L'Italia dei Musei 1860-1960. Collezioni, contesti, casi di studio 8869233561, 9788869233562

Se la creazione costituisce il cuore dell'arte, fulcro e motore del processo di produzione e di fruizione delle ope

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Italian, English Pages 278 [280] Year 2018

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L'Italia dei Musei 1860-1960. Collezioni, contesti, casi di studio
 8869233561, 9788869233562

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CoLLEZIONI LuoGHI ATTORI

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CoLLEZIONI LuoGHI ATTORI Diretta da/Directed by Sandra Costa

Comitato scientifico/Scientific committee SANDRA CosTA, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna MARZIA FAIETTI, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi e Comité lnternational d' Histoire de l'Art I talia MICHAEL jAKOB, Haute école du paysage, d'ingénierie et d'architecture de Genève-Lullier e École polytechnique fédérale de Lausanne (EPFL) PIETRO C. MARANI, Politecnico di Milano ANGELO MAZZA, Collezioni d'Arte e di Storia della Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna MARCO Pizzo, Museo Centrale del Risorgimento di Roma, Complesso monumentale del Vittoriano DoMINIQUE PouLOT, Université Paris l Panthéon-Sorbonne Il titolo della collana sottolinea l'intenzione di considerare l'Arte come un sistema dinamico carat­ terizzato storicamente dalla molteplicità dei suoi attori. Se la creazione costituisce il cuore dell'arte, fulcro e motore del processo di produzione e di fruizione delle opere sono spesso figure che assumono e svolgono altre funzioni. Dai committenti ai collezionisti, dai conservatori dei musei ai destinatari di una più generica ma sempre più vasta educazione all'arte: lo sviluppo attuale della disciplina impedisce ormai di valutare semplicemente come secondario e accidentale il loro ruolo. Secondo questo approccio l'opera d'arte è "opera apertà': l'attenzione ad aspetti largamente interdisciplinari e alla sociologia dei fenomeni artistici intende infatti collegare il collezionismo e le sue pratiche, anche museologiche, a contesti e congiunture, a circuiti polivalenti e multiformi di cultura e di mercato. Linteresse, anche metodologico, è rivolto a tutte le possibili forme di diffusione e mediazione; la volontà è quella di considerare l'ampliamento di orizzonti che caratterizza oggi il dibattito sull'Arte e anche di perseguire l'idea che i documenti d'archivio o gli allestimenti museali possano proporre una Storia non meno significativa di quella degli oggetti evidenziando preferenze culturali ed estetiche. The title of the series draws attention to its intent to regard Art as a dynamic system, characterized throughout history by a multiplicity of actors. While the heart of art may be creation, the linchpin and driving force to the production and consumption of works of art often rests with figures who ta.ke on and carry out other functions. Those who commission works of art and those who collect them, museum conservators and the recipients of a generai but increasingly broad art education the current development of the discipline ma.kes it impossible to consider the roles played by such people as simply secondary or accidental. According to this approach, the work of art is an "open work": indeed, the attention to largely interdisciplinary aspects and to the sociology of artistic phe­ nomena aims to link collecting and its practices, including its museological practices, with contexts and circumstances, with the multipurpose and multiform circuits of culture and market. The series' interest, including its methodological interest, is toward all possible forms of art diffu­ sion and mediation; the purpose is to consider the broadening of horizons that currently character­ izes the debate on Art and also to pursue the idea that archive documents and the way exhibitions are mounted in museums can convey a History as meaningful as the one set forth by artifacts, highlighting cultural and aesthetic preferences.

Tutti i contributi pubblicati nella collana sono sottoposti a double-blind peer review. All contributions published in the series are subject to double-blind peer review.

LITALIA DEI MUSEI 1860-1960 Collezioni, Contesti, Casi di studio

a cura di Sandra Costa, Paola Callegari, Marco Pizzo Prefazione di Dominique Poulot

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Bononia University Press

La collana ARTE Collezioni Luoghi Attori è interessata alla sociologia dei fenomeni anistici e a temi e aspetti largamente interdisciplinari, si caratterizza così per un comitato scientifico di cui fanno pane storici e storici dell'atte, docenti universitari e conservatori di musei o responsabili di impananti collezioni. Dopo i volumi La fabbrica del Rinascimento. Frédéric Spitzer mercante d'arte e collezionista nell'Europa delle nuove Nazioni e 7he Period Rooms. Allestimenti storici tra arte, collezionismo e museologia, la collana offre spazio alla ricerca L 1talia dei Musei 1860-1960 che ha svilup­ pato un panenariato tra docenti del gruppo di ricerca Spazi ed attori del collezionismo e della connoisseurship del Dipanimento delle Ani dell'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, l'équipe d'histoire culturelle et sociale de l'an de l'Université Paris l Panthéon­ Sorbonne, alcuni docenti di Storia dell'atte e di Museologia del Dipanimento del Design del Politecnico di Milano e il Museo Centrale del Risorgimento di Roma. L'edizione del volume - cui panecipano storici, storici dell'atte ed espeni di fotografia sto­ rica - accompagna la realizzazione di una esposizione al Museo Centrale del Risorgimento di Roma apena dal 24 gennaio 20 1 9.

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Istituto per la storia del Risorgimento Italiano

.._ ALMA MATE_R STUDIORUM UNIVERSITA DI BOLOGNA DIPARTIMEKTO DELLE ARTI

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Bononia University Press Via Ugo Foscolo 7, 40 1 23 Bologna tel. (+39) 05 1 232 882 fax (+39) 05 1 22 1 0 1 9 © 20 1 8 Bononia University Press

ISSN 2465-08 1 1 ISBN 978-8 8-6923-356-2

www buponline.com .

[email protected] I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche) , sono riservati per tutti i Paesi. rEditore si dichiara disponibile a regolare eventuali spettanze per l'utilizzo delle immagini contenute nel volume nei confronti degli aventi diritto.

Progetto grafico e impaginazione: DoppioClickAn, San Lazzaro di Savena (Bo) Prima edizione: ottobre 20 1 8

SOMMARIO

Prefazione Dominique Poulot

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l. Display e dibattiti

Musei e display: Roma negli anni della "Fata Morgana" Sandra Costa

21

La nascita dei musei del Risorgimento (l 880-1942): un esempio di uso pubblico della storia Marco Pizzo

61

Du marbre sur du velours. Exposer !es antiquités à Rome à lafin du XIXe siècle Delphine Morana Burlot

85

Promuovere l'antico nel Novecento: da Roma a Veleia Maria Luigia Pagliani Ifotografi, lafotografia e i musei della Ricostruzione, del Riordinamento e del Restauro. Un caso esemplare da una collezione privata Paola Callegari

99

129

Il. Attori e contesti

Abitare il Rinascimento: il gusto Bardini e la geografia del collezionismo italiano tra Ottocento e Novecento Paola Cordera

167

Europei in viaggio nell'italia dei musei dopo l'Unità: il caso dei francesi, da Hébert ai lettori del BaedeKer Gilles Bertrand

181

Il museo dello storico dell'arte: Adolfo Venturi e l'origine dei musei nell'italia unita Sonia Cavicchioli

1 93

Franco Albini a Brera, 1948-1949, tra Piero Portaluppi, Fernanda Wittgens e Roberto Longhi: un difficile avvio alla modernità Pietro C. Marani

203

Il museo del museologo: Vittorio Viale a Torino, Cesare Gnudi a Bologna. Strategie museali ed espositive a confronto Marinella Pigozzi

22 1

Bibliografia

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Abstracts

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Prefazione Dominique Poulot*

i legge molto, in questo periodo, che lo storico deve oltrepassare l'ambito nazionale per raggiungere una visione più vasta e decisiva, in una parola globale; così lo studio dei musei, come quello di altri fenomeni culturali, dovrebbe emanciparsi dalle frontiere degli Stati e iscriversi nel quadro europeo, o mondiale, poiché tante interazioni, tanti scambi di modelli, tante circolazioni personali hanno contraddistinto la loro storia. Ma cos'è una storia europea dei musei se non quella dei musei nazionali avvicinati e confrontati gli uni con gli altri? Per questo bisogna disporre di studi nazionali, che non sono numerosi almeno se si scartano i cataloghi pubblicitari e le guide turistiche, le enciclopedie amministrative e le recensioni museologiche, tipologiche o prescrittive. La storia dei musei di una nazione non è, in effetti, né un elenco di istituzioni né una lista di collezioni celebri. Questo volume ha l'ambizione di offrire al lettore una interpretazione dell'istitu­ zione che abbia un significato nell'ambito della storia generale italiana, rivelando soprattutto le relazioni complesse tra cultura, interessi sociali e istituzioni consi­ derate nelle loro tradizioni e nelle loro strutture. Vi sono raccolti contributi di au­ tori, italiani e non, che condividono la volontà di scrivere una storia culturale dei musei nutrita di storia politica, intellettuale, artistica, ma che vogliono scriverla ciascuno a partire dalla propria disciplina: storia dell'arte, storia dell'architettura o del design, della fotografia, della storia della storia dell'arte.

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Una cronologia specificatamente italiana? Il taglio cronologico scelto non ha bisogno di commenti: il periodo selezionato corrisponde a quella che potrebbe essere definita l'età d'oro dei musei in Europa. È in quest'epoca che l'istituzione dei musei, come ha indicato Georges-Henri RiUniversité Paris l Panthéon-Sorbonne. La traduzione del presente testo dal francese è a cura di Sandra Costa.



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Dominique Poulot

vière, ha conservato "i suoi ruoli di collezione, di creazione di sviluppo del sapere, di prestigio. Ha rinforzato la sua missione di educazione e acquisito quella di pro­ tezione del patrimonio. Ha aiutato, infine, i popoli d'Europa a prendere coscien­ za della loro identità". 1 Le collezioni italiane hanno incarnato in modo esemplare l'idea di un patrimonio incaricato di illustrare questa nuova ambizione. Almeno alcune delle Esposizioni nazionali o universali, pretesto all'emulazione industriale come alle retrospettive storiche e ai confronti estetici, hanno in seguito, qui o là, offerto la matrice di istituzioni nuove - musei di storia, d'arte industriale o di arti applicate, ma anche musei di architettura vernacolare. Dal museo universale e cosmopolita, garante dell'egemonia di un modello culturale di cui il Vaticano era il simbolo, si è passati a musei che rinviavano agli ideali romantici del genius foci o ad esposizioni a vocazione patriottica e didattica. Secondo una celebre formula di Benedetto Croce, prima del l 860 non si può parlare di storia d'Italia, ma soltanto, nella migliore delle ipotesi, di storia degli Italiani, all'interno di regioni-Stato, talvolta indipendenti e talvolta sottomesse a poteri esterni. Per gli stranieri, se la configurazione del museo nazionale italiano è poco visibile, quella del museo civico sembra invece incarnare la via italiana per eccellenza del museo2 con delle conseguenze ben conosciute: il campanilismo e nello stesso tempo il "complesso del provinciale" nei confronti di Stati-nazioni uniti e coerenti. In questo senso, la decade del 1 860 segna l'ingresso del museo italiano nella sua età pienamente nazionale, mentre il suo precoce emergere in epoca moderna si iscriveva in uno spazio europeo concepito come un ambito universale della civiltà, o almeno dell'arte. Come indica Paola Callegari, l'Unità esigeva nuove strategie per i musei, di­ ventati "uno dei luoghi privilegiati del recupero dell'identità" . Secondo un tale approccio, le vestigia di un passato condiviso sono state messe in rilievo come fondamenta simboliche di una organizzazione politica e economica recente. Tut­ tavia la diversità delle storie e delle culture che compongono il paese rimane fondamentale ovunque. Paola Cordera fornisce una visione sintetica delle mani­ festazioni storicistiche, commemorative, artistiche, decorative, che accompagna­ no nei decenni del Risorgimento l'ambizione di fare ricorso al Rinascimento, da Dante a Machiavelli, da Michelangelo a Donatello. Sandra Costa conduce una dimostrazione simile rispetto alle forme di una pretesa continuità, di un "ponte tra i secoli" che hanno offerto negli Stati Pontifici nuovi musei come il Cristiano­ Lateranense. Il museo incarnerebbe allora una forma di resistenza alla barbarie dei tempi nuovi, testimonianza esemplare della plasticità dell'istituzione, mobilitata nell'uno e nell'altro processo, quello dell'azione e della reazione, secondo un av­ vio già offerto dall'Illuminismo.3

1 Rivière 1 989, p. 5 1 . 2 Mi permetto di rinviare a Poulot 1 986, pp. 99 1 - 1 096 e a Pomian 1 988, pp. 57-68 . 3 Cfr. Starobinski 20 1 4.

Prefazione

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La prospettiva d'arrivo è determinata dal peso della seconda guerra mondiale e della ricostruzione, ma anche dalla constatazione di una continuità, già evo­ cata da numerosi commentatori della situazione museologica italiana, tra le co­ struzioni del fascismo e quelle dell'immediato dopoguerra.4 Resta il fatto che gli anni Cinquanta del Novecento, anche se si iscrivono ancora in un quadro tradizionale e sono marcati da difficoltà di ogni genere, pecuniarie e istituzionali, da insufficienze e da lacune di diverso tipo, vedono circa 1 50 musei ricostruiti, riorganizzati rivisti e corretti. Retrospettivamente, gli anni Sessanta, soprattutto, corrispondono a una sorta di "età d'oro" della museologia italiana, oggi poco a poco smantellata. Questa forma di continuità museale, e in particolare museografica, che ave­ va contraddistinto i musei italiani durante un secolo, tende ad essere cancellata con le leggi degli anni Settanta sulle regioni, e soprattutto, con cambiamenti, abbozzati dagli anni Novanta e concretizzatisi a partire dagli anni Duemila, della politica culturale italiana e della gestione delle istituzioni culturali e patrimoniali. Tale scenario ha parallelismi e corrispondenze europee: così, in Francia, il libro di Germain Bazin, Le temps des musées, pubblicato nel 1 967, dietro un trionfalismo solo apparente corrisponde, più o meno, all'atto di morte del mon­ do classico dei musei in Francia, che le trasformazioni degli anni dopo il 1 968, poi gli investimenti degli anni Ottanta avrebbero quasi completamente fatto scomparire - senza suscitare oltralpe una nostalgia particolare. Ad una prima analisi il caso britannico non sembra essere molto diverso, mentre il panorama dei musei tedeschi è stato sconvolto dai mutamenti profondi di Berlino e, al di là di questi, dall'insieme di quelli indotti dalla caduta del Muro; a tal punto che anche in questo caso è abbastanza evidente la sensazione di una fine della storia dei musei tradizionali. In conclusione, ha preso fine "l'eccezione italiana" nella storia dei musei europei?

Dei musei nazionali o dei "musei mondo"? Poiché un'eccezione italiana dei musei c'è stata. Se, come scrive Paola Callegari, l'Italia è nata nello stesso tempo della fotografia, i musei italiani sono apparsi ben prima e sono forse all'origine stessa dei musei nel mondo. Non c'è bisogno qui di ricordare lungamente le ragioni per le quali l'Italia è generalmente considerata come la terra dei musei per eccellenza, Sandra Costa l'ha fatto nell'introduzione al suo saggio. La storia dei musei italiani moderni e contemporanei è certamente collegata alla costruzione nazionale, e in larga misura identificata con il potere pubblico, come viene indicato in tutta l'opera. Ma tutti i musei, o quasi, hanno delle origini tradizionali, per ciò che hanno ereditato senza soluzione di continu­ ità dalle antiche collezioni del Medioevo e dei secoli moderni, dal Rinascimento all'Illuminismo. Altri sono nati invece dalle istanze rivoluzionarie e - dopo l'inva4 Binni, Pinna 1 989, p. 1 54.

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Dominique Poulot

sione francese, confische diverse o inediti assemblaggi come a Brera - incarnano una rottura evidente con la situazione precedente. Questa storia italiana è dunque - da un capo all'altro - europea, addirittu­ ra mondiale. La situazione dei suoi musei è legata a una eredità storica parti­ colarmente cosmopolita, che si inaugura con il caso singolare delle antichità di Roma "restituite" dal pontefice alla città ed esposte nel Palazzo dei Conservatori al Campidoglio ( 1 47 1) per la più grande ammirazione degli antiquari e degli umanisti europei. Al di là del caso famoso degli Uffizi, aperti liberamente al pub­ blico a Firenze nel 1 769, caso citato ad esempio dagli artisti francesi durante la Rivoluzione, l'Italia ha un ruolo pionieristico nel corso della seconda modernità, tanto con la nozione di "galleria progressiva" che con quella di protezione delle collezioni. 5 Infine, nel 1 784, dopo una decina d'anni di allestimenti diversi, apre le sue porte il museo canonico del neoclassicismo europeo, il Pio Clementina. Frutto dell'investimento personale di due papi, da cui il suo nome, il Pio Cle­ mentina riunisce in una ambientazione, che si vuole "romana" e imperiale, le più belle statue del mondo, quelle di cui tutta l'Europa si era già disputata le copie, prima che l'armata francese se ne impadronisse un "momento" per farne, al Louvre, altrettanti trofei al proprio valore. 6 Che l'Italia stessa non sia nient'altro che un unico museo è un'idea banale, e la formulazione di Quatremère de Quincy per difendere le posizioni del Vaticano e lottare contro le conquiste che gli sembravano annunciare delle rivendicazioni nazionali ne rimane la più ferma espressione per l'epoca contemporanea: [ ] des lieux, des sites, des montagnes, des carrières, des routes antiques, des positions respectives de villes ruinées, des rapports géographiques, des relations de tous les objets entre eux, des souvenirs, des traditions locales, des usages encore existants, des parallèles et des rapprochements qui ne peuvent se faire que dans le pays meme, [ ] placé là par l'ordre de la nature, qui veut qu'il ne puisse exister que là : le pays fait lui-meme partie du muséum.7 . . .

. . .

Per dirlo in modo diverso, come sottolinea Gilles Bertrand, dal Grand Tour del XVIII secolo fino all'organizzazione dei viaggi turistici a buon mercato, con la pri­ ma agenzia di viaggi del continente, l'agenzia inglese Cook, fondata nel 1 845, l'Ita­ lia ha incarnato l'essenza stessa di ciò che era considerato il patrimonio canonico di ciascuno. Si è trovata, per così dire, incaricata di conservare il patrimonio europeo per conto degli artisti, dei turisti o, quasi a nome collettivo, per tutto il continente. Parallelamente, per una sorta di dialettica facilmente comprensibile, questa storia italiana dei musei si è trovata collegata, fin dalla sua origine e ad un livello sconosciuto nel resto dell'Europa, all'attenzione per il Patrimonio ed il territorio. 5

Emiliani 1 996. 6 Haskell, Penny [ 1 9 8 1 ] 1 984. 7 Quatremère de Quincy [ 1 796] 1 989.

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Dominique Poulot

sione francese, confische diverse o inediti assemblaggi come a Brera - incarnano una rottura evidente con la situazione precedente. Questa storia italiana è dunque - da un capo all'altro - europea, addirittu­ ra mondiale. La situazione dei suoi musei è legata a una eredità storica parti­ colarmente cosmopolita, che si inaugura con il caso singolare delle antichità di Roma "restituite" dal pontefice alla città ed esposte nel Palazzo dei Conservatori al Campidoglio ( 1 47 1) per la più grande ammirazione degli antiquari e degli umanisti europei. Al di là del caso famoso degli Uffizi, aperti liberamente al pub­ blico a Firenze nel 1 769, caso citato ad esempio dagli artisti francesi durante la Rivoluzione, l'Italia ha un ruolo pionieristico nel corso della seconda modernità, tanto con la nozione di "galleria progressiva" che con quella di protezione delle collezioni. 5 Infine, nel 1 784, dopo una decina d'anni di allestimenti diversi, apre le sue porte il museo canonico del neoclassicismo europeo, il Pio Clementina. Frutto dell'investimento personale di due papi, da cui il suo nome, il Pio Cle­ mentina riunisce in una ambientazione, che si vuole "romana" e imperiale, le più belle statue del mondo, quelle di cui tutta l'Europa si era già disputata le copie, prima che l'armata francese se ne impadronisse un "momento" per farne, al Louvre, altrettanti trofei al proprio valore. 6 Che l'Italia stessa non sia nient'altro che un unico museo è un'idea banale, e la formulazione di Quatremère de Quincy per difendere le posizioni del Vaticano e lottare contro le conquiste che gli sembravano annunciare delle rivendicazioni nazionali ne rimane la più ferma espressione per l'epoca contemporanea: [ ] des lieux, des sites, des montagnes, des carrières, des routes antiques, des positions respectives de villes ruinées, des rapports géographiques, des relations de tous les objets entre eux, des souvenirs, des traditions locales, des usages encore existants, des parallèles et des rapprochements qui ne peuvent se faire que dans le pays meme, [ ] placé là par l'ordre de la nature, qui veut qu'il ne puisse exister que là : le pays fait lui-meme partie du muséum.7 . . .

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Per dirlo in modo diverso, come sottolinea Gilles Bertrand, dal Grand Tour del XVIII secolo fino all'organizzazione dei viaggi turistici a buon mercato, con la pri­ ma agenzia di viaggi del continente, l'agenzia inglese Cook, fondata nel 1 845, l'Ita­ lia ha incarnato l'essenza stessa di ciò che era considerato il patrimonio canonico di ciascuno. Si è trovata, per così dire, incaricata di conservare il patrimonio europeo per conto degli artisti, dei turisti o, quasi a nome collettivo, per tutto il continente. Parallelamente, per una sorta di dialettica facilmente comprensibile, questa storia italiana dei musei si è trovata collegata, fin dalla sua origine e ad un livello sconosciuto nel resto dell'Europa, all'attenzione per il Patrimonio ed il territorio. 5

Emiliani 1 996. 6 Haskell, Penny [ 1 9 8 1 ] 1 984. 7 Quatremère de Quincy [ 1 796] 1 989.

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Dominique Poulot

diversi anni di studio, di pazienti ricerche, di lunghi viaggi". Gli rimane l'opzione di "utilizzare almeno i ricordi di un viaggio recente per tracciare una rassegna dei principali musei dell'Italia": questa compilazione darà vita al volume intitolato Les musées d1talie. "Era" confessa "incamminarmi verso lo scopo per una via di traverso, e cominciare lo studio delle Scuole, se non della loro storia; era anche, lo speravo e lo credevo, fare un lavoro utile a quelli che avrebbero visitato l'Italia, a quelli che ne erano ritornati, anche a quelli che si rassegnano a non andarci mai, purché il loro desiderio, la loro soddisfazione o i loro rimpianti abbiano come causa comune il gusto delle arti".8 Così il museo d'Italia può introdurre alla vera conoscenza e, senza intraprendere la grande opera di una storia dell'arte italiana, può almeno farsi cronista delle sue collezioni. I musei d'arte sono stati, come ci indica la situazione del mondo germanico, il luogo di nascita di un tipo di personale che riuniva le competenze del direttore e del conoscitore, del teorico e del professore di storia dell'arte, infine del muse­ ologo in pectore- nel passaggio tra XIX e XX secolo, nella fase d'organizzazione dei musei. Beninteso, tutti questi personaggi più o meno illustri hanno regolar­ mente dovuto raggiungere dei compromessi con la pesantezza o l'insufficienza dell'amministrazione museale, e più ancora con la mancanza di mezzi: qui l'intel­ lettuale ha dovuto costantemente abbandonare la sua "torre d'avorio accademica" per mettere mano alla museografia. La questione si è spesso sviluppata unendo strettamente musei e edizioni d'arte, pubblicazione di testi eruditi o di volgariz­ zazione. Il caso di Venturi è qui degno di considerazione, con la rivista "Archivio Storico dell'Arte" fondata alla fine del XIX secolo. Questa inedita via erudita ha consacrato una parte dei suoi sforzi alla storia del collezionismo italiano sviluppata, in modo inuguale certamente ma regolare, da tutti gli storici dell'arte più o meno legati ai musei dato che queste istituzioni conservavano l'eredità delle collezioni principesche degli antichi Stati italiani dei quali bisognava arricchire, se non produrre, una competente documentazione. Sforzi in ambito di catalogazione, o più generalmente di documentazione, han­ no così segnato un orizzonte museale che rispondeva all'elaborazione progressiva della protezione del Patrimonio. Da questo punto di vista, come ci segnala Sonia Cavicchioli, la sorta di atlante dell'arte italiana a cui giunge la Storia dell'Arte italiana di Venturi è l'erede di una lunga tradizione storiografica. Un'altra configurazione, museale ed erudita insieme, è da ricercarsi nell'am­ bito della storia contemporanea: se mai tale periodo ha visto la nascita di nuovi 8 "je me vis en face d'un ouvrage de si longue haleine, qui exigerait plusieurs années d'études, de recherches patientes, de longs voyages . . . utiliser au rnoins les souvenirs d'un récent voyage pour tracer une Revue cles principaux rnusées d'ltalie . . . C'était, avoue-t-il, rn'acherniner à rnon but par un détour, et cornrnencer l'étude cles Ecoles, sinon leur histoire ; c' était aussi, du rnoins j' en ai l' espoir et la croyance, faire un travail utile à ceux qui vont visiter l'Italie, à ceux qui en sont revenus, à ceux rnerne qui se résignent à n'y aller jarnais, pourvu que leur désir, leur satisfaction ou leurs regrets aient pour cause cornrnune le goflt cles arts". Viardot 1 842 , pp. V-VI.

Prefazione

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musei, questi sono stati proprio i musei del Risorgimento. I l loro esempio con­ sente di ricordare uno dei generi più rappresentativi dell'epoca, ma anche dei più sottovalutati o dimenticati oggi, cioè il museo documentario. Marco Pizzo ricorda giustamente che, nati grosso modo una generazione dopo gli avvenimenti storici collegati all'Unità e per proporne una lettura, essi erano con ogni eviden­ za sprovvisti di collezioni, ma intendevano approfittare di molteplici occasioni, soprattutto di raccolte private, per trasmettere all'opinione pubblica il loro im­ plicito messaggio di sviluppo democratico. N el loro processo di elaborazione è d'altra parte importante osservare all'opera un modello internazionale e moderno di fondazione: quello della creazione di una istituzione permanente a partire da una mostra temporanea. Qui e là, a partire dal decennio 1 880, le esposizioni italiane a Torino, a Roma o a Bologna e a Palermo, sono in effetti l'occasione per riunire delle raccolte e gettare le basi di musei specializzati. Le esposizioni del 1 9 1 1 , consacrate al cinquantenario dell'I tali a unita, sono con ogni evidenza un momento fondamentale, ma è la prima guerra mondiale, interpretata in modo risorgimentale, come scrive Marco Pizzo, che permette verso il 1 92 1 - e con la scelta del Vittoriano come sacrario del milite ignoto - il vero sviluppo di queste istituzioni. In seguito il fascismo prova a confiscare la memoria del conflitto per una interpretazione, secondo i propri fini, dei materiali raccolti. Pizzo sottolinea che questi musei devono essere ormai concepiti all'interno di una più vasta categoria di musei italiani, quelli dedicati agli usi della storia e della memoria, coinvolti da nuove commemorazioni - soprattutto quelle della Resistenza dopo il 1 94 5 - e dalla damnatio memoriae del fascismo. Il caso italiano è partecipe in larga misura anche di un movimento mondiale che vede il museo "di memoria" sostituirsi poco a poco a quello di storia. È la stessa tesi, in fondo, cui giunge Maria Luigia Pagliani nel suo saggio de­ dicato a Vel eia e ai tentativi di Piacenza di riappropriazione del prestigio e delle ricadute turistiche del sito romano in Emilia-Romagna. Questo caso permette di ricordare l'importanza degli investimenti museografici dedicati alla "romanità" da parte del fascismo e in favore di esposizioni di propaganda. Poi i considerevoli cambiamenti del dopoguerra conducono negli anni Cinquanta ad una completa riconfigurazione del luogo e ad una professionalizzazione, sia in termini di studio universitario del sito archeologico sia nell'ambito della volontà di sfruttamento turistico. Rispetto alla valorizzazione dell'antico e alle sfide per le diverse autorità, la museografia del sito di Veleia appare così esemplare di cambiamenti altrove più noti: a Pompei, per esempio, con cui vengono anche abbozzati confronti.

Una continua esemplarità museografica? Come ricorda Sandra Costa, secondo una felice definizione di Pietro Marani a proposito del linguaggio del museo, architettura e museologia hanno una valenza allusiva e fortemente coinvolgente.

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Dominique Poulot

In effetti i musei italiani hanno regolarmente avuto il privilegio, nelle loro differenti età d'oro, di fregiarsi di forme d'architettura e di museografìa tanto considerevoli da rivendicare una sorta di esemplarità. Il caso romano, all'inizio del periodo preso in considerazione, consente di porre la questione della conti­ nuità dei dispositivi museografìci - una continuità che attraversa sicuramente le incertezze politiche dell'Unità e dell'elaborazione di un nuovo Stato e destinata a rimanere lunga e complessa. Rileggiamo Émile Zola, e la sua descrizione della visita di un giovane sacerdote dei musei di Roma: . . . ils arrivèrent enfin au musée des antiques. Ah ! ce musée immense, composé de salles sans fin, ce musée qui en contient trois, le très ancien musée Pio-Cle­ mentina, le musée Chiaramonti et le Braccio Nuovo, tout un monde retrouvé dans la terre, exhumé, glorifié sous le plein jour ! [ ] Trois jours auparavant, il avait visité le musée du Capitole, où il avait admiré la Vénus, le Gaulois mourant, les merveilleux Centaures de marbre noir, la collection extraordinaire des bustes. Mais ici, il retrouvait certe admiration décuplée jusqu'à la stupeur, par la richesse inépuisable des salles.9 . . .

La rievocazione del fastoso ambiente e del suo continuo successo come vero e proprio dispositivo encomiastico all'interno delle sale dedicate allo stile imperia­ le - in opposizione a una sobrietà antica del museo dell'Urbe - può valere come testimonianza del trionfo persistente del modello di museo proposto dal XVIII secolo. In seguito, la contestualizzazione condotta all'interno di alcuni musei archeo­ logici romani quanto nelle period rooms o simili di collezioni private trasformate in musei, a Milano o a Firenze, è la testimonianza di nuove mode internazionali d'arredamento seguite da collezionisti che si ispiravano ad uno "chic, mercantile e ad un gusto mondano degli allestimenti. Il caso, studiato da Delphine Bur­ lot, della collezione Barracco divenuta museo illustra tanto le opportunità offerte dall'aggiornamento del materiale archeologico in occasione di operazioni urbani­ stiche, quanto le risorse che i commercianti potevano procurare ad un collezio­ nista intellettuale. Più in generale, i musei di questo periodo che hanno regolarmente sviluppa­ to delle relazioni nell'ambito dell'Europa cosmopolita, intellettuale ed artistica, offrono nelle loro presentazioni la testimonianza di interazioni e di scambi tra esperti, mercanti e conservatori stranieri. Nei differenti allestimenti si riconosce la circolazione di modelli di illuminazione, di esposizione, di dispositivi di calco. Certo, lo studio della storia degli allestimenti e della messa in scena degli interni del museo si scontra, anche per dispositivi che non sono particolarmente lontani nel tempo, con la mancanza di fonti affidabili, che rendano conto con esattezza della fisionomia delle esposizioni. Come indica Paola Callegari, la mobilitazione 9 Zola [ 1 896] 20 1 4, p. 1 053.

Prefazione

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della fotografia come fonte indispensabile per la storia dei musei è relativamente recente, anche se è stata fin dall'inizio un mezzo ideale evidente per documentare le istituzioni e le loro manifestazioni. Vi si aggiungono la letteratura più o meno specializzata, le incisioni documentarie e le indicazioni delle guide ricordate so­ prattutto da Sandra Costa. Se così, nella seconda metà del XIX secolo, i musei italiani hanno dovuto, nel complesso, iscriversi all'interno di una tradizione di qualità e di ostentazione del fasto, spesso senza soluzione di continuità, è senza dubbio con l'architettura mo­ dernista degli anni Quaranta che i musei italiani del XX secolo hanno raggiunto la loro più grande notorietà internazionale nell'ambito dell'architettura e della museografia. Quest'ultima è per molti aspetti essenziale al persistere della fama dell'istituzione. Pietro Marani studia minuziosamente il lavoro d'elaborazione museografica di una realizzazione sempre citata nei bilanci: quella di Franco Al­ bini a Brera. Nel dopoguerra il caso di Brera è per molti aspetti esemplare dei ne­ goziati, classicamente difficili, tra un direttore di museo, un architetto e gli storici dell'arte o gli esperti conoscitori implicati a diverso titolo nel processo. Certamente contrasti fra persone, generazioni e statuti hanno diviso i prota­ gonisti e sembrano identificare campi opposti. Ma oggi la distanza cronologica consente, come sottolinea Marani, di temperare i contrasti o le divergenze messe in evidenza dai contemporanei dell'impresa per sottolineare, al contrario, la re­ lativa unità modernista dei diversi protagonisti della costruzione di una nuova Brera. Questa è anche l'occasione per prendere atto della scomparsa, più o meno simultanea, nel corso degli ultimi anni o dell'ultimo decennio, della museografia del dopoguerra all'interno di diversi musei.

La centralità del pubblico Il XIX secolo è stato caratterizzato da una diffusione del gusto del pubblico per i musei: la distanza rispetto al passato è evidente se si pensa al quadro ufficiale di Bénigne Gagneraux dedicato alla visita al Pio Clementina di Gustavo III guidata da Pio VI nel 1 784 e lo si confronta con il pubblico qualsiasi dell'iconografia dei viaggi in Italia nel secolo seguente, per non ricordare l'esplosione dei "souvenir" fotografici del XX secolo. I contorni di questa rivoluzione delle visite rimangono tuttavia incerti, poiché non c'è un modo affidabile per quantificare le presenze. Ma una serie di indicatori permette di misurare il fenomeno: come il posto che è loro riservato all'interno delle guide di viaggio. Lo studio condotto da Sandra Costa su "L'Album giornale letterario e di belle arti" permette di comprendere nel dettaglio come funziona nel XIX secolo, all'epoca classica della visita, l'o­ rientamento dei visitatori attraverso l'articolazione di una serie di descrizioni che sono altrettante prescrizioni. In tal modo una visita ideale viene accurata­ mente organizzata sulla carta per essere proposta come sola modalità legittima di fruizione dello spettatore. La maniera in cui la tradizione antiquaria, cara alla cultura vaticana e illustrata in modo esemplare fin dalla fine del XVI II secolo

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Dominique Poulot

nell'ambito del primo museo del Vaticano, viene attivata in modo implicito nei confronti degli altri musei italiani è particolarmente chiara per il caso del Gregoriano Etrusco. Beninteso, la constatazione del nuovo pubblico convocato in questi musei - che va da una aurea mediocritas borghese e nazionale a quella, ben più picco­ lo borghese, della massa dei pellegrini di tutta Europa che si affollavano nelle pensioni di mediocre qualità del Borgo romano - permette di porre la questione dei cambiamenti dell'orizzonte di attesa dell'istituzione. In seguito, accanto al Baedeker, impresa europea e addirittura mondiale, ci saranno i volumi del TCI apparsi nel 1 9 1 4, come ricorda Maria Luigi Pagliani, e che poco a poco avrebbero diffuso in modo nuovo la conoscenza dei musei del paese, con delle aspettative ben diverse da quelle romane. Certamente il prezzo, se pur indiretto, di tali sforzi editoriali è stato che l'im­ magine dell' Italia all'estero si è trovata a lungo associata a quella delle sue collezio­ ni, e quindi alla visione "passatista" di un paese infossato nella sua storia. Contro questi stereotipi hanno spesso voluto reagire i viaggiatori del XX secolo sceglien­ do di interessarsi al paese "reale", quello, in particolare, di cui essi constatavano cambiamenti rapidi, e talvolta inquietanti, come quelli del fascismo: L'académicien Henry Bordeaux, qui entretint toute sa vie une véritable passion pour l'Italie, confessa au début de son compre rendu de voyage à la fin des années 1 920, que trop souvent il était venu en ltalie s'intéresser uniquement aux musées et aux ceuvres d'art sans se préoccuper de l'I talie des vivants . 1° Comme le fascisme se voulait un mouvement novateur et moderne, Henry Bordeaux pensait qu'il fallait désormais pn!ter attention à l'Italie contemporaine et non plus à celle des mOrtS, des reveries et des ruines. Il

Il dopoguerra, a metà degli anni Cinquanta, avrebbe scelto un pittoresco un po' facile rispetto al fardello della cultura. Jean Giono afferma di liberarsi degli stere­ otipi e sceglie di notare, nei musei italiani, l'arte francese del XVIII secolo e, come Stendhal, la gaia disinvoltura dei suoi impiegati: Je suis allé une dernière fois revoir le Musée des Offices. J'ai trouvé au bout de la Galerie un cabinet exigu où l'on faisait la toilette à deux petits Chardin. C'était une tete de garçon et une tete de fille. Je suis resté en con templation devant eux dans le bonheur le plus parfait jusqu'au retour de l'ouvrier (qui était sans doute allé boire un coup) . 1 2

Il commento è ambiguo: può sottolineare la disorganizzazione dell'istituzione, come riconoscere il buon umore della sua gestione delle risorse umane: ci si po10 Bordeaux 1 929. 1 1 Poupault 2009, pp. 67-79. 12 Giano [ 1 954] 2002 .

Prefazione

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trebbe intravedere l'annuncio delle polemiche, proprie alla generazione successi­ va, sul lavoro al museo.

Per un bilancio Giunti così alla fine del periodo cronologico preso in considerazione, conviene porsi la questione dei risultati raggiunti da questi musei, in particolare riguardo al loro disegno pedagogico, che oggi preoccupa molto tanto l'ambiente accademico quanto quello dei conservatori, riguardo agli interessi turistici e di allestimento. Tra i nomi citati nel volume si distingue allora quello di Lionello Venturi, le cui formule su un disegno formativo e non soltanto informativo del museo raggiun­ gono quelle di gran parte della riflessione europea tra le due guerre, da Henri Fo­ cillon agli articoli di "Mouseion" editi dalla Société des Nations. Ma il rapporto nuovo dei musei rispetto ai loro pubblici si disegna appena nei musei italiani de­ gli anni Sessanta, come del resto anche nei vicini paesi europei: a questo riguardo l'inchiesta sociologica di Pierre Bourdieu sui visitatori dei musei francesi, alla fine del decennio, suona come un grido d'allarme di fronte ad una istituzione "chiusa" defacto attorno ad una categoria ristretta di privilegiati. È questa una prospettiva che contraddistingue soprattutto il decennio 1 970, in termini molto diversi - di politica culturale e di democratizzazione della cultura - rispetto a quelli fino ad allora utilizzati. I musei italiani si iscrivono, allora, in nuovi confronti e prospet­ tive europee, se non mondiali, quelle del dopo 1 968, come testimonia la presenza di Pierre Bourdieu nel volume sull'anniversario degli Uffizi all'inizio degli anni Ottanta. 1 3

13 Barocchi, Ragionieri 1 982.

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DISPLAY E DIBATTITI

Musei e display: Roma negli a n n i della "Fata Morga na" Sandra Costa*

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'Ottocento è stato definito il secolo dei musei che, in tutta l'Europa, as­ sumono una rilevanza culturale e sociale sempre più grande continuando nella loro ascesa istituzionale e caricandosi di valori identitari, di apparte­ nenza nazionale e di memoria. Valori, in Italia, in buona parte anche collegati prima alla particolare aspirazione alla costruzione politica del paese, e poi agli esiti del Risorgimento. In modo complementare, e talvolta in concorrenza rispetto al ruolo delle Accademie e a quello delle esposizioni temporanee, che cominciavano ad affermarsi anche come vetrina internazionale, il museo elabora una storia degli oggetti e tramite gli oggetti, ma non solo: fin dalle sue origini, infatti, "le musée est fait de mots autant que d'objets, de circulations autant que de stabilité''. 1 Anche nel XIX secolo, così, l'analisi degli allestimenti e della rappresentazione scenica dei musei può essere utilmente completata con il ricorso ai testi contem­ poranei che, spesso, ne possono offrire una dettagliata descrizione precisamente collegata alle regole ed al gusto del tempo. Negli ultimi anni la prospettiva dei nuovi studi museologici ha sovente spo­ stato il centro dell'interesse dalla storia della costituzione delle collezioni all'anali­ si dell'evoluzione globale del sistema di allestimento individuandone, con un ap­ proccio attento all'antropologia oltre che alla storia dell'arte, i diversi modelli di persuasione, identificazione o conferma culturale proposti dai modelli espositivi e di classificazione. 2 Come ha affermato Dominique Poulot, il museo costituisce un sistema di rappresentazione attraverso il quale si possono interpretare la sto­ ria e i valori di un'epoca: ben lungi dall'essere uno spazio neutro, il museo deve essere considerato un "dispositivo storico" in cui vengono collegate intimamente

" Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. 1 Poulot 20 1 6, p. 6 ed anche Agamben 2007 e Alpers 1 99 1 . 2 Poulot 20 1 6, p . 7.

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cultura materiale, storiografia artistica e patrimonializzazione culturale di uno spazio pubblico. 3 Come in tutta l'Europa, anche in Italia, il museo diventa il "contenitore" in cui si incarna l'immaginazione storica di un'epoca,4 luogo essenziale al suo rin­ novamento ed alla sua permanenza: in questa prospettiva di studi, il più grande rischio è, però, quello di attribuire alle vicende delle collezioni, e a quelle della loro esposizione, una coerenza verosimile, ma solo fittizia e retrospettiva, resa possibile dalla continuità istituzionale.5 Il passaggio dalle esigenze della collezione, fosse quella di un monarca, di un pontefice-sovrano o di un privato, ai principi di esposizione dei musei pubblici, resta ancora oggi uno dei momenti essenziali e più discussi per comprendere esigenze e modelli che hanno portato alla evoluzione del display inteso sia come sistema di allestimento che come "discorso simbolico" collegato alla narratività attribuita alle collezioni. Come è ben noto, gli impulsi all'origine della pratica collezionistica hanno toccato aspetti molto diversi: dalla volontà di mostrare il prestigio del proprio lignaggio o la propria ricchezza attraverso l'esposizione di oggetti rari e preziosi per la loro curiosità o la loro origine, dai sentimenti reli­ giosi alla speculazione, alla volontà di esaltare una nazione e il suo sovrano. Ma, per le collezioni pubbliche, il punto di maggior rilievo si trovava "nel tentativo di rispondere a precise istanze provenienti dagli strati più illuminati mirate alla volontà di appartenere a un popolo, a una nazione, e di chiarire a sé il ruolo avuto nella storia e nei processi storici". 6 Il secolo si era aperto, proprio in Italia, con quella serie di riflessioni, ormai divenute famosissime, di Quatremère de Quincy che, di fronte alle requisizioni dei capolavori romani durante le Campagne d'Italia di Napoleone, aveva imposto all'Europa un dibattito sul valore delle opere in situ, sulla responsabilità collettiva rispetto al futuro del patrimonio7 e, in prospettiva, anche sul rapporto tra musei e territorio che, dopo la cesura dell'età napoleonica, sarebbe stato riconfermato nella politica di Pio IX. Nell'Ottocento anche l'Italia assiste al progressivo passaggio di molte collezioni dalla proprietà, e soprattutto dall'uso del principe o del sovrano, a quella della Na­ zione: il museo diventa luogo in cui si manifestano le aspettative, culturali, ma non solo, della società del tempo: studiare la storia, formare il gusto, educare il popolo, sottolineare le comuni radici identitarie di regioni un tempo politicamente divise, 3 Poulot 20 1 6, p. 3 . 4 Cfr. Poulot 20 1 6, p. 2 . 5 Cfr. Poulot 20 1 6, p . 1 0. In Italia era stata l'ultima discendente dei Medici, con i l celebre Patto di famiglia, nel 1 737, a offrire l'esempio paradigmatico di una collezione ceduta dal principe ai cittadini nella piena consapevolezza del valore culturale, ma anche sociale ed economico, di un tale lascito. 6 Marani, Pavoni 2006, p. 32. 7 Cfr. Costa, Peri ni Folesani 20 1 7, in particolare pp. 1 98-2 1 1 . Per il caso romano in particolare cfr. Capitelli, Grandesso, Mazzarelli 20 1 2 .

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oppure - per Roma - resistere ad una unione politica che era sospinta dai tempi, ma attuata con la forza, costituiscono alcuni dei temi simbolici intorno a cui si sarebbe strutturata l'evoluzione del display degli spazi museali, in luoghi che fino agli anni Sessanta del XX secolo, ed oltre, sarebbero comunque stati vissuti come separati dal quotidiano e dall'ordinario. "Nella trasmissione a un pubblico più vasto delle origini e della ricchezza della storia e della cultura che le erano propri, si era distinto, già nella seconda metà del Quattrocento, il papato"8 progressivamente chiamato, durante il Risorgimento, ad abbandonare il suo potere temporale pur rivendicando la centralità spirituale di Roma rispetto alla Chiesa cattolica. Sulla "monumentomania", di cui Roma fu protagonista dopo il 1 870, esisto­ no molti contributi recenti9 e Giovanna Capitelli ha invece ricostruito con pre­ cisione documentaria il "mecenatismo globale" di Pio IX come risposta vaticana al Risorgimento.10 Nella consapevolezza che il rischio sotteso a questo tipo di analisi resta comunque quello di una idealizzazione retrospettiva del patrimonio, e soprattutto delle scelte relative al suo display, qui si propongono invece alcune riflessioni sulla rappresentazione scenica e l'organizzazione museografica delle sale di alcuni musei romani al tempo della "fata Morgana" 1 1 , cioè al momento in cui l' idea di "Roma Capitale" era per gli uni aspirazione politica, per gli altri illusorio e pericoloso miraggio. La prospettiva scelta è quella dell'analisi privilegiata di una fonte, "L'Album giornale letterario e di belle arti", che, per la coerenza della sua politica editoriale ed il suo pubblico di referenza, costituisce un unicum nel panorama delle riviste italiane del tempo.

l . L'allestimento espositivo come narrazione di valori

Nel 1 47 1 Sisto IV aveva donato al popolo di Roma delle sculture antiche dan­ do origine alla costituzione dei Musei Capitolini seguita, nella seconda metà del Settecento, dalla fondazione del Museo Pio Clementina. Nella prima metà dell'Ottocento, poi, le iniziative di Gregorio XIV e Pio IX avrebbero concluso il percorso, museologico della "Roma dei Papi", un percorso destinato comunque a restare un modello archetipo anche per le nuove e diverse esigenze di rappresen­ tazione, ormai alle porte, di "Roma Capitale" quando lo Stato Pontificio aveva ormai perduto il suo potere temporale. All'inizio della grande avventura museologica collegata all'Unità molti ele­ menti del display erano ancora quelli legati, dalla fine del Settecento ed agli esiti 8 Marani, Pavoni 2006, p. 34. 9 Dopo le iniziative legate ai 1 50 anni dall'Unità d'Italia, si sono aggiunti moltissimi puntuali contributi al repertorio storico di Lars Berggren e Lennart Sjostedt, L'Ombra dei Grandi. Mon umenti e "Politica Monumentale" a Roma (1870-1895). 1° Capitelli 20 1 1 . 1 1 La definizione, che chiarisce come le vicende storiche dell'Unità fossero spesso interpretate nell'ambito dello Stato Pontificio, è in 'TAlbum", 30 novembre 1 850, cfr. Orioli 1 850.

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dell'Illuminismo e poi della Rivoluzione francese, a tutto il XIX secolo europeo. primi dell'Ottocento, infatti, in tutta l'Europa, i musei d'arte, quelli di scienze naturali e i musei di storia obbedivano a analoghi criteri caratterizzati dall'im­ portanza del nazionalismo sostenuto da una strategia della costruzione di una memoria identitaria da un lato e da una visione eclettica dall'altro. 12 Un ruolo privilegiato, a Roma, sembra averlo "l'antiquaria" che, secondo Massimo D'Aze­ glio, era uno dei pochi studi possibili sotto il "governo dei preti": 13 fin dai primi anni del secolo nell'Urbe spiccano figure dal rilievo internazionale da Carlo Fea ad Antonio Nibby, da Ennio Quirino Visconti a Luigi Canina a Canova, tutti de­ stinati a lasciare una traccia nel pensiero e nelle azioni di tutela del patrimonio de­ gli intellettuali della generazione successiva. Tuttavia, come ha affermato Susanne Adina Meyer, "nel corso dell'Ottocento l'immagine, il topos storiografico di Roma 'capitale delle arti' ampiamente condiviso nel secolo precedente, diventa sempre più problematico, fino alla sua negazione"14 secondo un processo che avrebbe creato una frattura storiografica nel ruolo millenario riconosciuto all'Urbe. Come è noto, verso la metà del XIX secolo, anche i musei d'arte e archeologia cominciano ad essere toccati dal rilievo accordato a principi di classificazione e le collezioni vengono strutturate ed esposte secondo coordinate, geografiche e temporali, tese a rendere all'arte una Storia, diversa nel suo sviluppo "lineare" e "razionale" e nelle sue aspirazioni didattiche da quelli che erano stati i principi or­ dinatori del display delle raccolte aristocratiche e principesche di Ancien Régime, più legati alla curiositas e alla virtus del singolo conoscitore e collezionista. Le caratteristiche della museografia ottocentesca sono state individuate, anche in studi recenti, in aspetti talvolta ambivalenti e in qualche modo legati al ro­ manticismo: da un lato il gusto dell'accumulazione e talvolta l'eterogeneità della presentazione, che avvicinava senza troppi problemi il vero al finto e le copie agli originali, dall'altro lo sforzo di classificazione che era stato in qualche modo ereditato dalla fine del Settecento, e che era divenuto importante anche per l'arte, sull'onda del rilievo sempre più grande assunto dai musei di scienze naturali. Anche nella " Roma Pontificia", come poi in " Roma Capitale" e più in ge­ nerale nell'Italia sabauda, l'organizzazione tipica dei percorsi dei musei d'arte e archeologia sarebbe rimasta quella forgiata dal pensiero illuminista e collegata ad una volontà classificatoria fedele alla suddivisione per scuole e aree geografi­ che . 1 5 La credibilità scientifica delle ricerche sull'Antico a Roma nella prima metà Ai

12 Gob, Drouguet 20 1 0, p. 29. 13 Cfr. Taparelli d'Azeglio 1 89 1 , p. 1 26; e Fiumi Sermattei, Regoli, Sette 20 1 7, p. 12. 14 Meyer 2 0 1 2 , p. 1 9 . 1 5 Per lo sviluppo di sistemi alternativi, legati per esempio a proposte tematiche o al recupero di allestimenti evocativi, sarebbe stato necessario attendere la seconda metà del XX secolo, il tornante degli anni Sessanta e gli sforzi di ulteriore democratizzazione della cultura caratteristici dell'attenzione museologica del periodo: cfr. Peltre, Lorentz 2007 e Poulot 20 1 6, p. 1 2 5 . Riguardo alla necessità di un più ampio accesso all'arre cfr. anche Bourdieu, Darbel 1 966.

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dell'Ottocento è stata oggetto di numerosissime ricerche che si sono proposte di contestualizzare i giudizi critici successivi all'Unità. 16 Di fatto, nell'Ottocento, l'affermarsi dei primi concetti di allestimento "museologici" e storicistici avrebbe portato verso un diverso modo di fruizione lontano da quell'idea di meraviglia che aveva caratterizzato buona parte del secolo precedente, almeno fino all' affer­ mazione dei principi illuministi e questo nonostante alla "meraviglia" del visita­ tore, e soprattutto dello straniero, si facesse costante riferimento. I criteri del "consumo" e della "distinzione" sono ormai comunemente accet­ tati per analizzare l'azione storica dei diversi attori del museo: conservatori e poi storici dell'arte o archeologi da un lato ed il pubblico dall'altro. Dalla metà del XIX secolo, i sempre più complessi orizzonti d'attesa degli spettatori hanno portato, nel tempo, alla nascita di due opposte interpretazioni del museo in bilico tra la co­ struzione di sé e quella della Nazione, tra museofilia e museofobia. 1 7 Per antiquari eruditi, ma anche per borghesi di media cultura o turisti curiosi, l'esposizione delle collezioni diventa racconto: uno spazio "narrativo" che si sviluppa secondo aspetti materiali e simbolici per sostenere una particolare interpretazione dell'arte, della storia, della realtà: un approccio antropologico può accompagnare ormai anche la riflessione sugli oggetti e la cultura materiale espressa nei musei dell'Ottocento. Il percorso che in un museo scandisce l'allestimento delle collezioni, si può quindi essere considerato come una "narrazione": l'organizzazione delle sale rac­ conta, secondo un itinerario che spesso è lineare e quindi artificiale, una storia che grazie all'allestimento offerto alla cultura materiale diventa "la" Storia. Anche il ritmo della visita dipendeva in buona parte dall'organizzazione dello spazio: nel XIX secolo l'accumulazione era sinonimo di ricchezza, e specialmente in ambito archeologico, restava la norma. Soltanto nella prima metà del XX le esposizioni si sarebbero sottratte a questo principio, dando contemporaneamente maggiore importanza alle riserve dei musei prima quasi inesistenti. La coerenza del reale, che già era stata inseguita nell' Idea del theatro, 18 e poi da Samuel Quiccheberg19 e dai cabinet di curiosità in modo simbolico, diventa oggetto di una organizzazione sempre più logica e razionale, basata su una cultura materiale - artistica, archeologica e tecnica - studiata e visibile dal vero. La messa in scena degli spazi espositivi presenta gli oggetti secondo principi che si vogliono scientifici, e già in qualche modo didattici, ma in cui le esigenze culturali e perfi­ no fisiche del "pubblico qualunque" restano, generalmente almeno, un elemento secondario. A partire dai Salon francesi del Settecento, l'Europa aveva elaborato uno spazio laico ed urbano in cui il giudizio sull'opera d'arte era considerato aperto al pub­ blico ed alla sua riflessione: Jiirgen Habermas ha visto in questo momento il pun16 Cfr. almeno Settis 1 984- 1 986 e Pinto, Barroero, Mazzocca 2003. 17 Basti pensare ad alcuni esempi celebri di intellettuali da Quatremère de Quincy a Paul Valéry. 18 Camillo 1 5 54. 19 Quiccheberg 1 565 .

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to di avvio del riconoscimento istituzionale del giudizio sull'arte del pubblico.20 Analogamente il museo dell'Ottocento si sviluppa come luogo di conservazione delle opere d'arte ma, in modo complementare, anche come spazio di sociabilità. Tuttavia, riprendendo le opinioni di Bruno Foucart, Paul Rasse ha affermato che il museo europeo verso la seconda metà dell'Ottocento sacralizzava gli spazi per sterilizzare il dibattito e fare di un luogo di discussione un luogo di silenzio.21 Nel display - forma di rappresentazione e di auto-rappresentazione - che si costruisce attraverso i rapporti nazione-oggetto, istituzione-oggetto, spazio-og­ getto, le collezioni assumono al rango di "patrimonio", proprio perché hanno attraversato la soglia simbolica del museo, accedendo contemporaneamente ad un valore universale e ad una legittimità al di fuori di ogni aspetto effimero di moda e di gusto. Ma il sistema espositivo dei musei diventa strumento di divulgazione di gusti estetici e contenuti scientifici senza che, il più delle volte, vengano messi in que­ stione i concetti selezionati e proposti o le motivazioni della loro scelta. Infatti, si sarebbe dovuto aspettare la fine del XIX secolo perché la museologia esprimesse nuove aspirazioni legate a una migliore chiarezza della comunicazione, a sistemi espositivi capaci di sostenere una volontà didattica, di classificazione, di ricono­ scimento degli originali dalle copie. In tutta l'Europa il museo aspirava così a diventare luogo d'insegnamento, di istruzione e di edificazione morale. 22 Per questi motivi tra il "fare galleria" tipico delle collezioni private, che la letteratura artistica ci descrive come caratterizzato da discussioni tra pari e da un rapporto ravvicinato e talvolta addirittura tattile con le opere, e la visita al museo ottocentesco si modificano le regole di condotta che impongono invece atteggiamenti di silenzio e di riserva tipici dell'approccio didattico e "sacrale" che si sviluppa nei musei.23 Negli anni della costruzione dell'Unità d'Italia, sia le aspirazioni del Risorgi­ mento che le opposte resistenze dello Stato Pontificio elaboravano una storia ma­ teriale collegata ad una patrimonializzazione della cultura che proponeva, tramite l'arte, la costruzione di una storia concepita come memoria e, soprattutto, come memoria identitaria, proposta come pubblica perché strutturata in spazi pubblici e perché identificata in quanto interpretazione comune al di là delle diverse emo­ zioni suscitate dai singoli oggetti nei differenti spettatori. 24 Di fronte ad una debolezza politica e militare, che lo rendeva vittima "del processo di costruzione di una nazione alla conquista della propria capitale",25 20 Habermas 1 996. 21 Rasse 1 999, p. 95; cfr. Foucart 1 994, p. 1 22. 22 Cfr. Georgel 1 994. 23 Riguardo al divieto di toccare e alla sua evoluzione cfr. Candlin 2008. 24 Poulot 2 0 1 6, p. 23; sul rapporto tra storia e memoria resta fondamentale la ricerca di Pierre Nora, Les Lieux de Mémoire [Nora 1 984- 1 992] . 25 Capitelli 201 1 , p. 2 .

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lo S tato Pontificio risponde con la presentazione della sua storia millenaria, se­ condo una strategia che sarà per altro recuperata anche dal Regno d'Italia in op­ posizione alla risoluta rivendicazione della propria "modernità" di capitali come Londra e Parigi. 26 L'inaugurazione in Vaticano del Museo Gregoriano Etrusco, nel 1 837, e poi nel 1 839 del Museo Gregoriano Egizio, nel 1 844 del Museo Gregoriano Profano al Laterano, nel 1 85 4 del Museo Cristiano Lateranense, e perfino la Protomoteca Capitolina, sono altrettante tappe che testimoniano quella attenzione all'arte e all'archeologia antica, e poi soprattutto paleocristia­ na, che avrebbe fatto della creazione di n uovi musei un momento strategico del­ la articolata politica culturale dello Stato Pontificio, e della visione delle n uove sale - allestite tanto per i cittadini dell'Urbe che per i visitatori stranieri - una esperienza estetica e civile imprescindibile, almeno fino al 1 870, quando con "Roma Capitale", diverse esigenze, e nuovi musei "nazionali" avrebbero mo­ dificato le finalità politiche di molte istituzioni e, almeno in parte, l'orizzonte d'attesa degli spettatori. 27 L'interesse antiquario si allarga alle antichità preromane sulla scia di preceden­ ti settecenteschi soprattutto a partire dal pontificato di Leone XII,28 ma assume valenze simboliche e politiche mentre la cultura antiquaria si muove in sinergia con le esigenze delle istituzioni governative ed accompagnando l'azione di acca­ demie e la contemporanea diffusione della cultura antiquaria dei periodici:29 Come una persona che si esprima disponendo in un certo ordine le parole oppor­ tune, i musei possono parlare ai visitatori, articolando un vero e proprio discorso.30

Queste indicazioni, date ormai per scontate nel mondo contemporaneo, erano ugualmente valide nel XIX secolo benché, forse, perseguite con minore consa­ pevolezza teorica. L'allestimento delle raccolte dello Stato Pontificio era già una interpretazione, attiva e non neutra, del discorso scientifico e sociale proposto al visitatore. Come hanno indicato, tra gli altri, anche Vittorio Falletti e Maurizio Maggi: La messa in scena spettacolare dei reperti è un elemento cruciale per un'effica­ ce comunicazione del museo ma nasconde a sua volta insidie nuove. I percorsi espositivi possono assumere le conformazioni più varie e nessuna è neutrale nei confronti del messaggio che trasmetteY

26 Cfr. Costa 20 1 3, pp. 1 8-29. 27 Sulle diverse competenze e aspettative storiche o contemporanee del pubblico sono state svolte ricerche di differente impianto metodologico, cfr. Davallon 2000. 28 Cfr. Del pino 20 1 7. 29 Cfr. Caperna 20 1 7, p. 1 1 4; Tamblé 1 997, pp. 759-78 1 . 3° Falletti, Maggi 20 1 2 , p. 78. 31 Falletti, Maggi 20 1 2 , p. 83.

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Abbandonata quindi l'idea di una presunta neutralità, tanto degli allestimenti che delle testimonianze proposte dalle fonti storiche analizzate di seguito, ci si può quindi concentrare sui valori e le modalità di rappresentazione che lo Stato Pon­ tificio elaborò per alcuni suoi musei negli anni dell'Unità e che rimasero modello archetipo anche quando Roma divenne capitale d'Italia.

2.

Linee guida per un pubblico borghese: "L'Album giornale letterario e di

belle arti"

In modo complementare all'analisi del display e delle scelte curatoriali che ne sono all'origine, la storia dell'arte, soprattutto a partire dagli ultimi anni del No­ vecento, si è interessata anche alle modalità del vedere al museo.32 Nonostante i numerosi, e in qualche modo paternalistici sforzi di molti rap­ presentanti della cultura, la presentazione dei musei d'arte e archeologia doveva rivolgersi, durante tutto il XIX secolo, in priorità alle élite.33 Nella difficile ricerca dell'equilibrio tra funzioni opposte, tra diletto e educazione, tra dimensione pri­ vata e pratiche collettive, il display è elemento essenziale della politica museale e della "riconnotazione" degli oggetti: la ricognizione storica di alcuni casi romani può così essere utile non solo ad oltrepassare le note polemiche ideologiche tra "vincitori e vinti", ma consente anche di osservare elementi di continuità nel modo in cui l'Urbe - pontificia o sabauda che fosse - proponeva la propria virtus e la propria civitas all'Europa. "La fonte primaria per la ricostruzione del ruolo svolto dalla città del Papa e dal suo peculiare sistema artistico è certamente rappresentata dai periodici, ogget­ to peraltro di numerosi studi negli ultimi anni che ne hanno evidenziato il ruolo centrale nel transfert culturale in ambito europeo".34 "L'Album giornale letterario di belle arti" venne pubblicato, sotto la direzione di Giovanni de Angelis, tra il 1 83 5 e il 1 862 coprendo quindi gli anni del pontificato di Gregorio XVI e poi, almeno parzialmente, quelli del pontificato di Pio IX. Un periodo che costituì un momento di grande cambiamento per lo Stato Pontificio, ormai destinato a confrontarsi con gli esiti del Risorgimento e l'Unità d'Italia. La rivista, in qualche 32 Il XX secolo avrebbe poi avuto due grandi momenti di evoluzione rispetto all'interesse per il pubblico: il primo, negli anni tra il 1 920 e 1 930, che si sarebbe concluso con l'importante partecipazione italiana alla conferenza di Madrid del 1 934, il secondo alla fine degli anni Sessanta, che avrebbe visto nascere tutte le problematiche legate alla nuova museologia e alla democratizzazione e mondializzazione della cultura quanto al progressivo sviluppo del turismo culturale; cfr. Bourdieu, Darbel 1 966, Bourdieu 1 968 , Alpers 1 99 1 e Poulot 20 1 6, p. 1 2 1 . 33 I n Italia, come i n rutta l'Europa, l a fine dell'Ottocento vede i l museo d'arte inserirsi all'interno di un sistema collegato alla memoria del passato e all' affermazione del gusto, della creatività e dell'artigianato nazionali e non è raro il caso, come a Bologna o a Milano, di musei direttamente collegati all'attività delle Accademie di belle arti. 34 Meyer 2 0 1 2 , p. 1 9.

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modo portavoce del consenso rispetto alla politica capitolina, costituì lo specchio dei costumi culturali della borghesia colta del tempo, di una borghesia "benpen­ sante" abituata ad avere letture e notizie vagliate da una attenta censura pontificia e verificate come consone e rispettose di una ortodossia politica e morale.35 I temi trattati dalla rivista sono molto vari e, benché gli aspetti letterari siano i più sviluppati, un posto di rilievo fu offerto anche all'arte, all'archeologia, alle arti minori ed ai musei dello Stato Pontificio. Il periodico, spesso completato da in­ cisioni calcografiche di un certo pregio, si dimostra particolarmente interessante perché unisce alla descrizione letteraria del display dei nuovi musei romani, una attenta resa d'insieme di alcune sale tramite illustrazioni cui viene esplicitamente offerto un ruolo alternativo al testo36• Tra le molte firme prestigiose troviamo, ed esempio, Giuseppe Gioacchino Belli e Giuseppe Melchiorri, presidente dei Musei Capitolini.37 Modelli internazionali per il periodico romano furono cer­ tamente il Magasin pittoresque e il The Penny magasine38 e, per le sue particolari caratteristiche, la rivista costituisce un esempio unico tra le realizzazioni giorna­ listiche dell'epoca. Come sottolinea Dominique Poulot, sulla scorta di Gérard Lenclud, dall'e­ poca del Grand Tour in avanti, "vedere" significava soprattutto "riconoscere" le opere dal vero grazie ad una precedente esperienza letteraria39 e, in questo senso, l'azione de "L'Album" è stata certamente significativa tanto che, per la loro stessa struttura, alcuni testi possono essere immaginati come "guide alla visita" per il pubblico. La nozione di apertura dei musei al pubblico ha tuttavia bisogno di acquisire, per ogni caso, dettagli specifi c i: infatti, almeno fino alla seconda metà dell'Ottocento, i musei erano riservati soprattutto alla formazione degli artisti e consentivano allo spettatore qualunque solo un accesso limitato. Comunque, la frequentazione delle loro sale, in tutta l'Europa, era di fatto spesso limitata ad alcune categorie sociali, soprattutto studenti e intellettuali, signore della buona società o anziani colti che potevano dedicare un tempo significativo alle pratiche culturali.40 Come si è visto, è nella prima metà del XIX secolo che " Roma si rinnova" nel suo ruolo di fulcro degli interessi artistici, antiquari, archeologici,4 1 non solo gra­ zie a italiani di respiro internazionale ma anche all'eco europea che gli "stranieri", ormai più laici che devoti, continuavano ad offrirle.42 Intanto le vedute delle sale 35 A Carmela de Falco si deve una analisi complessiva riguardo alle pubblicazioni dell"'Album" e alle questioni letterarie ad esse inerenti, cfr. De Falco 200 l . 36 Tra i vari illustratori sono stati ricordati Luigi Piroli, Gaetano Gottafavi e Giovanni e Agostino Nini, cfr. De Falco 200 1 , p. 1 3. 37 De Falco 200 1 , p. 2 1 . 38 De Falco 200 1 , p. 14. 39 Poulot 20 1 6, p. 39; Lenclud 1 99 5 . 40 Rasse 1 999, p. 56. 4 1 Tetti 20 1 7, p. 271 . 42 Tetri 20 1 7, p. 273 ; cfr. De Seta 1 982.

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dei musei romani iniziano ad accompagnare quelle dei più noti monumenti nelle opere dedicate al viaggio in ltalia.43

Il Museo Gregoriano Etrusco Sono gli anni in cui i musei di archeologia trovano forme di indipendenza e di relativa autonomia rispetto a quelli di storia dell'arte. La "riscoperta" degli Etru­ schi nello Stato Pontificio doveva molto anche ad alcune iniziative internazionali come l'esposizione londinese del 1 83 7, la prima mostra europea dedicata agli etruschi:44 Il Museo gregoriano etrusco del Vaticano, inaugurato il 2 febbraio del l 8 37, fu l'esito di un rinnovato interesse per la civiltà degli Etruschi variamente manife­ statosi nello Stato della Chiesa agli inizi dell'Ottocento ed esploso nel corso degli anni '20, in piena coincidenza temporale col pontificato di Leone XII, con una serie di clamorose scoperte nelle necropoli di Tarquinia e Vulci.45

Nella rivista il Museo Gregoriano Etrusco, arricchito dai reperti provenienti dalla necropoli di Vulci, è oggetto di diverse dettagliatissime descrizioni, gli articoli in questo caso anonimi - sono spesso centrati sul "valore di erudizione" offerto dal museo pontificio: lmperciòche il fiore ed il meglio di tali etrusche scoperte si andava sempre con gelosa cura acquistando a i pontifici musei. E quando il dottissimo munifico sovrano che ne governa apprezzando la somma utilità della riunita antica sup­ pellettile tutta la volle ordinata e disposta a nuova gloria e splendore della sua Roma; si vide in brevissimo volgere di tempo sorgere come d'incanto il museo gregoriano.46

"Ordinare" e "disporre" a gloria e splendore di Roma diventano parole chiave di una museologia identitaria che si esprimeva attraverso un metodo di cata­ logazione e una dispositio che era allestimento e insieme narrazione storica. Il ruolo della precisa descrizione letteraria delle sale è immediatamente rivendi­ cato con chiarezza facendo riferimento anche alla diffusione internazionale del periodico: [ . . . ] e noi riceviamo invito non solo dagli associati stranieri ma da quelli dell'Italia e di Roma, a non volere essere soverchiamente brevi in cosa di tanta importanza, e di tanta gloriaY

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Cfr. Hakevill 1 820. Delpino 20 1 7, p. 1 83, e il catalogo dell'esposizione Gli Etruschi e l'Europa 1 992. Delpino 20 1 7, p. 1 75 . 'TAlbum", 24 marzo 1 838, p . 1 8 . 'TAlbum", 24 marzo 1 838, p. 1 8 .

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I l prefetto dei Palazzi Apostolici, Adriano Fieschi,48 maggiordomo di Sua Santità, viene elogiato per essere riuscito a far sì che il nuovo museo riuscisse "eguale al sovrano volere e alla pubblica aspettazione";49 questa l'indicazione, che affianca al volere del pontefice l'orizzonte d'attesa del pubblico, è un aspetto di grande modernità. Le descrizioni del museo offerte dal periodico, che il lettore-spettatore consultava dopo aver ammirato l'incisione che rappresentava la veduta d'insieme di un ambiente, procedono in modo lineare di sala in sala. Infatti, come negli in­ ventari di molti palazzi aristocratici, la descrizione del display si sviluppa in modo "topologico" e seguendo l'ordine di reperti disposti secondo tipologie e materiali: A chi entra nel Museo Gregoriano si offrono nel primo vestibolo allo sguardo tre figure recumbenti, muliebre l'una e le altre virili [ . ] L'andito che siegue contiene molti cinerarj in alabastro volteranno, e nell'ordine superiore un buon numero di teste fatte in argilla [ . ] Le cose di plastica si veggono riunite nella camera attigua che prende nome dalla statua di Mercurio collocata quivi nel mezzo . Opera di raro magistero che rivide la luce dagli scavi di Tivoli [ . . . ] Incominciano nella seguente camera i vasi dipinti [ . . . ] In questo rapido cenno non possiamo però tacere del bello e rarissimo vaso che dà nome a questa camera detta del vaso di Bacco. Sta questo collocato sopra un pregevole rocchio di alabastro orientale.50 . .

. .

Come si può notare il testo offre diverse indicazioni anche riguardo agli accor­ gimenti, per così dire museografici, tesi a favorire la fruizione delle opere come tavole, piedistalli, ecc.: Ora entriamo nella camera dei bronzi, della quale si vede la forma e la disposizione nella tavola posta a principio di questo articolo. Questa vastissima sala può dirsi con verità contenere essa sola tale raccolta da fo rmare un vero museo. Qui è la statua militare in bronzo scoperta in Todi: statua che mancava all'archeologia e all'arte: monumento che non ha pari, né forse lo avrà, per il tipo che ci offre dell'arte nazionale: a quale accresce celebrità la epigrafe scolpitavi, interpretata di tanti modi e col sussidio di lingue tanto diverse [ . ] .5 1 . .

La descrizione si sviluppa quindi seguendo l'ordine di visita e secondo una sorta di "gerarchia qualitativa" che rivolge una certa attenzione anche a ciò che è dispo­ sizione, e alla sua classificazione, negli armadi: Poi facendosi ad esaminare quanto adorna le pareti e le tavole di marmo che in giro vi sono, si veggono specchi scritti e graffiti, esprimenti rare mitistorie e pale­ ografìe utili all'avanzamento della cognizione dell'etrusco linguaggio . Si veggono 48 Adriano Fieschi dei conti di Lavagna e San Valentino, nato a Genova nel 1 788 e morto a Roma nel 1 8 58, fu prefetto dei Sacri Palazzi Apostolici, governatore di Castel Gandolfo e cardinale presbitero di Santa Maria della Vittoria. 49 'TAlbum", 24 marzo 1 838, p. 1 8 . 50 "CAlbum", 24 marzo 1 838, p. 1 8 . 5 1 'TAlbum", 24 marzo 1 838, p. 1 8 .

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in due armadi riuniti in grandissimo numero arnesi di piccola mole, leggiadri frammenti, ornati, stringili, vasi, che a volerli tutti accennar solamente vi sarebbe da non finire. 52

Di un certo interesse il rapporto tra originali e copie che si viene strutturando e anche l'indicazione dell'importanza che le copie delle pitture etrusche hanno nel display del museo. Da notare come ormai il problema della conservazione, almeno della memoria delle opere, fosse questione degna dell'attualità culturale: Di questa sala, un andito, dove sono infisse etrusche iscrizioni, conduce a vastis­ sima camera. In essa stanno disposte tutt'attorno le copie in perfetta simiglianza delle etrusche dipin ture che si veggono in sepolcri di Tarquinii e di Vulcii [ . . . ] Certo fu provvido consiglio il serbare una fedele immagine di questi affreschi, che per essere condotti in su di un rivestimento ben fragile, e soprattutto per la lunga età che hanno durato, giornalmente deperiscono.53

L'emulazione rispetto ai musei delle altre regioni italiane, e la rivendicazione della grandezza di Roma, si esprimono anche nell'attenzione agli espedienti tecnici, per così dire proto-museografici, adottati per far vedere compiutamente le decorazioni dei reperti. Ci si avvicina talvolta a concetti di presentazione mo­ derni che tengono in conto la fruibilità degli oggetti per il pubblico, tanto che "l'elegante machinetta" inventata dall'architetto Gaspare Salvi54 diventa motivo di vanto: All'emiciclo succede la camera delle tazze. Sono certamente le tazze si per la forma e si per le dipinture le più singolari e leggiadre fra la variata suppellettile delle an­ tiche stoviglie. Dipinte nell'interno del pari che nell'esterno offrono una doppia composizione all'occhio del riguardante. Ma da questa stessa speciale condizione degli ornamenti di esse, si derivava una grande difficoltà a ben collocarle. Quindi si tentarono in altri musei maniere diverse, che tutte però difettavano di alcuna cosa. Una elegante machinetta inventata dal eh. signor cavalier Gaspare Salvi, architetto dei sacri palazzi apostolici, il quale ha diretto quanto è di cose di archi­ tettura nel nuovo museo, ha pienamente soddisfatto a quanto si era per lo addietro vanamente desiderato. La tazza collocata sovressa può volgersi in ogni modo, e vedersi in ogni sua parte, così esterna come interna. In questa camera sono tutte disposte in questo leggiadro ed utile modo . E ben questo si conveniva al sommo pregio che tutte hanno per il lato della erudizione, o per quello dell'arte; e spesso ancora per ambedue. Situate secondo l'ordine delle rappresentanze, come lo sono gli altri vasi tutti delle camere soprannominare [ . . . ) .55

52 'TAlbum", 24 marzo 1 838, p. 1 9 . 5 3 "I..:Album", 2 4 marzo 1 838, p . 1 9 . 5 4 I.: architetto Gaspare Salvi ( 1 786- 1 849) fu personaggio d i spicco della cultura architettonica romana della restaurazione impegnato anche nelle operazioni di restauro del Colosseo. 55 'TAlbum", 24 marzo 1 838, p. 1 9 .

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La visita degli ipogei etruschi era fin dall'epoca di Piranesi una esperienza che risultava alla moda specie tra gli stranieri colti impegnati nel Grand Tour.56 Ma va poi ricordato che 'Tetruscheria, avrebbe avuto, come ricorda Filippo Delpino, esiti importanti "anche a livello di gusto e arti applicate,.57 Probabilmente una delle indicazioni di maggiore interesse riguardo al display strutturato per il Museo Gregoriano Etrusco riguarda l'allestimento fittizio di una intera tomba etrusca. Ormai il docere delectando, che era stato uno dei criteri principali per l'allestimento delle collezioni, non sembra più sufficiente e si tenta l'esperienza di uno spazio immersivo, in fondo non diversa da quanto l'expografia contemporanea stava realizzando nelle esposizioni universali o attraverso la gran­ de moda dei diorama: Ultima presso all'andito dei cinerarii scolpiti in alabastro di Volterra si vede la imitazione di un etrusco sepolcreto . Lo spettatore vi si trova trasportato nel fondo di una escavazione. Quindi si offre al suo sguardo un sepolcro, la porta del quale è custodita da due antichi leoni scolpiti in nenfro, tolti da una tomba di Vulci, dove erano in ugual maniera collocati.58

A questo riguardo si può sottolineare che quando Pio IX, nel 1 867, presenta lo Stato Pontificio all'Esposizione universale di Parigi, che già accoglieva anche il padiglione dedicato a Firenze capitale d'Italia, lo fa proponendo la ricostruzione fedele e "concettualmente simile, dal punto di vista museologico, degli spazi delle catacombe di San Callisto. 59 Pochi mesi dopo la rivista dedica un secondo articolo al Museo Gregoriano Etrusco, ed una seconda incisione, poiché la sala dove erano state collocate le tazze era stata riallestita. Questa attenzione all'attualità espositiva dimostra un interesse preciso non soltanto alla qualità delle opere, ma anche al modo e al metodo della loro collocazione. La trasformazione delle sale, in fondo giudicate anguste rispetto all'importanza e alla quantità delle opere, in una "vasta galleria, viene registrata con puntuale diligenza e il nuovo display offerto alle raccolte è considerato mezzo per sottrarre all'oblio l'intera collezione: Nella prima disposizione data dell'etrusco museo stavano le tazze collocate in una apposita camera, e questa non grande. Noi ne descriveremo l'ordine e l'adorna­ mento nel precedente articolo. Ma cresciuto da un lato per nuovi acquisti e nuovi ritrovamenti il numero di cosìffatte preziose stoviglie; ed essendo dall'altro mai sem­ pre intenta la munificenza del regnante Gregorio XVI in aumentare lo splendore di questo suo museo, è avvenuto che il locale subisse mutazione. Le camere che lo 56 Basti pensare all'importanza dei modelli etruschi nelle arti applicate del primo Ottocento, cfr. Delpino 20 1 7, p. 1 77; Cristofani 1 98 5 ; Rak 1 98 5 . Antonio Nibby, William Geli e il giovane Luigi Canina rilevarono molti monumenti di Veio, cfr. Delpino 20 1 7, p. 1 82 . 5 7 Delpino 20 1 7, p. 1 76. 58 "CAlbum", 24 marzo 1 838, p . 20. 59 Cfr. Capitelli 20 1 2 e Capitelli 20 1 3.

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suddividevano hanno fatto luogo ad una vasta galleria. Che tal nome può adattar­ si adesso a questa parte dell'etrusco museo, non edificata di nuovo, ma di nuovo vendicata dall' obblivione; tornando la a quella ampiezza nella quale il pontefice Pio IV l'aveva fatta costruire [ . . ] Delle tazze che farsi bella mostra in questa galleria, collocate ciascuna su d'una delle macchinette acconce a mostrare l'esterna dipintura e l'interna di esse stoviglie, diremmo ora alcune delle ben molte erudizioni e consi­ derazioni, che destano nella mente di chi con dotto sguardo prende a considerarle. 60 .

Lo scopo poi dell'organizzazione d'insieme del museo viene rivendicato secondo indicazioni che sono in larga misura politiche: diffondere cioè nel panorama in­ ternazionale la prova della virtus e della erudizione del sovrano pontefice, capace di vincere sul piano culturale la difficoltà dei tempi, in fondo quella del Risor­ gimento, ed anche del binomio Risorgimento-Rinascimento, portando a termi­ ne l'allestimento di un museo pubblico che viene contemporaneamente definito come necessario, utile e glorioso: [ . . ] acciò si diffonda per ogni dove la prova della beneficenza di un principe, che vincendo con la grandezza e magnanimità dell'animo la difficoltà stessa dei tempi, ha potuto intraprendere e recare a perfetto fine un'opera tanto utile, tanto necessaria e tanto gloriosa. 61 .

Il terzo articolo dedicato al Museo Etrusco, questa volta a firma di Francesco Orioli,62 è del 30 novembre 1 850, quando ormai regnava Pio IX, ed è redatto come relazione ad un dono fatto dal pontefice al museo quindi, ancora una volta, come puntuale descrizione dell'accrescimento delle collezioni. Uno degli aspetti di maggior interesse dell'articolo, però, non è il diligente riscontro alle variazioni delle sale e dell'allestimento, quanto l'attenzione che già viene portata a una sorta di "consuetudine" con i luoghi e soprattutto all'esperienza di uno spazio di visita fatto di contenitori e contenuto, di meraviglia dello spirito, ma anche di stan­ chezza fisica del visitatore: [ . . ] io mi recava sono or pochi giorni, al Vaticano, e giuntovi, comeche ciò fosse per la millesima volta, non potei difendermi da quel sentimento di stupore che ne­ cessariamente invade l'animo di qualunque non è Beoto, all'aspetto di quelle moli superbe, e di quella profusione di magnificenze. Trascorsi il colonnato. Fui nel tempio. Ascesi al palagio. Mi piacqui a stancare il passo per le sale della biblioteca, pe' corridoi del museo, per le aule in che si scomparte, e sto per dir si disperde, per tutti i luoghi ove, adunati i tesori di Roma antica, sembra che Roma moderna getti a quella un guanto di sfida e la chiami a gara di grandezze.63 .

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'TAlbum", 2 giugno 1 838, p. 97. 61 "I..:Album", 2 giugno 1 838, p. 99. 62 Francesco Orioli ( 1 783- 1 8 56) fu professore di Fisica all'Università di Bologna, interessato dall'etruscologia fu particolarmente stimato da Pio IX che gli attribuì diversi incarichi istituzionali. 63 Orioli 1 8 50, p. 3 1 3.

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L'idea d i una Roma che, attraverso i suoi musei, costruiva u n ponte ideale tra i se­ coli ed in cui antico e moderno trovavano una uguale dignità, rimane fondamen­ tale anche perché ciò costituisce il reale filo rosso della strategia espositiva da un lato, e di quella descrittiva dall'altro, si struttura infatti l'idea di una storia "ultra mirabile" realizzata sotto "l'i m pero pacifico della fede cristiana", un'opzione che avrebbe poi portato - nel Museo Cristiano Lateranense - all'idea di una antica Roma cristiana che, nella fede, poteva vincere quella antica e pagana. Scrive Fran­ cesco Orioli, già massone e "graziato" dal pontefice, che può essere considerato espressione dell'ala moderata e più conservatrice del liberalismo romano:64 O negherò a me stesso, per abituarmi a negarla agli altri, tutta una storia; la storia ultra mirabile di quel che fu per noi, per questa Roma, per l'Italia, per l'Europa, per il mondo, il nuovo impero pacifi c o della fede cattolica qui ponente ferma sede e qui sostituentesi al torbido impero della violenza? E dissimulerò di questa Roma cristiana le maraviglie (dico in una età di materialisti le materiali) , quando disarmata, e pressoché con le braccia conserte, e senza mutar passo, ormai la debo­ lezza opponendo alla forza, fu pur potente con quattordici secoli di prodigi a farsi argine agli unni, a respingere vandali e goti, a rattenere le orde longobardiche [ ] a non permettere all' Italia di cessare d'essere italiana e latina [ . . . ] . 6 5 . . .

Quella che potrebbe sembrare una digressione storica, posta nel mezzo della de­ scrizione di una visita alle sale del museo etrusco, assume connotati di più chiara attualità prima con il riferimento alle campagne di Napoleone, poi con quello alle aspirazioni del Risorgimento all'Unità e a Roma capitale: [ ] certo finiva Roma inghiottita con tutta l'Italia da alcuno de'suoi potenti vici­ ni d'oltralpe; mentre in questa vece attinse pur sempre dalla potenza del pastorale una forza di resistenza, e di giustizia che, collocata al centro della bella penisola nostra, valse a mantenere esso centro e per esso le altre terre nell'indipendenza e nell'autonomia [ ] O ciechi e nemici del paese loro que' che desiderar possono l'estinguersi del secondo impero che pur c'è restato! O pubblici nemici, che per la speranza di veder un di' Roma capitale di tutto il bel paese dove il si suona, voglio­ no ridotte a nulla Napoli, Firenze, Torino, altre antiche metropoli già purtroppo scadute dalla loro altezza!66 . . .

. . .

I musei vati cani costituiscono, nello spirito dell'autore, un baluardo alla barbarie e il loro costante arricchirsi li rende unici al mondo. La cultura, quindi, e soprattutto ancora una volta il passaggio della memoria dall'antico al moderno, diventano uno strumento politico per rivendicare il ruolo internazionale dello Stato Pontificio: Sebbene il secolo antecedente a questo fu, nel finire, secolo di decadenza e di cala­ mità [ . . ] Sebbene questo stesso, che or giunse a metà del suo corso, passi memo.

Cfr. Dizionario Biografico degli Italiani, 20 1 3, ad vocem. 65 Orioli 1 8 50, p. 3 1 4. 66 Orioli 1 8 50, p. 3 1 5. 64

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rando alla posterità, per le spaventose catastrofi a che tutta l'Europa assoggettò, e più che altre contrade la nostra, pure dieder essi a Roma, anzi al mondo, appendici degne de' secoli migliori, il Museo Pio Clementine, il Chiaramonti, il Gregoriana­ no, unici su tutto il globo e ogni giorno accresciuti di nuove giunte!67 [ ] A questa guisa pensando, eppur muovendo passo dietro passo a bell'agio, aveva di nuovo trascorso le sale egizie, e m'introduceva nelle etrusche (due delle ultime addizioni fatte sotto i nostri occhi a dì nostri); ed ecco mi ferisce la vista l'artificioso e ben composto armadio che innanzi all'ingresso dell'aula dei bronzi e de metalli lavorati, presentasi a chi entra; bel concetto dell'esimio e celebrato sig. cav. commendatore, e direttore generale de' musei, insigne statuario Giuseppe de Fabris. 68 • • •

L'armadio in questione serviva alla raccolta di alcuni reperti di Pompei donati da Ferdinando II di Borbone re di Napoli, ma in questo contesto, più del dono - da sovrano a sovrano - che testimonia del vivere dinamico delle collezioni del mu­ seo, è di un certo rilievo - ancora una volta - l'attenzione posta agli aspetti muse­ ografici: a quell'armadio realizzato da Giuseppe de Fabris69 dove si "compongono concetti". Trova ampio riscontro anche l'epigrafe latina, realizzata da Salvatore BettF0 in onore di Pio IX e di Ferdinando Il. Insomma, una vetrina che, da sola, sembra una sintesi di alleanze "antirisorgimentali" pontificie e borboniche. Dopo lunghe descrizioni l'articolo si avvia alla conclusione così com'era ini­ ziato: offrendo una serie di considerazioni politiche sulla "fata Morgana" delle aspirazioni sabaude e sui rischi politici e culturali di volere Roma come capitale di una I tali a unita: Saziata così la vista col fin qui indicato accrescimento di fregi, di che il museo s'è fatto testé ricco me ne tornai: né però posi fine al soliloquio che le considerazioni con le quali aveva cominciato ponevanmi nella lingua del pensiero. Io era triste di tutta quella tristezza che ad ogni uomo onesto dee mettere in cuore l'orribile con­ dizione dei tempi sconvolti e turbolenti in che viviamo. lo mi voltava indietro a ri­ guardar l'immensità dell'edifizio poco dianzi !asciatomi dopo le spalle, degno rivale della immensità del colosseo, e delle terme [ . . . ] Scacciamo dunque i Papi di questa lor sede per la meschina e vaghissima speranza di trasformare la città nostra nella capitale di una Italia da rigenerarsi con l' esterminio della metà delle generazioni che ci vivono; e facciamo con ciò ch'ella (dico Roma) cessi intanto d'essere la capitale del cattolico impero [ . ] A che felicità di condizione saremo allora venuti, e che diverranno tutte le odierne bellezze di questa Roma, vedova del suo presente impe­ rio, per correr dietro alla fata Morgana d'un regno, che prima d'essere (se potesse . .

67 Orioli 1 8 50, p. 3 1 5 . 68 Orioli 1 8 50, p. 3 1 5. 69 Giuseppe de Fabris ( 1 790- 1 860) fu scultore di prestigio nel panorama del suo tempo, direttore dei musei e gallerie pontificie e reggente perpetuo della Congregazione dei virtuosi al Pantheon; di lui vengono ricordati soprattutto il monumento a Palladio eretto a Vicenza e il bassorilievo con la Deposizione dalla croce per il Vaticano. 70 Salvatore Betti ( 1 792- 1 882) fu professore di storia e mitologia presso l'Accademia di San Luca e presidente della Pontificia Accademia romana di archeologia dal 1 8 57 al 1 870.

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anche essere) dee necessariamente restare per un tempo indeterminato [ ] proba­ bilmente per sempre, un'ipotesi [ . . ] un desiderio [ . ] una follia monomaniaca.71 . . .

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All'indirizzo politico, scontato visto il contesto di edizione, però, si accompagna­ no anche alcune considerazioni che negli anni seguenti l'unità d'Italia dimostre­ ranno, purtroppo, una loro certa lungimiranza di giudizio: non certo quelle rela­ tive alla distruzione del Campidoglio o del Laterano, ma il puntuale riferimento alle ragioni economiche della dispersione del patrimonio artistico, ecclesiastico e non solo, mentre il dibattito parlamentare di fine Ottocento stentava ad approva­ re il progetto di una legge unitaria:72 Saranno deserte le basiliche, chiuse e ridotte a inutili sale la più parte delle bellis­ sime chiese. I capilavori d'ogni maniera si venderanno a farne denaro [ ] Non abbiamo udito noi con le nostre orecchie che la tenerezza del conservare i portenti dell'arte era follia, perché l'ingegno italiano avrebbe di leggieri con nuove opere di suprema bellezza riparato la perdita delle vecchie distrutte? [ ] E non abbiamo udito con le nostre orecchie, che Vaticano, e Campidoglio, e Laterano , e quanto è ovunque di più cospicuo negli edifici avevasi a distruggere con mine?73 . . .

. . .

Anche "L'Album", però, come tutte le riviste del tempo, può essere letto in filigra­ na e in qualche caso le assenze - il silenzio assenso? - hanno un ruolo di grande ri­ lievo: come ha giustamente sottolineato Carmela de Falco "forse l'occultamento di maggior peso è costituito dal silenzio sullo scandalo Campana, che veramente do­ vette tranciare in due fronti l'opinione pubblica dell'Urbe":74 la raccolta del mar­ chese Giovanni Pietro Campana, alienata per volere di Pio IX nel 1 857, "in palese violazione delle norme di tutela prescritte dal chirografo di Pio VII Chiaramonti del 1 802 e dell'editto del cardinal camerlengo Bartolomeo Pacca nel 1 820" .75

Il Museo Gregoriano Egizio del Vaticano Dalla metà del Settecento, in tutta l'Europa, si era sviluppato un interesse per l'ar­ cheologia e la storia extraeuropee che, però, era diventato più forte e certamente di maggior attualità dopo le campagne napoleoniche in Egitto. 76 La descrizione del nuovo Museo Gregoriano Egizio in Vaticano inizia propo­ nendo l'immediato parallelo con i musei delle altre città capitali, e all'ozio erudito si oppongono "lo studio e la comune utilità" : Non vagano più ora di fatto gli occhi degli eruditi, dai quali sono visitati i musei delle città capitali, non vagano più quasi oziosamente intorno alle statue, ai basso71 72 73 74 75 76

Orioli 1 8 50, p. 3 1 9 . Cfr. Volpe 20 1 3 , p . 6 0 e segg. ed anche Boltanski, Esquerre 2 0 1 4 . Orioli 1 8 50, p. 320 . D e Falco 200 1 , p . 43 . De Falco 200 1 , p. 45. Cfr. Liverani 1 999, pp. 45-64 e Botti, Romanelli 1 95 1 .

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rilievi, alle stelle, alle simboliche pitture, alle un tempo enimmatiche iscrizioni pro­ venienti dall'Egitto; ma contemplasi questi preziosi cimelj, si studiano con assidu­ ità, si copiano, e produconsi tutto giorno a comune utilità ed ammaestramento?7

Riconosciuto come ovvio motore dell'iniziativa, che aveva fatto riunire in Vatica­ no buona parte dei monumenti egizi di Roma, è il pontefice per opera dell'allora maggiordomo e prefetto dei sacri palazzi apostolici, Francesco Saverio Massimo/8 coadiuvato dal direttore generale dei musei e gallerie pontificie Giuseppe Fabris: Il collocamento e la distribuzione però di tanti e tra loro vari oggetti, richiedevasi tale da assecondare le mire e lo scopo illuminato del sommo pontefice. Penetrò completamente le sovrane intenzioni S .E.R. Monsignor Francesco Saverio Mas­ simo maggiordomo e prefetto dei sacri palazzi apostolici, il quale, dati gli ordini opportuni per l'esecuzione dell'opera, rimaneva di trovare un acconcio partito all'uopo; e questo concepì con felicità e con altrettanta prestezza eseguillo il sig. Cav. G iuseppe Fabris [ . . . ] .79

"La valenza allusiva e fortemente coinvolgente del linguaggio dell'architettura ai fini delle ideologie del museo"80 sarebbe stata chiaramente individuata fin dai pri­ mi anni del XIX secolo, e sarebbe stata poi stata portata a definitivo compimento da Whilelm von Bode nel Kaiser Friedrich Museum di Berlino, tramite l'idea che "le opere vadano contestualizzate in ambienti che ricostruiscano, o almeno rievo­ chino, gli ambienti originali dai quali esse provengono".81 Questo il contesto cul­ turale all'interno del quale sembra operare, con precocità progettuale, Giuseppe Fabris nella realizzazione di sale in "stile egizio" e che creavano quindi una sorta di continuità tra contenitore e contenuto, evocando allo spettatore gli ambienti e magari le funzioni primigenie: Sotto la sua direzione [di Giuseppe Fabris] furono allestite quattro magnifiche sale, oltre la galleria ad emiciclo, e cinque camere; della decorazione delle quali in istile egiziano convenientissimo alla loro destinazione noi non facciamo qui paro­ la, giacché l'incisione in rame che ne rappresenta lo spaccato, meglio che il nostro dire, commenda il valo re del suddetto cavaliere [ . . . ] . 82

La descrizione della quarta camera offre spunti di un certo interesse: i pap1n sono appesi come quadri alle pareti della stanza con una collocazione - forzata e 77 Luigi Maria Ungarelli ( 1 779- 1 845), barnabita ed orientalista, fu il primo conservatore del Museo Egizio al Vaticano. Ungarelli 1 839a, p. 393. 78 Il cardinale Francesco Saverio Massimo ( 1 806- 1 848) fu il fondatore della Pontificia Accademia romana di Archeologia. 79 Ungarelli 1 839a, p. 394. 80 Marani, Pavoni 2006, p. 4 1 . 81 Marani, Pavoni 2006, p. 42 . 82 Ungarelli 1 839a, p. 394.

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in qualche maniera impropria - ma immaginata affinché l'occhio del pubblico potesse passare dall'uno all'altro, favorendo l'analisi parallela dei testi e delle tipo­ logie di scrittura: se la vocazione alla ricerca del museo tramite il confronto delle opere viste dal vero è ormai convalidata anche da elementi funzionali e strumen­ tali allo studio, come le tavole disposte per lavorare a "bell'agio", l'insistenza su tali aspetti si collega invece alla volontà politica di sottolineare il valore didattico ed educativo dell'istituzione: Trentadue e più sono i papiri scritti [ . . . ] adornano questi all'intorno le pareti della quarta camera dopo la galleria delle mummie già detto l'emiciclo e sono collocati per modo che l'occhio possa discorrere dall'uno all'altro dei quadri che so tto cristalli li contengono, non solo; ma per agevolare la collazione di quelle varie fogge di scrittura esprimenti perlopiù lo stesso testo del rituale funebre [ . . . ] sono disposte tavole marmoree per ogni lato della camera, dove possa lo studioso confrontare, copiare, o raccogliere varianti a suo bell'agio.83

Anche per il Museo Gregoriano Egizio "L'Album" propone dei resoconti che sono guide precise e puntuali alla visita e ne organizzano anche le priorità in modo "didascalico": L'osservatore potrà fissare particolarmente gli occhi sulle rappresentazioni del qua­ dro VII lettera A, quadro VII I e il quadro XIV. 84

Come era già avvenuto per gli altri musei vaticani, anche per le sale egizie si vuo­ le confermare il rilievo di Roma rispetto ai grandi musei delle capitali europee. Impresa certo non facile rispetto al museo di Berlino, al Louvre o al museo egizio di Torino, ma l'impasse viene risolta tramite il concetto di imitazione, in fondo dell'importanza delle copie romane, realizzate secondo lo stile egizio: E noi e proseguendo a percorrere il nostro museo troveremo una novella, benché indiretta, prova dell'inganno di quanti hanno finora giudicato a torto di que­ sto genere dell'arte egizia nel rappresentare la figura umana. Noi gl'invitiamo ad entrare nella maggiore sala contigua a quella dei leoni, ornata essa pure in vaga novità alla foggia egiziana, per osservare i monumenti con sagace avvedimento dispostivi dal prelodato direttore dei musei vaticani il sig. cav. Fabris. Sono questi i monumenti chiamati d'imitazione, lavorati cioè, in Roma sullo stile egizio all'età degli imperatori, dei quali la più parte ornarono già la villa tiburtina di Adriano. Per tale singolarissima collezione al museo Vaticano dovranno cedere la palma il Britannico, il museo di Berlino, quello del Louvre, il Torinese e quanti altri anni in Europa musei egizi [ . . . ) .85

83 Ungarelli 1 839a, p. 394. 84 Ungarelli 1 839a, p. 390 . 85 Ungarelli 1 839a, p. 396.

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Come contemporaneamente avveniva anche nell'ambito della storia dell'arte me­ dievale e moderna il comparativismo si afferma come il sistema critico-metodo­ logico di maggiore attualità: La questione si riduce al giudizio degli occhi della mente di chi sa vedere e paragonare. E non è meno utile questa collezione delle opere di imitazione per la parte della rappresentanza degli animali a rettamente giudicare, per via di confronto , dell'arte puramente egizia. Imperciocché fatto imparzialmente il pa­ ragone tra lo scalpello egizio ed il romano, se quello non vince, vinto non è certamente. 86

Ancora una volta, evidentemente, la priorità della cultura romana, o per lo meno la sua possibilità di rimanere alla pari con le più alte forme della cultura antica ­ ma l'idea che si vuole diffondere tramite il testo e la descrizione delle sale è anche di quella contemporanea - diventa cardine di una descrizione del display inerente agli allestimenti quanto ai soggetti e alle tecniche che si potevano osservare e stu­ diare grazie alle raccolte. Tuttavia, affinché la collezione egizia del Vaticano po­ tesse essere considerata come veramente completa, le mancavano testimonianze dell'architettura ma, a partire da un singolo capitello tebano, si riesce a proporre il confronto tra arte egiziana ed arte greca "da essa derivata": Anche col mezzo di questo solo membro di architettura [un capitello proveniente da Tebe del secondo ordine di architettura] potranno gli studiosi fare degli uti­ li confronti collo stile greco dall'egizio derivato, valendosi particolarmente delle osservazioni del Lepsius su questo proposito. Il suddetto capitello tebano fa di sé mostra nella galleria delle mummie. 87

In realtà, anche in questo caso, la messa in scena spettacolare dei reperti secon­ do una impostazione cronologica suggerisce l'idea di un processo evolutivo, in qualche modo lineare, ma certamente non neutro. Nel passaggio dall'anti­ quaria alla storia che avrebbe caratterizzato la metà del secolo, si promuove un criterio cronologico alternativo alla tradizionale lettura estetica:88 l'approccio filologico si afferma progressivamente come l'unico legittimo per l'arte quanto per l'archeologia. 89 Anche il secondo articolo che viene dedicato al Museo Gregoriano Egizio in Vaticano, del settembre 1 839, è a firma del barnabita Luigi Maria Ungarelli, l'incisione rappresenta "la grande sala delle opere di imitazione" che, fin dall'i­ nizio, era stata individuata come punto cardine nell'ambito della "narratività" 86 Ungarelli 1 839a, p. 396. 87 Ungarelli 1 839a, p. 397. 88 Riguardo ai motivi amministrativi che hanno favorito questo aspetto cfr. Mannoni 20 1 7, pp. 2 1 1 -22 1 , sulle loro origini cfr. Sgarbozza 20 1 3, p. 2 1 3 . 89 Strozzieri 20 1 7.

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del museo perché destinata a spostare l'attenzione dello spettatore dall'Egitto a Roma: Dopo aver taluno soddisfatto, percorrendo da buon osservatore il nuovo museo Gregoriano-Egizio, la propria curiosità; avviene di leggieri che, nel porre da ul­ timo il piede nell'aula di cui vogliamo qui ragionare, resti tra meravigliato e per­ plesso. Ché a dir vero maraviglia gli si desta in vedendo la inaspettata decorazione della sala e la copia de' monumenti ivi contenuti: dubita d'altra parte se tutti gli oggetti che in complesso gli si schierano sotto degli occhi, malgrado qualche ana­ logia con le opere di scalpello egizio da lui testé ammirate possano veramente a noi essere stati recati dall'Egitto. Ma per poco che discorra con l'occhio, e intorno intorno osservi più attento, quasi ad un cambiamento di scena è fatto accorto che una nuova foggia di arte ha prodotto queste sculture [ . . ] E più altre assai sono le diffalte di stile in questi lavori da convincere un uomo mediocremente esperto che il gusto romano si è con l'egizio frammischiato. 90 .

La descrizione del display del museo procede con una sorta di climax fino a quello che può essere considerato il centro simbolico del percorso di autorappresen­ tazione del museo: il busto marmoreo del sovrano, in questo caso di Gregorio XVI. L'opera era stata realizzata da Giuseppe Fabris e collocata sopra una scultura rappresentante il Nilo: Ricondottosi da ultimo l'osservatore nel mezzo, ed alzando gli occhi alla parete tra le due porte laterali, gli viene veduto il marmoreo busto di Chi, protettore essendo d'ogni sapere, promuove con incomparabile zelo la nuova scienza a lui debitrice della sua vita in Roma: dico il busto del sommo pontefice Gregorio XVI felicemente regnante, opera eseguita dal signor cavaliere Giuseppe Fabris direttore generale dei musei e gallerie pontificie al Vaticano . Massimamente che non è sen­ za convenevolezza la sua collocazione sopra il simulacro del Nilo, che sollevando dalle onde il capo, ed appoggiandosi sul fianco sinistro, pare che accenni all'alta cagione del chiaro lume che un giorno da Roma spargerà l'egittologia a sempre nuovo lustro della cattolica religione.91

Il pontefice diventa così vero e proprio deus ex machina di una museologia in cui l'egittologia viene applicata alla religione cattolica ed è funzionale all'inserimento dell'una e dell'altra nell'attualità culturale europea, ma anche nella cruciale pole­ mica con la casa sabauda.

Nuovo Museo Gregoriano Lateranense Il progressivo valore assunto dall'archeologia e dall'arte antica nella cultura eu­ ropea dell'Ottocento è all'origine della descrizione del nuovo Museo Gregoriano Lateranense. In questa occasione "L'Album" indica come l'archeologia "è dive90 Ungarelli 1 839b, p. 22 5 . 91 Ungarelli 1 839b, p . 227.

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n uta fiaccola alla storia intellettuale e politica delle nazioni" e come "rianimata da questa novella vita adempie la sua epoca intenta a chiarire le ragioni de' tempi, a conoscere le relazioni tra le opere, e di pensieri, tra il passato ed il presente dell'u­ mana famiglia".92 E qui è certamente interessante individuare il modo in cui vie­ ne proposta una stretta relazione tra cultura e politica e come la "munificenza" del pontefice venga esaltata grazie alla creazione di un Museo Laterano in fondo nato "discernendo il bello dal sacro".93 Anche qui la descrizione è topologica e procede di sala in sala offrendo particolare risalto alle opere più famose come, per esem­ pio, all'Antinoo o al Sofocle di cui la rivista propone anche due separate incisioni. Se viene riservato un certo risalto ai calchi del Partenone che Giorgio IV re d'Inghilterra aveva donato a Pio VII in realtà, però, lo spazio più ampio viene offerto a delle rivendicazioni storico politiche: I francesi gridarono la croce al lord rapitore di quei marmi, come se lo spogliare che essi fecero l'Italia de' suoi capi lavori fosse bella gloria! Almeno quell'amba­ sciatore non divinando l'attuale civiltà ed indipendenza greca, strappò dalle barba­ re mani de' turchi, che potevano disperderle quelle sublimi sculture che esaminate da un Canova illustrate dal Visconti e sparse in modelli di gesso ammiransi ne' musei, educatori anch'essi de' studiosi al bello antico. Ma che sperare togliendo all'Italia i suoni artistici ornamenti se non un vano fasto ai popolosi musei? La prepotente forza può rapirne le opere, non mai l'onore.94

Fabio Torre, il colto articolista,95 non esita a citare Leopoldo Cicognara e Pietro Giordani per dare più peso alle sue considerazioni, tutte tese a rivendicare la grandezza e la creatività italiane. Come era avvenuto per l'archeologia, anche per l'arte del Rinascimento e del Seicento, presente nelle sale superiori del museo, agli originali si accostano copie di opere ad affresco come la Deposizione dalla croce di Daniele da Volterra o il Sant'Andrea di Domenichino, riproduzioni realizzate dal pittore romano Giovan­ ni Silvagni96 per "conservare la memoria di quei capi d'opera i quali incarnati ai muri possono con essi a grave discapito delle arti deperire"97 e che sono una effi­ cace testimonianza dell'importanza che le questioni sulla tutela e la conservazione del patrimonio avevano ormai assunto. L'articolo termina con una indicazione che è significativa per il sistema di autorappresentazione del museo: 9 2 Torre 1 844, p. 233. 93 Torre 1 844, p. 335. 94 Torre 1 844, p. 279 . 95 Federico Torre ( 1 8 1 5 - 1 892) è una classica "figura di passaggio": tenente nell'esercito pontificio, entrò a far parte delle armate piemontesi e nel 1 884 venne nominato senatore del Regno d'Italia. 96 Giovanni Silvagni ( 1 780- 1 85 3) . 97 Torre 1 845, p. 2 .

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Convenientemente collocato, vedi nella parete di fondo di questo salone il busto in marmo del regnante pontefice Gregorio XVI, cui spontaneamente rivolgi un grato senso d'animo riconoscente dopo esserti beato nelle meraviglie delle età tra­ scorse da questo sovrano pontefice con tanta cura raccolte.98

Insomma, qualunque fosse il museo di cui la rivista si occupa, anche a distanza di anni, la conclusione della narrazione è sempre analoga poiché, in un crescen­ do, 1' occhio dello spettatore e indirizzato, alla fine, verso il busto del pontefi­ ce. E questo benché su Gregorio XVI non mancassero testimonianze ironiche, come quella scritta da Giuseppe Gioacchino Belli in un sonetto intitolato Papa Grigorio e li scavi,99 dove l'autore ironizza proprio sull' incompetenza antiquaria del pontefice: " Bbene!", disceva er Papa in quer mascello De li du' scavi de Campo-vaccino: " Ber buscio! bbella fossa! bber grottino! Bbelli sti serci! tutto quanto bbello! E gguardate un po' lH cquer capitello Si mmejjo lo pò ffa uno scarpellino! E gguardate un po' equi sto peperino Si nun pare una pietra de fornello!" E ttrattanto ch'er Papa in mezzo a ccento Archidetti e antiquari de la corte Asternava er zu' savio sintimento, La turba, mmezzo piano e mmezzo forte, Disceva: "Ah! sto sant'orno, ha un gran talento! Ah, un Papa de sto tajjo è una gran zorte" 100

Musei di mineralogia e di fisica Papa Pio IX avrebbe continuato l'impegno museologico del suo predecessore aprendo nel 1 854 le sale del Museo Cristiano Lateranense destinate ai materiali provenienti dalle catacombe e dalle basiliche di Roma e allestendo, tra il 1 8691 870, la Galleria dei santi e dei beati nell'appartamento di Pio V. 101 Nel 1 86 1 , la grande serie di incisioni del volume Le scienze e le arti sotto il pontificato di Pio IX 102 offre un panorama dei più significativi interventi cultu98 Torre, 1 845, p. 3. 99 De Falco 200 1 , p. 7. 1 00 Occasione del sonetto era stata la visita del pontefice, il 1 3 marzo 1 835, agli scavi di Campo Vaccino. La visita si era conclusa con la rimozione dalla carica di sovrintendente del cardinale camerlengo Galeffi. 101 Questa particolare iniziativa, destinata a conservare e rendere fruibili opere anche collegate alle "produzioni minori" come gli stendardi dipinti per le canonizzazioni e le beatificazioni, è illustrata nelle incisioni del volume Le scienze e le arti sotto ilpontificato di Pio IX, 1 86 1 . 1 02 Le scienze e le arti sotto il pontificato di Pio IX, 1 861 {archivio generale storico delle scuole pie AGSM MM IV 47) .

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l . Orto Botanico, in Le scienze e le arti sotto ilpontificato di Pio IX, Roma, 1 86 1

rali del pontefice: accanto al ricordo di alcuni ritrovamenti celebri come quello della statua di Cesare Augusto a Prima Porta o della statua di Ercole rinvenuta a palazzo Pio (figg. 1 -7) , troviamo l'orto botanico e l'osservatorio del Collegio Romano sulla chiesa di Sant'Ignazio ma anche il Museo di Fisica e quello di Mineralogia. L'idea, chiaramente definita, è come ormai la scienza avesse trovato un suo ruolo, importante, nell'attualità romana ma anche quanto questa attua­ lità continuasse ad ancorare il progresso e l'ingresso nella modernità a solide radici antiche. Il ruolo della cultura scientifica a Roma, e la sua pari dignità nei confronti delle ricchezze museologiche e artistiche dell'Urbe, è più volte rivendicato anche rispetto al contrario giudizio degli "stranieri". I musei, gabinetti, collezioni colle­ gati alle scienze naturali, vengono elogiati, in modo peraltro abbastanza banale, per la quantità e qualità dei loro reperti, ma il complesso e talvolta ambiguo rapporto tra antico al moderno, tra arte e scienza, viene proposto con chiarezza: Che Roma oltre i suoi incomparabili monumenti architettonici di venticinque se­ coli contenga i più copiosi, magnifici e ricchi musei di belle arti antiche moderne, etrusche, egiziane, greche e romane, è una verità che è inutile ripetere. Alcune cir­ costanze però potrebbero indurre qualche estero a credere, che le scienze naturali in compenso vi siano poco coltivate, o riguardate con occhi di diffidenza, e così, che non esistano, owero siano in quantità e qualità non rimarchevoli i musei, i gabinetti e le collezioni degli oggetti relativi. Noi però che possiamo in senso di

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verità conoscere le istituzio ni, il genio e i cimelii di questa città eterna possiamo dimostrare la fallacia di tale credenza, premettendo alcuni generali riflessi. 103

Il Museo di Mineralogia, ampliato ed arricchito di gemme minerali "per la mu­ nificenza del regnante sommo pontefice papa Pio IX" a vantaggio dell'università romana, costituisce certamente la prova di un atteggiamento che, anche in am­ bito museologico, si stava evolvendo; come sempre "L'Album" riflette le nuove tendenze e il loro display: Il museo è formato di cinque vastissime sale, disposte secondo il sistema del ce­ lebre Havy. Prima sala si ammira una ricchissima monografia cristallografica di minerali disposti secondo il metodo del Dufrenoy [ . . ] I G ruppi non si ristrin­ gono alle produzioni indigene, che sono ricchissime, e per la quantità, e per la svariatezza de' cristalli, ma ancora alle esotiche, che oltre lo avere quelle comuni a tutti i cultori di questa scienza, ne contano più rari, che non si rinvengono ne' gabinetti cristallografici delle più celebri università. 104 .

Come è evidente sono cambiati i contenuti del museo ed anche l'ambito scientifi­ co della ricerca, diverso perfino il metodo di disposizione delle sale, che segue cri­ teri scientifici e talvolta corografici, ma il messaggio simbolico rinvia comunque a questioni identitarie e all'emulazione culturale internazionale in cui la città aveva deciso di inserirsi: "Roma può andar superba di possedere un museo mineralogi­ co che è il più ricco, ed ammirato d'ltalia". 105 Questo tipo di messaggio è confermato anche da Domenico Bonanni autore del saggio dedicato al Museo nel volume Le scienze e le arti sotto il pontificato di Pio IX: Che se v'ha per certo oggidì nell'Europa musei più vasti e più copiosi del nostro questo per la qualità, per la rarità, per la varietà, per la eletta delle spezie che con­ tiene, e per la sapiente loro classificazione, accattasi l'ammirazione dei dotti d'ogni paese; e nella nostra Italia non solo può esser messo al paragone co' più celebrati musei, ma tutti di lunga mano li sopravanza. 106

Il volume offre complementi interessanti anche rispetto a quanto indicato da "L'Album" riguardo ad elementi museografici. Risulta, come già era avvenuto nel caso del Museo Etrusco, una precisa attenzione alla realizzazione delle vetrine co­ struite per una facile e agevole fruizione da parte del pubblico: non solo i reperti dovevano essere "a vista d'occhio" ma la disposizione e la luce dovevano essere "acconce", era necessario poter ammirare con diletto e senza disagio i minerali, come un'opera d'arte o un reperto archeologico: 103 104 105 106

Camilli 1 846, p. 379. Chimenz 1 8 58b, p. 1 2 . Chimenz 1 8 58b, p. 1 3 . Le scienze e le arti 1 86 1 , Museo di Mineralogia, s.p.

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2. Osservatorio del Collegio Romano, in Le scienze e le arti sotto ilpontificato di Pio IX, Roma, 1 86 1

3. Ritrovamento della statua d i Cesare Augusto a Prima Porta, in L e scienze e le arti sotto i lpontificato di Pio IX, Roma, 1 86 1

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4. La statua di Ercole rinvenuta a Palazzo Pio, in Le scienze e le arti sotto il pontificato di Pio IX, Roma, 1 86 1

5. Sala III del Museo di Mineralogia, in L e scienze e le arti sotto i lpontificato di Pio IX, Roma, 1 861

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6. Museo di Mineralogia, in Le scienze e le arti sotto ilpontificato di Pio IX, Roma, 1 86 1

7. Museo d i Fisica, i n L e scienze e le arti sotto i lpontificato di Pio IX, Roma, 1 861

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Perché poi la intiera collezione contenuta nel nostro museo possa gradevolmente presentarsi all'occhio delle persone, e la vista dei vari obiettivi non venga alterata, od in qualche parte impedita per manco di luce, o per disacconcia disposizione, sono stati costruiti appostatamente e con particolare foggia degli armadi di legni pulitissimi guerniti per ogni parte, eziandio nella parte superiore, di lastre di cri­ stallo, nei quali armadi allogati lungo le pareti, o nel mezzo delle sale, son disposti in vari ordini i varii saggi delle spezie de' minerali, sicché possano con diletto e senza disagio osservarsi. 107

Non solo, si segnala anche una precisa volontà didattica verso il pubblico, per quell'osservatore "qualunque" che avrebbe potuto - finalmente - conoscere e riconoscere i reperti grazie ad idonee didascalie che lo rendevano libero di percor­ rere il museo "senza abbisognare di scorta e d'insegnamento": Su molte delle spezie contenute in queste sale è già posta, e sarà quindi posta eziandio sulle altre una scritta dinotante il nome, la qualità ed il luogo onde cia­ scuna sostanza è nativa, sicché l'osservatore possa a sua posta ammirarle e cono­ scerle, senza abbisognare di scorta e di insegnamento. 108

Però, da un'altra prospettiva, a contrario, non solo risulta l'immagine del museo come "cantiere culturale" in corso con una situazione espositiva e didattica non completata, ma una dinamica del rapporto istituzione-pubblico in cui diverse sale rimanevano effettivamente fruibili solo con la presenza e il supporto di un guardiano, o meglio, di un docente. Come per il caso dei musei archeologici "L'Album" offre attenzione al contenitore e al suo costruttore: [ . . . ] l'architettura vaga, e maestosa, è stata ideata dal sig. Cav. Busiri romano [ . . ] Nella sala più grande vedesi il monumento in marmo del pontefice Pio VII fondatore del museo. Tutto spira magnificenza, e maestà per essere santuario alle scienze. 109 .

In analogia con quanto avveniva per le arti, quindi, e come si è detto in perfetta sintonia con le dinamiche europee, il museo è assimilato al "tempio". Ma non solo, diventa anche luogo di studio e di progresso, di elaborazione e divulgazione della scienza; così, quando si segnala la costruzione da parte di Pio IX del nuovo Museo di Fisica dell' università romana, se ne sottolineano la vastità e la forma, ma anche aspetti collegati alla sua fruizione come la funzionalità e l'accoglienza dei visitatori. 1 10 107

Le scienze e le arti 1 86 1 , Museo di Mineralogia, s. p. Le scienze e le arti 1 86 1 , Museo di Mineralogia, s.p. 109 Chimenz 1 8 58b, p. 1 3 . 1 10 "il quale sia per la sua esposizione, sia per la sua forma, sia per la sua vastità, sia per la sua comodità, e per la sua indipendenza dell'accedervi, niente lasciasse a desiderare", 'TAlbum", 20 febbraio 1 8 58, p. l . 108

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Secondo la tradizione editoriale della rivista, non mancano indicazioni col­ legate ad elementi museologici e museografici, ma questa volta più che alla son­ tuosità e in qualche modo alla "retorica" del display, l'accento viene posto su elementi più moderni, relativi alla comodità del fruitore come la luce o l'aria, il calore, il libero accesso: Il nuovo museo fisico, fu costruito nel piano superiore dell'edificio dell'università romana, ed occupa tutto un lato esposto a mezzogiorno dell'edificio medesimo. I molti e vasti ambienti del museo stesso ricevono copiosa luce dall'alto, e ciò riesce molto utile per illuminare gli stromenti, qualunque sia la collocazione dei medesi­ mi. Inoltre questi ambienti essendo molto elevati, ed in uno spazio libero, possono godere di un'aria la più conveniente a molte ricerche di fisica. Per altra parte a provvedere che il calore della stagione estiva, non divenga soverchio negli ambienti medesimi, si è fatto in guisa, con un opportuno congegno, che le grandi aperture superiori da cui entra la luce, possano perfettamente chiudersi per mezzo di piani inclinati scorrevoli a piacere. Con questo modo tutto il museo può conservarsi nella perfetta oscurità, la quale in molte esperienze di fisica è pur necessaria. In così fatto museo si accede liberamente, senza bisogno di passare per altro gabinetto, cosa molto utile, e molto desiderata dal prof. Cav. Volpicelli direttore del museo stesso. Mancava del tutto all'antico gabinetto di fisica, ed un locale per laboratorio, ed una camera per gli strumenti relativi alla metereologia, ed un teatro per le pubbliche sperimentali lezioni, che potesse capire un uditorio numeroso; mancava infine la comodità di avere acqua continua nei luoghi ove le sperienze la richiedono. A tut­ rodò fu provveduto benignamente dal regnante Sommo pon refi ce [ . . . ] . 1 1 1

Tradizionale luogo d i conservazione dell'antico, m a anche della memoria iden­ titaria paleocristiana dell'Urbe, il museo diventa altresì spazio del moderno e di diverse aspirazioni, luogo di una cultura materiale che si vuole applicata al pro­ gresso tramite un metodo sperimentale. Nel complesso, in analogia con quanto avveniva fin dal terzo decennio dell'Ot­ tocento rispetto alla storia delle singole opere d'arte o delle singole espressioni di cultura materiale esposte al museo, emerge un preciso interesse per l'insieme "dell'organismo museale" inteso come resoconto delle fasi di origine, di sviluppo, di ampliamento e di ricezione. Al valore della storia per le opere si aggiunge il valore della storia delle collezioni. Nella rivista, accanto ai musei, trovano posto anche le descrizioni di molti monumenti romani, pagani e cristiani, da quelli antichi come il Foro, 1 12 l'An­ fiteatro Flavio, 1 13 il Pantheon di Marco Agrippa, 1 14 alle grandi chiese e alle loro decorazioni interne come la chiesa di Santo Stefano rotondo presso la navicella. 1 15 111

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'TAlbum", 'TAlbum", " L'Al bum", " L'Al bum", " L'Al bum",

20 febbraio 1 8 58 , p. 9 . 1 6 luglio 1 836, p . 1 4 5 . 1 0 ottobre 1 836, p. 241 . 2 1 gennaio 1 837, p. 36 1 . anno III, p. 5 5 .

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Un certo spazio è poi dedicato anche alle esposizioni "eccezionali", che vengono considerate atte a promuovere gli studi delle lettere e delle arti: in questa catego­ ria il modello esemplare è la descrizione della mostra che, nell'agosto del 1 837, venne realizzata a Palazzo Venezia dall'ambasciatore d'Austria presso la Santa Sede per celebrare l'onomastico dell'imperatore Ferdinando l. In realtà, più che di una vera e propria esposizione, si trattò di una apertura straordinaria di Palazzo Venezia al fine di mostrare le sculture e i dipinti che vi erano raccolti: Erano le sale acconciamente e con isplendidezza adornate: perché apparisse a chi si bell'apparato servir dovesse di omaggio, stava collocato nel mezzo della sala mag­ giore il sovraposto busto rappresentante l'effigie imperiale, a tal uopo scolpito dal chiarissimo artefice sig. Cav. Giuseppe Fabris. E all'intorno si di questa e si delle altre stavano disposte le opere condotte dagli artefici con l'ordine seguente [ . . . ] . 1 16

Segue una lista che indica i nomi degli artisti proposti all'attenzione del pub­ blico romano come "Flatz Ghebardo, di Bregebz del Tirolo, Hellich Giuseppe di Praga, Marko' Carlo ungherese, Orlikowsky Felice, di Lemberg in Gallizia o Schonmann Giuseppe di Vienna, Salghetti Francesco di Zara". Per ogni autore sono indicati i temi delle opere esposte con qualche occasionale commento di lode: "con ottimo colorito", "eccellenti sono queste opere si dei dipinti e si dei disegni, e ben dimostrano l'ingegno dell'autore loro", "scorgersi un'aria vera­ mente piena di grazia e di divinità". Puntuale, e perfino pignola nella lista delle opere esposte, la relazione del cavalier Luigi Grifi, segretario della Commissione di Antichità e Belle Arti, mostra chiaramente come il fulcro dell'esposizione fosse la rappresentazione, in busto o nei ritratti delle altezze reali e, ovviamente, "dell'imperiale maestà di Ferdinando I d'Austria". Ma il commento tocca anche l'affluenza del pubblico: [ . . ] le sale, in cui erano esposte queste opere, sono state aperte al pubblico per giorni 1 5 , nei quali frequentissimo è stato il concorso, lodando ognuno meritata­ mente il divisamento di S. E. Il signor ambasciatore cesareo, e la scelta dei sogget­ ti, i quali lungi dall'essere o vani o di pericoloso esempio sono stati in gran parte sacri e pieni di buona morale: talché le arti guidate su queste forme riuscirebbero non solo grate all'occhio pe' bei soggetti che offrono i fatti sacri e gli awenimenti più insigni delle storie, ma profittevoli allo spirito che aprenderebbe da quelli a camminare sulla via della rettitudine dell'onore. 1 17 .

Insomma, un ruolo educativo, ma non di educazione al bello o al gusto, ma allo spirito ed alla morale. Una rivendicazione certo in ritardo rispetto ai tempi, ma sicuramente accorata che sottolinea (ancora!) il valore esemplare della pittura di storia. 1 16 1 17

Grisi 1 837, p. 1 69. Grisi 1 837, p. 1 72 .

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3. L'interpretazione del display nelle incisioni de "L'Album"

Come si è detto, le descrizioni e le riflessioni sui musei romani che trovano posto nella rivista "L'Album" sono indirizzate ad un pubblico di borghesi colti e agiati, in prevalenza romani, ma anche stranieri. Il periodico mette in atto un sistema descrittivo coerente negli anni e articolato secondo diversi registri espressivi; quel­ lo del testo che si sviluppa secondo una descrizione delle sale e degli oggetti, e quello di una o più immagini che rappresentano gli ambienti del museo. I due piani si avvicendano in modo complementare e non è raro che il testo conceda il primato all'immagine. Così è, per esempio, a proposito del Museo Gregoriano per la sala dei bronzi: [ . . ] ora entriamo nella camera dei bronzi, della quale si vede la forma e la dispo­ sizione nella tavola posta principio di questo articolo . I I B .

ma anche per la galleria: [ . . ] la incisione da noi posta a capo del presente articolo rendere buon conto di tutto: né spenderemo parole in cosa ch'è a giudizio dell'occhio. 1 19 .

o per la sala del Marte etrusco di Todi: [ ] figura oggi l'Album in due sue tavole, delle quali la prima ha l'effigie dell'ele­ gante armadio, di che poco innanzi favellavasi. . . .

Ma cosa ci indicano le immagini di diverso o di complementare rispetto al testo? Che cosa può osservare lo spettatore sollecitato ad utilizzare l'incisione, ed i suoi occhi, per strutturare un giudizio rispetto al display? Nella sala dei bronzi del Museo Gregoriano Etrusco, incisa da Luigi Piroli, l'artista concentra la sua attenzione sull'effetto d'insieme dell'ambiente e sulla organizzazione dell'allestimento (fig. 8) . Il soffitto a cassettoni e le lesene sottoli­ neano l'aspetto solenne di una "scenografia" caratterizzata da evidenti principi di simmetria pur nella varietas degli oggetti esposti. La coppia borghese, in visita alla sala e discretamente posta vicino all'ingresso, non è sufficiente a turbare l'effetto di solennità e di rispettoso "silenzio" proposto dall'illustrazione. Un effetto che viene ulteriormente ampliato nell'incisione con la rappresentazione della galleria del museo (fig. 9) . In questo caso, la totale assenza di spettatori mostra come l'e­ lemento prioritario sia la presentazione della magnificenza dei luoghi, resi ancora più solenni dalla prospettiva adottata, che mette in rilievo l'altezza della sala, quanto dal rapporto tra luce e ombra sottolineato dalle finestre. Anche in questa sala l'organizzazione si rivela seriale, tipologica, ma il centro simbolico dell'imma118 119

" L'Al bum", 24 marzo 1 838, p. 1 8 . " L'Album", 2 giugno 1 838, p . 97.

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8. Museo Gregoriano Etrusco, in 'TAlburn giornale letterario e di belle arti", 24 marzo 1 838

9. Museo Gregoriano Etrusco, in 'TAlburn giornale letterario e di belle arri", 7 giugno 1 838

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gine, quello peraltro sottolineato dal punto di fuga della prospettiva, è il busto del pontefice: rivendicazione del ruolo anche politico del museo. L'ultima stampa dedicata al Museo Etrusco è quella in cui si propone una maggiore complementarità tra il testo e l'immagine (fig. 1 0) : Dove l'indietro della sala mostra una parte delle opere in metallo, che essa contie­ ne a far fede che non smentisce la storia lodando, in questo genere, il valor sommo degli artefici d'Etruria [ ] Nel mezzo è l'armadio esagono con due lati maggiori sorgente sopra una base che ne sostiene un'altra in risega, di belle proporzioni ambedue. Il corpo sono lastre larghe di cristallo intercalate da colonne ioniche d'ottimo taglio. Al quale è sovrapposto di non minor semplicità ed eleganza il soprornato, che sostiene esso medesimo una piramide tronca della stessa struttura, cosicché tutto dice benissimo all'occhio. Sul troncamento della piramide ritenuta da raggi, che un po' inclinati all'infuori s'alzano dagli angoli, forma corona e com­ pimento un gran caldaio o laveggio di rame, che sembra rappezzato con antichi restauri, tenuti al loro posto da bollettoni a cappello . 120 . . .

Vera e propria architettura nell'architettura la ricchezza della vetrina disegna­ ta da Giuseppe de Fabris viene giudicata degna di una illustrazione autonoma. Tuttavia il sistema scelto in questo caso è di un certo interesse perché, alla tavola dedicata come sempre ad una veduta d'insieme della sala, e con in primo piano la vetrina, segue una seconda illustrazione che offre una selezione di alcuni degli oggetti conservati nella sala e nella vetrina stessa, ma riprodotti nella loro indivi­ dualità e per così dire rappresentati con maggior precisione e autonomia rispetto al contesto espositivo. Proteggere e mostrare, l'ambiguità delle due ambizioni del museo trova una sin­ tesi simbolica in questa immagine, nelle vetrine che separano "sacro" e "profano", l'oggetto dal visitatore. 121 Questo "allontanamento" è stato lungamente considera­ to come necessario per la musealizzazione degli oggetti, una sorta di continuazione di quel processo di "sacralizzazione" iniziato con la soglia simbolica dell'ingresso nel museo e che già aveva disgiunto il "discorso" del museo dal quotidiano. Le illustrazioni dedicate al Museo Egizio (fig. 1 1 ) seguono nell'insieme le stes­ se caratteristiche già sottolineate per il Museo Etrusco: una visione d'insieme del­ la sala deserta, con uno scorcio su altri spazi per suggerire la vastità del museo, un effetto monumentale teso a sottolineare l'armonia scenografica tra contenitore e contenuto e, ancora una volta (fig. 1 2) , il rilievo grafico offerto al busto del ponte­ fice situato sopra la scultura del N ilo tra le due porte laterali e, non a caso, l'opera posta "più in alto" - fisicamente e simbolicamente - in tutta la sala. Insomma, come era già il caso per molti stemmi pontifici si trattava di "una gerarchia sim­ bolica consolidata dalla consuetudine". 122 1 20 121 1 22

Orioli 1 850, p. 3 1 6. Cfr. Gob, Drouguet 20 1 0 , p. 1 4 1 . Gentile 20 1 7 , p. 304.

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( Mònumenti

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di Pompei itJ una delk ale del Mu ee Etru co. )

1 0 . Museo Gregoriano Etrusco, in "I.:Album giornale letterario e di belle arti", 30 novembre 1 850

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1 1 . Museo Gregoriano Egizio, in "I.:Album giornale letterario e di belle arti", 16 febbraio 1 839

12. Museo Gregoriano Egizio, in "I.:Album giornale letterario e di belle arti", 21 settembre 1 839

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Il passaggio ai musei della scienza, fossero quelli di mineralogia (fig. 1 3) o di fisica (fig. 1 4) , fa scomparire l'oggetto e lascia in evidenza soltanto l'effetto di insieme della sala nella sua solennità "moderna". Se cambiano il tipo e il valore della cultura materiale che viene esposta, e quindi anche il sistema narrativo costruito per gli oggetti, l'auto-rappresentazione del museo continua invece a rispondere a valori simbolici simili chiaramente visibili, come il busto del so­ vrano-pontefice, che in entrambe le incisioni diventa, ancora una volta, fulcro prospettico delle sale, della diffusione a stampa del loro display. Di fronte a queste vedute di sale vuote, che comunque corrispondono ad una tradizione tipica del genere, basti pensare alle calcografie con il gabinetto di Calceolari, la collezione di Settala o il Museo Kircheriano, non si può tuttavia non ricordare che la sociabilità che si sviluppa nei musei dell'Ottocento era essenzialmente diversa da quella che aveva caratterizzato le gallerie e le collezio­ ni aristocratiche del Seicento e Settecento: mano a mano che arte e scienza si separano, e che il giudizio storico-artistico diventa espressione di una specifica professionalità, il ruolo riservato alla discussione si evolve, ma in qualche modo si restringe e, progressivamente, si costruisce un divario profondo tra profes­ sionisti e dilettanti, mentre le esigenze del "pubblico qualunque" rimarranno ancora a lungo disattese. 123 Dopo il 1 86 1 , il rapporto tra "savi ed ignoranti" che si era sviluppato in epoca moderna124 sarebbe stato ulteriormente codificato in seguito alle nuove esigenze didattiche della Nazione finalmente unita: alla sociabilità tra pari, che era stata caratteristica delle visite delle elite alle gallerie aristocratiche, si sarebbe sostituito un rapporto "scolastico", in cui ci si attivava per disciplinare l'opinione e il gusto dei cittadini, secondo una diffusione del sapere capace di utilizzare il museo anche come un funzionale elemento di "decentralizzazione" delle esigenze di una consapevolezza nazionale che proprio gli esiti del Risorgimento, dopo l'Unità, avevano reso improrogabili. 125 Roma è "sintesi storica" 126 e il richiamo al passato proposto nei musei può così essere interpretato non tanto come espressione esclusiva di un conservatorismo cultu­ rale volto a ritardare la penetrazione dei principi liberali, ma come consapevole inserimento di ogni rinnovamento nel flusso storico: riappropriarsi del senso del passato in modo dialettico rispetto al presente diventa obiettivo possibile attraverso il museo prima e dopo l'Unità. Utilizzati per sottolineare il legame

1 23

Come dimenticare l'Assommoir di Zola ( 1 877) e le sue Noces au Louvre? Cfr. Costa, Perini Folesani 20 1 7. 1 25 Alla edificazione morale e patriottica, offerta come obiettivo prioritario ai musei post­ unitari, si sarebbe aggiunta per tutta la prima metà del Novecento una giustificazione didattica collegata non solo alla creatività artistica, ma anche alla volontà di un progresso industriale dello Stato grazie al sostegno offerto alla formazione di un alto artigianato capace di conquistare un rilievo internazionale. 1 26 Gualandi 1 979, p. 1 2 . 1 24

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1 3 . Museo di Fisica, in "I.:Album giornale letterario e di belle arti", 20 febbraio 1 8 58

1 4 . Museo di Mineralogia, in 'TAlbum giornale letterario e di belle arti", 27 febbraio 1 8 58

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tra il monarca e i suoi sudditi, musei e monumenti non solo confermano, ma creano la storia e " ripristinano e regolano la memoria". 1 27 In conclusione si può ricordare che se Claude Lévi-Strauss ha affermato che i musei sono fatti prima di tutto per gli oggetti e solo in secondo luogo per i visitatori, 128 più recentemente André Gob e Noémie Drouguet hanno invece sostenuto, con una opinione opposta, che il museo concepito come luogo di rappresentazione ha bisogno, come se si fosse a teatro, di una interpretazione, 1 29 così uno degli obiettivi degli studi di museologia è proprio quello di offrire anche una più chiara consapevolezza della costruzione storica e politica dell'istituzione rispetto al pubblico. Adottare per l'analisi museo logica una prospettiva che mette in primo piano quanto viene storicamente proposto all'attenzione del pubblico e di un pubblico, caratterizzato da un aurea mediocritas borghese offre, nel caso dei musei romani negli anni a cavallo dell'Unità, la possibilità di congiungere gli esiti dell'Ancien Régime. C'è, soprattutto, il vantaggio di reperire maggiori legami tra i cosiddetti vincitori e i cosiddetti vinti sfumando opposizioni di display spesso sottolineate per questioni ideologiche o storiografìche e ritrovando anche "soluzioni di con­ tinuità" che non sembrano appartenere a scelte relative ai singoli stati nazionali. Soluzioni che sembrano collegarsi piuttosto ad una più profonda ricerca di radici identitarie e ad una riflessione "disciplinare" e storica sul museo e il suo ruolo istituzionale, sul valore didattico e simbolico delle sue forme narrative e di rap­ presentazione. '

127 "Bollettino di archeologia cristianà', 1 863, gennaio, p. l, cfr. Gentile 20 1 7, p. 297, analo­ gamente a quanto avviene per l'uso dello stemma pontificio. 128 Chaumier 20 1 0 , p. 8 . 1 29 Chaumier 20 1 0, p. 8 .

La nascita dei musei del Risorgimento {1 880-1 942): u n esempio di uso pubblico della storia Marco Pizzo*

La storia si pensa come necessità e si attua come libertà Benedetto Croce

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'idea dei musei del Risorgimento nacque alla fine dell'Ottocento con la volontà di "esporre" la storia contemporanea, avendo ben chiaro l'obiet­ tivo di documentare le vicende di un periodo che era appena trascorso e che avrebbe visto nella prima guerra mondiale la sua conclusione, considerandola come la quarta guerra d'indipendenza italiana. Si trattava di costruire dei musei che non avevano ancora una loro collezione specifica né una loro fisionomia, ma che si sarebbero dovuti avvalere del concorso di vari soggetti, singoli collezionisti, privati, appassionati di storia e d'arte dell'Ottocento: un'idea moderna e demo­ cratica della storia che si voleva riallacciare agli ideali risorgimentali. Era questo il medesimo criterio che aveva ispirato numerosi cicli pittorici che avevano iniziato ad ornare importanti residenze pubbliche e private cercando di riproporre icono­ graficamente gli avvenimenti contemporanei, considerandoli come una fonte di ispirazione, come nel caso degli affreschi di Palazzo Graziani a Perugia. 1 Se si volesse fissare una data per la nascita di questi musei, questa potrebbe essere individuata nel l 2 giugno del l 880, quando Pasquale Villari alla Camera dei Depu­ tati aveva invitato il governo a stanziare una cifra che consentisse di raccogliere tutto il materiale documentario e archivistico che fosse ritenuto utile per poter affrontare compiutamente lo studio del Risorgimento italiano. Da quel momento si inizia-

" Museo Centrale del Risorgimento di Roma, Complesso monumentale del Vitroriano. 1 In questo palazzo (oggi sede della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia) venne dipinta da Annibale Brugnoli tra il 1 888 e il 1 890 una serie di grandi riquadri ad affresco illustranti episodi delle vicende risorgimentali perugine e culminanti con un avvenimento di "cronaca", il gran ballo in onore di Umberto I organizzato nel settembre del 1 890 (cfr. Arte e patriottismo 201 1 , pp. 36-40) .

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rono a raccogliere nella capitale, all'interno delle sale della Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele Il, libri, cimeli, manoscritti, al fine di illustrare quel periodo, trascorso da appena vent'anni. 2 Già due anni prima, nel 1 878, era stata avanzata la proposta di rendere omaggio a Vittorio Emanuele II mediante la creazione di un primo museo che narrasse le vicende del primo sovrano d'Italia. Nel 1 884, all'interno dell'Esposizione generale italiana di Torino, venne inau­ gurata una specifica sezione dedicata al Risorgimento (fig. 1 ) .3 Era questo il pre­ ludio del Museo del Risorgimento della capitale sabauda che avrebbe trovato la sua prima sistemazione, nel 1 908, all'interno dei locali della Mole Antonelliana.4 In occasione della esposizione del 1 884 alcuni rappresentanti della commissione romana inoltrarono al re Umberto I la proposta di creare stabilmente a Roma un museo nazionale sul Risorgimento.5 Sempre nello stesso anno a Milano una commissione municipale pose le basi per il futuro museo lombardo.6 Proseguivano intanto le iniziative: nell'estate del 1 888 la mostra intitolata Tempio del Risorgimento italiano, tenutasi a Bologna, presentava una struttura molto simile a quello che sarebbe stato lo standard espositivo dei futuri musei del Risorgimento: [ ] nel quale oggetti, uniformi, armi, quadri, medaglie, ritratti, carte, documenti, libri, opuscoli [ ] richiamavano alla mente del visitatore le grandi fasi ed i piccoli episodi della lotta vigorosa e gloriosa sostenuta a cominciare dal 1 790 fino al 1 870.7 . . .

. . .

Qualche anno dopo, nel 1 892, era stato fondato a Palermo, ad opera della Società siciliana di storia patria, un museo dedicato al Risorgimento nazionale, grazie alla raccolta di una serie di importanti cimeli: da quelli di Giuseppe Garibaldi alle carte di Crispi. Ma la parte più cospicua della collezione era dovuta al concorso di singoli privati. 8 Accanto a questi primi tentativi museografici si era fatta strada anche una più "scientifica" produzione storiografica. Il 20 settembre 1 895 aveva visto la luce il primo fascicolo della "Rivista storica del Risorgimento" diretta da Beniamino Manzone alla quale partecipavano storici e protagonisti delle vicende risorgimen­ tali, da Giulio Cesare Abba a Pasquale Villari, da Ernesto Nathan a Jessie White Mario, i quali ritenevano che, per poter dire "senza inconvenienti la verità su tutte le fasi dei nostri rivolgimenti politici", fosse necessario: 2 Baioni 1 993. 3 Baioni 1 994, pp. 22-27. 4 Levra 2 0 1 1 . 5 Ravaglioli, Scano 1 973, p . 2 1 . 6 Benedetti 2009. 7 Fiorini 1 890, p. V. 8 Relazione di Antonio De Stefano del gennaio 1 93 5 inviata a A.M. Ghisalberti, Museo Cen­ trale del Risorgimento di Roma (MCRR), Archivio storico dell'Istituto per la storia del Risorgi­ mento italiano (ASRI) , busta 262 , fase. 7.

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l . Sala dedicata al Risorgimento all'Esposizione generale italiana di Torino, 1 884

raccogliere diligentemente i materiali necessari per scrivere la storia imparziale, completa, veridica delle vicende che condussero la nostra patria all'acquisto della libertà, dell'unità e dell'indipendenza.9

Seppur la vita di questa rivista fu breve (durò solo tre anni) , erano state gettate le basi per la creazione nel 1 906 da parte di Paolo Boselli, ministro della Pubblica Istruzio­ ne, del Comitato Nazionale per la storia del Risorgimento che aveva il compito di "raccogliere, preparare ed ordinare i documenti, i libri e tutte le altre memorie che interessano la storia del Risorgimento" I o e facilitarne lo studio al fine di trasmettere alle nuove generazioni gli ideali e lo spirito dei primi Padri delkl Patria. I I Già dal 1 9 1 0 iniziarono ad essere acquistati dal Comitato intere collezioni di periodici e materiali a stampa (opuscoli, avvisi) . 1 2 A queste attività istituzionali si affiancavano le vicende che avevano portato a conservare le memorie storiche e documentarie del Risorgimento. Il collezionismo di cimeli - intendendo questo termine nella sua accezione più ampia di oggetti, disegni, fotografie, documenti, 9 "Rivista storica del Risorgimento", I ( 1 895), fase. l, p. 7. 10 Regio Decreto del 1 7 maggio 1 906, n. 2 1 20. 11 La prima riunione del Comitato si tenne però solo tre anno dopo, il 4 aprile 1 909, in una sala messa a disposizione dal Ministero della Pubblica Istruzione, alla Minerva. 12 MCRR, ASRI, busta 289. Relazione del Comitato Nazionale per la storia Risorgimento del 1 5 marzo 1 9 1 O .

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2. Esposizione della collezione di Everardo Pavia a Roma alle Teme di Diocleziano, 1 9 1 7

armi, ecc. - legati a singole fasi risorgimentali s i era svolto quasi i n contemporanea con gli eventi e ci è documentato fin dal l 849, quando il fotografo Stefano Lecchi aveva realizzato il suo reportage fotografico sulle sfortunate vicende della Repubbli­ ca Romana, destinando la sua produzione verso il nucleo degli appassionati delle vicende risorgimentali che utilizzava foto e ritratti per comporre i propri, perso­ nali, musei-collezione. Una variante politica e storico-autobiografica dei Wunder­ kammern tanto cari alla tradizione del collezionismo occidentale. 13 L'intento non era troppo dissimile da quello seguito nel comporre album di ricordi, documenti e cimeli o raccolte fotografiche come quella portata avanti da un altro fotografo, Alessandro Pavia, che aveva realizzato l'Album dei Mille, 14 sul quale avevano tro­ vato posto i ritratti dei partecipanti alle spedizione garibaldina del 1 860. Altre collezioni, come quella di Everardo Pavia, avevano trovato in precedenza specifici momenti espositivi, suggellati dalla visita dei reali di Casa Savoia (fig. 2) . 15 Accanto a quella dei singoli appassionati delle vicende risorgimentali si po­ neva anche l'altra attività svolta dalle numerose Società dei veterani delle patrie battaglie il cui scopo era quello di "tener viva la memoria dell'eroiche gesta di un'epoca tanto gloriosa"1 6 attraverso la raccolta di armi, stendardi, divise, distin­ tivi e monete. 1 7 13 Montaldo 20 1 3 . 14 Pizzo 2004. 15 Pavia 1 924. 16 Legnazzi 1 983, p. 79. 17 Rampazzo 2002. Si noti che sulla base di precise testimonianze conservate presso i singoli Archivi di Stato è possibile osservare che queste associazioni esistevano in numerose città italiane come Cremona, Forlì, Lucca, Macerata, Roma, Verona.

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Nel 1 9 1 1 , in concomitanza con le celebrazioni avvenute a Roma (figg. 3-4) per il cinquantenario dell'Unità d'Italia, venne allestita all'interno dei locali del Vittoriano una prima esposizione temporanea sul Risorgimento, curata da Vit­ torio Fiorini, che ben esprimeva gli intenti dei nascenti musei risorgimentali. 18 Questa mostra, che avrebbe dovuto far "vedere o intravedere le relazioni fra esso [il passato] e le condizioni presenti", 19 si inseriva nel quadro delle più ampie atti­ vità espositive e celebrative che coinvolsero Roma e molte altre città italiane con l'obiettivo di cercare di offrire un ritratto dell'Italia, cercando di fissarne l'identità pur tra una pluralità di espressioni. In occasione del cinquantacinquesimo anniversario della spedizione dei Mille, nel 1 9 1 5 , era stato inaugurato a Genova, nei locali di Palazzo Bianco, un primo nucleo del Museo del Risorgimento che aveva come fulcro tematico la figura di Giuseppe Mazzini, la cui casa-sacrario era già stata costituita. Una collezione che in seguito, nel 1 934, venne spostata a Palazzo Rosso dando anche ampio risalto all'altro ligure illustre, Goffredo Mameli. 20 L'entrata in guerra dell'Italia nella prima guerra mondiale, salutata nel 1 9 1 5 come la quarta guerra d'indipendenza italiana, aveva richiamato l'attenzione di Paolo Boselli, che nel frattempo era divenuto presidente del Comitato Naziona­ le per la storia del Risorgimento italiano, e che aveva auspicato "di raccogliere testimonianze e documenti sulla guerra, la quale si presentava come un corolla­ rio storico delle guerre per la nostra unità politica". 2 1 Una missione che voleva idealmente proseguire gli intenti del 1 906, quando venne istituito per volere del Ministero dell'Istruzione il Comitato del Risorgimento. Già il 5 agosto 1 9 1 5 Boselli aveva diramato una circolare nella quale veni­ vano indicate le modalità di raccolta e la rete dei collaboratori: erano chiamati a collaborare non solo i suoi membri corrispondenti, ma anche gli enti pubblici e privati, gli editori e le redazioni dei giornali, gli studiosi e tutti i combattenti. Si ritenne quindi opportuno raccogliere documenti di ogni genere a testimonianza di un evento di cui si intuiva la portata storica conservandone in maniera capillare "la contemporaneità". Un raro e lungimirante esempio che non faceva selezioni qualitative, attribuendo minore o maggiore importanza a questa o a quella testi­ monianza, ma cercando, al contrario, di conservare tutto quello che gli eventi bellici contemporanei producevano. L'obiettivo finale era quello di costituire un archivio, una biblioteca ed un museo della guerra che avrebbero dovuto trovar posto nelle sale interne del monumento a Vittorio Emanuele II ancora in costru­ zione, sebbene già inaugurato nel 1 9 1 1 .

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Piantoni 1 983. Fiorini 1 9 1 6, p. 34. Morabito 1 987; Ponte, Bertuzzi 20 1 6. Raccolta di testimonianze e di documenti 1 9 1 5 , p. 6.

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3-4. Padiglioni dell'Esposizione a Roma, 1 9 1 1

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Il materiale che affluì al Comitato era puntualmente descritto in relazioni periodiche22 e divenne ben presto così consistente, grazie alla rete di raccolta mol­ to capillare, che nel 1 9 1 9 si nominarono due delegati incaricati di organizzare e dare una sistemazione scientifica al materiale documentario, bibliografico ed archivistico che si era accumulato.23 Tutti i documenti, da quelli grafici a quelli fotografici o a quelli della stampa d'occasione, confluirono nel Fondo Guerra che era diviso a sua volta in due nuclei: l'Archivio della guerra e la Biblioteca della guer­ ra che conteneva anche numerosi opuscoli di necrologio,24 e che venne raccolto nella Biblioteca del Risorgimento a Palazzetto Venezia. Le testimonianze documentarie giunte a Roma dal fronte tra il 1 9 1 5 e il 1 9 1 8 parlavano sostanzialmente lo stesso linguaggio della tradizione ottocen­ tesca e risorgimentale. Da una parte c'erano le armi, dai più comuni fucili alle baionette, dalle granate agli obici, volte a suggerire per contiguità lo spazio delle battaglie di trincea, gli scontri mortali sui campi di battaglia; dall'altra si testi­ moniavano aspetti più specifici e eccentrici: dai quaderni delle scuole di campo ai disegni dei pittori-soldato, dai tanti cimeli-trofeo strappati al nemico ai razzi utilizzati per lanciare volantini e tricolori al di là delle linee nemiche. Una delle sezioni più ricche per quantità e complessità all'interno di questo Fondo Guerra era rappresentata dalle fotografie. Le fotografie di guerra, che erano annoverate nella sezione "Archivi minori della guerra", 25 erano state raccolte direttamente sul fronte o nelle immediate retrovie ed erano state scattate dai singoli reparti di fotocineoperatori che con il procedere degli anni divennero sempre più nu­ merosi.26 Questa estensione cronologica, che fissava il termine ante quem per tutti i mu­ sei del Risorgimento, avrebbe dunque compreso anche la prima guerra mondiale, considerata come la quarta guerra dell'indipendenza nazionale. Questa intenzio­ ne venne esplicitata il 9 ottobre 1 9 1 9 con uno specifico decreto legge e vide la sua oggettiva espressione nel 1 92 1 quando il Vittoriano divenne il sito prescelto per accogliere le spoglie del Milite Ignoto. Vero e proprio "termine ultimo" in senso culturale della Grande Guerra che legava indissolubilmente Vittorio Emanuele Il, primo re d'Italia, con la celebrazione collettiva della fine della Grande Guerra. La vicinanza temporale con gli eventi non doveva cadere però nella tentazione di fare delle "rievocazioni archeologiche ed estetizzanti'',27 ma invece consentire di conservare importanti cimeli della guerra appena combattuta, come nel caso della penna e del calamaio utilizzati per l'armistizio di Villa Giusti. 22 Relazione presentata 1 9 1 8, p. 7. 23 Regio Decreto del 9 ottobre 1 9 1 9 , n. 1 98 5 . 24 Fumagalli, Corrado 1 927 - 1 928; Venrurini 1 973. S i veda anche Janz, Dolci 2003 . 25 Fumagalli, Corrado 1 927- 1 928, p. 62 . 26 Fabi 1 998, p. 1 3 . 27 Minuta della lettera di A.M. Ghisalberti alla Medaglia d'Oro ltalo Lunelli del 1 8 settembre 1 936 (MCRR, ASRI, busta 259, fase. 1 ) .

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Uno dei primi musei incentrati sugli avvenimenti della Grande Guerra fu quello di Rovereto, che venne inaugurato nello stesso anno della traslazione del Milite Ignoto al Vittoriano, nel 1 92 1 .28 Questo museo, il cui coordinamento era stato offerto a Paolo Boselli, aveva l'obiettivo di "costituire un monumento di perenne esaltazione del valore del nostro Esercito e dell'abnegazione dei sacrifici, degli eroismi di queste popolazioni, fiere dei martirii di Cesare Battisti, di Damia­ no Chiesa, di Fabio Filzi". 29 Qualche anno più tardi, nel 1 929, venne allestita, all'interno del Vittoriano, una mostra "dei cimeli della distruzione e della ricostruzione" relativi alla prima guerra mondiale e venne avanzata la richiesta che tutto il materiale raccolto con­ tinuasse "ad essere conservato nel locale del Monumento nel quale attualmente si trova".30 Questa esposizione, già allestita a Padova nel 1 928 durante l'Esposizione campionaria, era una mostra principalmente fotografica con circa 4. 000 imma­ gini che voleva "documentare l'azione devastatrice della guerra nelle terre che ne furono teatro e particolarmente nel Veneto, e l'opera di ricostruzione spesa in essa dallo Stato".31 Il primo conflitto mondiale era anche stato il soggetto ispiratore del "Museo nazionale delle tre vittorie del Piave" di Treviso che era stato inau­ gurato nel 1 930. Anche il "Museo della Redenzione" di Gorizia aveva trovato il suo punto di partenza nel conflitto da poco ultimato e il suo primo nucleo era stato costituito nel 1 9 1 7, ancora durante la guerra, dal generale Cei. Quest'uso di allestire una mostra in diretta con il materiale in grado di documentare il conflitto era una attività comune di tutte le potenze belligeranti che spesso realizzavano queste esposizioni al fine di raccogliere fondi a favore degli orfani o dei mutilati di guerra. Il materiale raccolto, in questo caso specifico, era stato successivamente organizzato privilegiando la "documentazione dell'italianità di Gorizia attraverso i secoli" e "le undici battaglie dell'Isonzo dal Rombon al mare".32 Il 24 maggio 1 93 5 nei locali del Castello Sforzesco di Milano venne inaugu­ rato il "Museo della Guerra" che aveva avuto un ampio riscontro sulla stampa dell'epoca che ne descriveva la struttura e le sezioni:33 dai cimeli agli autografi, dai manifesti di propaganda ai disegni di Aldo Carpi. Questa mostra dava conto dell'Archivio della Guerra raccolto nel capoluogo lombardo che si era venuto a formare nel 1 925 e che contava oltre un milione e mezzo di documenti organiz28 Ceola 1 934. 29 Lettera del Comitato del Museo Storico di Guerra di Vallagarina (castello di Rovereto) diretta a Paolo Boselli del 28 febbraio 1 92 1 (MCRR, ASRI, busta 202, fase. 6) . 30 Lettera del ministro dei Lavori Pubblici a Paolo Boselli, Presidente del Comitato Nazionale per la storia del Risorgimento, del 20 febbraio 1 93 1 (MCRR, ASRI, busta 6, fase. 1 ) . 31 Promemoria inviato a S.E. Boselli - Mostra della Distruzione e della Ricostruzione, Roma l O giugno 1 93 1 (MCRR, ASRI, busta 295) . 32 Nota del Gabinetto del Ministero dell'Educazione Nazionale del 12 maggio 1 938 diretta all'Istituto per la storia del Risorgimento italiano (MCRR, ASRI, busta 261 , fase. 7) . 33 "Il Giornale della Domenica", 2-3 giugno 1 935; "Le Forze Armate - Bollettino Ufficiale del R. Esercito", 12 giugno 1 93 5 .

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zati seguendo le direttive di Antonio Monti, responsabile della collezione risorgi­ mentale e docente dell'Università Cattolica. Di particolare interesse era il grande schedario "degli Eroi e della Vittoria" contenente quasi l 00.000 schede degli italiani decorati al valore. Un tentativo di documentare gli eventi di un conflitto ancora vivo nella memoria dei visitatori che trovavano qui la "loro storia".34 Antonio Monti, nel 1 934, lamentando "locali insufficienti e inadatti a dar rilievo alle molte opere d'arte che i musei possiedono" oltre alla "scarsezza di mezzi economici necessari ad esporre le collezioni", metteva in luce alcuni pro­ blemi museografici come quelli legati alla "prevalenza di criteri personali nel modo di esporre". Già in precedenza il medesimo autore aveva affrontato il problema dei "Musei del Risorgimento" in maniera ancor più estesa, osservan­ do come spesso [ . ] i musei siano da ripudiare tutti come deposti di urne cinerarie, zone sepol­ crali, dominio della morte [ . . . ] [poiché] si esponevano, sub specie di cimeli, i capelli, le unghie, i frammenti di ossa, i sigari fumati per metà da patrioti, le bende insanguinate, le divise costellate di buchi prodotti dalle tarme, ma che al pubblico si lascia volentieri credere siano stati prodotti dalla mi traglia nemica, i cappelli di Garibaldi forati da palle che non hanno mai colpito l'Eroe alla testa, i letti dove dormirono i loro sonni agitati o placidi i grandi uomini del Risorgimento.35 . .

Nasceva così la volontà "di ringiovanire i musei", diventati una sorta di ricetta­ colo di reliquie laiche del Risorgimento. Si affacciava pertanto una nuova lettura di questi musei che dovevano iniziare a svolgere un nuovo ruolo didattico, "stru­ menti sempre più efficaci di elevazione per il popolo", diventando "un grande libro di facilissima lettura" ,36 legando pitture, sculture e cimeli al contesto della storia nazionale e iniziando a "far vedere la Storia". D'altra parte, proprio in quegli anni una grande mostra storica a Palazzo Carignano a Torino dedicata ai Grandi Italiani del Piemonte aveva posto il problema dei rapporti tra le collezioni storico-documentarie, le opere d'arte e la didattica della storia e si poneva come "logico preludio al nuovo Museo del Risorgimento".37 Tutto questo fervore di attività rivolto verso i musei del Risorgimento deve essere poi letto alla luce, anche, dell'appropriazione che ne aveva fatto il fasci­ smo con la Mostra del decennale della Rivoluzione fascista, del Risorgimento e della prima guerra mondiale (figg. 5-6) .38 Un vero uso pubblico e politico 34 Il Museo del Risorgimento di Milano trovò la sua sistemazione organica in via Borgonovo solo nel l 9 50. 35 Monti 1 934, p. 626. 36 Monti 1 934, p. 628 . 37 Colombo 1 935, p . 876. 38 Per uno studio complessivo e sistematico sull'argomento si rinvia a Baioni 2006, che con­ tiene anche una ampia serie di citazioni archivistiche sulle fonti coeve (come l'archivio di Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon) .

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zati seguendo le direttive di Antonio Monti, responsabile della collezione risorgi­ mentale e docente dell'Università Cattolica. Di particolare interesse era il grande schedario "degli Eroi e della Vittoria" contenente quasi l 00.000 schede degli italiani decorati al valore. Un tentativo di documentare gli eventi di un conflitto ancora vivo nella memoria dei visitatori che trovavano qui la "loro storia".34 Antonio Monti, nel 1 934, lamentando "locali insufficienti e inadatti a dar rilievo alle molte opere d'arte che i musei possiedono" oltre alla "scarsezza di mezzi economici necessari ad esporre le collezioni", metteva in luce alcuni pro­ blemi museografici come quelli legati alla "prevalenza di criteri personali nel modo di esporre". Già in precedenza il medesimo autore aveva affrontato il problema dei "Musei del Risorgimento" in maniera ancor più estesa, osservan­ do come spesso [ . ] i musei siano da ripudiare tutti come deposti di urne cinerarie, zone sepol­ crali, dominio della morte [ . . . ] [poiché] si esponevano, sub specie di cimeli, i capelli, le unghie, i frammenti di ossa, i sigari fumati per metà da patrioti, le bende insanguinate, le divise costellate di buchi prodotti dalle tarme, ma che al pubblico si lascia volentieri credere siano stati prodotti dalla mi traglia nemica, i cappelli di Garibaldi forati da palle che non hanno mai colpito l'Eroe alla testa, i letti dove dormirono i loro sonni agitati o placidi i grandi uomini del Risorgimento.35 . .

Nasceva così la volontà "di ringiovanire i musei", diventati una sorta di ricetta­ colo di reliquie laiche del Risorgimento. Si affacciava pertanto una nuova lettura di questi musei che dovevano iniziare a svolgere un nuovo ruolo didattico, "stru­ menti sempre più efficaci di elevazione per il popolo", diventando "un grande libro di facilissima lettura" ,36 legando pitture, sculture e cimeli al contesto della storia nazionale e iniziando a "far vedere la Storia". D'altra parte, proprio in quegli anni una grande mostra storica a Palazzo Carignano a Torino dedicata ai Grandi Italiani del Piemonte aveva posto il problema dei rapporti tra le collezioni storico-documentarie, le opere d'arte e la didattica della storia e si poneva come "logico preludio al nuovo Museo del Risorgimento".37 Tutto questo fervore di attività rivolto verso i musei del Risorgimento deve essere poi letto alla luce, anche, dell'appropriazione che ne aveva fatto il fasci­ smo con la Mostra del decennale della Rivoluzione fascista, del Risorgimento e della prima guerra mondiale (figg. 5-6) .38 Un vero uso pubblico e politico 34 Il Museo del Risorgimento di Milano trovò la sua sistemazione organica in via Borgonovo solo nel l 9 50. 35 Monti 1 934, p. 626. 36 Monti 1 934, p. 628 . 37 Colombo 1 935, p . 876. 38 Per uno studio complessivo e sistematico sull'argomento si rinvia a Baioni 2006, che con­ tiene anche una ampia serie di citazioni archivistiche sulle fonti coeve (come l'archivio di Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon) .

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della storia che ne causava u n a deformazione e u n a forzatura ponendo l'accen­ to sull'eroismo individuale e sulla lotta tesa alla conquista della libertà e della "italianità". Aveva assunto un ruolo centrale nella vita risorgimentale Cesare Maria De Vecchi di Val Cismon, il quadrumviro della marcia su Roma, che dal 1 93 5 era divenuto presidente dell' Istituto per la storia del Risorgimento e del Museo Cen­ trale del Risorgimento di Roma. Tra le funzioni che erano state assegnate nel 1 934 al Museo Centrale del Ri­ sorgimento di Roma39 vi era quella di sorvegliare e coordinare i musei locali con "precise finalità patriottiche"40 determinate da uno dei loro compiti che era [ ] quello di dimostrare con cimeli e documentazioni diverse lo sforzo fatto dall'Italia per rivendicare la propria indipendenza e la propria unità e le vittorie conseguite in ogni campo della sua vita politica nazionale sino alla Marcia su Roma.41 . . .

Questo fine di educazione nazionale che già permeava il regime fascista trovava quindi nei musei risorgimentali una sua amplificazione ramificata sul territorio riverberando - seppur con una enfasi diversa - alcune linee già compiutamente esplicitate nell'allestimento della mostra del decennale della Rivoluzione fascistaY Non appena apparve questa indicazione iniziarono ad arrivare schede infor­ mative e notizie sui vari musei - da quelli già esistenti a quelli che si era in animo di far sorgere - per aver chiaro da quali enti dipendessero o a chi fossero aggregati (Comuni, archivi, biblioteche, musei, istituzioni militari) , se avessero una loro autonoma disponibilità finanziaria e quale fosse la consistenza della loro collezio­ ne. Per la realizzazione di una prima mappa dei musei esistenti Ghisalberti chiese ai vari direttori dei dettagliati resoconti sull'attività e sulle collezioni incontrando talvolta qualche inerte resistenza, come nel caso di Bologna il cui locale museo stentava a trovare una sede e una degna sistemazione. L'intenzione era quella di spostare la collezione risorgimentale, che era "costi­ pata" in spazi angusti messi a disposizione dal locale Museo Civico, nei più ampi locali dell'Archivio di Stato perché "il museo del Risorgimento non può avere in tali condizioni mise revo li quell'alta funzione educativa, che è una necessità im­ pellente, in clima Fascista".43 Già nel 1 937 si realizzarono a Bologna due mostre con i materiali raccolti, una all'Archiginnasio e una nel Museo Civico, che voleva­ no essere un preambolo preparatorio alla nascita del futuro museo. All'Archigin39 Ugolini 2002 . 40 Decreto Legge del 20 dicembre 1 934, n. 2 1 24. 41 Relazione di Antonio Monti (Museo del Risorgimento di Milano) del 2 aprile 1 93 5 (MCRR, ASRI, busta 260, fase. 1 ) . 42 Fioravanti 1 990. Si veda anche Russo 1 993; Matitti 20 1 3. 43 Minuta della lettera riservata inviata da A.M. Ghisalberti ad Antonio Gaiani, vice Segretario Generale del Comune di Bologna, del 1 7 dicembre 1 93 5 (MCRR, ASRI , busta 260, fase. 5 ) .

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nasio venne esposto materiale documentario e librario mentre al Museo Civico si privilegiò il corredo iconografico e alcuni cimeli.44 L'assetto generale dei musei del Risorgimento dell'Emilia e della Romagna trovò una sua formalizzazione riassuntiva in una relazione redatta da Ghisalberti per il ministro dell'Educazione Nazionale dell'ottobre 1 93 5 .45 Particolare atten­ zione era dedicata al museo di Faenza sorto fin dal 1 904 e già oggetto di studi specifici.46 Nel 1 929 era stato riorganizzato e dotato di un percorso di visita orga­ nico che "prende le mosse dalla Rivoluzione Francese e si arriva fino alla Grande Guerra" che sarebbe dovuto essere ulteriormente arricchito con altri "cimeli della Grande Guerra e della Rivoluzione Fascista". Caso analogo era rappresentato dal museo di Ferrara: anche in questo caso la sua fondazione risaliva al 1 903,47 ma i suoi materiali giacevano da tempo "in casse abbandonate o quasi". Si era fatta quindi strada l'idea, tramite il coinvolgimento del locale podestà, di destinare alle collezioni del museo alcuni locali al piano terreno del Palazzo dei Diamanti dove avrebbero trovato posto i numerosi cimeli tra cui quelli pregevoli legati alla guerre coloniali e al generale Caneva. Il museo di Forlì "non è certo tra i più ricchi, ma il materiale esposto è tutto di notevole interesse" avendo una collezione di im­ portanti cimeli legati alle figure di Piero Maroncelli, Silvio Pellico, Confalonieri e soprattutto Aurelio Saffi. Quello di Modena era quello che poteva vantare una data di fondazione più antica, giacché la sua prima organizzazione risaliva al 1 894 come appendice del locale Museo Civico, anche se al momento della visita il mu­ seo "va curato radicalmente" ed è "una onorata Cenerentola" con [ ] un eccessivo desiderio di mettere tutto in mostra [ . . ] un unico grande salo­ ne accoglie in vetrine stipate al massimo una quantità eccessiva di oggetti dispa­ ratissimi [ ] in un'altra stanzetta semiclandestina l'attuale direttore ha dovuto confinare, quasi fosse un magazzino, i molti ricordi delle guerre coloniali e della Grande Guerra.48 . . .

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A Parma le collezioni risorgimentali erano state affidate al Comando della Scuola di applicazione di Fanteria, ma seppur i locali dedicati apparivano sufficienti, "purtroppo, nessun ordine logico, nessuna disposizione cronologica guida il vi­ sitatore [ . . . ] l'ordinamento attuale, assolutamente empirico, è del tutto indipen­ dente da quello del Catalogo, ormai non più in uso". A Piacenza non esisteva un museo ma solo la raccolta di un appassionato, il conte Dionigi Barattieri di San Pietro, che si intendeva organizzare con la collaborazione del presidente del comitato locale, Giuseppe Salvatore Manfredi, e del direttore della locale Biblio-

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"Il Resto del Carlino", 27 maggio 1 937. La relazione è datata 26 ottobre 1 935 (MCRR, ASRI, busta 260, fase. 1 ) . Ballardini 1 909; Michel 1 9 1 3; Mostra di cimeli 1 922; Zama 1 930. Miche! 1 9 1 5 . Canevazzi 1 932.

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teca, il conte Nasalli Rocca.49 Questo collezionismo "aristocratico" che faceva diventare degli appassionati, improvvisati curatori di musei, era una costante pre­ occupazione, più volte espressa da Ghisalberti, che più volte aveva ribadito come fosse necessario ovviare "al gravissimo inconveniente della esposizione alla luce dei documenti manoscritti"50 che avrebbero dovuto essere sostituiti con copie fotografiche. A Pisa "nella casa ove morì Giuseppe Mazzini, esiste un 'principio' di Museo del Risorgimento che per ragioni facili a comprendersi [ . . . ] si limita ad accogliere solo tutto quello che ha attinenze col Mazzini", l'idea che si faceva strada era quella "di convertire la Casa di Mazzini in un museo pisano del Risorgimento", anticipando quella che in seguito sarebbe diventata la Domus MazzinianaY A Napoli le vicende del Museo del Risorgimento si erano intrecciate con quelle del Museo di San Martino, che ne ospitava le collezioni e che nel 1 935 aveva visto per il suo riallestimento, che privilegiava le collezioni borboniche, gli interventi di Ojetti e gli artisti Siviero e Maraini.52 Uno dei criteri che era stato seguito per l'allestimento di tutti questi musei sembrava essere stato quello di "declinare" il Risorgimento facendo emergere la singolarità della partecipazione dei singoli territori, trovando specifiche peculiari­ tà nelle vicende biografiche dei locali "martiri della libertà". Era questo il caso del museo di Trieste che vedeva in Guglielmo Oberdan il suo fulcro da affiancare a quello dell'irridentismo.53 Non dissimile la situazione a Trento (fig. 7) dove si voleva inaugurare un mu­ seo nel Castello del Buoconsiglio, "musealizzando" la sala del Tribunale Militare e i luoghi che avevano visto la condanne e il martirio di Cesare Battisti, Fabio Filzi e Damiano Chiesa. 54 Ma questo progetto aveva visto sorgere qualche con­ trasto in quanto il castello ospitava anche una importante collezione archeologica adiacente agli spazi che sarebbe stati utilizzati per rievocare le gesta dei "martiri trentini". La locale Soprintendenza auspicava quindi una separazione degli spazi e dei percorsi, un'ipotesi che trovò la fiera opposizione del De Vecchi che, nel 1 936, inviò Ghisalberti ad effettuare un'ispezione. 55 Al termine di questo viaggio Ghisalberti trasmise a Italo Lunelli, gloriosa Medaglia d'Oro della prima guerra 49 Durante questa visita Ghisalberti non ebbe modo di visitare la raccolta risorgimentale di Carpi e "le due sale dedicate al Risorgimento" nel museo di Reggio Emilia. 50 Minuta di A.M. Ghisalberti inviata a Erberto Guida del 3 maggio 1 937 (MCRR, ASRI, busta 260, fase. 1 ) . 51 Relazione d i Alberto Niccolai, preside dell'Istituto magistrale Giosuè Carducci di Pisa e presidente del Comitato locale di storia del Risorgimento, a A.M. Ghisalberti del 1 3 marzo 1 93 5 (MCRR, ASRI, busta 262, fase. "Pisà') . 52 Marangoni 1 936. 53 MCRR, ASRI, busta 259, fase. "Trieste". 54 De Manincor 1 984. 55 Lettera di Cesare Maria De Vecchi a A.M. Ghisalberti del 18 agosto 1 936 (MCRR, ASRI, busta 259, fase. "Trento") .

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7. Sala del Museo Tremino del Risorgimento, Trento, 1 936

mondiale e coordinatore locale dei lavori di sistemazione del Museo, precise in­ dicazioni: Sua Eccellenza [De Vecchi] ha troppo viva la sensibilità di tutto quello che riguar­ da il nostro più recente gloriosissimo passato per poter permettere che, sia pure con le migliori intenzioni, si possano prosporre i ricordi dell'intervento e della guerra alle rievocazioni archeologiche ed estetizzanti.5 6

L'uso politico della storia era una ragion di S tato molto più pressante rispetto alle "estetizzanti" preoccupazioni di non mescolare le vicende di Cesare Battisti con quella dell'antica Roma. Nel 1 934 era stato inaugurato il museo di Como. Il palazzo che avrebbe ospitato il museo era stato donato da Carlotta Olginati e occupava sale "ricca­ mente ammobiliate e decorate in quello stile che la nobiltà e la ricca borghesia predilessero verso la metà del secolo scorso e che prese il nome di Luigi Filippo". L'allestimento si sviluppava in sei sale che illustravano gli avvenimenti occorsi dalla Rivoluzione francese al 1 860, con un'attenzione particolare rivolta alla figura di Giuseppe Garibaldi avvalendosi di stampe, busti, cimeli uniformi e "ricordi personali di Sirtori, Pessina, Carcano". Contribuivano all'efficacia del 56 Minuta della lettera inviata da A.M. Ghisalberti a ltalo Lunelli del 18 settembre 1 936 (MCRR, ASRI , busta 259, fase. "Trento") .

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percorso anche importanti opere pittoriche come nel caso del "rinomato dipin­ to del pittore garibaldino de Albertis che riproduce fedelmente gli ultimi istanti del capitano De Cristoforis colpito mortalmente mentre guidava i suoi all'attac­ co di S. Fermo" o "il grande quadro del bolognese pittore Maiani" raffigurante " un episodio di Mentana".57 Sempre nel 1 934 anche il presidente del comitato di Ancona, Guido Podaliri, aveva iniziato a cercare una sede museale dignitosa per tutti i cimeli che erano sta­ ti raccolti e che erano "divisi tra vari enti ed uffici, disordinati e mal custoditi [ . . . ] facile preda alla distruzione o quanto meno alla dispersione".58 L'intervento del De Vecchi non si fece attendere e già nel febbraio del 1 93 5 il podestà di Ancona aveva messo a disposizione i locali della sede dei Gabinetti Scientifici del Comune che dovevano essere messi in comunicazione con la Pinacoteca e il Museo Arche­ ologico. Ma la situazione era bel lontana da una risoluzione e l'assetto delle col­ lezione dava "la pessima impressione" di un "negozio da rigattiere".59 Per trovare i fondi necessari per dare un'adeguata sistemazione al museo il Provveditore agli Studi di Ancona pensò di devolvere un contributo, che era stato sollecitato dal podestà locale, per costituire una Fondazione "di aiuto ad alunni bisognosi delle scuole medie ed elementari delle Marche".60 A Venezia, nel 1 936, veniva allestito nelle Procuratie Nuove, presso il Correr, il museo che aveva il compito di documentare "l'importantissimo periodo della vita veneziana che va da Campoformio a Vittorio Veneto".61 Allo stesso modo a Padova aveva preso il via la costituzione di un primo nucleo del Museo del Ri­ sorgimento sulla base del materiale utilizzato per l'esposizione torinese del 1 884 e dell'attività della Società di Solferino e San Martino (figg. 8-9) .62 A Cagliari, sempre nel 1 936, prese il via l'idea di costituire un museo storico­ militare, sotto la guida del prefetto Valentino Del Nero, volto "a raccogliere ed ordinare documenti e cimeli" al fine di mettere "in risalto il valore guerriero dei sardi" creando una linea ininterrotta e continuativa che dai guerrieri dell'età nuragica arrivava fino alle camicie nere dei battaglioni sardi in Africa Orientale. Era questo un modo di rendere ancora più solenne il primo anniversario dell'Im­ pero fascista, e, non a caso, doveva essere suggellato dalle "fiere parole del Duce scolpite sulla pietra". Per realizzare questo museo venne incaricato Flavio Scano, 57 Relazione sull'allestimento del museo di Como del direttore Luigi Perrone [1 934] (MCRR, ASRI, busta 260, fase. 1 0) . 5 8 Lettera di G . Podalieri a l De Vecchi, dell'8 dicembre 1 934 (MCRR, ASRI , busta 260 , fase. 3) . 59 Lettera di G. Podalieri a A.M. Ghisalberti del 2 5 novembre 1 93 5 (MCRR, ASRI, busta 260, fase. 3). 60 Lettera di Luigi Costanzo del Provveditorato agli Studi di Ancona al Ministero dell'Educazione Nazionale del 30 marzo 1 936 (MCRR, ASRI, busta 260, fase. 3). 61 'TAmbrosiana", 31 dicembre 1 936. 62 Pellegrini 2004, pp. 1 9-20 . Il primo nucleo del Museo venne allestito "al Santo". Oggi il museo è collocato in uno dei "luoghi della Memorià' di Padova: il Caffè Pedrocchi.

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8. Sala di Solferino e San Martino nel Museo del Risorgimento di Padova "al Santo", 1 936

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9. Sala del Museo del Risorgimento di Padova "al Santo", 1 936 ca.

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vice presidente del Consiglio Provinciale dell'Economia Corporativa, mutilato di guerra e decorato al valore. 63 Il museo avrebbe dovuto trovar posto accanto alla Galleria Comunale di Belle Arti, nei Giardini Pubblici. Questa proposta trovò un immediato riscontro presso il De Vecchi che, tramite Ghisalberti, la inquadrò "nei limiti cronologici del Ri­ sorgimento ( 1 700- 1 9 1 8) " . 64 Già nel 1 939 venne inaugurata una piccola mostra nelle sale del Consiglio delle Corporazioni nella quale vennero esposti i cimeli e i documenti che erano stati raccolti. 65 Il progetto venne bloccato dallo scoppio del secondo conflitto mondiale dopo il quale "certe aspirazioni che sembravano realizzabili e certe promesse che parevano sicure si sono venute attenuando, se non sono addirittura scomparse".66 Questa stessa linea, che doveva privilegiare l'evidenziazione della continuità tra Risorgimento e fascismo, era alla base anche dell'ipotesi di ampliamento del museo di Brescia - ipotizzato dal suo direttore, il generale Mario Abba - dove [ . ] irradiano già luce nomi grandissimi del passato, dal 1 848, eroico e sventu­ rato, all'esultante '59 e al '60 col suo maggio leggendario [ . ] vicino a questo passato, è doveroso raccogliere anche le glorie recenti, che non sono poche; ne esulteranno gli spiriti degli eroi di tutte le guerre, dai remoti anni fino alla Rivolu­ zione rigeneratrice, fino all'Impero. 67 . .

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A Mantova, nel 1 937, il museo era "collocato in angusta cameretta nei locali delle carceri di Castello dove erano detenuti i Martiri di Belfiore", dove era dif­ ficile l'accesso. Occorreva un nuovo allestimento in modo che i cimeli che erano custoditi potessero acquistare "un valore morale e suggestivo". 68 Il museo quindi doveva svolgere una funzione non solo educatrice e didattica, ma anche etica e morale che si riallacciava al tentativo di instaurare, durante il fascismo, una "re­ ligione della Patria". Questa linea trovò il pieno sostegno del locale podestà che, nel giro di pochi anni, allestì il nuovo Museo del Risorgimento al pianterreno del Palazzo Ducale.69 A Vicenza le vicende risorgimentali si sarebbero dovute in­ trecciare strettamente con quella della Grande Guerra, il museo sarebbe sorto sul 63 Verbale della riunione tenurasi il 19 luglio 1 936 nel Consiglio Provinciale dell'Economia Corporativa di Cagliari (MCRR, ASRI, busta 260, fase. 8 ) . 64 Minuta d i A . M . Ghisalberti a l conte Giovanni Cao d i S a n Marco, deputato a l Parlamento di Cagliari, dell'8 settembre 1 936 (MCRR, ASRI, busta 260, fase. 8). 65 "Unione Sardà', 4 gennaio 1 939. Per i lavori preparatori si vedano anche sullo stesso periodico l'articolo apparso 1'9 febbraio 1 938 e "La Tribunà' del 1 3 febbraio 1 937. 66 Minuta della lettera di A.M. Ghisalberti al marchese Amar di San Filippo del 18 maggio 1 9 57 (MCRR, ASRI, busta 260, fase. 8 ) . 67 " I l Popolo d i Brescià', 1 8 febbraio 1 937. 68 Relazione di Cesare Genovesi, presidente del Comitato per la storia del Risorgimento italiano di Mantova, indirizzata a A.M. Ghisalberti del 1 8 aprile 1 937 (MCRR, ASRI, busta 261 , fase. 1 0) . 69 "Corriere della Serà' del 8 luglio 1 941 ; "La Voce d i Mantovà' del 8 luglio 1 941 ; "Il Gazzettino di Venezia" dell' 1 1 luglio 1 94 1 .

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1 0 . Sala di Palazzo Carignano, Mostra del Risorgimento, Torino, 1 938

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Monte Berico, a ricordo della battaglia del 1 848, ma il fulcro sarebbe consistito nei materiali raccolti dai comandi dei reggimenti degli Alpini sul fronte della guerra del ' 1 5-' 1 8. 7° Nel 1 942 si pensò di costituire anche a Cosenza un museo locale del Ri­ sorgimento che avrebbe dovuto trovar posto in alcuni ambienti della Biblioteca Civica, visto che "il materiale documentario e i cimeli storici non mancano".71 In particolare i cimeli e le testimonianze erano state raccolte [ . ] in due enormi cassoni di legno ferrati che contennero dal l 848 al l 860 [ . ] le ossa dei martiri cosentini del 1 844 [ . . ] nonché i resti mortali di Attilio ed Emi­ lio Bandiera e consorti [ . ] fucilati il 25 del già detto luglio 1 844. I ritratti dei condannati politici e dei fratelli Falcone [ ] e le armi; una scatoletta contenente le coccarde e i nastri tricolore conservate nei cassoni insieme alle ossa dei giustizia­ ti; i documenti fotografici, avvisi, proclami e giornali dell'epoca".72 . .

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Era chiaro come ancora persistesse una esplicita volontà di proporre questi "resti mortali" come "sacre reliquie" della patria, utilizzando i corpi e le ossa dei martiri risorgimentali per costruire quella religione della patria che fin dal decennio pre­ cedente si era iniziata a fondare. Anche a Bergamo la situazione del Museo del Risorgimento era ancora com­ plessa e nel 1 942 il presidente del locale Comitato, Ernesto S uardo, lanciava un appello al fine "di far tenere al Museo il copioso materiale di scritti inviatici dai combattenti per la conquista dell'Impero, per la guerra di Spagna e quello che ci perviene giornalmente da vari fronti di questa guerra di liberazione". 73 Seppur arrivarono notizie e informazioni da parte di numerosi musei del Ri­ sorgimento, di fatto mancò "un qualche provvedimento che [facesse] del decreto famoso [quello di coordinamento dei Musei] qualche cosa di vitale".74 Tutto questo fervore di attività, che vedeva coinvolti non solo collezionisti e studiosi ma anche le autorità politiche, deve essere letto alla luce dell'appropria­ zione sempre più massiva che aveva fatto il fascismo, anche grazie alla mostra del decennale della Rivoluzione fascista, del Risorgimento e della prima guerra mon­ diale. Un vero uso pubblico e politico della storia risorgimentale che ne causava una deformazione e una forzatura ponendo l'accento sull'eroismo individuale e sulla lotta tesa alla conquista della libertà e della "italianità", una sorta di preludio del fascismo, inteso come inevitabile sviluppo degli ideali nazionali risorgimentali. 70 "Gazzettino Veneto", 2 1 gennaio 1 937; "Gazzettino Veneto", 14 agosto 1 939. 7 1 Minuta di De Vecchi indirizzata al podestà di Cosenza del 14 marzo 1 942 (MCRR, ASRI, busta 260, fase. I l ) . 7 2 Lettera d i Giacinto Ippoliro, presidente del Comitato d i Cosenza, del 2 5 febbraio 1 942, inviata a A.M. Ghisalberti (MCRR, ASRI, busta 260, fase. I l ) . 73 "Voce d i Bergamo", 1 7 febbraio 1 942 . 74 Minuta di A.M. Ghisalberti a Erberto Guida, capo Gabinetto del ministro dell'Educazione Nazionale, del 1 5 settembre 1 937 (MCRR, ASRI , busta 260 , fase. 1 ) .

La nascita dei musei del Risorgimento (1 880-1 942): un esempio di uso pubblico della storia

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1 1 . Ricostruzione della Carnera di Carlo Alberto a Oporro a Palazzo Carignano, Mostra del Risor­ gimento, Torino, 1 938

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Marco Piuo

1 2 . Aula del Parlamento Subalpino, Mostra del Risorgimento, Torino, 1 938

Non a caso, nel 1 936 Ghisalberti, spinto forse da un eccesso di zelo, scriveva al Segretario particolare di Mussolini chiedendo "se sia possibile ottenere per il Museo Centrale del Risorgimento un busto raffigurante S.E. Mussolini e qualche ricordo personale della sua partecipazione alla guerra" al fine di rievocare "ai visita­ tori quanto Egli ha compiuto durante gli anni della grande guerra" .75 Una richiesta che ebbe una più cauta risposta da parte del duce che riteneva "la cosa prematura"/6 anche se poi, di fatto, un busto del duce entro a far parte delle collezioni del museo. Il disegno politico che avrebbe avuto il nuovo assetto istituzionale era esplici­ tato dallo stesso De Vecchi in un discorso pubblico rivolto a Benito Mussolini in occasione dell'inaugurazione dei lavori della Giunta centrale degli studi storici: Vostra Eccellenza decise di consegnare in mani soltanto fasciste la Società per la storia del Risorgimento. La rivoluzione penetratavi in ubbidienza ad una inequi­ vocabile consegna rilevò esistente non soltanto in quella particolare attività ma nel vasto campo degli studi storici e di là estese la sua benefica azione, come vi è noto, a tutti i centri di culrura. 77 75 Bozza della lettera inviata da A.M. Ghisalberti a Osvaldo Sebastiani, segretario particolare del capo del Governo, datata 20 novembre 1 936 (MCRR, ASRI, busta 1 22 , fase. 2). 76 Lettera di Osvaldo Sebastiani a A.M. Ghisalberti del 22 dicembre 1 936 (MCRR, ASRI, busta 1 22, fase. 2) . 77 "Il Messaggero", 28 novembre 1 934.

La nascita dei musei del Risorgimento (1 880-1 942): un esempio di uso pubblico della storia

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E ancora: Il giorno nel quale ci siamo assunti il compito di rivedere con l'occhio del tempo la storia del Risorgimento troppo violata, l'abbiamo accettato come una consegna. Ciò vuol dire "armata manu" e senza complimenti; ma anche senza iattanza per­ ché qui intendiamo fare della storia, quella cioè che appare ad un tempo scienza ed arte e per la quale la tecnica dell'arte non ha per istrumento la fantasia o la cieca e sciocca passione settaria; ma il documento dal quale nasce la prova più scientificamente vagliata allo studio più duro e paziente, all'analisi microscopica più inesorabile.78

Il Risorgimento doveva quindi essere letto in' ottica più generale che privilegiasse anche la storia dei centri minori.

È necessario che finisca il malvezzo di troppi studiosi di non occuparsi dei minori centri e dei minori eventi . Soltanto rivolgendo l'attenzione a questi che possono sembrare, ma non sono, punti di minore importanza lo storico del Risorgimento può rendersi pienamente ragione della vastità e della penetrazione del movimento unitario italiano durante gli ultimi due secoli.79 Bisognava quindi "guardare la storia del Risorgimento con occhio fascista [ ] il fascismo diventa il continuatore del Risorgimento, ed anche [ . . . ] lo potenzia".80 Ma il Museo del Risorgimento di Roma avrebbe dovuto attendere ancora cir­ ca trent'anni prima di aprire i battenti, in un'epoca che avrebbe visto affacciarsi "nuovi" musei di storia (quelli della Resistenza e della Lotta per la Liberazione) e lo stesso Risorgimento avrebbe faticato a scrollarsi di dosso l'ottica deformante del ventennio fascista, scontando una sorta di damnatio memoriae che avrebbe provocato nel corso degli anni la scomparsa di molti musei risorgimentali. . . .

78 "Rassegna Storica del Risorgimento", 1 934, p. 443 . 79 Lettera di De Vecchi al senatore Giovanni Giurati del 1 0 giugno 1 936 (MCRR, ASRI, busta 1 4 1 ) . 80 "Gioventù Fascistà', 1 6 agosto 1 936.

Du ma rbre sur du velours. Exposer l es antiquités à Rome à la fi n du XIXe siècle Delphine Morana Burlot*

i Rome a toujours présenté de riches collections d'antiquités, que ce soit des collections particulières ou publiques, avec, rappelons-le, la création du premier musée communal, le musée du Capitole, et le Vatican, la période qui suit l'unité italienne et la proclamation de Rome camme capitale est particu­ lièrement importante pour l'histoire de l'archéologie et des collections. En effet, de grands travaux d'urbanisme mettent au jour en abondance du nouveau maté­ riel archéologique. Certains archéologues voient également dans cetre période de création d'institutions l' occasion de fonder un grand musée national romain, qui permettrait d'exposer toutes les antiquités découvertes à Rome, depuis l'époque archa!que j usqu'à la fin de l'Empire. Un nouvel aménagement des collections romaines permettrait en outre de créer une muséographie plus moderne, afin de satisfaire les exigences nouvelles de l'archéologie comparée. Il ne s'agir pas ici de reprendre des thématiques déjà bien explorées camme l'histoire des musées à Rome après l' unité italienne, 1 mais de souligner le fai t que pour la première fois les institutions romaines, autrefois archétype incon­ testé en matière d'art, se tournaient vers des modèles étrangers pour entrer dans la modernité. Ce qui a retenu notre atten tion concerne essentiellement les réflexions très nombreuses qui ont animé les archéologues, les artistes et les conservateurs à propos de la présentation des ceuvres, leur disposition dans les salles, leur éclairage, l'accès au public, le décor intérieur, bref, un ensemble de préoccupations qui touchent à la muséographie, science balbutiante dans le dernier quart du xrxe siècle.

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" Université Paris l Panthéon-Sorbonne. 1 À ce sujet, voir Musacchio 1 994, p. 72 et suiv. ; Bernini 1 997 ; Curzi 1 998.

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Delphine Morana Burlot

Anciennes collections et nouvelles découvertes

Suite à la loi de sécularisation des biens des ordres religieux en 1 873, le siège des institutions muséales romaines liées à l'archéologie avait été établi au Collège Romain, où se trouvait depuis le XVIIe siècle, le musée Kircher qui avait été réquisitionné.2 Les collections du musée Kircher, institution fondée par Atha­ nasius Kircher au xvne siècle, comprenaient des antiquités romaines mais aussi un grand nombre de pièces étrusques, les Jésuites ayant réalisé des fouilles dans leurs propriétés situées dans la région de Rome.3 C'est là que furent réunies diffé­ rentes collections, dont le musée ethnographique et préhistorique qui constituera le noyau du musée Pigorini. Mais le collège romain ne se prete pas à l'exposition du matériel archéologique nouvellement découvert et sans cesse en expansion. Il faut trouver d' autres lieux susceptibles d' accueillir ces collections. En effet, à partir des années 1 860, Rome connait un développement urba­ nistique sans précédent. Les nombreuses modifications urbaines en cours contri­ buaient à mettre au jour une grande quantité de matériel archéologique, parfois de grande qualité, sans qu'on ait de lieu pour les exposer ou meme les conser­ ver. La destruction de batiments médiévaux entraine la redécouverte d'un cer­ tain nombre de fragments lapidaires qui avaient été utilisés camme matériau de construction ; leur mise au jour permet de compléter certaines statues ou d'agrandir simplement les collections de marbres.4 Leur récupération témoigne d'un changement de point de vue et de la prise en considération du fragment pour sa valeur historique et archéologique.5

Des musées de site

La direction générale des antiquités et des musées, nouvellement créée, décide de s'occuper en priorité des antiquités récemment mises au jour. L'idée originelle est d' exposer les reuvres près du li eu où elles ont été découvertes : [ . . . ] per un momento venne accarezzata l'idea di riunire tutti gli oggetti in prossi­ mità del luogo in cui erano stati trovati. E si cominciò a fondare il Museo Tiberi­ na in cui vennero collocate le pitture e gli stucchi della casa patrizia, i marmi del sepolcro di Platorino e gli oggetti restituiti dal Tevere. In seguito si avrebbe avuto

2 Brizio 1 889, p. 4 1 2 . 3 Le Kircheriano comprenait aussi des collections médiévales. Sur l'histoire d e c e musée, voir Garrucci 1 879 ; Lafaye 1 879 ; Bruni 200 l . 4 Dans un rapport relatif au projet du nouveau musée d'antiquités à Rome, l'architecte Co­ stantino Sneider notait qu'il n'était pas rare de retrouver « le parti mancanti a monumenti in ante­ cedenza rinvenuti » ; Rome, Archivio Centrale dello Stato, Antichità e Scavi, busta 3 1 3 , fase. 20.2. 5 Sur la p rise en compre du fragment par les archéologues, voir Balfour 2009 ; Most 2009 .

Du marbre sur du velours. Exposer les antiquités à Rome à la fin du XIXe siède

l. Dante Paolocci, Roma - Museo Tiberino alla Lungara, dessin reproduit dans italiana avril 1 882