano in facili parabole a strane e scintillanti destinazioni. . . 249
Il Pelio, da alcuni millenni patria dei centauri, precipite penisola svasata che dalla Tessaglia sudo rientale si protende nell ' Egeo verso le Sporadi, co perta d'erbe e di boschi come doveva essere il resto della Grecia prima che l ' erosione , il taglio degli al beri e le capre la denud assero, è una regione del ge nere . Quasi ogni acro di Grecia è per qualche verso venerabile, e come la maggior parte dei luoghi della geografia greca fittamente inghirlandati di favole, il monte Pelio - una volta lasciati alle spalle i suoi bel lissimi villaggi è chiuso in un silenzio preistorico turbato soltanto dagli uccelli e dallo stormire delle foglie; come se quelli del solitario straniero fossero i primi polmoni umani a riempirsi della sua aria mat tutina, e le antiche leggende fossero ancora sul na scere . Ogni roccia, ogni rivo è un mito. Ma nono stante le ultime pagine, non è né la putativa tribù arcaica né il primordiale quadrupede dalle orecchie pendule delle antiche monete , né il moderno kal likantzaros dagli occhi a tizzone che io scorgo in quelle scoscese radure magnesiache . Tale è la forza di quel che si è imparato da giovani che io odo il rombo sordo di una cavalcata e vedo lustri fianchi pezzati e pomellati, cascate di code foltissime , om bre di foglie spatolate scivolare su groppe pelose e bicipiti abbronzati dal sole , e muscolosi torsi conta dini fondersi in garresi d 'un roano rossiccio . Sono centauri classici . Chinandosi per schivare i rami co perti di muschio e immerse in favoriti e in maculate barbe di marinai, un paio di facce gradevoli e schiet te conferiscono gravemente tre metri sopra i loro otto zoccoli indolenti. Intervenendo nel colloquio, un vecchio pomellato con una ghirlanda di pampini tutta sbilenca li prende a braccetto e li prega, usan do l' obsoleto modo duale, di lasciar perdere . Ci so no goffi piegamenti nell ' ombra verdeazzurra, un re clinarsi di zampe anteriori e di nodelli arruffati; ec co, ancora, gruppi coricati o semisdraiati col mento -
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sorretto da mani callose a coppa. Il placido sferzare delle code scaccia le efemere e c ' è un mormorio di confabulazione . Da qualche parte fra i tronchi glau chi gira uno spiedo sbucciato di fresco e un odore d' arrosto raggiunge le nari . La nota musicale di una corda pizzicata vibra nel cavo di un guscio di tarta ruga. Si sentono franchi scoppi di risa e il gorgoglia re del vino versato da una zucca. Dal mare dissemi nato di isole il brusio di lontane conchiglie sale e cheggiando su per le forre; mentre , sparse intorno ai centauri sull ' erba, tra le frecce appuntite a metà, verdi scorze spinose si spaccano mostrando il lucci chio scuro di castagne nella rugiada. Sarebbe piacevole trastullarci qui con loro; ma le torri del Mani ci chiamano.
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14 CONVERSAZIONE A LAGIA: CIPRO E LA SIGNORA GLADSTONE
Partimmo dalle torri di Vathia l ' indomani matti na. È impossibile penetrare molto addentro nello stretto Mani così vicino alla punta senza salire sulla nuda costa d'un monte . Di rado si perde di vista il mare , che , al fondo di ogni valle, appare come una squadra da disegno. In uno squarcio dopo l ' altro appaiono irregolari triangoli azzurri, che si allarga no man mano che si sale sul dosso di questa pietro sa regione meridionale finché i promontori inter medi affondano e le linee diritte a cui sono appesi tutti i triangoli si uniscono in una singola e continua orizzontale che va di pari passo col sentiero ascen dente e continua a salire fin quando l ' orizzonte si trova a mezzo il cielo . Il bagliore meridiano cancella il profilo dell ' orizzonte e la roccia rovente sotto i piedi sembra il fianco igneo di un pianeta incasto nato in silenziosi bozzoli di spazio azzurro . A volte , tuttavia, mentre arrancavamo verso nord su per il lato orientale del Mani, valli racchiuse e l ' a rido zigzag di un torrente davano un 'illusiqne di en troterra. Vasilio si era offerta di accompagnarci a un 252
villaggio più su sulla costa, e aveva legato il nostro malconcio bagaglio - pieno adesso di bia�cheria pulita e ben stirata e dei doni di commiato della sua famiglia - al mulo del padre , un grande e svel to animale bigio che se lo addossò insieme a due grossi sacchi di grano come se fossero imbottiti di lanugine . Eravamo scesi dalla torre al canto del gallo . Nel l ' aria del primo mattino non c ' era traccia di sciroc co, e le ampie valli deserte , sebbene non meno ari de, sassose e scoscese di quante ne avevamo attra versate fin lì, sembravano singolarmente agevoli . Lasciando che il mulo e la nostra piccola carovana girasse per la valle serpeggiante lungo un fantasma di mulattiera, trovai una scorciatoia tra due speroni e non tardai a vedere , al di là di un altro burrone, le torri e i muri di Lagia; torri e muri corrispondenti così esattamente per grana e colore alle pietraie dei colli circostanti che era come se il paesaggio li aves se stretti insieme in un sistema di viuzze e fatto schizzare in aria quegli alti parallelogrammi con una improvvisa spinta sotterranea. Ancora una volta, mentre salivo per i ciottoli as solati, sembrava che i paesani fossero tutti fuggiti, finché, arrivato infine a una piccola rouga quadrata accanto alla chiesa trovai tre vecchi - come gli an ziani di Alika, i soli superstiti, veniva da pensare - se duti intorno a un tavolo di legno con davanti vino e bicchieri e due cetrioli affettati come colonne cadu te, i rocchi verde chiaro luccicanti di una spruzzata di salgemma. Le fronde di un gelso spargevano un parasole d ' ombra e il lato orientale, aperto, della piazzetta si affacciava sul mare . Le canne arruggini te di cannoni settecenteschi erano coricate sul la stricato tra l ' erba alta. C ' era qualcosa di delizioso in quel terzetto e la conversazione vagò a casaccio su una varietà di argomenti. Queste adunanze di vec chi, che si riparano sotto il fogliame in tutti i borghi 253
montani della Grecia e lasciano scorrere le ore al ritmo della lenta caduta dei loro grani d ' ambra, ri chiamano alla mente la scena di Priamo a colloquio, alle Porte Scee di Troia, con gli anziani che l ' e tà ha reso inabili al combattimento, tutti armoniosamen te eloquenti come cicale su un albero . Erano le otto e mezzo e i tre vecchi si godevano pacificamente dall ' alba il vino e l ' aria mattutina. Il mio arrivo , il coro cortese di benvenuto, la risposta dello straniero, « Bentrovati » , l ' offerta di una sedia e di un bicchiere, interruppero solo un momento il loro discorrere . Mi sedetti e ascoltai. La penisola la conica giaceva senza peso lungo l ' orizzonte orienta le, e, lievemente più corposo, il profilo di Elafonissi - l ' Isola dei Cervi - si interponeva fra noi. Sul Mare Libico che si estendeva a sud molto oltre i Capi spar tiacque Malea e Matapan appariva di nuovo , simile a un fantasma, Citera, e lontana, a malapena visibi le , Anticitera, l ' ultimo approdo prima dei due tem pestosi capi occidentali di Creta. Un vecchio puntò il dito alla azzurra distesa d'acqua a sudovest, e al di là della sua unghia scanalata e spezzata riuscii appe na a scorgere due graffi frammentari sulla super ficie del cielo lontano: le cime dei Monti Bianchi e del monte Ida; e pensai con nostalgia agli amici cre tesi laggiù, figure nerovestite e inturbantate , scarpo ni ai piedi e fucile accanto, che pascolavano le loro irsute greggi nel cielo. La guerra, la politica e la questione di Cipro furo no per buona sorte assenti dalla conversazione . Che toccò placidamente paesi lontani, la caduta di Bi sanzio, la storia, la natura dell 'Equatore , i naufragi, le nuvole, la condensazione dell ' acqua, Lord Byron , l e forme del verso, i l prezzo dell ' olio e d e l vino, i danni dell 'hashish, gli scavi di Troia e di altri antichi siti, il pesce salato , gli orsi polari, il circolo artico e la migrazione degli uccelli. Una delle quaglie atter rate lì qualche anno addietro 1 946? 1 94 7 ? il vec-
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chio non ricordava - aveva intorno a una zampa un anello con un 'iscrizione. Il vecchio andò a casa a prendere il pezzetto di carta su cui l ' aveva copiata. C ' era scarabocchiato, in caratteri latini, 42, rue Le normant, Paris, senza un nome . Lui aveva scritto a quell 'indirizzo, ma non era giunta risposta. La qua glia l ' aveva avviata di nuovo al suo viaggio verso sud, sembrandogli una vergogna mangiare un uccello con così auguste relazioni internazionali. Durante questa chiacchierata il sole si era mosso, e mentre spostavamo il tavolo d 'un passo per ritro vare l ' ombra apparvero Joan e Vasilio con il mulo carico. Dopo mezz ' ora ci accingemmo a riprendere il cammino. « Perché n on restate? Ci capita così di rado di ve der gente » dissero i vecchi . « Non c ' è fretta. Passere mo il tempo insieme . . . Fermatevi per una settima na » . «Dia na perasome tin ora per passare il tempo �· · » . Quanto spesso si sente questa frase in Grecia! E la parola chiave di ore incantevoli come quella matti na o di lunghi malinconici momenti di tedio; espri me tutto il problema di come riempire il lungo in tervallo tra adesso e la tomba. Dall 'inizio di una conversazione di villaggio si può predirne spesso l ' intero corso, quale argomento ne susciterà un al tro, dove verranno i sospiri e le risate, i segni della croce e il palmo della destra alzato con le dita pro tese in anatema; dove ci saranno scrollate di testa e bussi indignati sul bordo del tavolo con l' indice pie gato in due . Si svolgono, queste conversazioni, con l 'inevitabilità di un rituale . Le vecchie barzellette so no le migliori , e anche alla centesima ripetizione le risate che le accolgono sono gaie e spontanee . La patina su queste vetuste facezie è il risultato di evi di vezzeggiamento . Molte ore di ilarità sono in pratica un lungo duello a botta e risposta, e c ' è per l ' esper to un singolare piacere n eli ' osservare la precisione . . .
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di colpi e contraccolpi. Ma nonostante questa fe deltà, le nuove storielle - portate magari da un e straneo di un 'altra regione o paese , il capovolgi mento di un cliché, un proverbio paradossalmente distorto, un nuovo gioco di parole , l ' assurdità trave stita da logica o un ' improvvisa battuta faceta - sono le benvenute, e dopo un momento di esitazione causato dall 'estraneità (un momento notevolmente più breve che in qualsiasi altro luogo del mondo ) , salutate con un plauso quasi esagerato. Il ritardata rio viene iniziato alla novità, e per ore e anni dopo il botto iniziale, molto, molto tempo dopo averla ac cettata nel canone, la nuova facezia è accolta da ine sauste risate e da un sorriso al ricordo delle sue ri schiose origini eterodosse . Il forestiero che porta una nuova barzelletta in un ' isolata comunità mon tana è al tempo stesso un benefattore e un oggetto d'amore ; e tornando dieci anni dopo in uno di quei paesetti solitari sarà accolto con affetto, e la sua in novazione, ormai familiare, lietamente ricordata. Questi subitanei sfasamenti e deragliamenti della normale procedura conversativa scatenano un ' i stantanea reazione a catena, e , liberata dalle regole dell ' abitudine , l ' agile e originale mente greca - tan to tollerante della reiterazione e del venerando ar s�nale di argomenti quando si attiene al binario for � ale - si scioglie in abbaglianti sfoggi � ' improvvisa ziOne . Il lettore avrà capito ormai che in Grecia l ' ospita lità ha un 'importanza quasi religiosa. Alla base c ' è una genuina e profonda gentilezza, u n senso di compassione e carità verso lo straniero lontano da casa ( nel greco antico straniero e ospite sono sinoni mi) , e non è esagerato dire che il difetto negativo della mancanza d' ospitalità o dell 'avarizia è agli oc chi dei greci rustici fonte di vergogna maggiore che non molti crimini gravi. Penso che ciò abbia una ragione sussidiaria, di natura intellettuale . Non c ' è 256
traccia di curiosità oziosa nel vivace interrogatorio cui è sottoposto il forestiero: « Sei sposato? I tuoi ge nitori sono vivi? Di che paese sei? Abiti nella capita le o fu